Tra me e te

di Monkey D Anjelika
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ciò che non uccide, lascia cicatrici ***
Capitolo 2: *** Lato sinistro del petto ***
Capitolo 3: *** La mira perfetta ***
Capitolo 4: *** Questione di punti di vista ***
Capitolo 5: *** Dove soffia il vento ***
Capitolo 6: *** Petali rossi ***
Capitolo 7: *** Le bugie hanno il naso lungo ***
Capitolo 8: *** Guarire vecchie ferite ***
Capitolo 9: *** Un amaro sapore ***
Capitolo 10: *** Non abbastanza forte ***
Capitolo 11: *** Agrodolce ***
Capitolo 12: *** Lei vive in te ***
Capitolo 13: *** Non sono come te ***
Capitolo 14: *** Tra amore e odio ***
Capitolo 15: *** Un nemico in famiglia ***
Capitolo 16: *** Fino alla morte ***
Capitolo 17: *** Sin dal principio ***
Capitolo 18: *** Sempre al tuo fianco ***



Capitolo 1
*** Ciò che non uccide, lascia cicatrici ***


Incredibile quanto, a volte, poteva essere ipocrita il destino.
Il tuo sguardo color antracite fissava l'orizzonte, sembrava cercare qualcosa o meglio qualcuno.
Speravi che, in lontananza, una nave salpasse verso te.
Speravi che lui venisse a prenderti e chiederti scusa.
Nel tuo cuore c'era ancora un brandello di speranza, mentre nella tua mente era ceduta del tutto. 
Piano abbassasti lo sguardo, era arrivato il momento di essere realista e di andare per la tua strada.
Te l'eri sempre cavata da solo, e così avresti continuato.
"Che stupido, ma che potevo aspettarmi da lui?" pensasti.
Già...cosa pensavi Crocodile? Di poter recitare la parte della famiglia felice?! Ma ti era andata male, il sipario si era abbassato prima che il finale, ideato da te, iniziasse.
L'ultima scena di quello sciocco teatrino fu la tua sconfitta.
Edward Newgate, il famigerato Barbabianca, ti aveva sconfitto con grande facilità e ti aveva lasciato lì a terra.
Se ne era andato mentre tu giacevi a terra in una pozza di sangue.
La tua mano inerme persa chissà dove, il viso sfigurato, il cuore a pezzi e il tuo orgoglio di pirata lacerato.
Eri stato sconfitto dall'uomo più forte del mondo, l'uomo più vicino all'one piece.
Quell'uomo che tutti temevano e ammiravano, quell'uomo che per te era tuo padre biologico.
Ma adesso era solamente un estraneo, un nemico.
"Un giorno avrò la tua testa Barbabianca" urlasti in preda alla rabbia.
Poi le lacrime rigarono il tuo viso già segnato dalla debolezza.
Mai avevi pianto se non alla tua nascita, ma ora non ne potevi fare a meno.
Era l'unico modo per liberarsi di tutto quel dolore, unico sentimento che ti aveva lasciato quell'uomo.
Nei tuoi ricordi c'era solo la sua assenza, non era mai stato presente per te.
E così, morta tua madre, decidesti di andarlo a cercare insieme al tesoro di Gol D. Roger.
Quelli erano i tuoi sogni più grandi.
Volevi dimostrare al tuo padre biologico che eri un figlio degno del suo nome e di esser parte della sua ciurma.
Ma poi ti svegliasti.
Venni sconfitto, umiliato e rifiutato da quell'uomo.
Lui, che da sempre desiderava una famiglia, aveva rifiutato il suo unico e vero figlio. Chissà perché poi. 
Che ipocrisia! 
Quella sconfitta ti segnò per sempre. Capisti di non essere all'altezza dei tuoi sogni, e così smettesti di inseguirli.
Percorresti un'altra via, quella della realtà.
E così dai sogni, passasti agli incubi delle persone e del Governo Mondiale.
Avevi letto da qualche parte delle armi ancestrali, di Pluton e volevi farlo finire nelle tue mani. Ops...nella tua mano.
Talvolta lo dimentichi, speri di cancellare quei ricordi.
Ma erano incisi sulla tua pelle come un marchio.
Erano lì a ricordarti della tua sconfitta e della tua vendetta.
Ma anche quel desiderio non si realizzò. Barbabianca perse la vita a Marineford ma non per mano tua.
Fu un suo figlio a sconfiggerlo, Barbanera, insieme ad un ammiraglio, Sakazuki detto Akainu.
Gli bruciò mezza testa, lo sfigurò proprio come lui fece con te e poi fu attaccato da un figlio.
"Che beffa del destino!" Te la risi di gusto.
Ma poi il sorriso svanì e qualcosa di amaro si impadronì di te.
Una sensazione di vuoto, un dolore incolmabile.
Sentisti la cicatrice sul volto pulsare e con lei ti doleva la mano sinistra, quella che non c'era da anni.
"Una ferita del genere non si rimarginerà mai, o sbaglio capo?!" l'insinuazione di Daz Bones ti distrasse dai tuoi pensieri.
Tra le mani stringeva il giornale che riportava l'impresa di Monkey D. Rufy.
Era tornato a Maineford dove suo fratello perse la vita, stesso luogo dove morì anche lui.
"Cosa stai cercando di insinuare Daz?! Le mie ferite si sono rimarginate" dicesti.
L'uomo vicino a te sorrise.
Sospirasti.
Il tuo sguardo si abbassò, e piano piano ti allontanasti dal ponte seguito da Daz Bones.
"Devo andare nel nuovo mondo per risolvere una questione, vuoi venire con me?" Proponesti al tuo sottoposto cambiando argomento.
Lui annuì mentre vi dirigevate verso una nave.
"Tu rimarrai la mia peggior cicatrice papà"




 

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Capitolo 2
*** Lato sinistro del petto ***


Tra le mani stringeva quello scatto che aveva bloccato il tempo.
Le sue mani tremavano, le lacrime bagnavano il suo viso.
I suoi occhi color pece si erano trasformati in nuvole grigie da cui pioveva dolore.
Non era un temporale passeggero.
Gli occhiali erano appannati e lui vedeva a malapena, meglio così. Non voleva vedere più nulla.
La sua sofferenza aveva creato uno scudo intorno a lui.
Non lasciava oltrepassare nulla.
Sengoku si era isolato dalla realtà, ancora una volta.
Ogni volta che prendeva quella vecchia foto, la sua mente tornava al giorno in cui perse tutto.
Avrebbe voluto urlare, ma la voce era morta con il ragazzo.
Non sapeva che dire.
Non aveva mai provato tanto dolore in vita sua.
Lui che non era padre, aveva perso un figlio.
Lui che era vivo, aveva perso la sua vita.
Rocinante non era suo figlio biologico, ma l'amore non dipendeva di certo dai legami di sangue.
Lui lo aveva amato, cresciuto e protetto come se fosse davvero suo figlio.
Il suo lavoro non gli aveva mai dato il tempo di farsi una famiglia, o forse non aveva mai trovato la persona giusta con cui crearla.
Ma quando aveva sentito quell'urlo disperato in mezzo alle macerie, quando aveva visto quei ciuffi ribelli, in lui era nato qualcosa.
Una strana sensazione gli stringeva il petto, un desiderio di proteggere qualcuno e di amarlo più di sé stesso.
Così, dopo essersi assicurato che fosse solo, decise di portarlo con sé e quella fu la scelta migliore della sua vita.
Quel dolce sorriso, quella goffaggine che distruggeva piano piano la sua casa e quel senso di giustizia in un bambino così piccolo, avevano dato un senso alla sua vita.
Rocinante aveva colorato la sua esistenza, uscendo dai bordi.
L'amore che provava per quel bambino aveva sfumato ogni aspetto del suo carattere, divenne un amore incondizionato e Sengoku si tramutò in un uomo migliore.
Sentiva che la sua vita era completa, di avere uno scopo ben definito.
Era così orgoglioso di quel figlio giudizioso che aveva scelto di seguire le sue orme e di difendere i più deboli.
Era così soddisfatto di quel figlio sincero che mai gli aveva mentito.
Lo fece solo una volta in realtà, ma Sengoku non la considerava.
Con il tempo aveva capito il perché. Rocinante aveva sviluppato quel sentimento che lo legava all'ex Grand Ammiraglio per quel dottore, Trafalgar Law.
Quel bambino divenne ciò che Rocinante era per lui.
Lo amò allo stesso modo e non poteva colpevolizzare Rocinante per aver voluto proteggere qualcuno. Non poteva macchiare la sua memoria.
Non se lo meritava, lui che aveva rischiato la vita per qualcun'altro.
Mai aveva conosciuto una persona così buona. Un drago celeste davvero fuori dal comune.
Un figlio speciale che, ogni giorno, gli ricordava di doversi battere per ciò che era giusto.
E, forse, era per quello che sorvegliava il nuovo Grand Ammiraglio, Sakazuki detto Akainu. Quell'uomo burbero non aveva nulla di giusto.
E poi non voleva lasciare quel luogo, la sede della Marina. Anche se la vecchia sede, luogo dove era cresciuto Rocinante, non c'era più, per Sengoku rimaneva speciale in senso simbolico.
Nella sede della Marina aveva amato quel bambino, quell'amore era stato coltivato lì e non aveva importanza se il luogo fisico fosse quello o un altro.
Nei suoi ricordi era la Marina la loro casa, non c'era bisogno di specificare le coordinate geografiche.
Con Marina intendeva Monkey D. Garp, Tsuru, Aokiji, Kizaru e tutte le persone che avevano visto crescere suo figlio.
Casa è dove si sta bene, non il luogo fisico.
I ricordi sono legati alle persone e finché loro avrebbero ricordato Rocinante, lui sarebbe rimasto lì con Sengoku.
Rocinante sarebbe stato sempre nel lato sinistro del suo petto.

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Capitolo 3
*** La mira perfetta ***


Respiravi piano.
Il petto si alzava e abbassava ritmicamente, i polmoni si riempirono d'aria.
Lo sguardo era dritto, fisso su un punto nero indefinito.
Il corpo era teso, tra le mani stringevi con forza una fionda.
La destra impugnava il manico mentre la sinistra tirava all'indietro l'elastico e il sasso che circonda.
Gli occhi erano chiusi, cercavi di non muoverti e di non fare rumore.
Aspettavi il momento giusto.
Il punto nero era fermo tra palline bianche, sapevi che lo zucchero avrebbe attirato la formica.
Uno...
Due...
Tre...
Bersaglio colpito, hai mirato proprio al centro, tra le antenne dell'insetto.
Il silenzio venne riempito dalla tua risata e le mani di tuo padre che applaudeva.
Era sempre stato lì in silenzio, gli occhi fissi su di te e colmi di orgoglio.
"Sei un ottimo cecchino Usopp" si congratulò.
Le lacrime rigarono il tuo viso, lacrime di gioia che più scendevano più diventavano amare e colme di dolore.
Quel ricordo era ancora lì, incastrato nei tuoi occhi.
Erano passati anni, ma era ancora vivido.
"Io non sono un bravo cecchino papà" dicesti con la voce spezzata dal pianto.
A volte ti isolavi dal resto della ciurma, il tuo sguardo si perdeva nell'orizzonte, la tua mente nei tuoi ricordi.
Avevi sempre ammirato tuo padre per la sua bravura e per il coraggio di aver inseguito il suo sogno, il coraggio di aver abbandonato la sua famiglia.
Non l'odiavi, anzi lo amavi moltissimo ma provavi rancore.
Più nei tuoi confronti che nei suoi. 
Ti domandavi spesso perché ti avesse lasciato, ti davi la colpa.
"Ti sbagliavi papà, non sono un bravo cecchino" sospirasti al vento.
"Non abbastanza da far breccia nel tuo cuore e darti un motivo valido per restare".
 

 

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Capitolo 4
*** Questione di punti di vista ***


Il sole era davvero intenso quel giorno, persino i raggi sfuggivano da tutto quel calore per trovare riparo sull'asfalto ormai rovente.
Nessuno, però, sembrava fare caso a quelle temperature così elevate.
Probabilmente ci avevano fatto l'abitudine.
Anche tu, con il passare degli anni, ti eri abituato a quella caotica e calda isola. 
Dressrosa era davvero maestosa, sembrava il gioco di una bambina e lo era davvero.
Erano tutti delle marionette nelle tue mani grazie ai poteri della piccola Sugar.
Il tuo solito sorriso beffardo apparve sul tuo viso, adoravi quella situazione.
Tutto era perfetto, così come volevi tu e com'era un tempo.
A testa alta camminavi tra la folla, non guardavi in faccia nessuno. Gli occhiali da sole coprvano il tuo sguardo di chi sa di essere superiore.
E, in fondo, lo eri davvero.
Tu Doflamingo eri e restavi un Drago Celeste che non poteva di certo confondersi tra quella plebaglia.
Non potevi commettere lo stesso errore di tuo padre.
Quello sciocco di Homing che aveva il mondo in mano e lo ha rifiutato per cosa poi? Per soffrire la fame e vedere sua moglie soffrire.
Lui non meritava di essere un Drago Celeste, non meritava di essere tuo padre, non meritava di vivere.
Nemmeno uno stolto avrebbe rinunciato alla ricchezza, al lusso e alla superiorità solo per sentirsi uguale agli altri.
La sua decisione aveva condizionato anche te, da troppo eri passato a niente.
Ma, fortunatamente, tu non eri come lui e ti eri ripreso quasi tutto.
Con l'inganno avevi ottenuto un regno, un trono e una corona e con la forza il tuo potere.
Ma ancora non ti bastava.
No, tu volevi di più.
Tu volevi essere il Re dei Pirati, volevi il One Piece. 
Volevi tutto, il mondo intero ai tuoi piedi.
Volevi qualcosa di grande per poter colmare il vuoto lasciato da tuo padre.

 

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Capitolo 5
*** Dove soffia il vento ***


Corri.
Corri e non guardarti indietro.
Veloce, veloce come il vento.
Corri, vai per la tua strada.
Non rallentare Rufy, continua a correre.
E se mai dovessi cadere, rialzati e poi corri di nuovo.
Non ascoltare quello chi dicono gli altri, lascia che il vento porti via i loro insulti, le loro risate.
Tu continua a correre, vai dritto.
Segui la rotta, affidati alla bussola che batte nel tuo petto.
Guarda dove soffia il vento e seguilo.
Segui la sua direzione e sarai sulla giusta via.
Corri Rufy, non mollare.
La strada è in salita, è faticosa ma tu puoi farcela.
Tu sei diverso dagli altri, sei predestinato e io lo so.
Devi solo continuare a correre nonostante la fatica e il fiatone.
Piano piano raggiungerai la vetta, io lo so.
Sarò lassù ad attenderti.
Ma devi continuare a correre.
Segui il vento Rufy, vieni da me.
Non preoccuparti, veglierò io su di te, come ho sempre fatto.
Ti proteggerò, sarò al tuo fianco finché non avrei raggiunto la meta.
Corri Rufy, corri e vieni da me.
Sono qui che ti aspetto da tempo, vieni e staremo insieme in un nuovo mondo, in un mondo migliore.
Corri Rufy, corri e vieni da tuo padre.
Segui il vento e non ti perderai perché il vento sono io.
Seguimi, vieni da me.
Raggiungimi e cambiamo insieme questo mondo.

 

 

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Capitolo 6
*** Petali rossi ***


Uno strano odore si diffuse nell'aria sfiorando le tue narici.
Non era l'odore delicato che caratterizzava, quasi, tutti i fiori, non era nemmeno sgradevole.
Era difficile trovare un aggettivo per descriverlo.
L'unica cosa che potevi affermare con certezza era che non ti dispiaceva affatto.
Per qualche strana ragione quel grande fiore dal colore vermiglio, ti ricordava casa.
Ogni volta che ammiravi quei fiori esotici, il tuo cuore perdeva un battito.
Una sensazione di nostalgia ti avvolgeva completamente isolandoti dal resto del mondo.
Con la mente ti perdevi in ricordi mai vissuti e sensazioni mai provate.
I petali rossi si tramutavano in capelli lunghi e mossi.
I puntini gialli che circondavano il pistillo si trasformavano in tantissime lentiggini simili alle tue.
Quello strano odore diveniva più noto, più familiare.
Era odore di biancheria pulita, caffè. Odore di casa.
Il sole splendeva su quel volto dolce e sorridente e scaldava il tuo cuore.
Timidamente ricambiavi quel sorriso.
Piano ti avvicinavi al corpo esile di quella donna ma non riuscivi mai a raggiungerla.
Allora iniziasti a correre mentre il buio calava nella stanza ormai vuota.
La donna era scomparsa.
Dove prima c'era lei, ora c'erano solo petali appassiti.
Un odore sgradevole riempì la stanza e con lui portò la malinconia.
"Guarda quel fiore Ace" ti disse una volta il vecchio Garp.
"È un ibisco! Tua madre ne aveva sempre uno sui capelli".
Quella frase riecheggiò nella tua mente anni dopo.
Abbassasti lo sguardo verso la tua mano stretta a pugno.
Piano mollasti la presa e un fiore rossa caddè a terra.
"Muoviti Ace, dobbiamo salpare".
Senza dir nulla, ti dirigesti verso quella voce, verso la tua nuova famiglia.

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Capitolo 7
*** Le bugie hanno il naso lungo ***


"Papà tornerà presto, me lo ha promesso" ripeteva Usopp ogni giorno.
Nonostante fossero passati anni, il bambino credeva fermamente a quella promessa o, per lo meno, fingeva di crederci con la speranza che divenisse realtà.
Banchina sospirò, era preoccupata per suo figlio.
Ormai erano settimane che passava le giornate a letto, era talmente stanca che non riusciva neanche a parlare.
Si era ammalata così, da un giorno all'altro.
Il dolore la consumava giorno dopo giorno, e lei sapeva bene che non sarebbe arrivata alla fine di quel mese.
Soffriva notte e giorno, non riusciva neanche più a dormire.
Ma non voleva smettere di respirare, preferiva sopportare in silenzio quel dolore piuttosto che far soffrire suo figlio.
Usopp aveva soltanto sette anni ed era troppo piccolo per rimanere da solo.
Già aveva perso un genitore, non poteva perderne un altro.
Non così presto.
Per un istante Banchina ripensò a suo marito Yasopp, l'uomo era partito anni fa.
Aveva lasciato la sua famiglia per diventare un pirata.
Era stata Banchina a convincerlo a inseguire il suo sogno, non si sarebbe mai perdonata il rimpianto del marito.
Amava tantissimo quell'uomo, tanto che aveva rinunciato alla sua felicità per quella di lui.
Prima di partire Yasopp le aveva promesso che sarebbe tornato, ma lei sapeva che era una bugia.
Sarebbe diventato un cecchino e pirata di fama internazionale, sarebbe stato ricercato ovunque e mai sarebbe potuto tornare alla vita anonima di prima.
Quella vita che era troppo piccola per un uomo così grande.
E nonostante gli anni passati, lei lo amava ancora ed era così fiera di lui.
Non si era pentita della sua insistenza, suo marito era felice e lei anche.
L'unica cosa che le dispiaceva era di lasciare solo un bambino così piccolo.
Usopp soffriva ancora per la partenza del padre.
Ogni giorno le diceva che suo padre sarebbe tornato presto.
Ogni giorno correva per il villaggio e ne spaventava gli abitanti perché annunciava il finto ritorno dei pirati di Shanks.
Banchina sorrideva quando i suoi vicini si lamentavano delle menzogne di suo figlio.
Non lo aveva mai rimproverato.
Lei sapeva che quelle bugie erano il modo di Usopp per fuggire dalla realtà, fuggire per un po' dall'assenza del padre.
Era un bugiardo, lo era sempre stato.
Per ironia della sorte aveva anche un naso lungo come quello di Pinocchio.
Un improvviso colpo di tosse cancellò il sorriso dal viso pallido della donna.
Non riusciva neanche più a pensare, a ricordare.
Stanca si addormentò per sempre mentre una lacrima rigava il suo viso.
Quella lacrima arrivò a terra portando con sé il desiderio di veder divenire realtà le bugie del suo piccolo Usopp.

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Capitolo 8
*** Guarire vecchie ferite ***


Tanti bambini avevano tentato di entrare a far parte della ciurma di Doflamingo, ma solo tre di loro ci erano riusciti.
Rocinante voleva evitare che bambini così piccoli, estasiati dall'immagine dei pirati, rovinassero il loro futuro per seguire Doflamingo.
Probabilmente il futuro non lo avrebbero mai vissuto se avessero persistito.
Rocinante voleva evitare che la ciurma di suo fratello crescesse, anzi il suo obiettivo era di annientarla.
Fermare Doflamingo prima che fosse troppo tardi.
Per questo aveva maltrattato male tutti i bambini, e loro se ne erano andati dopo pochi giorni.
Doflamingo li fissava divertiti, non erano all'altezza del suo equipaggio.
Ma c'era stato un bambino diverso da tutti gli altri, anche dagli altri due che erano riusciti a rimanere.
Quel bambino si chiama Trafalgar Law e bambino lo era solo nell'aspetto.
Dentro era più adulto di Rocinante stesso, più marcio di Doflamingo ma, a differenza sua, aveva ancora una possibilità di essere salvato.
Quel bambino malato e cupo aveva catturato l'attenzione di Rocinante, la sua compassione.
Non aveva paura di morire e l'odio lo stava logorando dentro.
In lui il non troppo muto Rocinante ci aveva rivisto suo fratello e, in parte, se stesso.
Aveva perso i genitori troppo presto e aveva patito la fame e il freddo.
Era diventato cupo.
Doflamingo lo era sempre stato anche quando stavano bene.
Rocinante, invece, era diventato più buono e umile.
Quel bambino rispecchiava entrambi e una società egoista, un governo che non pensava ai suoi cittadini.
Rocinante si era arruolato nelle Marina Militare spinto dal suo senso di giustizia, ma di giusto in ciò che era accaduto a Law non c'era nulla.
Lui si sentiva obbligato a dover rimediare, a chiedergli scusa da parte del resto del mondo che lo aveva allontanato e trattato come un reietto.
Doveva dimostrargli che aveva ancora tutta la vita davanti e che c'erano altri sentimenti oltre l'odio.
Voleva evitare che diventasse come Doflamingo.
Quel bambino arrogante era diventata la sua priorità, fermare Doflamingo era passato in secondo piano.
Forse ci avrebbe pensato proprio il piccolo Law.
In lui Rocinante ci aveva rivisto se stesso e ciò che aveva perso e poi recuperato grazie a SenGoku.
Rocinante voleva ridare a Law un padre perduto e un'infanzia finita troppo presto, voleva ridare a sé stesso l'opportunità di essere ciò che Doflamingo gli aveva tolto.
Gli avrebbe dato la vita anche a costo della sua.

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Capitolo 9
*** Un amaro sapore ***


Non le capitava spesso di pensare ai suoi genitori.
A dire il vero Charlotte Linlin non aveva mai pensato a quei due volti sfocati che l'avevano accompagnato nei primi anni di vita.
Ogni volta che chiudeva gli occhi e pensava alla sua infanzia, vedeva soltanto il volto dolce e cosparso di rughe di Madre Caramel.
Quella donna era l'unica figura che associava alla parola genitore.
Lei era l'unica da cui Linlin si era sentita davvero amata.
Era arrivata all'improvviso nella sua vita e l'aveva salvata dalla solitudine.
E così com'era arrivata, era sparita lasciandola sola di nuovo.
Linlin era ancora tormentata da quell'assenza nonostante fossero passati tanti anni.
In quegli anni lei era diventata madre di tanti bambini, per quel motivo era conosciuta come Big Mom.
Voleva essere come Madre Caramel ma sapeva che i suoi figli non vedevano in lei quello che lei aveva visto in quella donna.
Neanche Linlin vedeva in loro lo stesso affetto che Madre Caramel aveva provato per lei, almeno per quello che pensava.
La verità era che Big Mom non riusciva a nutrire sentimenti per i suoi figli, li vedeva solo come dei mezzi per raggiungere i suoi scopi.
Erano delle pedine nelle sue mani e chi osava ribellarsi doveva essere eliminato.
I giocattoli rotti non piacciono a nessuno.
Di recente, dopo che Laura era andata via e Chiffon si era sposata, il suo odio per quei parassiti era cresciuto a dismisura.
E forse, il motivo erano proprio i suoi genitori e quei pochi ricordi che le avevano lasciato quando l'avevano abbandonata.
Linlin era stata lasciata da sola in un'isola quando aveva solo cinque anni.
I suoi genitori le avevano promesso che sarebbero tornati a prenderla, ma non mantennero mai quella promessa.
Era stata una bugia.
Forse si era comportata male, aveva disobbedito e k suoi erano stati costretti ad abbandonarla.
Sicuramente erano stati più clementi di lei che non si faceva problemi ad uccidere i suoi figli, se ce ne fosse stato il bisogno.
Quell'assenza aveva rotto qualcosa in lei, da dolce e spensierata era diventata crudele.
Con l'incontro con Madre Caramel e gli altri bambini aveva trovato un po' di pace, ma era durato poco.
Anche loro erano spariti, l'avevano abbandonata.
Linlin si era sentita sola per tanto tempo, desiderava una famiglia.
E adesso ne aveva una grandissima.
Teneva i suoi figli sotto il suo stretto controllo, erano marionette nelle sue mani.
Obbedivano ad ogni suo ordine, facevano quello che diceva lei.
Non avevano una loro volontà, una loro autonomia.
Così non sarebbero mai potuti andare via, non sarebbe rimasta più da sola.


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Capitolo 10
*** Non abbastanza forte ***


Vinsmoke Judge lo aveva capito sin dal primo momento che lo aveva visto.
Lo si capiva dal quello sguardo innocente, dagli stessi capelli biondi di sua madre, dalla loro incredibile somiglianza.
Suo figlio Sanji non solo assomigliava fisicamente a sua madre Sora, ma anche caratterialmente.
Judge lo aveva capito sin da subito che era debole.
Non era un membro degno della Germa 66.
Evidentemente il contro-farmaco preso da sua moglie Sora aveva fatto effetto solo su di lui.
Judge lo aveva capito quando, invece di allenarsi con i suoi fratelli, si recava di nascosto in cucina e preparava da mangiare per la madre malata.
Nonostante avesse intuito che su di lui le modifiche genetiche non avevano fatto effetto, Judge gli aveva voluto dare una possibilità.
In fondo anche sua figlia maggiore Reiju non aveva subito alcuna modifica, eppure era in gamba e obbediva ai suoi ordini.
Invece Sanji...
Sanji era una delusione e lo aveva capito sin da subito.
Aveva provato a dargli un'opportunità perché era suo figlio.
Forse lo aveva fatto per rispetto di sua moglie.
Ma quando lei era venuta a mancare, Judge aveva deciso che ne aveva avuto abbastanza.
Non solo era una delusione, ma per Judge era anche il responsabile della morte di sua moglie.
Aveva fatto rinchiudere Sanji in una cella, voleva insegnargli ad essere forte e avere coraggio.
Ma i pianti e le grida di suo figlio, che nel cuore della notte disturbavano il suo sogno, gli avevano fatto capire che era tutto inutile.
Sanji era e sarebbe rimasto per sempre un debole, prigioniero dei suoi sentimenti.
Avrebbe dovuto sbarazzarsi di lui, gettarlo in mare.
Ma non poteva farlo...
In lui rivedeva sua moglie, non poteva fare a lei quel torto e poi sarebbe stato uno spreco di sangue inutile.
Quando Sanji riuscì a liberarsi dalla prigionia, aveva annunciato a suo padre che se ne sarebbe andato via.
Judge ne era felice.
Ecco trovata la giusta soluzione per liberarsi di quell'insieme figlio.
Judge lo lasciò partire sicuro che sarebbe morto in mare.
Eppure, anni dopo, si rese conto che le sue supposizioni erano sbagliate.
Sanji era vivo, era diventato un pirata e aveva una grandissima cifra sulla testa.
Judge sorrise disgustato quando vide la sua foto.
Suo figlio era vivo e, forse, poteva tornare utile per raggiungere i suoi scopi.
Sapeva che Sanji era un sentimentale perciò avrebbe accettato di tornare in famiglia per salvare la sua ciurma.
Judge era sicuro del suo piano, era sicuro della debolezza di Sanji.
Era sempre stato sicuro di ogni cosa.
Eppure Sanji gli aveva dimostrato parecchie volte di essersi sbagliato.
Non solo era riuscito a sopravvivere da piccolo, ma gli aveva anche salvato la vita quando il suo piano con Big Mom era fallito.
Fu allora che Judge comprese una verità ben diversa da quella in cui aveva sempre creduto e vissuto.
Decise di aiutare Sanji e sua volta a fuggire dai pirati di Big Mom insieme agli uomini pesce.
Quando incrociò il suo sguardo per l'ultima volta mentre era sulla nave di Rufy Cappello di Paglia, Judge rivide quel bambino di tanti anni fa.
Su una cosa aveva sempre avuto ragione: Sanji era debole e vittima dei sentimenti.
Solo uno sciocco rischierebbe la vita per salvare quella degli altri.
Da quel momento smisero di essere padre e figlio.

 

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Capitolo 11
*** Agrodolce ***


Zeff doveva ammettere che quel bambino dai capelli biondi era proprio bravo a cucinare.
Non sapeva da chi lo avesse imparato, forse era un talento naturale.
Ma la dedizione che ci metteva, aveva fatto capire che lo faceva per una persona a lui molto cara.
Sanji, così si chiamava quel bambino, gli aveva raccontato che aveva cucinato tante volte per sua madre.
E anche se lei non c'era più, lo sguardo fiero che aveva la donna ogni volta che lo vedeva con un piatto in mano, lo motivava a seguire il suo sogno.
Zeff aveva rivisto in quel bambino se stesso.
Forse era quello il motivo per cui gli aveva salvato la vita.
Aveva, persino, rinunciato alla sua parte di cibo pur di evitare che il bambino morisse di fame.
Vedeva in Sanji un figlio, e con il tempo Sanji aveva imparato a vedere in Zeff un padre.
Il bambino non gli aveva mai raccontato nulla di suo padre biologico.
In realtà, a parte sua madre, non aveva mai detto nulla di sé e del suo passato.
E Zeff non aveva mai insistito.
In fondo se lo aveva trovato in mare a quell'età, doveva essere successo qualcosa di brutto.
E lui non voleva farglielo ricordare.
Così aveva deciso di tenere il bambino con sé e di crescerlo come se fosse suo.
Lui e Sanji inseguivano lo stesso sogno e come ogni genitore avrebbe visto realizzare i propri obiettivi attraverso i figli.
Nonostante fosse solo un bambino imparava più in fretta dei suoi altri dipendenti.
Zeff detestava la violenza sulle donne e proprio attraverso questa educava chi lavorava per lui, Sanji compreso.
Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te.
Con il tempo aveva notato che quel bambino mingherlino resisteva più degli adulti.
Aveva iniziato a fissare il mare, a desiderare di girare il mondo e poter imparare a cucinare i piatti tipici di ogni luogo.
Zeff sapeva che, presto, quel figlio sarebbe andato via e non sarebbe stato un semplice cuoco ma qualcuno di più importante.
Un giorno lo avrebbe visto allontanarsi e non fare più ritorno.
E lui non lo avrebbe fermato, aveva promesse che sarebbe stato un buon padre.
E come tale lo avrebbe sempre supportato.
Anche se più Sanji cresceva più era evidente il suo amore per il gentil sesso.
Era quasi ossessionato dalle donne.
Gli piacevano tutte, non faceva eccezioni.
Zeff rideva di quel ragazzino che si atteggiava da donnaiolo ma di donne non ne aveva ancora avute.
Sperava che sarebbe partito presto, altrimenti i mariti e compagni delle donne che venivano a mangiare nel suo ristorante gli avrebbero fatto fare una brutta fine.

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Capitolo 12
*** Lei vive in te ***


Nico Robin era sola sul ponte della nave.
Era mattina presto e gli altri membri dell'equipaggio ancora dormivano.
Il vento soffiava forte tra i suoi capelli corvini.
Con sé aveva portato anche il silenzio.
L'unico rumore che si percepiva erano le onde del mare che si infrangevano contro la nave.
A Robin era sempre piaciuta la tranquillità che regnava nelle prime ore del giorno.
Non sentire le urla e le risate dei suoi amici, le permettava di concentrarsi sui suoi pensieri.
Il suo sguardo era fisso sul cielo che si estendeva davanti a lei.
Aveva lo stesso colore ceruleo dei suoi occhi, degli occhi di sua madre.
Nico Robin pensava spesso a Nico Olvia, ad Ohara, al suo passato.
Almeno una volta al giorno dedicava un pensiero a tutti quei civili innocenti che non c'erano più.
Ripensava spesso alle cattiverie subite, alle risate dei bambini e all'assenza della madre.
Quella madre che aveva ritrovato e persa nel giro di pochi minuti.
Il tempo, a volte, sembrava ancora bloccato a quell'abbraccio stretto che la soffocava tutt'ora.
Sentiva quelle braccia tenerla prigioniera nel suo dolore, nel suo passato.
Nico Robin non sopportava più quel peso, voleva liberarsene ma non riusciva a parlarne con nessuno.
Era sempre stata una bambina sola, cresciuta troppo in fretta e aveva sempre fatto affidamento su stessa.
Anche se ora aveva degli amici, per lei era difficile aprirsi con loro.
Odiava mostrarsi debole.
Forse, una parte di lei, si rifiutava di liberarsi di quei ricordi anche se brutti perché era presente sua madre.
Se ripensava al Buster Call vedeva il volto di sua madre rigato dalle lacrime e sentiva la sua voce spezzata dalle lacrime che la supplicava di continuare a vivere.
Se ricordava Ohara lo faceva solo per sua madre, per Sauro e per gli archeologi.
Quei ricordi erano perlopiù brutti, le facevano male.
Ma sua madre viveva in quelle sue memorie.
Il ricordo di lei la opprimeva, la imprigionava in traumi infantili.
Quel dolore era come una droga per Robin, faceva male ma non riusciva a farne a meno.
A volte voleva liberarsene, altre volte no.
Aveva paura che se quei ricordi fossero usciti da lei avrebbero fatto del male ai suoi amici e che sua madre sarebbe sparita.
Perché lei non era presente in nessun altro ricordo, o forse sì ma erano troppo lontani per poter tornare alla mente.


 

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Capitolo 13
*** Non sono come te ***


Lo sguardo perplesso ammirava la figura muta nelle specchio.
Quel dannato riflesso era la ragione di ogni suo complesso.
Helmeppo fissava attentamente come i suoi lineamenti erano cambiati dopo l'allenamento con Garp.
Sicuramente l'esercizio fisico lo aveva aiutato a migliorare il suo aspetto, ma anche la pubertà aveva fatto la sua parte.
A stento faticava a riconoscersi anche se ormai vedeva quel volto ogni mattina.
Prima di fare colazione e scoprire gli incarichi della giornata, Helmeppo si chiudeva nel bagno.
Il silenzio mattutino era sovrastato dai passi e dal chiacchiericcio delle altre reclute della marina militare.
Mentre tutti si dirigevano nella mensa, lui restava lì ad osservare il suo viso per interminabili minuti.
In quei lineamenti cercava quelli duri e spigolosi di suo padre Morgan.
Quell'uomo era stato un marine, un tempo.
Una volta Helmeppo lo ammirava, sognava di diventare come lui, desiderava che suo padre fosse orgoglioso di lui.
Per anni aveva vissuto nell'illusione che suo padre fosse un uomo giusto e che amasse il proprio figlio.
Ma si era sbagliato.
Monkey D. Rufy lo aveva svegliato dal suo sogno e gli aveva mostrato la realtà.
Morgan era crudele, sadico e gli importava solo di sé stesso.
Da quand'era scappato, Helmeppo si era allenato duramente con Garp per diventare l'opposto di suo padre.
Voleva diventare forte ed essere colui che lo avrebbe arrestato.
Da quel giorno Helmeppo era cambiato radicalmente, i suoi sogni si erano infranti.
Il desiderio di diventare come suo padre si era tramutato in paura.
Era terrorizzato anche dall'idea di assomigliargli fisicamente.
Ogni mattina scrutava i suoi lineamenti per cercare il volto di suo padre.
E dopo dieci minuti era sollevato dal non aver trovato qualcosa che lo accomunasse a lui.
Unica eccezione erano gli stessi capelli biondi.
Helmeppo per quelli poteva fare ben poco dato che voleva evitare di tingerseli.
Alla fine il biondo gli piaceva, e per evitare di avere qualcosa in più in comune con Morgan li aveva fatti crescere.
Suo padre li aveva sempre portati corti, odiava i capelli lunghi soprattutto sugli uomini.
Helmeppo sorrise soddisfatto, un altro giorno in più senza assomigliare a suo padre.
Quando sentì la voce di Koby chiamarlo, corse verso la mensa lasciando il suo riflesso da solo.

 

 

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Capitolo 14
*** Tra amore e odio ***


Ace era stanco.
Il respiro era affannoso, le palpebre facevano fatica a restare aperte.
Ace era stanco. Stava per crollare.
Si sentiva debole a causa delle manette in algamolite.
Ma nonostante la stanchezza del suo corpo, la sua testa si rifiutava di cedere.
Voleva vedere quello che aveva davanti agli occhi, voleva vedere come sarebbe andata a finire quella battaglia.
Visti dal patibolo i pirati e i marines erano minuscoli come insetti.
Probabilmente anche prima di morire, suo padre Roger aveva avuto lo stesso pensiero.
Ironia della sorte stava morendo come l'uomo che gli aveva dato la vita, una vita che aveva sempre disprezzato.
Solo in quel momento, dopo tutti i sacrifici fatti dai suoi compagni e da suo fratello, si era reso conto di quanto tenesse alla vita.
Lui voleva vivere ma lo aveva capito troppo tardi.
Aveva passato la maggior parte del suo tempo a pensare di non meritarla, pensava che il patibolo fosse il suo posto.
Sin da bambino aveva odiato sé stesso e suo padre.
Roger era stata la causa di tutto quell'odio che il mondo aveva nei confronti di un bambino innocente.
Ace non aveva fatto altro che sentire commenti pieni di disprezzo e astio nei confronti del figlio del re dei pirati.
In ogni luogo che aveva frequentato da bambino, le persone non facevano altro che sperare nella morte di quel mostro.
Con il tempo si era fatto plasmare da quelle idee e aveva iniziato a desiderare di morire.
Lui non meritava di vivere, lui era un mostro.
E per questo aveva sempre odiato suo padre.
Lo aveva lasciato da solo in un mondo pieno di odio, gli aveva lasciato il peso delle sue colpe.
Ogni volta che si guardava allo specchio, vedeva il riflesso di quell'uomo.
Ace lo disprezzava.
Eppure aveva deciso di seguire la sua stessa strada.
Forse per poter scappare da quel piccolo villaggio, forse per dimostrare che era migliore di Gol D Roger.
Ma aveva fallito.
Suo padre era stato migliore di lui.
Sul patibolo Roger ci era salito per sua scelta, non aveva scatenato una guerra.
Aveva sorriso alla morte.
Mentre Ace piangeva davanti alla morte ma non suo, quella dei suoi compagni.
Tante persone stavano rischiando per lui, persino Rufy.
Avrebbe rinunciato al suo sogno pur di poter far vivere Ace.
E a lui questo faceva male.
Tutti stavano rischiando la loro vita, una vita che amavano per una disprezzata fatta di solo odio.
E di fronte a quelle grida, al sangue che percorreva il campo di battaglia, Ace piangeva e si scusava.
Lui voleva continuare a vivere, voleva salpare con Barbabianca e Marco.
Voleva vedere Rufy diventare il Re dei Pirati.
Lui voleva vivere, doveva vivere.
Doveva farlo per loro, per sua madre che aveva rinunciato alla sua vita per lui.
Doveva farlo anche per suo padre biologico Gol D Roger.
Doveva dimostrare al mondo che lui non era suo padre.
Doveva ringraziarlo per avergli dato una vita ed essersi preoccupato fino alla fine della sua sicurezza.
Avrebbe voluto dimostrare a suo padre che lui era degno di essere suo figlio.
Lo disprezzava come genitore ma lo ammirava per il pirata che era stato.
Ace doveva vivere per lui, per loro.

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Capitolo 15
*** Un nemico in famiglia ***


Le manette che aveva intorno ai polsi erano esplose.
I suoi grandi occhi marroni si riempirono di lacrime.
Allora era tutto vero, suo padre non le aveva mentito.
Quell'uomo avrebbe avuto il coraggio di uccidere la sua stessa figlia.
Il cuore di Yamato si riempì di tristezza e rabbia.
Si diede della sciocca per aver pensato che Kaido potesse provare affetto nei suoi confronti.
Il loro rapporto era sempre stato molto conflittuale.
Sin da quand'era bambina Yamato si era sentita pressata da quell'uomo, grande pirata, che aveva molte aspettative nei suoi confronti.
Specialmente dopo che aveva scoperto che era in grado di utilizzare l'haki del re conquistatore.
Non era facile essere la figlia del capitano delle Cento Bestie.
Yamato non si era mai sentita compresa da quell'uomo.
La loro relazione era precipitata dopo che Kaido aveva scoperto che Yamato idolatrata Kozuki Oden, il suo peggior nemico.
Fu allora che Kaido decise di imprigionarla, Yamato aveva solo otto anni.
Passò vent'anni con le manette ai polsi, e ogni anno che passava l'odio nei confronti di suo padre cresceva insieme all'amministrazione per Oden.
In quelle quattro mura Yamato lesse il diario di Oden e iniziò a identificarsi in lui.
Avrebbe voluto essere come lui e riuscire dove lui aveva fallito, nella sconfitta di Kaido.
Dopo l'esplosione in Yamato si ruppe anche quel piccolo filo che ancora la teneva levata a Kaido.
Quell'uomo non era più suo padre, lei non era più sua figlia ma Kozuki Oden.
E come tale doveva salvare Momonosuke e Wano.
Lei meglio di chiunque altro sapeva quanto fosse forte suo padre, ma questo non l'avrebbe fermata.
Aveva trovato in Monkey D. Rufy e nella sua ciurma un valido alleato.
Insieme ce l'avrebbero fatta.
Wano sarebbe stata finalmente libera.
Dopo tutti quegli anni di terrore, i suoi abitanti se lo meritavano.
Momonosuke se lo meritava.
E cosi anche Yamato.
Le manette non c'erano più ma lei si sentiva ancora in trappola, prigioniera di suo padre e il suo egoismo.
Solo con la sua sconfitta sarebbe stata libera.
E nel mentre lo rinnegava come genitore, Yamato lo ringraziava anche perché, nonostante tutto, l'aveva accettata e riconosciuta come uomo anche se nata donna.
Per quello gliene sarebbe stata grata e, forse, si sarebbe presentata al mondo come sua figlia ma non lo avrebbe più chiamato padre.


 

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Capitolo 16
*** Fino alla morte ***


Il corpo di Barbabianca tremava e non per la paura o la stanchezza.
I suoi grandi occhi azzurri erano pieni di lacrime, aveva pianto poche volte in vita sua e quella sarebbe stata l'ultima.
Tra le mani stringeva una piccola perla dal colore vermiglio.
Insieme ad altre formava una collana che ormai si era spezzata come la vita del suo proprietario.
Barbabianca ancora non riusciva a crederci.
Tutto quello sforzo per nulla.
Sangue sparso inutilmente.
Sapeva che quella battaglia sarebbe stata difficile, ma non pensava che finisse così male.
Aveva perso uno dei suoi figli.
L'ultimo arrivato, Portuguese D. Ace.
Era stato con lui solo per tre anni eppure si era affezionato molto a quel ragazzo testardo e vivace.
Sin dal primo momento aveva visto un figlio in lui.
Un figlio senza padre, un figlio in cerca di un padre.
Ed Ace lo aveva trovato in lui e come tale Barbabianca avrebbe dovuto proteggerlo.
Ma aveva fallito.
Ace non c'era più, se ne era andato troppo presto e Newgate non riusciva ad accettarlo.
La rabbia invase il suo corpo, coabitava con la tristezza.
Il rosso della perla si fece più scuro con un sorriso beffardo sul volto.
Barbabianca lo aveva sempre odiato quel Marine.
Per colpa sua Ace non c'era più e Barbabianca gli avrebbe fatto fare la stessa fine.
Nella confusione dei suoi colpi, nel caos della battaglia rivedeva gli inutili tentativi di Ace di ucciderlo.
Akainu avrebbe perso la battaglia contro di lui così come Ace.
Ma per lui non ci sarebbe stata pietà, non la meritava.
Il magma aveva lo stesso colore e calore del fuoco di Ace.
Lo sentiva ovunque come se fosse ancora lì, come se non fosse andato mai via.
Il vento portava con sé le sue risate e quella confessione fatta in una tarda notte di due anni fa.
Ace gli aveva confessato di essere il figlio naturale di Gol D. Roger.
Non c'era nulla di Roger in lui, Roger non era mai stato con lui.
E lo si capiva dallo sguardo vuoto del figlio.
Gli mancava qualcosa, gli era sempre mancata una parte fondamentale di lui.
E fu allora che Barbabianca si legò molto a quel ragazzo.
Nessuno di loro due aveva avuto mai una famiglia, erano cresciuti da soli nella solitudine.
Roger non era solo  stato il nemico peggiore con cui Barbabianca si fosse mai scontrato, ma il anche il migliore amico che lui avesse mai avuto.
E proprio in nome di quell'amicizia, aveva accolto Ace con sé.
Non gli avrebbe mai permesso di andarsene.
Aveva giurato che lo avrebbe protetto, salvato ma aveva fallito.
Un'altra volta, sempre per mano di Teach, non era riuscito a proteggere un suo figlio.
Era morto sotto i suoi occhi, non aveva potuto fare nulla per impedirlo.
Il magma bruciava il suo viso, era più forte del fuoco di Ace.
Ma non abbastanza forte da fermarlo, da asciugare le sue lacrime.
Barbabianca era stanco però, ma doveva resistere ancora un po'.
Doveva salvare i suoi altri figli e poi avrebbe raggiunto Ace.

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Capitolo 17
*** Sin dal principio ***


Negli occhi chiari di Barbabianca si rifletteva la figura sfocata di Marco.
La polvere impediva alla sua vista di mettere a fuoco il comandante della sua prima flotta.
Dopo che aveva diviso in due il terreno di Marineford, si era assicurato se i suoi figli fossero tutti dalla parte opposta.
Per più di un minuto, il suo sguardo era rimasto fisso su Marco.
Quel ragazzo, quell'uomo era stato il primo membro del suo equipaggio, il suo primo figlio.
Lo aveva visto crescere.
Amava tutti i suoi figli, ma con Marco aveva un rapporto speciale.
Per un istante lo rivide adolescente, alle  prese con i primi amori, le litigate con i suoi altri fratelli.
Aveva sempre ammirato il suo atteggiamento da fratello maggiore, il suo modo di proteggere e prendersi cura degli altri.
In particolare di Ace.
Marco era il perfetto primogenito.
Aveva passato tanti momenti con lui, era l'unico figlio a cui aveva fatto più confidenze.
A volte era più un amico.
Gli sarebbe mancato tantissimo.
E Barbabianca sapeva che per la fenice sarebbe stato lo stesso, ma sarebbe risorto dalle sue ceneri, dal suo dolore.
Vedeva nel suo sguardo perso la sofferenza per la morte di Ace, gli dispiaceva dover dargli ulteriore dolore.
Ma non aveva alternativa.
Doveva sacrificarsi per permettere ai suoi figli di scappare con Rufy.
Ormai era vecchio e stanco.
Il suo corpo era pieno di ferite e sangue, non avrebbe vissuto a lungo.
Tanto valeva sacrificarsi per chi amava e per una giusta causa.
Prima di andare via aveva chiesto a Marco di proteggere il fratello di Ace.
Dovevano salvarlo perché era lui l'uomo che Roger aspettava.
Non avrebbe potuto vedere la nuova era ma sapeva che sarebbe arrivata presto.
E nella nuova era, nel nuovo mondo avrebbe rivisto i suoi figli e la libertà.


 

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Capitolo 18
*** Sempre al tuo fianco ***


Garp teneva il capo basso, non voleva incontrare lo sguardo del suo collega.
Sengoku era lì davanti a lui e sapeva che lo stava giudicando con un semplice sguardo.
Tra i due era sempre stato quello più onesto e sempre pronto a giudicare chi non seguiva le regole.
Non faceva eccezioni, nemmeno con gli amici.
Ma Garp non lo biasimava, capiva il suo atteggiamento.
Era Sengoku a non capire lui, in fondo lui non aveva figli.
Non poteva immaginare quanto fosse difficile essere padre.
Non capiva che Garp, nonostante le diverse strade prese, sarebbe stato sempre dalla parte di suo figlio Dragon.
Lui era la cosa più importante.
Suo figlio aveva deciso che cosa fare della sua vita, che strada prendere.
L'eroe della Marina ci aveva provato a farlo diventare un marine, ma Dragon aveva altre ambizioni.
Non poteva di certo costringerlo, poteva solo supportarlo ed essere fiero di lui.
La sua fama aveva preceduto il loro legame.
Era conosciuto per la sua forza e non per quella di suo padre.
Garp ne era fiero, i suoi allenamenti avevano dato i suoi frutti.
Ma lui lo aveva capito già da quando Dragon era bambino che avrebbe cambiato il mondo.
Lo aveva visto nei suoi atteggiamenti ribelli, nel suo desiderio di proteggere gli altri e nell'amore per la libertà.
Dragon non era fatto per seguire le regole, per prendere ordini.
Lui era nato per essere il leader della libertà.
Non sapeva di preciso quanti guai avrebbe combinato con la sua armata rivoluzionaria, sapeva solo che lui sarebbe stato in prima linea a godersi lo spettacolo.
Mai lo avrebbe ammesso, ma era orgoglioso di suo figlio e anche la sua defunta moglie lo sarebbe stata.
Quanto le mancava!
Sua moglie non c'era da anni ormai, se ne era andata troppo presto.
Dragon somigliava più a sua madre che a lui.
Sicuramente la donna lo avrebbe appoggiato.
E Garp era convinto che lo stava osservando fiera dal cielo.
Suo figlio era tutto ciò che restava di lei.
Nei suoi occhi scuri e severi vedeva quelli chiari e arguti di sua moglie.
Avevano lo stesso sguardo di sfida, di superiorità.
Avevano lo stesso desiderio di libertà.
Desiderio stroncato sul nascere, almeno per sua moglie.
Era rimasta incinta giovane, aveva deciso di tenere Dragon e rinunciare al suo sogno di navigare per i mari.
Ora era suo figlio a portare avanti quella volontà.
E avrebbe fatto sì che il desiderio di libertà di sua madre sarebbe stato quello del mondo intero.
Garp sorrise a quel pensiero.
Alzò il capo e incontrò lo sguardo di dissenso di Sengoku.
Garp sorrise.
"Dai Sengoku vai a fare il the che ho comprato i biscotti" disse mostrando il suddetto pacchetto.
"Ti sembra il momento?! Hai sentito quello che ti ho detto su tuo figlio?! È il criminale più ricercato al mondo..." gli fece notare Sengoku.
Garp annuì con la testa.
"Ho sentito, ho sentito benissimo. Proprio per questo dobbiamo bere il the e mangiare i biscotti" rispose con tono allegro.
"Bisogna festeggiare".

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