Holmes, Lupin e io - Il Caso del Primo Incontro

di Atenah
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione - Anni di bassa marea ***
Capitolo 2: *** L'inizio del concerto ***
Capitolo 3: *** Puro caso ***
Capitolo 4: *** Lettere e baci mancati ***
Capitolo 5: *** Tempeste ***



Capitolo 1
*** Introduzione - Anni di bassa marea ***


Anni di bassa marea

 

Era l’anno 1923, novembre di preciso, e la mia vita era tanto placida quanto quella di una farfalla in un campo di fiori.

Il famoso periodo di tempesta e fulmini, l’adolescenza, era stato sostituito nel mio caso da un mare piatto e senza venti. 

A quindici anni, dopo aver passato un periodo in Danimarca presso l’International People’s College, ero in pace con me stessa e con il mondo, ed ero felice. Forse dopo tutte le turbolenze che avevano occupato i miei anni d’infanzia avevo deciso inconsciamente di concedermi una pausa, una piccola vacanza. 

L’era dei “Segugi di Briony Lodge” si era chiusa come il sipario dopo un meraviglioso spettacolo, di quelli che ti lasciano con un formicolio caldo e dolce nella pancia. Così per un paio di anni mi dedicai allo studio, a seguire e scoprire le mie passioni, mentre mia Irene, Sherlock e Lupin si dedicarono finalmente e meritatamente alla loro pensione ed alle cose per cui non avevano avuto tempo durante le loro vite impegnate.

Avrei però dovuto sapere che ad uno spettacolo segue sempre un altro, il sipario si aprirà e chiuderà infinite volte, ed in realtà la calma assoluta non è mai stata adatta a me. 

Avrei dovuto considerare l’inarrestabile circolo della storia. La mia era, anzi, la nostra era era alle porte: quella di Holmes, Lupin e io.  

 

Al mio diciassettesimo compleanno mia madre mi aveva preso da parte con un sorriso di quelli che promettono sorprese o buone notizie e mi aveva ufficialmente dato il permesso di iscrivermi al programma di formazione del SIS, meglio conosciuto come Secret Intelligence Services, se lo avessi voluto. 

Aveva anche aggiunto che solo perché quella era stata la sua scelta da giovane donna, non voleva dire che io avrei dovuto fare la stessa cosa e che, se mi fosse improvvisamente saltato in testa di fare la pasticcera piuttosto che la sarta non ci sarebbe stato problema. Io avevo riso e le avevo dato un gran bacio sulla guancia, dicendole che la pasticcera non mi sarebbe dispiaciuto per niente ma che sì, sarei stata molto contenta di iscrivermi.

Così avevo iniziato i miei allenamenti e varie lezioni presso Vauxhall Cross nei quartieri generali del SIS e nonostante tornassi spesso a Briony Lodge con i muscoli dolenti o un gran mal di testa dopo aver passato ore fra lezioni di politica, giurisprudenza e sicurezza interna, ero contenta e vedere i miei progressi mi soddisfaceva enormemente.

Fu proprio in quei primi mesi che la mia conoscenza con Elise Holmes si trasformò in un’amicizia stretta che rimase tale da allora in poi. Dopo essere tornata dalla Danimarca avevo avuto modo di incontrare la nipote di Sherlock, ma i suoi studi ad Oxford, in combinazione con lo stesso programma di formazione che io stavo iniziando proprio in quel momento,avevano reso una frequentazione costante pressoché impossibile. 

Nel 1923 iniziammo ad incrociarci spesso negli ambienti di Vauxhall Cross, io come recluta in allenamento e lei come giovane agente a solo 20 anni. 

Dopo il primo anno ad Oxford Elise era tornata a Londra dicendo di non sopportare la puzza sotto al naso di cui gli ambienti universitari erano fin troppo pieni e si era rassegnata a pendolare con il treno. Nonostante avessimo tutti insistito che si ritrasferisse con noi a Briony Lodge, Elise aveva fatto suo un piccolo ma graziosissimo appartamento al numero 3 di Greencoat Place a Westminster nel quale mi invitava alcune volte per un the.

In realtà il nostro piccolo quartiere generale personale era diventato locale nelle vicinanze del British Museum nella Coram Street. Il Golden Corner era un vero gioiellino nascosto. Il proprietario, Ernest Balinski, da tutti chiamato Ernie, era una ex guida del British Museum specializzato in arte araba antica. Quando era arrivato il momento di andare in pensione non era stato assolutamente disposto ad abbandonare la sua passione per l’arte e così aveva creato un museo nella sua stessa casa. 

Al piano inferiore vi era un pub aperto dalle 11.00 del mattino in poi con un piccolo palco di legno scricchiolante sul quale io ed Elise ci esibivamo ogni mercoledì con duetti per pianoforte e violino con un successo sorprendente. Al secondo piano invece c’era una vera e propria galleria d’arte che esponeva numerose opere che vari pittori di Londra mettevano in vendita, tra cui anche alcuni quadri di Elise; ad ogni acquisto di un cliente Ernie riceveva il 10%.

L’ambiente era magnifico, insomma, si poteva respirare arte ed allegria a pieni polmoni. Io ed Elise ci eravamo ormai fatte un nome con i nostri piccoli concerti del mercoledì sera ed le persone ridevano quando Ernie annunciava con la sua voce un po’ stridula il duo “Adler & Holmes”, anche se ovviamente sostenemmo sempre che si trattasse solo di una coincidenza.

Il fatto è che le coincidenze esistono per quanto improbabili, quindi accadono raramente e quando avvengono alcune sono più meravigliose di qualunque regalo e presto, proprio lì al Golden Corner, era in arrivo per caso, Il Caso del Primo Incontro.

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Capitolo 2
*** L'inizio del concerto ***


L’inizio del concerto


 

Faceva freddo a Londra, ma non era ancora quel gelo umido che si fa sentire fin sotto le ossa. Gli alberi si facevano ormai sempre più spogli ed i parchi presentavano un ricco tappeto di foglie variopinte. 

Mi ero seduta con le gambe a penzoloni sul bordo del palchetto del Golden Corner con un infuso di limone e zenzero che avevo addolcito con del miele e guardavo le luci dei lampioncini ed i passanti che si potevano intravvedere dal vetro della porta. 

Elise non era ancora arrivata,il che era insolito, ma la cosa non mi preoccupava, sapeva badare a se stessa, speravo solo che facesse in tempo per il nostro piccolo concerto.

In effetti poco dopo la mia amica entro con una folata di vento che le fece danzare i capelli ramati ed i fogli dello spartito che teneva in mano; avremmo suonato Schumann. Mi adocchiò e mi rivolse un sorriso scusatorio prima di andare a salutare Ernie. Capii che doveva essere passata dal suo appartamento per prendere il suo violino e lo spartito di corsa prima di venire al nostro appuntamento del mercoledì. Non l’avevo vista a Vauxhall da almeno una settimana e mezzo, ma feci appena in tempo a chiedermi perché, che Ernie stava già annunciando il nostro programma per la serata, così mi affrettai a bere l’ultimo sorso del mio infuso e mi sedetti al pianoforte. 

Suonammo il Fantasiestück Op. 73. Entrambe conoscevamo già il pezzo, ma lo avevamo provato comunque un paio di volte a Briony Lodge e così riuscimmo a suonare senza particolari tensioni e godendoci la musica. Sherlock diceva sempre che Elise era un talento sprecato e che sua madre, se avesse saputo che, dopo tutti soldi spesi per la sua educazione musicale incluso un professore privato, sua figlia aveva smesso di suonare per le grandi orchestre, si sarebbe strappata tutti i capelli. Forse Holmes aveva ragione, la mia amica suonava benissimo, era come se disegnasse pensieri e sentimenti con la musica, ma d’altro canto la capivo. Spesso le cose belle vengono rovinate quando si cerca di portare la loro bellezza alla perfezione e purtroppo molte delle orchestre maggiori di europa erano ancora abbastanza vecchio stile e con la loro rigidità rubavano una parte alla musica che Elise non aveva intenzione di lasciare andare: la diversità. Quando suonavamo insieme al Golden Corner eravamo libere di seguire le melodie, le note senza avere paura di sbagliare, se il pezzo non veniva esattamente così come lo avevamo provato non faceva niente e la gente applaudiva comunque. Era bellissimo.

Finimmo fra le acclamazioni degli ospiti e ci inchinammo più volte ridendo, poi ci dirigemmo al “nostro tavolo” dove mi lasciai cadere sulla sedia con un scherzoso tonfo. Ero stata io a scegliere quell’angolino, per due motivi: lì si aveva un’ottima vista su tutto l’interno del locale, ma allo stesso tempo c’era meno confusione che nei tavoli al centro della sala ed inoltre, anche se probabilmente allora non l’avrei mai ammesso, ero stata leggermente influenzata dalle storie di mia madre ed dei famosi incontri con Sherlock e Lupin alla Shackleton.

Elise si alzò e tornò poco dopo con due bicchieri di cyder ed una ciotolina di crisps che però non toccó. Io mi infilai qualche patatina in bocca, ma continuai a guardarla comunque attentamente, qualcosa non andava. Visto che non mi diedi affatto pena di nascondere il mio sguardo inquisitorio, lei mi rispose alzando un sopracciglio. Mi schiarii la voce e puntai in modo teatrale un dito su di lei il che le strappó una mezza risata, poi mi buttai nelle mie deduzioni. 

“Sei arrabbiata, ma ti sei presentata qui al nostro incontro, quindi direi che posso dirmi fortunata di non essere l’oggetto della tua furia” incomincia. 

Elise si era fatta più seria, si era portata un dito al mento e mi osservava attenta, ma aveva ancora l’accenno di un sorriso sulle labbra e mi rispose con un: “Hmm.”

“Inoltre è già da un po’ che non ti ho visto a Vauxhall, credo che centri qualcosa con il SIS” seguii il filo dei miei pensieri, poi improvvisamente pensai di avere capito: “Ti è stata assegnata una missione!”

Elise si lasciò sprofondare con un sospiro nello schienale della sedia facendo cadere le spalle: “Tutt’altro purtroppo!” 

Io mi lasciai sfuggire uno sbuffo in seguito alle mie conclusioni inesatte, ma le lanciai comunque uno sguardo invitandola a proseguire.

“Il fatto è proprio che non sto facendo assolutamente niente! Qualche scartoffia da compilare qua e là, al massimo può capitare che chiedano la mia opinione su qualche passato svolgimento di missioni ma sennò nulla, solo la noia più assoluta” mi spiegò e dal tono di voce capii che la cosa la rendeva veramente insofferente. 

Anche a me sembrava strano: “Non ha senso. Sembravano volerti alla SIS a tutti i costi, hanno quasi litigato con i servizi segreti americano per contarti come una dei loro!” ricordai.

Lei fece le spallucce: “Da quando Sir Hugh Sinclair è diventato il nuovo direttore non mi è stato assegnato più niente. Ho cercato di parlare con lui, ma ogni volta che mi presento a Vauxhall mi informano del fatto che “il signore è impegnato” o risulta letteralmente sparito dalla faccia della terra.”

Scossi il capo incredula: “Ma è ridicolo! Credi che ti stia evitando di proposito?” Finalmente Elise allungò una mano verso le crisps: “Non lo so, forse non ha tempo di parlare con una ragazza” disse frustrata.

Stavo per proporre di andare a parlare al suo posto con Sir Sinclair, quando lo sguardo  della mia amica si alzò tutto di un tratto ed io mi affrettai a serguirlo. 

Si era avvicinata una giovane donna, della nostra età, decisi. Il suo taglio di capelli mi ricordava quello che Irene aveva avuto fino a pochi anni prima, anche se la chioma della ragazza era scura come il cioccolato, così come i suoi occhi. Era chiaramente timida e sembrava quasi nascondersi dietro al suo rossetto ed i fiocchi nei suoi capelli. 

“Parlo con Adler & Holmes?” bisbigliò con un piccolissimo sorriso, stringendo le dita intorno al suo borsellino color pervinca. Sembrava non sentirsi a sua agio fra tutte le voci, quindi annuii e risposi con un un tono gentile: “Sì, siamo noi. Ci cercavi?”

Lei fece di sì con il capo, ma i suoi occhi guizzavano comunque nervosi per la stanza. 

Scambiai uno sguardo interrogativo con Elise che a quel punto intervenne: “E con chi abbiamo il piacere di parlare noi? Come possiamo aiutarti?” 

L’attenzione della ragazza fu di nuovo su di noi: “Dora Plinout, piacere, e scusatemi se sono piombata qui all’improvviso. Sono interessata ai tuoi quadri ed il signor Balinski ha detto di rivolgermi direttamente a te” disse poi rivolgendosi ed Elise.

C’era qualcosa di sfuggente in quella giovane donna e notai che anche la mia amica la pensava così, le fece però comunque segno verso le scale: “Certo, vieni pure, sono al secondo piano i dipinti.” 

 

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Capitolo 3
*** Puro caso ***


Puro caso


 

Salimmo le scale avvolte da un silenzio che veniva solo segnato dal regolare ticchettio dei tacchi della nostra nuova conoscenza. 

Sentivo un formicolio farsi strada lungo la mia schiena per la prima volta dopo un bel po’ di tempo; era quella sensazione frizzante che avevo sempre avuto durante le mie avventure con Irene, Sherlock e Lupin. Non ero tesa, era più un particolare tipo di curiosità che questa giovane donna scatenava in me, come un indovinello da risolvere.

Giungemmo al secondo piano dove Ernie aveva fatto installare un numero quasi esagerato di lampadari e lampadine che riempivano la stanza di una luce improbabile e permettevano di osservare tutte le opere nel minimo dettaglio. 

Mentre Dora Plinout si avvicinava ai quadri camminando lentamente da uno all’altro, mi presi qualche istante per squadrarla meglio. Il vestito color rosa antico che indossava sarebbe stato di moda venti anni prima con quel colletto alto, il pizzo e talmente stretto in vita che mi dava l’impressione di soffocare solo guardandolo. Decisi che la nostra visitatrice sembrava una principessa uscita da una fiaba per bambini, o almeno, così come era piaciuto, da piccola, immaginare a me Biancaneve. 

Il ticchettio dei suoi tacchi era cessato davanti ad un quadretto ad acquerello rappresentante una bambina ad una finestra dal davanzale rigoglioso con fiori variopinti. Sapevo che Elise lo considerava come uno dei suoi “dipinti della noia”: opere a cui lavorava quando non aveva nient’altro da fare e senza alcuna ambizione, spesso delle semplici prove di nuove tecniche. 

A Dora invece parve piacere. “Questo è molto bello, complimenti! È così delicato e fine” disse e vidi Elise corrugare la fronte. “Davvero? È uno dei miei lavori che mi piace di meno. È troppo semplice” spiegò.

L’altra abbassò lo sguardo rossa in viso quasi come scusarsi. La mia amica mi lanciò uno sguardo a metà fra il confuso e l'inquisitore, c’era qualcosa di strano in tutta quella conversazione.

“Ognuno ha i propri gusti però, è questa la cosa bella dell’arte” mi affrettai comunque a dire per non apparire scortese. Dora si limitò ad annuire silenziosa senza incontrare il mio sguardo.

Elise fece qualche passo verso di lei. “Non è però questo il motivo per cui sei qui, o sbaglio? Di cosa hai bisogno veramente?” chiese senza far suonare la sua voce minacciosa in alcun modo.

Le guance e la punta del naso della giovane donna si fecero più rosse del suo rossetto. Le sue labbra si mossero impercettibilmente, come se stesse cercando le parole giuste.

“Ovviamente mi avete colto in flagrante, c’era da aspettarselo” sussurrò infine. Mi avvicinai anch’io, confusa. “Cosa intendi?” Dora si tormentava le mani ancora insicura se cedere alle nostre domande.

“Si tratta di una sciocchezza” si decise infine alzando lo sguardo. “Fin da quando ero piccola ho sempre amato i racconti di misteri ed in particolare quelli del Dottor Watson sull’imbattibile Sherlock Holmes. Andavo a prendere le traduzioni francesi in biblioteca e non appena sono diventata abbastanza brava con l’inglese mi sono buttata sugli originali” raccontò. 

“Sono appena arrivata a Londra ed ecco… ho visto un volantino che parlava del duo Adler & Holmes al Golden Corner a Bloomsbury e… insomma, non ho saputo resistere” ammise rossa in viso.

Mentre parlava un sorriso si era fatto strada sul mio viso e vidi che ad Elise era successa la stessa cosa. Mi immaginai nella situazione di Dora e scoprii con divertimento che avrei fatto la stessa cosa. Stavo quasi per mettermi a ridere, ma la giovane donna parlò di nuovo.

“È davvero così? Siete le discendenti o… parenti del grande Sherlock Holmes e dell’avventuriera Irene Adler? Parlate come loro!” chiese agitata.

Mi ricacciai la risata in gola, facendo però attenzione a non far mutare la mia espressione e lasciai che fosse Elise a parlare, non ero mai stata brava a mentire.

“Mi spiace deluderti, ma si tratta di puro caso. Non ci saremmo potute permettere di far apparire i nostri cognomi su volantini se fossimo veramente imparentate con il signor Holmes e la signora Adler delle storie del dottor Watson” disse infatti la mia amica senza far trapelare il minimo di agitazione, era la spiegazione che davamo sempre del resto.

Il viso di Dora si riempì con qualcosa che riconobbi come stupore o incredulità. “Da-davvero?” balbettò: “È una coincidenza davvero straordinaria.”

Scrollai le spalle ed Elise emise un sospiro come se neanche lei non sapesse spiegarsi la cosa. “Che si puo dire? Il mondo è dominato da caso e caos, anche se gli uomini con la loro ragione si credono sempre signori di esso.”

“Capisco…” mormorò Dora che sembrava essersi persa d’animo. Così le poggiai una mano sulla spalla. “Puoi vederla così, se non avessi seguito la tua passione per il più grande detective di tutti i tempi ora non saresti qui e non ci avresti mai incontrato. Inoltre ti saresti persa i favolosi sandwich di Ernie che ti stiamo per offrire!” dissi per rallegrarla. “Forza, torniamo di sotto!”

Elise andò ad ordinare un grande piatto di sandwich da dividerci, quelli al salmone e cetriolo erano la specialità della casa,ed io presi una sedia libera per aggiungerla al nostro tavolo nell’angolo.

Dora si sedette composta, ma parve leggermente più rilassata. Addentò un sandwich con cautela; l’espressione sul suo viso passò dal perplesso, all’indeciso, al meravigliato. “Sono buoni!” fu il suo verdetto infine ed io risi. 

“C'è un bel salto dalla cucina francese a quella inglese” commentò Elise, anche lei con il sorriso sulle labbra. 

“È la prima volta che sei qui nel Regno Unito?” chiesi invece io, ancora incuriosita. Mi parve che la giovane donna avesse improvvisamente irrigidito il collo, ma fu solo un attimo. “Sì, è la prima volta. Forse continuerò i miei studi qua, Londra mi pare una bella citta.” 

“Lo è!” dissi convinta. “Cosa stai studiando?”

Lei si prese un momento per masticare e mandare giù un morso di sandwich prima di pulirsi aggraziatamente la bocca con il tovagliolo. “Ho studiato pedagogia all'università di Princeton nel New Jersey per un anno e mi piacerebbe continuare” raccontò poi.

Notai che lo sguardo di Elise si fece impercettibilmente più acuto. “Quindi sei appena arrivata dagli Stati Uniti?” chiese. Dora si limitò ad annuire con un “esatto.”

Chiacchierammo ancora un po’ finché la nostra nuova conoscenza non dichiarò che si sarebbe avviata verso il suo hotel e ci ringraziò calorosamente per la bella serata. Noi ovviamente ci offrimmo di accompagnarla, ma lei rifiutò con un sorriso gentile e sparì dal Golden Corner tanto improvvisamente come era arrivata, lasciandoci con un palmo di naso.

Quando poco dopo salutammo Ernie ed uscimmo dal locale stringendoci forte nei nostri cappotti ci scambiammo uno sguardo d’intesa. Dora Plinout era sicuramente una donna tanto piacevole quanto misteriosa ed eravamo sicure che non ci avesse raccontato tutta la verità.

Camminammo comunque per un po’ in silenzio, godendoci il vento freddo e crespo di buio e foglie secche e la sensazione di mistero che aleggiava nell’aria.

Percorremmo Southampton Row, da dove si poteva intravvedere l’edificio del British Museum, e dopo un po’ non ce la feci più a stare zitta. “Ho un certo amico che frequenta la Princeton University” dissi in tono appositamente casuale e poi, volgendo il mio sguardo ad Elise, mi dovetti mordere un labbro per non scoppiare a ridere.

Lei si girò con sguardo interrogativo e divertito verso di me. “La cosa è sicuramente molto utile per la nostra situazione, ma cosa c’è di tanto divertente?”

Decisi di tenerla sulle spine. “Oh, niente... niente!” esclamai quindi. “In ogni caso siamo d’accordo sul fatto che mademoiselle Dora Plinout ha un che di misterioso” cambiai tema.

Elise mi promise con un’occhiata che avrebbe prima o poi indagato oltre su questo mio certo amico, ma lascio cadere il tema per il momento.

“Appena tornata dagli Stati Uniti, paese delle avanguardie, ma si veste come una dama del XIX secolo” concordò.

“Già, una signorina per bene tutta fiocchi e scarpette con tacco appassionata di racconti di crimini e misteri?” le feci eco. “Sicuramente una combinazione bizzarra!”

Arrivammo alla stazione dei tube di Holborn fra ipotesi a deduzioni sugli avvenimenti della nostra serata. Lì Elise mi lasciò con la promessa di passare nei prossimi giorni a Briony Lodge con i nuovi spartiti. 

“Salutami Billy e gli altri!” mi disse prima di voltare l’angolo verso Greencoat Road.

 
 

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Capitolo 4
*** Lettere e baci mancati ***


Lettere e baci mancati


 

Aspettai per un po’ al freddo finché non percepii la punta del mio naso bruciare ed immaginai che si fosse arrossita. Il mio viso non formicolava solo per il vento della sera peró. 

La spiacevole sensazione di aver detto una bugia mi avvolse tutta in una volta come un’ampia sciarpa di lana. Non avevo in realtà mentito, non ad Elise per lo meno, semplicemente non avevo fatto alcun accenno alla situazione nella quale mi trovavo. Le bugie le stavo raccontando piuttosto a me stessa.

Non salutai affatto Gutsby da parte della nostra amica, perché da un po’ di tempo non incontravo più Billy a metà strada alla stazione di Holborn per tornare a casa insieme dopo le sue lezioni pomeridiane alla Goldsmiths University. Elise ed io ci separevamo comunque sempre lí, come avevamo sempre fatto, ma io, anzi che scendere gli scalini per raggiungere il binario su cui sarebbe arrivato il tube di Billy, stavo al freddo per un po’ come per punirmi da sola per una misteriosa colpa e poi mi dirigevo direttamente al binario per prendere la central line che mi avrebbe portato a Saint John’s Wood dove si trovava Briony Lodge.

“Ci vediamo a casa, io vengo a piedi, cosí mi muovo un po’” avevo detto a Billy più di una volta a mo' di scusa poco convincente e lui dopo un po’ aveva smesso di chiedere.

La veritá era che in quel periodo iniziavo a percepire qualcosa a cui non avevo mai pensato: la nostra differenza di etá. Lui ha quattro anni in più di me e nonostante pensandoci oggi mi sembra davvero una sciocchezza, a diciassette anni mi sembrava che il mio Billy, con i suoi incredibili 21 anni vivesse in un mondo completamente diverso.

I suoi compagni di università parlavano della carriera che avrebbero perseguito, del primo appartamento nel quale si erano appena trasferiti, alcuni di loro erano sposati ed altri ancora avevano messo su famiglia! Tutte cose che erano per me impensabili in quel periodo, alla mia età. 

Non che Billy avesse mai espresso fastidio nei miei confronti o riguardo comportamenti infantili, ció nonostante mi sentivo inadeguata, una piccola bambina al suo fianco.

Questo non accadeva quasi mai quando eravamo soli, ma spesso, quando avevo preso con lui il tube per tornare a casa, c’erano stati anche alcuni dei suoi compagni d’universitá che andavano nella stessa direzione ed io ero sprofondata in un fastidioso senso di inadeguatezza. 

Era quindi andata creandosi una nuova lontananza fra di noi, ed il nostro rapporto ne soffriva, come ne soffrivo anch’io.

Con Elise era diverso. Di età era molto più vicina a Billy che a me, ma c’era qualcosa di caotico in lei che le permetteva di essere una saggia anziana con un mondo intero di esperienza in alcuni momenti, come una bambina che schizza con i colori sulle tele in altri. Le piaceva giocare a stare in equilibrio sulla sottile linea tra perfezione ed imperfezione, il che la rendeva un’amica preziosa per una ragazza come me, tanto quanto un vecchio studioso come Ernie del Golden Corner. 

Billy invece era sempre impeccabile, forse per quello, in quel momento in cui vedevo l’etá adulta arrivare a tutta velocitá, mi sentivo inadatta al fantastico Billy Gutsby che non faceva mai una piega.    

Erano quelli i pensieri che mi accompagnavano quando riemersi dalla stazione di Saint John’s Wood e camminai a passi veloci verso Briony Lodge, cosicché, quando mi trovai con Billy a pochi passi da me, anche lui di ritorno nello stesso istante, sbattei le palpebre come per assicurarmi che non si trattasse di un pensiero troppo lucido e verosimile sfuggito alla mia mente.

“Mila!” mi disse lui, ma dovevo avere un’espressione davvero un po’ persa sul volto, perché si fermò a pochi passi da me, come se volesse chiedere permesso di avvicinarsi.

Scacciai via tutti quei pensieri che mi avevano appesantito il cuore e cercai il sorriso che mi veniva sempre così spontaneo in sua presenza. Scoprii con orrore di doverlo forzare e così mi avvicinai in fretta, come per cancellare un errore di cui nessuno doveva accorgersi, ma quando le sue mani si posarono sulla mia vita mi trovai comunque ad evadere le sue labbra rifugiandomi in uno strano abbraccio. 

“Buona sera” dissi con un groppo in gola. Lo sentii sospirare: “Buona sera, Mila.”

Entrammo e la differenza di temperatura da fuori a dentro mi fece bruciare il viso, anche se sospettavo che non fosse la sola causa.

La testa di Lupin sbucò dalla sala da pranzo seguita subito dopo da quella di Irene. 

“Salve figlia mia, Gutsby, mangiate con noi?” ci chiese.

Succedeva abbastanza spesso che dopo una lunga giornata piena di impegni, che io passavo a Vauxhall e Billy alla Goldsmiths, ci prendessimo un po’ di tempo solo per noi e sgattaiolavamo via la sera per prenderci un fish & chips allo Strand o simili. 

Sentii il suo sguardo cercare il mio come per chiedermi la mia opinione, ma io non mi voltai verso di lui. 

“No, grazie mamma. Ho mangiato un’infinità di sandwich al Golden Corner e ho un po’ mal di testa, pensavo di ritirarmi presto questa sera” dissi sentendo di nuovo un pungente dispiacere nel farlo. 

Billy si trovò chiaramente in imbarazzo invece. “Ehm… io invece approfitterei, se non è un problema” disse e notai che quasi balbettò.

Salii le scale sforzandomi di non correre. Prima di sparire definitivamente dietro la porta della mia camera, incontrai Sherlock. 

“Schumann?” mi chiese. “Bene!” riuscii solo a dire, poi i miei pensieri entrarono in moto. “Ah ed Elise vi saluta tutti, puoi dirlo anche agli altri? Mi sono scordata ed ho un gran bisogno di riposarmi” aggiunsi in fretta. 

Holmes si limitò ad annuire, ma sapevo che non potevo convincere lui con le mie semplici scuse e quindi gli fui grata per come mi augurò una buona notte e scese di sotto senza fare domande.

Io mi fiondai sulla mia scrivania e presi carta e penna con foga. Non volevo farmi travolgere dai miei problemi sentimentali, così tuffarmi direttamente nel piccolo mistero che mi si era presentato fu quasi un sollievo e con un sorriso volsi i miei pensieri ad una persona dai riccioli biondi e gli occhi color nocciola.

 

8 Novembre 1923

Briony Lodge, Londra

Caro Theo,

spero tu stia bene ed ancora tanto immerso ed affascinato ai tuoi studi di matematica ed astronomia come hai raccontato un po’ di tempo fa.

Devo ammettere che il pretesto per questa lettera è puramente strumentale, anche se mi fa sempre piacere avere tue notizie.

Oggi io ed una mia amica (che prima o poi dovrai assolutamente conoscere) abbiamo fatto conoscenza con una mademoiselle alquanto singolare che, pur essendo in realtà simpatica, sembrava uscita da un romanzo ambientato a fine del XIX secolo!

Il suo nome è Dora Plinout ed a quanto pare ha studiato pedagogia proprio alla Princeton University. Ora, so che sarai di sicuro molto impegnato, ma se per caso ti capitasse di intrufolarti per caso negli uffici amministrativi dell'università, non è che potresti eventualmente dare un’occhiata ai registri di pedagogia degli anni scorsi?

Saresti davvero un grande amico ed un ottimo collaboratore remoto se lo facessi ed in cambio ti prometto di tenerti aggiornato su eventuali sviluppi.

Grazie in anticipo e cari saluti,

tua Mila Adler

 
 

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Capitolo 5
*** Tempeste ***


Tempeste

 

Passarono alcuni giorni tranquilli. Elise si era finalmente dovuta dirigere in Galles per una missione che le era stata assegnata ed io aspettavo ansiosamente la risposta da parte di Theo.

La casa era silenziosa, Irene e Lupin erano usciti, ed io me ne stavo seduta nel salottino azzurro di Briony Lodge, sulla poltroncina sotto alla finestra dalla quale si aveva una buona vista sulla porta di entrata e facevo la guardia in preda ad un nervosismo francamente ridicolo. 

Non era solo la curiosità a tenermi incollata lì, ma piú che altro un’infantile preoccupazione: che Billy, tornando a casa, trovasse la lettera da parte di Theo.

Mi sentivo sciocca e mi ero detta piú volte di scollarmi da quella poltroncina, anzi che pensare al mio favoloso maggiordomo con quello strano misto di ansia e sensi di colpa che non mi piacevano per niente, invece restavo lí, lo sguardo saettante fra la pagina di un libro che fingevo di leggere e la strada.

La prima ad arrivare fu però la pioggia che dei nuvoloni plumbei rovesciarono vigorosamente su Londra, riempiendo la città di umiditá ed il rumore delle gocce scroscianti. Del postino non c’era ancora traccia, ma poco dopo scorsi una figura scura e decisamente fradicia avvicinarsi a passo veloce verso la nostra porta.

“Mary! Potresti mettere su l’acqua per favore?” chiesi a gran voce e mi precipitai verso la porta.

Elise era furiosa. Quando mise piede dentro a Briony Lodge sembrò quasi che avesse portato la tempesta da fuori in casa. La pioggia le aveva incollato la camicia ed i pantaloni addosso ed i suoi capelli ramati erano appiccicati al viso; sembrava che qualcuno l’avesse messa a mollo in un bicchiere d’acqua.

Si fermò per un attimo nell’ingresso, gocciolante e con uno sguardo che avrebbe fatto scappare con la coda fra le gambe anche un lupo. 

La feci venire in sala da pranzo ed ridiedi vita al fuoco nel camino. 

Poco dopo Holmes entrò con un vassoio carico di thé e shortbread che Mary aveva preparato in un baleno; doveva aver visto Elise arrivare dalla sua finestra al terzo piano. Le passó una tazza fumante con la fronte corrugata.

“Cosa è successo?" le chiesi, spingendo un biscotto nella sua direzione.

“Temo che dovrai essere un po’ piú specifica, Mila, perché di tutto quello che è successo, questo acquazzone è stato la cosa meno fastidiosa, anzi, oserei dire che é stata la piú piacevole” disse lei cupa, sorseggiando il suo thé con un sospiro e facendo tutto onore al suo cognome.

“Mi hanno mandato a dare la caccia e dei poveri ladruncoli di provincia ai quali ho probabilmente quasi causato un infarto, oltre che a perdere una mezza giornata cercando di spiegare alla polizia locale perché mai la SIS manderebbe da Londra un agente ad occuparsi di cose con le quali decisamente non ha nulla a che fare” spiegó e pensai che Sir Sinclair, da quel momento in poi, avrebbe veramente dovuto nascondersi se avesse voluto evitare di essere ridotto malamente dalla mia amica.

Scambiai un’occhiata perplessa con Holmes, prima che lui riposasse lo sguardo su sua nipote.

“Ti è stato riferito fin da subito di che tipo di missione si sarebbe trattato?” le chiese.

Lei scosse il capo. “Non proprio, la missione mi é stata assegnata tramite busta nella mia cartella personale firmata con la C verde direttamente da Sinclair. Parlava di ‘associazioni clandestine, eventualmente coinvolte in traffici di stampo illegale all’estero con base a Swansea’ con qualche contatto a cui rivolgermi sul posto, era tutto.” 

“Sembrerebbe tutto regolare” commentai.

“Piú o meno” fece Holmes. “A parte… che grado di agente sei Elise?”

“Sono un agente di sezione circolante V, contra-spionaggio, non dovrei neanche occuparmi di missioni del genere, in realtá nessuno della SIS dovrebbe, per gli affari interni c'è il MI5” disse la mia amica con frustrazione. La capivo bene, il tutto iniziava a puzzare di bruciato.

“Gli Americani ti hanno dato la caccia come un cane per averti fra le loro grinfie prima degli Inglesi ed ora alla SIS ti usano come poliziotto di cittadelle, non ha senso!” riflettei senza capire il perché di tale atteggiamento.

“Sir Sinclair ti vuole tenere lontana da Vauxhall a tutti i costi” disse Holmes in quel momento, formulando le parole che entrambe avevamo in testa.

Elise incontrò il suo sguardo pensosa: “Metterebbe in discussione la trasparenza del SIS e dei servizi segreti inglesi in generale. Ci ho pensato anch’io, ma voglio sperare che non sia così. Purtroppo credo sia molto più probabile che al nuovo direttore dia fastidio il mio non essere uomo.” 

Scossi il capo con uno sbuffo: “È ridicolo!” esclamai.

Holmes annuì: “Sì, lo è, ma mantieni comunque gli occhi ben aperti, nel caso la faccenda non abbia nulla a che fare con il tuo essere donna, come hai detto anche tu, la questione sarebbe molto grave” continuò ed Elise sospirò come per fare evaporare un po’ della sua rabbia.  

“Mangia qualcosa ed asciugati” disse poi osservando con un sopracciglio alzato e mezzo sorriso le gocce che scendevano dalle ciocche della mia amica. “Puoi rimanere a cena, se ti va, Gutsby mi ha detto che sulla via del ritorno intendeva comprare delle salsicce per preparare il suo famoso piatto pregiato” aggiunse prima di uscire dalla stanza con cenno della mano a mo di saluto, probabilmente diretto verso il giardino per controllare che le sue arnie fossero ancora intatte nonostante la pioggia.

In quel momento avvenne un tipico lupus in fabula. Come se lo avessimo chiamato, sentii la porta aprirsi e con uno scatto improvviso mi alzai dalla sedia: “Billy!”  

Quasi corsi in corridoio, bloccandomi però a metà quando notai la busta fra le sue mani. Sentii Elise fermarsi alla mie spalle: “Salve Gutsby, finalmente ci si rivede.”

Lui le rivolse un’occhiata che in altre circostanze mi avrebbe fatto ridere. “Anche per me è un piacere vederti, anche se in condizioni… diciamo particolari!”

La mia amica parve però notare la tensione che riempiva l’aria, quindi recuperò il suo cappotto e ci passò a fianco con uno sguardo di scuse. 

“Dovrete scusarmi, ma credo che questa sera mi perderò le tue salsicce alla Gutsby, voglio andare a casa e fare un bel bagno caldo e poi ho bisogno di riflettere un po’ da sola” disse e sparì lasciandoci pronti ad affogare nel mare di incompresi tra di noi.

“È arrivata una lettera per te” fu lui il primo a parlare. 

“Sì” dissi stupidamente, poi feci due passi verso di lui e presi la busta che lui mi porgeva senza osare ad incontrare il suo sguardo.

Feci per voltarmi, ma Billy fu più veloce.

“Mila… c’è qualcosa che non va?” mi chiese, facendo battere forte il cuore nel mio petto.

“Ecco… io”, deglutii, “Elise ha dei problemi al SIS e la cosa mi turba un po’, tutto qua” risposi con le labbra che mi bruciavano bugiarde, poi allungai la mano e sfiorai le dita di Billy prima di voltargli le spalle e salire le scale.

 

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