Gli ostacoli del cuore di Little Firestar84 (/viewuser.php?uid=50933)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Episodio #0: Tredici mesi, una settimana, due giorni e una manciata di ore ***
Capitolo 2: *** Episodio #1: c'è un cadavere in garage! ***
Capitolo 3: *** Episodio #2: Grave digging ***
Capitolo 4: *** Episodio #3: L'Ispettore Zenigata ***
Capitolo 5: *** EPISODIO #4: non è tutto oro quello che luccica... ***
Capitolo 6: *** Episodio #5: Il mandato ***
Capitolo 7: *** Episodio #6: Diamonds are a girl's best friends ***
Capitolo 8: *** Episodio #7: Freinds will be friends ***
Capitolo 9: *** Episodio #8: Bling Ring ***
Capitolo 10: *** Episodio #9: Bloom, clap ***
Capitolo 11: *** Episodio #10: batti, batti, batticuore ***
Capitolo 1 *** Episodio #0: Tredici mesi, una settimana, due giorni e una manciata di ore ***
Ed eccoci qui! Questa mia ultima fanfiction, che spero vi terrà piacevolmente compagnia nelle prossime settimane, è un ennesimo AU...ispirato da un'idea di Kalu Saeba, lei avrebbe voluto qualcosa che seguisse la linea narrativa della fiction italiana Del Commissario Manara... ma l'ispirazione ha preso il sopravvento, e del concept della fiction è rimasto poco o nulla. Ciò che spero siano rimasti sono loro...Ryo, Kaori, Saeko, Hideyuki, Reika e tutti gli altri, tanti, tanto dell'anime quanto del manga che faranno piccole o grandi comparsate in questa storia, che si svilupperà sul piano orizzontale per ciò che riguarda la casistica (ispirata a quel gioiellino semi-sconosciuto che è The Closer) e verticale in vece sul piano emozionale dei nostri. Detto questo... avanti, marche!
EPISODIO #0: 13 MESI, UNA SETTIMANA, DUE GIORNI E UNA MANCIATA DI ORE
“Sto benissimo! Perché, non si vede che sto divinamente?!” Davanti alla preoccupazione dell’amico e collega, Ryo strinse i denti quasi fosse stato un cane feroce in preda ad un attacco di rabbia, e, ogni singolo muscolo del suo corpo teso, incrociò le braccia – una posizione che avrebbe dovuto demarcare strafottenza e noncuranza, ma che Hideyuki Makimura lesse come un disperato tentativo del suo migliore amico di proteggere il suo animo, apparentemente ruvido, ma in realtà fragile e delicato, bisognoso di affetto, come e più di chiunque altro. “Cristo santo Maki, non so perché devi sempre guardarmi come se fossi un caso pietoso! Sono quindici anni che mi conosci, ancora non lo hai capito che a me, la vita da scapolo, piace?”
Sospirando, Hide – Maki, come lo chiamavano Ryo e Saeko, capo nonché fidanzata ufficiosa da anni del poliziotto- si sistemò gli occhiali dalla spessa montatura nera sul naso.
Era inutile. Oramai era più di un anno che Ryo si ostinava a negare l’evidenza, ovvero che lui non stava bene, e che la rottura con la sua fidanzata- praticamente nel bel mezzo del sì- gli pesava e lo attanagliava. Se nel breve periodo in cui era stato fidanzato Ryo aveva avuto un’esistenza, se non virtuosa, almeno decente, dopo essersi lasciato il detective era tornato a fare una vita dissoluta: tante donne, una diversa ogni sera (se non più di una), tanto alcol, molto cibo spazzatura e non una sola notte passata a dormire nel suo letto: a Hide era pure capitato di dover raccattare Ryo in strada, addormentato e ubriaco fradicio alle tre, quattro, cinque del mattino… sinceramente, come facesse ad essere ancora vivo, e soprattutto ad avere ancora quel fisico prestante, Hideyuki non lo avrebbe mai capito.
Ma Ryo continuava a dire che andava tutto bene. Che stava bene. Che a lui la vita dello scapolo piaceva. Che essere sul punto di sposarsi era stata la cosa più idiota che avrebbe potuto fare. Che lei gli aveva fatto un piacere mollandolo, e che tutto sommato lei aveva avuto ragione: la vita del maritino a lungo andare gli sarebbe andata stretta, quel loro ménage a lui piaceva solo perché rappresentava una novità, alla fine avrebbero finito per farsi del male, odiarsi, inimicarsi famiglie e amici… chiuderla lì, prima che fosse troppo tardi, era stata decisamente una scelta saggia: dopotutto, non aumentavano forse tutti i giorni i divorzi?
Ecco: questa era la tiritera che Ryo ripeteva incessantemente a tutti quelli che osavano porre quella fatidica domanda .
Poi però, a casa sua, guardava altrettanto incessantemente vecchi album, da solo o senza farsi vedere, quando se ne andava a zonzo per le trafficate strade di Shinjuku, piene di vita, cercava un qualcosa di lei in tutte le donne che vedeva, che incontrava, con cui usciva senza mai combinare nulla- il suo sorriso, il suo profumo, lo stesso taglio di capelli- e soprattutto, ogni sacrosanto giorno, contava da quanti giorni non l’avesse più vista. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che avevano fatto l’amore. Da quando si erano baciati la prima o l’ultima volta.
Tredici mesi, una settimana, due giorni e una manciata di ore da quando lei era uscita dalla Hall dell’albergo dove avrebbero dovuto unirsi in matrimonio, il rito civile celebrato da un Procuratore della polizia metropolitana di Tokyo. 402 giorni. 9650 ore. 579.000 minuti. Quasi trentacinque milioni di secondi.
A tutti diceva che avevano fatto bene a lasciarsi, ma in realtà dentro si sentiva cascare il mondo addosso. A volte, era come morire.
A tutti diceva che avevano fatto bene a lasciarsi, ma in realtà lei gli mancava da morire, come fosse stata l’aria che respirava, e contava ogni secondo da quando non l’aveva più vista.
La conosceva praticamente da sempre, l’aveva amata da quando era divenuta una giovane donna, irruenta e con un carattere peperino, ma dopo la rottura non aveva nemmeno avuto il coraggio di andare a salutarla quando era partita per Chiba, nonostante lei avesse detto a tutti, lui compreso, che voleva che lei e Ryo chiudessero la cosa da amici. Che sposandosi avrebbero fatto un errore. Che lui si era lasciato affascinare, travolgere dalla novità, ma che lei lo vedeva, Ryo aveva i suoi dubbi, e quando erano stati costretti a fermare la cerimonia, quando quel giovane agente si era accasciato, ferito da un proiettile, sul pavimento di linoleum, lei aveva detto a Ryo di averlo visto quasi sollevato- come se quella morte lo avesse esonerato dal dire apertamente cosa davvero pensava: no, non lo voglio, non posso farlo.
Lei sapeva che lui la desiderava, lo aveva capito quando, in una giornata ventosa, quando lei era ormai ragazzina, aveva visto Ryo tentare di sbirciare sotto alla gonna della divisa scolastica dopo che il suo corpo era finalmente sbocciato.
Sapeva che teneva a lei, che le era affezionato, e che, a modo suo, le voleva bene – Ryo frequentava la sua famiglia da quando lui e Hide erano entrati all’accademia insieme, e l’aveva vista crescere, era sempre stato di casa. Ma non era certa che lui la amasse nel modo giusto- non come Hide amava Saeko. Non come i loro amici Miki e Umi si amavano. Non come si erano amati i suoi genitori.
Annullare tutto- e non limitarsi a rimandare a data di destinarsi- era la cosa migliore, così lei gli aveva detto. Meno sofferenze in futuro, perché, lei ne era certa, non sarebbero potuti durare: presto o tardi avrebbero finito per divorziare, e magari a quel punto ci sarebbero stati dei bambini e sarebbero stati loro a pagare lo scotto di quelle nozze che, lei ne era certissima, Ryo aveva insistito per avere al più presto possibile proprio perché consapevole che, diversamente, se la sarebbe fatta addosso e avrebbe mandato tutto al diavolo.
Ryo si era limitato ad assecondarla, certo che lei avrebbe finito col ripensarci e ammettere di aver detto un mucchio di stronzate. Pensava davvero che la separazione le avrebbe fatto capire che erano fatti per stare insieme.
Non aveva avuto dubbi nemmeno quando lei gli aveva annunciato (al telefono) di aver vinto un concorso per un corso di formazione presso il miglior laboratorio forense del Giappone, a Chiba, della durata di un anno, che le avrebbe aperto nuove possibilità di carriera. Lei aveva scelto di trasferirsi lì: molto più comodo vivere là che dover fare quasi sessanta chilometri tutti i giorni.
Ryo si disse che non sarebbe partita: alla fine, l’amore che nutriva per lui avrebbe trionfato e lei ci avrebbe ripensato, avrebbe rinunciato a Chiba e sarebbe tornata da lui, sarebbero tornati insieme e alla fine si sarebbero sposati, vivendo, contrariamente a quanto lei diceva, per sempre felici e contenti.
Invece, alla fine, se n’era andata, valigia in mano - la stessa che aveva preparato per partire per la loro luna di miele, probabilmente. L’aveva disfatta, almeno?
Si disse che non sarebbe durata una settimana a Chiba, che un giorno lui sarebbe tornato dal distretto e se la sarebbe trovata rannicchiata sul tappetino, davanti alla porta di casa (perché, dopo il fidanzamento, avevano vissuto pochi giorni insieme, e a lui non era nemmeno mai passato per l’anticamera del cervello che lei potesse volere le chiavi, e aveva sempre posticipato) a piangere che lei senza di lui non poteva stare. L’avrebbe baciata, avrebbero fatto l’amore, sarebbero tornati insieme e si sarebbero lasciati tutto alle spalle.
La settimana era passata, e lei non era tornata.
Erano venute le feste, e lei aveva preferito rimanere a Chiba.
Il compleanno del fratello. L’anniversario di morte del padre. Quello della madre.
Nulla di nulla.
I giorni erano divenuti settimane, le settimane mesi- ed adesso era passato oltre un anno- un anno che, Ryo si rifiutava di ammetterlo ad anima viva, per lui era stato a dir poco orripilante. Beveva, mangiava, usciva, frequentava un mucchio di donne con cui non combinava mai nulla, ma era tutto come un susseguirsi di gesti automatici, senza alcun coinvolgimento emotivo, più per dare l’impressione di stare bene che perché se la sentisse di spassarsela.
Alla gente che glielo chiedeva diceva di stare bene ed essere in forma smagliante- era stato lui il povero cristo mollato, quindi era per lui che gli amici si preoccupavano, nonostante comprendessero il perché della decisione della giovane donna - ma in realtà, si sentiva come uno straccio. Per questo era lì quel giorno, al Cat’s Eye Cafè, ad attenderla per la festa a sorpresa che gli amici ed i colleghi le avevano preparato.
Per rivederla. Per guardarla in faccia. Prima, le avrebbe dimostrato di essere un uomo forte, fiero, che non aveva bisogno di chiedere nulla, mai; le avrebbe fatto vedere cosa si stava perdendo. E così, avrebbe capito cosa si stava perdendo. Solo allora Ryo avrebbe ceduto, dimostrandole che stavolta non avrebbe mollato: le avrebbe fatto capire che erano fatti per stare insieme, a qualunque costo. Le avrebbe dimostrato che, con tempo e dedizione, sarebbe stato capace di lasciarsi alle spalle la vita da scapolo e abbracciare quella di coppia: le avrebbe dimostrato che poteva e voleva essere un uomo degno di lei.
La porta del locale si aprì con un leggero cigolio, e Saeko entrò, ridendo leggera, seguita dalla ben più giovane collega; Ryo la guardò negli occhi, sorridendole con quell’espressione maschia che denotava sicurezza, e che da ragazzo aveva fatto capitolare tante fanciulle perché trasudava sex appeal.
Si aspettava di vederla arrossire, volgere lo sguardo altrove, timida, ma invece, negli occhi della sua ex fidanzata Ryo vide qualcosa che lo stupì, e lo colse impreparato.
Pietà? No, non era pietà. Sembrava quasi che lo stesse studiando, valutando, come faceva con le sue stramaledettissime prove.
Ryo aggrottò le sopracciglia, e fece per avvicinarsi alla giovane donna alla ricerca di una risposta ai suoi tanti, troppi interrogativi, ma prima che la potesse approcciare un altro uomo le fu accanto; doveva avere all’incirca l’età di Kaori; capelli castani così chiari da tendere al biondo, occhi scuri dall’aria vispa ed intelligente, alto, atletico, serio e composto, indossava un completo grigio sì dall’aria anonima, ma anche costosa, e guardava la sua compagna come se fosse la cosa più preziosa che potesse esistere sulla faccia del pianeta, come se lei e lei sola fosse importante; teneva una mano sul fianco di lei, poggiata non con il fare possessivo che Ryo aveva tenuto durante la loro breve relazione, ma delicato, quasi volesse indicare che lei era sì sua, ma lo era per scelta della donna.
Sembrava un uomo raccomandabile ed adorabile, e Ryo provò un’immediata antipatia a livello di pelle: decisamente, lui e quel tipo non sarebbero mai stati amici.
Fu allora che lei si morse le labbra, quasi timida, non imbarazzata dal fatto che quell’uomo la stesse sfiorando, ma disabituata a pubbliche manifestazioni di affetto simili in generale; lo aveva fatto anche con lui, in passato, e Ryo l’aveva spesso presa in giro, dandole della sciocchina perché si vergognava che lui esternasse il suo desiderio per lei attraverso dei gesti che potevano sembrare piccoli e innocui, ma che per lei erano tutt’altro.
L’uomo gli sorrise, non in modo crudele, ma tutto sommato gentile, affabile- incuriosito, quasi - e vedendo Ryo avvicinarsi gli offrì la mano, che il detective afferrò, e la strinse- guardando tuttavia lei negli occhi, e non l’uomo che, con grande orrore del poliziotto, si stava comportando come un essere umano decente e pure simpatico, e non un coglione stronzo senza spina dorsale. Un vero peccato: non che servisse a farglielo piacere di più, Ryo aveva già deciso che quel tipo a pelle non gli piaceva per nulla, ma non gli sarebbe dispiaciuto avere una scusa in più – anche perché, così, almeno non sarebbe piaciuto a tutti, e non solo a lui.
“Piacere di conoscerla, sono Shinji Mikuni… lei è uno dei colleghi della mia adorabile fidanzata, vero?” Lanciò un’occhiata alla donna, stringendo la mano di Ryo con decisione. Aveva una bella stretta, e Ryo pensò che forse – forse – si era sbagliato su quel tipo, che non era il mollaccione nerd che aveva immaginato essere. Ma che, comunque, continuava a stargli sulle scatole.
Ryo strinse i denti stampandosi in faccia un sorriso così falso, che più falso non poteva essere, gli occhi stretti in due fessure, ed il suo cuore perse uno o forse qualche centinaio di battiti; ebbene, sì, alla mano sinistra lei portava davvero un anello di fidanzamento, con un rubino enorme circondato da tanti diamanti – tutta un’altra cosa rispetto alla fedina sottile con quel singolo diamante minuscolo che le aveva preso lui, certo, ma che perlomeno non era stato una pacchianeria ma un oggetto elegante e delicato che ben si addiceva alle lunghe, affusolate e delicate dita della donna, nonché al suo carattere, dolce e semplice (ed al portafoglio di Ryo).
No, Ryo non stava bene, e forse non lo sarebbe stato mai più… o almeno, non fino a che non avesse di nuovo avuto al suo fianco l’amore della sua vita, o avesse accettato che lei non voleva saperne di tornare da lui, e che Kaori Makimura si era trovata un altro che, a dirla tutta, non faceva decisamente per lei.
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Capitolo 2 *** Episodio #1: c'è un cadavere in garage! ***
EPISODIO #1: C’È UN CADAVERE
IN GARAGE!
“Porca
miseria,
maledizione, ma proprio oggi quel catorcio doveva rompersi!”
Ryo prese a
borbottare a denti stretti mentre si portava una mano alla fronte, e
tentava di
asciugarsi il sudore che, dai capelli scuri, gli stava colando negli
occhi.
Guardò
affannato l’orologio che portava al polso – un
cronografo che gli aveva
regalato Kaori per il suo compleanno anni addietro, e che rifiutava di
indossare quando c’era la possibilità di essere
beccato da lei, non volendole
dare la soddisfazione di farle vedere quanto la loro rottura ancora
incidesse
sul suo stile di vita. In preda all’angoscia più
nera ed ad un senso di panico
che non faceva che montargli dentro, aumentando col passare dei
secondi, Ryo
prese a singhiozzare, sentendosi sconfitto.
Ormai
mancavano solo quindici minuti. Sarebbe riuscito ad arrivare in tempo?
Non lo
sapeva.
Concentrato,
prese a cercare la chiave del vecchio garage della casa del suo amico
dove
teneva posteggiata la sua prima auto, quella che si era faticosamente
comprato
da ragazzo, appena presa la patente, una scalcinata Panda 4x4 che aveva
messo a
posto alla meno peggio, e che non aveva mai avuto a cuore di dare via
– non
certo per affetto, ma conscio che non ci avrebbe guadagnato nemmeno
mezzo Yen.
Sperò
che il motore partisse. Che la batteria funzionasse ancora, nonostante
fossero
ormai mesi che non
la usava: non
ricordava nemmeno più quando l’aveva fatta partire
l’ultima volta, o se avesse
funzionato. Ma adesso doveva
funzionare.
Doveva
arrivare
in orario.
Col
cuore a mille, occhi sgranati, Ryo lentamente aprì la
saracinesca. Ingoiò a
vuoto mentre, i muscoli tesi, il pavimento ormai impolverato veniva
gradualmente irrorato dalla luce naturale del sole.
Una
silenziosa preghiera lasciò il suo animo turbolento. Sperava
che andasse tutto
bene- tutto secondo i suoi piani.
Le
ruote. Il parafanghi. I fari. Ryo sorrise: almeno la macchina
c’era ancora. Sì-
ce l’avrebbe fatta, ora ne era sicuro. E poi, fu il turno del cofano di essere
illuminato.
Insieme
alla donna piuttosto giovane che ci era coricata sopra.
“Eh?
Ma porca…!” Ryo
fece un paio di passi
indietro, mentre la sensazione di pace che lo aveva allietato fino ad
un attimo
prima di nuovo lo lasciava, e lui sospirò, sconsolato,
cercando di ricacciare
indietro il senso di frustrazione e perdita che sentiva montare nel suo
animo.
“Signorina?”
domandò, restando a distanza di sicurezza. Quando non
ricevette risposta, si
avvicinò, e le sfiorò il polso prima e la
giugulare poi, cercando un
battito.
Niente.
Non che ci fosse da stupirsi- il corpo era freddo, quasi ghiacciato, ed
era
evidente pure a lui che era solo un investigatore che era
già sopraggiunto il
rigor mortis.
“Che
iella!” L’uomo sbuffò, togliendosi il
berretto da baseball bianco e blu, e
gettandolo a terra, quasi tentato di prenderlo a calci o perlomeno di
pestarlo.
“Proprio oggi che ho i biglietti per la finale del campionato
di calcio dovevo
trovare un cadavere!”
Sbuffando,
occhi al cielo, Ryo controllò il cellulare: zero tacche. Si
chiese come fosse
possibile che ci fossero ancora delle zone di Tokyo in cui
c’era così poca
copertura, ma poi si disse che, forse, era colpa sua: a fare il tirchio
e
prendere un operatore di quarta categoria poteva capitare quello e
altro.
Scattò
qualche foto con lo smartphone prima di lanciare un’ultima
occhiata al corpo e
con un colpo deciso, e una mandata, chiuse il garage, pronto col
telefono in
mano e gli occhi puntati sullo schermo, prese a camminare per i viali
alberati
e le casette monofamiliari ordinate, alla ricerca di una zona dove
prendesse un
po’ meglio.
Gli
ci vollero dieci minuti buoni.
“Ehm,
ehilà capo!” Tentò di suonare allegro
quando lei, nonostante la linea
disturbata, rispose. “Non crederai mai a cosa mi è
successo! Eh, eh, eh!”
Dieci
minuti dopo, il vialetto d’ingresso del garage affittato da
Ryo brulicava di
agenti in divisa che, in attesa dell’arrivo dei diretti
superiori, stavano
circondando la scena del delitto con nastro giallo, mentre Ryo se ne
stava in
un angolo con le mani in tasca dei pantaloni beige che aveva scelto per
quella
giornata che, contrariamente alle sue aspettative, si era rivelata
tutt’altro
che placida.
La
Suzuki Hustler rossa di Hideyuki parcheggiò lungo la strada,
e dal veicolo
uscirono lui e la sorella; Ryo strinse i denti, leggermente seccato,
anche se
probabilmente avrebbe dovuto immaginare che, una volta allertato il
capo della
Prima Squadra Omicidi- alias Saeko
- lei
avrebbe mandato i suoi sul posto, anche se Ryo avrebbe preferito
evitare di
avere la sua ex fidanzata ad indagare… beh, tecnicamente su
di lui.
Ma
non avrebbe potuto iniziare a lavorare una settimana dopo, dannazione?
Sembrava
essere una congiunzione astrale negativa: tutto e tutti erano contro di
lui.
“Ryo.”
Lei lo salutò freddamente, alzando un sopracciglio con
quello sguardo che non
faceva altro che giudicarlo e dirgli che non andava bene e che se
voleva vivere
a lungo doveva cambiare e conformarsi al vivere civile. Aveva odiato
quell’espressione quando stavano insieme, anche se aveva
provato a conviverci,
e adesso la sopportava ancora meno. “C’è
forse qualcosa che vuoi dirci?”
“Che
credi, che io ne sappia qualcosa solo perché era sulla mia macchina in un garage che
io affitto? Io quella non la conosco, non l’ho mai
vista in vita mia!” Ryo
rispose, inviperito, sputacchiando a destra e manca mentre guardava
Kaori in
faccia: lei non sembrava dare minimamente peso a quello che lui diceva,
ed
intanto Hideyuki si faceva sempre più piccolo, e cercava di
capire se fosse
possibile fuggire – detestava essere il terzo incomodo in
quella situazione.
“Immagino.”
Kaori sentenziò, altezzosa. “Come se tu potessi
ricordarti di tutte le oche
giulive con cui te la fai quando sei sbronzo!”
“Cos’è,
sei gelosa? Certo, immagino che sia difficile passare da uno come me a
quella
mozzarella con cui stai adesso, ma la mia porta è sempre
aperta se dovessi mai
ripensarci, mia cara. ” Ryo la stuzzicò, mentre
cercava di dimostrare alla sua
ex donna quanto fosse macho sollevando
la porta del garage con una sola mano. Socchiuse gli occhi, e le fece
un
sorrisetto compiaciuto, prima di aggiungere: “Specie quella
della mia camera da
letto… a casa mia era la tua preferita, se non
sbaglio!”
Senza
nulla dire, Kaori molto casualmente sollevò la mano
sinistra; si lucidò
l’anello di rubino e diamanti contro il top bianco, e poi
allungo la mano verso
di Ryo, sollevandola leggermente e mettendo bene in mostra il regalino
del suo
fidanzato.
Il
messaggio era chiaro: una seconda
possibilità, a te? Grazie, ma no grazie.
Un
giorno rimpiangerai di avermi mollato,
e allora vedrai se non verrai a piangere alla mia porta!
Meglio
crepare che tornare con te!
“Ehm,
Ryo, odio dover ripetere la domanda che ti ha fatto Kaori, ma,
ecco…”
interrompendo il silenzioso dialogo tra la sorella e l’ex
quasi cognato,
Hideyuki si allentò il colletto della camicia a maniche
corte, e la cravatta
marrone sottile che la accompagnava quel giorno. “Ecco, sei
davvero sicuro di
non doverci dire nulla?”
“Che
razza di domande! Ti ho detto che non ho nulla da aggiungere! Tutto
quello che
so è che lì c’è un corpo e
io quella non la conosco!” Ryo sbottò, indicando
la
sua Panda, sul cui cofano… non c’era assolutamente
nulla.
“Ma
che… giuro che c’era!” Prese a dire
l’uomo, girando intorno alla macchina. Ma
nulla. “Era qui! Guardate, ho pure fatto le foto!”
“Non
riesco a credere che tu sia stato così idiota da lasciare un
cadavere
incustodito per quasi mezz’ora!” Kaori gli
strappò il telefono dalle mani, e
prese a guardare le immagini; una donna dai lunghi capelli scuri su cui
già
alcuni fili grigi avevano fatto la loro comparsa; non era
più giovanissima,
aveva forse cinquantacinque anni, e nonostante i capi da mercato delle
pulci e
l’aspetto non più florido, Ryo immaginò
che un tempo fosse dovuta essere
bellissima; nell’altra mano prese il suo telefono, e
chiamò il numero diretto
dell’ufficio, alzando gli occhi al cielo quando Reika Nogami-
sorella di Saeko,
oca giuliva innamorata di Ryo da circa dieci anni che lo aveva
costantemente
insidiato nel corso della loro vita- ripose. “Reika, sono
Kaori. Nell’ultima
mezz’ora ti risultano ritrovamenti di cadaveri nella zona da
cui sto chiamando?
Ah, ah, sì… ne sei sicura? Va
bene…”
“Allora,
ho una buona notizia e una cattiva. La buona è che Reika
dice che è stato
trovato il corpo della tua misteriosa bella, quella
cattiva…” Kaori disse la
telefonata e, sconsolata, abbassò gli occhi, mentre
arrossiva un po’ e si
mordicchiava il labbro. Ryo ingoiò a vuoto a quella visione,
il pomo di Adamo
che andava su e giù: quel fare innocente di Kaori lo aveva
sempre attizzato da
morire, scatenando in lui i suoi più bassi istinti. Quando
erano stati una
coppia, quando lei faceva così, nove volte su dieci lui
trovava una scusa, una
qualsiasi, e la trascinava da qualche parte per perdersi in quelle
deliziose
labbra, e venerare quelle meravigliose forme femminili.
“Quella cattiva è che
del caso si occupa Kitao Kuwata.”
A
sentire quel nome, Hideyuki quasi si strozzò nel tentativo
di soffocare una
risata, mentre vedeva Ryo mettere la schiuma alla bocca: tutto il mondo
sapeva
quanto quei due si odiassero. Anni addietro, prima di dichiararsi a
Kaori, Ryo
aveva “gareggiato” per il cuore della bella rossa
con l’ex agente
dell’Interpol, e non gli aveva mai perdonato di aver tentato
di rompergli le
uova nel paniere. Inoltre, le voci di corridoio dicevano che era stato
molto, troppo felice di sapere che
Ryo e Kaori
si erano lasciati…
Riluttante,
ma per l’enorme gioia di Kaori, che se la stava ridendo sotto
baffi metaforici,
Ryo salì sulla macchina dei Makimura, sul sedile posteriore
come un ragazzino;
un quarto d’ora dopo, trovarono una zona pattugliata da
agenti in divisa, e
scesero dall’auto, e non appena fatto, avvertirono subito le
urla maschili e la
stucchevole voce femminile, civettuola.
Hideyuki
abbassò il capo, mettendo il broncio: detestava quando lei faceva così.
“NON
AVETE L’AUTORITÀ PER PRENDERE IL CONTROLLO DI
QUESTA INDAGINE!”
“Ma
suvvia, Kitao… siamo qui su ordine del Capo Nogami in
persona!” la donna gli
rispose, svenevole. “Non vuoi far arrabbiare il mio paparino,
vero?”
“NON
ME NE IMPORTA NULLA! IL CASO È MIO!”
Il
battibecco andò avanti per un tempo che parve lunghissimo,
con il trio di
poliziotti che, appoggiati al veicolo rosso, ascoltavano il tira e
molla,
nemmeno fosse stato un match di tennis giocato sul più
importante campo del
mondo; poi, ad un certo punto, la donna non ne poté
più, perse la calma, sua
proverbiale dote, e prese direttamente ad urlare.
“INSOMMA,
ISPETTORE KUWATA! LE HO DETTO CHE IL CASO SARÀ DI NOSTRA
COMPETENZA DA QUESTO
MOMENTO IN POI! NON È TANTO L’IDENTITÀ
DI QUESTA DONNA AD ESSERE IMPORTANTE,
QUANTO…. QUANTO…. QUELLA DEL PROPRIETARIO DI
QUESTO TERRENO!”
Ryo
alzò un sopracciglio, stupito: la bella Saeko stava
improvvisando, era evidente
– non poteva aver già scoperto di chi fosse quel
terreno, lungo una
tangenziale, e di certo non poteva sapere se quella persona fosse davvero potenzialmente coinvolta. Ryo
prevedeva guai, stavolta gliel’avrebbe fatta pagare cara,
minimo lo avrebbe
obbligato a fare da baby-sitter a quelle terribile creature che erano
le
sorellastre di Saeko, di anni sei, per mesi,
e lui non lo aveva ancora capito bene il motivo, ma le Nogami- tutte e
cinque-
adoravano complicargli la vita e metterlo nei casini,
un’attività in cui Ryo
eccelleva già da solo, senza bisogno
dell’intervento di terze parti.
Dopo
aver vinto la diatriba, dopo alcune insistenze da parte
dell’altro ispettore,
Saeko si voltò, e sui tacchi alti si diresse a passo
marziale verso Ryo; alzò
una mano, e con l’indice gli mostrò una zona
dall’altra parte della strada.
Mogio, come un cane bastonato, sospirando, l’uomo
eseguì.
“Si
può sapere cosa diavolo sta succedendo, Ryo?”
Saeko lo accusò, mani sui
fianchi. Il volto pallido era rosso, chiara indicazione di quanto fosse
innervosita. “Ho dovuto fare il nome di mio padre per mettere
a tacere quella
testa calda di Kuwata, e adesso puoi star certo che me la
farà pagare cara!
Allora, cos’hai da dire a tua discolpa?”
“Ma,
ma io veramente ho già detto tutto a Maki e
Kaori…” Disse, dicando la coppia
che era rimasta dall’altra parte della strada; Hideyuki
guardava Ryo provando
pena per lui, Kaori invece aveva tutta l’aria di essere
esasperata, sembrava
una maestrina di scuola pronta a sgridare l’allievo, quasi
una cosa dal genere
da lui se la fosse aspettata- ed effettivamente, Ryo tendeva ad essere
una
calamita per due cose in particolare: guai… e donne!
Sinceramente, era stupita
che intorno a lui non fossero iniziati a fioccare cadaveri femminili
prima,
visti i giri che comunque lui frequentava, con la scusa di parlare con
i suoi
informatori…
“Vorrà
dire che lo ripeterei anche a me, e lo farai anche una seconda volta e
una
terza se sarà necessario, hai capito?!” Saeko lo
istruì. “Allora?”
“Beh,
allora…” Ryo iniziò, sbuffando e
grattandosi la chioma scura. “Beh, sai che la
Mini ultimamente fa le grane, e allora io ho pensato di andare a
prendere la
Panda, perché avevo i biglietti per la finale di campionato.
Ma quando ho
aperto il garage mi sono trovato sul cofano un cadavere…
donna, capelli neri
lunghi, non più giovanissima, direi sulla cinquantina
abbondante. Sono andato a
telefonarti e quando sono tornato il corpo non era più
lì ma era qui!”
“Ryo,
perché mi sembra che tu stia prendendo questa cosa poco sul
serio?” Saeko gli
domandò, leggermente esasperata. Disillusa,
lasciò cadere il capo in avanti,
mentre Ryo ridacchiava, e non per la prima volta da quando lo conosceva
si
chiese come un uomo potesse essere al contempo un tale bravo poliziotto
e un
totale cretino. “Vai.”
“Ehm…
è il tuo modo di dirmi che sono licenziato?” Le
chiese, mani giunte in
preghiera, e vide salire la collera sul volto della donna.
“NO
RYO, È IL MIO MODO DI DIRTI DI TORNARE SULLA SCENA DEL
CRIMINE! KAORI!
HIDEYUKI!” Li chiamò ad alta voce, digrignando i
denti come un cane feroce che
non aveva la benché minima intenzione di mollare il suo osso
preferito.
Hideyuki la raggiunse, mogio, prevedendo guai dato che il suo
partner/migliore
amico aveva fatto casini, mentre invece Kaori continuava a guardare Ryo
storto,
ritenendolo il solo responsabile di tutto quel casino in cui adesso si
trovavano. ”Kaori, Ryo ti consegnerà il suo
cellullare, ci sono delle immagini
del cadavere e del garage, salvale e vedi se ci dicono qualcosa, ma
prima vieni
con noi, ci servirà aiuto da qualcuno che sappia come
comportarsi su una scena
del crimine. Hideyuki, cerca di parlare con Kuwata, fatti passare le
informazioni
che hanno già raccolto.”
“E
a Reika, cosa diciamo?” Ryo domandò; mentre
pronunciava il nome della bella
collega- nonché sorella minore di Saeko – il
detective guardò, sinistro e
malevolo, la sua ex, per saggiarne le reazioni: Kaori e Reika non si
erano mai
sopportate, perché la Nogami aveva una vera e propria ossessione per lui, fin da quando si
erano conosciuti, tramite
Saeko, aveva tentato il tutto per tutto per infialarselo nel letto, ma
Ryo
aveva sempre resistito. Che alla fine fosse stata Kaori a farlo
capitolare alla
collega non aveva fatto piacere, lo aveva visto quasi come un affronto,
e si
era comportata come un’amante respinta ed abbandonata, e ci
era voluta una
sonora sgridata da parte del padre e della sorella maggiore per farla
comportare di nuovo come un’adulta responsabile, ed i loro
rapporti si erano
fatti così amichevoli che, quando Kaori se n’era
andata, nella loro unità era
proprio Reika che era sopraggiunta, dimostrandosi una valida aggiunta.
“Per
adesso lasciamola fuori, meno persone sanno che ti sei messo in questo
casino
meglio è.” Saeko affermò mentre si
incamminava verso la sua auto; si aspettava di vedere Ryo e Kaori alle
sua
calcagna, pronti a salire sul bolide fiammante, ma sollevò
un sopracciglio
quando vide la giovane poliziotta stava offrendo il palmo al suo ex,
che
fischiettava facendo finta di nulla.
“Ryo,
dammi il tuo telefono, e mi serve il codice di sblocco.”
Kaori, imperturbabile,
gli disse. Ryo sospirò, triste come un cane bastonato: no,
non si arrabbiava a
sentire parlare di Reika. Non era gelosa. Per nulla. “Adesso.”
“No,
guarda, te le mando… sai, potrebbe servirmi per
lavoro… eh, eh, eh…”
“Se
hai paura che trovi qualche maialata, non preoccuparti. Vorrei
ricordarti che a
vent’anni convivevi con mio fratello e me, e che ero io ad
occuparmi delle
pulizie in casa, mentre tu non sei mai stato esattamente ordinato o
riservato…
dopo aver visto la tua collezione di giornaletti porno sul tavolo del
salotto,
non mi spavento più di nulla.” La donna
sospirò, mentre un brivido, e non certo
di piacere, le percorse la schiena: quante volte, da ragazza, aveva
dovuto
mettere da parte, nascondere, le riviste sconce che quel cretino
lasciava in
giro, per non parlare di quando aveva acceso il televisore ed era
partito un
film porno! Ancora adesso, a distanza di anni, si chiedeva cosa le
fosse
passato per la testa di innamorarsi di lui. “Dai, Ryo, mi
serve il telefono per
fare l’autenticazione delle immagini!”
Occhi
bassi, arrossendo timido, Ryo dette il telefono – nuovo di
zecca - alla donna,
e borbottò il codice.
“Come
hai detto, Ryo? Non ho capito…”Gli
domandò, con occhi sgranati e luminosi.
“Ah,
uh…” Ryo si grattò il mento, su cui era
già ricresciuta leggermente la barba.
“Beh, ecco, è tre uno zero tre. Ma, ma non
leggerci più di tanto, eh… insomma,
è che, è sempre lo stesso. Lo sai che io non ho
mai avuto una buona memoria,
eh, eh, eh…”
Kaori
arrossì, nonostante non lo volesse, e le apparve un
sorrisetto felice e
soddisfatto sul suo viso, che non riuscì a reprimere
nonostante non volesse
certo dare soddisfazione a Ryo; per
un
attimo, uno solo, il suo cuore fu tempestato dai ricordi, dai bei
momenti
passati accanto a Ryo, e quasi – quasi - volle piangere, e
forse, se fosse
stata una donna diversa, se le cosse fossero state diverse tra di loro,
lo
avrebbe fatto.
Tre,
uno, zero, tre.
Trentuno
zero tre.
Trentun
marzo: il giorno del suo compleanno.
Sorridendo,
Kaori fece finta di nulla, immaginando che forse quella discussione
sarebbe
stata troppo complicata… inoltre, non era certa di volerne
parlare, sapere cosa
Ryo volesse esattamente da lei, ora che era tornata - non quando lei
aveva
finalmente trovato un uomo meraviglioso che la amava come lei meritava.
Inoltre,
quelle parole che lei gli aveva detto il giorno in cui le loro nozze
erano
sfumate continuavano a perseguitarlo, e difficilmente se le sarebbe
scordate, e
per quanto fosse stato ferito nell’orgoglio, il suo affetto
per la piccola
Makimura era tale che non avrebbe mai potuto negarle qualcosa. Non era
mai
stato capace di resistere a Kaori, aveva sempre finito per cedere alle
sue
richieste, anche prima che divenissero una coppia, e non sarebbe stato
certamente diverso ora che l’argomento che avrebbero forse dovuto trattare, ma che entrambi
avrebbero certamente evitato come
la peste, era il loro tumultuoso rapporto sentimentale.
La
convivenza non fa per te, Ryo. Sì,
stare con me ti è piaciuto, e lo so che mi vuoi bene,
ma… quanto resisteresti
da sposato? Io voglio
sposarmi,
Ryo, e… e avere dei bambini e non credo che tu sia pronto, o
che tu….. che tu
voglia la stessa cosa, anche se hai cercato di accontentarmi. Forse
dovremmo
vedere quello che è successo come un segno e
prenderci una pausa, fare un passo indietro…
ritornare al tempo in cui
eravamo solo… solo amici e colleghi. Credi che sia
possibile? Io non voglio
perderti, tu sei sempre stato il migliore amico mio e di
Hide…
Mentre
il poliziotto era perso nei suoi pensieri e rammentava il passato,
Saeko arrivò
sulla vera scena del crimine con la
sua auto, mentre Ryo e Kaori la seguirono con quella di Hideyuki, che
aveva
chiesto un passaggio ad un collega. Trovarono il garage aperto, e
controllato
su tutti i lati da agenti in divisa; mani in tasca, Ryo
entrò, seguito da Saeko
e Kaori; con un pigro movimento del mento, indicò un piccola
porta, posta sul
retro della struttura, semi-nascosta dietro scatoloni e sacchi neri
ricolmi di
ciarpame vario.
“Quella
porta era chiusa quando sono arrivato. Devono averla portata via da
lì.”
Kaori
si incamminò verso l’apertura; indossò
i guanti bianchi di vinile, e,
appoggiata la sua valigetta metallica a terra, si chinò,
esaminando la
serratura. “Non è stata forzata. Dovevano avere
una chiave.”
“Toshio
ha preso un permesso, è in America... la sua fidanzata si
sta curando a Los
Angeles e lui l’ha raggiunta.” Ryo
spiegò, guardando Saeko, prevedendo le
domande successive. “Il contratto di affitto però
non gli scade ancora per più
di un anno, e voleva avere un posto in cui tornare, anche solo per
passarci le vacanze,
magari, e così gli ho chiesto se potevo almeno subaffittare
il garage, dato che
io da me ho un solo posto macchina…”
“Evidentemente il
padrone di casa non aveva
cambiato le serrature come dovrebbe…” Kaori li
raggiunse, sospirando; in mano
aveva tre schedari per le impronte digitali. “Ho trovato tre
serie di impronte,
quelle di Toshio e Ryo sono nel sistema, quindi potremo facilmente
escluderli.”
“Guarda
che non sono un completo idiota, io quella porta non l’ho mai
toccata!” Ryo le
sibilò, prima di sospirare e grattarsi il capo. Mani sui
fianchi, si fece
serio. “Mando una mail a Toshio e mi faccio dare il nome ed
il numero del suo
padrone di casa, avremo bisogno del nome dei precedenti inquilini.
Magari
qualcuno si è tenuto le chiavi o si è fato una
copia prima di fare le valigie.”
“Io
vado dal coroner, così appena saprà anche solo la
minima cosa saprò
riferirtela, e intanto inserisco le impronte nel sistema. Non sia mai
che sia
qualcuno di già registrato!”
Saeko, con un sorriso
magnanimo, guardò i due
poliziotti; per quanto Ryo potesse essere rozzo,
era bravo nel suo lavoro, e
quando
entrava in modalità di indagine non lo fermava nessuno. E se
si trattava di
lavorare con Kaori… la cosa si capiva ancora di
più. Insieme erano perfetti,
una vera macchina rodata, e la donna non seppe se essere grata o meno
che la
loro relazione si fosse conclusa, perché sì,
insieme erano stati felici e
passionali, ma almeno erano riusciti a salvaguardare la loro
integrità
professionale.
“Beh,
allora visto che siete così in gamba
a
lavorare da soli, vi lascio qui ad arrangiarvi!” E
così dicendo, fece loro
l’occhiolino, mentre saliva in macchina; Kaori
arrossì, mentre invece Ryo
guardò la donna, sbattendo le palpebre, come se quasi non
capisse cosa la donna
stesse dicendo, anche se aveva la netta impressione che
l’amica, che aveva
sempre compreso cosa davvero Ryo provasse per Kaori - una forte
attrazione
prima divenuta un sentimento più profondo poi.
“Ehm,
allora andiamo, socia?” Ryo le domandò, salendo in
macchina, dal lato
guidatore. Sbuffò, sbattendo leggermente la testa contro il
tettuccio, il
veicolo decisamente piccolo per uno come lui che era molto
più alto del
giapponese medio. “Ehi, dalle foto, non ti sembrava una
faccia nota? Aveva un
qualcosa di famigliare, non trovi?”
Finestrino
abbassato, Ryo si accese una sigaretta. Guidava con un braccio
appoggiato alla
portiera, tenendo l’altra mano saldamente sul volante.
Intanto, una canzone
d’amore riempiva l’abitacolo, le dolci note che
placide lasciavano l’autoradio.
Kaori sospirò, mogia ed imbronciata, guardando fuori dal
finestrino – mai come
in quel momento, dal suo ritorno,
aveva
avvertito una scarica di corrente tra lei e Ryo. Dovette guardare
l’anello che
portava al dito per ricordare che aveva un compagno, e che
quell’uomo non era
più Ryo- che avevano fatto entrambi le loro scelte.
“Sarà
una delle tue ex. Ne hai talmente tante che nemmeno le ricordi
tutte!” La donna
sbuffò. Ryo fece schioccare la lingua contro il palato,
stringendo il filtro
tra i denti, compiaciuto.
“Sei
gelosa, Kaori?” le domandò di nuovo. Stavolta
però la voce era dolce, morbida-
come se stesse esprimendo un desiderio, più che fare una
domanda.
Lei
alzò il naso all’insù, proprio come
quando era ragazzina, e lui sorrise,
malinconico.
Gli
era mancata, come l’aria, come l’acqua, ma sapeva
che se avesse tentato di
alzare l’asta, se ci avesse provato, se le cose fossero
andate male, l’avrebbe
potuta perdere, e non sapeva se osare, se allungare quella mano e
cercare di
sfiorarla, toccare le gote arrossate e delicate dal profumo e dalla
consistenza
di una pesca matura.
I
due entrarono nell’edificio dove aveva sede
l’ufficio di medicina legale ed i
laboratori della scientifica: Kaori, borsa in spalla,
si diresse verso questi ultimi, per chiedere che
le impronte venissero esaminate, ma prima che potesse dividersi da Ryo
l’uomo
la tenne ferma, afferrandola per un lembo del giubbotto di jeans color
panna.
“Senti,
perché non vai tu a parlare col medico legale, eh? Io tanto
lo sai che non ci
capisco nulla di queste cose, eh, eh, eh…”
La
donna sollevò un sopracciglio. Rimasero in silenzio, senza
smettere di
guardarsi, e Ryo non sembrava cambiare espressione, e Kaori dovette
ammettere
che quella faccia, lei, la conosceva bene. Gliel’aveva vista
addosso decine di
volte. Ryo l’aveva fatta un’infinità di
volte, a Maki, quando aveva bisogno di
essere salvato in un particolare frangente: donne.
Ed
uno dei medici legali di cui si serviva il loro dipartimento era una
donna,
Kazue Natori, che, come tante altre donne- quasi tutte, a dirla tutta-
aveva un
debole per Ryo. Tanto per cambiare.
“Dio
santo onnipotente, Ryo…” la donna
sospirò, portandosi una mano alla fronte.
“Non riesco a credere che tu ti sia fatto pure il medico
legale…”
“Oddio,
no, non me la sono portata a letto, ma sai, abbiamo avuto un paio di
appuntamenti, e sai com’è… eh, eh,
eh…”
“Hai
trovato un’altra pupattola e ti sei scordato di
lei.” Gli rispose alzando gli
occhi al cielo. Senza aggiungere altro, stringendo di denti, Kaori gli
passò
accanto, dandogli una spallata; Ryo la seguì, come un
cagnolino fedele,
godendosi al contempo la celestiale visione del didietro della sua ex
fasciato
in quei bei jeans chiari.
“Buon
pomeriggio, Kazue!” Kaori cercò di suonare
allegra, vivace e amichevole quando
giunse alla fine del corridoio; entrò nella sala autopsie,
che era già stata
ripulita, e trovò la donna dai lunghi capelli castani
appoggiata ad uno
schedario. Vestita elegantemente, stava finendo di compilare una
checklist.
“Immagino che l’Ispettrice Nogami ti avesse
già avvertita del nostro arrivo!”
“Proprio
così!” Kazue sorrise, e dette una controllata
veloce a cosa aveva scritto;
firmò con un ghirigoro svolazzante, e poi porse i fogli a
Kaori, senza mai
smettere tuttavia di guardare lui,
che si nascondeva dietro alla schiena della partner come un bambino
spaurito.
“Ryo… come mai non mi chiami più? Mi
manca tanto uscire con te…”
“La
vittima è morta sei-otto ore prima di essere ritrovata in
quella scarpata...
rottura del collo con conseguente frattura della spina dorsale che ne
ha
portato al decesso.” Kaori lesse ad alta voce, senza mai
smettere di guardare
quei due cretini con la coda dell’occhio; Ryo continuava a
nascondersi, Kazue
continuava a fare la svenevole, entrambi era come se non la vedessero e
lei sarebbe
volentieri voluta essere altrove, magari su una spiaggia tropicale con
il suo
ragazzo. “La vittima è… Cavolo, ecco
perché ti sembrava di conoscerla! Si
tratta di Keiko Oohara, l’attrice per cui tu andavi
matto!”
“Cosa?
Accidenti, certo che è invecchiata malaccio, eh, dimostra
minimo dieci anni in
più di quelli che ha!” Ryo, grattandoli il capo,
si avvicinò a Kaori, ed
esaminò le immagini: non c’era nulla della donna
giovane ed affascinante dietro
cui aveva sbavato poco più di dieci anni prima.
“Non che me ne meravigli,
l’industria l’ha presa a calci nel culo quando
è uscito fuori che aveva taciuto
i sospetti sulle attività omicide del suo
fidanzatino…”
“Sì,
ricordo! Era stato il padre di Saeko ad arrestarlo, vero?”
Kaori gli domandò,
chiudendo la cartellina con un colpo deciso.
“Già,
insieme al tuo fratellone! Il primo caso importante
dell’agente Makimura!” Ryo
le fece l’occhiolino, sorridente, ricordando quel caso; lui
non aveva seguito
le indagini, all’epoca membro di un’altra
unità, ma aveva letto dell’accaduto,
anche perché aveva adorato Keiko, un’artista tanto
bella quanto brava che dalla
vita avrebbe meritato molto di più.
“Altro?”
“Niente,
era pulita, anche se dai denti e dal setto nasale si evince un passato
uso di
stupefacenti. Però c’è una cosa
interessante, guardate qua…” Kazue gli disse,
aprendo il rapporto ad una pagina in particolare e segnando con
l’indice
smaltato di rosso un paragrafo del suo rapporto preliminare.
“Tra le sue cose
hanno trovato un’ecografia, sua, di cinque anni fa, anche se,
curiosamente, lei
ora ha le tube
legate. Non poteva più
avere figli!”
“Strano
davvero… faccio uno squillo a Maki. Qui forse abbiamo un
indirizzo.” Ryo alzò
un sopracciglio, ed intanto guardò lo scarno contenuto della
borsa di plastica
trasparente su uno dei tavoli: gli effetti personali della vittima. Non
c’erano
chiavi, ma una patente sì, su cui spiccava
l’ultimo indirizzo noto della donna
– era in una zona di Shinjuku che ritenere orripilante era un
eufemismo. Droga,
prostituzione, traffico di armi, persone, corse clandestine, merce
rubata… un
vero paradiso, per una donna come lei che era abituata a vivere in zone
ben più
belle. “Gli dico di andare a dare un’occhiata e
fare quattro domande in giro.”
“Io
intanto vado a inserire queste impronte nel database e vedo se esce
qualcosa!”
e mentre lo diceva, Kaori era già praticamente fuori dalla
porta, con la
cartelletta con le prove al petto. Ryo quasi cadde, perdendo
l’equilibrio, per
guardarla incedere con quel suo corpo meraviglioso, che per tanti anni
aveva
inondato i suoi pensieri, i suoi sogni, e che ancora lo faceva -
quattordici
mesi e cinque giorni. Tanto era passato dall’ultima volta che
l’aveva baciata,
quella che sarebbe dovuta essere la mattina del loro matrimonio. Kazue
scoppiò
a ridere, la sua risata delicata, femminile, tutta un’altra
cosa rispetto a
quella di Kaori, che era sempre stata vera, forte, di pancia,
contagiosa. Che
gli aveva sempre riempito il cuore.
“Si
vede che sei ancora cotto di lei!” La donna lo
pungolò; gli andò alle spalle, e
gli gettò le braccia al collo, punzecchiandolo con
l’indice destro; nonostante
il lavoro, Kazue aveva mani curate, dalla manicure francese,
l’opposto di
Kaori, che guardava più al lato pratico che a quello
estetico delle cose.
“Secondo me dovresti dirle qualcosa… la dolce
Kaori sembrava leggermente
gelosa…”
“Ma
figuriamoci!” Ryo sbuffò con falsa noncuranza, il
cellullare all’orecchio. “Ha
un altro e si sta pure per sposare!”
“Si,
ma mica è già sposata, hai ancora tempo per
conquistarla, stallone!” la donna
ridacchiò. “E di solito quando ti metti in testa
qualcosa tu la ottieni
sempre…”
Ryo
si staccò dalla bellezza, sollevando gli occhi al cielo, e
lasciò la stanza,
salutando la donna con un pigro gesto semplice, solamente alzando la
mano in
aria. Sviolinò le informazioni che aveva a Hideyuki, mentre
camminava per i
corridoi asettici, bianchi, e si guardava intorno. Quante volte era
andato lì a
trovare Kaori, quando stavano insieme? Per portarle fiori o un
dolcetto, o
anche solo lasciarle un bacio (o un caffè) quando faceva
tardi…
Ogni
angolo parlava di lei.
Ogni
angolo parlava di loro.
Tutto
gli ricordava come fosse stato stupido a lasciarla andare e non lottare
più
strenuamente per portare avanti il loro rapporto - ma forse
c’era ancora tempo,
una speranza. Lei ed il suo bello non avevano ancora fissato una data,
Kaori
era, se non single, ancora libera, da un certo punto di vista. Se
avesse fatto
attenzione… giocato bene le sue carte… magari
Kaori gli avrebbe dato un’altra
possibilità.
Ma
se la meritava? E lui… la voleva davvero? Doveva ammettere
che lei aveva avuto
ragione: quando l’argomento matrimonio era venuto fuori, lui
aveva premuto
perché le cose venissero velocizzate perché
c’era una parte di lui che temeva
che, se avessero tergiversato, avrebbe finito per mandare tutto a
puttane e
rovinare la cosa migliore che gli fosse mai capitata.
Alla
fine, però, tutto era andato a incasinarsi comunque, e lei
lo aveva comunque
lasciato. Adesso erano amici: gli sarebbe bastato? Ancora non lo
sapeva. Francamente,
ne dubitava.
Vide
Kaori seduta quella che era stata un tempo la sua scrivania, quella che
aveva
occupato prima di andare a quel maledetto corso e di passare
all’investigativa
con lui e Maki, stava ridendo, felice, scherzando con delle colleghe.
Gli
era decisamente mancata, realizzò con un sorriso. I mesi
senza di lei erano
stati vuoti, bui, tutti uguali, ma lei era come una sferzata di aria
fresca e
pulita, di vitalità. Lei lo spiazzava, in senso buono.
“Ehi,
Sugar, hai qualcosa per me?” le domandò,
appoggiandosi allo stipite della
porta, sigaretta spenta in bocca. La camicia bianca aderiva
perfettamente al
suo possente torace, e la visione lasciò le ragazze del
laboratorio a bocca
aperta.
Piaceva
alle donne, lo sapeva. E se per riavere Kaori avrebbe dovuto prima
sedurla,
beh, sarebbe ricorso anche a quel trucchetto, se fosse stato necessario.
“Ehm,
ecco, sì. Più o meno.” La donna
balbettò, arrossendo. “Ci sono le impronte di
Toshio,
del padrone di casa che è schedato per precedenti contro il
patrimonio
nazionale, e quelle di un terzo individuo non schedato.”
“Che
iella! Mai che siano tutti schedati i criminali! Giuro che a volte non
mi
dispiacerebbe che tutta la popolazione mondiale fosse registrata,
sarebbe tutto
più semplice per noi poveri sbirri!” Ryo
sospirò, aggiungendo più pathos del
dovuto a quella sua affermazione. “Eh, speriamo che tuo
fratello trovi qualcosa
a casa della vittima!”
“Beh,
intanto io ho trovato qualcosa!” Kaori gli rispose,
sorridente e fiera, mani
giunte sotto al mento, i gomiti sulla scrivania. “So che fine
ha fatto il
bambino e come mai la nostra ex attrice aveva le tube
legate!”
“Ah
ma allora tu e la tua famiglia avete davvero la stoffa dei poliziotti,
piccola
Sugar!” la prese in giro. Ryo si sedette su uno sgabello, e
mise i piedi sulla
scrivania, in pratica quasi in faccia a Kaori, incrociando le mani sul
ventre.
“Allora, sentiamo, cosa ha scoperto la nostra dolce e bella
poliziotta?”
“Quanto
sei scemo, Ryo!” Lo prese in giro, arrossendo, dandogli un
colpo con le mani
per fargli mettere i piedi nel luogo in cui appartenevano, per terra.
“La
Oohara dopo la fine della sua carriera di attrice ha iniziato a fare la
madre
surrogata, ma la cosa è stata breve perché il
primo bambino è nato con problemi
di dipendenza, il secondo così prematuro che non visse che
due giorni. I
servizi sociali presentarono un ordine del tribunale in cui veniva
imposto al
medico di legarle le tube, per evitare altre gravidanze.”
“Quindi
lei si era ripulita, e l’orologio biologico aveva preso a
ticchettare…. Ma solo
nella sua mente.” Ryo sospirò, prendendo tra le
mani la bustine delle prove
contenente la foto del feto. “Tu cosa avresti fatto, nei suoi
panni?”
“A
parte non riempirmi di droga e mettere a rischio la vita di due
bambini?” Lei
gli domandò, leggermente alterata, stringendo i pugni. La
maternità era sempre
stata un suo sogno, seppure tutti l’avessero sempre trattata
alla stregua di un
maschiaccio. Amava i bambini, e non concepiva come una madre potesse
svergognare il suo corpo in quel modo, mettendo in pericolo il suo
stesso
sangue.
Ma
forse, nessuno più di lei si sarebbe dovuta stupire di una
cosa simile- aveva o
no il suo vero padre assassinato la moglie quando questa
l’aveva lasciato,
scappando con le due figlie? Lei e Sayuri si erano poi perse di vista,
finendo
in due case-famiglia diverse, e la sorella era stata adottata in
America,
mentre il poliziotto che si occupava del caso aveva preso lei in affido.
Il
suo vero padre era un assassino: lei avrebbe protetto una vita sua con
le
unghie e con i denti.
Ryo
le lanciò un sorrisetto, mentre nella mente di Kaori si
accese una lampadina.
“Il
bambino!” La giovane esclamò, radiosa, fiera del
suo intuito. “Lei voleva il
bambino!”
“Tombola,
partner!” Ryo le fece l’occhiolino, facendo il
gesto della pistola verso di
lei, nemmeno fosse stato un pazzo pistolero del vecchio west.
“Eh, è un vero
peccato che avesse fatto tutto tramite un agenzia illegale, anche
se...”
“Potrebbe
aver comunque aver avuto un avvocato di riferimento, una qualche
agenzia che
lavorasse sotto banco.” Kaori sospirò, pigramente
e distrattamente pigiando un
po’ di tasti a caso sul suo computer, un po’ triste
e scoraggiata: si sentiva
come quando si facevano tre passi avanti, e cinque indietro. Sapere
quelle
cose, serviva loro qualcosa? Non ne era certa. “Certo,
potremmo fare una lista
di tutte le famiglie che nell’anno della nascita del bambino
della vittima
abbiano interrotto i contatti con le agenzie ufficiali, ma sai quante
famiglie
saranno, in tutto il Giappone?”
Sospirarono
entrambi. Kaori si voltò sulla sua sedia girevole- o almeno,
ciò che, in quella
che le sembrava essere un'altra vita, era stata sua
- e riprese a lavorare al computer, inserendo le impronte
misteriose anche in altri database a cui l'accesso non era automatico
ma
richiedeva procedure più lunghe; intanto, Ryo
continuò a guardarla, in quel
silenzio che veniva solo interrotto dal suono di una centrifuga del DNA
che,
per conto di una collega, avanzava nei procedimenti di scissione ed
analisi
delle molecole.
Eppure,
quel suono non lo disturbava, anzi, Ryo si beava di quella pace
apparente.
Perché Kaori era nel suo ambiente, era lei, e per un attimo,
si permise di
fantasticare di non aver accettato quando lei gli aveva chiesto una
pausa di
riflessione, per capire cosa entrambi volessero dalla vita.
Cosa
lei volesse Ryo non lo sapeva, ma era certo che era lei che lui voleva. E non certo solo per
scaldargli il letto o fargli da domestica, come una volta, nervosa dopo
un paio
di bicchieri di troppo, lei gli aveva rinfacciato.
Ryo,
perso nella visione del ricciolo rosso alla base della nuca, che
brillava per
una goccia di sudore che lo imperlava per la intera lunghezza,
aprì lo bocca
per parlare, ma fu interrotto da una notifica, una mail proveniente da
Saeko
stessa.
“Beh,
nulla di strano che la nostra bella attrice sia stata trovata
lì… anni fa
abitava in quella casetta!”
“Fai
vedere!” allungandosi verso di lui, gli rubò il
telefono di lavoro, e fece
scorrere fino a
raggiungere quello che
voleva; Ryo la fissava con gli occhi sgranati, cercando disperatamente
di
nascondere il bruciante desiderio che aveva provato
nell’istante in cui lei era
stata così vicina da permettergli di sentire il suo profumo
di vaniglia nera.
La
povera anima perduta aveva sì vissuto lì, ai
tempi della sua gravidanza, ma lei
appariva solo come abitante del
palazzo, non come affittuaria: quel nome, decisamente maschile,
apparteneva ad
uno degli avvocati più squattrinati della città,
tale Ace Toshiba,
specializzato in diritto di famiglia, con numerose sospensioni della
licenza
per violazioni dell’etica professionale.
Un
poco di buono, in poche parole. Che, probabilmente, aveva la chiave
dell’appartamento che aveva affittato.
“Che
dici, andiamo a fare una visita al tipo, partner?” le
domandò. Ryo le
sorrideva, e a Kaori il cuore perse un battito – ma solo uno.
Si disse che era
l’abitudine, che era il suo corpo, il suo essere, che
ricordava il passato. Una
sorta di riflesso pavloviano, null’altro.
Lei
e Ryo erano amici. Erano colleghi. Lei adesso stava per sposarsi
– con un uomo
che più diverso di Ryo non poteva essere. Ci avevano provato
ma non era andata. Ed
era meglio così: meglio bruciarsi
all’inizio, salvare il salvabile, che farlo poi. Erano stati
d’accordo. E poi,
tecnicamente, mandare a monte tutto era stata una sua idea, quindi non
aveva
senso avere dubbi o ripensamenti o… o essere tradita
così dal suo stesso
essere.
Solo
perché insieme avevano fatto scintille. Solo
perché se la intendevano alla
grande, sul campo, capendosi senza nemmeno bisogno di parlare. Solo
perché lui
era stato il suo primo amore, e aveva riempito i suoi pensieri fin da
quando
era una ragazzina. Solo perché il sesso era sempre stato
meraviglioso,
fantastico, da perdere la testa, e Ryo era sempre stato una amante
attento e
dedito. Solo perché…
“Beh,
ti muovi o no, Kaori? Guarda che non abbiamo mica tutto il
giorno!” Ryo sbottò.
Kaori, destata dai ricordi, il corpo percorso da mille e mille fremiti,
alzò lo
sguardo verso di lui, arrossendo lievemente, sperando che Ryo credesse
che
fosse stata persa in chissà che pensieri e non certo a
ricordare i loro
bollenti incontri.
Lui
la guardò con un sopracciglio alzato e l’aria
confusa, e la donna sospirò
internamente: non l’aveva presa in castagna. Grazie a Dio. Se
Ryo avesse
creduto di avere davvero un’apertura, anche una sola, un
minuscolo spiraglio,
si sarebbe gettato all’attacco, e Kaori non era certa che
sarebbe stata capace
di resistere a dei seri tentativi di seduzione da parte di un uomo da
cui, in
tutta franchezza, si sentiva ancora attratta, per lo meno dal punto di
vista
fisico, e Shinji non si meritava certo di essere cornificato
così, alla vigilia
delle nozze.
“Eh,
si, sì, arrivo!” la donna balbettò,
afferrando la sua borsa e camminando lesta
verso Ryo, che percorreva placido i corridoi dove durante la loro
relazione
aveva rubato più di un bacio alla bella Kaori.
“Certo
che però potresti essere un po’ più
gentile con me, uffa!” la ragazza sbuffò,
mettendogli il broncio mentre gli dava giocosamente una gomitata nel
costato.
“A volte mi fai fare delle figure davvero barbine!”
“Eh
ma mica è colpa mia se tu a volte vivi nel mondo dei sogni,
Sugar!” la prese in
giro, ridendo, usando quel delizioso nomignolo che aveva cognato per
lei quando
Kaori aveva solo, cosa, quindici anni?
Era
stato prima che partisse, con estremo dolore e preoccupazione di Maki,
per uno
scambio scolastico: l’aveva chiamata Sugar Boy
perché era piatta come una
tavola, coi capelli ribelli cortissimi, sempre in tuta da ginnastica, e
con la
passione per gli zuccheri.
Alla
fine dell’anno scolastico Kaori era tornata a casa, e del boy non aveva più nulla; meno
di un anno passato lontano da casa –
e da un ambiente maschile e maschilista – e lei era fiorita.
Il suo corpo era
divenuto aggraziato, slanciato, erano comparse curve da capogiro, aveva
allungato leggermente i capelli e aveva preso ad indossare la gonna. E
lingerie.
Ryo ancora ricordava una volta in cui era andato a trovare Maki, ed era
andato
in bagno… quel giorno pioveva a dirotto, e così
lei aveva steso il bucato in
bagno, nella doccia, ed in mezzo a tutti quei capi, uno in particolare
aveva
attirato l’attenzione di Ryo, che l’aveva sfiorato,
ingoiando a vuoto…
Era
un completo, reggiseno e slip dal delicato pizzo purpureo che
raffigurava
primaverili violette... non era osé, non era esagerato,
eppure trasudava
femminilità, era come un inno al cambiamento effettuato
della ragazza. Ecco, lì
aveva iniziato a sbavarle dietro, a farsi pensieri, ad immaginare: quel
momento
era stato l’inizio della fine.
“Sai,
anche tu sembri perso nei tuoi pensieri…
cos’è, pensi al tuo prossimo
appuntamento? O non sai chi chiamare?” Lo stuzzicò
lei, appoggiando i gomiti
sul tettuccio della macchina. “Kazue sembrerebbe
disponibile… magari potresti
farci un pensierino.”
Ryo
non la degnò di una risposta;
si limitò
a sedersi al posto di guida, piccato, e cambiò discorso,
tornando sui più
sicuri terreni del caso ma soprattutto del lavoro, chiacchierando di
chi era
stato promosso e chi era stato trasferito, chi aveva cambiato
professione, chi
si era sposato…. I cambiamenti avvenuti nei mesi (per lui
lunghissimi) in cui
era stata lontana.
Ryo
parcheggiò la macchina poco distante dalla porta
d’ingresso dello studio
legale, in quella che sembrava a tutti gli effetti una baracca
semi-diroccata,
indicazione che probabilmente gli affari del Toshiba non andavano
così bene.
Con la pistola nascosta sotto alla giacca per non dare
nell’occhio, i due si
diressero verso il campanello, pronti a fare qualche domanda. Prima,
però, Ryo
fece segno a Kaori di fare silenzio, portandosi un dito alle labbra, e
dette
un’occhiata intorno; notò una finestra, da cui
vide il pingue avvocato senza
capelli che stava facendo incetta di fascicoli e allo stesso tempo
riempendo
una logora sacca da viaggio buttandoci dentro capi spiegazzati. Ryo
fece un
rapido giro dell’edificio, e notato come non ci fossero altre
uscite, in barba
alle norme sulla sicurezza, tornò da Kaori, che impaziente
lo stava aspettando
all’ingresso, con le braccia incrociate.
“Alla
buon’ora, si può sapere cosa stavi
combinando?” gli domandò, leggermente
irritata. Lui, di tutta risposta, fece scioccare la lingua contro il
palato, e
si accese l’ennesima sigaretta della giornata.
“Senti, perché non vai tu a fare
due domande all’avvocatuccio? Io ti aspetto qua e mi fumo una
sigaretta!”
Lei
si limitò a guardarlo di brutto, ed entrò nel
palazzo. Suonò alla porta
dell’appartamento che fungeva da ufficio ed attese risposta,
battendo
ritmicamente il piede per terra.
Un
minuto, due, nulla. Suonò di nuovo. Poi suonò
più a
lungo, e alla fine, all’ennesimo tentativo,
la porta si aprì di uno spiraglio, da cui Kaori vide il
faccione rosso a
chiazze di un ometto di mezza età. Senza attendere oltre,
spazientita, gli
Sbattè in faccia il suo tesserino.
“Signor
Toshiba, sono l’agente Makimura. Dovrei farle alcune domande
su una sua ex
cliente, tale Keiko Oohara!”
“Uhm,
sì, sì, certo…”
L’uomo si guardò intorno, divenendo sempre
più paonazzo, il
fiato corto. Kaori sollevò un sopracciglio: prevedeva rogne.
“Potrebbe solo
darmi un attimo? Per…. Per rendermi presentabile?”
“Sì.”
La donna sibilò, anche se, nel momento stesso in cui
l’uomo chiuse la porta
sbattendogliela in faccia, capì cosa volesse fare, e
comprese perché Ryo fosse
voluto rimanere fuori, e la sua teoria fu resa ancora più
verosimile dal rumore
concitato che sentì provenire dall’interno
dell’ufficio.
Piano
B, pensò
sospirando, girando sui tacchi e andando a cercare Ryo, anche se aveva
una vaga
idea di dove potesse essere; lo trovò infatti nel vicolo,
che guardava con un
sorriso sornione e un po’ malevolo l’avvocato, che,
inginocchiato a terra e
circondato da carte svolazzanti, batteva i denti, gli occhi fissi sulla
Python
di Ryo, la pistola non di ordinanza che lui si ostinava a portare
perché
metteva molta più soggezione di quella cosetta
minuscola da femminucce che i colleghi avevano in dotazione.
Lei
si limitò ad alzare un sopracciglio, guardandolo come se lo
stesse
silenziosamente rimproverando dall’alto della sua
maturità ed esperienza.
Lui
scoppiò a ridere, godendosi quel tipo che, improvvisamente
impallidito, aveva
solo più da farsela addosso.
“Ehi,
Kaori, hai visto, ho raccolto la spazzatura… e tu che dicevi
che me ne occupavo
mai!”
Lei
ridacchiò, scuotendo lievemente il capo, ed intanto prese
dalla tasca le
manette, assicurandole ai polsi dell’uomo, che non sembrava
in grado di
distogliere lo sguardo dalla pistola del poliziotto.
“Toshiba
ha cantato come un usignolo. La
Oohara aveva deciso di chiedere l’affidamento del bambino,
anche perché
l’adozione da parte dei genitori non era stata esattamente
regolare. Toshiba ha
capito che per lui sarebbero stati guai, che tutti i suoi intrallazzi
sarebbero
venuti a galla e allora l’ha uccisa, strozzandola. Nel
cruscotto, in mezzo a
tutto il resto, aveva ancora le chiavi di quell’appartamento,
e ha pensato di
nascondere lì il corpo, ma poi gli è venuto il
dubbio che qualcuno avrebbe
potuto collegarlo a lui, e allora l’ha spostata. Non aveva
nemmeno pensato che
qualcuno l’avesse trovata.” Saeko gli disse
più tardi nel suo ufficio.
Era ormai notte, e nell’open space che
accoglieva la squadra investigativa era calato un quasi totale
silenzio. Non
c’era il brusio che la riempiva di giorno, giusto il rumore
della
fotocopiatrice, leggero, indicazione che forse una persona oltre a loro
era
rimasta- Ryo immaginava che fosse maki, che stesse aspettando che Saeko
se ne
andasse per accompagnarla a casa, o fermarsi
a mangiare da qualche parte.
Le
veneziane che
davano sulle scrivanie degli agenti erano abbassate, mentre invece
erano alzate
quelle che davano sulla città, facendo entrare le mille luci
di Shinjuku dentro
alle quattro mura, i neon rossi e blu che creavano giochi di luce sul
viso
dell’affascinante poliziotta. Ryo era rimasto in silenzio, le
caviglie
incrociate sulla scrivania, e guardava fuori.
Quello
era il suo
mondo. Quello era il suo ambiente, il luogo dove provava, ogni notte, a
dimenticare le tribolazioni del suo cuore che non voleva ammettere una
verità
che la sua mente aveva compreso già da tempo.
Lei
non era più sua.
“Ryo,
perdendo un
cadavere avresti potuto passare dei guai seri, e se non ci fossi stata
io,
forse avresti passato un brutto quarto d’ora, lo sai
vero?”
“Sì,
sì, lo so,
tranquilla.” L’uomo alzò gli occhi al
cielo, sbuffando. “Allora, cosa devo fare
per farmi perdonare?”
“Oh,
nulla,
giusto due cosette!” Lei esclamò, sorridente,
passandogli un foglio stampato di
fresco. Al centro, scritti a caratteri cubitali, gli articoli di una
lista…
SAEKO:
DUE BOTTIGLIE DI BLACK OPIUM (PROFUMERIA METSUO)
REIKA:
UNA CASSA DI MERLOT MARKIO (VINERIA SANTORI)
KAORI:
FOULARD DI SETA ETRO CON PROFUMO (CHEZ ERIKO)
MAKI:
COMPLETO CON CAMICIA (DA
TETSUO) E
SCARPE (NEGOZIO KAWASAGI)
“Cosa?
Solo
perché mi sono perso, per puro
caso,
e per motivi che non dipendevano da me, un cadavere? Tutta questa roba
mi
costerà due stipendi! Vuoi vedermi andare in
bancarotta?” Ryo le domandò, con
sguardo circospetto. Saeko non aveva ancora smesso quel sorrisetto, che
Ryo
sapeva indicava che voleva qualcosa, guai, e che
gliel’avrebbe fatta pagare
cara. “Perché penso che ci sia
qualcos’altro? Cosa trami? Sentiamo, cos’altro
c’è?”
“Beh,
sai, Kuwata
è stato così gentile
da lasciarci il
caso senza andare a dire nulla a mio padre, che ho pensato che avresti
potuto
lascargli il tuo abbonamento per il prossimo campionato…
anche lui è un grande
appassionato di calcio, sai?”
Ryo
si incassò
nelle spalle, mentre piagnucolava, stritolando la lista tra le mani, il
viso
basso. “Ma non è giusto! Perché me la
fate sempre?”
“Beh,
cosa
avresti preferito, essere sospeso perché ti sei perso un
cadavere?” la donna
abbaiò, e seccata incrociò le braccia.
“Piuttosto, com’è stato lavorare con
Kaori?”
Ryo
la guardò,
concentrato; era chiaro che la domanda avesse un significato ben
più profondo
di quelle meramente lavorativo. Prese un sospiro, e gettando la testa
all’indietro, prese a fissare il lampadario spento.
“Bah,
non
saprei…come al solito, immagino.” disse,
alzandosi, nonostante nella sua voce
Saeko avesse avvertito una nota di apprensione, di tristezza e
malinconia. Ryo
era sempre stato bravo a fare lo sciocco, a nascondere i problemi e le
insicurezze dietro le sue maschere, ed era certa che quella del
dongiovanni
incallito non fosse null’altro che una farsa, un modo per non
far vedere al
mondo quanto ancora stesse male per la rottura con Kaori. “Mi
raccomando, capo,
non fare troppo tardi col tuo bello!”
Saeko
non gli
rispose, si limitò a scrollare il capo, sorridendo triste.
Aprì un cassetto
della scrivania, e fissò la foto che aveva sul fondo: una di
loro quattro, in
vacanza al mare. Lei e Maki stavano già insieme, ma Kaori e
Ryo fingevano di
essere ancora solo amici, nascondendosi dietro indifferenze e piccole e
grandi
malignità, scherzi da ragazzini, eppure, se guardava quella
foto, poteva vedere
quanto Ryo avesse adorato Kaori, quasi avesse venerato il terreno su
cui lei
camminava.
L’aveva
amata
allora, e Saeko era certa che la amasse ancora.
Richiuse
il
cassetto con forza, e sospirò, mogia, sperando che le cose
potessero solo
migliorare, e non peggiorare.
E
che nessuno dei
suoi amici, e della sua famiglia, uscisse da quella storia con le ossa
rotte.
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Capitolo 3 *** Episodio #2: Grave digging ***
“Che palle, non so cosa siamo venuti a fare al funerale di quel vecchio coglione di Samura!” Ryo sbottò, senza controllare il volume della voce, mentre lui e Maki uscivano dal tempio, seguendo il feretro che conteneva i resti dell’Ispettore Samura, che era passato a miglior vita su una poltrona reclinabile guardando una gara automobilistica mentre tracannava birra, mangiava un mega-panino ai due salami e quattro formaggi e mentre la sua metà di sotto era affaccendata in peccaminose e squallide faccende con una ragazza che aveva l’età per essere sua figlia (se non sua nipote) e che decisamente non era sua moglie. “Non ci sopportava, non sapeva fare il suo lavoro, ha fatto carriera leccando il culo a tutti e piantando pugnali nelle spalle quando gli faceva comodo, e metteva pure le corna alla moglie!”
Maki si allargò il colletto della camicia, avvertendo sudori freddi, e vide una donna sui sessanta, dai capelli neri irsuti e piena di rughe, dall’aria di essere una megera, voltarsi verso di loro. Stava zitta, ma il suo silenzio, il suo ringhio dicevano tutto, e anche di più.
“Eh, condoglianze signora Samura!” Maki iniziò, mentre Ryo si toglieva la cravatta e la metteva in tasca, con la faccia di chi cadeva dalle nuvole. Kaori, al loro fianco, si nascose il viso dietro alle mani, incredula che Ryo riuscisse a far fare loro delle tali misere figure tutte le sacrosante volte.
Gli esseri umani avevano i filtri, avevano la connessione bocca-cervello… ma non lui. Ryo prima parlava e poi non rifletteva – se avesse riflettuto, Kaori era certa che Ryo ci sarebbe arrivato da solo a capire che chiederle di sposarlo era stata una colossale, per passarle il termine, cazzata. Ryo era sempre stato uno spirito libero, una storiella la poteva reggere, al massimo usciva con la stessa donna per due settimane, ma una vita intera con la stessa persona? Ne dubitava…
“Andiamo, avete poco da fare gli schizzinosi voi due, solo perché aveva lavorato con vostro padre! Nemmeno lui lo sopportava, cosa credi, lo dice sempre il padre di Saeko e Reika!” Ryo sibilò a bassa voce, chinandosi verso i due amici, con le mani in tasca. “E comunque, io mi limito a dire quello che stanno pensando tutti, e che tutti sanno, inclusa quella megera della vedova! Credi che ci fosse una sola persona del dipartimento che non sapeva che il buon Amato si scopava tutte le puttanelle di Shinjuku?”
“Santo cielo, Ryo, modera il linguaggio!” Kaori lo rimproverò con voce sibilante, dandogli una leggera gomitata nelle costole. “Siamo pur sempre in un tempio!”
“Come se quello stronzo si meritasse una cerimonia religiosa!” Ryo rispose, molto, troppo, pimpante, alzando svogliatamente gli occhi al cielo. Sbadigliò sonoramente, senza nemmeno mettersi la mano davanti alla bocca, mostrando le sue tonsille a tutti i presenti.
Il corteo funebre si arrestò all’improvviso, con la vedova che fremeva con i pugni chiusi lungo il corpo; Kaori divenne rosso fuoco, Hideyuki impallidì, mentre Ryo assunse la sua solita aria di noncuranza, dando una scrollata di spalle, e si limitò a chinare il capo sulla spalla, con fare interrogativo, sbattendo le ciglia come un cerbiatto che vedeva il mondo per la prima volta, quasi non capisse cosa stesse accadendo e perché si erano fermati tutti.
La donna si voltò verso di lui, e sbattendo quelle scarpe da befana, rumorose e grossolane, si avvicinò al poliziotto. Ryo alzò le mani in segno di resa, sudando freddo, ma non servì a nulla: la donna continuava, imperterrita, a marciare verso di lui, gli occhietti stretti iniettati di sangue, i denti digrignati, labbra bluastre e secche che erano poco più di una sottile linea…
“Ehm, posso ancora farle le mie più sentite condoglianze, signora Samura? Suo marito era un tale brav’uomo, eh, eh, eh…” Ryo prese a balbettare. La donna non proferì parola, alzò la vecchia borsetta nell'aria a iniziò a colpire Ryo in testa, in faccia… presto si unirono a lei, piangendo disperati e rabbiosi allo stesso tempo, i figli, una ragazzetta alta e magra che sembrava una linea retta che diede una serie di ombrellate a Ryo ed un ragazzone che, dalla faccia, e con i muscoli da montagna che si ritrovava, sembrava avere solo forza bruta e zero sinapsi cerebrali.
“Signori, per favore! Smettetela!” Il direttore della casa funeraria li supplicò, fermo immobile davanti al feretro in legno scuro del defunto. Piccoletto, era praticamente un cubo, con occhietti ed un nasone che lo facevano sembrare un topo. La sua voce era simile ad uno squittio, mentre, a mani giunte, supplicava i presenti di cambiare atteggiamento. “Un po’ di rispetto per il defunto!”
“RISPETTO???” Tuonò la vedova. Ryo, vedendola che si voltava e raggiungeva l’ometto, si lasciò cadere a sedere sulla scalinata di cemento, e sospirò, sollevato, mentre Kaori e Maki lo guardavano dall’alto in basso con le mani ai fianchi, furibondi. Ryo era stato cresciuto passando da famiglia affidataria in famiglia affidataria dopo che la madre era scomparsa ed il patrigno era finito in galera per traffico di stupefacenti, ma immaginava che nelle famiglie normali quello fosse lo sguardo che i genitori delusi dedicavano ai loro pargoli.
“Oh, povero Ryo, stai bene? Vieni, ti medico io...” Ryo alzò gli occhi, e fu immediatamente catturato, letteralmente, da Reika, che gettandogli le braccia al collo prese a tamponare con un delicato fazzoletto di pizzo bianco un minuscolo graffio che Ryo si era procurato. Ryo, che non aveva mai avuto la benché minima intenzione di incominciare un’altra relazione con una donna con cui lavorava, cercava di strapparsela di dosso, ma più lui si divincolava, più lei stringeva le sue spire attorno a lui, come un temibile serpente letale.
Gli era sempre piaciuto trovarsi con la faccia spiaccicata tra le sinuose grazie di una bella donna? Assolutamente sì. Voleva che quelle grazie appartenessero a Reika? Manco morto. La sua vita era già abbastanza complicata senza che lui si portasse a letto una collega quando in realtà pensava ad un’altra.
E lo sguardo di Ryo andò all’altra collega in questione; Kaori era in piedi e lo stava letteralmente fulminando, o forse stava fulminando Reika, ma la questione era che lui, quello sguardo, se lo ricordava molto, molto bene; lei quello sguardo aveva iniziato a lanciarglielo non appena si era resa conto che lui era un maschio dotato di un discreto fascino e che lei, in quanto femmina fertile con ormoni in subbuglio, a quel fascino non rimaneva certo indifferente.
Quel fuoco che lei aveva negli occhi aveva un nome: gelosia.
“Sai Kaori, non ci avevo mai fatto caso, ma tutte le volte che mi metto a fare il galletto tu te la prendi, fai la scontrosa, e mi dici che ho un’amante. Però sono solo gli uomini sposati ad avere le amanti, mentre io sono scapolo… non è che ti sei presa una sbandata e mi vedi come una tua proprietà?” Ryo, impegnato a sorseggiare una tazza di tè al tavolo del soggiorno di casa Makimura, guardava la giovane Kaori, diciannove anni nemmeno, che senza degnarlo della sua attenzione si impegnava a fare tutto e nulla.
“Ti piacerebbe, brutto porco!” Gli rispose, con tono saccente, continuando ad annaffiare le piante.
Da dietro la tazza, Ryo la guardava di sottecchi: sì, gli sarebbe piaciuto, e anche molto. I mesi passati lontana da casa l’avevano cambiata, le avevano dato maggiore sicurezza, ma soprattutto avevano permesso alla giovane donna di prendere il posto della ragazzina che aveva fatto i bagagli in quella casa.
Se non fosse stata la sorella del suo migliore amico e partner, Ryo ci avrebbe provato volentieri; lui e Kaori erano anni che andavano avanti con i loro battibecchi, c’erano amici che li prendevano in giro dicendo loro che sembravano una vecchia coppia sposata, e Ryo era certo che sotto le lenzuola avrebbero fatto scintille.
“PERCHÉ DIAVOLO DOVREI RISPETTARE QUEL LURIDO MAIALE PEZZO DI MERDA CHE NON HA MAI RISPETTATO ME O I SUOI FIGLI, EH? EH? ME LO DICA!”
I poliziotti si voltarono, guardando con sorpresa e stupiti la vedova che strepitava, litigando con l’ometto. Avanzava verso di lui, incedendo minacciosa, mentre lui si faceva piccolo, piccolo, camminando all’indietro, fino a che la sua fuga non fu arrestata dal feretro stesso, che tra le urla di panico dei presenti cadde, aprendosi.
Due corpi rotolarono sulla scalinata: il defunto… e una donna dai capelli castani e dal bellissimo vestito rosso, con tacchi vertiginosi - ma tutto di classe.
“Apperò, mica lo sapevo che ci si poteva portare la dolce compagnia nell’aldilà…” Ryo ironizzò. “Io ero fermo all’orologio!”
“Perché ovunque tu vada, ci sono dei guai?” Hideyuki gli domandò, retorico, abbassando il capo, insaccandosi nelle spalle. “Chiamo la centrale ed il medico legale.”
“Ehi, stavolta io non centro!” Ryo si lamentò. Ma Kaori e Hideyuki erano già andati a mostrare i loro tesserini e a fermare l’ometto prima che scappasse.
“Beh, allora, come ci è finita questa donna nella bara di un agente di polizia?” Ryo domandò, mani ai fianchi, piuttosto seccato e brutale, all’impiegato dell’agenzia funebre, che con gli occhi lucidi lo guardava tremando. Alle sue spalle, Kazue stava terminando l’esame preliminare del corpo in più: per un caso fortuito, si era trovata poco lontano dalla “scena del crimine” ed era potuta intervenire prontamente.
“Non lo so, giuro!” L’uomo piagnucolò, sul punto di mettersi in ginocchio. Tra il poliziotto che incuteva timore e tutto quello che stava accadendo, il suo animo stava cedendo sotto alla pressione. Temeva che per lui e per la sua ditta fosse giunta la fine.
Sfilandosi i guanti di lattice bianco, la dottoressa, con incedere civettuolo e sguardo da gatta, si avvicinò a Ryo, attendendo che lui rivolgesse a lei la sua attenzione piuttosto che a quell’ometto di poco conto, ma lui era troppo intento a fare domande a raffica per accorgersi di lei.
Kazue si schiarì la voce: nulla.
Provò a cantilenare il nome dell’uomo, nemmeno fosse stata una principessa Disney: zero.
Alla fine decise di urlare il nome del poliziotto con tutto il fiato che aveva in gola, e con un tono che facesse capire quanto la seccasse essere stata ignorata.
“Allora, mi vuoi stare a sentire o no?” gli domandò, sbuffando. Ryo intanto si stava massaggiando il timpano, che immaginava essere stato perforato dalla squillante voce della donna.
“Porca miseria, tra te e Kaori e Saeko uno di questi giorni diventerò sordo!” si lamentò, petulante. “Allora, cosa c’è di così importante?”
“Non posso stabilire una data o un’ora precise per il decesso, il corpo è stato trattato chimicamente, come si fa con le salme prima di una sepoltura, ma non ci sono tracce evidenti di morte violenta, ad un primo sguardo.”
Ryo si voltò verso l’ometto, rimettendo le mani sui fianchi; gli si avvicinò talmente tanto che erano naso contro naso, quasi. “Allora, cosa dicevamo? Quella donna?”
“Non la conosco, giuro! Sono assolutamente certo che non sia una delle mie salme!” L’uomo si difese. Tuttavia, Ryo lo guardava di traverso: lui si fidava poco degli uomini, e ancor meno di quelli come quel tipetto.
“Vada a controllare, non si sa mai.” Ryo gli lanciò addosso uno dei suoi biglietti da visita, guardandolo torvo e scuro. “Se scopre qualcosa mi chiami. E non lasci la città, siamo intesi?”
A rotta di collo, con la polvere dietro ai piedi nemmeno fosse stato un velocista, l’ometto si dileguò, prima che oltre ai poliziotti anche amici e parenti del defunto cercassero di fargli passare un brutto quarto d’ora. Ryo, con espressione annoiata, si voltò verso Kazue.
“Beh, allora?” Le domandò.
“Eh?” La donna, incredula, sbatté le palpebre ritmicamente. “Allora nulla, ti ho detto tutto quello che sapevo! Mica sono un mago o una macchina per i raggi X!”
“Come volevasi dimostrare, non ha documenti addosso.” Kaori li raggiunse, sbattuta e seccata e leggermente rattristita. Già odiava i funerali, poi lei, per quella giornata, aveva ben altri piani- piani che adesso sarebbero andati a monte.
“Kaori, vai con Kazue e prendi le impronte alla morta. Magari la troviamo, anche se mi da l’aria di essere una persona fin troppo rispettabile per essere nel sistema.” Ryo soffiò, mentre cercava nelle tasche anche una sola sigaretta.
La rossa si lamentò, sbuffando, mentre già camminava con le spalle basse in direzione del van nero su cui stavano caricando la sacca. “Meraviglioso, dovrò dire a Shinji che dobbiamo annullare l’assaggio delle torte…”
Ryo sogghignò, soddisfatto, Ma che cosa terribile… dare buca al principe azzurro, e venne raggiunto da Maki, che lo guardò storto.
“Ryo, non dovresti essere così felice solo perché mia sorella non può passare del tempo col suo fidanzato.” L’occhialuto agente sottolineò la parola, fissando Ryo quasi avesse dei raggi laser al posto degli occhi. “Senti… non è che facessi i salti di gioia a saperti con lei, ma tutto sommato, con Kaori tu ti sei sempre comportato bene, anche se a modo tuo. Perciò, fai il bravo e lasciala in pace, va bene? A meno che tu non voglia davvero sposarla…”
Maki si era acceso una sigaretta; Ryo gli strappò l’accendino dalle mani, e se ne accese una a sua volta, digrignando i denti, stringendo tra di essi il filtro fino quasi a spezzarlo.
Tutti gli dicevano la stessa cosa. Che lui era stato felice che la cerimonia fosse andata a monte. Perché non capivano che lui, con Kaori, il grande passo avrebbe avuto il coraggio di farlo? Che per lei era stato disposto a cambiare, a raggiungere un compromesso…
“E lei, Ryo Saeba, vuole prendere la qui presente Kaori Makimura come sua legittima sposa?”
Labbra leggermente aperte come in meraviglia, ancora incredulo che Kaori avesse accettato di essere sua moglie, Ryo non disse nulla. Il matrimonio non aveva mai fatto parte dei suoi piani, aveva visto come l’amore avesse ridotto la madre, e per sé desiderava ben altro destino.
Ma Kaori aveva sempre desiderato sposarsi, e se per stare con lei avesse dovuto compiere quel passo, allora, forse era un compromesso a cui poteva scendere. La cosa però un po’ lo spaventava: non conosceva nessuno con relazioni stabili e duraturi, per tutta la vita aveva sempre avuto a che fare con forme di amore malato. Kaori però era pura ed innocente… avrebbe saputo amarla come meritava? Avrebbe potuto renderla felice? E lui… sarebbe stato felice, passando tutta la vita con la stessa persona?
Il giudice di pace si spazientì. “Allora, Saeba?” domandò.
“Io….” Ryo però non ebbe tempo di terminare la frase; le porte della cappella sconsacrata, adibita a matrimoni civili, vennero spalancate con un boato, e un giovane entrò, barcollando, il viso pallido. Un rivolo di sangue scorreva dalla spalla destra, la camiciai bianca, un tempo forse immacolata, lacerata da quello che sembrava un colpo di arma da fuoco.
Si fermò, dopo due passi soli, e cadde a terra. Kazue e il suo vecchio mentore, l’anziano professore che per tanti anni era stato compare di bevute di Ryo, andarono immediatamente a controllare, ma non c’era più nulla da fare - il giovane era morto. Saeko, incedendo incerta stretta nell’abito da damigella, li raggiunse, e strinse gli occhi.
“Lo conosco…. Era addetto al servizio di sicurezza!” la donna affermò. “Tetsuo Michigami, era appena rientrato alla prefettura di Tokyo, dopo aver passato diversi anni ad Osaka…”
“Dì un po’, com’è che non sapevo che avevi organizzato un servizio di sicurezza per il mio matrimonio, eh?” Ryo la interrogò, seccato, mani sui fianchi. Kaori si era seduta su una sedia di legno bianco, e con lo sguardo perso nel vuoto fissava il suo bouquet.
“Con tutti questi poliziotti riuniti qui era il minimo, Ryo,” Maki lo rassicurò; allentò la cravatta che aveva indossato per accompagnare la sorella all’altare, e strinse la spalla del vecchio amico. “E direi che Saeko ha fatto bene. Adesso bisogna capire da dove è partito il colpo e soprattutto chi era il vero bersaglio.”
Sospirando, Ryo la guardò allontanarsi, con il cuore colmo di rammarico; i giorni dopo la mancata cerimonia erano stati intensi, colmi di paura per cosa era accaduto, il dubbio che uno di loro potesse essere il bersaglio…. Ed invece, si era trattato solo del caso, e della sfortuna.
Il killer della Yakuza non era a loro che aveva mirato, e nemmeno a Tetsuo, anche se l’obbiettivo era stato, effettivamente, un Michigami: Abe, il gemello di Tetsuo. I fratelli, arrivati all’adolescenza, avevano preso strade diverse, uno era entrato nella mala, l’altro, su ordine della madre, aveva fatto le valigie, messo più strada che poteva fra lui ed il fratello, ed era poi entrato in polizia. Aveva accettato di tornare a Tokyo per stare accanto alla madre, malata terminale, perché non fosse sola nei suoi ultimi giorni. Poche settimane prima, però, Abe aveva fatto uno sgarro ad un sindacato avversario, ritrovandosi una taglia sulla testa. Nessuno, vedendo Tetsuo uscire dalla casa, aveva pensato che non fosse Abe… e questo aveva firmato la sua condanna a morte.
E aveva messo fine alla vita di coppia di Ryo e Kaori. Il tentennamento di lui ed il fatto che non fosse stato disperato per aver dovuto rimandare la cerimonia aveva spinto Kaori a decidere per tutti e due. Lei aveva parlato di pausa di riflessione, ma dopo nemmeno ventiquattro ore aveva già accettato di partecipare a quel corso di specializzazione a Chiba, e meno di un anno dopo arrivava con un anello al dito. Di un altro.
“Ryo? Tutto bene?” Hideyuki gli domandò, notando che l’amico si era improvvisamente incupito, e che pareva lontano mille miglia.
Ryo prese a calci una pietra, sbuffando. “Sì, sì, tutto a posto. Torniamo in ufficio? Voglio controllare quest’impresa funebre. Questa cosa mi puzza di bruciato…”
“Ryo, vuoi sapere che cosa ho scoperto?” Reika, con voce canterina, andò a sedersi sulla scrivania di Ryo, accavallando le lunghe gambe messe in risalto da tacchi vertiginosi e dalla stretta gonna. Dietro di lei, Kaori, che indossava una semplice camicetta bianca ed un paio di jeans, con scarpe atte più alla comodità che al lato prettamente estetico, ringhiò, sbattendo il fascicolo sotto al naso dello stesso Ryo, che la guardò come se stesse cascando dalle nuvole. Si chiese per cosa fosse arrabbiata: per Reika che faceva l’oca, nonostante sapesse fin troppo bene che con lui non sarebbe mai andata a finire da nessuna parte, o perché Reika stava cercando di prendersi tutti i meriti?
“Le impronte della defunta non erano nel sistema, ma ho usato un software di riconoscimento facciale, ed ho trovato un necrologio. La signora si chiamava Sakura Kagome, è morta di tumore, lasciando due figli, un maschio e una femmina, che vivono all’estero, sono emigrati in seguito allo scoppio della bolla tecnologica. Sono talmente indebitati che non sono nemmeno potuti venire a vedere la madre, e hanno organizzato tutto per telefono, non hanno mai incontrato l’addetto delle pompe funebri, che è…”
“Ma non mi dire, il nostro amichetto che assomiglia ad un cubo che diceva di non sapere un bel niente!” Ryo sospirò, guardando Kaori - no, lui, Reika, nemmeno la vedeva. “Mi sa che dovremmo andare a fargli qualche domandina!”
“Potremmo andarci noi…” Reika gli disse sbattendo le ciglia di quei suoi occhi resi grandi da un eccessivo trucco (cosa di cui Kaori non aveva assolutamente bisogno, la natura l’aveva naturalmente dotata di seducenti occhi da cerbiatta).
“Reika, ma tu non fai coppia con Maki di solito?” Ryo la apostrofò. Nonostante spesso e volentieri, in casi intricati, capitasse che potessero collaborare tutti alla stessa indagine, anche in virtù delle specifiche competenze di ognuno di loro, dal ritorno di Kaori era con Hideyuki che Reika faceva coppia pressoché fissa. “Su, dai, il suocero del sindaco dice che hanno tentato di entrargli in casa la notte scorsa, perché non dai una mano invece che stare tra i piedi a me e Kaori?”
Reika gli rivoltò la cartellina del caso addosso, i fogli che volarono in giro per la stanza, e Kaori ridacchio, sedendosi davanti a lui, con i gomiti appoggiati al tavolo. Fissava Ryo con uno sguardo che la diceva lunga: sapeva qualcosa che lui non sapeva e aveva una voglia matta di dirglielo.
“Sai, ho la netta impressione che tu voglia dirmi qualcosa di molto interessante…” le disse. Mettendo i piedi sulla scrivania, incrociò le caviglie. “Sputa il rospo!”
“La settimana scorsa c’è stato un inseguimento, terminato con un conflitto a fuoco. I sospettati sono riusciti a fuggire, ma si sono lasciati dietro l’auto e tutto quello che c’era sopra…. Inclusi dei documenti! E indovina di chi era una delle carte di identità?” Ryo le lanciò uno sguardo che sembrava dirle che sapeva esattamente di cosa lei stesse parlando. “Stessa data di nascita, luogo di nascita, indirizzo… cambia solo la foto! E per di più… la signora non ha il certificato di morte!”
Ryo rimase in silenzio, e poi prese a fissare il soffitto. “Sai cosa penso?” le domandò. Kaori non rispose, si limitò ad inclinare il capo di lato e guardarlo. “Che il piccolo verme grassoccio arrotonda vendendo i documenti dei morti, e che dato che sarebbe compito suo richiedere il certificato, lui non lo fa… documenti praticamente puliti. Vai a fare denuncia che ti hanno rubato la borsa, il portafoglio, e ne ottieni uno nuovo, con la tua immagine, e nessuno si accorge di nulla.”
“Che creatura orribile, guadagnare così sulle sofferenze altrui!” la donna abbassò il capo, stringendosi nelle spalle. “Però non capisco, perché la Kagome è finita in un’altra bara?”
“Probabilmente immaginava che i figli non sarebbero mai venuti a reclamarla, oppure avrebbe raccontato loro che era stata cremata…. Non poteva certo seppellire una donna che per tutti non era morta ma anzi, girava con la malavita locale!”
“E quindi, che si fa? Passiamo il caso all’anti-truffa, o cosa?” Lei gli domandò, un po’ rammaricata.
“In realtà io avrei un’ideuccia…” La risata di Ryo non le lasciò presagire nulla di buono, e Kaori si preparò ad affrontare guai o ripercussioni… con Ryo non si poteva mai sapere cosa sarebbe successo. L’uomo, scattante, si alzò in piedi, e messa la pistola nella fondina, indossò la giacca, nascondendo l’arma.
“Ma… ma Ryo, aspettami!” Lei, veloce, si alzò, quasi facendo cadere all’indietro la sedia, e lo raggiunse in ascensore, mentre le porte si stavano chiudendo: entrò per un pelo. “Si può sapere cosa ha in mente? E poi lo sai che a Saeko non piace che tu indaghi da solo… finisce sempre che combini qualcosa!”
“Piccola impertinente, non preoccuparti, lo so io cosa fare! Voglio far cantare quel galletto e soprattutto fare in modo che ridia il dovuto alla famiglia Kagome e a tutti gli altri!”
“Dici che non era la prima volta che capitava?” gli domandò, mentre scendevano, accompagnati dal ronzio elettrico del motore della piccola cabina, così piccola che i loro gomiti si sfioravano.
“Fidati, quel giochetto è vecchio come il mondo. Un mio amico dell’Interpol, Mick, una volta mi ha raccontato che aveva beccato una famiglia di becchini che rubava l’identità dei defunti per rivenderle. Usavano soprattutto immigrati, persone che non avevano fondi, conti, niente figli, magari solo nipoti alla lontana, che non lasciassero traccia, insomma.”
“Proprio come la Kagome,” convenne Kaori. “I figli vivono all’estero e non possono nemmeno permettersi di tornare in Giappone per seppellire la madre…”
“Già, per questo il citrullo non si è nemmeno preso la briga di ficcarla in una bara. Non doveva organizzare nemmeno il funerale. E intanto ha intascato i soldi… dai pargoli e dalla mala!” Mani dietro alla testa, Ryo uscì dall’ascensore, e percorse la hall della centrale, in direzione delle pesanti porte di vetro e metallo. Tenne la porta aperta ad una giovane mamma, che guardandolo arrossì, e Kaori alzò gli occhi al cielo, con estrema gioia di Ryo, a cui faceva piacere sapere che la partner non era poi così indifferente al suo fascino come voleva far credere, ma che anzi, provava ancora qualcosa per lui. Lo aveva immaginato quando Reika aveva preso a fare le moine, però Kaori poco sopportava la collega in generale. Adesso aveva la certezza che però quella reazione la scatenavano tutti gli elementi del sesso femminile. “Peccato che non abbia preso in considerazione che la stava ficcando nella stessa bara di uno sbirro, uno che per di più ha una moglie isterica!”
“Ho già detto che mi fa schifo quel tipo? E comunque, la vedova non è stata isterica fino a che tu non ti sei messo a cianciare a vanvera!” Kaori salì sulla macchina, sentendo il nervoso montare, nonostante non volesse ammettere cosa la stesse facendo arrabbiare in quel momento. Si disse che era il caso, quell’uomo orribile, ma temeva che non fosse così.
La mente le diceva una cosa. Il cuore un’altra.
Arrivarono, dopo un viaggio fatto di confortevoli silenzi e agitate riflessioni interiori, fuori dal palazzo di tre piani e due scale che, al pian terreno, era occupato per intero dall’agenzia funeraria. Ryo uscì subito, e chinatosi sul finestrino dal lato passeggero si avvicinò a Kaori, quasi come se le stesse confidando un segreto, o dovesse dare l’idea di essere impegnato in un romantico rendez-vous. “Aspettami qui, non voglio metterti nei casini se le cose vanno storte.”
“Ma...Ryo!” obiettò lei, gonfiando le guance come una ragazzina, facendo scoppiare Ryo in una calorosa risata: adorava vedere come, nonostante tutto, Kaori fosse rimasta fedele a sé stessa nel tempo, non fosse cambiata dentro, dove davvero contava.
“Tranquilla, cinque minuti massimo sono fuori!” le disse, facendole l’occhiolino mentre entrava. Guardandosi intorno con circospezione, Ryo si rese conto che non c’era nessuno in vista, il che gli garantiva una certa privacy. Tirò fuori dalla fondina la sua amata pistola, e da una tasca interna della giacca un piccolo silenziatore, che con gesti veloci e automatici assicurò alla canna. Socchiuse gli occhi, prese un respiro, si concentrò per avvertire la presenza di quel pingue ometto senza spina dorsale, e una volta trovatolo, aprì la porta: solo uno spiraglio, era tutto ciò che gli serviva.
Vide l’ometto far passare fascicoli, documenti, pratiche… aveva una tazza di tè sulla scrivania, e Ryo vi mirò, facendola andare in mille pezzi.
Lo sparo non fece rumore: quello che fece saltare l’ometto fu il rumore della ceramica che si spezzava.
L’ometto cadde all’indietro, sul sedere, e si guardò intorno, mentre i pantaloni si inzuppano della bevanda che avrebbe voluto e dovuto bere. Con il cuore che batteva come un tamburo di guerra si guardò intorno. E poi, le cerniere della porta scricchiolarono, e Ryo fece il suo ingresso, arma in pugno e sorriso malvagio, quasi sadico. Crudele. Freddo, eppure colmo di determinazione: un’espressione che aveva riempito gli animi dei crinali di terrore, e fatto capitolare più di una donna, nonostante lui, dopo aver baciato quella seconda volta Kaori avesse continuato sì a compiacersi dell’effetto che faceva al gentil sesso - lasciando credere che spezzava cuori a destra e manca - ma non fosse stato più con nessuna se non lei.
“Dì un po’, lo sai perché sono qui?” Mentre parlava, lento camminava verso di lui, avvicinandosi, la sua ombra il ritratto della Morte nelle rappresentazioni antiche.
L’uomo fece cenno di sì col capo, una goccia di sudore fredda gli scivolò dalla tempia fino al collo, incontrando il tessuto della camicia da quattro soldi. Non riusciva a staccare gli occhi né da Ryo né dall’arma che il poliziotto teneva in mano.
“Queste me le tengo come assicurazione, ma adesso…” Ryo si sporse sulla scrivania, ed afferrò alcuni fogli, dei documenti, un po’ di cose, anche a caso, e se le ficcò in tasca. Si poggiò con la schiena contro il lato lungo della scrivania, e si accese una sigaretta, rimanendo in silenzio. Fumò, tranquillo, beandosi del terrore che attanagliava l’uomo, l'insicurezza- l’ignoranza. “Allora, veniamo a noi…”
“Vuoi… vuoi dei soldi? Ho tutti i soldi che vuoi!” L’uomo piagnucolò. Alzò il tappeto persiano, rivelando la piccola porta metallica di una cassaforte, che aprì, sbagliando un paio di volte la combinazione, gli occhi sfuggevoli che andavano ora al nascondiglio ora al poliziotto.
“Non voglio i tuoi soldi, stronzo! Quelli li puoi tenere per uno scopo leggermente più alto...!” Ryo sghignazzò, con una luce sinistra negli occhi. “Non mi piace che ci si prenda gioco di poveri morti di fame, o che dei poveri ragazzi debbano indebitarsi per pagare il funerale alla madre, per poi scoprire che è finita nella fossa con una mezza calzetta di poliziotto..”
Ryo si inginocchiò a terra, faccia a faccia con l’uomo, puntandogli la canna della sua amata e fidata Python alla fronte.
“E lo sai cosa farai, adesso?” Ryo domandò, retoricamente, mentre faceva scattare il colpo in canna. “Perché se scopro che non sei stato bravo… la prossima volta beccherò il tuo bel capoccione o i tuoi gioielli di famiglia… non so se mi sono spiegato…”
Non ebbe bisogno di aggiungere altro, era stato fin troppo chiaro; l’uomo capì l’antifona e fece segno di sì con il capo. “La famiglia della signora Kagome non dovrà versare un centesimo.” L’uomo affermò, balbettando un po’, ingoiando a vuoto.
“E…” Ryo alzò un sopracciglio. Spostò la canna della Python, dal cranio a sotto al mento dell’ometto, la pappagorgia che ballava al ritmo del tremolio dell’uomo.
“… E rimborserò le famiglie di tutti gli altri a cui abbiamo fatto questo giochetto, e pagherò per nuove.. ehm…oasi di pace.”
“Così va bene…” Ryo fece schioccare la lingua contro il palato, e mise la pistola nella fondina prima di girare i tacchi. Uscì dalla porta, ma si voltò una volta che ebbe la mano sulla maniglia, e fece un sinistro occhiolino all’ometto, che, inginocchiato a terra, tremava ancora. “Ah, mi raccomando, se dovesse mancare alla sua promessa, lo scoprirei… e lei non vuole che venga a farle un’altra visitina con la mia amichetta o, ancora peggio, coi colleghi, vero?”
L’ometto fece segno di no col capo, convulsamente, e Ryo scoppiò a ridere, scuotendo il capo. Raggiunse Kaori fuori, che lo attendeva, appoggiata alla Mini, con le braccia incrociate ed il suo bellissimo sorriso sul viso.
“Scommetto che lo hai convinto a dare una degna sepoltura a tutti quelli di cui aveva approfittato…”gli disse, non appena lui fece scattare la chiusura centralizzata ed aprì le portiere. La donna salì a bordo, ed allacciò la cintura, senza mai smettere di guardarlo con quello sguardo birichino. “Fai tanto il duro ma hai il cuore più tenero di quello che dai a credere.”
“Sì, ma non dirlo in giro, ho una mia reputazione, Sugar… e comunque posso aver detto a quell’ometto grassoccio che non lo arresterò, ma non ho mai promesso che non avrei detto all’unità anti-truffe di questo suo piccolo traffico di documenti!” Le disse, sorridente, scherzoso, mentre il rombo del motore riempiva l’aria, infrangendo la quiete del pomeriggio, ed intanto lui toglieva i fogli dalla giacca e li gettava sul cruscotto. “Allora, dove ti porto? Ti vedi con il Bill Gates Giapponese per assaggiare le torte?”
“No, Shinji è dovuto partire per affari. Tornerà solo la prossima settimana. Mi toccherà assaggiarle da sola, quelle torte!” Sbuffò, tenendo sul ventre la borsetta di pelle bianca.
“Come se per te fosse un problema! Perché credi che ti avessi soprannominata Sugar, eh?” Continuò a stuzzicarla. Kaori arrossì, ricordando la sua adolescenza, il tempo che avevano passato insieme… quando il suo cuore aveva iniziato a battere per l’amico del fratello, nonostante Ryo fosse sempre stato… beh, Ryo, con tutti i pro ed i contro.
“Smettila di guardarmi così, mi metti in imbarazzo!” Kaori tossicchiò, nascosta dietro a una tazza di caffè allungato con acqua, in cui aveva messo almeno due cucchiai di zucchero.
“Sai dove andrà tutto quello zucchero? Proprio qui!” La canzonò; allungandosi, prese a piantarle l’indice destro ripetutamente… nel fondoschiena. Kaori arrossì, ed infervorata ed imbarazzata, gli rovesciò sull’inguine il contenuto della tazza.
“Ma porca miseria, non ti si può dire nulla!”
“Tu… tu sei solo un maniaco!” E così dicendo, sbattendo i piedi, lei se ne andò, chiudendosi la porta alle spalle con un rombo che quasi fece tremare i muri, mentre Ryo ridacchiava, un po’ imbarazzato.
Con la coda dell’occhio, Kaori guardò il suo ex guidare, i capelli mossi dal vento che entrava dal finestrino semi-aperto, prima di voltarsi a guardare fuori dal finestrino il paesaggio urbano scorrerle davanti agli occhi.
Andava bene così.
Ne era certa.
Lei era felice: Shinji era l’uomo perfetto per lei, il suo futuro… si conoscevano fin dalla più tenera età, le loro famiglie erano sempre state amiche, e ricordava ancora come le loro madri avessero riso e scherzato, certe fin dal principio che avrebbero finito per stare insieme. Anche suo padre glielo aveva detto, arrivata al liceo, forse percependo che Kaori si stesse infatuando di quel cadetto, compagno di studi di Hide, ben più grande di lei, dall’aria vissuta e dal passato turbolento. Suo padre aveva sempre apprezzato Ryo, ma Kaori immaginava che per la figlia avesse potuto volere qualcosa di diverso.
Alla fine, aveva avuto ragione il padre, per quanto le dolesse doverlo ammettere. Ryo ormai era solo più il suo passato: di lui, avrebbe sempre avuto i ricordi, alcuni belli, altri – molti - meno, e la sua amicizia.
Quello, ne era certa, non sarebbe cambiata mai.
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Capitolo 4 *** Episodio #3: L'Ispettore Zenigata ***
“Vedo che avete la compagnia, oggi! Cos’è, hanno deciso che hai bisogno della tata, Saeba? Ih, Ih, ih!” Mentre, seduti ad un tavolino del Cat’s Eye, Ryo e Hideyuki tentavano di fare colazione, Umibozu, il gestore del locale insieme all’eterna fidanzata Miki, se la rideva di gusto sotto ai baffi e dietro ai grossi occhiali da sole che servivano a celare una parziale cecità, causata da una ferita da arma da fuoco che l’ex poliziotto aveva ricevuto in servizio anni prima, dopo essere accorso sul luogo di una rapina ad un furgone portavalori – un’operazione a cui anche Ryo, allora giovane poliziotto, aveva partecipato.
Ryo e “Umi” erano sempre stati legati da un curioso rapporto, erano “nemici-amici”, sembravano non tollerarsi, eppure erano uniti da un curioso senso di cameratismo, e a lungo Ryo si era chiesto se quella ferita, che aveva posto fine alla carriera del promettente poliziotto, fosse in parte colpa sua… se avesse agito più velocemente, fosse stato pronto, avesse sparato lui la prima raffica di proiettili? Umibozu però gli aveva detto più e più volte di smetterla di farsi problemi, che aveva lasciato un lavoro ma ne aveva trovato un altro (con tanto di fidanzata annessa) e che, comunque, lui sapeva compensare benissimo con tutti gli altri sensi quello che gli stava venendo a mancare.
Maki non rispose a quella che sapeva essere a tutti gli effetti una provocazione, si limitò a sorseggiare il suo caffè, mentre Ryo, che aveva messo così tanto zucchero che usciva dalla tazzina, lui che le cose dolci le detestava, grugniva risposte intellegibili facendo il muso, seccato da Umibozu che continuava a prenderlo per i fondelli e dall’uomo un po’ troppo felice che aveva davanti.
Daiatsu Nogami. Alias il padre di Saeko e Reika. Alias il capo della polizia. In poche parole: il suo capo.
“…e allora ho pensato che fare un giro di pattuglia con due dei miei migliori agenti fosse importante, per far risalire la mia popolarità tra i ranghi e far capire che io sono uno di voi! Ah, ah, ah!” L’uomo stava letteralmente brillando di luce propria, e aveva uno sguardo compiaciuto, quasi avesse avuto un’idea brillante e meravigliosa. “Sapete, far capire che vogliamo tutti la stessa cosa, la giustizia, che alla fine siamo tutti un solo, unico dipartimento, nonostante ognuno di noi abbia la sua specializzazione! D’altronde, è così anche per voi, no? Saeba è l’esperto di omicidi, tu Makimura te ne intendi di criminalità organizzata, Reika si occupa prevalentemente di rapine e la piccola Makimura è un’esperta forense… tante specializzazioni, ma un solo corpo!”
Secondo Ryo, era una cazzata, tanto il suo discorso quanto l’idea di girare con loro per apparire più umano: nessuno sopportava il Capo Nogami, convinti che fosse stato messo lì perché era parecchio cretino e manipolabile. Inoltre, il filtro bocca-cervello dell’uomo funzionava ancora meno di quello di Ryo (che non era scemo, ma sincero) e lo sapevano tutti, ma proprio tutti, che Daiatsu, Ryo, non lo poteva vedere.
Maki, invece, se ne stava zitto e buono per il quieto vivere: dopotutto, quello era il suo probabile futuro suocero, sempre che con la bella Saeko riuscisse finalmente ad intavolare il discorso matrimonio. Dubitava però che un giro di pattuglia potesse aiutare il capo a fare bella figura, non dopo che si era lamentato in un bar, con quello che si era rivelato poi un reporter, dell’inettitudine dei suoi uomini e che, se fosse dipeso da lui, avrebbe fatto fare armi e bagagli a circa tre quarti del corpo di Polizia di Tokyo.
Un’auto della polizia passò. Poi fu la volta di un veicolo dei pompieri. Seguì un’ambulanza. Si fermarono dall’altra parte della strada, esattamente davanti al locale.
Il capo Nogami guardò fuori dalla vetrata, poi si voltò verso Ryo e Maki, seduti davanti a lui. Non disse nulla. Si limitò ad alzare un sopracciglio, certo che si capisse dove voleva andare a parare.
Ryo fissava il suo capo: non avrebbe ceduto, non per primo. Se il capo voleva qualcosa, avrebbe dovuto dirlo, chiederlo.
“Beh?” L’uomo domandò, imperturbabile. “Che state aspettando?”
“Che ci chiamino.” Ryo rispose, secco, freddo, portandosi la tazzina alla bocca. Bevve un sorso, e fece una smorfia. Disgustoso. Non capiva come Kaori potesse amare il caffè così dolce. “Questa non è prettamente zona di nostra competenza. Un conto è inciampare in un caso, un altro è vedere una pattuglia ferma e andare a dirgli che gli freghiamo il caso dalle mani.”
Maki guardò Ryo di traverso: curioso però come, quando gli faceva comodo, l’amico facesse esattamente quello, se non di peggio.
“Beh, io però non sono legato a simili formalismi!” Nogami sbuffò; si alzò in piedi, e si sistemò la giacca della divisa, stirando delle pieghe immaginarie. “E se permettete, io vado ad aiutare i miei agenti!”
Senza aggiungere altro, l’uomo lasciò il locale, marciando a passo militare, tronfio, il petto gonfio, mentre raggiungeva la scena del crimine; Maki emise un flebile respiro, che suonò come un singulto disperato, e si voltò verso il vecchio amico. “Ryo…”
“No.” Rispose secco l’altro, facendo segno a Umi di portargli un’altra tazzina- stavolta non ci avrebbe messo dentro nulla. E per pulirsi la bocca magari si sarebbe pure preso un bel bicchiere d’acqua. Meglio naturale o frizzante? Nel dubbio, avrebbe bevuto un sorso per tipo.
“Ryo, tu non conosci il padre di Saeko, non come lo conosco io…” Il fatto che Maki suonasse così disperato era normale - era melodrammatico per natura – ciò che tuttavia fece suonare un campanello di allarme nella testa di Ryo era il fatto che il collega avesse definito il capo il padre di Saeko: sembrava che pure Makimura avesse dei dubbi sulle reali capacità dell’uomo più anziano.
“Va bene, ho capito, che rompipalle che sei, però!” Sbuffando, Ryo si alzò, gettando una manciata di banconote sul tavolino, e raggiunsero nel garage del palazzo di fronte il loro capo, che dietro al nastro giallo della polizia stava dando delle pacche ad un poliziotto sulla quarantina, chino sul cadavere di un maschio sui trentacinque - quarant’anni.
“Signori, posso presentarvi l’ispettore Koichi?” Il capo Nogami eruppe in una fragorosa risata, dando pacche sulle spalle dell’uomo, che, Ryo ci avrebbe giurato, portava il parrucchino, nonostante non dovesse avere più di quarant’anni. “Ispettore, le presento i colleghi Makimura e Saeba della prima squadra omicidi!”
“Ottimo lavoro, signori, un grande tempismo!” Koichi si complimentò, sbattendo il pugno sul palmo destro. “Vi ho fatto chiamare cinque minuti fa e siete giù qui!”
Nogami fissò Ryo con una sinistra luce nello sguardo: desiderava far sapere al giovane che aveva avuto ragione lui, e che Saeba era un cretino.
Ryo si limitò ad alzare gli occhi al cielo e grattarsi la testa. “Allora, Koichi, cosa abbiamo?”
“Thomas Satoro, di origini giapponesi ma residente in Brasile. Gli hanno sparato circa tre quarti d’ora fa, un solo colpo alla nuca, grosso calibro, distanza ravvicinata. Addosso aveva ancora i documenti, al polso il Rolex, non sembrano mancare documenti, denaro o carte di credito. Viveva nel palazzo, e quella laggiù,” Koichi annunciò, fiero, “è la sua auto. La chiave era accanto al corpo. Escluderei la rapina, preferendo un angolo più prettamente personale, anche data la vicinanza dell’assassino alla vittima. Abbiamo due testimoni, uno ha visto una ragazza sui vent’anni, capelli neri, alle spalle, lisci, in uniforme scolastica correre verso l’uscita di sicurezza, un altro ha visto una BMW nera rallentare e gettare qualcosa in un cespuglio lungo la strada. Agenti in divisa hanno recuperato quella che sembra essere l’arma del delitto.”
Ryo sbuffò. “Beh, noi allora esattamente cosa cavolo ci siamo venuti a fare qui? Koichi mi sembra più che capace di cavarsela da solo!”
“Oh, ma io non sono in servizio, o fatto il turno di notte… in realtà stavo tornando a casa quando ho sentito le sirene e ho pensato di fermarmi, tutto qui!” Lui disse, scrollando con falsa noncuranza le spalle, con un sorriso che sembrava non a trentadue, ma a sessantaquattro denti. “Volete che passi io in centrale a lasciare le prove? Bossoli, il portafogli, la pistola…”
“Vedi, Saeba?” Nogami sbottò, con le lacrime agli occhi dalla commozione mentre dava una pacca sulla spalla a Koichi e gli metteva tra le braccia tutte le prove del caso; gli si era quasi stravaccato addosso, nemmeno fossero stati vecchi compari di bevute o di goliardate. “Questo è il tipo di poliziotto che voglio! Dovreste essere come lui!”
Koichi diede, in modo impacciato, la mano al superiore, poi, gettate le prove sul sedile passeggero della vecchia utilitaria, di forse oltre vent’anni prima, incamminò il motore, che partì non con un ruggito ma con un sibilo, quasi fosse pronto a morire e abbandonare il suo proprietario da un momento all’altro.
“Quello, è un vero agente! Dovete fare come lui, hai capito, Saeba? Prendere esempio!” Nogami continuò, mettendo ulteriormente il dito nella piaga. Mani ai fianchi in una posa da presunto super-eroe, guardava il veicolo allontanarsi con malcelato orgoglio. “Tutti voi dovreste essere un po’ come l’ispettore Zenigata Koichi!”
“Co… cosa?” Maki balbettò, mentre Ryo scoppiò a ridere.
“Voi due imbecilli! Si può sapere cosa diavolo avete tanto da ridere? E Makimura, cosa stai lì impalato con la bocca aperta!?!” Sbottò, sputacchiando, a due millimetri dal naso di Ryo.
“Capo, la prego, mi dica che quel tizio le ha fatto vedere il tesserino…” Maki lo supplicò, mani giunte in preghiera ed una goccia di sudore che gli calava dalla tempia destra.
“No, ma… perché?”
“Beh, perché, capo,” Ryo scoppiò a ridere. “L’ispettore Koichi Zenigata è il co-protagonista del manga di Lupin Terzo!”
“Ma… ma…. Ma lui sapeva cose…” Nogami iniziò a balbettare. “E ha citato un mio discorso… e… deve essere una coincidenza, per forza!”
“Grande! Adesso non potremo usare nessuna delle prove raccolte perché la catena di custodia è stata compromessa! Gli avvocati difensori ci vanno a nozze con queste cose!” Ryo sospirò, mani nelle tasche dei jeans neri, certo che quell’uomo fosse nel miglior caso un mitomane, nel peggiore un criminale. “Questa volta Saeko mi fa la pelle. Dirà che non sono stato attento al suo paparino… eh, fortunato tu Maki che sai esattamente come placare le ire della nostra bella…”
“NO! Le mie figlie non devono saperlo! Nessuno deve sapere, ne andrebbe della mia credibilità, diventerei lo zimbello dell’intero corpo di Polizia di Tokyo, che dico, diventerei lo zimbello dell’intero Giappone!” Nogami urlò, afferrando Ryo per il colletto della giacca. “Risolveremo questo caso da soli! Zenigata ha parlato di un testimone che vive nel palazzo… dobbiamo trovarlo!”
“Se esiste davvero!” Hide borbottò, per nulla sollevato. “Quell’uomo è, nel migliore dei casi, un mitomane… come possiamo essere certi che non abbia mentito su tutto e che magari non è proprio lui l’assassino?”
Lo sgangherato trio passò ore a suonare ad ogni singolo citofono nella speranza di tirare fuori un ragno da quel buco, con Ryo seccato, Hideyuki rassegnato ed il capo Nogami che se e stava dietro di loro imbarazzato, piccolo come un bimbetto, tirando su con il naso. Nessuno sembrava sapere nulla, e pensavano di essere arrivati alla frutta e che quel “Zenigata” si fosse inventato tutto quando, invece, una donna rotondetta, dai capelli ricci di un rosso tendente al fucsia, il viso ricoperto di lentiggini, disse che sì, era lei la testimone, e che comunque, aveva già detto tutto all’altro poliziotto…quindi perché ripetersi?
“Anche se… c’è una cosa che non sono certa di avergli detto…” ammise a malincuore; fissava Ryo con i suoi occhioni, mangiandoselo con lo sguardo da panterona, e sbatteva le ciglia palesemente finte. “Vedete, io AMO i gialli, ed ero andata alla premiazione di un importante concorso tempo fa, e la ragazza che ho visto sono certa che fosse la vincitrice!”
“Chi era? Chi? Parli!” Nogami la incitò, afferrandola per la scollatura dell’abito leopardato.
“Yuka Kitano, il giovane talento della narrativa!”
L’uomo lasciò andare la donna, e si lasciò cadere mollamente a terra, con aria disfattista e rattristata- quasi delusa. Aveva preso a singhiozzare, e a ripetere quel nome, Yuka, ancora, e ancora, e ancora.
“Ci pensi bene!” L’uomo sibilò tra una lacrima e l’altra. “Lo ha detto a quel tipo che era la Kitano che ha visto?”
La donna sbatté gli occhioni da cerbiatta, e guardandolo in volto se ne uscì con… “Io…non lo so proprio!” Il tutto accompagnato da una risata sciocca ed infantile, di quelle tipiche di certe donne che assomigliavano più a bambole gonfiabili che ad essere umani.
“E adesso cosa gli prende?” Ryo si domandò ad alta voce, guardando Nogami che aveva una crisi isterica. Certo, avere a che fare con dei VIP era sempre una scocciatura, ma trovava che l’uomo stesse avendo una reazione esagerata. Fu allora che Hideyuki lo avvicinò, dandogli una gomitata nel fianco per attirare la sua attenzione, e parlargli con quel tono cospiratorio tipico di chi teneva segreti.
“Gli prende che quello è solo un nome d’arte... prova ad indovinare come fa di cognome il genio della letteratura gialla contemporanea?”
“Allora, tesoro, in che guaio ti sei cacciata questa volta?” A casa sua, il capo Nogami stava davanti a sua figlia, Yuka Nogami, alias Yuka Kitano, seduta, ancora con l’uniforme della sua scuola, sul divano, con il capo chino.
Ryo però non si lasciò intenerire, e nemmeno suo padre, sembrava: quella ragazzina aveva lo stesso sguardo di Saeko, il che significava che era una bugiarda nata con tendenze alla manipolazione. Lui stesso era stato troppe volte vittima di occhi identici a quelli per cascarci con tutte le scarpe dentro un’altra volta, poco importava che adesso fosse un altro membro della famiglia a fare la femme fatale bisognosa di aiuto.
“Ecco…” la ragazzina ciondolò i piedi giù dal divano, sembrando, improvvisamente, molto più piccola dei suoi anni (qualunque essi fossero, e a Ryo questo particolare non interessava minimamente). “Sto avendo, come dire, il blocco dello scrittore, e allora, ehm… ho chiesto ad una mia amica di… di entrare nel computer di Saeko.”
“Ancora non capisco cosa centri tua sorella con questo caso,” il padre la avvertì, freddo e fiero, impassibile quasi quasi, nonostante la presenza di una vena sulla tempia che sbatteva, minacciando di scoppiare da un momento all’altro.
“Beh…” La ragazzina sbatté i suoi occhioni, stupita. “Saeko ha un file alto come una casa su Satoro. Non te lo ha detto quando le hai parlato del caso?”
Hideyuki guardò Ryo, alzando un sopracciglio. Ryo guardò la ragazzina sbattendo le palpebre. Il capo Nogami guardò altrove, facendo finta di nulla, mentre iniziava a sudare e pure parecchio.
“Eh. Certo, certo, certo che lo sapevo, eh, eh, eh..” accennò mentre si allentava il colletto inamidato della camicia bianca. “Ma, ma voleva sapere tutta la storia da te. Per, per metterti alla prova.”
Yuka inclinò il capo sulla spalla, guardando suo padre come se avesse due teste; gli altri due uomini lo guardavano come se fosse un cretino totale- il che, forse, era vero, dopotutto. La ragazzina sospirò, e prese a parlare, fissando il padre, leggermente seccata: quell’uomo era il suo eroe, lui e le sue sorelle erano il suo esempio, ma a volte sapevano davvero come frustrarla.
“Allora, avevo un po’ di blocco dello scrittore, e dato che ho già speso in tasse scolastiche l’acconto del prossimo libro, il mio editore mi ha fatto una testa così che entro un mese vuole qualcosa, e allora ho chiesto ad Ai di hackerare il computer di Saeko alla ricerca di qualcosa di interessante, e mi sono ritrovata tra le mani questo caso di traffico di armi…”
“E hai pensato bene di investigare per i cavoli tuoi per avere di nuovo l’ispirazione?” Ryo le domandò, severo e arcigno come solo lui sapeva essere con certi ragazzini, ma a vedere l’aria colpevole dell’adolescente, il suo cuore perse un battito, e fissò la giovane Nogami intontito: non vide lei, ma un’adolescente, un’altra ragazzina della sua stessa età… tanti anni prima.
“Allora ragazzina, si può sapere cosa cavolo vuoi da me? Mi segui da due giorni!” Ryo sbuffò mentre le offriva una cioccolata calda al bancone di un bar; guardandosi intorno, alzò un sopracciglio in segno di apprezzamento ad una stangona mozzafiato, che però, vedendolo in compagnia di una liceale, si voltò indispettita dall’altra parte, e Ryo sospirò. “Mi stai rovinando la piazza, sai?”
“Volevo solo sapere che tipo di persona è il partner di mio fratello, tutto qui.” Gli rispose, con il broncio, leggermente indispettita. Sebbene giovane- piccola, agli occhi di molti- Kaori si occupava di tutto in casa, era un’adulta al pari del fratello. “Da quando siete compagini passa con te anche tutto il suo tempo libero…”
“Ah ma allora dovevi dirmelo che eri gelosa!” Le rispose, sornione, con un sorriso che gli illuminò gli occhi, mentre le stropicciava i cortissimi capelli rossi. “Guarda che non ti devi preoccupare, perché è impossibile portare il tuo fratellino sulla cattiva strada… ma sai com’è, si è deciso che vuole farmi diventare una persona onesta a tutti i costi!”
Facendole l’occhiolino, Ryo piantò la cannuccia nella tazza della ragazzina, e prese a succhiare rumorosamente il nettare ormai tiepido, sorridendole in un modo che non poté fare a meno che farla arrossire…
Riportato al presente, Ryo abbassò gli occhi e si sentì avvampare, mentre le farfalle gli sbattevano le ali, pazze, sconvolte, nel petto, come ogni volta che pensava alla sua rocambolesca storia d’amore con Kaori.
Gli mancava. Era lì, a due passi da lui tutto il giorno, ma gli mancava da morire, e non passava istante che non si pentisse di averle detto che aveva ragione, nel lasciarlo. Si voltò verso il vecchio amico, pronto ad aprirgli il cuore ed ammettere le sue colpe, chiedergli come fare per recuperare il suo sodalizio con la di lui sorella, quando un rumore li destò dal loro stupore generale: qualcuno stava bussando alla porta.
“E adesso chi diavolo è a quest’ora?” Nogami senior sbottò, marciando verso la porta sbattendo i piedi a terra in una perfetta imitazione di Godzilla che sarebbe potuta essere degna di un Oscar. “Beh allora?”
Aprì la porta, e fece un passo indietro mentre guardava l’uomo davanti a sé, vestito di un vecchio spolverino beige che aveva visto decisamente giorni migliori, il pugno ancora alzato nell’atto di bussare.
Zenigata: o meglio, l’uomo che si faceva passare per lui nel migliore dei casi, che si credeva l’immaginifico poliziotto nel peggiore.
Dopo un attimo di suspense, in cui nessuno di loro sembrava intenzionato a fare nulla, Ryo scattò, nell’esatto istante in cui “Zenigata” tentava la fuga, e lo placcò a terra, bloccandolo con la sua non indifferente mole, sibilando che era in arresto.
Non aveva la benché minima intenzione di passare per scemo, o peggio, cretino o incapace, a causa del padre di Saeko.
“Lasciatemi andare! Sono un collega!” L’uomo prese a strepitare; sotto a Ryo, si muoveva, si dimenava, cercava di assestare pugni, calci, colpi di qualsiasi tipo, ma nulla: l’altro era più forte, più deciso…. Aveva sempre e comunque la meglio. Alla fine, stremato, dopo una lotta impari che parve durare ore, si arrese, accasciandosi sul pavimento, singhiozzando, piagnucolando come un bimbetto dell’asilo che la madre aveva appena mollato davanti alla porta.. “Perché non volete che vi aiuti a risolvere il caso? Perché?”
Ryo e Hideyuki si scambiarono un’occhiata a metà tra l’incredulo ed il seccato: chiunque fosse quello “Zenigata” credeva davvero di essere un poliziotto, o almeno così sembrava!
Ryo ed il capo si scambiarono un’occhiata, mentre Yuka li guardava con gli occhi brillanti, felice come una pasqua, eccitata all’idea di avere davanti un vero caso su cui indagare, materiale reale per poter sbloccare la sua crisi creativa e creare l’ennesimo capolavoro che le sarebbe valso l’ennesimo premio ed altra fama… e avrebbe potuto osservare dei veri poliziotti, non solo sentire suo padre che si vantava come un pomposo pavone!
“Lei ha visto tutto! Sa chi è stato!!!” L’uomo prese a gracchiare, nonostante la sua voce si facesse sempre più flebile, a causa forse anche del corpo di Ryo su di lui.
Tre paia di occhi si voltarono verso la ragazzina, che, all’improvviso, impallidì, facendosi sempre più piccola.
“Yuka…” il padre la intimò. “Hai visto gli scagnozzi di questo tipo farlo fuori?” Le sibilò, avvicinandosi minaccioso verso di lei; mai come in quel momento la giovane aveva sentito, avvertito la figura del padre incombere su di lei: lo aveva sempre visto come un bambinone egocentrico, tutto casa e lavoro, un po’ scemotto… e francamente, era sempre stata convinta che, in casa, quelle col cervello fossero solo lei e Saeko!
“Ehm, veramente, è stata una donna a farlo fuori…” la ragazza dovette ammettere. “Una donna che… che lui ha chiamato Ciccina…”
“Ryo… cosa avete combinato tu e Hide con il capo tutto il giorno? Non siete mai stati in ufficio!” Kaori gli domandò, dondolandosi sui talloni mentre teneva le mani sulla scrivania. Lui alzò lo sguardo dai fogli che stava compilando, e gli occhi, allontanatosi un attimo da Zenigata, che stava complottando con il padre delle Nogami, gli brillarono per un attimo.
Era ancora lei, la ragazzina di cui si era assurdamente infatuato tanti anni prima, a cui aveva rubato la cioccolata calda, con cui, nonostante gli anni di differenza, si era trovato a fare il galletto. La sua Sugar. Sì, al dito aveva l’anello di fidanzamento di un altro, ma… ma non significava nulla, no? I fidanzamenti venivano rotti in continuazione, non erano certo promesse di amore eterno, lo sapeva bene, lui!
“Hide fa così tanto il misterioso… avanti, c’è sotto qualcosa?” Gli domandò, con voce peperina, sorridendogli leggermente, e mettendo allo stesso tempo il broncio, proprio come quando era una ragazzina e si erano incontrati per la prima volta.
Con circospezione, Ryo si guardò intorno; solo Reika li stava guardando male, ma quello era normale, lei voleva sempre Ryo tutto per sé, dopotutto. Si alzò, ed afferrò la compagna per la vita, guidandola nell’ascensore. Le avrebbe detto cosa stava accadendo, sarebbe stato onesto e avrebbero condiviso un segreto: c’era modo migliore di creare intimità tra un uomo e una donna? Ne dubitava… “Andiamo al bar a mangiare qualcosa, ti spiegherò tutto lì!”
Ryo prese la sua amata Mini dal parcheggio del palazzo, e Kaori salì al suo fianco, senza nemmeno bisogno che lui glielo chiedesse, come fosse stata la cosa più naturale del mondo, automatico, quasi come respirare. Viaggiarono nella notte di Shinjuku che li cullava in un silenzio confortevole, che sembrava avvolgerli in una bolla di pace e tranquillità, estraniandoli dal resto del mondo. Ryo volgeva ogni tanto lo sguardo su Kaori, che, con un leggero sorriso, poggiava la fronte sul finestrino, le luci dei neon del quartiere che si riflettevano nei suoi occhi.
Ryo strinse con forza il volante, con tale energia che le nocche si imbiancarono, e fece schioccare i denti. Quella era la casa di Kaori, il luogo dove lei era nata, cresciuta… che lei amava. Come poteva pensare di andarsene per seguire quello spocchioso bell’imbusto?
“Ryo?” gli domandò, incerta, avvertendo l’improvviso cambiamento all’interno del veicolo, l’incantesimo che si era spezzato. Il poliziotto parcheggiò, scuotendo leggermente il capo, come a farle credere che tutto stesse andando per il meglio, che non ci fosse problema alcuno, e con le mani in tasca del giubbotto di tela azzurra si incamminò verso il locale dei loro amici. Una volta entrato, non ebbe alcun dubbio su dove andare: il loro tavolo, quello un po’ isolato dove erano stati soliti sedersi e scambiarsi baci furtivi, tenersi per mano mentre si guardavano come due ragazzini alla prima cotta.
“Prendi sempre il solito, Kaori? Quell’obbrobrio che chiami tramezzino con petto di tacchino arrosto, salsa allo yogurt e lattuga scondita?”
La donna si infuriò, però non poté esimersi dall’arrossire: Ryo la conosceva davvero bene, e sebbene fosse passato parecchio dall’ultima volta che avevano mangiato al bar insieme, si ricordava ancora cosa fosse solita prendere. E come una volta la prendeva in giro: aveva iniziato a prendere quello che lui aveva chiamato Obbrobrio perché lui aveva fatto battute sul suo peso e sulla sua voracità, e alla fine non aveva mai smesso di usare quel club sandwich così particolare come spuntino o talvolta cena.
“Beh, allora si può sapere cosa è successo? Non me lo vuoi proprio dire?” lo supplicò, mettendogli il muso- e a quello, Ryo non aveva mai saputo resistere.
Le raccontò cosa era successo, del capo e del suo discorso, che entrambi ritennero idiota, del comportamento screanzato che aveva tenuto, di come era stato ingannato da Zenigata… e della scoperta del loro testimone, che era la figlia stessa del capo, novellista che Kaori conosceva ed apprezzava, fino alla risoluzione del mistero: come nella più banale partita di Cluedo, la colpevole era la sua donna, che insospettita dai movimenti furtivi del suo amante aveva creduto di essere sul punto di essere rimpiazzata da un modello più recente – mentre invece Satoro commerciava in armi modificate e prive di matricola. Avevano anche scoperto chi fosse Zenigata: il suo vero nome era Toshio Kawai, era un ex guardia di sicurezza che aveva tentato per ben tre volte di entrare in polizia, superando sempre le prove con il massimo rendimento, per essere poi accompagnato alla porta non appena venivano a galla quelle sue peculiari nevrosi.
“Certo che però solo voi potevate mettervi in una situazione del genere!” lei scherzò, pulendosi la bocca dalle briciole del delicato pane bianco. Ryo scoppiò a ridere, in modo sguaiato, ma sincero, la stessa risata che aveva spesso fatto quando erano insieme, una coppia, e scherzavano e giocavano- mentre si gettava in bocca una manciata di patatine fritte.
La donna sospirò: certe cose non sarebbero cambiate mai, anche le più semplici, come il fatto che il suo ex sembrava bruciare calorie semplicemente respirando. Ryo sembrò avvertire il suo sguardo su di lei, e i loro occhi si incontrarono ai due lati opposti del tavolo; l’uomo mosse le dita, tentato di sfiorare la mano di quella che era stata la sua donna, ma quando vide la luce dei neon far risplendere il diamante che Kaori portava al dito si fermò, riflettendo su come agire.
Fare o non fare… non c’è provare! Si disse, e mentre rifletteva, lei avvertì quello sguardo, e forse… forse anche i suoi pensieri, i desideri di Ryo, perché nonostante tutto, lei era sempre stata quella che lo conosceva meglio, che lo capiva come nessun altro, e che sembrava leggerli nella mente.
All’esterno, una campana batté la mezzanotte, i rintocchi che risuonavano forti, decisi, implacabili, segnando il loro destino.
“Io…devo andare adesso!” La donna si alzò in tutta fretta, e afferrando la borsetta si chinò un attimo su di lui; diede un veloce bacio sulla guancia a Ryo, che come fosse stato bruciato sfiorò quel pezzo di pelle, quasi potesse avvertire ancora la pacifica presenza di Kaori, il corpo di lei premuto, anche se solo per una frazione di secondo, contro il suo.
Alla fine, non aveva provato, e non aveva fatto. E lei se n’era scappata ai cento all'ora dal locale.
Alzò la mano per richiamare l’attenzione di Umibozu, desideroso di buttare giù un bicchiere del suo drink preferito, un liquore bello forte, mentre dentro di sé sorrideva soddisfatto, e sentiva il suo cuore battere, ed il suo animo si permetteva di sognare, ancora, di nuovo.
Kaori non era così imperturbabile come voleva fargli credere; nonostante lo avesse lasciato, nonostante dicesse che erano solo amici, nonostante stesse organizzando il suo matrimonio, c’era ancora un barlume di speranza per Ryo.
Non lo aveva dimenticato. Non ancora.
Per terra, qualcosa prese a luccicare, e l’uomo si chinò per raccoglierlo: era un orecchino, ed era, se non si ingannava, lo stesso che aveva indossato Kaori quel giorno. Mettendoselo in tasca, l’uomo sorrise: la sua Cenerentola non seminava scarpe, ma orecchini.
La gente riempiva le strade di Shinjuku, ma mai come allora Ryo si sentì a casa, in pace, come forse non si era sentito da molti mesi a quella parte, ed il tutto perché stava germogliando nel suo cuore il seme della speranza.
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Capitolo 5 *** EPISODIO #4: non è tutto oro quello che luccica... ***
“MA
QUALCUNO VUOLE VENIRE A SERVIRMI OPPURE NO? MA PORCA MISERIA,
NON LO SAPETE CHE IL CLIENTE HA SEMPRE RAGIONE?!” Appoggiato
al bancone di un
compro-oro, Ryo stava strepitando come una ragazzetta isterica,
sbattendo i
pugni sulla pellicola logora di simil-legno, che aveva visto giorni
migliori.
Accanto
a lui, Hideyuki si tappava le orecchie, stringendo al
contempo denti e occhi quasi quelle urla in quel modo potessero
risultare meno
nocive per la sua salute psico-fisica.
“Senti,
Ryo…” L’occhialuto poliziotto
sospirò, mettendosi le mani
nel logoro impermeabile. “Non c’è
nessuno, o di te non gliene frega nulla.
Perché non torniamo un’altra volta?” O
magari lasciamo perdere.
“No,
non se ne parla nemmeno! Si tratta di una questione di
principio! Rivoglio quell’anello indietro, e se vogliono i
soldi indietro li
chiedano a tua sorella! Lei non aveva il diritto di venderlo! Quello
era il mio anello di fidanzamento,
ed è stata lei a
lasciare me!” Mentre parlava
nervosamente, così velocemente che le parole sembravano
quasi ingarbugliarsi le
une con le altre, Ryo sbatté nuovamente il pugno sul
bancone, facendo volare in
aria la vecchia e logora ricevuta della gioielleria che aveva
ritrovato, dopo
accurate ricerche, nella sua beneamata Mini, mischiata a vecchie
ricevute,
multe, incarti di cibo e di sigarette e accendini ormai scarichi.
Quando
il foglietto, su cui faceva bella mostra di sé la cifra di 121.000 Yen,
ricadde nuovamente
sul tavolo, Hideyuki si allungò sulla spalla del partner, e
dopo aver sollevato
un sopracciglio con fare interessato, fece un sorrisetto malizioso,
ridacchiando, all’indirizzo di Ryo.
“Dì
un po’, ma gli anelli li compri quando ti va nel caso ti
venga
voglia di fidanzarti?” gli
domandò,
ridendo sotto i baffi.
“Ma
la pianti di dire assurdità? Lo sai benissimo che quello lo
avevo comprato apposta per tua sorella!” Ryo lo
guardò con curiosità, quasi non
capisse cosa l’amico volesse dire, poi però vide
Hideyuki fare un sorrisetto,
mentre tamburellava con un dito su una cosa in particolare, un dato
che, col
tempo, si stava ormai sbiadendo… ,a che tuttavia era ancora
abbastanza ben
visibile.
La
data di acquisto. Risalente a parecchi anni prima - e di
parecchio precedente al tempo in cui Ryo aveva deciso di comportarsi da
uomo e
dire a Kaori che voleva provare ad avere una relazione con lei.
“Ehm…”
Ryo prese a sudare, goccioloni che gli scendevano dalle
tempie mentre il suo migliore amico se la rideva di gusto; poi
però un pensiero
fugace gli balenò per la mente, e si avvicinò ad
Hideyuki. I due uomini erano
ad un solo respiro di distanza, quando Ryo prese ad incombere
sull’amico,
sghignazzando con la stessa espressione di un genio malevolo.
“Vorresti
dirmi che tu a Saeko l’anello non lo hai ancora
comprato?” Lo schernì. “Che non lo tieni
nascosto da nessuna parte?”
Hideyuki
strinse i denti, volgendo lo sguardo altrove. Non se la
sentiva di parlarne, né tantomeno di scherzarne, e Ryo
avrebbe dovuto sapere
quanto quel tira e molla tra lui e la sua (ex) donna lo facesse
imbestialire;
erano anni che lui e Saeko si mettevano insieme, si lasciavano, e poi
tornavano
insieme, e dopo che alcune settimane prima, all’ennesima
richiesta dell’uomo di
rendere ufficiale il loro rapporto, lei aveva risposto che non era
pronta e che
aveva ancora bisogno di preparare
psicologicamente papà, lui ha certe idee su che tipo
d’uomo le sue figlie
debbano sposare Hideyuki se n’era andato sbattendo
la porta, seccato che
lei non lo amasse abbastanza da lottare per la loro relazione. Lui era
rimasto
fermo nella sua decisione, e lui e Saeko avevano preso ad essere di
nuovo solo
colleghi… anche se lei sembrava sentire la sua mancanza. Ma
Hideyuki non si
sarebbe piegato, non stavolta: adesso spettava a Saeko offrirgli la sua
mano
perché l’uomo la accettasse.
Peccato
che, quando lei aveva provato a
fare un mezzo passo verso di lui, avessero
finito per litigare di nuovo, quando a Maki era quasi scappato
ciò che era
successo con Yuka e con quel finto poliziotto… lui aveva
accusato il padre di
lei di essere superficiale, lei gli aveva risposto che parlava a
sproposito, parole
erano state gridate,
porte erano state sbattute, e lui era tornato a dormire sul
divano-letto di
Kaori.
“Sai,
non mi sei mai sembrato il tipo da fidanzamento,” Hideyuki
gli domandò, desideroso di riportare l’attenzione
sull’amico e su sua sorella.
“Figuriamoci se ti ci vedevo a cercare
anelli…”
Ryo
sbuffò; si appoggiò mollemente sul bancone,
mentre ancora
tamburellava, nella speranza che arrivasse qualcuno – ma
nulla. Guardò il
collega, ed immaginò che fosse giunto il momento di parlare
– e che comunque,
il buon Makimura non avrebbe mollato l’osso tanto facilmente,
soprattutto visto
e considerato che non sembrava voler parlare di Saeko.
“L’avevo
preso per lei,”
Ryo gli rispose, con una scrollata di spalle che voleva far pensare che
gli
importasse poco o nulla di cosa stava accadendo e di cosa aveva fatto
in
passato. “Kaori era da quando era piccola che la faceva
andare con tutta quella
storia della proposta perfetta, no?”
“Eri,
ma dove
andiamo?” Camminando con gli occhi coperti dalle mani
dell’amica, Kaori
procedeva sul terreno erboso, incerta sui tacchi, fasciata in un
elegante abito
da sera azzurro polvere.
“Non
preoccuparti, è una sorpresa!” L’amica
le disse, col sorriso sulle labbra e
nella voce. “E adesso, tieni gli occhi chiusi!”
Eriko lasciò andare Kaori, che,
come promesso, mantenne gli occhi chiusi una volta che si furono
fermate. Un
brivido la percorse da capo a piedi quando avvertì una
carezza sulla pelle nuda
del braccio, ed avvertì il calore che sapeva associare a Ryo
e Ryo solo.
Sorrise,
stupita,
mordendosi le labbra, e quando una musica di violini
attaccò, lei aprì gli
occhi, e se lo trovò di fronte. Vestito in un elegante
completo grigio, la
guardava timido ed impacciato, come fosse stato un ragazzino.
“Ryo?
Ma cosa…”
Tante lucine si alzarono all’improvviso, riempendo il prato e
rendendolo
magico, come una radura incantata; Ryo la prese per mano e la condusse
vicino
ad un tavolino di metallo bianco, apparecchiato per due con una coppa
di
cristallo contenente una peccaminosa crema al cioccolato con due
cannucce, e
accanto due calici di quello che sembrava champagne.
Lo
sapeva- Kaori
sapeva cosa stava accadendo, ed il cuore le martellava nel petto per
l’emozione.
Era
perfetto, era
come l'aveva sempre immaginato, sognato, come lo aveva raccontato ad
Eriko ed
Hideyuki tante volte da quando era ragazzina.
Si
voltò a
guardarlo, e trovò Ryo inginocchiato a terra, con in mano
una scatola di
velluto nero aperta, su cui faceva bella mostra di sé un
sottile anello in oro
bianco con un piccolo diamante al centro.
“Kaori,
vuoi…
ecco, vorresti…. Vorresti, vorresti sposarmi?” Le
chiese infine, dopo aver
balbettato per minuti che gli erano parsi ore.
Scoppiando
a
piangere, Kaori gli gettò le braccia al collo.
Hideyuki
lasciò ricadere il capo sulla spalla, guardando
l’amico
con un misto di tenerezza e rimpianto; quando si erano lasciati, Kaori
aveva
ritenuto Ryo, a suo modo, responsabile- aveva detto che non era stato
abbastanza maturo, che non era pronto. Che non voleva la
responsabilità della
famiglia. Ma adesso il poliziotto iniziava a chiedersi se anche la
sorella non
avesse avuto la sua parte di colpa: forse che Kaori vivesse
l’amore in modo
infantile, idealizzandolo in modo esagerato, pretendendo che
l’uomo che aveva
desiderato essere suo cambiasse in tutto e per tutto per lei? Nulla di
quella
proposta parlava di Ryo, un tipo più da convivenza che da
matrimonio, e che
comunque avrebbe visto meglio chiedere alla sua donna di sposarlo negli
attimi
di vita vissuta, con un bacio magari, ma senza anelli, pura
spontaneità.
Che
fosse per questo che le piaceva tanto questo Shinji… lui era
già come lei si era immaginata l’uomo ideale da
ragazzina, prima ancora di
incontrare Ryo: intelligente, fascinoso, carismatico,
maturo… e per di più,
ricco, elegante e raffinato, ed i rispettivi genitori li avevano sempre
visti
bene insieme. Quale donna non avrebbe fatto pazzie per uno come lui?
Anche se
Hideyuki iniziava a domandarsi se non fosse troppo
perfetto, soprattutto per Kaori… dov’era la
passione, il fuoco? Shinji non
sembrava essere in grado di darglieli… ma con Ryo era stata
tutta un’altra
cosa.
Ryo
l’aveva fatta vivere, e adesso… adesso sembrava, a
volte,
essere solo in grado di sopravvivere, e la cosa lo faceva soffrire,
perché era
certo che Kaori si meritasse di più dalla vita- ma non
poteva certo
impicciarsi, né Ryo né Kaori avrebbero apprezzato
intrusioni sue o di
chicchessia.
“Ah!
Alleluya! Finalmente!” Ryo esclamò
all’improvviso, sbraitando
talmente tanto ad alta voce che fece accapponare la pelle al socio, e
urlare la
giovane donna dai lunghi capelli neri che stava passando nel retro, e
che aveva
appena intravisto. “Signorina, venga subito qui, devo parlare
con qualcuno del mio anello!”
Sibilò all’indirizzo della
giovane, che, tremante – soprattutto alla vista della pistola
nella fondina –
si avvicinò al bancone.
“Ehm..
cosa… come posso aiutarvi?” Domandò,
arrossendo lievemente,
una reazione che fece sbuffare Hideyuki che iniziava a stufarsi di
vedere le
donne svenire alla vista del suo socio.
“La
mia ex fidanzata è venuta qui a vendere l’anello
di
fidanzamento!” continuò, facendole vedere la
ricevuta. “Dato che è stata lei a
lasciarmi, avrebbe dovuto restituirmelo, e non controllando voi siete
passabili
di denuncia per ricettazione!”
La
donna impallidì; fece alcuni passi indietro, andando a
sbattere
con la schiena contro una vetrina espositiva mezza vuota, lasciata
socchiusa;
era tesa e nervosa, e Hideyuki non mancò di rendersene
conto; lentamente,
scostò l’impermeabile, mostrando alla donna che
anche lui era armato- e
provvisto di distintivo.
La
donna strinse i denti.
“Ryo…” Hideyuki
sibilò, a
bassa voce, lo sguardo tagliente incatenato a quello della donna, che
muoveva
lentamente, quasi al rallentatore, una mano, nella speranza che il suo
movimento fosse impercettibile.
“Non
mi interessa se la legge dice che di un regalo si può fare
quello che si vuole… quello è un anello di
fidanzamento! Il galateo parla
chiaro, se la donna rompe il fidanzamento è tenuta alla
restituzione
dell’anello! E lei adesso se l’è venduto
per… no, non voglio nemmeno pensarci!”
Ryo ribatté, non comprendendo esattamente cosa
l’amico volesse dire.
“Senti,
Ryo, per
curiosità, quanto avevi pagato il mio anello di
fidanzamento?” Kaori gli
domandò, giocherellando con una penna.
“Guarda
che lo so
pure io che non è elegante chiedere il costo di un
regalo!” Ryo, da dietro la
scrivania, nascosto da una miriade di fascicoli, sbuffò. Poi
però alzò lo
sguardo verso di lei, e sollevò un sopracciglio.
“Come mai all’improvviso ti
interessi del mio
anelo
di fidanzamento, Kaori? Vuoi fare il paragone con quello del nuovo
fidanzatino
perfettino?”
“Guarda
che mi
preoccupo della gentaglia che frequenti, cretino. Credo che tu sia
stato
truffato.” Kaori gli tirò fuori la ricevuta di un
compro-oro, e la passò sotto
al naso di Ryo. “Sono andata a venderlo e me lo hanno
valutato una miseria,
nemmeno trentamila yen!”
“Cosa?!
Ma io l’ho pagato cinque volte tanto! Se
c’è qualcuno che
si è fatto fregare quella sei tu, Kaori!” Ryo
afferrò la ricevuta, stringendola
tra le mani mentre, in piedi, i dentro stridevano. “E
comunque, avresti dovuto
ridarmelo, l’anello, o tenertelo, non venderlo!”
“E
farmi pagare
le nozze con Shinji dal mio fidanzato o da mio fratello? Non se ne
parla! “
“Ryo…”
L’amico sibilò a
denti stretti, facendogli cenno col capo verso la donna; la bellezza
velocemente cercò di afferrare qualcosa che teneva nascosto
dietro la schiena,
e alzata la mano pronta a colpire, Ryo, compreso finalmente cosa stesse
accadendo – con grande gioia del compagno –
agì prontamente. Rapido, estrasse
la sua arma, sparando un singolo colpo per disarmare la donna senza
tuttavia
ferirla, e mentre lei, intontita, si massaggiava la mano, Hideyuki la
raggiunse
dall’altra parte del banco con un balzo, e dopo aver dato un
calcio al pugnale
la ammanettò.
“Certo
che però potevi dirmelo prima che era una rapina,
eh…” Ryo
sbuffò, in modo teatrale, prima di
guardare la bellissima donna, avvolta in un completo pantalone nero che
faceva
risaltare le sue forme. “Allora, bellezza, cosa stavamo
combinando?”
La
donna – giovane e bellissima, Ryo lo poteva facilmente
ammettere – voltò lo sguardo altrove, quasi
indispettita; nello stesso momento,
i due poliziotti avvertirono una certa commozione provenire dal retro
del
negozio, ed Hideyuki, veloce, face per andare a vedere cosa stesse
accadendo,
ma un uomo- un armadio sui venticinque, trent’anni, lo
buttò a terra con una
gomitata prima ed un calcio nello stomaco poi, mentre la donna guardava
la
scena arrabbiata ed inferocita.
Prima
che fossero riusciti a raggiungerlo, se n’era già
andato in
sella ad una scattante motocicletta, che agile si muoveva nel caotico
traffico
cittadino, sfrecciando tra i veicoli fermi nel traffico di Tokyo.
“Quel
dannato traditore doppiogiochista… e mia nonna crede che
sposerò quel… quel….quel cretino
codardo?!” La donna strillò; iniziò a
gridare,
a strillare, isterica, inferocita, e sembrava non voler smettere, mai,
per
nessun motivo al mondo…
Continuò
a strillare anche una volta che furono arrivati alla
centrale, dove, ammanettata, la accompagnarono nella sala
interrogatori, ma
nulla: lei continuava a imprecare, inferocita, contro la sua famiglia e
contro lui, e
che sarebbe morta prima di sposarlo…
“Cos’è,
hai spezzato un altro cuore?” Kaori domandò
scherzosamente
a Ryo, mentre sedeva davanti allo specchio cieco, studiando la donna
che
continuava a sbraitare isterica e furibonda; Saeko era dentro, con
Hideyuki, ed
entrambi si stavano tappando le orecchie, stringendo denti e occhi
nella
speranza che quello aiutasse a
placare
cosa stava accadendo.
“Spiritosa,”
Lui le rispose, un po’ scocciato. “Ero andato a
riprendermi il mio anello, quando
invece del gioielliere mi sono trovato davanti questa che faceva piazza
pulita
di tutti i gioielli. Aveva anche un partner ma il tuo fratellino se
l’è fatto
scappare.”
“Il
tuo…. Vuoi dire…” Lo sguardo della
donna cadde sulla sua mano
sinistra, quasi avesse potuto trovare lì la risposta alle
sue domande,
quell’anello che per troppo poco tempo aveva indossato.
Guardò
Ryo, lo squadrò, lo studiò, cercando di capire
cosa lo
avesse davvero mosso ad agire in quel modo, cercare di riavere qualcosa
che da
tempo non era più suo: cocciutaggine, orgoglio ferito? Per forza, si diceva Kaori, rifiutando
che Ryo avesse ragioni ben
più profonde per voler riavere quell’anello - che
per lui, che aveva
sempre detto di non credere al
matrimonio, non avrebbe dovuto significare nulla. E invece, ora
sembrava quasi…
quasi rammaricato. Ma era perché lo aveva
venduto… o perché avrebbe preferito
incassare lui, quei soldi?
“Sappiamo
chi è la tua estimatrice?” Gli domandò
curiosa; stava
usando un tono un po’ civettuola, quasi infantile –
lo stesso che aveva usato
da ragazza quando lo voleva manipolare nel fare qualcosa per lei o lo
voleva
prendere in giro.
“Solo
il nome di battaglia, a quanto pare si fa chiamare Ladra
305 ed ha una lista di precedenti
lunga da qui all’Europa… Saeko dice che potrebbe
appartenere ad una banda,
perché ha trovato lo stesso modus operandi in casi anche di
quindici, vent’anni
fa… e dubito che la nostra bella scassinasse le serrature
con le spille di
sicurezza del pannolino.” Ryo sogghignò,
sghignazzando. “Ah,
e sappiamo anche che a quanto pare pure
il suo di matrimonio è
saltato… il
complice che l’ha mollata? Era
il suo
ragazzo.”
La
coppia, in piedi l’uno accanto all’altra davanti al
finto
specchio, così vicini che quasi si sfioravano, che potevano
avvertire l’uno il
calore dell’altra, tornò a prestare attenzione a
cosa stava accadendo dentro, a
Saeko che, imperterrita, fredda e glaciale come solo lei poteva essere,
si
apprestava ad interrogare la giovanissima donna, ammanettata al
tavolino di
metallo.
“Signorina…
mi scusi, ma sa, non so come chiamarla…” Le disse
con
un sorriso disarmante, che stupì tutti. Le si sedette
davanti, improvvisamente
cambiando, dimostrando di essere una manipolatrice nata non solo quando
si
trattava di uomini ma anche con elementi del cosiddetto gentil sesso-
non che
al dipartimento qualcuno avesse mai osato definire lei o Kaori in quel
modo.
La
ladra non rispose, si limitò a guardare in basso,
rattristata,
sembrava svuotata, delusa… ma dalla vita, o
dall’uomo con cui pensava che
avrebbe passato il resto dei suoi giorni?
“Ascolti…”
Saeko posò la mano su quella della donna, guardandola
dolce, mentre Hideyuki invece assumeva un’aria sempre
più severa e dura,
rendendo palese il loro gioco di poliziotto buono e poliziotto cattivo.
Ma la
stagionata poliziotta immaginava che avrebbe potuto funzionare: la
ragazza
sembrava abbastanza abbattuta e sconvolta da fidarsi di lei.
“Non esistono i
fantasmi. Tutti hanno un’identità, e presto o
tardi scopriremo la sua, e quella
del suo…fidanzato.”
Saeko
sottolineò la parola in modo quasi sibilante, ponendo su di
essa l’accento; la donna sembrò quasi svegliarsi
dal torpore furibondo in cui
era caduta, e strinse i denti, mentre due grosse lacrime le lasciavano
gli
occhi: era la reazione in cui Saeko aveva sperato.
“Se
dovessimo arrivare a lui… non mi meraviglierei se decidesse
di
parlare. Se la vendesse… la abbandonasse, come ha
già fatto.”
“Kasumi.”
La donna sospirò, il volto basso, le mani strette,
unite, quasi in preghiera. “Il cognome che ho usato
maggiormente negli anni è
Aso, ma… non sono certa che sia il mio vero cognome. La mia
famiglia fa questo…
lavoro da tempo. Non so nemmeno più io chi sono veramente,
se non la Ladra
305.”
“Abbiamo
controllato i dossier,” Hideyuki interruppe;
camminò
deciso verso di lei, mentre, dall’altra parte del vetro, Ryo
lo guardava, come
fosse fiero dell’amico e partner. “I compro-oro da
quattro soldi non sono mai
stati obbiettivi nelle vostre corde. Cos’è, avete
sentito la crisi pure voi?”
“Noi
non scegliamo cosa rubare- noi veniamo
ingaggiati per farlo. Un uomo mi ha pagata milioni di Yen
perché
andassi in quel buco e rubassi per lui una moneta antica. Quel buzzurro
del
proprietario nemmeno sapeva cosa aveva tra le
mani…”
“Una
moneta antica?” Saeko domandò, stupita, mentre
Kasumi faceva
cenno di sì col capo.
“Una
moneta romana, per la precisione in puro oro. Rarissima.
Unica.” Spiegò. “Una leggenda narra che
chi la possiede sarà incoronato capo
del Clan dei Gitani…”
“Chi?”
Ryo si domandò ad alta voce dall’altra parte del
vetro,
alzando un sopracciglio. Kaori sospirò, un po’
esasperata: a volte, il suo ex
era un po’ cieco a cosa non accadeva proprio
sotto al suo naso, mentre conoscere a menadito la cronaca nera
dell'intero
Giappone era la sua specialità.
“Una
banda di Rom, provenienti dalle ex Repubbliche sovietiche,
lavorano tra la Bulgaria e la Slovenia, principalmente, ma hanno
cellule in
tutta l’Europa centrale e meridionale. Hanno un comportamento
mafioso, e per
questo erano stati allontanati dal resto della loro
comunità- ma non per questo
hanno cessato di delinquere.”
“Quindi…”
Iniziò lui, spronando la sua ex a continuare nella
spiegazione, tenendo tuttavia l’orecchio teso ad ascoltare
cosa accadeva dietro
al vetro.
“Siamo
stati contattati da uno dei pretendenti al titolo di
Capofamiglia….” La ladra continuò nel
suo racconto. “Il vecchio patriarca è
morto e adesso i suoi quattro figli si contendono l’impero,
nonostante
tecnicamente sia solo il più grande ad averne diritto.
Ma… ma il figlioletto
minore vorrebbe essere lui a dettare legge. Dice che è
così che il padre
avrebbe voluto, perché era il figlio prediletto. Il ragazzo
aveva scoperto che
la moneta era da qualche parte in Giappone ed ha incaricato il mio clan
di
recuperarla.”
“E
ci siete riusciti?” La donna domandò, lasciando
calare
leggermente la maschera. Kasumi si guardò intorno; le era
stato insegnato a
detestare la polizia, odiarla, l’amore ed il rispetto era
solo per la
famiglia. Ma…
lei era stata abbandonata.
Nessuna
si aspettava che potesse tradire il sangue del suo sangue
ma… non avevano forse fatto lo stesso con lei?
Poteva
fidarsi solo di coloro che le erano di fronte.
Sghignazzando
malevola, si avvicinò a Saeko. “Allora, signora
detective… vuole sapere dove avverrà lo scambio?
Duemila yen che quel cretino
del mio ex non ha minimamente pensato a cambiare luogo e ora
dell’appuntamento!”
“Eh?
E questo cos’è?” Kaori
domandò a Ryo
quando, alcuni giorni dopo, a sera, le luci nella loro unità
quasi tutte
spente, soltanto loro e pochi altri rimasti dopo che avevano finalmente
finito
di compilare tutte le scartoffie del caso, lui le lasciò
scivolare una busta
sulla scrivania. Ryo le rispose con una scrollata di spalle, e quando
lei la
aprì, si trovò davanti un assegno, intestato a
lei- Kaori Makimura. “Ma, Ryo,
un assegno? Io non…”
“Quello
è il reale valore dell’anello che ti avevo
regalato. Avevi
ragione, su tutta la linea: mi avevano fregato alla grande. Ma
soprattutto, era
tuo ed era giusto che,
se ti servivano i soldi, lo usassi per te.” Le rispose,
scrollando con
noncuranza le spalle, seppur il suo volto fosse macchiato dal segno
della
tristezza. “Quindi, lasciami fare questa cose per te, va
bene?”
“Ryo,
non è giusto...ti ho lasciata io e quindi avresti dovuto
tenerlo tu, non darmi dei soldi...” La donna provò
a spiegargli, nascondendo le
sottili e delicate labbra dietro al foglietto. “E poi, lo hai
almeno
recuperato?”
Ryo
si morse la guancia, volgendo per un solo attimo lo sguardo
altrove, e si schiarì la voce. “Ehm, dovevano
già averlo venduto a qualcun
altro, un vero peccato, eh? Eh, eh, eh…”
“Oh…”
Kaori abbassò gli occhi, e a Ryo parve di vedervi dentro
come una nota di tristezza, di rammarico, ma durò solo una
frazione di secondo:
poi, lei si ricompose nuovamente. “Io… io non me
la sento di accettare, sono
davvero troppi soldi…”
“Senti,
mettiamola così: è il mio regalo di compleanno,
dato che
oggi festeggi… e dato che trent’anni si
festeggiano una volta sola, invece di
regalarti qualche cazzata che non userai mai e che magari tra due
giorni
butteresti via, ti do qualcosa che ti serve davvero!” Senza aggiungere altro,
senza permetterle di
dire la sua, Ryo si incamminò lungo le scale; mani nelle
tasche dei pantaloni,
sospirava mentre giocherellava con la scatola di velluto nero,
contenente
l’anello di fidanzamento: lo aveva ritrovato, ed era riuscito
a tenerlo fuori
dalle prove, e lo avrebbe tenuto ancora con sé, per un
po’... o forse per
sempre.
Perché
forse quella proposta l’aveva fatta perché Kaori
la
desiderava, ma quell’anello lui l’aveva acquistato
perché lui lo aveva
voluto, perché aveva visto quella gemma in vetrina ed
aveva pensato a lei, e questo sarebbe stato sempre vero, una delle
poche verità
da cui, almeno nel suo animo, Ryo non sarebbe scappato… mai
e poi mai si
sarebbe potuto disfare di quell’anello, simbolo del loro
amore.
“Tutto
bene, vecchio mio?” Sobbalzando, Ryo si voltò, e
trovò
Hideyuki che gli stringeva la spalla. Si limitò a
sorridergli, di un sorriso
triste, mesto, e sospirò, alzando gli occhi verso il cielo
di Tokyo, da cui non
si vedeva alcuna stella, troppe erano le luci artificiali della
città.
“No
ma… me la caverò.” Lo pensava davvero,
dopotutto, se l’era
sempre cavata, qualsiasi cosa la vita gli avesse messo davanti, lui era
sempre
sopravvissuto. Era sempre andato avanti. Lo avrebbe fatto anche
stavolta: solo,
sarebbe stato più complicato del solito. Più
doloroso.
“Ryo…
perché non provi a parlare con Kaori? O se
vuoi….” L’amico
tentennò, impacciato, ma parlando dal più
profondo del cuore, desideroso di
vedere la sua famiglia per quanto strampalata che fosse, felice ed
unita.
“Potrei farlo io.”
Ma
Ryo scosse il capo: forse, ormai, era troppo tardi. Forse
davvero era ora di andare avanti, guardare in faccia la
realtà, affrontare i
fatti.
Kaori
era stata pronta a
vendere il suo – loro- anello di fidanzamento,
questo la diceva tutta,
mostrava che le cose con Shinji andavano ben oltre che avere
semplicemente al
dito l’anello dell’altro: forse era davvero giunta
l’ora di rassegnarsi.
“Beh,
se ti può essere di consolazione, sarai casinista quanto
vuoi, e anche rozzo, un po’ ignorante, e non possiedi nemmeno
un grammo di
stile..” Hideyuki iniziò, facendo arrabbiare Ryo,
che si gonfiò nemmeno fosse
stato un palloncino. Però poi l’occhialuto
poliziotto gli sorrise, e gli fece
l’occhiolino prima di scoppiare a ridere.
“Però credimi, preferirei avere te
come cognato a quel pallone gonfiato di Shinji!”
Mentre
si incamminavano verso le loro auto, entrambi gli uomini
scoppiarono a ridere.
Uniti
come solo loro potevano essere- fratelli senza condividere
il sangue.
Ryo
alzò lo sguardo, e nel cielo vide una singola stella
illuminare il firmamento, quasi avesse voluto mostrare la strada ai
viandanti,
ai navigatori. Era forse un segno? Il destino gli diceva di non perdere
la
speranza, che c’era ancora qualcosa che poteva fare per
riavere Kaori nella sua
vita, al suo fianco?
Mano
sulla spalla del vecchio amico, si incamminò verso un bar,
pronto ad offrire all’altro cuore solitario da bere:
chissà, forse si
sbagliava, e c’era ancora, davvero, speranza per tutti
loro...
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Capitolo 6 *** Episodio #5: Il mandato ***
“Servizio in camera!” Ryo sbraitò mentre se ne stava un po’ nascosto contro il muro, aspettando che la sua preda se ne uscisse fuori. Dall’altra parte della camera d’albergo, Maki, che con la macchina fotografica in mano aspettava che il loro pollo aprisse.
Ryo squadrò l’amico: era decisamente strano. Teso, denti stretti, le dita serrate intorno all’apparecchio fotografico, ed un’espressione sì seria, ma quasi distaccata. Rabbiosa. La cosa puzzava, ma Ryo sapeva che le cose erano, in realtà, molto più semplici di quanto il buon Makimura non le volesse far apparire: se stava agendo così era principalmente per ripicca, perché lui e Saeko avevano avuto un’altra delle loro solite litigate.
Ryo aveva ormai perso il conto delle volte che era successo, nel corso degli anni: almeno due o tre volte l’anno da quando erano tutti e tre insieme in Accademia. Litigavano per qualcosa (principalmente per ragioni familiari), stavano qualche settimana imbronciati, comportandosi con professionale distacco, oppure da semplici amici, poi cedevano e tornavano insieme.
Ma stavolta sembrava diverso: Maki era piuttosto distaccato e seccato con Saeko, lei sembrava alternare momenti di rattristato rammarico a malcelata indignazione, quindi non solo non avevano ancora fatto pace, ma sembrava che stavolta le cose fossero messe peggio del solito, come indicato dal fatto che quell’idea malsana non fosse, per una volta, partita da Ryo…
“Ryo, senti… ti andrebbe di arrotondare un po’?” Maki gli chiese, a bassa voce, facendo attenzione che nessuno intorno a loro li ascoltasse.
Ryo alzò un sopracciglio, chiedendosi se fosse una trappola: che Maki lo volesse mettere alla prova? Lui, serio e ligio, non aveva mai contemplato di fare dei lavoretti per arrotondare, e anzi, tutte le volte che Ryo aveva anche solo avanzato tale ipotesi, si era beccato un sermone morale sull’onore, e la sacralità del loro lavoro che avrebbe fatto addormentare chiunque, e che aveva fatto venire il dubbio a Ryo che fosse il buon Makimura a scrivere i discorsi al loro capo…
“Dove sta l’inghippo?”
“Nessun trucco, niente inganno.” Maki sbuffò, alzando gli occhi al cielo. “Un amico avvocato mi ha chiesto di consegnare un mandato di comparizione, e mi serve qualcuno che mi fotografi mentre lo faccio. Tutto qui. Dodicimila yen ciascuno per cinque minuti del nostro tempo. Allora, ci stai o no? ”
“Ma io non ho chiesto il servizio in camera!” Un uomo sibilò, aprendo la porta con un colpo secco, con tale forza che la fece quasi sbattere contro il muro. Ryo gli Sbattè, quasi letteralmente, il mandato sotto il naso, e si posizionò di fianco all’ometto, un tizio comune, forse sui sessant’anni, come ce n’erano tanti. Ryo lo squadrò velocemente, facendo fatica a credere che potesse essere un delinquente: sembrava più che tutto un cretino un po’ sciocco. “Cosa volete!?”
“Signor Suzuki Ado, c’è un mandato di comparizione per lei!” Ryo sghignazzò, mentre Maki scattava due istantanee con la vecchia Polaroid. “Su, sorrida!”
Rapido, mentre l’ometto aveva in mano il mandato, Hide scattò re foto; gettò una copia in mano ad Ado, mentre mise in tasca le altre due. Ado guardava il mandato, la foto, e Ryo e Maki, ma dalla sua bocca non usciva un singola suono: tuttavia, aveva preso a sudare, ed una singola goccia gli era scesa dalla fronte fino al labbro.
“A… aspettate…. Io… io non… c’è un errore... per favore…”
Ma ormai era troppo tardi: i due uomini se n’erano già andati.
“Sai, avevi proprio ragione… i soldi più facili che abbiamo mai fatto!” Ryo sghignazzò, mentre apriva la portiera della Mini. Mentre però stava per salire, si irrigidì, e fermò l’amico con un gesto brusco, gettandolo a terra; Ryo si nascose dietro al veicolo, pistola in pugno, certo di cosa aveva sentito, il rumore di una sicura disinnescata, e di un proiettile che andava in canna, pronto per essere sparato…
Un colpo. Due. Tre… andò avanti, ancora e ancora e ancora, un intero caricatore svuotato, poi un altro ed un altro ancora: chiunque fosse, non stava certamente scherzando. L’echeggiare degli spari mandò nel panico la gente, che correva alla rinfusa, urlando, cecando riparo da qualcosa che non riuscivano né a vedere né a percepire. Ryo e Maki si guardavano intorno, ma non capivano da dove provenissero gli spari: dalla hall? No. Il giardino, il parcheggio, la piscina? Nemmeno…
Cosa stava accadendo?
E poi, un tonfo, e schegge di vetro e vernice rossa volarono nell’aria intorno a loro, mentre un corpo sanguinante si accasciava sul tettuccio del veicolo. Cessata la sparatoria, Ryo si alzò, e controllò rapido, cercando per prima cosa il polso, ma nulla: non c’era battito, e gli occhi, vitrei, erano spalancati, eppure ormai privi di vita, nonostante rimanesse da vedere cosa lo avesse ucciso, se gli spari oppure la caduta.
Poco importava, comunque: Suzuki Ado giaceva privo di vita sul tettuccio della macchina di Ryo.
In piedi di fianco all’auto storica, l’affascinante medico legale Kazue stava segnando i parametri della vittima, mentre lanciava occhiate curiose a Ryo e Maki, che Saeko, in versione impassibile, stava letteralmente bruciando vivi: il suo sguardo di fuoco non sembrava lasciare loro scampo, la pietà, in quel momento, non era nelle sue corde.
“Giusto per capire, cosa diavolo ci facevate voi due insieme a Suzuki Ado, a meno di una settimana dall’ultima udienza del suo processo?” sibilò la bella poliziotta. Aria marziale, sembrava voler indirizzare le sue ire principalmente su Maki, che rispondeva nel medesimo modo: sguardo tagliente e lingua aguzza. Ryo fece un mezzo passo all’indietro, nella speranza di divincolarsi e sparire, certo che, presi da quelle loro baruffe romantiche, i due non se ne sarebbero nemmeno resi conto, ma nel momento in cui Saeko gli ringhiò contro come un mastino, nonostante il soprannome di Pantera, si fermò all’istante, decidendo che, tutto sommato, rischiare la sorte non gli sarebbe dispiaciuto.
“Processo? Che processo?” Ryo Sbattè le ciglia, grattandosi il capo come un ragazzino ingenuo, facendo finta di cadere dalle nubi; si portò un dito al mento, come per meglio concentrarsi, ma di nuovo lei lo gelò all’istante, facendolo sentire in colpa per aver finto di non essere a conoscenza di quella vitale informazione, quel tassello di cui tutto il dipartimento parlava. “Ah, sì, Suzuki Ado, era quello che ha rubato i fondi della sua ditta…”
“Fondi???” Saeko sbottò, battendo una scarpa col tacco sul pavimento incatramato del posteggio. “Quell’uomo ha svuotato i conti della sua azienda, rubato il fondo pensione integrativo, il TFR, non ha mai pagato un solo centesimo di cassa pensione…” Saeko sbuffò, abbassando moscia il capo, già immaginandosi le ore di straordinario e i fogli che avrebbe dovuto compilare per togliere quei due dai guai. La cosa che più la preoccupava, però, era sapere che stavolta Maki sembrava esserci dentro fino al collo, e peggio, le sembrava di aver inteso che era stato il suo “ex” a scatenare quel putiferio, e la cosa…
La addolorava. La preoccupava.
Maki era sempre stato quello con la testa sulle spalle; tra lui e Ryo, era il secondo il combina guaì, quello che era un miracolo se era ancora vivo, ed in servizio- e tutto per merito di Makimura, ma dall’ultima volta che si erano lasciati, per l’ennesima volta, sembrava che qualcosa si fosse rotto nel suo caro amico ed ex amante: era come se Hideyuki si fosse sentito vecchio, stanco, stufo ed arrabbiato, tutto insieme, all’improvviso.
La donna lanciò un’occhiata triste e compassionevole al suo (ex) uomo, che distolse lo sguardo, quasi volesse addossare a lei delle colpe; decisa e determinata, Saeko si voltò verso Kaori, che stava parlando con Reika e con Kazue.
“Reika, Ado aveva moglie e figlia, notifica il decesso. Kaori, molti degli ex dipendenti della ditta di Ado gli avevano fatto causa presso il tribunale civile. Controlla che nessuno di loro abbia precedenti per reati contro la persona, e dopo che Reika ha fatto la notifica, vedi di scoprire se la nostra vittima avesse ricevuto minacce.”
Kaori emise un flebile gemito di disperazione: aveva seguito il caso attraverso la stampa, e ricordava che si parlava di 700 soggetti che avevano fatto causa… quindi, minimo 700 sospettati. Non sarebbe mai tornata a casa, altro che passare la serata con il suo fidanzato ad organizzare il matrimonio!
E la colpa era, ancora una volta, di un casino combinato da Ryo in cui, come al solito, era stato trascinato anche Hide… Sembrava quasi che quei due complottassero per impedirle di arrivare all’altare, e la cosa iniziava a non divertirla più, nemmeno un po’.
Kaori diede loro le spalle, allontanandosi con Reika digrignando i denti e mugugnando parole intellegibili nel maggiore dei casi, e nel restante parole che non potevano essere riportate, e che mai e poi avrebbero dovuto lasciare le labbra di una vera signora.
“E adesso veniamo a noi…” Saeko sbuffò, una volta che le colleghe si erano allontanate; prese da parte i due uomini, sistemandosi con loro in una zona d’ombra, tranquilla, dove difficilmente sarebbero stati disturbati, e alzò gli occhi al cielo sospirando. “Cosa stavate facendo qui?”
“Beh, ecco…” Ryo iniziò a balbettare, alla disperata ricerca delle parole, di una scusa che non gli avrebbe fatto passare troppi guai. Stranamente, però, Maki, diversamente dal suo solito, prese l’iniziativa, e sporse al capo la fotografia che vedeva Ryo in posa con mandato e Ado.
“Arrotondiamo lo stipendio. “ Si limitò a rispondere, senza mai distogliere lo sguardo dalla donna, fuoco nel fuoco. “Serviva qualcuno che consegnasse un mandato per conto di uno degli avvocati della parte civile e io mi sono offerto. E comunque, un giorno potrei decidere di fare l’investigatore privato a tempo pieno, questa sarebbe una solida base da cui partire.”
“Solo alcuni dei più alti membri delle forze dell’ordine sapevano che Ado era rintanato qui,” Saeko disse a voce bassa, lentamente, distogliendo lo sguardo dall’uomo che ancora amava, cercando di non far trasparire il duro colpo che le sue parole le avevano inferto, e decise di cambiare discorso. “Come l’avete trovato?”
“Informatori, Saeko…non è poi così difficile se sai a chi chiedere…. E poi Ado era noto. Non era certo il tipo che passava inosservato.” Maki le rispose, sistemandosi con una nonchalance che era lungi dal provare gli occhiali. “Qualcuno deve averlo riconosciuto e deve aver sparso la voce in giro. Quindi puoi stare tranquilla, non siamo stati noi a far ammazzare Ado, né abbiamo utilizzato risorse ufficiali per rintracciarlo.”
“Beh, ci sarebbe mancato solo quello, già siete nei casini così…” Kazue intervenne, raggiungendoli con passo deciso. Aveva in viso la sua solita espressione determinata, quella da donna che non permetteva a fatti privati di inferire sulla sua ferrea etica lavorativa. Con cipiglio deciso, sollevò una pinzetta, simile a quelle delle sopracciglia, e mostrò agli agenti quello che appariva essere un baffo posticcio dello stesso colore di quello di Ado. “Ha anche un parrucchino e lenti a contatto.”
“Cosa?” Saeko sbattè le ciglia, guardò il baffo, poi si avvicinò al cadavere per studiarlo attentamente, infine gettò un’occhiata alla foto che Maki le aveva dato; lei stessa aveva lavorato alla sicurezza di Ado, quindi sapeva che doveva trattarsi di lui… eppure… eppure, era così: nonostante l’incredibile somiglianza, non si trattava del loro uomo, ma di qualcun altro… e senza quei travestimenti, la cosa era ben chiara.
Ryo chinò il capo, abbattuto, affranto, avvertendo la delusione montargli dentro: nemmeno questa l’aveva fatta giusta, era riuscito a fare un casino anche per una cosa semplicissima.
“Allora, le forze dell’ordine hanno accompagnato Ado in Hotel appena uscito dal tribunale, quindi abbiamo la certezza che era lui in quel momento. “ Reika spiegò, seduta alla scrivania nella grande sala che accoglieva la loro unità. “Le telecamere di sorveglianza ci dicono che c’era qualcuno di somigliante a Ado ieri pomeriggio sul balcone, ma è difficile capire se fosse lui o l’attorucolo…”
“E di lui, cosa sappiamo?” Saeko domandò, a braccia incrociate, voltandosi verso Kaori; Ryo e Maki erano in un angolo, ad ascoltare senza la possibilità di parlare, sentendosi colpevole e vergognandosi l’uno, indisponente e cocciuto l’altro.
“Kudo Senso, di anni cinquantasei. Attore e truffatore a tempo perso.” Kaori appese alla lavagna un'istantanea, presa forse da internet, o un ingrandimento della carta di identità; l’uomo che vi era ritratto era simile ad Ado, decisamente somigliante nei lineamenti, ed era evidente come, con qualche espediente, fosse potuto passare per lui: era bastato che cambiasse colore degli occhi e dei capelli, ed aggiungesse un paio di baffi. “Le pallottole che lo hanno ucciso sono compatibili con quelle di una Glock 17, non ho trovato riscontri nel database… non mi meraviglierei se qualche americano della base navale l’avesse venduta denunciandone lo smarrimento, conscio che sarebbe apparso solo nel registro statunitense e non nel nostro.”
“La vera domanda è, chi era la vittima, lui o Ado?” Ryo intervenne scendendo dalla scrivania su cui era seduto e raggiungendo la lavagna.
“Cosa vuoi dire?” Saeko gli domandò, alzando un sopracciglio, non con tono rancoroso e dubitevole, ma aperto e disponibile- fiera dell’apporto alle indagini dei suoi uomini.
“Beh, se Ado era l’obbiettivo, abbiamo quasi mille sospetti tra cui indagare, ma se l'obiettivo fosse stato Senso…” Ryo fece un sorrisetto. “Potrebbe benissimo essere stato Ado ad ucciderlo, per far sparire le sue tracce, far credere a tutti di essere morto e godersi i soldi.”
“Quindi in questo caso qualcosa potrebbe essere andato storto…” Maki si massaggiò il mento. Sembrava leggermente più rilassato, quasi più dolce, ma c’era qualcosa in lui che indicava quanto ancora si sentisse fuori luogo, non fosse a suo agio, anche se nemmeno chi lo conosceva bene era in grado di dire se fosse una questione di lavoro… o di cuore. “Forse la nostra presenza lo ha agitato? Probabilmente aveva in mente di fare qualcosa per cui avremmo pensato che si trattasse di Ado senza tuttavia usare DNA o le impronte dentali… o forse voleva soltanto guadagnare tempo. L’assassinio di questo tizio distoglie l’attenzione dal suo caso e lui ne approfitta per lasciare il paese e scappare in qualche nazione senza estradizione, magari un paradiso fiscale, facendo fessi tutti quanti.”
“Io intanto ho fatto venire l’avvocato che aveva contattato i nostri e la vedova e la figlia...” Reika aggiunse con un sorrisetto, indicando i due uomini con fare malizioso. “Ho fatto andare in sala interrogatori uno lui mentre le signore sono nella due…. ci pensiamo noi due insieme, sorellina, a farli cantare?”
“No,” Saeko le rispose, volgendosi verso il corridoio. “Ci pensiamo Hideyuki ed io a parlare con l’avvocato, voglio proprio sentire cosa ci dirà… le due signore, invece, lasciamole stare ancora un po’ lì da sole, voglio che si sentano nervose e sotto pressione, se sanno qualcosa potrebbero anche tradirsi!.”
Mani in tasca dei pantaloni di tessuto scuro, Hide la seguì, senza tuttavia proferire parola; i due entrarono nella stanza con il falso, enorme specchio, dove li attendeva l’avvocato, una vecchia conoscenza di Maki e Ryo; non proprio un amico, ma un tizio che bazzicava i loro stessi posti, e con cui avevano stretto una specie di legame cameristico: Mamoko Rensuke.
“Mamoko…” Maki lo chiamò, sedendosi davanti a lui al tavolo, sistemandosi gli occhiali. “Vorremmo chiacchierare con te del signor Ado…”
“Di Ado? E di cosa vorresti parlare? Sono rovinato!” L’uomo piagnucolò, mettendosi le mani nei capelli ingrigiti e crespi; aveva un’aria trasandata, che sembrava gridare che fosse solo un avvocato da quattro soldi, di quelli che finivano spesso e volentieri per perdere le cause e prenderle dai clienti. Maki ricordava che Ryo una volta gli aveva parlato di tipi del genere, dicendo che lavoravano raccogliendo i dolori delle disgrazie altrui: a Ryo gli avvocati non erano mai piaciuti, ma quel tipo di avvocati, ancora di meno, era solito dire di loro che rincorrevano le ambulanze alla ricerca di feriti e morti... “Proprio adesso che stavamo vedendo la luce alla fine del tunnel!”
“Mi dica, potrebbe fornire un alibi per ieri sera? Diciamo...le nove?” Saeko gli domandò; si era seduta davanti a lui, composta ed elegante nel suo abito color pervinca. Aveva un’aria quasi angelica, rassicurante, studiata per mettere a suo agio le persone che le stavano intorno, specie chi desiderava interrogare.
“Beh, ero dove sono tutte le sere alle nove…” L’uomo sospirò, grattandosi il capo. “Alla mia scrivania, stavo studiando il caso. L’avvocato di Ado aveva presentato tutta una serie di mozioni e volevo capire come rispondere…”
“Capisco…” la donna giunse le mani, guardando davanti a sé. “E mi dica, da grande conoscitore del caso… ha idea di chi potrebbe aver voluto uccidere Ado?”
“Ha l’elenco telefonico delle prefettura di Tokyo?” le domandò ridendo, incrociando le braccia. “Persino sua moglie e sua figlia gli stavano facendo causa!”
I due alzarono contemporaneamente un sopracciglio, guardandomi negli occhi, la loro intesa chiara. Saeko si alzò, e andò nella stanza accanto, preferendo però come secondo Ryo; uomo dall’indubbio fascino, sapeva far andare in tilt i cervelli delle donne più sagge e mature, e sarebbe potuto essere utile per destabilizzare le donne.
“Signore, sono Saeko Nogami, dirigo questa unità, e questo è uno dei detective incaricati del caso, Ryo Saeba…” Ryo, conscio del gioco dell’amica, si sedette sul tavolo, gambe che ciondolavano, guardando in viso le due donne: era lampante che la signora Ado non fosse la prima moglie, perché le due dovevano essere coetanee; ma dove la figlia del ladro era semplice, la sua vedova era un concentrato di silicone e firme.
“Piacere di Conoscerla, io sono Ana Ado, la quarta moglie di Suzu, questa invece è nostra figlia, Keiko.”
“Io non sono tua figlia, Ana, dannazione, brutta oca, andavamo a scuola insieme!” Keiko alzò gli occhi al cielo, e dopo la sfuriata sospirò. “Io sono nata dal primo matrimonio di mio padre, e prima che me lo chiediate voi, mia madre vive in America, non torna in Giappone da anni ormai. Dove siano le moglie numero due e tre, non chiedetemelo, non sono solita stare dietro alle donne di quel grosso dongiovanni da strapazzo!”
“E mi dica, signora Ado…” Ryo le domandò, chino verso la consorte dell’uomo, cercando di manipolarla con il suo fascino, la voce suadente, bassa. Ado non era certo sexy, ed c’era da scommetterci che una come Ana amasse più il suo portafogli che lui: facilmente la fatalona se la faceva con qualcuno di aitante (e scroccone) alle spalle del marito, e questo la rendeva facilmente manipolabile con un bel viso e qualche moina – ed in questo, Ryo era perfetto. “Quando ha visto suo marito l’ultima volta?”
“Tre giorni fa...abbiamo avuto un bruttissimo litigio, io, io gli ho detto che alla sua salute potevo pensare io, e che non ci serviva più un personal trainer… e lui se n’è andato sbattendo la porta… io… io ho sentito dentro di me che stavolta non sarebbe stata come le altre e che pucci-pucci non sarebbe tornato da me, ma… ma non pensavo sarebbe morto…. Che non lo avrei rivisto mai più…”
Dopo aver proferito queste parole, la donna scoppiò in un pianto isterico; le lacrime le lasciavano gli occhi chiari, e prese a soffiare rumorosamente il naso con un delicato fazzoletto di sangallo bianco che aveva nella minuscola borsetta; Keiko, invece, alzò gli occhi al cielo, borbottando.
“Chiedo scusa, ma invece di ascoltare questa lagna potremmo parlare di cose serie? Come il certificato di morte di mio padre? Devo sistemare le questioni dell’eredità, preparare il suo funerale, tutto quanto!”
Il telefono di Ryo squillò, e l’uomo si allontanò discretamente per rispondere; in un angolo della sala interrogatori, appoggiato con la schiena contro il muro, il volto girato verso la bella vedova che lo stava mangiando con gli occhi, rispose a monosillabi, prima di uscire senza dire nulla… e soprattutto, senza dare spiegazioni al suo capo.
“Sai Ryo, mi ricordavo che quando eravamo all’accademia tu mi facevi il filo… ma non credevo che saresti arrivato al punto di invitarmi in albergo!”
Nella struttura fatiscente, un love hotel per coppie clandestine, Ryo aprì la porta al capo, spalancandola, e le fece segno di entrare; in piedi in un angolo, la schiena contro il muro, un vecchietto dall’aria dimessa, probabilmente uno dei barboni di cui Ryo si serviva come informatori, stava stropicciando un vecchio cappello di stoffa che aveva visto giorni migliori, mentre seduto sul letto c’era Ado.
“Vedo che Maki aveva ragione sui tuoi informatori..” la donna gli disse, con una risata secca e rapida, prima di incedere come una letale pantera nel minuscolo locale, verso l’uomo che tutti credevano morto; si mise davanti a lui, mani ai fianchi, decisa e determinata. “Signor Ado, ho delle domande per lei.”
“Io non rispondo a nulla” L’uomo rispose, secco. “Io non sono un criminale! Io sono vittima di un errore finanziario! Prendetevela col mio commercialista!”
“Beh, certo, lei dice di essere vittima di un errore, ma secondo me…” Ryo fece schioccare la lingua contro il palato; mani in tasca, scostò leggermente il tessuto della giacca lasciando che si intravedesse la fondina, facendolo apparire quasi come un gesto svogliato o non voluto. “Lei ha ucciso quell’attore. Cos’è, sperava che ce ne saremmo accorti quando lei era già ai Caraibi?”
“Caracas,” L’uomo grugnì, sollevando gli occhi al cielo, quasi fosse esasperato. “Volevo scappare in Venezuela con la mia amante.”
“La sua amante?!” Saeko si stupì, mentre Ryo scoppiò a ridere. “Cosa se ne fa di un’amante che ha una moglie che avrà vent’anni?”
“Trentuno,” Lui rispose piccato, quasi lei lo avesse offeso, sentendosi indignato e colpito nella sua virilità. “Mia moglie ha trentun anni, mentre la mia amante ventidue… Ana aveva insistito tanto per assumerla, sa, era un’atleta della nazionale Olimpica Venezuelana di Ginnastica artistica!”
“Signor Ado!” Saeko sibilò a denti stretti, sbattendo i piedi e chiudendo i pugni. Incombeva su di lui come un minaccia, creatura di puro terrore e rabbia che sentiva il bisogno di sfogarsi su qualcuno… preferibilmente maschio, dato che era un maschio che le stava mandando messaggi contrastanti e la stava facendo andare su tutte le furie. “Le do due minuti d’orologio per convincermi che la vera vittima di questo crimine doveva essere lei… perciò smetta di dire fesserie e mi dica subito chi poteva volerla morta!”
“Mia moglie che era incazzata che mi ero fatto l’amante, mia figlia che era incazzata che mi facevo una sua ex compagna di scuola e una più giovane di lei e che ero ritenuto un criminale, le mie tre ex mogli, tutti gli oltre settecento tizi che mi hanno fatto causa, i loro avvocati, i loro amici e le loro famiglie, tutti quelli che ci avevano rimesso ma non mi hanno fatto causa perché non se lo potevano permettere, il mio allibratore a cui dovevo dei soldi, dei tizi poco raccomandabili della Yakuza che non volevano ridarmi i soldi che gli avevo prestato… mezzo Giappone, in pratica.”
“Saeko cara, credo che potrebbe essere arrivato il momento di far tornare in vita il nostro signor Ado, anche perché inizio a pensare che forse abbiamo guardato a questa cosa nel modo sbagliato, e che lui potrebbe effettivamente essere innocente…” Ryo si voltò verso di lei, sorridendole sornione prima di volgere lo sguardo verso l’uomo; rideva, il sorriso malevolo, ma stranamente e crudelmente soddisfatto. “Ed intanto signor Ado lei è in arresto per sostituzione di persona e compravendita di documenti contraffatti, e chissà che non riusciamo a far aggiungere anche qualcosa d’altro, eh? Ih, ih, ih!”
Nella sala interrogatori uno, la “vedova” Ado, la figlia di quest'ultimo e Rensuke era seduti l’uno accanto all’altro; tesi, si scambiavano occhiate furtive, certi che nessuno se ne accorgesse; Saeko li guardava con un sopracciglio alzato, mentre Ryo se la stava ridendo sotto i baffi. Era seduto a cavallo di una sedia, le braccia incrociate sul tavolo di ferro, e si stava godendo con malcelata soddisfazione quello spettacolo un po’ grottesco, ed un po’ penoso.
“Allora…. siamo a conoscenza che lei sapeva dove si trovava suo marito….” Ryo disse alla signora Ado, prima di voltarsi verso l’avvocato, indicandolo con l’indice destro. “E un uccellino mi ha detto che lei ha una Glock, non registrata, dello stesso calibro di quella usata per uccidere la nostra vittima…. e per quello che riguarda te, bella signorina, sulla tua macchina abbiamo trovato tracce di sangue della vittima… io direi che dopo che la signorina Ado è venuta da lei per parlare della causa vi siete messi tutti d’accordo, ognuno fornendo un pezzo del piano… peccato che non sapevate che Ado avesse scritturato quell’attore per fingere di essere lui e guadagnare tempo.. che lui morisse non aveva faceva parte del piano originale, vero? Era ad Ado che voi puntavate!”
“Sì, però non abbiamo ucciso mio marito...quello era un attore!” La procace Ana rispose con voce melliflua, sbattendo le ciglia e mettendo il petto in fuori, un gesto che fece grugnire la figliastra che sbattè la borsetta sul tavolo con un tonfo deciso: voleva solo andarsene, a quel punto, anche le manette erano meglio di starsene con quella sciocca oca.
“Sì, noi non abbiamo mai avuto intenzione di uccidere l’altro uomo,” L’avvocato rispose, tronfio e sicuro di sé; fu il turno di Ryo di guardare sconcertato i tre occupanti di quel tavolo: non era solo la moglie, tutti e tre erano senza cervello; forse, a salvarsi, era solo la figlia di Ado, che sembrava sconcertata lei stesa dalla stupidità di chi le stava intorno.
“Guardi che non conta, se pianifica un omicidio e uccide la persona sbagliata, sempre omicidio è!”
“Ah, davvero?” L’avvocato sbatté le palpebre, incredulo, mentre le donne si mordicchiavano l’una un’unghia, l’altra alzava gli occhi al cielo. “Ehm… ne siete sicuri?”
“Rensuke, ma davvero hai studiato diritto?” Ryo gli domandò, e l’uomo abbassò il capo, mormorando le parole Università on-line dei Caraibi Orientali a mezza voce, probabilmente vergognandosi, quasi certamente a ragione. Ryo prese un sospiro, alzando gli occhi al cielo, le mani incrociate dietro alla nuca. “Allora… direi che qui abbiamo due delle tre ragioni per cui si uccide un uomo… gelosia, denaro e vendetta… o ci sono tutte e tre?”
Squadrò le tre persone: sì, era così. Doveva esserlo per forza.
La moglie aveva ucciso per gelosia, perché lui la stava lasciando per un modello più recente.
La figlia, per vendetta: il padre aveva abbandonato la madre, che ora viveva in povertà e rifiutava di incontrare la figlia, troppo orgogliosa.
L’avvocato aveva ucciso per denaro, perché convinto che così sarebbe stato più facile ottenere i soldi per i suoi clienti.
“Siete tutti in arresto…” Saeko sospirò, sistemandosi con un gesto una ciocca di capelli prima di lasciare la stanza; ringraziando tutti i suoi uomini, andò nel suo ufficio, avvolto nelle tenebre, e fu sorpresa di trovarvi Maki seduto sul divano. Al buio, guardava fuori dalla finestra, bevendo una birra dalla bottiglia – cosa insolita per lui.
Sussultando, la poliziotta accese una luce, e si voltò verso di lui, raggiungendolo con passi lenti e cadenzati. “Maki! Cosa ci fai qui? Credevo fossimo rimasti solo più Ryo ed io…”
“Volevo chiederti scusa…” le disse con voce bassa. Si alzò, andando a posare la bottiglia sulla scrivania della donna, e si tolse gli occhiali. Appoggiato al tavolo, guardava Saeko, con aria triste, parendo molto più vecchio dei suoi effettivi anni. “Non mi sono comportato bene con te ultimamente. Ho lasciato che i miei sentimenti personali oscurassero la mia ragione e mi sono… sono stato scorretto. Con gli altri, ma soprattutto con te. Non… non sono stato professionale. Un buon poliziotto.”
“Maki, no!” La donna gli disse, correndogli incontro. Si gettò nelle sue braccia, battendo delicata i pugni sulla camicia dell’uomo: piangeva, mentre lo faceva. “Sono io che ho sbagliato. Tu… avevi ragione. Hai ragione. Avrei dovuto essere onesta con tutti...con mio padre, tutta la mia famiglia, e… e con te, soprattutto. Ti criticavo tanto perché da giovani mettevi Kaori prima di noi, e adesso che invece mi volevi mettere davanti a tutto il resto, sono io che ti ho delusa.”
“No, Saeko, non dire così…” le poggiò le mani sulla spalle, delicato, mentre con il dorso della mano la donna si cancellava le lacrime. “Io ti avevo chiesto tempo allora, avrei dovuto darlo a te adesso… solo che… ero stufo di aspettare, e venire sempre per secondo. Per una volta, volevo essere al primo posto per te.”
“Non è stato solo questo. Quando te ne sei uscito con la storia che mio padre non fosse un buon poliziotto e fosse stato messo al suo posto solo perché è un po’… un po’ manipolabile, ecco, io mi sono arrabbiata, credevo che parlassi a sproposito. Ma… ma Yuka mi ha detto cosa è successo, cosa tu e Ryo avete fatto per lui, e forse…” la donna scoppiò in una timida risata che le arrossì le gote, nascondendo la cosa dietro le dita delicate di una mano. “Forse tutti i torti non li hai!”
Hideyuki arrossì anche lui, un po’ in imbarazzo, e si grattò il collo. Allentò il nodo della cravatta, iniziando a boccheggiare, quasi fosse alla ricerca delle parole giuste da usare, ma la compagna di tanti anni scosse il capo, fermandolo: toccava a lei questa discussione.
“Maki lasciami finire, per favore!” La donna lo pregò; posò i palmi sulle mani dell’uomo, e tra le lacrime gli sorrise, guardandolo dritto in quegli occhi profondi. “Maki, ormai non siamo più due ragazzini, e credo che abbiamo sprecato fin troppo tempo. Quindi.. ecco… ciò che voglio dirti è…” si morse le labbra, quasi alla ricerca delle parole giuste. Hideyuki le strinse le dita, e le sorrise, facendole un cenno col capo, dandole il permesso, e l’incoraggiamento, per andare avanti. “Hideyuki, mi vuoi sposare?”
Con un sorriso radioso, lui si chinò a baciarla: Saeko non aveva bisogno di ulteriori risposte, quel gesto, e come lo aveva fatto, parlava per lui più di tanti discorsi, quel dolce, lento bacio languido esprimeva tutto ciò che entrambi nutrivano l’uno per l’altra, e che finalmente erano pronti a mostrare al mondo intero.
Era giunto per entrambi il momento di smettere di scappare, e di vivere appieno il loro amore.
Quando Kaori arrivò al Cat’s Eye Cafè, dopo che Hide l’aveva chiamata per darle la notizia che lui e la compagna avevano deciso di fare finalmente il grande passo, vide che amici e colleghi erano quasi tutti a circondare la coppietta innamorata che, leggermente imbarazzata, si tenevano ora per mano, ora si stringevano l’un l’altra, scambiandosi dolci sguardi carichi d’amore. Saeko sembrava perfino più serena – più umana, vera, qualcuno avrebbe potuto dire. I capelli erano meno impeccabili del solito, c’era qualche piega nella camicetta immacolata, e si permetteva di apparire quasi stanca.
Kaori lanciò un sorriso alla donna che presto o tardi sarebbe divenuta sua cognata: finalmente, Saeko si permetteva di apparire per chi voleva essere veramente, una donna comune, come le altre. Una donna innamorata.
Tuttavia, una cosa stupiva Kaori: Ryo, la cui Mini era parcheggiata in bella vista davanti al locale, non era con Hide e Saeko. Certo, lui era, come noto, allergico ai matrimoni, ma possibile che avesse rinunciato all’opportunità di bere a sbafo? Prese a guardarsi intorno, finché, in un angolo oscuro, rintanato da solo ad un tavolo in fondo al locale, non lo vide; stava sorseggiando un liquido da un bicchiere – che tipo di superalcolico fosse, Kaori non lo sapeva dire con certezza - e aveva davanti a sé parecchi bicchieri vuoti e una bottiglia trasparente sul cui fondo rimaneva ben poco.
Scuotendo leggermente il capo, Kaori si fece forza e lo raggiunse; sapeva bene quanto Ryo fosse sempre stato restio tanto a chiedere aiuto quanto ad accettarlo, ma lei era sempre stata caparbia e testarda, e non aveva mai accettato un no come risposta - e non aveva la benché minima intenzione di farlo adesso.
“Ehi, cretino, dammi le chiavi della macchina!” esordì senza troppi preamboli, le mani ai fianchi, col tono da maestrina. Ryo si limitò a sbuffare, e guardare altrove, nella speranza che Kaori sparisse o smettesse di prestargli attenzione. “Andiamo, Ryo, dammi le chiavi, sei più sbronzo di una spugna, non puoi andare a casa in questo stato!”
“Guarda che un taxi me lo so chiamare pure io, sai! Non c’è mica bisogno di essere sobrio, per quello… e poi, peggiore dei casi, lo fa Umi per me!” biascicò lui, seccato, voltandosi così velocemente verso la sua ex che avvertì un leggero capogiro e le vertebre scricchiolare. “E poi, cosa ti impicci sempre? Mica stiamo più insieme, no? Valla a fare al tuo fidanzatino la morale… oppure lui è così perfetto che non ha mai alzato il gomito una sola volta da quando state insieme, eh? Scommetto che mister perfezione bionda è pure astemio!”
Kaori sollevò un sopracciglio: ed ecco che Ryo iniziava a sputare sentenze, e dire cosa veramente pensava, mostrare i suoi reali sentimenti. Era sempre stata una sua caratteristica: se Kaori aveva la sbornia allegra, lui aveva quella triste – ma soprattutto onesta.
“Non sarò più la tua ragazza, ma sono sempre tu amica, Ryo - e tua collega.” Gli rispose con un sorriso che era sì dolce, ma aveva un qualcosa di malinconico. Gli mise le mani intorno ad uno dei bicipiti d’acciaio, e lo strattonò, cercando di sollevarlo a forza. “Dai, ti accompagno a prendere un po’ d’aria fresca e nel frattempo aspettiamo un taxi insieme, va bene?”
Controvoglia, l’uomo accettò, perché, nonostante il penoso stato in cui si trovava, sapeva che Kaori non avrebbe desistito fino a che non avesse ottenuto quello che voleva; uscirono dal locale, con lei che salutò gli amici e mandò un bacio al fratello- e Saeko che, imbarazzandola, le faceva l’occhiolino- sorreggendo con il suo solo apparentemente fragile corpo Ryo. Si allontanarono di qualche metro dall’entrata, alla ricerca di maggiore tranquillità, e si appoggiarono entrambi con la schiena contro una parete di solidi mattoni rossi, fingendo di non rubarsi occhiate piene di significato, le loro menti avvolte dai ricordi di tutte le volte che lei o Maki lo avevano raccattato in strada, troppo sbronzo per tornarsene a casa sui suoi piedi.
“Tutto bene?” Gli domandò lei, titubante, dopo un silenzio che era parso quasi interminabile. Ryo aveva il capo rivolto verso l’alto, la brezza della sera che gli accarezzava il viso, che gli scompigliava i già ribelli capelli, e accennò un sorriso di assenso, mugugnando qualcosa. Poi, si voltò verso di lei, e lentamente la guardò, studiandola con un’espressione di meraviglia quasi la stesse vedendo per la prima volta. Si scostò dalla parte e, con le mani nelle tasche dei jeans, si mise davanti a Kaori, cercando i suoi occhi.
“Sai a cosa sto pensando?” Le domandò, e lei, arrossendo, fece cenno di no col capo – una reazione che fece divenire ancora più grande il sorriso di Ryo, che aveva la netta impressione che la stessa cosa stesse passando per le loro menti. “Alla prima volta che ci siamo baciati… anzi… alla prima volta che tu mi hai baciato.”
“Guarda che non ci posso fare niente se hai litigato con Hide. Lo sai che lui è più cocciuto di te!” Kaori, vestita nella sua divisa scolastica, nelle mani la cartella di cuoio marrone, camminava per la stradina del parco cittadino, mentre le foglie, i cui colori andavano dal giallo al rosso più acceso, volavano nel vento come quasi in una favola. Ryo era andato ad attenderla fuori scuola, nella speranza di cavarle qualche informazione su cosa avesse reso così suscettibile Hideyuki, con cui aveva avuto un litigio che era quasi scaturito in una rissa vera e propria, ma la diciassettenne ne sapeva quanto lui. “E comunque, tendo a credere che sia colpa tua se avete litigato!”
“Ma come sei simpatica!” Ryo sbuffò. Ridendo, Kaori fece uno scatto per superare quell’uomo che le appariva quasi come un gigante, nel suo oltre metro e novanta, ma non vide, nel terreno, una radice che spuntava… si inciampò, e perdendo l’equilibrio cadde Ryo che, colto alla sprovvista, rovinò a terra, con Kaori sopra di lui, e le labbra della ragazza a sfiorare, seppur involontariamente, le sue…
“Non l’avevo fatto apposta…” lei gli rispose, volgendo il capo di lato e mordendosi il labbro. “Mi ero inciampata!”
Un braccio appoggiato al muro, a fianco dei ricci rossi, con un sorriso luminoso Ryo si chinò su di lei, per assaporare ancora una volta quelle labbra, certo che Kaori avrebbe ricambiato il bacio- che nel profondo lo amasse ancora, non avesse mai smesso.
Lei dischiuse le labbra con un gemito, accettando quel sensuale attacco, nella sua mente ricordava ogni bacio, ogni carezza, tutti i bei momenti passati con Ryo… le risate, gli abbracci, com’era bello stare insieme, felici, spensierati, giovani… e poi, ricordò anche altro, il resto.
Per quanto fosse sempre stato tenero a volte, appassionato altre, dedito sempre, soprattutto tra le lenzuola, non le aveva mai detto di amarla.
Non era stato in grado di dire quel sì alle loro nozze.
Non l’aveva fermata quando era partita.
E ora, lei portava al dito l’anello di un altro, che pesava come un’incudine sulla sua mano, bruciava come un marchio a fuoco vivo.
“Sei ubriaco, Ryo, è l’alcool che parla…” Kaori appoggiò i palmi sul petto virile, e spinse con quanta forza aveva in corpo, allontanandolo da sé. Sentiva montare dentro di sé una profonda rabbia feroce, anche se non era certa contro chi fosse indirizzata: Ryo, se stessa, Shinji, la vita, il destino…. “Ryo, è troppo tardi adesso… Io sto con un altro! Sono fidanzata, sto per sposarmi!”
“Non potrà mai essere troppo tardi per noi, Kaori, e poi… poi, i fidanzamenti possono rompersi!” le rispose sibillino, ma lei scosse il capo. Si mordeva le labbra, rattristata, delusa, non sapeva se da lui o se dal fatto che, nonostante tutto, una parte di lei desiderava ardentemente cedere a Ryo e alle sue avances. Lo desiderava ancora, nonostante ricordasse le concenti delusioni più volte provate nel corso della loro altalenante relazione. “E poi… poi, lo so perché volevi vendere l’anello, sai? Avevi paura di essere tentata di rimettertelo al dito… e che avresti finito per non toglierlo più…hai paura di voler tornare da me, perché lo sai che siamo fatti l’uno per l’altra!”
“Questo lo dici tu!” La donna lo attaccò, sentendosi punta nel profondo, colta in fallo. “E sentiamo, per cosa dovrei lasciare Shinji? Per farci una scopata in nome dei vecchi tempi?” Gli rispose, con voce sibilante, le lacrime che le bruciavano gli occhi, pronta a dirgli finalmente tutto quello che in quei mesi, in quell’ultimo anno, si era così disperatamente tenuta dentro per non mandare a monte tutto- per poterlo avere almeno ancora come amico e collega, e per non rovinare il rapporto di Ryo e Hide. “Ryo, io voglio farmi una famiglia, essere madre…. e tu? Tutte le volte che parlavamo di matrimonio o famiglia cambiavi discorso, dicevi vedremo… l’unico motivo per cui mi hai chiesto di sposarti è perché era quello che ti dicevano tutti di fare! Giuro, a volte sembrava che tu volessi solo qualcuna da portarti a letto e che ti tenesse a posto la casa!”
“Ma… ma non è vero, Kaori, adesso non esagerare!” Provò a difendersi lui – tuttavia, senza troppa convinzione: Ryo, dopotutto, sapeva che alcune delle cose che Kaori stava dicendo erano vere.
“Ryo, prima che venissi da te casa tua era un porcile con tutti scatolini chiusi in giro, nonostante tu vivessi in quell’appartamento da anni, e quando ti chiedevo di dare una mano, tu avevi sempre qualcosa da fare in giro, e sparivi! Io mi arrabbiavo ma ti preparavo cena lo stesso, tu tornavi mezzo ubriaco dai tuoi giri, ti mangiavi la cena scaldata poi tornavi dalla cretina che ti aveva aspettata sveglia a letto, mi facevi due moine, e io come una scema credevo a tutte le panzane che mi dicevi!” Gli sibilò contro, con una voce sì arrabbiata, ma stranamente controllata: sembrava quasi che si stesse, finalmente, liberando di un peso.
“E a parte che se mi volevi tanto indietro avresti potuto benissimo prenderti la briga di aprire quella tua dannata boccaccia quando ti ho lasciato, o quando sono partita, o mentre ero via, ma invece no, il signorino lo fa adesso…” Kaori continuò, parlando con tale velocità che Ryo, anche avesse voluto, non sarebbe riuscito a fermarla. “Lo sai cosa succede, se adesso accetto di venire con te, lo sai, eh, eh? Te lo dico io! Che torneremo insieme, ma tutte le volte che io proverò a intavolare il discorso nozze o figli tu svicolerai, e tra dieci anni io sarò ancora lì a tavola ad aspettarti che te ne torni dai tuoi giri, incazzata e sola come un cane, mentre tu scorrazzerai in giro per locali con i tuoi amichetti, facendo il cretino con tutte con la scusa del lavoro!”
“Non è vero!” Controbatté l’uomo, mettendo tanta rabbia quanto lei nelle sue parole, anche un po’ indispettito. “Lo sai che tengo a te e a tuo fratello più della mia stessa vita! Tra noi non potrebbe mai essere solo sesso… né ti tratterei come una cameriera!”
“Credi che non lo sappia che ci vuoi bene? Questo non è mai stato in dubbio!” Le parole di Kaori le uscivano come fuoco dalle labbra, una dopo l’altra, senza controllo, censure, filtri, pura onestà. “Ma io non voglio qualcuno che mi voglia solo bene, io voglio qualcuno che mi ami, che metta sempre e solo me al primo posto, che sia disposto a fare delle rinunce per me… e tu non sei in grado di farlo! La colpa non è tua… sono io che… che mi ero illusa di poterti cambiare!”
“Posso farlo!” Sbraitò lui, dando un pugno nel muro. “Voglio farlo!”
“Non è vero, Ryo, sei solo geloso e ferito e orgoglioso, tutto qui.” Gli accarezzò la guancia, con le lacrime agli occhi, lasciando poi un delicato bacio nel punto su cui aveva depositato quella carezza, delicata e leggera come una piuma. “Ma tu non mi vuoi nel modo in cui io ti voglio. Non nel modo in cui mi vuole Shinji. Non avrei mai dovuto cercare di cambiarti…premere per il matrimonio... te l’ho già detto, ho sbagliato… e mi spiace. E sono ancora più dispiaciuta se ti ho fatto credere che ci potesse ancora essere qualcosa tra di noi. Che le cose potessero tornare come prima.”
Senza aggiungere altro, si allontanò, stringendosi forte nelle sue esili braccia, lasciando Ryo solo con i suoi rimpianti. |
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Capitolo 7 *** Episodio #6: Diamonds are a girl's best friends ***
“Allora…
tutto questo casino per un’auto abbandonata?” Ryo
quella
mattina era di pessimo umore, e da come si comportava con tutti, anche
con
Hideyuki, che di solito prendeva alla leggera gli sbalzi
d’umore del vecchio
amico, come un toro a cui avessero appena sbandierato davanti il drappo
rosso
della corrida; senza farsi troppi problemi, Ryo diede un calcio alla
gomma
posteriore, lato guidatore, dell’elegante vettura, e
guardò all’interno
attraverso i finestrini abbassati di alcuni centimetri: la macchina era
vuota,
mancavano le chiavi, ma in compenso, cosa abbondava
nell’abitacolo era
spazzatura, per la precisione, cibo
spazzatura: enormi
bicchieroni
giganti con tanto di cannuccia, incarti panini, scatole di ristoranti
cinesi e
della pizza, tovaglioli unti più altre zozzerie varie di
varia ed incerta
natura.
“Perché
è stato denunciato il furto di questo veicolo. La macchina
appartiene al proprietario della Diamond International Incorporate, il
cui
figlio Matsuo è sparito nel nulla alcuni giorni
fa…” Maki gli spiegò, con un
gemito che gli uscì dalle labbra; guardò sua
sorella, che prendeva le impronte
sul veicolo ostinandosi a rifiutare lo sguardo di Ryo, che un attimo
ringhiava,
un attimo dopo invece sembrava supplicare anche solo un briciolo di
attenzione da
parte della ragazza nemmeno fosse stato un cagnolino abbandonato.
“…dopo aver
svuotato la cassaforte di papà. Diamanti acquistati negli
Stati Uniti per tre
milioni di dollari.”
Ryo
fece un fischio, grattandosi il capo, guardando intorno
all’auto alla ricerca di qualcosa, cosa non lo sapeva bene
nemmeno lui, un
indizio qualsiasi. “E come mai ci hanno chiamato? Non
potevano pensarci quelli
delle rapine?”
Senza
proferire parola, Maki diede un calcetto alla porta
posteriore dell’auto, che si aprì con un cigolio
sinistro che non lasciava
proferire nulla di buono. “Perché oltre ai
diamanti scomparsi c’è anche
questo,” il poliziotto di limitò a dire, mostrando
il cadavere nel bagagliaio:
un giovane, forse una ventina d’anni, barba sfatta, vestito
con larghi abiti
scuri, le occhiaie profonde, gli occhi aperti, privi di vita, che
guardavano
verso l’alto, quasi a supplicare qualsiasi cosa…
forse una salvezza che per lui
non sarebbe mai più giunta.
“Matsuo Kurama,
di anni 21. A diciassette anni si è chiuso nella sua stanza,
ha abbassato le
tapparelle e ha smesso di comunicare con il mondo. Erano mesi che i
suoi stessi
genitori non lo vedevano più, poggiavano il vassoio col cibo
fuori dalla porta
e lui, una volta certo che se n’erano andati, lo
recuperava.” Saeko, nella sala
riunioni dell’unità, fece scattare una serie di
diapositive; la prima mostrava
il giovane Matsuo prima di divenire quello che veniva definito come Hikkomori,
un ragazzo dall’apparenza non solo serena ma
tranquilla, spensierata, nella sua divisa scolastica blu. La seconda
mostrava
invece la sede della società del padre- e fu allora che la
parola passò a Maki,
che si sistemò gli occhiali, seduto al tavolo rotondo.
“Venerdì
il giovane ha fatto irruzione nella società del padre,
utilizzando il codice di sicurezza- l’anniversario di
matrimonio dei genitori-
e sotto lo sguardo delle telecamere ha svuotato la
cassaforte.”
“Tre
milioni di dollari…” Ryo rifletté,
piedi sul tavolo, braccia
incrociate dietro al capo, facendo schioccare la lingua contro il
palato. “Cosa
sono, quasi 350 milioni di Yen? Una bella cifra…”
“A
Matsuo sono serviti meno di cinque minuti per fare quello che
doveva, e non sappiamo ancora il perché, o è
stato così stupido da rubare tutti
quei diamanti con una telecamera, oppure, ed il fatto che lo abbiamo
trovato
morto sembrerebbe corroborare questa ipotesi…”
“…stava
lavorando con qualcuno che lo aveva convinto di avere un
piano di fuga a prova di bomba. Qualcuno con cui aveva costruito un
legame così
forte da convincerlo ad abbandonare la vita di reclusione che si era
auto-imposto.” Con
un gesto fluido, Ryo
si sistemò sulla sedia in modo composto, e prese a guardare
i sacchetti
trasparenti, in cui le prove erano tutte conservate in modo perfetto,
al limite
del maniacale- uno dei tanti lati positivi di Kaori, a cui Ryo
gettò uno
sguardo, colmo di rimpianti. La donna si voltò verso di lui,
ma sentendo quegli
occhi di fuoco scrutarle dentro, voltò il capo
dall’altra parte, mordendosi le
labbra come per soffocare un gemito. “…e questo
cos’è?”
“Una
delle tante ricevute di pagamento che abbiamo trovato nella
macchina, ma quella è di un fast food a Shinjuku di poche
ore dopo il furto.
Matsuo ha usato una carta di credito intestata alla madre. Vivendo solo
più nel
mondo virtuale, era così che effettuava tutte le
spese.” Kaori prese la parola;
si alzò con un gesto elegante, quasi felino nelle sue
movenze che mise tutte
quelle sue forme sinuose al centro dell’attenzione di Ryo,
che sentiva sempre
con maggiore forza e prepotenza il profumo della donna riempirgli le
narici:
non si parlavano più dal giorno del bacio, e lui era
confuso… certo, lei aveva
detto no, gli aveva dato tante, troppe ragioni, e se n’era
andata, ma…. Ma lei
aveva risposto al bacio, inizialmente, e aveva detto di nutrire ancora
qualcosa
per lui, e lui sapeva che era gelosa, che lui la tentava…
perché si comportava
in questo modo, negando ad entrambi la felicità che potevano
avere, che era lì,
a due passi da loro? Davvero non credeva che Ryo potesse voler cambiare?
“Abbiamo
nastri di videosorveglianza?” Saeko domandò, e la
sorella, Reika, rispose di sì; fu il suo turno di prendere
il telecomando,
facendo partire il nastro, su cui si vedevano seduti al tavolo, due
ragazzi,
Matsuo ed un altro, di cui però era difficile comprendere
l’identità, vista la
posizione e la grana dell’immagine, color seppia, sbiadita,
di scarsa qualità.
“Kaori…”
Saeko si voltò verso Kaori, negli occhi la forza della
determinazione; il padre della vittima era un uomo potente, ricco,
influente, e
stavano ricevendo pressioni da chiunque, persino dal loro stesso padre,
per
risolvere quel caso, che mostrava come davvero i soldi potessero aprire
qualunque porta. “I genitori del ragazzo ci hanno consegnato
l’hardware del
giovane. Potresti andare alla scientifica ed analizzarlo con i
tecnici?”
La
giovane dai capelli rossi annuì, e lasciò la
stanza, mentre
invece Saeko si voltò verso Ryo e la sorella;
guardò il vecchio amico con il
cuore in gola, gli occhi pervasi da lacrime di pietà e pena
che mai e poi mai
avrebbe versato, non per sé, ma conscia che Ryo stesso non
lo avrebbe mai
permesso. Non sapeva cosa fosse successo tra lui e la sua quasi
cognata, ma era
chiaro che i due erano più distanti che mai…
forse perfino più di quanto non lo
fossero quando Kaori aveva preso un aereo e se n’era andata.
Si sentì
rattristata ed amareggiata, perché sapeva che quello che nel
loro rapporto non
aveva funzionato era stato generato da equivoci, malintesi e non detti,
e poi…
Ryo aveva reso felice Kaori. Con lui, lei aveva sorriso spesso e
volentieri, e
adesso, accanto a Shinji, quel sorriso spontaneo non c’era
più, era tirato e di
cortesia… alcuni giorni prima, Saeko si era svegliata,
trovando Maki che
fissava il soffitto, che preoccupato, pensieroso, le aveva detto che
non
ricordava l’ultima volta che aveva sentito ridere davvero, di
felicità, sua
sorella.
Ryo,
Kaori l’aveva sempre fatta sorridere – anche quando
erano
stati solo amici. Saeko capiva che avessero avuto incomprensioni e
problemi, ma
era possibile che fossero così grandi, insuperabili?
Perché rifiutavano di
trovarsi a metà strada, ostinati com’erano nello
stare immobili nelle loro
posizioni? Kaori voleva una famiglia, possibile che davvero Ryo non
sognasse di
avere un bambino con lei, di essere padre di una creatura che
assomigliasse a
lui e Kaori?
Saeko
stessa aveva quasi perso l’uomo che amava per bugie,
sotterfugi e paure… e sperò con tutta se stessa
che non dovesse accadere lo
stesso ai suoi amici, che, per loro, la felicità potesse
arrivare, e presto.
Anche se era conscia di una cosa: avrebbero dovuto superare le
difficoltà, i
muri che si erano costruiti intorno dopo che si erano lasciati, per
poterlo
fare.
E
non era certa che Kaori fosse pronta a fare una cosa del
genere…
o che lo volesse.
“Ehi, hai
scoperto qualcosa?” Ryo bussò alla porta di quello
che era stato l’ufficio di
Kaori alla scientifica fino a non molto tempo prima, e la donna,
all’interno
della stanza, si immobilizzò, i muscoli tesi quasi fino allo
stremo, mentre il
suo corpo era percorso da brividi.
JJ,
il giovane tecnico informatico che la stava aiutando
nell’indagine, avvertì immediatamente la tensione,
quasi fosse palpabile
nell’aria e si potesse tagliare, e guardò prima
alla donna e poi all’uomo che
l’aveva raggiunta. Neo assunto, non conosceva la storia della
coppia, ma era facile
per lui intuire che ci fosse qualcosa che bolliva sotto la superficie.
Era
giovane, al suo primo incarico, e con quei capelli un po’
troppo lunghi,
ribelli, tinti color platino dava più l’idea di
essere una rockettaro fallito
che tagliava scuola, ma era bravo nel suo lavoro - così
bravo che aveva
imparato ad intuire gli stati d’animo di coloro che gli
stavano accanto.
Kaori
strinse i denti, serrando i pugni intorno al tessuto della
gonna color cioccolato fondente che indossava quel giorno, e prese un
profondo
respiro per dimenticare, togliersi dalla testa quel bacio che ormai da
giorni
la perseguitava. Vi aveva messo fine, ma inizialmente lo aveva
accettato, e
aveva risposto al sensuale attacco con altrettanta passione, ed una
parte di
lei aveva desiderato approfondire il contatto, che Ryo la prendesse
lì, in quel
vicolo, e al diavolo tutto e tutti.
Arrossì,
le parole, anche solo un semplice saluto, che le morivano
in gola, mentre le sue gote si imporporavano.
A
casa sua, nel letto che condivideva col suo fidanzato quando
Shinji non era troppo preso dall’ampliare il suo impero, non era stata in grado di
levarsi dalla testa
il bacio e cosa lei e Ryo avrebbero potuto fare - di nuovo, ancora- se
lei non
si fosse fermata… e
subito dopo si era
vergognata come una ladra, aveva cercato disperatamente di mettere in
quella
fantasia non Ryo ma il suo compagno, ma nulla… per quanto si
sforzasse di
concentrarsi sull’uomo che le aveva donato l’anello
che portava al dito, ad un
certo punto la sua mente compiva una rotazione completa, e Kaori
tornava a
pensare agli occhi divertiti ed intensi, sorridenti di Ryo, scuri come
la notte
ma che brillavano con la luce di milioni di stelle, le tornavano in
mente i bei
momenti, gli istanti di bruciante passione, la spensieratezza, come
avevano
vissuto nel momento, cogliendo l’attimo giorno per giorno.
Nonostante
durante quel bacio avesse avvertito il fuoco scorrerle
nelle vene, riflettendo a mente lucida si era sentita sporca,
sbagliata, quasi
avesse davvero tradito il suo compagno, e questo l’aveva
spinta a fare
un’avventatezza, prendere in mano il telefono lasciando che
fosse l’istinto – o
forse la paura che alla fine Ryo potesse fare nuovamente breccia nel
suo cuore
- ad agire.
“Kaori?
“La giovane donna si girò di scatto, avvertendo il
tocco
lieve di Ryo sulla spalla, che cercava di richiamare la sua attenzione;
sussultò, e JJ sollevò un sopracciglio,
interrogativo, prima di dare una
leggera scrollata di spalle: cosa quei due facessero non era affare
suo, a lui
bastava che sapessero fare il loro lavoro, ed a detta di molti, erano
davvero
bravi nel farlo, anche se doveva ammettere di essere sempre stato un
grande
appassionato di soap opera, e aveva la netta impressione che quel nuovo
lavoro
gli avrebbe dato non poche possibilità di nutrire questo suo
appetito.
“Sì,
scusa, ero… sovrappensiero.” La donna
confessò, sminuendo la
causa del suo malessere interiore, sperando che Ryo credesse che fosse
dovuto
al caso.
Gli
rubò un’occhiata: Ryo aveva ritratto la mano, che
era ferma a
mezz’aria, quasi non sapesse cosa farci, e la guardava con
occhi colmi di
tristezza: aveva capito. Sapeva – lui
era
il motivo del suo turbamento.
La
donna si fece forza, e si ricompose, rammentandosi che già
quando lei e Ryo avevano iniziato la loro relazione si era ripromessa
di
rimanere imparziale e professionale quando si trovava al lavoro,
nonostante
paradossalmente fosse adesso, che non erano più una coppia,
che trovava
difficile seguire i suoi propositi.
Sistemando
una ciocca ribelle dietro l’orecchio, si schiarì
la
gola, ma le parole non sembravano voler uscire, era sempre sul punto di
balbettare. JJ, allora, giunse in suo soccorso, e prese la parola per
lei,
dicendosi che comunque lui era il tecnico informatico e quel compito
sarebbe
comunque spettato a lui: nessuno avrebbe letto più del
dovuto in quel fatto,
anzi, magari avrebbe permesso di distogliere l’attenzione di
Ryo da Kaori,
magari il poliziotto avrebbe pensato che il nuovo tecnico era un
novellino
egocentrico che non aspettava null’altro che
l’occasione di mettersi sotto ai
riflettori e basta.
“O
il vostro amico era un cretino che non sapeva nemmeno pulire la
cronologia del suo browser, o davvero credeva di avere un piano a prova
di
bomba per scomparire e quindi non gli importava un fico secco di
lasciarsi
dietro una caterva di indizi.” Il giovane, togliendosi dagli
occhi una ciocca
bionda, sbuffò, mentre apriva sullo schermo del suo
portatile la cronologia del
pc del giovane, e decine di schede si aprirono allo stesso momento,
sovrapponendosi le une alle altre. “Era iscritto a questo
sito, illicitlyyours.com…”
“Ah,
il sito in cui gente senza vita sociale, scambisti,
cornificatori e
pervertiti si trovano
per fare sesso virtuale…” Ryo
sogghignò, chinandosi sullo schermo con le mani
in tasca dei jeans. “Lo conosco.” Il poliziotto
prese a grattarsi il mento,
mentre strizzava gli occhi e pensava: c’era qualcosa che non
gli tornava… o era
forse il contrario? Aveva il netto presentimento che gli stesse
sfuggendo
qualcosa, ma non sapeva cosa, esattamente...
Kaori
lo congelò all’istante, immaginando fin troppo
bene come mai
Ryo conoscesse quel sito - evidentemente, allo stallone fare sesso dal
vero non
bastava… e lei che si era pure lasciata incantare da quel
maledetto bacio!
Avvertendo
l’astio che aumentava provenire da Kaori, Ryo
sospirò,
alzando gli occhi al cielo, e strinse la spalla del giovane tecnico.
“Parlava
con qualcuno in particolare?”
“Sì,
ma c’è un problema…” Il
ragazzo si mordicchiò il labbro,
stringendo leggermente gli occhi mentre, seduto sulla sedia girevole,
si
voltava a guardare Ryo. “Abbiamo solo il suo nickname, Despacita, e senza mandato la
società proprietaria del sito non può
darci né copia delle chat né fornirci
l’indirizzo Ip della tizia, con cui poter
arrivare a quello fisico.”
“Nessun
problema, posso pensarci io!!” Facendo loro
l’occhiolino,
Ryo lasciò la stanza, molto eccitato- forse fin troppo per i
gusti di Kaori,
che, sospirando, si disse che sentiva puzza di guai… in
particolare, di guai in
gonna e tacchi a spillo, perché qualcosa le diceva che se
c’era una grana da
risolvere, Ryo poteva solo sperare di chiudere tutto utilizzando il suo
indiscusso fascino e flirtando in modo vergognoso… non che
la cosa le dovesse
importare, ormai lei non era più la sua compagna, anche
se… anche se questo
sfruttare il suo ascendente sulle donne l’aveva sempre
seccata, perché anche
quando erano stati insieme Ryo aveva continuato a farlo, dicendole,
scocciato,
che non significava nulla… quante litigate si erano fatti
per quel motivo?
Tante, troppe: un motivo in più per preferire Shinji, che
con le donne era un
pezzo di ghiaccio, nonostante lo stuolo di ammiratrici che si trovava
sempre
dietro, donne attratte dal suo successo, dal suo denaro - dal suo
potere. Ma
lui non le aveva mai incoraggiate, mai guardate.
Kaori
tornò a fissare lo schermo del computer sentendosi ormai
certa di aver fatto la scelta giusta: Ryo non poteva essere il suo
futuro.
“Eh? E quella chi
sarebbe?” Kaori era tornata un attimo a recuperare dei fogli,
in compagnia di una
sua amica, prima di andare via ad occuparsi di un paio di questioni
private,
quando vide Ryo, seduto alla sua scrivania, intrattenere una bellona
dal fisico
atletico ed asciutto, il cui corpo era elegantemente drappeggiato in un
abito
color smeraldo, contornato da false pietre preziose che ne esaltavano
la
ricercatezza, ma che facevano risaltare soprattutto la donna che lo
indossava.
“Sai,
quella lì sarebbe davvero ricercatissima, come
modella!”
L’amica disse a Kaori, indicando la bella sconosciuta.
“Ha una bellezza
particolare, quasi androgina… sai che la modella
più desiderata e pagata al
mondo al momento è un uomo? E quando calca le passerelle
delle collezioni
femminili nessuno si accorge che sia un ragazzo!”
Kaori
vide Eriko guardare la giovane con desiderio ed intento,
mentre svogliatamente fingeva di sfogliare la rivista di abiti da sposa
che le
aveva portato: Eriko era la proprietaria di uno dei maggiori atelier di
moda di
Tokyo, ed era un’apprezzatissima stilista
emergente… che Kaori si fosse rivolta
a lei in quel frangente era logico, e che lei si intendesse di modelle
e avesse
un occhio particolare per trovarle lo era ancora di più.
“Anche
Ryo, d’altra parte, non farebbe la sua brutta figura su una
passerella… non mi sarebbe dispiaciuto avervi entrambi per
la mia collezione
sposi, sai?” La donna sospirò, quasi rattristata,
invidiosa. “E quel vestito?
Hai visto gli Swarovski che lo rifiniscono? Brillano come pietre
preziose vere,
catturano la luce e la riflettono in un modo del tutto particolare,
quasi
magico… ah, cosa darei per sapere dove si fornisce quello
che ha confezionato
quella meraviglia!”
Kaori
emise un grugnito che aveva ben poco di signorile, e tornò a
cercare i fogli per cui era tornata; intanto però, per il
grande divertimento
di Eriko, non riusciva a staccare gli occhi da quella scena.
Era
come quando si assisteva ad un incidente e non si riusciva ad
andare via: ecco, lei continuava a guardare Ryo che flirtava
vergognosamente
con quella bella oca giuliva con un fisico mozzafiato, come accadeva
sempre…
perché Ryo non poteva mai attirare le attenzioni di racchie
oppure donne
normali o vecchie, no…
lui attirava
sempre belle donne, che finivano per innamorarsi di lui e farsi mille
film in
testa. Ryo flirtava
anche lui, ed un po’
incoraggiava quelle cotte colossali. Con alcune, Ryo ci era anche
stato, aveva
avuto relazioni con dottoresse, modelle, musiciste, insegnanti, anche
un’attrice, di tutto un po’…. Ma tutto
prima che si mettessero insieme.
Era
certa che lui non l’avesse mai tradita, ma tuttavia, quel
modo
in cui aveva sempre continuato a comportarsi l’aveva ferita,
l’aveva fatta
sentire piccola ed insignificante, forse perché Ryo, a lei,
quelle attenzioni
non le aveva mai dedicate, dandola
per
scontata. Adesso non era più da oltre un anno la sua
compagna, e da quando era
tornata Kaori aveva passato il tempo a ripetere a chiunque quanto fosse
stato
meglio per tutti finirla lì, eppure in quel momento vedere
quella donna che
faceva la gatta morta con il suo ex la faceva accendere di collera.
Era
sciocco, stupido ed infantile, ma Kaori si rifiutava di
indagare nei meandri della propria anima, né voleva sapere
esattamente il
perché Ryo sembrasse compiaciuto di questi rari momenti in
cui lei sembrava
quasi rimpiangere di aver rotto con lui, nonostante lui non avesse mai
detto
una sola parola fino a quel maledetto bacio… ma forse aveva
pensato che non ce
ne fosse bisogno, loro
non ne avevano
mai avuto bisogno, da quando era ragazzina, loro due avevano sempre
conversato
attraverso i loro occhi, tra silenzi pregni di significato…
ecco, in quei
momenti lei si rattristava, ed iniziava a farsi mille domande,
nonostante la
sua razionalità le dicesse che i suoi pensieri dovessero
andare solo a Shinji.
“Beh,
allora, Reika?” Kaori ringhiò, quasi
rabbiosamente, vedendo
che l’attenzione di tutti era concentrata sulla bella oca che
faceva la
svenevole con Ryo, ridacchiando in maniera insulsa alle sue battute di
quarta
categoria. “Si può sapere chi diavolo è
quella donna?”
“La
coinquilina del tizio con cui Matsuo chattava,” Reika le
rispose con una scrollata di spalle, dimostrando scarso interesse per
il caso…
e troppo interesse per come Ryo continuava a flirtare con la bella di
turno.
“Dice che è sparito alcuni giorni fa, ma dato che
avevano litigato crede che
sia andato a prendersi una sbronza o fumarsi qualcosa
per farsela passare… e dubito che intendesse
sigarette.”
La
poliziotta diede un’altra scrollata di spalle, tornando a
guardare Ryo; poi, si accomodò sul bordo della scrivania di
Kaori, e gettò lo
sguardo sulla rivista di abiti da cerimonia, notando solo in quel
momento
Eriko. “Oh, che sbadata, non mi sono nemmeno
presentata… sono Reika Nogami,
amica e collega di Kaori! Ci conosciamo? Sa, ha un’aria, come
dire…
famigliare...”
Kaori
quasi scoppiò in una risata isterica: conosceva Reika da
anni - da quando suo fratello era entrato in polizia ed aveva iniziato
a
frequentare casa Nogami- e lei e Reika non erano mai
state amiche, anzi: non si erano mai potute sopportare, a
malapena si tolleravano sul lavoro, ma la poliziotta figlia
d’arte era così
curiosa da manipolare la verità a suo uso e consumo.
“Oh, io sono Eri
Kitahara,
sono una vecchia amica di Kaori, piacere di conoscerla!”
Sorridendo, Eriko -
che spesso e volentieri si presentava solo con
l’abbreviazione che aveva
assunto come nome d’arte - fece un leggero inchino a Reika,
pur rimanendo
seduta. Reika sbatté le palpebre alcune volte, boccheggiando
in silenzio dopo
che le sue sinapsi cerebrali avevano fatto tutte le connessioni del
caso,
collegando quel volto familiare al ben più noto nome, quello
di una delle
stiliste emergenti del paese da cui le star facevano la fila per poter
indossare una sua creazione sul red carpet…
“Tu...
tu conosci Eri Kitahara e ti vesti così???” Reika
sbottò,
sibilando le parole che le si strozzavano in gola; una reazione che a
Eriko non
andò molto giù, perché nonostante dal
bel fisico, quella donna non aveva
portamento e nemmeno stile, al contrario di Kaori, che sarebbe potuta
essere
pagata una fortuna per sfilare e che sapeva mixare i capi alla
perfezione,
facendo risultare femminile anche una camicia da uomo.
“Sappi
pupattola che Kaori ha stile da vendere, al contrario di qualcuno
qui,” Eriko le rispose, piccata
e saccente. “Ed il giorno in cui camminerà verso
Shinji e l'altare con una mia
creazione esclusiva addosso sarà
ancora più bella… oh, Kaori, ci pensi? Abbiamo
solo pochi mesi prima del grande
giorno, e poi finalmente ti sposerai… una sposa di Giugno,
come vuole la tradizione!”
“Eh?”
Dalla sua scrivania, Ryo si voltò verso Kaori, che era
arrossita, e la fissò pallido, la bocca aperta in una
silenziosa espressione di
sorpresa e angoscia, quasi fosse stato la rappresentazione tangibile
dell’Urlo
di Munch… ma poi passò, quando capì
cosa era successo: lo aveva fatto dopo il
bacio. Doveva sentirsi offeso, oppure lusingato? O semplicemente, era
la prova
che Kaori non ne voleva sapere più nulla di lui, e che
doveva rassegnarsi?
Una
cosa però era certa: ancora una volta lei aveva mentito per
omissione… gli aveva nascosto di aver accettato quel posto,
di essersi
fidanzata… e adesso scopriva che aveva pure fissato la data
delle nozze!
Kaori
voleva mettere una pietra sopra al loro rapporto? Che
facesse come voleva, non sarebbe certo andato a supplicarla, avrebbe
dovuto
capirlo da sola che stava facendo la più rossa idiozia del
creato!
Il
volto scolpito in un’espressione che ricordava una belva
feroce, impazzita, Ryo riprese a parlare con la bellissima donna,
all’apparenza
latina, ma stavolta lo fece avvicinandosi di più a lei, che
sembrò percepire il
turbamento dell’uomo. Lei si avvicinò a sua volta,
la sua voce si abbassò e
assunse una qualità roca. Occhi languidi, da cerbiatta,
sbatté le lunghe ciglia
che di naturale avevano poco o nulla, e sfiorò la guancia di
Ryo con una mano
delicata e soffice, su cui spiccavano artigli da megera, lunghe unghie
laccate
di rosso e tempestate di lustrini. Solo a guardarla Kaori
sollevò un
sopracciglio: quella sembrava uscita direttamente dal Kabuchico!
“Oh,
papito, quella
brutta strega ti ha spezzato il cuore, vero? Vieni qui, che ci pensa
Esperanza
a te!”
“Eh?”
Ryo non poté nemmeno pensare a cosa dire, perché
lei si era
già avventata sulla sua bocca. Lo aveva agguantato per il
tessuto della
maglietta, trascinandolo verso di sé, e lo baciava con
passione, ardore, ma con
una dolcezza senza confini, quasi davvero avesse voluto consolarlo.
Con
la coda dell’occhio, vide che ad alcuni colleghi cadevano le
braccia (Maki), altri si seccavano ed alzavano sconsolati gli occhi al
cielo
(Reika e Saeko) mentre invece Kaori era furibonda… aveva
preso la rivista in
mano, e la stava strozzando, quasi avesse potuto spezzarla in due.
Ryo
sorrise compiaciuto contro la bocca di Esperanza: Kaori, che
nemmeno gli aveva detto che si sposava dopo quel bacio da capogiro, era
gelosa.
Beh,
se voleva giocare… allora anche Ryo avrebbe giocato con lei.
L’agente
socchiuse gli occhi e approfondì il bacio, facendo uscire
la lingua a solleticare la bocca della donna, a cui languidi sospiri di
piacere
morirono in gola. Nonostante avvertisse come un formicolio, come se in
tutta
quella situazione ci fosse una nota stonata, anche se non capiva di
cosa si
trattasse, Ryo alzò una mano per accarezzarla, stringerle la
nuca per
accompagnare il movimento, e sentì il cinturino
dell’orologio - un regalo di
compleanno di Kaori di alcuni anni prima
- impigliarsi in qualcosa; aprì gli occhi
tirando leggermente, e sentì
la bella Esperanza urlare, e quando aprì gli occhi
staccandosi da
lei… Si ritrovò con una parrucca attaccata
al braccialetto del cronografo, fissando ciò che gli stava
davanti quasi non ne
capisse il perché… Esperanza era senza
capelli… che fosse malata? Eppure aveva
un’aria sana…
E
poi... poi Ryo colse lo sguardo atterrito della donna, e si rese
conto che aveva qualcosa di famigliare, anzi… tutto
quel caso aveva qualcosa di familiare, e adesso sapeva cosa,
lo ricordava! C’erano stati altri casi… rampolli
solitari di ricche famiglie
adescati in rete, derubati dopo aver portato via gli averi dei loro
cari e poi
uccisi… subito Ryo non aveva fatto il collegamento,
perché i siti usati per
contattare i fanciulli erano diversi e la vittimologia spaziava molto,
ma
evidentemente il punto di contatto c’era, eccome!
“Sei
tu!!!” Sibilò strozzato, in piedi, indicando chi
li stava
davanti. “Sei tu che chattavi con la nostra
vittima… sei tu che eri al fast
food con lui la sera in cui è morto!”
Il
giovane - perché donna non era, se non quando fingeva di
essere
qualcun altro per mimetizzarsi nel mondo circostante- si
guardò intorno
concitata, cercando una via di fuga… ma come poteva anche
solo concepire una
cosa del genere? Era nella tana del lupo, dopotutto!
“Voi…”
Singhiozzò. “Voi non potete arrestarmi solo
perché sono un
travestito… è anticostituzionale!”
“Sì,
ma per possesso di merce rubata possiamo eccome!”
Davanti
allo sguardo inebetito e sbigottito di tutti, Kaori si
alzò, e con un colpo deciso afferrò la cintura
dell'abito della donna,
anch’essa ricoperta di gemme, e la strappò con
decisione; l’abito a pareo si
aprì, mostrando un reggiseno con coppe generosamente
imbottite e un paio di
shorts contenitivi a celare il sesso del giovane uomo, che prese ad
arrancare
nel disperato tentativo di impossessarsi nuovamente del capo di
vestiario.
“Ma,
Kaori!” Saeko la redarguì. “Cosa ti
è passato per la testa?”
La
ragazza non le diede retta; alzò la cintura e vi
alitò sopra,
ed osservò il risultato… Nulla. Nessun alone.
“Scommetto
che se porto queste pietre in laboratorio e le esamino
al microscopio scopro che non solo sono diamanti, ma sono quelli
rubati!” Le
disse, con un ghigno di sinistra soddisfazione stampato in volto.
“Eriko lo ha
capito subito che non erano pietre qualunque, catturano e riflettono la
luce in
un modo del tutto diverso dalle gemme finte che si usano per gli
abiti!”
“Voi…
voi non potete provare nulla!” Il giovane squittì.
La sua
voce si era abbassata, fatta squillante… e colma di terrore:
stava anche per
scoppiare a piangere. “Lui me li ha regalati!”
“Già,
ma possiamo tenerti in gabbia per tre giorni, ed intanto
perquisire casa tua, far passare tutti i tuoi vestiti, distruggere
tutto...e
scommetto che casualmente troveremo tutto ciò che nel Paese
negli ultimi due
anni è stato rubato ad alcune famiglie parecchio ricche con
figli
problematici.” Ryo lo guardò, facendogli un
sorriso sornione, sghembo. Fingeva
di essere nel pieno controllo delle proprie facoltà, di non
essere turbato-
anzi, che fosse tutto parte del piano per smascherare quel ladro
assassino.
“Fammi indovinare: facevi fare il lavoro sporco a quei poveri
figli di papà a
cui nessuno voleva bene e poi, una volta ottenuto quello che volevi, li
facevi
fuori… nessuno con cui condividere il bottino, e meno
testimoni in giro a
raccontare il tuo giochetto!”
“Dannati!
Me la pagherete cara!” L’uomo strillò
mentre lo
portavano via, privato del capo di abbigliamento tempestato di
diamanti, le
mani ammanettate davanti ai genitali. “Avresti dovuto
assecondarmi come avevano
fatto loro! In men che non si dica sarei stato fuori dal
Paese!”
Ryo
si mise in una posizione disordinata, piedi incrociati sulla
scrivania, e mani dietro la testa, stravaccato sulla sedia; sorriso
strafottente, soddisfatto, fingeva che tutto andasse bene, e che il
caso fosse
stato effettivamente risolto grazie ad un suo colpo di genio, e non
certo la
casualità.
“Dì
un po’, Stallone di Shinjuku…” Kaori gli
disse, sorridente,
dandogli un buffetto sulla testa; vicinissima a lui, china, gli fece un occhiolino, i
capelli che
sfioravano il viso di Ryo sollecitandolo… e facendolo
arrossire per l’emozione.
“Lo avevi capito che era un uomo o la tua era tutta una
finta?”
Lui
si allontanò leggermente, facendo scorrere la sedia sul
pavimento, ed aprì gli occhi, guardando Kaori in viso -
fingendo, come aveva
fatto per tanto, troppo tempo, che non gliene importasse nulla,
né di lei, né
di cosa lei facesse, ed evitò di rispondere alla domanda,
preferendo ribaltare
le carte in tavola. “E
così, ti sposi.”
“Io…” Kaori abbassò
il
capo, e prese a stringere le dita, con tale forza che
avvertì le unghie
piantarsi nella pelle delicata. “Il terzo sabato di giugno.
Una cosa semplice,
in comune. Non sono nemmeno certa di volermi mettere l’abito
da sposa. O di
voler avere gente intorno.”
Così
dicendo, Kaori arrossì, e distolse lo sguardo; si
portò una
ciocca di capelli ribelli dietro l’orecchio, e la cosa
svegliò qualcosa in Ryo,
lo intenerì. Lui le sorrise, e le diede un leggero bacio
sulla fronte, colmo di
tristezza, malinconia, e rimpianto, in cui riversò tutto il
loro trascorso,
ogni attimo passato insieme in tutti quegli anni, dal giorno in cui
Hide aveva
portato al parco, quel lontano ventisei marzo, il suo compagno di
accademia,
perché passasse con loro quella giornata del festival
dell’Hanami… e forse, per
la prima volta, si sentì davvero geloso, col cuore spezzato,
perché se Kaori si
fosse sposata, quando Kaori si
fosse
sposata, lui non avrebbe più avuto alcuna chance con lei:
sarebbe stata la
fine, davvero, perché se Ryo aveva sempre pensato che un
fidanzamento fosse
qualcosa che poteva essere rotto, così non era per il
matrimonio… soprattutto
se poi, nel frattempo, fossero arrivati dei figli. Lui stesso aveva
provato
sulla sua pelle la desolazione, la solitudine di una famiglia spezzata,
aveva
visto cosa rimanere sola avesse causato a sua madre, e non lo avrebbe
augurato
a nessuno.
Né,
tantomeno, sarebbe
stato lui a causare un tale dolore.
“Devi,”
le disse, con voce bassa e triste. “Ti capiterà
solo una
volta di sposarti, dopotutto, e quello è sempre stato il tuo
sogno. Me lo
dicevi sempre anche tu, no? Solo perché io non ho saputo
fartelo realizzare….
Non dovresti rinunciare.”
Alzatosi
dalla sedia, Ryo si diresse verso l’ascensore, la mano in
tasca alla ricerca di una sigaretta, la mente vuota ed il cuore pesante
– o
forse, solo congelato, avvolta in una morsa gelida destinata a non
abbandonarlo
mai più, ora che sapeva che i sorrisi di Kaori non sarebbero
più stati per lui.
Ci
aveva sperato, davvero. Ci aveva creduto. Ma forse Kaori aveva
avuto ragione, quella sera che si erano baciati.
Era
stata solo una pia illusione, un sogno, e adesso era ora di
svegliarsi, ed affrontare la realtà.
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Capitolo 8 *** Episodio #7: Freinds will be friends ***
“Ma
quei due non hanno intenzione di darsi una mossa ed
arrivare?”
Battendo nervosamente e ritmicamente il piede sul cemento del
marciapiede della
stazione ferroviaria, Ryo controllò l’ora al suo
cronografo per l’ennesima
volta, mentre, al suo fianco, Reika sbuffava, alzando gli occhi al
cielo: era
dalla volta in cui, ai tempi dell’Accademia, Saeko si era
portata dietro una
domenica Ryo e Hideyuki che lei gli correva dietro, era pazza di lui,
aveva
tentato qualsiasi cosa per farlo cadere ai suoi piedi, ma negli anni
l’unica
donna verso cui Ryo avesse mai mostrato di provare qualcosa di
più di un freddo
interesse sessuale era stata Kaori… e quando poi si
comportava come un bimbetto
impaziente, era davvero poco sopportabile.
“Ryo,
il treno è appena arrivato, cosa ti aspetti? Che si
teletrasportino qui direttamente dal loro vagone?” Gli
domandò, piccata,
sibilando tra i denti. Per quanto fosse grata che Ryo desiderasse
passare del
tempo con lei, aveva capito che il motivo per cui sempre più
spesso ultimamente
facevano “coppia fissa” sul lavoro era dato dal
fatto che il matrimonio di
Kaori con l’altro era
cosa ormai
fatta, e Ryo stava dimostrando di non essere in grado di lavorare con
la donna
con cui lui stesso era stato in procinto di sposarsi oltre un anno
prima. Per
quanto una parte di lei fosse grata per questo suo interesse, Reika non
poteva
che non rattristarsi, perché era certa che fosse dettato da
motivi palesemente
sbagliati… e non andasse oltre l’ambito
lavorativo.
Mordendosi
il labbro, guardò Ryo, sospirando sognate: sarebbero
mai cambiate le cose tra di loro, o sarebbero rimasti sempre e solo un
po’ di
più di colleghi, ma meno di amici?
“Beh,
dico solo che dovrebbero darsi una mossa, ma quei due
cretini sono sempre stati così…”
L’uomo praticamente imprecò, corrucciato,
mentre però allo stesso tempo gli appariva un sorriso un
po’ malandrino sulle
labbra, dettato dai ricordi del passato, dei mesi passati a lavorare
fianco a
fianco con quei due agenti dell’FBI per risolvere un caso di
traffico
internazionale di stupefacenti, una droga particolarmente odiosa che il
suo
creatore aveva chiamato Polvere degli
Angeli…. Una sostanza che creava dipendenza fin
dalla prima assunzione, e
che altrettanto velocemente annullava la volontà dei tossici che si
iniettavano in vena quel
veleno, morendo lentamente tra
atroci
dolori mentre i loro organi, l’uno dopo l’altro,
smettevano di funzionare.
E
come era arrivato, il sorriso svanì dal viso di Ryo. Era
stato
un anno infernale, per lui, per quanto con Mick e Jack fosse nato
immediatamente un certo senso di cameratismo dato dalle similitudini
caratteriali; per mesi aveva mentito su cosa stesse facendo, e
nonostante
nessuno gli avesse portato rancore (il bello di avere tutti gli amici
nella
polizia come lui) a lui era pesato eccome.
E
poi, odiava i casi di droga; dopo che suo padre se n’era
andato
a cercare fortuna lontano dal Giappone, era nell’oblio di
droga e alcool che
sua madre aveva cercato ristoro… ma invece che la pace dei
sensi, la donna
aveva trovato la dannazione; suo padre le aveva voltato le spalle,
certo che
sarebbe tornata da lui strisciando in ginocchio, ma invece era dal suo
spacciatore che lei era andata, un patrigno che si era rivelato un vero
mostro,
a causa di cui Ryo ancora portava cicatrici sul corpo, le ustioni delle
sigarette che quella creatura infame gli spegneva sulla schiena e sul
torace,
mentre sua madre tremava in angolo senza fare nulla, spaventata
più dall’idea
di rimanere senza una dose che dalle urla strazianti del proprio figlio.
Mentre
il suo cuore rallentava, istintivamente Ryo prese a
massaggiarsi attraverso il tessuto della camicia bianca la cicatrice
che aveva
sotto alla scapola destra; sapeva che era impossibile provare ancora, a
distanza di quasi trent’anni, dolore, che gli
bruciasse… eppure, tutte le volte
che la sua mente andava a quel tempo, e a quel lurido appartamento, era
come se
avvertisse il dolore per la prima volta. Come se fosse successe un
attimo
prima.
Ma,
almeno, aveva avuto la sua vendetta su quell’uomo…
vendetta
che fino a che Jack e Mick non fossero arrivati per testimoniare
nuovamente
contro Shin Kaibara e Sonia Fields non sarebbe stata comunque completa.
Per un
cavillo, quel demone rischiava di poter di nuovo camminare libero per
le
strade, e Ryo non lo avrebbe permesso; se fosse stato necessario, si
sarebbe
macchiato lui stesso del delitto, ma aveva giurato sulla tomba della
madre che
non ci sarebbero stati altri morti per la Polvere degli Angeli.
Avvertì
qualcosa sfiorargli la spalla, e istintivamente fece uno
scatto, cercando la pistola nella fondina; poi però vide
Reika indietreggiare,
impallidita, le labbra dischiuse in un’espressione
di…forse paura? Ryo ingoiò a
vuoto, e scosse lieve la testa, come sperando di chiarirsi le idee, e
allontanare le nubi scure che affollavano la sua mente.
“Io…
ero sovra pensiero.” Si limitò a dire; non chiese
scusa, un
po’ per la vergogna di aver agito in quel modo, un
po’ perché non era nelle sue
corde; mani in tasca, prese a guardarsi intorno, fingendo una
nonchalance che
era lungi dal provare realmente.
“Ryo,
tu sai che se tu avessi bisogno di conforto…
insomma… se
volessi parlare con qualcuno... ecco… io… il
fatto è che è da tanto tempo
che…”
Reika abbassò lo sguardo; mentre parlava, arrossiva, quasi
fosse stata una
timida ragazzina impacciata, e prese a stritolarsi le dita.
Aprì la bocca per
finire la frase, ma le parole le morirono in gola perché fu
interrotta sul più
bello, prima di fare quella che voleva essere a tutti gli
effetti… una
dichiarazione, atta a smuovere le cose tra lei e Ryo.
“EHY,
RYO!”
Un tornado biondo dalla voce baritona gli piombò alle
spalle,
dandogli una pacca così sonora che Ryo quasi
traballò, nonostante le
articolazioni della mano guantata non fossero mai tornate quelle di
prima; il
poliziotto giapponese guardò, sotto gli
occhi attoniti di Reika, che mugugnava per l’occasione persa,
cercando uno
sprazzo di cielo fra gli sbuffi dello smog urbano, il vecchio compare,
massaggiandosi la spalla indolenzita, su cui l’agente
dell’FBI continuava a
fare violenza, ridacchiando. “My old friend, non ci vediamo
da un sacco di
tempo ma non sei proprio cambiato… sempre circondato da
belle donne, eh? E lei
chi è, la famosa Kaori di cui parlavi sempre?
Però me la immaginavo molto più,
come dire, angelica dalle tue
descrizioni.”
“Ryo!
Il tuo amico mi sta forse dando della facile?” Reika
ringhiò, stringendo i pugni, infuriata, il viso che diveniva
paonazzo per il
confronto con la coetanea con cui non aveva mai avuto nulla con cui
spartire se
non il lavoro e la disarmante attrazione verso Ryo. “Digli
qualcosa!”
“Mick,
lei è Reika Nogami, una collega!” Si
limitò a dirgli, con
un tonno piuttosto freddo e distaccato; nessun’altra
spiegazione, nessun
complimento, nessun aggettivo…. Solo una
collega, e per qualche motivo, essere definita
così, quasi fosse una
persona qualsiasi, le provocava un tonfo al cuore… era quasi
peggio di quando
Ryo faceva lo stupido donnaiolo e flirtava con lei, senza
però mai concludere
nulla… sapeva che Ryo era sempre stato un gran donnaiolo,
ma, come aveva avuto
una relazione seria con Kaori, era certa che avrebbe potuto averne
nuovamente
una…quindi, perché non con lei? Lei lo amava,
eppure… eppure, Ryo sembrava non volerla
ricambiare.
“Allora,
dov’è quel vecchio
marpione di Jack?” Ryo fece una grossa, grassa risata, mentre
dava manate sulle
spalle di Mick, voltato però verso Reika, di cui non aveva
nemmeno pensato di
prendere le difese dopo quella frase, perché nonostante
fosse stata insultata,
Ryo riteneva l’affermazione piuttosto veritiera.
“Avresti dovuto vederlo,
Reika! Jack fece sbavare la socia di Kaibara, quella donna voleva
talmente
tanto farselo che gli ha spiattellato ogni sacrosanto dettaglio
sull’Union
Teope senza nemmeno che li chiedessimo! Quell’uomo
è un magnete, Reika, se c’è
Jack Knife in giro… puoi star certa che ci saranno anche un
mucchio di
pollastre in calore! Ah, ah, ah!”
“Ehm,
a proposito di Jack, ci sarebbe una cosa che forse dovresti
sapere, Ryo…” Mick, imbarazzato, prese ad
allentarsi il colletto della camicia
elegante azzurrina, divenendo improvvisamente paonazzo; guardava il
soffitto, e
rifiutava categoricamente di incontrare gli occhi di Ryo, che invece,
immaginando qualche risvolto tragicomico, rideva della grossa.
“Cosa?”
Domando con voce argentina. “Non dirmi che è tutto
pelato…
anzi, no… si è rifatto il naso? Ha fatto un
lifting ed adesso ha la faccia
tutta tirata? Fammi indovinare, Sayuri lo ha mollato e lui ha avuto una
crisi
di mezza età anticipata!”
“Beh,
più o meno…” Mick si schiarì
la voce, parlando però con un
tono così basso che Ryo fece fatica
a
sentirlo.
Cosa
sentì bene però fu la voce in farsetto che lo
chiamava per
nome, con un tono quasi smielato però, e quando Saeba si
voltò, incontrò occhi
castani che ben riconosceva, brillanti, spiritosi, pieni di
energia…
Ma
quegli occhi erano circondati da ombretto color mattone, da
pesante eyeliner e un quintale di mascara, e anche le labbra, erano
rese più
piena da una mano di rossetto
dalla
tonalità decisamente accesa, molto più adatta
alla vita notturna di Shinjuku
che al traffico di mezzogiorno. Inoltre, erano attaccati ad un viso che
stava
su di un corpo dai lunghi capelli rossicci sciolti che sembravano
danzare nel
vento, su di un corpo dalla stazza decisamente maschile ma che aveva
addosso un
tubino rosso fuoco ed una pelliccia ecologica bianca- il tutto
completato da un
paio di tacchi da capogiro in vernice rossa.
“Jack?”
Gli domandò, allungando un dito verso il vecchio amico,
sbattendo le palpebre così velocemente che sembrava che gli
occhi non si
chiudessero mai, nemmeno per una frazione di secondo, nemmeno le sue
fosche
pupille fossero state fisse.
“In
realtà, Ryo, non uso più quel nome da parecchio
tempo…” Gli
rispose.
“Ehm,
già, è quello che volevo
dirti…” Mick si schiarì la gola,
passando in una frazione di secondo dal rosso al pallido e poi di nuovo
al
rosso acceso. “Beh, eco, vedi Ryo… ti presento
Erika Knife!”
“Come sarebbe a
dire che tu non ne sapevi nulla?” Chiuso
nell’ufficio di Saeko, che guardava
fuori dal vetro gli agenti dell’FBI prendere un
caffè e scherzare con altri
colleghi, fissava sbalordita la scena. Non se l’era
aspettata: ricordava quando
lei stessa aveva incontrato quel gran donnaiolo di Jack, quando aveva
partecipato all’operazione che aveva portato
all’arresto di Kaibara e allo
smantellamento dell’Unione Teope- era stata in
quell’occasione che Hideyuki era
rimasto gravemente ferito, lottando tra la vita e la morte per
giorni… Ryo era
rimasto accanto a Kaori durante quei giorni ed il conseguente duro
periodo di
riabilitazione, quando il polizotto aveva creduto che non avrebbe
camminato
più, e Saeko era certa che fosse stato allora che Ryo avesse
capito di non
essere solo attratto dalla sorella del suo migliore amico, ma di
provare
qualcosa di ben più profondo.
Ed
adesso… Lei aveva sprecato anni con Hideyuki e lo aveva
quasi
perso, Ryo e Kaori non si parlavano più, e Jack era
diventato Erika.
“Senti,
Saeko, non credere che per me sia stato facile… chiedi a
Mick come ho reagito quando l’ho vista, appena scesa dal
treno, che mi chiamava
Ryuccio!” Ryo
sbuffò. Mani incrociate
dietro la testa. “Ma a noi cosa cambia? Ci serve la sua
testimonianza, mica i
suoi testicoli!”
“Ryo!”
La donna lo redarguì, sbattendo i piedi e divenendo rossa-
copia sputata di Reika quando si innervosiva, prova che erano
indubbiamente
sorelle.
La
poliziotta si lasciò cadere sulla sua sedia, e si
massaggiò la
fronte, occhi chiusi. “Gli avvocati di Kaibara e Fields sono
squali, Ryo.
Diranno che se Knife era confuso su chi voleva essere, forse non era
nello
stato mentale per prendere una testimonianza, che potrebbe aver
travisato… e la
giuria non lo vedrà per quello che è ma,
ma…”
“Ma
un pagliaccio, lo so, l’ho capito. Non sono tutti di
mentalità
aperta come me o Mick.” Ryo sospirò, incrociando
le braccia e guardando i suoi
piedi. “Ma non posso chiedere ad Erika di testimoniare come
uomo… è stata
chiara, farlo per lei sarebbe come mentire sotto giuramento, e comunque
lei
adesso è Erika sotto
ogni punto di
vista!”
“Dì
un po’…” Saeko incrociò le
braccia, e fissò il collega alzando
un sopracciglio perfetto. “Da quando in qua sei politicamente
corretto e di
così ampie vedute, Ryo?”
Ryo
non le rispose; rimase in silenzio, a fissare il vuoto,
pensieroso, e la donna fu quasi del tutto certa di aver visto una
lacrima che
gli usciva dagli occhi, ma fu solo un attimo, un lieve luccichio alla
luce
artificiale della lampada, e poi svanì… che si
fosse immaginata tutto?
O
forse…
La
donna avvertì una morsa al cuore mentre si sentiva avvolta
da
una cappa di tristezza e delusione, emanati da Ryo, che con la mente
stava
viaggiando a ritroso nel suo passato, nella sua infanzia.
Quando
la madre aveva iniziato la relazione con Kaibara, era parso
a tutti un uomo responsabile, un giovane imprenditore di successo con
idee e
talento, ma invece colui in cui in troppi avevano
riposto la loro fiducia aveva finito per
deludere le aspettative
di chiunque:
dietro la facciata, Shin era uno sporco spacciatore che faceva il suo
denaro
vendendo morte, e alla fine dei giochi avevano scoperto che
l’uomo non era solo
parte di quella banda criminale, ma ne era uno dei pilastri.
E
per giunta, era un sadico crudele, che si divertiva a far
spettacolo col dolore che causava alle sue vittime.
Oh,
Ryo…
Saeko
sentì forte il desiderio di consolare l’amico,
quasi fosse
stato ancora quel bambino bisognoso di protezione, ma non lo fece; Ryo
non era
tipo né da smancerie, né da mostrare i propri
sentimenti - per quel che
Saeko ne sapeva, le parole ti amo non
gli erano mai uscite di
bocca, nemmeno con Kaori. E comunque, nemmeno lei era mai stata
eccessivamente
prona a gesti di affetto, soprattutto fuori dalle mura domestiche,
entro la cui
sicurezza si permetteva qualche libertà in più,
smettendo anche solo per poco i
panni della fredda femme fatale e dell’indomita poliziotta
senza macchia né
paura.
Ciò
però non significava che non comprendesse il dolore del suo
caro amico.
Quello
per la morte della madre, e il rischio che Hideyuki
affrontasse un simile destino- non per mano di un ago, ma di una
semiautomatica.
La paura che Kaori rimanesse sola al mondo come era accaduto a lui.
Quello
per il tradimento di un uomo che, seppure per breve tempo,
aveva chiamato papà. Lo stesso uomo
che aveva causato tutto
quel dolore. Che ancora lo stava causando.
L’uomo
che Ryo aveva contribuito a mettere dietro le sbarre.
L’uomo
che adesso rischiava di uscire di galera, ed essere libero.
Libero di vivere. Libero di delinquere. Di vendicarsi.
Sospirando,
Ryo si alzò in piedi, e si diresse verso la porta;
stava per uscire, la mano poggiata sulla maniglia, quando si
fermò.
“Magari
Jack non era il mio migliore amico, ma eravamo sotto
copertura insieme. Ci fidavamo l’uno dell’altro.
Lui mi ha guardato le spalle…
e quando Kaibara ha sparato a Maki, gli ha salvato la vita mettendo a
rischio
la sua, proprio come Mick aveva fatto con me.”
Fece un piccolo sorriso, triste, mentre le parole gli
uscivano naturali
e sincere, il cuore aperto come poche volte. “Lui ci ha
guardato le spalle, ed
è giusto che il ripaghi il favore, e guardi quelle di
Erika.”
“Beh,
vorrà dire…” Scrollando le spalle,
Saeko sorrise. “Che la
procura ed io troveremo un altro modo.”
Il
giovane uomo uscì dall’ufficio, e vide, seduta
alla scrivania,
Erika, che stava parlando con Kaori e Mick. Sorrise, lieto che i due si
fossero
finalmente incontrati, ricordando il passato, nonostante fosse
leggermente
seccato dal modo in cui Mick guardava la scollatura della bella rossa
cercando
di non farsi vedere, nonostante l’anello faraonico che lei
portava al dito – o
forse proprio per quello. A Mick
le
sfide erano sempre piaciute e non c’era nulla che gli facesse
alzare
l’adrenalina come correre dietro a donzelle innamorate di
altri e farle cedere,
per lui corteggiare una donna impegnata era una tentazione a cui non
poteva
resistere.
Il
locale in riva
al mare, che ricordava le balere di certi film francesi dal sapore
antico, era
colmo dell’odore acre di fumo, alcol e sudore, e
paradossalmente, tutto ciò che
Ryo voleva era uscire fuori e fumarsi una sigaretta, in pace,
accompagnato solo
dal suono delle onde che si scagliavano contro il molo e quello delle
sirene
delle navi che si avvicinavano al porto.
Sussurrò
una
bugia alla donna seminuda che gli si era avvinghiata, e
lasciò il localino per
appoggiarsi pigramente contro il muro, il viso alzato con la sigaretta
in
bocca, a guardare le stelle. Da sud soffiava un venticello tiepido, che
gli
portò alle narici un odore del tutto particolare, e sorrise,
ripensando a casa-
e a chi quel profumo gli ricordava, chi per lui era
casa: la piccola Kaori, di cui, dopo
tanto tempo, gli sembrava di poter ancora sentire il sapore sulle sue
labbra.
La
porta si aprì,
e dal locale uscirono le risate ubriache degli avventori, quelle false
delle
donne di facili costumi, la musica a tutto volume che faceva scoppiare
la
testa, l’odore di perdizione che quel luogo emanava.
Ed
uscì l’agente
dell’FBI con cui Ryo stava lavorando: Jack Knife. Ryo non
aveva ancora capito
se quel nome fosse vero o solo un soprannome, o magari un nome in
codice.
“Non
sapevo che
ti piacessero gli uomini…” Jack si accese una
sigaretta e si mise accanto a
Ryo, stringendo il filtro tra i denti. “Devo preoccuparmi che
ci provi con me?”
Ryo
lo guardò
storto, ritenendo che
non fosse nemmeno
degno di una risposta. Tuttavia, il federale nippo-Americano non
sembrava
intenzionato a desistere, ed anzi, prese ad insistere ancora di
più nel
pungolare l’agente nell’orgoglio.
“Cos’è,
a casa
hai la fidanzatina che ti aspetta, Saeba? Paura che si incazzi e ti
prenda a
martellate se fingi
di metterle le corna
con le sgualdrine di Kaibara?” Jack scoppiò a
ridere, mentre, invece, a Ryo
venne un forte attacco di tosse, nemmeno quella fosse stata la sua
prima
sigaretta, e volgendo lo sguardo colpevole altrove, arrossì.
“Ah, ma allora vedi
che ho ragione!”
“Non
è la mia
ragazza!” Ryo biascicò. “Lei…
è la sorella del mio migliore amico. E collega.
Ed è giovane. Tanto
giovane.”
“Quindi
ti
piacciono le ragazzine? Non ti facevo così maniaco, quando
vuoi sembri pure un
bravo ragazzo!” Jack
fece una piccola
risata, e poi fu il momento di Ryo di sospirare, mentre si grattava il
capo, la
sigaretta a terra, spenta col piede.
“Guarda
che non è
mica una bambina, per chi mi hai preso? Non è così
giovane… lei… ha
diciotto anni, mica
quindici!”
“Ah,
una
maggiorenne… ma allora, vecchio mio, il problema sei
tu!” Jack si mosse verso
la staccionata di legno che teneva al sicuro dal mare, e
gettò tra i flutti il
filtro ormai masticato, poi tornò accanto a Ryo, e gli
posò una mano sulla
spalla, con fare amichevole. “Sai, alcuni pensano che se si
ama veramente una
donna fare questo lavoro sia impossibile… io ho una ragazza,
ma non credo di
essere così innamorato di lei da lasciare questa vita.
Però ricordati, solo
perché non si è impegnati seriamente, non
significa che si possa fare i
donnaioli quanto ci pare!”
“Perché,
ti
sembro un donnaiolo?” Ryo gli domandò, semi-serio.
“In
realtà mi
sembri uno che di cuori ne ha fatti palpitare tanti, ma anche un uomo
innamorato che però non è ancora pronto ad
ammetterlo e che si machera dietro
l’idea di essere solo attratto da una persona. Fossi in te,
vecchio mio, ci
penserei due volte prima di dire che ti sei solo preso una cotta per
una
ragazzina da cui non verrà fuori
niente…”
Facendogli
l’occhiolino, Jack tornò dentro, e per prima cosa
si gettò tra le braccia di
una conturbante ballerina esotica… lasciando fuori Ryo a
pensare.
“Oh,
Ryo!” Kaori saltò in piedi, e con il sorriso sulle
labbra si
voltò in direzione dell’ex. Ryo non
arrossì, tuttavia il suo imbarazzo era ben visibile
a chi lo conosceva bene, e che stesse accadendo qualcosa fu da subito
ben
chiaro a Mick, che da dietro a Kaori gli sorrise con la medesima
espressione
del celeberrimo Stregatto di Alice nel paese delle meraviglie, mentre
invece
Erika si era messa a tirare su col naso, ed aveva gli occhi lucidi,
quasi fosse
stata intenerita da quello spettacolo ridicolo.
Ryo
sospirò, abbassando il capo rassegnato: Erika era davvero
una
donna a tutti gli effetti- era anche una sognatrice romantica adesso, e
l’uomo
pregò con tutto se stesso che non volesse mettersi pure a
giocare a fare
Cupido.
“Ehm…sì?”
Ryo iniziò a pensare ad una scusa per allontanarsi;
temeva che Kaori, che dopo quel bacio e la notizia della data del
matrimonio a
malapena gli rivolgeva la parola, avesse scoperto qualcosa
di… sconveniente tramite
quei due imbecilli
patentati, ma poi scrollò il capo con veemenza: non poteva
essere così, perché
la ragazza era decisamente troppo cordiale!
“Erika ed io
abbiamo avuto
un’idea!”
Sbattendo
quelle lunga ciglia da cerbiatta, la giovane gli fece un
sorriso che… che sembrava preannunciare guai. Non che
facesse troppa
differenza, però: a Kaori, alla fine, lui non era mai stato
in grado di dire di
no.
“Non
so perché, ma ho la netta impressione che potrebbe non
piacermi…” le disse, alzando un sopracciglio.
Kaori tuttavia sembrò incupirsi a
come lui stava reagendo, e prese a stringersi le dita. Occhi bassi, si
morse le
labbra, e volse lo sguardo altrove.
Erano
nel bel mezzo di una caotica stanza, piena di agenti che
lavoravano al meglio delle loro possibilità, eppure era come
se fossero soli.
“Noi…
io voglio solo aiutarti a metterti Kaibara alle spalle,
Ryo.” Gli disse, la voce spezzata, senza guardarlo negli
occhi. Eppure, Ryo
sapeva che Kaori stava trattenendo a stento le lacrime, e la cosa gli
spezzava
il cuore. “Lui ti ha tradito, e capisco perché
provi odio per lui, ma… ma io
non voglio solo aiutarti per vendetta, perché…
perché credo che se si
combattesse solo per odio e vendetta, presto o tardi si arriverebbe
all’autodistruzione. Io invece…vorrei solo che non
ci fossero altre persone che
debbano soffrire… come te, come me, come Hide… e
poi… io ho sempre tenuto molto
a te, e anche se adesso non stiamo più insieme,
ecco… io desidero esserti
ancora amica, Ryo, come una volta.”
Ryo
assunse un’espressione pensierosa, ma al contempo serena;
sorrideva leggermente, e la guardava in un modo strano, che le fece
mancare il
fiato… un modo profondo come non aveva mai fatto, neppure
quando stavano
assieme, quasi le sembrava che lui la stesse controllando ai raggi X, o
potesse
leggerle dentro.
La
destabilizzava, le faceva dimenticare tutto, e la cosa non le
piaceva.
Lei
non era più sua, non si appartenevano
più… ora aveva Shinji
nella sua vita, ma a volte era come se una parte di lei volesse
accantonare
quel pensiero, quella consapevolezza, ed esplorare, anche solo per
poco, la
possibilità che il loro passato fosse stato diverso.
Che
avesse funzionato, tra loro.
Ryo
la afferrò per il polso, e la trascinò a
sé, lasciandole un
casto bacio sulla fronte, che però la accese e la fece
improvvisamente divenire
consapevole di ogni nervo del suo stesso corpo.
“Grazie,
Sugar.” Sussurrò a fior di pelle, le sue parole
quasi come
fuoco sulla pelle della donna tanto le era stato vicino.
Sugar.
Il
soprannome che Ryo aveva coniato per lei quando era solo una
ragazzina. Solo il sentirlo le accendeva il cuore con la luce ed il
calore di
milioni di fuochi di artificio, era come se la sua stessa anima
esplodesse con
la potenza di una supernova.
Una
parola, una sola, ed il suo perfetto mondo rischiava di cadere
in frantumi ai suoi piedi.
Kaori
rimase immobile a fissare il vuoto, mentre Ryo la lasciava
andare e raggiungeva Mick ed Erika, che lo guardavano come se sapessero
qualcosa che solo loro capivano, come se loro tre condividessero un
qualche
tipo di segreto.
“Beh,
allora, quale sarebbe questa grande idea?”
“Non riesco a
capire…. Alla sbarra no, ma in sala interrogatori
sì?” Saeko fissò attraverso
il falso specchio l’interrogatorio che stava per iniziare;
Sonia Fields,
contabile che si era trovata immischiata in un traffico di droga,
avrebbe
nuovamente visto la persona a cui aveva confessato, tra le lacrime, i
suoi
peccati e le sue colpe, consegnando nelle mani della giustizia Kaibara.
La
porta si aprì, ed in controluce fece la sua entrata una
figura
possente, eppure dal fisico slanciato. Il suono delle scarpe che
facevano
scricchiolare il pavimento in vinile era l’unico rumore che
si poteva udire in
quella quiete surreale.
“Sonia…
ne è passato di tempo.” Sonia, le labbra dischiuse
in
un’espressione di meraviglia, si ritrovò a fissare
un uomo Impeccabile,
dall’elegantissimo completo grigio, completato da una
cravatta blu su camicia
bianca, capelli castani tagliati corti e pettinati col gel a creare un
falso
effetto ribelle: Jack Knife.
“Che
tu ci creda o no, vederti è sempre un piacere. La prigione
non ha minimamente scalfito la tua bellezza.” La donna
assunse un sorrisetto
cinico, di circostanza, tirato, ad udire quelle parole, e accavallando
le
lunghe gambe, fasciate dalla tuta arancione da carcerata, prese a
giocare con
una ciocca di capelli biondi.
“Non
cascherò per un trucchetto del genere due volte,
Jack.” Gli
rispose, beffarda, fissandosi svogliatamente le unghie; era chiaro che
Sonia
sapesse muoversi all’interno della galera, che ricevesse
favoritismi e avesse
chi le copriva le spalle: non c’era un centimetro del suo
corpo che non fosse
ancora perfetto, a partire dai capelli biondi (tinti di un biondo
talmente
chiaro da sembrare bianco) fino alla french manicure.
A
Sonia non mancava nulla… anzi, una cosa sì, le
mancava: la libertà.
Buona parte del denaro
dell’Unione non era mai stato recuperato, ed era logico
pensare che la loro
contabile fosse a conoscenza del nascondiglio. Contro di lei non
c’erano vere
prove, solo sospetti e poi quella fortuita confessione, e se avesse
riottenuto
la libertà, erano tutti certi che tempo ventiquattro ore
l’uccellino avrebbe
riempito di contanti le valigie e preso il volo verso qualche isoletta
sperduta
che fosse al contempo un paradiso fiscale e non concedesse
l’estradizione.
“Sonia,
ascolta… come anni fa ho ottenuto la tua
confessione… è
stato imperdonabile. Il modo in cui ho tentato di sedurti…
quando ti ho
lasciato credere che per noi potesse esistere un futuro se tu fossi
stata
onesta, è qualcosa di cui mi pento amaramente.”
Seduto
accanto a Saeko nella stanza adiacente, Ryo, caviglie
incrociate sul tavolo, sorrise beffardo: non c’era che dire,
Knife sapeva
ancora mentire e manipolare i suoi polli alla perfezione. E per giunta,
senza
trucco, con un completo maschile e quella guaina super-aderente a
celare le
forme dono di ormoni e chirurgia plastica, nessuno avrebbe potuto dire
di
trovarsi davanti una donna – e che donna!
“Una
donna come te, costretta a vivere in una minuscola cella… il
tuo mondo dovrebbe essere una passerella, non uno squallido
carcere.” Knife le
rivolse un sorriso affascinante, ammaliante…. Le parole
erano come miele,
ambrosia, uscivano dalle belle labbra sottili incantandola, esattamente
come
era accaduto anni prima. Con calcolata ingenuità e
titubanza, Knife mosse una
mano sul tavolino, andando a coprire quella della donna, che
sussultò, mentre
lacrime le lasciavano i glaciali occhi azzurri e le gote si
imporporavano.
“Sonia, adesso capisco che Kaibara ti aveva sempre
manipolato, e che ha
cercato di metterti in mezzo per
alleggerire la sua posizione… ma tu, tu sei sempre stata una
vittima, vero?
Vittima di uomini come me e lui che ti hanno usato per ottenere quello
che
volevano. Tu eri solo una contabile che voleva fare il suo lavoro, si
stata
trascinata dentro a quella brutta storia contro la tua
volontà, e una volta
dentro, non ti avrebbero mai permesso di uscirne.”
Sonia
si morse le labbra, il capo chino, e rilassò la mano sotto
al tocco delicato di Knife; singhiozzando, fece un cenno di assenso col
capo
così accennato che chi la guardava appena se ne accorse.
“Davvero
ci sta cascando? Di
nuovo?” Saeko domandò, quasi incredula.
Aveva parlato lei stessa con Sonia,
nel tentativo di farla nuovamente collaborare, ma la donna si era
rimangiata
tutto e non voleva sentire ragioni… fredda, cinica,
calcolatrice, maliziosa…
eppure, era come creta nelle mani di chi già una volta
l’aveva portata alla
caduta nel baratro.
“Eh,
Jack ci sapeva davvero fare con le donne, e pure Erika a
quanto pare ci sa fare con il gentil sesso…” Mick
sghignazzò, braccia
incrociate. “Quando eravamo a Quantico insieme e il
venerdì sera andavamo per
locali, ci
raccontavamo sempre che gli
bastava guardarle per convincerle ad abbassarsi…”
Due
paia di occhi presero a fissarlo con ostilità, capendo fin
troppo bene dove l’uomo volesse andare a parare, e le due
donne presenti
all’interrogatorio videoregistrato si schiarirono la gola,
fulminandolo, e Mick
fece un passo all’indietro, sbattendo la schiena contro il
muro, ed ingoiò a
vuoto.
“Non
riesco a credere che sia stata Erika ad avere
quest’idea… non
mi sembrava il tipo da voler mettere i panni dell’uomo, ma
dice che dato che si
tratta di sala interrogatori e non del banco dei testimoni,”
Kaori sorrise,
seduta sul tavolo che faceva dondolare le gambe. “Non si
tratta di spergiuro,
ma di lavoro sotto copertura…. Si sta pure
divertendo!”
Ryo
le lanciò un’occhiata sorniona, sorridendole
sghembo: quando
Kaori gli aveva proposto quell’idea l’aveva
giudicata malsana, ma doveva
ammettere che stava funzionando, e che l’aveva giudicata
male, guidato forse
dal dolore che provava nel petto all’idea che lei, ora,
stesse per diventare
definitivamente di qualcun altro- che lei lo avesse rifiutato ancora.
Ed
in sala interrogatori, Knife continuava la sua sviolinata.
“Detto
tra noi, Sonia, credo che tu mi abbia mentito non solo per
compiacermi, ma per alleggerire la posizione di Kaibara... ma non
credere
nemmeno per un secondo che lui
voglia
fare lo stesso per te. Dirà che lo hai sedotto, manipolato,
che gli hai fatto
firmare documenti senza che lui sapesse cosa fossero. Si
inventerà che hai
usato un povero vecchio per i tuoi piani… Lo so,
Sonia…” Knife prese un
profondo sospiro, ed abbassò gli occhi, calcolando il giusto
tempo per
continuare il suo discorso. “Lo so perché
è quello che ci ha detto lui stesso
quando ha chiesto un nuovo processo. Ma io lo so, Sonia… tu
sei una donna che
ha tanto amore da dare, che è stata usata da un vecchio
psicopatico maniaco…”
“Dopo
tutto quello che ho fatto per lui… tutte le colpe che mi
sono presa… come osa…”
La
donna scoppiò a piangere, e Knife le strinse la mano,
guardandola con dolcezza e comprensione, accogliendo ogni parola
pronunciata
per ciò che era: una benedizione, la loro fortuna. La
garanzia che Shin Kaibara
e Sonia Fields sarebbero marciti in una minuscola cella umida fino al
giorno
che non fossero morti.
L’ennesima
confessione.
Un paio di giorni
dopo, Ryo e Mick guardarono Erika salire sul treno, ritornata al suo
stile da
femme fatale; aveva mantenuto i capelli corti, preferendoli ad una
parrucca, ma
li aveva acconciati in una maniera che la rendeva estremamente
sensuale,
adottato una piega spettinata e ribelle..
Mentre
la guardavano allontanarsi sul convoglio, Ryo girò i
tacchi, e si accese una sigaretta, voltandosi verso il vecchio compare.
“Beh, e
tu rimani qui a rompere ancora a lungo?”
“Eh,
che vuoi, a me testimoniare tocca, e per almeno due settimane
non sarà il mio turno, e chissà quanto a lungo
tutta questa storia andrà avanti…”
Mick si limitò a scrollare le spalle, assumendo quella
beffarda aria falsamente
angelica che era solito stamparsi in faccia quando prendeva un
po’ in giro
amici e conoscenti (e donne). “Dovrai sopportarmi ancora un
po’!”
Appoggiando
una mano sulla schiena di Ryo, lo guidò verso un
piccolo locale leggermente appartato, da cui proveniva una musica
giapponese
tradizionale ma soprattutto suoni di risate, ma non quelle tipiche
degli
ubriachi: erano risate vere, oneste, di gente che si divertiva.
I
tavolini erano quasi tutti impegnati, perciò i due detective
si
appoggiarono pigramente al bancone. Ryo fece segno al barista, vestito
anch’egli in maniera tradizionale con un semplice kimono
maschile dai toni
dell’azzurro, di portargli due bottiglie di birra, e con un
leggero inchino
l’uomo eseguì.
Stappate le bottiglie
ambrate, gli uomini le fecero battere l’una contro
l’altra in segno di buon
auspicio, sorridendo e ridendo, unendosi alla baldoria degli altri
avventori,
le schiene appoggiate al bancone mentre loro assaporavano tanto
l’alcolico
quanto l’atmosfera gioiosa che si godeva dentro il curioso
establishment.
“Certo
che è davvero carina… un po’ troppo
seria, forse, ma
decisamente carina, sì….” Mick lo
punzecchiò, sorridendo sornione. Aveva una
strana luce negli occhi, sembrava quasi che provasse invidia per Ryo,
in quel
momento. “Sai, quando ci siamo incontrati, anni fa, mi eri
subito sembrato,
ecco… distruttivo, ma questi ultimi giorni, standoti
accanto, non lo, ti ho
trovato cambiato, Ryo…”
“Non
so di cosa tu stia parlando…” Ryo si mise a
guardare altrove,
quasi sperasse che l’altro volesse cambiare discorso: ma fu
inutile.
“Davvero,
Ryo. Sei entrato in polizia per rincorrere quel
desiderio di bruciarti, ma credo che qualcuno ti abbia convinto a
cambiare…
saranno stati i fratelli Makimura… o solo Kaori?”
Ryo non rispose; cupo, poggiò
la bottiglia sul bancone, e prese a contare le minuscole crepe che
decoravano
il soffitto come un dedalo di sottili ragnatele.
“Perché non le dici che ci
tieni ancora a lei, che sai che avete sbagliato a lasciarvi?”
Ancora
in silenzio, Ryo si voltò verso l’amico e lo
guardò in
silenzio - un silenzio che parlava più di mille parole; in
quell’istante, era
come se Ryo stesse aprendo il suo stesso cuore, spalancando, a Mick, ed
era un
atto di onestà e fiducia che non avrebbe riservato a nessun
altro.
Ma
d’altronde, gli altri non lo avevano salvato… non
come Mick
aveva salvato lui…
“Il
tuo patrigno
è uno stronzo, Ryo…” Mick
sibilò tra atroci fitte di dolore; il viso imperlato
dal sudore, era pallido, e sentiva bruciare nel punto in cui gli uomini
di
Kaibara gli avevano forzatamente somministrato la Polvere degli Angeli. Sentiva lentamente la
lucidità scivolargli
tra le dita… ancora poco, e poi sarebbe stato servo del
volere folle e atroce
di Kaibara, niente di più che una macchina da guerra, il suo
soldatino
personale.
Non
poteva
permetterlo: meglio la morte che un destino del genere, e se morendo
avesse
potuto salvare il suo amico, o anche solo mettere in
difficoltà Kaibara…
sarebbe stata una bella morte. Una morte degna.
Strisciando a terra, si
avvicinò al quadro comandi della
nave carica di droga e armi destinati a tutto il mondo: la rotta era
stata
fissata, entro poco avrebbero incontrato gli acquirenti, e Kaibara gli
avrebbe
ordinato di uccidere Ryo come prova dell’efficacia della
sostanza, e lui lo
avrebbe fatto.
Con
mano
tremanti, aprì il piccolo sportello metallico, per poi
afferrare i fili che vi
erano all’interno, tutti insieme. Il suo corpo venne percorso
da una scarica di
energia elettrica devastante, Mick sentiva di andare a fuoco, ma
stavolta non
si trattava solo di una semplice sensazione, le sue terminazioni
nervose e i
muscoli stavano davvero bruciando.
La
nave sbandò,
per poi arrestarsi improvvisamente, e tra atroci dolori Mick ricadde
all’indietro, sorretto da Ryo che era corso in suo
aiuto…
“Non
si ha sempre quello che si vuole, dalla vita.” Ryo gli disse,
enigmatico. Mick fissò i guanti bianchi che indossava da
quel giorno, dopo che
anche esteticamente le sue mani erano rimaste compromesse durante
l’assalto a
Kaibara.
Da
allora, non era stato più lo stesso… aveva perso
tono muscolare
ed i nervi erano rimasti irrimediabilmente lesionati, non era nemmeno
più in
grado di sparare...ormai, faceva solo più lavoro di ufficio,
ma non gli bastava
più; non chiedeva certo di ritornare ad essere un agente
operativo, ma almeno
un analista… poter almeno investigare, fare
domande… era chiedere troppo?
“Non
dirlo a me, Ryo, però, quando si trova qualcosa per cui vale
la pena lottare, lo si dovrebbe inseguire, no?”
“Si
sposa fra nemmeno tre mesi, Mick…” Ryo
sospirò. Tirò fuori
dalla tasca della giacca una scatolina, e la posò sul
bancone, accanto
all’amico. Mick, sollevando un sopracciglio, la
aprì: all’interno c’era un
anello ed un solo orecchino. “Non so nemmeno
perché cavolo li ho tenuti. Kaori
ha ragione… noi siamo amici da tanti anni. Dovremmo
concentrarci su quello. Ed
il lavoro.”
“Ryo,
secondo me lo sai benissimo anche tu perché li hai
tenuti…”
Mick lo prese in giro, dandogli delle leggere pacche consolatorie sulla
schiena. “Perché speri di poterle di nuovo dare
questo bell’anello di fidanzamento e potertela
sposare tu!”
“No,
no, Kaori ha ragione. Kaori ha sempre avuto
ragione.” Ryo borbottò; si stava battendo
ritmicamente
l’indice contro il mento, assorto in pensieri apparentemente
seri, nonostante
la birra avesse già iniziato a fare effetto e le parole gli
uscissero dalla
bocca nemmeno fossero stato un flusso di pensieri. “Io non
sono fatto per il
matrimonio. Non sono capace ad avere una sana vita di coppia. Di letto
sì, ma,
no, no… le relazioni non fanno per me. Non ho nemmeno mai
avuto un buon
esempio!”
Mick
rimase a bocca aperta; sembrava che Ryo la stesse buttando
sul ridere, ma solo
ora capiva che la
riapertura di quel caso, il dover testimoniare nuovamente, ricordare
quel tempo
della sua vita passata, aveva riaperto ferite che non si erano mai
rimarginate
del tutto.
Quando
si erano conosciuti, anni prima, Ryo, nonostante fosse
molto legato a Kaori - e avesse confidato a lui e a Jack di provare
forse
qualcosa di più di una semplice amicizia o affetto fraterno
per la bella rossa
- era un dongiovanni; un po’ come un marinaio, aveva una
donna diversa ovunque
andasse.
Ma
poi… poi, lui e Kaori si erano avvicinati, e col tempo
avevano
deciso di darsi una possibilità, ma Mick aveva
l’assoluta certezza che fosse
stato Ryo stesso a mandare tutto a puttane, ritenendosi indegno
dell’amore di
lei - incapace di amarla perché nessuno aveva mai amato lui.
Stronzate.
Forse
Ryo non aveva conosciuto il classico amore familiare, ma
come poteva credere che la famiglia fosse quella delle
pubblicità - che esistessero
davvero quelle famiglie col papà in completo elegante che
prima di andare al
lavoro elargiva baci e consigli per la giornata, per leggere poi alla
sera le
fiabe, e madri con impeccabili vestitini azzurri e gialli che, con
tacchi e
perle, facevano tutto, dal preparare la colazione al verniciare, il
tutto in
case impeccabili, luminose, ariose, senza la minima traccia di
disordine
nonostante la presenza di cane, gatto e pesce rosso.
Va
bene, Ryo non aveva avuto una mamma ed un papà amorevoli, ci
stava, ma davvero quel cretino non capiva che era circondato da amore
ed
affetto? Da amici che gli volevano bene come e più che fosse
un membro della
loro famiglia? Gente che aveva scelto
Ryo come suo fratello…
“Vuoi
che te lo custodisca io in attesa di tempi migliori,
old brother?” Mick lo prese in giro,
sorseggiando la fresca bevanda dal collo della bottiglia ambrata.
“Puoi
pure tenertelo, se vuoi.” Ryo scrollò le spalle.
“A me non
serve più.”
Lasciando
la scatolina sul bancone, il poliziotto si alzò, e
salutò l’amico con un cenno della mano. Mick
scrollò il capo, sospirando… Ryo
era davvero un caso da manuale, disperato quando voleva.
Con
un lieve sorriso sulle labbra, afferrò la scatolina e se la
mise in tasca: l’avrebbe tenuta con sé fino a che
Ryo non avesse deciso di fare
l’uomo e chiedere la mano di Kaori, e stavolta, dicendole la
verità - quella
verità di cui ormai tutti erano a conoscenza: che
l’amava.
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Capitolo 9 *** Episodio #8: Bling Ring ***
EPISODIO #8: BLING RING
La
camera era avvolta nell’oscurità, soltanto un
lieve bagliore
filtrava attraverso le veneziane. All’interno di quelle
quattro mura, silenzio,
tolto per quei respiri affannosi ed i sommessi gemiti di piacere.
Premuta
con la schiena contro il muro, Kaori gettò le mani nei
capelli di Ryo, avvicinandolo a sé, mentre lui afferrava il
ciondolo che la
donna portava al collo e lo strappava,
gettandolo a terra in un angolo dopo averci trafficato un po’
per disattivare
la microspia: c’erano già troppi testimoni, non
avevano bisogno di nessun altro
che sentisse cosa stavano facendo, non voleva voci riguardo a cosa
stava
succedendo tra lui e la sua ex in quel preciso istante.
Ansimando,
gemendo, Ryo premette l’inguine contro il corpo della
donna, avvolto in quel tubino color verde smeraldo che faceva risaltare
il suo
incarnato e lo splendore dei suoi lucenti capelli rossi, e le fece
sentire la
potenza del suo desiderio.
Strinse
i denti, maledicendo se stesso, la vita, il destino,
Shinji… e anche Kaori.
Lei
lo strattonò per i capelli, attirandolo a sé,
mentre Ryo
afferrava la stoffa del vestito, all’altezza dei fianchi,
sollevandola fino a
lasciare intravedere il sensuale intimo di pizzo color nero, e le
sorrise
compiaciuto contro la pelle del collo, mentre le lasciava un succhiotto.
Lo
riconosceva: quel completino era stato un regalo di Kaori per
il suo compleanno un paio di anni
prima. Che lo avesse scelto con lui in mente, immaginando - o forse
sperando -
in un simile epilogo… o era stato semplicemente il caso?
Aveva magari perfino
dimenticato di averlo acquistato per lui?
“Sai,
questo è
tanto per me quanto per te…dopotutto, compiamo gli anni a
soli cinque giorni di
distanza! Così, io
mi godo un completino
nuovo… e tu ti godi la vista di me che lo
indosso!” Gli disse lei, mentre si
metteva ai piedi del letto con addosso solo quella meraviglia di
sensualissimo
pizzo nero. Stava in punta di piedi, quasi fosse una ballerina,
piroettando con
il sorriso sulle labbra, ridendo felice e allegra, spensierata.
“In
realtà, per
quanto quello straccetto ti stia bene addosso, preferirei godermi la
vista di
te che te lo togli lentamente per me, bimba.”
Si leccò le labbra, e seduto sul letto fece
scivolare a terra il
lenzuolo, l’unica cosa che celava la sua prorompente
virilità. Kaori rimase
immobile, ed arrossì, e quando Ryo la raggiunse, non oppose
resistenza.
“Non…”
iniziò a dire lei, prima che Ryo la zittisse, unendo le
loro labbra in un focoso bacio che portò entrambi indietro
nel tempo, un bacio
lussurioso, ma che eppure sembrava gridare della disarmante innocente
sensualità di quella donna meravigliosa che Ryo poteva
finalmente tenere
nuovamente tra le braccia.
Una
nebbia spessa si impadronì della mente di Ryo: cosa voleva
dire Kaori, con quella parola?
Non
possiamo.
Non
significa
nulla: è solo per la copertura.
Non
voglio.
Non
lasciarmi mai
più.
Forse
nemmeno Ryo sapeva esattamente cosa voleva dirle, mentre
assaporava la gioia della vita ed il fuoco della passione in quel
bacio, e
forse, qualunque cosa avesse voluto dire, Kaori non era pronta a
sentirlo… né,
forse, lo voleva.
Però,
mentre la sua lingua assaporava le calde lacrime che
bagnavano il volto della donna che aveva quasi sposato,
l’unica che avesse
mai veramente significato qualcosa per
lui… Ryo era certo di una cosa e di una cosa sola: quel
bacio meraviglioso
sapeva di una cosa sola.
Addio.
Quarantotto
ore prima…
“Dite
quello che volete, ma non capisco perché dovremmo occuparci
di questo caso… si tratta di un semplice furto!”
Ryo sbuffò, mani incrociate
dietro la schiena, con i piedi sulla scrivania. Davanti a lui, Saeko
digrignò i
denti, e fu quasi tentata di prendere uno dei suoi coltelli e
tirarglielo
addosso: quando faceva l’insubordinato lo tollerava davvero
poco, e lo faceva
ancora meno quando metteva arbitrariamente in discussione le sue
decisioni
semplicemente perché gli andava così.
“Non
si tratta di un semplice furto, ma di una banda organizzata
di ladri d’arte che da anni razzia il
paese…” Saeko spiegò con tutta la calma
che aveva, diplomatica e distaccata. “Il capo della polizia
stessa ci ha
passato il caso, perché nel loro ultimo colpo ci
è scappato il morto, e ritiene
che l’unità Crimini Bianchi non sia abbastanza ben
equipaggiata a fronteggiare
una cosa del genere.”
“E
loro sono d’accordo?!” Reika domandò
sbattendo gli occhi,
stupita.
“Non
solo sono d’accordo, sono stati perfino felici di mollare a
noi la patata bollente!” Hideyuki sbuffò,
leggermente cupo, gli occhiali che
gli ricadevano sul naso. “Sono due anni che stanno dietro a
questo caso, e non
sono ancora riusciti a risolverlo…”
“...e
così adesso gli incompetenti che non saranno stati capaci di
arrivare al dunque saremo noi!” Ryo continuò,
immaginando fin troppo bene quale
potesse essere stato il ragionamento dei colleghi. Improvvisamente
interessato,
visto e considerato che c’era di mezzo il suo orgoglio, si
mise composto, ed
osservò la lavagna bianca contro il muro. “Quindi,
indizi? Piste?”
“Un
mozzicone di sigaretta con del DNA, trovato poco lontano dalla
scena del crimine. Appartiene a Satoshi Hisato, è stato
dentro per rapina a
mano armata ed aggressione… si tratta di un ex lottatore di
lotta libera, che
non è mai riuscito a fare carriera. Si ferì
gravemente durante un incontro e
sviluppò dipendenza dagli antidolorifici e agli oppiacei, e
questo lo mise
fuori dai giochi.”
“Sì,
ma un mozzicone non significa nulla...” Seduta sul ripiano
della scrivania, Kaori guardò alcuni fogli, e lesse quelle
poche informazioni
che aveva; si mordicchiò il labbro, mentre, concentrandosi,
le apparve una ruga
sulla fronte. Era una cosa semplice, che le capitava sempre quando si
concentrava tanto, troppo, e aveva sempre fatto sorridere Ryo. Lei,
quasi
avvertendo quel sorriso, si voltò verso il suo ex, ma Ryo
distolse lo sguardo,
mettendosi a fischiettare come se nulla fosse, e Kaori si
limitò a scrollare le
spalle. “Sappiamo che è stato lì, non
quando.”
“Già,
però Hisato ha un avvocato un po’ troppo costoso
per un
tossico, e allora ci siamo permessi di mettergli un agente
dell’intelligence
alle costole e abbiamo fatto un paio di domande in giro ai nostri
informatori…”
“Oh,
mi piace sempre questa parte!” Ryo sghignazzò,
più attento
che mai. “Quando metti in mezzo i tuoi informatori, succedono
sempre cose
interessanti, Saeko!”
“Beh,
grazie per il complimento, Ryo…. e comunque, qui entrate in
gioco voi…” Gettandosi una ciocca di capelli che
le ricadevano sugli occhi
sulle spalle, Saeko sorrise soddisfatta e compiaciuta a
quell’affermazione.
“Abbiamo scoperto che Hisato parteciperà ad una
festa organizzata dal suo capo,
in cui verranno messi in mostra alcuni dei capolavori che hanno
rubato… e a
questa festa sapete anche chi è stata invitata?”
“La
nostra Kasumi?” Ryo domandò; aveva sul volto un
sorriso
compiaciuto, un ghigno che Kaori ricordava fin troppo bene dal tempo in
cui lei
lo amava e lui invece usciva ogni sera con una o più donne
diverse… sembrava
che il semplice pensiero della bella ladra che già una volta
ci aveva provato
con lui gli facesse venire la bava alla bocca, nemmeno fosse stato un
cavernicolo in calore.
“Proprio
lei!” Saeko continuò. “JJ ha
intercettato un messaggio
per lei sul dark web: lei ed il suo partner sono attesi per presentarsi
al capo
della banda per una sorta di provino!”
“Sì,
ma credevo che Kasumi fosse nel programma protezione dopo
aver testimoniato contro l’uomo che l’aveva assunta
per rubare quella moneta…”
Kaori continuò; stava stringendo i denti, dicendosi che era
seccata solo perché
Ryo si stava comportando in maniera poco professionale, ma stentava a
crederlo
lei stessa.
“Infatti…
ma questo nessuno lo sa. Come nessuno conosce il suo
aspetto. Ed è per questo che ho deciso di mandare due di voi
sotto copertura
per incastrare questo assassino. Ryo, tu interpreterai il ruolo di
Sanpei
Agatomo, l’ex di Kasumi, mentre ad interpretare la nostra
ladra…”
Prese
a guardarsi intorno con un sorrisetto compiaciuto sul viso,
studiando le donne presenti nella stanza… alla fine dei
giochi, a poter
interpretare quel ruolo potevano essere solo Reika oppure Kaori, ed era
facile
capire a chi avrebbe dato quell’incarico…
Reika
era brava nel suo lavoro, tanto. Ed era perfetta per
interpretare la femme fatale, forse perfino troppo, certa della suo
fascino
fino ad essere quasi egocentrica e piena di sé, mentre Kaori
era sempre stata
una ragazza semplice, senza troppi fronzoli, a volte così
timida da apparire
impacciata.
Ma
Kaori aveva una cosa dalla sua parte, un punto a suo favore: la
sua chimica con Ryo, una sintonia così profonda che quando
avevano iniziato a
lavorare insieme non avevano nemmeno avuto bisogno di parlarsi per
comunicare:
bastava uno sguardo. E lo avevano dimostrato più
volte…
Saeko
guidava
all’inseguimento del veicolo su cui i rapinatori avevano
preso in ostaggio
Kaori, che si era trovata semplicemente nel posto sbagliato nel momento
sbagliato.
Al
suo fianco,
Ryo teneva stretta nel pugno la sua fidata Python, stringendo i denti
per la
rabbia.
“Non
vorrai
sparare alla macchina su cui c’è Kaori!”
la donna lo redarguì, con la voce
tremante rotta dal terrore di perdere una cara amica, qualcuno che per
lei era
divenuta, col tempo, alla stregua di un’altra sorella.
“Lo so che vuoi sparare
ai pneumatici, ma quella macchina va ad una velocità
assurda!”
“Non
preoccuparti!” le rispose, sporgendo il braccio dal
finestrino e mirando,
socchiudendo l’occhio destro; guardò fisso davanti
a sé, e per una frazione di
secondo, quasi gli parve di incrociare lo sguardo di Kaori nello
specchietto
retrovisore dell’altra auto… e che lei gli
sorridesse, compiaciuta, certa.
La
stessa
espressione che Ryo aveva sul viso.
Il
colpo partì, e
nello stesso istante in cui lui premeva il grilletto, Kaori si
abbassò,
coprendosi il capo con le braccia; una volta colpito, il veicolo
volò fuori
dalla strada, atterrando contro un cartellone pubblicitario di tela. I
due
criminali che l’avevano tenuta in pugno erano spaventati,
sorpresi, e con un
calcio veloce e un paio di pugni la donna facilmente si
liberò di loro, e scese
dalla macchina, soddisfatta.
Saeko,
stupefatta, si voltò verso Ryo, le labbra dischiuse in
un’espressione di pura
sorpresa… sembrava quasi sconvolta.
“Ma… ma come avete fatto?”
“Mi
sono fidata
Ryo…” lei rispose, radiante, guardando il vecchio
amico.
“E
io mi sono
fidato dell’istinto di Kaori!” Continuò
lui, con una scrollata di spalle.
Tuttavia,
si
guardavano negli occhi, e a Saeko fu chiaro qualcosa che forse nemmeno
loro
avevano ancora capito: avevano un cuore in due… anche se
forse ancora non lo
sapevano, o non erano pronti ad accettarlo.
“Kaori,
andrai tu sotto copertura con Ryo!” Esclamò con
decisione.
“Ma…
ma, veramente, io….” Kaori si
imbarazzò, prendendo a
balbettare leggermente mentre abbassava gli occhi e si stringeva le
dita; lei e
Ryo si erano nuovamente riavvicinati dopo che lui, alcune settimane
prima, si
era ritrovato ad affrontare i fantasmi del proprio passato,
l’ombra del suo
stesso patrigno, ma la donna era consapevole che il loro rapporto era
ancora
traballante e delicato.
E
poi... poteva davvero interpretare la sua amante, lei che la sua
donna lo era stata davvero, e che adesso stava per sposare un altro?
“Saeko,
stai facendo un grosso errore!” Reika si intromise,
alzandosi in piedi di scatto e sbattendo un pugno sulla sua scrivania.
“Lo
sanno tutti che sono io quella abituata ad andare sotto copertura... e
poi
Kaori è solo un topo di laboratorio, l’hai presa
in quota alla scientifica, porca
miseria! Vuoi davvero
mandare tutto a quel paese per… per cosa, far contento il
tuo fidanzatino?!”
“Ehi!”
Kaori la zittì; braccia tese lungo i fianchi, pugni chiusi,
i suoi occhi sembravano lanciare scintille… e se Ryo la
trovava sexy da morire,
Saeko ne era altrettanto compiaciuta, sapeva che la futura cognata era
una
donna con gli attributi e che non si sarebbe fatta mettere i piedi in
testa da
nessuno, soprattutto da una donna spocchiosa come poteva spesso e
volentieri
essere Reika. “Se vuoi posso darti l’elenco
completo di tutti i casi che ho
risolto da sola, scientifica o no… non mi serve certo che
mio fratello
interceda per me perché io possa avere un
incarico!”
Reika
però non sembrò voler demordere; la
guardò come se avesse
voluto prenderla in giro, schernirla, braccia incrociate ed un
sorrisetto
furbo… e cattivello.
“Sei
stata via per un bel po’, Kaori… te la senti
davvero? Magari
sei arrugginita…”
Kaori
si limitò ad alzare un sopracciglio: a volte non sopportava
davvero Reika, e l’idea di dargliela vinta… beh,
non ci pensava nemmeno
lontanamente. E comunque, avrebbe
tollerato la presenza
di Ryo come suo
falso consorte: dopotutto, non era stata lei stessa a dirgli che voleva
che
fossero amici, che rimanessero in buoni rapporti…
soprattutto sul lavoro?
Poteva
farcela – doveva farcela.
“Reika,
mi piace pensare che quando si è trattato di decidere se
mandare me o te a Chiba la scelta sia ricaduta sulla sottoscritta per i
miei meriti,
non per chi è mio fratello o chi si porta a
letto.” Le rispose, piccata, mentre
a Hideyuki andava di traverso il caffè e prendeva a
tossicchiare. E Saeko
ridacchiava, nascondendo dietro la mano le labbra sorridenti, grata che
qualcuno stesse mettendo la sorella un po’ troppo spavalda al
suo posto. “E
comunque, io e te abbiamo la stessa esperienza, non ho nulla da
invidiarti. Il
fatto che oltre a saper usare un coltello ed una pistola io conosca
anche il
metodo di sequenziamento del DNA non vuol dire che valga meno di te
– anzi.”
“Kaori
ha ragione,” Ryo intervenne a supportarla, nonostante
avesse compreso che Kaori sapesse combattere e vincere le sue battaglie
benissimo senza il suo aiuto né quello di qualche altro
cavaliere dalla lucente
armatura. Le mise una mano sulla spalla e la strinse, facendo arrossire
Kaori,
che si sentiva
all’improvviso impacciata
e ragazzina, timida ed insicura… proprio come quando, tanti
anni prima, Ryo le
riservava anche solo una piccola, semplice attenzione. “E
comunque, Kaori ed io
ci conosciamo così bene da saper lavorare insieme senza
problemi, e sarà
più complicato per quella banda
smascherarci!”
Le
fece l’occhiolino, quasi a sottintendere che, dato che erano
stati amanti, avrebbero potuto interpretare alla perfezione quel ruolo,
e Kaori
arrossì ancora di più: il suo volto era dello
stesso colore dei suoi capelli,
ormai, e pareva stesse per andare a fuoco.
Il
silenzio cadde sulla stanza, e Saeko si guardò intorno,
compiaciuta.
La
sua squadra. I suoi uomini e le sue donne. La sua famiglia.
Lei
aveva la massima fiducia in loro, e loro… in lei.
“Bene,”
concluse, battendo le mani. “Kaori, JJ ti aspetta nel mio
ufficio con un paio di cose per te… e poi vedremo insieme il
piano. Questa
banda è passata dal rubare opere d’arte al non
farsi problemi ad uccidere:
facciamo loro vedere di che pasta siamo fatti!”
“Signora…”
Galante come solo lui sapeva essere quando voleva, Ryo offrì
la mano a Kaori
aiutandola a scendere dalla decappottabile sportiva a due posti che
avevano
preso in prestito nel magazzino delle prove. Lei accettò,
con un sorriso
ammaliante, e scese con un movimento sensuale che mise in mostra le
lunghe
gambe da modella, enfatizzate da tacchi a spillo da urlo. Eriko, la sua amica
stilista, le aveva
prestato un tubino verde smeraldo, dal taglio irregolare, e aveva
completato
l’ensemble con una parrucca dai lunghi capelli del suo stesso
colore naturale,
e un ciondolo che sembrava un ricercato monile moderno in acciaio, in
cui però
era nascosto un microfono, e che avrebbe permesso a Saeko e gli altri
di
monitorare ogni loro mossa ed intervenire nel caso fossero sopraggiunti
guai.
“Sai,
non ricordavo fossi così galante…” Lei
gli disse,
civettuola, mentre cammina tenendolo per il braccio, guardandosi
davanti sicura
e determinata, come se il mondo le appartenesse o fosse il suo
personale parco
giochi.
“Beh,
mi piace pensare che tu ti fossi innamorata di me per
com’ero, non per come fingevo di essere per portarmi a letto
le sventole!”
Malizioso, le fece l’occhiolino, e lei alzò il
viso, leggermente indispettita,
eppure… eppure, sentendosi anche un po’ colpevole,
quando le parole che lei
stessa gli aveva sussurrato settimane prima le tornarono alla mente.
Sono
io che… che mi ero illusa di poterti cambiare.
“Tutto
bene?” Le
chiese, leggermente preoccupato. “Guarda che stavo
scherzando, Kaori!”
Lei
si limitò a
scuotere il capo, e stamparsi un sorriso il più verosimile
in viso mentre,
finalmente, raggiungevano l’ingresso della villa nella
periferia di Tokyo, e
sussurravano al buttafuori la
parola
d’ordine allegata al messaggio intercettato sul Dark Web.
Entrarono
nel
salone, riccamente decorato; dal soffitto dell’enorme sala
scendeva, luminoso
ed abbagliante, un lampadario di cristallo finemente decorato, statue
di
ghiaccio raffiguranti creature eteree decoravano ogni tavolo, mentre
nell’aria
si diffondono le note di un quartetto d’archi.
Lusso
ed
eleganza: così Kaori avrebbe descritto quel luogo. Sfarzoso,
tronfio e
pacchiano sarebbero state invece le parole usate da Ryo.
“La famosa Ladra
305, immagino…”
Sentendo il nomignolo con cui Kasumi era nota
nell’ambiente, Kaori si fece forza, ed indossò la
sua migliore maschera.
Schiena dritta, calice alle labbra, si voltò verso
l’uomo che l’aveva additata:
giovane, massimo trentacinque anni, dal fisico atletico, aveva
l’aria di essere
il tipo d’uomo che sapeva esattamente cosa voleva e
soprattutto come ottenerlo.
L’uomo si sistemò i gemelli con calcolata
nonchalance, e si avvicinò alla
donna, senza nemmeno dare un’occhiata a Ryo. “O
posso conoscere il tuo nome?”
“Potresti…”
Con
un gesto rubato a Saeko, Kaori gettò all’indietro
una ciocca di capelli che le
ricadeva sugli occhi, e lo guardò maliziosa e seducente;
camminò verso l’uomo,
eliminando la piccola distanza che li divideva, muovendosi sinuosa,
elegante e
sensuale, azzerando la salivazione di Ryo che non ricordava di averla
mai vista
così sexy- una pantera, solo così avrebbe potuto
descriverla. “Ma non capisco
perché rovinare tutto con dei nomi…”
Chiuse
l’atto
poggiando il palmo sul petto dell’uomo, sul tessuto tirato
all’inverosimile
della camicia, che lasciava intravedere i muscoli. Lui le sorrise,
prima di
gettare il capo all’indietro in una forte risata.
“Ah!
Mi Piaci
davvero, donna!” Afferrò da uno dei camerieri che
passavano un calice, e lo
sporse nella direzione della donna per brindare. “Sono Yoichi
Makechi, e sarei
molto interessato ad offrire a te ed al tuo uomo un
ingaggio…”
Kaori
afferrò il
braccio dell’ospite, e camminò con lui, facendo
segno a Ryo di seguirla, cosa
che lui, riluttante, fece, mani in tasca ed espressione truce.
“Aso - è il
cognome che uso al momento. Se non vuoi chiamarmi col mio
numero… allora posso
essere Miss Aso per te, Yoichi.”
Lui
le sorrise,
affascinante e seducente; il suo era lo sguardo di un uomo che non
doveva
chiedere mai, che sapeva cosa voleva e come ottenerlo, e Ryo
capì
immediatamente dal modo in cui sottilmente passava la punta della
lingua sulle
labbra che quell’uomo, collezionista
di
cose belle, desiderava aggiungere alla sua raccolta la bella Ladra 305.
Non
ci stava. Non
poteva permetterlo: né poteva permettere che
quell’uomo si sentisse autorizzato
anche solo a pensare di poter allungare le mani su ciò che
era di un altro.
“Allora
Makechi,
cosa possiamo fare io e la mia donna
per te?” Ryo gli domandò, secco;
afferrò Kaori per un fianco, stringendola a
sé, fissando dritto l'altro negli occhi, marchiando il
territorio - un
comportamento da villano e cavernicolo, che portò la donna a
dargli una gomitata
nel fianco.
“Così
presto?
Forse dovremmo conoscerci meglio prima!” L’uomo lo
prese in giro, ridacchiando
- col risultato che Ryo strinse ancora più forte il fianco
della donna, e Kaori
dovette stringere i denti… la morsa di Ryo sul suo fianco
era quasi dolorosa, e
cercò di immaginare come avrebbe potuto spiegare nei giorni
a seguire i lividi
sul suo corpo. “Divertitevi un po’… fate
conoscenza se volete… quando gli altri
saranno andati via, potremo parlare di affari!”
Così
dicendo,
diede loro le spalle, e si mosse verso un altro gruppetto di persone, e
con
loro si comportò con altrettanto calore ed ironia; Ryo
dovette ammettere che
era un ottimo padrone di casa, una persona decisamente piacevole, ma
quello che
lo turbava era ben altro: Makechi sembrava dubitare di loro- o forse di
lui
solo, dopo la sua teatrale uscita - e c’era un solo modo per
mettere a tacere
quella voce nella testa dell’uomo.
Senza
fiatare,
sguardo scuro e determinato, magnetismo animale, appoggiò la
mano destra sulla
schiena di Kaori, e la guidò lungo la scala a chiocciola
ricoperta di
peccaminosa moquette color rosso: sembrava di camminare con un velluto
sotto ai
piedi.
Raggiunsero
il
piano superiore, con lei che lo guardava senza capire cosa stesse
accadendo, e
senza darle una spiegazione lui la spinse in una camera, senza nemmeno
accendere la luce: eppure, la luce che filtrava dall’esterno
lasciava ben
intendere che quella fosse una camera da letto.
“Ma
cosa…” Lei
gli disse, cercando una spiegazione, ma Ryo non le dette il tempo di
finire la
frase; la spinse contro il muro, ed attaccò il collo della
sua ex donna con le
sue labbra piene, baciando e succhiando la delicata pelle dal profumo
di
vaniglia nera. Le mani di Ryo presero ad esplorare,
sfiorare… andarono alla
gonna, sollevandola con lenta e studiata malizia. Ryo teneva la stoffa
chiusa
nei pugni, all’altezza dei fianchi, e questo gli permetteva
di vedere cosa lei
aveva indosso: un completo intimo di pizzo nero, e non uno qualsiasi:
quello,
Kaori se l’era comprato per il suo compleanno…
presentandosi però così
agghindata per quello di lui.
Sai,
questo è
tanto per me quanto per te…
Voleva
domandarsi se lui lo ricordasse, ma il modo in cui le
sorrise contro la pelle del collo, mentre saliva verso il mento e la
mascella
fu la sola risposta di cui aveva bisogno: lo ricordava. Lo
sapeva… e per lui,
quella conoscenza era come un sensuale incoraggiamento ad andare
avanti,
approfittare della sceneggiata per far ricordare alla donna come
potevano
essere loro, insieme.
Gemendo,
desiderosa di lasciarsi andare un’ultima volta, complice
la copertura che le serviva da alibi, Kaori gettò le mani
nei capelli di Ryo,
avvicinandolo a sé; lui afferrò il ciondolo
che la donna portava al collo e lo strappò,
gettandolo a terra in un
angolo dopo averci trafficato un po’ per disattivare la
microspia, non volendo
testimoni per quel loro momento di debolezza. Pensando che lo stesse
facendo
per lei - per proteggerla, salvaguardarla - Kaori fu travolta da un
moto di
tenerezza e affetto, dal desiderio di stringerlo forte a sé
e non lasciarlo
andare mai più.
Ansimando,
gemendo, Ryo premette l’inguine contro il corpo della
donna, avvolto in quel tubino color verde smeraldo che faceva risaltare
il suo
incarnato e lo splendore dei suoi lucenti capelli rossi, facendole
avvertire la
potenza del suo desiderio, e solo allora lei avvertì come
una scarica elettrica
percorrerla nel profondo.
Non
desiderio: ma vergogna, e senso di colpa. Lei non era più
sua,
non poteva più esserlo… ed apparteneva ad un
altro.
Non
avrebbe fatto una cosa del genere a Shinji, che negli anni
l’aveva supportata e incoraggiata, da buon amico.
“Non…”
iniziò, ma lui non le permise di terminare la frase, e
Kaori gliene fu grata, nel momento in cui le loro bocche e le loro
lingue si
ritrovarono finalmente, dopo settimane… baciare Ryo era
sempre nuovo ed
emozionante… ogni bacio era come il primo, che la riempiva
di emozione, così
tanto da farle sanguinare il cuore, farla piangere di gioia mentre le
ginocchia
le cedevano, perché nessuno l’aveva mai baciata
come lui, anche quel loro primo
bacio, fortuito, per errore, l’aveva fatta sentire
così, e dopo non ne aveva
più avuto a sufficienza.
Sai
a che cosa
sto pensando? Alla prima volta che ci siamo baciati… anzi,
alla prima volta che
tu
mi
hai baciato!
Avrebbe
voluto di più, allora - avrebbe sempre voluto di
più.
Tutto ciò che Ryo, volente o nolente, non poteva
darle… ma quello che lui aveva
da offrire, adesso non era più abbastanza,
Ciò che
desiderava era
Shinji che glielo stava offrendo. Lui stava avverando i suoi sogni. Lui
le
diceva di amarla. Stava con lei. Le faceva i complimenti. Stava ad
ascoltarla
quando parlava del suo lavoro. Desiderava sposarla, non tergiversava, e
sperava
nell’arrivo di almeno due bambini.
Con
le dita dalle unghie laccate da smalto color pavone, Kaori
strinse nei pugni la stoffa della camicia grigia di Ryo, e fece per allontanarlo, ma
la presa feroce e
brutale di lui sulle sue spalle glielo impedì; gli morse il
labbro come
deterrente, ma ottenne invece il risultato opposto: appena
avvertì il sapore
ferroso del sangue, Ryo mugolò di piacere contro la sua
bocca, ed approfondì
ulteriormente quel sensuale assalto, allacciandosi la gamba sinistra di
Kaori
in vita e sfregando ritmicamente l’inguine contro quello di
lei.
Con
le lacrime agli occhi, Kaori decise allora di godersi
quell’ultimo bacio, di arrendersi per quell’ultima
volta a quell’amore che non
era destinato a fiorire; il calore, il fuoco divennero un dolce
abbraccio, una
carezza piena di affetto, di rimpianto...era come se assaporassero il
loro
passato in quel bacio.
Era
il loro modo di dirsi addio.
Ryo
le respirò contro la bocca, borbottò qualcosa
mentre le
cancellava le lacrime coi pollici, la teneva stretta a sé
con dolcezza ed
amore, quasi fosse stata una creatura ultraterrena da venerare, quando
la luce
venne improvvisamente accesa.
“Ah!
Certo che potevate scegliere almeno la camera degli ospiti!”
Battendo le mani, Makechi eruppe in una fragorosa risata, mentre si
avvicinava
alla coppia che arrossendo leggermente si sistemavano i vestiti.
“Non che mi
meraviglio di te, amico mio. Difficile resisterti, signorina
Aso!”
Kaori
si sistemò una ciocca di capelli, e diede una scappellotto
alla mano di Ryo, quasi avesse voluto trovargli da dire per quel
comportamento.
Poi, fredda, si portò una mano al fianco e fissò
il capo della banda di ladri.
“Sono
venuta qui pensando che avrei avuto delle offerti
interessanti, ma quando ci si annoia perché non
c’è nulla da fare qualcosa
bisogna pur farlo…” Affermò, e parve
che volesse quasi lanciare un guanto di
sfida.
Makechi
si massaggiò il mento, e la fissò, incantato ed
incuriosito. Le girò intorno, quasi a volerla studiare, e si
sedette sul letto,
accavallando le gambe.
“Hai
qualcosa di interessante a cui stai lavorando?”
L’uomo si
domandò, curioso, con una luce negli occhi che non lasciava
presagire nulla di
buono. “L’esposizione dei Monet, magari quella del
tesoro imperiale?”
“Lavoro
su commissione,” Kaori gli rispose secca. “Se ti
rivelassi
il nome del mio cliente o ti parlassi dei miei colpi non sarei
più degna del
lavoro che faccio.”
“Capisco,”
L’uomo sospirò, avvicinandosi a lei e posandole
una
mano sulla spalla. “Sarebbe come umiliare il tuo orgoglio del
professionista…
quindi, mia bella signorina Aso, che
ne
dici di iniziare a parlare di affari?”
Kaori
gli sorrise, affabile, mentre Ryo le si avvicinava alle
spalle; le baciò il collo, proprio sul punto in cui si
poteva vedere il
succhiotto, e vi posò sopra le labbra, per un tempo fin
troppo lungo,
indugiando in quella sensazione, che era tanto paradisiaca quanto
infernale.
Con maestria, le rimise la catenina al collo.
“Scusa
piccola,” le disse, con voce roca ma al contempo carica di
erotismo. “Non volevo strappartela di dosso, ma sai
com’è, nella foga del
momento…”
Fece
l'occhiolino a Makechi, che emise una leggera risata
gutturale, quasi comprendesse lo stato d’animo
dell’altro, e Ryo emise un
sospiro di sollievo: ci era cascato. Aveva avuto la sensazione che il
ladro non
credesse loro, e allora aveva messo in scena quella sceneggiata,
approfittandone per sentire un’ultima volta le labbra di
Kaori contro le sue,
senza immaginare quanto sarebbe stato scosso nel profondo - e cosa gli
avrebbe
fatto capire.
Con
Kaori al braccio, Makechi li condusse nel salone; ormai la
festa era finita, c’erano solo più quelli che
dovevano essere i suoi uomini
presenti, ed il
personale, che, legato
in qualche modo al ladro, lui era certo non avrebbe mai parlato.
Entrambi però
si resero conto di una cosa immediatamente: mancava Hisato, che secondo
le
informazioni sarebbe dovuto essere il braccio destro del capo della
banda. La
sua mancanza giustificava l’ingresso di Kasumi e del suo
compagno, ma che non
ci fosse dopo essere stato beccato ed interrogato dalla polizia era un
chiaro
indizio che le cose non stavano davvero andando per il meglio, e che si
sarebbero potute mettere ancora peggio se non avessero fatto attenzione.
L’uomo
abbassò le luci e toccò un tasto su di un
telecomando dal
ricercato design moderno, e subito partirono delle diapositive,
proiettate sul
muro bianco: Kaori e Ryo non conoscevano il nome dell’opera,
ma lo stile lo
definiva chiaramente come un Van Gogh.
“Secondo
i gossip, Vincent lo dipinse per la donna che amava, ma
che aveva scelto un altro. Un amore più semplice, e che le
avrebbe dato la
possibilità di migliorare la propria estrazione
sociale.” Ryo a quelle parole
lanciò un’occhiata involontaria a Kaori, che si
sentiva rabbrividire dentro:
era così che la vedevano, gli altri? Era così che
la considerava lui?
E
soprattutto… la biasimava per non aver lottato maggiormente
per
il loro rapporto?
Guardò
Ryo, ed i loro occhi si incontrarono; lui le lanciò un
sorriso triste, che senza bisogno di parlare le diceva molto
più di certe
conversazioni durate ore avute con altre persone nel corso della sua
vita.
“Hai
già un piano?” Ryo gli domandò, dando
una scossa alla
situazione e forzandola a tornare a concentrarsi sul presente, e sul
lavoro -
indugiare in quegli sciocchi pensieri non sarebbe servito a nulla,
perché quel
bacio che si erano scambiati aveva sancito definitivamente la fine del
loro
rapporto, era un qualcosa che avvertivano entrambi nel profondo.
“Certo
che sì,” Makechi gli rispose, accendendosi una
sigaretta e
fissando l'immagine sul muro; quel dipinto sarebbe potuto arrivare a
decine di
milioni di dollari ad un’asta, ma aveva già un
compratore pronto a sborsarne
cinque per la gioia di avere quel pezzo nella sua collezione segreta.
“E se le
cose dovessero mettersi male…”
Con
espressione cinica, Makechi scostò leggermente la giacca,
lasciando intravedere una semi-automatica che brillava nella fondina
ascellare;
Ryo la riconobbe immediatamente, si trattava di una Browning Buckmark
Plus,
unica per via del grilletto d’oro massiccio su
quell’arma di splendente
acciaio, ed a occhio e croce doveva essere una calibro 22- proprio come
l’arma
che aveva ucciso il proprietario della galleria visitata dalla banda.
Ryo aveva
anche la netta sensazione che, anche quando avessero trovato Hisato - se lo avessero mai trovato - sarebbe
stato sotto la forma di cadavere con un proiettile del medesimo calibro
piantato in mezzo agli occhi.
Sarebbe
bastata la pistola per incastrarlo? Forse sì, o forse no -
avrebbe potuto raccontare storie, instillare il dubbio nei giudici. Ma
era
indubbio che avesse un piano - che stava pure spiegando alla
perfezione, ai
presenti e alla polizia - e comunque Kaori aveva notato un paio di
dipinti
nella camera da letto, che era certa essere decisamente opere originali
e non
mere copie - opere che erano nell’elenco di quelle rubate dal
celeberrimo
ladro.
Quello,
ne era certa, sarebbe stato abbastanza; e comunque,
leggere il mood generale della stanza era decisamente facile;
l’unico veramente
a suo agio era Makechi, mentre i suoi uomini erano preoccupati e
sembravano
sudare freddo, ulteriore indizio della misera fine che sembrava aver
fatto il
secondo di Makechi.
“Allora,
qualche domanda?” l’uomo domandò,
sistemandosi i polsini
dell’elegante e raffinata camicia.
Ryo e
Kaori si scambiarono uno sguardo, consci che avevano già
abbastanza prove e che
non sarebbe stato necessario procedere col colpo per prendere
l’uomo in
flagranza. Lei allora, giocherellando con il ciondolo che aveva al
collo, si
avvicinò al ladro, occhi fissi sulla gigantografia del Van
Gogh che faceva
ancora bella mostra di sé sul muro.
“Dovremo
fare attenzione…” sentenziò, seria,
eppure con un sorriso
soddisfatto sul viso. “Puoi avere un certo livello di
controllo sulle tue
azioni ma quasi nessun controllo sui loro risultati,
dopotutto.”
Ryo
fece schioccare la lingua contro il palato, le mani in tasca
dei pantaloni eleganti: quella era la frase di controllo concordata per
far
entrare in azione Saeko, Maki e Reika.
Un
attimo dopo, due finestre venivano rotte dal lancio di bombe
fumogene, mentre la porta veniva abbattuta e in tenuta
d’assalto la squadra
faceva il suo ingresso nella proprietà, pistola in pugno,
pronta finalmente
all’arresto ed a chiudere un caso che era andato fin troppo
per le lunghe.
Una
volta tornati al distretto, Ryo e
Kaori si erano a malapena parlati, concentrandosi su argomenti di
lavoro;
avevano steso un veloce verbale ed aiutato negli interrogatori, prima
di
potersi concedere la tanto agognata libertà,
l’uscita che avrebbe permesso loro
di tornare a casa e farsi finalmente una doccia, liberandosi del puzzo
di fumo
che aveva impregnato la loro stessa pelle – e che Kaori
sperava avrebbe
cancellato dal suo corpo la sensazione di bruciante desiderio che
ancora
avvertiva al mero pensiero di essere stata quasi posseduta, di nuovo,
da Ryo.
Stavano
lasciando insieme la centrale, in silenzio, l’uno accanto
all’altra; non si stavano toccando, nonostante Ryo avesse
avvertito forte la
tentazione di allungare la mano e sfiorarla, prendere le dita di lei e
stringerle, portarle al cuore, alle labbra… ma non lo aveva
fatto, perché non
l’aveva mai sentita così distante negli anni.
Aveva
perso quel diritto: ora lo sapeva, lo capiva… mentre si
baciavano, fingendo di essere la coppia di amanti ladri, lei aveva
pianto,
sentendosi probabilmente in colpa per quel bacio, leggendolo alla
stregua di un
tradimento. E doveva essersi sentita ancora peggio, sapendo quanto
Shinji
avesse sempre detestato Ryo, e trovasse disdicevole il fatto che lui e
Kaori
fossero ancora così vicini ed uniti.
Ryo
si era deciso a mettersi l’anima in pace, ad accettare che
lei
fosse finalmente andata avanti con la sua vita: ciò
però non significava che
gli dovesse piacere, o che non sentisse il suo cuore spezzarsi in due
all’idea
che l’avrebbe persa per sempre, e che le cose non sarebbero
mai più tornate
come prima.
“Ryo,
senti…” davanti a lui, Kaori si fermò,
e si voltò a
guardarlo in volto, fronteggiarlo; titubante, si mordeva le labbra, e
sembrava
stesse per scoppiare a piangere. Fece un paio di passi verso di lui,
alzò
finalmente gli occhi verso il suo ex, a cui il fiato morì in
gola, e fece per
dire qualcosa… ma le parole non le uscivano dalle belle
labbra piene.
Forse
non sapeva cosa dire. O forse, semplicemente, la ragione le
suggeriva di non dire ad alta voce ciò che il cuore le
sussurrava
incessantemente ormai da settimane, se non da mesi… quasi
avvertisse questo
bisogno impellente della donna di risolvere la situazione tra loro, Ryo
fece
quell’ultimo passo che li separava… il cuore gli
batteva all’impazzata nel
petto, quasi avesse voluto scoppiare, ma non gli importava.
Il
suo cuore batteva... e lo faceva per lei. Allungò una mano,
pronto a sfiorarle il viso, avvicinarla a sé e
baciarla… non un bacio di rabbia
e possesso, non un bacio per ingannare dei criminali, ma un bacio vero,
di
desiderio onesto e sincero.
Forse
si era sbagliato. Forse quel bacio non era stato un addio,
ma un ben tornato. Forse non era troppo tardi. Forse, per loro,
c’era ancora
una possibilità.
Gli
occhi luminosi, le sorrise, avvicinandosi sempre di più.
“Kaori!”
Quasi
fosse stata bruciata, appena sentì la voce provenire dalle
sue spalle Kaori si allontanò da Ryo, che inebetito la
fissava con occhi
tremuli, delusi. Tremando, la donna si voltò in direzione
della voce, ed al
fondo della scalinata lo vide… sorridente, la salutava con
un braccio alzato, e
correva verso di lei.
Shinji.
Il suo fidanzato. L’uomo che stava per sposare. Colui che
aveva fatto cicatrizzare la ferita della delusione di Ryo. Che quando
vedeva
una scuola, diceva che avrebbero mandato lì i figli.
“Ryo,
io…” si voltò un’ultima volta
verso di lui, timida ed
impacciata, di nuovo la ragazzina adolescente che lo aveva incontrato
per la
prima volta, ma Ryo si limitò a scrollare le spalle,
sorridendo, triste, ma
comprensivo.
“Va
tutto bene, partner.” si limitò a dirle,
allontanandosi a sua
volta, scendendo lento quelle scalinate. “Doveva andare
così.”
Shinji,
perfetto nel sue vestito elegante, bello come un Dio, raggiunse
Kaori e la prese tra le braccia, facendola volteggiare
nell’aria; Kaori
squittì, gettandogli le braccia al collo, e rise –
una risata tirata, forzata,
in cui lei tentò di mettere tutta se stessa. Ormai aveva
fatto la sua scelta:
Shinji la amava, la rispettava… e non aveva paura ad
esternare i suoi
sentimenti. E, per di più, era raffinato, colto e
benestante.
Il
contrario di Ryo… anche fisicamente: capelli neri
l’uno,
chiarissimi, quasi biondi l’altro; occhi come la pece Ryo,
verdi l’altro.
Fisico possente Ryo, Shinji era invece alto “solo”
come Kaori, ed era così
magro da apparire mingherlino.
Il
giorno e la notte.
Da
lontano, Ryo guardò la scena. Ormai era chiaro, Kaori aveva
deciso, e non sarebbe tornata indietro. Aveva fatto la sua scelta.
Lo
accettava. Ma non significava che gli piacesse.
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Capitolo 10 *** Episodio #9: Bloom, clap ***
Occhi
vuoti, colmi di tristezza,
che avevano perso la loro scintilla, quella
luminosità che li aveva
sempre contraddistinti; Ryo, inginocchiato accanto al cadavere, fissava
il
giovane dall’addome trivellato di colpi e dal viso che era
stato picchiato così
selvaggiamente dal renderlo ormai irriconoscibile come se quel cadavere
non
fosse veramente lì – quasi come se il corpo fosse
stato trasparente.
Si
voltò verso Kaori, che analizzava la scena del crimine alla
ricerca di indizi, la presenza di eventuali bossoli, e si perse per un
attimo
in un mondo tutto suo. Lasciò che la sua mente vagasse,
andasse al passato, al
presente, e al futuro- uno che non li vedeva condividere la vita, come
un tempo
avevano sognato, immaginato.
Ormai
mancava poco: poche settimane e Kaori si sarebbe sposata con
un altro, sarebbe divenuta la signora Mikuni…
Chiuse
gli occhi e prese un profondo respiro, mentre stringeva il
ponte del naso, sforzandosi di concentrarsi sul presente,
l’immediato, il
lavoro… si alzò, guardando verso Hideyuki, e lo
raggiunse dalla porta, dove il
giovane stava parlando con una donna evidentemente scossa, che
arrossì appena
vide Ryo avvicinarsi.
Segretamente
compiaciuto, l’uomo le sorrise, confortandola
silenziosamente, maledicendosi perché il suo dannato fascino
funzionava con
tutte tranne che con una, l’unica di cui gli fosse mai
veramente importato
qualcosa.
“Ryo,
questa è Victoria Kenpai, è stata lei a
chiamarci.” Maki gli
spiegò, mettendo via il blocco degli appunti, rimettendolo
nella tasca
dell’immancabile spolverino. “Mi dica, signora,
potrebbe ripetere quello che ha
detto a me anche al mio collega?”
“Ho sentito degli
spari
provenire dall’appartamento di Bento, e vi ho
chiamato.” Arrossendo, la donna
fece un leggero cenno di assenso col capo, che abbassò poi
prontamente,
rivolgendo gli occhi altrove, quasi guardando la porta
d’ingresso del suo
dirimpettaio avesse potuto scorgervi i suoi resti mortali.
“Io… non credo di
potervi aiutare di più. Lo conoscevo appena. Io…
io non so nemmeno il suo
cognome. Si era presentato solo come Bento, mi aveva stretto la mano
e… e
basta. Ci dicevamo solo buongiorno e buonasera, cose
così.”
Ryo
scrollò le spalle: non se ne meravigliava affatto. La gente
già normalmente si faceva i fatti propri e non conosceva mai
davvero chi gli
stava accanto, ma questo era ancora più vero a Shinjuku, un
quartiere dalla
criminalità così elevata che meno sapevi dei tuoi
vicini, meglio era, perché
non potevi mai sapere chi potevi avere alla porta accanto.
“Grazie
mille signora, la lascio nelle mani del mio collega!” Le
sorrise, salutandola, e tornò dentro. Kaori era ancora
inginocchiata sulla
moquette color tortora, ingrigita dagli anni, e cercava in mezzo a quel
ciarpame ed al caos degli indizi, come pure Reika, che la guardava con
malcelata ostilità, non perdonandole di averle rubato
l’incarico sotto
copertura che alla collega era valsa una menzione di merito.
“Ditemi
che almeno voi avete qualcosa…” Ryo
sospirò, sentendo però
già la delusione che montava in lui – delusione
che percepì in tutta la sua
potenza quando la sua ex lo guardò innervosita, chiaramente
a corto di idee
anche lei.
“Se
vuoi posso dirti che sulla cassetta delle lettere
c’è scritto
Tensei, ma non ha fotografie in giro, documenti addosso, e conciato in
questo
stato dubito che la vicina ci potrebbe dire se quest’uomo
è effettivamente
Bento oppure no.”
“Quindi,
cosa potrebbe essere, una rapina, ?” Domandò,
guardandosi
intorno con fare guardingo: difficile capire cosa potesse essere
accaduto, ma
la rapina sembrava effettivamente la migliore delle ipotesi, visto e
considerato che non c’era una sola cosa che fosse al suo
posto, che tutti i
cassetti erano stati svuotati, i pochi quadri spostati…. Ma
cosa cercava il
ladro? Bento era solo un povero carpentiere di vent’anni: in
che casino si era
ficcato quel povero ragazzo per essere ridotto ad un colabrodo a cui
era
rimasto poco o nulla di umano?
“Beh,
sì, anche se mi chiedo cosa potessero voler rubare ad un
morto di fame come lui… l’unica cosa
apparentemente di valore è il computer, e
lo hanno lasciato!” Reika rispose secca, voltandosi verso Ryo
e sbattendo le
sue lunghe ciglia da cerbiatta. “Questo posto è
una porcilaia peggio di quanto
non fosse mai stata casa tua…. E per essere peggio di te ce
ne vuole di
impegno!”
Mentre
Ryo ingoiava a vuoto, imbarazzato ed a disagio nel trovarsi
nel mezzo di quella discussione- che Kaori, nonostante il suo status di
ex, non
pareva apprezzare - le
due donne si
lanciavano saette dagli occhi, mostrandosi a gesti e sguardi il
rispettivo
disprezzo.
Lo
so benissimo
com’è la casa di Ryo….
Perché, sai Kaori, io ci sono stata… e pure
parecchie
volte.
Come
buona parte
delle donne di Tokyo… quella però che ha
condiviso la camera da letto con lui
sono io, tu al massimo ti sei seduta al tavolo della cucina, e lo so
benissimo
che Ryo, con te, non ci è mai stato, nonostante tu non
faccia altro che fare la
svenevole!
“Ehm,
volete che ci pensi io a controllare con la motorizzazione?
Magari hanno una sua foto…” Ryo provò a
dire, allentandosi il colletto della
camicia rossa che indossava quel giorno. “Maki può
controllare se magari aveva
famiglia, qualcuno da avvisare… voi intanto potete
continuare a vedere se
trovate qualche indizio, va bene? Sì? Perfetto!”
Senza
nemmeno attendere risposta, Ryo riprese a girare per la
stanza, fino a che non notò qualcosa per terra: un quaderno
a quadretti, a
spirale, formato A5, di quelli usati anche a scuola; era stato gettato
malamente a terra, e lasciato aperto.
“Trovato
qualcosa?” Maki gli domandò, raggiungendolo.
“Non
lo so…” Infilandosi i guanti neri, Ryo si
inginocchiò e
raccolse il blocco; prese a sfogliarlo, concentrato, quasi si
aspettasse una
fulminazione, e quasi in ogni pagina trovò lo stesso ed
identico disegno: una
T, in stampatello, bordi rossi ed argentei, colorata di azzurro, con
cinque
semplici stelle sopra ed una sesta alla base della stanghetta.
Il
poliziotto sollevò un sopracciglio, interessato e curioso:
forse che il ragazzo fosse parte di un gruppo antisemita? No - quella
non era
la stella di David, e comunque non avrebbe certo disegnato quel motivo
così
ossessivamente se così fosse stato.
Qualcosa
di matrice politica? Magari legato al comunismo, o a un
movimento indipendentista… o forse qualche setta: in
Giappone erano sempre
andate forte.
O
forse, più semplicemente, era il logo di un albergo extra
lusso?
Anche a Tokyo i cinque stelle più una si potevano contare
sulle dita di una
mano, e non ricordava nessuno che avesse un’immagine
simile…
O
magari le cose erano ancora più semplici e banali di cosa
Ryo
immaginasse, magari quello era stato un disegno così, fatto
nella foga del
momento, e lui stava semplicemente guardando nella direzione sbagliata
e non
verso la più ovvia.
“Ehi,
Reika!” La chiamò, sollevando un braccio in
direzione della
donna, mettendo in mostra il taccuino. "Ti risulta che sia il tag di qualche gang, magari una banda di
Yakuza?”
Reika,
che aveva intanto fatto accomodare Kazue, che stava
controllando il corpo, si avvicinò a Ryo, e prese il blocco
dalle sue mani.
Pagina dopo pagina, guardò quella semplice lettera.
“No,
non mi sembra, ma potrebbe essere qualche nuova gang… ma
potrebbe benissimo essere un logo commerciale, oppure l'iniziale di una
donna,
o di un uomo…”
“Qualsiasi
cosa sia doveva piacergli parecchio!” Kazue urlò
da
accanto al corpo, mentre sollevava leggermente il polsino della
semplice maglia
a maniche lunghe di cotone nero, mostrando il polso sinistro del
ragazzo. “Se
l’era pure tatuata sul corpo. A giudicare dal rossore, non
più di una settimana
fa…"
“Professionale
o casalingo?” Le domandò, avvicinandosi
sommessamente e guardando dall’alto del suo metro e
novantadue il disegno sulla
pelle del giovane, effettivamente identico a quello sul quaderno che
aveva
appena imbustato.
“Beh,
non me ne intendo molto…” Kazue rispose con un
sorrisetto,
mentre prendeva in mano un paio di pinzette, non dissimili da quelle
usate
dalle estetiste per le sopracciglia, ed iniziava a controllare meglio
il
cadavere. “Ma i contorni sono precisi e netti, i colori
luminosi, e stava
guarendo bene. Direi che era un lavoro professionale.”
“Faccio
un giro dai tatuatori della zona. Magari si ricordano di
averlo fatto o ne sanno qualcosa di
più…” Ryo avrebbe voluto aggiungere
qualcosa, ma lo sguardo concitato di Maki, serio e preoccupato, lo
fermò.
Rimasero in silenzio, mentre il più anziano dei fratelli
Makimura continuava a
guardare i colleghi come se un’ombra nera fosse caduta su di
lui, avvolgendo il
suo intero essere. “Accidenti, Maki, che faccia…
cos’è, devi andare ad un
funerale?” Ryo scherzò.
“Venite
a vedere.” Così dicendo, fece segno di seguirlo;
entrò in
un piccolo sgabuzzino, angusto, con mensole fino al soffitto. Era
caotico come
il resto della casa, ma nell’aria si poteva distinguere
chiaramente un certo
odore, concentrato, che tutti loro conoscevano bene.
Polvere
da sparo.
Per
terra, scatole di munizioni, tante… quasi tutte vuote.
“Accidenti,
al ragazzo doveva piacere fare le scampagnate…”
Prese
uno dei proiettili e lo esaminò, sollevando un sopracciglio.
“Questi li usano
per i fucili da caccia grossa…”
“Accidenti…”
Kaori fischiò. “Ci sono abbastanza scatole da far
sembrare questo posto un’armeria… ma fucili zero.
Credete possa averli presi
l’assassino?”
“Forse
non è il caso di concentrarsi tanto sui
fucili…” Kazue
prese a balbettare, i denti che le scricchiolavano in bocca mentre,
inginocchiata accanto al cadavere, con in mano il portafoglio che aveva
recuperato dal corpo, impallidiva.
“Ragazzi… non è stato ucciso da colpi
di pistola… le contusioni sono state
effettivamente causate da pugni, ma al petto…
questo… questi non… non sono
frammenti di proiettile, ma… ma schegge!”
“Appunto:
schegge di proiettile!” Ryo ridacchiò, senza
capire il
senso dell’affermazione di Kazue, né
perché fosse così preoccupata: un
proiettile frantumato non era esattamente una novità,
capitava più sovente di
quanto si pensasse, lo sapeva anche lui, a volte si frantumava
all’interno del
corpo, se il proiettile colpiva un osso con una certa forza ad una
determinata
angolazione, oppure succedeva che rimbalzasse contro una superficie, si
infrangesse, e schegge andassero a colpire un povero disgraziato che a
volte
non era nemmeno la vittima designata. “Sai che cosa
strana!”
“Ti
ho già detto che non è un frammento di
proiettile, brutto
idiota!” La donna sibilò, guardandolo dalla sua
posizione con occhi infuocati,
eppure sembrava che stesse facendo il possibile per controllarsi.
”Ho già visto
cose del genere quando facevo la volontaria in Afghanistan con MSF,
dopo che
erano saltate delle bombe!”
“Bombe?”
Kaori balbettò, aprendo e chiudendo gli occhi alla
velocità della luce, impallidendo a sua volta, mentre si
guardava, concitata,
intorno. “Ma… ma qui si tratta solo di disordine,
non sembra che la camera sia
saltata in aria!”
“Sì,
probabilmente perché la carica era a basso potenziale e
questo idiota ha assorbito l’onda d’urto col suo
corpo, per questo la vicina
credeva di aver sentito degli spari... ma Dio solo sa se
c’è altro esplosivo
qui intorno!” La
donna, risoluta,
affermò, alzandosi in piedi senza nemmeno preoccuparsi di
prendere alcunché,
nemmeno di recuperare i suoi effetti personali. “Dobbiamo
uscire subito di
qui!”
“Ma….
Ma io non ho ancora finito di analizzare la scena del
crimine e se ce ne andiamo adesso ed arriva la squadra artificieri
faranno un
macello e la contamineranno e…” A denti stretti,
senza darle la possibilità di
continuare, già capendo l’antifona, Ryo
afferrò Kaori per la vita e la sollevò
in aria, mettendosela sulla spalla quasi la donna fosse un sacco di
patate.
“Ma… ma Ryo, cosa fai?”
“Ti
porto via, ecco cosa faccio, sennò sei capace di startene
qui
a raccogliere prove!” La redarguì, abbaiando come
un cane inferocito.
“Ma…
ma… ma mettimi subito giù!” Fu la
risposta. Sbraitata.
“Adesso!”
“Stai
buona, sorellina, guarda che lo facciamo per te…”
Maki
sospirò, sistemandosi gli occhiali. Doveva chiamare Saeko e
avvertire gli
artificieri, ma avrebbe aspettato di arrivare all’auto di
servizio ed
utilizzare la radio, evitando il cellulare, nel malaugurato caso ci
fossero
state altre bombe… sarebbe potuta bastare la minima
interferenza a far saltare
tutto e tutti in aria! “Preferirei venire al tuo matrimonio,
piuttosto che al
tuo funerale!”
Alla
sola menzione dell’imminente cerimonia, Kaori
arrossì, e
decise di rimanere zitta e buona, e non cercare di divincolarsi oltre,
dato che
quei movimenti la mettevano fin troppo a stretto contatto con il suo ex
- cosa
che era certa Ryo avesse capito, se quel sorrisetto compiaciuto
significava
qualcosa.
“Brava
bambina, vedi che quando vuoi sai essere ubbidiente?”
Facendole l’occhiolino, le diede una pacca sul sedere,
facendole digrignare i
denti per l’indignazione.
“Allora, cosa
abbiamo fino ad ora?” Saeko domandò, secca,
determinata e distaccata, guardando
dall’alto in basso i suoi uomini; per pura fortuna gli
artificieri erano
riusciti a salvare la scena del crimine, nonostante fosse stato
trovato, nascosto,
un secondo ordigno inesploso: era forse prova che qualcuno aveva avuto
intenzione di nascondere l’omicidio del Tensei… o
forse era tutta opera del
Tensei stesso, e la sua morte non era stata null’altro che un
increscioso
incidente? “Sappiamo chi era, se era in contatto con gruppi
estremisti o
altro?”
“Per
adesso sappiamo solo il suo nome e
l’età.” Ryo attaccò alla
lavagna un ingrandimento della patente. “La nostra vittima
era effettivamente
Bento Tensei, l’affittuario dell’appartamento, di
anni diciannove. Lavorava
come muratore in una piccola impresa edile.”
“E…”
Saeko sollevò un sopracciglio, guardando il suo sottoposto e
attendendo che aggiungesse qualcosa, ma Ryo la guardava come se non
comprendesse quell’uscita- o peggio, non avesse nulla da
dire.
“Nel
portafoglio abbiamo trovato copia di una fattura di un
negozio di articoli per l’edilizia.” Kaori
interruppe, prendendo la sua borsa
da un cassetto e mettendosela in spalla. “Cosa non strana,
dato che molti
muratori fanno anche piccoli lavoretti per conto loro. Mi sono fatta
mandare
l’elenco dei prodotti a cui corrispondono i codici a barre e
vado con gli
artificieri a controllare se avesse qualcosa in casa o nel
garage.”
“Cos’era?”
Saeko afferrò il foglio che Kaori le porse, e prese a
leggerlo, recitando le voci una ad una, un elenco che solo a sentirlo,
nonostante apparisse nulla di che, visto e considerato ciò
che era avvenuto
poteva rappresentare un pericolo. “Una decina di tubi
zincati, un paio di
scatole di fiammiferi, un trapano,
e due
scatole di chiodi…”
“Cose
che qualunque carpentiere ha, ma che se aggiungi un po’ di
polvere da sparo…” Kaori sospirò,
guardando i colleghi.
“Hai
un po’ di bombe per le mani. Ed il nostro amico aveva non so
quante scatole di proiettili!” Ryo terminò la
frase per lei, grattandosi il
collo. Sospirò; tutta quella situazione preoccupava anche
lui, aveva un brutto
presentimento.
“C’è
altro.” Kaori riprese. “Leggi l’ultima
voce della ricevuta.”
“Due
bombole di gas?” Saeko sbattè gli occhi,
incredula. Quella
storia le puzzava, e le piaceva una volta di meno. Pregò con
tutta sé stessa di
sbagliarsi, ma purtroppo anni di lavoro sul campo,
l’esperienza acquisita ed il
suo istinto le dicevano di prepararsi al peggio. “Qualcosa mi
dice che non gli
servivano per cucinare o scaldare
l’acqua…”
“E
avresti ragione: non abbiamo visto bombole in cucina, né sul
balcone.” Reika sospirò; seduta alla scrivania,
sollevò gli occhi verso l’alto,
sconsolata. “Io ho controllato tutti i database che mi sono
venuti in mente, ma
non ho trovato nulla sul tatuaggio. Ciò significa che molto
probabilmente è
personale, ma non sappiamo a chi chiederlo perché i suoi
genitori stanno
facendo un viaggio in barca a vela e non abbiamo la più
pallida idea di chi
possano essere i suoi amici.”
“Mentre
Kaori ispeziona la casa di Tensei, ho bisogno che qualcuno
vada alla sede della ditta per cui lavorava,” Saeko
rifletté; sapeva che si
trattava di una remota possibilità, dato che il ragazzo
lavorava lì da poco, ma
valeva forse la pena provare. “Magari qualcuno dei suoi
colleghi sa cosa vuole
dire il tatuaggio e ci sa dire qualcosa di più su di
lui.”
“O
magari ha lo stesso
tatuaggio.” Hideyuki continuò, serio, sistemandosi
gli occhiali sul viso, suo
vezzo abituale. “Non sappiamo ancora se si tratti di
incidente o omicidio,
potrebbe benissimo essere che il colpevole sia qualcuno con cui lui
stava
pianificando qualcosa.”
“Ma
cosa? Questo ragazzo era un santarellino, l’unica pecca sul
suo curriculum era un richiamo per disobbedienza civile alle superiori,
quando
ha intrapreso una protesta contro il preside che voleva obbligare una
sua
compagna di classe a tingersi i capelli perché il suo colore
non era
considerato abbastanza nipponico...”
Ryo lesse il fascicolo, sorridendo, quasi stava per scoppiare a
ridere… era
difficile credere che un ragazzo del genere potesse costruire bombe.
“Lui ed i
suoi compagni si sono tinti i capelli di biondo con un ciuffo della
frangia
viola, come la testa del leader dei
Beehive!”
“Già,
ma un semplice atto di disobbedienza gli ha segnato la
vita…”
Hideyuki prese la cartella di mano a Ryo, e continuò a
leggere; occhi lontano,
rattristati, parlava con l’animo pesante. “Il
preside non ha preso bene la
protesta e lo ha sospeso, lui non si è diplomato e invece di
essere
all’università a studiare architettura come voleva
è finito a fare il muratore
grazie alla raccomandazione del padre, ed il tutto per due
soldi!”
“Abbiamo
già i tabulati telefonici? Un elenco delle mail inviate,
dei siti visitati?”
“Telefono
usa e getta ricaricabile da bravo terrorista e computer
protetto biometricamente, il che significa che ci servono i suoi occhi
e
l’impronta del suo pollice… ma lui dovrebbe essere
vivo per funzionare!” Ryo
indicò le prove, incellofanate sulla sua scrivania.
“JJ sta già venendo qui.
Proverà lui a craccare il sistema.”
“Bene,
così scopriremo con chi si sentiva e se c’era
qualcosa di
cui lui si interessava particolarmente… oh, Reika, fai un
salto al negozio dove
aveva acquistato tutta questa roba, voglio sapere se hanno dei nastri
della
videosorveglianza e se si ricordano del nostro caro defunto.”
“O
se magari non era andato da solo a fare acquisti ma in buona
compagnia!” Reika esclamò, soddisfatta di
sé, sistemandosi una ciocca di
capelli ribelli alle spalle, con la stessa identica movenza della
sorella
maggiore. “Vado subito!”
“Il
centro commerciale dove ha comprato tutta quella roba è il
Nakano, vero?” Ryo domandò; raggiunse Reika, che
aveva in mano copia della
ricevuta d’acquisto, e guardò da sopra la sua
spalla il foglio, con un
sorrisetto sornione un po’ sciocco, quasi volesse farle
credere che era ben
altro che i suoi occhi scuri stavano assaporando.
“C’è anche un negozio di
articoli da campeggio, caccia e pesca. Potrei approfittarne e rubarti
un
passaggio, e fare qualche domandina anche a loro..
magari il nostro terrorista ha acquistato lì
i proiettili e tutto il resto del suo armamentario!”
“Hai
già sentito i tatuatori, Ryo?” Saeko gli
domandò; il suo tono
con lui però non era secco, e nonostante fosse chiaro quanto
fosse autoritaria
- anche con lui e Hideyuki - c’era anche una certa nota
frizzante nella sua
voce, amichevole, sintomo di quanto si fidasse di loro, e che li
riteneva suoi
pari, non meri subordinati a cui abbaiare ordini.
“Che
palle, Saeko! Ma certo che li ho già sentiti! Per chi mi hai
preso?” Lui sbuffò, mani incrociate dietro al
capo. “Si è tatuato in un piccolo
negozio di Shinjuku, ha portato lui il disegno e non ha detto cosa
volesse
dire. Adesso che lo sai posso andare o no?”
“Allora
ve bene, ma portatevi dietro Maki, sei occhi sono meglio
di quattro!” Con un sorrisetto sul volto, la donna fece un
gesto un po’
svogliato con la mano, quasi fosse stata una regina che permetteva agli
umili
sudditi di lasciare la sua presenza, un comportamento dettato
dall’impertinenza
di Ryo. Mentre la
“coppia” si
allontanava ed entrava nel piccolo ascensore, la bella ispettrice
sorrise sotto
ai baffi, segretamente compiaciuta da ciò che aveva notato
quando Ryo aveva
proposto a Reika di andare con lei:: Kaori sembrava voler strozzare
l’altra donna
con le sue stesse mani.
Era
gelosa, nonostante tutto.
“Su,
forza, mettiamoci tutti al lavoro!”
Braccia incrociate, Saeko tornò nel suo
ufficio, sedendosi dietro alla sua scrivania molto soddisfatta per come
stava
andando la giornata: ormai sembrava che il caso fosse destinato ad
essere
chiuso, presto e con successo - l’ennesimo
per la sua unità.
“Credi davvero
che un commesso potrebbe ricordarsi di Tensei?” Reika gli
domandò, dubbiosa,
mentre salivano le scale del centro commerciale dove i due negozi si
trovavano.
Ryo,
mani in tasca, si voltò a guardare Maki, rimasto indietro,
un
po’ in disparte, intento a parlottare al telefono,
probabilmente con la sua
dolce metà.
“Beh,
con il basso numero di armi che si vendono in Giappone,” Ryo
sbuffò scrollando le spalle; “spero che
all’emporio si ricordino di un ventenne
che ha comprato un piccolo arsenale.”
“Se
le ha comprate qui... non hai pensato che forse avrebbe potuto
acquistarle al mercato nero?” Gli domandò,
onestamente curiosa.
“No,”
Ryo le rispose, sorridendo sicuro di sé. “quel
tizio era un
agnellino, Reika, tolto quel problema a scuola non aveva precedenti,
nemmeno
una multa. Se voleva qualcosa, non gli serviva andare al mercato nero.
Non
penso nemmeno avesse gli agganci per sapere cosa comprare e da
chi…”
“Ryo,”
la donna sollevò un sopracciglio, poco convinta.
“Quel
tipo preparava
bombe.”
“Già,
ed era così furbo che si faceva fare la fattura per i
materiali, dai!” Sghignazzando, sollevò un braccio
a mo’ di saluto, mentre Maki
lo raggiungeva, ed entrambi entravano nell’armeria, mentre
Reika sbuffava,
innervosita da come Ryo a volte sembrasse trattarla da sciocca - o
peggio, da
bambina.
Con
un diavolo per capello e la foto del ragazzo, Reika si diresse
verso la cassa centrale, al momento vuota, e sbatté il
distintivo sul top in
legno chiaro, facendo sobbalzare il ragazzo che c’era dietro
al bancone;
occhialuto, sui vent’anni, mingherlino, il cartellino sul
taschino della polo
giallo canarino lo indicava come Satomi.
“Mi
servirebbero le fatture degli acquisti effettuati da Bento
Tensei negli ultimi sei mesi.” Si limitò a
ringhiare. Balbettando e sudando, il
ragazzo prese a dire scuse, spiegare come gli sarebbe servito un
mandato, ne
era quasi del tutto certo, che quello fosse abuso di potere…
senza battere
ciglio, Reika gli sbattè un’altra foto sotto al
naso: stavolta, era quella
dell’autopsia del ragazzo. “Tensei è
morto, e gradiremmo scoprire il perché.
Allora, non vuole che la arresti per intralcio alla giustizia,
vero?”
Il
giovane prese ad ingoiare a vuoto, smanettando al computer,
rubando di tanto in tanto un’occhiata a Reika; la trovava
bellissima, dal
carattere deciso… e forse fin troppo. Un po’
dispotica ed acida, ecco, ma un
sogno per uno come lui. Stampò una fattura per altro
materiale edile - delle
travi di legno, della colla a caldo, silicone, chiodi, nulla di strano
per un
carpentiere - e poi fece un passo indietro, intimorito
dall’aura di potere
emanata dalla donna.
“Altro?
Sai se Tensei avesse fatto acquisti solo con scontrino, se
è mai venuto qui con qualcuno?” gli
domandò, quasi ringhiando. Si sentiva stufa
ed arrabbiata, innervosita… non c’era nulla che
stesse andando come voleva,
nella sua vita. Poche prospettive di carriera, Saeko metteva su
famiglia mentre
lei era ancora single, e l’unico uomo che lei avesse mai
amato non sembrava
minimamente interessato…. a volte sembrava che il destino si
accanisse con
lei. Anzi: contro di lei.
“Io…
no, cioè….” Satomi balbettò;
Reika non gli disse nulla, né
lesse troppo in quel comportamento, immaginando il ragazzo come un
timido
soggetto che andava in crisi alla vista di una donna, e ancora peggio
se
suddetta donna gli parlava insieme. “Non… non ci
sono sempre io.”
“Io...
devo andare.” le disse all’improvviso, guardando in
lontananza verso un vecchietto che stava girando spaesato tra gli
scaffali.
“Ma, ma se vuole posso chiedere in giro, magari qualche
collega si ricorda…”
Reika
si limitò ad alzare gli occhi al cielo e lasciargli il suo
biglietto, certa che non ne avrebbe cavato un ragno dal buco, e poi
uscì,
sistemandosi i capelli come faceva sua sorella Saeko… lo
faceva inconsciamente,
ma odiava quel gesto, quasi avesse cercato di imitarla, eguagliarla -
cosa che
sapeva impossibile: Saeko aveva tutto, dall’amore
incondizionato del padre al
fidanzato fino alla carriera.
Raggiunse
Maki e Ryo, che stavano chiacchierando con un altro
ragazzo davanti all’armeria; anche lui era molto giovane, un
segno dei tempi,
che impiegavano in massa manovalanza a bassa specializzazione con
stipendi che
poco mancava che fossero da fame. Il giovane fissava la foto, strizzava
gli
occhi quasi a volersi concentrare meglio, sembrava incerto, o che non
sapesse
nulla, ma poi il suo corpo fu percorso come da un brivido.
“Cosa
hai ricordato?” Ryo gli domandò, scuro in volto,
certo di
ciò che affermava.
“Non
era un nostro cliente, però…” Il
ragazzo corrugò la fronte,
inspirando. “Io credo di averlo visto una volta…
sì, ne sono sicuro, era con
Satomi nel parcheggio, lo stava aiutando a caricare la macchina, e
sembravano,
beh, amici.”
“Satomi?”
Reika domandò, sgranando gli occhi, irrompendo nella
discussione. Sentiva come un brivido correrle lungo la schiena, e si
maledisse…
aveva creduto che il ragazzino fosse giovane, inesperto,
timido… e invece era
un criminale bugiardo, e lei non lo aveva capito, si era a malapena
accorta di
chi aveva davanti, nemmeno fosse stato invisibile. “Quello
del negozio di
utensileria e ferramenta?”
“Sì,
è lui… è parecchio strano
quello…” Il ragazzo fece un
sorrisetto, restituendo la foto a Ryo. Poi però gli
strappò di mano un’altra
fotografia, quella del polso del giovane Tensei. “Come mai
avete una foto del
suo tatuaggio?”
“Suo?”
Makimura si sistemò gli occhiali, avvertendo che qualcosa
non andava. “Suo di chi?”
“Di
Satomi, ovvio… perché, non è
suo?”
Ryo
strappò la foto di mano al ragazzo, e la mise davanti ai
suoi
occhi, mentre Reika scostava leggermente la giacca per avere accesso
più rapido
alla fondina e si incamminò a passo spedito verso la
ferramenta, pronta a
interrogare quel sospetto che adesso era chiaro avesse mentito fin dal
principio: Satomi aveva qualcosa da nascondere, e questo poteva
significare una
cosa sola, che fosse coinvolto in quella faccenda.
Ma
in cosa, esattamente? Le bombe, l’omicidio… o
forse una
sparatoria?
Ryo
e Maki fecero per voltarsi e raggiungerla, quando però Saeba
si immobilizzò davanti alla mappa del centro commerciale, e
sentì il cuore
smettere di battere nel petto per lo spavento… una T -
quell’edificio
realizzato in mattoni rossi e vetro azzurro cielo era a forma di T.
Avvertì
come un oscuro presagio, e prese a correre verso il tetto,
temendo cosa vi avrebbe potuto trovare, ma soprattutto desideroso di
avere una
visione dall’alto… che fosse la stessa cosa che
Satomi e Tensei avevano
pianificato?
Cinque
stelle: cinque bombe per far collassare quella parte
dell’edificio, e bloccare le uscite su quel lato. E poi la
sesta stella, dove
Ryo sapeva esserci una cupola in vetro… quasi un punto
panoramico. Da lì,
avrebbero potuto sparare a tutti quelli che fossero usciti dal centro
commerciale, massimizzando attraverso il caos il numero di vittime
potenziali.
“Dannazione!”
Ryo sibilò, fermandosi su uno scalino e chiamando
Reika a squarciagola; la donna si fermò, e tornò
indietro, raggiungendolo. “A
quest’ora il ragazzo sarà sul tetto…
scommetto che la nostra presenza e la
morte del suo socio gli ha fatto velocizzare il piano!”
“Già…
se il piano originale era di far esplodere le bombole di
gas, avrà deciso di evitarlo per non perdere tempo! Io
faccio chiudere tutte le
porte. Dobbiamo far rimanere i clienti all’interno dei
negozi… e chiamo Saeko,
ci serviranno rinforzi!” Maki controllò dove si
trovasse la sicurezza, e si
avviò, veloce, cercando di dare il meno
nell’occhio possibile, sapendo che ogni
altra reazione avrebbe potuto scatenare l’isteria totale.
Aveva visto masse
fuggire come branchi inferociti e fuori controllo, e alla fine i
più deboli
rimanevano schiacciati dalla calca, morendo soffocati o massacrati, e
non
voleva venire ricordato come l’agente che aveva permesso una
cosa del genere.
Non
aveva ancora fatto dieci passi però che l’allarme
anti-incendio scattò, mentre una serie di esplosioni
prendeva luogo all’esterno
della struttura; in serie, una dopo l’altra, ognuna
leggermente più potente
della precedente. I muri vibrarono, e gli sembrò quasi che
gli dovesse mancare
la terra da sotto i piedi, e nonostante quasi tutti i palazzi del
Giappone
fossero dotati della più moderna tecnologia antisismica,
questi non servì a
nulla.
Il
muro collassò - la stanghetta della T - e fu il caos.
Urla.
Grida. Gente che fuggiva. gente che si rannicchiava in
posizione fetale, muta. Bambini che gridavano terrorizzati.
Distintivo
in pugno, alzato perché tutti potessero vederlo, Maki
si fece strada tra la folla, cercando di guadagnarsi
l’uscita; dalle porte già
in molti si stavano accalcando, facendo il gioco del giovane criminale,
che
prese a sparare, ridendo… una risata acuta, forte, malata,
che superava il
rumore degli spari, quello delle urla di terrore.
Urla.
Sangue. Spari. Il mondo divenne improvvisamente rosso e
nero, mentre il poliziotto estraeva, stringendo i denti, la pistola
dalla
fondina, e spingeva una giovane mamma dentro al centro commerciale.
Alzò
l’arma, tenendola saldamente con entrambe le mani, mentre
sudava e il suo cuore
batteva all’impazzata, e puntò verso la macchia
sul tetto… giallo e verde, come
la divisa della ferramenta, e nero… nero come il giubbotto
antiproiettile che
indossava.
Maledisse
Ryo: a quanto sembrava, si era sbagliato. O forse il
profilo che aveva fatto di Tensei era giusto, ma non avevano preso
troppo in
considerazione il suo complice.
Ragazzini.
Poco più grandi di Kaori quando aveva deciso di entrare
in polizia, dopo che lui era quasi morto a causa di Sonia e Kaibara.
Ragazzini.
Provenienti da brave famiglie, come Kaori. Bravi
studenti, come lo era stata lei… ma ad un certo punto
avevano avuto un singolo
intoppo, e quello aveva causato una reazione a catena che li aveva
fatti
precipitare nel baratro, trasformandoli da giovani promettenti in poco
più che
sguatteri. Erano stati traditi dalla società, e adesso
avrebbero pareggiato i
conti, ottenuto la loro vendetta.
Satomi
gli puntò l’arma addosso, e Maki fu quasi certo di
vedere
un sorriso pazzo dipinto sul viso, mentre premeva il grilletto; il
poliziotto
sparò un caricatore, cercando di non colpire il loro
sospettato ma disarmarlo,
o perlomeno far guadagnare a Ryo e Reika tempo; le scintille della
pistola lo
accecano, sentiva i colpi rimbalzargli dentro, fargli mancare
l’equilibrio,
nemmeno fosse stato un novellino, ed intanto una singola goccia di
sudore gli
cadde nell’occhio destro, annebbiandogli la
vista…. ma continuò a sparare.
Fino
a che il grilletto andò a vuoto: era rimasto senza
munizioni.
Un proiettile gli
sfiorò la
gamba destra, lacerando la stoffa del pantalone beige, che si
inzuppò di sangue
mentre una macchia cremisi si espandeva sul tessuto; barcollando, Maki
cercò
riparo dietro ad un vaso di terracotta azzurra particolarmente grande,
in cui
era stata piantata una palma, e cambiò caricatore. Prese
nuovamente la mira,
sparando però a lato del giovane, volendolo distrarre, e
sperando che
funzionasse…
E
poi, altri spari: ma guardando dal basso verso l’alto,
Hideyuki
era certo che non fosse stato il giovane a sparare.... mentre legava la
cravatta
intorno alla ferita, emise un flebile respiro di sollievo, mentre gli
sembrava
che il suo corpo fosse percorso da una scarica elettrica che partiva
dal punto
in cui era stato ferito: quel rumore era inconfondibile.
La
Python di Ryo.
Coperti da due
lucernari, Ryo e Reika, ai lati opposti del tetto, tenevano le pistole
in mano
e cercavano di disturbare il più possibile il ragazzo - e
fargli sprecare
munizioni; più sparava a vuoto, prima avrebbe terminato i
proiettili, e più
persone si sarebbero salvate dalla sua folle furia omicida - e Ryo era
certo
Maki stesse facendo la stessa cosa dabbasso.
In
silenzio, Ryo e la collega guardarono il ragazzo, puntandogli
le loro armi addosso: aveva un borsone accanto a sé. Armi? O
peggio… Bombe? Se
così fosse stato, una mossa sbagliata e sarebbero saltati
tutti in aria.
Dannazione,
Ryo
pensò tra sé e sé.
Satomi
prese nuovamente la mira, e allora Ryo e Reika fecero
altrettanto, iniziando a sparare a loro volta; con una mossa veloce
però il
ragazzo rotolò a terra, in maniera quasi militare, con fare
da soldato. Cercò
un punto dove potesse avere copertura, e mentre l’aria si
riempiva del suono
delle sirene - vigili del fuoco, ambulanze, polizia - ed elicotteri si
avvicinavano, implacabili, lui prese a sparare nuovamente.
Stavolta
però non sulla gente, sui passanti… ma sui due
poliziotti, che avevano interrotto il fuoco incrociato per caricare le
loro
armi.
Fu
allora che Ryo lo vide, e quella scena quasi prese vita come al
rallentatore…. Reika, inginocchiata a terra che cambiava il
caricatore della
sua semi-automatica, e il ragazzo che
la vedeva, e prendeva la mira, e sparava…. una raffica di
proiettili, alla
cieca. Annebbiato dalla rabbia, quasi la presenza di quei poliziotti
fosse
un’offesa a qualunque fosse il suo folle progetto, sembrava
ormai incapace di
controllare la sua arma.
I
proiettili schizzavano ovunque, in tutte le direzioni, senza
ragione apparente… ogni colpo rimbombava nelle orecchie,
faceva tremare ogni
osso del loro corpo, mentre i nervi sembravano quasi bruciare, come i
muscoli,
tesi oltre ogni misura.
Erano
solo attimi, nemmeno secondi, forse solo frazioni… eppure
capitavano tante cose, troppe, tutte assieme, lasciandoli senza fiato,
senza
nemmeno la capacità di riflettere.
Potevano
solo agire: e fu questo che Ryo fece quando vide Reika
che sembrava quasi esitare… cercava di caricare la sua arma,
ma qualche
meccanismo doveva essersi inceppato, e lei aveva perso tempo - tempo
che Satomi
aveva ogni intenzione di usare a suo vantaggio.
Ryo
si gettò senza troppo riflettere, con un movimento rapido ed
agile, rotolando a terra mentre l’aria si riempiva
dell’odore di polvere da
sparo, ed il rumore degli spari e delle pale degli elicotteri, sempre
più
vicini, faceva scoppiare i timpani; fece scudo a Reika, e la spinse
via,
lontano dal fuoco, ma ormai era troppo tardi.
Un
colpo, due, tre, quattro…. quante volte era stato colpito?
Non
lo sapeva, ma di una sola cosa era certo: adesso non sentiva
più sparare.
Vista
incerta, dolorante, senza sentire più il proprio corpo, Ryo
mosse leggermente il capo, e vide Reika in piedi, gambe divaricate,
pistola
fumante in pugno… il tempo che Ryo le aveva fatto guadagnare
le era servito, e
aveva approfittato dello smarrimento del giovane, forse euforico per
aver
ucciso uno sbirro, per colpirlo a
sua
volta.
Un
solo sparo, e Reika aveva fatto centro, colpendolo in mezzo
alla fronte, uccidendo il ragazzo sul colpo.
Ryo
sorrise, facendo schioccare la lingua contro il palato, ma
questo semplice gesto gli provocò enorme dolore;
tossì, avvertendo un sapore
metallico in bocca, che nel retro della sua mente capì
essere sangue… era messo
davvero così male?
Tentò
di muoversi, e tossì ancora mentre tutto il suo corpo era
pervaso dal dolore più acuto: sì, doveva essere
messo davvero male.
Sentì
il rumore
di passi, singhiozzi - e qualcuno che lo chiamava. Una voce femminile.
Chi? Non
lo sapeva: era solo certo di avere tanto freddo. E che altre persone
stavano
arrivando. Qualcuno urlava. Qualcuno correva.
Qualcuno
accarezzava il suo viso, con delicatezza- lo stesso viso su cui stavano
cadendo
calde lacrime. Sue? No - aveva scordato l’ultima volta che
aveva pianto.
Qualcun
altro
stava piangendo, ma chi? Chiuse gli occhi, mentre sentiva il battito
del suo cuore
rallentare, e l’oscurità avvolgerlo.
Tentò di inspirare, ma tossì di nuovo,
eppure…. eppure, fu quasi certo di sentire quel profumo
inconfondibile, ma era
sogno o realtà?
Diverse
persone
gli si erano messe intorno, forse curiosi, o infermieri e medici, o
magari
colleghi; Ryo non poteva esserne certo, non riusciva a vedere bene
nessuno di
quei visi, la vista era annebbiata.
“Ryo,
Ryo ti
prego, non morire!” Una donna gli disse, pregandolo,
disperata, stringendolo al
proprio petto. “Non farmi questo!”
“Andiamo
Ryo,
tieni duro!” Stavolta, a parlare era stato un uomo. Lo
conosceva? Non ne era
certo. Ormai, non era più certo di nulla.
“Resisti,
Ryo,
resisti!” La donna lo chiamò, supplicandolo ancora
e ancora e ancora. Sembrava
disperata. Ryo la sentì parlare, e la voce…
lentamente, cambiò… o forse la
riconobbe per la prima volta… le sorrise, allungando una
mano verso il viso.
E
poi, quel
profumo… inebriante, che gli riempiva i sensi.
“Ti
amo…” le
disse, tossendo tra una parola e l’altra, mentre si sentiva
venir meno, ma
sapeva di dover parlare, ammettere, dire quelle parole, per la prima
volta… e
forse l’ultima.
Lei.
Solo lei.
Sempre lei. “Ti amo… così
tanto… da sempre…”
Lei
sgranò gli
occhi, sorridendogli felice, come mai prima di allora; le lacrime
continuarono
a lasciare i suoi bei occhi castani, ma stavolta erano lacrime di
gioia, non
più di paura o dolore.
“Oh
Ryo….non
lasciarmi!” La donna lo supplicò, lasciandosi
cadere sul tetto ricoperto di
asfalto accanto a Ryo, gettandogli le braccia al collo e stringendolo,
nonostante le proteste dei soccorritori che tentavano di farla
allontanare, di
separarli. Ma lei non voleva… e Ryo la capiva benissimo.
Perché provava lo
stesso. Lo aveva sempre provato, lo aveva sempre saputo, ma non aveva mai capito
quanto profondo fosse
stato quel legame.
Loro.
Solo loro.
Sempre loro.
L’aveva
data per
scontata per troppo tempo, e adesso se ne pentiva - adesso che la morte
avrebbe
potuto dividerli per sempre. Ma avrebbe lottato, per sé
stesso, per lei, per il
loro futuro.
Non
si sarebbe
arreso. L’angelo della morte non lo avrebbe avuto.
“Amore
mio, sei
qui con me…” Le sorrise, in pace, certo che ce
l’avrebbe fatta. Aveva gli occhi
lucidi, ma non era abbastanza in forze da piangere vere lacrime.
“Ti amo… Sugar.”
E
poi… poi,
l’oscurità ebbe la meglio, e Ryo non
sentì più nulla, nemmeno il freddo.
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Capitolo 11 *** Episodio #10: batti, batti, batticuore ***
“Ryo?”
Mick Sbattè gli occhi, perplesso, alla vista
dell’ex amico che se ne stava
spaparanzato nel letto d’ospedale, con quel pigiama consunto,
a strafogarsi di
riso. L’americano era a braccetto della bella Kazue, che
stringeva un mazzo di
garofani dalle mille sfumature di bianco e rosa, e delicati fiorellini
di nebbia,
mazzo che lui le aveva portato in dono, dopo essere passato a trovarla
dall’obitorio dove aveva fatto un turno extra: stavano per
iniziare insieme una
serata che lei sperava essere romantica, e lui bollente.
Mick
aveva finto
di passare casualmente davanti alla stanza dell’amico, aveva
sperato che non lo
avrebbe trovato più lì, visto e considerato cosa
stava per accadere, ma
purtroppo aveva scoperto di aver avuto ragione: Ryo non si era mosso
dal suo
letto, dove se ne stava tranquillo e beato come un pascià.
“Ma che diavolo ci
fai ancora qui?”
“Che
razza di
domanda, mangio!” gli rispose, guardandolo come se fosse
stato un completo
idiota. “Le infermiere sono tutte pazze di me, dovranno
cacciarmi fuori di qui
a forza! Ah, ah, ah!”
“Sì,
ma….” Il
biondo si grattò il capo, guardando prima Kazue, poi Ryo,
che sghignazzava come
un completo idiota. Mick era a dir poco senza parole, e si chiese se le
conseguenze della sparatoria non fossero state più nefande
di quello che
avevano creduto all’inizio. O, se per caso, Ryo non fosse
semplicemente un
completo idiota: la giuria doveva ancora esprimersi al riguardo.
“Insomma, tra
poco inizia il matrimonio di Kaori, e speravo saresti andato a
fermarla. A
impedirle sai, di, ehm, sposarsi.
Con
un altro.”
“No.”
lui si
limitò a dire, secco, deciso e distaccato, mentre
l’uomo e la donna si
guardavano, senza capirci nulla: Ryo era stato parecchio chiaro
riguardo cosa
provasse ancora per Kaori, e Mick era certo che avrebbe finalmente
messo le
palle e compiuto un gesto grandioso, andando a rovinare quelle nozze
con quel
riccastro da strapazzo, e invece, eccolo lì. Stravaccato in
un letto che si
rimpinzava di riso bollito mentre l’amore della sua vita
sposava un damerino
che, con tutta probabilità, tempo sei mesi
l’avrebbe convinta che bisognava
fare qualche cambiamento.
“No?”
Mick sbatté
le palpebre alla velocità della luce, più e
più volte, il viso che esternava la
sua perplessità. “In che senso, no?”
“No
vuol dire no.
Nel senso che stiamo meglio così.”
Ryo
rispose con una scrollata di spalle, con totale aplomb, prima di
mettersi in
bocca un’altra dose di riso. “Noi siamo amici. Noi
siamo colleghi. Kaori ha sempre
avuto ragione, io non sono fatto per la
vita da uomo sposato, sono un single incallito… lo stallone
di Shinjuku, il
fidanzato di tutte… e poi lei si sta per sposare, ed io, con
le donne sposate,
non ci provo, è una questione di principio, non sono mica
come te, sai!”
Così
dicendo, Ryo
eruppe in una sonora risata, preferendo far credere che quella, tutto
sommato,
fosse anche una sua scelta, mentre
invece lui a rimettersi con Kaori, da quando lei era tornata a Tokyo,
ci aveva
provato eccome, ma non era servito a nulla, nemmeno quel bacio
favoloso, dato
in un vicolo fuori dal Cat’s Eye, le aveva fatto cambiare
idea, nonostante lei
in un primo momento lo avesse assecondato, non solo rispondendo a
quella sua
esplicita avances ma prendendo lei stessa da lui tutto quello che
voleva… ma
poi si erano baciati di nuovo, sotto
copertura, e lei era stata molto… distaccata, e Ryo
lì aveva capito di aver
perso la sua opportunità.
Per
giunta,
quando era andata a trovarlo in ospedale, nonostante si fosse
chiaramente
dimostrata preoccupata per le sue condizioni, si era comportata come se
nulla
fosse, da quel punto di vista. Avevano parlato del più, del
meno, e davanti ai
colleghi gli aveva pure detto che sperava che Ryo si riprendesse per il
matrimonio, che lui era il suo più caro amico e che sarebbe
stata felice di
averlo accanto nel giorno più importante della sua vita.
“Vedo
che ti senti già meglio… e così
corriamo dietro alla
infermiere, eh?” Kaori lo punzecchiò, entrando in
camera e sedendosi accanto al
letto. Ryo si mise a sedere dritto, e si grattò la nuca,
ridendo imbarazzato.
“Eh,
eh, sai com’è, cercavo di ottenere un rilascio
anticipato,
eh, eh, eh…”
La
donna si mise a guardare fuori dalla finestra, con aria
pensierosa; stringeva in grembo i pugni, e sembrava stesse lottando, ma
contro
cosa, o per cosa, nemmeno Ryo, che la conosceva meglio di chiunque
altro,
sapeva dirlo.
“Tutto
bene a casa e al lavoro?” Le domandò con voce
calda,
desideroso di farla uscire da quell’imbarazzante situazione,
e Kaori sembrò
risvegliarsi dallo stato di torpore in cui era caduta.
“Ryo….”
Iniziò, incerta, incapace di guardarlo negli occhi.
“Tu….
Tu eri mio amico, vero? Prima di… insomma, tu sei sempre
stato il mio migliore
amico, lo sai vero?”
“Lo
so, Sugar.” Le rispose con tono suadente, stropicciandole i
capelli. “E credimi, le cose non sono cambiate. Non
sarò più il tuo uomo
ma… ma
rimarrò sempre tuo amico.”
Dire
quelle semplici parole per lui fu come morire, non aveva mai
faticato tanto a parlare, mai aveva avvertito una simile coltellata al
petto:
le pallottole avevano fatto meno male.
Ma
l’amicizia era meglio di nulla.
Kaori
era andata avanti: in un modo o nell’altro, lo avrebbe fatto
anche lui. Un giorno. Forse.
“Mi
fa piacere sentirtelo dire, Ryo.” Gli strinse le mani, con
gli
occhi che piangevano. “Ryo, io… tu mi sei sempre
stato accanto nei momenti più
importanti della mia vita, e… e spero che riuscirai ad
esserci anche… anche al
mio matrimonio. So che potrebbe sembrare strano ma… ma
vorrei davvero che le
cose tornassero a com’erano una volta. A, a prima che ci
mettessimo insieme,
insomma.”
Ryo
ingoio, mentre il suo cuore smetteva di battere ed il suo
intero essere veniva percorso da un’ondata di gelo.
“Lo
sai quanto ti ho sempre voluto bene, Kaori…” Le
disse,
abbassando gli occhi, incapace di guardarla in faccia, temendo che, s
ei loro
occhi si fossero incrociati, lei avrebbe capito. “Il giorno
del tuo matrimonio
sarà il più bello e felice della tua
vita… e sarei onorato se tu volessi
condividerlo con me.”
Kaori
scoppiò a piangere, e gli gettò le braccia al
collo,
stringendolo, ringraziandolo – quasi con quelle parole lui le
avesse dato la
sua benedizione.
Ryo
assaporò per un’ultima volta il suo profumo,
sentendosi male,
un essere orribile, alla sola idea di averle appena mentito.
Col
cavolo che
andava a vederla che si sposava con un altro: molto meglio starsene in
ospedale
coccolato dalle infermiere che lo celebravano come un eroe per aver
fermato il
cecchino e salvato la sua partner. E poi… poi avrebbe deciso
cosa fare della
sua vita. Rimanere lì, con lei, era fuori discussione:
vederla sposarsi, avere
figli da quel demente di Shinji? Starsene a guardare mentre lui, quel
finto
bravo ragazzo, la manipolava nell’abbandonare i
suoi sogni, per seguire quelli di lui?
Non
se ne
parlava. Erika gli aveva chiesto se fosse interessato ad un posto
all’Interpol,
e Ryo adesso stava iniziando a pensare seriamente ad accettare
quell’offerta;
avrebbe preso due piccioni con una fava, anzi, tre: sarebbe stato
lontano da
loro due, avrebbe comunque mantenuto il suo lavoro, e avrebbe vissuto
nel Paese
del topless. Cosa avrebbe potuto chiedere di più dalla vita?
Solo,
per adesso,
nessuno lo sapeva: aveva solo accennato la cosa ad Erika, per
telefono…
Mick,
intanto,
non riusciva a credere a ciò che sentiva; si stava
letteralmente mettendo le
mani nei capelli, strappandoseli tanto era indignato e arrabbiato con
il suo
cosiddetto migliore amico che si stava rivelando per quello che era- un
emerito
deficiente. Mollata Kazue nel corridoio, con la bava alla bocca nemmeno
fosse
stato una belva feroce ammalata di rabbia, si precipitò
nella stanza del
poliziotto, e lo afferrò per la giacca del pigiama.
“Ma
sei un
coglione o cosa?!” Mick sibilò. “Tu
quella donna la ami, non puoi lasciartela
scappare così!”
“Non
è vero! Io
non amo nessuno! Sto benissimo da solo!” Ryo
abbaiò, petulante, praticamente
sputacchiando in faccia all’amico.
“Passerò la mia eterna gioventù a
saltare da
un letto all’altro! Basta trattenersi!”
“Ah
sì?” Mick
fece un sorrisetto furbo, stringendo gli occhi a fessura. “E
allora la tua
dichiarazione d’amore, cosa mi dici di quella? Ih, ih,
ih!”
“Eh?
Ma di che
parli?” Ryo arrossì leggermente, guardandolo
incredulo. “Io non l’ho mai detto
a nessuna che... che, Insomma, quello!”
Mick
quasi si
strozzò dalle risate: Ryo era un caso così
disperato che nemmeno parlare
d’amore gli era possibile, quella parola gli scatenava delle
reazioni
fisiologiche viscerali – iniziava a capire perché
Kaori avesse deciso di
mandare a monte le nozze e si fosse cercata una persona più
emotivamente matura
e normale.
“In
realtà, caro
il mio Ryo, lo hai
detto eccome: per la
precisione, a
Reika, dopo che ti hanno sparato!” Il
biondino iniziò a raccontare; la sua voce assunse un tono in
farsetto, quasi a
voler dare un maggiore effetto comico a tutta quella faccenda assurda;
intanto,
Ryo impallidiva, ed ingoiava a vuoto, mentre il suo stomaco si
chiudeva. “Oh,
avresti dovuto vedervi, Ryo…. giuro che solo a sentire Maki
che la raccontava
sembrava di essere lì!”
“Eh?
Ma…” Ryo
sbattè le palpebre, boccheggiando nemmeno fosse stato un
pesce fuor d’acqua;
guardava il vecchio amico in tralice, incerto se credergli o meno.
“Eh,
guarda che è
non mica una bugia, eh! Maki dice che la piccola Reika era davvero al
settimo
cielo!” Mick continuò, sghignazzando.
“Tutta sorridente, tutta contenta e
felice, ti stringeva, voleva riempirti di baci,
si è pure messa a piangere, e tu avevi una tale
faccia da idiota… a
quanto pare c’era
da morire dal ridere,
ma purtroppo Maki ha pensato a chiamare i soccorsi piuttosto che
registrare
tutto per i posteri!”
Brividi
iniziarono a percorrere l’intero corpo di Ryo, che sudava
freddo mentre vedeva
materializzarsi nella sua mente tutti i suoi incubi… lui con
Reika. Ma cosa gli
era passato per la testa? Sì, certo, era una bella donna,
era graziosa, ed era
capace, nel lavoro, ma lei non era proprio il suo tipo, lui non
l’aveva mai
vista in quel modo….
“Andiamo, non
posso averle detto che, sì,
insomma, quello! Me lo ricorderei!” Ryo insistette. Era certo
che se ne sarebbe
ricordato: quelle parole erano per lui un tabù, lui era
cinico e un po’
stronzo, un dongiovanni, lui teneva
alle persone, ma da lì a provare quell’emozione
ce ne passava… ci era andato vicino solo una volta, ma non
aveva mai detto
quelle parole, nemmeno a lei, al massimo, quando Kaori gli aveva
sospirato
languida di amarlo, al tempo della loro fugace relazione, Ryo si era
limitato
ad annuire e dire anch’io…
“Ammetto
che
avevo creduto che sarebbe stato più semplice far passare un
cammello dalla
cruna di un ago, visto quanto tu ed io siamo sentimentalmente immaturi
ma,
amico mio, sono propenso a credere a questa versione dei fatti, anche
perché ci
fosse solo la bella Reika come testimone oculare della tua confessione
potrei
nutrire dei dubbi, ma anche Maki t’ha sentito e mi ha
raccontato tutto!”
Ridacchiando, Mick gli diede una manata sonora sulle spalle, facendo
venire al
poliziotto tutta una serie di colpi di tosse; il riso gli
tornò su, fermandosi
a metà tra stomaco e bocca, e Ryo fulminò Mick.
“E
com’è che, se
ho detto a Reika che la amo, tu mi
vuoi vedere con Kaori, eh?” Ryo domandò, mentre
sentiva l’irritazione montargli
dentro. “E comunque io mica ci credo ancora a questa storia,
secondo me vi
siete inventati tutto!”
“Ma
perché…” Mick
prese a ridacchiare, il viso così vicino a quello di Ryo che
l’ex collega
poteva sentire il profumo del suo dopobarba, una cosa che invece di
profumare
sembrava più un olezzo- Mick aveva ottimo gusto per alcune
cose, pessimo per
altre. “Tu, mentre deliravi in preda al dolore, a chi credi
di averlo detto,
eh? Caro il mio stallone! Ih, Ih, Ih!”
Ryo
sbatté gli
occhi, senza capire dove l’amico volesse arrivare.
Lo
aveva detto? O
Mick lo stava prendendo per il culo?
“Andiamo,
Ryuccio, pensaci bene…se ti impegni dico che te lo
ricordi…” Mick lo prese in
giro, dandogli delle leggere pacche sulla schiena, mentre Ryo fissava
il vuoto.
Era
come se la
sua mente fosse avvolta dalla nebbia, ma lentamente, un tiepido raggio
di sole
prese a farsi strada nei suoi pensieri, in quel turbinio tempestoso.
Un
immagine. Un
ricordo. E poi un altro ed un altro ed un altro ancora.
A
Terra, Ryo aveva freddo. Si sentiva soffocare, circondato da
tutte quelle persone, ma non riusciva a vedere bene nessuno di quei
visi, la
vista era annebbiata.
“Ryo,
Ryo ti prego, non morire!” Una donna gli disse, e Ryo
sentiva sul suo volto le lacrime della donna. “Non farmi
questo!”
“Andiamo
Ryo, tieni duro, i soccorsi stanno arrivando!”
Udì;
stavolta, a parlare era stato un uomo – sembrava la voce di
Maki.
“Resisti,
Ryo, resisti!” La donna lo chiamò, supplicandolo.
Sembrava disperata. Ryo la sentì parlare, e la
voce…lentamente, cambiò… o forse
la riconobbe per la prima volta… le sorrise, allungando una
mano verso il viso.
“Ti
amo…” le disse, tossendo tra una parola e
l’altra, mentre in
bocca avvertiva il sapore ferroso del sangue. “Ti
amo… così tanto… da
sempre…”
Lei
sgranò gli occhi, sorridendogli felice, come mai prima di
allora; le lacrime continuarono a lasciare i suoi bei occhi castani, ma
stavolta erano lacrime di gioia, non più di paura o dolore.
“Oh
Ryo….non lasciarmi!” La donna lo
supplicò, lasciandosi cadere
sull’asfalto accanto a Ryo, gettandogli le braccia al collo e
stringendolo.
“Sei
tornata da me…” Lui si voltò verso di
lei, sorridendole, in
pace. Aveva gli occhi lucidi, ma non era abbastanza in forze da
piangere vere
lacrime. “Ti amo…Sugar.”
“O
merda.” Ryo
ingoiò, fissando il muro bianco asettico davanti a lui,
passandosi una mano nei
capelli. “L’ho detto davvero. Ho detto a Reika
che… ma non l’ho detto davvero a
lei, insomma, io credevo… ero convinto che
fosse Kaori!”
“Già…”
Mick continuò a canzonarlo. “Quando
dalla bocca ti è uscito quel nomignolo lei è
rimasta di sasso, non capiva, poi
Maki si è messo a strillare che chiamassero Kaori e allora
le si sono aperti
gli occhi e ha capito che avevi pensato di parlare con la tua
ex… e invece che
strozzarti le hai fatto pena e si è messa addosso a te
nemmeno fosse stata, non
so, dell’edera! Sembrava pure ancora più
innamorata di te!”
“Cazzo!”
Ryo
sibilò, grattandosi i capelli ribelli, a denti stretti,
sentendo una sensazione
inusuale nel petto - come qualcosa che gli batteva nel petto. Poi,
all’improvviso, impallidì, e guardò il
suo vecchio amico, ingoiando a vuoto,
quasi temendo la risposta. “Mick… lei…
Kaori lo sa?”
“Beh…
ecco… noi
speravamo che, come dire…” Mick
sospirò, alzando gli occhi al cielo. “Che tu ti
facessi furbo e glielo dicessi tu.”
All’improvviso,
come se si fosse improvvisamente ricordato di qualcosa di importante,
Ryo
afferrò il polso di Mick, e guardò
l’orologio: era tardi. Se non si fosse
sbrigato, non ce l’avrebbe mai fatta. “Mick, sei in
macchina?”
“Certo
che sono
in macchina! Cosa credi, che mi potrei mai muovere sui mezzi pubblici,
io?” Gli
domandò, mentre guardava Ryo arrancare nella stanza e
buttare tutto fuori
dall’armadietto che aveva accanto al letto, alla disperata
ricerca di qualcosa
che non fosse un pigiama da nonnetto. “E come mai vuoi
saperlo, Ryuccio caro?”
Lo schernì, braccia incrociate mentre stava appoggiato allo
stipite della
porta. Immaginava il perché, ma voleva che fosse il suo
amico a dirlo ed
ammettere la verità, una volta per tutte.. ed ad alta voce!
Ryo
trovò una
borsa con quello che cercava, pochi capi basici, non un
granché né il meglio
che avrebbe potuto offrire il suo armadio a casa ma era meglio di
nulla, e si
vestì, senza nemmeno prendersi la briga di infilarsi boxer o
calzini.
“Perché?
Come
perché?” gli domandò con una vocina
stridula mentre lo afferrava per il bavero
della giacca e lo scuoteva. “Ma perché devo
fermare Kaori! Devo fermare quel
dannato matrimonio prima che sia troppo tardi! Non può
sposarsi senza sapere
che… che cosa provo per lei!”
“Bravo,
my
friend, così si fa!”
Mick gli dette una
pacca sulla spalla, sghignazzando, menefreghista del pallore sempre
più forte
di Ryo, che intanto si era fatto una corsa in corridoio e aveva
strappato dalle
mani di Kazue il mazzo di fiori, che erano, guarda caso, e grazie alla
sua
buona stella, i preferiti di Kaori. Mick scrollò il capo,
divertito: trovava
adorabile che Ryo ancora non riuscisse a usare quella parolina, e
sperò con
tutto se stesso che, almeno una volta che fosse trovato davanti la
rossa del
suo cuore, avrebbe trovato la forza e la determinazione di ammettere la
verità,
solo la verità, tutta la verità,
nient’altro che la verità su cosa tormentava
il suo animo. “E adesso andiamo a prenderci la tua sposina, e
ringrazia che a
me piacciono le macchine veloci, altrimenti con te che ti svegli
all’ultimo
minuto mica ci arriviamo in tempo al municipio di Tokyo!”
Tocchi
leggeri alla porta della sala destarono Kaori, che, mettendosi a posto
il corto
velo, si voltò verso l’ingresso, col cuore che le
martellava in gola, allo
stesso tempo emozionata e spaventata dall’idea di chi potesse
essere che la
disturbava in quel momento. Si dette della sciocca, scrollando lieve il
capo
per non far andare fuori posto i capelli che Eriko le aveva
accuratamente
acconciato dopo che aveva indossato l’abito lungo sotto alle
ginocchia:
probabilmente era solo suo fratello, o la stessa Eriko che era andata a
controllare a che punto la futura sposa fosse: lui le aveva detto e
ripetuto
che amava troppo la vita da scapolo, che non sarebbe mai potuto
cambiare, e che
quindi era meglio che le cose fossero andate così.
Schiena
dritta, Kaori si schiarì la gola, preparandosi, ed
indossò
la sua solita armatura di donna composta e dalla rigida etica e morale.
“Avanti.” disse con un tono che però lei
stessa reputò troppo alto di almeno
un’ottava.
La
porta si aprì con un leggero cigolio, e da essa fece
capolino
la testa bruna di Reika; la presenza della donna spiazzò la
poliziotta, che non
si era aspettata di vedere li la collega che, anzi, aveva
più volte ribadito di
non essere interessata a partecipare alla cerimonia, nonostante le due
fossero
quasi imparentate, ora che Saeko e Hide erano sul punto, finalmente, di
sposarsi, dopo aver passato tanti anni a fare tira e molla.
“Reika!”
Kaori esclamò, facendo un paio di passi verso
l’altra,
stampandosi sul viso il suo migliore sorriso. Non era certa che Reika
le
piacesse, ma sapeva che era brava nel suo lavoro, ligia, e per questo
meritava
almeno di essere rispettata, nonostante i suoi tanti difetti.
“Non mi aspettavo
che tu venissi.”
“Nemmeno
io, in realtà.” Reika le rispose. Occhi bassi, le
sue
labbra erano tirate, come in un pigro sorriso di rassegnazione.
“Ma desideravo
parlarti. C’è una cosa che credo tu debba sapere.
Riguarda Ryo, e cosa è
successo al Centro Commerciale, quando gli hanno sparato.”
Kaori
si irrigidì, e perse la sua proverbiale compostezza. Ogni
muscolo del corpo teso, si voltò, dando le spalle
all’altra; ricordava fin
troppo bene cosa era successo quel giorno, e forse lo avrebbe ricordato
per
sempre - perché Ryo avrebbe sempre avuto un posto speciale
nel suo cuore. Ma
adesso era ora di andare avanti… perché,
nonostante anche lei avesse atteso per
ore col cuore in gola il medico che dicesse loro come stavano le cose,
che li
rassicurasse sul fatto che il loro amico, fratello, compagno si sarebbe
salvato, aveva visto lo sguardo di Reika, e quello di Ryo mentre lo
facevano
scendere dall'ambulanza.
Amore:
lui stava andando avanti, e vedere, sapere che lo stava
facendo era come avere la sua benedizione, essere certa che sposare
Shinji era
la cosa giusta da fare.
“Non
mi interessa nulla di cosa c’è tra voi, Reika. Ryo
ed io
ormai non stiamo più insieme da tempo, ed ognuno di noi
è libero di farsi la
propria vita… per questo mi sto sposando oggi!”
“C’è
una cosa che devi sapere prima di decidere se vuoi andare
fino in fondo con questo matrimonio,” Reika le disse,
proferendo le parole con
decisione, il suo sguardo triste sì, ma che bruciava col
fuoco della
determinazione. Stringendo i pugni, fece i pochi passi che la
dividevano da
Kaori, e la afferrò per le spalle, obbligandola a voltarsi e
guardarla in
faccia- a smetterla di nascondersi. “Quando il cecchino
l’ha ferito ed era
andato in shock, lui ha cercato te! Mi ha chiamato col tuo nomignolo,
dicendoti
che ti ama ancora!”
L’esitazione
di
Kaori durò un solo attimo.
“Ryo?
Ammettere di amare qualcuno?” Kaori quasi sibilò,
con la
voce impastata dalle lacrime e dalla rabbia. Ogni parola di Reika era
stata
come una stilettata per lei, che faceva sgorgare lacrime dai suoi occhi
e
sangue dal suo cuore. “Ma per favore, è
più facile che il Mar Rosso si divida
ancora piuttosto che lui ammetta di amare qualcuno! Anche
l’altra volta diceva
di essere pronto e di volere che ci fosse un noi,
ma quando siamo andati a vivere insieme lui non era mai a
casa, e continuava a flirtare con tutte… a volte sembrava
quasi che fossi
trasparente, che mi trattasse più come la serva che la sua
compagna! Ryo è
allergico al matrimonio, lo ha sempre detto che non si sarebbe mai
sposato e
che di figli non ne voleva nemmeno sentir parlare... sono stata sciocca
io a
credere che avrei potuto cambiarlo, ma adesso me ne sono fatta una
ragione, ed
ho accettato che noi potremo solo essere amici… e poi
io… io credevo di poter
rinunciare ad un figlio mio, ma voglio davvero avere un bambino, e
crescerlo
con il mio compagno!”
“Kaori...”
rattristata, con il cuore in subbuglio, Reika alzò una
mano verso la donna per sfiorarla e darle conforto, ma poi decise che
non
sarebbe stata una mossa saggia- era evidente che a Kaori non piacesse
essere
consolata, che preferisse armarsi di tutto punto per affrontare i
problemi da
sola, e comunque, loro non erano certo così intime: non era
bastato loro essere
entrambe donne in quell’ambiente così
profondamente maschile per cadere in un
cameratismo che, non fosse stato per la bruciante attrazione che
entrambe
provavano per Ryo, sarebbe potuto apparire naturale.
La
donna fece un paio di passi indietro, poi si voltò verso la
porta, e sfiorò l’intelaiatura, quasi cercasse un
motivo per indugiare
ulteriormente all’interno di quell’ambiente.
“Ryo ti ama davvero, Kaori, e
credo che stavolta lui sia cambiato. Credo che tu dovresti dargli una
possibilità.”
“Una?
Gli ho dato cento, mille possibilità negli anni! Sono stufa
di essere sempre io quella che si sacrifica, che si preoccupa, che
aspetta, che
scende a compromessi! Con Shinji ho trovato una mia
stabilità... lui mi
rispetta, come donna e come professionista e di certo non mi chiude in
casa
perché si è scordato che sono andata a vivere da
lui… e poi vogliamo la stessa
cosa, costruirci un solido futuro, insieme, con i bambini che
arriveranno!”
Kaori sbottò, sbattendo i piedi per terra. “Non ho
intenzione di perdere tempo
dietro ad un ragazzino troppo cresciuto che non è
sentimentalmente maturo e che
non sa cosa vuole, non quando ho un uomo perfetto che mi ama e che mi
sta
aspettando adesso per farmi
diventare
sua moglie!”
Ma
tu non lo ami, Reika
pensò, con un sorriso amaro sulle labbra. Guardò
Kaori: si
stringeva nelle braccia, trattenendo a stento le lacrime.
“Ha
avuto così tanto tempo, quando me ne sono
andata…” Kaori disse
a bassa voce, il tono così lieve che non si capiva se stesse
parlando o
riflettendo. “Più di un anno, ma non è
mai venuto da me. Non ha mai lottato per
riportarmi da lui. Solo quando ha capito che un altro aveva preso il
suo posto
ha iniziato a corteggiarmi… se non fosse stato per Shinji,
lui non avrebbe
fatto nulla…”
“Volevo
solo che lo sapessi, Kaori. E dirti che…” Reika
sorrise-
un sorriso triste, colmo di amarezza. C’era tuttavia una luce
nei suoi occhi,
che sembrava essere quella della speranza. “Non so se te lo
hanno già detto, ma
Saeko mi ha detto che le cose nei prossimi mesi cambieranno. Lei ha
avuto una
promozione e dirigerà il dipartimento, e Maki
prenderà il suo posto
all’unità…
e io...io ho deciso di cambiare lavoro. Il mio ex partner ha aperto
un’agenzia
investigativa e mi ha chiesto di divenire sua socia, e anche Mick
sarebbe
interessato ad unirsi a noi, sai? Sembra aver fatto amicizia con la
dottoressa
che si è occupata di Ryo, e credo che voglia rimanere qui in
Giappone per starle
accanto, anche se adesso il processo contro Kaibara e Sonia Fields
è
terminato.”
“Reika,
non è necessario che tu…” Kaori si
voltò, quasi sconvolta,
e si avvicinò con irruenza alla giovane donna.
“Sei un’ottima poliziotta, non
andartene per me!”
“Non
lo faccio per te, Kaori,” le rispose, posandole le mani sulle
spalle. “E nemmeno per Ryo. Lo faccio per me. Non voglio
struggermi per un uomo
che non mi amerà mai, ma costruirmi il futuro che voglio io.
Voglio
reinventarmi, fino a che ho l’età per
farlo!”
Sorridente,
diede un leggero bacio sulla guancia alla sposina,
quasi a suggellare un patto di pace tra due donne che, per anni, erano
state
avversarie, tanto sul lavoro quanto per il cuore del bel tenebroso
detective.
“Qualsiasi cosa tu decida di fare, auguri, Kaori, e sii
felice!”
E
così dicendo, se ne andò; si chiuse la porta alle
spalle, il
cigolio ancora più sinistro, quasi che volesse rappresentare
una caduta
rovinosa…. un equilibrio spezzato. Kaori si chiuse nelle sue
spalle, portandosi
le mani al cuore, e sospirò. Si voltò, e vide il
suo riflesso nello specchio,
lei con indosso l’abito da sposa di alta moda che Shinji
aveva insistito perché
lei acquistasse.
Lui
non le aveva
permesso di occuparsi di nulla, aveva promesso di pensare a tutto lui,
perché
lui voleva sposarla. Non come Ryo, che aveva iniziato ad avere
addirittura le
coliche non appena la data delle nozze aveva iniziato ad avvicinarsi.
Shinji
voleva una
moglie. Ryo…lei non sapeva cosa Ryo avesse voluto dalla loro
relazione, ma alle
volte le era sembrato che lui si accontentasse di
una governante che gli scaldasse il letto.
Non
c’era proprio
nulla da decidere. La scelta razionale era semplicissima da fare: da
una parte
un uomo che la voleva, dall’altro uno che non sapeva cosa voleva.
Stringendo
i
denti, si raddrizzò, pronta ad andare a sposarsi con Shinji.
Shinji
e Kaori erano l’uno accanto all’altra, davanti
all’ufficiale del comune. Lei
teneva tra le mani un delicato bouquet di gigli e pan di cuculo, che
lei
guardava timida, le gote arrossate. Shinji, bellissimo nel suo completo
blu
scuro, dai riflessi iridescenti, la guardava come se lei fosse stata la
cosa
più bella del mondo, certo che la donna fosse timida ed
emozionata.
Saeko
e Hideyuki,
in piedi accanto a lei, guardavano la porta della sala consiliare con
trepidazione, attendendo che capitasse qualcosa… non una
cosa qualunque, ma una
in particolare, che Ryo arrivasse e ponesse fine a quella scempiaggine.
Shinji
era un
bravo ragazzo, e sì, voleva bene a Kaori, e la amava anche,
in pratica venerava
il terreno su cui lei camminava… ma la capiva davvero? La
conosceva? Kaori e
Ryo avevano una chimica invidiabile, erano sempre stati in grado di
capirsi con un solo
sguardo, e Hideyuki
era stato certo che quella chimica che avevano in campo si sarebbe
potuta
replicare benissimo nella vita di tutti i giorni, e renderli una
coppia- di
amanti, amici, genitori- invidiabile..
Ryo
e Kaori erano
fatti per stare insieme: lo sapevano tutti, solo loro due avevano da
capirlo.
L’errore non era stato mettersi insieme, ma troncare quella
relazione senza
darsi una vera possibilità.
“Se
qualcuno
conosce un motivo per cui questa coppia non debba essere unita in
matrimonio,
parli ora o taccia per sempre!” disse con un sorriso benevole
il vicesindaco.
Shinji guardò Kaori, Kaori guardò il fidanzato,
gli ospiti dello sposo
sorrisero benevoli, quelli della sposa presero a mormorare continuando
a
fissare le porte, in attesa che quel qualcosa in particolare avvenisse.
“Vuoi
tu, Shinji,
prendere Kaori come tua legittima sposa?”
L’ufficiale, con un sorriso stampato
sul viso, gli domandò. Shinji si voltò verso
Kaori, prese tra le sue mani
quelle della fanciulla, e radioso rispose: sì.
L’ufficiale
porse
la medesima domanda a Kaori; lei guardò Shinji mordendosi le
labbra prima di
fissarsi i piedi, mentre il compagno la guardò incerto,
sollevando un
sopracciglio con fare interrogativo.
“Kaori?”
la
apostrofò leggermente spazientito. “Il vicesindaco
ti ha fatto una domanda.
Potresti rispondere, per favore?”
Dal
lato degli
ospiti di Kaori, si alzò un mormorio, e molti fra i suoi
conoscenti presero a
ridacchiare, mentre altri scossero il capo alzando gli occhi al cielo.
Alcuni
presero anche a far passare denaro di mano in mano, indicazione che
erano state
fatte scommesso circa l’esito della cerimonia, e che quelle
persone erano
convinte che ancora una volta Kaori si stesse tirando indietro.
“Signorina
Makimura, allora?” il vicesindaco le domandò,
spazientendosi sempre di più;
occhi sottili e venati di rosso, stava perdendo la pazienza, e come un
bambino
piccolo stava per mettersi a sbattere i piedi. “Guardi che io
ho un altro
matrimonio fra pochi minuti!”
“LEI
NON LO
VUOLE!” Le porte della sala si spalancarono, sbattendo contro
il muro, e Ryo,
vestito con un paio di jeans neri e una maglietta rossa, vecchie scarpe
da
ginnastica ai piedi, fece il suo plateale ingresso, marciando verso il
suo
obiettivo tra i mormorii di sdegno degli invitati di Shinji e i
languidi
sospiri e le risate di quelli di Kaori.
“Ci
mancava solo
questo pezzo di idiota decerebrato!” Shinji sibilò
a denti stretti, non appena
Ryo gli fu vicino; il detective sorrise compiaciuto, mentre Kaori
sbatteva i
suoi grandi occhioni nocciola, quasi scioccata che il suo fidanzato si
comportasse in quel modo, dopo essersi dimostrato tanto affabile.
“Possiamo
andare avanti, per cortesia?”
“Guarda
che Kaori
non ti ha risposto, brutto damerino da strapazzo!” Ryo lo
accusò, la voce bassa
e quasi stridula, prima di voltarsi verso Kaori, che gli dava le
spalle,
rigida, e rifiutava di guardarlo negli occhi. Un lieve murmure a
livello delle
spalle tradiva il fatto che, in preda all’emozione, stesse
tremando, e questo
fece sorridere Ryo, il cui cuore era infuso di contentezza e
felicità, conscio
che forse non tutto era perduto. “E comunque, Shinji ha
ragione: sono stato un
vero idiota. Perché non ho capito quanto tu fossi importante
per me fino a che
non ti ho persa!”
“Importante?!”
Sentire quelle parole fece scattare la giovane donna dai capelli rossi;
Kaori
si voltò, e chiuse la distanza che la divideva da Ryo, che
prese a colpire sul
petto con il semplice bouquet. “Ma se mi hai chiusa in casa perché ti eri
dimenticato che mi ero
trasferita da te!”
“Andiamo,
è solo
successo una
volta…” lui si
giustificò, balbettando e ridacchiando, mentre, mani alzate,
muoveva alcuni
passi all’indietro.
“E
alla sera, eri
sempre in giro per i tuoi maledetti locali di Shinjuku, pieni di
donnine che
non aspettavano che l’occasione giusta per strusciarsi
addosso ad un uomo
impegnato!” Continuò lei, perseverando nel
colpirlo con il mazzolino di fiori.
“Sempre…
sarà
successo qualche volta… e poi lo sai che lo faccio per
cercare informazioni…”
“E
quando è
saltato il matrimonio e noi ci siamo lasciati? Tu non hai fatto nulla
per
fermarmi o farmi cambiare idea! Non sei mai nemmeno venuto a cercarmi!
Hai
preso la palla al balzo, ammettilo!”
“Ehy,
quella
volta non è stata direttamente
colpa
mia!” Ryo si giustificò, il tono di voce alterato
mentre smetteva di fare passi
indietro e ne faceva alcuni verso di lei. “Che ne sapevo io
che c’erano dei
mafiosi che ce l’avevano col gemello di una delle guardie di
sicurezza! E poi
io il matrimonio volevo solo rimandarlo, sei tu che mi hai lasciato e
hai
annullato tutto!”
“E
sentiamo, cosa
avrei dovuto fare? Aspettare che tu decidessi su una nuova data?
Aspettare
altri cinque o sei anni?” Lo apostrofò,
sbattendogli addosso il bouquet come un
pugno, mentre Ryo continuava ad indietreggiare. “Ma cosa
credi, che non lo
sappia che lo sposarmi è stato solo un contentino? Povera piccola Kaori, già le ho detto
che figli non ne voglio, diamole
almeno questo!”
“Potremmo
smetterla con questa pagliacciata ed arrivare al dunque?”
Shinji domandò,
alzando gli occhi al cielo, nonostante avesse la netta sensazione che
nessuno
gli stesse dando la benché minima attenzione; Ryo e Kaori
erano persi in una
loro bolla, nel loro mondo, e non vedevano niente e nessuno.
“La
smetteremo
quando avrò detto ciò per cui sono venuto qui.
Kaori, io… ecco, il fatto è
che…. Insomma…” Ryo ingoiò a
vuoto, e prese a sudare. Il cuore gli scoppiava
nel petto, e sentiva il sangue che cessava di fluire verso gli organi
vitali
ma, la bocca impastata da quel tripudio e rimescolio di emozioni,
l’uomo non si
dette per vinto: sapeva che, se avesse tergiversato ancora, se le
avesse negato
quelle parole, l’avrebbe persa, e stavolta per sempre. “KAORI, IO TI AMO!”
“Oh
insomma,
adesso basta! Saeba, fai un favore a tutti e smettila di metterti in
ridicolo!”
il magnate della tecnologia lo apostrofò, mentre, intanto,
intorno a loro, gli
amici di Ryo e Kaori battevano entusiasti le mani, incoraggiando la
coppia a
compiere quell’ultimo passo che li divideva dalla
felicità. “Kaori, rispondi al
vicesindaco, così almeno la facciamo finita una volta per
tutte e ce lo leviamo
dai piedi!!”
Con
gli occhi
lucenti di lacrime, ed il cuore che le batteva con tale forza nel petto
che Ryo
credette di vederlo, Kaori
guardò l’uomo
che nemmeno due anni prima aveva quasi sposato; in tutti quegli anni,
Ryo non
le aveva mai detto quella frase, né a lei né a
nessun’altra.
Ryo
si limitò a
sorriderle, incatenato alla meraviglia dello sguardo di lei.
“Rispondi,
Kaori.” le disse con disarmante semplicità, mentre
portava una mano a sfiorarle
il viso.
Kaori
guardò Ryo,
poi il fratello, che le fece cenno di sì col capo,
sorridendole benevole e
comprensivo e quasi grato, mentre, Saeko al suo braccio, la sua
compagna
piagnucolava come una ragazzina emozionata, le lacrime che le distavano
il
trucco raffinato e ricercato ed infine si voltò verso
Shinji, che spalancò gli
occhi, incredulo.
“Kaori,
andiamo,
non starai davvero pensando di…”
Sibilò, capendo fin troppo bene quale aria
tirasse. “Non vorrai fare la sciocchezza di rimetterti con
lui! Lo sai che tu
ed io siamo perfetti insieme, ce lo dicevano tutti da ragazzi! Vogliamo
anche
le stesse cose… e poi, io non ti farei mai piangere, non
come faceva lui!”
“Kaori
non ha
bisogno di un uomo che le dica cosa vuole dalla vita,” Ryo
sentenziò, colpendo
Shinji con uno sguardo glaciale, e quelle parole, quello sguardo, le
parlarono
molto di più di quella confessione d’amore: Ryo la
stava lasciando libera di
scegliere, dandole però tutte le informazioni necessarie
perché la sua scelta
fosse consapevole. “Lei lo sa benissimo cosa vuole, e chi vuole!”
Ed
in quel
momento, c’era solo una possibilità. Forse sarebbe
stato un errore, forse sarebbe
tornato tutto come prima, ma Kaori voleva provarci, voleva credere che
i loro
amici, che il suo cuore, quello di Ryo stessero dicendo il vero, e che
lui
fosse davvero cambiato: se non lo avesse fatto, sapeva che se ne
sarebbe pentita
per il resto dei suoi giorni, vivendo chiedendosi come sarebbe potuto
essere
tra di loro.
“Mi
spiace,
Shinji. Sei sempre stato un bravo ragazzo ed un mio carissimo amico.
Tengo
davvero tanto a te e hai ragione, in teoria saremmo potuti essere
perfetti
insieme, ma non credo che ci siamo mai davvero amati. Ci piaceva
giocare alla
coppietta, alla famigliola felice, ma…” piangendo,
ma con il sorriso sulle
labbra, Kaori si voltò verso Ryo, e gli portò la
mano destra alla guancia. Ryo,
col sorriso, si lasciò andare a quel contatto, emettendo un
sospiro di
sollievo, mentre il suo cuore si placava, forse per la prima volta
davvero in
tanti anni.
Kaori
non aveva
bisogno di dirgli nulla: i loro sguardi parlavano più di
mille parole. Era
sempre stato così, e sempre sarebbe stato.
“Ma,
anche se sei
pieno di difetti, non riesco a smettere di amarti, Ryo.”
Ridendo
felice
come un ragazzino, Ryo la afferrò per il polso, coperto dal
delicato guanto di
pizzo, e come la prima volta che l’aveva baciata di sua
volontà la
tirò contro di sé, affondando il naso nei
ricci profumati, la veletta che gli solleticava piacevolmente la pelle,
e Kaori
si lasciò andare a quel contatto mentre il vicesindaco
gettava a terra i fogli
e se ne andava via sbattendo i piedi e Shinji li guardava con la bocca
aperta e
gli occhi sgranati, incredulo che una cosa del genere fosse potuta
accadere.
“Su,
su, andiamo,
mica è la fine del mondo, il Giappone è pieno di
donne, non lo sa?” Il magnate
dell’industria si voltò, e vide che una bella
donna dai lunghi capelli castani
lo aveva preso a braccetto. Batté le palpebre un paio di
volte per capire se
fosse vero e stesse capitando davvero, e dovette ammettere che non era
tutto
frutto della sua fantasia.
Kaori
era davvero
abbracciata a Ryo Saeba e lui aveva davvero una graziosa ragazza che lo
stringeva
contro il proprio prosperoso seno.
Forse
Kaori aveva ragione: erano innamorati entrambi dell’idea
dell’amore, non l’una
dell’altra, e la loro amicizia era così forte e
salda che nemmeno il suo
orgoglio sembrava essere stato scalfito da quel rifiuto.
“Sono
Reika
Nogami, lavoravo con Ryo e Kaori… cosa ne dice, andiamo ad
annegare le nostre
sofferenze in un paio di bicchieri di sakè?”
L’uomo
arrossì, e
sorrise ebete grattandosi la nuca, mentre intanto
amici e colleghi della sposa fuggitiva e del
suo bel tenebroso li incitavano a scambiarsi un bacio, Ryo e Kaori non
gli
dettero ascolto, e, corsero fuori dal comune, mano nella mano, ridendo
e
scherzando proprio come quando erano stati ragazzini; nel piazzale, Ryo
raggiunse Mick, che lo attendeva mollemente appoggiato allo sportello
della sua
macchina italiana.
“Ce
ne hai messo
di tempo, vecchio volpone!”
l’americano
lo prese in giro, prima di fare l’occhiolino a Kaori, con
sommo disappunto di
Ryo che lo fulminò. “Ma almeno vedo che
è servito a qualcosa tutto questo
can-can… la bella sposina l’hai salvata!”
“Quanto
sei
scemo, Mick!” Kaori ridacchiò, nascondendosi la
bocca scarlatta dietro alla
manina guantata. Si voltò indietro, e vide riuniti tutti i
loro amici, i loro
colleghi, quelli che negli anni erano divenuti la loro famiglia, ed in
quel
momento comprese cosa le era sfuggito fino a quel giorno: quella era le
perfezione, la felicità. Non aveva bisogno di trasferirsi in
una casa con tre
bagni, giardino e cinque camere da letto, né che Ryo le
mettesse l’anello al
dito. Voleva solo quelle tre parole, da lui, e stare
con lui, circondata dall’affetto dei loro cari.
E
poi, chissà:
Ryo aveva saputo fare quella ammissione… magari, col tempo,
le sarebbe venuto
ulteriormente incontro, e le avrebbe dato ciò che aveva
sempre desiderato da
lui… un figlio loro.
Ma
avevano ancora
tempo, per quello. Adesso erano Ryo e Kaori, e per lei era abbastanza.
Era
tutto quello che voleva, che aveva sempre voluto…
l’inizio della loro storia,
anzi: di un nuovo capitolo di quel racconto iniziato tanto tempo prima,
quando
lo aveva incontrato per la prima volta, innamorandosene
all’istante nonostante
Ryo all’epoca non fosse chissà quale bel soggetto.
“Oh,
prima che mi
dimentichi… Ho una cosa per te!” Le disse
facendole l’occhiolino. Ryo le mise
nel palmo della mano un piccolo oggetto metallico, freddo, e la donna
si stupì
che fosse uno dei suoi orecchini preferiti, che aveva smarrito mesi
prima.
“L’hai perso mesi fa, una sera che siamo andati a
prendere un panino insieme, e
io… io aspettavo l’occasione giusta per
ridartelo!”
Il
poliziotto si
voltò velocemente verso Mick, e gli fece
l’occhiolino, mimando con la bocca la
parola grazie: aveva fatto bene a darlo a lui. Aveva affidato la
scatolina
portagioie al vecchio amico in un momento di sconforto, ma Mick, come
sempre,
aveva avuto la vista lunga - e non se n’era mai separato,
attendendo
l’occasione giusta per ridarglielo.
“Ho
anche
l’anello, sai… quello lo avevo scelto per te, e
non me ne sarei mai potuto
separare, ma…” le disse, giocherellando con la
scatola che teneva in tasca. “Ma
non voglio mettere a nessuno di noi due fretta, Kaori… per
adesso… per adesso
puoi accontentarti di essere mia?”
Strinse
nelle sue
le mani di Ryo, ed accennò un timido sì con un
gesto del capo. Ryo aveva conservato
l’anello, non lo aveva venduto…
quell’anello che lei una sera aveva gettato
contro il muro, che aveva passato ore e ore a riguardare… e
che quel giorno,
mentre Shinji lavava i patti, lei aveva indossato
all’anulare, sorpresa quando
poi era stato Shinji ad entrare in camera, e non Ryo. Si era
così arrabbiata –
così spaventata – per
quella sua
reazione che aveva deciso di liberarsi di quel ninnolo, lo aveva
venduto,
svenduto, aveva perfino cercato di instillare in lei (ed in Ryo) la
falsa
consapevolezza che per lei non avesse significato nulla…
eppure, quando aveva
creduto che Ryo non fosse stato in grado di ritornarne in possesso, lei
ci era
rimasta, segretamente, male, e si era sentita male, sbagliata, per
questa sua
reazione.
Ma
lui lo aveva
trovato. E lo aveva tenuto con sé.
Ryo
le sorrise,
con occhi pieni di amore; adesso, ne era certo: un giorno, sarebbe
stato pronto
per fare quel passo. E anche tutti i successivi. Non solo le avrebbe
detto,
ancora e ancora e ancora, che l’amava, ma l’avrebbe
sposata, e le avrebbe dato
la casa e la famiglia che Kaori aveva sempre desiderato.
Quasi
avesse
percepito cosa stesse pensando, e forse era davvero così,
Kaori gli sorrise,
dolce ed innamorata, sguardo incantato ed incantevole, e
lanciò il bouquet alle
sue spalle, ridendo quando, sotto lo sguardo timido di Falcon, che
arrossì come
un ragazzino, finì nelle mani di Miki, che con aria sognante
ne inspirò a fondo
il profumo: la donna guardò di sottecchi l’uomo
che amava da tanti, troppi
anni, e gli sorrise, timida ma determinata, desiderosa di poter
condividere con
il suo amore quella gioia che adesso Kaori stava provando,
ripromettendosi di
fare qualunque cosa fosse necessaria per convincere l’ex
poliziotto a camminare
verso l’altare con lei, immaginandosi già il
vestito che avrebbe indossato, e
la chiesetta dove avrebbero celebrato le loro nozze…
Mentre
le campane
in lontananza suonavano a festa, Kaori gettò le braccia al
collo di Ryo, e
chiudendo gli occhi, lo baciò, lenta, languida e dolce,
assaporando il sapore
di quel bacio ed il dolce sorriso di lui contro le sue
labbra… quello non era
il loro primo bacio, eppure ne aveva tutto il sapore…
perché era il primo della
loro nuova vita insieme.
L’avventura
era
appena cominciata!
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