Ne me quitte pas

di Milagar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Di incrostazioni marine e scrigni ***
Capitolo 2: *** Di gelosia e panna montata ***
Capitolo 3: *** Di affetti e camini accesi ***
Capitolo 4: *** Di estasi e dolore ***
Capitolo 5: *** Di promesse e di guerra ***
Capitolo 6: *** Di famiglia e di casa ***
Capitolo 7: *** Di vernice fresca e maglioni caldi ***



Capitolo 1
*** Di incrostazioni marine e scrigni ***


Estate 1995
Erano passate poche settimane da quando Bill Weasley aveva chiesto il trasferimento dall’Egitto a Londra. Era stato abbastanza difficile dover rinunciare all’avventura, alle serate trascorse coi colleghi Spezzincantesimi, ai riti degli stregoni egiziani – gli stessi dai quali aveva deciso di farsi forare il lobo e che gli avevano regalato l’orecchino zannuto a cui teneva tantissimo – per rinchiudersi nell’Ufficio Eredità della Gringott, tra le scartoffie burocratiche e i Sigilli Testamentari da Spezzare[1].

Tuttavia, dopo gli eventi del ventiquattro giugno si era sentito in obbligo morale di stare il più vicino possibile ai suoi cari. Non si era facilmente dimenticato di quella riunione di famiglia, in cui Percy aveva voltato le spalle a loro e a Harry per seguire ambizioni personali – che cretino egoista! “Sarà meglio rimanga qui in Inghilterra” aveva sentenziato Bill, quando i suoi fratelli più piccoli erano ormai a letto e Percy aveva sbattuto la porta in faccia ai genitori. “Ho dato la mia disponibilità a Silente e l’Egitto è troppo lontano per interessarsi di queste questioni. E poi” aveva aggiunto, quasi in un sussurro rivolto a suo padre “C’è bisogno che qualcuno resti vicino alla mamma. Ne soffrirebbe troppo.”

Ed era così che Bill Weasley – i cui ruggenti venticinque anni si erano sempre nutriti di avventura e coraggio di vero Grifondoro – si era ritrovato tra i membri dell’Ordine della Fenice e con una missione, non certo facile, affidatagli da Silente in persona: convincere i folletti del ritorno di Tu-Sai-Chi. Bill si arrovellava il cervello per capire come fare: tra i colleghi aveva folletti che meritavano la sua stima, ma arrivare a Ragnok – una figura di riferimento per la comunità goblinese – si era rivelata un’impresa ardua, quasi impossibile.

Bill si riscosse dalla compilazione di diverse scartoffie quando qualcuno bussò alla porta del suo ufficio.

“Bonjour! Et voilà, altre pratique pour toi!”

Bill si trattenne da alzare gli occhi al cielo. Aveva scoperto qualche giorno dopo il suo trasferimento negli uffici della Gringott, che era stata assunta la campionessa Tremaghi di Beauxbatons, Fleur Delacour. Bill la aveva riconosciuta subito: i lunghi capelli argentei, la bellezza travolgente e il suo desiderio di ameliorore il suo engleese che aveva suscitato tanta ilarità alla Tana – soprattutto da parte dei gemelli. Al di là della bellezza mozzafiato – che Bill non metteva assolutamente in dubbio, ma che su di lui non aveva gli effetti devastati provati da Ron – c’era in lei uno zelo eccessivo nel dimostrarsi attiva nel suo lavoro. Lavorava part-time alle Relazioni Esterne[2] e la sua mansione era poco più di quella di una segretaria. Volteggiava per tutto il tempo tra un ufficio e l’altro, consegnando pratiche da spicciare e gestendo gli appuntamenti dei vari capo-ufficio.

Bill aveva ben presto imparato ad associare l’arrivo di Fleur ad ulteriore carico di lavoro e al suo vano tentativo di parlare per più di due minuti solamente in inglese, ma anche alla tazza di caffè bollente che si trovava ogni mattina sulla scrivania. Non si spiegava il perché – a quanto aveva capito era l’unico a godere di quel privilegio da parte della nuova arrivata da Oltremanica - ma gli faceva comunque piacere iniziare la giornata con una buona dose di caffeina in corpo.

A parte i convenevoli che si scambiavano le volte in cui Fleur entrava nel suo ufficio con le pratiche che libravano davanti alla sua bacchetta, la ragazza era di poche parole. Bill sentiva gli occhi azzurrissimi della ragazza su di sé, su quell’orecchino zannuto che doveva sicuramente detestare – proprio come sua madre – e su quei capelli raccolti spesso in una crocchia fermata da una matita. Il ragazzo si stupì quando quel giorno Fleur, prima di uscire dall’ufficio, si fermò, voltandosi verso di lui.

“Tu sei amico di Arrì Pottér” constatò Fleur, prendendo completamente alla sprovvista Bill, che, dallo stupore, fece cadere una grossa goccia di inchiostro sulla pergamena. Cogliendo lo sguardo incredulo del ragazzo, Fleur trillò in una risatina. “Ma non ti ricordi? Sci siamo jià visti, prima della Terza Prova, a Hogvàrt”.

Ma certo che Bill si ricordava di lei. Era la campionessa Tremaghi; per un anno intero giornali e radio avevano parlato di lei e degli altri tre campioni. Come poteva non conoscerla? Ma lei, come poteva ricordarsi di lui, uno tra molti? Biascicò un sì in risposta, ma lei continuò, come se la risposta di Bill fosse irrilevante.

“Ti ho visto parlar con Arrì. Sei paronte con il suo amico rouge, c’est vrai? Vi asomiliate, ma lui non porta quello” disse lei, indicando l’orecchino zannuto che gli pendeva dall’orecchio.

“Oh… anche tu ce l’hai con questo? Mia madre lo odia” disse Bill, le cui orecchie stavano assumendo un leggero color fuoco e lo stomaco che faceva capriole per chissà quale motivo.

“No, mi piasce. Ti sta bien”. E così dicendo, uscì, mulinando i lunghissimi capelli biondi.

E così a Fleur Delacour piaceva il suo orecchino zannuto. Bill non capiva perché la prima cosa che Fleur gli dicesse al di fuori dell’ambito lavorativo fosse proprio riferito al suo orecchino. Poco male, pensò il ragazzo, almeno poteva portare argomenti a suo favore nel caso sua madre avesse avuto da ridire ancora sulla sua adorata zanna.
Con spirito fiducioso, Bill prese in mano la pratica che gli aveva lasciato Fleur e scoprì che – finalmente – avrebbe dovuto Spezzare un’eredità al di fuori delle quattro mura dell’ufficio. Il rapporto riportava queste parole:

Tinworth – Cornovaglia – Cottage appartenuto ai defunti Louis Dupaty e Dominique, sua moglie.
Assenza di eredi diretti.
Probabile presenza di oggetti forgiati dai folletti e denaro.
Sospetto Incantesimo di Adesione Permanente a forziere contenente gran parte dell’eredità.
Necessità di Spezzincantesimi.

La relazione era firmata da Brutus Bartleby, Capo Ufficio Eredità[3] e il più grande lavativo che Bill avesse mai conosciuto. A tratti, si chiedeva come facessero i folletti a tollerarlo, all’interno della Gringott, vista la sua scarsissima voglia di adempiere ai compiti che gli spettavano.

Nonostante la poca considerazione che Bill nutriva per il superiore, si preparò di buon grado per la missione affidatagli. Giunse nel luogo indicatogli da Bartleby e si trovò davanti ad un paesaggio che riempiva cuori e polmoni di bellezza; i Babbani lo avrebbero definito un luogo “magico”. Il mare scrosciava contro le scogliere, una piccola spiaggia si srotolava davanti ad un cottage incrostato di conchiglie. Il sole faceva brillare le onde e la spuma e donava alla spiaggia un gradevole colore dorato. L’aria salmastra sferzava contro il mantello di Bill e gli scompigliò i capelli. Il cottage, era un edificio con stanze piccole ma graziose, scale strette e suggestivi scorci sul mare, che rendevano gli ambienti molto luminosi. Lo Spezzincantesimi eseguì tutte le procedure di Incanti di Rivelazione e constatò che la casa era disabitata da almeno un mese. Non ci mise molto a trovare ed aprire la cassaforte, dentro cui era conservato uno scrigno abbastanza grande da contenere manufatti dei folletti e denaro – come aveva sospettato Bartleby. Bill seguì le procedure necessarie per rimuovere l’Incanto di Adesione Permanente, ma niente si mosse, e il bauletto rimase incollato dentro la cassaforte. Tentò con ogni mezzo in suo possesso, ma non valse a niente. Provò per un’ora abbondante tutte le controfatture che era solito applicare per Spezzare gli incantesimi. Nulla. Se non che, si accorse che sul lucchetto d’ottone era apparsa una scritta – chissà da quanto tempo – in una sottile grafia tondeggiante.

Ne me quitte pas

Fossero state Rune, non avrebbe avuto alcun problema. Ma quello era francese. E lui, di francese, sapeva ben poco. Ma sicuramente c’era qualcuno che poteva fare al caso suo. Guardò nell’orologio: probabilmente a quell’ora quel qualcuno stava ancora veleggiando per i corridoi a consegnare pratiche. Ma poteva fare un tentativo: evocò un Patronus, lo istruì e lo inviò a Londra.

Non passarono più di quindici minuti, e Fleur Delacour apparve sulla spiaggetta del cottage. Il soprabito grigio perla svolazzava mosso dalla brezza marina e i capelli biondo-argentei rilucevano al sole. Bill la osservava dalla finestra, mentre risaliva verso il cancello; si trovò per la prima volta a osservarla nella sua andatura sinuosa, nel suo sguardo fiero e chiarissimo, che dimostrava tutta la sua determinazione. Sentì una capriola all’altezza dello stomaco a pensare alla breve chiacchierata che avevano avuto quella mattina: Fleur si ricordava di lui per via dell’orecchino zannuto, che le piaceva pure…

“Bill. È susceso qualcosa? Ho riscevuto il Patronus e mi sono Smaterializzata subìto” disse la ragazza, gli occhioni spalancati mostravano la sua preoccupazione.
“È per questo scrigno. Devo Spezzare gli incantesimi, ma dopo una controfattura sono apparse delle scritte sul lucchetto. Sono in francese”.

Fleur alzò un sopracciglio, tra il serio e il divertito. “Et alors?”

 “Io non conosco il francese” si scusò Bill, trafitto dalla risata amara di Fleur.

“Per fortuna, sci sono io” disse Fleur, veleggiando verso la cassaforte, la lunga chioma ondeggiante sulle sue spalle. Si chinò appena per esaminare il lucchetto.
“Scè scritto: Non lasciarmi” disse sbrigativa Fleur dopo l’analisi del manufatto.

“Tutto qui? azzardò a chiedere Bill.

Oui. Se non sbalio, qui sc’era una vecchia couple di sposi”.

“Sicuramente” confermò Bill. “Ho visto casi simili coi faraoni d’Egitto. Dedicavano cose simili alle loro concubine”.

“Sì, ma qui è diferonte. Lo sonto. Ho riconosciuto l’incantesìmo…”

Bill la guardò. “Come fai a riconoscere gli incantesimi senza usare una bacchetta?”

 “Me lo ha insegnato mia nonna Veela” rispose Fleur, la sua aria altezzosa e il suo solito fare pratico.

“Capisco” disse Bill spazientito “Ma non si riesce a staccare. È come un Incantesimo di Adesione Permanente, ma molto più potente…”

Mentre Bill parlava, Fleur, dopo aver agitato la bacchetta in un modo che il ragazzo non aveva mai visto, prese senza sforzi in mano lo scrigno.
“Che disci, excuse moi?” trillò lei, mostrandoglielo, il viso contratto in una smorfia di sfida.

“Ma.. ma… come hai fatto?” chiese Bill, incredulo. Non aveva mai fallito nella ricerca dei tesori. Erano anni che lavorava con grandi successi e ora, una stagista poco più che maggiorenne era riuscita in un intento che gli sembrava impossibile.

“Strano che non comprondi” disse lei, continuandolo a fissare. “Non è dificìle”.

Bill sbatté le palpebre e non riuscendo a comprendere il modo in cui Fleur era riuscita a togliere lo scrigno dalla cassaforte, pensò che la missione era ampiamente conclusa e che poteva tornare alla Gringott.

“Grazie mille, Fleur. Ti devo un favore” disse Bill, mettendo in una sacca il forziere.

Lei agitò una mano. “Di nionte. Ansi. Potresti impararmi l’engleese” disse Fleur, l’espressione sempre algida in volto.  

“Fleur, si dice insegnare l’inglese, non imparare” la corresse Bill. Gli aveva sempre dato fastidio sentire errori grammaticali.

“Voi engleesi non fate oltro che corregger-moi” disse spazientita Fleur. “A parte la Gringòtt, non ho molti posti dove parlar” continuò, a mo’ di scusa.

“Non hai amici qui in Inghilterra?” le chiese Bill, mentre uscivano dal cottage e venivano sfiorati dalla fresca brezza della Manica. Fleur scosse la testa in segno di diniego.
“Sono partita da sola. Mes amis sono rimasti tutti in France”.

Fleur doveva aver avuto del coraggio, si disse Bill, a lasciare la Francia per raggiungere l’Inghilterra, soprattutto in un periodo che non si prospettava dei migliori, con il ritorno di Tu-Sai-Chi e la società magica sull’orlo di una guerra.

Mentre camminavano verso la spiaggia, Fleur annunciò che aveva portato il pranzo con sé e gli stava chiedendo di fermarsi in pausa pranzo con lei, sulla spiaggia. Bill accettò volentieri: aver sentito dire a Fleur Delacour che era sola in Inghilterra e le occasioni per parlare con qualcuno lo avevano un po’ sciolto e si era ripromesso di passare del tempo con lei – almeno per impratichirla a parlare inglese.

Si sedettero all’ombra di una scogliera e Fleur tirò fuori il pranzo per entrambi. Iniziarono a chiacchierare, del più e del meno, del loro lavoro. Bill le raccontò un po’ della sua vita in Egitto e lei di quella a Beauxbatons. Fleur si sbilanciò anche a parlare della sua famiglia: a quanto pareva, avrebbe dato tutta se stessa per i suoi cari esattamente come lo avrebbe fatto anche Bill. Fu un’ora piacevole, trascorsa tranquillamente e senza preoccupazioni. Bill, almeno, riuscì a staccare dai pensieri per il lavoro e per le missioni dell’Ordine – una cosa che difficilmente poteva condividere all’infuori della sua famiglia.

Mentre stavano sparecchiando, Fleur parlò, lo sguardo fisso verso l’orizzonte del mare. “Qui è bellissimo. Mi piasce vivere al mare. Anche noi, in Provence, abbiamo il mare viscino, anche se i colori sono differonti”. Bill la affiancò, mentre sistemava la sacca sulla spalla.

 “Sai, Bill” continuò lei, mentre rivolgeva lo sguardo verso il cottage “Ponso che se un domani mi capita di rimanere qui, in Enghilterra… magari se mi sposo… vorrei passare in questo posto il resto della mia vita”. Si voltò a guardarlo. I capelli biondi, mossi dal vento, le sferzavano il viso, nascondendole in parte un accenno di sorriso.
Bill guardò alternativamente lei e il cottage incrostato di conchiglie. Lui non aveva mai pensato a quando si sarebbe sposato. Quando era partito per l’Egitto, aveva messo la parola “fine” alla sua storia con Linda Hildemore[4] e poi non aveva più pensato ad avere una relazione stabile. Era completamente assorbito nel lavoro, nell’avventura. Sposarsi per lui avrebbe significato la fine del suo lavoro all’estero, avrebbe anche voluto dire darci un taglio con i vestiti da Sorella Stravagaria, i capelli lunghi e gli orecchini zannuti.

Eppure, al lavoro in Egitto aveva già rinunciato per entrare nell’Ordine e stare vicino alla sua famiglia. La verità, è che non si era mai davvero innamorato e a sistemarsi non ci aveva mai pensato seriamente. Un giorno, forse capiterà seguitava a dirsi.

Alors, torniamo alla Gringott?” La voce di Fleur ridestò Bill dai suoi pensieri.
“Certo. Arrivo”. Si Smaterializzarono insieme e riapparvero appena fuori dalla banca.
 
***
 
Alors, come ponsi di fare con questo scrigno?” le chiese Fleur, una volta tornati negli uffici della Gringott. Era primo pomeriggio e un vago sole entrava dalle finestre. Bill sospirò: la verità è che non sapeva da che parte farsi.

Fleur era riuscita inspiegabilmente a farlo uscire dalla cassaforte e ora il piccolo forziere sembrava fissarlo, la scritta indelebile sul lucchetto.

“Mi ci vorrà tempo, ma ci devo riuscire. In Egitto ci riuscivo senza problemi”.

“Posso dare te una mano?” chiese Fleur, agitando i capelli ed ergendosi in tutta la sua statura. Bill la squadrò, dondolandosi sulla poltrona della sua scrivania, una mano a grattarsi il mento. Lo credeva davvero così idiota solo perché – non sapeva bene come – era riuscita a staccare uno stramaledetto forziere da una cassaforte? Chi si credeva di essere?

“No, tranquilla. Ce la farò. Vai pure a casa” le disse, cercando di mantenere la calma. Fleur storse la bocca in una smorfia che a Bill non piacque per niente e uscì senza troppi convenevoli.

Iniziò così un intenso pomeriggio in cui Bill provò tutti gli incantesimi e fatture che conosceva per far aprire i forzieri. Nulla. L’orgoglio del ragazzo si stava lentamente frantumando: non aveva mai fallito nel suo lavoro di Spezzincantesimi e quello sarebbe stato il primo. Non sapeva esattamente se ridere o piangere, vista l’apparente banalità del compito. Il tempo scorreva inesorabile, tra gli sbuffi di Bill che entrava e usciva dall’ufficio alla ricerca di grossi tomi presi in prestito dalla biblioteca della banca; i capelli elettrizzati erano stati raccolti in un’alta crocchia, che Bill era solito farsi quando era più agitato.

Il giorno volgeva ormai al terime, era tardi. Gran parte dei colleghi era uscito dalla Gringott. Bill controllava compulsivamente l’orologio. Non poteva fare tardi: di lì ad un’ora sarebbe iniziata una riunione dell’Ordine e non poteva mancare. Quando ormai le ombre si stavano allungando, sentì qualcuno bussare alla porta. Apparve Fleur. A quanto gli disse, era rimasta per spicciare alcune pratiche ed era passata solo per salutare. O per venirmi a rinfacciare che da solo non sono in grado di farcela, pensò fra sé Bill.

“Che sci fai oncora qui? Vai a casa. Sei stonco. Sci pensi domain”.

Bill la guardò, e affondò gli occhi in quelli di lei: erano duri, alteri, ma vi si poteva scorgere un’apprensione quasi materna, che al ragazzo ricordò incredibilmente i cipigli di sua madre.

In effetti, Fleur non aveva tutti i torti. Bill aveva perso fin troppo tempo. Era scoraggiato, frustrato. Si rassegnò all’evidenza che, almeno per quel giorno, non avrebbe ottenuto niente di meglio che altri sonori sbuffi.

“Agli ordini… ci penserò domattina” disse mogio Bill, mentre si risistemava i capelli nella solita coda. Fleur continuava a fissarlo mentre si allacciava il mantello.

“Ma scerto, domani andrà melio, vedrai” disse la ragazza, spicciativa, mentre uscivano dalla banca.

Si salutarono velocemente, augurandosi buona serata. E mentre Fleur si incamminava svelta lungo la via principale di Diagon Alley, Bill si perse per la seconda volta in quel giorno a guardarla, mentre la sua mente vagava a quel sadwitch sulla spiaggia condiviso con lei.

Il mattino seguente, quando Bill entrò in ufficio alla Gringott, si sorprese di trovare il suo ufficio occupato da Fleur Delacour.

“Cosa ci fai tu qui?” chiese Bill, che quella mattina aveva lasciato la cortesia a casa. Aveva dormito male a causa delle cattive notizie provenienti dall’Ordine: il Ministero aveva tolto a Silente il ruolo di Capo Supremo del Wizengamot e la Gazzetta del Profeta aveva iniziato una campagna carsica e meschina contro Harry che aveva causato non poche lamentele da parte della signora Weasley. La loro posizione non era sicuramente ben accetta, in quel periodo. E ora ci si era messa di mezzo anche Fleur Delacour e la sua saccenza.

La ragazza si voltò di scatto non appena aveva sentito le scortesi parole di Bill, fulminandolo con lo sguardo.

“Dovresti solo dirmi grasie” disse lei, la voce roca e un cipiglio freddo e infuriato allo stesso tempo. Si scostò dalla scrivania di Bill, dove il ragazzo si sorprese di trovare lo scrigno. Aperto.

Bill sbatté più volte le palpebre prima di capire. All’interno di quel pozzo impenetrabile c’era parecchio oro, diviso tra monete e gioielli.

“Come… come ci sei riuscita? Non me lo so spiegare….” balbettò Bill, mentre Fleur, mulinando la chioma irritata, stava recuperando alcuni faldoni.

“Ponsi che io non sia capasce di fare nionte come ponsano tutti qua dentro, c’est vrai? Ponsi che sia solo una stupìda fronscese, non?” Fleur aveva alzato il tono della voce. Non stava urlando, ma era imponente e aveva occhi infuocati. Probabilmente era la parte da Veela arrabbiata che si stava rivelando. “Io so che incantesìmo è necessaire per aprir lo scrigno. Ma tu non vuoi ascoltar me!”

“Fleur… Io…”

“Zitto!” esclamò lei. “Se hièr tu mi facevi restare, avevi risolto!”

“Scusami, Fleur… Io non pensavo…”.

Bill sospese il discorso vedendo lo sguardo penetrante di Fleur, che sembrava intimargli di tacere. Non sapeva se controbattere o incassare il colpo. Non poteva biasimarla: in effetti era riuscita lei a fare tutto quello che c’era da fare sullo scrigno. E lui non ne era stato capace. Era arrabbiato con se stesso per il suo primo fallimento, ma doveva anche riconoscere il merito di Fleur.

“In ogni modo hai fatto” disse spicciativa Fleur, avvicinandosi alla porta, i faldoni impilati che svolazzavano davanti a lei guidati dalla sua bacchetta.

“Aspetta!” esclamò Bill, prima che la ragazza uscisse imbronciata dall’ufficio. La verità è che archiviato un problema, ne stava arrivando un altro. Le monete che Bill vi trovò dentro non erano né galeoni, né falci, né zellini. Erano monete nuove, che era sicuro di avere già visto da qualche parte, ma non di certo in Inghilterra. Li prese in mano e ne analizzò la fattura: doveva essere oro dei folletti, ma le rune che vi erano incise sopra rimandavano ad un tempo lontano.

“Sono bajoux[5]” disse Fleur guardandolo seria. “L’antica moneta dell’Occitaine. Ogni tonto in Fronscia si trova encor”. 

Bill la scrutò. Era in piedi, una spalla appoggiata allo stipite della porta, le braccia incrociate, i lunghi capelli biondi che le ricadevano di lato. Gli occhi color cielo lo perforavano, dardeggianti; vi si poteva leggere la sua mente che fremeva per liberarsi dalle catene del pregiudizio che Bill e l’intera Gringott sembravano averle legato attorno.

“Non penso che tu sia una stupida francese” disse Bill, sostenendo quello sguardo ardente. Il volto contratto di Fleur parve ammorbidirsi leggermente. “E penso anche che la gente ti sottovaluti troppo. Tu sei molto di più”.

Lei continuava a guardarlo, seria e interessata. “Et alors?”

“Lascia perdere quelle pratiche. Mettiamoci a lavorare”.
***

Ci misero una giornata intera. Iniziarono a controllare e inventariare il materiale. Fleur era abilissima a convertire il valore dei bajoux occitani in galeoni correnti e in quell’occasione Bill ebbe la conferma della smisurata abilità della ragazza nelle conoscenze magiche. Non aveva voluto staccare all’ora di pranzo - era completamente assorbita nel suo lavoro. Le pratiche che era solita consegnare di persona erano state stregate e spedite con un incanto ai rispettivi uffici.

Era talmente assurdo che i colleghi la considerassero soltanto “la bella francesina” – a malapena si ricordavano il suo nome: era così che Bill l’aveva sentita chiamare da Bartleby, il Capo Ufficio, durante una bevuta al Paiolo Magico nel dopolavoro. Anche Bill – per via della sua smania riuscire a fare le cose da solo – aveva poco considerato le doti di Fleur. Gli ultimi due giorni lo avevano portato a rivalutare e apprezzare le sue brillanti intuizioni, la sua sensibilità, la sua determinazione.

Eppure, non poteva negare la tanto decantata bellezza di Fleur. Bill – che pensava di essere immune da quei lineamenti perfetti, quelle labbra piene, quegli occhi azzurrissimi, quei capelli chiarissimi che danzavano sulle sue spalle – si perse più di una volta a guardarla lavorare con assiduità e passione, gli occhi le brillavano.

La notte stava calando su Diagon Alley, quando Bill guardò fuori dalla finestra, gli occhi che gli bruciavano e uno sbadiglio che gli sfuggì dalle labbra.
“C’est finì!” esclamò Fleur, finendo di scribacchiare qualcosa sulla pergamena dell’inventario. “Domaine andiamo dai folletti, così fasciamo veder il lavoro”.

Bill la guardò, sorridendo stanco. Lei ricambiò, sciogliendo per la prima volta quell’espressione concentrata che l’aveva accompagnata tutto il giorno. Bill ci pensò più di una volta, mentre lei si stava sistemando il soprabito. Poi, prima che fosse troppo tardi, la sua bocca si aprì, e uscirono quelle parole che aveva pensato bene o male per tutto il tempo che avevano lavorato assieme, gomito a gomito.

“Usciamo insieme, questa sera?”

Fleur si voltò, come se non avesse compreso pienamente le parole di Bill. Gli occhi – brillanti ancora più di quanto erano stati tutto il giorno – lo perforarono.

“Con piascere”.

Bill non sapeva esattamente cosa stava facendo, ma si lasciò guidare da Fleur, che sembrava di sapere già cosa aspettarsi da quella serata.

Uscirono da Diagon Alley. Vagarono per i sobborghi di Londra, chiacchierando. Nonostante ci fosse nato, Bill la conosceva davvero pochissimo. Fleur, invece, a quanto pareva, sapeva benissimo dove stava andando. Entrarono in un bristò babbano. Aveva l’aria bohemienne, che a Bill non dispiacque. Per certi aspetti, gli ricordava vagamente la sala da tè di Madame Piediburro, ma era molto meno zuccheroso come ambiente. Notò che le catene appese ai suoi pantaloni, la coda di cavallo e l’orecchino zannuto non stonavano nel complesso degli avventori, che portavano larghi pantaloni, un po’ demodé, e maglioncini a collo alto. Fleur gli spiegò durante la cena – davvero deliziosa – che aveva scoperto quel posto, gestito da parigini, durante la sua prima settimana a Londra. “Avevo bisogno di qualcuno con cui condividere questo posto secrét” bisbigliò lei, allungandosi verso Bill.

La cena scivolò via, tra le mille chiacchiere che poco avevano a che fare con il lavoro, in cui Bill vide aprirsi davanti a sé una Fleur che non aveva mai visto. Gesticolava, sgranava gli occhi interessata, ma soprattutto rideva. Rideva di gusto, a cuore aperto, in modo cristallino. Sembrava che la sfuriata del mattino le avesse scrollato di dosso una corazza che l’aveva avvolta dal suo primo giorno di lavoro alla Gringott. A Bill piacque pensare che forse quella che aveva lì di fronte era la vera Fleur Delacour e non quella fredda ragazza che lasciava pratiche negli uffici.

Quando uscirono dal locale, la luna era già alta nel cielo. Si incamminarono nuovamente verso Diagon Alley, dove Fleur aveva un appartamentino.

“Dove stai esattamente?” chiese Bill, mentre picchiettava con la bacchetta sui mattoni del giardino del Paiolo Magico.

“Sopra al Ghirigoro. Sto in monsarda”.

“Posso accompagnarti?” Bill fu audace nella richiesta e immaginò subito che Fleur avrebbe declinato. Invece, la ragazza annuì.

Arrivarono al Ghirigoro e si fermarono davanti a portone di legno che conduceva ai piani superiori.

Tacquero per quelli che a Bill sembrarono tantissimi minuti. Stavano in piedi uno davanti all’altra, senza parlare. Le viscere di Bill sapevano esattamente cosa fare, ma la sua testa no. È una collega. Non puoi. È anche una mezza-Veela, ti sta solo ammaliando perché è nella sua natura. Eppure le sue viscere continuavano a ripetergli di agire, di fare…

Alors, buonanotte Bill” Fleur sospirò, fece un passo verso Bill e si alzò in punta di piedi per baciargli le guance, che gli iniziarono ad ardere al solo tocco. Ron te lo aveva detto! Dovevi crederci…

Bill rimase impalato. Non si aspettava un gesto così intimo da parte di Fleur. D’altronde, si conoscevano poco, avevano condiviso solo quei due giorni assieme.
Fleur aveva già recuperato dalla borsa le chiavi di casa ed era intenta ad aprire il portone d’ingresso. Prima che la sua chioma argentea scomparisse dietro al pesante portale di legno, Bill trattenne il battente.

“Fleur…”. La ragazza si girò. Si ritrovarono coi volti a pochi centimetri l’un dall’altro; gli occhi chiari di lei persi dentro quelli castani di lui.

È una collega. Non puoi.

“Grazie per questi due giorni” fu tutto quello che Bill riuscì a dire, la gola secca e il cuore che batteva incessante nel pomo d’Adamo. Percepì la ragazza fremere sotto al braccio teso che tratteneva la porta. Lei si limitò a sorridere, gli occhi brillanti. Lo ringraziò a sua volta con voce roca e gli diede nuovamente la buonanotte. Si voltò e corse su per una ripida scalinata. A metà, però, si voltò, mulinando i capelli. Bill era ancora lì, che la guardava. Si scambiarono veloci un sorriso nuovo, che era intriso di altri sentimenti, che andavano oltre al reciproco rispetto lavorativo.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
[1] Ufficio Eredità: un dipartimento della Gringott di mia invenzione, presso cui ho immaginato che Bill inizi a lavorare dopo il suo ritorno a Londra per collaborare con l’Ordine della Fenice. Allo stesso modo anche i Sigilli Testamentari sono una mia invenzione, che tornerà utile più avanti nella storia.
[2] Relazioni Esterne: altro ufficio della Gringott di mia invenzione.
[3] Brutus Bartleby: Capo Ufficio Eredità presso la Gringott. Personaggio di mia invenzione.
[4] Linda Hildemore: studentessa di Grifondoro, coetanea di Bill, con il quale ha avuto una storia. Personaggio di mia invenzione.
[5] Bajoux: come dice Fleur, è l’antica moneta corrente dell’Occitania, di mia invenzione.

Cari lettori, vi ringrazio se siete arrivati fin qui, perché vuol dire che avete deciso di aprire questa storia e leggerla. Siamo solo al primo capitolo di una storia che so già che non avrà molti capitoli, poichè sappiamo già come andrà a finire. Ma è sempre stato il mio sogno raccontare come si sono conosciuti e innamorati Bill e Fleur, a mio avviso una delle coppie più solide di tutta la saga! Non so quanto sarò regolare con gli aggiornamenti, ma ho già ben chiaro come procedere e spero di accontentarvi!
Un abbraccio
Ilaria

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Capitolo 2
*** Di gelosia e panna montata ***


Agosto 1995
Erano passati una manciata di giorni da quando Bill e Fleur avevano presentato la relazione della spedizione a Tinworth a Bartleby e ai folletti. Le creature, nonostante la loro naturale ritrosia nei confronti degli umani, dovettero ammettere l’ottimo lavoro dei due ragazzi, mentre Bartleby ancora doveva capacitarsi di come avessero fatto a convertire gli antichi bajoux in galeoni.

“Sono stata io, monsieur” disse Fleur avanzando di un passo ed ergendosi davanti a Bartleby in tutta la sua bellezza.

“Ah… la nostra francesina! Molto bene, Betancourt…”

“Delacour” lo corresse Bill, ma Bartleby non ci fece molto caso, perché aveva già iniziato a ronzare attorno a Fleur accompagnandola verso il suo ufficio, mentre la ragazza lo guardava deferente. Bill sbuffò. Quanto sei viscido, Bartleby. Lo aveva sempre pensato, ma questa era la conferma che, in effetti, il Capo Ufficio eredità era una brutta persona, oltre che un pessimo lavoratore.

“William Weasley, ottimo lavoro”. Bill si voltò e vide davanti a sé Bartok, uno dei folletti della Gringott col quale andava più d’accordo, forse per le sue idee moderate, forse per il fatto che si vociferava fosse soltanto un Mezzo-Folletto[1] . Si salutarono di buon grado e il folletto accompagnò Bill per un tratto di strada verso il suo ufficio.

“Ancora difficoltà a parlare con Ragnok?” chiese Bartok.

“Sicuramente” rispose Bill “Non sono ancora riuscito a ricevere udienza. Sembra un’impresa impossibile”.

“Beh, un modo ci sarebbe” mormorò Bartok, fermandosi di fronte a Bill. “Ho contatti con i piani alti e loro hanno contatti con Ragnok. Posso mediarti per farti arrivare a lui”.

Bill lo guardò. Per quanto poteva andare d’accordo con quel folletto, sapeva che stringere patti con loro non era una passeggiata. Ma per l’Ordine della Fenice avrebbe dato qualsiasi cosa in cambio.

“Cosa vuoi in cambio?” azzardò a chiedere Bill, squadrando Bartok con fare sospettoso.

Il folletto fu parecchio tormentato: era nella sua natura richiedere oro in cambio di un favore. Contrasse più volte in viso, torcendosi con forza le mani.

“Ti appartiene una cosa che non posso avere” sbottò Bartok, uscendo dallo stato di tensione che aveva assunto alla richiesta di Bill.

“Bartok, non ho niente che potrei darti. E non pensare alla tiara di mia zia, perché l’ha pagata la mia famiglia onestamente…”

“Non intendevo quella tiara! William Weasley, intendevo l’eredità Dupaty”.

“Cosa c’entra l’eredità Dupaty? Non c’erano eredi. Ora è tutta vostra”. Lo stupore si leggeva chiaramente sulla faccia di Bill.

“Ti sbagli, William Weasley. Dalla relazione che avete fatto non è emerso quale tipo di Incantesimo d’Adesione era stato applicato al forziere”.

Bill deglutì. Era stata una scelta di Fleur, che aveva semplicemente detto di aver rimosso un Incantesimo d’Adesione secondo prassi e Bill le aveva semplicemente dato ragione. La ragazza era troppo abile e troppo intelligente per non fidarsi ciecamente delle sue conoscenze.

“William Weasley mi deludi” rise mellifluo Bartok, ricominciando a camminare. “Pensavo fossi più sveglio come Spezzincantesimi”.

“Bartok! Spiegami!”

Il folletto sembrava non dare ascolto alle richieste di Bill, che lo stava inseguendo fino a precederlo e camminare all’indietro pur di poterlo guardare.

Dopo quello che a Bill parve un tempo lunghissimo, Bartok si fermò.

“So cosa voglio in cambio per farti ricevere da Ragnok”. Bill deglutì e attese silenzioso il verdetto. “Devi solo imparare a distinguere un Incantesimo di Adesione da un altro tipo di Incanto, molto più potente”. Il folletto lo squadrò con un ghigno e lo superò, sparendo in fretta e furia dentro uno dei corridoi della banca.

Bill entrò sbuffando nel suo ufficio, dove lo attendevano nuove pratiche da spicciare, ben lontane dall’avvincente esperienza di Tinworth. A fine mattinata, qualcuno bussò alla porta.

“Avanti” gracchiò Bill, mentre sistemava i capelli in una crocchia fermata da una matita. Entrò Fleur, gli occhi brillanti e una lunga treccia che le ricadeva di lato. Bill le sorrise incoraggiante, spingendo da parte le pratiche a cui lavorava e facendo segno di accomodarsi sulla poltroncina che fino a qualche giorno prima l’aveva vista sua attiva collaboratrice.

“Hai tompo pour parler un peu?” chiese Fleur, posando con arditezza i suoi occhi chiari sul volto di Bill.

“È successo qualcosa?” rimarcò lui, sospettoso, pensando a quanto era stato sgradevole Bartleby quella mattina con Fleur. Non sapeva come avesse fatto a trattenersi da quella insana voglia di tirare fuori la bacchetta e Schiantare il suo capo mentre ronzava attorno a Fleur.

Oui, ma non posso parlar qui. Melio che andiamo fuori. Vien?”

Bill non se lo fece ripetere e seguì Fleur fuori dalla Gringott. Camminarono fino alla gelateria di Florian Fortebraccio e si sedettero ad uno dei tavolini, ordinando due coppe gelato.

“Allora?” chiese Bill, che fino a quel momento era stato in silenzio, mentre seguiva la ragazza per le vie di Diagon Alley.

“Bartleby ha detto che vuole cambiar-me uffiscio” disse Fleur, con il suo solito tono pratico mischiato ad un velato entusiasmo che le colorava leggermente le gote.

Bill sbatté velocemente le palpebre. “Una promozione? Di già?!”

“Alle Valute Internazionali[2]. Mi ha detto di ponsarsci. Non devo descidere subìto”. Bill non sapeva se esserne felice oppure no. Se Fleur avesse accettato, le sarebbe mancato il suo quotidiano passaggio dal suo ufficio, il caffè lasciato di nascosto alla mattina presto, il suo tenace tentativo di parlare bene in inglese.

“Saresti perfetta per quell’ufficio” ammise Bill, pensando più a voce alta che per una vera dichiarazione.

“Disci?!” esclamò Fleur, sbattendo gli occhi azzurri, da farla sembrare una bambina che si meraviglia del mondo. Bill se n’era accorto la sera della loro cena al bristò babbano. Per quanto Fleur fosse determinata e algida da un lato, dall’altro aveva conservato in sé tutta la gioia e lo stupore di una bambina.

“Beh… sì. Sei in gamba. Il caso dell’eredità Dupaty l’ha dimostrato. Anche se mi devi ancora spiegare come hai fatto”.

Fleur fece un gesto con la mano, come per scacciare una mosca, ma a Bill non sfuggì il suo sguardo che repentinamente si era abbassato a fissare il tavolino, ancora sgombro del gelato che aveva ordinato.

“Ehi, Fleur” tentò Bill, piegandosi leggermente in avanti alla ricerca degli occhi della ragazza “Prima o poi me lo dovrai dire. Siamo colleghi, dobbiamo condividere le nostre competenze…” E magari qualcos’altro, si trovò a pensare Bill, sentendo qualcosa all’altezza dell’ombelico che balzava e solleticava. Ricacciò velocemente il pensiero del cassetto più lontano della testa, dove teneva tutti gli impulsi irrazionali che aveva imparato a contenere nei suoi venticinque anni da fratello maggiore.

“Scerto. Ma dammi tompo. Prima devo imparare bene l’anglese” ridacchiò Fleur, alzando in modo vezzoso le spalle, mentre Florian stava avanzando con i loro gelati.

A Bill non andava giù il fatto che Fleur volesse tenere per sé quell’incantesimo che aveva usato. Gli era sempre piaciuto studiare, conoscere cose nuove, avere un confronto alla pari coi colleghi, scambiarsi informazioni utili. Dall’altro verso, però, pensò che quel segreto che Fleur custodiva dentro di sé era tutto ciò che li teneva effettivamente legati, tutto ciò che avrebbe fatto sì che si sarebbero visti ancora.

“Se ti proponessi di vederci qualche volta in più rispetto a quanto ci siamo visti adesso, magari per un boccone in pausa pranzo o dopo il lavoro… cosa dici? Impareresti velocemente l’inglese e prima o poi potrò cavarti di bocca quell’incantesimo”. Bill aveva evidentemente parlato prima di pensarci bene su. Da quando in qua era così spavaldo con le ragazze?
Fleur lo scrutò coi suoi occhi indagatori per diverso tempo e alla fine gli tese la mano. “Affare fatto”. Strinsero il loro patto, tra le risate e il ciuffo di Panna Frizzola che era schizzato sul naso di Bill.
 
***
Non fu facile incastrare lavoro, Ordine della Fenice e gli appuntamenti con Fleur. Certi giorni, Bill rimproverava se stesso per aver proposto a Fleur di vedersi, visti gli impegni di lavoro e l’Ordine, che ad ogni riunione portava notizie sempre peggiori. La sua famiglia si era trasferita in fretta e furia al Quartier Generale dell’Ordine, a Grimmauld Place, sobbarcando con ulteriore carico di lavoro sua madre. Bill dal canto suo cercava di dividersi tra i doveri del buon figlio e i suoi pensieri su Fleur, che avevano iniziato ad essere sempre più invadenti e insistenti e si sentiva spesso addosso quella fastidiosa sensazione che il tempo passato con la ragazza non fosse mai abbastanza e fosse perennemente ansioso di rivederla. Come se non bastasse, ogni qual volta incontrasse Bartok, gli si accartocciava lo stomaco al pensiero del possibile colloquio con Ragnok.

Ma nonostante tutto, quei momenti con Fleur da Florian Fortebraccio erano diventate un rito immancabile. Bill aveva iniziato a contare le ore che lo separavano a quel momento. A casa, i gemelli avevano mangiato la foglia e avevano iniziato a bersagliarlo di domande. Dovette cedere quando, un giovedì sera a cena, venne fatto casualmente il nome di Fleur Delacour e Bill – a causa di quel fastidioso vizio Weasley di far diventare le orecchie rosse ogni qual volta si provasse una forte emozione – venne subito intercettato da Fred.

“Eh, proprio Fleur Delacour. Non è la tua nuova collega Bill?” chiese al volo il gemello, mentre Bill, cercando di togliersi dall’imbarazzo, ingurgitò un pezzo troppo grosso di polpettone, diventando paonazzo.

“Sì… e allora?”

“Beh, sai. Ci chiedevamo perché ogni tanto fai tardi al lavoro o non ti prepari il solito panino per pranzo”.

“E cosa c’entra con Fleur Delacour?” Bill si accorse che gli risultava difficile pronunciare il nome di Fleur senza stiracchiare la bocca in un mezzo sorriso ebete.

“Non deve ameliorooore il suo eengleeese? Non credo che lo migliori parlando con tutti quei folletti che sanno più goblinese che altro”. I gemelli si misero a ridere insieme a Ginny ed Hermione, mentre Ron stava assumendo un colore vagamente scarlatto che perfettamente si abbinava con le orecchie di Bill.

“Che razza di insolenti” borbottò Bill, mentre entrava nella cucina di Grimmauld Place la giovane Auror Nimphadora Tonks, inciampando sgraziatamente nel gradino. “Buonasera, gente! Cosa si mangia di buono, stasera?”

Bill l’aveva riconosciuta subito, la prima volta che si erano visti. Frequentava Hogwarts ai suoi tempi ed era nella classe di Charlie ma a Tassorosso. Era impossibile non riconoscere i suoi capelli che ogni giorno cambiavano tonalità a seconda del suo stato d’animo. Si ricordava benissimo che i giorni prima dei G.U.F.O. avevano assunto un terribile color vomito. Si era stupito nel saperla Auror, vista la sua incorreggibile tendenza ad essere pasticciona.

Quella sera però, non ci fu più tanto tempo per scherzare e ridere assieme. La porta della cucina sbatté all’improvviso appena i ragazzi più piccoli stavano salendo (non senza proteste) nelle loro camere. Silente entrò in cucina irato come mai Bill lo aveva visto prima. Non portava belle notizie: Harry era stato aggredito dai Dissennatori nel quartiere babbano dove abitava e il Ministero aveva colto l’occasione per convocarlo in udienza. Furono ore concitate: Bill dovette calmare a turno Ron ed Hermione che strepitavano per scrivere all’amico nonostante la promessa che avevano fatto a Silente, Ginny, Fred e George che volevano a tutti i costi rimanere alla riunione dell’Ordine e sua madre che aveva iniziato a piangere a dirotto non appena le era stato raccontato l’accaduto.
***

Il mattino dopo, stravolto dalla difficile nottata passata al Quartier Generale, Bill arrivò alla Gringott con gli occhi pesanti.

Bonjour” trillò una voce dietro di lui. Si voltò e fu illuminato dal sorriso radioso di Fleur. Quel giorno indossava un abito con la gonna voluminosa dai toni pastello che le arrivava a metà polpaccio, piuttosto inusuale tra le streghe inglesi. Sembrava che irradiasse gioia e bellezza su chiunque. Il tutto, era poi reso appetibile dalla tazza di caffè fumante e pancakes che teneva in mano.

“Ti ho portato la colasion!” esclamò superandolo e aprendo la porta dell’ufficio con il gomito. Bill era rimasto incantato da tutta quella bellezza, che era contesa tra il fisico mozzafiato della ragazza e il bendidio che teneva in mano.

“Sei palìdo. Tutto bien?” gli chiese Fleur, mentre il ragazzo appoggiava la tracolla sulla scrivania.

“Ho solo… dormito poco. Un po’ di preoccupazioni…” cercò di sillabare Bill, ricacciando indietro un sonoro sbadiglio.

“Sei preoccupato?” Fleur lo scrutava con occhi profondi, le sopracciglia ben definite leggermente incurvate. Bill pensò ancora una volta quanto fosse simile a sua madre, quando si preoccupava.

“Sì, ma niente di che” cercò di scusarsi Bill, mentre aveva afferrato la tazza di caffè amaro e aveva iniziato a berla, sentendosi pervadere dal piacere della bevanda.

“Credo tu mi nascondi quelche-chose” sentenziò Fleur, incrociando le braccia.

Bill lottò con se stesso per evitare di spifferare a Fleur, che al momento era l’unica persona che lì dentro alla Gringott lo capisse, tutte le informazioni sull’Ordine.

“Nulla. Non è nulla di particolare. Abbiamo fatto una lunga riunione di famiglia e sono andato a letto tardi. Tutto qui” borbottò Bill, cacciandosi in bocca mezzo pancake, sotto lo sguardo altero di Fleur.

“Se vuoi parler, io sci sono”. Lo spiazzava sempre ogni giorno di più. Dov’era andata a finire la zelante francesina che portava le pratiche? Chi era la meravigliosa donna che aveva di fronte, che sembrava conoscerlo da sempre?

“Va bene… stasera, se riesco a sistemare queste pratiche in tempo, ci vediamo. Ti mando un patronus appena possibile”.

Fleur gli sorrise e uscì soddisfatta dall’ufficietto di Bill.

La giornata volò via veloce, sommersa dalle pratiche che Bill doveva spicciare. Si era ripromesso da qualche giorno di andare alla biblioteca della banca per studiare l’Incanto con cui era stato chiuso lo scrigno dei Dupaty, ma non c’era ancora riuscito a causa della mole di lavoro.

Quando ormai il sole era basso, qualcuno bussò alla porta.

“Avanti!” esclamò Bill, sperando di veder entrare dalla porta la figura flessuosa di Fleur, alla quale aveva dato appuntamento al tramonto per mangiare qualcosa assieme. Invece, fece capolino il viso a forma di cuore di Nimphadora Tonks, seguito dai capelli corti e rossi.

“Ehilà, Tonks! Qual buon vento” finse Bill, stampandosi in faccia il miglior sorriso per cacciare via la delusione.

“Disturbo? Stacco ora dal lavoro e tra poco vado tu-sai-dove – e dicendolo disegnò due virgolette con le dita - con Remus. Ero passata per avvisarti che questa sera decidono quando ritirare il regalo” concluse replicando il gesto delle virgolette. Era il codice stabilito dall’Ordine per parlare delle questioni legate ad Harry e all’Ufficio Misteri. A Tonks piaceva particolarmente metterci quelle virgolette fatte con le dita, che le ricordavano le ombre cinesi che suo padre era solito farle quando era piccola.

“Oh, bene!” sentenziò Bill, che aveva deciso di porre fine alla sua giornata lavorativa all’ingresso di Tonks. “Quindi stanotte non ci sarai, giusto?”

“Esatto. Sai, è la mia prima missione con Remus Lupin e sinceramente non so da che parte farmi. Cioè… ok che è un tu-sai-cosa, ma, è pur sempre un ex docente di Hogwarts ed ha più esperienza di me. Spero di essere all’altezza delle aspettative”.

Stavano uscendo dalla Gringott, sorvegliati dagli sguardi arcigni di alcuni folletti. Tonks si guardò un po’ in giro e disse a voce un po’ più alta, facendo tintinnare un sacchetto di galeoni: “Sai, Weasley, oggi è giorno di paga al Ministero. Sono venuta a ritirare un po’ di denaro”. Poi, rivolta a Bill, gli sussurrò: “È da prima che mi guardano male! Che ho fatto, che non va? Sono una cliente come tutti gli altri…”.

Usciti nell’aria calda di agosto, Bill e Tonks si incamminarono per un tratto di strada che li avrebbe condotti al Paiolo Magico, dove Tonks sarebbe uscita per raggiungere il Ministero e Bill avrebbe atteso Fleur. Rimasero a chiacchierare un po’, vagando anche oltre le questioni dell’Ordine.

“Come sta, Charlie? Speravo di vederlo, tu-sai-dove, visto che anche lui fa parte di tu-sai-cosa” disse Tonks.

“Oh, sta benone. Ci sentiamo spesso, via camino. Sono sicuro che se lo vedessi ora, non lo riconosceresti… Si sta facendo crescere i capelli, non li tiene più rasati come quando andavamo ad Hogwarts”.

“Non ci credo! Charlie coi capelli lunghi!?”

Ridevano, ricordando i vecchi tempi ad Hogwarts, quando Bill si sentì addosso due occhi azzurri e profondi come il mare. Fece appena in tempo a vedere un bel volto rigato da un’unica lacrima, prima che sparisse, come un lampo argenteo.
 

[1] Mezzo-Folletto: creatura di mia invenzione. Ho pensato che se esistono Mezzi-Giganti, come Hagrid, possono esistere anche Mezzi-Folletti.
[2] Valute Internazionali: ufficio della Gringott, di mia invenzione.


Cari lettori, con immenso ritardo, pubblico il secondo capitolo della storia! Non ci sono evoluzioni eclatanti, tuttavia, scopriamo come i sentimenti tra i due ragazzi stiano evolvendo e come sono iniziate le "lezioni" di inglese di cui parla Fred nell'Ordine della Fenice. 
Ho già imbastito i prossimi capitoli e non vedo l'ora di portare avanti questa dolcissima storia.
Un abbraccio
Milagar

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Capitolo 3
*** Di affetti e camini accesi ***


Autunno 1995
 
Bill non riuscì a perdonarsi. Aveva visto fuggire Fleur in lacrime solo perché lui stava parlando con un’altra donna davanti al Paiolo Magico e ammise che era tutto ciò che non avrebbe mai voluto che accadesse. Quella sera aveva lasciato Tonks in malo modo, cercando di rincorrere Fleur per i vicoli di Diagon Alley. Aveva bussato più volte alla porta dell’appartamento sopra al Ghirigoro, ma non aveva riposto nessuno. In cuor suo, Bill sperava che fosse solo un brutto sogno.
 
I giorni seguenti a quel fallito appuntamento, sulla sua scrivania alla Gringott, non c’era la solita tazza di caffè bollente. Fleur non si faceva vedere più così tanto spesso come prima: al suo posto, quell’odiosa di Hernietta Edgecombe[1] aveva iniziato a intrattenersi più spesso nel suo ufficio, quando veniva a consegnargli le pratiche del giorno.
 
Bill si era convinto a parlarle di prima mattina, quando entravano alla Gringott, ma dovette arrendersi presto, quando si accorse che Fleur aveva preso l’insana abitudine di entrare assieme a Brutus Bartleby – quel viscido, schifoso, lavativo! Lo stomaco di Bill si accartocciava ogni volta che li vedeva entrare, Fleur meravigliosa come sempre e – se i suoi occhi non lo ingannavano – ancora più splendente e algida.
 
Il vuoto che Bill sentiva attorno a sé lo faceva rabbrividire, come se si sentisse nudo, privo di qualcosa di vitale. In quelle settimane, si era buttato a capofitto sulle questioni dell’Ordine: era riuscito ad ottenere, senza la mediazione di alcun folletto, un breve colloquio con Ragnok – senza successo, visto il sentimento anti-mago che la comunità goblinese coltivava dopo la questione con Ludo Bagman; il processo di Harry aveva posto sotto pressione gran parte dei membri dell’Ordine e solo la sua assoluzione fece tirare a tutti un sospiro di sollievo, soprattutto a sua madre, e Bill sapeva quanto fosse stata in ansia per quella questione. Da quando l’aveva vista crollare emotivamente dopo la terza prova del Torneo, Bill aveva preso coscienza di quanto Harry contasse per lei e per tutta la sua famiglia ed era anche per quello che aveva deciso di lasciare l’Egitto. Cercava di dedicarsi alla famiglia il più possibile, passando del tempo coi suoi genitori, i suoi fratelli, recuperando gli anni persi lontano da casa. Vedeva Ginny crescere velocemente sotto il suo sguardo e diventare donna, Fred e George confabulare sottovoce guardando la sezione di compravendita di immobili sulla “Gazzetta del Profeta”[2] – chissà cosa avevano in mente! Inoltre, vedeva Ron, il più piccolo maschietto di casa e il suo preferito, mostrarsi un amico leale, fraterno e solido per Harry. Tutto ciò, cercava di lenire nel profondo la mancanza di quei capelli argentei e di quella bellezza ammaliante che Bill aveva avuto per sé per quasi un mese, forse senza rendersi conto di quanto fosse preziosa e quanto valesse per lui quella presenza.  
 
***
 
Fu in un primo pomeriggio di fine estate che bussò alla finestra del suo ufficio il piccolo e agitato Leotordo. Portava con sé una piccola busta che Bill aprì impazientemente, pensando portasse nefaste notizie da Grimmauld Place. Invece, fu felice di leggervi il messaggio della madre che annunciava che Ron ed Hermione erano diventati Prefetti di Grifondoro e che quella sera si sarebbe tenuta una piccola festicciola in loro onore.
 
“Grande, fratellino!” esclamò fra sé Bill, scribacchiando un sincero messaggio di congratulazioni come risposta alla madre. Era davvero contento che il piccolino di casa avesse raggiunto un traguardo così importante. Sorrideva ancora tra sé, riprendendo il lavoro, pregustando la cena di quella sera, quando sentì una voce roca provenire dalla porta.

“Hai avuto buone notizie?”

Bill alzò lo sguardo di scatto, quasi da farsi venire il mal di collo. Fleur era in piedi, avvolta in un’elegante veste color cielo, lo zigomo alto tirato in un’espressione greve e preoccupata. Il cuore del ragazzo sobbalzò e arrivò pulsante all’altezza dell’ombelico.

“Fleur… io… ehm, sì. Buone notizie. Mio fratello è diventato prefetto”.

Fleur avanzò di un passo, incrociando le braccia al petto in un modo così stretto che Bill si chiese se sarebbe stata in grado di sgrovigliarle.

Bien. Falli tonti complimonti da parte mia”, disse fredda e quasi sarcastica la ragazza.

Nella piccola stanza scese il gelo.

“Ehm… per quella sera, io…”

“Non volio più saper rien. È ondata così”.
 
Bill non sapeva se guardare Fleur o sotterrarsi. Lei, in compenso, non staccava un attimo gli occhi da lui e per quel poco che riuscì a sostenere il suo sguardo, Bill notò che l’entusiasmo che aveva durante i loro momenti insieme era svanito, lasciando il posto ad un’immensa freddezza.
 
“E allora perché sei qui?” sbottò Bill, non senza nascondere quella crescente rabbia che provava, sia per Fleur sia per se stesso. Le parole arrivarono a Fleur più dure di quello che la ragazza avrebbe mai immaginato, perché per un attimo sembrò titubare e abbassare quello sguardo gelido.

“Mi trasferisco alle Valute Internazionali. Volevo dir questo”.

A Bill pulsarono le tempie. Fleur ce l’aveva fatta, aveva ottenuto ciò che voleva. Bartleby le aveva ronzato attorno ben bene, l’aveva convinta. Chissà a quali patti era dovuta scendere…

“E così hai ceduto a Bartleby. Ma brava!” disse Bill, con la voce tremante dalla rabbia, sputando fuori quello che da calmo non le avrebbe mai voluto dire.
 
“Ponsi che non sono capasce a descidere da sola, con la mia testa, c’est vrai?” Fleur aveva assunto ancora quell’espressione accorata di quando si erano parlati la mattina dopo Tinworth. “Ponsi che sono solo un bel corpo e bei capelli, non? Ponsavo fossi diverso, Bill. Invesce, sei come tutti li altri”. Fleur aveva parlato con voce ferma, chiara, decisa. Quelle poche parole investirono Bill, inevitabilmente. La stava perdendo per sempre, ed era colpa sua.

La ragazza aveva già voltato le spalle a Bill, quando si sentì richiamare dal ragazzo.

“Fleur. Cosa siamo noi, adesso?” Bill lo chiese per disperazione e per se stesso. Cos’erano stati, lui e Fleur? Cosa sarebbero diventati, ora?

Rien. Non siamo nionte, Bill”.
 
***
 
Non fu facile per Bill stamparsi il miglior sorriso che aveva e presenziare alla festa organizzata in onore di Ron ed Hermione: cercò di distrarsi chiacchierando con Malocchio, lottando con sua madre in difesa dei suoi capelli lunghi (quelli che a Fleur piacevano, in fondo), godendosi i suoi fratelli più piccoli per l’ultima sera prima del loro ritorno ad Hogwarts. C’era anche Tonks, quella sera, che lo avvicinò guardinga, mentre sorseggiava una Burrobirra davanti al camino. Non avevano avuto modo di parlare di altro, in quelle ultime settimane, se non di questioni legate all’Ordine.

“È da un po’ di tempo che volevo chiederti una cosa” iniziò Tonks, appoggiandosi con la spalla alla mensola del camino. “Quella sera che sono venuta a salutarti alla Gringott… avevi un appuntamento con qualcuna?”

Bill sbuffò impercettibilmente col naso, continuando a fissare le fiamme che danzavano nel camino. “Preferirei non parlarne, Tonks”.
 
“Ascolta” ribatté la giovane Auror dopo un istante di silenzio “L’ho vista, la tipa. Mi ha letteralmente incenerita con lo sguardo. Dev’essere veramente innamorata di te, se ha fatto una scenata così grossa di gelosia”.

“Non è….” Iniziò Bill, ma si interruppe, rendendosi conto di quello che stava per dire “Cioè… non credo… insomma… dici che è innamorata di me?”
 
Tonks storse appena il naso “Forse un poco. Io non farei scenate così con chiunque – e mentre lo diceva, Bill si accorse che il suo sguardo aveva impercettibilmente sfiorato la figura trasandata di Remus Lupin, che stava chiacchierando con Harry – beh, forse non lo farei e basta. Non sono il tipo. In ogni caso” concluse Tonks “Meglio che tu non te la faccia scappare”. Si allontanò appena dal camino, ma si fermò, prima di spostarsi in direzione di Ginny ed Hermione “Scusa ancora se ti ho rovinato la serata”.
 
Bill seguì con lo sguardo Tonks, rimuginando a quel che le aveva detto. Davvero Fleur poteva essere innamorata di lui? E lui, cosa provava per Fleur? A sue spese, Bill aveva scoperto che la giovane francese stava diventando un pensiero fisso, quello che lo accoglieva ogni mattina appena sveglio, che gli dava la forza per scendere dal letto e andare a fare un lavoro che gli stava stretto; era la figura accogliente nella quale i suoi sogni venivano coccolati la sera prima di addormentarsi. Era lentamente diventato il motivo per cui si stava impegnando così tanto per l’Ordine: per darle un posto migliore in cui vivere.
 
***
 
Settembre arrivò, portando anche un consistente calo delle temperature. Il cielo iniziò presto ad incupirsi e iniziarono lunghe giornate piovose. Bill perse l’abitudine di andare al lavoro a piedi, visto anche il ritorno della sua famiglia alla Tana, e cominciò a smaterializzarsi direttamente fuori dalla Gringott. Questo gli risparmiava il doloroso ricordo dei momenti passati con Fleur quando passava davanti alla gelateria Fortebraccio, oppure quando scorgeva l’insegna del Ghirigoro.

Fu una di quelle mattine uggiose, che Bill, entrando, si imbatté in Bartok.

“Buongiorno Bartok” lo salutò Bill, più per educazione che per vero interesse.

“Buongiorno, William Weasley. Ho saputo che sei riuscito a parlare con Ragnok” disse il folletto.

“Ma senza successo” concluse Bill, sospirando. “Ci sono novità che devo sapere?” continuò, cambiando discorso.

Il folletto lo sguardò di sottecchi, assottigliando gli occhi.  

“I nostri esperti hanno fatto ricerche in merito all’eredità Dupaty. Oh, cose molto interessanti davvero, sono emerse da quell’eredità” disse Bartok, con deferenza.

“Davvero? Che cosa, in particolare?” chiese Bill, effettivamente curioso e non senza un colpo al cuore. Quel caso lo sentiva particolarmente suo. E di Fleur.

“Cose molto interessanti, degne di uno Spezzincantesimi di prim’ordine. Ma, ricordati, William Weasley, finché non riuscirai a distinguere un Incanto di Adesione Permanente da un altro incanto, molto più potente, farò fatica a definirti tale”.
 
Come già altre volte aveva fatto, il folletto scomparve zampettando verso il varco delle camere blindate e Bill dovette maledirlo mentalmente. Senza nemmeno raggiungere l’ufficio, lo Spezzincantesimi si diresse alla biblioteca della Gringott. La questione dell’eredità Dupaty lo stava sfibrando, a maggior ragione da quando Fleur non faceva più parte della sua vita. Doveva capire quale incantesimo fosse legato a quella casa e a quel forziere. Non poteva fallire. Non doveva fallire. Era sempre stato il suo sogno diventare Spezzincantesimi; Vitious glielo aveva detto sin dai primi anni ad Hogwarts che era portato per Incantesimi...
 
***
 
Grossi volumi erano sparpagliati sul tavolo della biblioteca della Gringott, insieme a rotoli di pergamena scritti fitti fitti. Bill faceva scorrere gli occhi sui volumi con estrema velocità, prendendo appunti. I suoi capelli erano raccolti nella solita crocchia tenuta ferma da una matita. Stava ammattendo da giorni: aveva deciso di tralasciare le pratiche, che – ne era sicuro – si stavano ammucchiando sulla sua scrivania, per dedicarsi allo studio. Si sentiva come a Hogwarts, quando stava preparando i M.A.G.O. e passava intere giornate riverso sui libri. Aveva ormai perso di nuovo le speranze: non aveva trovato niente di più e niente di meno rispetto a quello che già sapeva sugli Incantesimi di Adesione Permanente.

“Ancora non hai trovato nulla, William Weasley?”

Bill trovò arrampicato sul tavolo Bartok, lo sghembo sorriso da folletto sul volto.

“No, Bartok. No. E mi sto sentendo uno schifo, perché non mi ci raccapezzo più” disse Bill, sbuffando e afflosciandosi sulla sedia.

“Ti do un suggerimento” esordì dopo un po’ di silenzio Bartok, le lunghe dita intrecciate. “Hai mai sentito parlare di Incanto Affettivo?”

Bill aggrottò le sopracciglia. “No. È simile all’Incanto Amormìo[3] che lanciavano i faraoni sulle concubine?”

Bartok scrollò la testa, brontolando. “No, no, non ci siamo, William Weasley. L’Incanto Amormìo è il sostituto dei filtri d’amore, non può essere equiparato all’Incanto Affettivo, che è molto più complesso e molto più potente”.

Bill si illuminò, pensando a quando Fleur gli aveva detto, dentro al cottage di Tinworth che l’incanto che aveva percepito era qualcosa di più potente, legato alla coppia che vi aveva abitato.
“Ha a che fare con la coppia dei Dupaty, giusto?” azzardò Bill, guardando di sottecchi il folletto.

“È evidente che non sei mai stato davvero innamorato, William Weasley. Perché solo due anime affettivamente legate possono spezzare i vincoli  dell’Incanto Affettivo e crearne uno nuovo su di loro”.

A Bill mancò il fiato per un attimo e il cuore gli sobbalzò in petto. Due anime affettivamente legate?

“Nel senso che… Fleur è riuscita a prelevare lo scrigno perché è innamorata di qualcuno?”

“Non di qualcuno genericamente” spiegò paziente Bartok “Ma di qualcuno che era lì con lei al momento del prelievo”.

Bartok fissava curioso e al contempo risentito Bill, che aveva il respiro affannato dalla rivelazione che il folletto gli aveva appena fatto.

“Spero di averti chiarito le idee, William Weasley” disse Bartok, uscendo dalla maestosa biblioteca e lasciando solo tra i suoi pensieri Bill.
 
***
 
Il cielo di quel pomeriggio di ottobre era coperto da bassi nuvoloni grigi e il vento soffiava forte e freddo, imbizzarrendo il mare che scrosciava feroce contro le scogliere e ingoiava lingue della spiaggia che si stendeva davanti al cottage incrostato di conchiglie. Un tuono rimbombò, portando con sé le prime gocce di pioggia.

Bill avanzava controvento, ciuffi di capelli gli sbattevano sul bel volto arrossato dal freddo e dalle notizie che aveva raccolto quella mattina. Due anime affettivamente legate. Fleur era riuscita a staccare lo scrigno dell’eredità Dupaty perché era innamorata di lui? Doveva esserlo anche lui, quindi? Ci si sentiva così, quando si era innamorati? Con lo stomaco contratto, i nervi vibranti sotto la pelle, il respiro corto e il cuore battente nel petto, pronto a esplodere nel momento in cui avrebbe visto la persona amata?
 
Fleur, avvolta nel suo mantello color glicine, stava in piedi a pochi metri dal cottage, i capelli danzanti nel vento e imperlati dalle prime gocce di pioggia. Si era stupita quel giorno d’estate, quando la sua pelle aveva percepito su di sé le vibrazioni di quell’incanto potentissimo che era stato lanciato su quella casa, lo stesso che nonna Isabelle aveva lanciato sulla loro casa in Provenza, quando i suoi genitori si erano sposati. Il suo cuore, poi, per un attimo, aveva smesso di battere quando aveva scoperto che quello scrigno le obbediva solo perché nella stessa stanza c’erano lei e Bill.

Lei era innamorata di Bill.
 
E non lo voleva ammettere a se stessa, nemmeno ora che lo vedeva risalire la spiaggia e avanzare verso di lei, i suoi capelli ribelli mossi dal vento. Inevitabilmente diverso da tutti gli altri uomini che le erano piaciuti, in vita sua. Bill non era bello come i ragazzi che le ronzavano intorno quando era a scuola, stucchevolmente perfetti all’apparenza e vuoti nel profondo.

Bill era affascinante per il suo modo di porsi, così terribilmente alternativo eppure così perfettamente suo. Era sprezzante del giudizio altrui e portava con semplicità e naturalezza la sua essenza. Non era artefatto: era pratico, alla mano, disponibile. La sua natura avventuriera gli aderiva al corpo e all’anima e lo rendeva vero, sincero, trasparente, bellissimo. Non poteva essere niente di meno e niente di più di quello che mostrava agli altri. E anche se gli aveva rinfacciato di essere uguale a tutti gli altri, Fleur sapeva, in cuor suo, quanto Bill l’avesse capita e fosse riuscito ad abbattere quel muro di pregiudizio le si era costruito attorno e dentro al quale lei aveva accettato di abitare, non senza sofferenze e inutili costrizioni. Con Bill era riuscita a mostrare se stessa: era come se parte dell’essenza di Bill fosse entrata in lei e l’avesse aiutata a mostrarsi per quello che era veramente.

Lei era irrimediabilmente innamorata di Bill e non poteva farci niente. L’unica cosa a cui poteva appellarsi era sperare che lui la ricambiasse.

Quando Bill raggiunse Fleur la pioggia era scrosciante.

“È l’Incanto Affettivo, vero? I Dupaty l’hanno lanciato sull’eredità e solo due anime legate da un particolare affetto lo potevano spezzare. Perché non me lo hai voluto dire?” esordì Bill, i capelli appiccicati al volto e gli abiti inumiditi aderenti al corpo.

Fleur rimase un attimo con il viso abbassato, poi si voltò a guardarlo, le ciglia appesantite dalla pioggia (o erano lacrime?).

Rimasero lì in silenzio, sotto la pioggia battente, la sabbia umida e le onde spumeggianti, scrutandosi.

“Io non sapevo cosa mi avresti detto. Se mi ricambiavi”.

Bill sfiorò appena il braccio di Fleur, ma non ci pensò due volte a tirarsela a sé.

“Sei gelida. Vieni, andiamo a scaldarci dentro”.
 
***
 
Fleur era accoccolata sul pavimento, davanti al camino acceso, i capelli sciolti sparsi sulle spalle. Le sue iridi riflettevano le fiamme ristoratrici e schioccavano allegramente. Non aveva spiccicato parola da quando erano entrati, asciugandosi con i getti d’aria calda delle loro bacchette e accendendo il camino.

Bill entrò in quello che doveva essere stato il soggiorno dei vecchi proprietari della casa e Fleur lo guardò con la coda dell’occhio: si era sciolto la coda e si stava rinfilando la camicia, che si era tolto per asciugarla meglio. La pelle della sua schiena era costellata da piccole lentiggini.

“Va meglio, ora?” le chiese Bill, avvicinandosi al camino. Fleur annuì, poi decise di parlare e dire quello che da troppo tempo teneva custodito dentro di sé.

“Mi piasci dal primo momonto che ti ho visto, a Hogvàrt. Non so perché, ma so che sonsa di te sto pegio. E mi dispiasce di averti detto quelle cose”.

Si alzò in piedi, raggiungendo Bill che stava appoggiato alla mensola del camino.

“Bill, cosa siamo noi adesso?”

“Noi siamo tutto”.  

La pioggia batteva implacabile sui vetri delle finestre quando le labbra di Bill e Fleur si sfiorarono per la prima volta, dapprima lentamente, assaporando per la prima volta quelle forme desiderate da tempo, poi sempre più affamati, esplorando quei contorni che avrebbero imparato a conoscere e fare propri, giorno dopo giorno.

Stettero abbracciati per quello che parve un tempo lunghissimo, poi si sedettero, lì dove prima Fleur stava sola. E furono parole, baci e carezze che proseguirono anche oltre la fine del temporale, oltre l’arrivo della sera, senza accorgersi che quelle due anime che avevano dichiarato il loro amore lì dentro, non solo avevano Spezzato i sigilli di quello scrigno, ma avevano inaugurato una nuova e feconda stagione, diventando gli eredi di quella che fino a qualche mese prima era conosciuta come Villa Conchiglia.
 
[1] Henrietta Edgecombe: sorella della più nota Marietta, Corvonero. Personaggio di mia invenzione.
[2] Sezione di mia invenzione.
[3] Ovviamente, incanto di mia invenzione.

Cari lettori, grazie a chi sta seguendo la storia e se siete arrivati fin qui, nonostante gli aggiornamenti sporadici. 
Spero di non ver deluso le aspettative su questa coppia, che sto amando ogni giorno di più e che mi ha fatto emozionare tantissimo, soprattutto in questo capitolo. 
Ma la storia non è ancora conclusa e c'è ancora tanto da dire. 
Vi aspetto nei prossimi capitoli.
Un abbraccio
Milagar

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Capitolo 4
*** Di estasi e dolore ***


Dicembre 1995
 
Avere accanto a sé, viva e vera, la persona che si era desiderato, sognato, immaginato per così tanto tempo era un sentimento ancora più forte dell’amore. Ed era così che si sentivano Bill e Fleur, quando iniziarono ad uscire insieme come coppia.

A Bill risultò del tutto naturale camminare per Londra mano nella mano con Fleur, così perfettamente eterea, da non curarsi degli sguardi altrui, che potevano invidiare o criticare la coppia: in quei momenti, il mondo restava fuori, come se un gigantesco incantesimo TestaBolla li avesse avvolti e li custodisse da chi voleva togliere loro l’ossigeno del loro amore. Scoprì anche che vivere una relazione con Fleur non significava dover rinunciare ai vestiti da Sorella Stravagaria o all’orecchino zannuto, come invece temeva sarebbe successo con qualsiasi altra donna, anzi: si sentiva ancor più se stesso di quanto non lo fosse in precedenza. Fleur, d’altro canto, aveva imparato a farsi scivolare addosso le parole delle persone che si azzardavano a suggerirle che quel ragazzo era troppo grande per lei, che era troppo alternativo e poco sofisticato. A lei non importava: sapeva che con Bill poteva essere se stessa al di là di ogni apparenza, e questo le bastava.

Ogni mattina Bill la attendeva sotto casa sua, la salutava con un bacio, prima di intrecciare le sue dita tra quelle di Fleur, incamminandosi verso la Gringott. Cercavano di stare insieme il più possibile, prima che ognuno andasse nei rispettivi uffici che – sebbene nello stesso edificio – li avrebbero divisi per il resto della giornata.

Passavano insieme lunghe serate, eccetto quelle in cui Bill era impegnato con l’Ordine. In cuor suo, Bill avrebbe voluto dire tutto a Fleur del suo impegno per la causa contro Voldemort, ma ancora gli sembrava prematuro. Vedeva Fleur finalmente serena, con gli occhi sempre pieni di gioia, quella che le regalava lui ogni giorno; non voleva distruggere quel momento di meraviglioso straniamento da tutto. Non se la sentiva di dire che Silente, prima o poi, gli avrebbe chiesto di combattere attivamente, al pari degli Auror, perché aveva imparato a conoscere Fleur quel tanto che bastava per sapere che lei non si sarebbe tirata indietro, ma avrebbe voluto lei stessa combattere. Gli costava sacrificio non dirle nulla e si sentiva colpevole di questa mancanza di trasparenza tra di loro.

“Ti prego, non mi nascondere niente. Se sc’è qualche problem, puoi dirmelo” gli ripeteva Fleur, ogni volta che lo vedeva pensieroso o mentre leggeva la Gazzetta del Profeta durante le colazioni del sabato mattina da Florian Fortebraccio. Bill si limitava a sorriderle, a posarle un bacio sulla fronte, senza dirle niente.

L’inverno stava arrivando, con le strade mattutine ricoperte dal ghiaccio, le prime nevicate in collina e le decorazioni natalizie nei negozi. Per Bill sarebbe stato il primo Natale a casa dopo tantissimo tempo e non voleva perderselo: vedeva sua madre sferruzzare i maglioni per tutta la famiglia senza sosta e con soddisfazione. Il ragazzo sapeva che la sua presenza avrebbe sopperito alla mancanza di Percy, il cui maglione era già stato preparato dalla madre, che continuava a sperare che quell’amorevole lavoro a maglia avrebbe posto fine ai rancori del suo terzogenito.

“Bill caro, tu ci sarai, vero, per il pranzo di Natale?” gli chiese distrattamente sua madre, una fredda sera di dicembre, mentre Bill rincasava dopo una piacevole passeggiata londinese con Fleur.

“Certo, mamma. Perché me lo chiedi?”

“Sai, esci sempre ultimamente. Mi costringi a pensare che ci sia qualcuno nella tua vita…”

Bill scorse lo sguardo indagatore della madre e si sentì le orecchie avvampare. Fortuna che l’ingresso di casa era avvolto dalla semioscurità.

“Se anche ci fosse, ci sarebbero problemi?” azzardò il ragazzo, trattenendo un sorriso.

“Oh, no no. No di certo, caro. Dico solo che era ora che… diciamo, ti sistemassi”.

Bill emise uno sbuffo simile ad una risata. “Non è detto che mi sistemi”. Sua madre strinse le labbra in una smorfia, scrollando la testa. Prima che potesse ribattergli, Bill le diede la buonanotte e si avviò verso la sua camera.

Sistemarsi… Per la prima volta in vita sua, Bill pensava seriamente a sistemarsi. Ci aveva pensato spesso, in quei mesi, mentre aspettava Fleur fuori da casa sua o sentiva la sua mano tra la sua, mentre cenavano fuori o uscivano per bere un calice di vino. Non ne avevano mai parlato direttamente, perché erano ancora totalmente presi dalla freschezza del loro sentimento, ma sentiva che entrambi nel proprio cuore pensavano ad una casa assieme, ad una loro personalissima quotidianità, all’invecchiare insieme.

Prima di addormentarsi, Bill si chiese se sarebbe valsa la pena dire ai genitori che usciva con qualcuno, che la cosa era abbastanza seria, portare Fleur al pranzo di Natale, presentarla ai fratelli… No, forse era troppo presto. Stavano insieme da circa due mesi, non aveva fretta. Ci sarebbe stato tempo per le formalità…
 
***
 
Mancavano pochi giorni a Natale. Un leggero strato di neve aveva imbiancato Londra durante il giorno.

“Caspita, ha ripreso a nevicare” sbottò Bill, mentre lui e Fleur accedevano al passaggio che li avrebbe riportati a Diagon Alley dopo una romantica cena nel bristot francese che li aveva visti insieme per la prima volta. Fleur si strinse infreddolita al suo braccio mentre si incamminarono per le vie di Diagon Alley.

“È stato bellisìmo tornar in quel brisot” disse Fleur, quando ormai avevano raggiunto il Ghirigoro e il suo appartamento.

“Davvero, è stato bellissimo” confermò Bill, mentre Fleur si fermava davanti alla porta di casa.

Si guardarono negli occhi, come erano soliti fare prima di lasciarsi.

“Volevo dir che passerò il Natale in Fronscia. Mia sorella torna da Beauxbatons per le vacanze e vorrei star un po’ con lei e con la mia familia. Domattina ho la Passaporta” disse Fleur, in uno sbuffo di vapore. Aveva abbassato per un attimo gli occhi, visibilmente dispiaciuta per quel che stava dicendo a Bill. Il ragazzo le prese il mento tra le dita, sollevandoglielo.

“Ti capisco” disse Bill, sorridendole come solo lui sapeva fare.

“Non sci vedremo per un po’ di tompo” disse lei, facendosi più vicina, mentre la neve continuava a fioccare.

Il battito di entrambi era accelerato e si poteva percepire al di sopra dei loro pesanti mantelli.

Vien”. La voce di Fleur era appena un bisbiglio nella notte, una silenziosa preghiera che rivolgeva a Bill.

Aprì la porta e salì le ripide scale illuminate da un unico finestrone, tenendo per mano Bill.

Il ragazzo si ritrovò per la prima volta dentro l’appartamento di Fleur. Era la mansarda del Ghirigoro: le travi del tetto erano a vista e la fioca luce della notte innevata entrava da una grande finestre rotonda, illuminando un unico grande ambiente, adibito a salotto e cucina.

Vide Fleur sciogliersi i capelli, gettare lontano il suo mantello e avvicinarsi a lui. Bill si avventò su di lei, baciandola e sollevandola con impeto, mentre veniva guidato dall’istinto verso quella che doveva essere la camera da letto di Fleur.

Bill si sentì spogliare dalle sottili mani di Fleur, mentre le sue si insinuavano sotto l’elegante veste di lei, sentendo la pelle rabbrividire al contatto con le sue mani fredde. Illuminati dalla luce della neve e della luna, si amarono per la prima volta, esplorando quei contorni che fino a quel momento avevano agognato e immaginato in silenzio e che volevano imparare a conoscere per perdervici per sempre. Le unghie di Fleur affondarono sulle spalle di Bill, con quel desiderio di farlo che covava in lei da mesi, dalla prima volta che lo aveva visto, mentre i suoi capelli biondi si fondevano e si intrecciavano con quelli rossi di lui. Bill sentiva stringersi i fianchi da quelle lunghe gambe perfette, faceva scorrere le sue mani su quel corpo sinuoso e senza imperfezioni, che quella notte aveva imparato a fare suo.

Ormai la notte era profonda e la neve aveva cessato di cadere. Fleur e Bill avevano passato l’ultima ora a scambiarsi baci e parole.

“Devo andare, amore mio” sussurrò Bill a Fleur lasciandole un bacio sulla spalla nuda. Lei, gli occhi socchiusi e i capelli sparsi sulla schiena, annuì in un sorriso assonnato.

“Scrivimi, in questi jorni. So che mi mancherai”.

Quando Bill finì di rivestirsi, Fleur si era addormentata, abbracciata al cuscino. La guardò per un’ultima volta, assaporando ancora quella prima notte passata con lei. A fatica lasciò l’appartamento, che sapeva di casa e di loro, per tuffarsi nella gelida notte dicembrina.
 
***
 
Non aveva fatto ancora in tempo ad allontanarsi da casa di Fleur, che apparve davanti ai suoi occhi il patronus di sua madre.

Bill! Ovunque tu sia, ti prego, vieni subito al San Mungo. Papà è stato aggredito. È gravissimo”.

A Bill mancò il terreno da sotto i piedi. La voce di sua madre tremava, era segnata dal pianto e dall’agitazione. Quella notte suo padre era di turno all’Ufficio Misteri per conto dell’Ordine. Cos’era successo? Maledisse se stesso per non essersi offerto al posto di suo padre. Suo padre non poteva… Non doveva…. Non riusciva nemmeno a pensare cosa sarebbe successo. Pensò ai suoi fratelli a Hogwarts: erano a conoscenza di questa cosa? Come lo era venuta a sapere sua madre?

Si Materializzò davanti all’ingresso del San Mungo. Trovò sua madre correre per l’atrio, dietro ad un gruppo di Guaritori.

“Mamma! Dov’è papà?”

“Oh, Bill! Sei arrivato, per fortuna! È sotto intervento, alle Lesioni da creature. È stato Harry a dire che… Non so come…. L’ha morso il serpente… quello… quello…”

Bill sbiancò. “Quello di Tu-Sai-Chi?” bisbigliò, avvolgendo sua madre in un abbraccio. Lei affondò il volto nel suo petto, singhiozzando. Doveva immaginarselo. Quella era la prima volta che la sua famiglia veniva aggredita da quando erano entrati nell’Ordine della Fenice, anche se Bill sapeva che sua madre stava versando lacrime non solo per il marito, ma anche per quei due fratelli che aveva perso sedici anni prima, sempre combattendo per la stessa causa.

La stanchezza pesava sugli occhi di Bill. Era così strano: meno di un’ora prima era tra le braccia di Fleur, mentre si amavano. Ora, invece, carezzava i capelli di sua madre, inconsolabile, gli occhi arrossati cerchiati di viola. Stava in silenzio rimuginando sul fatto che parte della colpa era anche sua: poteva offrirsi lui, quella notte, di fare la guardia all’Ufficio Misteri, invece di pensare ai fatti suoi, alla sua relazione. Pensò che mentre suo padre veniva aggredito brutalmente, mentre lottava contro il serpente in una pozza di sangue, lui, Bill – il suo figlio maggiore, quello che avrebbe dovuto assurgere al ruolo di capo famiglia, pronto a confortare la madre e i fratelli in caso di bisogno - era a letto con una donna, incurante di tutto quello che stava succedendo. Gli occhi gli si stavano riempendo di lacrime, quando il Guaritore uscì dalla sala operatoria.

Fece un cenno a lui e sua madre, che si avvicinarono preoccupati.

“Guarirà. È bene che qualcuno resti qui con lui, mentre riposa”.

“Resterò io” disse Bill, prima che sua madre potesse aprire bocca. “Tranquilla, mi prenderò una mattina di permesso; ho tanti straordinari da recuperare” si affrettò a spiegare, vedendo sua madre agitarsi preoccupata al suo fianco.

“Sei sicuro, Bill caro? Sei tanto stanco, hai dormito almeno un poco?”

“Starò bene, mamma” tagliò corto Bill, con un sorriso tirato rivolto alla madre. “Vatti a riposare. Hai avuto una notte impegnativa e sono sicuro che i ragazzi chiederanno di te”.

Vide il volto di sua madre contrarsi, come se stesse ricominciando a piangere. “Sei il figlio che tutti vorrebbero, Bill. Siamo fortunati ad averti”. Si morse le labbra e si girò, rivolta verso l’uscita del reparto.

Bill, a pezzi dopo quel che gli aveva detto sua madre, entrò nella stanza dove trovò suo padre nel letto vicino alla finestra. Dormiva placidamente, un braccio e parte della spalla completamente bendati. Si sedette in una delle poltroncine e vegliò, rimuginando su quanto fosse stata strana quella giornata. Sembravano passati anni. Era così, la vita? Una ruota che un attimo prima porta al culmine della felicità e l’attimo dopo fa ripiombare tutto nel baratro? Pensò che poteva andare peggio. Vedeva suo padre riposare tranquillo, il petto che gli si alzava e riabbassava a intervalli regolari. Almeno era ancora vivo.

Quando suo padre si svegliò, Bill ebbe la conferma che quello della notte precedente era stato un bruttissimo spavento: suo padre era arzillo, aveva voglia di parlare, di raccontargli quel che era successo. Mentre i Guaritori sostituivano le medicazioni, Bill andò a comprargli Il Profeta all’edicola del quinto piano, rifocillandosi anche con una tazza di caffè e muffin. Sentiva il peso di quella notte sulle tempie: si era appisolato per mezz’ora prima che suo padre si svegliasse e aveva ancora mezza giornata di lavoro da affrontare.

Poco dopo l’ora di pranzo, Bill dovette lasciare l’ospedale per tornare al lavoro. Pensò che fosse il caso di cambiarsi e passò velocemente alla Tana per una doccia veloce. Fu in quel momento che riuscì a trovare tempo per pensare a Fleur. Doveva essere già partita per la Francia. Almeno lei è al sicuro. Non si era reso conto di quanto tenesse a lei prima di quella lunghissima notte. Combatteva per lei, per darle un mondo migliore, ma solo ora aveva la certezza di doverla proteggere. E se ci fosse stata lei, al posto di suo padre, all’Ufficio Misteri? Avrebbe voluto scriverle subito, perché già avvertiva la sua mancanza e perché aveva bisogno di un suo conforto, delle sue parole, dei suoi pensieri, ma non lo fece. Non ci riuscì. Non poteva dirle tutto attraverso un pezzo di carta. Si arrabbiò con se stesso, pensando che, così facendo, l’avrebbe delusa: non era stato abbastanza sincero. Come l’avrebbe presa Fleur a sapere dopo quasi tre mesi che l’uomo che aveva scelto le aveva taciuto l’appartenenza ad una causa più grande di lui, più grande di loro?
 
***
 
Bill aveva trascorso il Natale a Grimmauld Place insieme a tutti i suoi fratelli. Suo padre era ancora ricoverato al San Mungo e stare a Londra gli avrebbe consentito visite più frequenti all’ospedale. La notte della Vigilia, un elegante barbagianni aveva bussato alla finestra della stanza in cui dormiva Bill, tenendo nel becco una lettera di Fleur. Profumava di lavanda e conteneva gli auguri di Natale scritti nella sua elegante grafia.

Mi manchi. Scrivimi, ti prego.

Era l’eloquente preghiera con cui Fleur aveva concluso le altre due lettere che aveva spedito a Bill in quelle due settimane di lontananza. In cuor suo, Fleur si sentì ferita e delusa. È la lontananza, pensava, dopo che la lettera con gli auguri di Natale non aveva ricevuto risposta. Forse, non gli interesso abbastanza. Forse non mi ama come mi ha detto. Si vergognò di essersi data a lui, quella notte. Di aver investito tempo e battiti di cuore su quella relazione che sperava fosse ad un passo dalla felicità. Era stata davvero così stupida a credergli? Era stato così bravo a fingere da averla convinta che davvero teneva a lei?

I primi di gennaio, quando i fratelli più giovani, Harry ed Hermione avevano fatto ritorno ad Hogwarts, Bill scrisse un messaggio a Fleur. Si vergognò del suo comportamento, ma azzardò a chiederle di vedersi, quella sera stessa, a casa di lei. Si sentiva in obbligo di darle spiegazioni. Sapeva che Fleur doveva essere infuriata, risentita, arrabbiata, delusa, ma la questione era troppo importante e non poteva rimandare – o sommergere – tutto quello che lui era. Fleur gli diceva sempre che si era innamorata di lui perché era trasparente, vero.

Si era appena fatto scuro quando Bill uscì dal lavoro, dirigendosi a passi spediti verso l’appartamento di Fleur. Aprì la porta e la trovò in piedi, le tipiche braccia incrociate di quando covava dentro di sé la rabbia. Aveva un’espressione dura, folgorante. Prima che potesse parlare, Bill si avventò sulla sua bocca. Quanto gli era mancata…. Ma, come poteva prevedere, percepì un muro.
Pourquoi non hai scritto?” Bill si lasciò travolgere dalle parole di Fleur. Se le aspettava tutte: non una di più, non una di meno. Era risentita, si sentiva delusa, esclusa, tradita. Come poteva sentirsi, invece, lui? Uno schifo. Aveva lasciato passare troppo tempo, troppe cose erano successe tra loro per lasciarla all’oscuro di tutto. Quando Fleur, le narici dilatate un groppo alla gola, si ammutolì, Bill colse l’occasione per parlarle.

“Ascoltami, Fleur. È successa una cosa grave, molto grave, alla mia famiglia”.

Fleur sgranò gli occhi. “Perché non me l’hai detto? Che è susceso?” La sua voce, ora, aveva assunto un tono preoccupato.

“Mio padre è stato aggredito”.

Fleur parve calmarsi, e si accoccolò sul divano, come se la sfuriata di qualche istante prima l’avesse devastata. Continuava a guardarlo preoccupata e a Bill parve un buon segno. Sospirò e iniziò a dire ciò che da giorni si ripeteva in testa.

“Ricordi quando fu ucciso Cedric Diggory, la notte della Terza Prova?”

Fleur rabbrividì e i suoi occhi si riempirono di lacrime. Abbassò la testa, scuotendola come per cercare di scacciare i ricordi.

“Come posso dimenticar? Potevo morire quella notte. E invesce, è toccato ad una delle persone più oneste che abia mai connue. Non sci potevo credere…. Potevo essersci io, al posto di Cedrìc…”. Si portò le mani sul viso. Davanti ai suoi occhi le scorsero le immagini di quella notte… L’aggressione nel labirinto, il suo risveglio nella tenda-infermeria, l’apparizione di Harry con il corpo di Cedric senza vita, gli urli, i pianti. Non si era mai pentita di aver messo il suo nome nel Calice di Fuoco, era sicura di farcela, ma tutte le sue certezze erano venute meno quella notte a Hogwarts. La morte di Cedric Diggory aveva segnato la sua vita, era stata la fine della sua adolescenza. Era la prima volta che ne parlava con qualcuno. E quel qualcuno era Bill. Si sentì sgravata di un enorme macigno che portava dentro di sé da mesi.

Era la prima volta che Bill vedeva Fleur cedere ai ricordi. Da quando stavano insieme, non ne avevano mai parlato. La vide nuda, mentre mostrava senza vergogna tutte le sue fragilità, le lacerazioni della sua anima e scoprì di amarla più di prima.  Si accovacciò di fronte a lei, all’altezza dei suoi occhi. Le accarezzò il viso, segnato dalle lacrime, le labbra gonfie.

“Quella notte è tornato… Voldemort”. Bill rabbrividì. Era la prima volta che diceva a voce alta il nome di Tu-Sai-Chi. “È stato lui ad uccidere Cedric”.

Fleur aveva gli occhi pieni di terrore, ma allo stesso tempo sembravano essere avidi, ne volevano sapere di più.

“Tu credi che sia tornato, vero?” chiese Bill, esitante. Pregava con tutto il cuore che Fleur credesse. Doveva credere.  

“Ma scerto, Bill. Come posso non credere? Io sc’ero. E anche se non ho visto coi miei occhi, credo ad Arrì, a quello che disce. So quanto male ha fatto quel mago, il suo terrore è arrivato anche in Fronscia. Lo so, parce-que maman e papa non volevano che io veniva qui. Hanno paura”.

Bill avrebbe voluto stringerla a sé, dopo quel che aveva detto. Aveva davanti una delle donne più coraggiose che avesse mai conosciuto, forte e fragile.

“Promettimi che non dirai mai niente a nessuno di quel che sto per dirti”.

Fleur gli parlò con gli occhi, infondendogli la fiducia necessaria a parlare.

“Mio padre è stato aggredito dal serpente di Tu-Sai-Chi perché fa parte dell’Ordine della Fenice, una società segreta fondata da Silente. Anche io ne faccio parte, insieme a gran parte della mia famiglia. Dalla notte della Terza Prova, dopo quello che Harry ci ha detto, siamo convinti che Tu-Sai-Chi sia tornato e vogliamo che tutti lo sappiano. Combattiamo contro i suoi seguaci perché, qualora riuscissero a salire al potere, sarà inevitabile una guerra. Non vogliamo che altre vite come quella di Cedric siano spezzate ingiustamente. Non potevo scriverti tutto questo” aggiunse Bill “Se per caso fosse stata intercettata una lettera… Non voglio che arrivino a te. Sei troppo importante, per me”.

Fleur lo guardò, gli occhi pieni di orgoglio e preoccupazione.

“Io ponsavo di amarti”.

Il cuore di Bill fece un tuffo da un’altezza incredibile.

“E invesce, ora ho scoperto che posso amarti ancora di più”.

Si amarono ancora più intensamente, ora che non c’era più nessun filtro, nessun segreto, nessun muro: erano trasparenti l’un per l’altra, avevano gettato via le inutili reticenze che velavano la loro essenza. Si amarono versandosi addosso le proprie preoccupazioni, le proprie ansie, la propria voglia di combattere, la speranza di ottenere un futuro migliore.

“Qualunque cosa susceda là fuori, io prometto di amarti sompre, nonostante tutto”. Quelle parole le sgorgarono dalla bocca spontaneamente, senza averle premeditate. Era quello che Fleur pensava e non se ne pentì. Non aveva nemmeno vent’anni, ma sentiva che quel ragazzo che aveva appena amato, era tutto ciò a cui aggrapparsi nei momenti in cui voleva essere semplicemente lei stessa, con le sue paure, le sue fragilità, i suoi momenti di rabbia.  

“Non lasciarmi, Bill”.

“Questa volta resto”.

Quella notte, per la prima volta, dormirono insieme, abbracciati.







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Cari lettori,
grazie se vi siete avventurati a leggere fino a qui. In particolare, vorrei ringraziare le scrittrici e gli scrittori del gruppo FB Caffè e Calderotti, perché in questi tempi difficili sono uno spiraglio di gioia e un'apertura su un mondo speciale, fatto di parole, storie ed emozioni. 
Grazie anche a Bill e Fleur: non avrei mai creduto di potermi emozionare tanto scrivendo di loro. 
Un abbraccio
Milagar

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Capitolo 5
*** Di promesse e di guerra ***


Ultimi giorni di primavera 1996
 
Anche se Fleur non lo voleva dare a vedere, non era facile convivere con la consapevolezza che il suo Bill combatteva silenziosamente: sentiva la preoccupazione invischiare il suo cuore le volte in cui era coinvolto negli incontri dell’Ordine. Percepiva una calma ansiosa attanagliare Londra, in quei giorni: non era una situazione gradevole, ma tutti, lei compresa, sembravano condurre le proprie vite in tediosa quotidianità.

Bill, nonostante tutto, dal canto suo provava immensa gratitudine per Fleur, che condivideva con lui quelle segrete preoccupazioni e se ne era fatta carico, silenziosamente. Fleur era il suo balsamo. Sentiva il suo cuore calmarsi, il suo animo ardente acquietarsi quando era con lei. Era il suo porto sicuro e avrebbe voluto che lo fosse per sempre.

Lo pensava quando sentiva il respiro leggero di Fleur carezzargli il petto nelle notti in cui dormivano assieme; quando la vedeva preparargli la colazione avvolta nelle sue camicie, che le stavano troppo grandi; quando la coglieva di sorpresa facendole paura e allora lei cacciava un acutissimo urlo di spavento prima di accorgersi dello scherzo e rincorrerlo fino a braccarlo, lo sguardo imbronciato mentre lo rimproverava col suo tono da bacchettona, prima di finire nelle sue braccia, tra le lenzuola.

Bill aveva provato a tenere chiusa in sé tutta quella benedetta felicità, ma non ci riusciva. Era una cosa troppo grande da non poter condividere. Così, dopo una lunga chiacchierata via camino con Charlie, Bill decise di seguire il consiglio del suo fidato fratello, suo confidente da sempre, e di dire ai genitori che, sì, usciva con qualcuno. In quel modo sperava di poter quietare gli sguardi sospettosi che sua madre gli riservava quando rincasava al mattino dopo che aveva passato la notte da Fleur.

Una soleggiata domenica dopo Pasqua, la Tana era insolitamente vuota. Raramente Bill aveva potuto godere di quello strano equilibrio familiare che vedeva presenti in casa solo lui, suo padre e sua madre. I suoi primi ricordi lo avevano sempre visto fratello di qualcuno e mai figlio unico, come invece si era ritrovato ad essere quella domenica a pranzo. Mentre sua madre gli stava servendo la crostata di more, Bill deglutì rumorosamente. Si era preparato da settimane quel discorso (imbarazzante) da dire ai suoi genitori. Aveva ventisei anni e non si era mai trovato in una situazione così disagevole, anche perché sarebbe stato il primo dei fratelli Weasley a dire ai genitori che si frequentava con una ragazza. Da che ne aveva memoria, né lui né Charlie, né nessun altro dei suoi fratelli aveva detto così platealmente (e seriamente) che stava uscendo con qualcuno. Sei il maggiore, Bill, non puoi deludere i tuoi genitori.

“Spero che non ve la prendiate troppo se vi dico che sto uscendo con una ragazza, negli ultimi mesi”. La tanto temuta dichiarazione sgorgò inaspettatamente dalle labbra di Bill con il suo solito tono sicuro, naturale, rassicurante.

Azzardò ad alzare lo sguardo verso sua madre, le cui gote stavano assumendo un bel colorito vicino al fucsia, corredate da un imbarazzato e commosso sorriso.

“Oh… Lo sapevo. Lo sapevo… Ti si legge in faccia, caro”. Gli occhi di Molly Weasley si riempirono di lacrime e presto dovette alzarsi e iniziare a rassettare a caso la cucina, fra i fremiti dati dall’eclatante notizia, per non far vedere l’emozione crescente.

“Bene, figliolo. Siamo contenti per te” balbettò suo padre, il solito timido sorriso sul volto.

In quel momento Bill si pentì quasi di trovarsi lì, solo coi suoi genitori; avrebbe potuto attendere il ritorno dei fratelli per avere una cucina un minimo più affollata. Chissà come avrebbero commentato Fred e George…

“E, dicci, Bill caro, chi è la fortunata?” chiese sua madre, riemergendo sorridente dalla sua incontenibile emozione. Aveva assorbito il colpo ed ora moriva dalla voglia di saperne di più; glielo si leggeva negli occhi. “Ma soprattutto, gli vai bene lo stesso anche con quei capelli lunghi? E quell’orecchino…”

“A Fleur piace. E non si lamenta affatto dei capelli lunghi, anzi…”

“Fleur?” lo interruppe di colpo sua madre, rabbuiandosi “Stai uscendo con… Non dirmi che… Proprio con…”

“Con Fleur Delacour, sì”.

“Ma, io pensavo… Cioè…” A Bill fu evidente che sua madre non si capacitava della notizia che le aveva appena dato.

“Mamma, stai tranquilla. Fleur è un’ottima ragazza. Ti piacerà”.

“Sicuramente” boccheggiò sua madre, poco convinta, cercando gli occhi di suo marito come supporto.

“Ci fidiamo di te, Bill. Se ti piace, se ci stai bene... Se sei felice, lo siamo anche noi”. Il sorriso incoraggiante di suo padre e lo sguardo tra il commosso e il preoccupato di sua madre gli fece tirare un sospiro di sollievo. Il peggio era passato. Almeno per il momento.
 
***
 
Gli ultimi di strascichi di primavera avevano portato alla Tana subbuglio. Fred e George avevano architettato un’epica fuga da Hogwarts a poche settimane dai loro M.A.G.O.  e alla signora Weasley era quasi preso un colpo quando una lettera a firma di Minerva McGranitt era arrivata a casa. Bill, che si stava preparando per passare la notte da Fleur, scoppiò a ridere sonoramente, seguito a ruota da suo padre che - era sempre stato chiaro a tutti - in fondo apprezzava il genio ribelle dei suoi quartogeniti.  Bill scoprì i giorni seguenti, mentre si dirigeva alla Gringott, che Fred e George non erano certo a spasso, ma che stavano aprendo il loro negozio di scherzi in piena Diagon Alley. Era entrato per congratularsi con loro, trovandoli intenti nel rinnovo del locale, che stava tuttavia già prendendo la forma del più spettacolare negozio di tutta la via.

“Ogni tanto mi chiedo a quanto abbiano ammontato le vostre paghette per esservi concessi il lusso di affittare un negozio del genere. Potrei fare un controllo in banca…” rise sornione Bill.

“Non sono cose che ti riguardano, cuore innamorato” lo schernì Fred, mentre impilava scatole deluxe delle Merendine Marinare.

“Pensavi che mamma si tenesse tutto per sé?” chiese George, vedendo le orecchie di Bill cambiare colore.

“Pensavo che mamma ce l’avesse ancora con voi per la vostra fuga da Hogwarts” sbottò il maggiore dei fratelli.

“Oh, sì. Tra una Strillettera e l’altra si è anche lasciata sfuggire qualcosa sulla tua bella francesina. Direi che te la passi bene, fratellone” ammise Fred, con un’espressione fintamente seria. “Piuttosto, quando pensi di presentarcela?”

“Mi verrebbe da dire mai” rise Bill. “Ma credo che prima o poi sarà inevitabile non vedermi senza di lei”.

“Sei serio?” George lo guardava, interrompendo l’allestimento della vetrina, allo stesso modo di Fred, che osservava la scena di sottecchi.

“Non più di quanto lo siete voi, aprendo questo negozio”

“Vuoi dirci che siamo ridicoli?” sbottò Fred, raddrizzando la schiena, con aria di sfida.

Bill scosse la testa. “Tutt’altro. Ci vuole ben più che qualche risata per mettere su tutto questo bendidio”.

I gemelli gli sorrisero e gli gettarono le braccia sulle spalle. In quel momento, Bill si sentì molto fortunato ad avere fratelli come loro.
 
***
 
Quella notte di metà giugno era tiepida e arieggiata. Si respirava lo scalpitio dell’estate alle porte, la promessa di nuove giornate di sole.

Eppure, dentro il Ministero della Magia ogni speranza di serenità stava per essere infranta.

Bill si sentiva inutile, mentre vegliava davanti al camino della Tana, i gomiti puntellati sulle ginocchia, impotente e incapace di poter aiutare attivamente le persone a lui care nel momento del bisogno. Faticava a confortare anche i suoi genitori, che versavano in uno stato di agitazione tale che non accettavano alcuna consolazione.

Era lontana anni luce la cena che Fleur aveva cucinato quella sera e che avevano consumato nella mansarda del Ghirigoro, progettando la loro prima vacanza insieme, in Provenza. Era tutto straordinariamente normale, fino a quando non era caduto sul tavolo il messaggio di Silente, che aveva spinto Bill a correre velocemente alla Tana.  

Non sapeva esattamente cosa stesse succedendo, ma era più che convinto che al Ministero ci fossero Ron e Ginny a combattere al fianco di Harry, se Sirius non gli aveva mentito sul gruppo di giovani ribelli che era nato a Hogwarts per fronteggiare la Umbridge.

Non era ancora sorto il sole quando una piuma di Fanny cadde sul tavolo della cucina, insieme ad un biglietto. Bill si alzò prontamente, svegliando suo padre, che si era abbioccato sul tavolo della cucina. I tre Weasley si raggrupparono velocemente attorno al pezzo di carta, che Bill teneva tra le mani tremanti.

Bill vide sua madre boccheggiare e premersi una mano sulle labbra, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime.

“Devo correre al Ministero. Tutti gli uffici saranno in subbuglio, immagino” si affrettò a dire suo padre, le labbra strette e lo sguardo preoccupato rivolto alla moglie e al figlio, mentre raccattava dall’appendiabiti un mantello. L’orologio di famiglia iniziò a spostare a turno tutte le lancette dedicate ai componenti della famiglia. Ben presto, tutte e nove segnalarono Pericolo mortale.

Bill guardò sua madre. Era sconvolta.

“È come l’ultima volta, vero?” azzardò a chiedere Bill, ben consapevole della risposta affermativa che sua madre si affrettò a dargli.

“Devo andare anche io, mamma. Tornerò appena possibile, te lo prometto”.
 
***
 
Le prime striature dell’alba tinteggiavano il cielo di Londra, banalmente inconsapevole di ciò che la notte aveva condotto con sé.

Le vie di Diagon Alley erano ancora deserte, anche se – Bill ne era certo – si sarebbero riempite di gente e di panico in breve tempo. Raggiunse camminando a testa bassa il Ghirigoro, le mani infilate nelle tasche dei jeans, ripercorrendo quei ciottoli che avevano imparato a riconoscere la cadenza dei suoi passi.

Salì le ripide scale che portavano all’appartamento di Fleur. La trovò sveglia, raggomitolata sul divano e avvolta nella vestaglia da camera grigio perla. Doveva aver vegliato tutta la notte, a giudicare dal pallore del viso e dagli occhi cerchiati dal sonno che quella notte era mancato. Eppure era bella. Lo era sempre, anche quando il suo volto era arrabbiato, quando si storceva in una smorfia di disapprovazione; lo era quando i suoi occhi si velavano di preoccupazione.

Alors?”

Bill non riuscì a parlare. Fuori stava scoppiando la guerra che aveva scongiurato con tutto se stesso e davanti a lui c’era Fleur, che si era trovata a vivere e innamorarsi in un paese che chissà quale futuro le avrebbe potuto riservarle.

Le loro veglie pesavano sui loro visi stanchi, incapaci di esprimersi. I loro occhi si incrociarono e i gesti dei loro corpi parlarono per loro: parlò il lungo sospiro di Fleur, il suo timido passo verso di lui. Intrecciarono l’anima in un lungo abbraccio in cui misero il non detto, le paure, i dubbi, le incertezze, mentre un raggio di sole entrava dal finestrone dell’appartamento.

Bill si aggrappò a quel seme fecondo di speranza che Fleur rappresentava per lui. Ma cosa poteva darle, lui, Bill Weasley, lo Spezzincantesimi della Gringott? Lui che combatteva contro una follia che avrebbe potuto farli sparire tutti dall’oggi al domani?

L’abbraccio si sciolse quando Bill retrocesse di qualche passo, cercando gli occhi della ragazza.

“Nessuno ti costringe a rimanere, in questa situazione. Sentiti libera di tornare in Francia dalla tua famiglia. Saresti lontana da qui, nessuno ti farebbe male, non correresti nessun rischio…” A Bill costò dire quelle cose, ma era tutto ciò che si era ripetuto nel tragitto che l’aveva portato da lei, all’alba. Sentiva il suo cuore sgretolarsi ad ogni sillaba, davanti alla prospettiva di non averla più vicino a sé, perdendo quella meravigliosa quotidianità che mai stancava, che lui non avrebbe mai desiderato per sé, ma alla quale ormai non riusciva farne a meno, perché l’aveva costruita proprio con Fleur. Gli sembrò di incenerire quegli otto mesi assieme, eppure era tutto quello che poteva fare per metterla al sicuro, per proteggerla come avrebbe voluto, come lei meritava.

Nel sentire quelle parole, Fleur boccheggiò, gli occhi ardenti, le narici dilatate.

“Come puoi dir me questo? Non volio lasciarti, non ora che sc’è un pericolo. Te l’ho promesso da tompo. Io sci sarò, qualunque cosa sucseda”.

“Ho paura per te…” tentò Bill, ben consapevole Fleur, in quel momento, non gli avrebbe mai dato retta. L’aveva ormai imparata a conoscere: era testarda e quando si metteva in testa una cosa non avrebbe ceduto facilmente, l’avrebbe portata fino alla fine, costi quel che costi. Glielo aveva dimostrato sin dai primi giorni in cui si erano conosciuti. Glielo dimostrava nuovamente quella mattina. Glielo dimostrava ogni singolo giorno da quando si erano messi assieme ed era soprattutto per quello che le piaceva tanto. Che l’amava.  

“Se suscede qualcosa a te, volio essere lì, avec toi. Volio correre anche io questo rischio!”.

“Allora sposiamoci”.

Quelle parole erano uscite con la stessa facilità con cui Bill aveva detto ai suoi genitori che usciva con una ragazza.

Sposiamoci. Non riusciva a fissare il momento in cui dentro di sé era cresciuto il desiderio di dirlo, ma lì, quella mattina, c’era e non riusciva più a stare rinchiuso là, dove Bill ricacciava indietro i pensieri più irruenti.

Fleur se ne stava in piedi, le braccia lungo i fianchi, i capelli che le ricadevano leggermente mossi sulle spalle. Si morse appena il labbro inferiore.

“So che non ho un anello con me. E nemmeno una dichiarazione strappalacrime da farti in ginocchio…” si affrettò a dire Bill, avanzando verso Fleur che continuava a tormentarsi il labbro. Lì, in quel momento, importavano solo loro, Bill e Fleur, senza fronzoli, senza cose architettate, senza inutili messinscene.

Fleur non disse molto altro: si aprì in un sorriso meraviglioso, che irradiava luce e felicità e volò verso di lui, abbracciandolo e baciandolo. Mai si sarebbe immaginata che un uomo sarebbe arrivato da lei col cuore in mano, accettandola in tutti i pregi e in tutti gli infiniti difetti che lei stessa percepiva: la sua scarsa pazienza, il suo sarcasmo, la sua cocciutaggine. Bill aveva guardato oltre la sua bellezza fisica e lui, un uomo così fantastico, l’aveva scelta e l’avrebbe voluta per tutta la vita.

“Lo prendo come un sì?” chiese Bill, mentre conduceva Fleur a piccoli passi verso la camera da letto.

“Sarò feliscissima di averti come marito”.




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Cari lettori, 
bentrovati e grazie se avete scelto di proseguire nella lettura. Mi scuso se non sarete soddisfatti da questa lettura: non è stato semplice scrivere questo capitolo. La paura della pagina bianca c'è stata, ma ho voluto continuare a scrivere. Perché so che ne vale la pena e ho voglia di portare avanti la storia, costi quel che costi (come Fleur). 
Grazie a chi ha scelto di lasciare un commento ai capitoli precedenti: mi avete riempito il cuore di gioia. 
Vi abbraccio calorosamente
Milagar

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Capitolo 6
*** Di famiglia e di casa ***


Estate 1996
 
Una soleggiata domenica mattina di inizio estate, Bill e Fleur sonnecchiavano abbracciati tra le lenzuola che avevano accolto il loro amore quella notte. La ragazza fu la prima a decidere di aprire gli occhi e vedere la piccola stanza invasa dalla luce calda del sole. Si voltò appena per vedere Bill dormire: le piaceva guardarlo addormentato, perché riusciva a scorgere il bambino dentro di lui attraverso i suoi capelli spettinati, la bocca leggermente socchiusa, il naso dritto cosparso di leggere lentiggini. Come se se ne fosse accorto, Bill aprì a fatica gli occhi, incontrando quelli azzurrissimi di Fleur che lo guardavano.

“Buongiorno, amore mio” sussurrò Bill, la voce ancora impastata dal sonno, mentre, sistemandosi sui cuscini, stringeva ancora più forte Fleur.

Bonjour” ricambiò la ragazza, accoccolandosi al petto di Bill, lasciandogli piccoli baci roventi.

Bill respirò profondamente, riassaporando la notte passata insieme a lei.

“Non mi abituerò mai” sospirò Bill, affondando una mano tra i lunghi capelli di Fleur.

“A cosa?” chiese divertita Fleur, carezzandogli il naso.

“Ad averti qui. Con me. Se qualcuno un anno fa mi avesse detto che questa mattina ci saremmo svegliati assieme… Io non avrei mai….” Non riuscì a concludere la frase perché fu interrotto da un profondo bacio di Fleur.

“Hai tutta la vita per abituarti, mon amour”.

Da quando avevano deciso di sposarsi, il pensiero di quel per sempre che si sarebbero detti di lì ad un anno permeava ogni loro gesto quotidiano, ogni attimo che passavano lontani. Vivevano con la silenziosa consapevolezza di essersi fatti la promessa di promettere e questa scavalcava le tragedie che il mondo stava vivendo, le drammatiche notizie che avevano iniziato a circolare per Diagon Alley. Il panico che aleggiava in tutta l’Inghilterra scivolava impotente davanti alla felicità che Bill e Fleur avevano iniziato a costruire da due settimane a quella parte.

“Sai, è da qualche giorno che vorrei chiederti una cosa” esordì Bill, abbassando il volto per cercare gli occhi della ragazza. Lei lo guardò con curiosità, con l’entusiasmo che la caratterizzava nei momenti di leggerezza e che l’aveva affascinato la prima volta che erano usciti assieme.

“So che può sembrarti ridicolo, ma, che ne diresti di venire a stare un po’ a casa mia?”

Fleur si illuminò, spalancando gli occhi, incredula.

Bill le sorrise, scostandole una ciocca di capelli che le era ricaduta davanti allo spettacolo azzurro dei suoi occhi.

“Beh… Avresti un po’ di compagnia quando non lavori. E poi sarebbe un luogo sicuro, per via dell’Ordine. E conosceresti la mia famiglia”.

Effettivamente Bill era da tempo che pensava al modo con cui introdurre Fleur alla Tana. Non gli andava giù di vedere sua madre guardarlo sospettosa ogni volta che parlavano di lei o di notare le smorfiette che Ginny aveva iniziato a fare quando, tornata da Hogwarts, aveva saputo che Bill stava uscendo con una ragazza. Si sentiva in dovere di presentare a tutti loro Fleur e, conoscendo il senso della famiglia della fidanzata, sapeva che ne sarebbe stata felice.

“E gli diremo che sci sposiamo?”

“Credo proprio di sì”. Bill non aveva ancora detto nulla ai suoi genitori: per certi versi voleva metterli (soprattutto sua madre) davanti al fatto compiuto, dall’altra voleva trovare un momento favorevole in cui dare la notizia insieme a Fleur, nel modo perfetto che si era immaginato.

“Sci saranno anche i tuoi fratelli?” chiese Fleur, ormai vogliosa di saperne di più.

“Ron e Ginny saranno a casa per le vacanze, quindi li conoscerai subito”.

“E Fred e George? Non vedo l’ora di incontrarli!”

Bill seguì con interesse la preparazione di Fleur fece nei giorni che precedevano il suo trasferimento alla Tana: gli piaceva coglierla mentre fissava per ore l’armadio aperto, incerta su quali vestiti portare con sé. In più, aveva notato le frequenti domande che aveva iniziato a porgli sui fratelli e sui suoi genitori.

La mattina del trasferimento di Fleur alla Tana, Bill la trovò in piedi davanti alla porta, il baule da viaggio pronto ai suoi piedi, avvolta in uno splendido abito color azzurro cielo.

“Sei bellissima” le disse, con un ampio sorriso.

“Devo essere parfait con la tua familia” ammise Fleur, rispondendo al sorriso.

Bill le strinse le spalle e la guardò negli occhi.

“Andrà tutto benissimo. Ci sono io, ci siamo noi. Sii te stessa”. Le lasciò un delicato bacio sulla fronte, prima di prendere il baule con una mano e stringere con l’altra quella di Fleur e Smaterializzarsi alla Tana.
 
***
 
Quando Bill si ritrovò a pensare nelle settimane seguenti all’arrivo di Fleur alla Tana, poté definirsi abbastanza soddisfatto della buona riuscita di quella giornata. Fleur era stata impeccabile, come del resto lo erano stati tutti i sorrisi e le attenzione dei suoi genitori. L’unica pecca era stato Ron, che, bordeaux in viso, non era riuscito a spiccicare parola quando Fleur aveva veleggiato verso di lui per baciarlo sulle guance, confermando gli effetti devastanti che Ginny aveva spifferato nei giorni precedenti all’arrivo di Fleur.

La notizia del matrimonio aveva effettivamente destabilizzato un po’ i Weasley, i quali avevano accolto con attimi di silenzio e cucchiaiate di torta di mele sospese a mezz’aria le parole di Bill, e la suspence era stata interrotta soltanto dai cinguettii trepidanti di Fleur. Non erano mancati, subito dopo le congratulazioni, i primi dubbi di sua madre.

“Avete già pensato quando? Ma soprattutto, siete sicuri di volervi sposare proprio adesso, con la situazione incerta che stiamo vivendo? Non volete prendere dell’altro tempo per pensarci?” aveva ripetuto più volte la signora Weasley, senza darsi pace, nonostante le rassicurazioni del figlio e di Fleur, che avevano previsto di sposarsi non prima dell’estate successiva.

Come Bill aveva immaginato, sin dalle prime ore alla Tana, Fleur aveva iniziato a rendersi disponibile e dare una mano in casa: si impegnava in cucina, come suo solito, sotto gli sguardi torvi della signora Weasley, che si vedeva defraudata del suo ambiente prediletto; preparava la tavola e puliva regolarmente la sua stanza, senza gravare sui carichi di lavoro della padrona di casa. Ma – cosa che stupì tutti, e per primo Bill stesso – si occupava anche delle galline e non disdegnava la vita bucolica che si svolgeva alla Tana.

L’unica cosa di cui aveva avuto da lamentarsi Fleur era stata l’assegnazione della camera.

“Bill, cosa vuol dir questo? Non possiamo dormir insieme?” aveva chiesto Fleur contrariata, la sera stessa del suo arrivo, entrando nella stanza che i Weasley le avevano preparato.

“Come avrai avuto modo di capire, mia madre è un po’… all’antica. Su certi aspetti non transige” aveva cercato di mediare Bill, sorridendo nel vedere Fleur arrabbiata. La adorava quando era così imbronciata, con le braccia conserte, perché erano le occasioni migliori per abbracciarla, scherzare e sentirla mugugnare ancora di più, prima di affondarle un bacio tra i capelli.

Non erano mancati anche piccoli attimi di panico quando, una di quelle sere, tra gli invitati a cena era presente anche Tonks. Bill aveva stentato a riconoscerla: il volto era disegnato dalla tristezza e i capelli le ricadevano ingrigiti e stoppacciosi. Le aveva offerto una Burrobirra e aveva iniziato a parlarle quando si era accorto che Fleur li guardava torva dalla porta della cucina. Lo stomaco di Bill aveva fatto una capriola che nulla aveva a che fare con la fame dell’ora di cena: ricordava fin troppo bene il primo incontro tra le due in questione, l’anno prima. Cercò di rimediare presentandole e cercando di chiarire il più possibile cosa rappresentassero per lui le due donne.

Quando la signora Weasley aveva chiamato tutti a tavola, Fleur aveva trattenuto Bill per un braccio, perforandolo con gli occhi: i suoi ricordi erano lì dove anche quelli di Bill erano stati pochi minuti prima, a ripercorrere quei momenti e quell’incomprensione che li aveva allontanati per parecchio tempo, l’estate prima.

“Mi sono sbaliata. Io mi fido di te, Bill”.

Quelle parole erano bastate per appianare quel malinteso e l’abbraccio che le aveva seguite aveva sciolto ogni paura nascosta di Fleur, quelle che solo Bill sembrava conoscere, insieme alle sue debolezze, ai suoi difetti.

Dopo quel piccolo tentennamento, Fleur era tornata quella di sempre, allegramente ciarliera e pronta a dire la sua e soprattutto ad accettare la costante e tetra presenza di Tonks, ospite fissa quasi tutte le sere, a volte accompagnata da Remus Lupin, altre volte sola.

La Tana era ormai al completo quando a metà luglio era arrivata anche Hermione.

Fleur l’aveva riconosciuta immediatamente e salutata con molto calore. “Hermione, che piascere rivederti qui! Come sta Viktòr? Parlava sompre di te! Lo sonti ancora?”

“Ehm… Diciamo di no. È davvero tanto tempo che non ci vediamo e non ci sentiamo” Hermione era arrossita, la voce leggermente seccata e la voglia di chiudere quel discorso quanto prima. Bill, tuttavia, non aveva potuto non notare il sorriso compiaciuto che si era aperto sul volto di Ron - che stava qualche passo indietro a Hermione - nel sentire la notizia e che da quando l’amica aveva messo piede in casa non era ancora riuscito a toglierle gli occhi di dosso.

Ma ciò che più arrovellava i pensieri di Bill in quei giorni era la domanda che suo padre gli aveva fatto qualche giorno dopo l’arrivo di Fleur alla Tana.

“Avete pensato dove andrete a vivere, giusto?”

In effetti, da quando avevano deciso di sposarsi, Bill e Fleur non avevano avuto tempo – o forse voglia – di riflettere su dove sarebbero andati ad abitare una volta sposati. Per Bill era stato naturale volgere il pensiero alla piccola mansarda del Ghirigoro: era il primo posto dove avevano condiviso la quotidianità e ci erano sinceramente affezionati entrambi. Bill sapeva che non era lo stesso orizzonte atteso dai genitori, ma per lui, che aveva vissuto otto anni in Egitto tra tende nel deserto e alloggi sopra i bazar del Cairo, la mansarda del Ghirigoro era una prospettiva di lusso.

“So che non è molto. Ma è casa. Me lo avete insegnato voi” aveva detto Bill, sorridente, cercando di rassicurare suo padre e restituire la sua gratitudine per come l’aveva cresciuto.
 
***
 
Nonostante Fleur fosse lanciata sull’organizzazione del matrimonio – a cui intanto era stata attribuita una data, quella del 1° agosto 1997 - Bill continuava a sentire una fitta ogni volta che coglieva lo sguardo di suo padre su di loro. Si sentiva in dovere di dare un tetto decoroso alla famiglia che andava a costruire con Fleur, esattamente come suo padre l’aveva dato a sua moglie e ai suoi figli molti anni prima.

Una mattina di fine luglio – Harry era arrivato da poco a completare la situazione già affollata della Tana – Bill e Fleur erano scappati prestissimo di casa per concedersi una colazione da Florian Fortebraccio. Si trovarono invece davanti ad una folla agitata che si accalcava davanti al negozio. Quando riuscirono ad aprirsi un varco tra la folla, notarono la vetrina spaccata e il negozio visibilmente sotto sopra.

“Li ho visti… Erano almeno cinque! Ripeto: li ho visti coi miei stessi occhi” esclamava concitato un ometto tutto nervi, cercando di convincere i passanti.

Fleur si aggrappò al braccio di Bill, appoggiando mestamente la testa alla sua spalla. I ricordi di entrambi correvano a dodici mesi prima, quando quei tavolini erano stati complici del loro amore nascente, di quelle chiacchierate sul tutto e sul niente che li avevano fatti conoscere, che avevano aiutato ad abbattere le barriere che li dividevano. E ora, invece, si trovavano lì in mezzo alla devastazione che quella guerra carsica e folle continuava a seminare con sempre più frequenza.

Si allontanarono a passi veloci non appena arrivarono due squadre di Auror.

“Disci che tornerà?” chiese Fleur, la voce strozzata.

“Non lo so. Non credo” disse serio Bill, gettando attorno a sé occhiate guardinghe e vedendo il grigiore di quelle strade che, nonostante il sole fosse alto nel cielo, trasmettevano soltanto freddo e paura.

Quando riuscirono a superare i controlli all’ingresso della Gringott, Fleur accompagnò Bill al suo ufficio come di consueto, prima di salire alle Valute Internazionali. Nell’intimità del piccolo ufficietto, si concessero quel caffè che ancora non avevano bevuto e qualche bacio, che avrebbe dovuto essere la riserva per tutto il giorno che li avrebbe visti lontani fino all’ora di cena.

“A cosa ponsi, mon amour?” chiese Fleur, mentre versava a Bill l’ultima tazza di caffè, vedendolo con lo sguardo concentrato verso il vuoto.

Bill esitò un attimo. “Penso a quello che ha detto mio padre su dove andremo ad abitare. Dopo quello che è successo a Fortebraccio, non penso che Diagon Alley sia un posto così sicuro per viverci”.

“Siamo in guerre. Me lo hai insegnato tu. Non so dove potremmo essere più sicuri” disse mesta Fleur, sedendosi sulle ginocchia di Bill e scostandogli una ciocca dagli occhi.

“Mio padre ha ragione, però. Dobbiamo trovare un posto nostro. Dove poter andare a vivere dopo il matrimonio”.

Fleur abbassò il viso, tormentando la tazza che teneva tra le mani, creando così piccoli vortici nel caffè.

“Ogni tonto riponso a quella casa sul mare. Ricordi l’Inconto Affettivo?”

Bill sorrise, carezzando i capelli di Fleur. “Come potrei dimenticarmi? È ciò che mi ha portato a te…”

Vraiment…. A volte ponso che quell’Inconto sci riguarda. Abiamo Spezzato i vincoli. Sc’è caso che siamo i nuovi eredi della tenuta, ma nessuno ha mai detto rien”.

Bill la guardò incuriosito, invitandola a proseguire. 

“L’ho sontito.... Sc’era qualcosa di differonte in quella casa. Come se fosse nostra dalla prima volta in cui sci siamo stati. È un posto talmonte bello”.

Bill la scrutò, mentre lei continuava a far oscillare il caffè nella tazza. Non poteva negarlo: quel luogo era stato tanto prezioso per loro, per il loro inizio. Pensò a quanto sciocco sarebbe stato se quella mattina non avesse chiamato Fleur per tradurre una banale frase su un lucchetto…

“Magari mi sbalio… è solo una sensation… Non potrebbe essere tutto così parfait… Ma mi piasce ponsare che quella casa sia tutta nostra” sussurrò Fleur, affondando i propri occhi in quelli di Bill.

A Bill tornarono in mente echi lontani di parole dette alla brezza estiva del mare: Magari se mi sposo… vorrei passare in questo posto il resto della mia vita.

“Prego perché la tua sensazione sia realtà, amore mio” disse Bill, tra un bacio e l’altro, sospingendo Fleur verso la parete e sollevandola con foga, non prima di aver lanciato un potente Muffliato alla porta.
 
***
 
Diversi minuti più tardi, quando Fleur aveva salutato Bill e lui stava ancora immobile appoggiato allo stipite della porta, guardandola salire le scale, i pensieri del ragazzo furono interrotti da una voce metallica che procedeva per il corridoio.

“Ah, William Weasley! Congratulazioni a te e alla signorina Delacour!” esclamò Bartok, il Mezzo-folletto, fermandosi a poca distanza da lui.

“Grazie, Bartok. Vedo che le notizie arrivano veloci anche tra di voi” disse Bill con calma, incrociando le braccia.

“Non avevo dubbi. Immaginavo che sarebbe andata a finire così. Avete Spezzato l’eredità Dupaty col vostro amore e ora è tutta vostra, come deve essere”.

“Proprio di questo vorrei parlare, Bartok” disse Bill, riallacciandosi mentalmente alla rivelazione che gli aveva fatto poco prima Fleur. “Era l’eredità Dupaty che avresti voluto da me per farmi arrivare a Ragnok, vero? Tu sapevi che io e Fleur eravamo già diventati i nuovi proprietari della tenuta, ma non l’hai mai detto”.

Bartok sbuffò in una risata, scuotendo la testa. “Ma certo, William Weasley. Te lo dissi quel giorno in biblioteca. Ma evidentemente eri troppo preoccupato nel riflettere su quanto fossi fortunato nel ricevere le attenzioni di una donna come Fleur Delacour. I coniugi Dupaty avevano lanciato l’Incanto Affettivo non solo sui loro averi, ma anche su tutta la loro tenuta. Voi avete Spezzato i vincoli e ne siete diventati i nuovi eredi. La conosci, no, la storia dei Dupaty….”.

“Veramente no” disse secco Bill, guardando il folletto incuriosito.

“I due anziani coniugi, un mago e una strega molto abili, che tra l’altro avevano origine francese, come avrai ben intuito, si erano fatti una promessa. Non lasciarmi. Infatti, morirono a poche ore di distanza l’un dall’altra. Quella richiesta, non era stata fatta solo nei confronti l’un dell’altro, ma di tutta la tenuta” spiegò il folletto. “La casa è stata sottoposta ad una forma potenziata di Incanto Affettivo, molto rara ma estremamente efficace e, contrariamente al forziere, non può in nessun caso diventare proprietà della Gringott, perché risponde solo a due persone che, parimenti a quelle dei signori Dupaty, hanno in animo la stessa promessa che i due proprietari si erano fatti prima di morire”.

“È come se l’amore si ereditasse solo con l’amore” constatò Bill, non senza trepidazione nella voce.

“Perspicace, William Weasley. Continuo tuttavia a pensare che devi fare ancora molta strada per diventare uno Spezzincantesimi di prim’ordine”.

Bill ridusse gli occhi a fessura, continuando a sostenere lo sguardo impenetrabile del Mezzo folletto.

Aveva ragione Fleur: non poteva essere tutto così perfetto, così facile. Doveva esserci un inganno.

“Bartok… se è vero quello che mi stai dicendo, vuol dire…”

“Che tu e la signorina Delacour siete i nuovi proprietari di Villa Conchiglia. Ora quella casa è tutta vostra”.








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Cari lettori, eccomi ancora qui! Ammetto che questo capitolo è stato un vero e proprio parto: l'ho scritto, guastato, cancellato non so quante volte. Siamo giunti ad un punto in cui la storia si intreccia e scivola pericolosamente tra le pagine della saga ed è veramente fatica mantenersi aderenti a ciò che qualcun altro ha scritto, soprattutto non è stato facile introdurre Fleur ai Weasley senza lasciarsi influenzare troppo da ciò che ci raccontano i libri per mantenersi coerenti con la linea scelta. 
Non so quanto vi possa piacere questo capitolo, soprattutto perché torna Villa Conchiglia e torna l'eredità Dupaty.
Spero che sia chiaro il ragionamento che c'è dietro.
Chiarisco due cose: "Spezzare" l'eredità e "diventare nuovi proprietari", nell'invenzione del lavoro dello Spezzincantesimi e dell'Incanto Affettivo singificano due cose differenti. L'Incanto Affettivo è stato posto sull'eredità Dupaty a protezione dello scrigno che appare nel primo capitolo e solo la presenza delle due anime innamorate può ammettere il controincantesimo che Fleur ha utilizzato per Spezzare i vincoli. Bill e Fleur, invece, tramite un Incanto Affettivo potenziato, hanno spezzato i vincoli ed assunto la proprietà. 
Se ho fatto dei pastrocchi incomprensibili, vi prego, segnalatemelo. 
Un abbraccio e grazie ancora per essere arrivati fino a qui.
Milagar

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Capitolo 7
*** Di vernice fresca e maglioni caldi ***


Ottobre-Dicembre 1996
 
Un sonoro crack sovrastò lo sciabordio del mare davanti a Villa Conchiglia. Bill e Fleur furono sorpresi da un’inaspettata ondata che bagnò loro i piedi, riempiendo le scarpe e inzuppando gli orli dei jeans di Bill. La risata tintinnante di Fleur si acuì quando Bill la sollevò di peso, allontanandola dalla battigia e facendola volteggiare in aria, le sue labbra su quelle della futura moglie.

Un debole sole si faceva coraggio tra le nubi basse che correvano mosse dal vento e i capelli dei due fidanzati sferzavano l’aria, che si stava mischiando agli schizzi di mare che si infrangeva sulle scogliere; il loro vociare voleva superare il sibilo dell’aria.

“Entriamo, prima di venire sommersi di nuovo dai cavalloni” rise Bill, facendo scorrere un braccio attorno alle spalle di Fleur e conducendola verso il cottage.  

Il profumo di vernice fresca fu un brusco cambiamento rispetto al profumo naturale del mare e denotava i primi lavori che avevano iniziato a fare in quella che presto avrebbero iniziato a chiamare casa. Era successo tutto troppo velocemente e quasi a Bill non sembrava vero che la cosa che più lo preoccupava – avere una casa per lui e Fleur – si fosse risolta nel modo più semplice possibile e in tempi brevissimi. Fleur era semplicemente al settimo cielo, quando Bill le aveva dato la notizia e la stessa reazione l’avevano avuta i genitori di Fleur, quando lei e il fidanzato li avevano raggiunti in Provenza, durante un soleggiato fine settimana di settembre. Per Bill era stato più difficile convincere i suoi, di genitori, che la casa perfetta per il suo futuro fosse a Tinworth. Ma, d’altronde, Bill si era accorto fin troppo bene quanto la scelta di sposarsi non fosse stata troppo ben accetta in famiglia: le occhiate sbieche di sua madre e alcune sue taglienti considerazioni, come anche quelle di Ginny, lo avevano indotto a pensare che quello che era il suo momento di massima felicità non fosse altrettanto condiviso con la famiglia. Ma a Bill non importava: ricordava fin troppo bene i pianti e le lamentele di sua madre quando aveva comunicato, appena uscito da Hogwarts, che il suo lavoro si sarebbe svolto in Egitto e non in un comodo ufficio londinese.  

“Fasciamo il piano di sopra, ogi?” chiese Fleur, le mani sui fianchi, contemplando soddisfatta i primi lavori che avevano fatto in salotto e in cucina.

Salirono le scale ed entrarono nella stanza dove, più di un anno prima, avevano scoperto il forziere dell’eredità Dupaty. La grande finestra che faceva filtrare il bagliore perlaceo della luce di quel giorno affacciava sul mare ribelle, promettendo una vista mozzafiato nelle giornate di calma.

“Sarà la nostra stonsa, non credi?” chiese Fleur, raggiungendo Bill che si era accostato alla finestra per guardare l’orizzonte, avvolgendolo tra le braccia e appoggiando il viso alle sue spalle.

Deve essere questa. Non potrebbe essere altrimenti”.

Nei giorni che seguirono, iniziarono a spolverare quel luogo che era disabitato da tempo, ma denso di promesse. Mentre guardava Fleur lavorare, pulire pavimenti, imbiancare pareti e iniziare a sistemare i primi mobili che avevano scelto, Bill non poté fare a meno di pensare a cosa gli avesse riservato la vita, in quell’ultimo anno e mezzo. Gli aveva tolto il suo adorato lavoro: non era stato facile lasciare l’Egitto, eppure l’aveva fatto e aveva riscoperto l’affetto e la vicinanza della sua famiglia e aveva imparato a resistere per il suo paese in guerra.

Aveva accettato un lavoro d’ufficio, forse un po’ monotono, che tanto cozzava con il suo spirito avventuriero. E invece la vita gli aveva riservato la luce per illuminare tutto: gli aveva dato Fleur. Che forse era arrivata nel tempo e nel luogo giusto, per farlo ricredere sull’amore. Per farlo sentire responsabile non più solo per tutti quei fratelli, ma per una donna che, venuta da lontano, gli aveva fatto scoprire più da vicino se stesso. Perché tra i progetti per la sua vita non aveva mai contemplato di passare interi giorni a scegliere colori di vernici o ad arredare una casa che non fosse la Tana.

Con Fleur, invece, tutto questo gli era sembrata la cosa più naturale da fare, non gli pesava, anzi, era bello impegnarsi così tanto per loro, il loro futuro. Perché nonostante l’incertezza del mondo attorno, quella precarietà della vita che strisciava subdolamente nelle loro vite, Bill credeva nel futuro. Ne confidava in modo talmente forte da aver scommesso sull’amore per Fleur come la puntata più vincente di tutta la sua vita. Ed era un miracolo stare a Villa Conchiglia giornate intere per progettare la casa della sua famiglia.

“Posso ja mettere le lansuola, che disci?” chiese Fleur, apparendo nella camera con un grosso pacchetto tra le mani, mentre Bill sorvegliava due pennelli che stavano ritoccando gli infissi della finestra.

Bill rise, voltandosi a guardarla. “Fammi pensare… Mancano ancora...mh… dieci mesi al matrimonio? Dobbiamo ancora sistemare due camere, c’è ancora tanto da fare…”
Fleur lo squadrò coi suoi sguardi in tralice. “Ponsi che non sci serviranno mai, dopo una bella douche?”

Bill sorrise, mordendosi un labbro. Adorava quando Fleur lo provocava. Non resisteva alla sua ironia tagliente, il suo sbottare insofferente verso alcune situazioni. Avanzò dondolando verso di lei.

“Direi che ti do una mano a fare… e disfare il letto” le disse, lasciandole una lunga scia di baci sul collo.

Fleur emise la sua risata cristallina, mentre cercava di divincolarsi dalla presa forte di Bill.

Pas si tot” sussurrò Fleur, sommersa dalla foga dei baci di Bill. “Hai detto che dobiamo fare le due camere, di là…”

“E va bene… riesci sempre a scaricarmi la colpa” rise Bill, mentre Fleur lo aveva preso per mano e trascinato nella stanza di fronte a quella che sarebbe diventata la loro camera da letto.

“Che peccato, da qui non si vede il mare” sospirò Bill, notando che la finestra dava sul piccolo giardinetto della casa.

“Ma è bellisima lo stesso” disse Fleur, che stava passando con una mano sopra lo strato di polvere accumulato sul vano della finestra.

“E questa invece…” proseguì Bill, uscendo dalla stanza ed entrando in quella del centro, che era molto più piccola rispetto alle altre due.

Vedere quel piccolo spazio, così raccolto, così caldo fece balenare nella mente di Bill una culla in un angolo, un tappeto pieno di giochi, come quello che aveva visto molti anni prima alla Tana e su cui erano passati tutti i suoi fratelli più piccoli, forse lui stesso. Gli occhi gli si illuminarono, e si voltò in fretta verso Fleur, convinto di condividere con lei la gioia nel pensiero che proprio quella stanza sarebbe stata quella dei loro figli. Ma non fece in tempo ad esprimere il proprio pensiero, perché vide il volto di Fleur fissare un punto lontano da lui, mentre si mordeva un labbro.

“Ehi… tutto bene?” chiese Bill, apprensivo, avvicinandosi a Fleur, che si stava stringendo nelle spalle. Ormai Bill aveva imparato a conoscere fin troppo bene la mente della ragazza e sapeva che anche a lei, probabilmente, aveva intravisto in quel luogo ciò che aveva sentito anche lui. Non avevano mai parlato di avere dei bambini. Fino a quel momento, avevano pensato alla costruzione del loro amore, allo scoprirsi giorno dopo giorno, al viversi, condividersi, pensare al loro futuro insieme. Ma mai in quei termini.

E nonostante dentro Bill si stesse facendo lentamente spazio la voglia di creare una famiglia che andasse al di là di lui e Fleur, si era sempre fermato perché aveva paura di ferirla e di bruciare le tappe: la prospettiva di vivere i primi tempi del matrimonio solo con lei era inebriante e densa di aspettative. E poi, la conosceva abbastanza bene da sapere quanto tenesse al lavoro, a fare carriera, e glielo dimostrava quel contratto full time a cui ambiva e per cui lottava con le unghie e con i denti. Gli piaceva proprio perché sapeva essere molto più matura della sua età – Bill ricordava come fossero le ragazze di vent’anni ed era per quella ragione che non si era mai innamorato veramente prima di conoscere Fleur. O forse solo perché i suoi vent’anni li aveva donati all’avventura, in Egitto, inebriandosi di curiosità e scoperte, che tanto rispecchiavano la sua indole. Fino ad un anno prima, niente e nessuno – meno che meno l’amore - gli avrebbe impedito di limitare la sua libertà tanto desiderata – che terribile egoista! Gli fu evidente quanto grande fosse l’anima di Fleur: così ardente e innamorata, determinata e idealista, che aveva accettato con tutta se stessa l’amore di quell’uomo più grande di lei, così lontano dalla sua terra, che aveva scelto tra migliaia di altre possibilità migliori. Aveva accettato di allontanarsi dalle sue radici, dai suoi affetti, per crearne di nuovi lì, con lui. Bill si era completamente innamorato della passione totalizzante di Fleur per la vita: ma non poteva, e non doveva in alcun modo forzarla.  

Bill strinse tra le sua braccia Fleur, che appoggiò la schiena al suo petto.

“Se ponso che viscino a me sci sarai tu… Allora mi fido”.

Bill non sapeva quale fosse stato il ragionamento che Fleur avesse fatto per dire quelle cose. Ma, ancora più di qualsiasi voto che avrebbero stretto entro l’anno, quella fiducia che gli aveva dichiarato era relativa anche al rispetto di un’attesa del momento giusto, nel quale tutti i pezzi dei loro desideri si sarebbero sistemati nell’ordine giusto, nell’orizzonte degli eventi.

Fleur si alzò sulle punte dei piedi, per lasciargli un bacio, gli occhi appena velati dalle lacrime.  

Bill la strinse ancora più forte, sollevandola e baciandola con ancora più foga e inaugurando con il loro amore la futura stanza degli sposi.
 
***
 
Tra i pregi di Fleur, c’era il non far pesare immediatamente le cose. Aveva imparato col tempo, con fatica a lasciarsi scivolare addosso le parole, gli sguardi che la sfioravano sin da quando era poco più che adolescente. Solo al momento giusto, però, quando ormai non ci si aspettava più la reazione, Fleur stilettava con grande precisione il bersaglio, colpendolo nel segno e riversandogli addosso tutto quello che le aveva dato fastidio.

Aveva iniziato a capire che qualcosa non andava tra lei e la madre di Bill quando lei e il fidanzato erano tornati dal fine settimana in Francia dai Delacour. Nonostante i primi imbarazzi, la paura di non piacere, Fleur aveva osservato compiaciuta Bill entrare con il suo abituale garbo e la sua semplicità nella sua famiglia: vederlo ricoperto di attenzioni da parte di Apolline Delacour era stata la vittoria più grande – lei, di cui Fleur temeva sempre il giudizio. La sintonia con suo padre, poi, era qualcosa di estremamente tenero: trattava Bill come il figlio maschio che non aveva mai avuto. Gli sguardi compiaciuti di Gabrielle, il suo arrossire quando Bill le aveva rivolto la parola, aveva dato a Fleur la soddisfazione di essersi lasciata andare con la persona giusta. E sotto i cieli di un caldo autunno provenzale, Fleur aveva capito quanto grande fosse la differenza tra i suoi genitori e i suoi futuri suoceri.

Si era chiesta più di una volta dove avesse sbagliato nel suo approccio con la famiglia di Bill. Ci aveva provato sin dal primo giorno alla Tana, ce l’aveva messa tutta a risultare disponibile con i Weasley, a non mancare mai di rispetto – come le avevano insegnato, dimostrandosi così com’era, senza filtri o sovrastrutture – schietta, sincera, ambiziosa. Ma questo non era valso a nulla: sentiva avvinghiarsi addosso a lei un senso di disagio per quel luogo, di inadeguatezza. Ogni volta che entrava in una delle stanze della Tana, sentiva l’ambiente raffreddare quel calore che si percepiva invece quando in quella casa c’erano solo lei e Bill. Si sentiva osservata, criticata, mai abbastanza adeguata al ruolo che sarebbe andata a ricoprire, come sposa del primogenito.

Le era ormai chiaro, dopo alcuni mesi di convivenza alla Tana come la sua presenza non fosse gradita alla signora Weasley: sbottava alle sue domande, non voleva mai rimanere troppo tempo da sola con lei, la trattava con pressapochismo quando Fleur, entusiasta, le esponeva i progetti per quel matrimonio tanto sognato. Dopo l’estate passata gomito a gomito con la signora Weasley, Fleur si era chiesta più volte se fosse la scelta giusta sposare Bill, fondere per sempre la sua vita con quella di una famiglia che stentava ad accoglierla, anzi, che sembrava osteggiare il loro amore, credendolo solo frutto di un’infatuazione momentanea. Senza nemmeno sapere quel che c’era dietro e i presupposti che li avevano portati fin lì, ad un passo dall’altare.

Anche la scelta delle damigelle le aveva confermato la superficialità con cui i Weasley la consideravano. Ginny nascondeva nella sua personcina un carattere focoso e – complice forse l’immaturità dei suoi quindici anni – che faticava a dissimulare la sua disapprovazione.

“Lo sappiamo tutti che Ginny non è romantica. Alzare gli occhi al cielo era il minimo che potesse fare per esprimere il suo disappunto” aveva commentato Bill, quando Fleur aveva avanzato un commento non troppo dolce rivolto alla futura cognata. Era risultata evidente a Fleur la pragmaticità di Ginny, ma non le era nemmeno sfuggito il nomignolo che aveva colto da una conversazione della ragazza con gli amici. Flebo. Non ci voleva fare caso, come sempre, da quando sua madre le aveva detto, prima di partire per Beauxbatons, di lasciar perdere le persone invidiose di poco valore. “Non sei al loro livello” si ripeteva Fleur per sostenersi in quei mesi che avevano pesato dentro di lei.

Coi Weasley però era diverso: non riusciva a lasciarsi scivolare addosso quel senso di distacco e poca tolleranza che avvertiva, perché sapeva che sotto quello stupido pregiudizio – insensato, privo di fondamento e incentrato sulla sua bellezza - c’erano le persone che avevano cresciuto Bill, che l’avevano amato e l’avevano fatto diventare l’uomo di cui si era innamorata.

Quando si soffermava a guardare in modo distaccato le dinamiche familiari, non riusciva a capacitarsi come la stessa famiglia che la osteggiava, fosse quella che non faceva mancare a nessuno dei numerosi membri l’attenzione giusta, una buona parola o una carezza. Guardava la famiglia di Bill, l’apprensione che provavano per lui e sentiva il cuore scaldarsi. Eppure, scegliendo Bill, Fleur avrebbe scelto anche quella famiglia chiassosa e tanto diversa dalla sua, una famiglia in cui non si sentiva amata. E nonostante il disagio che provava ogni volta che metteva piede tra quelle mura sghembe, nonostante più di una volta fosse stata sul punto di dirglielo, Fleur non riusciva a lamentarsene con Bill.  Sapeva che se lo avesse fatto, lo avrebbe deluso e non se lo meritava. E si sarebbe sentita in colpa nel vederlo così.

Quel venticinque dicembre, Fleur aveva poi avuto la conferma di tutti quei pensieri e di quelle sensazioni che le rovinavano l’anima quando, scendendo in cucina aveva visto tutti i presenti, nessuno escluso – nemmeno Harry – con un caldo e avvolgente maglione lavorato a mano dalla signora Weasley. In quel momento Fleur si era sentita davvero esclusa da quell’universo del quale Bill faceva parte da sempre. Aveva visto lo sguardo entusiasta di Bill affievolirsi nel vedere Fleur avvolta in un’elegante veste cobalto, anziché in un maglione come il suo; l’espressione che la signora Weasley cercava di nascondere lasciava trasparire la soddisfazione per averla finalmente distinta da coloro che riteneva veramente famiglia. Fleur aveva ancora una volta ingoiato quel comportamento, lasciandosi abbracciare da Bill, che le ricordava sempre il perché della sua presenza alla Tana e che era l’unico motore per riportarla ad essere solo se stessa e nient’altro.

L’arrivo inaspettato del fratello di Bill – Percy, che Fleur non aveva mai conosciuto - aveva appesantito la situazione, facendo scendere il gelo nella sontuosa tavola natalizia. Fleur aveva visto Bill contrarre la mascella, fissando quel fratello che dietro l’aria fin troppo composta e occhiali da vista troppo spessa, faceva trasparire un senso di disagio e di nostalgia di quella situazione chiassosa che lo aveva cresciuto. Vederlo preso di mira dai giovani Weasley aveva suscitato in Fleur un interiore moto di compassione nei confronti di quel povero ragazzo – dovevano avere circa la stessa età – non compreso in quel microcosmo al pari suo.

Ripensava a tutto questo Fleur, la notte del venticinque dicembre, mentre, affacciata alla finestra, seguiva la neve che continuava a scendere copiosa, imbiancando le strade scure di Diagon Alley. Una lacrima cadde sul suo bel viso, mentre pensava alla sua famiglia, lontana, che stava passando il Natale senza di lei, che un anno prima avrebbe dato tutto l’oro del mondo per poterlo passarlo con Bill.

“Sarà ora di andare a letto?” Fleur si voltò di scatto, sorpresa dalla voce di Bill, che era entrato in camera silenziosamente. “È stata una giornata pesante per tutti”. 

“Arrivo subìto, un moment” sussurrò Fleur, voltandosi e asciugandosi quella spia della sua rabbia che continuava a scivolarle sul volto. Ma era troppo tardi: Bill le era già accanto, la sua mano sulla spalla.

“So a cosa stai pensando” le sussurrò Bill all’orecchio. Fleur emise un leggero sbuffo, cercando di sorridere, ma sfoderando una sgradevole smorfia.

“Vorrei solo che mia madre ti guardasse come la tua guarda me”.

Fleur si voltò a guardarlo – lui che la capiva sempre, anche senza vederla in volto - e non riuscì a trattenere più quel pianto che le infangava la gola da settimane: pianse perché si sentiva perennemente inadeguata e fuori posto, per quella sua futura famiglia che non la voleva, pianse per la lontananza, per sua sorella – che aveva scartato per il primo anno i regali da sola - e per quel fratello che aveva salutato a fatica Bill.



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Cari lettori, 
non sono sparita. Anzi, torno qui - a pubblicare la mia logn - dopo tantissimi mesi. 
Mesi in cui la mia vita ha avuto momenti talmente pieni da spingermi a pensare di chiudere l'account e dire di nuovo basta con le fanfiction. 
E invece, in questa serata di inizio novembre, ho ripreso in mano il capitolo scritto ormai un'eternità fa e ho finalmente deciso di riguardarlo, apportare una minima modifica e pubblicarlo. Perché ho sentito l'esigenza di farlo, un bisogno di riprendere un po' di quello che era la mia vita "prima" della ventata di novità che i mesi scorsi mi hanno voluto donare. 
C'è molta introspezione in questo capitolo, non me ne vogliate. Ma ora mi sento anche io un po' così. 
Grazie per chi deciderà di ricominciare a leggermi.
Grazie a chi, in vari modi, c'è sempre stato. 
Un abbraccio
Milagar

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