Basilio Albrisio: il medico, l'eretico, il folle

di DirceMichelaRivetti
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Suor Paola ***
Capitolo 2: *** Angelo Gabriele ***



Capitolo 1
*** Suor Paola ***


«Il Demonio mi è apparso, più di una volta. Forse lo rifarà … perché non dovrebbe? Più ci si accosta alla verità, più il Maligno si avvicina a noi per tentarci, spaventarci. Usa ogni mezzo per distoglierci dalla meta. Sono entrata in convento da bambina per volontà dei miei genitori, seguivo il percorso stabilito, senza nutrire una vera Fede ed ero tranquilla.»

La suora mi scruta con serenità. La voce è ferma, il corpo non freme. Non ha paura di me.

Bizzarro. Chi non trema davanti a un inquisitore?

Pure chi è convocato solo per testimoniare, come questa monaca, ha un sano e reverenziale timore, come è giusto che sia. Timor Dei.

Tutti hanno paura di me, sempre. Incurvati nelle spalle, non riescono a sostenere il mio sguardo e ruotano gli occhi per tutta la stanza o sorvegliano la porta come temessero che da un momento all’altro sparisse. Oppure ostentano arroganza e mi guardano con sfida. Certi buffoni tentano di impressionarmi e minacciano maledizioni. Forse si illudono di essere i primi ad avere l’idea. Non ha mai funzionato su di me, nemmeno quando ero agli inizi e il mio compito era solo quello di trascrivere le dichiarazioni.

Questa Suor Paola Ruspaggiari, invece, è diversa. Se ne sta seduta davanti al Consiglio come se fosse in un salotto a ricamare, in chiacchiere con amiche. È serena, com’è possibile?

Non si rende conto della situazione, non ci può essere altro motivo.

Oppure è convinta di essere nel giusto? No, no. Anche i più ostinanti che ho esaminato non son mai stati tanto pacati.

«Quando il Dottor Basilio è arrivato in convento, tutto è cambiato. Ci ha insegnato la Fede. Ci ha insegnato a pregare.»

«Un medico?»

«Sì. Proprio come Nostro Signore! Lo abbiam cercato per guarire i corpi e lui ha curato le nostre anime.»

Che sguardo ha? Le brillano gli occhi come in contemplazione. Ho già visto uno sguardo simile, negli uomini e nelle donne innamorate ma questo differisce: è rapito non in un corpo, bensì in qualcosa di ineffabile … nel … sublime?

Sublime! No, non posso averlo pensato. Qui stiamo trattando di un’eresia blasfema, questa povera monaca è stata corrotta, non posso pensare che il suo straniamento sia un’estasi mistica.

«Basilio giunse al convento per causa mia. Mi trovavo in stato di morte: ero afflitta da un’infermità incurabile e, per le sue mani, io fui risanata!»

Un sorriso radioso che fa apparir stupenda perfino quella dentatura storta e gialla.

«Le cure son state lunghe. Lui parlava di Dio e io capii che diceva la verità con parole acute da spezzare i cuori di sasso. Mi resi conto di essere io perennemente sviata in cose terrene e così niente facevo di ciò che predicava.»

Un tremolio nella voce, era ora. Che cosa la turba, però? È senso di colpa: per la vita passata o per aver prestato orecchio a questo Basilio Albrisio?

«Dopo ch’io fui guarita e lui se ne andò, io non credevo ad altro che a ciò che avevo sentito da lui e a comportarmi secondo le sue indicazioni. Il Signore cominciò a far miracolo in me: la prima ispirazione fu quella di confessarmi a Basilio e per lungo tempo mi rimase il pensiero nell’animo, senza comunicarlo a nessuno. Decisi allora di scrivere la mia confessione e non sapevo se anche altre l’avessero fatta.»

Lacrime? Sì, sono lacrime quelle righe che luccicano sulle guance, riflettendo i raggi del Sole che penetrano dalla finestrella.

«Ero, però, ancora debole e provai vergogna dei miei peccati e quindi ne omisi alcuni. Durante la confessione della quaresima, Basilio si accorse che non mi ero confessata del tutto e mi rivelò un peccato che solo Dio sapeva!»

Perché si stupisce? Lei lo sa già, no? Vuole impressionare me e gli altri giudici? Oppure sta rivivendo quei momenti nella sua testa? Quel suo sguardo vago è così frustrante! È pazza o scaltra?

«Io rimasi grandemente sorpresa, non sapevo cosa dire, eppure il mio cuore era rivelato, senza ch’io lo sapessi e nessun altro poteva conoscerlo se non Dio. Così la Fede mi cominciò a crescere.»

Provochiamola, vediamo come reagisce: «Fede in chi? In Dio o nel Dottor Albrisio?»

«Entrambi. Non vi è differenza.»

Uno scatto nervoso della mano del vicario fa rovesciare il boccetto di inchiostro: «Questa è blasfemia! Attireranno la sciagura su tutta Reggio.»

Meglio tenere le redini. Non mi piace chi si agita per così poco. D’altra parte sono stato chiamato apposta per occuparmi della faccenda perché io sono lo specialista e loro gli improvvisati.

«Abbiamo già visionato le deposizioni delle altre monache e le lettere che vi scambiavate con il Dottor Albrisio … quelle che si son salvate dal camino, almeno.»

Che razza di incompetenti! È mai possibile che le guardie siano tanto sprovvedute da perquisire una casa e metterla a soqquadro, senza accorgersi che le prove che cercavano stavano bruciando nel salotto, sotto lo sguardo del fratello dell’eretico?

Avrebbero dovuto imprigionare anche lui per evitare distruggesse altro materiale. Pazienza, indagherò con i mezzi rimasti.

«Sappiamo abbastanza della sua convinzione di essere un novello Cristo, approfondiremo con lui queste follie. Da voi, invece, Suor Paola, mi interessa sapere di più delle visioni del demonio che sostenete di avere avuto.»

Strilla: «Lui è venuto a tormentarmi poiché io conosco la verità che voi chiamate blasfemia.»

Ha perso il suo sguardo. È rapito ancora, ma non contempla più il divino. Le pupille trasudano il terrore. Cosa stanno guardando? Che orrori la stanno tormentando? Perché li vede solo lei?

Ah, basta, Girolamo, riprendiamoci! Da quando ci facciamo impressionare dagli interrogati?

«Un giorno, ero da sola nella mia cella e stavo pregando come mi ha insegnato Basilio. Un fruscio dietro di me. Mi son voltata ma tutto era normale. Mi sono concentrata di nuovo nella preghiera. Un altro rumore: qualcosa scorreva in basso, lungo la parete. Mi son girata certa di vedere un topo e, invece, nulla. Mi stavo tornando a volgere al crocefisso e un piccolo bagliore ha raggiunto la coda del mio occhio. Non sapevo più dove guardare. Ruotavo su me stessa per cercare qualunque cosa stesse correndo per la stanza. Correndo? Oh, no. Non correndo. Strisciando. Una fiammella sotto il letto. Ho afferrato la brocca con l’acqua, stavo per gettarla ma dal mio giaciglio era emerso un serpente tutto di fuoco: il Maledetto. Tanto orribile che svenni.»

Respira con fatica, il fiato esce a scatti e rumoroso. È impallidita. Non credo stia mentendo. Lei è convinta di aver visto quell’obbrobrio. Un medico l’ha visitata? Un medico vero, non un eretico. Potrebbero essere i suoi umori, squilibrati, a suscitarle allucinazioni.

Se volessimo, però, ammettere che le si è manifestato un demonio, dovremmo anche stabilire se esso vuol osteggiare il Dottor Albrisio, com’ella sostiene, o se piuttosto non è la blasfemia stessa a richiamarlo e nutrirlo.

«Un’altra volta mi elencò tutti i mali del sacramento, dicendo che non lo stima per niente e che non ha paura di lui e infatti veniva senza paura. Ripeteva che tutto il mondo è cosa sua e che lui è padrone di ogni cosa e che, se avesse voluto, mi avrebbe portata via. Una sera volevo scrivere una confessione dei miei peccati da mandare a Basilio, ma il Maligno è tornato e mi tormentava con parole e minacce, come fumo si avvolgeva attorno al mio collo e mi soffocava. Per 7 ore sono rimasta in sua balia, finché una delle mie compagne non è sopraggiunta e con le sue preghiere l’ha scacciato. Un’altra volta pure, minacciava di gettarmi dalle scale e ci sarebbe riuscito, se fossi rimasta sola, ma per fortuna una delle mie sorelle si è avvicinata.»

«Dunque voi non siete sola ad aver avuto queste visioni. Le vostre sorelle, che avete appena nominato, vedevano la manifestazione da voi descritta, oppure vi trovavano delirante?»

Se risponde con chiarezza, ci toglie ogni dubbio circa la concretezza dell’apparizione.

Ha aggrottato la fronte, stinge i denti. Gli occhi infossati mi fissano con furore: «Voi non credete perché appartenete alla Chiesa corrotta e voi stessi siete in mano a Satana. Voi ignorate la verità a tal punto che vi spaventa e la perseguitate.»

Il Vicario Vacca scuote il capo, lo sdegno gli arriccia le labbra: «La verità? E la saprebbe dunque un medico? Un uomo colto, senza dubbio, ma lontano da Dio.»

Ride e molti si uniscono al suo disprezzo. Io preferisco non mostrare mai le mie emozioni agli interrogati, tanto meno schernirli. Sono molto più collaborativi, quando si credono rispettati.

Vediamo di arrivarci in fondo: «Ci sono altri episodi che deve riferirci?»

«Sì, uno. L’ultimo. Risus abundat in ore stultorum. Se aprirete i vostri cuori, se siete pronti ad abbracciare la vera Fede, ascoltando queste mie parole vedrete quanto il Diavolo tema Basilio.» d’improvviso si è fatta solenne «Ero china a pregare in una cappella. Passi rimbombarono per la navata, non vi feci caso. Era qualche altra suora, mi dissi, era naturale. I passi si arrestarono proprio dietro di me. Una voce, un gracchio polveroso, mi chiamò per nome. Mi voltai. Un grido scappò dalla mia bocca: innanzi a me un corpo putrido, indossava abiti da nobile con catene d’oro e gioielli, perle e gemme, ma emanava un odore nauseabondo. La pelle grigia era scrostata qua e là dalle carni scavate con discontinuità. Là si vedeva un pezzo d’osso, lì vermi si agitavano. Solo il viso era intatto. No, quasi, le orbite erano vuote: fosse nere in mezzo al grigio. Un morto si era alzato dalla sua tomba e mi aveva cercata.»

«Era un demonio?»

«Era il Maledetto. Mi ha ordinato di prepararmi alla morte, di smetterla di pregare per gli altri poiché ogni uomo è suo. Sì, anche voi che mi state compatendo, anche voi che giudicherete Basilio, anche voi che vi credete pii, in realtà appartenete a Lucifero. Lui si è accorto di quel che sta accadendo qui. Ha scatenato voi per fermare Basilio, per impedirgli di compiere il grande dovere che lo attende. Voi siete strumenti del Maligno.»

Il Vicario ancora sbotta, addirittura si leva in piedi: «Questa è un’offesa che dev’essere purgata.»

«Placatevi.» interviene un uomo piuttosto anziano «Suor Paola, così come le altre monache, non è inquisita, bensì una testimone. Deve aiutarci a capire la natura dell’eresia di Albrisio. È una vittima e noi abbiamo il dovere di salvarla.»

Quest’uomo parla bene, assai assennato. Chi è? … Ah, già, Malaguzzi. Dobbiamo farci due chiacchiere dopo. Da come l’ho sentito riferirsi all’imputato, ho l’impressione che lo conosca piuttosto bene, magari potrà aiutarci a comprenderlo.

La suora continua a scrutarci con furente disprezzo: «Tacete e ascoltate. In quella funerea sembianza mi ha ordinato: “Manda a dire a Basilio che mi lasci stare; se non lo farà, gliene farò venire io la voglia.”» è passata a un’aria di sfida «Basilio non ha smesso di combatterlo e siete arrivati voi.»

Il Vicario sbuffa: «Ho sentito abbastanza.»

«Io no. Un’ultima domanda, Suor Paola, poi potrete tornare dalle vostre consorelle di Santa Chiara. Avete mai scacciato i diavoli? Con quali metodi?”

«Vi sono riuscita talvolta da sola, sì. Quando ho imparato per bene le preghiere che Basilio ci prescriveva.»

«Potete farcene sentire una? Se voi avete ragione, l’orazione aiuterà tutti quanti a liberarsi da ogni funesta presenza.»

Il viso si rilassa, le labbra le tremano. Annuisce convinta.

Sentiamo.

«Imperet tibi Deus, o maledicte Satana, così ti comandi Dio onnipotente in imperio grande sopra di te, o maledetto Satan che tu lasci star tutto il mondo con tutti questi contradicenti, che tu lasci stare queste dodici figliuole con l’Angelo Gabriele, et venghi qua nel deserto avante al tribunal de la Trinità er Unità di Dio al tremebondo giusto giudicio suo, et la giusta pugna con il cricifisso in forma di serpente. O ribaldo, che puoi tu più fare? Non hai tu la gloria persin qui, che tanto secreto sacrato para un insonnio et una illusione da tutti schernito profanato et biastemato? A te mi rivolgo, Trinità altissima et unità di Dio, procura l’honore del tremebondo giusto giudicio tuo del tribunal tuo, che non lo possia scappare ancora Satan maledetto, il quale tu vedi quanto si sforza si fugere il giudicio tuo, reiterandosi al giudicio fallace delli huomini. Chiudegli la bocca, signore, che non possia più parlare, et sia sforzato di tutta ragione venir qui al deserto, al tribunal tuo, al tremebondo giudicio tuo, a la giusta pugna con il crucifisso in forma di serpente. Amen. Amen. Amen. Cristo diviso in Basilio et in Maria. Amen.»

Il mio cuore martella, tutto il petto pulsa rapido. Le narici si contraggono a scatti e irregolari. Luce. Ho bisogno di luce, di vedere il cielo. Ma non riesco a distogliere lo sguardo dalla monaca e non mi pare di vederla. È lì, lo so, la vedo, ma è come se un velo di nebbia gelata fosse calato sui miei occhi.

Ho già letto questa e altre simili preghiere, tra le carte sequestrate. Mi han fatto sorridere. Il tentativo di ricalcare le scritture e di adattarle è evidente. Sentirla pronunciare, però, è tutt’altra cosa. Il fervore della suora rendeva ogni parola tremenda e accendeva brividi che mi han attraversato la schiena.

Non voglio più parlarle. Non oggi almeno. Fatela uscire.

Ecco, appena la porta si richiude dietro di lei, un peso s’allontana dal mio petto. L’aria fluisce tranquilla nel naso. C’è più luce?

Sì, ora che se n’è uscita, mi sento meglio. Perché quell’improvvisa angoscia?

I testi li avevo già analizzati, nulla di nuovo, nulla di impressionante. Perché allora la voce e il tono della suora li hanno completamente tramutati? Erano le medesime parole ma mi hanno atterrito.

Dev’essere la stanchezza, dopo ore e ore passate a interrogare monache.

Comunico al Vicario Vacca che per oggi è sufficiente. Riprenderemo domani.

Mi alzo in piedi. Intreccio le dita sopra la mia testa e mi stiracchio per bene braccia e schiena. Non voglio vedere una sedia almeno fino a cena.

Lasciamo la stanza e ognuno chiacchiera con almeno un compagno e ci si disperde per il palazzo vescovile. Il Vicario mi chiede che ne penso. Non mi va ancora di esprimermi, per cui gli consiglio di pensare ai suoi compiti, visto che gli interrogatori lo hanno privato già di parecchie ore di lavoro.

Imbocco la scalinata in pietra che scende al cortile. Qualche gradino più in basso, il Malaguzzi procede solo, stringe il palmo al corrimano e cala piano i piedi. Solleva la gamba per il nuovo passo e gli trema, ondeggia un poco e si adagia.

Lo affianco e gli porgo il braccio. Mi sorride e accetta volentieri il mio aiuto.

«Messer Ippolito, giusto?» annuisce «Vorrei farvi qualche domanda. Voi conoscete bene il Dottor Albrisio? Mi pare siate quasi coetanei. Ha mai avuto tendenze al misticismo o bizzarrie?»

Un lungo e stanco sospiro: «Sì, siamo stati amici, o quasi. Io ho 58 anni, pochini in più di lui. Le nostre famiglie appartenevano alla medesima fazione, quando ancora le parti si scontravano. Eravamo bambini, ragazzini poi. Giocavamo assieme. Lui ha seguito il mestiere della sua famiglia ed è diventato medico, io ho continuato la tradizione della mia con la Legge e il commercio di sete, carta, spezie. Da adulti, le occasioni in cui ci vedevamo erano proprio quando veniva a comprare le erbe per i medicamenti, nella mia bottega in piazza, la teniamo da oltre un secolo.»

È fiero delle sue origini, l’orgoglio gli raddrizza la schiena e accende le pupille. Non mi interessa granché il suo casato ma non interrompiamolo. Ci sta dicendo quanto speriamo, pazienza per qualche noticella in più. Poi, chissà, magari ci tornerà utile.

«Basilio non si è mai interessato alla religione, almeno fino a 12 anni fa, circa, quando ha iniziato a leggere libri particolari, ma non saprei di più.»

Di libri ne abbiamo sequestrati, ci sono testi di Gioacchino da Fiore, ma le posizioni di quest’eretico mi sembrano diverse. Vi è un volume con dei disegni meravigliosi, me lo sono tenuto da parte per esaminarlo con calma.

«Avete nominato scontri. Le normali baruffe o qualcosa di più?»

Ippolito sospira e guarda altrove, prende tempo. Si sfrega il pollice della mano libera con le altre dita. I ricordi lo turbano?

«Una faida, anche molto politica. In 13 anni ha lasciato oltre 70 morti per le strade. Mio fratello ha rischiato di entrare in quel numero. Sia sempre ringraziato il Dio che non ha reso mortale quelle coltellate alla gola. È stato ucciso … massacrato, un governatore in Duomo, durante la messa. Non era la migliore delle persone, anzi, sapeva suscitare odio, ma l’omicidio in chiesa è troppo sacrilego. Ci sono stati saccheggi, palazzi bruciati. Noi Malaguzzi eravamo più esposti degli Albrisio, ma anche loro hanno subito le conseguenze. Non è facile essere fanciulli in un clima tanto violento. Pensate che, addirittura, accanto alle porte di casa, chi era neutrale faceva murare una piastrella che dichiarava: Pars Mea Deus. Credo che chiunque abbia vissuto quegli anni si stia portando dietro ancora i segni. Per alcuni sono cicatrici, per altri tagli che non si sono mai chiusi del tutto.»

Non aggiunge altro. Tiene d’occhio le scale. Dopo l’ultimo gradino, lo ringrazio e lo saluto.

Voglio farmi una bella passeggiata e riflettere. Chissà, forse questo Albrisio ha sempre vissuto nella paura. Il clima generato dalla faida potrebbe non averlo mai abbandonato e a un certo punto ha cercato di combattere l’ansia perenne con questa sua assurda ed eretica convinzione.

Bah. Credersi un secondo Cristo, proclamare Reggio nuova Betlemme … certo che questo 1559 inizia con un caso proprio interessante.

Oh, accidenti. Ho dimenticato di chiedere a Suor Paola di quell’Angelo Gabriele che tutte le altre undici monache coinvolte hanno nominato. Lei ne ha fatto cenno nella preghiera, se non sbaglio. È strano, ne parlano come fosse una persona in carne e ossa con cui hanno avuto a che fare.

Ricapitoliamo: un medico che si sente Messia, dodici suore diventano i suoi apostoli per espiare i peccati della Chiesa e un arcangelo che vive in mezzo a noi.

Caro Girolamo Volta, l’inquisizione ti ha affidato una matassa bella aggrovigliata da dipanare.

Via, fosse anche il nodo gordiano, ne verremo a capo … e non come Alessandro Magno.

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Capitolo 2
*** Angelo Gabriele ***


Passo dopo passo sto girando tutt’attorno alle mura di Reggio: solide e alte, i mattoni hanno ancora il colorito rossastro sgargiante, i rampicanti non osano indebolirne la struttura e nemmeno i muschi li ammantano ove è maggiore l’umido. Mi incanta sempre l’imponenza dei bastioni, ne ho contati nove, che dalla cinta avanzano nel fossato per controllare il territorio, pronti a far tuonare i cannoni contro i nemici che oseranno porre assedio qui.

Alla mia destra il fossato, alla sinistra una spianata. Non riesco, però, a godermi la camminata. Non è il freddo il problema, quello me lo sono scrollato di dosso proprio col movimento, è qualcosa di … meno concreto. Un’oppressione, ecco, ma ineffabile. Una spinta, una presenza alle mie spalle.

Mi volto. L’orlo del mantello, per lo slancio del giro, mi colpisce i polpacci.

Non c’è nulla di strano. Alcune persone spingono i piedi nella neve come me, trasportano ceste e gabbiette di legno in cui si agitano galline; qualcuno tiene per le briglie un asino dalla cui groppa pendono bisacce. C’è pure un carretto fermo prima del ponticello della Porta che ho da poco superato; le guardie lo stanno esaminando.

È tutto normale, nessuno mi era particolarmente vicino. Chissà che mi è preso.

Sarà stata suggestione.

Et sia sforzato di venir qui al deserto, al tribunal tuo, a la giusta pugna con il crucifisso in forma di serpente.”

Le parole della preghiera di suor Paola mi echeggiano ancora nella testa. Devono essere state quelle a suscitarmi disagio.

Dai, non pensiamoci. Se ci rimugino sopra, poi entro nel dettaglio, perdo la visione d’insieme e mi impressiono. Lo sappiamo che il distacco è fondamentale per una lucida analisi.

Scuoto la testa: spezziamo l’attenzione dagli interrogatori. L’indagine riprenderà domani, ora dobbiamo rilassarci.

Mi rigiro e riprendo il cammino. Pensiamo ad altro. Cos’è che mi ha colpito prima? Ah, giusto, le mura e la loro robustezza.

Il Duca Ercole II d’Este ha fortificato con cura tutte le sue città. Il vecchio Ippolito mi raccontava che sono stati fatti grandi lavori a Reggio, nemmeno 10 anni fa. In primis la ricostruzione della cinta muraria. Mi pare l’intervento più impegnativo intrapreso, ma suppongo che gli abitanti e il Vescovo abbiano percepito come più pesanti e invasivi altri cambiamenti. Per eserciti avversi risulterà ostico assediare Reggio poiché non vi è alcun riparo che possano sfruttare: per 600 metri sarebbero esposti alla grandine di falconetti, arcieri e balestrieri. Il Duca ha ordinato che fosse abbattuto ogni edificio entro questo perimetro, non solo le borgate, costringendo famiglie a trovare nuovi alloggi, ma anche conventi, senza riguardo per la sacralità e l’antichità dei luoghi.

Passi dietro di me. Sono ovattati nella neve ma li distinguo.

Il Vescovo Grossi mi raccontava, tra i sospiri, quanto gli dolesse essere stato privato di quel dolce luogo di riposo che era per lui San Claudio con la residenza episcopale estiva, vagheggiava le passeggiate nel giardino ricco di profumi e colori.

Che fastidio, però, che qualcuno mi cammini così d’appresso. Peggio sarebbe se fosse davanti a rallentarmi ma anche così mi innervosisce. Quasi sento il fiato sulla nuca. Basta, adesso andiamo piano, così questo ci supera e noi ce ne torniamo tranquilli.

La stessa sorte di demolizione è toccata anche al convento del Santo Spirito, una chiesa di San Giovanni e una di San Biagio e, quel che ha reso tutti più sgomenti, all’abbazia di San Prospero. Ippolito mi ha narrato che, nei numerosi secoli di vita, quel monastero aveva subito parecchie devastazioni ma era sempre sopravvissuto. La sua torre era stata abbattuta più volte, con disprezzo da Feltrino Gonzaga e, durante le guerre d’Italia, dal Duca Alfonso I stesso, per evitare che diventasse per gli invasori un rifugio sicuro e proprio rivolto alla cittadella, il cuore difensivo. La torre era stata abbattuta più volte ma sempre ricostruita. Nessuno, qui, immaginava che pure l’abbazia sarebbe stata rasa al suolo. Conteneva le reliquie del Santo patrono che dunque son state traslate dentro le mura, nella basilica ricostruita di recente.

Eh la guerra impone grandi sacrifici.

Oh, ma allora, questo tale si decide a superarmi oppure no?!

Silenzio. Non ci sono più i passi. È rimasto indietro?

Controllo. Nessuno alle mie spalle se non molto distante, non c’è nemmeno nessuno che cammini verso la campagna a una distanza tale da presumere sia stato dietro di me fino a poco fa. Nessuno tra le sponde delle montagnette di neve ammucchiata nei giorni scorsi per liberare la strada, prima che altri fiocchi tappezzassero la terra.

Sollevo le spalle: me lo sarò immaginato. Forse ho una remota paura in me che mi mette troppo sulla difensiva. Fino a sentire suoni? Ma sì, più o meno, ci sarà stato qualche tonfo, magari un uccellino a caccia di vermetti, e i miei sensi in allerta lo hanno ingigantito. Insomma, quando si è a letto non capita di sentire dei rumori e non capire se siano reali o le avanguardie dei primi sogni? Ecco era successa una simile cosa: eccesso di difesa. Capita quando c’è troppo silenzio.

A proposito di difesa, non ho ancora capito dove sia la “giulia”. Voglio assolutamente vederla, prima di lasciare Reggio. Una colubrina da 9.000 libre, in grado di sparare proiettili da 50 è cosa rara. Questa, poi, non è solo una delle già straordinarie artiglierie estensi, è speciale! Forgiata col rame che aveva composto una statua di Papa Giulio II.

Povero Michelangelo! In poco più di un anno aveva plasmato un Giulio II seduto e benedicente, collocato nel febbraio 1508 sulla porta della basilica di Bologna, città liberata nel novembre del 1506, ma non era durato nemmeno un lustro. I Bentivoglio, tornati con la forza a Bologna per qualche mese, avevano abbattuto la statua, l’avevano decapitata e ne avevano consegnato il metallo agli Este per farci un cannone dal nome allusivo.

Mi risulta sia stato collocato qui già dal nonno dell’attuale Duca. Voglio vederlo.

Un brivido guizza su per la schiena mi stringe e irrigidisce le spalle. Inizia a fare freddo.

Qualche fremito mi attraversa gli avambracci, pure i denti battono tra loro di quanto in quanto. Se alito, il vapore che dalla bocca si compone nell’aria davanti a me pare una nuvoletta di fitta nebbia. Affondo le dita nella pelliccia che fodera il mantello e lo stringo per bene sul davanti.

Una folata di vento si intrufola tra le ciocche di capelli che mi sbucano da sotto al berretto. Gelo nella punta delle orecchie. Un fischio. Tremore sotto la pelle delle braccia, le mani faticano a restare chiuse. Il fischio, di nuovo. Più umano.

Mi volto di scatto. Un’ombra; credo. Mentre mi giravo m’è parso che un’ombra scivolasse dietro al cumulo di neve. Vado a controllare?

Torno sui miei ultimi passi, allungo il collo oltre la sponda bianca. Non si vede granché. Vale la pena spingersi oltre e approfondire? Se mi levo dalla strada, la neve mi arriva minimo al ginocchio. Detesto bagnare i vestiti e poi mi si gelerebbero le gambe.

Ma no, dai, saranno stati i miei stessi capelli a ondeggiare; li avrò visti con la coda dell’occhio e mi han suscitato l’impressione dell’ombra. Dopotutto è durata un istante. Ero già suggestionato da prima e la fantasia ha lavorato.

Doveva essere una passeggiata rilassante e, invece, mi metto paura da solo. Ho i nervi tirati peggio che la corda di un liuto. Basta. Alla prossima Porta che vedo, rientro.

Mi tiene compagnia il gorgoglio del Crostolo che scorre alla mia destra. Lambisce le mura da Porta Castello a Porta Santo Stefano, non so quanto sia saggio tenere un torrente così prossimo alla città, le mura non dovrebbero temere un’esondazione, però secondo me è pericoloso. Ippolito, che miniera di informazioni, mi ha spiegato che un tempo addirittura il torrente scorreva all’interno della cinta e mi ha indicato la canaletta di scolo che, non ancora del tutto chiusa, si vede tuttora nel corso Ghiara. Perché non l’abbiano spostato più lontano per me è un mistero. Forse presto si renderanno conto che è preferibile tenerlo un po’ distante e usare l’acqua dei canali per il fossato.

Un tonfo nell’acqua … No, questa volta non mi lascio ingannare: è un pesce che è guizzato, nulla di più.

Lo stomaco borbotta, vuole essere riempito. Mi hanno consigliato due locande: quella del Giglio, sulla via Emilia, e quella del Cappel Rosso, proprio nel centro della città, non lontano dal vescovado, dicono che è facile da riconoscere perché è nel vecchio palazzo del Capitano del Popolo.

Per oggi, cenerò nella più vicina, domani proverò l’altra.

Il suono dei miei passi ha una leggera eco, quando lascio la fanghiglia di terra e neve in favore delle assi di legno del ponte levatoio. Le sentinelle mi salutano, sono le stesse che ho incrociato quando sono uscito. Guardano oltre le mie spalle e poi mi passano accanto. In effetti il ponte scricchiola sotto i piedi di qualcun altro.

Che sia finalmente uscito allo scoperto il mio inseguitore?

Ma che dico?! Addirittura qualcuno mi pedinerebbe? È ridicolo, su. Smettiamola con le sciocchezze.

Stacco una stalattite di ghiaccio, lunga come il mio mignolo, che pende da un sottotetto. Ne ficco la punta in bocca e me la gusto come quand’ero bambino. Lascio dietro di me l’arcata. Devo proseguire sulla strada maggiore. Una sbirciatina, però …

Giro il capo appena, le guardie coprono chiunque sia il loro interlocutore. Meglio così, in questo modo non alimento suggestioni. Andiamo dritti.

Inizio ormai a riconoscere gli edifici e a orientarmi. Per esempio, qui sulla destra c’è il chiostro di Santo Stefano col grazioso porticato, mentre già vedo più avanti, a sinistra, la torre di Sant’Antonio. Ormai la conosco piuttosto bene quella chiesa, tanto ho passeggiato avanti e indietro per tutte e tre le navate prima coi canonici, poi con la badessa e infine con alcune consorelle delle monache ammaliate da Albrisio. Le suore di Santa Chiara si sono trasferite in Sant’Antonio una decina di anni fa, prima il loro convento era troppo vicino alla Cittadella. Si sa, non è mai una buona cosa che i soldati siano troppo vicini a delle donne. Fossero solo i militari a insidiare la virtù …

È stata una buona scelta far erigere qua un nuovo monastero. Chissà, il trasferimento potrebbe aver turbato le suore e reso le loro menti più inclini agli inganni del Dottor Albrisio?

Mah, forse una o due, però ad essere coinvolte sono ben 12!

Passiamo oltre, è meglio, almeno per ora.

Il piede slitta appena, irrigidisco la gamba e resto in piedi. Le strade lastricate hanno il vantaggio di non sporcare di fango quando piove, ma diventano assai scivolose con il gelo.

Beh, giacché mi sono fermato un momento … getto un occhio indietro. Un gran viavai di gente. Se qualcuno mi sta seguendo, ora potrebbe nascondersi perfettamente.

Riprendo a cercare la locanda.

Il mio sguardo balza da un lato all’altro, ecco un altro dei miei riferimenti, sulla destra: il torrazzo che incombe accanto la chiesa di San Paolo, soffocata e compressa tra tutti gli edifici da cui emerge, si accontenta di porticine modeste. Tutt’altra presenza ha invece San Bartolomeo, la sua facciata è accomodata sulla via Emilia, placida e a proprio agio.

Un portico a tre arcate, sostenuto da rosse colonne in terracotta, sormontate da capitelli a campana, sopra di esso una loggia. Finalmente, sono arrivato. Se anche non mi fosse stata descritta così minuziosamente l’osteria Del Giglio, mi sarebbero bastati l’invitante profumino che stuzzica le mie narici e il vociare allegro che fugge dalle finestre, per capire di trovarmi dinnanzi a un’ottima locanda. La grossa in segna di legno con dipinto in blu un giglio fiorentino è la conferma definitiva.

Mi soffermo ancora qualche momento: che eleganza i decori in cotto che incorniciano l’edificio e le sue aperture!

L’odore di stufato mi solletica e lo stomaco mi richiama all’ordine: nelle osterie si mangia, non si contempla.

Entro e chiedo cibo e vino, poi mi accomodo a un tavolo non ancora occupato da nessuno. Quello in angolo che mi permette di avere la schiena e il lato sinistro al muro è perfetto: potrò tenere sott’occhio tutta la sala.

Ci sono molti rossi e neri negli abiti degli altri avventori e sono abbelliti da passamanerie in filo d’oro e pietre incastonate in catene e spille d’oro e d’argento: visitatori illustri soggiornano qui.

Il camino scoppietta. Un paio d'uomini hanno le braccia stese e i palmi vicini alle fiamme, sono in abito da staffetta, devono aver cavalcato al gelo tutto il giorno, poveretti. Un terzo siede su uno sgabellino e rimira le faville danzanti. Un altro, barba bianca che risalta all’altezza del petto sul nero della veste, è in piedi, appoggiato all’angolo del timpano che sovrasta il caminetto; non è interessato alle braci, scruta la stanza … guarda me? È lui che mi segue da ore? È curvo nelle spalle, non sembra agile per pedinare qualcuno e nascondersi per non farsi notare.

Allunga il braccio e stringe la mano attorno al manico di un bastone. Non lo avevo notato. Appoggiandosi al sostegno si sposta verso un tavolo e mi dà le spalle. Bene.

Il fuoco fa bene il suo lavoro: il sudore fa capolino, assieme a quel fastidioso mal di testa che si precipita, quando passo d'improvviso dal freddo al caldo. Togliamo il mantello, su. Slaccio i cordini che ondeggiano tra le clavicole e lo faccio scivolare dalle spalle. Molto meglio, son più leggero, oltre che meno accaldato.

La giocosa voce di un cantastorie che narra e suona il liuto mi rallegra. Godiamoci un po’ di pace, tanto domani dovremo romperci ancora il capo con l’eretico.

Goccioline si condensano sulle mie guance. Il vapore risale leggero dal grosso piatto fondo che mi è stato messo dinnanzi. Un uovo spaccato galleggia sul brodo in cui tocchetti di carne scura nuotano assieme a cipolle odorose e aglio, danno un po’ di colore il verde di erbe aromatiche e il viola di carote tagliate a rondelle. In un cestino intrecciato, pane e formaggio restano a disposizione.

Via, vivacizziamo ancora un po’ la minestra con un'aggiunta di vino che non guasta mai.

Il brodo si tinge di rosso. Appoggio con un suono sordo la brocca sul tavolo. Un secondo tocco, un terzo, un altro ancora. Non sono io. Da dove viene il picchiettio?

Sollevo il capo: l’anziano che prima era vicino al caminetto si sta dirigendo verso di me. È sempre curvo, la testa, infossata tra le spalle, prova a drizzarsi. Il passo è incerto pur con il bastone che batte sul cotto del pavimento.

Beviamo almeno una cucchiaiata, prima che inizino le seccature.

«Buona sera.» sosta davanti al tavolo, i suoi occhietti tondi e azzurri cercano compassione «Voi siete l’inquisitore Girolamo Volta. Dico bene?»

Inspiro riempiendo i polmoni e butto fuori l'aria, obbligandomi a un sorriso: «In persona. Voi siete?»

Precipita le parole nella voce debole: «Il Dottore in arti mediche Albrisio. Alessandro. Alessandro Albrisio.»

«Ah, il fratello del mio eretico.» continuo a sorridergli, addento un boccone di carne e l’osservo.

Guarda spesso in basso e in giro, stringe le mani sull’impugnatura del suo sostegno.

Mettiamolo a proprio agio e sondiamo un poco: «Prego, accomodatevi pure.»

Mi ringrazia con un cenno del capo, tira indietro una sedia per lo schienale.

«Dunque siete medico anche voi?»

Si adagia: «Come mio padre, anche. È il mestiere di famiglia.»

«Vostro fratello sembra preferire la carriera del Messia.»

«Non deridetelo, vi prego.»

«Vi assicuro che non scherzo e soppeso con attenzione le sue dichiarazioni.»

«Sì, ma non abbiate fretta di giudicare.» la voce è rapida e trema «Voi non sapete tutta la storia. Dovete conoscerla e capirete che lui è una vittima.»

«Indago proprio per scoprirla. Scovare la verità è il mio mestiere.» una buona sorsata di brodo mi scalda la gola «Volete riferirmi voi la storia per intero? Ammesso che la conosciate.»

«Mio fratello è innocente.»

«Allora perché avete bruciato i suoi scritti? Basilio ha già distrutto se stesso con le proprie affermazioni, ripetute anche in carcere. Non è stato calunniato.»

«La colpa è di quell’Angelo Gabriello

Inarco un sopracciglio e adagio il cucchiaio: «Un arcangelo sarebbe responsabile di una blasfemia tale? O forse volete insinuare che vostro fratello dica il vero poiché guidato dal messo di Dio?»

Appoggia la fronte al palmo e scuote la testa per diniego. Si ricompone: «Vedete che c’è molto che ignorate? No si tratta di creature celesti ma di un uomo: Angelo, della famiglia dei Gabrielli. Ha 29 anni e lavora la lana.»

Oh, questo sì che è interessante. Finalmente un nuovo elemento della scena, un nuovo giocatore. Si tratta quindi di una persona in carne e ossa, ecco perché le monache ne parlavano con famigliarità, tanto da definirlo un loro buon amico. Quando avevano, però, occasione di incontrarlo?

«Cosa potete dirmi su costui e come mai lo ritenete responsabile di ciò che ha fatto vostro fratello?»

Abbassa di nuovo lo sguardo, tra sospiri cerca le parole e ci ripensa. Continuo a cenare e gli lascio il suo tempo.

«Io non lo conosco molto. L’ho visto poche volte, ma Basilio ha cominciato a cambiare pian piano, dopo che lo ha conosciuto. Più parlava in casa di questo giovanotto, più si accrescevano le sue teorie bislacche.»

«Bislacche? Io avrei utilizzato vari termini: eretiche, blasfeme, eterodosse, folli … non un semplice e innocente bislacche. State affermando che un artigiano abbia instillato l’eresia in un uomo dotto, dedito alla scienza?»

Tentenna sempre più. Potrebbe aver inventato tutto per avere un capro espiatorio.

«Io non vorrei rischiare di peggiorare la sua posizione, nel tentativo di difenderlo, o coinvolgere altri … Voi cosa ne pensate della situazione del Cardinale Morone

Cosa c’entra il Morone adesso? Come se non avesse già abbastanza problemi che lo fan marcire in una cella di Castel Sant’Angelo, in attesa di essere giudicato dai più conservatori membri del Sant’Uffizio, che più odiano la deriva luterana.

Gli è andata male che i Rigoristi non abbiano permesso la sua elezione a Pontefice e ora Paolo IV vuole levarsi di torno l’ultimo grande prelato di spicco del partito Conciliatore.

Preferisco essere generico: «Sua Santità potrebbe aver aggiunto il proprio personale risentimento allo zelo inquisitoriale che l’ha indotto a incarcerare il Cardinale e metterlo sotto processo per eresia. D’altra parte il dilagare delle correnti luterane, e non solo, a Bologna e soprattutto Modena, di cui avrebbe dovuto prendersi cura, lo rende sospetto. Non lo aiuta la sua appartenenza al circolo degli Spirituali che si erano stretti attorno al Cardinale Pole. Che cosa c’entra con vostro fratello?»

«Eh … c’entra, c’entra … il Cardinale Morone ha amici a Reggio, per esempio nei Parisetti.»

Parisetti? Uno nel consiglio giudicante si chiama così.

«I Parisetti hanno molti amici in città e … capite …»

Odio i giri di parole: «Vostro fratello è tra di essi e dunque potrebbe essere entrato in contatto con dottrine eretiche e protestanti direttamente tramite il circolo del Cardinale Morone

«È un’ipotesi. Come ho detto non voglio creare problemi ad altri cittadini. Consideratele supposizioni.»

Cerca di scaricare la colpa su altri, lontani e già sott’accusa. Voglio restare sul concreto.

«Approfondirò, certo. Tuttavia, questi interessi intellettuali e teologici di Basilio non lo avevano mai distolto dalla dottrina della Chiesa. Avete detto che è stato questo tale Angelo a deviarlo. Spiegatemi, vi prego, come avrebbe fatto?»

Si gratta il capo semi calvo: «Non saprei … non ho seguito i loro incontri, non i primi almeno. Vi sono state riferite le tempistiche? Se la sono presa con Basilio adesso ma lui frequenta quel convento dal 1555 e in quel periodo lui aveva già sviluppato le sue teorie e …» deglutisce mortificato «Cercava suore che potessero aiutarlo.»

«Aiutarlo in cosa?»

«A purgare la Chiesa. Lui tentava da tempo di diventare il medico di riferimento per qualche convento, non gli importava se di frati o di suore, voleva solo trovare terreno fertile per la sua dottrina. È stato Angelo a suggerirgli che le monache erano preferibili … più suggestionabili.»

«Dati gli esiti cui si è arrivati, non aveva tutti i torti. Questo artigiano ha una mente acuta.»

«Beh … era una deduzione facile. Lo scandalo tra i Domenicani e le suore di San Raffaele è scoppiato l’anno successivo, ma il sentore era diffuso e molti sapevano.»

Ecco qualcosa di cui il Malaguzzi non mi ha ancora fatto parola.

«Che cosa è successo? Sapete, sono Mantovano e non del tutto aggiornato circa cosa sia accaduto qui. Spiegatemi, per favore.»

Le sue guance si tingono di rosso. Abbassa la voce per farfugliare: «Eh i Domenicani avevano la cura spirituale delle suore di San Raffaele ma … col pretesto della confessione, si incontravano per … ehm … motivi carnali. La castità è stata violata … nelle celle dei frati son state ritrovate lettere d’amore e berretti e fazzoletti ricamati dalle monache come pegni … Povere donne! Solo 3 hanno mantenuto la santità della vita, le altre erano state tutte viziate. Quando la faccenda è stata presentata al Consiglio della città, il popolo in preda allo sdegno ha imbracciato le armi e scacciato con furia i frati da San Domenico.»

In effetti questo appalesa il perché Basilio, o l’artigiano, abbiano ritenuto facile il plagiare le suore, tanto più che si è trasformato nel loro confessore, consolidando così il legame da guida spirituale. Una volta che le ha indotte a raccontargli i loro peccati, le loro debolezze, Basilio poteva facilmente manipolarle, conosceva su cosa far leva per confortarle o suscitare i sensi di colpa. Deve aver fatto breccia con qualche concetto filosofico e frase d’effetto udita dal circolo del Morone, in questo modo le ha affascinate presentandosi come savio e dotto nelle Sacre Scritture. Le suore si sono fidate magari lo vedevano più gentile e compassionevole, rispetto ai chierici che le hanno in custodia, e quindi si sono confessate volentieri con lui. Lui le ha sentite mettere a nudo il loro animo e ha trovato per ciascuna il modo di soggiogarla, non con minacce, bensì offrendo redenzione.

Se ha davvero agito così, non lo si può considerare un pazzo. È un complotto elaborato, frutto di una mente lucida. Quale poteva essere, però, il suo scopo?

Dire di essere il prossimo Messia è una follia, ma se Basilio è sano di mente, perché lo afferma?

Vuole essere un novello Savonarola e prendere il controllo della città?

Oppure è solo un ambizioso egocentrico che, prendendo spunto dal successo di Lutero, vuole fondare una nuova chiesa per essere adorato dai seguaci?

Finora, però, è rimasto abbastanza nell’ombra e non abbiamo rintracciato altri aderenti fuori dal convento, a parte il Gabriello.

«Avete detto che vostro fratello, quattro anni fa, aveva già sviluppato le sue dottrine. Quando è cominciato tutto?»

Socchiude gli occhi, sta calcolando.

«Nostra madre ha conosciuto Angelo nel 1547 e ha iniziato a farlo venire in casa qualche volta. I primi segni di malumore mio fratello li ha avuti l’anno dopo.»

Dieci anni? È andato avanti per dieci anni! E nessuno si è accorto di nulla?

O ha tenuto tutto per sé a lungo, oppure qualcuno lo ha protetto.

«Malumore?»

«Sì. Sembrava vinto da un’immensa malinconia. Aveva quasi smesso di mangiare, era taciturno, si chiudeva in camera e non dava ascolto a nessuno. Poi d’improvviso cambiava, si riempiva di vino, si preparava misture di oppio. In entrambi i modi era scontroso e aggressivo. Vedevo che soffriva e soffrivo anch’io perché non sapevo come aiutarlo. Per qualche tempo credetti che si fosse innamorato, ricevendo un rifiuto. Appurai che non si trattava di quello. Poi, un giorno, Angelo era ospite da noi a pranzo, si è fermato a parlargli. Non so che si siano detti in quelle ore ma dopo quel dialogo Basilio ha ritrovato l’appetito, la gentilezza e … sono iniziate le sue predicazioni.»

«Farneticazioni, è il termine corretto. All’epoca, però, questo Angelo non aveva ancora venti anni. Come poteva avere un simile ascendente.»

Trema, mi sembra affranto. Scuote debolmente il capo.

«Non lo so. Mi spiace. Io non mi sono mai voluto avvicinare troppo a lui. Mi desta una sensazione strana. Ha un viso dolce e gentile, davvero angelico, con capelli biondo cenere appena mossi, le labbra scarlatte e gli occhi che cangiano, riflettendo il cielo. Con gli anni è anche diventato alto e robusto, senza perdere la delicatezza.»

Certo che ne tesse fin troppo bene le lodi, per essergli antipatico.

«La sua voce è di miele. Chi lo ascolta rimane incantato come i marinai con le sirene. Ho visto mia madre, vedova austera da anni, sciogliersi come una fanciulla davanti a lui. Non che mia madre si sia mai concessa a lui, lei aveva già sessant’anni quando lo ha conosciuto, tuttavia lo trattava come un nipote e non voleva gli mancasse nulla. Ho visto anche Basilio pendere dalle sue labbra ed esaltarlo ogni volta che lo nominava. Non volevo che mi ammaliasse, quindi l’ho evitato il più possibile.»

Un giovinetto grazioso che si imbonisce uomini e donne. Chissà quanti denari e regali avrà scucito agli Albrisi. È plausibile? Basilio ha qualche delirio e teme, tanto che si chiude in se stesso; arriva un ragazzotto che gli dà corda, non solo crede nelle sue teorie ma lo incoraggia e gli dà forza, tanto che Albrisio ritrova fiducia in sé. Mostra gratitudine ad Angelo che continua ad alimentare le sue follie per il proprio tornaconto.

Sarebbe possibile. Stride, però, con l’ipotesi di Basilio manipolatore. Il medico sarebbe comunque in grado di irretire le suore? Oppure l’artigiano le ha abbindolate per interposta persona, suggerendo al suo burattino cosa dire e fare? Troppo complesso.

«Ci sono altri che sono rimasti affascinati dal Gabriello

«Non lo so.» ha risposto troppo in fretta «Non lo escludo … Perché?»

«Mi sembra improbabile che per anni le dottrine di vostro fratello siano rimaste fra lui e l’amico. Chi altro è coinvolto?»

«Nessuno.» voce acuta «Cioè, con qualcuno avran parlato ma non erano presi sul serio. E poi erano discreti, insomma, sapevano i pericoli.»

«Chi state proteggendo? Forse non è la corrispondenza con le suore che avete bruciato.»

Le mani gli tremano. Lo sguardo atterrito non si smuove da me ma con le dita cerca di recuperare il suo bastone.

«Vi chiedo un’ultima cosa. Dove posso trovare questo Angelo Gabriello? Vorrei sentire anche la sua versione.»

Si blocca. Gli occhietti si spalancano. Un filo di voce: «L-lui ha lasciato la città. Quando ci siamo accorti che l’Inquisizione sarebbe intervenuta, mio fratello ha deciso di rimanere, lui di fuggire.»

«Capisco.» annuisco e gli faccio cenno di andare.

Così ha scaricato tutte le responsabilità su un individuo che opportunamente è uscito di scena. Potrebbe aver mentito su questo Angelo, potrebbe esserselo addirittura inventato!

Farò controllare gli atti di battesimo e i registri dell’arte della lana: se esiste, da qualche parte deve pur comparire.

Questo Alessandro Albrisio sembrava convincente, mi ha nascosto informazioni ma non mi è parso mentisse. Indagare sul giovanotto può essere utile. Oppure entrambi i fratelli sono abili bugiardi.

Oh, accidenti, la zuppa! È solo tiepidina ormai.

Cucchiaio dopo cucchiaio vuoto il piatto. Avrei preferito gustarmela in tranquillità.

Vediamo se c’è un dolcetto per consolarmi. Ortensio Lando consigliava di assaggiare la Cotognata qui a Reggio. Proviamo a chiederla.

Vengo accontentato. I polpastrelli di indice e pollice premono appena per saggiare la consistenza di uno dei cubetti gelatinosi, spolverati di zucchero davanti a me. Lo porto alle labbra. Sì, il sapore della mela è intenso e dolce. Davvero squisita.

Ora, però, meglio rientrare.

Le spalle scompaiono sotto il peso del mantello. Una folata mi raggela il naso e gli zigomi al primo passo oltre il portichetto. Rieccoci in strada.

Nel buio distinguo le forme dei palazzi e le sagome delle poche persone che s’aggirano ancora, mi infastidisce la luce delle lampade che pendono dai muri qua e là. Rischiarono e rendono riconoscibili i colori, i dipinti che decorano le facciate, ma spiccano troppo sul buio circostante, mi costringono a chinare gli occhi.

Un cigolio. Qualcuno deve oliare i cardini dell’uscio o le finestre. Passi attorno, s’avvicinano e si allontanano. Chiacchiericcio dei passanti. La città è viva.

Un caso come quello di Albrisio deve suscitare scalpore, molti ne parleranno. Cerchiamo di captare qualche discorso dei passanti, magari c’è qualche dettaglio che passa di bocca in bocca ma nessuno si azzarda a riferirlo a noi, o per paura di essere coinvolto o perché dà per scontato che noi lo si sappia già.

«… e allora la Caterina ha cercato la collana …»

«… siete sicuro che si traduca così? Non voglio far brutta impressione al Maestro Corradi …»

«… vi dico che è così! I Benedettini di San Pietro vogliono la custodia delle reliquie di San Prospero, visto che erano nella loro vecchia abbazia …»

«È lui. Presto!»

Mi giro. Non so perché, ma per un attimo m’è parso che indicassero me.

Nessuno mi sta guardando. Nessuno sta correndo. Nessuno sta avvicinando qualcun altro.

Non capisco.

Un borbottio dal vicolo alla mia sinistra. L’ho superato poco fa. Che si sia cacciato là dentro chiunque mi abbia additato?

Schiena al muro, piatta-piatta, piccoli passi laterali, striscio i piedi per non far rumore. Voglio sentire cosa dicono. Una voce. Una sola. Intona una litania, ha la stessa cadenza delle preghiere ma non distinguo le parole. Un altro passo ancora, sono sull’angolo.

« Et sia sforzato di venir qui al deserto, al tribunal tuo, a la giusta pugna con il crucifisso in forma di serpente

Oh, no! Riecco quella dannata invocazione.

Ma allora ci sono in giro altri adepti. Lo sapevo!

Devo fermarli. Devo vedere chi sono.

Mi butto adesso? Sono solo, disarmato.

Pure nel vicolo c’è soltanto una persona. Credo. Spero.

Oh, non posso perdere l’occasione!

Balzo. Ruoto su me stesso per aver di fronte chiunque sia nella stradina e bloccargli il passaggio verso la via Emilia. Lo slancio è troppo. Metto male il piede sinistro, la caviglia si piega di lato; il destro, colto alla sprovvista con tutto il peso del corpo, slitta in avanti. Scivolo.

Intravedo appena, prima di chiudere gli occhi, due sagome umane che scattano a correre verso il fondo della viuzza.

Colpisco col sedere il suolo ghiacciato, non c’è neve ad attutire. La schiena batte a terra, poi le spalle e ricadono in ultimo le mani. Irrigidisco il collo e spingo la fronte in avanti. La testa è salva, non ho sbattuto la nuca.

«Messere! Tutto bene, Messere?» una voce giovane e in apprensione.

«Sì, mi sembra. Grazie.»

Sollevo le palpebre. Un giovanotto è chino su di me e mi offre la mano per aiutarmi ad alzarmi, un sorriso gentile tra le labbra rossissime. Ha un cappello di pelliccia ma alcuni ricci d’oro gli sfuggono e ondeggiano davanti agli occhi preoccupati.

Accetto la mano. Le mie dita gli sfiorano il palmo, il bruciore istantaneo di una scossa che mi attraversa per intero. Mi rialzo.

«Dovete stare attento.» la sua voce è una carezza «La caduta è imprevedibile.»

«Grazie.» mi guardo le vesti e con le mani mi scuoto di dosso lo sporco.

«Imprevedibile come la giusta pugna con il crucifisso in forma di serpente.»

Cosa? Trasalgo. Anche lui è coinvolto?

Sollevo il capo. Non c’è più.

Il vicolo è vuoto. Mi affaccio sulla strada maggiore. Giro il capo a destra e sinistra. Gente cammina ma lui non c’è. È entrato in un portone? Lo avrei visto almeno richiudersi, non sono stato tanto lento. Che succede? Chi era?

Il cuore martella il petto, mi manca il fiato.

Chi era? Com’è sparito?

Un momento. Giovane, ricci biondi, modi di fare confortevoli … è la descrizione di Angelo Gabriele. Era lui? Come aveva gli occhi? Non ci ho fatto caso.

È ancora a Reggio dunque?

Che sia lui o meno, è comunque coinvolto e ha cercato di intimidirmi. Era una minaccia, no?

Sì, lo era. Un avvertimento almeno.

Basta. Voglio tornare nella mia stanza, ho bisogno di riposo.

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