Sette Notti

di Florence
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 31: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Antefatto

 

In quel luogo c’era soltanto silenzio, si sarebbe potuto dire che non ci fosse altro, né lo spazio, né qualunque punto di riferimento concepibile da mente umana, tranne una enorme porta di fattura antichissima, da sempre fluttuante in quel nulla in cui smarrirsi era molto semplice. Non c’erano suoni, non c’erano altre superfici, non c’era nessuno, se non immobilità.

 

Un rumore sordo infranse il silenzio assoluto, seguito da alcuni schiocchi metallici, il contorno della porta si illuminò e lentamente essa si aprì, rivelando una figura femminile: la donna varcò la soglia, richiuse la porta alle sue spalle e prese aria.

-Maledizione…-, sfuggì alle sue labbra rosso magenta, strinse un pugno e rimase immobile cercando di dare un senso a quello che aveva appena scoperto.

Espirò, puntò gli occhi in una direzione precisa e iniziò a camminare a passo svelto.


C’era un luogo, poco distante dall’enorme palazzo di cristallo che dominava la baia, in cui Sailor Uranus e Sailor Neptune erano solite fermarsi all’ombra di un grande salice; era il loro posto del cuore, un angolo di tranquillità ed estasi che apparteneva soltanto a loro due. Fu lì che Sailor Pluto le scovò, stese su un prato di violette e ciclamini cresciuti sotto al salice.

-Devo parlarvi, è urgente-, Pluto non fece preamboli, il suo volto contratto convinse le due donne a seguirla senza fiatare. 

-Vi raggiungerò immediatamente nella sala del Concilio d’Emergenza, vado a chiamare Saturn-, spiegò prima di allonanarsi di nuovo.

 

Quando fece il suo ingresso nel luogo prestabilito, Uranus e Neptune l’attendevano in apprensione.

-Questo nostro mondo ha le ore contate: stiamo per essere cancellati completamente da un’altra dimensione che sta per sostituire la nostra-, non avrebbe saputo catalizzare meglio l’attenzione delle colleghe, quindi si sedette e iniziò a spiegare nel dettaglio. 

-Per ogni evento che avvenga nello spazio-tempo si creano e distruggono continuamente nuove dimensioni parallele, differenti tra loro spesso solo per particolari insignificanti-, fece una pausa, perché voleva che le colleghe comprendessero bene quello che stava per dire loro.

-Le nostre vite sono un continuo passaggio tra una dimensione e l'altra, senza che nessuno se ne accorga. Ma ci sono rari casi in cui dimensioni del tutto differenti tra loro rischiano di incontrarsi e collidere causando la totale distruzione di una delle due, senza che nessuno se ne accorga.-

Si accertò che l'avessero seguita fino a quel punto, -È ciò che sta per accadere alla nostra dimensione: non possiamo fare nulla per impedire che questo avvenga, ma possiamo cercare di rendere la dimensione che ci ingoierà il più simile possibile alla nostra, per limitare i danni e sperare che anche stavolta nessuno se ne accorga…-

Neptune la guardò incredula per ciò che aveva udito: -Cos'è accaduto di così diverso nell'altra dimensione da renderla tanto differente da questa?-, domandò.

-Non esisterà mai il Nuovo Regno Argentato sulla Terra, perché non saranno mai apparsi la Principessa Serenity e il Principe Endymion per fondarlo, né la loro figlia per salvarlo-, Pluto fu lapidaria e la risposta lasciò le colleghe basite.

Uranus non riusciva a concepire una situazione così diversa dalla loro: -Non si sono ancora reincarnati, in quella dimensione?-

Plutò sospirò, tanto valeva essere schiette: -Oh sì, lo hanno fatto, e sono comparse tutte le guerriere Sailor per sconfiggere Metallia, ma qualcosa dopo è andato storto… -, raccontò nel dettaglio quello che aveva visto, lasciandole di stucco.




 

Intro

 

I raggi del sole filtravano attraverso le tende sottili che coprivano le vetrate dell’ampia Sala del Consiglio rendendo l’atmosfera all’interno rarefatta. Le ombre dei sottili tessuti finemente ricamati si allungavano sul pavimento di marmo disegnando dei ghirigori in lento movimento. L’aria che entrava dalle finestre aperte nella parte più in alto delle pareti di cristallo era frizzante, il sole lentamente si stava alzando nel cielo terso, fuori da lì. Il silenzio che regnava nell’immenso volume della sala era disturbato dal ticchettio frenetico di piccole dita che battevano su una tastiera, nell’angolo più interno dell’ambiente; ogni tanto un breve suono metallico annunciava che l’evoluto cervello elettronico aveva elaborato un dato o ne stava prendendo uno nuovo in pasto.

Un lungo sospiro spezzò l’immobilità della sala, qualcuno si mosse, il fruscio del suo abito fu coperto dal rimbombo di lenti passi insicuri.

-Dobbiamo prendere una decisione-, la voce femminile si schiacciò sul soffitto a volta e produsse un’eco che si spense subito dopo. Fu il la che concesse alle altre persone presenti di aprire il dibattito sul perché fossero riunite in quel luogo.

-Ci possiamo fidare di quello che ha detto Pluto?-, la perplessità nella voce di Jupiter era evidente.

-Ripeto, dobbiamo prendere una decisione-, disse Venus, smettendo di camminare, -E dobbiamo farlo subito: se quella linea temporale incontrerà la nostra, potrebbe cambiare tutto… Potrebbe essere la fine di questa realtà e di questo mondo-, troppa enfasi nelle sue parole, il terrore vinceva sulla prudenza.

Mars si mosse, avvicinandosi ai pannello di controllo, -Mercury, cosa dicono le simulazioni che hai lanciato? Esiste la reale possibilità che le due linee si incontrino?-

-Non fatevi prendere dal panico: il nostro compito è vegliare sulla nostra Regina e non possiamo permetterci di compiere passi falsi sulla base di allarmismi non confermati-, li avrebbe verificati lei, se il calcolatore si fosse dato una mossa a elaborare tutte le variabili che gli aveva dato da elaborare.

-Possiamo davvero fidarci di quello che dicono le outers?-, di nuovo Jupiter, nella sua voce la speranza che si fosse trattato soltanto di un allarme senza fondamento.

Un silenzio carico di dubbi avvolse la sala del Consiglio delle inners, le quattro donne guardavano una negli occhi dell’altra, aspettando che Mercury parlasse. Vestivano i loro abiti di rappresentanza, quei meravigliosi ed eterei abiti fatti di stoffe pregiate ciascuno nei colori a loro associati, in quel luogo di pace e riflessione dovevano per prima cosa rispettare l’etichetta. Jupiter sistemò sovrappensiero una delle rose verdi di taffetà sulla gonna, non sapeva come ammazzare ancora a quell’attesa snervante.

 

Una breve serie di colpi alla porta le fece destare dalla loro stasi, Venus corse ad aprire, intuendo chi fosse: purtroppo le outers erano più puntuali di un orologio ed erano già lì a pretendere una risposta. Erano tutte e quattro trasformate in guerriere Sailor, spavalde nell’apparire già pronte a un combattimento che poteva rappresentare soltanto una delle possibili ipotesi future.

-Penseranno che state tramando un colpo di stato, se ve ne state ancora chiuse qua dentro a confabulare-, le schernì Uranus senza convenevoli, sedendosi su uno dei gradoni in pietra e allungando le gambe.

Mars le rivolse un’occhiata di biasimo: le quattro guerriere del Sistema Solare esterno si erano sempre ritenute superiori a loro, perfino nel profanare la sede del Consiglio non rispettando l’etichetta e occupando posti a casaccio. Ma cosa poteva aspettarsi da una come Uranus…

-Stiamo attendendo la risposta dei calcolatori-, spiegò Mercury, mantenendo la calma; con un gesto automatico spostò di nuovo dietro le spalle il nastro azzurro che continuava a scivolare sulla tastiera.

Neptune attraversò tutta la sala e si avvicinò a lei; Pluto e Saturn attendevano in silenzio vicino all’enorme porta chiusa alle loro spalle.

-Per favore, sforzatevi di rispettare questo luogo-, domandò con fermezza Mars e con un movimento eloquente del mento indicò i loro abiti.

Pluto annuì silenziosamente e si scambiò un’occhiata con le ultime arrivate. In un bagliore i loro costumi da combattimento svanirono lasciando il posto agli abiti più convenzionali adeguati a quel luogo deputato alla pace. -Anche tu, Saturn-, insistette Mars e la più piccola tra loro ubbidì. Con quel vestito dalle fattezze simili a quello di Pluto la differenza di età tra lei e le altre era ancora più evidente; strinse i denti, sforzandosi di non pensare che sarebbe stata per sempre costretta in un corpo troppo giovane per il peso delle sue responsabilità.

Per tutte le altre era stato semplice condurre una lunghissima esistenza normale, grazie al miracolo che il potere del cristallo d’argento aveva compiuto sui loro corpi terrestri, ma per Saturn qualcosa era andato storto e lei non era cresciuta oltre i dodici anni terrestri. Per questo non aveva avuto né modo, né voglia di creare una rete di rapporti interpersonali privati con persone apparentemente tanto più adulte di lei e si era sempre dedicata anima e corpo al servizio della Corona, attendendo a lungo l’arrivo della principessa. In quel momento la salvaguardia dell’esistenza stessa della sua migliore amica dipendeva da quella situazione che le guerriere del Sistema Interno sembravano ancora sottovalutare; avrebbe voluto apparire adulta come tutte le altre e difendere le sue idee senza crucciarsi per il suo eterno aspetto adolescente.

-Se aspetteremo troppo, potremmo non udire più la risata felice di Piccola Lady echeggiare per le stanze di questo palazzo. Forse non verrà mai costruito… Forse tutte noi saremo morte da secoli e l’oscurità avrà regnato indisturbata!-, Saturn lasciò cadere lo sguardo a terra, sentendo di aver fatto bene a vincere le sue remore, esponendo i fatti per come realmente potevano stare. Più paia di occhi sottilmente agitati la guardarono, ma solo per un istante: Mars sollevò scettica le sopracciglia, Mercury mosse la mano sul puntatore del suo computer, distraendosi, Jupiter abbassò lo sguardo, incrociando volutamente quello di Venus. Non le stavano dando l’attenzione che quelle parole meritavano…

-Perché non volete dare ascolto a Setsuna?-, sbottò Saturn, -Lei sa quello che sta per avvenire! Lei ha visto che corriamo il rischio che non ci sia più nulla di quello che ci circonda!- 

Nessuna di loro usava più da secoli i loro vecchi nomi terrestri, ma in quel momento Saturn non poté esimersi dal farlo, per sottolineare quanto invece lei si fidasse della collega e sua maestra di vita. La sua accorata richiesta, purtroppo, ebbe il solo effetto di fomentare il disagio tra due gruppi.

 

-Insisto nel dire che la Regina dovrebbe essere informata di questa faccenda-, consigliò Venus, alzandosi per camminare in cerchio con le braccia conserte, pensando che, in fondo, la Regina Serenity era stata investita del dono della saggezza: chi più di lei avrebbe potuto prendere la decisione migliore? 

Mars la guardò, scuotendo la testa: -Se sapesse del rischio che sta per compiere questo nostro mondo, temo che Serenity perderebbe la fiducia in se stessa e metterebbe in dubbio il fondamento di tutto quello che ci circonda, cioè il suo legame con…-

-Ho la risposta-, la voce determinata di Mercury la interruppe. Tutte le donne accorsero attorno alla grande consolle usata dalla loro collega e fissarono lo schermo dove una serie di grafici incomprensibili faceva bella mostra di sé.

-Illuminaci…-, chiosò Uranus, alzandosi e raggiungendole per ultima. Si mise vicina a Neptune e la prese per mano. Per loro era stato semplice affrontare una vita così lunga: avevano da sempre quello che più desideravano e poterlo prolungare per un tempo quasi infinito non aveva che facilitato la loro esistenza. Quando si era trattato di scegliere, erano state le prime ad accogliere il potere lunare in sé e a subire l’upgrade,  come lo chiamavano tra loro, ottenendo una vita pressoché eterna. Lei e Neptune erano libere di amarsi da quasi mille anni e per chissà quanto tempo ancora a venire. Non così facile era stato per le altre, nel pieno delle loro vite in evoluzione e continua scoperta, ma avevano accettato di donarsi alla salvezza della loro Regina e del pianeta, rinunciando alle loro esistenze come Ami, Makoto, Minako e Rei, una dopo l’altra. Ormai non ricordavano quasi più quei momenti spensierati del loro passato da semplici adolescenti.

 

Pluto lanciò una rapida occhiata al monitor e strinse i pugni. Lei sapeva già quello che c’era scritto, perché lei sapeva sempre ogni cosa che si muovesse nel tempo. Era la sua forza e la sua maledizione: osservare il fiume degli eventi scorrere e incontrarne di altri, discernere i vari livelli di realtà, le dimensioni multiple, come si diceva in gergo, vedere le persone che conosceva replicate potenzialmente all’infinito vivere ogni volta una vita differente. 

Ma c'era di più: a differenza di un computer quantico che poteva calcolare e verificare tutte le simulazioni che Mercury avesse voluto sottoporgli, lei poteva muoversi nel tempo, osservare il futuro, interferire col passato e modificare una singola dimensione della realtà. Perché lei era unica, immobile, sfuggiva per la sua stessa essenza alle leggi della fisica, ma la sua era un'esistenza senza possibilità di scelta per sé stessa. Infinita già da prima che il tempo stesso fosse stato creato.

Guardò la donna al calcolatore e i suoi occhi sgranati: lo aveva già visto, quindi non provò meraviglia.

 

-Avverrà… sta già avvenendo!-, esclamò attonita Mercury, indicando con il cursore alcuni punti nel grafico; -Pluto ha ragione: la teoria delle linee dimensionali che si intersecano è valida. Il rischio è tangibile.-

Jupiter increspò la fronte e il simbolo di Giove su di essa assunse una forma strana. Mars soffiò aria dal naso, tamburellando nervosamente le dita sulle proprie ginocchia.

-Loro parlano per supposizioni, tu hai una certezza scientifica: dicci esattamente cosa intendono con le loro profezie di sventura-, la spronò Venus, trattenendo a stento l’irritazione mista a sottile terrore che iniziava a strisciare sulla sua pelle.

Mercury digitò alcune cose sulla consolle in cristallo e mosse il cursore: non era una cosa semplice da illustrare in pochi istanti, aveva rappresentato uno degli scogli più duri da superare durante i suoi studi avanzati e sapeva bene che non c’era un modo semplice per rendere comprensibile tutto, se non partire da lontano e fare un trattato approfondito delle varie teorie matematico-fisiche che sottostavano a quella che veniva definita "realtà". Ma non era quello il tempo e il luogo adatto: doveva sforzarsi di non entrare nei dettagli e spiegare tutti i ragionamenti scientifici che sottintendevano alle sue conclusioni o avrebbe perso la loro attenzione…

-Cercherò di essere il più sintetica possibile, esistono tre modi di interpretare la realtà, su cui da secoli e secoli le più grandi menti della Terra hanno discusso: la meccanica classica, la meccanica quantistica e la teoria dei molti mondi. In termini di meccanica classica noi esistiamo solo nel nostro universo esplorabile, conosciuto e oggettivo; in termini quantistici ci possono essere infinite possibilità in cui il nostro universo può evolvere, ma nel momento in cui andiamo a compiere un'analisi, ne possiamo osservare solo una, che sarà l’unica dimensione possibile; in termini multidimensionali invece esistono contemporaneamente più universi in cui ciascuno di noi esiste, vive, pensa-, cercò di riordinare le idee e proseguire in un modo il più comprensibile possibile.

-Gli scienziati provarono a confrontarsi su queste tre teorie utilizzando l’esperimento del "Gatto di Schroedinger": prendiamo un gatto e lo mettiamo in una scatola sigillata, il gatto può morire avvelenato se un atomo assume un certo comportamento e innesca il rilascio del veleno, può invece vivere se l’atomo non assume quel comportamento che causa l'innesco. Quando apriremo la scatola non sapremo in che stato sarà il gatto-, Mercury fece una pausa durante la quale l’unico suono udibile fu il lento deglutire dell’Ambasciatore Artemis, seduto in un angolo della sala. La giovane scienziata andò avanti: -Secondo la meccanica classica, il gatto o è vivo o è morto. Secondo la quantistica, il gatto può essere contemporaneamente sia vivo che morto, ma nel momento in cui vado a osservare il suo stato, forzo l’atomo a “fermarsi” in uno dei due comportamenti che possono o meno causare l'innesco del veleno e quindi trovo comunque il gatto o vivo o morto-, fendette l'aria con il taglio della mano due volte, spostandola in direzioni diverse per sottolineare le due differenti condizioni di cui stava parlando. 

-Secondo la teoria dei molti mondi, invece, indipendentemente da come si comporti l'atomo, nel momento in cui esso assume un comportamento o l'altro, cioè sia che il veleno fuoriesca o meno, si generano due realtà parallele, una in cui il gatto è vivo e io lo troverò vivo, l’altra in cui il gatto è morto e io lo troverò morto, ma nessuno dei due diversi “io” si renderà conto dell’esistenza dell’altro-, e aprì entrambe le mani davanti a sé come a contenere qualcosa di invisibile.

Pluto cambiò posizione, inspirando e rilasciando l’aria, fremente e tesa. Perché mai quella cervellona era partita così da lontano per spiegare un fatto tanto semplice?

Mercury proseguì.

-Noi in questo momento stiamo vivendo in una realtà, ma ce n'è almeno un'altra in cui noi stessi viviamo, senza conoscerla. Eppure questo universo, questa “dimensione parallela” esiste al pari della nostra-, si fermò, perché lei per prima stentava a credere a ciò che diceva. Doveva arrivare al dunque: -Un evento di osservazione dall'esterno può causare il collasso della realtà su una o sull’altra dimensione, come se fossero due rette parallele che vengono schiacciate una sull'altra e ne rimanesse solo una. In sostanza è come se continuassimo a esistere in una sola delle due dimensioni, senza renderci conto di essere esistiti anche in un'altra. I miei calcoli hanno confermato l'esistenza di almeno un'altra dimensione parallela dalla quale la nostra sarà inghiottita, nell'ipotesi in cui le teorie citate siano effettivamente valide alla luce di una verifica empirica di- 

-Mercury, basta!-, la guardiana del tempo s’impose sul fiume di parole della collega, -È inutile che ti sforzi di trovare giri di parole per dire che la tua scienza ti sta abbandonando: sii chiara una volta per tutte!-, le intimò, mostrando una fretta e una padronanza di sé che nessuno aveva mai osservato nel suo comportamento, dopo secoli che si conoscevano.

Mercury annuì, comprendendo che si stava arrampicando sugli specchi: Pluto aveva ragione, la sua scienza l'aveva tradita, avrebbe perso ogni cosa.

-Ho interfacciato tutti i dati possibili di quelli che possono essere considerati fenomeni di osservazione esterna con ciò che mi ha suggerito di analizzare Pluto e il verdetto è solo uno: questa nostra realtà svanirà e continueremo a esistere solo nell’altra dimensione a noi ignota. Questo avverrà nel momento dell’eclisse di luna prevista tra sette giorni: è questo l'evento che farà collassare la nostra realtà su quella alternativa e ci annienterà senza che neanche potremo rendercene conto. Secondo le teorie di Einstein da una parte e Everett dall’altra le dimen-

Uranus batté i pugni sul tavolo di liscio marmo: -Basta così!-, tuonò e indicò Pluto, -Il punto è che noi abbiamo la possibilità di guardare avanti e indietro nel tempo, a differenza di Schödinger, Einstein o Everett e sappiamo che le linee temporali si incontrano sempre: il tuo computer non ha scoperto niente che non fosse già noto a tutti noi! Quando questo accade, si aprono i varchi dimensionali, una realtà va a sostituirne un’altra e tutto quanto è stato seminato nella linea ‘più indietro’ si ripercuote istantaneamente sul futuro-, con la sua arringa, Uranus aveva catalizzato l’attenzione di tutte le presenti, Mercury compresa.

-Mercury ha già confermato quello che Pluto già ci aveva detto, cioè che tra pochissimo tempo la nostra linea temporale incontrerà quella sbagliata, ma non vi ha detto tutto! Non hai il coraggio di spiegare esattamente le cose come stanno, è vero?-

Mercury abbassò gli occhi: la sua scienza non avrebbe potuto salvarle da qualcosa che non era prevedibile, si poteva limitare solo ad annunciare la loro fine.

Le altre guerriere del Sistema Solare interno la guardarono preoccupate, aspettando che spiegasse di più; -Pluto, per favore continua tu: io non sono in grado di andare oltre questa conclusione a cui sono arrivata, quello che ci aspetta lo può riportare soltanto la Guardiana del Tempo.-

Pluto si concentrò per essere il più incisiva possibile, -Confermo quanto ha detto Mercury: durante l’eclisse di luna che avverrà tra sette giorni questa dimensione sarà sostituita dall’altra che coesiste nel reticolo spazio-temporale: le vostre coscienze si ritroveranno istantaneamente sostituite a quelle delle vostre controparti della nuova dimensione, il loro passato diventerà il vostro passato e gli eventi avvenuti fino ad allora saranno la base su cui si poggerà tutta la vostra vita futura-, il brutto lo doveva ancora raccontare…

-Il problema è che ho guardato più volte in quel passato e ha scoperto che  quella realtà è drammaticamente molto lontana da questa, perché lì gli eventi non si sono svolti come avrebbero dovuto: questo porterà sicuramente a un futuro completamente diverso da quello che potreste vivere se continuaste ad esistere in questa realtà.-

Mercury si azzardò a prendere la parola: -Inoltre c’è da sottolineare che, mentre per noi l’eclisse è un evento futuro, sebbene avverrà tra pochi giorni, nell’altra dimensione tale evento si colloca nel millenovecentonovantasei, cioè noi ci troveremo catapultate nel tremilaventuno in una dimensione nella quale in realtà gli eventi proseguono indisturbati da mille e venticinque anni. Non potremo scrivere il nostro futuro a partire dal momento dell’eclisse: esso è già scritto da un millennio.-

Jupiter e Venus scossero la testa: era troppo complicato da comprendere, sebbene fosse già stato loro accennato in via non ufficiale prima di quell’incontro segreto. Pluto andò loro incontro e spiegò nel dettaglio ciò che le avrebbe aspettate.

-In questa realtà la Terra è reduce da grandi battaglie contro le forze del male, ma tutte noi sappiamo come la Regina Serenity abbia reso possibile la nostra sopravvivenza lottando e vincendo contro ogni nemico. Questa realtà è finalmente stabile e “felice”, abbiamo due sovrani che si preoccupano per i loro sudditi e una Principessa che erediterà la forza della madre e garantirà altri mille e mille anni di stabilità.- La sua espressione si fece quindi pensierosa, continuò a raccontare, -La realtà che sta svolgendosi nell’altra dimensione non è come questa, sono accaduti eventi così differenti da quello che abbiamo vissuto in questa realtà che la rendono potenzialmente molto diversa da questa e probabilmente lì non saranno mai arrivati a una felice stabilità dopo la vittoria sul male.-

Neptune prese la parola: -Dal momento che tra poco ci ritroveremo in quella dimensione, vorremmo che questa nostra “nuova vita” sia la migliore possibile, bella come quella di questa dimensione in cui Serenity ci ha salvati dal male e ci ha donato vita eterna, e dopo di lei continuerà a farlo Piccola Lady, ma questo potrebbe non essere realizzabile.- 

Lasciò di nuovo la parola a Pluto.

-In quel passato la nostra Sailor Moon non ha mai scoperto di essere stata la Principessa Serenity del Regno della Luna e non sappiamo se lo diverrà mai qua sulla Terra. Molto probabilmente non sposerà mai il Principe Endymion e non nascerà mai la Principessa Piccola Lady-.

Venus, contorcendosi le mani e spremendosi le meningi, provò a chiedere maggiori informazioni: -Che cosa hai visto esattamente nel futuro di questa dimensione?-

Pluto abbassò lo sguardo, consapevole di non poter rispondere a quella domanda: -Purtroppo non riesco a vedere il futuro di questa dimensione: l’osservazione di quella linea temporale mi è limpida fino all’anno millenovecentonovantasei, cioè fino all’eclisse, dopo è troppo nebulosa per capire cosa possa accadere. Quello che ho visto si limita a questo: sicuramente alla data dell’eclisse in quella dimensione non si è ancora  manifestata Serenity, né Usagi si è ancora innamorata di Mamoru-, notò che Jupiter e Mars avevano gli occhi sgranati: effettivamente era qualcosa di totalmente estraneo a quello che avevano vissuto in prima persona. 

Pluto prese un respiro: -Posso parlare per supposizioni: probabilmente quello che potrebbe succedere è che dall’eclisse in poi le vostre “copie” dell’altra dimensione avranno continuato a combattere un nemico che non si sarà mai davvero interessato davvero alla Terra, perché nessun potere supremo si sarà mai manifestato, finché non ci saranno stati più attacchi. Le vostre copie avranno avuto una vita normale e infine saranno morte per cause naturali, come ogni essere umano-, il che sarebbe significato saltare in una dimensione parallela nella quale semplicemente loro avrebbero cessato di esistere. Doveva sforzarsi di non essere troppo pessimista: -Però potrebbe anche essere che quella linea temporale abbia riservato comunque la manifestazione del potere supremo in un momento successivo al millenovecentonovantasei e si sia evoluta similmente alla nostra, ma molto probabilmente, anche il quel caso non ci sarà una famiglia reale, perché non esisterà Re Endymion, con lui non ci sarà Piccola Lady che non potrà tornare nel passato ad aiutare due genitori che non ha mai avuto e…-, si arrese, -Non lo so: probabilmente semplicemente le vostre esistenze termineranno con l’eclisse, perché in quella dimensione non sarà mai esistita una Regina Serenity a proteggerci dal male e il nemico avrà vinto-, abbassò lo sguardo e strinse i pugni, -E io rimarrò sola per l’eternità.-

Se la granitica forza di Sailor Pluto stava incrinandosi a quel modo, la situazione era più che estremamente rischiosa per tutti.

Uranus strinse i pugni e lasciò che un moto di rabbia si manifestasse di nuovo, facendo scattare le mascelle e battere tra loro i denti. Se si fosse realizzato quel futuro lei non… non avrebbe mai conosciuto Neptune… La guardò negli occhi, cercando un ristoro, ma la tempesta che si agitava nella sua compagna, non l’aiutò a tranquillizzarsi. Tutte le altre rimasero in silenzio, basite.

Era come dire che quanto di più prezioso avevano vissuto non fosse mai esistito o fosse stato solo un gioco durato il tempo di una stagione. Come un abito che un anno è di gran moda e quello dopo si butta via, perché il suo tempo è passato.

Nessuna osava parlare, i loro cuori battevano all’impazzata in preda al terrore. Uranus cercò di ragionare e ridimensionare le informazioni catastrofiche che Pluto aveva appena dato loro, rimanendo il più salda possibile: -Fatevi coraggio e seguite il mio ragionamento: quando nella vita che abbiamo vissuto ci siamo ritrovati nei guai, siamo riusciti ad aggiustare le cose perché Piccola Lady è tornata indietro nel tempo e ha fatto sì che le guerriere Sailor del passato l’aiutassero a sistemare il futuro. Con il potere di Sailor Pluto possiamo tornare anche noi nel passato e modificare le cose in modo che non si ripercuotano negativamente sul futuro della dimensione alternativa. Adesso ci troviamo in questa situazione: primo, il futuro della dimensione che ci distruggerà dipende dal passato di quella stessa dimensione, secondo, noi diventeremo parte di questa dimensione in un momento futuro rispetto a quello che Pluto ha definito come “ultimo istante che riesce a vedere”. Quindi, poiché dalle osservazioni possibili temiamo che quella realtà possa essere una grande fregatura, discostandosi in maniera enorme da quello che è avvenuto qua, per sistemare quel futuro  dovremo tornare nel passato della stessa e cambiarlo a nostro vantaggio-, fece una pausa lunghissima, cercando un guizzo di comprensione negli occhi delle inners

Nulla.

Ci riprovò: -Se non avessimo vissuto tutta la nostra esistenza in questa dimensione, non sapremmo quanto sia fondamentale che i fatti avvengano esattamente come sono avvenuti finora e non ci verrebbe neanche in mente di modificare il passato per ottenere qualcosa nel futuro. È quello che può già essere accaduto nell’altra dimensione per cui le cose saranno andate a rotoli: ci ritroveremmo nelle nostre nuove versioni, sempre se esisteremo ancora, e non avremmo coscienza di come sfruttare il passato per costruire un futuro migliore-. 

Altra pausa. Uranus guardò Pluto e Neptune allargando le mani avanti a sé: era stata chiara, no?

Mars la incenerì con lo sguardo: -E questa spiegazione secondo te sarebbe chiara?-, domandò con biasimo.

-Ci rinuncio, provateci voi-, Uranus andò a sedersi in disparte.

Fu Pluto a continuare per lei: -Noi abbiamo la possibilità di cercare di modificare quella linea temporale facendo sì che, entro l’eclisse, tutto avvenga così come è avvenuto in questa, così avremmo delle basi solide per sperare che il futuro che la aspetterà, che ci aspetterà, nella nostra nuova dimensione, sia il migliore per tutta l’umanità.-

-In sostanza dobbiamo tornare nel passato di una dimensione a noi parallela sfruttando il potere di Pluto, modificarlo e creare per quella dimensione un futuro il più simile possibile al nostro presente. Dopodiché la nostra realtà sarà sostituita totalmente da quella di questa nuova dimensione che abbiamo “aggiustato” secondo i nostri desideri-, Mercury si arrese all’evidenza che, quella volta, le avrebbe salvate un paradosso temporale e non la loro forza o la sua scienza.

Jupiter provò a mettere a parole quello che aveva compreso: -In sostanza quello che ci aspetta è un cambio dimensionale nel momento dell’eclisse verso una nuova realtà che già esiste e si evolve in un modo sbagliato, e quindi dovremo modificare il passato di questa realtà per far sì che “ci risveglieremo in un mondo alternativo, ma ugualmente bello come il nostro”?-

-Esatto-, dissero in coro Mercury, Pluto, Neptune e Uranus, -Ci aspetta un doppio cambio dimensionale: tra la realtà attuale e quella alternativa e tra quella alternativa così com’è stata finora e quella che ci sarà quando avremo modificato il suo passato-, chiarì Mercury.

L’Ambasciatore si alzò e camminò balzando a fianco della consolle dei computer, guardando lo schermo.

-L’incontro tra le linee avverrà nel luglio del millenovecentonovantasei poco dopo il sedicesimo compleanno di Usagi Tsukino-, constatò, studiando i dati riportati, -Dobbiamo agire immediatamente per evitare che il mondo come lo conosciamo svanisca-, mosse in aria la coda bianca, aspettando che qualcuna parlasse.

-Non è possibile evitare l’incontro tra le due linee temporali?-, domandò Jupiter, speranzosa.

Pluto le spiegò che non era una cosa possibile, che avveniva sempre in concomitanza di un evento astronomico contemporaneo alle due dimensioni di portata tale da influenzare il reticolo spazio-tempo e non essere in alcun modo impedito e Mercury si vide d’accordo con la sua teoria.

Venus si lasciò cadere seduta su un gradone di marmo e affondò il volto tra le mani: -Io non capisco… se siamo in un ‘tempo’ diverso da quello dell’altra linea temporale, com’è possibile che ci si incontri in un stesso punto… o momento… o…?-, domandò affranta, rinunciando all’etichetta e rinunciando a comprendere una qualunque altra spiegazione. Avrebbe fatto quello che le sarebbe stato chiesto di fare senza domande.

Mars, in silenzio da moltissimo tempo, terminò di rosicchiarsi un’unghia e prese la parola: -Esattamente… cos’è che ha modificato quel passato, portandolo ad essere così differente da quello che abbiamo già vissuto e rendendolo così pericoloso per questo presente?-, domandò molto francamente, perché se loro erano comunque divenute tutte guerriere Sailor, non capiva come potesse andare tutto perduto così… 

 

Uranus alzò gli occhi al cielo, Neptune fissò il suo specchio, alla ricerca di qualche capello fuori posto, Saturn si abbassò sulle ginocchia per fare una carezza all’Ambasciatore.

Pluto, in totale imbarazzo, fu costretta a rispondere e tornare a raccontare quello che aveva visto.

-La sera in cui Usagi Tsukino avrebbe dovuto seguire nella torre conquistata dai nostri nemici Mamoru Chiba, dopo aver compreso che era ferito, e si sarebbe dovuta mostrare a lui come Sailor Moon, scatenando gli eventi che avrebbero portato alla manifestazione della sua identità di Principessa Serenity, qualcosa è andato storto e Mamoru si è recato da solo alla torre. Solo dopo Sailor Moon e le altre lo hanno raggiunto, quando ormai lui era già trasformato in Tuxedo Kamen, quindi non hanno scoperto la sua identità. Il Cristallo d’Argento si è formato senza alcun intervento esterno e fortunatamente è stato sottratto ai nemici e  consegnato a Sailor Moon perché ne fosse temporaneamente la custode. Grazie a quello è stato possibile sconfiggere Berillia e il Regno delle Tenebre, ma non è mai stato svelato chi fosse la misteriosa Principessa della Luna che il Primo Ministro e l’Ambasciatore cercavano-, spiegò.

-Ma com’è possibile che in quella dimensione non sia andata come è andata nella nostra dimensione…?-, domandò pianissimo Jupiter, preoccupata. Lo sguardo famelico di informazioni delle inners spinse Pluto a proseguire, nonostante la questione fosse molto imbarazzante. Le parole le uscirono di bocca con difficoltà, mentre le sue guance si colorarono di rosso.

-Quella sera, quando Usagi incontrò Mamoru, lei non si accorse che lui era ferito e non si insospettì, perché… quando lo vide… avvicinandosi a lui… inciampò su un sasso… e cadde a terra… e… lui, per fare in fretta a raggiungere Berillia… le disse che era sbadata e infantile, come sempre… e lei… rispose… che lui… era solo un… baka… che andava via senza neanche aiutarla… Litigarono e poi…-, Pluto sospirò, portando una mano a coprirsi gli occhi, -E poi Mamoru se ne andò, dicendole che era una ragazzina piagnucolona e non la voleva tra i piedi e Usagi, arrabbiata, si infilò nella prima pasticceria e comprò dieci ciambelle alla crema, ne mangiò otto di fila e si sentì male. Quando le Sailors capirono di dover intervenire, Usagi aveva fortissimi dolori allo stomaco, Makoto la stava aiutando cercando di farla vomitare, Rei la rimproverava urlandole che era stata “un’irresponsabile golosona senza dignità” e Ami stava controllando con il suo antiquato pc come fare per entrare nella torre. Per questo tardarono a raggiungere il luogo dove si era già formato il Cristallo d’Argento e non seppero mai che Usagi era la Principessa della Luna-, concluse d’un fiato, scuotendo la testa.

 

-E io cosa stavo facendo?-, domandò Venus, incuriosita dall’assenza della sua alter ego nella narrazione appena udita.

Pluto la fulminò con lo sguardo: -Minako stava divorando le ultime due ciambelle dimenticate da Usagi, macchiandosi la divisa Sailor di crema!-, concluse.

 

L’imbarazzo avviluppò le inners: le outers, in particolare Uranus e Neptune, trovarono la scena divertente, sebbene il tempo stringesse e dovesse essere deciso come poter intervenire.

-Ad ogni modo… questo è passato anche in quella dimensione, anche se facessimo qualunque cosa, non potremmo mai cambiare quegli avvenimenti. Possiamo però far sì che le cose si sistemino prima dell’incontro delle due linee temporali-, riprese Pluto, sedendosi, -Possiamo manipolare quella realtà in modo che diventi il più simile possibile a questa.-

Venus ci riprovò: -Non dovremmo informare la Regina di tutto ciò?-, propose, ma lo sguardo che ricevette come risposta chiarì che nessuna di loro avrebbe avuto il coraggio di dire a Sua Maestà che il loro regno era in pericolo e Piccola Lady avrebbe potuto non essere mai nata perché, in un mondo parallelo, lei aveva litigato con il suo amato Principe e aveva fatto indigestione di ciambelle…

 

-Cosa dovremmo fare, quindi, per far sì che questa dimensione somigli alla nostra?-, domandò Mars, più pratica.

 

-È necessario che qualcuno vada nel millenovecentonovantasei della dimensione parallela e faccia innamorare Usagi Tsukino e Mamoru Chiba. Abbiamo soltanto sette giorni e sette notti per salvare il nostro futuro. Il piano è questo…-, iniziò Pluto e tutte le guerriere del Sistema Solare unite si strinsero attorno al tavolo per ascoltarla.


Solo una settimana le divideva dall’incontro dimensionale, solo una settimana era stata concessa loro per salvare il futuro di tutta l’umanità; l’unica arma a disposizione era la possibilità di osservazione di quel che stava avvenendo nel lontano millenovecentonovantasei di una dimensione parallela tramite la Porta del Tempo.

Ma, come sosteneva Mercury, ogni osservazione avrebbe comportato necessariamente la modifica dello stato dell’evento osservato, rischiando di far evolvere quella dimensione al momento nota in qualcosa di ignoto.

Unendo le loro energie e attingendo al potenziale onirico del Cristallo d’Oro, custodito a corte, le guerriere avrebbero potuto limitare i danni di queste osservazioni convogliando gli effetti delle loro indagini al solo mondo dei sogni. Il rischio era che anche quel tentativo avrebbe potuto rivelarsi causa di indeterminazione… Sapevano tutte che i sogni potevano essere altrettanto pericolosi della realtà, ma non avevano altre scelte.

In ogni caso, sarebbe stato un vero e proprio salto nel buio.

 

-Gatto vivo o gatto morto?-, cantilenò Venus, soppesando due oggetti inesistenti tra le mani.


L’Ambasciatore rizzò il pelo e sciolse la riunione.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1 – Incubi, Presentazioni & Un’altra realtà 

 

 

Un velo di stelle copre il cielo nero, scintillante ed effimero, rischiara il buio e incorona la luna.

Luna… luna piena e lucente nel firmamento, regina sulle stelle e gli astri.

Luna, destinata a calare e sparire, per risorgere più bella di prima, notte dopo notte.

 

Luna!

 

Verrà il giorno che ti tingerai di dolore, Luna! Arderai della luce del fuoco, sanguinerai nel pianto e non sorgerai più.

Quel giorno tu non sarai più regina e la notte regnerà per sempre.




 

-Non accadrà, mia adorata.-

Un sorriso, una carezza, i suoi occhi scintillano come il cielo stellato, mentre le mie dita disegnano i contorni del suo volto. Solleva il capo dalle mie ginocchia e si avvicina: la sua bocca è vicina alla mia, il suo sguardo parla di speranza, sincerità, amore.

Mi bacia ed è un bacio che sa di latte, di fiori di campo, di stelle e felicità lontana. È un bacio che profuma di fine, come una rosa destinata a sfiorire. È un bacio che sa di luna.

Chiudo gli occhi perché so che quello che ha detto è una bugia. Il cuore fa male, il respiro brucia. Anche senza guardarla, sento che la luna sopra di noi è un po’ più rossa di prima ed è solo causa mia: non sarò in grado di curarla, di proteggere il nostro amore… non ne sono capace. Chino la testa, sconfitta e lascio che l’angoscia si coaguli nel mio petto, mentre le lacrime pungono prepotenti per uscire e dare sfogo al dolore. 

Ogni cosa bella ha una fine, la mia ha inizio questa notte in cui la profezia si sta avverando.

-Endymion… devi andare via. Non sono più in grado di impedire tutto questo, sono pericolosa…-

Io sono la causa di tutto e potrei esserne la cura, ma non ci riesco… Sento che sta per succedere, sento che passerà poco tempo prima che i suoi occhi blu si chiudano su di me.

-Devi andare via… ti prego…-, lascio che una lacrima solitaria scivoli sulla mia guancia e cada a terra. Terra… il posto dove vorrei restare per sempre, il posto che sto uccidendo con la mia debolezza. Non riesco a guardarlo e a sapere che lo sto condannando… non ci riesco, fa troppo male…

Sento le sue mani sul mio viso: lo carezzano come se fosse un cosa preziosa, lo fanno sollevare fino a guardare nei suoi occhi. 

-Non permetterò che accada. Mai.- 

Occhi negli occhi: è una promessa. So che farà ogni cosa perché la notte non oscuri il nostro cammino.

 

Anche rinunciare a tutto.

 

Prende la mia mano e l’avvicina al suo petto, il suo cuore galoppa.

-Lo senti? Finché batterà, io non permetterò che ci accada nulla-, ma la sua voce decisa si incrina, la disperazione strisciante sta contagiando anche lui, la paura si tramuta in determinazione, la determinazione in passione. Nei suoi occhi si accende una nuova luce, disperata come quella di una stella prossima a morire.

Una mano scivola dietro la mia nuca, affonda nei capelli, mi tira a sé finché il suo respiro è sulla mia pelle e il mio cuore accelera la sua corsa dolorosa.

-Per sempre insieme-, sussurra sulla mia bocca. Sa di mare e vento, sa di terra e cielo, sa di fuoco e sangue. 

-Per sempre…-, rispondo e so che sarà l’ultimo bacio.

E quando di nuovo le sue labbra incontrano le mie è un’esplosione nella mia testa e dentro di me.

Un brivido di pura elettricità mi percorre, scivolando sulla pelle, strappandomi il respiro. 

Non è mai stato così prima. Non c’è più il latte e non più la luna. Non ci sono i fiori di campo, ma fuoco e caldo e passione che fa quasi male. È l’ultimo tentativo di donarci l’un l’altra, perché solo diventando una cosa sola nessuno potrà mai separarci.

 

In lontananza qualcosa esplode, un urlo di terrore giunge ovattato fino a me, persa in lui, in noi, che finalmente siamo insieme, nel posto che vorrei chiamare casa.

Il cuore batte così forte da spaccarmi il petto mentre le labbra si schiudono e le lacrime bagnano la mia e la sua pelle.

 

Ancora un istante, un istante solo… solo un altro attimo… insieme a lui come non lo sono stata mai…

 

-Ti amo, Serenity-, non mi sono accorta che si è staccato da me, il battito del mio cuore assorda le orecchie, ottenebra i sensi.

-Ti amo-, ripete tenendomi il volto tra le mani. -Per sempre.-

Asciuga con i pollici le lacrime dal mio viso, abbassa gli occhi, si allontana da me ed è come se di colpo mi avessero tolto l’aria.

 

Un altro boato squassa la notte; io lo so: la luna ormai è rossa.

 

La luna sanguina.

 

-Tornerò-, mi dona un ultimo sorriso carico di fiducia e speranza, un’ultima bugia detta per troppo amore.

 

Perché lui non correrà via da me, non si metterà in salvo come gli ho implorato di fare, standomi lontano. Endymion va a combattere, perché rinunciare a me sarebbe come rinunciare all’aria, al sole, al vento e al mare. Sarebbe come privarsi della sua anima, buttarla via, condannarsi ad una vita senza di me che non avrebbe senso per lui. Ma se non ce la facesse, non avrebbe senso la mia…

Lo fermo afferrando la sua mano, la porto una volta ancora al mio viso, poi più giù, perché anche lui senta come riesce a farmi battere il cuore. 

 

-Tienilo sempre con te-, gli dico, posando sul palmo aperto il mio ciondolo a forma di stella. -Si è fermato, ma se tu vivrai, tornerà a suonare e a mostrarti il candore della luna, ogni notte. E sarà come se io fossi sempre accanto a te. Prima o poi ci ritroveremo e torneremo insieme… devi resistere… devi andare lontano da me. Ora.-

Rubo un ultimo bacio alle sue labbra rosse: -Mettiti in salvo-, gli dico col cuore in mano.

Lui si volta, sospira, si allontana da me che già sto male e non riesco più a pensare, ad agire.

Lotto contro l’impulso rosso e nero di trattenerlo accanto a me, perché lo condannerei. Lo lascio andare via. Per sempre.

 

Ti amo anch’io, Endymion.

Vorrei pronunciare quelle parole, ma le labbra restano serrate, perché se parlassi ancora, il calore del suo bacio svanirebbe con lui, la dolce sensazione si disperderebbe e io perderei anche il più dolce ricordo.

 

Lo guardo correre lontano, la spada in pugno, nell’altra il mio dono. Ma è un regalo rotto, che non tornerà mai più a funzionare. Gli ho detto una bugia.

 

Un’altra esplosione mi distoglie dalla bolla di silenzio in cui sono caduta, una luce intensa rischiara la notte, si espande e sento una fitta di puro dolore al cuore: lui è andato proprio lì, lo so, non si è messo in salvo lontano da me, è corso verso la morte sperando di vincere.

Endymion si è gettato nelle fauci della bestia da me generata, lui è…

 

-Endymion!!!-




 

Tokyo, 25 luglio 1996


    


Usagi aprì gli occhi, confusa, trovandosi seduta nel mezzo al letto: tra le mani stringeva il lenzuolo umido del suo sudore. Il cuore le batteva all’impazzata, senza un perché e solo quando il suo corpo pretese aria si accorse che non stava respirando. Inspirò e sentì i polmoni bruciare; cercò Luna con lo sguardo, ma la stanza era vuota.

Un colpo secco e deciso alla sua porta la fece sussultare.

-Usagi! È tardi, vuoi alzarti?-, la voce di sua madre aveva il tono classico della quarta, quinta chiamata mattutina: stizzita, rassegnata, vagamente delusa.

La ragazza si voltò svogliatamente verso il comodino, dove la sveglia segnava le…

-Cavoli!!!-, schizzò come una rana, muovendo in maniera scoordinata braccia e gambe, senza accorgersi che un piede era rimasto impigliato nel lenzuolo e…

 

SBAM!!!

 

Con un tonfo sordo cadde giù dal letto, evitando l’impatto della sua faccia contro lo spigolo del comodino solo grazie ad una mano malamente sbattuta a terra.

-Usa!-, la mamma entrò in camera come un treno, strillando spaventata per il gran baccano: quando la vide accartocciata ai piedi del letto, corse subito da lei.

-Tesoro…-, la aiutò a tirarsi su prendendola da sotto le ascelle e vide che la figlia si teneva con la mano destra l’altro polso dolorante. Capì immediatamente.

-Amore… ti fa così male? Oh, piccola… stai piangendo!-, intenerita le passò una mano sulla fronte, scostandole la frangia madida di sudore e prese tra le sue mani il polso, vedendo che stava gonfiandosi rapidamente.

-Usagi… tesoro… dì qualcosa!-, ma sua figlia non rispose e, tesa come una corda di violino, ritrasse la mano e la tenne stretta al petto. Sembrava spaventata e Ikuko lo fu subito più di lei.

-Usa…-, allungò una mano al suo volto e cancellò con una carezza le lacrime. Usagi prese una profonda boccata d’aria, come se fosse appena riemersa da uno stagno e si voltò verso di lei, sforzandosi di sorriderle.

-Non è niente, mamma. Scusa se ti ho fatta arrabbiare-, disse nel tono delle tristi occasioni, come quando portava a casa un brutto voto. Si alzò con cautela e le diede le spalle.

-Sarò pronta tra cinque minuti-, dichiarò, -Puoi chiedere a papà di preparare la macchina, per favore?-, chiese con tutto il rispetto che riuscì a infondere in quelle parole e, uscendo dalla stanza, si chiuse in bagno.

Ikuko Tsukino sospirò, raccolse da terra la sveglia che era caduta assieme a sua figlia, sollevò le coperte per far prendere aria al materasso e sprimacciò il cuscino.

Sotto ad esso trovò nascosto il ciondolo-carillon di sua figlia. Aprì con estrema cura lo sportellino della stella e si aspettò di udire la triste melodia che tanto piaceva ad Usagi, ma nessuna nota si librò nell’aria.

“Dev’essersi rotto…”, pensò, lo richiuse con dolcezza e lo posò sulla pila degli abiti che Usagi aveva preparato per quel gran giorno: sua figlia partiva per il mare con le amiche, per la loro prima vacanza da sole e aveva il cuore spezzato.

Ikuko sospirò, -Se prendo quel mascalzone che l’ha ridotta così, glielo faccio ingoiare questo carillon!-, sibilò e scese di sotto per avvertire suo marito di prepararsi.

 

Usagi attese che sua madre fosse lontana per guardare il suo riflesso nello specchio del bagno, dove si era letteralmente rifugiata.

Aveva aperto l’acqua nel lavandino, in modo che il suo scrosciare coprisse ogni suono. C’era qualcosa che non andava, per niente… Usagi si sentiva molto, molto strana. Col cuore in gola ripensò alle parole che la mamma le aveva detto: “Stai piangendo…”.

Perché piangeva? Quando aveva iniziato a farlo e perché si sentiva così…

Si voltò verso il muro e vide nel riflesso dello specchio quanto i suoi occhi fossero gonfi e rossi; sulla guancia si vedeva la scia perlacea di una lacrima. 

Era successo di nuovo… non era possibile, non ancora una volta!

Sospirando si appoggiò con entrambe le mani sul bordo del lavandino per avvicinarsi di più allo specchio e solo allora una fitta di dolore al polso le fece scappare un lamento.

-Perché…?-, si domandò mestamente e lasciò che altre lacrime silenziose cariche di rabbia e confusione cancellassero quelle versate senza comprenderne il motivo.

 

Cinque minuti: ne aveva già sprecati almeno due e rischiava di essere veramente troppo in ritardo. Si asciugò col dorso della mano le lacrime, fece pipì e si lavò la faccia sotto l’acqua ghiacciata.

Tornò in camera di fretta, spazzolandosi i capelli e si vestì, notando che i suoi abiti erano stati sistemati ordinatamente sul letto e che, sopra ad essi, la mamma aveva posato il ciondolo che le aveva regalato Tuxedo Kamen.

Lo aprì e riuscì ad udire solo poche note, prima che il meccanismo si bloccasse di nuovo, come aveva fatto anche la sera prima.

-Credo che sia tutta colpa tua-, affermò soppesandolo tra le mani, -Ma non posso proprio separarmi da te-, sospirò e lo chiuse dentro lo zaino con tutte le altre cose già pronte. Indossò i pantaloncini e la maglietta a fiorellini, calzò le ballerine lilla e corse al piano di sotto.

-Usagi, la colazione!-, la chiamò la mamma, ma la ragazza, presentandosi a lei con un rotolo di bende e la pomata per le distorsioni trovati in bagno, le chiese di aiutarla ad immobilizzare quel polso, garantendole che sarebbe stata bene da lì a un giorno e scusandosi per non aver tempo a sufficienza per mangiare le frittelle e il caffellatte che la mamma le aveva preparato.

-Dov’è Luna?-, le domandò, facendosi aiutare a mettere lo zaino sulle spalle. Era stato strano non trovarla accanto al risveglio, non accadeva quasi mai.

-Credo sia in camera di Shingo… è venuto giù prestissimo chiedendomi un po’ di latte, poi è tornato a dormire. Tuo fratello ti saluta, ma mi ha pregata di non svegliarlo… Credo che abbia fatto tardi a lavorare… per montare la libreria da tavolo che ti abbiamo regalato per il compleanno-, Usagi sorrise, il piccolo Shingo, allora, le voleva bene davvero!

-Dagli un bacio da parte mia e digli che quando tornerò sarò felicissima di ammirare il lavoro ultimato da quella testa matta!-, Usagi si sentì alleggerita dall’angoscia che velava il suo buonumore da così tanti giorni e si rassegnò a non salutare Luna, sapendo che la sua amica era davvero in buone mani, anche se doveva comportarsi come una gattina qualunque. “Bene, questa è la giusta punizione per avermi messo i bastoni tra le ruote per questa vacanza!”, pensò ridacchiando tra sé e sé e salutò la mamma con un bacio. 

-Ti voglio bene-, le disse sorridendo e schizzò fuori di casa in tutta fretta. Salì in auto e, col sorriso sulle labbra, spronò suo padre a partire alla volta della stazione.

 

--- 

 

-E… quindi… ci saranno le tue amiche…?-, chiese circospetto Kenji Tsukino alla figlia, svoltando sul raccordo stradale in direzione della stazione. Usagi terminò di legarsi il secondo codino con uno dei nastri che aveva scelto il giorno prima e annuì vivamente: -Ami, Mako, Mina e Rei-, trillò contenta, -E anche Naru con Umino!-, aggiunse sorridendo.

-Umino??? Umino Gurio?????-, esclamò suo padre, sbandando appena e ritrovando subito il controllo della vettura, -Ma… Umino è… un maschio! Non era nei patti, Usagi!-, sbraitò, realizzando la gravità di quel che stava per accadere solo allora.

Usagi, serafica, scostò con un gesto snob un ciuffo di capelli dalla spalla e guardò suo padre con occhietti affilati: -Proprio un vero maschio: ci portiamo dietro anche la guardia del corpo-, si morse un labbro per non scoppiare a ridere in faccia a suo padre, ricordando le gesta del prode ‘Tuxedo Umino Kamen’.

-È bene che il tuo lo guardi poco, signorina!-, tuonò Kenji, fraintendendo ogni singola parola, infuriato.

Usagi sbuffò, seccata, poi si costrinse a calmarsi: -Naru e Umino stanno insieme, papà. È un problema suo e della sua famiglia se va in vacanza con il suo ragazzo-, spiegò con il più tranquillo candore, guardando allo specchietto se il suo lavoro ai capelli era venuto bene.

Con la coda dell’occhio vide l’insegna Stazione Tokyo Shinjuku.

-Siamo arrivati!-, esclamò felice lasciando svanire ogni recriminazione del padre; ci mise poco a scorgere tra la gente all’ingresso il suo gruppo di amici.

-Non sono ancora andati via, che fortuna!-

Usagi guizzò come un pesce giù dall’auto ferma nell’apposita area di sosta e salutò suo padre con un bel bacio schioccato sulla sua guancia, -Stai tranquillo papone-, gli disse, si fece aiutare a mettere sulle spalle lo zaino e corse come poté verso il suo gruppo di amici, frementi per la prossima partenza.

 

Kenji spostò l’auto, dal momento che avevano iniziato a strombazzare il clacson dietro a lui, ma, non appena scorse un posto libero, si fermò con il deliberato scopo di spiare sua figlia e capire cosa stesse davvero tramando alle sue spalle. La vide correre verso il piccolo gruppetto formato da Ami Mizuno, Rei Hino, Makoto Kino, la sua amica Naru e Gurio e -si disse-, effettivamente poteva stare tranquillo, circa quel ragazzo. Akane Gurio, madre di Umino e sua vecchia compagna all’università, tre anni prima, durante un ricevimento dei genitori a scuola, si era sfogata con lui su quanto fosse mortificata per l’aspetto di suo figlio: “Umino, povero il mio bambino, è proprio un brutto anatroccolo… Soffre tanto per questo e crede che nessuna lo vorrà mai come marito. Inoltre è invidioso di suo cugino Hiro, che è più grande di lui, più alto, più bello e ha già la ragazza!”

Akane aveva avuto ragione solo a metà: Umino infatti aveva trovato una bella ragazza (seppur scandalosamente giovane, come lui, in fondo…), ma effettivamente era proprio bruttino e sgraziato! Non come il suo Shingo, che era tutto suo padre!

Shingo… li attendeva un fine settimana insieme, ordito alle loro spalle dalle ‘sue ragazzÈ, a causa di quella vacanza che Usagi stava per iniziare.

 

Sua figlia ne parlava da mesi, dicendo che tutte a sedici anni avrebbero dovuto passare quel rito di transizione e divertirsi ‘tra ragazzÈ al mare. L’aveva messa sulla scusa del ‘regalo di compleanno’… E poi, lì al mare, ci sarebbe stato ‘quel concerto’ della band che loro adoravano proprio durante l’eclissi di luna, ‘uno spettacolo unico’… Sarebbero andate in treno fino a Kagoshima e poi, da lì, con un traghetto della A-Line che avrebbe viaggiato di notte, sarebbero arrivate di prima mattina a Amami Ōshima, la perla delle isole dell’Arcipelago di Ryūkyū . Sarebbero state in un bel campeggio, nei bungalow di legno e, tornate dalla spiaggia, all’imbrunire, avrebbero persino potuto trovare tempo per studiare un po’, sotto la guida di Ami e Rei.

 

Un bel programma, senza dubbio, un programma che aveva fatto brillare gli occhi anche a Ikuko: sua moglie aveva colto l’occasione per svegliare le sue vecchie amiche dalla ‘letargia familiare’, come la chiamava lei, e concedersi un bel week-end tra donne alle terme. Un week-end che lui si sarebbe goduto con Shingo, ‘tra soli uomini’.

Kenji sospirò, pensando alle partite alla diabolica Sega Master System che gli sarebbe toccato giocare (e perdere) con Shingo e… 

Qualcosa di molto strano turbò il quadretto delle ragazzine che stava spiando:  al gruppo di amiche di Usagi si era appena unito un altro gruppetto di… maschi!!!

Quei brutti ceffi si erano salutati con le ragazze, che avevano rivolto loro un breve inchino, mentre Umino e Naru sembravano conoscere già tutti loro.

Usagi sorrise a un tipo biondo e a Kenji parve persino di riuscire a scorgere un lieve rossore sulle guance di sua figlia, quando quel poco di buono ricambiò, presentandogli un tipo più alto, col ciuffo ritto sulla fronte, molto somigliante a lui e uno con i capelli lunghi da rock star da quattro soldi, che aveva subito preso di mira Umino.

L’ultimo ragazzo, un tipo imbronciato e all’apparenza a disagio in mezzo al gruppo vociante, si rivolse direttamente a Usagi e infilando un dito in uno degli chignon che sua figlia si era appena arrotolata in auto, iniziò a ridere, facendola chiaramente fumare di stizza.

Ma chi erano quei tipo vestiti alla moda, pronti con gli zaini in spalla, che si prendevano tante confidenze con la sua bambina e le altre?? E che ci facevano là, apparentemente unitisi al loro gruppo placido e… sicuro? Cosa volevano da loro e… -Kenji ebbe un lieve mancamento-, dove avevano intenzione di andare, organizzati al pari loro per il viaggio???

Non erano quelli i patti! Usagi stava forse prendendosi gioco della fiducia dei suoi genitori??? Si mosse nella loro direzione, soffiando come un toro. Ah, se fosse stato così, avrebbe preso quella bugiarda di Usagi per quei codini e l’avrebbe riportata a casa immediatamente e…

-Salve Tsukino-san!-, Kenji si immobilizzò come se fosse stato colto in flagranza di reato, si voltò lentamente e vide, sorridente e trafelata davanti a sé, Minako Aino, l’ultima che mancava all’appello.

-Grazie al cielo mi hanno aspettata! Sono estremamente in ritardo… ma d’altronde, si sa: la gatta frettolosa fa i tre topolini ciechi!-, esclamò Minako, vedendo il gruppone di amici pronti all’avventura. Rivolse un inchino al signor Tsukino, lo salutò e in un istante raggiunse il gruppo. Kenji rimase un istante interdetto, senza aver capito il reale significato di quel che aveva sciorinato Minako e, prima che potesse chiederle qualche spiegazione sul significato di quel gruppo promiscuo, la vide scomparire con tutti gli altri diretti ai treni in attesa. Fece per seguirla, ma il fischio fastidioso di un poliziotto che lo stava puntando con occhi truci, indicandogli di levare immediatamente la sua auto dal posto riservato alla propria vettura, lo costrinse a desistere.

Dopo aver trovato un altro posto, Kenji tornò trafelato alla banchina della stazione, ma il treno su cui era salita la sua bambina lo salutò con un lungo e allegro fischio, partendo alla volta di Kagoshima: Usagi se n’era andata… la sua bambina lo aveva abbandonato e spezzato il suo fragile cuore di padre.

“Ikuko, tu sapevi tutto… quando arrivo a casa me la paghi!”, pensò furibondo il signor Tsukino e mise in moto l’auto.


--- 

 

Il treno procedeva veloce e silenzioso lungo la sua via ferrata e tutte le ragazze sentivano il cuore scoppiare di gioia per l’aspettativa della vacanza che stava iniziando.

-Non mi sembra vero!-, sospirò Minako, stravaccandosi su uno dei sedili dello scompartimento che aveva occupato con le altre ragazze.

-Eh già… finalmente Umino e io…-, Naru bisbigliò l’ultima parte della sua frase, appoggiandosi sognante alla porta della piccola stanzetta. Quando vide dieci occhi che la fissavano morbosamente incuriositi e anche alquanto scandalizzati, portò le mani avanti e, in preda all’imbarazzo, le agitò per fugare qualsiasi strana idea avesse colto le ragazze.

-Ma che andate a pensare! Intendevo che questa è la prima volta che Umino e io riusciremo a stare un po’ da soli e a…-, come poco prima, la sua voce si fece piccola e il rossore sul suo volto la fece somigliare ad una aragosta con i riccioli. Ami e Makoto, più rosse di lei, stavano cercando di non far correre le loro menti innocenti oltre quello che era lecito per una ragazza di sedici anni, mentre Rei, Minako e Usagi ridacchiavano perfide e complici.

-Non vergognarti, Naru! E’ così bello che tu e Umino siate finalmente da soli-, esclamò Usagi in preda all’euforia, colpendo con una sonora pacca la spalla della sua amica, facendosi male da sola.

-Ahi…-, si morse la lingua, lasciandosi sfuggire un piccolo urlo di dolore. Il polso…

-Usagi!!! Cosa ti è successo???-, l’urlo di Minako, quando vide la fasciatura dell’amica,  si udì in tutto il treno. Prima che la sventurata potesse tapparle la bocca, tutte le altre ragazze si erano riunite attorno a lei, seguite dai ragazzi che si erano sistemati nello scompartimento accanto al loro, affacciati alla porta.

Nessuno aveva notato prima il bendaggio di Usagi, perché lei aveva furbescamente tenuto sul braccio per tutto il tempo la sua felpa opportunamente ripiegata, per nascondersi. Una moltitudine di occhi la fissavano ansiosi di sapere cosa le fosse accaduto.

-Io…-, iniziò balbettando, pensando alla figura meschina che avrebbe fatto raccontando la verità sul suo infortunio.

-Sei caduta dalle scale?-, le urlò in un orecchio Rei, piombata alle sue spalle.

-Sei inciampata correndo qui?-, domandò Makoto, abbassandosi fino a guardarla negli occhi.

-Hai combattuto contro un… una zanzara?-, chiese Ami, sottintendendo ben altro.

-Che ti è successo, Usa?-, la implorò Naru, preoccupata per la sua migliore amica.

-No… ragazze… niente di tutto questo… è che…-

-Forse ti sei slogata il polso cadendo dal letto, Testolina Buffa? Oppure mentre cercavi di aprire un barattolo di marmellata?-, la voce insopportabile di quel baka di Mamoru la fece scattare, irritandola a morte come ogni volta.

-Senti, tu, sottospecie di parassita, scroccone di vacanze altrui, infiltrato di…-

-Ti fa male?-, le domandò Motoki, prendendole la mano e interrompendo la sua lista di commenti al vetriolo sul ragazzo; -Fammi vedere-

Usagi sentì le guance avvampare e abbassò lo sguardo da quello del ragazzo, prima che – come suo solito -, le apparissero i cuoricini negli occhi, come le rimproverava sempre Rei.

Motoki le fece muovere la mano con delicatezza e, poco dopo, gliela liberò sorridendole.

-Ragazzi, vi va un bel the freddo?-, chiese a tutti Hiro, sciogliendo l’atmosfera tesa. In un batter d’occhio nessuno si ricordò più del polso di Usagi, tranne Ami, che la raggiunse in disparte dopo pochi minuti col suo bicchiere di the.

-Che ti è successo veramente, Usa?-, le domandò preoccupata e Usagi sbuffò, perché con Ami non riusciva a rimanere in silenzio.

-Stamattina sono caduta dal letto e mi sono fatta male-, confessò all’amica, che non trattenne un debole sorriso.

-Oh, allora Mamoru aveva ragione!-, esclamò divertita e a Usagi passò la voglia di confidarsi con lei, raccontandole il perché di quella improvvisa caduta.

Nell’ultimo periodo era tutto un po’ così… quegli strani sogni dei quali non ricordava nulla, il sonno che non riusciva a mantenere per più di un paio d’ore per volta, l’angosciante sensazione che mordeva come un piccolo tarlo alla base della sua nuca, come se fosse un pensiero già formato, ma che lei non riusciva a catturare e comprendere: Usagi avrebbe voluto davvero confidarsi con qualcuno di fidato, ma il solo sentir nominare quel Mamoru… l’aveva mandata in ebollizione, come fosse stata una teiera sul punto di esplodere.

Succhiò con la cannuccia un po’ del the preparato dalla mamma di Hiro e zia di Umino e si  domandò come potesse essere possibile che quei due fossero cugini.

Cugini… era una parentela piuttosto stretta, aveva sempre pensato, e invece tanto Umino era… bruttino, quanto Hiro invece era… era… Hiro era alto, muscoloso, sorridente e gentile… aveva una bocca perfetta, era elegante e i suoi occhi… oh, che occhi che aveva Hiro! Per non parlare dei suoi capelli, lunghi come andava tanto di moda, ma… anche l’altro ragazzo, Kenzo, il migliore amico di Hiro era così… così… Kenzo era il fratello di Motoki e lo dimostrava dalla testa ai piedi: di un anno più piccolo di lui, aveva un sguardo più furbetto e malizioso del fratello maggiore, ma il suo sorriso era ugualmente così solare e divertente e assolutamente affascinante, mentre i suoi capelli erano… Ah, ma nessuno dei due poteva superare il suo Motoki!

Quando, grazie ad una serie fortuita e fortunata di coincidenze aveva capito che lei, Usagi, sarebbe andata in vacanza al mare con Motoki era impazzita di gioia! Motoki era… Motoki e poco importava se aveva già la fidanzata. Lui era il ragazzo più dolce e carino e bello che potesse esistere sulla faccia della terra. 

Era così bello guardarlo ridere e scherzare con Kenzo e Hiro! Motoki era così… così…

-Faccia di luna, stai di nuovo sbavando, mentre sogni ad occhi aperti!-, Usagi si voltò di scatto verso Mamoru, apparso vicino a lei fuori dallo scompartimento dove gli altri stavano bevendo il the e piluccando patatine al formaggio.

Si morse il labbro inferiore con un risucchio, temendo per un istante che davvero potesse aver sbavato e…

-Quante volte te lo devo ripetere che arrivi tardi, Testolina Buffa: Motoki ha già la ragazza! E onestamente, anche se fosse libero, dubito che sarebbe interessato a una poppante come te, che ancora cade dal letto!-

Ancora con quella storia?! Ma come faceva quello screanzato di Mamoru a saperlo!?

-E io non sono interessata a parlare con te!-, gli rispose, -E smetti di raccontare che sono caduta dal letto! Non sono affari tuoi!-, Mamoru guardò il suo viso rosso e i pugni stretti e sorrise in un ghigno.

-Non dirmi che ho indovinato davvero?-, la punzecchiò ancora e, quando la vide diventare se possibile ancor più rossa di rabbia e andarsene facendo sventolare i suoi buffi codini, scosse la testa pensando che, in fondo in fondo, lui era davvero un baka

“Ma non ti darò la soddisfazione di accorgerti di aver ragione, Faccia di Luna!”, pensò e bevve d’un fiato il suo the freddo.

 

Usagi trotterellò per qualche minuto lungo il corridoio del treno, ripensando a quando Naru le aveva proposto quell’avventura. Il piano iniziale prevedeva davvero che fossero solo loro due, Umino e le amiche di Usagi, ma in un secondo momento si erano uniti il cugino di Umino e il suo migliore amico Kenzo. Il destino aveva voluto che Kenzo fosse il fratello di Motoki e lo avesse convinto ad aggregarsi al gruppo. Sarebbe stato tutto perfetto, se il ragazzo non si fosse portato dietro anche quel rompiscatole di Mamoru… 

Stanca del corridoio, Usagi raggiunse le amiche nello scompartimento in cui loro, disposte a cerchio, stavano svelando l’un l’altra gli acquisti che avevano fatto per quella vacanza.

-E questo è il mio!-, trillò Minako, mostrando loro un due pezzi color oro che aveva acquistato ai saldi l’anno prima e gelosamente conservato nascosto nel suo cassetto.

-Ma è minuscolo!-, commentò scandalizzata Ami.

-Ma io me lo posso permettere!-, dichiarò con spavalderia Minako, riprendendosi il bikini, -E poi… ho intenzione di…-

-Eh?-, chiesero tutte in coro, Naru compresa. Minako fece loro segno di avvicinarsi, perché stava per rivelare un segreto. Quello che disse loro sottovoce sconvolse qualcuna ed esaltò qualcun’altra.

-Ma se l’hai appena conosciuto!!!-, esclamò Ami, imbarazzata per la sfacciataggine dell’amica.

-Non è così: in realtà avevo già incontrato Kenzo alla sala giochi di Motoki qualche settimana fa. Pensate che lui stava giocando al videogame di Sailor V e diceva che “come lei non c’è nessuna”. Allora io l’ho sfidato e lui ha detto: “Ragazzina, osi sfidare il Re del joystick?”, ma io ho vinto e lui mi ha detto “Beh, complimenti, sei forte quasi come Sailor V!”. Poi mi ha sfidata ad altri videogames… Ah… tra me e Kenzo…è stato amore a prima vista! Un po’ come per Usagi e Mamoru!-, trillò allegra.

-Che coooosa? Mina, a te il treno fa male!-, si risentì Usagi, punta nell’orgoglio, -Tra me e Mamoru, tutt’al più, è stato O-D-I-O a prima vista!-, puntualizzò, calcando bene ogni lettera di quel che dichiarava di provare per il ragazzo.

-Sarà, ma per me sareste una splendida coppia!-, tutte risero, tranne Usagi e Rei, che si limitò a storcere la bocca in un ghigno deluso: ancora non le era andato giù che il ragazzo, dopo un iniziale entusiasmo, si fosse presto disinteressato a lei, uccidendo prima ancora che nascesse la loro storia. Non aveva fatto in tempo nemmeno a dargli un bacio, neanche un bacetto piccolo piccolo sulle labbra, avevano passato il tempo a disposizione soltanto a parlare, parlare e parlare. Che inutile spreco di energie era stato uscire con Mamoru, uno che non era affatto interessato a lei, anche se Rei non lo avrebbe mai ammesso ad anima viva!  Dissimulò la sua reazione riprendendo il discorso sui guardaroba delle amiche e mostrò un paio di shorts rossi molto carini, una fascia per capelli e degli occhiali da sole nuovi.

Makoto invece stupì tutte con una attillatissima tutina di jeans appena acquistata e presto le ragazze tornarono a concentrare la loro attenzione su abiti, smalti per le unghie, canzoni, trucchi, spiagge…

 

Usagi rimase piuttosto estranea alla conversazione, non le riusciva proprio di concentrarsi su argomenti come quelli, col macigno che gravava sul suo animo; si rannicchiò contro il finestrino e sospirò: le faceva male il polso e non le era piaciuta l’affermazione di Minako su lei e Mamoru, ma soprattutto si sentiva stanca morta. 

Le ragazze continuavano a parlottare concitatamente, mentre il treno correva ondeggiando, come se fosse stata una culla, così piacevole, così…

Realizzò solo dopo un lungo sbadiglio che anche quella notte aveva dormito sì e no solo quattro ore, a causa di quei sogni che odoravano di incubo che non l’abbandonavano più. Quello che maggiormente odiava era svegliarsi col batticuore e l’angoscia di non ricordare assolutamente nulla, cosa che la stordiva e distraeva e le faceva provare sempre una sensazione di disagio che strideva con la sua indole allegra.

Se solo avesse potuto capire… ricordare qualcosa… Infilò una mano nello zainetto e tastò il carillon a stella, sperando che la aiutasse a ritrovare un po’ di forza e tranquillità.

 

Tutto era iniziato la notte in cui aveva finalmente sconfitto i nemici del Regno delle Tenebre, pagando un prezzo altissimo. Aveva perso le sue amiche, che si erano sacrificate per lei e non aveva avuto altro a cui aggrapparsi se non il ricordo di Tuxedo Kamen che non vedeva ormai da tanti, troppi giorni. Era andata in battaglia sapendo che tutto sarebbe dipeso da lei e dalla responsabilità che era stata messa nelle sue mani, cercando in ogni modo di affidarsi a qualcosa che le desse forza e speranza. Si era sforzata di pensare a qualcosa di bello… e aveva ricordato il sapore del bacio dell’eroe mascherato sulle proprie labbra, quel bacio che nessuno aveva visto e che lui le aveva rubato al termine dell’ultimo combattimento insieme… oppure era stata lei a rubare un bacio a Tuxedo Kamen…? 

Quella volta, lui le aveva detto che, in qualche modo che non riusciva a comprendere, sapeva di essere stato “molto vicino” a lei, in un passato ignoto e che ogni volta che la incontrava sentiva l’impulso di proteggerla, a costo della sua stessa vita.

“Finché saprò che sei in pericolo, non potrò fare a meno di correre in tuo soccorso, Sailor Moon: tu sei l’unica ragione per cui Tuxedo Kamen esiste e l’unico scopo delle mie battaglie. Io… credo di averti già incontrata, in un tempo lontano. Credo che tu ed io… Credo di provare qualcosa per te, Sailor Moon”, aveva detto e lei, emozionata come mai le era accaduto in tutta la vita,  aveva sentito qualcosa vibrare nel suo cuore, come una piccola forza vitale, il germe di un sentimento mai realmente provato, ma che sopiva nel suo animo di ragazzina acerba. 

In quel momento aveva saputo

“Anche per me è lo stesso, Tuxedo Kamen: quando vado in battaglia so che tu verrai da me, quando lotto contro il nemico so che ci sei tu a proteggermi. Tu e io siamo fatti per combattere insieme e forse per vincere insieme… e poi… credo di provare anch’io qualcosa per te”, gli aveva confessato. 

Dopo si erano baciati, come accadeva nei manga di Rei, come se fosse stata una favola. Un bacio a fior di labbra, casto eppur ardente di qualche strana sensazione che Usagi non aveva ancora mai provato e che l'aveva presa impetuosamente. Toccare la labbra di Tuxedo Kamen, inspirare il suo profumo che non avrebbe mai scordato… era stata un’esperienza senza pari. Le sue labbra morbide e sicure, il respiro sulla sua pelle… 

Ah, Usagi ci aveva fantasticato per giorni, indecisa se confessare o meno alle sue amiche quello che le era accaduto, mentre il nemico crudele rafforzava nell’ombra le proprie armi, pronto a stroncare i sogni di una ragazza innamorata. Alla fine si era decisa a parlarne solo a Luna, che l’aveva sgridata, miagolandole contro che era stato un gesto avventato e sconveniente, sia per una guerriera Sailor che per una ragazzina di quattordici anni sciocca e sognatrice. Non era tempo per l’amore, non quando il pericolo era imminente.

Usagi non aveva avuto occasione di parlare nuovamente a Tuxedo Kamen perché, dopo che in centro a Tokyo era comparsa quella orrenda torre nera e, al fine di rendersi abbastanza forte per sconfiggerla era riuscita a trovare dentro di sé l’energia per utilizzare una nuova arma giunta da chissà dove, che Luna diceva essere il leggendario Cristallo d’Argento, il misterioso eroe non era più comparso in loro aiuto, le successive volte che avevano dovuto combattere. Era come se fosse sparito, portando via con sé un pezzo del cuore di Usagi.

 

Durante la battaglia finale contro la regina in persona, dopo che tutti i suoi generali erano stati sconfitti a costo della vita delle Guerriere Sailor, che avevano combattuto fino all’ultimo per difendere ‘la custode del cristallo d’Argento’, Usagi aveva incontrato nuovamente Tuxedo Kamen, scoprendo con orrore che il suo amato era passato dalla parte del Potere Nero ed era rimasto l’unico a difendere la Regina Berillia. 

L’uomo a cui aveva regalato il suo primo bacio era diventato un suo nemico: il ragazzo che l’aveva conquistata con il coraggio e la dolcezza non esisteva più e Sailor Moon non avrebbe dovuto lasciarsi intimorire da questo nuovo adepto di Berillia, come avevano fatto le sue amiche con tutti gli altri, anche se si trattava del suo Tuxedo Kamen. E mentre combatteva contro di lui, che la colpiva senza pietà, Sailor Moon non era riuscita a trattenere le lacrime di delusione e dolore per la perdita del suo primo vero amore. Tutta la speranza di cui era ricolmo il suo cuore era svanita, le sue amiche non c’erano più, l’uomo che amava l’aveva dimenticata. Non c’era più niente che avesse un senso, non poteva fare più nulla, se non lasciarsi andare alla disperazione.

Miracolosamente erano state proprio le sue lacrime a risvegliare Tuxedo Kamen, che si era ricordato ogni cosa, ritrovando se stesso nell’abbraccio di Sailor Moon e dando conferma di come fosse stato manipolato da Berillia. Sailor Moon e Tuxedo Kamen avevano combattuto fianco a fianco, fino alla fine, fino a quando lui l’aveva protetta da un colpo letale scagliato dalla crudele regina, facendole scudo con il suo corpo, in un ultimo gesto d’amore.

“Perdonami, Sailor Moon: mi sono fatto soggiogare da Berillia, ma quello che provo per te non è cambiato… Sailor Moon, io credo di…”

 

Era morto. 

 

Tuxedo Kamen era morto tra le sue braccia, proprio come era accaduto ad Ami, Rei, Makoto e Minako. L’uomo che amava non c’era più e lei non era neanche riuscita a confessargli quello che provava.

Aveva affrontato da sola la crudele Regina, sostenuta dal potere delle sue compagne e da quello dell’amore che bruciava nel suo cuore spezzato e aveva vinto, trovando la forza di usare il leggendario Cristallo d’Argento, sconfiggendo il buio e la paura, rifugiandosi nei suoi desideri: una vita semplice, le risate delle amiche più care, i piccoli problemi quotidiani, un sentimento d’amore puro, da fare crescere con costanza, che sarebbe divenuto immenso giorno dopo giorno.

 

E allora era stato come se non fosse mai accaduto nulla. Il Cristallo d’Argento aveva esaudito i suoi desideri, riportando tutto alla condizione iniziale: nessuna trasformazione, nessuna guerriera Sailor, nessun Tuxedo Kamen, finché non era arrivato un nuovo nemico e i poteri di ciascuna guerriera erano stati risvegliati per proteggere l’umanità. Sailor Moon, la ‘custode del Cristallo’ aveva ricordato ogni cosa: la morte, la distruzione, la solitudine, la disperazione, la speranza, l’amore, il sacrificio e infine la vittoria e aveva chiesto al cristallo di risparmiare tutto quel dolore alle sue amiche, lasciando che per loro tutto fosse stato veramente come prima.

E così erano ricominciate le battaglie e allo studio quotidiano si era andato a sommare l’impegno nel difendere gli abitanti della terra contro l’invasore. Lei era la sola a sapere come fossero andate realmente le cose e a portarne il peso sulle sue spalle insicure, come se le fossero state strappate via a forza quelle ali che le avevano permesso di sognare, fino ad allora.

 

Tempo dopo, in una notte di luna, durante una battaglia che la stava vedendo in difficoltà, Sailor Moon era stata salvata dall’intervento di una rosa rossa ed era ricomparso anche Tuxedo Kamen,  ma per qualche ragione, entrambi avevano dimenticato il loro amore forte oltre la morte. In qualche modo, al termine della battaglia contro Berillia, Sailor Moon doveva aver chiesto al Cristallo di non ricordarsi neanche di lui, perché la sua perdita sarebbe stata la più dolorosa da accettare.

Nessuno dei due aveva ricordato quello che c’era stato tra loro. Era stato come se non si fossero mai incontrati prima, come se non ci fosse mai stato il loro primo bacio. Avevano ripreso a combattere come alleati, andando ognuno per la sua strada al termine delle battaglie, eppure ogni volta lei sentiva sbocciare e crescere un sentimento antico che andava oltre la magia del Cristallo d’Argento e i misteri della memoria umana. Era stato come innamorarsi di nuovo di lui, riscoprirlo piano piano e sentire battere di nuovo il cuore, pressato dalle domande: “sarà lo stesso anche per lui?”, “era già accaduto?”, “mi vorrà?”.

Finché, durante un attacco, nel tentativo di difendere un bambino tenuto in ostaggio dal mostro di turno, Sailor Moon aveva dato l’ordine a Tuxedo Kamen di attaccare il nemico, nonostante lei stessa fosse intrappola nelle mani del mostro e le altre Sailor non fossero pronte ad aiutarla: il rischio di ferire la guerriera bionda era stato altissimo e Tuxedo Kamen aveva esitato.

“Colpiscilo!”, aveva urlato Sailor Moon e lui aveva scagliato la sua rosa, ma aveva tremato e sbagliato mira.

Era stato come se un pugnale affilato avesse strappato la pelle di dosso a Usagi. Un istante solo e il dolore atroce si era esteso dalla spalla a tutto il suo braccio e, da lì, fino alle ossa e al cuore.

La rosa l’aveva trafitta, l’arma del combattente mascherato era penetrata dentro di lei.

In quell’istante Sailor Moon aveva ricordato ogni cosa, anche quello che il Cristallo le aveva tenuto nascosto: il bacio con Tuxedo Kamen, il suo dolce sentimento, la morte del ragazzo durante l’ultimo combattimento contro Berillia, il potere scaturito dal loro amore, la fine di tutto.

Ma in quel momento, oltre la fine, oltre la morte, oltre le sofferenze, lui era tornato.

 

Forti braccia l’avevano sostenuta, mentre le guerriere Sailor giungevano in soccorso del bambino e di tutti gli altri suoi amichetti dell’asilo. Il sangue grondava dalla spalla ferita sul corpetto bianco come la neve, sul gilet di Tuxedo Kamen e sulla sua coscienza. 

“Perdonami Sailor Moon”, le aveva sussurrato, affranto, trattenendo a stento lacrime e rabbia.

“L’hai sconfitto?”, aveva chiesto la guerriera e lui aveva annuito: “Ma ho fatto del male a te! Io… adesso ricordo tutto di quello che c’è stato prima… Ho ricordato me… e te… Perdonami per quello che ti ho fatto… per come mi sono lasciato soggiogare da Berillia e…” 

“Berillia non c’è più”, aveva detto semplicemente Usagi, sorridendogli, felice che anche lui avesse ricordato ogni cosa, “mentre noi siamo qui.”

Stringendola al suo petto, Tuxedo Kamen aveva perso il cappello a cilindro. E mentre in lontananza si udivano le sirene di un'ambulanza chiamata dalle sue amiche, Sailor Moon aveva sorriso all’uomo e allungato una mano al suo viso: “L’ultima volta che ne ho avuto occasione, mi sono dimenticata di dirti che anche io credo di…“ Con la mano aveva fatto cadere la maschera di Tuxedo Kamen, ma le forze l’avevano abbandonata proprio in quel momento, lasciandola nell’oblio.

Sapeva di aver provato una sensazione fortissima, un calore intenso proprio dove la rosa magica l'aveva colpita, sapeva che sarebbe andato tutto bene, ma non era mai riuscita a capire cosa le fosse successo in quegli attimi di oscurità.

Al suo risveglio, Usagi si era trovata al Pronto Soccorso, in abiti normali, segno che in qualche modo aveva sciolto la sua trasformazione. Di Tuxedo Kamen non c’era più traccia.

Rei aveva detto che secondo lei Usagi aveva sbagliato a fidarsi di lui; Makoto si era domandata chi fosse in realtà il guerriero mascherato fuggito un istante prima che loro la nascondessero agli occhi dei curiosi mentre stava tornando a essere solo Usagi Tsukino, vinta dal dolore; Minako era grata al cielo per la vittoria e per il fatto che Usagi si fosse salvata. Solo Ami non aveva fatto commenti e aveva aiutato Usagi a rialzarsi e tornare a casa: la ferita sembrava essere superficiale e sarebbe guarita in breve tempo, nonostante lei fosse stata intimamente certa che era stata colpita gravemente. Non era una ferita come le altre, aveva scalfito il suo cuore, grattando via la coltre che aveva fino allora impedito di ricordare tante cose. Tutte le ragazze avevano iniziato a dubitare di Tuxedo Kamen e di quali fossero le sue reali intenzioni nei loro confronti; Usagi aveva deciso di non raccontare a nessuna di loro del bacio e di quel che realmente provava per l’uomo e aveva lasciato che continuassero a parlare e dubitare di lui. Il sentimento che aveva ripreso a farle battere il cuore, la verità su quanto avesse rischiato con Berillia e con quella rosa se li era tenuti per sé, chiusi a chiave in un cassetto remoto della sua anima strappata.

 

Quella notte erano iniziati quei sogni strani, via via sempre più opprimenti.

In seguito, ogni volta che si trasformava in Sailor Moon e Tuxedo Kamen giungeva in suo soccorso, una forte fitta di dolore la colpiva laddove la rosa aveva ferito la sua pelle. Erano passate settimane, eppure, ancora, quella ferita pulsava e faceva male. Solo per un attimo, solo per ricordarle quello che non c’era mai stato tra lei e l’uomo dei suoi sogni. Solo come monito contro le distrazioni e le debolezze del cuore. E intanto, notte dopo notte, gli incubi le rubavano l’allegria e minavano le certezze su cui aveva costruito il suo fragile equilibrio di adolescente e paladina della legge. 

 

Incubi di cui non avrebbe mai parlato a nessuno.


 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

Ragazzine, L’altra faccia degli incubi & La Gatta che miagola alla Luna



 

Nello scompartimento delle ragazze si era creato un clima elettrico a causa di un bisticcio alquanto rumoroso e puerile tra le due più esuberanti del gruppo.

-Quando penseresti di metterla, quella gonna così corta?-, la voce di Minako, oltremodo irritata, risuonò rimbalzando sulle pareti metalliche.

-Quando tu penserai di mettere quel fazzoletto che ti ostini a chiamare top!-, rispose stizzita Rei.

-Se pensi di conquistare Hiro mostrandogli le gambe, non sai proprio nulla di lui! E poi, sbaglio o tu hai già Yuichiro…-

-Chi è Yuichiro?-, domandò incuriosita Naru.

-Nessuno! E comunque, cara la mia biondina, ho portato quella gonna solo perché non mi va di patire il caldo… ma se tu pensi che i ragazzi cedano alla tentazione della carne scoperta dai tuoi vestiti, allora veramente non hai capito nulla della vita!-

Naru era sconvolta dal bisticcio tra Rei e Minako e guardava sulle spine Ami e Makoto, perché facessero qualcosa di saggio… qualunque cosa, ma le due erano troppo in imbarazzo per aprire bocca.

-Insomma, ragazze! Volete piantarla di starnazzare come due oche? Così sveglierete Usagi, non vedete che si è addormentata?-, le sgridò Naru, sbottando, rivolgendo poi un sorriso dolcissimo verso la sua amica e sorella d’elezione, che dormiva accucciata al finestrino del treno.

 

--- 

 

L’aria della notte è calda, densa del profumo dei fiori che investe come un dolce sortilegio ogni cosa. Sembra che questo giardino sia fatto solo per noi, un angolo di paradiso sulla Terra, bagnato dai raggi morbidi della luna piena che rischiara il cielo e avvolge di luce azzurrina il tuo volto, le mani, il tuo sorriso. Voglio che tu t’innamori della Terra, voglio che possa diventare la tua casa.

-Che bella che è la Luna…-, la guardi sognante e i tuoi occhi brillano come diamanti. È la Luna la tua casa… Poi guardi me mentre la profezia riecheggia nelle nostre menti. 

 

 “Verrà il giorno in cui ti tingerai di dolore, Luna! Arderai della luce del fuoco, sanguinerai nel pianto e non sorgerai più.

Quel giorno tu non sarai più regina e la notte regnerà per sempre.”

 

-Non permetterò che accada. Mai-, ti dico sicuro di me, ti sorrido, mentre tu mi accarezzi. Mi sembra di vivere in un sogno: i profumi, il tuo volto angelico, i tuoi occhi… la tua bocca… Se potesse, il mio cuore scoppierebbe per l’amore di cui è ricolmo. Voglio baciarti, voglio sentire la tua pelle sulla mia. Voglio essere una cosa sola con te, in questa notte di luna, qua sulla mia Terra. 

Voglio dirti che non devi avere paura, ma in questo bacio frizzante e dolcissimo sento solo che tu tremi.

Alzo gli occhi e vedo un’ombra rossa coprire la luna. 

Allora comprendo e tutto diventa freddo e terribile.

 

Il momento è arrivato.

 

Non così presto... non ancora!

Non posso, non voglio separarmi da te! Non voglio perdere il ricordo della tua pelle e della tua bocca! Io… ti voglio, amore mio, voglio stare per sempre con te, voglio… 

 

Non permetterò che ci dividano, mai!

 

-Per sempre insieme-, non posso staccarmi da te senza una promessa…

-Per sempre…-

Catturo ancora le tue labbra e ti bacio. C’è tutto in questo bacio: la mia paura di perderti e la disperazione per la tua sofferenza: non è colpa tua, amore mio, non sentirti impotente! Lascia che la luna torni a illuminarci di pace, non permetterle di farci sprofondare nell’angoscia. Pensa a noi, a questo bacio di fuoco e miele, alla sensazione di dolcezza e passione che proviamo. Pensa a me… non lasciarmi, ti prego! Lo senti come sto male, senza di te? Lo so che il sacrificio è prossimo, che potresti rinunciare a tutto, pur di salvare la mia vita… ma non è così! 

La mia vita sei tu… 

 

Un boato ci fa sussultare e ti stringo a me.

 

È cominciato…

Devo fare qualcosa… devo… salvarti…

Il mio cuore batte furioso e anche il tuo… lo sento nell’aria, lo vedo nei tuoi occhi, sento il tuo stesso dolore.

 

-Ti amo, Serenity. Ti amo. Per sempre-

 

La luna è rossa… la luna piange per quello che sta per accadere. E’ una condanna.

La luna sanguina per il nostro amore. 

 

Devo trovare la forza…

 

-Tornerò-

 

E’ una bugia. Non tornerò.

Ti sorrido, perché non devi capire quanto sono disperato, mi volto, ma la tua mano blocca la mia.

-Tienilo sempre con te. Si è fermato, ma se tu vivrai, tornerà a suonare e a mostrarti il colore della luna, ogni notte. E sarà come se io fossi sempre accanto a te-

Mi doni il carillon che porta la melodia del nostro amore, unico testimone di tutto quello che abbiamo condiviso e del futuro meraviglioso che ci aspetta. Sì… perché tutto si sistemerà e la luna tornerà d’argento nel cielo e…

 

Non tornerò.

 

Rubo un ultimo bacio alla tua bocca di luna, chiudendo gli occhi per non mostrarti quello che si agita detto di me.

-Mettiti in salvo-, sussurri, ma non sono così forte da andarmene e accontentare i tuoi desideri.

 

Non tornerò.

 

E allora corro via da te, perché non posso fare altro. Corro perché tu non mi segua e capisca che ti ho mentito. Corro e sguaino la spada, per salvarti, per salvare il nostro amore. Corro verso il cuore della battaglia, corro dove so che vive il male. Corro e so che non tornerò.

 

Spero solo che dopo ci sarà un futuro migliore per te… 

 

Ti amo Serenity…
 

 

Mamoru si svegliò di soprassalto ritrovandosi a bordo della carrozza del treno che lo stava portando in vacanza. Accanto a lui c’erano Motoki, che parlava con suo fratello Kenzo, il loro amico Hiro e, davanti a lui, Umino, che dormiva a bocca aperta, lasciando che un sottile filo di saliva gli bagnasse il mento.

Sbatté le palpebre due, tre volte, inspirando l’aria chiusa dello scompartimento, confuso, come ogni volta che gli succedeva.

Ormai non accadeva più solo di notte: gli incubi stavano divenendo parte integrante di tutte le sue giornate. E se di notte si svegliava urlando nel suo letto, come se fosse stato pugnalato a morte o bruciato da una tremenda deflagrazione e il suo cuore galoppava nel petto prossimo a schizzare fuori, quando gli accadeva di giorno, se cedeva alle lusinghe di un riposino o si incantava a rilassarsi davanti a un panorama, era ancora più complicato discernere la realtà dal sogno.

Era come trovarsi in un mondo ben noto, che gli apparteneva, nel suo corpo, con la sua testa, ma in un’altra epoca: come se fosse una dimensione onirica in cui era finita intrappolata una parte della sua psiche. 

Ogni volta ricordava solo la dolorosa sensazione di perdita con cui si svegliava e un nome: Serenity.

 

“Chi sei…?”, si domandò restando immobile al suo posto, aspettando che il cuore la smettesse di battere così forte e gli desse un po’ di pace. Sapeva solo che Serenity – chiunque lei fosse – in un passato lontano o in una dimensione fatta di sogni, gli aveva donato un carillon a forma di stella e che il suo ricordo gli illuminava il cuore.

Gli incubi erano arrivati la notte in cui, risvegliandosi nel suo letto ancora travestito da Tuxedo Kamen, aveva compreso che Sailor Moon stava per scoprire la sua identità strappandogli la maschera che lo nascondeva. Avevano combattuto insieme e lui… l’aveva ferita con una delle sue rose. Aveva ferito la sua Sailor Moon… Era scappato via per il rimorso e la vergogna, ormai era tutto finito.

 

Ma finito cosa? Non c’è mai stato nulla tra Mamoru e Sailor Moon… tu sei Mamoru, ricordatelo!

Una voce realista era sempre all’erta nella sua testa ed era l’unica cosa che lo tenesse ancora collegato alla realtà, ma era così difficile… 

La sua vita era stata da sempre una lotta continua. Aveva perso la memoria da bambino, in seguito all’incidente che gli aveva portato via i genitori e si era trovato a crescere da solo, sballottato qua e là per disposizioni di normative legali tanto severe quanto scellerate; non aveva mai trovato la pace di un nido sicuro, aveva imparato a non affezionarsi a nessuno, tanto dopo poco ogni affetto gli era sempre stato strappato via. Aveva accettato di vivere senza la consolazione di un abbraccio caldo e di una mano salda ad accompagnare la sua piccola esistenza e, appena aveva potuto, era riuscito a insinuarsi tra le righe dei codici e a pretendere di vivere da solo, così come aveva imparato da piccolo. Si era rassegnato ormai da tempo a non condividere con altri i suoi successi e le sue delusioni, si era sforzato di rimanere in vita soltanto perché una parte di sé lo aveva spinto ad andare avanti, perché qualcosa in lui gli aveva sempre detto che era al mondo con uno scopo preciso, solo che non aveva saputo quale fosse quello scopo per troppo tempo e alla fine aveva dimenticato quella chiamata.  

Era riuscito a vivere in una mesta tranquillità fino a quando il suo stesso corpo gli aveva inviato segnali che qualcosa non andava, che in qualche modo quella parte di sé che era sempre stata aggrappata alla vita aveva iniziato a estraniarsi da lui per procedere nella strada ignota del suo destino. 

Prima erano arrivati i sogni, strane scene in cui una donna misteriosa lo implorava di cercare il "Cristallo d'Argento" per ritrovarla. Poi aveva iniziato a perdere coscienza di giorno, sentendo la sua stessa vita sfuggirgli dalle mani come se non fosse più in grado di assecondare con la sua esistenza solitaria lo scopo ignoto per il quale continuava ad andare avanti. Lui desiderava solo di rimanere nell'ombra compiendo il suo percorso di vita in maniera incolore, ma lampi di luce lo aggredivano alle tempie e sembravano stritolare la sua testa, lasciandolo inerme di fronte a un destino che non era pronto ad affrontare. Di notte i sogni avevano continuato a torturarlo; di giorno sapeva di non riuscire più ad avere il controllo della sua vita, colpito sempre più spesso da quel dolore e dalle conseguenti amnesie. Forse stava per morire, forse aveva un male incurabile al cervello che se lo stava portando via. Aveva consultato svariati medici e per primo si era interessato allo studio del corpo umano per comprendere cosa lo stesse affliggendo, ma non aveva trovato risposte che giustificassero il suo stato. 

Piano piano brandelli di pensieri che non erano suoi avevano iniziato a insinuarsi nella sua mente, come se gli attacchi di dolore che provava non fossero causati da qualcosa di maligno che cresceva nella sua testa, ma da una parte di sé che premeva per uscire fuori. Aveva compreso di ospitare in un solo corpo due persone diverse e lentamente era stato roso dal dubbio di vivere due vite parallele, ciascuna ignara fino a quel momento dell'esistenza dell'altra. Aveva pregato perché quella tortura finisse presto, fino a che qualcosa in lui lo aveva reso consapevole dei suoi poteri irreali ed era riuscito a ritrovare l'unità della sua coscienza, forte di una nuova consapevolezza: lui era Mamoru Chiba, ma era anche Tuxedo Kamen, un personaggio dai poteri sovrannaturali venuto al mondo con lo scopo di proteggere. Tutto gli era stato chiaro e da quel momento si era dedicato alla salvezza delle guerriere Sailor e alla spasmodica ricerca di quello che i sogni gli continuavano a chiedere. Doveva trovare “la Principessa”, doveva ottenere il “Cristallo d'Argento”, ma era una ricerca difficile, che l’aveva portato a scontrarsi con forze troppo più grandi di lui. 

 

Tutto era finito nel momento in cui la sua memoria era stata nuovamente cancellata, lasciandolo sull’orlo del burrone, senza sapere di nuovo chi fosse realmente o perché ciò fosse capitato. 

Una mattina si era risvegliato nel suo letto, la testa completamente svuotata da pensieri, preoccupazioni e progetti, senza ricordare cosa avesse fatto il giorno prima, o la settimana prima o… niente: si era alzato e, passando davanti allo specchio aveva scoperto quale fosse la sua faccia, come per la prima volta. “Sono Mamoru”, si era detto quasi a doversene convincere, quindi aveva stretto gli occhi forte forte, come se servisse a scavare nel suo cervello completamente bianco e, con la stessa sorpresa con la quale aveva ricordato il suo nome, era stato consapevole di essere allo stesso tempo anche Tuxedo Kamen. Aveva desiderato di verificarlo e si era ritrovato vestito di tutto punto come un pinguino con tuba e mantello. “Ok, ma chi sono in realtà?”, si era domandato e non aveva saputo darsi una risposta. Azioni e abitudini gli erano apparse automaticamente, senza che ne avesse reale ricordo: si era sentito come un computer che era stato spento per un po’ e al quale fossero stati resi inaccessibili files importanti: una volta riacceso era tutto ripartito normalmente, ma  dove fossero quei files, non era riuscito a comprenderlo. Così, per diverso tempo, aveva continuato a essere Mamoru e contemporaneamente Tuxedo Kamen: "sentiva" quando le guerriere Sailor erano nei guai, si trasformava grazie a quella magia di provenienza ignota e correva a battersi, ma non c’era uno scopo o una spiegazione che gli giustificasse il perché lo facesse. L’unico ricordo che aveva conservato gli pareva essere il fatto che lui amasse Sailor Moon e infatti soltanto la sensazione di pace che provava ogni volta che si trovava con lei e era forse l'unico motivo per cui accettava di condurre quella doppia vita. Sapeva di averla già conosciuta e amata, ma non ricordava assolutamente niente: più che di un ricordo avrebbe potuto parlare di una innata consapevolezza di essere legato a lei. Tutti gli altri ricordi erano semplicemente svaniti: sapeva solo di esistere e di aver avuto una vita misteriosa conclusa e dimenticata. Per lui era come vivere in una enorme matrioska: ogni volta che si adattava a qualcosa, scopriva che c’era un’altra vita che non conosceva, ma che gli apparteneva al pari delle altre e doveva lottare per ricordarla, scoprirla, assimilarla.

Poiché Sailor Moon era parsa l’unico collegamento con il suo passato, si era armato di pazienza e tenacia e aveva lottato contro la sua memoria per comprendere perché l’amasse, da quando, cosa ci fosse stato tra loro. La pulzella, dal canto suo, non aveva dato alcun aiuto per la sua ricerca e gli era parso che anche lei non ricordasse niente, ma era innegabile la reciproca attrazione che faceva capolino a ogni nuovo incontro. Ogni volta che la vedeva scopriva nuove sensazioni e sentimenti, come se fosse stata l'onda che portava l'alta marea, ma come un’onda tutto andava via, lasciando più dubbi che risposte, più fuoco che cenere. 

Un solo punto saldo sembrava accompagnare la sua precaria stabilità: quel sentimento profondo che lo legava a quella buffa eppur eroica paladina della giustizia, che sentiva rifiorire nel suo cuore come una pianta che d'inverno morisse e rinascesse più forte a ogni nuova primavera, qualcosa che lui sapeva esistere già da prima di perdere i ricordi, ma non riusciva a capire quando fosse scaturito.

Avrebbe dovuto fare da sé e sforzarsi di ricostruire ancora il suo passato. Ci era riuscito piano piano, grazie ad alcune immagine che sporadiche erano iniziati a riaffiorare. Soltanto alcuni dettagli gli rimanevano impressi nella mente come marchiati a fuoco, di volta in volta, dopo ogni nuova battaglia: un bacio, la sua mente manipolata da esseri malvagi, il dolore inflitto da lui con parole e gesti verso la donna che amava, poi il buio. Era stato per lei che aveva continuato a battersi, solo per lei, perché sapeva che prima o poi il suo sentimento sarebbe stato corrisposto, fino al momento in cui l'aveva quasi persa a causa sua. 

Quello era stato l’inizio della fine della sua già precaria stabilità, a forza riconquistata, in un attimo perduta.

Aveva ferito in battaglia Sailor Moon… lei si era fidata e lui aveva rischiato di ucciderla per la sua debolezza, per quella dannata mano che aveva tremato proprio nell’attimo in cui avrebbe dovuto essere lucido… Aveva esitato per paura di ferirla e l’aveva fatto in maniera del tutto consapevole del rischio, aveva guardato impotente il sangue uscire dalla ferita, il volto della ragazza divenire pallido e l’aveva stretta a sé: in quel momento era avvenuta la magia e, come se fosse soffiato un forte vento a dissipare le nubi, lui aveva ricordato ogni cosa. La bella sensazione che provava ogni volta che la incontrava, l’orgoglio nel vedere il suo coraggio, la dolcezza del bacio che le aveva rubato, tanto tempo prima, prima che una parte di lui cedesse al richiamo del lato oscuro e obbedisse alla crudele regina Berillia.  Insieme alle lacrime e al suo sangue, ogni ricordo era riaffiorato alla sua memoria e il rebus sulla sua esistenza nei panni di Tuxedo Kamen era finalmente risolto. Si era chiesto come avesse fatto a dimenticarsi di lei, se ogni volta che correva in suo aiuto il cuore gli sussultava in petto: Sailor Moon era la ragazza che amava, quella con la quale era connesso in un modo istintivo, quella che, ogni volta, chiedeva tacitamente il suo aiuto, la ragazza che aveva fatto battere per la prima volta il suo cuore e che lui aveva baciato. Il suo primo bacio. 

“Perdonami”, le aveva detto, “Adesso ricordo tutto” e lei aveva sorriso e aveva allungato la mano per togliergli la maschera, ma le forze l’avevano abbandonata prima. 

Mamoru si era convinto che quello fosse stato un segno del destino: si era immediatamente reso conto di non essere più degno neanche di sognare di avvicinarsi a Sailor Moon o che lei potesse ricambiare davvero il suo sentimento… non più, lui era troppo complesso, inadatto e pericoloso, avrebbe dovuto starle lontano, proteggerla da se stesso. Insieme agli eventi passati aveva ricordato quale fosse stato lo scopo della sua vita da quando era ancora un ragazzino: era ritrovare la principessa dei suoi sogni e lui aveva sperato che fosse Sailor Moon, ma, a un passo dal traguardo, si era arreso.

Forse lei era davvero la sua meta, ma lui era riuscito a farle del male o forse si stava sbagliando e lei era soltanto una prova che gli era stata messa davanti da un destino cinico e che lui aveva miseramente fallito. 

Da quel giorno erano iniziati di nuovo gli incubi, incubi così dolci e strazianti che non riusciva più a sostenere, moniti contro un futuro che avrebbe incontrato se avesse ceduto ancora al suo cuore, oppure stralci di un passato dal sapore dolce amaro perché in quegli incubi non c'era Sailor Moon, non sembrava essere lei lo scopo della sua esistenza, ma compariva un’altra la donna che aveva conquistato il suo cuore, una donna per la quale era stato pronto a morire… Serenity… una donna che avrebbe potuto cancellare quello che provava per Sailor Moon, per la quale sentiva sanguinare il cuore dal sentimento che gli trinciava i pensieri, da quanto era disperato, una donna che avrebbe assolutamente dovuto trovare.

E allora aveva deciso di inseguire i sogni e aveva rinunciato a mostrarsi gentile e protettivo nei confronti di Sailor Moon con lo scopo di allontanarla da sé: aveva fallito come Tuxedo Kamen, non era più degno di lei. Quando la incontrava in battaglia, si ripeteva che doveva dimenticarla, cancellare il suo bacio, la sua risata allegra. 

Fare come se non fosse mai successo nulla, anche se faceva così male e cercare la principessa dei suoi sogni…

 

-Sono solo sogni-, borbottò tra sé e sé Mamoru, alzandosi di scatto dalla poltrona e uscendo nel corridoio del treno. Davanti a lui, oltre il finestrino, l’estate giapponese sfrecciava in una macchia multicolore verde e gialla, mentre in alto il cielo terso e azzurro gli ricordava che era quella la sua realtà, non quella in cui era rimasto imbrigliato, trasformandosi suo malgrado in un eroe mascherato, né quella che il sonno evocava. 

Sono solo Mamoru Chiba… il baka Mamoru Chiba…

 

“È la stanchezza…”, si disse pensando a come fosse strano che il ciondolo che Tuxedo Kamen aveva regalato a Sailor Moon fosse identico a quello dei suoi sogni. Sicuramente la sua mente provata dallo stress e dallo studio avevano trasferito quell’immagine direttamente nel suo mondo onirico. Avrebbe potuto essere una rosa, un libro, qualsiasi altro oggetto da lui realmente visto e posseduto.

 

Quello che non era mai riuscito a spiegarsi, però, era come lui fosse entrato in possesso di quello strano oggetto dalla forma di stella. Non ricordava di averlo mai posseduto, prima dell’attimo in cui aveva deciso di donarlo a Sailor Moon. Per questo, ogni tanto, pur senza ammetterlo neanche a se stesso, si trovava a domandarsi chi fossero realmente Mamoru Chiba e Tuxedo Kamen e se almeno uno dei due rispondesse all'identità di colui che viveva nei suoi incubi.

Chiunque lui fosse, ne era certo, lo avrebbe scoperto solo tramite la tortura di quei sogni e, quando lo avesse capito, avrebbe potuto spiegarsi il perché fosse stato conquistato da Sailor Moon, pur essendoci stata un’altra donna nella sua vita.

 

Portò una mano tra i capelli e si appoggiò al vetro davanti a lui, mentre le immagini correvano confuse provocandogli un leggero senso di nausea.

Perché deve essere tutto così difficile…

 

Allegre risate provenienti dal suo scompartimento richiamarono la sua attenzione: dentro, Hiro e Kenzo stavano facendo alcune foto a Umino, mentre dormiva come un sasso.

-Mostriamole a Naru, così lascerà mio cugino e si fidanzerà con me!-, scherzò Hiro, Mentre Motoki scuoteva la testa, preoccupato per quanto fosse sciocco giocare così con l'amore.

 

Reika lo aveva lasciato. 

 

Non lo sapeva nessuno a parte lui, che aveva sostenuto l’amico negli ultimi periodi di sconforto e delusione e suo fratello, dal quale non avrebbe potuto essere più diverso. Tecnicamente Reika si era ‘presa un periodo di pausa, per concentrarsi sui suoi studi’, ma Motoki era convinto che non lo amasse più. Molto più prosaicamente Mamoru aveva pensato che la sua bella fidanzata si fosse trovata un altro, ma non ne aveva fatto parola con lui e aveva atteso l’inevitabile. E infatti, appena poco tempo dopo, era arrivata la telefonata che Motoki temeva di più, quella con cui Reika aveva chiuso ogni rapporto tra loro. Quella era stata l’unica volta che aveva visto piangere Motoki, che si era presentato sotto casa sua in condizioni disperate, ubriaco fradicio e ferito come un animale selvatico colpito da una fucilata in mezzo al petto. Poco dopo, inaspettatamente, alla sua porta aveva suonato anche Kenzo, quel fratello minore di cui Motoki non parlava molto, ma che evidentemente era in pensiero per lui. Avevano passato la nottata a compiangersi e scherzare, parlare di cose da uomini, di divertimenti, di qualunque argomento che avrebbe alleggerito in minima parte le pene di Motoki. “Carpe diem!”, aveva detto Kenzo a un certo punto, sostenendo di aver trovato la quadra per risolvere i problemi di Motoki, “Tra qualche settimana il mio amico Hiro partirà con suo cugino, la sua ragazza e un gruppo di amiche, mi ha chiesto se volevo andare con lui perché non vuole fare da baby sitter da solo: vieni con me Moto, ci saranno le ragazza, ci sarà il mare, ci divertiremo come pazzi!” Mamoru aveva trovato l’idea ottima: quel che ci voleva al suo amico era cambiare aria per un po’ e lo aveva spinto ad approfittare dell’invito di suo fratello. “Se io carpo diem, tu carpi diem”, aveva sentenziato Motoki in preda alla sbronza più grande della sua esistenza e aveva costretto Mamoru a seguirlo in quella vacanza sull’isola di Amami Ōshima. Era stato solo un caso che il cugino di Hiro fosse proprio Umino Gurio e che tutti, più o meno, si conoscessero già.

Così Mamoru si era ritrovato a trascorrere una settimana in compagnia di un gruppo confusionario e infantile di ragazzine, due piccioncini tubanti, due ragazzacci che tutto avrebbero fatto tranne i baby sitter e Motoki, che ancora languiva per il dolore ed era intenzionato a non far trapelare nulla. Onestamente avrebbe fatto volentieri a meno di seguirlo in quella "vacanza"…

Se solo quelle scalmanate avessero saputo di Motoki e Reika… brr… tremò al pensiero di come avrebbe potuto fare per salvare il suo amico da quel gruppo di ragazzine ninfomani in preda ai primi guizzi ormonali. Per questo non aveva fatto parola della cosa con nessuna di loro: quando lo avesse voluto, Motoki ne avrebbe parlato lui stesso.

 

-Di qua-, la voce di Minako lo distrasse: la ragazzina stava uscendo dallo scompartimento delle ragazze, seguita a ruota da Ami. Quando lo videro, si allontanarono rapidamente e si chiusero nel bagno del treno. Mamoru alzò le sopracciglia, si trattenne dall’esternare il suo commento ad alta voce e tornò a guardare oltre il vetro.

“Ragazzine… non sono buone neanche ad andare in bagno da sole…”

 

--- 

 

-E comunque ci sono sempre Hiro e Motoki!-, puntualizzò Minako, incrociando le braccia al petto e voltando il viso dalla parte opposta a Rei.

-Se è per questo, c’è anche Mamoru-, puntualizzò la mora, voltandosi sdegnata dalla parte opposta. La sua voce vacillò per una frazione di secondo, ma confidò che nessuna se ne fosse accorta.

-Peccato che Mamoru non ti guardi più!-, rincarò la dose la guerriera dell’amore, che in quel momento sembrava stesse comportandosi come la guerriera della discordia.

-Ma come ti permetti! Tu non sai che…-

-Buone… buone ragazze! Ha ragione Naru, stiamo facendo troppo baccano e Usagi finirà per svegliarsi!-, tentò di dividerle Makoto, mettendo le mani avanti e sorridendo imbarazzata per la figuraccia che stavano facendo davanti a Naru.

-Oh, sai che tragedia! Usagi dorme almeno dieci ore a notte, se si svegliasse non sarebbe di certo un dramma!-, replicò Rei.

Naru nascose il volto tra le mani, domandandosi perché si fosse lasciata convincere da Usagi a sistemarsi nella sua stessa carrozza, mentre lei, da brava amica, se la dormiva beatamente!

-Rei, basta!-, la voce di Makoto risuonò dura perfino alle sue orecchie e subito la ragazza arrossì, temendo le ire di replica della guerriera di Marte.

In quel momento, qualcosa attirò l’attenzione di Ami, che, improvvisamente allarmata, iniziò a frugare nella sua borsa, alla ricerca di qualcosa.

-Oh…-, esclamò contenuta e trasse a sé per un braccio Minako, prima che si tuffasse nuovamente nel bisticcio con le altre due compagne. Naru osservò distrattamente Minako che guardava qualcosa tra le mani di Ami allertandosi come fosse stata punta con uno spillo. 

-Vieni con me, ti spiego tutto-, sussurrò Minako all’amica, cercando di non farsi sentire dalle altre e la trascinò fuori dallo scompartimento. 

“Strane ragazze… a volte più strane di Usa-chan”, pensò Naru e non le rimase altro da fare che schiacciarsi al finestrino e guardare dormire Usagi davanti a lei, sperando di non dover assistere più a scene come quella che andando avanti tra Rei e Makoto. 



 

-Di qua-, Minako indicò ad Ami la via più breve per un angolino apparentemente riservato nel corridoio del treno, ma, non appena scorsero Mamoru, che se ne stava solitario a guardare nel nulla fuori dal finestrino con la faccia preoccupata, deviarono verso la più vicina toilette, chiudendosi la porta alle spalle.

-Cosa significa?-, Ami estrasse dalla tasca il suo comunicatore Sailor, mostrandolo a Minako: il simbolo di Venere lampeggiava, segno che era in arrivo una chiamata dal suo sailorofono.

-Ahem… ho lasciato ad Artemis il mio comunicatore, nel caso avesse avuto necessità di contattarmi per qualsiasi motivo!-, si giustificò l’altra, grattandosi imbarazzata la testa e sorridendo colpevole all’amica.

Lo sguardo di Ami si addolcì: -Brava. Hai avuto un’ottima idea-, la rincuorò sorridendo e Minako seppe di aver fatto la scelta giusta. Aveva discusso al lungo con il suo gatto se lasciargli o meno quell’oggetto: lui sosteneva che non se ne sarebbe mai dovuta separare, perché se fossero state in pericolo, non avrebbe potuto chiamare in suo aiuto le altre Sailor, ma Minako aveva deciso di mantenere un contatto con le loro guide e amici felini, disobbedendogli.

-Cosa sarà successo?-, domandò preoccupata Ami, rispondendo alla chiamata e vedendo apparire ai suoi occhi il faccione tondo del loro gatto preferito.

-Ciao palla di pelo!-, trillò Minako, che già sentiva la mancanza del suo amico.

-Ciao Artemis-, la seguì a ruota Ami.

-Ragazze, c’è un problema-, Artemis non si perse in preamboli e funestò immediatamente la vacanza delle due guerriere Sailor. Minako sentì una morsa stringerle il petto, temendo che fosse accaduto qualcosa di brutto al suo gatto, mentre Ami, più reattiva, s’impossessò del suo sailorofono e domandò chiarimenti.

-Poco fa ho ricevuto la visita di Luna-, iniziò il gatto, indicando alle sue spalle la micetta nera, che osservava preoccupata lo schermo illuminato, -E’ arrivata dal tetto, raschiando alla finestra come fa di solito-, Ami e Minako annuirono, sulle spine.

-Mi ha detto di non essere riuscita a parlare con Usagi, prima che partisse e chiederle come mai si fosse svegliata accucciata ai piedi del letto di Shingo, senza ricordare come ci fosse arrivata-, l’espressione del gatto era determinata e inquieta, già con quelle parole aveva fornito alle ragazze buoni motivi per comprendere il suo stato d’animo.

-Luna dice che ha solo vaghi ricordi di quel che è successo stanotte, ma che è sicura di essersi svegliata più volte a causa del sonno agitato di Usagi, finché, ad un certo punto, nel cuore della notte, non l’ha più trovata nel suo letto. Preoccupata, Luna è uscita sul terrazzo e ha scorto una figura sul tetto della loro casa; ha pensato che fosse Sailor Moon e si è arrampicata per vedere cosa stesse succedendo-, un “Miao” accorato spezzò il monologo di Artemis.

-Ma quando ha raggiunto il tetto, Luna dice di aver visto due cose strane: la prima è che la luna non era del colore che avrebbe dovuto avere, cioè era rossa, e la seconda è che…-

Ami interruppe il gatto: -Se non sbaglio, ieri notte la luna è sorta molto tardi: quando l’hai vista tu, probabilmente era ancora bassa e la sua luce era rifratta dagli strati dell’atmosfera più bassi e densi. Per questo ti è sembrata rossa-, spiegò con fare professionale.

Luna colpì con la zampa il suo amico e lui spiegò che più che altro erano preoccupati in vista dell’eclissi di luna, che stava per avvenire. 

-Tranquilli, l’eclissi ci sarà tra sette notti! Non può esserci connessione con quello che hai visto-, la rassicurò Ami.

Luna si accucciò triste, Artemis mise una sua zampa attorno alla sua testa, per confortarla. –Luna teme per questa eclissi…-, spiegò alle ragazze in ascolto, che non seppero cosa dire. Ami stava riflettendo sul potere di Usagi e sull’eventualità che un eclissi di luna potesse in qualche modo comprometterlo, mentre Minako era piuttosto seccata per la pioggia di brutte e misteriose notizie caduta sulla sua vacanza perfetta. Inoltre, Artemis non aveva ancora terminato di raccontare tutto…

-Forse durante l’eclissi potrebbe verificarsi un fenomeno simile, dovuto allo scattering di Rayleigh, ma non penso che…-, riprese Ami, parlando in secchionese.

-E la seconda cosa?-, Minako le rubò la parola, accelerando il dialogo.

Dal sailorofono si udirono un miagolio sofferto e un sospiro, -La seconda cosa è che Luna dice che sul tetto non c’era Sailor Moon, ma un’altra persona.-

Ami e Minako rimasero basite, il gatto ne approfittò per continuare.

-Qualcosa brillava sulla sua fronte e sembrava scivolare sul suo viso, abbagliando Luna, che non è riuscita a capire chi fosse. Sa solo che stava piangendo lacrime di luce e che accanto a questa persona suonava il carillon di Tuxedo Kamen, ma lei dice che è rotto da diverso tempo e non suona più-, Artemis fece una pausa e il visetto triste della gattina apparve nello schermo. Aprì il muso e ne uscì un miagolio sofferto.

-Luna ha pensato che fosse il nemico e ha iniziato ad urlargli contro di andar via e di lasciare Sailor Moon, dal momento che era plausibile che questo avesse catturato la nostra amica. È stato allora che la figura misteriosa ha detto a Luna di non parlare più e di tornare dentro e dormire nella stanza di Shingo.-

Artemis fece una pausa, segno che il racconto era terminato. Minako e Ami, agitate, parlarono insieme, imponendosi di non urlare per non farsi sentire da nessuno fuori dalla porta.

-Ma chi era quella persona?-

-Dov’era finita Sailor Moon?-

-Perché Usagi non ci ha detto nulla?-

-Luna, non ricordi altro? Parla!-, domandarono a raffica litigandosi il sailorofono.

Artemis abbassò lo sguardo, imbarazzato, -Ehm… Luna… lei non può rispondervi…-, le informò e nello stesso istante un “Miao” straziante riempì l’aria del piccolo bagno del treno.

-Che vuol dire che Luna non può rispondere?!-, Minako era perplessa, Luna tornò a mettersi davanti al comunicatore e aprì ancora il musetto, per spiegare loro ogni cosa, ma…

-Miaaao! Miao, mià… Purrrr… Meowwww!!!-, stizzita, la gattina sbattè una zampetta sul tavolo sul quale stavano e coprì la testa con le zampe, mettendosi accucciata.

-Artemis! Che è successo a Luna?-, Ami aveva intuito la risposta, ma non osava darle voce.

-Luna non riesce più a parlare! È come se la persona sul tetto le avesse fatto un sortilegio oppure…-

-Miaaooo, miao, miao!!-, singhiozzò la gatta.

-… oppure è come se dicendole di non parlare, questa persona le avesse impartito un ordine al quale Luna non può disobbedire…-, concluse Ami, basita e preoccupata.

Un lungo istante di silenzio gravò su tutti e quattro gli interlocutori, finché Minako, schiarendosi la voce, non si rivolse al suo gatto.

-Ehm… Artemis, se Luna non parla più… come ha fatto a dirti tutte quelle cose?-, domandò candidamente. Artemis sollevò una zampa dietro le orecchie per grattarsi e, imbarazzato.

-Abbiamo… abbiamo miagolato… spiegò-, se fosse stato possibile, le due avrebbero potuto affermare di vedere il gatto arrossire, sotto tutto quel pelo.

-Artemis! Conosci le lingue e non me l’hai mai detto?-, esclamò Minako, portando le mani sui fianchi.

Ami si vergognò per l’osservazione del tutto fuori luogo della sua amica e guardò il musetto triste di Luna, precipitata in brutto sogno.

-Vi prego, ragazze, non dite nulla di tutto ciò a Usagi… Pensiamo che potrebbe preoccuparsi per Luna e fare qualche mossa avventata… e poi… rimane il mistero su cosa sia successo a Sailor Moon questa notte-, le mise in guardia Artemis, -Ricordate che il viaggio è una scusa per tenerla lontana da Tokyo e dal nemico nel momento dell’eclissi…- 

Ami e Minako annuirono, e subito l’innocente cervellino di Minako sembrò trovare la soluzione più semplice al mistero notturno della gatta: -Luna, non è che quando ti sei alzata e non hai trovato Usagi, lei era semplicemente andata in bagno e tu ti sei preoccupata per nulla?-, domandò arcuando un sopracciglio.

Un velo di imbarazzo si posò sulla gatta, sul suo amico e su Ami: -Miao…-

Artemis socchiuse un occhio, -Luna dice che… non ci aveva pensato e che… beh… potrebbe essere…-

-E magari aveva il sonno agitato perché era emozionata per questo viaggio e aveva tenuto nascosto ai suoi che ci sarebbero stati anche i ragazzi e che…-

Ami si portò una mano alla faccia. Minako si tappò la bocca, ma ormai aveva detto troppo.

Luna iniziò ad abbaiare: -MIAO! Purrrr… grrr… Miao, miaooo, grrrrr, MIAOOOO!!!!-, anche la gatta era molto protettiva nei confronti di Usagi, proprio come suo padre e non vedeva di buon occhio che i ragazzi mettessero gli occhi sulla sua bambina. Non approvava nemmeno quella frizzante tensione che era palpabile tra lei e Tuxedo Kamen!

-Bella frittata…-, sussurrò caustica Ami all’amica, affrettandosi a spiegare ai gatti che si trattava di un equivoco e che con loro c’era solo Umino e che…

-Miao. Miamiamiaaao, miao, Mià!-, miagolò stizzita Luna, dando le spalle al sailorofono.

-Che… che ha detto?-, chiese tremebonda Ami.

Artemis sospirò, sconfitto, : -Ha detto che da te non se lo aspettava, Ami, e che non devi cercare di arrampicarti sugli specchi tentando di giustificare Usagi. Siete state scorrette nei nostri confronti, ragazze, mentendo sulla presenza di altri accompagnatori e se vi caccerete nei guai sarà solo colpa vostra.-

Minako guardò Ami basita.

-Ha detto tutte queste cose con soli quattro miagolii??-, domandò estremamente sorpresa e il gatto, vergognandosi di lei, chiuse la comunicazione lasciando le ragazze all’imbarazzante silenzio del bagno.

 

-Tutto questo è molto strano-, affermò Ami, parlando dell’ovvio.

-Ma hai visto che amore Luna? Sembrava davvero una gattina dolcissima!-, cinguettò Minako, affatto preoccupata dal racconto dei gatti.

-Come fai ad essere così tranquilla?-, la rimproverò Ami, bloccando la porta dalla quale Minako stava per uscire.

-Sono fermamente sicura che Luna ha frainteso ciò che ha visto sul tetto e che Usagi era davvero in bagno, quando non l’ha trovata nel suo letto. Think positive, Ami!-, fece l’occhiolino all’amica e la precedette fuori dalla toilette, lasciandola libera per il gruppo di signore in coda.

Quando tornarono allo scompartimento, vi trovarono solo Usagi, ancora appisolata con la testa appoggiata al finestrino. Entrando, Ami inciampò sullo zaino aperto di Rei e fece rumore, svegliando l’amica.

-Aaawn… che bella dormita!-, esclamò Usagi stiracchiandosi, -Dove sono le altre?-, domandò incuriosita e schizzò fuori dalla piccola stanza, iniziando a gironzolare per il treno. Al suo posto rimase solo il carillon a stella, che Ami si affrettò a nascondere tra le sue mani.

-Lo vedi? Non c’è nulla che possa turbare Usa!-, le sorrise Minako e seguì la ragazza coi codini, scontrandosi con Naru che rientrava.

-Minako andava di fretta!-, osservò la compagna di scuola di Ami e Usagi, rimettendo a posto nella sua borsa una pochette color melanzana.

-Minako è sempre un uragano-, spiegò Ami, scuotendo la testa.

-Anche Usagi lo è-, iniziò Naru, di colpo preoccupata, -Eppure poco fa tremava nel sonno e… sembrava stesse avendo un incubo. Poi… poi mentre dormiva ha aperto quel… coso lì e non appena la musica ha preso a suonare si è subito calmata. Non l’avevo mai vista così… indifesa…-, spiegò, indicando il carillon che Ami ancora teneva in mano.

-Ah…-, la ragazza non seppe cosa risponderle, quindi sollevò lo sportellino e, nuovamente, la musica avvolse lo scompartimento. Eppure Luna sosteneva che fosse rotto, invece funzionava alla perfezione.

-Non dirò ad Usa che lo abbiamo toccato… mi sembra sia molto gelosa di quella stella!-, la rassicurò Naru e la invitò a seguirla nello scompartimento dei ragazzi.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

Litigi, ‘Operazione Cupido’ & L’imbucato


Nello scompartimento dei maschi stava avvenendo una vera e propria gara: Makoto aveva sfidato a braccio di ferro il palestrato Kenzo, asserendo che nessuno maschio era mai riuscito a batterla; Hiro rideva, confabulando qualcosa con suo cugino, mentre Rei osservava la mano della sua amica, stretta in quella del ragazzo, con una crescente gelosia. In fondo, Kenzo era il fratello di Motoki, quindi rimaneva un’istituzione per tutte le ragazze che fossero mai state anche solo una volta alla sua sala giochi.

-Che sta facendo quella scriteriata?-, le domandò Minako, raggiungendola alle spalle.

-Ci sta soffiando il ragazzo-, sibilò tra i denti la mora, incrociando sdegnata le braccia al petto.

Motoki osservava la scena divertito: era passato anche lui dai muscoli di ‘Makoto la schiacciasassi’ e sapeva come sarebbe andata a finire. Non avrebbe mai pensato, quando la ragazza urlante di gioia aveva iniziato a saltellare per la sala giochi, dopo averlo battuto, che lo stesso maschiaccio, poche settimane dopo, si sarebbe presa una cotta per lui. Ma Makoto all’epoca era troppo giovane, e poi… lui aveva Reika. Un velo di tristezza oscurò l’allegria che stava piano piano ritrovando… Reika… chissà cosa stava facendo la sua dolce Reika in quel momento… chissà se avrebbe mai cambiato idea su loro due…

-Non è un po’ troppo giovane la tua amica per provarci così con Kenzo?-, domandò lievemente scandalizzata Naru ad Ami, che aveva raggiunto il gruppo insieme a Usagi, dopo averla accompagnata a rimpinzarsi di caramelle e biscottini al bar del treno.

-Quanti anni avete?-, domandò incuriosito, Hiro, suo ‘quasi cugino’.

-Ne abbiamo sedici-, spiegò Ami, -chi già compiuti, chi ancora no. Usagi per esempio ha festeggiato il compleanno a fine giugno-, guardò sconsolata l’amica, immaginando che in quel momento agli occhi altrui, con le mani traboccanti di dolcetti, Usagi ne dimostrasse al massimo sette.

-Allora Mako-chan non è troppo giovane per provarci con Kenzo, tranquilla Naru!-, rispose Hiro facendo l’occhiolino alla ragazza di Umino e a Motoki. 

Rei e Minako, alle sue parole, si sentirono d’un tratto rinvigorite e confortate: se non era troppo giovane Makoto, allora anche loro avrebbero avuto speranze con uno di quei due.

Naru scosse la testa, -E pensare che credevo che a Makoto piacesse il fratello di Kenzo, Motoki-, sussurrò all’orecchio di Ami con complicità: quella ragazza le piaceva e non solo perché era la più seria tra le amiche di Usagi, né perché era il genio della loro scuola. Era una simpatia a pelle, ampiamente ricambiata dalla guerriera di Mercurio.

-Non credo che Mako sia interessata a Kenzo… lei fa semplicemente così con tutti!-, le spiegò sorridendo.

 

-Ti ho battuta!-, esclamò divertito Kenzo, piegando il braccio di Makoto sul tavolino del treno. La ragazza lo fissò senza parole, mentre Hiro e Motoki applaudivano alla vittoria del ‘sesso forte’. In realtà Motoki si stava sentendo un rammollito, dal momento che lui aveva perso, mentre suo fratello aveva vinto. Ma con Kenzo andava sempre a finire così…

Era forse la prima volta che un ragazzo riusciva ad abbattere la corazza di grinta e caparbietà della ragazza: il cuore di Makoto accelerò per qualche istante. “Sarà lo sforzo”, pensò e rimase in silenzio.

-E dai, non fare quel faccino, adesso! Vieni con me che ti offro una limonata per ringraziarti della vittoria!-, Kenzo le parlò dolcemente, cercando di consolarla, mentre lei si limitò ad arrossire. Quanto le ricordava Motoki…! Lo seguì fuori dallo scompartimento, tra le risa e i fischi di Hiro e Umino e le saette di gelosia inviatele dalle sue amiche.

-Qua dobbiamo cambiare strategia…-, sibilò Minako all’orecchio di Rei e le strinse la mano, seguendo Makoto e Kenzo verso il bar.

-Qfuelle fue cobbinerammo qfualche pastiggio-, biascicò Usagi, troppo impegnata a mordicchiare i duri di menta e i marshmallows che le impastavano la bocca.

-Temo che anche tu combinerai qualche pasticcio, Faccia di Luna: se ti andrà di traverso quella palla di dolciumi che stai ruminando, ci toccherà abbandonarti in stazione e proseguire il viaggio senza di te!-, chiosò Mamoru al suo orecchio, facendola sussultare per lo spavento e accendersi d’ira.

Usagi ingoiò il tutto producendo un verso gutturale, si sarebbe potuto vedere il fumo uscire dalle sue narici. Quel baka le aveva fatto sprecare l’ultimo dolcetto!

-Piuttosto lasceremo Mr. Simpatia all’ufficio oggetti smarriti, così potremo stare tranquilli senza i tuoi sciocchi bla-bla-bla stile Grillo Parlante!-, gli rispose a tono.

-Ecco, ricominciano…-, Motoki si lasciò sprofondare sulla poltroncina, portando una mano davanti agli occhi, al contempo irritato e divertito dagli eterni battibecchi tra i suoi due amici. Gli pareva impossibile che una ragazza così solare e dolce come Usagi e un ragazzo serio ed educato come Mamoru potessero entrambi essere suoi amici e allo stesso tempo riuscire a scendere tanto in basso nel comportamento reciproco. Sembravano i classici compagni di classe delle medie che non facevano altro che deridersi a vicenda, gli ricordavano tanto Aki e Norio. E pensare che solo dopo qualche anno quei due… Un'idea lo fulminò.

-Già, e adesso chi li ferma più…-, si rassegnò Ami, sedendosi di fronte a lui, mentre Usagi e Mamoru uscivano nuovamente nel corridoio continuando ad insultarsi sulla strana forma dei capelli di lei o sulla acidità di lui.

-Pensare che sarebbe tutto risolto, se solo capissero che sono fatti l’uno per l’altra!-, continuò Motoki, alzando le spalle e sostenendo le sue parole con un gesto eloquente della mano. Forse aveva capito tutto davvero.

-Usagi e quello lì?-, domandò scandalizzato Umino, stringendo un po’ di più tra le sue mani quella di Naru, -Usagi odia Mamoru, me lo ha confessato ormai quasi due anni fa!-, spiegò, pavoneggiandosi per aver conosciuto un segreto della ragazza che un tempo riempiva i suoi pensieri.

-Chi disprezza compra…-, tubò Naru al suo orecchio, e Umino fraintese le sue parole.

-Cioè… vuoi dire che tu… tu… mi disprezzavi, Naru-chan?-, le chiese sul punto di scoppiare a piangere, ma la ragazza lo rassicurò con un bacio sulla punta del naso; -Andiamo a prendere una limonata anche noi, che è così caldo!-, propose e lo trascinò via con sé, amorevolmente.

Ad Ami non sfuggì lo sguardo malinconico con cui Motoki li seguì, né il sospiro trattenuto in cui si sciolse.

-Comunque, quando dico che per me Usagi e Mamoru sarebbero fatto per stare insieme, lo penso davvero!-, riprese, di nuovo tranquillo e sorridente. La meticolosità nella scelta degli insulti che quei due si rivolgevano svelava senza dubbio che si erano osservati, a distanza, più di quanto a un occhio superficiale fosse apparso fino ad allora. Ad Ami scappò da ridere e non trattenne una delle sue osservazioni salaci.

-Non è che dici così perché non vedi l’ora che quella bambinona della mia amica la smetta di gironzolarti sempre attorno?-, portò una mano alla bocca, ridacchiando per la sua stessa audacia: parlare con Motoki le veniva molto più facile che con gli altri ragazzi, perché era sensibile e gentile con tutte loro e non le metteva mai a disagio. Motoki era limpido, instillava fiducia.

-No… io voglio molto bene ad Usagi e non la trovo affatto piccola per me. Inoltre è proprio una bella ragazza. Ma è proprio questo il problema: le voglio bene come a una sorella e, anche se sono convinto che Usagi sarebbe una fidanzata ideale, non potrei mai pensare a lei come qualcosa di…-, Ami aggrottò le sopracciglia: Motoki aveva la ragazza, perché pensava anche solo quelle cose? Lui dovette accorgersi dello scivolone che stava facendo e si aggrappò all’idea balzana che aveva concepito in un momento in cui, sere prima, Mamoru aveva declinato l’invito di una gentil donzella per fargli compagnia.

-Ami, ecco cosa dobbiamo fare!-, esordì con una strana luce negli occhi, -Sono sicuro che anche Mamoru trovi Usagi molto carina, nonostante tutto: sfruttiamo questa vacanza per farli cadere l’uno nelle braccia dell’altra!-, decretò alzandosi in piedi e scagliando un pugno contro l’aria in segno di vittoria.

 

Ami lo guardò interrogativa, pensò ad Usagi, pensò a Mamoru e scosse la testa.

-Andiamo a prendere una limonata ghiacciata… ti farà bene, Motoki…-, gli rispose e lo spinse fuori dalla cabina.


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-Faccia di luna!-

-Screanzato!-

-Con i voti che hai dovresti stare a casa a studiare e non in vacanza a ingozzarti di dolci!-

-Con la tua simpatia dovresti rintanarti in uno zoo, nella gabbia dell’orso bruno, gli faresti concorrenza in quanto a scontrosità!-

-Sarò anche orso, ma tu sei una vera gallina in becco e piume! Scommetto che finora hai passato tutto il tempo a fare sfoggio dei tuoi vestitini e dei costumini e de…-

-Gallina a chi? Almeno io sono socievole: invece tu finirai i tuoi giorni triste e solo a domandarti perché tutte ti abbiano evitato come la peste, galline e geni! Sei più addormentato di un bradipo e non ti sei neanche accorto che i tuoi amici ti hanno lasciato qua e si sono portati via tutte le ragazze più carine! -

-Ah sì? E allora come mai hanno lasciato qua te? Forse perché, nonostante anche tu sia molto carina, Testolina Buffa, sei troppo infantile e superficiale?-

-Come osi??? Ha parlato il gallo del pollaio, quello che 'belli come lui non c’è nessuno’! Scendi dal trespolo, tacchino!-

-‘Belli come me non c’è nessuno’? Ti ringrazio Capoccetta Tonda! L’ho sempre saputo che avevi un debole per i belli e intelligenti… è forse invidia la tua?-

-Invidia??? Tu non sei intelligente: se fossi anche solo un po’ intelligente non ti comporteresti così da cafone con una ragazza carina e giudiziosa come me!-

-E se tu fossi anche solo un po’ giudiziosa, non perderesti il tuo tempo dietro ai fumetti, i videogames, tutti quei dolci che ti faranno diventare una palla e ai ragazzi. È un comportamento estremamente infantile, non te lo ha spiegato la mamma?-

-Io non perdo tempo dietro ai ragazzi! Dillo a quelle altre, non a me che invece sono costretta ad ascoltare le tue sciocche farneticazioni. E bla bla bla…-

-Farneticazioni? Ma allora non sei così ignorante come credevo, hai appena usato un vocabolo ricercato! Dì, un po’… l’hai letto sul cruciverba del tuo fumetto preferito, tra le parole, ‘fantastico’ e ‘megagalattico’, non è così?-

-Oh, Mamoru, sei impossibile! Non ti sopporto più!-

 

Usagi pestò i piedi per terra e si voltò infuriata, dirigendosi verso il bar. Non ne poteva più di quell’odioso, maschilista, insensibile, baka e del modo in cui si comportava con lei! Ma chi si credeva di essere? Le aveva dato della gallina, aveva detto che, nonostante fosse molto carina, era superficiale e infantile! 

“Aspetta un attimo… Ha detto davvero molto carina?”, si domandò Usagi, ma, non appena scorse i suoi amici bere degli invitanti bicchieroni di limonata, la questione evaporò dalla sua mente che fu totalmente assorbita dalla bevanda offertole da Naru.

 

“Mi ha chiamato tacchino, orso, bradipo… Quanti animali conosci, Testolina Buffa!?”, rise tra sé e sé Mamoru, finalmente meno teso, “In fondo quella ragazzina mi aiuta a non pensare ai miei problemi… anche se… Ha detto davverobelli come me non c’è nessuno’?”, si domandò sghignazzando, poi scosse il capo e raggiunse gli altri al bar.


Erano ormai vicini alla città di Kagoshima, la prima lunga tappa del viaggio si era quasi conclusa e se solo non si fossero lasciati convincere dalle modeste finanze delle ragazze a prendere quel lentissimo treno regionale, avrebbero sicuramente potuto già essere in nave.

-Adesso rimangono solo sette giorni e sette notti-, osservò soddisfatto Mamoru, pensando a quanti infiniti modi indisponenti di prendere in giro Usagi avrebbe potuto elaborare in tutto quel tempo a disposizione. Quello sarebbe stato il massimo dello sforzo che avrebbe fatto: una settimana di completo relax, ecco quello che gli ci voleva. 

Davanti a lui il panorama aveva assunto le tonalità calde e confortanti del tramonto ormai prossimo.

-Hai litigato ancora con lei-, quella di Motoki era un’affermazione, ma Mamoru non si meravigliò: avevano parlato così tante volte del suo atteggiamento nei confronti di Usagi, che ormai il suo amico avrebbe dovuto farsene una ragione. Tra loro due funzionava così e a entrambi andava bene.

-Lo sai che non posso farne a meno-, Mamoru ammise ghignando, mentre affondava il naso nel bicchiere di limonata ghiacciata.

-Non pensi mai che Usagi possa rimanerci male, Mamo?-, gli domandò il biondo, con aria grave che lo lasciò interdetto per un istante.

-Naaa, anche lei adora trattarmi male!-, si giustificò, assestando una bella pacca sul braccio dell’amico.

-Sai che ha detto Naru, poco fa?-, Motoki si voltò, dando le spalle al finestrino e parlando da sopra la sua spalla.

-Illuminami-, lo schernì Mamoru.

-‘Chi disprezza, compra’…-, gli sorrise sornione e non aggiunse altro.

-… e?-, Mamoru lo stuzzicò, sapendo bene dove sarebbe andato a parare. Gli avrebbe detto che, in fondo, anche lui voleva bene alla biondina, che era solo un modo per non mostrare quello che provava per lei, che dietro alla sua ostilità si nascondeva una bella amicizia, che forse, ‘se guardi nel tuo cuore, Mamoru, vedrai che in fondo Usagi sarebbe perfetta per te’. Ogni volta gli ripeteva le stesse cose e ogni volta Mamoru lo lasciava parlare.

Nel suo cuore non c’era posto per nessun’altra: amava segretamente Sailor Moon, chiunque lei fosse e non sarebbe stata una ragazzina solare e frivola come Usagi a fargli cambiare idea.

-… e, mi dicevo…-, riprese Motoki, -Chissà se la nostra amica, in fondo in fondo, non abbia una bella cotta per te…-, il biondo si gustò l’espressione basita dell’amico, preso in contropiede e se ne andò, facendogli ciao ciao con la mano.

 

La prima parte del piano “Operazione Cupido”, aveva avuto inizio.



 

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Il treno rallentò fino a fermare la sua corsa in uno stridio di ferro contro ferro, mentre una nuvola di polvere si sollevava da sotto la sua pancia metallica. Non appena le porte si aprirono, Usagi e le sue amiche saltarono giù dalla carrozza, ancora più euforiche di quando erano partite. La prima tappa del viaggio si era conclusa e adesso le aspettavano sette giorni di assoluto relax e divertimento, culminanti nel concerto dell’eclisse che si sarebbe tenuto l’ultima delle sere all’isola.

-Prendi, Usa!-, Makoto attese che la sua amica scendesse sulla banchina e le passò il voluminoso zaino che si era portata dietro come bagaglio: uno zaino verde e rosa, nel quale aveva stipato tutte le sue cose fino a far tendere in modo preoccupante le cuciture. Usagi lo afferrò e tentò di rimetterselo in spalla, sbilanciandosi. Quella mattina, quando era scesa di macchina diretta ai treni, era stato suo padre ad aiutarla a sollevarlo e solo allora si rendeva conto di aver esagerato un pochino con la quantità di roba portata.

Nella stessa situazione si trovarono poco dopo anche Naru e Ami, mentre Rei e Minako, vista l’esigua quantità di stoffa prevista e trasportata, avevano meno difficoltà.

-Attenta, Testolina Buffa, o ti cappotterai sulla schiena come una tartaruga e morirai qua alla stazione, mentre noi ce la spasseremo al mare!-, la prese in giro Mamoru, afferrando senza difficoltà il manico del suo zaino e sollevandolo finché lei fu in grado di infilarsi gli spallacci.

-Grazie…-, fu costretta a rispondergli la ragazza, ma proprio non ce la faceva a mostrarsi convincente se quel maleducato continuava a trattarla a quella maniera. Si morse la lingua per non aggiungere commenti e offese e si allontanò.

-Prego…-, sussurrò Mamoru al vuoto che lei aveva lasciato, leggermente deluso per la rapida conclusione del loro battibecco. Quella ragazza e le sue buffe espressioni erano proprio una cura per lui e forse era solo l’invidia per la sua vitalità a spingerlo a pungolarla. Eppure, in fondo, aveva ragione Motoki: le uniche volte che lui non si tratteneva e lasciava uscire quel minimo di allegria che da qualche parte possedeva, sepolta dalla serietà e dalla coscenziosità, era proprio con Usagi. La biondina tirava fuori il peggio di lui, ma almeno lo faceva sentire vivo.

Ripresosi dai suoi pensieri, vide la ragazza, già gravata dal suo fardello, tentare di aiutare Ami a mettere il suo zaino: Usagi stava con le gambe un po’ piegate, aperte come un lottatore di sumo e aveva il viso rosso per lo sforzo, proprio come Ami, che sciorinava una litania di scuse per lo sforzo che stava facendo l’amica. Si diresse rapidamente verso le due ragazze per portare loro aiuto – in fondo non era un bifolco come Usagi amava ripertergli – ma fu preceduto da Motoki, che aiutò Ami e fece un bel sorriso a Usagi. Mamoru osservo con attenzione il lieve rossore che comparve sulle guanciotte della Testolina Buffa e il modo in cui abbassò imbarazzata gli occhi, quando lui le scompigliò i capelli della frangia, dicendole qualcosa di divertente. Subito dopo, proprio come un anatroccolo, Usagi iniziò a seguire il suo amico zompettando alle sue spalle, facendo ondeggiare i codini dietro a lei.

“Si butterebbe già da un ponte, se lui lo facesse per primo”, constatò Mamoru e, prendendo con un gesto il suo zaino e mettendoselo su una sola spalla, alzò le sopracciglia e si accodò al gruppo che era già in direzione dell’uscita della stazione di Kagoshima.

 

Chissà se la nostra amica, in fondo in fondo, non abbia una bella cotta per te…

 

Gli tornarono in mente le parole di Motoki e scosse la testa: “No, mio caro, la cotta Usagi l’ha presa per te e forse, adesso che sei libero, potrebbe anche realizzare il suo sogno”.

C’era un pezzo di carta appallottolato per terra e, passandoci accanto, Mamoru lo calciò con violenza, facendolo volare lontano.


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-Dobbiamo andare di là-, disse con voce stentorea Rei, tenendo il dito ben fermo sulla cartina della città che aveva a lungo studiato, mentre progettava quel viaggio.

-E io ti dico che è di là!-, la corresse Hiro, accendendosi una sigaretta, una volta all’aria aperta.

-Ma cosa fa… fuma???-, domandò in un orecchio Usagi a Naru, scandalizzata per il comportamento del cugino di Umino. Quei due erano diversi come il giorno e la notte, come la luce e il buio, come un nigiri al polpo e un futomaki al cetriolo. Naru, imbarazzata, si strinse nelle spalle e si limitò ad allontanare da sé una nuvoletta di fumo bianco, tossicchiando.

-Se noi siamo qua-, insistette Rei, afferrando per un braccio Hiro, affinché guardasse sulla mappa, -e dobbiamo andare qua, è ovvio che la strada migliore è questa!-, dichiarò con convinzione.

-Di la-aàà!-, cantilenò Hiro, soffiandole in faccia una voluta di fumo che la fece tossire.

-Screanzato!-, gli disse Rei, puntando i piedi a terra, mentre in realtà il suo cuore ballava la rumba.

-Lo sai che sei carina, quando ti arrabbi?-, le confidò Hiro, sorridendo in modo obliquo e irresistibile, -Comunque ho ragione io-, ribadì lui, facendo infuriare ancora di più Rei, ormai paonazza per la rabbia e l’imbarazzo.

 

Il gruppo stava per dirigersi verso la strada indicata da Hiro, quando una voce familiare, richiamò la loro attenzione.

-Ehi! Reeeeiii!!!! Ci sono anch’iooo!!! Aspettami!-, correndo trafelato con lo zaino in spalla, dopo poche falcate, Yuichiro Kumada raggiunse la sua amica, che lo fissava basita.

-Rei! Rei! Hai visto, ce l’ho fatta! Ho preso il treno veloce dopo il vostro e sono riuscito a trovarti in tempo!-, tanto il viso buffo e cordiale di Yuichiro era euforico, quanto quello di Rei stava virando dal rosso al nero. 

-Oh oh…-, Usagi si rannicchiò dietro Ami, la quale, involontariamente, trovò riparo dietro le spalle di Makoto, mente Minako, senza farsi notare, sgattaiolava quatta quatta il più lontano possibile dal luogo della prossima esplosione. Perché era sicuro: Rei sarebbe esplosa…

-Non sei contenta di verdermi, cara Rei? Sarà una vacanza M-A-G-N-I-F-I-C-A! E tutto grazie a tuo nonno che mi ha concesso le ferie, proprio per raggiungerti e vegliare su di te e…-

Rei stringeva convulsamente un pugno, mentre mentalmente contava fino a dieci, tentando di contenere la rabbia. Perfino Mamoru, che tra tutti i ragazzi era quello che la conosceva meglio, nonostante tutto, si accorse di quel che stava per accadere e sfiorò il braccio di Motoki, facendogli intendere di retrocedere il più possibile, senza farsi notare.

-Avevi lasciato a casa il tuo kimono, gli ultimi manga che avevi comprato e anche la cuffia per i capelli: ti ho portato tutto io! Ah, e anche il pigiama con gli elefanti rosa, l’apparecchio per i denti e il tuo coccodrillo di peluche!-, Yu sorrideva felice come non mai, i suoi occhi potevano illuminare un viale di notte. Davanti a lui c’era la sua Rei e tutto il resto non importava.

Hiro notò lo straordinario sforzo che la ragazza stava facendo su se stessa per non esplodere e, visto che l’aveva appena trovata molto carina da arrabbiata, decise di aggiungere al vaso la famosa goccia che l’avrebbe fatto traboccare. Nel caso di Rei, deflagrare.

-Rei, non mi presenti il tuo amichetto? Piacere, io sono Hiro Gurio, cugino di Umino e amico intimo di Rei…-, sorrise strafottente tendendo una mano a Yuichiro. Il crack che produsse il povero cuore dell’apprendista sacerdote quando udì all’interno della stessa frase le parole ‘intimo’ e ‘Rei’ fu udibile da tutte le ragazze presenti e anche dai maschi.

Kenzo pensò che il suo amico aveva finalmente trovato pane per i suoi denti, Umino, dall’alto della sua attuale condizione, ritenne di essere ormai estraneo alle dinamiche del corteggiamento che rendevano il sesso maschile tanto simile ad un gruppo di bonobi, Motoki attese la furia, dietro indicazione di Mamoru e Mamoru… ricordò il modo in cui aveva reagito Rei quando le aveva fatto capire che tra loro due non avrebbe mai potuto esserci niente, all’infuori di una bella amicizia, e sghignazzò tra sé e sé pensando che, finalmente, la ragazza aveva trovato ben due diversi polli che cantassero per lei.

Alle parole di Hiro, Rei avvampò ancor di più, andando a mimetizzarsi con la maglia rossa che indossava, e ruppe gli argini. Aveva quasi trovato un ragazzo ideale: bello, aitante, divertente e sveglio almeno quanto lei e quel disperato di Yuichiro Kumada arrivava a metterle i bastoni tra le ruote? Compariva per far pronunciare a Hiro qualcosa di stupido e smontare l’aura di cui era illuminato? La stoltezza di Yuichiro, oltre che dilagante, era anche contagiosa, forse?

-Torna da dove sei venuto!-, tuonò rivolta all’apprendista di suo nonno, -Se avessi voluto invitarti alle mie vacanze, te l’avrei chiesto, stupido di un guastafeste! Invece mi pare di essere stata chiara a farti capire che ti voglio fuori dalle pa…-

-Rei!-, Ami urlò talmente forte che la parolaccia dell’amica non fu udibile: Ami tollerava tutto, perfino i battibecchi che Usagi e Rei tenevano quotidianamente con Mamoru e Yuichiro, ma non la maleducazione.

Rei si morse la lingua, puntò l’indice sul petto di Yuichiro e lo guardò con gelidi occhi minacciosi: -Ti voglio lontano da qua immediatamente. Sono stata chiara, Yuichiro Kumada? Non sei mio padre, né mio fratello, né… né il mio amichetto speciale! Quindi sparisci!!!!-, se avesse potuto, avrebbe scagliato la sua arma incendiaria sul povero Yu, riducendolo ad un mucchietto di cenere seduta stante e chiudendo lì il discorso. Si voltò e, a mento alto, fece per allontanarsi, mentre Hiro riusciva a stento a trattenere le risate, pensando che quella era una delle gattine più scontrose e focose che avesse mai incontrato. A Yu tremarono le gambe e molto probabilmente il cuore perse almeno un colpo. Le poche forze rimastegli dopo la sfuriata di Rei le impiegò per trattenere le lacrime e scusarsi con lei, come ogni volta

-Io… perdonami, Rei… non pensavo che… che ti saresti arrabbiata così tanto… Scusami… adesso me ne vado… È solo che…-, inspirò l’aria polverosa della strada e trovò l’ultima scintilla di coraggio nel suo povero cuoricino percosso, -Solo che io ti voglio tanto bene, Rei…-, sussurrò e si voltò, trascinando per una cinghia lo zaino che si era portato fin là, pieno delle cose della sua amica.

Tutti, perfino Rei, rimasero colpiti dalle parole di Yu e l’ego della ragazza subì un duro assalto, destabilizzandola per un istante. Stava per dire qualcosa, quando al posto suo parlò Motoki.

-Visto che sei arrivato fin qua, che problema c’è se ti aggreghi a noi e passi una settimana al mare? Io sono Motoki e sarò felice di dividere il mio bungalow con te, sull’isola!-

A ruota seguirono le rassicurazioni di Makoto, Usagi, Kenzo e perfino Mamoru, impietosito dalla risciacquata che quella peperina di Rei aveva fatto al povero Yuichiro. Mamoru sapeva di stare antipatico al capellone, per via della breve frequentazione che aveva avuto con la ragazza di cui era palesemente innamorato, ma, in fondo, non gliene importava molto.

A Mamoru, il giudizio degli altri, risultava non rilevante. L’importante era sentirsi bene con se stesso e tirare avanti, proprio così.

Fino a quando giunsero al porto, seguendo la strada che Ami aveva nel frattempo elaborata utilizzando un algoritmo infallibile, Rei non rivolse più parola né a Yuichiro, né a Hiro e procedette silenziosa in coda al gruppo, sempre con la solita aria altezzosa che assumeva quando si sentiva ferita.

Quante persone le avevano mai detto così espressamente e senza temere il giudizio degli altri, specie se sconosciuti, che le volevano bene? Non suo padre, certamente, né Mamoru, l’unico con cui aveva avuto qualcosa di lontanamente paragonabile a una storia. Nemmeno suo nonno si lasciava andare a smancerie, preferendo gratificare la nipote con altri generi di complimenti o affermazioni. In fondo, Yuichiro poteva essere davvero un tesoro, se si sforzava di contenere l’entusiasmo per la sua presenza e si limitava a compiere le azioni indispensabili, per evitare danni.

Un po’ come Usagi… quella piccola bomba atomica capace di passare dalla più completa euforia per una nuova balzana idea, al pianto più disperato, se qualcosa andava storto. Se lei voleva bene ad Usagi, in fondo, poteva sforzarsi di volerne almeno un po’ anche a Yuichiro, no?

I suoi due amici camminavano affiancati, pochi passi davanti a lei e solo allora Rei notò come il ragazzo fosse nuovamente sorridente e stesse dritto con la schiena e orgoglioso dell’onore concessogli, sorridendo simile a un girasole in un campo arato. Usagi invece… camminava con le spalle curve e rivolgeva solo un timido sorriso a Yuichiro, mentre lui la tartassava di chiacchiere sulle mille potenzialità che Amami Ōshima e tutte le isole dell’arcipelago di Ryūkyū  potevano offrire. Era dalla mattina che la sua amica le era parsa strana e, sebbene non si fosse risparmiata nel cibo e nella eterna lotta contro Mamoru, c’era qualcosa che non andava in lei, poteva percepirlo a pelle. Era come se si sforzasse di apparire allegra e spensierata, quando in realtà c’era qualcosa che la preoccupava.

Si affiancò ad Ami e le domandò se avesse notato anche lei qualcosa di strano: quello che ricevette in cambio fu lo sguardo più ambiguo e denso di cose non dette che l’amica le avesse mai rivolto.

-Sull’isola-, le rispose semplicemente e a Rei non rimase che attendere la conferma delle sue teorie.



 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

Notti Tormentate, L’approdo & Sprazzi di futuro 


La traversata sarebbe durata tutta la notte: le ragazze avevano scelto quell’orario proprio per risparmiare una notte al campeggio e divertirsi comunque tutte insieme.

Dopo una rapida cena al porto, a base di sushi e gamberetti fritti, il gruppo era finalmente salito sulla nave e aveva preso posto in diversi angoli strategici del ponte.

-Non capisco perché non abbiamo comprato i biglietti per le cabine-, si lagnò Minako, sentendo la salsedine attaccarsi ai suoi capelli d’oro.

-Oh, non lamentarti sempre! Se proprio non ce la fai a stare all’aria aperta, entra dentro e rallegrati dell’aria condizionata!-, la rimbrottò Makoto, -Io resto fuori a godermi il vento.-

Ami, Naru, Umino e Minako, dunque, entrarono sotto coperta, trovando alcune poltroncine della sala ristorante libere; Rei, Usagi, Makoto e Yuichiro, invece, sfidarono le intemperie, e si sistemarono in una zona protetta del ponte, vicino alle scale.

Gli altri ragazzi preferirono non accamparsi, spendendo parte della serata alla sala giochi della nave oppure schiamazzando e facendo gli stupidi attorno ai boccaporti e alle strette scale di servizio. In realtà furono sono Hiro, Kenzo e Motoki a far baccano, finché anche il terzo non abbandonò il gruppetto e raggiunse Mamoru che se ne stava solo su una panca.

-Sei in contemplazione della luna?-, domandò all’amico, sedendosi accanto a lui. A Mamoru sfuggì un breve sorriso, -Mi godo la tranquillità-, rispose, lasciando trapelare un velo di malinconia che ogni notte recava con sé.

-Dormiamo un po’?-, propose Motoki, capendo che in quel momento era giusto non indagare ulteriormente sui pensieri dell’amico e iniziò a srotolare il suo sacco a pelo.

-D’accordo…-, Mamoru accettò senza entusiasmo e lo imitò, andando a distendersi poco distante da lui, vicino alla stessa panca sulla quale fino a poco prima era seduto.


--- 


-Brr… che freddo…-, farfugliò Usagi stretta nel suo sacco a pelo, rendendosi conto che era l’unica a essere ancora sveglia. Makoto dormiva a pancia in su, con le braccia aperte fuori dalla coperta e sembrava essere a suo agio; Rei e Yuichiro, involontariamente, si erano girati in contemporanea, finendo con l’essere quasi appiccicati. Usagi pensò che, se avesse avuto a portata di mano una macchina fotografica, avrebbe potuto immortalare la coppia e ricattare Rei per il resto dei suoi giorni.

“Ma come fanno a dormire tutti così beatamente?”, si domandò sconfortata dalla solitudine, il vento freddo e appiccicoso e quella strana sensazione che non la abbandonava da quella mattina.

Ripensò alla notte precedente, della quale non ricordava assolutamente nulla. Era certa di essersi alzata dal letto, forse per andare in bagno, perché le sue pantofole, quella mattina, non erano dove le aveva lasciate la sera prima, ma nel mezzo della sua camera, abbandonate in modo disordinato. Inoltre la mamma aveva trovato il suo carillon a stella, quindi significava che era stata lei a tirarlo fuori dal piccolo cassetto dei segreti, che si era ricavata nella parte di armadio con gli abiti invernali, dove la mamma o Shingo non sarebbero mai andati a frugare fuori stagione.

Eppure non aveva alcun ricordo di quando aveva preso il ciondolo, né perché la finestra della sua stanza fosse stata chiusa con la maniglia, cosa che d’estate non accadeva mai. Erano tutti piccoli particolari che, presa dall’euforia della partenza, aveva trascurato, mentre in quel momento, quando il mugghio del motore della nave le stava riempiendo le orecchie e trapanando il cervello, tornavano a galla come tante bollicine d’aria sulla superficie di uno stagno oscuro.

Si rigirò, restando impigliata nel sacco a pelo che per metà seguì il suo movimento e per l’altra metà rimase fermo, annodandola.

-Uffa!-, squittì, cercando di disincastrarsi e tirandosi uno dei codini, che era sotto al suo stesso sedere, -Ahia!-

La situazione stava diventando insostenibile, le mancava l’aria.

Riuscì a trovare la zip del malefico coltrone e, sentendosi legata come un salame, riuscì ad aprirne un pezzettino: meglio un po’ più di vento, che non quella opprimente sensazione di intrappolamento. Con un grande sforzo riuscì a tirare fuori una gamba: perfetto, adesso sembrava un paguro bernardo, per metà dentro e per metà fuori.

Sbuffò di nuovo e la sua frustrazione se la portò via il vento. Aveva molto sonno, eppure non riusciva ad addormentarsi. La mamma le diceva sempre che quando si era troppo stanchi, paradossalmente, era ancora più difficile prendere sonno, ma lei non le aveva mai creduto. Si impose di tenere gli occhi chiusi e di pensare a qualcosa di veramente noioso, come… come la lezione di storia che doveva ripassare per il nuovo anno scolastico, oppure la lista di tutte le isole del Giappone, o anche le date di nascita delle sue amiche e…

-Basta!-, si lamentò con voce più elevata, trattenendo lacrime di irritazione che pungevano come spilli e vide Rei muoversi nel sonno, disturbata dalla sua voce. In quel modo era andata ancor più vicina a Yuichiro. Usagi sorrise appena, guardandoli e prese l’ardua decisione di alzarsi.

 

Camminare da sola su una nave in movimento, di notte, quando tutte le sue amiche dormivano e lei sola era esposta ai pericoli dell’imbarcazione e all’angoscia di tutto quel buio attorno sé, si rivelò ben presto una pessima idea. Proseguì tenendosi stretta alla ringhiera di babordo, sentendo il ponte di ferro verniciato farsi sempre più viscido e pericoloso sotto ai suoi piedi e proseguì verso poppa, dove il frastuono delle eliche era più forte. La luna non c'era a illuminare il cielo e l’umidità dell’aria offuscava gli strati più bassi di stelle e le faceva tremare come tante piccole candele al vento. Usagi si sentiva profondamente a disagio come se fosse stata una bussola che aveva perso il nord, o un pesce fuor d’acqua: lei aveva perso la sua fondamentale risorsa, cioè l’ottimismo, vedendo ovunque, di lato, davanti e sopra di lei, solo la notte buia. Anche la luna era andata via, forse era scappata perché non voleva vedere come la sua paladina stesse male.

Era come nel suo sogno: non ricordava nulla, se non il buio della notte e la consapevolezza di essere sola.

Di aver perduto il suo amore.

“Tuxedo Kamen… dove sei adesso?-, pensò tremando per il vento umido e freddo e si accucciò ai piedi di una delle panche del ponte, rivolta verso la direzione dalla quale stava procedendo la nave. Era arrivata a desiderare di patire ancora per il dolore della ferita, perché quando accadeva, significava che lui stava arrivando. Ricacciò indietro una lacrima di malinconia e sfilò dalla tasca della sua felpa il carillon; aprì lo sportellino sapendo che non sarebbe uscito suono e invece quella volta funzionò. Fu percorsa da un brivido e lasciò che la melodia si confondesse al boato della nave e risanasse un po’ il suo cuore.



 

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Ti sento tremare tra le mie braccia, so che sto tremando anch’io. Le tue labbra timide si fanno d’un tratto più audaci, divengono bollenti e scaldano il mio sangue.

 

La luna è rossa.

 

Ti stringo di più, perché l’attimo è vicino. So quello che accadrà, so che forse sono io la causa di ciò che soffri, ma non posso più privarmi del tuo abbraccio, del tuo corpo stretto al mio. Posso sentire il tuo cuore che batte velocemente; le tue lacrime bagnano anche il mio viso e richiamano le mie. Ma io devo essere forte per entrambi, per proteggere tutto quello che abbiamo conquistato.

-Per sempre insieme-, sussurro al tuo orecchio e vorrei che le mie parole si tramutassero nella realtà. Vorrei addormentarmi abbracciato a te e svegliarmi tra mille anni, trovando il tuo sorriso a rischiarare una nuova alba insieme. Vorrei che tutto tornasse a un mese fa, a quando ancora nel tuo cuore di luna albergava la pace.

Ti bacio ancora, mentre in lontananza infuria la battaglia annunciata dalla profezia crudele. Il tuo viso è illuminato dai bagliori sinistri della luna rossa, che crea ombre sotto ai tuoi zigomi e muta i tuoi lineamenti angelici.

Perché sta succedendo? Cosa è accaduto nel tuo animo che ti ha lasciata indifesa e ti ha esposta a tutto questo? Perché non riesci a trovare dentro di te la forza per fermare la Luna e la sua rabbia convulsa?

 

Lo spostamento d’aria di un’esplosione giunge fino a noi e smuove i tuoi capelli che arrivano al mio viso. Profumano ancora di fiori e miele, di dolci fatti in casa e della mattina di primavera.

Ti aggrappi alle mie spalle e sussulti, mentre sopra di noi la luna sanguina…

 

Ti dico che ti amo e che tornerò, ma adesso devo andare e lottare per il tuo futuro. 

Ti mento, ti illudo che tornerò e che tutto sarà come prima. Ma io non tornerò…

 

Non tentare di trattenermi, ti prego, non cercare di convincermi a nascondermi, perché significherebbe condannare te, amore mio. Preferisco lottare e rischiare la mia vita, piuttosto che vedere la tua in pericolo, mia unica luce.

Afferri la mia mano e vi posi un dono: io so cos’è, è il tuo carillon, quello che ascoltavamo insieme nei pomeriggi assolati, quello che suonava della nostra canzone d’amore, quello che…


La melodia leggera e dolce come il tuo bacio si diffonde soave nella notte, il frastuono della battaglia si fa più distante, sempre più soffuso, finché si placa.

Un bianco raggio di luna bagna la tua pelle, i tuoi occhi chiusi, si rifrange in mille colori sulla lacrima che scivola sulla tua pelle di pesca.

Apri gli occhi e sei confusa, proprio come me.

Un bianco raggio di luna…

-Va tutto bene-, sussurro al tuo orecchio, stringendoti tra le mie braccia. Vorrei stare così per sempre, finché la vita non ci abbandonerà, tra mille anni, dopo una vita felice insieme.

È anche quello che tu vuoi?

Ti rannicchi nel mio abbraccio, posi la testa nell’incavo del mio collo, inspiri l’odore della mia pelle e un sorriso tranquillo illumina il tuo volto.

-Ti voglio un bene dell’anima-, bisbigli sul mio collo e strusci il nasino; sei dolce come un piccolo cucciolo prezioso: sei parte di me, perché hai rubato una parte del mio cuore.

Riluttante mi scosto appena da te, mentre la nostra melodia rallegra il giorno che sta nascendo e la luna si inchina all’aurora della nostra vita: mi guardo intorno e scorgo una meravigliosa distesa di fiori, ma il più bello sei tu e mi soffermo a guardarti. Potrei passare ore così, osservando il tuo volto dolcissimo, la bocca gentile e le labbra di luna. Conosco a memoria lo scintillio dei tuoi occhi color del cielo, perché tu sei dentro la mia anima.

Sfioro la tua fronte con la mia, so di essere pronto a fare quello che sto per fare, il cuore batte furiosamente: spero che anche tu lo sia.

Mi allontano per un istante e tu mi guardi sorpresa: l’innocenza del tuo volto, delle tue labbra socchiuse e degli occhi luminosi mi sciolgono il cuore. Non ho quello che mi serve, ma è questo il momento perfetto per noi.

Scorgo un cespuglio nel prato fiorito e colgo una rosa per te, ferendomi il dito.

Tu mi guardi in apprensione e mi raggiungi. Baci il mio dito e macchi le tue labbra rosa del mio sangue.

Non posso più aspettare, non riesco a resistere e ti bacio, leccando imbarazzato le tue labbra. Adesso so che sapore ha la luna. Adesso so che non posso più fare a meno di lei.

Mi inginocchio davanti a te, mentre nelle orecchie rimbomba l’oceano in tempesta del mio cuore pazzo d’amore.

Ti porgo la rosa, abbasso lo sguardo, sulle tue guance affiora un irresistibile rossore. Vorrei stringerti e dirti ogni cosa con un solo bacio.

-Serenity… io…-, è così difficile da dire, eppure è la cosa che sogno da cento anni. Mi dai forza allungando una mano e sfiorando il mio viso in una dolce carezza. Inspiro l’aria dolce dell’aurora e ti guardo negli occhi. Sei mia. Sei sempre stata mia. Lo sarai per sempre, perché sei già la padrona del mio cuore, della mia anima, la regina del mio passato, la donna che voglio nel mio futuro.

-Serenity… ho solo questa rosa rossa da donarti… Amore mio… vuoi passare la tua vita assieme a me?-, mi viene da urlare, da piangere, da ridere e da stringerti a me… la testa mi gira, le gambe cedono, il cuore sussulta, la voce si incrina rapita dall’emozione che mi dai.

-Serenity… vuoi sposarmi?-

 

Il vento si placa, le api non ronzano più, anche il mio cuore adesso tace.

 

C’è solo la melodia struggente del carillon, unico testimone in questa mattina di luna.

 

I tuoi occhi sono stupiti e brillano come stelle, ti vedo tremare e portare le mani al petto.

Le tue labbra si aprono lentamente, la risposta sta per arrivare e d’un tratto dentro di me torna a galoppare fremente il mio cuore.

 

-Endymion… io…-



 

Un schizzo d’acqua salmastra cadde sul viso di Mamoru, svegliandolo all’improvviso. Rimase immobile, disteso sul freddo metallo del ponte della nave. Sbatté le palpebre come suo solito, cercando di tornare alla realtà. 

Non stava respirando affannosamente e non si sentiva spaventato dalla solita forza più potente di lui.

Stava bene, eppure, ancora una volta, non ricordava nulla, tranne il suono melodioso del carillon a stella.

Si tirò su, affondando la mano nei capelli, mentre la brezza odorosa della notte e del mare riempiva il suoi polmoni.

Era certo di aver udito il suono del carillon che aveva regalato a Sailor Moon mentre era Tuxedo Kamen.

“Me lo sono sognato…”

Scosse la testa, dandosi dell’idiota: era su una nave in mezzo al mare, con i suoi amici, Sailor Moon non poteva essere lì. In quel momento era solo Mamoru Chiba, condizionato dall’identità segreta che si stava impossessando delle sue notti e dei suoi sentimenti.

Si voltò e vide Motoki che dormiva placidamente. 

Incredibilmente, vista la condizione di estrema scomodità in cui si trovavano, anche lui aveva riposato bene e si sentiva rilassato, come non gli accadeva da notti e notti. Si stiracchiò e decise di fare un giretto sul ponte: il cielo era pieno di stelle e prima che la luna fosse salita in alto, poteva godersi le profondità della notte e riconoscere le costellazioni, come faceva sempre da bambino.

Sistemò il cappuccio della sua felpa, che si era arrotolato su se stesso, infilò le scarpe da ginnastica e prese a vagare nel silenzio della nave. Oltrepassò un gruppo di ragazzi accampati in cerchio, non potendo fare a meno di udire il parlottio di alcune ragazze, che avevano fatto comunella e probabilmente fantasticavano sulla vacanza che le attendeva e giunse fino alle scale vicino alle quali riconobbe Makoto, Rei e Yuichiro. Si soffermò a guardare i due che dormivano vicini vicini e scosse la testa, pensando che neanche in sogno e sotto tortura lui avrebbe mai potuto essere romantico solo un decimo di quello che era il giovane inserviente del tempio. Se solo avesse avuto una macchina fotografica, pensò, avrebbe scattato una bella foto da regalare al povero sventurato come indennizzo per tutte le pene che gli faceva passare la morettina.

Proseguì leggero fino a poppa: era una bella notte e si sentiva rilassato.

Si appoggiò al parapetto e guardò in basso, dove la spuma bianca del mare, causata dalla eliche della nave, catturava la debole luminosità della luna che stava sorgendo.

Oltre il frastuono e il rollio della nave, poteva carpire la placidità del luogo dove si trovava. C’erano le stelle, la brezza soffiava allegra, lo sciabordio dell’acqua sulla chiglia della nave risuonava come una ballata dei tempi antichi, tutti dormivano tranquilli e…

 

Scorse un’ombra poco distante da lui, nascosta dietro una panca umida e appiccicosa di salsedine, si abbassò per guardare e solo allora la vide.

Il suo cuore perse un battito e lui non seppe spiegarsi perché. Rannicchiata a terra, tremante, c’era Usagi e sembrava fosse addormentata, anche se… aveva i lineamenti del volto tesi, la fronte increspata, le mani strette a pugno. Si chinò su di lei e la scosse dolcemente: cosa ci faceva là, senza neanche il sacco a pelo? La ragazza non si mosse ed emise un debole lamento. 

Mamoru si guardò attorno preoccupato, Usagi era lì da sola, toccava a lui aiutarla; sfiorò con la punte delle dita il volto della ragazza, chiamandola per nome, ma lei non si svegliò.

-Coraggio, Testolina Buffa, ti prenderai un malanno se rimani qua-, sussurrò al suo orecchio, ma non ebbe risposta. Afferrò con delicatezza le sue spalle e la sollevò appena, sostenendola dietro alla nuca.

-Usagi… Svegliati, devi tornare in un posto più protetto-, le disse, ma gli rispose solo un altro gemito, quasi impercettibile. La ragazza sembrava intrappolata nel sonno più profondo e a Mamoru dispiacque un po’ forzare il suo risveglio. Per questo fece passare un braccio sotto le sue ginocchia, sistemò meglio quello con cui le teneva la nuca e si puntellò, per sollevarla di peso.

 

Quando fu tra le sue braccia, per un attimo Mamoru sentì la testa vuota, come se avesse avuto un capogiro. L’attimo dopo avvertiva solo una strana sensazione alla base della nuca. Scosse la testa e assicurò la presa sul corpo della sua amica, incamminandosi verso una zona meno ventosa della nave. Non si accorse quando Usagi piegò le labbra in una smorfia di dolore, né vide le sue braccia allungarsi verso di lui e aggrapparsi alla felpa. Sentì solo il freddo delle dita che si insinuavano tra le pieghe della stoffa e il respiro spezzato sulla sua pelle. Non si accorse che il suo cuore correva veloce.

-Ehi, Testolina Buffa! Così finirò per emozionarmi!-, scherzò a voce bassissima, che udì soltanto lui. Usagi affondò la testa spettinata nell’incavo del suo collo e involontariamente strusciò il naso sulla sua pelle.

 

Fu come una scarica improvvisa: lampi di luce e strappi di suoni rapirono per la durata di un battito di ciglia Mamoru alla sua realtà, riportandolo in un prato fiorito baciato dalla luce all’aurora, con una rosa in mano e il cuore che batteva forte forte, proprio come in quel momento.

 

Dopo, di nuovo ci fu il vento, e la notte e il muggito dei motori del traghetto. Scosse la testa, cercando di scacciare dalla sua mente quella stranissima e intensa sensazione che lo aveva colpito e proseguì con Usagi tra le sue braccia fino allo sparuto accampamento.

-Che è successo?-, domandò Yuichiro, che si era casualmente svegliato e stava sbadigliando, tenendo sempre d’occhio la sua Rei, raggomitolata al suo fianco.

-L’ho trovata a poppa-, spiegò lapidario Mamoru e accettò l’aiuto di Yu per farla di nuovo stendere nel suo sacco a pelo.

-Non dire nulla a nessuno di… tutto questo-, chiese a Yuichiro, cercando di apparire il meno coinvolto possibile nella faccenda e l’altro gli sorrise porgendogli la mano e facendogli l’occhiolino con quel suo viso tanto onesto e tanto simpatico. Anche se era buio, le guance arrossate di Mamoru e la tensione palpabile che lo avvolgeva non gli erano sfuggite.

Mamoru lo salutò con un cenno della mano e tornò al suo giaciglio. Ci sarebbero state ancora diverse ore prima dell’alba e poteva approfittarne per dormire un altro po’.

 

Si coricò e lanciò un ultimo sguardo alla luna, che iniziava a fare capolino oltre l’orizzonte, bianca come il latte, luminosa come gli occhi di quella fanciulla di cui non ricordava niente, ma che popolava i suoi sogni.

 

Si girò di fianco e sospirò.

Mancavano ancora sette giorni e sei notti…


Chissà se la nostra amica, in fondo in fondo, non abbia una bella cotta per te…

 

Le parole di Motoki, di nuovo, tornarono alla sua mente e Mamoru sorrise, addormentandosi.


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Quando la nave entrò nel porto di Amami Ōshima era ormai mattina. Il sole splendeva in cielo e una fresca brezza scompigliava i capelli delle ragazze appollaiate sul ponte, a prua, che ridevano felici. Umino, Motoki, Yuichiro, Mamoru, Hiro e Kenzo, alle loro spalle, stavano già pensando a tuffarsi nell’acqua invitante ed estremamente limpida.

-È così bello!-, esclamò Usagi, radiosa, tenendosi le code ferme con le mani. Sorrideva felice e i suoi occhi, dello stesso colore del mare, brillavano sul suo viso candido.

-Non vedo l’ora di andare sulla spiaggia a prendere il sole-, sillabò Minako, incantata dal panorama che l’isola offriva loro, via via che vi si avvicinavano.

-Ricorda di mettere sempre la crema solare-, l’ammonì maternamente Ami, tenendosi fermo sulla testa, con la mano, il cappellino di paglia che voleva volare via.

Makoto non aveva parole per descrivere la sua gioia nell’essere finalmente giunta alla tanto agognata meta e il suo sguardo grato ed emozionato parlava per lei.

Naru si strinse al braccio di Umino e sorrise placidamente; Rei si voltò e incontrò la faccia sorridente di Hiro, che le mise una mano sulla spalla; Yuichiro si sentì morire e pregò perché si aprisse una botola sotto ai piedi del capellone. Motoki sospirò, ricordando l’anno precedente, quando su quell’isola c’era stato assieme a Reika e suo fratello Kenzo lo colpì lievemente con un gomito, per attirare la sua attenzione e domandargli, in un gioco di sguardi, che cosa avesse.

Mamoru inspirò l’aria di mare, guardò il sole che era già alto e scosse la testa, per cancellare l’immagine di Usagi tremante e addormentata della notte prima: quella ragazza era la sua batteria di buonumore e non doveva esaurirsi, o anche lui sarebbe ricaduto nel cinismo e nella solita autocommiserazione. 

Una folata di vento più forte fece volare via il cappello di Ami, scompigliò le chiome di Minako e Rei e liberò una delle code di Usagi dalla sua mano, facendola arrivare sul viso di Mamoru.

-Ehi! Attenta Testolina Buffa! Che fai, mi frusti con i codini?-, scherzò, pungolandola per iniziare subito bene la giornata e far evaporare quella sensazione di tristezza, che si portava avanti dalla nottata.

Usagi girò su se stessa, ridendo contenta, stranamente ancora non arrabbiata; Mamoru rimase un po’ interdetto, ma quando lei dichiarò che quella mattina era troppo felice per lasciarsi rabbuiare dai suoi commenti, il ragazzo fu assalito dalla curiosità di conoscerne il motivo.

-E comunque… sì, ti frusto! Ah ah ah!-, gli rispose Usagi, continuando a girare su se stessa come una trottola e cercando di colpirlo volontariamente con le code, finché non perse l’equilibrio e lui l’afferrò per le spalle, prima che rovinasse al suolo o, peggio, cadesse in mare.

Se ne rese conto immediatamente: mani sulle sue spalle a sostenerla… era una sensazione già provata… per questo il sangue affluì rapido alle sue gote, imbarazzandola a morte. Si divincolò dalla stretta di Mamoru e si voltò dall’altra parte, incrociando le braccia al petto.

 

Ci fu un attimo in cui gli unici rumori furono gli schiamazzi degli altri passeggeri, per lo più comitive di giovani, simili alla loro, i ringraziamenti di Ami verso Kenzo, che aveva recuperato il suo cappello e il digrignare dei denti di Yuichiro,  che si corrodeva per la gelosia nel vedere Rei e quell’Hiro che ridacchiavano complicemente vicini.

 

-Co… comunque, se… uno dei tuoi codini mi… ricapita a tiro, … te lo taglio, Faccia di Luna-, Mamoru deglutì, inforcò gli occhiali da sole che teneva nel taschino e trattenne l’aria.

-Provaci e… -, Usagi partì rapida nella sua risposta, ma si bloccò immediatamente: cosa avrebbe potuto minacciare di fare a quel baka, di altrettanto oltraggioso?

Mamoru espirò, divertito dall’incertezza di Usagi e completamente rinfrancato.

-…e? Che mi faresti, Testolina Buffa? Pensa ai vantaggi della cosa: se ti tagliassi i codini non potresti più farti quei brutti odango e forse, forse, potresti sembrare anche una ragazza normale!-

Usagi si intirizzì, sentendo vampe di rabbia salire al suo collo.

-Hai osato dire ‘brutti odango’??? Come ti permetti, brutto maleducato, asociale, insensibile, maschilista, cafone…-, si era voltata verso di lui e in quel momento pareva di più una piccola tigre dai denti a sciabola che non una… Testolina Buffa.

-Ehi, ehi, calmati! D’accordo… tregua!-, Mamoru sollevò le mani davanti a sé, pensando che stava un po’ esagerando, per essere solo le nove della mattina. Avrebbe avuto tutto il giorno e la sera e il giorno dopo, fino alla fine della settimana, per ricaricarsi con la sferzata di energia che Faccia di Luna gli regalava. Afferrò i codini di Usagi e, infischiandone del suo imbarazzo, li usò per fare un doppio giro attorno al collo della ragazza: -Ecco, così non volano via e sembra che tu abbia un foulard-, spiegò, senza capire per primo da dove gli fosse venuta in mente una mossa tanto stupida, quanto audace, visto con chi stava parlando.

 

-Ragazzi, guardate!-, la voce entusiasta di Naru li richiamò e, nel parlottio che via via cresceva, tutti guardarono verso il lato sinistro della nave, dove alcuni delfini stavano nuotando a pelo d’acqua, come se volessero accompagnarla in porto.

-Che belli!-, Usagi giunse le mani e le portò vicino al viso, inclinandolo di lato con fare sognante. Era stanca, sì, ma andava tutto bene: c’erano i delfini, il tempo era bellissimo, aveva fatto un sogno splendido. E, non per ultimo, l’arrabbiatura per le petulanti battute di Mamoru era già scomparsa.

Solo poco tempo prima, era stata Makoto a svegliarla quando sulla nave erano già quasi tutti in fermento per il prossimo approdo all’isola. Le aveva portato un cornetto caldo preso al bar sotto coperta e un bicchiere di cappuccino: ‘Colazione a domicilio’, aveva trillato in modo dolcissimo ed era rimasta con lei finché non si era sistemata e pronta a ripartire.

Anche se aveva già fatto colazione ed era sveglia da diverso tempo, Usagi si sentiva ancora nel bellissimo sogno che aveva fatto: Tuxedo Kamen correva in suo aiuto, la confortava, la prendeva tra le sue braccia mentre un milione di stelle cadenti illuminavano romanticamente il mare. Anche nel sogno era su una nave, ma era solo per loro due: lei si stringeva al collo dell’uomo mascherato, sfiorava la sua pelle e ne inspirava il profumo indescrivibile, finché, finalmente, lui si faceva più audace e si avvicinava a lei, fino a baciarla.

 

-Ahh…-, esclamò estasiata con la testa poggiata sulla ringhiera della nave, ripensando al sogno che le era parso così reale da domandarsi se davvero Tuxedo Kamen non fosse stato a bordo vicino a lei: ricordava perfettamente il suo abbraccio, la sua pelle morbida, il suo profumo inconfondibile… -Ahhh…-

Qualcuno la disturbò, posandole una mano sulla spalla. Usagi si voltò indispettita, pronta a fucilare chi avesse interrotto il suo sogno ad occhi aperti e…

-Motoki!-, escalmò, ritrovando di colpo il buonumore.

-Siamo quasi arrivati, Usagi, dobbiamo iniziare ad avviarci all’uscita-, le spiegò, quindi sollevò il suo zaino rosa e verde e la aiutò ad indossarlo; -Andiamo-, le sorrise, prendendola per mano e conducendola verso il resto del gruppo.

“Non sto ancora sognando? Motoki sta davvero stringendo la mia mano?”, pensò la ragazza, mentre il cuore accelerava la sua corsa e gli ingranaggi del suo cervello riprendevano a fantasticare, lì dove si erano interrotti. Ah, se davvero Motoki fosse stato Tuxedo Kamen… avrebbe significato che lui l’amava e che avrebbe potuto non avere più misteri per lui… avrebbero potuto stare insieme alla luce del sole e durante le battaglie e…

-Usagi, potresti lasciarmi la mano, se non ti dispiace? Vorrei aiutare anche Ami…-, gli occhi verdi del ragazzo la guardarono lievemente confusi e lei, strillando imbarazzata, mollò la mano del biondo e si allontanò fino al lato opposto del gruppo, stando ben attenta ad evitare il baka che senza dubbio avrebbe trovato qualche commento carino a riguardo da farle.



 

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Alla spicciolata il numeroso gruppo di amici scese dalla nave andando a radunarsi, come da accordi,  in prossimità del banco dell’ufficio informazioni. Usagi teneva per mano Naru e si era fatta spazio tra la folla che brulicava sulla banchina del porto fino al luogo dell’incontro. Si guardò a destra e a sinistra, sbracciandosi per richiamare l’attenzione ora di Rei, ora di Hiro e Kenzo.

-Dunque, contiamoci-, esordì seria alzando lo sguardo verso il gruppo di amici in cerchio, -... otto, nove, dieci, undici… Lo sapevo, ne manca uno!-, adocchiò la testa bionda di Minako che cercava di raggiungerli, -Sveglia Bella Addormentata!-, chiamò l’amica a gran voce e solo quando fu davanti a lei trasse un sospiro di sollievo. Aveva bisogno di sapere che erano tutti insieme, che nessuno si fosse perso per strada, che non sarebbe rimasta da sola; da quel giorno sapeva di aver sviluppato una sorta di fobia che la portava ad andare nel panico se non vedeva tutte le sue amiche. Fatto l’appello si rasserenò e lasciò agli altri l’incombenza di organizzare la successiva trasferta.

L’isola era molto grande e, nonostante Amami fosse la città principale, il loro gruppo aveva scelto una sistemazione nelle vicinanze della cittadina di Setouchi, dove si sarebbe tenuto il concerto la sera prima del loro rientro. Il camping che avevano contattato distava pochi chilometri dalla stazione dei pullman e lo avrebbero raggiunto, come da programma, tramite un bus locale che faceva servizio navetta.

Dopo essere sbarcati, Usagi, Naru, Ami e Umino cercarono una cabina telefonica per chiamare a casa e informare le famiglie che le prime tappe del viaggio erano andate come da programma. Furono chiamate brevi, nel mentre che gli altri studiavano la mappa per raggiungere la stazione dei bus locali. Quando vi arrivarono, persero per un soffio il primo pullman in partenza per Setouchi dal momento che non avevano ancora acquistato i biglietti, ma fortunatamente le corse erano piuttosto frequenti e riuscirono quindi a non rallentare ulteriormente la tabella di marcia, salendo sul pullman successivo.

Usagi volle a tutti i costi sedersi vicina a Naru, argomentando che quella era la loro prima vera vacanza insieme, nonostante si conoscessero fin da bambine e così Umino si sistemò accanto a suo cugino Hiro, iniziando presto a confabulare qualcosa con lui, che si concluse con un ‘Ci penso io’, detto dal più grande. Dietro di loro Mamoru e Yuichiro stavano in silenzio, ciascuno perso nei suoi pensieri.

Approfittando della distrazione della loro amica, Ami e Minako si sedettero vicino a Rei e Makoto, rispettivamente, e raccontarono loro della conversazione avuta con Artemis e… Luna, tramite il sailorofono di Minako.

-Accidenti…-, commentò Makoto, mortificata per non essersi accorta del comportamento un po’ strano di Usagi. Volse lo sguardo verso di lei e la vide chiacchierare euforicamente con Naru, gesticolando e facendo ondeggiare i suoi codini a destra e a sinistra. –Comunque a me Usa-chan sembra sempre la solita… stamattina l’ho dovuta chiamare sei volte per svegliarla: dormiva beata col sorriso sulle labbra e non mi sembrava affatto preoccupata…-, disse alle amiche, voltandosi verso il sedile di Ami e Rea.

-Forse è solo preoccupata per i risultati degli esami… ancora non sono usciti… In fondo non ha torto se se la sta facendo sotto dalla paura di essere stata rimandata, zuccona e perditempo com’è!-, si infervorò Rei, ricordando tanto Mamoru e le sue eterne paternali rivolte alla loro amica.

-Propongo di sistemarci nei bungalow e dopo chiamare Artemis… dobbiamo anche capire cosa sia successo a Luna-, disse Ami, chiudendo il discorso, un istante prima che il bus terminasse la sua corsa davanti alla reception del camping.

 

-Ci siamo!!!!-, esultò Usagi, saltando giù dal bus, tirando Naru per la mano: era raggiante e la cosa non sfuggì alle amiche, che si scambiarono un'eloquente occhiata.

-Testolina Buffa! Quanto entusiasmo! Cerca di mantenere almeno un minimo di contegno, in modo che al camping capiscano che abbiamo una persona e non una scimmietta assieme a noi!-, la irrise Mamoru, immancabilmente.

-Uffa! Quanto sei noioso, Chiba! Come fai a non essere strafelice anche tu?-, domandò retoricamente, avvicinandosi a lui, -Ah, dimenticavo, tu sei morto dentro… neanche vincere alla lotteria potrebbe farti ridere di gusto!-, affondò la sua stoccata e, lasciandolo basito, seguì saltellando Motoki, Hiro e le altre, che stavano già mostrando le loro prenotazioni alla signorina del campeggio.


Tu sei morto dentro…

Quella volta le parole che Usagi aveva usato in sua difesa, avevano colpito duro.

Morto dentro…

Era così che si sentiva sempre Mamoru, quando si svegliava nel suo letto senza sapere chi fosse davvero, con la sola consapevolezza che ciascuna delle possibili identità che gli appartenevano si stava lasciando sfuggire dalle mani quanto di più caro avesse.

Era bravo nello studio, certamente, proprio uno studente modello e un ragazzo dabbene… ma poteva davvero dire di essere soddisfatto e felice di quella vita vissuta a metà? Aveva Motoki, un buon amico, ma poi? E come Tuxedo Kamen non era stato buono a far altro che spezzare il cuore della sua amata Sailor Moon e farle del male fisicamente.

Per non parlare dei suoi sogni, che ogni volta gli lasciavano addosso la certezza di aver fallito in qualcosa di un'importanza estrema.

Forse Usagi aveva davvero colto nel segno: senza una vera meta, senza un faro che lo guidasse nella vita di tutti i giorni e uno scopo che riguardasse lui, prima degli altri, poteva considerarsi davvero morto dentro…



 

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-È deciso. Andremo noi due-

-Voi due!? Pensate di essere superiori a noi? Che non ci riesca salvare il nostro stesso futuro?-

-Calme ragazze… ragioniamo-

-Non c’è niente da ragionare: le inners non possono intervenire, perché sono già lì!-

-Forse Uranus ha ragione… se andassimo noi potremmo causare paradossi tempo-dimensionali, se incontrassimo noi stesse della dimen…-

-Ti schieri dalla loro parte, adesso? Questa cosa… spetta a noi farla!-

-No. Non vi permetterò di varcare il portale. Andranno loro due.-

-Io devo… lei… Usagi è mia amica! Devo salvare la sua felicità, lo capite?-

 

Nessuna usava più quel nome, da secoli.

Nessuna si rivolgeva alla regina come sua ‘amica’. Per tutte era solo ‘La Regina Serenity’, colei che possedeva la saggezza, portava la pace e viveva una vita ormai felice e invidiabile, con sua figlia e il suo Re.

 

-Voi non capite… se è vero… se lei… se noi… Non voglio dimenticarmi di lei, non voglio che Usagi perda tutto quello per cui vive… Per lei Mamoru è… tutto… Non può perderlo prima ancora di averlo amato!-

 

Uranus si alzò dal suo posto e avanzò nel silenzio più completo verso Mars: la guardava tremare, con la testa bassa e le mani convulsamente strette sulla stoffa leggera della tunica bianca.

L’aveva sottovalutata. Mars, la spavalda e coraggiosa Mars, colei che mieteva vittime tra i cuori degli abitanti di Crystal City e che non aveva mai guardato nessuno. Lei che forse si era donata più di tutte le altre alla causa della loro Regina, rinunciando alla famiglia che sognava più di ogni cosa per permettere a lei di avere la sua.

 

Mars, la migliore amica di Usagi…

 

Eppure lei aveva altri interessi in ballo e avrebbe fatto di tutto per difenderli, anche impedire a Mars di agire.

Si fermò ad un passo da lei e le pose una mano sulla testa.

-Non spetta a voi andare perché non avreste la nostra determinazione. Nella dimensione che ci minaccia, tutte voi vi conoscete già, condividete il vostro segreto, siete amiche affiatate. Potrete restare tali anche dopo. In quella dimensione Michiru ed io non ci siamo mai incontrate e non abbiamo mai avuto i nostri poteri. Comunque vada, non ci conosceremo mai…-

Un lampo di disperazione attraversò il suo sguardo, la mano scese dalla testa di Mars fino alla sua spalla, dove si chiuse, stringendo un po’. 

Chiuse gli occhi e inspirò senza far rumore: quello che avrebbero fatto lei e Neptune era… era ingiusto nei confronti di tutte loro, ma non le avrebbe fermate nessuna.

-Ho capito.-

Uranus guardò Mars stupita: aveva capito… cosa?

Allontanò la mano da lei e la portò con l’altra ad incrociarsi al petto. Sul volto della guerriera si era dipinta una smorfia sarcastica.

-Ho capito qual è il vostro piano-, Mars si alzò e fissò i suoi occhi in quelli della testarda outer; -Vale lo stesso anche per voi: non potrete incontrare voi stesse, no? Quindi cosa vorreste risolvere anche andando…-

-Non hai capito nulla, Mars, nulla…-, Uranus strinse i pugni e si allontanò da lei. 

-Pluto, siamo pronte.-

 

-D’accordo-, la Guardiana della Porta del Tempo precedette le sue colleghe e le scortò fuori dalla Sala, per preparare tutto l’occorrente per la missione che le attendeva. Una volta che fossero partite, non avrebbero più riattraversato il Portale del Tempo prima dell'eclisse e sarebbero rimaste a controllare che gli eventi avessero preso la piega sperata portando avanti la loro missione fino all’intersezione dei tempi.


Poi non sarebbero più tornate a casa.

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5
Contrattempi, Soluzioni & Coinquilini 


La reception del Yodorihama Camping Site era una graziosa capanna di legno e paglia, ombreggiata da palme ornamentali e chicas; sopra al bancone degli impiegati troneggiava un’insegna con scritto “Welcome to the Paradise”. Mai motto fu meno appropriato.

 

-Che cooosa???-, su tutte risuonò la voce scandalizzata di Usagi, ma la sua voce era andata a sommarsi a quella degli altri, che gesticolavano e inveivano davanti alla povera signorina della reception, indecisa se scappare o chiamare qualcuno della sicurezza a proteggerla.

“Che diavolo sta succedendo?”, si domandò Mamoru, felice di essere stato distolto dai suoi pensieri crepuscolari. Che fosse “morto dentro”, ormai lo aveva recepito, si trattava solo di dimenticarsene per un po’. Si avvicinò al gruppo e comprese subito ogni cosa.

 

-Hanno dato via i nostri bungalow…-, gli disse Motoki costernato, passandosi una mano tra i capelli. 

-Dobbiamo trovare una soluzione… come facciamo con le ragazze?-, lo affiancò Kenzo. Entrambi si sentivano responsabili nei confronti delle loro giovani amiche come lo sarebbero stati per la sorella Unazuki e, se per loro avrebbe potuto andar bene qualsiasi tipo di sistemazione di fortuna, non potevano permettere che le ragazze soffrissero per la delusione e le scomodità, senza contare che avrebbero dovuto pur farsi vivi con le loro famiglie e giustificare il problema.

Intanto Hiro, Rei e Usagi stavano letteralmente litigando con i proprietari del campeggio, che, come unica giustificazione, insistevano nel dire che ‘non vi avevamo visti arrivare, così abbiamo dato i vostri bungalow a un gruppo di ragazzi arrivato prima di voi'.

Era stato un comportamento estremamente scorretto, in quanto loro erano comunque in anticipo rispetto all'orario del check in, ma la Direzione del camping non aveva mosso un dito per aiutarli con una qualunque altra sistemazione alternativa. Effettivamente quelli erano giorni di alta stagione, considerato il periodo di chiusura delle scuole e l'organizzazione del festival musicale che si sarebbe tenuto in settimana e quasi tutte le strutture avevano pensato di fare overbooking, per accertarsi di vendere tutti gli alloggi e massimizzare i profitti.

Avevano rimborsato seduta stante la caparra versata e, letteralmente, se ne erano lavati le mani, invitandoli poco cordialmente ad allontanarsi, perché ‘il campeggio è al completo e ormai non c’è niente da fare’.

 

In due, Motoki e Makoto, dovettero tenere ferma Usagi che, come un treno, voleva tornare dai cafoni di quello che aveva definito campeggio ridicolo e cantargliene altre quattro.

Quando riuscirono a calmarla - fu sufficiente un sorriso di Motoki, una sua carezza sui capelli e le magiche parole ‘Vedrai, piccola, andrà tutto bene’ -, i dodici si incamminarono verso uno spazio all’ombra di un albero frondoso poco distante.

-E adesso cosa facciamo?-, pigolò Naru prossima alle lacrime, massacrando la mano di Umino, stretta nelle sue. Minako inforcò gli occhiali da sole e si allontanò di qualche metro; Rei strinse le mascelle, adirata, -È colpa vostra-, disse, astiosa e furibonda come un toro alla carica, volendo a tutti i costi trovare un capro espiatorio per quel contrattempo e si scagliò contro i ragazzi che si erano fermati a telefonare a casa; -Avevate bisogno di chiamare mammina subito, non potevate concentrarvi sulla nostra meta!?-, tuonò.

-Ci abbiamo messo solo pochi minuti, Rei, non è colpa nostra!-, tentò di difendersi Naru, ma la ragazza continuava a borbottare contro di loro come una pentola sul fuoco.

-Hanno fatto overbooking, sarebbe stato lo stesso se fossimo venuti qua a corsa!-, tentò di giustificare Hiro, confidando nel suo appeal sulla ragazza. Lui non aveva telefonato a casa solo perché lo aveva fatto suo cugino per entrambi, per questo si sentiva ugualmente chiamato in causa contro quell'accusa.

-Comunque sia, ci avete rallentati!-, Rei strinse i denti e si ostinò a mostrare rancore verso i compagni di viaggio, poi capitolò: -E adesso come facciamo? Dove staremo? Ma perché!?-

-Smettetela con queste lamentele e cerchiamo di far funzionare le meningi per trovare una soluzione-, Motoki s'impose sul gruppo, -Dobbiamo decidere se passare la giornata a cercare una struttura qua in zona oppure se andare nell'interno, dove sicuramente ci sarà più posto-, spiegò.

-Mentre decidete, io prendo un po’ di colorella-, dichiarò Minako allontanandosi di qualche passo, fuori dal cono d’ombra.

-Scriteriata!-, ringhiò verso di lei la mora, incrociando le braccia al petto in segno di protesta.

-Ragazze, state calme, per favore…-, disse loro Hiro, abbandonando del tutto i suoi modi da ‘fighetto’ – come lo aveva definito Yuichiro nei suoi monologhi silenziosi -  e aprendo una cartina dell’isola.

-Ci sarebbe un altro campeggio qui…-, indicò col dito sulla mappa. 

-Sicuramente sarà pieno… con tutta la gente che abbiamo visto al porto e in giro per le strade!-, Ami, di solito dalle mille risorse, stava perdendo la fiducia.

-Qualcosa dovremo pur fare! Non possiamo mica rimanere per strada fino alla fine della settimana!-, belò Usagi e una lacrima piccina piccina sfuggì ai suoi occhi.

Si era ripromessa di non mostrarsi piagnona davanti al suo Motoki e agli altri ragazzi, ma la sua fragilità era un osso duro da tenere a bada. Tirò su col naso, ma peggiorò la condizione. D’accordo, erano in una situazione alquanto disperata, ma per una cosa simile non avrebbe dovuto prendersela così tanto! Lei era una guerriera Sailor, era la paladina della legge… lei…

-Ma perché…?-, aprì le paratie e le lacrime scesero a fiumi, tra un singhiozzo e l’altro.

-Oh, Usa-chan… non fare così…-, tentò di rincuorarla Ami, abbracciandola e lasciando che piangesse sulla sua spalla, ma i singhiozzi di Usagi erano così forti ed esagerati rispetto alla reale situazione che Ami sospettò si trattasse di uno sfogo per qualcosa di più del disguido che avevano avuto.

Mentre tutti cercavano una soluzione, Yuichiro, in un angolo, cogitava imbarazzato qualche cosa, torturandosi le mani l’un l’altra; incrociò lo sguardo di Usagi per un istante, si allontanò. Rei e Makoto si erano sedute sui loro zaini, esauste e demoralizzate e Umino dette un bacetto sulla guancia alla sua Naru. Mamoru non trovò neanche una parola adeguata per prendere in giro Usagi, nel momento migliore della sua dimostrazione di profonda infantilità.

Vedendola piegata su Ami, che le accarezzava la schiena, a Mamoru tornò in mente come l’aveva trovata quella stessa notte, rannicchiata sulla nave e si dispiacque. Forse avrebbe fatto bene ad avvicinarsi alle due e tentare di aiutare Ami nella sua opera di conforto, magari dicendo ad Usagi ‘Vedrai, piccola, andrà tutto bene’, come aveva fatto Motoki, oppure…

 

Non si mosse. La guardò versare le sue lacrime e non fece nulla.

Lui era morto dentro, incapace perfino di portare conforto a una ragazzina in crisi.

 

Guardò gli altri e si sentì d’un tratto estraneo a tutto ciò: le vacanze, il mare, il campeggio. 

Non era quello il suo posto… non poteva essere davvero quello, quando non era in grado neanche di aiutare una povera bambina disperata.

-Mamoru…-, la voce di Yuichiro lo fece voltare: il ragazzo lo guardava molto in imbarazzo, sulle spine per domandargli qualcosa che non sapeva se dire o meno.

-Ecco… io… forse saprei come risolvere il problema…-, si grattò la testa, sorridendo per sciogliere la tensione e gli espose il suo piano.


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-Che caldo…-, dichiarò Minako, tornando all’ombra del grande albero. Hiro, Rei, Kenzo, Motoki… insomma, tutti tranne Umino e Naru, che si sventolavano in un angolo, Usagi, che se ne stava seduta a terra abbracciandosi le ginocchia e Yuichiro che parlottava con Mamoru, stavano studiando la mappa dell’isola. “Neanche dovessero trovare un tesoro”, pensò Minako, scuotendo il capo e anelando un goccio d’acqua.

Chissà quanto ancora sarebbero dovuti restare sotto il sole che saliva sempre di più e che avrebbe cotto un uovo su un sasso, tanto picchiava.

Ci sarebbe voluto un vero miracolo, un colpo di scena capace di ribaltare le sorti delle povere naufraghe e dei loro felici accopagnatori, su quell’isola inospitale, dove la jungla inglobava ogni cosa, comprese le case, gli alberghi, i campeggi. Avrebbero potuto trovare dei grossi tronchi e costruire una capanna, oppure disporre sulla sabbia dei sassi a formare la scritta S.O.S. e intanto cibarsi dei frutti della caccia e della pesca oppure…

-Ragazzi, ascoltateci: forse Yuichiro ha una soluzione-, disse Mamoru, richiamando l’attenzione di tutti, comprese ‘Minako la naufraga sognatrice’ e Usagi. Passò la parola al ragazzo, rosso per l’imbarazzo e sperò che tutti accettassero la sua proposta.

-Ecco… dunque… praticamente…-, iniziò a balbettare Yu, e solo il rimbrotto di Rei, che emise un qualche strano suono di biasimo nei suoi confronti, scollò la lingua dal suo palato: -La mia famiglia possiede una.. casa al mare… adesso dovrebbe essere libera e… pensavo… se vi andasse… potremmo sistemarci tutti lì-, sgranò gli occhi e portò le mani avanti, prima che gli altri potessero dire qualsiasi cosa, -Però la casa non è su questa isola, ma su Kakeroma… quindi… ecco… dovremmo prendere un altro traghetto e perderemmo almeno mezza giornata di mare e…-

-Grazie…-, Yuichiro sentì due piccole braccia stringerlo alla vita e, abbassando lo sguardo, vide la buffa testa bionda di Usagi, che aveva ricominciato a piangere sulla sua maglietta, quella volta per la gioia.

-U… Usagi…-, balbettò al culmine dell’imbarazzo, sentendo gli occhi di Rei su di sé: chissà che cosa avrebbe pensato la sua dea, vedendolo in tali atteggiamenti con un’altra; -Grazie…-, Usagi alzò lo sguardo su di lui e quegli occhioni azzurri come il mare, lucidi per il pianto e il suo sorriso bambino così spontaneo e sincero, lo fecero sentire bene. “Adesso però staccati… piccola piovretta!”, pensò e fu travolto dalle euforiche esclamazioni di gratitudine di tutti gli altri, che lo circondarono in una giostra di volti riconoscenti, espressioni sollevate, pacche sulle spalle.

A qualcosa, in fondo, era buono anche lui.


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-Non sapevo che tu avessi una casa per tutte le occasioni…-, commentò Rei, mentre alcuni del gruppo erano nella biglietteria del porto per fare i biglietti per il secondo traghetto. C’era una punta di risentimento nella sua voce, mista all’orgoglio celato e a qualcosa che Yuichiro non seppe definire.

-La casa non è mia, ma della mia famiglia…-, ci tenne a puntualizzare, ma Rei proseguì facendogli notare come l’isola di Kakeroma fosse una meta veramente esclusiva. Erano quelli i momenti in cui il ragazzo avrebbe voluto sprofondare sotto terra e rinascere come ‘Yu, il trovatello’. Aveva sempre odiato l’esternazione di ricchezza che suo padre faceva e non si sentiva affatto a suo agio nello svelare agli altri quali fossero i suoi reali mezzi.

Rei, stanca delle sue solite storie e veramente contenta per l’evolversi inaspettato della situazione, in uno slancio di gratitudine, gli allacciò le braccia al collo e lo baciò sulla guancia. In fondo era contenta che ci fosse anche il suo amico in vacanza con loro. Per Yuichiro fu come volare sulla luna e ritorno. Avrebbe voluto con tutto se stesso che il tempo si fosse fermato in quell’istante, che Rei fosse sempre così carina nei suoi confronti e che lo baciasse più spesso, gli prendesse la mano, gli sussurrasse parole gentili e facesse brillare i suoi occhi solo per lui.

-Sei proprio un amico-, gli disse la ragazza, sorridendogli spontaneamente, Yuichiro si sentì mancare la terra sotto ai piedi.
Rei continuò: -Ti rivelerò un segreto: sono felice che le cose stiano andando così… perché in realtà non mi andava proprio di  dormire sotto quelle capanne di legno, andare ai bagni comuni del campeggio e dover rispettare sempre gli orari del rientro serale-, abbassò lo sguardo, vergognandosi appena di quel che aveva detto e a Yuichiro parve la più amorevole delle ragazze del pianeta. Fu per questo che, da amico, pensò che poteva ricambiare la sua fiducia e rivelarle anche lui un piccolo segreto: -Mi ha colpito la reazione di Usagi… hai notato anche tu che è un po’ sottotono?-, le chiese e proseguì: -Questa notte sono stato svegliato da Mamoru che stava venendo verso il posto dove ci eravamo accampati: teneva Usagi in braccio e mi ha detto che l’aveva trovata da sola, a poppa-, si gustò la visione della bocca di Rei che si socchiuse per lo stupore e concluse, decidendo di segnare un punto a suo favore: -Mamoru mi ha detto di non dire niente a Usagi, ma a te so che posso parlare, perché sei una brava ragazza… Sai, il nostro amico era tutto rosso, quando ha capito che avevo visto quello che stava succedendo!-, ridacchiò con fare complice e si voltò verso Rei.

Il sorriso era sparito dalle sue labbra e gli occhi erano sottilmente socchiusi: -Non sono affari tuoi-, sibilò e se ne andò indispettita.

-Ma che ho detto, ora?-, Yuichiro colpì la sua zucca vuota con le nocche di una mano e sbuffò, in attesa di ripartire.



 

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La nave che da Amami portava a Kakeroma era molto più piccola e lussuosa della precedente, aveva il ponte tirato a lucido e un salone interno con un lampadario di cristallo. A bordo c’erano tutte persone di una certa classe, signore con abiti firmati e sandali con la zeppa alta e uomini abbronzatissimi con gli occhiali da sole fumé. Una delicata musica per pianoforte riempiva l’aria sotto coperta. 

I ragazzi si erano concentrati tutti in un unico punto dell’imbarcazione, cercando di trovare nella loro unione la forza per vincere il disagio che provavano. Quando Rei aveva detto che Kakeroma era una meta esclusiva, non sapeva fino a che punto. Minako si guardava attorno estasiata, mentre Yuchiro voleva sprofondare in mare per la vergogna. Adesso tutti sapevano che luoghi frequentassero i suoi familiari. Ci sarebbe mancato solo di trovare Takeshi, il maggiordomo, in casa e avrebbe potuto dire addio alla fama di ragazzo onesto che si stava lentamente costruendo. Dopo che Rei lo aveva mollato da solo sul molo, in un attimo di estrema lucidità, Yuichiro era corso verso la prima cabina telefonica e aveva avvertito la sua famiglia che ‘a causa di eventi imprevisti e improrogabili’, aveva bisogno della casa sull’isola per tutta la settimana. Aveva espressamente richiesto che tutti i domestici fossero mandati in ferie e non voleva assolutamente alcun tipo di aiuto da nessuno. Aveva detto di lasciare le chiavi della villa nel quarto vaso di gardenie vicino al cancello e… beh, di chiudere le tende e sparpagliare un po’ di foglie secche nel vialetto d’ingresso. Avrebbe anche desiderato che fosse portata polvere a sacchi, per ricoprire tutti i mobili e che un improvviso uragano avesse sciupato le pareti esterne della casa e divelto qualche bonsai dal giardino… ma non poteva esprimere quelle richieste, quindi si era limitato a sperare che le cose fossero solo normali.

Sperava solo che, per una volta, le sue richieste fossero esaudite.

-Com’è la casa dei tuoi?-, gli domandò senza alcun pudore Minako, dondolandosi sui talloni e tenendo le mani dietro la schiena.

-Beh… è… normale…-, quello era il genere di domande che Yu odiava: che lo vedesse con i suoi occhi com’era la casa, senza fargli fare descrizioni imbarazzanti!

-Ha dodici camere da letto, non è vero?-, insistette la ragazza e lui si sentì morire. Certo, era una bella casa, la sua, ma addirittura dodici camere da letto era un po’ esagerato…

-Mi dispiace, Minako… non è così grande-, spiegò, -Però ha una grande cucina e anche un barbeque in giardino: vedrai che belle grigliate di pesce ci prepareremo!-, aggiunse, sperando di prenderla per la gola.

Per un istante la ragazza rimase interdetta; -Ma come, non ci sarà la servitù per cucinare e rimettere a posto ogni cosa?-

Makoto strattonò Minako e si affrettò a scusarsi con lei, portandosela via: -Ma che domande fai? È già grassa che ci offra un tetto sotto cui dormire, non essere ingorda!-

 

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Dopo circa venti minuti, il gruppo si era disperso: le ragazze erano uscite sul ponte a prendere il sole e Motoki le aveva seguite, approfittandone per rimirare l’isola che sfilava davanti a loro, bella come uno smeraldo in mezzo al mare. Usagi e Rei si litigavano un cono gelato, Naru e Ami chiacchieravano amabilmente e lui era stato accerchiato da Makoto e Minako.

 

Gli altri, invece, si erano seduti ad un tavolino del bar di bordo; Mamoru osservò Hiro e Kenzo che portavano in disparte Umino e, consegnandogli una bustina di carta con l’insegna verde di una farmacia, gli battevano una pacca sulle spalle.

-Vedrai che bella sorpresa farai alla tua donna!-, gli disse Hiro, quando tornarono a sedersi accanto agli altri. Mamoru corrugò le sopracciglia, per nulla rassicurato da quello strano scambio di oggetti, soprattutto dal momento che Umino era diventato più paonazzo di un’aragosta appena cotta.

-Che sta succedendo?-, domandò accigliato a Hiro, parlando in modo che solo lui potesse sentirlo e il capellone lo guardò in modo interrogativo.

-Che cosa hai dato a Umino?-, fu più preciso Mamoru, temendo di conoscere la risposta. C’era una sola cosa che mandasse in fumo il cervello di un adolescente e non era prendere buoni voti a scuola. Per sua fortuna, Mamoru aveva esaurito quella fase rapidamente, perdendosi in rari sogni poco casti su alcune sue amiche, quando ancora frequentava i primi anni del liceo. Dopo era stato sempre più oppresso dallo studio che aveva finito per non pensarci più, finché non era comparsa Sailor Moon e lui si era ritrovato per la prima volta vestito da Tuxedo Kamen, richiamato al suo fianco da chissà quale strana forza magica. 

Hiro allungò le gambe sotto al tavolo e portò le braccia dietro la testa. Le sue labbra si piegarono in un ghigno sghembo.

-Nulla che ti riguardi-, gli rispose pacato, poi un guizzo maligno saettò nei suoi occhi, -Ma qualcosa che renderà le cose più piacevoli per Naru… Diciamo che… servirà a togliere un pensiero dalle loro teste…-, quindi, prima che Mamoru potesse aprire bocca, diede un colpo di reni e si alzò di slancio, uscendo a raggiungere le loro amiche, ridacchiando divertito.

“Se è quello che penso, quei due sono degli incoscienti!”, pensò furente Mamoru, ma si costrinse a non aggiungere altro, dal momento che non era il padre di Umino, né di Naru, né il protettore di quella strana combriccola di villeggianti.

“Non sei Tuxedo Kamen, non è tuo dovere proteggere nessuno, ricordatelo: tu sei solo Mamoru Chiba”



 

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Quando arrivarono davanti alla casa di Yuichiro, distante dal piccolo porto dell’isola solo pochi minuti in bus, e circa un quarto d’ora a piedi, i ragazzi pensarono che si trattasse di uno scherzo. 

Minako guardò oltre le sbarre del grande cancello di ferro battuto, a cui si era aggrappata assieme a Usagi e si voltò, seccata: -D’accordo, dicci dov’è la tua casa e facciamola finita, sono troppo stanca per illudermi ancora di aver trovato un posto dove stare-, si lamentò, infilando le mani sotto alle cinghie dello zaino, che stavano iniziando a graffiarle la pelle lasciata scoperta dal suo vestitino senza maniche.

Yuichiro scattò come un soldato all’ordine dell’Attenti! e iniziò a frugare nella vaso di una bella pianta di gardenia, sotto lo sguardo incuriosito di tutti. Estrasse una lunga chiave argentata e la mostrò felice agli amici: -Un attimo solo…-, farfugliò inserendola nella serratura del cancello e questo, magicamente, si aprì.

Usagi fu certa in quel momento che, se i suoi fossero stati delusi oltremodo dai suoi risultati scolastici, avrebbe potuto provare a chiedere alla mamma di Yuichiro se l’adottava, divenendo così padrona di tutto quel ben di Dio.

I ragazzi entrarono con titubanza nel grande giardino antistante la villa e ammirarono la facciata dipinta di fresco dall’aspetto vagamente coloniale.

Un’altra mandata di chiavi e Yu aprì loro le porte della piccola-grande reggia che li avrebbe ospitati per una settimana intera.

Nessuno osava parlare, forse per timore che la propria voce avrebbe potuto far svanire il sogno ad occhi aperti che stavano facendo; Makoto si dette della stupida per aver ceduto alle lusinghe di un bombolone fritto, non appena arrivati sull’isola e pensò di avere le allucinazioni.

Naru aveva le lacrime agli occhi.

I primi a riprendersi dallo stupore furono Hiro e Kenzo, che si complimentarono in maniera ridanciana con quello strano ragazzo conosciuto la sera prima: se a una prima occhiata era parso loro smidollato e trasandato, in quel momento, nella sua splendida casa, seppero di essergli profondamente amici.

Rei si avvicinò al proprietario e gli sorrise, consapevole di essere arrossita, ma non per il motivo che sperava l’aiutante di suo nonno. La ragazza era fondamentalmente mortificata per la modestia del luogo dove Yuichiro era costretto a vivere, cioè la sua casa, dal momento che la sua famiglia poteva permettersi una seconda casa come quella.

-Mi fa piacere che tu sia contenta-, le disse il ragazzo e portò gli amici nel salone principale, dove fece loro posare i bagagli.

-Dunque, la situazione è questa-, iniziò a spiegare, sperando che gli altri lo aiutassero, -A questo piano ci sono la cucina, la sala, un bagno, una piccola stanza per gli ospiti, lo studio di mio padre in cui non si può entrare e la sala da pranzo; di sopra ci sono le camere e altri due bagni. Il problema è che non posso assolutamente usare la stanza di mio padre e quelle… quelle che sono in mansarda, quindi ne rimangono solo cinque, al piano qua sopra. Ah, non preoccupatevi… ci sono comunque letti per tutti!-, li rassicurò.

Usagi, in disparte, stava contando sulle dita: -Cinque più tre fa otto. Yuichiro… dodici no, ma comunque otto ce ne sono, di stanze, senza considerare che qualcuno può dormire anche qua sotto, oppure in giardino, nella cuccia del cane… che ne so… Mamoru, per esempio-, esclamò facendo la linguaccia verso di lui, che fu preso alla sprovvista e non trovò parole adatte per risponderle a tono.

La biondina era corsa ad attaccarsi al braccio di Naru, da una parte, e Ami, dall’altra, saltellando felice per ‘tutto quel ben di Dio’ e perché voleva scegliere per prima la sua stanza.

I ragazzi aiutarono le donzelle a portare al piano di sopra gli zaini pesanti e, in poco meno di mezz’ora, tutti e dodici si sistemarono in formazione di attacco nelle varie stanze.


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La signora Tsukino fu molto sorpresa di ricevere una seconda telefonata da sua figlia Usagi a distanza di poco tempo dalla precedente. Lì per lì le venne il dubbio che la figlia non stesse bene e per questo, nei brevissimi attimi dopo che udì la sua voce al telefono, il suo cervello elaborò un piano fulmineo per aiutare Usagi, qualunque fosse stata la causa del suo problema. Quando però sentì che non solo il suo gruppo di viaggio aveva trovato un'alternativa a un problema effettivamente enorme che era loro capitato, ma che addirittura si erano sistemati in una mega villa sull'isola più esclusiva dell'arcipelago, gratuitamente, ciascuna ragazza nella sua stanza ben separate dai maschi di cui le aveva parlato il marito, e che Usagi era a dir poco euforica per la situazione, sentì svanire il peso dal cuore e non poté che essere sinceramente felice per lei. Doveva fare la mamma però, quindi iniziò la lista delle raccomandazioni: -Comportatevi bene in casa, cercate di non sporcare, non rompete nulla, non familiarizzare troppo con i maschi, non mangiare troppo, stai attenta quando fai il bagno in mare, non andare mai dietro agli sconosciuti, ricordati di chiamare ogni due giorni…-, sarebbe andata avanti a lungo, col marito che le suggeriva le frasi lì accanto, ma la figlia la interruppe: -Mamma, calma! Sono in vacanza!-, disse semplicemente. A Ikuko tornò in mente la sua prima vacanza da sola con le amiche: aveva conosciuto Kenji in quell'occasione, era uno sconosciuto che con il suo gruppo di compagni dell'Università era andato al mare per un week-end di baldoria, si erano incontrati in un locale disco, lei aveva accettato di uscire da sola con lui ed erano scappati insieme in moto di notte per andare a vedere le stelle su in collina. Lo aveva baciato e aveva capito che sarebbe stato lui l'uomo della sua vita.

-Hai ragione, bambina mia: vai e divertiti!-, concluse la telefonata con un sospiro e Usagi, fissando perplessa la cornetta del telefono della casa di Yuichiro, mise giù. Ok, aveva il via libera a divertirsi, non se lo sarebbe fatto dire due volte; corse di sopra e infilò nella prima porta a sinistra.


-Sono felice di essere finalmente in vacanza insieme a te-, disse Naru ad Usagi, abbracciandola, dopo che avevano ordinato le loro cose nei cassetti della stanza che avevano scelto, dove c’era un letto a due piazze più un comodo divanetto.

-Anch’io, amica mia… a volte mi domando perché mia madre abbia partorito Shingo, invece di farmi una sorella come te!-, le rispose Usagi, trascinandola con un salto sul lettone e ridendo allegra. Un velo passò per un attimo sui suoi occhioni blu: -Forse però avresti preferito…-, azzardò, arrossendo, -… dormire in stanza con… Umino…-

Sì, senza dubbio aveva rotto le uova nel paniere della sua amica più cara, alla quale era legata solo da quel meraviglioso sentimento disinteressato che si chiamava Amicizia. Non che non si sentisse ugualmente amica delle guerriere Sailor, affatto, ma a volte, quando stava insieme a loro, si sentiva come giudicata, oppure come se… fosse sempre a lavoro, dovendo stare attenta a quello che diceva, quello che faceva, se voleva ingozzarsi di dolci, se voleva solo stare a chiacchierare di sogni, o a dormire placida senza l’ombra costante di un pericolo ignoto e alieno. E soprattutto, a volte, quando le guardava sorridere felici, tornavano alla sua mente le immagini dei loro volti sfiniti dal dolore, immobili nell’attimo della morte e veniva assalita dal panico.

-Ma cosa dici, Usa!!! Io e Umino… insieme???-, Naru divenne rossa come un peperone alla sola idea e la sua infingarda amica la prese in giro per quella reazione. In realtà non aveva mai capito come Naru avesse potuto mettersi insieme a uno come Umino… “Ah, l’amore è cieco… ma a me non accadrà: io voglio che il mio principe azzurro sia bellissimo, coraggioso, amorevole e gentile…Ahhh…”, sognò tra sé e sé, immaginando Tuxedo Kamen che arrivava da lei e si inchinava per chiedere la sua mano: quando toglieva la sua maschera, gli occhi verdi e dolcissimi di Motoki erano lì, davanti a lei, come aveva sempre sognato.

 

-Chissà come si sono assortiti gli altri?-, la domanda di Naru la distolse dai suoi sogni ad occhi aperti.

-Penso che… Non lo so!-, rispose ridendo Usagi, immaginando però quel cafone di Mamoru a quattro zampe legato con una corda alla cuccia in giardino, -Andiamo a curiosare!-, propose e balzò giù dal letto.

-Il tuo polso come sta?-, le chiese Naru, prima di uscire dalla loro stanza.

Usagi lo mosse un po’, ci pensò su e le rispose che stava molto meglio, -Sarà l’aria di vacanze!-, spiegò e le sorrise.

 

Dopo essere uscite, Usagi si bloccò, causando l’impatto di Naru contro la sua schiena; si voltò verso di lei e una lampadina si accese sulla sua testa.

-Idea!-, esclamò, -Prendiamo i nostri beauty case e colonizziamo uno dei bagni per prime!-, e tra il dirlo e il farlo non passarono che pochi istanti.


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Curiosando qua e là, Naru e Usagi scoprirono che la loro era l’unica stanza con un divano, mentre in quelle di Ami e Makoto c'era solo un lettone, e da Rei e Minako c’erano solo due letti singoli. I maschi, invece, erano in tre per stanza: Umino, suo cugino e Kenzo in una in tre letti singoli, Motoki, Yuichiro e Mamoru nell’altra, con un grande matrimoniale e un singolo.

-Potevate far dormire fuori il cane!-, disse Usagi a Yuichiro, passando davanti alla loro porta e udì chiaramente un ‘Cavolo, chiudi!’, proferito dalla bocca di Motoki.

Tornò indietro lesta come un leprotto, e riuscì a scorgere il ragazzo che terminava di infilarsi una maglietta.

 

“Calma, Usagi… calma…”, si disse, pensando che presto avrebbe visto Motoki sulla spiaggia… senza quella maglietta…

 

-Andiamo al mareee!!-, l’urlo di Hiro e Kenzo, seguiti a ruota da Minako e Makoto, la fece spaventare.

-Vado a mettere il costume!-, le disse Naru, correndo verso la camera.

 

Il costume.

 

Già… prima o poi sarebbe dovuto accadere…

Usagi sbuffò, ricordando i pomeriggi spesi in giro per negozi, di nascosto dalla sua amica, alla ricerca di un costume che mascherasse la cicatrice slabbrata che aveva sulla spalla, quella della rosa di Tuxedo Kamen

Come avrebbe potuto giustificare a Naru il modo in cui se l’era procurata? Sembrava un foro di proiettile, con un graffio profondo da una parte. Alla fine delle sue peregrinazioni alla ricerca di un costume adatto, aveva desistito: in fin dei conti quello intero, vecchissimo e tarmato era quello che mascherava meglio il tutto. Aveva portato anche dei bikini, ma tanto non li avrebbe usati. Strinse le mascelle, in fin dei conti era affezionata a quella cicatrice, perché era la prova tangibile, ogni volta che si guardava allo specchio, che Tuxedo Kamen le era stato vicino.

 

Usagi rimase da sola in camera, seduta ai piedi del letto con le spalle curve e il vecchio costume in mano, sospirò. Si sentiva come una allegra mattina di primavera oscurata poco dopo da un nuvolone bigio e molesto, di quelli che non riescono a scaricare la pioggia in un sol botto, ma restano lì per ore, deprimendo tutti quanti. Prese aria e si decise ad alzarsi, avrebbe pur dovuto indossare un costume per andare al mare e si sarebbe fatto andare bene quello. Chiuse la porta a chiave e iniziò a spogliarsi, rimanendo biancheria intima. Si avvicinò al comò e guardò la sua immagine riflessa nello specchio sopra di esso. 

Quella cicatrice era veramente un pugno in un occhio, grande, irregolare, ancora rossa e dura. Passò un dito sulla pelle e provò un brivido, come ogni volta.

Il suo cuore non fece davvero ‘crack’,  ma a lei parve di udire il suono sordo di qualcosa che pezzo a pezzo si spaccava dentro il suo petto.



 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6
Fiocchi, Pollo Rabbioso & Luci sul passato


Usagi infilò il costume e pensò a cosa mettere nello zainetto per andare sulla spiaggia. Passando davanti allo specchio si voltò sovrappensiero e il riflesso che vide la fece inorridire. Quel brutto costume intero non sarebbe servito a niente e chiunque avrebbe notato al primo sguardo la sua cicatrice rossa e avrebbe iniziato a tempestarla di domande! Usagi infilò al volo una maglia e corse a bussare alla stanza di Makoto e Ami.

-Mako-Chan, ti prego, ho bisogno di te!-, piagnucolò e la trascinò con sé nel bagno.

Si sfilò la maglia e indicò quale fosse il problema, Makoto si sentì morire, perché quello sarebbe stato un lavoro sicuramente lungo e complicato.

-Torno subito-, disse all’amica e corse a prendere delle cose nel suo zaino. Quando la raggiunse, abbassò il coperchio della seggetta del water e si sedette, facendola mettere davanti a sé.

-Adesso, concentrazione! Tu devi fare una sola cosa, Usa-chan: stare immobile- e si preparò a mettere in scena effetti speciali che non aveva idea di come creare.

 

-Mi vergogno, Mako!-, piagnucolò Usagi, dopo un po’ di tempo che erano chiuse in bagno. Gli altri le stavano ancora aspettando di sotto e Makoto stava cercando il modo per riparare ai danni che lei aveva combinato sul suo costume. Non solo in passato aveva messo dei fiocchi gialli per coprire i buchi delle tarme, ma, presa dallo sconforto, prima di partire aveva applicato anche un ingombrante fiocco azzurro all’altezza della ferita, in modo che mascherasse il più possibile la sua pelle, ma quel fiocco non voleva saperne di stare su.

-Sta’ ferma…-, Makoto fece passare l’ago attraverso il lato posteriore del fiocco, per fissarlo meglio al costume rosa, rischiando di pungere Usagi, se si fosse mossa ancora. Per fortuna, come sempre, anche quella volta aveva infilato in valigia il suo piccolo kit di ‘sopravvivenza’, costituito da ago, filo di vari colori, forbici, smacchiatore, penna all’ammoniaca contro le punture di insetti, cerotti e un paio di assorbenti, il tutto contenuto nella sua pochette verde smeraldo, che le aveva cucito sua nonna, tanti anni prima. Era stata lei ad avvicinare la scontrosa e piuttosto violenta nipote Makoto ai piaceri della cucina e delle attività domestiche, compreso il cucito, il ricamo e anche l’arte dell’ikebana. In quel momento, a Makoto mancavano del tulle rigido per far star su il fiocco azzurro sul costume o, in alternativa, una buona idea per aiutare l’amica.

-Non ci sta, non ci sta! Ahi!-, Usagi, prossima alle lacrime, aveva scosso la testa a destra e sinistra, disperata e, muovendosi, si era fatta pungere inavvertitamente.

-Usa-chan, basta adesso!-, Makoto aveva lasciato l’ago penzoloni al costume e aveva stretto Usagi in un abbraccio. Lei era l’unica che aveva assistito alla scena del suo ferimento, poiché era intrappolata al pari suo, poco distante da loro: sapeva che, nella posizione in cui si trovava il mostro, alle spalle di Sailor Moon, l’unico modo per batterlo sarebbe stato correre il reale rischio di ferire anche lei ed era rimasta colpita dall’incertezza di Tuxedo Kamen. L’aveva sempre considerato un potenziale nemico, che non avrebbe esitato a mettersi contro di loro come aveva fatto in passato nel tentativo di arraffare i cristalli dell'arcobaleno, eppure aveva visto chiaramente tremare la sua mano nel momento in cui aveva scagliato la rosa letale. Le si era stretto il cuore, vedendo la disperazione sul volto mascherato dell’uomo, mentre tentava di soccorrere Sailor Moon. 

-Prova uno dei miei costumi, forza-, Makoto colpì con una lieve sculacciata Usagi e la spedì dietro la doccia a cambiarsi. Forse, quel costume blu e viola che aveva comprato ai saldi, poteva essere adatto a coprire la spalla ferita e a farle tornare il buonumore.

-Oh, no!-, Usagi ricomparve tenendo le mani strette al seno, -Mi sta larghissimo!-, disse ancor più mortificata e Makoto si morse la lingua per non averci pensato prima.

-Allora vediamo di sistemare per bene il tuo: vedrai che bel lavoro ne uscirà!-, tentò di sollevarla e recuperò l’ago appeso al fiocco azzurro. Ce la mise tutta, fece e disfece tre volte il fiocco, lo tirò, creò una piccola impalcatura di filo e alla fine il risultato fu soddisfacente.

-Sembrerò un uovo di Pasqua-, commentò Usagi, imbarazzata, ripensando al bikini di Minako, così sobrio nella forma, eppur estremamente sexy: conciata in quel modo non sarebbe mai riuscita a fare colpo su Motoki, accidenti!

Makoto le sorrise: -Dai, che ti sta benissimo! Nessuno penserà una cosa come quella che hai detto, non ti demoralizzare e vedrai che ti divertirai da pazzi su quella spiaggia paradisiaca che abbiamo intravisto prima!-

Usagi ci pensò su un istante, dopo strinse la destra a pugno e, recuperando il suo piglio battagliero, si convinse che il modello del suo costume non doveva essere un problema: -Giusto! Andiamo!-, disse con enfasi, indossando i pantaloncini e una maglietta.

 

-Era ora!-, sbuffò Rei, vedendole finalmente arrivare. Tutti, chi più, chi meno, avevano in mano oggetti per il mare: un materassino gonfiabile, dei teli, degli ombrelloni, varie stuoie, un pallone, perfino secchiello e paletta. La villa di Yuichiro, evidentemente, svelava nuovi ottimi segreti per ogni evenienza.


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-Testolina Buffa, come sei carina! Sembri proprio un uovo di Pasqua!-, esclamò Mamoru, schernendola, non appena Usagi si fu tolta maglietta e pantaloncini.

Un familiare bollore risalì dal petto di Usagi fino alle sue orecchie, rendendola paonazza per l’irritazione.

-E tu sembri un fantasma, invece! Sei bianco come un cencio: esci di casa, qualche volta, invece di fare il topo di biblioteca anche durante l’estate!-, si difese Usagi, guardando di sottecchi Makoto, che iniziò ad elaborare una succulenta vendetta fisica da attuare sul ragazzo che aveva appena mandato all’aria le rassicurazioni che aveva fatto all’amica. Avrebbe potuto attirarlo con una qualsiasi scusa fino al piccolo molo non distante da dove avevano piantato gli ombrelloni e dopo spingerlo in acqua vestito, oppure sostituire la sua crema solare con olio da frittura e dopo non perdere occasione per assestargli amichevoli pacche sulle spalle bruciacchiate, o magari poteva semplicemente buttare in mare i suoi vestiti. Intanto Usagi aveva preso ad inseguire Mamoru per fargliela pagare.

-Hai una faccia… chi vuoi uccidere oggi pomeriggio?-, domandò Ami a Makoto, ripiegando con cura il suo prendisole giallino e riponendolo nella sua borsa di paglia.

-Soltanto un baka che ha appena mandato a monte il mio lavoro degli ultimi quaranta minuti…-, rispose Makoto, incrociando le braccia al petto.

-Mettiti la crema solare…-, le consigliò Ami, iniziando a spalmarsela sulle spalle e sul viso.

-Hai ragione… riacciuffa Usagi e dillo anche a lei, prima che si ustioni correndo dietro alla causa di tutti i suoi mali-, prese dal suo zaino un flacone e versò una cospicua quantità di latte solare sul palmo della mano.

-C’è chi pensa che, invece, Usa e Mamoru sarebbero perfetti insieme-, sussurrò Ami, evidentemente scettica.

-Chi?!-, Makoto si bloccò con la crema ancora non perfettamente spalmata sulle braccia e guardò l’amica con occhi sgranati.

-Beh… Minako, per esempio… ma anche Naru e… Motoki…-

-Motoki???-, se Usagi fosse venuta a sapere una cosa simile del ragazzo per cui aveva (ancora) una cotta, ne sarebbe morta. Fortunatamente, Makoto si era rassegnata alla storia tra Motoki e Reika e la sua infatuazione era stata sepolta sotto una coltre di cenere.

Ami si limitò ad annuire, senza aggiungere altro.

-Dobbiamo ancora contattare Artemis e informarci sulle condizioni di Luna-, riprese la ragazza più alta, ma subito la sua attenzione fu richiamata da una scena che…

-Sono matte!-, Ami si voltò nella direzione verso cui puntava il dito dell’amica e vide Rei e Minako che si stavano placidamente facendo aiutare a spalmare la crema solare da Hiro e Kenzo, proprio come stavano facendo Naru e Umino. Yuichiro, fortunatamente, non si era accorto di niente, perché era stato richiamato all’altro lato della spiaggia per parlare con dei tizi che evidentemente conosceva.

-E voi avete bisogno di aiuto?-, a parlare fu Motoki, apparso alle loro spalle, spaventandole. La sua voce suonò vagamente sarcastica e, senza attendere una risposta, si sedette su una stuoia stesa sulla sabbia, non accennando minimamente a fare quel che aveva proposto. Motoki era un cavaliere e sapeva quando doveva fare cosa e come farlo. 

-Avremmo bisogno di acciuffare Usagi e convincere lei a mettersi la crema, piuttosto-, borbottò Ami, preoccupata per l’amica.

-Naaa, lasciate che lo faccia il nostro amico Mamo!-, fece l’occhiolino alle due ragazze e si allungò disteso al sole, tenendosi sollevato sui gomiti. Per un attimo Makoto fu distratta dai suoi deltoidi e dai bicipiti che, in quella posizione, erano così... Scosse la testa, rossa in viso. Non doveva permettersi quei pensieri!

-Ma cosa dici! L’unica cosa che quel villano potrebbe spalmare su Usagi è benzina! È stato davvero molto maleducato! Usagi ci è rimasta male!-, si sedette anche lei, tenendo le ginocchia al petto e abbracciandole. Poco dopo sussultò per il tocco delicato delle mani di Ami, che le mettevano un altro po’ di protezione sulle scapole, sorridendole.

-Grazie…-, le disse e ricambiando il gesto, fu folgorata da un’idea assolutamente sconveniente, che purtroppo la tentò alla follia. Irresistibile…

-Mamoru! Vieni qua!-, chiamò a gran voce il ragazzo, che continuava a lasciarsi inseguire da un’Usagi infuriata, che brandiva la paletta rosa di plastica minacciosamente. Lui la udì e concluse la sua corsa davanti al loro ombrellone.

-Mamoru… te la sei già messa la crema?-, gli domandò angelicamente Makoto, sbattendo le palpebre. Appariva ridicola perfino a se stessa, ma voleva a tutti i costi perseguire la sua vendetta.

-Veramente… ancora no…-, rispose Mamoru, chinandosi a recuperare il suo flacone e iniziando a strusciare la crema sul torace e le braccia.

-Lascia che ti aiuti io…-, sussurrò Makoto al suo orecchio e lo prese per un braccio, costringendolo letteralmente a stendersi su una stuoia a pancia in giù.

Mamoru era rosso di imbarazzo, Ami lo uguagliava, Motoki assisteva curioso alla scena e Usagi… da lontano osservava, seduta a gambe incrociate al sole, sbattendo la paletta sulla sabbia bianca. Cosa le stesse passando per la testa, nessuno poteva saperlo.

-Ecco… rilassati…-, disse con voce suadente Makoto, mentre percorreva con le mani la schiena del ragazzo, versandovi molto più solare di quello che fosse necessario. Non era affatto da lei fare una cosa simile… toccare un ragazzo… ma in quel momento voleva a tutti i costi schierarsi con la sua amica Usagi e aveva deciso di spingersi fino a quel punto.  Fortunatamente Motoki aveva capito ogni cosa e, senza farsi notare, aveva riempito il secchiello con la sabbia asciutta.

-Ancora un attimo…-, disse Makoto, premendo con la mano sulla nuca di Mamoru, perché non fosse in grado di vedere cosa stava per accadergli e…

-Scherzetto!!!-, gridarono in contemporanea lei e Motoki, nell’istante in cui lui, a tradimento, rovesciò la sabbia sulle spalle appiccicosa dell’amico.

Mamoru vinse l’ostruzione di Makoto e si tirò su di scatto, lasciando che il mucchio di sabbia scivolasse su tutta la schiena unta di crema: aveva tutta la parte anteriore del corpo e metà viso segnato dal contatto con la stuoia, a righine sottili bianche e rosse e la schiena…

-Ah aah aah!!!!-, rise sguaiatamente Usagi raggiungendoli di corsa, -Sembri un pollo!!! Metà alla griglia e metà impanato!!! Mamoru è un pollo! Mamoru è un pollo!-, iniziò ad urlare, richiamando l’attenzione di tutti, compresi gli estranei là intorno, che non riuscirono a trattenere sorrisi divertiti.

-Vieni che ti friggo!-, Usagi riprese ad inseguirlo, mentre lui, furibondo, aveva preso la via del mare.

Quando lui riuscì a raggiungere l’acqua e a far sparire la sua ‘panatura croccante’, pensò di vendicarsi sulla prima persona che fosse a tiro e, con due falcate, tornò sul bagnasciuga, afferrò Usagi per la vita, se la caricò su una spalla come un sacco di patate e, noncurante delle sue urla disperate, la scaraventò in acqua, facendola bere. 

-Sciagurato!-, strillò Usagi, aggrappandosi al suo braccio per riemergere, tossicchiando, -Sei… sei… Mamoru sei soltanto un pollo rabbioso! Cosa c’entravo io?-, era completamente bagnata, i suoi codini ricadevano come funi appiccicandosi alle sue spalle e al petto, gli chignon erano calati e i fiocchetti del costume da ‘uovo di Pasqua’ si erano tutti ammosciati. Lo guardava furente con gli occhi lucidi e il viso rosso, sotto le gocce d’acqua salata.

 

Era adorabile…

 

Mamoru le sorrise, afferrandola per la vita prima che ricadesse da sola in acqua, inciampando nei suoi stessi piedi.

-Tu c’entri sempre…-, le disse e si godette il timido rossore che aumentò di colpo sulle sue guance.

-E adesso… GUERRA!-, esclamò, facendola cadere di nuovo in mare e spingendo sotto l'acqua la testa di Usagi, che si divincolò e riemerse, aggrappandosi alle sue spalle per affondarlo, in una specie di abbraccio.

In quel momento Mamoru si sentì vivo, come non accadeva da secoli. Pensò che non valeva la pena crucciarsi per tutti i suoi problemi, tanto sarebbero stati loro a richiamare la sua attenzione, anche senza cercarli. Constatò quanto fosse bello ridere: la sua ‘batteria di buonumore’ era più carica che mai e il sole splendeva alto in cielo.

Era vivo, era in vacanza e poteva finalmente ridere…

 

-Hai ragione, mi sa-, proferì seria Makoto all’indirizzo di Motoki, incuriosendo sia lui che Ami. Il ragazzo apparve confuso, ma non ebbe bisogno di domandare, che Makoto spiegò.

-Ami mi ha detto quello che pensi di Usagi e Mamoru: beh… penso che tu abbia ragione…-, disse semplicemente, sorridendo serena.

-Dai, che aspettiamo, corriamo anche noi a fare il bagno!-, propose subito dopo, con gli occhi accesi dall’entusiasmo e trascinò con sé i due amici, chiamando anche il resto del gruppo.

Sì, la vacanza stava procedendo alla grande!


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-Usagi… finirai con lo scottarti…-, Motoki, gentile e premuroso come sempre, richiamò all’ordine la sua amica. Unazuki era la sua sorella adorata, ma avere una peperina come Usagi per casa gli sarebbe davvero piaciuto.

-Oh, grazie, grazie, GRAZIE!-, esclamò con trasporto la ragazza, arrotolando quel che rimaneva dei suoi codini in una strana palla in cima alla testa e avvicinandosi a lui, che sbiancò: -Grazie per essere così gentile e carino, grazie! Ecco: spalmami pure!-, concluse Usagi, mettendogli in mano la sua crema solare e sedendosi davanti a lui, dandogli la schiena.

-Ecco… io…-, si era cacciato nei guai da solo, tanto valeva prendersi le proprie responsabilità, non sarebbe certamente morto per quello. In fondo Usagi era solo una ragazzina.

Casualmente, nel mentre che si avvicinava alle sue spalle già lievemente rosa, incrociò lo sguardo di Ami, sconvolta, quello di Makoto, sorpresa, di suo fratello Kenzo, gongolante, gli occhioni celesti di Minako, curiosa, Naru, imbarazzata, il volto di Umino, allarmato, Rei, disinteressata e lo sguardo Mamoru, glaciale.

-Forse è il caso che sia una tua amica a…-

Usagi si spinse indietro con le spalle e le mani di Motoki vennero a contatto con la sua pelle dove già era stata versata un’abbondante quantità di crema bianca: ormai non poteva più negarsi.

-Però, dopo, non cospargere anche me di sabbia, per favore-, mormorò Usagi, rossa in viso per una situazione che aveva cercato con tutta se stessa. Motoki si sentì morire per la gran cavolata che stava facendo: non voleva illuderla, ma perché Usagi non capiva che le voleva bene solo come a una sorellina? Sarebbe stato tutto più facile…

-Tranquilla, basta una panatura al giorno!-, le rispose, sforzandosi di apparire disinvolto.

Com’era piccina Usagi, sotto le sue mani! Spalle piccole e dritte, schiena liscia, vita stretta…

-Anche più su-, gli disse la ragazza, indicando che non aveva unto la base del collo e il culmine delle sue spalle. Motoki si sistemò in equilibrio sui talloni e obbedì, cercando di fare un buon lavoro, toccandola il meno possibile.

-Ehi, cos’hai fatto qua, Usa?-, domandò alla ragazza, notando come dal bordo del costume, proprio dietro a quel fiocchetto azzurro che si era tutto piegato, si vedesse una brutta cicatrice.

-Cosa…?-, Usagi si voltò appena verso di lui con gli occhi lucidi e sognanti, le labbra socchiuse, la voce strascicata.

-Qui… davanti… ti sei ferita?-, insistette Motoki e la sua interlocutrice, sbarrando gli occhi che di colpo divennero vitrei, si rizzò di scatto e, blaterando qualcosa del tipo ‘Niente! Niente, nulla di cui preoccuparsi!’, si allontanò da lui, andando a sedersi proprio in mezzo al piccolo cerchio delle sue amiche.

Motoki sollevò le sopracciglia, sorpreso, strusciò le mani unte tra di loro e riprese a guardare le piccole onde che si spezzavano sulla sabbia, creando una soffice schiuma bianca, evanescente.


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-Se n’è accorto…-, bisbigliò Usagi alle sue amiche, dopo diverso tempo che si era andata a sedere in mezzo a loro, quando erano rimaste sole, stando attenta a non farsi sentire da Naru, che sembrava essersi addormentata sotto l’ombrellone, -Motoki ha visto la mia cicatrice…-, sembrava veramente sconvolta da quella piccola, inutile cosa.

-Se non lo avessi costretto a metterti la crema, non se ne sarebbe accorto-, le fece notare poco gentilmente Rei, stendendosi a pancia in giù e sollevando le gambe, facendole oscillare.

-È per via del fiocco, vipera-, soffiò di rimando Usagi, cercando di tirare su le cocche, affinché tornassero a fare il loro lavoro.

-Hmm… mi sa che era inamidato, Usa… non ci starà più su da solo-, le venne in aiuto Makoto, cercando di sollevare il fiocco, senza successo.

-Se non vuoi che si veda, tieni addosso la maglietta-, le consigliò Ami, pratica.

-… Oppure sciogli i capelli e lasciali cadere davanti-, disse Minako, facendo svolazzare i suoi, colpendone una ciocca col dorso della mano.

- Hai ragione…-, rapidamente, non senza difficoltà, vista la mistura di acqua e sale, Usagi sciolse le sue code e sistemò la lunghissima chioma come le aveva indicato l’amica; -Mi vergogno un po’…-, confessò alle altre ragazze, -Non credo di aver mai tenuto i capelli così, tranne che di notte-, spiegò.

-Lo so, ma sono così belli che è un peccato, sai?-, come già aveva fatto tanto tempo prima, Minako passò le sue mani attraverso la chioma dell’amica; -I miei capelli sono biondi, mentre i tuoi sono fili d’oro-, le disse, facendola sorridere.



 

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Il sole era ancora alto in cielo e quella prima giornata di vacanza era semplicemente perfetta. I maschi avevano iniziato a giocare con un pallone tra la battigia e il mare, schiamazzando e schizzando l’acqua tutto intorno. Perfino Mamoru, il blocco di sale Mamoru si stava divertendo con loro, a discapito del povero Umino, che non ci vedeva nulla con gli occhiali perennemente bagnati di acqua salata.

 -Ci… ci sono due Minako? Ci vedo doppio?-, domandò, prima che una pallonata lo facesse urlare per lo spavento, colpendolo su un fianco.

-Già… hai ragione… Aaargh!-, gli rispose Yuichiro, finendo travolto da Kenzo, che, per parare un quasi goal di suo fratello, si era tuffato di lato, atterrando sul malcapitato.

-Cosa cosa cosa?-, tenendo in ostaggio la palla, Hiro si concentrò sul loro gruppo di amiche, interessato.

Anche Motoki e Mamoru si voltarono: -Ma quella è Usagi, non la vedete? Si è solo sciolta i capelli-, spiegò loro Motoki, riacciuffando il pallone e sentendo il filamento di tungsteno della sua lampadina mentale farsi incandescente.

-Così non potrai più chiamarla ‘Testolina Buffa’, Chiba!-, disse all’amico, lanciandogli il pallone. In risposta ebbe un altro assaggio dello sguardo di ghiaccio che aveva già sperimentato poco prima: -Troverò un altro soprannome, stai tranquillo-, gli disse l’amico, alzandosi il pallone e calciando verso la porta immaginaria coperta da Yuichiro, che non riuscì a pararlo.

“Un altro soprannome…Potrebbe essere… Dunque… Vediamo…”

-Sembra un angelo-, commentò Umino, estasiato, dopo aver trovato il modo di ripulirsi gli occhiali.

-Zitto, tu, che hai già la fidanzata!-, lo rimproverò il cugino, afferrandolo per il collo e strofinando le nocche della mano sulla sua testa. Finirono in acqua ridendo, seguiti a ruota da tutti gli altri.

“Diabolico Angioletto, ecco il soprannome adatto a te, biondina!”, pensò finalmente Mamoru e si tolse la soddisfazione di far bere l’acqua a Motoki, immobilizzandolo per le spalle e vendicandosi per lo scherzo che gli aveva fatto e per quello che gli aveva detto in treno e che ancora frullava tra i suoi pensieri.



 

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Naru si svegliò, sbadigliando accaldata e stringendo gli occhi feriti da tutta quella luce. Ci mise un momento per mettere a fuoco dove si trovasse, poi si sollevò. Le sue amiche erano vicine a lei, e parlottavano sottovoce; in lontananza udiva le voci dei ragazzi, che stavano giocando in acqua.

-Ehi, finalmente ti sei svegliata!-, le disse Usagi, gattonando verso di lei con i capelli che le ricadevano sulle spalle e sul petto.

-Che bella che sei… finalmente ti sei decisa a seguire il mio consiglio-, la voce di Naru era un po’ impastata dal sonno; -Avete un po’ d’acqua, per favore?-, domandò alle altre, che si strinsero nelle spalle, riflettendo sul fatto che, a casa, non solo non avevano niente da bere, ma, sicuramente, neanche nulla con cui cenare.

-Andare al ristorante si esclude-, decretò Rei, facendo notare quanto dovessero essere costosi i locali in un'isola come quella.

-Domandiamo a Yuichiro dove possiamo trovare un negozio di alimentari e andiamo a fare la spesa-, propose Makoto, già su di giri per la voglia di cucinare qualcuno dei suoi manicaretti a tutti.

Raggiunsero i ragazzi e, in breve tempo, si misero d’accordo sull’organizzazione della serata.

 

Pochi minuti dopo, seppur controvoglia, le ragazze si rivestirono, recuperarono le loro cose e si incamminarono a gruppi nelle direzioni indicate da Yuichiro, per foraggiare la dispensa di casa.

 

-Dobbiamo parlare-, disse Makoto di soppiatto ad Ami e Rei, mentre Minako distraeva Usagi e Naru era con loro.

-Lasciate fare a me-, suggerì Rei, con espressione furba.

-Ragazze, è meglio se ci dividiamo: le destinazioni sono il minimarket che si trova a tre chilometri da qui e la gelateria giù in paese. Chi si offre volontaria?-, propose con fare innocente, mordendosi la lingua per non ridere della sua stessa furbizia.

-Io, io, io!-, trillò Usagi, -Io vado alla gelateria e compro due tonnellate di gelato per stasera!-, come volevasi dimostrare.

-Naru, saresti così gentile da accompagnare Usagi e controllare che non si mangi tutto lungo la strada?-, chiese quindi la mora all’unica che non era guerriera Sailor, che accettò senza farselo dire due volte.

-Allora noi andremo al minimarket: siamo in quattro, potremo dividerci il peso della spesa senza problemi, d’accordo?-, concluse Makoto, dando manforte all’amica e ‘liberandosi’ con facilità della presenza di Usagi.

 

Quando furono certe di essere sole, dopo aver cercato un luogo appartato e ombreggiato, le guerriere Sailor utilizzarono il comunicatore di Rei per chiamare Artemis, sperando che avesse buone notizie per loro.

 

Dopo pochi istanti comparve nel piccolo schermo il faccione del gatto e Minako, si affrettò a salutarlo euforica.

La conversazione fu breve, poiché non c’erano novità sulle condizioni di Luna, che ancora miagolava senza riuscire a parlare, né idee su quel che la gatta potesse aver realmente visto sul tetto.

-Come sta Usagi?-, domandò Artemis traducendo il miao-miao della sua amica e Makoto dovette confessare loro la strana paura che aveva colto la loro amica riguardo alla sua cicatrice.

-Miaaaaaaw!-, si arrabbiò Luna, ripensando a quando aveva saputo di quel che era successo in battaglia alla sua protetta. Lei non era presente, non aveva visto la disperazione di Tuxedo Kamen, non si fidava di lui.

-Luna… Tuxedo Kamen ha chiesto a Usagi perdono, dopo averla ferita! E poi le ha detto che… aveva ricordato quello che c’era stato primadi Berillia e… l’ha stretta a sé in maniera…-, Makoto arrossì, rivelando quei dettagli che aveva tenuto nascosti per proteggere la privacy di Sailor Moon.

-Cosa è successo con Berillia? Credo che sia nostro diritto sapere ogni cosa-, chiese con decisione. Le altre la guardarono stupite dalla sua determinazione e vagamente deluse per non aver saputo quei dettagli prima di allora.

Artemis sospirò e lanciò un’occhiata a Luna, che gli permise di raccontare loro ogni cosa che avevano dimenticato o mai conosciuto. Seppero così che tra Sailor Moon e Tuxedo Kamen c’era stato del tenero, che entrambi avevano dichiarato di sentirsi legati l’un l’altra da qualcosa che andava oltre l’attrazione scaturita dalla semplice conoscenza in battaglia e che lui, al pari delle ragazze, aveva dato la sua vita per proteggere Sailor Moon, poco prima che lei riuscisse a sconfiggere la regina cattiva.

-Come le sapete tutte queste cose?-, domandò stupita Minako. Ricordava vagamente di aver ceduto all’attacco del Regno delle Tenebre, ma sentirsi dire che era morta l’aveva spaventata, lasciandole addosso un alone di sbigottimento.

-In realtà non abbiamo una risposta semplice. Forse è stata Usagi, vincendo sul Male, a decidere cosa fare ricordare a tutti noi e cosa tenere per sé. Abbiamo buoni motivi per supporre che nella battaglia finale lei abbia sviluppato un’energia così forte da plasmare il reticolo spazio-tempo e influire sulle coscienze di tutti noi, compresa la sua. È per questo che, finché non si è presentato un nuovo nemico, non ricordavate nulla dei vostri poteri e delle Guerriere Sailor. Pensavamo che Usagi avesse istintivamente rimosso tutti i brutti ricordi e avesse fatto sì che anche voi non foste del tutto coscienti di quel che vi era accaduto, ma, qualche mese fa, la notte seguente a… al suo ferimento, Luna mi confidò di aver vegliato su di lei e di averla sentita parlare nel sonno, di morte, distruzione, delle sue amiche che non c’erano più… Allora abbiamo compreso che si era tenuta tutto dentro, permettendo a voi -a noi- di non essere coscienti della reale entità di quel che era stato sconfitto.-

-In seguito al suo ferimento, però, probabilmente alcuni ricordi sono sfuggiti alla sua volontà e si sono insinuati in ciascuno di noi, pronti a tornare a galla sotto determinati stimoli. È quello che temiamo stia accadendo ancora… Se Usagi l’altra notte non era in bagno, come ha supposto Minako, ma ha avuto a che fare con la misteriosa persona sul tetto, probabilmente non ricorda nulla, ma c’è la possibilità che, lentamente, sogni e paure tornino a colpirla quando più è esposta… e lo stesso può capitare a voi-, Artemis fece una pausa e nessuna delle guerriere osò proferire parola. Una cicala cantava svogliatamente su un albero, il cielo era privo di nuvole.

-Luna ed io siamo giunti alla conclusione che, d’ora in poi, è bene che tutte voi non abbiate più segreti l’una per l’altra e teniate d’occhio Sailor Moon, attente che le ombre che ancora sono dentro di lei non la schiaccino…-, si udì un breve miagolio carico di dolore.

Rei si morse un labbro, indecisa se tradire o meno la fiducia di Yuichiro; infine parlò, spronata dalle parole di Artemis: -Questa notte… ho buoni motivi per credere che sulla nave, stanotte, Usagi abbia avuto un altro incubo-, confessò.

-Cosa intendi? Sii più precisa, Rei!-, la spronò il gatto. Rei sbuffò, perché con quello che stava per dire, avrebbe distrutto il castello di carta delle loro menzogne verso Luna.

-Yuichiro mi ha detto che stanotte è stato svegliato da Mamoru, preoccupato, che aveva tra le braccia Usagi addormentata e non riusciva a svegliarla-, sparò, aspettandosi i ruggiti della gatta.

Il miagolio che seguì, carico di dolore e frustrazione, non ebbe bisogno di traduzioni: la piccola Luna stava male per quello che, pur senza saperlo, stava avvenendo alla sua adorata Usagi.

-Un buon motivo in più per tenerla d’occhio e cercare di capire cosa le sta succedendo, ragazze-, chiosò Artemis.

-D’accordo-, Rei fu la prima a riprendersi dal disagio causato da quelle parole, -Ci penseremo noi a vegliare su Usagi-, rassicurò i gatti con la sua determinazione e cercò conferma delle intenzioni negli occhi delle sue amiche.

-Miaw, miamiamiamiamiameeeeeowwrghhh!-, esclamò Luna, attaccando il muso al sailorofono, tanto che le ragazze videro solo i suoi baffi dritti.

-Ehm… Luna dice che… cito testualmente… ‘Se quel mascalzone di Mamoru si riprova a mettere le mani su Usagi, vi autorizzo ad usare i vostri poteri per colpirlo con un Fascio di Luce, fulminarlo, dargli fuoco e dopo affogarlo!’… perdonatela…-, Artemis coprì le orecchie con le zampe e stese un velo pietoso sulla reazione delle ragazze, interrompendo la comunicazione.

 

-Ma… ha detto tutte quelle cose in un solo miagolio?-, domando Makoto stupita, ricevendo in risposta solo un’alzata di spalle di Minako.

Tutte le ragazze rimasero in silenzio per qualche istante, nessuna abbastanza forte per esprimere quello che turbinava nel proprio cuore.

 

Erano morte.

 

Erano morte e Usagi aveva risolto ogni cosa. 

 

Le dovevano tutto


-Andiamo, dobbiamo comprare un mucchio di cose-, propose Makoto dopo un po’, posando la mano sulla spalla di Rei, ancora scioccata dalle rivelazioni avute, nonostante si fosse mostrata la più reattiva.

-Già-, le rispose la mora e, meste, si avviarono a passo lento verso il minimarket.

“È così difficile vivere due vite ed essere adolescenti”, pensò Minako, ma si impose di non crucciarsi più e si mise in testa al gruppo.



 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7
Fraintendimenti, Missione Salvataggio & I segreti di una ragazzina


Yuichiro si era reso conto tardi di essersi preso una responsabilità enorme, nel momento in cui aveva proposto di accogliere i suoi amici nella sua casa. Si sforzava quindi in ogni modo per prendere in mano la situazione: era l’ospite di tutti quei ragazzi, ma soprattutto era l’ospite di Rei e ogni più piccolo dettaglio avrebbe dovuto essere perfetto per lei.

Aveva convinto i ragazzi a rientrare per tempo alla villa e preparare ogni cosa per la cena, ricordando loro di lasciare tutto pulito dopo aver fatto le docce e di stendere costumi e teli da mare umidi nell’apposito piazzale sul retro della casa.

Le ragazze sarebbero state di ritorno di lì a poco e si sarebbero chiuse nei bagni della sua casa, spendendo ore a lavarsi, profumarsi, imbellettarsi. Dovevano fare in fretta se volevano far trovare loro la casa linda e tutto in ordine.

 

Il brutto delle case al mare, lo diceva sempre sua madre, era che, nonostante tutti i possibili accorgimenti, chi vi entrava riusciva sempre a portare con sé un quantitativo enorme di sabbia, invisibile finché non fosse finita sotto le ciabatte, scricchiolando sul parquet o sui mobili di lacca cinese. Generalmente ci pensavano Takeshi e la Signora Fukada, ma, visto che aveva categoricamente vietato intromissioni nella sua vacanza, Yuichiro si vide costretto ad armarsi di strofinaccio e aspirapolvere e correre per casa come un folle, ripulendo dove i suoi ospiti lasciavano scie di sabbia, o lucidando gli specchi dei bagni, oppure aereando le stanze, stando attento a che, ovunque, fossero accese le candelette repellenti per le zanzare. Sapeva bene quanto Rei odiasse quegli insettacci e conosceva a memoria la mappa dei ponfi rossastri che, quando veniva punta, macchiavano la sua pelle di seta.

-Ehi, calmo!-, lo irrise Hiro, sentendoselo alle spalle come un segugio, quando uscì dal bagno.

-Stavi gocciolando sul parquet-, constatò Kenzo, osservando divertito l’amico di Rei che, a quattro zampe, seguiva l’altro, asciugando ogni traccia.

-Perché non lasci perdere? È inevitabile che si sporchi un po’ la casa… potremmo limitarci all’indispensabile e ripulire tutto alla perfezione prima di ripartire, che ne dici?-, propose Hiro a Yuichiro.

Questi si alzò e, con fare solenne, stringendo lo straccio in una mano, dichiarò che non avrebbe permesso che le ragazze, trovassero qualcosa fuori posto.

-Secondo me dovresti essere meno servile e più audace, con Rei-, gli fece notare en-passant il suo rivale in amore putativo, lasciandolo interdetto nel mezzo alla stanza.

-E anche più istintivo e meno adorante-, gli fece eco Kenzo, seguendolo in veranda.

-E meno preoccupato di commettere errori-, commentò Motoki, sorridendogli e tendendogli la mano, perché gli passasse lo strofinaccio, mettendolo quindi al suo posto.

Fortunatamente per lui, Mamoru era in bagno e non assistette a quel siparietto: Yu non avrebbe tollerato un consiglio in amore anche da lui, che con Rei era stato intimo. Solo a pensarci aveva un travaso di bile.

-Io mi farei la barba…-, come non detto: la voce del ragazzo lo fece scattare nella sua direzione.

-Stai cercando di farmi capire che tu piacevi a Rei perché sei sempre perfetto, mentre io che ho un aspetto più trasandato e non mi faccio la barba tre volte al giorno non ho alcuna speranza?-, ringhiò contro di lui.

Mamoru, interdetto, si strofinò un’ultima volta i capelli con un asciugamano e lo guardò: -Veramente stavo dicendo che io andrei a farmi la barba, se nessuno ha bisogno del bagno per i prossimi dieci minuti…-, spiegò.

Yuichiro volle sprofondare nel suo stesso parquet e allo stesso tempo fulminare Mr. Perfettini, che, anche senza averne intenzione, gli aveva fatto notare quella differenza abissale tra loro.

Bofonchiò qualche parola incomprensibile e se ne andò.

-Lo prendo come un sì…-, disse Mamoru e tornò in bagno, trovandolo però occupato. Aveva tutte le sue cose lì dentro… almeno potevano aspettare che se le riprendesse, pensò irritato.

Bussò per farsi consegnare il suo sacchetto, ma non ebbe risposta: dopo qualche istante udì però un gemito soffocato che lo fece gelare. “Cosa diavolo sta succedendo là dentro?”

Bussò ancora e quella volta ricevette in risposta uno strano lamento, proveniente dalla voce nasale di Umino.

-Qualche problema…?-, si azzardò a domandare, pronto a darsela a gambe prima di divenire testimone involontario di qualsiasi strana attività.

Non avendo avuto risposta, si voltò rassegnato nel doversi trovare un’altra maglietta pulita e fece per allontanarsi, quando la porta si aprì e Umino, rosso in viso, grondante per la doccia e con solo un asciugamano attorno alla vita lo bloccò.

-Chiba-san… posso… posso chiederti una cosa?-, Mamoru si freddò sul posto. Iniziava a capire come si sentisse Usagi le volte che l’aveva vista in imbarazzo per il comportamento eccentrico di Umino Gurio. Notò solo allora che, tra le mani, il ragazzo aveva il sacchetto di carta che gli aveva passato solo il giorno prima suo cugino. 

Non gli piacque per niente… 

Il suo sguardo indagatore fece arrossire Umino.

-Aehm… ecco… tu studi Medicina, non è così?-, domandò imbarazzatissimo. Mamoru annuì, temendo di inoltrarsi su un sentiero troppo scivoloso.

-Potresti… come dire… Avrei un… È che non riesco a infilare… Entra!-, Umino lo afferrò con forza per un polso e lo trascinò in bagno. Mamoru adocchiò in un nanosecondo la sua maglietta e il beauty case, pronto ad afferrarli e scappare velocemente, se le cose si fossero messe male.

-Ecco… il punto è questo-, Umino sembrò prendere coraggio, -Come sai io amo Naru profondamente. Per me lei è la luce del sole, la sua bellezza è pari solo a quella di una rosa di maggio, i suoi occhi sono…-

-Riassumi-, gli disse caustico Mamoru, sentendo il picco glicemico arrivare.

-Sì, perdonami… ecco… dicevo… Voglio che Naru possa volere stare con me, non solo per l’amore che ci lega, ma anche… fisicamente…-, Mamoru sentì una gocciolina di sudore freddo scivolare tra le sue scapole e deglutì.

-Vorrei poterle dare tutto quello che vuole, farla stare davvero bene con me, soddisfare le sue fantasie e…-

-STOP-, Mamoru mise le mani avanti, interrompendolo; -Ho capito cosa stai tramando, e quell’irresponsabile di tuo cugino ti sta dando manforte! Lascia che ti dica una cosa, Umino, un consiglio fraterno: Naru è una ragazza ancora troppo giovane per… certe cose, potrebbe essere presa dall’entusiasmo adesso, ma se ne pentirebbe nel giro di una settimana. Ammiro la tua serietà nell’aver provveduto a rifornirti di tutte le precauzioni, ma – dammi retta – è troppo presto. Non è solo facendo… quello che tu pensi di fare con lei che… le dimostrerai il tuo amore… e poi… se proprio vuoi saperlo, io non posso esserti di alcun aiuto, anche se studio Medicina-, con una mano salda sulla spalla di Umino, Mamoru si sentiva rosso come un peperone ad aver fatto un discorso come quello.

Ma perché dovevano capitare tutte a lui? Non era suo padre, neanche suo fratello… non sarebbe toccato a lui parlargli di sesso, precauzioni e ripensamenti… a lui che forse aveva ancora meno esperienza di Umino stesso! Avrebbe voluto evaporare da quella stanza da bagno e riapparire incollato ad un iceberg, per sbollire l’imbarazzo che provava.

-Ma che stai dicendo, Chiba-san?-

Mamoru alzò lo sguardo sul ragazzino e vide un’espressione del tutto confusa. Deglutì e staccò la mano dalla sua spalla. Già, che stava dicendo…?

-Io… volevo solo chiederti se potevi darmi una mano a mettermi queste lenti a contatto negli occhi... A me non riesce proprio infilarle… Vorrei taaanto che Naru vedesse che ho anche io degli occhi, invece di usare sempre questi fondi di bottiglia! Sono già basso e bruttino… è l’unica cosa che possa fare per lei…-

In quel momento una voragine si spalancò sotto ai piedi di Mamoru e i corvi gracchiarono lugubri nella notte.

Cosa. Diavolo. Aveva. Capito.

CosadiavoloavevadettoaUmino????

-Ah…-, la sua voce tremò e le sue gambe con essa; -Vuoi… vuoi che ti aiuti con… con le lenti a contatto…???-

-Eh eh… già!-, Umino si grattò la nuca, imbarazzato, cercando di dare un senso a quello che il ragazzo gli aveva appena detto.

Mamoru tirò un sospiro di sollievo e, cercando di recuperare un po’ di serietà, si decise ad accontentare il ragazzo e lottò con i suoi occhi serrati, liquidi vari e quelle viscide, schifosissime lenti a contatto, finché non riuscì nel suo intento.

 

-Finalmente-, tirò un sospiro di sollievo… gli ci sarebbe voluta un’altra doccia…, -Ecco, puoi guardarti-, annunciò trionfante al ragazzo e lo fece voltare verso lo specchio.

In effetti, con le lenti a contatto, Umino Gurio non era poi così bruttino…Naru sarebbe stata orgogliosa di lui.

-Ora, se non ti dispiace… vorrei radermi…-, disse al suo ‘paziente’, che acconsentì felice per il suo nuovo look e si affrettò a recuperare le sue cose sparpagliate per il bagno, mentre Chiba-san, con la schiuma sul viso, stava iniziando a passare la lametta.

 

Un pensiero fece ruotare in modo vorticoso gli ingranaggi del cervello di Umino.

 

Naru è una ragazza ancora troppo giovane per… certe cose… Ammiro la tua serietà nell’aver provveduto a rifornirti di tutte le precauzioni, ma – dammi retta – è troppo presto… Se proprio vuoi saperlo, io non posso esserti di alcun aiuto, anche se studio Medicina

 

Umino assunse un’aria minacciosa: -Ma cosa diavolo avevi capito, hentai!!! Non mi ha neanche sfiorato l’idea di… quell’idea! Rispetto troppo la mia dolce Naru anche solo per… E poi… che intendevi con ‘se proprio vuoi saperlo, io non posso esserti di alcun aiuto, anche se studio Medicina’??? Cioè… intendi che tu? Con quella faccia e l’età che hai, non hai mai…-

L’urlo di Mamoru richiamò tutti quelli che erano nella casa in quel momento, comprese le ragazze che erano appena rientrate.

Quando entrarono senza riguardo in bagno, la scena che videro li lasciò di stucco: Umino, coperto solo con un asciugamano in vita e senza occhiali, era sostenuto da Mamoru, che lo teneva per un braccio, usando l’altra mano per tamponarsi un taglio fattosi sul viso. Il sangue gli colava misto a schiuma da barba.

-Non sopporta la vista del sangue… portatemelo via, vi prego…-, implorò Mamoru, del tutto esasperato dall’uragano Gurio che aveva colpito e sconvolto la sua tranquillità in soli quindici minuti.

-Oh, Mamoru … sei ferito…-, Rei accorse subito in aiuto del suo amico, bagnando un piccolo asciugamano di spugna e passandolo sul suo viso per rimuovere ogni residuo di schiuma, mentre Hiro si occupava di suo cugino, aiutato da Motoki e Kenzo. Yuichiro osservava la scena stralunato, non riuscendo a pensare ad altro se non le mani di Rei sul viso di Chiba.

-Sto bene… grazie Rei… faccio da solo-, tentava di dire lui, imbarazzato. Ben gli stava se si era tagliato, lo avrebbe volentieri fatto Yu stesso, se solo non fosse stato ritenuto illegale nella stragrande maggioranza dei paesi civili.

Invece di accontentarlo, Rei chiamò in suo aiuto Makoto, che vagliò l’ipotesi di applicare un cerotto sul viso di Mamoru, visto che il taglio era parecchio lungo e profondo.

-Ragazze… davvero… non è niente… solo un graffio… Non sapete quante volte mi capita alla settimana!-, tentò di scrollarsele di dosso Mamoru.

-Davvero? Eppure sei sempre così perfettamente perfetto… Non ti ho mai visto con tagli o cose varie-, constatò Minako, che si era appollaiata sul mobiletto del bagno, osservando curiosa il lavoro delle sue amiche infermiere.

-È comunque opportuno che tu metta almeno un cerotto e che ti disinfetti-, stabilì Makoto, ma Mamoru si impuntò che prima avrebbe finito di radersi, poi, forse, avrebbe provveduto da solo a medicarsi. Rei stava per controbattere, quando qualcosa vibrò nella sua tasca; i suoi sensi scattarono e liquidò Mamoru con un ‘Hai ragione, fa’ da solo’.

Con un gioco di sguardi richiamò le altre guerriere Sailor a rapporto e, dopo che si chiusero nella stanza di Rei e Minako, estrasse dalla tasca dei pantaloncini il comunicatore Sailor, che stava ricevendo una chiamata in ingresso.

Ci volle un istante, quello in cui uno spicchio di luna si accese e si spense, per capire che non trattava di una chiamata di Artemis. Quando Rei aprì lo sportellino, vide il volto in lacrime di Usagi.

-Oddio… che ti è successo?-, domandò col cuore in gola.

-Rei… io… sono in un camerino… in una boutique di costumi da bagno… Naru è qua fuori… Noi… Ci siamo perse, Rei!!!-, lo sforzo che faceva nel non urlare rendeva la scena ancora più comica. Prima che potessero avere una qualsiasi reazione, giunse loro la voce fuori campo di Naru, che sollecitava Usagi perché uscisse da quel posto che non le piaceva per niente e l’aiutasse a ritrovare la strada di casa.

-Sono tutti strani, qua in paese… abbiamo dovuto litigare per avere i gusti di gelato che avevamo scelto… volevano a tutti i costi vendercene altro… solo che adesso si sarà tutto sciolto! Oh, Rei, vieni a salvarmi!!!-

La prima reazione della mora fu di trasformarsi, correre in paese e sculacciare Usagi, che usava il comunicatore per una idiozia simile, finché il suo culetto non fosse diventato rosso come un pomodoro. Contò fino a dieci ed espirò.

-Rei… ti prego…non lasciarci da sole…-, lo sguardo speranzoso e disperato di Usagi si sovrapposero nella sua mente ad un’altra immagine di lei, qualcosa che aveva dimenticato.

 

Rei, non voglio restare sola…

 

Non voglio che tu muoia.


Durò solo per un attimo, il tempo di permettere a una strisciante angoscia di risalire la sua coscienza.

-Vengo a prenderti, Usa-chan-, le disse, chiudendo la comunicazione e lasciando le altre interdette.

-Che ti prende? Si sono solo perse! Mica sono in pericolo di vita!-, commentò Minako, osservando attentamente una ciocca dei suoi capelli, domandandosi se fosse il caso di dare una spuntatina alle doppie punte.

Rei prese un bel respiro: Artemis aveva detto che dovevano essere sincere e lei lo sarebbe stata.

-Lo so che non c’è niente di tragico in questa situazione, solo che… ho avuto un flash di… di prima della battaglia con Berillia… Usagi è rimasta da sola ad affrontare quel mostro, dopo averci viste morire tutte: credo che inconsciamente abbia il terrore di restare sola e dopo quello che hanno detto prima Luna e Artemis io…-, scosse la testa, stringendo un pugno, -Ah, lo so che Usagi è piagnucolona e pasticciona, ma sono in pensiero per lei!-

Le altre compresero le sue parole e decisero che avrebbero potuto aspettare ancora un po’ per lavarsi e aiutare i ragazzi.

 

--- 

 

-Naru e Usagi ci stanno impiegando troppo tempo a tornare, probabilmente si sono fermate ad ingozzarsi di gelato oppure in un negozio di abiti o gioielli. Noi andiamo a cercarle e le riportiamo qua-, disse con non chalanche Rei ai maschi, che stavano sistemando le cose da loro acquistate nel frigo e in dispensa. Il primo a reagire fu Umino – cosa ci faceva Umino senza occhiali? – che barcollò e fu preso dal terrore di non veder tornare la sua ragazza, iniziando a farfugliare che sarebbe andato con loro.

-Tu non ti reggi in piedi, devi abituarti alle lenti, ti consiglio di restare qua-, gli impose Hiro e lui non osò replicare.

-Ragazze, andrò io a cercarle, ci vorranno pochi minuti… voi mettetevi pure comode-, parlò Motoki, senza permettere loro obiezioni.

-Ma… veramente…-, protestò debolmente Minako, ma le parole di Kenzo, che disse loro di andare a ‘farsi belle’, la convinsero che era un compito così facile, che potevano concedersi una meritata doccia e lasciare che fosse il suo principe azzurro a ‘salvare’ Usagi dai ‘Gelatai Assassini’.

-Oh, beh… se proprio insisti… Come si dice: a gatta frettolosa, non si guarda in bocca, no?-, Minako prese a braccetto una titubante Rei e la trascinò alla loro stanza.

 

-Cosa vuoi che succeda? Tranquilla Rei!- La mora non fu d’accordo con la tranquillità della sua amica e, chiudendosi in bagno per fare la doccia, non si liberò di quella strana sensazione che l’aveva colpita poco prima.


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Yuichiro si offrì di prestare a Motoki uno tra i mezzi che c’erano nel garage della villa, ma il biondo, per paura di fare anche solo un graffio a qualcosa che non fosse suo, declinò gentilmente l’invito.

-Vieni con me?-, domandò invece a Mamoru, che era stato costretto ad appiccicare un cerotto sul taglio che si era appena procurato. Lui guardò l’amico perplesso, domandandosi per quale motivo avrebbe dovuto uscire nuovamente sotto il sole ancora caldo per ritrovare quella sciocchina di Usagi.

-Devo parlarti…-, bisbigliò al suo orecchio Motoki, convincendolo.

Yuichiro tirò un sospiro di sollievo e indicò loro la strada per il piccolo paese e realizzò che, per potersi spostare sull’isola e godere appieno delle sue bellezze, avrebbero comunque dovuto fare ricorso ai mezzi di trasporto raccolti negli anni da suo padre e dalle sorelle.

Avevano alcuni pezzi da collezione, radunati là per scelta della sua famiglia e alcuni che usavano solo per spostarsi sull’isola. Negli anni, le sorelle di Yuichiro avevano più e più volte organizzato feste con gli amici in quella villa, inizialmente, quando erano solo delle ragazzine piene di soldi, per puro divertimento, dopo, via via che erano cresciute e avevano acquisito coscienza del loro nome, le feste si erano tramutate in party del jet-set, mirati sempre di più a rafforzare le alleanze commerciali della loro famiglia. Dovevano essere rimasti almeno tre o quattro scooter di quelli usati per i full moon parties che si tenevano circa dieci anni prima alla villa, un paio di motociclette e un vecchio tuk-tuk, unico mezzo che avesse mai usato Yu.

‘Per far colpo sulle tue amiche, dovresti guidare questa, invece del tuo tuk-tuk’, gli avevano detto le sue sorelle solo pochi anni prima, regalandogli una Honda CB 1000, che lui aveva ignorato: ne aveva avuto abbastanza di motociclette.

‘Preferisco qualcosa di più esotico’, aveva ringraziato ed era tornato al vecchio tuk-tuk thailandese che aveva restaurato da solo quando era ancora un ragazzo.

L’anno dopo, fraintendendo, le sue sorelle gli avevano fatto trovare, bella infiocchetatta, una Ducati Monster, ‘adatta ai vari terreni dell’isola ed… esotica’.

Entrambe le moto giacevano coperte da un telo, nell’angolo più remoto del garage. Le aveva provate per compiacere le sorelle e appena loro avevano lasciato l'isola lui era tornato al suo tuk-tuk.

 

-Non dovreste metterci più di un quarto d’ora a piedi-, spiegò a Motoki e a Mamoru, riemergendo dai suoi ricordi e li salutò.


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L’aria era sempre molto calda e la brezza tiepida soffiava da sud est, portando con sé il profumo dei pini e degli alberi della canfora; il sole, ormai basso, si stava tingendo di rosso e arancio, ammorbidendo ogni dettaglio di quel pomeriggio su Kakeroma.

Chi l’avrebbe mai detto che sarebbero finiti proprio lì, ospiti in una villa così lussuosa, in compagnia di sei ragazze scoppiettanti come piccoli vulcani! Mamoru sorrise nel tramonto e scosse la testa, pensando a quanto fosse strana la vita.

-A cosa pensi?-, gli domandò Motoki, affiancandolo nel breve tragitto verso il paese. Era il suo migliore amico, non c’era nulla che doveva nascondergli… beh, quasi nulla…

-A questo posto, all’inconveniente di stamani, alla bella giornata al mare, alla villa di Yuichiro, alle ragazze-, confessò, sospirando. 

Non sapeva come mai, ma c’era qualcosa che, in quel momento, lo faceva sentire malinconico eppure in pace con se stesso. Forse il fatto che, vista la sua strana natura, avrebbe dovuto pensare a qualche scusa plausibile per giustificare la guarigione affrettata del taglio che si era appena procurato, oppure perché, diversamente a tutte le notti da tanto tempo a quella parte, quella sul traghetto aveva portato con sé un nuovo sogno, che lo aveva lasciato in pace con se stesso. Forse era stata la melodia che aveva sognato, quella della Stella Lunare, forse l’aria delle vacanze.

-Già…-, constatò Motoki, voltandosi a guardare il sole che veniva inghiottito dal mare, alle loro spalle, -Le ragazze…-, se solo non fosse stato distratto dai suoi pensieri, Mamoru avrebbe scorto la scintilla truffaldina che per un istante aveva acceso lo sguardo del suo amico di una frizzante euforia.

Invece pensò che si stesse riferendo a Reika e si preparò la sua lista di frasi di circostanza da rivolgergli.

-Non devi preoccuparti, vedrai che alla fine lei tornerà da te-, gli disse, toccando il suo braccio e sorridendogli in maniera il più convincente possibile, ma non ebbe risposta; -Andiamo, Furu! Tu e lei siete fatti per stare insieme, anche se probabilmente, al momento non ne siete ancora consapevoli. L’ho visto come la guardi e come lei ti guarda, anche quando tu non te ne accorgi. Reika è una ragazza speciale e anche tu lo sei: devi solo avere fiducia-, Motoki, ascoltando non senza una punta di dolore le frasi dell’amico, si ricordò quale fosse lo scopo che si era prefissato per quelle vacanze e deviò prontamente il discorso. Ci sarebbe arrivato per vie traverse, ma avrebbe ottenuto un successo. Le frasi dette da Mamoru gli sarebbero tornate utili: era esattamente quello che lui pensava del suo amico e Usagi…

-Ho una domanda per te, visto che studi Medicina…-, iniziò e noto immediatamente Mamoru gettare gli occhi all’indietro e sbuffare seccato.

-Sei la seconda persona che inizia un discorso in questo modo, stasera-, confessò, facendolo distrarre dai suoi intenti.

-E chi lo ha fatto, prima di me?-, gli chiese, incuriosito.

Mamoru esitò un istante, -Umino. Voleva che lo aiutassi con le lenti a contatto…-, tagliò corto, evitando di raccontare il penoso equivoco che si era creato tra loro due.

Motoki comprese che l’amico non ne voleva parlare e tornò all’attacco.

-Quando ti andrà di spiegare come siete passati da Umino che ti chiede di aiutarlo con le lenti a te che lo sorreggi, dopo che lui è svenuto vedendo il tuo sangue quando ti sei tagliato, mentre ti stavi radendo con lui presente, fammi un fischio, che sono davvero curioso!-, strizzò l’occhio e proseguì, -Ad ogni modo la mia domanda è questa: come ci si può procurare una cicatrice dalla forma tonda, diciamo circa un centimetro, con un taglio da una parte?-

 

Con una rosa.

 

Mamoru sentì formicolare la base della nuca, come ogni volta che si trovava in situazioni di pericolo più o meno vicino.

-Cosa intendi…? Hai intenzione di uccidere qualcuno?-, chiese, rispondendo alla sua domanda con un’altra, sforzandosi di fare il simpatico.

Motoki cercò di essere più esplicito: -Intendo cosa può aver provocato una ferita come quella che ti ho descritto, sulla spalla di una persona-

 

Una rosa… una delle mie rose…

 

-Non saprei… un proiettile, forse?-, gli rispose, scacciando dalla testa la risposta che entrambe le volte sembrava coincidere con quel che Motoki stava domandando.

-Un proiettile? Oh Santo Cielo, spero proprio di no!-, esclamò preoccupato.

-Si può sapere di cosa o chi stai parlando?-, Mamoru volle capirci di più: non gli piaceva giocare al gatto col topo. Se c’era qualcosa che Motoki voleva dirgli, che lo facesse subito.

Il biondo sospirò, ponderando la sua ultima risposta. La verve che aveva all’inizio del suo interrogatorio sembrava sparita. Per un attimo Mamoru pensò che non avrebbe detto più niente.

 

-Sto parlando di Usagi, della spalla sinistra di Usagi-, gli disse, causandogli un immediato sconcerto, che Mamoru tentò di dissimulare. Una morsa stava stringendo i suoi polmoni e lo stomaco, proprio come quando aveva saputo che i suoi genitori erano morti, tanti anni prima, o che l’istitutrice della casa famiglia in cui era vissuto era gravemente ammalata.

-Prima, mentre stavo mettendole la crema solare… ho notato che ha una cicatrice come quella. Le ho chiesto cosa fosse e lei è corsa via, rifugiandosi tra le sue amiche-, continuò Motoki, -Dopo si è sciolta i capelli, lo abbiamo notato tutti, no? Penso che fosse per nascondere quella ferita…-, concluse, lasciando Mamoru in uno stato silenzioso e cogitabondo.

 

Una ferita sulla spalla sinistra. Proprio come quella che lui aveva inferto a Sailor Moon.

Conicidenze… Pensò che fosse un segno del destino perché lui non abbassasse mai la guardia e rischiasse di cadere nuovamente nell’attrazione per la bella guerriera, quella che aveva rischiato di uccidere.

Se solo la rosa l’avesse colpita pochi centimetri più in basso… 

C’erano mille diverse spiegazioni per quello che aveva ferito Usagi, sicuramente… e altrettanto sicuramente Motoki si era sbagliato, troppo preso com’era a fare il bravo fratello maggiore con tutte le loro amiche.

 

-Se non ha dolore – e non credo che ne abbia, altrimenti non sarebbe riuscita a portare lo zaino in spalla – non vedo di cosa ti preoccupi-, rispose all’amico, dissimulando la strisciante preoccupazione che lo aveva riportato alla visione di Sailor Moon svenuta e sanguinante tra le sue braccia.

Motoki si fece scuro in volto: -Mi preoccupo perché non capisco come una ragazzina di  sedici anni abbia potuto ferirsi in quel modo. Mi preoccupo perché ultimamente Usagi è più triste del solito e perché…-, fece una pausa, la scintilla tornò a brillare nei suoi occhi, -Perché io penso che tu… tu sia l’unico che possa aiutarla…-, lasciò la frase appesa, sperando che il pesce abboccasse al suo amo.

-Non sono l’unico capace di curare una ferita. Solo perché studio Medicina, non significa che io sia capace di fare queste cose. Anche Makoto è molto brava e poi… se è una cicatrice, non ci sono più problemi-, rispose scontrosamente Mamoru. Il pesce non voleva abboccare: occorreva pasturare un altro po’.

-Almeno fammi questo favore: cerca di trovare il modo per controllare quella cicatrice e fammi sapere se noti qualcosa di strano nel comportamento di Usagi: non vorrei che… avesse avuto dei problemi di…-, Motoki scosse la testa: era inutile argomentare con supposizioni tanto drammatiche quanto impossibili, meglio tacere.

 

-Hai paura che qualcuno possa aver fatto del male a Usagi?-, gli domandò dopo un po’ Mamoru, pensieroso. Erano quasi arrivati al centro del paese, in lontananza si vedevano l’insegna della gelateria e quella di un piccolo centro commerciale.

Motoki annuì, il suo amico aveva dato voce a quello che lui non aveva voluto dire.

-Credo che tu la conosca meglio di me…-, ricominciò Mamoru, improvvisamente pensieroso, -Ma forse… Stanotte è avvenuta una cosa… sulla nave…-, si fermò e si voltò verso l’amico, -Ho trovato Usagi che si era addormentata per terra, senza sacco a pelo e lontana da tutti. Stava piangendo e si lamentava nel sonno, come se stesse rievocando qualcosa di brutto… non so se capisci cosa intendo-, proseguì, -Forse… le tue supposizioni potrebbero essere…-, non terminò la frase.

Rimasero in silenzio alcuni istanti. Motoki si pentiva di aver fatto quel discorso a Mamoru, come se avesse aperto il vaso di Pandora, eppure era contento di essersi potuto accorgere di un problema di una sua amica e magari sperare di aiutarla. Il fatto che anche Mamoru, in un modo tutto suo, fosse preoccupato per Usagi, non poteva che fargli piacere.

-Andiamo, adesso-, disse Motoki, -Comunque… Chiba... in realtà non volevo dirtelo, ma visto che sei entrato in argomento… Anche tu stanotte ti lamentavi nel sonno, come se stessi avendo un incubo. Poi, di colpo, ti sei calmato e anche io sono riuscito finalmente ad addormentarmi! Spero che non si ripeta, altrimenti ti mettiamo davvero a dormire nella cuccia del cane, come dice Usagi!-, sdrammatizzò la situazione e si godette la faccia rossa di Mamoru.

-Solo una cosa: promettimi che starai attento a lei. Sono preoccupato…-, aggiunse Motoki, fermando Mamoru con una mano sul suo braccio, prima che entrassero nella gelateria.

 

Mamoru annuì e lo precedette.

 

Che cosa ci nascondi, Testolina Buffa?



 

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Capitolo 8
Soprannomi, Teorie & Le Crononaute


Tre chili e quattrocento grammi di gelato: Usagi aveva comprato tre chili e quattrocento grammi di gelato! Motoki e Mamoru non volevano crederci, né volevano credere alla folle cifra indicata sullo scontrino che lei aveva pagato e che sarebbe stata prelevata dalla cassa comune. Avevano trovato lei e Naru sedute all’ombra di un alberello al centro della piazzetta della gelateria e le avevano invitate a tornare a casa con loro. 

Si erano allontanati in fretta dal centro dell’abitato, rallentando l’andatura appena le case avevano iniziato a diradarsi.

 

-E così non volevano darvi i gusti bubble chewing-gum e frizzomenta… proprio dei cattivoni!-, Motoki, affrettando nuovamente il passo, cercò di far conversazione con Naru. Si erano parlati pochissime volte e, da quando la ragazza si era messa con Umino, le occasioni di scambiarci due chiacchiere erano diminuite drasticamente. I primi tempi, Usagi usciva sempre con lei e ogni volta si presentava alla sua Sala Giochi; in seguito, dopo aver conosciuto Ami, Makoto, Rei e Minako, aveva un po’ allentato i rapporti con Naru, pur rimanendone sempre amica.

-In realtà quei gusti li voleva prendere Usagi…-, confessò al ragazzo, arrossendo e specificando che comunque, quelli della gelateria avevano davvero avuto un comportamento molto strano.

-Spiegami come avete fatto a perdervi-, la stuzzicò Motoki, passando sull’altra mano il pesante sacchetto pieno di gelato che le due avevano acquistato. Il suo scopo era lasciare il più possibile da soli Usagi e Mamoru: si era prefissato una meta e voleva condurvi i due amici per mano; dopo aver visto e saputo quelle cose sulla ragazza, si era ancor più convinto che il carattere forte e serio del suo amico fosse quello che ci voleva, al di là dei suoi propositi da agente matrimoniale.

Naru iniziò il suo racconto, fatto di improbabili soste alle bancarelle dei dolciumi e alle boutique di abbigliamento; sforzandosi di ascoltarla, Motoki lanciò uno sguardo a Usagi e Mamoru, che procedevano dietro di loro.


-Quel cerotto te lo dovevano mettere sulla bocca!-, osservò Usagi, con una punta di divertimento a scolorire il sarcasmo che voleva mostrare nei confronti del suo più acerrimo amico.

-Spiacente… fosse stato per me, lo avrei evitato. Era meglio conservarlo per le tue ginocchia: mi domando come abbia fatto finora a non inciampare e sfracellarti al suolo, come tuo solito!-, le rispose il ragazzo, osservando come fossero lunghi i capelli di Usagi, in quel momento che ancora li aveva sciolti.

-Cosa guardi?-, gli domandò lei, quasi ringhiando.

Mamoru sorrise, sentendo il malumore diradarsi come la nebbia al mattino.

-Mi chiedevo cosa ti abbia spinta a sciogliere i tuoi odango: in questo modo non posso prenderti più in giro-, rispose candidamente, cercando di portarla a rivelargli quello che Motoki sosteneva.

Non gli sfuggì come le guance di Usagi si tinsero rapidamente di rosso, acuendo il colore con cui il sole stava inondando ogni cosa. I capelli della ragazza, sotto quella luce, sembravano accendersi di riflessi ramati.

-Erano… erano bagnati… perché qualcuno dotato di estrema intelligenza mi aveva buttata in acqua!-, gli rispose, facendogli la linguaccia. Affrettò il passo e inciampò in un rigonfiamento del suolo.

Prima che potesse cadere a terra e sbucciarsi le ginocchia, come aveva preventivato Mamoru prendendola in giro, sentì le sue braccia forti afferrarla e impedire che si facesse male. Ricordò che anche quel pomeriggio, in acqua, era avvenuta una cosa simile e, di nuovo, senza capirne il motivo, sentì il suo viso avvampare.

-Attenta, Testolina… Ah, lo vedi? Così mi togli tutto il divertimento!-, le disse il ragazzo, staccando le mani da lei e assumendo l’espressione che aveva ogni volta che stava per dirne una delle sue: -Come sempre avevo ragione: non sei capace neanche di stare in piedi da sola, diabolico angioletto!-

Usagi guardò sorpresa il suo interlocutore, poi voltò lo sguardo, rallentando l’andatura.

Perché l’aveva chiamata così? Cosa significava?

-È tardi, muoviti, lumaca-, le disse subito dopo Mamoru, con voce vagamente sostenuta.

Usagi zompettò al suo fianco, decisa a restituirgli pan per focaccia e tornò a pungolarlo sul perché di quel cerotto, pensando che diabolico angioletto fosse comunque ben più carino di lumaca o Testolina Buffa, nonostante non ne capisse il motivo.

-Non mi hai ancora detto cosa ti sei fatto sulla faccia: hai fatto a cazzotti con lo specchio, forse?-, le faceva caldo al collo, non era abituata a tenere i capelli sciolti. In fondo aveva rimesso la t-shirt, poteva tranquillamente tornare a legarli, senza che ci fosse il rischio di mostrare la cicatrice sulla sua spalla. Per il giorno dopo, invece, avrebbe avuto nuovamente difficoltà.

-Mi sono tagliato-, rispose caustico il ragazzo, guardando avanti a sé. Usagi si immaginò una scena che la fece sghignazzare da sola.

-Cosa c’è da ridere, svampita?-, domandò Mamoru, guardandola torvo.

-Io sarò svampita, ma se fossi in te e avessi il buonsenso di cercare di togliermi la vita, non sbaglierei mira così stupidamente!-, disse, regalandogli una linguaccia. Odiava quando le facevano notare che fosse svampita; lei non era svampita, era Sailor Moon e non sarebbe stato certamente un baka capitato sulla sua strada a farle dubitare della sua serietà.

-Non volevo togliermi la vita-, sibilò Mamoru, -Stavo semplicemente facendomi la barba-.

Mamoru pensò a quanto Usagi facesse su di lui un effetto stimolante, capace di far tornare un po’ di verve alla sua vita e al contempo fosse irritante, con quelle esternazioni di pura infantilità. Odiava quando si scherzava su cose serie come quella che lei aveva appena toccato e non era in vena di stare al gioco. Se era vero che lei era stata ferita, se quello che Motoki aveva visto corrispondeva alla realtà, che se la sbrigasse lui a comprenderne causa, complicazioni ed effetti!

Si avvicinò al suo amico e a Naru e si unì alla loro conversazione.

-Come fai a sopportare da così tanti anni una svampita come Usagi?-, domandò a Naru, facendo in modo che la  diretta interessata sentisse come l’aveva chiamata e si rodesse un altro po’ per la rabbia.

-Usagi è la persona più dolce e altruista che conosca, Mamoru. È eccentrica, a volte, è vero, ma è sempre piena di entusiasmo e allegria: è una ragazza splendida ed è la migliore amica che avrei mai potuto desiderare!-, gli rispose Naru, voltandosi ad aspettare Usagi che si era fermata per farsi la coda ai capelli, in tutta fretta.

Mamoru alzò le sopracciglia, sorpreso dalla descrizione fatta della ragazza e, involontariamente, incrociò lo sguardo di Motoki, che sorrideva serafico.

-Non. Dire. Una. Sola. Parola-, lo minacciò e infilò le mani nelle tasche dei pantaloni.

 

Mamoru che si faceva la barba

Usagi si costrinse a non pensare ancora a quella scena particolarmente sensuale di uno dei suoi attori preferiti che, in una puntata vista e rivista del telefilm in cui era protagonista, si radeva allo specchio, a torso nudo, ancora bagnato per la doccia, quando entrava nel bagno la bella vampira che si era innamorata di lui e che…

“Sciocca, Usa! Mamoru è solo un baka!!!”, arrossì per le immagini che la sua fervida fantasia aveva creato in un istante nella sua testa: la stessa scena del telefilm, con Mamoru Chiba al posto del protagonista e una bella vampira bionda con i codini…

Nonostante ciò, Usagi non aveva mai neanche lontanamente pensato a lui, Motoki o gli altri che si facevano la barba… eppure, alla loro età, doveva pur essere una cosa normale… Aveva immaginato Motoki che entrava nella doccia, lasciando cadere il telo che lo copriva alle sue spalle oppure Tuxedo Kamen che si toglieva maschera e mantello e si scioglieva il cravattino… ma mai che i maschi con cui aveva a che fare si potessero fare la barba.

Era una cosa… come dire… privata

Suo padre usava un rasoio elettrico e, di solito, faceva delle buffe smorfie allo specchio, canticchiando canzoncine sciocche… era quanto di meno eccitante poteva immaginare… ma Motoki… o quel bel figliolo di suo fratello… o Hiro… o persino… il baka  che si radevano… 

 

-Usagi! Dai, sbrigati!-, la voce di Naru la riportò con i piedi sulla terra. Corse verso di lei, raggiungendoli in prossimità del cancello della casa di Yuichiro.

-Finalmente!-, esclamò trafelata e si infilò in casa prima che qualcuno potesse fermarla.

 

-Cos’hai detto a quella povera ragazza per farla arrossire a quel modo?-, domandò Motoki a Mamoru, entrando in casa e consegnando il gelato a Yuichiro, che dovette litigare non poco con la cella del congelatore, troppo piccola per le dimensioni della scatola.

Mamoru ci pensò su e non trovò nulla di così strano che avesse detto alla ragazza, per farla arrossire.

-Parlavamo di come mi sono fatto il taglio… volevo arrivare a farmi dire qualcosa sulla sua ‘ipotetica’ cicatrice-, spiegò all’amico.

-Le hai detto che ti stavi facendo la barba?-, domandò questi, guardandolo torvo.

-Sì… anche se lei ha costruito una storia tragica e…-

-Allora ho capito perché aveva quella faccia…-, disse Motoki, interrompendolo, e lo lasciò lì, in cucina, senza dargli spiegazioni, andandosene via col sorriso di chi la sa lunga.

Mamoru non comprese le sue parole, osservò Yuichiro lottare con una confezione di carne surgelata e scosse la testa.


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-È quasi pronto!!!-, esclamò Makoto, raggiante per essere finalmente riuscita nel suo scopo: cucinare a Motoki il suo famoso curry di verdure.

Oltre a quello, insieme a Rei e le altre, aveva preparato una bella insalata mista, più estiva del curry e sulla griglia stava finendo di cuocere un bel pescione acquistato a peso d’oro. Tacitamente, tutte avevano stabilito che, dal momento che avrebbero risparmiato sulle spese del campeggio, grazie a Yuichiro, avrebbero potuto indulgere su altri piccoli piaceri.

Hiro e Kenzo, armati di forchettoni e palette di metallo, seguivano la cottura del pesce sulla brace preparata da Yu e tossivano, affumicati.

-Lasciate fare a me…-, disse loro gentilmente Makoto e Kenzo, l’unico che l’avesse mai battuta a braccio di ferro, uno verso il quale sentiva di dover portare rispetto, le fece un bel sorriso.

-Resto con lei-, disse a Hiro e Makoto sentì il cuore battere all’impazzata, rischiando di cuocersi una mano, invece del pesce.

-Sei molto brava-, le disse il ragazzo, facendola arrossire.

Qualcuno accese lo stereo in salotto e la musica si diffuse fino al patio, dove era stata allestita la tavolata, sotto ad un cielo di stelle.

Naru e Usagi, le ultime a essere pronte, raggiunsero gli altri dopo essersi fatte una doccia e aver cambiato i vestiti. 

Yuichiro e Rei discutevano borbottando sulla posizione delle posate occidentali attorno ai piatti che stavano disponendo sulla tavola, sorridendo. Hiro si unì a loro e disse la sua, facendoli ridere allegramente.

Umino andò incontro alla sua ragazza e le donò un fiore strappato da uno dei vasi della villa: Naru, emozionata dallo sforzo fatto da Umino con le lenti, complice la musica, la sera, la brezza carica di profumi che risaliva dal mare, lo abbracciò e, per la prima volta lo baciò sulle labbra davanti a tutti.

 

-Come sono carini…-, si lasciò sfuggire, sognante, Ami parlando a Motoki, mentre guardavano il mare dalla balaustra del terrazzamento che dava sul giardino, poco più in alto degli altri.

-Già… sono proprio carini… tutti-, constatò, guardandosi intorno alla ricerca di Mamoru e Usagi: stavano entrambi con i gomiti appoggiati alla ringhiera, molto distanti tra loro, ammirando lo spicchio di luna che sorgeva sul mare. Fece cenno ad Ami di girarsi nella loro direzione e proseguì: -Tutti… tranne quei due-, sospirò, perché il suo progetto non stava avendo successo.

La gonna leggera del vestitino di Usagi svolazzava alla brezza e le sue code seguivano lo stesso movimento. Mamoru guardò l’ora sul suo polso e si voltò dall’altra parte.

-Non crucciarti: io credo che se quello che sostieni è vero, devi lasciar loro del tempo-, disse Ami, guardando il biondo: -Anche se… sinceramente non penso che sia Mamoru ad interessare alla nostra amica…-, lasciò cadere la frase, sottintendendo che fosse proprio lui l’oggetto dei desideri di Usagi.

-Li hai visti oggi al mare, no? Forse non hai osservato attentamente il modo in cui Mamoru ha guardato Usagi mentre piangeva disperata, stamattina, oppure come lei è arrossita, poco fa, mentre tornavamo a casa e io chiacchieravo con Naru. Quello che penso è che non ne siano consapevoli, ma che entrambi provino molto affetto nei confronti l’uno dell’altra. E azzarderei anche attrazione fisica. Mamoru è un testone e, non so per quale motivo, si comporta come se il suo cuore fosse già impegnato da qualcun’altra, così come Usagi è convinta di… amare… me. Io dico che quello che possiamo fare per loro è metterli davanti all’evidenza delle cose, in modo che lo capiscano da soli-, spiegò Motoki, torturandosi le mani.

Ami gli sorrise benevola: era conquistata dalla dedizione che il giovane mostrava nei confronti dei loro amici e del progetto che si era prefigurato per loro.

Lo sfiorò su un polso, trattenendosi dal fargli una carezza che avrebbe potuto essere fraintesa: stava scoprendo un nuovo amico che teneva così tanto a Usagi ed era fiera di lui. Nient’altro.

-Spero che tutto si sistemi come dici tu. Sarebbe bello poter vedere tutti… felici-, disse, abbassando lo sguardo.

Motoki guardò la luna, eterea e di una bellezza struggente.

-E tu?-, domandò ad Ami, dopo qualche istante di silenzio.

Lei lo guardò confusa: -Io…?-

-Si: non hai anche tu un… sogno romantico, Ami?-, le chiese, senza vergogna.

La ragazza arrossì e si strinse nelle spalle. Sapeva che era maleducazione non rispondere alle domande che le venivano poste e stava cercando le parole migliori per esprimere quello che voleva dire.

-Io… Non voglio rinunciare all’amore, se è questo che intendi, ma per adesso preferisco investire le mie energie in altro… Nello studio, per esempio… Vorrei tanto essere ammessa a un buon college e occuparmi di quello che mi interessa e…-

-Come Reika!-, sbottò Motoki, dandole le spalle e stringendo i pugni. Ami si stupì per la sua reazione e non seppe cosa dire.

Il ragazzo tornò a guardarla serio: -Non lasciare che lo studio, l’egoismo di fare qualcosa solo per te stessa, possa allontanarti dalle persone che ami… Non fare come…-, inspirò e la guardò negli occhi, due smeraldi colmi di dolore, -Non fare come Reika che ha rinunciato a tutto, per seguire le sue ambizioni…-, buttò fuori l’aria con un sospiro e si passò una mano tra i capelli.

Ami rimase di sasso: -Vuoi dire che tu e lei…-, non terminò la frase, perché Motoki le prese le mani nelle sue.

-Non dire niente a Usagi, per favore… non voglio che si illuda che adesso che io… che lei… Non voglio che si faccia delle speranze di lei… e io…-

Ami non seppe cosa dire, dispiaciuta per la scoperta e per il modo categorico nel quale le era stato detto di non parlare alla sua amica. 

-Quindi è vero che stai montando questo castello in aria tra Usagi e Mamoru solo perché vuoi liberarti di lei-, constatò delusa.

Motoki lasciò le sue mani e abbassò lo sguardo.

-No-, disse mesto, -Io credo davvero che Mamoru provi qualcosa per Usagi e spero che anche lei capisca che tutti i loro bisticci derivino proprio da questa attrazione reciproca. Vorrei tanto poter ricambiare quello che Usagi prova per me, ma non posso: posso solo sperare che anche lei sia felice, come lo sono stato io… finché è durata-, concluse e si allontanò.

Ami rimase sola, pensando alla sofferenza di Motoki, alla grande incognita su Mamoru e Usagi e anche al suo futuro. Da sotto le voci di Makoto e Rei iniziavano a chiamare tutti per la cena.

Veramente voleva dedicarsi anima e corpo allo studio e lasciar passare quegli anni di spensieratezza che non sarebbero mai più tornati? Era pronta a rinunciare ai sogni d’amore che tanto parevano allietare e confortare e sue amiche, solo per un titolo accademico?

Sospirò e scosse la testa: non aveva senso programmare il proprio futuro, l’amore sarebbe arrivato quando meno se lo fosse aspettato.


Si trattava solo di aspettare.


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-Signore e signori, eccomi qua!-, annunciò a gran voce Minako, raggiungendo gli altri a tavola e sfoggiando il primo di una lunga serie di abitini estivi che lasciavano non molto all’immaginazione.

Hiro e Kenzo si scambiarono un’occhiata, Umino fu tentato di strusciarsi gli occhi, ricordandosi all’ultimo istante che portava le lenti, a Yuichiro cadde la paletta per il pesce di mano e si guadagnò un’occhiataccia di Rei, Mamoru e Motoki interruppero la loro conversazione.

-Non ti avevamo notata…-, disse con voce spenta Usagi, sventolandosi con un tovagliolo, invidiosa del suo abitino leggero. Si sentiva strana, avrebbe voluto comportarsi in maniera spensierata come al solito, scherzare con tutti, fare la sciocchina con Moto-chan, bisticciare con Rei e con Mamoru, eppure c’era qualcosa che non andava, come uno strascico della sensazione provata la mattina precedente, dopo essersi svegliata in lacrime.

Alzò gli occhi al cielo, pentendosi del sarcasmo usato con Minako e vide la luna, lievemente offuscata da una nuvola bassa.

“Che sia colpa tua? Puoi influenzarmi così tanto, luna?”

Prese le bacchette e iniziò a piluccare il suo pesce, accompagnandolo da minuscoli bocconcini di curry.

-Che ti prende?-, le domandò Rei dopo un po’, parlandole piano, in modo che non le sentisse nessuno. Era seduta tra Usagi e Yuichiro, ma davanti a lei c’era Hiro: nonostante la piacevole distrazione, si era accorta dell’apatia di Usagi.

-Nulla… non preoccuparti, Rei-, le rispose Usagi, facendole un sorrisone e infilandosi in bocca una cucchiaiata bollente di curry, che la fece urlare e cercare l’acqua, tra le risate collettive.

-Prendi, Testolina Buffa!-, le disse Mamoru, passandole il bicchiere che le aveva appena versato. 

Erano seduti vicino per chissà quale strano scherzo ordito dai loro amici, o dal destino. Mamoru le sorrise, allegro, guardandola bere e Usagi, sentendo che stava di nuovo arrossendo, non riuscì a far altro se non aprirsi a sua volta in un sorriso ristoratore.

-Grazie Mamo-chan-, gli disse, meravigliando tutti per il modo in cui l’aveva chiamato. Le era venuto così, senza pensarci, era carino.

-Prego… Usako-, rispose lui, stupendo per primo se stesso per il soprannome inventato, chissà come gli era venuto. I due risero, senza un perché, contagiando tutti e riaccendendo la serata. 

 

Seduti ai due lati opposti del tavolo, Ami e Motoki si scambiarono un’occhiata più loquace di mille parole.

“Mi sa che, in fondo in fondo, hai ragione, Motoki”, pensò Ami, sorridendo e scuotendo distrattamente la testa.


Dal porto giunse il richiamo allegro dell’ultimo traghetto della sera che attraccava sull’isola: imitandone il suono, Usagi portò in tavola l’enorme vasca di gelato che aveva acquistato a caro prezzo.

-All’arrembaggio!-, esclamò e affondò il cucchiaio nel dolciume tanto amato.


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Dopo la cena, i maschi si offrirono per sparecchiare la caotica tavolata e lasciarono alle ragazze la scelta di quel che avrebbero fatto prima di andare a letto.

-Facciamo un gioco!-, propose con enfasi Minako, chiamò anche i ragazzi e, tutta presa dall'euforia, sillabò: -Obbligo o verità!-

Fu accolta da un coro unanime di proteste, troppo pericoloso quel gioco, troppo noioso, troppo crudele, troppo. Minako sbuffò e se ne andò a esplorare il salotto della villa, guardò con distrazione i libri e i soprammobili, poi scoprì un enorme porta CD in legno e acciaio.

 

Ami fu la prima a salutare il gruppo, chiudendosi in camera per terminare alcuni esercizi di trigonometria che non le erano riusciti il pomeriggio in spiaggia, consigliando alle amiche di fare altrettanto. Alla sua proposta, incredibilmente, non solo le dirette interessate storsero la bocca, ma anche Umino, gli altri ragazzi, perfino lo studente modello Mamoru.

 

-Allora, Mamo-chan, che mi racconti di bello?-, lo schernì Motoki, andando a sedersi vicino a lui in giardino, -Come sta la tua cara Usako?-, sapeva di apparire un po’ troppo sarcastico, ma Motoki era entusiasta della piega inattesa che aveva preso l’affaire ‘Chiba-Tsukino’ e non voleva rinunciare ad alcuna piccola soddisfazione.

Mamoru alzò gli occhi al cielo e aprì le braccia sulla spalliera del divanetto di vimini.

-In effetti è un po’ strana-, iniziò, sorprendendo l’amico che non si aspettava che gli rispondesse, -Penso ci sia qualcosa che la turba, ma non saprei assolutamente dirti cosa, anche perché le ci vuole un istante a tornare l’allegra, sbadata, svampita, pasticciona bambina di sempre-

Motoki guardò Mamoru, pensando se fosse il caso di proseguire nel discorso, ma fu interrotto in ogni proposito da Rei, che andò a sedersì vicina a loro.

-Non sono normali!-, commentò, riferendosi al resto del gruppo che ancora non li aveva raggiunti: in cucina, Kenzo e Makoto sembravano flirtare, chiacchierando sommessamente mentre asciugavano i piatti rigovernati; Hiro, Minako e Usagi, invece, ballavano come tre tarantolati sulle note allegre di "The Rhythm of the Night", ridendo fatuamente. Yuichiro, intanto, armato di spugna, si applicava alla perfetta ripulitura del tavolo dove avevano cenato e delle sedie.

-Quello lì, poi, è un maniaco!-, chiosò la ragazza, indicandolo con la mano aperta, scuotendo la testa rassegnata.

-Uno come lui mi sarebbe utile per ripulire la sala giochi a fine giornata!-, scherzò Motoki, deciso a sfruttare le informazioni in possesso di Rei. Mamoru, intanto, si guardava intorno vagamente a disagio. Forse la presenza della ragazza con la quale era uscito alcune volte lo innervosiva: in effetti, Mamoru sembrava essere quasi sempre a disagio in presenza di esponenti del gentil sesso, esclusa Usagi, con la quale invece sapeva eccome rilassarsi come un ragno e divertirsi a farla arrabbiare.

-Andiamo a ballare anche noi?-, propose il biondo, con il solo scopo di assistere alla reazione disgustata del suo amico, che non si fece attendere: Mamoru storse il naso, girò lo sguardo all’indietro e si alzò, andando a cercare un posticino più tranquillo in giardino.

 

-Certo che il tuo amico è proprio strano-, constatò Rei, -È uno dei migliori esemplari di questo zoo…-, commentò sarcasticamente, alzando le sopracciglia.

Motoki sorrise, -Eppure mi pare che in passato non hai disdegnato la sua compagnia…-, le fece notare, pungolandola e divertendosi a vederla arrossire alla debole luce della luna.

Rei si strinse nelle spalle e prese a giocherellare con una ciocca dei suoi lunghi capelli corvini, guardando un punto indistinto a terra, davanti a sé.

-Non volevo…-

-Hai ragione è che…-

Rei e Motoki parlarono insieme e la curiosità vinse sulla titubanza del ragazzo che ‘cavallerescamente’, lasciò parlare la sua interlocutrice.

Rei sorrise timidamente e proseguì: -Dicevo… hai perfettamente ragione, ma già all’inizio Mamoru aveva la testa altrove… Ammetto di essere stata io a ‘creare’ la condizione per… ahem… accalappiarlo… eppure… Insomma, dal momento che aveva accettato di uscire con me, pensavo di interessargli… almeno un pochino. Invece lui è sempre parso pensare ad altro, oppure sembrava sulle spine. A volte pensavo che se la sarebbe data a gambe levate non appena avesse potuto-, Rei guarò Motoki: non era triste per come era finita la storia, piuttosto delusa dal non aver capito cosa l’avesse fatta estinguere.

-Insomma, non è mai stato ‘limpido’, con me. Un po’ come fa ora: uno va in vacanza con l’unico scopo di spegnere la testa e divertirsi, lasciarsi un po’ andare, e lui che fa? Niente… la sua testa è sempre altrove: parla, ma non comunica; ride, ma non ridono i suoi occhi; sembra sempre seccato…-, Rei fece una pausa, muovendo le mani come a dare forma a un’idea che non riusciva a concretizzarsi. Motoki si sentì in dovere di dire qualcosa, ma la mora lo precedette.

-A volte penso che Usagi abbia ragione a dire che l’unico motivo per cui Mamoru Chiba è stato creato sia per prendere in giro lei: solo quando sono lì che si becchettano e lui la prende in giro e la fa mortificare, Mamoru sembra essere padrone della sua volontà. Sembra vivo solo quando pungola Usagi… ti sembra possibile?-, domandò, esasperata, spostando la sua attenzione su Yuichiro, che stava uscendo con la scopa, per togliere la sabbia accumulata sulla soglia della portafinestra. Lo guardò e scosse la testa, pensando di essere davvero capitata in una casa di pazzi. 

Motoki ci pensò su: dire quello che pensava alla ragazza, che in passato aveva fatto un pensiero su Mamoru o no? Sospirò e prese una decisione.

-Sì, mi sembra possibile, perché anche io l’ho notato-, sparò, attirando la totale attenzione di Rei. La ragazza lo guardava con occhi enormi, trattenendo il respiro, come se stesse per assistere a una strana manifestazione metafisica. Voleva sapere qualcosa di più, chiaramente, ma Motoki decise che, certi pesci, era più facile pescarli dando loro tantissima lenza…

-Spiegati meglio-, chiese la mora, sulle spine. Motoki fece spallucce e non disse altro: avrebbe potuto sentire gli ingranaggi del cervello di Rei cigolare, sforzandosi di trovare da sola una risposta alla sua stessa domanda. 

Per quale motivo l’unica interazione che non desse noia a Mamoru era quella con Usagi, al solo fine di prenderla in giro e rimbrottarla a ogni piè sospinto? A volte Rei guardava il ragazzo e sorrideva, perché anche lei avrebbe detto le stesse cose alla sua amica, anche lei l’avrebbe sgridata, anche lei avrebbe fatto notare certe ‘pecche’, che, in qualche modo, la facevano apparire inferiore a lei… Era come se Mamoru ragionasse con la sua testa, con la testa di una…

 

‘Non può essere…’

 

-Vuoi… vuoi dire che… Mamoru… lui è…-, gli occhi viola non erano più enormi, erano immensi. Motoki capì che c’era qualcosa che non andava… che cosa stava cercando di domandargli Rei, con una faccia così sconvolta e muovendo le mani in maniera disordinata e vagamente allusiva? Forse non era il solo ad aver avuto quell’intuizione, allora!

-Te ne sei accorta anche tu?-, domandò speranzoso di non dover essere il primo a mettere in giro voci sul conto dei suoi due migliori amici, ma il volto di Rei, che stava virando dallo sconvolto all’attonito, non lo confortò.

-Accorta di… Cioè, mi stai dicendo che Mamoru non è voluto stare con me, che è sempre al tuo bar a chiacchierare con te, che prende in giro ‘una ragazza’, perché lui… insomma… preferisce stare con te che con le ragazze???-, domandò d’un fiato, dando voce alla minore delle forme con le quali avrebbe potuto esprimere il concetto.

Motoki raggelò: cosa aveva capito Rei? Il suo viso sconvolto dovette dare la forza alla moretta, grande lettrice di manga di ogni natura, anche quelli teoricamente vietati ai minori, la quale in pochi attimi sembrò elaborare nella sua testa una teoria degna di un film equivoco.

-Mi stai facendo capire che tu non sei in vacanza con la tua ragazza, che Mamoru è qua con te, che lui  non mi ha voluta e che sembra una ragazzetta isterica con Usagi perché lui… perché tu… Oh Mio Dio!!! Voi due siete… OH MIO DIO!-, Rei aveva iniziato ad urlare, attirando in un batter d’occhio Yuichiro.

-Che sta succedendo qua?-, domandò il ragazzo con faccia truce.

Rei schizzò in piedi e si allacciò al suo braccio. Yuichiro pensò che in fondo non gliene importava affatto di quel che stava succedendo lì, perché qualunque cosa fosse stata, aveva sortito l’effetto di fare avvicinare la sua Rei…

-Eh eh… niente, caro Yu… Andiamo… ti aiuto a pulire il salotto… Andiamo, lasciamo da soli Motoki e Mamoru!-, e così dicendo, trascinò via il suo amico sognante.

Motoki si schiaffeggiò da solo e si lasciò scivolare sul divanetto.

-Ma cos’hanno nella testa queste ragazzine?!-, si lagnò e spostando la mano e riaprendo gli occhi rivolti al cielo, trovò il faccione di Mamoru, a pochi centimetri da lui, che lo guardava perplesso.

-Ahh!-, Motoki si tirò su di scatto, -Mi hai fatto paura!-, si tenne il cuore con la mano, ancora sconvolto dal misunderstanding con Rei.

-Cos’hai fatto a quella piccola tigre?-, gli domandò il ragazzo, giocherellando con un fiorellino di gelsomino colto dalla siepe poco lontana.

Fiorellino.

Di gelsomino.

 

Fiorellino.

 

Motoki fece lavorare alacremente le sue meningi, cercando ogni indizio che fugasse i sospetti di Rei; dopo passò all’attacco frontale.

-A te piacciono le ragazze, vero Mamoru?-, domandò, sentendo il terreno sgretolarsi sotto ai piedi: non solo la sua folle campagna pro ‘Chiba-Tsukino’ sarebbe miseramente crollata, ma avrebbe iniziato ad avere dubbi sulla sua amicizia con il ragazzo.

Mamoru si sedette vicino a lui, stupito e perplesso dalla domanda postagli. Se gli piacevano le ragazze? Beh, sicuramente. Ma tra piacere e interessarsi a qualcuna in particolare, c’era di mezzo l’oceano in tempesta nel suo cuore, che lo spingeva in più direzioni contrastanti, alla continua ricerca di un porto.

-A me sì, perché?-, rispose candidamente, senza capire la sua domanda.

-E allora perché non ti sei fidanzato con Rei?-, Motoki stava sulle spine, quasi aggrappato al bracciolo del divanetto, dalla parte opposta a lui. Mamoru sbuffò, ancora una volta si finiva a parlare di lui e delle sue storie d’amore.

-Senti, Furu, con Rei non è andata perché non eravamo compatibili, ok? Lei è una ragazza forte e determinata, io sono un ragazzo forte e determinato: messi insieme avremmo finito per litigare ogni tre secondi. È carina, senza ombra di dubbio, ma non faceva per me. E poi… non mi faceva sentire vivo… Sei soddisfatto, adesso?-, sembrava arrabbiato, ma a Motoki non interessò, felice di aver udito quelle parole, si rilassò un pochino. Volle però un’ulteriore conferma, una di quelle da Bar Sport

-Chi ti sembrava più carina delle nostre amiche, in costume?-, chiese candidamente e Mamoru gli riservò un’occhiataccia.

-Ma che ti prende, Motoki? Vuoi o non vuoi Reika? E allora perché fai questi discorsi?-, il biondo si accorse dello scivolone e tentò di raddrizzare il tiro.

-Eh, infatti, io chiedevo a te! Per me sono tutte come Unazuki… come sorelline! Invece per te…-, gli diede di gomito e strizzò l’occhio. Sapeva di apparire come un maniaco, ma doveva avere la conferma ai dubbi che Rei gli aveva messo in testa.

-Lo sai? L’aria di mare ti fa seriamente male, Motoki… Bastava che ti svagassi, in vacanza, non che rincretinissi del tutto!-, Mamoru fece per alzarsi, ma fu trattenuto per il polso.

Lo sguardo che l’amico gli rivolse, era tutto tranne che cretino.

-Seriamente, Mamoru: tu hai bisogno di una ragazza e io ti aiuterò a trovare quella perfetta per te!-, esclamò stringendo l’altro pugno, determinato come un bulldozer. No, Rei si sbagliava, sicuramente. Ne era più che certo, così come era certo che avrebbe portato a termine il compito che si era prefissato.

Mamoru sentì il sangue ribollire nelle vene: gli ci mancava solo l’aiuto di Motoki per trovare la terza ragazza che lo avrebbe confuso ancora di più, allora sì che avrebbe preferito farsi frate di clausura! Decise di essere convincente e vuotò il sacco. Una volta per tutte.

-Non ho bisogno del tuo aiuto: ci sono già ben due ragazze che mi interessano e con le quali… c’è stato qualcosa. Devo solo capire quale delle due amo davvero e non voglio che tu faccia niente per confondermi ancora!-, detto ciò, si alzò e rientrò in casa, dando la buonanotte ai presenti e chiudendosi in camera.

Motoki non lo seguì, basito dalla risposta e quanto mai determinato a indagare ancora su quel che aveva appena scoperto: Mamoru Chiba con ben due ragazze? Il ‘pezzo di legno’ che vagava quotidianamente nel suo bar, snobbando ogni occhiata languida e dribblando le sue ipotetiche corteggiatrici, con ben due ragazze? 

Il mondo sembrava girare davvero al contrario…

-Eppure ce la farò, che tu sia d’accordo o meno…-, minacciò rivolto al cielo e si decise a raggiungere gli altri.




 

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-Siete pronte?-, Pluto volle essere certa che le sue compagne avessero compreso l'importanza della loro missione.

-Noi due siamo nate pronte!-, Uranus mostrò i bicipiti, stringendo i pugni ai lati della testa.

-Avete preso tutto l'occorrente?-, Venus controllò ancora una volta nella sacca che quella spaccona stava per chiudere.

-Penna lunare, bikini, abiti anni novanta, soldi in valuta dell'epoca, documenti falsi… Possiamo andare-, Michiru fece l'elenco sentendo troppi occhi puntati su di sé.

Mercury si scambiò uno sguardo veloce con Pluto, poi si rivolse alle due volontarie, -Avete ben chiaro quello a cui state andando incontro?-

Uranus piantò gli occhi nei suoi: -Ci è tutto chiaro: o riusciamo a fare innamorare quei due entro l'eclisse, oppure siamo tutti spacciati.-

Mercury sospirò, sentiva un peso enorme sulla coscienza, avrebbe dovuto parlare più chiaramente. 

Pluto posò una mano guantata sul suo braccio e con lo sguardo la pregò di rimanere in silenzio. Avrebbe dovuto essere lei ad andare, era l'unica che non avrebbe avuto conseguenze da quella situazione al limite dei comprensibili concetti della fisica, ma doveva rimanere lì e controllare da lontano l'evoluzione della missione. Quella era un'osservazione che nessun computer di Mercury avrebbe potuto elaborare.

 

-Bene, trasformatevi adesso-, Venus volle controllare che le loro coperture fossero  efficaci. In un bagliore le divise Sailor scomparvero e lasciarono il posto alle versioni diciannovenni delle loro colleghe.

-Perfette-, commentò e si tenne per sé quello che pensava davvero di Uranus.

Lei si tastò il petto e alzò gli occhi al cielo, Michiru le sorrise in modo sbarazzino.

 

-È ora-, decretò Pluto e le scortò fino al portale del Tempo.

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Capitolo 9
Magie, Nodi & Motori Ruggenti


Mamoru chiuse fuori dalla camera l’allegro cicaleccio e la musica che giungeva dal piano terra, si sfilò quasi con rabbia la maglia e la buttò sulla sedia dove c’erano le sue cose. 

Spense la luce e si stese sul letto senza neanche disfarlo: avevano deciso di utilizzare la biancheria che Yuichiro aveva gentilmente offerto loro senza concedere possibilità di scelta: ‘C’è la lavatrice e… ci penserà la domestica a stirare le lenzuola’, aveva stabilito poco prima che le ragazze li raggiungessero dopo la spesa, poche ore prima.

Meglio così: quelle lenzuola profumavano di pulito ed era quello che ci voleva, dopo una serata devastante come quella.

Perché non poteva essere fortunato come Umino e semplicemente trovare la sua unica ragazza e vivere felice accanto a lei? 

Si rigirò di fianco, guardando le strisce di luna che filtravano dalle tende svolazzanti. Sarebbe stato davvero bello poter stare su quell’isola con lei, chiunque fosse, e trascorrere qualche giorno in tranquillità.

Tutte le chiacchiere di Motoki su Rei e Usagi e sul suo scopo matrimoniale lo stavano veramente stufando, soprattutto perché l’unico motivo per cui lui lo aveva seguito in vacanza era per cercare di vederlo più tranquillo, dopo la batosta avuta a causa di Reika. 

Dal basso la musica si fermò e fu sostituita dal parlottio sommesso di chi stava salendo le scale per andare a letto. Udì l’acqua scorrere nei tubi del bagno vicino alla sua stanza e si aspettò di sentire la porta di camera aprirsi, annunciando l’arrivo di Yuichiro e quel demonio di Motoki per la notte. Lo avrebbe nuovamente torturato con i suoi discorsi? Avrebbe ancora spinto per trovargli una ragazza, facendolo pentire di essere sull’isola di Kakeroma?

Fosse stato per lui, sarebbe rimasto a casa e avrebbe continuato ad aspettare, giorno dopo giorno, che il suo strano potere si manifestasse, richiamandolo incondizionatamente verso la sua Sailor Moon, per salvarla dal nemico, rubare un suo sorriso, poterla osservare adorante e poi andarsene. Gli sarebbe bastato quello: convincersi che era lei la donna che amava e dopo rassegnarsi a non poterla mai avere.

 

Sbuffò: non erano certo quelli i migliori pensieri da fare prima di prendere sonno, a meno che non fosse ansioso di ricevere la visita notturna dei suoi incubi.

Già… gli incubi, quei maledettissimi incubi che avevano messo a soqquadro la sua precaria stabilità e aggiunto una regina di troppo sulla scacchiera del suo cuore.

Ripensò alla notte precedente e a quello che aveva afferrato del sogno che stava facendo prima di essere svegliato: non era uno dei soliti scenari angosciosi e sapeva di essere felice. Peccato che ricordasse concretamente solo il silenzio rotto dalla musica dolce della Stella Lunare e due labbra voluttuose come la panna che stavano per rispondere alla domanda più importante della sua vita.

 

“Ma cos’è che ti avevo domandato? E chi sei, meravigliosa creatura?”, si chiese e, senza poter svelare il mistero, si concentrò finché il sonno non se lo prese.


--- 

 

C’è silenzio, la pace invade questo posto, la magia pervade ogni cosa: le foglie che si muovono appena, senza fare rumore, i fili d’erba accarezzati dalla brezza leggerissima, le tue ciglia di seta che tremano sui tuoi occhi azzurri.

Hanno rubato un pezzo di cielo e l’hanno confuso con l’acqua del mare più limpido, dipingendo i tuoi occhi. Hanno raccolto i petali delle rose più profumate e li hanno tinti con i toni dell’aurora, per creare le tue labbra. 

Ti muovi e mi guardi, porti le mani al petto e sospiri. È il momento della verità, l’attimo che potrà far esplodere la felicità nel mio cuore o affossarmi.

-Edymion… io…-

Un velo di malinconia copre il tuo sorriso, calando leggero sullo sguardo triste.

 

No… la risposta è... no… Tu non mi vuoi… Io… lo sento…

 

-Se mi unirò a te, tutto questo verrà sconvolto: non può esserci equilibrio nell’unione del giorno e della notte. Tu rappresenti il Sole che bacia la Terra, sei capace di curare questo pianeta, di farlo vivere e fiorire, mentre io… sono la Luna che si accende quando nascono i sogni, sono la custode della luce nel momento in cui la Terra dorme. Se fossi tua… chi veglierebbe sui sogni notturni e chi provvederebbe a fornire la luce e la vita al mondo?-

 

Sento dilagare la delusione e il dolore dentro di me, afferrarmi il cuore e strappare: siamo dunque destinati a essere solo amanti? Non potremo mai tentare di far sognare la Terra anche di giorno e portare la vita sul buio della notte? Stringo la rosa nel mio pugno e non mi importa se le spine si conficcano nella pelle, alzo gli occhi al cielo: il primo raggio di sole sorge oltre la collina, l’ultimo spicchio di luna lo osserva, dall’altro angolo di cielo, prima di scomparire.

Una goccia del mio sangue cade sull’erba fresca, sulla Terra, rischiarata di due astri.

 

-In questo istante Luna e Sole coesistono e illuminano entrambi la Terra-, ti dico, e comprendo che il mio sogno è possibile. Prendo le tue mani tra le mie, le stringo, le porto al cuore.

-Batte per te, ha sempre battuto solo per te e batterà fino alla fine dei tempi- 

Voglio che tu creda che sia possibile, che tu capisca che, insieme, potremmo essere felici, come i due astri che ci osservano.

Guardi il cielo e sembri una bambina: i tuoi occhi si illuminano di speranza, la tua pelle è baciata dai primi raggi e il tuo cuore raggiunge il mio, galoppando al suo fianco.

E allora sorridi e la luce più bella è quella che emana il tuo viso: mi stringi in un abbraccio emozionato, prendi le mie mani, le avvicini alla tua bocca e le baci.

 

-Sì, la mia risposta è sì, Endymion!-, esclami e insieme voliamo lontani sulle ali della felicità più autentica.

 

Prendi la rosa e posi le tue labbra sui petali morbidi, la chiudi nel pugno e ti ferisci. Dopo stringi la mia mano nella tua.

 

-Per sempre insieme…-

-Per sempre…-


Finché la Luna non diverrà rossa, rubando il colore al tramonto del Sole, finché i due astri non vorranno coesistere e si oscureranno l’uno con l’altro, finché il buio non si mangerà i sogni e la notte non durerà per sempre.

 

Un rumore secco, un respiro trattenuto, un tonfo, passi affrettati, tutto trema, si muove ondeggiando per un istante. Parole sommesse, una risata trattenuta, respiri.

Silenzio.

 

Un’esplosione.

Perdonami amore mio, ti ho mentito, sto correndo verso la battaglia, sto lottando col tuo pensiero nel cuore, perché il peggio è arrivato, e Luna e Sole si sono uniti.

Non siamo noi, non sei tu a dover controllare questa situazione, non è causa tua se la Luna sta tingendosi del sangue di innocenti. Non sei tu che hai generato il cono d’ombra, non è colpa tua se questa notte ci ha traditi. Non è per il nostro amore che il Sole ha cacciato la Luna ed essa ha oscurato il Sole.

 

È stato il nemico.

Un nemico più forte di me, un nemico sconosciuto e subdolo, che si nutre della felicità di questa Terra, ha rubato la luce del Sole, ha preteso la magia della Luna.

Devo lottare per salvare il nostro sogno, il futuro che potremmo non avere mai, devo fare qualunque cosa pur di vederti al sicuro.

Anche rinunciare a te…

 

Eccomi arrivato: le mani adunche del potere nero strizzano il cuore di questo pianeta, a nulla valgono gli sforzi di chi ha dato e dà la vita per salvarlo. Non si può tenere accesa una fiammella nella tempesta, amore mio…

La mia spada potrà poco contro l’invasore: una forza tale da spostare gli astri, accecare gli sguardi puntati al futuro, spegnere per sempre la luce del Sole e della Luna.

Li hanno messi l’uno contro l’altra, sperando di riuscire a fare lo stesso con noi due, Serenity: sulla Terra non si sa più se sia l’ombra della Luna ad aver spento il sole, o quella del sole ad aver ucciso la Luna. Non c’è più giorno, non più tramonti e albe. È rimasta solo la notte, un buio denso rotto solo dalle fiamme delle esplosioni e dalle urla di chi muore.

 

È l’invidia che ha generato il Male, il Male che ha dato forza al nostro nemico, che si è nutrito dei sentimenti d’odio e che adesso io devo combattere.

 

Un suono grave, sordo, ripetitivo, tranquillo, cadenzato come il respiro di un gigante affaticato. Un lamento, aria soffiata


Sento che sta per accadare, sento che il momento è giunto. Dovrei guardare solo avanti a me e affrontare la morte con coraggio, e invece…

 

Mi volto perché sento che sei vicina: io ti sento sempre, so dove sei, so quello che provi. So che non accetti quello che sta accadendo ma è troppo… 

 

Poi un dolore lancinante, più forte di ogni altra cosa, più travolgente della passione del nostro amore, più ardente dell’inferno, più definitivo della fine.

 

E i miei occhi si chiudono su di te.


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Ormai il polso non le doleva praticamente più. Usagi sciolse i codini guardandosi allo specchio e ripensando a come era stata male il giorno prima, nel bagno di casa sua, a causa di quei maledetti incubi.

“Spero di sognare ancora Tuxedo Kamen”, si disse lavandosi i denti e, spogliandosi, osservò la ferita che aveva poco sopra il cuore.

Doveva trovare una soluzione per non essere costretta a nascondersi come aveva fatto quel giorno. Se solo ci fosse stata Luna, insieme a lei...

Alcuni colpi sommessi la distolsero dai suoi pensieri.

-Chi è?-, domandò e da dietro la porta le rispose Naru. 

Usagi infilò la canottiera del suo pigiama e sistemò i capelli, in modo che coprissero la cicatrice.

-Ti eri imboscata con il tuo ragazzo, eh, hentai?-, domandò all’amica aprendole la porta. Naru arrossì e, sognante, le confidò di essere ancora più pazza di Umino, dal momento che finalmente lo aveva visto senza quegli scomodi occhiali.

-Mi domando perché non ci abbia pensato anni fa-, osservò Usagi, sedendosi sul bordo della vasca e osservando Naru mentre si spazzolava i ricci castani.

-Ci voleva l’intervento di tre ragazzi più grandi-, le spiegò questa, raccontandole come Kenzo avesse dato l’idea, Hiro si fosse occupato di reperire le lenti a contatto e Mamoru lo avesse aiutato ad indossarle. Parlando di lui, si lasciò sfuggire una piccola risata.

-Lo so, lo so, Qualunque sia il motivo, ricordati sempre che Chiba è ridicolo-, chiosò Usagi, incrociando indispettita le braccia al petto: stava parlando con la sua amica, perché dovevano nominare il baka e distrarsi così?

-Non rido per quello… ma per ciò che mi ha detto Umino…-, buttò l’esca e si morse la lingua: era un segreto e tale doveva rimanere! 

… ma come faceva a mantenere un segreto come quello con la sua migliore amica e confidente?

Usagi si accese come una bacchetta luminosa e, sprizzando curiosità da tutti i pori, iniziò a dare il tormento a Naru perché le raccontasse ogni cosa.

-Come mai sei così interessata a Mamoru?-, chiese Naru, con un pizzico di malizia che Usagi non colse.

-Ogni informazione che mi permetta di prenderlo in giro è preziosa!-, affermò la ragazza, determinata.

Naru rise e le lasciò intendere soltanto che ‘Umi-chan e Mamoru avevano parlato di donne’.

Usagi finse il disgusto: le parole ‘Mamoru’ e ‘donne’ insieme suonavano così male… Fece per uscire dal bagno, quando un urletto soffocato dell’amica la richiamò indietro.

-Che è successo?-, le chiese preoccupata.

Naru si voltò verso di lei, indicando con l’indice un brufolo comparso sulla sua fronte: -Accidenti… vorrei avere una penna magica per cancellare questi brutti cosi!-, esclamò e nella testolina di Usagi si accese una lampadina lampeggiante.

-Grazie Naru!-, abbracciò di slancio l’amica e disse che l’avrebbe aspettata in camera. Naru non comprese quello slancio d’affettuosità, ma si trattava della sua Usagi e non doveva cercare spiegazioni al suo atteggiamento scoppiettante: lei era così e proprio per questo l’adorava.

 

La Penna Lunare… come aveva fatto a non pensarci prima? L’avrebbe usata per trasformarsi in se stessa senza la cicatrice lasciata dalla rosa di Tuxedo Kamen! Avrebbe dovuto regalare qualcosa di strepitoso a Naru, per il consiglio involontario. Doveva solo trovare il momento adatto per chiudersi in bagno e fare un test: se avesse funzionato, addio vecchio costume tarmato da uovo di Pasqua! L’avrebbe fatta vedere lei a Minako e Rei e ai loro costumini succinti! Quello che nascondeva il fondo del suo zaino era roba veramente da competizione…

-Uomini di Kakeroma, tremate!-, dichiarò con il viso nascosto dalle lenzuola e si addormentò felice, prima ancora che la sua amica la raggiungesse a letto.


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Usagi si svegliò forse a causa del rumore che Naru produsse nel chiudere la porta dietro a sé, uscendo dalla loro camera. Si stiracchiò sbadigliando, considerando di essere abbastanza riposata, nonostante il suo sonno fosse stato interrotto anche quella notte dagli incubi. Il fatto che nulla attorno a lei desse a intendere che ciò si fosse ripercosso in camminate incosciente nella stanza o evenienze simili la tranquillizzò. Le era rimasta in testa una sensazione meno spiacevole delle altre volte, come se la parte onirica che l'aveva fatta sussultare e svegliare di soprassalto nel cuore della notte fosse poca cosa confrontata con il resto del sogno che aveva fatto. Considerò che, se Naru fosse stata consapevole di quello che avveniva nella sua testa accanto a lei, sarebbe scappata a gambe levate, perché si sarebbe sentita in pericolo di essere confusa con l'oggetto dei sogni di Usagi.

Un particolare, stranamente, era rimasto impresso nitidamente nella sua memoria cosciente: lei in sogno aveva stretto una rosa dalle spine affilate, ma non aveva sentito dolore, solo la felicità traboccante nel cuore per aver preso una decisione, e quella decisione era di donarsi all'uomo dei suoi sogni. Ricordava il fuoco di un bacio appassionato, il calore irradiato a tutto il corpo, la certezza di aver detto sì alla più importante delle domande che gli fossero mai state poste. Ma ricordava anche la luna farsi rossa e l'inizio dell'orrore, ricordava che i colori sparivano tutto d'un tratto e lei non riusciva più a scorgere l'azzurro del cielo e degli occhi che appartenevano all'uomo dei suoi sogni.

Scosse la testa cercando di far sparire quelle immagini, realizzando che avrebbe dovuto aggrapparsi ai ricordi felici e dimenticare quella sensazione di perdita. Inoltre si convinse che tutti i sogni sulla luna rossa fossero dovuti all'attesa dell'eclisse, che Ami non faceva che ricordare.

Naru rientrò nella camera con il beauty case in mano e le diede il buongiorno. Usagi le sorrise e rammentò l'idea che aveva avuto la sera prima proprio grazie all'intuizione dell'amica, -Buongiorno! Vado a prepararmi!-, trillò piena di buoni propositi per la giornata, accantonando immediatamente i pensieri che aveva contemplato fino ad allora nel silenzio della stanza.

-Gli altri sono quasi tutti di sotto, cerca di fare presto!-, Naru si spogliò restando nuda davanti a lei e indossando rapidamente un grazioso costume due pezzi color albicocca. Usagi provò un lieve imbarazzo, Naru era così tanto più bella di lei… 

-Farò velocemente-, e corse in bagno.


--- 



 

L’aria del mattino era frizzante: la notte aveva portato con sé il vento dal mare e il cielo era terso come non mai, permettendo di vedere distintamente i contorni di Amami Ōshima dalla terrazza dove stavano facendo colazione. C’erano quasi tutti, mancava solo Usagi all’appello.

-Quella sbadata è in ritardo, come sempre!-, si lamentò Rei, infilzando una delle frittelle preparate di buon mattino da Makoto e Motoki, perfetti nel ruolo di ‘cuochi della compagnia’.

-Dovrebbe aver fatto, è un bel pezzo che è andata a prepararsi-, osservò Naru.

-Vado a controllare-, si offrì Ami e, ripiegando il tovagliolino al lato del suo piatto, salì al piano di sopra, dove Usagi era ancora chiusa in bagno.

Bussò alla porta e, annunciandosi, entrò. La trovò davanti allo specchio che teneva stretta tra le mani la Penna Lunare.

-Che vuoi fare?-, domandò allarmata.

Usagi abbassò lo sguardo, contrita e le spiegò della sua idea per nascondere la cicatrice sul petto, nonché dei mille ripensamenti che l’avevano assalita.

-Luna dice sempre che non posso usare la Penna per motivi personali… Se solo lei fosse qui…-, sentiva ogni minuto di più la mancanza della sua amica gatta, perché, in fondo, era lei la sua vera confidente che l’aiutava con i consigli nei momenti più difficili e alla quale, volente o nolente, si sentiva di poter confidare ogni cosa. Luna era l’unica a cui avesse parlato del bacio con Tuxedo Kamen e forse quella che la conosceva meglio.

Ami si sedette vicino a Usagi e le prese la mano: avevano parlato a lungo lei e Makoto, prima di addormentarsi e stabilito che l’avrebbero aiutata ad affrontare le preoccupazioni che sembravano affliggerla e tenerla lontana dai pericoli che avrebbero potuto manifestarsi la notte dell’eclissi.

-Se ti farà star meglio, Usa-chan, penso che anche Luna sarebbe d’accordo nel fare un tentativo-, la rincuorò e assistette alla trasformazione. Un caleidoscopio di luci e colori illuminò la stanza da bagno e si estinse solo quando la magia fu completata. Usagi si guardò immediatamente allo specchio: la cicatrice non si vedeva più, al suo posto c‘era di nuovo la sua pelle di luna, intatta.

-Perfetto!-, esclamò Ami, congratulandosi con lei, -Preparati, adesso, che ti aspettano tutti!-, le disse e tornò dabbasso.

-Mi farò perdonare…-, sussurrò Usagi alla porta ormai chiusa, negli occhi una scintilla pericolosa. Si infilò di soppiatto in camera e rovistò nel suo enorme zaino.

Indossò un grazioso bikini che aveva acquistato poco prima che venisse ferita e un vestitino cortissimo con un coniglietto rosa disegnato sopra. Calzò delle comode sneakers e mise gli occhiali da sole.

“E oggi, i capelli li terrò come voglio io”, si disse e si affrettò a scendere le scale, annodandosi i codini.

 

Il parlottio degli amici che la stavano aspettando la fece irrigidire, preparandola alle sgridate di Rei e alle battutacce di Mamoru. Sospirò rassegnata: quella volta avrebbero avuto ragione a prendersela per il suo ritardo…

“Adesso mi diranno che sono la solita…”

-Wow, che bambola!-, la voce di Kenzo risuonò sulle altre, quando Usagi apparve al gruppo riunito a tavola. Istantaneamente Motoki colpì con un sonoro scappellotto il fratello e Usagi arrossì palesemente, distraendosi e inciampando. Si aggrappò allo schienale della prima sedia che trovò, ma, come era successo il pomeriggio precedente, le mani di Mamoru furono più veloci di lei e l’afferrarono per le braccia.

-Eh sì, proprio un bambolotto…che non sa neanche stare in piedi da solo!-, commentò sarcasticamente lui, mollando la presa e tornando a sedersi al suo posto. Prese una frittella e la azzannò sforzandosi di mostrare quanto la gradisse. Ormai era quasi diventato routine prendere al volo Usagi prima che inciampasse, cadesse, si ferisse… in pratica era il suo salvatore… il 'prode salvatore del bambolotto rotolante dai capelli improbabili', elaborò nella sua testa, ma nel suo stomaco la frittella stava trovando strani ostacoli che non avrebbero dovuto esserci, ostacoli volanti dai mille colori. Appariva tranquillo, ma effettivamente non poteva smettere di pensare alla debolezza che aveva intimamente provato un attimo prima, lasciandosi scappare anche lui un commento silenzioso all’apparizione di Usagi. Non "Che bambola", ma "Sei incantevole", aveva pensato e si era dato dell'idiota immediatamente. Usagi non era una bambola, forse un piccolo punto perennemente in bilico sulla cima di un precipizio. Quando l’aveva vista, senza che la cosa fosse comprensibile, si era sentito anche lui oscillare e rischiare di cadere. Si ripromise di non lasciarsi mai strappare un commento di bocca da Motoki a riguardo, non voleva alimentare quella sua folle idea: in fondo lui era un uomo e un uomo poteva concedersi intimamente di esprimere un giudizio estetico sulle donne. Quelle sei ragazze poi erano tutte carine e gli abiti estivi esaltavano ancora di più le loro curve ancora un po' acerbe. Rei era carina quella mattina, Minako era carina praticamente sempre, Makoto riusciva a essere carina anche con una tuta da meccanico, Ami era carina, così vergognosa e impacciata e anche Naru era carina nel non calcare la mano sulla differenza di avvenenza tra lei e il suo ragazzo. Usagi però quella mattina era incantevole e non per l'abito sbarazzino: era stato il sorriso appena accennato e lo sguardo finalmente libero da chissà quali preoccupazioni che la rendevano diversa. Incantevole

Ingoiò un altro boccone e la frittella dovette combattere contro piccole farfalle inesistenti prima di andare giù.

Mi sto rammollendo, constatò Mamoru e sospirò.

Usagi era rossa per la vergogna: era riuscita a rendersi ridicola non appena aveva ricevuto il primo complimento di quella vacanza. Portò una mano alla nuca e fece una linguaccia a Mamoru.

Alcuni commentarono l’ennesimo salvataggio, ma Motoki e Ami si scambiarono un’occhiata che non sfuggì a Kenzo.

-Machebelvestitino!-, sibilò Minako alle sue spalle, con la scusa di avvicinarsi alle frittelle.

-È forse una punta di invidia quella che sento nella tua voce?-, domandò Usagi, continuando a spalmare lo sciroppo d’acero sulle frittelle. Adorava quando Minako faceva così…

-Assolutamente no-, la guerriera dell’amore sollevò altezzosamente il mento e tornò a sedersi, mentre l’altra, gongolante, si sporse verso i fratelli Furuhata per prendere lo zucchero.

-Carina, eh?-, bisbigliò all’orecchio di Motoki suo fratello, sbirciando poco elegantemente nello scollo del vestitino di Usagi. Non sarebbe stata la prima volta che un disastro di proporzioni bibliche sarebbe potuto scaturire da una situazione simile: Motoki se lo ricordava bene. Si voltò verso Kenzo e lo fulminò con lo sguardo.

-Sì, è carina, ma per te è off-limits-, parlò a denti stretti, in modo che non lo udisse nessun altro al di fuori di suo fratello. –Non ci provare nemmeno…-, aggiunse, colpendolo apparentemente senza volontarietà su una spalla, per prendere la bottiglia del latte.

Kenzo si adombrò e nella sua testa le rotelle iniziarono a girare vorticosamente… sapeva bene che Reika aveva dato il ben servito al suo fratellino, colpevole, come ogni volta, di fidarsi troppo delle donne, e forse stava iniziando a capire chi stesse sostituendo la beneamata ragazza nella testa di Motoki…

“Ho sbagliato una volta, non lo farò ancora”, pensò attirando l’attenzione del fratello e aprendosi in un sorriso, “Anzi, ti aiuterò a conquistarla…”, rise tra sé e sé e iniziò ad elaborare una strategia perfetta per rimediare ai danni del passato.

 

La situazione tacitamente carica di tensione tra i fratelli Furuhata fu sfumata dall’intervento di Yuichiro, il quale, osservando in lontananza il mare, annunciò che la mareggiata della notte aveva sicuramente portato sulla spiaggia limitrofa una buona quantità di alghe e meduse.

-Bleah!-, commentò Minako.

-Potremmo andare a un’altra spiaggia: non è così che si fa sulle isole piccole come questa?-, propose Makoto, felicissima al pensiero di poter visitare altre meravigliose mete.

-Beh, sì-, Yu si grattò la testa, perché adesso veniva il problema…, -ma… le altre spiagge sono troppo lontane per arrivarci a piedi e non ci sono mezzi pubblici che le raggiungano-, un’espressione di delusione si diffuse rapidamente tra alcuni dei presenti, Rei compresa. Non poteva sopportare di deludere la sua  Rei, per questo decise che per una volta si sarebbe preso quello che era suo per diritto di nascita ed estrasse un altro dei suoi conigli dal cilindro.

-In garage ci sono scooter e altri mezzi per arrivare dove vogliamo su quest’isola-, comunicò e fu accolto con un applauso.

-Grande, grandissimo fratello!-, l’entusiasmo di Hiro lo raggiunse con una sonora pacca sulla schiena: quel ragazzone gli piaceva ogni minuto di più.

Terminata la colazione, Yuichiro condusse il gruppo nel garage.

-Possiamo usare questi scooter, le motociclette, quella macchinina e… il mio tuk-tuk e andare alla spiaggia di Ikayuma-, illustrò, sperando che nessuno lo prendesse in giro per il suo ‘mezzo speciale’.

-Fantastici!-, l’entusiasmo delle ragazze era contagioso: erano tutte ancora troppo giovani per poter guidare un mezzo proprio, ma l’idea di essere scorrazzate su quei meravigliosi bolidi aveva scaldato il cuore anche alla più timida Ami, o alla cauta Naru. Rei guardava di sottecchi Yuichiro, crogiolandosi nella sensazione di assoluto potere che sapeva di esercitare sul ragazzo: lo avrebbe tenuto sulle spine per un po’, facendogli credere che avrebbe preferito che fosse qualcun altro a farle da chauffer, anche se alla fine non avrebbe potuto che accontentarlo. Yuichiro si stava mostrando un ottimo padrone di casa, nonostante i rimproveri e le critiche che lei aveva mosso alla sua gestione domestica. Gli piacevano gli uomini capaci di badare alla propria casa, di considerarla come qualcosa di sacro, da manutenere e coccolare come se fosse stata una di famiglia. Pensava che al tempio lo facesse solo per dovere, e invece si stava ricredendo. Yuichiro, forse, non era solo un tontolone ipertricotico e a tratti logorroico, ma poteva diventare un bravissimo ragazzo, quando si limitava a essere se stesso.

Minako e Makoto erano raggianti e guardavano le motociclette come se fossero state esposte in un museo di arte contemporanea.

 

“In fondo, anche se sono sempre stanca, sembra che stamattina stia andando tutto per il verso giusto!” Usagi era davvero soddisfatta, perché sapeva di aver passato un’altra brutta notte, eppure non ricordava quasi nessun dettaglio della parte orrorifica dei sogni che l’avevano frequentemente svegliata: nonostante tutto, si sentiva quasi ristorata.

“Farò un riposino sulla spiaggia…”, pensò indecisa se riservare le sue occhiate languide alle moto e alle automobili, oppure ai ragazzi che facevano bella mostra di magliette attillate e pantaloncini… “Con Motoki su quella bella moto rossa e nera…”, chiuse gli occhi e impresse nella sua mente il desiderio che aveva espresso.

 

-Honda, a me!-, sbraitò Hiro, mangiando con gli occhi la motocicletta nera come la notte, con dei fregi rossi simili a fiamme o fiori sulla carena; aveva sempre sognato di guidare qualcosa del genere, aveva addirittura preso la patente a sedici anni, insieme a Kenzo, pur sapendo che i suoi non glielo avrebbero mai permesso.

-Ducati, a me!-, gli fece eco l’amico, acceso d’entusiasmo: in fondo gli era parso di sentire che Yuichiro avesse parlato di ‘suo tuk-tuk’, quindi non avrebbe fatto torto a nessuno! Avrebbe preferito l’altra moto, ma andave bene qualunque due ruote con cilindrata sopra i 650cc.

Le ragazze si erano radunate attorno alle moto, affascinate dal classico mix esplosivo maschi e motori

Umino, imbarazzatissimo, fece cenno al cugino di raggiungerlo in disparte e gli parlò in un orecchio; il suo viso divenne paonazzo parola dopo parola.

-Sei proprio una palla al piede, però…-, sbuffò Hiro, rassegnato e domandò al proprietario se potesse usare la macchinina per portare a spasso Umino e Naru, dal momento che ‘suo cugino era un incompetente’.

Yuichiro accettò senza fare problemi, incrociando mentalmente le dita e sperando che Rei non volesse unirsi al gruppetto.

-Posso venire con voi?-, domandò Minako, facendolo sussultare dalla gioia, poiché la vettura era omologata solo per quattro passeggeri e quindi la sacerdotessa del suo cuore non poteva che scegliere un altro mezzo, il suo

-Ma certo, mademoiselle!-, scherzò Hiro e fece l’occhiolino a Kenzo e a Umino. In fondo, anche se avrebbe dovuto portarsi dietro la zavorra dei due piccioncini imbranati, poteva pur sempre contare su una bella bionda accanto a sé…

-Se non dispiace, allora, io mi impossesserei di questa meraviglia-, cinguettò Kenzo, accarezzando la superficie liscia e fredda della Ducati: ce l’aveva fatta! 

Ami, in disparte, continuava a ripetersi che sarebbe stata una follia, qualcosa di pericoloso da evitare assolutamente…sebbene tutta la meccanica che stava dietro alle ammiccanti carrozzerie doveva essere frutto di intensi studi ingegneristici e grande competenza tecnica, ma in fondo che scelta potevano avere? Rimanere a casa o andare a immergersi tra le meduse?

-Tu vieni con me, su quella-, Motoki la distolse dai suoi ragionamenti, indicando uno degli altri mezzi che stavano allineati in perfetto ordine: era una Vespa, roba d’altri tempi creata da qualche europeo, non sembrava tanto aggressiva come le moto, non altrettanto poteva dire dell’atteggiamento con cui il ragazzo le si era rivolto… 

-Per favore… devo parlarti-, spiegò lapidario e piuttosto accigliato Motoki. Senza un perché, Ami sentì le guance avvampare: “Usagi e Makoto mi uccideranno…”, pensò tra sé e sé, comprendendo nello stesso istante quale fosse ‘il perché’: a lei non interessava né Motoki, né nessun altro ragazzo, perché doveva prestarsi a quel ‘rapimento’ e deludere le sue amiche, soffiando loro il posto più ambito?

-Ecco-, dichiarò Yuichiro e lanciò le chiavi delle rispettive vetture ai due ragazzi; -Chi viene con me sul tuk-tuk?-, trovò il coraggio di domandare e un silenzio da fare a fette fu l’unica risposta che ebbe. Un solo secondo in più e se ne sarebbe andato con la coda tra le gambe a spazzare il giardino sul retro.

Poteva essere sufficiente, considerò Rei, vedendo il volto del ragazzo perdere di colore: -Verrei… io… se non è un problema…-, gli disse ed ebbe il potere di risuscitarlo dallo sconforto e lanciarlo in orbita nel più stellato dei cieli d’estate.

-Con molto piacere, carissima Rei! Oh, devo fare benzina…-, esclamò e le mostrò il suo mezzo, definendolo ‘divertentissimo e più sicuro delle motociclette, ma più assetato di carburante di una spugna’.

Rimanevano in pochi da dover essere ‘accoppiati’, per questo motivo Kenzo decise di ‘rapire la fanciulla’ che rispondeva al nome di Makoto e di lasciare terreno spianato al suo fratellino affinché invitasse Usagi con sé. Era palese a tutti che Usagi e Mamoru non avrebbero mai fatto coppia, quindi il gioco era fatto! Buona azione dopo buona azione, forse, avrebbe potuto riconquistare la fiducia di Motoki, persa per innegabili errori del passato.

-Ami e io prenderemo la Vespa, annunciò invece suo fratello, stupendo Kenzo che non capì il perché di quel gesto e cercò di fermarlo, chiedendo tacite spiegazioni.

A Mamoru ci volle meno di un istante per capire cosa significava tutto ciò: Yu gli lanciò le chiavi della Honda e salì a bordo del tuk-tuk scoppiettante, dove la sua Rei lo aspettava a braccia incrociate, con su il suo musetto sempre irritato e delizioso.

 

-È uno scherzo-, dichiarò irritata Usagi, vedendo tutte le sue amiche prendere posto sui mezzi assegnati. Guardò negli occhi di Ami e vi lesse il dispiacere, ma anche una punta di divertimento: da lei non se lo sarebbe mai aspettato… eppure era sempre così gentile con tutti… 

-Andiamo, Testolina Buffa, oppure dovrò andare più veloce per raggiungerli e tu te la farai sotto per la paura-, le disse Mamoru, passandole un casco. Non c’era il solito retrogusto divertito nella sua voce, segno che la situazione stava infastidendo pure lui.

-La sai guidare almeno la moto?-, gli domandò con voce dall'oltretomba.

Mamoru ghignò, -Certo che sì, Faccia di Luna, stai tranquilla-, affermò sicuro e lei comprese che non aveva proprio vie d'uscita.

Usagi sbuffò, batté un piede a terra e si decise ad afferrare il casco. Mamoru la ringraziò mentalmente per il buffo spettacolino che fece spuntare un sorriso spontaneo sul suo viso.

La sua batteria di buonumore funzionava anche se non stimolata, evidentemente…

Osservò la ragazza tentare di infilarsi il casco e lamentarsi: -Se non sciogli i tuoi odango non ce la farai mai…-, le disse e lei, al culmine dell’insofferenza, tirò con forza entrambi gli elastici che fermavano le sue code, impigliandone uno.

-Accidenti…-, ringhiò tra i denti, con metà chioma libera e metà ingarbugliata in uno sciocco nodo che non sarebbe mai riuscita a sciogliere senza aiutarsi con uno specchio sufficientemente grande. E chiaramente, in un garage, specchi decenti non ce n’erano…

Mamoru la guardava incuriosito e incantato dai movimenti veloci delle sue piccole dita in mezzo ai ciuffi di capelli: oro e latte che si sfioravano, parevano unirsi, si separavano in una danza di magiche fatine.

“Che diavolo sto facendo?”, si trovò a pensare, scuotendo la testa.

-Ahhh, non ci riesco!-, strillò Usagi a un tratto, quando ormai gli altri erano già fuori dal garage e provavano i loro mezzi, facendo suonare i clacson o sgassando. Così non ce l’avrebbe mai fatta: doveva andare in bagno, immediatamente e usare spazzola e pazienza.

Lanciò il casco a Mamoru, già in sella, e si diresse verso casa, trovando però sbarrata la porta interna.

-Ma non è possibile! È una congiura!-, la ragazza era giunta al limite della sopportazione. Tutto il suo buonumore era svanito, una sola parola sbagliata del baka e avrebbe accumulato energia reattiva a sufficienza per raggiungere l’orbita senza bisogno di spinte.

-Ehi, Usagi... stai tranquilla-, le disse il ragazzo, smontando di moto e avvicinandosi a lei, -Lascia che ti aiuti-, si propose gentilmente, tanto che per un istante lei si domandò chi fosse quello che aveva davanti. L’aveva chiamata col suo nome, non lo faceva mai e le aveva sorriso… si era avvicinato cautamente, aveva spostato le sue mani dai capelli e aveva iniziato ad aiutarla con movimenti delicati. Non era una cosa possibile… lui era Mamoru Chiba, quello a cui aveva detto di essere morto dentro, il guastafeste di ogni giornata… Eppure era così gentile in quel momento…

Seppe di essere arrossita solo quando, senza volere, Mamoru sfiorò con il braccio il suo viso e lei provò una sensazione di freschezza. Stava immobile, sentendo solo quel noioso battito nel suo petto che accelerava senza un perché, mentre le mani del ragazzo armeggiavano con l’elastico e i suoi capelli, apparendo in difficoltà.

-Ma come hai fatto a intrecciarli così?-, domandò divertito Mamoru, facendo passare ancora una volta la stessa ciocca nell’anello degli altri capelli per districare i nodi che si stavano creando. 

Era tutto così strano… C’era qualcosa che gli pareva estremamente familiare nei gesti che stava compiendo: passare le mani in quella cascata di fili d’oro era qualcosa che lui conosceva bene, come se gli appartenesse da sempre, anche se non lo aveva mai fatto prima. D’un tratto non si sentì più nel garage di casa Kumada, ma in un prato, in un altro luogo, in un indefinito tempo lontano, sospeso tra ricordi che gli sfuggivano come fumo e i sogni che gli facevano visita ogni notte: era disteso sull’erba, la testa sulle gambe di una ragazza… di lei… Serenity, che lo guardava gioiosa e faceva calare i capelli sul suo viso…

 

“Ma cosa sto pensando?”, sbatté due volte gli occhi, fermando il movimento delle mani. Si accorse che Usagi aveva voltato lo sguardo verso di lui, per capire cosa stesse facendo. Era tutta rossa… Erano solo loro due nel garage e lui… “Cosa sto facendo?”

Con uno strattone un po’ meno delicato dei precedenti riuscì a sfilare l’elastico sul quale erano rimasti impigliati alcuni capelli spezzati. “Che peccato…”, strinse le mascelle, sentendosi confuso, come se avesse immerso le mani in una fonte di energia vitale e le avesse estratte, ritrovandosi a scontrarsi con la realtà.

-Ho fatto-, disse lapidario, consegnando alla ragazza il suo elastico e aspettando che si sedesse sulla moto dietro a lui: era concentrato nel cercare di non lasciarsi sfuggire la sensazione che aveva appena provato, un ricordo di un altro tempo, forse un’altra vita, confuso, abbagliante, obnubilante. Sperava di potersi aggrappare a quell’effimero pensiero per cercare di comprendere i suoi incubi… Aveva appena ‘percepito’ da sveglio la sua Serenity, ripetendo gli stessi gesti compiuti in un mondo lontano: aveva ricordato senza bisogno di dormire la stessa donna che si nascondeva nei suoi sogni… quei maledetti sogni che stavano iniziando a confondere la realtà con quello che non era vero…

Doveva tornare lucido, immediatamente, e soprattutto nel suo ruolo.

-Ti muovi?-, si rese conto del suo tono stizzito vedendola sussultare dopo che era rimasta imbambolata ancora con l'elastico in mano. Lei scosse la testa, mise l'elastico al polso e si affrettò, correndo alla moto con lo zainetto in spalla; montò aggrappandosi a lui e rimase ancorata alle sue spalle come un koala.

Quando Mamoru fu certo che la ragazzina si fosse sistemata, abbassò la visiera del casco e si impose di non pensare.

-Tieniti forte-, aggiunse prima di mettere in moto e cercare di raggiungere gli amici sulla strada. Il cancello automatico si sarebbe chiuso da sé. 

 

Ormai a Mamoru era evidente che quella vacanza sarebbe stata per lui una continua prova di pazienza. Gli sembrava che, tra i ritmi frenetici di quelle prime giornate, gli incubi che tornavano puntuali a disturbare il suo sonno e graffiare sempre di più la sua anima e la costante presenza di quel pungolo molesto che stava diventando Usagi, avrebbe dovuto attingere a una forza sovrumana per non esplodere prima di tornare a casa.

Eppure, si disse, era in sella a una moto fantastica e docile che si guidava da Dio, su una delle isole più belle di tutto il Giappone, quindi perché era così a disagio?

Cambiò marcia e la moto fece le fusa come una gatta, sentì il lieve movimento delle mani di Usagi sulle sue spalle e di nuovo tornò prepotente l’immagine del volto rosso di imbarazzo con cui la ragazza lo aveva osservato poco prima, mentre lui stava naufragando tra i soliti sogni a occhi aperti con i suoi capelli in mano. Quella sensazione…

Doveva stare attento, accidenti, perché appena cercava di indagare sulla parte più ignota di sé e si aggrappava a ogni più insignificante particolare che lo potesse aiutare a ricordare e capire, si ritrovava a offrire il fianco a situazioni decisamente sconvenienti. Si ripromise di rimanere concentrato esclusivamente sull’arduo compito di trascorrere una divertente giornata al mare, senza rimuginare ancora su cosa gli fosse accaduto dentro al garage con Usagi e si rilassò alla guida.

Procedette a velocità blanda lungo il primo tratto di strada, certo di dover andare a sinistra, seguendo la costa, ma non riuscì a trovare gli altri, che non li avevano aspettati. 


Non appena Mamoru accelerò un po’, Usagi strinse la presa sulle sue spalle, chiudendo gli occhi per la paura: non era la prima volta che saliva su una moto, eppure non si sentiva affatto a suo agio. Si sforzó di non pensare a chi ci fosse alla guida del mezzo: era il baka, d’accordo, ma in quel momento la sua vita dipendeva da lui… Com’era possibile che avesse paura, lei che aveva vissuto attimi ben più spaventosi di quello? Aveva sconfitto la regina Berillia da sola…; era caduta da un balcone aggrappata a Tuxedo Kamen e si era salvata grazie ad un ombrellino striminzito; si era offerta come bersaglio per difendere dei bambini e aveva visto sfrecciare dritta verso il suo cuore la rosa affilata piena di spine acuminate dell’eroe mascherato, eppure non aveva mai provato quella stessa sensazione di sottile paura e tensione strisciante sotto la pelle. Forse perché tutte quelle volte, Tuxedo Kamen era assieme a lei, mentre in quel momento lui… lui non c’era ed era sola con Mamoru Chiba. 

“Sono nelle mani di uno stupido, ecco cosa c’è!”, constatò irrigidendosi. 

Dopo un paio di curve, quella sensazione strana ancora non accennava a dileguarsi. Usagi inspirò, cercando di farsi coraggio, “Sciocchina, sei già stata su una moto, anche se la mamma non lo sa, stai tranquilla, accidenti!”, si disse, eppure c’era qualcosa che non andava… 

 

Forse non era essere su una moto, che le faceva paura?

 

Forse non era neanche paura?

 

Più che la moto in sé, era il fatto che fosse proprio Mamoru a guidare, l'essere rimasta sola con lui le dava il maggior disagio, anche se poco prima, nel garage, mentre lui le scioglieva i capelli, per un attimo le era sembrato di rivivere un frammento di qualcosa che le era familiare, come se non fosse stata la prima volta che lui teneva i suoi capelli tra le mani.

 

Era quindi Mamoru il problema? 

 

Ma lui c’era da anni nella sua vita e da anni la torturava con le sue sciocche prese in giro, ormai era diventato un gioco dei ruoli quello tra loro, il primo che avesse cambiato atteggiamento  avrebbe perso, per questo era certa che non le avesse mai messo paura prima di allora, né le avesse mai causato una sensazione come quella con la sua sola presenza…  e allora che cos’era che la stava turbando così tanto? 

Quella volta il baka non era stato neanche sgarbato con lei, si era mostrato gentile e l’aveva persino aiutata… 

 

“E se fosse questo il motivo?”

 

Il cuore batteva forte, sembrava che nel petto avesse dei cavalli impazziti, avrebbe voluto allontanarsi, allentare la presa sulle sue spalle, saltare giù dalla moto e respirare a pieni polmoni per dare ossigeno al cervello e permetterle di pensare con lucidità. Perché si stava sentendo così? Che le stava succedendo? Era spaventata solo perché lui si era mostrato gentile? Quando sosteneva duelli all'ultima offesa con lui, anche quando l'evidenza della sua nullità era messa sotto ai riflettori da quell'imbecille e lei si vedeva sconfitta e se ne andava fumante di rabbia, non si era mai sentita così a disagio, possibile che fosse stato un solo gesto gentile ad averla turbata tanto? 

Era quello il rovescio della medaglia? La loro incompatibilità andava davvero oltre le comuni regole di sopportazione da farla stare male al primo accenno di normalità? Meglio quando litigavano, allora…

Sentì sotto le sue mani i muscoli delle spalle di Mamoru che si muovevano seguendo la strada e le si aggrovigliò lo stomaco: forse realmente non era capace di avere un'interazione che andasse oltre i litigi con lui. 

Non era così che doveva funzionare con lui, dovevano stare lontani o sarebbe morta di rabbia.

Avrebbe voluto dirgli di trattarla male e di ricordarle che lui era sempre quel maleducato di "Mamoru il baka" mentre lei sarebbe sempre rimasta nulla di più di una "Testolina Buffa", per lui. Aveva urgenza che lui l'assicurasse che non fosse successo nulla di strano e che se lei avesse voluto avrebbe potuto ricominciare a trattarla male anche subito e tutto sarebbe tornato come sempre.

 

Lei, lui e un oceano di bisticci a dividerli per l’eternità.

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Capitolo 10
Da soli, Sensazioni & Situazioni compromettenti


In sella dietro a Mamoru, Usagi si sentiva male: le girava la testa, le mancava il fiato, teneva gli occhi serrati per contenere quel malessere improvviso. Ma quanto cavolo stava andando veloce quel baka per farla stare così!?

Uno strattone più forte la costrinse a riaprire gli occhi.

 

-Ma… siamo fermi…!?-, constatò Usagi, pregando perché nessuno si fosse accorto di quello che stava ribollendo nella sua testa. Guardò in alto e attraverso le due visiere vide gli occhi del ragazzo, voltato verso di lei.

-Tutto bene?-, le domandò e Usagi trovò il coraggio solo per annuire. Non andava bene per nulla, perché lo detestava al punto di stare male solo restando vicina a lui… così vicina… troppo vicina. Una lampadina si accese nella sua testa: doveva per forza essere qualcosa come… come allergia

"Sono allergica a Mamoru Chiba, ecco svelato l'arcano! Invece dell'orticaria lui mi fa venire questo… questa sensazione di nausea nei suoi confronti!" 

Molto probabilmente le cose stavano così, perché lei non poteva avere paura o essere turbata da uno come lui. "Appena scendo, passa!"

E invece non fu così, perché sentì la mano di Mamoru sulla sua e sussultò, il cuore fece un tuffo nel suo petto.

-Tieniti più in basso, o finirai per sbilanciarti-, disse lui, facendole spostare la presa dalle spalle ai fianchi. "Morirò per la mia allergia!", le balenò in testa, ma quel che riuscì a esternare fu solo un'espressione imbarazzata. Usagi allontanò le mani come se si fosse scottata e si guardò attorno, sperando che nessuno l'avesse vista. Davanti e dietro a loro, su quella strada rettilinea, non c'era nessuno: -Dove sono gli altri?-, domandò confusa, non vedendo i loro amici? 

-Penso che siano avanti: mi sono fermato perché mi era parso che avessi dei problemi, signorina…-, le spiegò senza mascherare il sarcasmo e riaccese il motore. Usagi si aggrappò a lui pur non avendolo voluto, ecco che quella morsa tornò a stringerle lo stomaco fulminea.

Sicuramente è allergia… avrò uno choc anafilattico se questo baka non si sbriga a farmi scendere!”

-In che direzione sono andati?-, gli domandò, notando che si trovavano in prossimità di un bivio. Il silenzio di Mamoru non l’aiutò a rilassarsi; i secondi che ticchettavano inesistenti nella sua testa si facevano più lunghi, uno dopo l’altro.

-Allora? Destra o sinistra?-, gli urlò da dentro il casco, stringendo la presa sul fianco del ragazzo. Sperò di avergli fatto almeno un po’ male, ma l’unica che si sentì male per quel contatto fu lei: dallo stomaco quella morsa si espanse a tutto il suo corpo sotto forma di striscianti brividi. Non poteva essere emozione, quella era proprio allergia da contatto… 

Già, cos’altro avrebbe potuto essere, altrimenti…?

 

-Credo che la spiaggia che aveva citato Yuichiro fosse… Ikagaya?-, Mamoru sembrava più confuso di lei. Usagi prese un respiro e la visiera del casco si appannò, facendola imprecare mentalmente.

-A me è parso che avesse detto Ithoyuma, invece… Ma io sono solo un’oca-, essere sarcastica le veniva così bene, in quel momento. 

Mamoru fece finta di non aver sentito l’ultima parte della frase.

-Il problema è che non esistono né Ikagaya, né Ithoyuma-, le fece quindi notare, indicando il cartello stradale, -Ci sono Ikayuma e Ithogaya, invece…-, spense il motore e sospirò: per voler fare del bene, aiutando quella ritardataria cronica, aveva finito per perdersi e restare solo con lei, che stava riuscendo a irritarlo più di una medusa attaccata alla pelle…

-Io dico Ithogaya-, Usagi sembrava piuttosto convinta delle sue parole, anche se a lui, tra le due opzioni, sembrava più plausibile Ikayuma...

-Sicura? Perché a me sembrava fosse…-, le domandò, scatenando la sua irritazione.

-Sì, sono sicura, va bene? Adesso andiamo, ché sono stufa di doverti fare da balia!-, incrociò le braccia al petto e, sotto sotto, sperò di non aver esagerato. Odiava quando Mamoru era gentile, lo aveva appena scoperto, ma a conti fatti odiava ancora di più quando era furente contro di lei. Fortunatamente, in quel momento, almeno lui non sembrava accusare così tanto quella vicinanza forzata.

-Tu fai da balia a me?-, Mamoru sghignazzò e, scuotendo la testa, si voltò col busto nella sua direzione, per fare manovra e svoltare a destra.

-Ci sai fare con le moto-, si lasciò sfuggire Usagi, ricordandosi che in futuro, assolutamente, non avrebbe dovuto proferire qualsiasi cosa rivolta al ragazzo che potesse anche solo lontanamente somigliare un complimento.

-Ne ho una molto simile-, le spiegò lui, stupendola. Ripartirono e, nuovamente, Usagi si trovò, suo malgrado, aggrappata a lui, come se fosse stata una calamita su un pezzo di ferro.

Mamoru ha la moto? Allora, se non fosse un baka, forse potrebbe perfino sembrare un ragazzo interessante…”, pensò sorridendo e rimproverandosi istantaneamente per quell’eresia.

 

Proseguirono per alcune curve, mentre la strada si faceva sempre più stretta e ripida.

-Stiamo scendendo-, osservò Mamoru, sentendo le mani di Usagi stringersi maggiormente attorno a lui. Era una sensazione strana… aveva portato altre persone in moto, prima di allora, anche diverse ragazze, eppure… quella volta era diverso, era come… Non era il contatto in sé che lo aveva confuso, perché era più che certo di non vedere l’ora di staccarsi di dosso quella patella, quanto, ancora una volta, quella sensazione di dejà-vu che aveva già sperimentato mentre l’aiutava con i capelli o quando l’aveva trovata addormentata sulla nave. Era come se lui conoscesse già quelle braccia, quelle mani… ma ovviamente non poteva essere così, forse era solo fastidio per dover interagire a tu per tu con la più svampita delle persone che gli sarebbero potute capitare in sventura in quell'occasione.

 

-Attento!-, l’urlo attutito dal casco gli giunse comunque in tempo e Mamoru si fermò inchiodando, Usagi sbatté col casco contro al suo. Dietro una curva, una transenna a strisce bianche e rosse gli sbarrava la strada: si era distratto, maledizione

-Ti sei fatta male?-, domandò immediatamente alla ragazza, che scosse la testa negando, aggrappata come un koala a lui. Mamoru si guardò attorno, osservando che, a pochi metri oltre la sbarra, partiva un viottolo pieno di sabbia. Un cartello indicava un piccolo spiazzo adibito a parcheggio, guidò piano fino a lì e scelse un posto libero, abbastanza ampio.

-Siamo arrivati…-, spense il motore e tenne la moto in equilibrio tra le gambe, sfilandosi il casco. Era accaldato e i capelli si erano appiccicati sulla sua fronte, così vi passò la mano, per ravvivarli.

Sentì Usagi che si muoveva dietro a lui e capì che voleva smontare con urgenza.

-Reggiti…-, consigliò Mamoru e sentì che Usagi gli metteva una mano sulla spalla sinistra, cercando di…

-Attenta!-

L’afferrò al volo prima che -come al solito- cadesse, ma nel gesto fece sbilanciare la moto. Per non rovinare a terra, strattonò la ragazza a sé, riuscendo a recuperare l’equilibrio, tenendo stretto l’esile polso nella sua mano grande.

-Ahi!-

La fitta fu improvvisa e acuta: il polso non era ancora guarito… Nonostante tutto, Usagi si trovò costretta a ringraziarlo con un’occhiata per averle evitato la caduta, ma si arrabbiò per il dolore che il gesto aveva rievocato e soprattutto perché… come diavolo ci era finita appiccicata al baka?! 

Cioè… praticamente la stava abbracciando stretta stretta, mentre in qualche modo teneva anche la moto in equilibrio! Si allontanò con uno scatto, quasi avesse toccato qualcosa di incandescente. Aveva bisogno di aria… 

Fece per togliersi il casco, ma era allacciato stretto.

-Aspetta…-, Mamoru la aiutò, spostandole e slacciando la fibbia sotto al suo collo, sfiorando la sua pelle, nonostante stesse attento a evitare altri contatti. Già, perché ormai era chiaro che questi fossero… sconvolgenti… Ma come poteva essere possibile? Era forse allergico a quella diavoletta dalle codine bionde?!

 

Usagi non si era mai sentita più sciocca. Si era distratta guardando il ragazzo mentre si sistemava i capelli dopo aver tolto il casco e stava per finire a terra, costringendo anche lui e la moto a una rovinosa caduta. Era solo una sciocca… Se si era fatta di nuovo male al polso, l’unica colpa era la sua, ma non poteva ammetterlo… Cosa l’era preso? Cosa le stava prendendo da quando erano stati lasciati soli nel garage dal branco degli altri compagni? La testa le girava per il troppo pensare…

Non appena sentì che il casco era stato slacciato, lo sfilò rapidamente, sentendo la cascata dei suoi capelli ricadere sulle spalle scoperte. Mamoru la stava guardando, sembrava imbambolato; d’un tratto socchiuse gli occhi, li sbattè e tornò con la testa sulla terra, vedendo che lei si teneva il polso nell’altra mano.

-Non l’ho fatto apposta… scusami-, le disse con voce mesta, prendendole il polso tra le sue mani e socchiudendo gli occhi.

“Cosa sta facendo???”, che cosa stava succedendo? Perché di nuovo sentiva il cuore in gola, cosa le prendeva e cosa prendeva a lui??? Come osava comportarsi così, toccarla… come… come…?

-Non importa…-, sussurrò cercando di liberarsi, ma lui trattenne la mano tra le sue, chiudendole a coppa sul polso dolente. Aveva già provato quella sensazione di calore, ma quando?

-Ti… ti fa sempre male?-, le domandò imbarazzato. Gli pareva concentrato, confuso, sconvolto almeno quanto lei. Gli occhi gli si erano velati di una strana luce, sembravano ora più chiari, quasi coperti da un velo di latte, ora neri come un abisso profondo.

 

Usagi si accorse che non stava respirando, come se fosse stata sopraffatta da un’energia che non aveva mai sperimentato prima, ma che le pareva di aver già provato in un momento lontano.

Mosse e ruotò il polso, lo tastò con l’altra mano e, incredibilmente, si accorse di non provare alcun fastidio.

-Come hai fatto?-, gli domandò sgranando gli occhioni dello stesso colore del mare. Mamoru portò una mano alla nuca, imbarazzato e farfugliò qualcosa, che terminò con un ‘lascia perdere’.

-Andiamo a cercare gli altri-, propose invece a voce chiara e si incamminò, mettendosi in spalla lo zaino che aveva precedentemente legato al serbatoio della moto, sperando che la ragazza dimenticasse in fretta l’accaduto.

 

Non avrebbe spiegato a nessuno “come aveva fatto”, perché era il primo a non comprenderlo. A maggior ragione non ne avrebbe più parlato con Usagi: erano le dieci di mattina e aveva già l’animo in subbuglio.

 

Tutto grazie a lei…


Usagi zompettò dietro di lui, distratta dal panorama splendido che si apriva alla fine del viottolo: la spiaggia era bianchissima, punteggiata qua e là da conchiglie colorate; da una parte, vicino a una duna di sabbia, c’erano tre ombrelloni rossi con il logo del piccolo bar esclusivo. In mare, ad alcuni metri dalla riva, erano ormeggiati due lussuosissimi yatch.

-Cavoli!-, escalmò Usagi, sistemando gli occhiali da sole sul naso; guardò a destra e a sinistra, ma non vide nessuno dei suoi amici: in acqua, poco distante dal promontorio che delimitava la piccola cala, un gruppo vociante di persone si divertiva schizzandosi e giocando a palla.

-Sono loro?-, domandò a Mamoru, che non seppe cosa rispondere, dal momento che erano troppo distanti e i riflessi del mare non permettevano una buona visuale. Non aveva visto i loro mezzi di trasporto nel piccolo parcheggio, molto probabilmente non erano affatto loro.

Proseguirono fino agli ombrelloni, ma non videro nessuno degli oggetti o delle borse degli amici.

-Non sono ancora arrivati-, constatò il ragazzo, adocchiando uno spicchio d’ombra alla base di un alberello coraggioso che era cresciuto quasi sul mare. Posò lo zaino sulla sabbia e stese il telo azzurro.

-Ora che ricordo, Yuichiro aveva detto che doveva fermarsi a fare benzina-, rifletté e Usagi ammise che era plausibile che fossero tutti insieme. Si sfilò le scarpe e si legò di nuovo i capelli.

-Se rimaniamo qua, ci vedranno sicuramente-, osservò, guardando beata verso l’orizzonte blu che incontrava il cielo. 

-Io vado a fare il bagno-, la informò il ragazzo, sfilandosi la maglietta e riponendola nella sua borsa.

-Ma come, senza la crema solare?-, lo rimproverò Usagi, rendendosi conto che, al momento, erano da soli. Si accorse di essere arrossita solo dopo che lo aveva squadrato dalla testa ai piedi, come se fosse stato un manichino in un grande magazzino.

-La metto dopo, adesso ho troppo caldo, mi bagno e torno-, si sfilò le scarpe e fece per allontanarsi. Dopo pochi passi, si voltò: -Non cacciarti in qualche guaio, Testolina Buffa!-, le disse ridendo e corse verso l’acqua.

 

“Che situazione…”, Usagi era rossa come un peperone, un po’ per il caldo, un po’ per aver tenuto il casco, ma soprattutto perché era da sola su una spiaggia paradisiaca con Mamoru Chiba, mezzo nudo, che stava nuotando nel mare blu, dopo che lei l’aveva praticamente radiografato con gli occhi! 

Aveva ancora indosso il suo vestitino rosa e giallo: di toglierselo proprio non aveva alcuna voglia. Anzi, accidenti a quando non aveva scelto dei pantaloni lunghi e una felpa! Non le era mai capitato di vergognarsi a mettersi in costume, ma non era mai stata al mare da sola con un ragazzo, prima di allora!

Slacciò il cinturino dell’orologio e lo tenne tra le mani, fissando le lancette dei secondi che si muovevano e sperando di sentire al più presto le voci dei loro amici che stavano arrivando. Sotto a quella copertura si nascondeva il comunicatore Sailor, ma non ci pensò.

-Che situazioneee!-, strillò, battendo i talloni sulla sabbia, sul punto di esplodere. 

Ma perché non arrivava ancora nessuno a portarla via da lì, o a portar via Mamoru Chiba???

Non voleva restare sola con lui, meno lo vedeva meglio stava, anche perché…

 

E se non fosse allergia, ma qualcosa di…”

 

L’orologio le cadde di mano quando, voltandosi, vide il ragazzo uscire dall’acqua: il costume a boxer si era attaccato alle sue cosce e tante goccioline scivolavano dal suo collo lungo il torace. Si passò la mano tra i capelli, schizzando intorno a sé l’acqua, mentre si avvicinava a lei.

 

Cos’è questa strana sensazione… perché io lo trovo così… così…

Se non si sforzava di prendere aria, sarebbe morta soffocata, tradita dai suoi stessi polmoni.

 

-Testolina Buffa, sei ancora vestita? L’acqua è magnifica, niente bagnetto? Hai dimenticato il salvagente a casa?-, Mamoru la prese in giro, andando a stendersi sul suo telo, vicino a lei, schizzandola appena, involontariamente.

-Io… sì…-, balbettò lei, distogliendo a fatica lo sguardo dalla schiena grande del ragazzo.

 

Oddio Signore, cosa mi sta succedendo?!?!”

 

-Sì? Allora hai davvero bisogno del salvagente, Usako?-, il ragazzo aveva alzato la testa, fissandola meravigliata per la sua risposta assolutamente inattesa. Vide il volto di Usagi farsi ancora più rosso e notò di averla chiamata ancora col soprannome inventato la sera prima.

Perché l’aveva fatto? Si era sempre rivolto a lei con epiteti che la infastidivano, ma Usako… ‘Usako’ era carino.

Nella sua immobilità, la vide deglutire, senza che rispondesse alla sua domanda, e trattenere il respiro.

 

-Vado a fare il bagno-, dichiarò un istante dopo, la voce che le tremava un po’. Si alzò di scatto, barcollando subito dopo: Mamoru era già pronto ad afferrarla al volo, come al solito, ma quella volta l’equilibrio della sua amica parve non tradirla. Si sfilò l’abito, facendolo passare dalle gambe e lo abbandonò sulla sabbia, offrendogli un involontario spogliarello; se ne rese conto troppo tardi. Pareva sul punto di evaporare, svanendo per magia senza più tornare, tanta pareva la fretta che aveva.

Era evidente che loro due non potevano coesistere nello stesso luogo e nello stesso momento, pensò Mamoru e riabbassò la testa, per rialzarla come una molla un istante dopo e fissare la sua amica che saltellava sulla sabbia rovente per raggiungere la battigia.

“Però… Kenzo, in fondo, aveva proprio ragione…!”, il suo cervello, non avvezzo a gestire situazioni simili, non seppe trattenere quel pensiero così estraneo al suo atteggiamento e lui non poté che confermare la definizione scartata quella mattina: “Che bambola…”, ammise tra sé e sé.

Subito dopo si lasciò crollare con la faccia sull’asciugamano e coprì la testa con le braccia piegate: “Sono uno stupido… che sto facendo!?”, era arrossito e lo sapeva bene, per questo non voleva che altri nei paraggi potessero venirne a conoscenza, a costo di soffocare nascondendo la testa sotto terra come gli struzzi.

 

Dopo un po’ che stava in quella posizione, l’aria iniziò a scarseggiare: si disse che lui non doveva pensare come tutti gli altri ragazzi e che non doveva guardava nella maniera più assoluta quelle cose in una ragazza; inspirò profondamente e si mise più comodo, cercando di rilassarsi.

A breve sarebbero arrivati i loro amici e il problema sarebbe stato risolto.


--- 


Usako… mi ha chiamata di nuovo Usako!”, pensò Usagi, infischiandosene del gelo che le attanagliava le gambe, via via che entrava in acqua. La mamma le diceva sempre di aspettare almeno due ore dopo un pasto, prima di fare il bagno, ma lei doveva scappare dal piccolo accampamento che condivideva con Mamoru Chiba.

“Mi ha chiamata Usako…!!!”

L’acqua aveva ormai raggiunto il suo stomaco ed era freddissima: ottima per sbollire quello che si stava agitando nella sua testa, pessima se sua madre avesse avuto ragione!

 

-Mamoru è un baka, Mamoru è un baka, Mamoru è un baka…-, ripeteva in una specie di litania, muovendo le braccia per nuotare in tondo, come una ranocchia. Ormai i capelli si erano bagnati, avrebbe dovuto scioglierli di nuovo e farli asciugare all’aria.

Solo il pomeriggio precedente era stata entusiasta all’idea di andare sulla spiaggia con Motoki, quando l’aveva intravisto nella stanza che divideva con gli altri, e in quel momento stava cercando di farsi passare il rossore che aveva sul viso per aver visto Mamoru Chiba in costume!? E oltretutto non era stata neanche la prima volta, dal momento che il giorno prima erano già stati tutti al mare… E allora?

Era matta, irrimediabilmente e tragicamente matta e si sentiva anche parecchio hentai. Se solo Rei avesse avuto sentore di quello che le stava passando per la testa! Se solo lui lo avesse capito! Con che coraggio gli sarebbe tornata vicino con il bikini rosa e giallo striminzito che indossava? Come avrebbe fatto a guardarlo di nuovo negli occhi? E se avesse intuito che, in qualche modo un po’ astruso, non le era insensibile come credeva? Che figura ci avrebbe fatta…

Lei era… lei doveva essere allergica a quel demonio di un Chiba, doveva assolutamente  detestarlo, con tutta se stessa, non… non sentirsi sottosopra per un giro in moto e per un abbraccio involontario e per averlo visto… 

 

Ahh! Basta!

 

Mamoru era obiettivamente un bel ragazzo, non aveva mai avuto dubbi in proposito, eppure non le era mai passato per la testa di guardarlo in quel modo, come era già successo due volte, quella mattina… 

Si sforzò di pensare a qualcos’altro: la spuma del mare, i gabbiani in cielo, i pesci che le solleticavano le gambe sott’acqua, l’orizzonte di un blu così intenso e magnetico che… “E’ lo stesso colore degli occhi di Mamoru…”

-Ahhh!-, annaspò sentendo la sabbia mancare sotto ai suoi piedi: perché le era sfuggito quel pensiero? Doveva concentrarsi su altro… A tutti i costi, o sarebbe impazzita...

 

Chiuse gli occhi e si rilassò. 

Inspirò lentamente.

Espirò.

 

La notte. La notte nera, senza colori. Senza blu, in particolare…

 

Inspirò.

 

La notte silenziosa e piena di misteri. 

 

Espirò.

 

La notte fredda, la notte solitaria, la notte…

 

Insp…

 

La notte senza luna, perché la Luna si tingerà di dolore, arderà della luce del fuoco, sanguinerà nel pianto e non sorgerà più.

Allora la notte regnerà per sempre.

 

Frastuono, fiamme, urla, spavento, buio, fuoco, orrore, sangue. Dolore…

 

Usagi si accorse di essere sott’acqua solo quando sentì l’aria mancare nei polmoni; con una fontana di schizzi, riemerse e respirò, divorandone una boccata.

Il cuore batteva furioso nel petto e gli occhi pungevano sul punto di piangere, non per l’acqua salata, non per lo spavento, né perché stava per annegare come una stupida bambola di pietra, ma a causa della stessa sensazione che provava ogni mattino al risveglio. Com’era possibile che le fosse accaduto da sveglia?

 

Allora la notte regnerà per sempre…

 

Era quello l’incubo ricorrente che la spaventava così tanto? Nuotò fino a un punto dove riusciva a toccare e si fermò a riflettere: quel sogno rappresentava una minaccia, ne era certa, eppure non era mai capitato né a lei, né alle sue amiche di avere delle premonizioni di quella natura. Sì, perché quella sembrava assolutamente una premonizione, qualcosa che, se Rei ne avesse avuto sentore, avrebbe smosso tutti gli Dei del suo olimpo per gli opportuni scongiuri. Ma Rei… no, non le avrebbe detto nulla… avrebbe tenuto la cosa per sé… Da sola…

 

Sentì freddo attorno e dentro di sé, difficile capire se a causa del disagio che la stava attanagliando o per il bagno nei flutti troppo freddi.

Si fece forza e, passo dopo passo, uscì dall’acqua, sentendo immediatamente il tepore del sole sulla pelle. Caracollò fino al suo zaino e prese l’asciugamano, con cui deterse il viso. Rimase immobile in piedi, dimenticandosi della causa che l’aveva fatta scappare da lì e che in quel momento stava disteso a terra a pochi passi da lei.

 

Doveva solo capire. Era una lotta contro le sue paure, ma sicuramente, se avesse trovato il coraggio di affrontarle, avrebbe potuto dare una forma alle ombre che in quel momento si agitavano nella sua mente, evocate dalla strana premonizione. Soppesò se avrebbe potuto essere d’aiuto provare a dormire in quel frangente, sperando che gli incubi non volassero via come ogni volta, ma si svelassero, prendendo una forma concreta e fornendole risposte, non solo altri dubbi e paure.

 

Chiuse gli occhi e si concentrò, stringendo nel pugno il telo umido: la notte, il buio, la luna…

 

Doveva ricordare… assolutamente: in mano aveva solo un nome: Endymion… unico ricordo degli affanni notturni.

“Ma chi sei…?”

 

Ripensò alla notte, le fiamme, il terrore e una debole immagine si materializzò alla sua coscienza, strappata da un frammento di memoria oppure, chissà, inventata

 

I suoi capelli neri sparsi sulla fronte, la mano grande ancora su di lei, l’anima svuotata dell’ultima energia donata per salvarla. Il volto immobile, gli occhi chiusi… i suoi occhi blu per sempre chiusi…

 

-Principessa?-, una piccola voce la richiamò verso la realtà, debole luce lungo la via da seguire.

 

Principessa…? Ma… cosa…?

 

-Sei una principessa, è così?-, aprì gli occhi, inspirando per ossigenare il suo cervello annebbiato: qualcuno stava tirando piano piano i suoi capelli verso il basso.

-Sei la principessa del mare, tu?-, abbassò lo sguardo alla sua destra: due bambine sì e no di otto anni la guardavano intimorite e affascinate. Sbatté gli occhi per essere certa di non stare sognando.

-Che dici? E’ la principessa della Luna, non vedi il suo costume?-, disse la più alta delle due, puntando il dito verso il suo seno, dove una piccola luna gialla era stampata sulla stoffa rosa.

-Come ti chiami, principessa?-, chiese ancora la più piccina.

Usagi si abbassò sui talloni, per mettersi alla loro altezza: no, non stava più sognando e avrebbe dovuto tornare lucida per non spaventare le piccole

-Ehi, ciao bambine-, disse con la voce che ancora tremava un po’ per le emozioni contrastanti di cui era stata lo zimbello. Doveva ringraziare quelle due piccoline se era stata salvata da ricordi troppo dolorosi ai quali non era ancora pronta.

-Ciao principessa!-, dissero in coro le due piccole bagnanti.

-Ce lo dici il tuo nome?-, insistettero.

Usagi sorrise, notando quanto fossero carini i due costumini interi con le galette e gli occhiali da sole a forma di cuori rosa che indossavano.

-Il mio nome è Usagi-, rispose loro.

-Che nome buffo!-, disse una delle due.

-Ehi, signorina!-, la rimproverò bonariamente, -E tu come ti chiami?-, domandò non riuscendo a non sorridere.

-Mi chiamo Yumiko e lei è la mia sorellina Ikuko!-, disse la maggiore, facendo una giravolta.

Ikuko… piccola! Usagi si rallegrò del sorriso nato spontaneamente sul suo viso che non ne poteva più di misteri e dolore.

-Ti chiami come mia mamma, lo sai?-, sorrise alla più piccola.

-Ora ce lo dici se sei una principessa?-, chiese lei, nascondendosi dietro la sorella, imbarazzata per la sua stessa impertinenza. Usagi alzò le sopracciglia confusa: perché avevano in testa quell’idea?

-Lui è il principe, quindi tu sei la sua principessa, vero?-, spiegò Yumiko, mostrando sicurezza.

Usagi si voltò nella direzione in cui indicava la bambina: Mamoru si era addormentato con il viso poggiato sul braccio. I suoi capelli neri erano scompigliati sulla fronte e aveva gli occhi chiusi.

 

Occhi chiusi…

Capelli neri…

 

-Che ti prende, principessa?-, si preoccupò Yumiko, allungando la manina verso di lei. La ragazza si sforzò di apparire in sé e represse l’urlo di dolore che voleva uscire dalla sua gola, senza un motivo preciso se non una forte sensazione di malessere che non le apparteneva direttamente. 

Non le poteva appartenere… erano solo sogni, solo stupidi, maledettissimi sogni!

-Che fa il principe? E’ morto?-, disse Ikuko e sua sorella la colpì con le nocche delle dita sulla zucca: -Ma che dici, sciocchina!-

Prima che succedesse una potenziale tragedia, Usagi si affrettò a tranquillizzarle: -N-No… il… principe… dorme-, spiegò, deglutendo sulla parola ‘principe’.

“Principe dei miei stivali!”, pensò, repentinamente cosciente e sveglia.

-Allora è davvero un principe, lo dicevo io!-, trillò la più piccola, saltellando e alzando la sabbia: così facendo, la fece schizzare sulla faccia di Mamoru, che sussultò svegliandosi di soprassalto e tirandosi su.

-Che è stato?-, quasi urlò, con la voce impastata dal sonno. Ma se lei era stata via solo per pochi minuti! Come aveva fatto ad addormentarsi così pesantemente, si domandò Usagi. Diede una rapida occhiata alla schiena arrossata del suo amico e constatò che, forse, non erano stati poi così pochi minuti…

-Ciao!-, Yumiko e Ikuzo zompettarono davanti a Mamoru, sorridendogli vergognose.

-C-ciao…-, rispose lui, confuso, cercando una spiegazione sul viso di Usagi, che si strinse nelle spalle, scuotendo la testa senza dire nulla, pronta a godersi il match baka VS due bambine di dieci anni in due. Avrebbe potuto essere interessante…

-Come ti chiami?-, chiese Yumiko, con le manine intrecciate dietro la schiena, dondolando a destra e sinistra.

-Ma…Mamoru-, cosa stava succedendo e chi erano quelle due bambine? Non capiva…

-Ciao principe Mamoru, noi siamo Yumiko e Ikuko! Lei è la tua principessa dal nome strano!-, la vocina squillante quasi fracassò un timpano al ragazzo.

-Cosa?-, doveva aver capito male… Principe…? Principessa? Che scherzo era quello?

-Sì: tu sei un principe, non è così?-, Ikuko era perplessa: un principe non era mai così poco sveglio… anche se stava dormendo! Un principe era sempre regale, elegante, intelligente…

Dietro le due testoline brune, Mamoru vide Usagi che gli faceva cenno di dire di sì, annuendo.

-Sss…Sì…-, confermò, mettendosi a gambe incrociate.

-Allora lei è la tua principessa della luna!-, concluse Yumiko, saltellando per la gioia.

-Cosa sarebbe lei?-, al ragazzo venne da ridere: Usagi una principessa?!?! La principessa degli Odango, forse!

-Lei è la tua ragazza, quindi, se tu sei il principe, lei è la tua principessa!-, spiegò ancora Yumiko, orgogliosa del suo ragionamento, proferito col musetto serio.

Mamorò sollevò le sopracciglia, come aveva fatto poco prima Usagi e la guardò, ricevendo in risposta solo un’altra alzata di spalle.

-Tu sei il principe addormentato e lei ti ha svegliata con il pensiero-, aggiunse Ikuko, giusto per essere più chiari, calcando le ultime magiche parole.

“Veramente mi ha svegliato la secchiata di sabbia che una di voi due piccole pesti mi ha lanciato in faccia…”, ma, invece di dare voce ai suoi pensieri, decise di giocare con loro e far schiattare di imbarazzo la sua amica.

-Avete ragione! E dovete sapere che quando è la principessa che dorme, lei non la sveglia neanche il pensiero!-, parlando come se stesse raccontando una favola, inventò che Usagi era qualcosa che sembrava una via di mezzo tra la Bella Addormentata nel Bosco e Raperonzolo e che per salvarla, lui aveva lottato contro un drago e lo aveva sconfitto. Le bambine lo guardavano a bocca aperta, Usagi, invece, aveva portato una mano alla faccia e avrebbe voluto seppellirsi per non assistere a tale dimostrazione di idiozia congenita.

-E come l’hai svegliata la Principessa addormentata?-, Ikuko era affascinata dalla storia, Yumiko, già più sveglia, fornì la sua logica spiegazione: -Con un bacio in bocca!-, strillò e si portò le mani a coprirsi gli occhi.

-Me lo fai vedere? Ti prego, ti prego! Dai un bacio in bocca alla principessa, come nei film!-, pigolò Yumiko, saltando al collo di Mamoru, che fu colto alla sprovvista e successivamente fulminato da un’occhiata assassina della sua principessa.

 

-Bambine! Smettete di dare noia a quei ragazzi e venite subito qua!-, una bella donna sui trentacinque anni, coperta da un pareo griffato, si avvicinò alle bambine e le richiamò a sé, prima che potesse essere espressa nuovamente la folle richiesta.

-Scusatele tanto… stanno tutto il giorno davanti alla tv a guardare gli shoijo e questo è il risultato: appena vedono una giovane coppia, pretendono che si scambino effusioni per la loro gioia. Continuate pure a fare… quello che stavate facendo… noi ce ne stavamo andando-, con un gesto elegante, la donna salutò Usagi e Mamoru, prese per mano le due figlie e lanciò un’ultima occhiata famelica al ragazzo, prima di avvicinarsi al marito grassoccio e mezzo pelato, carico di borse e borsette, che le aspettava. Il rumore dei loro passi sulla sabbia si allontanò in pochi istanti.




 

Un gabbiano lanciò il suo grido nel cielo azzurro, volando alto sul mare.


Il vuoto pneumatico creatosi dopo che i due piccoli tornadi se n’erano andati via, ancora non aveva abbandonato l’angolo di spiaggia occupato da Usagi e Mamoru. 

Non osavano muoversi, non osavano guardarsi. 

Non osavano neanche pensare.

Intanto il sole aveva raggiunto la sua vetta più alta e nessuno del loro gruppo si era fatto vivo a spezzare la cortina di imbarazzo.


-Quella lì ti ha mangiato con gli occhi-, commentò dopo molti minuti Usagi, senza muovere altri muscoli se non quelli della fronte, adesso increspata da una ruga di perplessità e fastidio.

Mamoru osò soltanto concedere alla sua guancia di vibrare appena, trattenendo un sorriso.

Tanto, comunque, Usagi non l’avrebbe notato.


-La più grande aveva lo stesso nome di mia madre…-, disse Mamoru, dopo un po’, abbassando la testa, realizzando in quel momento perché avrebbe perfino acconsentito alla sua astrusa richiesta, pur di vedere una Yumiko sorridere.

Usagi assimilò l’informazione, ripensò alle due bambine, Yumiko e Ikuko e rabbrividì.

Se fosse un brivido di orrore, di piacere, di paura o di imbarazzo non se lo domandò neppure.

 

---


Non si muoveva da… mezz’ora? Da quanto? Le gambe si erano informicolate sotto il suo peso e il sole picchiava così forte che i suoi chignon dovevano essere già asciutti.

-Ti stai scottando-, Usagi informò il ragazzo, ruotando di pochi gradi il collo nella sua direzione, senza muovere altri muscoli.

-Accidenti…-, Mamoru si toccò con la mano una spalla in fiamme: il primo movimento dopo tutti quei minuti risultò estraneo al suo corpo. Fatto quello sforzo, poté concedersi di guardare la sua interlocutrice: -Anche tu-, le disse e sospirò.

 

Usagi registrò l’informazione e, con il dovuto tempo di elaborazione, schizzò in piedi, iniziando a lamentarsi disperata: quella ragazza non era vera, senza dubbio era un cartone animato e lui stava vivendo qualcosa di simile a ‘Chi ha incastrato Roger Rabbit?’. In fondo, il coniglio c’era anche nella sua folle giornata.

La osservò saltellare alla ricerca di un fazzoletto d’ombra oppure di qualcosa su cui appoggiare i piedi che non fosse la sabbia infuocata, estrasse dallo zaino il flacone di crema e se ne versò una quantità industriale sul palmo della mano, iniziando ad ungersi in maniera disordinata spalle, viso, collo.

In quel momento a Mamoru tornò in mente la promessa che aveva fatto il pomeriggio precedente a Motoki e, seppur riluttante, pose alla sua amica la fatidica domanda della quale -ne era certo- si sarebbe pentito fino alla fine dei tempi.

-Testolina Buffa… ti vedo in difficoltà… Vuoi che ti aiuti a mettere la crema sulla schiena? Poi tu aiuti me, per favore…-, le parole gli uscirono di bocca come ricci di mare, le dovette tirare a forza e il risultato fu piuttosto ridicolo.

Usagi si immobilizzò e lo guardò: aveva una macchia bianca di crema sul naso e, se fosse stata realmente un cartone animato, certamente sulla sua fronte ci sarebbe stato un enorme punto interrogativo lampeggiante. Avrebbe potuto vedere gli ingranaggi della sua testa muoversi cigolando.

-Tu vuoi vendicarti di quel che ti hanno fatto Motoki e Makoto ieri: mai e poi mai metterai le tue sporche mani su di me!-, tuonò Usagi e si coprì la bocca, certa di aver esagerato, eppure fiera di quella frase a effetto che aveva proferito. “Come nei film!”

Mamoru alzò le sopracciglia, stupito dalla sua melodrammatica sfuriata, eppure incuriosito. Onestamente aveva voglia di giocare… era al mare, c’era il sole, erano soli, era il momento migliore per fare davvero il baka e prenderla in giro. Una scintilla malefica brillò nei suoi occhi. In fondo, provocare Usagi era il modo migliore per sentirsi bene.

-Come preferisci. Non tutte le donne hanno buon gusto come la madre delle bambine di prima. Probabilmente anche lei, in passato, ha rifiutato l’aiuto di un bel ragazzo come me ed è finita sposata con un uomo che desidererebbe tradire. La mia offerta l’ho fatta, Usako…-, si alzò in piedi e le fece ombra con la sua altezza. 

La ragazza era rossa fino alla punta dei capelli: cosa aveva detto quel… quel… Lei non avrebbe fatto come quella donna, avrebbe trovato un bellissimo ragazzo che l’avrebbe coperta di attenzioni e sposata entro i venticinque anni!

-D’altro canto, mi rendo conto che - e ieri ne hai dato ottima dimostrazione -, anche a te piace farti coccolare da bei ragazzi, come Motoki. Purtroppo per noi, né lui, né Makoto sono qui, quindi…-

-Makoto?-, domandò scandalizzata Usagi. Il piano di Mamoru stava avendo successo…

-Sì, ha un’ottima mano, sai? Oppure Rei… sono sicuro che dietro la sua grinta è delicata come una gattina. O la timida Ami, che sarebbe perfetta o Minako… dico che lei saprebbe spalmare la crema sulla mia schiena diecimila volte meglio di te. Anche Naru penso che…-

-Dammi quella crema!-, ruggì Usagi, nera come un temporale per i paragoni che stava facendo quel decerebrato che le stava accanto, -E non lamentarti se sentirai male…-, la sua voce risuonò di una oscura minaccia.

 

“Molto, molto male”…

 

Mamoru non aveva preventivato che Usagi avrebbe potuto schiacciarlo a terra piantando un’unghia nella sua spalla dolorante, né che l’avesse fatta arrabbiare al punto di farle trovare la spudoratezza di sedersi a cavalcioni sulla sua schiena e iniziare a spalmare la crema con la stessa delicatezza di un muratore che stenda la calce su un muro di cinta.

Cavolo, quella selvaggia ci stava mettendo le unghie…!

 

“Mai dire a Usagi che le altre sono meglio di lei!”, memorizzò sotto tortura Mamoru, mentre tentava di sollevarsi e scalzare via il gentile peso che gli gravava sul groppone.

Usagi, intanto, non pensava ad altro che alla vendetta, per questo non fu consapevole del pasticcio che li stava per colpire.

 

Avvenne tutto molto rapidamente: premendo con il palmo sulla spalla di Mamoru, la mano le scivolò via per la massiccia dose di crema solare e lei si sbilanciò. Il ragazzo colse al volo l’occasione e, con un movimento rapido, invertì le loro posizioni, sbalzandola via dalla sua schiena e facendola cadere con le spalle a terra, praticamente sotto di lui.

-Brutto maleducato, stupido…!-, Usagi si era aggrappata alla sua schiena (con le unghie…) per tirarsi su, nella parodia di un abbraccio, mentre lui la bloccava a terra dalle spalle, strillando ancora per il dolore e cercando di farle mollare la presa. Era una gara a chi avrebbe ceduto per ultimo. Chi lo avesse fatto, avrebbe avuto l’onore della vittoria, ma almeno una cicatrice in più sul proprio corpo…

 

--- 

 

Fu in quella posizione tutt’altro che usuale che i loro amici li trovarono, quando finalmente giunsero sulla spiaggia di Ithogaya, dopo averli attesi tutta la mattinata su quella di Ikayuma, che avevano stabilito come meta prima di lasciare la villa di Yuichiro.

Ami aveva provato a contattare Usagi tramite il suo sailorfono, per avvertirla che sarebbero arrivati a breve, ma non aveva ricevuto risposta: preoccupata, aveva deciso di informare le amiche e mobilitare i ragazzi perché si ricongiungessero al più presto ai due assenti.

La prima che si accorse della scena che si parava dinnanzi a loro fu Minako: si tappò la bocca con entrambi i pugni, strabuzzò gli occhi dalle orbite e schizzò come un grillo dalle sue amiche, nelle retrovie.

-Nonaveteideadiquellochestasuccedendolì!!!!-, strillò, cercando tuttavia di farlo il più silenziosamente possibile. Pura utopia per la sua squillante voce…

-Che cosa?-, Rei avanzava irritata dalla sabbia che continuava a entrare copiosa nei suoi sandali di paglia e stoffa. Ami lottava ancora con quel suo scomodissimo cappello di paglia.

-Usagi!-, gli occhi di Minako erano grandi come piattini da caffè, -… e Mamoru! Loro due. Insieme. Stanno…-, sembrava stesse dettando un telegramma, più che sciorinando un pettegolezzo. Qualcun altro fu più incisivo di lei.

-Che cooosa??? Ebbravo il nostro Mamo-chan!-, tuonò Hiro, raggiungendo un punto di avvistamento ottimale dal quale aveva visto, senza possibilità di errore, Mamoru Chiba e Usagi Tsukino che amoreggiavano  distesi abbracciati sulla spiaggia.



 

-Mi fai maleee!!! Leva quelle unghie, gattaccia!-

-Lasciami tu, maniaco, presuntuoso che pensa di essere sempre nella ragione!-

-Stacca quelle mani da me, stupida, o ti butto in acqua come ho fatto ieri!-

-Provaci e vedrai come ti affogo!-

 

Incuranti degli schiamazzi dei loro amici che si avvicinavano, Mamoru e Usagi continuavano la loro infinita lite. 

Rispettando la promessa, il ragazzo fece passare un braccio sotto alla schiena di Usagi e la strinse a sé, tirandosi su con l’altro braccio e agguantandola da sotto le gambe. L’aveva catturata.

Usagi strillò nel suo orecchio, assordandolo, lui piegò le labbra in un ghigno di vittoria e scattò come un centometrista verso l’acqua.


-Mamoru!!!-, anche quella volta non udì il richiamo di Motoki. Il gruppo si stava avvicinando alle loro spalle, sempre più incuriosito e sempre più rapido. Quando furono abbastanza vicini da sentirli, il ragazzo urlò ancora: -MAMORU!!!!!-

 

Qualcuno lo chiamava: Mamoru si fermò con l’acqua a metà gamba e Usagi che scalciava tra le sue braccia e puntava le mani per essere liberata. I suoi sensi furono catturati dalle voci che continuavano a urlare il suo nome, in lontananza.

-Mamoru!!! Che state combinando?-

-Brutto volpone, ti sei appartato con lei, eh?-

-Amica traditrice! Se preferivi la compagnia di Mamoru bastava dircelo, non importava mettere su questo teatrino per restare sola con lui!-

-Sono felice per te, Usa-chan…!-

-Mamoru, che sta succedendo?-

 

Usagi si immobilizzò, smettendo di divincolarsi tra le braccia del suo acerrimo nemico; lui rimase talmente pietrificato dall’apparizione di tutti gli altri, lì a un passo dalla battigia, che non mosse un muscolo, sentì soltanto una vampa di imbarazzo risalire sul suo viso e, senza pensarci, lasciò andare la presa su Usagi, facendola cadere a peso morto in acqua.

-Ahiaaa!!!-, strillò la ragazza, dopo aver battuto il fondoschiena sul fondale basso e aver bevuto di nuovo.

 

Nella confusione che seguì l’attimo di sbigottimento dei presenti, fu chiaro a tutti che quel che avevano visto era stato frainteso: Usagi e Mamoru ripresero a litigare come nessuno li aveva mai visti fare prima di allora, rinfacciandosi errori e comportamenti sbagliati di cui loro non conoscevano le cause. La ragazza era furiosa: accusava il suo accompagnatore di averla messa a disagio volontariamente, sapendo che dopo sarebbe stata irrisa da tutti, gli disse che era solo un egocetrico, stupido ‘bambino’, che non capiva quando era il momento di smetterla di fare i capricci. Lui le rispose di non saper stare agli scherzi e di prendersi troppo sul serio, che avrebbe dovuto mostrarsi più matura di quanto facesse, perché non aveva più cinque anni. Le mostrò un graffio che lei gli aveva causato nell’estremo tentativo di difendersi dall’imminente tuffo in mare e le fece notare quanto fosse stata ingrata nel non accettare il suo aiuto.

-Vi ho visto piacevolmente uniti, invece!-, commentò Kenzo, lanciando un’occhiata in tralice a suo fratello e sortì l’effetto di scatenare una nuova dose di allusioni e illazioni da parte dell’amico Hiro e di una complice Minako, che non aveva fatto altro che peggiorare la situazione, da quando era arrivata, chiedendo incessantemente a Usagi per quanto ancora avrebbe voluto tenere nascosto alle sue amiche il suo torbido legame con Chiba.

-Sei solo un baka!-, tuonò a un certo punto Usagi e, senza una evidente giustificazione, essendo lui ancora lì accanto, gli assestò un sonoro schiaffo su una guancia, dove si dipinse il segno delle cinque dita in un alone rosso.

Makoto e Naru penarono non poco per trascinarla via dall’incredulo Mamoru, neanche fosse stata un chiwawa rabbioso, prima che lui potesse dire o fare qualsiasi cosa che avrebbe potuto peggiorare ulteriormente la situazione.

 

-Usagi ha schiaffeggiato Mamoru: WOW!-, Motoki si voltò verso Ami e la guardò con occhi enormi: la ragazza era rimasta a bocca aperta, esterrefatta da quel che aveva visto. 

-... wow!?-, esclamò, -Sei serio, Motoki?-

Lanciò uno’occhiata di biasimo all’amico, abbandonò le sue cose nel mucchio delle altre e corse a raggiungere la sua amica. Se la conosceva bene, Usagi aveva estremo bisogno di lei.

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Capitolo 11
Complottisti, Ipotesi & Colpo di Fulmine


Ami raggiunse Makoto e Naru e, insieme, cercarono di far sedere Usagi all’ombra per farla calmare. La ragazza tremava, sapeva di aver fatto una cosa sbagliata eppure non riusciva a incolparsi del tutto per il suo gesto immotivato. Per lei, di motivi per aver preso a schiaffi Mamoru ce n’erano eccome!

Aveva il viso paonazzo, teneva gli occhi socchiusi in due fessure e sfiatava dal naso quasi fosse stata un toro nell’arena, pronta a tornare all’attacco.

Rei stava un po’ in disparte e la guardava con biasimo, pur sentendo in cuor suo che l’unica cosa che avrebbe davvero funzionato in quel momento sarebbe stata abbracciarla forte forte per farle comprendere che le era vicina. Minako, meno critica di lei, lo fece al posto suo, tenendola stretta per un po’ senza parlare.  Il piccolo cuore di Usagi correva all’impazzata, Minako lo sapeva bene, così come intuiva che l’altra cosa veramente intelligente da fare in quel momento sarebbe stata distrarla con argomenti di suo interesse. Le disse che era quasi l’ora di pranzo e che la stavano aspettando tanti buoni manicaretti, si fece aiutare da Makoto per elencarli uno per uno e, quando fu sicura che il terremoto nel petto dell’amica fosse placato, iniziò a parlarle di bikini, scarpe e ogni altro argomento futile e non.

 

Anche Mamoru fu circondato dal gruppo di ragazzi, ma le chiacchiere tra loro non furono dello stesso tenore frivolo, così lui, particolarmente scuro in viso, rimase con loro solo per poco tempo, preferendo ritirarsi in eremitaggio in mezzo all’acqua, con la scusa di raffreddare la pelle della schiena ustionata e offesa.

 

---

 

Quando fu l’ora di pranzo, ai due gruppi maschi contro femmine toccò di riunirsi. Nonostante gli screzi fossero circoscritti ai soli due litiganti, in qualche modo l’atmosfera rimaneva tesa, per questo il pasto fu consumato quasi in religioso silenzio. Ciascuno pensava ai fatti suoi gustando i manicaretti preparati da Makoto e Motoki prima di uscire di casa: sandwich farciti, verdure crude e An-Dango per dessert. Quando Mamoru vide gli spiedini di polpette dolci, ne afferrò uno, sghignazzò e lo azzannò con disprezzo.

-Certo che mi volete proprio male…-, commentò Usagi, rigirando il suo spiedino tra le mani senza guardare nessuno in particolare. In effetti quegli odango somigliavano davvero ai suoi chignon…

-Dai! Su con la vita, che ti vogliamo bene!-, la rincuorò Minako, assestandole una bella pacca sulle spalle ustionate, facendola squittire per il dolore.

-Certo, come no... con te facciamo i conti dopo, Mina!-, le rispose la malcapitata.

-Non vi si può lasciare soli neanche un paio d’ore-, commentò caustica Ami, riferendosi alle schiene bruciacchiate di Usagi e Mamoru.

La ragazza sbuffò, azzannò un dango e si chiuse in un mutismo che lasciò le sue compagne di avventura perplesse. Dopo qualche tempo, quando ebbero finito e si furono ricompattati i gruppi contrari maschi da una parte e femmine dall’altra, Usagi si rivolse alla sua amica Naru, spronandola a lasciar perdere i problemi di una ‘sciocca ragazzina immatura’ e andare dal suo ragazzo.

Quando si fu ricongiunta con Umino e insieme si furono allontanati per fare due passi sul bagnasciuga, Usagi si lasciò crollare distesa a terra e vuotò il sacco.

 

-Ragazze, non avete idea di tutto quello che mi è successo…-, iniziò mogia mogia.

Raccontò alle amiche di come lei e Mamoru si fossero persi e del fatto che li avessero attesi a lungo. Glissò sull’imbarazzo provato vicino al ragazzo e invece puntualizzò come ‘una donna di mezz’età’, gli avesse fatto gli occhi dolci, tra le risate delle amiche.

Raccontò delle bambine, del bagno in mare da sola, del fatto che le era mancata la loro compagnia.

-… e poi, mentre cercavo un modo per distrarmi e pensare ad altro, di colpo ho avuto quella vis…-, Usagi si morse la lingua, ancora indecisa se mettere o no le sue amiche al corrente di quello che le stava avvenendo da tante notti a quella parte e che quella mattina si era manifestato anche da sveglia.

Rei si accigliò: -Hai avuto cosa?-, chiese, in apprensione, ma fu travolta da Minako che, facendo scaletta sulla sua schiena, si arrampicò fino a sovrastare del tutto Usagi.

-Cercavi un modo per distrarti e non pensare a cosa???-, domandò avida, sbilanciandosi e finendo nella sabbia, sopra la faccia di Rei che iniziò a sputacchiare e a ringhiare contro di lei.

Usagi trasse un sospiro di sollievo nell’osservarle mentre si rincorrevano senza pensieri, finendo in acqua e schizzando totalmente il povero Umino, che faceva le sabbiature.

Strinse le ginocchia al petto e sospirò: “Non voglio dare loro altre preoccupazioni: i miei sogni sono solo miei e devo cercare di risolvere il mistero da sola”

-Tutto bene, Usa-chan?-, le domandò Ami, conscia che il piano architettato da Motoki fosse ormai da boicottare. Non era possibile andare avanti in quella direzione, dopo tutto ciò a cui avevano assistito. Quei due si amavano e non lo sapevano? Piuttosto sapevano bene come potersi uccidere lentamente e con grande gusto…

 

Ripensò a poche ore prima: la moto di Mamoru e Usagi era da poco sfrecciata davanti all’area di sosta dove Yuichiro e Hiro stavano facendo benzina ai loro mezzi. Motoki, fatto cenno a Ami che si tenesse forte, si era messo sulle loro tracce e aveva frenato lo scooter poco distante dal bivio al quale gli amici si erano fermati. Aveva visto Mamoru spiegare alla ragazza dove reggersi e discutere sulla destinazione. Quando avevano svoltato a destra aveva fatto promettere ad Ami che non avrebbe detto o fatto nulla. Così, una volta raggiunti dagli altri, non aveva fatto alcun riferimento al fatto che si stessero dirigendo verso una spiaggia differente da quella scelta dai due assenti e, strizzato l’occhiolino ad Ami, le aveva sussurrato: ‘Si divertiranno, vedrai!’

 

Usagi la guardò senza parlare, scrutando il suo volto alla ricerca di qualcosa di inesistente.

-L’hai fatto apposta-, disse lentamente dopo qualche istante e il volto della piccola studiosa prese fuoco.

-Fatto… cosa?-, farfugliò, mentre Makoto le guardava senza capire.

Come faceva Usagi ad aver scoperto che…

-Sei andata dietro a Motoki perché sei interessata a lui, confessa!-, minacciò Usagi, facendo prestare attenzione alla questione anche la terza ragazza e trarre un sospiro di sollievo ad Ami.

-Ma cosa dici, Usa? Io interessata a Motoki? Figurati! Lui ed io siamo solo… amici…-, quella parola suonò strana perfino alle sue stesse orecchie: complici sarebbe stato ben più adeguato… Traditori, ancor di più…

-Cosa cosa cosa???-, gli occhi vispi di Makoto divennero inquisitori: -Tu e Motoki??? Lui è impegnato, ricordatelo, prima di vedere il tuo cuore spezzato… come il mio-, disse, abbassando la testa.

Ami si sentì doppiamente traditrice, sia nei confronti di Usagi, che dei sogni ormai sfioriti di Makoto. Se solo avessero saputo la verità su di lui e Reika...

-Ma non ti sei presa Kenzo, tu?-, insinuò vagamente petulante Usagi, coprendosi con la mano la bocca e affilando lo sguardo. Makoto arrossì e spiegò che… ‘erano solo amici’.

-Qua siete tutti solo amici, non ci sono che io che mi vanto di dire che Mamoru invece è un mio nemico!-, sentenziò Usagi, dopo si stiracchiò e raggiunse le altre in acqua.


-Stiamo sbagliando tutto…-, constatò rassegnata Ami, disegnando figure astratte con un dito nella sabbia.

-Io dico di no. Per me stiamo facendo la cosa giusta: ma li hai visti con che fervore si sono litigati? Come si stavano abbracciando quando siamo arrivati?-, gli occhi romantici di Makoto mandavano bagliori preoccupanti. Quando ci si metteva, sapeva essere ben più pericolosa di Minako…

-Io ho visto che Usagi ha schiaffeggiato Mamoru…-, osò controbattere Ami.

-Ma non hai visto quanta passione c’era in quello schiaffo?-, ormai Makoto era partita… avrebbe dovuto prendere in considerazione l’idea di farsi sostituire da lei nella folle impresa di Motoki… e non solo in quello. 

Era sempre più a disagio… non era pronta a quello che poteva provare a stare così a contatto con… dei ragazzi.

-Che caldo…-, si lamentò, tutta rossa e non per il caldo, e corse in mare pure lei.

 

-Mi hanno lasciata sola…-, constatò Makoto e si mise a gambe incrociate, sbuffando.

-Ehi, Makoto-, fu raggiunta da Motoki e, per un attimo, rimpianse di non aver seguito Ami. Il fratello del ragazzo era davvero simpatico e carino… e in più l’aveva battuta a braccio di ferro, quindi era assolutamente degno di rispetto, e Motoki aveva la ragazza… eppure Motoki era Motoki e sarebbe rimasto per sempre il suo più grande amore non corrisposto. Si dovette concentrare per non arrossire, da sola con lui.

Motoki non era mai davvero uscito dal suo cuore…

-Non vai a fare il bagno?-, gli domandò, imbarazzata dall’averlo in ginocchio vicino a lei, mentre osservava gli altri che iniziavano a giocare a pallone.

-Preferisco parlarti di una cosa seria-, le disse, fissando gli occhi verdi nei suoi. 

Una volta Makoto si era soffermata a pensare a quel colore così intenso, riflettendo sul fatto che il verde degli occhi di Motoki era tutt’altra cosa rispetto al suo color sottobosco sbiadito.

-Cosa?-, gli domandò, sforzandosi di non pensare agli occhi del suo interlocutore… né a tutto quello che stava sotto ad essi.

-Cosa ne pensi della sfuriata che c’è stata prima?-, Motoki era fatto così: pochi preamboli, andava dritto al punto della questione, ma lo faceva in un modo che riusciva sempre a ispirarle fiducia. Makoto rifletté attentamente sulla sua risposta: non poteva tradire Usagi e tramare contro di lei troppo palesemente, solo perché era quel tesoro di Motoki a chiederglielo.

-Usagi dice che Mamoru è un suo nemico e che non lo sopporta-, scelse la via più diplomatica.

Motoki fissò per un istante il mare: Hiro, Kenzo, Yuichiro, Rei, Minako e Umino stavano giocando a pallavolo, finendo in acqua in una moltitudine di schizzi; Usagi, Naru e Ami stavano in disparte, sedute sulla battigia accarezzate dai flutti. 

Mamoru era solo, in lontananza e nuotava al largo, andando avanti e indietro, come un leone in una gabbia invisibile.

-E tu cosa ne pensi, Mako?-, Motoki si voltò verso di lei, che non riuscì più a nascondere il rossore al volto, causato sia da quello sguardo che solo lui aveva, che dal modo in cui l’aveva chiamata.

-Io… penso che… beh…-, iniziò a balbettare e a imitare il gesto visto fare poco prima ad Ami, dipingendo linee sconnesse sulla sabbia. Motoki le fermò la mano coprendola con la sua; Makoto si sentì svenire: oh, se solo Kenzo le avesse fatto la metà dell’effetto che le faceva Motoki…!

-Con parole tue-, la spronò il ragazzo, aprendosi in un bel sorriso.

-Io penso che… te l’ho già detto ieri, Motoki… anche se dichiarano di odiarsi, anche se sono… ehm… arrivati alle mani… io leggo tanta… tanta…venerazione? nei loro gesti… È come se provassero qualcosa di intenso, ma non sapessero come comprenderlo. Ecco-, sfuggì con la mano alla presa di Motoki e si coprì le guance, certa di essere ormai dello stesso colore della schiena di Mamoru o di quella di Usagi.

Il ragazzo le sorrise e non disse niente, limitandosi a continuare a osservare gli altri, con un sorriso sornione dipinto sul volto. 

-Comunque, tuo fratello è convinto che Usagi interessi a te-, sparò d’un tratto Makoto, voltandosi dall’altra parte, perché non avrebbe osato guardare il viso di Motoki mentre gli rivelava quella cosa; -Non capisco come possa pensare una cosa simile, dal momento che tu stai con Reika!-, completò e, senza aspettare alcuna reazione, si alzò e corse in direzione del mare.

 

“Già… infatti non è così, anche se Reika mi ha lasciato…”, Motoki abbassò la testa e si lasciò cadere disteso sulla sabbia, osservando il cielo terso sopra di sé e cercando di non pensare a niente.

 

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-Non ti sembra di essere stata un po’ troppo dura con Mamoru?-, la domanda la colse impreparata. Makoto l’aveva affiancata mentre nuotava in prossimità di Ami e Naru, tenendosi sempre a una distanza dalla costa che le permettesse di toccare con i piedi sul fondale sabbioso, l’aveva salutata con un sorriso e si era messa a galleggiare sulla schiena, muovendo distrattamente le dita delle mani per darsi una direzione, quando la corrente la faceva spostare dalla sua postazione.

Usagi ripensò allo schiaffone che aveva tirato al ragazzo: sì, in effetti aveva esagerato… 

-Lo so, ho sbagliato… e adesso non so cosa fare-, confessò all’amica, mettendo giù i piedi e rimanendo ferma a guardarla.

-Non ho capito come siete finiti a litigare a quella maniera… Voglio dire… è la prima volta che andate oltre le offese verbali…-, constatò Makoto, continuando a osservare il cielo.

Le sarebbe tanto piaciuto entrare nella testa dell’amica e cercare di capire come fosse possibile quel rapporto che si era creato tra lei e il ragazzo: d’accordo, erano fondamentalmente incompatibili per modo di fare, gusti e spessore umano, però a lei non sarebbe mai venuto in mente di comportarsi come faceva Usagi con un ragazzo! In effetti, lei sceglieva sempre la via della fuga: se qualcosa non andava con un maschio, in positivo o in negativo, tirava fuori la storia del ‘braccio di ferro’ e misurava con quello l’importanza che avrebbe dovuto dare al suo rapporto con quella persona. Di solito, quelli che riusciva a battere, o si piegavano a lei, temendola e scappando dopo un po’, oppure diventavano suoi amici. Solo amici, nulla di più: un rapporto cortese senza alcun coinvolgimento. Chi la batteva, invece, poteva avere il privilegio di fare breccia nella sua corazza e strapparle qualche confessione, divenire più intimo… eppure, ne era consapevole, lei era la prima ad aver paura di farsi avanti con i ragazzi, se il campo di battaglia erano la sincerità e i sentimenti, piuttosto che un tavolino dove incrociare le mani. Con Motoki era stato diverso, lo aveva capito subito: lui si era lasciato battere quella volta a braccio di ferro, era sicura di aver percepito l’attimo in cui aveva smesso di applicare forza alla sua mano, perché le aveva debolmente sorriso. Erano passati anni, eppure quell’espressione non le voleva uscire di testa. Kenzo invece si era pavoneggiato usando tutta la sua forza e per quello l’aveva battuta, in effetti, non aveva avuto la gentilezza di suo fratello: eppure era dietro a lui che scorrazzava in moto e sempre con lui che aveva cotto il pesce al barbeque, da soli, la sera prima. 

Makoto sbuffò e mosse un piede, perdendo per un istante l’equilibrio: era così complicato interfacciarsi con i ragazzi e in un modo o nell’altro combinava sempre qualcosa che rendeva le cose… sbagliate. Ma ai livelli di Usagi non sarebbe mai scesa: prima di tutto l’educazione, dopo il rispetto, infine la tolleranza o la scelta di ignorarli. Non come invece faceva lei con Mamoru.

 

-Deve essere perché… insomma, questa volta ci avete visti che non stavamo solo litigando, ma stavamo lottando… -, tentò di spiegare Usagi, rimettendosi acquattata e muovendo le mani come un piccolo cane che nuotasse in tondo.

Makoto alzò le sopracciglia: -E allora? Che significa?-

Usagi sbuffò e si fece rossa in viso; gesticolò e alla fine scese sott’acqua fino al collo: -Significa che in qualche modo io stavo toccando lui e lui stava toccando me: non è stata una cosa piacevole, mi ha messa in profondo imbarazzo…-, spiegò.

Makoto cercò di comprendere il contorto ragionamento: che c’era di così imbarazzante in quel che aveva detto? Anche lei toccava i ragazzi, quando faceva a ‘braccio di ferro’ e mica si imbarazzava per questo! 

In realtà, pensandoci bene, era capitato anche a lei di sentirsi un po’ a disagio in una situazione simile, sicuramente quando aveva sfidato Motoki e forse con il suo vecchio compagno di scuola che… In effetti le era capitato solo con i due ragazzi che, dopo… o forse già da prima, le erano interessati. A pensarci bene, con Kenzo non aveva provato alcun imbarazzo… se non quando lui l’aveva invitata al bar, facendole delle moine di fronte a tutti. 

Questo voleva significare che Usagi aveva qualche interesse per Mamoru, forse? Certo, se fosse stato così, l’intuizione di Motoki sarebbe stata ampiamente supportata dalla scoperta… Quel benedetto ragazzo poteva davvero essere così sensibile e sveglio, oltre che estremamente affascinante e gentile? Doveva indagare…

-Ieri ti sei fatta spalmare la crema sulla schiena da Motoki: non ti ha messa in imbarazzo?-, Makoto sondò il terreno, passando dai parallelismi, per capire lei per prima se l’idea che aveva balenato nella sua testa avesse potuto essere vera. Solo quando parlò, però il concetto di quello che aveva detto e che era avvenuto le fu improvvisamente e insensibilmente chiaro: Usagi si era fatta spalmare la crema da Motoki. Motoki aveva spalmato la crema a Usagi. Motoki aveva toccato Usagi e ben diversamente da come era mai successo in passato, oppure con lei… Una strisciante invidia si fece spazio nelle fibre più acide del suo corpo, ma Makoto decise di lasciarla perdere, perché non era il momento, né il caso di pensare ancora a certe cose.

“Motoki ha la ragazza”, si ripeté.

Usagi sorrise strizzando gli occhi: -Ma certo che no! Io amo Motoki, come potrebbe mettermi in imbarazzo essere spalmata da lui? Invece odio quel baka e il solo pensiero di quel che avete potuto vedere mi dà sui nervi. Come ha osato quella sottospecie di pallone gonfiato trascinarmi per ben due volte in acqua e farmi cadere, senza contare che mi è toccato rischiare la vita in moto dietro a lui e ho anche dovuto ringraziarlo perché mi ha aiutata a sciogliere i capelli e con il polso e…-

Lo sguardo truce di Usagi si aprì in un’espressione di stupore: -Mako, cosa c’è?-

L’amica la guardava e sorrideva: il fervore nelle parole dell’amica, i suoi occhi lampeggianti, quelle mani che si muovevano mimando in automatico gesti e minacce avrebbero potuto anche potuto essere segnali dell’odio che provava per il ragazzo… ma come mai allora, parlando del suo amato Motoki, non aveva battuto ciglio? Senza volerlo, Usagi le aveva servito su un piatto d’argento una serie di informazioni molto, molto interessanti e… piccanti…

-Cos’è che ha fatto Mamo-chan?-, le chiese sghignazzando.

Usagi tornò rossa come un peperone e batté le braccia sull’acqua, schizzando l’amica: -Ha rotto le scatole, come sempre!-, esclamò.

-Mi riferivo… ai capelli e… al polso… Mi stai dicendo che c’è altro cui non abbiamo avuto la fortuna di assistere?-, insinuò, abbassando le gambe e rinunciando a fare ‘il morto’, dato che la questione stava diventando interessante.

-Sì, mi ero incastrata nel casco, mi ha sciolto un codino perché non ce la facevo senza specchio…-, rispose Usagi, guardando dalla parte opposta all’amica. Si era infilata da sola in quella situazione imbarazzante, accidenti… Quando ci si metteva, Makoto era più subdola di un venditore porta a porta nell’ottenere i suoi scopi e farle fare o dire cose che non voleva.

-Capisco…-, commentò laconica l’altra, poi una domanda prese forma nella sua mente: -Usa-chan, scusa, come mai stavi spalmando la crema a Mamoru seduta su di lui?-

La ragazza sbuffò e incrociò le braccia al petto: rispondere o mettersi a urlare per la vergogna e la pressione prolungata cui era stata esposta? 

-Perché è stato lui che ha insistito per mettermela e farsela metter…-, ancora una volta aveva detto qualcosa di troppo: si morse la lingua e si fece pure male. Maledizione…

Si sentì afferrare per le spalle e ruotare rapidamente verso Makoto, che la guardava incredula: -Vuoi dire che lui ti ha chiesto di mettergli la crema?-, i suoi occhi erano spalancati come fanali.

Usagi volle sprofondare: era vero… era stato proprio lui a iniziare, lei aveva detto di no e poi…

-Ah, non ci capisco più nulla!-, si lagnò; strinse tra le dita il naso e andò sott’acqua.

 

“Quel ragazzo è un genio!”, pensò su di giri Makoto, alzando il pollice in direzione di Motoki. Aveva deciso: da quel momento avrebbe fatto parte della congiura anche lei!

Usagi riemerse soffiando aria e acqua come una balena: -Andiamo a prendere un gelato al bar?-, domandò all’amica.

Makoto guardò il suo sorriso, ripulito dalle nuvole che avevano oscurato il buonumore della ragazza solo un istante prima e pensò che come Usagi, capace di irradiare luce e calore sempre e comunque, non ce ne fossero altre.

-Chi arriva per ultima paga!-, rispose accettando l’offerta e scattò di corsa verso la spiaggia, seguita dagli strilli recriminatori dell’altra, rimasta indietro.


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Mamoru era esausto.

Aveva nuotato da solo senza una meta e senza una reale ragione per chissà quanto tempo, mentre gli altri giocavano a pallavolo o si rilassavano al sole: era giunta l’ora di uscire dall’acqua e aspettarsi i commenti sarcastici di chi lo aveva visto vicino alla malefica Testolina Buffa.

Vicino… ‘Vicino’ era un eufemismo: più che vicini avevano dato il peggio di loro stessi arrivando ad azzuffarsi come due galline nel pollaio. Era tutta colpa di quell’impiccione di Motoki che gli aveva messo in testa la storia della cicatrice di Usagi. Ma soprattutto era colpa della sua proverbiale imbranataggine nei confronti dell’intera popolazione femminile mondiale: perché mai aveva fatto quella proposta inopportuna proprio a Usagi? Io spalmo la crema a te e tu la spalmi a me… già che c’era avrebbe potuto passarle un bigliettino con su scritto ‘Vuoi metterti con me? Barra: SI’ o NO’… Era stato un diabolico cretino! E poi… cosa diamine era passato nel vuoto pneumatico del cranio di quella testolina Buffa quando lo aveva a dir poco aggredito, saltandogli sulla schiena come se fosse stato un cavallo… un asino, piuttosto! E tutti gli altri avevano visto tutto

Avrebbe voluto affogare, solo per quello…

 

Aveva avuto tempo per pensare cosa rispondere a chi gli avesse domandato cosa stesse succedendo… tra loro…: ‘Semplicemente – avrebbe detto –  abbiamo trascorso insieme più tempo di quello consentito per non esplodere entrambi, perdendo la ragione a favore di atteggiamenti mutualmente infantili e rabbiosi’.

Tradotto… non lo sapeva neanche lui quello che era successo con quella benedetta ragazza. In fondo lui sapeva solo di avere effettivamente esagerato un po’, facendola cadere di peso in acqua, ma era stata solo una difesa… insomma, non era stato lui a fare qualcosa di così eclatante o fuori dagli schemi tale da beccarsi quel sonoro schiaffone. La parte lesa non faceva più male da tempo, eppure lo smacco subito non poteva che aver inasprito l’acredine già presente tra loro.

In fondo, da un punto di vista esterno, lui si era mostrato gentile, offrendole un aiuto: era stata lei quella irriconoscente e violenta!

Si fermò distante da riva, restando a galleggiare con le braccia allungate avanti a sé: un sottile graffio rosso, causato dagli unghielli di quella bestiolina, ornava il suo bicipite, frizzando appena appena. Ecco il risultato di una giornata sprecata a tentare di ammansire una scimmia selvatica!

 

In lontananza vide Makoto correre all’ombrellone e asciugarsi rapidamente, Usagi la seguiva con la lingua di fuori non riuscendo a starle dietro. Indossarono i vestiti e ripresero la gara a corsa verso il bar. Anche quella volta la scimmietta selvatica arrivò seconda.

Mamoru sollevò le sopracciglia, sfiorò con un polpastrello il graffio sul suo braccio, scosse la testa e si immerse.



 

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L’aria del millenovecentonovantasei era così diversa da quella che respiravano nella Crystal City del trentesimo secolo: Michiru chiuse gli occhi, inspirando il profumo di fiori e muschio che aleggiava tutto attorno a loro. Haruka ne approfittò per osservare con attenzione la sua compagna, era esattamente come se la ricordava: giovane, conturbante, con un luccichio nello sguardo che era andato affievolendosi nel tempo.

-Sembra di essere in un sogno-, disse Michiru e ad Haruka anche la sua voce parve diversa, più acuta, più melodiosa, come quella di una ragazzina.

-Già, è incredibile…-, le nuvole disegnavano sparuti sbuffi di latte nel cielo più azzurro che avrebbero potuto immaginare, il vento soffiava caldo portando con sé il lieve rumore della risacca, si udiva il ronzio di insetti nascosti tra le foglie della jungla lussureggiante che si estendeva dietro di loro quasi a perdita d’occhio. Una lucertola dai colori accesi smosse le foglie secche vicino ai loro piedi e scappò via per cercare un posto su una roccia scaldata dal sole.

Tutto questo non esisteva più nel posto da cui loro provenivano, non c’era più il cinguettare degli uccellini, non c’erano più le onde a lambire con dolcezza quelle spiagge bianche, non c’era più l’azzurro accecante del mare cristallino. 

Michiru si soffermò a guardare Haruka, piegò un po’ il capo, incrociò le braccia al petto: -Sì, direi che sei credibile-, affermò e si avvicinò per stringerla in un abbraccio.

-Non abituarti troppo a questo aspetto-, la avvisò Haruka, sentendo gli abiti appiccicarsi alle sue gambe e alle braccia a causa dell’afa; -Beata te che puoi stare scoperta-, disse a Michiru.

-Già-, la giovane sorrise, -Ma tra tutte le catastrofi avvenute in futuro, almeno una cosa buona era stata fatta: erano sparite le zanzare-, si piegò per grattarsi un ponfo sulla gamba e il pareo che aveva mollemente legato al collo si allargò mostrando il suo decolleté.

-Michi… fai attenzione…-, Haruka spalancò gli occhi increspando le sopracciglia e si allontanò scuotendo le mani ai lati della testa. 

Michiru fece una risata cristallina, poi prese un bel respiro.

-Concentriamoci adesso. Loro sono da qualche parte quaggiù in spiaggia.-

Si trovavano sull’isola di Kakeroma e avrebbero fatto ogni cosa per salvare il loro futuro.

 

Pluto  era riuscita ad aprire il varco spazio-temporale con una precisione chirurgica e aveva permesso loro di approdare nella dimensione ‘da sanare’ nel momento giusto: unico neo, avevano dovuto rinunciare alla presenza di Saturn, rimasta invischiata in un ‘regale pic-nic’ organizzato da Piccola Lady, al quale non avrebbe assolutamente potuto mancare senza destare sospetti.

 

Poco male: avrebbero sistemato le cose e salvato il loro mondo da sole… in fondo si trattava solamente di convincere due persone che si sarebbero amate alla follia a fare il primo passo…

Haruka sorrise, pensando a che razza di compito era toccato loro e scosse appena la testa, poi si passò una mano tra i capelli, in un movimento estremamente sexy.

-Non dimenticare che adesso sei un uomo…-

La scintilla di eccitazione negli occhi di Michiru la costrinse ad abbassare lo sguardo, a meno di non voler mandare a monte ogni buon proposito… Haruka si schiarì la gola e trattenne un sorriso: chissà, avrebbe potuto essere interessante sfruttare i momenti liberi dal loro impegno per rilassarsi un po’ con la sua splendida Mi…

-Eccoli, guarda!-

Michiru le prese la mano e, trattenendo il respiro, osservò in lontananza il gruppo di giovani che vociavano allegri in spiaggia: -È così strano…-, mormorò e tornò a guardare negli occhi color del cielo d’autunno della sua compagna.

-Già… sono tutti così…-

-Giovani…-

-Volevo dire ‘spensierati’-, sorrise tra sé e sé, sapendo che anche loro due, grazie alla Penna Lunare del Primo Ministro, erano tornate un po’ più giovani.

-Meglio così-, Michiru sistemò con la punta dell’indice gli occhiali sul suo naso e si voltò verso Haruka: -Più sono spensierati, più sono felici, più sarà facile farli capitolare…-, sorrise maliziosamente e la sorpassò, sfiorando con il dorso di una mano il suo petto, coperto dalla camicia di lino sottile.

Un brivido percorse Haruka, pur essendo un pomeriggio molto caldo: avevano accettato a prestarsi a quella pagliacciata perché erano le sole a poterlo fare, ma lei aveva preteso di cambiare solo un po’ il suo aspetto, contrariamente a quanto stabilito dalle inners. Non si sarebbe trasformata davvero in un uomo, perché sapeva che in un corpo così debole non avrebbe potuto resistere neanche un istante con le mani lontane dalla sua conturbante compagna…

Il piano era stato elaborato seguendo un’intuizione di Venus, che nel corso del tempo aveva imparato a giocare con i misteri dell’amore ed era riuscita a comprendere più di tutti le dinamiche dell’innamoramento umano e prevedeva che Haruka, fingendosi maschio, avrebbe dovuto avvicinare Mamoru e, tra una partita a biliardo e una birra, convincerlo che ‘quella pollastrella fa proprio per te’; Michiru, invece, avrebbe cercato di avvicinare Usagi e tentare di renderla un po’ meno selvatica per il suo futuro Re Endymion…

 

C’era solo una falla in quel piano: era estate, faceva un caldo micidiale, lei era tutta un bollore a causa della presenza della sua compagna coperta solo con un impalpabile pareo e dell’ondata ormonale che la nuova età causava al suo corpo e invece doveva restare vestita come un frate e non poteva buttarsi in mare, a meno di non smascherare subito la sua identità. 

Perfetto: un incubo perfetto, in cui si era lasciata incastrare dalle inners

-Andiamo a prendere qualcosa al bar-, disse a Michiru, portando la giacca sulla sua spalla e la vide sorridere, fare una giravolta e precederla, determinata a chiudere al più presto con quella loro missione speciale.

 

-Ricordati: cerca di non far innamorare di te ogni essere di sesso maschile presente sull’isola, baby-, sussurrò all’orecchio di Michiru, andando a prendere da bere.

-E tu cerca di essere un compare convincente per il nostro sovrano-, le fece eco la voce melodiosa della ragazza.

-Ai suoi ordini, mia signora-, Haruka le fece l’occhiolino e si incamminò verso il bar. 

Qualche attimo dopo aveva in mano la sua birra e la piña colada di Michiru. Stava per tornare dalla sua compagna, quando il barista la richiamò: -Il suo resto, signore-

Haruka si voltò verso il bancone e…

 

-Ahhh! Il mio gelato!-

Qualcosa di basso e ossuto e peloso si era scontrato contro di lei, facendole rovesciare tutte le sue bevande. Era riuscita con un salto all’indietro a non schizzarsi, ma ormai il danno era stato fatto. 

-Usa, tutto bene?-

Haruka non credette ai suoi occhi: Makoto Kino, colei che rappresentava Giove nel Consiglio delle Guardiane della Corona, era davanti a lei, in tutti i suoi splendidi sedici anni. Ricordò in un rapido flash quanto l’avesse apprezzata e compresa, tanti e tanti secoli prima, quando lei ancora non… Jupiter si rivolse a lei.

-Mi dispiace, signore, la mia amica è… un po’ sbadata…-, Makoto portò una mano alla nuca, arrossendo e strattonando con l’altra la sua amica, che evidentemente era scivolata andando contro di lei e causando l’incidente.

-Non sono io ad essere sbadata, è questo pavimento che è scivoloso! Oh, no! Il mio gelato!!! È tutto spiacciato a terra! E ora sono anche tutta sporca di… bleah… ma è roba alcolica!-, come un sole che sorga dall’orizzonte lontano, la testa bionda di una giovanissima Regina Serenity si alzò e i suoi occhi azzurri guardarono Haruka imbarazzati, disperati, arrabbiati. 

Il primo istinto fu quello di abbozzare un inchino, ma Uranus riuscì a trattenersi e si limitò a sorridere alla ragazza.

-Mi scusi, signorina, credo che la colpa sia solo mia…-, disse in tono reverenziale, ripetendosi in quella zucca vuota che non doveva assolutamente far trapelare nulla della loro condizione futura. Si decise così a ricambiare lo sguardo e a continuare a sorridere alla giovane Usagi Tsukino, colei che - ciambelle o no - avrebbe salvato il mondo.

Fu ricambiata dal sorriso più spontaneo, radioso e contagioso che avesse mai visto o ricordato e da una stretta di mano calorosa e appiccicosa di piña colada

-Io… io sono… Usagi, piacere-, balbettò la ragazzina di fronte a lei, diventando rossa in viso e sfuggendo alla sua mano. Makoto Kino, si scusò ancora per l’incidente e spinse la sua amica lontano, sparendo dietro ad una porticina che sicuramente nascondeva la toilette del bar.

 

-Due coppe di champagne, per favore-, Michiru si avvicinò al bancone, ordinando da bere, dal momento che tutto quello che era appena stato preparato era sul pavimento e sul vestitino rosa e giallo di Usagi. Sfilò davanti ad Haruka guardandola di sottecchi e con un armonioso cenno del capo la invitò a sedersi vicina a lei.

-E così sarei io a dover stare attenta a non far innamorare di me ogni ragazzo sull’isola…-, sussurrò, immergendo le labbra nel liquido giallino. Le bollicine le fecero prudere il naso: non ricordava più quella sensazione… era piacevolissima…

-Cosa vorresti dire?-, Haruka guardò verso il mare, fingendo di non capire. 

Michiru l’afferrò per un polso e la costrinse a guardarla negli occhi: non era da lei usare atteggiamenti così irruenti, a meno che non fossero in privato…

-È già successo in passato con Minako Aino, quindi ricordatelo: non correre il rischio di confondere ancora di più questa linea temporale-, sibilò e buttò giù in un sorso il suo champagne.

Nessuna, nessuna, neanche la futura Regina del suo mondo, poteva guardare con quegli occhi la sua Haruka… 

 

Nessuna…



 

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-Lo hai visto?-

-Sì, ok, Usa, sta’ zitta però…-

-No, dico: lo hai visto, Mako???-

-L’ho visto, Usagi, ma tu parla piano, ti prego!-

Senza modificare il tono della voce, Usagi ruotò la manopola dell’acqua, facendola scrosciare rumorosamente nel lavandino del piccolo bagno del bar. Non staccò gli occhi scintillanti di dosso dalla sua amica.

-È una tattica che uso spesso, quando devo parlare con Luna o se non voglio che mi sentano, quando sono in bagno-, le spiegò, -Comunque, dicevo… LO HAI VISTO QUELLO?!?!-

Come se il concetto non fosse stato sufficientemente chiaro, Makoto si trovò a rispondere una volta ancora che sì, lo aveva visto quello… -Il punto è che non sono stata la sola a vedere come tu hai guardato quello, Usa: l’ha fatto anche la ragazza al bar… Te l’ho già detto: è molto probabile che sia la sua ragazza e che…-

-Ma cosa importa? Cioè… Mako, tu non capisci: finora io ho visto solo un lungo tunnel scuro, in cui sono inciampata in delusioni e soggetti di dubbia moralità, come quel baka di Chiba… come il grande amore non corrisposto per Moto-chan… Adesso ho visto la luce! Quel ragazzo era… è… Oh, cielo, quant'è bello!-

Non era possibile che occhi, iridi e tutto il resto assumessero la forma di cuori, ma a Makoto parve proprio fosse così, fissando, incredula per quella sviolinata alquanto precoce, lo sguardo sognante e le guance rosse della sua amica che gesticolava come un’attrice di mimo.

-Cioè… fammi capire… Hai visto quel tizio e in un istante hai dimenticato ogni cosa che provavi per Motoki e per Ma…-, si morse la lingua e ringraziò il cielo che Usagi non avesse colto l’ultima parte della sua frase.

La ragazza fece una giravolta su se stessa e, ridacchiando, si prese il volto tra le mani.

-Ma come fai a non capire… proprio tu, Mako! Questo è quello che si chiama colpo di fulmine…-, Makoto posò le mani sulle sue spalle, per farla star ferma. Neanche fosse stata una bambina, ignorò le sue parole e afferrò il bordo del suo vestitino, per toglierglielo.

-Che fai?-, chiese Usagi, per nulla consapevole del fatto che puzzasse più di un alcolizzato in crisi etilica.

-Te lo lavo, su, collabora!-, con quella santa ragazza o si usavano le maniere drastiche e ci si imponeva, o si rimaneva travolti dalla sua esuberanza. Il problema più grande era rimanere schiacciati dagli attimi di estrema tristezza che ogni tanto la coglievano, sempre pronti in agguato, quando uno meno se lo aspettava. Fortunatamente, non era quello il caso: in quel momento Usagi era semplicemente in versione iperattiva.

Si lasciò spogliare docilmente e si sedette sul piccolo sgabello di fronte a Makoto. Aveva lo sguardo perso nel nulla, ogni tanto sospirava e…

-Accidenti: possibile che tu sia così fatua?-, alla sua amica proprio non andava giù: che le prendeva? L’aveva visto solo per pochi istanti! Come poteva aver cambiato così drasticamente atteggiamento? 

Le parole di Makoto colpirono il bersaglio: Usagi sbatté le palpebre, portò una mano al viso, rosicchiò appena l’unghia del pollice che spuntava dalla mano stretta a pugno e si fece scura in viso, senza rispondere.

Forse era stata un po’ troppo rigida con lei, pensò Makoto e, scuotendo la testa, tornò a strofinare sotto il getto di acqua il vestito dell’amica. “Non verrà mai via solo con acqua. Fortuna che alla villa ho del sapone per il bucato.”

 

Quando riemersero dalla toilette, del misterioso ragazzo biondo e della sua accompagnatrice dai capelli ondulati non c’era traccia. Usagi guardò a destra e sinistra, quindi uscì sgattaiolando, dirigendosi di fretta fuori dal bar: visto che il suo abito era bagnato fradicio, indossava solo il costume bikini e non era il caso di restare ancora lì.

Procedette con calma accanto a Makoto verso gli ombrelloni: aveva ricordato di indossare le ciabattine, quindi la sabbia non bruciava sotto ai piedi e poteva rimandare ancora il suo rientro nel gruppo.

Sospirò, avvistando Mamoru che era stato restituito alla terra dai flutti. “Non poteva restare a mollo ancora un po’?!” 

Adocchiò Motoki che chiacchierava con suo fratello e si sentì in colpa. 

Ci voleva una margherita, una di quelle con tanti petali che l’aiutasse in quel momento così difficile: amava Motoki o lo sconosciuto del bar? Come poteva scoprirlo, se non aveva una margherita a cui strappare i petali!?

Sospirò di nuovo: sulla sabbia non potevano crescere i fiori…

 

-Usa… mi dispiace… non volevo dire quello che ti ho detto poco fa…-, Makoto si sentiva una vera arpia per averle sbattuto in faccia la sua opinione affrettata senza prima capire cosa ci fosse dietro il comportamento volubile e infantile della sua amica. Certo, starnazzare come un’oca cinque secondi dopo aver incontrato quel tizio non era stata una scelta saggia, ma neanche dirle che per questo lei era ‘fatua’ era stato giusto. E adesso la sua Usagi stava attraversando una delle fasi ‘depressione’, tutto a causa sua! Lo sapeva bene cosa le prendesse in quei momenti: a ogni sospiro corrispondeva un’accusa diretta alle sue capacità di studentessa, guerriera, ragazza ormai grandicella. In quel momento, Makoto ne era certa, Usagi stava lambiccandosi il cervello sulla sua infantilità, magari ripetendosi che ‘Mamoru aveva ragione a dirle che era solo una sciocca ragazzina’… e tutto a causa delle parole dure che lei aveva usato nella toilette del bar!

Usagi si fermò ad un passo da lei: no, non sarebbero servite margherite da spelare se poteva contare su delle amiche come le sue che l’avrebbero consigliata e aiutata, come ogni volta. Makoto non doveva pensare di averla fatta stare male. La colpa era solo sua, che non sapeva decidersi da quale parte volasse il suo cuore. 

Guardò l’amica, le prese la mano e sorrise teneramente: -Sono io quella sbagliata, Mako. Non è colpa tua.-

Perché diceva così? Lei non era sbagliata… era semplicemente Usagi e sarebbe stata semp…Makoto la osservò voltarsi e correre verso le loro amiche. 

 

Finché rimasero alla spiaggia, non toccarono più l’argomento, ma più volte Makoto la scorse guardare con occhi tristi verso il mare, scrutare la spiaggia e cercare verso il bar, forse sperando che si rifacesse vivo quel misterioso ragazzo.

Eppure, in mezzo agli sguardi e alla ricerca continua, Makoto si accorse che più volte gli occhioni dolci di Usagi indugiarono sul gruppo dei loro amici. 

Guardava qualcuno in particolare oppure, semplicemente, era un caso?






 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Capitolo 12
Margherite, Scuse & Auto in panne

 

 

Usagi e Makoto ci misero un bel po’ a tornare dal bar, dopo Mamoru che le aveva viste fare a gara a chi arrivasse prima. Avevano entrambe un’espressione strana in viso e Usagi non indossava il prendisole, che penzolava bagnato fradicio dal braccio di Makoto. La ragazza lo strizzò ancora una volta e lo mise ad asciugare sopra uno dei loro ombrelloni.

 

“È senza dubbio un cretino.”

Il ragazzo guardò in cagnesco Hiro che, per l’ennesima volta, aveva lanciato un sassolino sull’ombrellone dove Makoto aveva messo ad asciugare il vestito di Usagi. Non gli era sfuggito che Rei, sorpresa nel vederle tornare dal bar, aveva chiesto alle due ragazze cosa fosse accaduto e la piccola peste aveva risposto, abbassando lo sguardo, di essere caduta con un gelato in mano e di essersi sporcata.

 

Mamoru non le aveva creduto.

Non che nutrisse dubbi sul fatto che effettivamente Usagi avesse potuto inciampare con un gelato in mano, cadere e sporcarsi, ma non gli tornava come aveva raccontato l’evento: quella ragazza aveva mentito e la sua amica Makoto le aveva retto la parte.

Dopo l’aveva osservata mentre Ami l’aiutava a spalmare un nuovo strato di crema solare sulle spalle rossastre e quando si era appartata su uno degli scogli che delimitavano la piccola baia. Si era seduta ed era rimasta ferma, con i capelli al vento, a guardare verso l’orizzonte.

 

Usagi era stata molto, molto maleducata nei suoi confronti a trattarlo come aveva fatto… eppure gli dispiaceva vedere come si stesse isolando in quel momento, proprio come aveva fatto lui nuotando in solitaria finché le punte delle dita non si erano fatte rugose e gli occhi avevano bruciato per l’acqua salata. Quella ragazza scatenava dentro di lui sentimenti contrastanti, sentimenti di amore e odio…

 

Amore e odio… due parole entrambe troppo forti e non vere, ma che rappresentavano abbastanza bene quello che provava per la ragazza. Amore, perché era la sua medicina personale contro la depressione, perché adorava farla arrabbiare e… beh, sì, aveva trovato piacevole anche stare vicino a lei… fisicamente, sebbene ne fosse uscito sconvolto; odio, perché detestava essersi sentito così a causa di una ragazzina sciocca come Usagi.

Odiava il suo atteggiamento lunatico e infantile, gli scatti d’ira e i silenzi in cui poi si immergeva. Odiava i suoi occhi grandi pronti a scoppiare in lacrime, ma che si facevano sottili come lame, prima che la sua bocca pronunciasse qualche cattiveria nei suoi confronti.

Eppure amava il profumo dei suoi capelli… sì, era davvero piacevole, così come aveva sentito lo stomaco fare una capriola quando lei si era seduta sulla sua schiena. Odiava quelle unghie graffianti e la loro proprietaria, in quell’occasione più sciocca di una scimmia, ma amava quando aveva tenuto il polso sottile e fragile tra le sue mani. Odiava i nodi dei suoi capelli e le linguacce che gli faceva, ma amava il modo come ruggiva quando stava per esplodere dalla rabbia, odiava  quando piangeva e amava il suo sorriso e le labbra rosa che…

 

“Ancora? E basta!”

 

Si costrinse a pensare ad altro: non viveva in funzione di Usagi e non aveva intenzione di iniziare a perdere tempo dietro a lei, accidenti! Cosa ci aveva guadagnato, facendo ‘la persona civile’? Solo uno schiaffo, prese in giro, livore.

"Bolli nel tuo brodo, gallina…", pensò stringendo i denti e finse di immergersi nella lettura di un libro che si era portato dietro.

 

Si sentiva osservato, come se, ogni tanto, un cecchino lo usasse come bersaglio per il suo cannocchiale o più semplicemente qualcuno lo stesse guardando fisso. Dopo un po’ non ne poté più di quella strana sensazione di formicolio alla nuca, chiuse il libro e si tuffò in acqua.

 

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Certo che quel ragazzo era davvero affascinante…

Lo aveva visto solo per pochi secondi, eppure non le erano sfuggiti i capelli color del grano mietuto, forse più simili alla cenere e gli occhi cerulei. Più o meno era alto come Motoki e in fondo era biondo anche lui, quindi… forse era stato quello ad attrarla maggiormente… eppure i modi gentili che aveva usato con lei… Ah! Si vergognava come una sciocca: quei modi le avevano ricordato quelli di Tuxedo Kamen… Anche lo sguardo affilato e furbo era più simile a quello che poteva intravedere dalla maschera del misterioso eroe che non a quello limpido di Motoki… ecco, sì, sguardo affilato e furbo e… beh, c’era qualcosa dello sguardo di Mamoru, forse… o di Hiro… E poi, nonostante il caldo e l’ora, quel ragazzo era perfettamente rasato, quasi finto, si poteva dire. Un po’ gracile, forse, meno ‘macho’ dei suoi amici, Umino escluso, ma forse per questo ancora più affascinante e degno di molti, molti pensieri…

 

Eppure, dopo quello che le aveva detto Makoto, Usagi si era sentita davvero una stupida. Aveva vagato con la fantasia cercando margherite, senza pensare che l’unica risposta a tutte le sue pene d’amore andava cercata nel suo cuore. Il problema era che quel cuore appariva anche a lei stessa come una scatola chiusa e impenetrabile. C’era troppo caos, troppe cose che sarebbero state da chiarire con la sua stessa coscienza, prima di pensare a ‘chi amare per cena’.

Forse era semplicemente ancora sconvolta dal bacio di Tuxedo Kamen: non doveva accadere così, lei era troppo giovane e inesperta, troppo… “Forse, adesso sarebbe stato diverso…”

Erano passati quasi due anni e si sentiva cresciuta, nonostante tutto. Quella volta aveva fatto un’incursione nel mondo degli adulti e aveva avuto paura: un conto era sognare di conoscere, abbracciare, baciare un ragazzo… un altro farlo davvero con qualcuno che la faceva sentire così… sulle nuvole, pur senza sapere chi fosse.

-Cresci, stupida Usa-, si disse e si sforzò di pensare a cose serie. 

Quando realizzò cosa l’aspettava, sbuffò come una teiera, pregando perché magicamente tutti si dimenticassero di quel che aveva combinato.

Potevano tornare al bar, presentarle quel ragazzo o, se non ci fosse stato, lasciarla un po’ sola con Motoki, no?

 

-Ahhh…-, lasciò crollare la testa tra le spalle: basta con i sogni, doveva pensare alla realtà.

E la realtà era che aveva un conto in sospeso con Mamoru: purtroppo doveva chiedergli ancora scusa per come si era comportata. Quindi… che senso aveva distrarsi con questioni frivole come un nuovo ragazzo in più? 

E poi, prima di chiarire con lui, doveva chiarire con se stessa quello che… Sì, insomma, c’era ancora quell’altra cosa… quello che lei aveva provato quando… Era difficile ammetterlo anche a se stessa. 

Al di là di Tuxedo Kamen e dei suoi baci rubati, al di là degli occhi dolci di Motoki e dell’amore che provava per lui, al di là dell’apparizione angelica del misterioso ragazzo al bar, Usagi non poteva dimenticare quello che aveva sentito sulla sua pelle in quella giornata passata insieme a Mamoru Chiba. Si era mai sentita sconvolta come quella mattina, stretta nell’abbraccio di uno dei ragazzi a cui avrebbe donato il cuore?

Aveva mai sentito quei brividi percorrere la pelle della sua schiena e stringersi in una morsa nel suo ventre, solo guardando uno di loro?

Usagi deglutì e guardò l’orizzonte blu, sentendo che stava iniziando a tremare.

 

Blu.

 

“Beh, sì, in fondo… cosa sarà stato mai… giusto un brivido… due, forse… ma solo quando lui è uscito dall’acqua ed era tutto bagnato e le gocce scivolavano sulla sua pelle e…”

 

-Ah, sei solo un baka!!!-, urlò al vento e senza pensare a Tuxedo Kamen, a Motoki o al nuovo biondino, si tuffò in mare dallo scoglio. L’importante in quel momento era non  pensare a Mamoru Chiba

 

Non lo faceva da quando, da bambina, aveva sbattuto contro una roccia nascosta a pelo d’acqua. Non lo faceva più, eppure si era tuffata senza pensarci.

Aveva sentito il cuore in gola per la scarica di adrenalina che era arrivata alla sua testa nell’istante stesso in cui le gambe avevano dato lo slancio per il tuffo. Sentì male all’impatto con la superficie e capì che le stava entrando l’acqua nel naso. Aprì gli occhi sott’acqua, accorgendosi di non toccare, felice di essere apparentemente ancora intera. Mosse le mani rapidamente e le gambe, provocando un turbine di bollicine che la confuse. Ma quando queste si diradarono, quello che apparve ai suoi occhi la lasciò a bocca aperta.

La richiuse, per non bere ancora e riemerse; prese una profonda boccata d’aria e pensò che l’adrenalina era veramente qualcosa che la faceva sballare… perché aveva voglia di tornare a immergersi e guardare ancora quello che nascondeva il mare. C’era un mondo intero là sotto, anche se lo aveva visto solo per un attimo!

Il vento la colpì in faccia, portandole l’odore delle profondità misto a una leggera schiuma evanescente. Vento e mare… era un perfetto binomio che la affascinava, un po’ come la luna e le stelle, come l’alba e la rugiada sui fiori di ciliegio come…

“Tu non ti sei mai svegliata così presto da vedere l’alba, stupida Usa!”, si rimproverò da sola. 

Già: non aveva mai trovato la forza di dormire un po’ meno, il coraggio di osare in qualcosa di ignoto, che non fosse un nuovo gusto di gelato e la spinta per rischiare, facendo un salto nel buio. 

Eppure… lo sapeva che dentro di lei c’era altro, come se ci fosse un’altra Usagi, che non riusciva a emergere e che non avrebbe temuto nulla. Forse quella Usagi era semplicemente Sailor Moon: cioè un’invenzione, un’identità che avrebbe sempre dovuto rimanere segreta… Era forse un costumino colorato a renderla più forte?

“Basta, accidenti…”

 

In un attimo di totale smarrimento eppure di perfetta presa di coscienza del suo corpo, si immerse di nuovo nei flutti, rigorosamente a occhi aperti e senza provare alcuna paura per la profondità e la solitudine. La sua anima respirò laddove i polmoni non avrebbero potuto: era… emozionante…

“Devo essermi sentita proprio così quando sono rimasta sola con Berillia, ho fatto affidamento alle mie sole forze, ho dimenticato la Usagi pasticciona e piagnucolona. Forse io posso essere davvero così: forte, indipendente, sicura, coraggiosa… e anche avventata.”

Mosse le braccia e si diede la spinta con le gambe: attaccata alla scogliera che svaniva verso riva, c’era una bellissima colonia di coralli e anemoni. Branchi di pesciolini minuscoli si infilarono tra le rocce e tra le alghe, quando lei si avvicinò. 

Riemerse per prendere ancora aria, desiderando tanto avere una maschera a tapparle il naso e proteggerle gli occhi: quella era la cosa che le dava più noia. Coraggio o no, non era un pesce… In quel momento, forse per la prima volta da quando conosceva i suoi poteri, si trovò a invidiare la familiarità di Mercury con l’acqua. Se avesse avuto a portata di mano la Penna Lunare, perché no… si sarebbe trasformata in una sirenetta per nuotare in libertà. 

Senza dubbio, al di là della striscia di sabbia che copriva la riva della spiaggia, la barriera corallina proseguiva, perché dagli ombrelloni si vedevano delle chiazze più scure in mare. Sarebbe stata curiosa di vedere cosa c’era là sotto…forse un tesoro sepolto? Un galeone affondato? Pesci dai colori sgargianti e conchiglie bellissime?

 

Non ricordava di essere capace di nuotare ‘davvero', in effetti, il suo stile lasciava molto a desiderare, ma si stava comunque spostando in linea quasi retta, verso la grande macchia scura proprio davanti al centro della spiaggetta!

Si fermò per riposare e riprendere aria e vide, in lontananza, Makoto, Motoki e Ami in piedi, che guardavano nella sua direzione. Li stava facendo preoccupare, quindi si sbracciò e li salutò, facendo loro capire che andava tutto bene: voleva solo essere lasciata lì, da sola, tranquilla, a godersi quel momento di pace e raccoglimento con se stessa. Aveva bisogno di pensare… in lei c’era una grande forza di volontà e coraggio: poteva trovare il modo di iniziare ad affrontare il più piccolo dei nemici che l’avrebbero attesa… cioè Mamoru e le scuse che gli doveva.

Per qualche minuto era riuscita a non pensare all’immenso caos che quel ragazzo stava causando alla sua umile vita.

Si era concentrata solo su se stessa e sulla forza di volontà necessaria per nuotare vincendo la paura. Avrebbe dovuto attingere a essa per trovare la forza di chiedere scusa al baka

In fondo lei non era così ‘fatua’ come Rei le diceva spesso e persino Makoto era arrivata ad affermare… Lei capiva quando sbagliava… è che a volte non le andava di riparare ai danni o di sforzarsi di fare quello che la gente si sarebbe aspettata da lei. In quel momento non le sarebbe andato di chiedere scusa per un gesto dovuto, ma sapeva che doveva farlo.

 

Vide i suoi amici rispondere al saluto e rimettersi tranquilli, quindi riprese a spostarsi verso la macchia scura sotto l’acqua: come aveva intuito, si trattava di un gruppo di scogli invaso dai coralli, brulicante di pesciolini allegri. Si sentì un po’ più allegra anche lei, prese una grande boccata d’aria e rimase a galleggiare in apnea, guardando in basso, finché non scorse, sul fondale, solitaria, una stella marina.

Ce n’erano altre, nelle vicinanze, che muovevano i tentacoletti e si spostavano, mentre quella… aveva una forma perfetta e stava immobile: o era ormai solo lo scheletro di un animale, lasciato lì in dono dalla natura, apposta per lei, oppure era proprio una stella caduta dal cielo, che aspettava che la paladina della Luna la prendesse e la tenesse per sé: in effetti somigliava molto, nella forma, al suo carillon

In entrambi i casi, quella stella doveva essere sua.

Respirò ancora, si diede la spinta con un colpo di reni e si immerse, ma dopo poco gli occhi bruciarono troppo e l’acqua nel naso fu insopportabile. La pressione era troppa.

“Che peccato…”, si arrese e decise di uscire dall’acqua.

Facile a dirsi… la spiaggia appariva così lontana e lei era già stanca. 

“Accidenti…”

Si fece coraggio e, piano piano, tornò verso riva, nuotando tutta intirizzita con la testa fuori dall’acqua; a ogni bracciata soffiava come una balena. “Almeno servirà a dimagrire un po’”, tentò di convincersi, e si sforzò di pensare a qualcosa di brioso.

I pesci, la spiaggia bianca, la stella, una bella doccia rilassante, le frittelle di Mako-Chan, lo sconosciuto misterioso…

Si fermò per riposarsi un istante: “Perché devo rinunciare alla mia stella e alla mia vacanza felice? Ho deciso che domani tornerò su questa spiaggia con maschera e snorkel e… mi impegnerò nella pesca, di ogni cosa…” Ridacchiò tra sé per la sua furbizia: tornare lì avrebbe sicuramente aumentato le possibilità di incontrare quel ragazzo di nuovo… e pescarlo!

 

Era la prima a riconoscerlo: non riusciva a rimanere costante nel suo atteggiamento per più di pochi minuti… Eppure lei era così: come la Luna, cambiava idea e aspetto senza che nessuno potesse farci niente.

 

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Nell’istante in cui aveva riconosciuto sott’acqua il costume rosa e giallo di Usagi, Mamoru aveva deciso di cambiare repentinamente direzione e allontanarsi dal suo raggio d’azione. Quella ragazza era una vera ossessione…

Si tenne a debita distanza e la osservò cercare di immergersi sott’acqua: strano che si fosse spinta fin laggiù… era o non era lei quella capace di affogare in soli cinquanta centimetri di acqua? E infatti, subito dopo, la ragazza passò in ritirata, annaspando come un cane nel tentativo di tornare a riva. Se avesse continuato a fare quei movimenti scomposti si sarebbe stancata del tutto e poi sarebbe toccato a lui recuperarla prima che affogasse…

Cavolo, ma perché si sentiva in dovere di badare a lei anche se in alcuni momenti non avrebbe desiderato che essere lui stesso ad affogarla!?

 

Rimase nei paraggi finché non fu certo che avesse raggiunto un punto dove toccava e, con quattro o cinque bracciate, la raggiunse e superò, senza degnarla di uno sguardo.

 

-Mamoru-

Stava uscendo dall’acqua, quando Usagi lo fermò: una vocina piccola, eppure determinata. L’avrebbe potuta definire la voce di un condannato a morte, ma preferì non pensarci troppo. Si voltò lentamente e la squadrò, senza parlare.

Lo guardava dal basso, era ancora in acqua, a mollo a pochi metri da lui, coperta fino al collo: si vergognava, forse? Dopo che gli era saltata addosso, adesso si vergognava di farsi vedere in costume da lui?

Invece Usagi si avvicinò ancora e si tirò su, emergendo dall’acqua bassa come Venere nacque dalla spuma del mare, facendogli stringere lo stomaco e provocare qualcosa che…

-Mamoru…-, la ragazza abbassò lo sguardo e prese a giocare con le sue mani. I capelli le si erano appiccicati alla pelle bagnata, gli odango erano ormai tutti scombinati e calati. Gli occhi azzurri lo guardavano… in attesa di qualcosa?

Doveva forse dire qualcosa… lui?

-Io… ecco… Scusami…-, bisbigliò, stringendo le labbra, mentre i suoi piedi affondavano sempre di più nella sabbia portata via dalla risacca.

 

Non se l’aspettava. 

Certo, si era detto e ripetuto che era stata lei a esagerare e le sue scuse non avrebbero potuto che essere scontate, eppure non se l’aspettava.

Il risucchio del mare portò via la sabbia anche sotto ai suoi piedi, facendogli perdere per un attimo l’equilibrio. In quell’istante Usagi si strinse le braccia al petto.

-Lo so che ho esagerato, che sono stata una stupida e non solo a… tirarti lo schiaffo… ma anche… insomma…-, guardava in basso, incredibilmente ben piantata a terra con la sabbia ormai arrivata a metà dei suoi polpacci. Non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi.

-Il fatto è che…-, prese aria, -È che tu… non lo so cosa mi succede quando ci sei di mezzo tu, è come se non riuscissi a ragionare... insomma…-, Usagi sussultò quando sentì la mano di Mamoru sulla sua spalla nuda. Di nuovo quel brivido, di nuovo la tensione in basso, sotto lo stomaco, di nuovo le mani sudate e…

-Va bene così-, Mamoru le sorrise dolcemente, la sua voce parve tranquilla e calda, il perdono che Usagi lesse nei suoi occhi non avrebbe potuto arrivarle più spontaneo. Fu come un balsamo posto a lenire lo sconvolgimento di tutta quella insensata giornata. Si sentì finalmente bene e dimenticò le margherite, le vecchie speranze e i baci rubati di un eroe che forse non esisteva se non nei suoi sogni.

 

-Scusami anche tu…-, le disse inoltre e non aggiunse altro. Le porse la mano, per sbrogliarsi dalla posizione assunta e raggiungere gli ombrelloni e la sostenne finché non furono sulla sabbia più dura.

Anche il sorriso di Usagi fu un raggio di sole sulla sua giornata strana e sotto certi aspetti perfino piacevole.

Lasciò la sua mano e la guardò correre verso le ragazze: in fondo, perché no, lui e Usagi potevano davvero provare a diventare amici…



 

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-Li hai visti?-

-Certo che li ho visti, non sono mica cieca.-

-Michi… cosa ti prende?-

-Mi prende che mi hai tenuto il muso quando non ho fatto quello che mi avevi detto di fare e ora che è chiaro che, se l’avessi fatto, non ci sarebbe mai stato questo momento e che quindi ho fatto bene a non farlo, e tu non hai altro da dirmi se non ‘Li hai visti?’-

Haruka portò due dita a tenersi la fronte: non aveva capito nulla. Decisamente l’aria del millenovecentonovantasei non faceva bene alla sua compagna e altrettanto decisamente lei non aveva alcuna voglia di litigare.

Si erano appostate come due spie sulla collinetta che sormontava la spiaggia e quando avevano visto Serenity che si tuffava dallo scoglio e nuotava cercando di scrutare il mare le era parso il momento ideale per far entrare in scena la sua sirena preferita.

Chi meglio della Signora del Mare avrebbe potuto avvicinare la ragazza in acqua e conquistare la sua attenzione?

E invece no: Michiru aveva detto che c’era troppo vento che portava odori strani e non le andava. Per l’esattezza aveva detto: “No, Haruka: il tuo vento porta a riva odore di marcio che ha pescato chissà dove. Non voglio sporcarmi e rovinarmi l’acconciatura”

Però, in effetti, avendo lasciato la regina da sola, avevano ottenuto un contatto tra lei e il re

 

Da quel che avevano capito, quei due si stavano litigando come due bambini dell’asilo. Haruka aveva interrogato il vento e lo aveva fatto soffiare alle sue orecchie, ascoltando le voci lontane dei ragazzi: era così che avevano scoperto che Serenity aveva schiaffeggiato Endymion, dopo che avevano fatto a botte.

“Quella ragazza è davvero gagliarda!”, aveva osato commentare, fendendo l’aria con un pugno, non riuscendo a credere che, nel futuro, quella sarebbe divenuta davvero la sua regina, e per questo si era guadagnata un’occhiataccia gelida e cattiva da Michiru.

“Tu devi avvicinare lui”, aveva detto soltanto la guerriera di Nettuno, ma il sottinteso era giunto forte e chiaro alle orecchie di Haruka.

 

Decise di sfruttare quel pizzico di fascino in più che la Penna Lunare del futuro le aveva concesso e sfiorò con la punta delle dita il profilo di Michiru, avvicinandosi al suo volto. Aveva una voglia matta di baciarla e lo avrebbe fatto se non…

-Se ne stanno andando, muoviamoci!-, disse la sua compagna, scattando in piedi come una molla.

Giusto: era ora di lavorare per il loro futuro, non pensare a cose che…

-Ricordati il piano: intercettare, fermare, chiedere aiuto, presentarsi, incuriosire, andare via. Non prendere altre iniziative, Ruka.-

Michiru non aveva gli occhi color dell’oceano: aveva l’oceano dentro agli occhi e, in quel momento, si trattava di un oceano in tempesta.

-Agli ordini-, le rispose e si affrettò a mettere in moto la vecchia macchina d’epoca sabotata a regola d’arte dalle sue mani ancora esperte di carrozzerie e pistoni…

 

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Era giunto il momento che aveva temuto da prima dell’ora di pranzo: con lo zaino in spalla e il vestito sgualcito ancora un po’ umido, Usagi si teneva in disparte, sapendo che le sarebbe toccato di nuovo montare dietro a Mamoru sulla moto di Yuichiro.

Non che la cosa fosse poi così tragica, ma dopo tutto quello che era successo quel giorno, in cuor suo non se la sentiva di affrontare ancora il ragazzo. Avevano fatto pace, era vero, ma la sensazione di disagio non l’aveva abbandonata neanche per un attimo. Sperò che Ami le cedesse il posto dietro a Motoki, ma la vide passargli la sua borsa, perché la legasse al gancio che c’era sulla Vespa e capì che non avrebbe fatto quello che sperava.

Attese che Mamoru si sistemasse e accendesse il motore e, silenziosamente, si dette lo slancio sulla piccola pedana e si sedette dietro a lui. Posò le mani sui suoi fianchi e trattenne il respiro, ignorando quella strana sensazione allo stomaco che era di nuovo tornata. “Sto crescendo, accadrebbe lo stesso se mi aggrappassi a Motoki o a Kenzo, o a Hiro”, si disse.

Fortunatamente il viaggio di ritorno sarebbe stato breve e, una volta a casa, si sarebbe chiusa in bagno, con la scusa di lavare i capelli e non avrebbe visto o parlato con nessuno.

 

Non si immaginava che, invece, un paio di curve dopo avrebbe incontrato l’unico raggio di luce che aveva rischiarato la sua strana giornata.

-Sei silenziosa-, sentì parlare Mamoru e non gli rispose, ma fu la prima a dirgli di accostare al lato della strada, quando vide Yuichiro e Kenzo che si erano fermati ad aiutare dei passanti in panne.

Quando capì di chi si trattasse, scese dalla moto con agilità e corse verso di loro. 

-Ciao!-, trillò all’attenzione del ragazzo che aveva conosciuto al bar, saltellando vicino alla sua auto ferma con il cofano aperto, sfilando il casco. All’interno vide immediatamente la tipa con i capelli mossi e provò un’improvvisa gelosia nei suoi confronti.

-Buonasera, Codini biondi!-, le disse lo sconosciuto facendola arrossire. Aveva i capelli sciolti e a pensarci bene… anche al bar non aveva le sue code, quindi era strano che la chiamasse così, ma la questione sfiorò la sua mente per un istante solo.

-Ciao!-, disse ancora, dandosi della cretina per la grande proprietà di linguaggio che stava mostrando.

Kenzo stava controllando nel cofano dell’auto cosa potesse essere accaduto e il ragazzo lo lasciò da solo per un attimo, dirigendosi verso di lei.

-E così ci incontriamo ancora…-, le disse, incrociando le braccia al petto e sorridendole in maniera maliziosa. Usagi si voltò verso Mamoru che si era avvicinato e gli lanciò il casco, dedicando un sorriso radioso allo sconosciuto.

La portiera si aprì e due lunghe gambe precedettero la ragazza, che si piazzò al suo fianco.

-Piacere: io sono Michiru e lui è…-

-Sono suo fratello Haruk…i-, spiegò il giovane. Usagi non si accorse dello sguardo offeso della ragazza… Cosa le importava? In fondo aveva appena ricevuto una notizia meravigliosa: se quei due erano fratelli… lei aveva la strada libera! Sorrise radiosa e, voltandosi per cercare lo sguardo di Makoto, incrociò invece quelli di Hiro, Kenzo e Motoki. Praticamente si trovò a guardare negli occhi di tre tonni… il motivo era lampante: Michiru era bella almeno quanto lo era suo fratello e loro stavano vagando con la fantasia su qualche pezzo del chilometro di gambe che lei aveva. 

Usagi provò invidia: era carina anche lei, in fondo era bionda… perché Motoki non l’aveva mai guardata con quella faccia ebete???

Abbassando lo sguardo seppe di essere arrossita, domandandosi se anche il suo viso avesse avuto dipinta la stessa espressione che i ragazzi stavano riservando alla sconosciuta, quando aveva salutato suo fratello.

 

-Ciao, io sono Kenzo-

-Hiro, per servirla!-

-Piacere signorina, mi chiamo Motoki!-

 

A Michiru scappò da ridere e si trattenne, convogliando la sua ilarità in uno sguardo assassino rivolto… a suo fratello. Per lo meno, pensò tra sé e sé, il Re non le aveva rivolto alcuno sguardo, altrimenti si sarebbe trovata nella stessa situazione che aveva rimproverato poco prima ad Haruka.

Michiru strinse le mani che le vennero porte e si ricordò di doversi mostrare quantomeno seccata per l’inconveniente che era loro capitato: fortunatamente, osservò, la sua compagna era tornata a immergere la testa nel cofano della vettura, estraendo tappi e pezzi di metallo. Secondo il loro piano, quel buffo spettacolino sarebbe dovuto durare sufficientemente a lungo da permettere al gruppo di giovani di entrare in confidenza con loro due.

Si sforzò di fare il suo dovere e si rivolse alla più vicina delle ragazze, sventolandosi con una mano: -È così caldo…-, disse soffiando. Perfetto, parlare del tempo, dell’isola, delle vacanze; evitare argomenti pericolosi, evitare di considerare i sovrani come tali, evitare di mostrarsi gelosa di… suo fratello!

-Siete sull’isola da molto?-, le chiese Venus, sorridendo incuriosita. Sicuramente stava invidiando il suo abito costoso… usare la Penna Lunare aveva i suoi vantaggi e lei li avrebbe sfruttati tutti, perché vedere una piccola Venus che si rodeva era veramente una goduria.

Avevano cercato di essere amiche, in un passato lontanissimo, condividendo la passione per la moda e lo shopping, ma… lei era una outer, Venus una inner ed era stato difficile accettare le loro differenze, sempre più marcate dopo l’upgrade.

-Solo da oggi…-, lasciò in sospeso la frase, sottintendendo che voleva sapere il suo nome.

-Ah… sì, sono Minako, piacere!-

Minako, ovviamente. Se lo ricordava bene… anche se… era così tanto che non lo pronunciava più…

Una a una le ragazze corsero a presentarsi, compresa una tale Naru che non conosceva. O forse sì? Era passato troppo, troppo tempo…

Per ultima le si presentò Usagi, la sua Regina, ma anche colei che aveva fatto gli occhi dolci ad Haruka al bar! Ripensò a quando, nel loro passato, era stata la stessa Venus a prendersi una cotta per la sua compagna: l’aveva compresa, povera ragazza, e si era quasi sentita in dovere di proteggerla dal fascino di Haruka. In realtà anche Jupiter pareva essersi presa una sbandata per lei all’epoca… perché allora, nella nuova dimensione, le aveva dato così noia proprio l’interesse di Usagi, che peraltro poteva aver tranquillamente frainteso con il suo solito atteggiamento sopra le righe? Proprio Usagi, dopo averle detto come si chiamava, continuò a parlarle con quella voce che Michiru ricordava bene.
-Sono felicissima di conoscerti! Mi dispiace per oggi pomeriggio… mi sa che la tua bevanda è… aehm… insomma, ce l’ho addosso ora!-, il sorriso solare e spontaneo, i brillanti occhi socchiusi e quel timido imbarazzo fuso all’esuberanza dei sedici anni fornirono la risposta alla sua domanda: lei adorava la Regina Serenity, per questo aveva paura della giovane Usagi, perché sarebbe stata capace di concederle ogni cosa… ogni cosa… Non voleva trovarsi in quella situazione, e le sue intuizioni, raramente erano fallaci…

Le sorrise, pur cercando di trattenersi. Le era venuto spontaneo farlo… perché lei… lei era la sua Regina e lo sarebbe stato per sempre…

 

-Molto lieta, io sono Minako e sono molto felice di avervi incontrati!-, la voce squillante di Venus la distolse dai pensieri sulla Regina: si voltò in tempo per vedere la ragazza scomparire con la testa nel cofano dell’auto, avvicinandosi ad Haruka. 

Non era possibile… stava avvendendo… di nuovo!?

-Haruki, muoviamoci-, posò la mano sulla schiena di suo fratello, intimandogli di fare in fretta. Avevano accettato troppo alla leggera di imbarcarsi in quell’avventura e non avevano pensato a tutte le possibili complicazioni che avrebbero potuto esserci. Minako Aino era una di esse e, prima che divenisse un vero e proprio pungolo, avrebbero fatto meglio a gettare la spugna.

-Piacere Minako… non posso stringerti la mano, perché è tutta sporca, ma ti ringrazio per il tuo caloroso benvenuto!-, sentì dire Haruka con voce suadente, dopo aver ignorato le sue parole.

Che cosa? Ma allora non aveva capito niente? Cosa aveva per la testa quella sciocca della sua compagna? Lo sapeva quanto fosse insostenibile per lei anche il solo pensiero che qualcun’altra potesse metterle gli occhi addosso!

Haruka sentì la mano di Michiru stringersi sulla sua schiena, appallottolando la stoffa della camicia; si voltò verso di lei e riconobbe nei suoi occhi l’arrivo di nuovi guai. Se non avesse avuto ormai chiaro dentro di sé che la tempesta sconvolgeva il suo oceano solo quando era il vento di Urano a soffiare, non l’avrebbe celermente accontentata.

Ricollegò rapidamente senza essere vista il filo che aveva staccato, si pulì le mani con uno straccio, salì in auto e girò la chiave, azionando correttamente il motore. Guardò Michiru, ancora in piedi fuori dall’auto, per accertarsi che fosse quello che voleva e si stupì nel vedere sul suo volto un sorriso minaccioso. Per un istante le parve che ammiccasse verso di lei, attraverso il parabrezza, ma subito dopo si voltò e puntò dritta verso il gruppo di ragazzi. Non le piacque per niente.

-Mio fratello deve aver riparato la nostra auto, quindi adesso possiamo ripartire. Ringrazio infinitamente ciascuno di voi per l’aiuto e il sostegno che ci avete dato e… spero tanto che il destino permetta di incontrarci di nuovo-, usò la voce ‘della mattina dopo’, quella che riusciva sempre a strapparle un favore, un bacio, una promessa che non avrebbe più potuto rimangiarsi, quindi si avvicinò al primo dei ragazzi lì presenti e posò la mano sul suo braccio nudo: -È stato davvero un piacereper me… incontrarvi…-, abbassò lo sguardo, piegò verso il basso gli angoli della bocca, contrita come un’attrice melodrammatica e si voltò, mantenendo il contatto finché non fu del tutto di spalle al ragazzo.

-Potremmo incontrarci di nuovo!-, l’entusiasmo nella voce del povero pesce colto all’amo fu palese a tutti.

“Sei diabolica, Michi…”

Il bello di loro due, Uranus lo aveva sempre sostenuto, era che non occorrevano parole per spiegare concetti complicati. Avevano fatto così con Galaxia, era successo con Eudial, prima che entrambe sacrificassero la loro vita.

Stava succedendo ancora… Uranus sbuffò aria dal naso, conscia che a lei sarebbe toccata la parte più piacevole… almeno quello… Uscì dall’auto, non se lo poteva proprio perdere quel duello in punta di fioretto contro Michiru: -Sì, dai! Anche a me farebbe davvero piacere rivedervi-, alzò il pollice verso il ragazzo col ciuffo, quindi cercò la testa bionda tra le altre: -E poi… ti devo un vestito nuovo, biondina!-, disse proprio a colei che avrebbe dovuto evitare, pena la tremenda ira della sua Michiru, rilanciando una posta maggiore di quella messa in gioco da Neptune. Se aveva capito quello che stava tramando l’amica, sarebbe occorso puntare direttamente a fare scacco alla Regina.

I pedoni, se li tenesse la sua piccola, focosa sirena.

 

-Oh, vi prego! Ti prego, Yu: possiamo invitarli a cena a casa?-, Usagi prese entrambe le mani di Yuichiro tra le sue e lo illuminò con gli occhi più luccicanti che avesse saputo fare per l’occasione. Sembrava un cagnolone ferito, qualcosa a cui resistere poteva apparire così… così… atroce.

Lo aveva colto alla sprovvista, accidenti. Erano già in troppi in quella casa e la temperatura ci metteva così poco a salire grazie agli screzi e alle scenate di cui spesso proprio Usagi era protagonista… ci mancavano solo due strani sconosciuti incontrati in modo così sospetto. E se fossero stati dei ladri… dei malintenzionati…? Come poteva dire di no alla ingenua Usagi senza apparire inspitale a Rei?

-Usagi, io…- 

Yuichiro fu salvato dal suo imbarazzo dallo stesso Haruki, che si voltò, riprese la giacca posata su un masso vicino all’auto e rivolse a tutti loro uno smagliante sorriso: -Vi ringraziamo, ma dobbiamo far ritorno al nostro hotel al più presto. Sono certo che riusciremo a trovare il modo di rivederci e sdebitarci con voi. Arrivederci!-

Strinse la mano di alcuni dei ragazzi, fece il baciamano a Rei e a Usagi e, -Arrivederci, Codini Biondi!-, esclamò facendole l’occhiolino, quindi salì in auto.

E così, Michiru e Haruka, in uno stridio di gomme, sparirono dietro la prima curva.

 

-Wow…-, mormorò Usagi, coprendosi il viso arrossato con le mani.

-Pallone gonfiato…-, bofonchiò Yuichiro, che non si era lasciato sfuggire lo sguardo adorante di Rei per quel saluto cortese.

I ragazzi misero in moto i loro mezzi, il sole era già sceso oltre la linea dell’orizzonte e quella sera avrebbero fatto più tardi del previsto, tra cena, docce e ritardi vari.

 

-Muoviti, Codini Biondi-, Mamoru imitò il gesto di prima e lanciò il casco a Usagi, chiuse la sua visiera e partì, precedendo gli altri verso casa, senza dire una parola di più.

 

Quella volta, Usagi non se l’era immaginato, non c’era niente di divertito nella sua voce.



 

--- 

 

Per tutto il tragitto rimasero in silenzio. Chiaramente era avvenuto qualcosa che non doveva avvenire e altrettanto chiaramente la ragione non stava da nessuna delle due parti.

Quando giunsero alla casa, Haruka scalò e azionò il comando di apertura a distanza del cancello automatico.

Attese che il ferro si richiudesse alle loro spalle prima di scendere dall’auto; Michiru, invece, era già scesa, correndo in casa.

Quello che era successo lungo la strada con il gruppo delle giovani inners aveva dato a entrambe da riflettere abbondantemente.

L’acqua che scorreva nei tubi annunciò che Michiru stava già facendo la doccia. Haruka ponderò se fosse il caso di farle compagnia, ma ritenne più saggio dedicarsi prima al dovere e poi al piacere.

Tolse la giacca e sfilò le scarpe, stappò una birra e si sedette sul divano. 

La birra: nel loro mondo non esisteva più. Di quello non avrebbe mai perdonato i sovrani… entrambi astemi, dopo quello che era avvenuto nella loro famiglia avevano deciso di bandire dalla terra ogni goccia di alcool. Tanto era l’amore e la devozione di ogni singolo terrestre, che sapeva di essere ancora al mondo solo grazie a loro due, che nessuno aveva osato darsi alla proficua attività della produzione clandestina di vino o superalcoolici o birra.

Uranus era stata certa che sarebbero tornati alla conturbante era del proibizionismo e invece… niente: i terrestri avevano cominciato a coltivare frutta e servire succo di uva alle cene di gala, al posto del vino.

Succo di uva, dannazione!

Una volta, presa dalla disperazione, Uranus aveva provato addirittura a schiacciare dei chicchi d’uva e aspettare, aspettare… finché Neptune non aveva trovato tutto ammuffito nella loro cantina e l’aveva persino rimproverata.

 

Scolò l’ultimo sorso di birra e si preparò al lungo discorso che avrebbe dovuto fare con lei. 

L’idea di fondo che la sua amata aveva avuto era buona… ma temeva che i tempi fossero ancora non maturi perché potesse essere applicabile a Serenity ed Endymion.

 

-L’hai visto come ti ha guardato, vero?-

Ah… Michiru e i suoi asciugamani bianchi…! Che la Penna Lunare, nonostante le intenzioni, le avesse trasferito un po’ troppe delle pulsioni maschili?

-Haruka, concentrati!-, Michiru si sedette davanti a lei, incrociando le braccia al petto. I capelli erano raccolti da un altro asciugamano e spalle e collo erano totalmente scoperti… Oh quanto avrebbe voluto morderla, proprio lì!

-Te lo richiedo: hai visto come ti ha guardato?-, le brillavano gli occhi, neanche avesse scoperto il Sacro Graal. Come mai non sputava fiamme dal naso?

 

D’accordo, aveva un poco esagerato con Usagi, ma in fondo lei non l’aveva guardata diversamente da come era successo quel pomeriggio al bar o come aveva fatto Minako…

-Le ho dato troppa corda, ok, hai ragione…È che Usagi è così travolgente...-

Michiru si sporse in avanti e posò la mano candida sul suo ginocchio, fissandola negli occhi.

-Non la Regina, sto parlando del Re!-

Haruka si ritrasse come scottata: che intendeva? Endymion aveva forse capito che lei era una ragazza e…

-Stava corrodendosi dalla gelosia!-, l’intervento di Michiru salvò la sua dignità, -O meglio… era seccato dalla nostra presenza e il mio sesto senso femminile mi dice che non avesse idea del perché gli dessimo così noia. Quindi era gelosia, ma lui non lo sa ancora! E poi… sbaglio o ha evitato volontariamente di stringerti la mano?-, un bel sorriso mostrò un placido mare nei suoi occhi, segno che la tempesta era finita.

-E quindi?-, domandò Haruka, controllando se nella bottiglia ci fosse ancora un goccio di birra, -Che cosa suggerisci di fare?-

Michiru allargò le braccia sulla spalliera dietro a sé e guardò in alto a sinistra, pensando silenziosamente finché un sorriso stirò le sue labbra.

-Onestamente non lo so… Potrebbe valere la pena incontrare singolarmente i due gruppi di ragazze e ragazzi e vedere quanto veniamo integrate. A quel punto tu potrai capire se Edymion ti odia davvero e io quanto Serenity sia interessata a te.-

Poteva sembrare una bella idea, peccato che in quel modo Neptune sarebbe stata circondata dalle ragazze mentre a lei… uffa

 

“Ma che sto pensando? Che mi sta succedendo in questa dimensione?”

 

Si accorse che stava stringendo il bracciolo del divano quando le nocche divennero bianche e la carezza di Michiru la lasciò senza fiato.

 

-Succede anche a me… forse è perché siamo più giovani, oppure perché sentiamo che potrebbe finire ogni cosa… Anch’io penso sempre a te… a noi… ma dobbiamo portare a termine questa missione, anche se significherà stare lontane oppure abbassarci a fingere interessi che non abbiamo.-

Bloccò il polso che stava muovendo davanti al suo viso con una stretta decisa. Non era quello il punto…

-Michi, tu sai che in questo modo mi toccherà ascoltare tutti cattivi pensieri che quei bifolchi faranno su di te?-, la guardò dritta negli occhi e vi lesse divertimento.

-Io invece ascolterò tutte le fantasie che quelle ragazzine hanno su di te… su mio fratello… Ti farò cattiva pubblicità, sappilo.-

Neptune sgusciò alla sua presa e corse in camera a cambiarsi. 

Uranus ritenne saggio farsi una doccia ghiacciata e cenare a base di pesce crudo e sakè, brindando ogni tre minuti alla salute dei suoi amati sovrani.

 

Per il momento avrebbero lasciato in pace le giovani inners. Quella sera sarebbe stata solo per loro due.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Capitolo 13
Lacrime, Il tuo dolore & Torta al cioccolato



 

Usagi chiuse l’acqua nella doccia, uscì e si avvolse in un asciugamano. Raccolse i capelli, come suo solito e si ricordò di mettere un po’ di crema dopo sole sulla pelle arrossata. Soltanto quando passò con la mano sul suo decolleté, una strana sensazione pungente e dolorosa le ricordò la magia che aveva nascosto per tutto il giorno la sua cicatrice al resto del mondo. Non aveva mai usato il potere della Penna Lunare per così tante ore, sarebbe stato pericoloso, visto che era una modifica sul suo corpo e non un semplice travestimento? 

Urgeva trovare qualcuno più saggio di lei che la consigliasse.

 

-Ami, vieni qui!-, Usagi acciuffò l’amica per un polso, quando la sentì parlare oltre la porta del bagno e la trascinò dentro.

-Ho bisogno di un consiglio intelligente-, sussurrò a bassa voce, aprendo il rubinetto dell’acqua, come suo solito. Ami guardò in tralice i litri sprecati, ma per il momento tacque, vedendo Usagi particolamente in apprensione.

 

-Ami-chan… consigliami tu… pensi che possa essere pericoloso tenere su la trasformazione della Penna Lunare per tutti questi giorni? È meglio se la interrompo, almeno la sera?-

Una domanda del genere, pochi mesi prima, non sarebbe mai venuta in mente a Usagi. In effetti, sotto sotto, il suo atteggiamento era cambiato, sebbene costantemente costellato di tanti piccoli fatti che mascheravano bene la sua crescita intellettuale e morale. Non le era sfuggito come avesse usato un comportamento discreto nei confronti di Naru e Umino, idem poteva dirsi di come si era comportata con Makoto e Kenzo: già, perché quei due parevano andare molto d’accordo e avevano passato diverso tempo insieme, esclusi i momenti in cui Makoto era rimasta sola con Motoki o Usagi. 

Una volta, anni prima, Usagi aveva pensato di farsi i capelli ricci usando la Penna Lunare ed era stato solo grazie a Luna, che glielo aveva impedito, se i suoi codini non erano mai mutati in tutto quel tempo. Adesso l'idea di abusare di quello straordinario potere magico la preoccupava. La sua amica stava inequivocabilmente crescendo.

Ami ci pensò su, senza trovare una qualsiasi argomentazione valida per formulare una risposta sensata. Senza dubbio, sciogliendo la trasformazione, non avrebbe avuto alcun problema; mantenerla, invece, sarebbe stato quasi un esperimento.

-Meglio provare a tenere la trasformazione a lungo quando ci sarà presente Luna-, le rispose dunque in un sorriso e vide l’amica annuire e premere il bottone della penna. Indossava una maglia accollata, perciò dovette tirarla un po’ per scoprire la parte lesa e verificare che la cicatrice fosse tornata al suo posto.

-Sai… è strano da dire, ma… questa cicatrice mi ricorda chi sono, nonostante tutto, e mi fa pensare che le nostre battaglie non finiranno mai… In fondo non vorrei cancellarla del tutto dalla mia pelle… È il segno che in fondo anche io ho messo in gioco la mia vita per salvare il mondo, è l’unica cosa che testimoni che non sono solo una sciocca ragazzina infantile.-

Ami si trovò ad abbracciarla, stringendola a sé e accarezzandole la testa. Era difficile trattenere le lacrime di commozione di fronte a una confessione così emozionante… aveva ragione: Usagi era cresciuta e, anche se a volte si comportava ancora come una bambina, anche se aveva la tendenza ad innamorarsi di ogni bel ragazzo che passasse sulla sua strada e a volte aveva dei comportamenti eccessivi, come lo schiaffo che aveva dato a Mamoru, aveva chiara la sua missione e i rischi che avrebbe incontrato sulla sua strada.

-E poi… poi mi ricorda Tuxedo Kamen…-, sussurrò sulla sua spalla Usagi, sfiorando con un dito il piccolo foro circolare. Sentiva le lacrime pungere ai lati degli occhi senza un valido motivo, era come se… stesse iniziando a dimenticarsi di lui, l’unico che le avesse mai mostrato di amarla, nonostante l’avventatezza che c’era stata tra loro e volesse rimanere aggrappata a quel dolce pensiero in ogni modo.

-Tu… lo sai cosa…-

Stava per raccontare ad Ami del bacio, ma si interruppe: non l’avrebbe compresa e avrebbe avuto la conferma di quanto lei fosse volubile e sciocchina.

-Cosa?-, chiese la ragazza, sempre carezzando i suoi capelli.

-Niente-, si liberò dall’abbraccio cercando di dissimulare la sua momentanea angoscia. Ami era sveglia e avrebbe capito che non era il caso di insistere.

-Usagi, mi spieghi perché hai aperto l’acqua?-, domandò invece, chiudendo il rubinetto.

Usagi portò una mano alla nuca, imbarazzata.

-È una cosa che… faccio sempre, a casa, perché i miei non sentano quello che faccio in bagno-, disse senza riflettere, vinta dalla sua sincerità.

-E cosa fai di così rumoroso che non vuoi venga sentito da fuori?-, Ami aveva sgranato gli occhi, mettendola nel più completo imbarazzo… in effetti la sua frase dava adito a quesiti leciti.

-Io… Ecco…. quando parlo con Luna… per esempio… oppure… che so… se… boh, sai… a volte…-, torturandosi le mani, Usagi incontrò il suo riflesso nello specchio vicino a loro: era rossa come un peperone, preda del più totale imbarazzo.

-Usa…- 

Eccolo! Lo sguardo di rimprovero di Ami! Per favore, no! Lei a quello sguardo non riusciva a resistere…

-Non dirlo a nessuno-, soffiò piano, abbassando lo sguardo.

-Promesso-, Ami le pose una mano sulla spalla, dandole forza di parlare. In fondo ce l’aveva portata lei a farle quella domanda, forse era quello che desiderava: confidarsi con qualcuna che le volesse bene e non la giudicasse.

-Io… a volte… quando non ce la faccio più… a volte mi chiudo in bagno e… piango-, confessò vergognandosi. Sicuramente l’amica l’avrebbe criticata, dicendo che solo i bambini e i perdenti piangono come degli sciocchi da soli. Invece si sentì abbracciare di nuovo, provocando un tracollo della sua condizione emotiva. Se l’abbracciava così… tutte le tensioni, tutte le paure e le cose che l’avevano ferita… se Ami faceva così, tutto spingeva per tornare a galla e lei non…

Con la mano libera, Ami aprì nuovamente il rubinetto dell’acqua, facendola schizzare ovunque.

 

-Sfogati-, sussurrò al suo orecchio e rimase stretta a lei, finché Usagi non ebbe versato fino all’ultima lacrima, senza domandarle alcuna spiegazione.

 

Dopo diverso tempo, quando la crisi passò, la scortò nella stanza che divideva con Makoto: -Riposa un po’, ci pensiamo noi a preparare la cena. Qui non ti disturberà nessuno.-

Non se lo meritava tutto quell’affetto. Se non avesse conosciuto davvero Ami, Usagi avrebbe pensato che l'avesse fatto per farsi perdonare qualcosa. Ma Ami non avrebbe mai fatto nulla contro di lei, quindi, esausta, si concedette un pisolino…


--- 


Yuichiro se ne stava zitto in cucina a pelare i daikon che Makoto avrebbe preparato per cena, ponderando, un tubero sì e l’altro no, se usare quel coltellino affilato per fare Harakiri. La lama sarebbe stata troppo corta purtroppo, quindi, dopo l’ennesimo sospiro, la lasciò cadere nel lavabo e si sciacquò le mani.

-Tieni, questo fa più male-, Makoto gli passò il lungo coltello che stava utilizzando per tagliare la carne, guardandolo con espressione grave.

Yu non trovò la cosa neanche un po’ divertente e si allontanò.

-Quanto siamo suscettibili…-, commentò la ragazza, riprendendo il suo lavoro. Aveva deciso di preparare lo Yakitori di pollo e verdure e aveva dovuto lottare non poco con Hiro e Kenzo che pretendevano ‘un goccetto’ del sakè necessario alla preparazione del piatto. Per questo li aveva spediti lontano dalla cucina.

Liquidati loro, si era presentato Yuichiro, più depresso e disperato del solito.

Dal momento che se ne stava fisso come un componente d’arredo, Makoto decise che lo avrebbe sfruttato per appendere alla sua spalla lo strofinaccio che continuava a perdere in giro per la stanza. Non era abituata a spazi come quello, ma conosceva ormai abbastanza bene Yu per sapere che, a breve, sarebbe stato lui stesso a vuotare il sacco.

Ripulì il piano di lavoro, infilzò la carne tagliata a cubetti sugli spiedini di legno e mise il tutto in frigo, perché si freddasse un po’ prima di cuocerlo. Controllò lo stato della salsa e ne assaggiò un cucchiaino, soddisfatta.

 

-È che ogni occasione è buona per farmi notare quanto sia stata sbagliata la mia scelta: mai che facessi qualcosa di giusto! Io mi sforzo, considero tutti i pro e i contro delle situazioni, mi preoccupo per voi e lei che fa? Mi dice che sono una persona inospitale!-, come volevasi dimostrare, Yuichiro iniziò la sua lunga sfilza di lamentele, guardando fisso il frigorifero davanti a lui.

Makoto lo lasciò parlare, continuando a sistemare la cucina e iniziando a pulire le altre verdure, sfrecciando davanti a lui da destra a sinistra e da sinistra a destra, ora con un mazzo di funghi, ora con delle carote.

-Ma ci stai ferma? Mi stai facendo girare la testa!-, quasi le urlò in faccia, bloccandola per le spalle e mostrando la faccia più irritata che Makoto potesse ricordare.

-Sono efficiente-, gli rispose, scrollandosi le mani di dosso e incrociando le braccia davanti a lui.

-Avanti, il punto qual è?-, lo guardò di sottecchi e attese, vedendo il colore sbiadire dal suo viso.

-Ecco... vedi… è che…-

-Non dirmi che hai detto a Rei che non ti fidavi di loro?-, domandò allargando gli occhi e godendosi l’espressione di Yu sprofondare nella più completa disperazione. Attese trafiggendolo con sguardo inquisitore finché il ragazzo, tornando a respirare, confesso in un soffio di aver pronunciato proprio quelle parole.

Yu fissò il pavimento sotto ai suoi piedi, chiedendosi perché non si fosse già aperto per fagocitarlo e scosse la testa sconsolato. La pacca che Makoto assestò sulla sua spalla fu energica e conquistò del tutto la sua attenzione.

-Bravo-, gli disse, fissandolo nuovamente con espressione grave, -Hai fatto bene: neanche io mi fido di loro-, ammise, si voltò e tornò a lavare le verdure.

 

Senza dubbio una cosa del genere Yuichiro non se l’aspettava…

-Vuoi dire che non hai pensato anche tu ‘Oh quanto è bello quel ragazzo, voglio conoscerlo meglio’ come hanno fatto tutte le altre?-, non era possibile che Rei si fosse mostrata meno matura di Makoto, non era accettabile e lui la conosceva bene per sapere quanto fosse una ragazza seria e…

-Oh, certo che l’ho pensato! Più che ‘bello’ ho pensato… vabè, lasciamo perdere…-, un lieve rossore si diffuse sul suo volto, -Comunque il punto è che non mi sono fidata di loro e di come hanno avvicinato Usagi.-

Usagi?

 

-Veramente, a me pare che quel bellimbusto abbia guardato Rei in un modo che non mi è affatto piaciuto e…-

-Tu hai gli occhi foderati di fette di sashimi. Sei così convinto che Rei sia di tua proprietà e hai così tanto il terrore che possano portartela via che non ti sei neanche accorto di come lei sia stata forse l‘unica tra noi a non guardare neanche per un attimo quel ragazzo… Mentre io l’ho visto l’occhio che tu hai buttato sulle gambe di sua sorella! Mascalzone che non sei altro!-, iniziò a ridere, pensando che mai avrebbe immaginato di fare un discorso simile con Yuichiro Kumada.

-Ad ogni modo, lui ha guardato Usagi, Usagi ha guardato lui e Mamoru…-, si interruppe, stava parlando a vanvera e con Yu non era la stessa cosa di Motoki.

-E Mamoru…?-, Yu alzò le sopracciglia, incuriosito.

Makoto mise le mani avanti… o meglio, mise due cetrioli e un broccolo tra sé e Yuichiro e si voltò di scatto.

-Niente… Oh, Yu, è tardissimo, lasciami lavorare adesso!-

Fingere non le riusciva proprio… non le era mai riuscito, men che meno con animi limpidi come quello del ragazzo alle sue spalle.

 

Riprese ad affettare le verdure sottili sottili, in modo che cuocendole i sapori si sarebbero amalgamati per bene conferendo alla sua creazione quel tocco di magia che condiva sempre le sue ricette. Controllò che la fiamma sotto al wok fosse vivace e rimestò il tutto, sporgendosi ad annusare il profumo di stufato, a occhi chiusi. Affondò un cucchiaio nelle verdure, soffiò e lo avvicinò alle labbra, per assaggiare.

 

-Se Mamoru è interessato a Usagi, è un cretino a comportarsi con lei nel modo in cui si comporta. Che bisogno ha di trattarla male e dopo essere colto dalla gelosia per un paio di occhiate che lei ha scambiato con quel tipo. Voglio dire… basterebbe essere gentile e carino e venerarla, come faccio io con Rei, no?-

 

Makoto strillò dal dolore e lasciò cadere il cucchiaio incandescente per terra: le parole di Yuichiro l’avevano colpita al punto di infilare in bocca il tutto, dimenticandosi della temperatura.

-Bevi!-, per lo meno, il ragazzo le aveva porto subito un bicchiere d’acqua gelida di frigo e aveva pulito in un batter d’occhio il pavimento.

-Ma sei matto?-, con la lingua in fiamme, Makoto apostrofò Yu brandendo un cucchiaio di legno e colpendolo sulla testa. Si era fatta male… e tutto per colpa di quelle cose che aveva detto.

-Che ho fatto, adesso?-

No, Yu proprio non capiva… per lui il mondo iniziava e finiva con Rei.

Makoto bevve un altro sorso d’acqua e si fermò a guardarlo, senza parlare. Il sorriso si allargò lentamente sul suo volto, fino a che il ragazzo non tollerò più quell’analisi dettagliata di cui era vittima e si coprì il viso con le mani.

-E basta!!!-, si lagnò, facendo ridere Makoto.

-Toglimi una curiosità-, gli domandò, tirando via le mani che gli impedivano di guardarlo negli occhi, -Come riuscivi a vivere prima di incontrare Rei?-

 

Yuichiro si grattò la testa, virando verso un rosso cardinale acceso e balbettò qualcosa, in un profondo imbarazzo che non riuscì a sostenere. Si allontanò dalla cucina, lasciando Makoto da sola e a lei parve di sentirlo dire, quando il ragazzo varcò la soglia della stanza, “Ho iniziato a vivere quando l’ho vista per la prima volta”

 

Makoto sospirò, si sedette su uno sgabello e affondò il viso nella sua mano. Non sarebbe mai riuscita a trovare qualcuno che la amasse così.


--- 

 

Mamoru chiuse il getto dell’acqua e lasciò che il vapore all’interno della doccia si dissolvesse prima di uscire. Avrebbe ritardato il momento in cui si sarebbe guardato allo specchio e avrebbe avuto la conferma di quanto fosse stato stupido.

Una volta arrivati alla villa, aveva lasciato che Usagi smontasse dalla moto e corresse dentro, euforica come sempre, come sempre a lui incomprensibile. Lui, invece, si era trattenuto nel garage, con la scusa di lustrare la moto che Yuichiro gli aveva prestato; si era armato di straccio e secchio d’acqua e l’aveva fatta risplendere, nell’attesa che i suoi amici terminassero di lavarsi e vestirsi. Quindi si era infilato di soppiatto in bagno ed era rimasto a squagliarsi sotto l’acqua calda.

Tre erano le cose che non tollerava in un ragazzo: la mancanza di educazione, la mancanza di coraggio e la mancanza di buonsenso.

Quel giorno lui era stato più maleducato che mai nei confronti di quello sconosciuto a cui non aveva voluto stringere la mano, era stato un codardo a rifugiarsi in mare per evitare le battute sarcastiche dei ragazzi che avevano assistito al suo spettacolo con Usagi e, poco prima, a rinchiudersi nel garage per evitare qualsiasi ulteriore commento. Ma soprattutto si era mostrato veramente sciocco a comportarsi come aveva fatto con Usagi, evitando di rivolgerle la parola lungo il viaggio di ritorno.

Scostò le tende della doccia e prese il suo asciugamano dal gancio al quale lo aveva appeso. Si strofinò i capelli e imprecò sottovoce al contatto della spugna ruvida con la schiena bruciacchiata.

Si rivestì senza attenzione, deciso ad affrontare il toro per le corna, cioè Usagi per i codini, e uscì per riporre le sue cose in camera. 

 

Era certo che anche a Yuichiro avesse dato fastidio l’apparizione di quei due sconosciuti, nonostante ciò, lui non si era esentato dal porgere loro la mano quando erano andati via. Certo, se non lo avesse fatto, Rei lo avrebbe rimproverato, ne era sicuro… Il problema è che lui lo aveva fatto per Rei, nonostante non avrebbe voluto farlo a causa di Rei. O, meglio, a causa della infondata gelosia che aveva provato nel vedere quel tipo accanto a Rei.

Era tutto perfettamente logico: Yuichiro amava Rei in un modo che a Mamoru puzzava un po’ troppo di servilismo, quindi era plausibile che si fosse risentito per un moto di gelosia impossibile da ignorare.

 

Chiuse con uno schiocco il cassetto nel quale aveva sistemato le sue poche cose e alzò lo sguardo sullo specchio che lo fissava ingrato da sopra il cassettone.

-Ma tu perché tu sei comportato così?-, chiese alla sua immagine riflessa.

Non era certamente innamorato né di Usagi, né di alcuna altra ragazza tra le presenti! Anzi, le considerava tutte piuttosto infantili, comprese Ami e Makoto, le sole due che avrebbe salvato, ma che avevano preso a ronzare intorno a Motoki con un interesse morboso dipinto in viso.

Motoki

Sarebbe stato tutto più semplice se fosse riuscito a essere come lui: gentile, sempre sorridente, disponibile e altruista. Praticamente il fidanzato ideale, universalmente adatto a tutte. A quelle serie, alle solari, alle lunatiche e quelle più infantili.

Scosse la testa allo specchio e spense la luce, uscendo dalla stanza. Da basso proveniva un buon odorino di stufato e non avrebbe permesso alla sua irritazione irrazionale di rovinargli la cena, né alla dispettosa presenza di Usagi Tsukino di infilargli nella testa idee balzane.

Percorse i pochi metri che separavano la sua stanza dalle scale e vide, attraverso la porta socchiusa, Ami Mizuno china sul letto nella sua stanza, che sussurrava qualcosa a qualcuno lì disteso, in maniera amorevole e gentile.

 

Il primo pensiero che attraversò la sua mente come una meteora fu che potesse trattarsi proprio di Motoki, capitolato di fronte all’intelligenza della ragazza, ma come una meteora, quell’idea sfumò, quando Ami si alzò e uscì dalla stanza, chiudendo la porta dietro a sé, delicatamente.

Mamoru si sentì un impiccione e si affrettò a scendere dabbasso, dove trovò il suo amico Motoki impegnato in una partita a shangai contro Rei, mentre gli altri li osservavano scommettendo su chi avrebbe vinto.  Dunque, senza dubbio Ami non stava coccolando lui.


-Hai visto Usagi?-, udì il bisbiglio di Naru rivolto ad Ami.

-È un po’ stanca, si sta riposando, scenderà per cena-, fu la risposta che informò Mamoru di chi fosse rimasto al piano di sopra.

 

Motoki si sforzava di non toccare i bastoncini di Rei, Makoto stava cucinando la cena, canticchiando in cucina, Ami aveva coccolato la sua cara amica e si era aggregata agli altri per osservare gli amici giocare, Minako, poco distante, stava facendo delle treccine ai capelli di Naru.

Usagi era da sola, chiusa in camera e lui, dopo tutto quello che aveva insinuato nei confronti di tutti i suoi amici, era e rimaneva un autentico cretino.

 

Non ci pensò due volte, forse non lo fece neanche una volta sola e semplicemente seguì l’istinto: lasciò gli amici alle loro attività e, salendo gli scalini due a due, tornò di sopra ed entrò di soppiatto nella stanza dove Usagi riposava.


La prima cosa che percepì, una volta dentro la camera in penombra, fu il profumo dolce e frizzante che lo aveva accompagnato per tutto il giorno. Poteva essere profumo di rose appena colte, ma c’erano sentori di vaniglia e fragola, misti al gelsomino notturno e alla menta. Forse era semplicemente il profumo dei fiori di ciliegio che aleggia nelle notti di primavera, o più semplicemente era l’odore della sua pelle, che non era uguale ad alcuna essenza nota e che penetrò prepotente nelle sue narici, confondendolo.

 

La seconda cosa fu il fruscio ovattato del suo respiro, lento e cadenzato e la sagoma che, in controluce, si muoveva appena.

 

La terza fu il debole battito del cuore di Usagi, ma quando fu in grado di percepirlo, grazie a quella sua capacità ignota, si rese conto di essersi avvicinato a lei in maniera eccessiva, troppo pericolosa per una semplice incursione nata dalla curiosità, e fu sopraffatto dal galoppo del proprio cuore.

 

Si rese conto di essersi chinato sulla minuta figura e di stare quasi per sfiorare la sua pelle. Lo aveva già fatto, quel giorno, e sapeva quanto fosse morbida e delicata, come un petalo.

 

Si allontanò senza fare il minimo rumore e rimase un po’ in disparte, protetto dal cono d’ombra creato dall’anta di un armadio lasciata aperta.

 

Era certo di non essere in sé… non c’era nulla di razionale in quello che stava facendo e il solo pensiero di poter essere scoperto in quella situazione fece accelerare nuovamente il suo battito.

 

Perché era lì, con quale intenzione aveva salito a corsa la rampa di scale e si era chiuso la porta della camera alle spalle? 

Voleva parlarle in privato e domandarle scusa per il suo comportamento cafone e infantile di poco prima, proponendo di sotterrare l’ascia di guerra e trascorrere quel che sarebbe rimasto della vacanza in pace. Le avrebbe voluto dire che era libera di incontrare ancora quel ragazzo biondo e confidarle che, se voleva, poteva perfino tentare di coronare il suo sogno romantico, perché Motoki era libero ormai e lei non gli era mai stata indifferente, anche se…

 

“Cosa sto facendo…?”

 

Qualsiasi fosse la sua intenzione, era stato attratto dal voyeurismo e si era soffermato a guardarla dormire, senza che il suo cervello facesse il minimo sforzo per segnalargli la situazione estremamente pericolosa in cui si stava cacciando. Decise che aveva osato abbastanza e che avrebbe pagato il fio per quel che gli era saltato in mente rinunciando a ogni futura presa in giro o frecciatina rivolta alla ragazza: gli bastava riuscire a scappare da quella stanza senza che lei si accorgesse della sua presenza.

Mosse un passo in direzione della porta, implorando ogni ordine di divinità affinché impedisse al pavimento di scricchiolare o ai cardini di cigolare e trattenne il respiro, appoggiando il piede su cui faceva peso a terra.

Un altro passo verso la porta, un altro chilometro più lontano dalla assurda situazione in cui si era cacciato.

Ancora uno…

 

Sentì un sospiro e con la coda dell’occhio, ormai avvezzo all’oscurità, vide la ragazza rigirarsi e cambiare posizione. Allora fu più forte la curiosità di fermarsi a guardarla che la necessità di scomparire.

 

Usagi si era rannicchiata in posizione fetale su un fianco, mostrando solo allora chiaramente che non indossava né pantaloni né gonne sotto l’ampia maglia dallo scollo a barca. Le gambe lisce e lunghe stavano piegate e le ginocchia sfioravano le sue braccia. Una ciocca di capelli era scivolata dalla sua spalla ed era caduta giù dal materasso, pendendo come un ramo di salice d’oro.

 

In quella stanza faceva troppo caldo, eppure Mamoru non riusciva a determinarne la fonte, perché era troppo concentrato nel trattenere il respiro e rimanere immobile.

 

E poi, d’un tratto, vide la fronte della ragazza corrugarsi e dalle labbra le uscì un debole lamento che si infiltrò tra gli strati più vischiosi del suo animo e perforò la scorza che ricopriva il suo cuore.

 

Lottò con se stesso per non prendere la sua mano, che aveva iniziato a stringere in maniera quasi convulsa la coperta sotto di sé; si avvicinò ancora e rimase in silenzio, guardando i suoi muscoli contrarsi e udendo deboli gemiti spezzarle il respiro.

La figura distesa si chiuse ancor più su se stessa, si lamentò più forte, quasi volesse parlare, ma le mancassero le parole, dopo si mosse di scatto, tornando supina. Puntò i talloni sul letto e, come se provasse un profondo dolore, portò velocemente la mano al petto, stringendo la stoffa della maglia, accartocciandosi su quel punto.

 

Il respiro di Usagi si fece più veloce, gli ansiti più evidenti, tanto che li avrebbe potuti udire anche qualcuno che fosse stato oltre il legno spesso della porta, una lacrima sfuggì alle palpebre serrate e scivolò sul suo viso, sparendo tra i capelli.

Infine urlò.

 

Fu un urlo breve e non troppo rumoroso, probabilmente nessuno la udì dal piano di sotto, ma fu sufficiente per gelare il sangue nelle vene di Mamoru, che si trovò senza ricordare di essersi spostato vicino a lei, in ginocchio a fianco del letto. Voleva aiutarla… ma stava accadendo la stessa cosa della notte che avevano passato sul traghetto… come poteva svegliarla senza spaventarla ancora di più, come…?

La mano stretta alla maglia si spostò, come se volesse strappare la stoffa, tirò e tutto il corpo della ragazza tremò, contraendosi allo spasmo per un istante.

Quindi ricadde distesa, la mano abbandonata sul seno sinistro, le gambe rilassate in posizione scomposta, il viso stanco, ma nuovamente rilassato. 

La spalla scoperta.

 

E allora Mamoru la vide e il suo cuore perse un colpo, per travolgerlo con il suo ritmo impazzito un istante dopo.

 

Non si curò di fare piano e si sollevò di scatto, correndo verso la porta, la aprì, uscì dalla stanza, la richiuse e si appoggiò con la schiena al legno chiaro.

Doveva calmarsi e rallentare il suo cuore agitato.

Doveva calmarsi e convincersi di aver avuto un’allucinazione, perché non poteva essere vero quello che aveva appena visto: Usagi Tsukino aveva davvero una cicatrice simile a un foro di proiettile sulla sua spalla sinistra.

Usagi Tsukino era stata ferita da qualcosa di appuntito e tagliente.

Usagi Tsukino, per un istante durato un’eternità, gli era aveva ricordato Sailor Moon sanguinante per il colpo che lui le aveva inferto.

 

Si staccò dalla porta e scese lentamente le scale.

Usagi Tsukino nascondeva un segreto e lui lo avrebbe scoperto ad ogni costo.


--- 

 

-Uff… la tua amica mi ha stracciato-, Motoki, sottraendosi al giubilo di Rei, entrò di soppiatto in cucina, trovando Makoto. La ragazza portò una mano al cuore, un po’ per lo spavento, un po’ senza un vero motivo: sentì le guance avvampare e si concentrò sui suoi spiedini di pollo.

Aveva osservato per un po’ la partita tra lui e Rei, dopo era tornata a lavoro, la sua tranquillità velata da una non meglio specificata sensazione che si era aggrappata alla bocca del suo stomaco, lasciandole addosso un malessere strano che la voce di Motoki aveva appena fatto sparire.

-Forse perché Rei non si è distratta ripensando a una certa signorina misteriosa dagli occhi color del mare e l’auto in panne? Che cosa avrebbe detto la tua Reika se ti avesse visto?-, si morse la lingua nel momento stesso in cui pronunciò la frase e non poté fare nulla per tornare indietro, se non agitare il mestolo di legno a mo’ di vecchia casalinga dispensatrice di consigli e voltarsi dall’altra parte. A quel punto sì che avrebbe voluto confondersi con la purea di fagioli rossi che aveva preparato…

Motoki non le rispose, cosa che, dopo svariati istanti di imbarazzo, la spinse a girarsi verso di lui. Lo trovò seduto su uno sgabello, la testa affondata nelle mani, lo sguardo perso davanti a sé. 

Stupida che non era altra! Gli aveva ricordato Reika… chissà quanto soffriva per la sua lontananza… Si fosse trovata lei in una situazione del genere, sarebbe stata ore a sospirare e sospirare, immaginando di trovarsi accanto a…

 

-Reika mi ha lasciato.-

 

Makoto pensò di non aver capito bene. Motoki doveva aver detto qualcosa del tipo “Reika mi ha parlato”, oppure “Lei lo ha accettato” oppure…

 

-È successo un mese fa. Pensavo fosse un periodo di pausa, E invece… è finita…-

 

No che non aveva capito male! Motoki aveva davvero detto quello che lei aveva finto di non capire! Motoki era quindi… libero?

L’attimo di euforia iniziale fu stracciato dal vedere il ragazzo affondare sempre di più con la testa nelle mani. I gomiti gli scivolavano sul piano liscio di marmo del bancone della cucina e la sua schiena si incurvava sempre di più.

Perché ne aveva parlato proprio a lei? Che cosa doveva fare per… Oh, Signore… Motoki stava soffrendo in silenzio da tutto quel tempo, e lei… Lei non era certamente quella adatta a dire o fare qualcosa per consolare proprio lui per essere stato lasciato da… Oh Signore!!!

 

Il suo corpo si mosse da solo:  era così abituata a vivere in cucina e a considerarla il suo nido, il posto dove affogare i dispiaceri e creare nuova felicità, che le venne naturale compiere il gesto che fece. Era una delle cose più dolci che ricordasse della sua mamma, prima che quel dannato aereo se la portasse via, insieme al suo papà e alla sua infanzia. Era il modo che lei usava sempre per far tornare il sorriso sul musetto corrucciato della piccola Makoto, sempre in lotta con il mondo e i compagni di scuola.

Si avvicinò decisa a lui, lo punzecchiò su una spalla per ottenere la sua attenzione e lo afferrò per una mano, trascinandolo verso la parte opposta della stanza. 

 

-Guarda-, gli disse in tono cospirativo e aprì uno sportello, rivelando una torta al cioccolato perfettamente guarnita.

-L’ho fatta stamattina all’alba: volevo fare una sorpresa alle ragazze, servendola dopo cena-, gli spiegò estraendola con attenzione dalla credenza. –Non è una semplice torta al cioccolato, ha un cuore di marmellata di lamponi, per contrastare l’amaro del cacao che ho usato-, disse con orgoglio sistemandola sul bancone, sfiorando i fiori di cioccolato fondente che aveva preparato lei stessa, usando una tecnica particolare che aveva imparato in tv, guardando una trasmissione in cui partecipavano grandi cuochi intercontinentali. Un giorno le sarebbe piaciuto diventare come loro, oppure… oppure aprire una piccola pasticceria tutta sua, ma quello era un sogno che solo una maga avrebbe potuto realizzare…

Allungò una mano verso il cassetto alle loro spalle, quasi senza guardare e afferrò un coltello.

-Ecco-, disse affondando la lama nella sua creazione e tagliando una grossa fetta, senza ascoltare le proteste di Motoki, -È per te-

Con movimenti rapidissimi e sicuri prese un piattino dal mobile sotto al bancone e vi adagiò la fetta tagliata.

-Visto che sono in ritardo con la preparazione della cena, ti consiglio di bloccare l’appetito con questa. Ah, falla sparire prima che ti scopra Usagi o qualcun altro di poco raccomandabile-, gli sorrise, guardando la sua espressione imbarazzata e mortificata al tempo stesso.

-Perché lo hai fatto?-, domandò Motoki prima di portare alla bocca il primo boccone, -Ci avevi perso tanto tempo e sarebbe stato giusto portarla in tavolo intera. Invece l’hai… uccisa-, si sentiva più inopportuno di un bambino, viziato come un principino e…

-Perché hai lasciato vincere Rei a Shangai, in modo che le torni tutta l’esuberanza di sempre e Yuichiro si accorga che, se vuole avere una chance con lei, deve seguire il tuo esempio e darsi da fare-, gli sorrise e affondò il dito nella marmellata di lamponi che stava iniziando a colare dalla torta.

-Mmmm…-, socchiuse gli occhi, godendosi quella dolcissima sensazione e non si accorse del gesto del ragazzo.

-Oh!-, esclamò quando sentì la mano di Motoki sulla sua. Fece per ritrarla, neanche si fosse scottata, ma il ragazzo glielo impedì, trattenendola. Makoto sentì tutti i più piccoli nervi del suo corpo mettersi sull’attenti, mentre un brivido inopportuno a quell’ora della sera aveva grattato lungo la schiena e convogliato tutta la sua tensione in mezzo alla pancia. Oh Signore…

 

-Sei unica, Makoto-, le parole di Motoki, dolci come il miele, scivolarono lente e balsamiche sulla sua anima, sanarono la sensazione di fastidio lungo la schiena e alleviarono un po’ il groppo alla gola. Non poterono nulla per quella sensazione che continuava a spostarsi sempre più in basso, dallo stomaco, più giù, più giù.

Con un bel sorriso che odorava di calma dopo l’acquazzone, Motoki portò le mani alle sue spalle e si avvicinò, fino a posare un bacio sul centro della sua fronte.

-Vado ad apparecchiare-, comunicò un istante dopo, lasciandola pietrificata e si dileguò in salotto.

 

Makoto si lasciò cadere seduta sullo sgabello e, senza pensarci, infilò ancora un dito nella torta e ne staccò un pezzetto irregolare, con cui saziò quella strana sensazione che le stava facendo girare la testa e vacillare le gambe.

 

Un istante dopo, quello che chiamava sesto senso sailor formicolò alla sua nuca e, senza rifletterci troppo, si precipitò fuori dalla cucina, correndo come un fulmine al piano di sopra.

 

Usagi era in pericolo…


--- 

 

Hiro la stava abbracciando! Non era possibile una cosa simile, non a lei, non lì!!!

Gli avrebbe tirato uno schiaffo come aveva fatto Usagi con Mamoru, gli avrebbe fatto capire che non ci si comportava così con lei dopo averle preferito un’altra e…

 

E se fosse stato il modo per farle capire che invece avrebbe preferito stare con lei?

 

-Grazie-, la voce di Hiro sorpassò la musica a volume altissimo che qualcuno aveva messo su e giunse appiccicosa al suo orecchio, le labbra del ragazzo la sfiorarono e lei seppe di essere divenuta paonazza.

Puntò le mani sul petto di Hiro -oh, quanti muscoli…- e si sforzò di fare la faccia più irritata della storia: -Si può sapere che ti è preso?-, ringhiò contro di lui, facendo saettare lo sguardo a destra e sinistra, per scongiurare eventuali occhi indiscreti.

-Hai battuto il fratello di Kenzo a Shangai… grazie! Tu non hai idea di quanti anni sono che Motoki ce la mena con la storia che a sei anni ha sconfitto quattro volte di fila loro cugino più grande! Finalmente hai abbattuto un mito!-

 

Ah.

Era dovuta a quella cosa l’esplosiva effusione di Hiro?

Non poteva crederci… cioè, era… 

-Si vede che le ragazze che vi siete portate dietro sono più intelligenti e furbe di quello che credevate: io so fare ben altro che saper giocare a Shangai, Makoto cucina egregiamente, Ami ha un cervello che potrebbe contenere entrambi i vostri, Minako è un’ottima giocatrice di pallavolo e Naru e Usagi…-

 

Che dire di loro? Si morse la lingua, perché si stava infilando su un sentiero scivoloso…

 

-Insomma, siamo tutte fortissime… eppure voi avete apprezzato di più le gambe di quella sconosciuta, che noi!-

Ecco, l’aveva detto. Non le era andato giù il modo con cui avevano spogliato con gli occhi quella Michiru, neanche fosse stata una dea scesa sulla terra da una dimensione di angeli!

Si voltò e decise di andare da Yuichiro: almeno lui, anche se era una lagna perpetua, sapeva come risollevare il suo ego.

-Io ti apprezzo molto, Rei-, sentì dire alle sue spalle, -E apprezzo anche le tue gambe, se è per questo, ma mi piacerebbe poterti apprezzare più da vici…-

 

Non ascoltò quelle parole blasfeme, perché era letteralmente scappata dalla stanza. Come… come… Accidenti, quel ragazzo le aveva appena detto che la trovava carina e che… ACCIDENTI!

 

Non avrebbe mai pensato che l’unica cosa di cui sarebbe stata capace fosse scappare. In un istante le fu chiara la situazione: era stata lei ad accalappiare Mamoru, una vita prima, per questo era interessata a lui. Invece non degnava di uno sguardo Yuichiro, che faceva di tutto per piacerle… perché non era stata lei a iniziare la cosa.

Sul treno e al mare aveva scherzato con Hiro e Kenzo, pensando che fossero due bei ragazzi e che avrebbero potuto interessarle per qualcosa di più di una partita a carte o un tuffo in acqua, ma, quando uno di loro si era proposto, lei era scappata.

 

Entrò come un treno nella sala da pranzo, travolgendo il povero Yu che fece cadere per terra tutte le posate che stava mettendo in tavola. Aveva bisogno di chiarire una cosa con Minako, innanzitutto e dopo…

 

Usagi!

 

Qualcosa scattò nella sua testa e ogni pensiero si dileguò.

Cosa ti sta succedendo, Usagi?

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Capitolo 14
Terrore, Calma & Il Visionario



 

Usagi!


Minako aveva lasciato Naru nel bel mezzo di una treccina che le stava facendo, perché il richiamo che aveva sentito provenire da Usagi aveva avuto la precedenza. Il suo cuore batteva così forte che lei lo poteva sentire anche da lì. Cosa stava succedendo?
Si era scusata inventandosi un’improvvisa necessità di usare il bagno ed era corsa via. Per le scale aveva letteralmente travolto Mamoru che, con la faccia da pesce lesso, stava aggrappato alla ringhiera, neanche avesse avuto le vertigini a scendere una rampa.

Non era una cosa che le interessasse in quel momento: doveva capire cosa stava succedendo alla sua amica. D’un tratto il battito tacque.

 

Quando entrò nella stanza trovò Ami, che era già lì, china su Usagi.

Quello che vide la terrorizzò, ma non ebbe il tempo di dire o fare nulla, perché fu raggiunta e sorpassata da Makoto e Rei, giunte pochi istanti dopo di lei.

Davanti a loro, distesa, Usagi piangeva in silenzio con il viso reclinato da un lato; Ami premeva con un pezzo di stoffa sulla sua spalla, tamponando…

-Usagi!-, Rei urlò, infischiandosene di fare attenzione a non farsi udire dal piano di sotto, ma tanto la musica era così alta che nessuno avrebbe sentito. Si fece largo tra le ragazze e si inginocchiò ai piedi del letto, scrollando la loro amica per le spalle, continuando a chiamarla.

-Santo Cielo… Ami, che è successo? È ferita!-, Makoto si mise le mani tra i capelli.

 

A Minako sembrò di essere in un film drammatico, catapultata al centro della scena madre, quando il protagonista della storia sta per…

 

“No… non lei…”

 

-La ferita… la ferita di Tuxedo Kamen si è riaperta-, la voce di Ami fu appena udibile, il pallore sul suo volto urlava al posto suo quanto la situazione fosse grave.

 

“Non lei… non lei”

 

Minako era pietrificata dall’angoscia; fissava gli occhi vitrei di Usagi senza muoversi, incapace di mettere a posto le idee nella sua testa vuota. Riusciva a ripetersi solo quelle due parole. Avrebbe voluto urlarle, ma la voce non le usciva, i muscoli non si muovevano e lei… restava immobile… Il suo cuore era...

 

“Non lei…”

 

-Dobbiamo bloccare l’emorragia… Makoto, prendi qualcos’altro per tamponare la ferita!-

-Usagi! Mi senti? Usagi? Non sento il polso…-

-Ecco, fai con questo… Usa-chan… Rispondi, che è successo? Usagi???-

 

Le amiche urlavano e le loro grida riecheggiavano distorte nella testa di Minako, come fossero musica riprodotta al rallentatore su un mangianastri guasto. 

Perché non arrivava nessuno ad aiutarle? Non li sentivano i loro urli di terrore scavalcare la musica? Non li vedevano quegli occhi immobili che straziavano l’anima? Perché Usagi stava ferma, perché? Era ancora viva, era così? Perché riusciva a malapena a sentire il suo battito? Perché?

 

“Non lei… Ti prego Signore… non lei! Qualunque cosa significhi questo scherzo… non portarmela via… io… sento che lei è destinata a fare qualcosa di grande e che io… le voglio troppo bene! Maledizione, diavolo d’un Dio! Fa’ qualcosa!

 

Usagi spostò lo sguardo su di lei facendo sgretolare un pezzo alla volta il suo cuore.

Era viva… Usagi era viva!

Il primo impulso fu quello di urlare di gioia, saltando come una matta, ma un particolare la fermò: quello sguardo era lo sguardo di chi chiede aiuto… Minako fu abbastanza sveglia da percepire il lieve movimento della mano della ragazza, abbandonata fuori dal letto, l’indice teso come ad indicare qualcosa…

 

-Rei! Non si ferma, non si ferma!-

-Ami, il polso, senti ancora il suo polso!-

 

L’indice teso, gli occhi nei suoi, in una muta richiesta fatta di lacrime.

 

Una volta, qualcuno aveva detto a Minako ‘solo lo scemo guarda la mano e non il punto che essa indica’, e senza un motivo, in quell’attimo di pura emergenza, si trovò a sorridere per la sua idiozia che poteva essere l’arma vincente.

Arrivò persino a schiaffeggiarsi per essere certa che fosse tutto vero e trovò che quella mossa le dette la carica per agire. Accorse da Usagi e prese la sua mano ancora tesa.

-Cosa vuoi? Dimmelo, Usagi-, la incitò e dalle parole spezzate, mormorate in un debole soffio, riuscì a capire ‘enna lu…are’

Era sufficiente.

 

Richiamò le sue energie giungendo le mani davanti alla sua fronte e pensò con tutte le sue forze alla penna lunare. In un modo che non le fu chiaro, capì dove essa si trovasse e con la rapidità di una saetta si precipitò nel bagno, frugò nel beauty case della sua amica e tornò da lei, mettendogliela in mano.

-Eccola… È nella tua mano, Usagi-, disse e fece segno alle altre di scostarsi.

 

Usagi riuscì a malapena ad avvicinare la penna al petto, chiuse gli occhi e desiderò che la magia la salvasse.

 

Non ci furono lampi o luci psichedeliche, ma un istante dopo la ferita si richiuse, la cicatrice sparì e la sua pelle tornò pulita da ogni traccia di sangue.

Usagi rimase immobile per alcuni istanti, lo sguardo perso nel vuoto di un segreto che pareva essere solo suo. Dopo un po’ sbatté le palpebre, prese un profondo respiro e si sollevò seduta sul letto.

 

-Fiuuuu, che spavento!-, sorrise alle sue amiche e si grattò imbarazzata la testa.

Rei si sciolse in lacrime di sollievo e la abbracciò stretta stretta, seguita a ruota da Makoto e Ami.

A Minako non rimase che aspettare il proprio turno: in fondo era solo colei che le aveva salvato la vita, poteva anche fare anticamera come l’ultima delle ciarlatane. “Tsk, ingrate”, pensò e si mise comoda. In fondo le bastava poter vedere ancora il sorriso della sua piccola Usa-chan.

 

Quando Ami finì di controllare lo stato di salute della ragazza, fu opinione comune che la trasformazione adottata da Usagi per coprire la cicatrice dovesse essere mantenuta almeno finché non fossero state di nuovo  a Tokyo e avessero potuto parlare con Luna dell’accaduto. 

-Te la senti di spiegarci cosa pensi sia successo?-, domandò Rei, sempre accucciata accanto a Usagi, facendole una carezza sul dorso della mano. Era la prima volta che Minako assisteva ad una dimostrazione di spavento, sollievo e affetto di tale portata da parte della ragazza; in fondo Rei era sempre stata considerata come l’orco cattivo che metteva paura a quel coniglio di Usagi…

Usagi arrossì e parve sul punto di non rispondere, si torturò una ciocca di capelli e, lentamente, si decise ad aprirsi con le sue amiche.

-Stavo sognando che… Tuxedo Kamen era vicino a me e mi guardava dormire… Sembrava così vero… mi sembrava di sentire il suo profumo… Ma dopo… dopo è arrivato il mostro e mi ha catturata e… È andata come all’asilo, quella volta… solo che… dopo che la rosa mi ha trafitta, lui… non è rimasto ad aiutarmi, ma è scappato via e così… la ferita ha ripreso a sanguinare...-

Lo sforzo di apparire calma, misurando ogni singola parola, fu percepito da tutte. C’era qualcosa che ancora restava segreto, qualcosa che la cara Sailor Moon si teneva dentro da settimane, forse mesi. Qualcosa che la stava facendo crescere, eppure la spaventava e rischiava di renderla vulnerabile nei confronti dei nemici di ogni natura. Forse era vero che, tra tutte, poteva essere lei quella ‘destinata a fare qualcosa di grande’, come Minako in cuor suo sosteneva.

 

Inaspettatamente, fu proprio Usagi a spezzare il silenzio che aveva seguito il suo racconto. C’era altro che si sentiva di confidare alle sue amiche, qualcosa che lasciò tutte senza parole.

-Tuxedo Kamen non è nostro nemico, dovete credermi. Lui… io…-, abbassò lo sguardo, -È giusto che ve lo dica-, le batteva forte il cuore; -È successo due anni fa, lo tengo nascosto da allora: noi… ci siamo baciati e quando è successo io ho sentito…-, mosse le mani nell’aria, le altre la ascoltavano in silenzio, -Ho sentito che noi due siamo legati da qualcosa che non riesco a comprendere, è stato come se lo conoscessi da sempre… come se lo amassi da sempre… Poi c’è stata... Berillia e io ero rimasta…-, si morse la lingua, non avrebbe raccontato loro tutto. -Ogni volta che l’ho rivisto, ogni volta che lui è venuto in mio soccorso, ogni volta ho provato quella sensazione e ho compreso che non era solo una cotta delle mie… C’è qualcosa di profondo tra noi due. Io credo di amarlo davvero-, sentiva le guance in fiamme, otto occhi puntati su di lei e le bocche socchiuse per lo stupore. -Ma c’è qualcosa di più: quando sono stata ferita dalla sua rosa, quando io gli ho ordinato di scagliarla per colpire il mostro e la rosa invece ha trafitto me… ecco, non è stata colpa sua, io ve lo garantisco! Lui mi ha soccorsa immediatamente, mi ha detto che mi amava e che non sarebbe mai riuscito a perdonarsi per avermi fatto del male e poi… io credo che quella volta non mi sia successo niente di grave non per merito della mia capacità di guarigione affrettata, o delle cure dei medici al pronto soccorso... credo che sia stato Tuxedo Kamen a sanare la mia ferita, dopo avermi colpita, perché anche lui ha dei poteri fortissimi-, disse vincendo l’emozione e abbassò lo sguardo. Quella non era stata l’unica volta in cui sapeva di essere stata curata come per magia da mani amiche e misteriose, ma non avrebbe detto niente di più.

 

Toccò con la destra il polso che era stato slogato e sorrise tra sé e sé. Non le faceva più male.

 

Le ragazze erano rimaste in silenzio: avevano accusato e respinto il misterioso Tuxedo Kamen convinte che avesse ferito volontariamente Sailor Moon, non avevano dato ascolto a Usagi, loro… semplicemente non sapevano cosa si agitasse nel cuore della compagna, non potevano immaginare che dietro la pasticciona Sailor Moon ci fosse una giovane donna davvero innamorata, non potevano sapere che lui l’aveva protetta. Si sentivano in colpa per come si erano comportate nei suoi confronti, perché per causa loro Sailor Moon non aveva più avuto dei veri contatti con l’uomo di cui era innamorata. Una a una guardarono Usagi e ciascuna, nel suo cuore, fece ammenda per non aver saputo vedere la grandezza di colei che, in silenzio, le aveva salvate e che aveva sofferto così a lungo di nascosto. 

Usagi tirò su col naso: le amiche non le dicevano niente! Forse le aveva turbate, non era giusto! Loro erano in vacanza e si dovevano divertire, lei le aveva già fatte preoccupare troppo, non doveva rovinare la loro vacanza ulteriormente, si fece coraggio, indossò un sorriso birichino e decise di tornare ad essere solo Usagi: cogliendola di sorpresa, affondò le mani nei capelli di Rei, così a portata di mano da non…

-Ahhh!!! I miei capelli!!!-, la forte Rei squittì come un topo quando sentì la sua chioma corvina venire arruffata dalle piccole zampette di quel pipistrellaccio che le aveva fatto venire un colpo al cuore. Si trattenne dall’inscenare un dramma e scappò in bagno a sistemarsi mimando minacce verso di lei. 

Usagi la osservò uscire dalla stanza con un sorriso soddisfatto dipinto sul volto, quindi balzò giù dal letto. Era riuscita a farle sorridere di nuovo, non dovevano addensarsi altre nuvole su di loro. 

 

-Adesso ho fame: Makoto, cosa hai preparato di buono per cena?-, domandò e una risata liberatoria scaldò i cuori delle sue più care amiche.


--- 


-Ehi fratello, ti vedo sconvolto, sei ancora scioccato dalle gambe di quella sventola di prima, oppure sei spompato dopo esserti dato alla pazza gioia con la nostra piccola biondina?-

 

Fratello???

 

Mamoru guardò torvo Kenzo, che si stava rivolgendo a lui come se fossero amici di vecchia data e intanto sbuffava in tralice il fumo di una sigaretta.

Ecco: anche se con ore di ritardo, era arrivata  la battutaccia che si era aspettato all’arrivo della comitiva in spiaggia. Ponderò se mandarlo a quel paese o stare allo scherzo, infine preferì scuotere il capo e non aprire bocca.

-Che muso lungo, neanche ti avessero bastonato… Comunque ero venuto a dirti che è pronto in tavola: stasera quello zucchero di Makomako ha preparato una cena coi controfiocchi: penso che me la sposerò appena finisce la vacanza-

 

Zucchero? Makomako?? Sposarsi???

Ma dove era capitato?

 

Perché non poteva vivere una vita spensierata anche lui, come facevano gli altri ragazzi?

Lasciò che Kenzo rientrasse in casa e si sforzò di dimenticare quello che lo aveva sconvolto al punto che il suo turbamento saltasse agli occhi di un perfetto estraneo.

Doveva cercare di apparire calmo: se fosse successo qualcosa di brutto lo avrebbe già saputo, no?

 

Era scappato dalla stanza dove Usagi dormiva con la sua immagine sofferente e ferita marchiata a fuoco nella mente e un attimo dopo era stato colpito da una fitta di dolore così forte che aveva temuto di svenire.

Tra la clavicola e il cuore: ecco dove si era manifestata quell’atroce sensazione che lo aveva accompagnato durante la sua fuga verso il piano terra. Poco dopo, così come era arrivato, il dolore era svanito, lasciandogli solo il terrore di aver rischiato di perdere qualcosa di prezioso. E non stava parlando della sua vita.

Era stato travolto dalle ragazze per le scale, tutte tranne Naru, le aveva viste correre di sopra e gli era parso di udire un urlo, ma l’angoscia e il dolore al petto erano stati più forti della volontà di portare aiuto in chissà quale situazione e non aveva fatto altro che fuggire.

Era stato bravo a fare solo quello e adesso si logorava sapendo che quello che aveva affermato Motoki era la pura realtà.

L’aveva vista, ne era certo: Usagi aveva davvero una cicatrice sotto la spalla sinistra e lui era stato cieco a non accorgersene prima.

 

Si concentrò: doveva calmarsi o non sarebbe riuscito a sedere a tavola con gli altri. 

Si sollevò dalla posizione accartocciata che aveva assunto, staccò le mani, artigliate da chissà quanto alla balaustra del terrazzo e si sforzò di respirare. In fondo, per capire, doveva tornare di là e riuscire a parlare da solo con lei, ma prima…

Si guardò intorno per accertarsi di essere solo e, muovendo la mano come se stesse aprendo un mazzo di carte, creò dal nulla una rosa scarlatta.

Era ancora in grado di farlo…

Chiuse gli occhi e la rosa svanì, così com’era apparsa, lasciando una debole scia del suo profumo.

 

La singolarità di quel che era successo lo aveva lasciato senza parole: aveva visto Usagi e la sua cicatrice, si era ricordato di Sailor Moon e di come lui l’aveva ferita, in qualche modo aveva perso per un istante il controllo del suo potere e… un istante dopo aveva creduto di stare per morire.

E invece era ancora lì, aveva ancora i suoi poteri e l'assoluta certezza di essere vicino ad impazzire del tutto.

 

In fin dei conti, a parte quello, poteva farcela…

 

Fece scorrere la porta finestra ed entrò in sala da pranzo: le risa e la musica di sottofondo lo riportarono a una dimensione terrena di letizia. Si aggrappò a quella sensazione e si avvicinò alla tavolata, cercando in mezzo alle altre la ragazza che lo stava facendo diventare matto.


-A me porzione doppia!-, la sentì strillare, armata di bacchette e tovagliolo legato attorno al collo, come se fosse stato un enorme bavaglio. Usagi stava bene, almeno così sembrava… un altro pensiero volò via dal cumulo grigio che gravava sulla sua coscienza.

Adocchiò l’unico posto rimasto vuoto, dall’altro lato del tavolo e si sedette, ringraziando Naru, che gli stava versando dell’acqua nel bicchiere.

Prese il piatto che gli venne porto e si sforzò di mandar giù qualche boccone. 

In fondo… era buono… caspita se era buono! Makoto cucinava in un modo che…

-… sapresti risuscitare un morto, Mako-chan! Fe-no-me-na-le!-, Motoki rideva, di gusto e gli occhi gli scintillavano come Mamoru non ricordava accadesse da mesi.

Era lo stufato di verdure, fenomenale, o la sua cuoca?

 

Si ritrovò, suo malgrado, a sorridere e si meravigliò di se stesso quando gli venne spontaneo bisbigliare all’orecchio del suo amico: ‘Mako-chan, Motoki?’, restituendogli pan per focaccia e vedendolo diventare tutto rosso. Brindò con gli altri alla cuoca e sentì che, piano piano, quella sensazione di angoscia che gravava come un macigno appeso al suo cuore, rendendogli difficoltoso respirare, pensare, essere,  stava svanendo, lasciando il posto alla tranquillità di una scherzosa cena con i suoi amici.

Rise quando Rei chiese che le venisse passata la brocca dell’acqua ed entrambe le mani di Hiro e Yu l’afferrarono in contemporanea, dando luogo ad un siparietto degno di due galletti in un pollaio; ascoltò la previsione di Ami, che diceva che ‘un contenitore di vetro di quello spessore non può resistere oltre i trenta secondi a una forza compressiva e torcente come quella che le mani di Hiro e Yu stanno applicando: probabilmente entro breve la pressione spaccherà il collo della brocca e la torsione farà in modo che essa imploda, evitando di ferire i due dongiovanni da strapazzo che non hanno studiato fisica e hanno lasciato i cervelli al banco dei pegni’.

E così fu: la brocca si ruppe e il ragazzo si trovò a sorridere stupefatto a una Ami che, con non chalanche, fingeva di appannarsi le unghie della mano e lustrarle sul petto, trattenendosi dal chiosare con un ‘Ve l’avevo detto’.

 

Piano piano, tutto sembrò tornare ad una rassicurante normalità e anche il ricordo dell’atroce dolore provato  prima di cena  parve svanire dalla memoria di Mamoru. 

“È tutto a posto”, si disse, lasciandosi scivolare sulla sedia e assistendo comodo e rilassato al siparietto che seguì l’incidente tra Hiro e Yuichiro. Come avrebbe potuto prevedere, andò a finire che Rei, indignata per quella scenata, si alzò da tavola e si sedette in disparte, incrociò le braccia al petto e sollevò il mento. Se la conosceva bene, avrebbe mantenuto quell’aria corrucciata per non più di dieci minuti, terminati i quali avrebbe fatto un qualche gesto plateale e si sarebbe data da fare per aiutare a tavola.

 

Dopo la cena, dopo aver bevuto del tè freddo, arrivò il momento della torta di Makoto: Usagi schizzò in piedi battendo le mani e seguì con sguardo scintillante la cupola di acciaio inox che veniva posta in tavola, Hiro la prese in giro e le tirò un codino, strizzando l'occhio.

Mamoru si sollevò: d’un tratto non trovò più così comoda quella posizione… forse era la sedia? O forse…

 

-Ta-Daaan!-, trillò giuliva Usagi, sollevando la cupola e scoprendo che…

-Ma… manca una fetta???-, nove paia di occhi curiosi si concentrarono attorno al vassoio: solo i due ‘colpevoli’ e Mamoru si trattennero, per differenti motivi.

Ben presto quello che fu chiamato ‘Il mistero della fetta scomparsa’, fu accantonato e la torta divorata con grande apprezzamento da parte di tutti; quindi fu fatta una conta per stabilire a chi sarebbe toccato lavare i piatti.

 

A Mamoru rimaneva una sola cosa da fare per concludere quella giornata sconvolgente, sebbene fosse la cosa più difficile di tutte; memore degli anni della sua infanzia infelice, ricordò di essere stato un asso nel truccare le conte a suo favore: fu così che, casualmente, si ritrovò da solo con Usagi in cucina, nel lavello un’enorme quantità di schiuma e altrettanta sul pavimento.

 

-Lascia fare un po’ a me…-, si sentì in dovere di proporre alla ragazza, dal momento che era stato a causa sua se entrambi erano prigionieri delle stoviglie. Usagi non se lo fece ripetere e, con un gesto spazientito, si asciugò le mani e sfilò in un colpo solo la maglia che indossava. Se l’era fatta prestare da Rei e doveva avere un po’ del suo potere, dal momento che stava andando in ebollizione. Rimase in canottiera e pantaloncini della tuta, in cui stava troppo comoda per rinunciarvi.

-Che caldo-, si sventolò con la mano e annodò i codini in alto sulla testa; -Tu non senti caldo?-, domandò a Mamoru, andando a ronzargli intorno.

 

Anche se era di spalle, Mamoru si era accorto che Usagi si era scoperta, quindi avrebbe avuto modo di vedere una volta ancora la cicatrice sulla sua spalla: si concentrò su qualche frase intelligente da dirle, qualcosa tipo ‘Che ti è successo qua, Usagi? Spero che non sia nulla di grave’, oppure… ‘Accidenti: cos’hai fatto? Un incidente forse?’

Invece, quando la ragazza si fermò, bilanciandosi sui gomiti poggiati sul bancone dietro a lei, quello che Mamoru vide fu solo pelle di luna: perfetta, liscia, certamente profumata.

 

Non era possibile.

 

Lo aveva visto con i suoi occhi solo poco prima… su quella spalla c’era una brutta cicatrice e non era possibile che si fosse inventato tutto… non poteva davvero essere che stesse perdendo il lume della ragione, Santo Cielo!

 

-Deve essere che ho mangiato un po’ troppo stasera… Uff, se non la smetto diventerò una bal…-

 

Mamoru dimenticò le stoviglie e le buone maniere e la afferrò agli omeri, bagnandola di schiuma al limone, interrompendola e facendola sussultare.

-Usagi…-, la stava guardando stralunato, gli occhi sbarrati, il respiro d’un tratto corto; sentiva la schiuma colare lungo i polsi fino ai gomiti e, da lì, gocciolare giù; era accaldato, certo, accaldato e incredulo, ma soprattutto confuso.

Spostò la mano ancora bagnata e, come un novello San Tommaso, toccò la sua pelle, sotto alla clavicola un po’ sopra al suo cuore, sentendolo battere all’impazzata; vi passò un dito e non sentì altro che seta.

 

La prima sensazione fu di dolore, come se fosse stata trafitta in quell’istante, invece che mesi prima, ma fu troppo breve perché Usagi riuscisse perfino a reagire; un attimo dopo arrivò il panico e, con esso, una groviglio di emozioni, pensieri, paure la strinse togliendole il respiro.

-Ma…Mamoru… che… fai?-, Usagi si rese conto che aveva iniziato a tremare, confusa da quei modi irruenti, sconvolta dal tocco della mano di Mamoru sulla sua pelle, vinta nuovamente da quel brivido subdolo che l’aveva percorsa da capo a piedi e aveva acceso ancora il fuoco dentro di lei e sulle sue guance. Era caldo e freddo allo stesso tempo, era un contatto rovente come un ferro per marchiare il bestiame e ruvido come pomice, eppure voluttuoso come la schiuma della marea.

Puntò le mani sul petto del ragazzo per allontanarlo, lui oppose resistenza e la strinse ancora di più. Che stava facendo? Perché? Erano soli in quella stanza, sentì aggrovigliarsi le viscere, colta dal panico. Gli occhi di Mamoru la guardavano famelici, accesi da un bagliore di follia.

Perché la stava stringendo? Perché la stava toccando? Perché quella dannata mano era proprio lì? Forse sanguinava di nuovo… Abbassò lo sguardo e si rese conto che non c’era più  contatto tra la pelle di Mamoru e la sua, eppure sentiva ardere quell’angolo di passato fatto carne in lei. Le dita di Mamoru coprirono di nuovo l'ultimo centimetro di distanza con la sua pelle, e allora il dolore si centuplicò, l'orrore anche, ma improvviso la colse un germe di estasi e piacere, quello sguardo di fuoco s'impresse nella sua mente e il terrore per essere stata punta nell'angolo più sensibile della sua persona e della sua anima fu troppo da sopportare.

 

Non ci pensò neanche un istante: caricò il colpo con il braccio libero dalla stretta di Mamoru e lo colpì con forza al viso. Se ne pentì ancor prima di sentire una a una le dita modellarsi sulla sua bellissima faccia da idiota.

Maledizione! Cosa aveva fatto? Perché perché perché si era fatta sopraffare da quel gesto d'ira, perché? Perché non ragionava mai prima di agire, perché si era mostrata di nuovo così sciocca, violenta, infantile, incapace di sostenere in maniera civile un confronto con lui? Perché ogni volta che c'era di mezzo Mamoru Chiba perdeva il senno e agiva d'impulso, come a dover dimostrare a ogni costo qualcosa? Ma lui… lui cosa stava facendo…? Perché si era avventato a quel modo su di lei? Perché, per un istante infinitesimale, quando l'aveva bloccata dalla braccia e guardata con quelli occhi ardenti, lei aveva creduto che l'avrebbe baciata, come succede nei film? Cosa pensava davvero? Cosa immaginava in quella testa vuota e malata che aveva? 

Non la sfioró nemmeno l'ipotesi che potesse essere un tentativo di violenza, non era quello che il suo cervello sconvolto né il suo animo ferito le dicevano, sentiva che era qualcosa legato al suo passato, eppure incomprensibile in quella circostanza di apparente tranquillità. 

Lo guardò, per un attimo più sconvolta di lui, sul viso la stessa espressione stralunata, gli stessi occhi sbarrati, le pupille piccole piccole.

 

Lo stesso imbarazzo, la stessa incredulità e la stessa emozione.

 

Si staccò da lui e uscì dalla cucina sbattendo la porta, corse al piano di sopra ed entrò nella sua stanza buttandosi sul letto: non ne poteva più di colpi di scena, incontri, scontri, dolore, brividi, elettricità, paura, pelle, caldo, freddo, occhi blu, incubi e misteri.

 

Basta. Si infilò sotto le coperte senza neanche spogliarsi e coprì la testa con il cuscino.

 

Basta.

Veramente basta!

 

Formulò l’ultimo pensiero della giornata e cedette al surplus di emozioni, addormentandosi in un baleno, mentre dabbasso continuava la festa.



 

--- 


D’improvviso Mamoru sentì freddo, si accorse di avere la vista appannata e di stare per soffocare: sbatté le palpebre e respirò, inalando l’ultimo soffio del profumo che Usagi si era portata via.

 

Maledizione

Cosa aveva fatto? Come… come aveva osato fare quello che aveva fatto a Usagi? Perché si era fatto travolgere dagli eventi?

Era stato un cretino, il Re dei cretini… il Re dei baka, anzi! Il Re dei baka che sentiva ancora quel dolore al petto, attutito ma pulsante, come era accaduto prima di cena in mezzo alle scale.

“Che ho fatto…?”

Era un cretino sciocco maniaco aggressivo stupido maldestro vigliacco lunatico folle e avventato.

 

E sopra a tutti questi, era stato un visionario.

Si era lasciato suggestionare dalle convinzioni di Motoki, non poteva trovare altre spiegazioni… Quello che credeva di aver visto mentre spiava Usagi se l’era inventato di sana pianta, perché non era vero. Ma quale cicatrice? Quale tragica storia di violenza o ferimento? Usagi non aveva niente di niente addosso: non un graffietto, né una crosticina, nemmeno una stupida bollicina!

C’era solo la sua pelle perfetta, liscia, profumata, morbida, calda… di nuovo quei pensieri devianti.

 

-Aaah!-, colpì con entrambi i pugni l’acqua saponata stagnante nel lavello, esasperato e allo stesso tempo sconvolto da tutto quello che stava passando e allagò mezza cucina con gli schizzi.

Si sentiva come un povero naufrago su una zattera in mezzo all’oceano in tempesta, con squali, sottomarini, perfino l’aviazione che lo tenevano di mira pronti a farlo a pezzi, mentre un burattinaio cinico si divertiva a mandargli segnali, visioni, comandi e quant’altro per farlo impazzire del tutto, confidando invano nel vento promesso, che l’avrebbe condotto a riva.

 

Non c’era riva e non c’era il vento che ce l’avrebbe portato. Brancolava nel buio e si era invischiato in una situazione ambigua e straziante con quella sciocca ragazzina. Cosa ci aveva guadagnato, se non due schiaffi esagerati, la totale devastazione della sua dignità e altri dubbi e paure, che si andavano a sommare agli incubi che già farcivano le sue notti?

Cosa diavolo aveva fatto…

 

Doveva ragionare, trovare la versione più convincente per la sua mente in subbuglio: prima di cena si era immaginato di vedere la cicatrice sulla pelle di Usagi. Forse si era immaginato anche il dolore che aveva provato in mezzo al petto in seguito a quella inesistente scoperta… non era da escludere. E dopo, da perfetto idiota, si era azzardato a strapazzarla, toccarla, guardarla e le aveva fatto paura.

Tutto per le strampalate idee di Motoki e una sottospecie di ‘visione’ che aveva avuto un attimo prima di scappare dalla camera da letto: Sailor Moon morente tra le sue braccia.

 

Doppia vita del cavolo! 

Si era ridotto ad essere uno sciocco guardone, un maldestro molestatore e un perfetto, fervido visionario.

 

Terminò di lavare i piatti bofonchiando di quando in quando un’offesa alla sua persona, deciso a far soffiare il vento in un’altra direzione, dal giorno successivo, dando retta solo a se stesso e alla sua lucidità. Bastavano i suoi incubi a confonderlo. Basta. Stop. Fine dei giochini con Usagi e i suoi inesistenti segreti.

 

Lui non era un visionario, non era uno che distorceva la verità, immaginandosi che le persone che gli stavano vicine potessero trasformarsi nello Spaventapasseri, l’Uomo di Latta e nel Leone dei suoi incubi. 

Era stato il turbamento di un istante, la sensazione fugace che Sailor Moon potesse essere accanto a lui… perché le mancava da morire e fare una vita normale, in fondo, non gli bastava più.

 

Non voleva più comportarsi da visionario, la realtà era una sola: mai e poi mai una  ragazzina come Usagi avrebbe potuto avere ombre sul suo passato. Mai e poi mai sarebbe ricaduto nell’errore di confonderla con la sua Sailor Moon per colpa di due codini biondi e due occhi azzurri. Era accaduto solo perché lui desiderava ardentemente che lei gli fosse vicina. Mai e poi mai avrebbe lasciato che qualcosa di strano e strisciante si impossessasse ancora della sua lucidità e lo facesse confondere con brividi, batticuore, attrazione proibita. Usagi non era Sailor Moon e la sua immaginazione aveva fatto tutto da sola. Usagi non era altro se non una ragazzina che gli dava il tormento.

 

Mai e poi mai Usagi avrebbe potuto sostituire nel suo cuore il posto che spettava alla sua Sailor Moon…

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


 

Capitolo 15
Il Re triste, Consigli & L'Intruso


A Naru non andava proprio di prestarsi a fare uno di quei giochini stupidi adatti a un gruppo di ragazzini di dodici anni, non si capacitava di come quelle svampite delle amiche di Usagi avessero potuto acconsentire senza battere ciglio a fare “Obbligo o Verità”. Serviva una bottiglia da far girare o un mestolo e ci era voluta andare lei a cercarlo per avere una buona scusa per impedire quella sciocchezza. Entrò in cucina con l’idea di cercare una bottiglia quadrata che non avesse girato, o una paletta da arrosto che si sarebbe incastrata… qualunque idea che avesse mandato a monte quella roulette russa dei baci, tanto lo sapeva…

 

-Usagi, avresti un…-, Naru si guardò intorno, Mamoru era di spalle, intento a sciacquare gli ultimi piatti; -Mamoru?-, lo chiamò, -Dov’è Usagi?-

Osservò il giovane chiudere il rubinetto dell’acqua, posare il piatto; avrebbe potuto giurare di aver visto la sua schiena gonfiarsi appena, come se stesse prendendo parecchia aria, prima di rispondere. -È andata via-, disse lapidario, senza voltarsi, con voce atona.

Naru aggrottò le sopracciglia e fece qualche passo nella sua direzione: -È in bagno?-, domandò allora.

-Non lo so, è andata via-, quella volta la risposta di Mamoru fu inequivocabilmente seccata, tanto che si voltò verso di lei finendo di asciugarsi le mani con uno strofinaccio e allora, alla fredda luce del neon che penzolava sopra le loro teste, Naru vide ben definito sul volto del ragazzo il segno rosso e pulsante di una mano, una piccola mano sinistra che senza alcun dubbio lo aveva colpito non più di pochi minuti prima.

-Oh!-, esclamò portando troppo tardi la mano alla bocca, ormai la sua esclamazione si era senza dubbio udita… Allungò le dita verso la guancia di Mamoru, negli occhi due punti interrogativi grandi come mongolfiere; -Di nuovo?-, si limitò a domandare rassegnata, e lui non rispose, tornando a darle le spalle e aprendo ancora l’acqua.

Naru alzò le sopracciglia, più scandalizzata che incuriosita e, scrollando la testa, uscì, valutando per un istante se disinteressarsi della questione e tornare da Umino, oppure andare a cercare l’amica.

Stava per accingersi a salire di sopra, quando Mamoru uscì dalla cucina e la oltrepassò, senza proferire parola, andando a sedersi sul dondolo del patio, tra Motoki e suo fratello Kenzo. A Naru parve, quando il ragazzo le sfilò accanto, che dell’ombra della mano di Usagi non fosse più rimasto niente, così lo imitò e raggiunse gli altri amici. Voleva bene a Usagi, ma quello non era il momento per impicciarsi degli affari suoi.

 

-Naru, l’hai trovata una bottiglia?-, le chiese Kenzo, poi si voltò di scatto verso il giardino, -Ma cos’è questa musica?-, domandò con un filo di eccitazione nella voce.

-C’è un locale qua vicino-, gli rispose Yuichiro senza staccare gli occhi da Rei, -Ma dovrebbero smettere entro mezzanotte-, aggiunse. L’oggetto della sua radiografia, intanto, continuava a giocare a sasso-carta-forbice con Hiro, ridendo allegra a ogni colpo vincente oppure sbuffando quando perdeva.

-Come a mezzanotte finiscono?-, rilanciò il cugino di Umino, -Allora dobbiamo andare subito!-

Hiro, che evidentemente riusciva a fare due cose allo stesso momento, drizzò le antenne e fece spalla all’amico: se c’era un locale ci sarebbe stato sicuramente da divertirsi, alcool a fiumi e belle ragazze. In breve fu il caos. I due compari insistevano per andare al “Tazuki” e divertirsi almeno finché non avesse chiuso ed erano riusciti a convincere persino Motoki; le ragazze protestavano sentendosi quasi tradite da quell’atteggiamento farfallone, perché loro non avrebbero potuto certo seguirli; Umino tremava, perché non avrebbe voluto andarci, mentre Naru sembrava di avviso contrario. Ami aveva categoricamente rifiutato di muoversi di casa perché voleva ripassare un po’ di Fisica; Yuichiro detestava quel posto dove era stato costretto a “divertirsi” in passato, succube delle sorelle maggiori; Mamoru non aveva ancora proferito parola.

-Ma dov'è Usagi?-, chiese d'un tratto Ami, quasi vergognandosi per non aver notato prima l'assenza dell'ingombrante iperattività dell'amica. Non le sfuggì l'occhiata repentina che Naru rivolse a Mamoru, né il movimento distaccato con cui lui si voltò nella direzione della musica del locale.

-Vado a vedere se è in camera nostra-, si propose l'unica che non aveva assistito alla tragica scena accaduta prima di cena, salì rapidamente al piano di sopra e ritornò pochi minuti dopo. -Dorme-, disse soltanto, consapevole che non fosse il caso di insistere per uscire.

I maschi intanto avevano stabilito che sarebbero andati a vedere "che posto fosse il Tazuki", così magari avrebbero potuto tornarci insieme la sera dopo, organizzandosi per tempo e avevano già iniziato a sistemarsi i capelli e calzare le scarpe nell'ingresso. Yuichiro sbuffò, esasperato quando vide Kenzo che prendeva la via per il garage.

-Non prenderete moto e scooter se proprio ci volete andare!-, fu categorico: il rischio che i suoi compagni tornassero ubriachi era reale e non voleva rogne.

-E come ci andremo, allora?-, si lagnò Hiro, con in mano le chiavi della moto che già pregustava finalmente di cavalcare.

-Ci si può arrivare in una ventina di minuti a piedi, passando da una stradina secondaria che…-, parlare e realizzare che avrebbe dovuto portarceli lui fu un tutt’uno, così non continuò la frase e si limitò a replicare il gesto di poco prima, soffiando aria dal naso, indispettito.

-Ce li porto io-, si propose Mamoru stupendo un po’ tutti. Chi l’avrebbe mai detto che fosse interessato ad andare in un locale del genere! Il problema della stradina secondaria difficile da individuare, però, persisteva, così alle dieci e venticinque di sera un piccolo gruppo di ragazzi varcò il cancello di Villa Kumada armati di torce, mentre le ragazze e Umino rimasero in casa, chi per un motivo, chi per un altro. 

 

-Che si fottano-, sentenziò Rei incrociando le braccia al petto. Ami arrossì per l’espressione colorita e Minako riprovò per l’ennesima volta a convincerla a seguire i maschi.

-Mai! Yuichiro è stato uno sciocco a lasciarsi convincere, sono tutti dei maiali, ecco cosa sono!-, sbraitò ancora e salì in camera sua. Minako sospirò sconfortata e la seguì, avrebbe voluto divertirsi pure lei, ma effettivamente non sarebbe stato il caso, soprattutto con Usagi crollata al piano di sopra.

Ami rimase a leggere il suo libro di fisica al fresco in giardino, i due fidanzatini si misero a guardare un film e Makoto si offrì di tornare a controllare come stesse la loro amica. Avendo osservato che Usagi effettivamente stesse dormendo, tornò giù e, finalmente sola, entrò in cucina per preparare un’altra torta.

 

---

 

Come preventivato, dopo venti minuti di camminata lungo una stradina divorata dalle piante selvatiche, il gruppo dei ragazzi raggiunse l’ingresso del “Tazuki”. In pochi secondi si divisero in due gruppi, Kenzo e Hiro da una parte, diretti verso il centro della sala da ballo, Motoki, Mamoru e Yuichiro dall’altra, prima in coda al bar e poi appartati a un tavolo defilato. Dopo poco Yuichiro fu notato da alcuni vecchi conoscenti e dovette intrattenersi con loro, lasciando soli i due più intimi.

La musica era molto alta, ma non assordante e Mamoru ne approfittò per annullare ogni pensiero e affogarlo nella birra ghiacciata che aveva preso. Non che amasse la birra, era più un tipo da the caldo e pasticcini, ma era stanco di doversi sempre sentire fuori luogo, così aveva deciso che, per una sera, si sarebbe confuso tra la masnada di giovani con qualcosa di alcolico in mano. Si guardava attorno: tanti ragazzi e ragazze della sua età ballavano, ridevano e si divertivano, apparentemente senza pensieri, come avrebbe dovuto essere lui. E invece, più lui si sforzava di non pensare a nulla e vivere semplicemente l’attimo, più un nodo simile a un ganglio di frustrazione gli si formava in gola, un buco silenzioso nel petto e le idee tornavano a bruciare nel suo cervello. Stava quasi valutando di ubriacarsi davvero, per provare almeno una volta in vita sua lo stordimento effimero che avrebbe potuto alleviare almeno un po’ quella indistinta sensazione di perpetua inadeguatezza che lo tormentava, quando Motoki, alzando la bottiglia della sua birra per finirla, indicò con un dito qualcuno, non lontano da loro.

-Sbaglio o sono i tizi che abbiamo incontrato oggi per strada?-, domandò dopo aver buttato giù l’ultimo sorso. Era molto caldo, quella non sarebbe stata certamente l’ultima bevuta neanche per lui.

Mamoru guardò nella direzione indicata e per prima vide la ragazza, incantevolmente fasciata da un miniabito nero. Aveva gambe lunghissime e un portamento elegante, si faceva strada precedendo il fratello al bordo della pista da ballo, la borsetta in mano e lo sguardo alto e fiero, quasi in cerca di qualcosa. Lui, alle sue spalle, teneva due bicchieri da cocktail in mano e la seguiva, lanciando occhiate omicide a quelli che indugiavano troppo con lo sguardo sul corpo della sorella. Gli stava antipatico anche solo a vederlo da lontano, eppure, povero ragazzo, non aveva poi fatto nulla di male. Certo, aveva salutato in un modo particolarmente caloroso Usagi, si era fatto spogliare con lo sguardo da lei, le aveva fatto l’occhiolino e si era mostrato un po’ troppo amicone di tutti loro, ma, in fondo, a lui che importava? Bastava che si tenesse alla larga da lui: qualcosa in quel tipo non lo convinceva.

-Ehi, ciao!-, Motoki si alzò in piedi, sbracciandosi a salutare i due fratelli e invitandoli al loro tavolo. Perfetto: esattamente quello che significava tenersi alla larga… Mamoru ingoiò un’imprecazione e si sforzò di essere educato, li salutò, ascoltò un paio di frasi e si eclissò, con la scusa di andare a comprare altra birra per sé e Motoki.

Quando tornò al tavolo, vi trovò solo Haruki. Perfetto.

-Dov’è Motoki?-, domandò lapidario.

-L’ha chiamato quel vostro amico con i capelli a punta. Mia sorella è andata a incipriarsi il naso, invece, se te lo stessi chiedendo-, annunciò, come se gli potesse interessare dove fosse la ragazza. Era bella, senza ombra di dubbio, ma non aveva alcuna voglia di intrattenersi con lei. Era ancora turbato da quello che era accaduto con Usagi in quella interminabile giornata che non accennava minimamente a volersi concludere. In quel momento fu sfiorato dall’idea di preferire i suoi incubi familiari e svegliarsi col fiatone e un senso tremendo di oppressione al petto, piuttosto che rimanere in quel locale infernale con unica compagnia qualcuno che sentiva di detestare a pelle.

-E le vostre amiche, invece, dove sono?-, domandò Haruki, accavallando le gambe, con una caviglia sul ginocchio opposto. Si lasciò scivolare sul divanetto e allungò un braccio, mettendosi comodo. Ostentava tutta la sicurezza che a lui mancava in un ambiente in cui si sentiva un alieno.

-A casa-, rispose Mamoru in tono asciutto senza aggiungere particolari. Non aveva proprio voglia di far conversazione con un estraneo.

-Peccato…-, esordì Haruki con un mezzo ghigno. Tirò giù una sorsata della sua bevanda, si guardò per qualche istante intorno e poi riprese.

-Quanti anni avete?-, domandò a bruciapelo. ‘Che te ne importa’, pensò tra sé Mamoru, sforzandosi di non essere maleducato.

-Io ne ho quasi venti, Motoki uno in più di me-, ancora una risposta lapidaria e puntuale, in attesa della domanda che sapeva sarebbe arrivata.

-E… le vostre amiche?-, eccola lì!

Prima di fornire quell’informazione, Mamoru ci pensò un po’ su: quel giovanotto voleva fare i conti sulla legalità della loro vacanza insieme?

-Più o meno ne hanno tutte sedici-, in particolare Usagi, rifletté. Sedici anni non erano molti, ma neanche pochi per evitare di risultare interessanti ai maschi.

-Comunque io e Michiru abbiamo diciannove anni e mezzo-, annunciò sovrappensiero.

-Non sembrate gemelli-, puntualizzò Mamoru, ancora più insospettito. Haruka sentì una goccia di sudore freddo formarsi tra le scapole, stava per far saltare la loro copertura… Stette ben attenta a non mostrare alcun cedimento e non cambiò posizione.

-È che... nostro padre, pace all'anima sua, è stato un incallito Dongiovanni-, improvvisò, -e quasi vent'anni anni fa pensò bene di mettere incinta sia mia madre che la madre di Michiru-, le veniva bene questa indecente improvvisazione! -Lei e io abbiamo ignorato l'esistenza reciproca l'uno dell'altra fino a che non abbiamo compiuto sedici anni, lo abbiamo scoperto al funerale di nostro padre.- Prese un altro sorso del suo cocktail, finse di ricordare con dolore quel momento, perdendosi con lo sguardo assente davanti a sé: era brava a inventare cose, avrebbe potuto andare avanti ancora.

Mamoru si limitò ad alzare le sopracciglia e registrare l'informazione, senza fare commenti. A costo di apparire estremamente indisponente preferiva fare scena muta piuttosto che dare spago a quello sconosciuto. Lo imitò e alzò la birra prendendo un lungo sorso.

-Comunque la tua ragazza è la più carina di tutte, con quei lunghi codini biondi e gli occhi azzurri come un'allegra mattina di primavera! Complimenti!-, esclamò senza preavviso Haruki, per poco Mamoru non si soffocò mandandosi di traverso la birra e tossì sonoramente.

-Tranquillo! Mica te la mangio!-, rincarò la dose il biondino seduto davanti a lui. Cambiò posizione e si sporse verso di lui, con i gomiti appoggiati sulle ginocchia aperte,

-Non è la mia ragazza!-, rispose Mamoru, piccato, sbattendo appena la bottiglia sul tavolo nel rimetterla giù.

-Io parlo di Usa… Usani… Usako?-, azzardò, visto che si era documentata prima della sua partenza, e a quel punto per Mamoru fu davvero troppo. Non doveva scoppiare, non doveva… lui non era così!

-Usagi, suppongo. Comunque, ripeto, lei non è la mia ragazza-, e contò fino a dieci. Quel bellimbusto era interessato ad Usagi? Ottimo, a lui non doveva importare.

-Ah-, preso apparentemente alla sprovvista, il ragazzo si limitò ad alzare le spalle e caricare il colpo.

-È libera-, lo anticipò Mamoru, e bevve ancora, stringendo con disprezzo il vetro della bottiglia.

Presa in contropiede, Haruka doveva formulare il modo migliore per perseguire il suo scopo. Psicologia inversa…

-Avrei giurato che ti avesse guardato male, oggi pomeriggio, vedendo come anche tu hai guardato Michiru, per questo pensavo steste insieme…-

-Avresti giurato male, allora. Usagi non è il tipo che si accorga delle reazioni altrui-, Haruka strinse i denti: per come la conosceva lei, invece, la regina Serenity era molto empatica.

-Meglio così-, il finto giovanotto accompagnò con un ghigno quelle due semplici parole e osservò l'impercettibile movimento involontario dei muscoli facciali del suo futuro sovrano, che, per dissimulare, riprese a bere la sua birra. 

I suoi interessi erano di ben altra natura, lo erano sempre stati, eppure Haruka non poté fare a meno di notare, nella penombra psichedelica di quel locale, quanto il suo Re fosse un bellissimo ragazzo. Si era sempre chiesta come una come Pluto, sicuramente la più rigida nel rispetto del suo dovere di Guardiana, avesse potuto subire a tal punto il fascino del Re; nonostante le sue negazioni, loro outers se n'erano accorte eccome dello sguardo adorante che la loro compagna riservava ogni volta che passava davanti alle immagini del sovrano e di come apparisse più servile e accondiscendente del dovuto alle sue parole. Ebbene, in quel momento fu chiaro anche a lei il motivo: Mamoru Chiba irradiava un fascino misterioso e arcano anche in quel momento di irritazione, i suoi occhi socchiusi mentre sorseggiava la bevanda lanciavano i bagliori della notte e della passione, il collo inarcato all'indietro, i ciuffi neri come la notte che gli solleticano la fronte… Si rese conto di essere arrossita, probabilmente, ma nessuno se ne sarebbe accorto. -Usagi è davvero molto, molto carina…-, si sforzò di insistere mantenendo il piglio saldo.

Il Re posò la sua bottiglia, inspirò gonfiando appena le narici -oh quel naso era perfetto!- e osservò senza vederla la sala da ballo per qualche istante.

-Se la rivedrai, se avrai intenzione di farti avanti con lei, ricordati però di stare attento-, le rispose Mamoru, -Permettimi di metterti in guardia la lei: Usagi non è una ragazza come le altre, lei è…-, prese a muovere le mani quasi a dipingere la sua futura consorte nell'aria, -Lei è capace di infonderti una irresistibile allegria, eppure è misteriosa come una notte di luna. È potente come il fuoco che ti può bruciare eppure sfuggevole come l'acqua tra le mani, è elettricità e vento, che ti può ferire e lasciare senza fiato, è capace di annullare il tempo e confonderti senza che te ne renda conto. È impetuosa come il mare in tempesta eppure placida come un tramonto, allo stesso tempo.-

Si voltò verso Haruka, i suoi occhi lampeggiavano come zaffiri colpiti da un raggio di luce nel buio più totale: -Stai attento...-, ripeté, -E soprattutto non provarti a farla soffrire in nessun modo, perché sennò…-

-Mamo, a che birra sei?-, l'amico biondo del Re interruppe quel fiume di parole inatteso. Haruka si voltò di scatto verso di lui, per un istante fu come vedere davanti a sé Lord Furuhata e comprese chi sarebbe diventato. Sbatté le palpebre, doveva rimanere lucida; alle spalle del ragazzo scorse Michiru, che era tornata al tavolo assieme a lui e il discorso appena udito, in un baleno, fu accantonato.

Qualche minuto dopo, furono raggiunti dal tipo con la barba incolta, che si lasciò sprofondare sul divanetto lamentandosi di aver dovuto fare salotto con alcuni amici delle sue sorelle, poi bevve un the freddo e si mise composto. Solo allora Michiru e Haruka realizzarono di aver conosciuto in vita il grande sacerdote del tempio perduto, di cui avevano ammirato alcune statue d'oro, nel distretto di Marte. 

Michiru sembrava abbastanza soddisfatta della sua serata, Haruka avrebbe dovuto aspettare di tornare alla loro casa per conoscerne i dettagli. Ma evidentemente la sua amica voleva strafare e per questo invitò tutti i presenti attorno al tavolo a buttarsi in pista a ballare. Con suo sommo stupore, sia Lord Furuhata che il Re accettarono, uno con l'espressione divertita in faccia, l'altro come se stesse andando verso il patibolo, ma a testa alta. La musica era frenetica e le due outers colsero con ilare complicità l'occasione di vedere il Grande Re Endymion dimenarsi sul palco.

 

---

 

La torta era in forno, avrebbe dovuto aspettare almeno quarantacinque minuti per controllare la cottura, così Makoto, rassettato il piano di lavoro, finalmente uscì dalla cucina. C'era un leggero brusio proveniente dal salone, si affacciò e scorse Umino e Naru stravaccati sull'enorme divano, catturati dalle immagini finali di Romeo+Giulietta con Leonardo di Caprio.

Cercò Ami e la trovò appisolata con il libro tra le mani al fresco sul dondolo della terrazza che girava tutto attorno all’edificio. Gli occhiali le si erano storti sul naso e l'espressione era rilassata. Non volle disturbarla e provò a cercare compagnia al primo piano, bussò alla porta di Rei e Minako, aprì silenziosamente e le vide entrambe allo specchio intente a provare gli abiti per i giorni successivi, mentre parlottavano tra loro. Makoto scosse la testa e richiuse senza che le amiche si accorgessero di lei. Le rimaneva solo Usagi, decise di controllare se stesse sempre dormendo ed entrò di soppiatto nella sua stanza. La ragazza era distesa su un fianco dandole le spalle, così decise di non disturbarla e fece per uscire.

-Sono sveglia, Naru-, chiamò invece Usagi, senza muoversi. Non era da lei rimanere così ferma, qualcosa non andava. Makoto non le rispose e rientrò, chiudendo la porta alle sue spalle.

-L'ho fatto di nuovo, Naru, ho dato uno schiaffo a Mamoru, e stavolta non intendo chiedergli scusa-, disse piano piano.

Makoto si sedette sul letto dalla parte opposta a lei, valutando se dirle che stava sbagliando interlocutrice. 

-Lui è così… così… Mi ha spaventata, prima, e allora gli ho tirato uno schiaffo-, si mosse appena stringendosi nelle spalle.

-Non dirlo a nessuno, ti prego…-, una pausa, -Io… Quel baka mi sta facendo diventare pazza! È tutto un litigare, trattarmi come se fossi una bambina eppure… Prima in moto… o quando eravamo soli in spiaggia… Credo che in qualche modo perverso lui… lui mi pia…-

-Basta-, Makoto non poteva ascoltare oltre senza tradire la fiducia della sua amica, Usagi si voltò di scatto verso di lei, rendendosi conto dell'equivoco.

-Mako!-, strillò imbarazzata. Non erano dunque solo loro quattro Sailor a conoscere i segreti di Usagi, ma era a loro che lei aveva salvato la vita, per questo le doveva rispetto.

-Perdonami-, disse all'amica, colpevole, si allungò verso di lei e l'abbracciò; -Quando ti andrà, se ti andrà, sappi che puoi confidarti anche con me-, sussurrò al suo orecchio.

-Grazie-, rispose Usagi, tirando su col naso e sciogliendo l'abbraccio. Makoto fece per alzarsi, -... adesso?-, le domandò confusa l'amica e Makoto le sorrise nella penombra.

Le mani piccole di Usagi iniziarono a torturarsi tra loro, la voce tardava a uscire.

-Ti sembrerò una stupida-, esordì, -o meglio una ragazzina 'fatua', perché solo oggi pomeriggio ti ho detto che mi ero innamorata di quel ragazzo al bar e che comunque amo da sempre Moto-chan…-, pausa, -Ma… Mi sono resa conto con orrore che tra tutti loro è quel baka che mi fa andare via di testa più di tutti, che mi ha fatta sentire una scema quando sono rimasta sola con lui perché non riuscivo a contenere il mio cuore che batteva all'impazzata e che…-

Makoto non credeva alle sue orecchie: Usagi si era davvero presa una cotta di tali proporzioni per Mamoru, in soli due giorni? Constatò che aveva lo stesso tono di poche ore prima, quando avevano già parlato di lui mentre facevano il bagno e lei si era agitata oltre quel limite quasi indistinguibile tra il disprezzo e l'ammirazione. Motoki ci aveva visto giusto, dunque! 

Ma allora perché gli aveva tirato uno schiaffo, perché sembrava soffrire, invece di mostrare solo l’euforia che sarebbe stata adeguata a una scoperta di quella portata? Quando aveva parlato di ciò che provava per Tuxedo Kamen, la sua amica le era parsa altrettanto appassionata, ma la resa, la malinconia nei suoi occhi avevano convinto Makoto che sarebbe stato molto meglio che Usagi se lo togliesse dalla testa. Lei era una ragazza reale prima di essere Sailor Moon e tutto quello che loro vivevano nei panni delle guerriere Sailor non doveva ripercuotersi sulla loro identità di adolescenti. Loro meritavano di vivere quella vita, appartenevano a quel mondo fatto di fette di torta e di piccoli problemi quotidiani. Più Usagi si fosse separata da Tuxedo Kamen, più avrebbe avuto la possibilità di essere felice, perché, in fondo, lui non era altro se non un’idea, una maschera.

Quelle confessioni su Mamoru però la stavano confondendo; se da una parte la facevano sentire sollevata, perché lui invece era reale, dall’altra sembravano far soffrire Usagi ancor più di quanto non avesse fatto al pensiero di dover lasciar perdere ogni sentimento avesse mai provato per l’eroe mascherato. La sfiorò l’idea degli opposti che si attraggono, ma Usagi meritava qualcuno che la facesse stare bene, non un ragazzo che era riuscito a ridurla a quel modo! Le sue parole trasudavano amarezza, il gesto che aveva confessato di aver compiuto svelava una rabbia sopita contro di lui: come avrebbero potuto essere davvero fatti l’uno per l’altra se lei sembrava essere imp…

-Perché Mamoru mi fa impazzire?-, pigolò Usagi, rannicchiandosi sul letto. Appunto. Impazzire era il termine corretto: le brillavano gli occhi, le mani tremavano, sembrava davvero innamorata, ma lo aveva preso a schiaffi. Qualcosa non tornava. Makoto non l’aveva mai vista così vulnerabile. Era così tanto attratta e allo stesso tempo arrabbiata con lui? Che fosse davvero amore? Ma che amore poteva essere quello per qualcuno che le aveva tolto il sorriso e spinta a compiere un gesto così sbagliato?

Scosse la testa, “Mamoru non fa per lei”, si disse.

-Forse perché ti irrita più di tutti? Forse è la rabbia che ti fa tremare il cuore?-, azzardò. Usagi si sgonfiò come un palloncino e parve riflettere tra sé e sé. 

-Deve essere proprio così-, concluse, anche se non sembrava del tutto convinta. Neanche Makoto a dire il vero era convinta della sua ipotesi, perché realmente aveva davanti una Usagi che le pareva di non conoscere più: tanto era stata euforica per la scoperta di Haruki o per il solo pensiero di Motoki, tanto in quel momento sembrava piccola e fragile, come se stesse sforzandosi di tenere a bada una bomba pronta a scoppiarle tra le mani, eppure quella bomba stentava a volerla gettare via.

-Che ti ha fatto, prima, per schiaffeggiarlo di nuovo?-, Usagi se l'aspettava quella domanda. La risposta era che, senza motivo, lui l'aveva bloccata stringendola con le sue mani e le aveva toccato la pelle del petto proprio dove la magia della penna lunare copriva la sua cicatrice, provocandole una scarica di elettricità, una sensazione indescrivibile, paura, dolore e allo stesso tempo piacere. Una sensazione che era così simile a quello che ricordava dei suoi sogni segreti, così piacevolmente dolorosa.

-Mi ha presa in giro, non lo sopporto più-, rispose invece: non si sentiva pronta per confessare tutte quelle sensazioni che l'avevano messa in subbuglio. Makoto pensò che “essere presa in giro” non potesse giustificare il suo stato d’animo, Mamoru doveva aver fatto qualcosa di più, lo sconvolgimento di Usagi andava oltre le normali esternazioni delle sue cotte! No no no: si erano tutti sbagliati fino ad allora, Mamoru non andava bene per Usagi! E se anche fosse andato bene in futuro, in quel momento non era il ragazzo giusto, non fosse altro per come lei stava reagendo.

Per Usagi ci voleva uno tranquillo, solare, divertente e premuroso, uno come Motoki, che la facesse stare bene senza arrabbiature, prese in giro o fraintendimenti.

-E allora la risposta è questa: tu non sopporti Mamoru Chiba, un buon motivo per ignorarlo, quindi adesso basta lambiccarsi il cervello con questi discorsi!-, avrebbe aiutato l’amica a ragionare e a cercare di essere felice, e se essere felice avesse significato spingerla tra le braccia di Motoki, avrebbe fatto anche quello. 

Usagi annuì e parve tranquillizzarsi, a sua volta Makoto sperò di essersela cavata dandole un consiglio sufficientemente ponderato.

Si alzò dal letto intenzionata a lasciare riposare l'amica, ma lei le prese un polso e la fece voltare ancora: -Sei proprio sicura, Mako-chan, che dovrei ignorare quello che sento?-, le domandò con occhi profondi come fondi di crateri che ribollivano guizzi di lava incandescente.

Makoto sospirò: no, non era sicura affatto in realtà, perché le era chiaro che, tra tutti, soltanto Mamoru, tra una presa in giro, un dispetto e parole scortesi, era stato in grado di bucare la corazza che quella povera ragazzina in cerca d’amore usava come nascondiglio al subbuglio del suo cuore. Ma Mamoru Chiba sembrava nascondere troppi scheletri nell’armadio che esternava in una appena sufficiente sopportazione del genere umano e sfogava esclusivamente con lei: se avesse fatto davvero breccia nel suo cuore, Makoto ne era certa, la sua amica avrebbe sofferto ancora di più. Quei due erano troppo diversi, come il giorno e la notte… non ne avrebbe cavato nulla di buono dal mettersi con uno come lui. Però, in fondo, il giorno e la notte si sapevano incontrare generando alba e tramonto, le cose più belle che ci fossero in cielo… Sospirò: in realtà non sapeva cosa pensare, qualunque consiglio sarebbe stato sbagliato, per questo indirizzarla verso un porto sicuro come Motoki, forse poteva essere la scelta più saggia.

-Lasciami andare ora, altrimenti brucerò la torta per la colazione di domani!-, le disse soltanto, evitando di rispondere alla sua domanda.

La lasciò sola nella sua stanza e tornò in cucina, con in testa mille dubbi e la consapevolezza di aver sbagliato a non essere del tutto sincera con lei.

 

---

 

Michiru e Haruka smisero di ballare perché lo spettacolo che si stava svolgendo sotto ai loro occhi meritava tutta l'attenzione possibile. Si scambiarono un'occhiata divertita e si godettero la scena: il Re si era lasciato andare e, forse complice la terza birra offerta da Lord Furuhata, stava dando il meglio di sé in mezzo alla pista, insieme agli altri ragazzi. Quattro o cinque svampitelle con poca carne coperta si dimenavano e si strusciavano a lui e al suo compare, una addirittura, palesemente ubriaca, osò attaccarsi al collo del loro sovrano, tentare di baciarlo, mentre allungava l’altra mano in posti assolutamente sconvenienti! Haruka non credeva ai suoi occhi: cosa era andato perso nel trentesimo secolo, rinunciando all'alcool! Un'occhiata di Michiru alla compagna fu sufficiente e le due raggiunsero i ragazzi, nel tentativo di allontanare quelle sciacquette da loro: ci mancava soltanto che il loro futuro venisse messo a soqquadro da una smorfiosa rimorchiata in un patetico bar di provincia! Haruka in particolare si sentiva in colpa, che fosse stato a causa delle sue avances nei confronti di Usagi che Mamoru aveva perso ogni speranza con lei e aveva pensato di dar sfogo alle pulsioni della carne? Aveva ripensato alle parole che il sovrano le aveva detto mettendola in guardia poco prima: era riuscito a racchiudere in una sola frase l'essenza più profonda di quella che sarebbe stata la più grande paladina del pianeta. Erano così giovani, eppure lui aveva già capito che Sailor Moon era fuoco, acqua, vento, mare, elettricità, mistero e padrona degli arcani del tempo. Era tutte loro. Solo una cosa, forse, ancora non gli era chiara: che per lui Sailor Moon sarebbe stata anche l'amore più puro che avrebbe mai potuto incontrare… o forse no? Non dovevano rischiare di complicare ulteriormente il futuro...

Prese un profondo respiro e, facendo un occhiolino di sfida al suo futuro Re, si mise dietro la più spudorata delle ragazze, facendola voltare verso di sé e le si offrì come un galletto molto lascivo, infilando le mani in posti che le sarebbero costati una severa scenata di gelosia. Michiru si avvicinò a Mamoru e, dopo due sgambetti, finse di non sentirsi bene e gli domandò se poteva accompagnarla al tavolo.


Li doveva ringraziare: in qualche modo i misteriosi fratelli piovuti dal nulla a Kakeroma lo avevano salvato da una situazione in cui non si voleva trovare, nonostante non avesse fatto nulla per evitarlo. Era stato lui ad accettare di ballare e sempre lui a lasciare che un nugolo di femmine impazzite gli si strusciassero addosso. Mamoru colse al volo l'occasione e si defilò dalla pista, scortando Michiru lontano da lì.

-Scusami, ti stavi divertendo…-, simulò lei, lasciandosi crollare sul divanetto. Le gambe erano in bella vista, ma Mamoru non abbassò mai lo sguardo.

-Affatto, ti ringrazio-, la voce appena impastata, -in realtà io detesto ballare e le discoteche in generale. Mi sono lasciato coinvolgere, ma solo perché Motoki insisteva-, spiegò. Si passò una mano tra i capelli, guardò verso il cielo limpido, abbozzò un sorriso rassegnato.

Michiru notò quanto fosse bello: era lesbica, d'accordo, ma non disdegnava affatto i begli uomini. Aveva il collo forte e nobile reclinato indietro, quando parlò di nuovo il pomo d'adamo vibrò appena.

-Voglio tornare a casa-, disse, -ma prima devo convincere quei babbuini-, poi rise per l'epiteto con cui aveva appellato i suoi amici.

-Siete degli adorabili babbuini-, confessò Michiru e sorrise di rimando a Mamoru.

Come sarebbe stato tornare a sera e perdersi tra braccia molto più grandi e forti delle sue, abbandonarsi su un petto largo, grandi spalle… allungò una mano e sfiorò il volto di Mamoru, ma lui si ritrasse, come scottato.

-Scusami-, gli disse Michiru. 

Mamoru sospirò e scosse la testa, -Non importa-.

 

E non gli importava davvero niente, in fin dei conti, però quel tocco inatteso e lieve gli aveva riportato alla mente quello ben più grezzo che aveva rivolto lui a Usagi poche ore prima. La sua reazione, quello schiaffo che lui aveva lasciato frizzare sul suo viso ad ammonizione per la sua pessima azione finché non aveva dovuto mostrarsi di nuovo agli altri, era stato un gesto che solo allora aveva compreso.

Per un attimo sperò che Michiru si avvicinasse a lui di nuovo, per un tempo lungo un respiro pregò per non essere più se stesso, per riuscire davvero a spegnere la sua maledetta testa, per avere la possibilità di lasciarsi andare e non pensare più al groviglio di allucinazioni che lo tormentavano, per non pensare a niente. Michiru, quella tizia che gli si era attaccata addosso, sarebbe andata bene chiunque… voleva solo dimenticare la tempesta in cui i suoi sogni lo trasportavano legandolo a una misteriosa dama, l'attrazione mai sopita per Sailor Moon e quella sensazione dolce amara che ormai aveva associato a Usagi. Chiuse gli occhi, isolò la mente dal frastuono di quel luogo e si domandò come potesse essere passato dalla divertente sensazione che provava nel prendere in giro quella ragazzina al dolore che aveva provato per un istante, quando aveva toccato la sua pelle. Ripercorse ogni secondo passato con lei quel giorno, realizzando che ogni gesto, ogni tocco, ogni sguardo e ogni sorriso l'avevano silenziosamente sconvolto. Parlando a Haruki, poco prima, aveva detto qualcosa che solo allora davvero comprendeva e non poteva tollerare di sentirsi schiacciato da quelle sensazioni inopportune e che lo avrebbero deviato dal suo dovere e dalla sua ricerca. Doveva cancellare Usagi, o sarebbe impazzito.

 

---

 

Ami si svegliò di soprassalto e, tirandosi su, provò una fitta dolorosa al collo. Si mosse e sentì che qualcosa stava scivolando dalle sue spalle, tastò e si rese conto di essersi addormentata su uno dei dondoli del giardino. Qualcuno doveva averle messo una coperta addosso. Era buio, guardò l'orologio e constatò che erano ancora le due e mezzo di notte. Si alzò silenziosamente prendendo il suo libro e realizzò solo allora che il rumore che l'aveva svegliata era stato causato da qualcuno che stava rientrando a quell'ora. Scorse Hiro e Kenzo levarsi le scarpe e aprire furtivamente la porta per entrare in casa; un'auto partì adagio oltre la recinzione.

-Vi sembra questa l'ora di rientrare?-, apostrofò i due ragazzi cogliendoli in flagrante, -E gli altri?-, chiese una volta che si fu resa conto che erano solo loro due.

-Oh scusa mammina!-, la schernì uno dei ragazzi, -Quei guastafeste è da un pezzo che sono tornati-, gli fece eco l'altro.

Non si era accorta di nulla. -Almeno sono stati più coscienziosi di voi-, azzardò.

Hiro e Kenzo si scambiarono un'occhiata complice, -Oh, sì, taaanto coscienziosi!-

Ami li guardò con aria inquisitoria, -Vedessi come si sono scatenati i due principini: uno si strusciava alle ganze e l'altro si faceva toccare dappertutto!-

A fugare ogni dubbio, prima che lei potesse elaborare le Informazioni appena descritte, Kenzo puntualizzò: -Soltanto il nostro monaco si è comportato da vero monaco: è stato tutto il tempo a pregare che Rei gliela desse!-

Ami, scandalizzata, scosse la mano vicino al viso come a scacciare una mosca e se ne andò. Ci mise parecchio, dopo, a prendere di nuovo sonno, torturata dalle immagini del mite Motoki-che-soffriva-per-amore e di Mamoru-il-morto-dentro che flirtavano con delle sconosciute.


---


Non ci sei più.

Io lo sento.

Te ne sei andato, hai rinunciato a me.

Mi hai sconvolta, mi hai rubato il cuore

e poi sei andato via.

 

"Non lo permetterò"

mi hai detto,

ma sei stato

il primo

 a lasciarmi.

Il primo

a farmi sentire viva,

il primo

che ho amato

e il solo

che amerò.

 

La Luna è alta

la Luna è rossa

In questa notte senza di te.

 

Sei già cenere,

Amore mio?

O sei una stella ormai?

 

Ti cerco nel cielo,

Mentre la terra trema sotto di me.

 

Invoco la Luna

Ti prego Signora della notte!

Lascia che attraverso il tempo

Io lo possa ritrovare.

Aiutami a riconoscerlo,

Insegnami ad amarlo.

Insegnami a farmi amare.





 

---

 

-Ma cos'è quello?-, Kenzo aveva bevuto davvero troppe birre, perché stava avendo le allucinazioni: sul parapetto del balcone più in alto della casa, quello che si raggiungeva dalla mansarda e che loro non avevano neanche esplorato, c'era qualcosa. Sembrava un manichino, oppure una persona che aveva una luce in fronte.

-Cosa?-, Hiro non alzò nemmeno la testa, parlò solo con voce un po' troppo alta.

-Shhh! Un ladro!-, l'alcool scivolò giù dal cranio di Kenzo lasciandogli la testa vuota e le gambe pesanti come macigni, -C'è un ladro!-, allertò Hiro, tappandogli la bocca e facendolo abbassare per nascondersi dietro al dondolo. Il suo cuore batteva forte: tutti gli altri, le ragazze!, erano a letto senza alcuna protezione.

-Sta per entrare, dobbiamo fare qualcosa!-, bisbigliò spaventato il suo amico, d'un tratto lucido.

E se fosse stato armato? E se avesse fatto del male a qualcuno? Se la stava facendo sotto dalla paura, eppure non potevano fare finta di nulla.

-Tu resta qua e controllalo senza farti vedere, attento che non scappi!-, ordinò Kenzo e si affrettò a entrare in casa. Prese un ferro per attizzare il fuoco dal camino, salì facendo attenzione a non fare alcun rumore fino al piano delle camere, proseguì lungo l'ultima rampa di scale, abbassò la maniglia della porta a sinistra della mansarda e rimase immobile, scioccato per quello che vide. Era indubbiamente una donna, sembrava una dea o un'apparizione celeste, stava seduta sul bordo del balcone guardando in alto verso la luna, un lungo abito bianco svolazzava attorno alle sue gambe mosso dalla brezza notturna. 

-Ferma… Ferma lì-, la voce del ragazzo tremava. La misteriosa donna si voltò lentamente e di nuovo lui vide quella luce: la sua fronte emanava luce e anche… erano lacrime quelle? Un'intensa sensazione di dolore lo attanagliò immediatamente.

-Va via-, pronunciò la donna.

Kenzo deglutì e fece un passo indietro.

-Chi sei?-, era bellissima, non poteva essere una creatura umana… un altro passo verso l'uscita.

-Sono la tua Regina, sono un'amica, sono colei che è destinata a soffrire per amore-, altre lacrime di luce scivolarono a terra.

-Rischi di cadere-, riuscì a dirle il ragazzo, attonito.

La misteriosa signora gli sorrise, -Sei un ragazzo gentile, adesso va' via e dimenticami. Comportati con gentilezza sempre, lotta per l'amore vero-, gli ordinò.

Kenzo annuì, indietreggiò fino alla porta, uscì e la richiuse alle sue spalle, scese al piano terra, ripose l'attizzatoio e raggiunse Hiro che era ancora con il naso all'insù.

-È tardi, andiamo a letto. Ti sveglierai col mal di testa altrimenti-, gli disse, sbadigliando.

L'amico lo guardò stranito, alzò di nuovo gli occhi verso il ladro e con stupore si accorse che non c'era più nessuno sul tetto della casa.

-Che è successo? È scappato?-

-Di chi parli?-, Kenzo lo guardò senza capire, si stropicciò un occhio, gli sorrise e gli fece cenno con la testa di seguirlo.

Hiro era attonito, un sottile senso di nausea risalì fino alla sua gola, stava impazzendo forse? -Il ladro! Dai, cretino, che è successo?-

-Va tutto bene Hiro?-, Kenzo piegò le sopracciglia, -Di cosa stai parlando? Dai, è tardi…-, gli fece cenno che sarebbe andato a letto e lo mollò lì, in fondo alle scale, con la faccia stralunata e il dubbio di aver bevuto davvero troppo.

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


Capitolo 16
Gelosia, Amici & Fuga su due ruote


La notte brava si era fatta sentire l'indomani pulsando nelle teste dei quattro ragazzi che avevano esagerato con birre e cocktails; si svegliarono più tardi del giorno precedente e solo perché Yuichiro e Umino li andarono a chiamare. Scesero tutti arruffati in sala da pranzo dove era già stato apparecchiato per la colazione.

-Alla buon'ora…-, Rei, lapidaria, non alzò neanche gli occhi per salutare i suoi amici.

-Scusateci, grazie per averci aspettati piuttosto!-, le rispose Kenzo, andando a prendere posto accanto a suo fratello.

-Qualcuno si è svegliato di buonumore-, notò Makoto e mise la torta cotta la sera prima in tavola.

-Ieri sera abbiamo guardato un bel film-, prese parola Naru, ma in pochi la stavano ascoltando, chi preso dai fatti suoi, chi nel tentativo di  affrettarsi per andare in spiaggia.

-Andiamo alla spiaggia grande, ok?-, propose Yuichiro: là non ci sarebbe stato bisogno di prendere moto e motorini, un problema in meno...

Usagi, che era stata silenziosa fino ad allora, ripensò alla stella marina e agli scogli pieni di corallo del giorno prima e squittì per tornare lì dove li aveva scorti. La prima spiaggia in cui erano stati due giorni prima, invece, era una spiaggia esposta a nord, non offriva tutte quelle meraviglie. Ithogaya le piaceva di più.

-Sì, dai, così troviamo anche Michi e Haruki!-, le fece spalla Hiro.

-Non ti basta esserti fatto riportare a casa da loro stanotte?-, lo ghiacciò Mamoru, che appoggiava l'idea di andare a piedi più vicino e non rivivere le stesse situazioni del giorno prima. Decisamente aveva avuto una nottataccia.

-Sei geloso? Dillo che li vuoi rivedere anche tu, pezzo di ghiaccio! Magari continui quello che hai iniziato ieri sera con Michiru!-, calò il silenzio, Usagi inghiottì il boccone di torta e le parve di buttar giù sabbia, Makoto la guardò di sfuggita, aspettandosi qualche gesto plateale.

-Non essere sgarbato, amico!-, disse Kenzo a Hiro, ma fu scavalcato dalle risate isteriche di Usagi che iniziò a prendere in giro quel baka, sostenendo che Mamoru non fosse in grado di iniziare nulla con una ragazza, figurarsi continuare qualcosa.

L'imbarazzo si sarebbe potuto tagliare a fette, la disputa fu interrotta dal diretto interessato, già stufo di dover ascoltare quella gallina: -Per me va bene, andiamo pure a Ithogaya-, asserì.

 

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Poco prima di uscire per andare al mare, mentre Usagi era in bagno a prepararsi e Mamoru disperso, Ami chiese a Motoki di parlare da soli e, senza troppi preamboli, lo interrogò su cosa fosse successo la sera prima al locale.

-Ci siamo divertiti, abbiamo bevuto qualche birra e chiacchierato con i due ragazzi della macchina in panne, che abbiamo incontrato lì-, ma Ami sapeva che c'era qualcosa di più.

Vide Motoki in imbarazzo, lui tentò di eludere le ulteriori domande, ma si trovò costretto a essere franco. Le disse che Mamoru si era effettivamente comportato in maniera strana, aveva ballato con alcune ragazze, ma non aveva notato da parte sua alcun interesse, piuttosto sembrava a disagio. Secondo lui il ragazzo covava una sottile voglia di essere uguale agli altri, per questo si era adeguato agli atteggiamenti dei loro coetanei. Aggiunse di sfuggita di non preoccuparsi per quello che aveva detto Hiro: Michiru, a quel che lei stessa gli aveva fatto capire, non era interessata ai maschi.

-Oh-, disse soltanto Ami, poi si concentrò sulla domanda fondamentale che voleva porgli: -Dobbiamo continuare con la pagliacciata di Mamo-chan e Usako o possiamo smettere?-

-Ma certo che continuiamo!-, le rispose Motoki, aprendosi in un sorriso, -Preparati, perché oggi guiderò più veloce di ieri!-, così rispose anche all'altra domanda che ancora Ami non gli aveva posto.

 

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-Io dietro a te non voglio tornarci-, disse Usagi in tono serio.

-Allora convinci una delle tue amichette a fare a cambio-, le rispose Mamoru, montando in sella, -Io non mi metto di certo a piangere-, borbottò. Era ancora turbato dagli eventi del giorno prima, ma soprattutto dall'ennesimo sogno che l'aveva torturato dopo poco che aveva preso sonno, quando, insieme ai suoi compagni di stanza, era andato a dormire dopo aver tenuto la testa sotto l'acqua fredda del lavandino, per cercare di riprendere un po' di lucidità. In quell'ultimo capitolo del suo incubo a puntate era stato consapevole di non esistere più; nonostante ciò era riuscito a percepire la donna che torturava le sue notti mentre piangeva e si disperava per averla abbandonata. Aveva udito la sua preghiera, anche lui aveva sperato di poter ritornare da lei, e rinascere nel suo nuovo e solo amore e poi era stato svegliato da qualcuno che saliva le scale e apriva l'acqua nel bagno vicino alla loro camera.

Osservò Usagi implorare Minako di farla andare in macchina con Naru e vide la bionda che indicava la sua minigonna di jeans, non sapendo come fare ad allargare le gambe per salire su una moto; vide Kenzo in imbarazzo e Makoto rifiutare, sebbene con dispiacere. Non provò nemmeno a chiedere a Rei e quando si avvicinò ad Ami, già in sella, Motoki mise in moto e uscì dal garage lasciandola con un palmo di naso. La ragazzina si guardò attorno, vide solo volti spensierati, si girò verso di lui e abbassò lo sguardo, rassegnata. 

Fu come se l'avesse schiaffeggiato di nuovo. Mamoru si sentì colpevole per quello che era successo la sera prima, gli tornò in mente lei, piccina, raggomitolata sul letto di Ami e terrorizzata da chissà quale incubo. E poi rivide una cicatrice che non esisteva. Scosse la testa per cancellare quell'immagine. Uno a uno i loro amici misero in moto e iniziarono a uscire; erano rimasti solo loro due.

Mamoru sfilò il casco quando Usagi gli fu vicino e la guardò dritta negli occhi. Inaspettatamente la ragazza non disse nulla e sostenne il suo sguardo, per attimi lunghi come l'eternità.

-Perdonami, Usako-, le disse Mamoru.

Perdonami perché non meriti le mie prese in giro, perdonami perché ti ho vista soffrire e non ti ho aiutata, perdonami per averti spaventata toccando la tua pelle, perdonami perché ieri ho rinnegato me stesso pur di non pensare al fuoco che ho provato in quel momento e ho lasciato che altre mani cancellassero quella sensazione.

-Anche tu, per favore Mamo-chan-, gli sorrise, infilò il casco sopra ai capelli sciolti e montò in sella, aggrappandosi a lui.

 

Perdonami, Usako, perché ho permesso che accadesse…

 

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La spiaggia di Ithogaya quella mattina era decisamente più affollata del giorno precedente, l’angolino all’ombra dove Mamoru e Usagi si erano sistemati al loro arrivo il giorno prima era già stato occupato. Dopo aver valutato la situazione, Hiro e Yuichiro tornarono alla piccola vettura e si armarono di ombrelloni e stuoie per creare un piccolo accampamento al sole. In breve tempo avevano occupato un’area sufficientemente larga per permettere a tutti di stare seduti in cerchio sui loro teli o, a turno, di riuscire a riposare un po’ senza scottarsi, come avevano fatto i due scellerati il giorno prima.

Usagi per prima cosa si fece aiutare dalle sue amiche a proteggere la pelle con il filtro solare, se ne mise così tanto che avrebbe potuto rimanere a rosolare per ore sotto al sole un po’ in disparte rispetto alla distesa di teli protetta dagli ombrelloni. Non aveva molta voglia di rimanere vicina agli altri, la nottata non era stata ristoratrice e la sensazione di perpetuo stordimento che provava era sempre lì. Prima di uscire di casa aveva preso al volo il primo libro trovato nel suo zaino, era il momento ideale per usarlo come diversivo contro chiunque avesse voluto mettersi a chiacchierare con lei. Si stese in un angolo remoto e iniziò a leggere, o almeno a fingere di farlo. Udì perfettamente le sue amiche Sailor che la invitavano ad andare in perlustrazione oltre la scogliera e Naru che, non distante, scambiava paroline dolci con Umino; vide con la coda dell’occhio i due ragazzacci del loro gruppo andare all’attacco di un paio di signorine poco distanti e gli ultimi tre che si erano messi a chiacchierare seduti sulla battigia.
Era quasi sola: meglio, avrebbe potuto smettere di far finta di leggere e concentrarsi su quello che avrebbe dovuto fare per dipanare la matassa dei pensieri che la confondevano.
Fino a quando, a colazione, non era stato detto che Mamoru aveva “combinato qualcosa” in discoteca, lei era stata bravissima a ignorarlo, come le aveva suggerito Makoto, ma quelle parole avevano acceso la miccia dentro di lei ed era stata punta dalla voglia irrefrenabile di piangere o di spaccargli qualcosa in faccia.
Non l’avrebbe mai ammesso davanti a nessuno, ma era andata proprio così: e allora, per non dare seguito a quella folle sensazione, aveva attaccato, come suo solito, e aveva iniziato a sbeffeggiare il ragazzo. Se non riusciva a ignorarlo, almeno avrebbe potuto ferirlo e così aveva cercato di fare.
Le sue scuse erano arrivate inattese: lei si difendeva cercando di fargli del male, lui invece aveva sotterrato l’ascia di guerra e le aveva chiesto perdono. Non era giusto: lei non ce la faceva a ignorarlo, arrabbiarsi, concedere le scuse e non sentirsi a sua volta in colpa. Doveva razionalizzare quello sconquasso che la stava cogliendo dal giorno prima. Doveva riflettere in solitudine e tranquillità. 

Non passarono due minuti che cedette al sonno e di nuovo i sogni strani che continuava a fare tornarono a farle visita.

 

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Yuichiro aveva voluto mettere in chiaro alcune cose fondamentali con Motoki e Mamoru: primo, non sarebbero tornati al “Tazuki”, né da soli né tantomeno con le ragazze, che oltretutto non avrebbero potuto entrare, anche se era stato evidente che la sera prima ce ne fossero anche di più giovani di loro. Secondo: lui non si sarebbe ritenuto responsabile se qualcuno si fosse cacciato in pasticci strani di natura sentimentale o pratica, relativamente a una moltitudine di opzioni che spaziavano dal fare “cose sconce” al “distruggere le mie moto”. In realtà non gliene importava granché di moto, scooter e quant’altro, ma non voleva trovarsi in mezzo a beghe con la sua famiglia. Ma soprattutto voleva che uno come Hiro si tenesse alla larga da Rei e aveva bisogno che gli altri due minimamente più assennati lo aiutassero.

Terzo, ma assolutamente “primo” nella sua scala delle priorità, voleva che Rei fosse trattata come la padrona di casa. E controllata.

-Mi sembra una cosa sciocca-, dichiarò Motoki, che si stava iniziando a seccare di vedere quel povero Cristo pendere dalle labbra della ragazza, -Oltretutto non credo proprio che a lei farebbe piacere-, si sforzò di farlo ragionare.

Mamoru, dopo qualche minuto e senza aver proferito parola a riguardo, preferì allontanarsi da quei discorsi che gli stavano facendo venire l’orticaria e tornò agli ombrelloni, adocchiando Usagi intenta a leggere qualcosa. Quando fu più vicino si rese conto che dormiva; alzò le sopracciglia e si sedette all’ombra non lontano da lei. Anche se avevano fatto una presunta pace, non le piaceva l’idea di starle vicino, ma aveva bisogno di un po’ di quiete e di raffrescarsi un po’, prima di entrare in acqua.

 

Usagi si svegliò di soprassalto come per un pericolo imminente e si rese conto di essersi addormentata con la testa sul manga che stava leggendo. Si sollevò appena per scandagliare lo spazio attorno a sé e vi trovò l’ultimo che avrebbe voluto fosse in zona. Nonostante le sue parole, le era rimasta in gola l’indomita voglia di trattarlo male, perché era certa che fosse stato lui la causa del suo sonno agitato e non le andava giù quella sensazione pungente agli occhi che aveva provato a colazione per causa sua. Il ragazzo stava disteso sulla schiena, in equilibrio sui gomiti, a qualche metro da lei e guardava gli amici giocare a pallone in acqua, sembrava sorridere.

-Perché li guardi e basta?-, il suono della sua voce le parve troppo aggressivo, ma ormai aveva parlato. Mamoru alzò ancora le sopracciglia come unica risposta. Qualcosa nel tono dell’amica gli era parso carico di rabbia.

-Quindi?-, di nuovo Usagi aprì bocca, era evidente che non avesse gradito trovarlo lì al suo risveglio, segno che le scuse reciproche non avevano sortito l’effetto sperato. Quando, a colazione, lo aveva irriso con la storia delle sue conquiste, Mamoru aveva pensato che si sarebbe calmata nel momento in cui lui aveva appoggiato la sua richiesta di tornare su quella spiaggia, ma si sbagliava. Se c’era qualcosa che lo faceva irritare era proprio il non sapere perché qualcuno gli fosse nemico e Usagi sembrava proprio volerlo fare arrabbiare. Perché era così lunatica? Si stava comportando bene, perché il suo tono era di nuovo ostile?
-Mi fa fatica, vacci tu.-

 

Che risposta era? Sgarbato che non era altro!  Usagi trattenne un moto di rabbia. Makoto aveva ragione, forse la cosa migliore era ignorare la sua esistenza e basta.

-Fa fatica anche a me, ma se vuoi che ne me vada, potrei accontentarti!-, ci pensò un attimo, -Anzi, no. Io rimango qua. C’ero da prima di te!-

Mamoru si voltò verso di lei, scuro in volto: -Si può sapere cosa ti prende? Che ti ho fatto?-, domandò senza nascondere l’esasperazione. Usagi soffiò via l’aria dalle narici e si voltò dall’altra parte. Lo avrebbe ignorato, come diceva Makoto.

 

La protagonista del suo manga si era trovata a un bivio: accettare la corte di quel ragazzo sconosciuto senza farsi domande oppure indagare sul suo passato? Con una domanda simile, ma relativa a Mamoru, Usagi si era addormentata, poco prima. Lui aveva fatto conquiste in discoteca? Lui? Era certa che Mamoru non potesse essere il tipo di persona che “faceva conquiste”, perché per fare conquiste occorreva metterci la faccia e lui non aveva il coraggio di mettere la faccia in nulla, ecco cos’era. Sicuramente era stato uno che non aveva mai avuto neanche l’ombra di una ragazza “seria”, perché Mamoru era soltanto un codardo, uno che lanciava il sasso e nascondeva la mano. Uno bravo a chiedere scusa e a farla sentire inadeguata, come aveva fatto prima di uscire di casa, ma di sostanza non c’era nulla.

Non me ne deve importare di lui, devo ignorarlo.

Quella vocina nella sua testa era veramente sgradevole e la voglia di ricominciare ad azzuffarsi con lui era più forte. Si sforzò di rimanere calma e immobile e pensare a qualunque cosa non lo riguardasse.

 

Come poteva essere possibile che Mamoru Chiba, uno così scontroso e a tratti spaventoso, potesse aver avuto anche una sola ragazza prima di allora?
Una volta entrato in testa, quel tarlo non se ne voleva andare.

 

Ignoralo.

 

Cos’aveva di così speciale per aver attratto la bella Michiru? Cosa avevano fatto in discoteca quei due? E perché quell’idea le aveva fatto così male?

 

Ignoralo.

 

E prima di lei? Esclusa Rei, aveva mai potuto avere una relazione vera, uno come lui?

 

Ignoralo!

 

Mamoru era stanco di fare un errore dietro l’altro, voleva godersi quella vacanza senza troppi pensieri. Era stato un idiota a comportarsi come aveva fatto con Usagi, ma era stanco di sostenere ancora quella parte. Le aveva chiesto scusa, non bastava? Si sforzò di mantenere i nervi saldi e tentare di avere un dialogo con lei.

Usagi si rese conto che Mamoru si stava muovendo nella sua direzione. Ecco, com’era possibile che uno insistente così avesse potuto allacciare un rapporto normale con una ragazza! La doveva lasciare in pace! Non era complicato da capirsi, su Mister Chiba, arrivaci!

 

Ignoralo, per Dio!

 

-Cosa frulla nella tua Testolina Buffa, Testolina Buffa?-, Mamoru apparve al contrario ai suoi occhi, in piedi vicino alla sua testa la sovrastava incombendo come un orologio a cucù sopra di lei. Il tono che aveva usato era del tutto diverso dall’ultima volta che le aveva rivolto la parola, pochi minuti prima, lo avrebbe definito quasi amichevole. Quindi Mamoru insisteva nel voler fare pace con lei, nonostante lo avesse trattato male e ignorato… perché? Se non la lasciava un po’ in pace lei non ce la poteva fare a ignorarlo davvero! 

Avrebbe dovuto essersi alzata da lì prima, invece di stare a rimuginare su cose di così scarso interesse. Alla larga dal baka! Perché invece di scappare era rimasta a porsi quelle domande, cosa gliene importava? E soprattutto, perché quel nomignolo che aveva tanto odiato, in quel momento, l’aveva fatta illuminare per un attimo? Ce l’aveva Mamoru un nomignolo per Michiru o tutte le altre?
Per un attimo le parve di essere un libro aperto su cui lui avesse potuto leggere i suoi pensieri e si vergognò. Non poteva più accettarlo. Di nuovo sentì la sua natura litigiosa venire a galla dopo averle messa a tacere con difficoltà, quello era l'effetto consueto che le faceva la vicinanza di Mamoru Chiba. Le cose non erano poi sostanzialmente cambiate, se ne compiacque: se avvicinarsi a lui doveva sconvolgerla, forse la via migliore per sopravvivere nello stesso spazio in sua presenza era unicamente comportarsi come era sempre accaduto.

-Pensavo a te, baka del mio fegato!-, gli rispose irrigidendosi e mettendosi a sedere a gambe incrociate davanti a lui, ribaltando così quella prospettiva alla rovescia.

-Che onore!-, anche lui sedette al suo fianco ed entrambi si trovarono spalle al mare; a un osservatore esterno sarebbero parsi quantomeno pittoreschi, lei con quei capelli talmente lunghi e biondi che, oltre ai suoi soliti odango, aveva legati a formare dei fiocchi di lati della sua testa, col risultato di apparire più simile ad un grazioso cocker spaniel che a una ragazza e lui, con la sua schiena a chiazze rosso peperone ornate da graffi ancora più rossi, entrambi rivolti all'opposto di tutti gli altri bagnanti.

-E… potrei sapere cosa stavi pensando, se non è troppo disturbo?-, domandò Mamoru girandosi dalla parte del bagnasciuga. Un sorriso beffardo si stava allargando sul suo volto. Se voleva avere un qualsiasi rapporto civile con Usagi, doveva essere incivile, era quella la verità.

-È di troppo disturbo, ma ti accontenterò lo stesso-, quando faceva così, Usagi sembrava un fucile a cui si fosse tolta la sicura; decise di essere franca e di metterlo al corrente di tutto quello che le passava per la testa, dal momento che erano cose che non le interessavano.
-Mi domandavo, così per ammazzare il tempo, se uno come te abbia avuto mai una ragazza, nella sua 'emozionante' vita, visto che sei stato bravo a fare conquiste ieri sera-, il tono era vagamente acidulo. Aveva promesso di rimanere nei confini della decenza e di non dare a vedere quali fossero i suoi pensieri, ma era talmente tanto abituata a quel modo di rapportarsi a lui, che proprio non le riusciva. Il punto era che non dipendeva soltanto dalla antica abitudine di litigare di continuo, c'era qualcosa che continuava a pungere come una piccola piuma infilata in una manica, invisibile, ma noiosa, qualcosa che invece del braccio continuava a pungere appena appena il suo cuore.

Mamoru alzò le sopracciglia, forse sarebbe stato meglio se non avesse insistito per conoscere i suoi pensieri: tra tutti gli argomenti che detestava, quello relativo alle sue storie amorose senza dubbio stava sul podio. Parlarne con lei, poi, vinceva la medaglia d'oro di quello che non avrebbe mai voluto fare. Sbuffò con tanta veemenza che avrebbe potuto spegnere in un colpo solo tutte le candeline di una torta di compleanno di mezzo secolo. Si era illuso davvero in una tregua duratura?

-Wow! Ho toccato un nervo scoperto?-, insinuò Usagi, spingendosi indietro dai talloni per guardare in faccia il ragazzo.

-Ma cosa dici!? Un nervo scoperto!-, tentò di ironizzare lui, -Non ho alcun nervo, io.-

-Questo lo intuivo, soprattutto quelli che dovrebbero stare dalle parti del tuo cervello-, continuò a prenderlo in giro la ragazza, gongolando in cuore suo per la sfilza di centri che stava facendo nel consueto lancio delle battute più pungenti, neanche fossero state freccette al cianuro.
Ecco: quando si bisticciavano lei stava bene, non avrebbe rinunciato a quella sensazione, decenza o no, consigli di Makoto o no. Eppure quella piuma pungeva ancora e pungeva di più a ogni sua presa in giro, come se ferire lui, da qualche tempo, fosse stato come ferire se stessa.

-Oggi siamo particolarmente cariche, Vostra Idiozia!-, Mamoru si sforzò di portarla su un'altra strada per glissare sull'argomento che non voleva affrontare. In realtà aveva scoperto di preferire un rapporto più civile con Usagi, ma era stata lei per prima passare all’attacco.
Prima Umino, poi Motoki, dopo lei: ma cosa avevano tutti che volevano farsi gli affari suoi e scandagliare il suo passato?

-Messer Nervo Scoperto, io sono sempre carica: è solo il suo smisurato ego che non vede quale maestria questa dolce fanciulla possa mostrare!-, caspita se era carica quella mattina, parlava pure in linguaggio aulico!

-Dunque, sentiamo, hai mai avuto una ragazza? Quante? Chi? Che fine hanno fatto?-, Usagi tornò alla carica come fosse stata un escavatore rimesso in moto dopo la pausa pranzo, -Anche se io credo proprio di no: chi mai vorrebbe essere la ragazza di uno zombie sottaceto!?-
Si sarebbe tolta la curiosità e avrebbe archiviato quelle elucubrazioni mentali, il tutto prendendo in giro Mamoru e sentendosi più energica di prima: aveva fatto bene a vuotare il sacco!

-Ragazzina, non esagerare, ché poi mi tocca tirare fuori l'arsenale-, minacciò lui, messo alle strette. Non voleva parlare di quell'argomento, non con Usagi: non temeva altri sberleffi, solo non voleva farlo perché era sicuro che avrebbe fatto un po' male a entrambi.

Usagi si spostò ancora e si sedette sui talloni davanti a lui, -Quindi? Sì/No, quante, chi?-

Doveva rispondere, una qualunque baggianata, ma avrebbe dovuto farlo o quell'interrogatorio non avrebbe avuto fine.

-Certo. Quante e soprattutto chi non sono affari tuoi-, cercò di essere il più risoluto possibile, perché un conto era mentire, un conto inventare di sana pianta circostanze e persone non esistenti. Eh già, perché lui, e ne era ben consapevole, a parte un certo flirt con Sailor Moon e quell'indimenticabile bacio, non aveva mai avuto alcuna ragazza. Ci avevano provato in molti a trovargli compagnia, ci avevano provato in molte con lui, perché era gentile, di bell'aspetto e serio, ma lui non aveva mai voluto combinare nulla con nessuna di loro. Il suo cuore era spezzato almeno in due parti e ciascuna di esse languiva per qualcuna che non avrebbe mai raggiunto, quindi perché mettere altra carne al fuoco e impazzire del tutto?
Una volta perfino la sorella di Motoki aveva cercato di conquistarlo, anche se era abbastanza fidanzata con un altro e lui le aveva detto un semplice 'no grazie scusa, prego, avanti un altro'.
Confessare a una come Usagi che non aveva mai avuto una ragazza sarebbe equivalso a darsi la zappa sui piedi e regalare a lei un argomento per prenderlo in giro da allora fino alla fine dei suoi giorni da vecchio scapolo impenitente, per sempre in attesa di una ragazza magica che non se lo filava più da lustri e lustri.

-'Certo' vuol dire sì? Che hai avuto una o più ragazze?-, voleva essere sicura della risposta ricevuta.

-E tu ce l'hai avuto almeno un ragazzo? Se escludiamo il povero Umino, che grazie a Dio è rinsavito e ha trovato una vera ragazza, chi altri al mondo ha mai mostrato interesse per te?-, troppo, troppo acido, fu il primo a riconoscerlo, ma era stato messo sotto scacco e doveva difendersi.

Usagi divenne rossa dalla rabbia, caricò il suo fucile, ma poi si disse che avrebbe dovuto resistere, se avesse voluto avere delle risposte, -Almeno uno esiste e non ti dirò chi, perché tu non sei degno neanche di legargli i lacci delle scarpe-, e con quello la signorina aveva chiuso la sua deposizione.
-Adesso dimmi di te-, fece un faccino dolce, con quell'acconciatura poteva ricordare Lilly, la cagnolina Disney, -Ma occhio a essere sincero, perché io chiederò conferma ai miei informatori segreti!-, mosse le mani come un burattinaio di invisibili pupazzi.

-Motoki è abbondantemente informato su cosa può rispondere e cosa no-, la anticipò, ma bluffava.

-Allora?-, due grandi azzurri e inquisitori erano puntati su di lui.

-Sì…-, confessò, Usagi si rese conto troppo tardi che non voleva sentire quella risposta, -... e no.-
Con un sorriso strafottente, Mamoru tacque. 

Cosa voleva dire quella risposta!? Era un sì o un no? 

-Non pensare troppo, il tuo cervellino potrebbe andare in fumo!-, attaccare, colpire e scappare. Mamoru avrebbe fatto così.

Usagi non parlò, il suo viso perse espressione. Lo guardò con attenzione, sbatté due volte le palpebre, lentamente, -Il mio cervellino non è soddisfatto-, disse. Si sarebbe fatta del male, ma voleva tutta la verità.
Mamoru increspò la fronte, una ruga profonda si dipinse in mezzo agli occhi blu, -No. Non ti dirò altro, sono cose personali-, il tono che usò mise fine a quei discorsi. Si alzò e rimase ritto vicino a lei, guardandola dall’alto in basso.

 

Grazie.

 

Era meglio così. Usagi deglutì, non avrebbe continuato quei discorsi, sentiva che le facevano male e poi lei doveva ignorare Mamoru, no? Prese aria e si concentrò sul ricordo dell’attimo in cui lui le aveva chiesto scusa, prima di uscire di casa. Quella versione di Mamoru era migliore, tornare a stuzzicarlo per provare la scarica combattiva che pensava la facesse star bene non era una buona scelta. Prese l’ascia e la sotterrò anche lei.

-D’accordo: non mi impiccerò più di quella che è la tua vita sentimentale, non ti prenderò più in giro se ci provi con qualcuna e non morirò dal ridere se vedrò che stai baciando una ragazza. Sei libero di spassartela, Mamo-Chan!-

Mamoru rimase in silenzio per un attimo, quelle parole suonavano come una totale rinuncia a qualsiasi cosa avrebbe potuto esserci tra loro, come se ci fosse stato qualcosa che avesse dato a intendere che potesse esistere un “loro”! Era una dichiarazione di armistizio senza alcun secondo fine. Fine della guerra, inizio dell'amicizia. Soltanto amicizia.
Prese aria.

-D’accordo, e io mi limiterò a divertirmi mentre ti renderai ridicola cercando di conquistare il tuo “pollo d’oro”, ma prometto che non ti dirò niente! Lascerò che tu faccia tutto da sola!-, le scompigliò i capelli, fece un sorriso tirato e le strinse la mano, guardando il suo nasino arricciarsi prima che esplodesse in una nuova offesa. Ma Usagi non aggiunse altro, accettò la pace a sua volta stirando la bocca in un sorriso e piegando la testa in una specie di segno d’intesa.

Mamoru si voltò verso l’oceano, fissando la linea dell’orizzonte, tanto netta quanto lontana. Avrebbe voluto essere laggiù, non pensare, lasciare che il respiro del mare portasse lentamente via le ultime parole che si erano detti. Rimase per un po’ in silenzio, ascoltando i rumori della spiaggia.

Quindi avrebbero ricominciato cercando di essere solo amici.

Gli dispiaceva? Non avrebbe saputo rispondere in onestà, ma aveva apprezzato lo smorzamento della tensione tra loro due e la possibilità di tornare a comportarsi con lei in modo più spontaneo. Senza alcun tipo di implicazione sentimentale tra loro, cosa che in effetti non era mai esistita, le cose sarebbero state più semplici. In fondo aver messo in chiaro che entrambi erano liberi di fare quello che volevano senza incorrere in prese in giro da parte dell'altro avrebbero facilitato la vita di tutti. Quindi si sarebbe sforzato di comportarsi come un amico, senza farla arrabbiare troppo, ma senza rinunciare a un po' di sano divertimento.

Ma Usagi, come mai aveva detto proprio quelle cose e gli aveva fatto tutte quelle domande, poco prima? In fondo non c'era mai stato nulla tra loro due… forse voleva sentirsi libera di avvicinarsi a Motoki o qualcun altro senza il terrore che lui la prendesse in giro di continuo? 

Mamoru decise di affrontare la mattinata con un pensiero in meno, ma c’era qualcosa che tremava dentro di lui. Con un cenno del capo si congedò e andò a fare il bagno.

-Aspettami-, Usagi lo stava seguendo armata di maschera e boccaglio, ne aveva presi anche per lui, -Voglio farti vedere una cosa bellissima!-, le nubi parevano essersi diradate in un batter d’occhio dal suo viso, che era tornato allegro come al solito. Lui non pose alcuna obiezione e, semplicemente, la seguì. 



 

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La barriera corallina, con maschera e boccaglio, era qualcosa di spettacolare. Piccoli pesciolini gialli nuotavano in banco entrando e uscendo dagli scogli invasi dai coralli e gli anemoni lasciavano che le correnti facessero fluttuare i loro sottili tentacoli.

Usagi controllò verso la sua sinistra, Mamoru era ancora là, vicino a lei. A destra ecco che anche Makoto e Motoki non si erano allontanati.

Prese una bella boccata d'aria e si immerse: le stelle marine le avrebbe lasciate dove stavano, ma aveva adocchiato una conchiglia troppo bella per non raccoglierla. Allungò la mano, scendendo più giù, ma la conchiglia era troppo in basso per raggiungerla, la sua traiettoria iniziava a scomporsi. In un turbine di bollicine fu sorpassata da Mamoru, che riuscì ad andare più a fondo e afferrarla. Risalì in superficie un attimo dopo di lei, sollevò la maschera e le sorrise: -Tieni-, le disse e le passò la conchiglia, sfiorandole la mano. Usagi era felicissima, -Fgazie!-, trillò attraverso il boccaglio e lo strinse in un abbraccio, facendolo bere.

-Mi ringrazi facendomi affogare, Testolina Buffa?-, rise e gli parve che il cielo fosse un po' più blu. 

Motoki si scambiò un'occhiata con Makoto, quindi le fece cenno di allontanarsi. La ragazza indugiò un attimo di troppo, non era certa che Usagi avesse piacere di rimanere da sola con Mamoru, non dopo aver parlato con lei la sera prima. -Andiamo?-, la chiamò Motoki, lei scrollò le spalle e lo seguì.

 

Mamoru li guardò allontanarsi, ben consapevole che sarebbe rimasto di nuovo solo con Usagi: realizzò solo in quel momento che era una cosa che gli faceva paura. Nonostante si fosse comportato gentilmente e le avesse addirittura fatto un regalo, c’era qualcosa che non andava in quella quiete che parevano aver raggiunto in un così breve tempo. Usagi era stata schietta, basta liti. Lui aveva inteso altrettanto chiaramente “cerchiamo di essere amici”, gli andava bene, in fondo, ma per tutto quel tempo aveva continuato a sentire quel tremore come fosse stata brace sfrigolante sotto un letto di cenere. Qualunque direzione prendesse, qualunque convinzione si fissasse in testa, non riusciva a scrollarsi di dosso quel senso di inquietudine.

 

Agli occhi esterni, tra Mamoru e Usagi, pareva fosse scoppiata una pace mai esistita. I più malpensanti, Rei in testa per un motivo, Ami per un altro, vedevano quella condizione come l'occhio del ciclone, pronto ad abbattersi di nuovo sulla loro vacanza.

 

Quando due, un ragazzo e una ragazza, dichiarano di essere amici "senza secondi fini", inizia un periodo rosa in cui scambiano per gentilezze ogni dettaglio. Un periodo in cui si avvicinano tanto, ma proprio tanto, al punto di essere confusi per una coppia felicemente accoppiata. Ma gli occhi, gli occhi raramente mentono e quel tremore ogni tanto si poteva scorgere sotto le lunghe ciglia del ragazzo.

 

-Ma allora si sono messi insieme?-, domandò esterrefatto Hiro, scorgendoli uscire dai flutti mano nella mano. Ignorava che Usagi era sfinita per le sue rocambolesche immersioni e che si era punta con un riccio sotto al piede, sfiorando uno scoglio affiorante nella sabbia sottile. E quando, da lontano, aveva visto Usagi buttarsi sulla battigia e Mamoru inginocchiarsi davanti a lei accarezzandole un piede, non aveva avuto più dubbi: -E bravo il nostro Mamo-chan, che fa i massaggi erotici alla sua coniglietta!-, aveva asserito, nello sbigottimento generale.

Gli altri non avevano proferito parola, osservando meravigliati al pari suo il giovane trasportare Usagi tra le sue braccia come se fosse stata una sposa, fino al loro accampamento.

Non si erano quindi stupiti quando lei, dopo un po' che dormiva, ormai al sole, era stata messa in sicurezza dal ragazzo, che aveva inclinato l'ombrellone perché lei rimanesse in ombra, né quando Mamoru disse che sarebbe andato a fare un'altra nuotata. In fondo doveva raffreddare i bollenti spiriti!

Né si scandalizzarono quando due bambine gli si affiancarono chiedendogli se "avesse potuto svegliare la sua principessa con un bacio", come se si conoscessero già.

 

-Incredibile-, fu l'unico commento che provenne dal gruppo delle ragazze, per bocca di Minako.

Motoki, seduto tra Ami e Makoto, si era goduto tutte quelle scenette come un padre guardi salire all'altare sua figlia. C'era un'altra cosa che lo aveva turbato quella mattina e il pensiero di non doversi più occupare di fare da cupido lo aveva rasserenato: suo fratello Kenzo si comportava in modo strano, non sembrava quasi più lo stesso e questo era un fatto preoccupante. Sembrava estremamente cortese nei confronti di chiunque, non aveva ancora detto una sola parolaccia e si stava prodigando per aiutare Naru e Umino nella costruzione di un castello di sabbia. Inoltre era rimasto perplesso da quello che il suo amico Hiro gli aveva confidato essere successo la notte stessa: Kenzo aveva prima dato la caccia a un presunto ladro sul tetto di Villa Kumada, poi era parso essersi dimenticato della cosa. A essere onesti, Motoki sospettava che quella fosse tutta una storia scaturita dalla sonora sbronza che Hiro si era preso al "Tazuki", ma non volle indagare per non allarmare Yuichiro né le ragazze.

Ma la cosa che più di tutte aveva infastidito Motoki, era stata la gentilezza con cui Kenzo aveva trattato Makoto e la conseguente reazione della ragazza, che sembrava entusiasta e, in una parola, innamorata persa di suo fratello. E quindi, mentre con gli occhi guardava Usagi andare a prender marito e se ne compiaceva, dall'altra provava una sottile ma strisciante invidia per quello che suo fratello sembrava stare costruendo con Makoto, mentre lui, ignorantemente, aveva l’aveva lasciata scivolare via come sabbia tra le mani. 

-In effetti sono proprio carini-, disse la ragazza sovrappensiero, avvicinandosi pericolosamente a lui.

-Già…-, fu la sua eloquente risposta e, ancora più eloquente, fu la sua riluttanza nel non seguirla sul bagnasciuga assieme al fratello.

Dopo un po' si alzò e raggiunse gli altri in mare, il sole era alto, la giornata sarebbe stata ancora molto lunga.

 

 

---

 

Anche il momento del pranzo andò oltre le più rosee aspettative di tutti: quella mattina, mentre gli altri finivano la colazione, Makoto aveva preparato dei sandwich al salmone e una goduriosa insalata di frutta mista e semi. Pranzarono seduti in cerchio sugli asciugamani, all'ombra di alcuni cespugli e nessuno prese in giro nessun altro, né ci furono scenate per immotivati gesti servili o infantili. Era il terzo giorno di vacanza: che tutto fosse proseguito nella dovuta calma che quell'isola ispirava?

 

E poi, puntuali come il temporale del tramonto nelle località afose, comparvero dalla strada sterrata che portava alla spiaggia, Haruki e Michiru, splendidi nei loro abiti leggeri firmati e scintillanti come pietre preziose.

Come il viandante volta lo sguardo verso la tempesta, dodici paia di occhi si voltarono verso di loro, appena li scorsero, chi felice di rivederli, chi infastidito.

-Eccoli, l’avevo detto!-, annunciò Hiro, alzandosi per andare loro incontro. Li fecero accomodare in mezzo a loro per fare le presentazioni ufficiali.

-Piacere, Ami-, disse la ragazza con voce tirata; -E infine questa è Usagi, ma la conoscete già-, concluse Kenzo, al termine del giro di saluti.

-Certo, non dimenticherò mai il nostro primo incontro-, Haruka fece l'occhiolino alla ragazza mentre le porgeva la mano e si gustò il lieve rossore fiorito sulle sue guance. Non contenta, lanciò un'occhiata in tralice a Mamoru, che non batté ciglio. Lei e Michiru dovevano stare molto attente a non turbare ulteriormente i piani di un destino già visto da Pluto, che le avrebbe portate alla distruzione. Non era dunque corretto puntare sulla gelosia, dato che era parso loro che già fosse germogliato il seme dell'amore tra Usagi e Mamoru?

Attese un po', sorvolando qualsiasi argomento spinoso con la dovuta cautela, finché fu proprio il suo futuro Re a domandargli, in un tono intraducibile, se "il furto" che gli aveva fatto la notte prima avesse portato a qualcosa di concreto. Si riferiva alla ragazza che aveva provato a infilargli una mano nei pantaloni, da cui lui era scappato e che un attimo dopo si era avvinghiata ad Haruki. Notò Usagi lasciare in sospeso una frase e voltarsi nella loro direzione, avrebbe potuto incenerire qualcuno con il suo sguardo.

-Si può rubare soltanto qualcosa che è di qualcun altro-, rispose serafica Haruka, poi ammise che aveva concluso la serata caricando in auto non una pollastrella, ma due polli che erano stati lasciati soli proprio da lui, Motoki e Yuichiro.

-Ancora infinite grazie, Haruki-San, ci saremmo sicuramente persi se non ci aveste dato un passaggio!-, ammise Kenzo, e Ami comprese come mai un'auto le era parsa ripartire nella notte da casa loro, poco dopo che aveva visto rientrare Kenzo e Hiro.

-È stato un piacere passare del tempo con voi-, gli rispose Michiru.

Per un po', ad Haruka e Michiru parve di giocare una difficilissima partita a scacchi: dovevano abbattere una a una le pedine intorno per puntare a fare scacco al re e alla regina, contemporaneamente. Non era facile, soprattutto perché non riuscivano a capire in che squadra giocassero quel re e quella regina. Quando fu proposto di fare il bagno, una volta digerito il pranzo leggero, fu fatto però scacco all'alfiere. Haruka inventò una scusa per non seguirli, non poteva di certo spogliarsi e maledisse in ostrogoto la copertura che non doveva far saltare, eppure la sua dedizione al dovere sortì inattesi e interessanti effetti.

-Non lo faccio nemmeno io il bagno, facciamo una passeggiata Haruki?-, domandò Usagi. Alla giovane venuta al futuro parve una frecciata in risposta a quello che si erano detti lei e Mamoru poco prima.

-Resto con voi-, si affrettò ad annunciare proprio Mamoru, con la faccia di quello che a poker chiedeva di vedere le carte.

Sul principio Haruka valutò se andare ad affogarsi da sola, poi decise che si sarebbe giocata una carta veramente sporca. Porgendo la mano a Usagi per aiutarla ad alzarsi da terra, la tirò verso di sé per bisbigliare velocemente al suo orecchio.

-Scappiamo? Ti va di fare un giro in moto dietro di me?-, e la sua Regina diventò di tutti i colori, avvampando fino alle orecchie, tentata eppur colpevole senza neanche aver dato risposta.

-Vi va di vedere questa spiaggia da un'altra prospettiva?- domandò quindi Haruki ad alta voce, al che Usagi annuì, un poco più convinta. -E allora andiamo, vestitevi-

-Dove dovremmo andare?-, Mamoru non riusciva più a contenere il disprezzo nella voce.

-Hai una moto, giusto?-, gli domandò il terzo incomodo e gli fece cenno di seguirlo. Si prepararono e tornarono al parcheggio polveroso dove entrambi avevano parcheggiato le motociclette, Haruki ne aveva una sportiva, all'apparenza più potente della Honda della famiglia di Yuichiro. Usagi sciolse i codini, prese il suo casco e lo indossò, rimanendo immobile nel mezzo ai due ragazzi, entrambi già in sella. Cosa doveva fare? L'imbarazzo la stava consumando e lei si sentiva avvampare dentro quel casco stretto e soffocante: accettare l'invito di Haruki e "tradire" Mamoru, oppure, dal momento che parevano aver fatto un patto di non belligeranza e si erano in qualche modo assicurati un legame di amicizia, valutare se a lui non sarebbe importato poi granché?

Michiru, apparsa dal nulla (ma non stava facendo il bagno?) risparmiò a Usagi una decisione in ogni caso pesante: fece un gran sorriso e annunciò che sarebbe andata insieme a loro; quindi, senza indugio, si avvicinò alla moto di Mamoru e -Posso? Vorrei provare un pilota diverso da mio fratello?-, domandò e montò dietro a lui senza attendere la risposta. Usagi guardò le lunghe gambe abbronzate della ragazza stringersi sui fianchi di Mamoru e le mani eleganti allacciarsi alla sua vita, con sicurezza. Sentì qualcosa aggrovigliarsi nel suo stomaco, montò sulla moto di Haruki accettando il suo aiuto e posò timidamente le  mani sui fianchi del ragazzo.

-Seguimi-, disse lui a Mamoru e fece rombare il motore, partendo.

 

---

 

Usagi non si reggeva così a lui quando la portava dietro di sé: a Mamoru fu subito chiaro che quel giro in moto lo avrebbe messo in profondo imbarazzo. Michiru lo stringeva in un modo quasi sensuale, le punte delle sue dita toccavano i suoi fianchi allungandosi davanti, solleticandolo sui muscoli addominali. Ogni tanto si muovevano seguendo l'equilibrio della ragazza, sembrava quasi un massaggio fatto di sfioramenti e tocchi leggeri. Gli stava tanto incollata alla schiena che, se da un lato ne percepiva tutto il calore e le forme schiacciate contro di sé, dall'altro era come non averla, perché riusciva a seguire senza porre alcun ostacolo i movimenti della moto. Le mani, in quella posizione profondamente intima, risalirono lungo il suo torace, e sentì che si stringeva all'altezza dei gomiti, lasciando le dita libere di compiere impercettibili movimenti. 

Michiru era ben consapevole di stare osando davvero tanto con il suo futuro Re, ma volle sentire il contatto con il suo corpo ancora per qualche istante. Era così diverso da Haruka, più muscoloso, troppo maschio per lei. Staccò le mani che erano quasi arrivate al petto del giovane quando il suo battito parve accelerare fino a un limite pericoloso e le appoggiò al serbatoio della moto. Lo sentì respirare più intensamente, forse un sospiro di sollievo.

 

Nell'attimo in cui la moto partì con uno strattone e Usagi, istintivamente, si strinse alla vita di Haruki e ne percepì sotto i polpastrelli le forme, oltre la camicia di lino, la sensazione che la colse fu solo la paura. Sembrava molto più esile di Mamoru, come avrebbe fatto a governare una moto così potente? L'adrenalina le diede una scarica di lucidità che le permise di concentrarsi sulle sue sensazioni. Il giorno prima aveva sentito il cuore battere forte alla visione di quel bellissimo ragazzo, eppure l'unico suo pensiero in quel momento era di salvaguardia per la sua incolumità. Durante il pranzo aveva avuto modo di pensare alla tregua che aveva sancito con Mamoru e si era arresa all’evidenza che le cose andassero bene così: non nemici, quasi amici e niente di più; in quel modo poteva arginare ogni possibile eccesso di rabbia o strane sensazioni non cercate. Bastava che rimanesse concentrata: un buon modo era stato fare tabula rasa dei suoi pensieri e tornare ad essere la solita Usagi pronta ad galvanizzarsi per ogni bel ragazzo comparisse ai suoi occhi o a sciogliersi come burro sulle frittelle per un sorriso di Motoki. Quando era apparso Haruki, si era sentita proprio così, euforica come il giorno prima, quasi avesse perso memoria di tutti i dubbi provati a causa di Mamoru, e, montando in sella dietro a lui era stata certa che avrebbe sentito le farfalle nello stomaco, eppure… no, le farfalle non c'erano e rimaneva solo uno stato di vigile attenzione per non cadere. Si arrese alla spiacevole sensazione di non riconoscere se stessa, perché l’Usagi che credeva di essere sarebbe stata entusiasta di quella situazione, mentre lei provò solo un disagio che culminò quando quando si rese conto che il ragazzo si spostava indietro sulla sella, annullando le distanze tra i loro bacini. Istintivamente fece lo stesso, balzando indietro e sbilanciando se stessa e tutta la moto. Haruki rallentò e in quel momento furono sorpassati da Mamoru. Usagi vide come Michiru le stava attaccata, con tutto il corpo premuto al suo e le mani avvinghiate sul petto, e le farfalle mai pervenute divennero ragni nel suo stomaco, ragni che mordevano senza alcun reale  motivo. Dovette ripetersi in testa che lei e Mamoru erano solo “quasi amici”. 

Haruki riprese ad accelerare e in due curve sorpassò di nuovo Mamoru e Michiru, solo per indicare loro di accostare in uno slargo a lato della strada; da lì  partiva un viottolo parzialmente nascosto dai rovi. Usagi schizzò giù dalla moto quasi fosse stata irta di spine e si liberò del casco, volgendosi immediatamente verso gli altri due: Michiru alzò la visiera e, prima di smontare, disse qualcosa a Mamoru, indugiando con la mano sul braccio del ragazzo. Lui sorrise: Usagi dovette di nuovo ricordare la promessa di amicizia che aveva fatto, non c’era motivo di provare disagio, no? E allora perché lo stava provando, porca miseria? 

Si concentrò sulle sue mani mentre riannodava i capelli, sforzandosi di non pensare a quella irritante sensazione che aveva appena provato.

-Sei sempre viva, Testolina Buffa?-, Mamoru si avvicinò a lei e le sorrise così dolcemente che ogni proposito di fare la guerra con quel baka che tutte sembravano poter toccare a piacimento evaporò dai pensieri della ragazza. C'era una sottile eco di imbarazzo, nelle sue parole, quasi si dovesse giustificare per non averle fatto da conducente. 

-Credo di sì-, gli rispose, -ma ho avuto paura…-, confessò alzando gli occhi verso di lui in una tacita richiesta di aiuto. Dietro Mamo-chan, anche quando avevano litigato, si era sempre sentita al sicuro.

-Dopo torni con me-, la rassicurò lui, -Se ti va-, aggiunse più tra sé e sé.

 

Il viottolo curvava dopo un grosso masso e iniziava a scendere; poco più in basso, oltre uno spuntone di roccia si mostrò sotto di loro la spiaggia di Ithogaya: da quella prospettiva effettivamente era meravigliosa, sembrava un piccolo gioiello azzurro e bianco incastonato nel verde della vegetazione esotica che la circondava. Tanti minuscoli puntini si muovevano dentro e fuori dall'acqua, macchioline di colore picchiettavano la spiaggia; nel lato più a nord si poteva scorgere la copertura in legno del bar in cui aveva incontrato Haruki e Michiru per la prima volta. Era passata una giornata soltanto, eppure Usagi non riusciva a realizzare come avesse potuto avere reazioni così contrastanti nei confronti del nuovo ragazzo. Prima era il principe azzurro, ma dopo quel giro in moto si stava ricredendo sulla gentilezza e nobiltà d'animo di quello che, fino a prova contraria, era innanzitutto uno sconosciuto e aveva guidato in maniera folle, al solo scopo di impressionarla.

"Sono andata in moto dietro a uno sconosciuto!", realizzò tutto d'un tratto e si sentì una traditrice nei confronti di quello che aveva promesso alla mamma prima di partire e di quelli che pensava fossero i suoi princìpi. D'accordo, era una ragazzina impulsiva e infantile, forse era davvero 'fatua' come diceva Makoto, ma non era una cattiva ragazza, a lei non sarebbe interessato di andare in discoteca e rimorchiare il primo che le facesse i complimenti! Insomma, lei era, credeva di essere, abbastanza seria da quel punto di vista e anche piuttosto attenta a…

-Posso, Mademoiselle?-, Haruki, in un mezzo inchino, le stava porgendo la mano per aiutarla ad attraversare una bassa recinzione che li divideva da uno slargo poco più in basso. Quel gesto gentile la fece lievemente arrossire, ma seppe di essere divenuta paonazza quando lui la tirò a sé, la prese da sotto le braccia e la sollevò per evitare un insidioso crepaccio nascosto alla vista. La pelle bruciava dove le sue mani la stavano toccando, il cuore batteva uno strano ritmo. La mise giù, le fece l'occhiolino, poi si voltò e ripeté il gesto con sua sorella, che lo abbracciò stretto stretto e gli diede un bacio sulla guancia.

Per un attimo, estraniandosi del tutto dal contesto, Usagi immaginò se stessa e suo fratello Shingo in una situazione analoga e inorridì.

-Faccio da solo, grazie-, sibilò Mamoru al giovane lord che mimava di voler replicare il gesto cortese anche con lui e Haruki gli restituì un sorriso sibillino.

 

Si fermarono seduti sulle rocce a strapiombo sul mare per ammirare il panorama della costa lussureggiante e  tropicale di quel tratto dell'isola; i capelli di Usagi svolazzavano mossi dal vento arrivando a sfiorare Haruki e Mamoru, alla sua destra. Il primo afferrò una ciocca e vi affondò il viso, annusandoli.

-Sanno di mare e di fragole, principessa-, mormorò con aria quasi sognante, facendo arrossire Usagi. La ragazza, visto il vento che tirava, si alzò dal suo posto e andò a mettersi a fianco di Mamoru, quello più a destra di tutti, in modo che i suoi capelli non disturbassero nessuno, ma il suo cambio di posizione fu mal interpretato. -Haruki, sei sempre il solito!-, lo brontolò a denti stretti sua sorella. Usagi si sentì in dovere di intervenire e spiegò semplicemente che non voleva dare noia a nessuno con i suoi capelli. 

-Forse è meglio che li tagli-, aggiunse in imbarazzo, passandosi una mano tra le lunghissime ciocche.

-Ti prego no-, disse tutto d'un fiato Mamoru, fermando la sua mano e lasciando che alcuni capelli si intrecciassero alle sue dita. Imitò Haruki e li avvicinò al suo viso con maggior gentilezza: non odoravano di mare e fragola, sapevano di luna. 

-Mamo…-, solo lui potè udire il bisbiglio imbarazzato di Usagi: forse quel gesto era andato nuovamente a sfiorare la sfera personale della sua “amica”, ritrasse la mano e scoccò la prima delle battute da diverso tempo ad allora.

-Altrimenti non ti verranno più gli odango e io non potrò più prenderti in giro, Testolina Buffa!-, sorrise, tra le sue dita erano rimasti impigliati alcuni fili d'oro. 

E poi sei bella così. 

Chiuse per un istante gli occhi, non liberò dalla sua mano i capelli di Usagi, lasciò che fosse il vento a farlo e li sentì scivolare via lentamente. Era una sensazione familiare, aveva già vissuto in sogno qualcosa di simile, quando ancora il terrore non arrivava a cancellare quegli attimi di perfezione che la sua mente creava, quando una principessa triste gli donava il suo sorriso e il suo cuore. "Che strano", pensò, sforzandosi di mettere a fuoco nella sua memoria quei brandelli di sogni che il risveglio portava ogni volta via, "anche la mia principessa ha i capelli così sottili e li porta legati come Usako".

D’un tratto sentì la testa iniziare a girare forte, strinse i denti e non si mosse, mentre lo stomaco sembrava chiuso in una morsa.

Cos'era quel senso di sgomento che lo stava cogliendo? Nella sua mente iniziarono a sovrapporsi senza che lui riuscisse a fermarle le immagini di Usagi, Sailor Moon e la principessa dei suoi sogni, sentì una scossa morderlo alla nuca e da lì, come un’onda, rotolare giù per la schiena: avevano tutte e tre la stessa pettinatura. 

Qualcosa scattò nella sua testa, negli occhi vide solo bagliori di luce, colori, come nell’attimo prima di svenire, d’un tratto si dipinsero immagini vivide come fossero state reali davanti a lui.

La principessa versava lacrime di sangue nei tetri bagliori di una luna rossa… era il sangue che usciva dalla ferita di Sailor Moon e Sailor Moon d’un tratto diveniva Usagi, erano suoi gli occhi  che piangevano. Fili di seta tra le dita. Vento. Il vuoto sotto di lui. Il respiro del mare. Luna. Un'immagine d'un tratto nitida, un attimo dopo evanescente. Usagi vicino a lui. I suoi capelli, i capelli di Sailor Moon. Gli stessi capelli della principessa triste. Un battito mancato, il buio per un istante.

 

-Ha ragione Mamoru, i tuoi capelli sono bellissimi così-, Michiru si era alzata e aveva parlato proprio vicino a lui, mettendosi alle spalle di Usagi, destandolo da quella visione in cui stava sprofondando, in bilico sul precipizio, incerto su chi fosse.

Mamoru sbatté gli occhi. Cos'era successo?

-Posso?-, Michiru domandò a Usagi indicando i suoi capelli biondi e raccolse tutta la chioma della ragazza, facendole una treccia morbida. -Così non voleranno più-, le spiegò allontanandosi da lei con un tocco gentile sul suo braccio. Quando Mamoru si voltò a guardarla, le parve diversa con quella lunga treccia che si adagiava sulla sua spalla, era incantevole. Haruki le infilò un fiore nella treccia, un fiore bianco di gardenia che aveva colto da una pianta lì accanto, -Ecco, così sei perfetta.- 

 

Usagi arrossì, prese il fiore e lo annusò, tornando d’un tratto con la testa su quella scogliera: poco prima, quando aveva visto Mamoru portare i capelli al suo viso, le era parso di trovarsi in un altro luogo, in un altro tempo, dove qualcuno giocava con i suoi codini e le sorrideva, qualcuno che avrebbe dato la vita per lei. Non voleva lasciarsi sfuggire di nuovo quella sensazione di calore e fiducia, sentiva di essere vicina a una risposta; si concentrò, tentò di raggiungere nei suoi ricordi quell’uomo, di svelare chi fosse e perché ogni notte tornasse a tormentarla con un amore tragico. Voleva riuscire a ricordare il volto di chi era stato pronto a morire per proteggerla.

-Bene, ragazzi, direi di tornare verso la spiaggia o i vostri amici vi daranno per dispersi-, Haruki si batté i palmi sulle cosce e con un gesto atletico si rimise in piedi; -Mademoiselles, conoscete la strada-, simulò un mezzo inchino e allungò la mano indicando la direzione alle due ragazze. Usagi si alzò meccanicamente, lo sguardo imbambolato.
 

Mamoru camminò in silenzio, perso nei suoi pensieri e profondamente turbato per quel che gli era successo. Eppure non era la prima volta che veniva colto da una visione così nitida da sveglio, era stata la stessa cosa che gli era successa nel garage la mattina prima e, come allora, quella visione lo aveva fatto vacillare profondamente, in bilico tra le sue identità reali e oniriche.
 

Gli giunse alle narici il profumo dolce del fiore che Usagi teneva in mano, inspirò profondamente, il vento gli solleticò la pelle e sentì il sole battere sulle spalle: quelle erano sensazioni reali, com’era reale quel luogo, com’era reale lui, Mamoru Chiba, il baka. Strinse i denti, dicendosi che non avrebbe più dovuto lasciarsi travolgere ancora da quelle sensazioni. Sailor Moon apparteneva al mondo segreto di Tuxedo Kamen e la principessa triste a quello dei suoi sogni, ma lui non era Tuxedo Kamen, né l'uomo innamorato che aveva abbandonato Serenity. Lui pestava la terra vera, lui respirava l'aria salmastra: gli altri due non gli appartenevano, non in quel momento, non doveva lasciarsi confondere o avrebbe perso del tutto il senso del presente.

Guardò avanti a sé, il crepaccio era ancora lì e Usagi stava per infilarci un piede dentro, camminando sovrappensiero: accelerò il passo e le sbarrò la strada, balzando oltre la fenditura nella roccia nascosta dalle piante; non disse nulla e le prese una mano, aiutandola a fare un piccolo salto oltre l'ostacolo. La ragazza si sbilanciò e terminò la sua evoluzione contro il suo petto; in quell'attimo anche il cuore di Mamoru fece un capitombolo, come se avesse ripreso a funzionare dopo minuti di silenzio. 

Usagi sbatté le palpebre, d'un tratto vigile, alzò lo sguardo e gli sorrise. -Grazie-, sussurrò e non lasciò la sua mano, perché la sorpresa per quell’aiuto inatteso si tramutò in meraviglia e per un istante provò la sensazione di essere stata protetta, come nei suoi sogni. Si guardò alle spalle e vide la spaccatura profonda tra le rocce: comprese. In quel presente caotico in cui  viveva, lei era solo Usagi Tsukino. Non c’erano guerre sanguinarie, non c’erano principi pronti a donare la vita per lei, ma di una cosa era certa: avrebbe potuto camminare bendata sull'orlo di quel crepaccio perché poteva fidarsi di Mamoru, anche se lui la confondeva, anche se era un baka, anche se erano troppe le volte che la faceva arrabbiare. In fondo erano amici, no? Lui ci sarebbe stato  sempre, come aveva fatto sulla nave, come era successo sulla spiaggia, quella mattina. Come faceva Tuxedo Kamen con Sailor Moon.

 

Quando raggiunsero le motociclette, Usagi rivolse un sorriso ad Haruki, si voltò verso Mamoru e, senza dover aggiungere altro, montò in sella dietro di lui. 

-Scambio di koala?-, domandò il biondo con ironia, Mamoru non lo degnò d'uno sguardo e mise in moto.

Michiru e Haruka, in devoto silenzio, videro il futuro Re di Crystal Tokyo accertarsi che la sua futura Regina fosse comoda e attese che lei posasse le mani sui suoi fianchi. Non sembrava spaventata, né il suo tocco ricordava quello volutamente sensuale con cui Michiru aveva provocato il giovane poco prima: Usagi sembrava semplicemente a suo agio. Usagi si sentiva protetta. Usagi era nel posto in cui voleva stare.

Le due outers si scambiarono un'occhiata: -Ben fatto-, sussurrò con orgoglio Michiru alla sua compagna e abbassò la visiera del casco.

-Sì, ben fatto, ma poi me la paghi…-, le fece eco Haruka.





 

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Capitolo 17
Strano quadrilatero, Uomo o donna? & Sovrani assediati



 

In moto dietro Mamoru, Usagi si sentiva bene, sentiva di essere al suo posto. Le tornò in mente il disagio provato il giorno prima e si chiese cosa potesse essere accaduto per fare cambiare il suo stato d'animo così repentinamente. Si godette il breve tragitto concentrandosi su quello strano eppur bellissimo tepore che sentiva nel petto, senza rendersi conto di essersi stretta al ragazzo alla guida. Quando se ne accorse, si allontanò da lui e comprese che quel calore era dovuto all'abbraccio involontario in cui lo aveva stretto. 

Giunsero al parcheggio della spiaggia poco prima dei due fratelli, li aspettarono in silenzio e tornarono tutti insieme agli ombrelloni.

 

Furono accolti tra schiamazzi e saluti, -Dove vi eravate cacciati?-, -Avete fatto una cosa a quattro?-, -Dai Usagi vieni che c'è la bassa marea!-, -La moto è integra? Sciagurato, mi dovevi avvertire!-

Solo Motoki e Ami non commentarono l'assenza dei quattro e solo loro avevano notato che Usagi era partita dietro Haruki e ritornata dietro Mamoru. Si scambiarono un'occhiata carica di mille domande e altrettante supposizioni, poi seguirono il gruppo nell'acqua bassa, dove gli altri avevano iniziato a giocare a pallone.

Tra tuffi, cadute in acqua, schizzi e risate trascorsero più di un'ora a mollo, poi, alla spicciolata, il gruppo si sciolse e qualcuno si diresse verso il bar, qualcun altro prese maschere e boccagli per fare snorkeling, i rimanenti tornarono a riposarsi sotto gli ombrelloni.

 

Usagi aveva approfittato del bagno in mare per schiarirsi del tutto le idee. Era rimasta troppo confusa da quella strana sensazione accarezzata sulla scogliera e sentiva la necessità di riprendere del tutto coscienza di se stessa. Quindi aveva speso tutte le sue energie per compiere con lucidità ogni azione e, quando erano tornati agli ombrelloni era veramente stanca. Cercò una posizione comoda e in pochi minuti cadde tra le braccia di Morfeo accarezzata dalla brezza leggera portata dal mare.

 

-La vostra amica si è presa un bello spavento, in moto dietro mio fratello-, Michiru, spalmandosi la crema solare sulle lunghe gambe, iniziò a raccontare a quelli che erano rimasti sulla spiaggia.
-È una ragazza d'oro-, aggiunse.

Makoto annuì in segno di conferma, Rei invece ne volle sapere di più sullo spavento preso da Usagi.

-Haruki si è comportato bene alla guida, ma credo che Usagi non fosse a suo agio così vicina a lui e quindi si è sbilanciata e ha creduto di cadere, tutto qua-, spiegò Michiru. Non era vero niente, sia lei che Haruka avevano perfettamente percepito che era accaduto qualcosa, lassù sulla scogliera, che loro non erano state in grado di comprendere; lo aveva raccontato il vento e il mare aveva confermato.

 

-Invece Mamoru è proprio un bel ragazzo-, continuò la nuova conoscente, facendo l'occhiolino proprio a Rei. Che Mars avesse avuto una breve liaison con Mamoru Chiba, prima che lui si innamorasse della Regina, non era un segreto per le Guardiane ormai da quasi mille anni, ma vedere la reazione di una Mars adolescente a quella frase, con i propri occhi, era qualcosa che Neptune non avrebbe potuto perdersi.

Rei fece una buffa espressione e borbottò qualcosa che forse fu ascoltato solo dal suo amico Yuichiro, il quale immediatamente si avvicinò a lei, un po' per curiosità, un po'... per controllarla.

-Oh, sì, Mamoru è bellissimo-, disse lentamente Rei, indispettita per l'apparizione del suo spasimante, -Però devo ammettere che è molto, molto strano-, aggiunse.

Michiru sollevò le sopracciglia: non avrebbe estorto una parola in più da Mars, se aveva imparato a conoscerla bene.

Le venne in aiuto proprio Yuichiro, che raccontò come il loro amico effettivamente alternava momenti di simpatia al farsi detestare, non solo per il comportamento nei confronti di Usagi, ma anche per alcune sue stranezze. -E poi parla nel sonno-, dichiarò e subito i presenti furono bramosi di conoscere quello che poteva dire un ragazzo di quasi vent'anni in tale circostanza.

-'Non lo permetterò': lo ripete di continuo, biascicando con un braccio penzoloni fuori dal letto oppure mentre si agita. E poi qualcos'altro, ma non è che si capisca bene…-, ammise.

-Anche Usagi fa spesso degli incubi-, Naru si domandò se fosse il caso di raccontare quel dettaglio così intimo della sua migliore amica, -A volte si alza e esce dalla camera, stanotte mi sono svegliata perché si era aperta la finestra e lei non c'era.-

-Sarà andata in bagno-, osservò Ami, -C'è sempre una spiegazione semplice a qualcosa che può apparire complesso: ieri sera ha mangiato pesante e bevuto molta acqua-, spiegò, ma Naru non pareva convinta.

Una ventata più forte fece volare via il cappello di Ami, che colpì sul viso Usagi. La ragazza si mise di fianco e continuò a dormire.

-Lo vedi? Questa non la svegliano neanche i sassi-, chiosò Rei e si alzò per andare sulla battigia, raggiungendo Makoto e Kenzo, mentre Hiro tornava verso gli ombrelloni.

Yuichiro ebbe l'impulso di seguirla, ma prima volle condividere un'altra informazione su Usagi, forse per dare manforte all'ultima velenosa affermazione della sua Rei.

-Sulla nave, quando siamo arrivati ad Amami Oshima… beh, anche Mamoru ha detto lo stesso di Usagi: l'ha trovata addormentata in preda a un incubo da sola sul ponte e non è riuscito a svegliarla, per questo l'ha riportata di peso da noi, e io l'ho aiutato a metterla nel sacco a pelo-, un brivido fugace percorse la schiena del ragazzo, ma lui sorrise e si alzò per raggiungere Rei a corsa.

 

-Un attimo Yui… - Hiro, sopraggiungendo, lo fermò e gli fece cenno di allontanarsi di un paio di metri, quindi parlò a bassa voce.

-Stanotte è successa una cosa strana… Eravamo appena tornati dal "Tazuki" e con Kenzo abbiamo visto qualcuno sul balcone della mansarda-, Yuichiro aggrottò le sopracciglia, perché la mansarda era off limits e loro lo sapevano.

-Chi era?-, il suo tono era asciutto.

Hiro fece una smorfia, indeciso se continuare o lasciar perdere, -Non lo so, Kenzo ha pensato fosse un ladro, quindi è salito su a controllare lasciandomi di vedetta in giardino-, mise le mani avanti, -Non lo so… forse io… Lascia perdere-, scosse il capo e si voltò, ma Yuichiro lo fermò con una mano sulla sua spalla.

-E poi?-, era preoccupato, voleva proseguisse.

Hiro gonfiò le guance d’aria e la sfiatò, era stato un errore parlare di quella cosa.

-Quindi?-

-Senti Yui, non so nemmeno se quello che ho visto era reale o no: avevo bevuto ieri sera!-, ma lo sguardo del ragazzo lo convinse ad andare avanti.

-Mi sembrava una donna. Una donna dai capelli lunghissimi, ma era contro luce, c'era la luna dietro di lei. Si è voltata e sembrava avesse una luce in testa, come una torcia o un gioiello che faceva luce… Non lo so!-, allargò le narici per prendere altra aria, -Mi è parso che parlasse a qualcuno che era dentro casa, immagino fosse Kenzo. Poi è caduto qualcosa di luminoso dal suo viso che si è spento prima di toccare terra. Stava in bilico sulla balaustra del balcone: io non ho idea di chi o cosa fosse!-

Abbassò lo sguardo e scosse ancora il capo, -Ma forse mi sono immaginato tutto…-, ammise in tono colpevole, -Perché quando Kenzo è tornato giù e gli ho domandato spiegazioni sembrava non ricordare nemmeno di essere stato in mansarda o che avessimo visto un ladro!-, poi spiegò, -E infatti ho alzato di nuovo la testa e non c'era più nessuno. Devo essermelo sognato, lascia perdere...-, il tono mogio, lo sguardo alla sabbia.

Un guizzo e alzò la testa: -Però ecco… se non me lo sono sognato e a essere impazzito fosse Kenzo, allora… niente, volevo solo dirti che c'è la possibilità che stanotte un ladro sia entrato in casa e sono preoccupato per le ragazze, più che altro…-

Yuichiro, di nuovo, sentì i peli sulla schiena drizzarsi. Annuì in segno di aver compreso e lo ringraziò per l'informazione, quindi lo lasciò tornare in mare. Un ladro a Villa Kumada… Non sarebbe stata la prima volta, rifletté. Sperò che Hiro al "Tazuki" avesse bevuto più del suo amico Kenzo e raggiunse Rei, ma il tarlo di quelle parole non lo abbandonò fino alla sera, quando prese una decisione per tutti i suoi ospiti.


La brezza del mare le piaceva tanto perché le raccontava sempre cose che altrimenti non avrebbe potuto conoscere, Michiru inspirò quanta più aria di mare potè e registrò tutte le informazioni che aveva appreso dal dialogo tra i due ragazzi, troppo distanti da loro per poter essere altrimenti udibili. Nella concentrazione si distrasse e non si rese conto di quello che stava accadendo vicino a lei.

-Eccola, sta succedendo di nuovo!-, Naru sembrò allarmarsi, indicando Usagi: in posizione fetale, con i muscoli contratti e le braccia strette attorno a sé, la ragazzina bionda sembrava fosse preda di un nuovo incubo. Michiru assistette alla scena che stava avvenendo accanto a lei come se si fosse trovata anni luce lontano da lì. Naru si avvicinò a Usagi, la scosse delicatamente, si voltò verso Ami, le chiese di aiutarla, entrambe riprovarono a svegliarla, invano. La Regina aveva gli occhi serrati, il respiro affannato, sembrava volesse urlare, scappare, svegliarsi, ma era prigioniera di un incubo, proprio come avevano descritto le loro amiche poco prima. 

-Usagi! Svegliati!-, Ami si inginocchiò dietro di lei e mise la sua testa sulle ginocchia, si scambió uno sguardo con Naru, erano rimaste solo loro, nessuno di fidato a cui poter chiedere aiuto. Naru si alzò e cercò lo zaino della ragazza, iniziò a frugare al suo interno, scaraventando oggetti e abiti nella sabbia.

-Eccolo!-, esultò e avvicinò un oggetto dorato all'amica, ruotò una rotellina, aprì un piccolo sportello. Le note di una melodia che Michiru conosceva bene si diffusero timide come uccellini nell'aria attorno a loro, per un attimo si sentì come a casa, quando le fontane carillon suonavano la stessa canzone nei giardini della reggia Lunare. Piano piano i lineamenti di Usagi si rilassarono, il respiro tornò regolare, la ragazza si voltò e sorrise nel sonno.

-Brava, Naru-, Ami ringraziò quella ragazza che sembrava conoscere Usagi in un modo profondo e su un piano emozionale diverso da tutte loro e comprese che di lei si sarebbe potuta sempre fidare.

Michiru respirò, non lo faceva da troppo tempo, senza che se ne fosse resa conto. Evidentemente Pluto e Saturn avevano appena interferito con la dimensione onirica della Regina e quello che era successo, in quella realtà in cui lei era stata mandata a compiere la sua missione, non andava di certo bene.


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-Ehi, che ti prende?-, il bicchiere di gassosa che il suo amico stava trasportando si stava lentamente rovesciando sulla sabbia infuocata, -Mamoru?-, Motoki chiamò il ragazzo, che si era immobilizzato con le bevande in mano. Lo vide scuotere la testa come a scacciare un pensiero.

-Scusa-, raddrizzò il bicchiere, -Mi era parso di sentire una musica…-, la fronte corrugata, di nuovo quell'espressione pensierosa sul viso. Se solo Mamoru fosse riuscito a non farsi sempre sopraffare da qualcosa che Motoki non riusciva a comprendere!

Raggiunsero le amiche agli ombrelloni, c'era qualcosa di strano nell'aria. Naru si affrettò a nascondere in borsa un oggetto appena li vide avvicinarsi, Ami la guardò con preoccupazione. Solo Michiru, immobile, fissava il mare con espressione estatica.

-Non ci avete portato niente?-, disse senza nemmeno voltarsi a guardarli, ma quando si girò, il suo sorriso lasciò per un attimo Motoki senza fiato. Quella ragazza era splendida, sembrava una sirena uscita dall'acqua e i suoi capelli si muovevano come onde a incorniciarle il viso.

-Dorme?-, sedendosi all'ombra, Mamoru chiese di Usagi.

-Sì, è proprio carina, non trovi?-, ancora una domanda di Michiru, Motoki immaginó l'ira nel cervello dell'amico.

-Sì, è un piccolo koala molto carino-, disse invece il ragazzo, facendo l'occhiolino alla giovane. 

-Perdonami se ti ho messo di nuovo in imbarazzo-, proseguì lei, come se fossero stati da soli, -È che io sono abituata ad andare in moto così…-, abbassò lo sguardo, simulò imbarazzo.

E poi Motoki non credette ai suoi occhi: Mamoru lanciò un'occhiata rapida a Usagi, quasi per accertarsi che stesse ancora dormendo, quindi guardò Michiru in un modo che non gli aveva mai visto dipinto in volto: -Non mi hai messo in imbarazzo. Mi è piaciuto…-, lasciò la frase in sospeso, bevve un sorso dal suo bicchiere e lo offrì alla ragazza. Senza staccare gli occhi da quelli azzurri di Mamoru, lei prese il bicchiere, posò le labbra dove aveva bevuto lui, si leccò una goccia che stava scivolando su suo labbro e, -... Anche a me…-, gli rispose, rimanendo a fissarlo con la bocca socchiusa.

Motoki scosse la testa, meno male che quella lì non era interessata ai maschi! Si alzò da terra e corse a farsi un bagno in mare, abbandonando il bicchiere sulla sabbia; da lontano, uscendo dal bar, Haruka assistette alla scena, tornò indietro e ordinò un Martini.

 

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Come se fosse stato scritto, quella sera si sarebbero ritrovati a cenare in quattordici nell'enorme villa di Yuichiro, dopo aver concluso la giornata al mare nel più assurdo dei modi. 

Sul finire del pomeriggio, se da una parte il gruppo delle ragazze era tornato a bagnarsi, chiacchierare, confidarsi segreti e giocare a palla, i maschi si erano organizzati per preparare tutti da soli una grigliata e sistemare la casa. A sorpresa, Mamoru aveva fatto felice Hiro, lasciandogli usare la "sua" moto per recarsi con Kenzo alla macelleria in paese, assieme a Yuichiro e Umino sul tuk tuk, ed era rimasto in spiaggia, ormai con la stessa espressione sorniona in volto. Motoki, quasi stesse perdendo una sfida contro se stesso, le aveva provate di tutte per fare allontanare il suo amico dalla prosperosa ragazza giunta dal niente, finché, al culmine dell'esasperazione silente che lo stava cogliendo, era stato soccorso proprio dal fratello della sciagurata, che aveva invitato uno di loro due a seguirlo per andare ad acquistare "qualcosa da bere". Aveva simulato un pisolino improvviso e lasciato che toccasse al suo vecchio compagno di studi di seguire il giovane, che se l'era caricato in sella ed era partito sgommando.

 

Mamoru aveva accolto l'invito quasi fosse una sfida: non ambiva a fargli da zavorra, ma era certo che così facendo avrebbe potuto tentare di comprendere almeno in parte il disagio provato da Usagi poche ore prima. 

E di disagio, ne era stato immediatamente consapevole, ne aveva provato anche lui parecchio.

La sua idea era stata di rimanere con le mani aggrappato alle maniglie sotto la sella, ma la guida sportiva di Haruki lo aveva portato, alla prima curva, a reggersi istintivamente ai suoi fianchi ed era stato allora che il tarlo del dubbio aveva iniziato a scavare nella sua testa: Haruki non era un maschio.

Haruki non poteva essere un maschio! Aveva la vita troppo sottile e i fianchi torniti: fino ad allora le sue fattezze erano rimaste coperte dalle camicie di modello sahariano che indossava sempre, anche in spiaggia, per questo nessuno si era accorto di niente. E allora il dubbio era stato perforante: perché, mentre la sorella con modi quasi lascivi si lasciava accarezzare in bikini dagli sguardi di tutti i ragazzi,  lui, che sembrava riscuotere un discreto successo tra le ragazze, era sempre rimasto coperto? Eppure non aveva certo modi da santarellino, non per come si era comportato al locale la sera prima! 

Forse anche Usagi aveva intuito qualcosa e per questo si era sentita a disagio e aveva cambiato atteggiamento nei suoi confronti, fino a provare paura come passeggera sulla sua moto.

 

Mamoru aveva provato l'impulso di fare scivolare in alto le mani e smascherare la vera identità sessuale del centauro, ma si era trattenuto, perché, in ogni caso, sarebbe stato un gesto troppo imbarazzante: cosa avrebbe fatto? Si sarebbe trovato a palpeggiarla come un maniaco, in caso fosse stata davvero una ragazza? Oppure avrebbe rischiato di mostrarsi  interessato a un maschio, toccando il suo petto e dando adito a fraintendimenti sui suoi gusti sessuali? Imitò lo stesso gesto fatto alle sue spalle dalla bella Michiru e annullò le distanze  tra i loro bacini, sapendo di procedere in ogni caso su un terreno molto rischioso. E invece il suo involontario invito era stato accolto dal misterioso motociclista, che aveva a sua volta spinto indietro il suo fondoschiena, inarcando appena il busto sotto le sue mani. Quel movimento era stato femminile, qualcosa nei cromosomi di Mamoru aveva fatto scattare l'allarme. E così lui, replicando la stessa reazione di Usagi, aveva fatto un salto indietro, sbilanciandosi proprio come aveva fatto la ragazza e costringendo la persona alla guida a domare in curva tutti i cavalli che aveva tra le gambe.

Per fortuna di entrambi erano quasi giunti alla meta; rallentando, Haruki si era alzato la visiera: -Ma cosa avete voi ragazzi di Tokyo? Volevi farci cadere anche tu, come ha fatto la tua ragazza prima?-, lo aveva apostrofato indispettito.

-Non è la mia ragazza-, aveva prontamente risposto Mamoru; -Vi trovereste bene insieme, visto come siete dei pivelli in sella!-, aveva replicato Haruki.

Aveva fermato la moto nel posteggio a fianco di un drugstore e l'aveva tenuta in equilibrio tra le gambe. Smontando, Mamoru aveva fatto attenzione alle forme dei suoi muscoli, ben visibili attraverso la stoffa tesa dei pantaloni, e non aveva scorto grandi quadricipiti, piuttosto gambe snelle e lunghe.

Ma era stato nel momento in cui Haruki aveva sfilato il casco che, illuminato dai raggi ormai tiepidi del sole, Mamoru aveva osservato il suo volto, liscio come la buccia di una pesca, senza la minima ombra di barba. Una pelle che anche un modello si sarebbe sognato di avere. Perfino quel bambinone di Umino, a sera, sfoggiava i suoi quattro peli già minimamente ricresciuti sul suo viso paffuto!

Avevano fatto gli acquisti previsti senza troppi discorsi e, al momento di pagare il conto, Mamoru aveva lasciato che fosse l'altro a mostrare il documento alla cassa e aveva allungato gli occhi oltre la comune decenza per sbirciare i suoi dati anagrafici, invano.

Erano usciti e tornati alla moto con un sacchetto contenente rum e tequila.

Nel consegnarlo al suo passeggero, Haruki era stato sprezzante: -Pensi di farcela a tenere questa roba, oppure hai troppa paura di cadere?-, aveva sfottuto Mamoru.

-Perché stai dando false illusioni a Usagi?-, gli aveva invece domandato lui a bruciapelo, piuttosto che replicare alle offese.

Haruki aveva piegato le sopracciglia facendosi serio, aveva alzato lo sguardo sull'altro, che lo superava di non più di cinque centimetri e aveva incrociato le braccia al petto, in attesa di una spiegazione alla sua domanda. Mamoru non aveva detto altro e gli aveva rivolto un ghigno in tralice.

-Allora?-

Il ghigno si era tramutato in un sorriso, lo sguardo più ardente del solito. Haruka aveva sentito il cuore perdere un battito: cosa significavano quelle parole?

-Devo chiedertelo-, Mamoru aveva scelto di essere diretto, -Sei davvero un maschio, Haruki?- e gli occhi cerulei si erano spalancati colti da un improvviso terrore. A poco era valso aver vissuto sul filo dell'ambiguità fino a quando non aveva scelto di ritirarsi dalla vita pubblica, a nulla i ricordi di una giovane principessa Serenity che era caduta nella sua rete secoli e secoli prima. Quella domanda aveva riaperto antiche ferite e solleticato nuove improbabili sensazioni. Il Re non era cascato nel suo tranello, lo scacco lo stava facendo a lei.

Aveva sentito le guance avvampare nonostante ogni sua cellula si fosse imposta di non fare trapelare quell'emozione sconveniente, aveva esitato a rispondere; le era tornato in mente come poco prima anche Michiru avesse ceduto al fascino senza tempo di quello che per tutte loro era un mito, più che un uomo e aveva realizzato che Mamoru Chiba in realtà non era né un mito, né un uomo: era ancora e da sempre e per sempre l'essenza stessa del pianeta più affascinante di tutti, quello più lussureggiante e selvaggio, l'unico che pulsasse di vita, quello capace di attirare a sé nemici da ogni angolo dell'universo solo per rubare un po' della sua malìa. Quello che in fondo desideravano tutti, indistintamente.

Maledizione...

Aveva deglutito, avrebbe dovuto uscire da quell'impasse in qualche modo. Poi aveva deciso che, se non fosse riuscita a fare scacco alla Regina, lo avrebbe fatto al Re, nel modo più vietato tra tutti quelli che le erano stati proibiti. Aveva sperato che Pluto non stesse compiendo una osservazione proprio in quel momento, proprio lì e aveva fatto la sua scelta, giocando sporco e passando all’attacco frontale.

-Io lo so cosa sono, ma a te cosa piacerebbe che fossi?-, aveva domandato mutando la sua voce, quindi aveva lasciato scivolare la busta a terra e aveva allungato le braccia attorno al collo dell'uomo al quale un giorno si sarebbe inchinata.

In quell'istante Mamoru aveva capito di aver avuto ragione e nello stesso istante si era fatto prendere dal panico: cosa stava facendo quello… quella...? Aveva messo le mani avanti, per fermarla -perché ormai ne era certo: quella era una donna!- e non volendolo le aveva premute contro il suo petto. Aveva ritratto le mani scottato, arcuato la schiena indietro per sottrarsi, ma lei non lo aveva assecondato e si era ritrovato a un palmo dal suo volto. Nel tempo di un sospiro l'aveva guardata con occhi differenti: aveva i capelli corti e il viso sbarazzino, un'espressione seducente e gli occhi che sembravano due braci.

-Cosa vorresti che fossi?-, aveva mormorato di nuovo quella sconosciuta a un soffio dalle sue labbra, ma non aveva ricevuto risposta. Un sospiro, mani che d'un tratto gli erano parse piccole dietro il suo collo, tra i capelli sulla nuca. Un brivido scivolato dalla testa fino alle gambe, e le aveva rese di burro. Un bacio impalpabile, forse immaginato, una fitta dolorosa alla tempia. Aveva chiuso gli occhi per un attimo, quando li aveva riaperti, la ragazza era ormai distante, si succhiava il labbro inferiore, lo guardava.

 

Maledizione! Non giocare col fuoco!, le dicevano, Stai attenta a quello che fai!, ripetevano, Ti brucerai! Era proprio così, Haruka si era bruciata nell’appiccare l’incendio. Aveva deglutito, aveva spostato lo sguardo e fatto violenza su se stessa per focalizzare il suo scopo.

-Prendi le bottiglie-, gli aveva detto trascinandolo via dalla bolla di incredulità in cui Mamoru era stato affogato, -e reggiti, stavolta-, di nuovo il tono asciutto di un maschio, il colpo del casco sullo sterno, lanciato con precisione in mezzo alle sue mani.

Se aveva preso un abbaglio, era stato incredibilmente verosimile.

Mamoru si era guardato bene dal reggersi di nuovo ai suoi fianchi, mentre procedevano ad alta velocità verso la spiaggia; non avevano più scambiato una parola finché la moto non si era fermata alla spiaggia.

-Non ti provare a toccare Michiru-, gli aveva detto Haruki, senza togliere il casco.

-Non ti provare a toccare Usagi-, le aveva risposto lui. 

 

Scacco al Re e alla Regina. 

 

Haruka aveva guardato Re Endymion allontanarsi fiero in viso senza voltarsi mai indietro: avrebbe mantenuto il segreto su di lei con tutti. Ora era necessario confonderlo solo un altro po'.


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A sera, i due "fratelli" si stavano facendo attendere dagli altri alla villa, dove già ardevano le braci per grigliare la carne. Le ragazze si erano messe in ghingheri e parlottavano tra loro, persino Makoto aveva lasciato fare tutto ai loro amici maschi in cucina e stava seduta sul dondolo un po' in imbarazzo nell'abito  che Minako l'aveva convinta a indossare. Ami aveva stupito tutti con un completo fatto da un corsetto di pizzo blu con vere stecche e una minigonna a tutù bianca, Naru, più romantica, aveva un grazioso abito color del grano con maniche a sbuffo, Rei e Minako non erano descrivibili, la loro verve copriva qualunque mise avessero indosso.

Ma Mamoru, almeno fino all'arrivo degli ospiti, era riuscito a guardare solo Usagi perché gli pareva di guardare direttamente nei suoi sogni: aveva un abito bianco abbastanza lungo, con uno scollo quadrato ampissimo definito da un ricamo argentato. Nastri sottili sugli omeri a formare due fiocchi lasciavano le spalle scoperte, la stoffa leggerissima si increspava in onde delicate che partivano da sotto il suo seno. Aveva l'espressione stanca, ma rilassata. 

-Sei molto carina stasera-, le aveva detto superando il suo imbarazzo, poi era stato più tagliente: -Non si direbbe che in realtà sei una ragazzina pronta a fare le linguacce e gettare scarpe in testa a qualche malcapitato passante!-, e lei aveva sorriso imbarazzata, ricordando un tempo remoto, così diversa da allora ai suoi occhi.

-In realtà mi fa piacere quando ci prendiamo in giro-, gli aveva confidato, -Perché un baka allegro mi piace di più di un ragazzo musone-, era arrossita, ma il cannone di Mr Chiba era carico e non si sarebbe fatto rammollire da due parole gentili.

-Quindi ti piaccio, Testolina Buffa?-, forse voleva vendicarsi un pochino dell’interrogatorio che aveva subito quella mattina in spiaggia, in ogni caso aveva voglia di giocare con lei.

-Non ho detto questo! È solo che sei odioso quando non riesci a scherzare!-, si era difesa. Sembrava d'un tratto più adulta e consapevole.

-Ma io con le marmocchie come te non posso che scherzare!-, cercava la guerra… nonostante la kafkiana situazione in cui si era trovato quel pomeriggio con Haruki, sapere che non esisteva alcun "lui" che avrebbe potuto mettere le mani su Usagi, lo aveva reso più tranquillo.

-Io non sono una marmocchia!-, gli aveva fatto la linguaccia.

-Come volevasi dimostrare… ecco che ti sei dimenticata come essere carina!-

-Vuoi dire che non sono carina?-, le mani al volto, lo sgomento di una pantomima.

Sei bellissima stasera.

-Sei una scimmietta con la testa a odango!-

-E tu sei solo un baka!-



 

-Non ci capisco più niente-, Motoki scosse la testa, alla sua destra Ami gli battè delicatamente il palmo sulla spalla, a fargli coraggio. Qualcuno aveva acceso lo stereo in salotto e la musica si diffondeva per tutto il giardino.

-Il loro rapporto è cambiato in questi pochi giorni, però hai ragione, non ci si capisce niente… Non so perché, ma continuo ad avere difficoltà a fidarmi delle intenzioni di Mamoru-, Makoto gli passò un bicchiere di limonata e scosse la testa.

-Se aveste visto quello che ho visto io prima…-, Motoki rabbrividì, ripensando a come l’amico avesse accettato le avances di Michiru; in quel momento suonarono al campanello.

-Lupus in fabula, vedrete che l'idillio sta per concludersi-, profetizzò.

Osservarono dallo loro postazione defilata sul balcone i due fratelli che entravano, accolti da Yuichiro. Haruki aveva dei pantaloni beige e una camicia blu scuro attillata, sbottonata fino a metà petto, con le maniche arrotolate; Michiru svettava su tacchi a spillo che mettevano ancor più in evidenza le gambe lunghe coperte da shorts lucidi. Aveva un gilet di pelle nera, anche il suo sbottonato fino a livelli che andavano oltre la provocazione.

Hiro scaricò Minako, con cui stava giocando a morra cinese, e corse scodinzolando dai nuovi arrivati, anche Kenzo fu attratto da quell'apparizione e raggiunse il compare con un bicchiere in mano.

-Che schianto!-, Makoto si lasciò sfuggire dalle labbra lo stesso pensiero che balenò nella testa di Ami, ma anche di Rei, Minako e perfino Usagi, che si distrasse perdendo un round nel suo duello di offese con Mamoru: non si riferivano alla ragazza, ma a suo fratello, con i capelli tirati indietro col gel e l'espressione  del predatore a caccia di conigli.

Mamoru si voltò lentamente, seguendo con lo sguardo del condannato Usagi che sfuggì ai loro battibecchi e si allontanò per dare il benvenuto agli ultimi arrivati. Osservò come al rallentatore lo slancio troppo entusiasta con cui la ragazza li accolse, si sbalordì nel constatare quanto quei due splendessero, quanto Michiru fosse troppo sexy, notò quanto Rei e Minako ci rimasero male nel momento in cui il giovane per cui stavano sbavando le mollò lì e si concentrò unicamente su Usagi. Le fece un sorriso seducente allungando il braccio sulla spalla nuda della ragazza e la sua camicia si aprì lasciando intravedere un petto che… "non è una ragazza, cazzo!"

Mamoru annaspò, sentendo le sue certezze sgretolarsi e realizzando di essersi fatto prendere per i fondelli da quel damerino, facendo la figura del deficiente, convincendolo oltretutto forse di essere interessato ai maschi. 

Gli aveva servito Usagi su un vassoio d’argento.


C'era un angolo, nel giardino della villa, che risultava defilato da qualunque posto della terrazza e del piazzale si guardasse: proprio in quella direzione si avviò Haruki, tenendo all'amo Usagi, così angelica nel suo abito bianco che gli aveva ricordato la giovane principessa Serenity. Mamoru strinse le mascelle e realizzò che quel dandy gliel'aveva fatta, era riuscito ancora una volta a portargli via Usagi, mentre lui, fino ad allora, era riuscito solo a giocarci come fossero stati due bambini. 

-Che ci fai qua tutto solo?-, riconobbe la voce di Michiru prima di vederla e, maledizione, senza la minima ombra di dubbio lei sì, che era una donna…

 

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-Il pollo è cotto!-, trillò Yuichiro richiamando tutti gli altri attorno al barbecue in muratura al quale aveva continuato a lavorare, comportandosi da perfetto padrone di casa. Era giulivo perché, dopo un iniziale e palese sbandamento della sua Rei per il bellimbusto apparso dal nulla, dopo che Hiro era tornato a intrattenersi con Minako, dopo che l'ombra rabbiosa d'invidia verso Usagi aveva abbandonato il volto della sua amata sacerdotessa, lei era finalmente capitolata al suo fianco, aiutandolo ad arrostire i galletti presi in macelleria e abbondantemente speziati con la miscela della cuoca della sua famiglia, incautamente lasciata nella dispensa in cucina.

Che si tenesse la bionda, quel galletto impomatato apparso dal nulla, e lasciasse in pace i pensieri della sua Rei! Gli dispiaceva un po' per Mamoru, l'eterno secondo, ma se ne sarebbe fatto una ragione, avrebbe sopportato per qualche altra notte i suoi lamenti notturni e poi si sarebbe dimenticato di lui.

Guardandosi intorno, invece, si rese conto che anche quel pollo di Chiba sembrava aver trovato nella scoppiettante Michiru un porto dove approdare, almeno a giudicare da come si era immediatamente consolato quando la sua ragazzina bionda gli aveva dato il due di picche per seguire come un topo il piffero di Haruki.

Si compiacque per la battuta che aveva pensato e chiamò una seconda volta i commensali per andare da lui a ritirare la carne.

All'appello mancavano ancora soltanto proprio le due coppie appena assortite.

Haruki e Usagi arrivarono per primi, lui con la solita espressione spavalda in viso, lei intimidita come un coniglio ospite a cena dalla volpe.

-Di' a quel baka di Chiba di riabbottonarsi i pantaloni e venire a prendere il pollo, altrimenti non gliene lascio nemmeno un pezzo!-, esordì Yuichiro parlando a Umino, ma non si curò di nascondere le sue parole ad Haruki e Usagi.

Incazzato lui, delusa lei. Rei gli pestò un piede e gli fece cenno di zittirsi.

 

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-Tutto qua, mi dispiace se in qualche modo io ti ho… confuso-, aveva concluso Michiru terminando il lungo racconto che aveva fatto a Mamoru della sua vita, di come era stata viziata da un padre sempre assente e di quando aveva scoperto che non era mai stata figlia unica. Si era aperta con lui arrivando a confidargli che solo grazie ad Haruki era riuscita a capire cosa davvero volesse dalla sua vita e di come in realtà non fosse interessata ai maschi. Aveva parlato, parlato finché anche le quattro mura di quello che sembrava uno studio in cui aveva trascinato Mamoru avevano chiesto “pietà, lascialo andare!” 

-D’accordo, ho capito, adesso io vorrei torna…-, era stato l’unico tentativo del giovane di scappare da lì, ma Michiru lo aveva fermato.

-Non mi credi! Solo perché sono una bella ragazza non significa che mi piacciano i ragazzi! Te lo dimostro!-, aveva annunciato godendosi l’espressione disperata di Mamoru, lo aveva spinto su un divano e gli era saltata a cavalcioni sopra, strusciandosi sul suo bacino.

-Non provo niente!-, aveva insistito, gli aveva infilato una mano sotto la camicia e l’aveva fatta scorrere con lentezza sulla sua pelle. Voleva che il Re arrivasse a perdere la testa, solo così avrebbe avuto le idee più chiare su cosa davvero cercasse il suo cuore. -Ancora niente…-, gli aveva bloccato le braccia e si era avvicinata pericolosamente a lui, -Niente…-, aveva annullato le distanze e premuto le labbra contro le sue. Solo allora, quando era stata certa che neanche lui avesse avuto una reazione di sbandamento e aveva scorto il suo sguardo vitreo, lo aveva liberato, rialzandosi da sopra di lui come se fosse stata in attesa del bus e lo avesse visto arrivare da lontano. -Vedi? Te l’avevo detto: non provo niente per voi maschi!-

Lo aveva guardato rialzarsi e passarsi una mano tra i capelli, semplicemente ammutolito, più sconvolto di quanto forse avesse voluto ridurlo. Si era sentita in dovere di dargli uno straccio di spiegazione: -Credo che tu sia il più bel ragazzo che abbia mai incontrato, ma non mi piaci… in quel senso! Ti prego... non dire niente ad Haruki né di questa mia inclinazione, né di quello che tu e io abbiamo fatto… non credo capirebbe…-

 

Così, quando Mamoru comparve alla questua per un pasto caldo, la sua espressione a metà tra lo scioccato e il disperato fu confusa con quella di uno che "si era fatto una bella scopata", come infierì Hiro, commentando nell'orecchio a Kenzo con voce alta a sufficienza da venire udito da Usagi e Haruki. 

Era troppo, per entrambi.

-Vieni con me, ho fame d'altro-, ordinò il ragazzo a Usagi tirandola per la mano. Si fermò in un posto dal quale fossero stati visti bene da tutti e, senza molti preamboli, la strinse a sé e la baciò, premendo la bocca sulla sua e violando le labbra serrate con la sua lingua.

Lo schiaffo che ricevette lo lasciò a bocca aperta per il dolore, ma soprattutto per lo stupore. Gli altri tacquero istantaneamente.

-E tre…-, si sentì dire, ma solo Umino si rese conto che a parlare era stata la sua fidanzata.

Mamoru vide rosso, scattò verso i due, ma fu fermato da Michiru, che lo bloccò per un polso.

-Non farlo-, lo pregò, ma lui la strattonò con biasimo e si fece spazio tra gli altri finché non li raggiunse. Voleva spaccare il viso ad Haruki, quel bel visino da ragazza con cui si era preso gioco di lui, ma quando gli fu davanti non lo degnò di uno sguardo. Si avvicinò a Usagi, piegò appena la schiena per essere alla sua altezza, posò piano le mani sulle sue spalle e la guardò. Non c'era niente da chiedere, nulla da rispondere. Lasciò che lei si avvicinasse e la strinse in un abbraccio.

-Portami via-, Usagi bisbigliò sul suo petto e lui lo fece, conducendola in casa, su fino alla sua camera.

Ma passando davanti a Michiru, ricacciando indietro le lacrime, Usagi la guardò con disprezzo e si trovò a sibilare tra i denti: - Sta' lontana da lui-.




 

Motoki uscì dal bagno al piano terra strofinandosi la maglia che aveva appena tentato di ripulire dopo essersi sporcato con uno schizzo di carne. Incrociò Mamoru che saliva le scale tenendo per mano Usagi, in silenzio. Raggiunse gli amici in giardino, si avvicinò a Makoto. -Che mi sono perso?-, le domandò senza comprendere e fu ragguagliato sugli ultimi due minuti di terremoto.

Sospirò, guardò distrattamente la macchia sulla camicia buona. -Domani te la lavo io-, gli disse Makoto, in un sorriso complice.

Le salsicce erano sulla brace, Umino e Naru avevano iniziato a dondolarsi in una specie di ballo, seguendo la musica che proveniva da dentro casa.

-Ti va di ballare?-, propose Motoki a Makoto.
-Un ballo a Cupido non si nega mai…-, lo prese in giro la ragazza e le parve di volare su una nuvola. 

Sembrava che Mamoru si fosse comportato nel migliore dei modi con Usagi, nonostante le sue preoccupazioni e a differenza di quello sciagurato di Haruki, quindi… perché rinunciare a priori a quel sentimento per Motoki, che in fondo bruciava da tanto tempo dentro di lei?



 

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-Sei una sciagurata!-, tuonò Michiru, una volta in auto, dopo aver abbandonato la festa riempiendo le stanze della Villa del sacerdote delle loro più sentite scuse.

-Ma me la sono goduta!-, ammise Haruka, svoltando nel vialetto della casa che avevano preso in affitto temporaneo.

-Te la sei goduta!?-, Michiru non credeva alle sue orecchie, -Ti è piaciuto baciare la Regina, allora! Sei una traditrice: della corona e del nostro rapporto!-, sbatté la portiera dell'auto.

-Che hai capito? Mi sono goduta l'espressione del Re! Che coglione!-, uscì dall'abitacolo sfilò una penna dalla tasca dei pantaloni e permette il bottone. Subito la camicia che indossava si riempì delle sue forme femminili e la magia che l'aveva fatta sembrare un maschio per una sera si dissolse.

Michiru ammorbidì l'espressione: in definitiva quello che aveva detto a Mamoru era vero e preferiva senza ombra di dubbio le donne… ma volle togliersi uno sfizio.

-Raccontami... quindi è stato bello baciare Usagi?-, domandò alla compagna, allacciando le braccia attorno al suo collo.

La ragazza alzò le sopracciglia stringendo le labbra, non avrebbe risposto a quella domanda.

Michiru si avvicinò al suo orecchio, lo sfiorò con le labbra.

-Per me è stato bello fare tutto quello che ho fatto al nostro povero futuro Re…-, sillabò, mordendole piano il lobo. Le sgusciò via tra le mani, ridendo ed entrando in casa.

-Michiru!!!-, strillò Haruka e la inseguì fino in camera. Dovevano continuare quello che avevano iniziato.




 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


Capitolo 18
Rivelazioni, La Guardia & Un letto per due


Il silenzio nella stanza di Usagi si sarebbe potuto tagliare a fette.

Stava seduta sul suo letto e ancora non aveva lasciato la mano di Mamoru da quando lui l'aveva allontanata da quel maledetto Haruki. Sentiva le labbra bruciare e la mano pulsava ancora per il colpo inferto a quel disgraziato, ma nella testa le frullavano le immagini di quello che aveva sentito dire dai maschi. Era stata baciata controvoglia, eppure non le importava, le Interessava troppo di più sapere cosa davvero avesse fatto Mamoru con Michiru. Non contava davvero niente, allora, l'idea di un amore romantico che da sempre coltivava, fatto di parole sussurrate, di sospiri e di un lento scoprirsi? Potevano davvero bastare un paio di incontri con un ragazzo e, sbam, finivano a fare cose che lei arrossiva solo a pensare? La poesia di un cuore che batte forte forte tenendosi per mano in un prato di fiori, una promessa, un principe gentile come quello dei suoi sogni, non esistevano nella vita reale, dunque?

Come aveva potuto Haruki farle quello che le aveva fatto, eppure sembrava un così bravo ragazzo, ed era così bello! E Mamoru… cosa aveva fatto lui con Michiru? Erano vere quelle voci velenose che erano arrivate altre sue orecchie?

-Calmati Usako-, si rese conto che stava stringendo troppo la mano del ragazzo, la sua voce calda, come un'onda che cancella le impronte sulla sabbia, la riportò in uno stato di tranquillità. Lo abbracciò, senza un vero motivo, perché ne aveva bisogno, ma doveva sapere se anche lui fosse come tutti gli altri. Pregava perché non fosse così, almeno lui, almeno il suo baka...

-È vero che hai fatto l'amore con Michiru?-, gli domandò d'un fiato, arrossendo. Sentì svanire l'abbraccio, perse la mano intrecciata alla sua, lo guardò negli occhi e vide qualcosa che non avrebbe voluto vedere. Mamoru si alzò e percorse qualche metro avanti e indietro davanti a lei, che si era già pentita della domanda.

-È questo che si dice di me?-, le chiese senza nascondere la rabbia, quindi collegò il gesto avventato di Haruki a quello che si erano detti al parcheggio di Ithogaya e comprese di essere stato lui la causa di quello che era accaduto a Usagi.

Non poteva essere andata altrimenti: Haruki, se aveva sentito discorsi del genere su sua sorella, aveva reagito a quel modo marcando il territorio e prendendosi una rivincita su di lui, per questo aveva osato baciare Usagi.

-È a causa mia che lui ti ha…-, strinse un pugno e serrò i denti. Non riusciva nemmeno a ripetere a parole l'affronto subito da Usagi. Chi erano e soprattutto cosa volevano quei due sconosciuti da loro? E lui… come aveva potuto lasciarsi irretire così?

-Ma cosa dici? Non è colpa tua-, lo rassicurò Usagi, raccolse le mani in grembo e abbassò lo sguardo; -È che io sono una stupida-, bisbigliò, -Lo dovevo capire che Haruki non era un bravo ragazzo, lui non mi ha mai fatto davvero battere il cuore e io invece sono caduta come una sprovveduta nella sua ragnatela-, si coprì le guance con le mani, era così indifesa in quel momento, spaurita come un uccellino caduto dal nido provando il primo volo.

-Spero solo che non ti abbia rubato il primo bacio-, le disse piano Mamoru, tornando vicino a lei, ma non osando sfiorarla. Era sicuro che, per una come lei, ogni cosa che ruotasse attorno all'amore dovesse essere celebrato, non buttato via, come probabilmente era avvenuto.

Un dolce sorriso fiorì come d'incanto sulle labbra della ragazza, -No, non l'ha fatto-, disse semplicemente e Mamoru involontariamente strinse i pugni. Una gelosia immotivata lo colse, come gli era saltato in mente di tirare fuori un discorso che nel profondo non voleva udire? Usagi, lei era… in quel momento doveva sforzarsi di vederla come una sorella minore, da proteggere, ma forse anche da brontolare per qualcosa che non gli andava giù, come se avesse avuto la pretesa di controllare la sua vita sentimentale.

-E chi è che ti ha baciata?-, sputò mordendosi la lingua un attimo dopo, non erano certo affari suoi! 

Non rispondere, non rispondere! Pregò. 

-Il ragazzo di cui sono innamorata-, abbassò il viso, -Ma credo che lui non ami me-, confessò.

 

A volte, quando un animale viene ferito, invece di fingersi morto, attacca. Così fece Mamoru, il cervello in tilt e l'interrogativo sul perché si sentisse a quel modo.

-Michiru mi è saltata addosso, mi ha toccato, mi ha baciato-, sciorinò più sconvolto che entusiasta, -Ma tutte le altre voci sono false-, si sentì di aggiungere.

-E lei ti ha rubato il primo bacio?-, Usagi non poteva credere alle sue orecchie, per quello che aveva chiesto d'impulso, la sua domanda era del tutto fuori luogo, scaturita in risposta a supposizioni del tutto personali. Era stato evidente a tutti che Haruki avesse osato farle qualcosa di non gradito, ma che ne poteva sapere lei se con Michiru era stata una cosa desiderata da Mamoru oppure no?  In fondo lui era più grande, era normale che un bel ragazzo come Mamoru potesse interessare alle altre. E anche se non le aveva voluto rispondere, quella mattina, chissà quante ragazze aveva avuto, quante esperienze e quanto baci, forse la stessa Rei lo aveva fatto, anni prima. Magari Mamoru avrebbe voluto andare avanti con Michiru e adesso, a causa sua, lei era andata via e lui si trovava costretto con una ragazzina che si preoccupava di sapere se quello fosse stato il suo primo bacio.

Le sorrise, le doveva una risposta, ma Usagi si era già pentita della domanda:

-No, non mi ha rubato niente.-

Era ovvio… cosa pensava, chissà quante labbra erano passate sulla bocca di Mamoru! I lineamenti del suo viso si indurirono, Usagi pregò perché la conversazione finisse lì.

-L'unico vero bacio l'ho dato alla ragazza di cui sono innamorato-, continuo invece lui, facendole eco, -Ma poi le ho fatto del male e non ho più trovato il coraggio di avvicinarmi di nuovo a lei-, ammise.

Usagi provò un moto di gelosia, guardò il ragazzo, rimasero a fissarsi per un attimo lungo tutta la loro vita. E così anche il suo baka soffriva per amore, proprio come lei; entrambi avevano cercato un palliativo in qualcuno per cui non provavano niente. 

 

Tuxedo Kamen non sarebbe tornato da lei, forse si era stancato di doverle fare da balia, si disse Usagi.

Sailor Moon non avrebbe mai perdonato il dolore che le aveva inferto, realizzò Mamoru.

Dovevano accettarlo, tornare coi piedi per terra e non pensare più alle loro doppie identità. E andare avanti.

 

-Torniamo giù?-, propose Usagi, realizzando che Mamoru era una persona molto più complessa di quello che aveva potuto credere fino ad allora. Era capace di essere odioso come una spina sotto al piede, scontroso, menefreghista e lunatico, eppure era sempre presente per lei. L'aveva protetta come un fratello, l'aveva fatta ridere, l'aveva fatta sentire completamente a suo agio, come se lo conoscesse da sempre e da sempre lei avesse potuto fidarsi di lui. Ma il suo cuore, quello no, non lo conosceva affatto, ne aveva appena avuto la dimostrazione. Considerò che non le importava, in fondo le bastava che lui ci fosse sempre. 

Come era stato con Tuxedo Kamen.

-Okay-, le porse la mano perché si alzasse, guardò negli occhi azzurri e capì che quella ragazzina non solo era il balsamo sullo strappo delle sue identità nascoste, era un caposaldo con i suoi gesti scontati e quelli inattesi, con le sue ovvietà e i suoi misteri ed era giusto così.

 

Se però trovo quel baka che l'ha baciata senza amarla davvero, gli faccio pentire di aver illuso la mia Usako. 

Era una promessa.

 

---

 

Le amiche avevano messo da parte un'abbondante porzione di carne per Usagi, i ragazzi invece si erano dimenticati di Mamoru.

-Facciamo a metà-, aveva proposto la ragazza, ma, dopo il primo pezzo di salsiccia, Mamoru si accorse di avere lo stomaco chiuso. Tutti quei discorsi gli avevano fatto tornare a galla quanto sentisse la mancanza di Sailor Moon, il pentimento per averle fatto del male si era riacutizzato e quello era decisamente un momento in cui avrebbe voluto stare da solo.

Iniziò a vagare per il giardino, riflettendo su un dettaglio che aveva trascurato: Haruki, quel pomeriggio, aveva provato a baciarlo e lui l'aveva respinto, eppure si era sentito quasi attratto nel momento in cui aveva pensato che fosse una femmina… e poi, nel respingere quel contatto, aveva messo le mani avanti e avrebbe potuto giurare di aver sentito bene. Praticamente aveva palpato il suo seno ed era sicuro che fosse una ragazza, eppure…

-Allora, mi vuoi fare un riassunto?-, gli domandò Motoki, apparso alle sue spalle. No, non voleva fare un riassunto, lui non parlava mai con nessuno, era abituato a stare solo e tenersi tutto dentro.

-È un casino, Furu-, gli disse invece, capitolando alla umana necessità di sfogarsi.

Si fermarono vicino al termine della piscina, che per quell'estate ancora non era stata messa in funzione e gli raccontò di quello che era successo con Michiru.

-E tu, l'hai baciata?-, domandò l'amico, nella cui testa si stavano disponendo in ordine le tessere di un mosaico ben preciso.

-Che vuol dire?-, Mamoru non capiva, -Lei mi ha baciato, quindi è ovvio che io lo abbia fatto!-

-Eh no, caro mio-, quel ragazzo sembrava davvero uno sprovveduto in amore, eppure aveva quasi vent'anni, -Se tu non hai sentito la voglia di farlo, se non hai, come dire… partecipato a quel bacio, allora tu non l'hai baciata a tua volta! L'amore è una cosa che si fa in due, se il tuo cuore non batteva all'impazzata e tutto il tuo corpo non ha sentito la necessità fisica di stare con lei, allora…-, la faceva semplice, Motoki, eppure… no, aveva ragione: lui non aveva baciato Michiru.

Annuì, aveva compreso.

-E poi…-, riprese, Motoki era tutt'orecchie; -Oggi pomeriggio, quando sono andato a comprare da bere… anche… anche Haruki ha provato a baciarmi-. Mamoru ringraziò che fosse buio, perché era certo di essere paonazzo dalla vergogna.

Motoki alzò le sopracciglia, non credeva a quello che aveva appena udito, gli tornò in mente per un istante il dubbio che gli aveva instillato due sere prima Rei. Che avesse avuto ragione? Deglutì.

-Avrei potuto giurare che fosse una ragazza-, spiegò Mamoru, mimando senza neanche rendersene conto il gesto di chiudere qualcosa tra le mani, davanti a sé, -Ma immagino che non li vedremo più, quindi mi rimarrà il dubbio.-

-Una ragazza!?-, Motoki non ci stava capendo più niente.

-Ma è ovvio che non sia così, perché poi lui… con Usagi…-

Il biondo prese aria, era giunto il momento di chiarire una volta per tutte alcune questioni che necessitavano di spiegazione.

-E Usagi? Lei l'hai baciata?-, domandò. Era sicuro che prima o poi sarebbe accaduto, se già non era stato.

Mamoru si torse una mano, in realtà l'avrebbe volentieri sbattuta sul viso di Motoki, ma si trattenne. -No, e non credo che avverrà mai. Lei è innamorata di un altro-, si tirò fuori di bocca, fregandosene se il tono della sua voce svelava decisamente la sua delusione.

-E chi è?-, non fu nemmeno sfiorato dal dubbio di poter essere lui in persona, ma a Mamoru sembrava così evidente… Prese aria sforzandosi di cambiare tono, perché Motoki era suo amico e non avrebbe mai contemplato di considerarlo un rivale in amore, specie se non c'era nulla per cui rivaleggiare.

-Immagino sia tu. Vi siete baciati in passato, non è vero?-, solo così avrebbe avuto una risposta.

-Ma stai scherzando!?-, Motoki non credeva alle sue orecchie: -Te l'ho detto e ripetuto: per me Usagi è come una sorellina, non l'ho mai baciata, né lei ha mai baciato me. E ora smettiamola con questa storia, perché mi pare evidente che sia tu e soltanto tu che lei cerca!-

Ma come…?

-Amico, te l'ho già detto: Usagi è pazza di te e non lo dico perché lei me l'abbia confidato, ma perché è così palese! Il problema è che non l'ha ancora capito-, prima che l'altro potesse replicare, Motoki concluse, -E anche se non ci sei ancora arrivato, anche tu sei innamorato di lei. Sveglia, fratello!-

-Ma non è vero!-, si difese Mamoru. Non era vero, non poteva essere vero, perché nel suo cuore c'era Sailor Moon e Usagi in persona gli aveva confidato di amare qualcun altro!

-Che avete fatto allora, su in camera?-, Motoki incrociò le braccia al petto.

Già, che avevano fatto? Erano rimasti in silenzio, si erano abbracciati, avevano confessato quello che era successo, si erano reciprocamente raccontati del loro primo bacio. 

-Nulla, non abbiamo fatto nulla-, gli rispose. 

-Eppure mi ha detto Makoto che avete dato un bello spettacolino con i fratelli misteriosi, pensavo che dopo...-

-Ma sicuro! Quel bastardo ha osato forzarla e l'ha baciata davanti a tutti, contro la sua volontà!-

-E lei si era già difesa da sola, giusto? Quindi tu, perché sei corso a proteggerla sul tuo cavallo bianco?-

-Beh perché io…- si interruppe. 

 

Perché lo aveva fatto? E perché si era immischiato decidendo di seguirli nella gita in moto? In entrambi i casi, però, alla fine, Usagi aveva scelto di seguire lui, quello che non c'entrava nulla con lo strano flirt che intanto lei portava avanti con Haruki.

 

-Perché sapevo che lei aveva bisogno di me-, dedusse, richiudendosi in se stesso.

Motoki aveva colto nel segno.

-Te l'ho già detto: prima o poi ci arriverai anche tu…-, gli battè una pacca sulla spalla; -Cosa provi per lei?-, fu diretto.

Mamoru abbassò lo sguardo, affondando nelle spalle con i gomiti sulle ginocchia.

-Sento che non posso starle lontano. Il perché non riesco a capirlo-, ammise. 

-Vedrai che lo capirai.-

 

Motoki stava per alzarsi, considerando conclusa la chiacchierata.

-È che in realtà io sono innamorato di un'altra ragazza-, le parole di Mamoru lo ghiacciarono sul posto. 

-E chi sarebbe!?-, l'amico lo stava prendendo in giro…

-Una persona a cui sono sempre stato vicino, che ha mostrato di amarmi, che ho baciato per davvero, ma che poi ho profondamente deluso. Non ho il coraggio di tornare da lei, ma vorrei tanto, non sai quanto, che mi perdonasse e che le cose potessero funzionare tra noi-, era sincero.

 

Motoki strinse le labbra, alzò le sopracciglia e non disse altro. Ecco qual era il problema di quei due: si amavano, ma i loro cuori erano già entrambi occupati.

-Ti auguro di fare chiarezza nella tua testa e che Usagi la faccia nella sua-, dichiarò, -Nel frattempo non perdere l'opportunità di accettare che nel tuo cuore possa esserci amore anche per lei-.

Mamoru annuì, Motoki aveva ragione.

 

-E tu invece? Hai fatto chiarezza nella tua per non perdere l'opportunità con una delle due?-, era il suo turno di fare da pungolo confidente.

-Chi sarebbero le due?-, vide Motoki mettersi in difesa incrociando di nuovo le braccia al petto.

-Ami e Makoto, direi…-

-Ancora!?-

Mamoru si mise comodo. -Frequento quel gruppo di ragazze da meno tempo di te, ma ho avuto modo di farlo in situazioni differenti,- iniziò, - E mai prima d'ora ho visto Ami così graziosa come stasera. Che lo abbia fatto perché è interessata a te?-

A questo Motoki non aveva pensato, in realtà  aveva notato come fosse bella quella sera Ami, ma…

-In quanto a Makoto, di lei lo sappiamo da tempo che gli piaci, e molto…-

Motoki scosse la testa: -Mi sembra che sia piuttosto presa da Kenzo, invece…-, un lieve accenno di rancore nella sua voce.

-Tuo fratello da ieri è molto gentile con lei, con tutti in realtà...e la posso capire! Ma tu che ne pensi?-, già, che ne pensava lui?

-E non dirmi che c'è ancora Reika nel tuo cuore, perché lo sai meglio di me che ormai ha preso un'altra strada-, si riferiva senza dubbio al fatto che la ragazza avesse seguito il collega ricercatore negli Stati Uniti, lo avrebbe dedotto anche un idiota che ci fosse dell'interesse.

Motoki non rispose, d'altronde, dopo il terzo grado che aveva fatto all'amico, era il minimo che lui stesse ricambiato il favore.

-Pensaci-, concluse Mamoru e tornò dagli altri.

 

Makoto era una ragazza deliziosa: viveva la vita con entusiasmo, nonostante il dramma della perdita della sua famiglia, ci metteva amore nelle sue passioni, la cucina, il giardinaggio e poi era estremamente empatica, oltre che veramente carina. In realtà erano carine e deliziose tutte le ragazze che erano con loro in vacanza, dalla timida Ami che quella sera era davvero incantevole, al fulgido tornado che era Minako, dalla dolce e matura Naru alla scoppiettante Rei, fino a Usagi. Usagi… In qualche modo lei risplendeva sopra a tutte, come se nel suo destino ci fosse scritta una sorte differente, come se stesse abbandonando il bozzo della ragazzina sgraziata e si stesse tramutando in una meravigliosa farfalla. Usagi era cotta di lui da quando aveva poco più di tredici anni, l'aveva vista crescere e sbocciare, era la sua sorella mancata, la migliore compagna che avrebbe visto al fianco di Mamoru, come se fossero stati il giorno e la notte, la Luna e la Terra, due metà di un destino a cui lui avrebbe voluto assistere.

Erano troppe quelle ragazze! Motoki scosse la testa, sorridendo, erano davvero troppe!

Raggiunse anche lui gli amici, aveva voglia di fare baldoria.

 

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Yuichiro chiese un attimo di silenzio, quando i primi sbadigli preannunciarono che si avvicinava l'ora di fare la nanna. Spiegò che i suoi vicini lo avevano avvertito che c'erano stati alcuni furti nella zona e che, da quella sera, sarebbe stato più prudente, soprattutto per le ragazze, chiudere a chiave le porte delle loro stanze prima di dormire e tenere le persiane sbarrate, poiché l'impianto di allarme sull'edificio era da riparare e avrebbero potuto contare solo sul perimetrico. Lui avrebbe chiuso a doppia mandata la porta di casa e così sarebbero stati tutti un po' più tranquilli.

Nel parlare, incrociò lo sguardo di Hiro, che mosse la testa in segno di riconoscenza: non lo aveva preso per matto, forse quello strano bonzo non era poi così sfigato come pareva.

Rei rimase piacevolmente stupita dalla prudente decisione presa e soprattutto dal tono gentile, ma risoluto, che aveva usato Yuichiro.

Dopo poco le ragazze, una dietro l'altra, iniziarono a salire per andare a letto, seguite da Umino, che provò a svegliare il cugino, invano, dopo che lui si era finito tutta la tequila dalla bottiglia ed era schiantato a dormire sul divano in salotto.

Yuichiro ne approfittò per parlare ai suoi compagni di stanza: spiegò la situazione così come gliel'aveva descritta Hiro, tralasciando i dettagli sul fatto che secondo lui l'intruso fosse una donna con una luce in testa, e propose di fare dei turni di guardia. Siccome lui aveva un gran sonno e la mattina era sempre il primo ad alzarsi per fare i suoi esercizi spirituali, si offrì di coprire il turno dalle sei in poi. Motoki era pensieroso, non avrebbe assolutamente preso sonno rapidamente, quindi si prenotó per stare sveglio fino alle tre di notte. -Ti verrò a svegliare io-, disse a Mamoru che accettò di buon grado il secondo turno, sapendo che, in ogni caso, come accadeva da diverso tempo a quella parte, si sarebbe svegliato per gli incubi nel cuore della notte. -La nostra stanza quindi la chiuderà Motoki da fuori e dopo  sempre lui la richiuderà quando vi darete il cambio-, disse a Mamoru. -Ora svegliamo questi due incoscienti e mettiamoli a letto con il povero Umino-, propose infine. Motoki, senza alcuna grazia, prese il fratello per un orecchio, rinfacciandogli tutto quello che aveva bevuto anche in quell'occasione, gli altri due fecero prendere uno spavento a Hiro, intimandogli di mettersi buono a cuccia nella sua stanza e di stare attento che il cugino non si facesse prendere dal panico.

 

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-Mi sono sentita una sciocca-, dichiarò Usagi a Naru, raccontando ancora una volta tutto quello che aveva provato a causa di Haruki e l'amica la rassicurò che non lo avrebbe più dovuto vedere.

-Era un bel ragazzo, però…-, riprese a parlare, perché lei per prima non poteva credere che quello che era accaduto l'avesse turbata, più che renderla felicissima. In fondo, quando lo aveva incontrato al bar il giorno prima, aveva fatto tanti sogni ad occhi aperti sul bel biondo.

-Non era adatto a te, si vedeva-, osservò Naru, sperando che anche l'amica del suo cuore potesse trovare presto qualcuno da amare.

Usagi rifletté sul fatto che, tra tutte, lei era la sola a essere stata presa di mira da quel farabutto: una volta aveva letto un manga in cui la più bruttina della classe si ritrovava in una situazione simile, quando un tipo poco raccomandabile, giusto per gioco, si era mostrato interessato proprio a lei, illudendola che fosse la più graziosa ragazza del mondo, solo per vincere una scommessa fatta col fratello. Anche Haruki aveva scommesso con Michiru che avrebbe accalappiato la più bruttina, giusto per mollarla e farla stare male?

-Tu credi che io sia brutta, Naru-?-,  domandò Usagi, infilandosi nel lettone con il suo pigiamino da bambina. Si sentiva fragile e sciocca.

-No, Usa-chan, tu sei bellissima, e anche i ragazzi lo vedono-, la rassicurò. Con lei Usagi svestiva i panni della giovane donna e si sentiva libera di mostrare il lato più infantile che ancora aveva, anche facendo domande stupide come quella. Con Naru, Usagi poteva essere se stessa, più che con le altre ragazze.

-Credi che io sia 'fatua'?-, le parole di Makoto bruciavano ancora. Perché allora, tra tutte, proprio lei era stata stretta nella ragnatela tessuta da Haruki? Perché era stata la più sprovveduta?

-Sciocchina-, Naru le posò un bacio sulla guancia, -Tu sei l'ultima delle sognatrici, tu credi nell'amore vero ed è per questo che sei la mia migliore amica-, la rincuorò.

-Hai chiuso tu a chiave?-, domandò Usagi, la voce piccola, mentre stava già scivolando nel sonno.

-Sì, tranquilla, adesso dormiamo-.

Stai tranquilla Usagi e ti prego, non soffrire più mentre sogni. Arriverà anche per te la poesia dell'amore.

 

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Motoki aveva preso al volo di fare il primo turno di guardia, perché la mattina successiva avrebbe voluto essere lui a stupire tutti con la sua torta "del buonumore", la stessa ricetta che preparava quando Umizuno era giù di morale. Aveva adocchiato delle belle albicocche nel cesto della frutta in cucina, quindi si impegnò a non far rumore mentre preparava l'impasto, snoccioló uno a uno i frutti e li fece a fettine che avrebbero guarnito la superficie. Immaginò la faccia di Makoto quando avesse visto che bella sorpresa lui le aveva fatto. Era stato tutta la sera a rimuginare sulle parole di Mamoru e si era effettivamente chiesto se si stesse comportando in modo scorretto sia con lei che con Ami. Non voleva che la seconda pensasse che ci fosse un interesse da parte sua nei suoi confronti, perché Ami era così eccezionalmente sorprendente, in quanto a genialità, che non avrebbe mai dovuto trovarsi a fare una scelta come aveva fatto Reika. Ami era una ragazza che avrebbe fatto strada, nella vita, grazie al suo impegno e all'amore per il sapere e lui non avrebbe mai voluto, né potuto esserle d'intralcio. Inoltre e soprattutto, poi, non era interessato a lei da un punto di vista sentimentale e sperava che la cosa fosse reciproca.

Mise la torta nel forno calcolando i tempi in modo che fosse cotta prima della fine del suo turno di guardia e si domandò se tutte quelle precauzioni non fossero eccessive, dal momento che le versioni di Hiro e Kenzo erano contrastanti e lui non si fidava di nessuno dei due.

Mise a posto la cucina, pulì il fornello, stette per un po' a osservare la torta che gonfiava in forno, si sedette sul divano, accese la TV senza volume, la spense, sbuffò: erano ancora le due e avrebbe dovuto aspettare almeno un'ora prima di svegliare il povero Mamoru. Immaginò che fosse esausto, dopo tutte le disavventure che gli erano capitate, sempre che essere assalito da una come Michiru avesse potuto essere definibile come 'disavventura'. Però in fondo se l'era cercata comportandosi come uno sciocco con lei in spiaggia. Certo, se quello che gli aveva riportato l'amico era vero, essere invece circuito dal fratello doveva essere stato più difficile da digerire. Tra tutte le cose che lo avevano colpito nel suo amico, dal primo momento che lo aveva conosciuto, senza dubbio quella più significativa era sempre stata la sua serietà, che aveva visto piano piano vacillare ogni volta che lui parlava a o di Usagi: i suoi occhi profondi si illuminavano di una luce che normalmente non aveva, era certo che sotto sotto la amasse. Non si perdeva nessuno degli sguardi attenti che l'amico rivolgeva alla ragazza e a ciascuno di essi la sua convinzione si rafforzava. Per questo si era trovato spiazzato quando Mamoru gli aveva confessato di amare un'altra: semplicemente si sbagliava, o almeno sperava che fosse così… chiunque fosse questa ragazza, se l'amava così tanto come sosteneva, perché Mamoru sembrava trasformarsi in un'altra persona giorno dopo giorno sempre di più, quando c'era di mezzo Usagi?

E poi c'era quell'altro dettaglio… Secondo lui, il fatto che Mamoru avesse riportato l'interesse di Usagi per un non meglio definito "altro", che a sentir lui era quello che l'aveva baciata in passato, poteva essere banalmente una scusa che la ragazza aveva fornito al suo amico, perché messa in imbarazzo da tutta quella girandola di emozioni. Almeno Usagi doveva essere innamorata di Mamoru, oppure lui non ci aveva capito proprio niente in quei due misteri ambulanti!

Guardò l'orologio, era ora di tirare fuori la torta dal forno, farla un po' raffreddare e metterla nella stessa credenza in cui Makoto aveva nascosto la sua, la sera prima.

Cancellò ogni traccia del suo lavoro e aprí lo sportello: una torta alle albicocche, chiaramente preparata a mano, era lì, dove avrebbe voluto mettere la sua. Qualcuno di sua conoscenza sembrava avesse avuto la sua stessa identica idea.

Makoto… sorrise, fece un po' di spazio e sistemò la sua torta vicino alla sua gemella.


---


Mamoru non dormiva quando sentì la chiave ruotare nella toppa della loro porta. Motoki entrò e si avvicinò a lui.

-Sono sveglio-, annunciò bisbigliando, -Com'è la situazione?-

-Tutto tranquillo. Yuichiro ha detto che ti puoi mettere nella stanza di sotto, magari cerca di non dormire…-, gli dispiaceva che l'amico fosse costretto a rimanere in guardia per tre ore, sicuramente non avrebbe ammazzato il tempo come aveva fatto lui, cucinando.

-D'accordo-, Mamoru uscì dalla camera e lui chiuse a chiave.

 

Prima di scendere al piano terra, Mamoru indugiò un attimo davanti alle porte delle stanze delle ragazze, quindi, poiché non aveva udito alcun rumore sospetto, sbadiglió e andò in salotto. Dalla poltrona accanto al grande camino di design poteva vedere bene le vetrate che davano sulla terrazza, la porta d'ingresso e le scale, così si sistemó e allungò le gambe sul tavolino davanti a sé.

Aveva di nuovo avuto un incubo e si era svegliato poco prima che arrivasse Motoki, tutto sudato. Non c'era Serenity, ma Sailor Moon, quella volta, che lo guardava mentre Michiru stava sopra di lui e iniziava a sbottonargli la camicia. Piangeva e d'un tratto la sua divisa bianca si tingeva di rosso, colpita da una rosa. Voleva muoversi, correre da lei, ma Michiru glielo impediva, non riusciva ad alzarsi. Una luce attorno a Sailor Moon rendeva impossibile guardarla, ma quando la luce svaniva al suo posto c'era Usagi, con l'abito bianco di quella sera, coperta di sangue e a soccorrerla arrivava Haruki, che la prendeva con la forza e la baciava.

Urlava il suo nome, lottava con Michiru perché lo lasciasse andare via, ma Haruki portava via Usagi, sempre più lontano da lui, finché si era svegliato di soprassalto.

Sto impazzendo, osservò tra sé e sé.

Un pensiero fugace attraversò la sua mente: che cos'era in fondo l'amore?

 

Sentì le palpebre farsi pesanti, doveva rimanere vigile. Inspirò con forza, cambiò posizione, sforzandosi di non chiudere gli occhi.

In fondo avrebbe avuto di nuovo un incubo, non valeva la pena dormire, tanto più che la nuova versione onirica non era migliore di quella a cui si stava abituando.

Si era sentito lo stesso morire dentro, anche se nel suo ultimo sogno non c'era Serenity. 

 

Serenity…

 

Lei era così bella, così magica sempre illuminata dalla luna e, anche se lui sapeva di aver tradito la sua fiducia, lei era lì, per sempre ad aspettarlo.

I suoi capelli si muovevano al vento, dalle sue labbra una lieve preghiera per ritrovarlo, per farsi amare, per amarlo, lui che non c'era più, lei che guardava la luna e piangeva lacrime di luce. Stava in piedi su un precipizio, forse una vecchia fortezza in pietra, chiamava con un filo di voce il suo nome, lasciava che il vento portasse via le sue parole. Giungeva le mani al petto, altre lacrime scivolavano sul suo viso pallido, poi si lasciava cadere nel vuoto e andava giù, giù, lentamente, come se volasse.

 

Un rumore sordo lo strappò a quella visione dolorosa, Mamoru si destò rendendosi conto inorridito che si era addormentato. Si alzò di scatto dalla poltrona senza capire da dove fosse provenuto quel tonfo, salí di sopra per controllare le camere: sembrava tutto tranquillo. Avvicinò l'orecchio alle porte delle varie stanze e ancora non udí che silenzio, quindi torno giù, più confuso di prima, deciso a fare la guardia seriamente.

Guardò oltre le vetrate, il giardino dormiva immobile illuminato dai faretti, solo l'erba si muoveva appena, l'erba e le foglie degli alberi più in alto e… Maledizione! Non era possibile!

Rannicchiata a terra vicino al dondolo vide Usagi.

Non può essere lei!
Aprì rapidamente una delle porte finestre e la raggiunse in pochi istanti.

È lei!

Che cosa diavolo ci faceva Usagi fuori di notte, dopo tutte le raccomandazioni che Yuichiro aveva fatto! Si inginocchiò accanto alla ragazza, aveva la pelle delle guance umida, gli occhi bagnati di lacrime.

-Usako-, la chiamò per svegliarla, -Usako!-, riprovò. La ragazzina si rannicchiò di più, la fronte si increspò, le labbra si tirarono. Era la stessa situazione che Mamoru aveva già vissuto sulla nave: Usagi non si sarebbe svegliata, ma non poteva rimanere certo lì. Chissà poi come ci era arrivata in giardino, se la porta era chiusa a chiave e lui era sicuro che lo fossero anche le altre porte al piano terra! Infilò un braccio sotto le sue gambe e l'altro dietro al capo e si rese conto che tremava; la sollevò, portandola dentro casa, non voleva che qualcuno la trovasse fuori dalla sua camera e iniziasse a brontolarla per non aver rispettato gli accordi, quindi entrò con lei nella stanza per gli ospiti, chiudendo la porta alle sue spalle.

Si sedette sul bordo del letto tenendola sempre tra le sue braccia, quasi la stessa cullando, sperando che almeno smettesse di tremare.

-Usagi-, chiamò ancora e la ragazza si mosse, stringendo tra le dita la sua maglietta poi emise un sospiro flebile e frammentato. Per un attimo parve rilassarsi, ma a quello dopo, di nuovo, i suoi muscoli si contrassero e il dolore si dipinse sul suo volto.

-Devi svegliarti, Usako-, la tenne stretta, dondolandosi sul posto per tranquillizzarla, come se fosse stata un neonato, scostò un ciuffo di capelli che le avevano coperto un occhio.

-Cosa stai sognando? Sei ostaggio anche tu dei miei stessi incubi?-, domandò bisbigliando con le labbra sui suoi capelli biondi. Ne odorò il profumo, come quel pomeriggio sulla scogliera. Sai di luna, pensò, e con un dito tracciò, il profilo del suo volto, sfiorandola appena.

Attese che si fosse rilassata del tutto, si voltò e la mise distesa, cercando di fare il più piano possibile. L'avrebbe riportata nella sua camera, ma prima doveva andare ad aprire la porta, altrimenti poi non avrebbe saputo come fare, con lei in braccio. Si alzò dal letto.

-Mamoru?-, si era svegliata, -ma dove sono?-

Il ragazzo si affrettò a tornare da lei, si sedette sul letto e cercò le parole migliori per non spaventarla.

-Devi essere andata in bagno e poi… non lo so Testolina Buffa, ti ho trovata che dormivi in giardino! Yuichiro mi ha messo di guardia per la tranquillità di tutti-, le spiegò a bassa voce, sforzandosi di apparire tranquillo. -Torna nel tuo letto ora-, la ragazza annuì e si alzò. Sembrava pesantemente confusa.

-E come ci sono arrivata qua?-, gli domandò.

-Beh…-, Mamoru si grattò la nuca, in imbarazzo, -Ti ho… Ti ho portata io…-

-Oh-, realizzò lei, -Grazie-, altri due passi verso la porta, -Allora… buonanotte...-

-Buonanotte-, aspettò che uscisse e richiudesse la porta e si lasciò crollare sul letto.

 

Buonanotte Usako…

 

Gli batteva forte il cuore, ma perché!? Mise la testa sotto al cuscino, le parole di Motoki gli stavano facendo uno strano effetto.

L'importante era che la situazione fosse tranquilla e le ragazze, Usagi, fossero al sicuro.

 

Due colpetti alla porta lo raggiunsero oltre l'imbottitura del cuscino. Schizzò come una molla e aprì. Usagi, con il suo pigiamino corto e i piedi scalzi leggermente incrociati, era davanti a lui con una faccia sconvolta. Aveva le ginocchia sbucciate, l'espressione spaventata, come una bimba indifesa di ritorno da un'esplorazione che le avesse messo paura.

Entrò senza chiedere permesso e richiuse la porta alle sue spalle. -Che è successo?-, forse le ragazze non erano al sicuro…

-La porta di camera mia è chiusa a chiave-, balbettò la ragazza, -Naru mi ha chiusa fuori!-, proseguì a voce più alta.

-Shhh!-

Era imbarazzata e spaventata: -E adesso come faccio? Non posso svegliarla, si prenderebbe un coccolone!-, pigolò.

Mamoru sorrise nel vederla annaspare in un bicchier d'acqua: -Dormi qui-, era la soluzione più semplice.

-E tu?-, un'altra domanda innocente.

Il giovane si guardò attorno -Starò in salotto-, le indicò il letto e fece per uscire.

-Ma io ho paura a rimanere qua da sola!-, com'era spontanea, quella ragazza! Mamoru le sorrise inclinando la testa.

-Stai tranquilla-, disse soltanto e tornò sui suoi passi.

Stava per poggiare la mano sulla maniglia della porta quando, -Ti prego, resta con me-, gli chiese Usagi e allora Mamoru capitolò e andò a stendersi accanto a lei. 

-Mettiamoci lontani-, propose Usagi e il ragazzo, col cuore che aveva ripreso a battere forte per colpa di quello che che gli aveva detto Motoki, chiuse gli occhi. 


---


La luce filtrava attraverso le finestre, Yuichiro dubitò che fossero ancora le sei. Si sollevò e cercò a tastoni l'orologio sul comodino, infatti erano le sette passate. Perché Mamoru non aveva rispettato il suo turno di guardia? Prese i vestiti e uscì piano dalla stanza, notando che Motoki invece stava dormendo della grossa. Si lavò rapidamente il viso, si vestì e scese di sotto per dare il cambio a Mamoru, ma non lo trovò né in salotto né in cucina. 

Starà dormendo, gli farò prendere un bello spavento! Non rimaneva che la stanza degli ospiti, quindi abbassò piano piano la maniglia ed entrò.

C'era abbastanza luce, ma dovette aguzzare la vista per essere sicuro di quello che aveva davanti. Sorrise: per quella volta gli era andata bene a quel donnaiolo dell'aspirante medico dei suoi stivali!

Richiuse la porta alle sue spalle, uscì in giardino e iniziò i suoi esercizi spirituali. Ma tra una preghiera e l'altra, la sua mente correva a quello che aveva visto e che gli era sembrata la cosa più dolce dall'inizio di quella assurda vacanza.

Mamoru e Usagi dormivano beatamente abbracciati in mezzo al letto, le gambe intrecciate, i volti rilassati, come non aveva ancora visto fino ad allora in nessuno dei due.

Altro che Michiru La Pollastrella o Haruki Il Pollo D'oro: quei due erano fatti l'uno per l'altra, nelle arrabbiature e nelle circostanze, nelle esperienze e negli incubi, e, in qualche modo, ormai l'avevano capito anche i sassi di Villa Kumada, finivano sempre per ritrovarsi insieme.

 

Motoki lo raggiunse dopo un po', chiedendogli che fine avesse fatto Mamoru, dal momento che non era in camera. 

-Guarda nella stanza dietro al salotto-, gli rispose il proprietario della Villa, -ma non li disturbare, almeno per un altro po'-, e così anche Motoki ebbe la soddisfazione di rubare un momento di magia ai suoi amici.

 

---

 

Usagi fu la prima a svegliarsi aprendo pigramente gli occhi e richiudendoli. Non dormiva così bene da un tempo immemore, sospirò, muovendo la testa e solleticando con i capelli il volto di Mamoru. Lui inghiottì e si mosse appena, stringendola un poco. Usagi si crogiolò per un attimo in quella sensazione, quindi spalancò gli occhi, guardò a destra e a sinistra e fu colta dal panico. Il cuore prese a battere così forte che se si fosse mossa troppo rapidamente le sarebbe esploso in petto. 

Realizzó che aveva le gambe intrecciate a quelle di Mamoru, una mano sul suo petto e l'altra mollemente abbandonata vicina al suo viso. Era rilassato, era maledettamente bello... Sfiorò con un polpastrello la pelle della guancia del ragazzo, sotto l'altra mano il suo cuore batteva tranquillo, socchiuse gli occhi, dovevano muoversi da lì, ma ci stava così bene...

-Ma... Mamoru-, mormorò e percepì l'istante in cui lui si svegliò, vide gli occhi blu aprirsi su di lei, sognanti. Mamoru si rese conto immediatamente della situazione e il suo cuore prese a battere all'impazzata sotto il  palmo della ragazza. 

Si tirò su repentinamente appoggiandosi sui gomiti, nel muoversi realizzò che lei aveva una gamba sulla sua, Usagi venne praticamente sbalzata via.

-Usako mi dispiace, mi sono addormentato, ti giuro che non è successo niente, non ti ho fatto niente!-, aveva la voce assonnata, con il lenzuolo cercò di coprirsi, quantomeno le parti che era più necessario. Sarebbe arrivato il terzo schiaffo per lui, ne era certo, non appena la ragazza si fosse svegliata del tutto, perché ancora aveva le palpebre socchiuse.

-Tranquillo Mamo!-, biascicò lei e cercò di rimettersi nella posizione in cui si era svegliata, ci stava troppo comoda con la testa affondata sotto al collo del ragazzo, non si sentiva così riposata da mesi, -Torna giù-, gli disse e non si rese conto di stare scivolando di nuovo tra le braccia di Morfeo. No, fu l'ultimo pensiero che ebbe, non di Morfeo, di Mamoru…

 

Il ragazzo rimase immobile, quasi non osava respirare, ma dovevano uscire da lì senza che nessuno li vedesse. Che ore erano? Si era dimenticato di svegliare Yuichiro, sicuramente. Alzò il polso sinistro per guardare l'orologio, così facendo tirò di più a sé Usagi, che strusciò il naso sotto al suo collo.

 

Se fai così io impazzisco…

 

La sera prima Michiru era montata a cavalcioni sui suoi fianchi, aveva allungato le mani sotto la sua maglia e lo aveva baciato: in quel momento le parole di Motoki gli erano più chiare che mai, era bastato sentire il respiro di Usagi sulla sua pelle per provare qualcosa che mille baci di Michiru non avrebbero potuto svegliare.

Mamoru sospirò: sarebbe rimasto anche lui in eterno così, ma dovevano alzarsi. E poi Usagi era una ragazzina, non era la sua fidanzata e sicuramente non lo sarebbe mai stata, era troppo sconveniente rischiare di farsi trovare lì.

 

Scivolò da sotto di lei sentendo il freddo del distacco cristallizzarsi come ghiaccio sulla sua pelle, fece attenzione a non svegliarla e pensò a come uscire dalla stanza senza essere visto. L'importante era che nessuno si accorgesse che erano insieme. Si soffermò davanti alla porta e ascoltò i rumori dal corridoio. Yuichiro lo avrebbe strozzato, sicuramente.

Quando fu certo che non ci fosse nessuno, abbassò lentamente la maniglia e velocemente svanì dalla stanza, come un'ombra. Scorse in cucina i suoi compagni di stanza, non sembrava esserci nessun altro, quindi azzardò e scivoló silenziosamente in giardino, per risbucare come un furetto dalla porta finestra della cucina.

-Buongiorno-, finse di sbadigliare, -Scusami Yui, mi è dispiaciuto svegliarti e sono rimasto a fare la guardia dal giardino-, mentì, ma credette di essere convincente.

Il padrone di casa non disse nulla, ma si voltò verso Motoki e lo sguardo che si scambiarono di sottecchi valse più di mille parole. Il biondo abbassò la testa per non far vedere che aveva stirato le labbra in un sorriso soddisfatto.

-Caffè?-, Yuichiro gli mise davanti una tazza fumante e Mamoru lo ringraziò dal profondo del cuore. 

Erano le otto e mezzo, forse avrebbero avuto un altro po' di tempo per chiacchierare tra loro.

-Comunque io non ho notato alcun movimento sospetto-, dichiarò Motoki, -Neanche io, direi-, aggiunse Yuichiro, quindi entrambi si voltarono verso Mamoru, con un'espressione enigmatica sul viso.

Beh, lui aveva sentito uno stonfo in giardino, aveva trovato Usagi che dormiva fuori dalla sua stanza chiusa a chiave ed era più che certo che, almeno durante la sua guardia, nessuno fosse uscito dalle proprie camere.

E quindi come aveva fatto Usagi a trovarsi in giardino?

Stava per rispondere che era tutto tranquillo, avrebbe indagato in solitaria quando si fosse schiarito del tutto le idee, quando una chiave, da sopra, ruotò in una toppa, una porta si aprì con forza e Naru, terrorizzata, apparve correndo per le scale.

-Usagi è sparita!-, strillò e tutti e tre i ragazzi -Shhh!- le risposero in coro.

-La porta era chiusa a chiave, ma lei non c'è!-, sembrava terrorizzata, qualcuno doveva dirle che la sua amica stava dormendo a pochi metri da lei, ma non lo avrebbe di certo fatto Mamoru, altrimenti la sua copertura sarebbe saltata.

-Calma, calma!-, fu Yuichiro a parlare, -Usagi è qua, sta dormendo-, le spiegò, mentre Motoki le passava un bicchier d'acqua. Mamoru sentì il terreno delle menzogne sgretolarsi sotto i suoi piedi.

-Ha avuto un incubo, l'ho sentita, ma avevo troppo sonno per prendere il suo carillon-, continuò Naru. Mamoru si fece pensieroso. -Mi sono addormentata di nuovo e poi… dov'è Usa-chan?-, la voleva vedere per accertarsi che stesse bene.

Motoki annuì e la condusse nella stanza degli ospiti, aprì piano piano la porta e permise che la ragazza entrasse; la lasciò lì e tornò in cucina.

-Mio caro, adesso devi spiegarci un paio di cosette-, il biondo increspò le labbra e si mise davanti a Mamoru.

Non poteva eludere la domanda, era in trappola.

-L'ho vista in giardino, stava dormendo per terra. Non lo so come sia arrivata lì, ma non sono riuscito a svegliarla-, raccontò senza troppi dettagli.

-Come sulla nave-, osservò Yuichiro; -Come sulla nave-, confermò Mamoru, -Per questo l'ho messa a letto nella stanza quaggiù-.

-... e giustamente ti sei avvinghiato a lei per controllarla con attenzione...-, lo sfotté Motoki.

-Non hai pensato di avvertirci?-, protestò Yuichiro.

Mamoru, scosse la testa, abbassandola: aveva sbagliato.

Yuichiro ci pensò e ripensò, quindi fornì la sua spiegazione, che era pure logica: -Haruki e Michiru: erano loro gli intrusi. Ieri sera Kenzo ha visto Michiru sulla terrazza in mansarda e stasera i due sono venuti a esplorare la casa, con la scusa della grigliata. Avranno visto che noi ragazzi non abbiamo un soldo bucato, ma evidentemente le nostre famiglie sono facoltose, così sono tornati stanotte e hanno provato a rapire Usagi, per chiedere un riscatto. In qualche modo l'hanno portata fuori, ma Mamoru deve averli spaventati e sono fuggiti lasciando Usagi in giardino-. Batté un pugno sull'altro palmo doveva essere andata proprio così.

-Io non credo che…-, osò obiettare Mamoru, ma fu fulminato dallo sguardo del proprietario della Villa. -Da queste parti è già accaduto. È andata così-, decretò.

Non poterono continuare i loro discorsi, perché, alla spicciolata, le ragazze iniziarono a scendere per la colazione e dopo poco furono raggiunte anche da Umino, Hiro e Kenzo.

-Non dite nulla agli altri-, comandò Yuichiro e iniziò ad apparecchiare sul terrazzo.

 

---

 

Mamoru si prese qualche minuto per sé e si chiuse in bagno, prima che Usagi si alzasse, prima che il caos iniziasse a regnare sovrano come ogni mattina. Rimase appoggiato con le spalle alla porta e lo sguardo verso il soffitto, mentre il cuore gli batteva all’impazzata rimbombando nelle orecchie. Non aveva ancora rallentato da quando si era svegliato accanto a lei, da quando si era reso conto che avevano dormito abbracciati e poi lei lo aveva catturato perché rimanesse ancora un po’ a letto.

Strinse i pugni e serrò le mascelle, dandosi dell’imbecille per aver permesso che accadesse una circostanza così sconveniente per entrambi e che i suoi amici lo avessero scoperto. 

Aveva fatto la figura del maniaco, del falso, del traditore, del…

 

...era stato bellissimo…

 

Lasciò andare l’aria dai polmoni e scivolò con la schiena sulla porta, finché non fu a terra. La smorfia di autocritica che aveva sul viso aveva lasciato il posto a un sorriso sognante dolcissimo.

 

...era stato il più bel risveglio di tutta la sua vita…

 

Non pensava che un contatto di quel tipo lo avrebbe potuto lasciare in subbuglio fino a quel punto. Lei era così leggera e morbida e calda… Poteva sentire ancora il profumo della sua pelle e se chiudeva gli occhi rivedeva quelli azzurri e assonnati di Usagi che gli chiedevano di rimanere un altro po’ insieme.

Si passò una mano tra i capelli, alzò ancor agli occhi al soffitto, sorrise, sorrise ancora, e infine prese aria e si tirò su.

Era accaduto qualcosa di incredibile, sentiva un dolce calore nel petto, capiva che qualche ingranaggio nel suo animo arrugginito aveva ripreso a girare.

Si decise a lavarsi il viso e tornò in cucina per aiutare gli amici. Quella sarebbe stata una bella giornata.

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


Capitolo 19
Subdoli sotterfugi, Obbligo o Verità & L’Ebbro


Naru, seduta sul letto della stanza degli ospiti al fianco di Usagi, smise di giocherellare con una ciocca bionda che penzolava oltre il cuscino. L'amica doveva svegliarsi, gli altri erano già scesi. Provò a chiamarla ancora: -Usa-chan, sveglia!-

Usagi si voltò nella sua direzione, mugolò, poi disse qualcosa nel sonno; Naru si avvicinò, per carpire le sue parole e le parve di udire 'Endymion'. Stava sognando, ma era tranquilla, sorrideva, come non le aveva mai visto fare mentre era addormentata. Le dispiaceva dover interrompere i suoi sogni, per una volta che non la facevano stare male.

-Usagi, è tardi-, riprovò e la ragazza si stiracchiò, aprendo gli occhi. -Naru?-

Fu sorpresa di trovarla lì, tastò il materasso come se cercasse qualcosa o qualcuno che doveva essere accanto a lei.
-Che ore sono?-, si stropicciò un occhio e sbadiglió con un gridolino allegro.

-È tardi, ci aspettano per colazione-, la tiró per una mano e l'abbracció, -Sei contenta oggi!-

Usagi rifletté un istante: sì era proprio contenta, non era in camera sua, quindi non si era sognata di aver dormito vicina a Mamoru.

Si sedettero a tavola e soltanto lui, che si voltò a guardarla arrivare, si accorse che era ancora scalza.

 

-Che si mangia?-, trillò quell'enigma vivente con i codini biondi e in contemporanea Makoto e Motoki si alzarono e corsero in cucina.

 

-Mako, ecco…-, balbettò il ragazzo mentre lei, arrivata per prima, apriva la credenza, trovandosi davanti due torte praticamente identiche.
-Oh!- esclamò Makoto, coprendosi la bocca con una mano.
-Scusami, non lo sapevo che ne avevi preparata già una tu, l'ho scoperto stanotte…-, si affrettò lui a spiegare.

-La tua ha un aspetto magnifico!-, Makoto  studiava le torte per trovare le differenze: sicuramente le sue albicocche erano rimaste più in superficie e si erano bruciacchiate, mentre quelle di Motoki sembravano…
-Le tengo sotto lo zucchero per un quarto d'ora, dopo averle affettate, così si amalgamano meglio all'impasto-, spiegò lui in risposta a una domanda non ancora posta.

Sorrisero entrambi e si presentarono a tavola ciascuno con una torta in mano, per la gioia di Usagi e, di riflesso, di Mamoru.

 

Nessuna delle due torte vinse la gara improvvisata, con Usagi, Minako e Umino giudici: erano diverse, ma incredibilmente buone entrambe, così fu stabilito che, se avessero voluto preparare un altro dolce, quei due lo avrebbero dovuto fare insieme e sicuramente sarebbe stata creata la torta più buona della storia di Villa Kumada.

Ami osservò lo scintillio negli occhi della sua cara amica, sorrise e infilò nella sua borsa del mare la copia di "Buchi neri e universi neonati", con l'intenzione di passare più tempo possibile con il suo unico vero interesse, lasciando a lei il ruolo di complottista assieme a Motoki.

Si prepararono e andarono a piedi alla spiaggia più vicina, sperando di non incontrare più in quel modo i due fratelli che avevano causato già abbastanza scompiglio.

C'era un bar-tavola calda, quel giorno avrebbero pranzato comprando dei panini lì, così Makoto ebbe più tempo per prepararsi e decise, per una volta, di lasciare sciolti i suoi riccioli castani. Quando Motoki la vide, per un istante le ricordò Reika.


Lungo la strada, poco prima di raggiungere la spiaggia, Usagi si allontanò dal gruppo delle sue amiche e raggiunse Mamoru. Indossava lo stesso abitino su cui Haruki aveva versato il suo cocktail, lavato e un po’ sgualcito, e aveva i capelli legati nei suoi consueti odango.

-Mamo, volevo ringraziarti…-, gli disse sforzandosi di non arrossire, -Per ieri sera, per stanotte e perché sei rimasto un po' con me stamattina-, era difficile non diventare rossa e di tutti gli altri colori dell'arcobaleno, -Grazie-.
 

Grazie perché mi hai fatta stare bene, mi hai protetta e sei stato un ragazzo serio. Ma soprattutto grazie perché il tuo cuore sotto di me mi ha cullata e fatta sentire al sicuro.

Grazie perché non mi hai presa in giro, grazie perché finalmente, tra le tue braccia, ho dormito sonni tranquilli.
 

Era così dolce, in quel momento, così angelica…

-Sono io a doverti ringraziare: stanotte finalmente ho dormito bene, non ho avuto incubi-, confessò Mamoru, tornando col pensiero a quella sensazione di pace che aveva solo sfiorato in sogno, prima che Serenity svanisse dalle sue braccia.

-Pensi che abbiamo fatto una cosa… sbagliata?-, la domanda era allo stesso tempo innocente e saggia. La risposta fu spontanea.

-Forse. Ma me ne infischio: vuoi la verità, Testolina Buffa? Dormirei con te ogni notte, perché sei il mio orsacchiotto ormai!-, la cinse con un braccio sulla spalla e la tirò a sé.

 

Rei, per poco non inciampò per la sorpresa, Ami e Naru si scambiarono uno sguardo carico di mille parole. Motoki sorrise e Makoto gli fece l'occhiolino.

Yuichiro si domandò quanto potesse essere complessa la mente umana, come fosse possibile che Usagi fosse uscita da una porta chiusa a chiave e se, in fondo, quella mattina non avesse assistito per primo alla nascita di un nuovo amore.
 

-Amici?-, Usagi domandò a Mamoru.

-Amici!-, le rispose lui, e il suo cuore perse un colpo.



 

---***---***---***---***---***---

 

-È successa una cosa strana-, dichiarò Sailor Mercury avvicinandosi a Pluto, lei annuì, era qualcosa che aveva già visto.

-Non era prevista questa fase, o almeno non è mai avvenuta nella nostra realtà-, osservò scorrendo lo schermo la prima che aveva parlato.
Le proiezioni che mostravano solo grafici e punti, incomprensibili a chiunque altro, per lei rappresentavano l’andamento degli eventi osservabili nella dimensione parallela: più quella curva avesse assunto un andamento simile a quella che rappresentava la loro dimensione, più le prospettive per il futuro sarebbero state positive per tutte loro.
Aveva già notato che la linea della nuova dimensione aveva curvato assumendo un andamento più promettente, ma in quel momento c’era stato un flesso che non era presente nella loro rappresentazione dello scorrere degli eventi nel tempo.
In qualche modo, nel millenovecentonovantasei della dimensione che li avrebbe inghiottiti, era accaduto qualcosa di mai visto da loro.

Guardò l’espressione di Pluto, che pareva essere l’unica in grado di tradurre quelle linee in spiegazioni su cosa stesse accadendo, come se per lei non fossero segni su uno schermo, ma immagini che scorrevano nella sua testa.

 

-Nella nostra dimensione Usagi Tsukino e Mamoru Chiba non sono mai stati legati da qualcosa che non fosse 'amore'. Tutto il fondamento del Regno Argentato si basa sulla loro relazione come coppia-, spiegò Sailor Pluto.

-Ma nella dimensione che dobbiamo salvare sembra che le cose stiano evolvendo diversamente…-

Sailor Jupiter si intromise, facendosi spiegare cosa turbasse le sue compagne.

-Sembra che Usagi e Mamoru abbiano sigillato per prima cosa la loro amicizia-, Sailor Pluto aveva un’espressione indecifrabile sul volto.

Jupiter alzò le sopracciglia e le guardo interrogativamente entrambe, spostando lo sguardo da una all'altra, -E allora? Cosa vi turba? È meglio così, no? Una relazione è tanto più stabile quanto più sostenuta da un legame di amicizia, non trovate?-, una domanda legittima.

-Torno subito-, dichiarò Sailor Pluto, come fosse sulle spine, e uscì dalla sala del Consiglio, in cui le guerriere Sailor erano rintanate da giorni.

 

Pluto inspirò profondamente, una volta sola davanti alla porta del Tempo: era la scelta giusta andare a guardare il futuro che sarebbe stato, sempre che quella volta ci fosse riuscita? Nel mondo dove avevano spedito Uranus e Michiru, così come nel loro, mancavano solo pochi giorni all'eclisse di luna e in quel momento tutto quello che era stato seminato nella dimensione che dovevano salvare avrebbe potuto divenire il fondamento del loro universo futuro. Sperò di riuscire a compiere l'osservazione e non ritrovarsi ancora davanti a immagine sconnesse e nubi dense a coprire ogni possibile informazione.

Strinse il bastone alla cui sommità risplendeva il suo talismano: entrare in quella realtà era rischioso, ma avrebbe compiuto un'osservazione sul futuro.

 

Pronunciò le parole arcane note solo a lei e la porta davanti a sé si spalancò.

 

---***---***---***---***---***---




 

Kenzo ronzava attorno a Mamoru da una mezz'ora buona, curioso come una scimmia, determinato come il Salvatore dell'Amore Vero.

-Che vuoi?-, Mamoru non ne poteva più di sentirsi pedinato, si voltò rimanendo a galla e affrontò il ragazzo.

Kenzo, per poco non bevve acqua di mare, per lo spavento di quel gesto repentino. Tanto valeva togliersi il dubbio.

-Ti sei messo con Usagi?-

-No-

-Ma l'hai abbracciata davanti a tutti!-

-Lo hai fatto anche tu con Makoto e Hiro con Rei-

-È un altro discorso-

-Quindi, che vuoi?-

-Davvero non ti sei messo con Usagi?-

-No-, stava spazientendosi.

-Quindi Usagi è sempre libera?-

-Usagi non è una camera d'albergo-

-Grazie, lo so-

-E quindi, che diavolo vuoi da lei, Kenzo?-, un'altra domanda su Usagi e l'avrebbe affogato.

-Io nulla, ma ti devo dire delle cose e vorrei che mi ascoltassi-

-Sentiamo…-

Kenzo si passò una mano tra i capelli che si erano appiccicati sulla fronte, poi riprese.

-Primo: Hiro ha visto che Usagi è subito andata dietro ad Haruki, si è messo in testa che sia 'una facile' e stamani mi ha detto che vuole provarci con lei, se non vi siete messi insieme. Ha un disperato bisogno di fare sesso prima di tornare a casa e -io ti avverto-, non si farebbe scrupoli con lei-

-Ma che diavolo!?-, Mamoru fece un salto nell'acqua, sebbene non toccasse, scandagliò a trecentosessanta gradi mare e terra attorno a sé per individuare la posizione di quel maniaco.

-Aspetta. Secondo: se mi dai il permesso gli riferirò che voi due state insieme, ma non volete che si sappia in giro, così lui volerà su un altro fiore. Quindi te lo domandò di nuovo: tu e Usagi state insieme? Attento a quello che rispondi-

-No!!!-

-Come preferisci… Terzo…-

-No, no, no, aspetta! Usagi è mia amica e quel pervertito di Hiro deve starle alla larga e se sol-

-Se siete soli amici, magari a lei va di divertirsi con Hiro, non trovi?-

-Rimedierebbe un grande schiaffo anche lui! E io sono pronto a dargli il resto!-

-Ma allora sei interessato a lei-

-Ma cosa… Kenzo, basta, che cazzo vuoi?-

Kenzo ghignò: Mamoru era cotto della sua amica, era ovvio anche ai pesci del mare, o non avrebbe pronunciato parolacce che non gli aveva mai sentito dire.

-D'accordo, riferirò. Terzo…-

-Terzo un corno! State lontani da Usagi, è chiaro?-

-Cristallino. Terzo: Hiro ha detto a Yuichiro che io ho visto un ladro, ma io non ho visto nessun ladro. Non ricordo quello che ho visto, ma stanotte ero a pisciare e…-

-Un Lord…-

-Che bacchettone! Allora, stanotte ero in bagno e dalla finestra ho visto qualcuno sul balcone della camera di Usagi e Naru e mi è tornato in mente quello che avevo dimenticato. Non ho visto un ladro ieri notte: ho visto Usagi entrambe le volte, e stanotte lei ha fatto un salto giù dalla balaustra del terrazzo. Avevo bevuto anche ieri sera, lo ammetto, ma stavolta non me lo sono sognato-

 

Lo stonfo… era plausibile… ma era assurdo!

 

-Nessun commento?-

-Non so che dire, mi sembra che il sole ti abbia dato alla testa. Posso affogarti adesso?-

-Fai poco il simpatico. Io ti ho avvertito, tu se vuoi tieni d'occhio quella ragazzina, in tutti i sensi…-

-Che vuoi dire?-

-La vedo confusa… forse avrebbe bisogno di 'un amico' che vegli notte e giorno su di lei-

-Lo faccio già-

-E certo, la ami!-

-Non la amo-

-E io sono Mickey Mouse-

-Hai finito?-

-Se pensi che non le serva qualcosa di più di un amico, allora forse è giunta la sua ora di farsi una scopata con Hiro, o con qualcun altro…-

-Non ti azzardare a parlare così di Usagi oppure io…-

 

La conversazione era terminata, Kenzo si immerse e riapparve diversi metri più in là. -Allora… Usagi è libera? Che dico a Mr Arrapato?-, domandò ad alta voce, quindi andò giù di nuovo e sparì, senza ascoltare la risposta.

 

---

 

Mamoru nuotò così velocemente che avrebbe potuto partecipare alle Olimpiadi di Atlanta, tornò a riva e si mise a cercare Usagi. Era certo che non fosse in mare, ma non c'era neanche sotto i loro ombrelloni. S'incamminò grondante sul bagnasciuga in direzione del bar e scorse il loro gruppo che tornava verso di lui con dei bicchieri in mano.

Li raggiunse correndo, notò che Usagi stava ridendo mentre parlava con Minako e… Hiro.

-Ehi!-, si affiancò a loro, doveva mantenere la calma.

-Ciao Mamo, ti ho preso questo… coso… ti va?-, con un sorriso la ragazza gli porse un bicchiere con un liquido verde. Che pensiero carino aveva avuto!

-Cos'è?-, domandò prima di assaggiarlo.

-Boh, muggito?-, azzardò lei, facendo ridere chi l'aveva ascoltata.

-Muggito?-, Mamoru piegò le sopracciglia non riuscendo a evitare di sorridere. Bevve un sorso, cavolo era mohjito! -Ma siete matti a bere a quest'ora!?-, esclamò, quindi notò che la ragazza aveva un bicchiere uguale al suo in mano e succhiava dalla cannuccia con avidità.

-Usako! Non berlo!-, strillò agitato. Era impossibile: con quella ragazza era una successione ininterrotta di pericoli, uno dietro l'altro!

-Mamo, dai, è analcolico!-, lo rassicurò Motoki, facendogli l'occhiolino.

-È solo un aperitivo, dai. Prova il mio, Usa-chan-, Hiro offrì il suo cocktail rosa fluo alla sua amica. Come in una scena al rallentatore, lei posò le labbra, quelle dannate labbra rosa! sulla cannuccia di colui che se la sarebbe portata a letto senza neanche chiedersi se fosse quello che lei davvero volesse e tirò un sorso.

-Bleah!-, esclamò, -è alcolico!-

-Sei grande ormai, coniglietta, mica puoi continuare con i succhi di frutta e i frappè!-, le rispose il cugino di Umino, riprendendosi il bicchiere.

Mamoru scostò la cannuccia e bevve un sorso del suo cocktail, si sarebbe ubriacato, forse sarebbe stato più saggio che continuare a fasciarsi la testa con quei discorsi perversi…

Andò a infilarsi tra il maniaco e Usagi: -Non dargli retta, coniglietta, se ti piace il frappè, continua a bere frappè e stai alla larga dai tipi come quello-, le disse vicino all'orecchio e lei arrossì.

-Me lo fai assaggiare il tuo?-, fu la risposta e Mamoru alzò gli occhi al cielo. E quella volta le labbra rosa, le deliziose labbra rosa, si chiusero sulla cannuccia del suo bicchiere.

-È più buono il mio-, dichiarò la ragazza e offrì un sorso all'amico, che sentì il cuore accelerare quando imitò il gesto e bevve con la cannuccia sulla quale si era posata la bocca di Usagi.

 

Digli che Usagi non è libera: lei è la mia ragazza, io la amo e nessuno deve azzardarsi neanche a pensare il suo nome.

 

-Hai ragione: è più buono il tuo, Testolina Buffa-, e di nuovo le passò un braccio ancora bagnato di acqua di mare attorno alle spalle, in un tentativo ancestrale di marcare il territorio.

 

---

 

Oltre all'aperitivo, i suoi amici avevano preso anche i panini. A Mamoru era toccato tonno e pomodoro, se lo sarebbe fatto andare bene.

Minako tornò all'attacco e decise per tutti che avrebbero fatto il gioco 'Obbligo o verità' già paventato due sere prima.

La prima sventurata a iniziare fu Naru, perché era la più giovane tra tutti, ruotò la bottiglia e fu costretta a rispondere alla domanda di Rei. Quella ragazza poteva essere insidiosa… scelse 'verità' e rispose alla domanda "Come fai a sopportare Usagi?" 

Naru sorrise e dichiarò che Usagi era la persona più speciale che avesse mai conosciuto, la sorella che avrebbe tanto desiderato e una scoperta continua. -Usa-chan è come la Luna: ti mostra sempre la stessa faccia, ma sai che ha un universo segreto e meraviglioso che tiene nascosto.-

Rei storse il naso, fingendosi delusa dalla risposta, quindi fece girare la bottiglia e le capitò Kenzo. -Obbligo!-, rispose decisa, ma se ne pentì un istante dopo, guardando l'occhiata furtiva che il ragazzo si scambiò con il suo diabolico amico.

-Alzati e dai un bacio sulla bocca a Yuichiro-, ordinò Kenzo.

-Ma assolutamente no!-, si ribellò Rei.

Mamoru tremò: perché Kenzo non aveva detto 'Alzati e dai un bacio sulla bocca a Hiro?' Allora era vero che lui aveva cambiato i suoi interessi e puntava a un'altra! E quel cotonato di Kenzo gli stava reggendo il gioco…

-Hai scelto obbligo!-, strillò Minako, distraendolo da quei dubbi.

-Non hai coraggio?-, le fece eco Kenzo, poi vide la rabbia pronta a esplodere sul viso di Rei e ritrattò: -Ok, ok, allora…- ci stava pensando.

-Niente baci, lo avevate promesso!-, si oppose Usagi, -Un bacio non è una cosa da prendere alla leggera, un bacio ti segna, un bacio va dato solo a chi si ama e in privato! Oppure si rimedia un bello schiaffo!-

Diverse sopracciglia si alzarono in segno di approvazione e meraviglia. Qualcuna si piegò insinuando oscenità sulla precedente serata.

-Ve l'avevo detto che Usagi è una scoperta continua-, chiosò Naru, orgogliosa della saggezza dell'amica.

-Ok… allora Rei, chiudi gli occhi e corri in mare-

-Ha mangiato da poco, è imprudente!-, protestò Ami, ma Rei era già partita a razzo.

Yuichiro riprese a respirare, domandandosi se avesse appena perso l'occasione della sua vita o se si fosse risparmiato una solenne figuraccia.

Kenzo girò la bottiglia e rispose 'obbligo' al fratello Motoki, che gli ordinò di restare in apnea più che potesse, Motoki proseguì nella serie delle condanne e dovette prendere Ami in spalla e correre fino alla fine della spiaggia, e ritorno, per decisione di Minako. Ami si sentì morire per la fatica che il ragazzo era stato costretto a fare a causa sua e, quando Minako ruotò la bottiglia e questa si fermò proprio davanti a lei, invece che obbligarla a dare un bacio a qualcuno oppure a compiere qualche gesto eclatante, le disse di ripetere la tabellina del sette, cosa che ovviamente Minako non fu in grado di fare, tra le risate generali.

Era il turno di Ami e la sorte volle che le capitasse Mamoru. Le guerriere Sailor avevano paura a rispondere 'verità' così anche lei scelse una punizione.

-La prossima volta che prenderemo le moto, rinuncia al tuo posto sulla Vespa e facci salire chi vuoi tu-. Se la ragazza era davvero sveglia, avrebbe scelto la persona che voleva lui.

Minako obiettò che non fosse un obbligo valido, perché non poteva essere eseguito sul momento, ma Mamoru sostenne che il regolamento non era stato chiaramente illustrato. -Makoto-, decretò Ami, -Perché lei ama le motociclette e le voglio fare un dispetto-, esclamò. L'amica la guardò senza dire nulla, nel suo sguardo tutta la sua riconoscenza. Mamoru comprese che Ami avrebbe fatto strada, nella vita.

Fu il suo turno e ruotando la bottiglia, questa si fermò proprio su Hiro.

Maledizione!

-Obbligo o verità?-, qualunque fosse stata la sua risposta, ne era certo, ci sarebbe andata di mezzo Usagi. Avevano imposto il divieto dei baci, forse almeno poteva stare tranquillo per quello, ma...

-Verità-, disse, ma se ne pentì immediatamente, perché se gli fosse stato chiesto se stava con Usagi e avesse risposto la verità, che cosa sarebbe successo, alla luce dei discorsi che gli aveva fatto Kenzo? -No! No… obbligo!-, cambiò la sua risposta, Hiro ghignò, Mamoru tremò.

-Dunque…-, trascinò a lungo la parola, tramando qualcosa di perfido. Fissò lo sguardo su Usagi, poi lo spostò su Rei, quindi si guardò attorno, mostrando interesse per due ragazze che prendevano il sole poco distante. -Ho trovato-, annunciò, si alzò dal cerchio, corse.a frugare nel suo zaino e tornò lì con una busta di carta. -Devi bere tutto d'un fiato senza sputare-, ordinò e gli passò una bottiglia di rum piena a metà, sufficiente per fare ubriacare un camionista. Mamoru la riconobbe, era quella che aveva comprato con Haruki, avanzata dalla sera precedente. 

-Ma sei matto!-, esclamò Motoki, -Non farlo Mamoru!-; -Si sentirà male!-, Rei si alzò di scatto per togliere la bottiglia di mano da Mamoru.

-Smetti di prendere in giro gli altri!-, abbaiò  Umino al cugino.

Usagi lo guardava spaventata, 'non farlo, non farlo!' pregava silenziosamente.

Mamoru pensò che in fondo gli era andata bene, Usagi era stata tenuta fuori da quella roulette infantile, nessuna verità scomoda e nessun obbligo che la riguardasse. Doveva ringraziare Hiro, altroché. Sollevò la bottiglia e la portò alla labbra buttando la testa indietro e bevve, bevve finché qualcuno non gliela strappò di mano. Gli bruciava la gola, ma sapeva che il dolore era ben altra cosa; pochi secondi e gli sarebbe arrivata una botta clamorosa in testa. Sorrise verso Usagi, le fece l'occhiolino e chiuse per un attimo gli occhi. Un attimo soltanto…

 

-Sei un deficiente!-, la bionda, si scagliò contro Hiro, ancora con la bottiglia che aveva tolto a Mamoru in mano. La svuotò del poco liquido rimasto e la lanciò ai piedi del ragazzo, incombeva sopra di lui e non era affatto divertita. -Ruotala-, un ordine perentorio, la bloccò davanti a sé con il piede, -Obbligo o verità-, faceva paura, irradiava un'aura che avrebbe costretto chiunque a ubbidire alle sue parole. -Obbligo, o verità-, ripeté, calcando la prima parola in maniera incontrovertibile.

Hiro deglutì, -O… Obbligo-, disse contro la sua volontà.

-Smetti immediatamente di comportarti da idiota, sii gentile con tutti, chiedi scusa a Rei per averla offesa, l'altra sera, a tuo cugino, per come lo tratti sempre, a Mamoru, per la grandissima cavolata che gli hai fatto fare e a me, perché mi hai veramente fatta arrabbiare!-, la sua voce era imperiosa.

Una molla scattò nella testa di Kenzo, che sgranò gli occhi. Guardò il suo amico di scorribande alzarsi e correre a davanti a Rei, ammettendo di essere stato uno stupido a pensare che fosse una ragazza buona solo a fare la vanitosa, poi si spostò davanti a Umino e confessò di essere invidioso dei suoi successi scolastici e dell'amore che i suoi genitori provavano per lui, per questo lo prendeva sempre in giro, poi andò da Mamoru e gli chiese scusa perché il suo scopo era che non fosse sempre il più perfetto del gruppo. Mamoru lo guardò, sorrise già sotto l'effetto dell'alcool, -Io perfetto? Io faccio schifo, fratello!-, biascicò e poi rise. Usagi sentì male al cuore.

Hiro completò la sua penitenza e si inginocchiò ai suoi piedi, chinando la testa, -Perdonami, mia signora-, bisbigliò, poi tornò al suo posto scusandosi anche con Motoki, a cui aveva appena pestato un piede.

-Ahh, ora ragioniamo-, si gongolò Usagi e si rimise a sedere con le gambe dritte davanti a sé. -Tocca a me!-, trillò ruotando la bottiglia, che si fermò su Umino. 

-Obbligo o verità?-, balbettò il ragazzo, ancora incredulo per quello che Usagi aveva appena fatto con suo cugino.

-Verità-, rispose senza indugio lei.

Umino ci pensò un attimo, aveva paura a fare qualunque domanda, poi si fece coraggio.

-Cosa sogni, quando hai gli incubi?-, domandò con voce piccola piccola e Usagi prese in un istante la sua sicurezza, sgonfiandosi come un palloncino. Lo sapevano tutti, ormai era inutile fare finta di nulla.

-Il mio principe, pochi attimi di felicità. Poi il mondo finisce, tutto è avvolto dalle fiamme, la Luna è rossa e lui mi lascia per andare a morire, muoiono tutti. Io resto sola-, confessò, e cadde il silenzio tra tutti i ragazzi.

Le sue compagne di battaglia abbassarono gli occhi: era evidente che quell'incubo avesse strettamente a che fare con quello che era davvero accaduto durante la battaglia con Berillia e che loro avevano dimenticato.

-I sogni sono solo lo specchio delle nostre paure: nessuno ti lascerà mai sola, Usa-Chan, dormi sonni tranquilli, amica mia-, Naru si avvicinò a lei e l'abbracciò.

-Forza, finiamo il giro! Sono rimasti solo Yuichiro e Makoto-, Usagi pareva essersi ripresa immediatamente dalle sue confessioni e da quello che era riuscita a fare con Hiro. Per lei il gioco era finito: cambiò posizione e andò a sedersi accanto a Mamoru, prendendo sulle sue gambe la testa del povero ragazzo che continuava a ridacchiare in disparte, pronto a cadere in un sonno alcolico. -Perdonami, mia signora-, disse lui con la voce impastata e chiuse gli occhi.

 

Umino estrasse Yuichiro, che gli ordinò di cantare una canzone d'amore a Naru, quindi Makoto chiese all'apprendista sacerdote come obbligo, che resistesse senza pulire e sistemare continuamente la casa fino alla fine della vacanza. Per ultima Naru, finalmente potè avanzare il diritto di scegliere la sua punizione sull'ultima del gruppo.

-Obbligo o verità, Makoto?-, le domandò, sapendo che non avrebbe infierito sulle amiche di Usagi.

-Verità-, rispose  lei e si ritrovò ad ammettere che la torta alle albicocche di Motoki era decisamente più buona della sua.

 

Uno dopo l'altro, i ragazzi ruppero il cerchio alzandosi e andando ciascuno a fare quello che preferiva. Naru andò a passeggiare sul bagnasciuga con Umino, orgogliosa della canzone che le aveva dedicato. Furono visti baciarsi, un bacio tenero, lungo, che fu invidiato da tutti gli altri; Hiro e Kenzo tornarono al bar, presero due aranciate, sedettero uno di fronte all'altro e rimasero in silenzio, fissandosi negli occhi. Rei, Ami, Makoto e Minako scelsero il mare più lontano da riva per discutere di quello che era accaduto, ma nessuna di loro parlava per prima, perché quello che avevano visto fare a Usagi e le sue parole le avevano veramente turbate.

-Dovremmo chiamare Artemis-, fu l'unica proposta sensata che venne in mente a Minako. Nuotarono fino a uno scoglio vicino e chiamarono il signor gatto, per chiedere consiglio.

 

Motoki era preoccupato per Mamoru: l'amico si era appisolato quasi subito dopo aver bevuto: non aveva sperimentato la fase dell'euforia, non andava bene per essere una sbronza "normale". Si era svegliato poco dopo e, trovandosi vicino a Usagi aveva biascicato un "Te l'avevo promesso che non sarebbe accaduto niente", le aveva sorriso, molto, molto ubriaco ed era schiantato di nuovo a dormire.

-Dovremmo farlo vomitare-, valutò Motoki, pur sapendo che Mamoru non gli avrebbe mai perdonato un affronto simile.

-Dovremmo tenerlo sveglio-, suggerì invece Usagi, battendo piccoli schiaffi sul viso del ragazzo. Perché lo hai fatto, Mamo-Chan?

Quello era un buon momento per parlare alla ragazza, Motoki si fece coraggio e iniziò con discorsi vaghi.

-Mi ha molto colpito conoscere quello che sogni, Usagi-, ammise e lei abbassò gli occhi.

-Mi sono tolta un peso, in realtà-, confessò la ragazza. -Lo avevo capito che ero argomento di conversazione tra voi ed era giusto che mi confidassi-, fece una pausa, -Ma adesso sono più confusa di prima.- 

Alzò lo sguardo su Motoki in una muta richiesta di aiuto: fino a pochi giorni prima avrebbe pagato tutto l'oro del mondo per trovarsi sola con lui in una situazione simile, ma la sua vita stava cambiando e Motoki le appariva per quello che era stato per lei fin dall'inizio, un amico sincero. -Sono esausta, non dormo quasi più e in questa vacanza me ne stanno capitando di tutti i colori-, gli parlò con tono mogio.

-Vorresti essere a casa?-, era una domanda che gli avrebbe fatto un fratello maggiore. Usagi guardò il volto di Mamoru addormentato sulle sue gambe, -No-, rispose con decisione, -Vorrei capire quello che mi sta succedendo-.

Motoki sorrise, perché conosceva già la risposta.

-Io dico che c'entra questo bel ragazzo ubriaco-, iniziò in tono gentile.

-Certo-, lo stupì Usagi, -Perché incredibilmente da quando siamo arrivati qua, Mamoru è sempre la persona giusta al momento giusto, anche quando mi fa arrabbiare-, non provava alcuna vergogna a parlargli, -Ma il problema non è lui: sono io-, scostò un ciuffo di capelli dalla fronte del suo adorato baka.

-Sono sopraffatta dai miei sogni, dagli eventi, dalle emozioni-, partì come un fiume inarrestabile, -Ho paura a dormire perché non so mai dove sarò quando mi sveglio. Cammino nel sonno, Motoki, e ogni sera prego perché non accada niente a nessuno-, il ragazzo la guardava incredulo per quelle parole.

-Non mi riconosco più: faccio sciocchezze come perdere la testa per uno come Haruki e poi parlo a Hiro come mi avete sentito tutti. Lotterei contro le forze del male per una fetta di torta in più e poi non sono capace di reagire se vengo presa in giro o se qualcuno mi fa capire che sono davvero cresciuta o che sono ancora una bambina-

-Stai diventando una donna, Usako-

-Non chiamarmi Usako, ti prego-

-Scusami-, una pausa, -Perché quello è il modo in cui ti chiama lui, vero?-

Lei sorrise e seppe di essere arrossita.

-Ho scoperto che Mamoru è un vero amico e mi ha riportata in superficie dopo che credevo di essere annegata nei miei pensieri, non una, ma tante volte-, constatò. -Poi rimane sempre un baka pronto a prendermi in giro appena mi distraggo, intendiamoci, e un idiota pronto a fare idiozie come questa o come andare dietro a Michiru…-

Era giunto il momento di porle la domanda precisa: -Ti sei innamorata di Mamoru, Usagi?-

Sorrise di nuovo, si coprì gli occhi con una mano, scosse la testa. -Non lo so, forse non so cosa sia l'amore, in verità. Ma con lui ci sto bene, anche quando mi fa arrabbiare fino a farmi fumare le orecchie o quando è gentile con me-.

-Cos'è successo stanotte?- scoprì le sue carte.

Usagi non sapeva cosa rispondergli, ecco che tutto l'imbarazzo era affiorato sulla sua faccia, doveva essere rossa come un peperone!

-Vi ho visti mentre dormivate insieme-, confessò Motoki.

-Non lo so di preciso-, Usagi iniziò a raccontare, -Lui ha detto di avermi trovata che dormivo in giardino e di non essere riuscito a svegliarmi, così mi ha messo nel letto degli ospiti. Poi mi sono svegliata e sono andata su, ma la porta era chiusa a chiave e allora sono tornata da lui. Avevo paura, Motoki! Avevo camminato di nuovo nel sonno, mi sentivo a pezzi, mi facevano male le gambe da impazzire. Ho chiesto a Mamoru di rimanere con me e ci siamo messi ai lati opposti del letto. Quando mi sono svegliata eravamo abbracciati e mi sentivo bene, avevo riposato davvero, finalmente, mi sentivo nel posto giusto-. Le parole uscivano lentamente, come se nel pronunciarle ne stesse acquisendo la consapevolezza.

-Ma non è successo niente!-, chiarì subito dopo, pensando che potesse essere stata fraintesa.

-Vi siete…-

-Non ci siamo baciati, non c'è stato nulla!- insistette Usagi, ormai con il viso di un rosso stabile.

-Anche perché io…-, abbassò lo sguardo, confessò: -Io sono innamorata di un altro-.

 

Motoki sospirò: erano le stesse cose che gli aveva detto Mamoru quella mattina. Erano in un vicolo cieco.

-Lo conosco?-, domandò alla ragazza.

-No… ma non ha importanza: lui non mi vuole più. Mi manca come il sole manca a una pianta, ma lui non… non mi vuole più. Credo sia perché l'ho deluso, oppure perché lui crede di avere deluso me, ma non è così!-

Tornò a parlare di Mamoru, -Mamoru invece l'ho deluso non una, ma cento volte, comportandomi come una bambina, trattandolo male, e lui ha deluso me altre cento volte, eppure torna sempre da me. Magari lo fa con una battuta e mi fa irritare, eppure lo sento che c'è-. Fece una pausa, stava riflettendo.

-Hiro, prima al bar, mi ha detto delle cose strane, voleva fare prendere qualcosa di alcolico anche me, ma tu lo hai impedito. Per un attimo ho visto Hiro come Haruki, ho avuto timore che volesse anche lui approfittarsi di me. Ecco, io credo che Mamoru abbia fatto quello che ha fatto perché aveva paura che lui mi mettesse in imbarazzo, oppure che gli avrebbe fatto dire cose che non voleva dire-.

Abbassò lo sguardo sul ragazzo, -Io sento che Mamoru mi ha protetta-.

Motoki inspirò a fondo ancora una volta; -Però adesso è ubriaco-

-Già-, Usagi strinse le labbra.

-Già-, Motoki ripensò a un vecchio proverbio straniero: 'In vino veritas', -Dobbiamo svegliarlo-.

 

---

 

Michiru passò il binocolo ad Haruka.

-Ci siamo quasi-, commentò.

-Prima, per un istante, si è manifestata, lo hai visto?-

-Certo, dobbiamo aspettare che facciano da soli, adesso. Noi ci rifaremo vive per dare la spinta finale-.

-E a quel punto questa realtà diverrà la nostra realtà.-

Restituì il binocolo alla compagna e mise in moto l'auto, allontanandosi dalla spiaggia di Ikayuma.

 

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Motoki guardò il mare, era rimasto solo. Non era riuscito a svegliare Mamoru e in compenso Usagi si era stesa vicina a lui e si era a sua volta addormentata.

Aveva divelto da terra un ombrellone e l'aveva piantato in modo che quei due non si prendessero un'insolazione, aveva aspettato un po', era andato a bagnarsi in mare, solo per pochi minuti e poi era tornato da loro, certo che, nel momento in cui Mamoru su fosse svegliato, avrebbe vomitato anche l'anima. Aveva bisogno di una persona fidata accanto.

Quando era arrivato all'ombrellone, però, aveva trovato i due amici di nuovo abbracciati, entrambi di fianco, con le gambe intrecciate e i volti vicini.

"E menomale che amano entrambi altre persone!", doveva provvedere a separarli prima che tornassero gli altri, oppure sarebbe scoppiato un macello, e rimanevano ancora due notti e due giorni di vacanza per sopportare tutto quello che ne sarebbe scaturito.

Anche Naru e Umino, a volte, si mettevano a riposare in spiaggia vicini, ma non si comportavano mica così, neanche fossero stati due piovre in calore!

Si avvicinò a Usagi, forse quella più collaborativa e la scrollò delicatamente prendendola per una spalla.

La ragazza si voltò, sorrideva: -Endymion-, mormorò e Motoki si chiese se avesse sentito bene.

-Usa, ti devi svegliare-, le disse, poi le sfiorò il naso e lei lo arricciò.

Motoki sbuffò, a largo adocchiò le sue amiche che nuotavano per tornare a riva. Quindi prese il naso di Usagi tra pollice e indice e glielo strinse. La ragazza si divincolò, prese aria dalla bocca e continuò a dormire. 

D'improvviso Mamoru afferrò il suo polso, stringendo forte: -Non la toccare-, ringhiò tra i denti allontanando la sua mano dal volto di Usagi. Motoki si rese conto che l'amico aveva gli occhi chiusi, stava ancora dormendo, infatti la presa sul polso si fece più debole finché la sua mano non cadde mollemente sulla spalla di Usagi. Le dita si insinuarono tra i capelli arruffati, la tiró piano verso di sé finché le loro fronti non si toccarono, le labbra alla distanza di un bacio rubato.

Motoki, incredulo, rinunciò alla sua impresa e si alzò, rimando troneggiante a guardarli con le mani sui fianchi.

Così lo trovarono le guerriere Sailor quando lo raggiunsero nei loro bikini sgargianti.
 

-Incredibile-, commentò Minako vedendo la sua amica e il ragazzo.

-Il bello è che ciascuno dei due sostiene di essere innamorato di qualcun altro-, osservò Motoki, facendo spallucce.

Ami guardò Rei ed entrambe ebbero lo stesso pensiero. Un'occhiata a Makoto, che colse al volo, e la ragazza chiese a Motoki il favore di accompagnarla al bar a prendere una bibita.

-Te la porto io, tu aspetta qua-, rilanciò il biondo e l'invito fu subito accettato.

Quando si fu allontanato a sufficienza, Ami e Rei si chinarono sulla loro amica.

-Se Artemis ci ha visto giusto, questa non è Usagi-, osservò la prima, -Rei, tu riusciresti a…-, mosse le mani, come a spiegare qualcosa che, ahilei, non poteva essere descritto in termini scientifici.

La sacerdotessa si inginocchiò accanto ai ragazzi, congiunse le mani sulla fronte, chiuse gli occhi, mosse le dita secondo una danza prestabilita e mormorò delle parole arcane. Aprì improvvisamente gli occhi facendo un balzo indietro.

-Cos'hai percepito, Rei?-, chiese con ansia Minako, che era rimasta in piedi di guardia.

-Io… io non lo so-, ammise Rei; -Non posso dire di non aver percepito le aure di Usagi e Mamoru, tutto quello che ho sentito, ho visto nella mia mente, è stata una luce accecante-.

-Come sono belli…-, Makoto, con voce sognante, sentiva il cuore battere forte per l'emozione. 

-Hai ragione-, concordò Ami.

Usagi mosse gli occhi sotto le lunghe ciglia chiuse, inspirò, era prossima a svegliarsi; le sue amiche si dileguarono all'istante per non dover contribuire all'imbarazzo per quello a cui stavano assistendo e che doveva essere una cosa privata.

Da dietro, nascoste da una tamerice, videro l'amica aprire gli occhi e sorridere, la mano che teneva sulla spalla del ragazzo raggiunse il suo viso e si mosse in una carezza.

-Come stai, Mamo-chan?-, domandò tranquilla e lui la guardò, sorridendo di rimando, svegliandosi.

-In questo momento bene, Usako. Come sei bella-, il sorriso si fece più svampito.

Usagi rise piano: -Sei ancora ubriaco!-, gli scompigliò i capelli, sospirò.

-Coraggio, ora vediamo di smaltire questa sbronza-, e si tirò su, aiutando il ragazzo a fare altrettanto e ricadendo lunga distesa su di lui. Mamoru rideva, non se lo ricordava nessuno il suono della risata di Mamoru, ma sentirlo ridere insieme a Usagi era qualcosa che scaldava il cuore.

-Sei un baka!-; lui la abbracciò impedendole di alzarsi, portò la mano dietro la sua testa.

 

-Ora la bacia!-, squittì Minako, emozionatissima.

-Piano!-, la zittì Ami.

 

E invece Mamoru non la baciò. -Mi gira la testa, non ce la faccio ad alzarmi!-, sghignazzò e la loro amica non parve essere né arrabbiata né scandalizzata.

Poggiò una mano sul petto del ragazzo e si mise a cavalcioni su di lui, Ami non credeva ai suoi occhi. 

Usagi si alzò e riprovò ad aiutare Mamoru prendendolo per entrambi i polsi e, quando lui fu in piedi, lo sostenne.

-Non vomitarmi in testa, ti prego!-, gli disse e lui rise ancora, cercando un equilibrio proprio.

-Poi dovrei scioglierli io i tuoi capelli tutti sporchi, meglio di no!-

-Infatti, respira e sta' zitto!-, gli battè piano un pugno sul bicipite.


-Sembrano due amici, più che due fidanzati-, osservò Rei.

-Infatti non sono fidanzati-, disse Makoto, -Almeno non lo erano mezz'ora fa…-, ma era dubbiosa…


-Che cavolo di sbornia ho preso-, il ragazzo portò una mano alla tempia, che iniziava a pulsare.

-È il minimo!-, osservò Usagi, -Ce la fai ad arrivare al mare? Ti sciacqui il viso almeno-, lui annuì.

Fecero pochi passi, Usagi si fermò -Lo sai vero che abbiamo dormito insieme?-, domandò, un cenno di imbarazzo nella voce.

-Lo so-, le sorrise, -Non prendiamoci l'abitudine però-, osservò lui.

-Menomale che non ci ha visti nessuno stavolta, altrimenti chissà che penserebbero!-, riprese a camminare finché non si bagnarono i piedi in acqua.

 

-Stavolta?-, tutte e quattro le ragazze si guardarono con aria interrogativa. Era dunque già accaduto?



 

---***---***---***---***---***---

Sailor Pluto aveva visto abbastanza. Varcò il portale del tempo e tornò dalle colleghe.
Si sedette e rimase in silenzio.
-Dove sei stata?-
Scosse la testa, non avrebbe risposto.

Il loro futuro era ancora in pericolo: per avere il futuro che volevano serviva una dinastia. L'amicizia era importante, ma occorreva che Serenity e Endymion si riconoscessero e si innamorassero.
Evidentemente Uranus e Neptune avevano fatto in modo che la linea temporale mutasse, ma ancora non era chiaro il motivo per cui non fosse scoccato l'amore tra la giovane Usagi e Mamoru.

-Penso che dovrò intervenire-, annunciò.

Sailor Mercury faceva scorrere le dita freneticamente sulla tastiera del suo calcolatore.
-D'accordo-, confermò.

Setsuna era l'ultima speranza per il loro futuro, l'unica che potesse rimanere anonima alle loro versioni sedicenni di una dimensione mai vissuta e interagire con loro senza svelare la sua identità.
-Vai-, Mercury la spronò, le altre guerriere Sailor rimasero in silenzio, osservando senza comprendere quello che stava succedendo.

-Tu lo sai che Pluto ha sempre avuto un debole per...-, Venus lasciò la frase in sospeso.
-Lo so...-, Mercury abbassò il viso, -Correremo anche questo rischio, confido che non faccia sciocchezze...-

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


Capitolo 20
Confessioni di un ubriaco, Le armate del Re & La Forma dell’Amore 


A Mamoru occorse tanto tempo per smaltire l'ubriacatura che si era preso, passò il pomeriggio alternando momenti di ilare euforia, durante i quali faceva scherzetti molesti un po' a tutti i suoi amici e momenti di profonda depressione, in cui se ne stava seduto da solo in disparte e non voleva nessuno accanto.

Solo Motoki, in uno di questi frangenti, mentre il ragazzo era al bancone del bar davanti a un bicchier d'acqua gassata, riuscì ad avvicinarlo e, accertato che stesse bene, gli pose delle domande velate sul perché avesse accettato quella punizione, visto che aveva già scelto di raccontare una verità, che tra l'altro poteva anche non essere la verità.

-Tuo fratello mi ha detto che Hiro voleva provare a sedurre Usagi, che 'se la sarebbe portata a letto' se fosse stato sicuro che io e lei non stessimo insieme. Mi avrebbe chiesto quello, ne sono sicuro e io non avrei potuto mentire davanti a lei.-

Motoki mugugnò, era comprensibile quello che Mamoru aveva temuto e si sorprese per il fatto che Usagi lo avesse capito. Forse non aveva elaborato nel dettaglio un piano così subdolo, eppure aveva subodorato che l'amico avesse fatto quella sciocchezza per proteggerla.

-Nessuno deve mettere le mani e nemmeno gli occhi su Usagi-, biascicò Mamoru, -Solo… solo il ragazzo di cui lei è innamorata-, mormorò e affondò la testa tra le braccia. -Che non sono io-, aggiunse e la sua voce, seppur ovattata, risultò chiaramente pregna di rimpianto.

 

-E se invece fossi tu e non lo sai?-, azzardò il biondo dopo una breve pausa. Entrambi gli avevano detto che lei era innamorata di qualcuno che poi non la voleva più, forse perché pentito per qualcosa che le aveva fatto e che lui amava qualcuna che non lo avrebbe più accettato, dopo quello che le aveva fatto. 

Motoki, nelle infinite possibilità del caso, si limitò a fare due più due.

-Lo saprei se fossi io ad aver baciato Usagi-, osservò Mamoru.
In effetti il suo ragionamento non faceva una grinza. Motoki ci rinunciò: non ne avrebbe cavato un ragno dal buco.

-Ti va di tornare in spiaggia?-, gli domandò: era quasi l'ora di andare verso casa.

-Tu lo sai che io sono ancora ubriaco?-, singhiozzò, scoprendo un occhio dal nascondiglio in cui si era cacciato la testa.

Motoki non aveva mai visto il suo amico ridotto in quel modo in tutti gli anni che avevano passato insieme. Era arruffato, gli occhi spenti, aveva del tutto perso il suo proverbiale aplomb.

-Si vede… però devo ammettere che avrei immaginato che tu facessi qualche sciocchezza, qualcosa di più eclatante, un gesto memorabile, insomma-

-Tipo?-, gli domandò, incuriosito da quell'affermazione.

Motoki fece il vago: -Che so… tipo importunare le ragazze, vomitare davanti a tutti, vendicarti di Hiro e Kenzo…-, lasciò la frase in sospeso.

Mamoru si voltò verso l'altro lato del bar: -Non li vedo molto attivi oggi i tuoi amici-, gli scappò un altro singhiozzo, -Che è successo?-

Ottima domanda: Usagi aveva strigliato ben bene Hiro, forse era stato per quello.

-Si saranno pentiti per quello che hanno fatto, dopo la sfuriata di Usagi-, ipotizzò.

Mamoru non capiva: -Perché, cosa ha fatto Usagi?-

Motoki si domandò se l'amico scherzasse: era presente, no?

-Mi prendi in giro?-, non ebbe risposta.

-Cioè, non ti sei accorto di come Usagi ha messo in riga Hiro dopo averti tolto la bottiglia di mano e essersi presa il turno successivo?-, Mamoru continuò a guardarlo con la stessa faccia intelligente di un fico d'india 

Motoki fece guizzare le sopracciglia; -Lo ha costretto a chiedere scusa a tutti, te compreso. Gli hai pure risposto!-

-Ah sì? E che gli ho detto?-, Motoki glissò; Motoki concluse: -Comunque, io non so come Usagi abbia fatto, ma quel deficiente si è veramente pentito, almeno così mi è parso.-

Guardò l'amico, sembrava fosse appena uscito dalla centrifuga: -Fammi capire, non ricordi niente? Nemmeno di quello che ha detto Usagi dopo, rispondendo alla domanda che le hanno fatto?-

Mamoru scosse la testa. Era qualcosa di importante?

-Forse è meglio così-, considerò Motoki. Non sapeva se sarebbe stato un bene che Mamoru conoscesse i sogni della sua Usako.

-Cos'ha detto Usagi?-, l'avidità nella voce ormai quasi normale.

Motoki lo fissò ferito negli occhi: -Ci ha raccontato i suoi incubi. Non so se ti farebbe piacere sapere quali siano-, non gli avrebbe riferito nulla, se avesse voluto, lo avrebbe chiesto lui direttamente a Usagi.

Il ragazzo annuì brevemente, poi prese aria: -Andiamo-, disse e si alzò.

Motoki lo trattenne per una mano, -E i tuoi incubi, quali sono?-, mirò al petto e premette il grilletto. Tanto sapeva che non gli avrebbe risposto. 

Mamoru si sedette, qualcosa scattò negli ingranaggi del destino.

-Sogno Serenity, la mia principessa, il mio unico amore. Siamo felici insieme, estremamente felici, ma tutto finisce in una notte di luna rossa. Siamo attaccati perché il nostro amore non è possibile. Le prometto che non le accadrà niente, che non ci accadrà niente, ma poi la lascio e corro a morire. E lei rimane sola, prega la Luna perché mi ritrovi prima o poi-, fece una pausa, i suoi occhi parevano fiammeggiare. Poi, inaspettatamente, ghignò, l'espressione grave che aveva in volto svanì, -Ti sto prendendo in giro: sono ancora ubriaco, Furu!-, esclamò e si alzò, camminando veloce verso la spiaggia.

Motoki rimase inebetito al bancone del bar, si voltò verso suo fratello e il suo amico e realizzò di avere la stessa espressione costernata dipinta sul volto.

 

---

 

Qualcosa si era spezzato nell'armonia del gruppo vociante e, tornando a casa, ciascuno naufragò nei propri pensieri. Motoki era certo di non conoscere affatto il suo migliore amico, Ami, Makoto, Rei e Minako cercavano il momento più adatto per domandare spiegazioni a Usagi su cosa stesse succedendo con Mamoru, cosa avesse fatto a Hiro e sul perché facesse i sogni che aveva descritto. Lei passeggiava a braccetto con Naru, mentre Yuichiro confabulava con Umino.

Lungo la strada, i ragazzi scorsero una cabina del telefono, -Dovrei chiamare casa per dire che va tutto bene-, mormorò Usagi, ma andava tutto bene? Sentiva un peso proprio in mezzo al petto e non capiva il perché. Frugò nel borsellino, prese alcuni gettoni e li infilò nel telefono, compose il numero di casa e attese la risposta, sussultando a ogni segnale del telefono libero.

"Ciao mamma, tutto bene, solo che non ti ho obbedito: ho seguito uno sconosciuto, lui mi ha molestata, poi ho dormito con un altro ragazzo, quello che di solito odio e che è veramente un amore quando si ubriaca pesantemente, sono stata davvero bene stanotte con lui, sai credo di essermi innamorata, solo che devo pensare a difendere il pianeta dalle forze del male e sicuramente incontrerò di nuovo il mio vero amore, quindi sono molto confusa, mamma…-

-Pronto?-, la voce di Ikuko Tsukino spezzò il filo dei pensieri di Usagi.

-Ciao mamma, sono io-, iniziò, -Sì… Sì… va tutto bene, mamma. Ci stiamo divertendo e io sto facendo la brava. Sì… va bene… Anch'io mamma ti voglio bene. A presto-, si tenne tutto il resto dentro, in fondo la sua vita era così.

Lasciò il posto agli altri che vollero telefonare ai genitori e sospirò: andava tutto bene? E allora perché, di colpo, si era sentita così affranta?

Proseguirono verso casa e lì si dispersero come scarafaggi che entrino ciascuno nel suo buco.

Si lavarono a turno nei propri bagni e cenarono vestiti comodi da casa, dopo i fasti della precedente serata disastrosa.

-Facciamo un gioco?-, propose Minako dopo cena e fu fulminata da svariati paia di occhi. Ami salutò presto tutti, sarebbe andata a leggere in camera sua e di Makoto.

Poco dopo, quando l'ora di dormire era più prossima, Usagi bussò alla sua porta: -Posso parlarti, se non disturbo?-, domandò facendo capolino. L'amica l'accolse con un caldo sorriso e mise via il suo libro.

-Ami ho fatto un casino-, esordì e lei non potè che essere d'accordo, indipendentemente da quello che le avesse detto.

-Ho spaventato Hiro, mi sa-, si sentiva in colpa, -e poi… come si dice: 'ho mangiato il frutto proibito e ora ne voglio ancora'-

Ami la guardò senza comprendere.

-Oggi, in spiaggia… credo che voi foste in mare… ecco… io sono rimasta con Mamoru e… lui, cioè… io…-, si torceva le mani l'una con l'altra, -Credo che noi…-

Ami li aveva visti, poteva fermare quell'agonia, ma sospettava che ci fosse qualcosa che ancora non sapesse.

-Ho dormito vicino a Mamoru-, confessò Usagi velocemente, -Ma non è successo niente!-, mise le mani avanti a sé.

A parte che sembravate una coppia navigata e vi stavate per baciare dopo che vi siete aggrovigliati come due boa?

-Può capitare…-, Ami si rese conto della falsità della sua risposta. Usagi non l'ascolto nemmeno.

-Ecco… è che… vabbè, io ho degli incubi, adesso lo sapete tutti: faccio incubi praticamente ogni volta che mi addormento-, questo dettaglio Ami non lo aveva colto. Provò una gran pena per la sua amica più cara.

-E sai anche che io sono innamorata di Tuxedo Kamen-, sì, Ami lo sapeva, sebbene quella realtà le paresse così distante dalla bolla in cui si trovavano su quell'isola lontana; -Non sai quanto mi manchi…-, il viso di Usagi cambiò espressione, sarebbe stato da lei scoppiare a piangere per la malinconia.

-Però…-

Eccolo il però che tutti si aspettavano! Ami era tutt'orecchie.

-Con Mamoru ci sto bene… quando ho dormito vicina a lui, per la prima volta da tantissimo tempo, non ho avuto incubi-, no, decisamente Usagi non stava avendo incubi, lì sulla spiaggia in modalità ventosa con il bel tenebroso attaccato a sé!

Se la conosceva bene, sarebbe presto arrivata la domanda più assurda di tutte. 

-Voglio dormire ancora con Mamoru, ho bisogno di dormire con lui, ma non so come fare, perché è una cosa che non si può fare, anche perché mica stiamo insieme!-, arrossì in preda a imbarazzo e preoccupazione.

-Non ci ha visto nessuno, per fortuna, quindi io…- 

Usa-Chan, vi ha visto tutta la spiaggia! Vi abbiamo viste noi, vi ha viste Motoki, ci siamo accorte che vi hanno visto anche Naru, Umino e persino Yuichiro, che per l'imbarazzo è andato a immergersi nelle acque alte! Probabilmente vi hanno visti anche i tuoi genitori in qualche ripresa televisiva aerea, possibile che tu sia così ingenua!?

-Ti prego Ami, tu sei la persona più intelligente che io conosca: dimmi come posso fare per andare a letto con Mamoru di nuovo senza che ci siano conseguenze!-

Fu in quel momento esatto che Makoto entrò nella sua camera per andare a dormire. Le cadde di mano il beauty case, cosa aveva appena udito???

Cosa. Aveva. Appena. Udito???

-Usagi!!!-, esclamò scandalizzata. La ragazza divenne paonazza, si lasciò cadere sul letto affondando il viso nel cuscino. Ami si coprì gli occhi con una mano, -Non è come pensi-, bisbigliò a Makoto e la pregò di chiudere la porta. Si chinò su Usagi e le mise una mano sulle spalle: -Posso spiegare a Mako-Chan come stanno le cose, altrimenti fraintende?-, chiese il permesso alla bionda.

Quindi fece un breve riassunto della situazione. Gli sguardi che si scambiarono le due ragazze permisero loro di comunicare in maniera ben più eloquente.

-Ora mi è chiaro-, la cosa più preoccupante per Makoto era senza dubbio il fatto che nessuna di loro si fosse accorta a che livello di tortura fosse arrivata Usagi, succube dei suoi incubi.

-Che facciamo?-, domandò ad Ami.

Lei prese una quantità d'aria enorme: non riuscire a dare risposte esatte era una delle cose che odiava di più del suo essere semplicemente una comune ragazza mortale.

-Potrebbe chiederglielo e basta. Però se Mamoru per caso fosse interessato in un modo differente a Usagi, rischierebbe di farlo soffrire, perché lui si sentirebbe preso in giro-, osservò. Si voltò verso la bionda per avere qualche dettaglio in più.

-Io e Mamoru non stiamo insieme-, ripeté lei per la trentesima volta da quando avevano iniziato quel lungo discorso complottista.

-Lo abbiamo capito!-, Ami stava per perdere la pazienza. La gente si scandalizzava quando la sentiva affermare che lei non era interessata all'amore: era ovvio! Perché confondersi le idee in quel modo assurdo, quando poteva godere dello stesso appagamento semplicemente con la scoperta di cose nuove, con la dedizione agli studi più complessi e con la continua scoperta della natura più intima delle cose, da quelle minuscole, agli infiniti misteri del cosmo!

-Se Motoki dicesse che stanotte non vuole dormire in camera loro e Rei provasse a sedurre Yuichiro nella sua stanza, noi potremmo ospitare Minako qua e Mamoru resterebbe solo e quindi tu…-

-Makoto, basta! Nessuno sedurrà nessun altro, dormiremo tutti nei nostri letti come abbiamo fatto finora: se Usagi dovesse di nuovo avere un incubo, chiederemo a Naru di fare suonare per lei il suo carillon e Usagi si calmerà subito-, si morse la lingua, aveva parlato troppo forse.

Usagi mise su il broncio.

-Non capisci, Ami: io non voglio 'dormire' e basta, io voglio… voglio stare con Mamoru! È un bisogno fisico che sento e non lo so perché! Io non sono innamorata di lui, io amo Tuxedo Kamen!-

-Sei proprio sicura, Usagi?-, Ami ficcò la domanda nel cuore dell'amica come se fosse stata una freccia scoccata per fare centro.

-Io…-

-In ogni caso, non puoi dormire con Mamoru, te lo proibisco come tua amica, perché devi salvaguardare la tua reputazione!-

 

Oh scusa mammina!

 

Makoto si trovava tra due fuochi.

 

-Io ho dormito con Mamoru anche stanotte-, confessò candidamente Usagi, -Ci siamo abbracciati, probabilmente ci siamo 'toccati', ma non mi importa. L'unica cosa che mi importa è che ho dormito vicino al suo cuore e sono stata bene. Io gli voglio bene-. Ami si coprì il volto con una mano, Makoto iniziò a immaginare un mondo rosa in cui volavano cuoricini e farfalle.

-Usagi, te lo chiedo di nuovo: sei per caso innamorata di Mamoru?-

La ragazza non rispose, si alzò e sospirò, avviandosi alla porta, mise la mano sulla maniglia e parlò: -Se anche fosse, che cambierebbe? Lui ama un'altra, la ama profondamente-.

-E se quest'altra, in realtà, fossi tu?-, la domanda di Makoto fece scattare qualcosa nella testa di Ami.

Usagi si voltò e sorrise alle amiche: -Lo saprei se avessi baciato Mamoru in passato, no?-, scosse la testa, tirò le labbra e uscì.

Un attimo dopo riaprì la porta e fece capolino nella stanza: -Mako-Chan, sai se è avanzata un po' di torta dalla colazione?-, domandò.

 

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Yuichiro aspettò che le ragazze fossero salite tutte nelle loro camere, quindi radunò i maschi e ripeté quello che aveva detto la sera prima: -Dobbiamo fare dei turni di guardia, non mi fido che quei due ci abbiano già lasciati in pace-, spiegò anche a chi la notte prima era andato a nanna senza preoccupazioni.

-Quei due chi?-, domandò Umino.

-Haruki e Michiru: sono loro gli intrusi che ha visto Hiro-, rispose.

Il ragazzo, sentendosi chiamato in causa, parlò per la prima volta da ore, sostenendo che forse avesse esagerato nel descrivere la gravità dei fatti.

-Non lo hai fatto-, lo zittì Kenzo, -ma non si trattava di Michiru: era Usagi. E anche stanotte lei è uscita sul balcone, io l'ho vista.-

Mamoru ricordò che aveva già avuto quella conversazione con il fratello di Motoki e che aveva trovato la sua spiegazione abbastanza plausibile, sebbene assurda. In effetti, la notte prima, quando l'aveva trovata in giardino, Mamoru si era accorto che la ragazza aveva le ginocchia sbucciate. Al mare invece, la sua pelle era intatta. Probabilmente, dormendo vicini, era stato proprio lui con il suo potere segreto a curarla.

Motoki fece schioccare la lingua, era a conoscenza di qualcosa che gli altri non sapevano, doveva valutare bene come gestire quelle informazioni per far sì che tutti potessero dormire sonni tranquilli.

-Credo che Usagi soffra di sonnambulismo-, spiegò, -Quindi effettivamente dovremmo avere un'attenzione in più per lei-, lo sguardo corse verso Mamoru prima che potesse evitarlo.

-Quindi Usagi si sveglia di notte, si veste con un abito da sera, mette delle luci in testa e poi sale sul tetto?-, la descrizione che fece Kenzo era considerevole.

Nessuno sapeva cosa dire, finché Mamoru non trovò la soluzione più semplice. Aveva sentito dei passi dentro casa e aveva scorto attraverso la finestra l'oggetto dei loro discorsi aggirarsi furtiva fino alla cucina, Usagi aveva aperto la credenza, preso qualcosa, poi aveva armeggiato cercando altro in un cassetto e si era seduta al tavolo.

-Umino, sei pronto a passare la tua prima notte insieme a Naru?-, gli domandò facendogli l'occhiolino e il ragazzo diventò di tutti i colori, iniziando a balbettare e muovendo le braccia come fossero eliche.

Mamoru prese le sue mani e le fermò.

-Non ti agitare: tu lo sai che sei un bravo ragazzo e che sei responsabile e Naru lo è più di te. Bussa alla sua porta e dalle questa-, gli mise in mano una rosa rossa. Tutti si domandarono da dove l'avesse tirata fuori, ma lui continuò a parlare; -Dille che sei orgoglioso di lei e semplicemente parla, parla finché non vi addormenterete. Per sicurezza chiudi a chiave la porta. Vai ora, coraggio!-

Umino deglutì, Mamoru lo spinse leggermente dalle spalle e, quando udirono che bussava alla porta di Naru, proseguì disponendo le sue armate.

-Hiro e Kenzo, voi andate in camera vostra e alternatevi a dormire, fate come volete i turni, ma fateli. Adesso, sció-, e se ne tolse altri due dai piedi 

Yuichiro fece per parlare, ma non ci riuscì, perché Mamoru riprese.

-In mansarda c'è un letto?-, gli domandò e lui annuì; -Perfetto, allora stanotte tu dormi su finché ti va, se puoi lascia una luce accesa: chiunque fosse, la prima volta è stato visto lassù, quindi potrebbe aver trovato un accesso semplice-, Yuichiro obiettò che, da solo, avrebbe dovuto stare sveglio tutta la notte a fare la guardia.

-Per come russi, stai tranquillo che non ti si avvicinerà nessuno!-, un ultimo sorriso di quelli che aveva fatto con alta gradazione alcolica.

-E io che faccio?-, Motoki lo guardava dall'inizio con ammirazione mentre il suo amico tesseva una trama perfetta per mettere in sicurezza tutto l'edificio e, ne era certo, rimanere solo con Usagi. Sorrise obliquo.

-Tu vai in camera nostra e dormi-, gli disse banalmente 'il generale', poi aggiunse: -Oppure, se hai bisogno di qualcuno che ti faccia compagnia, puoi provare a chiedere a qualcuna delle ragazze… ti consiglio Makoto: è una furia, a quel che so.-

Touché. Motoki scosse la testa, il suo amico iniziava a dare i numeri.

Yuichiro stava avviandosi su, ma si fermò: -E tu che fai?-, domandò all'indirizzo del ragazzo che aveva apparecchiato per tutti.

Mamoru buttò uno sguardo alla cucina, alla debole luce del frigorifero aperto, si accertò che Usagi fosse ancora lì.

-Credo che andrò a mangiare una fetta di torta-, rispose e Yuichiro, che non era stupido, guardò dentro e comprese.

-Insomma, una volta per tutte: tu e lei state insieme?-, domandò.

-NO!-, risposero in coro Mamoru e Motoki, che, arrendendosi alla facilità con cui si dicono le bugie, salutò e salì di sopra.

-Buonanotte-, anche il padrone di casa se ne andò, chiedendosi da uno a dieci quanto lo avessero preso in giro.

 

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Setsuna atterrò, letteralmente, laddove aveva programmato, cioè da Haruka e Michiru. Il brutto dei varchi temporali, se non doveva semplicemente osservarne uno, ma entrarci, era che si apriva in aria uno spettacolare vortice e, dal nulla, il crononauta precipitava a terra.

Nel suo caso, l'atterraggio fu a pochi millimetri dalla porcellana dura di un lavandino, sul pavimento di marmo.

Haruka e Michiru fecero un salto dallo spavento, schizzi d'acqua e schiuma si versarono dappertutto.

-Vedo che avete preso seriamente la vostra missione-, le gelò Setsuna tirandosi su: le due outers stavano facendo il bagno insieme, ovviamente nude, in mezzo alla schiuma.

-E dai, Pluto, adesso non iniziare a brontolare!-, Haruka batté le braccia nell'acqua, erano state interrotte sul più bello.

-Non so cosa abbiate fatto finora, ma il futuro di questa dimensione ha preso una piega non prevista-, comunicò senza preamboli.

-Ed è un bene o no?-, chiese Michiru, incrociando le dita sott'acqua.

-Un bene-, valutò Setsuna, -Ma allo stato attuale avremmo una Regina Serenity e nessun Re Endymion. Quindi nessuna Piccola Lady-, spiegò.

Haruka alzò le sopracciglia, le era parso che quei due fossero già sufficientemente cotti a puntino l'uno dell'altra, quindi si stupì per quel futuro.

Setsuna prese uno sgabello, senza alcuna grazia lo liberò facendo cadere a terra i loro vestiti e si piazzò davanti a loro.

-Adesso voi mi raccontate esattamente ogni interazione che avete avuto con i futuri sovrani e ogni informazione che avete appreso.-

Le due compagne si guardarono negli occhi, con terrore, poi abbassarono il capo e iniziarono a confessare tutto quello che avevano combinato.

 

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-Toc toc-, Usagi si versò l'acqua che stava bevendo sul pigiama, -Mamo!-, esclamò.

-Posso averne una fetta anch'io?-, le domandò il ragazzo, aveva una strana espressione in volto.

Usagi lo osservò mangiare la torta in silenzio, udendo il rimbombo del suo cuore nel petto.

-Era buona?-, gli domandò per spezzare la tensione.

-Ottima, questa di chi era?-, chiese leccandosi un dito. 

-Credo di Makoto-, rispose lei andando a prendergli un po' d'acqua dal frigo.

La ringraziò e bevve, -Devo darti una brutta notizia, Testolina Buffa: il tuo letto è stato occupato da un ospite…-

-Oh-, e nella durata di quell'esclamazione nella sua testa si svolse un film intero.

-Umino-, spiegò Mamoru, -Ha deciso di fare il grande passo-, prese una briciola di torta caduta sul tavolo e la mangiò, godendosi il rossore salire alle guance della ragazza. Erano in penombra, eppure riusciva a vedere perfettamente ogni dettaglio del suo viso, dalle piccole lentiggini sul naso, alle ciglia lunghe e quelle labbra così morbide.

-Non preoccuparti, Usako!-, la rassicurò: -Abbiamo dovuto spiegare a Umino cosa dire a Naru per non morire di imbarazzo e ti garantisco che non avverrà nulla di sconveniente in quella stanza!-, le sorrise, quelli erano discorsi da grandi, Usagi non era pronta ancora.

-E quindi io dove dormo?-, chiese con tono innocente.

Insieme a me.

-Ti puoi mettere nella stanza degli ospiti, credo tu conosca la strada…-, fece un occhiolino troppo provocante per lei. Se possibile, Usagi divenne ancora più rossa.

-E… e tu?-, si decise a chiedere.

Mamoru le sorrise: -In camera mia, oppure più probabilmente sul divano-, spiegò. Le avrebbe lasciato la prossima mossa, ma non aveva fatto i conti con la strigliata che Ami le aveva fatto poco prima.

-D'accordo…-, aveva il musino triste, non poteva resisterle.

-Ma se vuoi…-, si fermò, rendendosi conto che stava crollando nell'imbarazzo anche lui.

-Sì, per favore!-, ci mise un'enfasi tale che nessuno avrebbe saputo dirle di no, neanche Ami. Usagi era speciale, tanto spontanea quanto misteriosa, aveva ragione Naru: era una luna pronta a splendere e a nascondersi.

-Vieni qui…-, la voce di Mamoru era di velluto, l'accolse in un abbraccio e lasciò che lei posasse l'orecchio sul suo petto; -Grazie Usako-, mormorò tra i suoi capelli, -Motoki mi ha detto che sei stata tu a togliermi la bottiglia, oggi pomeriggio-.

Sorrise a occhi chiusi, come ci stava bene stretta a lui! -Ti ho fermato in tempo: un altro sorso e saresti collassato-, gli fece notare.

-Sono stato proprio un baka, hai perfettamente ragione a chiamarmi così-, osservò. Se in quell'istante gli avessero chiesto se lui e Usagi fossero fidanzati, avrebbe risposto "Sì, perché stiamo così bene insieme". Ma erano soli con il loro imbarazzo e qualcosa che andava oltre il desiderio di due adolescenti.

-Vorrei andare a letto-, mentre parlava, allontanò il capo da lui e lo guardò. Gli occhi erano due zaffiri.

-Ti accompagno-, la precedette e lasciò che si infilasse sotto al lenzuolo leggero.

-Vado a chiudere le finestre-, disse allontanandosi.

-Torni da me?-, un invito palese.

-Aspettami-, una risposta chiara.

 

Se Ami l'avesse vista… sperò che la ragazza fosse già nel mondo dei sogni: Ami non capiva, non si fidava di lei, non era capace di mantenere il riserbo qualora le fosse stato domandato qualcosa. Cosa c'era di male se stava con Mamoru? Avevano già chiarito che non si sarebbero trovati in situazioni compromettenti, perché non si sarebbero mai messi insieme, perché entrambi erano innamorati di qualcuno che non era lì.

Per un attimo desiderò ardentemente che a varcare la porta, una volta chiuse le finestre del salotto, fosse Tuxedo Kamen, ma fu un pensiero fugace. Forse, se avesse conosciuto meglio Mamoru prima di incontrare il misterioso eroe mascherato, si sarebbe innamorata di lui e tutto sarebbe stato più semplice.

Chiuse gli occhi, sforzandosi di visualizzare il volto perfetto del misterioso compagno di battaglia, ricordando quella volta che si erano baciati e aveva sentito il cuore impazzire. Poteva quasi sentire il profumo delle sue rose…

-È per te-, quando riaprì gli occhi, Mamoru era chinato su di lei e aveva una rosa scarlatta in mano. -Dove l'hai presa?-, lo stupore nella sua voce, -È bellissima-.

Sfiorò il volto della ragazza con la corolla, la vide trattenere il respiro, indugiò sulle sue labbra socchiuse, avrebbe voluto essere al posto di quel fiore. Le diede un colpetto sbarazzino sul naso.

-Fammi spazio-, le disse e si stese accanto a lei. Si girarono sui fianchi, mettendosi uno di fronte all'altra.

Sembrava tutto così perfetto… Per un istante Usagi pensò che avrebbe potuto abituarsi davvero all'idea di essere innamorata di Mamoru, che in fondo aveva aspettato ormai troppo un segnale da Tuxedo Kamen e forse avrebbe potuto considerare che lui non sarebbe mai tornato. Ma non poteva sapere se il ragazzo che aveva vicino avesse il cuore ormai indissolubilmente legato alla persona che aveva detto di amare. Si sarebbe fatta male se avesse per prima ceduto a un sentimento che avrebbe potuto non essere mai ricambiato, lo sentiva. E allora decise che si sarebbe fatta più male proprio in quel momento, con le sue stesse mani.

-Parlami di lei-, Usagi voleva sapere chi fosse quella ragazza così speciale da aver fatto breccia nel cuore di burro congelato di Mamoru, -Raccontami di quando l'hai baciata-, dove avesse trovato l'ardire di porgli quella domanda, non avrebbe saputo dirlo, se non scavando nel masochismo che pareva averla colta.

Lui sospirò, non voleva parlarle di Sailor Moon, non voleva condividere con Usagi quel momento così personale.

-Per favore-, ma la ragazza doveva ficcarsi in testa che il cuore di Mamoru era di un'altra, lei si sarebbe dovuta accontentare di qualcosa senza nome.

Mamoru sospirò. -È coraggiosa eppure fragile, è altruista e non esiterebbe a dare la sua vita per gli altri. È una ragazza sorprendente, è bellissima. La conosco da sempre, probabilmente lei fa parte di me da prima che esistessi. Per un certo verso posso dire che la parte di me che la ama esiste solo per merito suo.-

Usagi trattenne il respiro: con una descrizione così, chiunque sarebbe impallidita e si sarebbe sentita una nullità, al confronto. Aveva ottenuto quello che sperava, ma faceva così male...

-Ma io non sono solo quella parte di me...-, Mamoru aggiunse con voce bassa e la sfioró con un dito. 

-Dormiamo adesso, Usako-, le disse sbadigliando.

Usagi sospirò e si voltò dandogli le spalle.

-Buonanotte-, bisbigliò rannicchiandosi, ma avrebbe voluto piangere. Lei era innamorata di Tuxedo Kamen, maledizione! Lei doveva essere ancora innamorata di Tuxedo Kamen! Che le importava se quel baka aveva fatto quella descrizione, che le importava se lui amava un'altra e se quest'altra era così perfetta?

 

-Vieni qua…-, si sentì stringere in un abbraccio, ruotò verso di lui, si accucciò sulla sua spalla, mise la mano sul suo cuore. Galoppava. -Non mi importa se anche tu ami un altro-, cantò suo suoi capelli, -Stanotte sei qui con me-, la baciò sulla fronte.


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Motoki non riusciva a prendere sonno, pensando e ripensando a come il suo integerrimo amico fosse riuscito a rigirare tutti e farsi beffe di loro. In quel momento sicuramente lui era ad amoreggiare con la sua non-fidanzata, Umino era con Naru e Dio solo sapeva cosa avrebbe combinato e lui… lui era lì, sveglio e con una smania addosso che avrebbe urlato, se fosse stato solo nella casa. Aveva sete, sbuffò, si alzò e uscì nel corridoio: dabbasso non ci poteva andare, era fuori discussione, decise di andare a bere dal rubinetto del bagno e quasi si scontrò con Ami, che stava uscendo.

-È tutto tuo-, disse la ragazza facendosi da parte per farlo entrare poi, notando che lui aveva lasciato aperta la porta di camera, gli domandò il perché, con uno sguardo.

-Tanto sono solo-, il ragazzo fece spallucce, sbuffò di nuovo. Ami assottiglió lo sguardo e udì chiaramente la voce di Umino provenire dalla camera di Usagi. Sfiatò dal naso, afferrò Motoki per un braccio e lo trascinò in camera sua.

Makoto si svegliò di soprassalto e si trovò Motoki, il suo amato Motoki, a un palmo dal naso. Ami, come una furia, lo permette dalle spalle e lo mise a sedere sul letto, incurante del fatto che sotto ci fosse lei.

-Ahia!-, ululò Makoto e sgusciò via.

-Dov'è Usagi?-, ringhiò Ami.

-Non lo so-, ammise Motoki, -penso di sotto.-

-Non dirmi che è di nuovo con quel pervertito!-, strillò e il ragazzo le tappò la bocca.

-Ami, stai calma!-, Makoto stava in ginocchioni a fianco del ragazzo, che bel risveglio le avevano imbastito!

-Penso di sì, ma non è come pensi!-, ecco la solita cooperazione tra maschi!

-Ma se stavano amoreggiando oggi in spiaggia!-, obiettó lei, -È una cosa sconveniente!-

-Mamoru non è interessato a Usagi, Ami!-, lo difese il ragazzo.

-E Usagi è innamorata di Tuxedo Kamen!-, aggiunse Makoto e si tappò la bocca con le mani. Maledizione alla sua lingua lunga!

-Tuxedo Kamen?-, Motoki non credeva alle sue orecchie, -Cioè, mi vuoi dire che tutti i nostri piani stanno andando a ramengo perché quella ragazzina si è presa una cotta per l'eroe mascherato?-

-Non è come pensi!-, si affrettò a dire Ami e Motoki la guardò torvo.

Ami stronfiò, in effetti la sua non era stata un'espressione felice, ma come spiegare al ragazzo che invece era più che plausibile che Sailor Moon si fosse innamorata di Tuxedo Kamen senza svelare l'identità segreta di Usagi? Ringraziò sarcasticamente con uno sguardo l'amica, che si era afflosciata su se stessa per quello che aveva detto.

-Usagi è davvero innamorata di Tuxedo Kamen. Loro due si sono conosciuti e baciati, ma non farmi altre domande, per favore!-, serrò le labbra, non avrebbe aggiunto un'altra parola.

-Considerando com'è Usagi, non mi meraviglierei se lei fosse un'emula di Sailor Moon e che si sia presa per questo una sbandata per la sua controparte maschile-, osservò il ragazzo, -ma dato che la conosco da ben prima che le guerriere Sailor comparissero, dato che lei ha sempre portato i codini, dato che Usagi è imprevedibile, una sorpresa continua… vabbè, diciamo che mi ficco in testa che Usagi sia Sailor Moon così il discorso torna e non ti chiedo altro, tanto in questa vacanza può accadere di tutto, quindi… perché no!?-, rise sottovoce e si lasciò cadere di schiena sul letto.

Makoto fu presa dall'istinto di saltargli addosso, ma quello sì che sarebbe stato un gesto sconveniente! Ami invece sentì una goccia di sudore gelido scivolare tra le scapole, Motoki era a un passo da capire tutto… Cercò di non pensarci e tornare lucida.

-Quindi, alla luce di tutto questo, cosa ci fa Usagi da sola con Mamoru?-, insistette Ami, di nuovo alterata.

Motoki, senza alzarsi, voltò il capo verso di lei: -E lasciali in pace, Ami!-, sbottò, -Per me Usagi è come una sorella e da fratello penso che nella moltitudine di ragazzi che esistono sulla terra non le sarebbe potuto capitare uno migliore di Mamoru Chiba. Se provano qualcosa che sia di più di una semplice amicizia, cosa che loro sostengono e io mi rifiuto di credere, buon per loro. In ogni caso escludo assolutamente che possano 'fare sesso', se è di questo che ti preoccupi. Mamoru non è Hiro o mio fratello, Mamoru è un ragazzo serio, che prima pensa al cuore poi forse a tutto il resto. Altrimenti, se non scoccherà la scintilla, la vacanza finirà, noi torneremo a Tokyo e stop, tutto tornerà alla vita di sempre-, onestamente, non ne poteva più. Voleva pensare un po' anche a sé stesso, quindi guardò alternatamente le due ragazze, sfoderò un sorriso a trentasei denti e -Posso restare a dormire in mezzo a voi?-, domandò con aria sorniona.

 

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Setsuna ascoltò a labbra serrate le confessioni delle sue colleghe. Non poteva credere che quelle due si fossero spinte così a largo nelle cose che era proibito fare. Soltanto il fatto che le due avevano dichiarato di aver visto, in seguito al loro lavoro, una crescente gelosia di entrambi i loro futuri sovrani nei confronti l'uno dell'altra la fece desistere dal correre a denunciarle alle altre, nel loro mondo.

Michiru aveva detto che Usagi faceva strani incubi eppure Setsuna non si reputava colpevole per quello. Probabilmente era un effetto dell'imminente eclisse che stava stravolgendo l'inconscio della ragazza.

-La mia idea-, parlò Michiru uscendo dalla vasca, -È che quei due si amino, ma che per qualche motivo credano che non sia possibile una storia tra loro. E il motivo è semplice: Usagi è innamorata di Tuxedo Kamen e Mamoru di Sailor Moon, solo che qua non sanno chi siano-.

Sailor Pluto rimase in silenzio, la spiegazione della ragazza era plausibile, in effetti lei aveva scandagliato a lungo il passato di quella dimensione ed era consapevole che,, tra le due versioni mascherate dei futuri sovrani era scoccata la scintilla già da molto tempo, ma non le avrebbe dato la soddisfazione di farglielo sapere.

-A ogni modo, cara Setsuna, ti farebbe piacere conoscere Mamoru Chiba… Penso che te ne innamoreresti al primo sguardo: praticamente ha fatto perdere la testa anche a noi due che… beh…-

-Ma come vi è venuto in mente di… di baciarlo!? Di sedurlo!-, in cuor suo rosicava: la più grande paura nel materializzarsi nel millenovecentonovantasei era proprio dover trovare la forza di resistere al suo sogno proibito, anzi, di lottare perché lui si innamorasse di un'altra!

-Se lo incontrerai, capirai-, le disse Michiru. C'era stato un momento, quando erano sulla spiaggia da soli, che se avesse potuto sarebbe scappata via con il ragazzo, e pace se il loro futuro sarebbe di colpo scomparso.

-Comunque Setsuna, c'è un'altra cosa di cui vorremmo parlarti-, il tono di Haruka si era fatto di colpo serio. Annodò l'accappatoio e invitò le altre due a uscire dal bagno, andò in cucina e stappò tre bottiglie di birra.

-Ecco-, iniziò passandone una a Pluto, -Abbiamo conosciuto tutte le ragazze e pensiamo che il loro potenziale sia maggiore di quello che si è espresso nella nostra realtà. Noi tutte siamo state forzate a un giuramento di totale abnegazione verso la Corona. Abbiamo rinunciato alle nostre vite, alle nostre esistenze come Haruka, Michiru, Minako, Rei, Ami e Makoto, loro più di noi due, in realtà, ma ciò è stato possibile perché i fatti che sono avvenuti non si sono svolti nell'ordine in cui stanno avvenendo adesso-, bevve un sorso dalla bottiglia.

-Loro hanno il diritto di vivere le loro vite di giovani donne, di assaggiare la vita morso a morso, di amare-, abbassò lo sguardo, -Abbiamo conosciuto anche Lord Furuhata e il sacerdote Yuichiro Kumada e il futuro che hanno avuto o non avuto nella nostra realtà non lo meritano. Non lo merita neanche Naru. Scommetto che tu non sai neanche chi sia Naru, vero Setsuna?-

La giovane scosse appena il capo.

-Naru è la migliore amica di Usagi, è più di una sorella per lei, è la sua consigliera e possiamo affermare che sia un'ottima consigliera. Naru, probabilmente, pur non conoscendo chi sia realmente Usagi, ha capito tutto di lei-, proseguì Michiru, -Ognuna di questi ragazzi sta contribuendo a formare le persone che diventeranno Usagi e Mamoru, si meritano di ricoprire il posto che spetta loro nel futuro. Le ragazze meritano di vivere l'amore: Makoto è pazza di Motoki Furuhata, si vede lontano un miglio e lo abbiamo ascoltato attraverso il mare e il vento; Rei sta iniziando adesso a vedere nel giovane Yuichiro una persona di valore, una persona con cui condividere gioie e dolori. E Naru, Naru… lei merita di avere un posto accanto alla Regina in questo futuro.-

 

Setsuna deglutì: non avrebbe mai pensato che quelle due avessero una tale profondità d'animo. Rifletté sulle loro parole, portò le labbra alla bottiglia e bevve.

Chiuse gli occhi per una sensazione che non ricordava più: -Cavolo…-, bisbigliò. Sorrise: sarebbe bastato poco perché il futuro in cui aveva sbirciato avesse potuto donare a tutti loro quello che lei aveva visto già.

 

-D'accordo. Prepariamo un piano che non abbia falle-, esclamò e il vero complotto ebbe inizio.

 

---

 

Vorrei baciare le tue labbra, sei così vicina a me, ma qualcosa mi impedisce di muovermi. Tu sei perfetta, sei la più grande persona che abbia incontrato e anche la più piccola bambina desiderosa di attenzioni. Sei bellissima, la tua pelle profuma, sento il tuo corpo premuto al mio, vedo il tuo seno che si alza e si abbassa a ogni respiro. Vorrei stringerti di più e riuscire a dire che ti amo.

Ma tu… tu non sei lei. Sei più di lei, forse, ma non sei lei. Io sono due persone diverse in un solo corpo e so che sono venuto al mondo per lei. Il mio destino è con lei.

Perdonami Usako, ferma i miei pensieri, impediscimi di farti soffrire.

 

Mamoru non riusciva a dormire, la mano di Usagi sul suo petto disegnava piccoli cerchi che bruciavano sulla sua pelle come se non ci fosse stata la stoffa della sua maglia a separarli.

La ragazza mosse la testa verso l'alto, lo guardò respirando sulla sua bocca, si puntelló sul petto, si alzò e si fermò a pochi centimetri da lui. Aveva gli occhi socchiusi che brillavano, li chiuse, avvicinò la bocca alla sua.

-Usagi, cosa stai facendo?-, aveva la voce roca, gli sarebbe bastato avvicinarsi di un nulla e avrebbe scoperto il sapore di quelle labbra.

-Shhh-, scivolò giù, sul suo petto, posò l'orecchio sul suo cuore, di nuovo lo sentì in tumulto, allungò una mano e la posò sulla sua guancia, col mignolo gli solleticò il collo. Mamoru si sentiva impazzire. Lei allungò una gamba e la poggiò sulle sue, si fece spazio, le intrecciò, strusciò il piede sulla caviglia.

-Usagi…-, non voleva farlo, ma la sua mano si mosse da sola, si fermò sulla sua coscia, la sentì bollente.

-Fermo così-, mormorò la ragazza, -È così che me lo immagino-

-Cosa?-, sospirò, era allo stremo.

-L'amore-, disse lei in un ultimo soffio e tutti i suoi muscoli si rilassarono, il cuore rallentò, il respiro si fece regolare.

 

Dormi creatura magica, dormi e nei tuoi sogni immagina tutto l'amore che potrai avere.

 

Era proprio così l'amore, col suo peso sopra di lui, il profumo dei capelli a fargli perdere la testa, il profumo della Luna. Chiuse gli occhi e l'ultimo pensiero cosciente che sfiorò la sua mente fu Sailor Moon e il tocco delle sue labbra morbide su di lui.

 

---

 

Rei si svegliò di soprassalto, non era stato un incubo, piuttosto un presentimento che qualcuno che a cui lei teneva era in difficoltà. Tutti loro erano in pericolo, aveva percepito tre ombre sconosciute incombere sui loro destini.

Svegliò Minako, le disse di andare a chiamare le altre, e seguì l'impulso che per primo l'aveva destata; corse furtiva salendo le scale che portavano alla mansarda, sentiva che il suo destino si sarebbe compiuto lì.

 

-Yuichiro!-, esclamò trovando  l'apprendista sacerdote per terra, solo dei pantaloncini indosso, il capo reclinato sulla seduta di una poltrona.

Attorno a lui regnava il caos: armadi spalancati, scatole rovesciate a terra, un milione di oggetti piccoli e grandi sparsi sul pavimento e sulla scrivania, libri aperti, quaderni sparpagliati ovunque.

Si avvicinò al ragazzo e prese il suo volto tra le mani, -Yuichiro!-, chiamò di nuovo, pregando perché fosse vivo. Cos'era successo là dentro? Possibile che fosse stato aggredito, che nessuno avesse sentito rumore, possibile che…

-Rei?-, il ragazzo scattò in piedi, sbatté gli occhi, si passò una mano sul viso, arrossì.

-Rei, cosa ci fai qui!-, no no no! Perché era entrata proprio lei?

-Yui, stai bene?-, si avvicinò di nuovo a lui, gli posò una mano sul braccio e l'altra sul petto, gli batteva forte il cuore.

-Cos'è successo? Sei stato aggredito?-, staccò le mani, il ragazzo sentì freddo dove lei lo aveva toccato. Si portò una mano alla nuca, osservando il macello che la ragazza aveva trovato.

-No… No Rei… tranquilla! Sono stato io a tirare fuori tutta questa roba-, per un attimo, prima che la rabbia s'impossessasse della ragazza, Yuichiro scorse un anelito di sollievo.

-Sei pazzo, che cosa stavi combinando! Mi hai fatto prendere uno spavento!-, eppure, ne era certo, lui era stato silenziosissimo mentre ripercorreva il suo viaggio nel passato.

Rei si guardò attorno: alle pareti erano appesi dei poster raffiguranti una band musicale, c'era una chitarra elettrica sul suo piedistallo in un angolo della stanza. Appeso al muro c'era un bersaglio per freccette, su quello opposto un canestro da mini basket. La scrivania, il mobilio…

-Questa è la tua camera, Yui?-, domandò d'un tratto addolcendosi.

Il giovane annuì, provando vergogna. Quella era la camera di una persona che aveva smesso di esistere quando lui aveva messo piede nel tempio del nonno di Rei.

-È tutta roba tua, questa?-, qualcosa attirò l'attenzione della ragazza, sembrava un libro di scuola, un libro contenente grafici e simboli matematici.

Fece scorrere le mani sulla carta, si spostò sui quaderni, si voltò e vide un diploma appeso al muro, accanto c'era una vetrinetta con molte coppe all'interno. Si avvicinò, erano trofei di tornei di basket, di karate, di kendo. Una cornice con la foto di un giovane Yuichiro Kumada, capelli corti e completamente sbarbato, sul podio, lo riconobbe dallo sguardo. Si voltò di nuovo, sentiva la testa girare e vide abiti alla moda, un giubbotto di pelle, jeans strappati buttati a casaccio sulla spalliera della poltrona su cui lui si era addormentato. Per terra c'era una scatola contenente buste di lettere aperte, una macchinina rossa, il modellino di una moto.

Si chinò e lo prese in mano: non era un modellino, era un piccolo trofeo anche quello e inciso c'era scritto 'Primo Premio minimoto classe 74'.

Si avvicinò al ragazzo, che aveva i pugni chiusi, gli prese una mano e l'aprì: vi trovò un plettro dipinto a mano con fiamme rosse.

-Chi sei, Yuichiro?-, il suo cuore accelerò, un pensiero volò rapido nella sua mente. Il mio destino…

 

---

 

Minako stava per bussare alla porta di Ami e Makoto, quando pensò che sarebbe stato più prudente entrare senza farsi sentire dagli altri. Sperò che le ragazze non avessero ubbidito alla richiesta di chiudere a chiave e fu esaudita. Si avvicinò al letto e… si coprì la bocca con entrambe le mani per non urlare: non era pronta a qualcosa del genere!

Le sue amiche stavano dormendo beatamente accoccolate ai lati di Motoki!

Quelle piccole traditrici le avevano nascosto che facevano le cose a tre e per tutto il tempo erano state a redarguirla per come si vestiva, come si truccava…

Non le avrebbe svegliate, assolutamente no! Lei era Sailor Venus, la più potente tra tutte loro, lei se la sarebbe cavata da sola e la mattina seguente, oh se sarebbe stata la prima a fare le pulci a quelle due… quelle due…

Motoki si mosse, il gallo nel pollaio disturbò le sue galline! Ami si voltò dalla parte della finestra, Makoto si mise comoda e si rigirò nel sonno, posando la mano sulla spalla del ragazzo.

Minako uscì di fretta dalla stanza, aveva visto abbastanza! Non le rimaneva che Usagi, si avvicinò alla sua porta e provò a vedere se fosse stata aperta anche quella, ma, come lei abbassò la maniglia spingendo, qualcuno tirò la porta a sé.

-Umino!?-, esclamò vedendo il ragazzo diventare rosso come un peperone. 

-Non è come pensi!- balbettò lui e corse in bagno.

Minako rimase immobile sul pianerottolo.

Ami e Makoto stavano dormendo con Motoki, Umino era con Naru… non volle nemmeno pensare a dove potesse essere finita Usagi! Ma cosa stava diventando quella casa!? 

Si affrettò a tornare in camera sua per sfogarsi con Rei, nel farlo sentì dei bisbigli provenire dal piano della mansarda. Salì quatta quatta gli scalini e sbirciò dalla porta socchiusa: Rei e Yuichiro stavano seduti a terra e parlavano piano piano, vide l'amica allungare una mano e posarla sul viso di lui.

Chiuse la porta senza farsi sentire, scese lentamente le scale e tornò in camera sua. Andò alla finestra, l'aprì, spalancò la persiana e uscì sul terrazzo.

-Ciao Minako, non dormi?-, Hiro, sul balcone accanto, la sorprese.

-Che sta succedendo in questa casa?-, domandò esasperata Minako, un soffio di vento sollevò il lembo della sua camicia da notte leggera, si sentì nuda.

-Sto facendo la guardia-, rispose il ragazzo, -Non vogliamo che possa succedere niente a voi signorine-, specificò e Minako gli sorrise.

 

---

 

A cosa servono i sogni, quando sto vivendo il più bello di tutti, quando la realtà supera la mia immaginazione e il cuore galoppa verso il culmine della mia felicità?

A cosa serve il cielo, quando posso cogliere il rosa dell'aurora sulle tue labbra, l'azzurro del mattino nei tuoi occhi e il fuoco del tramonto sulla tue guance rosse? A che serve la notte, se non a impedirmi di vedere il tuo sorriso?

A cosa serve il sole, quando sei tu il mio sole e a cosa la luna, se tu sei la Luna stessa?

A cosa serve il mio corpo, senza di te vicina, a cosa il mio cuore che non batterebbe più se ti perdessi?

In questa notte di luna rossa, in questo istante di passione, è adesso che lotterò per ritrovarti nascosta tra le pieghe del tempo, celata ai miei occhi ciechi che non sanno vederti, un faro per la mia anima inquieta che vaga in una lunga oscurità da quando ti ho persa.

Stanotte io ti troverò, manca poco amore mio e ti riconoscerò nel sorriso nato dopo il pianto, in occhi che non potranno più nascondere la tua anima, nelle tue braccia che mi accoglieranno, sulla tua bocca che imparerò di nuovo ad amare.

 

Usagi era sempre lì, il suo calore lo aveva cullato per ore senza scostarsi da lui, la  mano ancora aperta in una carezza, il respiro sul suo petto, la pelle ormai tiepida sotto la sua mano.

Avrebbe voluto svegliarsi accanto a lei ogni mattina finché non si fosse spento come una vecchia e consunta candela, respirare per sempre il suo profumo al mattino, sentire le piccole mani sulla sua pelle.

"Non ci prendere l'abitudine",  le aveva detto il giorno prima, eppure non avrebbe saputo come fare senza di lei, una volta tornati a Tokyo.

Sarebbero state di nuovo notti insonni, da solo, sarebbe tornata la solita routine fatta di lezioni all'università, quattro chiacchiere alla sera con Motoki, giornate vuote in attesa soltanto di correre a salvare Sailor Moon, che era in grado di salvarsi da sola.

 

"E tu cosa farai, Testolina Buffa?", se la immaginò fare tardi a scuola, impazzire per il nuovo programma di quarta, piagnucolare per un'offesa di Rei e poi vedersi con le amiche e ridere, confidarsi i segreti, conoscere nuove persone, tornare dal suo amore e dimenticarsi di lui. Sarebbe stata una vita piena la sua, anche senza Mamoru Chiba. 

Solo un'altra notte su quell'isola e poi sarebbero tornati alla normalità.

Si sarebbe goduto quegli ultimi attimi di perfezione senza muoversi per non turbare il suo sonno, a lui bastava sentire il suo cuore vicino, sapere che lei era finalmente tranquilla.

Usagi inspirò forte, si mosse appena, emise un debole sospiro, spostò la mano in basso, sul suo cuore e sorrise.

-Endymion-, sussurrò e a Mamoru parve che il mondo stesse implodendo.


 

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


Capitolo 21
Segreti svelati, “Quando torneremo a Tokyo” & La bella cameriera


Rei non aveva chiuso occhio, era rimasta su in mansarda con una persona che credeva di conoscere e che invece era stata una scoperta inattesa. Aveva compreso esattamente quando la curiosità aveva fatto spazio a qualcosa di diverso dentro di lei, era stato nel momento in cui gli aveva chiesto: "Quando hai rinunciato a questa vita fantastica per iniziare una lunga strada fatta di privazioni e sacrifici, Yuichiro?" e lui aveva risposto semplicemente "Quando ti ho conosciuta. Nulla di tutto questo ha più avuto senso per me".

Rei si era sentita morire e rinascere nel tempo di un sorriso, quello che era fiorito sulla bocca del ragazzo tutto arruffato davanti a lei. 

"Non occorre sacrificare il tuo talento per stare con me", gli aveva detto, "Sii te stesso, Yuichiro Kumada, perché tu puoi essere chi vuoi", poi si era avvicinata a lui con la faccia in fiamme e lo aveva baciato piano sulla bocca.

Yuichiro aveva creduto di morire per l'emozione, tanto che si era scostato da lei, si era prostrato a terra, l'aveva implorata di perdonarlo.

"Sciocco", aveva detto in un sorriso Rei e gli aveva stretto le braccia al collo, baciandolo ancora, con più veemenza, comprendendo che quel desiderio era sempre stato lì, ma lei aveva sempre cercato di spegnere quella fiamma sotto la cenere.

Non era sembrato possibile a nessuno dei due quello che stava accadendo, non a Rei, che non aveva più smesso di baciarlo, non a Yuichiro, che ad ogni bacio le raccontava quello che avrebbero potuto fare insieme, quello che provava per lei e le diceva che era l'uomo più felice del mondo.

 

Quando scesero in cucina e quasi tutti i loro amici erano già in movimento per preparare la colazione, lo fecero mano nella mano e per la prima volta Yuichiro non si sentì inadeguato, né Rei sentì di dover rendere conto a chicchessia delle sue azioni. Andavano bene così.


---

 

Ami si era alzata da un pezzo quando Motoki si svegliò. Accanto a lui c'era Makoto, che dormiva beata di fianco, rivolta verso di lui, i capelli sparsi sul cuscino, le braccia strette come se stesse pregando, le gambe piegate. 

Sorrise. In fondo Mamoru aveva ragione, poteva andare avanti, doveva andare avanti perché in qualche modo aveva scorto un angolo di azzurro tra le nubi della sua delusione.

Allungò una mano e scostò una ciocca di capelli che copriva il viso di Makoto.

-Buongiorno-, le disse quando lei aprì gli occhi.

-Buongiorno-, rispose la ragazza, illuminandosi in un sorriso. Il mondo era rosa e vedeva chiaramente le farfalle volare attorno a lei.

-Andiamo a preparare una torta insieme?-, gli domandò Motoki.

-Andiamo.-

 

---

 

Prima di aprire gli occhi, Usagi allargò la mano che aveva sul petto di Mamoru. Lo sentì forte sotto il suo tocco, il cuore pulsava piano. Si spinse in alto con le gambe per affondare con il naso sotto al suo collo, ne inspirò il profumo, si stiracchiò. Era la cosa più bella del mondo averlo vicino e la più dolorosa sapere che sarebbe presto finita.

Si scostò un poco e aprì gli occhi: Mamoru la stava fissando, era immobile, aveva un'espressione incomprensibile sul viso. 

-Ciao-, gli disse, ma non ebbe risposta. Un pensiero fugace oscurò la sua gioia, ma scappò via prima che potesse turbarla.

-Ciao-, finalmente lui rispose, in un attimo Usagi si sentì afferrare da sotto le braccia e capovolgere, Mamoru fu sopra di lei, il cuore prese ad accelerare. Incombeva come un predatore sul suo pasto.

-Chi sei, Usagi?-, il tono della voce non più caldo, lo sguardo vitreo.

Cosa stava succedendo? Il volto del ragazzo si avvicinò al suo, sempre più vicino, troppo vicino, la schiacciò col suo peso, bloccandola al bacino.

-Mamo…- disse soltanto e non sapeva perché, ma sentiva le lacrime pungere ai lati degli occhi.

-Chi sei?-, ripeté il giovane, ciuffi corvini di capelli gli ricadevano sul volto.

Si abbassò di nuovo su di lei, sentiva il respiro sulle sue labbra.

-Io… sono solo una sciocca-, balbettò e lo sguardo del ragazzo si sciolse, il viso si ammorbidì e Mamoru crollò su di lei, stringendola forte in un abbraccio. Voleva piangere. Era turbato, confuso, le aveva messo paura.

-Perdonami-, la implorò sussurrando al suo orecchio, stringendo il suo corpo come se lei potesse svanire se solo l'avesse lasciata.

Usagi inspirò forte, lo abbracciò a sua volta, era troppo potente la necessità che aveva di lui per aver già dimenticato. Tutto.


-Dovremmo alzarci-, la voce tranquilla di Usagi accarezzò le orecchie del giovane. Scivolò da sotto a lui e rimase stretta nel suo abbraccio.

-Usagi, a me… a me dispiace di averti messa in questa situazione-, ammise Mamoru. Gli dispiaceva soprattutto per aver dubitato di lei, perché il nome che la ragazza aveva mormorato nei suoi sogni era e doveva rimanere confinato a quelli.

-A me dispiace che stia tutto per finire, perché non pensavo che un baka come te potesse essere in realtà un tesoro-, si sporse verso di lui e lo baciò sulla guancia.

-Quando torneremo a Tokyo, la tua splendida vita riprenderà tranquilla-, la rassicurò.

-La mia vita non è più tranquilla da tanto tempo, Mamo-, strinse le mani al petto, -E senza di te, mi rimarrà soltanto il rimpianto per aver perso le due persone per me più importanti...-

-Vedrai che lui tornerà da te-, si strappò di bocca, -E sarai completa-.

Usagi si tirò su a sedere sul letto, Mamoru la imitò: -Continueremo a vederci?-, gli domandò.

-Certo, quando andrò alla sala giochi ti cercherò e torturerò di nuovo-, sorrise.

-E io lancerò ancora le mie scarpe in aria, sperando che tu sia dietro di me-, si rannicchiò contro di lui.

-E la notte, quando sarò solo, mi ricorderò che è possibile fare sonni tranquilli, penserò a te e riuscirò a dormire-, la baciò tra i capelli.

-E la notte, quando sarò sola, penserò a quanto sono sciocca-, lo baciò attraverso la maglia, sul petto.

L'abbracció forte, -È ora-, disse, e entrambi si alzarono senza dire altro.


---

 

Umino e Naru furono gli ultimi a scendere per la colazione, avevano una faccia un po' strana, forse perché l'imbarazzo per il fatto che tutti sapessero che avevano dormito nella stessa stanza li intimoriva.

Naru andò a sedersi al suo posto e domandò a Usagi se fosse riuscita a riposare, l’amica si sforzò di farle un sorriso, per dimostrare che andava tutto bene, ma la ragazza comprese subito che c’era qualcosa che non andava. Sotto al tavolo, in modo che nessuno la vedesse, cercò la sua mano e la strinse forte. Gli occhi azzurri di Usagi sembravano due crateri nell’oceano, colmi di confusione, incertezza, sofferenza. Forse lei non era la persona più adatta, quella mattina, per cercare di aiutarla, ma voleva che sapesse che per lei ci sarebbe sempre stata. 

-Vuoi un po’ di caffè?-, le domandò Usagi e liberò la sua mano dalla stretta dell’amica, si affaccendò a servirla e prendere del pane per sé. Si muoveva a destra e a sinistra, bastava non fermarsi a pensare. -C’è della marmellata?-, chiese ad alta voce, sbuffò, si allungò sul tavolo e afferrò il pacchetto con i biscotti, ne prese uno e lo tuffò nel caffè.

-Te la porto-, la voce di Mamoru giunse dalla cucina, quella mattina dovevano inventarsi una colazione con quel che c’era in dispensa, nessuno aveva preparato torte.


Umino non si era ancora seduto,  raggiunse Mamoru e lo trovò mentre stava rovistando nel frigorifero accovacciato a terra.

-È successo-, gli disse e il giovane si voltò verso di lui con un'espressione indescrivibile. Si alzò, sovrastava l'altro di almeno venti centimetri. Piegò le sopracciglia verso il basso, increspando la fronte, forse non aveva capito bene.

-È successo-, ripeté Umino. Quella mattina indossava gli occhiali, una maglietta nera, i boxer da bagno verde mela e un volto nuovo.

Mise una mano sulla spalla di Mamoru, aveva un'espressione seria in viso: -Grazie-, non aggiunse altro, si voltò e corse ad accaparrarsi qualcosa da mettere sotto i denti.

Mamoru rimase lì, in mano una bottiglia di latte e un barattolo di marmellata di fragole.

 

---

 

Makoto e Motoki non avevano fatto in tempo a preparare una torta insieme, quella mattina, perché si erano attardati a parlare e le parole erano diventate risate complici e solletico inatteso, sguardi penetranti e sorrisi felici.

-Sei una ragazza speciale, me ne sto rendendo conto ogni giorno sempre di più.-

-È perché sono più brava di te a cucinare!-

Motoki aveva sorriso, quello che aveva detto Makoto era vero, ma non era certamente ciò che intendeva.

-Sei speciale perché sei allo stesso tempo forte e dolcissima, sei sempre sorridente e tieni molto alle tue amiche-, Makoto aveva sentito il cuore battere forte.

-Anche tu sei speciale, perché si vede che ti interessa davvero la felicità degli altri-, gli aveva detto, -Ma dovresti pensare anche alla tua, di felicità-, era arrossita, perché in quel momento la sua speranza era che lei rientrasse tra i modi per far felice Motoki. Lui non le aveva risposto e si era rimesso disteso sul letto con un braccio piegato a coprire la fronte, -Ci penso, ma ultimamente fare questi pensieri mi fa sentire in colpa perché è così poco tempo che io e Reika…-

Makoto si era voltata di spalle, quasi avesse ricevuto un colpo al petto, non voleva soffrire ancora per le sue solite illusioni, -Perché sei venuto qua allora, se ti sentivi in colpa?-, inspirò, -E soprattutto perché sei ancora in questa stanza?-, qualcosa si stava per spezzare, lei ne era consapevole e aveva iniziato a tremare dalla paura che lui potesse andare via.

-Perché quando sto con te non mi sento in colpa, mi sento bene-, si era messo in piedi e aveva allungato un braccio a cercare la sua mano.

In quel tocco Makoto aveva percepito una forte emozione, la speranza che i suoi desideri non fossero andati a rotoli.

-Sorridi, Makoto, sei così bella quando sorridi-, non le aveva mai detto nessuno prima che era bella, si era sentita su una nuvola e aveva sorriso, e, senza pensieri nebulosi a rovinare quel momento, si era avvicinata al suo petto e aveva sentito le labbra di Motoki posarsi sulla sua fronte. Il cuore le aveva martellato in petto, l'emozione era stata fortissima, sarebbe toccata a lei la mossa successiva? Aveva paura, si sentiva su una nuvola, ma aveva paura: l'ombra di Reika gravava su di lei e da quella nuvola aveva paura di cadere giù, se avesse sottovalutato quella spada di Damocle. Col pensiero era corsa a Usagi e Mamoru: forse quei due avrebbero potuto essere felici se non avessero avuto entrambi il pensiero di qualcuno che avevano amato e da cui non riuscivano a staccarsi. -Motoki, ti prego non… non illudermi… non fare come Usagi, in bilico tra qualcosa che potrebbe esserci con Mamoru e l'amore perduto per Tuxedo Kamen…-, forse era stata una stupida a dire quelle cose, ma voleva essere sicura di non soffrire di nuovo.

-Vedrai che Usagi si renderà conto di quanto sia sciocco provare qualcosa per Tuxedo Kamen, in fondo lui è soltanto un personaggio inventato, sempre che sia vero che esista. È difficile che sotto la maschera si nasconda qualcuno che potrebbe essere davvero interessato a lei. Sono tutti eroi al limite tra la fantasia e la leggenda, Usagi non può essere così stupida da pensare che davvero possa nascere qualcosa di serio con qualcuno che non è neanche detto che esista realmente.-

Makoto aveva sentito il sangue ribollire: quello che Motoki aveva appena detto su Usagi era ingiusto, lui non poteva parlare se non conosceva la verità. Se la ricordava bene la disperazione negli occhi dell'amica quando aveva raccontato a tutte loro dell'amore profondo per cui soffriva da molto tempo e l'incertezza nella sua voce nell'ammettere che quello era un amore impossibile, dal momento che c'erano troppi segreti tra lei e Tuxedo Kamen. Lo aveva compreso bene che se Usagi stentava a credere in quel sentimento era soltanto perché non poteva conoscere chi ci fosse dietro la maschera, perché non avevano avuto modo di essere chiari nello svelare le loro reciproche identità. 

A Makoto piaceva Motoki, le piaceva tanto e le era parso che, finalmente, anche lui si fosse reso conto di provare qualcosa per lei. Ma le era stato immediatamente evidente che, qualunque fosse stato il loro destino, lei non sarebbe stata capace di mentire sulla sua identità, non dopo aver visto a cosa avrebbe potuto portare quella omissione. E allora Makoto aveva fatto una cosa che non doveva assolutamente fare, una cosa ben peggiore di qualunque sciocchezza da adolescente innamorata, una cosa le cui conseguenze avrebbero potuto essere fatali per lei e le sue amiche.

Aveva chiuso la porta a chiave, serrato le persiane della camera, aveva preso la sua penna dal fondo dello zaino e si era trasformata in Sailor Jupiter davanti a lui.

-È questo il mio segreto, il nostro segreto: Motoki io… Credo di provare qualcosa di importante per te e ho già visto a cosa portino le bugie e il dover mantenere queste identità nascoste perché è questo che è accaduto a Usagi: lei ama davvero Tuxedo Kamen, perché Usagi è Sailor Moon ed è lei che ci ha salvate, ha salvato tutti noi, tutto il pianeta dalla distruzione, due anni fa. Lei si sta consumando nell'impossibilità di avere a fianco l'uomo che ama: io non farò mai lo stesso, non ho la sua stessa forza, vivo nel terrore di rimanere di nuovo sola. Quindi, alla luce di quello che ti ho svelato, ti prego di mantenere il nostro segreto, perché ne va della nostra stessa salvezza-, gli aveva messo le mani sulle spalle fissando gli occhi in quelli increduli del ragazzo, doveva saperlo prima di innamorarsi perdutamente di lui: -Motoki, puoi promettermi che non dirai nulla a nessuno? Puoi sopportare il peso di questa verità? Se adesso scapperai da qui, se non vorrai più parlarmi, se sceglierai di seguire un’altra strada, io lo comprenderò-.

Lui si era alzato, aveva fatto scorrere il suo sguardo sulla divisa alla marinara, sui guanti bianchi, sul diadema che portava in fronte e si era avvicinato a lei.

-Lo sapevo che eri speciale-, aveva detto a un respiro dal suo viso e aveva portato la bocca vicina alla sua, lasciando a lei la possibilità di baciarlo o fuggire.

 

---

 

Fu chiaro a tutti, mentre facevano colazione in silenzio, che quella notte aveva portato scompiglio in ciascuno di loro. Sguardi rubati, mani che si sfioravano di nascosto sotto al tavolo, sorrisi. Dopo tutte le turbolenze passate, i ragazzi avevano trovato, chi per un motivo, chi per un altro una ovattata situazione di pace, o di rassegnazione.

-Dove andiamo al mare?-, domandò Hiro.

-Ci sarebbe un'altra spiaggia, non molto lontana, che vorrei che vedeste-, parlò Yuichiro. Voleva che la vedesse Rei, più che altro, perché quello era il posto in cui lui si andava a rifugiare quando era sull'isola e voleva scappare dal successo, dalla notorietà congenita alla sua famiglia. Era il posto in cui si nascondeva quando non riusciva più a guardare i suoi trofei, le coppe e gli abiti firmati che altri acquistavano per lui. Da ragazzo, a volte nelle lunghe estati passate al mare, partiva da solo all'alba, lui, la sua bici fiammante e la sua chitarra, non quella elettrica da migliaia di yen, ma quella vecchia sgangherata di legno che aveva accompagnato la sua infanzia, persa per seguire orme che non sentiva appartenere al suo sentiero.

-Dovremo riprendere le moto e tutto il resto-, spiegò e iniziò a sparecchiare.

Ami aveva il terrore delle motociclette, Per questo chiese a Minako di sostituirla come passeggera dietro a Kenzo, l'amica non si fece pregare. Quindi ricordò a Makoto che ancora non aveva pagato pegno per la punizione del giorno precedente e le offrì il suo posto sulla Vespa di Motoki, stringendosi con Naru sul sedile della piccola automobile. Rei raccolse le sue cose e per la prima volta fu gioiosa nell'occupare lo strano sedile del tuk tuk di Yuichiro.

Usagi infilò il casco e si strinse a Mamoru, pensando che ogni volta avrebbe potuto essere l'ultima.

L'immagine di Tuxedo Kamen stava svanendo dai suoi pensieri, Luna sarebbe stata contenta, ma nulla le faceva intendere che Mamoru invece avesse messo da parte la sua misteriosa innamorata. D'altronde, considerò, non c'era un motivo valido per farlo, dal momento che gliel'aveva descritta come una ragazza perfetta. Per questo non aveva osato andare oltre quello che già c'era stato di troppo audace tra loro. Le sarebbero rimasti i ricordi di quella vacanza surreale, li avrebbe conservati gelosamente nel suo cuore finché non fosse stata libera di tornare a pensare di essere felice.

Sarebbero tornati a Tokyo, lei avrebbe ripreso la sua vita tranquilla e, ne era certa, non avrebbe mai più lanciato una scarpa in aria, né probabilmente avrebbe cercato un contatto con Mamoru facendosi trovare la sera da Motoki alla sala giochi. Se lo doveva semplicemente dimenticare, farlo lentamente svanire dalla sua testa e dal suo cuore.

Eppure sarebbe bastato così poco, un segno reciproco d'intesa, uno sguardo che confermasse che non stavano sbagliando.

Mamoru sarebbe piaciuto ai suoi genitori, anche se orfano, era un giovane di buona famiglia, serio e studioso, uno che avrebbe fatto strada nella vita. Avrebbe potuto essere un amico per Shingo, l'esempio che lo avrebbe fatto crescere; avrebbe tranquillizzato suo padre che la vedeva ancora come una bambina e sarebbe stato l'orgoglio per la mamma.

Si strinse di più a lui, ma doveva lasciarlo andare: Mamoru, una volta a Tokyo, sarebbe semplicemente tornato a essere per lei un estraneo.

Si lasciò cullare dal movimento ondeggiante della motocicletta, chiedendosi di tanto in tanto quando tutta quella illusione sarebbe svanita. Giunti alla meta smontò dalla motocicletta, rivolse un sorriso amaro di gratitudine a Mamoru e si voltò. 

Il tempo stava per scadere, alla mezzanotte tutta la magia sarebbe scomparsa e lei si sarebbe trovata come Cenerentola in mezzo a una strada. Guardò in basso: non aveva scarpette di cristallo che le avrebbero fatto ritrovare il principe in carne e ossa che stava lasciando alle sue spalle, sarebbe stata una Cenerentola scalza e senza più speranze. Mosse i passi meccanicamente, seguendo il gruppo sulla sabbia, si sistemò e si sforzò di non pensare a se stessa per un po’.


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Naru era strana, osservò Usagi, sembrava essersi vestita di una riservatezza che a tratti la faceva apparire estranea perfino ai suoi occhi. Aveva scherzato con educazione, ma aveva evitato di rimanere da sola con lei. Era evidente che stesse nascondendo qualcosa.

-Ti va di fare due passi insieme?-, le domandò, sebbene quella spiaggia praticamente deserta fosse così piccola che, di passi, ne avrebbero fatti veramente pochi. -Vorrei salire su quello scoglio, ho bisogno di te-, le chiese impedendole di poter obiettare. Si era riempita la testa della convinzione che lei non avrebbe mai potuto piacere davvero a Mamoru in un modo che non fosse semplice amicizia tra due soggetti tanto diversi, quanto identici.

Lasciarono gli amici intenti a spalmarsi la crema solare e si allontanarono con i prendisole indosso, camminarono sulla battigia fino al termine della piccola cala e scavalcarono alcune rocce, arrampicandosi fino al promontorio. Lì non le avrebbe sentite nessuno.

-Sono disperata, Naru-, senza troppi preamboli, lasciò che lo sconforto uscisse con le sue parole e confidò a Naru che si sentiva confusa, in bilico sul sapere chi fosse davvero. -Credo di provare qualcosa di più che amicizia per Mamo-chan-, si confidò, -perché veramente se mi allontano da lui è come se mi mancasse il respiro ormai-.

Naru fu contenta di sentire che l'amica finalmente ci era arrivata.

-Ma lui è innamorato di un'altra, me ne ha parlato ieri, e lei… io non potrò mai competere con lei, lui non potrà mai innamorarsi di me, perché esiste lei!-

Naru mandò gli occhi indietro.

-Lei è così… sembrava l'avesse accanto mentre la descriveva, deve amarla davvero-, prese una pietruzza e la lanciò in mare, -In fondo io sono una ragazzina buona solo a piagnucolare e cacciarmi nei guai. Adesso è adorabile con me, ma io… io credo che mi trovi maldestra e sono certa che si vergognerebbe di avermi al suo fianco, per questo, se dovesse scegliere tra me e lei, sono sicura che sceglierebbe lei. Io sono imbarazzante, non sono magra come te o bella come Rei, no, non potrebbe mai pensare a me come qualcosa di più di un'amica! Come potrebbe presentarmi a qualcuno e dire 'è lei che amo', no… Lui si vergognerebbe di me e continuerebbe a volere lei. Ho paura di soffrire ancora di più, Naru.-

Naru prese un respiro profondo: quella era la sua Usagi, la ragazzina insicura e incapace di guardare oltre le sue paure.

-Tu pensi che Umino sia quello che si può definire 'un bel ragazzo', Usa-Chan?-, non attese risposta, -O che si comporti da macho, che non sia imbarazzante, il più delle volte? Eppure io lo amo davvero e non provo alcuna vergogna nel farmi vedere accanto a lui, nel dire che 'è lui che amo'. Lui mi conosce, mi fa sentire speciale, sa quando ho bisogno di qualcosa e sa come farmi stare bene. Siamo stati amici, siamo diventati compagni e io non potrei mai provare imbarazzo con lui al mio fianco. Vedrai che per te potrebbe essere lo stesso.-

Usagi era fiera della sua amica, ma… -Tu e Umino siete giovani e non avete conosciuto altri prima, non sapete se c'è qualcun altro che davvero vi possa far bruciare il cuore e-

-Ti dimentichi di... Johnny e di come ho sofferto per lui-, un'ombra passò sugli occhi di Naru. Il suo nome era Nephrite, e lei lo avrebbe conservato per sempre come un ricordo prezioso, ma Usagi lo aveva conosciuto come Johnny. Sospirò; -E ti dimentichi che Umino, prima di me, era innamoratissimo di te, Usagi.-

Non voleva comprendere: -Sì ma per voi è diverso e siete alle prime esperienze, state insieme da poco, avrete modo si scoprire se-

-Stanotte ho fatto l'amore con Umino-, confessò Naru e le parole che stava per dire morirono in bocca a Usagi.

-Stanotte ho fatto l'amore con lui e purtroppo è una cosa che deve rimanere intima, ma vorrei urlarlo al mondo che io sono sua e lui è mio-. La guardò, le scintillavano gli occhi. Usagi non era pronta a una notizia del genere, avrebbe voluto chiederle mille dettagli, sapere com'era stato, ma la sua bocca rimase chiusa in un sorriso. Solo il rossore comparso sul suo volto annunciò che avrebbe voluto saperne di più.

-Prima che tu avvii una spedizione punitiva contro di lui, ti assicuro che siamo stati attenti e confesso che sono stata io che ho cominciato…-, abbassò il viso, stava diventando tutta rossa, -Lui parlava, parlava, non stava zitto un attimo ed era agitatissimo! A un certo punto non ne ho potuto più e gli ho tappato la bocca con un bacio, gli ho detto "Hei amore, stai tranquillo, di cosa hai paura?" e l'ho baciato di nuovo e poi ancora e… come sia iniziato davvero non me lo ricordo, ma dai baci siamo finiti a farci delle carezze e poi toccarci e io sentivo che dentro di me cresceva un desiderio che non avevo mai provato prima e…-

-Ok, stop!-, Usagi mise le mani avanti, nello sguardo un accenno di terrore, -Non voglio sapere tutti i dettagli, ti prego!-

Naru le sorrise, aveva ragione lei, non doveva dirle tutto, in fondo era una cosa veramente personale, sua e di Umino.

-Comunque, insomma… è successo! Ed è stata la cosa più dolce e naturale del mondo. Oh Usagi, io amo Umino!-, esclamò.

In tutta onestà Usagi invece ne avrebbe voluto sapere di più, ma non aveva il coraggio di scandagliare più a fondo l'intimità della sua migliore amica e del suo fidanzato. Era grata per aver condiviso con lei quel segreto, sarebbe venuto il momento per sapere di più, ma non era quello. Le prese una mano e la strinse delicatamente tra le sue.

-Mi dispiace, Usagi, ma stanotte non ti farò tornare nella nostra stanza-, un'espressione complice accompagnò le  parole di Naru, qualcosa di liquido si ruppe dentro Usagi, e seppe che i suoi erano solo problemi di una ragazzina sciocca e insicura.

Non avrebbe più guardato Umino con gli stessi occhi, mai più.


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-Testolina Buffa, cos'hai?-, Mamoru la raggiunse trovandola seduta sul suo asciugamano, le ginocchia piegate e il corpo rannicchiato, notò le sue spalle rosse, -Te la sei messa la crema solare?-, le domandò e Usagi scosse la testa. Dopo le confessioni che aveva avuto da Naru era corsa dove avevano lasciato gli zaini e si era accorta che non c'era nessuno. Aveva rinunciato a provare a spalmarsi da sola ed era rimasta a riflettere incredula sulle parole di Naru. Le si era aperto un mondo: nessuna delle sue amiche le aveva mai parlato di un'esperienza simile, qualcosa a cui tutte in cuor loro pensavano, ma che nessuna aveva mai provato sulla sua carne. Era così assorta da quei problemi che non si rese conto di quel che stava facendo Mamoru e, quando sentì le sue mani sulle spalle, provò un brivido che terminò tra le sue gambe. -Ti brucerai-, le disse il giovane, accarezzando piano la sua pelle con le mani unte di crema solare. 

 

“Dai baci siamo finiti a farci delle carezze e poi toccarci e…”

 

-Tanto ormai sono già abbronzata-, non voleva che la toccasse ancora o sarebbe esplosa in mille coriandoli eccitati dal vento.

-Hai la pelle di luna, ti brucerai-, ripeté lui, scostando lo spallino del bikini, -Guardati, hai il viso tutto rosso-, continuò. Usagi sentiva che sarebbe impazzita presto.

 

“Sentivo che dentro di me cresceva un desiderio che non avevo mai provato prima...”

 

-Mamo, non importa, dai…-, si voltò a guardarlo, cavolo quanto lo desiderava! Fino ad allora aveva formulato solo pensieri fatti di latte e miele, abbracci, carezze, qualcosa di caldo, ma niente di più. Lui era la spalla su cui dormire, il battito che la sapeva cullare fino al mondo dei sogni.

Ma qualcosa stava cambiando, la sua percezione stava mutando e non le bastava più un dolce giaciglio per riposare. Mamoru era bello, bello da impazzire e Usagi se ne rese conto tutto insieme, quando il conto alla rovescia di quel periodo che non sarebbe più tornato stava per finire. Le spalle su cui aveva posato la testa erano così larghe, le braccia che l'avevano cullata così forti, il collo dove si nascondeva e che solleticava con il suo naso era così sensuale e il suo viso…

Ansimò, quando con le dita lui sfioró la sua clavicola.

-Ti ho fatto male?-, le domandò e Usagi chiuse gli occhi, si mise in ginocchio di fronte a lui e reclinò indietro la testa. -Mi brucia qui-, sussurrò, indicando la base del collo, sapeva che ad ogni respiro il suo seno si alzava e abbassava, stretto in un balconcino che le aveva prestato Minako, impietosita dalla penuria del suo guardaroba.

-E anche qui-, indicò più giù e sentì che la mano di Mamoru tremava. Gli bloccò il polso e fece scivolare la sua mano ancora un po'.

-Usako… che fai?-, sì, eccola quella voce roca che la faceva volare sulla Luna e tornare giù! Eccolo quel brivido liquido che era fatto di fuoco sulla sua pelle. Si allungò verso di lui, l'avrebbe baciato, voleva baciarlo, baciare la sua pelle abbronzata, sfiorare con la bocca gli occhi tremanti, il profilo del suo naso, scoprire il sapore delle sue labbra. Voleva tutto di lui, voleva sentirsi come Naru, poter urlare da uno scoglio "Io amo Mamoru!", voleva legarsi a lui indissolubilmente, sentire quelle mani sulla sua pelle lasciare una scia di fuoco.

E poi, improvviso, arrivò il dolore. Un dolore atroce, come di carne che si lacerava, di fuoco che bruciava la pelle, la strappava, come una lama che penetrava in profondità, dilaniando i muscoli, strappando i nervi.

Aprì gli occhi nel terrore, la mano di Mamoru si era fermata dove la magia della penna lunare stava coprendo la cicatrice della sua ferita. 

Tuxedo Kamen!

Era già accaduto in una sera calda nella cucina della Villa dei suoi rimpianti. Era già successo che il suo corpo, contro la sua volontà, le ricordasse che lei non poteva essere solo Usagi, la ragazzina innamorata in preda ai primi ardori. Lei era anche Sailor Moon e doveva portare il peso del suo compito, senza lasciarsi distrarre dalla voglia effimera di una vita normale.

Che fine stava facendo il ricordo di Tuxedo Kamen in cui si era crogiolata per un tempo lunghissimo? Sembrava che di lui, in quel momento, fosse rimasto solo il dolore per la ferita che gli aveva inferto, mentre Mamoru...

Strinse i denti: no, avrebbe vinto lei su quel dolore, avrebbe impedito alla sua missione di toglierle ancora la sua vita. Spinse il petto in avanti, dritta contro il pugnale invisibile che la stava trafiggendo. Dritta tra le mani del povero Mamoru.

-No, Usako, no-, Il ragazzo la fermò  prendendole il viso, non avrebbe permesso alla sua misera voglia di rubare qualcosa che non gli apparteneva, non così, non in quel luogo. Non avrebbe violato un centimetro in più della sua pelle. Avrebbe ragionato per entrambi, anche se sentiva che stava perdendo la ragione, che tutto di lui urlava perché invece lei continuasse, anche se pensava che stesse per impazzire dalla voglia che aveva di quella ragazzina che non era più una Testolina Buffa, ormai era la donna che occupava tutti i suoi pensieri e lo stava facendo andare a fuoco.

Lei aprì gli occhi e vide lo stesso desiderio ardere in quelli blu profondi e tormentati del ragazzo. Comprese lo sforzo che anch'egli stava compiendo per trattenersi, ma lo confuse con un rifiuto. 

-Perdonami-, gli disse, ma lui l'aveva già fatto. Il dolore era scomparso. Usagi prese aria, sbatté le palpebre, si allontanò un poco. -Finisco io-, gli disse, -Ma poi la metto a te-. 

 

Io sono Usagi Tsukino, vivo una vita a metà, ansiosa di crescere come donna, di scoprire il mondo, di vivere la mia vita semplice e confusionaria, orgogliosa di un compito che mi è stato affidato, ma spezzata in due, in balia dei miei incubi, di quello che vorrei, di quello che potrebbe essere e di quello che non è.

 

-Per favore Mamoru, lascia che ti coccoli un po’ io adesso-, non si vergognò quando lo disse, si accertò solamente che fossero soli. Disse 'sì' al segnale che le aveva inviato il suo corpo e disse 'no' alla preghiera silenziosa del ragazzo che non voleva essere torturato ancora. La sua pazienza era stata messa già troppo a dura prova, si era spinto oltre il limite che si era imposto e in quel momento si ritrovava in balia della sirena che lo aveva confuso, curato, stravolto. A cui non avrebbe saputo dire ancora 'no'.

Usagi si sedette sui suoi glutei, lo aveva già fatto quando erano rimasti soli sulla spiaggia di Ithogaya, ma quella volta non usò le sue mani come picconi, iniziò con un tocco leggero, sfiorandolo appena, massaggiando la sua pelle finché la crema si fosse assorbita, poi ricominciava in un altro punto, muovendosi sopra di lui. D'un tratto si sollevò sulle ginocchia, liberandolo dal suo peso.

-Girati-, ordinò e lui ubbidì, ruotando sotto di lei, incapace di imporsi su quel che sarebbe stato giusto fare.

Usagi si sedette di nuovo su di lui, oh cavolo! Aveva quasi vent'anni e non era un monaco! Se ne sarebbe presto accorta anche lei…

-Fermo-, riprese il massaggio spalmandogli sul petto la crema, non avevano mai avuto un contatto così intimo, nonostante le notti passate vicini, nonostante i respiri di uno sulla pelle dell'altra. Usagi non staccava gli occhi dai suoi, era come rapita, come se fosse scattato qualcosa nella sua testa.

Il sole dietro di lei era accecante, Mamoru chiuse gli occhi e quando li riaprì gli parve di non essere su una spiaggia, ma disteso su un letto di fiori. C'era Serenity sopra di lui, uno alla volta staccava i pezzi di quella armatura che li divideva, lo guardava, gli sorrideva, era pronta a essere sua.

 

Un gemito scappò dalle sue labbra -Serenity-, bisbigliò e gli parve di udire ancora il suo nome, ma forse era solo nella sua testa.

-Sono qui, Endymion-, invece non se l'era immaginato. Usagi… non era lei… aveva gli occhi assenti, una falce di luna che brillava sulla sua fronte. Stava immaginando tutto.

 

-Arriviamo!-, avvisò da lontano qualcuno, forse era la voce di Motoki e di nuovo Mamoru fu sulla spiaggia, per un istante solo, ma non gl’importò e si lasciò rapire da quel sogno a occhi aperti a cui non riusciva in alcun modo a resistere.


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-Io non ho mai visto due come loro, così attratti l'uno dall'altra che, nel momento in cui dovrebbero concludere, crollano nel sonno-, disse Kenzo, che di esperienza sicuramente ne aveva più del fratello maggiore.

-Si narcotizzano a vicenda-, aggiunse Minako, piegandosi a guardarli come fossero stati una medusa spiaggiata.

-Sembra che vengano sopraffatti dall'emozione-, osservò Ami.

-E poi guarda come dormono beati, sembra che stiano sognando la stessa cosa-, forse Makoto poteva avere ragione.

-Sembra che ci sia una magia e per qualche motivo non siano più loro-, constatò Rei, incrociando le braccia al petto, pensierosa. Era la teoria di Artemis circa gli incubi di Usagi, sulla base di quello che erano riusciti a estrapolare lui e Luna basandosi su tutte le informazioni che avevano.

-La magia non esiste!-, esclamò Umino e Motoki, raggiante in volto, lo contraddisse: -Oh, esiste eccome!-, lui l'aveva visto con i suoi occhi, la sua magia era in piedi accanto a lui.

Ma la magia andava aiutata in qualche modo, Naru dette il la.


-Ragazzi… Usagi è in crisi… le ho parlato prima: è estremamente confusa, credo che abbia compreso di essersi innamorata di Mamoru, ma pensa di non poter mai essere amata da lui. Ha paura perché questa vacanza sta terminando e sente che lo sta per perdere senza averlo mai avuto-, Naru era dispiaciuta per l'amica, in qualche modo condivideva il suo pensiero: quando il tempo su quell'isola fosse terminato, la magia di tutti si sarebbe spenta. Guardò Umino: certo, sarebbero rimasti sempre insieme, ma avrebbero trovato il modo di passare davvero del tempo come stava accadendo in quei giorni? Avrebbero mai potuto ripetere quell'esperienza che li aveva uniti più che mai, una volta a Tokyo?

Rei abbassò lo sguardo, le parole di Naru l'avevano colpita dritta in una parte della sua coscienza che la notte prima era svanita, come per magia. Quando fossero tornati al tempio, come avrebbe fatto a spiegare al nonno che era cambiato tutto con Yuichiro, come avrebbe potuto convincerlo che voleva stare con lui? Come avrebbe potuto mentire al ragazzo, se si fosse presentato un nuovo nemico, se avesse dovuto diventare Sailor Mars, se fossero diventati più intimi, vivendo sotto lo stesso tetto? Il ragazzo la guardò, come avrebbe potuto rivedere quella Rei, una volta tornati nella routine di tutti i giorni?

Makoto guardò Motoki e comprese di aver fatto la scelta giusta, aveva piantato le fondamenta della fiducia, il resto sarebbe venuto piano piano da sé, a Kakeroma, a Tokyo o in qualunque altro posto. Si scambiarono un'occhiata d'intesa e lui prese la parola.

-Devo dire una cosa a tutti voi-, catturò l'attenzione dei suoi amici, -Io devo molto a Mamoru, perché anche se può sembrare schivo o a volte sarcastico o qualcuno può pensare che si senta superiore agli altri… ecco, lui non è così. Lo avete sentito da voi ieri mentre era ubriaco quello che pensa di se stesso, "in vino veritas'", no?-, Hiro annuì e abbassó lo sguardo, pentito, -Mamoru mi ha aperto gli occhi su una cosa fondamentale: si possono aiutare gli altri senza che loro se ne accorgano. Si può portarli sulla strada giusta, anche se loro non sanno quale sia. Con me lui l'ha fatto e ci è riuscito, con lui ci ho provato, ma come vedete tutti…-

-Il ragazzo dormeee!-, urlò Hiro, ottenendo che Mamoru si svegliasse di soprassalto, sbalzando via da sé Usagi e colpendola con una manata sul viso. Lei si svegliò per lo scossone e il colpo: -Sei un baka!!!- gli strillò contro, iniziando a prenderlo a pugni sul braccio, la spalla, la schiena.

-Ehi, ferma! Ferma piccola bestia selvatica!-, la prese di peso caricandosela su una spalla e corse in mare, lanciandola in acqua. 

Gli altri osservarono la scena basiti, Ami portò una mano a coprirsi gli occhi, -Siamo tornati all'inizio della vacanza-, constatò Makoto e scosse la testa.

 

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Pluto serrò le labbra, pensierosa. Quello che avevano raccontato Uranus e Neptune era quindi corrispondente al vero, ma se non l'avesse visto con i suoi occhi non ci avrebbe creduto.

Se da una parte provava imbarazzo per quei giovani sovrani tanto focosi quanto imbranati, al punto di chiedersi come avrebbero fatto mai a procreare Piccola Lady, dall'altra aveva perfettamente compreso quello che le sue colleghe le avevano anticipato sul fascino di Mamoru Chiba. Lo sapeva che non avrebbe dovuto precipitare in quella dimensione, lo sapeva che le avrebbe fatto male, lo sapeva che sarebbe stato troppo difficile ragionare con il cervello e agire con determinazione.

Lei, casualmente in costume sulla quella piccola e sperduta spiaggia, aveva compreso subito che, maledizione, il suo compito per sostenere il futuro avrebbe aperto una voragine nella sua anima.

E non solo: vedere la giovane Regina Serenity in quelle vesti, ascoltare grazie al potere preso in prestito alle sue colleghe le sue confessioni, percepire il subbuglio che le agitava il cuore, l'aveva intenerita al punto che, se da un lato avrebbe mandato a carte quarantotto la sua missione per dieci minuti da sola con Mamoru, dall'altra si sarebbe fatta in quattro per aiutare Usagi a capire quanto fosse semplice mettere fine alla sua agonia di adolescente travolta da un destino non richiesto e, finalmente, realizzare il completamento della sua identità e il coronamento di un sentimento che ancora non le era del tutto chiaro.

Si sforzò di mettere a fuoco l'obiettivo della sua missione: aiutare Usagi Tsukino a svelare la sua reale identità di principessa della Luna e comprendere finalmente che l'uomo amato nei suoi sogni, quel Tuxedo Kamen che l'aveva stregata e quel delizioso morettino con cui flirtava al limite della decenza chiamandolo 'amico' erano la stessa persona e quindi, poche storie!, spingerla tra le sue braccia e brindare al loro amore.

 

Maledizione…

 

In tutto quel mosaico mancava un tassello: lei avrebbe dato qualsiasi cosa pur di rubare un bacio al suo futuro Re, in un momento in cui farlo, in effetti, non avrebbe costituito un'offesa alla corona. Si sarebbe portata quel ricordo con sé custodendolo in un luogo fuori dal tempo per l'eternità.


Poco distante, in alto sul promontorio che guardava la baia, Haruka non si staccava dal binocolo. Michiru si stava stufando, prese il suo specchio e guardò direttamente al centro della scena, facendo la linguaccia alla sua compagna.

Non poteva perdersi le espressioni che la granitica Pluto stava facendo mentre, vicino a lei, il gruppo vociante di ragazzi che avevano conosciuto dava gli ultimi colpi di quella che sarebbe stata la settimana più memorabile della loro esistenza.

-Lo sai che Umino e Naru…-, Haruka fece un gesto eloquente, -L'ho saputo. Sono contenta per loro-, commentò Michiru.

-E che Makoto e Motoki si sono messi insieme?-

-Questo me l'ero perso, in compenso ho scoperto tante cose interessanti su Rei e Yuichiro.-

-Passami i pop corn.-

-Giù le mani, ché è solo colpa tua se ci tocca spiarli, quando potevamo essere lì con loro!-

-Non è colpa mia, lo sai che ho sempre avuto un debole per la Regina!-

-Sei una pervertita, questo ho sempre saputo!-

-Attenzione! Guarda Pluto!!!-

-Nooo! Non ci credo!-


Se le avessero viste le inners, ne erano certe, sarebbe scoppiata una guerra interplanetaria. Ma loro non erano lì, Michiru avvicinò la ciotola con i pop corn alla sua amata, strapparono una birra e tornarono a essere spettatrici della battaglia più difficile che il silver Millennium avrebbe mai affrontato: quella di cinque adolescenti contro loro stesse.


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Quando ci si metteva, Usagi sapeva dare il peggio di sé e dimostrava di essere ancora una bambina, solo un po' più alta.

Mamoru scosse la testa. Non erano ancora a fine mattina e lei già aveva creato uno scompiglio senza precedenti. Sarebbero rientrati a casa presto, perché avevano promesso a Yuichiro, al loro arrivo a Kakeroma, che lo avrebbero aiutato a lasciare la casa in condizioni perfette e quello era l'ultimo giorno sull'isola. L'ultimo giorno insieme nel luogo dove lui aveva scoperto che avrebbe potuto andare oltre la nostalgia che provava per un amore mai effettivamente vissuto con Sailor Moon, l'ultimo giorno in cui avrebbe potuto godere della radiosa luce della ragazza che invece, senza un apparente motivo, era tornata a comportarsi come l'odiosa ragazzina che sembrava essere al mondo solo per farlo arrabbiare. 

Quella sera, il loro programma era stato definito dal primo giorno, avrebbero preso delle pizze da asporto a cenato in casa, per poi mettersi tutti con il naso all'insù e assistere insieme all'eclisse di luna. Purtroppo, essendo a Kakeroma, avevano dovuto rinunciare al concerto per cui avevano comprato i biglietti e che si sarebbe tenuto sull'isola di Amami Oshima, ma in fin dei conti nessuno di loro si era mai lamentato per quel cambio di programma. Essere finiti a Kakeroma era stato il contrattempo migliore che avessero mai avuto.

 

Dopo averlo malmenato ed essere per questo stata gettata in mare, Usagi aveva continuato a mostrare un rancore inspiegabile verso di Mamoru. Lo aveva offeso rinfacciandogli quanto fosse stato ridicolo completamente ubriaco il giorno prima, gli aveva detto, mentre erano soli, che si pentiva di avergli aperto il suo cuore e che lui era e sarebbe stato in eterno un imbecille che non sarebbe stato in grado di avere nessuna, accanto a sé. Gli aveva soffiato contro che giustamente doveva temere che la "meravigliosa ragazza" di cui lui era innamorato non lo volesse mai più, perché lui era capace soltanto di rovinare tutto. Mamoru aveva stretto i denti e ascoltato quello che Usagi gli aveva vomitato addosso, incredulo su quanto potesse essere lunatica. 

In fondo, però, un po' la capiva: un paio di giorni ancora e di tutto quello che c'era stato tra loro non sarebbe rimasto che il ricordo. Forse Usagi stava facendo bene a farsi detestare, dire addio a quella versione inattesa e meravigliosa di lei  sarebbe stato più semplice.

 

Mamoru decise di lasciar perdere e si sedette in disparte. Motoki lo aveva raggiunto per ringraziarlo di avergli aperto gli occhi su Makoto e poi si era appartato a tubare con lei sotto gli ombrelloni; Yuichiro, nel frattempo, si era dato alla macchia con Rei, sperduti da qualche parte oltre gli scogli; Ami aveva finalmente aperto il suo libro di astrofisica e si era chiusa nel suo mondo; Minako, Usagi, Hiro e Kenzo giocavano a beach volley, un po' in acqua, un po' sulla sabbia.

Si prese un po' di tempo per riflettere: e se le parole di quella piccola furia fossero state vere e lui non avesse mai ottenuto il perdono da Sailor Moon? Se non fosse mai riuscito a chiarirsi con lei e farle capire quanto la amasse? Ma soprattutto… era così sicuro di amarla ancora?

-Scusa-, gli parlò una voce calda, Mamoru si voltò: accanto a lui era apparsa una giovane donna dai capelli lunghi e il rossetto sulle labbra, -Posso lasciarti questo volantino?-, gli domandò con un bel sorriso.

Mamoru prese il foglio e lesse quello che c'era scritto.

-Stasera ci sarà un Full Moon Party alla discoteca "Sahara", nella parte sud dell'isola-, spiegò lei. Da lontano gli giunse l'eco di un ringhio di Usagi, era caduta di nuovo in acqua. L'ultima volta che erano stati in un locale, Michiru l'aveva provocato e Haruki fatto arrabbiare. Forse, in un altro posto, avrebbe trovato più divertimento.

-Lo dico ai miei amici-, comunicò alla giovane, nel tentativo di liquidarla.

-Con questo volantino avete lo sconto del cinque per cento per le bevute e del dieci per cento se vi fermate anche a cena-, continuò la ragazza, sempre sorridendo.

Usagi li vide da lontano e corse subito da loro.

-Mamo che fai?-, domandò ignorando la donna, il tono era inquisitorio, il respiro lievemente affannato dalla partita a pallone.

-Ciao!-, la salutò la sconosciuta, -Stasera ci sarà una festa, venite?-, chiese senza troppi preamboli.

-Boh, sì-, Usagi strappò il volantino dalle mani di Mamoru, gli diede un'occhiata rapida e lo lasciò sull'asciugamano.

-Vieni a giocare?-, gli chiese.

-Ora no-, una risposta secca.

-Sei insopportabile!-, lo apostrofò lei e se ne andò via saltellando sulla sabbia rovente.

Il foglio volò via, Mamoru non riuscì ad afferrarlo; -Mi dispiace-, guardò scusandosi la ragazza, che gliene diede un altro.

-È la tua ragazza?-, gli domandò lei. Mamoru scosse impercettibilmente la testa, -È una ragazzina lunatica.-

-Il mare, l'estate, il caldo… succede a tutti di perdere un po' la testa. Anche a me…-, ma come le era venuto in mente!?

-Hai proprio ragione…-, le rispose il ragazzo e tornò a sedersi per terra, -Come ti chiami?-, sollevò lo sguardo su di lei, era bellissimo, baciato dal sole, così giovane, nello sfolgorio dei suoi vent'anni! 

-Setsuna-, gli rispose, -E tu?-

-Mamoru, piacere-, gli porse la mano, se l'avesse toccato, lo sapeva, sarebbe caduta nel tranello paventato dalle sue lascive colleghe.

-Piacere-, la stretta era salda, le dita lunghe, la mano calda. Esitò un attimo di troppo, il pareo svolazzò scoprendole le gambe.

-Lavori al…-, Mamoru lesse rapidamente il nome sul volantino, -Al "Sahara"?-, domandò, ma era solo per cortesia.

-Io… sì-, Setsuna doveva improvvisare, lei, la guardiana del Tempo, consapevole di ogni evento passato e futuro, non sapeva come gestire il suo incredibile presente.

-E stasera sarai lì?-, continuò lui. Che domanda era? Perché glielo stava chiedendo!?

-Io… sì-, sembrava un disco rotto.

-Pensi che sia un posto adatto a delle ragazzine come quella che mi ha appena mandato al diavolo?-, un sorriso tirato, una domanda di vera preoccupazione per le sue amiche; -Siamo stati al Tazuki l'altra sera, ma solo noi ragazzi. Non credo che sarebbe stato un luogo appropriato per loro-, alzando il mento indicò Usagi e Minako.

Era protettivo, incredibilmente maturo per un giovane uomo che stava appena  abbandonando l'adolescenza. Indugiò sulle ragazze con lo sguardo, tornò a rivolgersi a lei.

-Allora? Ce le possiamo portare senza rischiare che si caccino nei guai?-

-Oh… Beh… S... Sì, credo di sì-, non aveva idea di come fosse quella discoteca, aveva trovato una pila di volantini al bancone del bar vicino a casa di Haruka e Michiru e li aveva semplicemente rubati.

Il ragazzo sghignazzò: -Dobbiamo pensare anche per loro-, specificò, -In fondo sono solo delle bambine cresciute-.

Setsuna pensò alla responsabilità che Sailor Moon e le altre avevano già dovuto sostenere, in quella e nella sua dimensione e si risentí appena per quell'affermazione.

-Quanti sareste?-, erano in dodici, conosceva le generalità di ciascuno di loro, interessi, passioni, ne aveva visto il futuro, anche se presto sarebbe stato cancellato.

-Siamo in sei ragazzi e sei ragazze-, elencò Mamoru, -ma abbiamo già tre coppie tra noi, mi preoccupo più che altro per le altre tre ragazze che sembrano banderuole al vento-.

Ti preoccupi per la tua Usagi, testa dura, ma non lo vuoi ammettere.

-Se volete vi faccio riservare un tavolo-, doveva sforzarsi di apparire professionale, anche se non aveva idea di come fare per sostenere la parte.

-No, ti ringrazio, prima devo parlare con loro-, un Re si consulta sempre con i suoi Generali, osservò Pluto.

-Tra poco devo rientrare-, gli annunció, probabilmente i pochi minuti rubati accanto al suo Re stavano per finire per sempre.

-È un peccato, questa è stata la chiacchierata più lunga da stamattina!-, scherzò lui. Setsuna gli sorrise, lui ricambiò. Usagi, da lontano, lanciò loro un'occhiata di pura gelosia.

-Sei sicuro che non sia la tua ragazza?-, domandò indicando con lo sguardo la sua futura Regina. Mamoru si rabbuiò e scosse la testa.

-In ogni caso sarà meglio che me ne vada, prima che lei mi incenerisca con lo sguardo!-, gli fece l'occhiolino, un breve inchino col capo e si allontanò.

-Se cambiate idea per stasera, o se vuoi venire solo tu… io sarò lì-, gli disse andando via e il suo pareo fu di nuovo sollevato dal vento.

 

Sei la mia ragazza, Testolina Buffa? 

Glielo avevano chiesto così tante volte, da quando era su quell'isola, che si era ormai abituato all'idea. Dimenticò il volantino, si tirò su e corse a giocare a palla.


-Mamo, chi era quella?-, avvicinandosi a lui, Usagi non riuscì a trattenersi dalla curiosità.

Mamoru respinse la palla, rimandandola a Kenzo.

-Una bella ragazza-, osservò, -Sicuramente meno selvatica di te.-

Usagi gonfiò le narici pronta a scattare e non vide il pallone, che la colpì in testa.

-Scusa!-, gridò Minako. Lei era la guerriera dell'amore, doveva scoccare frecce nei cuori, non tirare pallonate in testa. Si sarebbe impegnata di più.

-Quindi io sarei una racchia selvatica?-, non si premuró di lamentarsi per la pallonata, dimenticò che stavano giocando e si erse in tutta la sua misera altezza davanti a Mamoru, con le gambe larghe e i pugni sui fianchi.

-No, tu sei una bellissima ragazza, ma rimani selvatica-, si allungò disteso in terra e riprese un tiro difficile.

Usagi rimase interdetta. Era un complimento o un'offesa?

-Spostati!-, strillò Mamoru sul suo orecchio e la travolse per fermare un'altra palla, finendo a terra su lei.

Erano di nuovo pelle a pelle, di nuovo vicini, di nuovo entrambi sentirono girare la testa e il cuore accelerare. -Mamo, io…-

 

-Oh no, ricominciano!-, si lamentò Hiro e schiacciò la palla contro di loro. Mamoru, senza togliere gli occhi da Usagi, allungò una mano e artiglió il pallone, poi lo rilanciò.

-Ma come si può!!!-, Hiro non ne poteva più di quel tira e molla che era così estraneo alla sua natura. Per lui la successione degli eventi avrebbe dovuto essere semplice: lei piace a lui - lui piace a lei - scopano.

-Lasciamoli soli-, consigliò Kenzo. Accidenti a quando erano finiti su quella spiaggia per innamorati: loro "single" non avevano spazio.

-Scommettiamo:-, propose Hiro-, -Prima di tornare a casina, gliela dà o non gliela dà?-

 

---

 

-Quando torneremo a Tokyo e io lo rivedrò, se lo rivedrò, comprenderò se davvero lo amo-, esordì Usagi e Mamoru volle sprofondare nella sabbia sotto di loro; -Quando torneremo a Tokyo e la rivedrai, ti prego Mamo, fai lo stesso-, abbassò lo sguardo.

-Perché se per caso io capissi che ho sbagliato tutto, se mi rendessi conto che non sarà più lo stesso con lui, allora io passeggerò davanti alla sala giochi e lancerò una scarpa dietro di me e sarò sempre selvatica, ma imparerò a essere brava, per te-, allungò la mano e sfioró il suo viso. Mamoru deglutì.

Esisteva un nome per una promessa del genere? Si sarebbe forse potuta chiamare dichiarazione di possibile amore?

-Se mi cadrà una scarpa in testa, allora, io capirò-, le parole uscirono spontanee dalla sua bocca, -E per allora avrò fatto chiarezza nel mio cuore-. L'abbracciò e si rese conto che con Usagi era più semplice fare pace che sostenere quei battibecchi che li avevano avvicinati.

-Per ora, se a te va bene, siamo sempre amici?-, come una bambina dopo un bisticcio con l'amichetto del cuore.

-Amici, Testolina Buffa! Amici...-, le sorrise, ma avrebbe voluto baciarla.



 

-Quattro a uno a che gliela dà-, insistette Hiro, raccogliendo un volantino dalla sabbia.

-Devi avere pazienza, speriamo nell'amore vero-, sillabó Kenzo e si domandò come gli fossero uscite quelle parole di bocca.


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-Ami, potrai mai perdonarmi?-, Makoto, a testa bassa, attese la risposta dell'amica.

Ami sospirò, quanto poteva essere fragile l'animo umano!

-Per cosa?-, tanto, la risposta la sapeva già.

-Perché forse, io temo… ho paura che…-, Ami attese che le parole uscissero dalla sua bocca: dare forma a un'idea era il modo migliore per essere consapevole delle proprie azioni.

Makoto soffiò l'aria dalle guance, era certa che l'amica si fosse presa una cotta per Motoki, come portava dirle che ormai Motoki se l'era preso lei?

-A te piace Motoki?-, non era certo il modo migliore, accidenti!

Ami alzò le sopracciglia, finse di riflettere, -E a te?-, le sorrise e mise una mano su quella di Makoto; -Sono felice per voi-, concluse, mettendo fine alla sua tortura.

Makoto arrossí rapidamente, quindi Ami lo sapeva già! Gliel'aveva detto lui? Eppure era stata attenta a non mostrare nulla di quello che stava iniziando a condividere con il ragazzo.

-Comunque sì, mi piace Motoki: è un amico leale, un ragazzo perspicace e altruista, è un fratello premuroso e credo che sia perfetto per te-, le sorrise, -Non mi è mai interessato Motoki in quel senso, ma devo ammettere che in questi giorni è riuscito a insegnarmi qualcosa che non conoscevo, l'empatia che si può provare per gli altri, il laborioso compito di riuscire a fare felici quelli a cui si vuole bene-, strinse la mano dell'amica; -Credo che siate perfetti l'uno per l'altra, perché siete entrambi solari e premurosi, avete interessi comuni e riuscite a vedere il mondo con un filtro così particolare e limpido che ogni nodo sembra sciogliersi per magia, nei vostri pensieri-.

A Makoto brillavano gli occhi, c'era un dettaglio, però, che Ami non poteva conoscere e che la teneva sulle spine.

-Io ho fatto una cosa, Ami…-, si vergognava, sapeva che era una cosa vietata. Un interrogativo si dipinse sul volto di Ami, possibile che avessero trovato il tempo per…

-Makoto-!-, la apostrofó scandalizzata e ragazza capì immediatamente di essere stata fraintesa.

-No, no! Cosa pensi? Non è… oddio!-, avvampò coprendosi gli occhi con le mani.

Ami tacque, qualunque altra cosa, sarebbe stata meno grave. Sperava…

-No-, Makoto cambiò il tono della voce, era seria, maledettamente seria, Ami si preoccupò davvero.

Si avvicinò a lei, era un segreto troppo grande perché se lo portasse via il vento: -Ho rivelato a Motoki che sono Sailor Jupiter.-

-Oh-, esclamò Ami, dunque poteva esistere qualcosa di più grave. Il suo cervello era in grado di elaborare con estrema velocità le informazioni e valutare i possibili scenari: quando parló, lo fece con cognizione di causa, -Ci possiamo fidare di lui, in fondo hai fatto bene. Giocherai a carte scoperte, potrai essere te stessa, sempre-. Poi rifletté: il problema non era se Motoki o qualcun altro fosse a conoscenza delle loro identità, l'importante era che lui non venisse mai collegato alle guerriere Sailor. In quel caso il ragazzo sarebbe stato in pericolo. E come lui, Yuichiro e Mamoru, se mai si fosse deciso a concludere con Usagi. Non disse niente e si accontentò di godere del sorriso di gratitudine fiorito sulla labbra dell'amica. Makoto si era tolta un grande peso.

 

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Quello sarebbe stato l'ultimo bagno in mare sull'isola.

-Vieni con me-,  propose Mamoru a Usagi, -Ti faccio vedere una cosa che ti piacerà. Prendi la maschera-, e la condusse oltre gli scogli sulla destra della spiaggia, dove era andato a fare una nuotata prima. C'era una roccia invasa dagli anemoni, era bellissima.

Usagi lo seguí senza fare storie, per la prima volta entrò in acqua senza contorcersi dal freddo, calzò la maschera sugli occhi e si immerse con lui. Piccoli pesci gialli e neri entravano e uscivano dagli anemoni, più in basso un gambero nuotava libero. Era un arcobaleno di colori e, in alto, il sole di mezzogiorno faceva brillare la superficie. Risalì per prendere aria, Mamoru la imitò.

-È bellissimo!-, esclamò la ragazza, i capelli galleggiavano attorno a lei. 

-Anche tu-, gli scappò e si immerse rapidamente, consapevole di aver detto la cosa giusta nel momento sbagliato.

Usagi lo seguí di fretta e muovendo le mani cercò di attirare la sua attenzione: lo indicava, annuiva e indicava se stessa e gli anemoni. Anche tu, Mamoru!

Una boccata d'aria e, -Ti prendo!-, proruppe lui guizzando fuori con un balzo! Si inseguirono, si immersero, giocarono e risero tra le bollicine del mare e i pesciolini, che li guardavano curiosi. 

Poi tutto finí.

Scorsero Yuichiro che si sbracciava richiamandoli, dovevano andare a casa. 

Sollevarono le maschere, volevano guardarsi negli occhi, in silenzio, un'ultima volta. Le parole non dette facevano male, ma la vita continuava.

Tornarono a riva, si rivestirono indossando gli abiti sui costumi fradici, raccolsero le loro cose, chiesero scusa perché avrebbero bagnato i caschi, li infilarono in silenzio e montarono sulla Honda. Usagi si strinse a lui, come se sapesse che non avrebbe più potuto farlo e pianse in silenzio coperta dalla visita appannata del casco.

Mamoru guidò, sbandò appena perché non riusciva a vedere, ma non si voltò mai verso di lei.

 

---

 

-Fanno male al cuore-, sussurrò Michiru.

-È vero, il vento mi ha portato le loro lacrime-, Haruka abbassò lo sguardo.

Rientrarono in casa in silenzio, Haruka si sedette sul divano, Michiru si accoccolò su di lei. -Cosa ci accadrà?-, domandò alla sua innamorata.

La risposta tardò ad arrivare, Haruka era pensierosa; -Se non torneremo indietro, probabilmente nulla. Saremo Michiru e Haruki Tenou finché non invecchieremo, vivremo la nostra vita insieme, su quest'isola.-

-Ma saremmo disertrici-, osservò la ragazza, -Quando se ne renderanno conto, noi…-

-Non ci sarà nessuno che se ne renderà conto nel futuro! Nessuno Michi! Il nostro mondo, il nostro futuro, tutto quello che abbiamo già vissuto non esisterà più!-, urlò e la strinse a sé.

Poche ore e il destino si sarebbe compiuto: quella linea temporale avrebbe fagocitato la loro.

Avevano fallito. 

 

Setsuna entrò come un treno nell'appartamento, la porta era aperta, le sue amiche erano disfatte in salotto, il vento sbatteva le tende.

-Forse c'è ancora una speranza-, annunciò e lasciò cadere sul tavolino da fumo il pacchetto di volantini che aveva trovato.

 

Avevano solo il pomeriggio per mettere a punto il loro piano in ogni dettaglio. Il tempo dell'osservazione era terminato, dovevano passare all'azione.

 

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***


Capitolo 22
Full Moon Party, Tutta la verità & Scontro dimensionale

 

 

 

Quando aveva aperto la sua casa agli amici di Tokyo, Yuichiro Kumada non avrebbe mai pensato di lasciarla in uno stato meno che perfetto. Aveva programmato da giorni in ogni dettaglio come riuscire a ripristinare ogni stanza  nelle condizioni in cui l'avevano trovata, avrebbero tolto la biancheria la sera prima e per l'ultima notte avrebbero dormito nei loro sacchi a pelo, facendo nel primo pomeriggio tutte le lavatrici che fossero state necessarie. La cena sarebbe stata a base di pizza e il giorno dopo la colazione l'avrebbero fatta al bar del porto, dopo aver lavato per terra e pulito i bagni, prima di chiudere. Yuichiro, unico tra tutti, non sarebbe riuscito a rispettare la sua punizione del giorno prima, anche perché il gruppo di ragazzi che si era portato a casa era molto più coscienzioso di quello che a una prima occhiata si sarebbe potuto dire: nessuno dei suoi ospiti avrebbe mai pensato di non pulire e sistemare il luogo che li aveva accolti con tanta generosità.  

 

-Dai Yuichiro, la vuoi aprire quella porta!?-, Kenzo era seccato. D'accordo aver avuto a che fare con misteriosi intrusi, influenze mistiche, compagni di vacanza particolari e dalle mille sorprese, d'accordo anche non essere riuscito a concludere nulla con tutte quelle ragazze libere che avevano a disposizione, d'accordo infine aver assistito alla rinascita di Mr Depressione, suo fratello Motoki, ma dover stare in attesa davanti a una porta chiusa per colpa di un bonzo che d'un tratto aveva perso quel poco di cervello che sballonzolava nel suo cranio per un attacco di indecisione, quando lui doveva correre in bagno, quello no, non gli andava proprio.

 

Rei sfiorò con la mano quella di Yuichiro, gli prese le chiavi, quando lui si decise a lasciargliele, le infilò nella toppa e aprì, finalmente.

-Coraggio Yui, quando vorrai potrai tornare qua e fare un salto nel passato. Quando vorrai, io ti accompagnerò-, gli disse. L'amore faceva bene alla sacerdotessa, l'aveva resa molto più dolce e paziente. L'aveva cercato nelle sue divinazioni, l'aveva inseguito per anni, aveva viaggiato fino a Kakeroma per scoprire che la metà della sua mela viveva già sotto il suo stesso tetto.


Era arrivata l’ora dei preparativi promessi.

I ragazzi si concessero un pasto frugale tra una lavatrice e l'altra, svuotando il frigorifero e ripulendo le credenze, mangiando in piedi, ciascuno quando aveva un attimo libero. Passarono l'aspirapolvere in salotto e iniziarono a spolverare, Makoto e Motoki si misero con grande impegno a sistemare ogni piccolo angolo della cucina moderna in cui avevano preparato i loro piatti e le loro torte; le ragazze impiegarono una gran cura nel far splendere i bagni della Villa, stando ben attente a non lasciare in giro nemmeno uno dei loro lunghi capelli; il divano del salotto fu spolverato e i cuscini sprimacciati. Perfino la mansarda, regno dell'ultimo erede maschio della famiglia, fu fatta tornare ai suoi fasti con una bella rinfrescata da parte di Rei. Mamoru, Hiro e Kenzo si occuparono del garage: spazzarono via ogni traccia di sabbia e lustrarono le motociclette, lo scooter e gli altri mezzi che erano divenuti parte del loro gruppo vociante. Tutto era in perfetto ordine, fatto salvo il monte di zaini stracolmi che troneggiava nell'atrio, ma l'umore di tutti, anche di quelli più gaudenti, era sotto le scarpe.


Dopo tutto il gran da fare per sistemare la villa e preparare le loro cose per la partenza dell’indomani, rimaneva fuori soltanto il necessario per quella serata che avrebbero passato a casa. Era ancora giorno e il sole splendeva inondando la casa di allegria, eppure tutti si sentirono un po’ come Yuichiro, colto dal panico davanti alla porta di casa.
La nostalgia e l’indecisione stavano mordendo allo stomaco anche altri giovani della compagnia, Umino, per esempio. 

Era il ragazzo più piccolo del gruppo e gli eventi di quella settimana lo avevano travolto, facendolo diventare improvvisamente un uomo. Se ne stava sulla porta della camera che aveva condiviso con gli altri ragazzi con le sue cose in mano, indeciso sul da farsi, se trascorrere l’ultima notte con loro, oppure correre da Naru, che aveva suggellato un patto d’amore con lui.
Lui, proprio lui! Quello che aveva sempre pensato che allo scoccare dei suoi diciotto anni avrebbe organizzato una cerimonia privata nella sua cameretta con la quale si sarebbe sposato con i suoi occhiali e i libri di inglese, lui che aveva rinunciato all'amore all'ennesimo rifiuto di Usagi, tre anni prima, proprio lui era stato l'unico a farsi una vera vacanza in cui aveva avuto al suo fianco, in ogni momento, la ragazza migliore del mondo, la sua dolce Naru.

Usagi lo vide mentre stava uscendo dal bagno, strinse le labbra e bussò alla porta di camera sua. Ex camera sua.

-Avanti-, rispose Naru e si meravigliò quando la sua amica si mostrò a lei.

-Sono venuta a prendere le mie cose-, annunciò Usagi. Aveva completamente accolto la richiesta di Naru di permetterle di passare l'ultima notte con Umino, quindi aveva preparato lo zaino buttandoci dentro tutto alla rinfusa e si apprestava a salutare il suo primo nido lontano dalla famiglia. In mano, come fosse stata una reliquia preziosa, teneva la conchiglia che le aveva regalato Mamoru.

Naru l'abbracciò, doveva molto a Usagi e alla sua stoica riservatezza per quel sacrificio che le aveva chiesto.

-Dove dormirai stanotte?-, le chiese tenendo le mani sulle sue spalle e guardando gli occhi tristi.

-Ormai sono abituata alla stanza degli ospiti-, le rispose e le regalò un sorriso. Quella notte l'avrebbe passata da sola.


Rei e Yuichiro, Makoto e Motoki furono più discreti e a nessuno dei quattro venne in mente di darsi alla pazza gioia o di organizzarsi per un'ultima notte di passione conclamata. 

Entrando in camera, i due ragazzi trovarono Mamoru disteso con la testa affondata nel cuscino.

-Non ti prepari?-, gli domandò l'amico più intimo, ma lui non gli rispose.

-Dai, non finisce il mondo stanotte!-, scherzò: cosa c'era di così difficile nell'accettare che, Kakeroma o Tokyo che fosse, avrebbe comunque potuto continuare quello che aveva iniziato lì?

-Stanotte legami a questo letto-, gli rispose attraverso l'imbottitura.

-Ho visto la tua amica che scendeva con tutte le sue cose nella stanza di sotto… forse era un invito per te?-, Mamoru sollevò un poco la testa, lo fulminò con lo sguardo da un occhio solo.

-Legami a questo letto-, ripetè.

 

Yuichiro prese lo slancio e si buttò accanto al moro, facendolo sobbalzare: -Coraggio Ulisse! A Kakeroma non ci sono sirene!-, lo tirò per un braccio, -Adesso vieni a fare qualcosa di utile-, ordinò, riuscendo a strapparlo al suo rifugio.

Motoki notò come l'amore, coltivato, sperato o improvviso, fosse un balsamo per tutti i possibili tipi di malati di cuore.



 

Si riunirono tutti al piano terra, sfogliando il menù delle pizze sovrappensiero.

Rimasero per un po' in attesa, zitti zitti, prima di chiamare la pizzeria e ordinare la consegna a domicilio per quella sera. Qualcuno controllò che i biglietti della nave e del treno fossero a posto, qualcun altro si chiuse nel suo silenzio.

 

Fu proprio il più sguaiato, quello più strafottente e infantile che, spallottolando le sue cose del mare ancora umide per sistemare lo zaino che ancora non aveva preparato, trovò quel volantino che aveva raccolto sulla spiaggia, lo esaminò con attenzione e diede a tutti l'ultima possibilità di riscatto per quella vacanza.

 

Fu Hiro a permettere la magia.

 

-Full Moon Party-, annunciò con voce stentorea sovrastando tutti dal culmine della rampa di scale, -Sconto del dieci per cento sulla cena, discoteca Sahara-, fece una pausa.

-Stasera andremo lì, che vi piaccia o no. Fanciulle, fatevi belle!-



 

---

 

Setsuna prese la penna lunare e la strinse al petto: se fosse stata fortunata, avrebbe potuto rivedere il suo Re in panni civili ancora una volta, dopo tutto sarebbe cambiato.

Declamò il suo desiderio e si ritrovò abbigliata di tutto punto come una cameriera del Sahara: la divisa era imbarazzante… poteva rimanere con il bikini e sarebbe stata pressoché la stessa cosa, solo che, sulla minuscola minigonna di ordinanza, oltre a un grembiulino c'era attaccato il tesserino che le avrebbe garantito l'accesso sicuro al locale.

Si fece accompagnare lì da Haruka a Michiru e si attese che le sue speranze fossero esaudite.

Le altre due, come da piani, rimasero in auto al buio nel parcheggio. Avrebbero saputo come ammazzare il tempo.

 

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Usagi non credeva possibile che il destino le avesse offerto un'ultima possibilità di stare così vicina a Mamoru, sulla moto dietro a lui. Quella ragazza procace che aveva incenerito a distanza sulla spiaggia, quella mattina, in fondo era stata utile e aveva permesso loro di venire a conoscenza della festa verso cui stavano dirigendosi. Non era il concerto tanto atteso, ma forse era stato meglio così. Quando la moto partì, si strinse al ragazzo sforzandosi di imprimere nella memoria quel contatto e lo abbracciò fino a strizzarlo, infischiandosene se lui fosse stato d'accordo. A Tokyo le sarebbe rimasta soltanto la speranza di incontrare Tuxedo Kamen, se mai fosse stata in difficoltà nelle vesti di Sailor Moon, quindi in una vita che non riusciva a completarla.

Rifletté sul fatto che sentisse come la mancanza di un tassello che legasse tra loro le sue due identità,  uno spunto per giustificare l'esistenza di Sailor Moon nella sua vita di Usagi Tsukino. Forse, se fosse riuscita a sentirsi completa, gli incubi l'avrebbero abbandonata e le sue tribolazioni amorose si sarebbero stabilizzate su un sentiero univoco.

Aprì il palmo della mano sinistra e lo lasciò scivolare fino al petto del ragazzo, sentendo i suoi movimenti nel governare la motocicletta, con il cuore che batteva sotto la camicia sottile.

La discoteca verso cui erano diretti si trovava dalla parte opposta dell'isola, quindi avrebbe avuto modo di rimanere a contatto con Mamoru per diverso tempo. Chiuse gli occhi e si disse che al ritorno avrebbe potuto ripetere quell'abbraccio una volta ancora, sentendosi un po' più tranquilla. Poi sarebbe andata a letto da sola e quando avesse chiuso gli occhi si sarebbe resa conto che era stato tutto un sogno. La vita avrebbe ripreso normalmente.

Sarebbe tutto finito, quello che l'avrebbe aspettata dopo, lo avrebbe vissuto come aveva sempre fatto, un passo alla volta.

L'angoscia la attanagliava allo stomaco chilometro dopo chilometro, sentendo sempre più vicina una meta che non avrebbe mai voluto raggiungere. 

 

Quando arrivarono al locale, la fortuna volle che casualmente ad accoglierli ci fosse di turno proprio la cameriera dai capelli lunghi e il rossetto magenta, estremamente conturbante nella divisa fornita dalla proprietà del locale. Usagi si guardò: lei aveva indosso il suo abito bianco un po' sgualcito e delle scarpette rosse che ancora non aveva mai calzato. Le sarebbe seccato portarle "a farsi una vacanza", quindi aveva preso coraggio e le aveva messe, anche se avevano il tacco un po' troppo alto per i suoi modi goffi.

Le sue amiche le avevano offerto i loro vestiti migliori, certe che un aiutino non avrebbe fatto male, data la conclamata imbecillità di Mamoru, ma lei aveva rifiutato. A cosa sarebbe servito? Erano tutti convinti che alla fine lei e Mamoru si sarebbero messi insieme, ma nessuno ancora aveva capito la tempesta che si agitava dentro di lei.

 

Setsuna, questo il nome sul cartellino della cameriera, parve illuminarsi quando avvistó Mamoru nel loro gruppo in coda per entrare. Lo salutò con la mano, Usagi strinse i denti e poi constatò quanto fosse sciocca. 

-Non ci sarà mai posto, dovevamo prenotare-, bofonchiò Yuichiro, che ben conosceva quel genere di party, ma fu smentito proprio da Setsuna, che aveva loro riservato un ampio tavolo un po' defilato. 

-Lo sapevo che sareste venuti!-, pronunciò a Mamoru, quando le passò accanto e gli sorrise. A Usagi non sfuggí.

 

Il menù prevedeva cibo da fast food, Setsuna arricciò il naso portando i piatti ai ragazzi, quello non era cibo adatto ai reali del suo mondo! Li osservò mentre spizzicavano le patatine fritte, quando un omone alto e grasso la richiamò al dovere. C'era un altro tavolo da servire e quella cameriera stava battendo la fiacca!

Tornò da loro in tempo per servire le bevande: Usagi aveva ordinato un Virgin Mohjito: lei le stava portando, a tradimento, un cocktail leggermente alcolico, ma aveva bisogno che la ragazza sorridesse un po'. Non servì a niente.

 

Usagi aveva lo stomaco chiuso, del suo piatto aveva mangiato sì e no due crocchette fritte, poi lo aveva offerto agli altri. Aveva preferito nascondersi dietro all'ombrellino della bevanda che aveva ordinato, anche se, indiscutibilmente, il Mohjito analcolico del bar sulla spiaggia era più buono di quello. Le girava la testa e sentiva un po’ di nausea fare capolino alla bocca dello stomaco. 

All'altro capo del tavolo, Mamoru stava in silenzio, con una coca Cola in mano, anche lui non aveva affatto fame. Se ci aveva visto giusto, quello era un posto dove sballarsi e gli schiamazzi provenienti dai tavoli vicini parevano confermare la sua teoria. Non era un posto per ragazzine di sedici anni, aveva sbagliato a fidarsi di quella sconosciuta e acconsentire di portarle là. Il caos che aumentava, la gente che continuava ad arrivare come se tutta l'isola si fosse riversata in un solo posto: era il luogo perfetto per sentirsi soli pur stando al centro del divertimento, travolti dal frastuono che nelle orecchie diventava silenzio. 

Guardò uno a uno i suoi amici: incoscientemente avevano lasciato che le ragazze ordinassero bevande alcoliche, ridevano e chiacchieravano come se fossero stati entusiasti di essere lì, ma come potevano essere così spensierati? Forse era lui che non riusciva a capire cosa significasse avere vent'anni, l'unico a sentirsi costantemente inadatto in mezzo ai suoi coetanei. Provò la stessa sensazione di poche sere prima, quando erano stati raggiunti dai due fratelli che li avevano ammaliati e travolti. Si sentiva estraneo a tutta quella ricerca di socialità e di divertimento a tutti i costi.

Perfino Ami pareva a suo agio in quel posto, nonostante avesse rifiutato le avances di Hiro, che aveva provato a bussare a tutte le porte e nessuna gli aveva aperto. 

Si decise a guardare dall'altra parte del tavolo, perché, così gli pareva, in mezzo alla confusione c'era un'altra persona che si era chiusa nel silenzio. Incrociò lo sguardo con lei, la raggiunse e le parlò vicino all'orecchio. Usagi si alzò senza obiettare e andò dietro a lui senza sapere dove l'avrebbe portata. Avrebbe seguito Mamoru all'inferno senza battere ciglio, sapendo che non l'avrebbe mai lasciata sola.

 

-Ve ne andate senza pagare?-, osservò Umino e Naru gli assestò una gomitata tra le costole. Mamoru tornò sui suoi passi, prese il portafoglio e lasciò sul tavolo una banconota che sarebbe bastata per saldare il conto dell'intero tavolo e anche per diverse bevute dopo.

-Se non se lo prende Usagi, quello me lo prendo io-, esclamò Minako, e fu fulminata da praticamente tutti i commensali.

Quando tornò la cameriera con il conto, non trovò l'unico che volesse incontrare almeno una volta ancora. Abbassò gli occhi, sconsolata: non avrebbe più rivisto il viso dell'unico che le avesse mai fatto battere il cuore dalla notte dei tempi.

 

---

 

-Quanta confusione c'è qua-, Usagi dovette fare lo slalom tra gente che ballava e altri che intonavano cori ubriachi. Si sentiva del tutto estranea a quel luogo.

-Andiamo in spiaggia-, propose Mamoru e la condusse per mano. Si tolsero le scarpe e affondarono i piedi sulla sabbia fredda, c'era solo una Luna già corrosa a illuminare quel posto, dietro di loro le luci psichedeliche del Sahara sembravano già un ricordo lontano. La musica giungeva ovattata.

-Non ti piace questo posto, eh?-

-No… non è che non mi piaccia, sono io che sono sbagliata in questo momento…-, ammise la ragazza, guardando a terra.

Mamoru sollevò gli occhi al cielo, -Lo vuoi capire che tu non sei mai sbagliata?-, l'ammirazione superava l'esasperazione, -Perché dici così?-, le piantò gli occhi negli occhi.

Usagi tentennò, si stava rendendo ridicola.

-Naru, Rei, Makoto… loro sono felici, hanno… hanno finalmente trovato qualcuno che le ami, e sono convinta che a Minako vada bene così e anche ad Ami, li hai visti i loro sorrisi, come si sentivano a loro agio? Io… io non riesco più a stare bene, mi sento sempre inadeguata… mi sento spezzata a metà.-

Mamoru la guardava e ogni parola che usciva dalla sua bocca la sentiva sua; parlò per lei, -È come se la felicità fosse qualcosa di irraggiungibile, ti avvicini, senti che è lì, ma non arrivi mai ad afferrarla, vero? Perché una parte di te non può essere felice, perché quella parte anela a qualcosa che sai che non potrai mai avere…-

Usagi sentì di potersi spingere oltre, comunicare col cuore in mano le sue paure a quel ragazzo a cui il cuore, ne era quasi certa, lo avrebbe donato a occhi chiusi.

-E poi mi sento brutta, ridicola, sbaglio sempre a comportarmi quando sono con gli altri, finisco per cacciarmi nei guai e rovinare sempre tutto-, stava mettendo il broncio, era così carina. Mamoru le fece una carezza.

-Tu sei la Testolina Buffa più bella che ci sia-, le disse, facendole sollevare il mento con il tocco della sua mano, -E non è vero che rovini tutto: tu porti l'allegria, sempre.-

Usagi si rabbuiò, -Non voglio essere un clown, allora. Vorrei fare girare la testa ai ragazzi come… come una principessa…-, portò le mani al volto, -Oddio Mamoru, ma che sto dicendo!?-

Non ebbe risposta, lui la strinse in un abbraccio, le coprì con la mano la testa in modo che lei l’appoggiasse al suo petto.

-È questo che fai tu ai ragazzi-, le disse mentre il suo cuore batteva all'impazzata.

-Mamo… io…-

-E quando dico che sei la Testolina Buffa più bella che ci sia, intendo che tu sei bella, Usako, tu mi piaci da impazzire…-, il suo cuore fece una capriola, sotto l'orecchio di Usagi.

Rimasero immobili, il battito veloce di quel cuore grande la faceva stare bene, la faceva sentire… completa!

-Anche tu mi piaci da impazzire, Mamo-, disse dopo un po', -io credo che…-

-Aspetta-, la fermò, posò la mano sulla sua spalla, -devo chiederti una cosa, Usako.-

Il cuore prese a batterle all'impazzata, oddio, cosa voleva chiederle Mamo-Chan?

-Stamattina, tu dormivi e io ti guardavo, eri bellissima, sembravi un angelo, stavi sognando.-

-È che quando sto con te io…-

-Aspetta-, la bloccò ancora, il suo piccolo cuore stava impazzendo, -Tu sognavi, e mentre sognavi hai detto un nome…-

Usagi lo guardò, cosa aveva detto, aveva rovinato tutto…?

 

-Hai detto "Endymion": chi è Endymion, Usako?-.

 

Le sue pupille si fecero piccole, il cuore perse un battito.

-Endymion-, sussurrò. Si allontanò da lui e si voltò portando le mani strette al petto, come a contenere un'emozione fortissima.

Endymion… quello era il nome del principe dei suoi sogni, dell’uomo che si era sacrificato per permettere a lei di vivere. Forse… forse stava sbagliando tutto, perché per un attimo nel cuore sentì che era lui quello che amava, lui a cui si donava ogni notte.

Lui, che avrebbe ritrovato per amarlo per sempre, lo aveva promesso. Tutto il resto non contava più.


-È importante, Usako…-, la spronò Mamoru.

 

Cosa ci faceva su quella spiaggia con Mamoru, lei doveva ritrovare Endymion! 

Tutto divenne nero, all'improvviso il respiro non le portava aria, sentiva la fronte bruciare. Tremava.

-Usako… che ti succede?-, Mamoru si avvicinò a lei, cercò di posare le mani sulle sue spalle, ma lei si ritrasse: ormai aveva capito. Quello doveva essere il nome del ragazzo di cui lei era innamorata e lui glielo aveva appena riportato alla mente, rovinando tutto.

 

Un boato ruppe il silenzio, in alto, sopra di loro, si accese un enorme fuoco d'artificio.

-... devo… andare...-, Usagi si scusò e scappò via tra i bagliori colorati che tingevano il cielo, illuminando a sprazzi la sua fuga, finché Mamoru non la vide più.

 

---

 

-Sono bellissimi-, Motoki strinse un po' di più Makoto, i suoi capelli gli solleticavano il viso. Si sentiva bene, non avrebbe mai pensato di riuscire a superare la disperazione per l'abbandono di Reika e invece, dopo tanto tempo, si sentiva in pace, al posto giusto. Makoto ruotò la testa indietro, fino a raggiungere il viso del giovane che la teneva stretta alle sue spalle: non aveva mai provato un'emozione così intensa, non con il suo senpai alle scuole medie, né con nessun altro degli innumerevoli ragazzi che aveva creduto di amare in passato. Lo baciò su uno zigomo, era tutto perfetto.

 

Ami li guardava da breve distanza, era riuscita a occupare un posto strategico da cui poter osservare l'eclisse di luna e quei fuochi d'artificio stavano creando l'atmosfera migliore.

-Quanto manca?-, gli domandò Kenzo, seduto vicino a lei.

-La totalità dell'eclisse ci sarà tra circa quaranta minuti, la luna è appena entrata nel cono d'ombra-, rispose la ragazza, non aveva bisogno di consultare alcun dato, li conosceva tutti a memoria.

-Quante cose sai, Ami-, ammise il giovane, ammirato. Non aveva mai pensato che una ragazza studiosa e seria come lei potesse essere più affascinante di una qualunque coetanea che si stava dimenando in pista. Ami gli sorrise, non aveva un filo di trucco quella sera, era bella così.

-Dovremmo avvertire gli altri, Rei e Usagi non volevano perdersela-, si guardò attorno, ma scorse solo la prima, che stava in disparte con Yuichiro a guardare i fuochi d'artificio.

-C'è Hiro laggiù, guarda, con Minako-, avevano messo un lento e i due ragazzi stavano ballando insieme. -E bravo Hiro!-, esclamò Kenzo, sussultando per un'esplosione più forte. 

Quando la musica terminò, videro uscire mano nella mano dalla pista da ballo Naru e Umino, che li avvistarono e raggiunsero, -Quanto manca?-, domandò la ragazza e il suo cavaliere anticipò Ami nel risponderle.

-No, Umino, mancano per l'esattezza trentaquattro minuti e venti secondi-, lo corresse Ami, lui estrasse dalla tasca un foglio ripiegato e lesse, controllò il suo orologio e annuì, -Trentatré minuti adesso-.

-Guardate, sembra che l'abbiano morsa!-, esclamò Naru, puntando il dito sul disco lunare.

-Dobbiamo avvertire gli altri-, ripeté Ami e Kenzo si offrì di andare a chiamare quelli che riusciva a vedere. Tornò poco dopo con Makoto, Motoki, Rei e Yuichiro, mentre i giochi pirotecnici cessavano.

-Qualcuno sa dove sia Usagi?-, Rei l'aveva cercata nei dintorni, ma la confusione e il buio non le avevano permesso di trovare l'amica.

Ami era elettrizzata, il cono d'ombra avanzava rapidamente, si consultò con Umino su alcuni calcoli statistici che aveva fatto, Naru era seduta accanto a lui, gli sfilò gli occhiali, li pulì per bene con la stoffa della sua gonna e glieli rese.

-Quello è Mamoru?-, Yuichiro sbadigliò, intravedendo l'amico che si si faceva largo tra la folla, Motoki lo chiamò a gran voce, sbracciandosi perché li vedesse.

Aveva una faccia da funerale.

-Ci vediamo a casa-, disse Mamoru senza aggiungere altro, avvisando così di non aspettarlo quando sarebbero venuti via da lì.

-E Usagi dov'è?-, gli chiese Makoto, ma lui era già sparito.

-Lo starà aspettando fuori-, liquidò il problema Hiro, concentrandosi su Minako, ma fu proprio lei a scorgere, sulla spiaggia, Usagi. Vagava da sola, sembrava sperduta, Motoki si offrì di andare a prenderla.

Vide che teneva in mano le scarpe, sembrava avesse pianto. Il ragazzo sospirò, rassegnato. Se neanche una serata come quella era riuscita a compiere la magia tra lei e Mamoru, lui non avrebbe saputo cosa altro fare.

-Cos'è successo?-, la fermò posando le mani sulle sue spalle. Usagi lo guardò senza rispondere; -Mamoru è andato via, pensavamo foste insieme-, Motoki vide il terrore dipingersi sul volto della ragazza, le scarpe le caddero di mano, la bocca si aprì in un'espressione incredula.

-Devo andare da lui-, disse d'un fiato, correndo verso l'uscita del locale.

Motoki non provò nemmeno a fermarla, raccolse le scarpette rosse e tornò dagli amici.

 

---

 

Maledizione…

La moto non partiva, Mamoru riprovò altre volte e sentì la batteria fare il suo dovere, ma il motore non si accendeva. La rimise sul cavalletto, tolse il casco e iniziò a correre.

Aveva rovinato tutto con quella domanda, l'aveva fatta scappare. Gli era parso di aver visto Usagi camminare nella direzione dell'uscita della discoteca, era sola, sconvolta per le sue parole, era soltanto colpa sua. Doveva trovarla, tranquillizzarla, chiedere il suo perdono e poi lasciarla andare via dalla sua vita. 

Non riusciva a spiegarsi come fosse possibile, ma evidentemente quel nome non apparteneva a lui. 

Ormai era sicuro che Endymion fosse il nome della persona per cui Usagi soffriva, quel misterioso ragazzo che le aveva dato il primo bacio e che, in quella notte in cui la Luna stava scomparendo sotto ai suoi occhi, lei aveva ricordato per colpa delle sue parole. Probabilmente si era sentita in colpa, come se stesse per tradirlo ed era scappata lontano.

 

Endymion non era lui, non c'entrava nulla con i suoi incubi.

 

Si diresse correndo verso la strada che arrivava al "Sahara", quella sciocchina era capace di fare l'autostop e rimediare un passaggio da qualche sconosciuto, pur di allontanarsi da lui. Doveva metterla al sicuro prima che le accadesse qualcosa di brutto.

In lontananza, lungo la strada, vide una figura che camminava svelta allontanandosi da lì, -Usako!-, urlò con tutta la forza  che poteva avere, -Usako fermati!-

Affrettò il passo, -Usako!-, chiamò ancora, ma qualcosa, o qualcuno, lo travolse facendolo rotolare al bordo della strada.

Aveva sbattuto la testa e la spalla, sentiva il sangue in bocca, ma non c'era nessuno lì intorno. Si rimise in piedi, in posizione di difesa, mentre la ragazza che stava seguendo sparì alla sua vista, svoltando oltre una curva in lontananza.

-Usako!-, gridò un'ultima volta la sua disperazione, poi fu di nuovo colpito e ricadde a terra.

-Chi sei?-, ringhiò, -fatti vedere bastardo!- Una figura longilinea si parò di fronte a lui, la luce della luna stava scomparendo, le ombre si confondevano con l'oscurità.

-Ci si rivede, Mamoru-, era la voce di una donna, si avvicinò e allora lui la riconobbe.

 

---

 

Usagi era riuscita a sfondare la barriera umana di persone vocianti e avvicinarsi all'uscita del locale, aveva sentito fischi rivolti a sé, mani che avevano provato a toccarla, qualcuno le aveva tirato i capelli fino a farle male, qualcun altro aveva pestato i suoi piedi nudi.

-Fatemi passare-, aveva continuato a gridare, -Fatemi passare vi prego-, le lacrime rigavano il suo viso, aveva spinto schiene, si era staccata di dosso qualcuno che la voleva abbracciare e finalmente si era ritrovata catapultata all'esterno della discoteca.

Aveva corso fino al parcheggio dove avevano lasciato le moto, quella di Mamoru era sempre lì, il casco del ragazzo era a terra, rotolato chissà come. Doveva essere ancora nei paraggi, chiamò il suo nome, fece un giro su se stessa guardando in ogni angolo, Mamoru non c'era e a lei girava ancora di più la testa.

-Ehi, va tutto bene?-, una donna la fermò mettendole la mano su una spalla, Usagi la riconobbe: era la cameriera che aveva fatto gli occhi dolci a Mamoru.

-No! Devo trovarlo, devo… io devo andare!-

-Se cerchi il tuo ragazzo, l'ho visto andar via di corsa verso il paese proprio pochi attimi fa-, disse la cameriera. Usagi le prese le mani, -Grazie! Grazie!-, esclamò e si mise a correre in quella direzione.

Lei la stava pugnalando alle spalle, dopo aver tramato con le sue colleghe per tutto il giorno, constatò Setsuna: la Regina invece aveva speso un attimo del suo tempo prezioso per ringraziarla.

Strinse i denti consapevole che tutto quello che stavano facendo le avrebbe rese indegne di mostrarsi di nuovo al suo cospetto e si affrettò a raggiungere Sailor Uranus.


Usagi vide in lontananza Mamoru cadere a terra e cercare di rialzarsi pulendosi un angolo della bocca, ma un'ombra scura lo attaccò, spingendolo verso il precipizio sottostante alla strada.

No!

-Mamo!!!-, corse più veloce che potè urlando il suo nome, sentendo il fuoco nelle gambe e si fermò quando credette di aver raggiunto il punto in cui aveva visto sparire il ragazzo.

-Mamoru!-, gridò ancora, scavalcando il guard rail sulla sinistra, Mamo non c'era, era troppo buio, sentì l'orrore avvilupparla, il fiato spezzarsi.

 

-Usagi-, un fruscio familiare alle sue spalle le fece drizzare i peli sulla schiena, un profumo intenso di rose accompagnò l'ultima persona che avrebbe pensato di incontrare a Kakeroma.

 

Il suo cuore sussultò nel trovarsi davanti proprio lui: -Tuxedo Kamen!?-, non era possibile.  Cosa ci faceva lì e come conosceva il suo nome?

-Usagi stai bene?-, era come se lui, invece, sapesse di trovarla lì; quando le strinse le mani sulle braccia le sentì tremare.

-Cosa… Cosa ci fai tu qui?-, domandò affranta, ma era così bello rivederlo dopo tanto tempo che non aspettò la risposta e si gettò tra le sue braccia. Aveva bisogno di un conforto immediato di un… si sentì sollevare di peso: Tuxedo Kamen aveva schivato un colpo, si spostò di diversi metri dal punto in cui l'aveva incontrato, tenendola tra le sue braccia. 

-No! Riportami lì!-, strillò Usagi disperata, arpionò le spalle di Tuxedo Kamen e si voltò a guardare dietro di lui. 

La fuga terminò poco più avanti a un lato della strada, -Calmati, stai tranquilla Usagi, non puoi tornare là. Rimani qui per favore-. Il giovane mascherato si guardò a destra e a sinistra per accertarsi di essere riuscito a seminare chi l'aveva attaccato, quindi aprì le braccia, per lasciarla libera. -Devi nasconderti-, le disse facendole una carezza, non fu in grado di resistere ancora e la strinse di nuovo a sé.

 

Per i primi istanti Usagi si sentì sulla Luna, dimenticò che Tuxedo Kamen non poteva conoscere il suo nome, che importava chiedersi come fosse comparso così lontano da Tokyo. Finalmente era accanto a lei e immediatamente quel senso di vuoto mai sopito che bucava costantemente nel suo animo parve svanire. Ogni volta che lo incontrava, ogni volta che la salvava, sentiva una profonda emozione scaturire dentro di sé, una sensazione che la faceva sciogliere per qualche attimo e poi le donava più forza, più coraggio. E il languore per quello che era stato tra loro e che lei desiderava così tanto ogni volta tornava a galla. "Speriamo che oggi mi dica che mi ama! Speriamo che oggi mi baci ancora!" , pregava tutte le volte. Si rese conto che Tuxedo Kamen non l'aveva mai abbracciata così prima di allora… solo Mamo l'aveva fatto.

 

Mamo!

 

Usagi respinse con le mani il petto di Tuxedo Kamen per sciogliere l'abbraccio, doveva andare da Mamoru, doveva salvarlo! La luna era coperta dall'ombra quasi completamente, rimaneva poca luce: se il suo Mamo  fosse stato disperso in mare o sulla scogliera non avrebbe potuto vederlo, se non avesse fatto in fretta.

-Mamoru!!!-, urlò con tutto il fiato che aveva in gola, -Lasciami andare da lui!-

Tuxedo Kamen la guardò esterrefatto, Usagi stava cercando proprio lui, era terrorizzata per averlo perso. Dolce Usako!

-Mamoru sta bene, resta qua al sicuro, Usagi!-, la implorò. 

-No! Lui è… l'hanno colpito, io l'ho visto, è caduto dalla scogliera!-, le lacrime le bagnavano il viso, lottava per essere lasciata libera.

-Fidati di me, lui sta bene-, ripeté l'uomo mascherato, non voleva che Usagi corresse altri pericoli. Mamoru aveva messo a rischio la sua identità per affrontare quella dannata avversaria che lo aveva sbalzato giù ed era riuscito a trasformarsi nel suo alter ego un attimo prima di farsi seriamente male, sfruttando la forza che la trasformazione ogni volta gli donava per mettersi in salvo.

Usagi smise di divincolarsi, lo guardò e avvicinò la mano tremante al suo viso 

Se lo avesse smascherato lui non avrebbe saputo più che fare.

 

-Perdonami-, un filo di voce uscì dalla bocca rosa di Usagi, -Perdonami Tuxedo Kamen, io devo aiutare Mamoru, perché io lo…-, fece scivolare la mano, quella era l'ultima carezza per un uomo che aveva amato per tanto tempo, ma che non le apparteneva più. Si staccò da lui. -Perdonami-, gli chiese ancora, quindi frugò nella tasca e prese qualcosa, sollevandolo in alto davanti a sé.

 

---

 

-Ci stanno mettendo troppo, maledizione!-

-L'eclisse è quasi completa, dobbiamo intervenire adesso!-

-Ferme, guardate…-

Neptune indicò qualcosa oltre la siepe che le nascondeva alla vista dei due futuri sovrani, una luce intensa illuminò la strada buia. Sailor Moon era apparsa loro.
Uranus incrociò le braccia al petto e stirò le labbra in un sorriso obliquo: -Alla buon'ora!-, commentò.

 

---

 

-Sailor Moon...!?-, Tuxedo Kamen balbettò esterrefatto: Usagi, la sua Usako, in un lampo di luce e colori si era trasformata davanti ai suoi occhi. Lei era… era Sailor Moon!

-Tuxedo Kamen, ti ringrazio per tutto quello che hai fatto per me, per esserci sempre stato… Grazie per avermi fatta sognare, grazie per avermi fatto scoprire cos'è l'amore. Ora devo andare da lui-, Sailor Moon gli donò un ultimo sorrise e si diede la spinta per saltare lontano.

Lui la prese per un polso e la fermò, tirandola a sé, piantò gli occhi nei suoi, vide che luccicavano. 

-Perché?-, un sussurro, -Perché vuoi andare da lui? Ti ho detto che Mamoru è in salvo...-, la voce calda tremava, la mano che la tratteneva anche.

Sailor Moon abbassò la testa. La risposta ormai era impressa nel suo cuore.

-Perché io lo amo-.

 

---

 

-Ami!-, Rei si alzò in piedi, Makoto e Minako ebbero lo stesso impulso.

-Andiamo-, Ami accolse l'invito. Stava accadendo qualcosa di più importante che non osservare la Luna venire coperta totalmente.

-Ma va ne andate proprio ora?-, Umino si voltò verso le ragazze, non riusciva a capire. 

Motoki invece intuì e si alzò di scatto, fermando Makoto.

-Stai attenta-, le disse soltanto e la baciò sulle labbra.

-Non ci seguite e stai in guardia-, gli rispose e fu sicura di aver fatto la scelta giusta.

 

---

 

-Lasciami andare, Tuxedo Kamen!-, Sailor Moon implorò il giovane che la tratteneva per il polso.

-Ridillo-, la voce del suo salvatore risuonò roca, il volto teso. 

-Ti prego!-, lo avrebbe colpito se non le avesse permesso di correre da Mamoru, -Lascia che lo salvi…-, ma lui la tirò a sé, invece di liberarla.

Perché… perché le stava facendo questo?

Non riuscì a opporre resistenza, si ritrovò allacciata a lui che la cingeva alla vita con un braccio. Le prese una mano e se la portò al cuore aperta sulla stoffa lucida del suo smoking magico.

-Ridillo, ti prego…-

Sotto il suo guanto, sotto il costume elegante che lui indossava, il cuore di Tuxedo Kamen batteva all'impazzata. Era un ritmo familiare, un ritmo che la fece sussultare. Si ritrovò a pochi centimetri da lui, osservò nella penombra quel profilo che aveva sognato per tanto tempo, la bocca su cui aveva fantasticato dopo ogni battaglia. 

Doveva correre da Mamoru, ma quel battito così familiare la fece indugiare… la mano si mosse senza che lei pensasse, si avvicinò alla maschera di Tuxedo Kamen. Gli aveva rivelato la sua vera identità, ora avrebbe scoperto chi fosse la persona che l'aveva tenuta legata al suo cuore per tutto quel tempo.

 

Lo sai già chi è.

 

Prese il bordo della maschera e la fece cadere a terra. 

Era il blu che immaginava. 

Sospirò di sollievo, gli sorrise, la mano si aprì in una carezza su quel volto, il suo cuore era calmo.

 

-Perché io ti amo-, sussurrò.

 

---

 

-Dobbiamo fare qualcosa?-, Uranus era confusa, Michiru rimaneva sulle spine, mancava ancora l'ultimo passo da compiere, la luna stava scomparendo. Non fece in tempo a voltarsi verso Sailor Pluto che lei decise per tutte e tre.

-Tifone di Crono!-, non riuscirono a fermarla, ormai la Guardiana del Tempo aveva indirizzato il suo potere sui loro futuro sovrani.

 

---

 

-Mamo-

Tuxedo Kamen, Mamoru, la strinse in un abbraccio forte e calmo come le onde del mare in quella notte di bonaccia. Sailor Moon alzò lo sguardo verso di lui, toccò il suo viso con la punta delle dita. Era un sogno…

Mamo-Chansei sempre stato tu...

Si concentrò e ritornò a essere soltanto Usagi: era stata lei a riconoscerlo, suo il cuore che senza poteri magici aveva battuto per lui. Voleva essere se stessa, voleva che lui la accettasse per quel che era, una sbadata, pasticciona Testolina Buffa innamorata di lui. Non voleva essere Sailor Moon in quel momento.

Il giovane la imitò e il lungo mantello rosso e nero scomparve.

-Usako-, il sorriso sincero, gli occhi scintillanti, la sua Usako era Sailor Moon, era lei dunque che amava da anni, senza saperlo!

Prese il suo viso tra le mani, non riusciva a contenere tutto quello che scoppiava nel suo petto.

-Usako io ti…-

Lo spostamento d'aria li raggiunse prima del bagliore nell'attimo in cui la luna scomparve. Usagi si voltò di scatto, tutti i suoi sensi immediatamente all'erta. Vide con sconcerto una enorme sfera di energia dirigersi verso di loro, verso il suo Mamo, non poteva accadere, non in quel momento, non a lui! Non poteva perderlo.

Gli si parò davanti.

 

Sarò io a salvarti in questa vita, Endymion!

 

Il pensiero esplose veloce nella sua testa: aveva compreso. Un bagliore squarciò la sua fronte e apparve uno spicchio di luna luminoso, come per magia il suo abito bianco divenne più lungo, davanti a lei comparve un fiore fatto di cristallo. Avrebbe dato la vita per salvare quella dell'uomo che amava.

 

-Serenity, no!-, urlò Mamoru e la sua camicia di lino divenne un'armatura, al suo fianco comparve una spada, istintivamente la brandì. Serenity… era quella la verità allora.

 

Sailor Pluto alzò la mano che stringeva il suo talismano e deviò il colpo, che si spense nell'aria.

 

Davanti a loro, Usagi e Mamoru videro avvicinarsi tre donne che vestivano i panni delle guerriere Sailor, si inginocchiarono al loro cospetto. Le riconobbero: erano Michiru, la cameriera della discoteca e Haruki. Quindi era davvero una donna.

 

-Finalmente vi siete risvegliati!-, il tono di Setsuna era pieno di devozione, -Non vi avrei mai colpiti, volevo solo mettervi un po' di paura-, spiegò.

I due giovani le guardavano senza capire, addosso a loro due abiti che avevano già visto nei loro sogni, nei loro cuori una consapevolezza a cui era difficile arrendersi immediatamente.

-Voi siete le reincarnazioni della Principessa Serenity del Regno della Luna e del Principe terrestre Endymion-, Sailor Pluto si godette le espressioni stupite dei due, fece una pausa; -Voi siete i futuri sovrani della Terra, sotto la vostra guida questo pianeta vivrà un lungo periodo di pace e prosperità, ma era necessario che manifestaste le vostre reali identità adesso, perché questo futuro possa avvenire-.

Alle loro spalle comparvero d'improvviso le altre guerriere Sailor.

-Che sta succedendo qua?-, tuonò Jupiter.


-Inchinatevi a Serenity, Principessa della Luna e al suo principe Endymion!-, ordinò una ragazza dai biondi capelli corti vestita alla marinara.

-Che cosa?-, Sailor Mars esclamò a bocca aperta. Le tre donne si divisero, aprendosi come un sipario: inginocchiati dietro di loro c'erano Usagi e Mamoru, abbracciati quasi a proteggersi l'un l'altra.

Lui fece un cenno col capo per spronarla e Usagi si alzò in piedi: era vestita diversamente da poco prima, aveva un'espressione solenne, irradiava luce, emanava potere. Le sue amiche videro una sottile falce di luna che brillava sulla sua fronte e capirono, un velo cadde e liberò i loro ricordi. Una a una si inginocchiarono di fronte alla loro dolce, pasticciona Usagi, la principessa che avevano a lungo cercato. Mamoru, accanto a lei, indossava un'armatura, era lui il principe dei sogni di Usagi e non lo aveva capito nessuno.

-Il vostro compito è quello di proteggerla e aiutarla a combattere contro le forze del male, fino a quando il suo destino sarà compiuto e lei verrà incoronata Regina-, spiegò la ragazza vestita come loro, quella con i capelli mossi.

-Chi siete?-, Sailor Mercury si sentiva confusa, come se avesse già visto quelle donne.

-Siamo guerriere Sailor, proprio come voi, proveniamo dal futuro e siamo venute fin qui per… dare una spinta a quei due-, quella con i capelli più corti indicò con il pollice Usagi e Mamoru, sorrise con un ghigno.

-Haruki!?-, squittì Venus, tappandosi la bocca nell'istante in cui parlò. 

Lei fece un occhiolino, -Sailor Uranus, per l'esattezza. Il mio vero nome è Haruka e, mi dispiace deludervi fanciulle, ma sono una ragazza.-

-Io sono Sailor Neptune-, le altre riconobbero immediatamente Michiru.

-E io sono Sailor Pluto, la Guardiana della Porta del Tempo, e... vi ho servito la cena poco fa-, sorrise loro la più alta delle tre.

Makoto, Ami, Minako e Rei le guardavano a bocca aperta, incredule per quello che avevano appreso, frastornate per tutte quelle rivelazioni.

-Guardate!-, esclamò Sailor Jupiter: la Principessa chiuse gli occhi e in un bagliore tornò a essere Usagi. Si accasciò priva di sensi, in quel momento anche Mamoru tornò al suo aspetto e la strinse a sé prima che potesse cadere a terra.

-Ti amo Usako-, mormorò e crollò su di lei.

 

Un debole spicchio di luna fece capolino vincendo l'ombra che l'aveva oscurata, Sailor Mercury alzò gli occhi al cielo in un muto stupore.

-Ce l'abbiamo fatta!-, Sailor Pluto guardò le sue compagne, il loro futuro sarebbe stato salvo.




 

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In un altro tempo, in un altro spazio…



 

La sala delle cerimonie del palazzo era gremita di gente, tutti con il naso all'insù ad ammirare, oltre le altissime vetrate di cristallo, la Luna nel culmine dell'eclissi.

-Quando torna fuori la Luna, mamma?-

-Tra pochi istanti, Piccola Lady-, la Regina stava con la sua famiglia e i più alti dignitari di corte in una posizione rialzata: avevano fatto allestire un palco reale per l'occasione. Teneva le mani sulle spalle della figlia ed era inquieta, il brusio sotto di lei la infastidiva ancora di più. Nonostante non lo desse a vedere, anche lei stava sulle spine, attendendo che l'ombra se ne andasse il più rapidamente possibile. Aveva come un brutto presentimento, come se quella rarefatta felicità che si godeva a Crystal City fosse destinata a dissolversi. Sollevò una mano dalla spalla della figlia e cercò quella del Re, la bambina si allontanò per schiacciare il naso contro la vetrata.

-Dove sono le altre?-, domandò sottovoce la Regina al suo Re, ma l'uomo non ebbe una risposta da darle. Erano già alcuni giorni che le Guardiane Sailor si facevano vedere sporadicamente in giro e solo se espressamente chiamate. 

Serenity aveva cercato la Guardiana della Porta del Tempo il giorno stesso e non era stato possibile trovarla. Su quel palco erano solo loro tre, Sailor Saturn e il Primo Ministro

Strinse la mano del marito. Aveva paura.

 

Nell'attimo in cui tutta la Luna fu oscurata e si tinse di rosso, le persone nella sala lanciarono urla e commenti entusiasti: l'eclissi totale rimaneva pur sempre un evento spettacolare. Ma il quel momento, avvenne qualcosa.

 

Fu avvertito un lieve tremore e la sensazione fu come di essere colpiti da un'onda invisibile che fece sussultare chiunque avesse sensibilità sufficiente. I più non si resero conto di nulla, ma la Regina percepì uno strappo nella trama dello spazio-tempo. Non riuscì ad aprire bocca, voltandosi verso il suo Re, che furono investiti da quell'onda misteriosa. Entrambi chiusero gli occhi.

 

Era la fine?

 

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***


Capitolo 23
Spiegazioni, Il Gatto di Schroedinger & Il futuro cambia


-Lasciate fare a me-, Sailor Pluto si offrì di trasportare Mamoru fino al parcheggio della discoteca, lo caricò in spalla e, tenendolo per le braccia attorno al suo collo, sparì lungo la strada ancora buia per prima. Sailor Jupiter e Sailor Neptune si occuparono di Usagi. Giunti al parcheggio, sciolsero ciascuna la propria trasformazione per non dare nell'occhio.

Lungo la strada, Minako si avvicinò a Michiru e le pose alcune domande senza farsi sentire dalle altre. Voleva sapere cosa fosse effettivamente successo, come fosse possibile che loro tre venissero dal futuro e perché lei e Haruka si erano comportate a quel modo strano con tutti loro.

La giovane provò a spiegare con una metafora quello che era stato il loro compito: -Immagina che tu stia guardando "Titanic", a un certo punto ti accorgi che la storia non sta andando come ricordavi. Jack e Rose non si innamorano e comprendi che hai comprato un biglietto del cinema per vedere una storia d'amore e invece ti toccherà sopportare almeno un'ora e mezzo di documentario su una catastrofe.-

-Sarebbe terribile-, inorridì Minako.

-Se avessi la possibilità di riavvolgere la pellicola al punto in cui i due dovrebbero incontrarsi, perché tu conosci il film e lo sai che quei due si amano, e entrare nel film per far sì che accada, in modo da goderti tutta la storia d'amore, che faresti?-

Minako ci pensò un po' su, -Penso che lo farei-, ammise.

Michiru le sorrise: -È quello che abbiamo fatto noi. Sapevamo bene che Serenity ed Endymion si amavano, ma se non si fosse manifestato tutto questo entro l'eclissi… il nostro film futuro sarebbe stato diverso.-

Ami, lì accanto, non aveva potuto fare a meno di ascoltare e si intromise.

-Ma com'è possibile: se il Nostro futuro è già stato visto da voi, un non intervento sarebbe stato più conservativo di un qualsiasi intervento, per il Principio di Indeterminazione di Heisenberg, e-

Neptune ebbe un dejavu e alzò gli occhi al cielo, rassegnata.

-L'eclissi appena passata è avvenuta nello stesso esatto momento, in un riferimento temporale assoluto, anche nella dimensione da cui proveniamo: purtroppo questi eventi astronomici possono comportare grandi catastrofi perché avviene la sovrapposizione di una dimensione su un'altra-, avrebbe saputo spiegarlo meglio Pluto, senza dubbio.

Ami non capiva…

-Cioè vedrò una storia che si svolge sul Titanic, ma non quella storia d'amore che conosco, perché quella non esisterà più?-, domandò Minako, -È corretto?-

Michiru le sorrise: la ragazza aveva capito.

Ami aprì la bocca per lo stupore e non domandò altro.

-Sicuramente il nostro futuro sarà cambiato ugualmente, per il motivo che dicevi tu, Ami e tremo al solo pensiero di quello che potrei trovare se tornassimo lì.-

La più giovane si fermò: -Non tornerete indietro?-, avrebbero perso tutto, non poteva neanche pensare se fosse capitata a lei una circostanza paragonabile a quella.

-Non lo so, valuteremo insieme Haruka e io-, se fossero rimaste, avrebbero potuto vivere di nuovo tutta la vita insieme. Un pensiero voluttuoso la fece sorridere.

-Non avete una famiglia, degli affetti che soffrirebbero se non tornaste?-, domandò Minako.

-È lei la mia mia famiglia-, Michiru indicò con lo sguardo Haruka.

-Ma allora perché avete fatto quello che avete fatto con… Mamoru e Usagi?-, Minako sbottò, Michiru le rivolse un sorriso furbetto.

-Perché dovevamo far sì che quei due capoccioni provassero gelosia e si rendessero conto finalmente di quello che provano l'uno per l'altra-, spiegò, poi aggiunse: -E perché siamo fatte di carne anche noi. Se solo aveste la minima idea della grandezza che emaneranno quei due nel futuro… del fascino immortale che li avvolge…-

Minako arrossì, aveva capito.

-Mi pare che il fascino del futuro Re abbia colpito anche qualcun'altra…-, si intromise Rei, indicando quella che avevano conosciuto come cameriera del "Sahara", che li aveva preceduti con Mamoru e in quel momento stava seduta su un masso a un lato del parcheggio, tenendolo dolcemente sulle sue gambe.

Michiru trattenne un'espressione di ilarità: -Finalmente ce l'ha fatta la cara Pluto a far cadere tra le sue braccia Re Endymion!-, esclamò. Felicità a grammi, così la chiamava lei: un ricordo, un'idea a cui aggrapparsi per l'eternità e a cui ripensare nei momenti bui. 

Rei alzò le sopracciglia, Makoto entrò nel locale mostrando il timbro sul dorso della mano che le avevano apposto all'ingresso: era il momento di organizzarsi per tornare a casa.


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La Regina riaprì gli occhi, sbattendoli più volte: Endymion era sempre accanto a lei, l'onda sembrava essere passata, ma quello strisciante panico non l'aveva abbandonata. C'era qualcosa che le sfuggiva… Sentiva letteralmente i pensieri sfuggirle dalla mente.

Si voltò verso la Prima Dama, sul palco con loro, -I bambini, trova i bambini!-, le disse sottovoce. Un istante dopo sbiancò, fissando la donna con uno sguardo stralunato.

Lei ubbidì, domandandosi il perché di quella richiesta e ancor più di quella faccia sconvolta, infatti i bambini erano ancora dove li aveva visti l'ultima volta, attaccati alla vetrata a osservare l’eclisse di Luna.

-Principessa, Nephrite, Naruru, Una, venite con me!-, i suoi occhi verdi erano sempre autorevoli e dolcissimi, i bambini la seguirono senza obiettare. 

-Eccoli, Usa-Chan-, la Regina scacciò via un pensiero di troppo e sorrise istintivamente: quando la sua amica la chiamava così si ricordava di un tempo felice che era stato e al quale sarebbe tornata volentieri.

-Mamma, papà, la Luna è tornata!-, esclamò Piccola Lady correndo ad abbracciare i suoi genitori. Al contatto con la figlia, Serenity provò un capogiro, serrò gli occhi e inspirò lentamente, certa che quando li avrebbe riaperti tutto sarebbe cambiato.

Non fece in tempo ad accertarsi di ciò, che ancora si sentì attraversata da una invisibile e potente ondata di energia, qualcosa che stava di nuovo sconvolgendo la rete spazio-temporale. Non fu la sola a percepire quella nuova crepa nella sua bolla di esistenza: aprì gli occhi e si ritrovò davanti quelli attoniti di un uomo che non avrebbe dovuto stare lì.

-Buona, cara, dove vuoi andare?-, la Prima Dama non riuscì a trattenere la piccola Unazuki, che si intrufolò tra le gambe dei sovrani in cerca di qualcosa. Si guardò attorno e due grossi lacrimoni comparvero ai lati dei suoi occhi verdi, -Mamma…?-, singhiozzò. Quel pianto minuscolo riportò al presente la Regina.

-La mamma arriverà presto, piccola-, la rassicurò Serenity, alzando lo sguardo dubbioso sul Re. Il Re? C’era qualcosa di profondamente strano in tutto ciò. Lo vide espirare l’aria che tratteneva da chissà quanto, sbattere le palpebre, quindi tornare immediatamente presente al suo fianco.
-Vieni con me, Unazuki, andiamo da tuo padre-, Endymion prese in braccio la bambina, -Ci accompagni, Piccola Lady?-, chiese alla figlia.

-Vado con Neph e Naruru nella Sala di Controllo dal loro papà-, rifiutò lei, schizzando via.

-Li puoi accompagnare tu, Naru?-, la Regina rivolse un sorriso alla sua amica, -Probabilmente Mercury sarà con Umino, vuoi che le dica qualcosa?-, chiese lei.

Serenity sospirò, -Avrei bisogno di parlare con Pluto, ma non ho idea di dove sia-, si voltò verso le persone poco più in basso di lei, che ancora osservavano la fase finale dell'eclissi. Si aspettavano che lei parlasse e scendesse in mezzo a loro, ma doveva attendere che Endymion tornasse con il Generale. 

 

"Ma dove si sono cacciati tutti!?"


Ma tutti chi?

 

Un brivido di panico s’insinuò tra i suoi pensieri. Non poteva fare altro che attendere.


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Makoto uscì dalla discoteca trascinando con sé Motoki oltre il muro di persone; i due raggiunsero le altre.

-Cos'è successo e loro chi son… Oh!-, rimase a bocca aperta vedendo Michiru parlare fitto fitto con Minako e Ami: accanto a loro c'erano la cameriera che li aveva serviti e… -Ma sei una donna!?-, esclamò verso Haruka, che, sciogliendo la sua trasformazione, era tornata in canottiera e minigonna.

-Lascia perdere!-, urlò nel suo orecchio Makoto, -Come li riportiamo a casa questi due belli addormentati?-

-A questo ci pensiamo noi-, Haruka si diresse verso la Honda guidata da Mamoru, si piegò e ricollegò il filo elettrico che aveva staccato per sabotarla. 

Quando gli altri della compagnia uscirono dal locale, videro una bella ragazza che teneva in equilibrio tra le gambe lunghe e snelle la moto di Mamoru, ma lì per lì non la riconobbero. Motoki tranquillizzò Yuichiro e inventò una qualche spiegazione plausibile sul perché Usagi e Mamoru stessero dormendo e sul come fossero riapparsi i due fratelli che non erano fratelli, ma forse nemmeno sorelle… Il gruppo si organizzò per tornare alla Villa.

Michiru montò dietro Haruka e Setsuna guidò la loro auto. Sul sedile posteriore Usagi e Mamoru dormivano placidamente, uno vicino all'altra, stretti nello stesso sogno. Poco prima di arrivare alla meta, Setsuna accostò l'auto, scese e aprì il sedile posteriore. Si chinò sul suo giovane Re e posò le labbra sulle sue. Nessuno l'aveva vista, nessuno l'avrebbe mai scoperto fino alla fine dei tempi.



 

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Mercury sollevò la testa dalla tastiera. Cos'era accaduto? Si voltò verso le sue compagne e vide dipinto sui loro volti lo stesso disagio. -Va tutto bene?-, domandò loro.

-Alla grande! Come hai potuto vedere, avevo calcolato alla perfezione i tempi di ingresso e uscita dal cono d'ombra-, Umino battè la mano sul tavolo di cristallo, sotto di essa c'era un foglio di carta con tanti numeri scritti a mano.
Mercury lo guardò attonita: per un attimo le parve di stare vivendo in un sogno a occhi aperti. Vide Umino reagire alla sua espressione e si affrettò a sorridergli. Come mai le sembrava che qualcosa non fosse al posto giusto? Eppure ogni cosa era come doveva essere.

Si sforzò di dire qualcosa all’uomo. Inspiegabilmente, come aprì bocca, sentì le parole uscire da sole, estranee eppure perfettamente appropriate: -Sei sempre il solito Umino, anche se sono passati quasi mille anni, ti fidi solo dei tuoi calcoli fatti col pallottoliere!- 

Strano, molto strano…

 

Mars si avvicinò loro: -Quei dubbi che avevi sull'eclisse… È tutto ok, Mercury?-

La giovane donna annuì, non era del tutto convinta, ma i suoi strumenti non avevano rilevato niente di strano, si doveva fidare, semplicemente. Forse era lei a essere di colpo impazzita, non di certo calcoli e calcolatori. In ogni caso aveva già iniziato a controllare che i dati sotto ai suoi occhi non nascondessero qualcosa di sospetto. Continuava ad avere la sensazione che le stesse sfuggendo qualcosa di importante.

Un rumore di passi, alcuni affrettati, altri cadenzati, annunciò l'arrivo di più persone.

 

-Papà!-, la piccola Naruru saltò al collo di Umino; suo fratello e la Principessa si fermarono a coccolare l'ambasciatore e la sua piccola gattina. Il gatto bianco li guardò perplesso.

-Papà, perché non sei stato con noi quando c'era l'ellisse?-, un broncio delizioso rendeva buffo il faccino della bambina.

-Avevo fatto una scommessa con Sailor Mercury, perdonami tesoro!-

-E comunque si dice "eclisse", stupidina!-, l'apostrofò Nephrite.

La Prima Dama di corte si avvicinò al marito, -Ora dobbiamo andare dalla Regina-, annunciò a tutte, -Ha chiesto di Pluto. Ma dove sono Uranus e Neptune?-
 

Un pensiero simultaneo, come una scossa elettrica, per un istante percorse le coscienze delle Sailor presenti, i loro occhi saettarono dall'una all'altra.

Mercury ebbe la conferma di non essere la sola ad aver provato qualcosa di strano.

-Naru, per cortesia, potreste avviarvi voi due con i bambini? Vi raggiungiamo subito-, Venus si sforzó di mantenere la voce il più tranquilla possibile, il suo cuore aveva preso a battere all'impazzata.

-D'accordo, andiamo Umino. Bambini, su torniamo dalla Regina!-, la donna non si fece pregare e radunò i più piccoli con occhio attento e mano esperta, mentre le altre presenti nella sala continuavano a fissarla in un misto di ammirazione e sbigottimento.
Quando fu vicina alla porta, Naru si attardò per un’ultima comunicazione: -Jupiter, fai in fretta, per favore: tua figlia ti stava cercando, il Re l'ha portata in lacrime da suo padre-, disse uscendo. Jupiter si tappò la bocca con una mano, non si mosse.
 

Tutte le guerriere Sailor lì presenti attesero immobili che la porta della sala si chiudesse, quindi scoppiarono.

 

-Cosa sta succedendo!?-, Venus strillava.

-Mia figlia? Mia figlia? Io ho una figlia???-, Jupiter aveva preso Mercury per le spalle e la stava strattonando. Solo Mars appariva tranquilla, in apparente stato di meditazione.

Mercury si staccò di dosso la compagna sotto choc e aggredì la sua consolle. Le dita correvano come piccoli topi impazziti sulla tastiera di cristallo, gli occhi guizzavano ai lati opposti dei dati che apparivano davanti a lei. D'un tratto si fermò e piantò il dito su un punto preciso dello schermo.

-Lo sapevo!-, non era un'esclamazione di esultanza, piuttosto di panico, -Ce l'avevo sotto gli occhi e non l'ho visto!-

Venus corse verso di lei, cercando di capire. Jupiter fece un passo e si immobilizzò, come colpita da un pensiero improvviso: -Unazuki: la mia bambina! Come ho potuto dimenticarmi di lei!-, guardò Mercury, -E Naru… Naru! Lei avrebbe dovuto essere morta centinaia di anni fa e anche Umino e…-, si zittì, sbatté gli occhi, -No, Naru è al nostro fianco da sempre…-, era molto confusa.

Venus si allontanò dalla consolle e aiutò l'amica a sedersi, era andata visibilmente in tilt; -Mercury, allora!?-, spronó la grande scienziata, -Cos'è successo!-, pretendeva una risposta.
 

Mercury batté di nuovo il dito sullo schermo, doveva capire esattamente quale fosse la situazione, prima di dare una risposta. Come spesso le accadeva nei momenti di stress, iniziò a parlare da sola, mentre le dita volavano sui tasti. Le altre la guardavano in fremente attesa di una spiegazione sentendo il caos invadere le loro menti.

-Dobbiamo considerare due diversi salti, è per questo che siamo così confuse, come ho fatto a non pensarci prima. Dunque: il primo è il cambio dimensionale tra la realtà in cui noi abbiamo mandato in missione Uranus e Neptune e la realtà in cui abbiamo Umino e Naru, e questo salto è stato causato dall’eclisse, qui-, mise un dito sullo schermo e non lo mosse, con l’altra mano continuò a digitare sulla tastiera. Si era alzata e stava con la schiena curva sulla consolle, il braccio dritto avanti a sé e gli occhi che saltavano frenetici in alto e in basso. -In questo momento noi siamo in un limbo tra queste due dimensioni, però…-, si fermò con gli occhi sulla mano tesa sullo schermo, notando un dettaglio che le era sfuggito. Dimenticò il punto sul grafico e avvicinò la sua sinistra a sé, lentamente, prendendola con l’altra mano come se non fosse un pezzo del suo corpo. C’era un anello che non aveva mai visto prima, ne era sicura, eppure… -Ma certo! Sono solo le nostre menti ad essere ancora in bilico tra le due dimensioni: questo significa che presto saremo del tutto sostituite da queste nuove noi stesse. Devo capire velocemente.-

Venus la fissava in apprensione, sentendo la sua testa vagare tra ricordi differenti, eppure tutti ugualmente verosimili. Da una parte sapeva di esser lì perché spaventati dall’eclisse che avrebbe cancellato il loro mondo secondo quanto vaticinato da Pluto, dall’altra era altrettanto certa di essere lì per assistere alla sfida tra Umino e Mercury, dopo che ne avevano discusso per ore alla cena che avevano fatto la settimana prima, tutti insieme nel parco del palazzo. Da una parte sapeva che avevano affidato a Uranus e Neptune il loro futuro, dall’altra che a Uranus e Neptune insieme non avrebbe lasciato il compito nemmeno di farsi leggere la data sul calendario, perché avrebbero sicuramente trovato il modo di litigare anche per quello.

Jupiter la tirò per un braccio, era sempre più sconvolta, ma c’era un sorriso dolce, sul suo viso, che non aveva ancora mai visto. 

-E chi sarebbe il padre di tua figlia?-, Venus non fece in tempo a mordersi la lingua, ormai aveva domandato, e con un tono vagamente antipatico. Jupiter rimase immobile, pensierosa, poi improvvisamente spalancò lentamente la bocca, gli occhi enormi, mentre i ricordi traboccavano nella sua testa.

Mercury batté una mano sul tavolo: -State zitte!-, aveva preso un foglio e una penna, stava scrivendo qualcosa. -Anzi, aiutatemi-, strappò il foglio in quattro e consegnò ciascun pezzo alle sue amiche: -Scrivete la cosa più importante del nostro mondo che è andato perduto che dovremmo ricordare anche di qua-, vide lo sgomento prender forma sui visi delle colleghe, non avevano ancora compreso quello che stava accadendo.

-Maledizione!-, esclamò, non aveva più tempo… -Abbiamo mandato Uranus e Neptune a salvare una dimensione diversa dalla nostra, perché Pluto sapeva che lì le cose non sarebbero andate nel modo giusto: è questa quella dimensione, ci siamo già dentro fino al collo!-, allargò le braccia attorno a sé, per spiegarsi. Indicò l’anello che portava al dito, un anello antico a forma di cicala con un’acquamarina incastonata tra le ali: -Non l’ho mai visto prima-, indicò Jupiter, -E lei ha una figlia! Lo capite cosa vuol dire?-

Mars annuì, il suo viso era sconvolto, Venus chiuse gli occhi: -La nostra dimensione è distrutta-, non fu una domanda, lo avevano capito ormai.

-Ma allora com’è possibile che stiamo ricordando tutto quello che abbiamo sempre vissuto nell’altra dimensione? Avremmo dovuto… sparire anche noi, no?-, Venus riprese, perché non ci stava davvero capendo più niente.

 

Mercury si voltò lentamente, non sapeva come spiegare a parole quello che la logica le aveva svelato.

-Noi siamo “il gatto di Schroedinger”-, sparò, -Siamo chiuse in una scatola: in questo momento noi stiamo vivendo in due dimensioni contemporaneamente, i nostri “stati” sono sovrapposti, esistono entrambi. L’eclisse ha “causato la rottura della fiala di veleno”: tecnicamente siamo morte, ma finché non apriremo la scatola non lo potremo sapere davvero. Finché la luna non uscirà del tutto dal suo cono d'ombra, non apparterremo ad alcuna delle due realtà, ma abbiamo una enorme possibilità in questo momento…-, alzò il foglio che stringeva in mano, -Sappiamo cosa è andato perso con la fine della nostra dimensione e fisicamente siamo già nella nuova. Indipendentemente da quello che riusciranno a fare Uranus e Neptune, abbiamo la possibilità di lasciarci un messaggio vero, di carta: scriviamo quello che di più importante potrebbe essere andato perduto dalla nostra dimensione originaria, affidiamolo alla carta, nascondiamolo e forse ritroveremo il nostro messaggio e capiremo per cosa dovremo ancora lottare.-

 

Abbassò il capo sul foglio, la penna pronta a tracciare la sua memoria, ma la mano si bloccò: il piano era geniale, eppure sentiva di non avere alcun fatto più rilevante di un altro da poter lasciare alla se stessa che stava per diventare. Guardò le sue amiche, vide la stessa espressione smarrita, la stessa profonda sensazione di inutilità nell’attimo in cui avrebbero potuto fare la differenza. Le spronò, ma spronò prima di tutte se stessa: -Uranus e Neptune sono andate lì per cercare di sistemare alcuni eventi passati in modo che le condizioni di questa nuova realtà siano il più possibile favorevoli per il nostro futuro. Dobbiamo trovare il modo di arrivare a comprendere se le cose si saranno svolte nel modo migliore e…-

Mentre parlava, capì.

 

Non aveva potere di fare un bel niente con il suo messaggio da “capsula del tempo”: Uranus e Neptune stavano per cambiare gli eventi del passato, presto anche quella dimensione sarebbe scomparsa, sostituita da una a essa parallela generata nel momento stesso in cui le due outers avevano compiuto il loro compito per cambiare il futuro. E quel futuro che Uranus e Neptune erano andate a salvare sarebbe diventato il loro presente. Erano completamente nella mani di quelle due.

Mars interruppe il flusso dei suoi pensieri: -Ho percepito poco distante da noi una persona che credevo perduta da moltissimo tempo e che allo stesso tempo so che è sempre stata al mio fianco: lasciatemi pregare affinché, quando la scatola si aprirà, io lo possa avere con me, non mi importa di quale realtà si tratti o di quale presente sia-, aveva il volto rigato dalle lacrime, teneva le mani strette al petto ed era in balia delle sue emozioni. Scrisse velocemente qualcosa sul foglio, lo piegò piccolo piccolo e lo infilò sotto al grande incensiere di pietra che stava sulla colonna a sinistra dello scranno della Regina. Piccola Lady nascondeva là le sue caramelle all’insaputa della madre, perché c’era un vano segreto su cui poggiava il grande turibolo.

 

Jupiter la imitò, scrisse di fretta una frase sul suo foglio, lo piegò, lo baciò e lo infilò nel buco, Venus assunse immediatamente un’espressione seria, deglutì, vergò le sue memorie e ripeté il gesto delle amiche.

Mercury prese quanta più aria poté: le aveva illuse, sarebbe di nuovo cambiato tutto, la loro realtà era già stata condannata e qualunque fosse stata quella che le aveva portate lì, con una figlia e un anello sconosciuti, forse non sarebbe più esistita. 

Prese la penna e scrisse, scrisse la cosa più inutile eppure l’unica che pensava valesse la pena davvero di comunicare alla se stessa di una dimensione che stava per cambiare ancora, accartocciò il foglio, lo nascose e sistemò l’incensiere. Quindi sentì che una nuova onda stava per raggiungerle.

Le altre videro le sue pupille farsi piccole piccole, nello stesso istante in cui sentirono le teste iniziare a vorticare: -Ragazze… Stiamo per scomparire, diventeremo istantaneamente i nostri doppi, quello che avevamo annunciato sta accadendo. È probabile che quello che è stato fatto da Uranus e Neptune nel nostro nuovo passato si manifesti istantaneamente quando ci ritroveremo 'di là'-, una lacrima scivolò sulla sua guancia. È probabile che tutto sarà stato vano...

-Ragazze, vi voglio bene, preghiamo perché tutto sia andato bene, spero di ritrovarvi…- 

Guardò oltre le vetrate, guardò l'orologio sul suo calcolatore, pochi secondi e la Luna sarebbe tornata a farsi vedere.

 

-Addio amiche…-, ebbe solo il tempo di mormorare.

 

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La villa di Yuichiro era pulitissima e in ordine: Michiru non avrebbe mai creduto che un gruppo vociante di ragazzini avrebbe potuto essere così diligente nell'assolvere ai compiti di casa.

Appena entrarono, i ragazzi e Naru si sparpagliarono qua e là, andando ciascuno al bagno o nelle loro stanze, erano stanchi, la vacanza era finita, rimaneva quell'ultima notte e poi avrebbero ripreso la strada di casa; rimasero soltanto le giovani guerriere Sailor e quello biondo e carino. Aveva fatto strada nella loro realtà, chissà cosa gli avrebbe riservato quel futuro.

-Dove li mettiamo questi due belli addormentati?-, domandò Haruka, trascinando come un sacco di patate Mamoru.

-Un po' di garbo, è il tuo Re!-, squittì Setsuna, ma la bionda la zittì.

-Aehm aehm!-, finse di schiarirsi la voce, quindi indicò con lo sguardo Motoki.

-Tranquilla, lui è a conoscenza di tutto-, la rassicurò Makoto e fu fulminata da Rei e Minako, che l'assalirono accusandola di essere un'incosciente che le avrebbe messe in pericolo.

Setsuna prese la parola in difesa di Jupiter: Motoki sarebbe stato un ottimo alleato di tutte loro, così era stato e così sarebbe stato anche dopo gli ultimi eventi. Il ragazzo comprese fino a un certo punto i discorsi della cameriera, poi ritenne più saggio mettersi in un angolo e fare da semplice spettatore. Avrebbe chiesto lumi a Mako, in un secondo momento.

-Bene, dramma rientrato-, il sarcasmo di Haruka si sarebbe potuto tagliare a fette, -Ora me lo dite dove scaricare questo pesce lesso che, se non fosse stato per noi, non si sarebbe accorto della sua bella principessa?-, stronfiò aria dal naso.

Motoki ci stava stretto in quell'angolo: -Primo: Mamoru era innamorato di Usagi da prima che voi due appariste per sconvolgere la nostra vacanza, solo che non lo voleva vedere; secondo: lo porto io Mamo nel posto dove vorrebbe stare; terzo: … lasciamo perdere…- scosse la testa e prese l'amico sulla sua spalla. Mamoru ci aveva visto giusto quando aveva raccontato che "Haruki" aveva provato a baciarlo, ecco il perché: portava una terza abbondante e aveva gambe da urlo.

Makoto, che trasportava Usagi, non ebbe bisogno di nessuna indicazione su dove metterla: li stesero nel letto della stanza degli ospiti, vicini; si guardarono e sorrisero, qualunque fosse il traguardo raggiunto dalle guerriere Sailor giunte dal futuro, il loro era far innamorare i loro due amici, e ci erano riusciti, a quanto pareva. Il fatto che, contestualmente, anche loro due avessero finito per ritrovarsi insieme era stato un piacevole e inatteso incidente di percorso.

Chiusero la porta piano piano, Motoki aveva molte domande da porre alle sue amiche e a quelle tizie nuove, ma prima si fermò un istante per baciare la sua meravigliosa Sailor Jupiter.


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Un valletto giovane e intraprendente si fece strada tra i devoti al tempio e riuscì a raggiungere il Generale, in ginocchio nelle prime file. Richiamò la sua attenzione dalla sua posizione un po' in disparte, senza attendere che la preghiera per i defunti della Grande Guerra fosse terminata. Solo allora il Generale si alzò, dirigendosi verso di lui. 

-Signore, è desiderato qua fuori urgentemente.-

L'uomo fece schioccare la lingua: aveva dato disposizioni di non essere disturbato durante la commemorazione, -Chi è che mi cerca?-, domandò in tono asciutto.

-Il Re, signore-, rispose il ragazzo, fece un inchino e si dileguò.

Il generale piegò le sopracciglia: il Re? Sbatté le palpebre, si sentiva improvvisamente confuso. Il Re…?

 

Durante la preghiera, Motoki Furuhata aveva avuto un attimo di smarrimento, gli era parso che tutto il mondo avesse preso a girare, lasciandolo confuso: perché era lì? Cos'era accaduto? Di nuovo gli era parso che ci fosse qualcosa di strano nelle parole che gli erano appena state rivolte. 

Si affrettò ad uscire dal tempio, facendo un saluto al monaco che stava officiando e per prima cosa buttò uno sguardo alla luna, che stava uscendo lentamente dal cono d'ombra. Scese la scalinata e notò subito, in un angolo del grande piazzale, alcune guardie in cerchio.

 

-Furu! Ti ho portato un regalo!-, il Re si chinò per sollevare qualcosa e uscì dal cerchio delle guardie, diretto verso di lui.

Lo smarrimento iniziale, nel vedere il suo vecchio amico, fu sostituito da una subitanea consapevolezza che non ci fosse alcunché di strano.

-Papo!-, trillò la bambina che Endymion teneva tra le braccia e, quando furono vicini, gli si buttò al collo.

-Unazuki!-, il Generale Furuhata stampó un bacio sulla guancia paffuta della figlia come se fosse la più naturale delle reazioni e si rivolse al suo sovrano.

-Per un attimo mi è parso impossibile che tu fossi qua-, ammise e provò la stessa sensazione nello stringere tra le sue braccia la bambina.

-Non mi vorrai dire che sono uno che si fa desiderare!-, lo riprese Re Endymion: no, non era così, lui era sempre disponibile per tutti i suoi più stretti consiglieri, per il suo popolo, ma soprattutto per gli amici. 

 

Eppure lui non doveva essere lì...

 

-Purtroppo noi non siamo potuti venire alla celebrazione di Yuichiro-, spiegò cambiando tono, -Serenity avrebbe voluto tanto portare la sua preghiera assieme a voi per la sua famiglia-, aggiunse.

-I nostri cari ci vedono da lassù, i suoi genitori lo sanno-, Motoki era una delle persone più compassionevoli ed empatiche che Endymion avesse mai conosciuto, fin dai tempi in cui il suo nome era ancora Mamoru.

-Anche i tuoi fratelli, Furu-, il Re posó una mano sulla spalla dell'amico, lui ringraziò con un cenno del capo; -Andiamo a cercare la mamma, Una?-, disse poi alla bambina.

Endymion approvò: -Speriamo di trovare almeno lei… Serenity sta dando per disperse tutte le sue Guardiane… tu hai idea di cosa stiano combinando?-, domandò il Re, procedendo verso il Palazzo assieme all'amico. Al loro passaggio la folla si apriva come un velo squarciato da una spada e poi si richiudeva in un tripudio di acclamazioni.

-So che Mercury e Pluto avevano alcune preoccupazione circa l'eclisse, ma mi pare che non sia accaduto niente di strano, no?-, sostenne, eppure qualcosa di strano, ma non avrebbe saputo dire cosa, lo percepiva.

 

Raggiunsero la Regina in una sala attigua a quella delle cerimonie: la trovarono che stava interrogando Saturn, l'unica tra le sue vecchie colleghe che non si fosse data alla macchia.

-Devi dirmelo! Ti prego, ti prego, ti prego!-, la udirono esclamare un'ottava sopra il suo normale tono di voce. La giovane guerriera sedeva impalata e tutta rossa in viso.

-Io non so nulla, devi chiedere a Pluto!-, sciorinò d'un fiato la giovane guerriera, consapevole di non essere capace di mentire.

-Accidenti! Sapessi Pluto dov'è! Non è giusto però!-, Endymion guardò sua moglie e sul suo volto si dipinse un dolce sorriso. Anche Lord Furuhata sorrise.

-È sempre la stessa, anche a distanza di un millennio-, constatò abbagliato quest'ultimo, che la Regina l'aveva vista in bozzo e poi crescere e sbocciare in una splendida farfalla. 

-E somiglia così tanto a Piccola Lady-, osservò il Re. Poi, con un guizzo di malizia negli occhi blu, tramò contro di lei: -Ora  vado a farla un po' arrabbiare…- 

Motoki rise bonariamente, era così felice per quel periodo di pace e per la grazia che sembrava permeare da quella granitica coppia. In qualche modo ne era stato uno dei principali artefici, anche se… un ricordo evanescente come il fumo lo confuse per un istante: “Non eravamo soli, non è stato solo merito nostro”, pensò.

 

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Mamoru si svegliò tutto d'un tratto; era certo che quello che stesse sognando non fosse altro che la realtà, ma non riusciva a crederci. In un'altra vita lui era Endymion, un principe della Terra e la principessa che aveva a lungo amato e cercato nei suoi sogni era divenuta per miracolo di carne e ossa accanto a lui. Non solo: lei era Sailor Moon, la sua amata Sailor Moon che a lungo e invano aveva cercato e da cui aveva provato ad allontanarsi, senza successo.

Eppure non era quello il sogno che l'aveva cullato nel suo sonno, bensì i suoi pensieri erano stati catalizzati da una ragazzina che di magico aveva ben poco, a parte il suo sguardo senza tempo e il sorriso di una fatina. Il suo cuore l'aveva rapito Usagi.

Quanto aveva dormito? Che ore erano? Sulla sua spalla sentiva il dolce peso di lei, il suo respiro gli solleticava il collo: era tutto come la mattina prima, la sensazione di pace che stava pervadendo tutti i suoi sensi, il profumo di luna della sua pelle, i capelli biondi sparsi sul cuscino e sopra di lui. Eppure, lo sapeva, era successo qualcosa di eccezionale che aveva fatto vacillare la certezza di aver compreso quella straordinaria ragazza. Aveva paura a volgere lo sguardo su di lei, temeva che non sarebbe più riuscito a guardarla con gli stessi occhi innamorati di sole poche ore prima, quando ancora non si era arreso all'evidenza che l'amava già. Sorrise, quanto era stato sciocco a nascondersi dietro quello che provava per Sailor Moon e a ricacciare indietro, rinnegandolo, quel tepore che gli scaldava il cuore ogni volta che pensava a Usagi! Doveva rimanere lucido e accettare che la coraggiosa guerriera fosse proprio lei. La donna che aveva sempre amato era Usagi, la principessa dei suoi sogni era lei. Deglutì focalizzando la sua attenzione su qualcosa di cui si stava rendendo conto solo allora: era Usagi ad essere stata ferita dalla sua rosa, la stessa Usagi che gli faceva battere così forte il cuore. Il rimorso per quella ferita inferta stava tornando a galla con la consapevolezza che, poche sere prima, lui non aveva avuto una visione: aveva visto davvero una brutta cicatrice sulla pelle della ragazza; quasi sicuramente quella furbetta aveva usato uno stratagemma magico per nascondere il segno. Allungò una mano sulla sua spalla, a pochi centimetri era stata trafitta proprio dal suo colpo. Lasciò scorrere le dita sulla pelle liscia e delicata, la ragazza si mosse sotto al suo tocco. Sollevò la testa e aprì appena gli occhi azzurri su di lui.

-Mamo-, bisbigliò, quindi sbatté le palpebre, come a fare chiarezza nella sua testa. Si sollevò a sedere sulle ginocchia, senza staccare lo sguardo da lui: quello era Tuxedo Kamen ed era anche il principe dei suoi sogni.

-Mamo…-, no, lui era Mamo-Chan, tutto il resto non contava.

-Mamo!-, ripeté esclamando e gli si buttò al collo. Non contava più niente, non i suoi poteri magici, non l'aver appreso di essere una principessa, non lo scoprire che, in futuro, sarebbe stata Regina: contava solo Mamo-Chan in quel momento, perché di lui si era follemente innamorata.

Si lasciò stringere nel suo abbraccio: lo riconosceva, era l'abbraccio più dolce e saldo del mondo, erano le braccia che l'avevano afferrata e tuffata in mare il giorno prima, le braccia che l'avevano tenuta vicina a sé, cullando i suoi sogni nelle ultime notti. 

-Usako-, la scostò da sé per guardarla negli occhi, lasciò scendere lo sguardo fino al petto: l'abito scollato non poteva nascondere la cicatrice. La vide, si sentì morire dentro. -Mi dispiace tanto-, sussurrò, allungando la sua mano verso di lei.

-Non fa più male-, lo rassicurò, avvicinandosi a lui finché la sua mano non sfiorò la pelle lesa. Non provò dolore, per la prima volta sentì solo il tocco impalpabile di mani che aveva bisogno la stringessero.

-È vero quello che hai detto prima, Mamo?-, arrossì, distogliendo lo sguardo, ma, con la mano sulla sua guancia, lui la trattenne perché lo guardasse.

-Certo che è vero, Usako! Io… io ti amo, ti amo profondamente-, erano quelle le parole che non era riuscito a dire prima, quello il rullio del cuore nel suo petto che aveva già provato sulla spiaggia o portandola in moto dietro di lui o proprio in quel letto, negli attimi di perfezione che avevano condiviso.

Usagi gli si buttò al collo, emozionata e felice proprio come una bambina, -Ti amo Mamo! Ti amo!-, ripeteva in guizzi di gioia pura.

-Ti amo-, disse l'ultima volta e si bloccò davanti al suo viso. Aveva gli occhi grandi e pieni di speranza, sentiva il cuore accelerare inesorabilmente. Si fronteggiarono in silenzio per attimi infiniti memorizzando ciascuno il volto dell'altra. Si riempirono gli occhi dei lineamenti che conoscevano dall'eternità, i tratti delicati di lei, il profilo elegante di lui, le labbra rosa, la bocca maledettamente seducente, le lunghe ciglia, il naso dritto, l'azzurro che diventava blu. E poi avvenne, il bacio che Usagi sognava ogni notte da sempre, da ben prima che gli incubi le strizzassero l'anima senza tregua, da quando sapeva che, se avesse trovato il vero amore, sarebbe stato il premio più naturale per placare la sete che ardeva sulla sua bocca.

Fu lei la prima ad avventarsi sulle labbra del ragazzo, fu lui a schivarla in un sorriso complice e farla sua in un primo contatto ardente. Si erano già baciati, quando non conoscevano chi ci fosse dietro le loro identità segrete, per questo fu più facile riconoscere il sapore delle labbra che avevano già assaggiato. Fu una scoperta tutta nuova farlo sapendo chi avevano davanti con la consapevolezza che sarebbero state le uniche labbra che avrebbero mai più sfiorato. Erano venuti al mondo in una seconda possibilità, per ritrovarsi e perdersi in quell'attimo infinito in cui videro scorrere il loro passato e il loro futuro. Ma era il presente il momento che volevano prendere a morsi e rivivere in eterno in un ricordo che sarebbe diventato parte del loro essere, impresso in ogni fibra dei loro corpi, affinché si fossero potuti perdere e ritrovare altre mille volte e ogni volta sarebbe stata bella come la prima.

Le labbra ardenti di Mamoru si staccarono dalla bocca di lei, sfiorarono tutto il suo volto, si soffermarono sugli occhi chiusi e in quel tremolio sentirono il respiro del tempo, che li aveva chiusi e poi riaperti per farlo ritrovare; scesero sulle guance lisce e seguirono il profilo del collo lungo e voluttuoso in una scia di scintille sulla pelle bollente; sentirono il cuore pulsare eccitato attraverso la pelle sottile e scesero ancora più giù, fino alla clavicola delicata e al petto che sussultava a ogni tocco. Si fermarono quando la pelle si fece più dura e segnata, dove una crudele forma di ammonizione l'aveva fatta sanguinare solo poche sere prima. Si fermarono e lì si fermò per un istante il cuore di Mamoru.

Le avrebbe donato tutto il suo strano potere per cancellare quella ferita che era rimasta a monito del suo fallimento; Usagi provò come un formicolio e un grande calore. Quando il giovane allontanò il volto da lì, della cicatrice slabbrata che mal riusciva a nascondere con i vestiti non c'era più traccia: l'aveva considerata l'unico ricordo di un amore impossibile, non ne aveva più bisogno.

-Ti amo-, sussurrò Mamoru a un soffio dalla sua pelle di nuovo intatta, -E ti amerò per l'eternità, qualunque futuro possa davvero attenderci. Sarò per sempre al tuo fianco e ti sosterrò in ogni decisione tu vorrai prendere, mia meravigliosa Testolina Buffa-. Vinse un abbraccio, di quelli che sanno sorprendere per la rapida spontaneità e la contagiosa euforia. Il sentimento che li univa era fatto di abbracci e contatti, più che di baci bollenti, erano un nasino che cercava la piega del collo e lunghe dita intorcigliate tra i capelli, era un orecchio sopra il cuore, era sentire il respiro mancare perché le braccia stringevano troppo, era abbandonarsi sulla spalla e guardare un soffitto di stelle insieme, erano gambe intrecciate e il vento del mare sulla pelle.

 

-Sai, ho sempre pensato che le storie che iniziano d’estate siano destinate a finire presto…-, mormorò Usagi, stretta al petto di Mamoru.  

Lui si irrigidì a quelle parole, per questo la ragazza allungò verso l’alto il collo e posò un lieve bacio sulla sua guancia: essere la prima a tornare ad impossessarsi delle labbra di lui sarebbe stato così… così… bello… così impertinente… 

-Ma credo che la nostra… insomma… quello che c'è tra me e te… credo che abbia radici più antiche-, sollevò gli occhi su di lui con una solenne lentezza e nell'espressione consapevole e d'un tratto matura, Mamoru riconobbe la principessa che aveva agitato i suoi sogni. Gli apparve chiaro che una come lei, che affrontava la vita con la leggerezza e la forza di una scogliera baciata dal sole e battuta dal vento, avrebbe davvero potuto fare qualcosa di grandioso che l'avrebbe portata al ruolo che le era stato annunciato. Era il minuscolo e l'infinito insieme, una goccia d'acqua e l'impeto dell'uragano, il fruscio di ali di un uccellino al primo volo e la destrezza di un'aquila nelle immensità del cielo. Usagi era imprevedibile come un colpo di fulmine d'estate tra due persone apparentemente incompatibili eppure legate da un destino ancestrale.

Si accucciò sul suo petto, -Ma a me non importa niente del passato, di chi sono stata io e chi tu. E non mi importa neanche del fatto che tu sia Tuxedo Kamen…-, prese un respiro e lo guardò negli occhi, -a me importa solo del baka che mi ha presa tanto in giro, che mi ha detto che se mangio troppo diventerò una balena o che se non vado bene a scuola non troverò mai un marito. Mi importa del rompiscatole che mi ha sciolto i capelli quando non ci riuscivo, che mi ha permesso di stargli attaccata come un koala in moto perché avevo paura, che mi ha portata via da un ragazzo che non era adatto a me. Mi importa solo di te, Mamo-Chan e del nostro presente-. 

-Usako, sei… unica-, Mamoru non aveva parole dopo quelle meravigliose che aveva pronunciato quell'amore di ragazza. La vide chiudere gli occhi e lasciare che fosse lui a baciare ancora le sue labbra.

-Solo che adesso sono così confusa… mi spaventa il futuro, mi spaventa quello che posso essere. Mi spaventa l'idea di perderti di nuovo. Non so cosa devo fare, né per prepararmi a quello che ci hanno detto, né con te. È tutto così strano, così… nuovo-, confessò sgretolandosi come un castello di sabbia davanti a lui, sentì una carezza sul suo viso, due dita scivolate fino alla sua fronte a spianare la ruga che si era formata, pensando corrucciata a quello che voleva dirgli.

-Non devi fare niente, Usako-, la rassicurò la voce calda che Usagi aveva imparato ad amare; -Lo so bene che tu sei una piccola zuccona che ha il caos nella sua testolina buffa!-, le sorrise e la strinse a sé.

 

Due lievi colpetti alla porta della camera li distolsero dall'attimo di infinito che stavano vivendo.

-Avanti-, disse il giovane, mettendosi in piedi, mentre Usagi, ancora sul letto, continuava a tenerlo abbracciato come se avesse potuto sparire da un momento all'altro.

-Permesso…-, era Motoki, avrebbe preferito dimenticarsi di quei due sull'isola, piuttosto che doverli disturbare. Aprì appena la porta e fece capolino, la lampada di cristallo accesa alle sue spalle svelò che ancora il sole non era sorto.

-Ho sentito che parlavate… scusatemi se vi ho disturbato-, una qualche reverenza nella sua voce, un sottile imbarazzo per i due giovani innamorati.

-Siamo svegli-, confermò Mamoru e rimase in attesa di sapere cosa volesse l'amico.

-Bene, allora… vi volevo dire che sarebbero le tre di notte e che le nostre amiche stanno per andare via. Se le volete salutare…-, avrebbero fatto almeno le cinque, lo sapeva bene, le cose da chiedere e da indagare erano tante, soprattutto per loro. Se volevano riposare almeno un po’, avrebbero dovuto ritagliarsi un paio d’ore prima di mettersi in movimento la mattina successiva, visto che sarebbe stato il giorno della partenza e avevano dei biglietti già pagati per Tokyo.

-D'accordo-, rispose Usagi ancora stretta a Mamoru e si alzò dal letto con un'espressione seria e decisa in volto. Motoki comprese solo allora che quelle misteriose intruse avevano detto il vero: vide sfilare davanti a sé, fattosi piccolo piccolo nel corridoio, i suoi amici e li immaginò, in un futuro che sicuramente lui non avrebbe mai potuto vedere, incedere in coppia in mezzo a uomini e donne innamorati di loro.

Usagi camminò svelta verso il giardino, dove si trovavano le sue compagne e le nuove Sailor, andò dritta da Haruka e le puntò dal basso un dito verso il naso: -Non sei il bel ragazzo che mi hai fatto credere! Come hai potuto baciarmi!?-

Per un attimo il silenzio assordò tutti i presenti, l'espressione di Haruka sarebbe passata alla storia, così come il faccino furibondo e rosso della giovanissima Regina Serenity, poi nessuno resse più e  scoppiarono a ridere.

Haruka li sorprese tutti e si inginocchiò a capo basso alla sua futura sovrana. Michiru trattenne il fiato: se la conosceva bene, aveva un colpo in canna…

-Ho toccato la luna con un dito, vostra maestà. Anzi, con le mie labbra… perdonatemi se potete, ma non ho saputo resistervi.-

No, non la conosceva del tutto, evidentemente. Usagi non cambiò colore, ma quella volta per l'imbarazzo della parole della più irriverente tra le guerriere Sailor che avesse mai conosciuto.

Michiru si sentì in dovere di correre in aiuto di entrambe, prima che un complimento potesse tramutarsi in qualcosa di sconveniente: -Vostra maestà, siamo onorate di avervi conosciuta nei panni della leggendaria Usagi Tsukino, la ragazzina che salverà il mondo-, pronunciò solennemente.

-Non la ragazzina-, intervenne Mamoru, -La Testolina Buffa-, disse e sorrise. Com'era dolce quel sorriso! Pieno di amore e complicità! Usagi deglutì e si sforzó di accettare quella paradossale situazione in cui si stava trovando. Quando era salita sul treno per Amami Ōshima non avrebbe mai pensato di trovare l'amore e scoprire un passato e un futuro così sconvolgenti.

-Abbiamo dovuto usare la forza per portarvi ad accelerare i tempi, perché questa dimensione andrà a cancellare quella da cui noi proveniamo-, iniziò a spiegare Setsuna, più pragmatica, -Come ho detto prima, noi veniamo da un futuro che non esiste già più, perché nel culmine dell'eclisse la nostra dimensione è stata annullata.-

Mamoru ascoltava seduto con le mani in grembo, erano informazioni che non riusciva a digerire. Quindi esisteva un'altra realtà o, meglio, era esistita: qual era stato il suo destino in quella vita mai vissuta? Si sentiva privato di qualcosa che non avrebbe mai potuto avere.

-Quale sarà il nostro futuro?-, azzardò Minako, la quale, come il ragazzo, non capiva.

-Non lo potete sapere: il vostro futuro inizia adesso e lo dovete costruire passo passo con le vostre scelte e le circostanze che vi troverete ad affrontare-, chiarì Setsuna.

-Ma tu lo hai visto, dicci cosa ci aspetta!-, insistette la giovane.

-No. Non posso. Se rivelassi il futuro questo non avverrebbe più. È una legge a cui è sottoposto chiunque-, c'era dell'altro in realtà.

-Se Setsuna lo facesse, oltre a cambiare gli eventi, rischierebbe la sua stessa vita-, tagliò corto Haruka.

 

Riuscirò a diventare una famosa scienziata?

 

Ho fatto la scelta giusta con Yuichiro?

 

Diventerò famosa?

 

È Motoki il mio vero amore?

 

Riuscirò a sostenere il peso della verità per Makoto?


Sarò in grado di stare al fianco di Usako?


-Allora dicci soltanto due cose: come è stata la nostra vita nella realtà che non c'è più? E poi: come mai avete dovuto intervenire in questa nostra realtà, cosa l'avrebbe resa pericolosa rispetto a quella da cui provenite voi?-, chiese Usagi, la sola a porre la sua domanda alle guerriere del futuro.

Setsuna sospirò, qualcosa avrebbe dovuto raccontarla…

-La vita che non vivrete mai è stata difficile, il futuro che non ci sarà è stato terribile per la Terra, ma con la tua forza hai reso possibile andare oltre le sventure che si sarebbero abbattute sul pianeta e a donare a tutti la forza vitale per rinascere. In quel futuro voi siete stati dei grandi sovrani, amati dal vostro popolo; avete fondato una città simbolo di eterna vittoria della luce sul male e avete unito la forza generatrice della Terra alla magia della Luna. Questa dimensione si è generata nel momento in cui Mamoru, o meglio Tuxedo Kamen, ha deciso di affrontare da solo il nemico scaturito dall'oscurità e si è recato a combattere contro Queen Metallia. Nella nostra dimensione tu, Usagi, hai seguito Mamoru nella torre e  gli hai rivelato la tua identità per proteggerlo, e poco dopo anche lui ha fatto lo stesso, ma è stato catturato e reso schiavo del male, con il nome di Endymion. È stato allora che il cristallo d'argento si è manifestato: è stato creato dalle tue lacrime per aver perso di nuovo il tuo grande amore, perché in quel momento tu hai palesato di essere la principessa Serenity e hai salvato tutte le tue compagne, Endymion e la terra intera-, raccontò come si fosse trattato di una novella della sera, come qualcosa che, ormai, non esisteva più.

-Ma tutto questo non è mai accaduto!-, esclamò Usagi, che sapeva che le cose non erano affatto andate a quel modo, -Io non ho mai seguito Mamoru nella torre, ci sono arrivata con le altre dopo che lui era già stato catturato e il cristallo d'argento è apparso senza che io scoprissi di essere…-, si interruppe, le sembrava così strano parlarne.

-Lo sappiamo-, ammise Setsuna.

-Ma Metallia è stata comunque sconfitta e il mondo messo in salvo, cosa non andava bene di tutto quello che abbiamo dovuto sopportare da rendere pericolosa questa nostra realtà per voi?-, non capiva… Cosa sarebbe cambiato rispetto al fatto che lei si fosse o meno mostrata a Mamoru?

-Ti farò una domanda, principessa-, per un istante Setsuna aveva quasi creduto di aver fatto un intervento vietato per nulla: -La tua vita è stata la stessa di prima, dopo che hai sconfitto Metallia? Non hai sentito come un vuoto nell'anima che non riuscivi a colmare in nessun modo?-

Usagi aveva troppi occhi puntati su di sé, era una domanda a trabocchetto? Mamoru le prese la mano e in quel tepore lei seppe la risposta. -No, ho iniziato a fare gli incubi. Incubi di un passato doloroso che non ho mai vissuto-, allora comprese: il futuro della principessa Serenity che aveva visto morire il suo amore non era mai avvenuto realmente. Il suo era stato un lamento di dolore lungo più e più vite, finché non si era placato nel momento in cui la Serenity che dormiva in lei aveva ritrovato Endymion, il suo principe, e lei trovato il suo Mamo.

-Vi dirò solo questo: il tuo futuro sarebbe stato quello di una guerriera sempre più spezzata in due, senza aver trovato mai il suo amore. Saresti diventata una Regina triste e solitaria di un regno fantastico, ma senza futuro.-

Usagi deglutì, erano parole dure da assimilare, troppo complicate da comprendere per il suo cuore.

-Dovevamo forzare la mano e far sì che quel futuro non fosse mai entrato nella dimensione che avrebbe preso il posto di quella da cui veniamo-, spiegò Michiru.

-Dovevamo farvi innamorare prima che l'eclisse riunisse in una sola le nostre realtà-, fu più esplicita Haruka.

Setsuna chiuse gli occhi: aveva già visto quelle scena. Sorrise e attese di rivederla.

-E pensavate che io e Mamo-Chan non ci saremmo innamorati, senza il vostro intervento?-, una principessa corrucciata con le braccia incrociate al petto, il suo principe che nascondeva un sorriso guardandola.

-Io la amavo già, sia come Sailor Moon che come la mia dolce Testolina Buffa-, parlò Mamoru, -Solo che non ci ero arrivato-. Spostò lo sguardo su Motoki e abbassò il mento in un silenzioso ringraziamento.

-E anch'io! Anche se mi faceva sempre arrabbiare, era da un pezzo che non potevo fare a meno delle sue battute e del modo speciale in cui gli brillavano gli occhi solo quando bisticciava con me-; Motoki era soddisfatto di aver intuito prima di tutti la verità.

Haruka e Michiru si guardarono confuse e poi cercarono in Setsuna una risposta: avevano sbagliato tutto, allora?

Setsuna alzò le sopracciglia, assottigliando le labbra, -Chissà…-, disse, -Io credo che l'intervento un po' strampalato che hanno fatto queste due abbia portato un valore aggiunto in più per il nostro futuro…-

Era un particolare che aveva indagato andando a scandagliare tutti i futuri possibili e anche quelli perduti. Grazie a tutto quello che era successo, si era creato un punto di giunzione che non esisteva nella loro dimensione: se anche non fosse scoccato l'amore, il Re e la Regina avevano già perseguito la strada dell'amicizia, che avrebbe cementato ancor più il loro legame. A differenza dei sovrani che conoscevano, loro due non erano semplicemente destinati ad amarsi, loro si erano conosciuti, avevano studiato tutti gli aspetti positivi e negativi dell'altro, si erano scelti e fidati reciprocamente e, solo dopo tutto questo, si erano innamorati.

Era un fondamento molto più importante e saldo di ogni più rosea aspettativa.

 

-Ragazzi, a me dispiace davvero dover interrompere questa conversazione, ma devo ricordarvi che tra poche ore abbiamo un traghetto da prendere, poi un altro e infine ci aspetta un lungo viaggio in treno verso Tokyo…-, Motoki aveva spezzato il momento della magia per riportarli tutti con i piedi per terra.

La vacanza era finita, il rimpianto per il tempo perso attanagliò allo stomaco Usagi, che aveva paura a tornare a casa, era certa che non sarebbe stato più lo stesso. Strinse di più la mano di Mamoru, accogliendo anche il suo dispiacere.

Setsuna colse al volo lo sguardo complice che Haruka e Michiru si scambiarono, non viste e sorrise. Lei lo sapeva già. Come sapeva quello che sarebbe potuto accadere in tutte le altre dimensioni che aveva osservato nella sua assenza di poco tempo prima, ma in un futuro scomparso, quando si era voluta accertare di cosa sarebbe successo con quel diverso approccio tra i loro futuri sovrani. Sapeva che, se non avesse indirizzato Usagi sulla giusta strada, la sera prima, lei non avrebbe trovato Mamoru e l'eclisse si sarebbe compiuto. Sapeva che lo avrebbe potuto soccorrere lei stessa dopo l'attacco di Uranus e portarlo in un luogo sicuro. Sapeva che lo avrebbe aiutato, gli sarebbe stata vicina e lo avrebbe potuto poi rivedere il giorno dopo. Sapeva che piano piano le loro frequentazioni a Tokyo sarebbero sfociate in qualcosa di più di una semplice conoscenza e che, nel tempo, lui avrebbe iniziato a provare per lei più che una gratitudine. Sapeva che avrebbe potuto essere felice accanto al suo principe e vivere una vita serena mentre Usagi avrebbe lo stesso compiuto il suo percorso eroico di vita e sarebbe ugualmente divenuta Regina, una Regina triste.

Lo sapeva e le bastava.

-È giunto il momento di salutarvi-, disse ai presenti esortando le compagne a lasciare quella villa. Si accomiatarono con un inchino e la promessa di ritrovarsi quando il tempo fosse stato maturo.

-Credo di aver dimenticato la mia camicia a Ithogaya... che peccato… c'era un regalo per te, dentro. Se per caso ci tornate, ricordati di cercarla...-, Haruka parlò in un orecchio a Usagi quando l'abbracció, brontolata da Michiru.

Le tre donne ripresero l'auto e sparirono oltre la curva, portando con loro quell'alone di mistero e incredulità che le avevano accompagnate fin dal primo istante che avevano incontrato le guerriere Sailor e salvato il destino del pianeta.

Le aspettava il rientro in un futuro che non era più quello che conoscevano.

 

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Capitolo 25
*** Capitolo 24 ***


 

Capitolo 24
Un giorno in regalo, Chiacchiere col Re & Confusione nel futuro


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Motoki Furuhata, Lord del Regno Argentato e Generale dell'esercito del Re, stringeva a sé la figlia Unazuki. Profumava di fragole e latte, era dolcissima. Aveva solo tre anni, era nata in un periodo felice e, forse, la sua crescita non si sarebbe arrestata come quella dei figli della Regina e della sua Prima Dama, a causa delle nuvole che si erano addensate sul regno e dell'ultima terribile guerra che avevano dovuto affrontare contro forze oscure che avevano sterminato quasi tutto il genere umano e la vita sulla Terra. In tantissimi erano caduti, compresi abitanti che avevano potuto godere del magico influsso che il cristallo d'argento aveva donato loro, assieme a una vita pressoché infinita. La sua adorata sorella Unazuki era tra essi, di Kenzo non aveva più notizie da molto prima. Motoki si era ritrovato da solo, ai vertici del comando di un regno che non aveva saputo proteggere. Unazuki era rimasta congelata sotto la coltre perfida e straziante dell'ultimo attacco, vittima colpevole solo di aver scelto di vivere e di donare amore agli altri. A volte, nelle sere in cui il dolore per la perdita dei suoi fratelli era più pungente, Motoki si avventurava da solo oltre il perimetro di Crystal City, l'unica zona rimasta integra dopo la guerra e cercava nel ghiaccio segni di vita rimasta appesa al sottile filo della speranza. A volte scavava con le sue mani nude, quando il dolore era troppo usava la punta della sua spada. Le Regina Serenity, quella bambina che un tempo si era presa una cotta per lui, ogni settimana si riuniva con le sue guerriere e attingeva a tutto il potere dei pianeti e dell'intero universo per dare più forza al cristallo d'argento, usandolo poi per riversare l'alito di vita fuori dalla città, sperando che raggiungesse qualcuno che ancora era disperso, sospeso tra la vita e la morte in una infinita attesa tra i ghiacci. La chiamavano "la Ricerca". Ne aveva salvati a centinaia di migliaia e ogni sette giorni ci provava ancora e ancora, uscendo stremata dalla sua battaglia personale. Ma Unazuki e Kenzo non erano ancora mai stati trovati e, con la possibilità di ritrovarli, anche le speranze del generale Furuhata si affievolivano.

Si erano unite nella creazione di forza galattica anche nuove guerriere Sailor spuntate da chissà dove, Motoki non ci badava più. Per un lungo periodo il suo amabile temperamento si era spento, non riusciva più a sorridere e usava la sua spada solo come strumento per scavare e punire chiunque compisse sciacallaggi sul pianeta. Si era conquistato così la fama di Cacciatore degli Indegni e, poco a poco, si era allontanato dalla sua Makoto.

Si erano ritrovati un giorno d'inverno, entrambi in alta uniforme, al termine di una delle cerimonie di accrescimento del cristallo sacro, propedeutica alla Ricerca. Era bastato uno sguardo, un lieve cedimento nella barriera eretta dal Generale, che Makoto era riuscita a fare breccia nel suo cuore congelato e a scioglierlo, riportando a sé il suo Moto-Chan. Solo lei lo chiamava ancora così, solo lei e Unazuki. E con Makoto aveva ripreso a sorridere e vivere, era tornato in confidenza con il suo vecchio amico, il Re, e, a volte, passava le serate con lui e Piccola Lady a raccontare quel poco che la memoria riusciva a ricordare del loro passato da ragazzi normali. Poi tornava da Makoto: prima o poi ci sposeremo, pensava, ma non si era mai deciso a fare il grande passo.

Lei era la sua forza e la sua deliziosa condanna tra alti e bassi da quasi mille anni. Avevano fatto un patto di fiducia in un giorno che non riusciva quasi più a ricordare, un patto d'amore che aveva cancellato dal suo cuore qualsiasi legame precedente e che ogni giorno rinnovavano. Lui non aveva alcun potere magico e non aveva mai potuto godere di quella grazia speciale che avvolgeva la sua compagna e le altre guerriere Sailor. Lui era un uomo normale che aveva affrontato con la sola forza e tenacia ogni gioia e ogni tragedia che aveva avvolto il pianeta. E come uomo normale, qualche volta, aveva invidiato il suo amico e sovrano per poter essere all'altezza della sua consorte: in qualche modo era lui che rendeva possibile il continuo rinnovarsi e amplificarsi del potere salvifico che teneva tutti in vita, curando nel corpo e nel cuore la sua Regina. In tutta la sua lunga vita aveva visto sbocciare e crescere quella che per destino di nascita era stata scelta, tra tutte, per incarnare la Salvatrice del mondo. Lui l'aveva sempre chiamata Usagi finché non era stata incoronata Regina. Era la sua piccola Usagi, la sorella sopravvissuta alla sua vera sorella, una ragazzina pasticciona dal cuore grande e gli occhi in cui potevi vedere tutte le stelle dell'universo; aveva vacillato in più occasioni nella sua impresa, era stata allontanata dal suo Mamo non sapeva più quante volte, e ogni volta erano state le sue compagne e lui a sostenerla. Usagi aveva bisogno di un petto forte per dormire e di braccia salde per stringerla: lui aveva sostituito Mamoru, tenendola a sé come un fratello. Eppure…

 

Motoki sbatté le palpebre, per un attimo aveva avuto un vuoto di memoria: gli era parso, per un istante fugace, che non fosse nel posto che gli competeva. Lui non era un Generale, ma "il preferito" della Regina, con tutto quello che aveva significato nelle giornate vuote e in quelle notti in cui l'angoscia poteva essere cancellata solo dalle sensazioni della carne; Makoto era stato solo una fugace storia nella sua lontanissima giovinezza e il Re… non c'era nessun Re. Lui era quanto di più vicino potesse esserci a un Re, ma non aveva mai accompagnato la sua Serenity con quel ruolo, fuori dal palazzo e dalle coperte.

 

La bambina che teneva in braccio si mosse, "Mamma", borbottò nel sonno e lui, ancora, sbatté le palpebre e scosse la testa, riprendendo lucidità. Doveva trovare la sua compagna, Re Endymion gliel'aveva detto.

 

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-Cosa ne sarà di noi?-, domandò Minako abbandonata sul divano in salotto, sbadigliò, indecisa se avesse più sonno o fosse più stravolta da tutto quello che era successo ed era stato loro rivelato.

-Torneremo a Tokyo-, ripeté per l'ennesima volta Usagi, sempre con lo stesso tono da funerale, per nulla sostenuta dall'abbraccio in cui Mamoru la stringeva da ormai un'ora. Le Sailor provenienti dal futuro se n'erano andate da un pezzo portando via con loro l'adrenalina della scoperta e lasciando lì troppi dubbi che pungevano più che mai nelle menti di tutti.

-Tu tornerai a Tokyo con un bottino alto un metro e ottantacinque, ma io?-, bofonchiò Minako e cambiò posizione.

-Vai di sopra e buttati nel mezzo a Hiro e Kenzo, apprezzerebbero-, la fulminò Rei, incapace di pensare ad altro se non al fatto che il loro futuro era stato innescato solo poche ore prima e che sarebbe stato un futuro condizionato da quello che c'era stato tra Usagi e Mamoru. Non accettava che quella pasticciona della sua amica e le sue scelte amorose fossero più rilevanti per tutta la vita che l'avrebbe attesa che non le sue personali decisioni. Aveva stretto con Yuichiro un legame molto controverso, perché, se da una parte si riteneva completamente legata a lui, dall'altra sentiva premere sotto la cenere di quel nuovo legame la stessa Rei di sempre, quella che avrebbe voluto salire al piano di sopra e prendere il ragazzo per un orecchio, per il semplice fatto che non fosse lì con lei. Li aveva costretti ad andare in vacanza in quella Villa così lussuosa da fare sembrare il tempio del nonno una bettola e poi l'aveva stregata gettandole negli occhi il fumo del "ragazzo brillante" che era stato e che avrebbe potuto tornare a essere. Ma come avrebbe fatto lei a tornare a casa e dire "Ciao nonno, da oggi devi trattare Yuichiro con tutta la gentilezza possibile, perché lui è il mio uomo?", oppure spettegolare con le sue compagne di classe, che ogni giorno la prendevano in giro perché quel "trasandato e maldestro ragazzo" la andava a riscontrare all'uscita e lei, ogni giorno, scacciava a male parole? Avrebbe detto a Katami o Naoko "Basta prendere in giro Yuichiro, perché mi sono messa con lui"? No, non ce l'avrebbe fatta, eppure Yuichiro era… era…

 

Il suono di un telefono scosse tutti dai propri pensieri: erano solo le sette del mattino, cosa diavolo poteva essere successo? 

Come una valanga, Yuichiro si precipitò fuori dalla porta di camera e giù per le scale, saltando i gradini a due a due, prese in derapata la curva tra l'atrio e la cucina e si precipitò a rispondere.

Tutti i suoi ospiti rimasero immobili, seguendo con lo sguardo il suo sprint e osservando curiosi la telefonata. Yuichiro annuiva e guardava in basso, -M-mm, okay… M-mmm… Ho capito… Sì, sssì…. Dobbiamo trovare una soluzione… Ah! Infinite grazie! Grazie ti sono debitore!... Sì, sì, d'accordo… No, loro no… okay, okay, va bene… Certo, faccio chiamare da qua. D'accordo, grazie mille-

Quando chiuse la telefonata, la sua faccia era un enigma.

-Parla!-, gli urlò Rei, tornando per un attimo la vecchia Rei che trattava male il povero ragazzo.

Yuichiro prese aria, non sapeva se la notizia sarebbe stata accettata bene o male.

-Era il maggiord… Il signor Takeshi, mi ha detto che ci sono stati forti venti inattesi sul versante nord dell'isola e il mare è troppo mosso, si sono creati vortici che rischiano di affondare anche le lance speciali. Hanno annullato tutti i traghetti di ritorno su Amami Ōshima almeno per oggi e-

-Ma come facciamo a tornare a casa allora!?-, Ami sembrava sconvolta. Era già in ritardo sul suo programma di studi e non aveva con sé altri libri da ripassare. Lei doveva tornare a Tokyo il giorno dopo, a tutti i costi!

-Non potremo farlo finché non riapriranno la tratta: dicono che è una perturbazione inattesa e circoscritta a questa zona dell'arcipelago, io… sono desolato, ma dobbiamo rimanere almeno un altro giorno qua sull'isola e domani vedremo-, guardò per un istante il volto di Rei, poi abbassò la testa verso il pavimento di marmo.

Dal basso continuò a parlare e disse che si era accordato con la sua famiglia per rimanere nella villa finché ce ne fosse stata necessità, senza preoccuparsi di ripulire e sistemare ancora. Infine annunciò che quella mattina sarebbero dovuti comunque uscire perché era stata prevista l'attivazione della piscina, in vista dell'arrivo, giorni dopo, dei suoi genitori. -Quindi… Quando vogliamo usciamo e oggi pomeriggio troveremo anche la piscina a disposizione-, era arrossito nel pronunciare le ultime parole, quasi avesse fatto sfoggio della sua ricchezza, eppure pensava che sarebbe stata una notizia ben accolta dal gruppo.

-Ma   è   f a n t a s t i c o!!!-, fu l'urlo di Hiro, apparso tutto arruffato in cima alle scale, a dare il via a un tripudio di esclamazioni da parte di tutti i giovani, Ami esclusa.

Avevano almeno un giorno in più di vacanza su quell'isola: un giorno e una notte, completamente regalati dal destino.

 

'Credo di aver dimenticato la mia camicia a Itogaya.. che peccato… c'era un regalo per te, dentro. Se per caso ci tornate, ricordati di cercarla…', Usagi sorrise, ripensando alle ultime parole di Haruka: era stata lei ad alzare il vento e Michiru ad agitare il mare, ne era certa. Era un regalo speciale per recuperare un po' del tempo perso. Si voltò verso Mamoru: -Voglio tornare in moto dietro a te-, le scintillavano gli occhi.

Il giovane annuì in un sorriso splendido, assonnato, spettinato e felice. 

Finalmente, dopo tanto patire, dopo aver vissuto nell'agonia di sentirsi perennemente inadatto, Mamoru era felice, perché aveva trovato il suo posto, che non era fatto di luoghi o circostanze, il suo posto era accanto a Usagi. E quindi fece una cosa che non avrebbe mai pensato di fare, non davanti a Motoki o ai suoi amici, non in una casa che non era la sua o in mezzo ad altre persone. Prese Usagi da sotto le braccia, la sollevò e le fece fare una giravolta. La guardò nel profondo degli occhi e la baciò. 

-È presto, mi sono già sconvolto l'anima a guardare questa scenetta stucchevole… andiamo a fare colazione al bar?-, parlò ancora Hiro e la sua richiesta fu accolta con entusiasmo da tutti.

-Prima dovete avvertire le vostre famiglie del ritardo-, Yuichiro raffreddò gli spiriti dei suoi amici, ma aveva ragione.

Uno a uno telefonarono alle loro famiglie avvertendo del contrattempo; qualcuno fu brontolato dai genitori in apprensione, qualcun altro fu messo in guardia per il brutto tempo; Usagi parlò con la mamma, che dopo un attimo di confusione percepì nella voce della figlia un'intensa emozione e fu felice per lei. Makoto e Mamoru non telefonarono a nessuno e per loro fu più semplice affrontare la giornata, ma sottilmente doloroso, perché erano consapevoli che non ci sarebbe mai stato nessuno ad aspettarli alla stazione. Entrambi però non ne avevano un reale bisogno, perché avevano trovato le loro metà proprio nel luogo dove erano stati costretti a un, ahiloro, giorno di vacanza in più.

 

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L'ora era giunta.

Pluto guardò le sue compagne ancora una volta: sembravano veramente soddisfatte per essere riuscire a portare a termine la missione, emozionate per aver assistito alla nascita della loro sovrana, distrutte dalla stanchezza e dalla tensione che le aveva attanagliate nella ultime ore. Eppure sorridevano tranquille, pronte a ricominciare la loro avventura.

-Rimaniamo ancora un po', ti prego-, udì Haruka bisbigliare all'orecchio della compagna, -Lo sai che dobbiamo tornare o saremo disertrici-, le rispose Michiru, con un velo di rammarico nella voce. -Non è che non torniamo più-, replicò di nuovo Haruka, -Solo vorrei fare ancora un po' di vacanza con te-, si passò una mano tra i capelli, aveva gli occhi rossi e l'espressione affaticata.

Setsuna prese aria: ci aveva a lungo riflettuto e non era ancora riuscita a trovare le parole per comunicare quanto era stato chiaro sia a lei che a Mercury dall'inizio della loro missione, eppure entrambe lo avevano taciuto. Era tardi, doveva in ogni caso fare in fretta.

-Devo parlarvi-, disse richiamando la loro attenzione, -Di una cosa molto seria-, specificò e le parve di scorgere un moto di disperazione negli occhi di Michiru.

-Senti, lo so che dobbiamo sbrigarci, ma lasciaci soltanto un altro po' di tempo-, Haruka iniziò a dare i primi segni di esasperazione.

Era difficile…

 

-Non dovete sbrigarvi, dovete solo ascoltarmi e scegliere-, prese le mani delle ragazze tra le sue, era difficile…

-Il mondo a cui pensate di tornare non esiste più. In questa dimensione voi due siete altre persone, esistete in un altro luogo nelle vostre coscienze che sono sempre appartenute a questo mondo: qua voi siete due paradossi spazio-dimensionali-, fece una pausa, Haruka deglutì, intuendo quello che avrebbe seguito.

-Non potete rimanere qua e rischiare di incontrare i vostri doppi, ma se tornerete indietro, cesserete di esistere, così come sono scomparse tutte le altre e la vostra coscienza si riunirà a quella di Haruka e Michiru di questa dimensione. Dimenticherete tutto, sarà un salto nel buio che dovrete affrontare consapevolmente-. 

Abbassò la testa: stava dicendo loro che sarebbero scomparse. Aveva appena detto che le loro vite erano state buttate via.

Haruka fece un ghigno, lanciò un'occhiata fugace a Michiru, -E se rimanessimo, cosa accadrebbe?-

-Non dovreste mai incontrare le vostre copie, dovreste vivere con un'altra identità per non essere mai correlate a loro, ignorare la loro esistenza e non cercare mai di interferire nelle loro vite. Dovreste diventare dei fantasmi, altre persone-, stava proponendo loro di scomparire oppure morire.

Michiru strinse la mano ad Haruka, uno sguardo d'intesa bastò. -Se ce ne andassimo adesso, vento e mare si placherebbero e la parentesi rosa per i nostri sovrani terminerebbe: non vuoi essere certa che quello che abbiamo fatto insieme venga ben cementato, per il futuro, intendo?-, domandò con furbizia la guerriera del mare.

Setsuna sorrise abbassando la testa e annuì.

-Promettete che cercherete in ogni modo di non interferire con i vostri doppi, che dimenticherete di essere mai state Guerriere Sailor, che vi limiterete a osservare il tempo che scorre, finché non verrà la vostra ora.-

Invecchiare placidamente insieme, dopo una vita in sordina, dimenticando i fasti dei concerti, l'adrenalina in gara, la pubblica piazza, rinunciare a essere Haruka e Michiru, per rimanere insieme fino alla fine.

-Abbiamo già fatto questa scelta quando ci siamo inchinate per ricevere l'upgrade, ricordi?-, domandò Michiru.

Haruka non rispose, prese la sua penna magica e la consegnò a Pluto. Michiru la imitò.

-Lasciaci soltanto la Penna Lunare per cambiare aspetto, oppure fai in modo che non avremo bisogno di farci notare per riuscire a vivere in questo mondo-, chiese semplicemente.

Setsuna aprì la sua borsetta ed estrasse qualcosa di meglio della Penna Lunare.

-È una carta di credito con risorse illimitate, ma non rammollitevi troppo-, le mise in guardia, -Chissà, potrei tornare a trovarvi in futuro…-

Haruka e Michiru annuirono e la ringraziarono.

 

-Adesso devo andare-, comunicò Pluto alle colleghe e si trasformò.

-Un istante…-, Haruka la fermò, corse fuori in giardino e tornò con qualcosa tra le mani; -Quando andrai dalla Regina, per favore dalle questo-, le consegnò un fiore, un piccolo fiore di gardenia polposo e bianco.

Pluto annuì, afferrò una delle sue chiavi del tempo e, senza troppi convenevoli, sparì in un vortice interdimensionale.

Michiru si avvicinò alla sua compagna e posò l'orecchio sul suo petto, lasciandosi cingere in un molle abbraccio.


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Serenity stava perdendo la pazienza. Aveva radunato soltanto tre delle sue guerriere Sailor e la famiglia Gurio, che gentilmente aveva portato con sé anche Piccola Lady. Le fu spiegato che Mars stava facendo un sopralluogo veloce al tempio e Jupiter si era persa da qualche parte col Generale e la loro bambina. Sarebbero arrivate, d'accordo, ma non poteva aspettare in eterno!

 

Endymion si trovava in una sala poco distante, sedeva con la testa tra le mani: aveva avuto una strana sensazione, come di non appartenere affatto a quel mondo. Era stato solo per un un istante, ma l'aveva attanagliato allo stomaco. Chi era lui? Yataro Komiichi?

Robert Hessen? 

 

Etienne Labardou? 

 

Hitoshi Shinka? 


Mamoru Chiba?


Si sentiva parte di ciascuno di queste identità e di molte altre ancora; per ciascuna di esse aveva avuto un fulmineo ricordo: un diploma, una gara di corsa, il trentesimo compleanno, una chiesa e una sposa, un incidente in auto, un viaggio nello spazio, un tuffo da una scogliera.

Ma chi era veramente lui?

Chi era Endymion?

 

Il movimento della porta che si aprì lentamente lo distolse dai suoi pensieri, vide apparire una testa rosa, -Papà, sei qui?-, la vocina di Chibiusa lo riportò in un attimo alla sua realtà.

-Eccomi, arrivo Testolina Buffa!-, un battito di ciglia, uno più forte del cuore. 

 

Testolina Buffa… 

 

Era a quel mondo che apparteneva, al fianco di Usagi da tempo immemore e poi insieme alla loro bambina. Si diede dello sciocco per aver avuto pensieri strani, prese la spada e raggiunse le sue donne, nella sala Grande. 


-Dunque, contiamoci-, la Regina Serenity, alle volte, tirava fuori lati di sé persi nel suo passato. Il marito sorrise, così come la sua prima Dama. 

-Mars e Jupiter finalmente sono arrivate, c'è Saturn, Mercury, Venus, dov'è il Generale? Ah eccolo-, si guardò attorno, ne mancavano almeno altre tre.

 

Ora si arrabbia…

 

-Pluto a rapporto!-, strillò Serenity stringendo i pugni, Endymion pensò che mancava solo che battesse i piedi e avrebbe ripreso a chiamarla col suo nome di battesimo per almeno altri cento anni.

Evidentemente il suo richiamo aveva funzionato: davanti a loro si aprì un varco spazio temporale e apparve davanti a loro Sailor Pluto. 

-Oh finalmente!-, esclamò Serenity, raddrizzandosi la corona, che le era scivolata sulla fronte; -Si può sapere dove eri finita? O quando…-, domandò leggermente piccata, ma non attese la risposta.

-Bene, adesso dobbiamo trovare solo Uranus e Neptune e-

-Non verranno-, Pluto abbassò gli occhi, in contrasto con il tono netto di voce che aveva usato. I più attenti avrebbero potuto notare quasi un cedimento nella sua composta posizione, ma la Guardiana della Porta del Tempo non mosse altri muscoli.

-Come 'non verranno'?-, la Regina la guardò esterrefatta, -Al termine dei festeggiamenti dobbiamo iniziare una nuova Ricerca!-, osservò, domandandosi se l'assenza del vento e del mare avrebbe diminuito troppo il potenziale del suo cristallo d'argento durante “La Ricerca”. 

-Loro sono… Ecco…-, Pluto scavò tra le sue sinapsi in cerca di una definizione che non fosse troppo compromettente per le sue compagne; eppure stava sbagliando tutto, lo sapeva, ma non le importava.

-Hanno portato a termine una missione e adesso sono in… ricognizione… per accertarsi che tutto sia sotto controllo.- Sì, poteva andare bene. Non erano loro due quelle attese, eppure se fossero state loro le cose sarebbero andate più facilmente, ne era consapevole, per questo si riferì a loro, ignorando la possibile esistenza dei loro doppi. Qualcosa le diceva che le cose erano andate diversamente in quella dimensione a cui era approdata.

Serenity si rabbuiò per un istante, aveva mandato le due outers insieme in missione, per caso? C'era qualcosa che non le tornava. Non sarebbe stata la prima volta che quelle due prendevano iniziative personali. 

Di Pluto, invece, si fidava ciecamente, lei non avrebbe mai fatto qualcosa che non fosse del tutto logica o indispensabile. Eppure anche Saturn le era parsa strana, solo poco prima, e molto vaga nel rispondere alle domande su dove fossero le guerriere mancanti. Si scambiò un'occhiata rapida con Endymion, ma lui alzò le sopracciglia scuotendo impercettibilmente la testa: non ne sapeva nulla.

-Questa missione era indispensabile?-, chiese in tono asciutto.

Pluto alzò lo sguardo su di lei, i suoi occhi fiammeggiavano: -Era imprescindibile-, rispose con lo stesso tono. Intraprese con la Regina un duello di sguardi, ma fu la prima a cedere e a parlare.

-Uranus mi ha detto di darti questo-, aprì la mano in cui custodiva il fiore che Haruka le aveva chiesto di consegnare alla Regina.

Serenity lo osservò, allungò il braccio e lo prese tra le dita sottili: aveva petali vellutati e il suo profumo, ormai non più possibile da annusare in quel mondo che dormiva sotto una coltre di ghiaccio, le riportò d'un tratto alla mente una spiaggia bianca e un gruppo vociante di adolescenti; due moto, capelli al vento e un ragazzo che l'aveva baciata. 

Il suo cuore rallentò, un brivido percorse la schiena nuda.

 

-Haruki-San-, mormorò e guardò una a una tutte le persone che erano state con lei, in una calda settimana di luglio di un tempo perduto, su un'isola che non esisteva più.


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Motoki attese che i suoi compagni uscissero dal salotto, quando vide che anche Mamoru se ne stava andando, lo chiamò e gli fece capire di seguirlo in un luogo più appartato.

-Allora, come devo chiamarti adesso?-, gli domandò incrociando le braccia al petto, -Mamoru, Tuxedo Kamen, Endymion, vostra maestà…?-, simulò un inchino e si pentì immediatamente. Era nervoso, sommerso da troppe informazioni di una gravità pazzesca e forse era parso perfino invidioso del suo amico. Eppure su qualcosa di aveva visto più lungo di tutti, presenti e futuri: in quella vacanza Mamoru doveva rendersi conto che in fondo in fondo era innamorato di quella biondina a cui dava il tormento. E così era stato, non proprio come lui se lo sarebbe immaginato, ma insomma, in qualche modo era successo.

-Dai, Furu…-, Mamoru si passò una mano tra i capelli, -Sono sorpreso e incredulo quanto te per tutto quello che ci hanno detto quelle tre-, ammise, ma gli brillavano gli occhi, -E poi vuoi la verità?-, allargò le braccia e sorrise, -Non me ne importa niente! Non mi importa niente di aver finalmente dato un senso ai miei incubi e anche a tutto quello schifo di inadeguatezza che mi trascino dietro da quando ho memoria, come se tutta la mia vita dipendesse dal sapere o meno cosa mancasse nel mio cervello per potermi considerare tranquillo! Niente! Ho aspettato e immaginato il momento in cui tutto mi fosse stato chiaro così a lungo che adesso, che ho compreso il mio passato, non me ne importa più niente!-, sorrise, scuotendo la testa a realizzare l'ovvio. -E non mi importa niente neanche di quello che ci hanno detto che avverrà in futuro. Che me ne importa del futuro quando ancora devo realizzare quello che ho nel presente!?-, mise entrambe le mani sulle spalle dell'amico, -E credo che sia soprattutto grazie a te se ho capito in tempo quello mi stavo perdendo-.

Motoki gli sorrise, poteva capire come si sentisse l'amico. Si sedette sul dondolo, Mamoru lo imitò mettendosi vicino a lui.

-Tu, piuttosto… alla fine avevo ragione anch'io che ti serviva una Makoto per farti andar via lo sguardo triste!-, gli mise una mano sulla spalla.

-Sì, avevi ragione. E pensare che Makoto l'avevo sempre vista come una sorella…-

-Ti capisco… e anch'io Usagi. Cioè, non come una sorella, ma come una ragazzina che mi trovavo sempre tra i piedi senza nessuna particolarità se non quella di fare uscire il cattivo ragazzo che era in me.-

Motoki si scostò per guardarlo, aveva un sorriso strafottente dipinto in viso, -Ma non dire fesserie! Era da un pezzo che io l'avevo capito! E cosa ti dicevo? "Chi disprezza, compra!"-, gli assestò una gomitata nel fianco, -Usagi è pasticciona, d'accordo, ma se avessi voluto avresti potuto essere così odioso anche con le altre! Voglio dire… Rei sembra uno squalo! Non sai quante volte io avrei voluto dirle di darsi una calmata, oppure a Ami che si divertisse un po' di più, perché la vita è una! Basta con quei libri di fisica, astrofisica e astrononsoché! E che dire di Minako… lei sembra pensare solo ad accalappiare qualcuno o ad apparire!-, fece una pausa. Si sgonfiò come un palloncino, -È che in fondo non conosciamo davvero qualcuno finché non ci mettiamo nei suoi panni e scopriamo quello che nasconde davvero sotto la sua buccia…-

Mamoru non poté che confermare: -Ho sempre provato un sottile piacere nel vedere Usagi nel momento in cui è prossima a scoppiare, l'ho sempre trovata adorabile-, ci pensò un attimo, -È che lei tira fuori un'energia che a me manca. Io la innesco e lei si accende come una fiamma. E quella fiamma mi fa sentire vivo-.

Sospirò.

-Non ti ho mai visto con una ragazza, mi ci devo abituare-, ammise Motoki, -In realtà mi devo abituare anche al fatto che sia tu il misterioso Tuxedo Kamen… ma com'è possibile? Ho visto Makoto trasformarsi, ha una specie di bacchetta magica e…-

-Non ho bacchette magiche!-, mise le mani avanti Mamoru, -In realtà all'inizio succedeva e basta. Mi veniva un mal di testa fulmineo e lancinante e poi il vuoto. Quando mi riprendevo, ero altrove e mancavano minuti alla mia memoria. Sono andato anche a farmi una TAC, avevo paura di avere qualcosa che non andasse al cervello…-, confessò. Poi un giorno ho preso coscienza di quello che mi succedeva e ho capito che sentivo l'impulso a diventare Tuxedo Kamen quando Sailor Moon era in pericolo e allora ho imparato a dominarlo e gestirlo. A volte mi sono trasformato anche se non c'era effettiva necessità, lo facevo solo perché sentivo il bisogno di vederla. Ho capito di essere attratto da lei quasi subito, poi quell'attrazione si è trasformata in senso di protezione e poi… mi sono innamorato. Quando ho capito che anche lei provava per me qualcosa che andava oltre l'attrazione verso un personaggio misterioso… beh, ci siamo baciati ed è stato il momento più bello che avessi mai vissuto fino ad allora-, guardò per terra, l'erba stava iniziando ad essere illuminata dai primi raggi del sole.

-Capisci perché ti ho detto che non potevo semplicemente 'innamorarmi' di Usagi?-, guardò di sottecchi l'amico.

-Perché eri già innamorato di lei-, era proprio così, ma appariva più semplice di quello che potesse sembrare.

-Non è tutto-, Mamoru continuò, d'un tratto più serio -Io le ho fatto del male, l'ho ferita con una rosa, ho rischiato di ucciderla. Non sono mai riuscito a perdonarmelo, mi sono costretto a stare lontano da lei, pensavo che provasse rancore per quel mio errore-, faceva ancora male ripensare a quel momento, quando l'aveva vista cadere giù e il sangue usciva a fiotti dalla ferita.

-Una rosa!?-, Motoki non capiva, -come può una rosa uccidere?-

Mamoru chiuse gli occhi e sospirò, non pensava che sarebbe mai arrivato un momento del genere. Strusciò i polpastrelli delle dita sul palmo della mano e apparve dal nulla una rosa scarlatta, in un gesto repentino la afferrò e la scagliò con forza verso una palma del giardino, conficcandola nel tronco per diversi centimetri. Guardò il volto attonito dell'amico, d'un tratto spaventato da chi credeva di conoscere nella sua piatta monotonia.

-Ecco come può-, disse, -La cicatrice che hai visto sul petto di Usagi l'ho causata io con una maledetta rosa-, nei suoi occhi la paura di un giudizio che l'avrebbe condannato di nuovo al pentimento. Distolse lo sguardo e allargò la mano in direzione del fiore: la rosa che aveva scagliata scomparve, ma sul tronco della palma era evidente il foro che aveva lasciato.

Motoki non disse niente, posò la mano su quella di Mamoru in cui pochi istanti prima si era materializzato il fiore e gli sorrise. Aspettò che l'amico si levasse dalla testa quelle immagini e non gli chiese altro.

-Dai, adesso andiamo, il mattino ha l'oro in bocca-, gli disse e si alzò per raggiungere gli altri che avevano avuto in dono una giornata in più di vacanza. Si accertò che Mamoru fosse riuscito a scacciare dalla sua mente i nuvoloni che avevano rabbuiato un importante nuovo traguardo e andò a cercare Makoto. In fondo erano stati in due a pugnalare al cuore le ragazze con cui finalmente avevano scelto di accompagnarsi, Mamoru fisicamente, lui accorgendosi di Makoto solo averla fatta soffrire di gelosia trattandola come una ragazzina.

 

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Usagi si era chiusa nel bagno con Ami, ormai sembrava essere diventata la sua confidente nei momenti di crisi. Aveva realizzato che Motoki sapeva tutto di loro e in qualche modo si sentiva in colpa nei confronti di Naru, per averle taciuto la sua identità così a lungo. Ami non seppe darle un consiglio univoco su quale fosse la scelta migliore da fare, se rivelare alla ragazza il suo segreto oppure tacere e lasciare che la loro fosse una normale amicizia tra adolescenti, ma le diede la forza di analizzare in modo preciso i pro e i contro di quella decisione.

L'acqua scorreva nel lavandino e Ami, un po' per evitare ulteriori sprechi, un po' per esorcizzare il sottile panico che l'aveva colpita nel momento in cui aveva realizzato che i suoi programmi di studio sarebbero saltati, aveva messo in pratica il motto 'Carpe Diem' e aveva deciso di divertirsi al mare con le amiche. Per questo disse a Usagi che avrebbe dovuto fare un fretta a prepararsi per uscire in spiaggia, chiudendo il discorso che l'aveva fatta riflettere sulla ben celata maturità ed empatia di Usagi nei confronti delle persone a cui teneva.

L'amica le aveva domandato anche se ritenesse che Rei avesse fatto una buona scelta, arrendendosi alle preghiere di Yuichiro e aveva detto "in fondo quei due si amano fin dal primo momento che si sono visti, solo che Rei era troppo orgogliosa per ammettere che aveva donato un pezzetto del suo cuore a un'altra persona", e Ami aveva trovato quella definizione più che calzante.

In amore non doveva contare l'orgoglio o l'imbarazzo, ma solo una profonda fiducia reciproca, come aveva fatto Makoto. Si convinse che non avrebbe mai dovuto affrontare il problema, perché in fondo nessuno l'avrebbe mai avvicinata, spaventato dalla sua ossessione per la conoscenza e la dedizione monacale allo studio, scosse la testa e andò a prepararsi.

E invece anche Ami avrebbe sentito battere forte il suo cuore per qualcuno che le avrebbe fatto dimenticare per un po' i suoi doveri auto imposti; quel qualcuno si chiamava Kenzo ed era stato tutta la notte a domandarsi come fosse possibile che la sera prima si fosse sentito così a suo agio con una secchiona poco appariscente come lei. Si era ripromesso che lo avrebbe scoperto cercandola a Tokyo, ma quella giornata di mare in più avrebbe saputo come sfruttarla.

 

Minako uscì dal bagno e si diresse verso il suo zaino per rimettere a posto le cose che aveva usato: quella mattina aveva deciso di giocarsi il tutto per tutto. La paladina dell'amore, la guerriera che doveva i suoi poteri a un pianeta chiamato Venere, non aveva mai baciato nessuno: lei non era una che rimuginava sul valore del primo bacio, voleva solo entrare nel mondo dell'amore, sentire il cuore esplodere l'attimo prima di placarsi e prendersi quel benedetto bacio che sarebbe stato il primo di una lunga serie. Il suo potere era accompagnato da un dono che non l'abbandonava mai, nemmeno quando non era trasformata: riuscire a percepire i moti del cuore di due innamorati anche prima che essi lo comprendessero. Era il suo segreto: non lo aveva mai rivelato a nessuno e mai si era lasciata scappare informazioni su quello che sapeva di tutti i suoi conoscenti.

Che Rei amasse Yuichiro? Lo sapeva da sempre. Era abituata al rapido accelerare del cuore della ragazza, sapeva cosa volesse dire, ma non glielo aveva mai rivelato, perché lei poteva solo osservarlo, l'amore, non annunciarlo: qualcosa sarebbe cambiato. 

E Motoki? Aveva vacillato per un po', chiedendosi se davvero quel cuore ferito che lui cercava di nascondere dietro tranquillità e sorrisi fosse in subbuglio per la placida Ami o la splendida Makoto, ma non aveva avuto dubbi nel vederli tutti e tre distesi nello stesso letto, due notti prima. Il battito ha una direzione? Si era domandata, ma la risposta era nel ritmo, che andava perfettamente in sintonia con quello di Makoto, mentre Ami era tranquilla nel suo sonno.

Sapeva anche che Usagi non aveva mai davvero provato nulla per Haruki, in quel momento le pareva ovvio il perché, eppure la sua amica si era voluta lasciar trascinare in quell'inconveniente con lui. Lei. Insomma, il cuore puro di Usagi batteva soltanto per il suo baka, Minako aveva imparato a distinguere le melodie dei battiti, le rapide accelerate e i colpi più profondi. Era stata invidiosa, per un po' l'aveva ignorata perché a lei, quel genere di melodia scritta per due strumenti così perfettamente in sintonia non era mai capitato di provarla. Con Usagi e Mamoru non c'era stata storia: se avesse scommesso che lui fosse Tuxedo Kamen, avrebbe anche vinto, perché quel ritmo così speciale apparteneva solo a loro due e lei lo riusciva a percepire anche in battaglia, quando Mamoru non avrebbe dovuto esserci.

Sospirò. Il suo cuore rallentò, chiuse gli occhi e si ripromise di trovare la sua melodia il prima possibile.

 

-È permesso?-, Hiro comparve sulla porta di camera sua, Minako sussultò.

-Signorina, la sua carrozza la sta aspettando per andare al mare-, riferì in un inchino furbetto e il cuore di Minako fece una capriola.


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Un leggero brusio si sollevò e si spense all'arrivo di Sailor Neptune: indossava un mantello color del mare in tempesta sopra la sua divisa Sailor e portava i capelli raccolti in un disordinato chignon. Avevail trucco pesante un po’ sciolto ai lati degli occhi e l'espressione seccata, come fosse stata costretta ad essere lì.

Pluto aggrottò le sopracciglia, vedendola arrivare, ma subito realizzò che non si trattava della stessa persona che aveva appena salutato in un'altra dimensione, bensì della Sailor Neptune che apparteneva a quell'universo che lei non era mai riuscita a osservare. Si accorse della perplessità che colse per un istante anche la sua Regina, la vide imitare la sua espressione e un attimo dopo scuotere lievemente il capo, come a scacciare un pensiero strano che l'aveva colta.

-Dov'è Uranus-, domandò Pluto alla nuova arrivata. 

-E che ne so!-, rispose lei, -Non la vedo dall'ultima Ricerca e francamente non ne sento la mancanza-.

-Sforzatevi di mantenere l'Armonia, stavolta, ti prego-, le chiese sottovoce Serenity, aveva appoggiato la gardenia su un tavolo e pareva assalita da un improvviso malessere. 

-Stai tranquilla-, il Re fu lesto al suo fianco, la Regina trasalì di nuovo e piantò lo sguardo sulla Guardiana di Nettuno. Le cose non erano andate nel verso giusto, ma qual era il verso giusto che lei si aspettava? Non sapeva rispondere per prima alla sua stessa domanda, qualcosa le sfuggiva, la sua memoria stava facendo cilecca, creando e disfacendo ricordi, facendole immaginare cose che non erano mai esistite nel suo passato.


-Sovrani… Colleghe… Buona sera-, si annunciò proprio l'ultima che mancava all’appello, Sailor Uranus, facendo il suo ingresso da una porta laterale e andando a mettersi accanto alla Guardiana della Porta del Tempo.

-Perdonate il ritardo, ero impegnata...-, a Pluto parve di sentire un forte profumo femminile di cui era impregnata, più essenze mischiate, odori di pelli e carni differenti ancora attaccati a lei.

Uranus fece scorrere il suo sguardo su tutti i presenti, lentamente mutò espressione, come se ogni dettaglio che stesse osservando non fosse al posto giusto e la confusione stesse investendo anche lei. Fermò gli occhi su Neptune, li spalancò in un moto di sorpresa, tese il suo corpo nella sua direzione, poi si bloccò.

Le cose non erano come Pluto se le sarebbe immaginate, ma aveva avuto solo pochi minuti per farsi un'idea precisa di cosa stesse osservando: la realtà stava mutando, proprio in quegli attimi, segno che nel passato stavano avvenendo interferenze di cui lei non era a conoscenza. 

Chiuse gli occhi e inspirò, cercando di usare quel potere che le permetteva di guardare il mondo come se fosse stato un reticolo tracciato tra lo spazio e il tempo. Lei poteva vedere le increspature su questo reticolo propagarsi e poi attenuarsi, oppure amplificarsi fino a spezzarlo, creando altri reticoli, altre dimensioni parallele. 

Quello che era accaduto durante l’eclisse lo aveva scoperto proprio in quel modo: il reticolo si era piegato come se vi fosse caduta sopra una palla e l’avesse fatto crollare su un altro piano reticolare. Adesso quel nuovo reticolo stava vibrando, si modificava a causa di qualcosa che continuava ad avvenire nel passato. Avrebbe dovuto attendere finché tutto fosse stato immobile. In fondo era stata lei a lanciare per prima la palla che aveva smosso tutte le altre sul tavolo da biliardo delle loro esistenze.

 

-Bene, possiamo andare-, stabilì Serenity e precedette il gruppo uscendo dalla sala, al fianco del consorte e scendendo tra la folla acclamante.

La gardenia rimase lì, un attimo dopo Piccola Lady tornò sui suoi passi, la prese e raggiunse rapidamente sua madre.

 

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Capitolo 26
*** Capitolo 25 ***


Capitolo 25
L’ultima spiaggia ,“La mia ragazza” & Nuovi Amori


Il giorno prima, montando in sella dietro Mamoru, Usagi aveva pensato che fosse l'ultima volta, si era stretta a lui in un modo che non poteva che lasciar trasparire quei sentimenti che solo la sua bocca si rifiutava di definire, eppure lo aveva fatto con la certezza di abbracciare un amico. Magari un amico prezioso, un amico di quelli che riuscivano a farla star bene e a suo agio eppure allo stesso tempo la facevano sentire come se fosse stata percorsa da una corrente elettrica che metteva in tensione ogni suo più piccolo muscolo. Aveva sentito un formicolio in ogni sua cellula, quasi una smania che l'aveva portata ad abbracciarlo ancora e a cercarlo, eppure senza arrendersi alla consapevolezza che quella sensazione aveva un nome preciso.

Quel nome era riuscito a pronunciarlo soltanto dopo che aveva scoperto la sua identità segreta, dopo che aveva temuto di perderlo, in qualche modo dopo che tutto era ormai cambiato.

Quella mattina, dopo aver parlato con Ami, aver ripreso un costume da bagno dallo zaino già pronto e preparata una piccola borsa con il telo ormai intriso di sabbia e sale e poche altre cose, Usagi aveva preso un bel respiro ed era scesa nel garage della Villa di Yuichiro. Mamoru era dove se lo aspettava: accanto alla Honda nera, con il casco posato sul sedile e il suo piccolo bagaglio legato al serbatoio. La guardava arrivare, come se non la vedesse da tutta la vita, eppure erano stati insieme solo fino a poco tempo prima. Attese che si avvicinasse a lui e si voltasse di spalle, in silenzio, quindi iniziò con lentezza a sciogliere i suoi capelli finché non ricaddero in una cascata d'oro tra le sue dita.
Le avrebbe passato il casco e inforcato la moto, se non fosse cambiato tutto tra loro. Invece scostò i capelli dalle spalle della ragazza e si chinò per posare un bacio sul suo collo. In silenzio, con lentezza, gustando ogni istante di lei.

Usagi inclinò il capo offrendo più pelle alle sue labbra e chiuse gli occhi. Avrebbe potuto morire lì e non avrebbe avuto rimpianti. 

-Dove vuoi andare?-, le domandò e il suono caldo e basso della sua voce le fece sciogliere l'anima in una scossa di consapevolezza che portava il nome del desiderio.

-A Ithogaya-, non aggiunse altro, il motivo era chiaro.

Se gli altri avessero voluto andare altrove, comunque loro due sarebbero tornati là. Era in quel posto che Usagi aveva per la prima volta guardato bene Mamoru e aveva provato una forte attrazione per lui. Mamoru era bello. Non c'erano altre parole per definire quello che aveva provato su quella spiaggia, dopo che l'aveva osservato da lontano senza occhi curiosi che spiassero ogni sua azione, pronti a fare commenti contro di lei.
Sembrava passato un secolo, eppure erano solo pochi giorni, ma evidentemente avevano estratto a forza dalle acque l'iceberg di cui lei fino allora aveva visto soltanto la punta. Era salita sul treno a Tokyo pensando che avrebbe dovuto sopportare un ragazzo borioso, vanitoso, maleducato, cinico per una settimana intera, ma nel profondo del suo cuore acciaccato per tutto quello che si agitava dentro, sapeva di aver bisogno di lui, perché solo nei momenti in cui quel ragazzo pieno di sé, inopportuno, fastidioso e petulante la pungolava o la faceva arrabbiare, lei riusciva a dimenticare ogni ferita e si sentiva viva. Mamoru era la sottile tortura di cui non avrebbe saputo fare a meno, il dolore alle tempie quando mordeva un ghiacciolo, prima che il sapore pervadesse i suoi sensi, l'acqua ghiacciata del mare che doveva per forza affrontare per poi sentirsi libera tra le onde, l'agonia dell'attesa, prima di rivederlo. Era immaginare l'odore della sua pelle prima di avvicinarsi a lui, ricordare esattamente il colore dei suoi occhi al mattino o al tramonto e poi scoprire ogni volta una sfumatura nuova, era indovinare il battito del suo cuore, prima di posare l'orecchio sul suo petto.

Avrebbe voluto avere l'opportunità di dire in faccia a quel baka che lo amava prima che tutto fosse stato rivelato, perché era solo quella parte di lui che realmente le aveva rubato il cuore, litigio dopo litigio, battuta dopo battuta, abbraccio dopo abbraccio.

Attese che montasse sulla motocicletta e togliesse il cavalletto per fare manovra, quindi infilò il casco e montò dietro di lui.

-Ti amo, baka del mio cuore, che mi hai tenuta in vita quando passato e presente mi schiacciavano. Io amo te, Mamoru Chiba-, disse alle sue spalle e lo abbracciò.

Mamoru staccò la mano dalla frizione e la mise sulla sua, voltandosi appena perché sentisse la sua voce.

-E io amo te, Testolina Buffa pasticciona, inconcludente, golosa, perché hai dato un senso alla mia vita senza né passato né futuro-.

 

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Makoto aveva chiesto a Motoki di non andare alla stessa spiaggia dove sarebbero andati anche Usagi e Mamoru, anzi, di andare da qualunque altra parte avrebbero potuto essere da soli. In qualche modo le dava un leggero fastidio l'idea di mostrarsi in atteggiamenti intimi con lui. Primo: non era certa che Ami non avesse mai avuto interesse per il ragazzo, secondo: sapeva che Usagi lo aveva a lungo immaginato come suo fidanzato ideale e il fatto che avesse trovato l'amore in un altro non cancellava comunque il passato, terzo: perché lei stessa aveva ventilato di 'lasciarglielo', quarto: perché lo voleva tutto per sé.

Voleva finalmente lasciarsi un po' andare a quella dolce sensazione che aveva appena assaporato, voleva baciarlo e stringerlo a sé, voleva accertarsi che la sua non fosse solo infatuazione, ma vero amore. Si fermarono in una spiaggetta minuscola, partendo per primi: avevano concordato con Yuichiro che si sarebbero ritrovati a casa nel primo pomeriggio, ma loro avevano anche preso un mazzo di chiavi e avrebbero potuto tornare prima da soli…

Lo voleva tutto per sé e soltanto per sé.

Come scesero dallo scooter e arrivarono sui ciottoli dove stesero i teli da mare, gli si buttò al collo e si lasciò andare alla voglia liquida che aveva di lui e di sentirsi amata. Lo baciò come si baciano nei film, volle sentire il sapore della sua bocca, volle lasciarsi andare al battito furioso del suo cuore, volle che fosse chiaro che lei non era soltanto una guerriera sailor, ma una ragazza di sedici anni rinchiusa in un corpo da donna. Voleva che Motoki la vedesse come si vedeva lei quando, di nascosto, andava ai grandi magazzini e provava quegli abiti che una ragazzina non avrebbe dovuto neanche desiderare, a meno che non si chiamasse Minako Aino.

-Wow…-, Motoki ansimò staccandosi dalle sue labbra. Cavolo! Non immaginava che Makoto fosse così passionale, non dopo averla sempre vista in un'altra veste, non dopo che…

Si gettò di nuovo sulla sua bocca con un'ansia che non ricordava di aver mai provato neanche con Reika, la strinse a sé, lasciò che i suoi vent'anni dessero libero sfogo annullando il suo cervello da eterno 'ragazzo per bene'.

-Andiamo a fare il bagno-, le disse rosso in viso e le prese una mano per tirarla verso il mare.

-Aspetta-, Makoto indossò un sorriso obliquo, -Prima dobbiamo mettere la crema e, oh! non ci sono le mie amiche per aiutarmi…-, si distese a pancia in giù sull'asciugamano e slacciò il bikini.

 

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Rei borbottava tra sé e sé sul tuk tuk che la sballottava come un sacco di patate: perché non aveva potuto fare anche lei come Makoto, che si era staccata dal gruppo per la sua fuga d'amore, o come Usagi, che nessuno aveva osato seguire sulla spiaggia protetta dai venti, a sud dell'isola? 

Yuichiro accostò indicando a Hiro e Kenzo la strada per quella nuova cala mai esplorata, -Vado a fare benzina e vi raggiungiamo-, annunciò; guardò a destra e sinistra e fece inversione, tornando sulla strada principale. Rei sbuffò: ci mancava anche di dover fare benzina, così sarebbero pure arrivati tardi e gli altri avrebbero preso i posti migliori, oppure non avrebbero trovato proprio posto per stendere i loro teli, dal momento che…

"Aspetta, ma questa è la strada per la sua spiaggia", notò quando Yuichiro passò oltre il distributore e svoltò nella stessa stradina stretta e sterrata da cui erano già passati il giorno prima. Prima il suo cuore accelerò, poi si accorse che il ragazzo la guardava di sottecchi con un sorriso complice e allora fu certa di non aver sbagliato.

Ommamma! Certo, lei era abituata a stare da sola con Yuichiro, in fondo vivevano da almeno due anni sotto lo stesso tetto, ma non aveva mai pensato a quel fatto come a qualcosa di interessante o sconveniente… quella sarebbe stata la prima volta che loro due si sarebbero trovati veramente da soli da quando… da quando… insomma…

-Spero che non ti dispiaccia-, le disse Yuichiro fermando il tuk tuk al lato della strada, un po' nascosto tra i cespugli, -È che avevo piacere di tornare un'ultima volta qua, con te-, le disse con occhi grandi e pieni di speranza, che Rei non potè che arrendersi al sorriso che gli fece.

-No, non mi dispiace-, gli rispose. Non le dispiaceva passare un po' di tempo da sola con lui, non le dispiaceva cogliere l'occasione per parlare un po' e conoscerlo meglio di quanto non avesse fatto in tutti gli anni in cui lui era stato al tempio. Non le dispiaceva affatto, anzi, aveva piacere di accogliere, almeno per l'ultimo breve periodo di quella parentesi inattesa della sua vita, tutto quello che poteva del ragazzo che non aveva mai compreso. Era scattato qualcosa dentro di lei, nell'attimo in cui lui era saltato giù dal trabiccolo che li aveva portati fin là e Yuichiro le aveva porto la mano per aiutarla a scendere, che inspiegabilmente non riusciva a tenere a freno. 

-Devo confessarti una cosa-, gli disse guardando in basso come le ruote del tuk tuk avevano creato una traccia nella terra sottile. Sentiva gli occhi del giovane su di sé, non aveva bisogno che lui le dicesse di proseguire; -Non avevo mai baciato nessun altro, prima di te-, pronunciò tutto d'un fiato, come se si fosse trattato di un'ammissione di reato.

Yuichiro sorrise, il suo sguardo brillò per un istante. Lo sapeva già, perché le labbra di Rei sulle sue erano state quanto di più tenero avesse mai potuto immaginare. Aveva tremato, quella notte in mansarda, era stata insicura, forse per la prima volta da quando la conosceva, si erano posate serrate sulle sue, quasi fosse stata una bambina al primo assaggio di un nuovo gusto di gelato e piano piano si erano dischiuse comprendendo che quel gelato le piaceva proprio. Almeno questo era quello che Yuichiro aveva sperato. Tra tutte le possibili circostanze in cui sarebbe potuta finire la sua storia neonata con Rei, l'unica che non avrebbe potuto accettare sarebbe stata quella di rappresentare per lei una sorta di 'nave scuola'. Lui l'amava e non perché appena l'aveva vista il suo cuore si era fermato e si era sentito travolgere dalla furia di un uragano, non perché Rei era indiscutibilmente bella, ma perché aveva iniziato a riconoscere dietro ogni suo palesato astio, oltre gli sguardi severi e le espressioni feroci, un modo per forzare se stessa a nascondere la grande bontà d'animo che aveva e che, diversamente, avrebbe dimostrato in ogni istante della sua esistenza, rendendola vulnerabile agli occhi degli altri.

-Sei pentita?-, le domandò tranquillo come il mare in bonaccia e la volle guardare dritta nell'anima.

-No-, proprio dalla sua anima provenne la risposta che voleva sentire, -Ma vorrei che quando torneremo a Tokyo riuscissimo a tenere nascosta questa cosa, per un po'-.

Yuichiro si rabbuiò: Rei lo aveva appena colpito al petto con una fucilata. Quindi quello che pensava era vero: si vergognava di lui. Strinse le mascelle sforzandosi di non dare troppo a vedere la sua delusione.

-Voglio poter stare con te senza che altri occhi ci vedano e altre voci ne parlino, voglio essere libera come sono adesso di sorprenderti quando meno te lo aspetti, così-, lo afferrò per la maglietta e lo tirò a sé, baciandolo con un ardore che, decisamente no, non era da ragazza inesperta. 

Quando si staccò da lui aveva le stelle negli occhi: -Parlami ancora di te, Yuichiro-, gli chiese.

Lui parlò, parlò come un fiume, le raccontò di quando era bambino e del rapporto con la sua famiglia, della sua infanzia protetta e ovattata, gli disse che aveva chiesto di andare in una scuola superiore pubblica, per conoscere delle persone vere e in quel momento c'era stata la prima rottura con la sua famiglia. Ma quando il suo rendimento aveva iniziato a calare, suo padre aveva preteso che si trasferisse in un'altra città, un'altra scuola, stavolta decisa da lui. Era stato allora, in mezzo alla crème di altri giovani di buona famiglia, che per soccombere ai pregiudizi, lui che non voleva apparire, si era messo a gareggiare nel club dei motori della scuola e, con suo stupore, aveva scoperto di essere bravo. Poi aveva provato anche altri sport ed era risultato sempre in testa alle classifiche. Suo padre aveva chiuso un occhio sul suo rendimento e aveva pensato che, in fondo, anche avere un figlio atleta e asso nei motori poteva andargli bene, così aveva costretto la sorella più grande a lasciare il suo percorso artistico e l'aveva dirottata su grafici e numeri per formarla come mente della famiglia, che lo avrebbe succeduto nella sostanza dei suoi affari: Yuichiro sarebbe stato il frontman e lei il suo cervello segreto. Ma anche questa scelta non era andata bene al ragazzo: se era bravo in qualcosa avrebbe fatto quello, lasciando alla sorella fatiche e meriti economici. -Alla fine delle scuole superiori ero il ragazzo più popolare della scuola, io…-, abbassò lo sguardo, non poteva pensare a quello che aveva fatto.

-Eri conteso dalle ragazze, immagino-, Rei gli risparmiò la tortura di ammettere anche quella sua leggerezza. Annuì a capo basso; -Hai avuto molte ragazze, prima di… prima di arrivare da mio nonno?-, riprese all'ultimo la frase, che stava scivolando in qualcosa che nessuno dei due avrebbe sopportato. Yuichiro annuì di nuovo.

Rei però era orgogliosa, sì, ma anche estremamente curiosa e la sua curiosità la portò a farsi del male, -Fino a che punto ti sei spinto con loro?-, domandò tra i denti. Yuichiro non rispose, guardò il mare avanti a sé e provò l'impulso di scappare e rifugiarsi tra le onde placide.

-Cos'è successo?-, Rei insistette a pugni chiusi, Yuichiro sospirò e la guardò: -Si chiamava Emiko e voleva incastrarmi. Disse che era incinta di me, ma non era vero. Mio padre mi costrinse a fare un matrimonio riparatore. Per fortuna in breve tempo si chiarì tutto e lui fu il primo a rompere ogni accordo con la sua famiglia, ma per me diventò impossibile pensare di continuare a vivere in una casa dove altri potevano ancora pensare di decidere della mia vita fino a quel punto. Finite le superiori comunicai che sarei tornato a Tokyo per fare l'università statale e mio padre non lo accettò. Quando tornavo a casa mi guardava con disprezzo. Poi un bel giorno decisi che avrei mollato tutto, feci lo zaino, non tagliai più barba e capelli e iniziai a viaggiare da solo. Da Tokyo andai a Kyoto dove viveva mia sorella, le spiegai la situazione e lei mi dette la sua benedizione. Venni qua a Kakeroma a salutare le persone che mi avevano accudito fin da piccolo e ripresi il treno per Tokyo: ero pronto a scoprire tutto il mondo, ma… fui attratto dal suono delle campane di un tempio, in cima a una lunga scalinata bianca e mi fermai lì-.

Rei era sconvolta.

Perché gli aveva fatto quelle domande? Era già stato difficile accettare che il ragazzo che credeva di conoscere fosse quello che aveva scoperto alla Villa, tutte quelle informazioni erano troppe. Yuichiro aveva avuto così tante esperienze, tante cose che… oddio… 

-Tuo nonno sa tutto di me-, la stupì, -E sai che mi ha detto, quando gli ho raccontato che persona fossi?-, Rei rimase col fiato sospeso, il cervello non era in grado di elaborare altre informazioni di tale portata. -Mi ha detto: 'benvenuto al mio tempio, figliolo. Prenditi tutto il tempo che ti serve per meditare su cosa vuoi fare da grande-, stava sorridendo, -Mio padre non mi ha mai chiesto cosa avrei voluto fare, mi ha solo imposto la sua volontà. Però tuo nonno mi ha detto anche un'altra cosa: che da voi sarei stato libero di sentirmi come a casa mia, ma che non avrei mai dovuto alzare gli occhi su sua nipote…-

Strinse i denti allargando le labbra e… Ops… si portò una mano a grattarsi la nuca, -Hai ragione, è meglio non dire nulla a tuo nonno di quello che è successo qua…-, ma aveva paura che Rei scappasse da lui, una tremenda attanagliante paura.

Rei incrociò le braccia al petto e mise su un'espressione corrucciata. Che doveva fare con lui? Era un bravo ragazzo o no?

-Devo ancora decidere cosa sei: un imbranato cosmico, un super boy o un pervertito vagabondo?-, gli sparò in faccia. Ma lei cosa voleva? Chi voleva?

-Sono solo innamorato di te-, le rispose Yuichiro e avvicinò la mano alla sua, in una muta richiesta di sfiorarla.

Avrebbe potuto rispondere: "anch'io"?. Non ne era certa. Non prese la mano di Yuichiro e si voltò, entrando in mare. Aveva bisogno di riflettere.


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-Non verranno…-, Kenzo guardò un'ultima volta la strada oltre la spiaggia, concluse che potevano non aspettare il tuk tuk e tornò sul bagnasciuga. C'era Hiro con lui e sembrava silenzioso. -Chi ti ha morso la lingua, campione?-, gli domandò.

-Riflettevo-, ammise sovrappensiero; -Su cosa?-, ma forse la risposta la intuiva.

-Non so tu, ma io sono venuto in vacanza qua con sei ragazze perché pensavo che almeno una o due me le sarei fatte, magari Naru, perché no?-, un sorriso amaro si dipinse sul suo volto, -Ma poi… le ho conosciute, ho conosciuto meglio anche Naru e incredibilmente ho iniziato ad apprezzare perfino mio cugino. Loro sono… sono tutti speciali. Anche quel broccolo di Yuichiro, lo vedi come si è preoccupato perché avvertissimo a casa del nostro ritardo. Che poi tanto broccolo non deve essere, perché alla fine Rei si è messa con lui, e sto dicendo 'Rei': io non ci sono riuscito a farla cadere ai miei piedi… e dico 'io'! Insomma... mi sento inadeguato in mezzo a loro.-

Kenzo si voltò per incamminarsi verso i loro amici, - Anche io sto cambiando il mio punto di vista, ho constatato che non sono più così interessato a cose che finora ho sempre ritenuto essenziali. Sai no… tette, culi… queste cose qua…- 

Si guardarono negli occhi e scoppiarono a ridere, -Stiamo invecchiando, fratello! Stiamo diventando dei sentimentali!-

Poco prima di raggiungere gli altri, Kenzo parlò di nuovo, -Ma perché proprio Naru?-, il resto della frase era intuibile.

Hiro prese aria e passò davanti all'amico, -Perché sono sempre stato geloso dell'amore in cui ha vissuto Umino: anche i nostri nonni preferivano lui, lo chiamavano 'il nostro brutto anatroccolo preferito'. A me dicevano soltanto che dovevo fare il bravo o non mi avrebbero dato la merenda. E poi Naru mi piace, è gentile e molto carina-. Kenzo rifletté: tra i suoi fratelli, senza dubbio anche lui era stato la pecora nera della famiglia, pur non essendo il più piccolo, era quello che riceveva meno attenzioni. Eppure Motoki gli era sempre stato vicino, anche quando lui l'aveva pugnalato alle spalle soffiandogli la ragazza e Unazuki si era limitata a dirgli 'Io vorrei solo che entrambi foste felici'. Ma lo erano mai stati davvero?



 

In acqua Minako, Ami, Naru e Umino giocavano a pallone e sembravano divertirsi. Una ripresa maldestra fece finire la palla a largo e Ami prese aria e si immerse per recuperarla. 

"Non ce la farà mai", pensò Kenzo, ma la vide emergere afferrando il pallone da sotto l'acqua: Ami era una nuotatrice provetta, non solo una secchiona dal sorriso dolce.

-Aspettateci!-, gridò agli amici in acqua, attirò l'attenzione di Hiro e iniziò a correre verso di loro in un arcobaleno di schizzi.

 

La mattinata sarebbe stata lunga, dal momento che si erano svegliati tutti molto presto, ma non lunga a sufficienza per placare la malinconia che Naru sentiva dentro il cuore. Quel giorno in regalo che avevano avuto sicuramente non sarebbe bastato per accontentare la necessità che aveva di continuare a stare con il suo ragazzo lontano da casa, pensare solo a loro due, senza preoccuparsi per la scuola, gli orari degli autobus, la spesa da fare.

-Stiamo un po' da soli?-, domandò a Umino avvicinandosi a lui e il ragazzo non se lo fece ripetere; -Noi andiamo oltre quegli scogli-, annunciò ed entrambi sparirono. 

Minako guardò Ami, Hiro guardò Kenzo: rimanevano solo loro quattro e ciò poteva essere sia un bene che un male.

 

Minako si allontanò per immergersi del tutto in acqua e stare un po' a mollo. Le sembrava incredibile che lì il mare fosse così calmo, mentre a nord imperversava la bufera, erano stati proprio fortunati!

Aveva avvertito la necessità di Naru di stare un po' da sola con il suo ragazzo e  si era detta fortunata per non aver percepito i loro cuori nelle notti passate, perché le era bastato interpretare i loro sguardi per capire che quei due erano andati oltre quello che poteva trasparire dalla superficie.

Accidenti, si sentiva svuotata come un palloncino, aveva grandi aspettative per quella vacanza, si era portata un guardaroba da fare cadere ai suoi piedi tutti i ragazzi di Amami Ōshima, figurarsi di un isolotto piccolo come Kakeroma! Ma soprattutto, perché era quello il suo chiodo fisso? Non accettava di essere così schiava di pulsioni che neanche conosceva, quando erano avvenuti fatti di ben più grande caratura. Appena erano rimaste da sole quella notte, con le sue amiche aveva chiamato rapidamente Artemis per informare lui e Luna del fatto che avevano trovato la Principessa che cercavano da anni. Quando Luna aveva udito che si trattava di Usagi aveva emesso un lungo miagolio e poi non aveva più parlato. Artemis aveva chiuso rapidamente la chiamata, un po' perché sconvolto da tutte quelle rivelazioni, un po' per riflettere con la sua amica gatta su quel che avrebbe significato tutto ciò.

Usagi era la loro Principessa, d'accordo, ma soprattutto sarebbe divenuta la loro Regina e questo era qualcosa che il  cervello di Minako si rifiutava di realizzare. Usagi Regina… Impensabile. Una come lei che era sempre così sbadata, imbranata, infantile… eppure, Minako si trovò a constatare, Usagi era sbadata perché ne pensava troppe, mentre ne poteva realizzare solo una alla volta, era imbranata perché l'entusiasmo che metteva in ogni suo gesto andava oltre il normale dispendio di energie e la portava a confondersi, ma se solo fosse stata più attenta… Quella notte c'era stato un momento in cui non aveva riconosciuto la sua amica, era stato nel vederla quando era stata presentata loro come la futura Regina Serenity. Non era stato per la luna che aveva in fronte o per l'abito sontuoso e impalpabile, ma per la sua espressione. Sembrava essere pervasa da una consapevolezza e una potenza che non poteva essere umana, eppure era proprio lei, la Usagi pasticciona che le aveva guardate. Non era stata la prima volta che Minako aveva scorto dei bagliori di grandezza ben celati nello sguardo di Usagi, era avvenuto quando aveva confessato loro un passato che avevano dimenticato, l'aveva vista diversa anche quella mattina stessa, mentre si era avviata in silenzio e a mento alto verso il garage. Il cuore di Usagi, in quegli attimi aveva sempre battuto lento e profondo, era il battito dei potenti, il battito di chi sa quello che sta facendo.

Il suo cuore invece andava a singhiozzi, ormai Minako si era rassegnata. Camminò sul fondo sabbioso in cerchio, come una tigre in gabbia. Lei doveva saperne più di tutti sull'amore e invece, invece...

-Ho sbagliato tutto!-, esclamò ad alta voce, batté i pugni in acqua, prese aria e andò sotto con la testa, per raffreddarsi le idee. Quando riemerse, si accorse che a pochi metri da lei c'era Hiro. I capelli gli si erano appiccicati attorno al collo e la guardava incuriosito dai suoi strani gesti.

-Va tutto bene, biondina?-, domandò in tono dolce raggiungendola, ed entrando di nuovo in acqua, Minako si sentì avvampare per la vergogna, farfugliò qualcosa di incomprensibile e tutto a un tratto si fermò e guardò gli occhi chiari del ragazzo. Non seppe perché, ma provò l'impulso di sfogarsi e gli raccontò delle sue infantili speranze, delle aspettative che aveva e non si rese neanche conto di che sentiero scivoloso stesse prendendo quando disse che per lei quella vacanza era stata una delusione.

-Io speravo di trovare un ragazzo! Capisci!? Praticamente tutte le mie amiche sono partite da sole e torneranno in coppia e io… io…-

Una mano grande e bagnata fermò il suo viso rosso come un pomodoro, l'altra si posò sul suo fianco gocciolante e Hiro, senza chiedere il permesso né esitando, la baciò sulla bocca.

Prima di sentire il suo cuore accelerare ancora e ancora e ancora percepì quello del ragazzo, che galoppava al pari del suo. Non si oppose a quel bacio improvviso, né ci rifletté su, gli rispose soltanto, lasciando scivolare le braccia attorno al collo di Hiro e prendendo quello su cui aveva tanto rimuginato.

Le parole, i pensieri, le immagini che avrebbero dovuto attraversare la sua mente si dissolsero in mille scintille e sentì soltanto esplosioni di luci e colori nella testa e una forte scossa percorrerla da capo a piedi. Freddo, caldo, fuoco, ghiaccio, luce, sensi. Non pensò a nulla e lasciò che fosse il suo corpo a farsi tempio di quell'incredibile bombardamento di sensazioni che provò. 


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-Non ti sembra strano che mentre qui c'è il mare calmo, dall'altra parte dell'isola le navi non possano partire?-, Usagi si sollevò sui gomiti per osservare meglio la pelle abbronzata di Mamoru, steso supino accanto a lei. Il ragazzo aprì gli occhi abbagliati dal sole.

-In effetti, hai ragione-, constatò e con il dorso di un dito fece una carezza sul braccio di Usagi.

 

Avevano scelto un posto appartato dove sapevano che presto sarebbe venuta l'ombra creata dai grossi cespugli di oleandri rosa e bianchi. 

-Posso mettertela io?-, gli aveva domandato riferendosi alla crema solare e si era goduta il contatto con la pelle del suo ragazzo, così liscia e tonica. Lo aveva baciato in ogni angolo del petto e delle spalle, prima di far gocciolare l'unguento e spalmarlo con delicatezza. Si era sentita su una nuvola a contatto con il suo corpo caldo e muscoloso, aveva rivissuto echi di un passato mai avvenuto, quando era stesa su di lui in un prato di fiori. Quando era stato il suo turno e lui l'aveva imitata, posando lievi baci sulle sue spalle, a ciascuno di essi aveva provato un brivido di piacere. -Mamo, non ci credo che sei qui con me-, aveva sussurrato e lui le aveva risposto che provava lo stesso, ma che non avrebbe più perduto un attimo della sua vita in cerca di qualcosa che aveva già trovato: la felicità.

-Quando torneremo a Tokyo, cosa succederà?-, di nuovo quella domanda. Mamoru le aveva preso le mani, guardandola dritta negli occhi, aveva pensato un po' e poi sorriso.

-Se ci sarà bisogno, litigherò con tuo padre per farmi accettare nella tua vita-, aveva esordito sorprendendola, ma poi aveva raddrizzato il tiro, vedendo l'espressione di stupore sul suo viso, -Intendo che farò di tutto per fargli capire che ho intenzioni serie con te… cioè… non guardarmi in quel modo Usako, dai!-, riuscire a fare diventare Mamoru rosso come un peperone non era di certo un'impresa facile, ancora più inusuale era stato che il ragazzo avesse fatto tutto da solo.

 

Voglio poterti vedere tutti i giorni e passare del tempo con te, voglio che tu venga a casa mia ogni volta che ti andrà e uscire con te per portarti al parco, sulle barche a remi o al luna park. Voglio tornare qua, solo tu e io, e chiuderci in una stanza con una finestra sul mare per una settimana. Voglio sentire l'odore dei tuoi capelli appena lavati e quello della tua pelle al mattino, voglio dormire con te, tenerti stretta tutta la notte e fantasticare sulla tua pelle. Voglio prenderti in giro quando prenderai un altro brutto voto a scuola e consolarti con un gelato o pasticcini finché non ti sarà tornato il sorriso. Voglio combattere al tuo fianco, voglio tenerti tra le mie braccia mentre ti porto via da un mostro che verrà, voglio volare fino alla mia casa e vederti tornare per magia Usako. Voglio spogliarti con gli occhi e con le mani e voglio toccare la tua pelle. Voglio comprare un anello per te e infilartelo al dito, voglio sposarti e non doverti più dividere con nessuno, voglio stare per tutta la vita in un letto con te, finché non mi dirai basta, sono esausta! e poi baciarti ancora e ancora, finché il sapore delle tue labbra faccia parte di me.

-Mamo, non sono costretta a dire ai miei che ci sei tu nella mia vita, se sei così spaventato!-, lo aveva accarezzato e  negli occhi del ragazzo si era mostrato il panico: aveva parlato ad alta voce? Usagi conosceva quindi tutti i suoi pensieri? Alcuni non doveva neanche sospettare che lui li pensasse, non dopo così poco tempo che… Cavolo, era la sua ragazza solo da un giorno, anzi, meno, solo da qualche ora! E poi… Usagi era la sua ragazza? Doveva fare qualcosa che non aveva fatto per rendere la cosa più chiara?

Un dubbio sottile lo aveva preso allo stomaco, che intendeva Usagi con quella frase? Forse era il caso di formalizzare il loro rapporto.

-Usako, vorrei farti una domanda, ma non fraintendermi…-, come esordio non era stato il massimo, aveva cercato di raddrizzare il tiro, -Adesso noi… cioè tu e io…-, non aveva mai avuto una vera ragazza, cavolo quanto era imbranato!

-Sì, Mamo-Chan?-, il musino delicato di Usagi lo aveva guardato incuriosito.

-Tu… sei la mia ragazza, Usako?-, aveva chiuso gli occhi, non poteva immaginare quanto fosse ridicolo visto da fuori 

Usagi aveva alzato le sopracciglia, ma che domanda era? -Dimmelo tu, baka!-, gli aveva risposto senza alcun filtro, in fondo il loro rapporto era fatto all'ottanta per cento di prese in giro e offese.

-Ecco… no, era questo il punto… dopo che… Insomma… tu sei la mia ragazza?-, aveva ripetuto in un goffo tentativo di spiegarsi meglio. 

Com'era carino! Usagi si era divertita per qualche secondo a guardare il viso in preda al panico di Mamoru, rosso per l'imbarazzo e allo stesso tempo incapace di mettere a parole più chiare qualcosa che a lei era già limpido, quindi aveva deciso di terminare la sua agonia e di dirgli quello che pensava. -Dai miei ricordi e da quanto ci è stato rivelato, io sono stata in un passato lontano la tua amante e in futuro ci è stato detto che sarò tua moglie-, stava iniziando a diventare rossa anche lei, in effetti l'argomento era più complicato a parole che non affrontandolo con i fatti, -Io penso di potermi definire 'la tua ragazza', ma in effetti non sono sicura che funzioni così-, aveva deciso di giocare con lui e torturarlo perché tirasse fuori dal baka il principe dei suoi sogni.

-Forse dovresti chiedermelo in maniera ufficiale e io deciderò cosa risponderti-, aveva proposto, incrociando le braccia al petto e mettendo su un bel broncino.

Eccola la sua Testolina Buffa! Mamoru era stato al gioco, -Chiudi gli occhi-, le aveva detto, si era alzato rapidamente, aveva stappato una bottiglietta d'acqua e tirato via l'anellino di plastica.

-Allora? Io aspetto…!-, si era lamentata Usagi, seduta a gambe incrociate con le spalle al sole.

-Eccomi-, si era inginocchiato davanti a lei, -Apri gli occhi-, e si era goduto la sua espressione stupefatta; -Usagi Tsukino, Testolina Buffa, mia dolce Usako, vuoi essere la mia ragazza?-, Usagi aveva spalancato la bocca, aveva guardato l'anello di plastica che lui le porgeva e gli si era gettata al collo: -Sì! Sì, Mamo-Chan!-

Era stata la cosa più bella che avesse mai potuto immaginare!

 

-Adesso la baci?-, di nuovo quelle bambine! Non aveva pensato, quando avevano deciso di tornare su quella spiaggia, che le avrebbero ritrovate.

-Sì, la bacio, perché è la mia principessa!-, aveva risposto Mamoru alla più grande delle due e aveva chinato il viso su quello di Usagi. Oh quanto le aveva battuto il cuore, che meraviglia, che sogno diventato realtà!

-Uuuuhhh!!!-, avevano urlato le due piccole impiccione coprendosi gli occhi, ma Mamoru e Usagi non le avevano sentite. Erano persi chissà dove, su una nuvola lontana, nel loro mondo nascosto tre le pieghe del tempo.

 

Usagi alzò la mano verso il sole e guardò ancora una volta l'anellino di plastica sul suo anulare.

-Sono convinta che siano state Sailor Uranus e Sailor Neptune-, dichiarò, guardando verso l'orizzonte, dove l'azzurro del cielo si tuffava nel mare e rimarcava ancora più la linea che lo univa, pur tenendoli sempre separati. -Una controlla il vento e l'altra il mare, ci hanno voluto fare un regalo per il tempo che abbiamo perso-, il volto di Usagi era serio ed estremamente calmo, come se in quel momento della sua parte imbranata e infantile forse scomparsa ogni traccia, forse cancellata dalla consapevolezza di aver potuto toccare con mano il vero potere delle due misteriose viaggiatrici del tempo.

Mamoru si soffermò a guardarla, rimanendo colpito dalla fugace espressione che la ragazza aveva mostrato: emanava una qualche aura di regalità e saggezza, come se in una creatura così piccola e apparentemente fragile potesse concentrarsi tutta la forza dell'intero universo. Se aveva nutrito qualche lecito dubbio sulle parole delle tre donne misteriose circa il passato e il futuro che avrebbe atteso Usagi, in quel momento tutto gli pareva chiaro. Così come in battaglia arrivava l'attimo in cui Sailor Moon, brandendo il suo scettro, richiamava a sé una forza potente e ancestrale e riusciva a catalizzarla attraverso la sua sola volontà in un attrezzo altrimenti inutile, colpendo con una sicurezza innata il loro nemico, allo stesso modo, in quell'attimo, a Mamoru parve che Usagi riuscisse a raccogliere dai misteri del tempo e delle stelle una grandiosità tipica di chi la storia la scrive e la fa sua.

-Avrei dovuto ringraziarle allora-, osservò il giovane, che non si era mai mostrato veramente confidente in loro. 

-Haruka mi ha detto che ha dimenticato qualcosa qua in spiaggia per me-, continuò Usagi, guardandosi attorno per scandagliare ogni centimetro loro visibile della minuscola baia.

-Proviamo a chiedere al bar-, gli propose Mamoru e, dopo essersi messo in piedi, porse la mano alla ragazza per aiutarla ad alzarsi.

-Aspetta-, lei sfilò l'anellino di plastica che le era stato dato in dono poco prima e lo mise al sicuro nel suo zainetto, poi segui il giovane verso il locale, saltellando sulla sabbia ardente in un simpatico balletto.


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Doveva parlare. 

Pluto aveva atteso troppo: il consiglio che la Sailor Venus ormai scomparsa tra i misteri del tempo aveva suggerito, doveva essere ascoltato prima e lei doveva spiegare tutto alla Regina. 

Uomini e donne, estasiati dal passaggio della Corte al completo in mezzo a loro, la videro accelerare il passo e raggiungere la loro sovrana.

 

-Vostra maestà, c'è qualcosa che dovreste sapere-, bisbigliò a Serenity, ma tacque nel vedere lo sguardo fiammeggiante con cui lei la guardò.

-Credo non sia necessario-, le rispose mentre continuava a dispensare sorrisi alla sua gente, la mano stretta in quella di Endymion. 

-Manca poco e tutto si chiarirà da solo-.

Pluto comprese che c'era qualcosa di più forte del suo potere di spostarsi e osservare le dimensioni multiple e il tempo nella sua misteriosa trama che si svolgeva e riavvolgeva continuamente, creando nuove realtà a ogni scelta che venisse fatta. Era una consapevolezza ancestrale che il più piccolo dei satelliti portava con sé assieme alla forza magica e creativa che fin dall'inizio del tempo lo accompagnava. 

Era la forza della speranza, probabilmente, la forza della Luna stessa. Serenity probabilmente ne sapeva più di lei di spazio, tempo e su quello che sarebbe potuto accadere di là a breve.

 

Lungo il cammino verso la Spianata dei Caduti, luogo dove veniva messo in atto il rito de “La Ricerca”, Pluto scorse più volte Neptune e Uranus venire colte da perplessità improvvisa, da una tensione che le faceva avvicinare appena, per poi scomparire d'un tratto, lasciando il posto a espressioni tirate, cariche di risentimento reciproco.

 

La Ricerca Pluto non la conosceva, non sapeva a cosa stesse per partecipare, non l'aveva mai osservata prima, era certa di non averne mai fatto parte, ma sentiva che fosse una funzione in cui, quella volta, il suo ruolo sarebbe stato fondamentale. 

 

-È il momento-, mormorò Serenity fermandosi al centro di un cerchio di pietre, all'esterno una corona di macerie grigie era stata lasciata lì, per ricordare quello per cui combattevano. La Regina chiuse gli occhi e il suo abito bianco scomparve, sostituito da una divisa alla marinara dello stesso colore, che Pluto non aveva mai visto prima indossare da Sailor Moon.


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Hiro e Minako si stavano baciando, lì in mezzo al mare davanti a loro, con l'acqua a metà gambe: ma cosa stava succedendo!? Ami era rimasta a bocca aperta, senza la forza di emettere alcun suono ed era arrossita senza un reale motivo.

-E bravo Hiro-, si lasciò sfuggire dalle labbra Kenzo, realizzando che, in fondo, a lui non importava granché di portare a termine la sua missione vacanziera; -Andiamo a farci una nuotata?-, propose ad Ami sorridendo. Lei accettò immediatamente, non fosse altro per nascondere tra i flutti il suo viso imbarazzato e iniziò a nuotare così velocemente che, dopo un po', si sentì chiamare da lontano da Kenzo, che si sbracciava dietro a lei.

-Ehi, ma come fai!?-, esclamò avvicinandosi in uno stile non proprio elegante; -Scusami!-, ecco, era di nuovo tutta rossa!

-Sei eccezionale, Ami!-, quel complimento era genuino. Si portò indietro il ciuffo bagnato, Ami notò solo allora quanto il ragazzo somigliasse a suo fratello Motoki.

-È che vado in piscina tutti i giorni-, provò a giustificarsi, -Mi rilassa molto-.

Kenzo le nuotò attorno, -Ma dove lo trovi il tempo per nuotare se sei sempre a studiare?-, esclamò, ma era consapevole che questa volta non sembrava un complimento, -Intendo… Mi hanno detto che sei la più brava della scuola e infatti sai tantissime cose. Ti ho vista spessissimo con i libri in mano e ammetto di non essere riuscito a comprendere i titoli della maggior parte di essi!-, ridacchiò per dissimulare l'imbarazzo. -Ora mi dici che vai anche in piscina… Uno si immagina una secchiona con la schiena curva e la simpatia di una scopa di saggina e invece tu sei una bomba!-

-Per favore, basta, mi fai arrossire-, fu il tono, più che le parole, a convincere Kenzo a non dire altro; -Arriviamo allo scoglio?-, propose Ami e si impegnò a nuotare alla stessa velocità del ragazzo.

Una colonia di granchi arancioni li vide giungere a nuoto come due enormi giganti pronti a cacciarli e tutti gli animali iniziarono a scappare e tuffarsi in mare per sfuggire alla loro sorte. Un piccolo granchietto era rimasto da solo in una pozza d'acqua nella roccia porosa, Kenzo si resse con una mano allo scoglio e con l'altra afferrò delicatamente la bestiola e la mise in acqua, dove era sparita la sua famiglia.

Ami lo osservò in silenzio, -Quel piccolo granchio ti ringrazia per non averlo usato come giocattolo-, gli sorrise.

-Vedi? È questo che intendo: tu sai sempre trovare le parole più appropriate per tutti-, riprese, incurante di quanto gli era stato detto poco prima; -A me invece piacciono tanto gli animali, anche quello sgorbietto lì-, indicò con la testa l'acqua, -Mi piacerebbe studiarli da vicino nel loro ambiente, magari esplorare posti sconosciuti e selvaggi e scoprire una nuova specie oppure…-, strinse le labbra, -Ma questa non è una cosa che piace alle ragazze, mi hanno detto: quando qualcuna scopre questa mia passione o entra in casa mia e vede i libri sugli insetti o la mia collezione di mute di cicale che ho trovato negli anni e messe sotto vetro, inizia a ridere di me e prendermi in giro-, sorrise. 

-È dura coltivare le proprie passioni, se non sono allineate agli standard tipici per i ragazzi della nostra età-, proseguì per lui Ami, che conosceva bene quella sensazione; -Ti considerano 'diverso', come se avere la passione per l'entomologia o la fisica quantistica sia qualcosa di cui vergognarsi.-

Kenzo la guardò stupefatto: -Sei la prima ragazza che abbia conosciuto che pronuncia quella parola come se niente fosse!-

-Quale parola?-

-Entomologia.-

-Che c'è di strano? Si chiama così! Potrei capire 'malacologia' o 'erpatologia' o 'batracologia', che già sono più inusitate, ma entomologia almeno…-, pur galleggiando mosse la mano e scosse la testa, come a scacciare una mosca.

-Inusitate!-, Kenzo battè con le mani sulla superficie dell'acqua, -La metà delle ragazze della tua età non sa nemmeno cosa significhi 'inusitate'!-

Ami lo guardò torva, -Ma tu cosa sei esattamente?-, lo apostrofó sospettosa, -Sei un ragazzo alla moda che ha come scopo nella vita quello di fare conquiste come il tuo amico Hiro e come avevo dedotto dal vostri discorsi e dai fallimentari tentativi di approccio verso le mie amiche, oppure… cosa?-, la domanda era sincera, non era riuscita a inquadrare quel ragazzo, dapprima così strafottente e poi, di colpo, divenuto educato e attento agli altri.

Kenzo rifletté, poi divenne serio.

-In realtà non lo so neanche io. Non prendermi per pazzo, ma… io ho visto davvero una donna fuori dalla villa l’altra notte ed è stata come un'apparizione. Mi ha detto di essere gentile con gli altri e di lottare per il vero amore. E io l'ho fatto… Almeno la prima parte. È come se mi avesse aperto gli occhi e allora sono stato gentile con gli altri e devo dire che la cosa mi ha dato soddisfazione: è qualcosa nello sguardo, quando sei gentile... gli altri ti guardano in un modo diverso. E circa 'il vero amore'... Forse non ho aiutato gli altri, ma ho deciso di dedicarmi alle mie passioni, insomma, non credo che il mio modo di vivere di prima fosse tanto bello, almeno visto dall'esterno.-

Ami capì subito che si riferiva a Usagi, o meglio a Serenity e comprese che quello che era accaduto a Kenzo era la stessa chiamata che aveva costretto Luna al silenzio, ma anche, e quella era stata Usagi nel pieno della sua identità, a far sì che Hiro chiedesse scusa a tutti in spiaggia, dopo aver fatto bere al povero Mamoru mezza bottiglia di rum.

-È bello essere gentile con il prossimo, indubbiamente-, rispose a Kenzo, -E anche essere sinceri-.

Kenzo colse al volo l'involontaria imbeccata, -E allora, se posso essere sincero con te, ti voglio pregare di non usare tutto il tuo tempo per studiare: è bellissimo e lo comprendo, ma dovresti pensare anche al resto della vita che c'è e che continua a scorrere mentre tu sei china sui libri. D'accordo voler avere ottimi risultati, d'accordo la sete di conoscenza, ma c'è anche altro nella vita di una persona. Ci sono gli amici, c'è un po' di sano divertimento, c'è l'amore…-, si zittì e trovò saggio andare giù con tutta la testa, almeno per un istante.

-Sembrano le stesse parole che mi ha detto tuo fratello qualche sera fa-, gli disse Ami sorridendo, appena riemerse, -E io credo che abbiate ragione-, fu il suo turno di mettere la testa sott'acqua; -Ma gli amici li ho già e con loro riesco a passare dei bei momenti e a divertirmi. Il mio sogno è diventare medico, come mia madre. Lei è sempre stata il mio modello, solo che è molto impegnata, è spesso assente e mio padre ci ha lasciate quando io ero piccola. Quando da bambina tornavo a casa con dei buoni voti lei era felicissima, le si accendevano gli occhi, mi diceva 'se sarai una brava studentessa potrai fare strada nella vita e non avrai bisogno di un uomo a cui appoggiarti', per questo mi sono sempre impegnata, per vedere quello sguardo nei suoi occhi… e per me questa è diventata la normalità, studiare e conseguire i risultati migliori è lo scopo che mi sono prefissata fin dall'infanzia. Non ho avuto un buon esempio di 'amore' nella mia famiglia, anzi, posso dire che la mia famiglia siamo state sempre soltanto io e lei… Per questo ho scelto un'altra strada-, fece una pausa, prima di prendere aria e immergersi concluse: -Per questo non credo nell'amore-.

Non era vero, lei, che aveva appena professato l'importanza di essere onesti con gli altri, stava mentendo; solo le onde placide del mare in cui si immerse potevano coprire la sua bugia. Quando tornò su, più lontano, aggiunse -E poi io non sono mai interessata ai ragazzi, credo di non piacere e per questo non mi sono mai fatta illusioni sul trovare qualcuno che sappia accettarmi per quel che sono e farmi sentire amata-.

Kenzo rimase in silenzio, quanto era sciocca quella geniale ragazza, quanta miopia nel non riuscire a vedere che, invece, lei poteva interessare eccome ai ragazzi, a quelli come lui.
A lui.

Non tornò sull'argomento, ma rifletté sulla stranezza del cuore umano: credeva di battere per tempo immemore alla ricerca di qualcosa che poi, quasi per destino, poteva trovare davanti a sé per un colpo di fortuna, o perché gli occhi, finalmente, si erano aperti, forse troppo tardi.

Si rese conto che a lui Ami piaceva e non poco, sia per il suo genio, sia perché era una bella ragazza, anche se lei riteneva il contrario, sia per l'attaccamento al dovere, che, in un modo a lui ancora incomprensibile, lo affascinava più di tutte le cose che aveva creduto avrebbero potuto intrigarlo fino ad allora. La guardò allontanarsi nuotando lentamente, se l'avesse lasciata tornare a riva dagli altri ragazzi, l'avrebbe sicuramente persa.

-Ami aspettami-, gridò sopra le acque e la raggiunse, -Ascoltami, in tutto quello che hai detto prima c'è una solenne sciocchezza-, lei piegò le sopracciglia, perplessa, -Non è vero che tu non piaci ai ragazzi, tu piaci eccome, perché sei bella-, sentì il sangue affluire al suo viso, vide le guance di lei imporporarsi allo stesso tempo, -Sei molto bella, hai un viso delicato e dolcissimo, i tuoi occhi sono così espressivi e il tuo sorriso potrebbe conquistare un orco. E credo anche che sia una bugia che tu non credi nell'amore-. Rimase lì in attesa di una risposta, muovendo braccia e gambe per non affondare. Ami distese i muscoli del viso e gli sorrise, -È proprio vero, hai imparato bene ad essere gentile con gli altri-, gli disse; -Ed è vero che io ho detto una mezza verità, più che una bugia: tu non fare lo stesso, per favore-, gli fece cenno con la testa di proseguire verso riva e fece una bracciata.

-Non è una bugia: tu mi piaci, Ami, mi piaci tanto-, sparò sperando che lei non credesse che stesse mentendo. Era la pura verità. Lei continuò a nuotare fino a un punto dove potevano riuscire a toccare sul fondo sabbioso con i piedi e si fermò. Si avvicinò a lui e posò le labbra sulle sue, per un istante infinito.

-Questo è probabilmente l'ultimo giorno della tue vacanze, tutti i tuoi amici in un modo o nell'altro si sono accoppiati, rimanevamo solo tu e io. È normale che l'istinto ti suggerisca quello che hai appena detto e per questo ti ringrazio, ma sai meglio di me che è un estremo tentativo di non sentirti solo. Ora potrai dire che anche tu hai fatto una conquista: ma non è quello che davvero senti dentro di te, non illuderti e non illudere me, te ne prego-, gli fece un sorriso amaro come la fiele.

-Adesso torniamo, per favore.-

Uscì dall'acqua con sicurezza, camminò fino al piccolo accampamento e si andò a sedere accanto alla sua amica Minako, che se ne stava immobile con le ginocchia al petto.

Quando le fu vicina, la giovane combattente dell'amore fu travolta dal battito del cuore di Ami, che galoppava furiosamente, mentre il suo viso era inespressivo come quello di una maschera realizzata da un artista fallito.


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Il mondo ti può cadere addosso in un istante, il suo equilibrio instabile spesso è legato ad una parola di poche sillabe, come un grosso macigno appeso a un fragile filo di lana. Una parola in più, una in meno, una sbagliata: questo era quello che era capitato a Yuichiro, che si sentiva come quel macigno crollato ormai in mare e rotolato sul fondo irregolare da qualche parte dove nessuno lo avrebbe più distinto dagli altri. Se Hino-San, il nonno di Rei, aveva accolto senza troppe domande quel derelitto che si era fermato al suo tempio, vedendo nei suoi occhi un ragazzo dal cuore gentile e lo aveva accettato senza obiettare sulla sua vita passata che lui aveva voluto cancellare come una sottile linea di gesso sulla lavagna cancelli la cimosa, Rei invece sembrava aver guardato alla sua storia come se fosse stata incisa a bassorilievo sulla roccia più in vista del Monte Fuji. Le sue colpe, il suo passato tormentato, i suoi errori erano là, in bella vista sotto il giudizio di tutti, nel momento in cui lei lo aveva giudicato. Eppure Yuichiro, meditando e riflettendo negli ultimi due anni, era quasi riuscito a convincersi che tutto quello che aveva fatto nella sua vita in scatola precedente fosse espiato: invece no, Rei non lo aveva perdonato per errori dei quali non avrebbe conosciuto neanche l'esistenza, se solo lui non glieli avesse illuminati con un riflettore e non avesse risposto alle sue domande parlando troppo, come sempre.

Se ne stava seduto sulla battigia con le braccia sulle ginocchia larghe e la testa bassa, iniziando a vedere ormai come un sogno lontano quello che era finalmente riuscito a condividere con l'unica al mondo che gli avesse fatto battere il cuore.

Rei nuotava a rana in cerchio poco distante: era stata una sciocca a trattare a quel modo Yuichiro, continuava a ripeterselo, ma ogni volta che, nel suo giro, volgeva lo sguardo nella sua direzione, veniva colta da una rabbia improvvisa: come aveva potuto quell'incosciente fare certe cose con quelle ragazze? E poi… quando, come e con quante l'aveva fatto? Al punto di essere quasi incastrato da una di loro! E chissà quante altre esperienze che lei non osava nemmeno immaginare aveva provato, e con chi! Si sentiva sopraffatta da sentimenti contrastanti, da una parte credeva di conoscere il ragazzo, la sua indole pacifica e remissiva, credeva quasi che fosse 'uno di loro', ma poi si ravvedeva e valutava che lui era molto più grande di lei e aveva avuto tanto tempo in più per perpetrare atti osceni mentre lei era ancora una bambina!

Pensare che si era quasi convinta che Yuichiro fosse quello adatto a lei, limpido nelle sue esternazioni della venerazione che aveva per lei e così dolce, quando aveva ceduto a quella curiosità che l'aveva presa nello scoprire un ragazzo che, a un primo assaggio, gli era parso così speciale. Lo guardò, molle come un polpo morto e disperato, là sul bagnasciuga, senza il coraggio di fare nulla. Un altro giro, l'orizzonte davanti a lei sembrava parlare, il mare non avrebbe mai toccato il cielo, sarebbe rimasto in sua contemplazione in eterno, da solo. 

E se anche lei fosse rimasta da sola? Se non avesse più potuto farsi stringere nell'abbraccio morbido dalle braccia di Yuichiro? Sgranò gli occhi: no non poteva accadere! Voleva sentirsi di nuovo coccolata da lui, voleva guardare dritta nei suoi occhi, allungarsi fino al suo viso e baciarlo ancora. Prese un respiro e si convinse che il passato era e doveva rimanere passato. -Yuichiro, vieni!-, gli urlò e lui la raggiunse immediatamente.

-Stai bene? Che è successo, Rei?-, si guardava preoccupato a destra e sinistra muovendo le mani in acqua, non capiva.

-Fermati…-, Rei gli rivolse un sorriso dolcissimo e prese il suo viso tra le mani, -Va tutto bene!-, gli si buttò al collo abbracciandolo stretto stretto, schizzandolo tutto e facendolo bere.

-Volevo solo stare con te-, lo baciò sulla guancia e finalmente Yuichiro sorrise. Forse andava tutto bene.


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Usagi volle entrare da sola nel bar della spiaggetta di Ithogaya, si recò al banco e, invece di ordinare una bibita o un gelato, domandò se, per caso, avevano trovato una camicia. 

-Ho qualcosa... mi è stato detto di consegnarla a una ragazza bionda con dei codini buffi, se fosse venuta a chiedere-, l'uomo al bar era tarchiato e piuttosto flaccido, sudava come un cammello al termine di un safari e i pochi capelli rimastigli erano appiccicati al cranio lucido. Squadrò Usagi dall'alto in basso: -Direi che corrispondi alla descrizione-, quindi si chinò per prendere qualcosa da sotto il bancone.

-Tieni-, le disse e non aggiunse altro.

Usagi ringraziò, -Non c'è per caso altro…?-, si accertò. Il barista scosse la testa, poi si voltò per prendere un'ordinazione.

Con il fagotto tra le braccia, Usagi uscì dal piccolo locale e cercò Mamoru, che non era dove lo aveva lasciato. Lo vide poco distante, intento a parlare con le solite bambine e la loro madre. Quella era la donna che lo aveva spogliato con gli occhi la prima volta che erano stati lì! Usagi si sentì sopraffatta da una viscerale gelosia e corse immediatamente da lui, afferrandogli un braccio, -Andiamo Mamo Chan-, gli disse in un tono che non ammetteva repliche.

Quando furono sufficientemente lontani, seguendo la passerella in legno che stava al margine della spiaggia, il suono della sua voce divenne sgradevole, -Quella ci provava di nuovo con te e tu che fai? Ci chiacchieri amabilmente e sorridi! Sei soltanto un baka!!!-

Mamoru abbassò le sopracciglia, a metà tra il dichiararsi colpevole e l'essere divertito: quella era una scenata di gelosia?

-Cercavo solo di non essere maleducato!-, si difese aprendo addirittura i palmi in segno di resa.

-Non mi importa se sei maleducato con le donne che ti mettono gli occhi addosso!-, se fosse stata un cartone animato, i suoi codini si sarebbero alzati come cobra pronti all'attacco, -Tu sei mio!-

A volte il baka tornava fuori davvero, e quella fu una di quelle volte: -Ti stai comportando come una bambina, testa vuota! Proprio come la prima volta che siamo stati qua e che hai finito per farmi male!-, quindi ebbe un'illuminazione, -Ma allora anche quella volta era una scenata di gelosia! Vuol dire che io ti piacevo già!-

Usagi dapprima avvampò perché in fondo quella parole erano corrette ed era appena stata smascherata, poi avvampò di nuovo, ma per la rabbia. Mamoru era tornato in modalità odiosa e lei non… non… girò sui talloni e se ne andò a passo svelto verso il suo asciugamano tagliando per la spiaggia. Avrebbe preso un autobus per tornare a casa, oppure avrebbe fatto l'autostop.

Fece quattro, forse cinque passi affondando nella sabbia morbida e iniziò a urlare per il tremendo calore che  emanava. Non c'era nemmeno uno spicchio d'ombra nelle vicinanze, quindi prese a saltellare come un canguro strillando e imprecando per la sabbia rovente e perché Mamoru l'aveva fatta tornare indietro di una settimana nel loro rapporto e aveva tradito quella meravigliosa intesa che avevano conquistato. Mancavano ancora molti metri prima di poter trovare un appoggio sicuro, correva e si dimenava consapevole di offrire a tutti i presenti uno spettacolo ridicolo.

-Vieni qua-, d'un tratto si sentì sollevare di peso, Mamoru l'aveva presa da sotto le gambe e le spalle e correva trasportandola verso il mare, ma nemmeno lui era immune al tremendo calore e a sua volta mugolava a ogni passo come un povero cane accoppato. Appena giunse sulla sabbia bagnata il suo volto contratto si distese, ma lui continuò fino all'acqua, sempre tenendo la sua Usako al sicuro. -Ahh!-, esclamò al contatto con la prima leggerissima onda, la guardò sorridendole e per lei fu come guardare nel mare profondo e provare lo stesso refrigerio. La mise giù delicatamente, stringeva ancora la camicia di Haruka al petto, le fece una carezza, -Anche tu mi piacevi già-, le disse prima di chinarsi su di lei e baciarla con dolcezza sulla bocca.

Usagi distese le labbra in un sorriso mentre lo baciava e comprese che non sarebbe stato Mamoru, se non fosse rimasto sempre e comunque il suo baka.

Rimasero per un po' con i piedi in acqua, passeggiando lentamente avanti e indietro mano nella mano, finché non presero entrambi un bel respiro e affrontarono insieme a corsa la loro nemica sabbia fino ai loro teli, parzialmente all'ombra delle tamerici e degli oleandri in fiore.

-Però mi fa ancora male-, si lamentò Usagi e lui prese uno a uno tra le sue mani quei piedini delicati e le portò via ogni dolore, come fa il bacio della mamma su un ginocchio sbucciato.

-Mi devi spiegare questo tuo potere-, era seria, -Da quando ti sei accorto di possederlo?-

-Dopo una delle tue prime battaglie. Ero stato ferito e non sapevo ancora di essere Tuxedo Kamen, mi ritrovai con un taglio profondo su un fianco steso a terra in un vicolo. Pensai di essere stato aggredito, riuscii a tirarmi su e mi premetti una mano sulla ferita, cercando di tornare a casa senza dare nell'occhio. Prima ancora di varcare il portone del mio palazzo, il taglio si era chiuso e rimaneva solo il sangue sui miei vestiti. Ero stanchissimo, più stanco del solito, ma tutto intero-. 

Usagi aveva imparato a conoscere Mamoru e sapeva che il racconto non era ancora terminato, quindi attese che proseguisse, -Poi accadde di nuovo, ero già consapevole della mia identità segreta. Durante un combattimento la tua gatta fu colpita e io la presi per metterla in salvo da ulteriori pericoli, vidi la zampina tutta storta, la strinsi piano tra le mani e mi parve che stesse meglio. Lei era priva di sensi e non si rese conto di nulla, quindi aspettai che si svegliasse per essere sicuro che stesse bene e poi tornai da te-, abbassò lo sguardo, -E direi che ogni volta che sono apparso e ti ho messa in salvo dal colpo fatale ho notato il tuo volto cambiare espressione, come se tra le mie braccia tu ritrovassi le energie. È stato allora che ho compreso che la mia missione era quella di curarti e permetterti di compiere il tuo destino-.

Usagi aveva il cuore che batteva forte, lei non si era mai resa conto di quanto gli interventi di Tuxedo Kamen fossero indispensabili nelle loro battaglie, aveva badato solo all'emozione che provava ogni volta che finalmente lo rivedeva, quasi aspettasse con trepidazione una nuova battaglia da affrontare. Se le aveva vinte tutte, evidentemente, era stato anche grazie a lui.

-Grazie di esserci-, gli disse e si strinse a lui.

Il sole era allo zenith, -Torniamo a casa?-, gli domandò, come se fosse stato abbastanza il tempo che era stato loro concesso da soli.

Mamoru annuì, in fondo avevano tutta la vita davanti per stare insieme e, anche se avesse continuato a comportarsi come un idiota, era solo quello che contava, gli attimi passati con a lei.

-E questa?-, le domandò poggiando la mano sulla camicia appallottolata.

-Giusto-, Usagi la svolse e la rigirò tra le mani, chiedendosi cosa intendesse Haruka con la frase sul regalo per lei. Forse era solo il tempo che avevano concesso loro, ma un odore dolcissimo la attirò, la avvicinò al suo viso, inspirando a occhi chiusi.

-Se fai così, diventò geloso io, lo sai?-, le disse Mamoru, abbassando appena il capo, perché in fondo era in imbarazzo a parlarle così. Usagi registrò quell'informazione, ma continuò ad annusare la camicia finché non trovò un taschino: guardò dentro e scovò un fiore bianco, incredibilmente ancora freschissimo.

-Una gardenia-, Mamoru conosceva i fiori, a quanto pareva.

-Profuma tantissimo-, notò Usagi e tenne il fiore sui palmi delle mani aperte, -È bellissima-. 



 

Avevano concordato con gli altri amici di ritrovarsi a casa per pranzo, avrebbero fatto un salto al negozio di alimentari più vicino e preso qualcosa da mettere sotto i denti. Era quasi l'ora di ritornare, Mamoru e Usagi iniziarono a raccogliere le loro poche cose e andarono verso il parcheggio. -Mi sa che questa sarà davvero l'ultima volta che verrò dietro a te in moto-, constatò con rammarico la ragazza.

-Ma no, lo sai che ho una motocicletta anch'io a casa, ti porterò a fare qualche giretto, oppure se farai tardi a scuola ti potrei portare io così farai prima.-

-Tu lo sai che se mio padre sapesse che sono stata in moto dietro a te o, peggio, se ci vedesse, mi ucciderebbe?-, Usagi era già rassegnata all'idea, ma ancor più temeva che, al di là dei passaggi in moto, suo padre non avrebbe voluto che lei frequentasse nessuno, -È meglio non dire niente, neanche che tu e io…-

-No-, Mamoru voleva essere chiaro su quel punto, -Io voglio esserci nella tua vita e se nascondere che noi stiamo insieme dovesse significare che non potrò vederti o passare del tempo con te, allora davvero sono pronto ad affrontare tuo padre, il nonno, lo zio e anche tuo fratello!-

Era così dolce e determinato! La ragazza sorrise, lo immaginò pronto a sguainare la spada su un cavallo bianco rampante davanti al cancello di casa sua.

-Sei proprio sicuro?-, insinuò, -Sicuro sicuro che non te la farai sotto al primo interrogatorio con mio padre, magari seduto in poltrona in salotto, mentre mia mamma vi servirà del tè e poi correrà a origliare ogni parola che vi direte tu e lui, per poi analizzarle e trarre le sue conclusioni?-, in effetti quello scenario era plausibile, -Mentre mio fratello mi prenderà in giro tirandomi i capelli e dicendo che io sono solo una bambina che avrebbe bisogno di una baby sitter, più che di un fidanzato?-

Entrambi arrossirono, quella era un'ipotesi realistica, anche se in fondo un normale passaggio nella vita di tutte le coppie così giovani.

-Ne riparliamo, okay?-, Mamoru storse la bocca meno sicuro di prima nei suoi intenti e lo fece in un modo così buffo che Usagi non poté che sorridere, -Adesso sei tu il mio Testolone Buffo!-, erano arrivati alla moto, -Non pensiamoci finché non saremo alla stazione di Tokyo, è meglio!-

Usagi attese che lui preparasse tutto e poi montò in sella, abbracciandolo stretto stretto, perché non la lasciasse mai più. 

 

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Capitolo 27
*** Capitolo 26 ***


Capitolo 26
Coppie, Le ultime due & Regali inattesi



 

L'acqua del mare era fredda, nonostante ciò Makoto e Motoki uscirono dal loro bagno più accaldati che mai.

Quella ragazza era incredibile, forse perché, avendo i poteri di guerriera sailor, riusciva a trasmettergli un'energia di cui non conosceva l'esistenza. Si era fatto spiegare che lei governava i fulmini e l'elettricità e questo gli era stato palese immediatamente, fin dal loro primo bacio dopo che lei aveva subito messo le cose in chiaro e gli aveva detto quelle fosse la sua identità segreta. Aveva sentito una scossa percorrerlo dalla testa ai piedi, ma forse, a ben pensarci, era soltanto l'emozione di aver finalmente fatto una scelta. Motoki ne era consapevole: lui, da molto tempo, non aveva più preso decisioni per se stesso. Non aveva deciso lui di fidanzarsi con Reika, piuttosto aveva lasciato che le circostanze portassero a quel momento in cui era stata lei per prima a proporgli di stare insieme; non aveva scelto di perderla, perché era stata lei a decidere di andare via. Le aveva proposto di continuare a stare insieme, prima o poi lei sarebbe tornata, ma ancora una volta la decisione della rottura definitiva non l'aveva presa lui. Non aveva deciso di occuparsi della sala giochi di proprietà del padre, avrebbe preferito rimanere alla caffetteria con Unazuki, né, in fondo, aveva deciso quale facoltà seguire all'università, perché era stato indirizzato direttamente dai suoi professori della scuola superiore. Non aveva scelto di andare in vacanza ad Amami Ōshima, era stato costretto da suo fratello e Mamoru, gli unici due al corrente delle sue sofferenze amorose.

Ma quando Makoto si era trasformata in Sailor Jupiter davanti a lui e gli aveva chiesto di decidere se rimanere o andare via, non aveva avuto dubbi e aveva scelto istintivamente.

-Ho fatto bene a non scappare a gambe levate quando ti sei trasformata davanti a me-, le disse mentre si stendevano per prendere il sole, -Perché oltre che speciale, tu sei unica-, avvicinò la mano ai suoi capelli e ne prese un ciuffo tra le dita, erano bagnati e ancora più ricci.

-E io ho fatto bene a trasformarmi davanti a te, così almeno ci siamo risparmiate di trovare una giustificazione plausibile a quello che è successo ieri notte, visto che ci hai coperto le spalle, egregiamente direi-, si voltò, -A te andrebbe di farci da assistente, una specie di Alfred Pennyworth, per capirci?-, gli fece l'occhiolino.

-Se ogni tanto ti travestirai da Cat Woman posso farci un pensiero!-, la prese in giro, -Ma anche la versione Sailor Jupiter va bene-, oh se andava bene! 

-Che ne sarà di noi, Motoki?-, gli domandò Makoto d'un tratto, colpita da chissà quale turbamento. Il ragazzo le prese una mano, -Abbiamo molto tempo a disposizione per scoprirlo, in realtà non vedo l'ora di tornare a Tokyo, dove entrambi non dobbiamo rendere conto a nessuno, dove viviamo da soli, dove… Beh… possiamo fare quello che vogliamo-, ci aveva pensato anche lei, ma, invece di essersi sentita libera e invincibile, aveva sofferto una forma di agorafobia. Avere tutto il tempo per il suo nuovo ragazzo non doveva significare impiegare tutto il suo tempo dietro a lui, doveva riuscire a mantenere un equilibrio nella sua vita, non si sarebbe annullata come già aveva fatto in passato, avrebbe mantenuto i suoi interessi.

-Allora io propongo di istituire da subito la serata pizza e TV, la sfida settimanale di torte e la giornata di 'ciascuno a casa sua' per coltivare i nostri hobby.-

Motoki fece una smorfia divertita, -La giornata 'ciascuno a casa sua'? Cioè la giornata del 'mi scarichi per stare con le amiche'?-, era incredibilmente sollevato! -Quindi io posso proporre l'istituzione del pomeriggio di studio insieme, della serata chef a turno e della domenica pomeriggio ogni due settimane allo stadio con i miei amici?-

-Tu vai allo stadio!?-, Makoto non ci credeva! -E allora può rimanere l'ora e mezzo due volte a settimana per allenarmi e anche il tè del giovedì da Rei con le mie amiche?-

-D'accordo, e non dimenticare la chiusura bilancio una volta al mese fino a tardi il venerdì.-

-E i corsi di recupero di inglese e chimica del lunedì e mercoledì-, Makoto iniziò a contare con le dita, -Ma alla fine cosa ci resta!?-, non avrebbe saputo dire se si sentiva più preoccupata o più sollevata.

Motoki si avvicinò e fece scorrere il dorso della mano sulla sua schiena nuda, -Ci resta la notte…-, le disse e con un'occhiata di fuoco le baciò una spalla.

Makoto si rabbuiò, un nuvolone inatteso calò su di lei. Aveva già ricevuto uno sguardo del genere, tanto tempo prima e non era finita bene. Non poteva essersi sbagliata anche sul conto di Motoki! Certo, lui aveva molti punti che ancora non le erano noti e si era dimostrato ben più focoso di quanto non avesse mai immaginato o sperato, però in fondo lo conosceva da quasi tre anni e le era sempre parso un bravo ragazzo, uno che non si sarebbe mai approfittato di una ragazzina innocente e decisamente invaghita di lui.

Prese aria e sentì il bisogno di voltarsi per rimanere sola con i suoi turbamenti, giusto il tempo di calmarsi e spazzare via quei pensieri che aveva già sepolto in un angolino buio della sua memoria, ma che erano prepotentemente tornati a galla con la sola allusione a qualcosa che lei stessa desiderava.

Motoki non era il senpai Noburo, Motoki non le avrebbe mai fatto quello che quel pervertito aveva fatto a una ragazzina di appena tredici anni. Motoki non le avrebbe strappato l'innocenza e i sogni romantici offuscando la sua mente con una inesistente storia d'amore, non la avrebbe illusa che 'era giusto così'. Di Motoki avrebbe potuto fidarsi.

-Ehi, va tutto bene?-, il tono dolce della sua voce le accarezzò le orecchie, il respiro vicino e caldo le provocò un brivido lungo la schiena, -Non volevo metterti paura, se ho fatto quello-, non la sfiorava nemmeno, aveva rispetto della sua palese titubanza, -Ho scoperto che tu sei il tesoro più prezioso: non farei nulla che ti possa allontanare da me-, e con quelle parole riuscì a tranquillizzarla.

Makoto si voltò dal suo lato e si rannicchiò nell'abbraccio caldo che lui le aveva offerto.

Motoki non le avrebbe mai fatto del male.


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Minako aveva accettato una partita due contro una a beach volley e stava stracciando il duo di sfigati costituito dall'ossigenato Hiro e dal redento Kenzo.

Ami teneva il punteggio, ma dopo un po', quando la sua amica aveva più che doppiato i punti dei ragazzi, si era distratta e aveva ripensato a tutto quello che era successo.

Si era comportata come una sciocca, qualunque riprova avesse tentato di fare circa quanto era accaduto quella mattina in mare con Kenzo conduceva alla stessa soluzione.

Innanzitutto aveva di nuovo eretto il suo solito muro di negazione di fronte ai complimenti che le aveva rivolto il ragazzo; considerando che, in realtà, le era sembrato sincero, sminuire il suo punto di vista per evidenziare le inesistenti lacune del suo atteggiamento basandosi su dati probabilistici e sul postulato che lui si fosse ridotto a provarci con lei solo perché era rimasto l'unico, letteralmente, a bocca asciutta, era stato un comportamento codardo da parte sua.

Ma le cose più gravi erano le altre due: si era di nuovo rifugiata nella convinzione che nessun essere vivente avrebbe potuto appagarla di più di uno stimolante nuovo argomento di studio e soprattutto aveva ridicolizzato il gesto stesso del bacio tra due innamorati prendendo l'iniziativa da sola e comportandosi come una snob che desse in concessione al povero malcapitato di turno un assaggio di se stessa, consapevole di stare facendo beneficienza.

Non era stata onesta con lui, né corretta e avrebbe tanto voluto poter tornare indietro e fare tutt'altre scelte. Kenzo, in fondo, le piaceva. Certo, non era suo fratello Motoki, che solo a pensarlo immaginava un sole giallo e lucente che illuminava una giornata buia, ma non era malaccio. Era molto carino anche lui, non per nulla la genetica non aveva fallato con i tre fratelli Furuhata, ma soprattutto aveva un non so che di misterioso, come se avesse tentato di nascondere il vero se stesso dietro la maschera del bad boy a tutti i costi. Da quando erano partiti dalla stazione di Tokyo, il momento in cui aveva percepito che il ragazzo fosse stato più sincero era stato proprio in mare, quella mattina, quando aveva scorto nei suoi occhi verdognoli, un colore che virava dal nocciola al verde muschio, un guizzo di interesse sincero verso le sue parole. A ripensarci lei si era comportata da vera saccente, rigurgitandogli addosso una manciata di termini estratti a caso dalla nomenclatura delle specializzazioni della zoologia, eppure lui aveva apprezzato davvero, al limite di un sospetto godimento interiore, il fatto che lei fosse a conoscenza di argomenti, evidentemente, sconosciuti alla ragazza media giapponese. Certamente non poteva considerarsi un'appassionata di molluschi o serpenti, eppure erano argomenti che sicuramente la interessavano molto di più del gossip o delle hit del momento, oppure di qualsiasi altro tema frivolo e in voga su bocche coperte da rossetti vistosi.

Lei era sui generis.

La volevi fare felice? Bastava parlarle di un qualunque argomento del sapere. 

La volevi deludere? Era sufficiente osare un complimento in più su qualsiasi dettaglio estetico o concernente la sfera dell'apparenza, specie relativo a una ragazza.

La volevi confondere? Semplice: bastava dire che eri un patito dei lamellibranchi folgorato sulla via di Damasco per la ricerca della gentilezza e che allo stesso tempo ti piacevano tette e culi.

Kenzo apparteneva alla terza specie, ancora in attesa di attribuzione di un nome scientifico da parte di Linneo, ma al contempo così raro, da spiazzare perfino una come lei. Una secchiona impenitente come lei, una ragazzina dedita al sapere a livelli monacali, una che non aveva mai creduto nel vero amore.

Quando erano usciti dall'acqua e lei era corsa a sedersi accanto alla sua amica Minako, quasi fosse in cerca di un defibrillatore emozionale, Kenzo era andato mogio mogio a camminare verso gli scogli; lo aveva visto dedicarsi con cura alla sottile linea che divideva la roccia dall'acqua e frugare con totale attenzione in ogni piccolo anfratto, forse alla ricerca di qualche amico mollusco o semplicemente di un buco grande a sufficienza per incastrarci il capo e rimanere lì in eterno.

Ami era consapevole di aver combinato un disastro e si era guardata bene dal fare alcunché per ovviare ai suoi errori. Avrebbe potuto raggiungere Kenzo e spiegargli a parole il suo modo di agire, magari avrebbe trovato in lui l'approdo sicuro per la sua fragile anima in tempesta, oppure fargli capire almeno che lei non era una di quelle che volevano solo divertirsi con il primo che capitava, e allo stesso tempo rimanere una spanna sopra a tutti.

Aveva rifiutato di giocare a palla con lui e Hiro, poi si era concentrata su Minako, lasciando perdere quell'occasione già perduta e cercando di archiviare il 'caso Kenzo' nella sua personale collezione di X-files.

La sua amica bionda sembrava altrettanto bisognosa di una spalla dove riposare la testa che pareva aver sbattuto anch'ella contro uno spigolo ben appuntito. Il suo spigolo si chiamava Hiro e tutti i presenti l'avevano vista baciarlo con un certo trasporto solo poco tempo prima. Quando era successo, Ami aveva serrato le mascelle e poi si era chiesta il perché lo avesse fatto, ma era stato un gesto istintivo e su quel sentiero lei non si addentrava mai, aveva paura di smarrirsi. Dopo quel bacio interminabile, Minako e Hiro erano stati visti parlare, quasi in imbarazzo e, alla fine, si erano stretti la mano, la ragazza era tornata sulla spiaggia e il ragazzo era rimasto a schiarirsi le idee in acqua. Di istintivo tutto ciò non aveva nulla, motivo per cui Ami si era interessata a quel misterioso fenomeno per scandagliare senza dare nell'occhio l'eziologia e le probabilità future di quel gesto impulsivo.

Poiché era molto scettica su quel che avrebbe potuto comportare quello strano atteggiamento e aveva ritenuto che ai due occorresse più tempo per comunicare tra loro, era stata proprio lei a invitare Kenzo a farsi quella nuotata al termine della quale aveva compiuto il suo personale gesto scellerato della vacanza, controllando di essere visibile dal rimanente gruppo di amici.

Dopo si era fatta da parte e aveva preferito fare da spettatrice dello scontro a pallavolo già stravinto dalla sua amica. 

 

All'ennesimo punto segnato da Minako rifletté che in realtà lei poco prima, quando era tornata al suo telo da mare e Kenzo si era dedicato allo studio degli scogli, in realtà, aveva deciso di raggiungerlo e parlargli, ma era stata bloccata proprio da Minako, un attimo prima di mettersi in piedi.

 

-C'è aria di tempesta-, le aveva detto l'amica cercando il suo sguardo e lei aveva semplicemente annuito. -Ti rivelerò un segreto-, aveva proseguito Minako e poi l'aveva veramente stupita: -Io posso percepire esattamente i sentimenti di chi mi circonda e le sensazioni che provano tramite il battito dei loro cuori, che mi arriva come amplificato direttamente in mezzo al petto, dove credo che ci sia la mia anima-, le aveva spiegato, lasciandola a bocca aperta per la meraviglia, -Il tuo cuore è in tempesta, ma non una di quelle tempeste che stanno per finire e poi arriverà il vento a schiarire il cielo e le idee. Il tuo cuore batte furioso perché sta combattendo contro la tua testa: in questo momento il tuo nemico sei te stessa e credo di conoscere il motivo.-

Ami aveva abbassato lo sguardo, punta sul vivo e aveva continuato ad ascoltare Minako. -Perché lo hai baciato, se la testa ti ha detto che era la cosa sbagliata? Tu ragioni sempre con la testa… era ovvio che poi ti saresti tormentata come stai facendo. Che ti è successo?-

Ami non le aveva risposto subito, scavando a fondo dentro di sé per comprendere prima il perché di quello che aveva fatto, poi, non riuscendo a realizzare davvero né il suo gesto né accettare che la motivazione fosse puramente autolesionista, aveva alzato le spalle arricciando la bocca.

-Ok, ti lascio a riflettere, ora ho voglia di tirare qualche colpo al pallone-, con quelle parole Minako l'aveva sollevata dal doverle dare una risposta, -Quando ti andrà di parlarne, sappi che io sono pronta ad ascoltarti-, aveva aggiunto e si era sbracciata a chiamare gli altri due per la partita a beach volley.

 

Ami rifletté: la risposta fosse la conosceva. Lo aveva fatto solo per arricchire la sua personale collezione di occasioni perse, per esser certa di essersi fatta disprezzare, perché aveva paura di quello che si era mosso dentro di lei, troppo lontano dal suo cervello perché fosse una buona idea e infatti aveva offuscato la sua visione nitida e pragmatica della vita. Aveva messo in imbarazzo Kenzo, aveva stabilito le ipotesi e dimostrato la sua tesi circa il vero interesse del ragazzo perché, per prima, non avrebbe saputo gestire una situazione differente o trascinare a lungo qualcosa che nemmeno probabilmente sarebbe mai accaduto.

Era stata una sciocca. Inspirò l'aria salmastra, guardò alle sue spalle, oltre il basso profilo dell'isola e sperò che la tempesta che stava impedendo alle navi di salpare si fosse già acquietata. Aveva bisogno di tornare a casa e dedicarsi soltanto allo studio in solitudine per poter ritrovare quel sentiero che aveva scelto di percorrere.

 

Cosa dire invece di Minako? 

La sua rivelazione l'aveva a dir poco sconvolta: il fatto che l'amica fosse in grado di percepire le reazioni delle altre persone ai sentimenti e alle sensazioni tramite la risonanza con i battiti dei loro cuori significava che il potere di guerriera Sailor era così radicato nel suo profondo da permetterle di estendere alla vita di tutti i giorni quelle particolari capacità che riusciva ad applicare in battaglia. Se era vero, era un fatto eccezionale. Ami si domandò se anche le altre sue amiche avessero delle abilità simili, certamente non ne aveva lei: era una nuotatrice provetta, ma perché si era sempre allenata fin da piccola, non per altri motivi che non fossero il merito personale.

Un pensiero la folgorò: e se non fosse stato per il merito? Se fosse stata così abile nel nuoto per una sua propensione alla materia liquida innata in lei come la sua identità di Sailor Mercury e non per tutti gli allenamenti a cui si era sottoposta fin da bambina? Se quella fosse stata la verità, allora avrebbe potuto manipolare l'acqua in ogni momento della sua vita. Si concentrò su qualcosa di piccolo, per fare un test, e portando una mano ai capelli bagnati pensò intensamente a cosa potersi inventare per verificare quella teoria. "Acqua, sparisci dai miei capelli", pensò intensamente, immaginando che tutto l'umido evaporasse istantaneamente. Un sottile rivolo colò lentamente giù dal suo polso lungo l'avambraccio e gocciolò a terra: la chioma era asciutta.

-Incredibile-, bisbigliò tra sé e sé, perdendosi il bisticcio tra Hiro e Kenzo all'ennesima palla persa e punto a Minako. Dunque anche le altre sue amiche avrebbero potuto sviluppare abilità correlate al loro elemento guida. Se Minako sussurrava ai cuori avrebbe potuto anche deviare la luce, per esempio, e Rei accendere fuochi senza strumenti esterni, oppure provocare calore senza fiamme e scaldare gli oggetti, tipo una pentola con dell'acqua o i vestiti per l'inverno; Makoto forse sarebbe stata in grado di comandare l'elettricità e accendere le lampade senza usare interruttori o deviare scariche elettriche. Non aveva potuto vedere all'opera le nuove guerriere Sailor, ma aveva capito che comandavano il vento e il mare, chissà se anche loro…

Il vento e il mare…

Ami guardò il cielo limpido e il sole quasi allo zenith sopra di sé: era un clima perfetto, il mare era calmo e spirava una brezza leggera. Dall'altra parte dell'isola invece le navi non riuscivano a partire.

D'un tratto comprese che i suoi problemi di cuore e le emozioni che la stavano triturando non rappresentavano un vero scoglio ai suoi progetti di studio, erano cose che poteva in qualche modo riuscire a controllare e arginare da sola, se solo fosse potuta tornare a casa. Invece no: erano state ancora una volta quelle due ragazze misteriose a determinare la loro permanenza a Kakeroma. Mentre loro giocavano, ridevano, si baciavano e confondevano cuori e teste, erano in ostaggio di Sailor Uranus e Sailor Neptune.

 

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Minako dopo un po' non provo più gusto nel colpire il pallone e fare punto, ogni volta. O quei due erano d'accordo per darle un contentino di cui non aveva assolutamente bisogno, oppure erano davvero due schiappe senza speranza. Disse loro che non voleva ulteriormente infierire e chiamò con un cenno Ami con la scusa di andare a ripescare i due polpi assenti.

-Noi cerchiamo Naru e Umino, voi per favore iniziate a smontare l'ombrellone e tutto il resto, ché dobbiamo tornare a casa-, Minako liquidò i due assi incompresi della pallavolo e si appartò con la sua amica. Ami non aveva voglia di continuare a scandagliare i suoi errori, ma accettò l'invito ugualmente. Si aspettava domande a raffica e invece Minako la stupì parlando di quello che era successo tra lei e Hiro. Era seriamente sconvolta per quello che era accaduto, raccontò di come il suo cuore avesse preso a correre all'impazzata, come se stesse per andarsene dal suo petto. Disse che era stata una delle emozioni più forti che avesse mai provato, sensazioni strane e impetuose che l'avevano agguantata e strapazzata come in un sogno inatteso.

-Però io non provo nulla per Hiro-, concluse, -Appena il mio cuore si è acquietato non ho provato nulla. Non ho avuto l'impulso di baciarlo ancora o di stringermi a lui, è stata soltanto la follia del momento-, guardò Ami spaventata, aveva fatto qualcosa che non doveva fare se il suo cuore non aveva dato segnali di approvazione, non c'era dubbio.

Ami rifletté sul fatto che, in fondo, Minako aveva tanto atteso la sua prima storia d'amore che forse l'attesa della stessa era stata più emozionante del concretizzarsi dell'evento. In realtà non sapeva cosa dirle; forse avevano provato esattamente le due facce opposte della medaglia: da un lato lei, che aveva agito d'impulso quasi a togliersi di mezzo il rischio di un coinvolgimento, ma era rimasta coinvolta, suo malgrado; dall'altra Minako, che sperava in qualcosa di grandioso, ma che era stata abbagliata dal momento e poi si era resa conto che, del fuoco d'artificio esploso dentro di lei, non erano rimaste che cenere e cartacce bruciate.

-Credo che siamo state entrambe due stupide-, ammise Ami, abbassando il viso e sorridendo all’amica, -In fondo non conosciamo cosa sia l’amore e abbiamo fatto un po’ di confusione.-

Minako ricambiò il sorriso e guardò il mare placido davanti a sé, in lontananza avevano adocchiato Naru e Umino, teneramente abbracciati sulla battigia.

-Il tuo cuore in questo momento sembra un motore che gira a vuoto-, disse ad Ami, -Non sai cosa devi fare, ma sai cosa vorresti fare. Giusto?-

Ami portò una mano alla guancia, Minako l’aveva sorpresa un’altra volta, non era affatto semplice riuscire in quell'impresa, -Vorrei parlare con Kenzo e domandargli scusa. Vorrei concedermi un’altra possibilità, ma non sono brava in queste cose-, ebbene, esisteva qualcosa che la spaventasse più di un esame di Fisica o le prove di ammissione alle superiori.

-Sono sicura che ne avrai l’occasione-, la supportò Minako, -E quando accadrà, lascia che sia il tuo cuore a ragionare, non quella strana patina di insicurezza che ricopre la tua anima e ti offusca la testa-, non era un’offesa, era la pura e semplice verità. Ami sorrise e comprese che il cuore, in fondo, poteva essere più bravo della testa a fornire le soluzioni migliori, se lo sarebbe ricordato se le fosse capitata di nuovo l’occasione.

-Ahi!-, strillò Minako, il volto piegato all’ingiù e gli occhi vispi, -Ahi ahi ahi!-, ripeté in una perfetta performance teatrale da prima elementare, -Che maaaale!!!-, urlò finché Naru e Umino non la udirono e corsero da lei; -Devo essermi slogata il polso, ahhh, che dolore! Come farò a tornare a casa aggrappandomi in moto? Ah! Che sfortuna!-

Quella mattina, come il giorno precedente, Minako era arrivata alla spiaggia dietro a Kenzo, lasciando ad Ami il posto in auto perché la ragazza aveva troppa paura di salire su una motocicletta, era giunto il momento di riprendersi il suo sedile comodo e costringere la timida Ami a darsi una svegliata. In fondo era o non era la paladina dell’amore?

Ami non le disse nulla, perché era troppo indecisa se coniare una nuova parolaccia da rivolgerle oppure ringraziarla: si limitò a sorridere e chiese agli amici di affrettare il rientro a casa per medicare il polso della sua diabolica amica.

Quando ebbero preparato tutto, i sei giovani si incamminarono lungo il viottolino che dalla spiaggia tornava allo spiazzo dove avevano lasciano l'auto e la Ducati, Minako si avvicinò furtivamente a Kenzo, -Ami ha il terrore delle moto, per favore stai molto attento a metterla a suo agio-, gli fece anche l’occhiolino e poi -Ops! Ahhh, che male il mio povero polso!-, Kenzo scosse la testa e le sorrise: sarebbe stato attento a fare il suo meglio per mettere a suo agio Ami e se non fosse bastato gli sarebbe andato bene lo stesso.


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Mamoru si avvicinò al cancello posteriore della Villa e vide che era chiuso, proseguì girando attorno alla recinzione per cercare di capire se ci fosse qualcuno in casa e si fermò davanti all'ingresso, -Usako, per favore, puoi provare a suonare e vedere se qualcuno ci apre?-, domandò alla ragazza e l'aiutò a smontare. Lei fece due passi veloci e si chinò appena per ascoltare un'eventuale risposta al videocitofono; si voltò e fece spallucce.

-Siamo tornati troppo presto-, comunicò al ragazzo senza aver ancora tolto il casco.

-Staranno per rientrare, li aspettiamo qua o facciamo un giro?-, domandò lui.

Usagi avrebbe risposto di andare a fare un giro, ma un furgone giallo con l'insegna di un corriere si fermò proprio davanti al cancello. Ne scese un uomo in divisa da lavoro, -Kumada?-, domandò loro senza troppe cerimonie, Mamoru stava per parlare, ma Usagi fu più lesta di lui: -Sì, sono la signorina Kumada, stavamo uscendo, c'è una consegna per noi?-, sfilò il casco e sorrise gentilmente. Il corriere esaminò la cartella con la lista dei pacchi e spuntò diverse righe, girò attorno al furgone e aprì lo sportello posteriore, entrando dentro con un balzo. Mamoru spense la moto e tolse il casco, rimanendo a guardare le operazioni. L'uomo estrasse dalla pancia del container un pacco, cancellò qualcosa sul foglio e tornò dentro; prese un altro pacco è ripeté il gesto, poi lo fece ancora, tirò fuori due pacchi contemporaneamente, e ancora, altri tre pacchi.

-Non finiscono più?-, Usagi era sgomenta, chi aveva mandato tutta quella roba e a chi? Mamoru mise la moto sul cavalletto e si avvicinò a lei appoggiandosi con le spalle al muro e le braccia incrociate.

Contarono dodici scatole, alcune più grandi, altre più piccole e una busta formato A4 dalla carta giallina.

-Ho finito: può mettere una firma qua, signorina Kumada, per favore?-, Usagi alzò le sopracciglia e scarabocchiò qualcosa, quindi attese con Mamoru che il furgone ripartisse e si aprì in un'esclamazione di stupore.

-La famiglia di Yuichiro ha i soldi che escono dalle orecchie!-, strillò e si avventò sulle scatole.

-Ferma Usako, non è roba nostra-, la rimproverò il giovane mentre lei passava in rassegna le scatole, una a una.

-"Per Mr. Mamoru Chiba presso Villa Kumada", "Per Miss Minako Aino presso Villa Kumada", "Per Mr. Umino Gurio presso Villa Kumada": e invece è roba nostra!-, porse al ragazzo il pacco col suo nome e riprese a esaminare i cartellini sui rimanenti con gli occhi emozionati di un bambino la mattina di Natale; -Ce ne sarà uno anche per me!-, esclamò finché non scorse il suo nome, sul pacco più grande di tutti, -Mamo, è questo il mio!-, trillò al settimo cielo e, nel cercare di sollevarlo, le cadde la busta più piccola. Mamoru la raccolse e lesse -"Per la Principessa Serenity e il Principe Endymion"-, lo stupore era palpabile nella sua voce.

-Dai, apriamolo!-, lo pregò Usagi; il plico conteneva una lettera, scritta in una calligrafia elegante.

“Vostre Maestà Principessa Serenity e Principe Endymion,

il compito che vi attende nel futuro sarà arduo e pericoloso, ma sappiamo che, ora che siete insieme, nulla potrà frapporsi fra il vostro presente di simpatici adolescenti e la gloria. Ci è dispiaciuto portare scompiglio in questa vostra pausa dalla vita quotidiana, in un momento che per entrambi sarebbe stato di crescita anche senza il nostro maldestro intervento. Abbiamo scorto nelle vostre vite il germoglio di una magnificenza che vi accompagnerà fino alla fine dei tempi, se saprete coltivarlo con cura e alimentarlo con l’amore e la fiducia.

Noi non conosciamo il vostro futuro, né potremo mai assistervi, perché proveniamo da una realtà che è scomparsa: se abbandoneremo questo mondo, anche le nostre esistenze finirebbero, i nostri sogni, la nostra piccola gioia quotidiana. 

In questa dimensione esistono già due nostre alter ego che vivranno le vite che noi non potremo più avere: se mai le incontrerete, vi preghiamo, dite loro che in un altro tempo e in un altro spazio sono esistite delle loro "sorelle gemelle" che hanno vissuto una vita piena e soddisfacente. Noi non le potremo mai incontrare, si creerebbe un paradosso non permesso dalle leggi di Chrono.

Non sappiamo cosa ne sarà di noi, ma, finché avremo il controllo dei nostri poteri, potremo riuscire a comandare al vento e al mare: abbiamo infuso tutto quello che ci restava per imbrigliare gli elementi almeno per un altro giorno. 

Non appena il nostro potere sugli elementi che vi circondano cesserà, potrete tornare alle vostre case: fate tesoro degli ultimi frammenti di questo periodo felice, ditelo a tutti i vostri amici.

Vivete ogni momento con passione come se fosse l’ultimo e allo stesso tempo come se fosse il primo della vostra esistenza futura.

Costruite giorno dopo giorno quello che vi farà passare alla storia, gioite della fortuna che avete avuto riuscendo a scoprirvi e continuate a farlo in ogni momento delle vostre vite: la vita stessa è una scoperta continua, è un bivio costante al quale voi sarete chiamati a fare una scelta. Insieme saprete scegliere la via migliore, ne siamo certe.

Prima di congedarci volevamo farvi un ultimo dono, per l’ultima notte che passerete su questa isola da sogno.

E un sogno è il regalo che vi offriamo: c’è un locale, dall’altra parte dell’isola, talmente lussuoso ed esclusivo al quale è molto difficile anche solo avvicinarsi. Ogni notte in questo luogo vengono tenute feste sontuose, ricchi banchetti e balli da far perdere la testa: questo è il futuro che vi aspetterà quando ciò che vi abbiamo rivelato sarà compiuto, questo è l’assaggio del mondo di cui farete parte che vorremmo poteste provare questa sera.

In ciascuno dei pacchi che vi sono stati consegnati ci sono una lettera personale, un invito per l’evento di stasera e un bellissimo abito da indossare: oggi noi saremo le vostre “fate madrine”, oggi per voi è stato preparato un sogno a occhi aperti.

Domattina tornerete alle vostre vite normali, ma lo farete sapendo come potrà essere la vostra esistenza se farete le scelte giuste.

 

Vi facciamo anche un ultimo regalo, forse l’unico brandello della realtà da cui proveniamo che non esiste più: lo abbiamo trovato nella tasca dell’abito con cui Haruka è piombata qua sulla vostra Terra.

Conservatelo gelosamente perché scoprirete che il ballo, il ristorante raffinato e tutti gli abiti da sera non potranno essere un traguardo più bello di quello che significa questo piccolo foglio: quello è il vostro traguardo, lottate per raggiungerlo.


Vi auguriamo la miglior vita che possiate desiderare, noi saremo pronte a lottare al vostro fianco e a sostenervi per l’eternità.

 

Vostre Haruka e Michiru.”

 

Mamoru capovolse la busta gialla e un foglio sottile e stropicciato svolazzò cadendo fino ai loro piedi. Usagi si chinò a raccoglierlo e lo guardò.

-Oh!-, esclamò e le sue guance divennero rosse. Alzò lo sguardo su Mamoru, i suoi occhi brillavano, gli porse il foglio e gli circondò la vita con un braccio.

Era il disegno di un bambino di non più di otto anni fatto con i pastelli colorati, c’erano raffigurate tante persone, tutte in fila su uno sfondo piatto. Si potevano riconoscere dalle divise alla marinara tutte le guerriere Sailor, al centro del gruppo c’era una donna vestita di bianco, con lunghi codini biondi e una corona in testa e accanto a lei un uomo col cappello a cilindro e una maschera; tra di loro una figura più piccola, con un abito bianco e due buffe code rosa. Sopra a ciascun personaggio raffigurato c’era scritto in tralice il suo nome: Pluto, Venus, Mars, Mercury, Neptune, Jupiter, Uranus, Saturn; sopra le tre figure centrali spiccavano tre nomi: “Mamma, Io, Papà”.

 

Mamoru guardò Usagi, non riusciva a parlare, vide l’universo intero negli occhi lucidi della sua amata, vide il passato e conobbe il suo futuro. Una lacrima piccina piccina le scivolò sulla guancia, lui le sorrise e con una carezza la portò via. Non c’erano parole, c’era soltanto l’oceano azzurro e la calma di quello sguardo emozionato. Si chinò su di lei finché non fu blu nell’azzurro e si avvicinò fino a sfiorare la bocca rosa con le sue labbra.

-Insieme-, sussurrò Usagi.

-Insieme-, ripeté lui e si unirono nel bacio più dolce che mai avrebbero potuto immaginare. I loro cuori battevano all'unisono la stessa melodia, l'emozione di quello squarcio di possibilità li aveva inconsapevolmente arricchiti di un nuovo livello di consapevolezza: da qualche parte nel tempo loro due avevano costruito il tesoro più prezioso, avrebbero saputo farlo anche in quella realtà conquistata così inaspettatamente.

 

-Quella bambina… è così bella! Ha un vestitino così elegante… sembra proprio una piccola lady!-, furono le prime parole che Usagi riuscì a pronunciare in un sorriso sognante.

-Sì, una piccola lady-, le fece eco Mamoru, -E tu sei la mia regina-, la baciò di nuovo e poi la tenne stretta al suo petto, in piedi davanti a Villa Kumada, sepolti da scatole e scatoloni per tutti loro.

 

Non si accorsero dello scoppiettio della Vespa che si avvicinò piano piano, finché Motoki e Makoto non si fermarono davanti a loro guardandoli con facce interrogative.

-È arrivato a Babbo a Natale?-, domandò il ragazzo e col telecomando aprì il cancello per entrare nel vialetto posteriore della Villa. Lui e Makoto ricomparvero uscendo dalla porta d'ingresso e aprirono loro l'ingresso principale. Mamoru mise in garage la moto e tornò al cancello.

-Cos'è tutta questa roba?-, Makoto era incuriosita, Usagi si staccò dal suo ragazzo e si chinò sul mucchio di pacchi, leggendo le varie etichette.

-Ecco, questo è per te!-, annunciò mettendo tra le mani di Makoto una delle scatole più grandi, -E questo per te-, ripeté il gesto passando a Motoki il suo pacco.

-Ma cosa sono?-, Makoto sorrideva senza comprendere.

-Sono dei regali da parte di Haruka e Michiru: quelle due ci hanno organizzato la serata!-, Usagi era al settimo cielo. I quattro giovani portarono dentro casa tutte le scatole e aspettarono i loro amici per aprirle.

-Muoio dalla curiosità!-, confessò Usagi a un certo punto, -Anche io!!!-, le fece eco Makoto. Sapevano che avrebbero trovato degli abiti bellissimi, ma non quali.

-Conoscendo quelle due, vi hanno preso qualcosa di molto succinto…-, commentò Motoki; da fuori udirono che qualcuno stava rientrando a casa.

Attesero di essere tutti presenti e solo allora Mamoru prese la parola. Doveva stare attento a quello che avrebbe detto, perché Hiro, Kenzo, Yuichiro, Umino e Naru non sapevano ancora niente della doppia vita segreta della metà di loro e sarebbe stato saggio tenerli all’oscuro di tutto il più a lungo possibile. Raccontò semplicemente che le due ragazze che si erano rifatte vive la sera prima alla discoteca erano molto ricche e per farsi perdonare della serata casalinga che avevano rovinato avevano regalato loro l’opportunità di essere invitati a una delle feste più esclusive dell’isola, forse di tutto il Giappone, corredando l’invito con il dono di abiti adeguati al luogo. Yuichiro non credeva ai suoi occhi, dal momento che solo una volta tanti anni prima i suoi genitori erano riusciti a entrare in quel locale e senza figli al seguito, non era affatto convinto che li avrebbero davvero accolti all’ingresso, ma l’espressione sognante sul volto di Rei lo portò a tenere per sé quei dubbi.

-Apriamo?-, propose Usagi.

-No, aspetta-, Naru raffreddò il suo entusiasmo, -Io preferirei fare una sorpresa a… a tutti voi mostrandomi già preparata stasera prima di uscire-, ammise diventando rossa. L’idea però era ottima e fu accolta anche dalla più curiosa di tutte senza obiettare.

-In attesa della cena luculliana, noi quattro abbiamo pensato di fermarci a comprare qualcosa per pranzo-, annunciò Minako e mai un’offerta fu più gradita da tutti.

-Bravissimi, così poi potremo inaugurare la piscina e avere più tempo per prepararci stasera-, Yuichiro era compiaciuto nell’aver trovato una squadra così affiatata e collaborativa nel prevedere le necessità di tutti. Conosceva da anni le amiche di Rei e le aveva sempre considerate delle ragazzine con poco sale in zucca, ma giorno dopo giorno aveva imparato ad apprezzarle e a farsi piacere la loro compagnia. Si era reso conto piano piano di essere interessato anche alle loro vicende e incuriosito da quello che esisteva al di fuori del suo unico centro di gravità. 

Era davvero un peccato che la vacanza fosse finita.

 

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Haruka aprì la scatola contenente il suo acquisto e storse il naso, -Siamo sicure di aver fatto le scelte giuste?-, la domanda era relativa alle cose che avevano preso per i ragazzi, eppure a Michiru parve le chiedesse altro.

-Sono sicura di buttarmi in auto da un burrone, se lo faremo insieme-, le rispose.

-Ehi, Thelma, mi riferivo agli abiti… Non credi che siano un po’ troppo per dei ragazzini?-, Haruka sorrise e sollevò davanti a sé il suo abito.

-Abbiamo la testa da donne millenarie, eppure dimostriamo nemmeno vent’anni… Hai ragione, forse abbiamo esagerato, ma non importa-, constatò Michiru.

Haruka annuì e si richiuse nei suoi pensieri: adesso lei e Michiru dovevano pensare a cosa fare del resto delle loro vite, dove stare, come chiamarsi, come organizzarsi per andare avanti. Le pareva di essere un pittore davanti a una tela bianca su cui non avrebbe potuto usare colori sgargianti, soltanto le più timide sfumature della tavolozza. D’un tratto non si sentì poi tanto sicura di riuscire a obbedire al giuramento fatto a Pluto. Sospirò, in fondo aveva tenuto con sé quanto di più caro avesse e se lo sarebbe fatto bastare fino alla fine.


 

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Capitolo 28
*** Capitolo 27 ***


Capitolo 27
Felicità, Principesse & Il Gran Galà



 

Finito di pranzare e ripulito il tavolo all’ombra sotto al porticato, uno a uno tutti i giovani vacanzieri si dileguarono salendo nelle loro camere, ciascuno con il proprio pacco regalo tra le mani. Usagi tornò con Naru nella stanza che avevano condiviso e chiusero a chiave dietro di loro.

-Apriamoli!!!-, fu l’urlo sommesso di Naru, che aveva proposto di aspettare a svelare il contenuto delle scatole, ma moriva dalla curiosità di vedere cosa avrebbe indossato quella sera. Usagi non se lo fece ripetere due volte, quando svelò il contenuto del suo pacco rimase ammutolita: Motoki si sbagliava, quell’abito era meraviglioso! Lo tirò fuori dalla scatola con reverenza, sentendo gli occhi pizzicare per la commozione e non pronunciò una parola finché non ebbe osservato ogni più piccolo dettaglio di quel capolavoro. Se tutti i capi regalati loro erano della stessa fattura, Michiru e Haruka dovevano aver speso una fortuna.

Naru, dall’altra parte della stanza, aveva avuto una reazione simile: il suo abito l’avrebbe fatta sentire una principessa, ne era sicura.

Si misero vicine a studiare gli abiti una dell’altra, pregustando l’attimo in cui li avrebbero indossati. Un gridolino giunse alle loro orecchie dal corridoio, coprirono i loro tesori e andarono a controllare; dalla porta socchiusa della stanza di Rei e Minako provenivano le loro esclamazioni, le ragazze stavano saltellando sul posto abbracciate tra loro.

Passarono pochi minuti e tutte e sei le fanciulle si riunirono nella stanza di Naru, ciascuna per mostrare il proprio abito. Makoto si rese immediatamente disponibile a effettuare qualche modifica al volo, nel caso fosse servito, così, una a una, le ragazze indossarono i loro sontuosi abiti. Haruka e Michiru non solo avevano scelto le stoffe sulla base di un segreto che unicamente Naru non conosceva, acquistando per loro gli abiti in tinta con i costumi da guerriere Sailor, ma avevano colto esattamente le varie personalità delle ragazze, scegliendo dei modelli che le avrebbero fatte sentire perfettamente a loro agio e ne esaltassero le virtù. Per ogni abito Michiru aveva scritto qualche riga di consigli sulle acconciature da farsi, sapendo bene che le ragazze avrebbero fatto tutto da sole e Haruka aveva aggiunto un piccolo gioiello da abbinare e calzature col tacco alto. Erano tutti pezzi di bigiotteria, ma sembravano perfetti. 


I maschi, dal canto loro, si ritrovarono nel panico più totale: avevano sei smoking di diverse tonalità dal nero all’azzurrino cenere, con sei fasce, sei camicie, sei gilet e sei papillon e non sapevano nemmeno l’ordine in cui li avrebbero dovuti indossare. -State calmi, ci penso io-, disse Mamoru, che di smoking se ne intendeva alquanto e in breve trasformò i suoi amici da bagnanti in costume e infradito in perfetti cavalieri per la serata.

Motoki lo guardava sorridendo sotto ai baffi e pensava che a lui sarebbe bastato fare quella cosa con la mano e, invece che la rosa, gli sarebbero apparsi addosso anche un mantello e il cappello a cilindro, oltre che lo smoking.

Yuichiro aveva appena messo il papillon e già stava diventando paonazzo, -Io non resisterò più di venti minuti agghindato così!-, si disperò, poi guardò l'orologio, -Non è tardi, ma se vogliamo stare un po' in piscina, farci la doccia e prepararci, forse sarebbe il caso di muoverci-, avvisò.

-Le ragazze ci staranno almeno il doppio di noi, hai ragione, il tempo stringe-, Kenzo appoggiò la sua proposta e in breve ritornarono a essere sei ragazzi tutti arruffati, pronti a tuffarsi in piscina.

Uscendo dalla stanza che avevano scelto come camerino, Mamoru fermò il padrone di casa con un cenno: -Non ti arrabbiare, per favore-, iniziò, -Ma ti consiglio di tagliare la barba stasera…-, inclinò la testa di lato sforzandosi di apparire il più dispiaciuto possibile per la proposta che gli aveva rivolto.

-Lo so, me l'ha scritto anche la tua amica-, Yuichiro sventolò la lettera di Michiru trovata dentro la scatola che conteneva il suo smoking, -Forse dovrei tagliare anche i capelli o inventarmi qualcosa: tu non hai idea di che luogo sia quello in cui proveremo a entrare…-

-Come "proveremo"?-, Mamoru storse il naso.

-Fidati, secondo me non ci faranno entrare…-, scosse la testa, la paura di deludere Rei era sempre in agguato; Mamoru sperò che l'amico stesse esagerando, dopo quei presupposti sarebbe stata una delusione per tutti dover rinunciare a quella serata.

Avvertirono le ragazze che stavano per tuffarsi in piscina e le precedettero in giardino, l’acqua azzurrina era liscia come uno specchio, neanche un granello di sabbia o una foglia a sporcare quella perfezione.

-Chi si butta?-, domandò Yuichiro, che in un passato quasi dimenticato era sempre stato il primo della famiglia a dare il via ai bagni estivi a Kakeroma. Quella volta non lo avrebbe fatto.

-Propongo di acciuffare la prima fanciulla che arriva e scaraventarla in acqua!-, disse Hiro, alquanto intimorito dalla bellezza della vasca. Okay, avrebbe deciso il destino.


Usagi e Naru non avrebbero ricevuto tale trattamento, perché sarebbero scese per ultime. La bionda, con una scusa, trattenne la sua migliore amica nella loro camera e attese che le altre uscissero, dopo che tutte si erano tolte gli abiti da sera e avevano rimesso i costumi da bagno e i prendisole. Ami comprese le sue intenzioni e -Su, su, andiamo a fare il bagnetto!-, chiamò le altre tre dando l’esempio e precedendole giù per le scale.

 

-Non andiamo, Usa-chan?-, Naru fremeva dalla voglia di provare anche quell’esperienza prima di lasciare l’isola, perché, lo aveva capito, la mattina dopo sarebbero ripartiti alla volta di Tokyo.

-Vorrei parlarti…-, Usagi si sedette in punta sul divano, sforzandosi di trovare le parole più adatte per ciò che doveva rivelare all’amica.

Naru ne stava approfittando per sistemare le sue cose ancora rimaste a giro per la stanza, ma, anche se non la guardava, sapeva che Usagi stava contorcendosi le mani, forse in preda all'imbarazzo per qualcosa che riguardava Mamoru.

Non avevano avuto modo di parlare, non aveva direttamente saputo dalle sue labbra cosa fosse esattamente successo la sera prima con il ragazzo, ma le era chiaro che finalmente la sua amica aveva trovato dentro di sé le risposte a tutti i dubbi che la avevano frenata dal concedersi con lui la bellezza dell'amore.

-Stai cercando di dirmi che ti sei finalmente messa con Mamoru?-, le domandò andando a sedersi vicino a lei. Per Usagi quella era una cosa già scritta sulla pietra, ma effettivamente non aveva confermato direttamente a Naru ciò che lei le stava in qualche modo chiedendo. Ma non era quello ciò di cui le voleva parlare.

-No, immagino che quello tu lo abbia già intuito…-, ammise, -Avrò modo di spiegarti esattamente cosa sia successo per farmi capire che fosse la scelta migliore da fare, ma non posso farlo se prima non ti parlo di un'altra cosa…-, prese aria, portò dall'indice al mignolo della mano sinistra alla bocca e iniziò a mordersi le unghie.

-Avanti, hai paura del mio giudizio?-, Naru le prese le mani e le fece un sorriso dolcissimo, -Coraggio Usa-chan, qualunque cosa tu voglia dire sai che puoi contare su di me!-

Perse l'appiglio nel suo sguardo quando l'amica guardò in basso, strinse appena le mani sulle sue.

-Nephrite-, iniziò Usagi, consapevole che quel nome, lei, non avrebbe dovuto conoscerlo, -Ho cercato di convincerti a stare lontana da lui perché sapevo chi fosse realmente. Ho sbagliato e me ne sono resa conto quando ho capito che il tuo era vero amore, ma ormai era troppo tardi. Non ho potuto fare niente per salvarlo, ero impotente e di questo mi pentirò finché sarò in vita-, prese ancora aria, -La volta che stavi per morire soffocata da quelle orrende palle verdi al parco: ho lottato contro il tempo per impedire che accadesse, non potevo immaginare di perderti; la primissima volta è stata la tua richiesta d'aiuto che ho ascoltato e mi ha permesso di intervenire-, deglutì e alzò lo sguardo dritta negli occhi di Naru.

-E poi mi sono innamorata di lui, di Tuxedo Kamen, ma tutte le altre mi dicevano che non dovevo fidarmi, proprio come io avevo detto a te di Nephrite ed è stato allora che ho capito quanto devo averti delusa. Ma proprio pensando all'amore che tu hai continuato a provare per lui, nonostante le mie parole, ho capito che avrei dovuto seguire il mio cuore-.

Naru aveva lasciato le mani di Usagi alla terza frase, la guardava senza comprendere, un po' spaventata per le sue parole.

Usagi sospirò, si leccò le labbra secche, cercò un altro modo per spiegarsi muovendo per aria le mani, sbuffò.

-Quello che sto cercando di dirti, Naru è che…-, era difficile…, -È che in realtà io sono Sailor Moon-, non riuscì a sostenere lo sguardo dell'amica, ma dopo poco sentì che lei stava di nuovo cercando le sue mani; le strinse come aveva fatto poco prima e si abbassò per catturare i suoi occhi: -Ehi! Usa-Chan, va tutto bene, io lo sapevo già-, ammise con un dolce sorriso.

-Co… Come?-, quella volta era Usagi che non capiva.

-Non ero certa, ma lo sapevo già, lo avevo capito, avevo riconosciuto il tuo ardore in battaglia e le tue attenzioni verso di me, lo vedevo il giorno dopo a scuola nel tuo viso stanco e non sapevo darmi altra spiegazione. Mi hai salvata così tante volte, Usa-Chan, che non ho mai avuto il coraggio di chiederti se fossi davvero tu, perché non avrei saputo come ringraziarti abbastanza-, l'abbracciò, -Grazie amica mia, per tutto-.

A Usagi si era azzerato il cervello: Naru l'aveva riconosciuta, quindi non era vero che la magia avrebbe protetto le loro identità in eterno.

-Quindi… niente urla, salti o "come hai potuto non dirmelo prima"?-, domandò con un sopracciglio su e uno giù, perplessa.

Naru rise con una risata cristallina, -No, solo grazie di esistere, amica mia!-.

Ci volle un attimo a Sailor Moon moon in borghese per accettare che a Naru andasse bene così. Si era tolta un gran peso dal cuore!

-Sei forse tra le più recidive a metterti nei guai, mi hai fatto fare non so quanti straordinari!-, scherzò sopraffatta dalla consapevolezza che il loro rapporto sarebbe cambiato, d'ora in poi, ma probabilmente ancora più in meglio.

-È vero! Sono senza speranza!-, Naru la strinse ancora, ridendo e sentendo le lacrime uscire dai suoi occhi e allo stesso tempo le proprie mani bagnate da quelle di Usagi.

-Mamoru è Tuxedo Kamen, Naru!-, quasi l'urlò, perché era la cosa più bella che le fosse mai capitata.

-Il tuo cuore non sbagliava, allora!-, Naru si allontanò tenendo le mani sulle sue spalle, -Sono felice per te-.

Usagi tirò su col naso, sopraffatta dall'emozione, neanche fosse stata lei quella ad aver ricevuto una notizia così eccezionale sulla sua migliore amica.

-Piano piano mi racconterai tutto, ora che ne dici di andare da… Tuxedo Kamen?-, le fece l'occhiolino e le passò un fazzoletto per asciugarsi il naso; -Lo sai che appena lo vedrò gli scoppierò a ridere in faccia, vero?-, disse all'amica quando aveva già la mano sulla maniglia abbassata della camera.

-Ma perché? Poverino!-, a Usagi quasi si drizzarono i codini. 

Naru fece un'espressione seria: -"Hai turbato l'armonia di un allegro gruppo di adolescenti che stanno imparando a scoprire il mondo, con le tue azioni hai impedito a una giovane fanciulla di farsi il balsamo dopo lo shampoo..."

Usagi ebbe un iniziale smarrimento, ma limitazione che Naru fece di Tuxedo Kamen fu talmente ben eseguita che iniziò a ridere a crepapelle e non smise finché non furono in giardino. Quando vide Mamoru avvicinarsi a lei non resistette più e gli scoppiò a ridere in faccia, lasciando il povero ragazzo alquanto perplesso con in testa la sola domanda "E adesso cosa ho fatto?"

Naru non riuscì a trattenersi e seguì l'amica in quella folle goliardia, entrambe ridevano così tanto che avevano le lacrime agli occhi, indicavano Mamoru e ridevano ancora di più; gli altri non capivano, ma dopo poco furono contagiati da quella ilarità e a tutti venne la ridarella.

Mamoru era l'unico che non si stava divertendo, non fino a quel momento almeno, quindi fece l'unica cosa che praticamente aveva fatto quasi ogni giorno da quando erano sull'isola: agguantò Usagi ancora vestita e la lanciò in piscina. Prima che lei potesse avere una qualsiasi reazione, si tuffò e la raggiunse, vide la sua faccia contemporaneamente divertita, incredula e pronta ad arrabbiarsi e le tappò la bocca con un bacio.

Usagi accettò il bacio, scompigliò i capelli a Mamoru e lo guardò con tutto l'amore del mondo, cingendogli il collo, poi gli spinse la testa sott'acqua, lo liberò e riprese a ridere.

-Tuffo a bombaaa!!!-, urlò qualcuno e di nuovo Mamoru finì sott'acqua in mezzo agli schizzi e poi ancora Usagi, che vide Naru accanto al bordo della vasca, la agguantò per una caviglia e la fece cadere in piscina. Naru trascinò giù anche Umino, che la stava baciando e Usagi rise ancora e ancora, schizzando e scherzando e baciando e rise, rise come non aveva mai fatto in vita sua.

Era quella la felicità? Un gruppo di giovani spensierati, per un attimo senza il peso del mondo sulle loro spalle e un disegno a pastello di una bambina, conservato gelosamente?

I ragazzi si fecero scherzi, giocarono, finirono in acqua, in un turbine di spensieratezza. Dal giardino le loro risate e le voci allegre giunsero fin dentro alla casa e dopo anni Villa Kumada tornò un posto felice.

Ami sembrava un pesce e riusciva a sgusciare via dalle mani di chiunque cercasse di agguantarla, si faceva beffe di loro, fece persino degli sberleffi, schizzò fuori inseguita da Makoto e si tuffò, sfuggendo sott'acqua in apnea.

Da Mamoru l'attenzione si spostò su di lei, -Prendila!-, -È lì!-, -No mi è scappata!- mentre Ami nuotava e giocava nel suo elemento e rideva senza pensieri.

 

Senza pensieri.

 

-Presa!-, esultò Kenzo trattenendola per le spalle, si levò un urlo di vittoria, lei si voltò e gli sorrise. E fece quello che aveva già fatto la mattina al mare, senza pensarci, senza astio, né rimpianti. In un sorriso grande come il suo cuore lo baciò e lasciò che anche lui la baciasse, davanti a tutti, potenziali detrattori, ipotetici critici: essenzialmente nuvole che si sfaldarono nel sole e nel vento nella parentesi di quell'istante. Quando lui si allontanò dalle sue labbra, Ami sorrideva ancora e non poté fare altro che arrendersi all'evanescente batticuore che dal petto risuonò anche dentro la sua testa. Chiuse per un attimo gli occhi e lasciò che quella sensazione s'imprimesse nella sua memoria con la stessa forza della goccia che scava e scava fino a creare un canyon, nuove vie, nuove possibilità. Nuovi orizzonti.

 

-Ma guarda te quella vecchia volpe di Kenzo!-, esclamò Motoki. Era dura ammetterlo, ma era felice che suo fratello, partito con idee balzane e tremila grilli per la testa, avesse fatto centro con la persona più diversa tra tutte eppure, in fondo, più simile a lui. Ecco un'altra figlia che va all'altare, pensò e si trovò fermo nell'acqua a mezza gamba a sorridere, a braccia conserte. 

Sarebbe durata? 

No, ne era certo, ma sarebbe stato un insegnamento per entrambi.



 

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Tutti attendevano con trepidazione e grande aspettativa la serata di gala che era stata offerta loro inaspettatamente, avevano sogni piccoli e grandi, erano certi che sarebbe rimasta impressa nelle loro menti in eterno. Si preparano emozionati e preoccupati allo stesso tempo: tutto avrebbe dovuto essere perfetto per realizzare quel momento unico, ma non sapevano che l'attimo di perfezione lo avevano appena vissuto lì, in quella piscina, ciascuno con il cuore sgombro dai pensieri, cogliendo l'attimo nella sua purezza, aprendo l'anima alla gioia improvvisa, quella più semplice, quella che non ti aspetti.

 

In ciascuno dei loro cuori, dopo quel breve pomeriggio senza nuvole, si era creato un legame con tutti gli altri: erano usciti dagli schemi in spontanea armonia, non c'erano più la secchiona, l'imbranato, la puntigliosa, il maniaco, il serio, la splendida, quello solare e il tormentato. C'erano solo loro dodici, ciascuno con il proprio nome ripulito da etichette e pregiudizi.

Se tutto fosse andato come da programma, quella sera sarebbero stati tutti ugualmente cavalieri, tutte splendidamente principesse.

 

Umino fece un gesto inatteso e assai gradito: scese in giardino che il sole era già tramontato, in smoking e ciabatte e colse sei fiori diversi dalle piante rigogliose per ognuno di loro; li appuntarono alle giacche e furono pronti ad attendere le loro dame.


-Sei veramente bellissima-, Naru guardò ancora una volta l'immagine della sua più cara amica riflessa nello specchio davanti a loro, dopo averla aiutata ad acconciare i capelli; le altre stavano finendo di truccarsi nei bagni. 

-Anche tu sei meravigliosa-, Usagi le sorrise con sincerità.

-Ma tu sembri una principessa-, continuò Naru e la ragazza abbassò la testa.

-C'è qualcos'altro che non ti ho detto, prima, qualcosa che ho scoperto soltanto la scorsa notte…-, Usagi aveva bisogno di un'amica che la aiutasse a sostenere il peso di quel che le era stato rivelato; Naru sedette accanto a lei e ascoltò in silenzio le sue nuove confessioni.


Le fanciulle ci misero un bel po' a prepararsi, dal basso si potevano udire passi concitati, piccoli drammi, gli asciugacapelli in funzione, richieste di aiuto e commenti estasiati, ma quando comparvero una dopo l'altra ai loro amici, ai nuovi amori e a chi andava bene lo stesso qualcosa di indefinito, parve di assistere a un sogno. 

Erano tutte meravigliose, ognuna con un particolare che era riuscito a stupire tutti, come l'inversione delle acconciature, per esempio: chi era solita tenere i capelli legati li aveva sciolti e chi generalmente li teneva liberi li aveva raccolti sulla testa.

Il gruppo agì come se avessero concordato una coreografia, eppure nessuno si era accordato prima su cosa fare: semplicemente venne naturale ai ragazzi salire uno alla volta l'ultimo tratto della rampa di scale per accompagnare al piano terra le proprie compagne, o anche solo per essere cavalieri nei confronti delle nuove amiche.

Naru fu la prima a mostrarsi, con i capelli raccolti in uno chignon e tanti riccioli liberi a incorniciarle il volto: indossava un abito color castagno chiaro, con gonna a campana fino a metà gamba e spalle scoperte, punteggiato di fiori dorati di raso e organza. Scese l'ultima rampa di scale con sicurezza, mostrando le scarpe decolleté con un tacco non molto alto e un grande ricamo di fili dorati. Umino credette di non aver visto niente di più bello in vita sua, divenne tutto rosso dall'emozione e quasi inciampò per andarle incontro; le prese una mano, si avvicinò a lei e le sorrise.

Yuichiro attese di più ad accogliere la sua Rei, che scese uno a uno i gradini con lentezza, mostrando fiera la sua elegante figura fasciata in un abito lungo luccicante rosso scuro con un profondo spacco che lasciava intravedere a ogni passo la sua gamba. Aveva lo scollo asimmetrico, un braccio era lasciato nudo mentre l’altro coperto da una manica a palloncino fino al gomito, stretta da lì al polso. Anche lei portava i capelli sollevati che lasciavano scoperto il collo lungo e indossava sandali con un altissimo tacco a spillo, della stessa stoffa del vestito. Yuichiro quasi si sentì male nell’osservare quanta eleganza e potere riusciva a irradiare la giovane sacerdotessa che amava; si avvicinò a lei e si chinò fino a posare un lieve bacio su uno zigomo. Altrettanto stupefatta fu Rei nel realizzare che, per quella sera, il suo selvatico compagno aveva rasato il volto e tirato indietro i capelli col gel, raccogliendoli in una coda dietro la nuca. Yui era tornato a essere per lei lo stesso ragazzo che aveva ammirato nelle foto appese in mansarda, qualcuno che non vedeva l’ora di conoscere di più.

Rei si perse nell’osservare ogni dettaglio di quella nuova versione del giovane che conosceva da così tanto tempo e quasi non seguì più l’ingresso delle sue compagne in quella loro prima apparizione.

Per Makoto, Michiru aveva scelto un abito di chiffon sfumato nei toni del verde bosco, leggero e allo stesso tempo elaborato, con un grande incrocio sotto al seno che la faceva apparire simile a una leggendaria dea greca. Una sottile cintura di cristalli era l’unico ornamento che portava, una singola pietra luccicava appuntata al lato della cascata di riccioli mogano che coprivano le sue spalle. Calzava sandali argentati con un intreccio di nastri che salivano fino alle sue ginocchia, e soltanto chi avesse scoperto le sue gambe avrebbe potuto vederli. Nel suo cuore sapeva di essere meravigliosa, ma la sua insicurezza le causava un’emozione così forte che temette di inciampare e si sorresse al corrimano al suo fianco. Motoki non attese altro segnale, si avvicinò a lei, prese l’altra mano e vi posò un elegante bacio; fece scivolare il braccio attorno alla vita della sua magica Sailor Jupiter e scese con lei gli ultimi gradini. Non avrebbe resistito ancora e baciò le sue labbra con passione, sfiorando i capelli con la voglia di infilarci tutta la mano dentro per stringerla ancora di più, resistendo per non sciupare quella meraviglia che aveva avuto il coraggio di accogliere nella sua vita.

-Accidenti! Questa sì che è un’accoglienza calorosa!-, esclamò Minako, scendendo rapida e sicura fino a metà rampa e poi fermandosi per farsi ammirare. Anche lei indossava un abito dallo scollo asimmetrico che lasciava scoperta la sua spalla sinistra, mentre dalla parte opposta troneggiava un gigantesco fiore di organza e in vita una fascia alta segnava quanto fosse snella e proporzionata. I capelli erano raccolti sulla sua testa tirati e fissati con gel e lacca in modo che non ce ne fosse neanche uno fuori posto: le mancava la consueta cascata bionda a illuminarla, ma il colore del suo abito parve a tutti come un girasole che per primo cercasse il mattino in mezzo a un campo arato. Minako risplendeva della stessa luce donatale dal suo potere segreto. -Beh, non viene nessuno a prendermi?-, domandò con voce provocante e non le sfuggì la leggera spinta che Kenzo diede a Hiro. Il ragazzo alzò la testa per guardarla, salì qualche scalino e si avvicinò a lei. Deglutì, le prese la mano e, come un automa, la baciò sul dorso. Quella era la stessa Minako che le era apparsa così insicura e indispettita in mare, solo quella mattina, quelle erano le labbra che lui aveva baciato. Non era stato un bacio come se lo sarebbe atteso, perché in realtà era stato folgorato da quella ragazza che aveva trasportato per un'intera settimana in auto stanza comprendere davvero cosa potesse fargli provare. Cercava un'avventura e invece il suo cuore aveva sussultato bisbigliando alla sua coscienza 'È lei!', ma non avrebbe osato fare altri passi, perché aveva pensato di non essere ricambiato. Altri, nella vita di Minako, le avrebbero fatto battere il cuore, non spettava a lui rubarglielo. La accompagnò nell'atrio riuscendo solo a dirle, sufficientemente vicino perché non lo udisse nessun altro, -Sei meravigliosa-. Minako sorrise e si sentì una dea: era quello l'effetto che desiderava di fare agli uomini, quella la scarica che aveva compreso di desiderare, soltanto quella.

Usagi fece un passo verso le scale, ma Ami la fermò con un gesto della mano: -Le Regine appaiono per ultime-, le disse e la precedette vedendo l'imbarazzo salire alle  guance dell'amica. L'abito di Ami era di organza e tulle le arrivava sotto al ginocchio, scendendo più in basso nella parte posteriore, era di un azzurro intenso e sul davanti terminava con uno scollo a V decorato con piume dello stesso colore. Aveva tra i capelli una fascia della stessa stoffa dell'abito e, ai piedi, delle semplici decolleté con tacco alto di un brillante blu notte. Ami era bella, si nascondeva dietro ai libri ed era più probabile trovarla a testa china sui fogli con una penna in mano, ma, se decideva di mostrarsi nella sua intera figura, era decisamente bella: esile e all'apparenza fragile, un po' più bassa delle sue amiche, ma estremamente elegante e splendente. Si fermò e fece l'occhiolino in direzione di Kenzo, che aspettava solo un suo segnale. La raggiunse sulle scale e le sorrise, avrebbe voluto baciarla ancora, ma aveva così tanta paura di fare la prima mossa. -Tocca a te-, gli disse Ami in un dolce sorriso, ma Kenzo non se la sentì di baciarla. Aveva paura di sciupare quel raro fiore: lo avrebbe coltivato con tutto l'impegno che avesse avuto, finché ne fosse stato capace. Era volubile, cambiava troppo spesso passioni e pensieri e non era sicuro in cuor suo che ci sarebbe davvero riuscito: confondere l'euforia del momento per qualcosa di più avrebbe potuto essere un errore. Avrebbe aspettato per comprendere davvero cosa provasse per lei. Ami accettò senza mutare espressione la sua scelta e gli porse la mano; quando arrivò in fondo alle scale si voltò: toccava a Usagi, la loro futura sovrana. 

Guardò Mamoru che, d'un tratto, pareva aver perso la disinvoltura che lo aveva accompagnato fino a quel momento Effettivamente lui in smoking era a suo agio molto più degli altri ragazzi, ma Ami lo vide portare due dita al colletto della camicia e tirare appena, poi scrollare le spalle come a sistemare la giacca. Sorrise, era così tenero!

In quella casa erano in otto ormai a conoscere il segreto di Usagi e quattro invece che non potevano neanche immaginare nulla di lontanamente simile alla realtà presente e futura, eppure, quando lei si mostrò in cima alle scale, inizialmente imbarazzata e titubante e poi, quando vide Mamoru che l'attendeva con lo stesso stato d'animo dipinto in volto, sicura di sé e consapevole che quella sarebbe la prima prova di un futuro da costruire, tutti, anche chi non sapeva nulla, provarono un intenso senso di devozione e riverenza nei suoi confronti. Forse il silenzio immobile con cui la seguirono scendere la prima metà degli scalini, per qualcuno fu un sospiro trattenuto sperando che, almeno quella volta, non inciampasse o cadesse o combinasse qualcuno dei suoi soliti guai, eppure… no, c'era di più.

Usagi prese un respiro e scese senza staccare gli occhi da quelli blu di Mamoru, una mano sollevata a seguire il corrimano senza sfiorarlo, procedette a passo lento e sicuro. Aveva i capelli intrecciati e un piccolo diadema che Haruka aveva comprato per lei, l'abito era lungo e vaporoso fatto di più strati di seta dal colore degradante che si sovrapponevano come le onde del mare.

 

In futuro il tuo colore sarà il bianco: la Regina Serenity a noi è sempre apparsa nel lungo abito bianco che la rappresenta, ma tu sei ancora la nostra Principessa pasticciona, quella che nel nostro mondo ama il rosa, che anche in questa realtà si è mostrata a noi con un prendisole rosa. Tu sei una ragazzina che guarda il mondo con un filtro magico e riesce a trovare il bello anche dove il bello non c'è.

Rosa.

È questo il colore che abbiamo scelto per te, apparirai come una angelica aurora,

come un tramonto tinto appena dal blu della notte, come una favola.

 

Mamoru era abbagliato: davanti a sé non c'era la sua Testolina Buffa, c'era una giovane donna splendente nella sua bellezza e allo stesso tempo avvolta dalla magia della sua innocenza. Quasi inciampò lui nel raggiungerla, col cuore che martellava nel petto e, quando le fu accanto, si accorse che stava trattenendo il respiro. Non avesse creduto a quanto era stato loro predetto sul futuro che li avrebbe attesi, si sarebbe comunque convinto in quel momento, nell'ammirare la sua Usako incedere verso di loro rilucente di grazia e regalità. Le porse la mano su cui lei appoggiò la sua, in un perfetto rituale cortese, ma poi non resistette e la strinse a sé per un attimo, senza paura di sgualcirla e si chinò a baciarla castamente sulle labbra rosa. Lei sorrise, perfusa di un'aura mistica e tornò a voltarsi verso gli altri, facendo il primo movimento per scendere gli ultimi gradini assieme al suo principe.

Naru fu la prima a inchinarsi, forse sedotta dalle rivelazioni avute pochi minuti prima, forse per la stessa sensazione di riverenza che colse, nel suo stesso momento, anche Motoki, Hiro, Kenzo. Yuichiro sentì di dover chinare il capo, senza un vero perché, ma si trattenne e attese che, prima di lui, lo facesse Rei. 

Usagi e Mamoru si avvicinarono ai dieci amici quando tutti furono inchinati al loro cospetto.

-Guardate che se fate così, potrei prenderci l'abitudine!-, esclamò Usagi e fu il rompete le righe per tutti gli altri; -Bene, ora che siamo infiocchettati come tanti bambolotti, come ci arriviamo dall'altra parte dell'isola?-, domandò poi, mostrandosi più pragmatica.

-Ho prenotato due taxi speciali…-, le rispose Yuichiro, -E mentre vi stavate facendo belle è arrivato un altro corriere con un plico per tutti noi-, andò a prenderlo dall'ingresso e lo aprì davanti a loro. All'interno c'erano i biglietti per la nuova traversata dell'indomani, prevista per il pomeriggio successivo. Una lieve malinconia s'impossessò di tutti i presenti, ma le cose belle, lo sapevano bene, prima o poi erano destinate a finire.

-Navigheremo di giorno e prenderemo il treno notturno che arriverà a Tokyo in mattinata-, comunicò Motoki, studiando i biglietti.

-Sempre che il mare ce lo permetta-, osservò Umino, che non aveva affatto voglia di tornare a casa.

 

-Maaa… Dove andiamo esattamente stasera?-, domandò Minako cambiando argomento.

-Sugli inviti c'è scritto "The Ambassador - Welcome August Party", sono numerati…-, Motoki era altrettanto perplesso dalla situazione in cui si sarebbero trovati a breve.

Yuichiro fece schioccare la lingua, in realtà era seccato dal dover andare in quel posto, se l'era giurato anni prima che non ci avrebbe messo mai piede, vedendo la tensione palpabile sui volti dei suoi genitori come se fosse una prova da superare. In tutta onestà era convinto che loro dodici, quella prova, non l'avrebbero superata nemmeno se alcuni tra loro fossero stati anestetizzati prima di uscire da lì. Usagi per un attimo gli era apparsa quasi regale, una donna fatta e finita che avrebbe potuto reggere il più sofisticato di quegli incontri, ma solo un attimo dopo si era attaccata con gli occhi a cuore al braccio di Mamoru saltellando euforica e pretendendo un bacio. No… li avrebbero buttati fuori dopo due minuti, se mai li avessero fatti entrare! 

-Volete la verità? Quello è un posto da stoccafissi impomatati che misurano i loro portafogli sulla base di quanto rispettano le regole più ferree dell'etichetta, dove la crème de la crème va a discutere di affari, accordi politici e a stringere alleanze segrete e mani guantate!-, non si curò di parlare così davanti a Rei, ma si pentì immediatamente vedendo la perplessità sul suo volto.

-Almeno proviamoci-, patteggiò Naru e il ragazzo annuì.

-Tra pochi minuti arriveranno i taxi-, tagliò corto e andò a sedersi in un angolo. Fu raggiunto da Rei che si sedette accanto a lui e non disse niente, prese soltanto la sua mano e posò le labbra sulla punta delle dita. Lei ci teneva molto ad annusare almeno da lontano quel luogo ed era il suo modo di ringraziare quel gorilla a cui aveva deciso di donare il cuore.



 

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I taxi, in realtà, erano due limousine in cui i ragazzi presero posto a coppie, cercando di rimanere calmi davanti a tutti quel ben di Dio. 

-Ma come fai a non essere euforico, 

Mamo!?-, esclamò Usagi quando riuscì a sistemare tutto il volume del suo abito, -Questo è un sogno!-

Il ragazzo le sorrise, se le guerriere Sailor del futuro avevano detto il vero, quello non era un sogno, ma sarebbe stata la loro normalità. Avevano fatto bene a fare quel regalo, d'un tratto sentiva sulle spalle un peso che non era certo di poter sopportare in prima persona, soprattutto se la sua Testolina Buffa si fosse mostrata sempre così su di giri. Anche quella volta si sarebbe impegnato a pensare per due e avrebbe cercato di aiutare Usagi a tirare fuori quella magnificenza che aveva fatto trapelare poco prima.

Gli altri, sotto sotto, erano più intimoriti che realmente entusiasti, dopo le dichiarazioni di Yuichiro, ma comunque si sforzarono di non darlo a vedere.

Quando le limousine si fermarono davanti alla loro meta, più di uno provò l'impulso di scappare a gambe levate: erano ragazzini ancora, non si sentivano pronti ad affrontare il loro 'ingresso in società'.

Yuichiro sospirò, si sistemò la giacca sulle spalle e precedette il gruppo: per quella sera avrebbe svelato una persona che non aveva mai mostrato a Rei; pregò perché lo accettasse anche in quelle vesti.

All'ingresso mostrarono gli inviti e furono scortati nel grande salone con tutte le vetrate aperte sulla baia. Oltre la terrazza monumentale si scorgeva un pezzo di jungla addomesticato in giardino esotico e, dopo di questo un sottile lembo di spiaggia cui si poteva accedere da un vialetto illuminato con fiaccole che creavano un'atmosfera romantica.

Passarono pochi secondi di imbarazzo prima che alcuni camerieri in livrea offrissero loro delle flute di champagne: le ragazze guardarono titubanti i loro accompagnatori, ritenendo che fosse più saggio declinare.

-Preferisce un cocktail analcolico, Mademoiselle?-, domandò un cameriere ad Ami e lei annuì sorridendogli.

Qualcuno accettò volentieri lo champagne, altri preferirono le alternative: lì, in piedi con i loro calici in mano, vestiti di tutto punto, non si sarebbe detto che erano tutti così giovani, anche se il loro gruppo continuava a rimanere compatto e isolato dagli altri luccicanti invitati.

A Yuichiro andava bene così, ma era certo che di lì a poco avrebbe sicuramente attirato le attenzioni di qualcuno che conosceva lui o la sua famiglia, e così fu.

 

Il primo a notarlo si chiamava Arata Tanako ed era il figlio di un vecchio socio di suo padre; più grande di lui di almeno dieci anni, si era sempre distinto per l'ingordigia nel concludere affari a favore della sua famiglia, cosa che era accaduta anche quando aveva sciolto l'alleanza con loro. Quando vide Yuichiro, lui seppe che la sua reputazione di figliol prodigo lo precedeva ovunque, eppure Arata non si rivolse a lui nel modo sprezzante che avrebbe immaginato: fu piuttosto cortese e semplicemente lo salutò invitandolo a partecipare più spesso a quegli eventi, domandando informazioni sulla salute dei suoi familiari e glissando totalmente su domande personali. Fu solo quando Arata si allontanò che Yuichiro notò il lieve inchino che l’uomo rivolse a qualcuno alle sue spalle: si voltò e vide che Rei gli era stata al fianco in silenzio, un passo dietro a lui, mostrando però di essere con lui. 

Forse furono i geni smargiassi ereditati in parte dal ramo paterno, forse l'orgoglio di innamorato: prima che Arata potesse dileguarsi lo bloccò: -Ti presento Rei Hino, la mia compagna-, gli disse e fece segno alla ragazza di avvicinarsi. Arata la salutò compostamente, prima di andare via e a Yuichiro parve di scorgere che si voltasse appena, per ammirare meglio la sua Rei. D'un tratto non trovò poi così irritanti quelle feste e comprese che quel che gli era sempre mancato per affrontare il suo cognome, era qualcuno che gli stesse a fianco.

-Grazie-, mormorò tra i capelli di Rei quando si chinò a darle un piccolo bacio e gli occhi viola della ragazza scintillarono.


Fino a quel momento Usagi si era comportata bene, Mamoru stava iniziando a rilassarsi un po', quando la vide diventare rossa come un peperone dopo aver dato un morso a una tartina. Gli ci volle un'occhiata per capire cosa stesse accadendo, così fermò Naru che passava lì vicino e le disse -Ti prego, portala alla toilette. Subito.- 

Si avvicinarono alla ragazza e la trovarono in preda al voltastomaco, in mano teneva il resto di una tartina al caviale, era a dir poco disgustata. 

-Vieni con me, non puoi sputarla!-,Naru, le fece strada, ma qualcosa scattò nella testa della sventurata. Forse fu il pensiero che, come aveva scritto Michiru nella sua calligrafia elegante, quella serata era un assaggio del loro futuro, o forse semplicemente non voleva deludere Mamoru, mostrandosi come una bambina. Con le lacrime ai lati degli occhi fece uno sforzo sovrumano e inghiottì il boccone, strappando di mano al suo fidanzato il bicchiere e bevendo tutto d'un fiato.

-Ferma, è champagn…-, Mamoru sospirò e lasciò che Usagi finisse di bere: piano piano ne avrebbe tirato fuori una vera regina, ma ancora non era il suo tempo. 

Le fece un sorriso, -Non è che ora finirà come al galà della principessa del Regno di Diamante?-

Passò con eleganza un braccio attorno alla sua vita e lei sollevò su di lui gli occhioni azzurri: -Fu una serata movimentata, ma la ricordo con tanta emozione…- 

Mamoru rifletté sul fatto che probabilmente lei non ricordasse davvero quello che era accaduto mentre si era appisolata dopo aver bevuto un cocktail alcolico, volle stupirla: -Lo ricordi quello che è successo alla fine della serata?-, domandò con aria sorniona. Usagi, persa nel suo ricordo, scosse la testa, -Non ricordi che qualcuno ti ha rubato un bacio?-, le fece l'occhiolino e si godette lo stupore sul suo volto, quando spalancò incredula la bocca.

-Shhh, ne riparliamo…-, la bloccò prima che potesse dire o fare qualcosa di sconveniente, ma lei si irrigidì. 

-Non sono una bambina, Mamoru-, la sua voce era seria, -Non più-, puntualizzò.

Era vero, constatò lui aprendosi in un sorriso dolcissimo, non era più una bambina e ancora non era una donna, ma stava imparando velocemente, e per questo sentiva di amarla ancora di più.

-Vorrei ballare con te-, gli disse addolcendosi nuovamente. Avrebbe voluto abbracciarlo e ballare spostandosi fuori sulla terrazza, da lì verso il giardino e poi fino alla spiaggia. Avrebbe voluto la sua sera di luna da sola con lui, stretta al suo petto cullata da quel battito che le aveva rivelato chi fosse, solo la sera prima. Voleva, ma non poteva farlo lì, in quel luogo sofisticato. 

Avrebbe dovuto tenere a mente che, quando le avessero chiesto di partecipare a un evento ufficiale, non avrebbe potuto lasciarsi andare con lui. Quasi quasi avrebbe voluto scappare via subito.



 

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La musica di sottofondo era un misto tra jazz e un lento latrare di archi, Michiru portò una mano a coprire il suo orecchio oltraggiato.

-Come se la stanno cavando?-, domandò ad Haruka, riferendosi al gruppo di giovani in vacanza.

-Decentemente-, le rispose lei, camuffata per non essere riconosciuta. Aveva ceduto a vestirsi come una perfetta lady, elegante fino al midollo, già stufa di doversi nascondere al mondo intero dopo neanche ventiquattro ore.

Michiru sospirò, -Ci si abitueranno-, sperò, ma era già soddisfatta di quell'esordio.

-Dovevamo rimanere qua solo per mezz'ora: è passata un'ora e mezzo, non ti sembra il caso di smettere di approfittare della mia pazienza?-, le domandò Haruka.

-Vorrei aspettare di vederli quando inizieranno a mettere i lenti-, Michiru fece gli occhi dolci alla sua amica. Si sentiva un po' come una delle fatine della Bella Addormentata, peccato che fossero rimaste in due.

Si erano nascoste nell'angolo più remoto della sala, certe che i ragazzi non le avrebbero mai notate così camuffate, nonostante non avessero potuto usare la magia.

-Mi sa che non li vedrai ballare i lenti-, le rivelò Haruka, e sorrise: i ragazzi stavano già dandosi alla fuga, ci avrebbe scommesso.


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-Che pizza!-, Minako si sedette su un divanetto nel mezzo a Kenzo e Hiro, -Non c'è niente di divertente in queste feste dell'alta società-, e lei che sperava in balli romantici, candele accese, tante chiacchiere e musica coinvolgente! Osservava la statua di ghiaccio che stava sciogliendosi lentamente al centro della sala: era quella la massima attrazione della serata?

-Non c'è un programma? Che so: alle ore nove balli di gruppo, ore dieci e mezzo  taglio della torta, ore undici fuochi d'artificio?-, proseguì per lei Hiro e Kenzo sbuffò, allentandosi il colletto della camicia.

Scorsero Motoki che stava stretto stretto a Makoto in disparte sul terrazzo, parlottavano e sembravano a loro agio. Umino e Naru invece sembravano essere le ombre di Mamoru e Usagi, estremamente tesi e preoccupati di fare qualcosa di sconveniente. 

Ami, nei loro paraggi, si limitava a osservare ogni dettaglio attorno a lei, ogni tanto fingeva interesse per qualcosa, poi cambiava idea.

Uno sconosciuto giovane e spavaldo si staccò dal gruppo di suoi simili e la raggiunse, le domandò qualcosa e lei arrossì. Kenzo sospirò, Minako mise una mano dietro la sua spalla e lo spinse ad alzarsi. Lo seguì con un'occhiataccia finché il ragazzo non raggiunse Ami, salutò educatamente l'intruso e disse qualcosa per allontanarsi con lei, sparendo poi ai loro occhi.

-Ecco il programma della serata-, esclamò Hiro: -A ore dieci, sul terrazzo, abbiamo due teneri piccioncini a rischio espulsione per atti osceni; a ore due ecco il capofila delle Giovani Marmotte seguito da due belle pollastre e un povero pollo spelacchiato; a ore tre ultimo avvistamento di un giovane eroe salvatore della studiosa pulzella in difficoltà; a ore cinque visione dell'uomo sbarbato in contemplazione della sua dea…-, Minako scoppiò a ridere come una pazza, trattenendosi per non dare troppo spettacolo, mise una mano su quella di Hiro, voltandosi verso di lui.

-A ore dodici: la più bella ragazza della festa…-, concluse lui abbandonando l'espressione ilare e facendosi serio. Fissò Minako negli occhi, poi abbassò lo sguardo. Aveva sbagliato tutto da quando era entrato nella stazione di Tokyo, ma ormai era troppo tardi.

-A ore dodici: ragazzo in smoking con cui vorrei avere una seconda possibilità-, Hiro alzò di scatto il viso e trovò ad accoglierlo un sorriso luminoso e due grandi occhi celesti.

-Scappiamo?-, le propose prendendo la sua mano e tirandola appena perché si alzasse. Minako arricciò il naso in un buffo sorriso complice e lo seguì.


Yuichiro fece un inchino all'ultimo del gruppo che li aveva intercettati prima che potesse sottrarsi. 'Ma che bel ragazzo sei diventato!', 'Porta i miei saluti alla tua famiglia', 'Di' a tuo padre di farsi vedere più spesso da queste parti', 'Non ci presenti la tua amica?', 'Dovresti tornare a gareggiare nella 650', 'Avevi promesso la rivincita quattro anni fa, io ancora aspetto!'

Riuscì a sgattaiolare via trascinando Rei per una mano, lei era incredula ed elettrizzata da tutta quella gente che trattava Yuichiro come se appartenesse alla stessa loro élite, mentre per lei quello era un mondo irraggiungibile a cui aspirava fin da bambina. Tanto lei lo desiderava, tanto Yuichiro ne era scappato a gambe levate. Si guardarono e compresero ciascuno i pensieri dell'altra: avrebbero fatto in modo di trovarsi a metà strada per rimanere insieme in un compromesso che fosse tollerabile per entrambi.

Attraversando il salone trovarono Mamoru e Usagi, non sembravano particolarmente coinvolti nella serata, ma d'altronde quelli erano ritrovi per creare soldi, non luoghi di festa.

-Noi usciamo un po'-, Yuichiro li avvisò e tirò dritto, diretto verso l'esterno. Usagi guardò speranzosa Mamoru e lui comprese: in fondo non si stava divertendo, il momento più emozionante della serata, escludendo il quasi disastro per colpa del caviale, era stato quando le ragazze si erano mostrate nei loro abiti eleganti. Fece cenno a Umino che sarebbero usciti dalla sala e lui non se lo fece ripetere due volte, prese Naru per mano e li seguì.

 

Motoki stava tenendo le sue braccia su quelle di Makoto, un vento fresco si stava alzando e lì sulla terrazza faceva quasi freddo, pur essendo agosto ai tropici.

-Scappate?-, domandò ai suoi amici vedendoli passare poco distante.

-Sì, speriamo che qua fuori ci sia qualcosa di più divertente da fare!-, sbottò Naru, che aveva il più bell'abito della sua vita e non aveva neanche ballato.

-Venite con noi?-, li invito Usagi.

-Mio fratello vi ha preceduti, avverto Hiro che siamo fuori e vi raggiungiamo-, rispose Motoki.

 

Un bagliore accese il cielo per un attimo, i ragazzi si guardarono intorno, ma non videro fuochi d'artificio. 

-Iniziamo a ragionare!-, trillò Usagi, al contempo angelica nel suo abito lungo e sbarazzina per il suo entusiasmo nel vedere che la festa stava per diventare interessante.

Un boato lontano e cupo seguì le sue parole.

-Ci sono i fuochi d'artificio?-, domandò Minako, raggiungendoli sul terrazzo.

-Forse sono lontani…-, osservò Umino, -C'è Ami laggiù-, aggiunse, scorgendo l'amica nel giardino sottostante l'edificio.

Li raggiunsero e si accorsero di essere tutti riuniti.

-Proviamo ad andare in quella direzione-, suggerì Kenzo, che aveva visto dei bagliori provenire dalla parte oltre la palme.

-Andiamo sulla spiaggia?-, propose Rei e si incamminò trascinando Yuichiro finché non terminò il vialetto lastricato.

Si chinò, sfilò i sandali e mise i piedi sulla sabbia fredda.

Fu un richiamo irresistibile per tutti gli altri che, uno a uno, tolsero scarpe col tacco, calze, scarpe eleganti, lasciandosi andare a un sospiro di sollievo.

-Un attimo…-, i giovani si voltarono e videro Motoki inginocchiato con la testa coperta dalla gonna di Makoto: i nastri dei suoi sandali erano molto complicati da slacciare.

-Vorrei farvi una foto!-, li prese in giro Kenzo, -E tappezzare le pareti della sala giochi, così tutte le altre ragazze smetteranno di darti il tormento!-

-Cretino!-, lo ammonì il fratello, ma lo fece sorridendo. Se solo fossero stati solo lui e Makoto…

Un altro bagliore illuminò il cielo tra le fronde delle palme, qualcuno guardò in alto, -Non ci sono stelle, stanotte-, osservò. Il cielo era nero e le ultime luci della villa si riflettevano sulle foglie lisce sopra di loro.

A Usagi ricordò tanto l'atmosfera della sera prima, quando era scesa in spiaggia con Mamoru lasciando dietro di sé il frastuono della discoteca, gli si avvicinò e gli prese un braccio, stringendolo forte a sé; gli altri li seguirono lungo la spiaggia, dopo che anche gli ultimi li ebbero raggiunti.

 

-Aspetta-, Usagi tirò appena il braccio del suo Mamo, si avvicinò al suo volto e sfiorò le sue labbra con un timido bacio. Mamoru dimenticò le sue scarpe che caddero nella sabbia e la cinse con entrambe le braccia dietro alla schiena. Anche lui ripensava a quel bacio che non aveva avuto modo di darle la sera prima mentre la luna iniziava a scomparire e ricambiò il gesto premendo la bocca sulla sua e lasciandosi andare all'emozione. La sua ragazzina maleducata, la sua Testolina Buffa, la sua giovane Principessa che amava da prima di venire al mondo senza averla riconosciuta: lei era l'unica in tutte le sue vite passate, presente e future, l'unica a cui si sarebbe mai concesso con quella passione nel cuore.

Si allontanarono con riluttanza, "lasciateci qui, dimenticatevi per un po' di noi", chiedevano tacitamente al resto del mondo. 

La guardò illuminata dai riflessi dei fasti: anche quando quella fosse diventata la loro normalità, giurò che avrebbe trovato ogni giorno il tempo per amarla e venerarla come la sua unica ragione di vita.



 

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-Ce l'abbiamo fatta davvero!-, constatò Michiru, spiandoli dal buio dell'angolo più nascosto della terrazza.

-Sono belli da farmi tremare le gambe-, confessò Haruka, -Sai, non ricordo di aver mai visto i nostri sovrani così innamorati-, realizzò.

-Ho buone aspettative per questo mondo-, disse speranzosa Michiru, -Ma adesso mi sento così stanca…-

Haruka sospirò, -Anch'io. Non riesco più a sentire il vento...-, abbassò lo sguardo, avevano accettato un doloroso compromesso per riuscire a rimanere insieme.

-... e io il mare-, Michiru le strinse la mano.

 

-Lasciamoli andare-, non era una proposta, ma una resa delle loro capacità. 

Michiru annuì e chiuse gli occhi.



 

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Un altro bagliore illuminò la spiaggia, un boato cupo e minaccioso assordò le orecchie di tutti i ragazzi, ma quella volta videro perfettamente il fulmine che scaricò la sua energia in mare.

-Non sono fuochi d'artificio!-, esclamò Ami mentre le prime gocce di pioggia iniziavano a scendere pesanti sulle loro teste.

 

Usagi guardò Mamoru: le guerriere venute dal futuro avevano esaurito i loro poteri. Provarono una strana malinconia, si strinsero di più l'un l'altra mentre il vento iniziava a far vorticare le stoffe degli abiti da sera e a scuotere le foglie più in alto.

 

-Oh no, ci bagneremo tutti!-, Minako portò le mani sulla testa, per coprirsi, la pioggia era arrivata improvvisa in uno scroscio violento.

-Torniamo dentro, prima di inzupparci-, Rei, in allarme, cercò la via di fuga più vicina, riparandosi sotto al terrazzo. 

Alcuni di loro affrettarono il passo facendo dietro front, ma Usagi rimase ferma sotto l'acqua, chiuse gli occhi e sollevò la testa verso il cielo.

Lasciò che la pioggia filtrasse tra i suoi capelli, che la stoffa del suo abito si impegnasse d'acqua e iniziasse a penzolare, appiccicandosi alla sua pelle. Voleva sentire tutta la forza degli elementi su di sé, voleva che quella pioggia improvvisa la prendesse e lavasse via dal suo corpo ogni residuo della sua infanzia. I capricci per fare i compiti il pomeriggio, le ore sprecate in sala giochi, le abbuffate di dolci e caramelle, l'indolenza provata di fronte a un brutto voto a scuola. 

Voleva sentire penetrare nelle sue fibre la consapevolezza che la sua vita era prepotentemente cambiata: era partita ragazzina e sarebbe tornata a casa come una giovane donna. 

Avrebbe resistito alla forza degli elementi, li avrebbe governati, ne sarebbe stata la regina.

Lo avrebbe fatto senza dimenticare la sua spensieratezza, lasciando che la guidasse laddove la necessaria maturità non l'avrebbe potuta portare, volle essere ordine e caos allo stesso tempo. 

Allargò le braccia e ruotò su se stessa provando l'euforia della scoperta, la forza della rinascita. 

Mamoru si aprì in un sorriso e la prese per mano, fermando il suo giro, allacciando il suo sguardo: lasciarsi bagnare fino alle ossa era catartico anche per lui. Sentire la terra fredda sotto ai piedi, l'acqua scivolare tra i capelli, l'energia delle saette nel cielo, il vento sulla pelle: era la sua Terra che lo chiamava a sé, la sua Luna che lo guidava.

 

Con un urlo d'euforia Hiro e Motoki li raggiunsero e lasciarono il rifugio all'asciutto, si bagnarono di pioggia, si sentirono gli abiti appiccicati addosso e richiamarono uno a uno gli altri. Tra le ragazze, inaspettatamente Ami fu la prima a seguirli e subito la seta azzurra si attaccò alle sue gambe, le piume sul petto si ammosciarono, ma non le importava. Alzò il viso verso il cielo nero, si lavò del trucco che aveva messo e del peso delle sue responsabilità, solo per un attimo, solo per apprezzare la scarica di euforia che la conquistò. Avrebbe fatto spazio nella sua vita ad altre cose importanti, avrebbe permesso alla pioggia di compattare la sua serietà e liberare la sua mente per altri valori. 

Tese la mano verso Kenzo e lo chiamò a sé, e dopo di lui si fecero coraggio anche Naru, Umino, Makoto e risero insieme, improvvisarono una danza che non ballarono, ma vissero nelle loro teste, prendendosi per mano e lasciandosi andare, abbracciandosi e gridando via con liberazione ogni freno che avevano provato quella sera.

 

Rei e Minako si scambiarono un'occhiata: era un vero peccato sciupare così quegli abiti e perdere d'un tratto la meraviglia dell'eleganza.

-Ma che ci importa!-, strillò la bionda e sfilò la lunga forcina che teneva su i suoi capelli, lasciandolo ricadere sulle spalle. Diede un'ultima occhiata all'abito da principessa, lo tirò su con le mani e corse sulla sabbia dai suoi amici, seguita da Rei.

Yuichiro strinse i denti: sarebbe stato un problema tornare a casa. -Oh, ma chi se ne importa!-, e li raggiunse sfilando la giacca e roteandola sulla sua testa.


S’inzupparono fino alle mutande, ragazze e ragazzi, si abbracciarono, scherzarono e risero, proprio come avevano fatto quel pomeriggio in piscina. Altro che feste eleganti, altro che la vanità di sentirsi la più bella o il più disinvolto! 

Rimasero in spiaggia finché alcuni addetti alla sicurezza del “The Ambassador” non li avvistarono, mentre sistemavano alcuni tavoli che erano rimasti sotto la pioggia sulla terrazza.

-Signori, avete bisogno?-, domandarono loro e li aiutarono a rientrare al chiuso coprendoli con grandi ombrelli con su impresso il logo del locale. Li fecero rientrare da una porta laterale, evidentemente non era la prima volta che si trovavano a dover effettuare dei salvataggi del genere. Yuichiro disse che si erano allontanati per fare una breve passeggiata e che semplicemente erano stati colti dall’acquazzone, senza insistere sul fatto che loro, sotto la pioggia, ci erano andati deliberatamente. 

La Direzione del locale offrì loro dei teli asciugamani con cui si tamponarono i capelli e gli abiti. Dall’euforia erano passati all’imbarazzo, mentre il gruppo dei lacché si prodigava per aiutarli e chiedeva scusa per non essersi accorti prima che alcuni dei loro pregiati ospiti erano rimasti all’esterno mentre imperversava la pioggia improvvisa. I giovani trattennero le risate, si sforzarono di comportarsi almeno compitamente. Il concierge aveva fatto chiamare due limousine per riportarli a casa, che furono gentilmente offerte dal locale e i ragazzi poterono portarsi via i teli e gli ombrelli che avevano usato.

 

Seduti uno di fronte all’altro nelle lussuose automobili, i giovani evitavano di guardarsi tra loro, sapendo che sarebbero finiti a ridere a crepapelle. 

Minako tenne per sé che Rei, con quei capelli tutti appiccicati, sembrava più una cozza spiaggiata che non la grande dama che pensava di apparire e Makoto non fece notare a Kenzo che lui invece aveva il ciuffo a penzoloni simile a una banana in mezzo alla fronte. 

 

Usagi era persa in contemplazione di Mamoru, ma come faceva ad essere perfetto anche tutto bagnato come un pinguino uscito dal mare? 

-E...E...Etciú!-, la perfezione fatta principe starnutì molto rumorosamente, chinandosi con la testa in basso e tirando su col naso. Usagi rimase di stucco per il gesto poco elegante, lo guardò immobile a bocca aperta e sopracciglia alzate. Lui alzò gli occhi sbirciando imbarazzato le reazioni dei presenti e allora la sua ragazza scoppiò a ridere, seguita a ruota dagli altri.

 

Le strade tortuose dell’isola sfilarono sotto la pioggia nel buio di quella notte bigia, era l’ultima volta che le avrebbero percorse, ma non le guardarono, non seguirono col peso l’andamento delle pendenze, non si emozionarono per uno scorcio apparso all’improvviso dietro una curva. In fin dei conti, le loro coscienze non erano lì: per qualcuno era ancora lo strascico di un sogno, per qualcun altro il modo più semplice per dire addio a un luogo che li aveva accolti e fatti germogliare, dischiudendo gli occhi delle loro anime a un futuro difficile, incerto eppur grandioso.

Si lasciarono cullare dal rollio ipnotico di quelle auto spropositate per le viuzze strette e attraverso la corrente dei loro pensieri. Era facile sentirsi a proprio agio una volta scoperto ogni segreto, ogni debolezza: si erano messi a nudo tra loro, svelando lati sconosciuti dei loro caratteri e potenzialità nascoste. Erano tutti fragilmente umani, tutti impeccabilmente assurti a eroi delle proprie esistenze: in qualche modo, ognuno dei ragazzi fuggiti come Cenerentola dal ballo del Principe, aveva compiuto un atto di forza e fede nelle proprie capacità nascoste. Ami aveva accettato il suo lato più fragile e umano, Rei aveva scelto di concedere a qualcuno di prenderla per mano e guidarla su strade che non conosceva, Minako era andata oltre il battito del suo cuore e aveva iniziato a scavare dentro la sua anima. Makoto aveva capitolato di fronte alla grazia di una condizione sognata per tutta la vita, aveva finalmente scoperto l’importanza di non sentirsi sola e Usagi… Usagi aveva accettato i suoi pregi e le sue debolezze, si era spogliata dei fronzoli dietro cui si nascondeva e aveva accettato di vestire nuovi panni, quelli di una giovane condottiera che avrebbe fatto la storia, col cuore pieno di un sentimento finalmente compreso.

Mamoru la guardò, incredulo di come fosse potuta avvenire la sua metamorfosi, strabiliato dalla sfolgorante magnificenza di quel piccolo fiore che avrebbe coltivato per l’eternità.

 

-Salute, mio principe!-, trillò Usagi all’ennesimo starnuto del suo ragazzo, -Dobbiamo trovare il modo di scaldarti, sembri un gattino bagnato!-, dichiarò in tutta la sua innocenza, stringendosi a lui.

-Sentichepropostaindecentehafattolabiondina!!!-, Hiro la prese in giro, Mamoru arrossì, Usagi non comprese, ma ricominciò a ridere dimenticando ogni problema.

Su Kakeroma pioveva, dentro di lei splendeva un nuovo sole.


 

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Capitolo 29
*** Capitolo 28 ***


 

Capitolo 28
Ottave, L’ultima notte & Il ritorno (parte prima)



 

Ci misero mezz'ora a raggiungere Villa Kumada, mezz'ora di risate e battute scambiate tra loro. La pioggia aveva smesso di cadere e il vento aveva spazzato via le nuvole rischiarando il cielo. La luna aveva fatto capolino all'orizzonte. Scesero dalle limousine, ringraziarono gli chauffeurs e si radunarono sulla strada davanti a casa, ancora bellissimi, ma disfatti.

 

Si bloccarono tutti dopo che Yuichiro aprì la porta di casa: quella era davvero l'ultima volta che sarebbero entrati là dentro tutti insieme. 

Non era tardi, in fondo il temporale aveva interrotto la loro serata dopo poco e i ragazzi in realtà avevano fame.

-Pensavo… e se ordinassimo ora quelle pizze che avremmo dovuto prendere ieri sera?-, propose Yuichiro e gli altri non se lo fecero dire due volte.

Attesero in giardino il fattorino, senza cambiarsi, separandosi a coppie, chi per parlare, chi per godere degli ultimi sgoccioli di intimità. Tornò prepotente la necessità di rubare quanto più tempo potessero a quella pausa nella loro vita, soprattutto per i più giovani, che sapevano che a casa li avrebbe accolti tutta un'altra atmosfera.

Yuichiro informò i suoi amici circa le tappe del viaggio che avrebbero intrapreso. In fin dei conti Ami si sarebbe potuta dire soddisfatta: le prenotazioni che erano state fatte a nome loro avrebbero permesso di posticipare il rientro a casa di solo una notte, visto che sarebbero rientrati la mattina successiva a quello che era stato programmato inizialmente. Il programma prevedeva però ritmi serrati per riuscire a condensare in un numero inferiore di ora il viaggio infinito che li aveva portati a Kakeroma. Biglietti alla mano, il padrone di casa iniziò a elencare le varie tappe, accertandosi che tutti lo stessero a sentire e comprendessero che non sarebbero stati possibili ritardi.

-Ascoltate il programma: il bus-navetta per andare al porto parte alle 7:35. Dovremmo uscire di qua massimo alle 7:15, per essere sicuri di non perderlo. Il traghetto per Amami Ōshima parte alle 9:30 e dobbiamo imbarcarci per tempo. Questo traghetto ci porterà direttamente al porto di Amami, quindi ci risparmiamo il viaggio in pullman da Setouchi. La nave da Amami a Kagoshima parte alle 12:00 e faremo la traversata di giorno. Arriveremo alle 23:55 e quindi dal porto alla stazione ci saranno circa quindici minuti a piedi. Stavolta prenderemo il treno veloce e in meno di otto ore saremo a Tokyo, più o meno verso le 9 della mattina di venerdì due agosto-. 

Biglietti alla mano, ritenne che fosse il caso di mettere in chiaro da subito la necessaria collaborazione richiesta per non rischiare di perdere nessuno dei mezzi di trasporto stabiliti. Non sapeva se i biglietti dei vari bus, della navi e del treno fossero stati procurati da Takeshi o dalle misteriose benefattrici che avevano già regalato loro gli abiti da sera e l'ingresso al "The Ambassador", in ogni caso era stato organizzato un rientro perfettamente scandito nei tempi e nella tabella di marcia e loro l'avrebbero rispettata.

 

Motoki drizzò un'antenna sul finale dell'elenco fatto da Yuichiro, prese Usagi da parte e le domandò se sapesse che giorno sarebbe stato il tre agosto, quello dopo il loro rientro a casa, il primo dopo che la vacanza fosse ufficialmente terminata e il gruppo smembrato.

-Il giorno in cui rimpiangerò questo sogno-, gli rispose lei con tono depresso. Motoki sorrise, -Il tre agosto è il compleanno di Mamoru, Usa-Chan!-, le spiegò e la vide illuminarsi in uno stupore dapprima giulivo e subito dopo sgomento.

-Ma io non ho un regalo per lui! Dove, quando posso comprarlo!?-, si allarmò improvvisamente. Dubitava che, all’arrivo a casa, con tutte le cose da fare e da spiegare ai suoi e con quel che avrebbe dovuto chiarire con Luna, avrebbe avuto tempo per uscire e cercare il regalo perfetto per il suo Mamo.

-Credo che lui abbia avuto il suo regalo in anticipo, quest'anno-, Motoki cercò di riportarla alla realtà, -Sei tu il suo regalo!-

-Ma non posso mica impacchettarmi e mettermi un fiocco in testa!-, replicò lei e Motoki scosse il capo, sorridendole.

-Penso che andare da lui e fargli semplicemente gli auguri sarà più che sufficiente-, la tranquillizzò, vide la sua espressione pensierosa, forse sarebbe stato meglio si fosse tenuto quell'informazione per sé. 

-Usa-Chan, c'è un'altra cosa che vorrei dirti… non l'ho fatto prima perché ti avrei messa in difficoltà, ma… ecco… io lo sapevo che tu eri una ragazza speciale, che eri destinata a fare grandi cose. Non sapevo però che ti sei portata dentro il peso di aver già fatto cose enormi finora. Tu ci hai salvati, tutti quanti!-, Usagi abbassò lo sguardo, in imbarazzo, Motoki continuò.

-Io non immaginavo che tu… Cavolo, sono amico di Sailor Moon e non lo sapevo!-, scherzò, -E non solo! È questo che mi ha sconvolto più di tutto, cioè… tu sarai la Regina di questo pianeta, di tutto il pianeta! È incredibile…-

-Lo so… infatti non riesco a crederci neanche io-, disse mogia mogia lei, strapazzando un lembo di seta del suo abito, -Io sono una frana, sono buona solo a combinare pasticci-, tornò a guardare Motoki: -Ti rendi conto in che mani siamo!?-, era sinceramente preoccupata per il vaticinio che era stato fatto. Il ragazzo le sorrise dolcemente, allungò una mano e fece una carezza sulla sua testa.

-Ce la farai, ne sono sicuro, e io prometto che ti starò sempre accanto per sostenerti.-

Un pensiero veloce attraversò la mente di Usagi, sorrise: -Solo due giorni fa credo che sarei morta e risorta a sentire quello che mi hai detto ora, Moto-Chan…-, abbassò di nuovo gli occhi, forse arrossì un poco, -Ma sono felice di aver trovato il mio Mamo.-

Motoki alzò le sopracciglia: -E anche questa è una cosa di cui volevo parlarti: avevo o non avevo ragione?-, le diede un gentile colpo con la spalla, lei si lasciò sfuggire una breve risata.

-Avevi ragione e io ero solo una stupida cieca-, il sorriso non accennava ad andarsene via.

-Parafrasando quello che direbbe il nostro amico… eri una bellissima Testolina addormentata-, volle essere più chiaro: -Adoro Makoto e non ti ringrazierò mai abbastanza per avermela presentata. Lei è meravigliosa, altruista ed è bellissima. Sono quasi sicuro al cento per cento di essere perdutamente innamorato di lei. Però… però Usagi tu stasera sei veramente così bella che non so come abbia fatto il caro Chiba a non rapirti e portarti via-, mise entrambe le mani sulle sue spalle. 

-Tu per me sei davvero come una sorella, io ti voglio bene come se fossi Unazuki, ma volevo che tu sapessi quest’ultima cosa: ho sempre pensato che tu fossi una ragazzina molto carina, ora ho la certezza che sei una giovane donna dalla bellezza abbagliante, non lasciare mai che i tuoi pensieri cupi ti portino a credere il contrario.- 

Si avvicinò a lei e la baciò sulla fronte, proprio come avrebbe fatto un fratello.

Usagi gli sorrise soddisfatta: sentiva di non essere emozionata come avrebbe creduto al solo pensiero di sentirsi dire parole simili e poi baciare da Motoki. Forse era anche riuscita a non arrossire! 

Lo abbracciò di slancio, -Grazie, grazie grazie, Moto-Chan!-, trillò nel suo orecchio e si lasciò stringere di rimando.


-Beccàti!-

Usagi e Motoki fecero un salto staccandosi immediatamente e allora sì che lei divenne rossa: davanti a loro Mamoru li guardava torvo con le braccia incrociate al petto. Resse ben tre secondi prima di aprirsi in un sorriso, tre secondi in cui il cuore di Usagi non batté. 

-Mamo, io… non…-, cavolocavolocavolo!!!

Non le disse nulla, le passò un braccio attorno alla spalla e la tirò e sé, affondando col viso tra i suoi capelli e inspirando per sentirne l'odore.

-Vi siete chiariti?-, domandò poi in tono tranquillo. Usagi annuì, Motoki gli batté la mano sul braccio.

-Chiariti. E ho messo in chiaro anche che la tua principessa deve essere consapevole che ha già la forza per affrontare il suo compito e la sicurezza che oltretutto è proprio una bella ragazza!-, gli fece l'occhiolino e li lasciò soli, voleva raggiungere Makoto.


-Hai i capelli ancora bagnati, ci prenderemo un raffreddore se rimaniamo con questi vestiti ancora a lungo-, disse Mamoru, stringendola di più.

-Ti amo tanto, Mamo e ti ringrazio di avermi lasciata parlare con Motoki. Mi è tutto più chiaro adesso-, si insinuò con una mano sotto la giacca e sotto al gilet. -Devi spogliarti, sei davvero bagnato-, confermò.

Mamoru strinse le labbra e sospirò, -Questo è un regalo che ci hanno fatto, che ti hanno fatto e suppongo che a te faccia piacere vederti con addosso questo abito bellissimo e tu meriti ogni cosa bella che potrai avere-, le sorrise. 

Mise le labbra dove si erano posate quelle di Motoki, era tranquillo, ma era tornato a infastidirlo quel tremore che lo aveva già colto in spiaggia pochi giorni prima. In qualche modo, doveva accettarlo, un minimo moto di gelosia lui l'aveva provato.

-Non farti baciare da nessun altro, Usako, ti prego. Mai più-, strinse i denti perché quelle parole erano così estranee alla sua indole, eppure lei doveva sentirsi dire che lui si sentiva proprio come qualunque essere umano, con tutto il groviglio di emozioni giuste o sbagliate che avrebbe potuto provare.

-Baciami tu, allora-, gli disse Usagi sottovoce mentre il calore per quella dichiarazione di gelosia la scaldava come un tizzone in mezzo al petto.

-È arrivata la pizza, ero venuto a dirti questo-, si allontanò un poco per guardarla in viso, -E tra la pizza ancora calda e te… scusami amore, ma in questo momento preferisco la pizza!-, si godette il suo bel viso assumere un'espressione indispettita e, prima che lei potesse aprire bocca, la baciò rapidamente.

-Almeno io sono geloso di un bel ragazzo biondo: tu non sarai mica gelosa di una pizza!?-, la prese in giro e la baciò ancora.

La prese per mano e la fece alzare.

-Motoki ha ragione, anche dopo tutta la pioggia che ti è caduta addosso, sei davvero bellissima-, le disse.

 

Mangiarono due grosse fette di pizza ciascuno e dopo, più della voglia di tuffarsi in piscina di notte per un'altra esperienza che sarebbe stata certamente indimenticabile, vinse la stanchezza e, tutti infreddoliti, i ragazzi rientrarono in casa.

C'era una problema pratico da risolvere però: tutti quegli abiti meravigliosi, le scarpe, gli smoking non sarebbero mai entrati nei loro zaini da trekking e probabilmente neanche in una singola valigia tutti insieme. Yuichiro si fece aiutare a cercare in cantina dei vecchi borsoni in cui pigiare quel ben di Dio e trasportarlo fino a Tokyo facendo a turno. Si dettero la buonanotte e andarono a prepararsi per andare a letto. 



 

---


L'ultima notte: quella sarebbe stata l'ultima possibilità di stare insieme per molti tra loro, sarebbe stata una notte sospirata, una notte di pianti, per qualcuno, e di passione, per qualcun altro. A Yuichiro non interessò cosa sarebbe potuto succedere nelle camere sotto alla sua, sapeva soltanto che Rei non si era fermata al primo piano e l'aveva seguito su in mansarda. Chiuse la porta alle loro spalle e la baciò.


Usagi s'infilò nel bagno al piano terra, fino ad allora l'avevano usato solo come appoggio quando erano in giardino oppure per lavarsi le mani prima di sedersi a tavola e lei non aveva notato quanto fosse lussuoso anche quello. Sicuramente ce n'era uno anche all'ultimo piano e immaginò che ci fosse una vasca idromassaggio all'occidentale: se mai fosse tornata in quella casa, si ripromise di curiosare anche in mansarda e, nel caso la sua supposizione fosse stata corretta, avrebbe preteso di farsi massaggiare un po' in mezzo alle bolle. Lì però c'era una doccia e lei aveva l'occorrente per farla. Sciolse la treccia, tirò su i capelli per non bagnarli di nuovo e si chiuse nel box di cristallo. Chissà cosa stava succedendo al piano di sopra dopo tutto il trambusto che c'era stato: Naru che aveva fatto il grande passo con Umino, Makoto che aveva aveva coronato il suo sogno con Motoki e perfino Ami che aveva baciato Kenzo! Non ci aveva creduto quando li aveva visti, non li vedeva affatto adatti l'una all'altro, ma era felice perché anche la sua amica aveva potuto scoprire cosa significasse provare quell'emozione così intensa che era racchiusa nel primo bacio.

Si lavò velocemente, prese un telo e si asciugò, avrebbe voluto mettersi un po' di dopo-sole, ma era troppo più urgente il bisogno di uscire da lì e andare dal suo Mamo.

Uscì di soppiatto dal bagno ed entrò nella stanza adiacente, quella che ormai era diventata la "loro" camera, ma d'improvviso si sentì  non più così sicura e sentì il cuore battere forte forte.

Non era pronta per rimanere da sola con Mamoru di notte nello stesso letto di nuovo, non dopo quello che avevano ufficializzato, arrivò perfino a sperare che lui non ci fosse. 

Invece lo trovò che stava sbottonandosi la camicia ancora umida e si sentì liquefare dentro.

Rimase immobile sulla porta con indosso l'ultimo dei cambi che aveva portato, un prendisole così scialbo che Minako aveva definito "camicia da notte". 

-Mamo…-, sospirò il suo nome e lui si voltò, abbandonando le braccia lungo i fianchi. Aveva il petto scoperto, le maniche arrotolate, la cintura slacciata, Usagi sentì che le tremavano le mani e stava per far cadere il suo beauty case; il languore aggrovigliato dentro di sé si sciolse e raggrumò in un battito furioso, come una sensazione pungente all'altezza dello stomaco che scivolò sempre più giù, senza che lei riuscisse a fermarlo.

-Usako, io…-

-Il bagno è libero se vuoi-, disse Usagi, un'ottava sopra la sua voce solita.

Mamoru si avvicinò a lei lentamente, dubbioso, spaventato eppure emozionato al pari suo. Come doveva comportarsi, cosa doveva fare? Si fermò davanti a lei, prese dalle sue mani il beauty case e lo appoggiò sul comò. Si era cambiata, non indossava più l'abito che l'aveva resa una principessa: era una dea in tutta la sua scintillante semplicità.

La voleva stringere, baciare, perdersi tra quei capelli sciolti, farla sua finché non fossero stati una cosa sola.

Allungò una mano al suo volto, le spostò un ciuffo ribelle.

-Grazie-, disse, un'ottava sotto la sua voce solita.

Deglutì e si diresse verso il bagno.



 

"Usagi ha solo sedici anni, tu ne hai praticamente venti! Devi comportarti bene, devi stare attento, non fare il cretino!"

Mamoru si costrinse a una doccia fredda, la seconda di quella sera, perché aveva deciso di imporsi di levarsi dalla testa quei pensieri che gli avevano tolto il fiato.

Doveva rimanere lucido e non lasciarsi andare a pulsioni che non aveva mai provato prima. "Usagi ha solo sedici anni, tu ne hai venti!", si ripeté ancora una volta, rabbrividendo per il freddo.

La vita non finiva a Kakeroma, per Dio! Avrebbe avuto tutta la vita per placare quel ruggito che si era risvegliato nel suo petto, per amare e farsi amare da Usagi, doveva convincersene.

Terminò la doccia e si asciugò, tamponando i capelli, si lavò i denti, mise dei pantaloncini da casa  e una maglietta sgualcita che aveva lavato pochi giorni prima. Uscì dal bagno diretto in camera, quando vide una luce accesa nel salone: Ami, inginocchiata a terra, stava asciugando il pavimento con uno straccio.

-È tutto a posto?-, le domandò raggiungendola e non gli sfuggì l’espressione di chi fosse stato colto con le mani nel barattolo della marmellata; -Che è successo?-, si avvicinò a lei e notò che si trovava vicino all’abito da sera di Minako, lasciato ad asciugare sulla spalliera di una sedia. 

La ragazza non rispose, ma chiunque avrebbe capito che stava per vuotare il sacco, così Mamoru attese che riordinasse le idee e gli spiegasse.

-Ho dei poteri anche quando non sono trasformata in guerriera sailor-, Ami parlò sottovoce, quasi vergognandosi delle sue parole, -Posso controllare i liquidi e spostarli-, spiegò, quindi alzò lo sguardo su di lui, -Ti prego, re Endymion, non dire nulla agli altri.-

Mamoru piegò in basso le sopracciglia nel sentirsi chiamare a quel modo, fece un altro passo verso la giovane, che si alzò e allungò una mano verso di lui, indicando che le consegnasse gli abiti bagnati che si era tolto. Ami chiuse gli occhi e avvicinò una mano alla stoffa: come per magia tutto l’umido si concentrò in un punto e poi scivolò via, cadendo a terra. Lo smoking e la camicia erano perfettamente asciutti.

-Incredibile-, mormorò Mamoru, colpito da tale abilità. 

Ami gli restituì i vestiti, -Avrei voluto asciugare anche quello di Usagi, ma non lo trovo-, si scusò, -Però penso che per domattina sarà comunque asciutto-, osservò.

 

-È da molto tempo che sei a conoscenza di questa tua abilità?-, le domandò il giovane.

-Solo da ieri, me l’ha fatta scoprire Minako. Anche lei ha dei poteri ‘magici’ quando non è trasformata-, gli spiegò Ami, -Immagino che valga per tutte… forse vale anche per te.-

Mamoru rifletté sulla sua capacità di curare le ferite che aveva sperimentato più volte e che aveva inconscientemente svelato a Usagi all’inizio di quella vacanza, senza peraltro ricevere domande da lei in merito al come fosse possibile. Realizzò solo allora quanto dovesse essere stata confusa la sua piccola Testolina Buffa, per non indagare come un detective su quella stranezza che l’aveva vista protagonista suo malgrado e si diede dello stupido per non aver notato l’uragano che imperversava nell’animo della sua ragazza, sebbene fosse stato certo di averne scorto gli effetti attraverso l’ombra che a volte offuscava la limpidezza del suo sguardo.

-Sì, è così, succede anche a me-, svelò ad Ami, senza specificare altro. La ragazza notò che lui aveva i capelli bagnati e allungò una mano alla sua testa: come era già accaduto in spiaggia, un sottile rivolo d’acqua colò sul suo gomito e poi giù a terra.

-Ecco, adesso puoi dormire senza rischiare un raffreddore-, gli sorrise e lo sguardo guizzò in direzione della porta della camera dove Usagi lo aspettava.

-Tu sei con Ken…-, Mamoru si interruppe, non erano certo affari suoi.

-No-, Ami abbassò lo sguardo, -C’è troppo caos nelle nostre teste, abbiamo paura in realtà-, non aveva avuto tempo di chiarirsi con lui, sapeva soltanto che quel ragazzo la stava mettendo in difficoltà, sostituendosi nella lista delle sue priorità al pensiero costante dello studio. Non era certa di quello che desiderava davvero, contava però di poter approfondire la sua conoscenza una volta tornati a casa.

-Sono sicuro che saprete come gestire la situazione-, la rincuorò Mamoru e la ringraziò con uno sguardo. Fece per allontanarsi, ma tornò immediatamente sui suoi passi.

-Ami… Ti prego, non chiamarmi più in quel modo-, la pregò, piegando la testa di lato, -E non trattare Usagi diversamente da come hai sempre fatto: a lei servono delle amiche, non dei sudditi. A maggior ragione perché queste informazioni non sono assolutamente state confermate e non sapremo cosa effettivamente potrà accadere in futuro-, le spiegò.

Ami annuì in silenzio, condividendo le sue parole.

Mamoru la ringraziò silenziosamente e poi la salutò, -È meglio dormire adesso, il programma di domani è intenso. Buonanotte Ami.-

-Buonanotte Mamo-Chan-, gli rispose con un sorriso un po’ obliquo. Lui ricambiò, scosse la testa e si diresse verso la camera.



 

Si aspettava di trovare Usagi a letto, invece, quando entrò silenziosamente nella stanza, la trovò rannicchiata sul davanzale interno del bovindo, con lo sguardo perso verso la notte.

-Con chi parlavi?-, gli domandò senza muoversi.

-Ami-

-Non sono tutti a letto?-, Usagi si voltò verso di lui.

-A quanto pare no-, si avvicinò alla finestra, -Chissà quali e quante cose stanno succedendo là di sopra...-, gli sfuggì un sorriso. Era uno sciocco, aveva scelto le parole meno appropriate per affrontare quella breve notte insieme.

-Temo che siano tutti troppo stanchi per chissà quali attività-, il tono di Usagi era indubbiamente caustico, lei decisamente agitata. 

Mamoru lasciò andare l’aria dai polmoni, era a causa sua che lei si sentiva così, era ovvio. Le porse la mano e le sorrise, non c’era motivo perché lei si dovesse agitare, lui non aveva nessuna intenzione di accelerare i tempi, voleva solo che Usagi riuscisse a trascorrere quanto più tempo in tranquillità.

-Vieni a dormire?-, le domandò e lei mosse le gambe per alzarsi. Lo fissò guardinga per un istante, quindi si alzò repentinamente e fece un passo verso di lui, ma non vide lo strascico del suo abito che penzolava dalla sedia su cui lo aveva messo ad asciugare e inciampò, finendo tra le braccia di Mamoru, che la sostenne.

-Imbranata-, le sorrise, approfittando e stringendola a sé.

-Baka-, gli rispose lei e alzò lo sguardo cercando gli occhi blu. -Grazie-, si lasciò stringere ancora un po’. Come ci stava bene tra le sue braccia...

-Sei un baka, resterai per sempre il mio baka, anche se mi proteggerai da mostri terribili, mi afferrerai al volo prima che io precipiti nell’abisso o mi salverai da morte certa-, affondò col viso nel suo petto, quanto le piaceva sentire il battito del suo cuore grande sotto l’orecchio!

-E tu sei e rimarrai una Testolina Buffa, anche se ti vestirai da principessa, anche se salverai il pianeta bendata e su una gamba sola, anche se il futuro sarà come ci hanno annunciato-, baciò i suoi capelli, erano ancora umidi, accidenti. Infilò una mano dentro la cascata bionda, per accertarsene.

-Sì, lo so, sono bagnati, ma non volevo usare l’asciugacapelli, avrei fatto troppo rumore-, Usagi piegò all’indietro il capo perché la sua mano l’accogliesse. 

-Se mi verrà il raffreddore, mi curerai tu-, aveva gli occhi chiusi, ancora nessuna domanda in merito al potere di guarigione che lui possedeva. Forse non gli sarebbe bastata una vita lunga mille anni per comprendere del tutto quella ragazza: Naru aveva ragione, Usagi era come la luna e aveva una faccia che nascondeva a tutti.

-Me lo vuoi dire, adesso, come avevi fatto a farti male al polso?-, era una domanda che Mamoru si era ripromesso di farle, ma non aveva mai avuto l’occasione prima.

Usagi drizzò la testa e strinse le labbra, incrociando le braccia al petto e alzando il mento: -No.-

A Mamoru sfuggì una risata accennata, -E dai…-

-Mi prenderesti in giro.-

-D’altronde è quello che fa un baka, no?-, le fece il solletico sui fianchi, lei allargò la bocca in un sorriso.

-Mi sono slogata il polso cadendo dal letto-, vuotò il sacco, tanto valeva assecondarlo, -Avevi ragione, sul treno…-

Invece di essere schernita, come supponeva, si sentì abbracciare di nuovo da Mamoru alle sue spalle. Si girò verso di lui stretta tra le sue braccia e alzò il viso verso il suo. Occhi negli occhi, pochi centimetri a dividere le loro labbra.

-Ogni volta che mi dicevi qualcosa di brutto, ogni volta che insinuavi qualcosa contro di me… Ogni volta avevi ragione. È per questo che non ti sopportavo, sapevi dove andare a pungere con una precisione incredibile-, confessò.

-Anche tu, sai?-, rispose lui, strusciando la punta del naso sul suo, -Mi hai fatto male quando hai detto che ero ‘morto dentro’, perché avevi perfettamente ragione: io ero completamente morto dentro.-

Usagi premette le labbra su quelle di Mamoru e gli rubò un bacio. Si allontanò appena per parlare: -E adesso ti senti sempre morto dentro?-, un soffio sulla sua bocca.

-Mi hanno risuscitato-, un sorriso pelle a pelle.

-E allora io devo approfittare di questa seconda occasione…-, lo baciò ancora, ma con un trasporto che non aveva mai provato. 

Era riuscita a tenere buona fino a quel momento la brace sotto alla cenere, ma basta, non le interessava più, che il fuoco divampasse! 

Lo tirò a sé afferrando la maglietta, si aggrappò alla sua schiena, morse, gustò e succhiò le sue labbra e lasciò che lui facesse lo stesso. Poi si arrese e socchiuse la bocca.

 

Si sbilanciarono e caddero distesi sul letto, nelle teste rimbombava a entrambi il ricordo di due sciocchi che amoreggiavano in spiaggia davanti a tutti credendo di essere soli nell’universo: due sciocchi che non pensavano di amarsi. In quel momento erano soli, si erano dichiarati, ed erano pure su un letto: Usagi fu presa di nuovo dal panico, combattuta tra le ragioni della carne e quelle della testa. Cosa sto facendo? 

Nessuno li guardava, nessuno avrebbe potuto giudicarli, era libera di lasciarsi andare a un sentimento che affondava le sue radici in una vita già vissuta. 

Cosa sto facendo?

Aprì gli occhi che aveva chiuso persa in mille esplosioni di passione, voleva guardare Mamoru, lasciarsi ferire dalla sua bellezza, convincersi quanto fosse stata sciocca in passato a nascondere dietro ogni più piccolo bisticcio quell’attrazione che covava prepotente dentro di lei, forse da quando lo aveva incontrato la prima volta.

-Ti ho sempre detto tante bugie-, sussurrò sulle sue labbra, -Che eri morto, che eri antipatico, che eri ridicolo-, si prese un altro bacio, voleva perdersi nel suo sapore, -Ma in realtà tu mi piacevi già da impazzire-, stava dando forma a quei pensieri nell’attimo in cui la forma la poteva toccare con le sue mani e assaggiare con le sue labbra. -Mi sono convinta che dovevo esserti nemica, perché altrimenti mi sarei persa dietro a te, mentre sapevo che tu mi disprezzavi-, ma finalmente non aveva più ragione di mentire a se stessa.

Si staccò da lui, il suo respiro era affannato, le labbra rosse. Lo bloccò con le mani sulle sue spalle.

-Credo che l’insufficienza che ho preso nel compito di inglese che ti ho lanciato in testa sia stato il mio più grande successo-, sapeva di essere ridicola a fare quei discorsi in quel momento, chiunque sano di testa avrebbe semplicemente smesso di pensare e avrebbe lasciato ai sensi il compito di continuare quella meravigliosa danza che avevano iniziato.

-Non mi importa se non sarò mai brava a scuola, se non prenderò il diploma e non troverò mai un lavoro! Io voglio solo stare con te!-, si aggrappò a lui, lo strinse più forte che poté, non sarebbe scomparso come temeva solo due giorni prima, ma a Tokyo le cose sarebbero state differenti.

-Usako… Non devi dire così, lo sai… Devi impegnarti per costruire la tua identità-, la tenne stretta a sé, perché anche lui ne aveva bisogno come l'aria.

-Sarà dura. Lo so. E ti prometto che mi impegnerò perché tu non ti debba più vergognare di me-, di nuovo il tarlo iniziò a pungere.

-Io non mi vergogno di te e non lo farò mai!-, la strinse di più.

-E che io… stavo male prima, Mamo, e ho capito che solo con te al mio fianco posso sentirmi completa. Ho paura di passare le mie giornate senza di te, non so se ce la farò, se ne avrò la forza…-, si rannicchiò sul suo petto, il battito regolare l'avrebbe fatta calmare.

-Ma cosa dici!? Tu hai la forza di un uragano, hai dimostrato di poter salvare il mondo intero con la tua forza, da sola. Forse quello che hanno detto le ragazze dal futuro potrà non essere vero, ma in ogni caso hai già dato dimostrazione di essere la salvatrice di tutta l'umanità-, la guardò negli occhi e si perse nell'azzurro tormentato 

-Tu sei la Luna, Usako!-

Lo baciò sul petto attraverso la maglietta, tornò a guardarlo negli occhi: -La Luna è solo una palla perduta nel vuoto dello spazio, se non c'è il sole a illuminarla… e il mio sole sei tu, Mamo-.


Mamoru non disse altro, la baciò sulla testa e sospirò.

-Quando saremo a Tokyo io…-

-Una volta a casa io…-

Parlarono uno sull'altra, si guardarono, sorrisero e abbassarono gli occhi.

-Promettimi che cercherai di passare ogni momento libero con me-, gli disse Usagi sollevandosi appena su di lui.

-Te lo prometto-, Mamoru infilò di nuovo la mano tra i capelli biondi, si stavano asciugando; -Ma tu promettimi che non affretterai le cose, che lascerai alla tua famiglia il tempo di accettarmi, perché io con te ci voglio stare per sempre-, in realtà era terrorizzato all'idea di conoscere i suoi, di ricoprire il ruolo di quello che avrebbe portato via la loro bambina.

Usagi piegò le sopracciglia e mise il broncio: -Se lasciassi a mio padre tutto quel tempo, penso che ti rivedrei quando avrò vent'anni!-, esclamò, muovendo la mano in aria. 

Vent'anni… 

-Cos'hai contro quelli che hanno vent'anni?-, ridacchiò lui, ma la matematica fu crudele nella sua testa.

 

Usagi ha solo sedici anni, tu ne hai venti!

 

-Diranno che sono troppo piccola per uno di vent'anni-, lo anticipò lei.

-Ne ho diciannove, ancora-, si difese Mamoru.

-No, sei un baka di vent'anni: me l'ha dovuto dire Moto-Chan che il tre è il tuo compleanno, cosa aspettavi a dirmelo tu?- 

Lui fraintese: lo credeva troppo vecchio, forse? Ma se aveva sbavato dietro a Furu, che era più grande di lui, fino al giorno prima!? 

-Moto-Chan?-, Mamoru socchiuse gli occhi. Moto-Chan!? 

Usagi roteò gli occhi all'indietro, ma davvero il suo Mamo era geloso di Motoki!? Cosa doveva fare per fargli capire che amava soltanto lui? Inspirò.

-Moto-Chan-, ripeté, -Te lo ricordi… quello biondo, alto, incredibilmente sexy, sempre sorridente, gentile, premuroso…?-, vide Mamoru sbiancare, gli diede il colpo di grazia: -Praticamente il ragazzo perfetto che mi ha fatto perdere la testa e che ho inseguito per almeno cinque anni della mia vita. Moto-Chan-, ribadì.

Sorrise, allungò una mano fino al volto del suo Mamo, -Moto-Chan, quello che ha solo un unico enorme difetto: non sei tu, perché tu mi hai preso il cuore-, si sporse per baciarlo e non si risparmiò in alcun modo. 

Un soffio di vento fece svolazzare le tende e sul soffitto si mossero ombre che sembravano danzare all’unisono con loro. Usagi si guardò attorno un’ultima volta: c’erano i loro bagagli, lì accanto, la sua conchiglia sul comodino, il letto sfatto che aveva condiviso con Mamo nelle ultime notti, gli abiti da sera abbandonati dopo aver loro mostrato uno spicchio di un possibile futuro. C’erano i loro respiri e il profumo della loro pelle, c’era quell’atmosfera magica che li faceva sentire isolati dal resto del mondo e come se tutto il loro universo fosse chiuso in quella stanza.

I suoi pensieri evaporarono come neve al sole: Tokyo, l'isola, vent'anni, sedici anni, Luna, sole, compiti in classe… basta parlare, quelle ultime ore le avrebbe passate solo ad amarlo.



 

---



 

Fortunatamente Mamoru aveva puntato la sveglia sul suo orologio, altrimenti non si sarebbero mai svegliati e sarebbero rimasti in quel letto per il resto della giornata. Ai primi fastidiosi bip metallici lui spostò il braccio intrappolato sotto la testa di Usagi e la spense. Lei si mosse e nel sonno cercò di nuovo il suo angolino caldo. La dovette baciare sulla testa, sulla fronte, farle il solletico perché desse segni di vita. A Mamoru furono chiare solo allora le battute che le sue amiche facevano sempre circa il fatto che Usagi non l'avrebbe svegliata neanche una bomba.

Osò di più e si liberò dal suo abbraccio per baciarla sulla bocca: con le principesse di solito funzionava…

Gli venne da ridere, neanche il bacio del principe l'aveva svegliata, ripensò alle due bambine in spiaggia e a come sarebbero state deluse da quel colpo di scena. 

Però volle riprovarci, tante volte non fosse stato un bacio dato a modo... Disegnò con un polpastrello il contorno del suo viso, sfiorò le labbra socchiuse e le ciglia chiare, la baciò ancora. 

Niente. 

Allora provò a solleticare ancora la pelle nuda del fianco. Com'era morbida… fece scorrere la mano più su, mordicchiò piano il suo labbro, ma lei non si mosse.

Insomma, cosa doveva fare!?

Spostò ancora la mano, scese a baciarla sul mento, sul collo, e poi… diavolo, se continuava un altro po' sarebbe impazzito!

Lasciò andare il respiro sulla pelle del suo petto, poi inspirò ancora, tornò a darle piccoli colpetti sulle guance.

-Usako…-, la chiamò, chiuse le dita sul suo naso, gli venne da ridere.

-Usako!-, disse più forte e allora lei si mosse, sorrise a occhi chiusi e lo cercò, per sistemarsi meglio stretta a lui.

Era di nuovo suo prigioniero e il tempo passava, ma era così bella, morbida e calda, sul viso il sorriso di chi sta sognando. La prese per le spalle e la fece stendere su di sé. 

-Usagi devi svegliarti!- quasi le urlò nell'orecchio, ma lei increspò la fronte e sospirò.

Non pensava che l'avrebbe mai fatto, non dopo due giorni che fosse stato con una ragazza, non con lei almeno: aprì le mani sui suoi glutei e li strinse.

-Usagi Tsukino, tuo padre sta entrando in camera e tu sei distesa sopra un uomo di vent'anni che ti sta palpeggiando il sedere!-, lo disse scoppiando a ridere sul suo orecchio e allora, finalmente, lei si svegliò di soprassalto, immediatamente consapevole di ogni parte del suo corpo.

-Mamo!-, gli strillò in faccia, sentendo le mani del ragazzo su di sé e girando la testa a destra e sinistra, -Mio padre sta entrando, oddio, devi nasconderti!!!-

-Era uno scherzo!-, Mamoru mise le mani dietro la sua nuca e la tirò a sé: -Ho fallito come Principe della Bella Addormentata, un fiasco totale-, sorrideva e intanto ripensava a quella sensazione di pura goduria che aveva appena provato.

-Ora ho capito come mai arrivi sempre tardi a scuola!-, la baciò e riprese dove aveva smesso poco prima, con la stessa enfasi, travolgendola con un impeto del tutto nuovo. Usagi si perse un quel bacio desiderando di avere un risveglio come quello ogni mattina: era passata dal sonno a un sogno a occhi aperti più bello del sogno stesso che stava facendo. 

-Buongiorno-, gli disse, quando si acquietarono un poco, poi si sollevò a sedere sul letto, per guardarlo. 

Qualcosa fece click nella sua testa.


-Mamo sei nudo!?-, si guardò, -Mamo perché non ho più il vestito che avevo ieri sera?-

Uno strisciante terrore la prese allo stomaco. Aveva ancora la biancheria intima, almeno, però... 

Lo guardò dritto con occhi terrorizzati: -Mamocheabbiamofatto?-, squittì tutto d'un fiato.

 

Il ragazzo si coprì gli occhi con una mano, sospirò.

-Non abbiamo fatto nulla, stai tranquilla-, disse senza guardarla in faccia.

-E allora perché tu… perché io…?-

Davvero doveva rispondere?

-Mi hai tolto tu la maglia, Usako, e ti sei tolta anche la camicia da notte-, se l'avesse guardata in faccia in quel momento non avrebbe saputo come nascondere tutto quello che ribolliva dentro di lui da diverse ore.

-E poi che è successo?-, un bisbiglio, le guance in fiamme. 

Mamoru spostò la mano e la guardò sconsolato: -E poi è successo quello che succede tutte le volte… ci siamo addormentati abbracciati-, vuotò il sacco.

Lei buttò fuori il respiro che stava trattenendo e lo guardò: aveva il viso rosso per l'imbarazzo, le labbra arrossate per tutti quei baci, gli occhi lucidi.

-C'è una risposta che non ti ho dato ancora-, le disse Mamoru, -Non ho mai avuto una ragazza, né una "storia", nemmeno un'avventura, prima di te. Tu sei e sarai la prima… in tutto.-

Usagi si lasciò cadere su di lui, -Ti amo Mamo-, gli disse e capì che quello era veramente un principe.


-È tardi però-, Mamoru ruppe il silenzio pochi istanti dopo, -Li senti gli altri in cucina?-

Schizzarono entrambi giù dal letto, cercarono affannatamente dei vestiti, infilarono quello che era ancora fuori negli zaini facendo palle di stoffa, abiti, accessori. Lui mise in spalla il suo zaino, aiutò Usagi a infilare il suo, vide l'abito rosa e le scarpe col tacco ancora sulla sedia e prese tutto al volo.

-Siamo pronti!-, strillò Usagi uscendo dalla camera, in mano teneva i vari capi dello smoking di Mamoru che penzolavano da tutte le parti. Aveva i capelli sciolti e tutti arruffati.

-Eccoci!-, aggiunse lui, coperto da metri di seta e tulle rosa che gli coprivano la faccia.

Yuichiro e Rei si voltarono d'improvviso per guardarli e scoppiarono a ridere facendo cadere briciole di biscotti dalla bocca.

Erano ancora in pigiama. 

Dall'alto comparve in cima alle scale Motoki e fece uno sbadiglio rumoroso, qualcuno fece scorrere l'acqua nel gabinetto. 

Ami fece capolino sporgendosi dal divano, -Buongiorno-, disse educatamente, ma la perplessità era evidente nel tono che aveva usato.

-Siete mattinieri stamani-, osservò Umino, versandosi da bere.

-Ma che ore sono?-, domandò Usagi, confusa.

-Sono le sei e un quarto-, Makoto comparve uscendo dalla cucina, -Caffè?-, domandò tenendo in mano la macchinetta ancora fumante.

-S… Sì, grazie-, rispose sovrappensiero all'amica e si voltò verso il suo ragazzo: -Mamoru, come hai potuto svegliarmi così presto!? Partiremo tra un’ora!-, tuonò al suo orecchio.

In effetti lui si rese conto di aver sbagliato a puntare la sveglia dal giorno prima, sovraccarico com’era stato di emozioni e nuove situazioni a cui avrebbe dovuto fare l’abitudine. Portò una mano alla nuca e le sorrise alzando le sopracciglia per scusarsi.

-Meglio così, almeno non saremo gli ultimi-, lo perdonò lei, gli mise in mano lo smoking e lasciò cadere a terra lo zaino pesante. -Allora corro a fare la pipì!-, dirlo e farlo fu un tutt'uno, Mamoru rimase inebetito e stracarico di cose guardandola schizzare davanti a sé come un furetto.

-Si vede proprio che Usagi è una Principessa…-, chiosò Rei in tono critico, riprendendo a mangiucchiare i suoi biscotti.

-Rei!-, la riprese Minako e aiutò Mamoru a liberarsi di tutti gli abiti per cercare di infilarli nell'ultimo borsone ancora disponibile.

Stranamente la principessa bionda fece veloce e riapparve poco dopo con i capelli pettinati e il sorriso stampato sul viso.

-Vado io adesso, me la sto facendo addosso!-, Mamoru lasciò cadere il suo zaino e corse a occupare il bagno dopo di lei.

-Anche il nostro Principe dovrebbe lavorare un po' sul suo modo di esprimersi-, ripeté Rei, più sconvolta che sorpresa dall'avere davanti a sé quella versione mattutina di Mamoru. Quella volta Minako non aprì bocca.


La nottata era stata breve, ma intensa per tutti loro: le ragazze avevano parlato a lungo chiuse nella stanza di Ami e avevano concordato quanto fosse necessario tenere sempre d'occhio Usagi, da quel momento in poi, perché ne avevano compreso l'importanza per il futuro di tutto il genere umano. 

Sebbene Rei avesse espresso le sue perplessità circa il vaticinio fatto, non poteva non ammettere che la sua amica fosse stata la sola a saper usare il potere del cristallo d'argento per far sì che tutte loro fossero ancora in vita ed era riuscita a farlo attingendo a quel lignaggio che era profondamente radicato in lei. 

Non aveva potuto trovare altre spiegazioni all'averla vista con i suoi occhi vestita di bianco con una falce di luna in fronte, se non che realmente lei fosse la Principessa che cercavano ormai da anni e si era arresa all'evidenza che in passato tutti avevano ignorato alcuni segnali della profonda bontà d'animo e magnificenza che la loro imbarazzante amica aveva dimostrato di possedere e che erano stati scambiati per ingenuità o infantilismo.

Dopo aver discusso tra loro per stabilire il miglior modo di continuare il loro compito di guerriere Sailor, Ami aveva espresso le sue teorie sulla capacità di tutte loro di controllare gli elementi simbolo da cui attingevano i poteri e ne aveva dato dimostrazione usando un bicchier d'acqua. Minako l'aveva imitata leggendo il cuore di ciascuna delle presenti e facendo quindi un tentativo di deviare la luce d'una lampada a suo piacimento. Makoto e Rei avevano a loro volta provato a governare elettricità e calore e, sebbene in minima parte, erano state capaci di farlo.

-E Usagi cosa sarà in grado di fare?-, aveva domandato Makoto, lasciando le altre perplesse.

Ami aveva azzardato che forse l'autorità che le avevano visto esercitare su Kenzo e su Hiro fosse il potere nascosto di Usagi; Rei invece aveva ritenuto che fosse quello di riuscire a coinvolgerli sempre tutti a seguire le sue azioni, come ballare sotto la pioggia la sera prima, oppure trascinarle in avventure vietate, come quando le fece entrare al ballo in maschera della principessa di Diamante.

Dopo aver un po' discusso di quegli argomenti, Rei se n'era andata per tornare da Yuichiro, che aveva lasciato addormentato in mansarda. Makoto era diventata tutta rossa in viso e aveva detto che doveva andare al bagno, ma non era più tornata. 

Ami e Minako si erano guardate negli occhi: -Dovremmo chiarirci con Hiro e Kenzo-, aveva riflettuto ad alta voce la bionda e con un sorriso si era congedata, lasciando Ami da sola.

 

Poco dopo Kenzo aveva bussato alla sua porta e lei lo aveva fatto entrare. 

Si era sentita sulle spine e si era domandata se quella notte avrebbero solo parlato…



 

---


Gli abiti da sera giacevano strizzati nei borsoni, la spazzatura era stata raccolta e lasciata all'esterno della villa, le stanze rassettate e tutti, chi più chi meno, avevano fatto un po' di colazione.

Come avevano già fatto il giorno prima, i ragazzi chiamarono le rispettive famiglie per informarli che quella mattina sarebbero potuti partire e che sarebbero arrivati alla stazione di Tokyo la seguente. Usagi insistette con i suoi genitori perché non andassero a prenderla alla stazione, ma suo padre stabilì che li avrebbe trovati ad aspettarla al suo rientro.

 

Presero in spalla gli zaini e uscirono, Yuichiro chiuse la porta e dette due mandate, poi sospirò.

Ciascuno di loro ebbe un saluto silenzioso per quel luogo: quella villa avrebbe conservato in eterno le loro risate, i batticuori, le prime esperienze e la gioia che avevano provato.

Yuichiro si diresse verso il secondo vaso a destra di gardenia, spostò le foglie, smosse la terra e vi nascose la chiave argentata.

 

-Addio, villa del mio cuore-, mormorò Usagi e prese per mano Mamoru, incamminandosi con gli altri verso la fermata del bus.



 

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In lontananza si vedeva stagliarsi nell'azzurro la sagoma di Amami Oshima che con la sua presenza costante aveva accompagnato la traversata della nave che li aveva portati via dall'isola di Kakeroma. Durante quella prima parte del viaggio i dodici erano rimasti riuniti su alcune poltrone nella lounge hall del traghetto, per lo più in silenzio per tutto il tempo. In mezzo a loro troneggiava la piramide informe dei loro zaini e dei borsoni. 

Mamoru aveva fatto stendere Usagi sul divanetto minuscolo che avevano occupato e teneva la sua testa in grembo, ogni tanto le faceva una carezza, sentendo il sonno vincere sulla volontà di rimanere sveglio.

I loro amici apparivano stanchi al pari suo, a lui tornò in mente l'interrogativo su come avessero passato la nottata e si mise a osservarli uno a uno.

Naru e Umino dormivano placidi con le mani intrecciate, probabilmente ci avevano dato dentro ed erano esausti; Mamoru sorrise e scosse la testa, rendendosi conto di quanto potesse essere semplice l'amore.

Motoki parlava sottovoce con Makoto, a volte si apriva in un sorriso, altre volte la baciava sulla bocca, sul naso. A Mamoru non sfuggì la sua mano che continuava a insinuarsi sotto la maglietta della ragazza per farle il solletico e toccare la sua pelle, facendola ridere sottovoce e si rese conto che quel ragazzo aveva molto da insegnargli. Se davvero fosse diventato Re, probabilmente lo avrebbe fatto Generale, perché Motoki sapeva sempre dire e fare le cose giuste al momento giusto.

Guardò Rei e vide sul suo volto una dolcezza che non aveva mai notato nel breve periodo in cui si erano frequentati. Si domandò come avesse fatto ad accettare le avances di quella ragazza, dal momento che non aveva mai provato nulla per lei che andasse oltre alla semplice curiosità. Gli tornò in mente che, per un brevissimo tempo, aveva pensato di provare a baciarla, solo per "fare esperienza", ma provava già un sentimento profondo per Sailor Moon e non aveva mai fatto il primo passo con la moretta. Ringraziò di non aver mai avuto occasione di togliersi quella curiosità e che fosse stato Yuichiro a far provare quell'emozione alla ragazza. Lui, Mamoru né era certo, in quella vacanza era riuscito a ridimensionare il suo modo di amare Rei e sembrava aver trovato tutto un nuovo equilibrio con lei.

Non gli fu chiaro cosa fosse realmente accaduto invece a Minako e Hiro, da una parte e Ami e Kenzo, dall'altra. Continuavano a parlare e interagire in quattro, senza dare evidenti segnali che Cupido avesse scoccato le sue frecce su di loro.

 

Un annuncio dagli altoparlanti invitò i passeggeri a dirigersi verso le uscite, poiché la nave stava entrando in porto.

Usagi si era addormentata, Mamoru sospirò, sperando che non ci mettesse tanto quanto quella mattina a svegliarsi.

-Usako-, la chiamò senza successo e allora volle riprovare con un bacio.

-Mamo…-, quella volta aveva avuto successo. 

-Oh Mamo voglio essere svegliata sempre così, tutte le mattine!-, pigolò e si tirò su.

-Stiamo per arrivare, dobbiamo prepararci-, la avvisò lui, vedendo che anche gli altri si stavano muovendo. 

Approdarono al porto di Amami in orario, avrebbero cercato qualcosa da acquistare per il pranzo e avrebbero mangiato sulla nave per Kagoshima. Si trascinarono su e giù per il porto camminando lentamente, gli zaini erano pesanti, ma ancor più lo era il macigno che gravava sui loro cuori.

 

-Come farò senza di te, Naru???-, urlò Umino a un certo punto, mentre si erano raggruppati all'ombra di un albero solitario al bordo di un parcheggio del porto. Era scoppiato a piangere come un bambino lasciato la mattina all'asilo dalla mamma e si era stretto alla ragazza, che lo abbracciò e gli parlò all'orecchio, per farlo calmare. 

-Così ti rendi ridicolo, mostriciattolo!-, Hiro si rivolse al cugino, schernendolo e Naru, come una tigre, gli puntò un dito in mezzo al petto e lo aggredì.

-Non ti devi permettere di chiamare così Umino! Sei soltanto uno sciocco anaffettivo, dovresti prendere esempio da lui che è così sensibile e gentile, invece!-, avrebbe continuato a lungo, se il destinatario di quella offesa non l'avesse fermata dolcemente.

-Stavolta Hiro ha ragione, perdonami Naru, ti ho fatta vergognare di me!-, si fece piccino piccino, con le lacrime che si accumulavano sul bordo degli occhiali.

Naru gli prese il viso tra le mani e lo baciò in fronte: -Io non mi vergognerò mai di te, amore mio-, gli disse piano, ma tutti lo udirono.

Usagi sorrise e provò tanto affetto per la sua amica, che le aveva insegnato una delle forme più pure di amore che avesse mai visto. Alzò lo sguardo su Mamoru e vide che aveva un'espressione dolce sul viso, pregò perché nemmeno lui si fosse mai potuto vergognare di lei.

 

Si sarebbe fatta insegnare ogni cosa sull’essere adulti, avrebbe assorbito ogni sua parola, studiato e appreso ogni suo gesto per imparare a conoscerlo e capire da lui come essere un’adulta responsabile e capace di sentirsi a suo agio in ogni situazione. Avrebbe imparato a parlare in modo schietto e col cuore. Sarebbe diventata grande, con lui. 

Per lui.



 

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Capitolo 30
*** Capitolo 29 ***


ATTENZIONE: PS IN FONDO!!!


Capitolo 29
Il ritorno (parte seconda), L’altra Michiru & Vostra figlia



 

Salire sulla nave per Kagoshima significava dire davvero addio a quel periodo rosa in cui tutti loro erano cresciuti un po’. Caricarsi del peso degli zaini, trascinarli su per le scalette in ferro e lungo i corridoi con la moquette del traghetto, sentire il pavimento muoversi a ogni onda sotto ai loro piedi era come riportare a casa un bagaglio di panni vecchi da lavare, per riscoprire che si erano trasformati in abiti nuovi, che li avrebbero rivestiti da quel giorno in poi. La traversata sarebbe durata il tempo di concedere a ciascuno di loro di dirsi addio, rifugiandosi in angoli appartati dell’enorme bastimento che avrebbe conservato le loro storie, come le storie di tanti altri ragazzi come loro, di famiglie rumorose, di single che tornavano a casa con un piccolo bagaglio di esperienze nuove. Quella tappa sarebbe stata l’ultima in cui riuscire a nascondersi da occhi curiosi e lasciar pulsare una volta ancora lo stordimento della libertà che avevano assaporato a Kakeroma.


Avrebbero navigato di giorno, almeno finché il sole non fosse calato, quindi i ragazzi decisero che avrebbero occupato alcuni posti sul ponte, cercando di prevedere la rotta della nave per trovare un po' d'ombra. Pranzarono tutti insieme, ma dopo un po', a gruppetti si allontanarono, forse per cercare un po' d'intimità oppure solo per svagarsi. A turno sarebbero rimasti a vigilare sui bagagli.

 

Makoto e Rei incontrarono Usagi sulla porta delle toilette e lo ritennero un buon momento per parlare da sole con la loro amica, ma lei le anticipò.

-Oh ragazze, finalmente siamo sole! Volevo dirvi che sono tanto felice per voi, perché finalmente vi siete innamorate!-, prese le mani di entrambe, i suoi occhi brillavano. 

In quel momento a Rei fu chiara davvero la grandezza della sua piccola pasticciona Usagi e l'abbracciò stretta stretta.

-E io sono felice per voi: Mamoru è un bravo ragazzo ed è perfetto per te-, le sussurrò all'orecchio.

-Non sei arrabbiata con me, perché tu e lui…-, non riusciva nemmeno a dirlo.

Rei scosse la testa e mosse la mano a sottolineare che quella fosse solo una sciocchezza.

-E tu Usa-Chan non sei arrabbiata con me perché Motoki…-, Makoto avvampò, pur consapevole che stesse dicendo eresie.

-Moto-Chan è il ragazzo migliore della Terra… insieme al mio Mamo, s'intende! Come potrei essere arrabbiata per questa meravigliosa "cosa" che hai avuto!?-, Usagi portò le mani al viso, era davvero raggiante. Fece un sospiro, un velo offuscò per un attimo il suo sguardo.

-Quando tornerete a casa, avrete entrambe i vostri ragazzi a completa disposizione, giorno e notte-, voleva continuare, lamentando il fatto che lei, invece, avrebbe dovuto lottare con i suoi genitori. 

Un'idea rapida come una meteora attraversò la sua testa, di colpo cambiò espressione.

-Ragazze, ma voi… con Motoki e Yuichiro… stanotte… avete fatto…-, avvampò prima di completare la frase, ma la sua espressione parlò per lei.

Diventarono tutte e tre color peperone, nessuna tra Makoto e Rei spiccicò parola, il discorso cadde lì, vinse l'imbarazzo.

-Devo tornare da Mamo-, con un sorriso tirato Usagi le salutò e scappò via, dandosi dell'imbecille per quello che stava per dire e che fortunatamente era rimasto senza seguito.

 

Quando raggiunse il ragazzo, lo colse in flagrante omissione di sorveglianza. Si era addormentato seduto a terra davanti al monte di bagagli, la schiena poggiata alla parete di ferro della nave, il volto rilassato.

Si sedette davanti a lui a gambe incrociate e per un po' rimase in contemplazione. Sentiva il cuore battere forte nel petto: forse non avrebbero avuto tutte le occasioni di stare da soli che Makoto e Rei avrebbero potuto sfruttare, forse sarebbe dovuto passare molto tempo prima che avessero potuto stare di nuovo tutta una notte insieme, ma a lei, in fondo, sarebbe andato bene lo stesso così, perché più lo guardava, più realizzava la fortuna che aveva avuto nel trovarlo, conoscerlo, poterlo amare. 

Si alzò e andò a mettersi accanto a lui, facendolo piano piano scivolare con la testa sulla sua spalla, attenta a non svegliarlo. Se lui era il suo sole, la forza della Luna che ardeva in lei l'avrebbe protetto per sempre, finché avesse avuto vita e per sempre sarebbe rimasta al suo fianco. Lo baciò tra i capelli, volle essere lei a prendersi cura di Mamo per un poco e vegliare sui suoi sogni più dolci.

Mamoru era così caldo, il suo respiro sul collo faceva sussultare Usagi ogni pochi secondi, si sentiva bruciare nel petto e nella pancia.

Forse era quello l'amore, ne aveva finalmente scoperto la forma. Sentirsi ardere di un fuoco inestinguibile e puro senza la necessità di dover fare altro che sentirlo nel suo cuore. Se anche fossero stati lontani, seppure la sorte fosse stata loro avversa, quella calda fiamma che la scaldava dentro non si sarebbe mai spenta. 



 

---


Passarono tutto il tempo che rimaneva sulla nave senza aver notizie delle uniche due "coppie" ancora non del tutto accoppiate, il resto del gruppo non li cercò nemmeno: se non volevano stare al loro accampamento sicuramente avevano le loro ragioni.

Fortunatamente tornarono a farsi vivi prima dell'attracco, in modo che potessero sbarcare tutti assieme prima di fare l'ultimo trasferimento alla stazione e salire finalmente sul treno che li avrebbe riportati a casa.

 

Quel viaggio era lunghissimo ed estenuante e anche se ciascuno di loro avrebbe voluto prolungare all'infinito la loro vacanza, in tutta onestà non ne potevano più e agognavano un tetto sopra la testa.


Anche il tragitto in treno fu stancante, perché, sebbene fosse un treno notturno, non aveva gli scompartimenti come quello dell'andata, ma semplici posti a sedere come un aereo. Si rannicchiarono per cercare di riposare il più possibile, ma di tanto in tanto si alzavano per sgranchire le gambe e trovare un po' di pace a quella smania che prendeva a stare immobili a sedere per ore.

Alle prime luci dell'alba, soltanto Naru e Umino, sprofondati nel sonno più profondo, erano ancora al loro posto, mentre gli altri vagavano come fantasmi rimpiangendo qualunque altro momento dell'ultima settimana. 

Mamoru guardava fuori dal finestrino della porta d'uscita del convoglio come se fosse stato un leone pronto a balzar giù e ruggire, Minako e Rei contavano i solchi delle occhiaie guardandosi nello specchio dell'angusto bagno, Makoto si era messa a tavolino con Motoki per fare il punto della situazione dei loro impegni settimanali, in modo da concordare quando avrebbero potuto trovare del tempo per cucinare una non ben precisata torta di difficile preparazione.

Ami leggeva, in disparte, stando in piedi con le spalle poggiate alla parete divisoria tra due vagoni, Usagi andava su e giù per il treno, camminando in precario equilibrio nel corridoio stretto.

-Buongiorno-, Yuichiro la incontrò tra la nona e la decima carrozza, -Come va?-, le domandò sbadigliando a fauci aperte.

-Voglio scappare!-, squittì lei in risposta.

-A chi lo dici…-, Yuichiro la precedette cambiando direzione fino all'area più spaziosa prima della carrozza ristorante.

-Come mai non sei con Rei?-, domandò la ragazza, incuriosita.

-Aveva bisogno di stare un po' con le sue amiche-, spiegò lui, -Tu non sei con loro?-

Usagi guardò il pavimento grigio, -In qualche modo credo che ci sia stata una rottura tra noi-, forse aveva usato parole troppo drammatiche, ma in cuor suo era quello che temeva. Nonostante le rassicurazioni che le erano state fatte, la rivelazione della sua identità aveva compromesso l'equilibrio che esisteva tra loro. Lei era stata la loro Principessa e forse sarebbe stata la loro Regina: era normale che la considerassero diversa ormai…

-Uhm…-, Yuichiro la osservò pensieroso, -Qualche sera fa Makoto mi ha fatto notare che le due ragazze dell'auto in panne avevano mostrato un interesse particolare nei tuoi confronti, ma io non ho voluto crederle-, alzò le sopracciglia, -Voi tutte nascondete dei segreti e questo lo so da molto tempo ormai: ecco, io credo che il tuo segreto sia il più grande tra tutti loro. Forse sarebbe un bene che ti confidassi con qualcuno.-

Usagi non comprese: cosa intendeva Yuichiro? Forse semplicemente non era a conoscenza di tutto il casino che erano le loro vite e parlava per supposizioni, peraltro sbagliate.

Trattenne una risata, -Cioè?-, domandò semplicemente.

Yuichiro cambiò espressione, si fece guardingo, si abbassò verso di lei: -Io so tutto di voi. So chi siete…-, Usagi immaginò che Rei avesse vuotato il sacco così come aveva fatto Makoto, ma Yuichiro proseguì.

-Ho visto Rei "farlo" più di due anni fa-, confessò, -e in seguito ho compreso che voi quattro foste le sue compagne-, un'allusione vaga, ma puntuale.

-E non hai…?-

-No, non ho. Era un vostro segreto, ma ti giuro che ogni volta che succedeva qualcosa io tremavo al pensiero di quel che sarebbe potuto accadere a Rei-, si rese conto di aver fatto una gaffe, -A tutte voi, insomma!-, si corresse.

Usagi lo fissò per un attimo, poi distolse lo sguardo, imbarazzata. Yuichiro ne avrebbe dovuto parlare a Rei, non a lei, che era quasi un'estranea.

-E quindi… ecco… non ho ancora il coraggio di dirlo a lei, per questo ne parlo a te, che mi sei sempre sembrata la loro leader: grazie. Semplicemente grazie per tutto quello che fate per noi-, strinse per un attimo la sua spalla e abbassò la testa in segno di rispetto, pronto ad andar via.

 

-Yuichiro, perché hai detto che il mio segreto è più grande di quello delle ragazze?-, Usagi voleva capire fino a che punto il ragazzo fosse a conoscenza dei fatti.

Yuichiro portò una mano alla nuca e sorrise un po' in difficoltà. Era qualcosa di poco chiaro anche a lui, eppure lo aveva percepito.

-Quello che hai fatto in questa settimana parla da solo: a quanto pare sei stata tu ad aver confuso Kenzo apparendogli di notte sul terrazzo, hai comandato a Hiro con un tono che ha messo a tacere tutti, hai attirato a noi le due ragazze dell'auto, hai fatto diventare di burro quel cuore di pietra di Mamoru, hai portato una luce che nessun altro ha saputo fare in questa vacanza.-

-Oh…-, fu la reazione di Usagi, non se l'aspettava.

-Ma non dire a Rei che ti ho detto queste cose, non vorrei che si arrabbiasse!-, Yuichiro mise le mani avanti, rendendosi conto di poter essere frainteso. 

Però voleva dire di più e poi togliersi il pensiero: -Sei ancora una ragazzina, Usagi, e forse non hai ancora la piena facoltà delle tue potenzialità, ma quello che ho visto in te è più di una leader. Ti parlo da fratello e come figlio di uno degli uomini più influenti che abbia mai conosciuto: tu hai tutte le carte in regola per fare molta strada nella vita, ricordatelo sempre e impegnati a farlo senza perdere la tua bontà d'animo-. 

Le sorrise, Usagi pensò che non avrebbe mai immaginato che uno come lui avrebbe potuto tessere le lodi di un'altra persona che non fosse Rei. Annuì, lo avrebbe fatto.

 

-E poi c'è un'altra cosa… -, riprese a parlare il ragazzo.

-Quando eravamo a Setouchi e ci avevano detto che il campeggio era pieno, io mi vergognavo molto a proporvi di venire a casa mia. Per un attimo ho incrociato il tuo sguardo mentre ti disperavi e mi è parso che mi parlassi: "Questo è il tuo momento, Yuichiro Kumada: ora devi smettere di essere un bambino e devi diventare un uomo accettando chi sei e usando le tua capacità per aiutare gli altri", questo è quello che mi sono immaginato, forse, ma era la tua voce a parlare alla mia testa.-

Alzò le spalle e si congedò, lasciandola di stucco lì da sola tra la carrozza nove e la dieci.


Quando Usagi ritrovò Mamoru, caracollando fino a lui per l’ondeggiare del convoglio, cercò un abbraccio e lo guardò, senza dire niente. Troppi pensieri affollavano la sua mente, aveva bisogno soltanto di un nido sicuro dove spegnere la testa.

Erano soli in quel momento e fu lui a parlare, confidandole quello che gli aveva rivelato Ami la notte prima.

Non si aspettava che Usagi annuisse in silenzio e accogliesse quella importante informazione senza stupirsi.

La ragazza rimase per un po' silenziosa, senza muoversi. Quel battito lento e sicuro l'aiutava a mettere ordine nelle sue idee: un altro pezzo del puzzle aveva appena trovato il suo posto.

-Anche tu hai un potere che riesci a manifestare senza trasformarti in Tuxedo Kamen-, osservò, -E credo anche io-.

Mamoru l'allontanò da sé e la guardò dandole tutta l'attenzione che meritava quella confessione.

-In qualche modo credo di riuscire a far fare alla gente quello che voglio che faccia, ma solo in determinate situazioni, quando sono più vulnerabile o quando sento di non essere più me stessa, ma…-, s'interruppe, cercò ancora l'abbraccio di Mamoru, si fece piccina.

Il giovane aspettò che fosse lei a parlare, ma comprese che in quel momento doveva essere lui la sua voce.

-Io credo che tu riesca a motivare l'animo più profondo delle persone, Usako, riesci a spingerle a compiere atti di compassione o a perseguire la strada giusta. Forse quello che non riesci a dire è che lo fai quando balza fuori la Principessa Serenity che è in te…-, la baciò sulla fronte, gli occhi limpidi di Usagi lo ringraziarono per non averle fatto mettere a parole quella verità scomoda.

-Ci hai provato anche con me, più volte, lo sai vero? Non credo che avrei scagliato quella rosa se non fossi stato spinto da una voce che aveva toccato il mio animo più profondo, perché io lo sapevo che avrei finito col farti male. Ma era la cosa giusta da fare per sconfiggere quel mostro, non c'erano altre scappatoie e tu avevi ragione.-

-Ma poi mi hai salvata tu-, Usagi prese il volto di Mamoru tra le sue mani, lo costrinse ad abbassarsi e lo baciò sulle labbra. -Forse tu e io siamo stati creati per salvarci a vicenda, per riuscire a fare grandi cose, se rimaniamo insieme. Se non ci fosse stato Tuxedo Kamen, Sailor Moon non avrebbe avuto la forza per riprendersi in battaglia e annientare il nemico.-

-Ma se non ci fosse stata Sailor Moon, Tuxedo Kamen non sarebbe mai esistito.-

 

Rimasero stretti in un abbraccio caldo e magico, finché la porta della carrozza non si aprì in uno sbuffo. Una donna che stava tornando al proprio posto vide due giovani che si amavano, i primi raggi di sole che facevano capolino dietro i monti a est l'abbagliarono. Entrò nella carrozza adiacente, andò a sedersi sulla sua poltrona e sospirò. C'era qualcosa di magico nell'aria.

 

Usagi e Mamoru tornarono ai loro posti tenendosi per mano e videro che i loro amici si erano nuovamente riuniti.

Erano le sette e quaranta del mattino, mancava un'ora e venti al loro arrivo a Tokyo.



 

---


-Cosa farai oggi?-, Usagi era curiosa di sapere come Mamoru fosse solito trascorrere le sue giornate. Avevano parlato di tante cose, ma mai della quotidianità di cui presto avrebbe fatto parte.

-Lavatrici, credo che oggi farò lavatrici-, le rispose lui, alzando gli occhi al cielo.

Usagi non se l'era mai posto quel problema, a lei i panni li lavava la mamma.

-E poi?-, voleva sapere tutto. Voleva sapere quando avrebbero potuto rivedersi.

-E poi immagino che andrò a fare la spesa-, Mamoru la guardò con un sorrisetto strano, dove voleva arrivare quella piccola peste? Gli avrebbe chiesto la lista delle cose da comprare?

-Cosa ti compri di buono?-, appunto. Ma gli sembrava che la ragazza in quel momento fosse tranquilla, quindi lasciò che gli chiedesse tutto quello che voleva sapere.

-Latte, uova, pane, verdura, del pollo, un po' di frutta-, che altro?

-Marmellata? Caramelle? Patatine? Bibite?-, forse quella era la lista della spesa di una Testolina Buffa, non di certo la sua. Però, rifletté, se lei fosse andata a trovarlo, cosa avrebbe potuto offrirle?

-Tu cosa mi consigli?-, Mamoru era certo che, nel momento in cui quella conversazione fosse finita, Usagi sarebbe andata nel panico per l'imminente conclusione del viaggio.

-Biscotti al cioccolato. Frittelle di mele. E Alcool, tanto alcool-, l'ultima parte lo lasciò di stucco.

-Come alcool?-, rise, nel porle la domanda. Notò solo allora che, dentro la tasca centrale della felpa, Usagi stava muovendo le mani. Immaginò che le stesse torcendo l'un con l'altra, comprese che quello era solo un interrogatorio di facciata.

-Alcool per dimenticare tutto quello che succederà quando dirò ai miei che ho un ragazzo!-, sbottò lei, aprendo le braccia e mostrando le mani. Aveva qualcosa tra le dita, lo riconobbe: era l'anellino di plastica della bottiglia che lui le aveva dato in spiaggia. Prese le sue mani e le strinse con delicatezza.

-Usako, stai tranquilla! Non succederà niente-, era proprio terrorizzata da quel pensiero. Il ragazzo le sorrise e indicò l'anellino: -E questo?-, le domandò con un sopracciglio su e uno giù.

-Mi serve-, increspò la fronte, -Perché è l'unica cosa tangibile che dimostri che tu esisti, quando saremo lontani-, era veramente preoccupata.

Mamoru la guardò con dolcezza e le fece una carezza sul viso.

-Oggi sei stanca, puoi rimandare a un altro momento la tua "confessione"-, le suggerì.

-Tieni-, le disse dopo un attimo, mettendole una rosa in mano, -Prendi questa: è più bella di un anellino di plastica-.

Usagi strinse la rosa al petto, non aveva spine, era profumata. -Morirà-, osservò laconica e Mamoru le sorrise come si sorride a un bambino col broncio.

-È magica, rimarrà sempre così finché io non la farò scomparire.-

-Non farla mai scomparire!-, lo pregò Usagi con molta enfasi.

Dopo qualche istante rifletté sul suo consiglio: - Forse hai ragione, è meglio che aspetti domani a parlare ai miei di te… In ogni caso è meglio salutarci prima di arrivare all'area degli arrivi alla stazione…-, voleva un bacio come quelli dei film, perché avrebbe dovuto affrontare molte ore senza rivederlo.

Mamoru volle cercare di aiutarla un altro po': -Quando parlerai ai tuoi, forse è meglio se non dici subito che io, ecco… che io sono più grande di te o che… vivo da solo…-, era in imbarazzo lui stesso, di colpo si sentiva il partito peggiore per fare la conoscenza dei futuri suoceri.

-Ma prima o poi dovrò farlo!-, Usagi portò le mani alla testa, -E sicuramente loro diranno di no!- quasi lo urlò.

Da dietro le loro teste fece capolino la faccia di Motoki: -Che succede qua?-, domandò incuriosito.

Mamoru fece cenno col capo che stava andando tutto bene, ma Usagi lo contraddì.

-Ho il terrore che i miei non accettino che Mamo sia il mio ragazzo, perché diranno che sono piccola, incosciente, che devo pensare allo studio invece che ai ragazzi…"

Motoki allargò le labbra a denti stretti, inspirando: in effetti quello era un problema classico che sicuramente si sarebbe potuto verificare.

-Tanto per cominciare non farti vedere da loro in atteggiamenti teneri con lui-, iniziò a dispensare buoni consigli non richiesti, -Non fare come Unazuki che si fece beccare a baciare il suo primo ragazzo vicino a casa! Poi parla di Mamoru come un ragazzo maturo, che ha buoni voti agli esami, che ha vinto una borsa di studio…-

-Ma così capiranno che è vecchio!-

-Grazie Usako, sei carina…-

-Giusta osservazione. Allora dì che era in vacanza per accompagnare gli amici perché i genitori non si fidavano di loro e l'hanno chiamato perché lui è molto coscienzioso.-

-Talmente coscienzioso che ha avuto tempo di accalappiare "la loro bambina"!-, Makoto s'intromise nella conversazione, spuntando accanto a Motoki e discutendo con lui sulla miglior strategia che Usagi avrebbe potuto seguire.

-No, può dire che ancora non stanno proprio insieme, magari, perché prima voleva un consiglio da parte loro, considerato che lui si è sempre mostrato gentile nei suoi confronti e galante e…-

-Mia mamma sa che io odio Mamoru Chiba, le ho raccontato che anche lui mi ha sempre brontolata per i brutti voti come fa lei, non reggerebbe come scusa! Sa che lo chiamo baka, sa che usciva con Rei e sa che è vecchio!-

 

Mamoru provò a interromperli: -State parlando di me, ve lo vorrei ricordare…-, ma non fu ascoltato.

 

-Dì che è ricco: ricco sfondato, fa sempre effetto!-, tornò alla carica Motoki.

-Io non sono ricco!-, obiettò Mamoru, a braccia conserte, mentre Usagi stava in ginocchio accanto a lui rivolta di spalle, per parlare con gli altri due.

-Tanto lo so: diranno che io sono solo una sciocca bambina che si è presa una cotta per qualcuno più grande di lei che se ne vuole approfittare, senza sapere quale sia davvero la nostra verità.-

Makoto provò una sensazione di dejavu.

-Quando Motoki aveva iniziato a dire roba del genere e a sminuire il nostro compito di Sailors senza neanche sapere che lo fossimo, mentre invece bastava che accettasse di cadere tra le mie braccia, sai che ho fatto? Ho preso la mia penna di Giove e… tac! Sailor Jupiter l'ha fatto cadere ai suoi piedi!-

-Non è andata proprio così, Mako!-

-Oh, all'incirca!-, Makoto abbracciò il suo ragazzo prendendolo dalle spalle e lo fece ricadere seduto sul posto. Usagi si rimise composta a braccia incrociate.

 

-Non può dire semplicemente che mi ami?-, le domandò Mamoru, guardandola con gli occhi più blu e brillanti che avesse mai mostrato, allargando le braccia in un guizzo di esasperazione.

Lei sorrise, forse in effetti sarebbe bastato essere sincera.

-Ma è meglio evitare di farci vedere appiccicati al nostro arrivo, in effetti!-, aggiunse lui, giusto per metterlo in chiaro.


-Arriviamo tra mezz'ora-, annunciò Umino, controllando l'orologio appena aprì gli occhi, poi sbadigliò, si stirò e diede un bacetto sulla guancia a Naru, per svegliarla.

-Buongiorno amore!-, le disse. 

Mamoru, seduto dall'altra parte del corridoio rispetto a loro due, osservò come fosse stato facile ottenere quel risveglio.

-Siete pronte?-, Rei si voltò, chiedendo a Minako e Ami se avessero messo via le loro cose.

-Vado a vedere che fanno quei due-, annunciò la bionda, mentre Ami la seguiva con lo sguardo.

-Chi vuole un biscotto?-, Naru estrasse dal suo zaino un tubo di biscotti farciti e iniziò a distribuirli ai suoi amici.

Usagi si alzò per andare in bagno e Minako la seguì, quando tornarono ai loro posti, un annuncio sonoro informò i passeggeri che stavano per entrare in stazione e i ragazzi tacquero.

Usagi prese le mano di Mamoru tra le sue, lo baciò sulle labbra, strinse i denti. Aveva affrontato di peggio, sarebbe riuscita ad affrontare anche quella prova.

-Tieni, grazie-, Motoki porse a Mamoru la penna che lui gli aveva prestato per scrivere il suo planning settimanale notturno assieme a Makoto e gli batté la spalla: -Coraggio che sono cose che tutti prima o poi dobbiamo affrontare!-, lo consolò.



 

---


Le porte del treno si aprirono con un forte soffio d'aria quando le ruote furono immobili. Yuichiro deglutì e poi scese. Era stato l'ultimo a chiudere la porta di Villa Kumada, volle essere il primo a toccare il suolo di Tokyo. Porse la mano a Rei, che lo seguì e si mise in disparte con lui.

Mamoru precedette Usagi e le porse la mano per aiutarla a scendere, quella volta lei non inciampò.

Uno a uno i ragazzi di Kakeroma uscirono dal treno e a tutti parve così strano essere tornati a casa. Il suolo immobile sembrava ancora vibrare sotto ai loro piedi, l’atmosfera familiare della stazione li intimoriva.

Si riunirono in cerchio sulla banchina al lato del treno, misero le braccia ciascuno sulle spalle dell'altro:  -Dovremmo rifarlo!-, propose Yuichiro e gli altri urlarono brevemente la loro adesione.

-È il momento di rompere le righe-, annunciò Motoki, -Amici, è stato bellissimo!- e con un battito di mani si staccò per primo dal gruppo.

Si salutarono e iniziarono ad andare via alla spicciolata, mentre nuovi visitatori si accalcavano sul marciapiede procedendo in direzione opposta alla loro.

 

Yuichiro e Rei furono i primi ad allontanarsi, diretti alla stessa meta, mano nella mano.

-Mi chiamerai?-, domandò Kenzo ad Ami. Lei non rispose, ma gli diede un bacio a fior di labbra, sorrise e si voltò, agitando la mano per salutare, andando via.

-Ciao Hiro-, Minako salutò il ragazzo e l'abbracciò, gli fece l'occhiolino e, con il pugno chiuso tranne pollice e mignolo, portò la mano all’orecchio e fuggì via.

Motoki salutò con un abbraccio fraterno il suo amico Mamoru e lo stesso fecero Makoto e Usagi. Naru diede un bacio sulla guancia alla sua migliore amica, prese Umino per mano e se ne andò.


-Siamo rimasti solo noi…-, osservò Usagi, guardando a terra.

-Già…-, Mamoru si avvicinò a lei, per baciarla un'ultima volta, ma qualcosa lo distrasse.

-Ma quella è…-, fece voltare Usagi verso l'interno della stazione, una ragazza imbronciata procedeva a passo spedito verso il treno. 

Aveva le onde tra i capelli e  il mare nello sguardo.

-È Michiru!-, esclamò Usagi, Mamoru la fermò: -Non è la Michiru che abbiamo conosciuto noi… lei è quella di questa dimensione!-

Infatti non c'era Haruka con lei, portava sulle spalle la custodia di una chitarra e non era certo vestita elegante come avevano sempre visto vestire la loro Michiru.

-Devo parlarle!-

Mamoru la trattenne per il polso, -Non puoi!-

Usagi si divincolò, doveva parlare con lei, era un richiamo più forte del tempo e dello spazio, più forte di qualunque ragionevole spiegazione avesse potuto dare al suo Mamo.

-Lasciami, adesso-, gli ordinò e raggiunse a corsa la ragazza.

 

-Ciao, sei Michiru, vero?-, domandò affannata.

Lei piegò le sopracciglia, -E tu chi sei?-, masticava un chewing gum.

-Michiru io…-

-Cosa vuoi? Ho fretta, biondina!-

Non poteva farla andare via, non poteva! C'era qualcosa in quel momento, in quel luogo… doveva fermarla.

-Aspetta, ti prego!-

Annaspò alla ricerca di un foglio nella tasca, vide uno scontrino per terra, lo prese, cercò aiuto in Mamoru, -La penna, mi serve una penna!-, gli urlò e lui gliela portò velocemente.

-Ecco…-, Usagi scrisse rapidamente sul foglio e lo mise in mano a Michiru, che si scansò.

-Ti prego, devi ascoltarmi!-, una voce parlò per lei.

-Conserva questo foglio, devi cercare questa ragazza-, indicò il nome scritto su un angolo.

-Haruka Tenou? E chi è?-, Michiru sghignazzò, appallottolò il foglio, lo buttò per terra. Usagi lo raccolse riuscendo a malapena a tirarsi su, a causa del peso del suo zaino, frugò nella sua borsetta, prese la gardenia ormai appassita che aveva trovato nella camicia in spiaggia, afferrò di nuovo la mano di Michiru e le consegnò il fiore e il foglio con il nome.

-Lei è il tuo destino-, le disse e la lasciò andare via.



 

---


-Uff, pensavo di non farcela!-, Usagi trasse un sospiro di sollievo.

-Servirà?-, domandò Mamoru, la voce lievemente tirata.

-Lo spero!-, lo guardò, -Che c'è Mamo?-

-Lo hai rifatto, te ne sei accorta?-, abbassò lo sguardo.

Usagi rimase a bocca spalancata.

-Lo hai fatto con me e con lei-, il viso preoccupato.

-Io… Mamo, scusami!-, si aggrappò alla sua maglia, era mortificata, non voleva imporsi su di lui, ma era stato un attimo concitato e confuso, lei sapeva che era la cosa giusta da fare. Aveva usato la voce.

Mamoru le sorrise, -Non devi scusarti, amore mio-, allargò le braccia, -Vieni qua!-, l'abbracciò stretta stretta, sfilandole lo zaino.

 

Era l'ora.

 

Usagi alzò il viso per prendersi il bacio che voleva e Mamoru l'accontentò, facendo cadere anche il suo bagaglio.

Le passò un braccio dietro alla vita e le mise una mano alla nuca, tirandola a sé finché non fu schiacciata contro di lui. Si avvicinò piano alle labbra rosa e poi le fece sue, lasciando che lei si aggrappasse al suo collo e lo tirasse più giù.

Tutti i sensi esplosero e si concentrarono nel petto di Usagi, le gambe vacillarono mentre lui… oh, era molto meglio dei baci dei film! Gli prese il volto tra le mani, -Ti amo, ti amo, ti amo!-, gli disse sulla bocca e di nuovo volle il suo bacio, il suo sapore, volle sentire il futuro e il passato in un solo attimo, fino a perdere il respiro.


-Usagi!!!-, una voce scandalizzata, un timbro familiare.

-Brutto mascalzone!-

Che strano, tutte voci familiari…

 

Il bacio in cui stava perdendosi finì improvvisamente, Mamoru l'allontanò da sé con urgenza e poca delicatezza. Ma cosa…?

 

-Usagi!!!-

 

Era la voce di papà!!! Oh signore!!!

 

La povera Usagi spinse Mamoru lontano da sé puntandogli entrambi i palmi al petto, si guardò attorno: a pochi metri da loro i suoi genitori la guardavano con facce scandalizzate e sconvolte, si avvicinarono a loro a grandi falcate.

 

Maledizione!!!


-Signor Tsukino!-, una voce squillante distrasse per un attimo suo padre, che si fermò e si voltò indietro.

-Buongiorno!-, una ragazza bassina con i capelli a caschetto gli porse una mano, -Buongiorno Signor Tsukino! È una bella giornata!-, la ragazza guardò alle spalle dell'uomo, lo spostamento d'aria di un treno in arrivo le fece volare via il cappello di paglia dalla testa.

-Mi scusi!-, urlò correndo a riprenderlo e sparì tra la folla.

Kenji si concentrò su quella sciagurata di sua figlia e tornò sui suoi passi: Usagi era sola e Ikuko le stava parlando concitatamente. Vide la moglie tirare Usagi per un polso e raggiungerlo: -Andiamo-, la donna usò un tono asciutto.

 

Mamo era scomparso, Usagi provò la stessa sensazione di vuoto che l'accompagnava alla fine di ogni combattimento, quando Tuxedo Kamen era già sparito, ma le sue labbra pulsavano ancora per quel bacio meraviglioso con cui lui era riuscito a salutarla quella volta.

 

---

 

Camminarono in silenzio fino al parcheggio, Usagi mise lo zaino nel bagagliaio dell'auto e salì in auto senza aprire bocca. Arrivarono a casa e si sfilò le scarpe, corse di sopra a lavarsi le mani e sua madre la raggiunse come un segugio nel bagno. Chiuse la porta dietro di sé e si mise davanti a lei.

 

-Ma come ti è venuto in mente di farti vedere così da tuo padre!?-, l’aggredì. 

-Mamma, ma io non pensavo che foste dentro la stazione…-, in ogni caso non era una giustificazione a quello che i suoi genitori avevano visto. Le sue paure stavano prendendo forma davanti a lei. Non avrebbe potuto aspettare di parlare “un altro giorno”.

-Chi era quello? Era alto. È più grande di te? Cos'è successo?-, Ikuko svelava nella voce severa attimi di curiosità che non riusciva a nascondere.

-Non è successo nulla, mamma, stai calma!-

-Non dirmi di stare calma!-, la donna sembrava furibonda, -Avevamo fatto un patto; niente guai, niente ragazzi, serietà!-

-Ma mamma, dai, non è come pensi!-, la difesa di Usagi non avrebbe potuto partire peggio.

-Ma è come ho visto! Quello lì ti stava baciando e in un modo inappropriato!!!-, Ikuko era sul punto di scoppiare e metterla in punizione a vita.

-Non c'è un modo inappropriato per farlo!-, sbottò Usagi. Non poteva crederci, non voleva crederci! Era passata in un istante dalla gioia più pura a essere messa sotto processo per la cosa più bella ci fosse. Il suo sguardo attonito aveva fatto vacillare per un attimo la belva nascosta dentro sua madre.

-E comunque tu sei piccola, Usagi, sei piccola per queste cose!-, la mamma portò due mani alle tempie.

Usagi cercò una scappatoia che le desse ragione, -Ma mamma… mi hai sempre detto che papà lo hai conosciuto a sedici anni e-

-Sedici anni di ventidue anni fa non sono sedici anni di adesso!-, Ikuko puntò i piedi.

-Ma cosa dici, mamma…?-, non poteva credere alle sue orecchie. 

Ikuko si rese conto di stare esagerando, ma non gliel'avrebbe data vinta subito. -Oh, insomma! E poi quello non era il tizio che mi avevi detto che ti prendeva sempre in giro?-

Ahia...

-Sì, è lui… È Mamoru-, mamma se lo ricordava, Usagi pregò per non aver esagerato, in passato, con le critiche rivolte al suo baka.

-E allora!? Mi hai detto che era un arrogante e ora ti fai vedere che ti baci con lui?-

-Ma mamma…-, non sapeva come difendersi, dal punto di vista della donna era tutto sbagliato.

-E lui chi è, cos'è successo in questi giorni, cosa hai fatto?-, di nuovo la donna parlò in tono concitato e arrabbiato, -Perché l'unica cosa che so io è che lo chiamavi baka e che saresti andata al mare da sola con le tue amiche e Umino!-

-Mamma, stai tranquilla! Calmati! Lui è… non è un baka… lui è Mamo e io provo per lui un sentimento molto profondo-. L'aveva detto, ce l'aveva fatta! Oh Mamo, corri ad aiutarmi ti prego!

-Talmente profondo che fino a ieri con lui era tutto un battibecco e ora… ah ma non dirmi che 'l'amore è cieco', signorina, perché i giudizi su di lui li hai espressi tu in passato, non io!-, la mamma aveva gli occhi fiammeggianti, davvero non capiva? 

-Sbagliavo…-

-Quindi mi staresti dicendo che sei scesa a compromessi accettando tutti i suoi difetti? Magari perché hai avuto facili occasioni di "sentirti grande"? Aveva ragione tuo padre e non dovevo farti partire con dei maschi!-, la mamma non si zittiva più, quello era un vero interrogatorio con sentenza stabilita nel momento in cui l'avevano beccata a baciare un ragazzo in stazione, non c'era possibilità di appello, ormai Usagi si sentiva completamente in trappola.

Sentì le lacrime puntare su lati dei suoi occhi, tirò su col naso, si rese conto di essere nel torto per non aver confessato della loro vacanza programmata. Abbassò il viso, una piccola lacrima scintillante cadde giù e si spense sulla sua felpa sgualcita.

 

Ikuko Tsukino decise che era sufficiente. 

 

Ripensò a quando aveva presentato Kenji ai suoi, il dolce ricordo di suo padre furibondo con lei le scaldò il cuore. Sua madre l'aveva avvertita, le aveva consigliato come fare. 

Corsi e ricorsi… Avrebbe seguito l’esempio di sua madre, però prima voleva porle la domanda essenziale, quella che più di vent'anni prima aveva fatto breccia nel cuore dei nonni di quella ragazza che piangeva davanti a lei. 

Usagi aveva un'espressione differente da quando era partita, Ikuko aveva scorto nel suo sguardo una nuova consapevolezza, nonostante la situazione decisamente avversa in cui lei l'aveva messa. Parlò e pregò perché fosse come pensava. 

Avrebbe retto la sua parte di madre severa solo per un altra domanda.

 

-Ah povera me… cos'ha lui di speciale, perché ti sei scelta proprio lui?-

 

Usagi sollevò lo sguardo, congiunse le mani, solo allora Ikuko vide qualcosa di bianco tra le sue dita. La ragazza la guardò e l'azzurro dei suoi occhi le parve sincero.

-Perché... lui mi fa stare bene anche quando io sto male-, rispose facendo spazio a un tenero sorriso. -Stavo rinunciando a lui, perché credevo di essere innamorata di un altro, ma poco prima di arrendermi, ho capito che era Mamoru il mio universo, che dietro quella che pensavo fosse arroganza c'era soltanto paura di sentirsi solo e che io non lo accettassi. Sono partita pensando di doverlo sopportare per una settimana d’inferno e ho imparato a conoscerlo meglio, finché ho capito che lo amavo… e basta!-, concluse esclamando. Non piangeva più.

 

Ikuko rilassò le spalle e sorrise, allungò una mano fino a prendere quella della figlia: -Brava. Hai superato la prova-, le disse in tono dolce, -Sono orgogliosa di te-. L'abbracciò, le bastava. Usagi era di nuovo felice.

-Quindi io… Posso…-, sua figlia domandò come se fosse stata una bambina davanti al suo regalo la mattina di Natale.

La mamma socchiuse gli occhi e annuì, -Sì, per me sì. Adesso devi convincere tuo padre. E poi è veramente un bel ragazzo, complimenti!-, glielo voleva dire. Aveva sempre trovato strano che sua figlia si fosse limitata a criticare quel giovane che, a una sua prima occhiata, sembrava così attraente.

-Lo so, Mamo-Chan è bellissimo!-, Usagi si accese tutta come uno stoppino e dai suoi occhi si sarebbero potuti veder schizzare fuori tanti piccoli cuori rosa. 

La mamma la guardò con dolcezza e con la tiepida malinconia di chi sa cosa significhi innamorarsi per la prima volta. Ma sua figlia aveva qualcosa in più di una semplice follia d’amore. 

-Mamo è unico, è speciale, è connesso con me come nessun altro al mondo. Io credo di amarlo profondamente già da prima di questa vacanza, mamma, solo che ero combattuta tra la ragione che mi diceva che dovevo detestarlo e le emozioni. È stato a Kakeroma che sono riuscita a guardare dietro i suoi silenzi e a leggere il suo cuore come se fosse stato un libro aperto.-

Le aveva parlato con il cuore, la mamma lo comprese e le fece una carezza.

-Siete stati coscienziosi?-, arrossì, nel porle quella domanda scomoda. Usagi, a sua volta, divenne paonazza.

-Mamma! Ma cosa dici!?-, squittì e per Ikuko fu una risposta abbastanza esplicita.

 

Usagi si allontanò un poco da lei, fece per uscire dal bagno, poi si voltò: -Ci sono tante cose che non ti ho detto, mamma, cose che prima o poi scoprirai sulla tua figlia dormigliona, ma ora voglio svelarti un segreto: Mamo e io siamo nati per stare insieme, non ci lasceremo mai, nemmeno se papà mi costringesse, nemmeno se la Luna cadesse sulla Terra o il Sole si spegnesse. Ti avrò detto tante bugie in passato, ti avrò pure nascosto i miei voti a scuola o fatto tanti capricci come una bambina, ma ora io sono certa di questa cosa: io amo Mamoru oltre il tempo, oltre lo spazio, oltre ogni più piccolo dettaglio che possa opporsi a noi due insieme.-

 

Ikuko la guardò uscire dalla stanza, il mento alto, le lacrime ormai asciutte sul suo viso, il sorriso sincero e gli occhi limpidi. Usagi era diventata grande.

 

-Sforzati di non essere così impulsiva con tuo padre!-, le gridò prima che sparisse alla sua vista, voleva anche lei che sua figlia potesse risplendere a quel modo per tanto, tanto tempo ancora.



 

---


-Papà-, Usagi andò a sedersi sulla poltrona davanti all’uomo. Si sentiva pronta ad affrontare un altro interrogatorio. Avrebbe detto semplicemente la verità, qualunque fossero state le accuse che l’uomo che l’aveva vista nascere avrebbe potuto rivolgerle. 

Con la coda dell’occhio vide la mamma fare capolino alla porta e mettersi da una parte. Nella sua immaginazione aveva pensato che quel momento sarebbe toccato a Mamoru, inchiodato in salotto ad affrontare suo padre, e invece era da sola. Inspirò, ce l’avrebbe fatta.

-Usagi…-, da dietro gli occhiali Kenji la studiava silenziosamente.

Usagi lasciò a lui la prima mossa.

-Usagi, sei consapevole di aver commesso più di un madornale errore?-, le domandò lui, sfilando gli occhiali dal naso. Usagi deglutì.

-In passato credo di averne commessi diversi-, rispose, -Sicuramente ho sbagliato a non dirvi che saremmo stati in cinque di più, in questa vacanza-, a denti stretti, Usagi iniziò la lista dei mea culpa. Sperava che avrebbe funzionato.

-Hai sbagliato-, confermò l’uomo. Invertì la posizione delle gambe che aveva incrociate l’una sull’altra. -Chi erano quei ragazzi?-

-Umino Gurio, lo conosci e ne abbiamo già parlato, sta con Naru da circa due anni, eravamo tutti in classe insieme. Suo cugino Hiro Gurio, che è venuto con noi dietro richiesta di sua zia Akane, per sorvegliare Umino, che è un po’ pasticcione. Kenzo Furuhata, il miglior amico di Hiro, che è venuto per fargli compagnia. Motoki Furuhata, il fratello di Kenzo, che stava passando un periodo infelice e ha accettato l’invito per cercare di tirarsi un po’ su. Mamoru Chiba, il miglior amico di Motoki, che l’ha seguito in questa vacanza per aiutarlo a superare il suo brutto momento. E infine si è aggiunto Yuichiro Kumada, l’aiutante del nonno di Rei al tempio, che menomale ha seguito Rei, perché altrimenti saremmo rimasti a dormire per sette notti per strada!-, elencati a quel modo, Usagi ne fu felicemente consapevole, i loro compagni maschietti non apparivano un’orda di maniaci pervertiti.

-Quale di questi sei ragazzi stavi sfacciatamente baciando poco fa?-, Ikuko sollevò le sopracciglia, stupita al pari della figlia della domanda così diretta e indelicata che suo marito aveva posto alla ragazza. Si sentì male per lei.

Usagi deglutì: -Mamoru Chiba-, rispose senza aggiungere altro.

-Chi è? Dove vive? Chi sono i suoi genitori? Da quanto va avanti questa storia e perché ce lo hai tenuto nascosto?-, Kenji riprese l’interrogatorio. Usagi chiuse gli occhi e si preparò a essere fucilata.

-Mamoru vive da solo, è orfano. I suoi genitori sono morti in un incidente d’auto quando lui aveva sei anni-, si rese conto che il più lo aveva detto, altri fatti degni di scandalo Mamoru non ne aveva. 

-È un bravo ragazzo, un po’ schivo, ma quando entra in confidenza con gli altri è molto gentile ed educato. È uno studente modello, lavora part time per pagarsi gli studi, è autosufficiente e coscienzioso.-

Se Mamoru l’avesse sentita, forse sarebbe scoppiato a ridere per quella bella presentazione che ne aveva fatto. Eppure, Usagi lo comprese solo mentre lo diceva, era tutta la verità su di lui.

-Un orfano!-, il papà parve scandalizzato, Mamoru aveva ragione a temere quella reazione.

-Non è colpa sua se ha perso i genitori da bambino-, gli fece notare Usagi, Ikuko pensò che sua figlia avesse trovato le parole più dirette per mettere in chiaro quello che era un dato di fatto.

-Ma è merito suo se è riuscito a condurre una vita ordinata e a diventare un giovane con la testa sulle spalle, nonostante abbia vissuto tutta la sua esistenza da solo-, puntualizzò Usagi. Ikuko strinse il pugno in una silenziosa esultazione per la figlia, Kenji serrò le mascelle, accusando il punto perso.

-Ti stava baciando in pubblico dopo una settimana che avete passato da soli a fare chissà cosa su un’isola sperduta in compagnia di… coppie!-, il signor Tsukino tornò all’attacco.

Usagi sentì la rabbia salirle alle gote.

-Abbiamo fatto il bagno in mare, abbiamo giocato a palla, abbiamo fatto la spesa e preparato da mangiare, abbiamo giocato a carte, abbiamo scherzato, abbiamo guardato la barriera corallina, abbiamo parlato e siamo diventati amici. Ecco chissà cosa abbiamo fatto!-, si stava scaldando, ma non le importava, suo padre stava esagerando!

-Non usare questo tono con me!-, eccolo, colpito passava all’attacco, ma Usagi continuò.

-E poi abbiamo anche incontrato due sconosciuti-, lo avrebbe fatto tribolare, oh se suo padre si sarebbe ricordato di quella sfida con lei! Ikuko chiuse gli occhi, Usagi non sarebbe mai cambiata!

-E questi giovani sconosciuti hanno cercato di diventare nostri amici. Dicevano di essere fratelli, ma probabilmente erano solo due malintenzionati che volevano rapinarci-, Kenji e Ikuko la ascoltavano a occhi sgranati, cos’erano quelle cose che Usagi stava raccontando!?

-Erano un ragazzo e una ragazza e lui mi ha presa di mira. Ha iniziato a farmi tanti complimenti, ha cercato di allontanarsi con me da solo, e Mamoru ha preteso di venire con noi. E dopo, questo tizio ha riprovato a rimanere di nuovo da solo con me, anche se io non ne avevo voglia e a un certo punto ha cercato di baciarmi: ma c’era Mamoru con me, ha vegliato su di me per tutta la vacanza, lo ha impedito e mi ha protetta. E io invece l’ho trattato male per quasi tutta la settimana, perché “lui era troppo serio e perfetto”. “Mamoru, e fattela una risata ogni tanto”, e lui no, lui era serio, scherzava appena, stava lì e vegliava su di me; “Mamoru, vai da quella bella mora, guarda come ti sta mangiando con gli occhi”, gli dicevano, e lui no: rimaneva vicino a me, mi prendeva in giro forse, mi faceva arrabbiare, ma non mi abbandonava-, fece una pausa, prese aria. Stava inventando cose, gesticolava nel parlare, ma il succo del discorso era quello: Mamoru era sempre stato attento a lei più di ogni altra cosa in quella settimana, lo comprendeva solo parlandone.

-Quando sono partita, io stavo male. Te n’eri accorto, Papà?-, l’accento posto sull’ultima parola, un’accusa diretta, sottile, subdola. Kenji non rispose.

-Ho passato giorni e giorni a fare il bagno, giocare, divertirmi, cucinare, guardare i pesci sott’acqua, mangiare col sorriso sulle labbra, ma dentro di me stavo male!-, non l’avrebbe più fermata neanche Mamoru in persona…

-E a un certo punto ho compreso il motivo: era Mamoru il motivo. Perché mi ero resa conto di provare qualcosa per lui, ma non avevo il coraggio di parlargli. E lui anche: aveva il cuore ferito e aveva compreso che ero solo io che avrei potuto guarirlo. E poi alla fine lo abbiamo capito e finalmente tutto quello che mi faceva stare male è scomparso-, Usagi si aprì in un sorriso, suo padre non sapeva cosa dire. 

Ikuko avrebbe voluto correre ad abbracciare Usagi, non avrebbe mai pensato che la sua bambina avesse potuto provare tutte quelle cose a soli sedici anni. Lei non lo aveva del tutto capito quanto sua figlia fosse giù, non immaginava i segreti del suo cuore, non sperava che avrebbe potuto cancellarli tutti grazie a un ragazzo che aveva detestato fino a una settimana prima.

Kenji inspirò profondamente, rimise gli occhiali sul naso, Usagi lo aveva fatto ammutolire. Sua figlia aveva davvero provato tutto quel subbuglio nel suo cuore? 

Aveva immaginato che fosse stata una cosa meno complessa, un po’ come era accaduto a lui e Ikuko: un incontro in discoteca, una serata insieme, un bacio, l’amore all'improvviso. E invece Usagi l’aveva fregato e aveva vissuto qualcosa a cui lui non sarebbe mai riuscito a opporsi in coscienza.

Buttò fuori l’aria, era un uomo ormai depauperato del suo ruolo di padre, schiacciato da una figlia che era partita bambina ed era tornata donna.

-Quanti anni ha questo ragazzo?-, si limitò a domandare, tanto, ormai…

 

Usagi spalancò gli occhi, maledizione si stava quasi dimenticando del compleanno di Mamoru! Sciocca, sciocca che era!

-Venti. Ne ha venti e li compie domani!-, disse tutto d’un fiato, pronta ad alzarsi e schizzar via per andare a comprargli un regalo, preparargli qualcosa con le proprie mani, qualunque idea fosse venuta a galla nella confusione che sentiva nella sua testa.

 

-Venti?????-, Kenji tuonò. -Venti anni???-, puntò il dito contro sua figlia, avrebbe accettato tutto, ma non quella differenza di età spropositata!

-Tu non puoi stare con uno che ha vent’anni! Sei solo una bambina!!!-, le urlò contro. Ikuko alzò gli occhi al cielo, li chiuse, sospirò. Usagi s’immobilizzò.

Dopo tutto quello che aveva passato, dopo tutto quello che gli aveva detto, suo padre obiettava sul fatto che Mamoru fosse accidentalmente venuto al mondo poco meno di quattro anni prima di lei!? Come se anche quella fosse una colpa!

-Oh, papà, smettila!-, gli disse. Perché non capiva, perché non si arrendeva!?

-Tu non frequenterai un uomo di vent'anni. È sconveniente. È pericoloso. Io devo proteggere i miei figli, è mio dovere!-, si ostinò l'uomo.

Proteggerla? Darle la forza, forse! Quello era il compito di un padre! Lei era in grado di proteggere se stessa contro le forze del male, Mamoru sarebbe stato al suo fianco, ma non avrebbe mai potuto fare quello che lei aveva già fatto da sola.

-Io sono forte abbastanza da proteggermi da sola!-, gli urlò contro.

-Non alzare la voce con me! Sei solo una ragazzina confusa e abbagliata da un tizio più grande che si è mostrato gentile nei tuoi confronti, tu non puoi sapere quello che frulla nella testa di un ventenne!-, l'accusò l'uomo.

 

Usagi chiuse gli occhi: le tornò in mente quello che Makoto aveva raccontato di aver fatto per convincere Motoki.

Infilò la mano in tasca, la sua spilla magica era lì. Avrebbe fatto lo stesso.

-Non è così-, disse in tono serio, -Io non sono una ragazzina confusa. Io ho già fatto cose che voi non immaginate nemmeno-, confessò ai genitori.

 

-Mamma, papà, c'è una cosa che vi devo mostrare…-, annunciò.

Tirò fuori dalla tasca la spilla e la alzò sulla sua testa.



 

Il resto sarebbe venuto da sé.







 

FINE




 

Tu non lo dici ed io non lo vedo

L'amore è cieco o siamo noi di sbieco?

Un battibecco nato su un letto

Un diluvio universale

Un giudizio sotto il tetto

Up con un po' di down

Silenzio rotto per un grande sound

Semplici eppure complessi

Libri aperti in equilibrio tra segreti e compromessi

Facili occasioni per difficili concetti

Anime purissime in sporchissimi difetti

Fragili combinazioni tra ragione ed emozioni

Solitudini e condivisioni

 

Ma se dovessimo spiegare

In pochissime parole

Il complesso meccanismo

Che governa l'armonia del nostro amore

Basterebbe solamente dire

Senza starci troppo a ragionare

Che sei tu che mi fai stare bene quando io sto male e viceversa

Che sei tu che mi fai stare bene quando io sto male e viceversa

 

E detto questo che cosa ci resta

Dopo una vita al centro della festa?

Protagonisti e numeri uno

Invidiabili da tutti e indispensabili a nessuno

Madre che dice del padre

"Avrei voluto solo realizzare

Il mio ideale, una vita normale"

Ma l'amore di normale non ha neanche le parole

Parlano di pace e fanno la rivoluzione

Dittatori in testa e partigiani dentro al cuore

Non c'è soluzione che non sia l'accettazione

Di lasciarsi abbandonati all'emozione

 

Ma se dovessimo spiegare

In pochissime parole

Il complesso meccanismo

Che governa l'armonia del nostro amore

Basterebbe solamente dire

Senza starci troppo a ragionare

Che sei tu che mi fai stare bene quando io sto male e viceversa

Che sei tu che mi fai stare bene quando io sto male e viceversa

 

È la paura dietro all'arroganza

È tutto l'universo chiuso in una stanza

È l'abbondanza dentro alla mancanza

Ti amo e basta

È l'abitudine nella sorpresa

È una vittoria poco prima dell'arresa

È solamente tutto quello che ci manca

E che cerchiamo per poterti dire che "ti amo"

 

Ma se dovessimo spiegare

In pochissime parole

Il complesso meccanismo

Che governa l'armonia del nostro amore

Basterebbe solamente dire

Senza starci troppo a ragionare

Che sei tu che mi fai stare bene quando io sto male e viceversa

Che sei tu che mi fai stare bene quando io sto male e viceversa

 

(Viceversa - Francesco Gabbani, 2020)

 

 

PS: domani ultimo capitolo, l'Epilogo: "in un altro spazio, in un altro tempo..."

 

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Capitolo 31
*** Epilogo ***


Siamo giunti alla fine di questa storia, la fine vera e propria, perché qualcosa era stato lasciato in sospeso, "in un altro tempo, in un altro spazio". Forse la parola "FINE" al termine del precedente capitolo può aver tratto in inganno, ma quella era soltanto la fine di una parte della storia, quella più interessante, forse, ma non di tutta la storia.

Questo racconto termina qua, e oggi termina il mio "Writober", realizzato del tutto casualmente, spezzando in 31 capitoli quello che originariamente stava in 9, più un prologo e un epilogo. Prologo ed epilogo che sono stati i capitoli più complicati per me da scrivere, che al lettore forse risulteranno i più ostici, ma che erano doverosi per dare un senso logico alla storia che altrimenti sarebbe stata un semplice "what if".

Spero di avervi fatto compagnia (in realtà spero che i miei pochissimi lettori per adesso abbiano apprezzato la mia compagnia quotidiana) e, perché no, spero anche che prima o poi qualcun altro scopra e legga questa storia che ha radici molto profonde nel tempo. Ringrazio chiunque abbia amato come me le avventure di Sailor Moon e abbia speso un po' del suo tempo per arrivare a leggere fin qui. 

Un caro abbraccio a tutti,

Florence

 

Epilogo 


-È il momento-, mormorò Serenity fermandosi al centro di un cerchio di pietre, all'esterno una corona di macerie grigie era stata lasciata lì, per ricordare quello per cui combattevano. La Regina chiuse gli occhi e il suo abito bianco scomparve, sostituito da una divisa alla marinara dello stesso colore, che Pluto non aveva mai visto prima indossare da Sailor Moon.”


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Il Re Endymion con la Principessa, la Prima Dama con i figli e il marito, il Generale Furuhata e la sua bambina si allontanarono dal gruppo delle guerriere Sailor, queste si disposero occupando posti prestabiliti nel cerchio di pietre oltre le macerie lasciate sulla Spianata dei Caduti. 

Pluto avrebbe dovuto conoscere ogni passaggio di quella cerimonia, ma si rendeva conto di non intuire neanche cosa sarebbe accaduto. Per qualche misterioso motivo, non solo non era mai riuscita a guardare in quella linea temporale, ma non conservava neanche i ricordi di quando, evidentemente, lei era già stata lì. 


Quello che era accaduto nella dimensione in cui si trovava differiva dal passato avvenuto nella dimensione da cui provenivano le guerriere sailor che erano state per secoli le sue compagne di vita: evidentemente, in quella realtà che le aveva assorbite, Serenity non aveva avuto da sola la forza di contrastare gli effetti dell’attacco delle forze maligne che avevano portato alla glaciazione del pianeta. 

La storia come era avvenuta lì era diversa: la Regina era riuscita a salvare soltanto parte del genere umano, il resto delle persone e delle cose giaceva ancora sepolto sotto a uno strato di ghiaccio e, con il rito de “La Ricerca”, tutte le guardiane Sailor cercavano di contribuire a strappare alla morte chi non era stato ancora salvato. 

C’era desolazione tutto attorno, c’era una profonda oppressione sui cuori di ciascuno di loro, perché il miracolo che aveva riportato in vita la “sua” realtà, lì non era mai avvenuto. 

 

Comprese che le sue previsioni erano state corrette: per avere un futuro “bello” anche in quella dimensione era stata essenziale la loro azione nel lontano millenovecentonovantasei, ma ancora non era stato sufficiente.

 

Pluto avvertì che non c’era armonia nel gruppo in cui si trovava, piuttosto regnava la paura di non farcela, ancora una volta. Osservò come le cose fossero diverse dalla dimensione da cui lei proveniva: personaggi che lì erano morti da secoli apparivano vivi e vegeti davanti a lei, eppure la paura sembrava regnare più potente della Nuova Regina Serenity. 

Naru Osaka, per esempio e Umino Gurio, i ragazzi che aveva conosciuto rapidamente durante la sua incursione nel millenovecentonovantasei di quella dimensione dal futuro a lei ignoto, erano in piedi a lato del suo gruppo e avevano anche messo su famiglia. Motoki Furuhata era un altro che era scomparso da secoli nel suo vecchio mondo, ma in quella dimensione sembrava ricoprire una delle più alte cariche al servizio della corona. 

Eppure ancora qualcosa non si era compiuto. Tutto quello che lei, Haruka e Michiru avevano fatto sembrava non aver portato i frutti attesi, ma qualcosa le aveva fatto intuire che forse non era a conoscenza di ogni cosa fosse avvenuta nel frattempo, a opera di una giovane donna che nel passato aveva appena scoperto di essere Principessa.

 

La cosa che più di tutte stonava in quella nuova realtà era l’astio mal celato che Sailor Neptune e Sailor Uranus sembravano provare l’una per l’altra, mentre le loro controparti a lei note erano da sempre due donne unite e in profonda sintonia tra loro.

Pluto si rese conto però che tutto quello che era davanti ai suoi occhi era destinato a scomparire: le cose stavano ancora cambiando, piccoli eventi seminati nel passato stavano dando i suoi frutti in quell’istante, là sulla Spianata dei Caduti. Anche quella dimensione grigia e dolorosa era prossima a mutare drasticamente. Doveva solo aspettare che il futuro si compisse e sperare che i cambiamenti fossero stati in meglio.

 

Serenity, al centro del cerchio, alzò le mani sulla testa facendo apparire tra esse il leggendario Cristallo d’Argento, quindi guardò una a una le sue guardiane.

Una alla volta, esse allargarono le mani fino a sfiorarsi l’una con l’altra, anche Pluto le imitò toccando con la punta delle dita quelle di Uranus, alla sua destra e Saturn, a sinistra.

Il brusio attorno cessò, Endymion salì su una specie di altare costituito da un grande blocco, resto di qualche antico palazzo.

-Che la Ricerca inizi!-, pronunciò a voce stentorea, -Preghiamo affinché altre vite vengano salvate dalla morsa del ghiaccio, preghiamo per le anime che non riusciranno a tornare a casa.-

 

Pluto comprese che non sarebbe servito a nulla. Provò una dolorosa fitta alle tempie, strinse gli occhi aspettando che passasse, ma il dolore, al contrario, si faceva più forte. Evidentemente non poteva in nessun modo allontanarsi da quel luogo: in quel momento c’erano centinaia di persone con gli occhi puntati su di loro, la figura stessa della Regina appariva quasi una divinità, lei era solo una sua subordinata, non poteva assentarsi e turbare quella cerimonia prestabilita.

Strinse i denti, ma si accorse che la sua vista si stava annebbiando: cosa diavolo stava accadendo!? 


Un rumore di passi sulla ghiaia infranse il silenzio, Endymion si voltò in quella direzione, anche Serenity lo imitò e scorsero il Sacerdote Yuichiro Kumada che si metteva in un angolo. Pluto realizzò che Yuichiro Kumada avrebbe dovuto essere scomparso da centinaia di anni, qualcosa lo aveva tenuto in vita e in quel momento lui aveva turbato l’inizio di una nuova speranza. 

Qualcuno tossì, la bambina che Furuhata teneva in braccia strillò, Piccola Lady si distrasse a guardarla, un vento teso si alzò e fece volare ovunque i lunghi codini della Regina. Il mantello pacchiano che indossava Neptune si slacciò dalle sue spalle e volò via, attorcigliandosi alle gambe di Sailor Venus, che squittì per lo spavento.

 

Serenity sospirò e abbassò le braccia: non poteva concentrarsi con tutte quelle distrazioni. Sailor Neptune sbuffò seccata, Uranus spostò l’equilibrio da una gamba all’altra, Pluto rimase immobile, ma sempre più confusa. Le sembrava di essere nella parodia del mondo che conosceva, un tentativo all’apparenza di buona imitazione, ma in cui mancava l’autenticità di ciò che aveva cementato i legami tra i vari personaggi sul palco e donato forza sufficiente alla Regina per annullare il Male. Dov’erano finiti la complicità, l’amicizia, i grandi amori?

-Riproviamo tra un attimo, perdonatemi-, Serenity si sedette con le gambe strette al petto lì al centro del cerchio, Endymion si avvicinò a lei, il pubblico riprese a mormorare. Pluto intuì che non fosse la prima volta che accadeva un fatto simile, ma si ritrovò a osservare la scena che diventava sempre più sfocata ai suoi occhi, il dolore nella sua testa si faceva più acuto, il panico iniziava a strisciare nel suo petto. 

Tutto stava andando a rotoli: la sua Regina non era abbastanza determinata, le sue compagne non conoscevano un modo efficiente per sostenerla. Il suo Re non era legato a lei da un aggancio che andasse oltre un sentimento profondo, quello che li teneva uniti sembrava incapace di espandersi oltre loro due, e lei si sentiva inutile. Aveva vissuto dall’inizio del tempo relegata a far da guardiana a una Porta fluttuante nel nulla cosmico all’intersezione delle dimensioni, era sempre stata da sola: non era capace di portare aiuto alla sua Regina, non riusciva nemmeno a resistere a quel dolore: d’altronde non aveva mai provato nella sua esistenza qualcosa di simile al dolore umano…

Un lampo nella testa la fece vacillare, si rese conto che stava per perdere conoscenza nell’attimo in cui il suo viso sbatté a terra.




 

Il nulla.

 

Sailor Pluto aprì gli occhi e si guardò attorno: non c’era nulla, il dolore era scomparso. Ovunque guardasse c’era solo una intensa e calda luce.

Mosse una mano davanti a sé e non la vide, abbassò lo sguardo e si rese conto di non avere alcun corpo tangibile.

La sua testa le diceva che il cuore avrebbe dovuto schizzarle in petto, ma si rese conto di non possedere alcun cuore, nessuna testa.

 

Era tornata alla forma primordiale della sua esistenza, senza un corpo, senza uno spazio dove esistere. Realizzò di essere semplicemente tempo.

 

Riusciva a percepire ogni azione che avvenisse simultaneamente in ogni spazio, in ogni dimensione, le apparivano tutte nell’istante in cui si verificavano, riusciva a captare ogni battito d’ali di un insetto sulla Terra, ogni singulto di una stella neonata nell’angolo più remoto dell’universo.

Comprese solo allora che lei non era la Guardiana del tempo, lei era il Tempo stesso, era la trama su cui tutto si muoveva, la sua essenza permeava ogni atomo del cosmo, ogni onda passava attraverso di lei.

Tutto si muoveva, mentre il Tempo rimaneva immobile, in osservazione di ogni più minuscola azione avvenisse in sé. Non le appartenevano i concetti di presente, passato e futuro: tutto avveniva contemporaneamente, ogni azione le appariva come dipinta tra le maglie di una tela fitta e invisibile, tanto inesistente, quanto chiaramente costituita della stessa materia di cui lei era fatta.

Una di queste azioni che si svolgevano nella sua trama, catturò la sua attenzione: non avrebbe saputo dire l’attimo assoluto in cui essa stesse avvenendo, ma sentiva che fosse qualcosa che lei aveva già vissuto, uno scorcio su un passato dimenticato. Comprese di non avere più un corpo, ma di conservare ancora i suoi ricordi e che quei ricordi la stavano per rapire.

 

“È così che è avvenuto”: una forza più potente del tempo stesso le aveva porto la mano e aveva catturato il battito vitale che pulsava intrappolato nella rete di cui lei era fatta.

“Vieni con me”, una voce tra miliardi l’aveva chiamata, “Vieni con me e aiutami a mantenere l’Armonia nell’eternità”.

Aveva accettato senza nemmeno pensarci e aveva afferrato quella mano, materializzandosi in quell’istante di fronte alla più potente delle creature dell’universo. 

“Chi sei?” aveva domandato.

“Sono l’Amore”, le aveva risposto la creatura dal volto così brillante che, per la prima volta, lei aveva chiuso gli occhi, accecata da cotanta luce. Se fosse stata pura energia o avesse avuto un corpo fisico che poteva muoversi all’interno del tempo stesso, non aveva saputo stabilirlo.

“Vuoi aiutarmi a governare l’esistenza stessa della vita, aprendomi le tue porte e permettendomi di correggere gli errori del passato?”, le aveva chiesto quella voce, udibile soltanto tra le vibrazioni della sua più intima struttura.

E lei aveva accettato.

 

Era avvenuto proprio così che era venuta al mondo come Sailor Pluto, Guardiana del Tempo. In quel momento, l’Amore aveva emesso un’energia indicibile che aveva permeato ogni istante dall’attimo in cui tutto aveva iniziato a esistere fino ai confini inesplorati della sua trama e poi si era rimpicciolita, lasciando che lo scintillio del suo passaggio rimanesse impresso in ogni istante, in ogni luogo.

L’Amore aveva compiuto il suo ingresso nella Realtà e aveva disperso la sua forza: davanti a sé, Sailor Pluto aveva scorto nuovamente il nulla e di quella creatura così potente non era rimasto che un singolo bagliore. Pluto aveva preso coscienza di quello che era divenuta: aveva braccia e gambe che riusciva a muovere, aveva una testa per pensare oltre l’infinità degli attimi e aveva un cuore che batteva in risonanza con il bagliore davanti a sé. Si era sporta fino a toccarlo e in quel momento si era creato un cristallo dalla struttura così fitta e rilucente da essere riuscito a intrappolare il germe stesso dell’Amore.

“Dovrai proteggerlo, dovrai muoverti nella stessa essenza di cui sei fatta per far sì che questa luce non si spenga mai.”

Ancora quella voce.

“E adesso concentrati e trova l’attimo in cui è apparsa nell’universo la creatura più pura e misericordiosa che abbia mai vissuto. È ad essa che dovrai affidare questa luce, ad essa che giurerai fedeltà infinita allo scopo di non farla spegnere mai. Tu dovrai seguire sempre la Luce.”

 

Pluto aveva scandagliato ogni luogo e ogni tempo, alla ricerca di qualcosa o qualcuno che avesse potuto assolvere al compito affidatole e aveva individuato una creatura diversa da tutte le altre che si ripetevano in una sequenza infinita di istanti nella loro esistenza: quella creatura era capace di sognare e muovere la sua volontà in una trama differente dal tempo stesso. Era venuta al mondo in un punto così piccolo e anonimo del creato che Pluto si era domandata se fosse la scelta giusta, ma quella creatura le aveva aperto il proprio animo e Pluto aveva visto calore, pace, armonia. In essa era stato nascosto il germe dell’Amore, la scintilla suprema, perché venisse custodito per l’eternità.

 

Pluto aveva guardato la creatura crescere a ogni attimo che si susseguisse nella sua maglia fatta di attimi e si era talmente concentrata su di essa da dimenticare chi lei fosse. Aveva guardato la creatura diffondere l’Amore e la capacità di sognare in ogni tempo e in ogni spazio e, quando essa era giunta al termine della sua esistenza mortale, l’aveva vista tramandare quella luce al frutto stesso della sua forma tangibile: sua figlia. E così era stato di generazione in generazione: chi aveva accolto in sé la Luce aveva generato una stirpe di sovrane capaci di diffondere per l’eternità l’Armonia e il potere dei sogni, gli unici che riuscissero a sfuggire alla linearità del tempo.
Serenity era l’ultima di esse e Pluto aveva il compito di aiutarla, a dispetto delle regole del tempo stesso, delle realtà contemporanee, del caos che aveva riempito ogni istante lasciato libero di impazzire, quando lei si era sottratta al suo dovere per votarsi alla causa dell’Amore.

 

Ma gli intrecci che prima poteva discernere in un nulla fatto solo di tempo, piano piano non erano stati più così chiari a Sailor Pluto: non più tempo, non più creatura esistente, lei si sentiva cambiata, indebolita nel suo ruolo primigenio eppure indispensabile nella sua forma più semplice. Ogni attimo aveva iniziato a gravare sulla sua anima moltiplicato per l’immensità delle sue repliche, a ogni mutamento di un singolo dettaglio. 

 

Gli eventi, da punti su una maglia coerente, avevano preso a riunirsi in fili, ciascuno che seguiva il proprio percorso e quei fili si riunivano in fasci che rappresentavano le possibili dimensioni che lei non poteva più permeare simultaneamente, ma poteva solo osservare una a una. Aveva dovuto generare una finestra che le permettesse di scegliere cosa osservare per assolvere al compito affidatole dall’Amore: da eterna osservatrice del tempo contemporaneamente presente in ogni attimo era diventata capace di osservare solamente una realtà alla volta, quella in cui si nascondesse la Portatrice, strappando se stessa dalla trama di cui faceva parte.

Allora aveva scelto di chiudere la sua mente alla contemporaneità e di operare solamente decisioni che permettessero alla Luce di compiere il suo arco nell’infinito. Era rimasta in disparte, concentrando la sua attenzione sul piccolo punto nell’universo in cui era custodita la Luce ed era tornata a essere nuovamente sola, imponendosi di rimanere soltanto ad osservare da lontano che ogni creatura fosse accarezzata dalla potenza dell’Amore in ogni momento che riuscisse a percepire nella totalità del tempo, leggendo ed esistendo solo nelle dimensioni in cui ci fosse la Portatrice dell’Amore. Ecco perché il futuro le appariva chiaro soltanto se quella creatura vi si manifestava. Ecco perché non era stata capace di leggere quello che avrebbe potuto aspettarla in una dimensione differente: finché non era intervenuta con le sue compagne, la Portatrice non si era manifestata e lei non era riuscita a scandagliare l’universo in cui essa avrebbe potuto muoversi.


Ma il Tempo, orfano della sua essenza stessa, aveva risposto ingarbugliandosi e procedendo senza linearità, creando e distruggendo le trame che prima continuavano indisturbate il loro svolgimento in se stesso, o forse era soltanto lei che non aveva più capacità di comprenderlo. 

Il bisticcio con il Tempo aveva condotto alla distruzione della pacifica dimensione in cui la portatrice della Luce era riuscita nello scopo di stabilizzare l'armonia del tutto: al momento dell’eclisse essa aveva cessato di esistere. Il Tempo non voleva più nella sua trama una forza come l’Amore, così tanto più potente di lui da essersi insinuata in ogni singola maglia della sua struttura, ma non aveva avuto la sufficiente capacità di cancellarne ogni traccia nella moltitudine di realtà che continuavano a svolgersi in lui. Nel fare ciò, infatti, non aveva considerato che un’altra dimensione della realtà, in cui apparentemente l’Amore non era riuscito a trionfare, avrebbe custodito in sé la salvezza per l’universo intero. 

Era quella la dimensione dove Pluto si trovava: una successione di eventi che avevano portato alla comparsa della Luce, ma non alla sua supremazia sul nulla cosmico che governava il male. Il Tempo non aveva considerato che la sua Guardiana lo avrebbe potuto tradire in favore della Luce e scovare l’attimo in cui compiere l’azione per far risplendere ancora l’Amore nell’universo. Per questo motivo Pluto aveva scelto di infrangere la regola della sua immobilità e andare lei stessa a modificare il passato, e lo aveva fatto sapendo che sarebbe stato un salto nel buio, un’infrazione a ogni legge alla quale si era sempre sottomessa. Avrebbe dovuto rimanere Osservatrice, Guardiana, ma lei si era opposta a quel ruolo per salvare l’Amore.

Se il Tempo aveva causato il salto dimensionale verso la realtà in cui si trovava in quel momento, lei lo aveva combattuto creandone un’altra che si era sovrapposta ad essa, nel momento in cui da spettatrice era divenuta attrice degli eventi e li aveva modificati a suo piacimento: la dimensione dove erano stati sbalzati dal volere del Tempo non prevedeva la vittoria dell’Amore sul buio, le macerie che aveva visto ne erano la dimostrazione. Per questo aveva compiuto quel viaggio e aveva cercato di modificare quella realtà perché le cose andassero diversamente. Per questo avrebbe continuato a lottare per far tornare le cose come avrebbero dovuto essere.

 

Pluto sentì l’aria arrivare ai suoi polmoni: realizzò che stava tornando in sé, che il tempo dei ricordi stava per concludersi. Si aggrappò all’ultimo dettaglio che era riuscita a conservare e lasciò la mente aperta per discernere il modo in cui avrebbe potuto continuare il suo compito di aiutare l’Amore.
 

 

Il nulla che l'avvolgeva, la fitta rete del tempo che riusciva ad analizzare attimo dopo attimo, quella sensazione di incorporeità si contrassero rapidamente e per lei fu come tornare al mondo una seconda volta. Di nuovo non era più tempo, ma era tornata a essere se stessa.

Aprì lentamente gli occhi e vide davanti a sé, in un dejavu, una luce e una mano che le veniva porta.

-Sailor Pluto, come ti senti?-, la Regina era davanti a lei, sulla sua fronte brillava il simbolo della luna, dentro di lei pulsava il caldo cristallo dell'Amore.

Pluto prese la sua mano e comprese che quella forza celata nella Regina era la stessa che l'aveva fatta venire al mondo.

-Sto bene-, le rispose udendo la sua voce risuonare nella sua testa e nel petto: lei esisteva, non stava ancora vagando nel mondo dei suoi ricordi passati.

Si fece aiutare a tirarsi su, quindi si voltò verso la Regina e mise le mani sulle sue spalle: era più bassa di lei, apparentemente fragile eppure dotata della forza più incredibile tra tutte.

-Devo parlarti-, le disse, quella volta si sarebbe fatta ascoltare.

Serenity annuì e si allontanò con lei in un angolo appartato.

 

-Hai compreso quello che è accaduto?- le domandò e la Regina annuì, poi abbassò lo sguardo, -Almeno credo…-, si rivolse verso di lei con occhi tremolanti.

-Nel momento in cui la Luna ha iniziato a essere oscurata dall’ombra della Terra è avvenuta una battaglia tra la forza che tu comandi e il Tempo stesso-, esordì, ma la Regina non sembrava capire, c’era qualcosa che la turbava più del salto dimensionale avvenuto nel momento dell’eclisse. Pluto avrebbe dovuto tradurre ognuno dei concetti, che per lei erano ormai chiari, in parole più concrete, lasciando per altri momenti le spiegazioni più precise.

Sentiva alle sue spalle gli occhi di tutte le guerriere Sailor, del Re, dei loro amici: avrebbero voluto sapere, ma doveva prima parlare con la Regina da sola.

 

-Il Cristallo che tu chiami “Cristallo d’Argento” custodisce il germe residuo della più potente forza esistente nello spazio-tempo: l’Amore. L’Amore ha permeato ogni cosa nell’attimo in cui si è manifestato e ha modificato la definizione stessa di “tempo”: attimi che si svolgevano contemporanei e identici hanno acquistato ciascuno una valenza particolare, alcune successioni di eventi hanno iniziato a definire il concetto stesso di dimensione e le dimensioni si sono moltiplicate perché ogni scelta compiuta in una di esse ha generato conseguenze plurime, cioè dimensioni parallele, tutte con un comune denominatore: l’Amore. Che sia la presenza dell’amore o la sua assenza, non ha importanza, fatto sta che in ciascuna di esse è ancora visibile la marcatura originale data dal passaggio dell’Amore stesso, all’origine delle coscienze degli esseri viventi.-

Serenity si sforzava di seguire il discorso, il brusio della folla, in lontananza, cresceva sempre di più.

-In ogni dimensione che si generi da un’azione, esistono repliche di ciascuno di noi-, sorrise, fece una pausa, no, non era così: lei era unica; -Sailor Mercury ti direbbe che sto confermando la sua “Teoria dei Molti Mondi”. Ma le dimensioni parallele tendono a collassare tutte su quella che ha maggior probabilità di evoluzione, cioè quella in cui è più potente l’impronta lasciata dall’Amore: quella in cui esiste il Cristallo d’Argento e la sua Portatrice. Questo è ciò che era avvenuto nella dimensione da cui io provengo.-

Serenity piegò le sopracciglia, tutto quello che Pluto stava dicendo le pareva di averlo già sentito in un passato lontanissimo.

-Quindi tu non appartieni a questa dimensione?-, le domandò.

Pluto deglutì: -No, io non appartengo ad alcuna dimensione, io vivo fuori dal tempo, io sono il Tempo, o meglio lo ero, finché non ho deciso di seguire la causa dell’Amore e allora sono divenuta di carne e ossa e ho scelto di seguire da lontano l’andamento degli eventi per proteggere il germe stesso dell’Amore. Io posso esistere con un corpo fisico soltanto nelle dimensioni dove c’è colei che per destino ha il compito di proteggere il Cristallo che contiene la Luce dell’Amore. Altrove io non ci sono, non vedo, non posso agire.-

Serenity comprese esattamente cosa significassero quelle parole, ma Pluto la stupì: -Io ho deciso di vivere accanto alla portatrice della Luce, io ho deciso di seguire te e le tue predecessore per aiutarvi a mantenere l’armonia nel cosmo. Seguirò anche Piccola Lady, quando verrà il suo momento e le figlie che verranno da lei, per l’eternità.-

Serenity posò la mano sulla sua, in un muto ringraziamento.

Ma Pluto doveva ancora spiegare la cosa principale. Fece una pausa, cercò di trovare le parole più incisive e chiare. -Nella dimensione da cui provengo tu sei riuscita a sconfiggere il male, ogni forma di male, e hai fatto sì che la pace regnasse sovrana non solo sulla terra ma in tutto l'universo conosciuto.-

-Io non ho questo potere Pluto!-, Serenity si fece d'un tratto pensierosa. Lei non aveva la forza di salvare tutto l'universo e non l'avrebbe mai avuta.

-È così, invece. Io l'ho visto-, Pluto prese le mani della regina tra le sue e guardò dritta nei suoi occhi azzurri.

-Dentro di te c'è la forza più potente di tutto l'universo l'ho capito solo adesso: tu sei una donna terrestre e sei stata una ragazzina come tante altre, ma dentro di te vive l'essenza più pura della forza più potente di tutto l'universo: tu possiedi la forza dell'Amore. Ma qualcosa poco fa, durante l’eclisse è andato storto, il Tempo ha cercato di cancellare dalla sua maglia la presenza stessa dell’Amore, annientando quella dimensione e sostituendola con questa, in cui tu non…-

-Lo so. Mi sono sentita strappata dalla mia stessa vita e un attimo dopo ero qua, sempre io, sempre accanto alle persone che conosco, ma allo stesso tempo ho provato smarrimento, perché troppe cose non erano dove dovevano essere…-, con una mano stava strizzando l’altra, i guanti bianchi che indossava erano tutti raggrinziti.

-Per un attimo ho creduto di essere sola, che mia figlia non fosse mai esistita, che il Re…-

Pluto sentì uno strano formicolio alla schiena: quindi il loro intervento non era stato vano: senza di esso ci sarebbe stata una Regina Serenity, ma non una discendenza!

-È così!-, quasi strillò, -È così-, ripeté più piano, -Per un attimo tu sei stata Regina di un regno senza né Re né eredi-, Serenity sbiancò, fece guizzare gli occhi verso la Spianata, cercò suo marito, lo vide, vide Piccola Lady, si tranquillizzò.

-Loro sono qua, perché siamo riuscite a salvare questo mondo in tempo-, sul viso stanco di Pluto si dipinse un sorriso esausto. Il peggio era accaduto, ma entro l’eclisse lei e le sue compagne avevano sistemato tutto. Era grata a Uranus e Neptune, sentiva il cuore spezzato all’idea di averle abbandonate al loro destino, ma il destino del loro regno, il destino della Luce dell’Amore era più importante di ciascuna di loro.

-Non capisco…-, Serenity si sforzò di ricordare, sapeva che c'era qualcosa che le stava sfuggendo.

-Anni fa-, Pluto piegò la testa di lato, -Molti anni fa, in questa dimensione le cose non stavano andando per il verso giusto, non erano avvenuti alcuni eventi che avrebbero potuto condurre questa realtà verso il successo che tu hai avuto nella dimensione da cui io provengo. Non si era manifestata la tua grandezza, non era apparsa “La Luce”. È per questo che il Tempo ha fatto collassare l’altra dimensione su questa: per annientare la Luce, per cancellare l’Amore che tu rappresenti.-

-È... è terribile!-

-Io sapevo che tu saresti comunque divenuta Regina, ma il tuo cuore non avrebbe avuto la gioia dell’amore e per questo il tuo potere sarebbe stato insufficiente.- 

Pluto si guardò attorno: la desolazione che c’era, il ghiaccio che si estendeva all’infinito lontano da lì, erano tutti segni che l’universo ancora non si era piegato al salvataggio che lei, Uranus e Neptune avevano fatto. La realtà stava cambiando, la realtà doveva cambiare, ma ancora serviva “un segno”.

-L’onda degli eventi che mutano non è ancora arrivata fin qua-, spiegò a lei nell’attimo in cui stava raccapezzandosi in quel che vedeva, -Io so che adesso è possibile ripristinare la pace che c’era nell’altra dimensione, ma deve essere compiuto un atto… qualcosa!-, non sapeva cosa. Era come se ci fosse una diga nel tempo che arginasse lo tsunami che era stato messo in moto in quella notte del millenovecentonovantasei e ancora non permettesse di apprezzare i frutti del loro salvataggio.

-Serenity, ti ricordi quello che è successo quando eri ancora una ragazzina sull’isola di Kakeroma?-, la Regina rimase immobile, poi abbassò la testa.

-In parte. No. Non lo so-, era confusa, eppure qualche dettaglio aveva fatto breccia in quella diga.

-Il fiore che mi hai dato, mi ha ricordato un nome, ma è troppo poco-, scosse il capo, -È così importante?-

Pluto fece un rapido esame di quel che stava avvenendo, -Cosa ricordi adesso del tuo passato?-

Serenity aprì gli occhi e sospirò: -È difficile… Ero una ragazzina, conobbi Luna, mi dette la spilla, diventai Sailor Moon, combattei con le mie compagne contro Berillia, la sconfissi, poi arrivò il Clan della Luna Nera, li sconfiggemmo grazie all’intervento di un cavallo alato, poi…-

-No: non è così-, Pluto le mise le mani sulle spalle e fissò gli occhi nei suoi. Sembravano due calderoni in cui ribollivano filtri magici: stava a lei inserire gli ingredienti giusti perché la magia avvenisse.

-Hai un Re al tuo fianco: quando lo hai incontrato la prima volta?-, doveva capire come aiutare la Regina, ma le serviva premere i tasti giusti. Quello era uno di essi, perché lo sguardo azzurro si addolcì, i ricordi iniziarono a fluire alla sua mente, un dolce sorriso accompagnò il suo viaggio a ritroso nel tempo. Poi, tutto a un tratto, lo sguardo si fece vitreo, Serenity spazzò con lo sguardo tutte le persone lì attorno e iniziò a tremare.

-Lui non dovrebbe essere qui… loro non ci sono più… lui non è mai esistito…-, stava per scoppiare in lacrime, Pluto strinse le mani sulle sue spalle e catturò il suo sguardo.

-Quello che dici è vero, ma non spaventarti: al momento in cui la dimensione da cui provengo è scomparsa, tu, qua, eri una Regina senza un Re, senza un futuro, in lotta contro forze più grandi di quelle che penseresti di poter affrontare. La devastazione attorno a noi ne è la prova. Per questo sono tornata indietro nel tempo per aiutarti a compiere il tuo destino. Tutto ciò ha modificato questa linea temporale, o meglio l'ha fatta convergere alla nuova dimensione in cui i fatti hanno iniziato a svolgersi nel modo giusto, e tu hai potuto trovare al tuo fianco Endymion, in modo che la luce dell'Amore che proteggi dentro di te potesse essere più forte per affrontare il male.- 

Cercò un concetto facile da spiegare: -In questo momento lui è qua, tutti noi siamo fisicamente qua, ma ancora il nostro tempo non è avvenuto, le nostre menti non si sono riunite a quelle della dimensione il cui passato è stato corretto. Manca poco… si tratta solo di attendere che il flusso degli eventi cambi. Il passato che ancora non ricordi si sta creando in questo momento e finché non si assesterà né tu, né io riusciremo a capire esattamente dove poggi la nostra storia.-

-Perché non ci sono riuscita, da sola?-, c’era amarezza nella voce della Regina, si sentiva debole, era a causa sua se aveva fallito. Da sola con il suo potere non aveva avuto facoltà di riportare la vita su quel pianeta.

Pluto sorrise dolcemente: com’era candido l’animo di quella donna. -Perché l'amore che rappresenti è stato donato a ogni creatura nel cosmo e non te ne è rimasto a sufficienza: per questo sono state create le guerriere Sailor, guardiane e protettrici della Forza Galattica, che può raccogliere ogni impronta lasciata dall’Amore nell’universo e convogliarla nel Cristallo D’argento, tramite te.-

 

E allora Pluto capì: non bastavano un Re, non una Principessa né tutto l’impegno della Regina. Occorreva la più totale armonia tra coloro che avrebbero dovuto regalarle l’energia per vincere, ma lì non c’era armonia. Lasciò per un attimo la Regina, si voltò, notò come Uranus e Neptune fossero distanti tra loro, come si ignorassero e provò una fitta di dolore al pensiero delle sue compagne perdute. Chissà se erano ancora in vita, grazie alla magia che quella Serenity era comunque riuscita a fare. Le avrebbe volute al suo fianco per mostrare alle loro alter ego cosa significasse fare squadra, cosa combattere per uno scopo comune. Cosa fosse l’amore. Strinse i denti: non ce l’avrebbero fatta, non senza collaborazione da parte di quelle due.

In quel momento realizzò che tutti gli interventi che aveva fatto nel lontano passato erano stati concentrati esclusivamente su Serenity ed Endymion. Nulla era stato operato affinché avessero potuto salvaguardare le coscienze di Sailor Neptune e Sailor Uranus. Di loro due non sapeva nulla, se non che erano in piedi davanti a lei: sicuramente erano due donne in grado di governare i poteri dei pianeti che rappresentavano, ma lei non aveva idea di chi fossero o di chi fossero state o se avessero acquisito nel tempo la coscienza del compito che avevano. E senza il loro supporto, alla luce di quanto aveva appena compreso, Serenity non sarebbe riuscita nella sua impresa. Anche se l’onda degli eventi avesse investito tutti loro in quel momento, portando a un radicale mutamento di quella realtà, nulla avrebbe dato a pensare che quelle Uranus e Neptune avrebbero potuto apportare un contributo sostanziale alla causa. La “Ricerca”, Pluto lo comprese solo allora, era davvero fondamentale, dal momento che tutto aveva portato lì. Non avrebbero riaperto gli occhi trovandosi in un prato di fiori, così per magia: l’onda li avrebbe colti tutti lì, forse con poteri accresciuti, ma in una situazione analoga a quella. “La Ricerca” doveva avvenire comunque.

 

Sentì un urlo straziante alle sue spalle, si voltò, vide Jupiter stretta alla bambina che stava con Furuhata, “Non lasciarmi! Non lasciarmi!”, strillava. Così Pluto e Serenity realizzarono simultaneamente che l’onda era in arrivo. La Regina si riunì alle altre, accorrendo al capezzale della sua cara compagna.

Ma l’Amore, in qualche modo che Pluto non sarebbe mai riuscita a comprendere, andava oltre anche a quella forza subdola e inarrestabile, e mise in moto un ingranaggio scritto nel destino, che altra cosa era rispetto al Tempo.


In disparte oltre il gruppo delle guerriere, più lontana rispetto a Jupiter che viveva un dramma straziante nella sua testa, Piccola Lady si sentiva inutile, estranea a tutta quella forza cosmica che aveva sempre visto brillare in sua madre e nelle altre Guardiane Sailor, e che in quel momento sembrava aver del tutto abbandonato quel luogo.

Chiese scusa alla Prima Dama allontanandosi da lei e raggiunse i suoi genitori al centro del cerchio di pietra.

-Piccola Lady, tu non puoi stare qua-, provò a fermarla il Re, ma la bambina si avvicinò lo stesso a sua madre.

-Mamma, devi trovare la forza per salvarli tutti, per aiutare Jupiter-, la spronò, quindi allungò una mano verso di lei e le porse il fiore di gardenia che aveva recuperato dal palazzo.

-Forse questo ti può aiutare-, le disse in un sorriso, con tutta l’innocenza di una bambina che avrebbe fatto grandi cose nella sua lunga vita.

 

Serenity prese il fiore, un brivido percorse tutta la sua schiena dalla nuca alle gambe e tornò indietro, lasciando Jupiter alle cure delle altre. La Regina si alzò di scatto, il suo respiro si fece affrettato, cercò Pluto e si aggrappò alle sue spalle. Piccola Lady corse via, stava per accadere qualcosa. Riunì gli altri bambini e stette a guardare.

 

-La sento… l’onda: io la sento! È questa la chiave!-, mostrò il fiore a Pluto, quella forza che la Regina celava nell’animo pulsava e bruciava come se stesse per generarsi una stella, dentro di lei. Fu la prima ad accogliere l’onda e lo fece ritta in piedi, a braccia larghe e occhi chiusi, lasciando che i ricordi riaffiorassero chiari, come fotografie in ordine su un album da sfogliare. 

Serenity aprì gli occhi, si voltò e cercò il marito, l’osservò come se fosse la prima volta che lo vedeva, lo abbracciò.

-Mamo-, sussurrò Serenity, -Mamo!-, disse più forte e con gli occhi spalancati si staccò da lui. Il Re piegò le sopracciglia, scavò tra mille ricordi e i suoi occhi si aprirono in un muto stupore. La Regina si guardò attorno, voltandosi repentinamente in ogni direzione, guardando ognuno dei presenti e ricordando le loro storie. Corse da Jupiter con il respiro che si faceva sempre più affannato, appariva come una pazza.

-Mako-chan!-, le fece una carezza, le lacrime iniziarono a scivolare giù dai suoi occhi.

Le altre guerriere la circondarono, dovevano coprire al popolo quello che stava accadendo, il Generale chiamò le guardie che si disposero tutte attorno a loro, facendo scudo a occhi indiscreti.

-Rei, Piccola Ami, Minako… Oh, ragazze! Dove sono tutti gli altri? Dov’è Moto-Chan?-, Serenity piangeva e voleva tutti, tutti vicino a sé. Il Generale accorse, il nome con cui era stato chiamato gli aveva riportato alla mente un passato ormai lontano.

-Naru, mia dolce Naru, Umino, Yuichiro…-, Serenity li chiamò uno a uno e li guardò uno a uno negli occhi.

-Setsuna…-, si volse verso Pluto e la abbracciò, bagnando la sua divisa di lacrime. 

Pluto guardò la falce di luna brillare sulla fronte della sovrana, fu come se lei parlasse direttamente alla sua anima e nella sua testa si crearono ricordi che non sapeva di possedere, che non appartenevano a lei, ma le erano stati appena donati dalla Regina stessa. Sorrise, ormai le era tutto chiaro: la porta di quella dimensione ignota si era spalancata e lei poté scoprire tutta la storia di quella dimensione che non aveva mai potuto conoscere.

La Regina tirò su col naso, mentre il brusio cresceva attorno a loro, si asciugò con il polso le lacrime, si alzò e andò dritta da Sailor Neptune.

-Michiru-, la sua voce sembrava essere tornata sicura, -Hai fatto quello che ti ho ordinato una mattina di agosto alla stazione di Tokyo, tanto tempo fa?-, le domandò e chiuse gli occhi.

Sailor Naptune sentì la terra vacillare sotto di sé, tremò, cercò aria, quasi fosse stata colpita da una forza impetuosa e sconosciuta. Il tempo stesso parve allargarsi e contrarsi nella sua testa, il cuore prese a battere furioso, come se mille anni di emozioni si fossero riversate in quell’istante dentro il suo cuore. 

E allora l’onda dei ricordi colpì anche lei: un treno da prendere al volo a Tokyo, una ragazzina bionda con in spalla uno zaino più grande di lei, un nome scritto su una cartaccia, gli anni spesi a riflettere ripensando di continuo a quell’incontro, la scelta di trovare “il suo destino”, una ricerca estenuante, l'incontro con lei in una sera piovosa, il cuore che batteva, un fiore secco in dono.
Si sentì andar giù, schiacciata da qualcosa di più del peso dell’emozione di ricordare la sua vera storia. Vide nero.

 

-Ci sono io con te, Michi-, una carezza sul suo viso, mani familiari, occhi celesti che conosceva da sempre.

-Haruka-, mormorò e si sostenne a lei per tirarsi su in piedi. Era la sua Haruka, adesso ricordava tutto. L’aveva cercata per anni tra milioni, l’aveva trovata, l’aveva amata e adesso erano di nuovo insieme.

 

Le due si abbracciarono, a coloro che erano lì, quella scena apparve familiare, giusta così.

Pluto comprese che laddove il suo intervento era stato fallimentare, omettendo il ruolo chiave di quelle due, era stata una ragazzina di sedici anni, goffa e inesperta, a mostrare una lungimiranza degna della più grande sovrana che sarebbe diventata.
Usagi Tsukino gliel’aveva fatta: aveva messo un tappo alla falla nel piano di Pluto e aveva fatto sì che quel futuro, quella dimensione, il loro presente potesse diventare ancora più bello di quello che avevano dimenticato.

 

Neptune si rivolse alla Regina: -Sì, biondina, ho fatto quello che mi avevi ordinato-, rispose e sentì un forte calore scaldare il suo petto e colmare il vuoto che aveva sempre accompagnato la sua infinita esistenza solitaria. Haruka era accanto a lei, dimenticò in un battito di ciglia ogni attrito che mai ci fosse stato tra loro, comprese che il mare e il vento erano di nuovo legati da qualcosa di magico.



 

-Riproviamoci-, disse Serenity, -Ma stavolta tutti insieme, anche voi-, si rivolse a tutti coloro che erano stati presenti agli albori di tutta la sua storia, agli amici che aveva imparato ad amare in una afosa settimana di luglio, su un’isola ormai perduta. Guardò negli occhi Motoki, fiero nella sua armatura dorata, Naru, a cui prese la mano, Umino che comprese, senza porre obiezioni, Yuichiro che annuì e baciò con lo sguardo la sua Rei.
 

-E anche tu, baka del mio cuore-.
La Regina tese la mano al Re e lo tirò a sé fino a baciarlo, lì in pubblico, davanti a tutti, come non era mai successo prima.

Si strinsero in cerchio, misero ciascuno le braccia sulle spalle di chi era vicino, il cristallo d'argento apparve davanti al petto della Regina e fluttuò sospeso in mezzo a loro.



 

-Adesso!-, urlò la sovrana e ciascuno si concentrò fino allo spasmo.

Un pensiero per chi non c’era più, un pensiero per chi avrebbe potuto farcela.

Un pensiero per il tempo sprecato, un pensiero per l’amore che avevano ricevuto in dono.

Un pensiero per ricordare la perfezione della loro giovinezza, un pensiero di speranza per il loro futuro.

Un pensiero corse veloce a un’isola lontana, all’amicizia, all’attimo in cui erano divenuti adulti.

Un pensiero corse all’immobilità della loro esistenza, un ringraziamento per quella lunga vita arrivò da tutti al Cristallo d’Argento, che si illuminò dei riflessi di Sole e Luna, del fuoco della speranza, del prezioso scintillio della vita.


Un'accecante colonna di luce si innalzò in mezzo a loro e raggiunse il limite dell'atmosfera, per poi ricadere giù e avvolgere l'intero pianeta. I ghiacci si sciolsero, i mari tornarono ad occupare le infinite distese ormai vuote, la vita riprese a brulicare grazie al potere del Re della Terra e alla magia della Luna.

Per un istante tutto il pianeta brillò nel cosmo di una luce più potente di mille galassie.


Poi la luce svanì e per la prima volta da quando tentavano la Ricerca, Serenity non si sentì esausta, sul punto di morire, ma rafforzata dall’emozione di aver finalmente compiuto la sua impresa, sostenuta da coloro che amava da sempre.


Si ritrovarono ancora in cerchio ciascuno con le proprie braccia sulle spalle di chi gli stava accanto: -Dovremmo rifarlo…-, disse Yuichiro Kumada e quelli che avevano già vissuto quell'attimo, in una lontana mattina del millenovecentonovantasei urlarono la loro gioia infinita.

-È il momento di rompere le righe!-, annunciò il generale, -Amici, è stato bellissimo!-, e con un battito di mani si staccò per primo dal gruppo e baciò la sua Makoto.

-Vuoi sposarmi?-, le domandò sollevandola da terra e lei urlò, cercò con lo sguardo la loro bambina e urlò ancora la sua immensa felicità.

Le guardie attorno a loro voltarono lo sguardo verso il loro Generale e furono una voce sola di giubilo, la gente fuori dal cerchio esultò a sua volta, perché era stato compiuto qualcosa di grande.

 

L'esercito, preparato per quando fosse avvenuto il miracolo, si mosse rapido verso le terre riemerse, gli ultimo avamposti furono allertati, il genere umano scattò sull'attenti indaffarato per aiutare chi fosse sopravvissuto all'ecatombe.


-Ce l'hai fatta, Testolina Buffa-, Endymion strinse al suo petto la moglie, in un battito di ciglia gli passò davanti tutta la vita spesa al suo fianco e la baciò con lo stesso impeto di un ragazzo di vent'anni alle prime esperienze, con lo stesso amore che provava per lei da più di mille anni. 

Un colpo soffice alle loro gambe li interruppe: -Mamma, papà, ma cosa fate!?-, Piccola Lady era in imbarazzo nel vedere i suoi genitori così innamorati e senza vergogna come se fossero stati dei ragazzini.

Endymion la sollevò e portò il suo visino alla loro altezza, entrambi la guardarono negli occhi: -L'incubo è finito, Chibiusa-.

La mamma la prese in braccio e posò la fronte sulla sua: -Da oggi tutto il pianeta sarà la nostra casa e tornerà a risplendere come una perla blu nello spazio. Piccola Lady, appena sarà possibile voglio portarti in vacanza al mare, in un bel posto…-, le disse e sorrise.



 

Ce l'aveva fatta.





 

FINE


 

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