The Sky In Your Eyes

di Ode To Joy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #Mnestic ***
Capitolo 2: *** #Ascian ***
Capitolo 3: *** #Wabi-sabi ***
Capitolo 4: *** #Eccedentesiast ***
Capitolo 5: *** #Metensomatosis ***
Capitolo 6: *** #Longanimity ***
Capitolo 7: *** #Ephialtes ***
Capitolo 8: *** #Acrasia ***
Capitolo 9: *** #Hävitä ***
Capitolo 10: *** #Latibulum ***
Capitolo 11: *** #Yugen ***
Capitolo 12: *** #Preterist ***
Capitolo 13: *** #Ukiyo ***
Capitolo 14: *** #Tectus ***
Capitolo 15: *** #Ataraxis ***
Capitolo 16: *** #Pridian ***
Capitolo 17: *** #Alew ***
Capitolo 18: *** #Sweven ***
Capitolo 19: *** #Lorn ***
Capitolo 20: *** #Multitarian ***
Capitolo 21: *** #Noctiphobia ***
Capitolo 22: *** #Louche ***
Capitolo 23: *** #Aonaran ***
Capitolo 24: *** #Kaira ***
Capitolo 25: *** #Mazarine ***
Capitolo 26: *** #Aita ***
Capitolo 27: *** #Anteric ***
Capitolo 28: *** #Conticeo ***
Capitolo 29: *** #Hukka ***
Capitolo 30: *** #Hiraeth ***



Capitolo 1
*** #Mnestic ***


#1 Mnestic

 

T'abbraccerò

Così che tu non possa andare via

Non dirmi no

Tanto saprei amarti pure come idea

 

Dal cellulare di Oikawa Tooru; 

O.T. - Tobio-chan! Esigo di essere informato sugli ultimi eventi! 

[00.00]

 

O.T. - Tobio-chan! Non usare la scusa del fuso orario. Uno come te non dorme in questa situazione. Al massimo piange fino a crollare, ahah!

[01.53]

 

O.T. - Tobio, capisco che tu sia disperato al pensiero della tua imminente sconfitta della vita, ma questa non è una buona ragione per buttarsi nel Tevere! 

[03.14]

 

O.T. - Tobio, seriamente, non mi fido della tua deficienza! Rispondimi, se non vuoi che coinvolga l’ambasciata!

[05.40]

 

K.T. {Tobio F***ing-Chan} - Mi sono scordato il cellulare a casa. Sono andato a correre.

[06.03]

 

O.T. - Tutta la notte?

[06.05]

 

K.T. {Tobio F***ing-Chan} - Tutta la notte. 

[06.11]

 

O.T. {The Great King} - RESTITUISCIMI IL SONNO DI BELLEZZA CHE HO PERSO PER TE E PER LA TUA STUPIDITÀ!

[06.13]

 

In quei momenti sappi sempre

Che l'estate arriverà

 

-Roma, 2022-

 

Qualunque cosa accada, non smettere mai di guardare il cielo.

 

Dieci parole scritte in fretta e furia su di un post-it azzurro. 

Kageyama Tobio aveva conservato quel piccolo tesoro nel suo portafoglio per quasi un decennio. Nessuna data, nessuna firma. Non vi era niente su quel pezzo di carta che potesse ricollegarlo a un tempo e a una persona precisi. 

Tobio non ne aveva bisogno. Ricordava alla perfezione la primavera in cui aveva trovato quel messaggio nello spogliatoio del club di pallavolo, appiccicato sull’armadietto che era stato suo per tre anni.

Dieci parole per mettere nero su azzurro l’ultimo di una serie di addii, l’unico che Tobio si era rifiutato di accettare. Quella sera, aveva salutato per sempre Karasuno e la sua adolescenza, ma non era riuscito a fare lo stesso con l’autore di quel post-it.

Il sole era appena sorto su Roma, ma non c’era stato alcun riposo per lui quella notte.

Gli sembrava di essere tornato indietro nel tempo, alla primavera in cui quel post-it era stato scritto.

A quasi ventisei anni, Tobio sentiva di nuovo la stretta al petto di un ragazzino che non riesce a venire a capo delle sue emozioni. Il campo da gioco era il solo luogo in cui riusciva a stare bene. Una volta finita la partita, l’aria tornava a mancargli. Quella sensazione era  accompagnata dallo spiacevole presentimento che qualcosa di prezioso gli stesse scivolando di mano. Era esattamente come avere di nuovo diciotto anni, con ancora tutto il mondo da conquistare e l’unica persona di cui gli importava a un oceano di distanza da lui. 

I suoi pensiero dovettero riecheggiare molto lontano, perché proprio in quel momento il cellulare sul comodino prese a vibrare. Quando Tobio vide la foto che era comparsa sul display, sorrise.

Conosceva solo una persona pronta ad affrontare il mondo prima ancora che esso si svegliasse.

“Buongiorno.” 

Dall’altro capo della linea, arrivò una risata. “Stai sorridendo…”

Per tutta risposta, gli angoli della bocca di Tobio si sollevarono ancor di più. “Può darsi,” gli concesse. Era passata l’età in cui mostrare delle emozioni lo imbarazzava al punto da farlo arrabbiare.

“Non hai nessuna partita oggi.”

“Nemmeno tu.”

“E nessun allenamento.”

“Questo vale per tutti e due, ma tu sei sveglio ancor prima che sorga il sole.”

“Se mi hai risposto con un buongiorno, non devo essere l’unico.”

Il sorriso di Tobio si fece stanco, amaro. Non dormiva bene da un po’, non quando era da solo. 

“Ti ho aspettato ieri notte,” ammise il giovane dall’altro capo della linea. “Non lo so, avevo avuto la sensazione-”

“Era la sensazione giusta,” confermò Tobio. “Ma ho fatto molto tardi,” per combattere con le mie paranoie,, “e non ho voluto svegliarti.” Perché non ho vinto la battaglia.

“Tu devi svegliarmi,” lo rimproverò bonariamente l’altro. “Ma sei fortunato. Ho già pensato a una soluzione.”

Tobio si mise più comodo contro i cuscini. “Sarebbe?”

“Allora… Diciamo che potrei essermi svegliato presto per farmi una corsa dal mio hotel al tuo.”

“Oh, certo, mai saltare la corsa del mattino.”

“E dato che sto per entrare alla reception, ho pensato di salire, farmi la una doccia-”

“Ovvia, una doccia.”

“E magari uscire con te a fare colazione,” il ragazzo fece una pausa. “Coi tuoi vestiti addosso.”

Tobio allontanò il cellulare da sé per controllare l’ora. “Mancano almeno due ore e mezzo all’ora di colazione.”

Ancora una risata. “Vorrà dire che, nell’attesa, ci faremo compagnia.”

Ci faremo compagnia…

“Avanti, Tobio, smettila di prendermi in giro!”

Nella sua mente, Tobio lo vide gonfiare le guance offeso, come se avesse ancora quindici anni. “Stanza 109,” disse. “Ti aspetto… Sotto la doccia.”

Shouyou non disse altro, ma il calore del suo sorriso - sebbene non potesse vederlo -  lo raggiunse fino a lì.

 

E se poi il caldo non si sente

È perché dentro ce l'hai già

[Ultimo - “Bungiorno Vita”]

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Capitolo 2
*** #Ascian ***


#2 Ascian 

 

Sarà colpa mia

O forse anche tua

Parlarci di tutto senza dire mai niente

Io che ti chiedo scusa

Poi, poi ti bacio a memoria

 

Dal cellulare di Hinata Shouyou; 

H.S. - Hai mai pensato di volare via?

[22.36]

 

K.T. {The King} - Non capisco che intendi.

[22.37]

 

H.S. - Perché sei irrimediabilmente tonto!

[22.37]

 

K.T. {The King} - Vuoi che venga lì a prenderti a pugni?

[22.39]

 

H.S. - Mi metterai le mani addosso domani pomeriggio… A casa tua. 

[22.41]

 

H.S. - Tobio, sei ancora in linea. Non fingere di esserti addormentato.

[23.02]

 

K.T. {The King} - Dovevi proprio dirlo in quel modo imbarazzante?! 

[23.05]

 

H.S. - Ahahahah!

 

K.T. {The King} - Non ridere, stupido! 


Perché noi siamo

Un magnifico difetto

Che con te è stupendo

E non voglio

Dare un senso a tutto questo

Ma con te è diverso


- Miyagi 2014 -

 

“Lo sapevi che nei paesi più vicini all’Equatore non puoi vedere la tua ombra nelle ore più calde della giornata?”

Tobio sapeva solo che quell’informazione non gli era di alcuna utilità per venire a patti con la cena di quella sera. Il frigo era vuoto e non aveva abbastanza soldi per ordinare d’asporto. Non gli restava che sperare che Miwa passasse a comprare qualcosa, prima di tornare dal lavoro.

“Vuoi andare vicino all’Equatore?” Domandò Tobio distrattamente, sperando di trovare un piano B nel congelatore. Non era nemmeno sicuro di sapere dove fosse - l’Equatore - ma qualcosa gli diceva che faceva parecchio caldo da quelle parti.

“Tokyo non è vicina all’Equatore,” ribatté Shouyou.

Ma d’estate fa comunque un caldo infernale, pensò Tobio. Decise di dichiarare la resa e di lasciare la cucina: il suo partner era sul divano e si stava intrattenendo con una delle riviste di sua sorella.

“Vuoi andare a Tokyo?” Tobio si sedette vicino a lui.

Shouyou scrollò le spalle, mentre il suo sguardo scivolava sulle foto di posti esotici. “A meno che tu non stia prendendo in considerazione la proposta di quell’università semi-sconosciuta dall’altra parte del paese.”

Tobio storse la bocca in un ghignetto sarcastico. “Il terzo anno non è nemmeno iniziato e tu già prendi la rincorsa per paura di non raggiungermi?”

Shouyou gli lanciò la rivista in faccia. “Non ho bisogno di prendere alcuna rincorsa,” disse, ridendo. Si spostò a cavalcioni sulle gambe dell’alzatore senza alcuna grazia. “Ti ho già raggiunto.”

Tobio si liberò della rivista con uno sbuffo. “Visto che hai tirato fuori il discorso, possiamo parlare di Tokyo con serietà?” 

Era una discorso precoce: il loro ultimo anno alla Karasuno non era neanche cominciato e tante cose potevano ancora cambiare prima del diploma. Per Shouyou, almeno. Era un dato di fatto che il futuro di Tobio fosse legato alla pallavolo. Tutto quel che gli restava da fare era scegliere la strada che più gli piaceva, perché sulla destinazione finale non c'erano dubbi.

“Ehi…” Shouyou gli tirò i capelli all’indietro. “Ti sei fatto malinconico di colpo. A che stai pensando? Non sforzarti troppo o ti verrà il mal di testa.”

Tobio rimase sordo a quella provocazione. Sollevò la mano e prese a tracciare il contorno delle labbra dell’altro, come se non fosse già in grado di disegnarle a occhi chiusi.

Il sorriso di Shouyou morì nel breve tempo di quella carezza. “Tobio-”

La porta dell’ingresso che si apriva lo interruppe.

“Sono tornata!” Annunciò Miwa.

Tobio lanciò il suo partner sul divano, lontano da sè, guadagnandosi un insulto nel processo.

“Oh, c’è anche Shouyou.” A sua sorella fece piacere, glielo lesse in faccia. Da parte sua, fu felice di vederla con una busta della spesa in mano.

“Ti aiuto, Miwa,” si offrì Shouyou, mettendosi in piedi con un saltello. “Tobio si è perso nella sua testa, ne avrà per un po’.”

Sua sorella gli lanciò un’occhiata veloce, abbandonando la busta sul tavolo della cucina. “Ti serve un navigatore, Tobio? Ti ho comprato un iPhone, usalo.”

Shouyou, ovviamente, trovò quell’uscita molto divertente.

Tobio allontanò i pensieri con una smorfia, poi si alzò per dare una mano a preparare la cena. 

L’argomento Tokyo scivolò di nuovo nella conversazione appena la tavola fu pronta.

Furono Shouyou e Miwa a mandarlo avanti. Tobio fece finta di non ascoltarli, intervenendo a monosillabi solo quando erano loro a interpellarlo.

“Potreste prendere un appartamento tutti e quattro,” propose Miwa, portando le pietanze in tavola.

“Quattro?” Domandò Tobio, sedendosi al suo posto. Shouyou era di fronte a lui.

“Anche quei due vostri compagni di squadra andranno a Tokyo, no?”
Sua sorella si riferiva a Yamaguchi e Tsukishima. 

“Un appartamento con due camera sarebbe più che sufficiente per voi e ridurrebbe le spese al minimo,” concluse Miwa, versandosi un bicchiere d’acqua.

“Non è una cattiva idea,” convenne Shouyou.

Tobio lo guardò storto. “Piuttosto che andare a vivere con Tsukishima, mi trasferisco sotto un ponte.”

Il suo partner scrollò le spalle. “Pazienza, più spazio per me.”

Miwa ridacchiò.

“Non credere che lo stronzo la pensi diversamente da me,” aggiunse l’alzatore.

“Tobio…” Sua sorella lo rimproverò con uno sguardo eloquente.

“Va bene, tu e Tsukishima avrete il vostro ponte. Io e Yamaguchi il nostro appartamento.” Shouyou era già lì, nella metropoli che era quanto di più diverso ci fosse dal luogo in cui era cresciuto. Tobio lo guardava e nei suoi occhi non vedeva neanche la metà delle incertezze che, alle volte, lo rendevano irrequieto. 

“Sarebbe bello, se riuscissimo a stare tutti insieme.” Era speranza quella nella voce di Shouyou. “Sarebbe un po’ come fare un passo avanti senza cambiare niente.”

Era una bella illusione: procedere sul proprio cammino aspirando all’immobilità totale.

Era una follia già allora.

Non avevano neanche diciassette anni, potevano permettersi di crederlo.

 

E cancelliamo le paure

Per poi poterci addormentare

Perché noi siamo

Un magnifico difetto

Che con te è stupendo
[Benji & Fede - "Magnifico Difetto"]


 

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Capitolo 3
*** #Wabi-sabi ***


#3 Wabi-sabi 

 

Vedi, cambiano colore le pareti

Quando la luce e il buio incontrano i pensieri



 

Dal cellulare di Kageyama Tobio;

K.T. - Oikawa è in Argentina. 

[10.11]

 

U.W. - Sì, lo so. 

[10.11]

 

K.T. - Ma Iwaizumi è qui a Tokyo.

[10.12]

 

U.W. - Sì, lo abbiamo visto l’altra sera…

[10.14]

 

K.T. - Perché Iwaizumi è qui, mentre Oikawa è dall’altra parte del mondo?

[10.14]

 

U.W. - Non è proprio l’altra parte del mondo. È solo un oceano di distanza. 

[10.15]

 

Abbiamo perso tutto l'entusiasmo

Hai fermato gli orologi quando ero distratto

Tu non dirmelo se poi ti manco

Io non ti dirò che adesso piango

 

Kitagawa Daiichi Junior High, 2009-
 

Quello era tutto ciò che Tobio sapeva sull’amore, ma a dodici anni non avrebbe mai potuto saperlo.

“Non capisci niente, Iwa-chan!” Si lagnò Oikawa con voce stridula. “Come al solito, non capisci proprio niente!” Ci tenne particolarmente a sottolineare l’ultima parola.

Iwaizumi, da parte sua, lo ignorava deliberatamente, ma Tobio poteva vedere la vena sulla sua tempia pulsare pericolosamente. Era il suo terzo tentativo di riporre le palle da gioco nell’apposita cesta e, per la terza volta, Oikawa aveva deciso di non essersi allenato abbastanza al servizio.

“Voglio andare a casa,” si lamentò Kindaichi a bassa voce.

Tobio no, lui sarebbe volentieri rimasto in palestra a guardare Oikawa allenarsi anche tutta la notte. Non lo disse, non aveva senso quando sapeva che nessuno dei suoi compagni era davvero interessato. 

“Ehi, Kageyama, smettila d’incantarti e dacci una mano,” lo rimproverò uno dei ragazzi dell’ultimo anno. Nessuno sembrava porre attenzione a Oikawa - che continuava a urlare - e Iwaizumi - che si sforzava di rimanere sordo alle sue accuse.

“Devi lasciarmi fare, Iwa-chan!” Insistette l’alzatore. “Se non mi alleno abbastanza, non sarò mai in grado di sconfiggere Ushiwa-”

“Prova a pronunciare il suo nome e giuro che ti spacco la faccia!” La voce iraconda di Iwaizumi ebbe il potere di pietrificarli tutti, Oikawa compreso. “Ti fa male il ginocchio da settimane.”

L’alzatore sbuffò. “Non è niente, solo un fastidio che va e viene.”

“Non me ne frega un cazzo!” Sbottò Iwaizumi. “Vuoi rovinarti la salute? Va bene, ma non sotto i miei occhi, Tooru! Non sotto i miei occhi!

Oikawa dischiuse le labbra, ma qualsiasi sua replica morì sul nascere. Strinse i pugni. Tobio fu pronto a scommettere che sarebbe scoppiato a piangere nel bel mezzo della palestra. Se lo fece, fu bravo a non farsi vedere. Prese a raccogliere i palloni da terra, dando una mano a Iwaizumi a finire il lavoro.

Nessuno dei due parlò più e anche Tobio dovette rivolgere la sua attenzione altrove.

“Quei due non si sopportano proprio, eh?” Commentò Kindaichi, mentre riponevano gli attrezzi per l’allenamento nel magazzino. “Ma non dovrebbero essere amici d’infanzia?”

Kunimi si limitò a scrollare le spalle, come a dirgli che l’argomento non gli interessava.

“Alla faccia dell’amicizia,” continuò Kindaichi da solo. “Se non fossero cresciuti insieme, che avrebbero fatto, si sarebbero ammazzati a vicenda davanti a tutti?”

“Era preoccupato.” Tobio lo disse ad alta voce senza rendersene conto. “Iwaizumi non era arrabbiato, ma preoccupato.”

Entrambi i suoi compagni di squadra furono sorpresi di sentirlo parlare di sua spontanea volontà. Tobio non era un bambino socievole. La pallavolo era la sua finestra sul mondo, ma nella sua squadra nessuno sapeva parlare quel linguaggio. Tranne Oikawa, certo, ma il suo senpai non ne voleva proprio sapere di lui.

Tobio non ne comprendeva il motivo, ma non demordeva. 

L’indomani avrebbe chiesto di nuovo a Oikawa d’insegnargli quel servizio che tanto faceva paura ai loro avversari. E se non lo avesse ascoltato, avrebbe provato ancora, ancora e ancora.

Nemmeno rischiare di prendersi un colpo in piena faccia riuscì a dissuaderlo dalle sue intenzioni.

Toccò a Iwaizumi a correre in suo soccorso quella volta. 

Io questo, io quello. Sei insopportabile!”

E lo salvò in più di un modo. 

“Pensi di star combattendo da solo?”

Quel giorno, Tobio non lo comprese.

Non riuscì a dare un senso nemmeno alla risata di Oikawa. “Come dire… Mi sento improvvisamente invincibile.”

Il suo momento doveva ancora arrivare.



 

Sfidavo il cielo contromano insieme a te

Che ti fai male, non sai volare

Proteggerti mi viene naturale

E mi stringevi a ogni decollo

Invece adesso, invece adesso

Chi stringi adesso?

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Capitolo 4
*** #Eccedentesiast ***


#4 Eccedentesiast

 



Mi manca guardarti

Mentre dormi, mentre parli, mentre sogni

E ti nascondi in debolezze che non hai

Mi manca svegliarmi al mattino, vedendoti in giro

E sapendo che da me verrai

Mi manca mancarti sapendo che in fondo un po' mi mancherai

 

Dal cellulare di Yamaguchi Tadashi: 

Y.T. - Ha mangiato? Si sta tenendo idratato?

[12.30]

 

Y.T. - Kei non farmi stare in pensiero!

[13.15]

 

T.K. - È vivo e idiota come sempre. 

[13.18]

 

Y.T. - Non scherzare… 

[13.18]

 

T.K. - Magari fosse uno scherzo. Spero che lo sia da quasi quattro anni.

[13.20]

 

Y.T. - Abbiamo fatto una promessa a Hinata. 

[13.21]

 

T.K. - TU hai fatto una promessa a Hinata, io ero solo lì… E ora passo ogni giorno ad assicurarmi che Sua Maestà non si perda nella metro. È abbastanza da parte mia. Non sono sua madre.

[13.25]

 

Y.T. - Kei, sono preoccupato. So che Kageyama sembra sempre il solito, ma qualcosa è fuori posto…

[13.25]

 

Y.T. - Non c’è qualcosa fuori posto. C’è qualcosa che manca.

[13.30]

 

Chissà se ti mancherò

Perché mancarsi è universale

Chissà se ti rivedrò

Perché mancarsi fa più male 

Di non averti più

 

-Tokyo, 2015-

 

Shouyou aveva il sole dentro.

Tobio lo sapeva meglio di chiunque altro, perché lo aveva sentito addosso tante di quelle volte da non poterle contare. 

Quando quella luce smise di riscaldarlo, nulla fu più in grado di farlo.

Kageyama Tobio aveva freddo. 

La sua vita a Tokyo procedeva a velocità sostenuta.

Non avrebbe potuto fare diversamente o sarebbe congelato.

L’estate nella capitale era calda come a casa non era mai stata, ma il freddo che il giovane alzatore avvertiva gli scorreva dentro. Era come se qualcuno lo avesse privato di tutto il sangue che aveva in corpo e il suo cuore stesse battendo a vuoto.

La pallavolo era l’unica cosa a ricordargli che fosse ancora vivo.

Finché le sue mani toccavano palla e correva da una parte all’altra del campo da gioco, tutto era come doveva essere.

Kageyama Tobio era ancora la giovane promessa che aveva fatto parlare di sé fin dal suo primo anno del liceo.

Ma nel momento in cui le luci della palestra si spegnevano e Kageyama, l’alzatore prodigio, tornava a essere solo Tobio, qualcosa andava inevitabilmente fuori posto.

Qualcosa mancava.

“Prima di andare a cena, facciamo due tiri?” Tobio buttò lì l’idea come una proposta amichevole, ma la sua espressione diceva: prova a dirmi di no e ci saranno delle gravi conseguenze.

Kei alzò gli occhi al cielo e pensò alla svelta alla più veloce via di fuga a sua dispozione. Il treno affollato della metro non gliene offrì alcuna.

Vostra Maestà, io e voi siamo appena usciti dai nostri rispettivi allenamenti. Credo che abbiamo fatto sufficiente pratica per questa giornata.” Sottolineò il nomignolo con particolare enfasi. Era un’abitudine che avevano fatto loro fin dal liceo. Tobio non vedeva più la cosa sotto una luce negativa. Al contrario, era una di quelle piccole cose che era riuscito a portare con sé a Tokyo che ancora lo facevano sentire a casa. 

“Io non sono stanco,” disse il Re del campo.

Come era sua consuetudine quando Kageyama Tobio metteva alla prova il suo ferreo autocontrollo, Kei dovette fare appello a tutta la sua pazienza prima di dare la risposta più ovvia: “immagino, Maestà, ma io - povero, comune mortale - lo sono. Inoltre, Tadashi starà preparando la cena per tutti e tre e non voglio che il suo lavoro vada sprecato.”

Capitava fin troppo spesso che lui e Tobio rientrassero a tarda ora, lasciando a Tadashi l’incombenza di mantenere accogliente l’appartamento che dividevano. Lui non se ne lamentava. Al contrario, diceva che lo faceva sentire utile.

Questo non significava che Kei e Tobio volessero approfittarne.

“Non voglio che Yamaguchi si disturbi con la mia cena,” disse Tobio. “Posso cucinare per me.”

Con grande sorpresa di Kei, era vero. Kageyama Tobio sapeva cucinare senza rischiare di dar fuoco a se stesso e chi gli stava intorno, ma ciò non toglieva che non fosse assolutamente in grado di prendersi cura di se stesso.

Hinata aveva fatto promettere loro di prendersi cura di Sua Maestà.

E, nonostante non fosse una cima a sua volta, aveva avuto le sue ragioni per farlo - le volte che Tobio si era perso nel tragitto tra l’università e casa non si contavano - ma non era questo ad alimentare i timori di Tadashi.

“È preoccupato,” disse Kei, facendo vagare lo sguardo sulle persone all’interno del vagone.

Avvertì gli occhi blu dell’altro contro la nuca. 

“Preoccupato per cosa?”

“Per te, stupido.”
Tobio corrugò la fronte. “E per quale motivo?”

Kei gli lanciò uno sguardo eloquente. 

Il moro lo guardò storto, come se lo stesse sfidando, poi intuì qualcosa che non gli piacque affatto. “No,” scosse la testa. “No.”

Kei sbuffò, poi si aggiustò gli occhiali sul naso. “Questa stupida regola che vi siete dati…”

Gli occhi blu di Tobio si fecero taglienti. “Non puoi capire.”

“Non è una novità. Non vi ho mai capiti, a voi due.”

L’espressione di Tobio venne addolcita da una sfumatura nostalgica. “Tu gli vuoi bene, Kei?”

Sì, qualche volta si chiamavano per nome, ma solo per le questioni veramente importanti.

Kei sapeva che l’alzatore non si stava riferendo al poveretto che stava preparando loro la cena. “Manca anche a noi,” dovette confessare. “A Tadashi, a Yachi… E manca anche a te.”

Tobio poggiò lo sguardo su qualunque viso che non fosse quello del biondo.

“Non lo tradisci, se lo dici ad alta voce, sai?” Insistette Kei. “Potrebbe essere il primo passo per stare meglio.”

“Io sto bene.”

“Sì, finché giochi va tutto come deve andare. È tutto il resto.”

“Tutto il resto?”

“Kageyama è un prodigio. Tobio sta costruendo un castello di carte. È estate, ma prima o poi si alzerà il vento.”

Lo sguardo blu di Tobio si fece deciso. “Non perderò. Gli ho promesso che al suo ritorno saremmo volati entrambi nello stesso cielo.”

“Sì, Tobio, le Olimpiadi del 2016 ti stanno chiamando e non c’è niente che ti possa fermare dal volare fino a lì. Ripeto: non sto parlando di questo.”

Kei sbuffò. Di nuovo. “Io non pensò proprio che quel piccolo idiota ti volesse infelice, Tobio.” 

“Io non-“

“Lo sei. E una videochiamata dall’altra parte dell’oceano non può farti più male di così.”

Tobio strinse le labbra, ma non esitò a rispondere: “non posso. Ho promesso.” 


Oh, oh, oh, oh, oh

Cosa c'è che mi manca di te?

Oh, oh, oh, oh, oh

Cosa c'è che mi manca di me?

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Capitolo 5
*** #Metensomatosis ***


#5 Metensomatosis

 


Le labbra un po’ impacciate sussurravano: 

Mi puoi guardare.

Non ti fermare.


Dalla casella di posta di Kageyama Tobio.

Sezione: “Bozze”;

 

[00.31 - Tokyo - 2015]

È la diciottesima lettera che ti scrivo.

Sì, tengo il conto.

No, non è quello che ti ho promesso, ma ti ho dato la mia parola perciò… Non invierò mai nessuna di queste e-mail. 

Non le leggerai mai. Non saprai mai.

E io potrò dire di avere ancora il mio orgoglio intatto per non essere venuto meno alla mia parola.

Mi manchi.

L’ho scritto nero su bianco diciotto volte e fa ancora male come la prima.

Non posso esternare nulla, non alle persone che mi sono accanto. 

Sono troppo preoccupate per me già così, tanto che gli è passato il timore per come saresti sopravvissuto a un oceano di distanza da casa. 

Mi manchi.

Mi manchi e spero che continuando a scriverlo a me stesso, le parole perderanno valore.

Ma anche allora resterebbero i ricordi.

Come faccio a privare di valore i nostri ricordi, Shouyou?


Pelle contro pelle.

Il tuo sorriso.

Non servivano parole.


-Miyaji 2013-

 

Le sfumature d’autunno non avevano mai catturato la sua attenzione. 

Non che il resto del mondo fosse un’eccezione - esclusa la palla che aveva stretto al petto crescendo e tutto ciò che essa comportava. 

Dall’alba di quel giorno, Tobio avrebbe guardato con occhio diverso ogni dettaglio di quella stagione. Le mattine fredde che rendevano le coperte del letto più accoglienti, quella nebbiolina alle prime ore del giorno e, infine, i colori.

Sì, soprattutto i colori.

Anche se tutti dicevano che Shouyou aveva il sole dentro, nessuno conosceva le sfumature dei suoi occhi come Tobio. Perché l’oro di quelle iridi era solo una delle tante. Era l’ambra a dominarli, resa ancor più intensa dal colore di quella frangia ribelle che a volte li nascondeva.

All’apparenza nessuno lo avrebbe mai detto, ma erano morbidi i capelli di Shouyou quando li accarezzava. Anche il suo corpo, ancora minuto, era soffice e invitante contro i muscoli tesi, già disegnati di Tobio.

Erano entrambi acerbi, ognuno a modo proprio.

Un po’ come lo era la stagione fuori dalla finestra di quella stanza - la camera di Shouyou.

La luce del mattino li aveva sorpresi insieme, nello stesso letto, diversi da quello che erano stati fino alla sera precedente.

Shouyou tracciava le linee del suo viso con le piccole dita, le sue labbra piegate in un sorriso da cui Tobio si sentiva ipnotizzato.

Il mondo era distante, come ovattato.

Tobio sentì la necessità d’interrompere quell’atmosfera da sogno.

Le sue insicurezze avevano bisogno di concretezza.

Avevano fatto l’amore.

Tobio non si accontentava di restare inebetito da quelle sensazioni completamente inedite.

Strinse Shouyou a sé e lui rise.

Ridiscesero in terra da qualunque altezza il piacere li avesse fatti ascendere.

Ora erano di nuovo Tobio e Shouyou in una fredda mattina d’autunno. Il blu degli occhi del primo si tinsero dell’ambra di quelli del secondo.

Si conoscevano da tempo, ormai.

Si amavano da poco dopo.

Se fare l’amore era un’unione di anime, allora loro due lo avevano già fatto centinaia di volte senza toccarsi.

Tobio ne era certo: si erano amati ancor prima d’innamorarsi.

Quella notte, tra quelle coperte, avevano fatto qualcosa di cui erano entrambi già capaci: volare. Il cielo che avevano toccato era solo uno che non avevano ancora esplorato.

Shouyou fu il primo a superare la breve distanza che li separava. Baciò Tobio a fior di labbra, gli accarezzò il viso. 

“Ciao…” Mormorò.

Perché si conoscevano, ma erano cresciuti ancora un poco l’uno tra le braccia dell’altro.

Illuminati dall’alba di quel nuovo giorno, erano divenuti qualcosa di nuovo anche loro.

Tobio sorrise. “Ciao…”

Che cosa sarebbero diventati da grandi lo avrebbero scoperto una stagione alla volta, insieme.


Ricordo ancora l’emozione.

Mentre se ne andava il sole.
(Laura Pausini - "200 note")


 

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Capitolo 6
*** #Longanimity ***


 

#6 Longanimity


Ma non è semplice non sentire il silenzio che c’è

Qui non è facile guardare il cielo stanotte.


Dal cellulare di Kageyama Tobio;

 

K.T. - Devo farti una domanda.

[01:43]

 

I.H. - Ci siamo visti un’ora fa. Sono quasi le due del mattino, Kageyama.
[01:47]

 

K.T. - Ci pensi mai?
[01:48]

 

I.H. - A cosa? Kageyama, seriamente, dobbiamo dormire.

[01:50]


K.T. - Ci pensi mai al punto che il suo pensiero ti toglie il sonno, il respiro e t’immobilizza.

[01:51]

 

I.H. - Sì… Sì, succede.

[01:55]

 

K.T. - E quando comincia ad andare meglio?

[01:56]

 

I.H. - Quando ti arrendi all’evidenza che non passerà… E inizi a conviverci.

[2:00]

 

Perché quello che sono l’ho imparato da te

Tu che sei la risposta senza chiedere niente



 

-Miyaji 2013-

 

La pioggia batteva con insistenza contro il parabrezza.

Il tergicristalli andava ancora su e giù, su e giù, concedendo loro una visuale chiara della viuzza in cui erano cresciuti, sebbene se solo per il tempo di un respiro.

Hajime non ne era certo: la strada era l’ultima cosa di cui gli importava e respirare gli riusciva difficile da qualche istante.

Seduto al posto del passeggero, Tooru era sul punto di scoppiare a piangere, ma nemmeno l’orgoglio lo avrebbe spinto a distogliere lo sguardo dagli occhi verdi del suo asso. No, non lo era più. Lo era stato per tutta la vita, ma anche quella era una storia finita.

“Dì qualcosa,” lo pregò Tooru, la voce ferma per miracolo. “Dì qualsiasi cosa.”

Solo allora, Hajime si ricordò della strada che si estendeva di fronte a loro - quella della loro infanzia. Casa sua era sulla destra, quella di Tooru sulla sinistra e quella via era stata teatro d’innumerevoli scene tra loro - come quella volta che avevano bozzato la macchina della signora Oikawa con la palla da volley.

“Da quanto lo sai?” Domandò.

“Una settimana,” rispose Tooru, era inutile mentire. 

“E quando partirai?”

“Abbiamo ancora tempo, Iwa-chan…”
Hajime strinse le mani sul volante per combattere quella spiacevole sensazione di vertigine. “Quando?” Insistette, secco.

Tooru esitò e quando parlò di nuovo, la sua voce era incrinata dall’emozione. “Dieci giorni…”

Non erano pochissimi.

A Hajime parvero brevi come un soffio di vento. Impiegò meno tempo del previsto a riprendere il controllo di sé. “Avrai bisogno di qualcuno che ti dia una mano con i bagagli.”

Quando tornarono a guardarsi, gli occhi di Tooru erano grandi, esterrefatti. “

“Sei un disastro con l’organizzazione e finirai per riempire la valigia di cose futili.”

“Smettila…”

“Lo sai che c’è un limite di peso da rispettare, vero? Non puoi buttare dentro tutti i tuoi averi e sperare che-”

“Smettila, Hajime!” Urlò Tooru. “Solo… Smettila…” Aggiunse con la voce di chi è ormai sull’orlo del pianto.

E Hajime rise, contro ogni aspettativa e ogni buon senso.

Tooru, ovviamente, si offese. “Hai capito cosa sta succedendo?” Domandò, irato. “Me ne sto andando, Hajime. Ho deciso di partire senza prima parlarne con te!”

“E se lo avessi fatto, ti avrei preso a testate sul naso.” Quando fu bello il sorriso di Hajime in quel momento: orgoglioso, innamorato, un po’ divertito. “Stai andando a conquistare il mondo. Sapevamo entrambi che questo giorno sarebbe arrivato. Chi sono io per privarti del tuo futuro?” Allungò la mano per tirargli il naso. “Certo, se riuscissi a farlo senza piagnucolare…”

E Tooru lo amò - come se già non lo amasse. Gli aveva appena spezzato il cuore e Hajime continuava a sostenerlo, anche se questo significava mettere tra loro un oceano.

“Non c’è nulla di certo,” chiarì Tooru. “Si tratta di una possibilità. Non di una certezza.”

“Chiamala sfida, come quelle che piacciono a te.”

“Sì, ma quelle contro Tobio e Wakatoshi non le ho mai vinte.”
Hajime gli assestò un colpo secco alla base del collo.

“Iwa-chan!” Si lamentò Tooru. “Il solito bruto!”

“Lascia in Giappone le tue paranoie,” gli ordinò Hajime. “Quanto tornerai, vedi di essere abbastanza forte da sconfiggere tutti e tre.”

Tooru inarcò le sopracciglia. “Tutti e tre?”

Hajime gli puntò l’indice contro il petto. “Non pensare che starò fermo e buono a guardarvi volare… Né a te né a quegli altri due. Torna e fallo in fretta, o ti farò pagare ogni giorno di lontananza con gli interessi.”
Tooru piangeva e rideva.

Anche Hajime avrebbe pianto, ma più tardi, da solo.

Si baciarono in macchina - il primo dei loro ultimi baci - sotto quel cielo in tempesta.

Un giorno, in uno azzurro e illuminato dal sole, si sarebbero incontrati di nuovo.



 

Per le luci che hai acceso a incendiare l’inverno

Per avermi insegnato a cadere
(Giorgia & Marco Mengoni - "Neve")

 
 
 

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Capitolo 7
*** #Ephialtes ***


 

#7 Ephialtes

 

Con te con te

che mi aiuti ad accettare quel che volevo scordare


Videochiamata dal cellulare di Yamaguchi Tadashi:

 

Y.T. - Wow… Che brutta faccia.

 

H.S. - Dici? Che ore sono lì? Coff… Coff... Sto facendo un po’ di confusione col fuso orario negli ultimi giorni.


Y.T. - Hai l’espressione un po’ confusa, in effetti. Ma hai la febbre?”

 

H.S. -Coff… Coff…  Non ti preoccupare, è solo un raffreddore… Senti, ti richiamo più tardi: tra poco attacco il turno al lavoro.

 

Y.T - Vuoi girare in bicicletta tutta la notte con questa tosse?

 

H.S. - Te l’ho detto: è solo un raffreddore. Piuttosto, prima che chiuda, lui come sta?

 

Y.T. - Meglio di te in questo momento.

 

H.S. - Yamaguchi, ho poco tempo, per favore.

 

Y.T. - Shouyou, sul serio, hai una brutta cera. Prenditi una giornata di riposo.

 

H.S. - Non posso permettermelo.

 

Y.T. - Hai bisogno di soldi? Kageyama è ben pagato dagli sponsor, se-

 

H.S. - Non devi dirgli niente! 

 

Y.T. - …

 

H.S. - Scusa… Scusami. Per favore, non dirgli nulla. Tra poco inizieranno le Olimpiadi, non deve pensare ad altro.

 

Y.T. - Come vuoi. Ti prego, Hinata, prenditi cura di te.


E mi sai dimostrare ogni giorno che passa 

Che non c’è niente da temere

Ma così tanto da temere


-Tokyo, 2013-


Prima di migliorare, doveva peggiorare.

Non era la prima volta che Shouyou aveva la febbre, ma non ricordava di essere mai stato così male. Il bruciore era ustionante, gli partiva dal petto per arrivare alla gola. Ogni respiro era un dolore. Gli faceva male ogni muscolo, ma non nel modo soddisfacente di un dopo partita.

Nemmeno il sonno era di alcun conforto: era spezzato dagli attacchi di tosse, infestato da incubi di cui non riusciva a rammentare le immagini ma ne sentiva gli effetti sotto la pelle.

”Tutto quello che devi fare ora è guarire e recuperare le forze.”

Avevano perso.

”Non è colpa tua.”

Avevano perso.

”Andrà tutto bene.”

Avevano perso.

Alla fine di tutto, gli avevano dato una stanza isolata dai suoi compagni. Il coach gli aveva portato la cena e rivolto alcune parole di conforto che a Shouyou erano arrivate solo di sfuggita.

Avevano perso e non c’era nulla che potesse persuaderlo dal pensare che fosse colpa sua. L’ennesimo colpo di tosse lo strappò dal dormiveglia - perché di riaddormentarsi non c’era verso. 

Fuori era buio ma non sapeva che ore fossero: non aveva la forza di allungare la mano fuori dalle coperte e controllare il cellulare. 

Shouyou aveva la spiacevole sensazione di essere rimasto da solo al buio per troppo tempo. Se qualcuno era entrato a controllare come stava, non se ne era accorto. Si raggomitolò sotto le coperte e lasciò che le lacrime inumidissero la federa del cuscino, ma nulla poté contro il nodo che gli stringeva la gola.

Sapeva che il suo isolamento era necessario per preservare la salute dei suoi compagni, nulla più. Eppure, era come se quel semplice fatto sottolineasse la sua colpa.

Non voleva restare da solo.

Non voleva essere lasciato indietro.

Non si accorse della porta che si apriva, ma sobbalzò alla mano fredda che gli toccò la fronte. 

“Hinata.” Kageyama lo afferrò per la spalla e lo tirò a sedere con poca grazia. “Pulisciti il viso. Devi bere, avanti.” Gettò tra le mani del compagno malato il pacchetto di fazzoletti e cercò la bottiglia dell’acqua nella stanza buia. Per nulla presente a se stesso, Shouyou sollevò gli occhi assonnati sull’alzatore. 

Kageyama ricambiò l’occhiata con un’espressione disgustata. “Sei un disastro.” Prese un fazzoletto, e pulì il naso colante dell’altro con la poca gentilezza che lo caratterizzava.

Shouyou non aveva la forza di opporsi, si limitò a lamentarsi debolmente. Le lacrime scorrevano ancora sulle sue guance.

Se Kageyama le vedeva, non disse nulla a riguardo. 

“Non dovresti essere qui,” farfugliò Shouyou, cercando la mascherina chirurgica tra le lenzuola in disordine. “Ti ammalerai.”

“Shhh… Non ti agitare, idiota,” sibilò Kageyama. “Sveglierai il Coach e il Professore e ci metterai entrambi nei guai.”

Shouyou lo guardò storto, ma la sola fonte di luce nella stanza era quella del lampione fuori dalla finestra. “Sei tu che sei venuto da me.”

“Piangevi,” replicò Kageyama, secco. “Mi hai svegliato.”

Shouyou sgranò gli occhi. “Gli altri mi hanno sentito?”

“No, solo io.” Kageyama riuscì in qualche modo a passargli un bicchiere d’acqua.

Shouyou bevve e la gola gli fece male. “Grazie… Ma non devi rimanere qui o ti prenderai la febbre.”

“Non è più così importante.” Kageyama si sedette a gambe incrociate sul letto, rendendo chiaro che non aveva alcuna intenzione di andarsene. “Il torneo è finito.”

Shouyou tirò su col naso. “Sì,” mormorò. “È tutto finito.”

Kageyama lo guardò fisso. “È finito un torneo. Non è finito tutto.”

Shouyou lo guardò tristemente. “È finito il primo anno. Questo significa che è finita questa squadra, che cambierà di nuovo tutto e-“

“Il tempo non può fermarsi,” disse Kageyama. “Nulla è per sempre, nemmeno Karasuno. Per vincere bisogna andare avanti, anche se questo significa perdere tornei, compagni…”

Shouyou non era sicuro di chi fosse il ragazzo che aveva di fronte. “Chi sei tu?” Domandò. “Dov’è Kageyama?”

“Non essere stupido,” borbottò l’alzatore. “Anche io volevo giocare più a lungo con loro. Anche io volevo guidare questa squadra più lontano di così.”

Shouyou accennò un sorriso. “Guidare questa squadra più lontano…”

“Cosa?”

“Sei proprio un Re.”

“Se non fossi con un piede nella fossa, ti picchierei.”

“Non ho un piede nella fossa! Un paio di giorni e tornerò a dare il massimo!” Shouyou perse tutta l’allegria in un battito di ciglia. “Avrei dovuto farlo alla partita di ieri…”

La risposta di Kageyama non si fece attendere. “E lo hai fatto.”

“Mi hanno buttato fuori dal campo. Mi hanno lasciato indietro.” Shouyou guardò il compagno di squadra di traverso. “Anche tu mi hai detto: ho vinto anche questa volta.”

“E ti sei calmato.”

“Sei stato uno stronzo.”

“Uno stronzo avrebbe lasciato che il tuo incidente decidesse le sorti della partita. Io sono andato avanti. Tutti sono andati avanti, perché sapevano che se avessimo perso, quello che si sarebbe attribuito tutta la responsabilità saresti stato tu.”

Le labbra di Shouyou tremavano. Sapeva che era inutile trattenere le lacrime, Kageyama lo aveva visto in situazioni peggiori. 

“Ci sono sei giocatori in una squadra di pallavolo,” gli ricordò Kageyama. “Non avere mai la presunzione che la vittoria dipenda solo da te.”

Fece per alzarsi.

“Aspetta…” Shouyou gli afferrò la maglietta. “Aspetta un attimo, per favore.”

Kageyama non si mosse. Non fece domande.

Shouyou pianse liberamente e quando la testa prese a girargli troppo, si ritrovò con la tempia appoggiata al petto dell’altro.

Kageyama lo lasciò fare. 

“Ti batte il cuore fortissimo,” mormorò Shouyou, troppo stanco per valutare quanto imbarazzante fossero quelle parole o la posizione in cui si trovavano. “E sei caldo. Te l’avevo detto che sarebbe venuta la febbre anche a te.”

Kageyama borbottò qualcosa d’incomprensibile. Addosso a lui, Shouyou si sentì a casa e si addormentò.

 
 

E se non è con te.

E se non era un posto raggiungibile.

Allora io mi fermo

E smetto di cercare

Se non sei tu la casa, io non so più abitare
[Giordana Angi - "Casa"]

 

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Capitolo 8
*** #Acrasia ***


#8 Acrasia

 

Anche se brucia, un taglio passa, lo so

Ma lascia un segno dentro di me, oh-oh

 

Dal cellulare di Kageyama Tobio;

 

K.T. - Tu e Ushijima avete fatto a botte.

[19.08]

 

I.H. - ...No?

[19.11]

 

K.T. - Me lo ha detto Tendo!

[19.11]

 

I.H. - Tu e Tendo vi parlate?

[19.12]

 

K.T. - No, ho visto un video!

[19.14]

 

I.H. - Ma che cazzo, parliamo di secoli fa! E il video da dove viene?

[19.15]

 

K.T. - Ma vi siete picchiati. E io non lo sapevo.

[19.15]

 

I.H. - Non era indispensabile ai fini della tua carriera sportiva. Chi ti ha mandato il video?

[19.19]

 

K.T. - Shouyou.

[19.20]

 

I.H. - E chi lo ha mandato a lui?

[19.20]

 

K.T. - Oikawa.

[19.20]

 

I.H. - CHI CAZZO HA MANDATO QUEL VIDEO ALL’IDIOTA! SI ERA GIURATO DI NON FARGLI SAPERE NIENTE DI QUESTA STORIA!

[19.21]

 

K.T. - Quindi vi siete picchiati per Oikawa?

[19.21]

 

I.H. - Perché t’interessa tanto? Tutto è successo molto tempo prima che tu rientrassi in scena.

[19.22]

 

K.T. - Se tu hai picchiato Ushijima per Oikawa. Io posso picchiare Miya per Shouyou?

[19.23]

 

I.H.- NO!

[19.23]


Tra i miei ricordi e polvere quanti sforzi hai fatto per

Un giorno in più, un giorno in più


La prima e ultima volta che Iwaizumi Hajime e Ushijima Wakatoshi si presero a pugni fu dopo il liceo, dopo l’eterna rivalità tra le loro squadre di pallavolo e, soprattutto, dopo Tooru.

“Ma tu guarda se non sono quelli di Seijou!” Fu Tendo a vederli per primo e non ebbe alcun imbarazzo a sbracciare nella loro direzione per farsi vedere.

Era stato Makki a scegliere il locale - “ha cinque stelle su Tripadvisor, dobbiamo andarci per forza,” aveva detto - e Hajime si pentì di averlo assecondato nel momento in cui riconobbe il ragazzo seduto accanto al matto dai capelli rossi.

Wakatoshi si limitò a salutarli con un quieto cenno della mano.

Hajime rispose con un cenno del capo e si voltò nella direzione opposta, alla ricerca di un tavolo libero per lui e i due suoi amici. Degli ex giocatori della Seijou, solo lui si era trasferito a Tokyo e non voleva sprecare una serata del week end in cui Makki e Mattsun erano in visita a rivangare vecchi dissapori con quelli di Shiratorizawa.

Capì che fosse troppo tardi nel momento in cui si ritrovò Tendo Satori attaccato al braccio. “Ehi, fateci compagnia!” Propose. “Non lasciatemi solo con quel musone di Ushijima. Non ci crederete, ma sa essere noioso.”

Tooru soleva dire la stessa cosa anche di Hajime.

Di fatto, l’ex asso della Seijou non aveva messo piede fuori dal suo appartamento da quando si era trasferito a Tokyo.

Makki decise di togliere tutti dall’imbarazzo peggiorando drasticamente le cose. “Ma sì, facciamo due parole!”

Hajime lo guardò malissimo, ma quando Mattsun si limitò a scrollare le spalle, si dette del paranoico e si convinse che, alla peggio, poteva uscirne solo una conversazione molto imbarazzante.

“Ci ritroviamo tutti a Tokyo, quindi?” Tendo tornò al suo posto.

“No, noi due siamo solo in visita,” disse Mattsun, alludendo a se stesso e a Makki. “Iwaizumi è l’unico a essersi trasferito.”

La bocca di Tendo formò una O perfetta. Accanto a lui, Wakatoshi fissava Hajime senza nessuna reale espressione, ma tutta quell’insistenza silenziosa stava esasperando l’ex asso della Seijou molto velocemente.

“Iwaizumi Hajime a Tokyo tutto solo, senza la sua ombra,” commentò Tendo. “Che dobbiamo pensare? Oikawa ha ricevuto un invito in un’università di Kyoto o qualcosa del genere?”

Gli occhi di Wakatoshi erano ancora fissi su Hajime.

“Qualcosa del genere,” rispose vago quest’ultimo.

“Ordiniamo?” Propose Makki, che già avvertiva l’aria farsi pesante.

“Oh, sì!” Tendo alzò la mano per attirare l’attenzione del primo cameriere di passaggio.

I successivi quaranta minuti trascorsero pacifici, tra i racconti del giorno del diploma e di come fosse la vita fuori dal liceo.

Makki e Tendo coprirono il silenzio per la maggior parte del tempo, mentre Mattsun interveniva di tanto in tanto. Wakatoshi non disse una parola, troppo impegnato a fissare lo schiacciatore dalla parte opposta del tavolo. Da parte sua, Hajime decise di guardare qualsiasi cosa che non fosse la sua faccia.

Le luci basse del locale non gli erano molto d’aiuto e il brusio che li circondava gli faceva venire il mal di testa.

Andassero al diavolo Makki, Mattsun e le cinque stelle su Tripadvisor.

Tutto quello che Hajime doveva fare era lasciare che la serata scorresse da sola, senza nessun contributo da parte sua. Avevano già specificato che Tooru non era a Tokyo. Non c’era altro di cui parlare. Avrebbe bevuto il suo calice di birra e sarebbe uscito di lì come era entrato.

“Ha lasciato il paese, vero?” Wakatoshi se ne uscì con quel quesito dal nulla, pietrificando tutti i commensali.

Aveva parlato con voce pacata ma era come se avesse urlato tanto forte da spegnere tutte le altre voci nel salone. 

Non udendo nessuna risposta da parte sua, Makki e Mattsun lo guardarono giusto con la coda dell’occhio, come se il minimo movimento da parte loro potesse farlo esplodere come una bomba.

Rimasto col suo calice di birra sospeso a mezz’aria, Tendo comprese che era suo l’ingrato compito d’intervenire. Toccò il braccio dell’ex compagno di squadra. “Wakato-”

“L’ho cercato,” raccontò Wakatoshi. “Mi serviva sapere in che squadra era finito a giocare perché lo volevo in nazionale.”

Tendo fece un gesto con la mano come a dire che l’amico stava esagerando. “Suggerimento, Ushijima. Tutto ciò che hai il potere di fare è suggerire.” 

Non servì molto a detonare la situazione.

“Se n’è andato,” concluse Wakatoshi, inchiodando Iwaizumi con lo sguardo.

Hajime non si fece piegare dalla soggezione. “Ha scelto la sua strada.” Non avrebbe mostrato proprio a quell’individuo il peso che la decisione di Tooru gli aveva lasciato addosso. “Lo abbiamo fatto tutti.”

Per lui la serata poteva finire lì.

Hajime si alzò, lasciò la sua birra intoccata. Non gli importava, doveva solo andarsene da lì.

Ma Wakatoshi non aveva ancora finito con lui.

“Se fosse venuto a Shiratorizawa...” Disse, come se fosse un’accusa rivolta a lui. “Se avesse avuto un asso più forte...”

Hajime gelò. Il fendente di una colpa che aveva taciuto a se stesso per mesi lo trapassò da parte a parte: Tooru se ne era andato per tutte le alzate che lui, Iwaizumi Hajime, non aveva trasformato in punti, per tutte le strategia che non aveva concretizzato in vittorie. 

Nella sua guerra contro Kageyama - il prodigio - e Ushijima - il campione - Tooru non aveva potuto niente perché aveva deciso di combatterla con lui, con Hajime, con un debole.

Il tavolo non poté nulla per fermarlo e nemmeno gli amici, che non furono abbastanza veloci da prevedere i suoi movimenti.

Hajime si abbatté su Wakatoshi e lo stese a terra con un destro.

Quello fu l’inizio della loro amicizia.


Un taglio passa, lo so

Ma lascia un vuoto dentro di me, oh-oh

Giuro, non cambierà per me, resterò senza di te

Un giorno in più, un giorno in più
[Irama - "Un giorno in più"]

 

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Capitolo 9
*** #Hävitä ***


#9 Hävitä

 

Per te 

Ho nel cuore il sole ad est

 

Questa è la segreteria telefonica di Kageyama Tobio, se avete chiamato… Immagino dobbiate dirmi qualcosa. 

 

Bip.

 

Ciao, Tobio.

Sì, lo so, ci eravamo promessi di sparire dalle vite l’uno dell’altro fino a che…

Cioè, io te l’ho fatto giurare e tu non volevi, poi… Non importa!

Volevo solo sentire la tua voce. 

Avevo solo bisogno di…

Qui va tutto bene, eh! Non devi preoccuparti, io sto benissimo!

Ho trovato subito un lavoro part-time e qualche volta faccio casini perché non conosco ancora bene la lingua, ma me la cavo.

Il mio coinquilino è… Lui è… In realtà, non so nemmeno io come descriverlo, lo conosco ancora poco.

Quando non sono al lavoro, passo tutto il tempo ad allenarmi, sai? Giocare sulla sabbia è completamente diverso… Ma non è difficile! No, no! Anzi, sono già un campione locale!

Guardati le spalle, non sarai il solo ad attirare l’attenzione ancora per molto!

Senti… Tra poco partirai per le olimpiadi, vero? Verrai qui a Rio…
Io pensavo… Ci ho pensato tanto, Tobio…

So che ti ho fatto fare quella promessa, ma… Qui è così diverso da casa, cerco di parlare con tutti ma non mi capisce nessuno. Mi mancate tutti. Mi manchi.

Mi sento così solo.

Mi sento tanto solo, Tobio.

Quando verrai a Rio per le Olimpiadi, vorresti… Ti prego, vorresti…


Bip.

-Premere * per confermare il messaggio
-Premere # per eliminare il messaggio

 

Il messaggio è stato eliminato.

 

E nel mondo ovunque vada

mi ricorderò la strada

che porta fino a te

 

-Miyaji 2015-

 

L’idea fu di Shouyou.

“È la cosa migliore.” Non ne era certo neanche lui, ma doveva convincere se stesso e l’alzatore che gli era davanti.

Il suoalzatore.

Come previsto, Tobio non fece niente per rendergli le cose più facili. “Non capisco,” rispose.

Erano rimasti da soli nello spogliatoio del club di pallavolo. Shouyou si era attardato di proposito: sapeva che Tobio non se ne sarebbe andato senza di lui e aveva bisogno di parlargli quella sera, prima di perdere il coraggio.

Shouyou ingoiò a vuoto. “Saremo lontani per un sacco di tempo.”

“Due anni non sono così tanti.”

“Non sono nemmeno pochi, Tobio.”

Io posso aspettare,” affermò Tobio. “Tu puoi farlo?”

Shouyou scosse la testa. “Non si tratta di questo…”

“Si tratta di noi, no? Stiamo parlando di quello che saremo dopo il diploma.”

“Tu sai quello che sei per me, Tobio,” disse Shouyou con tutta la sincerità di cui era capace. “Non c’è nulla che possa cambiare questo.”

L’espressione dell’alzatore era indecifrabile: appariva fredda, quasi distaccata ma c’era un oceano in tempesta nei suoi occhi blu e stava per riversarsi con violenza nella stanza. “Però tu vuoi che qualcosa cambi.”

Shouyou si umettò le labbra: stava per piangere ma non poteva cedere prima di essersi spiegato. “Io ho un obiettivo, Tobio,” disse, fermo quanto poteva. “E ce l’hai anche tu.”

“Io non sono un impedimento al tuo e tu non lo sei al mio.”

“Ci stiamo separando perché lo siamo,” insistette Shouyou. “Perché tu sai essere forte da solo e io devo imparare a esserlo senza di te.”

Tobio strinse i pugni. “Hai accettato di partire per due anni per volare più in alto o per liberarti di me?”
Shouyou scosse la testa e si nascose il viso tra le mani. “Perché non vuoi capire?”

“Sto capendo che io voglio restare con te e tu no!” Sbottò Tobio. 

Quando sollevò lo sguardo, Shouyou piangeva. “Non è questione di volerlo.”

“Non dirmi che è la cosa giusta o qualche altra stronzata simile o-”
“Lo è!” Esclamò Shouyou. “Tu devi arrivare alle Olimpiadi, hai capito? Tu devi arrivare sulla cima del mondo e aspettarmi, perché sarà lì che ti raggiungerò e finalmente potremmo sfidarci ad armi pari.”

“Posso fare tutto questo senza perderti, Shouyou!”
“No, non puoi!”

“Non dirmi cosa posso o non posso fare!”

“Allora non voglio!” Urlò Shouyou. “Sarà dura. Sarà infinitamente dura, ma non posso rischiare di cedere, chiamarti e spingerti su un aereo per il Brasile per venirmi a salvare!”

“Io non-”

“Lo fai sempre!” Lo interruppe Shouyou con forza. “Lo fai sempre… Anche senza rendertene conto…” Gli sfuggì un singhiozzo. “E non va bene, non è giusto. Tu devi pensare a te stesso, a divenire il più forte e non a me dall’altra parte del mondo.”

Tobio si umettò le labbra e strinse i pugni fino a farsi male. “Non mi stai lasciando,” concluse. “Stai sparendo dalla mia vita.”

Shouyou non replicò. Si strinse le braccia intorno al corpo come se avesse freddo, le guance madide di lacrime. “Non è un addio.”

Era una rassicurazione schifosa perché sapeva benissimo di star calpestando il cuore a entrambi. “È solo un… Devo scoprire com’è la pallavolo senza di te, perché io non lo so. E per farlo devo ricordarmi com’ero io e com’era il mondo prima di te.”

Ma Tobio un mondo senza Shouyou se lo ricordava bene e non lo voleva. Non lo voleva.

“A me non interessa com’era prima di te,” disse, ignorando le lacrime che gli pungevano agli angoli degli occhi.

Shouyou sorrise tristemente. “Non sai come sarà quello dopo di me,” disse. “Come sarai, cosa farai, chi incontrerai-”

“Non voglio nessun altro.” 

Quella confessione di Tobio e la decisione con cui la esternò, riempirono il petto di Shouyou di un dolore dolce e dilaniante. “Non puoi saperlo, hai avuto solo me. Diventerai un campione, avrai tutti ai tuoi piedi-”

“Nessun altro,” ripeté Tobio. “Vuoi volare via? Vai. Non t’inseguirò, non questa volta. Andrò per la mia strada e tu per la tua.” Piegò le labbra in un ghigno inquietante dei suoi. “Se credi di essere capace di battermi, allora ti aspettò lassù, dove arriva solo chi sa volare davvero.”

Ti lascio andare, diceva. Ma non pensare neanche un secondo che ti libererai di me.

Shouyou lo comprese come solo lui poteva fare.

Suo malgrado, lo amò ancor di più.


Sei come il sole ad est

Io lo so, comunque vada 

in questa vita complicata

ritornerò da te.

(Alberto Urso - “Il Sole ad Est)

 

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Capitolo 10
*** #Latibulum ***


#10 Latibulum

 

E anche quando sarà chiaro

che non c’è più niente…

Tu credimi, credimi, credimi, 

credimi, credimi sempre.

.

 

Dalla casella di posta di Kageyama Tobio.

Sezione “Bozze”.

 

Questa è la cinquantaduesima lettera che ti scrivo.

E non t’invierò.

Quello stronzo di Kei mi ha beccato, sai?

Dice che questo mio vizio di scriverti a senso unico è da imbecilli.

Non so come dirgli che è l’unica cosa che mi tiene saldo a terra.

Tra poco partiremo per Rio, per le Olimpiadi.

E tu sarai lì, ma non ci sarai.

Spero di non lasciar trasparire nulla. Non so come riuscirei a spiegare a Ushijima tutto questo. Non voglio farlo.

Nessuno capirebbe.

Penso che solo Iwaizumi ci sia riuscito, anche se non gli ho detto niente.

Anche lui è qui a Tokyo, sai? E Oikawa non c’è. Se n’è andato anche lui.

Volevo mandarti la foto della maglia della nazionale, ma non voglio distruggere la nostra promessa.

Eppure continuo a chiedermi: mi guarderai giocare, Shouyou?

Perché io giocherò come se tu fossi lì.


E anche quando avremo

 troppe cose da cambiare…

Tu credimi, credimi, credimi, credimi, credimi sempre


-Miyaji 2014-

 

Non potevano saperlo perché non era loro abitudine parlarne, ma se avessero condiviso con i loro coetanei il modo in cui vivevano l’intimità, molti li avrebbero invidiati.

La prima volta, avevano fatto l’amore a casa di Shouyou, ma fu la camera di Tobio - più vicina alla scuola - a divenire il loro rifugio.

Non era nulla di speciale o particolarmente romantico, niente che si potesse paragonare ai nidi d’amore segreti descritti nei teen novels. 

Era comodo.

Caldo d’inverno.

Fresco d’estate.

Di nuovo, non potevano saperlo, ma la quantità di sesso che Tobio e Shouyou fecero durante il liceo fu decisamente al di sopra della media dei loro coetanei. In quanto alla qualità… Beh, la pratica rende perfetti ed entrambi erano stati fin da subito molto attenti ai desideri l’uno dell’altro.

Erano complici, Tobio e Shouyou.

E nell’amore era compatibili come sul campo di pallavolo. Anche se non ne parlavano con nessuno, sapevano che il loro non era un caso ordinario.

Per Tobio, la parte migliore della giornata era quello dopo l’amore. Qualche volta, il venerdì sera, si addormentava sotto le carezze leggere di Shouyou e si svegliava nell’udire la sua voce al piano di sotto, mentre parlava con sua sorella.

Gli piaceva, lo faceva sentire a casa.

Sì, quella era la sua stanza, ma quella casa aveva perso qualcosa di fondamentale quando era venuto a mancare il nonno.

Shouyou dava nuova luce al concetto di famiglia, che Tobio aveva lasciato raffreddare nel suo cuore al tempo delle medie.

Quello che non aveva considerato, era che quel calore arrivasse a qualcun altro oltre a lui.

“Mi piace,” disse Miwa, mentre sistemavano i piatti nella lavastoviglie.

Tobio cadde dalle nuvole. “Chi?”

Sua sorella alzò gli occhi al cielo. “Avanti, Tobio, sono io… Siamo noi. Ricordi quando eri convinto che riuscissi a leggerti nel pensiero e sei andato a piangere dal nonno?”

“Avevo cinque anni!”

“Ed eri impossibile da decifrare per tutti, tranne per me.”

Tobio continuò a mettere a posto i piatti, ancora incerto su quale fosse l’argomento in gioco.

Sua sorella temporeggiò un poco, sorridendo tra sé e sé. “Ti va di raccontarmi quando è successo?”

“Cosa?” Domandò Tobio.

“Che ti sei innamorato, Tobio.”

Al ragazzo per poco non cadde il piatto che aveva tra le mani e Miwa ridacchiò tra i baffi.

“Non è divertente,” disse lui, offeso.

“Oh, tu neanche un po’,” concordò Miwa. “Ma Shouyou, sì, per questo mi piace.”

Tobio si sentì avvampare fino alla punta delle orecchie, ma tentò d’ignorare le sue stesse emozioni.

“Penso che sarebbe piaciuto anche al nonno,” aggiunse Miwa.

“Non gliel’ho detto,” disse Tobio, di colpo.

Miwa lo guardò. “Che cosa?”

“Che sono innaf- innamb-

Innamorato?” Concluse sua sorella per lui. E Tobio sentì l’irrefrenabile bisogno di spaccarsi in testa il piatto che aveva tra le mani.

“Ma come?” Sua sorella suonava delusa. “Lo porti qui a fare l’amore tutti i giorni e non ti sei ancora confessato?”

Tobio decise che sarebbe imploso per sua volontà.

“Non facciamo l’amore tutti i giorni, sono quando-” Si bloccò non appena si rese conto di essere caduto in trappola. 

Un gran sorriso sorpreso e vittorioso al contempo comparve sul viso di Miwa. “Il mio fratellino è diventato un uomo!” Gli spettinò i capelli.

“E stai zitta!”

Sarebbe passato ancora un decennio, prima che Tobio dicesse ad alta voce quel ti amo.


Quando me ne starò fermo

mentre hai voglia di ballare

quando tutto cambia senso 

e non ha senso più aspettare

e anche quando sarà chiaro che non c’è più niente.

 

Tu credimi, credimi, credimi, credimi sempre

[Enrico Nigiotti - "L'amore è..."]

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Capitolo 11
*** #Yugen ***


#11 Yugen 

 

Giorni muti in fila su quel calendario

io che fisso questo cielo blu petrolio

ma resto ancora qui

perché la verità

è che ho voluto perderti


Dal cellulare di Yamaguchi Tadashi.

 

Y.T. - KAGEYAMA È IN NAZIONALE! 

[10.35]

 

Y.T. - No, non è ancora ufficiale e non puoi dirlo a nessuno… Cielo, non avrebbe dovuto dirlo neanche a noi! Ma dovevi saperlo! Qualcuno di noi doveva dirtelo, non era giusto lo sapessi dai notiziari!

[10.41]

 

Y.T. - Hinata, riesci a ricevere i messaggi? Ormai la notizia è arrivata anche su internet e lo avrai scoperto da te ma… Appena puoi, rispondi, per favore.

[16.30]

Y.T. - Hinata, adesso sono preoccupato. Pensavo saresti stato felice di saperlo alle Olimpiadi di Rio. Senti… Lo so cosa vi siete promessi, ma… Sarete nella stessa città dopo tanto tempo… Forse dovreste, non lo so…

[19.46]

 

H.S. - Ha la maglia numero 9?

 

Y.T- Cosa? No, non ha la numero 9. Perché è importante?

 

H.S. - No, nulla, grazie di avermelo detto.


È meglio a volte arrendersi che ricominciare

è meglio a volte perdersi per non tornare

ti sento addosso

ma non è lo stesso

 

-Rio 2016-
 

Le stelle sembravano più luminose sulla spiaggia di Rio.

Sebbene fosse quanto di più diverso ci fosse dalle montagne in cui era cresciuto, Shouyou si affezionò presto alla sabbia rovente durante il giorno e fresca al calar del sole.

Il suo appartamento non era poi così vicino al lungomare, ma non era una distanza che qualche pedalata in bicicletta non potesse percorrere.

La spiaggia era divenuta il suo luogo sicuro nelle serate in cui non aveva turni al lavoro e restare nella sua stanza era troppo pericoloso per i suoi pensieri.

La maggior parte delle volte, quelle quattro mura lo facevano sentire senz’aria. Persino dormire gli restava difficile, e passava le sue serata seduto in un angolo del pavimento a guardare la foto che aveva impostato come blocco schermo del cellulare.

Lui e Yamaguchi erano gli unici a sorridere, forse Yachi aveva gli angoli della bocca appena sollevati verso l’alto, ma Tsukishima e Tobio erano i solito musoni di sempre.

Era difficile per Shouyou guardare quell’immagine nella sua totalità e non soffermarsi sul viso del suo alzatore.

Non è più il mio alzatore.

E quando non ce la faceva - ma non proprio non ce la faceva più - correva giù per la scale e saliva in sella bicicletta, fuggendo da qualcosa che lo avrebbe inseguito ovunque ma che, per qualche strana ragione, nei luoghi aperti faceva meno male.

Quando si stendeva sulla spiaggia, la sabbia fresca era come un balsamo per i suoi nervi e Shouyou lasciava andare un sospiro, cercando di recuperare il controllo del suo cuore impazzito.

Doveva darsi un contegno, ricordarsi perché era volato in Brasile e perché era importante che non si arrendesse.  

Si era aspettato di sentirsi solo, ma aveva sottovalutato quanto quella solitudine potesse fargli male. Con il portoghese faceva del suo meglio, ma doveva avere pazienza e non era mai stato particolarmente bravo in questo.

La pallavolo era una lingua universale su quella spiaggia ed era la sola cosa a dargli un po’ di conforto.

Ma anche il sole tramontava.

Prima o poi, quel pallone toccava terra e nessuno aveva più intenzione di farlo volare in aria.

Era il momento peggiore della giornata, quando Shouyou tornava alla realtà. Quando non c’erano Tsukishima, Yamaguchi e Yachi per tornare verso casa. Quando non c’era Tobio che allungava la strada per rimanere da solo con lui quei cinque minuti in più, il tempo di un bacio che non riusciva a dargli di fronte agli altri.

Con gli occhi d’ambra puntati su quelle stelle lontane, Shouyou si sfiorò le labbra e le trovò fredde al tocco.

L’assenza di contatto fisico era un’altra cosa che lo faceva soffrire. Gli capitava di battere un cinque con i giocatori con cui faceva squadra per una partita, ma era qualcosa d’impersonale. Non erano gli abbracci di squadra alla fine di una vittoria sofferta, non erano le spinte durante i bisticci di routine. Non erano le carezze, i baci e il solletico a tradimento dopo l’amore di Tobio.

Shouyou strinse le dita sulla sabbia e l’avvertì ancora calda sotto la superficie.

Ecco, lui era così. Era la sola persona in tutta Rio a soffrire il freddo e si attaccava disperatamente al ricordo di un calore che era passato.

Se lo sentiva addosso come un’eco, ma non lo riscaldava.

Al contrario, lo faceva congelare fino alle viscere.

Era dove voleva essere. Era dove lo avevano portato le sue scelte.

E Tobio avrebbe giocato in nazionale alle Olimpiadi.

Tutto andava bene.

Tutto era come doveva essere.

Asciugandosi una lacrima galeotta, Shouyou lanciò un’ultima occhiata alle stelle e il pensiero che Tobio fosse sotto quello stesso cielo lo fece sentire improvvisamente invincibile.

In fin dei conti, non si capiva nemmeno lui ma sarebbe andato avanti lo stesso.

Anche se faceva male, si alzò in piedi.


Dopotutto è stato bello averti accanto

pensare che sarebbe stato in eterno.

[Federica Carta - “Dopotutto”]

 

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Capitolo 12
*** #Preterist ***


 

#12 Preterist

 

Centomila vite fa, inseparabili

ora dove sei, adesso cosa fai?

D’improvviso penso a te

d’improvviso penso…

 
 

Dal cellulare di Tsukishima Kei.

 

T.K. - Congratulazioni per la tua convocazione in nazionale, mio Re. 

[11.14]

 

K.T. - Grazie.

[11.14]

 

T.K. - Nessun errore di battitura in sei lettere. Preoccupante: non sei contento di giocare alle Olimpiadi?

[11.16]

 

K.T. - Sì

[11.17]

 

T.K. - Sappi che per colpa tua, saremo costretti a fare vita sociale. Tadashi vuole festeggiare la notizia. 

[11.17]

 

K.T. - Grazie, mi dispiace.

[11.19]

 

T.K. - Grazie o mi dispiace? Scegli una delle due. Ehi, non per mettere in discussione i tuoi ben evidenti limiti cognitivi, ma ha capito che giocherai alle Olimpiadi di Rio?

[11.20]

 

K.T. - Non ho la maglia numero 9.

[11.21]

 

T.K. - Che vorrebbe dire? Ovvio che non hai la numero 9, sei l’ultimo arrivato. Non mi dirai che sei scontento per questo.

[11.22]


K.T. - Lascia stare.

[11.22]

 

...Che ti vorrei sentire anche per un istante

ti vorrei abbracciare come ho fatto sempre

ti vorrei guardare senza dire niente

lasciare indietro quello che non serve


-Tokyo 2016-

 

Ci fu un lasso di tempo imbarazzante tra il momento in cui Shouyou divenne qualcosa per lui e quello in cui Tobio se ne rese conto.

Non fu durante una partita.

Era già capitato che si lasciassero l’un l’altro senza fiato sul campo da gioco, ma Tobio non si era mai permesso di portare tali emozioni oltre quel confine. 

Aveva fatto di Shouyou l’esca perfetta. Era impossibile togliergli gli occhi di dosso - permettendo agli altri schiacciatori di fare quel che dovevano - tanto che lo stesso Tobio si era ritrovato ad alzargli la palla anche quando la strategia d’attacco non lo prevedeva.

Il loro era un fortunato caso di profonda intesa di gioco.

Allora perché Tobio non riusciva a togliergli gli occhi di dosso anche in contesti completamente slegati dalla pallavolo?



 

La ragazza seduta al bancone continuava a lanciargli occhiate insistenti.

Tobio non voleva darle corda, ma la sensazione di essere osservato gli imponeva di alzare lo sguardo nella sua direzione. A quel punto, lei gli sorrideva e lui chinava la testa sulla sua coca-cola light - per cui già Tsukishima lo aveva preso abbondantemente in giro.

“Ricordatemi perché siamo qui?” Tobio guardò il biondo alla sua destra.

“Non guardare storto me, mi sto ponendo la tua stessa domanda,” rispose Tsukishima, guardando Yamaguchi con astio.

Il diretto interessato sbuffò. “Avanti!” Cercò d’incoraggiarli. “Siamo probabilmente gli unici universitari a non aver mai fatto baldoria dal nostro trasferimento!”
“E non ti è venuto in mente il perché?” Indagò Tsukishima con sarcasmo. “L’unico ad avere un minimo d’intenzione di socializzare sei tu, e sei affetto da timidezza cronica.”

Tobio si ritrovò ad alzare lo sguardo ancora una volta e i suoi occhi incontrarono quelli della ragazza al bancone. Per l’ennesima volta, la evitò.

“Non è vero!” Esclamò Yamaguchi. “Avanti, ragazzi! Kageyama è stato convocato in nazionale! Dobbiamo festeggiare!”

“Potevamo andare a giocare a pallavolo per festeggiare,” disse Tobio, sorseggiando la sua coca-cola. Se non fosse stato maleducato, avrebbe tirato il bicchiere mezzo pieno in faccia alla tipa che continuava a trapanargli la testa con gli occhi.

“Per una volta, sono d’accordo col Re,” disse Tsukishima.

“In tre?” Domandò Yamaguchi. “Che volevate fare, passarvi la palla fino a notte inoltrata?”

Sia il moro che il biondo scrollarono le spalle, come a dire che non sarebbe stata del tutto una cattiva idea. Yamaguchi li liquidò entrambi con un’occhiata esasperata.

Per un po’, nessuno dei tre parlò e il brusio che regnava sul locale avvolse ogni cosa.

Fu Tsukishima a interrompere il silenzio, e come suo solito lo fece per dare fastidio. “Vostra Maestà, potreste fare qualcosa per quietare la vostra fan al bancone?”
Tobio per poco non si strozzò con la sua coca-cola light. 

Yamaguchi allungò il collo per curiosare. “Mi sembrava che guardasse nella nostra direzione…”

“Alla faccia di guardare, sta facendo la radiografia al nostro campione, qui,” ci mise il carico Tsukishima, ma più che divertito, sembrava annoiato.

“La conosci?” Domandò Yamaguchi al moro.

Tobio scosse la testa.

“E dove dovrebbe averla conosciuta?” Tsukishima ridacchiò, sarcastico. “Vuoi andarci a parlare?”

Un altro segno di diniego.

“Vuoi cambiare tavolo?” Propose Yamaguchi, con gentilezza.

Tobio non rispose a parole, si alzò e basta, ma non si era reso conto che la sua ammiratrice - forse stanca di attendere una prima mossa da parte sua - si era allontanata dal bancone per avvicinarsi al suo tavolo. 

Se la ritrovò davanti, avvolta in un tubino nero che lasciava poco all’immaginazione ma non tanto volgare da intaccare la sua bellezza. Non che Tobio ne sapesse molto: non le aveva mai guardate le ragazze. Guardò quella, solo perché ce l’aveva davanti.

Qualunque cosa ci si aspettasse da lui, non la fece.

Non ci riuscì.

Non era Shouyou. Nessuno lo era. E Tobio non sapeva che farsene di tutti gli altri.

Lei sorrise e fece per aprire bocca.

A salvare Tobio fu una pacca sulla spalla. 

“Eccolo qui, il nuovo prodigio della nazionale.” Iwaizumi Hajime gli sorrise come se fossero due vecchi amici riuniti dal caso. “Tu e i tuoi compagni volete fare due parole con dei vecchi senpai?”

Incapace di dire alcunché, Tobio sbirciò oltre la sua spalla e vide Bokuto, Kuroo e Ushijima seduti a un tavolo in un angolo. I primi due erano intenti a salutarlo, mentre l’ultimo - quello di cui era da poco divenuto compagno di squadra - lo fissava e basta.

“Kuro, guarda, c’è coso!” Esclamò l’ex capitano della Fukurodani.

“Oh, sì, e chi se lo dimentica coso!”  

“Devo andarmene da qui,” sibilò Tsukishima, ma Yamaguchi gli impedì di fare anche solo un passo. 

“Ci uniremo a voi molto volentieri!” Esclamò, rivolgendosi a Iwaizumi.

Comprendendo di non aver alcun diritto di parola sugli eventi, Tobio si limitò a lanciare un’ultima occhiata alla ragazza col tubino nero: se ne era andata.

Meglio così, pensò e seguì Iwaizumi.


e anche se qui in fondo non è così male

e anche se non è il giorno di Natale

ti vorrei sentire anche per un istante

capire che anche per te è importante.

[Lorenzo Fragola - “D’improvviso”]

 

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Capitolo 13
*** #Ukiyo ***


#13 Ukiyo

 

È solo un altro giorno

tutto si muove intorno

anche se il mondo è un gran casino

tu respirami vicino

e mi vedrai spiccare il volo


Questa è la segreteria di Iwaizumi Hajime. Lasciate un messaggio dopo il bip.

 

Bip.

 

Sto per fare una pazzia.

Voglio che tu lo sappia perché quando lo scoprirai, sarai ormai troppo tardi per fermarmi.

Torno a casa, Iwa-chan.

Aspettami.

 

-Premere * per riascoltare il messaggio
-Premere # per eliminare il messaggio

 

Il messaggio è stato eliminato.

 

Mi serve un altro giorno

per costruire un mondo

dove è facile guardare nella stessa direzione

e nei tuoi occhi

e ritrovare un po' di me

 

-Da Buenos Aires a Tokyo, 2014- 

 

Oikawa Tooru resistette otto mesi, prima di tradire se stesso.

In otto mesi portò  la sua sanità mentale a limiti che in Giappone non toccò mai, nemmeno quando le sue insicurezze più oscure facevano  da padrone - solo perché allora arrivava Hajime a salvarlo da se stesso.

Sul campo di pallavolo, Oikawa Tooru non dipendeva da nessuno. Non aveva bisogno di un asso che lo facesse brillare, era sempre stato lui a gettare luce sui suoi compagni di squadra. Come un condottiero degno di tale nome, Oikawa Tooru sorreggeva ognuno dei suoi uomini in battaglia e non si lamentava della fatica, non biasimava nessuno per le sconfitte e non festeggiava mai da solo le vittorie.

Al liceo, qualche lingua maligna lo aveva definito l’unica stella della squadra di Seijou - Ushijima di Shiratorizawa era stato solo l’unico a dirglielo in faccia - e per questo non era mai arrivato alle nazionali.

In pochi - lo stesso Ushijima, prima di tutti - sapevano che Oikawa Tooru non si pentiva di nessuna delle sue scelte. 

Quando aveva preso l’aereo per l’Argentina, lo aveva fatto con infinite possibilità e nessuna certezza. Otto mesi dopo, Oikawa Tooru aveva una squadra, degli sponsor, qualcuno diceva scherzando - ma non troppo - che una volta ottenuta la cittadinanza, nessuno gli avrebbe portato via il posto in nazionale.

Non ci sarebbe stato un posto per lui alle Olimpiadi di Rio, quello no - per Ushijima, sì, e se si sbrigava a brillare, forse anche per Tobio - ma aveva un futuro nella pallavolo in pugno.

Tutti i pezzi erano al loro posto - o quasi - ma era troppo presto per Oikawa Tooru per splendere come aveva minacciato tutti - almeno due -  i campioni del Giappone di fare. 

E proprio perché i tempi non erano ancora maturi, Oikawa Tooru si fermò e riprese a respirare.

Otto mesi passati sotto sforzo, con il cuore in gola, in bilico sul precipizio dell’incertezza. 

Ora, Oikawa poteva smettere di pensare al futuro e fare, sebbene per poco, quello di cui aveva bisogno Tooru.  

E Tooru voleva solo tornare indietro, anche per un attimo, pur sapendo che non avrebbe potuto stringere a sé niente di quello che era stato per più di una notte.

Prese quel biglietto d’aereo senza riflettere - last minute, prezzo stracciato, tempo per fare i bagagli quasi inesistente - arrivò all’aeroporto vestito come un ragazzo scappato da casa, con i capelli in disordine di chi arrivava in fretta ed era comunque in ritardo.

Prese quel volo per Tokyo per puro miracolo.

Lasciò un messaggio nella segreteria della sua vittima ignara, lo cancellò un minuto prima di decollare.

Nessuno doveva sapere, nemmeno lui.

Arrivò nel cuore della notte e l’autista del taxi che su cui salì dovette pensare molto male di lui, perché Tooru era tanto euforico da sembrava sotto l’effetto di qualche sostanza stupefacente. Conosceva l’indirizzo da otto mesi - aveva anche calcolato su Google maps la distanza tra il suo appartamento e quello di Hajime.

Il mondo smise di vorticare freneticamente solo nel momento in cui il suo Iwa-chan aprì la porta. 

“Tooru…?” Non lo credeva reale, ancora intontito dal sonno, con i capelli in disordine e addosso solo la t-shirt e i boxer con cui dormiva.

E Tooru sorrise, pianse e di tutte le parole che avrebbe voluto dire non ne disse neanche una.

Riassunse tutto in un bacio e a Hajime andò bene.

Tooru sarebbe tornato in Argentina appena due settimane più tardi e avrebbe vissuto ogni suo respiro in Giappone come se fosse l’ultimo.


La sua valigia restò, dimenticata, sul pianerottolo fino all’indomani mattina.


Mi serve un altro giorno

per conquistare il mondo

anche se tu sarai lontano

io ti penserò vicino

e porterò la tua foto con me

con te

io mi sento invincibile

[Marco Mengoni - “Invincibile”]

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Capitolo 14
*** #Tectus ***


#14 Tectus 

 

Se hai giocato è uguale anche se adesso fa male

se hai amato era amore, non è mai un errore

era bello sentirti e tenerti vicino

anche solo per lo spazio di un mattino.



 

Dal cellulari di Oikawa Tooru.

 

O.T. - Tornando al discorso dell’altra sera…
[10.33]

 

H.S. - È proprio necessario?
[10.33]

 

O.T. - Va bene il sesso… Ma non ti manca fare l’amore?
[10.34]

 

O.T. - Non mi morire sulle domande importanti!
[10.38]

 

H.S. - Cosa vuoi che ti risponda?!
[10.40]

 

O.T. - Mettiamola così. Per dei liceali, io e Iwa-chan abbiamo fatto un sacco di sesso! La bellezza di vivere ai lati della stessa strada… Un giorno avevo casa libera io, un giorno lui… Sai come va, no?”
[10.41]

 

H.S. - Perché stiamo parlando di questo?
[10.42]

 

O.T. - Perché se Tobio non rispettava gli stessi ritmi, ne va del mio orgoglio!
[10.42]

 

H.S. - Come siamo arrivati al tuo orgoglio?
[10.43]

 

O.T. - Non accetto di perdere contro un moccioso che non sa essere un amante degno di tale nome!
[10.44]

 

H.S. - Se ti dico che lo era, la smettiamo?
[10.45]

O.T. - Forse, dimmi di più…
[10.46]

 

H.S. - Che vuoi sapere?! Che studiavamo insieme quasi tutte le sere ma che i nostri voti non si sono alzati di una virgola?!
[10.47]


O.T. - E bravo Tobio-chan…
[10.47]

 

Se hai sbagliato è uguale anche se adesso fa male

se hai amato era amore e non è mai un errore

era bello guardarti e tenerti per mano

o anche solo immaginarti da lontano

 

-Rio 2016-

 

Il cocktail tra le sue mani aveva lo stesso colore dei suoi capelli, ma il sapore non era un granché. 

Shouyou sedeva sulle scale che portavano dal lungomare alla spiaggia. Ai piedi dei gradini, una folla di giovani ballava a ritmo di musica sulla spiaggia, o era in fila di fronte al bancone del locale, in attesa di essere servita.

Oikawa l’aveva portato lì con la scusa che gli serviva divertirsi e non pensare alle Olimpiadi in arrivo.

Shouyou aveva accettato per cortesia - e perché la compagnia del più grande lo faceva sentire a casa come non capitava da un po’ - ma gli era bastato affondare i piedi nella sabbia fresca per sapere che quel posto non faceva per lui.

Era una delle poche cosa che aveva in comune con Tobio.

Sì, a Shouyou piaceva divertirsi, ma nessuno dei due amava quel genere d’intrattenimento.

L’alcol dava alla testa, la musica troppo alta provocava un brusio alle orecchie durava per tutto il giorno seguente e la mancanza di spazio personale lo disturbava.

In realtà, Shouyou per primo non era molto rispettoso dei confini altrui, ma tutto quel palpeggiare - a volte non così involontario - e strusciare lo metteva a disagio.

Quindi, suo malgrado, aveva fatto presto cenno a Oikawa di volersi allontanare un po’ e aveva lasciato il compatriota in compagnia dei suoi amici argentini.

Non seppe quanto rimase da solo, ma non abbastanza da finire il suo drink e mettere a tacere i pensieri.

“I tuoi pensieri coprono la musica, Shou-chan…” Oikawa si sedette stancamente accanto a lui.

Il più giovane si sentì immediatamente in difetto. “Non devi farmi per forza compagnia.”

“Figurati!” Oikawa gli diede una pacca sulla spalla. “Sono un po’ troppo vivaci per i miei gusti laggiù. I miei compagni sembrano gradire ma, che devo dirti, essere giapponese mi rende pudico.”
Shouyou ci mise un attimo per capire a cosa stava alludendo. “Oh, sì!” Concordò. “A casa, mi riprendevano continuamente per essere appiccicoso, ma in America del Sud sono su tutto un altro livello!”

Oikawa ridacchiò. “Lo sapevo che qualcuno aveva cercato di metterti le mani addosso!” Esclamò, gli occhi brillanti di euforia. “Avanti, racconta! Flirt? Piccole avventure? Magari qualcosa di più serio?”

Shouyou strabuzzò gli occhi, poi scosse la testa. “No, niente del genere!”

“Non ci credo!” Esclamò Oikawa. “Sei un bel tipetto ed è impossibile non fare amicizia con te. Attiri l’attenzione!”

Shouyou non sapeva se fosse un complimento o meno. Nel dubbio, arrossì. “Allora… Tu devi avere l’Argentina ai tuoi piedi.” Non aveva mai fatto quel genere di discorsi con nessuno e mai si sarebbe sognato di cominciare con Oikawa Tooru.

L’ex capitano della Seijou fece un gesto con la mano come a dire: così così. “Diciamo che la bellezza orientale affascina da queste parti.”

“Quindi…” Shouyou prese un sorso del suo drink per farsi coraggio. “Tu hai qualcuno in Argentina?”

L’esuberanza di Oikawa si fece più sobria. Bevve anche lui dal bicchiere di plastica che aveva in mano e sorrise amaramente. “Negli ultimi tre anni, sono andati e venuti. Non troppi, non credere. Non sono un latin lover, non per davvero.”

Shouyou sbatté le palpebre un paio di volte. “E ci riesci?” Domandò, sinceramente curioso.

Oikawa aggrottò la fronte. “Cosa intendi?” Domandò. “È sesso, non è complicato. Il bello è proprio questo: è semplice.”

Shouyou inspirò profondamente dal naso. “Ci riprovo: ti basta?”

Quella volta, Oikawa Tooru si guardò bene dal dargli una lezione di vita. Gli lanciò un’occhiata eloquente e si compresero entrambi con un sorriso amaro. “Per questo non ci provi nemmeno?” Suonava un po’ intenerito. “Perché sai che non ti basterà?”

Shouyou scrollò le spalle. “Forse non sono il tipo da relazioni occasionali.”

“Che vuoi che ti dica?” Oikawa bevve di nuovo. “Non ho difficoltà a restare da solo, ma se capita… Lascio che capiti e basta. Quello che voglio non è in Argentina. Lo so e l’ho accettato, mio malgrado.”

“Parli di Iwaizumi?” Shouyou di pentì di aver fatto quella domanda nel momento in cui Oikawa incrociò il suo sguardo. “Scusa… Non… Cioé...  Tobio lo pensava, io non avevo idea…”

Oikawa rise. “Tobio lo pensava, sul serio?”

Shouyou annuì due volte.

“Allora, sotto sotto, è sveglio il nostro Tobio. Toglimi una curiosità: è bravo a fare l’amore almeno quanto lo è come alzatore?”

Shouyou per poco non si strozzò col suo cocktail.

“Lo prendo per un sì,” concluse Oikawa con un sorrisetto malizioso. “Ma guarda un po’, Tobio-chan cosa combina.”
“Lo hai capito perché l’ho chiamato per nome?” Domandò Shouyou, riprendendo fiato.

Oikawa scosse la testa. “E chi altri poteva essere? Alzatore, schiacciatore… Vi ho visti giocare insieme, non sono cose che accadono tutti i giorni. Eravate già amanti sul campo di pallavolo, tutto il resto deve essere successo con naturalezza.”

Shouyou annuì, sorpreso. “Sì, è andata così…”

Le labbra di Oikawa si piegarono in un sorriso amaro, lo sguardo distante. “Già, come me e Iwa-chan…” Riportò la sua attenzione sul più giovane. “Come ve la cavate con la relazione a distanza?”

Shouyou gelò e una fitta improvvisa gli attraversò il petto all’altezza del cuore. Scosse la testa con un sorriso triste e sperò che l’altro comprendesse senza spiegazioni.

Oikawa restò sgomento. “No, non ci credo.” Fu il suo primo commento. “Tobio che rinuncia a qualcosa a cui tiene? No, forse quando l’inferno gelerà.”

“Infatti, non era d’accordo,” raccontò Shouyou. “Ma io volevo che pensasse solo a sé, alla sua carriera sportiva… E io avevo bisogno d’imparare ad affrontare il mondo senza di lui.”

Oikawa accettò con rispetto quella confidenza e lasciò che il più giovane si ricomponesse un poco, prima di parlare. “Alle volte, faccio una pazzia: volo in Giappone solo per fare l’amore con Hajime,” confessò. “La prima volta, è successo dopo otto mesi in Argentina… Poi è continuato a succedere. Non chiamo, non mi assicuro che sia da solo, che non ci si già qualcuno a fargli compagnia. Io arrivo, lui è lì e fino a che non parto, il resto del mondo non esiste. I suoi amanti a Tokyo, i miei a Buenos Aires… No, non ha importanza. Tutto si ferma come quando eravamo al liceo e potevamo contenere il nostro intero mondo in una stanza.”

Oikawa guardava il mare nero all’orizzonte senza vederlo davvero.

Shouyou non sapeva come replicare a una simile confessione, ma le emozioni dell’altro gli arrivarono dritte al cuore come se fossero proprie. 

“E ogni volta che torniamo alla realtà fa male,” concluse Oikawa. “Tobio è fortunato. Tu gli nascondi ogni cosa, anche il bisogno che hai di lui… Perché ce l’hai, altrimenti non sarebbe così difficile baciare qualcun altro, dico bene?”

Shouyou arrossì senza rispondere.

“Tieni il tuo amore celato e soffri da solo, così che lui possa continuare per la sua strada.”

Il più giovane decise che aveva davvero bisogno di prendere un altro sorso di drink, ma il bicchiere era ormai vuoto.

“Congratulazioni, Shou-chan,” aggiunse Oikawa. “Il tuo Tobio è alle Olimpiadi. Nascondendogli il tuo cuore, lo hai reso un campione.”


Se hai amato l’amore

non sarà mai un errore 

 

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Capitolo 15
*** #Ataraxis ***


#15 Ataraxis 

 

Uno di questi giorni andiamo via

Penseranno che ci siamo persi

Che la colpa è mia



 

Dal cellulare di Tsukishima Kei.

 

T.K. - Niente panico, mettiti seduto. Ho una notizia per te.

[17.58]

 

K.T. - Perché dovrei avere panico?

[18.00]

 

T.K. - Non lo so, mi preparo al peggio. Vorrei dirtelo di persona, ma ho paura che tu lo venga a sapere tornando a casa.

[18.02]

 

K.T. - Che è successo? E come potrei mai scoprirlo sulla strada di casa?

[18.02]

 

T.K. - Non lo so. Ushijima ha per amico Iwaizumi, che ha contatti con Oikawa, che, a quanto pare, è diventato amico di un’esca che conosciamo bene.

[18.04]

 

K.T. - Si tratta di Shouyou?

[18.05]

 

T.K. - È in Giappone. Sì, è tornato.

[18.05]

 

T.K. - Kageyama, questo non è il momento migliore per cominciare a non rispondere!

[18.09]

 

K.T. - Dov’è? 

[18.11]

 

T.K. - Non lo so di preciso. So solo che è entrato nella stessa squadra di Miya Atsumu e di Bokuto.

[18.11]

 

T.K. - Kageyama, smettila di rimanere in silenzio!

[18.15]

 

T.K. - Kageyama! 

[18.18]

 

Se chiudi gli occhi giuro che ti porto dove vuoi

Ci siamo solamente noi

Solamente noi



 

-Sendai 2014-

 

La prima volta che lo vide, Miya Atsumu non ci fece particolarmente caso.

In sua difesa, tutti parlavano tanto di Kageyama Tobio qui, Kageyama Tobio , che chiunque si sarebbe fatto sfuggire la piccola esca che gli saltellava dietro.

Era stato un grave errore da parte sua: si era tanto impegnato a studiare il gioco di Tobio - e un modo per oscurarlo - che aveva scoperto la sua arma vincente solo dopo essersela trovata davanti.

Poco più di un metro e sessanta, riflessi che avrebbero fatto invidia a qualsiasi atleta e capelli dal colore impossibile. Solo l’anno successivo ad averlo incontrato, si accorse che aveva gli occhi di ambra liquida.

Si chiamava Hinata Shouyou e a Miya Atsumu bastò una singola partita per desiderare di spodestare Tobio e divenire il suo alzatore.

“Un giorno, io alzerò per te.” L’aveva dichiarato con fermezza a fine partita, come se non avesse appena perso contro Hinata e quel perfettino di Kageyama Tobio.

Nessuno dei due aveva reagito, nemmeno quell’alzatore prodigio del primo anno che Atsumu non era riuscito a mettere in ginocchio.

Non ne fece un grosso problema: si era posto un obiettivo - Hinata Shouyou- e in un modo o nell’altro l’avrebbe raggiunto.

Niente ansie. Niente stress.

Hinata Shouyou avrebbe schiacciato le sue alzate e di Kageyama Tobio sarebbe rimasto solo il ricordo - se nel mondo della pallavolo o nella mente della piccola esca, era ancora da decidere.

Ancora una volta, Atsumu non fece bene i suoi conti.

La seconda volta che avvicinò Hinata Shouyou fu nell’atrio del palazzetto sportivo di Sendai, poco prima dell’inizio delle nazionali liceali. Tutte le squadre si era accomodate sul pavimento in modo più o meno selvaggio, aspettando che decidessero chi avrebbe giocato contro chi nel primo giro di eliminatorie. Stava parlando con un ragazzino decisamente più agitato di lui - probabilmente un nuovo membro della squadra al suo primo torneo. Rideva, parlava ad alta voce. Era impossibile non vederlo anche in mezzo a quella folla, quasi che brillasse di luce propria come una stella.

O forse era solo troppo rumoroso da ignorare, Atsumu non riusciva a decidere.

Sapeva solo che Tobio non era nei paraggi e che questo gli permetteva di agire indisturbato.

“Ciao.” Atsumu non sapeva che senso avesse parlargli - ribadire il suo desiderio non li avrebbe fatti giocare magicamente nella stessa squadra - ma sentiva la necessità di sottolineare la sua esistenza alla piccola esca.

Seppe di aver fatto bene dal modo confuso in cui Hinata lo guardò per il primo istante. “Oh!” Esclamò poi. “Tu sei-“

“Miya Atsumu di Inarizaki,”  si presentò. “Ci avete sconfitto l’anno scorso.”

Hinata si alzò in piedi. “Tu volevi alzare per me,” ricordò. 

Atsumu s’illuminò. “Felice che la mia proposta non ti abbia lasciato indifferente.”

Hinata si grattò nervosamente la base del collo. “In realtà, lo avevo dimenticato.”

Il sorriso di Atsumu morì sul nascere. “Ma io no,” intervenne qualcuno alle sue spalle. 

Kageyama comparve sulla scena, inquietante come non mai, e passò una bottiglietta d’acqua a Hinata. 

“Tobio!” Atsumu si finse allegro. “Pronto per la rivincita?” Gli diede una pacca sulla spalla.

L’alzatore della Karasuno lo inchiodò con lo sguardo e Atsumu riadagiò il braccio lungo il fianco.

Hinata prese un sorso d’acqua e sbuffò. “Avanti, Tobio, sono cose che capita di dire!” Esclamò, per disinnescare la tensione che si era creata tra i due alzatori. “Ricordi, Ushijima? Voleva a tutti i costi che Oikawa alzasse per lui.”
Atsumu aveva presente Ushijima - e come avrebbe potuto non conoscerlo? - non era sicuro di chi fosse Oikawa, ma gli bastò guardare Kageyama in faccia per capire che il confronto era particolarmente infelice per lui.

“Beh… Che vinca il migliore.” Atsumu decise di posare l’ascia di guerra per primo e offrire all’altro alzatore una stretta di mano amichevole.

Kageyama prese la bottiglietta d’acqua dalle mani di Hinata. “Senza ombra di dubbio,” replicò e gli diede le spalle. La piccola esca sospirò e scrollò le spalle come a dirgli di non farci caso.

Nessun problema.

Kageyama Tobio voleva la guerra? Atsumu Miya era pronto a combatterla con le unghie e con i denti.

“Cresci ancora un po’, piccolo Shouyou,” disse tra sé e sé, tornando a sedersi accanto al fratello gemello. “Una volta usciti dal liceo, c’incontreremo nel mondo dei giocatori professionisti.”

Atsumu ne era sicuro: non appena i tempi sarebbero stati maturi, Hinata Shouyou sarebbe venuto da lui.

Un pensiero lo colse di sorpresa mentre rielaborava la scena appena avvenuta nella sua testa. Sulla sua faccia dovette comparire un’espressione strana, perché Osamu lo guardò perplesso. “Che cosa ti prende?”

Atsumu non sapeva come dirlo in un modo che suonasse intelligente: “stavano bevendo dalla stessa bottiglietta d’acqua…”

 

Uno di questi giorni andiamo via

Dillo pure a tutti che non torni

Cosa vuoi che sia
[Nek - "Uno di questi giorni"]

 

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Capitolo 16
*** #Pridian ***


#16 Pridian 

 

Arriverà l’amore in questo mondo

tutto l’amore che io ho per te

 

Dal cellulare di Oikawa Tooru.

 

O.T - Tobiooo-chaaaaaan, so cosa hai fatto!

[12.09]

 

K.T. - Non ho il tuo numero salvato in rubrica. Chi sei?

[12.13]

 

O.T. - Come sarebbe a dire chi sono? Tobio-chan, abbi la decenza di sentirti onorato se il tuo sommo senpai ti contatta.

[12.17]

 

K.T. - Temo di non sapere con chi sto parlando.

[12.19]

 

O.T. - È inutile che fai il finto tonto. Io e Shou-chan siamo diventati ottimi amici e ci siamo fatti taaaaaante confidenze intimeeeee.

[12.20]

 

K.T. - Il magazzino della palestra al primo anno di liceo.

[12.22]

 

O.T. - Cosa?!

[12.22]

 

K.T. - Casa tua e casa d’Iwaizumi a giorni alterni. 

[12.23]

 

O.T. - Piantala di dire cose senza senso!

[12.23]

 

K.T. - Qualche volta nello spogliatoio… Non ricordo se sotto la doccia o meno.

[12.24]

 

O.T - Aaaaaaah! Stai zitto!

[12.25]


Arriverà e ci metterà un secondo

ma durerà in eterno come il Big Bang

 

-Karasuno High School, 2014-

 

Tobio aveva dimenticato qualcosa, ma non sapeva cosa.

Quel pensiero lo tormentava dal giorno prima, tanto che era stato completamente assente in classe - non che fosse una novità - e nemmeno l’allenamento dopo le lezioni era andato in granché.

“Si può sapere che cosa hai?” Persino Tsukishima si lamentò della sua performance. “Ma dove hai la testa?”

Dopo l’ennesima pallonata che prendeva sulla nuca, era un miracolo che ce l’avesse ancora attaccata al collo. La risatina di Shouyou arrivò alle sue orecchie più cristallina di tutte le altre. “Bakayama ha la testa tra le nuvole,” lo prese in giro, solleticandolo su un fianco, dove la t-shirt aveva lasciato un po’ di pelle scoperta.

Tobio divenne un pezzo di marmo. 

“Così non sei molto utile alla causa, Hinata,” intervenne Yamaguchi.

Era una fortuna che lì vi fossero solo quelli del primo anno, o Tanaka e Nishinoya non lo avrebbero lasciato vivere.

Shouyou si schiaffò la mancina sulla fronte con poca grazia. “Hai la febbre?”

Tobio s’imbronciò e lo allontanò da sé. “No, stupido.” 

Shouyou si offese. “Oh, scusami se mi sono preoccupato per te.”

Tsukishima presa la palla al balzo per liberarsi di entrambi. “Hinata, porta il Re a fare scorta di latte, magari è in carenza di calcio.”

Shouyou gonfiò le guance. “Perché devo essere io a saltare la fine dell’allenamento?”

Sia il biondo occhialuto che Yamaguchi gli risposero con un’occhiata eloquente.

Shouyou arrossì e sbuffò di nuovo. “Andiamo, Bakayama.” Cercò la mano di Tobio, ma l’alzatore si ritrasse. Uscirono dalla palestra a un metro di distanza l’uno dall’altro.

Una volta rimasti da soli, Shouyou indagò sulla questione. “Sei arrabbiato con me?”
Tobio infilò i soldi nella macchinetta automatica. “Non ti ho preso la mano perché ci stavano guardando tutti.”

Shouyou appoggiò la spalla al vetro plastificato. “Lo so, ma c’è qualcos’altro che ti distrae.”

Tobio selezionò la bevanda desiderata - una bottiglietta di latta - e questa cadde nel cestello con un tonfo.

“Sostati…” Disse, ma l’altro non si mosse e gli sfiorò la gamba lasciata scoperta da pantaloncini.

Quel lieve contatto fisico fu come una bomba atomica. Il dubbio che lo aveva accompagnato per ventiquattro ore si concretizzò in un ricordo esatto. Fu talmente fulminante che Tobio picchiò la testa contro la macchinetta automatica, spaventando Shouyou. 

“Ma che diavolo ti prende, Tobio?” L’esca s’inginocchiò accanto al fianco del suo alzatore. “Ti sarai fatto venire un bernoccolo, scemo.” Affondò le dita tra i capelli corvini.

Tobio bofonchiò qualcosa. 

“Che hai detto?” Domandò Shouyou. 

“Ieri era l’anniversario del nostro primo bacio,” ripeté l’alzatore a voce più alta, ma funerea. “L’ho scordato.”

Shouyou rimase a boccheggiare per una manciata di secondi, poi rise - un suono sincero, che faceva bene al cuore. “Tobio, guardami,” gli chiese. “Guardami.”

L’alzatore gli ubbidì con espressione colpevole.

Shouyou lo baciò con gli angoli della bocca ancora all’insù. 

La prima volta che le loro labbra si erano toccate era stato in palestra. Nessuno dei due lo aveva premeditato: era successo e basta.

Ed era continuato ad accadere.

“Buon anniversario,” mormorò Shouyou contro la sua bocca. 

Tobio nascose il viso contro la sua spalla, arrossendo. “Stai zitto…”

 

 

 

È l’universo che ci gira intorno

è la ragione per non smettere

mai
[Emma - "Arriverà l'amore"]

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Capitolo 17
*** #Alew ***


#17 Alew 

 

Ma siccome sei corpo, io sono la pelle

siccome sei bocca, io sono innocente

e lacrime e paure disegnate tra le linee delle mani

 

Dalla casella di posta di Hinata Shouyou.

Sezione “Bozze”.

 

Non ricordo più il tuo profumo, non saprei descriverlo. Però sono sicuro che saprei riconoscerlo, se lo sentissi di nuovo.

Sai quella cosa che fanno nei film? Annusare magliette degli innamorati lontani.

Penso che mi dovevi una maglietta. 



 

Ma siccome sei voce, io sono silenzio

siccome sei pace, io sono l’inferno

e tutta la pazienza ad imparare come è fatta una carezza

e siccome sei tutto, io sono soltanto una parte di te

 

-Karasuno High School, 2015-

 

Sorrisero il giorno del diploma. 

Fecero un sacco di foto, scherzarono, come se tutto il loro mondo non fosse sull’orlo del tracollo. Fu un giorno di festa in mezzo a tanti tutti uguali - di quelli che non ci sarebbero stati mai più.

Shouyou e Tobio dilatarono il momento il più possibile, attardarono i saluti e, alla fine, quando rimasero da soli, non persero l’occasione per rendere quel tempo loro ancora una volta. 

Un’ultima volta.

Corsero nella palestra deserta, mano nella mano - “facciamo due tiri?” aveva chiesto uno; “anche di più,” aveva risposto l’altro.

Shouyou si staccò per prendere la palla, Tobio lo trattenne. Lo tirò verso di sé e lo baciò al centro del campo di pallavolo.

Come la prima volta.

Fu allora che la disperazione scivolò tra loro due, come un fastidioso terzo incomodo. Shouyou la sentì crescere nel pensiero che quello potesse essere il loro ultimo bacio.

Si aggrappò alla camicia di Tobio, cercò le sue labbra anche se gli mancava il fiato. Non era pronto a fare a meno di lui. No, non ancora. Anche se era stata sua la scelta di andarsene, anche se era fermo nelle sue decisioni e non aveva alcuna intenzione di tirarsi indietro, rinunciare a Tobio era come strapparsi un pezzo di anima volontariamente.

Shouyou lo avrebbe fatto. Avrebbe chiuso gli occhi, stretto i denti e sopportato il dolore.

Ma non ancora. Non ancora.

Nessuno di loro due aveva premeditato quanto accadde.

Un bacio seguì un altro, poi un altro ancora.

Non avevano alcuna intenzione di smettere: il primo ad allontanarsi sarebbe stato anche il primo a dire addio. 

Tobio afferrò Shouyou per i fianchi. Lo voleva addosso, come se da questo dipendesse la sua stessa vita. Lo sollevò e l’altro gli agevolò lo sforzo.

Il magazzino della palestra era già stato il loro rifugio in altre occasioni, ma mai avrebbero pensato di consumare lì l’ultimo atto della loro storia. Finirono sul tappetone gettato a terra senza dire una parola. Con urgenza, Shouyou si slacciò i pantaloni e Tobio glieli tolse. Anche la camicia dell’alzatore finì sul pavimento. Fu l’ultima azione ragionevole, prima che la voglia che avevano l’uno dell’altro mettesse a tacere ogni cosa.

I primi tempi, quando Tobio aveva cominciato ad alzare per lui, gli aveva detto di chiudere gli occhi e saltare. Gli aveva chiesto di fidarsi e Shouyou lo aveva fatto. 

Fare l’amore con lui era la stessa cosa.

Tobio sapeva come amarlo, come dargli piacere, come farlo stare bene a un livello più profondo della pelle. Ma Shouyou gli occhi non li aveva mai chiusi mentre aveva le sue mani addosso. 

Si era perso in quegli occhi blu tanto volte da non poterle contare. Lo fece anche quell’ultima volta, sebbene volesse piangere e, mentre tremava per il piacere, aveva paura che tutto di concludesse troppo in fretta. 

Fu bello, bellissimo.

Fu disperato perché sapevano di doversi lasciare. Alla fine, rimase il silenzio spezzato solo dai loro respiri affannati. Quando anche quelli si placarono, ci fu solo il caso silente dei loro sguardi. 

Non erano ancora pronti a dirsi addio.

“Vuoi che alzi per te?” Domandò Tobio.

Shouyou era triste, ma gli sorrise lo stesso. “Sì, lo vorrei.”


Ma siccome sei adesso

io voglio soltanto

restare con te
[Giordana Angi - "Siccome sei"]

 

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Capitolo 18
*** #Sweven ***


 

#18 Sweven

 

 

La notte sussurra

tu arrivi dal nulla

e non so neanche da dove siamo partiti

ma non so stare serio se sorridi

 

Dal cellulare di Miya Atsumu

 

M.A. - Fratello, mi sono innamorato.

[04.01]

 

M.O. - Sei ubriaco?

[04.05]

 

M.A. - No, sono innamorato.

[04.06]

 

M.O. - Ma sono le quattro di mattina.

[04.08]

 

M.A. - Adesso c’è un orario per innamorarsi?

[04.10]


 

Senza più luci accese

da qui l’alba si vede

se vuoi puoi rimanere ancora un po’ con me

e le giornate nere lasciamole cadere 

sul fondo del bicchiere 

poi non andare che…


-Osaka, 2017-

 

Atsumu decise che avrebbe disdetto l’abbonamento a Netflix un giovedì notte, intorno alle tre del mattino, appena quattro ore e mezzo prima di una giornata di allenamento intensivo.

“Voglio morire…” Lagnò, consapevole di essere l’unico da biasimare per le sue disgrazie, sulla strada per uno spuntino decisamente fuori orario. La sua non era la routine dell’atleta perfetto.

Non appena mise piede nella zona giorno dell’appartamento, la luce tiepida della cappa lo avvertì che non era l’unico ad avere problemi a dormire.

“Ciao…” Bofonchiò Shouyou, la bocca piena di cereali. Era seduto sul bancone della cucina, manco fosse un gatto, con la schiena appoggiata al frigorifero.

“Non riesci a dormire?” Domandò Atsumu, avvicinandosi. 

Shouyou scrollò le spalle. “Ho fatto uno strano sogno, mi sono svegliato e mi è venuta fame.”

“Brutti sogni?” Atsumu aprì la credenza per decidere come placare il suo languore notturno.

“No, non era brutto,” disse Shouyou, girando il cucchiaio nella ciotola di cereali. “Solo intenso.”

Atsumu lo guardò con la coda dell’occhio: la fame gli era passata, ma quando gli ricapitava di essere da solo con Shouyou senza l’ingombrante presenza di Bokuto?

“Ricordami da quanto sei tornato.”

“Perché?”

“Non hai voglia di rivedere i tuoi amici?”

“Ci sentiamo regolarmente.”

“Sì, ma non è la stessa cosa.”

“Che vuoi che ti dica?” Shouyou scrollò le spalle una seconda volta. “Forse sto solo caricando la tensione per il mio debutto.” Rise.

Suspance.” Atsumu la prese come una cosa molto seria. “Per questo non vai neanche da lui?”

Gli occhi d’ambra saettarono sui suoi e tutto sembrò fermarsi per una frazione di secondo. “Che cosa sai?” Domandò Shouyou, per nulla innervosito dalla piega che stava prendendo quella discussione.

Atsumu scosse la testa. “Solo che al secondo anno di liceo bevevate dalla stessa bottiglia d’acqua,” si sentì stupido. “Voglio dire… Io non lo farei nemmeno con mio fratello.”

“Non dirlo a Sakusa,” scherzò Shouyou, “o non mi rivolgerà più la parola.”

Atsumu decise di approfittare del suo buon umore per indagare più a fondo. “Vi siete lasciati quando sei partito?”
“È complicato,” ammise Shouyou. “Io e Tobio abbiamo dei conti in sospeso…”

“Tutto qui?” Atsumu si era aspettato qualcosa di più passionale, con cui era difficile rivaleggiare. “Una sfida tra ex compagni di squadra con benefici?”

“Non erano benefici, erano sentimenti,” lo corresse Shouyou. “Te l’ho detto: è complicato.”
Atsumu si umettò le labbra, pensando attentamente alla sua domanda successiva. “Lo amavi?”

Shouyou s’irrigidì visibilmente, poi si lasciò andare in una risata nervosa. “È-”

“Complicato,” concluse l’alzatore per lui. “Sì, questo l’ho capito. Sto cercando di capire quanto complicato.”

Shouyou inarcò le sopracciglia. “Perché è così importante?”

Perché continuo a pensare ai tuoi occhi da quando avevo diciassette anni, sarebbe stata la risposta corretta. “Perché sono il tuo alzatore,” Atsumo disse, invece. “Ho bisogno di conoscerti.”
Shouyou assottigliò gli occhi. “Non è vero.”

Atsumu sbatté le palpebre un paio di volte.

“Tutto quello che ti serve è conoscermi come giocatore. Il liceo ti ha dato tutte le informazioni di cui hai bisogno e il resto lo impareremo solo con la pratica,” disse Shouyou, pazientemente.

Atsumu alzò entrambe le mani. “Ammetto di averti sottovalutato,” confessò. “Ricordavo un ragazzino ingenuo.”

Il sorriso di Shouyou assunse sfumature mature che l’alzatore non avrebbe mai saputo immaginare sul suo viso. “Volare dall’altra parte del mondo fa miracoli quando si tratta di crescere.”

Atsumu appoggiò la schiena al lavello. “Hai scelto la pallavolo a lui, lo capisco.”

L’ambra degli occhi di Shouyou si tinse di smarrimento. “No, non l’ho fatto.”

Il sorriso dell’alzatore divenne tirato. “Scusami se insisto,” disse. “Se c’erano dei sentimenti… Se ci sono, perché non sei tornato da Tobio?”

Shouyou lasciò andare un sospiro esasperato e Atsumu seppe che stava facendo breccia. 

“Ti ho detto che è-”

“Non è rispondere che è complicato, Shouyou.”

“Ma è l’unica risposta che posso darti!” Esclamò il più giovane. “Nessuno ci capiva. Nessuno è mai stato in grado di farlo e io non riesco a spiegarti cosa eravamo - o siamo - a parole.” Una pausa. “Ma io non ho preferito la pallavolo a lui. Tobio è nato campione, Atsumu. Io dovevo diventarlo, tutto qui.”

L’alzatore avrebbe voluto affossare in qualche modo la luce prodigiosa che il più giovane proiettava sul perfettino dei suoi stivali, ma non era quello il fulcro del discorso. Mettere in ombra Kageyama Tobio a parole non lo avrebbe avvicinato in alcun modo a Hinata Shouyou.

“Sei tornato per sconfiggere il prodigio e divenire un campione?” Domandò Atsumu con un ghignetto. “Perché se questo è il caso, hai scelto la squadra giusta: quella dove gioco io.”

Shouyou tornò a sorridere. “Se può esserti di aiuto a comprendermi: ho sognato Tobio,” confessò, scendendo dal bancone della cucina. “Per questo il sogno era intenso.”

Sparì nel buio dell’appartamento, prima di vedere il sorriso di Atsumu morire veloce come era comparso. Forse lo fece per imbarazzo, ma allora perché confessargli qualcosa di tanto intimo? Era un modo indiretto per rendergli noto che lui, Shouyou e l’altro, Tobio, erano ancora legati?

Atsumu sbuffò, poi sorrise. 

Sì, era complicato ma questo non significava si sarebbe arreso.


Non è mai troppo tardi

suona strano può darsi

se poi basta un momento per trovarsi.

[Federico Rossi - “Non è mai troppo tardi”]

 

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Capitolo 19
*** #Lorn ***


#19 Lorn 

 

Però tu fammi una promessa

Che un giorno quando sarai perso

Ripenserai ogni tanto a cosa siamo stati noi

 

Dal cellulare di Oikawa Tooru.

 

O.T. - Come sta Tobio-chan?

[23.46]

 

I.H. - Perché t’interessa di Tobio, ora?

[23.49]

 

O.T. - Tu rispondi. Lo so che fai da baby-sitter a lui e Ushiwaka. Non che siano in grado di stare al mondo autonomamente. 

[23.52]

 

I.H. - Perché non ammetti che sei geloso che siamo amici?

[23.53]

 

O.T. - Geloso? IO?! Tieniti pure quel musone noioso di Tobio-chan! Io ho Chibi-chan che è la parte carina del freak-duo!

[23.54]

 

I.H. - Giusto… Come sta Hinata?

[23.55]

 

O.T. - No, non funziona così, Iwa-chan.

[23.55]

 

I.H. - Tanto per essere sicuro, stai agendo per conto di qualcun altro o…?

[23.57]

 

O.T. - Io voglio bene a Shouyou, Hajime.

[23.59]

 

I.H. - E io tengo a Kageyama. Quindi, che vogliamo fare?

[00.00]]

 

O.T. - Perché deve essere tutto così complicato?

[00.03]

 

I.H. - Tu sei davvero l’ultima persona che possa lamentarsi di questo, Tooru.

[00.06]

 

 

Alle giornate al mare

A tutte le mie pare

Alle cucine che non abbiam potuto compare

Alle mie guerre perse

Alle tue paci finte

A tutte le carezze

Che forse erano spinte

Giuro che un po' mi fa ridere


-Tokyo 2016-

 

Shouyou se ne era andato facendo promettere a Yamaguchi e Tsukishima di prendersi cura di lui - Tadashi aveva preso la cosa a cuore, Kei neanche un po’ - ma furono Iwaizumi e Ushijima a salvarlo.

Tobio non conosceva la modalità in cui quei due erano divenuti amici e non sapeva nemmeno immaginarsela. L’assenza di Oikawa Tooru tra loro faceva più rumore della sua presenza, ma Tobio non aveva mai trovato il coraggio di affrontare il discorso con Iwaizumi.

“La sua storia non è molto diversa dalla tua,” disse Ushijima una sera, alla fine di una giornata di allenamento pre-Olimpiadi. “Oikawa è partito per diventare più forte, Iwaizumi è rimasto qui per continuare sulla sua strada. La sola differenza è che uno dei due non sta costruendo il suo futuro sul campo da pallavolo.”

“Sei deluso?” Domandò Tobio, allacciandosi le scarpe. “Se Oikawa fosse rimasto in Giappone, sarebbe potuto essere qui al mio posto e alzare per te alle Olimpiadi.”

Fu Hajime Iwaizumi a replicare un paio d’ore dopo: “sono pronto a giocarmi tutto quello che ho che Oikawa-Scemo-Tooru è volato oltreoceano solo per evitare di ritrvarsi in squadra con voi due!” Esclamò, mentre erano seduti tutti e tre al bancone del loro locale preferito. “Orgoglio. Non riesco a spiegarmi come quello di Tooru sia entrato nella stiva dell’aereo… Qui siamo in tre a saperne qualcosa.”

Tobio osservò l’espressione del suo senpai con attenzione: Iwaizumi sorrideva nel parlare di Oikawa, anche se c’era della nostalgia in fondo ai suoi occhi. L’alzatore lo stimava: lui non riusciva neanche a pronunciare il nome di Shouyou.

“Dovrà farsene una ragione, se vuole salire sul palcoscenico dei professionisti mondiali,” disse Tobio. Non si fece sfuggire il modo in cui Ushijima si fermò a studiare l’espressione di Iwaizumi. Gli venne il dubbio di aver detto qualcosa di sbagliato.

Le labbra di Hajime si piegarono in un sorriso amaro e il suo sguardo si fece distante. “No, dovrebbe mettere da parte quel maledetto orgoglio che si ritrova.” Il cellulare nella sua tasca prese a vibrare. Rise: “Salvato all’ultimo… Torno subito.”

Si allontanò per uscire dal locale e rispondere.

Tobio aspettò che sparisse dal suo campo visivo e cercò lo sguardo del suo compagno di squadra. “C’è qualcosa che non so, vero?” 

Ushijima non ci girò intorno. “Oikawa non è in Argentina per allenarsi, vuole entrare in nazionale.”
Tobio lo guardò come se gli fossero spuntate due teste. “Non può,” disse. “Non senza cambiare cittadinanza.”

“Penso sia il suo prossimo passo.”

“Ma non ha senso!”

“Sì, lo ha.” Il fatto che fosse proprio Ushijima Wakatoshi a dirlo aveva dell’incredibile. “Sta cercando il suo posto nel mondo, quello da cui brillare. Quando sarà pronto, tornerà per avere la sua rivincita contro chiunque lo abbia messo in ginocchio.”

Tobio si umettò le labbra, riflettendo sulle implicazioni di quella rivelazione. “Non tornerà,” concluse. Non era una situazione temporanea come quella di Shouyou. “Se n'è andato per sempre.”

Ushijima scrollò le spalle. “A volte torna,” disse. “Iwaizumi non ne parla. Io l’ho scoperto per caso, ci siamo incrociato nello stesso ascensore.”

Tobio era seriamente sorpreso che fosse ancora vivo per raccontarlo. 

“Sono contento di essere in squadra con te, Kageyama,” aggiunse l’ex capitano della Shiratorizawa, anche se la sua espressione non rifletteva le sue parole.

Anche Tobio lo era. Gli serviva avere in squadra qualcuno che facesse parte del suo passato, anche se come rivale. 

No, Yamaguchi e Tsukishima non erano venuti meno alla loro parola, ma non giocavano più nella stessa squadra - nella pallavolo, come nella vita. A conti fatti, Tobio era solo il terzo incomodo in un trio che voleva solo diventare un duo. Decise che, una volta tornato dalle Olimpiadi, avrebbe cercato un appartamento per conto suo, liberandoli dal vincolo imposto da Shouyou.

Tobio se la sarebbe cavata.

Iwaizumi tornò irritato come non mai. “Parli del diavolo!” Esclamò. “Sembra quasi che abbia sentito che parlavamo di lui.”

Aveva litigato al telefono con Oikawa.

Tobio lo invidiò e lo stimò al contempo: Iwaizumi Hajime non avrebbe più riavuto indietro Oikawa, l’orgoglio aveva avuto la meglio su qualsiasi sentimento li legasse, eppure nessuno dei due mollava.

Che facesse male o meno, erano ancora insieme.

Shouyou non gli aveva dato quella possibilità. 

“Un brindisi alle vostre Olimpiadi,” disse Iwaizumi, sollevando il bicchiere. “Tornate con una medaglia d’oro, alla faccia dell’Argentina!”

E del Brasile, aggiunse Tobio in silenzio.

Brindarono.


Però tu fammi una promessa

Che un giorno quando sarai vecchio

Racconterai a qualcuno cosa siamo stati noi

[Pinguini tattici nucleari - “Ridere”]

 

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Capitolo 20
*** #Multitarian ***


#20 Multitarian 

 

Ti ho detto passa ma non passa mai

Ti ho detto basta ma non basta mai

Se ho toccato il fondo era solo per stare con te

 

Dal cellulare di Iwaizumi Hajime.

 

I.H.  - Sei sveglio? Ho bisogno del tuo aiuto.

[10.33]

 

O.T. - Sì, sono sveglio. Che cosa succede?

[10.34]

 

I.H. - Ho bisogno che tu venga all’indirizzo che ti sto mandando.

[10.34]

 

O.T. - Perché?

[10.35]

 

I.H. - Non voglio mentirti, si tratta di Tobio.

[10.36]

 

O.T. - Oh, è morto? Gioia e giubilo per me!

[10.36]

 

I.H. - Non scherzare, Tooru. La situazione è seria.

[10.38]

 

O.T. - Hajime non farmi preoccupare per Tobio-chan o non te lo perdonerò. Dimmi che succede e finiamola!

[10.39]

 

I.H. - Si tratta di Hinata...

[10.40]

 

Ti ho detto guardami in faccia e poi vai

Stupida sbronza che non passa mai

Come la voglia di sbatterti al muro

E baciarti perché
 

 
-Tokyo, 2018-
 

Alla vigilia del nuovo campionato di pallavolo, nel settembre del 2018, alla veneranda età di ventuno anni e nove mesi, Kageyama Tobio decise che era arrivato al momento di ritirarsi dalla sua vita pubblica e porre fine alla sua carriera sportiva.

“Hai ingerito qualche sostanza velenosa involontariamente?” Domandò Tsukishima, assolutamente intoccato da quell’inedita crisi di nervi da parte del coetaneo. “Hai accettato caramelle da uno sconosciuto, o magari una bevanda?”

“Kei, piantala!” Esclamò Yamaguchi, entrando nella camera da letto a passo di marcia. “Hinata ci aveva fatto promettere di non lasciarti da solo,” borbottò, sbattendo sul comodino un bicchiere in cui si stava sciogliendo dell’aspirina. “Non dovevamo permettergli di trasferirsi,” concluse, sedendosi sul parquet accanto al suo compagno.

Tsukishima si guardò intorno. “Povero Kageyama, solo in un attico vista mare.”

Yamaguchi sbuffò. “Lui avrebbe comprato l’appartamento sotto il nostro e dovevamo lasciarglielo fare!”

“Tadashi, ti prego, abbiamo lasciato quel palazzo non appena lui si è trasferito. Fargli spendere soldi in quella zona sarebbe stato circonvenzione d’incapace.”

“E adesso che vive nella zona più bella di Tokyo, come ti sembra stare?”

Tsukishima reclinò la testa da un lato. “Da incapace.”

La montagna di coperte sul grande letto si mosse, ne uscì una mano, che afferrò il bicchiere sul comodino e scomparve di nuovo. Quando spuntò di nuovo fuori, l’aspirina era sparita e il bicchiere era vuoto. 

“Grazie,” bofonchiò Tobio da sotto il suo rifugio.

“Kageyama, dovresti misurarti la febbre,” propose Yamaguchi.

“Non ha la febbre,” obiettò Tsukishima. “Ha la sindrome del Hinata è tornato in Giappone e non si è fatto vedere.”

“Kei, un po’ di delicatezza!”

“Shouyou non ha nulla a che fare con tutto questo!” Sbottò Tobio da sotto le coperte. “Non ha questo potere su di me!”

Tsukishima sbuffò. “E io sono moro.”

“Kei!”

Il campanello dell’ingresso suonò e Yamaguchi si alzò con un saltello. “La cavalleria è arrivata!”


“Siamo sicuri sia vivo?” Fu la prima cosa che disse Ushijima, entrando nella camera da letto.

Più abituato di lui a drammi di quel genere, Iwaizumi alzò gli occhi al cielo. “Kageyama, risparmiati l’umiliazione di farti strappare le coperte di dosso da me!”

Tobio doveva aver ancora un po’ di amor proprio, perché si sollevò a sedere, mostrando l’espressione funerea al compagno di squadra e a uno dei futuri allenatori della nazionale.

“Ho chiuso con la pallavolo,” dichiarò, secco.

I due ospiti si spostarono ai piedi del letto.

“Riprendiamo questo discorso tra vent’anni, Kageyama, promesso,” disse Iwaizumi, come se stesse parlando con un bambino. “Ora ti alzi, vai ad allenarti con Ushijima ed entrambi fate in modo di continuare a essere le prime scelte per la prossima nazionale maschile.”

Tobio non fu smosso neanche da quelle parole. “Alle Olimpiadi ci sono già stato, non mi serve tornarci.”

“Io sono l’Asso del Giappone,” intervenne Ushijima. “Ho bisogno dell’unico alzatore in grado di essere alla mia altezza.”

“Sì!” Esclamò Iwaizumi, stringendo la spalla del più alto. “Serve un diamante per intagliare un altro diamante, e voi due siete-”

“Chiedete a Miya Atsumu di essere il vostro alzatore. A me non interessa più!”

“Che cazzo c'entra Miya Atsumu, adesso?” Domandò Iwaizumi. “Anzi, chi cazzo è?”

“L’alzatore di Bokuto,” intervenne Ushijima. 

“Perché adesso c’interessiamo così tanto ai Black Jackals?” 

“Perché hanno un nuovo schiacciatore. Ha fatto il provino per entrare in squadra alla fine dell’anno scorso e debutterà nella stagione in arrivo,” raccontò Ushijima. “Dicono che sia andato lui da loro, dopo un allenamento speciale di due anni in Brasile.”

Iwaizumi fece velocemente i conti e il risultato gli fece mettere le mani tra i capelli. “Oh, cazzo...” Lasciò andare un sospiro esasperato. “Immagino che Hinata non si sia fatto sentire, prima di schierarsi col nemico.”

“Sapevi che lo avrebbe fatto, Kageyama,” intervenne Ushijima. “Lo scopo di tutto era divenire più forte per combattere contro di te.”

Iwaizumi lo guardò storto. “Eccone un altro che parla di pallavolo come se fosse una guerra. Lo sport è qualcosa di nobile, che fa star bene le persone. Tenetevi la violenza per voi!”

“Lo farò dopo essermi liberato di Miya Atsumu,” disse Tobio, gelido.

“E allora scendi su quel fottuto campo da gioco e fagli il culo!” Iwaizumi Hajime aveva esaurito tutta la sua pazienza naturale durante anni e anni accanto a Oikawa Tooru, e non ne aveva per stare dietro alla sua versione più giovane e taciturna.

“Non voglio vedere quello stronzo alzare per lui!” Tobio tornò a rifugiarsi sotto la sua fortezza di coperte. 

“Non è arrabbiato solo per una questione sportiva.” Ushijima concluse l’ovvio.

No, affatto e fu allora che Iwaizumi cominciò a impanicare. “Tobio, non costringermi a usare la strategia a cui sto pensando e rimettiti in piedi!”

Non accadde nulla.

“Peggio per te!”

Uscito dalla camera da letto, Iwaizumi cacciò la mano nella tasca dei jeans per recuperare il cellulare. 

“Che intenzioni hai?” Domandò Ushijima.

“Dopo Hinata Shouyou, c’è solo una persona al mondo che può rimettere in piedi Tobio.”


“Oh, Tobio-chan, non me lo avevano detto che eri morto!” La voce squillante di Oikawa Tooru fermò il cuore dell’alzatore più giovane. “Il Re è morto. Lunga vita al Re!”

Incredulo, Tobio sollevò le coperte quel tanto che bastava per sbirciare il resto della stanza,

Oikawa Tooru lo accolse con un sorriso dei suoi. “Eccoti qua!” Esclamò il suo senpai, reclinando la testa da un lato per guardarlo meglio. “Senza speranza, come sempre.” Ridacchiò, un po’ troppo divertito.

Tobio sentì la rabbia accendersi a tanta mancanza di tatto. “Che cosa vuoi?”

“Mi è giunta voce che versavi in uno stato miserabile e non volevo perdermi lo spettacolo.”

Ovvio…

“Mi hanno spifferato la tua intenzione di ritirarti,” aggiunse Tooru. “Il tuo amore torna a casa, ma non da te, e tu decidi di mandare all’aria tutto ciò che hai costruito negli ultimi anni… Uhm… Te lo concedo, Tobio-chan, pensavo che la parte dell’innamorato tragico stesse benissimo a me, ma anche tu non scherzi.”

Tobio gettò via le coperte. “Non sono un innamorato tragico!”

Tooru annuì soddisfatto. “L’orgoglio che lo hai ancora, bene.”

Il più giovane strinse i pugni fino a farsi male. “L’orgoglio è tutto quello che mi resta.”

“Oh, disperato da parte di un campione in carica.”

“Quella che ho perso è un altro tipo di partita.”

“Alla partita della vita abbiamo perso tutti, Tobio,” disse Tooru, completamente serio. “Tutti abbiamo rinunciato a qualcosa per crescere.”

“Tu non hai rinunciato a Iwaizumi,” disse Tobio, senza guardarlo in faccia.

“Ci ho provato,” confessò Tooru, senza vergogna. 

Tobio lo guardò perplesso. “Ma voi-”

“Non siamo stati forti quanto te e Shou-chan.” Quella era la versione di Oikawa Tooru, quella di Iwaizumi Hajime gli aveva risparmiato. “Ci siamo detti arrivederci a un giorno che nemmeno sapevamo se ci sarebbe stato,” proseguì il suo senpai. “Non ce l’ho fatta e sono tornato da lui dieci, cento, mille volte. E ogni ritorno era l’ultimo, ma non lo era mai. Se pensi che Shouyou ti abbia fatto del male imponendoti quella promessa - sì, mi ha raccontato ogni cosa - non puoi immaginare quanto io ne abbia fatto a Hajime.” Una pausa, si umettò le labbra. “Mettiamo in ordine i pensieri. È solo il tuo orgoglio che Shouyou ha ferito?”
“No.” Tobio non aveva alcuna ragione di nascondersi. “Cosa ci trovi di così divertente?” Aggiunse, quando l’altro alzatore ridacchiò.

“Ho gioito quando Hajime ha rinunciato alla strada da giocatore professionista,” confessò Tooru. “Fino al suo ultimo respiro, giocare a pallavolo significhirà me, solo me, e nessun altro.”

Tobio aggrottò la fronte. “Ha un che di ossessivo.”

È ossessione, Tobio,” confermò Tooru. “Quando hai la fortuna di giocare con qualcuno che sembra un’estensione di te stesso, non è indolore separarsene… Figurarsi vederlo fare squadra con qualcun altro.”

Tooru stava trasformando in parole i pensieri di Tobio alla perfezione. “È esattamente così.”

Il sorriso del più grande divenne amaro. “Ho conosciuto il tuo Shouyou,” gli raccontò. “Ti sta aspettando come tu aspetti lui.”

“Allora perché-?”

“Perché anche Shouyou ha il suo orgoglio, Tobio,” lo rimproverò Tooru. “Vuole che per prima cosa, tu veda il risultato di tutti i vostri sacrifici. Vuole tornare da te da nuovo campione… Se poi saprete amarvi in questa nuova versione di voi stessi, sarà il tempo a dirlo.”

Tobio serrò i denti sul labbro inferiore. “Ma Miya Atsumu…”

“E smettila!” Sbottò Tooru, esasperato. “Gioca come sai fare e Shouyou avrà occhi solo per te. Rendi quella partita il vostro palcoscenico e tutti gli altri saranno mere comparse. Fa in modo che vi sentiate gli unici in campo, anche se solo per un momento, come se quella rete tra voi non esistesse!”

Animato da nuova determinazione, Tobio si alzò in piedi.

Tooru annuì. “Sei pronto a sconfiggere Hinata Shouyou? Rispondimi.”

“Sono pronto,” rispose Tobio, fermo.

Il sorriso di Tooru si fece oscuro, diabolico.

“E quando lo avrai fatto, ricorda che vi aspetto entrambi alle Olimpiadi di Tokyo.”

Tobio gli porse la mano, gli venne naturale.

Tooru sgranò gli occhi e poi la schiaffò via con uno sbuffo. “Non montarti la testa, moccioso.”

Suo malgrado, Tobio sorrise.

 
 

Sono giù

Che grido come un pazzo "dove sei?"

Solo tu

Mi fai impazzire che ti ammazzerei

Ma ora voglio solo te
[Irama - "Voglio solo te"]

 

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Capitolo 21
*** #Noctiphobia ***


 

#21 Noctiphobia

 

E mancano sempre

Le giuste parole

Però ci sarebbe

Parecchio da dire

Se vivi la vita

In punta di piedi

D'accordo, non corri

Però quasi voli


Dal cellulare di Oikawa Tooru.

 

O.T. - Tu sai qualcosa.

 

I.H. - Tooru, non cominciare.

 

O.T. - La partita è finita da ore e nessuno mi ha annunciato l’imminente matrimonio di Tobio e Shouyou a fine stagione.


I.H. - Mettiti comodo allora.

O.T. - Avanti, Iwa-chan! Lo so che sai qualcosa! 

 

I.H. - Può darsi…

 

O.T. - Sei un bruto senza cuore!

 

I.H. - E tu devi averlo più grande di quel che dimostri se ti preoccupi tanto per Tobio e Shouyou.

 

O.T. - Ti odio.

 

I.H. - Ti amo anche io, scemo. 


Hai perso con gusto

La nostra partita

Per darmela vinta

Per farla finita


-Tokyo, 2018-

 

La tavola arrivava quasi fuori dal ristorante. Era stato un miracolo trovare un posto che potesse accoglierli tutti. Tobio non dubitava che il titolare del locale se ne fosse pentito nel momento in cui li aveva visti arrivare.

C’era una tale confusione intorno a lui che quasi credette di essere tornato al liceo. Non a caso, tutta la sua vecchia squadra di Karasuno era lì, insieme a gran parte dei suoi vecchi rivali. La Seijou era una grande assenza, ma Tobio sapeva che Oikawa avrebbe trovato il modo di conoscere tutti i retroscena della partita. Iwaizumi li avrebbe saputi sia da lui che da Ushijima, ma non avrebbe condiviso tale conoscenza col suo compagno tanto facilmente. 

Loro malgrado, le vicissitudini amorose di Tobio erano divenute un po’ la preoccupazione di chiunque gli stava intorno. 

La partita dei Jackals contro gli Adlers sarebbe dovuta essere lo zenit di una tensione accumulata in anni - così se l’era immaginata Tobio.

Qualunque cosa fosse successa su quel campo di pallavolo, non era stato un punto di arrivo ma di partenza.

Dalla fine della partita, lui e Shouyou non avevano avuto occasione di guardarsi, figurarsi parlare. Era strano. Si erano aspettati per anni, e ora che erano nella stessa stanza mantenevano una sorta di distanza di sicurezza.

Tobio era seduto accanto a Ushijima e non poteva fare altro che guardare Shouyou intrattenersi con i loro vecchi compagni di squadra. Sorrideva - quel sorriso brillava ancora come lo ricordava - chiacchierava ad alta voce, ma era impossibile udirlo con tutto il caos nel ristorante. Tobio non aveva nulla da dire a chi gli era accanto: chiunque gli fosse accanto aveva assistito direttamente alla sua ascesa. 

Per Shouyou era diverso: c’erano anni da recuperare, storie da raccontare…

Il Tobio adolescente avrebbe sgomitato per avere la precedenza su chiunque altro. Il Tobio di ventidue anni aspettò con pazienza il suo turno - sebbene un nodo gli stringesse la gola - e passò tutta la serata a ripetersi che aveva atteso anni, che cos’erano un’ora o due in più.

Shouyou venne in suo soccorso senza che gli avesse chiesto aiuto. Si estraniò dalla conversazione con i loro senpai, lo cercò con lo sguardo e quando lo trovò, sorrise.

Gli angoli della bocca di Tobio si alzarono senza che lui lo volesse. Il nodo alla gola smise di fare male.

Sono qui, eccomi, diceva Shouyou. Non scappo da nessuna parte.

Alla fine della cena, Tobio disse a Ushijima che sarebbe rientrato più tardi, da solo. L’asso non fece domande. 

I saluti furono interminabili come la cena. Molti si attardarono proprio con Shouyou. Tobio attese, nonostante la pazienza stesse cominciando a venire meno. Alla fine, rimasero solo loro due sul marciapiede deserto.

Quasi tre anni.

Tutto solo per quel momento.

Dopo un attimo di smarrimento, Shouyou gli sorrise, ma non esaurì la distanza tra loro. Tobio era un pezzo di marmo, non sarebbe riuscito a fare un passo. Era un problema: ancora un minuto così e l’alzatore avrebbe perso la ragione.

“Hai gioito della mia vittoria,” disse Shouyou.

Tobio ghignò. “Tienitela stretta finché puoi.”

“Tutto è cambiato, eppure sembra sempre lo stesso.”
“Siamo solo più grandi, ma siamo ancora noi.”

Shouyou si umettò le labbra. “Avevo così paura che non fosse così, che la distanza di un oceano ci avesse divisi anche su un altro livello.”

Era stato anche il timore di Tobio, ma non lo confessò. Serviva tempo per recuperare e ora l’alzatore aveva solo premura di colmare la lontananza che li aveva separati per troppo tempo. Si costrinse a fare un passo. “Shouyou, io-”

“Ho baciato Atsumu,” confessò Shouyou, come un fulmine a ciel sereno.

Tobio si pietrificò di nuovo. 

Dov’erano Oikawa Tooru e i suoi discorsi motivazionali quando servivano?

Strinse i pugni. Si finse impassibile.

Shouyou era sull’orlo del pianto. “Non potevo non dirtelo, non dopo tutto questo passato ad aspettare.”

Tobio fu bravo a tornare in sé. "Atsumu non è qui.”

Shouyou annuì lentamente. “Non è da lui che sono tornato.” Era difficile dire se piangesse per il senso di colpa o per la tensione accumulata. Forse entrambe.

Tobio sapeva solo quello che desiderava. Esaurì la distanza tra loro e se lo prese. “Vieni.” Porse la mano al ragazzo di cui era innamorato. “Ti accompagno.”

Shouyou lasciò andare una risata nervosa e si asciugò le lacrime. “Hai paura della notte, Tobio?” Lo prese in giro.

“Sì,” ammise l’alzatore. “La notte è durata troppo a lungo da questa parte dell’oceano.”

Shouyou si lasciò sconfiggere da quella prima confessione d’amore mal celata. Intrecciò le dita a quelle di Tobio e seppe di essere ritornato a casa.

Camminarono insieme.



 

E io, e io

Di me non ho capito niente

E io, e io

Di te non mi scorderò mai, mai, mai

Mai e per sempre

[Marco Mengoni - "Mai e per sempre"]

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Capitolo 22
*** #Louche ***


 

#22 Louche

 

Ti ho visto odiare l'amore

Fare la guerra alle stelle

Sognare senza pudore

Finalmente poi

Dormire

Io ti ho coperto le spalle

Scoprendo tutto il mio cuore

Ma un sogno non si può rifare


Dalla casella di posta di Oikawa Tooru.

Sezione “Bozze”.

 

Ti ho scritto centinaia di lettere di addio.

Lo sai, Iwa-chan?

Posso dire di avere una collezione.

Sono qui, in memoria. 

Alle volte, le rileggo. Piango. Ne scrivo un’altra.
Non le invierò mai. Non le leggerai mai.

Voglio illudermi di avere il coraggio di lasciarti libero di andare.

Ma sono troppo egoista per smettere di respirare, Hajime.

 

Io mi scordo di dimenticarti

Sei negli occhi e via da lì non scendi

Come fai tu lo sai a restare in equilibrio

Non ricordo di non ricordarti

Sei negli occhi e via da lì non scendi

Inseparabili ma separati

 

-Tokyo 2017-
 

Tooru non aveva mai avuto la pretesa di essere il solo a mettere piede nella camera di Hajime, non quando c’era un intero oceano a dividerlo dal suo primo e unico amore.

Quella non era neanche la prima volta che trovava piccole tracce della presenza, seppur fugace, di qualcun altro. Semplicemente, questa volta non poteva concedersi il lusso d’ignorare bellamente la cosa. 

Le mutandine di pizzo - a una prima occhiata sembravano un modello brasiliana - erano rosa fluo, tipo quegli evidenziatori che erano solito usare sui libri del liceo per sottolineare le cose importanti - e pasticciare sui quaderni del suo Iwa-chan.

Tooru non se ne era accorto subito. Aveva aperto il miscelatore della doccia, aveva aspettato che l’acqua si scaldasse e si era allegramente spostato sotto il getto… Poi aveva alzato gli occhi e si era ritrovato faccia a faccia col bottino di guerra appeso alla cornetta della doccia.

Tooru non dubitava che Hajime si fosse interamente tirato a lucido senza accorgersi della presenza di quel filo interdentale dal colore sgargiante. Da parte sua, non riusciva a smettere di stare a testa in su e fissarlo.

La cosa buona era che nessuna donna di spessore si sarebbe abbassata a fare un gesto simile - non che lui fosse un esperto, a dispetto delle voci di corridoio - la cosa meno buona era che quel regalino doveva essere conseguenza di una prestazione sessuale soddisfacente.

Era indecente sotto ogni punto di vista, ma era una logica da cui Tooru non si poteva sganciare: era umano che Hajime avesse le sue avventure - nessuno aveva fatto voto di castità e non si erano promessi niente - gli faceva storcere il naso che qualcuno si sentisse in diritto di tornare e chiedere il bis.

Tooru non concedeva simili favoritismi a nessuno: ci si divertiva insieme il tempo di un orgasmo e via, e mai con un compagno di squadra.

Il vetro della doccia si aprì. Tooru non si voltò all’ondata di aria fredda che lo investì, ma Hajime dovette seguire il suo sguardo perché imprecò ad alta voce, afferrò le mutandine, e uscì di nuovo dalla doccia.

Attraverso il vetro appannato, Tooru lo vide buttare l’intimo nel cestino del bagno - insieme ai loro preservativi usati, per l’appunto.

Quando Hajime tornò sotto il getto d’acqua calda, era visibilmente imbarazzato. “Mi dispiace,” disse. Non per essere stato con qualcun altro, ma per averlo messo a disagio con gli scarti dell’amplesso.

Tooru rise. “La chiamerai?”

Hajimo lo guardò storto. “Sei serio?”

“Lei vuole essere richiamata.”

“Io non voglio richiamare lei.”

Tooru fece una smorfia. “Contenta lei, deluso tu?”

Hajime sbuffò e scosse la testa. “Non parleremo di questo.”

Erano entrambi completamente nudi, sotto la doccia e scambiarsi racconti sui reciproci amanti-per-noia non era proprio il massimo della vita.

Il sistema di autodistruzione di Tooru, però, era già arrivato.

“Io non riesco ad andare con le ragazze,” ammise. “Ricerco te attraverso il sesso e con le ragazze difficile.”

“Tooru, no.” Hajime non voleva sapere, non con quei dettagli così intimi.

“Primo o poi, dovremo affrontare la questione che non torneremo mai davvero, Hajime.”
“Non oggi.”

“Con quello che abbiamo ora non si costruisce un futuro.”

Hajime lo trapassò con lo sguardo. “Stai dicendo basta?”

Tooru sorrise tristemente e scosse la testa. “No, non ce la faccio.”

Era sbagliato, quasi malato, ma in altro modo non sarebbe riuscito a respirare.

Hajime passò una mano tra i capelli bagnati di Tooru. “Tu stai costruendo il tuo futuro,” disse. “Io, il mio. Quando saremo entrambi fermi sulle nostre gambe, decideremo del nostro.”

Si baciarono.


Come fai tu lo sai a restare in superficie

E non sprofondi mai

E non sprofondi mai

[Emma - “Occhi profondi”]

 

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Capitolo 23
*** #Aonaran ***


#23 Aonaran

 

Non mi domando più

Se ci sarà qualcuno a tendere la rete

Pronto a soccorrere

 

Chiamata di Ushijima Wakatoshi a Iwaizumi Hajime.

 

I.H. - Buongiorno.

 

U.W. - Ho incontrato Oikawa nel tuo ascensore.

 

I.H. - …

 

U.W. - Non dobbiamo parlarne, ma dovevo dirtelo. 

 

I.H. - No, no… Ne parleremo. Ho bisogno di parlarne con qualcuno, forse aspettavo solo che… Non importa, quando possiamo vederci?

 

U.W. - Ero nel tuo ascensore. Ora sono davanti la porta di casa tua.

 

I.H. - … Giusto.

 

Me lo ricordi tu

Chi vola impara a sfottere le sue cadute

Come a difenderle

 

-Tokyo 2015-

 

Per il mondo, Ushijima Wakatoshi era un giovane freddo e calcolatore.

Per chi lo conosceva, era solo un ragazzo riservato, non troppo bravo con le interazioni sociali o con qualunque cosa al di fuori della pallavolo.

I suoi amici si potevano contare sulla punta delle dita, perché pochi erano quelli che si disturbavano a indagare sotto la sua apparente scontrosità. 

Non era stato facile per lui uscire dal liceo ed entrare nel mondo reale.

Nessuno lo avrebbe sospettato perché non era nella natura di Wakatoshi mostrare alcunché. 

Potevano accorgersene Satori perché lo conosceva fin da bambino, oppure Iwaizumi, che si era rivelato un buon amico, bravo a gestire caratteri complicati. 

Wakatoshi non voleva pesare su nessuno e, nonostante la sua apparente apatia verso ogni cosa, era un amico attento e leale.

Non era nel suo carattere presentarsi a casa di qualcuno senza un invito, ma Iwaizumi Hajime era completamente sparito dai radar per un’intera settimana e, da buon amico, Ushijima Wakatoshi decise di accertarsi che fosse ancora vivo.

Il portone del palazzo era già aperto e si diresse verso l’ascensore con la sicurezza di chi già sa dove andare. 

Quando le porte scorrevoli si aprirono, Oikawa Tooru sollevò gli occhi dal suo cellulare e divennero enormi per l’orrore. 

Wakatoshi non mosse un muscolo.

Oikawa premette un numero a casaccio della pulsantiera e l’ascensore ripartì.

Wakatoshi rimase in attesa. Quando la luce rossa di spense, lo richiamò.

Le porte scorrevoli si aprirono una seconda volta, rivelando un Oikawa dall’espressione omicida. “Forza!” Spostò l’enorme trolley giallo per far posto al suo acerrimo rivale. “Sali, muoviti!”

Wakatoshi sbatté le palpebre un paio di volte. “Posso spostarmi e lasciarti passare.”

Oikawa sbuffò sonoramente, afferrò il suo acerrimo rivale e lo trascinò all’interno dell’ascensore. “Non ti lascio fantasticare sul fatto di avermi visto nel palazzo di Hajime.”

“Non avrei fantasticato su nulla.”

Oikawa selezionò il piano di Iwaizumi. “Stai zitto.”

Wakatoshi era confuso. “Ti credevo in Argentina.”

“Ci stavo tornando.”

“E perché non riparti?”

“Lo avrei fatto se tu non mi avessi rovinato i piani.”

“Io non-”

“Immagino tu voglia sapere perché sono qui.” Oikawa lo fissò a braccia conserti.

“No,” rispose Wakatoshi in tutta sincerità.

Oikawa lo trafisse con lo sguardo, poi fece qualcosa che Wakatoshi non si sarebbe mai aspettato: premette il pulsante rosso con sopra scritto stop.

L’ascensore si fermò senza essere arrivato a nessun piano. Wakatoshi fissò le porte chiuse di fronte a sé, chiedendosi quale delle sue azioni lo avesse portato a quel punto.

“Nulla da rinfacciare oggi?” Domandò Oikawa.

“Sai benissimo che se fossi venuto a Shiratorizawa, non saresti dovuto fuggire in Argentina.”

Oikawa emise una risata diabolica. “Fuggire,” ripeté. “I codardi fuggono, gli sconfitti… Non mi riconosco in nessuno dei due.”

“Mai pensato che tu lo sia.”

“Bene.” Oikawa sembrava soddisfatto, poi si fece completamente serio. Tamburellò le dita sul manico del trolley giallo e inspirò profondamente dal naso. “Come sta?”
Wakatoshi non rispose immediatamente.

“Lo so che siete diventati buoni amici, non fare il finto tonto,” aggiunse Oikawa.

“Sei stato con lui una settimana,” gli fece notare Wakatoshi. “Dovresti saperlo meglio di me.”

Oikawa sorrise amaramente. “Non sarebbe mai sincero con me.”

“Iwaizumi è una brava persona.”

“Appunto…”

“Perché sei tornato?” Domandò, invece, Wakatoshi.

“Secondo te?” Oikawa provava a essere sarcastico, ma era fondamentalmente triste. “Perché sono tanto disdicevole che, invece di lasciarlo andare, continuo a infestare la sua vita come una maledizione. Compaio, scompaio a mio piacimento. Esiste solo il mio egoismo e non tutto il dolore che gli sto provocando.” Una pausa pesante. “Eppure, non riesco a smettere.”

Wakatoshi non sapeva cosa farsene di quella confessione, specialmente dopo i trascorsi che c’erano tra loro. Non voleva essere crudele, ma pensò che fosse quello che succede quando qualcuno sa bene cosa voglia dire toccare il fondo, ma non rinuncia a all’orgoglio.

Forse solo all’amore.

“Gli manchi,” disse Wakatoshi.

Oikawa lo guardò. “Te lo ha detto lui?”

“Non c’è bisogno.”

“Parlate mai di me?”

Wakatoshi scosse la testa. “Proprio per questo.”

Oikawa sorrise. “Meglio così.” Premette di nuovo il pulsante rosso e l’ascensore ripartì. “Pronto per l’arrivo del pulcino nero?” Domandò subito dopo.

“Eh?”

“Tobio-chan!” Esclamò Oikawa, come se fosse una cosa ovvia. “Sarà lui il tuo alzatore. Sei deluso?”

“Sarò deluso se non ci scontreremo mai sotto gli occhi di tutto il mondo,” ammise Wakatoshi. Era totalmente sincero.

E Oikawa gli sorrise come l’ultima volta che si erano visti, dopo la vittoria di Karasuno. “Non preoccuparti,” lo rassicurò. “La tua attesa sarà ben ripagata.”

Le porte dell’ascensore si aprirono.

“Saluta Tobio-chan da parte mia,” disse Oikawa, spingendo il rivale sul pianerottolo. “E dai un’occhiata a Hajime anche per me.”

Prima di sparire dietro le porte scorrevoli, Wakatoshi si accorse che gli stava facendo l’occhiolino.



 

Arrivi tu che fai passare

La paura di precipitare

[Laura Pausini - “Simili”]

 

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Capitolo 24
*** #Kaira ***


#24 Kaira

 

Perché tutto l'amore che prendi

Un giorno lo ridai

Quel giorno si diventa grandi

O grandi non si è mai


Dal gruppo chat “I magnifici quattro di Seijou”.

 

Mattsun - Congratulazioni al nostro capitano per l’imminente matrimonio con Kageyama Tobio.

 

Tooru - Eh?

 

Makki - Ci stiamo ridendo da stamattina!

 

Iwa-chan - Povero Kageyama, condoglianze.

 

Tooru - Qualcuno mi spiega?!

 

Makki - *Allegato Foto*. Questa non è la tua casa in Argentina?

 

Iwa-chan - AHAHAHAHAHAHAH

 

Tooru - Hajime, stai serio! Questa è una tragedia!

 

Iwa-chan - Ma che faccia hai fatto? Sembrava ti stesse per prendere un infarto!

 

Tooru - Ma quando ci hanno fotografati?! Da dove?!

 

Mattsun - A giudicare dall’inquadratura, da una barca in mare.  A Kageyama è andata bene: è di spalle.

 

Makki - Sì, ma la scatolina blu in bella vista tra le sue dita non gli sta facendo alcun favore.

 

Iwa-chan - Voglio essere il testimone.

 

Tooru - Hajime, piantala!

 

Iwa-chan - Di Tobio, mica il tuo. 


Tu corri io sto

Se la vita lo chiede

Siamo grandi o no?


-Buenos Aires, 2021-

 

“Un grande spazio boscoso tra i fiumi.”

“Kaira.”

“Eh?”

Kaira.”

Tooru lasciò cadere sulle gambe il giornale con le parole crociate, poi abbassò i grandi occhiali da sole fino alla punta del naso e lo fissò da sopra le lenti scure come l’ultimo nei maestrini. “E tu che ne sai?”

Tobio scrollò le spalle. “Ricordo di averlo letto da qualche parte.”

Tooru sollevò gli occhiali tra i capelli ricciuti, mostrandogli tutto il suo stupore. “Tu sai leggere?”

“Vai al diavolo.”

La bocca di Tooru formò una O perfetta. “Ti sembra questo il modo di rivolgerti al tuo senpai?”

Tobio sprofondò nella sua sdraio, maledicendo il momento in cui aveva attirato l’attenzione del più grande. Tutto di quella spiaggia argentina gridava paradiso... Peccato che fosse quello personale di Oikawa Tooru, il che lo rendeva un grande, bellissimo ossimoro.

Sì, convenne Tobio nella sua mente, il suo senpai aveva ritagliato per sé un angolino di mondo niente male. 

“Tutto questo rende ridicolo il mio appartamento di Tokyo,” disse Tobio, osservando la sabbia bianca e il vasto oceano.

Tooru gli sorrise soddisfatto. “Beh… La tua prossima meta è l’Italia, ci sono un sacco di belle spiagge anche lì.”

“Come funziona?” Domandò Tobio. “Una casa in ogni paese?”

“Le stagioni finiscono e le squadre cambiano, Tobio. Un appartamento di proprietà dove hai voglia di tornare e tanti costosi affitti, fino a che qualche posto non ti fa innamorare.”

“E in Argentina ti senti a casa?”

Tooru temporeggiò, voltò lo sguardo verso la veranda della sua casa sulla spiaggia, dove Hajime e Shouyou stavano apparecchiando per il pranzo. “Qualche volta,” rispose, infine.

“Shouyou torna in Brasile.”

“Sì, lo so.”

“Siete così amici?”

“Perché credi di avere il lascia passare nella mia dimora?” Domandò Tooru. “Io ho invitato lui, tu sei solo il suo bagaglio a mano.”

Tobio ridacchiò. “Una volta, mettevo da parte gli spiccioli per offrirgli uno spuntino post-allenamento.”

Tooru arrotolò il giornale delle parole crociate e lo sollevò a mo di scettro. “Tutto ciò che è toccato dal sole… Eccetera, Eccetera… Hai aperto un salone a tua sorella, almeno?”

Tobio annuì. “Miwa sta bene,” rispose. “Abbiamo venduto la casa della nostra infanzia quando ho comprato l’attico a Tokyo. Lei ha detto di voler provare la vita da metropoli, ma credo che lo abbia fatto per starmi vicino. L’ho aiutata a cominciare con l’attività, poi ha voluto far da sola.”

“Grande donna,” commentò Tooru.

“Non la conosci neanche.”

“Me la ricordo quando veniva a prenderti a scuola. Per un periodo, si è frequentata con mia sorella, poi è nato mio nipote e hanno preso strade diverse.”

Tobio pensò alle medie, quando il loro mondo era concentrato tra scuola e casa e sembrava già abbastanza complicato così. Ora prenotava biglietti d’aereo con la stessa nonchalance con cui comprava quelli della metro a Tokyo. 

Il mondo stesso aveva cambiato forma, dimensione, significato. 

Tobio si era chiesto spesso che effetto gli avrebbe tornare indietro, a Karasuno. Da solo non aveva mai avuto il coraggio di farlo. 

“Roma, Rio, Buenos Aires, Tokyo… Alla fine, ci rivediamo tutti ai campionati, e a fine stagione,” allargò le braccia, “eccoci qua! Siamo sulla cima del mondo, Tobio. Ci siamo arrivati davvero.”

Tobio storse il naso. “E ti sta bene che ci sia anche io?”
Tooru fece un gesto della mano come a dirgli di lasciar perdere. “Preoccupati del bene di Shouyou e potresti passare da odioso a antipatico.”

Tobio si umettò le labbra, si prese del tempo per ragionare la sua prossima mossa. Alla fine, cacciò una mano nello zaino appoggiato accanto alla sdraio e ne tirò fuori una scatolina blu senza troppe cerimonie.

Tooru la vide ed emise il verso più stridulo della storia dell’umanità. Prese ad agitarsi sulla sdraio come se fosse in preda a un attacco di panico. Il giornale volò per aria, gli occhiali da sole gli ricaddero sul naso.

“Ehi, stai calmo!” Sibilò Tobio, spostandosi sulla sdraio dell’altro. Lanciò un’occhiata alla veranda: Hajime e Shouyou stavano ridendo tra loro e non si erano accorti di niente.

“Sei impazzito?” Domandò Tobio.

Tooru sgranò gli occhi indignato. “Mi mostri una bomba a mano sul punto di esplodere e dovrei stare calmo?”

Tobio sbuffò. “Non è poi così strano…”

“Il gesto in sé no, che lo faccia tu è da evento storico!” Tooru si calmò un attimo. “Chi altro lo sa?”

“Mia sorella.”

“E…?”

“Tu.”

Tooru si sventolò come se gli stesse mancando l’aria. “Non provare a farlo qui!” Sbottò. “Su questa spiaggia si possono consumare solo i miei momento romantici.”

“No, lo farò a Roma.”
“Oh, Roma… La città eterna. Ha un senso.”

“Manterrai il segreto?”

“In primo luogo, io non capisco perché tu me lo abbia detto!”
Tobio scrollò le spalle. “Sei un po’ il senpai di tutti e due.”

Era una giustificazione tanto stupida quanto tenera. Tooru si coprì il viso rosso d’imbarazzo con la mancina, gesticolando in direzione del più giovane con la destra. “Sì, vai, hai la mia benedizione o quel che ne so! Se andrà male, io e Shouyou ci faremo una grande risata. Hajime e Ushiwaka, invece, raccoglieranno i pezzi.”

 

C'è un cammino che è l'unica scelta

Che domani farai

Ci parliamo da grandi stavolta
[Eros Ramazzotti - “Ci parliamo da grandi”]

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Capitolo 25
*** #Mazarine ***


 

#25 Mazarine 

 

Scusa sai se provo a insistere

divento insopportabile, lo so

ma ti amo… Ti amo… Ti amo…

Ci risiamo… Vabbè, è antico, ma ti amo…


Qui è la segreteria di Oikawa Tooru Il Magnifico, lasciate un messaggio dopo il bip.

 

Bip.

 

Oikawa, sono Hinata.

Scusami non… Non sto piangendo, non preoccuparti…

Si tratta di…

È successa una cosa.

No, ho fatto una cosa… Ho fatto un casino.

Ti prego, richiamami appena senti il messaggio.

 

Messaggio salvato in segreteria.


E scusa se ti amo

e se ci conosciamo da due mesi o poco più

e scusa se non parlo piano

ma se non urlo muoio

non so se sai che ti amo 


-Osaka, 2018-
 
 

Il tradimento è qualcosa d’indelebile.

Anche quando si perdona, il tradimento resta lì, nell’ombra, a osservare. È come un veleno melmoso, pronto a infilarsi nelle crepe.

Il tradimento non è l’abbaglio di un istante.

Seppur silente, celato, il tradimento è lì ancor prima che qualcuno divenga un traditore.

Shouyou lo scoprì l’estate prima del suo debutto come giocatore professionista. 

Fu Atsumu a impartirgli la lezione.

Non c’era nessuna ragione particolare dietro alla ragione di andare a vivere insieme: Shouyou aveva bisogno di un letto e Atsumu aveva una camera in più. Il fatto che fossero compagni di squadra era solo un bonus.

I loro spuntini di mezzanotte, invece, non erano mai stati nei piani.

Lo resero un rito senza neanche rendersene conto. Guardavano un film, parlavano di tutto e niente. Ridevano, ridevano un sacco. 

Shouyou non ricordava l’ultima volta che si era sentito tanto leggero. Quella parentesi con Oikawa in Brasile era stata una ventata di aria fresca. Atsumu, però, era qualcosa di diverso da un buon amico nel momento del bisogno. Era il modo in cui lo guardava, quello in cui giocavano insieme…

Shouyou non era mai stato corteggiato in vita sua - la storia tra lui e Tobio aveva saltato quella parte - ma era così che si sentiva e lo faceva stare bene. Non si era posto il problema che la cosa potesse sfuggirgli di mano e che quello che stava assecondando fosse tutto, meno che innocente. 

“Sapevo che, prima o poi, avrei alzato per te,” disse Atsumu, tornando sul divano con due bottiglie di birra.

Shouyou accettò la bibita. “Alzi per me da mesi.”

Atsumu scrollò le spalle. “Stanotte avevo voglia di sottolinearlo.”

Il più giovane accennò un sorriso, passando velocemente in rassegna i social sul suo tablet. Non dovette indagare molto per ritrovarsi sotto gli occhi uno scoop rosa riguardo Tobio, con tanto di foto allegata.

“Il santarellino non è più tanto santarellino,” disse Atsumu, allungando il collo per sbirciare l’articolo. “Viene avvistato con una diversa ogni mese.”

Uno.”

“Eh?”

Shouyou sollevò il tablet: Kageyama Tobio stava indubbiamente stringendo il polso del biondo occhialuto alla sua destra, peccato che l’affascinante misterioso non fosse altri che Tsukishima Kei. 

“Quello non giocava con voi?” Domandò Atsumu, perplesso.

“Ed è felicemente accompagnato con un nostro altro amico: Yamaguchi. Probabilmente stavano litigando. Questo è solo uno scatto equivoco preso al momento giusto.” Shouyou bloccò il tablet e lo lanciò sul basso tavolino tra il divano e la tv. Atsumu lo osservò mentre si portava la bottiglia di birra alle labbra e ne prendeva un sorso. Se avesse sempre avuto una bocca tanto invitante fin dai tempi del liceo, Atsumu non lo ricordava. Ora non poteva fare a meno di notarlo ogni volta che guardava il suo coinquilino in faccia.

“Ci sono altre foto con altre persone,” disse, un po’ con crudeltà. “Persone che non hanno fatto il liceo con voi.”

Shouyou scrollò le spalle. “Di Tobio ho letto soltanto gli articoli sportivi, mentre ero in Brasile. Qui, in Giappone, è solo più difficile restare all’oscuro sul resto.”

“Credi che nessuno di quei flirt sia vero?”

Shouyou rise. “Tobio non sa flirtare.”

“Forse il ragazzino di diciotto anni, ma il giovane uomo di ventuno? Anche tu eri un bambino ingenuo quando ti ho conosciuto, ma sei diventato grande.”

Shouyou divenne serio di colpo. 

“Ho detto qualcosa che ti ha turbato?” Atsumu fece il finto tonto, ma l’altro non si fece fregare.

“Perché ogni volta che parliamo di Tobio, finiamo per discutere su cosa fa fuori dal campo di pallavolo?” Shouyou suonava un po’ esasperato. Le aveva viste le ragazze fotografate accanto a Tobio. Non aveva scorto in quelle immagini nulla che tradisse interesse da parte dell’alzatore, ma anche lui era in grado di provare dubbio, insicurezza, rabbia.

Chi era Kageyama Tobio, il campione olimpico del Giappone? Shouyou non lo sapeva e gli dava un tremendo fastidio.

“Perché tu mi hai fatto un sacco di discorsi sul fatto che non vi siete fatti promesse che non riguardino proprio il campo di pallavolo. Eppure, io sono certo che tu voglia tornare da lui completamente.”
“E se fosse così?”

“Siamo amici, non voglio che ti faccia male.”
“Tobio non mi ha mai fatto del male.”

“Tu continui a pensare al tuo primo amore del liceo, Shouyou. Potresti rimanere deluso.”

“E tu non vedi l’ora di consolarmi, vero?” Quello era un match point da parte di Shouyou. “Sono cresciuto, lo hai detto tu.”

Atsumu aprì e chiuse la bocca come un pesce fuor d’acqua e il più giovane si spostò in cucina. “Aspetta, Shouyou,” lo vide buttare la bottiglia di birra ormai vuota e lo bloccò di fronte al frigorifero. “Se davvero sei diventato grande, perché non la smetti di fingere?”

Shouyou aggrottò la fronte. “Che vuoi dire?”

“C’è tensione tra noi,” disse Atsumu. “Una bellissima tensione, che raggiunge l’apice quando scendiamo sul campo insieme. So che la senti anche tu e so che ti piace.”

Shouyou arrossì. “Smettila…”

Atsumu fece un passo in avanti e il più giovane si ritrovò con le spalle contro il frigorifero. “Erano anni che non sentivi qualcosa del genere. Da lui.”

Shouyou si umettò le labbra. “Atsumu…”

“Non ci credo che non ti sei mai chiesto come sarebbe baciare qualcun altro,” disse Atsumu con voce suadente. “Cosa si proverebbe a fare l’amore con qualcuno che sa davvero come farlo.”

A quel punto, Shouyou non si sentiva nemmeno imbarazzato. Miya Atsumu lo stava sfidando ed aveva passato la vita a duellare con alzatori dall’ego smisurato. 

“Tu l’amore non l’hai mai fatto, Atsumu,” disse. “Quello che avevo io con Tobio, tu non lo hai condiviso con nessuno.”

“Presuntuoso.” Atsumu gli riservò uno di quei suoi sorrisi un po’ sinistri, poi si fece serio di colpo. “E se tu fossi il primo amore di qualcun altro, non solo di Tobio?”

Preso di sorpresa, Shouyou gettò le armi e mostrò all’altro tutta la sua sincera confusione.

Il sorriso di Atsumu si fece amaro. “Al liceo, era una cotta… E ne ho avute molte altre, te ne do atto. Sesso, sì. Amore? Nah. Ma credimi quando ti dico che vorrei tanto che m’insegnassi.”

Shouyou non sapeva cosa dire. Di colpo, si sentiva in colpa per tutti i momenti di complicità che lui e Atsumu avevano condiviso. Quello che lo aveva fatto stare bene, che era scivolato sotto la sua pelle facendogli provare una sorta di scossa elettrica, era solo la superficie di un desiderio che Atsumu aveva modellato in anni. 

Non c’era niente d’innocente nel loro legame. Shouyou aveva solo fatto finta di non accorgersene perché gli era mancato essere speciale per qualcuno, essere guardato non solo perché era più veloce o saltava più in alto di chiunque altro.

Cadere dalle nuvole di fronte all’ovvio non faceva che peggiorare le cose.

Shouyou ricordava bene come era stato desiderare Tobio quando non poteva averlo, e come si era sentito vuoto e solo subito dopo. Molte volte aveva pensato alle parole di Oikawa: Se capita… Lascio che capiti.

Shouyou, invece, lo aveva sempre evitato. 

Atsumu era stato l’unico nel riuscire nell’arte di corteggiarlo e di farlo sentire a suo agio, e questo lo spaventava. Si chiese se l’alzatore avesse ragione: se gli anni non avessero fatto altro che rendere Tobio una sua ossessione, una fantasia adolescenziale che non ne voleva sapere di morire e nulla più.

”Ci vediamo più tardi, Hinata.”

E se nel momento di rivederlo, Shouyou si fosse trovato di fronte a un estraneo?

“Non stai tradendo nessuno,” disse Atsumu, affondando il naso tra i capelli rossi. “Debutterai su quel campo di pallavolo a Sendai e lo sconfiggerai. Questa è la sola promessa che devi mantenere.”

Per la prima volta, Shouyou prese in considerazione l’idea che quell’attesa avesse avuto valore solo per lui. Forse Tobio non c’era più per lui.

Atsumu approfittò del suo smarrimento per baciarlo. Un centinaio di fuochi d’artificio multicolore esplosero nella testa di Shouyou. Riuscì quasi a vederli dietro le palpebre chiuse. Il suo corpo fu attraversato da una scossa elettrica.

Aveva sofferto il freddo fino a quel momento, ma prima del calore di Atsumu non se ne era reso conto.

Gli piacque. Sì, gli piacque e fu terribile.

Fuggì senza muovere un passo. 

Quando riaprì gli occhi, Shouyou aveva di nuovo quindici anni e Tobio lo baciava sotto un temporale estivo. Pioveva, ma c’era il sole. 

Si divisero, guardarono in alto e videro l’arcobaleno all’orizzonte, verso le montagne. 

Tobio aveva ancora le mani sulle sue guance.

Sarebbe stata una perturbazione veloce, presto il sole del tardo pomeriggio avrebbe asciugato ogni traccia, ogni pozzanghera.

A quel punto, Shouyou sarebbe dovuto tornare a casa.

Tobio lo fece suo come poteva sotto quella pioggia calda, un bacio alla volta.

I capelli bagnati erano appiccicati sulla fronte, i vestiti aderivano addosso come una seconda pelle. Shouyou sorrise contro la bocca di Tobio.

Atsumu si allontanò e il più giovane tornò alla realtà, ma gli occhi d’ambra lo evitarono in favore del pavimento. 

“I suoi occhi,” disse Shouyou in un mormorio.

Atsumu sperò di aver capito male. “Cosa?”
Shouyou appoggiò il peso del corpo al frigorifero, lasciando che il ricordo di quel giorno di pioggia lo attraversasse come una lama invisibile. Fece male. 

Rise, un suono nervoso, quasi isterico. 

“Ti senti bene?” Domandò Atsumu.

Shouyou si passò una mano tra i capelli, la gola stretta in un nodo che annunciava l’imminente arrivo del pianto. “Sì, lo amavo,” confessò. “E lui amava me. No, non ce lo siamo mai detti. Non ce n’era bisogno. Non chiedermi ancora di spiegartelo, non posso.”

Atsumu fece un passo indietro e rimase in silenzio.

“Quegli occhi blu…” Shouyou rise di se stesso. “Maledizione, quanto amo quegli occhi.”

Fu il turno di Atsumu di abbassare lo sguardo. Se il terreno sotto i suoi piedi si fosse aperto per inghiottirlo, ne sarebbe stato felice. “Mi dispiace,” riuscì a dire. “Non avrei dovuto, io-”

“Lo volevi,” lo giustificò Shouyou. “Avrei dovuto fermarti tempo fa, scusami.” Si voltò con l’intenzione di tornare in camera sua.

“E se a Sendai lo guardassi negli occhi e vedessi solo un estraneo.”
Shouyou strinse le labbra e inspirò profondamente dal naso. “Non ho paura di rischiare,” disse, fermo. “Non l’ho mai avuta.”


Il giorno dopo, Shouyou si trasferì a casa di Bokuto - ma solo il tempo necessario per trovare una sistemazione per sé. 

Lui e Atsumu non parlarono più di quel bacio.

In un modo o nell’altro, restarono amici.


E scusami se rido, dall’imbarazzo credo.

ti guardo fisso e tremo

all’idea di averti accanto

e sentirmi tuo soltanto 

e sono qui che parlo emozionato

… E sono un imbranato.

[Tiziano Ferro - “Imbranato”]





 

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Capitolo 26
*** #Aita ***


#26 Aita

 

Certi amori non finiscono

Fanno dei giri immensi

E poi ritornano

Amori indivisibili

Indissolubili inseparabili


Chiamata dal cellulare di Oikawa Tooru.

 

O.T. - Sei passato da Tobio-chan?

 

I.H. - No.

 

O.T. - Iwa-chan, la situazione è seria! Smettila di tergiversare!

 

I.H. - Non sto tergiversando, sto facendo la spesa perché stanotte la bufera peggiorerà e vorrei evitare di restare senza cibo insieme a te. Poi sto meditando di comprare un libro sul giardinaggio.

 

O.T. - Sei completamente impazzito? Tobio-chan e Chibi-chan non danno segni di vita da più di quarantotto ore e tu pensi al giardinaggio?! Non abbiamo nemmeno un giardino, qui a Tokyo. Che te ne fai di un libro di giardinaggio?

 

I.H. - Per meglio sapere come scavare la buca in cui ti butterò dentro quando ti avrò ucciso.

 

O.T. - … Questo è un po’ troppo rude anche per te, Iwa-chan.

 

Ma amici mai

Per chi si cerca come noi

Non è possibile

Odiarsi mai

Per chi si ama come noi

Basta sorridere
 

 
-Tokyo 2018-
 
 

Nevicava e Tobio dubitava avrebbe smesso presto.

Tokyo era interamente ricoperta da un manto bianco. 

Fuori dalle finestre di casa sua, il paesaggio era una splendida cartolina invernale. 

Non appena l’acqua nel pentolino iniziò a bollire, Tobio spense il fornello a la verso in due tazze in cui aveva già riposto il filtro del tè.

Il suo primo pensiero era stato un cioccolato caldo - più gustoso - ma dopo aver aperto la credenza, era rimasto deluso dallo scoprire che non aveva ciò che serviva. Troppo pigro e confortevole dov’era, Tobio aveva replicato su qualcosa di meno adolescenziale. Non appena avesse smesso di nevicare, sarebbe andato a fare la spesa.

Il cioccolato caldo era solo rimandato.

L’attico non era troppo piccolo, ma quasi privo di pareti divisorie. Questo permetteva a Tobio si muoversi in cucina e tenere d’occhio il divano - dove il suo ospite dormiva - senza particolare fatica.

Entrambi avevano abbandonato i cellulari sulla penisola e mentre vi passava accanto, Tobio si sedette su uno degli sgabelli con un sospiro guardando l’anteprima dei messaggi ricevuti dal suo compagno. Dopo averne contati ventisette, decise che Oikawa Tooru non aveva una vita o la trovava troppo noiosa per dedicarle attenzioni.

Il traffico sulla linea di Tobio era notevolmente più contenuto: un messaggio da Ushijima, uno da Tsukishima e l’ultimo da Iwaizumi - che lo pregava di dargli qualche novità succulente per impedirgli di assassinare la nuova promessa della pallavolo argentina.

Da parte sua, Tobio non sapeva se fosse peggio rimanere in silenzio con tutti o rendere loro noto che, dopo tre anni separati, lui e Shouyou stavano godendo di ogni momento passato insieme, senza fretta.

Fosse stato per Tobio, avrebbe chiuso con doppia mandata ogni porta sul mondo esterno - tecnologia compresa - e buttato via la chiave. 

Shouyou lo aveva fermato, ricordandogli ridendo che aveva creato abbastanza isteria intorno a loro da indurre qualcuno dei loro amici ad attaccarsi al campanello dell’attico, pur di avere notizie sulla giovane coppia appena riunita.

Oikawa, attraverso Iwaizumi, gli aveva fatto sapere senza troppi giri di parole che si era aspettato atti osceni nel bel mezzo del campo di pallavolo, a telecamere accese.

Da parte sua, Tobio aveva trovato quella partita di ricongiungimento tanto intima e personale. che subito si era dimenticato della gente sugli spalti ed era certo di aver avuto occhi più per Shouyou che per i suoi compagni di squadra.

Ridacchiò di se stesso: distrarre era sempre stato il primo compito di Shouyou in quanto esca, ma con Tobio aveva funzionato su tutto un altro livello. E aveva vinto, il piccoletto. Non aveva importanza che avesse superato il metro e settanta e non avesse più la prestanza di un’acciuga.

Come piaceva dire a Oikawa: ”Hinata Shouyou è e resterà sempre Chibi-chan.”

Eppure era cresciuto, come Tobio.

Eppure era cambiato, come Tobio.

E, come Tobio, aveva scritto una parte della sua storia da solo.

La verità era che con la pazienza con cui si erano aspettati, dovevano imparare a conoscersi una seconda volta.

Sulla chaise longue, Shouyou si stiracchiò sotto la coperta grigia in cui si era avvolto.

Tobio sorrise per il tempismo perfetto. “Ben svegliato,” disse, alzandosi dallo sgabello della penisola solo per sedersi di nuovo, accanto al suo ospite.

Posò le tazze fumanti sul tavolino di vetro accanto al divano, poi piegò il braccio sullo schienale, guardando Shouyou che tornava gradualmente nel mondo reale.

Gli occhi d’ambra andarono prima sul té caldo che sul suo viso. “Grazie,” disse, sollevato. “Sto morendo di freddo,” aggiunse, mettendosi a sedere.

Tobio inarcò le sopracciglia. “Hai un maglione più grande di te,” glielo aveva prestato lui ed era stato felice di vedere che la differenza di taglia tra loro era ancora importante, “hai fatto un bozzolo sotto le coperte e i riscaldamenti sono accesi da stamattina.”

“Che vuoi che ti dica?” Shouyou prese la sua tazza e si gustò la sensazione di calore tra le dita. “Due anni in Brasile mi hanno fatto dimenticare dell’inverno.”

“Non è sfinente?” Domandò Tobio. “Un’estate continua, intendo.”

Shouyou appoggiò la nuca allo schienale del divano. “Non è come uno se lo immagina vivendo in Giappone,” disse. “Sei stato a Rio, te ne sarai reso conto.”

“Non sono rimasto abbastanza,” ammise Tobio. “Sarei voluto venire a cercarti…” Si rese conto di averlo detto ad alta voce quando, finalmente, quegli occhi d’ambra si spostarono sui suoi. “Merda,” sibilò. “Scus-”

“In quel periodo, ti ho lasciato centinaia di messaggi in segreteria,” ammise Shouyou senza vergogna. Avevano entrambi fatto quel che dovevano fare, non c’era più nessuna ragione di mantenere le distanze. 

Shouyou era tornato. Tobio lo aveva aspettato.

Recuperare un passato da distanti era necessario per andare avanti.

“Non sono il quel periodo,” aggiunse Shouyou. “Ma saperti a Rio, mi ha reso più difficile cancellare i messaggi dopo averli registrati.”

Tobio si umettò le labbra. “Ti ho scritto centonove e-mail.”

Shouyou sgranò gli occhi. “Centonove?”

L’alzatore annuì. “Sono ancora tutte nella sezione Bozze della mia casella di posta.”

“Strano numero. Saresti potuto arrivare a centodieci.”

“Idiota.”

“Ah, dobbiamo ancora fare quella partita a braccio di ferro che-”
“Bevi quel té e stai zitto, prima che tu ti faccia male.”
“Esagerato!” Shouyou colse comunque l’invito e sorseggiò la bevanda calda. “Fallo anche tu, prima che si freddi!”

Tobio accettò il consiglio. “Hai ventisette messaggi da Oikawa,” lo informò. “Io ne ho uno da Iwaizumi che mi prega di fermarlo dal compiere un folle gesto.”

Shouyou rise. “Oikawa si è preso molto a cuore la nostra storia, sai?”

“Mi si è fermato il respiro quando, anni fa, ho scoperto che anche loro si erano separati.”

“Come mai?” Indagò Shouyou.

“Perché loro sono sempre stati loro.” Era una spiegazione completamente idiota. “Nella mia testa, se non c’erano riusciti Iwaizumi e Oikawa, come potevamo farlo io e te?” Tobio ammise con se stesso che era un po’ drammatico, ma gli anni con quei due gli avevano lasciato dei segni indelebili che, nel bene o nel male, lo avrebbero sempre accompagnato.

Shouyou provò a sollevarlo. “Beh… Loro non mi sembrano così divisi,” disse. “E io sono qui,” aggiunse, fermo.

Tobio recepì il messaggio. “Così come lo sono io.”

Shouyou incrociò le gambe sul divano, piegandosi di lato fino a ritrovarsi con la guancia appoggiata alla spalla dell’alzatore. “Ce l’abbiamo fatta,” dichiarò. “Questa partita l’abbiamo vinta tutti e due.”

Si guardarono. Il blu nell’ambra. 

Per la prima volta si ritrovarono tanto vicini che i loro respiri divennero uno.

Tobio prese l’iniziativa, sfiorando la guancia di Shouyou con le dita. 

Fu il panico.

“Porto la tazza nel lavandino.” Shouyou si alzò troppo velocemente, trascinandosi dietro la coperta a mo di mantello.

Tobio rimase rigido per alcuni secondi, poi prese un respiro profondo e lo seguì. “Shouyou…”

“Il paesaggio da quassù è meraviglioso,” disse l’altro, spostandosi davanti alla finestra. “Sembra davvero di essere sulla cima del mondo, non trovi?”

Tobio gli arrivò accanto. “Sapevo lo avresti detto,” confessò. “L’ho scelta per questo.”

Gli occhi d’ambra non poterono più evitare i suoi. 

“E anche perché mia sorella ha minacciato di farmi dichiarare non in grado d’intendere e di volere se non avessi usato i miei soldi degnamente, tanto per citarla.”

Shouyou ridacchiò. “Posso immaginarla.” L’atmosfera si era un po’ distesa, ma c’era ancora qualcosa fuori posto.

Fu di nuovo Tobio a cercare di esaurire la distanza. “Shouyou, io-”

“L’ho voluto per così tanto tempo,” dichiarò il giovane dagli occhi d’ambra, col cuore in mano. “E adesso io sono qui, tu sei qui… E tutto è andato come doveva andare,” rise nervosamente. “E io non riesco a smettere di parlare o stare fermo.”

Tobio lo afferrò per le spalle, gentilmente. “Non ci sei mai riuscito,” ricordò. “Mai.”

Shouyou sorrise, sebbene volesse piangere. Era felice e terrorizzato. “Sono passate settimane,” disse. “Perché non ci siamo ancora baciati?”

“Perché quando ti bacerò, crollerò,” ammise Tobio. 

Shouyou si rese conto che stava per piangere e gli fece male al cuore.

“Forse tu qualche volta hai pianto, Shouyou. Io no,” raccontò l’alzatore. “Io no. Io dicevo di avere freddo e niente riusciva a scaldarmi. Me ne dimenticavo mentre giocavo, ma prima o poi le partite finiscono e mi sono reso conto che le vittorie sono un po’ meno vittoriose se non ci sei tu.” Si asciugò una lacrima galeotta. “Volevo che fossi lì, a guardarmi giocare le Olimpiadi di Rio.”

Shouyou provò ad aprire bocca, ma le labbra gli tremavano. Prese un respiro profondo. “Ti ho guardato,” confessò. 

Tobio sbatté le palpebre un paio di volte, confuso.

Shouyou sorrise tristemente. “Ho infranto la nostra promessa,” disse. “Ho usato tutti i risparmi che avevo per comprare il biglietto.”

Tobio non sapeva cosa dire. Si rese conto che le mani gli tremavano.

Shouyou si nascose nelle spalle. “Volevo vederti diventare un campione.”

E Tobio lo baciò.

Lo baciò e si chiese perché aveva aspettato tanto tempo per farlo.

Shouyou si aggrappò a lui con la stessa disperazione dell’ultima volta in cui erano stati tanto vicini. Ma non c’era più ragione di disperare. 

Con la bocca ancora sulla sua, Tobio lo sollevò da terra e lo portò in camera da letto.

La coperta cadde a terra senza far rumore.

Shouyou non ne aveva bisogno se c’era Tobio - il suo Tobio - a scaldarlo.

Come si erano amati da ragazzini, tornarono ad amarsi da grandi.


Mai mai il tempo passerà

Mai mai il tempo vincerà

Il nostro non conoscersi

Per poi riprendersi

è una tortura da vivere

Ma stasera non lasciarmi

[Antonello Venditti - “Amici mai”]

 

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Capitolo 27
*** #Anteric ***


#27 Anteric 

 

La voglia di non ragionare ma vivere 

sempre disposto a rischiare e ridere

riderne

la gioia di quest'attimo senza pensarci troppo solo gustandolo

Le stesse storie e quei percorsi che non cambiano

Quelle canzoni e le passioni che rimangono

Semplicemente non scordare


Roma, 2022.

 

Grande evento nel mondo della pallavolo.

 

Le voci che circolavano sul web da qualche tempo sembra siano vere.

Il campione olimpico Kageyama Tobio avrebbe chiesto al suo compagno di squadra, Hinata Shouyou, di convolare a giuste nozze.

E la risposta sarebbe stata un sì!

La conferma arriva dai social ufficiali di quest’ultimo.

Tacciono, invece, quelli di Kageyama - più riservato del compagno - ma i fan non ne sono sorpresi.

Sotto, il post di Instagram di Hinata Shouyou in cui racconta il momento della proposta romantica..

 

Nell’articolo successivo la spiegazione di Oikawa Tooru riguardo la foto scandalo scattata in Argentina quest’estate e divulgata qualche giorno fa.

 

Come I libri della scuola fra le dita

la colazione ogni mattina da una vita

semplice

come incontrarsi perdersi 

poi ritrovarsi amarsi, lasciarsi

Poteva andare meglio, può darsi.

 

-Tokyo, 2022-
 

A ventisette anni, Oikawa Tooru poteva dire di aver conosciuto la sconfitta, l’umiliazione e anche il dolore. Nulla di tutto quello lo aveva preparato al tradimento.

“Tutto avrei pensato,” singhiozzò. “Meno che tu ponessi fine alla nostra storia con un Ménage à trois con Tobio e Ushiwaka.”

Hajime lo guardò a dir poco disgustato. “Di che diavolo stai parlando? Ti ho solo lanciato un +4 a Uno.”

“È la stessa cosa!” Lagnò Tooru con voce stridula.

Tendo inarcò le sopracciglia. “E perché il Ménage deve essere à trois. Guarda quanti siamo.”

Erano otto per l’esattezza, tutti accomodati intorno al tavolino di vetro del soggiorno di Tobio, un po’ seduti sul divano grigio e un po’ sul grande tappeto dello stesso colore..

Fuori pioveva. La stagione sportiva si era conclusa e Shouyou era tornato nella prefettura di Miyaji per passare alcuni giorni con sua madre e sua sorella.

Per un fortuito caso del destino, Oikawa Tooru era tornato a Tokyo nello stesso periodo e aveva scelto di farsi dare un’aggiustata ai capelli da Kageyama Miwa in persona. Tobio non dubitava che Tooru lo avesse fatto a posta, ma Miwa non era meno colpevole di lui.

Avevano parlato, si erano trovati subito d’accordo su alcune cose riguardanti il loro Tobio-chan e avevano ben pensato d’invadergli casa con tutta la truppa.

Tooru, ovviamente, aveva chiamato Hajime, che aveva invitato Wakatoshi. Tendo era stata una sorpresa, ma Tobio non dubitava che fosse stato attribuito un ruolo preciso anche a lui. A Miwa era bastato solo chiamare Tadashi, ed eccoli tutti e due - seguiti da un assai reticente Kei.

Come fossero finiti a giocare a Uno era un passaggio a cui Tobio non aveva prestato attenzione, ma stava distogliendo l’attenzione di qualcuno dal motivo per cui il suo senpai e sua sorella avevano radunato tutti a casa sua. Non poteva dire che gli dispiacesse.

“Avanti, Tooru, non siamo qui per parlare di tradimenti.” Miwa non poteva evitare di essere sempre sul pezzo. “Tutto il contrario. Che colore Hajime?”

“Verde.”

Tooru fece una smorfia. “Come i suoi occhi, scontato.” Ignorò l’occhiataccia che si guadagnò dal suo compagno. “Ma Miwa ha ragione, siamo tutti qui riuniti per una ragione.”

“Io non vi ho invitati,” si sentì in dovere di dire Tobio, buttando sul tavolo un 2 verde.

“Il Re ha ragione,” intervenne Kei, che guardava le sue carte con disgusto da quando era iniziata la partita. “Non ci ha invitati.”

Tadashi gli diede una gomitata per invogliarlo a essere più socievole.

“Io sono molto felice di essere qui!” Esclamò Tendo, aspettando che Miwa facesse la sua mossa per fare la propria. “Ma mi piacerebbe sapere il motivo della mia convocazione.”

“Ushiwaka dice che sei un pasticcere,” spiegò Tooru. “Dove c’è un matrimonio, c’è una torta.”

Tendo si portò una mano al petto. “Quale onore!”

Kei li guardò attraverso le lenti degli occhiali, atterrito. “Siamo davvero qui per parlare di questo?”

Tobio appoggiò il mento al palmo. “Perché, speravi di scamparla?”

“Cambio giro!” Esclamò Tooru. “Adesso pescherò un bel +4 e la te la farò pagare, Iwa-chan!” Pescò la carta, ma dall’espressione delusa che seguì tutti intuirono che non era quella sperata. “Tornando a noi, Tendo pensa alla torta. Io e Tadashi siamo i testimoni di Shouyou, Ushiwaka e il quattrocchi di Tobio.”

Kei guardò il padrone di casa con espressione stranita. “Mi hai scelto come testimone?”

Tobio scrollò le spalle. “Serve una persona fidata. Io mi fido di te.”

Tadashi si portò la mano al petto, commosso. Per la prima volta da quando si conoscevano - ed erano ormai dieci anni - Kei non seppe che cosa dire.

“Credo sia giusto che il quartetto di Karasuno resti insieme fino alla fine,” disse Miwa con un sorriso intenerito.

“Peccato che Hisoka non sia potuta venire,” disse Tadashi. 

“Cambio colore in viola,” disse Wakatoshi.

Tutti lo fissarono. Tranne Tooru, che alzò gli occhi al cielo. “Lui non è mai davvero uscito da Shiratorizawa.”

Tendo si sporse verso il suo amico di sempre. “Questo è rosso, Wakatoshi. Rosso.”

“Allora cambio il colore in rosso,” si corresse l’asso del Giappone.

“A proposito di colori,” disse Tooru, mentre il gioco andava avanti. “Io opto per un tema color Seijou.”

Hajime gli lanciò un’occhiata molto eloquente.

Wakatoshi fu subito pronto a intervenire. “E perché non color Shirato-”

“Silenzio,” sibilò Tooru.

“Che colore sarebbe color Seijou?” S’informò Miwa.

“Color mozzarella,” rispose Kei.

Hajime rise. 

Tooru lo guardò scandalizzato. “Cosa proponete, Rosso Giappone? Vi sta malissimo a tutti, oltretutto.”

“No, Tobio sta bene di nero,” disse Miwa. “Gli fa risaltare il colore degli occhi.”

“Cambio giro,” disse Wakatoshi. 

Tooru lo fulminò con lo sguardo. “Ma Ushiwaka, non potevi aspett-”

“Un +4 per Tooru e cambio di nuovo colore in verde,” disse Hajime, con nonchalance.

Il compagno lo guardò come un pesce fuor d’acqua. “Ma fai sul serio?”

“Beh, la carta l’ha tirata,” disse Tendo. “Come la volete la torta, a tema nero anche quella?”

“Sì, una torta alla Tim Burton,” disse Kei con sarcasmo.

Tendo assottigliò gli occhi. “Sempre simpatico tu.”

“Hai altre quattro carte in mano e non potevi usarne nessun altra, vero?” Tooru era a dir poco risentito.

Hajime alzò gli occhi al cielo. “Stiamo solo giocando a carte, rilassati.”

“1, 2, 3 verde,” disse Tobio, liberandosi di tre carte contemporaneamente.

“Eh, no!” Sbottò Tooru. “Non stiamo giocando a scala, Tobio-chan, rispetta le regole.”

“Per le regole si può fare,” intervenne Wakatoshi, buttando un 5 verde.

Tooru aggrottò la fronte. “E tu che ne sai?”

“Gli abbiamo fatto leggere il regolamento, prima di cominciare,” gli ricordò Hajime. “Tu eri in bagno.”

Tooru non poteva credere alle sue orecchie. “Hai fatto leggere il regolamento a Ushijima Wakatoshi?!”
“Toglimi una curiosità, fratellino.” Miwa gli punzecchiò la guancia e Tobio seppe che avrebbe desiderato di buttarsi dalla finestra molto presto. “Come hai fatto la proposta?”

L’attenzione di tutti fu immediatamente su di lui. Persino Tooru smise di lamentarsi della partita per dedicargli tutta la sua attenzione.

“A voce.” Fu la risposta di Tobio. 

Miwa si coprì gli occhi con un sospiro. Tooru dovette trattenersi dal sfondare il tavolinetto di vetro a colpi di testa - quella del padrone di casa, ben inteso.

Tutti gli altri risero - tranne Wakatoshi.

“Quando in Argentina mi ha fatto la grande confidenza, io mi aspettavo ti saresti inginocchiato in mezzo al campo di pallavolo a fine partita,” disse Tooru, deluso. “In diretta mondiale.”

“Quello lo hai già fatto tu nel bel mezzo delle Olimpiadi,” gli ricordò Wakatoshi.

“Non ero in mezzo al campo e nessuno mi ha chiesto di sposarlo!” Ribatté Tooru.

“L’unico modo in cui potrei sposarti è da ubriaco, a Las Vegas,” lo informò Hajime.

Tooru assottigliò gli occhi. “Tu vuoi dormire sul divano, me lo sento.”

“Pff… Se Tobio lo avesse fatto, in ginocchio ci sarebbe rimasto. Il Re sa reggere la tensione delle Olimpiadi, ma per qualunque altra cosa…” Kei lasciò la frase sospesa.

“Appunto!” Esclamò Tooru. “Siamo stati derubati dell’umiliazione del secolo.”

“Beh, Shouyou ha detto sì,” gli ricordò Hajime. “Non sarebbe poi stata questa grande umiliazione.”

“Dovremmo parlare degli invitati,” propose Tadashi. “Tu e Shouyou ne avete parlato, Tobio?”

“Già immagino la scena,” disse Kei. “Tutti i pallavolisti professionisti del Giappone in una stanza.”

“Propongo un’alzata con schiacciata al posto del tiro bouquet.” Era impossibile chiedere a Oikawa Tooru di avere un’idea normale.

“Alza tu,” propose Tobio. “E io schiaccio sulla faccia di Miya.”

“Tobio,” lo ripresero Miwa e Hajime nello stesso momento.

Tooru storse il naso, soppesando la proposta. “Però non è male-”

“Zitto,” lo fermò Hajime, prima che potesse elaborare.

“Troppo rischioso,” obiettò Kei. “Se entri in confusione e becchi il Miya sbagliato?”

Tobio dovette dargli ragione. “Avveleniamo il vino.”

“Siamo passati da Tim Burton a Game Of Thrones,” commentò Tendo. “Ma in tutto questo, Hinata non ha da dire niente?”

“Io ho da dire che vorrei sposarmi lontano da tutti, su un’isola deserta,” disse Tobio, per nulla avvezzo alle grandi occasioni, specie se affollate e dedicate alla sua persona. Questo la diceva lunga su come viveva l’essere un personaggio pubblico. Fosse stato per lui, avrebbe portato Shouyou nel municipio di Roma e avrebbe risolto il problema prima che il resto del mondo sapesse - anche se non era certo che fosse legale. Tuttavia, il suo futuro sposo era diverso: condividere il giorno più felice della loro vita con tutti i loro amici faceva parte della sua natura. Tobio lo amava, quindi lo accettava.

Di colpo, Tooru s’illuminò tutto, come se gli fosse venuta una grande idea. “Andiamo su una spiaggia, in Brasile.”

“No,” disse Tobio, secco. “Non il Brasile.”

“E allora torniamo in Argentina.”

“Non disprezzare il mare italiano.”

“Ma perché dobbiamo andare in spiaggia?” Intervenne Hajime. “Magari piove.”

“Se lasci decidere agli sposi, potrebbero sposarsi nella palestra del Karasuno,” disse Kei. “Già me lo vedo: Shouyou che percorre la scalinata e Tobio che lo aspetta sull’ingresso della palestra.” Il silenzio che cadde subito dopo, lo spaventò. “Non dicevo sul serio.”

“Quello che è certo, è che ci saranno le videocamere!” disse Tooru.

“Oh, fratellino, firma un contratto con Prime Video per un documentario sul tuo matrimonio.” Miwa appoggiò la testa alla sua spalla, facendogli gli occhi dolci. “Fallo per me. Due parole sul mio centro di bellezza e tutto il Giappone verrà a Tokyo per conoscere la sorella di Kageyama Tobio.”

Quell’alleanza improvvisa tra Tooru e sua sorella destabilizzava non poco il padrone di casa. “Voi non state bene, ve lo dico.”

“Uno,” disse Wakatoshi, mostrando l’unica carta rimasta tra le sue dita.

Tooru lo fissò con occhi enormi. “Ma questo quando si è liberato di tutte le carte?”

“Mentre tu eri distratto,” rispose Hajime. “Tieni, +2.”

“Ma fai sul serio, Iwa-chan?!”

“Ricordi il nostro ultimo giorno di liceo? Ti avevo detto che non ti avrei lasciato vincere facile.”

“Questo non è vincere facile, è un massacro!”

“Ho vinto,” proclamò Wakatoshi con la sua solita intonazione monocorde.

Tooru dovette contare fino a dieci per non ribaltare il tavolino con tutte le carte sopra, colpendo il magnifico trio delle sue disgrazie - Hajime, Tobio e Ushiwaka - nel processo.

“Miwa, ho una proposta: ci prendiamo Shouyou, ci dimentichiamo di questa strana combriccola e organizziamo tutto noi.”

“Affare fatto!” Concordò la più grande dei Kageyama. “Ma chi porta Tobio a scegliere l’abito?”

“Ha due testimoni,” gli ricordò Tooru.

“Io non ci vado,” disse immediatamente Kei.

“Se lo mandi con Wakatoshi, ti torna vestito di viola,” li avvisò Tendo.

“Ci vado da solo!” Esclamò Tobio, esasperato.

Sia Miwa che Tooru scossero la testa. Quest’ultimo si rivolse al compagno. “Iwa-chan, ti prego…”

“Mi limiterò ad assicurarmi che non venga con i pantaloncini della divisa da pallavolo.”

Tooru decise che era un buon compromesso. “È già qualcosa…”

Proprio in quel momento, la porta d’ingresso si aprì e Shouyou fece il suo ingresso in scena con un trolley nero al seguito.

Miwa sorrise raggiante. “Ecco l’altro sposo!” Esclamò.

Il nuovo arrivato li guardò con un sorriso un po’ smarrito. “Ciao a tutti,” salutò.

Tobio si alzò in piedi e lo raggiunse con ampi passi. “Ti prego,” sussurrò, afferrandogli le spalle. “Portami via.”

“A meno che non prenda fuoco la casa, non so come fare,” ammise Shouyou, dispiaciuto… Ma non troppo.

“Shou-chan, vieni qui, aiutami a battere Ushiwaka e Iwa-chan a questo gioco,” disse Tooru, mischiando le carte. “Sono entrambi molto rudi con me.”

Wakatoshi lo guardò. “Non sono rude. Solo che contro di te non faccio che vincer-”

“Stai zitto…”


Buona notte a te 

buona notte a me 

buona notte a chi ancora non ho incontrato...

Buona notte pure a lei

anche oggi che ti vorrei

semplicemente, semplicemente 

semplicemente, semplicemente

[Zero assoluto - “Semplicemente”]

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Capitolo 28
*** #Conticeo ***


 

#28 Conticeo

 

Non dovresti preoccuparti

 tanto resti sempre meglio di me

il più bello che c'è

 

Da gruppo chat “Il Re, il sole, la luna e Tadashi”.

 

Kei - Abbiamo visto la diretta…
 

Tadashi - Ma l’hanno fatto davvero?
 

Tobio - Certo che l’hanno fatto davvero. Era una diretta, non un film montato.
 

Shouyou - È stato emozionante!
 

Tobio - Sono andati avanti anche per un bel pezzo…
 

Kei - Ma intervenire?
 

Shouyou - E rovinare il momento?
 

Tobio - Lui era felice come se avesse vinto le Olimpiadi. Io tra quei due non mi ci metto.
 

Shouyou - Comunque vada a finire, le Olimpiadi le hanno già vinte quei due!

 

In mezzo ai pacchi del trasloco con l'appartamento vuoto

metti i piedi su una foto, la guardi e ti ricordi di me

ti ricordi di me

perché non prendi il volo dopo, che almeno stasera ceni?

scendo a fare la spesa, elencami i tuoi allergeni


-Tokyo 2021-

 

Alla fine della partita, Hajime venne travolto da un’improvvisa stanchezza. Era stato uno scontro lungo, impegnativo sia dal punto di vista tecnico che emotivo. Quello era il punto di arrivo di anni di lavoro. Si era impegnato nello studio per arrivare fino a lì. Lui - che era un atleta naturale, piuttosto che un intellettuale - aveva fatto tutto il necessario per non far pesare le sue imprevedibili scelte sulla sua famiglia. L’università a Tokyo, poi periodo di studi negli U.S.A. pagati con anni di sacrifici sia da parte sua che dei suoi genitori.

Nessuno si era aspettato tanto impegno accademico da parte di Hajime. Era sempre stato Tooru quello destinato a grandi cose, tra loro due. Al suo amico d’infanzia - divenuto primo e poi unico amore - erano toccati tutta la bellezza e l’intelligenza di questo mondo, non a lui. Tooru, però, che di ambizione ne aveva tanta e di orgoglio ancor di più, aveva scelto la strada in salita, quella da percorrere da solo, lontano da casa. 

Hajime non aveva potuto permettersi di essere da meno.

Alla carriera da pallavolista non aveva mai pensato. Era bravo, ma non così bravo. Aveva così deciso di guardarlo da un’altra prospettiva: quella del bordo campo.

E ora eccolo lì, membro dello staff tecnico della nazionale, a condurre la sua squadra verso il podio delle Olimpiadi di Tokyo.

E anche Tooru era lì.

Tooru, che era arrivato sulla cima del mondo alle sue condizioni e lo aveva fatto da campione.

Mentre io giocatori riprendevano fiato, bevevano un sorso d’acqua e si fermavano a chiacchierare tra di loro o firmare gli autografi dei fan, Hajime si prese un momento per sé.

Sotto gli occhi del mondo, decise di sedersi sulla panchina della nazionale e d’isolarsi da tutto e tutti con la testa bassa. 

Alla fine, lui e Tooru si erano scontrati davvero. Hajime aveva preparato per lui una squadra di campioni e lo aveva raggiunto sulla cima del mondo. Tooru era andato avanti, ma Hajime non era rimasto indietro. Era quella la sua vittoria personale.

“Ehi…”

Prima di trovare gli occhi scuri di Tooru a un palmo dai suoi, sentì le sue mani sulle braccia. Era inginocchiato sul pavimento, di fronte a lui. Lo guardava con un sorriso complice, come se non fossero l’alzatore e l’allenatore di due squadre avversarie su di un campo delle Olimpiadi.

“Sei impazzito?” Domandò Hajime. Lo fece a bassa voce per non attirare l’attenzione di nessuno, soprattutto dei giornalisti. “Alzati, torna nel tuo lato del campo, coi tuoi compagni.”

Come un bambino dispettoso, Tooru scosse la testa. “Tu sei il mio compagno da tutta la vita.”

“Tooru, non è né il luogo né il momento.”

“Ti sbagli,” obiettò il suo amore, “è il luogo ed è il momento. Basta incertezze. Basta rinunce.” Tooru appoggiò la fronte alla sua. 

Hajime accennò un sorriso malinconico. “Non volevo essere un ostacolo per te. Per questo ho cercato di farmi da parte.”

“Non siamo mai stati bravi a metterci da parte.”

“Al contempo, non avrei mai sopportato di rimanere indietro.”

“Ma ora sei qui. Noi siamo qui,” disse Tooru. “Io lo so quello che voglio.”

“Anche se non giocheremo mai più nella stessa squadra?” Era quello che a Hajime sarebbe mancato per sempre.

“Non abbiamo mai smesso di farlo, Hajime,” disse Tooru, sfiorandogli la guancia con le dita. “Giochi con me da ventisette anni.”

Hajime si umettò le labbra, poi sbuffò e abbassò la testa perché quello non era davvero il luogo e il momento. Tooru però - che rideva della sua frustrazione come lo stronzo che era - era lì, insieme a lui, sulla cima del mondo. Non ci sarebbe mai stato un dove e un quando più perfetto.

“Tooru, io-”
“Shhh… Stai zitto.”

Si baciarono e tutto intorno a loro svanì.

Ebbe poca importanza che tutto il mondo li vide.

 

Giuro, mi fai venire voglia di futuro

dimmi com'è che fai

mi lasci vincere e poi vuoi la rivincita

e litigare con te è meglio del cinema

[Fedez - “Meglio del cinema”]

 

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Capitolo 29
*** #Hukka ***


#29 Hukka 

 

Anche se non puoi tu sorridimi

Sono pochi, sai, i miracoli

Riconoscerei le tue mani in un istante.

Ti vedo ad occhi chiusi e sai perché

Fra miliardi di persone ad occhi chiusi hai scelto me

 

Il numero chiamato potrebbe essere spento o non raggiungibile.

 

-Ostia 2022-

 

Shouyou camminava nell’acqua bassa, con i jeans arrotolati fino al polpaccio. Tobio lo guardava e pensava che dei suoi ventisei anni ne dimostrava al massimo diciotto.

Sarebbe stato così per sempre. Anche a quarant’anni, Shouyou sarebbe continuato a sembrare un ragazzino. Tobio, invece, per citare quell’amorevole creatura di sua sorella, era nato con un’anima anziana. Era capitato, prima che si ammalasse, che persino suo nonno lo trovasse più vecchio di lui. Forse era la sua espressione perennemente seria a non fargli alcun favore.

Chissà come sarebbero stati lui e Shouyou tra dieci anni? Beh… Roma non era stata costruita in un giorno, così dicevano - raccontavano anche che era stata fondata da un lupo, o qualcosa del genere. Quello che Tobio stava per fare avrebbe senz’altro influenzato gli eventi. Doveva avere solo il coraggio di farlo.

Shouyou saltellò nella sua direzione e si sedette sulla sabbia accanto a lui. “Mi piace il mare,” disse. “Ma le spiagge di Rio sono un’altra cosa.”

Tobio fece una smorfia. “Confronta Rio e Ostia di fronte a un italiano e senti che ti risponde. Roma è la città eterna, Caput Mundi e via dicendo… Ma le spiagge più belle non sono qui.”

“Lo so. Dovremmo farci un viaggio on the road, prima che tu passi a un’altra squadra,” propose Shouyou.

“Dovevamo farne uno anche in Brasile, poi in Argentina…”

“Con calma li faremo, abbiamo tutta la vita davanti.”

Tobio lo guardò fisso. “Vuoi restare con me tutto questo tempo?”

Shouyou si fece serio di colpo. “Lo stai mettendo in dubbio?”

“Non lo so, per sempre è un sacco di tempo.”

Per sempre andava bene a diciotto anni,” disse Shouyou con un sorriso nostalgico. “Ora, tutta la vita è più che sufficiente.” Fece un sospiro e portò gli occhi d’ambra sull’orizzonte. 

No, Shouyou non era cambiato, era solo diventato grande. Era successo a tutti e due, anche se suonava inconcepibile.

“Per tutta la vita, eh?” Tobio tirò fuori dalla tasca della giacca un biglietto di carta piegato in quattro parti. “Accetto la sfida.”

Shouyou lo prese e lo aprì. Lesse: qualunque cosa accada, non smettere mai di guardare il cielo.

“Lo hai conservato…” Disse con un filo di voce colmo di emozione.

“Volevo dirti che l’ho fatto ogni giorno,” raccontò Tobio. “Pensare che tu fossi sotto il mio stesso cielo era una delle poche cose a mantenermi integro.”

“Io ti confesso di non averlo fatto con costanza. Ogni volta, era una delusione.”

“Perché?”

“Perché l’unico cielo in cui desideravo volare era quello nei tuoi occhi.”

Fu il turno di Tobio di sentirsi sopraffatto dall’emozione. Dischiuse le labbra, pronto a dire quello che aveva affidato a quel pezzo di carta. Si ritrovò senza voce e non ebbe il tempo di ritrovarla.

Shouyou si rigirò tra le mani il post-it azzurro e lesse sul retro la replica di Tobio al suo messaggio, arrivata otto anni più tardi. 

Gli occhi d’ambra si fecero enormi. Shouyou lo guardò, come per accertarsi che fosse reale, poi lesse una seconda volta il messaggio che Tobio aveva scritto per lui.

Dì di sì, pregò il giovane con gli occhi blu. Dì di sì.

Di colpo, Shouyou rise nervosamente. Incrociò le braccia sulle ginocchia, vi nascose il viso e scoppiò a piangere. Passò un minuto in cui Tobio fu certo che sarebbe morto, poi quegli occhi d’ambra tornarono sui suoi. “Sì,” rispose. “Mille volte sì.”

Fu l’inizio del resto della loro vita.

Tobio si lanciò su Shouyou, lo strinse a sé, entrambi caddero sulla sabbia fresca. 

Shouyou rideva. “Non sei neanche riuscito a chiedermelo a voce!”

“Mi sono anche scordato il tuo anello a Tokyo,” aggiunse Tobio. “Non provare a dire una parola in merito.”

Shouyou rise felice, stringendolo a sé più forte che poteva.

Sul retro del post-it azzurro era scritto: Mi vuoi sposare?


Anche se non puoi, tu sorridimi

Sono pochi, sai, i miracoli

Riconoscerei le tue mani in un istante

Ti vedo ad occhi chiusi e sai perché

Fra miliardi di persone ho visto solo te

[Marco Mengoni - “A occhi chiusi”]

 

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Capitolo 30
*** #Hiraeth ***


 

#29 Hiraeth

 

Voglio farti un regalo

qualcosa di dolce qualcosa di raro

non un comune regalo

di quelli che hai perso o mai aperto

o lasciato in treno o mai accettato

di quelli che apri e poi piangi

che sei contenta e non fingi

e in questo giorno di metà settembre

ti dedicherò...

il regalo mio più grande


-Karasuno High School 2024-

 

A una prima occhiata, sembrava che al liceo Karasuno il tempo si fosse fermato.

Tobio parcheggiò la Ducati proprio davanti al cancello chiuso e aspettò che Shouyou smontasse per primo per abbassare il cavalletto. 

Shouyou strinse la mano intorno a una delle sbarre di ferro e lasciò andare un sospiro, come per farsi coraggio. Si tolse il casco - nero come la moto e il suo giubbotto - e si voltò verso il marito. “Fa un certo effetto, vero?”

No, se Tobio doveva essere sincero, si era immaginato qualcosa di diverso.

“Chissà se la famiglia del coach Ukai ha ancora quel piccolo alimentari in fondo alla strada,” Tobio pensò che se le generazioni di pallavolisti che le avevano succeduti erano cresciuti a palloni e pasti fuori orario come loro, non c’era pericolo che avesse chiuso. Si appoggiò il casco sulla testa: aveva passato anni a temere di rivedere quel posto e ora non sentiva niente di particolare.

“Che stai facendo?” Domandò Shouyou.

“Il cancello è chiuso,” Tobio gli fece notare l’ovvio. “Siamo venuti di domenica e qui non c’è nessuno. Non possiamo andare oltre.”

“Oh, un po’ di fantasia!” Shouyou sbuffò, appoggiò il casco sul marciapiede e prese ad arrampicarsi. 

Tobio si allontanò dalla moto correndo. “Che diavolo fai, idiota?!” 

Troppo tardi, Shouyou era già atterrato all’interno del cortile della scuola. “Passami il casco,” disse, sollevando le mani. “Poi passami il tuo e vieni qui.”

“Così ci arrestano tutti e due e ci sospendono dal campionato!” 

“Hinata e Kageyama fanno irruzione nel loro vecchio liceo, il luogo in cui si sono innamorati. Kuro ne tirerebbe fuori interviste fino al prossimo anno.”

“E Hajime ci prenderebbe a testate.”

“No, quello lo fa solo con Tooru,” Shouyou lo guardò con un broncio da cucciolo implorante. “Dai, Tobio, facciamo questa follia insieme!”

“Come se non ne avessimo mai fatte…” Tobio afferrò il casco lasciato a terra. “Attento a non farti male.” Non fu difficile raggiungerlo.

Fu una strana passeggiata nei ricordi.

“Di là c’era la macchinetta automatica.” Shouyou indicò la strada interna che collegava la scuola alla palestra. Loro dovettero salire le scale interne per raggiungerla. 

“Abbiamo festeggiato il nostro primo anniversario di fronte a quella macchinetta,” ricordò Tobio.

Shouyou, che lo precedeva, rise. “E adesso stiamo per festeggiare il primo anniversario di matrimonio… Magari in qualche luogo esotico in giro per il mondo.” Salì gli ultimi scalini ridendo. “Guarda!”

Il portone laterale della palestra - quello da cui Daichi e Suga li avevano buttati fuori il loro primo giorno - era ancora lì, con la fontana di fianco. L’edificio dello spogliatoio era appena dieci metri più in là. Tobio dovette fermarsi e passare gli occhi su ogni dettaglio. Rivedere la scuola non gli aveva fatto alcun effetto, ma rimettere piede lì, dove entrambi avevano imparato a volare…

“Non è cambiato nulla,” disse Shouyou in un mormorio emozionato. 

Tobio esaurì la breve distanza che li separava e gli afferrò la mano. “Vieni…”

Si accomodarono sui due gradini fuori dal portone della palestra, come solevano fare da ragazzini nelle giornate di sole. Per un po’ non parlarono, le dita intrecciate e gli occhi persi in ricordi lontani.

Shouyou simulò un colpo di tosse per spezzare il silenzio: l’atmosfera si era fatta un po’ pesante. “Solo a me viene da piangere?” Domandò.

“Sì, perché sei scemo.”
Shouyou sbuffò, esasperato. “Non devi fingere di avere ancora quindici anni ed essere senza cuore.”

“Oh, ero addirittura senza cuore.”

“Più stronzo, te lo concedo.”

“Perché non ti ricordi quanto eri rompipalle.”

Shouyou appoggiò la guancia alla spalla del marito, osservando le le due fedi in bella vista sulle loro mani congiunte. “Eppure, hai alzato per me.”

Tobio non riuscì a mantenere il suo tono sarcastico. “Te lo eri meritato,” ammise.

“Lo so,” disse Shouyou con un sorrisetto, poi qualcosa cambiò la luce nei suoi occhi.

Tobio se ne accorse. “Ehi, tutto bene?”

“Quella volta…” Rammentò Shouyou con una nota di nostalgia. “Sei stata la prima persona a giocare a pallavolo con me.”

Tobio aggrottò la fronte. “No, non è vero. Hai avuto degli amici prima di me.” Era lui a non poter dire lo stesso.

“Amici che mi volevano troppo bene per dire di no, ma che non avevano alcuna voglia di allenarsi con me.” Shouyou gli diede un bacio sul collo, poco sopra il colletto del giubbotto da biker. “Grazie per aver giocato con me,” mormorò, lasciando che i capelli corvini di suo marito gli solleticassero il naso.

Tobio si lasciò andare in una risata che non aveva nulla a che fare col divertimento. Fu un suono strano da decifrare, un po’ malinconico, ma non triste.

“Che cosa c’è?” Shouyou si allontanò per guardarlo.

“Anni fa, prima di conoscerti, mio nonno mi aveva fatto una promessa: se fossi diventato il più forte nessuno mi avrebbe tolto la pallavolo e, prima o poi, qualcuno più bravo di me sarebbe riuscito a trovarmi. Al tempo non lo capii - forse nemmeno m’interessava - ma penso fosse il suo modo per rassicurarmi che non sarei rimasto solo… Che là fuori c’era qualcuno in grado di capirmi, anche se io ero il primo a non riuscire a comprendere me stesso.” Tobio fece una smorfia che assomigliava a un sorriso triste. “Avrei voluto che tu conoscessi mio nonno.”

Shouyou sorrise dolcemente. “Sì, lo avrei voluto anche io.” Si guardò intorno. “Siamo arrivati così lontano che ora tutto questo appare così distante.”

“Tutto quello che poteva darci questo luogo ce lo ha già dato.” Fu la spiegazione di Tobio. “Ora che abbiamo imparato a volare da soli, non dobbiamo fare altro che farlo.”

Non sarebbero mai tornati a Karasuno, lo compresero allora. Il luogo per cui provavano nostalgia non era uno in cui si potesse tornare, non era raggiungibile in alcun modo. Era una stagione della vita di cui rimanevano solo ricordi preziosi e che, a ripensarci, avrebbe sempre provocato un dolce dolore al cuore.

“Eravamo entrambi soli, a modo nostro,” disse Shouyou. “Karasuno ci ha messi insieme.”

E lì, quattordici anni dopo il loro primo incontro, si chiudeva un cerchio.

“ Torniamo a casa?”

“Sì.”

Ma la loro storia era tutto meno che conclusa.


Vorrei donare il tuo sorriso alla luna perché

di notte chi la guarda possa pensare a te

per ricordarti che il mio amore è importante

che non importa ciò che dice la gente e poi

amore dato, amore preso, amore mai reso

amore grande come il tempo che non si è arreso

amore che mi parla coi tuoi occhi qui di fronte

e sei tu....

...il regalo mio più grande

[Tiziamo Ferro - “Il regalo più grande”]

 

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