A Year to Accept Your Love

di sl6991sl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Spring ***
Capitolo 2: *** Summer ***
Capitolo 3: *** Fall ***
Capitolo 4: *** Winter ***
Capitolo 5: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Spring ***


Questa storia è un regalo di compleanno per una persona speciale: FAlRYSUGA 
Ti voglio bene 💜

--🌸--

Spring - Tokyo

«Mamma non preoccuparti, d'accordo? Starò qui a Tokyo un paio di giorni per vedermi con i miei amici e poi, prima di ripartire, ti prometto che torno a casa qualche giorno.» spiega pazientemente Hinata, mentre osserva la vetrina di un negozio di abbigliamento maschile, trovando particolarmente bella una felpa dai colori neutri indosso ad uno dei manichini.

«Potevano venire qui i tuoi amici. Non ti vediamo da quasi un anno: avrei preferito passassi le tue vacanze qui con me e tuo padre.»

La madre di Hinata ha un tono di voce basso, ma deciso: il suo solito tono da rimprovero che ha iniziato a adoperare da quando, all'età di diciannove anni, ha lasciato il Giappone per andare in Brasile. Hinata non riesce a capire se lo faccia perché ora è un adulto - e gli adulti non urlano se non in casi eccezionali - oppure, opzione più credibile, sua madre ha paura che i loro soliti battibecchi rischino di separarli definitivamente - come se vivere in due parti del mondo completamento agli antipodi non fosse già abbastanza.

«Kenma non può lasciare il lavoro e, in ogni caso, ho promesso anche di fare un salto agli allenamenti degli under 18 della nazionale: è lavoro, mamma.»

Sì, quella felpa gli piace proprio tanto: appena terminerà la chiamata entrerà nel negozio per comprarla.

«Continua a suonarmi strano quelle parola detta da te: lavoro.» sospira sua madre in modo teatrale e Shoyo può immaginarla, seduta al tavolo della cucina con i capelli tutti spettinati raccolti frettolosamente in una coda e gli occhi stanchi. «Non posso oppormi, quindi ti aspetto qui appena ti liberi dai tuoi mille impegni! Manchi a tutti e Natsu vuole vederti, quindi non svignartela senza dire nulla.»

Hinata l'ha fatto solo una volta e la ramanzina che si è beccato gli è valsa come monito per possibili stupide idee future e, per essere sicuro di non farlo più, si è appeso un post-it sul frigorifero nel suo monolocale a Rio, che recita esattamente queste parole: "Non andartene più dal Giappone senza essere passato per almeno cinque minuti da casa".

Sua madre sa essere terribilmente convincente, quando vuole.

«No mamma, non scapperò. Ora devo proprio andare, okay? Salutami tutti e ti voglio bene.»

«Te ne voglio anch'io. Torna presto.»

Una volta chiusa la chiamata, Hinata varca la soglia del negozio: d'altronde lo aveva detto che quella felpa gli piaceva terribilmente.

Due ore più tardi Hinata è seduto nel mezzo del salotto dell'appartamento di Kenma, la felpa che tanto gli piaceva abbandonata in una busta del negozio vicino al suo cappotto e gli occhi lucidi dal sakè che l'amico continua a versare.

«Puoi farmi bere quanto vuoi, ma non ti racconterò nulla.» sussurra il giocatore di pallavolo, anche se il suo tono ha perso decisione quasi un'ora prima, quando ha capito che tenersi dentro tutto ciò, forse, non fa un granché bene alla sua salute mentale.

«Voglio solo capire: riguarda le Olimpiadi?» domanda Kenma, i lunghi capelli sciolti sulle spalle e l'espressione di chi vuole sapere ogni cosa, anche se mascherata da finta indifferenza.

«No, no ... forse, in un certo senso ... ma no.» mormora a mezza voce Hinata chiudendo gli occhi e cercando di focalizzarsi su qualcosa di intelligente da dire.

Le Olimpiadi di Tokyo 2020 ... 2021 ... hanno lasciato un retrogusto molto amaro in lui. Dopo mesi e mesi di restrizioni a causa di una pandemia, il poter tornare ad allenarsi e a giocare a pallavolo lo aveva elettrizzato. Tutta la squadra era stata pervasa da quel senso di aspettativa che li aveva spinti a dare il massimo per tutti i gironi.

Ritrovarsi ai quarti di finale per Hinata era apparso un sogno; improvvisamente si vedeva in un futuro non troppo lontano a stringere la medaglia d'oro fra le mani ... poi si era svegliato.

Primo girone dei quarti buttati fuori dal Brasile - a detta sua molto ironico, dato che gioca in una squadra brasiliana e che il suo monolocale è nel centro di Rio. Era stato devastante e, per una volta, nessuno aveva avuto il coraggio di commentare quella partita.

Si erano ritirati in silenzio a seguire il resto delle partite, osservando Oikawa vincere la medaglia di bronzo e sprecarsi in parole di dispiacere: sicuramente Iwaizumi aveva minacciato di staccargli entrambe le braccia se avesse fatto lo stronzo.

Il suo sogno, quello di vincere una medaglia d'oro olimpica, si era spento brutalmente e improvvisamente, ma dopo qualche giorno e qualche sbronza di troppo, la voglia di allenarsi, combattere e migliorarsi aveva avuto la meglio: aveva imparato dai suoi errori ed era pronto a dare il meglio di sé alle prossime Olimpiadi.

Hinata, d'altronde, era diventato un'atleta che aveva una carriera avviata davanti agli occhi ... in un certo senso, il suo sogno, era ben che realizzato.

Quindi sì, i giochi olimpici gli avevano lasciato l'amaro in bocca, ma no, la sua scomparsa improvvisa dal Giappone senza avvisare nessuno, poco aveva a che fare con quello.

L'unico ad esserne informato era Kageyama, ora stazionato in Italia per giocare nella Ali Roma, che gli aveva giurato di non parlarne con nessuno.

«Senti, sarò sincero: Kuroo pensa che tu abbia qualche tresca con qualche super modella brasiliana e ti stia cruciando per il nulla, io penso che possa essere tutto tranne che quello. Siamo solo preoccupati per te e, inoltre, Kageyama non vuole dirci nulla.»

Shoyo socchiude gli occhi osservando l'amico, rimanendo sorpreso come succede ogni volta che Kenma dice più di tre o quattro parole di seguito. Sorride, pensando che può sempre fidarsi del suo migliore amico, dato che non ha ceduto di fronte alle insistenze di Kuroo.

«Se te lo dicessi ... mi prometti che non dirai niente al tuo fidanzatino?» domanda Shoyo sporgendosi verso l'amico.

Kenma annuisce, mentre le sue guance gli si imporporano per l'imbarazzo: «Sì, certo ... ma non è il mio fidanzato, non ancora.»

Rimangano a fissarsi negli occhi per non so quanto tempo, poi Hinata si siede più composto e sposta lo sguardo sulle sue mani perfettamente curate, un'abitudine che ha preso da Tobio.

«Il motivo per cui sono fuggito da qui dopo i giochi e per cui non volevo tornare è Ushijima.»

«Ushijima? Intendi Wakatoshi Ushijima? E per quale motivo? Pensavo foste diventati amici ... non dirmi che ti incolpa per la sconfitta!? Che ti ha detto?» mormora preoccupata Kenma e Shoyo deve davvero impegnarsi per capire tutto quello che sta dicendo: non sa se incolpare ciò all'alcol che inizia a fare effetto o la parlantina troppo veloce di Kenma - probabilmente la prima, dato che Kenma non parla mai velocemente.

«Non mi ha detto nulla.»

Sarà pure ubriaco, ma Hinata riconosce lo sguardo confuso dell'amico e, dopo qualche altro minuto di esitazione, decide di raccontargli tutto.

Deve tornare parecchio indietro, alla convocazione della nazionale, ai primi ritiri, a quello che è successo durante la quarantena forzata per via del covid, alla ripresa degli allenamenti, i giochi olimpici ... la sconfitta ... il senso di impotenza ... la rabbia ... la sua fuga.

Kenma lo lascia parlare senza mai interromperlo, assorbendo tutte le informazioni. Sono talmente concentrati che nessuno dei due si accorge della piccola tempesta di petali rosa e bianchi che avvolge l'intera città, mostrando uno spettacolo unico ad una Tokyo sul procinto di addormentarsi.

 

Hinata è preoccupato. L'intero mondo si è chiuso in casa e lui è lontano dalla sua famiglia, ma anche dalla sua stessa casa.

Il soggiorno a New York si sta rivelando una condanna, non più una semplice vacanza.

La primavera è alle porte, ma tutto è immobile e fermo. La vista dell'appartamento dove alloggia dà su Central Park e, in un moto di nostalgia, pensa che in quel periodo dell'anno il suo amato Giappone è ricoperto di petali rosa.

«Che fai già in piedi?».

La voce giunge alle sue spalle, ma è talmente vicina da percepirne il calore sulla nuca, subito dopo due braccia lo stringono forte, avvolgendolo totalmente.

Hinata si sente protetto in quell'abbraccio che ha il potere di scacciare ogni sua preoccupazione, forse perché gli rammenta che loro stanno bene e così anche le loro famiglie e che prima o poi tutto quello schifo avrà fine.

Hinata se lo ripete ogni giorno, ma quel dannato virus continua a serpeggiare minaccioso e lui è bloccato a New York, dove non può nemmeno uscire a correre per sfogarsi, perché è consentito uscire di casa solo per andare a fare la spesa.

Ha paura di impazzire, Hinata.

«Guardavo Central Park.»

È vero, stava solo guardando il panorama e come sempre la sua mente è partita per posti che conosce solo lei, dove lui si sente solo e perso, dove la luce in fondo al tunnel non è visibile e lo spaventa sempre di più.

«Va tutto bene.»

Un leggero bacio viene lasciato fra la sua chioma scompigliata, un bacio che lo rilassa totalmente, che gli rammenta che è vero: stanno bene e, a differenza di molte persone più sfortunate di loro, almeno sono insieme.

Hinata deve vedere il lato positivo, se fosse stato a Tokyo o a Rio, probabilmente non sarebbe con lui in questo momento.

«Andrò tutto bene, lo sai? Presto finirà tutto e potremmo tornare a giocare a pallavolo come al liceo.»

Hinata sorride a quel pensiero, alla possibilità di tornare alla normalità e le sue mani cercano quelle di lui, intrecciando le dita in una stretta salda e forte. Una stretta che gli dona stabilità.

«Ti amo.»

Il sussurro che lascia le sue labbra è un azzardo, lo sa, ma alle sue spalle riceve solo un bacio, un sorriso fra la sua zazzera disordinata e poi un abbraccio più stretto.

«Lo so, l'ho sempre saputo. Aspettavo solo che me lo dicessi.»

E fuori non ci sono i fiori rosa del Giappone, non c'è la gente che si ammassa per strada per vivere normalmente la propria giornata e Central Park, per quanto bello, è solo una macchia verde in mezzo al grigio; ma Hinata ha lui e tutto il resto non importa, soprattutto quando lo guarda in quel modo e con il sorriso sulle labbra gli dice che lo ama, che lo farà sempre perché è giusto sia così.

Ed Hinata ci crede, perché lo ama, perché ha bisogno di crederci fermamente.

 

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Capitolo 2
*** Summer ***


 

Summer – Rome

Hinata sa di avere l'aspetto tipico di un turista straniero e Kageyama continua a ripeterglielo con una nota infastidita nella voce, ma al più grande – di età, naturalmente, perché di statura rimane sempre più basso dell'alzatore – non importa un bel niente.

Indossa con orgoglio i suoi pantaloncini color cachi e la sua t-shirt bianca e, non meno importante, il suo capello alla pescatora sempre color cachi ... perché né più né meno ci tiene ad essere abbinato!

«Mi spieghi perché sei venuto qui durante la tua pausa estiva? Se proprio volevi andare in Europa, ti avverto che la Polonia era una meta migliore.» sbotta mentre attraversano Piazza di Spagna, le mascherine sul volto per coprire naso e bocca, qualcosa che per loro era così normale e a tratti distintivo ... e ora pratica comune di tutto il mondo.

«Sei uno stronzo.» risponde Shoyo, improvvisamente fermo sul posto e gli occhi spenti: l'euforia del momento completamente assopita.

Lo sa anche lui che prima o poi dovrà fare qualcosa, magari andare in Polonia come suggerisce Kageyama e bussare alla sua porta, spiegandogli quanto sia stato stronzo a comportarsi in quel modo e implorando il suo perdono, ma Hinata non è pronto a quel passo, non è pronto a prendersi le sue responsabilità e, molto più importante, ha troppa paura di essere rifiutato.

Non potrebbe reggere anche quello.

«Non sono uno stronzo, ma ti dico le cose come stanno: continua a chiamarmi, Sho ... continua a chiedermi cosa ha sbagliato, se io ne sappia qualcosa e perché non ti fai vivo ... so che ti sembrerà assurdo quello che sto per dirti, ma è mio amico anche lui e non voglio che soffra, così come non voglio che soffra tu.»

Hinata sa che Tobio ha ragione, lo sa ... lo sa dannatamente bene, così bene che davvero stava per comprare un volo per la Polonia ... ma poi la paura lo ha fatto dissuadere.

Come potrebbe guardarlo nuovamente negli occhi?

«Vieni, conosco un posto che fa delle granite buonissime.»

Shoyo sorride sotto la mascherina e con gli occhi ringrazia Kageyama per aver cambiato discorso, per aver capito nuovamente tutto senza che lui abbia aperto bocca.

È incredibile pensare quanto la loro amicizia si sia rafforzata negli anni, nonostante la competizione e la voglia di avere sempre la meglio sull'altro, hanno creato un legame forte e indistruttibile che ha aiutato entrambi in molti momenti critici della propria vita.

Hinata è felice di aver Tobio al suo fianco, soprattutto in questo momento, quando tutto sembra andare a rotoli.

«La fanno alla fragola?».

«Sai, alle volte mi chiedo quanto tu possa essere stupido.»

«Ehi! Non darmi dello stupido, stupido!».

 

Hinata toglie la maglia sudata con il numero dieci stampato sopra e la lancia contro l'armadietto di fronte a lui, gli occhi lucidi di lacrime che cerca di trattenere, mentre sente i muscoli della schiena contrarsi per lo sforzo.

«Shoyo.»

La sua voce arriva nitida alle sue spalle, una nota malinconia per la sconfitta e una preoccupata per il suo stato. Hinata non vuole ammetterlo, ma quella dannata quarantena l'ha reso mille volte più emotivo e questo non spaventa solo lui, ma anche tutti coloro che lo circondano.

«Non ci hanno dato un solo attimo di respiro, abbiamo perso un set dietro l'altro.»

Le parole gli escono strozzate, non sa è più deluso o arrabbiato con se stesso e ciò lo innervosisce ancora di più.

«Lo so, ma non abbiamo giocato male e siamo arrivati ai quarti. Fra quattro anni ci riprenderemo la nostra rivincita.»

Hinata dovrebbe lasciarsi cullare da quella consolazione, accantonare tutti i pensieri negativi che sta provando e buttarsi fra le sue braccia, ma questa volta non riesce. Ai suoi occhi doveva essere il riscatto di un anno passato barricato in casa, in realtà è stata una disfatta su tutta la linea.

«Shoyo, guardami.»

È una richiesta gentile, quasi implorante ed Hinata dovrebbe comprendere il perché della sua pacatezza, ma in realtà riesce solo ad infuriarsi ulteriormente. Ed Hinata si gira, certo che lo fa, ma nei suoi occhi ora ci sono fuochi ardenti d'ira che lo spingono ad urlare, ad esternare pensieri e parole orribili che hanno il potere di ammutolire l'intero spogliatoio.

E lui lo fissa, lo lascia sfogare e gli rammenta quanto lo ama, quanto insieme siano forti e possano farcela e lì, Hinata incespica, affoga e quando riemerge non è più in sé.

«Non dire stronzate: è solo una farsa. Ci siamo usati a vicenda per sopravvivere, ma ora possiamo smettere di fingere.»

Hinata guarda l'amore della sua vita andare in pezzi di fronte a lui, ma si ripete che è meglio così. È da tempo che pensa di non meritarsi il suo amore, forse ora lui riuscirà a prendersi cura anche di se stesso e non solo del disastro che è Hinata.

O almeno è quello che spera.

 

«Non ho mai mangiato niente di più buono in vita mia!».

Hinata ha le guance piene di pizza e quando parla sputacchia pezzi di mozzarella ovunque, Kageyama vorrebbe riprenderlo per quel suo comportamento immaturo, ma non vede l'amico così spensierato da un po' e si senti in colpa per l'uscita di quella mattina, quindi lascia perdere.

Shoyo continua a parlare con la bocca piena, gli racconta di quando quella primavera è stato a casa, di come Kenma si sciolga quando Kuroo rientra dal lavoro – anche se non lo ammetterebbe mai – di sua madre che lo ha tenuto a casa con sé per più di dieci giorni, lamentandosi che non lo vede mai; delle rimpatriate con i Senpai della Karasuno, della laurea magistrate di Yamaguchi e per qualche secondo tutto sembra tranquillo. Kageyama riesce a trovare divertenti persino gli aneddoti riguardanti Tsukishima, ma poi la bolla si rompe.

Il suo cellulare, abbandonato in mezzo al tavolo, si illumina mostrando l'arrivo di una chiamata e il volto di Ushijima fa capolino in mezzo a quella pace momentanea.

Hinata fissa lo schermo per qualche secondo, il sorriso gli muore sul volto e guarda a disagio Tobio, incerto sul da farsi.

Kageyama si maledice per non aver avvisato l'amico di non chiamare nei giorni in cui Hinata è lì con lui, anche se immagina che sia difficile non interessarsi a qualcuno a cui si tiene così tanto.

«Non rispondo.» si affretta a dire Tobio, bloccando il cellulare e infilandolo nella tasca della felpa, sperando che Hinata non rimanga troppo scosso.

«No, anzi ... mi dispiace ... se devi richiamarlo ...».

«Non è importante, lo sentirò un altro giorno.»

Hinata sorride, un sorriso piccolo e forzato, uno di quelli che proprio non si addicono alla sua persona, ma sa che non è mai facile quando di mezzo ci sono sentimenti di tale portata.

Kageyama non sa che altro dire, non sa cosa dire per aiutare il suo migliore amico ad affrontare quella faccenda, conscio che più passa il tempo più le cose si inclinano e non sempre si riesce a rimettere tutto al posto giusto.

«Lo so cosa dovrei fare, l'ho sempre saputo sin da quando ho urlato quelle parole; il problema è che ho paura.» sussurra lentamente Shoyo, gli occhi improvvisamente più lucidi.

«Hai paura che possa rifiutarti? Perché se è questo il problema, posso assicurarti che lasciarti definitivamente è l'ultima cosa che vuole, anche dopo un anno di tue mancate risposte.»

Segue un silenzio strano, carico di qualcosa che nessuno dei due sa descrivere. Hinata inizia a singhiozzare, le spalle tremano e anche se non ha più l'aspetto di quando andavano al liceo, Tobio riesce solo a intravedere il ragazzino dalla corporatura esile di quel periodo.

«Ho paura di non essere abbastanza.»

Hinata per anni ha dovuto fare i conti con questo senso di inadeguatezza, con la sensazione di essere sempre sbagliato.

Sbagliato per il ruolo che desiderava ricoprire nella pallavolo, sbagliato perché rimaneva sempre dieci passi indietro agli altri, sbagliato perché non gli era mai importato se un giorno il suo cuore sarebbe appartenuto ad un uomo o a una donna.

E ora la paura era triplicata, perché si sentiva sul filo di un rasoio e quando si specchiava non vedeva una persona che valesse la pena amare.

Non lui almeno.

E poi c'era Wakatoshi che dal liceo era completamente cambiato, anche se rimaneva sempre di poche parole e strettamente concise, esse sapevano sempre toccare qualcosa dentro lui ... e i suoi occhi, cielo quanto erano intrisi di profondità ... sembravano esprimere tutto ciò che non riusciva a dire a voce.

Hinata si sentiva sbagliato ... si sentiva in colpa, perché Wakatoshi si era trascurato per prendersi cura di lui e quando se n'era accorto non era stato capace di chiedergli scusa.

Aveva coltivato una profonda rabbia verso se stesso ed era finito per prendersela con l'ultima persona al mondo che si meritasse il suo odio.

«Lo sei, Sho. Lo sei sempre stato.» lo rincuora Kageyama e dal suo sguardo capisce che non gli sta mentendo, ma d'altronde quando mai l'ha fatto? Tobio è sempre stato limpido con lui, soprattutto crescendo ... certo i punzecchiamenti ci sono ancora, ma nei momenti seri, in quelli importanti, Kageyama non gli ha mai mentito.

«Mi ha raccontato di New York e non penso che qualcuno fingerebbe per tutto quel tempo.»

 

«New York, che ne dici?».

Hinata scosta lo sguardo dal computer e mette in pausa l'episodio di The Walking Dead che sta guardando – è colpa di Atsumu se ha iniziato quella serie e ne è diventato dipendete.

«Non sono mai stato nella Grande Mela.»

Quelle parole provocano un sorriso nel suo compagno che lo raggiunge sul letto. Hinata ride divertito quando vede la smorfia che assume il suo volto quando osserva lo schermo del pc, dove si vede uno zombie nell'intento di sbudellare una povera vittima.

«Che schifo, non potresti guardare qualsiasi altra cosa?».

Shoyo ride più forte e appoggia il capo sulla sua spalla, osservandolo da quella posizione e innamorandosi un po' di più.

«Dicevi di New York.»

Wakatoshi sorride leggermente e posa una mano fra i suoi capelli, giocando con le ciocche più ribelli, intrecciandovi le dita e facendo sospirare Hinata.

«Sì, pensavo che potrebbe essere una buona idea, potremmo stare lì quanto vogliamo e goderci un po' di meritato riposo.»

Hinata annuisce e già si immagina a girare per le strade di Manhattan ed emozionarsi per qualsiasi cosa veda, ma soprattutto pensa all'idea di poter stringere con orgoglio la mano dell'uomo che ama senza aver timore di essere additato o giudicato – o almeno spera.

«A me sembra fantastico.»

«Allora prenoto i biglietti.»

 

«Non sono nessuno per farti una predica o per scegliere per te, ma se la mettiamo in questi termini: nemmeno tu puoi scegliere per lui. Hai praticamente fatto tutto da solo e non gli hai dato il tempo di dirti cosa ne pensava di tutte quelle stronzate che ti sono uscite dalla bocca.»

Tobio osserva il liquido ambrato della sua birra e crede di aver bevuto troppo, si sente la testa troppo leggera e vorrebbe decisamente buttarsi nel letto e sprofondare in un sonno profondo.

«Te ne sei andato prima ancora che lui avesse detto una semplice "A" e, per l'amor del cielo, se davvero hai paura che non ne voglia sapere più di te, almeno abbi le palle di affrontarlo e di subire le conseguenze delle tue azioni.» conclude orgogliosamente, puntando finalmente lo sguardo su Hinata che se ne sta bellamente sdraiato sul suo divano.

«Hai ragione, dannatamente ragione, solo che io lo amo e il solo pensiero che lui possa davvero chiudere tutto mi uccide.»

«Sei un idiota ... ma questa non dovrebbe essere una novità per te.»

Ed è difficile capire la risposta che viene dopo, ma Kageyama sa di odiare quando Hinata piange: come può il sole adombrarsi così tanto?

È il suo migliore amico e una parte di lui – ma è pronto a negarlo di fronte a chiunque – dopo i giochi di Tokyo avrebbe voluto prendere a calci in culo Ushijima per essere rimasto lì impalato e non avergli risposto nello spogliatoio. I primi tempi, quando il compagno di squadra lo cercava per avere notizie di Shoyo, l'alzatore ignorava tutte le sue chiamate per evitare di incazzarsi ulteriormente ... poi l'aveva ascoltato, l'aveva compreso e si era detto che era ora che aiutasse quell'idiota del suo migliore amico a sistemare le cose.

O almeno ci stava provando.

«Andrà tutto bene, Sho.» sussurra Kageyama, buttandosi sul divano al suo fianco e stringendolo in un abbraccio tremendamente goffo.

«Andrà tutto bene.»

 

«Stanotte ho fatto un sogno molto strano.»

Hinata è immerso nella vasca d'acqua calda e osserva le sue mani cosparse di bolle di schiuma, alle sue spalle percepisce il calore del corpo di Ushijima che, Shoyo lo sa per certo, se ne sta placidamente rilassato contro il bordo con gli occhi chiusi.

«Che sogno?».

«Mi trovavo nella palestra della Karasuno e indossavo la divisa della squadra, ma in campo c'ero solo io e delle figure scure mi osservavano da bordo campo.

All'improvviso ho sentito il fischio di inizio e in automatico mi sono messo a correre per spiccare un salto, come se dovessi schiacciare una delle solite alzate folli di Tobio.

Ho salto più in alto che potevo e subito dopo non ero più nella palestra, ma mi libravo nel cielo azzurro sopra Rio.

Non ricordo molto altro, solo che ero avvolto da queste ali nere stupende ... è stato strano, ma bellissimo.»

Hinata si lascia scappare un sospiro e poi si appoggia con la schiena contro il petto del compagno che, prontamente, avvolge le braccia intorno a lui.

«Penso che sia un sogno che ti si addice molto.»

«Tu dici?».

Wakatoshi ridacchia alle sue spalle e gli lascia una serie di baci sul collo e le spalle scoperte, poi si allontana leggermente e con la punta delle dita gli sfiora le scapole.

«Ho sempre pensato che tu avessi le ali per quanto saltassi in alto, probabilmente in una vita passata eri qualche divinità del cielo.»

Hinata scoppia a ridere e cerca di schizzarlo con l'acqua che gli avvolge.

«Smettila di dire cavolate.»

Ridono entrambi per attimi che sembrano eterni, si punzecchiano divertiti e si lasciano andare a baci morbidi e dolci.

«Ti amo.» mormora sulle sue labbra Ushijima e Shoyo sorride radioso, felice e innamorato prima di baciarlo ancora una volta.

 

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Capitolo 3
*** Fall ***


Fall – New York

Central Park è un vero e proprio spettacolo con le chiome degli alberi dipinte dei colori autunnali. Tutto è così dannatamente arancione e lui sorride, incapace di nascondere l'emozione di fronte a quella vista.

Percorre la zona riservata alla passeggiata con le mani infilate nelle tasche del cappotto, una pesante sciarpa a motivo scozzese lo avvolge totalmente e lo ripara dall'aria fredda di fine ottobre.

Hinata ha sempre amato l'autunno, forse perché è quella stagione placida in cui tutto sembra rallentare e l'unica cosa che si desidera è stare a letto con una tazza di cioccolata calda e un buon film da guardare.

È assurdo paragonare quell'immagine a lui, sempre così pieno di energia e dinamico, ma con il tempo si iniziano ad apprezzare anche i momenti più tranquilli.

La decisione di tornare a New York per quei pochi, anzi pochissimi giorni di pausa è stata avventata, ma aveva bisogno di tornarci.

Da quando è tornato dall'Europa non ha fatto altro che pensare alle parole di Tobio, alla possibilità di deviare per la Polonia per qualche giorno e presentarsi alla porta di Ushijima per chiarire tutta quella faccenda, ma alla fine era tornato a Rio e aveva ripreso gli allenamenti. La paura lo aveva accompagnato per mesi interi, poi aveva fatto la sua scelta; ed ora eccolo a New York, a passeggiare per Central Park in attesa di una risposta alla sua placida e quanto mai assurda richiesta.

Shoyo è consapevole che ci sia la possibilità che lui non venga, che si rifiuti di stare dietro ai suoi capricci infantili, ma doveva pur tentare in un qualche modo.

 

«Sai, un po' mi dà fastidio.»

Hinata si volta verso il compagno con un'espressione perplessa in volto, si sente piuttosto stupido dato che non riesce a capire a cosa si stia riferendo Ushijima e non vorrebbe infastidirlo ulteriormente.

«Intendo che chiami Kageyama con il suo nome, mentre con me usi ancora Ushijima.»

Shoyo è sicuro di aver il volto completamente rosso ed è certo che il suo cuore batti talmente forte che chiunque possa riuscire a sentirlo anche a una decina di metri di distanza.

«Ecco ... Tobio lo conosco da tanto, è il mio migliore amico e tu ...».

«Io sono il tuo ragazzo, dovrebbe avere un certo peso anche questo, no?».

Hinata annuisce alle sue parole, impreparato da questa sua uscita così strana, così ... tipica di una coppia ai propri albori; eppure, lui e Ushijima si frequentano da più di un anno e certi imbarazzi e incertezze le hanno superate da un pezzo.

«D'accordo, vuoi che ti chiami per nome?» domanda insicuro Hinata, fissando un punto lontano da lui per evitare di incrociare il suo sguardo.

«Io ti chiamo Shoyo e mi farebbe piacere se anche tu mi chiamassi per nome.»

Hinata pensa che ormai anche l'inquilina all'ultimo piano si sia resa conto di quanto fracasso faccia il suo maledetto cuore e non capisce perché si sia ridotto in quelle condizioni per qualcosa di così ... semplice.

«Va bene.» sussurra, temporeggiando un po'. «Wakatoshi.»

Ed è strano come il suo nome scivoli sulla sua lingua, ma è altrettanto dolce il suono che fuoriesce dalla sua bocca. Hinata sbircia con la coda dell'occhio la reazione di Ushijima e rimane folgorato dall'espressione di pura felicità che non tenta di minimizzare in alcun modo.

«Se bastava così poco per renderti felice, lo avrei fatto tempo addietro: Wakatoshi.»

 

 

Hinata srotola la sciarpa dal suo collo e poi toglie i guanti, poggiandoli sul tavolino a cui è accomodato. La mascherina è un impiccio, ma si ostina a tenerla fino a dopo che avrà ordinato il suo tè caldo.

Di fronte a lui la sedia è vuota, ma è consapevole che presto non sarà più solo: qualche decina di minuti prima, lui gli ha mandato un messaggio coinciso, tipico del suo modo di fare, in cui lo avvertiva che l'aereo era atterrato con qualche ora di ritardo e lo avrebbe raggiunto al solito posto.

Hinata aveva faticato per non rievocare alla mente una serie di ricordi sdolcinati per cui quel piccolo caffè poco lontano da Central Park fosse diventato il loro solito posto; in ogni caso Shoyo attende l'arrivo di Ushijima sorseggiando piano la sua bevanda calda e osservando lo spettacolo di colori che può ammirare dalla vetrata del secondo piano di quel posto.

È talmente perso a contemplare quel panorama, che si accorge dell'arrivo di Wakatoshi solo quando quest'ultimo sposta la sedia di fronte a lui.

Hinata boccheggia per qualche secondo, osservando l'uomo che ama con lentezza per non perdersi un solo dettaglio: i capelli perfettamente ordinati, il cappotto scuro già slacciato e la sciarpa stretta in una mano, le sopracciglia leggermente aggrottate e gli occhi stanchi, cerchiati da leggere ombre che Hinata imputa al viaggio lungo – non potrebbe sopportare l'idea che possa essere colpa sua se Ushijima non riposa correttamente.

«Ciao.» sussurra quando riesce a trovare finalmente il coraggio per parlare e Wakatoshi si siede di fronte a lui, ordina un caffè lungo che Hinata è consapevole riempirà di zucchero, e gli riserva un sorriso piccolo e leggermente intimidito.

«Ciao.» risponde con voce leggera e pacata, quasi timoroso di spezzare qualcosa se solo osasse alzare il tono.

«Come stai?» domanda Shoyo, avido di sapere qualcosa in più dopo tutto quel tempo passati lontani.

«Potrei stare decisamente meglio, e tu?».

Shoyo sorride, piccolo e indifeso su quella sedia dopo più di un anno passato a costringersi a stargli alla larga: non si merita tutta quella gentilezza.

«Io sto bene, ora ... ma ti devo delle scuse.»

Wakatoshi annuisce, ma non lo interrompe, è curioso di sapere cos'altro voglia dirgli e solo dopo che avrà finito, allora si costringerà ad emettere una sentenza.

«Quando abbiamo iniziato a frequentarci pensavo che non dovessimo per forza dare un nome a quello che stava accadendo, ero felice e tu anche e questo pensavo che potesse bastare.

Solo che poi i giorni sono diventate settimane e le settimane sono diventate mesi e più passava il tempo più prendevo consapevolezza di ciò che provavo e, fidati, mi andava bene: amarti non mi è mai apparso più semplice e questo inizialmente non mi spaventava affatto. Ero felice, lo ero davvero.»

Hinata si interrompe, lasciando che il cameriere poggi la tazza di caffè di fronte a Ushijima e si congedi nuovamente.

«Pensavo che insieme avremmo potuto affrontare qualsiasi cosa e mai avrei potuto immaginare che l'ostacolo più grande potessi essere io stesso.

Mi dispiace per ciò che ho detto quel giorno e mi dispiace essere scomparso, lasciandoti in sospeso per più di un anno, ma ero spaventato da ciò che ero sicuro di aver compreso.»

«Ovvero?» chiede Wakatoshi, il tono calmo.

«Quando la pandemia ci ha costretti al coprifuoco e agli arresti domiciliali, io ho dovuto fare i conti con una parte di me che non pensavo nemmeno esistesse. Il pessimismo, il vedere il bicchiere mezzo vuoto ... erano cose così lontane dal mio modo di essere, eppure più i giorni passavano, più mi sentivo sopraffare da tutte quelle sensazioni negative.

Penso che se tu non fossi stato con me, avrei fatto una brutta fine: mi hai tenuto in piedi, mi hai dato speranza, ma qualcosa dentro di me si è inclinato irreparabilmente e anche quando le cose sono migliorate, non sono mai riuscito a venire a patti con quella parte di me.

Pian piano ha iniziato a impadronirsi dei miei pensieri ad ogni ora del giorno e vedevo come tu mettessi da parte tutto per prenderti cura di me, forse lo facevi inconsapevolmente o forse avevi già capito tutto.

Penso che la sconfitta ai giochi sia stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso e in quel momento ho preso la decisione peggiore della mia vita.

Ti ho detto quelle cose per tagliarti fuori, per darti la possibilità di scappare, perché non vedevo più una possibilità di fronte a me ... desideravo metterti in salvo da ciò che avrei potuto dire o fare da quel momento in poi, volevo che tu ... potessi essere felice.

Mi sono serviti dieci mesi e molte lavate di capo per comprendere meglio ci che stava accadendo e, soprattutto, che non potevo risolvere le cose con te se prima non le risolvevo con me stesso.

Ne ho parlato al mio allenatore, che mi ha messo in contatto con uno specialista, sono stato in terapia ed ora sto meglio. Il percorso è ancora lungo, ma ti ho chiesto di raggiungermi qui perché ... beh perché ti amo e volevo metterti al corrente di tutto, spiegarti perché sono stato così stronzo.

Naturalmente la mia non è giustificazione e comprenderò se le cose fra noi finiranno qui, ma volevo che fosse tutto chiaro.

Non volevo che rimanesse qualcosa in sospeso fra noi.»

Ushijima rimane in silenzio e così anche Hinata, il primo cercando di metabolizzare il tutto, il secondo preparandosi alla sua reazione, qualsiasi essa fosse.

«Io vorrei dire tante cose, solo che non so in quale ordine e in che modo dirle.» sussurra a mezza voce e Hinata sospira.

«Non importa, puoi prenderti tutto il tempo che vuoi.»

 

«Sei sicuro di essere pronto a questo passo, Shoyo?».

Hinata osserva il cielo azzurro e splendente che si intravede dalla finestra e prende un profondo respiro, prima di riportare il suo sguardo in quello del suo analista.

«Penso che sia il momento giusto, non posso continuare a fingere che non sia successo e lui si merita una spiegazione.»

 

«Avevo intuito che ci fosse qualcosa che non andava e, stupidamente, ho pensato che la mia presenza bastasse a colmare il vuoto che cresceva dentro di te.

Ho sbagliato, avrei dovuto parlartene faccia a faccia e invece, egoisticamente, ho continuato a percorrere la mia strada ... ho la mia dose di colpe anch'io, ora me ne rendo conto.»

Hinata vorrebbe fermarlo, spiegargli che non è colpa sua, ma Ushijima gli fa segno di non interromperlo e lui acconsente, lasciandolo continuare.

«Mentirei se ti dicessi di non essere rimasto ferite dalle tue parole nello spogliatoio e, anche se non ho mai veramente creduto a ciò che mi hai detto, beh ha fatto male e alle volte il dolore era talmente forte che una parte di me, piccola e sicuramente stupida, pensava che tu avessi ragione: che la nostra fosse stata una farsa; ma poi ricordavo ciò che avevamo passato insieme e l'amore che provavo per te non è mai stato una bugia, così come il tuo per me.

Ho accettato in silenzio la tua decisione, quella di starmi lontano e forse il mio gesto è stato da persona codarda, perché avrei dovuto raggiungerti a Rio o dovunque tu fossi e dirti che avremmo potuto risolvere tutto insieme.

Ad ogni modo, posso dirti che sono sollevato di sapere che tu ora stia meglio e che in tutta questa faccenda abbiamo entrambi la nostra bella dose di colpe, non penso ci sia un carnefice o una vittima.»

 

«Natsu ormai ha capito tutto, quella ragazzina alle volte mi spaventa.»

Wakatoshi sorride alle sue parole e intreccia le loro dita, trasmettendogli calore e sicurezza.

«Andrà tutto bene, Shoyo.»

«Lo so.»

 

Central Park è un vero e proprio spettacolo con le chiome degli alberi dipinte dei colori autunnali. Tutto è così dannatamente arancione e lui sorride osservandosi intorno e percependo il calore del corpo di Wakatoshi al suo fianco.

Il sole sta iniziando a calare e l'aria si è fatta più gelida, ma Hinata non riesce ad esserne disturbato, non quando sente tutto quel calore provenire dall'interno.

Sono stati dentro quel locale per non so quante ore, parlando di troppe cose per tenerle a mente tutte, però alla fine hanno concordato sul fatto che commettere errori è umano e saperlo ammettere non sempre facile; quindi, possono provare ad aggiustare pian piano le cose.

Wakatoshi è stato totalmente sincero con lui: «L'amore che provo per te non è certamente scomparso, ma penso che sia impossibile per entrambi ricominciare come se avessimo semplicemente messo in pausa la nostra storia. Sono passati quasi due anni e credo sia giusto darci del tempo per capire; sempre se lo desideri anche tu.»

Ed Hinata ha annuito, concorde con lui.

Il loro futuro è incerto, ma in quel momento, a Central Park, con gli alberi tinti di arancione ... beh Hinata non vuole pensarci.

 

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Capitolo 4
*** Winter ***


Winter - Miyagi

«Guarda che se appendi un po' di vischio non succede nulla, oppure hai paura di finire a baciare qualcuno che non sia il tuo fidanzatino!?».

Hinata lancia un cuscino dritto in faccia a Natsu, la quale scoppia a ridere per la sua reazione esagerata.

«Mi sto pentendo di averti invitata ad unirti a noi, perché non vai a passare il Natale con i tuoi amici?» domanda Hinata infastidito e allo stesso tempo ringraziando il cielo che Ushijima non sia ancora rincasato.

«Perché mi vuoi troppo bene per sapermi al freddo e al gelo da qualche parte, di gran lunga meglio passare le feste invernali sotto il sole caldo di Rio!».

E sì, Hinata se ne sta decisamente pentendo.

Hinata osserva sua sorella provare uno di quei vestitini in velluto scuro che lasciano la schiena scoperta e, la parte di sé che vuole proteggerla da tutto e tutti essendo suo fratello maggiore, vorrebbe urlarle che così è troppo scoperta e non può uscire di casa; ma Natsu non è più una bambina, ha vent'anni ed è liberissima di passare la notte di Natale con il suo attuale ragazzo - nonché nipote di Oikawa, fatto molto ironico a suo dire.

«Sei sicuro di voler rimanere a casa con mamma e papà tutta la sera?» domanda la giovane sistemandosi i capelli, come se non fosse già perfetta così com'è.

«Sicurissimo.» risponde prontamente, volendo rassicurarla che va tutto bene.

Sono passati due mesi dal suo viaggio a New York, due mesi da quando ha visto per l'ultima volta Ushijima, poiché entrambi sono stati troppo impegnati con le rispettive squadre per avere un momento per incontrarsi a metà strada da qualche parte.

Hinata però non è triste, certo non è la persona più felice sul pianeta, ma è disposto a rispettare i suoi tempi e ad accontentarsi dello scambio di messaggi durante il loro tempo libero; certo, alle volte ha come la sensazione di disturbalo o di apparire insistente, ma poi si ripete che se così fosse Wakatoshi glielo farebbe presente.

«Pensavo che ti vedessi con il tuo fidanzatino.»

Hinata scoppia a ridere a quelle parole, facendo voltare verso di lui Natsu con un'espressione parecchio dubbiosa in volto.

«Non è il mio fidanzatino, non stiamo più insieme da parecchio.» spiega sempre con il sorriso sulle labbra e, ad uno sguardo esterno, sa di apparire come uno fuori di testa: chi sorriderebbe nell'annunciare di non avere più una relazione con l'amore della propria vita?

«Pensavo fosse solo una fase.» mormora dispiaciuta Natsu e Hinata alza le spalle.

«Ho combinato un bel casino ... ed ora mi prendo le mie responsabilità.» spiega mantenendo un tono leggero e tranquillo.

«Mi dispiace, fratellone.»

«Va tutto bene.»

«Tua sorella ha una parlantina molto simile alla tua, sai?».

Hinata osserva Ushijima per qualche secondo, cercando di capire se il suo sia un complimento o un'offesa, forse perché lui per primo trova fastidiosa Natsu; quindi, pensare di condividere quel tratto non lo rende affatto felice.

«Mi stai insultando?».

Wakatoshi ridacchia e lo stringe contro di sé, depositando un bacio sulla fronte nonostante le lievi proteste di Shoyo.

«Non è un insulto, io amo la tua parlantina infinita.»

«Continuo a credere che tu mi stia insultando.»

Però le sue labbra sanno di fragole e cioccolata e ad Hinata non importa molto continuare quell'inutile battibecco.

Hinata entra nella sua stanza tenendo fra le mani un bicchiere di latte caldo e un piattino con una fetta di torta e cioccolato e fragole - molto, molto ironico.

Si siede sul pavimento e poggia il tutto di fronte a lui sul basso tavolino, lo stesso su cui era solito fare i compiti una decina di anni prima; il cellulare è poggiato sulla superficie e gli segnala una serie di messaggi da leggere.

Li scorrere sovrappensiero, leggendo gli auguri sulle varie chat di gruppo e quelli da parte di Kageyama in chat privata, che gli rinnova l'invito di raggiungerlo in Italia per l'ultimo dell'anno. Risponde a tutti sbrigativamente e promette a Tobio di pensarci e di fargli sapere il prima possibile.

Divora il suo dolce con una strana sensazione alla bocca dello stomaco, come se tutta quelle serenità non fosse completa e lui sa che effettivamente è così, ma non può di certo costringere Ushijima a ... a qualsiasi cosa in realtà.

Sospira, si alza in piedi, percorre a larghe falcate la sua stanza, si butta sul letto e poi riprende a muoversi velocemente, mentre la sua mente è indecisa e gli suggerisce cose ... ma non è una buona idea! Se lo ripete in continuazione, però è Natale e lui si sente solo e vorrebbe solo sapere come sta.

Afferra il cellulare, fa partire la chiamata prima di pentirsene e mentre attende una risposta, si chiede che ore siano in Polonia in quel momento.

«Pronto?» la voce di Wakatoshi è pacata, non lascia traspirare alcuna emozione e Hinata sente tutta l'agitazione di quel momento pervaderlo, la gola gli si chiude e non riesce ad emettere una sola parola.

«Hinata, sei tu?» domanda ancora e Shoyo sente qualcosa dentro di sé incrinarsi: l'ha sempre chiamato Shoyo da quando ... beh da quel momento.

«Ehi, ciao! Scusami, non volevo disturbati, solo augurarti un buon Natale! Non so neanche se stavi dormendo o qualcosa del genere, mi dispiace.» borbotta velocemente, mangiandosi alcune parole e sa di star facendo una figura ridicola, ma ormai è tardi per chiudere la chiamata e far finta di niente.

«Non preoccuparti, non mi hai svegliato, in realtà sto festeggiando.» spiega con calma e nuovamente Shoyo sente una stilettata al cuore.

Sta festeggiando Natale insieme a qualcuno, ovvio.

«Oddio, scusami, mi dispiace tremendamente.»

Ed Hinata si dice che non deve sentirsi come si sta sentendo, che non ha alcun diritto di sentirsi tradito ... eppure è difficile, maledettamente difficile.

«Non c'è nulla per cui tu debba scusarti, comunque buon natale anche a te.» risponde dolcemente, o almeno è quello che Hinata pensa di percepire ... che vuole percepire.

«Grazie. Sei ancora in Polonia?» domanda cautamente, sperando di non venir zittito e la conversazione venga brutalmente interrotta.

«No, sono tornato in Giappone per le feste, sono a casa di Tendo con altri vecchi compagni di squadra della Shiratorizawa.» spiega tranquillamente e Hinata sente il cuore accelerare: Ushijima è lì, praticamente ad una manciata di chilometri da casa sua. «Tu? Sei a Rio?» gira nuovamente la domanda e Shoyo sospira.

«In realtà sono anch'io in Giappone, sono venuto per passare le feste con la mia famiglia.»

Sussegue un momento di silenzio che sembra etero ed Hinata pensa che sia il caso di salutarlo, dirgli che spera che passi un buon Natale e non farsi più sentire - almeno fino a quando non gli scriva Wakatoshi.

«Senti, Shoyo ... sei impegnato?».

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L'aria è terribilmente gelida quella sera e la neve scende indisturbata imbiancando l'intero paesaggio, Hinata è sicuro che domani le strade saranno impercorribili e lui si chiede come farà Natsu a tornare in tempo, prima che i suoi genitori si accorgano del suo mancato rientro.

Gli sembra di essere tornato a due mesi prima, quando attendeva Wakatoshi all'interno del piccolo caffè a New York, solo che ora sono a casa e lui è fermo in mezzo ad uno dei parchi a metà fra le loro due vecchie scuole liceali.

Non sa perché Ushijima gli abbia chiesto di incontrarsi, ma non è sicuro che sia per via di una loro possibile rappacificazione: è stato così freddo durante la chiamata e il fatto che ha deciso di rivolgersi a lui nuovamente con il proprio cognome ... non promette nulla di buono.

Lo raggiunge dopo qualche minuto, nascosto in un cappotto pesante, sciarpa e cappello per ripararsi dal freddo. Si studiano per un po' e Hinata non ha il coraggio di dire nulla, non questa volta.

A New York era acceso da una piccola fiammella di speranza e ora, per quanto lui stia provando in ogni modo a non farla spegnere, è consapevole che potrebbe accadere da un secondo all'altro.

«Ciao, scusami se ti ho fatto uscire con questo tempo.» mormora indicando con un cenno del capo al cielo, dove la neve continua la sua discesa.

«Non preoccuparti.» risponde a mezza voce e tra di loro scende nuovamente quel silenzio pesante e imbarazzante.

Non c'è mai stato qualcosa del genere fra di loro, durante gli anni del liceo era rivalità, poi una sottospecie di amicizia, poi è diventato un silenzio piacevole ... amorevole ... ed ora è questa cosa incomprensibile e spaventosa.

Hinata sa che è colpa sua, sa che avrebbe dovuto correre da lui molto prima e due anni sono pesanti da digerire, molto pesanti.

«Penso che sia ora di mettere in chiaro ogni cosa e preferivo farlo di persona.»

Shoyo annuisce e si permette di incrociare il suo sguardo che, non capisce come, gli appare indecifrabile. Si prepara al peggio, stringendo a pugno le mani nascoste nelle tasche del giubbino e cerca di non entrare in iperventilazione, perché sarebbe imbarazzante avere un attacco di panico davanti ai suoi occhi quando lo sta per mollare.

«Hai ragione, meglio farlo di persona.» si ritrova a sussurrare e non sa nemmeno con che coraggio lo stia dicendo.

«È innegabile ripetere quanto mi manchi e quanto mi senta responsabile di ciò che è successo, so che dirai che non è colpa mia, ma sono dell'idea che avrei potuto fare molto di più.

Questi ultimi due mesi sono stati parecchio strani, da una parte continuavo a interrogarmi su cosa fosse meglio fare ... per te e per me ... e dall'altra avevo la possibilità di scriverti, di parlarti e ogni tu messaggio aveva il potere di ferirmi e al tempo stesso di farmi sentire meglio.

Ad oggi non ho ancora capito quale delle due sensazioni prevalga. Vorrei che tu capissi che ho paura Shoyo, paura che una cosa del genere si ripeti e che io mi ritrovi nuovamente in un altro continente, per una serie di anni ad aspettare un tuo segno ... ed io non credo di poterlo sopportare di nuovo.

Una parte di me sa che sarebbe decisamente meglio se la chiudessimo qui, qualunque cosa sia rimasta in sospeso fra noi, perché farebbe troppo male ricascarci.»

Hinata osserva l'uomo che ama pronunciare quelle parole tanto vere quanto affilate e può distinguere perfettamente la punta della lama che incide sulla sua pelle, lasciando tagli precisi e profondi che si colorano subito di vermiglio.

È la fine e non ha nessuna buona ragione per fermarlo, perché Wakatoshi ha ragione e lui non si merita il suo amore. Lo ha ferito irreparabilmente ed Hinata se ne rende conto in quel momento, sotto un sottile strato di neve candida. Ha tirato troppo la corda ed essa si è spezzata, come giusto che fosse.

Davvero sperava che Ushijima lo avesse aspettato per ben due anni?

«Ma non posso, perché ti amo.» sussurra a conclusione del suo discorso e Shoyo boccheggia, incredulo di averlo davvero sentito pronunciare quelle parole e teme di averle immaginate ... perché è impossibile che Ushijima lo ami, non dopo tutto quello che ha fatto.

«Io ti amo, Shoyo e l'ho capito quattro anni fa, quando sei entrato nella palestra insieme a Iwaizumi e hanno annunciato la tua entrata in squadra; eri così solare e felice e sempre pronto a metterti in gioco, così uguale, ma allo stesso tempo così diverso dal ragazzino che eri al liceo. Ed io sono uno stupido, perché ci sono cascato subito con tutte le scarpe, perché è impossibile non lasciarsi coinvolgere da te.

Mi sono innamorato di te e ora devi prenderti le tue responsabilità per questo, perché nonostante tu mi abbia fatto passare i due anni peggiori della mia vita, il pensiero di continuare a viverla senza di te ... beh quello sì che mi spaventa.»

Hinata è sicuro di non averlo mai sentito pronunciare così tante parole e, per una volta, è lui quello a non sapere cosa dire. Vorrebbe urlargli che vale lo stesso per lui, che lo ama da sempre, forse sin dal liceo, ma che era troppo orgoglioso per ammetterlo. Vuole dirgli che non lo lascerà più, che senza di lui non può nemmeno immaginare di andare avanti, ma Shoyo non dice nulla, rimane nel suo silenzio a contemplare l'uomo magnifico che ha di fronte a sé.

Non riesce a credere di avere un'altra possibilità e, questa volta lo giura sulla pallavolo, non manderà tutto al diavolo.

Si avvicina a Ushijima lentamente, mentre le lacrime gli offuscano la vista e quando è finalmente a pochi centimetri da lui, si alza sulle punte dei piedi appoggiandosi al suo cappotto, stringendo la stoffa pesante fra le dita congelate e incitando l'amante a protrarsi verso di lui.

Quando le loro labbra entrano in contatto, Shoyo è certo di essere finalmente tornato a respirare e poco importa che ha iniziato a nevicare più forte o che Wakatoshi lo sta avvolgendo fra le sue braccia talmente forte che teme gli possa inclinare qualche costola.

Shoyo è felice e in quel bacio fatto di sospiri, lacrime e amore si sente finalmente a casa.

Ha impiegato del tempo per capire dove realmente appartenesse, ma ora che l'ha compreso, non lascerà che la paura e l'insicurezza distruggano nuovamente tutto.

«Un giorno, quando tutto questo schifo sarà finito, voglio comprare una casa qui vicino e voglio che dia su Central Park. Non sarà il nostro amato Giappone, ma sono sicuro che sarà perfetto.»

«Non m'importa del Giappone o di Central Park, l'importante è che ci sia tu.»

 

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Capitolo 5
*** Epilogo. ***


Epilogo
Giochi Olimpici di Parigi, 2024
 
Hinata esulta a pieni polmoni mentre torna a toccare terra dopo la schiacciata appena conclusa, che non solo è stata una delle più perfette che abbia mai piazzato, ma soprattutto perché con quel punto si portano a casa la vittoria.
Kageyama, alzatore ufficiale della nazionale, si scaraventa contro di lui con forza, urlando e piangendo per quel maledettissimo punto.
Intorno a lui tutti esultano, i compagni di squadra gridano e lo strattonano ed Hinata riesce solo a lasciarsi avvolgere da tutta quella euforia ed emozione; eppure, nonostante le lacrime, i suoi occhi individuano subito la figura di Wakatoshi.
È in mezzo al campo, la divisa della nazionale completamente sudata e l’espressione orgogliosa e lucida rivolta soltanto a lui.
Shoyo sorride e si districa dagli abbracci della squadra, percorre lentamente lo spazio che li divide e si ferma ad un soffio da lui.
Sono passati due anni da quella sera sotto la neve, due anni passati a rimettere insieme la loro storia, a ricucire una fiducia andata a brandelli, a rassicurarsi e ad amarsi.
Hanno comprato davvero un appartamento a New York, un piccolo bilocale con vista su Central Park e hanno anche adottato un cane – dopo che Shoyo ha implorato per mesi e mesi Wakatoshi di prendere un cucciolo per tenere loro compagnia.
Hanno dovuto chiarire molte cose, hanno litigato su molte altre, ma sono sempre riusciti a fare pace e a credere che ne valesse la pena.
Shoyo ora sta bene e lo può dire con il cuore in mano, ha capito che tenersi tutto dentro non cambia nulla e quando i momenti bui lo assalgono, sa che Wakatoshi è lì con lui e lo aiuterà ad affrontare qualsiasi demone si affacci oltre la loro soglia di serenità.
È felice Hinata. È felice anche Wakatoshi. E ora hanno vinto la medaglia d’oro e niente, niente potrebbe esserci di più perfetto di quel momento.
«Abbiamo vinto.» sussurra Ushijima.
«Io ti amo.» risponde Hinata e l’ace della squadra sorride, colma la distanza che li divide e afferra il suo volto fra le mani.
«Anch’io ti amo.»
E non importa se il giorno dopo tutto il mondo parlerà di loro due, se qualcuno non approverà quel gesto tanto sconsiderato nel bel mezzo del campo da gioco o se avranno a che ridire … Wakatoshi bacia il suo Shoyo in diretta mondiale dopo aver vinto la medaglia d’oro ai giochi olimpici di Parigi, non perché vuole mettersi in mostra, ma perché è un uomo innamorato e pensa che quello sia il modo migliore di dimostrarlo.
 

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