Le nostre parole mai dette

di Chiccaxoxo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Alew, un pianto di disperazione ***
Capitolo 2: *** Noctiphobia, paura della notte e dell'oscurità ***
Capitolo 3: *** Conticeo, sto zitto ***



Capitolo 1
*** Alew, un pianto di disperazione ***


Questa raccolta partecipa al Writober2021 di Fanwriter.it


Lista: Pumpword list

 

Prompt: Alew (Un pianto di disperazione)

 

Numero parole: 1.469

 

 

 

Alew (un pianto di disperazione)
 

 

Nascondersi quando si piange ma contemporaneamente desiderare che gli altri ci sentano per correre a consolarci, sensazione che Kisame conosceva bene. Gli altri in fin dei conti non è altro che un modo di dire per riferirci alla persona che amiamo senza parlare direttamente di lei. Ci si gira intorno, non lo si ammette. Uno come lui non poteva mica essere innamorato, un assassino che aveva eliminato l’unica creatura che si fosse mai preoccupata per lui. Lo invitava a mangiare, era gentile nei suoi confronti, si preoccupava affinchè non stesse solo, e lui l’aveva trapassata con la sua spada mentre lei domandava perché? Non si meritava che qualcuno lo amasse e lui non aveva il diritto di amare. Tuttavia quei due giorni di vacanza li aveva chiesti per piangere, per non farsi vedere dagli altri ma consapevole che stavolta non ci sarebbe stato nessuno da cui sperare di farsi sentire. Quel corpo che aveva rappresentato il suo motivo di vita non esisteva più adesso, lo aveva stretto al petto finché non aveva lasciato andare il suo ultimo respiro sulla sua faccia. Un bacio che aveva avuto il sapore del ferro e del sangue. Aveva visto i suoi occhi offuscati chiudersi per sempre. Ti amo, aveva detto. Il dubbio che Itachi non avesse fatto in tempo a sentirlo lo aveva stritolato in una morsa.

Idiota, perché hai dovuto aspettare l’ultimo momento?

 Ora la disperazione che aveva trattenuto in fondo allo stomaco fino a quel momento ruppe la diga e, senza pietà, iniziò a salire verso l'alto, travolse il suo cuore, il suo collo, fino a sgorgare dai suoi occhi come un fiume impazzito dopo settimane di alluvione. È strano come si tenda a non credere alle cose fino a che non si arriva a quel punto di non ritorno che ti fa capire come sia inesorabilmente finita. Aveva il corpo di Itachi tra le braccia, distrutto dalla malattia, dalle scelte che aveva fatto e dalla apocalittica battaglia contro Sasuke, eppure aveva dovuto vederlo dare l’ultimo respiro prima di rendersi conto che era davvero troppo tardi. Tardi per dire ti amo, tardi per scuse e spiegazioni, tardi per quei sorrisi e complicità che entrambi non avevano voluto esternare bollando come errori anche i più piccoli gesti d’affetto, tardi per raccontarsi a vicenda incubi e sogni, tardi per tenersi la mano guardandosi negli occhi... Strinse il suo corpo esanime affondando la faccia nel suo petto ormai freddo, singhiozzava senza freni, strepitava, urlava, tuttavia misurava la sua immensa forza fisica temendo ancora di fargli male. Posò il suo corpo sulla roccia accanto a quello del fratello perché era quello che gli aveva promesso, era stata la sua ultima richiesta, nonostante lui non ci avesse capito niente, l’aveva rispettata dal momento che doveva esserci sicuramente un buon motivo. Se Kisame aveva pianto disperato durante il loro addio, Itachi lo aveva fatto durante il loro primo incontro. Era stato un altro di quei pianti nascosti in cui forse era celata la volontà di farsi sentire e consolare. Itachi era giovane all’epoca poco più di un ragazzo, e già gli era stato chiesto di portarsi dietro un dolore più grande di lui, di strappasi con le sue stesse mani la sua intera vita e di fare lo stesso con quella del fratello minore, degli amici e dei parenti. Kisame non lo sapeva la prima volta che lo vide, era solo curioso di conoscere qualcuno che avesse gli occhi speciali, come li chiamava lui, di vedere quello sguardo leggendario di cui si sapeva essere dotati gli Uchiha e che incuteva a tutti un immenso timore. Era lì in attesa, in quella stanza in penombra, con la sua fedele Samehada pronta per ogni evenienza, non si sa mai, la maggior parte delle volte le nuove reclute di Akatsuki non erano altro che brutti ceffi e criminali di ogni livello, gente da cui bisognava costantemente guardarsi le spalle.  Una sagoma si disegnò sulla porta della stanza dove loro stavano in attesa, fuori la luce del sole era intensa e questo rendeva solo una figura scura. Da quel poco che Kisame riuscì a scorgere capì solo che quell’uomo era magro e aveva l’impugnatura di una spada che sporgeva da dietro la spalla destra. Uno spadaccino, tirò subito un sospiro di sollievo, di sicuro non avrebbe mai avuto tanto ardore di sfidare lui, sarebbe stato un autentico suicidio. Finalmente la nuova recluta si decise a fare un passo avanti per uscire dalla zona d'ombra. Eccolo quello sguardo, perso nel vuoto, colmo di dolore. Kisame dovette nascondere mezzo viso nel mantello per non far vedere che la sua bocca si era spalancata. Non fu catturato dal celeberrimo Sharingan che ora stava suscitando tutti quei silenziosi, ma al tempo stesso tremendamente chiassosi, sentimenti di invidia e odio negli altri presenti, ma fu colpito come un treno in corsa da tanta afflizione, non ne aveva mai vista una quantità tale e tutta insieme nella sua esistenza. Era solo un ragazzo eppure la vita gli aveva già riservato tanto tormento, ecco perché era lì, per inseguire quel sogno impossibile di fuggire da se stessi. Non sapeva ancora che la sofferenza gli sarebbe rimasta incollata addosso come la sua ombra. Cercava di contenersi mantenendo le spalle dritte, Kisame fu l’unico a notare il pallore estremo del viso e le sue gambe che tremavano, rimase affascinato dai suoi incantevoli capelli raccolti in un codino liscio e nero che gli scendeva in mezzo alla schiena; trovava bellissima quella divisa che aveva addosso con i pantaloni neri attillati, le caviglie fini ed eleganti fasciate in bende bianche e l’armatura grigia, era consapevole che non l’avrebbe visto mai più vestito così dopo che avrebbe iniziato a infagottarsi nel mantello Akatsuki, come tutti gli altri. L’uomo squalo abbassò gli occhi e sospirò attanagliato dalla delusione, aveva nutrito fino all’ultimo la speranza di essere nominato lui come partner del nuovo arrivato, Pain aveva messo subito Juzo in quel ruolo. Lo seguì con gli occhi mentre si avviava a rinchiudersi nella stanza che gli era stata assegnata. In pochi istanti era diventato il suo chiodo fisso nella mente, gli occhi di ossidiana lucida lo avevano folgorato senza bisogno di usare lo Sharingan. Trascorse tutta la sera chiedendosi dove fosse, non si era presentato a mangiare alcune persone non lo avevano ancora visto pur sapendo che ormai faceva parte del gruppo.

Alcune azioni si fanno in maniera inconsapevole solo in apparenza, semplicemente si finge che sia così per nascondere le reali intenzioni. Kisame era convinto di essere passato casualmente fuori dalla stanza di Itachi poco dopo essersi alzato dal tavolo della cena. Lo udì piangere attraverso la porta di legno serrata, si fermò qualche secondo ascoltando quel suono straziante che ebbe il potere di spaccare in due il cuore dell’uomo squalo. Kisame si era sempre autoconvinto di non averlo un cuore, forse aveva iniziato a pensarlo da quella notte in cui era stato costretto a eliminare i suoi compagni di squadra da giovane, la missione che gli era stata assegnata era passata avanti alle loro vite. Si rese conto ora, durante un’altra notte della sua vita che non avrebbe mai dimenticato, che il cuore lo aveva eccome, era andato in frantumi e contemporaneamente ricominciato a battere dopo tanti anni. Si era sentito in dovere di fare qualcosa, era una di quelle occasioni di cui avrebbe rischiato di pentirsi per tutta la vita se fosse andata persa, spinse piano la porta per entrare. Notò subito la bellissima divisa che gli era piaciuta tanto buttata sul pavimento senza la minima attenzione, Itachi era rannicchiato sotto le coperte, solo i capelli uscivano andando a spargersi sul cuscino. L’uomo squalo iniziò a muovere qualche passo per avvicinarsi lentamente e in silenzio, doveva ammettere che una eventuale reazione di Itachi un po’ la temeva, in fin dei conti gli sarebbe bastato guardarlo e lui non avrebbe fatto un tempo a distogliersi da quegli occhi così belli e magnetici, non avrebbe potuto. Kisame scorgeva la sagoma di quel corpo squassata dai singhiozzi, senza pensarci troppo e con la certezza che fosse la cosa giusta da fare e pazienza se ci avrebbe rimesso la vita, si sedette sul bordo del letto appoggiando delicatamente una mano su quel fagotto tremante. Rimase per un po’ fermo in quella posizione, poi la sua mano si mosse iniziando a massaggiare una parte del corpo di Itachi destinata a rimanere per sempre a lui sconosciuta dal momento che pareva un involtino. Non riusciva a calmarsi, l’uomo squalo ebbe l’impressione che avrebbe potuto smettere di respirare da un momento all’altro, si chinò su di lui baciando quel poco di capelli che riusciva a scorgere prima di uscire dalla stanza; forse in quel momento era meglio lasciarlo sfogare. Il dubbio se Itachi si fosse accorto o meno di lui era destinato a restare e ad attanagliarlo per sempre.

 

 

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Capitolo 2
*** Noctiphobia, paura della notte e dell'oscurità ***


Questa raccolta partecipa al Writober2021 di Fanwriter.it


Lista: Pumpword list

 

Prompt: Noctiphobia (Paura della notte, dell'oscurità)

 

Numero parole: 1.524

 

 

 

Noctiphobia (paura della notte, dell'oscurità)

 

 

 

Le catene tintinnarono con lo scatto fulmineo del serpente, l’aveva presa alle spalle.

Non hai il coraggio di guardarla in faccia, vero, vigliacco?

Ci aveva pensato lei a voltarsi, ma solo perché pensava che non fosse lui. Non poteva essere lui a fare una cosa del genere.

Che diavolo sta succedendo? L’ho visto ma mi è impossibile crederci, forse il dolore e l’oscurità mi stanno ingannando, forse le lacrime mi appannano la vista...

Nemmeno dopo che lo ebbe guardato, nemmeno dopo aver visto il suo viso sfregiato col sangue dei suoi amici, neanche in quel momento lo credette possibile.

Aiutami, Itachi, aiutami!

Ci avrebbe pensato dopo alle conseguenze, per ora l’adrenalina teneva a distanza quella consapevolezza che in seguito lo avrebbe schiacciato. Non avrebbe mai immaginato di usare quell’immensa velocità che lo aveva reso leggendario per metterla al servizio della distruzione. Il suo cuore ora si era trasformato in una splendida vetrata che avrebbe mandato in frantumi con le sue mani. Avrebbe preso a sassate quel bellissimo disegno; tuttavia lui non sapeva che era stato meraviglioso prima e avrebbe continuato ad esserlo anche dopo quella notte, sia pur sbriciolato. Già si sentiva riprovevole e sciagurato e sarebbe scivolato più a fondo in quella condizione ad ogni fendente. Nessuno avrebbe più potuto sollevarlo da questo, era ormai troppo, era ormai impossibile.

Devo farlo per te, per salvarti. Io l’ho vista con i miei occhi la guerra, non voglio che tu debba passare quello che ho passato io. Nessuno ha mai saputo guardare al futuro quanto me, ho già fatto in modo che nessuno ti tocchi.

C’era la luna quella notte, piena, sembrava non essere mai stata così luminosa, tuttavia un cielo nero avrebbe fatto per sempre da tetto ai suoi peggiori incubi. Non avrebbe sognato mai più, non ci sarebbe stato più niente di luminoso e gradevole. Persino quella giornata di tanti anni prima con quel mare che pareva una distesa luccicante di diamanti, quando lui era arrossito davanti all’offerta di un dolcetto, anche quella sarebbe stata costellata di mostri, grida e i tonfi sinistri dei corpi che cadono a terra.

Resti pur sempre un bravo ragazzo.

Eccola la frase detta al momento giusto, galeotta, infame, eppure giusta, vera, come tutte quelle cose che avrebbero dovuto attendere nell’ombra ancora per molti anni. Aveva colpito dritta nel bersaglio, quella frase, facendo scendere tutte insieme quelle lacrime che stavano aspettando da quando il sole era tramontato quel maledetto giorno, come un fiume impazzito di dolore e di voglia di libertà che rompe la sua diga.

Cosa è la verità se non qualcosa capace di fare tremendamente male?

Il cielo era sempre più nero, come quegli occhi grandi che avrebbero dovuto vederlo, questa era forse la parte che feriva di più ma era necessaria.

Ti riscatterò ma prima dovrò farti soffrire, dovrai conoscere la menzogna prima di arrivare alla verità, dovrai attraversare il dolore prima di diventare un eroe perché questo a loro è richiesto.

Ogni volta che apriva gli occhi per sbaglio la notte il buio lo schiacciava, si sentiva soffocare cose se fosse immerso in una densa gelatina, il nero di quella strada disseminata di corpi gli faceva da cappa afosa e pesante, sembrava che lo rimproverasse e piangesse lei stessa per averla ridotta così.

Sono state queste mani.

Apriva gli occhi, non vedeva niente e aveva voglia di urlare, non poteva respirare, ansimava sudato e tremante, il cuore rotolava con forza sotto lo sterno, quelle grida trovavano sfogo comunque sotto forma di lamenti. Gli veniva istintivo attivare lo Sharingan in pochi secondi per squarciare la cortina di oscurità che lo teneva prigioniero, solo dopo che aveva allentato la presa dei suoi artigli poteva iniziare a calmarsi. Allora vedeva quel cielo anche lui scuro sotto la volta della caverna in cui si erano rifugiati per dormire lui e il suo partner; la memoria lentamente tornava trascinandosi dietro il dolore momentaneamente allontanato dal sonno. Un lieve cipiglio si era formato sulle sue labbra ripensando a Sasuke, ogni cielo scuro della notte, anche se pieno di stelle, lo faceva pensare a lui, la tristezza balenò attraverso i suoi occhi ora tornati neri.

“Itachi, stai bene?” solo allora si era ricordato di quella mano, ora si era ritirata ma gli aveva accarezzato dolcemente la testa fin quando lui era stato in preda ai suoi mostri.

Itachi girò istintivamente la testa verso Kisame, l’uomo squalo era seduto e chinato su di lui, si stupiva sempre di come riuscisse a cogliere ogni minimo accenno di quelle emozioni che lui cercava così disperatamente di nascondere guardando il suo viso.

È troppo tardi, nessuno potrà mai risollevarmi da questo, mai più. Non badate a me, non tentate, la notte è scura ma io sono trasparente.

“Sto bene” rispose freddamente, il sospiro che si era lasciato sfuggire era il chiaro segno che si stava calmando.

Non ti sfugge mai niente, quegli occhi argentati squarciano la notte della mia anima come fosse carta velina, malgrado tutto.

“Puoi parlare con me se ne hai bisogno, sono il tuo partner” Kisame si era rimesso a sedere dritto fingendo scioltezza.

Itachi si alzò in piedi senza rispondergli, uscì dalla caverna immergendosi nella notte. Rabbrividì, le notti erano tutte diverse eppure… tremendamente uguali.

Uguali a quella notte.

Si morse il labbro inferiore, strinse forte quelle mani che avevano elargito tanto dolore, un tremito le scosse, si avvicinò a un albero sferrando un pugno così forte da spaccare la corteccia. Chiuse gli occhi, sbuffò prima di accasciarsi con la fronte posata al braccio ripiegato appoggiato sul tronco. Lui non aveva il diritto di piangere, dopo quella notte non meritava più niente, nemmeno di provare emozioni.

“Cosa c’è che non va?” chiese dolcemente Kisame, una punta d’apprensione nella sua voce.

L’uomo squalo avrebbe voluto sentire dall’altro una parola, sarebbe andata bene qualsiasi cosa. Itachi fu percorso da un forte brivido e iniziò a tremare, si voltò in direzione del suo compagno: “la notte mi ricorda mio fratello, i suoi occhi disperati, il sangue della mia famiglia e dei miei amici che avevo sulle mani, sui vestiti, sul viso, lo avevo dappertutto. Io gli ho rubato la vita in una notte come questa, lo guardavo dall’alto mentre correva verso casa fiducioso, sicuro che avrebbe trovato sorrisi e una cena calda ad accoglierlo e invece… “

Un singhiozzo lo aveva interrotto. Per l’uomo squalo non era mai stato insignificante, egli aveva sempre avuto il potere di toccare i tasti giusti, compresi quelli del suo cuore indurito e disintegrato.

I frammenti della vetrata si sono tramutati in brecciolino, l’ho fatto per non dover soffrire, l’ho fatto perché io non mi merito niente.

Kisame si era avvicinato lentamente, Itachi teneva gli occhi bassi lasciando che una lacrima sfuggisse alle sue ciglia lunghissime e nere, l’uomo squalo la intercettò prima che cadesse a terra. Era stata sempre dura non cedere davanti a lui e ora i suoi incubi lo avevano reso ancora più vulnerabile.

“Va tutto bene, sono qui con te” Kisame lo abbracciò piano posandogli un dolce bacio sulla testa.

Ormai aveva fallito, il suo autocontrollo non aveva retto, Itachi affondò il viso nel petto ampio e caldo del suo partner, altre lacrime avevano seguito la prima, inzupparono la pelle liscia e levigata di Kisame, le emozioni avevano fatto saltare il tappo che lui aveva imposto loro come succede a una bottiglia di spumante sottoposta a troppi contraccolpi. Permise a Kisame di tenerlo così finché le lacrime non cessarono e il suo spasmodico tremito non si calmò un poco. Itachi alzò il suo sguardo verso l’uomo squalo, ora gli aveva mostrato la sua debolezza accorgendosi di ricevere in cambio l’amore, poteva leggerlo nei suoi occhi argentati. Quell’amore ritenuto immeritato da quella notte. La luna è magica e romantica per la maggior parte delle persone, ma Itachi l’aveva sempre interpretata come qualcosa di magnifico che si faceva beffe di lui, delle sue mani sporche di rosso, di quegli occhioni che lo guardavano disperati e increduli, ancora colmi d'amore residuo e del suo cuore infranto.

“Dai, vieni dentro” Kisame gli aveva afferrato piano una mano, incredibile come riusciva ad essere delicato nonostante la sua mole. Lo fece sdraiare di nuovo nel suo giaciglio stendendosi accanto a lui.

“Ci sono io a proteggerti dalla notte, non deve farti più paura. Dormi tranquillo.”

Itachi si era aggrappato al corpo grande e solido dell’altro, si era abbandonato a quelle braccia che lo stringevano protettive e quelle labbra carnose e calde che si posavano piano sulla sua testa. Nessuno dei due desiderava di più semplicemente perché non poteva esistere qualcosa di più. L’uomo squalo aveva sempre fatto quanto in suo potere per ritrasformare quella ghiaia nella bellissima vetrata che era stata un tempo, era stato l’unico a scorgere quel magnifico disegno attraverso quegli occhi che inconsapevolmente gridavano una eterna ricerca d’affetto, anche loro neri come la notte.

“Ti amo, Itachi.”

Ma il moro era già scivolato nel sonno e sorrideva immerso nei bagliori del mare che pareva essere una distesa di diamanti sotto la luce fulgida del sole, nel giorno di tanti anni prima, quando ancora lui non era diventato uno spietato demone della notte, allungò una mano accettando un dolcetto.

 

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Capitolo 3
*** Conticeo, sto zitto ***


Questa raccolta partecipa al Writober2021 di Fanwriter.it


Lista: Pumpword list

 

Prompt: Conticeo (sto zitto)

 

Numero parole: 1.492

 

 

Conticeo (Sto zitto)

 

 

“Kisame”

“Sì?”

“Vorrei che mi parlassi.”

“Uhm?”

L’uomo squalo fu colto impreparato. Si stavano dirigendo verso quello che era stato il covo segreto degli Uchiha, Itachi lo aveva preso a braccetto forse a causa della sua vista ormai molto precaria, pensava, o magari aveva bisogno di conforto decidendo di procurarselo attraverso il contatto fisico, tuttavia lui aveva deciso di stare zitto lasciandolo fare, erano gli ultimi istanti della sua vita e aveva diritto a trascorrerli come meglio credeva. Itachi era silenzioso e aveva sempre desiderato ritagliarsi degli spazi di quiete. Un po’ tanti, in realtà, le loro conversazioni durante gli anni che avevano trascorso come partner erano state decisamente poche. Kisame era stato sempre un tipo loquace e con la battuta pronta, sempre il primo a parlare, anche scherzare se trovava l’occasione propizia, tuttavia si era adattato a rispettare i silenzi del compagno. Itachi, dal canto suo, non gli aveva mai imposto di stare in silenzio, anzi, lo lasciava parlare anche per ore, era stata una sorta di tacito accordo con cui si rispettavano a vicenda. La prima volta che si erano conosciuti su quel pontile, Kisame era stato immediatamente attratto da lui, non conosceva ancora il suo carattere per questo aveva iniziato a parlare del più e del meno rivolto alla sua schiena incurvata sotto il peso del dolore. Vedendo che l’altro non considerava minimamente la sua presenza iniziò a sparare una serie di stupidaggini nel tentativo di attirare la sua attenzione. Pian piano aveva imparato a conoscerlo e a leggere i suoi silenzi e la sua sofferenza come fossero libri aperti. Per Itachi le parole parevano un’invenzione inutile perché lui comunicava con gli occhi. Kisame aveva sempre colto al volo quel grido d’aiuto lanciato da quelle pupille nere che diventavano lucide durante le crisi peggiori della sua malattia. Lo capiva al volo, non c’era bisogno che parlasse, come nell’occasione in cui Deidara annunciò di voler sfidare Sasuke, Itachi non batté ciglio, il suo respiro non subì la minima alterazione, i suoi muscoli non ebbero un fremito, una statua di cera; Kisame si era chiesto stupito come avesse fatto a mantenere un autocontrollo del genere sia pure udendo una notizia di tale portata. Itachi si esprimeva con gli occhi e lui era stato il solo ad averlo capito e il solo che poteva comprendere quella lingua unica al mondo. Un estraneo avrebbe potuto non vedere niente, ma l’uomo squalo si era allenato a cogliere ogni impercettibile fremito delle ciglia, qualunque minimo luccichio nell’ossidiana lucida delle pupille, ogni lieve tremito delle sue labbra. Era per questo che stare zitto non gli era mai dispiaciuto, anzi, si riteneva onorato di comprendere quel linguaggio valido solo per loro due; questo dimostrava, senza bisogno di parole, quanto il loro legame fosse speciale.

Ma ora Itachi aveva bisogno di udire la sua voce, che gli facesse compagnia, voleva assorbirne il suono per portarselo dietro ovunque si fosse risvegliato tra poche ore. Si era reso conto che Kisame aveva bisogno di parole come lui aveva bisogno del silenzio, per lo squalo era sgradevole e assordante in certe occasioni. Il moro era stato attanagliato dall’ansia di dover trascorrere i suoi ultimi minuti nel rimorso: quello di non salutare Kisame come si deve, nel modo in cui l’uomo squalo avrebbe desiderato, quello che aveva imparato da piccolo e da giovane quando la sua presenza e la vita non lo avevano ancora condizionato.

Scusa, Kisame, ho solo saputo rimproverarti e dirti che il tuo bene non lo volevo, ti ho fatto soffrire tenendoti lontano da me perché sapevo che questo giorno sarebbe arrivato e non volevo che tu ti affezionassi troppo, tuttavia il tuo enorme cuore ha scavalcato anche questa barriera che io avevo eretto.

L’uomo squalo era uno che amava parlare, avrebbe persino inventato nuove parole se fossero servite, ora Itachi voleva omaggiare il loro rapporto, quella persona che si era presa cura incondizionatamente del suo corpo debole per anni al contrario di altri che avrebbero preferito abbandonarlo a morire da qualche parte da solo. Kisame negli ultimi anni si era accollato tutte le loro missioni più impegnative dal momento che lui non ce la faceva più, aveva persino catturato Roshi da solo. Kisame aveva bisogno di parole per alleggerire la sofferenza mentre lo stava accompagnando verso la sua ultima meta, ora Itachi non desiderava altro rammarico, già ne aveva avuto abbastanza nella sua vita.

“Itachi, lo sai che io non mi sono mai fatto problemi a dire le cose in faccia a chiunque se c’era bisogno, l’ho fatto sempre anche con te.”

“Parlami degli anni che abbiamo passato insieme, delle nostre parole mai dette, di noi.”

Itachi aveva rivolto i suoi occhi offuscati nella sua direzione rendendosi conto di non averlo mai guardato e ascoltato abbastanza.

Tu il modo di ascoltarmi lo avevi trovato, invece, e non ti ha mai tratto in inganno.

Itachi desiderava che lui ora parlasse del loro rapporto per questo Kisame cominciò dall’inizio, dalla prima parola mai detta: pianto. Era passati più di dieci anni ormai, trascorsi fianco a fianco sotto la pioggia, al freddo, soffrendo per la mancanza di cibo e per la fatica delle lunghe marce, eppure una domanda era rimasta ancora senza risposta dal primo giorno in cui Itachi era stato reclutato in Akatsuki, quando loro non erano stati ancora designati come partner. Kisame non aveva mai capito se Itachi quel giorno si fosse accorto mentre piangeva disperato sotto le coperte, del suo lieve massaggio per cercare di consolarlo.

Si fermarono un attimo, Itachi rivolse il suo viso verso l’altro che lo stava guardando intensamente, sorrise, la luce lo illuminò così tanto da farlo sembrare un angelo. I sorrisi di Itachi erano così belli e rari che avevano il potere di cancellale tutto il resto, così come ora aveva eliminato l’angoscia della sua imminente perdita dal cuore di Kisame.

“L’ho sempre saputo, Kisame, e perdonami se non ti ho mai ringraziato. Nessuno mi aveva mai dato del contatto fisico a parte in delle rarissime occasioni, tu mi hai fatto riscoprire che esistono delle cose che rendono la vita degna di essere vissuta, la mia finisce oggi, ma non sarebbe valso a niente campare cent’anni senza di te.”

Itachi stava sempre zitto, era stato capace di farlo per intere settimane, ma quando decideva di usarle, le parole, era in grado di andare a prendere le più sublimi e rare che siano mai state scritte, sembrava che fossero state inventate apposta per lui e che non dovessero essere degne di uscire da una bocca diversa dalla sua.

Itachi aveva chiesto a Kisame di parlare di fatti che li avessero legati, ecco perché all’uomo squalo era venuta in mente la luna piena, il buio e la notte. Cercava di metterli in modo che sembrassero belli, descrivendo le stelle e le serate d'estate trascorse sdraiati sulla sabbia sperando di vederne una cadere. Narrava di lune talmente luminose da rendere agevole il cammino come se fosse giorno, di lune giganti e arancioni…

“Lo sai, Itachi? Il fatto che la luna ci sembri più grande quando sorge è solo un’illusione ottica, succede perché la confrontiamo con gli oggetti che ha intorno, le case, gli alberi…”

“E la paura” la voce di Itachi era stata talmente suadente e gentile da far sembrare gradevole persino quella parola: “Un’altra delle nostre parole mai dette, che io non ho mai pronunciato ma che tu hai capito al volo, come sempre. Io ho paura del buio, ma tu sei stato la mia luce, Kisame.”

Kisame arrestò un istante la sua marcia per abbracciarlo dolcemente come aveva fatto quella notte per farlo smettere di tremare e per consentirgli di riaddormentarsi tranquillo tra le sue braccia capaci di proteggerlo da tutti i suoi mostri notturni. Avanzavano così, stretti l’uno all’altro, attraversando quel viadotto in rovina. L’uomo squalo avrebbe voluto allungarla all'infinito quella strada. Itachi aveva comunque poco da vivere, tuttavia se quel viadotto fosse durato per sempre avrebbero potuto stare insieme un po’ di più. Si fermarono nel punto in cui la via era crollata rimanendo ad osservare un mare verde di alberi sotto di loro.

“Kisame, da quando ti ho conosciuto, dal giorno del mio reclutamento, quando entrando in quella stanza ti scorsi spalancare la bocca cercando di nasconderti sotto il mantello, tu per me sei stato tutto, mi hai dato ogni cosa di cui ho avuto bisogno, scusa se io non ho fatto lo stesso con te.”

L’uomo squalo non fece in tempo a replicare, Itachi era già sparito correndo incontro al suo destino. Avrebbe voluto gridare miliardi di parole ma era rimasto zitto. Stavolta era stato Itachi a parlare e lui non era stato capace di esprimersi.

Almeno una parola io devo dirtela, bisogna che tu la sappia assolutamente prima di andartene, sarà l'unico vocabolo capace di fare la differenza nella nostra vita. Ora fermerò la squadra di Sasuke come desideri e poi correrò da te per dirtela, dovesse essere l’ultima cosa che faccio.

Ti amo, non posso più stare zitto.

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