La maledizione

di EleWar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La fine di un caso, l’inizio di un altro ***
Capitolo 2: *** Aria di cambiamenti ***
Capitolo 3: *** Niente da fare! ***
Capitolo 4: *** Donne ***
Capitolo 5: *** Segni rivelatori ***
Capitolo 6: *** Si stava meglio quando si stava peggio ***
Capitolo 7: *** Sogni di conquiste ***
Capitolo 8: *** Per fortuna ci pensa Mick! ***
Capitolo 9: *** Ammissioni ***
Capitolo 10: *** Private eye ***
Capitolo 11: *** Un piano d’azione ***
Capitolo 12: *** Al tempio ***
Capitolo 13: *** Arriva il lavoro ***
Capitolo 14: *** Dirty Talk ***
Capitolo 15: *** To paradise and back ***
Capitolo 16: *** La maledizione ***
Capitolo 17: *** Insonnie ***



Capitolo 1
*** La fine di un caso, l’inizio di un altro ***



Eccomi, sono tornata con una long fic! Questa storia l’avevo iniziata a Marzo 2020, ripresa a Luglio 2021, e poi ancora a Settembre di quest’anno e infine conclusa. Era l’unica rimasta in sospeso di tutte quelle che ho sfornato e mi dispiaceva un po’. Doveva essere, nel mio intento, completamente comica, leggera, per ridere, ma poi strada facendo si è, come dire, ispessita: speriamo che però vi piaccia lo stesso. Avvertirvi che è strana e diversa da tutte le altre che ho scritto è inutile, perché è così veramente, ma insomma… dai leggetela e poi mi direte.
Con simpatia
Eleonora





Cap. 1 - La fine di un caso, l’inizio di un altro
 
Ryo e Kaori avevano appena risolto con successo l’ennesimo caso, che li aveva visti impegnati nello smascherare un ciarlatano il quale, spacciandosi per guaritore illuminato, aveva spillato soldi ai malati e ai loro famigliari, facendo leva sulla loro disperazione; aveva costruito così la sua fortuna sfacciata.
Costui viveva nei pressi di un tempio scintoista, e perciò era riuscito, con le sue doti da imbonitore, ad irretire i fedeli che vi si recavano per pregare.
Non era stato difficile scoprire i suoi trucchetti, e i due sweepers vi si erano dedicati solo perché la bella ispettrice Saeko non aveva né tempo, né voglia, di impegnare la polizia in una tale indagine; e i due, sempre a corto di liquidi e momentaneamente disoccupati, avevano accettato di buon grado.
Per una volta non c’erano stati violenza e sparatorie, ma solo un po’ di astuzia da parte loro.
 
Soddisfatti e per niente stanchi, i due si aggiravano all’interno del complesso monastico, decisi a godersi quel luogo sacro finalmente senza il pensiero del lavoro; ma non appena smessi i panni dei professionisti, eccoli riprendere a bisticciare per le solite futili cose, e più di una volta, imbattendosi in fedeli e sacerdoti, erano stati redarguiti da shhhh insistenti, affinché non turbassero il silenzio del luogo.
Ma tutto questo acuiva gli screzi e i rimbrotti, perché i due soci si rimproveravano a vicenda di fare chiasso e non la finivano più.
 
Quando si avvicinarono ad una fontana, nei pressi del santuario vero e proprio, visto che il sole impietoso di luglio si stava facendo sentire, Ryo ne approfittò per bere smodatamente, bagnandosi viso, mani e braccia. A quella vista sbucò un monaco chissà da dove che, messa da parte temporaneamente la sua calma olimpica, gli urlò contro:
 
“Empioooo! Stai profanando l’acqua sacra del tempio! Quell’acqua non si può bere! Serve solamente per le abluzioni rituali!”
 
Ryo, preso alla sprovvista, ormai bagnato dalla testa ai piedi, si scrollò di dosso l’acqua come un cane, facendo arrabbiare ancora di più il monaco che fece l’atto di andargli contro in atteggiamento bellicoso, tanto che lo sweeper se la diede a gambe, non prima di aver afferrato il braccio della socia e averla trascinata con sé, lasciandosi dietro le urla del monaco che sbraitava dicendo:
 
“Non si corre all’interno del tempio!”
 
Appena girato l’angolo, ormai fuori vista del religioso imbufalito, i due si fermarono ansanti e Kaori disse:
 
“Ma non era proibito anche gridare in questo luogo?”
 
“E che ne so!” rispose il socio con una smorfia “Qui, come mi muovo, mi muovo male!” concluse in tono lamentoso.
Ma non fece in tempo a finire di protestare, che si volse di scatto a guardare verso l’interno di un piccolissimo santuario, attirato dalla vista di una bellissima sacerdotessa raccolta in profonda preghiera.
 
“Wow! Cosa vedono i miei occhi!” esultò Ryo “Una vera sacerdotessa mokkori!!” e già stava correndo verso di lei con la bava alla bocca, ancor prima che Kaori riuscisse ad estrarre il suo solito martello per bloccarlo.
 
Si era già lanciato a pesce sulla donna dai lunghi capelli corvini, trattenuti in fondo da un nastrino, eppure lei ancora non aveva mosso un muscolo, totalmente indifferente all’assalto che stava per subire.
Il mandrillo volante invece stava quasi per atterrare sulla sventurata quando, ecco, questa con un movimento fluido e veloce al tempo stesso, estrasse la sua bacchetta per gli esorcismi con una mano, e soprattutto, con l’altra, gli assestò un potente pugno sul muso che lo scaraventò lontano.
 
Kaori, di fronte a tutta quella scena, era rimasta impressionata e spiazzata: quella donna era fenomenale, un vero portento!
Le era già diventata immediatamente simpatica: sembrava indifesa, nel suo essere così spirituale, e invece era riuscita a difendersi dal molesto Ryo Saeba, come una qualsiasi massaia in giro per il mercato.
 
Ma Ryo non era tipo da arrendersi così facilmente, e in un attimo, ricomposta la sua faccia raggrinzita, si avvicinò velocemente verso di lei in modalità granchio, con tanto di schiumina alla bocca, filando sul pavimento di assi di legno.
E ancora una volta, la bella sacerdotessa lo colpì in faccia con un altro pugno poderoso.
Stavolta però si degnò di voltarsi verso di lui, e alzandosi in piedi, torreggiando sul malcapitato parlò:
 
“O essere immondo, che hai osato turbare la preghiera della grande sacerdotessa, sarai punito dalla mia maledizione!”
 
“Ma su, andiamo, non fare l’antipatica, posso offrirti del tè?” ribatté Ryo, tornando alla carica, di nuovo vivo e vitale, avvinghiato alle sue gambe.
 
A quel punto però, fu sprofondato nell’impiantito di tavole dall’immancabile martello della socia con su scritto “Sacrilegio”.
 
La sacerdotessa, stupita e ammirata per il tempestivo intervento della ragazza, le sorrise in segno d’intesa.
Kaori, ancora ansante e stravolta dalla rabbia, sbottò all’indirizzo del socio:
 
“Sei il solito idiota! Anche qui ti sei fatto riconoscere. Non hai rispetto per niente e per nessuno!”
 
“Palli tu, blutta alpia?” articolò per tutta risposta uno sdentato Ryo, da sotto il martello di svariate tonnellate.
 
“Come sarebbe a dire? Sei tu che, da che siamo arrivati, hai infilato un sacrilegio dietro l’altro. Sei un uomo amorale! Vergognati!”
 
“Io salò anche un uomo amolale, ma tu non sei nemmeno una donna!” si difese puerilmente lui.
 
A quello scambio di battute, ma soprattutto a quell’ultima affermazione, la sacerdotessa si risentì tutta; raddrizzò le spalle, prese fiato e proclamò:
 
“È deciso! Che la mia maledizione scenda su di te, omuncolo maleducato!” E agitando la sua bacchetta degli esorcismi, tracciò degli strani disegni in aria, salmodiando giaculatorie incomprensibili.
 
Kaori, spaventata, aiutò Ryo ad uscire da sotto il martello, e continuando ad inchinarsi e a chiedere perdono, arretrando senza mai azzardarsi a dare le spalle alla bella sacerdotessa, trascinò il suo socio con sé, fuori dal tempio.
 
 
 
***
 

La mattina seguente Kaori irruppe nella stanza del collega, proprio come faceva sempre, per svegliarlo energicamente ed eventualmente buttarlo giù dal letto.
Entrò senza bussare e saltò sul materasso, per finire a cavalcioni dello sweeper che dormiva beato alla supina.
Come di consueto, iniziò la solita trafila di strattoni e imprecazioni:
 
“Avanti, svegliati! È già giorno fatto!”
 
Ma dopo i primi scossoni, l’uomo spalancò gli occhi sorpreso e stupito e, mettendosi a sedere, sbottò:
 
“Kaori, ti pregherei di scendere immediatamente!”
 
“Cosa?” rispose la ragazza, non completamente sicura di aver sentito quello che aveva sentito.
 
“Ho detto che ti pregherei di scendere immediatamente dal mio letto e… da me!”
 
Effettivamente la socia si era seduta sulle gambe del partner, imprigionandole con le sue, e non faceva nemmeno troppo caso al fatto che una ben nota parte del corpo dell’uomo premesse da sotto il lenzuolo per partecipare alla festa.
C’era in un certo senso abituata e, anzi, si sarebbe stupita del contrario.
E comunque era anche convinta che, sotto sotto, a lui non dispiacesse affatto quella specie di assalto che ogni mattina lei gli rifilava, nonostante continuasse a ripeterle che non la considerava appetibile o attraente, e che fosse, al contrario, un mezzo uomo o un travestito.
In quel loro strano ménage al limite del platonico, in cui erano assenti effusioni e carezze – se non fraterne pacche sulle spalle o buffetti sui capelli, quando lui voleva in qualche modo farle capire che fosse fiero di lei – i due City Hunter, per dimostrarsi tutto il resto, ricorrevano ad approcci più violenti, a veri e propri incontri di lotta libera, a strapazzamenti vari, e tutto per nascondere e dissimulare l’enorme attrazione che provavano reciprocamente.
Quindi, non solo per Kaori era in qualche modo eccitante e consolante insieme, quell’unica occasione che le era concessa di avere il bel Ryo tutto per sé e in sua balia – quando letteralmente gli saltava addosso, desiderando che fosse per tutt’altri motivi, anziché quello di svegliarlo –, ma anche lui attendeva quel momento in cui poteva sentirsela sopra, e pur facendo la scena di protestare, ne era fin troppo felice.
 
Che lui le chiedesse di scendere aveva dell’incredibile.
Ma quando lui si tirò su a sedere, con quell’aria seria e leggermente infastidita, Kaori capì subito che c’era qualcosa che non andava.
 
“Kaori, non è bene che tu entri nella mia stanza senza bussare. Potrei essere nudo” le disse Ryo, e sollevando il lenzuolo per controllare, aggiunse: “… infatti”.
 
La ragazza fece tanto di occhi: Ryo che si faceva lo scrupolo di farsi trovare nudo da lei?
Lui, il campione degli spudorati???
 
“E poi… penso che dovresti rivedere il tuo modo di vestire” riprese il socio.
 
E a quelle parole Kaori s’incupì; eccolo che stava per sferrare il suo primissimo attacco della giornata: le avrebbe sicuramente detto che non era abbastanza femminile, che vestiva da maschio, o che quei vestiti addosso a lei ci perdevano…
Lui, nemmeno le leggesse nel pensiero, si affrettò ad aggiungere:
 
“Non fraintendermi, sei molto femminile, però… direi che lo sei anche troppo per i miei gusti”.
 
Effettivamente indossava una corta minigonna che, in quella posizione, le era pure andata un po’ più su scoprendo le cosce sode e toniche, e un top leggero che le lasciava scoperte le spalle e la pancia, liscia e piatta.
Abiti vecchi che lui le aveva stra-visto e a cui non aveva mai rivolto la minima attenzione, meno che meno per farle notare che, appunto, erano abiti femminili… anzi, troppo femminili per i suoi gusti!!
 
Kaori era sconvolta: ma che gli prendeva a Ryo, quella mattina?
Che razza di scherzi le stava facendo?
E poi la sera prima erano andati a letto presto e lui non era uscito per locali, quindi non era in preda nemmeno ad un post-sbronza leggermente devastante.
Non sapeva se ridere o piangere.
Di sicuro non sapeva cosa dire.
Ma l’uomo, che continuava ad essere serio – e che non sembrava essere lì lì per scoppiare in una fragorosa risata, come avrebbe fatto altre volte al termine di una bambocciata qualsiasi – la guardava, in attesa che lei capisse la gravità di quella posizione sconveniente, e decidesse di mettere in pratica la sua richiesta.
Il suo sguardo era accomodante, ma aveva un non so che di strano; se non lo avesse conosciuto bene come lo conosceva, Kaori avrebbe potuto dire che… che… non era Ryo, quello sotto di lei.
 
Kaori si decise, quindi, a parlare, e iniziò per prima dal discorso vestire, che era di gran lunga la cosa che la sconcertava di più:
 
“Cosa vuol dire che sono troppo femminile per i tuoi gusti? Non hai sempre detto il contrario?”
 
“Mentivo” tagliò corto lui.
 
“Eh?” fu costretta a rispondere lei.
 
“Sì, ho mentito ogni volta, perché ti ho sempre trovato molto femminile e… provocante. Sì, provocante, e non credo che questo possa andar bene fra due colleghi di lavoro come lo siamo noi. Dovremmo tenere una certa distanza, un certo distacco professionale, e anche l’abbigliamento ha la sua importanza. In definitiva, credo che d’ora in poi dovresti vestire più… sobriamente”
 
“Cosa???” esclamò la ragazza.
 
“Sì, hai capito bene. Non puoi andare in giro abbigliata in quel modo, cercando di irretirmi, di tentarmi, come stai facendo. Ed ora, se non ti dispiace, vorrei alzarmi e rivestirmi, ma non lo posso fare con te sopra” e indicò le rispettive posizioni con un cenno del capo “e soprattutto con te nella mia stanza. Potresti uscire? Grazie”.
 
Kaori arretrò lentamente fino ai piedi del letto e, attonita, ne scese, recuperò le sue ciabattine, sempre senza smettere di guardarlo, aspettandosi il momento in cui sarebbe scoppiato a ridere, ne era certa, con la sua risata sguaiata a cui sarebbe seguita magari una frase derisoria o anche un semplice: “Ci sei cascata!”.
Eppure lui non dava segni di divertirsi, né di aver apprezzato quella situazione.
 
Alla ragazza non restò che uscire dalla stanza e chiudersi la porta alle spalle; sostò un po’ pensierosa lì davanti poi, incredula e perplessa, sospirò, prima di decidersi a scendere di sotto.
Forse, pensò, dopo una buona colazione e un caffè forte, Ryo sarebbe tornato l’idiota di sempre.
 
N.B.: Magari non tutti se ne sono accorti, ma per il personaggio della sacerdotessa, bella, ieratica e perfettamente in grado di difendersi da un mandrillo arrapato come Ryo, mi sono ispirata alla dottoressa Sakura, di Lamù, la ragazza dello spazio. Ma il tutto finisce qui, perché effettivamente non è lei (anche se più avanti la ritroveremo) e di certo non è un crossover fra i due manga. In ogni caso in Lamù, Sakura sa bene come trattare con un altro mandrillo arrapato, e cioè Ataru Moroboshi, quindi non ho fatto troppo sforzo con lei. Del resto amo Lamù e tutti i suoi amici, compresa la dottoressa, quindi… diciamo che è un semplice tributo all’altro manga che adoro *___*

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Capitolo 2
*** Aria di cambiamenti ***


Ed eccoci alle prese con il capitolo numero 2. Grazie per le belle recensioni che mi avete lasciato al capitolo precedente, speriamo che vi piaccia anche questo ^_^
Eleonora




Cap. 2 - Aria di cambiamenti
 
  
Non molto tempo dopo, mentre ancora Kaori stava armeggiando in cucina, sentì Ryo annunciarsi così:
 
“Uuuhhh, che odore delizioso! Immagino già che avrai cucinato qualcosa di squisito!”
 
La socia si voltò di scatto, sorpresa da quelle parole che, mai e poi mai, si sarebbe sognata di udire da quell’ingrato del suo collega; ma se il complimento l’aveva sconvolta, vederlo abbigliato in quel modo le fece sbattere più volte le palpebre, incredula.
Ryo infatti vestiva un completo scuro, giacca e pantaloni, con tanto di cravatta e camicia allacciata fino in cima sul colletto rigido.
Ma non solo: sotto braccio teneva due grossi rotoli di carta, che avevano tutta l’aria di essere i poster di donne nude che erano attaccati nella sua stanza da tempo immemorabile.
Kaori riuscì finalmente ad emettere un solo ed unico “Mah!?” e poi più niente.
E mentre il partner, così abbigliato e con disinvoltura, si sedeva al tavolo della cucina con i rotoli accanto, le disse, quasi distrattamente:
 
“Se non dovessimo uscire stamattina, farei una bella raccolta delle mie vecchie letture e le butterei nella spazzatura”
 
A quel punto Kaori riuscì ad articolare:
 
“Ryo… Ryo, ma che stai dicendo?”
 
“Perché?” chiese lui serenamente.
 
“I tuoi poster, i tuoi giornalacci…”
 
“Esattamente, i miei giornalacci” l’interruppe lui “Dici bene, socia. Sono sconvenienti, come il tuo abbigliamento, ricordi? A proposito, non ti avevo forse consigliato di cambiarti?” le chiese.
 
“Ma-ma.. tu non sei Ryo!” esclamò Kaori “Sei per caso Silver Fox?” e già gli si avvicinava con aria minacciosa.
 
Ma lui, con un gesto infastidito, la bloccò:
 
“Non essere sciocca! Come puoi pensare una cosa del genere? Quel criminale da strapazzo non è degno di allacciarmi nemmeno le scarpe. Ha fatto il suo tempo, ormai”. Poi, iniziando a mangiare: “Piuttosto, in camera mia ti ho lasciato degli abiti più consoni: indossa quelli e poi andiamo… al lavoro”
 
Kaori era rimasta ritta al centro della stanza, con occhi e bocca spalancati, incapace di capire cosa fosse successo a Ryo per ridurlo in quello stato.
Possibile che fosse tutto un suo scherzo?
Infatti, infine sbottò:
 
“Senti, Ryo, se è uno scherzo ti avverto che mi sto innervosendo! È ora di farla finita!”
 
“Non capisco a cosa ti riferisci” rispose lui, pulendosi con grazia un angolo della bocca: sembrava… sembrava… una persona a modo, educato!
No, non poteva essere Ryo!
La ragazza si diresse ugualmente al piano di sopra, ma a metà delle scale si bloccò udendo il suo socio dire:
 
“Ah, un’altra cosa. Direi che sarebbe auspicabile che tornassi a dormire nell’appartamento di sotto: vivere così a stretto contatto, senza la propria privacy, non va bene per due colleghi di lavoro come noi due, non trovi?”
 
“Grrrrrr” ringhiò la socia, con un misto di rabbia e dolore insieme.
 
Ricordava molto bene i primi tempi quando era venuta a stare lì con Ryo, e all’inizio veramente abitava nel piano di sotto, in un grande appartamento tutto per sé; ma poi, per praticità e logistica, avevano deciso che lei condividesse l’alloggio con Ryo, così non solo lui sarebbe stato in grado di difenderla meglio, ma quando c’erano le clienti, lei avrebbe potuto dormire nella stessa stanza con loro e prendersene cura.
Lei e Ryo avrebbero vegliato sulle clienti e avrebbero svolto il proprio lavoro nel miglior modo possibile.
Nel caso di Kaori, poi, così sarebbe riuscita ad impedire a Ryo di provarci con le clienti in questione, a preservarle dai suoi assalti notturni e diurni, e a tenerlo a bada con qualche trappola qua e là, qualche trabocchetto e gli immancabili martelloni.
E comunque anche lui, alla fine, era contento di questa loro sistemazione, perché piano piano si erano avvicinati sempre più, e quello strano ménage che si era venuto a creare, aveva il sapore di una vera famiglia.
Innegabilmente, e in un modo tutto loro, si volevano bene, c’erano sempre uno per l’altra, avevano unito le rispettive solitudini e, nel ricordo dell’amore di e per Hideyuki, avevano costruito la loro relazione, che non era solo lavorativa.
 
Sentendo Ryo pronunciare quelle parole, Kaori si sentì morire dentro.
Perché con la scusa della sconvenienza, della promiscuità e della privacy, tutti quei paroloni che gli riempivano la bocca, di fatto la stava rispedendo di sotto e lontano da lui.
Allora non la voleva più intorno?
Tutto quello che avevano costruito in quegli anni, non valeva più niente?
E la giovane non poteva nemmeno protestare più di tanto, perché ciò che diceva Ryo, alla fin fine, erano tutte cose vere: la loro relazione, il loro rapporto in riferimento alla morale, a certa morale, era veramente ambiguo.
Se era innegabile che fossero due colleghi di lavoro, e nient’altro, perché vivere insieme?
Soprattutto quando almeno uno dei due girava nudo per casa, condividevano il bagno e tutto il resto, quando lui non poteva portarsi dietro le donne perché c’era lei, nemmeno fosse stata la sua ragazza, la sua fidanzata… nemmeno fossero una vera coppia.
Però erano lì, sempre, come amici, come fratelli…
Come… cosa?
E, malgrado tutto, a Kaori ciò bastava; o meglio: se lo faceva bastare perché amava quell’idiota, ed era l’unico modo per stare accanto lui, e non solo letteralmente parlando, ma anche avendo un peso nella sua vita di tutti i giorni, perché insieme condividevano tutto, veramente tutto… tranne… tranne quello.
Era così doloroso anche solo pensarlo, che la sweeper decise che avrebbe rimandato la questione; avviandosi verso la camera del socio, però, borbottò:
 
“Ringrazia che dobbiamo veramente andare al lavoro e rischiamo di fare tardi, altrimenti… Questa faccenda non finisce qui!”
 
 
 
 
***
 


Quando, non molto tempo dopo, fecero entrambi ingresso nel Cat’s Eye, furono accolti da uno scoppio di risate, tonanti e roboanti.
Falcon si torceva la pancia dal ridere e tutto il locale vibrava sotto i potenti rimbombi.
Miki, con la mano sulla bocca, cercava di trattenersi dal ridere, ma era veramente difficile non farlo, di fronte alla coppia dei suoi amici; vedeva, però, l’aria affranta e scornata della sua migliore amica e, insomma, non voleva offenderla.
 
“Ma-ma… come vi siete conciati!” riuscì a dire Umibozu fra le risate.
 
“Smettila di ridere, vecchio polipo” gli rispose stizzito Ryo.
 
“Sembrate i Men in Black!” e giù a ridere.
 
Effettivamente i City Hunter vestivano entrambi un completo scuro, con tanto di camicia bianca, cravatta e occhiali neri: erano praticamente identici, perché quello che indossava Kaori era stato di Ryo un tempo, quando era più magro e più snello.
In tutto e per tutto un abito da uomo!
 
La ragazza si sedette al solito sgabello e crollò la testa sulle braccia conserte, ripiegate sul bancone; era avvilita, e la rossa zazzera risaltava sul nero delle maniche.
 
Mentre ancora Umibozu sghignazzava e Ryo cercava di tenerlo a bada come meglio poteva, Miki si avvicinò all’amica e le chiese sussurrando:
 
“Ma che sta succedendo?”
 
Kaori, più parlando fra sé che rispondendo alla barista, bofonchiò:
 
“…è pure misto lana…”
 
E la prima cosa che Miki pensò fu che fuori erano almeno 30° gradi, e che quello effettivamente non era un vestito estivo.
 
Quando i soliti bisticci fra i due uomini si chetarono in qualche modo, e anche Ryo prese posto accanto alla socia, che nel frattempo si era ripresa e spegneva l’arsura con un frappé alla fragola, Miki osò chiedere:
 
“Ehi, ragazzi, ma cos’è questa storia? Perché siete vestiti… così?”
 
“Per lavoro, no?” rispose Ryo soddisfatto che, dopo essersi tolto gli occhiali da sole e averli riposti con cura nel taschino della giacca, non era ancora saltato addosso alla bella ex-mercenaria.
 
“Sì, è convinto che per andare a lavorare dobbiamo indossare un abbigliamento più consono, soprattutto io che, udite udite, vesto troppo femminile per i suoi gusti!” spiegò Kaori, aggiustandosi gli occhiali sulla testa, e dando una bella succhiata alla sua cannuccia, facendo gorgogliare il suo milkshake.
 
A quelle parole Falcon, che ridacchiava ancora sotto i baffi, si azzittì improvvisamente, ma sua moglie proruppe con un:
 
“Cosaaaa??” che lo fece sussultare.
 
Che Saeba pretendesse che Kaori vestisse in maniera comoda tanto da non essere intralciata nei movimenti durante le azioni, ci stava, e che lei avesse trovato il modo di unire l’utile al dilettevole, era un fatto; nonostante lui la schernisse, lo stesso, dicendole che era un mezzo uomo, un travestito, anche in riferimento al suo abbigliamento, ma che adesso fosse pure arrivato non solo a pretendere che vestisse veramente come un uomo, ma che considerasse i suoi vecchi abiti addirittura troppo femminili, era davvero un’assurdità!
 
E mentre nell’aria vibrava ancora l’eco dello scoppio di incredulità della signora Ijuin, fece la sua entrata nel locale Mick, e non appena riconobbe Ryo, si fiondò al bancone sperando di trovarci anche Kaori, ma il suo amico sedeva accanto ad un ragazzo paludato in un completo scuro, tra l’altro molto simile a quello di Ryo, e si scoraggiò.
Iniziò, allora, a guardarsi febbrilmente intorno, alla ricerca dell’unica donna che gli faceva battere forte il cuore, fino a quando la sua attenzione non fu catturata da Miki che, con un braccio alzato sopra la testa del ragazzo vestito come per un funerale, indicandolo gli disse:
 
“Qui!”
 
L’americano, quindi, si avvicinò furtivamente allo sconosciuto, che, da parte sua, non si era ancora voltato a guardarlo – e anzi, con la testa incassata nelle spalle, sembrava profondamente afflitto – fino a quando, aggirandolo, Mick non riconobbe in lui l’inconfondibile profilo, delicato e muliebre, della bella Kaori.
Preso alla sprovvista, sussultò e quasi fece un balzo all’indietro, balbettando una serie di “mah mah mah” sconnessi.
E quando infine la sweeper posò il suo sguardo sconsolato su di lui, il biondo fu assalito da un misto di perplessità, emozione, curiosità, e anche se non capiva il motivo per cui Kaori stesse in quel momento incarnando la parodia di un uomo, lui la trovò comunque tremendamente sexy e bellissima.
Il buongustaio che era in lui aveva già stabilito che ci voleva ben altro che un vecchio completo da cerimonia per imbruttire quella meravigliosa ragazza, la quale sarebbe stata ugualmente affascinante perfino con un sacco di iuta addosso.
Velocemente però, registrò anche che la bella in questione aveva un’aria abbattuta e scorata, e subito si rabbuiò: c’era solo una persona che poteva ridurla in quello stato, e quel qualcuno era…
 
“Ryo! Si può sapere stavolta cosa le hai fatto?” lo apostrofò Mick.
 
“Buon giorno anche a te, caro e vecchio yankee!” gli rispose lo sweeper nipponico.
 
“Non fare la scena con me!” rincarò la dose l’americano, con sguardo leggermente truce “Cos’è questa pagliacciata… perché Kaori è vestita… è vestita… come te?”
 
“Be’, mi pare normale. Siamo due sweeper professionisti che devono darsi un certo contegno. Siamo una coppia, un duo, non lo sai? Siamo due colleghi di lavoro, e credo che se ci vestiamo alla stessa maniera, non ci sarà occasione per… per… distrazioni di sorta, ecco. Ne converrai con me che prima Kaori era troppo… troppo provocante, come andava in giro…”
 
“Cosaaaa?” esclamò Mick un’ottava sopra, sfiorando la tonalità di un soprano di coloratura.
 
“L’ho già detto io…!” borbottò Miki “mi rubi le battute?” ma ovvio, Mick non rispose.
 
Quindi l’americano, rivolgendosi all’amica, le chiese:
 
“Kaori, ma che sta succedendo? Perché Ryo si comporta così, cosa gli è successo? È tutto uno scherzo, questo, o deve smaltire una sbornia?”
 
La ragazza fece un mezzo giro sullo sgabello, fino a trovarsi faccia a faccia con lo sweeper d’oltreoceano:
 
“Ma che ne so, cosa gli è preso! Stamattina si è svegliato più strano del solito! Mi ha detto che non devo entrare in camera sua senza bussare col rischio di trovarlo nudo, che i miei vestiti di prima erano troppo femminili per i suoi gusti, sì ha detto proprio così!” e Mick, al di sopra della spalla dell’amica, guardò Ryo che, a braccia conserte, con fare bonario, seguiva senza scomporsi le spiegazioni della socia, come un maestro ascolta soddisfatto la lezione imparata dal suo miglior allievo.
Kaori riprese:
 
“…che d’ora in poi devo vestire più sobriamente e che devo… ritornare a dormire di sotto!”
 
A quel punto si alzò un coro di “Ohhhh” fra lo stupito e il costernato.
Ognuno di loro sapeva benissimo cosa avesse significato per i due andare a vivere insieme, cioè sotto lo stesso tetto e nello stesso appartamento.
La loro storia d’amore, lunga e complicata, era fatta di grandi passi avanti e altrettante battute d’arresto, ma se anche non si erano mai dichiarati l’uno all’altra, come fanno le persone normali, almeno il fatto che convivessero, condividendo gli stessi spazi, faceva di loro una specie di coppia, un nucleo familiare. Rispedire Kaori di sotto, era come rinnegare tutto questo.
Azzerare tutto.
Comprensibilissimo che Kaori fosse ridotta uno straccio: quell’idiota stavolta l’aveva fatta grossa!
 
D’improvviso nel locale l’atmosfera si fece cupa: tutte le aure, tranne quella di Ryo e Kaori, diventarono minacciose, e tutte vertevano su un’unica ignara persona che, totalmente in buona fede, percepiva il cambiamento non sapendosene spiegare il perché.
Gli amici solidali erano sempre pronti a schierarsi dalla parte di Kaori nei litigi con il socio, ed ora più che mai erano decisi a fargliela pagare.
 
Incredibilmente fu Kaori a fermarli, a spegnere gli animi che si stavano surriscaldando, perché preso Mick da una parte gli disse:
 
“Senti, e lo so che non mi sarei mai sognata di arrivare a dirti una cosa del genere, ma… perché non lo porti in giro per locali, fra le sue donnine allegre? Magari gli passa questa sua… questa sua… non so come spiegarla. Questa sua strana repulsione per le donne! Figurati che non ha fatto nemmeno il gesto di gettarsi su Miki!”
 
Mick trasalì.
 
“Sì, tutta questa storia che IO sono indecente e troppo provocante… ha detto che mi ha trovato sempre sexy e che ha sempre mentito su questo fatto”.
 
“Be’, che mentiva era chiaro” l’interruppe l’amico.
 
“Come?” chiese stupita la ragazza.
 
“Non farci caso, vai avanti” disse Mick.
 
“Insomma, stamattina ha tolto dalla sua stanza perfino i poster con le donne nude, e dice di voler buttare nell’immondizia tutti i suoi adorati giornalacci!!!”
 
E dopo una breve pausa ad effetto:
 
“Ti rendi conto? Io che col mio abbigliamento lo irretisco, che lo provoco, tanto che è meglio vestirsi così, e comportarsi solo ed esclusivamente come due colleghi di lavoro e nulla più… Insomma non ci capisco più niente! E, stranezza delle stranezze, mi ha anche fatto i complimenti per la colazione! Capisci??” finì in tono esasperato.
 
Mick, pensieroso, si portò la mano al mento ben rasato:
 
“Uuumm… direi che la storia è davvero surreale, anormale. Ma del resto se c’è di mezzo Ryo, non c’è niente di normale”.
 
“Ehi, tu!” si sentì esclamare Saeba alle spalle di Kaori, all’indirizzo del bel biondo: “Se hai finito di confessarti con la mia socia, direi che io e lei potremmo anche andarcene, giusto?”
 
“Sì, sì, un attimo, arrivo!” rispose leggermente scocciata la ragazza al suo collega di lavoro; poi, riducendo la voce ad un sussurro: “Ti prego Mick, fai qualcosa, trova una soluzione, perché un Ryo così è davvero odioso” quindi, posandogli una mano sul braccio: “Portalo a donne!” gli disse in tono cospiratorio e implorante insieme.
 
Mick fu enormemente colpito dalla sua richiesta accorata: se Kaori era arrivata a tanto, voleva dire che la situazione era molto più grave di quello che pensava.
D’un tratto però prese il sopravvento il lato maniaco dello yankee e, con una strana luce negli occhi, si fiondò su Ryo, e spingendolo a forza per le spalle gli disse:
 
“Su su, andiamo amico mio, ho un posticino nuovo in cui portarti” e gli si stava già formando un filo di bava all’angolo della bocca.
 
Kaori si portò una mano alla fronte e scosse il capo, mentre il suo socio protestava debolmente, trascinato a forza fuori dal locale.
Quando i due non furono più in vista tirò un sospiro di sollievo, e allentandosi il nodo della cravatta mormorò:
 
“Speriamo bene…”
 
Miki allora le chiese:
 
“Ed ora che farai?”
 
“Intanto mi tolgo questa!” le rispose sfilandosi la pesante giacca di misto lana; e prendendola con due dita per il colletto e buttandosela sulla spalla destra, con disinvoltura stabilì: “Farò un salto alla stazione a vedere se ci sono richieste di aiuto, quindi tornerò a casa a fare le solite pulizie e a godermi una beata solitudine. Ryo è diventato così pesante!”
 
Salutando con la mano, se ne uscì dal Cat’s Eye apparentemente più sollevata.
 
Miki, rimasta sola con suo marito, sospirò forte e disse:
 
“Quei due ne hanno sempre una. Ma come faranno?”
 
Umibozu grugnì in risposta, al che Miki gli si avvicinò e, abbracciandolo e stringendolo forte, con sguardo innamorato gli sussurrò:
 
“Per fortuna che io ho te, amore!”
 
E Falcon prese fuoco come un falò sulla spiaggia d’estate.
 

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Capitolo 3
*** Niente da fare! ***


Salve! Finalmente arriva il numero 3, mi sono resa conto solo ultimamente che è davvero cortino, ma, ripeto, di solito le storie le scrive tutte di seguito e poi, in un secondo momento, le divido in capitoli e lì seguo il senso della storia… Che posso farci? Spero che vi piaccia lo stesso ^_^
Buona lettura e grazie ancora per le simpaticissime rec che mi avete lasciato, e per la l’ottima accoglienza che avete fatto a questa ennesima mia storiellina.
Eleonora



Cap. 3 - Niente da fare!
 
 
Diverse ore dopo, mentre Kaori finiva di spolverare le ultime cose in salotto dopo aver passato l’aspirapolvere, la porta d’ingresso si aprì di schianto, e Ryo venne catapultato dentro da un Mick furibondo:
 
“Eccolo, il tuo socio ameba! Riprenditelo!”
 
“Ma-ma-ma… che è successo?” esclamò la padrona di casa al colmo dello stupore.
 
E mentre Ryo rotolava sul tappeto come un armadillo ripiegato su sé stesso, lei prevenne il suo eventuale rimprovero gridandogli, o quasi:
 
“E non ti azzardare a criticare come sono vestita adesso, che te lo scordi che io faccia i lavori di casa con quel completo di lana caprina. È estate, fuori e nel resto del Giappone, e non mi metterò uno scafandro perché tu rimani turbato quando mi vedi. Se non ti sta bene, non mi guardare, girati da un’altra parte!”
 
“D’ac-d’accordo, d’accordo!” rispose il socio, alzando le mani in un gesto di totale resa e mettendosi a sedere a gambe incrociate sul tappeto fresco di battitura.
 
Poi Kaori, rivolgendosi ad uno spettinato Mick, vagamente sbronzo e con la camicia insolitamente spiegazzata e gualcita:
 
“Allora, che è successo? Cosa avete combinato?”
 
“Cosa non abbiamo combinato, dirai piuttosto! L’ho portato nei localini più divertenti e alla moda di Kabukichō, dove ci sono tutte quelle donnine carine carine, gentili sai? E cosa mi fa questo??? Niente. Ripeto: ni-en-te!” scandì “cioè, non una palpatina, una toccatina, nemmeno s’interessava a tutto quel ben di dio che ci sfilava davanti. Che poi con un paio di banconote una spogliarellista è scesa dal palco e…”
 
Un colpetto di tosse della ragazza lo fece fermare di botto.
 
“Ho capito, ho capito” disse Kaori con aria grave, occhi a terra “non c’è bisogno che entri nei particolari”.
 
“Hai ragione…” riprese l’uomo “Insomma… Ryo non ha fatto… come fa sempre! Nulla! Se ne stava seduto al tavolo con sguardo fisso e severo, da moralista ecco, quando non scuoteva la testa in segno di disapprovazione. Non ha toccato alcool, e tutti i drink che hanno portato le cameriere me li sono dovuti scolare io, come pure… diciamo… soddisfarle, eh eh eh…”
 
“Vai avanti…” sibilò Kaori.
 
“Che figura che mi ha fatto fare! Sembrava un’ameba, un eunuco… mi hai fatto vergognare!” disse infine rivolgendosi all’amico.
 
“Hai ragione a vergognarti!” proruppe allora Ryo “A frequentare locali di dubbia moralità, con tutte quelle povere donne schiave del sesso e dei soldi… e tu e tutti gli altri ad approfittarti di loro!” Poi, rivolgendosi alla socia mentre Mick si massaggiava le tempie, segno che alla sbornia sarebbe succeduto il bel noto mal di testa “Non sai che strazio starmene lì, a vedere quel deplorevole spettacolo di donne mezze nude dimenare le proprie grazie al vento! Sono stato costretto ad uscire più di una volta!”
 
“Già, finché esasperato non l’ho riportato a casa!” concluse l’americano buttandosi pesantemente sul divano.
 
Kaori, più che mai colpita dall’atteggiamento del socio, lo guardò commossa, e poi sospirando gli disse:
 
“Oh, Ryo, se tu fossi sempre così!! Io, io… potrei…” voleva aggiungere innamorarmi, anche se ad essere sinceri lo era già da un bel pezzo, e per come era lui abitualmente, cioè il Ryo casinista, fannullone, maniaco, gaudente e playboy, oltre che buono e giusto; ma non le sembrava vero che avesse di colpo perso interesse per le sue deprecabili abitudini.
Poi d’improvviso si ricordò che, molto più di prima, aveva perso interesse anche per lei, e per la sua parte femminile; sembrava che le donne non lo interessassero più in generale…
Possibile?
 
Mick, quasi seguendo il corso dei pensieri dell’amica, aggiunse:
 
“E l’ho portato anche in quegli altri locali” e ammiccò “Per vedere come si sarebbe comportato… Nulla, anche lì… direi che qui la situazione è grave” e sprofondò esausto nel divano.
 
“Va bene dai, speriamo che almeno la sua capacità di sweeper numero uno del Giappone non l’abbia persa!” concluse rassegnata la socia, riponendo straccio e aspirapolvere nello sgabuzzino, mentre Mick allungava il collo per ammirare le sue bellissime gambe lunghe, lasciate scoperte dagli short di jeans, e il suo sederino ondeggiante, per non parlare di quello che intravedeva dal top sformato.
 
“Ah, no no, per quello puoi stare tranquilla” rispose distrattamente l’americano all’ignara Kaori, rapito dallo spettacolo a cui stava assistendo “In un vicolo abbiamo trovato degli spacciatori da due soldi, e con la sua sola presenza li ha messi in fuga piangendo”
 
E Ryo, che si era accorto degli sguardi cupidi che il suo ex-collega lanciava alla sua collega in carica, scosse la testa, infastidito da un sentimento strano, che lui chiamò disapprovazione, e che invece era più simile alla gelosia; poi però, stanco di quei discorsi, s’intromise:
 
“Avete finito voi due, di parlare di me come se non ci fossi?”
 
“Puah! Che pretendi? Quando apri bocca mi sembri un predicatore errante, Alleluja!” scimmiottò l’americano “Aargh, mannaggia a te! Mi hai fatto ingollare tanto di quell’alcool…” si lamentò Mick.
 
“Ti faccio un caffè forte?” propose premurosa la padrona di casa, e poi: “Anzi, fermati a cena da noi, no? Ho preparato tante cose buone!”
 
“Kaori? Non ti avevo detto che avresti dovuto andare a vivere di sotto?” si fece sentire Ryo.
 
“Senti, non pretenderai che oltre a dormire da sola, io ceni anche da sola? Ho sempre cucinato per entrambi e abbiamo sempre mangiato insieme!”
 
“Ma Kaori, mia cara” e Mick le si era fiondato addosso, prendendola per i fianchi “tu non dovrai dormire da sola, ti farò compagnia io, stanotte…” ma non poté finire la frase che fu sprofondato sotto un mega martello con su scritto “ma anche no” e scrollandosi la mani, la sweeper borbottò:
 
“Che scocciatura! Uno è diventato un bonzo misogino, e l’altro è rimasto il maniaco di sempre”.
 
 
Nonostante le premesse, però, la cena trascorse tranquillamente – anzi, a dire il vero, troppo tranquillamente – per tutti tranne per Ryo che, al contrario, si crogiolava in quell’atmosfera rilassante e familiare; aveva mangiato tutto senza esitazione e senza lamentarsi, elogiando la cucina sopraffina della socia, sbalordendola enormemente.
 
Lei, da parte sua, che all’inizio sorrideva ed era soddisfatta di questa inedita e piacevole disposizione d’animo del partner, con il quale non litigò nemmeno una volta, e non sentì mai l’esigenza di sprofondarlo sotto uno dei suoi martelli, alla lunga finì per annoiarsi a morte.
Non c’era più gusto nel loro ménage, dovette tristemente ammettere, se Ryo non si comportava come un bambino troppo cresciuto e non sfoggiava tutta la sua ironia caustica e sfacciata.
Neanche con Mick fu mai costretta ad usare le sue armi, per respingere i suoi assalti, perché il comportamento ultra corretto da lord inglese del padrone di casa, lo inibì a tal punto da sentirsi altamente disorientato.
Quindi alla fine, per Mick e Kaori quella fu una lunga serata noiosa, che si concluse quando Ryo si alzò da tavola, annunciando che sarebbe andato a letto presto, e prendendo educatamente congedo dai suoi amici.
Amici che lo guardarono andar via, sempre più sbalorditi e increduli.
 
Rimasti soli, Mick si avvicinò a Kaori e le chiese:
 
“Posso darti una mano? Perché quello lì” e ammiccò verso le scale “sarà anche diventato un mezzo manichino, ma sempre ingrato e scansafatiche è! Non ti aiuta mai nelle faccende, nemmeno a sparecchiare, ufff” concluse afferrando i piatti e le stoviglie lasciate sul tavolo.
 
“Che vuoi farci?” rispose quasi distrattamente la ragazza “Da stamattina è veramente strano, e non so cosa gli sia successo… Speriamo che una sana dormita lo faccia tornare come prima” e raccogliendo gli ultimi piatti e bicchieri si diresse al lavello.
 
“Però a me questo cambiamento improvviso non convince… Cosa è successo a Ryo i giorni scorsi? Cosa è successo a voi?”
 
Kaori, a quelle parole, si voltò a guardarlo e arrossì violentemente.
Nello stesso istante Ryo, che aveva ridisceso le scale con l’intento di andare in cucina a prendersi un bicchiere d’acqua per la notte, si bloccò di colpo quando vide i due parlare in quel modo intimo e affettuoso.
Cosa stava succedendo fra i due?
Perché parlavano così?
Cosa aveva detto l’americano, alla sua collega di lavoro, per farla arrossire in quel modo e farle chinare il capo in imbarazzo?
Percepiva la loro aura ricca d’amore e confidenza, e a parte il rossore della ragazza, entrambi erano perfettamente a loro agio…
Perché a lui invece non succedeva mai, con lei?
C’era sotto qualcosa, fra Mick e Kaori?
Da quella distanza non poteva sentire le loro parole, però vedeva che Mick si destreggiava anche fra piatti e padelle, e sorrideva divertito mentre insieme alla ragazza lavava le stoviglie della cena.
Di nuovo quel sentimento – la disapprovazione, certamente – gli strinse lo stomaco, ma poi dovette ammettere che se lui, Ryo, non voleva condurre una vita promiscua con la sua partner di lavoro, nulla le impediva di intraprendere una relazione con una persona esterna al loro duo… o no?
 
Insolitamente confuso e incapace di decifrare il comportamento altrui, preferì ritornare in camera senza acqua, per non dover entrare in cucina ed essere costretto a interagire con Mick e Kaori.
Pensierosamente si buttò sul letto, con un libro sulla cultura samurai del Periodo Heian, e quando molto dopo si addormentò, la casa era già silenziosa e lui l’unico abitante.
 
Nel frattempo, non visti da Ryo, Kaori e Mick, riordinando la cucina, parlarono del più e del meno, non prima che la ragazza gli avesse raccontato dell’ultimo caso risolto giusto il giorno addietro, omettendo però la disavventura nel tempio, ma solo perché ritenuta facente parte di una triste routine: non c’era onore nel ricordare che il suo socio idiota aveva molestato anche una sacerdotessa intenta a pregare nel suo santuario.
L’appellativo di sacrilego si andava ad aggiungere a tutti gli altri epiteti, come porco, maniaco, fannullone, idiota, scansafatiche, falso, ipocrita, vigliacco e via discorrendo.
 
Quando Kaori spense la luce in cucina, con un sospiro si diresse alla porta d’uscita, si guardò intorno con aria sconsolata e triste: le dispiaceva lasciare l’appartamento che aveva fin lì condiviso con Ryo, per trasferirsi al piano di sotto, ma quelli erano stati i suoi ordini e, tutto sommato, lui era il proprietario e lei una sorta di affittuaria che pagava la sua permanenza lavorando per lui come sweeper e come donna di casa.
Mick, che se ne accorse uscendo con lei sul pianerottolo, mettendole un braccio intorno alle spalle le disse:
 
“Vedrai che cambierà idea e presto tornerà quello di prima”
 
“Speriamo…” mormorò l’altra chiudendosi la porta alle spalle.
 
 

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Capitolo 4
*** Donne ***


Ed eccolo qua il capitolo 4, quasi nei tempi. Sono stata veloce? Bene bene, a voi la lettura!
A presto e GRAZIE di tutto.
Eleonora

 
 
Cap. 4 - Donne
 
Ryo, che appena addormentato era sprofondato in un sonno greve e senza sogni, ad un certo punto della notte fu invaso da immagini oniriche piacevoli… almeno all’inizio.
 
Sognava le donne, tante donne: le clienti che aveva avuto, le ragazze sedotte, quelle con cui ci aveva provato ed era andato in bianco, quelle transitate nel suo letto… tutte bellissime!
E poi… Kaori.
 
Sognava corpi nudi, ammiccanti, braccia lisce, gambe lunghe, seni sodi e morbidi da volerci sprofondare la faccia, sederini impudenti, mani affusolate, ventri lisci, fianchi invitanti.
E poi… Kaori.
 
Sognava di donne vestite eleganti o in abiti da sera, provocanti, con tailleur impeccabili, sportive, casual… addirittura sfilarono anche una suora ed una massaia, la bigliettaia del treno, la fioraia, tutte le cameriere di tutti i ristoranti e bar frequentati, e naturalmente le donnine dei night, le conigliette, le spogliarelliste.
E poi… Kaori.
 
Sognava capelli serici, lisci, ricci, voluminosi, corti, lunghi, raccolti in trecce, codini, tagliati a caschetto, elaboratamente acconciati, sciolti, ribelli, spettinati, dalla piega perfetta, bagnati, sparsi sul cuscino, setosi e morbidi sotto e tra le dita.
E poi… Kaori.
 
E poi occhi femminili, all’orientale, all’occidentale, tondi, chiari, neri, verdi, freddi di ghiaccio, ambrati, marroni con pagliuzze dorate, socchiusi, spalancati, impauriti, stupiti, febbrili, irati e lampeggianti, ridenti, amorevoli.
E poi… Kaori.
 
Sognava visi muliebri di tutte le forme, ovali perfetti, dal mento volitivo, con gli zigomi pronunciati, fronti spaziose, guance rosate, paffute, nasini all’insù, visi spruzzati di lentiggini, bianchi di madreperla, abbronzati, truccati.
E poi… Kaori.
 
E di nuovo tutte queste immagini, insieme, distinte, sovrapposte… una ridda di donne vogliose, disponibili, ritrose, stizzose, sorridenti, accomodanti, impazzite, isteriche, e tutte, proprio tutte, lui le desiderava, ardentemente, smodatamente, dolorosamente… e poi c’era sempre Kaori… Kaori Kaori Kaori, bellissima, perfetta, vestita, nuda come non l’aveva mai vista, in biancheria intima, in costume da bagno, con un pigiama sformato, una minigonna vertiginosa, con jeans attillatissimi, tutine da aerobica, e poi ancora infagottata in un cappotto di lana, vestita da maschiaccio, in abiti da sera; in giro per casa, sfilare sul palco, in fuga dal nemico, guidando come una pazza, rincorrendolo con un martellone, cucinare, lavare stirare, canticchiare, dormicchiare sul divano, mangiucchiarsi un’unghia, sorbire una bibita, assaporare una cucchiaiata di gelato.
 
La sua mente era letteralmente invasa dalle donne, che bramava possedere: voleva conoscerle, parlarci, flirtarci in un crescendo di passione e voluttà.
E c’era sempre Kaori, che emergeva su tutte, prepotentemente, semplicemente, che incarnava il non plus ultra di tutto il femminino: lei, l’amazzone, la guerriera, la madre, la sorella, la figlia, l’amante perfetta, l’innamorata pura e appassionata.
Tutte le donne erano lei, tutte lei conteneva, e Ryo la desiderava, la voleva, voleva essere degno di lei, amato da lei, perché lei sola poteva farlo, lei sola era quella giusta per lui.
 
E quel caos d’immagini, sensazioni, emozioni, presero a vorticare sempre più velocemente, e al piacere sessuale, all’eccitazione, si sostituirono l’angoscia, il terrore, la smania, l’impotenza.
 
Il suo cuore batteva all’impazzata e, per liberarsi da quel senso di oppressione che provava, si mise ad urlare, ma la bocca non emetteva alcun suono; e allora ci riprovò ancora, e ancora, ma un urlo muto gli strozzava la gola, fino a quando si svegliò di soprassalto senza fiato, scattando seduto sul letto fradicio del suo stesso sudore, ansante, con i battiti cardiaci a mille sull’orlo di un infarto.
Ci volle parecchio prima che si riprendesse e mettesse a fuoco il luogo in cui si trovava, e cioè nel suo letto, in camera sua, completamente solo.
Lui, l’unico maschio in un mondo di donne… fuori da quella porta.
 
Si passò una mano fra i capelli incollati sulla fronte madida, e scosse la testa.
La gola riarsa, si voltò in cerca del bicchiere d’acqua che a volte teneva sul comodino, ma poi si ricordò di non averlo preso perché in cucina c’era… Kaori.
Sì, c’era Kaori in cucina, con Mick, e lui non la voleva incontrare, non LI voleva incontrare, e una sferzata di gelosia gli fece storcere la bocca in un ghigno stizzoso.
 
Un po’ traballante, senza accendere la luce, scese di sotto; con la bocca impastata, riarso come se fosse stato nel bel mezzo del deserto, anelava ad un semplice bicchiere d’acqua: quella era la sua priorità.
Ma quando, entrando nel soggiorno, intravide la luce accesa nella cucina, ebbe un sussulto: che ci fossero ancora quei due dentro?
A quell’ora della notte?
Il cuore, già così tanto provato dopo quella specie di incubo, si contrasse spasmodicamente.
 
Stranamente incerto sulle gambe fasciate dai pantaloni del pigiama, a torso nudo, non era più così tanto sicuro di procedere, temeva di trovarsi di fronte una scena che assolutamente non avrebbe voluto vedere.
E trasalì quando, davanti al riquadro illuminato della porta, vide passare Kaori; quasi istintivamente si ritrasse per paura di essere avvistato, ma poi si concentrò sulle aure presenti e constatò che c’era solo quella della bella socia; poteva stare sicuro che Mick non era presente.
Con passo lievemente più deciso avanzò, e per non far sobbalzare la ragazza si schiarì la voce, prima di entrare in cucina, sfoggiando una sicurezza che era ben lungi dal provare.
 
“Oh, Ryo, sei tu?” esclamò tranquillamente la ragazza, per aggiungere subito dopo: “Sì, lo so, sono troppo provocante per i tuoi gusti, ma in questa notte rovente non puoi pretendere che indossi un pigiama di flanella” e fece il gesto con le braccia di mostrarsi a lui “e poi dormo di sotto da sola, dove tu non mi avresti visto comunque. Non pensavo di incontrarti in piena notte qui in cucina, ma stavo morendo di sete e di sotto non c’è niente, nemmeno un frigorifero, ricordi?” concluse la tirata sulla difensiva.
 
Effettivamente Kaori indossava solamente un’ampia t-shirt che scopriva, più che coprire, il suo magnifico corpo tonico e snello, e delle minuscole mutandine che l’occhio allenato di Ryo riconobbe come quelle acquistate dalla socia nel negozio di lingerie accanto al parco, taglia 3°, sgambate, modello Prestige che…
Niente!
Si affrettò a scacciare dalla mente questi suoi pensieri da maniaco, perché non gli sembrava il caso di indulgere in certe fantasticherie, già che, sorpreso da quella visione improvvisa, gli pareva di essere ancora prigioniero del delirio onirico vissuto poco prima.
Subito minuscole goccioline di sudore gelato gli imperlarono la fronte, e la ragazza, che era intenta a rovistare nel frigorifero e a sbuffare nell’impossibilità di trovare ciò che stava cercando, e cioè una bibita al fresco, colpita dal suo insolito mutismo si girò a guardarlo e vedendolo in quello stato si allarmò.
Ancora con il busto piegato in avanti e il braccio a sorreggersi allo sportello del frigorifero, preoccupata lo chiamò:
 
“Ryo?”
 
L’uomo, sempre più a disagio, costretto ad assistere allo spettacolo sexy che gli stava inconsapevolmente offrendo la sua socia, sentì un formicolio ben noto al livello dei lombi e, con la mente ancora satura delle immagini dei suoi sogni, temette che nel giro di poco tempo qualcosa si sarebbe visto.
 
Kaori si decise a raddrizzarsi e, ormai rassegnata al termine di quella sua ricerca infruttuosa, con un colpo deciso dell’anca chiuse lo sportello del frigorifero; senza smettere di fissare il partner, preso un bicchiere in mano, si diresse, quindi, al rubinetto del lavello dove si servì di abbondante acqua fresca.
 
Maledizione! Perché quella santa donna non si rende conto che così mi manda il cervello in pappa?” si disse il socio, ancora incapace di parlare.
 
La temeva più che il suo peggior nemico, e quando lei senza pensarci riempì un bicchiere anche per lui e fece l’atto di portarglielo, Ryo si trattenne a stento dal fare un passo indietro.
 
L’uomo bevve avidamente cercando di mandar giù, insieme all’acqua, tutto il turbamento che provava in quel momento, di fronte a colei che gli sconvolgeva la mente e il corpo, e che lo attraeva come una calamita.
 
“Ora va un po’ meglio” si decise a spiccicare parola lo sweeper, tranquillizzando la ragazza che continuava a guardarlo, leggermente in apprensione, e aggiungendo subito dopo “avevo solo bisogno di un bel bicchiere d’acqua. Con questi caldi! Grazie, socia”.
 
“Mi fa piacere” rispose di rimando lei, abbozzando un sorriso “Allora… io ti saluto, ritorno di sotto” e nascose gli occhi stornando lo sguardo, per non fargli vedere quanto le dispiacesse andarsene da lì e finire quella lunga notte torrida nell’altro appartamento, vuoto, spoglio, anonimo, e soprattutto lontano da lui.
 
Ma un bisogno insopprimibile di averla ancora lì accanto, spinse Ryo a dirle:
 
“A-aspetta!” facendola così girare di scatto “Non ti andrebbe di fare due chiacchiere? Io non ho più sonno e tu?”
 
Kaori trasalì e si stupì enormemente della proposta del socio, tenuto conto del bizzarro comportamento avuto da lui fino a quel momento, del fatto che l’aveva letteralmente spedita di sotto, e tutto il resto; era anche vestita in quel modo proprio come non voleva Ryo, e infatti istintivamente si strinse addosso il tessuto della maglietta come a volersi coprire.
Perché ad un tratto voleva chiacchierare con lei, dopo che aveva messo in chiaro che era tutto sconveniente fra di loro, anche condividere lo stesso appartamento, quando poche ore prima se ne era andato a letto decretando la fine della serata e in barba all’ospitalità, visto che c’era ancora Mick in casa?
Sembrava un altro!
Non più il moralista bacchettone, ma nemmeno il Ryo che ricordava.
 
Intrigata dal suo comportamento e curiosa di vedere come sarebbe andata a finire, scacciato anche quel briciolo sonno che le era rimasto, decise di assecondare il partner, tanto più che aveva una voglia matta di stare con lui, di passarci del tempo, se non altro per gustarsi lo spettacolo del suo fisico da urlo, mezzo svestito, che avrebbe fatto girare la testa a chiunque.
Perché era così maledettamente bello? si ritrovò a pensare la ragazza.
 
Appoggiandosi al piano di lavoro della cucina, le lunghe gambe incrociate una sull’altra, il bicchiere ancora in mano, Kaori si rilassò e gli rispose:
 
“Effettivamente non ho così tanta fretta di tornare in quel forno a microonde che è la mia stanza di sotto!”
 
E ridacchiò, un po’ per la battuta fatta e un po’ per stemperare quella strana tensione che percepiva fra di loro e a cui non sapeva dare un nome.
Era certamente capitato altre volte di ritrovarsi da soli in cucina, in piena notte, per uno spuntino veloce, una tisana dell’ultima ora o, come quella volta, per un semplice bicchiere d’acqua; in fondo abitavano insieme… fino a ieri!
Però l’atteggiamento di entrambi era sempre stato fluido, scanzonato, cameratesco, seppure intimo e familiare; se anche Ryo in passato le aveva mai chiesto di restare a parlare, lei aveva accettato senza farvi caso più di tanto.
E allora perché stavolta erano lì, penosamente a disagio?
Era forse per la sua mise provocante?
Per le decisioni che lui aveva preso giusto quella stessa mattina?
Le sembrava, però, che in quella calda notte d’estate tutto fosse possibile, o impossibile, a seconda dei casi.
 
Si ritrovò a pensare:
 
E adesso?
 
Ryo, dal canto suo, che si era lasciato scappare quell’invito ancora in preda ai fumi dell’incubo, si era ritrovato improvvisamente senza parole, senza risorse; non poteva certo dirle che la voleva lì accanto a lui, davanti a lui, con la sua bellezza mozzafiato – si sarebbe anche accontentato di guardarla soltanto, per tutta la notte – che una febbre lo stava divorando dentro e ardeva di passione e desiderio per lei.
Doveva trovare un argomento, una scusa qualsiasi, per chiacchierare, passare il tempo.
Aveva un vago ricordo di quello che era successo durante la giornata appena trascorsa, solo un sentore di noia che non gli dava nessun appiglio per iniziare un discorso qualsiasi.
 
Poi si ricordò di Mick, della loro complicità, lì in quella stessa cucina, e accecato dalla gelosia sbottò con:
 
“Tu lo sai, vero, che Mick è innamorato di te?”
 
Non era esattamente quello un argomento da chiacchiere oziose, e se ne rese conto troppo tardi, quando la ragazza impercettibilmente si irrigidì e si mise a braccia conserte, sulla difensiva.
 
“Certo che lo so, non è una novità. E comunque era, perché adesso sta con Kazue, no?” rispose la socia, affermando l’ovvio, e mettendosi in guardia, in attesa di capire dove volesse arrivare quell’idiota del suo socio.
 
“Sì, certo, dicevo così…” cercò di sviare l’uomo “… era solo per dire che in ogni caso tiene molto a te, e ti ronza sempre intorno” chiarì.
 
“Mi vuole bene, lui, e non lo nasconde” affermò con decisione Kaori, fissandolo intensamente con aria di sfida; quelle parole e quel suo sguardo erano un atto di accusa, e Ryo incassò il colpo; d'altronde Mick non aveva di certo tutte le remore dello sweeper, né le sue fisime ad impedirgli di esprimere i suoi sentimenti.
 
“Hai ragione” convenne l’uomo “ma non sempre le cose sono come sembrano” le disse cripticamente, avanzando verso di lei.
 
Kaori perse tutta la sua mollezza e, staccandosi dal piano di lavoro, si raddrizzò; di colpo assetata si portò inutilmente il bicchiere vuoto alla bocca, incapace di distogliere lo sguardo da quello di Ryo che sembrava volesse divorarla con gli occhi.
Si umettò le labbra, inconsapevolmente sensuale, e un secondo dopo Ryo era su di lei.
Attirato come una falena dalla luce, non era riuscito a resisterle e, accorciata la distanza, si era precipitato su quella bocca di fuoco, lasciandosi andare ad un bacio appassionato.
 
Inizialmente stupita per quell’improvvisa iniziativa del socio, Kaori non ci mise tanto a rispondere con altrettanta passione al suo bacio, precipitando entrambi in un gorgo di pura follia.
Ma, recuperato un briciolo di lucidità, Ryo si staccò a fatica, e ancora stravolto le mormorò, alimentando il desiderio di entrambi, piuttosto che estinguerlo:
 
“Perdonami, non so cosa mi sia preso”
 
Kaori allora gli allacciò le braccia al collo e lo attirò nuovamente a sé, e prima di riprendere a baciarlo gli mormorò a fior di labbra:
 
“Non importa, a me va bene lo stesso”.
 

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Capitolo 5
*** Segni rivelatori ***


Piano piano arriviamo al cap 5. Con il precedente vi ho spiazzato, vero? hihihihih un bel colpo di scena, e adesso? Leggete e poi mi direte :D
GRAZIE per le divertentissime rec *_*
ciao ciao da Eleonora

 
 
Cap.5 - Segni rivelatori
 
La mattina seguente Ryo si svegliò di buon’ora, e temendo i soliti assalti della socia, quando si precipitava a svegliarlo, e nonostante il giorno prima l’avesse redarguita in tal senso, si alzò alla svelta dal letto e si fiondò sotto la doccia.
Aveva sudato copiosamente durante quella notte rovente, e aveva bisogno di lavarsi via tutto il disagio e darsi una bella rinfrescata.
Dopo una bella doccia rigenerante si diresse di sotto in cucina, decisamente di buon umore e, poiché la socia ancora dormiva, decise di preparare lui il caffè per entrambi, mentre l’incombenza della colazione l’avrebbe lasciata a lei.
 
Poco dopo Kaori si presentò alla porta d’ingresso, vistosamente assonnata, i capelli ancora spettinati e indomiti; stava giusto sbadigliando come una tigre del Bengala, quando si fermò di colpo e si portò una mano alla bocca a coprirsi lo sbadiglio: non credeva di trovarlo già alzato e, visti i modi da damerino del giorno prima, temeva che le rimproverasse anche questa caduta di stile.
 
“Buon giorno, mia cara” la salutò lui “mi sono permesso di preparare il caffè, ma non sono andato oltre: sai già che sono un disastro in cucina e lascio a te il privilegio di preparare la colazione” e le rivolse un sorriso smagliante; Kaori mascherò una mezza smorfia, stornando lo sguardo.
 
Quello lì sta diventando davvero noioso” pensò “è insopportabile con quei suoi modi troppo… troppo educati! Rivoglio il mio Ryo di prima!” concluse affranta fra sé, ma non disse nulla.
 
Però, quando il socio aggiunse candidamente:
 
“No, la verità è che non mi perderei per nessuna ragione al mondo uno dei tuoi manicaretti. Sono squisiti e non m’importa di aspettare, se sei tu che cucini!”, Kaori si animò, e dovette ammettere che il nuovo Ryo era sì noioso, ma sembrava molto più sincero, e finalmente le aveva detto una cosa buona.
 
Dirigendosi verso la cucina e indossando meccanicamente il grembiule, si ritrovò inoltre a pensare che… giusto la mattina precedente lui le aveva detto che vestiva troppo provocante per lui, allora voleva dire che la trovava sexy???!!!
Ciò voleva dire che lui si sentiva attratto da lei, che non gli era così tanto indifferente come le faceva credere, perché altrimenti non avrebbe insistito per farle indossare abiti più castigati!!!
Le venne da ridacchiare: il nuovo Ryo era più schietto ed onesto, anche se esagerato per certi versi, ma almeno così si era scoperto in quel senso; peccato che fosse diventato un irritante misogino.
 
E che cazzo, però! Non ci sono mai le mezze misure con lui!” finì per sbuffare mentalmente.
 
Ma ecco che aveva già messo mano ai cibi e agli ingredienti, e con invidiabile maestria stava già affettando, pelando, sistemando le verdure, e il riso, e tutto il necessario per una sostanziosa colazione alla giapponese.
Gli aromi avvolgenti che iniziavano a sprigionarsi dalle pentole, aumentarono l’ottima predisposizione dell’uomo, pertanto, interrompendo la lettura di un tomo sugli usi e costumi degli Inuit, le disse:
 
“Vedo che hai ritirato fuori quella comoda salopette che portavi un tempo… mi sembra di ricordare che la indossasti anche quella volta che ci occupammo del piccolo Takuya e della sua maestra…”
 
Kaori, che per tutto il tempo stranamente era rimasta in silenzio, anziché ciarlare allegramente o canticchiare come faceva di solito, guardandosi un attimo da sopra in giù gli rispose:
 
“Sì, ho riesumato questi bracaloni perché erano abbastanza comodi e freschi da indossare con questi caldi, visto che mi hai proibito” e calcò sulla parola proibito “di indossare i miei soliti abiti sconvenienti…” e lasciò la frase in sospeso, in tono stizzoso.
 
“Io non ti ho proibito un bel niente, ho solo detto che…”
 
“Sì, sì, lo so cosa hai detto. E comunque il tutto è decisamente strano” lo interruppe lei con il coltello in mano, quello che usava per affettare le verdure, in una posa inconsapevolmente battagliera.
 
Se Ryo si era svegliato di buon umore, lei non lo era affatto, e pensare di affrontare una nuova giornata con quella sottospecie di monaco inacidito non le andava per niente, e senza nemmeno rendersene conto diede la stura ai suoi pensieri, e gli spiattellò tutto quello che aveva taciuto il giorno precedente, quando, troppo stupita per ribattere alle sue argomentazioni, non era stata in grado di dirgli nulla:
 
“Non capisco cosa ti è preso!” sbottò “Fino all’altro giorno eri il solito porco maniaco da punire per i suoi eccessi, colui che non s’interessava mai a me e al mio vestiario, se non quando doveva criticarmi o insultarmi perché poco femminile, un mezzo uomo, un travestito e altre stupidaggini. E poi ti svegli una mattina e ti metti a vaneggiare come un prete mancato! Mi dici che è disdicevole questo, quello, che sono troppo provocante… IO. Per. Te” scandì “che siamo solo due colleghi di lavoro e nulla più, e quindi è sconveniente abitare nella stessa casa e mi rispedisci di sotto, da sola, in un appartamento deserto, nemmeno fossi una serva! Butti via i tuoi poster di donne nude, i tuoi giornalacci, vai per locali con Mick – Dio mi perdoni – e schifi le donnine, Tu. Che. Non. Vai. A. Donne!!!! E nemmeno ti ubriachi!!!”
A mano a mano che argomentava si infervorava sempre di più, e il suo viso si coloriva sfoderando tutte le tonalità dal rosso al viola.
 
“Kaori…” provò a dire il socio.
 
“Non ho ancora finito!” lo rimbrottò la ragazza prima di riprendere la tirata “Mi hai costretto ad indossare un ridicolo completo Da Uomo di lana!”
 
“…misto”
 
“Eh?” domandò scocciata la socia per essere stata nuovamente interrotta.
 
“Ho detto misto lana!” chiarì Ryo.
 
“Arrrrggggghh! Smettila di fare il sapientone!” s’arrabbiò Kaori “Ho detto che tu non sei tutto normale, e se questo lo sapevo già da un pezzo, ora ne ho la conferma!” riprese come un fiume in piena, mettendosi a camminare avanti e indietro per la stanza, sempre con il coltellone in mano “Non è possibile un cambiamento del genere, così repentino” ragionava la donna ormai quasi fra sé e sé, senza più rivolgersi a lui in particolare “Tu, il re degli spudorati, che mi dici di uscire dalla tua camera perché non vuoi farti vedere nudo da me! Come se non ti avessi mai visto in quel modo, indecentemente, come sempre!”
 
“Kaori…” cercò di attirare la sua attenzione l’uomo, ma lei non lo sentiva.
 
“… che non vuoi che ti venga a svegliare con i miei soliti metodi dolci e gentili, solo perché ti salgo sul letto…”
 
“Kaori…”
 
“Che c’è? Che c’è? La vuoi smettere di interrompermi?”
 
“Volevo solo dirti che… la colazione si sta bruciando!” disse infine Ryo con espressione accomodante.
 
Ma Kaori, ormai imbufalita, sì girò di scatto verso la padella, l’afferrò per il manico e gliela scaraventò sulla testa:
 
“Tieniti la tua colazione e buon appetito!” gli gridò in preda ad una crisi isterica, prima di uscire dalla cucina e dalla casa a passo di carica, sbattendo la porta.
 
“Ahhhiiiii! Ma sei matta???” gridò Ryo in preda al dolore, sia per la padellata che per il cibo bollente finitogli addosso, ma un secondo dopo, tirando fuori la lingua si ripulì il volto imbrattato di verdure e riso, e mormorò:
 
“Eppure la cottura era arrivata al punto giusto… forse ho sbagliato a metterle ansia” e poi, sospirando: “Ahhhh, le donne, sono troppo emotive… Kaori poi, si fa prendere sempre dalla… passione”
 
Di colpo sembrò sul punto di ricordarsi qualcosa e, istintivamente, si portò la mano al collo, dove uno strano rigonfiamento circolare faceva bella mostra di sé; ma quel pensiero che gli si era confusamente affacciato alla mente, sparì all’improvviso, lasciandolo con l’impressione di essersi perso qualcosa d’importante.
Quindi, traendo un profondo respiro, si riscosse; finì di mangiare la sua colazione volante, indi si diresse nuovamente in bagno a darsi una ripulita.
 
 
 
Kaori nel frattempo, per sbollire la rabbia e la frustrazione, a forza di camminare si era ritrovata alle porte della stazione di Shinjuku, e a quel punto ritornò in sé: fu come risvegliarsi da un brutto sogno.
Entrò, si diresse alla solita lavagna, e fu segretamente contenta di non trovare nessuna richiesta d’aiuto perché, con Ryo in quelle condizioni, sarebbe stato difficile occuparsi di un qualsiasi caso.
Solo allora si accorse di essere uscita senza borsa e senza soldi, e il brontolio dello stomaco le ricordò che non aveva mangiato niente prima di uscire di casa, nemmeno bevuto il caffè preparato da quell’idiota del socio.
D’improvviso fu assalita da un’ondata di malinconia, ripensando a quel famoso primo caffè che le aveva offerto Ryo, forte e nero come lui, ma anche amaro; lei quella volta aveva protestato che era imbevibile, e lui l’aveva soprannominata Sugar Boy…
Anche Ryo a volte era amaro… però, dovette ammettere, era anche dolce… a volte.
E Kaori si ritrovò in preda allo sconforto, constatando che più voleva stare accanto a lui, e più per colpa dei loro litigi finivano distanti, lontani.
Sospirò pesantemente poi, facendo un rapido dietrofront, prese la strada per il Cat’s Eye, sicura che la sua amica Miki le avrebbe fatto credito e, insieme al suo ottimo caffè d’importazione, l’avrebbe consolata e coccolata un po’.
 
Quando fece il suo ingresso nel locale familiare, Miki alzò lo sguardo dal bancone che stava pulendo con uno straccio e, vedendola così sconvolta, s’impensierì: cos’altro aveva combinato quel cretino di Saeba?
Ma Falcon emise un grugnito strano, e sorridendo sotto i baffi pensò:
 
Qui c’è sotto qualcosa…
 
 
 
 
***
 
 
 
Più tardi, Ryo decise di dedicarsi all’allenamento, del corpo e dello spirito: scese di sotto in palestra e si sfinì con esercizi complessi e faticosi, volti a mantenere in forma il suo fisico muscoloso e scattante.
Poi si diresse al poligono, dove si impegnò con una lunga sessione di tiro con diverse sagome, a differenti distanze, e soprattutto si applicò nelle simulazioni, immaginando i nemici sbucare da ogni dove.
Quando, stanco ma soddisfatto dei risultati ottenuti, ritornò di sopra nell’appartamento, vide la lucina della segreteria telefonica lampeggiare: evidentemente qualcuno lo aveva chiamato quando era di sotto, e quasi infastidito per la disdetta di aver perso una telefonata probabilmente importante, si disse che se ci fosse stata Kaori, avrebbe potuto rispondere lei al telefono.
 
A proposito, dove era finita quella benedetta ragazza? pensò fugacemente lo sweeper mentre premeva il tasto per ascoltare il messaggio.
La voce squillante della suddetta benedetta ragazza irruppe nei suoi timpani, e inspiegabilmente gli venne da sorridere in preda ad una strana… contentezza?
Per un attimo non gli interessò nemmeno cosa lei avesse da dirgli, visto che il tono era allegro e gaio, ma poi si decise ad ascoltare, e riascoltare, la registrazione, per capire meglio:
 
Ciao Ryo, sono io! Visto che alla stazione non c’è niente per noi, sono passata da Miki. Mi ha costretta a seguirla… [voce di Miki “…ooohhh, Kaori sei sempre la solita! Saeba, non ti preoccupare, è in buone mani” risatina] dicevo… che io e lei andremo a fare un po’ di compere – con i suoi soldi, che io ho lasciato la borsa a casa – e pranzeremo fuori. Se hai fame… guarda nel frigo, dovrebbe esserci rimasto qualcosa da ieri sera [voce di Miki “…Dai Kaori, che il tuo amato socio non morirà di fame!”] Ma smettilaaaaa. Okay, adesso lo sai, be’ ci vediamo dopo… ciao”.
 
E più di tutto Ryo fu colpito dal tono che aveva assunto, verso la fine, la sua partner: era quasi esitante, come se avesse voluto dirgli altro, come se dietro quelle parole ci fosse qualcosa che lui non riusciva a capire, che però allo stesso tempo lo faceva sentir bene.
Ma certo, lui era il suo tutore, il suo guardiano, vegliava su di lei dopo la morte del fratello, e saperla felice con la sua migliore amica rendeva contento anche lui… non era forse questo?
Poi scacciò quella specie di mollezza che lo aveva assalito, dando la colpa alla leggera stanchezza procuratagli dagli allenamenti e si convinse che era un bene che le donne stessero insieme, e poi, se era vero che non c’era del lavoro da sweeper per loro, perché i due City Hunter avrebbero dovuto passare ulteriormente del tempo in reciproca compagnia?
 
E mentre era ancora in piedi davanti al mobiletto del telefono, bizzarramente indeciso se riascoltare quel messaggio bislacco ma così tanto divertente, o mettersi a fare altro, si annunciò Mick, entrando senza bussare:
 
“Ehilà, monaco tibetano! Ti sei ripreso dallo sbandamento o sei ancora un noioso bacchettone come ieri sera?”
 
E senza essere invitato, ma come d’abitudine, si buttò pesantemente sul primo divano che trovò, sbuffando teatralmente.
 
“Dov’è il mio bocciolo di rosa?” chiese, quindi : “Perché la cucina sembra deserta e non sento nessun buon odore provenire da lì?”
 
“Il tuo bocciolo di rosa, come la chiami tu, è in giro con Miki; si è presa un mezza giornata libera, d'altronde non abbiamo lavoro, per cui…”
 
“Ummm, peccato per il pranzo… perché visto che ti ha lasciato all’asciutto, non posso beneficiarne nemmeno io. Però immagino che sarai libero di andare a divertirti, come il tuo solito…” disse ammiccando l’americano “Andiamo?”
 
“Direi che preferisco fare altro…”
 
“Aaaargh, ancora con questa storia? Ma che razza di droga hai preso per non voler più andare a donne come un tempo? Non sei più tu, sei un altro… e anche piuttosto noioso” si depresse l’amico, raggrinzendo la faccia in una smorfia.
 
“Senti, non so perché la fai tanto lunga: ho capito che come ero prima sbagliavo, gettavo via il mio tempo, e che è giunto il momento di cambiare, maturare; sono un uomo io, un uomo fatto, e non posso più comportarmi da idiota. Sempre tutte queste donne intorno… diciamo che ho bisogno di una compagnia maschile, virile piuttosto, per fare discorsi da uomo, cose da uomini”
 
“Ehi, vacci piano! Che sei diventato un mezzo svitato schifa-donne posso anche comprenderlo, anche se in tutta onestà faccio un grande sforzo perché non mi sembra vero, ma che addirittura sia finito sull’altra sponda…” esclamò alzando le mani “questo mi rifiuto di crederlo!” ed incrociando le braccia sul petto, iniziò a scuotere la testa.
 
“Angel, ma che vai a pensare!!! Io sono un vero uomo, ho detto, e non m’interessano gli altri uomini come le altre donne! Io ho detto che ho bisogno di compagnia maschile, per passatempi tutti maschili, come allenarsi nella lotta, campeggio estremo e prove di sopravvivenza, duelli e sfide di ogni tipo, sport, armi… nel più puro spirito cameratesco!”
 
“Mmmm… sarà” mugugnò l’amico “Non dico che queste cose non piacciano anche a me, però alla lunga io ho bisogno delle donne, dei loro sederini sculettanti, dei loro bei visini sorridenti, dei loro capelli fra le dita, e il seno… come rinunciarvi!” e già un principio di bava gli si stava formando agli angoli della bocca “Io voglio il corteggiamento, la seduzione, i baci appassionati, e poi…”
 
“Sì, sì, ho capito” troncò lo sweeper annoiato “ricordo come sei fatto, e credo che tutto questo ti indebolisca: saresti uno sweeper perfetto, se non avessi queste cadute di stile” sentenziò Ryo.
 
“Co-cosa??? Cosa diavolo stai dicendo??? Parli tu, uno smidollato maniaco perennemente in calore, che è sempre corso dietro ad ogni gonnella, tranne quella della meravigliosa santa che ti fa da socia, con grande disperazione della stessa, tra l’altro, e che ha fatto del sesso e delle donne la sua unica ragione di vita!”
 
“… be’, mi sbagliavo!” s’imbronciò l’altro “E comunque con Kaori non potrà mai esserci niente, perché noi siamo solo colleghi di lavoro”
 
“Ecco, solo in questo sei rimasto tale e quale a prima, lo stesso caprone con le stesse scuse, le stesse baggianate da vigliacco” ribatté Mick “però… cosa vedo lì, sul tuo collo? Direi che quello è un segno troppo fresco per essertelo fatto almeno due sere fa” gli disse indicandolo e, automaticamente, Ryo si portò la mano nel punto esatto che intendeva Mick “Allora forse una speranza ancora c’è! Vecchia volpe!” finì per esclamare l’americano battendosi vigorosamente i palmi sulle cosce “Ieri sera hai fatto tutta quella pantomima con me e con Kaori a cena, solo per potertela svignare tranquillamente e raggiungere una pollastrella in particolare. Che stupido a non averci pensato prima! Se c’è qualcuno che è abile nel raggirare le persone, quello sei tu! Ci hai fatto credere che saresti andato a letto presto, e invece sei scappato dalla finestra o dalla terrazza per andare da…?” poi Mick improvvisamente si oscurò in volto, e le risate sguaiate che avevano accompagnato le sue esternazioni di colpo svanirono.
 
“Che storia è questa, Ryo?” gli chiese seriamente “Chi è questa donna? È importante per te?”
 
“Ma che vai cianciando!” esclamò per tutta risposta l’amico.
 
“Hai rifiutato le donnine dei localini, hai rispedito Kaori di sotto da sola e la tratti peggio di prima, come se tu e lei foste asessuati; credevo che respingerla sistematicamente avesse un senso, strampalato quanto vuoi, un modo per tenerla lontana da te e dal pericolo, così come pure il fatto che la umiliassi in quella maniera avesse lo scopo di farla disamorare di te. Ma sei arrivato a respingerla… in toto, Ryo. Significa che non vuoi più giocare con lei, perché ti sei innamorato di un’altra!” concluse gravemente.
 
“Stai dicendo un mucchio di cretinate e fatico a seguirti!” quasi gli urlò contro Ryo, “Io non ho nessuna donna e non sono innamorato di nessuna, la vuoi capire oppure no? Le donne non mi interessano più!”
 
“E allora spiegami come hai fatto a farti un succhiotto sul collo da solo!” gridò esasperato l’americano.
 
Ryo sobbalzò.
Allora era quello?
Si trattava di quello?
Era così che si chiamava… quello?
Ma chi glielo aveva potuto fare?
 
Un’idea gli balenò in testa, assurda per quanto verosimile: che fosse stata proprio Kaori?
L’unica donna, l’unica persona, che si era in qualche modo avvicinata a lui, oltre a Mick, nelle ultime ventiquattro ore…
Ma quando e perché avrebbe potuto farlo?
Tra l’altro non è cosa da passare inosservata; cioè, avere addosso una persona che ti bacia, e con la bocca ti succhia letteralmente la pelle a tal punto che…
Possibile che uno sweeper come lui non se ne fosse reso conto?
Cionondimeno, non ce la vedeva la socia ad approfittarsi di lui mentre dormiva; seeee, questa era bella!
Si sarebbe accorto, poco ma sicuro.
Ma allora?
Che avesse veramente ragione Mick, e lui fosse stato in qualche modo drogato, tanto da non ricordarsi le cose?
Ma no, ma no… e poi, Kaori?
No, no, non poteva essere!
A parte i vestiti sexy e quella propensione a saltargli sul letto la mattina, non ce la vedeva a prendere l’iniziativa in quel senso.
 
Mick, che aveva visto l’amico trasecolare di fronte alle sue parole, poté seguire il filo dei suoi pensieri: Ryo non riusciva a spiegarsi come, dove e quando, qualcuno – e si augurò che fosse stata almeno una donna – gli avesse lasciato quel marchio, e soprattutto stava pensando che quel qualcuno avrebbe potuto essere la sua socia.
 
Un brivido di eccitazione corse inconsapevolmente lungo la schiena dell’americano: che fra i due si fosse sbloccata la situazione?
Ma come, se Ryo l’aveva quasi scacciata dall’appartamento e il giorno precedente l’aveva addirittura costretta a vestirsi ridicolmente da uomo?
Si corresse: no, Kaori era stupenda anche vestita in quel modo, perché lei era bellissima sempre, con buona pace di Kazue.
Mick non ci capiva più niente.
Era vero che Ryo era peggio di una sfinge, a volte, e che raramente lasciava intravedere i suoi sentimenti, ma più si affannava a coprirli e più tutti si accorgevano di quanto fosse innamorato della sua bella socia. Tutti, tranne i diretti interessati, of course.
Insomma, capire Ryo non era cosa da poco, e quei due erano due disagiati mentali, due zucconi, due innamorati senza speranza; ma adesso, allo stato delle cose, la situazione era più incredibile che mai, più arzigogolata del solito, e meritava di essere sbrogliata.
 
Si ripromise di tenere sotto controllo quei cretini, per vederci meglio e, se possibile, dargli una mano. Ovviamente più per amicizia e affetto per Kaori, che per Ryo, ma tant’era: anche lui era un suo amico, forse il suo migliore amico… e sì, l’avrebbe fatto anche per lui.
 

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Capitolo 6
*** Si stava meglio quando si stava peggio ***


Dopo la sorpresina del capitolo 5, eccone un altro… forse più tranquillo, chissà?
Ancora GRAZIE per le rec e per i consensi e buona lettura!
Eleonora

 
 
Cap.6- Si stava meglio quando si stava peggio
 
 
Nel frattempo, Miki e Kaori si erano prese un po’ di tempo tutto per loro.
La barista aveva subito notato che la sua amica necessitava di un po’ di svago: il giorno prima i due City Hunter erano arrivati da lei come la parodia dei Blues Brothers senza cappello, e Saeba, santo cielo, sembrava posseduto da… un pastore puritano, partito alla colonizzazione del Nuovo Mondo a bordo della Mayflower!
Tutta quell’ostentata misoginia, quel cambiamento così repentino!
All’inizio Miki aveva pensato che Ryo stesse pesantemente scherzando, e che presto se ne sarebbe saltato su sghignazzando come uno scemo.
Ma l’atteggiamento di Kaori l’aveva messa sull’avviso che no, era purtroppo una cosa seria, inspiegabile, ma seria.
E poi era arrivato Mick che se l’era portato via e, una volta rimaste sole, la sweeper le aveva giusto detto due cose in merito, poi avevano rapidamente cambiato discorso.
Oggi, però, se possibile, Kaori era ancora più affranta della volta scorsa, e la signora Ijuin moriva dalla voglia di sapere come fosse andata a finire con Ryo, se questi fosse rientrato in sé durante i vagabondaggi con l’americano, oppure continuasse quella farsa assurda, che forse farsa non era.
 
Circondate da pacchi, pacchetti e buste ingombranti, sistemati tatticamente ai piedi delle sedie e sotto il tavolino, le due amiche stavano giusto sorbendo uno squisito gelato all’Incantevole Creamy, un locale molto in voga in quel periodo, dove non era così facile trovare un posto; quella volta erano state fortunate.
L’ex mercenaria tornò sull’argomento Ryo Saeba e chiese all’altra:
 
“Allora? Come vanno le cose con il tuo socio? È ritornato normale o fa ancora il moralista? Confesso che se odiavo il suo essere maniaco e porcello, ora in questa versione, al contrario, proprio non mi piace…”
 
“Mmm, no…. è sempre uguale” rispose l’amica sconsolata “Non capisco cosa gli sia successo! Sapessi quante volte ho pregato tutte le divinità del cielo e della terra di fargli passare quest’insana passione per le donne e per il sesso, ma credo che ora abbiano esagerato; forse ho pregato troppo intensamente!” finì con una smorfia sardonica.
 
“Effettivamente è strano questo suo cambiamento. Nemmeno quando è stato punto dalle vespe assassine era arrivato a tanto” ragionò Miki con fare meditabondo. E poi: “Di cosa vi siete occupati ultimamente? Avete risolto qualche caso particolare?”
 
“Mah, no, niente di così straordinario, le solite cose…” rispose quasi distrattamente Kaori “non c’erano di mezzo animali modificati geneticamente, o droghe, o sostanze tossiche di sorta che possano aver influito sul suo corpo. Solo che…”
 
“Solo che?” la incoraggiò Miki.
 
“Se prima Ryo non s’interessava a me in quel senso, però almeno mi faceva capire che ci teneva a me, che in qualche modo provava dei sentimenti nei miei confronti. Ora che mi tiene così spudoratamente alla larga, sembra non volermi più nemmeno fra i piedi; mi ha rispedito a dormire di sotto, da sola, e insomma… quando vivevamo nello stesso appartamento, io e lui eravamo una famiglia, un po’ atipica lo ammetto, ma io avevo lui e lui aveva me, condividevamo una certa quotidianità. Adesso sembra aver paura di me, addirittura è arrivato a dire che mi vesto troppo provocante – ovviamente dal suo nuovo punto di vista – e in maniera troppo sconveniente… Insomma, Miki, sto iniziando a pensare che non mi vuole più bene come un tempo” e si lasciò scappare un mezzo singhiozzo.
 
Miki, colpita dalle sue parole e sentendosi in colpa per averla fatta rattristare, si affrettò a consolarla dicendole:
 
“Dai, non te la prendere! Magari questa è solo una sfasatura temporanea, diciamo così, e nel giro di poco tempo Saeba tornerà quello di prima… E poi nel frattempo potresti cercare di scoprire quale è il motivo che l’ha fatto diventare così: forse è malato!”
 
“Non dirlo manco per scherzo!” s’allarmò la sweeper “Ryo malato? Non voglio neanche pensarci… e poi lui ha una salute di ferro!”
 
“Sì, però devi ammettere che qualcosa ci deve essere per forza, non si può cambiare il proprio atteggiamento da un giorno all’altro. I nostri uomini sono così granitici, testoni, lenti alle novità. Prendi Falcon: quanto ci ho messo a convincerlo a stare con me e poi a farmi sposare?” e dicendolo arrossì leggermente.
 
“… i nostri uomini…” mormorò Kaori facendo eco all’amica.
 
Poi, dopo una breve pausa:
 
“Miki, tu non ci crederai” e stavolta alzò leggermente il tono della voce “e magari mi pentirò di averlo detto, ma… ma… mi manca il vecchio Ryo, mi manca enormemente il Ryo che conosco, e che…”
 
“…ami?” concluse per lei Miki.
 
“Sì, che amo… tanto è inutile negarlo” confermò l’amica prendendo vistosamente fuoco, ma non abbassando lo sguardo di fronte a Miki.
 
Anche se Miki non fosse stata la sua confidente, colei che conosceva gran parte dei suoi segreti e che la capiva più di ogni altra donna della banda, che Kaori fosse innamorata di Ryo era ormai cosa risaputa da tutti, come tutti pensavano che quei due fossero una specie di coppia a cui mancava solo qualche tassello per esserlo completamente.
La barista sapeva benissimo cosa fosse successo fra loro sulla nave di Kaibara, perché era presente quando si erano baciati attraverso il vetro, e il giorno del suo matrimonio le aveva fatto quel discorso per spingerli a concretizzare; addirittura le aveva anche detto che avrebbe gettato il bouquet verso di lei, affinché avesse potuto prenderlo e coronare, a sua volta, il sogno di sposarsi con Ryo.
Quindi lei conosceva anche i sentimenti di quell’idiota che Kaori aveva come partner di lavoro, e si dannava per il fatto che quei due non riuscissero a sbloccarsi.
Niente era facile per i suoi amici, innamorati tormentati e testardi, e adesso… ci voleva anche questa!
 
Miki voleva a tutti i costi essere d’aiuto alla sua cara amica, ma stavolta non sapeva proprio da dove iniziare; non era possibile che quel grande porcello di un Ryo fosse cambiato così, dal giorno alla notte.
C’era sotto qualcosa… doveva esserci sotto qualcosa per forza.
Inoltre non sopportava di vedere Kaori così affranta; ne aveva passate di tutti i colori, nella sua vita e accanto a quell’uomo strano, ma a dir poco eccezionale, quindi era ora che si prendesse la sua fetta di felicità.
Ryo e Kaori erano fatti l’uno per l’altra, e dovevano stare insieme ed essere felici insieme, come lo era lei accanto al suo Umibozu.
Sulla spinta dell’affetto affermò, risoluta:
 
“Dai, troveremo un modo per guarire Ryo e finalmente le cose si aggiusteranno fra di voi!”
 
“Dici sul serio?” osò chiedere, leggermente speranzosa, la sweeper.
 
“Certamente! Per ogni problema esiste una soluzione!” rispose pragmatica la bella ex-mercenaria.
 
Di certo era più semplice preparare un attacco armato, un commando, un’azione di guerriglia, piuttosto che risolvere un problema così incasinato, ma ne andava della serenità di troppe persone per non provarci nemmeno, e, si disse, almeno ci avrebbe provato.
 
A quel punto Kaori si alzò in piedi, e corse ad abbracciare l’amica seduta dall’altra parte del tavolino rotondo, che la strinse forte a sé; ma ad un osservatore attento, non sarebbe sfuggita l’espressione leggermente preoccupata di Miki, a corto d’idee e preoccupata di non poterla aiutare come meritava, e di mantenere la promessa.
 
 
 
o.O.o
 
 
Poco dopo Miki parcheggiò sotto il palazzo dei City Hunter, come se fosse del tutto normale che due donne giovani e carine se ne andassero a fare shopping per il centro di Tokyo a bordo di una rozza jeep militare!
 
Kaori scaricò le borse con i suoi acquisti e trattenne un sospiro quando afferrò l’ultima sporta.
Visto che c’era aveva anche preso qualcosa per la cena: si sentiva in colpa di aver lasciato Ryo pranzare da solo, e almeno la cena l’avrebbero passata insieme, sempre che lui non fosse uscito, magari per il solito giro per informatori, se proprio era vero che a donnine e a localacci non ci andava più.
Con una stretta al cuore, pensò che le sarebbe tanto piaciuto passare anche il resto della serata in sua compagnia, perché se immaginarlo in giro per locali la faceva soffrire, saperlo al piano di sopra chiuso in camera sua – con l’evidente intento di non stare con lei, nella stessa stanza, magari a leggere pigramente, o entrambi davanti alla tv come una coppia qualsiasi, come i membri di una stessa famiglia, come facevano un tempo – la gettava nella disperazione.
 
Si salutarono brevemente, poi Miki sgommando si ributtò nel traffico cittadino, mentre Kaori varcava la soglia del palazzo e si apprestava a salire le innumerevoli scale che l’avrebbero portata su, di sopra, all’appartamento.
 
Aveva una voglia matta di farsi una doccia o un bagno, ma si chiese se Ryo le avrebbe permesso di usare la sua stanza da bagno, piuttosto che utilizzare quella del piano di sotto, antiquata e scomoda, con una vecchia vasca dai rubinetti cigolanti.
Sarebbe stato sconveniente anche quello?
Questa storia la stava rapidamente deprimendo, e non era sicura di poter continuare in quel modo a lungo.
E mentre pesantemente saliva gradino dopo gradino, ripensò alla sua vita di giovane donna, cresciuta in una famiglia di soli uomini, senza una presenza femminile di riferimento; la scuola, gli amici, lo studio, il suo adorato fratello, e poi Ryo, il suo grande acerbo amore, e poi ancora Ryo, il collega di Hideyuki, la morte di quest’ultimo e la sua nuova vita.
A quanti compromessi aveva dovuto scendere per avere qualcuno accanto, per combattere quell’insopprimibile paura dell’abbandono, forse a causa del fatto che era stata adottata e non aveva mai conosciuto, o ricordato, i suoi genitori biologici, la sua famiglia d’origine.
Si era adattata alla vita sregolata del socio di suo fratello, gli si era attaccata come unico sostegno, forse a volte era stata troppo esageratamente nevrotica e gelosa, e la sua latente insicurezza era stata alimentata ed esasperata dall’atteggiamento dello stesso Ryo, che aveva sempre sminuito la sua femminilità, il suo potere seduttivo, la sua essenza di donna, ma se l’era fatto andare bene, perché… perché?
Perché lo amava, temeva di perderlo, e perché credeva che, in ultima analisi, lui avesse ragione.
Ma adesso, adesso che non la considerava nemmeno con quel minimo di affetto che si riserva ad un’amica, che l’allontanava freddamente, come e peggio delle altre donne, era una cosa da perderci la testa ed il cuore.
 
Mettendo mano alla maniglia, si riscosse: testa alta, petto in fuori, non gli avrebbe dato la soddisfazione di vederla affranta o disperata.
Poteva sempre recitare la parte della fredda e menefreghista ragazza indipendente, colei che tanto spesso gli aveva gridato che gli sarebbe rimasta accanto solo per il piacere di vederlo schiattare e potergli ridere in faccia; non era forse questo che gli aveva detto di ritorno dallo scontro con Silver Fox, quando aveva ribattuto che non se ne sarebbe andata, che voleva e doveva restargli accanto come partner?
 
In ogni caso, più prosaicamente, decise di andare a cercare Ryo per chiedergli il permesso di usufruire della doccia, e incidentalmente avvertirlo che era lì, dentro la stanza da bagno, cosicché non si sarebbe turbato incontrandola per caso mezza nuda… come spesso succedeva, del resto, ma senza turbamento.
 
Che scocciatura!” borbottò fra sé, infastidita da quell’assurda situazione, e guardandosi intorno nel salotto, alla sua ricerca; in ogni caso Ryo era presente in casa, perché le sue scarpe erano ancora lì nell’ingresso, le aveva viste appena prima.
Chissà dove si era cacciato quel fannullone?
Certo era più facile insultarlo, anche mentalmente, che perdersi in altri ben più dolorosi pensieri.
 
Come guidata dal sesto senso, si diresse di sopra sulla terrazza, dove effettivamente trovò Ryo, in piedi, appoggiato leggermente alla ringhiera; pareva assorto.
I capelli corvini incendiati di rosso, la figura alta e massiccia, la schiena ampia e rassicurante, le braccia nude e muscolose, il torace strizzato nella sempiterna maglietta rossa, i pantaloni neri attillati.
Immobile, il suo profilo si stagliava contro la luce del tramonto.

Kaori trattenne il respiro, incapace di avanzare; aveva la sensazione di essere un’intrusa in quel momento, in quel quadro surreale e fantastico, in cui il suo adorato socio sembrava reggere tutto il peso del mondo, solo, lontanissimo, irraggiungibile, anche e soprattutto a lei.
Stava quasi per tornare sui suoi passi, quando la voce di lui la fece sobbalzare:
 
“Kaori, sei tornata?” le disse senza voltarsi.
 
Il tono era strano, come non gli aveva mai sentito; un misto di nostalgia, rimpianto, dolcezza, rassegnazione.
Lo stato d’animo del suo socio le era totalmente indecifrabile, e si sentì persa perché non lo riconosceva più.
Temeva che le avrebbe detto qualcosa di spiacevole, non come le altre volte, ma come solo ora riusciva a dire, e cioè molto più seriamente.
Si diede un contegno e rispose:
 
“Sì, sono tornata. Ho fatto la spesa per cena e pensavo di cucinare qualcosa… se ti va” non sapeva cosa augurarsi, che lui le dicesse che era in procinto di uscire, o che acconsentisse a restare per poi passare una serata penosa, con l’aggravante che questa volta non c’era Mick a stemperare la situazione.
 
Lui si voltò, finalmente, a guardarla, ma Kaori con il sole contro non riusciva a vedere bene la sua espressione.
Si portò istintivamente una mano alla fronte per schermarsi dalla luce: le parve che sorridesse, per un attimo si sentì sollevata.
 
Ryo, che aveva passato il resto del pomeriggio a rimuginare sulle parole di Mick, aveva combattuto contro la sua prima reazione di allontanare nuovamente da sé Kaori, mettere altri paletti, una distanza che, se ne rendeva conto, non era possibile mettere fra loro due, dopo tutti quegli anni passati insieme.
E poi perché, si chiese e non per la prima volta, sentiva questo sentimento di repulsione per lei e per tutte le altre donne in generale?
Aveva un vago ricordo di come fosse prima, e se non gli importava di essere cambiato per sé stesso, percepiva che il suo atteggiamento attuale faceva soffrire la sua partner.
Era mai possibile?
Ma cosa avevano loro due, da spartire?
Non era sempre stato lui, il solo ed unico padrone del suo destino?
Eppure, nonostante quel primo impulso di avversione provato per Kaori in quanto donna, donna troppo presente nella sua vita, allo stesso tempo aveva sentito come una sorta di carezza sul cuore, una consolazione che lo aveva fatto vibrare nel profondo.
Decise di essere quanto meno educato con lei, era pur sempre la sorella del suo migliore amico e le doveva rispetto, in memoria di lui, indipendentemente dai suoi sentimenti personali.
 
Ryo si staccò dalla ringhiera che il sole era quasi tramontato.
Ben presto il cielo si sarebbe tinto del blu elettrico dei raggi ultravioletti; l’ora blu era alle porte: quel momento speciale della giornata aveva un non so che di magico e sovrannaturale, e tutto sembrava possibile.
 
“Sei stata molto gentile a pensare anche a me” le disse infine lo sweeper, quasi dolcemente “sarò felice di mangiare un altro dei tuoi manicaretti: cucini talmente bene!”
 
Ecco, questa era una delle poche cose buone che le aveva portato il nuovo comportamento di Ryo, si disse la ragazza; un po’ poco, a dirla tutta, ma va be’… non voleva troppo pensarci.
 
“Benissimo, allora. Ma prima, se non hai nulla in contrario, corro a farmi una doccia, okay?” gli disse, quindi, Kaori.
 
“Certo socia, l’igiene è importante! Vai pure, io scenderò fra un minuto” le rispose l’altro con disarmante schiettezza.
 
Kaori si riscosse, era come svegliarsi da un sogno indecifrabile e incerto, come solo certi sogni sanno essere; lei e Ryo erano stati forse ad un passo dal… cosa, esattamente?
Come sempre accade, quando ci si trova ad un passo dallo scoprire una verità o un segreto e poi improvvisamente si perde il filo, così era successo ad entrambi, per i motivi più disparati, ma ecco che qualcosa era stato sul punto di succedere.
 
Ryo non era stato troppo duro o scostante come le volte precedenti, sembrava leggermente più ammorbidito, e lei, vincendo la soggezione che le incuteva adesso il suo socio, così rigidamente moralista e bacchettone, era quasi arrivata al punto di chiedergli… cosa esattamente?
Forse il perché lui l’avesse voluta allontanare dalla sua casa e da sé?
Cosa volevano dirsi, di più e di diverso da quelle battute stentate e difficili da pronunciare?
Perché tanto imbarazzo fra due persone che avevano condiviso così tanto?
 
Troppe stranezze, ragionò la ragazza, e prima che fra i due si creasse ulteriore imbarazzo, imboccò le scale per scendere a passo sostenuto, lasciando lì Ryo, sul limitare, combattuto fra il desiderio di averla ancora accanto, e il sollievo che se ne fosse andata… per il momento.
 
 
 
Una bella doccia rigenerante restituì a Kaori un po’ del solito buon umore, e per un attimo dimenticò il cambiamento di Ryo, il suo atteggiamento; si diresse in cucina a spadellare canticchiando e, quando il socio la raggiunse, tutto sommato trascorsero la cena serenamente.
 
Se anche Ryo era diventato vagamente misogino, non c’era però motivo, per lui, di essere eccessivamente acido con la sua collega di lavoro; e poi il suo cibo lo metteva in una tale disposizione d’animo che tutto passava in secondo piano.
Nonostante una leggera freddezza di fondo da parte di Ryo, i due City Hunter riuscirono a passare il tempo con leggerezza.
Ma non appena Kaori finì di rigovernare, riposte le ultime cose, si ricordò all’improvviso che sarebbe dovuta ritornare di sotto a dormire.
Ryo, intuendo le sue remore, sorridendole le disse:
 
“Puoi restare se vuoi, tanto io sto per uscire”.
 
Kaori accusò il colpo.
 
Di nuovo lui e la sua disarmante schiettezza.
 
La giovane avrebbe preferito restare con lui, e proseguire quella serata che stava andando benino, malgrado le premesse, piuttosto che scendere di sotto da sola…
E invece anche quella concessione sapeva di umiliazione: le accordava di rimanere nell’appartamento solo perché tanto lui non ci sarebbe stato, lì con lei… perché tanto lui sarebbe uscito.
Ingoiò il nodo che le si era formato in gola, e riuscì solo ad annuire.
 
Lui, infilata la giacca, la salutò con un cenno del capo e Kaori, ammutolita, lo guardò andare via.
 

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Capitolo 7
*** Sogni di conquiste ***


E dopo il capitolo precedente, che vi ha rattristato assai, eccovi il N. 7 che spero vi ripaghi dei “magoni” dell’altro.
Grazie di tutto
Eleonora

 
 
 
 
Cap. 7 - Sogni di conquiste
 
Quando, a notte fonda, Ryo rientrò dal suo solito giro, - e che scocciatura essere attorniato da tutte quelle donnine lascive - quasi disgustato dalla promiscuità di certi locali, si svestì in fretta e si gettò sul letto, dove si addormentò all’istante.
Ma non appena chiuse gli occhi ecco ritornare gli incubi della notte precedente.
 
I suoi sogni erano popolati da donne, donnine, donnette, ragazze, giovani, mature signore, e tutte bellissime, ammiccanti, discinte, mezze nude, nude e in atteggiamenti inequivocabili; e tutte lui le voleva.
La sua eccitazione era salita alle stelle, una smania erotica lo consumava, facendolo rigirare nel letto, attorcigliandosi nelle lenzuola.
Volti, sorrisi, risate, bocche voluttuose da baciare, succhiare, e decolleté invitanti, sederi da agguantare… e, come la sera prima, Kaori primeggiava su tutte.
La vedeva e rivedeva in tutte le pose, e di ognuna ricordava il dove, il come e il quando.
Risentiva i suoi gridolini impauriti che lo avevano eccitato enormemente, gli sbuffi di quando si sforzava di fare qualcosa, che sembravano… arggggh!!!
 
Kaoriiiiiiiiiii!” urlava nel sonno.
 
E poi le occhiate che lei gli aveva indirizzato, alcune così inconsapevolmente sensuali che lo avevano turbato fin nel profondo; e poi le sue carezze quando lo aveva medicato, quando avrebbe voluto che si fosse spinta più in là, o più in giù, e lui si era trattenuto dall’afferrarle la mano.
E tutte quelle volte che avevano lottato, litigando, bisticciando, quando se la era sentita addosso, il suo corpo perfetto premere e divincolarsi contro il suo…
E tutte le volte che l’aveva afferrata e buttata a terra, per metterla in salvo, e l’aveva stretta tra le braccia… Dio, che voglia aveva avuto!
E, spesso aveva immaginato che sarebbe stato bello arrivare ad altro!
 
Kaori, Kaori, Kaori… era una maledizione!
 
Lei che oscurava le bellezze da night, e di tutte quelle sventole delle clienti…
Kaori che era sempre la più bella, la più coraggiosa, la più simpatica, la più intelligente, la più in gamba che avesse mai avuto la fortuna di… amare!
Sì, perché lui la amava, profondamente, visceralmente, contortamente, ma irrimediabilmente.
E lei non doveva sapere fino a che punto lui fosse preso, infatuato, ubriaco di lei… quanto lei fosse la padrona incontrastata del suo cuore e della sua stessa vita.
 
Ma poi, in quella sorta di delirio erotico, ci fu un cambiamento.
 
Se finora aveva avuto delle visioni, dei sogni dentro il sogno, di situazioni normali trasformate dalle sue pulsioni sessuali, dai suoi desideri, in qualcosa di diverso, di spinto… adesso vedeva… cosa?
Vedeva loro due baciarsi avidamente, lascivamente, di sotto in cucina e poi distesi sul divano; ricordava come se fosse successo veramente, il sapore di quella bocca proibita, il tocco delle mani gentili di Kaori sul suo petto muscoloso, le dita strette nei bicipiti, le unghie affondare nella schiena.
E di nuovo risentì sotto le mani il pizzo delle sue mutandine, il bordo che aveva tormentato fino allo sfinimento, con la voglia matta di andare oltre, di infilarsi sotto il leggero tessuto, in quel limbo di eccitante incertezza, aspettando il suo tacito consenso che non arrivava mai.
 
Nel sogno spalancò gli occhi.
Avevano veramente fatto quello che avevano fatto?
 
Si svegliò di colpo, annaspando, come chi scampi improvvisamente, e all’ultimo minuto, dall’annegamento. Si mise a sedere sul letto e, ansante, si passò una mano sui capelli fradici e poi lungo il collo, dove incontrò quel leggero rigonfiamento che si stava ormai riassorbendo; accese la luce e corse al primo specchio a portata di mano.
Eh no, quello non l’aveva solo sognato: glielo aveva visto anche Mick!
Era la prova che la notte precedente c’era stato veramente qualcosa fra lui e Kaori; che i sogni avevano ceduto il posto alla realtà.
D’improvviso ebbe un’ondata di desiderio, una voglia paurosa, quasi dolorosa, della ragazza; se avevano saltato il fosso, avuto un avvicinamento, ed erano stati insieme, allora anche adesso, ora, quella notte stessa, lui lo voleva ancora, voleva lei, voleva farlo con lei.
 
Animato dall’euforia del prossimo incontro, si diede una sistemata e si dispose baldanzoso e sicuro, fiducioso, a raggiungerla.
Fuggevolmente si chiese perché non avessero condiviso il letto, se era vero che le cose si erano sbloccate fra di loro… ma era ancora confuso dai fumi del sonno, dall’emozione, da uno stato mentale esaltato dall’eccitazione, e non riusciva a pensare lucidamente.
 
Si diresse alla stanza di Kaori, pregustando il momento in cui l’avrebbe finalmente rivista, magari ancora addormentata, serena, naturalmente sexy, invitante nella sua sfacciata innocenza, e si sentì percorso da un brivido di gioiosa aspettativa; ma grande fu la sua delusione quando, aprendo lentamente la porta, trovò la stanza deserta.
 
Come colpito da uno schiaffo in pieno viso, si ricordò che lui, proprio lui, l’aveva rispedita di sotto, a dormire sola e abbandonata in una grande casa vuota, abitata soltanto da lei e da tristi ricordi.
Si diede un pugno in testa.
Come aveva potuto fare una cosa del genere?
Lui, allontanare da sé il suo bene più importante, colei che reggeva le sorti del suo destino, colei che portava il buono e il bello in ogni stanza, in ogni giorno della sua squallida dannata vita?
 
E mentre furtivamente ritornava sui suoi passi, con l’intento di raggiungerla al piano di sotto, mano a mano che la sua mente lucidamente tornava a ragionare, un altro colpo lo raggiunse.
Cosa avevano fatto, esattamente, la notte precedente?
Tanto, tantissimo… ma non tutto.
Si erano baciati come non ci fosse un domani, si erano amati con la bocca e con le mani, con il corpo, con le parole, con i sospiri e le carezze furtive e deliberate, ma non erano arrivati fino in fondo perché, ad un certo punto, Kaori si era tirata indietro; e lui non aveva insistito, l’aveva rispettata.
Discretamente gli aveva fatto capire che non era ancora pronta, che per il momento voleva fermarsi lì, e lui non aveva protestato, seppure ribollisse di passione e pura brama; ma lui l’amava, e avrebbe aspettato.
Del resto con Kaori aveva vissuto un’emozione dietro l’altra, era stata la notte più dolce e più bella della sua vita, e sapeva che con lei non sarebbe stato solo sesso; per la prima volta aveva sperimentato quanto fosse bello amarsi anche in quel modo, forse più intimo di un rapporto completo fine a sé stesso, più vero e, per certi versi, più soddisfacente.
 
Poco male, si disse scendendo le scale: se erano arrivati a quel punto, potevano proseguire da lì, riprendere il discorso, o ampliare la cosa.
Avevano tutto il tempo a disposizione, e per loro due, che non avevano mai vissuto nessun tipo di corteggiamento, era emozionante anche rimandare la cosa, anche se di fatto la stavano rimandando da anni oramai.
 
Giunto al piano di sotto, Ryo non ebbe bisogno di accendere la lampadina per orientarsi in quell’appartamento che era comunque di sua proprietà: i lampioni giù in strada creavano luci e contrasti fra i vani del locale, ma l’arredamento esiguo non l’avrebbe intralciato in alcun modo.
Conosceva il punto esatto in cui si trovava la vecchia camera da letto di Kaori, e non si sarebbe sbagliato.
 
La porta era socchiusa, segno che, nonostante quel senso di abbandono che suscitava l’appartamento semi-vuoto, la socia non aveva paura, era fiduciosa; del resto raramente chiudevano a chiave, perché erano pur sempre i City Hunter, e pochi si sarebbero azzardati a violare il loro domicilio.
E comunque una serie di allarmi e trappole anti-intrusione, sarebbero scattate mettendoli in allerta.
 
Ryo, emozionato come non gli era mai capitato, avanzò trattenendo il respiro.
La socia era coperta appena da un leggero lenzuolo, e una lunga gamba nuda spuntava tra il tessuto; era coricata su un fianco e stringeva forte a sé un cuscino; mormorava frasi indistinte nel sonno, ma muoveva il bacino e le gambe in una parvenza di… stava forse facendo un sogno erotico?
Cosa stava sognando?
Chi stava sognando?
I suoi mormorii a bocca chiusa, i suoi movimenti, fecero precipitare l’uomo in un gorgo di lussuria e desiderio; memore del corpo a corpo avuto con la donna la notte precedente, ebbe un’improvvisa voglia di sostituirsi al cuscino, di prendere il posto che gli spettava, e dare seguito a quella danza solitaria.
Voleva essere lui il suo compagno di ballo, voleva essere lui il suo amante immaginario… reale.
 
 
Quasi frastornato dai suoi stessi pensieri, non si accorse di essersi spinto fino al letto della ragazza che non aveva perso di vista un solo istante; si era perfino seduto sul materasso e la fissava come ipnotizzato: era in presenza di una dea, di una creatura ultraterrena… era in presenza della donna che amava più di sé stesso.
Allungò una mano a sfiorarle un ciuffo ribelle di capelli sulla fronte, e come se lei lo avesse sentito, pur continuando a dormire profondamente, si lasciò sfuggire un lungo sospiro, a modulare il nome del socio: sospiro che lui sentì rifluirgli lungo la schiena, come un brivido, fino ai lombi.
Si umettò le labbra, la gola riarsa, ma si sentì morire quando udì la socia scandire, chiaramente:
 
“Ryo…? Perché non mi vuoi? Perché con me non ci provi mai?”
 
Ryo ritrasse la mano e quasi balzò all’indietro.
Cosa volevano dire quelle parole, quelle domande?
Non si erano forse baciati ed erano stati insieme giusto la notte precedente?
Lui le aveva innegabilmente fatto capire che la desiderava, la voleva, e lei non poteva non essersene resa conto; chi, se non lei, l’aveva abbracciato, baciato, morso, addirittura fatto un succhiotto sul collo, accarezzato facendolo gemere e mandandolo in visibilio?
Chi, se non lui, l’aveva toccata, sfiorata, con passione e rispetto, mordicchiata, lambita, dimostrandole totale abbandono?
Se si erano fermati, se non erano andati oltre, era stato solo perché lei aveva posto un freno… ma dannazione lui la voleva, la voleva, la voleva!
 
In preda alla frustrazione, si mosse di scatto, svegliando Kaori.
Lei spalancò i suoi caldi occhi assonnati sull’uomo, che mai come in quel momento si era sentito fragile ed annientato.
Non appena messa a fuoco la persona che le sedeva accanto, Kaori balzò su ed esclamò preoccupata:
 
“Ryo! Che-che succede? Siamo in pericolo?” e poi, un secondo dopo, istintivamente si coprì il corpo con il lenzuolo, ma anche volendo non ce ne sarebbe stato bisogno poiché indossava comunque la t-shirt della notte precedente.
 
Di fronte al crescente panico della socia, messa in allarme dalla sua presenza, tutti gli altri pensieri passarono in secondo piano, e Ryo si affrettò a calmarla:
 
“No, no, tranquilla… non è successo niente!”
 
“Ahhh… meglio così, allora” si rasserenò la ragazza udendo le parole del socio, e molto di più il tono con cui le aveva pronunciate; ma poi aggrottò la fronte, perplessa, e spontaneamente le venne da chiedere:
 
“E-e allora…perché sei qui?”
 
 
 
***
 
 
 
“Tesoro? Non vieni a letto?” gli aveva chiesto Kazue ore prima; ma lui le aveva risposto che doveva monitorare l’appartamento di Ryo e Kaori, perché “Ryo me l’ha chiesto”.
In realtà lo sweeper non gli aveva chiesto proprio un bel niente, ma l’americano si era messo in testa di scoprire cosa stesse succedendo al suo amico giapponese; a lui, e alla sua dolce socia.
Non era possibile che colui che conosceva come un dongiovanni incallito amante delle donne, si fosse trasformato di punto in bianco in un monaco bacchettone e antipatico; e comunque, che avesse un bel succhiotto fresco sul collo era evidente.
E dato che, quando loro due erano andati per locali, non aveva permesso a nessuna donnina di avvicinarsi, solo un’altra persona glielo avrebbe potuto fare.
Incredibile da credere, ma, ne era convinto, quella era Kaori!
Kaori che, allo stesso tempo, era stata pesantemente allontanata dal suo stesso socio; quindi… se i rapporti si erano così raffreddati fra i due, piuttosto che rinsaldati, come era possibile una cosa del genere?
Che fossero soggetti ad una forma di sonnambulismo atipico: che facessero cose di notte di cui non ne fossero minimamente consapevoli il giorno dopo?
 
Con Kaori non ci aveva parlato, e quindi non sapeva come si fosse comportata con lui, ma già il fatto che fosse uscita con la sua migliore amica, la diceva lunga sulla sua situazione.
Infatti, se i due avessero veramente fatto il grande passo, lei non avrebbe perso il suo tempo ad andare in giro a fare shopping con Miki; magari le avrebbe telefonato raccontandole la novità, quello sì, ma sarebbe rimasta in casa.
Con Ryo.
 
Mick aveva, quindi, discretamente piazzato qua e là dei sensori di movimento, e si era appostato alla sua finestra con un sofisticatissimo binocolo ad infrarossi che riusciva a rilevare il calore, anche attraverso le pareti, di persone o altre fonti di calore; così facendo, poteva monitorare gli spostamenti di quei disadattati  e vedere se non gliela contavano giusta.
 
Era lì da ore, e se non aveva prestato molta attenzione ai due durante la cena, poi, una volta uscito Ryo per i soliti giri, si era annoiato a morte a fissare la sagoma di Kaori stesa su quello che doveva essere il suo letto al piano di sotto, mentre evidentemente era addormentata.
Certo avrebbe tanto voluto essere lì con lei e farle compagnia, ma, si redarguì mentalmente, non era quella la sua missione e, soprattutto, ora stava con la bella infermiera.
 
Si era ridestato quando finalmente Ryo era rientrato a casa, e aveva seguito i suoi movimenti.
Peccato che si fosse rifugiato subito in camera da letto e fosse sprofondato a dormire; così almeno gli era sembrato.
L’americano si era chiesto, e non per la prima volta, se fosse ancora il caso di stare a spiarli, in una sorta di voyeurismo tecnologico, e se fosse l’idea giusta.
Ma quando, ormai collassato sulla tastiera del computer su cui registrava i dati, aveva nuovamente sentito il bip insistente dei sensori di movimento, si era stupito non poco del calore che promanava la persona dello sweeper.
 
Rianimatosi, aveva seguito il vagabondare del suo amico all’interno dell’appartamento e del palazzo, fino a quando aveva finalmente raggiunto Kaori.
 
“Bingo!” aveva esclamato, quindi, in preda all’esaltazione.
 
Per un attimo valutò di terminare lì il monitoraggio, avendo avuto la conferma dei suoi dubbi.
Ma allo stesso tempo una curiosità pruriginosa lo spingeva a continuare, per vedere se effettivamente quelle due forme di calore tremolanti, che altro non erano che i suoi due amici, si sarebbero infiammate ulteriormente fino a unirsi in un unico fuoco divoratore.
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
 
 
Ryo, preso alla sprovvista – e inchiodato da quella domanda che non si aspettava minimamente, convinto che la socia sarebbe stata ben felice di accoglierlo, magari nel suo letto – rimase attonito a fissarla.
Kaori fu costretta a ripetere, addolcendo stavolta il tono:
 
“Ryo, perché sei qui?”
 
“Perché…perché … sono venuto a vedere se avevi freddo, così ti avrei portato una coperta” rispose infine il socio, con la prima cosa che gli venne in mente.
 
Kaori resistette al primo impulso di prenderlo in giro, ricordandogli a male parole che era estate piena e di notte, come di giorno, si schiattava dal caldo; ma, curiosa di sapere il vero motivo che aveva spinto il suo adorato socio a raggiungerla fin laggiù nel pieno della notte, gli rispose:
 
“Molto gentile da parte tua, ti ringrazio, ma qui sto bene, la temperatura è ottimale”.
 
Di colpo il silenzio calò sui due sweeper, e il fatto che Kaori avesse acceso la luce della abat-à-jour, non migliorò la situazione.
 
Ryo era tormentato dalle visioni del suo sogno, ma anche dai ricordi dei momenti passati insieme la notte precedente: era sicuro che fosse successo qualcosa fra loro, e istintivamente si portò la mano al collo, al marchio dei loro giochi amorosi.
Kaori non sembrò farci caso, e lui si chiese per quale motivo lei non gli desse la possibilità di riprendere, non facesse un accenno, non chiedesse nemmeno un odiosissimo: “E allora, cosa facciamo adesso?” che poteva voler dire andiamo avanti o ci fermiamo qui.
 
Era come… era come se Kaori non ricordasse nulla: un’altra delle sue solite amnesie?
Ryo si ribellò: stavolta doveva ricordare!
Non era possibile che non rammentasse nulla!
Era stata così appassionata, così amorosa…
Si era piacevolmente stupito di come fosse bastato poco, con lei, per vederla trasformare da innocente e timida ragazzina, in passionale giovane donna che sa quello che vuole.
Effettivamente se lei non ricordava nulla, e se lui avesse voluto avere nuovamente quello stesso tipo di approccio con lei, avrebbe dovuto… ricominciare da capo!
Sedurla di nuovo!
 
“Poco male” pensò allora l’uomo “la desidero così tanto che non posso più aspettare”.
 
E così fece.
 

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Capitolo 8
*** Per fortuna ci pensa Mick! ***


Bene, noto con piacere che tutto sommato il Mick guardone l’avete apprezzato eheheheheh Ora vediamo che piega prenderà la storia alla ‘luce’ delle scoperte del biondone che ci piace tanto ^_^
 
 
Cap. 8 - Per fortuna ci pensa Mick!
 
Il giorno dopo, Mick fece assai fatica ad alzarsi dal letto dopo aver, in pratica, passato la notte in bianco.
Ma era troppo curioso di andare a vedere con i suoi occhi, le eventuali conseguenze della nottata sui suoi amici sweeper.
Quindi attese che Kazue se ne andasse al lavoro poi, fattosi una doccia rigenerante, si presentò alla porta di casa Saeba-Makimura.
 
Non appena entrò nell’appartamento con la solita gaiezza, stavolta ben studiata per nascondere i suoi intenti indagatori, non percepì nulla di strano fra i due: Kaori preparava la colazione canticchiando, e già solo il profumino che si sprigionava dalla cucina lo metteva di buon umore, e Ryo, che leggeva il giornale, lo invitò ad unirsi a loro, apparentemente molto felice di vederlo.
 
E, per una frazione di secondo, Mick si ricordò dello strano discorso che gli aveva fatto il suo amico a proposito dei passatempi fra soli uomini.
Ma poi si disse che se veramente quei due avessero combinato, e fossero diventati una coppia a tutti gli effetti, lui, Mick, se fosse stato al posto di Ryo, non avrebbe voluto altro che passare tutto il suo tempo con la divina Kaori.
Quindi, possibile che Ryo fosse contento di vederlo solo perché bisognoso di compagnia maschile?
Si diede del cervellotico e si accomodò al tavolo della colazione.
 
“Allora, ragazzi, novità?” chiese direttamente, in tono leggero, come se fosse un argomento come un altro per iniziare una qualsivoglia conversazione, ma abbastanza subdolo per metterli alla prova.
Kaori, infatti, era troppo sincera ed ingenua per nascondere certe cose, e il suo inevitabile imbarazzo l’avrebbe tradita.
Più difficile, però, era decifrare Ryo: con la sua solita faccia di bronzo, era sempre riuscito a nascondere ogni più piccola debolezza, tranne quando si trattava di belle donne e della possibilità di portarsele a letto.
In un certo senso l’americano aveva gettato la bomba, e si aspettava l’inevitabile esplosione che… non avvenne, perché, altrettanto distrattamente, mentre Kaori gli versava il caffè caldo, gli rispose, senza nemmeno alzare gli occhi:
 
“In che senso?”
 
E non era un atteggiamento volto a nascondere il disagio, il suo, perché lei veramente l’aveva presa come un innocuo inizio di conversazione.
 
Vistosi persa la prova regina dell’affair notturno, Angel spostò rapidamente la sua attenzione su Ryo, che lo guardò interrogativamente prima di rispondergli:
 
“Ci siamo visti giusto ieri pomeriggio… quindi non ho niente da raccontarti, mi spiace. Anche la situazione sembra essere insolitamente tranquilla per tutto Shinjuku…”
 
“Ah” commentò deluso l’americano.
 
A quel punto Kaori si voltò a guardarlo: aveva percepito la sua delusione e, per un attimo, se ne chiese la ragione; ma poi tornò alle sue incombenze, prima di sedersi a sua volta e invitare gli altri, gaiamente:
 
“Forza ragazzi, mangiamo prima che si raffreddi!”
 
Mick inforcò un abbondante dose di cibo e ruminò pensosamente: possibile che loro due fossero diventati così abili nel dissimulare un evento grosso come quello???
Pensò di tornare all’attacco:
 
“Dormito bene stanotte?” e si produsse in un sorriso che avrebbe fatto invidia allo Stregatto di Alice nel Paese delle Meraviglie.
 
“Divinamente” rispose Ryo “Anzi, ad essere sincero all’inizio era abbastanza caldo, del resto con ventotto gradi fuori era inevitabile soffrire un po’, ma poi mi è bastato aprire la finestra e poi…”
 
“Sì, sì, ho capito…” l’interruppe Mick, in tono sgarbato; ci mancava solo che Ryo si dilungasse in spiegazioni pedanti sulla meteorologia e il modo di combattere il caldo in Giappone.
Ryo, dal canto suo, ci rimase un po’ male.
 
“E tu, Kaori?” rincarò la dose l’americano.
 
“Questa mia seconda notte da sola è andata meglio della precedente, credo che stia iniziando ad abituarmi a quel vecchio materasso… Ho fatto tutta una tirata, comunque, grazie. E tu?” gli domandò infine con un sorriso innocente.
 
“Da schifo…” bofonchiò Mick.
 
“Eh?” esclamò Kaori.
 
“Niente niente, lascia perdere” le rispose, e si ributtò nella colazione, infastidito.
 
“Mi sembri strano” lo raggiunse la voce di Ryo “Cos’hai stamattina?”
 
“Chi? Io??? Voi piuttosto!!! Cosa diavolo avete?!” sbottò infine esasperato.
 
I due sweeper si guardarono al colmo dell’incomprensione, si strinsero nelle spalle e scossero la testa.
 
Poi Mick, ficcatosi l’ultima porzione di cibo in bocca e trangugiato l’ennesimo sorso di caffè nero bollente, si alzò, ringraziò e infilata la porta, lasciò i due amici più esterrefatti che mai.
 
 
 
 
Non molto tempo dopo Mick li vide uscire, di nuovo vestiti come i Men in Black, e seppe che stavano andando al lavoro, o a cercarlo alla stazione.
Sembravano emotivamente distanti: non bisticciavano come al solito, non si toccavano nemmeno a farlo apposta, non si accapigliavano, si sfioravano appena; per fortuna presero la stessa macchina, almeno quello!
Sospirò in preda alla frustrazione, poi si buttò sul letto, dove il sonno accumulato prese il sopravvento.
 
 
 
 
***
 
 
 
Per tutte le notti successive, Mick si mise alla finestra con il famoso binocolo ad infrarossi, e per tutte le notti vide Ryo andare in cerca della sua socia che continuava a dormire di sotto, e il tragitto era sempre lo stesso: prima passava dalla sua vecchia stanza, e poi scendeva al piano sottostante.
Quasi sempre s’incontravano nella stanza di lei, raramente in altri locali dell’altro appartamento, e in qualche modo passavano la notte insieme.
E tutte le mattine seguenti, Mick faceva in modo di trovarsi a casa loro per la colazione, o d’incontrarli per strada o al Cat’s Eye.
Purtroppo sfoggiavano sempre lo stesso atteggiamento: Ryo era il solito monaco inacidito con rari sprazzi di gentilezza verso la sua collega di lavoro; Kaori si tratteneva a stento dal mandarlo al diavolo per quel suo comportamento scostante e misogino, e sembrava essere al limite delle sue forze.
Del resto non era facile avere a che fare con un Ryo odioso come era diventato lui.
 
Un giorno che si erano incontrati tutti per caso nel locale di Miki, quando i due City Hunter furono usciti, Mick si lasciò andare ad un sospiro scorato che non sfuggì ai due ex-mercenari.
 
“Qualche problema, Angel?” chiese premurosa Miki.
 
“Direi di sì” rispose lui in preda alla delusione.
 
“Spiegati” volle sapere la ragazza, mentre suo marito si faceva tutt’orecchi.
 
Poi Mick, come a ripensarci:
 
“Ma no, non è nulla…” e ridacchiò a disagio; forse si era lasciato sfuggire qualche parola di troppo?
 
“Dai, lo sai che siamo tutti amici qui, siamo una grande famiglia… magari possiamo aiutarti” gli disse la barista facendosi vicina e appoggiando i gomiti sul bancone ad un passo da lui.
 
“Non so se è il caso…” nicchiò l’americano.
 
“Angel! Non farci perdere tempo!” tuonò Umibozu, facendolo sobbalzare sullo sgabello.
 
“Okay, okay, non ti scaldare!” rispose l’uomo, con una bella goccia di sudore lungo la tempia “Il fatto è che Ryo…”
 
“Cosa ha combinato stavolta, quel pivello?” l’interruppe Falcon.
 
“…emmm, ci stavo arrivando… eh eh eh eh… dicevo… è che Kaori, lei…”
 
“Kaori? Cosa le è successo?” s’intromise Miki.
 
“Insomma, mi volete lasciar finire di parlare?” sbottò l’americano.
 
“Smuoviti allora, che si è fatta quasi l’ora della chiusura” lo stuzzicò Umi.
 
“Io credo che Ryo e Kaori stiano insieme!” disse infine tutto d’un fiato, e fece una pausa per essere sicuro che i due capissero la portata della cosa.
Falcon si diresse allora alla porta del locale, e girò il cartellino da open a closed.
 
“Vai avanti” gli disse poi, sedendosi sullo sgabello accanto al suo che gemette sotto il suo peso.
 
“Lo penso perché li ho spiati”
 
“Angel!” si stizzì Miki.
 
“Aspetta a giudicarmi, non è come sembra!”
 
“E come sembra?” grugnì Falcon.
 
“Eh, ma anche tu non me la rendi facile” gli rispose di rimando l’americano.
 
“Ripartiamo dall’inizio” disse poi raccogliendo le idee “Voi avete visto in che modo ridicolo si comporta Ryo ultimamente, no? Quella volta che l’ho portato con me per locali, non ha sfiorato una sola donnina e, schifato, ha respinto tutte; mi ha fatto dannare e non sapevo più come fare per… per… okay, avete capito. Con Kaori si comporta da schifo… ma solo di giorno” e li guardò significativamente “Sì, perché di notte lui va da lei e… e stanno insieme!”
 
“Ma questo… questo cosa vuol dire?” interloquì Miki “Come è possibile? E poi Kaori me lo avrebbe detto, non trovi?”
 
“È questo il punto!” esclamò esultante Mick “Sono così bravi a dissimulare, che non lasciano trasparire niente di quello che succede di notte fra loro! Voglio dire: se finalmente stanno insieme, perché tutta questa messa in scena? Anche se a quel punto Ryo le dovrebbe la fedeltà, non c’è bisogno di comportarsi così sfacciatamente da idiota misogino, e trattare male anche lei! E poi se non lo dicono a noi che siamo i loro amici, a chi altri? E il bello è che io li ho spiati a lungo, di giorno e di notte, e veramente sembrano due altre persone!!!”
 
“Perché avresti dovuto spiarli di notte?” chiese a bruciapelo Umibozu, che odiava gli intrallazzi amorosi.
 
A disagio Mick rispose:
 
“Perché, perché Ryo, quando era uscito con me, non si era fatto avvicinare da donna alcuna, e quando mi sono fermato a casa loro, lui è andato a letto presto; però il giorno dopo aveva un bel succhiotto sul collo. E chi poteva averglielo fatto, se non Kaori?”
 
“Ohhhh” fece Miki portandosi una mano alla bocca al colmo dello stupore, ma poi dopo una brevissima pausa, troppo curiosa di sapere il seguito, incalzò “Ma questo quando sarebbe successo? Quella stessa mattina lei era arrivata da me direttamente da casa sua, dove aveva litigato con Ryo che la costringeva a vestire come una ragazzina; era fuggita da lui così come si trovava, senza nemmeno aver preso la borsa, ed era affranta per il suo comportamento freddo e scostante. Non era felice di questa nuova situazione con Saeba… E poi, e poi… no, no, non posso crederci! Lei me lo avrebbe detto!” E tacque pensierosa per un po’, poi riprese: “Io le ho pure promesso che l’avrei aiutata a risolvere la questione, suggerendole che magari Ryo è solo malato, ma a questo punto, se è vero quello che dici tu, la questione è bella che risolta!”
 
“Guarda, non so più cosa pensare” ammise sconsolato Mick, per poi aggiungere: “Comunque Ryo, anche se la fa dormire di sotto, e già di suo questo è un controsenso, poi va da lei e passano del tempo insieme. Ora, io non credo che lui soffra d’insonnia e abbia bisogno di lei che gli canti la ninnananna, voi che dite?” concluse con un sorrisino sarcastico.
 
“Devo indagare!” saltò su decisa la signora Ijuin.
 
“Miki…” la redarguì il marito “non t’impicciare. Se ce lo tengono segreto, avranno i loro buoni motivi”.
 
Ma Mick non poteva sapere, così come la coppia di ex mercenari, che mentre ogni giorno Ryo era veramente un misogino odioso, di notte, appena si addormentava e quei suoi deliri erotici gli invadevano la testa, quando i suoi istinti più veri riuscivano a liberarsi, lui non riusciva a resistere all’attrazione e all’amore che provava per Kaori.
E tutte le notti andava da lei, la conquistava, la seduceva, poiché era ciò che volevano entrambi, e si amavano – senza mai arrivare al punto di non ritorno, perché lei si ritraeva sempre all’ultimo momento – ma mentre, Ryo si ricordava di ciò che avveniva nei loro incontri, Kaori sembrava dimenticare tutto, e lui doveva ogni volta ricominciare da capo, riconquistarla, così che lei si lasciasse andare come aveva sempre desiderato fare.
E se all’inizio Ryo trovava in un certo modo eccitante doversi misurare con il suo potere di seduzione, e sfoggiava tutte le sue arti amatorie per conquistare l’amata Kaori – anche se, nel momento stesso in cui metteva piede nella sua stanza, era lui il conquistato – a lungo andare la sua frustrazione cresceva, notte dopo notte, perché gli sembrava impossibile che Kaori dimenticasse ogni volta quello che c’era stato fra di loro.
Purtroppo o per fortuna, però, entrambi, durante il giorno, non ricordavano le loro avventure amorose e, di fatto, non fingevano che non ci fosse stato niente fra loro, perché non ne erano minimamente coscienti.
 
Però una notte, in cui Ryo era particolarmente smanioso e forse meno paziente delle altre volte, mentre si approcciava alla socia, che comunque rispondeva con entusiasmo alle sue attenzioni, dopo essersi baciati e accarezzati a lungo, volle provare ad andare oltre, ma lei, puntualmente, si ritrasse, e allora lui indispettito e scocciato, sbottò:
 
“Kaori, perché fai sempre così???”
 
Lei si staccò da lui quasi di scatto e, guardandolo attraverso i capelli scarmigliati che le ricadevano scompostamente sulla fronte, dilatò gli occhi incredula:
 
“Ma-ma che stai dicendo?” riuscì a chiedergli.
 
“Che tutte le notti arriviamo fin qui, e poi tu non vuoi più andare avanti…”
 
“Io??? Ma come puoi dire una cosa del genere, se è la prima volta che-che… che noi… facciamo cose!” esclamò sconvolta.
 
Ryo sapeva benissimo che lei non ricordava i loro approcci, ma ciò non toglieva che quella situazione fosse a dir poco snervante: lui si era deciso a fare il grande passo, si era dimostrato innamorato, bisognoso del suo amore, attratto fisicamente, desideroso di lei, e lei lo aveva visto, lo aveva accolto, lo aveva assecondato, aveva fatto la sua parte, ma in ultimo, aveva sempre avuto un freno.
E l’uomo non poteva consolarsi dicendosi che la prossima volta avrebbero fatto di più, che avrebbero compiuto un ulteriore passo in avanti, perché lei, assurdamente, azzerava tutto.
Del resto, lui non si chiedeva minimamente perché questi incontri avvenissero solo di notte, quando comunque, di giorno, passavano tanto tempo insieme lo stesso; quindi non era solo colpa di Kaori se le cose non prendevano una certa piega, e anzi ritornavano sempre ai blocchi di partenza.
Come leggendogli nel pensiero infatti, Kaori continuò:
 
“Inoltre, cosa dovrei mai pensare di te, che ultimamente mi tratti malissimo e poi di punto in bianco ti presenti qui, in piena notte, e fai tutto il carino, e lo sai che io… che io non aspetto altro! Tu conosci bene i miei sentimenti, non scherzarci su, almeno questo me lo devi!” e dicendolo si rimise a sedere e si risistemò la maglia, sformata dal tanto rotolarsi nel letto.
Stava prendendo idealmente le distanze da lui, e Ryo sentiva che il gelo stava scendendo fra di loro.
 
“Tu lo sai che scherzo!” provò a difendersi puerilmente l’uomo.
 
“Ah, è così? E lo chiami scherzare volermi allontanare, rispedirmi qui nemmeno fossi una lebbrosa da tenere in quarantena, costringendomi a vivere di fatto lontano da te, non più in quella che da anni consideravo la mia casa, ormai. Ti sono utile solo come cuoca e serva, e manco tanto. È vero, ultimamente mi fai la gentilezza di apprezzare almeno il cibo che ti cucino, ma per il resto sei diventato spocchioso e pedante. E se prima ti odiavo quando mi facevi sentire brutta, inadatta, un uomo mancato, un travestito persino, l’unica donna che non ti avrebbe mai eccitato… ora che sei diventato scostante con tutte le donne e mi tratti come un essere asessuato, la cui sola vista sembra infastidirti, ti detesto! Non sei più il Ryo di una volta, quello che conoscevo e sapevo come trattare… Ora non mi piaci più!” sbottò infine e, non appena si accorse di ciò che aveva detto, allarmata si portò una mano alla bocca, ormai troppo tardi.
 
Ryo, che del suo comportamento diurno aveva sempre un vago ricordo quando girava di notte in cerca della donna della sua vita, si risentì enormemente; le parole incomprensibili che gli aveva sputato contro la sua socia, lo avevano ferito profondamente.
Piccato, proruppe dicendo:
 
“Eppure non mi sembrava che ti facessi così tanto schifo, fino ad un minuto fa!” e le lanciò uno sguardo sardonico.
 
“È vero” gli rispose di getto la ragazza, stupendolo enormemente, perché non si aspettava quell’ammissione a bruciapelo “perché prima eri più simile al Ryo che conoscevo, e mi andavi bene così…”
 
A quel punto Ryo perse tutta la sua sicurezza, e guardandola con profondi occhi da bambino sperduto le chiese:
 
“E allora perché… perché non vuoi farlo con me?”
 
Kaori, sentendolo parlare così, ebbe un moto di affetto verso di lui, e di colpo la rabbia e il risentimento si stemperarono.
A volte dimenticava che Ryo fosse anche così fragile e umano, un uomo meraviglioso che in passato aveva sofferto tantissimo e che aveva un cuore grande; non era anche per questo che si era innamorata di lui?
 
“Io, io…” prese a dire lei “non è vero che non voglio farlo con te… è solo che…” d’improvviso le mancarono le parole, ma poi si fece forza; erano arrivati ad una sorta di resa dei conti e voleva andare fino in fondo alla questione “Io, Ryo, ho paura che tu… che tu ci stia provando con me perché non hai nessun’altra, perché sono qui, a portata di mano. Che sarà solo un’avventura e domani te ne sarai già dimenticato, mandando in frantumi il mio cuore!”
 
“Ma se sei tu che dimentichi tutto!!!” quasi urlò l’uomo, colpito nell’orgoglio.
 
Kaori sobbalzò.
 
“Ma cosa stai dicendo?” gli domandò per la seconda volta “Io non dimentico un bel niente, sei tu che…”
 
“Va bene, non importa” tagliò corto lui, interrompendola “forse ho sbagliato tutto, scusami” disse tirandosi su in piedi, e poi dandole le spalle, prima di prendere la porta “Ho bisogno di una boccata d’aria, buona notte” e uscì lasciandola lì, impietrita.
 
“Ryo…” mormorò infine la ragazza.
 
Ecco, l’aveva fatto di nuovo: Ryo aveva distrutto le sue speranze, l’aveva in qualche modo offesa, ferita, e il fatto che Kaori non capisse dove lei stesse sbagliando, dove stessero sbagliando loro, rendeva più amaro il boccone da inghiottire.
 
Affranta si rigettò sul letto, a soffocare i singhiozzi nel cuscino; si sentiva in colpa, si dava della stupida vigliacca, che per paura di concedersi a lui, l’aveva invece perso.
Si ripeteva fino allo sfinimento che Ryo era un uomo di mondo, che non perdeva certo tempo con le ragazzine inesperte come lei; che se ci fosse stata, lui sarebbe rimasto, avrebbero passato la notte insieme, lei avrebbe coronato il suo sogno.
Ma poi aggiungeva anche che lei voleva molto di più di una notte di sesso con Ryo: voleva il suo cuore, voleva essere sicura dei suoi sentimenti, voleva sentirgli dire che l’amava, che voleva stare per sempre con lei.
Era chiedere troppo?
Avrebbe dovuto svendersi così?
E di nuovo ricominciava da capo, in preda alla confusione più totale, con il cuore stretto in una morsa e la testa tempestata di domande.
 
Ryo, andandosene, era consapevole di averle fatto del male e fatta soffrire, ma si era trovato nell’impossibilità di gestire quella situazione complicata al limite dell’assurdo: non sapeva cos’altro avrebbe potuto fare.
E l’enorme desiderio che provava per lei, non sarebbe stata una valida giustificazione per tentare di prenderla comunque, di forzare la mano.
No, la rispettava enormemente e non avrebbe anteposto i suoi bisogni fisici alla serenità della ragazza.
Se non si sentiva pronta avrebbe aspettato, anche se, appunto, sembrava un’attesa senza soluzione di continuità.
Kaori voleva inoltre essere sicura che il loro non sarebbe stato solo sesso…
Ma lui, quello sapeva fare.
In che altro modo avrebbe potuto dimostrarle il suo amore?
Gli si stringeva il cuore a saperla lì da sola a piangere, ma, si disse con amara ironia, non appena si fosse addormentata di nuovo, avrebbe dimenticato tutto, anche il loro litigio, e la notte successiva avrebbero ricominciato da capo.
Gli sembrava una maledizione e, per l’ennesima volta, si chiese cosa avesse mai fatto per meritarsi una cosa del genere.
 

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Capitolo 9
*** Ammissioni ***


E arriva anche il 9… piano piano, cacchio cacchio, vi avverto che è cortino, ma al solito così doveva essere. Spero però che vi piaccia, in attesa degli altri.
Grazie gente a presto
Ele

 
 
 
 
Cap. 9 Ammissioni
 
Mick, che quella sera si era trovato per caso alla finestra a fumare una sigaretta, quando vide uscire Ryo a notte inoltrata, ebbe un sussulto: che fosse successo qualcosa in città, per cui era necessaria la presenza di City Hunter?
Per quale motivo il grande Ryo Saeba lasciava l’intimità della sua casa, e la sua amante, per andarsene in giro da solo nella notte?
 
Afferrò al volo la giacca e si precipitò giù in strada, con l’intento di raggiungerlo.
 
“Ci facciamo il bicchiere della staffa?” propose a mo’ di saluto.
 
“Ah, Angel, sei tu?” gli rispose distrattamente il giapponese.
 
Ryo sembrava profondamente affranto, capelli scarmigliati, i lineamenti tirati: Mick capì subito che era accaduto qualcosa di grave, d’importante, e di colpo perse tutto il suo brio.
Che avesse litigato con la bellissima socia?
 
“Allora? Dove si va di bello?” domandò l’americano, ostentando un falso buon umore.
 
“Ho bisogno di camminare, di aria, quindi ovunque. Basta che non sia per locali”
 
“Ricevuto!” e gli fece il saluto militare.
 
Ma Ryo non era in vena di scherzi e battute e, con le mani sprofondate nelle tasche dei jeans, si avviò meccanicamente verso il primo marciapiede.
 
Il silenzio gravava sui due, e Mick non sapeva da che parte cominciare.
Conosceva abbastanza bene il suo amico, però, per sapere che al momento giusto avrebbe parlato, forse, anche se a volte aveva bisogno di un piccolo aiutino.
 
Angel non condivideva la mentalità giapponese, e la loro ostinata eccessiva pudicizia in fatto di sentimenti e stati d’animo: si frenavano sempre, si nascondevano dietro una cortina di buone maniere, educazione o, come nel caso di Ryo, di eccessi al limite dell’osceno.
Immaginava comunque che il problema che assillava lo sweeper fosse in qualche modo legato al nuovo ménage stabilito con la socia, e, soprattutto per lei, si preoccupò.
Di fatto l’amico l’aveva lasciata da sola, nel bel mezzo della notte, mentre le altre volte a quest’ora erano piacevolmente insieme.
 
Buttò lì un:
 
“Ne vuoi parlare?”
 
Ryo rispose tirando un calcio ad un sasso e facendolo volare al di là della carreggiata, fino a colpire una macchina in sosta.
 
“Kaori sta bene?” domandò l’americano.
 
“Le passerà… o meglio… dimenticherà” e lo disse con una smorfia che, nonostante l’avesse rivolta ai suoi piedi in movimento, Mick non mancò di notare.
 
“Cosa le hai fatto stavolta?” saltò su il biondo, già leggermente alterato: teneva troppo a Kaori per non avercela con Ryo, che non faceva altro che farla soffrire.
 
“Non ti ci mettere anche tu a darmi la colpa!” sbottò furiosamente Ryo, voltandosi a guardare l’amico.
 
“E allora parla, spiegati, non fare come al solito tuo che la gente deve capire, interpretare le tue parole sibilline, i tuoi silenzi! Se non vuoi essere accusato, se vuoi essere aiutato, parla perdio, una buona volta!Parla chiaramente!” rispose con altrettanta enfasi Mick.
 
I due si fermarono, davanti un negozio con la saracinesca abbassata; dall’altro lato della strada si apriva un viale alberato e, in fondo, si intravedevano le poche macchine sfrecciare, lontane, con le luci scintillanti a perdersi in quelle palpitanti e roboanti delle insegne al neon.
 
Si fronteggiavano, Mick in attesa, Ryo dilaniato da mille pensieri, dubbi, ripensamenti; come avrebbe potuto raccontare e spiegare, al suo amico, la situazione che stava vivendo con Kaori?
Violare la loro intimità spiattellandola all’americano, e magari sminuirsi ai suoi occhi come quello che non riesce a concludere, colui che va in bianco con l’unica donna di cui gli sia mai importato veramente...
Lo stallone di Shinjuku che fallisce miseramente, anche con la sua socia innamorata.
E contemporaneamente come spiegare qualcosa che non capiva lui stesso?
Era così tanto incredibile che pareva addirittura impossibile.
Mick l’avrebbe preso per matto, suonato?
Eppure lui non si era né sognato né inventato nulla, pertanto si decise a parlare:
 
“Angel, mi sono imbarcato nell’avventura più rischiosa della mia vita, ma anche la più eccitante…” e fece una brevissima pausa, per raccogliere le idee e scegliere bene le parole; riprese: “Mi sono buttato, con Lei, con Kaori, intendo! Tre, quattro notti fa, è successo, senza che io l’avessi deciso, senza troppo pensarci… Capisci? Ci ho provato e lei, ovvio, c’è stata, perché lei è innamorata di me ed io… io la desidero Mick, la voglio, che io sia dannato!”
 
“… e….???” lo spinse a proseguire l’amico, per nulla impressionato dalla sua confessione, non tanto perché già sapeva tutto, ma perché conosceva benissimo quanto si amassero quei due testoni, e tutti facevano il tifo per loro, non vedevano l’ora che si decidessero a mettersi insieme.
 
E cosa?” domandò, quasi infastidito, lo sweeper giapponese.
 
“Che la desideri è cosa nota, e non fatico a crederti, perché Kaori è bellissima, ma c’è dell’altro… ti sei sempre trattenuto in tutti questi anni e non credo che tu abbia ceduto così, per caso, una notte qualsiasi di punto e in bianco… e non credo che sia solo un love affair di una sera”
 
“Hai ragione, infatti poi ci siamo visti tutte le notti, da quella volta che sei rimasto a cena da noi. Mick, non so cosa mi sia preso, ero riuscito a tenermi a bada per tutto questo tempo, ma poi ho iniziato a cedere, giorno dopo giorno, mi sono aperto, esposto… la notte prima di Kaibara, e quel bacio attraverso il vetro, quando ero sicuro che non ci saremmo più rivisti, e poi là, nella radura. Ma più di tutto è stato stare con lei, in casa, sul lavoro, in giro, semplicemente senza far niente… ho bisogno di lei e non posso più farne a meno!” concluse la tirata con un misto di rassegnazione e veemenza.
 
“Sei innamorato cotto, amico mio, ecco cos’è, e non ci sono scuse… Ma non capisco dov’è il problema! Più che altro, gliel’hai detto che la ami?”
 
“Ma certo che no!” sbottò Ryo, come se fosse un’ovvietà.
 
“Ecco dov’è il problema, allora! E tu sei il solito asino che dà tutto per scontato! Ti riempirei di calci e pugni, e ti spaccherei quella bella faccia di bronzo che hai. Dio, che nervi, ti ucciderei con le mie stesse mani quando fai così…” rispose di rimando Mick in preda alla collera.
 
“Comunque non è quello che mi assilla, anche se, effettivamente, se non siamo mai andati oltre… e sai cosa intendo è perché.. Sì, forse è proprio per quello: perché non si fida ancora di me…” finì in tono pensieroso.
 
“Visto? Poverina, ha pienamente ragione! Tu sei il solito farfallone idiota, che fa un passo avanti e dieci indietro! Ogni qualvolta ti sei esposto, come hai detto tu prima, poi hai rinnegato sempre tutto, spezzandole il cuore invariabilmente. Fai del sesso la tua bandiera, e quindi spiegami perché dovrebbe concedersi a colui che l’ha sempre fatta sentire uno schifo, una donna da poco, anzi un uomo venuto male! Ah se almeno fosse sicura che la ami Ryo, sì che la ami come merita, e come lei ama te, sarebbe tutto diverso” gli spiattellò in faccia l’americano.
 
“Senti, non ti sto raccontando queste cose per farmi fare la paternale da te!” ribatté sulla difensiva Ryo.
 
“E allora per quale motivo ora sei qui con me, anziché essere fra le braccia di quella donna fantastica che sta lì” e accennò col capo idealmente in direzione del palazzo che si erano lasciati alle spalle “magari ad aspettarti, o peggio a piangere tutte le sue lacrime perché, ne sono certo, hai commesso l’ennesima cazzata con lei e l’hai fatta soffrire?” incalzò il biondo, deciso ad andare fino in fondo e a cantargliele, una buona volta.
 
“Perché…” cercò di rispondere lo sweeper “perché… Mick non so come spiegartelo. Ogni singola notte che vado da lei, devo ricominciare tutto da capo, perché Kaori non si ricorda niente! Non ricorda che la sera precedente siamo già stati insieme, ed io in un certo senso devo sedurla, conquistarla di nuovo”
 
“Cosa???” esplose Angel, in preda al più vivo stupore.
 
Certo lui li aveva spiati, aveva seguito i loro movimenti, gli spostamenti, ma se poteva intuirne l’epilogo, non sapeva cosa si dicessero ogni volta, non poteva sapere che di fatto era sempre una prima volta.
 
“Spiegati meglio” rincarò Mick.
 
“Semplice. Io vado a letto, faccio dei sogni erotici stranissimi, quasi degli incubi, mi sveglio agitato, sudato, stravolto, e ho solo un’idea in testa: andare da lei. Non so perché la trovo sempre a dormire giù alla sua vecchia camera da letto… entro nella sua stanza, lei dorme serena, poi si sveglia sentendomi, o io in qualche modo la ridesto, parliamo, io mi invento una scusa sul fatto di trovarmi lì, e poi da cosa nasce cosa, finiamo per baciarci, accarezzarci, insomma sai come vanno queste cose!” tagliò corto “Ma la volta dopo che mi ripresento da lei, Kaori non ha memoria di ciò che è successo la volta precedente. Non so come fa, ma non ricorda nulla. Per me è frustrante al massimo perché mi richiede enorme pazienza, e perché così non progrediamo mai! Come facciamo ad essere una vera coppia se lei dorme in un altro letto, addirittura in un altro appartamento, e non si ricorda di me, di noi, di quello che abbiamo fatto insieme???”
 
Ryo sembrava veramente disperato; Mick non l’aveva mai visto in quelle condizioni e si allarmò, anche perché veramente la situazione che gli aveva appena descritto era paradossale, assurda, e avrebbe snervato chiunque.
Per un attimo sorrise beffardo dentro di sé: Ryo Saeba, colui che aveva sempre combattuto contro i suoi stessi sentimenti verso la cara socia, nel momento in cui aveva deciso di donarsi a lei, si trovava nell’impossibilità di far proseguire la loro relazione; proprio lui che lo desiderava tantissimo, lo stesso che aveva voluto vivere nell’immobilismo per anni e anni.
E quella strana amnesia di Kaori, beffarda per quanto inspiegabile, poiché non gli risultava che avesse subito dei traumi recentemente, costringeva Ryo a corteggiarla e conquistarla in continuazione, ripartendo da zero ogni volta.
E ben gli stava, tanto più che almeno una volta aveva approfittato della confusione mentale della ragazza, per tirarsi indietro e misconoscere i passi avanti fatti.
Ma poi Mick si ricordò anche di un’altra cosa di cui non aveva tenuto conto al momento, e cioè che mentre il Ryo che gli era di fronte era tale e quale a quello che conosceva da una vita, un altro prendeva possesso del suo amico di giorno, una copia contraria in tutto e per tutto al Ryo Saeba originale.
Infatti gli disse:
 
“Ryo, ma anche tu sembri dimenticare ogni volta quello che succede fra voi due, la notte!”
 
“Ma che stai dicendo, non è assolutamente vero!” scattò lo sweeper.
 
“Ah, no? E chi è che schifa tutte le donne, è diventato un noiosissimo bacchettone, non va più per locali, non guarda e non legge porno, e crede che sia sconveniente condividere un appartamento con una ragazza giovane e carina come Kaori? Per inciso: sei stato tu a rispedirla di sotto, e sempre tu a pretendere che vestisse in maniera castigata perché troppo sexy per i tuoi gusti! Sei arrivato a farle indossare un tuo vecchio completo da uomo, e quando andate in giro sembrate la parodia di Stan Laurel e Oliver Hardy”.
 
“Angel, non prendermi in giro! Io non sono così. Il grande stallone di Shinjuku che schifa le donne??? Impossibile! Come è impossibile tutto quello che mi hai appena raccontato. Per quanto riguarda Kaori… a me va benissimo così come si veste, anzi, è sempre uno spettacolo, e la troverei bellissima anche vestita di stracci”.
 
“Ecco, per questa ultima frase ti riconosco e ti do ragione; per il resto, caro mio, io non m’invento niente. Non so cosa ti sia preso, quale ne sia la causa, ma di giorno sei veramente un rompicoglioni da paura! Nemmeno Kaori ti sopporta più, e se non mi credi te ne porterò le prove. Domani ti riprenderò di nascosto e ti farò vedere come sei, come è Kaori in tua presenza, e come siete quando state insieme. Poi mi dirai!” sentenziò Mick Angel.
 
“Affare fatto!” rispose deciso Ryo tendendogli la mano “È così assurda la cosa, che davvero mi farò quattro risate!”
 

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Capitolo 10
*** Private eye ***


… E così eccoci al cap 10. Credo che così veloce ad aggiornare le fic non lo sono stata mai ^.^ merito della mia betatrice flash BrizMariluna (Briz65)
Spero sia di vostro gradimento
GrAzIe
Eleonora

 
 
 
Cap. 10 Private eye
 
Per tutta la giornata seguente Mick stette sempre appiccicato a Ryo, principalmente, e, incidentalmente, a Kaori: con una microcamera sistemata sull’occhiello della solita giacca impeccabile, registrò e documentò tutto del comportamento del suo amico giapponese, fin dalla prima colazione, quando piombò in casa Saeba-Makimura con la scusa di scroccare un caffè.
 
Riprese tutto: quando Ryo, con quel suo distaccato e benevolo atteggiamento, lodò le doti culinarie della socia, la quale si stava ormai lentamente abituando a questo unico lato positivo del grande cambiamento del socio; registrò quando, con tono paternalistico, rimproverò la partner per aver indossato una minigonna troppo pretenziosa per i suoi gusti, e quando, successivamente, lei dovette uscire con quel completo da uomo che tanto l’infagottava facendola sentire, oltre che ridicola, alquanto fuori luogo ovunque andasse.
Mick non si perse nemmeno il momento in cui, entrando al Cat’s Eye, Ryo disdegnò di provare a saltar addosso alla bella Miki, come pure aveva fatto durante tutto il tragitto, da e per il locale, passando per la stazione, di fronte alle sventole che avevano via via incrociato.
 
Un po’ perché, ovvio, aveva un debole per lei, un po’ perché doveva documentare gli umori e l’atteggiamento di Kaori di fronte alle varie circostanze, l’americano si soffermò spesso e volentieri ad immortalare le sue espressioni, le sue smorfie, il suo rivolgere gli occhi al cielo in segno di esasperazione, e soprattutto quella tristezza di fondo che, già da un po’, la caratterizzava.
Così, quando Angel avrebbe fatto vedere a Ryo il frutto del suo lavoro, quella sorta di documentario sul nuovo Ryo, gli avrebbe altresì dimostrato come Kaori non solo soffrisse per lui e per come si comportava con lei, ma che assolutamente neanche lui, di giorno, ricordava i loro trascorsi amorosi notturni.
 
In ogni caso Mick, poco prima di cena, con una scusa li salutò, e quasi Ryo tirò un sospiro di sollievo, sbottando con la socia:
 
“Uff, finalmente se ne è andato! Non ci ha mollato un attimo oggi, sta diventando invadente. E poi non faceva che girarti intorno… Ma cosa avrai di così tanto interessante da attirarlo, nonostante sia felicemente fidanzato?”
 
Pure stavolta Ryo era stato pungente e offensivo, ma Kaori, troppo stanca, non volle ribattere; anche prima se ne sarebbe uscito con una frase del genere, però era il tono che faceva la differenza perché era diverso, ed in un certo senso vi aveva fatto l’abitudine.
 
In ogni caso, continuando a spiarli a distanza, Mick aspettò che i due andassero a letto, e prima che Ryo tentasse una delle sue visite notturne alla bella socia, s’introdusse nell’appartamento.
 
Ryo, che si era coricato presto e subito era stato assalito dagli ormai ricorrenti incubi erotici, si era risvegliato di soprassalto come al solito; e non appena riconquistata un po’ di lucidità, si ricordò delle famose indagini che l’americano avrebbe fatto su di lui.
Quindi si aspettava di trovarlo lì in soggiorno, dove realmente era, e, facendo violenza su sé stesso per non correre da Kaori piuttosto che passare del tempo con quel damerino importuno, si dispose a visionare il resoconto di Mick, preparandosi, inoltre, a farsi grosse risate.
 
Mick aveva portato con sé una sorta di computer portatile e quando le immagini, corredate dall’audio originale, presero a scorrere, Ryo, che già si era avvicinato al monitor con un sorriso sardonico, si fece serio di botto, e si rabbuiò.
Trovava tutto incredibilmente inverosimile, una parodia venuta male di sé stesso e al contrario, e se non fosse stato sicuro che quello che vedeva era realmente lui, e tutti gli altri non figuranti ma i suoi amici di sempre, compresa l’onnipresente Kaori, avrebbe creduto di trovarsi di fronte a dei sosia, dei cloni, che avevano usurpato la sua vita, il suo mondo, per danneggiarlo, metterlo in ridicolo.
 
Come era possibile che lui, Ryo Saeba, il più grande seduttore del Giappone, anzi no, del mondo intero, lo Stallone di Shinjuku, schifasse le donne, anche quelle bellissime?
Che fosse così odioso e pedante da fargli venire l’orticaria solo a guardarsi?
Che avesse quei modi, quelle scappate, che manco suo nonno, posto che se lo fosse ricordato, avrebbe avuto?
Certo, scoprendosi a lodare la cucina di Kaori, notoriamente sopraffina, aveva fatto una cosa buona; solitamente non le dava mai soddisfazione, solo per il piacere di punzecchiarla e farla arrabbiare, ed era uno spasso perché lei ci cadeva sempre.
Ma ora, così come era diventato, la trattava veramente male, e stavolta senza la scusante della presa in giro o dell’ironia, perché lui era disastrosamente serio e convinto di ciò che le diceva.
 
Fu preso da una vertigine.
 
Mille pensieri presero a vorticare violentemente nella sua testa, tanto che dovette sedersi, passandosi una mano fra i capelli.
 
“Ehi, amico, tutto bene?” chiese preoccupato Mick.
 
“Sì-sì…è stato solo un attimo, poi passa” rispose lo sweeper più per rincuorare sé stesso che l’ex-compare, perché in realtà non stava bene per niente, né quelle sensazioni spiacevolissime sembravano destinate a passare, tanto che più ci pensava e più stava male.
 
Cosa gli era preso per comportarsi così?
Cosa gli era successo?
Finalmente qualcuno dei suoi nemici più astuti era riuscito a trovare il modo di neutralizzarlo?
Se non come killer e professionista, almeno era stato capace di screditarlo come playboy, come seduttore, rovinandogli la piazza.
Pensavano così di poterlo indebolire?
Eppure, a ben guardare, l’unica cosa che erano riusciti ad indebolire era il suo rapporto con la socia, che evidentemente stava perdendo progressivamente fiducia in lui, l’affetto, e si stava spegnendo a poco a poco accanto ad un uomo vecchio e legnoso, uno scorbutico misogino che non le dava la giusta considerazione.
Non c’era da stupirsi se, ogni volta che ci provava con Kaori, lei era esitante, all’inizio, ma anche ad un certo punto: doveva combattere con l’incongruenza di un uomo che, se fino a qualche giorno prima l’aveva dileggiata e respinta, ora era arrivato al punto da allontanarla anche fisicamente da lui, e che poi si presentava nel bel mezzo della notte, voglioso e innamorato, a chiedere e dare attenzioni di un certo tipo.
Anche se la volta dopo non si fosse dimenticata di tutto facendo tabula rasa, era comprensibile il suo turbamento, la sua confusione.
Chi non lo sarebbe stato?
 
Ryo si passò stancamente una mano sul viso, sbuffando.
 
Quello era veramente un bel casino.
Ma come aveva fatto a finirci dentro?
 
“E adesso?” gli venne da chiedere, a Mick, a sé stesso, in generale.
 
Ma Mick, più pragmatico, rispose deciso:
 
“Per prima cosa dobbiamo scoprire cosa ti è successo, ricostruire i tuoi movimenti, cosa hai fatto, cosa hai detto, chi hai incontrato negli ultimi, diciamo, quindici giorni. Se hai frequentato locali particolari dove potrebbero averti somministrato una droga strana, e capire quale sia. Non ti viene in mente niente?”
 
“Mmmm, fammi pensare” rispose l’altro; e poi, dopo una pausa: “No, non direi, non mi viene in mente niente. Quindici giorni fa io e Kaori eravamo impegnati in un caso, abbastanza semplice, che ci aveva affibbiato Saeko, e che avevamo accettato solo perché a corto di liquidi e la polizia non voleva, o poteva, occuparsene. Dovevamo smascherare un ciarlatano, che si spacciava per guaritore illuminato e, spillando soldi ai malati, aveva costruito la sua fortuna. Pensa che viveva nei pressi di un tempio, scintoista, se ricordo bene, e per questo riusciva a fregare i numerosi fedeli che andavano lì a pregare, inventandosi cure miracolose, preghiere da recitare durante riti astrusi, cose così. E tutti ci cascavano e pagavano fior fiore di yen. Kaori si era finta malata, lo abbiamo avvicinato, e insomma gira e rigira è stato un gioco da ragazzi scoprire i suoi stupidi trucchetti. Aveva anche dei complici, e tutti li abbiamo consegnati a Saeko. Tutto qui”.
 
“Non è che per caso hai bevuto, o mangiato, qualche intruglio strano preparato dal santone?”
 
“Ma vuoi scherzare??? Erano tutti maleodoranti, con un aspetto orribile. Credo che bisogna essere davvero disperati per credere che robacce del genere ti possano salvare. Ecco perché odio queste persone, per me sono dei criminali, come chi spara e uccide. Approfittarsi così del dolore della povera gente, è da malvagi…. e vanno puniti. Kaori mi ha fermato in tempo, perché avevo già pensato ad una pena esemplare. Ma in fondo è stato giusto così; ci sono schiere di vittime che esigono giustizia, ed è bene che venga tutto fuori al processo, che abbia una risonanza anche mediatica, affinché non ci siano altre persone che si fidino di questa gentaglia”.
 
“Come sempre tutto questo ti fa onore” commentò Mick “però… purtroppo non chiarisce cosa ti sia successo. Non è possibile che il tipo si sia vendicato rifilandoti qualche robaccia delle sue?” domandò infine.
 
“No, lo escludo, e poi non saprei nemmeno come avrebbe potuto fare. Del resto Kaori gli è stata a contatto più di tutti, ma lei apparentemente sta bene…”
 
“È vero” dovette ammettere l’americano, e tacque meditabondo.
 
Poi, dopo una breve pausa, aggiunse:
 
“A proposito, va’ da lei. Potrà anche non ricordare cosa avete fatto ieri notte, ma ti aspetta da una vita e almeno per stanotte rendila felice” e gli sorrise con un misto di incoraggiamento e tristezza; Mick avrebbe sempre avuto, nel suo cuore, un posticino speciale per la dolcissima Kaori Makimura.
 
 
 
 
 
O.o.O
 
 
 
 
Non appena gli fu possibile, Mick si recò al Cat’s Eye per mettere a parte Miki e Falcon delle scoperte fatte e delle informazioni raccolte: lo strano ménage fra Ryo e Kaori, il cambiamento di Ryo che in piena notte si risvegliava apparentemente quello di sempre e anche terribilmente attratto dalla bella socia, l’amnesia della stessa, le riprese video… tutto, insomma.
E se gli sposini si dimostrarono stupiti, o meglio se Miki si dimostrò dapprima stupita e poi felicissima per quella sorta di storia d’amore a metà che stava vivendo la sua migliore amica, entrambi si dissero che dovevano assolutamente scoprire il modo di neutralizzare l’effetto di quella droga, sostanza, qualsiasi cosa fosse, che aveva alterato così la vita di Saeba e, indirettamente, ma manco tanto, quella di Kaori.
 
E se interrogare Ryo sui suoi spostamenti non aveva dato nessuna risposta, Miki pensò bene di ricorrere all’ipnosi e di sottoporvi l’amica: accedendo alla sua memoria inconscia, forse Kaori le avrebbe rivelato particolari che erano sfuggiti a tutti quanti, e che magari erano importanti.
Ma come convincerla?
Le avrebbe permesso di entrare nella sua testa e trovare le risposte che cercavano?
Si sentiva un po’ meschina a ricorrere ad una scusa del genere, ma in fondo era la verità: le avrebbe detto che per guarire Ryo non c’era altro metodo che andare a ritroso nel tempo e scoprire cosa avevano fatto, detto, non detto; quali persone avevano frequentato e da quanti erano stati avvicinati, per trovare il momento esatto in cui lo sweeper aveva assunto quella sostanza sconosciuta che l’aveva trasformato in ciò che era ora.
Miki avrebbe taciuto sul fatto che era a conoscenza dei loro incontri notturni, d'altronde Kaori sembrava dimenticarli appena sveglia, e che diritto aveva lei di parlargliene?
Certo, anche quello era un problema, ma Ryo era al momento più urgente: un problema alla volta, si disse la signora Ijuin, e chissà che, con un po’ di fortuna, trovando il rimedio per Ryo non lo avrebbero trovato anche per Kaori.
 
Quando le fu possibile rimanere da sola con Kaori, senza Ryo tra i piedi – che, per inciso, era ben contento di starle lontano, limitando la loro frequentazione solo ai momenti legati al lavoro vero e proprio – Miki l’avvicinò e, prendendola un po’ alla lontana, le parlò delle sue intenzioni.
Erano presenti anche Falcon e Mick, a sostenere Miki e la sua proposta; tutti uniti per il bene suo e di Ryo.
 
“Cosa? Ryo è stato drogato? E da chi? Quando?” scattò Kaori, non appena udite le parole dell’amica.
 
Lo spettro della Polvere degli Angeli aleggiava sempre sopra i membri della banda, e tutti sapevano quali effetti distruttivi avesse sugli esseri umani.
Se Ryo prima, e Mick poi, potevano ancora raccontarlo, era solo una felice eccezione, e comunque nessuno aveva la sicurezza che i due non avrebbero accusato, più in là negli anni, spiacevoli effetti collaterali e a lunga scadenza.
Come se non bastasse, Kaori amava il suo partner e saperlo in pericolo, anche solo intossicato, o avvelenato, la faceva sragionare.
 
“Calma Kaori, non ti agitare!” cercò di tranquillizzarla l’amica “Hai visto anche tu che Saeba ultimamente si comporta in maniera strana e… insomma io, Umi e Mick siamo convinti che ci sia sotto qualcosa. Lo chiedo anche a te: ricordi se, mentre eravate insieme, Ryo possa aver assunto cibi o bevande in locali particolari, fuori dai soliti giri, o abbia accettato qualcosa offertogli da qualcuno che non conoscevate? Insomma, cose così…”
 
“Mah, che io sappia no…Però io non ho il totale controllo sui suoi appetiti, anche sessuali” e fece una smorfia “Insomma, lo sai com’è. È sempre esagerato, eccessivo nelle cose. Potrebbe benissimo mangiarsi un bue ripieno quando è affamato, o scolarsi un’intera bottiglia di birra senza battere ciglio. Va a capire cosa ha combinato quel debosciato, perennemente affamato di tutto, quando non c’ero, o non appena gli ho voltato le spalle. Riesce sempre a farmela sotto il naso!” concluse stizzita.
 
“Lo so, hai perfettamente ragione. Però… senti, avrei pensato, se per te va bene, di provare ad ipnotizzarti, per ricostruire i vostri spostamenti degli ultimi quindici giorni. Magari salta fuori qualcosa. So che vi siete occupati di quel ciarlatano, come hai detto che si chiamava? Il Maestro del Lago, mi pare di ricordare…” Kaori annuì. “Be’, magari ha trovato il modo di rifilargli qualche intruglio dei suoi, e se ha fatto effetto, allora non era poi quel gran ciarlatano che sembrava!”
 
Kaori, a quella proposta, dapprima s’impensierì: naturalmente timida e restia ad aprirsi volutamente, pensare di farsi controllare mentalmente da qualcun altro la metteva in agitazione; temeva che venissero scoperti i suoi segreti anche se, in questo caso, tutti li sapevano.
La ragazza era un libro aperto, e se gli amici erano a conoscenza dell’amore che provava per il socio in affari, che lo desiderasse ardentemente lo immaginavano, perché l’amore vero ha bisogno anche della fisicità, e lei era una giovane donna, sana e perfettamente normale.
E Ryo, nonostante tutto, era un bellissimo uomo, fascinoso e attraente.
Niente di strano quindi.
Ma Kaori temeva che Miki scavasse a fondo; si convinse solo quando capì che ciò che le proponeva era un modo per cercare di aiutare l’uomo di cui era innamorata e per il quale avrebbe dato la vita.
Se così l’avesse potuto salvare e guarire, si sarebbe sottoposta suo malgrado a questo viaggio nella sua mente inconscia.
Chiese, tuttavia, di poter essere analizzata solo dall’amica senza altri intorno, e Umibozu fu ben contento di smaterializzarsi.
Mick, invece, ne rimase segretamente deluso, poiché aveva abbastanza malizia per desiderare di conoscere a fondo Kaori e i suoi misteri.
 
Rimaste finalmente sole, si diressero in un salottino appartato, nel piano di sopra, a casa di Miki e Falcon. La padrona di casa le offrì una tisana rilassante, e si intrattennero in chiacchiere leggere mentre predisponeva l’angolino che aveva scelto per la seduta.
Spense tutte le luci, tranne una piccola e discreta lampada, che schermò con un tessuto semitrasparente: la luce divenne calda e accogliente, intima, e Miki fece accomodare Kaori su di una comodissima poltrona.
Quando la sweeper disse di essere pronta, l’altra diede il via all’ipnosi.
 
“Cara amica mia, allora, iniziamo con la respirazione: chiudi gli occhi e fai dei bei respiri… così” e le diede l’esempio “Inspira ed espira, benissimo. Ora cerca di liberare la mente… non forzarti, quello no… ma cerca di non pensare a niente… lascia che i pensieri fluiscano senza trattenerli, senza angustiarti, tutto ciò che passa poi va, non preoccuparti di niente… lasciali andare…”
 
La voce di Miki si era fatta calda e suadente, molto più intensa delle altre volte.
Kaori si fidava ciecamente solo di due persone, fondamentalmente: di Ryo e di Miki; ed era sicura che nessuno dei due le avrebbe fatto del male o nociuto in qualsiasi modo.
Ecco perché non oppose resistenza e, nel giro di poco tempo, Miki riuscì a portare l’amica in uno stato di incoscienza attiva, per cui tutti i suoi sensi erano accentuati, nonostante sembrasse profondamente addormentata.
Le tecniche di manipolazione mentale apprese dalla ex-mercenaria sui campi di battaglia, le erano servite più volte per penetrare la mente dei prigionieri e scoprire i punti deboli delle armate nemiche: interi commando si erano mobilitati, seguendo le informazioni estrapolate da Miki ai nemici caduti nelle imboscate tesegli, costretti, loro malgrado, a rivelare notizie preziose.
Nonostante lei fosse comunque una combattente però, non aveva mai usato tali doti per fini malvagi; il nemico, secondo lei, andava affrontato a volto scoperto, in campo e ad armi pari; non avrebbe mai indotto un prigioniero a farsi del male da solo, né a nuocere ad altri, sotto effetto di comandi autoindotti.
 
La mente di Kaori, del resto, era meravigliosa: non c’era spazio per l’odio e il rancore, ma questo Miki lo sapeva già anche senza tentare di sondarla.
L’amica amava tantissimo, forse molto di più perché aveva sofferto parecchio, o forse perché amare era la sua dote innata.
Quando la mercenaria era apparsa all’orizzonte, nonostante avesse dichiarato di voler uccidere Ryo per provare al grande amore della sua vita, Hayato, che era degna di lui, Kaori si era schierata dalla sua parte, l’aveva aiutata a coronare quello che era, a tutti gli effetti, il sogno d’amore della bella combattente.
 
In ogni caso una sorta di pudore, spingeva Miki a fare domande precise e dirette, tralasciando di indugiare sui sentimenti o sulle impressioni della ragazza e concentrandosi sugli eventi, alla ricerca della causa dell’avvelenamento di Ryo, però ciò che più le interessava.
Erano andate a ritroso nel tempo: più che altro Miki aveva voluto sapere come si fosse svolto il famoso caso del ciarlatano del tempio, e Kaori, pazientemente, le aveva esposto tutta la storia.
La memoria di Kaori era normalmente prodigiosa, ma qui dimostrava di essere una vera sweeper, perché le spiegò con dovizia di particolari come lei e Ryo avessero congegnato il piano e come l’avessero messo in pratica.
Secondo la sua ricostruzione però, né Kaori, né tantomeno Ryo, avevano assunto sostanze di dubbia provenienza o cibi strani, nemmeno durante le lunghe ore passate dentro e fuori dal tempio.
A sentir Kaori, strano ma vero, quei due formidabili mangioni non si erano cibati affatto se non a cose fatte, o di sera tardi a casa loro: evidentemente quando lavoravano riuscivano ad andare oltre a tutti i bisogni fisiologici, e questo faceva di loro dei professionisti in gamba.
 
Miki stava giusto perdendo le speranze quando Kaori, al termine del racconto, corrugò la fronte, perplessa, come se fosse sul punto di ricordarsi qualcosa di importante, ma che le sfuggiva.
 
“Dimmi, Kaori” chiese conciliante Miki, che parlando si alternava all’amica, guidandola passo passo durante la ricostruzione degli eventi “cosa c’è che non va?”
 
“Niente, ma… ho come il sentore di una nota sbagliata…”
 
La signora Ijuin capì subito che c’era qualcosa da sapere sul dopo-caso, pertanto spinse l’amica a ricordare:
 
“Cosa avete fatto tu e Ryo, dopo aver consegnato i malfattori alla polizia?”
 
“Mmm, semplice” rispose la ragazza “visto che non eravamo stanchi, e il tempio in cui ci trovavamo era davvero bello e monumentale, pensammo di farci un giro, tanto più che fuori era caldissimo e lì si stava veramente bene al fresco. Ricordo che, come al solito, ci mettemmo a bisticciare per qualche sciocchezza… io lo so che lui fa apposta, quando fa così, ma è più forte di me, ci cado sempre, cedo alle sue provocazioni e non gliene passo una” e dicendolo fece spallucce, sempre restando ad occhi chiusi.
 
Miki sorrise benevola: Kaori era la sincerità fatta persona.
Ma non disse niente, aspettò che l’altra ripartisse spontaneamente.
 
“Ad un certo punto Ryo era assetato e, vedendo una fonte invitante, si precipitò per bere e, non contento, ci tuffò la testa dentro. All’improvviso sbucò fuori un monaco, chissà da dove, che lo prese a male parole dicendo che era uno scellerato, un empio, e che quella era l’acqua sacra destinata alle abluzioni rituali. Era così minaccioso che ci costrinse a darcela a gambe, e quello giù a sbraitare che lì era proibito correre… lo era anche urlare, se è per questo, ma evidentemente la regola non vale per i bonzi, eh eh eh eh” ridacchiò in chiusura.
 
“Comunque sia” riprese “effettivamente come ci muovevamo ci muovevamo male, ma il peggio doveva ancora venire. Quell’idiota di un porcello appena vide una bellissima sacerdotessa in un angolo appartato del tempio intenta a pregare, pensò bene di saltarle addosso. Fu così veloce quel bastardo, che non feci nemmeno in tempo a fermarlo con uno dei miei martelli! Per fortuna la donna gli assestò un potente destro in piena faccia un secondo prima che approdasse su di lei. Davvero strabiliante, ammirabili i suoi riflessi. Ma ovvio, Ryo non si era dato per vinto, e ripresosi aveva tentato di nuovo di molestarla, avvinghiandosi a lei; a quel punto però, una bella punizione non gliel’ha levata nessuno, e l’ho sprofondato sotto un bel martello” e sorrise evidentemente soddisfatta, sempre restando ad occhi chiusi.
 
“E poi…” ma qui il ricordo si era fatto confuso e stentava a ritrovare il filo.
 
“E poi?” l’incoraggiò Miki.
 
“Mmm… Ryo mi ha insultata, come fa sempre, con i soliti epiteti: mezzo uomo, travestito…cose così, non ricordo… E la sacerdotessa, ergendosi per tutta la sua altezza, e brandendo la bacchetta degli esorcismi, ha detto qualcosa a riguardo di una maledizione: che lui era un sacrilego, qualcosa del genere… ma io ero piena di vergogna, di fronte ai danni che aveva fatto Ryo. Lo afferrai per la giacca e cercai di trascinarlo fuori da lì e dal tempio, altrimenti saremmo stati cacciati o peggio… e insomma, avevamo già portato sufficiente scompiglio” e la sua fronte si corrugò in un’espressione di profondo rammarico e disagio.
 
“Ricordi altro?” provò a sapere l’amica.
 
“No, niente di particolare, oltre al fatto che abbiamo rapidamente raggiunto la macchina al parcheggio e poi siamo tornati a casa stanchi e affamati. Doccia, cena, a letto presto. Strano per Ryo, quello sì, ma non per me”.
 
Sembrava che non ci fosse più altro da sapere e Miki decise che era abbastanza.
Riportò lentamente indietro Kaori dalla sua regressione, e quando ritornò in sé le chiese se si era accorta di niente; l’amica scosse la testa, si sgranchì leggermente e chiese:
 
“Allora? È venuto fuori qualcosa di buono?”
 
“Credo proprio di sì, ma è solo un abbozzo d’idea, da verificare” e le sorrise ammiccando.
 

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Capitolo 11
*** Un piano d’azione ***


… e poi arrivo con un altro capitolino piccino piccino. Non mi ‘maledite’ anche voi! E’ anche per questo che cerco di aggiornare presto :D
Buona lettura e ancora GRAZIE

 
Cap. 11 - Un piano d’azione
 
La sera stessa, in casa Ijiun, si riunì il consiglio di guerra: Miki, Umibozu e Mick sedevano silenziosi intorno al tavolo della cucina, ognuno perso a rimuginare sulla questione.
Miki aveva spiegato ai due uomini quello che aveva scoperto e le sue perplessità.
Nessuno dei presenti in cuor suo trovava la cosa assurda: del resto, Ryo e Kaori una volta erano stati assoldati da un fantasma, lo stesso che aveva pure posseduto la sweeper per un breve momento.
Avevano dimestichezza con il crudo mondo reale, ma anche con l’effimero soprannaturale, e sembrava che i City Hunter potessero destreggiarsi nell’uno e nell’altro, senza problemi.
Anche la loro intesa sul lavoro aveva del fantastico, del magico, e non andava ben oltre l’umana ragione? Inoltre, sia il terzetto lì riunito che il duo in contumacia, non erano così navigati da aver visto e vissuto praticamente di tutto?
 
Fu la padrona di casa a parlare per prima:
 
“Bene ragazzi, direi che c’è solo una cosa da fare: andare nel tempio in questione, rintracciare la sacerdotessa, e farci spiegare cosa esattamente intendeva per maledizione; e cosa eventualmente dobbiamo fare per spezzarla”
 
“Cosa Ryo deve fare per spezzarla!” precisò suo marito.
 
“Ha ragione” intervenne Mick “Per quanto vogliamo aiutare quei due, il danno l’ha fatto Ryo, e visto che è su di lui che si sta manifestando la maledizione, probabilmente è solo lui che può spezzare l’incantesimo… o quello che è”
 
“… e magari ritorna una zucca… vuota!” rincarò Falcon.
 
“Tesoro, non scherzare” lo redarguì bonariamente Miki, facendolo arrossire fin sulla pelata “Se anche Ryo se la merita questa lezione – a parte che non è consapevole di ciò che gli sta succedendo, di giorno – è Kaori che, in ultima analisi, ne sta facendo le spese. Basta vedere che la volta dopo non ricorda i momenti intimi che ha trascorso con lui! Quella poverina davvero non ha mai una gioia”
 
“Anche tu hai ragione” disse in tono conciliante l’americano “A me interessa solo il benessere di Kaori, per quanto mi riguarda Ryo potrebbe rimanere così per sempre: a quel punto sarei io il nuovo stallone di Shinjuku!” concluse con gli occhi che gli brillavano di malsana aspettativa.
 
“Frena, puledro!” lo smontò il gigante “Quando, e se, andremo dalla sacerdotessa, che sembra essere bellissima, vedi di non fare il cretino anche tu, che già è complicato occuparsi di Ryo e della sua maledizione, figurarsi perdere il tempo anche dietro a te!”
 
“Ehi, pelatone! Per chi mi hai preso? Io sono un gentleman non ricordi? So stare al mio posto! Inoltre vuoi mettere il fascino dell’esotico, di un biondo naturale dalla carnagione perfetta?” disse Mick lisciandosi i capelli all’indietro.
 
“Puah!” masticò l’uomo infastidito.
 
Fra lui e Ryo non si sapeva chi fosse peggio: entrambi preda delle fregole e, a causa di queste, sempre nei guai.
 
“Allora è deciso!” s’impose la padrona di casa “Noi tre andremo al tempio scintoista e parleremo con la sacerdotessa, sperando che ci dia udienza e non sia così tanto suscettibile da lanciarci dietro un altro anatema”
 
“Be’, se dovesse mandarci la pioggia, noi abbiamo già il nostro mastodontico teruterubōzu[1] che la terrà lontana” finì per sghignazzare il biondo naturale di cui sopra.
 
“Falla finita, idiota di un americano!” sbottò Umibozu battendo violentemente un pugno sul tavolo, mentre Mick non smetteva di ridere, per niente impressionato dalla reazione dell’altro.
 
Miki, esasperata, portandosi una mano alla fronte, invece pensò che forse sarebbe stato meglio andare da sola.
 
 
 
o.O.o
 
 
 
 
In un’altra parte del quartiere di Shinjuku, nello stesso momento, quei due sventurati di Ryo e Kaori avevano appena consumato la cena e Ryo si era buttato sul divano col dire che avrebbe guardato un po’ di televisione.
 
Da che era diventato un mezzo monaco medievale usciva di rado, e di sicuro non per andar per locali dietro alle donnine.
Controllava il suo territorio, gli informatori, teneva sotto controllo l’andamento e gli umori di quel mondo sotterraneo che sfuggiva agli occhi dei più, quello sì… ma nient’altro.
Almeno in questo era rimasto tale e quale, ma più spesso rimaneva in casa, impegnato nella lettura o in tardive sessioni di tiro al poligono; si ritirava nella sua stanza molto presto, e in ogni caso fuggiva la compagnia della socia che, percependo tutta la sua freddezza, aveva rinunciato ad imporre la sua presenza, e si dileguava poco dopo aver consumato il pasto serale, in un’atmosfera strana e surreale.
 
Quando lui non c’era Kaori si riappropriava della sua casa, e ne approfittava per fare ciò che faceva prima: prima, quando erano comunque una famiglia; sui generis, ma pur sempre una famiglia, composta da due persone che si volevano bene, a modo loro, certo, ma che si rispettavano e tenevano uno all’altra.
 
Quella sera però, Ryo evidentemente aveva deciso non solo di restare a casa, ma di guardare la tv, e Kaori non si sarebbe permessa di chiedergli di potergli fare compagnia.
Non che lui l’avrebbe scacciata, ma la ragazza aveva una sua dignità e il comportamento del partner andava ben oltre le solite prese in giro, gli sfottò, le illazioni, tutte provocazioni fatte col solito sorriso beffardo.
Ryo, quando le parlava, era serio; e le sue parole la ferivano profondamente, molto di più delle altre volte.
Quindi Kaori, vedendolo sprofondato sul divano a fare distrattamente zapping, pur di restare in qualche modo in sua compagnia, aveva rallentato nel riordinare la cucina: così avrebbe avuto una scusa, e lui non avrebbe potuto protestare o dire alcunché.
Mentre asciugava le stoviglie e le riponeva nei vari cassetti, l’osservava con sguardo triste, pensosa; si chiedeva cosa gli fosse successo e dove sarebbero andati a finire loro due: se avesse ancora un senso rimanergli accanto come sweeper, e come… come cosa?
Amica, confidente, fidanzata?
Da sempre innamorata di lui, aveva continuamente sognato un futuro insieme, e c’erano stati dei momenti in cui aveva visto le sue speranze giungere ad un passo dal realizzarsi…
Ma poi era arrivato quell’improvviso cambiamento, e non sapeva più cosa pensare.
Miki e gli altri erano preoccupati per lui, per lei, per loro, e si stavano dando da fare.
Si era sottoposta all’ipnosi pur di trovare la causa del malessere di Ryo, nel caso fosse stato drogato o avvelenato; la sua migliore amica aveva detto che forse qualcosa aveva scovato, aveva un’idea… Kaori si fidava di lei e per Ryo avrebbe fatto qualsiasi cosa, anche morire, e questo lui lo sapeva.
 
Sospirò.
 
Non c’era motivo di pensare che stavolta lui stesse male per causa sua, però sarebbe stata anche disposta ad allontanarsi da lui, lasciarlo, se ciò gli avesse salvato la vita; anche se… al solo pensiero il cuore le si contraeva e le mancava il respiro.
 
Scacciò quei pensieri atroci e riprese il suo lavoro lentamente e, quando tornò in soggiorno, si accorse che Ryo si era addormentato, con la testa riversa sullo schienale, a bocca aperta: il respiro regolare, il torace si sollevava appena.
Intenerita da quella scena, che avrebbe potuto intitolare “Il riposo del guerriero”, fu presa da un subitaneo moto di affetto: il suo adorato socio era totalmente abbandonato, indifeso, vulnerabile, ma era lì davanti a lei, in tutta la sua umanità.
Avrebbe voluto saltargli addosso e ricoprirgli il viso di baci, o anche solo rannicchiarsi accanto a lui, poggiare il capo sul suo petto, respirare con lui fino a scivolare nel sonno e sognare gli stessi sogni, sperare che il loro amore avesse un futuro, la strada spianata, anziché dover farsi trascinare in un gorgo di incertezze, di rimandi, di speranze frustrate e delusioni.
 
Si sedette comunque accanto lui, ma non fece nulla di ciò che desiderava: si limitò a recuperare il telecomando e a cambiare canale, cosicché mentre lui sonnecchiava, lei potesse guardarsi qualcosa che piacesse solo a lei.
Se si fosse svegliato, probabilmente avrebbe protestato o preteso di vedere altri spettacoli, magari le avrebbe fatto capire che doveva tornare di sotto, ma finché fosse restato nel mondo dei sogni, Kaori ne avrebbe approfittato.
 
Aver conquistato il diritto al televisore, però, si rivelò ben presto una vittoria effimera e senza senso: dover guardare qualcosa che in altri momenti le sarebbe piaciuto o l’avrebbe divertita, ora le lasciava uno strano amaro in bocca.
Si voltò nuovamente a guardare Ryo: non c’era gusto a starsene lì da sola in silenzio, col volume bassissimo, senza bisticciare con lui sulla scelta del programma, senza arrabbiarsi perché il socio sbavava davanti a tutte le donne che sfilavano in tv – anche se era consapevole che lui lo facesse apposta per farla imbufalire – senza ridere per le stesse stupidaggini, interessarsi alle stesse cose, condividere quel senso di suspance o terrore seguendo un film giallo… in poche parole, senza guardare la tv insieme.
 
Stava valutando l’idea di andare a dormire, quando sentì il socio muoversi nel sonno e mugugnare; un gemito più forte la fece sobbalzare, ma più di tutto quando, in preda ad una forte agitazione a stento trattenuta, Ryo proruppe con una specie di grido, chiamandola.
Sembrava stesse avendo un incubo.
Impressionata e incuriosita, si voltò a mezzo a guardarlo, cercando di immaginare quali visioni stessero scorrendo nella testa dell’uomo.
Ah, se avesse minimamente saputoche razza di incubi erotici stava sperimentando in quel momento il suo adorato socio!
Solo che stavolta lo stavano letteralmente terrorizzando.
A differenza delle altre volte, infatti, quando comunque Kaori emergeva prepotentemente su tutte le altre donne, questa volta lei lo guardava con espressione indecifrabile e, scrollando la testa, gli dava le spalle e si allontanava da lui.
Ed era un gesto, una sequenza, che Kaori, nel sogno, ripeteva centinaia di migliaia di volte, in maniera ossessiva, e lui ogni volta sentiva un senso di abbandono stritolargli il cuore.
Era come se, dopo tanto averla desiderata, avuta accanto, proprio perché non avevano mai consumato, non essere diventati una coppia e aver sancito il loro amore con un’unione ufficiale, lei decidesse di andarsene, di abbandonarlo.
E questa schiacciante sensazione di frustrazione, mista a disperazione, lo faceva smaniare, e al desiderio sessuale si sommava la brama di essere amato, stimato da lei, di essere suo… anche se lei gli stava sfuggendo dalle mani.
 
Con un ultimo singulto, Ryo finalmente si svegliò, di soprassalto, sudato, affannato; e ancora con gli occhi velati dal sogno, guardò la giovane, e le disse:
 
“Kaori, sei qui, non te ne sei andata?”
 
Il tono che aveva usato, più che le parole, fecero trasalire la ragazza.
Ryo era letteralmente terrorizzato, come non lo aveva mai visto: il suo sguardo perso, disperato, la colpì a tal punto che, senza pensarci, gli si buttò fra le braccia.
E accarezzandogli la testa prese a consolarlo:
 
“Sì, Ryo sono qui, non me ne vado, sono qui per te”.
 
Sentiva il cuore dell’uomo rimbombargli nel petto e riverberarsi nel suo; cosa mai aveva potuto sognare di così terribile, da svegliarsi in quel modo?
 
Sentì che le braccia del socio lentamente la stringevano, in un reciproco abbraccio consolatorio.
Kaori pensò che raramente avevano avuto di quei momenti così intimi e, seppur dispiaciuta ed impensierita dallo stato di Ryo, si crogiolò in quell’abbraccio da grandi, e si disse che non l’avrebbe mai dimenticato: sarebbe finito nel suo tesoro geloso, dove teneva tutti i ricordi dei rari momenti magici passati con lui.
Perché lei non serbava memoria alcuna degli approcci di tutte le altre notti, di altrettanti abbracci, carezze e perfino baci meravigliosi.
La maledizione la privava anche di quello.
E quando Ryo, sprofondato nel suo collo, le sussurrò, in tono esasperato:
 
“Io non resisto più, non ne posso più” Kaori spalancò gli occhi incredula e si sentì stringere più forte.
 
 
[1] Il teruterubōzu (てるてる坊主?) (letteralmente "splendere splendere bonzo") è una bambola - amuleto del folklore giapponese, che risale fino alla metà del Periodo Edo. Si tratta di una bambola fatta di carta o stoffa di colore bianco ed è tradizionalmente diffusa in ambiente rurale, dove veniva appesa dai contadini sotto la gronda del tetto. Fungeva da amuleto per allontanare la pioggia e richiamare il bel tempo. Attualmente l'uso del teruterubōzu è diffuso tra i bambini. Viene costruita ricoprendo un oggetto sferico (che costituirà la testa) con della stoffa o della carta bianca, che viene fissata con un nodo fatto sotto la testa. Di seguito, si disegnano occhi, naso e bocca. Va posizionato alla finestra, appeso all'ombrello o in altre maniere. Fonte Wikipedia https://it.wikipedia.org/wiki/Teru_teru_b%C5%8Dzu

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Capitolo 12
*** Al tempio ***


Altro capitoletto corto, ma ormai avete capito(lo) che sta storia va avanti a piccoli passi! XD
Grazie comunque per la vostra attenzione e simpatia.
Eleonora

 
 
 
Cap. - 12 Al tempio
 
Di lì a qualche giorno, Miki, Falcon e Mick si recarono al tempio scintoista dove erano stati Ryo e Kaori ormai due settimane prima.
Cercarono la sacerdotessa e si fecero annunciare da un custode per non risultare ulteriormente importuni, vista la suscettibilità della venerabile donna.
Erano consapevoli che si sarebbero trovati davanti una vera bellezza, perché altrimenti Ryo non si sarebbe preso la briga di insidiarla come aveva fatto, ma quando la videro, pensarono all’unisono che il suo fascino andava ben oltre le aspettative.
Ovvio, i pensieri non furono propriamente gli stessi: Mick valutò che quell’esemplare femminile sarebbe stato un bocconcino niente male e già una sottile bavetta si stava formando agli angoli della bocca, prontamente ringoiata dopo la poderosa sgomitata di Umibozu e gli occhiacci di Miki; Falcon, pur ammettendo che la sacerdotessa fosse gradevole alla vista, allo stesso tempo lo lasciava completamente indifferente, perché votatosi anima e corpo alla dolce moglie la quale, naturalmente, vinceva su tutte, non aveva occhi che per lei; e comunque, per Umibozu, l’aspetto esteriore era del tutto trascurabile e totalmente secondario.
Miki invece, senza invidia e gelosia, si disse che la donna era veramente affascinante, con quel suo portamento altero, ieratico; probabilmente era anche totalmente inconsapevole di tutta la sua bellezza e non vi faceva nemmeno caso.
Quello che le interessava veramente erano la preghiera e la spiritualità, e anche da ciò la barista iniziò a capire la reazione apparentemente sproporzionata avuta di fronte alle avances, indiscutibilmente odiose, di Ryo.
 
I tre postulanti, inginocchiati sugli zabuton[1] tradizionali, in atteggiamento di profondo rispetto, restavano ritti davanti alla sacerdotessa che, anch’essa fieramente accoccolata su di un cuscino color prugna, li osservava con sguardo limpido e allo stesso tempo indagatore.
Stavano in silenzio, in reciproca attesa: Miki e gli altri di aver quantomeno il permesso di parlare, mentre la donna aspettava di sentire quale fosse il motivo che aveva portato lì quei tre buffi, e bizzarramente assortiti, individui.
 
La vestale, che rispondeva al nome di Sakura Jundo, osservava i suoi ospiti: un gigante in tenuta da combattimento, un biondo occidentale impomatato e azzimato – un seduttore, sicuramente –, e una giovane donna molto graziosa, ma semplice nella sua fresca avvenenza.
Le rispettive aure erano benevole, molto potenti e, nemmeno a dirlo, molto diverse.
Conservavano tracce evidenti di dolore e sofferenza… morte, sicuramente; la parte più oscura aveva prevalso in loro, in passato, ma avevano combattuto anche contro quella, e vi erano venuti a patti, se non vinta del tutto.
Sakura vedeva in loro un cambiamento, una sorta di miglioramento, recente e progressivo: immaginò che avessero avuto un percorso lungo e doloroso e che, nel loro cammino, avessero incontrato qualcosa o qualcuno che aveva contribuito alla loro redenzione.
Per un instante si chiese quale ne fosse la causa.
Quando fu pronta ad ascoltare le loro richieste, Sakura parlò con voce calda e pacata, emettendo piacevoli vibrazioni: tutto era controllato in lei, spirituale, più immateriale che contingente:
 
“Cosa vi ha spinto a far visita a questo luogo sacro e a richiedere il mio ausilio?”
 
Rispose Miki, come concordato precedentemente:
 
“O venerabile sacerdotessa, abbiamo motivo di credere che potrebbe spezzare i nefasti effetti di una maledizione
 
“Sentiamo…” rispose conciliante la donna, socchiudendo appena gli occhi.
 
Miki allora trasse dalla borsa una foto di Ryo e la fece scivolare sugli intrecci del tatami, fino alle sue ginocchia.
Non appena l’altra la prese in mano, e rigirandola appuntò la sua attenzione sull’istantanea, le domandò:
 
“Ricorda quest’uomo?”
 
La foto, un primo piano, ritraeva lo sweeper con sguardo da seduttore, l’uomo affascinante che era: gliel’aveva scattata Miki, alla sua festa di compleanno, un secondo prima che provasse a saltarle addosso e Umi lo scaraventasse sul muro.
Ma la sacerdotessa, dopo averla scrutata a lungo, scosse la testa e, posandola nuovamente in terra, la fece scivolare in senso inverso, in direzione di Miki.
Questa, per niente scoraggiata, trasse dalla borsa un’altra foto, e seguendo quella stessa sorta di cerimoniale, gliela porse.
E a quel punto, visionandola, Sakura Jundo esclamò:
 
“Empio, sacrilego! Il maledetto!”
 
Anche in questa foto c’era Ryo, ma stavolta in atteggiamento da maniaco, con la bava alla bocca, il viso deformato dall’espressione più maialesca che potesse assumere; effettivamente sembrava un altro, malgrado la foto fosse stata scattata pochi secondi dopo l’altra, durante lo stesso compleanno e sempre dalla stessa Miki, ovviamente prima dell’epilogo finale.
 
Miki era sicura che, in quest’altra versione, la donna l’avrebbe riconosciuto, e non si scompose.
Umi grugnì appena e Mick sospirò forte.
 
Ecco: erano arrivati al dunque.
 
Miki, Mick e perfino Falcon, si alternarono a raccontare l’enorme cambiamento avvenuto sul loro amico, e di come e quanto questi avesse avuto la vita sconvolta.
La Jundo ascoltava con sguardo altero, leggermente infastidita, ma aspettò che loro terminassero, esponendo i loro racconti; poi parlò, spiegando:
 
“Il vostro amico, a cui vedo, nonostante la propensione al sacrilegio e alla lussuria, siete molto attaccati, ha avuto la sua giusta condanna. Ha fatto del sesso e dei bassi istinti il suo unico stile di vita: insidia tutte le donne che gli capitano a tiro e soprattutto non tiene in nessun conto quella giovane che gli sta accanto, peraltro non so a che titolo. In ogni caso ho visto subito quanto lei gli sia affezionata: probabilmente la lega un sentimento d’amore; ma lui la denigra e la insulta, e questo è troppo per me! Le donne non sono oggetti, né, tanto meno, oggetti sessuali, e tutte, dico tutte, vanno rispettate! Se di giorno si comporta come un odioso misogino, è proprio perché finora ha vissuto solo per conquistarle! E se di notte, dopo essersi addormentato, si risveglia come l’uomo che era e cerca la compagnia della ragazza, è perché in realtà è di lei che è innamorato… e deve dimostrarglielo”
 
“Ha ragione” s’intromise Mick, che più di tutti conosceva la storia, soprattutto per quanto riguardava i rapporti notturni fra i suoi due amici City Hunter “ma ogni volta Kaori, la nostra amica, dimentica tutto, sia di giorno che la notte successiva; questa maledizione sta ricadendo anche su di lei. E non è giusto!”
 
“È il tuo cuore, quello che sta parlando” gli rispose Sakura “Vedo che tieni molto a lei, e questo ti fa onore. La maledizione, se c’è sulla ragazza, è solo quella di essersi innamorata di un tipo come lui”
 
“Ma Saeba non è solo un maniaco!” esclamò Miki “È vero, a volte esagera, è importuno, e perde la testa di fronte alle belle donne. Però è anche un uomo giusto e buono, una persona che ha sofferto tantissimo in passato, più di tutti noi messi insieme, e che eccede nel lato frivolo della vita, forse per scrollarsi di dosso tutto il male che ha dovuto fare e sopportare. Con Kaori non si comporta benissimo, anche questo è vero, ma solo perché la ama profondamente e non vuole che lei si leghi a lui”
 
“Ragionamento contorto il suo…” commentò la sacerdotessa a mezza voce, in tono scettico.
 
“Ryo è un idiota, ma è innocuo” inaspettatamente saltò su Falcon “Ha i suoi motivi per non volersi legare alla sua socia, ma la rispetta e non le farebbe mai del male”
 
“Vedo che tutti lo difendete e che siete affezionati ad entrambi” disse Sakura “E se della ragazza ero sicura, confesso che mi state facendo ricredere sulla vera natura dell’altro…” concluse leggermente perplessa, per aggiungere poi “Forse non è quel pessimo elemento che credevo che fosse, anche se… ha comunque commesso sacrilegio, cercando di abusare di me, molestandomi!”
 
E gli ospiti ripensarono al racconto fatto da Kaori, quando aveva detto che la sacerdotessa aveva steso Ryo con un unico pungo in piena faccia; evidentemente era perfettamente in grado di difendersi, ma ciò non toglieva che effettivamente lei, lì dentro, era una figura venerabile, quello era un luogo sacro e Ryo aveva fatto… quello che aveva fatto.
Quindi era meglio soprassedere sulla questione e aspettare che la donna gli concedesse la remissione, altrimenti non ne sarebbero mai venuti a capo.
 
Sakura Jundo si raccolse in silenzio, e per un attimo i tre amici temettero che si sarebbe messa a meditare; a quel punto sarebbe stato quantomeno inopportuno sollecitarla, ma se si fosse chiusa in sé stessa senza dargli una risposta, loro cosa avrebbero dovuto fare?
Aspettare che si degnasse di ritornare nel mondo reale e concludere l’incontro con loro, o andarsene a casa con un pugno di mosche?
Per fortuna la sacerdotessa tornò subito sull’argomento, forse tediata dalla questione che le stava portando via tempo prezioso o, comunque, desiderosa di mettere pace in quella che sembrava una strana coppia, e negli animi di quelle persone lì riunite.
 
“Io non posso fermare la maledizione” esordì, infine, facendo trasalire i tre che si aspettavano ben altro dalla donna.
Già erano pronti a contestare la sentenza, nonostante temessero di essere redarguiti per aver osato tanto, o peggio maledetti per l’affronto; ma era, costei, veramente così vendicativa come sembrava?
In ogni caso, prevenendo, le loro proteste, la vestale continuò:
 
“Io non posso fermare la maledizione, perché deve farlo colui che ne è l’oggetto”
 
I tre trattennero a stento un “Oh!” sgomento.
 
“Ryo Saeba è causa del suo male,” proseguì la Jundo “e solo lui può emendare i suoi peccati e infrangere la maledizione. Dovrà dar prova di continenza e, soprattutto, dovrà essere sincero con la donna che ama, una volta per tutte. Sembra facile, e in generale lo è, ma visto il soggetto, non ci giurerei. Ricordate che la maledizione ha agito da sola su di lui, è andata ad intaccare i suoi aspetti peculiari. Se saprà dar prova di serietà e onestà, nei confronti delle donne in generale e di colei che veramente ha rapito il suo cuore, riuscirà a liberarsi. Altrimenti, la maledizione continuerà ad esistere e sarà sempre peggio. Saeba perderà la ragazza, e la sua vera identità, perennemente diviso fra il misogino diurno che è ora, e il vero Ryo che è solo di notte. Sta a lui decidere”
 
E con questo si alzò agilmente in piedi e, dopo un profondo inchino, sparì dalla vista senza far rumore.
I tre, ammutoliti, rimasero ancora un attimo inginocchiati sugli zabuton, poi anch’essi si alzarono, e in silenzio guadagnarono l’uscita.
 
Tornarono in macchina verso il centro città, immersi in un silenzio greve e fastidioso, consapevoli che convincere Ryo ad aprirsi una volta per tutte con Kaori e frenarlo nei suoi eccessi da maniaco, non sarebbe stato facile.
Inoltre parlargli di giorno sarebbe stato quasi inutile, visto che il Ryo bacchettone sembrava sereno e apparentemente ignaro della maledizione che gli si era rivoltata contro: stava bene in quelle nuove vesti e non aveva motivo di cambiare, al contrario del Ryo smanioso della notte.
Ma non avrebbero potuto aspettare che calasse il sole e che lui si addormentasse per parlargli, non c’era tempo da perdere.
Lo avrebbero invitato al Cat’s Eye, solo lui, e gli avrebbero fatto un bel discorsetto; magari Mick gli avrebbe fatto vedere le registrazioni ad infrarossi dei suoi movimenti all’interno della casa in piena notte, avrebbero insistito fino allo sfinimento, l’avrebbero tampinato senza tregua, l’avrebbero convinto a fare qualcosa.
 
Poco prima di scendere, Miki, sicura che i pensieri di ognuno fossero rivolti al suo stesso interrogativo, esclamò:
 
“Ci proveremo!”
 
E detto ciò si accomiatarono.
 
                                                   

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Capitolo 13
*** Arriva il lavoro ***


Direi che già il titolo vi avrà fatto venire almeno un dubbio… o no?
Leggete e poi saprete!
Ah dimenticavo una cosa importante… GRAZIE gente *_*
Eleonora

 
 
 
Cap. 13 Arriva il lavoro
 
Concordarono di vedersi con Ryo al Cat’s Eye, una mattina di quelle successive all’incontro nel tempio.
Non era necessaria la presenza di Kaori che, ritennero i tre, forse si sarebbe creata delle aspettative, delle false illusioni, e nel caso il socio avesse poi tergiversato o avesse rifiutato in toto la soluzione per infrangere la maledizione, lei ne avrebbe sofferto ulteriormente.
Preferirono che ne restasse al di fuori, e beneficiasse degli eventuali sviluppi a cose fatte.
 
Di malavoglia, Ryo aveva acconsentito a passare al locale per discutere la questione; del resto era cosa nota che lui stava bene così e non voleva cambiare, anche se il Ryo notturno era di tutt’altro avviso.
Ma cedette alle insistenze dei suoi amici, e con una scusa spedì Kaori alla stazione a controllare la lavagna.
 
Miki stava giusto dicendo:
 
“Allora, Saeba, il rimedio per fermare la maledizione c’è ed è semplice. Stammi bene a sentire: tu dovresti…”
 
“Ryo, Ryo! Finalmente un incarico!” urlò quasi Kaori precipitandosi all’interno del locale, esagitata e scalmanata, interrompendo Miki sul più bello.
 
Tutti si voltarono in direzione della ragazza: era scarmigliata e accaldata per la corsa sotto il sole, la camicia bianca di cotone sbottonata lasciava intravedere il seno sodo e generoso, la cravatta era allentata e ciondoloni, le maniche lunghe arrotolate fino ai gomiti.
La giacca del completo, invece, la portava negligentemente sulla spalla, appesa a due dita a mo’ di gancio, in un atteggiamento sbarazzino tipico suo e della giovane età; era comunque bellissima, il ritratto della gioia di vivere e dell’entusiasmo.
 
Ryo però l’aveva guardata con disapprovazione, e scuotendo la testa, pieno di sdegno, le disse:
 
“Kaori? Ma come sei conciata? Ricordi? Dicevamo che ci vuole decoro nel nostro mestiere… vedi di darti una sistemata”
 
I presenti furono immediatamente attraversati da una fredda ondata di antipatia per quella sottospecie di barboso individuo, e Kaori si affrettò a srotolarsi le maniche lungo le braccia.
 
E Mick, che aveva subito provato un moto di desiderio per la giovane, si era precipitato da lei per aiutarla, mettendosi ad abbottonarle la camicia fin sul colletto, ragionando che sarebbe stato infinitamente più interessante sbottonarle la camicia anziché chiudergliela; e stava giusto stringendo il nodo della cravatta, quando la voce di Ryo lo fece quasi sobbalzare:
 
“Angel, smettila di fare la balia asciutta alla mia socia, lei è perfettamente in grado di vestirsi e di sistemarsi una camicia!”
 
Il tono sembrava più scocciato che venato di gelosia, però Mick sorrise sotto i baffi ugualmente e pensò:
 
Stai a vedere che questo vecchio lagnoso, sotto sotto, è ugualmente geloso della bella socia come un tempo. Dovrei metterlo alla prova più spesso, magari ne verrebbe fuori qualcosa di divertente”.
 
Solo allora Kaori si accorse della potenziale ambiguità della situazione, perché candidamente lo aveva lasciato fare, ma soprattutto, tutta presa dalla notizia che stava recando, non si era minimamente soffermata sul fatto che Mick Angel le stesse usando tale carineria.
Avvampò di colpo, e scostandosi dalle mani dell’amico, che ancora indugiavano sul nodo della cravatta già bello che ricomposto in modo impeccabile, gli disse:
 
“Gra-grazie Mick, sei stato molto gentile, ma ora…è tutto a posto”.
 
“Non c’è di che, mia piccola Kaori” le sussurrò lui con sguardo accattivante.
 
Ma Ryo attirò l’attenzione di tutti sbuffando pesantemente:
 
“Allora, socia, di quale incarico mi volevi parlare?”
 
“Ah, sì!” si riscosse la ragazza “Stamattina sono andata alla stazione proprio come mi avevi detto tu, e finalmente c’era un bel xyz che campeggiava sulla lavagna!!! Dopo tanti giorni di inattività finalmente un incarico. E sì, è una donna che ci ha ingaggiato, una certa Misaki Aijin. Al telefono le ho dato appuntamento qui fra…” e si guardò l’orologio da polso “…5 minuti. Dovrebbe giusto arrivare fra breve”
 
“Bel lavoro, partner” la gratificò Ryo “Vediamo cosa ha da dirci la signorina” e incrociando le braccia sul petto, si mise in attesa.
 
La sopracitata non tardò a giungere.
Varcò la soglia del locale sicura di sé, con passo deciso, fasciata in un elegante vestito alla moda orientale: su uno sfondo di sfavillante seta color smeraldo, si inseguivano ricami di diversi colori a dar vita a draghi e a fiori in rilievo; lo spacco laterale della gonna mostrava una lunga gamba levigata, mentre il colletto alla coreana, aperto, metteva in risalto un decolleté di tutto rispetto, strizzato nel busto attillato del corpetto.
Pur essendo ricercatamente elegante, la nuova venuta emanava un non so che di sfacciato, che rasentava il cattivo gusto: forse era dovuto al trucco pesante, ai capelli innaturalmente gonfi, o all’impressione che dava di sé, evidentemente una donna navigata e abituata a frequentare certi ambienti.
 
Per certi versi era la tipa ideale di Ryo, colei che avrebbe potuto scatenare i suoi ormoni ribelli.
Tutti, per la forza dell’abitudine, si aspettarono il solito teatrino con lui che provava, sbavando, a saltarle addosso, lei finta ritrosa che tentava di difendersi, Kaori che lo disinnescava a suon di martellate e via discorrendo.
Ma quando tutto ciò non avvenne, gli altri quasi ne rimasero delusi, perché avevano dimenticato che Ryo non era più lo stesso e che stavano giusto brigando per riportarlo a come era prima, anche se… di un tale atteggiamento ne avrebbero fatto volentieri a meno.
 
La presunta cliente si guardò intorno, facendo un giro veloce sui volti degli astanti, e individuato Ryo gli si fece dappresso, sfoderando un sorriso da gatta predatrice, gli occhi socchiusi a valutare l’avvenenza dell’uomo che, al contrario, la guardava come si guardasse un cartellone pubblicitario di un medicinale per la stipsi.
Quando gli fu ad un passo, la donna l’interpellò:
 
“Dunque lei è il famoso City Hunter…!” e gli porse mollemente la mano, con fare voluttuoso, aspettandosi che lui le facesse il baciamano.
Ma, stringendogliela formalmente, Ryo precisò:
 
“Veramente siamo in due. Anche la mia socia” e la indicò con un cenno della testa “è City Hunter”.
 
E gli amici dovettero ammettere che, nonostante quell’atteggiamento scostante verso le donne e verso Kaori in particolare, almeno era stato onesto e le aveva dato la giusta importanza.
 
La donna, dal canto suo, si voltò in direzione di Kaori, leggermente seccata da quello che evidentemente considerava uno spiacevole intermezzo nel suo piano di seduzione.
La sweeper, poco distante ma defilata, si fece avanti ridacchiando a disagio e disse:
 
“Io sono Kaori Makimura, ci siamo sentite prima al telefono” e le regalò comunque un sorriso amichevole.
 
Ma quella mormorò un secco:
 
“Ah, è vero”
 
Poi la fatalona tornò a guardare Ryo, e passandosi sensualmente una mano fra i capelli tinti di rosso mogano, lo guardò intensamente; e calcando sulle parole esalò:
 
“Ho bisogno del vostro aiuto!”
 
Miki, inconsapevolmente, si portò una mano alla fronte pensando: “Eccone un’altra!” mentre Falcon grugnì tediato dalla scena.
Mick invece valutò che a fare il mestiere di sweeper s’incontravano solo donne fatali, e aveva ragione Ryo ad accettare solamente richieste d’aiuto da parte di giovani in difficoltà.
Ma il Ryo attuale, totalmente indifferente alle mossette leziose della qui presente giovane in difficoltà, che, a guardarla bene, era molto più matura di quello che voleva dimostrare, le disse semplicemente:
 
“Allora parliamone. Si accomodi qui” e nel dirlo si diresse verso uno dei tavolini dai divanetti imbottiti tutt’intorno, presso l’angolo più raccolto del locale.
 
Solo che l’uomo si sedette sul bordo esterno del divanetto, e a meno che Kaori non si fosse messa vicino alla cliente – cosa questa altamente improbabile, vista l’evidente antipatia che costei dimostrava per la ragazza – sarebbe dovuta rimanere in piedi, perché Ryo non diede segno di volersi spostare per farla entrare.
Spazientita, la sweeper allora s’infilò nello spazio esiguo restante fra le ginocchia di Ryo e il tavolino, sgomitando e faticando non poco, visto che il socio non l’assecondava minimamente, e anzi, quasi infastidito, aspettava che lei si sistemasse.
Però così facendo Kaori transitò letteralmente sopra le gambe di Ryo, di fatto strusciando il suo sederino a pochi centimetri dall’inguine del partner.
 
Mick trattenne il respiro, e un pizzicorino ben noto si fece sentire: quanto avrebbe voluto essere al posto di quell’idiota patentato???
In condizioni normali dubitava che perfino Ryo sarebbe riuscito a trattenersi e a non dimostrarsi, come dire, interessato, perché lui era fortemente attratto dalla ragazza e non sempre era in grado di nasconderlo.
Ma ora era totalmente anestetizzato, un’ameba asessuata che non valeva una cicca; certo di notte era tutta un’altra musica, però adesso…
Scacciò quei pensieri oziosi, e si ricompose.
 
Piuttosto si soffermò a fare un’altra constatazione: il lavoro era lavoro, si disse, però quella maliarda, con un tempismo perfetto, era giunta proprio nel momento in cui finalmente avevano trovato il modo di infrangere la maledizione, e finché quei due sventurati non fossero riusciti a risolvere il caso, proprio non se ne parlava di mettersi giù a fare gli scongiuri e di tornare alla normalità.
L’americano sospirò frustrato e rassegnato, e voltandosi in direzione di Miki, dallo sguardo che gli rivolse capì che anche lei stava pensando le stesse cose.
Si strinsero nelle spalle.
 
Discretamente la barista si avvicinò al tavolo, e dicendo: “Offre la casa”, vi depose delle tazzine fumanti col suo migliore caffè; poi, così come era venuta, se ne andò silenziosamente, dileguandosi dietro il bancone e riprendendo le sue faccende.
Non perse di vista, però, per un solo istante, i suoi amici sweeper e la loro eccentrica cliente, la quale stava giusto dicendo:
 
“Ho chiesto il vostro aiuto perché ho un problema… o meglio, più specificatamente, è mio fratello che lo ha…”
 
Ops…” si disse a quel punto Kaori “per fortuna Ryo non ha più questo attaccamento morboso nei confronti delle donne, altrimenti a quest’ora avrebbe strepitato come un matto, dicendo che lui lavora solo per la clientela femminile e che i maschi non hanno nessuna attrattiva per lui. Forse è un bene che adesso sia… sia così. Eppure mi manca così tanto, com’era prima…!” e suo malgrado sospirò.
 
Gli altri due al tavolo non se ne accorsero nemmeno, o comunque non ci fecero caso, perché non volsero neanche gli occhi verso di lei.
 
La cliente proseguì come niente fosse:
 
“Mio fratello è il socio fondatore del Dirty Talk…
 
“Ah, sì, del famoso e lussuoso night club Dirty Talk!” l’interruppe Ryo.
 
“Oh, ma perché chiamarlo night?” si difese la donna con un sorriso tiratissimo “Quella parola è, come dire, volgare! Preferisco definirlo un locale, un locale di divertimento e svago, di piacere insomma, ma non necessariamente in quel senso” e gli lanciò un’occhiata significativa e ammiccante.
 
“Può chiamarlo come vuole, però quello è. Ma sentiamo cosa ha da dirci” precisò lo sweeper che, nonostante si fosse fatto paladino della moralità, non dimenticava chi e cosa trovasse posto in certi locali: che fossero di bassa lega o destinati all’alta società, non faceva differenza.
Nel primo si parlava di prostitute o donnine, nel secondo di escort o accompagnatrici.
Il sesso e l’alcool erano gli stessi, cambiavano solo le tariffe e i soldi che giravano, in questo caso moltissimi, e sporchi, come le chiacchiere dell’insegna.
 
La donna preferì non insistere e prese a spiegare:
 
“Dicevo che mio fratello è il socio fondatore, e insieme a lui ci sono altri due soci: Takeshi Zumo, detto La Mangusta, e Hato Miwa Lo Sfregiato, che, secondo noi, vorrebbero eliminare Kenzo Maro, che detiene la quota di maggioranza…”
 
“Kenzo Maro… ma suo fratello non ha il suo stesso cognome!” intervenne Kaori.
 
La cliente, che non amava le interruzioni, si voltò appena in direzione della ragazza che aveva bellamente ignorato tutto il tempo, e puntualizzò:
 
“Sì, infatti lui è il mio fratellastro, ma per me non fa nessuna differenza. L’affetto va oltre, non trova?” le disse con tono quasi tagliente, nonostante il senso delle parole appena dette.
 
Impressionata dal suo fare ambiguo, e toccata nell’intimo, Kaori si limitò ad annuire: sapeva molto bene di cosa stesse parlando la cliente, ma lei avrebbe usato un tono molto più affettuoso parlando del suo adorato fratellone Hideyuki; ma va be’, si disse, forse le scocciava soltanto di essere stata interrotta.
 
“Cosa dovremmo fare esattamente per lei?” tagliò corto Ryo che, stranamente, era intervenuto quasi a prendere le difese della socia.
 
Forse, nonostante tutto, ancora continuava a nutrire dell’affetto per il suo amico Makimura, e non gli era sfuggito quel botta e risposta e, soprattutto, il colpo accusato dalla ragazza.
O forse, molto più prosaicamente, si stava spazientendo, anche se, a ben guardare, era stato lui che non aveva dato modo alla cliente di spiegarsi.
 
Dominandosi a fatica, questa riprese:
 
“Dunque... Kenzo è il socio fondatore nonché principale, ma ha un modo di condurre gli affari che non piace molto agli altri due; questi non possono costringerlo a dimettersi, né avrebbero abbastanza soldi per rilevare la sua parte, quindi, sospettiamo, vorrebbero farlo fuori. Fisicamente intendo!” e piantò gli occhi prima in quelli di Ryo e poi in quelli di Kaori sperando di impressionarli.
Ma la donna non sapeva che ci voleva ben altro per farli trasalire o spaventarli: i City Hunter erano pronti a tutto.
Infatti non mossero un solo muscolo, nemmeno quel tanto per darle un minimo di soddisfazione.
 
Lei continuò:
 
“Ovviamente non ne siamo sicuri, perché con noi si comportano come sempre, ma lo abbiamo saputo per vie traverse e, comunque, loro due non hanno mai nascosto i malumori e le incomprensioni. Gli ottimi incassi però mettono a tacere sempre tutto, anche se… insomma i dissidi restano sempre, e tutto questo non ci fa vivere in tranquillità”
 
“Non vorrà chiedermi, spero, di eliminarli?!” esclamò Ryo, “Perché non ne ho la minima intenzione!” e stavolta fu lui a far trasalire la cliente, che forse non se lo aspettava.
 
Kaori invece ebbe un moto di affetto e stima per il socio, e si sentì confortata: Ryo aveva smesso di essere un killer professionista e non ricorreva quasi mai alla soluzione finale; lei sperava che, un po’, questo fosse dovuto alla sua vicinanza.
In ogni caso era pur sempre un giustiziere, un uomo buono e giusto, e lei lo amava tantissimo anche per questo.
Istintivamente si voltò a guardarlo e, per caso o per volontà, anche Ryo si girò verso di lei e le rivolse un impercettibile sorriso che le riempì il cuore di gioia: poteva anche essere diventato un barboso bacchettone, ma in fondo in fondo, un po’ di affetto ancora lo provava, per lei… forse.
 
La cliente, comunque, si affrettò a rispondere:
 
“No-no, certo che no!”
 
Sembrava aver perso un po’ dello smalto, e la maschera di donna sicura e fatale sembrava sul punto di cadere; precisò:
 
“Noi pensavamo a qualcosa tipo una finta morte… Cioè di scomparire per un po’ dalla scena, per vedere come si sarebbero comportati: se avessero tentato di mettere le mani sulle sue proprietà, e quindi trovare il modo di incastrarli e metterli con le spalle al muro. E poiché io sono l’unica erede dei beni di mio fratello, dovrei sparire anche io con lui, così non solo non correrei rischi di sorta, ma effettivamente il patrimonio rimarrebbe intatto e quegli sciacalli vi si getterebbero a capofitto”.
 
Ovviamente tutto questo spiegava perché la donna si fosse rivolta ai City Hunter e non alla polizia: sia perché il tutto si basava su mere supposizioni, e un reale pericolo oggettivo non c’era tanto da scomodare le forze dell’ordine; ma soprattutto perché si parlava di beni e soldi di dubbia provenienza, non certo frutto di onesto lavoro, né la contabilità ad essi legata era sottoposta ai controlli fiscali governativi.
Questo era uno di quei casi legati al mondo parallelo, e nascosto, a quello normale e standard di tutta la popolazione retta del paese: un caso che solo degli sweeper potevano risolvere.
 
“Sta bene” disse infine Ryo Saeba al termine dell’esposizione “ce ne occuperemo noi. Vi faremo sparire e vi metteremo nelle condizioni di controllare la situazione dal di fuori. Il resto però, non è di nostra competenza, a meno che non richiediate specificatamente il nostro aiuto anche per quello. Direi che, come da prassi, lei e suo fratello Kenzo Maro, da stanotte vi trasferirete a casa nostra, e vi resterete per tutta la durata dell’incarico”.
 
“In realtà, io vorrei che voi prima veniste a conoscere Kenzo e il nostro locale, per vedere l’ambiente e le persone che lo compongono, la clientela, il nostro personale…” e lanciò un’occhiata languida al bel Ryo, che però cadde nel vuoto.
 
Kaori ringraziò mentalmente che Ryo fosse… in quello stato,altrimenti sai che impresa, tenerlo a freno?
E ammesso e non concesso che si fosse comportato bene, la sua sola presenza al club avrebbe attirato schiere di donne allegre e disinibite, sia stipendiate dal Dirty Talk che non, e lei avrebbe dovuto passare tutto il tempo a rodersi dalla gelosia.
Invece, così, lui si sarebbe comportato da monaco casto e puro, e per quel frangente a lei andava benissimo anche così.
 
La cliente, nel frattempo, si era già alzata e si stava dirigendo all’uscita quando si voltò, con studiata lentezza, sicura di essere ancora al centro della loro attenzione e, fingendo di ricordarsene solo in quel momento, disse:
 
“Ah, dimenticavo: ovviamente dovrete venire vestiti in abiti da sera, e non con… con quei completi frusti e ordinari! Soprattutto tu, mia cara” riferendosi a Kaori “Dovrete mischiarvi con i clienti, sembrare una coppia che, come dire, vuole svagarsi e passare ore in allegria, e non due seri professionisti quali apparite ora”.
 
Aveva usato un bel giro di parole e degli eufemismi per dirgli che non li voleva lì vestiti in quel modo e, soprattutto, con quelle facce.
 
“Non appena vi vedrò” riprese dopo una brevissima pausa ad effetto, “vi verrò incontro riconoscendovi come amici di lunga data, e vi introdurrò nel locale. Poi tutto il resto verrà da sé. Vi aspetto, allora. Buona sera” e se ne uscì sculettando.
 
Kaori impercettibilmente tirò un sospiro di sollievo e si grattò la testa: perché si venivano sempre a creare queste strane tensioni fra lei e certe clienti?
Ryo invece si guardò i vestiti, le braccia, le gambe e poi si voltò in direzione della socia a cui disse:
 
“Non capisco perché dovremmo cambiarci! Non va bene così?”
 
“Ryo! Ma l’hai visto come mi mandi in giro ultimamente?”
 
“Certo, sei molto molto elegante, socia” e socchiuse gli occhi compiaciuto per l’affermazione.
 
“Ma se mi fai indossare un completo da uomo!”
 
“Sì, ma… è misto lana!”

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Capitolo 14
*** Dirty Talk ***


Arf arf arf eccomi, ^_^’ scusate il ritardo, ma ho avuto problemi tecnici e una RL parecchio impegnativa ultimamente. Manco a farlo apposta, per farmi perdonare, vi propongo questo capitoletto che è un po’ più lungo degli altri, quindi…. Per voi!
GRAZIE
Eleonora

 
 
 
Cap. 14 Dirty Talk
 
Diverse ore dopo, in casa Saeba-Makimura, i due soci si stavano dando da fare per prepararsi alla serata.
Ma mentre a Ryo era bastato indossare un completo qualsiasi dei più eleganti per apparire come l’uomo affascinante che era, per Kaori le cose erano leggermente più complicate perché le sembrava di non avere niente di adatto allo scopo, e non voleva ricorrere come sempre alla sua amica Eriko per un prestito o un consiglio.
E quando il socio, stranamente, la raggiunse in camera sua, quella che usava prima quando ancora vivevano nello stesso appartamento e dove teneva ancora tutte le sue cose nell’armadio – rifiutandosi di fare un trasloco totale, con la segreta speranza che lui prima o poi cambiasse idea – quasi trasalì trovandoselo sulla porta.
Era già pronta a sorbirsi i suoi rimproveri perché stavano facendo tardi, e si era messa sulla difensiva, farfugliando che non sapeva decidersi, quando lui la stupì dicendole:
 
“Posso darti una mano?”
 
Kaori rimase a mezzo di una scusa qualsiasi e, improvvisamente colpita dalla sua gentilezza, acconsentì di buon grado.
Ryo allora si mise a rovistare nel suo armadio, e quando vi trovò in fondo una scatola per abiti, lunga e stretta, fece per prenderla e aprirla ma lei lo bloccò:
 
“No-no, quella no, non aprirla…”
 
Kaori si mise a sudare freddo: non voleva assolutamente che lui vedesse il contenuto di quella scatola, perché dentro vi era il famoso vestito che aveva indossato la volta in cui si era finta Cenerentola, e che Eriko non aveva rivoluto indietro.
 
Ma Ryo non era dello stesso avviso, e dopo averla guardata interrogativamente per un attimo non capendo il motivo del suo divieto, procedette comunque all’apertura e scostò con delicatezza i leggeri fogli di carta velina che ricoprivano il completo, con tanto di scialle a frange e alta cintura.
 
Kaori trattenne il respiro.
 
Il socio tirò fuori pezzo per pezzo,ammirandolo, prima di appoggiarlo sul letto della ragazza, senza dire una parola.
Alla fine mormorò:
 
“Eri veramente elegante quella sera. Peccato che tu non lo abbia più indossato”.
 
E prima ancora che Kaori potesse dire qualcosa, lui era già sulla porta e, voltandosi appena, aggiunse:
 
“Direi che quello va benissimo. Ti aspetto di sotto” e scomparve.
 
Ripresasi dallo shock, Kaori si vestì in fretta e, dopo essersi passata un leggero velo di trucco sul viso, si decise a scendere al piano di sotto; se Ryo non le avesse chiesto o detto altro di quella strana serata che avevano passato insieme più di un anno fa, di certo non ne avrebbe parlato lei, con il rischio di impappinarsi o straparlare.
Con tutti i problemi che stavano affrontando in quel momento, ci mancava anche di dovergli spiegare il perché di tutta quella messa in scena e chiedergli il motivo per cui non le avesse detto di averla riconosciuta.
Certo era strano che lui lo ammettesse ora, ma adesso era così diverso, così… diretto nelle cose, e anche molto sincero, e non sapeva dire se la cosa le piacesse oppure no.
 
Comunque, quando Ryo la vide s’illuminò in volto e lei, istintivamente, gli sorrise: evidentemente era soddisfatto di ciò che stava vedendo, poiché le disse:
 
“Kaori, sei magnifica! Questo tuo travestimento ti è riuscito alla perfezione: sembri veramente una donna bellissima!”
 
Per poco la ragazza non inciampò e cadde, e non sarebbe valso prenderlo a martellate per la battutaccia che aveva appena sputato, perché quella per lui non era una presa in giro, ma qualcosa che pensava veramente.
Kaori si era scordata che Ryo era diventato un fottuto misogino bacchettone, e ingoiò il rospo a mala pena; la sua pazienza era al limite, e un misto di rabbia e disperazione l’invasero all’istante.
Il suo viso era una maschera di disappunto e frustrazione, ma Ryo non se ne accorse nemmeno perché, con nonchalance, si era già girato e, dopo aver ricontrollato la fedele Phyton e le munizioni, stava armeggiando con le chiavi della macchina.
Si poteva non odiare un uomo così?
Cinico, freddo e antipatico fino all’eccesso?
No.
 
In ogni caso, quando furono al Dirty Talk, consegnarono la Mini nelle mani guantate di un parcheggiatore in divisa, e si diressero all’entrata.
Kaori, messi da parte i suoi sentimenti personali, cercò di calarsi nel personaggio e prese a braccetto il socio, che trasalì a quel contatto.
Si stampò in viso un sorriso annoiato e altezzoso, e ancheggiando sui tacchi alti fece il suo ingresso trionfale sul corto vialetto d’accesso.
 
Il PR controllò i loro nomi nella lista stilata da Misaki Aijin, e a quel punto i due partner ebbero finalmente accesso al Tempio del piacere e del divertimento vero e proprio, così come recitava lo slogan posto sotto alla scritta al neon Dirty Talkche, in rosa shocking, che sovrastava un viso stilizzato con una mano davanti alla bocca e l’espressione maliziosa, facendo così il verso al nome del locale, realizzato con lo stesso materiale.
 
Buona musica aleggiava in sottofondo, e già c’era un discreto movimento di persone e personaggi vari nelle diverse sale e salette del locale elegante.
Camerieri anonimi e deferenti, in giacca e cravatta, sfilavano zigzagando tra la folla con maestria, sorreggendo vassoi carichi di bicchieri, mentre clienti bellissime e svagate prendevano al volo i drink senza neanche guardare.
Donne ingioiellate, o pesantemente truccate per sopperire a ciò che madre natura non gli aveva donato, sfoggiavano abiti all’ultima moda, e per un attimo Kaori si chiese se quello che reputava il suo più bel vestito avrebbe potuto reggerne il confronto.
Mascherò il disagio e strinse più forte il braccio del suo socio: che fosse o meno un cretino, aveva bisogno del suo appoggio, e averlo comunque accanto le era di gran conforto.
 
I due si guardarono discretamente intorno: se le donne erano fintamente annoiate, eleganti e in cerca, gli uomini non erano da meno; ma mentre il make-up migliorava l’aspetto delle une, gli altri non potevano di certo far nulla per nascondere la loro poca avvenenza, perché nemmeno gli abiti costosi riuscivano a coprire i corpi sgraziati o sformati da anni di eccessi, che fossero in alcolici, droghe, o pantagrueliche mangiate.
In pochi potevano definirsi belli o anche solo carini, e le coppie, spesso malamente assortite, con le donne che di gran lunga superavano in fascino la controparte maschile, avevano tutte un non so che di bizzarro.
Kaori si chiese quante di quelle fossero autentiche e quante, invece, frutto di amori mercenari.
Un brivido le passò lungo la schiena: anche se erano anni che bazzicava quel mondo, o vi gravitava intorno, non si sarebbe abituata mai a certi ambienti e, pur non essendo una rigida moralista, valutò che lì ci fosse veramente poca felicità e tanto squallore.
 
Lo scoppio di un tappo di champagne saltato da un tavolino del privèe, attirò per un attimo l’attenzione dei due sweeper, sempre attenti e allerta, ma l’esplosione di grasse risate goderecce che ne seguì, confermò che non c’era nulla di cui preoccuparsi.
Del resto Ryo si sarebbe accorto subito se a provocare quel piccolo boato fosse stata un’arma da fuoco, anziché una costosa bottiglia di Dom Perignon: lì le più famose bollicine scorrevano a fiumi, come i milioni di yen, ed era tutto nella norma.
 
Comunque fosse, nel giro di pochi minuti, più o meno tutti si erano accorti della nuova bellissima coppia che aveva fatto ingresso nel locale: eleganti e distinti, si muovevano con disinvoltura fra la folla e sembrava che s’intendessero a meraviglia.
E mentre le donne si chiedevano chi fosse quel moro affascinante dall’aria selvaggia e misteriosa, e se ci fosse mai speranza di finire nel suo letto, le loro controparti maschili invidiavano quello stesso uomo e si domandavano se, con un po’ di fortuna – e il denaro giusto – sarebbero riusciti ad ottenere le grazie della meravigliosa donna al suo fianco.
 
A conferma di ciò, non appena Kenzo Maro li focalizzò, non ebbe occhi che per Kaori, della quale pensò:
 
Veramente notevole. Mia sorella non mi aveva detto che la socia di Saeba fosse un tale schianto. Starebbe benissimo nella mia scuderia, e ha tutte le carte in regola per diventare la mia favorita. Chissà se è libera o legata sentimentalmente a quel cretino del suo collega? Sarà uno spasso corteggiarla… e rubargliela”.
 
Anche Misaki li aveva avvistati; li aspettava già da un po’ e, mascherando il crescente nervosismo, non aveva smesso di controllare discretamente l’entrata.
Ma se appena li vide riconobbe subito Ryo, per un attimo si chiese chi fosse quella splendida creatura al suo fianco.
Un senso di disappunto la assalì: i due soci le avevano assicurato che sarebbero venuti entrambi… ma dannazione, allora chi era quella?
Al disappunto si aggiunse la gelosia, perché quella giovane era davvero affascinante.
 
La trasformazione avvenuta in Kaori la rendeva irriconoscibile, e da ragazza indifferente, quale l’aveva giudicata la cliente, passò in un attimo a rivale; Misaki aveva molto successo con gli uomini e nessuno le resisteva.
E poi aveva già messo gli occhi su Ryo, di cui conosceva la fama di playboy, e non le sarebbe dispiaciuta affatto un’avventura con lui, una liaison senza pensieri, che erano il suo passatempo preferito.
D’altronde Mr. Saeba era abbastanza frivolo per intrattenersi con lei, aveva questa nomea, e quindi perché non approfittarne?
Aveva anche sentito dire che lui pretendeva pagamenti in natura per risolvere i casi, e a lei andava più che bene, nonostante ancora non ne avessero parlato.
 
Nel pomeriggio, quando aveva conosciuto i due City Hunter, non aveva degnato di un solo sguardo quella sottospecie di donna che era la sua socia, paludata in un ridicolo completo da uomo, ma adesso non riusciva a credere ai suoi occhi: la ragazza era a dir poco superlativa e, passata la piccola fitta di gelosia, valutò che nel suo locale avrebbe fatto faville.
Già s’immaginava schiere di clienti chiedere di passare anche solo un’ora con lei, e ben presto sarebbe diventata una celebrità al Dirty Talk… sempre che avesse accettato, e che il socio l’avesse lasciata andare, però.
Ma sapeva come convincerli; se non c’era un sentimento d’amore a legarli, tutto era possibile.
Con un po’ di complimenti e lusinghe, quale donna sarebbe rimasta indifferente?
E poi la paga, gli extra, i bonus e soprattutto i benefit, anzi no, i regali, che gli uomini sarebbero stati disposti ad elargire, l’avrebbero convinta.
E mentre lei, Misaki, si sarebbe dedicata a quel bel tenebroso del suo socio, tutti avrebbero trovato il modo di distrarsi piacevolmente.
Del resto quello era il posto giusto, no?
 
Gli andò incontro, da buona padrona di casa, e li accolse così:
 
“Benvenuti! Vi stavo aspettando!” e si frappose fra i due, dividendoli, e prendendoli entrambi a braccetto.
 
Sfoderando un sorriso esageratamente ostentato, se li portò dietro fino al tavolo d’onore e li fece sedere sul basso divanetto di pelle rossa, trapuntato con fili d’oro.
Kaori sedette sul bordo, troppo tesa per lasciarsi andare, col rischio di rovinare l’impressione di donna di classe che aveva assunto; Ryo invece vi sprofondò, e con disinvoltura appoggiò le braccia sullo schienale.
 
“Davvero carino, qui” esclamò guardandosi intorno.
 
“La ringrazio, questo è il frutto di anni di duro lavoro”
 
“…immagino…” aggiunse Ryo con un sorrisino beffardo.
 
“Mio fratello vi raggiungerà fra breve, intanto che ne dite di ordinare qualcosa? Avete qualche preferenza o… faccio io?”
 
“Direi che per il momento faremo un salto giù in pista: ci confonderemo meglio alla clientela e potremo osservare da debita distanza chi vi ruota attorno, da semplici spettatori. Non daremo nell’occhio, e quando arriveranno i soci di tuo fratello ce ne accorgeremo” spiegò lo sweeper.
 
“Non c’è problema: siete voi i professionisti” esclamò Misaki per niente disturbata dalla cosa.
 
E con una strizzatina d’occhio, si allontanò verso altri facoltosi avventori.
 
Kaori non si era fatta illusioni sul fatto che Ryo volesse veramente ballare con lei, e lo seguì con finto entusiasmo: erano sotto copertura, stavano lavorando, stavano semplicemente recitando.
Lo avevano fatto altre volte, giusto?
 
Ma quando Ryo le prese la mano e l’attirò a sé posandole l’altra sul fianco, a dispetto del distacco professionale che avrebbe voluto provare, fu presa dal batticuore.
Maledizione, non si sarebbe abituata mai a stare così a stretto contatto con lui, senza finire per fantasticarci su… però, se prima intravedeva una lontanissima speranza per loro, adesso le sembrava davvero impossibile.
Mentalmente si rabbuiò.
 
Evitava comunque di guardarlo negli occhi, e faceva vagare lo sguardo tutt’intorno per raccogliere più informazioni possibili; trasalì appena, quando Ryo le sussurrò in un orecchio:
 
“Stai andando bene, socia!”
 
Si voltò a guardarlo stupita, chiedendosi cosa volesse intendere, e preferì non dire nulla.
 
“Ti sei proprio calata nella parte: sembri perfettamente a tuo agio, qui” aggiunse poi, con un leggero sorriso incoraggiante e sincero.
 
La socia lo maledì interiormente perché, se da un lato amava la sua sincerità, dall’altro odiava il suo cinismo e la sua freddezza per quanto riguardava i loro rapporti; però rispose al volo:
 
“Hai detto bene, sembri!”
 
“Vero, però questo fa parte del nostro lavoro, no?” puntualizzò.
 
Volteggiavano leggeri e non perdevano un passo, e sarebbe stato fantastico se fosse stato tutto vero; ma quando furono sul punto di scontrarsi con una coppia visibilmente alticcia, e resa frizzante dal troppo alcool, o da qualcos’ altro, Ryo la tirò velocemente verso di sé, evitandole l’urto con i due che piroettavano fuori tempo sbandando a destra e a sinistra.
Kaori, ritrovandosi a stretto contatto con l’ampio torace del socio, fu invasa dal suo dolce tepore, e colse subito l’occasione di stringersi di più a lui che, inaspettatamente, l’accolse senza protestare.
La ragazza allora appoggiò la guancia alla sua spalla e per un attimo chiuse gli occhi, divisa e turbata da mille pensieri: stavano lavorando, Ryo non la voleva, non erano lì come una vera coppia… eppure era talmente tanto bello, che quella disperata speranza per un amore mai sbocciato, le torturava l’anima.
Ma poi, inaspettatamente, si accorse che non era solo il suo cuore a battere all’impazzata: anche quello di Ryo aveva accelerato il battito!
E allora, lentamente, si staccò da lui per poterlo vedere meglio in volto.
Sembrava  guardare lontano, ieratico, distante, eppure il suo cuore lo stava tradendo.
Una folle idea l’accese di fiducia e ottimismo: lui era indubbiamente emozionato quanto lei, e il suo batticuore non poteva essere dovuto ad altro, nemmeno ad un ipotetico pericolo in agguato, altrimenti Ryo si sarebbe messo sulla difensiva e le avrebbe detto qualcosa.
 
Sentendosi osservato da quegli occhi di ambra fusa, Ryo abbassò lo sguardo ad incontrare il suo: si guardarono intensamente senza dire nulla, mentre le note scivolavano lente sui vestiti di seta, sul pavimento levigato di marmo policromo, sui velluti dei pesanti tendaggi, riempiendo calici vuoti e risuonando fin dietro i separé di carta di riso e raso, e fin dentro le salette private.
Se ci si dimenticava che quello era un night di lusso, si poteva pensare di essere ad un gran galà elegante.
 
Era bello ballare con l’uomo di cui era innamorata…
Ma poi, d’improvviso, si ricordò di come fosse Ryo, di come si comportasse da un paio di settimane a quella parte con lei, e volle rompere l’incanto di quel magnifico momento, perché sognare come stava facendo lei, le sminuzzava il cuore.
Stava soffrendo troppo, pertanto gli disse, con un sorriso sardonico:
 
“Anche tu stai andando bene, socio” rifacendogli il verso.
 
“Ti riferisci al fatto che conosco i passi di questo ballo?” le rispose lui.
 
“No, perché sembri davvero un uomo innamorato. Ti viene bene fingere, sei un attore nato” e gli fece la linguaccia, per convincersi che quella fosse solo un’enorme riuscitissima finzione; ma lui trasalì appena e fece una faccia strana: sembrava esserci rimasto male.
Non ribatté con un'altra battuta, e la guardò tristemente.
 
Ma ecco che la musica aveva già cambiato ritmo, e il ballo lento che avevano appena eseguito stava lasciando il posto ad una frenetica rumba.
Tacitamente si ritrassero dalla pista, e raggiunsero il tavolino che gli aveva riservato Misaki.
Sedendosi trovarono due drink, e sotto il bicchiere di Kaori c’era un foglietto ripiegato.
Incuriosita lo aprì e lesse:
 
Alla donna più bella che abbia mai visto, stasera e sempre. K. M.”.
 
Avvampò di piacere e imbarazzo, e Ryo, notando il suo turbamento, dapprima la guardò interrogativamente, poi, preso il biglietto che lei gli tendeva, lesse anche lui.
Serrò impercettibilmente la mascella, ma ciò non sfuggì alla partner che scrutava il suo viso con attenzione, aspettandosi una battutaccia, che comunque dal nuovo Ryo non sarebbe mai arrivata, o qualcosa di altrettanto offensivo.
Lui invece si limitò a sibilare:
 
“Kenzo Maro”.
 
Istintivamente, i due girarono lo sguardo tutto attorno per scovare il titolare del locale, evidentemente così galante e spudorato da esporsi in quel modo.
Non tardarono ad avvistarlo, lui che aspettava di essere notato: in piedi, appoggiato mollemente al bancone del bar, alzò il suo bicchiere in segno di saluto accennando una sorta di brindisi, e lo scintillio dei suoi occhi furbi riuscirono a vederlo fin da lì.
Si staccò dal bancone e fece per venire da loro, con calma e studiata eleganza, affettato nei modi: era perfettamente padrone di sé.
Indossava un completo estivo bianco in soffice tessuto, forse lino o cotone; le spalline rinforzate mettevano in risalto le già ampie spalle possenti; le lunghe gambe si muovevano dentro pantaloni larghi e comodi, ma impeccabili nella piega; mocassini di marocchino tirato a lucido erano calzati senza calzini.
Il suo stile fintamente casual, o da ricco magnate in vacanza sul suo yacht, non strideva affatto in tutto quel lusso: ogni singolo capo costava una vera fortuna, e le firme più in voga della moda internazionale, avevano prestato il loro nome al vestiario del bel Kenzo Maro.
In effetti, non solo economicamente poteva permettersi di spendere tanto, ma il fisico e la naturale avvenenza gli consentivano di indossare qualsiasi cosa, tanto gli sarebbe stata bene comunque.
I capelli neri corvini, lisci e lunghi, a ricadere morbidamente sulle spalle, sciolti, creavano un bizzarro connubio di ricercatezza e studiata trascuratezza, tale che non si avesse l’impressione di essere di fronte ad un damerino impomatato, ma nemmeno ad uno sciatto riccone.
La sua aura era potente, così come il magnetismo animale che sprigionava: inaspettatamente Kaori si sentì attratta e turbata da quell’uomo, e arrossì leggermente.
Il suo sguardo, sfacciatamente interessato, sembrava penetrarla fin nel profondo, e la ragazza si sentì come nuda sotto i suoi occhi.
Con la gola improvvisamente riarsa, si portò alle labbra il bicchiere con mani tremanti, e sperò che nessuno dei due uomini che la stavano osservando se ne accorgesse.
 
“Enchanté!” disse in perfetto francese e, presale la mano, gliela baciò.
 
Ryo si mosse a disagio.
 
“Pi-piacere di conoscerla” balbettò quasi Kaori “lei deve essere Kenzo Maro, giusto?” articolò alla meglio.
 
“Diamoci del tu, vuoi?” rispose fissandola con occhi cupidi e sguardo ammirato.
 
“Va-va bene” acconsentì la ragazza “Io sono…”
 
“Sì, so già chi sei. Kaori, un nome bellissimo: profumo; un nome adatto a te” e sembrò che fosse sul punto di avvicinare il naso e fare l’atto di annusarla.
Ma Ryo, che più che sentirsi escluso da quel corteggiamento sfacciato, provava uno strano pizzicore in tutto il corpo, come quando si indossano vecchi maglioni di lana, vedendo la sua socia cedere, in qualche modo, al fascino di quello che era a tutti gli effetti il loro cliente – e figurarsi a credere che ciò che stava provando in quel momento fosse pura e cristallina gelosia – si schiarì la voce, attirando l’attenzione dei due.
 
“Ah, sì” esclamò Kaori, riscuotendosi dalla malia che le aveva tessuto intorno Kenzo Maro “Ti presento il mio socio: Ryo Saeba” e distolse lo sguardo dall’uomo per voltarsi verso il socio in questione che, forse a causa delle luci del locale, sembrava aver un colorito leggermente verdognolo.
 
“Ma certo!” esclamò Maro “Lei è il grande Ryo Saeba!” e gli regalò un sorriso abbacinante da trentadue perfettissimi denti “Chi non la conosce in città? Mi sono sempre chiesto perché non avesse mai messo piede nel nostro locale” e gli rivolse un malizioso cenno d’intesa.
 
“Mr. Maro” iniziò Ryo seriamente “non sono mai passato da queste parti perché…” stava per dire che non se lo poteva permettere, di andare a gozzovigliare in un locale costoso come quello, perché nonostante ora fosse una specie di monaco eremita, si ricordava molto bene i suoi trascorsi nei soliti localini, e che preferiva certe donnine più abbordabili e con meno pretese delle affascinanti escort che invadevano il DirtyTalk, ma si trattenne.
Uno strano pudore lo invase e, alla recente sincerità acquisita, sostituì una più ragionevole diplomazia terminando con:
 
“… perché ho altre abitudini e altri giri”.
 
E tutto questo perché si sentiva sotto la lente d’ingrandimento di Kaori, e bizzarramente provò l’impulso di non ferirla, di non offenderla; non voleva deluderla, eppure sapeva perfettamente che la sua socia era a conoscenza delle sue passate scorribande.
 
“Naturalmente…” chiosò Kenzo Maro, e parve in qualche modo soddisfatto dalla risposta, perché non aggiunse altro in merito.
 
Però si vedeva che l’uomo teneva in grande considerazione Ryo Saeba e la sua fama di Stallone di Shinjuku; lo invidiava, forse, per le imprese amorose di cui si favoleggiava, e avrebbe voluto essere al suo posto, o semplicemente gli sembrava di essere di fronte ad un suo pari perché, a ben vedere, Kenzo non aveva nulla da invidiare a Mr. Saeba, in fatto di bellezza e fascino: entrambi piacevano alle donne, e le donne piacevano ad entrambi… almeno questo si poteva dire di Ryo fino a non molto tempo fa.
In ogni caso, Kenzo pensò che, visto che la sua partner era così avvenente, quello fosse un sintomo di successo e fortuna in campo amoroso.
Si chiese piuttosto se ci fosse un legame sentimentale solido fra i due, o se l’unione si fosse mai consumata… in breve, in che rapporti fossero, perché Kaori gli piaceva sul serio e, se non c’era una relazione fra i due, ne avrebbe approfittato.
 
Per un attimo mise da parte le sue brame personali e si risolse di parlare del caso con i City Hunter:
 
“Piuttosto, saprete già da mia sorella di cosa si tratta il mio problema” e sorrise di nuovo con quel suo fare accattivante.
 
“Sì, direi che è stata molto chiara in proposito” rispose Ryo, calandosi nei panni del professionista “Ha insistito perché noi venissimo qui a conoscere il locale e i suoi soci che, a dirla tutta, non ho ancora incontrato…”
 
“Sì” l’interruppe Kenzo “non sono ancora arrivati: si dovevano occupare di certi affari e arriveranno più tardi. Ovviamente, se dovessero trovarci insieme, fingeremo di esserci conosciuti al momento e che voi siete due semplici clienti”.
 
“Quello era scontato” puntualizzò lo sweeper con una punta di acidità di troppo “Non deve insegnarci il nostro mestiere”.
 
“Oh, sì, certo, mi scusi” si affrettò a dire Maro “È che ultimamente sono diventato molto sospettoso e paranoico e vedo complotti in ogni dove. Ho perso la fiducia in quei due che reputavo come fratelli, ed ora temo per la mia vita. Vorrei potermi sbagliare, e per questo ho chiesto il vostro aiuto. Se e quando riuscirete a farmi sparire per un po’, scoprirò finalmente le loro vere intenzioni, e agirò di conseguenza”.
 
“Fa bene a non fidarsi” gli disse Ryo “In certi ambienti non c’è mai da stare tranquilli”.
 
“Ma noi l’aiuteremo” intervenne Kaori “Vedrà, faremo un bel lavoro e tutto si sistemerà” aggiunse con il solito ottimismo.
 
Kenzo fu quasi intenerito dalla sua uscita: davvero questa ragazza era così ingenua da poter affrontare la vita e certi problemi con il sorriso sulle labbra?
Sembrava quasi fuori dal mondo.
Però questo candore le dava un tocco in più: sarebbe stato estremamente piacevole sedurla e conquistarla e già pregustava quel momento.
 
Poi Kenzo Maro si voltò giusto in tempo per vedere entrare i suoi famigerati soci, e rivolgendosi ai City Hunter disse:
 
“Toh, sono appena arrivati quei due” e ammiccò nella loro direzione “e devo andare da loro. Come detto ci siamo appena conosciuti, noi tre, e non c’è bisogno di dirvi di tenerli d’occhio. Ci vediamo più tardi” e non aspettò nemmeno di essere salutato, che si diresse a grandi falcate verso di loro.
 
Ryo e Kaori si presero del tempo per osservare i nuovi arrivati, e farsi un’idea dei presunti nemici del loro cliente.
Fra i due individuarono quello che era soprannominato Mangusta, forse per la rassomiglianza con il piccolo carnivoro, perché Takeshi Zumo aveva il viso leggermente appuntito, gli occhi di piccole dimensioni e le orecchie simili a quelle dell’animaletto; i suoi capelli erano tagliati corti, ma si vedeva che erano grossi e spessi, e nel caso li avesse lasciati crescere come Kenzo, ad esempio, avrebbe avuto una criniera ispida e disordinata.
Se fosse scaltro e opportunista come la bestiola in questione, di cui si diceva fosse l’unica in grado di attaccare un serpente per poi cibarsene, non era ancora dato sapere, perché il suo atteggiamento, al contrario, sembrava piuttosto aperto e cordiale, e aveva l’aria di un gaudente contento di stare al mondo: rideva e scherzava col suo compare, e non smettevano di punzecchiarsi e darsi pacche e spintoni in modo cameratesco.
E se i due City Hunter si aspettavano i classici balordi arrivisti, furono in qualche modo delusi, perché Takeshi Zumo e Hato Miwa non lo sembravano affatto.
Anzi, quest’ultimo era una vera bellezza: esile e slanciato, aveva un viso aggraziato, gentile, quasi femmineo; un lungo ciuffo ribelle che ricadeva in continuazione sull’occhio sinistro ad ogni movimento e scuotimento della testa – e prontamente rimesso a posto da una mano nervosa o da un colpo di capo – lo faceva apparire come l’eroe di troppi anime per ragazze romantiche, e davvero Ryo e Kaori stentavano a capire perché lo chiamassero Lo Sfregiato.
Forse il famoso sfregio era proprio sotto il ciuffo, sulla fronte o appena sopra l’occhio, perché altrimenti non si spiegava dove altro potesse essere.
 
Accortosi di essere osservato, rivolse un occhiolino malizioso a Kaori che, sentendosi in qualche modo scoperta, abbassò rapidamente gli occhi.
 
L’ideale sarebbe stato poter parlare con i due amiconi, ma non era ancora il momento: Ryo e Kaori aspettavano l’occasione giusta e non dovevano avere fretta; la serata era appena cominciata, e ce n’erano ancora di cose da verificare.
 
Kaori, con un sospiro, si rivolse al socio:
 
“Senti anche tu questo profumo di sottofondo? Nonostante il fumo di sigarette, di sigari, alcool e lozioni varie, aleggia uno strano sentore, non trovi?” chiese la ragazza, sia per intavolare una qualsiasi conversazione, sia per provare a dire qualcosa di interessante: non era molto avvezza a certi locali, se ne teneva bene alla larga e vi entrava solo se era costretta o per lavoro, ma lì tutto sembrava studiato nei minimi particolari e davvero quel tono soave aleggiava piacevolmente nell’aria.
 
Ryo inspirò profondamente:
 
“Sì, hai ragione, lo sento anch’io. Sembra odore d’incenso, una fragranza che dà un tocco in più al locale. Sicuramente ci sono dei diffusori nascosti da qualche parte, che spandono essenze costose. Bizzarra, la cosa, ma non mi stupisco più di tanto. Questo è un locale d’alta classe, e forse vogliono distinguersi anche in questo”.
 
Restarono in silenzio per un po’, però effettivamente quel profumo, che si faceva via via più inteso, donava un senso di rilassatezza e mollezza, e ad un certo punto Kaori si sentì languida: stava forse subendo il fascino di un tale locale?
Si guardò intorno per la milionesima volta, e si accorse, probabilmente perché prima era a caccia di altro e non ci aveva fatto caso, che le coppie ai tavoli come loro, chi più chi meno, stavano discretamente amoreggiando.
Le donne si strusciavano addosso ai propri uomini, e c’era uno scambio continuo di carezze più o meno furtive; qualcuna rideva forte o di gola, gettava la testa all’indietro e spesso i loro colli scoperti venivano assaliti da partner vogliosi che li coprivano di baci sensuali, per poi finire per ridacchiare entrambi.
Alcuni si baciavano senza ritegno, lasciando intendere che quello era solo il preludio a qualcosa d’altro, di ben più impegnativo e intimo.
In definitiva il piacere carnale si manifestava in molteplici modi, e la giovane donna si sentì la bocca riarsa: ingoiò a fatica.
Non che la mettesse particolarmente in imbarazzo vedere altri baciarsi o amoreggiare, ma esserne letteralmente circondata e ricordandosi in che razza di locale si trovavano, la mandò in confusione.
Inoltre la consapevolezza di essere l’unica coppia nei paraggi a non tenersi nemmeno per mano, e ben lungi anche solo dal pensare o immaginare di fare altro che non fosse una pacca fraterna sulle spalle, la fece sentire terribilmente fuori luogo, una sorta d’intrusa.
 
Si mosse a disagio sul divanetto, cosa che non passò inosservata al socio che pazientemente roteava il suo bicchiere tra le dita e giocava con i restanti cubetti del drink, facendoli cozzare con il vetro.
Strano a dirsi, non avevano molto da dire, e per fortuna il nuovo Ryo non l’aveva lasciata lì a rodersi il fegato dalla gelosia, per andare a caccia di donne in modalità maniaco o, che era forse peggio, in modalità seduttore.
Era rimasto lì con lei, ma non accennava nemmeno ad un qualsiasi argomento; era quasi imbarazzante il loro silenzio.
Vedendo però la sua partner in difficoltà le chiese:
 
“Cosa c’è, Kaori? Qualcosa non va?”
 
“Sì… cioè no. Non lo so…”
 
Ryo non disse altro, si limitò a guardarla sperando che continuasse.
Da sempre alieno alle dinamiche femminili, sapeva che ogni volta che una donna rispondeva sì o no, era il contrario di ciò che pensava, e se questa diceva che non conosceva il motivo di una cosa, lo sapeva eccome.
In quell’istante Kaori avrebbe potuto dire tutto e il contrario di tutto.
Le sorrise incoraggiante e lei si buttò:
 
“Cioè… guardati intorno… tutti stanno facendo… stanno facendo qualcosa, e noi no. Voglio dire a parte ballare, che poi… non so, ti va di rifarlo ancora?”
 
“Sì, magari più tardi” buttò lì lui, ma immaginò che non fosse ciò che pensava realmente la socia, perché incalzò: “Avanti Kaori, sputa il rospo”.
 
Ma la ragazza avvampò al solo pensiero di mettere in parole le sue idee, e fu lì lì per impappinarsi; però si fece forza e sbottò:
 
“Qui tutte le coppie sono… sono coppie! Li vedi? Non saranno tutti fidanzati, o sposati, o che ne so? Però ecco, non stanno semplicemente seduti ad un tavolo ad ascoltare musica e bere drink come facciamo noi!” disse quasi tutto d’un fiato.
 
“Ah, intendi dire perché si baciano?”
 
“Anche!”
 
“E secondo te cosa dovremmo fare?”
 
Nella sua schiettezza era quasi disarmante: il vecchio Ryo non avrebbe risposto così, pensò fulmineamente la socia.
 
“Ma che ne so? Sei tu l’uomo di mondo! Forse… dico forse… dovremmo provarci anche noi… per finta eh?!” si affrettò a specificare.
 
Ryo si guardò intorno ancora una volta: effettivamente loro erano rimasti gli unici a non fare… quello che facevano gli altri.
E quella piacevole atmosfera, rilassante e inebriante insieme, gli infondeva un benessere strano, lo rilassava e, allo stesso tempo, gli acuiva i sensi.
 
“Mmmm, forse hai ragione…”
 
Non fece in tempo a parlare, che la socia gli si avvicinò così tanto che nell’impeto gli cadde quasi addosso, e col suo goffo slancio arrivò a baciarlo all’angolo della bocca, per poi ritrarsi quasi pentita.
Non era comunque sua intenzione mirare alla bocca piena, perché dovevano solo fingere, e ad un ipotetico spettatore quello sarebbe potuto sembra un vero bacio, forse… e poi temeva che Ryo la respingesse, e non si sentiva così sicura da osare tanto.
 
Ma quel bacio di sfuggita, dato quasi per finta, ebbe il potere di far vacillare il grande Ryo Saeba, il Monaco di Shinjuku, e le labbra di Kaori gli bruciarono la pelle e l’anima fino a farlo fremere.
Un potente brivido si riverberò lungo la schiena, e il cuore parve balzargli nel petto.
Sgranati gli occhi per la sorpresa, rimase senza fiato con un unico pensiero in testa:
 
Ancora!
 

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Capitolo 15
*** To paradise and back ***


Scusate il ritardo, ma visto il periodo è scontato che la RL abbia la precedenza su tutto! E infatti ne approfitto per augurarvi un Natale sereno e in salute, e che vi possa regalare attimi di pura felicità , malgrado tutto.
Buona lettura e grazie per le bellissime rec *.* vi adoro!
Eleonora

 
 
 
 
 
Ma quel bacio di sfuggita, dato quasi per finta, ebbe il potere di far vacillare il grande Ryo Saeba, il Monaco di Shinjuku, e le labbra di Kaori gli bruciarono la pelle e l’anima fino a farlo fremere.
Un potente brivido si riverberò lungo la schiena e il cuore parve balzargli nel petto.
Sgranati gli occhi per la sorpresa, rimase senza fiato con un unico pensiero in testa:
“Ancora!”
 
 
 
Cap. 15 To paradise and back
 
 
 
 
Non appena Ryo fu in grado di parlare, iniziò dicendo:
 
“Kaori, io…”
 
Ma fu bloccato dall’arrivo di Misaki che proruppe con:
 
“Ho forse interrotto qualcosa? No-o? Bene, ne sono lieta” e gli rivolse un sorriso smagliante e compiaciuto.
 
In realtà il suo arrivo era stato tempestivo e, malignamente, li aveva interrotti di proposito, qualunque cosa stessero facendo o per fare.
S’infilò nel divanetto dietro al tavolo, dove erano seduti i due sweeper, ovviamente dalla parte di Ryo e quasi gli finì addosso con l’impeto dell’entusiasmo.
 
“Allora? Vi state divertendo?” chiese gaia, mentre Kaori, ancora sottosopra a causa della sua timida audacia e degli effetti dirompenti che aveva avuto anche su di lei quel bacio furtivo, cercava di riprendersi.
 
Divertirsi era una parola grossa, pensò Kaori, ma non voleva essere scortese.
Scelse di tacere, in fondo non era così tanto sicura che la signorina Aijin desiderasse veramente conoscere il suo parere: era a Ryo che puntava, se ne sarebbe accorto anche un cieco, e chissà che proprio lei non sarebbe riuscita a sciogliere il socio e farlo tornare quello di un tempo?
Non seppe se tale prospettiva le facesse piacere oppure no.
Ma Ryo rispose per entrambi e precisò:
 
“Siamo qui per lavoro”
 
“Vero, ma nulla vi impedisce di approfittarne” ribatté la donna, per nulla scoraggiata dalla risposta laconica dell’uomo, e anzi gli rivolse uno sguardo malizioso e si strinse di più a lui.
 
Ryo, dal canto suo, era quasi arrivato al limite; una donna, una donna come Misaki, che gli si strusciava addosso, era troppo per lui!
E poi, poco prima, aveva provato un’emozione intensa e sconosciuta accanto alla sua partner che avrebbe tanto voluto approfondire, e quell’importuna della Aijin si era materializzata quasi all’improvviso.
Non poteva mandarla via, né essere maleducato con lei, in fondo era la loro cliente, colei che li aveva ingaggiati e che, in ultima analisi, li avrebbe pagati; lui era pur sempre un professionista, e abbozzò.
 
Misaki tornò alla carica, senza considerare Kaori minimanente:
 
“Senta, signor Saeba, se non ha niente in contrario, vorrei mostrale alcune cose in giro per il locale, così da avere un’idea degli spazi e del personale; vuol venire con me?” e già si era alzata tendendogli la mano.
 
Inaspettatamente Ryo si volse a guardare Kaori, come se necessitasse del suo consenso: lei annuì impercettibilmente, e solo allora l’uomo si alzò dal suo posto, ignorando discretamente la mano tesa dell’altra.
 
“Io vi aspetto qui” disse la sweeper, indecisa se lasciarsi andare alla gelosia più struggente, o frenarsi convincendosi che quello era solo lavoro.
 
Sospirò e si abbandonò sullo schienale; si augurò che il giro turistico non durasse troppo, perché era stanca di quel posto e di tutto il resto, e non vedeva l’ora di tornarsene a casa e magari dormire.
 
Non fece in tempo a perdersi in tali ragionamenti che fu subito raggiunta dai soci di Kenzo Maro: Takeshi Zumo e Hato Miwa.
 
“Ma come si fa a lasciare da sola una ragazza carina come te!?” proruppe Hato Miwa, avvicinandosi al tavolo.
 
Kaori si raddrizzò all’istante.
 
Quei due erano i famigerati soci cospiratori, e magari farsi abbordare da loro avrebbe significato scoprire qualcosa di più su di loro.
Si sforzò di sorridere a suo agio.
 
“Come vedi si fa, e molto presto!” rispose a tono Kaori, suscitando una sincera risata nei due.
 
“E anche molto simpatica!” aggiunse Takeshi.
 
Kaori si strinse nelle spalle sorridendo divertita.
Se da lontano non le erano sembrati i loschi figuri che i soprannomi lasciavano intendere, da vicino avevano tutta l’aria di essere due amiconi simpatici e divertenti; forse un po’ infantili e goliardici ma, in fondo, perché no?
Parevano anche più giovani di Kenzo, e se il sorriso gioviale di Takeshi trasformava il suo viso in qualcosa di accattivante, bizzarro ma piacevole, Hato era davvero affascinante, sicuramente l’idolo della sua scuola e di tutte le ragazze che avevano a che fare con lui.
 
Fu proprio Hato a parlare:
 
“Scusa la nostra sfacciataggine, ma davvero vederti qui da sola ci ha incuriosito. Mi presento: io sono Hato Miwa e questa sottospecie di bestia a due zampe è Takeshi Zumo, non a caso soprannominato La Mangusta”.
 
“Zitto tu” lo rimbrottò l’altro dandogli una spinta che lo fece vacillare; se Hato possedeva una speciale bellezza androgina, Takeshi era decisamente più massiccio e virile, non corpulento, quello no, ma sicuramente più ben piazzato dell’efebico Miwa: “Comunque lui è Lo sfregiato” puntualizzò con malcelata malignità.
 
Kaori pensò che avrebbe tanto voluto dirgli che già lo sapeva, ma era troppo divertente ascoltarli bisticciare e, per un attimo, dimenticò Ryo e la bella Misaki in giro per il Dirty Talk.
 
“Sì, mi chiamano lo sfregiato perché mi sono fatta questa” e con una mano scoprì la cicatrice sulla fronte “durante il campionato di motocross a Dubai, a causa di una brutta caduta: ero in prima posizione e stavo vincendo, poi purtroppo mi è scoppiata una ruota e…”
 
“Ancora con questa storia!” l’interruppe l’amico, e poi chinandosi verso Kaori e abbassando il tono della voce, le disse, facendosi schermo con la mano: “È una balla colossale, e la racconta sempre per impressionare le ragazze. In realtà se l’è fatta sbattendo la testa nella veranda di casa, mentre inseguiva un gatto che gli aveva rubato una fettina di Tonkatsu[1]” e, detto questo, scoppiò in una colossale risata.
 
“Sei sempre il solito animale!” borbottò Hato, sferrando un cazzotto alla spalla dell’amico che non si scompose.
 
Kaori, di fronte a quel teatrino, scoppiò a ridere divertita e si sentì il cuore finalmente leggero.
Forse quei due volevano veramente far fuori il loro socio, anche se il suo sesto senso le diceva di no, ma erano davvero spassosi e avevano avuto il potere di distrarla: era la prima vera risata della serata, ma, a pensarci bene, anche dopo parecchi giorni.
 
Decise che poteva fidarsi di loro e, quando l’invitarono a ballare una hit pop dance molto in voga in quel momento, accettò senza riserve: in pista c’erano altre ragazze che avevano tutta l’aria di conoscerli bene, e gli avevano fatto cenno di raggiungerle.
Sembravano far parte di una stessa comitiva, e anche loro non apparivano come le belle e pretenziose escort che punteggiavano il locale.
Probabilmente si riunivano lì solo per ballare e frequentavano i due amici senza altri fini… o forse erano anche loro in pianta stabile nel locale, altre dipendenti che offrivano un diverso tipo di svago a chi cercava ragazze allegre e briose, piuttosto che voluttuose donne di mondo… chissà?
A lei poco importava: era lì per lavoro e, come suggerito da Misaki, ne approfittava.
In ogni caso era in compagnia dei cosiddetti sospettati, e Ryo era ancora lì, dentro il locale, quindi non correva nessun tipo di pericolo.
 
Il ritmo della musica le penetrò nelle gambe e nelle braccia e cominciò a ballare a tempo, in mezzo agli altri ragazzi.
Pareva una di loro: per una sera poteva ancora essere la spensierata giovane donna di nemmeno trent’anni, che in realtà era.
Non faceva nulla di male, e poteva starci.
 
Un ballo dietro l’altro, perse il conto di quante canzoni passarono e di quanto tempo trascorse lì, in pista, con Hato e Takeshi, fino a quando un leggero indolenzimento ai piedi le ricordò che forse era il caso di smettere.
Gridando per farsi sentire dai due disse:
 
“Ragazzi, io vado!”
 
“Cosa?” urlò di rimando La Mangusta, con quel suo musetto affusolato.
 
“Ho detto che io vado!” reiterò Kaori.
 
“Vuoi già andare via?” chiese Hato facendosi più vicino per sentire meglio.
 
“Sì, si è fatto tardi” e nel dirlo cercava di guadagnare il bordo pista.
 
“Torna a trovarci!!!” le urlò una delle ragazze, e tutti si sbracciarono nel salutarla, senza smettere di ballare.
 
La sweeper si allontanò scuotendo la testa, allegra e divertita: sì, si era proprio divertita, e questo non poteva negarlo.
Almeno non aveva trascorso il tempo lì da sola a rimuginare su dove fosse andato il socio con la bella tenutaria, col rischio di farsi abbordare da uomini spiacevoli ed invadenti.
 
Si guardò intorno alla ricerca di Ryo, e non seppe dire se fu più scocciata o dispiaciuta di non poterlo avvistare.
Sospirando, si disse che sarebbe andata a cercarlo: non aveva più voglia di restare al Dirty Talk.
 
Recuperata la borsetta, iniziò a perlustrare quella parte del locale che le era sconosciuta.
Girellando qua e là, seguì una coppietta che se ne andava a braccetto seguendo un corridoio in fondo alla sala principale; ridacchiavano, e si vedeva che erano parecchio affiatati.
Non si soffermò su che tipo di coppia fosse, se ufficiale o mercenaria, d’altronde non era così bacchettona e moralista da scandalizzarsi per una cosa del genere; inoltre in quel momento era dentro un night, e il suo amato socio frequentava quel mondo; quindi niente di nuovo sotto il sole.
Comunque sia, stando dietro a quei due, che evidentemente sapevano molto bene dove andare, si ritrovò ai piedi di una scala interna, anch’essa ricoperta di moquette: il vano si apriva sulla parete e sembrava scomparire dietro un muro subito dopo la prima rampa.
Sulla parete un’insegna al neon, elegantemente forgiata in caratteri occidentali e in corsivo, recitava: “To paradise” e questo nome evocativo la diceva lunga su cosa si potesse trovare al piano di sopra.
 
Kaori salì le scale.
 
Il night vero e proprio, con tutte le sue sale, salette e privè, bar e pista da ballo, era sovrastato da un piano che sembrava in tutto e per tutto quello di un albergo stellato, elegante e raffinato; e su di un lungo corridoio si aprivano svariate porte, che davano adito ad altrettante camere.
La musica del piano di sotto giungeva smorzata, ovattata, ma lì, in compenso, era più forte il sentore quasi speziato che si respirava anche negli ambienti sottostanti.
 
Quasi in punta di piedi, per non farsi scoprire, Kaori percorse l’intero corridoio calpestando la costosa passatoia, utilissima per coprire il rumore dei suoi passi; e si congratulò con sé stessa per la scelta delle scarpe che, seppure con il tacco alto, erano comunque molto comode: affondavano un po’ nel tappeto, ma tutto sommato il passo era abbastanza agile.
Il motivo per cui non voleva farsi vedere era semplice, e cioè perché era da sola e cioè non in coppia, poiché era scontato che in un posto come quello vi si accedesse perlomeno in due; che fosse lì in incognito e in perlustrazione, non faceva alcuna differenza, anzi!
 
A mano a mano che si allontanava dall’imbocco della scala che si era lasciata alle spalle, e quindi dalla musica, riusciva a percepire i rumori all’interno delle stanze, che a volte erano inequivocabili: sospiri, gemiti, risatine maliziose e smorzate, mormorii e voci maschili, gutturali, baritonali, risate sguaiate.
Non ci voleva tanto ad immaginare cosa stesse accadendo dietro quelle porte, e alla smania di ritrovare il suo socio, si sostituì presto l’angoscia di saperlo impegnato in tali attività magari proprio con la bella Misaki.
Cercò di non immaginarsi la scena e comunque, apparentemente, in quell’ultimo periodo Ryo sembrava non apprezzare più la compagnia delle donne… ma se la signorina Aijin fosse riuscita in qualche modo a sbloccarlo?
Aveva subito notato che la tipa era irrimediabilmente attratta da lui, del resto come poteva biasimarla?
In un certo senso era fatta della stessa sostanza dello Stallone di Shinjuku: entrambi cosa avevano da spartire con una novellina come lei, così digiuna in fatto di sesso e dintorni?
Kaori si scoraggiò, ma avanzò lo stesso lungo il corridoio, con la paura di trovarseli davanti, abbracciati, mentre uscivano da una di quelle camere che promettevano il paradiso, o di riconoscerne le voci dietro la porta.
 
Allo stesso tempo l’animava un’inconfessabile curiosità su quel mondo disinibito e godereccio, che non condivideva ma che l’intrigava parecchio.
Quante volte si era domandata come sarebbe stato essere una donna di un certo tipo, navigata, usa alle avventure amorose senza pensieri e remore…
Una donna come Ryo, come lo erano state Rose Mary o Sonia: donne che prendevano ciò che volevano, e che con la stessa facilità si liberavano di ciò che non gli andava più.
Lei non si sarebbe mai cambiata con una di esse, eppure Kaori si era interrogata spesso sulla loro vita, sulla loro morale, e aveva fatto un paragone.
 
Che le donne al di là di quelle porte lo facessero per mestiere oppure no, erano comunque più disinibite di lei, che giusto quella sera stessa, non era stata capace nemmeno di dare un bacio vero al suo amore di una vita, perché proprio all’ultimo le era mancato il coraggio e si era accontentata di baciarlo accanto alla bocca, anche se ci aveva messo tutta sé stessa.
Il bacio attraverso il vetro sulla nave di Kaibara contava poi davvero, alla fine?
 
Scacciò quei pensieri contorti e velenosi che le stavano ammorbando il cervello: non era il luogo ideale per fare certi confronti.
Se si fosse lasciata sopraffare sarebbe scappata via a gambe levate, invece lei era in missione, stava lavorando, ed era lì solo per osservare e carpire informazioni, nulla di più.
 
Ad un certo punto scorse una porta socchiusa da cui proveniva una voce femminile; ma dal tono non sembrava un linguaggio amoroso o sensuale, semplicemente un semplice dialogo con un ipotetico interlocutore, anche se era fatto a bassa voce.
Riconobbe la voce di Misaki.
Aguzzò le orecchie e cercò di identificare l’eventuale voce di Ryo, ma l’uomo con cui parlava era uno sconosciuto e, apparentemente, del suo socio non c’era traccia.
La donna stava giusto dicendo:
 
“Mi sto occupando io della questione. Ho trovato il modo perfetto. Tu aspetta nuovi ordini e poi vedrai…”
 
Kaori sentì in risposta solo un basso mormorio e, anche se la sua mente di sweeper immagazzinò l’informazione, sul momento non si soffermò sul significato di quelle parole.
Sembrava comunque, a tutta prima, lo scambio di frasi fra soci in affari, qualcosa che riguardasse il lavoro… magari la stessa gestione del locale; in fondo anche lei era una socia del Dirty Talk, anche se di minoranza e con compiti diversi dagli altri.
 
Quando Kaori fu sicura che Ryo non si trovasse lì con lei, fece dietrofront e rifece la strada al contrario ma, a pochi passi dall’imbocco della scala, si aprì una porta all’improvviso e comparve Kenzo Maro, leggermente spettinato, senza giacca e con la camicia fuori dai pantaloni e sbottonata.
Istintivamente la sweeper buttò un occhio al di là del fisico possente dell’uomo e vide, semi distesa su un grande letto disfatto, una ragazza discinta, più precisamente nuda e avvolta per metà nelle lenzuola di seta.
Pareva assonnata, lo sguardo annebbiato, si passava stancamente e languidamente la mano fra i riccioli biondi scomposti.
Al centro della stanza una sorta di incensiere, più simile ad un narghilè che ad un braciere, ancora fumante, spandeva nell’aria un profumo greve e stordente, mille volte più forte di quello che aleggiava in tutto il locale.
Per un attimo a Kaori vennero in mente quelle storie sulle fumerie d’oppio dell’800, la società bohémien, l’assenzio dei circoli esclusivi francesi… e si ricordò che tutto era partito da lì, dall’oriente, e che certe abitudini non morivano mai.
 
Colse tutti questi particolari con una sola occhiata, da brava professionista qual era, e quando riportò lo sguardo su Kenzo, che si era appoggiato allo stipite con un braccio sopra la testa, si accorse che lui la stava guardando maliziosamente, in un misto di divertimento e desiderio.
Passandosi una mano sul ciuffo ribelle che gli cadeva sul viso, le chiese:
 
“Vuoi unirti a noi?” accennando all’interno della stanza con il capo.
 
Kaori sobbalzò e, fissandolo come un cervo abbagliato dai fari di una macchina, balbettando rispose:
 
“No-no, ti ringrazio” e fuggì via, lasciandosi dietro la risata divertita di Maro.
 
Si precipitò lungo le scale.
Sì, era proprio giunta al limite, non ne poteva più di quel dannato posto; si sentiva ancora addosso tutto l’odore dell’oppio, o di quello che era… le girava la testa, era stanca, voleva andare a casa.
S’imbatté in Ryo finendogli letteralmente contro: lui la bloccò per le spalle non appena gli fu addosso.
Preoccupato, la guardò interrogativamente.
 
“Oh, Ryo, finalmente ti ho trovato!” disse con voce lamentosa Kaori “Ti prego andiamo via!”
 
“Kaori, ma che succede?” le chiese allarmato.
 
“Niente, niente, è che sono stanca di questo posto”
 
Ma subito dopo si ricordò che, di solito, era lui che decideva come portare avanti i casi, e l’ultima parola spettava sempre a lui, se andare o rimanere nei posti per fare indagini, pedinamenti ecc.
Tecnicamente non era una valida scusa per interrompere il loro lavoro, ma le era venuto così, d’istinto, e si affrettò a scusarsi:
 
“Cioè…volevo dire… Abbiamo fatto qui?”
 
Ryo, rinfrancato, le scompigliò i capelli, come non faceva da giorni, e sorridendole teneramente le rispose:
 
“Sì, socia, andiamo. Per stasera abbiamo fatto tanto”
 
Si avviò verso l’uscita, ma Kaori, stupita da quel gesto affettuoso, non si mosse subito, fino a quando lui si voltò a guardarla leggermente stupito e, mostrandole il braccio, l’invitò a farsi prendere a braccetto, sorridendole.
Allora la ragazza non se lo fece ripetere due volte e, sollevata, lo raggiunse: più che felice lo prese a braccetto, contenta di uscire da lì e poter finalmente respirare l’aria fresca e pura della notte.
 
 

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Capitolo 16
*** La maledizione ***


Ebbene, ci avviciniamo inesorabilmente alla fine, e non posso che ringraziarvi per l’attenzione che avete riposto in questa mia storiellina. Questo è il penultimo capitolo, ma non temete che ho pronte almeno altre due ff, che con tempo e comodo vi propinerò. Intanto leggetevi questa e… spero che vi piacerà fino alla fine.
GRAZIE
Eleonora

 
 
Cap. 16 La maledizione
 
Poco dopo Ryo e Kaori erano già in macchina verso casa.
Se l’aria della notte li aveva ossigenati, nel piccolo abitacolo della Mini tornarono a sentirsi addosso gli odori grevi del locale.
Quasi sovrappensiero Kaori disse:
 
“Senti qui! Dovrò arieggiare questo vestito o mandarlo in tintoria”
 
“Sì” rispose Ryo “Direi che lì si fa largo uso di droga, soprattutto oppio e cocaina; me ne ha offerto un paio di strisce la stessa Misaki, ma io non sono tipo da droghe, mi è bastata la Polvere degli Angeli” e fece una smorfia a metà fra un ghigno e un sorriso sardonico.
 
Kaori, dal canto suo, pensò che allora era vero che la bella Aijin avesse approfittato della situazione, e che non era vero che volesse solo mostrare il locale a Ryo.
Si rabbuiò per un istante, poi però si riscosse e gli chiese, stupita di non averci pensato prima, troppo desiderosa di fuggire da quel paradiso:
 
“A proposito: perché Kenzo e la Misaki non sono venuti a casa nostra per stanotte?”
 
“Perché avrebbero dato troppo nell’occhio. Non potevano venir via con noi, e se qualcuno li avesse seguiti, avrebbe visto dove sarebbero andati. No, gli ho detto che domani devono acquistare un biglietto aereo per una località di villeggiatura, dirigersi all’aeroporto, fare il check-in e tutto il resto, e poco prima dell’imbarco andare in bagno e cambiarsi. Devono camuffarsi, travestirsi, e così conciati prendere ciascuno un taxi che li conduca qui da noi. I soci di Kenzo, e l’intero personale del locale, dovranno credere che i due fratellini sono andati in vacanza insieme da qualche parte, poi a noi spetterà il modo di fargli credere che sono morti, magari giunti a destinazione, per uno sfortunato incidente o qualcosa d’altro. Domani in tarda mattinata saranno da noi, poi qui faranno vita da reclusi, e non potranno uscire finché non concluderemo il caso”
 
Kaori sospirò.
 
La prospettiva di avere quei due tizi ambigui sotto il suo stesso tetto non la entusiasmava minimamente, e sperò che la permanenza fosse breve.
Mentalmente fece l’inventario delle scorte alimentari e si disse che, con i magri guadagni rimasti, avrebbe dovuto rifornire la dispensa e il frigorifero.
Tutta presa in questi ragionamenti, non sentì Ryo che le aveva appena fatto una domanda, tanto che fu costretto, bonariamente a ripetere:
 
“Dicevo: e tu? Scoperto qualcosa d’interessante?”
 
“Ah, sì. Ho avuto modo di conoscere i soci, Takeshi Zumo e Hato Miwa, e non so più cosa credere…”
 
“Cosa intendi?” volle sapere Ryo.
 
“Mah, che vuoi che ti dica? Takeshi e Hato mi sembrano due burloni giocherelloni. Stanno sempre a farsi scherzi a punzecchiarsi, sono due amiconi a cui piace divertirsi. Mi hanno invitato a ballare con le loro amiche” e qui si voltò a guardare il socio per vedere che effetto gli avrebbero fatto le sue parole.
 
Lui però non distolse l’attenzione dalla strada e non mosse un muscolo, e se tutto ciò gli avesse suscitato anche un qualsiasi pensiero, o gelosia, non fu dato saperlo.
Kaori proseguì:
 
“Insomma sono due tipi totalmente diversi da Kenzo Maro, ma anche dalla stessa Misaki, non so se mi spiego. Non sembrano far parte di quel mondo, un po’ come fossero estranei da ciò che li circonda… o comunque non ci fanno caso. Ho anche avuto modo di salire al piano di sopra, quello con la scritta To paradise, che infatti la dice lunga! Ci sono stanze, come dire, di piacere, dove i clienti… fanno quello che fanno” e arrossì della sua stessa vergogna nel parlarne. “Sembra più una casa d’appuntamenti, o un love hotel come tanti” e fece una piccola pausa.
Poi, rilassando la schiena sul sedile, riprese: “Ho anche visto Kenzo Maro, sulla porta di una di quelle stanze: era in compagnia di una donna, e sembrava che avessero anche fumato dell’oppio, oltre… oltre al resto” e tacque.
 
Nell’improvviso silenzio si sentì solo il rumore rombante della piccola Mini, e la strada scorrere a pochi centimetri sotto di loro.
 
Come ad intuire i suoi pensieri Ryo mormorò:
 
“Non pensarci. Loro… loro sono diversi da noi” e voltandosi verso di lei, le sorrise di sfuggita.
 
Kaori fece tesoro di quelle parole.
Ryo, il vecchio Ryo, avrebbe potuto dire, prendendola in giro, che lei era così ingenua e sprovveduta che non sapeva come andasse il mondo – un certo tipo di mondo almeno – oppure al contrario che, proprio perché lei ne era avulsa, seriamente e gravemente avrebbe potuto farle notare, per l’ennesima volta, che quel mondo non faceva per lei, mentre, evidentemente, per lui non c’era scampo, ce l’aveva dentro, e ne faceva irrimediabilmente parte.
Invece questo nuovo Ryo, molto più sincero, seppur più diretto e tagliente, le aveva praticamente detto che entrambi erano uguali: semplici spettatori di un teatro sordido e malato, depravato, anche se ammantato di lusso ed eleganza.
Lui e lei erano altro, e non solo Kaori era felice che Ryo l’equiparasse a sé, ma anche che, in qualche modo, si fosse redento e non pensasse più in maniera distruttiva alla sua vita, che avesse dato un taglio con il suo passato.
Pensandoci le idee si ingarbugliavano, però pur non sapendo spiegarselo, ne fu felice.
Si limitò a dire:
 
“Vero, e non sai quanto”
 
 
 
 
Giunti finalmente a casa, si salutarono impacciatamente sulla soglia dell’appartamento di sotto, dove Kaori avrebbe passato ciò che restava di quella lunga notte.
Poi lei si chiuse la porta alle spalle e, sospirando, si diresse alla camera da letto, spogliandosi.
 
 
 
Nemmeno un’ora dopo, non appena Ryo si fu addormentato, ecco che i soliti incubi erotici presero il sopravvento e, alla consueta sfilza di donne, si aggiunse la procace signorina Misaki che lo turbava non poco.
Ma, sempre, Kaori prevaleva su tutte, e svegliandosi di soprassalto in preda al tremore, madido di sudore, passandosi una mano tra i capelli, si disse a denti stretti:
 
“Questa situazione deve finire!”
 
Quasi barcollando uscì dalla stanza e, come sempre, dimenticandosi che la sua dolce partner dormiva di sotto, si recò nella sua stanza, trovandola invariabilmente vuota.
Si accigliò, ma poi si ricordò che era stata una sua decisione e si diede un cazzotto in testa.
 
Scalzo e stravolto per la mancanza di sonno, vagolò fino all’appartamento sotto al suo, entrò senza problemi e si diresse alla ben nota camera.
Kaori dormiva raggomitolata su sé stessa, in posizione fetale, le lunghe gambe scoperte, la maglietta raggrinzita, i capelli sparsi sul cuscino: era una visione celestiale quella che si trovava davanti, rischiarata appena dalla luce fioca proveniente dalla strada.
Se nel sogno bruciava di desiderio per lei, vedendola lì distesa sul letto ebbe un moto di infinita tenerezza; avrebbe voluto potersi stendere al suo fianco e non pensare a nulla, respirare il suo respiro, sentire il tepore del suo giovane corpo; anche senza toccarla, poterla sfiorare e bearsi della sua presenza, così viva e potente, rassicurante.
Non l’avrebbe svegliata, sarebbe restato così, quasi in muta adorazione tutta la notte.
Avrebbe voluto essere degno di lei.
Poi però, un pensiero fulmineo gli attraversò la mente, e da quel confuso ricordo della serata appena trascorsa, emerse potente un’immagine, una sensazione bruciante, una consapevolezza: Kaori lo aveva baciato!
 
Non resistette oltre: doveva svegliarla, doveva sapere, sapere se almeno di quello si ricordava!
 
Allungò una mano e la toccò sulla spalla.
Lei mugolò nel sonno, poi la chiamò a bassa voce, ma con un senso di urgenza di fondo; la chiamò aumentando ogni volta un po’ di più il tono, e la scosse fino a quando la ragazza non spalancò gli occhi allarmata:
 
“Ry-Ryo perché sei qui? Cosa succede?”
 
“Kaori, ho bisogno di parlarti”
 
“Del caso? Kenzo Maro, è successo qualcosa? Misaki, forse?”
 
“No, no, niente di tutto ciò”
 
Kaori lo guardò perplessa e si tirò su a sedere.
Ryo si sedette a sua volta sul bordo del letto, una gamba ripiegata sotto di sé.
Lei percepiva tutta la gravità del momento, sentiva che lui aveva qualcosa d’importante da dirle, altrimenti non l’avrebbe svegliata nel cuore della notte, poco dopo essere tornati da quella lunga serata al Dirty Talk.
Accese la lampada posta sul comodino e l’invitò a parlare.
 
“Stasera al locale… tu… ad un certo punto… mi hai baciato”
 
Kaori avvampò.
Possibile che in piena notte, fosse andato lì da lei per parlare di quell’inezia?
Inezia per modo di dire, perché lei per compierla aveva dovuto ricorrere a tutta la sua audacia.
Però non disse nulla.
Lui insistette.
 
“Allora?”
 
“Emmm… sì, cioè no…” farfugliò la sweeper.
 
“Sì o no?” incalzò l’uomo.
 
“Sì, sì, sì” sbottò alla fine quasi scocciata la socia.
 
Che diavolo voleva quell’idiota?
Era così importante il tutto?
Infatti, svogliatamente, aggiunse:
 
“… ma era per finta, ricordi?  E poi non era un vero bacio…” e Ryo non seppe dire se Kaori fosse più dispiaciuta che altro.
 
Ryo si disse che era comprensibile, per lei, minimizzare l’accaduto; del resto, lui aveva passato gli ultimi anni a farla sentire un’ingenua verginella che non è capace di avere una qualsivoglia relazione amorosa, mentre lui era un uomo di mondo, scafato, e aveva successo con le donne: cosa si sarebbe dovuto aspettare?
 
C’era comunque un’altra questione più importante da chiarire e, nonostante smaniasse dalla voglia di assaggiare nuovamente le sue timide labbra come poche ore prima, o perdersi nei baci voluttuosi di tutte le altre notti, si decise a parlare:
 
“Kaori, tu hai visto come mi comporto durante il giorno. Sono uno sciocco puritano che schifa le donne, tutto il contrario di quello che sono sempre stato”
 
La ragazza annuì.
Lui proseguì:
 
“Be’, io so perché è avvenuto questo cambiamento. Ricordi il nostro ultimo incarico? Quello del ciarlatano del tempio? Sì, bene… Appena concluso abbiamo fatto un giro, ed io, ad un certo punto, ho visto una donna bellissima… una sacerdotessa… e ho perso la testa…”
 
Kaori s’incupì; ricordava molto bene quel particolare frangente, e lui, pur vergognandosi della sua stupidità e temendo una punizione postuma, si affrettò a proseguire nel racconto:
 
“Dicevo… ho perso la testa, non ho capito più niente e le sono saltato addosso!”
 
La socia fece schioccare la lingua in segno di perplessa disapprovazione.
 
“Tu hai cercato di fermarmi, alla tua maniera, ma la sacerdotessa, all’improvviso, agitando la sua bacchetta, mi ha dato dell’empio e mi ha maledetto”
 
Tacque, aspettando che la socia recepisse il messaggio.
Quando fu sufficientemente sicuro che l’altra avesse capito, proseguì:
 
“Solo che il suo non era un puro modo di dire, lei mi ha maledetto sul serio, mi ha lanciato un incantesimo, mi ha ridotto così” e terminò quasi piagnucolando.
Kaori sgranò gli occhi incredula: non che si stupisse del fatto in sé, che sfiorava il paranormale o la superstizione, poiché era abituata anche a questo, ma del significato intrinseco di quelle parole.
 
Ryo proseguì dicendo:
 
“Mick, Miki e Falcon, che fin da subito hanno capito che qualcosa non andava e, correggimi se sbaglio, Miki ti ha pure ipnotizzato per saperne di più,” e qui Kaori sobbalzò “hanno voluto vederci chiaro e sono andati dalla sacerdotessa in persona, che ha ammesso di avermi lanciato il suo anatema”
 
“Ryo, ma che stai dicendo?” l’interruppe la ragazza, ma era una pura domanda retorica, perché il tutto aveva dell’incredibile e del verosimile insieme; doveva assimilare le informazioni per capirci qualcosa.
 
“È la verità!” rincarò il socio “E quella santa donna gli aveva anche detto come fare per neutralizzare la maledizione! E giusto ieri mattina, al Cat’s Eye, quando sei arrivata tu con la notizia del caso, loro tre mi stavano dicendo come avrei dovuto fare…”
 
“Mi-mi dispiace” si scusò la ragazza in automatico, anche se non era propriamente colpa sua, se era arrivata dicendo che c’era una richiesta d’aiuto alla lavagna.
 
“Ma non è colpa tua, sciocchina!” le rispose lui, allungando una mano a toccarle un ginocchio.
Le sorrise: “Concluso il caso avremo tutto il tempo di riparlare con il resto della banda, e loro mi diranno come fare. C’è solo una cosa che mi disturba in tutto questo…” si fece serio “Posso anche accettare di vivere come un monaco durante il giorno, e magari tu ne sei pure felice” e qui sorrise di nuovo, ma subito tornò cupo, “Ma non posso accettare che tutte le notti io vengo qui da te, parliamo, e quindi finiamo per baciarci, amarci un po’, e poi la mattina seguente dimentichiamo tutto! Anzi, tu lo dimentichi, anche da una notte all’altra… mentre io no!”
 
“Che-che stai dicendo?” balbettò la ragazza “Noi non ci siamo mai baciati come dici tu!E poi vuoi che non me ne sarei ricordata?” disse con veemenza, per poi portarsi una mano alla bocca nel timore di essersi troppo scoperta.
 
“È così, ti dico! Una sera mi hai lasciato in ricordo un bel succhiotto, ma nessuno dei due sapeva come me lo fossi fatto. Per caso, una di queste mattine, non ti sei ritrovata un labbro leggermente screpolato? Be’, quello era perché la notte prima, nella foga della passione, io te l’ho mordicchiato!”
 
Kaori a quelle parole si richiuse in sé stessa, piegò le gambe verso il petto e se le avvolse con le braccia; come poteva essere possibile che lei, Kaori Makimura, si trasformasse in una donna voluttuosa e passionale, e che Ryo Saeba, che da sempre l’aveva scansata, s’interessasse a lei e s’intrattenesse in giochetti amorosi come quelli che lui stava descrivendo, e che lei, per giunta, non ne portasse traccia in memoria?
Nel fisico sì, perché il labbro presentava veramente una piccola ferita, e al mattino si era trovata qualche strano altro segno lungo il corpo, cose di poco conto a cui non aveva dato peso.
 
D’improvviso fu assalita dalla rabbia: se era vero che Ryo era sotto l’effetto di una maledizione, e che in realtà di notte si amavano – fino a che punto aveva quasi paura di chiederlo – era davvero un’ingiustizia che lei non ricordasse nulla!
E nemmeno lui, almeno di giorno, stando a quello che lui le aveva appena detto.
 
Spalancando le braccia proruppe con:
 
“Ma questa è un’ingiustizia!” dando libero sfogo ai suoi pensieri.
 
“Sì, amore mio” scappò detto a Ryo “Perché io ti desidero davvero, e anche tu mi vuoi” e la guardò intensamente.
 
Pur avvampando, Kaori resse il suo sguardo: in fondo aveva ragione, era così!
E il fatto che non si ricordasse di cosa combinavano su quel letto di notte, non cancellava quella verità incontrovertibile.
 
Ryo riprese:
 
“E vorrei che ce ne ricordassimo il giorno dopo, la notte dopo, sempre. Non resisto più. Ogni notte, da che ho combinato il guaio, mi presento alla tua porta e ti corteggio, ti seduco, e finiamo uno nelle braccia dell’altra… Ma la volta dopo devo ricominciare tutto da capo…”
 
“Oh, Ryo, non mi avevi mai detto una cosa del genere… Sono così felice!” quasi singhiozzò Kaori.
 
“Per stanotte posso rimanere a dormire qui con te?” chiese Ryo inaspettatamente “Mi basta solo dormire, abbracciato a te”
 
Sembrava così scorato che Kaori ne ebbe compassione.
E comunque… come rifiutare un tale accorato appello?
 
“Certo!” rispose la giovane, con una sicurezza che non si aspettava nemmeno lei.
 
A quel punto lui le si stese accanto, e timidamente si avvicinò alla ragazza.
Kaori, indecisa se dargli le spalle per troppa pudicizia, o voltarsi verso Ryo, scelse di girarsi per poterlo guardare dormire: forse quello era già un sogno, un’avventura onirica frutto della sua immaginazione e del suo amore per lui…
Però, perché privarsene?
Quando furono uno di fronte all’altra, Ryo allungò un braccio e la strinse leggermente e, chiudendo gli occhi sfinito, le mormorò:
 
“Ti prego, Kaori, ricordati… ricordati di noi!” e sprofondò nel sonno.
 

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Capitolo 17
*** Insonnie ***


Et voilà, il gran finale eccolo qua! Chiudiamo l’anno con il botto! Era ora che questa fic si concludesse, visto che è quasi due anni che gira – principalmente nei miei computer -. Per i ringraziamenti particolareggiati vi aspetto alla fine, qui intanto dirò solo GRAZIE a tutti.
Buona lettura
Eleonora

 
 
Cap. 17  Insonnie
 
 
Due potenti grida quasi simultanee fecero sobbalzare Mick nel suo letto; si svegliò di soprassalto, seguito da Kazue che gli chiese:
 
“Co-cosa è stato?” con la voce ancora impastata dal sonno.
 
“Credo che siano Ryo e Kaori. Era tanto che non li sentivo gridare così, quasi quasi è consolante la cosa…” e si rimise a dormire.
 
Erano le prime luci dell’alba.
 
Effettivamente erano stati i due soci ad urlare.
Quando Kaori si era svegliata abbracciata al partner, in preda alla vergogna, all’emozione, ma soprattutto alla paura, si era scansata all’improvviso da lui e aveva gridato con quanto fiato aveva in gola un “Aaaaaaargggg!”, per poi aggiungere “Ryooooo! Perché sei qui? Cosa mi hai fatto??? Vattene!”
 
Mentre il sopracitato Ryo, destandosi da quelle urla e trovandosi abbarbicato al corpo della partner, aveva gridato a sua volta:
 
“Una donnaaaaa! Una donna nel mio letto! Kaoriiiiii perché sei qui?”
 
Al che lei aveva risposto, in piedi sul materasso, brandendo un mega martello: “Questo è il mio letto, idiota! Sei tu che sei di troppo!” e lo aveva sprofondato nel cuscino con una martellata catartica, che le era pure servita per scaricare la frustrazione, poi era scappata via.
 
Ryo era riemerso poco dopo, sputacchiando le piume del cuscino spappolato, e aveva mormorato, ormai senza più denti:
 
“Come ho fatto a finile qui con lei, con una donna! Con Kaoli!”
 
 
 
 
O.o.O
 
 
 
 
Nonostante questo risveglio traumatico, i due sweeper, al momento della colazione, erano più o meno quelli di sempre: Ryo serio a leggere il giornale, Kaori a spadellare in cucina.
Di certo non avrebbero tirato fuori l’argomento nuovamente, troppo imbarazzati entrambi per poterne parlare.
Inoltre in mattinata sarebbero arrivati Kenzo Maro e Misaki Aijin, come da accordi, e Kaori doveva assolutamente uscire per fare rifornimenti.
Sulla porta di casa lanciò al socio un laconico: “Allora io vado!” e scomparve giù per le scale.
 
Inaspettatamente, Ryo si scoprì a sospirare ripensando al benessere provato durante la notte, alla magnifica dormita fatta e che… era stata rovinata da Kaori, ritrovatala nello stesso letto.
E si chiese anche se la piacevolezza sperimentata non fosse dovuta proprio alla presenza della socia accanto a lui.
Possibile?
Si scompigliò i capelli in preda alla confusione e, prima che altri pensieri contorti venissero a tormentarlo, si mise al telefono ad organizzare la finta morte dei clienti.
 
Clienti che non tardarono ad arrivare, a bordo di due taxi differenti e in orari diversi.
 
Kenzo si era travestito da giovane surfer con tanto di camicia Hawaiana, bermuda color corda, e infradito; i capelli raccolti a coda di cavallo scomparivano sotto un berretto da baseball, mentre il viso era parzialmente nascosto da occhiali da sole neri.
Aveva gettato sulle spalle un semplice zainetto di pezza colorato, il suo misero bagaglio, a completare il travestimento.
 
Poco dopo arrivò anche Misaki: indossava una lunga gonna di lino, fino alle caviglie, e mentre camminava s’intravedevano sandali di cuoio senza tacco.
Una camicetta larga e vaporosa nascondeva le forme, ma dalle maniche a palloncino spuntavano le candide braccia, che terminavano con svariati e chiassosi braccialetti ai polsi.
Anche lei aveva raccolto i capelli, ma calzava un cappello di paglia a tesa larga, bombato sulla testa; una borsa, in abbinamento al copricapo, corredava la sua mise da turista straniera decisa a difendersi dalla calura estiva.
Sebbene fosse così abbigliata, faceva comunque la sua figura e la si poteva definire ugualmente una bella donna, diversa da quella che avevano conosciuto il giorno prima, ma lo stesso affascinante.
Aveva perso la sua aria da maliarda, ma quella esotica che sfoggiava attirava lo sguardo al pari di un vestito attillato.
Ryo ovviamente ne rimase indifferente, anche quando Kenzo Maro, vedendola entrare nell’appartamento proruppe con:
 
“Ehi, sorellina, ma sei uno schianto! Sembra davvero che stai andando in vacanza!”
 
“E tu? Dove hai parcheggiato il tuo surf?” gli rispose ironicamente.
 
Entrambi risero divertiti, ma Ryo non si unì a loro; continuava a pulire la sua pistola smontata e non badava alle loro futili chiacchiere.
Diversamente si animò quando la socia fece ritorno, carica di sporte della spesa, ma nonostante questo non fece nulla per aiutarla, a differenza di Kenzo che, scioltosi i capelli e dismesso il cappellino, fu felice di andarle incontro:
 
“Lascia che ti aiuti!” le disse questi, prendendole dalle mani le borse e portandole in cucina.
 
E Ryo, non appena vide che la ragazza sorrideva grata e deliziata, provò come un senso di disagio a cui non seppe dare nome.
 
La giornata passò noiosamente, tutti e quattro chiusi in casa.
Erano comunque rassegnati a starsene lì, almeno i due fratelli che dovevano rimanere nascosti agli occhi dei soci cospiratori, perché ovviamente Ryo e Kaori avevano piena libertà di movimento e, se uscivano, facevano in modo che uno di loro rimanesse di guardia.
Infatti Ryo, dopo aver spiegato ai clienti come pensava di agire e come aveva architettato la loro finta dipartita, uscì prima di cena per definire le ultime cose con i suoi contatti esterni.
 
Per il resto, data la calura di quel giorno estivo, trascorsero il tempo fra bagni e docce rinfrescanti, sonnecchiando sul divano, giocando a carte, guardando la tv o chiacchierando oziosamente.
 
Kenzo faceva in modo di trovarsi sempre nei paraggi di Kaori: si offriva di aiutarla, o di iniziare un qualsiasi discorso con la ragazza.
Sua sorella osservava quel discreto corteggiamento e sorrideva sotto i baffi: Kenzo si era incapricciato della bella sweeper, e se adesso appariva abbastanza anonima nella sua tenuta di tutti i giorni, Misaki non poteva dimenticare lo splendore sfoggiato la sera precedente, e, dovette ammettere, i suoi lineamenti perfetti e la sua fresca bellezza la rendevano naturalmente affascinante.
Capiva l’interesse mostrato da suo fratello per quest’esemplare raro di brava ragazza, e per giunta davvero notevole, e poterla sedurre rappresentava per lui un trofeo ambito e curioso.
 
Anche Misaki aveva delle mire, ma inevitabilmente erano rivolte al bel socio di Kaori, e stava ancora valutando la situazione, ponderando le sue mosse: aveva già visto che le avances un po’ troppo sfacciate che gli aveva rivolto la volta scorsa erano cadute nel vuoto.
Doveva trovare il modo di far breccia nella corazza apparentemente impenetrabile dello sweeper.
La donna si lasciò sfuggire un sospiro.
Magari la conquista non sarebbe avvenuta in tempi brevi, vista la scorza dura di Mr. Saeba, ma non aveva fretta.
E poi sarebbero stati a stretto contatto per diverso tempo, lì in casa, e c’era sempre la notte che le era più congeniale.
Buttò uno sguardo distratto verso suo fratello e Kaori, e si disse che Kenzo avrebbe fatto decisamente prima: la ragazza infatti sembrava già conquistata, affascinata; del resto, come darle torto?
Kenzo era bello e carismatico, doti prese dalla loro madre, pace all’anima sua, al resto aggiungeva la scaltrezza e l’arrivismo dell’uomo di potere di quel bastardo di suo padre, Maro senior.
 
A dispetto di ciò che stava pensando Misaki, Kaori non era minimamente interessata a Kenzo Maro.
Rispondeva con gentilezza alle cortesie dell’uomo – era pur sempre un suo ospite nonché cliente – ma lo reputava un uomo pericoloso, con quell’insano vizio dell’oppio e chissà quale altro deprecabile passatempo.
Ricordava la sua amante, stordita e sfatta sul letto, e non aveva nessuna intenzione di fare la stessa fine.
E, particolare non trascurabile, lei era irrimediabilmente e perdutamente innamorata di Ryo Saeba, e il suo cuore non batteva che per lui, un uomo forse altrettanto vizioso, ma non ai livelli di Kenzo.
E poi lo stesso Ryo le aveva assicurato che loro due erano diversi da Misaki e Kenzo, e lei ci credeva con tutta sé stessa; questa verità era estremamente consolante per lei, e le permetteva di gestire la cauta corte dell’uomo senza cadere nelle sue trame sotterranee.
Kaori non era così ingenua come sembrava, e il fatto che traesse in inganno le persone, in questo senso, era un vantaggio per lei.
Sorrise fra sé per questa constatazione.
 
 
 
o.O.o
 
 
 
Finalmente venne la sera, e con essa il problema non ancora affrontato di come aggiustarsi per dormire. Kenzo, che non voleva dividere il letto con Ryo, dichiarò subito che si sarebbe accomodato sul divano del soggiorno: d’altronde soffriva d’insonnia e, presumibilmente, avrebbe passato gran parte della notte a stordirsi davanti alla tv.
Anzi, chiese se potesse fumare, in casa, una delle sue sigarette aromatiche, come le chiamava lui, che lo rilassavano e lo facevano dormire quel tanto per non andare in giro come uno zombie il giorno dopo.
I padroni di casa accettarono di buon grado, ma Ryo gli proibì di uscire fuori, in terrazza, per nessuna ragione al mondo, così come alla Aijin, perché i loro soci, o chi per loro, avrebbero potuto vederli.
 
Per il resto era scontato che le due donne condividessero la camera degli ospiti, come da prassi.
 
In ogni caso Ryo, quella sera, sarebbe uscito per il suo solito giro fra informatori e spie, sarebbe tornato tardi, e tutto sommato si fidava a sufficienza di Kaori per tenere a bada quei due.
 
Ad un certo punto Kaori e Misaki si ritirarono per la notte, ma prima di coricarsi la cliente le disse:
 
“Vado un attimo in bagno”.
 
Kaori le rispose distrattamente mentre sistemava le lenzuola del letto, ma quando vide che ci metteva un po’ troppo tempo a tornare, quasi s’impensierì.
Ritornò, finalmente, poco dopo, e Kaori la trovò strana, con gli occhi lucidi e tutt’altro che assonnata; ma anche a questo fece poco caso, e quando la cliente le chiese se poteva tenere la sua lampada accesa perché voleva leggere un poco, la ragazza non fece obiezioni.
La sweeper era stanca dalla lunga giornata, si era svegliata presto e non vedeva l’ora di dormire, infatti si addormentò quasi subito.
 
A dispetto delle previsioni, Ryo tornò prima del solito.
Non stava tranquillo, c’era qualcosa in fondo al suo animo che lo tormentava e non sapeva spiegarsi cosa fosse, ma si fidava del suo istinto, e quando aveva di quelle impressioni non le sottovalutava mai.
Varcando la soglia di casa e percependo un’aria di pace e tranquillità, tuttavia, tirò un sospiro di sollievo, e solo allora si accorse di aver trattenuto il fiato salendo le scale.
 
Ryo girando per l’appartamento, trovò Kenzo addormentato sul divano davanti alla televisione, e passando accanto alla porta delle donne, non percepì rumori di sorta; pensò che stessero dormendo profondamente e non se ne diede pensiero.
Leggermente più sollevato, raggiunse la sua camera, si svestì in fretta e si buttò sul letto.
Il sonno lo colse all’improvviso e, come da troppe notti ormai, fu assalito dai soliti incubi erotici dai quali emerse spossato e tremante.
Malgrado fosse profondamente confuso e turbato da quelle visioni oniriche, che ultimamente lo stavano addirittura terrorizzando, si ricordò che la notte precedente, quando era andato da Kaori, le aveva parlato della maledizione e di ciò che stava loro succedendo.
E che le aveva anche chiesto di dormire insieme semplicemente; non si erano nemmeno baciati e accarezzati come le altre volte, ma a lui era andata bene lo stesso, almeno per quella notte.
 
Quella tortura, però, doveva finire: non ne poteva più!
 
S’infilò un paio di pantaloni del pigiama e, ancora intontito dai sogni, riprese a vagare per la casa in cerca di Kaori, totalmente dimentico che ci fossero anche Kenzo e Misaki, e quando raggiunse la camera degli ospiti esitò un attimo prima di entrare.
E non appena ebbe aperto la porta, si stupì di sentire una voce femminile nel buio dire:
 
“Ti stavo aspettando”
 
A quel punto si accorse che aleggiava nella stanza uno strano profumo, a tratti così labile che faticava ad individuarlo, ma molto piacevole: scendeva nell’anima e rinfrancava lo spirito.
Ryo allora avanzò nella penombra, e i suoi occhi abituati all’oscurità notarono subito il biancore della pelle nuda risaltare sul letto, fra le lenzuola.
Una forza misteriosa lo attirava verso quella donna, e la raggiunse; si sedette accanto a lei e le disse, semplicemente:
 
“Eccomi”
 
 
 
 
 
 
Ma in quella notte di strane insonnie e strani sonni, qualcun altro vagava in cerca della sua preda.
 
Kenzo si era ridestato di colpo dal suo sonno greve e indotto, e passandosi una mano fra i lunghi capelli aveva tentato di svegliarsi del tutto, e scacciare le nebbie che ancora avvolgevano il suo cervello.
Aveva cercato a tentoni sul basso mobiletto davanti alla tv il suo bicchiere di whiskey, e quando lo aveva trovato, aveva altresì scoperto a sue spese che era completamente asciutto.
Ciabattando si era diretto all’acquaio, dove si era servito di abbondante acqua fresca, poi si era messo di nuovo in movimento: non era quella la sua meta finale.
 
Raggiunse Kaori al piano di sotto, dove era sicuro di trovarla: l’aveva vista passare attraverso le palpebre socchiuse.
Evidentemente sua sorella era riuscita a renderle la nottata un inferno e la ragazza aveva preferito andare a dormire altrove; lui aveva sentito il rumore della porta principale aprirsi e richiudersi, e si era detto che, a meno che la padrona di casa non fosse sonnambula, esisteva un altro appartamento che i due sweeper usavano abitualmente.
Poco male, aveva pensato, il tutto rendeva la cosa molto più agevole.
 
La porta della stanza era socchiusa, e si stupì non poco constatando che lì in quel palazzo, negli appartamenti di Saeba, non c’era una sola serratura chiusa a chiave.
Indubbiamente avevano dei servizi di allarme molto efficaci o, più prosaicamente, i City Hunter erano talmente sicuri di sé da non temere intrusioni nemiche nella loro cittadella.
 
Kaori dormiva, distesa supina in quello che era diventato il suo letto da molte notti ormai.
Era totalmente rilassata e indifesa, e a Kenzo faceva quasi tenerezza nella sua innocenza; questo pensiero lo eccitò ulteriormente.
 
Come un felino salì sul letto fino a sovrastarla e, quando fu ad un passo dal suo viso, si fiondò a baciarla con impeto.
 
Svegliata dal peso dell’uomo, Kaori spalancò gli occhi terrorizzata e istintivamente provò a liberarsi, ma Kenzo le artigliò le braccia con una stretta che la fece gemere, e sedendolesi sulle gambe, gliele imprigionò con le sue.
Nonostante fosse succube della forza fisica e della possanza dell’uomo, Kaori non rinunciò a difendersi e a divincolarsi, seppure inutilmente.
Kenzo allora le sibilò a distanza ravvicinata:
 
“Mi piacciono le donne come te, indomite, ribelli. Ma mi piace di più domarle” quindi premette con furia le labbra sulla bocca di Kaori, tentando di approfondire il bacio che, più che un atto d’amore, era a tutti gli effetti una violenza.
 
La ragazza sotto di lui però non smetteva di agitarsi e le sue urla smorzate, tramutandosi in mugugni, lo galvanizzavano ed eccitavano sempre di più: gli piaceva sfoggiare la sua potenza, sottomettere le donne, lo faceva sentire invincibile, virile, e più lo respingevano e più lui ci godeva.
Ma Kaori non si dava per vinta, considerava quella una mera aggressione come tante, con l’aggravante del sesso, e non avrebbe ceduto di un solo millimetro, avrebbe fatto l’impossibile per difendersi.
E comunque una parte di sé, irrazionalmente, pensava e sperava che Ryo potesse correre in suo aiuto anche, e soprattutto, stavolta.
 
Quando l’uomo sentì le labbra di Kaori muoversi, s’illuse che stesse cedendo, che avrebbe permesso alla sua lingua di entrare, ma si sbagliava di grosso perché non appena le fu possibile, la ragazza nella foga del dimenarsi, addentò il labbro inferiore di Kenzo e gli rifilò un morso più forte che poté.
 
Urlando di dolore, Kenzo si staccò e allentò al presa, si portò la mano destra alla bocca per saggiarne la ferita e con la lingua si toccò la lacerazione: sentì il sapore del sangue, dolce e metallico, e gli montò una rabbia cieca e violenta.
Con i capelli che gli ricadevano flosci intorno al viso, gli occhi stravolti dalla furia, sembrava un demone uscito dall’inferno, e Kaori per la prima volta ebbe seriamente paura: sentiva la sua aura farsi nera e incombente e non riuscì a voltare in tempo la testa di lato quando, sibilandole un “Puttana”, lui le assestò un potente manrovescio che la stordì temporaneamente.
 
Anche Kaori assaggiò il sapore del sangue, del suo stesso sangue, perché uno dei tanti anelli di Kenzo le aveva ferito il labbro; in un certo senso lui si era vendicato dell’affronto subito.
La sweeper, nonostante fosse intontita dalla botta e si preparò ad incassarne delle altre, e si stupì enormemente quando si sentì liberare all’improvviso dal peso che le gravava sul corpo.
Ormai libera provò a tirarsi su.
 
Ai piedi del suo letto, in una zona d’ombra, si stava svolgendo qualcosa che la ragazza ancora faticava a capire, ma più si schiariva le idee, e più cresceva in lei la consapevolezza che quello aveva tutta l’aria di essere un groviglio umano: riconobbe i gemiti di dolore di Kenzo, a conferma che due uomini stavano lottando.
Di colpo lucida, capì che Ryo era giunto in suo soccorso e, trovando Kenzo sopra di lei, lo aveva spedito lontano balzandogli addosso.
 
Accese in fretta la luce, e il fioco chiarore le rivelò che il socio stava massacrando di botte un Kenzo ormai inerte, rincattucciato in un angolo, capace solo di subire i colpi e di non ridarli a sua volta.
 
“Ryo nooooo!” urlò Kaori saltando giù dal letto.
 
Percepiva forte e potente l’aura del compagno, la parte oscura che stava prendendo il sopravvento su di lui: un sentore dell’Angelo della Morte era riaffiorato dal suo animo tormentato, e sembrava che Ryo fosse deciso ad uccidere Kenzo Maro a suon di pugni e calci.
Doveva fermarlo.
 
“Ryo, ti prego, non farlo! Non ne vale la pena!” gridava la ragazza con tutta sé stessa.
 
Sapeva che solo a parole avrebbe potuto tentare di fermarlo, perché provare a bloccargli le braccia o le gambe sarebbe stato impossibile.
 
“Ryo, Ryo, ti prego, fallo per me!”
 
Quest’ultima accorata preghiera parve bloccarlo di colpo: ansante, si fermò a mezzo di un pugno pronto a colpire, ma non si voltò a guardarla.
Con la voce roca e talmente bassa che pareva uscisse da un baratro, Ryo disse a Kenzo:
 
“Sei un lurido verme che non merita di vivere, ma lei, lei, la mia donna, mi ha chiesto di risparmiarti la vita” poi, facendo un passo indietro e scostandosi da quell’ammasso informe di membra e sangue, con profondo disprezzo aggiunse:
 
“Ed ora vattene! Sparisci dalla mia vista, dalla mia casa e dalla mia vita! Tu e quell’altra!”
 
E solo allora Kaori si accorse di Misaki che, atterrita, era rimasta sulla porta senza aver il coraggio di entrare o dire alcunché.
Indossava una semplice vestaglia sul corpo nudo e, anche attraverso la penombra della stanza, Kaori poteva vedere che era terrorizzata e invecchiata di colpo: non portava traccia di tutta la sicurezza e lo charme sfoggiato fino a poco prima.
 
In ogni caso non si azzardò ad aiutare il suo fratellastro a rimettersi in piedi.
Lui ci riuscì a stento, a costo di parecchia fatica e numerosi gemiti trattenuti, aggrappandosi ai mobili e alle pareti.
Kenzo cercò di guadagnare la porta passando più possibile lontano da Ryo, che non si era mosso di un solo millimetro, immobile lì dove si era arrestato, e che non si premurò di voltarsi nemmeno quando sentenziò:
 
“Rinuncio all’ingaggio, non ne voglio più sapere niente di voi due. E, per la cronaca, è Misaki che vuole farti fuori e mettere mano sui tuoi soldi! Lei, come unica erede, non quegli sprovveduti di Takeshi e Hato” disse, evidentemente rivolto a Kenzo.
 
Zoppicando, questi si trascinò alla porta dove la sorella provò a toccarlo, ma lui la scansò bruscamente e Misaki, dopo aver gettato un ultimo sguardo ai due sweeper, scappò via singhiozzando.
 
Il tempo parve fermarsi.
 
Kaori vedeva quale enorme sforzo avesse fatto il socio per dominarsi, per non cedere alla furia cieca e assassina, e uccidere a mani nude quell’uomo.
Ryo non aveva lottato solo contro Kenzo, ma anche con sé stesso, e lo aveva fatto per lei.
Si ricordò anche che l’aveva definita come la sua donna, e l’empito di gioia che provò in quell’istante si andò a sommare al miscuglio di sensazioni contrastanti che stava provando.
Gli si fece vicino e timidamente gli toccò una spalla, lo chiamò sommessamente:
 
“Ryo…”
 
Sembrava lontanissimo, e lei voleva riportarlo indietro.
 
La sua voce parve scuoterlo e Ryo si voltò a guardarla: l’espressione truce, che così raramente gli aveva visto, si stava lentamente stemperando in una più affettuosa e innocente.
La sola presenza di Kaori era un balsamo per la sua anima nera, e averla vista lì, fra le grinfie di quel bastardo, lo aveva mandato fuori di testa; se ci pensava si rabbuiava di nuovo e la giovane, che se ne accorse, gli mormorò:
 
“Ryo, è finita” e gli rivolse una timida carezza sulla guancia, leggermente irsuta.
 
“Kaori, cosa ti ha fatto? Ti ha fatto del male?” riuscì infine a chiederle con il terrore di essere arrivato troppo tardi.
 
“No, no, non mi ha fatto nulla” lo rassicurò, ma guardandola bene vide un rivoletto di sangue solcarle il mento e perdersi lungo il collo.
 
“Ma-ma sei ferita!” si allarmò nuovamente.
 
A quel punto la ragazza si leccò le labbra e sentì la carne morbida appena lacerata; si affrettò a tranquillizzarlo:
 
“Non è niente, ho subito di peggio” e provò a ridere ma dovette fermarsi all’istante perché il labbro le fece male e si lamentò.
 
“Fammi vedere” le disse allora Ryo prendendole il mento con le mani e, alla luce della lampada, esaminò la ferita.
 
Ma Kaori, che voleva minimizzare l’accaduto, quasi si ritrasse, dicendogli:
 
“Dai, non ci pensare, non è niente”
 
Il suo orgoglio di sweeper la spingeva a negare l’evidenza, voleva essere la degna compagna di Ryo e non voleva lamentarsi per uno stupido graffio.
 
Però lui non la mollava, e anzi le disse:
 
“Qui ci vuole del ghiaccio, ma prima… vediamo se va meglio così” e le regalò un bacio dolcissimo e struggente, a fior di labbra per non farle male.
 
Si allontanò da lei lentamente, sempre senza smettere di guadarla.
 
“Kaori, ho avuto tanta paura” le sussurrò “Quando sono venuto qui da te, e l’ho trovato così, sopra di te, non ci ho visto più dalla rabbia; se penso che sarei potuto arrivare tardi, io…”
 
“Shhhhh” le fece segno di tacere la socia, ponendogli un dito sulle labbra e impedendogli di proseguire “non pensarci. Sei arrivato in tempo e… tutto è finito bene. Mi ha schiaffeggiato solo perché gli ho assestato un bel morso” ridacchiò sommessamente la ragazza, per alleggerire la tensione creatasi.
 
“Ma lui voleva approfittarsi di te!” protestò l’uomo.
 
“Già, ma non era altro che una visita notturna, come quelle che vuoi fare sempre tu!”
 
Ryo trasalì; come poteva accumunare le sue visite notturne a quell’aggressione?
E Kaori, prima che lui protestasse in qualche modo, aggiunse prontamente:
 
“Dimmi la verità: quando tu tenti un approccio del genere ad una qualsiasi donna che dorme, cosa avresti intenzione di fare dopo essere salito sul letto? Non proveresti quanto meno a baciarla? E poi? Se lei non apprezzasse? Come ti comporteresti?”
 
Il ragionamento non faceva una piega; e in realtà, da che Kaori era andata a vivere con lui, non gli era mai riuscita una che fosse una, di visita notturna a chicchessia, perché lei glielo aveva sempre impedito, quindi non sapeva bene come sarebbe andata a finire perché… non era mai arrivato a tanto.
Di sicuro però avrebbe tentato di baciare la bella di turno… ma poi?
Effettivamente quello era un atteggiamento da maniaci, e se era divertente pensare di farlo, molto meno lo era subirlo, e di fronte alla scena che si era trovato davanti, era inorridito.
A sua parziale discolpa, però, le disse:
 
“Io però non avrei mai usato la violenza!”
 
“Hai ragione, tu non ne sei capace” e lo guardò con quei suoi occhi grandi e caldi; Ryo si sentì le gambe molli.
 
Girando intorno lo sguardo, e mai come quella volta la stanza gli sembrò squallida, l’uomo dichiarò:
 
“Non voglio che tu dorma in questa camera, non più”
 
“Ah, finalmente! Potrò tornare nella mia di sopra?” cinguettò la ragazza piena di gioia.
 
“No, io… io … pensavo che dovresti dormire con me”
 
Kaori stava già aprendo bocca per aggiungere altro, quando la richiuse di scatto e lo guardò incredula; lo lasciò proseguire.
 
“Kaori, anche ieri sera ti ho spiegato che sono vittima, giustamente, di una maledizione, lanciatami da quella profetessa del tempio. Di giorno sono quel misogino che sai, ma di notte sono io, adesso sono io, quello di sempre. Tutte le notti, non appena mi addormento, sono tormentato da incubi spaventosi, pieni di donne nude e… non fare quella faccia, ti prego. Dicevo… mi risveglio sconvolto e vengo a cercarti, perché ci sei anche tu in quei sogni e ho bisogno di te, Kaori, e finiamo per baciarci perché io lo voglio fortemente e tu… tu pure. Ma poi dimentichiamo tutto, fa parte della maledizione! Lo so, mi sono sempre comportato male, con le donne in generale, trattandole come oggetti di piacere e molestandole, e con te in particolare, quando ti facevo credere che non ti desiderassi affatto, che eri un travestito, un uomo mancato, sminuendo la tua femminilità. Ed è qui che ha colpito la maledizione, rendendomi un arido misogino, ad un tempo, e un innamorato senza speranza che ogni notte deve riconquistare la ragazza che ama. Perché sì, Kaori, io non solo ti desidero…Io ti amo con tutto me stesso, e sapere che ogni volta dimentichi i nostri incontri, mi spezza il cuore”
 
Kaori, ammutolita, lo guardava in preda allo stupore.
 
“Non sopporto più questa vita a metà” riprese l’uomo, quasi con disperazione “questo dimenticare, questo ricominciare sempre da capo ogni volta. Io vorrei poterti meritare, e vivere con te, come una vera coppia…”
 
“Ryo, ma come puoi dire una cosa del genere? Chi più di te merita il mio amore? Dovresti sapere cosa provo per te, quali sono i miei sentimenti!” esclamò stupita la donna.
 
“Va bene…” e le rivolse un timido sorriso “Allora, torniamo di sopra e passiamo questa notte insieme, vuoi? Poi domani ricominceremo tutto da capo. Ma andrò dalla sacerdotessa, e implorerò il suo perdono, pur di averti con me”
 
“Oh, Ryo!” Kaori gli volò fra le braccia, e per la prima volta capì il tormento di quell’uomo che, nel momento in cui aveva deciso di aprirsi con lei, di rivelarle i suoi sentimenti, si vedeva azzerare tutti i progressi fatti, in un continuo corteggiamento notturno.
Lei non aveva memoria dei loro incontri, ma se la situazione che stavano vivendo lo aveva spinto a dichiararsi, forse aveva ragione, c’erano stati veramente.
Solo che, purtroppo, lei non li ricordava affatto… che disdetta!
 
Ryo, con un misto di disperazione e passione, la strinse forte a sé e il contatto lo rassicurò: quella donnina tutto cuore e coraggio teneva fra le mani il suo cuore, era in sua balia, ma si fidava di lei, credeva in lei e nel suo amore, e non avrebbe affidato la sua vita a nessun altro al mondo se non a Kaori Makimura.
La quale appoggiò il viso sull’ampio petto dell’uomo e lui le passò le dita fra i capelli; non si era mai sentito così sicuro di sé stesso come in quel momento.
 
“Kaori, voglio essere tuo, e tuo soltanto” le sussurrò all’orecchio, e quelle parole, unite al tono basso e ricco di promesse, le fecero scorrere un lungo brivido sulla schiena, accendendole un piccolo fuoco di desiderio nel ventre: anche lei voleva essere sua, per sempre sua, come la promessa contenuta nei fiori nuziali di Miki, i tricyrtis.
 
“E allora andiamo, nella nostra casa, nel nostro letto” rispose lei, un secondo prima di baciarlo con passione e trasporto, come il suo corpo aveva imparato a fare in tutte quelle notti dimenticate.
 
Da qualche parte nell’universo si sentì uno schianto, un rumore di qualcosa che va in frantumi, che va in pezzi: era la maledizione che si era infranta, ma Ryo e Kaori non potevano ancora saperlo.
 
Finalmente il loro amore era stato portato alla luce, accettato, accolto, desiderato: due poveri amanti avevano trovato il modo d’incontrarsi… sotto lo stesso tetto.
Ci era voluta una maledizione, che sembrava volerli allontanare, rendendo tutto più difficile, eppure il loro sentimento era riuscito ad emergere ugualmente.
Forse non tutti i mali vengono per nuocere ma, meglio non sfidare la sorte!


Finita!
Spero che vi sia piaciuta *-*
Rinnovo i miei ringraziamenti a tutti, proprio tutti, a quelli che hanno letto in silenzioso, a quelli che l’hanno messa fra le preferite, seguite, ricordate, ma soprattutto a chi ha speso del tempo anche per lasciare un piccolo commento: le vostre recensioni mi hanno sempre riempito il cuore di gioia ed è davvero tanto di questi tempi.
Un grazie particolare va, e non me ne vogliano le altre, alla mia cara BrizMariluna, che fin dagli albori segue i miei deliri, mi sostiene, mi beta i capitoli – anche se poi la mia pignoleria mi spinge a correggerli ancora -, mi sopporta :D
Un altro grazie particolare va alle irriducibili che sono sempre le prime a recensire, e cioè Stekao e Bettxyz812, ma anche a Kalandra che mi fa morire dal ridere con le sue scappate, un grazie a maisonikkoku78 che c’è sempre, a Fanny Jumping Sparrow, a Kyoko_09, a Il colore dei pensieri, Meddy80, GiunglaNord, Sabrinagenova, Brume, Little Firestar84, Alice21. Spero di non aver dimenticato nessuno, in caso chiedo umilmente perdono.
Bene, ora siamo pronti ad affrontare il nuovo anno, sperando che questa ‘maledizione’ che ci affligge già da un po’, s’infranga presto.
E allora ancora G*R*A*Z*I*E* e Buon 2022!!!!
vostra
Eleonora


 

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