Quello che resta

di elenabastet
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo primo ***
Capitolo 3: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 4: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 5: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 6: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 7: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 8: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 9: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 10: *** Capitolo nono ***
Capitolo 11: *** Capitolo dieci ***
Capitolo 12: *** Capitolo undicesimo ***
Capitolo 13: *** Capitolo dodicesimo ***
Capitolo 14: *** Capitolo tredicesimo ***
Capitolo 15: *** Capitolo quattordicesimo ***
Capitolo 16: *** Capitolo quindicesimo ***
Capitolo 17: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


QUELLO CHE RESTA

 

Rating: toni maturi, morte, amore, lutto, struggimento.

Fandom: Lady Oscar.

Note: sono stufa di leggere fanfiction in cui ci sono cameriere cattive e traditrici che svelano a versioni fuori delle righe del generale Jarjayes l’amore tra André e Oscar, per cui ho voluto immaginare una cameriera o simile solidale con i nostri eroi, con un nome che omaggia la protagonista di un film che ho adorato. Il titolo è ispirato ad una frase del bel sceneggiato The Great Catherine con Helen Mirren.

 

Prologo

Mio padre era tipografo e io crebbi in mezzo ai libri, adorandoli fin dall’infanzia. Lui aveva solo me, mia madre era morta dandomi alla luce e non si era più risposato, e io stavo imparando il mestiere, quando lui morì di colpo poco prima che compissi 18 anni, nello stesso anno della morte del nostro amato sovrano Luigi XV. Ovviamente sono ironica.

Ero sola al mondo, non intendevo sposarmi, non volevo chiudermi in un convento e non potevo mandare avanti l’attività di mio padre, perché a noi donne non era consentito. La mia passione per i libri mi salvò, perché mi permise di trovare un impiego come lettrice e bibliotecaria presso una nobile di Jossigny, vicino a Versailles, madame Georgette de Jarjayes.

Questa è la mia storia, è la loro storia, la storia di Amelie Poulain, topo di biblioteca di una nobile casata, e della famiglia Jarjayes.

 

Non avevo scelta, certo, ma sono stata felice di vivere in quella casa, e ancora adesso, a distanza di tanti anni, ricordo i volti di tutti, l’odore di lavanda che c’era in casa, le rose, le meravigliose rose che fiorivano lì vicino e che simboleggiavano tante cose mai perse e rimaste nel mio cuore. Ricordo l’amore e la passione, la follia e la morte, ricordo che capii subito, appena arrivata, che quella non era una famiglia come le altre.

Madame Georgette Jarjayes era una bella donna all’epoca sulla cinquantina, gentile, colta, con capacità artistiche. Lavorare per lei è stato un onore, mi lasciò pieno accesso alla sua biblioteca, pretendendo poco da me se non che tenessi a posto i volumi, che ogni tanto le leggessi qualche pagina e che la accompagnassi con la mia voce quando suonava il clavicembalo per intrattenere i pochi ospiti che venivano a casa sua, essenzialmente le figlie ormai grandi con le loro famiglie, tutte persone per bene di cui ho bei ricordi, anche se ormai un po’ confusi. Sono altri quelli che sono rimasti nel mio cuore.

La mia superiora in casa era però la mitica governante Marie Grandier, un terremoto che mi arrivava ad una spalla, e io non sono alta, capace di mettere tutti in riga con uno sguardo, ma amabile, divertente, simpatica e amante del buon vino. Marie… malgrado fosse molto più vecchia di me, una nonna di nome e di fatto, condividemmo tante cose insieme, gioie e poi anche tante lacrime, fu inevitabile.

C’era poi il padrone, il temibile generale Jarjayes, un uomo affascinante, certo, ma folle, e anche perverso, malvagio. No, non voglio essere fraintesa, non perverso e malvagio come si può pensare verso noi serve. Anzi, rispetto a quello che continuano a subire tante ragazze a servizio, io non posso certo lamentarmi, era un uomo corretto e integerrimo da quel punto di vista, fedele alla moglie e totalmente lontano da certe cose, ne sono certa. Ma la fedeltà era una costante di quella casa, come capii ben presto.

La sua follia era di altro tipo e non rivolta verso di me, ma verso qualcuno a cui ho voluto bene per tutta la vita, dalla prima volta che la vidi.

E infatti poi c’erano loro due, le due persone che ho amato con tutta me stessa, che giurai che avrei fatto di tutto perché fossero felici, perché da ragazzina, quando ero appena arrivata credevo alle fiabe, al per sempre felici e contenti insieme.

Se l’amore è tutto ciò che resta di noi quando ogni altra cosa è svanita, posso dire che l’amore che ho provato per quei due esseri meravigliosi è ancora dentro di me, per quello che conta ormai. Loro vivono nel mio cuore, per sempre giovani, per sempre innamorati, per sempre insieme, come spero che in fondo siano, da qualche parte.

Sto ovviamente parlando di Oscar François de Jarjayes, la sesta figlia del generale e di madame Georgette, cresciuta da suo padre come un maschio nella sua follia, la creatura più bella che ho mai visto nella mia vita, coraggiosa come una leonessa e fragile come una rosa, e di André Grandier, il nipote di Marie, suo attendente, fratello, amico e eterno amore.

Ricordo ancora il giorno che li conobbi, ero appena arrivata, mi ero sistemata nella mia stanza, uscii per scendere in cucina e ricevere istruzioni su come muovermi in casa e li incrociai sulla scala. C’era il sole che entrava dalla finestra, e i capelli biondi di Oscar brillavano come oro puro, mentre André le andava dietro, come un’ombra, con quegli occhi verdi smeraldo, con uno sguardo adorante, come non ho mai più visto in nessuno. Ancora oggi auguro a qualunque donna che incontro di trovare un giorno qualcuno che la guardi e ami come André guardava Oscar, ma è praticamente impossibile che succeda. Io l’ho visto, e mi ha riempito la vita per sempre.

Mi presentai con un inchino e Oscar mi disse:

“Ma lasciamo perdere queste formalità, sono felice che voi siate venuta a vivere da noi. Grazie per quello che farete per mia madre, lei adora i libri, ma anch’io, solo che non ho molto tempo per leggerli”.

André invece mi invitò a chiamarlo per nome e a dargli del tu. Ricordo ancora la sua bellezza, e ricordo che capii subito quanto amasse Oscar. Io del resto sapevo che era una donna, e non poteva essere altrimenti, si capiva.

In quel momento giurai a me stessa che avrei fatto di tutto perché fossero felici e contenti come nelle fiabe. Quanto ero ingenua, nella vita nessuno vive felice e contento per sempre, e l’amore è allora l’unica cosa che resta oltre il tempo. Ma lo avrei scoperto poi, a mie spese e non solo.

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Capitolo 2
*** Capitolo primo ***


QUELLO CHE RESTA

 

Rating: toni maturi, morte, amore, lutto, struggimento.

Fandom: Lady Oscar.

Note: sono stufa di leggere fanfiction in cui ci sono cameriere cattive e traditrici che svelano a versioni fuori delle righe del generale Jarjayes l’amore tra André e Oscar, per cui ho voluto immaginare una cameriera o simile solidale con i nostri eroi, con un nome che omaggia la protagonista di un film che ho adorato. Il titolo è ispirato ad una frase del bel sceneggiato The Great Catherine con Helen Mirren.

 

Capitolo primo

Le mie giornate a palazzo Jarjayes furono per diverso tempo serene, anche se un po’ monotone, avevo il mio incarico in biblioteca, i ruoli di rappresentanza che dovevo tenere nelle rare occasioni mondane della famiglia e le mie ore libere durante le quali andavo al mercato o a fare lunghe passeggiate nel parco di Versailles, lontana dai nobili, nelle zone più selvagge.

Ricordo però ogni evento importante come fosse avvenuto ieri: alcuni mesi dopo il mio arrivo, madamigella Oscar fu nominata colonnello della guardia personale della regina, che io, tra l’altro, vidi forse solo una volta o due in quegli anni. Parlo di Sua Maestà Maria Antonietta.

Io stavo riordinando i libri come al solito, era una bella giornata e la finestra era aperta. Sotto nel cortile sentivo Oscar e André che duellavano. Ogni tanto mi affacciavo ad ammirarli perché erano uno spettacolo, e in uno di quei momenti si affacciò anche il padrone:

“Oscar, ci sono grandi novità da Versailles”.

Maria Antonietta voleva averla ancora più vicina, le voleva davvero molto bene e credo che per molto sia stato reciproco. Ho sentito negli anni successivi tante cose contro la nostra regina, anche dopo che era morta, ma so che Oscar la ammirava e appoggiava e conoscendo lei penso che non fosse la donna orribile che viene dipinta oggi. Certo, ha fatto degli sbagli, anche imperdonabili, ma non certo quello di nominare Oscar colonnello.

Ricordo che aspettai con Marie e André Oscar che si cambiava con la nuova uniforme rossa, i due padroni erano probabilmente a corte o la aspettavano sotto, non ricordo, non erano molto presenti come genitori, salvo il padre per metterla in difficoltà.

Noi tre avevamo il privilegio di condividere con lei un momento personale e di vederla per primi. Non volle che la aiutai a vestirsi, non quella volta.

Quando uscì da camera sua con quella divisa rossa che brillava mandammo tutti e tre grida di giubilo. Io ero sincera, era splendida, la più bella creatura che io abbia mai visto, Marie era commossa come se fosse lei la sua mamma e André… beh, se avevo qualche dubbio sui suoi sentimenti, lo persi da come la guardò. Del resto a lui bastava occuparsi di lei in silenzio, ma in ogni sua parola, in ogni suo sorriso, in uno suo gesto, in ogni suo sguardo, c’era amore.

Oscar mangiava sempre, quando era a casa, con André e talvolta c’ero anch’io a tavola con loro, non è mai stata una nobile che guardava gli altri dall’alto in basso, un caso raro, ed è anche per questo che si faceva volere bene. Quando avevo l’onore di stare a tavola con madamigella e il suo attendente era bellissimo, parlavamo di libri, libri del passato e libri appena usciti, ricordo le discussioni sul personaggio di Morgana, che nessuno di noi tre considerava poi così cattivo, anzi. Mi piacerebbe raccontare una versione della leggenda arturiana dal punto di vista dell’incompresa sorella di Artù che ci affascinò tanto, e dedicarla ad Oscar e André.

Non sapevo molto di cosa succedeva a corte, ma un giorno captai un discorso tra Oscar e André su un certo conte di Fersen, che conobbi di persona tempo dopo:

“Sua Maestà è troppo cristallina e schietta, e sta mostrando troppo interesse e simpatia per il conte di Fersen, che continua a venire a corte. Bisogna che gli vada a parlare, André. Questa cosa deve finire prima che diventi pericolosa per la regina”.

“Certo, ti accompagno da lui quando vuoi”.

Andarono il giorno dopo e ricordo ancora cosa accadde quella sera stessa. Io ero in biblioteca quando sentii un gran sbattere di porte, con André che diceva ad Oscar:

“Ti prego, calmati, calmati, non puoi farci niente, lo so che è orrendo quello a cui abbiamo assistito, ma non puoi mettere a repentaglio la tua vita per il tuo senso di giustizia”.

“André, quello è un mostro! Certe cose non vanno permesse, mai!”

Mi affacciai alla scala e vidi André che teneva le mani di Oscar nelle sue cercando di calmarla. Capii che non c’entrava il corteggiatore della regina, ma che era successo qualcosa di ben più grave.

Quella sera, dopo aver accompagnato lui Oscar a letto e averle dato un decotto per calmarla, André parlò a Marie e a me:

“Stavamo tornando da Fersen quando siamo incappati in un ingorgo di carrozze e folla: un bambino, Pierre, aveva rubato una moneta d’oro al duca di Germaine”.

Ah, l’avevo sentito nominare, un bastardo che picchiava i servi e abusava delle ragazze a suo servizio, e dicevano anche che aveva frequentazioni pericolose, con altri nobili depravati come lui.

“Il duca sembrava aver perdonato Pierre e l’ha lasciato andare, ma poi ha tirato fuori la pistola e gli ha sparato alle spalle. Oscar voleva saltargli addosso e fargliela pagare, punendolo, ho dovuto trascinarla via con la forza e cercare di calmarla. Prima piangeva disperata, lei non accetta questo, ed è ignobile! Ma non potevo permettere che rischiasse di venire uccisa anche lei.”

“Che bastardo”, dicemmo sia Marie che io.

“Per favore, non ditele che ve ne ho parlato. Ora vado a vedere se si è addormentata”.

Lo seguii in camera di lei, perché volevo vedere se c’era qualcosa da mettere a posto, qualche libro da portare in biblioteca, e gettai uno sguardo verso il letto a baldacchino, dove Oscar stava distesa di traverso, ancora scossa dai singhiozzi. Vidi André che le accarezzava i capelli e le mani, con dolcezza. Da quello e da altri indizi, io, nella mia ingenuità di ragazzina romantica, pensai per anni che tra loro due ci fosse del tenero da molto prima di quando accadde veramente. Del resto, le relazioni tra padroni e servi esistevano e a volte erano anche dolci e romantiche, André passava spesso la serata in camera di Oscar e su cosa facevano nessuno metteva becco. Ma seppi dopo che non succedeva niente di un certo tipo: quando sarebbe stato meglio se si fossero amati fin da ragazzi, o meglio se lei avesse ricambiato lui e vissuto con lui momenti di dolcezza e passione… Ma sono solo una vecchia romantica.

Qualche tempo dopo, ad un banchetto, Oscar rivide il duca di Germaine e lo provocò insultandolo. Fu sfidata a duello con la pistola, una sfida che lei accettò perché il duca andava punito ma che la spaventava. Ricordo ancora la sera prima del duello, il volto preoccupato di André che mi incrociò in cucina e mi disse:

“Prega per Oscar, non posso perderla”.

Oscar non morì e punì quell’essere ignobile sparandogli alla mano: da allora, il duca di Germaine cadde in disgrazia a corte e fu allontanato, ma credo che continuò a fare le sue schifezze nel suo palazzo. I massacri di Settembre 1792 furono una pagina ignobile nella nostra Storia, ma sono felice che una delle vittime sia stato lui.

Oscar fu relegata per un mese a casa dalla regina per punizione e decise di andare con André ad Arras, nei terreni della famiglia Jarjayes.

La sera prima della partenza, Marie inseguì il povero André per tutta la cucina con in mano il mestolo per punirlo e lo mandò a letto senza cena. Non era nuova a quelle scenate con il nipote, ma stavolta era proprio arrabbiata.

Quando Marie fu andata a dormire, mi infilai nella stanza di André per lasciargli due biscotti. Lui dormiva sotto il lenzuolo, chiaramente senza vestiti, e ricordo che mi sentii sopraffare dall’emozione. Lo stetti a guardare per un po’ e vidi che prima di addormentarsi aveva pianto, non per le botte della nonna ma di sollievo, perché ad Oscar non era successo niente.

L’indomani partirono per Arras, da cui sarebbero tornati diversi giorni dopo. Il generale Jarjayes era con il suo reggimento in Bretagna, ma tornò prematuramente a casa e si arrabbiò moltissimo:

“Quell’incosciente pagherà la sua imprudenza, non doveva lasciare casa”.

Avevo paura io per Oscar, conoscevo la sua furia, ma doveva ancora passare del tempo prima che tornasse.

Fu in quel periodo che iniziai un mio secondo lavoro, segreto, quello di autrice di racconti sentimentali per un gazzettino che veniva pubblicato a Versailles. Non era un pamphlet scandalistico, ma non era comunque considerato una lettura edificante, anche se girava in molte case, anche nobiliari. Io iniziai a scrivere racconti di genere fiabesco, dove c’era sempre una ragazza che andava a combattere contro i cattivi, protetta da un cavaliere e da una maga. Poi pian piano aggiunsi anche altri elementi, non solo avventurosi e fantastici.

Finalmente, un giorno, Oscar e André tornarono a casa.

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Capitolo 3
*** Capitolo secondo ***


QUELLO CHE RESTA

 

Rating: toni maturi, morte, amore, lutto, struggimento.

Fandom: Lady Oscar.

Note: sono stufa di leggere fanfiction in cui ci sono cameriere cattive e traditrici che svelano a versioni fuori delle righe del generale Jarjayes l’amore tra André e Oscar, per cui ho voluto immaginare una cameriera o simile solidale con i nostri eroi, con un nome che omaggia la protagonista di un film che ho adorato. Il titolo è ispirato ad una frase del bel sceneggiato The Great Catherine con Helen Mirren.

 

Capitolo secondo

Oscar era appena tornata da Arras e suo padre andò in camera della figlia. Io ero in biblioteca e cominciai a sentire urla e colpi: mi affacciai sul corridoio e vidi André, pallidissimo e infuriato, che stringeva i pugni per trattenere l’impulso irresistibile a fare qualcosa di irreparabile.

Il generale aveva punito sua figlia picchiandola e buttandola per terra, lui amava quel tipo di correzioni, non seguiva certo le teorie di Jean Jacques Rosseau, e capivo l’indignazione di André. Mio padre non mi aveva mai colpita, solo sgridata e di rado, e aveva dovuto crescermi da solo, ma ero a detta sua una bambina tranquilla. André aveva perso suo padre e sua madre da piccolo, sua nonna ogni tanto lo colpiva a mestolate, ma nella furia del generale a punire quella figlia da lui mai accettata come tale c’era una cattiveria rara.

Mi allontanai, pregando che André non perdesse mai la calma, e con la coda dell’occhio lo vidi poi entrare dopo che se ne era andato il padrone a consolare Oscar, e sentii lei che diceva:

“Io ho agito per giustizia, perché non capisce?”

Sentivo ogni giorno di più il senso di giustizia di madamigella Oscar e il desiderio di André di proteggerla, sostenerla e amarla.

Di lì a poco successe una cosa nuova: madame de Jarjayes stava quasi sempre alla reggia a fare da dama da compagnia alla regina, troppo presa dalla mondanità in cui l’aveva trascinata la nuova arrivata, la famigerata madame de Polignac di sinistra memoria.

Madame aveva ormai i suoi anni e sei figlie alle spalle, e una sera ebbe un malore: Oscar la andò a prendere, sfidando l’ira della regina che l’aveva esiliata da corte, ma non poteva esentarsi. Ovviamente, André era con lei.

Io stavo per ritirarmi a dormire quando sentii delle urla concitate provenire dal cortile e scesi dabbasso: madame era stata aggredita da una ragazzina malvestita, che l’aveva scambiata per la donna che il giorno prima, a Parigi, aveva investito sua madre con la carrozza, a due passi dalla sartoria di Rose Bertin.

Ricordo ancora l’aspetto di quella ragazzina, biondina, con i capelli arruffati e l’aria smarrita, e ricordo come l’accolse Oscar, a braccia aperte, come una figlia. La fece salire in cima alla torre e le fece vedere Versailles, perché la piccola Rosalie credeva che palazzo Jarjayes fosse Versailles.

Rosalie.. volli bene anche a lei, forse di riflesso da Oscar e André. Vidi con quanta dedizione si dedicavano a lei, e quando fu ripulita e vestita bene venne fuori quanto era carina. La nostra madamigella la conosceva da tempo, l’aveva incontrata in una brutta situazione e le aveva dato una mano. Con lei poteva soddisfare il suo istinto di amare e aiutare gli altri.

Capii subito che Rosalie era innamorata di Oscar, anche se seppe fin da subito, come me del resto, che era una donna. Ma in fondo anch’io ero innamorata di lei, lo eravamo tutte, solo che non mi metto a bramare qualcuno che so che non è alla mia portata. Ma anch’io ho fatto sogni folli, in cui ero insieme ad Oscar e André, e ancora oggi arrossisco al pensiero.

Oscar si incaricò di insegnare a Rosalie a tirare di spada e a usare la pistola, perché scaricasse l’odio e la rabbia che aveva dentro di lei e diventasse forte e coraggiosa.

Ebbe più fortuna che con me, a cui aveva proposto all’inizio la stessa cosa, perché riteneva giusto che anche le donne fossero in grado di difendersi. Ma prendere in mano una pistola che sparava e faceva rumore a me terrorizzava, e con la spada facevo davvero pena, sono negata, preferisco i libri.

Oggi rimpiango di non essermi impegnata di più, mentre Rosalie era bravissima. Ricordo ancora con emozione invece le nostre lezioni di equitazione, mie e di Rosalie, insieme ai gatti i cavalli sono i miei animali preferiti.

André ed io invece le insegnammo le materie teoriche dello scibile, che Oscar voleva che imparasse tutte, perché diceva che essere donna non deve precludere niente. André le insegnò algebra, latino, grammatica, ed io storia, scienze e italiano, e le nostre lezioni sono uno dei tanti bei ricordi che ho.

Vidi Rosalie fiorire sotto i nostri occhi, era molto più bella di me, e sembrava una nobile nei modi, come scoprimmo in seguito.

I mesi passavano, e Rosalie andò al suo primo ballo, a casa di madame Elisabeth, da cui tornò alterata perché si era scontrata con la contessina Charlotte de Polignac, che io sapevo essere una gran cafona e maleducata, anche se non si dovrebbe parlare male dei morti male.

Un giorno, tirò fuori la sua bomba davanti a noi tre.

Eravamo riuniti in biblioteca, quando di colpo Rosalie disse:

“Madamigella, conoscete una nobile di nome Martine Gabrielle?”

“Bisognerebbe sapere di più sul suo conto, il suo cognome e il suo titolo”, disse Oscar ed André ed io annuimmo.

“Io so solo questo nome, è il nome della mia vera madre, me lo disse la mia mamma adottiva prima di morire quel giorno”.

“Bisognerà fare delle ricerche sui libri di araldica”, disse André, guardando verso di me e ovviamente io confermai.

Cominciarono così le nostre giornate e nottate in cerca di una traccia di Martine Gabrielle, mentre Rosalie si preparava, sia pure controvoglia, ad essere presentata alla regina a Versailles.

Ricordo quella sera, Rosalie si era addormentata sui libri, mentre Oscar, André ed io continuavamo a spulciarli. Ad un tratto André disse ad Oscar:

“Dai, svegliamola, è mica giusto”.

“No, André, lasciala in pace, è stanca”.

Si guardarono e la guardarono ed io vidi una famiglia in loro tre, un papà, una mamma e una loro figlia. Per fortuna che hanno potuto vivere per qualche anno questo loro rapporto unico. Poi André sollevò in braccio Rosalie e la portò a dormire, tornando poi a lavorare con noi.

La sera del ballo a Versailles Rosalie era bellissima. Io rimasi con Marie a salutarli dall’alto dello scalone mentre si avviavano a corte, Oscar, André e Rosalie, la vera famiglia che ho visto in tanti anni sotto i miei occhi.

Qualche ora dopo, ero ormai a letto quando li sentii rientrare. Rosalie piangeva, ma cosa era successo?

L’indomani, mi fu tutto chiaro quando André mi informò di cosa era accaduto.

“Rosalie ha riconosciuto l’assassina di sua madre in madame de Polignac. Oscar l’ha messa a tacere, ma ho paura che quella donna possa danneggiare lei o Rosalie o entrambe”.

Rosalie rinunciò a malincuore alla vendetta, almeno a parole, anche se conoscevo quella scintilla nei suoi occhi, era una ragazza tosta, di quelle che non si piegano. Ma dato che madamigella Oscar gliel’aveva chiesto, lei si piegò al suo volere, almeno per il momento.

Qualche settimana dopo vidi André arrivare a casa dalla reggia impolverato e sconvolto: mentre passavano su uno scalone, un antico lampadario era caduto e stava per colpire Oscar. Lui l’aveva salvata. Lo vidi agitato.

“Mi sa che dovrò tenere gli occhi aperti. Tu, Amèlie, controlla tutto quello che arriva a palazzo, e soprattutto non accettare niente, anche libri, che possa venire da fonti non certe”.

Annuii: avevo letto dei metodi usati per secoli per avvelenare le persone, dal mazzo di fiori di Gabrielle d’Estrees agli intrighi di Madame de Montespan, e sapevo che certe cose potevano ancora succedere, soprattutto quando si ha il senso di giustizia che aveva madamigella Oscar e ci si inimica la dama preferita dalla regina, una persona non certo cristallina, come sapemmo in seguito.

Qualche sera dopo, le nostre paure diventarono realtà. Arrivò a casa Jarjayes un messo che convocava Oscar a corte perché la regina voleva vederla.

“Senz’altro è una questione urgente, devo andare”, disse lei.

André, ovviamente, non poteva lasciarla andare da sola, e per fortuna la seguì. Rosalie si aggregò, e non ci fu modo di prendere tempo e convocare il padrone, che era a casa del generale Bouillé.

Li guardai andare via in preda ad una profonda inquietudine. Quella cosa non piaceva, né a me né a Marie.

Il tempo passava, i minuti, le ore, né io né Marie riuscivamo ad andare a dormire, e nel frattempo era tornato anche il padrone. Di colpo uno scalpiccìo di cavalli ci fece tutti accorrere fuori.

Come pensava André, era un tranello. Un manipolo di malintenzionati li aveva aggrediti in una radura nel bosco. Oscar era stata ferita alla spalla e stava per essere uccisa, quando era giunto un salvatore imprevisto.

Corsi io in piena notte a bussare alla porta del dottor Lassonne, temendo per la vita di Oscar e infischiandomene dei rischi che potevo correre. Lui giunse trafelato.

A casa, assistetti alla scenata che Marie fece al padrone per come aveva educato Oscar. Come sempre, la nostra governante se la prese con il povero André, che lasciò che la nonna si sfogasse. Credo che comunque si sentisse colpevole, come sempre.

Conobbi anche il misterioso salvatore, che altri non era che il famoso conte di Fersen.

Bello era bello, di un fascino quasi sfacciato, si vedeva che era abituato ad avere tutte le donne ai suoi piedi. Oscar lo guardava adorante, come fosse un cavaliere con l’armatura delle leggende. Percepii il dolore di André, e capii che dietro c’era qualcosa di davvero complicato. Non immaginavo quanto, solo il tempo mi avrebbe fatto capire tutto.

Oscar riprese il suo incarico a corte prima del previsto e il ritorno di Fersen era destinato a far precipitare tutta una serie di cose. Ma io ancora non lo sapevo.

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Capitolo 4
*** Capitolo terzo ***


QUELLO CHE RESTA

 

Rating: toni maturi, morte, amore, lutto, struggimento.

Fandom: Lady Oscar.

Note: sono stufa di leggere fanfiction in cui ci sono cameriere cattive e traditrici che svelano a versioni fuori delle righe del generale Jarjayes l’amore tra André e Oscar, per cui ho voluto immaginare una cameriera o simile solidale con i nostri eroi, con un nome che omaggia la protagonista di un film che ho adorato. Il titolo è ispirato ad una frase del bel sceneggiato The Great Catherine con Helen Mirren.

 

Capitolo terzo

Una sera, un po’ di tempo dopo il ritorno di Fersen, sentii una sera una discussione tra Oscar e André. Lei era davvero agitata e preoccupata.

“Fersen è tornato in Francia per cercare moglie, gli hanno proposto di incontrare una certa Lucille, di origini scozzesi, e ha conosciuto la giovane Germaine Necker, ma lui non ama nessuna delle due. Ma come si può sposare una persona senza amarla? Io non lo sopporterei”.

“Oscar, dovresti conoscere le usanze della vostra classe sociale. Tuo padre e tua madre sono stati un caso felice e abbastanza unico, ma non per tutti è così”.

“Fersen ha detto alla regina che deve sposarsi, e l’ha fatta soffrire. Io non so cosa dire o fare, mi sento le mani legate”.

“Ci sono cose Oscar contro cui non si può fare nulla. Non puoi aiutare nessuno dei due, so quanto ti dispiace”.

La regina era la prima che si era sposata senza amore. Oscar aveva un animo passionale e romantico e forse in anticipo sui suoi tempi. Lei credeva al vero amore, ci ha creduto fino in fondo, e non capiva quanto fosse cinico il mondo. Il problema è che, se aspetti il vero amore, spesso la vita ti passa davanti e resti solo o sola. Ne so qualcosa anch’io, del resto dopo aver visto un amore grande come quello di Oscar e di André come potrei accontentarmi delle briciole?

Nelle settimane successive cominciarono a girare strane notizie, che sentivo quando andavo al mercato e nelle botteghe, riguardo la relazione tra la regina Maria Antonietta e il conte di Fersen. Cominciai a trovare libelli sconci anche negli almanacchi che compravo per madame e Marie, oltre a incisioni al limite della pornografia, io cercavo di far sparire tutto perché sapevo che nessuno nella famiglia Jarjayes le avrebbe apprezzate, ma ormai le voci sulla loro relazione erano fuori controllo.

Presto però successo qualcosa che ci distrasse da pettegolezzi e storielle piccanti.

Avevo continuato a cercare notizie sulla vera madre di Rosalie, guardando libri di araldica e genealogia: con André, quel giorno, andammo in un archivio in un sotterraneo polveroso sotto un palazzo quasi abbandonato a Versailles, a due passi dalla reggia, chissà se esiste ancora, in mezzo a topi e ad altri animaletti francamente schifosi. Ad un tratto io lanciai un urlo.

“Cosa c’è, Amelie, c’era un ragno troppo grosso? O è uno scorpione? Se è uno scorpione stai ferma, può pungerti.”

Per tutta risposta io girai verso André quel volume che avevo in mano: avrei voluto che ci fossero ragni, serpenti, scorpioni, millepiedi e altri animaletti terrificanti, sarebbe stato meglio. Invece c’era quella scritta: Yolande Martine Gabrielle de Polastron, coniugata Polignac. Era lei la madre naturale di Rosalie, quella donna egoista e cattiva, che aveva ucciso la mamma adottiva della nostra protetta e che aveva cento ad uno attentato alla vita di Oscar. Come età c’era, del resto mi erano arrivate alle orecchie delle voci su uno scandalo soffocato quando era ragazzina, e con il senno di poi c’era qualcosa di familiare a guardarle, anche se diverse, gli stessi occhi, gli stessi capelli, un viso simile. Certo, era una cosa terribile.

Rosalie non lo accettò, anzi ricordo ancora quella sera in cui scappò da casa, con una pistola, intenzionata ad uccidere la contessa. Ma non lo fece e tornò a casa a testa china. Non parlò più di uccidere madame de Polignac.

Avevo preso ad andare ai balli a Versailles ogni tanto, nascondendomi tra la servitù, in cerca di spunti per le storie che scrivevo di nascosto per un paio di riviste, favolette zuccherose per fanciulle in cerca di evasione. C’ero la sera in cui quella povera bambina della contessina Charlotte si suicidò buttandosi giù da una mansarda e non voglio pensare al fatto che vidi con la coda nell’occhio quell’ignobile duca de Guiche trascinarla in quella stanza per farle chissà cosa e non feci niente, non volevo guai, ci dicevano di non guardare e non giudicare.

Quando quello schifoso fu trascinato fuori dalla sua carrozza ed impiccato da un gruppo di popolani, pare spinti dai genitori di una ragazzina che aveva seviziato, qualche mese prima della presa della Bastiglia, fui felice. Almeno, che ogni tanto crepassero anche i bastardi e non solo gli eroi.

Rosalie si disperò: “Mia sorella è morta, prima che potessimo volerci bene. Mia sorella è morta a undici anni”.

Ricordo che la notte dopo quel ballo dormii con lei in camera sua, consolandola finché non si addormentò. Non ero Oscar ma dovette accontentarsi. Ho sempre trovato quella morte orribile, un motivo in più per detestare la cara Polignac. Per forza che Rosalie non la voleva come madre, chi la vorrebbe? Ora anche lei non c’è più, la sua fine è stata triste, ma non ho certo un buon ricordo della contessa, per quel poco che l’ho vista, e non credo che ce l’abbia nemmeno la sua altra figlia.

Ricordo un altro ballo a cui partecipai alla chetichella, quello in cui Oscar andò in alta uniforme per ballare con la regina e mettere a tacere le chiacchiere sulla sua relazione con Fersen. Ricordo ancora oggi quanto fosse bella Oscar con quella divisa, ma chi era ancora più emozionato di me era André. Io avevo capito da un po’ di tempo che i miei sogni romantici erano senza fondamento, non erano due innamorati segreti che vivevano una passione proibita, uno splendido spunto per un romanzo, ma non certo reale.

André amava Oscar più della vita, più dell’aria che respirava e dell’acqua che beveva quando faceva caldo, più del cibo e della luce del mattino. Lei doveva ancora capire quanto in realtà lo avesse sempre amato, ma purtroppo si era infatuata dello svedese.

Il conte di Fersen veniva spesso a palazzo Jarjayes, ma i libri, per fortuna, non gli interessavano. Non mi sarebbe piaciuto averlo tra i piedi in biblioteca.

Oscar vedeva in lui l’idea dell’amore, un amore da romanzo, l’amore dei cavalieri. Io vedevo il tormento di André, che le chiedeva di duellare per stare vicino a lei, che piangeva in silenzio, che quel pomeriggio in cui c’era un diluvio pazzesco e Oscar aveva voluto andare da Fersen a tutti i costi, uscì per cercarla per darle il mantello da coprirsi.

Ricordo ancora quando lo vidi uscire di casa di corsa, sotto i goccioloni d’acqua che venivano giù da quel cielo grigio scuro, con in mano il mantello, un suo abbraccio fatto stoffa, cercando di tenerlo all’asciutto e bagnandosi lui.

“Dove vai?”, gli chiesi io.

“A cercare Oscar, avvisa tu mia nonna e Rosalie, è ancora in giro e sono preoccupato”.

Il suo amore per lei era tante cose insieme, tanti amori diversi: aveva le attenzioni di un genitore, il cameratismo di un amico, l’affezione di un fratello, la passione di un amante. Lo vidi partire a cavallo, sotto quel cielo in tumulto, pronto a portarle conforto.

Tempo dopo, li vidi arrivare sotto il diluvio, con i cavalli vicini, lei avvolta nel suo mantello che gli sorrideva. La aiutò a smontare, e io pregai che la abbracciasse, ma la sfiorò appena. Era sollevato, per lui la felicità di lei era l’unica cosa che contava, il fatto che fosse a casa sana e salva era la sua ragione di vita.

Mi avevano raccontato cosa era successo qualche anno prima, quando Oscar aveva sfidato il re Bene Amato Luigi XV per salvarlo dal patibolo dopo un incidente innocuo occorso alla principessa Maria Antonietta, in cui però lei era rimasta ferita gravemente, rischiando grosso. Mi avevano detto che l’aveva vegliata per giorni e notti, finché non si era ripresa: se non era amore quello, non so cosa si possa definire tale.

Avevo una vaga idea, come molti altri, di quello che stava succedendo nelle Colonie americane, dove i ribelli avevano dichiarato guerra al governo inglese costituendo uno Stato indipendente. La Francia mandava truppe perché interessato a indebolire il suo rivale di sempre d’Oltremanica.

Un giorno anche Fersen si arruolò per allontanarsi dalla regina e proteggerla dalle maldicenze.

Ricordo quando André portò il dispaccio della sua partenza, ma Oscar lo sapeva, perché l’aveva salutata di persona. Ricordo Oscar seduta in salotto, pallida e con le lacrime agli occhi, e ricordo che André fece uscire me e Rosalie, con una scusa, disse che erano sbocciati dei fiori selvatici vicino alla scuderia che voleva mostrarci.

Vidi di nuovo la sua pena, ma anche il suo sollievo perché potevano essere di nuovo loro due. Forse, senza il bel conte, le cose sarebbero cambiate, o almeno non ci sarebbero state più le sue visite, che turbavano il cuore di Oscar e recavano dolore ad André.

Prima di uscire con André e Rosalie, sentii Oscar che diceva:

“Per favore, Fersen non morite”.

Ma non era necessario che morisse, poteva trovarsi una moglie oltre oceano, qualche bella ragazza di Washington, pare che ce ne fossero che combattevano con i ribelli, o perché no qualche bellezza della Louisiana o dei territori spagnoli. Per il bene di tanti sarebbe stato meglio che Fersen non tornasse, non ho problemi a dirlo.

Ma i giorni dopo la sua partenza diventarono settimane, le settimane mesi, e pian piano trovammo tutti un nuovo equilibrio, anche André sembrò più sereno. La regina diventò finalmente mamma e decise che le gioie della maternità erano più importanti di balli e frivolezze. Purtroppo, per lei, erano anche più importanti anche di fare la regina seriamente.

Ma Oscar non giudicava e portava avanti il suo compito di Guardia personale e pian piano ci abituammo a una vita più tranquilla, dopo tanti lutti e sconvolgimenti, non sapendo che c’era ben altro all’orizzonte.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo quarto ***


QUELLO CHE RESTA

 

Rating: toni maturi, morte, amore, lutto, struggimento.

Fandom: Lady Oscar.

Note: sono stufa di leggere fanfiction in cui ci sono cameriere cattive e traditrici che svelano a versioni fuori delle righe del generale Jarjayes l’amore tra André e Oscar, per cui ho voluto immaginare una cameriera o simile solidale con i nostri eroi, con un nome che omaggia la protagonista di un film che ho adorato. Il titolo è ispirato ad una frase del bel sceneggiato The Great Catherine con Helen Mirren.

 

Capitolo quarto

Quel giorno di inizio estate, a palazzo Jarjayes, c’eravamo solo io e una delle cameriere, Silvie. Oscar era a corte con André, il generale era a Parigi al comando centrale dell’esercito, madame in visita da una cugina con Rosalie, Marie al mercato con il resto della servitù.

Ad un tratto, sentii un nitrito di cavalli dal cancello di ingresso, che purtroppo era rimasto aperto. Una carrozza entrò nel cortile e si fermò davanti alla porta, io andai a vedere chi c’era.

Dalla carrozza smontarono un uomo in divisa militare, prestante ma con lo sguardo duro, e una splendida donna dai capelli color dell’ebano, con un abito rosso e nero persino troppo sfarzoso per l’ora.

“Il colonnello Oscar de Jarjayes è il mio superiore, ho urgenza di parlarle”, mi disse l’uomo.

“Si trova a Versailles”, dissi io, cercando di essere gentile. No, non mi piacevano, sentivo un’aria di pericolo. Tra l’altro, se era un suo superiore, perché non era in servizio anche lui?

“Ah, dovevamo immaginarlo”, disse la donna, “mademoiselle Rosalie è in casa?”

“No, è uscita”, dissi io.

“Vi spiace se aspettiamo che arrivino? Possiamo entrare in casa?”

“Signori, io sono la bibliotecaria, non ho l’autorità per farvi entrare, tra l’altro credo che fino a domani non tornerà nessuno”. Non era vero, ma lo dissi lo stesso.

“Andiamo, siamo buoni amici del comandante e della sua famiglia, non vorrete mica fare la figura della maleducata, signorina...”, disse l’uomo, avvicinandosi a me, seguito dalla donna. Ero di colpo terrorizzata, quei due sembravano capaci di ogni cosa. Non dimenticherò mai i loro occhi, davano i brividi.

Ad un tratto si affacciò Silvie, che scosse la testa vedendoli, anche lei aveva capito che c’era qualcosa che non andava. Mi sentii meno sola.

In quel mentre arrivò Jacques, il cocchiere dei du Berry, vicini di casa, un tipo sciocco che faceva il filo a Silvie, e non fui mai più felice di vederlo. Anche lui capì che la situazione era strana.

I due si guardarono attorno e poi si guardarono tra di loro, e decisero che era meglio andarsene.

“Torneremo, e sarà meglio che voi tre non diciate niente della nostra visita, sapete, potreste avere dei problemi”, disse la donna.

Quando si allontanarono, tirai un sospiro di sollievo. Raccontai questa cosa solo anni dopo ad André e Rosalie, quando riconobbi chi erano i nostri visitatori, Jeanne de La Motte e il marito Nicholas, che tanti danni provocarono a tutti. Non seppi mai perché erano venuti, e onestamente preferisco così, soprattutto dopo le menzogne che quella donna scrisse nelle sue Memorie su madamigella Oscar.

Nei mesi successivi morì l’imperatrice Maria Teresa, madre della regina, e anche noi aderimmo al lutto. Poi, l’anno successivo, finalmente Sua Maestà diede alla luce il principino Joseph, l’erede al trono, e fu il momento di festeggiare, ricordo ancora quanta birra e vino bevvi con il resto della servitù, Marie in testa, ma anche con Oscar e André. Non andai per locali perché non mi piaceva.

Il tempo passava, e nel 1783 arrivò la notizia che la Guerra di Indipendenza nelle Americhe era finita: ora si chiamavano Stati Uniti, un nome credo profetico, erano una democrazia su modello di quella greca, con un presidente e non un re.

Un giorno André mi chiese se lo aiutavo a passare i dispacci sui morti e sui dispersi in quella lontana terra, per capire cosa ne era stato del conte di Fersen: ricordo il suo sguardo, speranzoso da un lato che non tornasse mai più, e triste dall’altro. Faceva anche quello per Oscar, io lo so, anche se gli costava tanto e lo faceva soffrire.

Fersen non c’era in nessuno dei due elenchi, chissà dove era finito. Il tempo passò e non arrivavano sue notizie, Oscar alternava speranza a disperazione, cercando di non darlo a vedere.

Una sera, vicino a palazzo Jarjayes, vidi dalla finestra della biblioteca un poveruomo senza una gamba, con in mano una bisaccia. Io chiamai Oscar e Andréperche gli dessero una mano, e andai per prima a capire di cosa aveva bisogno, portandogli un paio di biscotti di nonna Marie.

Non era un mendicante, era un reduce della Guerra d’Indipendenza. Da una guerra si torna anche così, vivi ma distrutti nel corpo e nell’anima.

Oscar e André si offrirono di accompagnarlo a casa del compagno d’armi da cui doveva andare a portare i suoi effetti, morto invece in quel lontano Paese di cui fino a non molto tempo prima non avevo mai sentito parlare.

Non tornarono per tutta la notte, arrivarono il mattino dopo che ormai era chiaro, ridotti male, pieni di lividi.

André mi raccontò cosa era successo:

“Oscar ha voluto andare a bere, era disperata. All’osteria un tizio ha iniziato ad importunarci, anzi importunava lei, le ha messo le mani addosso e lei ha reagito, ma anch’io lo avrei menato. Ci hanno pestato, sotto gli occhi attenti di Maximilien Robespierre, quell’avvocato, ne hai sentito parlare, no?”

Annuii. Avevano corso dei rischi.

“Mi hanno pure borseggiato. Per fortuna che non hanno capito che Oscar era una donna, non oso pensare cosa le avrebbero fatto”.

Ho sgranato gli occhi, con terrore. Lei poteva fare la vita che faceva perché era circondata da uomini che la rispettavano e perché spesso la si scambiava per un uomo, non conosceva quello che era capitato a tutte, me compresa anche se non sono una bellezza, le mani addosso, le frasi oscene, le gonne tirate su, le fughe precipitose.

“Io lo capisco sempre, sai Amélie? Ed è una bella donna...”, aggiunse André.

Qualche tempo dopo la regina ebbe il terzo figlio, il principe Charles, che tanto dolore le avrebbe arrecato, sia pure non per colpa sua, povero bambino.

Era il giorno dell’Assunta del 1785, ero andata anch’io a Messa in cattedrale, quando di colpo arrivò una notizia ferale: il cardinale de Rohan, elemosiniere di Francia, odiato dalla regina per la sua condotta scandalosa alla corte della madre in Austria, era stato arrestato perché accusato di aver fregato Sua Maestà con l’acquisto fittizio di una collana di diamanti.

Oscar aveva assistito all’arresto, e la sera lo commentò con André:

“Il cardinale non mi piace, però sembrava confuso e sorpreso. Ma come hanno potuto fregarlo in questo modo?”, disse Oscar.

“Scusami Oscar, ma penso che Sua Maestà la Regina abbia agito troppo d’impulso, già non è amatissima, a corte e non, ma questo è davvero un colpo di mano sbagliato arrestare così il cardinale”, rispose André, “forse era meglio cercare di mettere tutto a tacere”.

“Magari la cosa si sgonfierà”, disse Oscar.

Non si sgonfiò, purtroppo, anzi diventò sempre più grande, come una tempesta che si alza, come quelle onde gigantesche che arrivano sulle coste in giornate tranquille, spazzando via tutto.

Quel giorno arrivai a palazzo con la Gazzetta del giorno, per leggere le notizie, e in prima pagina c’era un ritratto della nuova arrestata, la contessa che aveva pare orchestrato tutto, Jeanne de La Motte. Il cuore mi balzò in petto: era la donna che, quel giorno di qualche anno prima, era arrivata a palazzo Jarjayes.

Dietro di me sentii un urlo soffocato: era Rosalie, la protetta di madamigella Oscar, che ormai era diventata una donna, bella e dolce come poche.

“La conosci Rosalie? Venne un giorno qui a palazzo, eravate tutti via e se ne andò, ma mi fece paura”, le dissi.

“Sì, Amélie, ma non dire niente a madamigella e nemmeno ad André. Lei è la mia sorellastra, siamo cresciute insieme”.

“Cos’è che non bisogna dire a me?”, André ci era arrivato dietro, classico, aveva il passo felpato di un gatto. Gli raccontammo tutto, che conoscevamo entrambe la nuova arrestata, io perché era venuta un giorno a palazzo cercando Oscar, trasmettendomi inquietudine, Rosalie perché erano legate. André promise di non dire niente, ma era sconvolto anche lui. Tutti sapevamo che questa storia non era ancora finita. E purtroppo avevamo ragione, purtroppo.

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Capitolo 6
*** Capitolo quinto ***


QUELLO CHE RESTA

 

Rating: toni maturi, morte, amore, lutto, struggimento.

Fandom: Lady Oscar.

Note: sono stufa di leggere fanfiction in cui ci sono cameriere cattive e traditrici che svelano a versioni fuori delle righe del generale Jarjayes l’amore tra André e Oscar, per cui ho voluto immaginare una cameriera o simile solidale con i nostri eroi, con un nome che omaggia la protagonista di un film che ho adorato. Il titolo è ispirato ad una frase del bel sceneggiato The Great Catherine con Helen Mirren.

 

Capitolo quinto

Mi ero ripromessa di non seguire il processo di Jeanne de La Motte, in cui avrebbe dovuto rispondere dello scandalo della collana, ma non ne potei fare a meno. Anche perché quello era l’argomento del momento, andavo al mercato e ne parlavano, andavo in stamperia e Jeanne era sulla bocca di tutti, andavo in libreria pure, e tutti, dalla servitù ai nobili si interrogavano su questa storia incresciosa, e quasi nessuno credeva alla buona fede della regina.
Ricordo che alla fine decisi di assistere ad alcune udienze: Jeanne, anche se era da settimane in galera, aveva una forza e un carisma senza precedenti, doveva essere stata davvero molto bella, e lo era ancora, di una bellezza pericolosa e venefica.

Rosalie rivelò ad Oscar il suo legame di parentela con la processata, ma non volle che venisse aiutata: senz’altro, oggi posso dire, come altri, che se avessero messo tutto a tacere non ci sarebbe stato questo ulteriore odio per la famiglia reale. Ma era prevedibile? Forse no.

All’inizio, Jeanne negò tutto, ma quando arrivò in aula Nicole Olivier, la giovane prostituta che aveva impersonato la regina, non poté più nascondere cosa aveva fatto, e lì iniziò il suo danno.

“Ho agito in questo modo perché mi è stato ordinato dalla persona che a corte aveva più potere di tutti, e questa persona è Sua Maestà la Regina. Lei mi usava per soddisfare alcuni desideri che non sono proprio l’ideale della sovrana di Francia”.

Tutti ammutolirono e vidi Oscar impallidire, mentre André le stringeva la mano, con l’affetto non solo di un amico. Quello che disse in seguito fu ancora più ignobile:

“La regina Maria Antonietta è nelle mani di due donne, la contessa di Polignac e madamigella Oscar, capitano delle guardie reali, figlia di un generale, una donna travestita da uomo, superiora di mio marito, che ricattava insieme a me. Le due favorite si odiano ma fanno fare alla regina tutto quello che vogliono, sono due depravate che organizzano orge, sono entrambe amanti della regina, e hanno costretto anche me a partecipare e a spendere soldi per loro. Se mi fossi rifiutata la punizione sarebbe stata enorme, e ora infatti, dopo che ho detto di no all’ennesima pretesa ignobile, mi stanno distruggendo. La collana è stata parte di un gioco perverso...”

Oscar avrebbe voluto scagliarsi contro quella bugiarda, André dovette trattenerla, mentre Rosalie piangeva in silenzio, io ero inorridita e tutto il pubblico rumoreggiava. Jeanne fu condannata ad una pena severa, il carcere a vita e la marchiatura pubblica come ladra, ma il danno era stato fatto.

Non andai a vedere l’esecuzione della sua sentenza in pubblico, odio le torture, ho letto di nascosto Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria e condivido quello che scrisse, ancora di più ora che ho assistito a ben altri orrori. Sentii tutti i pettegolezzi su come erano andate le cose, la morbosità di vedere una bella donna mezza nuda torturata e seviziata, beccai anche un paio di battute sconce in tema e rimasi disgustata. Ne parlai con André, né lui né Oscar erano andati, e anche lui era d’accordo con me:

“Ha detto cose ignobili, ha ferito Oscar, per un attimo avrei voluto averla fra le mani, ma quello che le hanno fatto è schifoso. No, non ci siamo”.

Jeanne si mise a ricevere in cella le persone che Maria Antonietta non voleva più vedere al Trianon: a metà luglio del 1786 evase di colpo dalla prigione, in maniera misteriosa. Iniziò allora la caccia per ritrovarla, anche perché alla fine di agosto iniziarono ad uscire dei volumi con le sue Memorie, dove continuava a raccontare perversioni e falsità, anche su Oscar. Rosalie era sconvolta, e lo fummo ancora di più tutti quando le Guardie reali con Oscar furono incaricate di scovarla. André disse:

“Starò con lei, ma la stanno distruggendo, è un’odissea senza fine, c’è qualcosa sotto e di grosso”.

Un giorno, vidi arrivare Rosalie in biblioteca in lacrime. Era andata a fare una cavalcata al fiume da sola, io avevo da fare, e aveva incontrato la contessa de Polignac.

“Non dirlo a nessuno Amélie, ma quella donna sa che io sono la sorella di Jeanne e ha detto che se non vado a vivere da lei danneggerà madamigella Oscar con la mia parentela!”

Le chiesi di riflettere, le chiesi di parlarne con qualcuno, ma Oscar ed André non c’erano, rientrarono il giorno dopo, distrutti, e alla fine Rosalie decise di assecondare quell’ignobile contessa.

La vidi andare via con le lacrime agli occhi anch’io, Oscar ed André la adoravano, e in quel momento, mentre la abbracciavano, io vidi loro tre insieme e capii ancora una volta quello che erano, una famiglia, non unita da legami di sangue, ma da amore e affetto.

Poi ci furono degli eventi concitati, prima Oscar era preoccupata per qualcosa e bisbigliava con André, fu convocata in seguito a corte e la vidi partire di colpo con André e i soldati delle Guardie reali. Capii che c’era qualcosa di grosso in ballo e che probabilmente c’entrava la più ricercata di Francia.

Sparirono per diversi giorni in missione, nessuno sapeva niente, nemmeno il generale Jarjayes, e ricordo ancora quella sera quando vidi spuntare in fondo al viale del parco i due cavalli di Oscar e André. Alexander galoppava senza cavaliere, mentre su Cesar c’era André, che teneva Oscar abbracciata a sé, mezza svenuta. Era stanco, stanchissimo, sconvolto ma anche sereno, finalmente.

Ci precipitammo con Marie incontro a loro, ma André volle essere lui a portare Oscar in casa in braccio, vidi che aveva un brutto segno violaceo sul collo, come se qualcuno avesse cercato di strozzarla. Per un attimo, guardando loro due, vidi uno sposo che portava la sua sposa in casa e mi sembrò una visione bella e dolce, anche se era chiaro che avevano rischiato e non poco, per l’ennesima volta nelle loro vite.

Fu André ad occuparsi di Oscar, chiese a sua nonna uno dei suoi unguenti lenitivi e glielo passò sul collo: lei si era ripresa e vidi che lo abbracciava, riconoscente, mentre lui faceva fatica a trattenere lacrime di sollievo.

Quando la mise a letto era notte fonda, ma né io né Marie riuscivamo a dormire e volevamo sapere tutto.

André si sedette con noi in cucina e ci raccontò cosa era successo:

“Rosalie ci aveva lasciato una lettera di Jeanne da Saverne, verso la Germania, e Oscar non sapeva cosa fare, ma poi è arrivato l’ordine di andare lì a catturarla, quindi qualcuno sapeva dove si trovava. C’era anche suo marito, Nicholas, si erano nascosti in un vecchio convento disabitato, senz’altro hanno avuto degli appoggi. Oscar ha voluto andare da sola per convincerli ad arrendersi, le Guardie ed io siamo rimasti fuori, e ad un certo punto ho sentito che era in pericolo. Non so come, ma ho avuto questa impressione, e non è la prima volta che mi succede. Sono corso dentro, anche se lei aveva detto di non entrare a meno che non si sentissero spari… la mia Oscar era per terra, in una stanza, quel bastardo di Nicholas aveva cercato di strozzarla, ma Jeanne l’aveva fermato e i due erano scappati nel sotterraneo. Si sono fatti esplodere, era tutto pieno di polvere da spero, sono morti e io sono riuscito a portare Oscar fuori. Per fortuna è tutto finito, che paura ho avuto per lei, sono stato vicino a perderla, più di altre volte...”

Nonna Marie gli fece i complimenti, io stetti zitta a vedere il suo amore infinito. L’indomani arrivarono finalmente a casa il generale e sua moglie, che furono felici, bontà loro, di rivedere la figlia sana e salva, e fecero anche i complimenti ad André, ma per lui la cosa migliore era avere Oscar con sé sana e salva.

Nei giorni successivi Oscar si riprese, ricevette un encomio eale e un periodo di riposo e la vidi felice con André, uscivano insieme a cavallo, venivano quando pioveva e verso sera in biblioteca, dove riprendemmo le nostre discussioni letterarie, in particolare su un libro gotico che adorammo, Il castello di Otranto di sir Horace Walpole.

“André ha talento per le storie di fantasmi, dovrebbe scriverne!”, disse Oscar, “potrebbe essere il nostro Walpole”.

Anch’io ogni tanto scrivevo delle storielle anonime gotiche, i racconti sul monastero abbandonato di Saverne mi ispirarono non poco, non so se Oscar e André le abbiano mai lette, venivano pubblicate su un almanacco che girava anche in casa.

Fu un bel periodo, il più felice, leggemmo anche La nuova Eloisa, piangendo tutti e tre tutte le nostre lacrime, Pamela, Moll Flanders e Vathek. Vedevo Oscar e André che scherzavano come due ragazzini, erano sereni, l’unica ombra era Rosalie, che avrebbero voluto che tornasse da loro, ma di cui si erano perse le tracce, aveva lasciato la casa della contessa de Polignac per alcuni contrasti.

Quello avrebbe potuto essere il loro lieto fine, felici insieme, li vedevo uniti, lei lo cercava e lui ne era fiero. Ma il destino aveva deciso altrimenti.

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Capitolo 7
*** Capitolo sesto ***


QUELLO CHE RESTA

 

Rating: toni maturi, morte, amore, lutto, struggimento.

Fandom: Lady Oscar.

Note: sono stufa di leggere fanfiction in cui ci sono cameriere cattive e traditrici che svelano a versioni fuori delle righe del generale Jarjayes l’amore tra André e Oscar, per cui ho voluto immaginare una cameriera o simile solidale con i nostri eroi, con un nome che omaggia la protagonista di un film che ho adorato. Il titolo è ispirato ad una frase del bel sceneggiato The Great Catherine con Helen Mirren.

 

Capitolo sesto

Quel giorno, vidi Oscar e André uscire per andare ad allenarsi con le pistole al fiume: André era felice, gli brillavano gli occhi, e vidi chiaramente che, mentre andavano verso la stalla per i cavalli, prendeva Oscar sotto braccio, scherzando per qualcosa, forse per le facezie che c’erano sull’almanacco che avevo portato a casa, con i volti vicini, complici e legati non solo da una grande amicizia.

Andai a fare un giro nella bottega dei libri in centro a Versailles, sperando nell’arrivo di qualche bel romanzo gotico: Marie mi aveva chiesto se le trovavo un breviario di ricette nuovo, e Oscar e André avevano espresso il desiderio di studiare il gaelico, da quando erano rimasti incantati da un musicista irlandese che avevano trovato per puro miracolo a suonare a Parigi. Fu un giro abbastanza fruttuoso e stetti via fin verso cena, e quando tornai capii che c’erano novità a casa, perché vidi una certa agitazione.

La prima persona che incontrai fu André, nell’androne: era a capo chino e notai chiaramente che stava piangendo. Poi mi vide e cercò di sorridere, e mi disse, vedendo l’involucro con i libri e le pubblicazioni:

“Sei sempre preziosa, Amélie!”.

Io però capii che era successo qualcosa di brutto. Cosa poteva essere? Un libello oltraggioso su Oscar e la regina, sull’onda delle Memorie della De La Motte? Se ne fregavano entrambi, ormai. Una richiesta assurda, magari con punizione, da parte del padrone? Una disgrazia capitata a qualcuno? Brutte notizie da Rosalie? Non sapevo cosa pensare, ma poi arrivò Marie, che fu entusiasta del ricettario che le avevo portato:

“Oh, ne avrò proprio bisogno, ci sono ospiti importanti: è tornato il conte di Fersen!”

Non ho mai avuto l’abitudine di dire o pensare parolacce, ma un bel “merda” mi scappò tra i denti. Non ci voleva, e capivo la tristezza di André, anche se cercava di non darlo a vedere, era davvero un brutto colpo, dopo tanti anni di assenza ormai si era creato un equilibrio tra lui e Oscar che ora rischiava di essere spezzato.

Fersen restò ospite a casa Jarjayes per un po’, io me ne stavo per lo più in biblioteca, il bel conte non mi considerava granché, forse non ero abbastanza interessante per lui, ma beccai vari pezzi di discorsi, sulle sue avventure oltre oceano, ma anche sulle sue preoccupazioni per la situazione in Francia. Io speravo davvero che dopo sette anni Oscar l’avesse dimenticato, ma non era così.

Capitò però un fatto che mi fece pensare a quanto i misteri del cuore del comandante delle guardie fossero intricati. Stavo riordinando i libri in biblioteca, ero alle prese con i dizionari delle lingue, quando di colpo sentii una carrozza che correva veloce a due passi da casa, passando sul viale che dava sul retro del palazzo e di colpo uno sparo.

Un urlo di Oscar mi fece trasalire e correre nel salottino dove c’erano lei, Fersen e André: quando entrai vidi chiaramente che qualcuno aveva sparato contro i vetri della finestra, che si erano frantumati ed erano finiti addosso ad André. Fu un grande spavento e quella era una cosa che fino a non molto tempo prima non sarebbe successa, ma mi si aprì il cuore quando vidi Oscar china su André caduto a terra che lo stringeva, sincerandosi che non fosse ferito, non ha mai potuto sopportare che qualcuno gli facesse del male.

Ma purtroppo Fersen la distraeva. Seppi che il conte svedese voleva convincere Maria Antonietta a tornare a corte per impegni istituzionali e mettersi nel contempo al suo servizio, dopo aver pensato all’inizio di non salutarla nemmeno.

Quella sera, mentre Oscar stava suonando quel pezzo di Bach pieno di passione che lei amava tanto, si capiva che era agitata, io mi affacciai alla finestra e vidi André che stava lavando nella fontana Cesar e Alexander. Li strigliava con il solito amore e dedizione, non ho mai visto una persona amare gli animali come lui, anche quelli che a me e a sua nonna facevano orrore, tipo topi e lucertole. Di colpo lo vidi irrigidirsi e stringere con tutta la forza che aveva la brusca che teneva in mano, fu una delle poche volte che lo vidi in collera, e me le ricordo tutte.

Il trasferimento della regina a Versailles non fu privo di incidenti, so che ci fu un attentato che Oscar sventò, ma non tornò subito a casa con André. Arrivò dopo, trafelata e prese da parte Marie annunciandole una cosa importante.

Ero in biblioteca quando la cara governante arrivò tutta eccitata:

“Su, Amélie, vieni anche tu ad aiutarmi a vestire Oscar! Stasera ha deciso che andrà al ballo vestita da donna. Lo sapevo che facevo bene a cucirle questo abito!”

Andai anch’io in camera di Oscar: lei era sempre stata molto pudica, si era sempre cambiata da sola e nascondeva le pezze con il sangue dandole solo a Marie, e vidi il suo imbarazzo anche di fronte a noi donne. Io le stavo dietro la schiena, e vidi chiaramente la cicatrice che aveva su una spalla, che dovemmo nascondere, ricordo di quel famoso attentato, e quell’altro segno verso il braccio in alto, ricordo della caduta di Maria Antonietta da cavallo. Pian piano ci svelò i suoi segreti, intravidi i suoi seni, perfetti, sodi, tonici, che lei sapeva nascondere così bene, e fui io ad infilarle il bustino che poi Marie le strinse tra le sue proteste:

“Ma come farò a correre e a respirare!” Per fortuna che io portavo poco i corsetti, pur vestendomi da donna, perché erano davvero una tortura. Vidi anche le sue gambe tornite e la sua vita, così diversa dalla mia, magra ed allenata dall’esercizio fisico, e il vestito le stava alla perfezione.

Ricordo il commento che aveva fatto André:

“Sembrerà uno spaventapasseri con l’abito che le penzola da tutte le parti”.

No, non era così, era splendida. Si lamentò e fece i capricci, mentre la truccavamo, ci starnutì un paio di volte in faccia a causa di cosmetici e belletto, e quando la pettinammo non le piacque come le tiravamo i capelli.

“Ahia, ma cosa mi state facendo?”

Ma il risultato fu meraviglioso: non ho mai più visto una donna così bella, seducente, adorabile e non stucchevole. E anche André si dovette ricredere, e lo sguardo che le lanciò era di puro amore e desiderio, lo vidi per un attimo imbarazzato, tra desiderio, passione e anche tristezza, perché lei non si era vestita così per lui.

Ci imbucammo alla festa entrambi, perché volevamo vegliare su di lei, tra il personale della servitù, André rimase dove c’erano le carrozze, io mi misi nell’angolo del buffet, fingendo di dare una mano.

Tutti rimasero a bocca aperta vedendo Oscar, che si presentò come una duchessa russa: sembrava uscita da una fiaba, una creatura di un altro mondo giunta lì, una fata senza tempo, pronta a conquistare tutti.

Le dame la invidiavano, i nobiluomini la bramavano, lei credo che fosse anche molto imbarazzata, con il seno in mostra, in equilibrio sulle scarpette, così diversa da come era suo solito, senza difese, una donna fragile e bellissima, femminile e seducente.

Vidi il caro svedese che le si avvicinava, l’aveva subito notata, bella come era non poteva essere altrimenti, e la invitò a ballare. Poi anche gli altri cortigiani si misero a ballare, io mi distrassi servendo le tartine e ogni tanto mangiandone qualcuna, ed ad un certo punto arrivò André preoccupatissimo che mi chiese dove fosse Oscar.

La bellissima contessa giunta da un Paese straniero era sparita nel nulla, la cercammo per tutta la sera nelle stanze di Versailles, finché un valletto non ci disse di averla vista vicino alla fontana di Latona e che poi era andata a prendere una carrozza a nolo, fuggendo di gran carriera, come Cenerentola, la protagonista della mia fiaba preferita di quando ero bambina.

Arrivammo verso l’alba a palazzo Jarjayes trafelati e disperati, cercandola ancora, perché capivamo che era successo qualcosa. La trovammo sul divano di camera sua, si era svestita alla meno peggio, aveva sicuramente bevuto, e si era addormentata con solo addosso solo la sottoveste e il bustino, e non faceva caldo.

“Per fortuna è a casa, aiutala a togliere l’abito e mettilo via, io cerco di sistemare il resto e non dire niente a mia nonna”, disse André. Mentre eseguivo i suoi ordini, lo vidi girarsi verso il caminetto pudicamente per non vedere gli ultimi veli che cadevano dal corpo della sua amata. Mi aiutò poi ad avvolgere Oscar in una veste da camera, chiudendo gli occhi per rispetto, e poi la mise sul letto, coprendola con attenzione e dedizione, e dandole una furtiva carezza vicino agli occhi per toglierle le ultime tracce di lacrime. Qualcosa era andato male in quella sera magica, che non era stata una fiaba.

Oscar dormì fino al primo pomeriggio e non fece più parola con nessuno sulla festa. L’abito fu messo in solaio e da allora nessuno lo vide più, a volte mi chiedo cosa ne sia stato.

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Capitolo 8
*** Capitolo settimo ***


QUELLO CHE RESTA

 

Rating: toni maturi, morte, amore, lutto, struggimento.

Fandom: Lady Oscar.

Note: sono stufa di leggere fanfiction in cui ci sono cameriere cattive e traditrici che svelano a versioni fuori delle righe del generale Jarjayes l’amore tra André e Oscar, per cui ho voluto immaginare una cameriera o simile solidale con i nostri eroi, con un nome che omaggia la protagonista di un film che ho adorato. Il titolo è ispirato ad una frase del bel sceneggiato The Great Catherine con Helen Mirren.

 

Capitolo settimo

La prima volta che sentii nominare il Cavaliere nero fu dal fornaio, dove Marie, sempre indaffarata e ormai un po’ stanca per colpa dell’età, mi aveva pregato di andare a comprare pasticcini e salatini per la visita di una delle figlie Jarjayes con la sua famiglia.

Presto, questo emulo di Robin Hood fu sulla bocca di tutti: certo, conosco Robin Hood, ne parlavano già negli almanacchi in vendita allora, e la sua storia ci appassionò tutti, ben prima che venisse celebrato dai nuovi autori anni dopo. Ma il Cavaliere nero aveva ben poco a che vedere con il nobile decaduto che torna nella natia Britannia dopo le Crociate, si trova spodestato e decide di combattere contro il perfido sceriffo di Notthingham anche per amore dell’amata lady Marian.

Presto, tutti i nobili cominciarono ad avere davvero paura di questo Cavaliere nero, che non era un violento, non ancora almeno, ma riusciva a derubarli approfittando di feste e periodi di assenza dai castelli, non fermandosi davanti a nessun ostacolo.

Ma il Cavaliere nero non fu la sola novità di quell’inverno strano, a tratti gelido, a tratti con un sole che presagiva cambiamenti.

Sentii parlare per la prima volta delle famose riunioni trisettimanali nella chiesa sconsacrata di Saint Mathieu nella bottega del libraio e, senza volerlo, ne accennai ad André. Io non ci andai mai, lui cominciò a frequentarle, aveva forse solo bisogno di iniziare a fare qualcosa per conto suo, per la prima volta di avere una parte della sua vita in cui non ci fosse Oscar. Ma non durò tanto, anche se abbastanza da provocare conseguenze.

In compenso, io lessi diversi dei libri che consigliavano a queste riunioni, e iniziai a vedere in modo diverso la vita in generale, non la mia, di cui ero soddisfatta, visto che avevo un lavoro, una casa, la mia indipendenza, qualche amico, ma la situazione in Francia.

Oscar decise che voleva catturare il Cavaliere nero, forse era solo un modo per distrarsi da quello che le era successo con Fersen, ma per una volta André sembrava distante, preso da quelle riunioni dove parlavano di cose che sentiva sue, di un mondo che lui sognava. Forse lei lo sospettò davvero di essere il Cavaliere, sta di fatto che quella sera in cui andò al ballo dei duchi di Lamballe cambiò tutto.

Non ricordo dove fossi, probabilmente fu una delle tante sere che passai in biblioteca a riordinare, madame de Jarjayes spesso si assentava e andava dalle altre figlie, stava invecchiando, anche se non sapevo ancora che conseguenze tutto questo avrebbe avuto su noi tutti.

Oscar non tornò a casa, seppi dopo cosa le era successo: si era buttata sulle tracce del Cavaliere, ma l’aveva perso nelle vicinanze del Palais Royal, la residenza del duca d’Orleans, dove ogni tanto piaceva anche a me andare visto che era stata inaugurata quella bella galleria commerciale, oggi sono diffuse, certo, ma allora erano una novità. Qui Oscar era stata aggredita e, quasi svenuta, aveva fatto un incontro che l’aveva stupita piacevolmente.

André era fuori di sé dalla preoccupazione:

“Ma tu non sai Amélie dove sia andata Oscar? Io le avevo detto di aspettarmi, perché non mi ascolta mai? Le avevo detto che non doveva uscire da sola.”

Sembra strano, ma il rapporto tra di loro era così, Oscar ascoltava eccome André e non l’ha mai visto come un servo, anche se in un paio di occasioni glielo fece pesare, ma senza volerlo penso.

Quando, nel pomeriggio, Oscar arrivò a palazzo Jarjayes con Rosalie, che aveva ritrovato a Parigi, tirammo tutti un sospiro di sollievo: ero felice che la famiglia fosse di nuovo al completo, perché Oscar, André, Rosalie e sua nonna furono negli anni la cosa che io sentii più vicino ad una famiglia, dopo aver perso mio padre da ragazzina.

Ma a quel punto Oscar prese una decisione: per catturare il Cavaliere nero si sarebbe finta lui. Ma André non glielo poteva permettere, e fu lui a travestirsi da ladro mascherato, e pare che ci somigliasse pure tanto.

Li vedevamo uscire ogni sera, Marie, Rosalie ed io, e in certi momenti mi sembrava che fossimo tornati ai vecchi tempi, anni prima, quando eravamo tutti più giovani e spensierati, quando non dovevo mettermi le lenti sul naso per leggere le prefazioni dei libri, quando ci divertivamo, quando la vita non ci aveva ancora cambiati. Ma non potevo immaginare cosa sarebbe successo, di nuovo. La vita sarebbe più facile se si potesse fare questo, quante cose si farebbero in maniera diversa, quante parole in più si direbbero e quante altre si eviterebbe di dire… Ma forse davvero non si poteva cambiare niente, forse tutto è già deciso ben prima delle nostre nascite.

La caccia al Cavaliere nero durò un paio di settimane, vedevo che c’era tensione tra Oscar e André, un giorno arrivai a portare loro un libro e li beccai in mezzo ad una discussione, con Oscar che diceva ad André:

“Tu non devi preoccuparti se ci saranno dei momenti tragici per i nobili, tu non lo sei”. André avrebbe dato la vita per lei, io l’ho sempre saputo e stette zitto, rimanendoci davvero male. Non so cosa le era preso quella volta, forse la stanchezza e la preoccupazione per quello che stava succedendo, o forse il dolore per Fersen.

Quella notte, fui svegliata da passi veloci e da urla: il vero Cavaliere nero si era fatto vivo, aveva sfidato André a duello e l’aveva ferito all’occhio sinistro. Non ho mai visto Oscar così preoccupata, sconvolta e addolorata per André, che stava davvero male. Chi dice che lei non tenesse a lui parla a sproposito, così come credo che una parte di lei, quella più pura, dolce e coraggiosa, l’abbia amato da sempre, senza rendersene conto.

Oscar voleva vendicare André, era impulsiva, forse quella volta avrebbe fatto meglio a stare a casa ad occuparsi di lui, anche se c’era nonna Marie, come sempre sollecita.

Pochi giorni dopo chiese ed ottenne un’udienza dal duca d’Orléans al Palais Royal, per vederci chiaro sulla faccenda del Cavaliere nero. Ci pregò di non dire niente ad André, o meglio pregò Marie. Io cercai di evitare André per non dover subire domande a cui non sarei riuscita a rispondere dicendo il falso.

Oscar non tornò a casa quella sera e nemmeno il giorno dopo e Marie dovette dirlo ad André, perché chiedeva di lei. Io sapevo, come tutti, che André sarebbe dovuto stare a riposo e tenersi le bende sull’occhio sinistro per almeno un mese, ma lui corse in soccorso di Oscar.

Lo vidi andare via tremando, seppi dopo cosa era successo, il salvataggio di Oscar e il ferimento di Bernard Chatelet, di cui conobbi la verità sulla sua doppia identità molto tempo dopo, anche se sospettavo che fosse il Cavaliere nero. Oscar lo presentò come un ferito che aveva soccorso, che si trovava per caso sulla sua strada.

Rosalie si innamorò di Bernard, la vidi cambiare, del resto seppi dopo che lo conosceva da tempo, era un volto amico della sua infanzia tornato dal passato. Oscar giurò e spergiurò che Bernard non era il Cavaliere nero, che di recente aveva rubato dei fucili agli uomini del reggimento di suo padre, e lo disse anche a suo padre, pronto a consegnarlo lui per primo alle autorità.

Ad un certo punto, Bernard e Rosalie lasciarono casa Jarjayes, alla chetichella e con la benedizione di Oscar, mentre André perse davvero l’occhio sinistro.

Quei giorni furono all’epoca per me confusi e solo tempo dopo riuscii a dare un senso e a capire tutto l’insieme, quando ormai troppe cose erano cambiate. Sono contenta in fondo che Rosalie sia riuscita, anche solo per un po’, ad essere felice, ma Bernard Chatelet non mi piacque granché allora e non riesco a perdonargli di aver distrutto la vita ad André, anche se lui l’aveva perdonato e Oscar l’aveva seguito in questo perché lo ascoltava sempre.

Ma io non ce la faccio a perdonarlo, no, non riesco. Ho letto il suo libro sulla Rivoluzione, ruffiano e superficiale, c’è di meglio, e l’omaggio che fa ad Oscar ed André è proprio fatto con il rimorso di chi gli ha distrutto la vita, anche se magari senza volerlo. Tanto, ormai anche lui ci ha lasciati, travolto dalla follia sua e non solo.

 

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Capitolo 9
*** Capitolo ottavo ***


QUELLO CHE RESTA

 

Rating: toni maturi, morte, amore, lutto, struggimento.

Fandom: Lady Oscar.

Note: sono stufa di leggere fanfiction in cui ci sono cameriere cattive e traditrici che svelano a versioni fuori delle righe del generale Jarjayes l’amore tra André e Oscar, per cui ho voluto immaginare una cameriera o simile solidale con i nostri eroi, con un nome che omaggia la protagonista di un film che ho adorato. Il titolo è ispirato ad una frase del bel sceneggiato The Great Catherine con Helen Mirren.

 

Capitolo ottavo

In tutti questi anni ho sempre avuto il rimorso di non aver capito che André stava perdendo la vista anche dall’altro occhio. Pian piano, cominciò a non venire più nella biblioteca di palazzo Jarjayes, lui che adorava leggere, che fossero classici antichi o romanzi gotici e d’avventura, senza contare gli almanacchi con notizie e curiosità di cui era lettore assiduo.

Smise di venire, e io non mi feci nessuna domanda, né ne parlai con nessuno, e forse le cose sarebbero potute essere diverse se l’avesse fatto.

Oscar aveva sistemato la questione dello sbaglio sul Cavaliere nero con suo padre, non so come ma l’aveva fatto, e quello che era successo ad André sembrava che l’avesse avvicinata di nuovo a lui.

Quando quel pomeriggio vidi dalla finestra il conte di Fersen che irrompeva in mezzo ad un duello tra Oscar e André, che sembrava riportarci indietro di anni, a tempi felici, pensai che c’erano guai in vista. Quanto avrei voluto sbagliarmi.

Dopo un po’, sentii un tonfo provenire dal salotto dove Oscar aveva fatto accomodare Fersen e un rumore di vetri rotti. Qualcuno uscì di corsa e andò verso le scuderie, guardai un attimo dalla finestra e vidi che era Oscar, con Fersen che le andava dietro deciso, e André che stava in disparte ma non voleva lasciarla sola.

Purtroppo il conte aveva capito che la misteriosa e bellissima dama che un mese e mezzo prima, era capitato così poco tempo prima anche se sembrava che fossero passati mesi, era Oscar ed era venuto a chiedere spiegazioni, spezzandole il cuore.

Scesi dabbasso a vedere se c’era bisogno di una mano, per non disturbare la povera Marie che si era ritirata in camera sua in preda agli acciacchi, e André mi fermò e non mi fece entrare in salotto. Intravidi che c’era Oscar che stava raccogliendo quello che restava di un bicchiere rotto e capii che stava piangendo.

André era straziato e arrabbiato e mi disse a bassa voce:

“Sai cosa le ha detto, Amélie? Che se avesse saputo quando l’ha incontrata che razza di donna bella era si sarebbe molto probabilmente innamorato di lei! Ma perché essere così crudeli?”

Fersen aveva guardato Oscar in abito da dama, scollata e seducente, ma non la vedeva come donna se era una guardia di palazzo. Che persona miope, davvero, Oscar poi era così bella sempre, e si vedeva che era una donna, anche in uniforme. A distanza di tanti anni, continuo a pensare che non è giusto che a noi donne in quanto tali siano precluse delle strade, strade che Oscar poté esplorare, senza mai alla fine dimenticarsi di essere come le sue altre sorelle. André amava Oscar per quello che era, e io amavo entrambi e li amo ancora.

Quella notte dormii male, sapevo che André, non potendo fare niente per aiutare Oscar e nemmeno per farla sfogare, era andato a bere in un’osteria. L’indomani mattina c’era un’atmosfera tesa, ad un tratto Oscar venne in biblioteca da me e tra le altre cose mi disse:

“Una volta che avrò lasciato la Guardia reale e probabilmente andrò lontana, raccomando anche a voi Amélie la casa e la mia famiglia”. Mi dava del voi, invece che il solito tu, come se volesse alzare delle barriere, e io non ero la sola con cui faceva così.

André era sconvolto, e un paio di volte lo beccai con gli occhi rossi e il capo chino. Ma niente dava da pensare a cosa stava per succedere.

Seppi che Oscar era andata dalla regina a comunicare la sua decisione e a chiedere un nuovo incarico: quando era a palazzo, stava da sola, evitava tutti, faceva lunghe cavalcate o si chiudeva nella sua stanza, finché non si arrivò a quella sera, a quella notte.

Rimasi in biblioteca perché, a lume di candela, avevo iniziato uno di quei lavori folli che facevo per sfogarmi quando mi sentivo inquieta, riordinare i libri in base a qualche criterio nuovo, stavolta era in base agli argomenti.

Ad un tratto uscii per andare a dormire, stanca, e vidi André, appoggiato fuori alla porta della stanza di Oscar, con il volto tra le mani, la camicia aperta. Piangeva, e non l’avevo mai visto così distrutto.

“André, ma cosa succede, stai bene?”, dissi, avvicinandomi a lui.

André mi guardò con un’aria disperata che non riesco a dimenticare a distanza di anni:

“Amélie, stammi lontano. Io sono un mostro, sono cattivo e perverso”.

“Ma come, cosa dici? Ma non è vero”.

“Tu non sai cosa ho appena fatto ad Oscar…”

Sapevo che ogni tanto c’era qualche alterco tra di loro, sapevo che Oscar usava André fin da bambina come compagno d’armi e anche come sfogo fisico. Ma avevo sempre visto tanto rispetto tra di loro, era una specie di gioco di scacchi tra di loro, senza avversione e senza violenza.

“Dai, non può essere così grave..”

“Oh lo è, tu sei tanto ingenua e buona… ho fatto ad Oscar la cosa peggiore che un uomo possa fare ad una donna”.

Mi sentii gelare nelle vene, ma come era possibile? André continuò:

“Lei mi ha congedato, ha detto che non devo più occuparmi di lei, perché lei vuole vivere come un uomo. Non ci ho più visto, volevo fermarla, volevo impormi, volevo dimostrarle che non era così, che non poteva stare senza di me, e allora le ho detto Bianca o rossa che sia, una rosa sarà sempre una rosa e non potrà mai essere un lillà. Lei si è infuriata, mi ha schiaffeggiato e scosso..”

Il dolore era palpabile nelle parole di André, mi sentii impotente di fronte alla sua sofferenza e al suo tormento, cercai di replicare:

“Avete litigato, capita...”

“Oh, no, ho fatto una cosa orrenda. Di colpo ho perso la testa, lei era lì, così bella, arrabbiata e… mi eccitava, tu non sai cosa vuol dire questo, perché non sei un uomo. Le ho afferrato i polsi, le ho fatto male, volevo farle male, e poi l’ho stretta a me, l’ho baciata come un amante e l’ho spinta sul letto, lei si dibatteva, mentre io continuavo a violare la sua bocca, a toccarla dove è donna, a tenerla stretta mentre le facevo sentire il mio ardore...”

Rimasi a bocca aperta, e in quel momento capii una cosa: tra loro non c’era mai stato niente di fisico, si adoravano, si volevano bene, erano legatissimi, ma non erano amanti, a meno che non fosse successo qualcosa poco prima, qualcosa di brutto però, non un atto d’amore…

“Le ho passato le mani e la bocca sul collo, sul petto, e lei ha minacciato di chiamare aiuto.. e a quel punto le ho strappato la camicia e l’ho denudata. Per fortuna mi sono fermato, stavo per violarla, per farla mia con la forza. Oscar è scoppiata in lacrime, era umiliata, mi ha chiesto cosa volessi farle, mi sono sentito un verme, ho distrutto tutto quello che c’era tra di noi e l’ho fatta soffrire. Me ne sono andato, ma prima le ho dichiarato il mio amore, tanto la mia vita è finita, non sono degno di stare con lei..”

Cosa rispondere? Come giudicarlo?

“André, dai, coraggio, non fare così”, gli dissi, e gli sfiorai il volto con una mano, non avevo mai avuto a che fare direttamente con la violenza degli uomini, ma sapevo cosa era e poteva essere, ricordavo quella ragazza che quando ero bambina e stavo ancora con mio padre si era uccisa perché stuprata e messa incinta, ricordavo i lividi visti sul collo e sul volto di cameriere e mogli infelici, ma no, André non era un violento.

Lo presi tra le braccia, cercai di cullarlo come un bambino, gli baciai i capelli e a quel punto dovetti affrontare le conseguenze della mia azione di conforto. Mi prese in braccio, ero più piccola di lui, non come Oscar, mi toccò, passò le sue labbra sul mio volto e sul collo, e mi portò in biblioteca, chiudendo la porta.

Avevo avuto un amante, anni prima, da ragazzina, mentre mio padre se ne stava andando, era poco più grande di me, cercai conforto in lui e nulla di più, ma non fu molto soddisfacente, e non solo perché il momento era triste. In seguito, mi ero limitata a qualche bacio e qualche carezza.

André sfogò su di me il suo desiderio represso per Oscar, non so se fui l’unica, credo di no, ma non fu spiacevole, anzi. Lo accolsi per confortarlo, lo accolsi perché lo amavo anche se sapevo che non c’era futuro per noi, e fu incredibile, il poco tempo più esaltante della mia vita, tra le braccia di un disperato che forse salvai dalla follia e dal suicidio. Non fu violento, non fu brutale, usò foga e passione, tenendo gli occhi chiusi per lo più, si prese piacere e a me lo ridiede in cambio, insieme all’illusione di cosa poteva essere un vero amore completo.

Ovviamente, dopo aver soddisfatto le sue brame si pentì:

“Amélie, no, ma cosa ho fatto?”

“Niente, l’abbiamo voluto entrambi, è stato bello”.

“Sono un bruto, lo vedi? Non succederà mai più, cerca di passare dell’acqua al più presto dove ti ho…, ti ho fatto abbastanza male già così, non devono esserci conseguenze”.

Avrei voluto abbracciarlo, ma sapevo di aver avuto fin troppo. Se oggi mi pago l’affitto, il cibo e poco altro scrivendo racconti anonimi sui libelli che eccitano gli animi delle fanciulle e delle matrone di Londra, è merito di quel poco tempo in cui fui l’amante, l’oggetto del desiderio di un uomo che amava un’altra.

Non capitò mai più niente, non passai dell’acqua, e quando, dieci giorni più tardi, arrivarono puntuali le mie regole, piansi, perché avrei voluto un ricordo tangibile di quell’attimo di follia e passione rubato a Oscar e André. E non ci poteva essere altro per me, e non ci poté essere più altro.

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Capitolo 10
*** Capitolo nono ***


QUELLO CHE RESTA

 

Rating: toni maturi, morte, amore, lutto, struggimento.

Fandom: Lady Oscar.

Note: sono stufa di leggere fanfiction in cui ci sono cameriere cattive e traditrici che svelano a versioni fuori delle righe del generale Jarjayes l’amore tra André e Oscar, per cui ho voluto immaginare una cameriera o simile solidale con i nostri eroi, con un nome che omaggia la protagonista di un film che ho adorato. Il titolo è ispirato ad una frase del bel sceneggiato The Great Catherine con Helen Mirren.

 

Capitolo nono

Oscar chiese ed ottenne di cambiare mansione all’interno dell’esercito e fu destinata alla Guardia metropolitana di Parigi, a partire dal 15 aprile di quel 1787.

Decise che sarebbe andata nella villa di famiglia in Normandia, vicino ad Etretat, un posto che ricordo come un sogno, ci andai solo una volta, in riva al mare, con una spiaggia perfetta per correrci a cavallo.

Comunicò questa scelta a Marie, me e gli altri membri della servitù, la memoria inizia a tradirmi, non ricordo i loro nomi di preciso e chi c’era ancora in quel periodo. Marie, André ed io fummo i tre che passarono più tempo a palazzo Jarjayes, gli altri andarono e venirono nel corso degli anni.

André non c’era, credo che si fosse accomiatata da lui dopo che aveva assistito alla parata in suo onore alla reggia di Versailles, anche se non so cosa si siano potuti dire, dopo quello che era successo, che sapevo solo io e che avrei tenuto per me.

Poi Oscar partì alla chetichella, senza salutare suo padre, che era molto arrabbiato per la sua scelta di lasciare la guardia reale.

Ricordo che lo sentii tuonare contro il povero André, la mattina dopo quella notte famosa:

“André, io ti ho messo vicino ad Oscar perché la proteggessi e le impedissi di fare sciocchezze”.

Ricordo che lui gli rispose, con una voce in cui vibrava tutto il dolore del mondo:

“Oscar mi ha detto che non devo più occuparmi di lei”.

André mi evitò per molto tempo, dopo quello che era successo tra di noi, non so come passasse le sue giornate, temo spesso in osteria, e ad un certo punto sparì, lasciando nella disperazione sua nonna, perché non disse dove andava, uscì e fece perdere le sue tracce.

Ero molto preoccupata, perché più di sua nonna conoscevo il perché della sua disperazione e non avrei mai voluto che facesse qualcosa di inconsulto. Frequentavo ancora abbastanza regolarmente mercati e botteghe, allora chi era al servizio delle famiglie aristocratiche era ancora tollerato, soprattutto se non lo ostentava: iniziai a chiedere notizie di André, qualificandomi come una conoscente di sua nonna, che poi era vero.

Ricordo ancora quel giorno al mercato in place Notre Dame a Versailles, quando Pierre il salumiere mi diede notizie:

“Eravate voi che cercavate André Grandier della casa Jarjayes, il nipote della governante Marie? Mio cugino Louis ha un banco come il mio alle Halles e mi ha detto che dovrebbe essersi arruolato alla caserma dei Soldati della Guardia, in Rue Chaussée d’Antin. Bell’incosciente, con un posto assicurato in una casa nobile, e la nonna di cui occuparsi… Tra l’altro, non credo che abbia vita facile, i soldati a volte sono chiacchieroni e mi hanno detto che non amano il fatto che sia stato l’attendente di un nobile”.

Solo tempo dopo ricostruii i primi tempi di Oscar e André ai Soldati della Guardia e le loro difficoltà: lei arrivò prima del previsto e si trovò di fronte all’ostilità del battaglione, che non amavano i nobili e meno che mai le donne nobili. André ebbe difficoltà perché tutti seppero presto che era stato l’attendente del nuovo comandante, come mi era stato detto da Pierre.

Fu la persona che fu più vicina a loro che mi raccontò questo, tanto tempo dopo, Alain de Soissons, un membro della compagnia, forse il vero e solo amico che abbiano mai avuto. Alain mi disse che aveva conosciuto André nell’osteria dove andava a stordirsi con l’alcool e lui gli aveva chiesto di aiutarlo ad arruolarsi nei Soldati della Guardia. Oscar rimase molto irritata quando se lo trovò davanti, ma poi accettò la sua presenza, cercando di evitarlo, ma senza riuscirci, perché ci sono legami che sono decisi dal destino e non possono essere recisi.

Ogni tanto Oscar e André tornavano a casa in licenza, e io soffrivo a vederli così lontani, lei fredda e lui imbarazzato, anche se non poteva starle lontano.

Un giorno vidi arrivare dalla finestra il nuovo comandante della Guardia reale, che non era altri che il colonnello Victor Clement de Girodelle, per anni sottoposto di Oscar: ricordo che si affacciò con molto interesse alla porta della biblioteca, salutandomi con grande gentilezza e guardando rapito i libri. Non l’ho conosciuto fino in fondo ma mi sembrava una brava persona, ignoro il suo destino ancora oggi, anche lui amava Oscar e non sapevo ancora quanto e fino a che punto.

Girodelle era venuto per parlare con il generale e conte de Jarjayes, e presto fu di dominio pubblico cosa si erano detti: fu Marie a comunicarmelo.

“Sai, Amélie, il conte de Girodelle ha chiesto al padrone la mano di madamigella Oscar!”

Stavo bevendo una tazza di latte e quasi mi soffocai: lei non avrebbe mai accettato e come avrebbe reagito André?

Oscar fu convocata nello studio dal padre e la vidi uscire sconvolta, non si poteva pensare che vivesse come le altre donne. Senza volerlo, sentii un pezzo di una discussione con la madre, che raggiunse dopo nel salottino:

“Mio padre vuole che io butti alle ortiche l’uniforme e viva come una donna. Ma non capisce che ho dei sentimenti, che sono fatta di carne e sangue? Io non posso agire secondo i suoi capricci, ormai il mio destino è essere un soldato, non potrei mai vivere come una donna”.

Eppure era più donna di tutte noi.

Il padrone fece organizzare da un suo amico, il tristemente famoso generale Bouillé, sì proprio quello del massacro del 31 agosto 1790 a Nancy, un ballo con tutti i migliori pretendenti di Francia alla sua mano. Io sapevo che Oscar non poteva accettare una cosa del genere, non volevo sposarmi io, perché ero gelosa della mia indipendenza, anche se ero un’umile bibliotecaria, figuriamoci lei, una rosa fiera e indipendente. Certo, si sarebbe probabilmente salvata, ma il suo destino era diverso.

Seppi in seguito del pestaggio a cui era stato sottoposto André in caserma da parte di cinque balordi che furono poi allontanati dall’esercito, o almeno sentii così, e pensai che forse aveva cercato lo scontro in preda alla disperazione.

Quel mattino, poco prima del ballo, il generale Jarjayes aveva un appuntamento con Bouillé, io ero perplessa per cosa stava succedendo ma non avevo diritto di parola.

“Vedrai che non si sposerà”, disse Alphonse, il giardiniere, mentre era in cucina quel giorno con me e Marie. Di colpo arrivò un messo: il generale Jarjayes era stato ferito da un misterioso sicario, membro di un gruppo di rivoluzionari che commettevano attentati ai danni dei nobili.

Ci furono momenti di panico in casa, ma per fortuna il padrone si salvò. Per fortuna… con il senno di poi non so se fu una fortuna.

Oscar arrivò a casa sconvolta, vidi André che fece il gesto di sorreggerla per consolarla e poi si tirò indietro, perché aveva fatto un giuramento, di non toccarla mai più. Non si seppe mai chi aveva ferito il generale, anche se tempo dopo seppi che questi attentati erano fatti dal giovane Saint Just, un rivoluzionario turbolento, poi diventato uno dei capi del Terrore. Avesse fatto solo lo scrittore di romanzi porno sarebbe stato meglio, sì, li scriveva e li ho anche letti, come la maggior parte delle donne e ragazze di allora, nascondendoli nel messale o in un almanacco sulla moda.

Oscar andò al ballo del generale Bouillé vestita da uomo, io la vidi partire da palazzo, da sola a cavallo, scuotendo la testa, per togliersi quello che per lei era un fastidio.

Non poteva essere altrimenti: la vidi prima tornare a casa con André, ormai era tardi, e se penso che il padrone aveva chiesto a lui di accompagnarla al ballo come cocchiere, mi rendo conto per l’ennesima volta di quanto fosse insensibile. Era ormai tardi per prepararsi, e io la sentii dire ad André:

“Non mi sposerò tanto presto”. Lei avrebbe potuto e voluto sposare solo un uomo, André. Solo che non l’aveva ancora capito, e io mi sono resa conto dopo tanti anni che il loro era comunque un matrimonio, con molto più amore, dedizione e appartenenza che altri. Sono rimasti insieme nel bene e nel male, nella buona e cattiva sorte, nella gioia e nel dolore, da quando erano ragazzini a quando sono stati grandi, legati come non ho più visto nessuno.

Che fossero intimi e quando lo sono diventati a questo punto è irrilevante. Il loro è sempre stato un amore senza limiti, di cui io ho avuto una briciola infinitesimale, capace di riempirmi per la vita per sempre.

Non sentii più parlare del matrimonio di madamigella Oscar, e non venne più nessun corteggiatore. Del resto, la situazione stava peggiorando, il compito dei Soldati della Guardia diventò essenziale e Oscar finalmente si guadagnò la stima dei suoi sottoposti.

Per contro, dato che il mio lavoro in biblioteca era ormai diventato molto marginale, iniziai a dare una mano a Marie anche per altre faccende in casa, come riordinare il guardaroba di una casa sempre più vuota.

Mi ritagliai del tempo anche per andare alle riunioni di un comitato di donne a Versailles, dove giravano le nuove idee di riforme e libertà e per un attimo pensai che un mondo dove fossimo tutti uguali e dove André avrebbe potuto sposare Oscar sarebbe stato perfetto. Ma loro, nel loro cuore, erano già come sposati. Pensai anche che sarebbe stato bello che noi donne avessimo più spazio e diritti, io in fondo ero stata fortunata, avevo trovato persone che non mi creavano problemi, ma non era così per tutti.

Alle riunioni delle donne conobbi Olympe de Gouges, l’autrice della Dichiarazione dei Diritti della Donna e della Cittadina, di cui condivido ancora oggi ogni parola e vorrei che fosse realizzata. Conobbi anche Marie-Jeanne Roland, una donna interessante, anche se preferivo Olympe de Gouges, di cui ricordo ancora le ultime parole, Libertà, quanti crimini vengono commessi in tuo nome!

Allora credevo ancora in ideali e sognavo una società migliore, oggi l’unica cosa che mi scalda il cuore e che è rimasta è il ricordo dell’amore di Oscar e André.

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Capitolo 11
*** Capitolo dieci ***


QUELLO CHE RESTA

 

Rating: toni maturi, morte, amore, lutto, struggimento.

Fandom: Lady Oscar.

Note: sono stufa di leggere fanfiction in cui ci sono cameriere cattive e traditrici che svelano a versioni fuori delle righe del generale Jarjayes l’amore tra André e Oscar, per cui ho voluto immaginare una cameriera o simile solidale con i nostri eroi, con un nome che omaggia la protagonista di un film che ho adorato. Il titolo è ispirato ad una frase del bel sceneggiato The Great Catherine con Helen Mirren.

 

Capitolo decimo

Oscar si guadagnò definitivamente la stima del battaglione dei Soldati della Guardia dopo che fecero da scorta al principe Carlos di Spagna, in visita nel nostro Paese con la moglie e la figlia, nel mirino degli attentati di un gruppo di estremisti.

Alain mi raccontò, tanto tempo dopo, dell’azione più eclatante di questi delinquenti, quando cercarono di uccidere lui insieme ad Oscar ed André in un’esplosione. Rimasero svenuti per un po’ vicino ad un fiume, vicino ad Hallencourt, in Piccardia, e al risveglio Alain vide André che si era stretto mentre sveniva ad Oscar, proteggendola con il suo corpo e tenendole la mano.

“Aveva salvato la sua donna”, mi disse, con le lacrime agli occhi. Non poteva essere altrimenti, era il suo destino.

Capitava che, dato che la paga dei Soldati della Guardia era insufficiente per permettere loro di mantenere le loro famiglie, alcuni di loro vendessero il loro fucile e le loro uniformi, anche se rischiavano grosso. Gerard La Salle, quel povero ragazzo che poi si immolò il 13 luglio insieme a troppi altri, aveva venduto il suo fucile per procurarsi i soldi per curare i suoi fratellini e fu beccato.

Oscar fu accusata di aver tradito e venduto Gerard ai suoi superiori, una cosa senza senso. André cercò di scagionarla, ma Alain era furioso. Ricordo come mi raccontò il fatto a distanza di anni, disperato per aver agito in quel modo:

“Io dovevo dare ascolto ad André, ma ero furioso, credevo che lei fosse come gli altri nobili e quanto mi sbagliavo. Mi odio per come entrai nel suo ufficio, come la malmenai, come la trascinai fuori di peso e la buttai sotto la pioggia, obbligandola a battersi con me. In quel momento ero talmente pieno di odio e rabbia che avrei potuto farle di peggio: lei mi sconfisse, e fu leale con me e non prese nessun provvedimento, e poi fece di tutto per salvare Gerard. E in quel momento capii André, lei era una donna da amare, non solo da ammirare. Il migliore comandante che abbiamo avuto, lo dicevo sempre anche alla mia Diane”.

Ormai la situazione in giro stava diventando difficile, io cominciai a vestirmi in maniera dimessa quando andavo al mercato o in libreria, ero sempre stata molto sobria, ma si rischiava davvero grosso se qualche testa calda capiva che si era legati ai nobili.

Vidi ragazzini che sputavano al mio passaggio e un uomo che mi urlò dietro Puttana dei nobili e preferii pian piano diradare i miei giri, evitando di farmi vedere troppo in giro. Ad Oscar e André capitò però di molto peggio.

Oscar fu forse incosciente, perché volle andare con la carrozza dei Jarjayes all’Opera insieme ad André a ringraziare il generale Bouillet per aver fatto liberare Gerard Lasalle. Ma sottovalutava il pericolo di andare in giro su una carrozza nobile in una Parigi in cui la situazione diventava sempre più tesa.

Una folla inferocita assaltò la carrozza dove c’erano sopra Oscar e André e cercò di linciarli. In loro soccorso arrivò il conte di Fersen, mandato dal generale Bouillet con cui era a teatro, che trovò quasi subito Oscar, pesta e dolorante ma salva, mentre André era stato trascinato via e stavano per impiccarlo ad un palo, un’abitudine che più avanti diventò prassi comune.

Io seppi tutto quando ormai la loro disavventura era finita, quando sentii Marie urlare inorridita vedendoli arrivare e scesi anch’io in cortile, come avevo fatto tante volte anni prima.

Oscar aveva lividi in varie parti del corpo e un grande spavento da mandare via, André aveva varie costole incrinate, una spalla e un braccio lussato, più ferite e lividi. Marie andò in crisi e fui io a dover dare una mano ad entrambi, con la supervisione del dottor Lassonne, anche se André non era dell’idea di essere aiutato tanto, credo che si sentisse in colpa ancora per tante cose.

“Per fortuna neanche questa volta hanno capito che Oscar è una donna”, mi sussurrò André, “mentre quelli mi massacravano io pregavo che non le succedesse niente, quando l’ho vista arrivare con un paio di guardie, ho ringraziato Dio perché non aveva i vestiti strappati..”

Gli feci bere del laudano che avevo da parte e andai da Oscar, che mi chiese una mano per aiutarla a spalmarsi addosso un unguento a base di erbe rinfrescanti.

Aveva un livido sul seno sinistro grande come una mela, e un altro su una scapola, la aiutai soprattutto per quest’ultimo, e notai che stava dimagrendo, mentre a me la cucina preparata con la supervisione di Marie mi lasciava sempre qualche rotondità di troppo.

Non l’avevo mai vista così agitata e angosciata, e non per le botte che aveva preso:

“Ho temuto di perdere André, non potrei vivere senza di lui”, mi disse ad un tratto.

Annuii e lei scosse la testa:

“Si sono accaniti con André, ma lui non è nobile, perché fargli del male? E comunque, se le forze non me lo avessero impedito sarei andata io a salvare il mio André”, disse a mezza voce, e a me stava per cadere la pezzuola con sopra l’unguento. Il mio André, lui era il suo André. Anche se era successa una cosa gravissima, orrenda, andai a letto con un po’ di felicità nel cuore, e nei giorni successivi, finché rimasero a casa in malattia, notai un cambiamento tra di loro.

Oscar cercava di nuovo la compagnia di André, non lo evitava, lo chiamava spesso per parlargli, e non solo di lavoro, ma anche di cavalli, di musica, di letture che aveva fatto. Ripresero a mangiare insieme, una volta o due vennero in biblioteca a salutarmi, e mi sembrò di vedere che gli sfiorava un braccio.

Credo anche che lui ricominciò ad andare in camera sua, a portarle il brandy alla sera, o i vestiti stirati, e voglio pensare che sia successo anche qualcosa di più. Lo devo pensare perché è l’unica speranza che mi rimane dentro.

Qualche tempo dopo, quando si erano ripresi, li vidi arrivare a casa stravolti: Alain, che allora io non conoscevo ancora, non era tornato in caserma dopo la licenza che aveva avuto per il matrimonio della sorella Diane. Oscar ed André andarono a cercarlo a casa e scoprirono che la ragazza si era suicidata perché il fidanzato l’aveva lasciata e Alain continuava a vegliarla, disperato, quasi impazzito.

Li vidi disperati, come in rare altre occasioni, Diane era una rosa in mezzo alla povertà, la ragazza di cui tutti i commilitoni dei Soldati della Guardia erano innamorati, peccato che sia andata dietro ad un ignobile individuo, perché potrebbe essere ancora viva.

Anche qui fu Alain a raccontarmi dei dettagli in più:

“Ero distrutto, arrivai a casa e trovai Diane impiccata. Senza Oscar e André sarei finito in un asilo per pazzi o in prigione o suicida, loro vennero più volte a casa mia, mi difesero di fronte ai vicini di casa che erano esasperati perché loro non capivano il mio dolore, non riuscivo a staccarmi da mia sorella. Vennero varie volte a trovarmi, provando a farmi ragionare, accettando il mio dolore e facendomi sfogare, occupandosi di mia madre e io ad un certo punto diedi il permesso al funerale di mia sorella. La accompagnarono anche loro, poi dopo poco morì mia madre e il comandante Oscar mi disse: Ti metto in licenza, stai via quanto vuoi, finché non starai meglio, il posto sarà sempre tuo, perché ti aspettiamo sempre. Loro erano la mia famiglia e i miei migliori amici, e non essere riuscito a fare di più per loro è il mio grande dolore di sempre.

Ma c’è dell’altro. Un giorno, pochi giorni prima che tutto crollasse, vidi per strada il fidanzato di mia sorella, con la moglie, che voleva lasciare Parigi. C’erano già tafferugli per le strade, e lo avevano fermato alcuni rivoltosi, la situazione non era grave come per Oscar e André a Saint Antoine ma poteva degenerare. André ed Oscar erano con me e capirono subito la situazione e chi poteva essere.

Allontanammo i facinorosi e poi io mi trovai a quattr’occhi con lui e lo guardai con odio. Ma André mi mise una mano sulla spalla e scosse la testa, e il comandante Oscar mi guardò con un’intensità che capii che dovevo lasciarli andare. Perdonare ci rende migliori, io avrei voluto vendicarmi ma non lo feci ed è stato bene così. Hanno salvato la mia anima e la mia vita più volte e non ho potuto contraccambiarli”.

Mentre Alain mi raccontava questa storia, mi commossi. Oscar e André hanno cambiato tanto le nostre vite: una volta ho letto una frase che c’è nei libri sacridegli ebrei, chi salva una vita salva il mondo intero. Mi piace, si adatta bene ad Oscar ed André, e agli eroi in generale, cosa che io non sono mai stata, ma forse Alain sì.

 

E pian piano cerco di portare avanti e terminare questa storia. Poi ci saranno le altre storie, il cross-over con X-Files, le one shot birichine o meno, e altre storie a puntate. Stay tuned.

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Capitolo 12
*** Capitolo undicesimo ***


QUELLO CHE RESTA

 

Rating: toni maturi, morte, amore, lutto, struggimento.

Fandom: Lady Oscar.

Note: sono stufa di leggere fanfiction in cui ci sono cameriere cattive e traditrici che svelano a versioni fuori delle righe del generale Jarjayes l’amore tra André e Oscar, per cui ho voluto immaginare una cameriera o simile solidale con i nostri eroi, con un nome che omaggia la protagonista di un film che ho adorato. Il titolo è ispirato ad una frase del bel sceneggiato The Great Catherine con Helen Mirren.

 

Capitolo undicesimo

La mia vita procedeva comunque in maniera monotona, ma sentivo quello che stava succedendo attorno a me.

Il 1788 fu un anno disastroso per la Francia, non tanto per Oscar e i Soldati della Guardia, ormai affiatati al suo comando, con anche André sempre con lei: carestie e crisi economiche mandarono il Paese in ginocchio, spesso io portavo del cibo in accesso alla parrocchia o all’asilo dei poveri, su richiesta di madame e di Marie, e so che la nostra madamigella approvava. In parallelo si parlava sempre di più della convocazione degli Stati Generali, per approvare nuove tasse.

Nemmeno Oscar, pur essendo aristocratica e vivendo come un uomo, avrebbe potuto comunque presentarsi come deputata per uno dei tre Stati, chissà se un giorno noi donne potremo darci alla politica. Le idee che sentivo esprimere alle riunioni politiche che continuava a frequentare un paio di volte al mese dalle altre donne erano di tutto rispetto: in fondo non eravamo diverse dagli uomini, anzi altrettanto agguerrite, se non di più. Ricordo oltre a Olympe de Gouges e a Marie Jeanne Roland, Theroigne de Mericourt, con una rabbia addosso contro l’altro sesso che le fu fatale nella sua caduta agli inferi della follia, una rabbia che non ho mai visto in Oscar, cresciuta come un maschio, ma molto misurata nella violenza e nell’aggressività. Incrociai anche una volta Lucille Duplessis, poi la moglie di Camille Desmoulins, una ragazza con un animo appassionato e una passione per il martirio che riuscì a mettere in pratica con la usa fine, e anche Charlotte Corday, allora una ragazzina, anche lei pronta ad immolarsi in futuro per la causa.

Io invece non avevo la vocazione al martirio e all’eroismo, ma sono stata circondata da eroi e eroine e da tragedie, anche se alla fine sono stati Oscar e André i più cristallini e coerenti.

Il giorno in cui fu ufficializzata la convocazione degli Stati generali fu anche quando André incontrò di nuovo dopo parecchio tempo Bernard e Rosalie, sotto una nevicata che aveva imbiancato tutto. Per proteggerli da indagini successive su Bernard, e forse anche per una certa irritazione per quello che lui aveva fatto ad André, Oscar aveva mantenuto un certo distacco da loro e li aveva lasciati nell’anonimato, ma ora l’ex Cavaliere nero si metteva in prima linea con l’impegno politico.

André mi disse qualche giorno dopo dell’incontro, quando tornò in licenza:

“Come sta Rosalie?”, ero spersa di lei.

“Sta bene, sembra felice, speriamo che lo sia”.

Mi sono sempre chiesta quanto sia stata felice Rosalie nella sua vita, forse un po’ più di altri che ho incontrato o forse no, mi illudo solo. Ricordo con che sguardo sognante guardava Oscar quando era ragazzina a casa nostra, credo che la amasse e non come un’amica o una benefattrice. Del resto, anch’io la amavo, e quindi la capivo, Oscar ci affascinava tutti e non potevamo far niente per evitarlo. Non so se Rosalie abbia amato davvero suo marito, lì per lì sembrava innamorata, ma chissà poi come sono andate le cose.

I preparativi per la prima riunione degli Stati Generali furono febbrili, e Oscar fu incaricata con i suoi Soldati del servizio di guardia. Quell’inverno fece freddo fino a fine aprile, io mi presi una brutta infreddatura, con febbre e tosse, e anche Oscar.

Ci trovammo a casa entrambe, io lavoravo in biblioteca e non riuscii per diversi giorni a riprendere il mio posto, per fortuna che nonna Marie mi curò con brodo, latte e miele, ma Oscar non volle stare a letto e a riposo più di tanto:

“Il mio posto è con i miei uomini in caserma”, disse prima di andarsene dopo nemmeno due giorni di congedo, forse non voleva stare troppo lontana da André, che non era tornato a casa. Avevo sempre visto Oscar come invincibile e quasi immortale, non svenevole come le altre donne, me compresa, che pur non essendo una damina stretta in un corsetto avevo problemi e debolezze, soprattutto una volta al mese, e non sapevo che anche lei aveva delle fragilità destinate ad emergere in maniera tragica.

In quel periodo, oltre ai suoi doveri di comandante, Oscar cominciò anche a frequentare di nuovo la corte per stare vicina alla regina Maria Antonietta, disperata perché il suo secondogenito, il delfino Louis Joseph, di poco più di sette anni, era gravemente malato e stava morendo.

Il conte di Fersen era sempre l’ombra della nostra regina, viveva a corte anche se non si esponeva, ma tutti sapevano di loro, anche se ogni tanto si assentava dalla Francia, e credo che partì proprio in quel periodo per rispetto verso la coppia reale e il loro dramma.

Ormai io trovavo in giro ogni volta che andavo al mercato dei libelli osceni dove accusavano la nostra sovrana di ogni nefandezza e perversione, te li infilavano in mezzo ai libri, agli almanacchi, persino nei cesti di frutta e verdura, io cercavo sempre di buttarli via, e ricordo lo sguardo addolorato e innorridito di madame de Jarjayes una volta che me ne sfuggì uno nascosto dentro un libro di preghiere.

Lo bruciò lei stessa nel camino, in modo che né suo marito né Oscar, che doveva arrivare a casa di lì a poco, lo vedessero: ma Oscar sapeva tutto, per fortuna che almeno lei la lasciavano in pace nonostante le infamie di Jeanne de La Motte fossero ancora in circolazione.

Comunque, che si accanissero contro una madre disperata, che aveva fatto cose discutibili ma che in quel momento era molto lontana da come era stata, era ignobile. Dicevano anche che Louis Charles, l’altro figlio maschio, non era del re ma di Fersen, tra l’altro era nato che lui era ancora oltre oceano. Ancora non si sapeva di cosa sarebbero arrivati ad accusarla più avanti, proprio verso i suoi figli, che lei adorava.

Il 4 maggio andai anch’io alla sfilata dei deputati degli Stati Generali, e ricordo ancora i deputati del Terzo Stato, tutti vestiti di nero, che sfilarono in mezzo a due ali di folla osannante. Fu una delle ultime volte che vidi Oscar impettita e fiera sul suo cavallo, trovandola bella come sempre, con André tra i soldati che vedeva come sempre solo lei.

Noi donne non avevamo diritto di voto e non potevamo essere elette, ma potemmo assistere in tribuna alla prima riunione degli Stati Generali: a volte il silenzio può essere assordante e terrificante, come quello che accolse la regina Maria Antonietta quando entrò in sala, distrutta dal dolore per il suo bambino malato. Quello fu il prologo a tutto il resto, la prova dell’odio che covavano per lei almeno dai tempi dello Scandalo della collana.

Vedevo in lontananza Oscar, vicina ad una delle porte della sala, e anche se immobile anche lei ebbe un tentennamento di fronte a questo silenzio, a questo odio manifesto. Credo che ne soffrì tantissimo, lei aveva sempre stimato e sostenuto la regina, perché era capace sempre di vedere il buono nelle persone. Ma era troppo rispettosa della forma, forse qualche consiglio in più non avrebbe guastato.

Qualche giorno dopo era a casa in licenza, sua madre era in biblioteca che leggeva alcuni vecchi almanacchi per recuperare i tempi perduti e felici, e Oscar la raggiunse, e ci parlò di alcune cose che non sapevamo:

“Una delle volte che sono andata dalla regina al castello di Meudon ho portato il principino a fare una passeggiata a cavallo, è stato tenerissimo con me, mi adora. Povero bambino, che tristezza per lui e per i suoi genitori, che lo adorano, e non solo perché è l’erede al trono”.

La vidi davvero triste e intenerita per quel bimbo: non ho mai avuto trasporto verso i bambini, avrei accettato un figlio di André, ma sarebbe stata una follia, anche se ho rimpianto tutta la vita per non essere rimasta incinta quella notte, ma Oscar sarebbe stata una madre meravigliosa, non era la donna fredda che in troppi descrivevano. Era sensibile, attenta, affettuosa anche se un po’ burbera, e credo anche molto altro con chi amava davvero, André.

“Il principino mi ha detto che la prossima volta che nasce sarà sano e forte e mi sposerà. Che dolce...”

Sorrisi, che cosa buffa, e vidi anche lei sorridere tra le lacrime. Poi ebbe un colpo di tosse, l’infreddatura di quell’inverno le aveva lasciato degli strascichi, la vita che faceva era molto più dura di quella che facevo io, e anche più pericolosa.

Il principino ebbe ancora una piccola ripresa e poi peggiorò. quella sera Oscar e André erano a palazzo Jarjayes in licenza, fuori pioveva, e di colpo cominciammo a sentire le campane delle chiese suonare perché bisognava pregare per l’anima del nostro Delfino: Louis Joseph era entrato in agonia e per lui non c’era più niente da fare. Oscar aveva detto:

“Il Delfino ha avuto varie crisi, ma si è sempre ripreso, è assistito dai migliori medici, non riesco a pensare che debba morire, così piccolo”. Lei avrebbe voluto un mondo migliore per tutti e non accettava per prima la morte di un bambino che aveva visto crescere e coccolato.

Il 4 giugno 1789 il piccolo morì senza riprendere conoscenza. Oscar andò sotto la pioggia a porgere le sue condoglianze, mettemmo i paramenti a lutto anche in casa, e io andai ad accendere una candela in chiesa e a pregare con altri abitanti di Versailles che vollero unirsi.

Eravamo in pochi, e fuori dalla chiesa qualcuno ci urlò contro:

“Ipocriti, piangete per il figlio di quell’austriaca e di uno dei suoi amanti e non per i bambini che muoiono di fame ogni giorno in Francia”.

Stavo per rispondere per le rime, ma fu Mathieu, il cocchiere dei De Varens, a dirgliene quattro:

“I bambini sono bambini comunque, i figli sono figli comunque, vergognatevi, lavatevi la bocca prima di dire certe cose, schifosi. Ho perso tutti e quattro i miei figli, invecchierò da solo, so come si sentono le loro Maestà, nessuno dovrebbe sopravvivere ai propri figli, e vederli morire da piccoli è un dolore senza fine”.

Nessuno ebbe più il coraggio di dire più niente. Con il senno di poi è stato meglio che Louis Joseph, così come la sua sorellina Sophie vissuta solo un anno, sia morto prima che tutto crollasse. Ancora oggi piango se penso alla sorte di suo fratello Louis Charles e alla triste vita della principessina Maria Teresa.

Ma in giro la gente dimenticò presto il principino, che fu pianto dalla sua famiglia e da poche persone, tra cui Oscar.

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Capitolo 13
*** Capitolo dodicesimo ***


QUELLO CHE RESTA

 

Rating: toni maturi, morte, amore, lutto, struggimento.

Fandom: Lady Oscar.

Note: sono stufa di leggere fanfiction in cui ci sono cameriere cattive e traditrici che svelano a versioni fuori delle righe del generale Jarjayes l’amore tra André e Oscar, per cui ho voluto immaginare una cameriera o simile solidale con i nostri eroi, con un nome che omaggia la protagonista di un film che ho adorato. Il titolo è ispirato ad una frase del bel sceneggiato The Great Catherine con Helen Mirren.

 

Capitolo dodicesimo

Madame de Jarjayes passò tutto il mese di giugno a casa, mi sembra, di sua figlia Hortense, che viveva vicino a Digione. Io avevo poco da fare in biblioteca, Marie voleva continuare a gestire la casa in maniera esclusiva come governante, nonostante avesse superato gli ottant’anni.

Per cui, ebbi tutto il tempo di iniziare a seguire i lavori dell’Assemblea nazionale, insieme ad altre donne, escluse dai dibattiti e dal voto, ma presente. O meglio, allora non si chiamava ancora Assemblea nazionale, il Terzo Stato prese questo nome quando fu escluso dagli incontri degli Stati generali, perché osarono alzare la testa e combattere contro privilegi che davvero non avevano più ragione di esistere.

Non riuscii ad entrare, quel 17 giugno del 1789, nella Sala della Pallacorda, uno dei tanti luoghi dove i nobili si divertivano, per sentire i membri del Terzo Stato giurare di restare uniti finché non avrebbero dato una Costituzione alla Francia. All’epoca, mi piaceva quello che diceva e scriveva Robespierre, mai avrei pensato che un giorno si sarebbe trasformato nel tiranno che diventò.

Ma seppi cosa era stato deciso e ne fui coinvolta: la situazione era molto agitata, c’era entusiasmo, tra noi donne, ma anche preoccupazione.

Finché si arrivò a quel 23 giugno del 1789: pioveva e decisero di far entrare i deputati del Terzo Stato da un ingresso secondario per umiliarli. Noi donne eravamo sotto la pioggia, che cercavamo di ripararci e assistevamo a questa enorme ingiustizia.

La vidi: c’era Oscar a occuparsi del servizio d’ordine, con i suoi soldati, intravidi André e poi altri, come Alain de Soissons, che conobbi poi meglio in seguito. Era ritta vicino a quel nobile schifoso, che faceva entrare i deputati dei nobili e del clero e lasciava fuori gli altri, facendone entrare uno ogni dieci degli altri dall’ingresso di servizio.

Mi accorsi che Oscar stava perdendo la calma di fronte a tanta arroganza e cattiveria, e ad un certo punto prese di peso quell’essere e lo fece volare giù dalle scale, dicendo poi ai suoi soldati:

“Aprite le porte e fate entrare tutti!”, ordinò e tutti urlammo di giubilo, entrando nell’aula, gli uomini sugli scranni per discutere e noi in tribuna a seguire.

Stetti lì dentro per parecchio tempo, per ore, mentre sentivo che fuori pioveva. Non seppi cosa era successo dopo il nostro ingresso, Oscar convocata con i suoi uomini dal generale Bouillet, l’ordine ignobile che le fu dato, di sgomberare l’Assemblea con la forza, il suo rifiuto e il rifiuto dei suoi uomini, che furono tutti arrestati sotto i suoi occhi.

Non seppi allora della sua fuga con André dopo che era stata arrestata, né del fatto che Girodelle era stato incaricato con le Guardie reali di sgomberarci tutti, anche con la forza.

Ad un tratto, Danièle, una giovane che era seduta vicino a me a seguire il dibattito, si sentì poco bene: aspettava un bambino e volle andare a prendere un po’ d’aria. Mi chiese se l’accompagnavo e lo feci volentieri, anche perché avevo un po’ di mal di testa.

Andammo verso il porticato esterno, pioveva, era fresco e ci sentimmo rinfrancate. Di colpo, sentimmo il rumore di vari cavalli al galoppo che stavano arrivando, sempre più vicini. Riconobbi le Guardie reali dai vessilli, e vidi che erano armate di tutto punto. Ebbi paura, guardai Danièle, poco più in là c’erano due anziani, un ragazzino che vendeva cialde e una donna con gli almanacchi. Il ragazzino andò a chiamare i deputati, qualcuno uscì, tra cui il marchese di Lafayette.

Eravamo quasi tutti disarmati, non solo noi donne, ma anche la maggior parte degli uomini.

Di colpo, vidi due cavalli imbizzarriti che si mettevano tra il palazzo, dove c’eravamo noi e le guardie reali. Seppi chi c’era su uno dei due: Oscar.

“Voi avreste forse il coraggio di incrociare la vostra spada con me, Girodelle? E voi soldati della Guardia Real, avreste forse il coraggio di sparare al vostro ex comandante? Se proprio volete sparare sulla gente del popolo, allora dovrete passare prima sul mio cadavere”.

Girodelle guardò Oscar con amore, me ne accorsi anch’io e le disse:

“Madamigella Oscar, avete vinto, faccio come volete voi. In definitiva, è una cosa abituale obbedirvi, siete stata per molti anni il mio comandante. Voi sapete che farei qualsiasi cosa per voi”.

Si allontanò con gli altri militari, io tirai un sospiro di sollievo ma poi capii la gravità di cosa era successo, per Girodelle, ma soprattutto per Oscar.

Non ricordo come tornai a palazzo Jarjayes, ero stanca, volevo vedere come stava Marie. Oscar e André erano a casa, sentivo che c’era tensione, e sentii lei che diceva a lui:

“Hanno portato Alain e gli altri alla prigione dell’Abbazia, devo provare a salvarli”.

Sentii che stava tornando a casa il padrone, con un passo pesante e marziale, ed ebbi un cattivo presagio. Poi andaii in biblioteca, dovevo probabilmente mettere a posto dei volumi, ma di colpo dei colpi mi scossero.

Corsi fuori e mi avvicinai allo studio del padrone. Vidi Marie, afflosciata per terra, che piangeva disperata.

La porta era semiaperta, fuori tuoni e fulmini si scatenavano e contro la finestra si ergeva la figura del generale, con in mano una spada sguainata. Non mi ci volle molto per capire cosa stava succedendo: per una questione d’onore lui voleva uccidere Oscar per il tradimento che aveva commesso senza aspettare la decisione del re, André si era avvicinato alla porta subdorando qualcosa e, quando aveva capito le sue intenzioni, aveva tentato di fermarlo, ed era stato sopraffatto. Allora mi sembrò impossibile come cosa, vedendolo giovane e forte come era, ora che conosco il suo problema capisco perché capitò.

“Mi dispiace, non posso perdonarvi!”, urlò lui, pronto ad ucciderli.

André disse parole che sono ancora nel mio cuore:

“Allora, se dovete ucciderci, uccidete prima me, perché se mi uccidete dopo, sarò costretto ad assistere alla morte della donna che io amo”.

Oscar mormorò un “Andrè, io…”

E ricordo che avrei voluto avere una pistola in mano e sparare quando il padrone disse:

“Farò come vuoi: ti ucciderò per primo, Andrè”.

In quel momento, sentii un cavallo che stava arrivando e un urlo provenire dal cortile:

“Un messaggio da Sua Maestà per Oscar François de Jarjayes!”

Corsi io ad aprire alla porta, sperando in un miracolo, sperando che il padrone si fermasse, sperando di non trovarli morti.

Ma dietro di me, capii che c’erano altri, che c’era Marie, che c’era il padrone, e che c’erano anche Oscar e André.

Oscar era stata perdonata, ma il signor generale riuscì a rovinare anche quel momento dicendo:

“Oscar la tua vita è salva.. stupidi!”

Si ritirò nelle sue stanze, e io vidi lo sguardo che si lanciarono Oscar e André prima di allontanarsi insieme. Dovevano parlarsi, perché quei dodici soldati erano in prigione e rischiavano la vita, ma credo che non fecero solo quello.

Da anni mi chiedo quando iniziarono a stare insieme nel senso letterale della parola, ci sono leggende sul bosco degli amanti, vicino a Parigi, dove ancora oggi loro tornerebbero ad amarsi ogni anno a luglio, tra le lucciole e le stelle d’estate. Ma io credo che fosse da prima, e del resto cosa importa? Certi amori sono talmente intensi che brucerebbero il sole e creerebbero un nuovo mondo da zero.

Non pregavo quasi più, ma quella sera pregai per loro e pregai per i soldati. E so che non lo feci abbastanza intensamente.

 

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Capitolo 14
*** Capitolo tredicesimo ***


QUELLO CHE RESTA

 

Rating: toni maturi, morte, amore, lutto, struggimento.

Fandom: Lady Oscar.

Note: sono stufa di leggere fanfiction in cui ci sono cameriere cattive e traditrici che svelano a versioni fuori delle righe del generale Jarjayes l’amore tra André e Oscar, per cui ho voluto immaginare una cameriera o simile solidale con i nostri eroi, con un nome che omaggia la protagonista di un film che ho adorato. Il titolo è ispirato ad una frase del bel sceneggiato The Great Catherine con Helen Mirren.

 

Capitolo tredicesimo

Quella notte fu greve di preoccupazioni, comunque sia stata per Oscar e André e qualunque cosa sia successa tra di loro. L’indomani li vidi uscire insieme sul presto, uno accanto all’altra, non erano spensierati come quando erano ragazzi, ormai gli anni erano passati e le preoccupazioni erano cresciute, ma li vidi ancora più uniti, da qualcosa di talmente forte che non poteva più essere spezzato.

Non ho mai visto un altro legame così forte, e mentre andavano verso la scuderia a recuperare i loro cavalli augurai loro ogni bene, innanzitutto di poter salvare i soldati in prigione. Per André erano amici, soprattutto Alain, e Oscar era affezionata a loro non solo come comandante ma da un punto di vista umano e affettivo. Vorrei averli conosciuti di più e meglio.

Le notizie arrivarono frammentate: Oscar riuscì a contattare Bernard e gli disse cosa era successo, del resto lui lo sapeva già. I compagni di Bernard organizzarono una manifestazione popolare pacifica fuori dal carcere dell’Abbazia, dove i soldati di Oscar erano detenuti. Li avevano già condannati a morte senza processo, una cosa normale allora nell’esercito e in parte ancora oggi.

Andai anch’io là fuori, c’era davvero tanta gente, e rimasi lì per ore e ore, sotto un sole cocente, a manifestare per la loro liberazione insieme agli altri. Vedevo Oscar a cavallo che teneva d’occhio la folla, ad un tratto mi sembrò di perderla di vista, e seppi dopo che era rimasta quasi vittima di un attentato da parte di un misterioso individuo, che poi scappò.

Alla fine della giornata i soldati furono liberati per intercessione di Sua Maestà la Regina, che dimostrò ancora una volta il suo attaccamento per Oscar. Peccato che non abbia poi seguito i suoi consigli.

Tutto pareva essersi risolto per il meglio, ma Oscar si fermò a casa e io la sentii tossire più volte, quando André non era da lei. La vidi anche tornare scura in volto da Versailles dove era andata a ringraziare la regina, André cercò di parlarle e sentii che gli diceva semplicemente:
“Sua Maestà vuole far arrivare gli eserciti delle potenze straniere a Parigi e vuole far sciogliere l’Assemblea nazionale”.

In quei primi giorni di luglio 1789 Oscar era spesso a casa perché aveva preso una decisione: farsi fare un ritratto, il suo primo e unico, una scelta che stupì tutti, suo padre in testa, e anche ovviamente André. Non aveva mai voluto farsi un ritratto, c’era un quadro che rappresentava una ragazza in uniforme molto simile a lei in camera sua, ma era stato fatto a memoria facendo posare una delle sue sorelle e dipingendole addosso un abito maschile. Da quel quadro erano state fatte un paio di riproduzioni, meno belle, e alcune miniature. Ma questa opera doveva essere fatta per rimanere come ricordo ai posteri.

Il pittore scelto era mastro Armand, un ometto ameno, molto simpatico e galante, che conquistò tutti. Chiese anche a me se volevo essere ritratta in mezzo ai libri e declinai l’invito, so che è diventato vecchissimo, quasi centenario. Corteggiò anche Marie.

Oscar stava in posa per delle ore, e si vedeva che era stanca e non stava bene. Anche mastro Armand, che aveva esperienza di anni e anni, sembrò preoccupato dalle sue condizioni e volle velocizzare il suo lavoro.

Disse una frase a Marie, tutta lusingata per le sue attenzioni buffe e simpatiche:

“Bisogna che mi sbrighi, le rose in fiore non durano tanto”.

Marie forse non capì, io intuii. Non avevo mai visto Oscar così pallida, dopo la liberazione dei soldati era come crollata, e André cercava di sostenerla, ma c’era qualcosa che lei non voleva dividere con lui, ogni giorno di più, proprio nel momento in cui sembravano essersi finalmente avvicinati.

In certi momenti li vedevo affiatati, quando lei posava per il quadro lui si fermava a guardare, in adorazione. In altri lei gli sfuggiva dalle mani come l’acqua, non so quanto fossero intimi, credo che André andasse da Oscar di notte quando erano a casa ma non ne sono sicura. Non so cosa capitasse in caserma, ho sentito voci discordanti su questo.

Andare in giro era sempre più difficile, per chi non era armato, come me, c’erano tafferugli e cominciò ad essere difficile, anche per chi era benestante, procurarsi roba da mangiare. Marie incaricò Simon, un droghiere, di portarci il cibo a palazzo, e spesso lui non riusciva a procurare tutto quello che gli veniva chiesto, anche se era pagato a dovere.

Però non ho mai fatto davvero la fame, né io né gli altri a casa Jarjayes.

Madame tornò ai primi di luglio, stravolta e provata da un viaggio lungo e tormentato, durante il quale aveva avuto paura:

“Ad un tratto, vicino a Fontainbleau c’era una folla di persone che ha iniziato a rumoreggiare e a non volerci far passare. Il cocchiere ha cambiato strada, abbiamo allungato il percorso ma meglio così”.

Oscar chiese udienza alla regina, l’11 luglio 1789, dopo una giornata in cui aveva passato tutto il tempo a posare per mastro Armand, sempre più preoccupato per lei e per le sue condizioni.

Ricordo che gli sentii dire a Marie:

“Io ho visto madamigella Oscar, l’8 giugno del 1773, quando visitò per la prima volta Parigi. Era così bella che la sua immagine è rimasta per sempre nel mio cuore, e oggi confondo la lei di allora e la lei di oggi, mentre la ritraggo. Ma lei mi ha detto di non ricordare quel momento, a parte che c’era il sole”.

André mi aveva raccontato quel giorno, io non ero ancora a palazzo Jarjayes e non andai a Parigi a vedere la principessa in visita perché mio padre era già malato e dovetti rimanere con lui. Oscar forse voleva solo non essere troppo triste pensando ad un passato ormai perduto, ad una giovinezza che la stava abbandonando. E dire che era ancora così bella, sempre più eterea, come una creatura ultraterrena.

André era preoccupato, perché sembrava che lei di nuovo lo stesse escludendo dalla sua vita, ma forse vidi io male le cose, perché si seppe come e in che termini erano legati per sempre.

Comunque, Oscar andò a Versailles dalla regina e volle andarci da sola, per un colloquio informale. Rosalie mi raccontò tempo dopo cosa si dissero, perché glielo confidò Maria Antonietta quando si occupò di lei in carcere. Ho ancora la lettera con il suo racconto, Oscar andò per convincerla a non arrivare allo scontro con il popolo, per ritirare le truppe da Parigi, che era ormai prossima a diventare un campo di battaglia.

Ma Maria Antonietta voleva a tutti i costi far sciogliere l’Assemblea nazionale e non cedere davanti a niente, la dinastia dei Borboni per lei non doveva estinguersi mai. A quel punto Oscar prese la decisione più grave della sua vita, sciogliersi dal giuramento di fedeltà verso di lei.

“Madamigella Oscar, se si dovesse arrivare ad uno scontro posso contare sul vostro aiuto nel momento del bisogno?”. Maria Antonietta ricordava ancora quelle parole e le disse a Rosalie.

“Maestà, è molto tempo ormai che non comando più le Guardie reali”, rispose Oscar, tra le lacrime.

Maria Antonietta si era accorta del suo pianto e le disse:

“Perché madamigella Oscar piangete come se ci vedessimo per l’ultima volta? Io spero di rivedervi”.

“Anch’io spero di rivedervi, maestà”, le disse infine Oscar e si allontanò. Ma quello era stato il loro addio, certe posizioni erano ormai inconciliabili. Credo che Oscar abbia sofferto tantissimo per questo, e credo anzi che una parte del suo mutismo e del suo umore di quell’ultimo periodo fosse dovuto a questo suo conflitto interiore, lei era troppo leale e generosa per accettare di venire meno alla parola data verso una donna a cui era legata e devota e nello stesso tempo avrebbe voluto che i sovrani si comportassero in maniera diversa, non poteva accettare certe prese di posizione.

Oscar non avrebbe mai accettato le cose che accaddero però poi alla famiglia reale, e su quello le do ragione. Ma tra lei e la regina, di cui si era sempre occupata con stima e dedizione era nato un solco indelebile, conoscere le vere condizioni di vita della gente come comandante dei Soldati della Guardia e avvicinarsi ad André la avevano cambiata profondamente.

Rosalie mi scrisse che Maria Antonietta rimpiangeva di non aver seguito i consigli di Oscar:

“L’avessi ascoltata molto tempo prima, lei era la migliore di tutti noi, era il mio angelo custode e non l’ho capito che troppo tardi”. Furono queste le sue parole, tra le ultime che pronunciò.

Con il senno di poi si possono costruire cattedrali e palazzi, peccato che le cose si scoprano vivendo, ma Maria Antonietta avrebbe dovuto almeno non far arrivare i soldati a Parigi e trasformarla in un campo di battaglia. Perché so cosa costò a tanti quello. Fu imperdonabile e fonte di ogni dolore e ogni lutto, per tanti, per troppi di noi.

Qualcuno di ottimista una volta mi disse: “Se si chiude una porta si apre un portone”. Oscar chiuse una porta dietro di sé, con grande sofferenza, e per lei si poteva aprire un portone, un portone fatto di libertà e di amore per il suo André. Si poteva aprire, certo, ma a volte non ci sono più portoni da aprire, non in questa vita almeno.

 

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Capitolo 15
*** Capitolo quattordicesimo ***


QUELLO CHE RESTA

 

Rating: toni maturi, morte, amore, lutto, struggimento.

Fandom: Lady Oscar.

Note: sono stufa di leggere fanfiction in cui ci sono cameriere cattive e traditrici che svelano a versioni fuori delle righe del generale Jarjayes l’amore tra André e Oscar, per cui ho voluto immaginare una cameriera o simile solidale con i nostri eroi, con un nome che omaggia la protagonista di un film che ho adorato. Il titolo è ispirato ad una frase del bel sceneggiato The Great Catherine con Helen Mirren.

 

Capitolo quattordicesimo

Il 12 luglio iniziò caldissimo fin dal mattino: André era tornato in caserma, si doveva tener pronto per quando sarebbero giunti ordini dall’alto insieme agli altri soldati, Oscar invece decise di andare anche lei lì ma poi di tornare a casa, perché mastro Armand doveva finire il quadro. Seppi molto dopo dove era stata dopo essere stata a Versailles e cosa aveva saputo dal dottor Lassonne.

A metà giornata, mentre arrivavano notizie preoccupanti e confuse da Parigi, tra assalti ai forni del pane ma anche gente che andava a procurarsi armi dove poteva e tafferugli con un morto alle Tuilieries, mi affacciai alla finestra della biblioteca, dove da giorni non entrava più quasi nessuno.

Casa Jarjayes era in silenzio, si sentivano le cicale cantare, era caldo ma il cielo era limpido, e mi venne in mente che forse con il favore delle tenebre avrei potuto andare a vedere se c’erano le lucciole. Volevo sempre vederle, ogni anno, e me lo scordavo sempre, non venivano vicine alle case, bisognava inoltrarsi nel bosco.

In fondo al viale vidi arrivare Oscar e André, su Cesar e Alexander, pian piano. Pensai che non era la prima volta che li vedevo tornare a casa, da quella finestra che mi dava una piena visuale su chi arrivava da varie direzioni. I loro arrivi erano stati uno spettacolo familiare per tanti anni, eravamo cresciuti e diventati adulti insieme, io la bibliotecaria, Oscar la meravigliosa figlia soldato del padrone e André, il suo attendente, ora militare, a cui mi legava un segreto comunque meraviglioso che non avrei mai rivelato a nessuno finché poteva fare del male.

Pensai a quanto fossero belli, a quanto fossi affezionata a loro, a quanto avrei voluto avere indietro il tempo perduto ma a quanto fossi felice di aver vissuto tutti quegli anni a casa Jarjayes, lavorando, mettendo a frutto quello che sapevo fare, con dignità, stando con loro, conoscendo i loro segreti e le loro vite. Mi sentivo onorata ad aver fatto parte delle loro vite per tutto quel tempo e avrei voluto che tutto continuasse così, anche se intorno a noi tutto stava precipitando.

Vidi che André scendeva da cavallo in maniera un po’ titubante, lui che con i cavalli era tutt’uno, io riuscivo ad andare d’accordo al massimo con i gatti, ma dai cavalli stavo sempre alla larga, e non ho mai imparato a montarli in maniera decente, nonostante Oscar e soprattutto André abbiano fatto di tutto perché potessi farlo.

Strano, pensai, vedendo l’andatura di André e vedendoli arrivare così presto, soprattutto lui. Li vidi entrare insieme, e capii che doveva essere stata Oscar a volere Andrè a casa con lei, in teoria lui sarebbe dovuto restare in caserma.

Mastro Armand era già arrivato, e Oscar andò a fare l’ultima seduta di posa: dopo un po’ fummo tutti chiamati a vedere il quadro ultimato.

Qui a Londra mi capita spesso di visitare quel nuovo museo, la National Gallery, dove si possono ammirare tutti quei quadri, camminando lì dentro come possono ormai le mie stanche ossa. Tutte le volte è una grande emozione, ma niente di paragonabile a come quando vidi quel quadro, dove Oscar era a cavallo, simile a una dea guerriera.

Mastro Armando disse:

“Sento che il desiderio della battaglia brucia in lei come un fuoco senza fine. Per questo ho voluto raffigurarla come Marte, il dio della guerra”.

Non sono d’accordo, anche se quel quadro era davvero meraviglioso. In Oscar c’era desiderio di battaglia, o meglio di lotta per quello in cui credeva, ma c’era anche vita, dolcezza, amore da dare e ricevere, ideali, non era una violenta di natura, tutto il contrario. Voleva un mondo migliore e lo voleva davvero, e non per se stessa, ma innanzitutto per chi amava.

Comunque in quel quadro era bellissima, una dea guerriera da leggenda, mi è capitato anni dopo di leggere storie di fanciulle combattenti provenienti dal Nord e dall’Isola di Smeraldo e ci ho ritrovato Oscar.

André era incantato e capii che lui ed Oscar volevano rimanere soli. Avrei avuto dopo tempo di vedere quel quadro e non sapevo ancora quanto. Sarebbe rimasto l’unico appiglio a qualcosa di bello, ancora dopo tanto tempo.

Andai in biblioteca e vidi arrivare dal fondo del viale un drappello di tre soldati della guardia: uno di loro era Alain de Soissons. Venivano per portare un messaggio ad Oscar, doveva rientrare in caserma al più presto, perché era arrivato l’ordine di andare a Parigi e cercare di fermare l’insurrezione popolare, collaborando con i reggimenti stranieri che erano arrivati in città.

“La situazione è davvero grave?”, chiese Oscar.

“Stanno assaltando l’Hotel des Invalides per procurarsi armi”.

Mi sentii gelare il cuore, gli Invalides era la caserma in cui stavano i soldati a riposo, sopravvissuti alle guerre, ma aveva anche un arsenale di tutto rispetto. Sarebbe successo qualcosa di veramente brutto, lo sentivo.

Oscar decise di partire per tornare in caserma con André. Intravidi il padrone che andava verso la stalla, credo a salutare André. Oscar e André prima salutarono entrambi Marie, me e gli altri membri della servitù, di cui stranamente non ricordo più i nomi, mi confondo.

Non so cosa dissero a Marie, se non che Oscar le lasciò il famoso messaggio per suo padre, che poi lessi anch’io.

Vennero loro in biblioteca da me e li vidi che percorrevano con lo sguardo gli scaffali pieni di libri. Di colpo, pensai alle giornate passate lì insieme, a quando studiavamo con Rosalie, alle nostre discussioni su Ulisse fedifrago che si dava alla bella vita con streghe e ninfe anziché tornare dalla sua Penelope, su Moll Flanders troppo disinvolta ma anche un po’ troppo sfortunata, su come faceva a campare sull’isola Robinson Crusoe o sul perché Bella si affezionava così tanto a Bestia.

Pensai alle nostre risate, al fatto che Oscar non mi aveva mai trattata da serva, a che splendido amore avevo visto tra di loro in quegli anni, al fatto che loro due erano state le persone più importanti della mia vita, comunque, pur avendone conosciute altre.

Ero una zitella ormai, una zitella tutta libri e lavoro, con una vita decorosa in un Paese che stava andando a rotoli, con qualche sogno dentro, che si entusiasmava quando vedeva Oscar e André insieme. Loro erano il sole e le stelle, qualcosa di troppo bello su cui tenere fissi gli occhi e ogni giorno insieme.

Oscar era davvero come una rosa, una rosa bianca, fiera e sgargiante, la vedo ogni anno in ogni rosa che incontro sulla mia strada, e mi piace pensare che dentro viva un pezzo di lei, anche qui, ormai dopo tanto tempo.

Ho letto una volta una citazione della regina Elisabetta I, molto amata dove vivo oggi: Perché dobbiamo temere il domani quando soltanto l'oggi ci appartiene? Ecco come vivevano Oscar e André in quel momento, in quell’oggi eterno dove finalmente c’erano loro due e il loro amore.

“Abbi cura di te, Amélie”, mi disse André, “un giorno o l’altro ti darò una mano con i libri e dobbiamo tornare a fare le nostre discussioni.”

Io pensai a cosa era successo tra noi in quella folle notte, piccole scintille di una passione troppo grande per me che sono fiera di aver comunque vissuto.

“Mia nonna è un po’ agitata”, continuò André, “mi raccomando, stalle vicina domani e nei prossimi giorni, tutto si aggiusterà”. Sapeva rendere tutto migliore. Avrei voluto abbracciarlo ma non potevo, con Oscar lì. Avevo già avuto fin troppo.

“Amélie, cerca di essere prudente e di tener d’occhio la casa”, disse Oscar, “e grazie per tutto quello che fai ogni giorno per tutti.”

“Oh, faccio ben poco”, risposi io arrossendo.

“No, fai molto, rassicuri, preservi le storie e la memoria, porti serenità. Non possiamo essere tutti combattenti, e si combatte anche in altri modi”, disse Oscar. “Dobbiamo riprendere le nostre discussioni letterarie, spero di poterlo fare presto”.

Attendo da allora di poter riprendere quelle discussioni. Ho vissuto tutto il resto della mia vita aspettando quello, a volte di notte lo sogno che siamo di nuovo lì in biblioteca, con i libri in mano a parlarne.

Vidi Oscar e André allontanarsi quel pomeriggio, ancora in pieno sole, verso la caserma e verso quel domani tanto inquietante, ma che credo che non li spaventasse alla fine, perché erano insieme.

Più tardi, quando ormai era notte, andai a vedere se c’erano le lucciole, nel bosco dietro casa, e feci ripensandoci una bella imprudenza, sapendo dei drappelli di sbandati che c’erano in giro. Ma le vidi, meravigliose e evanescenti, avevano riempito tutti i boschi, in quella loro fugace danza d’amore, mentre in cielo splendevano mille stelle, come non le ho mai più viste. Per un attimo, pensai che era tutto splendido, come in una magia, e che sarebbe stato meraviglioso se quella notte fosse durata in eterno. Ma nessuna notte dura per sempre, purtroppo, anche se è la più bella del mondo.

Ma quanto avrei voluto che lo fosse eterna, un incanto da cui non uscire mai più.

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Capitolo 16
*** Capitolo quindicesimo ***


QUELLO CHE RESTA

 

Rating: toni maturi, morte, amore, lutto, struggimento.

Fandom: Lady Oscar.

Note: sono stufa di leggere fanfiction in cui ci sono cameriere cattive e traditrici che svelano a versioni fuori delle righe del generale Jarjayes l’amore tra André e Oscar, per cui ho voluto immaginare una cameriera o simile solidale con i nostri eroi, con un nome che omaggia la protagonista di un film che ho adorato. Il titolo è ispirato ad una frase del bel sceneggiato The Great Catherine con Helen Mirren.

 

Capitolo quindicesimo

I presagi esistono? Forse no, quel 13 luglio e anche il giorno dopo, il 14, da Parigi arrivarono notizie scomposte, c’erano gli scontri, gli eserciti nemici avevano aperto il fuoco sulla folla, forse però qualche reggimento di militari li stava aiutando, c’erano morti, era un bagno di sangue secondo alcuni, ma trapelava poco.

Mi accorsi subito che a palazzo Jarjayes c’era un’atmosfera tesa: il padrone si era chiuso nel suo studio e non voleva vedere nessuno, madame de Jarjayes stava per ore a guardare il ritratto di sua figlia immobile e Marie tratteneva a stento le lacrime. Le altre figlie della famiglia Jarjayes preferirono rimanere a casa con le rispettive famiglie, i nobili cominciavano ad avere paura.

Riuscii a leggere il messaggio che Oscar aveva lasciato a suo padre, perché Marie me lo portò ad un certo punto di quella calda e interminabile giornata: “Padre, vi ringrazio per tutto quello che avete fatto per me. Perdonatemi se vi ho dato dei dispiaceri. Vi ringrazio di avermi amato ed esservi preso cura di una figlia come me” Non so come Marie l’avesse sottratto al padrone, forse lui in un accesso di ira lo aveva buttato via, o forse l’aveva sempre avuto e tenuto lei.

“Secondo te Amélie cosa vogliono dire queste parole? Sarò vecchia, ma non le capisco fino in fondo”.

Potrei dire che capii subito cosa potevano essere, ma non è così. In quel momento le vidi come un tentativo di ricucire lo strappo successo alcune settimane prima, quella terribile sera di cui nessuno parlava più, ma che era ancora nei nostri pensieri.

Non feci sogni premonitori, non ebbi strane sensazioni, la vita non è un romanzo gotico fatto di scricchiolii e apparizioni, forse sarebbe meglio se fosse così, ma non lo è.

Non ricordo cosa feci in quei giorni, senz’altro misi a posto dei libri, forse andai a fare due passi in giro, a Versailles non stava succedendo niente, succedeva tutto a Parigi.

La sera del 14 luglio arrivò anche da noi la notizia che la Bastiglia era stata espugnata dal popolo in rivolta e che ora si trattava per cambiare molte cose, con la mediazione dell’Assemblea nazionale. Pare che Luigi XVI disse davvero al suo ministro, Questa è una rivolta, No, sire è una rivoluzione e pare che scrisse davvero sul suo diario in quello stesso giorno Niente, perché per lui non era successo niente, a caccia non aveva combinato niente. Ho sentito però raccontare la stessa storia su re Giorgio III d’Inghilterra, che, il giorno in cui iniziò la ribellione delle colonie americane, scrisse sul suo diario Oggi non è successo niente d’importante, per cui chissà se è successo veramente

Sentii anche dire che arrivò alla regina Maria Antonietta la notizia che Oscar si era schierato dalla parte del popolo con i suoi soldati, prima che fosse di dominio pubblico, forse fu il colonnello D’Agoult a dirglielo. Mi fu detto che Sua Maestà voleva mandare qualcuno a fermarla e chissà come sarebbero andate le cose se fosse andata così.

Era l’alba del 15 luglio, faceva caldo, non riuscivo a dormire, e andai in biblioteca a lavorare, ormai era chiaro, in quella lunga giornata d’estate e riuscivo a vedere bene. E fu allora che dalla finestra vidi che stava arrivando qualcuno, ma non erano Oscar e André, come era successo tante volte. C’era di nuovo Alain, c’era D’Agoult e c’era il marchese di Lafayette, e di colpo ebbi il presentimento chiaro che era successo qualcosa.

Scesi per prima, ma anche Marie aveva visto che stavano arrivando, così come il padrone e la padrona. Anche loro erano vestiti di tutto punto e anche loro non avevano dormito e non solo per il caldo.

Alain e gli altri due militari si avvicinarono man mano, e io sentii un groppo salirmi in gola: non avevo il coraggio di guardare gli altri, perché non volevo allarmare nessuno. Si misero sull’attenti e intravidi il padrone che rispondeva al loro saluto.

Il marchese di Lafayette iniziò a parlare:

“Come nuovo comandante della Guardia nazionale comunico che il comandante dei Soldati della guardia Oscar François de Jarjayes ha vittoriosamente guidato il suo battaglione e l’esercito popolare alla conquista della Bastiglia nella giornata di ieri”.

Alain e D’Agoult si guardarono in maniera inequivocabile e credo che in quel momento tutti capimmo.

“Purtroppo durante l’attacco il comandante è stata vilmente ferita ed è eroicamente caduta in seguito a questo.”

Alain continuò a quel punto:

“Il soldato André Grandier era caduto la sera prima, nell’eroico tentativo di salvare il suo comandante e i suoi compagni”.

Caduti… voleva dire una cosa soltanto. Misi la mano davanti alla bocca, e sentii un gelo come nemmeno nelle giornate più fredde dell’inverno. Allora, trovai il coraggio di guardare gli altri: il padrone e la padrona erano di pietra e non si muovevano, mentre Marie aveva preso a tremare. Andai a sorreggerla, e la sentii come un uccellino mentre cadeva senza più forze tra le mie braccia.

Caduti, caduti, caduti. Non c’erano più. Ci avevano lasciato per sempre, due eroi, due angeli venuti sulla Terra. Ognuna di quelle parole mi trafiggeva il cuore.

Non ci furono urla di dolore, Marie piangeva in silenzio, io avrei voluto piangere, ma le lacrime vennero molto dopo.

Alain scese da cavallo e venne verso di noi:

“Come nuovo comandante dei Soldati della Guardia chiedo alla famiglia del mio superiore il permesso di occuparmi delle sue ultime volontà”.

Il padrone fece un cenno di assenso, forse per un attimo con sua moglie sperò di poter seppellire la figlia nella cripta di famiglia.

“Il comandante ha chiesto, prima di lasciarci, di poter rimanere per sempre con il suo sposo André”.

Suo marito, certo. Loro erano sposati da sempre nel loro cuore, lo sapevo, e se lo erano lì lo erano anche per il mondo. E sapevo che comunque ora erano insieme per sempre, non sono mai stata molto religiosa e non lo sono più da tanto, ma spero che il Paradiso ci sia e ci siano loro. Ma non era Palazzo Jarjayes il posto dove dovevano stare, per anni avevano parlato della campagna vicino ad Arras come del loro luogo del cuore, dove erano stati felici da bambini e da ragazzi, avevano vissuto tante avventure e fatto tante scoperte, e capii che quello era il posto dove sarebbe rimasto un loro ricordo per l’eternità.

Ero in fondo una serva, ma dissi queste frasi:

“Arras… Oscar e André parlavano sempre di quel posto, è giusto che vadano lì”.

Attesi urla e rimproveri ma i padroni annuirono, ormai annientati dal dolore.

“Anche Rosalie ha fatto quel nome. Li porteremo là. Certo, è dove c’era la famosa chiesetta dove volevano unirsi davanti a Dio, ho sentito il nostro comandante che lo diceva ad André”, disse Alain, con la voce che tremava.

Il generale entrò un attimo dentro ed uscì dando un involto con del denaro ad Alain, l’unica cosa che poteva fare ancora per sua figlia. Marie era sempre tra le mie braccia, la portai dentro e la misi a letto, da dove non si alzò più. Lei riposò nella cripta, nella casa dove era vissuta, mi disse poco dopo:

“Non bisogna disturbare gli angeli e gli sposi che si amano… Mio nipote e la sua amata devono riposare in pace da soli per sempre”. E furono penso le sue ultime parole.

Lei non ha mai disturbato nessuno, passò dal sonno al paradiso, cessando di soffrire. Con noialtri il dolore fu più lungo.

Tutto mi è confuso oggi, ricordo il prete che venne a benedire le spoglie di Marie prima che venissero portata nella cripta, con madame che diceva:

“Almeno lei resterà con noi per sempre, faceva parte della famiglia”.

Ricordo anche che andai in carrozza a Parigi con il padrone: lui non scese e rimase fuori dalla chiesa da cui partiva il corteo di sua figlia e André, io diedi loro un ultimo saluto, li vidi sotto un sudario, mentre venivano portati via verso Arras. Non piansi nemmeno allora, non li seguii, con loro andarono Bernard, Rosalie e alcuni soldati. Ricordai di colpo quello che avevo letto sugli eroi, che morivano giovani perché erano cari agli dei, e lanciai delle imprecazioni contro questi dei feroci che ce li avevano portati via. Giorni dopo venne a casa il dottor Lassonne, che ci svelò che André era quasi cieco ormai e che Oscar era ormai malata di tisi. Non ci sarebbe stato un futuro per loro, anche se avrei pregato per un miracolo se fossero sopravvissuti.

Alain non andò ad Arras, venne a palazzo Jarjayes e raccontò ogni cosa a me e ai padroni, raccontò del giuramento d’amore tra Oscar e André, della loro scelta di schierarsi dalla parte del popolo, degli scontri e di come erano caduti eroicamente. Piangeva, e capii che anche lui li amava entrambi, come li avevo amati io.

Quando rimanemmo soli, di colpo mi sfogai e lui mi disse una cosa:

“Venite anche voi tra le mie braccia, Amélie, sono stato l’ultimo a prendere tra le mie braccia il comandante Oscar perché piangesse la morte del suo sposo, voglio sostenere anche il vostro dolore”.

Ci abbracciammo e passammo un’intera notte a sentire le nostre reciproche lacrime e a unire i nostri dolori, non c’era altro da fare. Non capitò altro, non quella notte. Oscar e André facevano ormai parte della leggenda, e continuare a vivere era duro, era come se fosse sparito il sole da questo mondo, insieme all’amore e alla gioia.

Il resto è Storia, tutti sanno cosa capitò ai reali e alla Francia in seguito. Madame de Jarjayes non si riprese mai dalla morte della figlia e lasciò questo mondo nel 1791, poco prima di quando Fersen tentò di far scappare la famiglia reale. Delle altre figlie ho perso il conto, ma nessuna è morta sul patibolo, non che io sappia.

Io ero diventata la nuova governante di casa Jarjayes, ma dopo la morte di madame il padrone mi diede dei soldi, mentre la situazione precipitava, e con l’aiuto di Josephine, una delle figlie, arrivai in Inghilterra, prima a Brighton, dove vissi per molti anni facendo la governante dai cognati di Josephine, e poi qui a Londra.

Il generale e conte de Jarjayes tentò di aiutare Maria Antonietta a fuggire dalla Conciergerie, ma fu scoperto, arrestato e condannato a morte. Morì di crepacuore in cella, lasciando un messaggio Spero che mia figlia e il suo amore André mi permettano di stare insieme a loro dopo il male che ho fatto loro. Come tutti gli eroi lo avranno perdonato. Io non ci riuscirei.

Bernard Chatelet cercò di tenersi ai margini del Terrore e delle follie dei suoi compagni politici, ma fu travolto dalla follia di Robespierre e fu giustiziato con lui e Saint Just, nel 1794. Rosalie si salvò con i suoi due figli ancora bambini, le dissi di cercare di venire qui in Inghilterra, ma so che preferì andare a vivere in Svezia, dove forse vive ancora e dove credo ci siano i figli e i nipoti.

Di Alain non ho notizie, lo vidi ancora qualche volta, il dolore ci unì per un attimo tempo dopo la Bastiglia e ci rese amanti per poche notti, ma poi preferimmo andare ognuno per la propria strada, ricordando chi avevamo amato davvero, anche se senza speranza. Credo si sia ricoperto di gloria come militare, non so se vive ancora, forse no, mi disse che voleva onorare la memoria di chi aveva amato così tanto combattendo fino alla fine.

Sono vissuta anni e anni come un’esule, più a lungo qui che non con Oscar e André allora, sono diventata vecchia, si vede che non sono cara agli dei. Non mi sono sposata, mentre in Francia infuriava il Terrore James, il maggiordomo di una casa nobile vicina a dove abitavo, mi chiese in moglie, era un brav’uomo, vedovo, con due figli simpatici, ma preferii lasciare perdere, quello non era amore, era solo conforto.

Sono invecchiata, e anche troppo, mi occupo di libri e scrivo, raccontando leggende e eroi, con un nome falso o senza nome, e non pensavo che la mia vita sarebbe stata così lunga. Tutto quello che è rimasto in me è l’amore, l’amore che sento ancora per Oscar e André, l’amore che c’era tra loro, l’unica cosa che illumina ancora oggi la mia vita. L’amore è tutto ciò che resta di noi quando tutto il resto è svanito, mi piace pensarlo, anche se forse è solo una stupidaggine di chi racconta storie, gli affabulatori.

Questa è la mia storia, la mia vera storia, mia, di una bibliotecaria vissuta in una casa nobile in Francia durante l’Ancient Regime e di due eroi, due amanti eterni, due vite piene spezzate nel massimo fulgore, che non può non far sognare. Il resto della mia vita è stato grigio, senza storia.

C’è altro che volete sapere, signor… come avete detto che vi chiamate? Sapete, sono vecchia e a volte non sento bene.

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Capitolo 17
*** Epilogo ***


QUELLO CHE RESTA

 

Rating: toni maturi, morte, amore, lutto, struggimento.

Fandom: Lady Oscar.

Note: sono stufa di leggere fanfiction in cui ci sono cameriere cattive e traditrici che svelano a versioni fuori delle righe del generale Jarjayes l’amore tra André e Oscar, per cui ho voluto immaginare una cameriera o simile solidale con i nostri eroi, con un nome che omaggia la protagonista di un film che ho adorato. Il titolo è ispirato ad una frase del bel sceneggiato The Great Catherine con Helen Mirren.

In questo finale omaggio uno dei miei autori preferiti e c’è una licenza poetica su Oscar e la sua nascita come personaggio dell’immaginario.

 

Epilogo

Tutto era cominciato alcuni mesi prima, quando quel mattino, al Morning Chronicle, erano tutti in fibrillazione su una questione, su chi fosse l’autore del romanzo anonimo La rosa della Rivoluzione, venduto a dispense quasi ovunque e lettura preferita di donne e ragazze di tutte le età e anche di qualche uomo.

“Che colpo se riusciamo a capire chi ha scritto questo libro, pare che anche la giovane regina Vittoria lo adori! Sarà un uomo o una donna?”, aveva detto il direttore Smithson del Morning Chronicle.

La rosa della Rivoluzione era un libro appassionante, ambientato in Francia negli anni antecedenti alla Rivoluzione, con protagonista un’eroina che si vestiva da uomo per proteggere la regina Maria Antonietta. Un libro a tratti scandaloso, visto che si parlava d’amore, e non in termini casti.

“Tu mi sembri in gamba!”, disse Smithson ad uno dei suoi più giovani cronisti, assunto da poco, “e poi hai velleità letterarie e magari hai quel sesto senso che ti permette di capire chi è… hai capito, Dickens! Mettiti al lavoro e trova chi ha scritto La Rosa della Rivoluzione”!

E così Charles Dickens, cronista e aspirante scrittore dopo un’infanzia e un’adolescenza difficili, si era messo sulle tracce dell’autore o autrice di quel romanzo che stava appassionando anche lui e sua moglie. Certo, era un libro che lasciava senza fiato in certi momenti, realistico e passionale, ma lui aveva sempre del resto sentito un grande interesse per quei fatti accaduti in Francia prima della sua nascita. Gli sarebbe piaciuto scrivere qualcosa sulla Rivoluzione, così come parlare di fantasmi e del dramma degli orfani, che lui conosceva molto bene.

La sua conoscenza dei segreti di Londra gli aveva permesso di riuscire a arrivare alla ragazzina povera che, dietro compenso, portava in tipografia ogni tot tempo le pagine scritte elegantemente con il nuovo capitolo delle avventure di Oscar. La stessa ragazzina, Dorrit si chiamava, riceveva quelle pagine da un giovanotto studente di medicina squattrinato.

Charles Dickens aveva pensato che fosse Oliver, questo era il nome del ragazzo, ad aver scritto quel romanzo, l’aveva incontrato, aveva insistito, ma lui era stato chiaro:

“Magari avessi scritto io questo romanzo! Ma conosco l’autore, se è d’accordo vi incontrerete”.

Quando, quel mattino Charles Dickens aveva ricevuto il messaggio di Oliver non credeva ai suoi occhi: l’autore de La Rosa della Rivoluzione lo aspettava a casa sua, e ancora non sapeva che emozioni gli avrebbe riservato quella giornata.

Così Charles Dickens era arrivato in quella via affollata di Londra, era passato davanti alla bottega del famoso avaro Scrooge, e poi era salito in quella scala, scoprendo che l’autore era un’autrice, e si era trattenuto da lei per molto, molto tempo, ma del resto quello che le aveva raccontato aveva dell’incredibile.

Charles Dickens si guardava intorno in quella stanza zeppa di ricordi, oggetti, ritratti, libri, con al centro Amélie Poulain, ex bibliotecaria, ex governante, ora scrittrice. Era ammirato da lei, doveva essere molto anziana, ultra ottantenne, e stava leggendo in anteprima, dopo aver sentito la sua storia, l’ultimo capitolo del romanzo su Oscar.

“Grazie, signor Dickens, di aver ascoltato questa storia di eroi. Purtroppo gli eroi muoiono giovani, e io non sono un’eroina. Ho raccontato la storia di due eroi, però, e l’avete letta e ascoltata”.

“Signora Poulain, io però ho letto adesso in anteprima l’ultimo capitolo, e qui le cose vanno diversamente. Oscar e André non muoiono, sopravvivono alla presa della Bastiglia e si allontanano nel sole insieme a cavallo, innamorati e felici...”

“Perché in un altro mondo senz’altro è andata così, io li immagino insieme, nonni magari, per sempre innamorati. Vedete, lo sapete anche voi, noi autori abbiamo il potere con la nostra fantasia di cambiare le cose, di renderle migliori. Ho voluto restituire loro la felicità che non hanno avuto. Non ho potuto fare niente per cambiare le loro vite allora e ho voluto farlo nella finzione, è stata l’unica cosa che ho potuto fare per loro. In fondo, nel mio cuore è andata così per loro, doveva andare così se questo fosse un mondo giusto, se lo meritavano. Poi magari un giorno qualcuno racconterà come sono andate davvero le cose, magari voi, signor Dickens, vedo in voi la stessa foga mia di scrivere e inventare, con un’altra età. Vi auguro ogni bene, grazie di avermi ascoltata”.

Charles Dickens si alzò in piedi e strinse la mano a quella donna che aveva visto e sofferto tanto, testimone impotente di tanti eventi.

“Anche a voi auguro ogni bene, spero di leggere altre vostre storie, il Morning Chronicle cerca sempre autori, potreste scrivere sotto uno pseudonimo...”

“No, non credo. Non ho altro da narrare, oltre a questa storia, legata a quello che mi è rimasto, l’amore, il ricordo dell’amore che ho visto in loro e dell’amore che io provavo per loro. Il resto ormai mi interessa poco, questa vita è diventata lunga, troppo lunga. Auguri per la vostra vita, mi piacete”.

Charles Dickens si accomiatò da Amélie Poulain, mentre lei consegnava al suo vicino l’ultimo capitolo della storia di Oscar. Presto, a Londra e non solo, avrebbero gioito, si sarebbero appassionati e commossi con il finale. Un lieto fine, almeno nella finzione, e era giusto così, era d’accordo con Amélie.

“Che Dio vi benedica e benedica anche Oscar e André”, pensò Charles mentre scendeva le scale. Ma avrebbe raccontato chi era l’autrice di quella storia che chissà quanti avrebbe ancora appassionato o avrebbe lasciato tutto nel mistero? Ci doveva riflettere.

Amélie guardava dalla finestra il caos delle vie di Londra, non poteva dire di odiare quella città, ma non si era mai sentita a casa davvero lì, le spiaceva non essere d’accordo con Samuel Johnson e con la sua frase Chi è stanco di Londra è stanco della vita. Ma forse lei era stanca davvero, ormai.

Il suo cuore era rimasto a palazzo Jarjayes, ormai abbandonato da anni da quello che aveva sentito, e quanti ne erano passati di anni, troppi. Per strada, in quella Londra dove da poco era salita al trono una giovane e amata regina, a cui Amélie augurava ogni bene e maggiore fortuna di Maria Antonietta, c’erano passanti frettolosi, cavalli, carrozze, venditori ambulanti, e chissà quanti di loro avrebbero letto la sua storia, sognando su quel finale che lei aveva scelto.

Se solo le cose fossero andate così.

Amélie sbattè gli occhi, la nebbia si stava diradando, sarebbe uscito il sole. I rumori si stavano attutendo, e di colpo un raggio di sole potente le colpì gli occhi, accecandola per un attimo.

Era alla finestra, ma non c’era più la strada di Londra, era sparito tutto, carrozze, passanti, botteghe. Davanti a lei, fuori, c’era il viale che andava verso l’orizzonte, il viale che lei vedeva dalla finestra della biblioteca, il posto dove era a casa, l’unico posto che era stato casa sua. Stavano arrivando due cavalieri, li avrebbe riconosciuti tra mille, così come i due cavalieri.

Eccoli, c’erano Oscar e André, eternamente belli e innamorati, come nel suo libro, che finalmente tornavano da lei. E quando alzarono il volto verso la finestra e la salutarono, mentre André stringeva Oscar per le spalle, Amélie capì che era tornata a casa, per sempre, con loro, in quel mondo dove erano felici e contenti in eterno, come avrebbe voluto lei.


Ed eccomi, sono arrivata alla fine, grazie di avermi seguito, oltre a Dickens ho anche omaggiato un film che mi era piaciuto molto, Espiazione. Arriveranno presto altre storie, a puntate, o one shot, birichine o meno.

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