Il lupo e la volpe

di Mr Lavottino
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Introduzione ***
Capitolo 2: *** Capitolo I ***
Capitolo 3: *** Capitolo II ***
Capitolo 4: *** Capitolo III ***



Capitolo 1
*** Introduzione ***


Un corridoio stretto e buio, una luce fioca che funzionava ad intermittenza, il rumore di un ferro contro il muro, una sagoma maschile armata di un tubo arrugginito, urla, grida, sangue e tanta, tanta, stanchezza. Queste immagini si riversarono nella testa di Zoey nell’esatto momento in cui aprì gli occhi. Si ritrovò seduta, con la fronte sudate, gli occhi sgranati ed entrambe le mani appoggiate sul costato per cercare in qualche modo di placare il battito del suo cuore, che si agitava come una bandiera smossa dal vento di una tempesta.
Si guardò attorno e subito il sogno che aveva fatto le tornò fisso in mente. C’era, davanti a lei, quello stesso corridoio e la stessa luce fioca che ogni due o tre secondi, con cadenza stranamente regolare, si spegneva per qualche istante per poi accendersi di nuovo.
Zoey respirava forte, così forte da riuscire a sovrastare i fischi che sentiva nella sua testa, ma, peggio ancora, non riusciva a ricordarsi nulla, né chi fosse, né come fosse arrivata in quel luogo. Solo il suo nome, quelle quattro lettere che tanto poco potevano aiutarla a capire. Allontanò lentamente la mano destra dal costato, come se avesse paura che facendolo il cuore le sarebbe fuggito dal petto, e la appoggiò sulla chioma rossastra. Le faceva male ed in più c’era  quella che sembrava una crosta, o forse del sangue secco. Facendo due più due, capì di essere stata sequestrata e portata in quel luogo stranamente familiare. In altre circostanze si sarebbe chiusa a riccio ed avrebbe riversato un fiume di lacrime, ma sentiva il forte impulso di allontanarsi da quel luogo e per di più era talmente stordita da non riuscire ancora a metabolizzare con certezza cosa stesse accadendo.
Provò ad alzarsi, ma le sue gambe ci misero più del dovuto a recepire il comando. Fu costretta ad appoggiarsi al muro, nell’attesa che i suoi arti inferiori smettessero di tremare come foglie. Un passo dopo l’altro, le gambe di Zoey ripresero finalmente a funzionare a dovere.
Riuscì a fare giusto cinque o sei passi, prima che un rumore familiare le penetrasse le orecchie: un pezzo di ferro contro il muro. Gli occhi marrone legno di noce di Zoey si spalancarono di colpo. Ma a spaventarla non fu tanto il rumore di per se, bensì la figura che, con una lentezza asfissiante, le stava andando in contro. Quando quella la vide, si fermò per un istante, giusto qualche secondo per capire se c’era davvero una ragazza barcollante appoggiata al muro o semplicemente la luce difettosa giocava brutti scherzi.
Zoey contrasse tutti i suoi muscoli e si spiaccicò contro il muro, sperando con tutta se stessa di non star per essere uccisa. Non aveva la forza né per correre via, né tantomeno per difendersi. La sua paura aumentò esponenzialmente quando notò il tubo di ferro, in parte arrugginito, che la sagoma teneva in mano in maniera scomposta che strusciava contro il muro provocando quel fastidioso suono.
- Dannazione, sembra che tu abbia visto un fantasma. – la figura si fermò a qualche metro da lei. Zoey sbatté diverse volte gli occhi, poi, finalmente, iniziò a vedere qualcosa di più di un semplice contorno. Era un ragazzo alto, dai capelli neri, la barba incolta, il viso marchiato da diversi piercing e due occhi azzurri talmente lucenti che, probabilmente, sarebbe riuscita a vedere anche senza la luce tentennante.
- Chi sei? – domandò Zoey con voce esitante. Le sue labbra tremavano, mentre le gambe iniziavano a dare cenni di cedimento. Il ragazzo si lasciò andare ad una risatina, poi fece un passo in avanti ed allungò il tubo verso di lei.
- Calmati, bocciolo di rosa. – iniziò, fermandosi poco dopo – Qui le domande le faccio io. Intesi? – la guardò negli occhi in attesa di un cenno di assenso che Zoey mandò subito scuotendo la testa – Perfetto, vedo che siamo d’accordo. Chi sei? – domandò quindi lui, riportando leggermente verso di se l’arnese.
- Zoey. – balbettò la rossa – Mi chiamo Zoey. – corresse poi, senza però riuscire a cancellare i tentennamenti.
- Davvero un bel nome. – il ragazzo abbassò definitivamente il tubo e si grattò la nuca con la mano libera – Dalla tua faccia si direbbe che non hai idea del perché siamo qui. – accennò poi. Esalò un lungo sospiro ed attese con calma che Zoey proferisse parola.
- Non ricordo nulla. Solo come mi chiamo. – spiegò lei, serrando i denti sul suo labbro inferiore. Lo sguardo di Zoey passavano dal tubo arrugginito agli occhi del ragazzo ad una velocità disarmante.
- Ti pareva. – il ragazzo si lasciò andare ad una smorfia – Hai anche tu la carta? – domandò poi, ricevendo per risposta uno sguardo stranito da parte della rossa. Duncan infilò una mano in tasca e ne tirò fuori un pezzo di carta plastificata. Zoey assottigliò gli occhi per vedere meglio la figura che c’era sopra e, dopo qualche istante di tentennamento, riuscì a distinguere il disegno stilizzato del muso di un lupo – Guarda se ne hai una anche tu. – Duncan la invitò a verificare e lei, senza aggiungere una parola, poggiò le dita soprala tasca e subito sentì un leggero rialzo.
Affondò, non senza esitazioni, le mani al suo interno e ne estrasse una carta proprio come quella di Duncan, con il retro rossastro ornato di piccoli pallini viola e il contorno delle estremità bianco. La girò lentamente, fino a che anche la figura non le apparve completamente visibile: era il muso di una volpe rossa.
- Volpe. – lesse ad alta voce. Duncan guardò la carta per qualche secondo, poi distolse lo sguardo e sbuffò ancora.
- Dove cazzo siamo, all’allegra fattoria? – roteò gli occhi e colpì, senza metterci molta forza, il muro con il tubo di ferro.
- Come ti chiami? – domandò Zoey. Ci fu qualche secondo di silenzio, durante il quale il ragazzo boccheggiò diverse volte, per poi ancorare il suo sguardo verso il pavimento.
- Duncan. – non aggiunse altro, si limitò a fare un altro lungo sospiro e a riprendere a guardarsi intorno.
- Nemmeno tu sai perché siamo qui, giusto? – Zoey, intimidita da tutto quel silenzio, cercò di intavolare una conversazione che potesse essere utile ad entrambi.
- Da cosa l’hai capito? – accennò lui – Dal mio sguardo spaesato o da tutti i miei sospiri? – concluse, con un certo accenno di schiettezza. Duncan fece battere il tubo contro il muro, dopodiché mosse qualche passo verso di Zoey, fino a sorpassarla e a proseguire dritto.
- Dove stai andando? – domandò prontamente lei.
- Sto cercando la porta di uscita. – rispose, con un’ironia talmente sottile che per Zoey fu alquanto difficile da capire.
- Posso venire con te? – i loro occhi si incrociarono. Duncan all’inizio sembrò esitante, ma poi si limitò ad alzare le spalle.
- Fa come ti pare. – disse, dopodiché riprese a camminare verso una direzione a lui sconosciuta.
La loro camminata assieme durò parecchio, così come durò parecchio il velo di silenzio che si abbatté su di loro come una pioggia torrenziale. Zoey avrebbe voluto parlargli, ma non aveva un granché di cui discutere, anche perché non ricordava nulla che potesse aiutarla ad intavolare una discussione. Per di più, Duncan sembrava tutt’altro che interessato all’avere una propria conversazione con lei, era troppo stizzito dall’essere rinchiuso là dentro senza nemmeno sapere il perché per potersi lasciare andare ai convenevoli.
Tuttavia, dopo dieci lunghi minuti, qualcosa cambiò in quel lungo corridoio sporco e dalla luce mal funzionante. Alla loro destra, proprio come un’oasi nel deserto, apparve una porta di ferro. Era color verde bottiglia, fatta eccezione per varie parti scrostate piene di ruggine, ed aveva una piccola maniglia nera che sembrava tutt’altro che salda.
- Finalmente qualcosa di interessante. – Duncan poggiò la mano sulla maniglia e la tirò giù con forza. Un rumore stridulo e acuto pervase l’area, mentre con non poca fatica la porta si spalancava di fronte ai loro occhi.
Duncan entrò per primo, seguito da una Zoey tutt’altro che tranquilla. La stanza era completamente buia, tanto che Duncan dovette smanettare per qualche secondo prima di riuscire a trovare l’interruttore. Una volta premuto, la luce si rivelò essere esattamente come quella del corridoio: fioca e ad intermittenza.
Non appena poterono vedere qualcosa, sia Zoey che Duncan incominciarono a guardarsi attorno.
La stanza era dipinta di un bianco sporco ed ingiallito dal tempo, così come erano ingialliti i libri posti sugli scaffali di ferro mal ridotti che erano accatastati lungo i bordi della stanza. Al centro, invece, c’era un leggio in legno su cui era posto un libro chiuso.
- Dove siamo? – domandò Zoey guardandosi attorno. Teneva le mani strette sul costato e muoveva passi incerti cercando di stare dietro di Duncan. Era troppo intimorita per riuscire a prendere l’iniziativa. Non capiva bene il perché, ma era quasi come se avesse il presentimento che qualcosa di brutto stesse per accadere o, meglio ancora, per cominciare.
- Sembra una specie di biblioteca. – constatò Duncan. Si avvicinò ad uno degli scaffali e prese un libro a casaccio. Tentò di leggere la copertina, ma era scritta in una lingua a lui sconosciuta che gli ricordava l’arabo – Ma che diavolo sono questi caratteri? – lanciò il libro sulla mensola e riprese a gironzolare per la stanza.
Duncan si avvicinò al leggio al centro della stanza ed aprì il libro ad una pagina a caso. Nell’esatto momento in cui le pagine diventarono visibili, una flebile musichetta iniziò a riecheggiare all’interno della stanza. I due incominciarono a guardarsi attorno, fino a che non notarono una vecchia cassa posta in alto in uno degli angoli più bui della stanza.
- Benvenuti a tutti. - una voce sostituì la musica – È per me un onore essere qui e spero sia lo stesso per voi, miei cari cuccioli. Immagino vi starete chiedendo il perché siate rinchiusi qua dentro, giusto? – la voce si interruppe per qualche istante, dando il tempo a Duncan e Zoey si guardarsi in volto con espressione stranita – Ebbene, miei cari cuccioli, lasciate che vi racconti una storia. – una musica leggera si diffuse in sottofondo, poi la voce riprese a parlare.
- C’era una volta una volpe dal pelo rosso lucente. La volpe era ben voluta all’interno del bosco ed era considerata la regina incontrastata di quelle terre. Nessuno osava mettere in discussione l’autorità della volpe, perché tutti la amavano ed erano soddisfatti del modo in cui regnava sul bosco.
Tuttavia, un giorno un lupo osò sfidare la volpe. La volpe, che era buona e caritatevole, decise di accettare la sfida del lupo. Organizzò quindi una competizione all’interno del bosco, alla quale avrebbero partecipato tutti gli animali, perché era giusto che tutti avessero le stesse possibilità di vittoria.
La competizione consisteva in una caccia, alla quale parteciparono diversi animali. Il primo che avrebbe ucciso la volpe sarebbe stato il vincitore ed avrebbe ottenuto il titolo di re del bosco. – finito di raccontare la storia, la musica si interruppe.
- Adesso guardate nelle vostre tasche, miei giovani cuccioli. La carta che troverete vi dirà che animale siete. – la voce si fermò di colpo in attesa che tutti obbedissero al suo comando.
Zoey appoggiò la mano sopra la tasca, mentre il suo cuore batteva alla velocità di un motore a scoppio. Lei era la volpe. Duncan, dal canto suo, puntò gli occhi turchesi verso di lei, senza distogliere lo sguardo nemmeno per un secondo. Zoey sussultò, sempre più preda del panico.
Che la caccia alla volpe abbia inizio. –
Duncan saldò la presa sul tubo di ferro e Zoey sbiancò dalla paura. La ragazza indietreggiò con le gambe tremanti fino ad andare a sbattere con la schiena contro il muro. Dopodiché si ritrovò seduta per terra, con la sagoma di Duncan a coprire la fioca luce della stanza.
 
 
ANGOLO AUTORE:
Ciao! L’idea per questa storia mi è venuta casualmente, mentre pensavo ad un altro modo per poter utilizzare i personaggi OC. Sono giunto alla conclusione che quello che mi mancava fosse l’usarli come personaggi cattivi.
Perciò… beh, eccomi qua. Una storia slash come ai vecchi tempi, con *inserire numero casuale* di ragazzini dentro ad una casa e tante armi bianche per ammazzarsi allegramente.
Non preoccupatevi, questa storia NON è una Doey (almeno per ora eheheh).
Ah, parto con un presupposto di base: questa storia è ad OC, ma gli OC non sono indispensabili. Ergo, se non ce ne saranno abbastanza, forse, la storia andrà comunque avanti.
Vi lascio qua sotto la scheda del personaggio nel caso in cui decideste di partecipare.
Nome:
Cognome:
Età (sopra i 18):
Aspetto fisico:
Descrizione caratteriale:
Storia:
Abbigliamento generico:
Traumi eventuali (in questa storia potete metterli, ce ne sarà bisogno):
Animale di riferimento (potrebbe variare a seconda di varie variabili):
*Tutti i personaggi sono soggetti alla clausola Aya, ergo posso modificarli a mio piacimento per motivi di trama qualora fosse necessario. Non preoccupatevi, cercherò di non fare casini ;-)
 
Ah, quest’anno offro anche un delizioso servizio di “creazione d’identità/caratteristiche fisiche”, nel senso che se non avete idee/voglia per quanto concerne la creazione dell’OC, potete mandarmi semplicemente uno scheletro vuoto (ergo, solo Nome, Cognome, Aspetto fisico e abbigliamento) oppure un identikit caratteriale al quale io provvederò a creare un volto.
Vi ringrazio per la disponibilità, eventuale, e ci vediamo alla prossima!

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Capitolo 2
*** Capitolo I ***


Un ragazzo in sovrappeso, il leggio insanguinato, Duncan morto e lei nelle mani di una figura ricoperta di sangue che voleva ucciderla. Queste immagini le passarono per la testa come un treno sui binari.
- Che cazzo stai facendo? – Duncan guardò Zoey con un sopracciglio alzato ed un accenno di sorriso in volto. La ragazza ci mise un bel po’ a togliere le mani da davanti al viso e ad aprire gli occhi, chiusi istintivamente per la troppa paura.
- Non vuoi – si bloccò subito. Sentiva il respiro mancarle – uccidermi? – chiese con sguardo tremante. Duncan puntò gli occhi verso il soffitto, come se ci stesse pensando su.
- No, direi di no. – piegò la testa di lato e continuò a guardarla con sguardo stranito. A quel punto Zoey provò a tirarsi su cercando di far leva sulle sue gambe tremanti. Ancora non aveva metabolizzato cosa fosse accaduto, ma era certa che quell’annuncio era l’inizio di una caccia all’uomo, o meglio animale, con lei come bersaglio principale.
- Vogliono ammazzarmi. – sussurrò, mentre il cuore in petto riprendeva a battere con forza – Perché?- chiese, prima di scoppiare a piangere di colpo. Duncan, quasi infastidito dalla scena, si girò di spalle e fece finta di nulla.
- Immagino sia vero – confermò poi. Zoey aumentò l’intensità dei singhiozzi, ma Duncan la sovrastò con la sua voce – Tuttavia, io non so perché devo farlo. E se c’è una cosa che odio è che mi si dica cosa devo fare. – sbatté con forza il tubo sul pavimento e puntò gli occhi verso la cassa.
- Quindi non mi ucciderei? – Zoey appoggiò una mano sul muro per farsi forza e guardò fissa l’altro, che si lasciò andare ad una risatina.
- Questo non posso promettertelo con certezza, ma per adesso non intendo farti del male. – Duncan alzò le spalle – Piuttosto, cerchiamo di capire come uscire di qui e, magari, trovare qualche arma. –
- Arma!? – ripeté Zoey sgranando gli occhi.
- Scusami, ma con cosa pensi di difenderti? Stai certa che non cercheranno di ammazzarti con baci e carezze. – ironizzò lui, grattandosi e scuotendo la testa al tempo stesso.
- Hai ragione. – constatò Zoey, per poi avvicinarsi al leggio al centro della stanza. Il suo sguardo cadde sulla copertina in pelle sopra la quale c’era un’incisione con caratteri dorati – “Il segreto della volpe”. – lesse ad alta voce. Duncan si girò verso di lei e la guardò come se fosse un fantasma.
- Riesci a leggere quei caratteri? – domandò, indicandola con l’indice tremante. Zoey, sulle prime, non capì precisamente cosa volesse dire. Per lei, quei caratteri erano perfettamente comprensibili.
- Certamente. – disse, piegando la testa da un lato – Perché, tu non ci riesci? – aggiunse poi con sorpresa.
- Ovvio che non ci riesco. Mica è scritto in inglese! – borbottò Duncan, infastidito dal tono della rossa. Zoey sfogliò le pagine del libro, costatando come effettivamente riuscisse a leggere senza problemi quel tipo di scrittura. Una pagina in particolare attirò la sua attenzione, dove c’era l’illustrazione di una volpe rossa.
- “La volpe aveva poteri unici ed indistinguibili, riusciva a vedere il domani e, quindi, a vedere il flusso d’acqua che scorreva nel suo verso. Estasia, conquista e raggira; furba ed elegante, si muove con scaltrezza ed audacia verso il suo obiettivo.” – lesse, con un po’ di fatica.
- Che cazzo significa? – chiese Duncan, cercando di cavarne un ragno dal buco.
- Non ne ho idea. – Zoey scosse la testa e riprese a sfogliare le pagine finché non trovò l’illustrazione di un lupo – Guarda, qui c’è il tuo animale. – toccò la figura con un dito ed intimò Duncan di andarle vicino.
- Che dice? – domandò, mentre con gli occhi analizzava la bellissima illustrazione colorata a regola d’arte.
- Niente, sono solo delle illustrazioni. – Duncan sbatté gli occhi diverse volte, poi guardò Zoey alla ricerca di un qualche dettaglio aggiuntivo – Non c’è scritto nulla. –
- Che palle! – sbatté il tubo contro il leggio e lo fece cadere in avanti.
- Il libro! – Zoey riuscì ad afferrarlo al volo, mentre il pezzo di legno cadde sul pavimento. L’eco del colpo riecheggiò per qualche secondo, poi lentamente ritornò il silenzio.
- Qui dentro c’è qualcuno! – una voce maschile, proveniente dal corridoio, attirò la loro attenzione. Zoey sbiancò immediatamente. Duncan le fece cenno di mettersi dietro di lui, dopodiché entrambi puntarono gli occhi sulla porta in attesa che si aprisse.
Ci volle quasi un minuto intero, come se la persona fuori non riuscisse a spingere la maniglia. Non appena il cigolio della porta si fece più forte, Zoey afferrò istintivamente la manica di Duncan con forza. La porta si spalancò, ma nessuno fece il suo ingresso nella stanza.
Duncan, a quel punto, si fece di qualche passo in avanti, così da avere una perfetta visuale sull’entrata e lì, appoggiato allo stipite con il fiatone, trovò un ragazzo in sovrappeso dai capelli biondi che, ansimando, faceva del suo meglio per non morire d’infarto dopo lo sforzo fisico.
-Finalmente – un respiro profondo – ho trovato – un altro respiro profondo – qualcuno. – concluse, per poi guardare Duncan con un sorriso. Aveva il volto sudato e completamente rosso, mentre con i suoi occhi scuri cercava di mettere a fuoco la persona che aveva davanti.
Zoey si fece un passo in avanti per vedere la scena e venne prontamente fulminata con lo sguardo da Duncan. Non ci pensò due volte, dopo aver visto gli occhi infuriati del moro, si nascose dietro ad uno scaffale posto sul fondo della stanza.
- Cavolo, è stata una camminata davvero lunga! – il biondo si tirò su con fatica, si asciugò il sudore con la mano e poi si avvicinò verso di Duncan, al quale porse proprio la mano sudaticcia ed appiccicosa – Io mi chiamo Owen. – si presentò, attendendo che l’altro ricambiasse il gesto di cortesia.
- Da dove vieni? – Duncan non si preoccupò delle presentazioni, né tanto meno dello stringergli la mano. Rimase fermo in ipertensione squadrando Owen da cima a fondo.
- Che vuol dire da dove vengo? Ero in giro per il corridoio alla ricerca della volpe. – spiegò, con una normalità tale da far raggelare il sangue nelle vene di Zoey. Le sue paure erano fondate: là fuori c’era davvero gente che voleva ucciderla.
- Hai trovato niente di interessante? – domandò Duncan, cercando nel frattempo di pensare ad un modo per cacciarlo senza destare sospetti. Zoey era nascosta, ma non poteva comunque farlo restare lì per troppo tempo e nemmeno poteva mandarlo via senza una valida motivazione.
- Niente di niente, questa è la prima porta che ho trovato in dieci minuti di camminata. – Owen alzò le spalle e si aggiustò i capelli arruffati con la mano – Tu che animale sei? Io sono l’orso. – estrasse la carta dalla tasca e gliela mostrò tutto soddisfatto.
- Il lupo. – Duncan fece lo stesso.
- Bravo, vedo che non menti. – si complimentò Owen lasciandolo un po’ stranito.
- Comunque qui non c’è niente, se vuoi puoi riprendere la ricerca. – Duncan gli fece cenno di tornare fuori, ma Owen scosse la testa.
- Assolutamente no! Più siamo e meglio è, il nostro obiettivo è quello di cacciare tutti insieme la volpe. – sorrise Owen, per poi fare un altro passo dentro la stanza. Duncan guardò Zoey con la coda dell’occhio e tirò un forte sospiro.
- Senti un po’, grassone. – si mise davanti a lui per bloccargli la vista dello scaffale incriminato – Mi spieghi un po’ questa storia della caccia alla volpe? – Owen lo guardò confuso, un po’ come aveva fatto Zoey con lui quando le aveva detto di non saper leggere quei caratteri.
- Mi vuoi dire che in realtà non sai nulla di quello che sta succedendo? – chiese Owen, spalancando la bocca per la sorpresa.
- No, non so nulla. So della caccia solo perché quello sciroccato ci ha –
- Non chiamare sciroccato il nostro signore! – tuonò Owen, sovrastando le parole di Duncan. L’espressione sul suo volto si era fatta dura ed infuriata, tanto che Duncan non poté nascondere la pelle d’oca. Poco dopo, tuttavia, Owen tornò docile e mansueto come prima – Va bene, se non sai il perché siamo qui te lo spiegherò io: la volpe è benevola, talmente benevola che vuole che tutti noi possiamo prendere il suo posto. Per questo siamo qui. – spiegò, dando al moro uno strano senso di dejà vu.
- Mi hai praticamente fatto il riassunto di quanto ha detto quel co – lo sguardo di Owen si incupì – coltissimo uomo. – Owen sorrise e Duncan capì di essersi risparmiato un urlo in pieno volto.
- Chiunque ucciderà la volpe avrà avverato il suo più grande desiderio! Capisci cosa significa? – Owen lo guardò dritto negli occhi con espressione sognante.
- Direi proprio di no. – Duncan non poté far altro che grattarsi la testa, sempre più confuso dallo strano modo di comportarsi dell’altro.
- Che potrei chiedere cibo infinito! – Owen intrecciò le dita delle mani ed iniziò a lasciarsi andare ad un lungo elenco di pietanze – Pizza, pasta, poutin, porridge, paella – l’elenco era talmente vasto che dopo poco Duncan non riuscì a stargli dietro, si preoccupò più di voltarsi di tanto in tanto per cercare di tenere d’occhio Zoey.
- Dannazione, quest’idiota non vuole proprio andarsene. – pensò, sempre più seccato.
- Amico, posso farti una domanda? – chiese Owen, interrompendo di colpo il suo lungo elenco.
- Dimmi. – Duncan alzò un sopracciglio e lo guardò.
- Perché ogni tanto ti guardi dietro? – Duncan sudò freddo. L’aveva decisamente sottovalutato – Non è che stai nascondendo qualcosa? – l’espressione di Owen si fece cupa ed inquietante – Chi c’è la dietro? – il biondo fece un passo avanti, ma Duncan gli appoggiò una mano sulla pancia per fermarlo.
- Aspetta un attimo. Chi ti ha dato il permesso di entrare? – assottigliò lo sguardo cercando di impaurirlo. Per tutta risposta, Owen lo spinse con forse addosso al muro e poi si avviò di prepotenza verso lo scaffale dietro al quale era nascosta Zoey. La rossa non poté far altro che poggiarsi entrambi le mani sulla bocca per cercare di rimanere il più in silenzio possibile, mentre l’altro girellava nelle sue vicinanze con intenzioni tutt’altro che amichevoli.
Owen perlustrò la zona muovendo rapidamente gli occhi da un punto all’altro della stanza, poi si fermò di colpo, abbandonò l’espressione cupa e tetra e tornò il ragazzo allegro e gentile di poco prima.
- Oh, quindi non c’era nessuno. Scusami, sono stato troppo avventato. – disse ridendo, mentre guardava Duncan che si alzava a fatica. Si girò poi verso lo scaffale, dietro il quale era nascosta Zoey, ed i suoi occhi si illuminarono – Questo libro lo conosco! – afferrò un libricino dalla copertina gialla e, proprio nel momento in cui le sue dita paffute toccarono la carta, il suo sguardo cadde accidentalmente verso quello di Zoey, che lo stava osservando terrorizzata.
Fu un istante, una frazione di secondo. Zoey vide volare via lo scaffale e si ritrovò Owen davanti a lei, senza nulla fra di loro. La ragazza sgranò gli occhi per la paura, mentre l’aggressore si crogiolava in un sorriso diabolico che lasciava ben intendere le sue intenzioni.
- Sei tu. – disse poi, senza riuscire a trattenere una risata – Tu sei la volpe! – Zoey provò a scuotere la testa in segno di dissenso – No, lo percepisco! Sei tu la volpe. Mi basta guardarti negli occhi per capirlo! – Owen alzò un pugno per colpirla. Zoey non poté far altro che mettere i bracci davanti al volto per difendersi in attesa di venire colpita, ma, poco prima che il pugno di Owen andasse in porto, Duncan lo colpì con il tubo di ferro facendolo cadere per terra. Il biondo cadde per terra ed una grossa chiazza di sangue iniziò a formarsi sul pavimento andando a macchiare tutti i libri sparsi per terra.
- Gli avevo detto di non entrare. – disse Duncan, guardando la scena con il fiatone senza il minimo accenno di rimorso. Alzò poi gli occhi verso di Zoey, nel frattempo scoppiata in lacrime – C’è mancato poco. –
Zoey, lentamente, riprese lucidità e a quel punto le tornò di nuovo la sensazione di dejà vu. Guardò il corpo di Owen steso per terra e capì di aver già vissuto, in qualche modo, quella scena. Sapeva che Owen era ancora vivo, se lo sentiva. E si sentiva pure che se Duncan non avesse agito subito lui l’avrebbe ucciso. Il respiro di Zoey si fece sempre più forte, fino a quando non rischiò di svenire per agitazione. Però non poteva. Perché se l’avesse fatto Owen li avrebbe uccisi entrambi.
- Non è morto. – sussurrò.
- Che? – domandò Duncan, che non era riuscito a sentire ciò che aveva detto. Zoey gli afferrò la maglietta e si tirò verso di lui.
- Non è morto. Se non fai qualcosa ora, se non lo fai ci ammazza, se non lo fai moriamo entrambi. Lo so, l’ho visto, sbrigati, per piacere finiscilo. Fai qualcosa. – iniziò a dire con voce tremante. Duncan, sempre più preda della confusione, le appoggiò le mani sulle spalle e la scosse per qualche secondo.
- Dannazione, riprenditi! Non capisco un cazzo di quello che dici! – le urlò in faccia, riuscendo in qualche modo a farle calmare.
- Uccidilo. – disse soltanto.
- È già morto. Non lo vedi il sangue? – obiettò Duncan, alzando gli occhi al cielo. Zoey aumentò la presa sulla sua maglietta.
- Ti dico che è ancora vivo! L’ho visto! – urlò, facendolo quasi spaventare. A quel punto Duncan, per farla smettere, si scostò bruscamente da lei, afferrò il tubo e si avvicinò al corpo di Owen. Il sangue si era espanso per quasi due metri, tanto che le scarpe di Duncan erano finite col macchiarsi di quel rosso cremisi. Duncan alzò il tubo e fece per colpirlo, ma in quell’istante Owen si sollevò da terra e cercò di aggredirlo. Seppur colto alla sorpresa, Duncan riuscì ad evitarlo e gli andò subito in contro. Il biondo provò ad afferrare il leggio da terra, senza però riuscirci. Duncan lo colpì al braccio con talmente tanta violenza da spezzargli l’osso.
Owen si lasciò andare ad un urlo di dolore disperato e scoppiò a piangere. Si lasciò cadere per terra, finendo per imbrattarsi tutti i vestiti di sangue, e cercò di indietreggiare verso il muro, ma il sangue non gli permise di far leva sul pavimento per strisciare all’indietro.
- Ti prego, non farlo! – disse poi, con la voce rotta dal pianto – Se la uccidiamo tutti noi avremmo una ricompensa! Saremo tutti quanti ricompensati. – mise il braccio sano davanti al volto e Duncan non ci pensò due volte prima di spezzargli anche quello – Ahia! – gridò, con tutta la forza che aveva in gola – Perché lo fai?! Perché la stai proteggendo? – chiese Owen a quel punto. Duncan ghignò e quel ghigno permise ad Owen di capire con chi avesse davvero a fare. Quella non era l’espressione di una persona razionale, non lo era affatto.
- Proteggere lei? – ripeté, per poi abbassarsi alla sua altezza – No, non ti sto uccidendo per proteggerla. – scosse la testa e si lasciò andare ad una grassa risata – Sono due i motivi per cui stai per morire: il primo è perché sei entrato nella stanza quando ti avevo detto di non farlo. – Duncan si fece serio tutto d’un tratto – Il secondo, quello più importante, è per avermi sbattuto contro quel cazzo di muro. – indicò la parete con il pollice. Detto ciò, alzò il tubo e lo colpì con forza fino a spezzargli il cranio. Fu solo quando la testa di Owen fu totalmente aperta che smise di colpirlo, mentre il sangue continuava a sgorgare a litri sul pavimento e sul cadavere dello sventurato. I brandelli dei denti si erano mischiati con le cervella, gli occhi erano stati spappolati e pezzi di scheletro si erano conficcati all’interno di quello che rimaneva della sua lingua, il tutto condito con qualche capello biondo imbrattato di sangue che era finito dentro la sua mascella spaccata.
Zoey, dal canto suo, era rimasta in silenzio per tutta la scena. Si era lasciata andare solo dopo che Duncan aveva finito quella tortura, finendo per vomitare sul pavimento per il disgusto, l’ansia e la paura che aveva provato. Il suo rigurgito si mescolò al sangue di Owen e questo, per poco, non la portò a vomitare di nuovo.
- Tu, mia cara, mi devi delle spiegazioni. – Duncan si avvicinò verso di lei e le tese il tubo, sul quale erano ancora appiccicati dei pezzi di cervello del povero malcapitato.
- Cosa? – domandò, scostandosi bruscamente dall’arma del delitto.
- Come sapevi che non era morto? – il ragazzo inclinò leggermente la testa di lato tenendo lo sguardo fermo su di lei. Zoey ci pensò su per un po’, poi appoggiò una mano sulla tempia ed iniziò a massaggiarla.
- L’ho visto prima, poco dopo l’annuncio. Nella mia testa sono apparse dei ricordi in cui quel tipo ci uccideva entrambi. – confessò. Duncan sbuffò, con lo sguardo perso nel vuoto. Quel discorso non aveva affatto senso, così come non l’aveva quello che era successo poco prima. Il viso di Zoey si illuminò tutto d’un tratto – Ah, giusto, mi era già successo. Io, in qualche modo, già sapevo che ti avrei incontrato. –
- Non ci sto capendo niente, onestamente. – Duncan si grattò la testa – Comunque sia, ce ne occuperemo a tempo debito. –
 
Kaylee vagava per il lungo corridoio buio senza una meta precisa. I suoi occhi azzurri si disperdevano in quel posto claustrofobico alla ricerca di un qualsiasi dettaglio che avrebbe potuto aiutarla ad orientarsi, ma la luce tentennante non le permetteva di avere un vista ottimale. Si passò una mano fra la folta chioma bionda fino a toccarsi il collo.
Non aveva ancora incontrato nessuno, nonostante stesse camminando ormai da parecchio tempo. Per di più, era anche indifesa e senz’armi. Lei, con il suo discreto metro e sessantaquattro ed i suoi quaranta chili contati, non era certo in grado di difendersi da sola in un luogo del genere. Il suo obiettivo, fin dall’inizio, era stato quello di trovare un’arma da poter usare, ma la cosa si era rivelata fin troppo difficile.
Si morse le carnose labbra rosse e proseguì nella passeggiata, cercando di elaborare qualche strategia momentanea per difendersi. L’unico oggetto che aveva con se era la sua carta, ma non era né abbastanza affilata, né tantomeno resistente per poter essere usata come arma di difesa.
Poteva pur sempre far affidamento su quello che aveva imparato nei suoi vari anni di studi. Dopotutto lei era Kaylee Boucher, giovane psicologa in erba che lavorava presso la clinica privata di MacLean dopo essersi laureata a pieni voti. Ne aveva imparati di trucchetti per dissuadere le persone, tuttavia nessuno faceva al caso suo.
Perché quello a cui stava partecipando, alla fine, era un gioco di squadra. Otto contro uno. Sulla carta le bastava non incontrare subito la volpe per farla franca, dato che gli altri giocatori erano tutti, più o meno, alleati con lei.
La probabilità di scontrarsi subito col nemico era di zero virgola quattordici. Fu proprio quel pensiero ottimista a spingerla ad osare un tantino di più. Capì che girovagare a casaccio fra i corridoi non sarebbe stato affatto il modo migliore per riuscire a trovare qualcuno.
- C’è nessuno? – urlò. Attese in silenzio per qualche istante, prima di riprovare. Ancora silenzio. Poi, dal fondo del corridoio, sentì un brusio – C’è qualcuno? – si fece qualche passo avanti e più andava avanti e più il brusio si faceva forte. Variò la sua andatura da semplice camminata ad una marcia veloce, sempre senza distogliere minimamente lo sguardo da davanti a se. Doveva pur sempre essere prudente.
- Ti dico che l’ho sentita! Sta venendo qualcuno verso di noi. – Kaylee si fermò solo quando i suoi occhi si abbatterono contro quelli dei proprietari delle voci che aveva sentito in lontananza. Erano due ragazzi: uno era alto quasi due metri, dai folti capelli neri, gli occhi scuri, la barba incolta ed una cicatrice sulla fronte che Kaylee riuscì ad intravedere nonostante la distanza e la luce. Aveva una pelle pallida ed era, nonostante l’altezza, esile e leggermente incurvato in avanti. Tutto il contrario rispetto al ragazzo accanto a lui, quello, di palesi origine latine, era robusto, dalla carnagione abbronzata, gli occhi verdi ed i capelli corti e castani.
I due guardarono Kaylee come se fosse una creatura sconosciuta. Lei stessa riconosceva di fare un certo effetto, non capitava tutti i giorni di imbattersi in una bionda con gli occhi azzurri dalle curve marcate e dal volto angelico. Quasi tutti restavano ammaliati la prima volta che la vedevano.
- Le carte. – Kaylee non perse tempo. Estrasse la sua, tenendola con il retro rivolto verso di loro, in attesa che anche loro facessero lo stesso. I due si scambiarono una rapida occhiata, poi eseguirono il comando.
A quel punto, Kaylee rivelò la sua carta, sulla quale era raffigurato una tigre. I due cacciarono un sospiro di sollievo, poi ruotarono le rispettive carte mostrando un gufo per il ragazzo latino e un leone per quello pallido.
- Fantastico, quindi siamo alleati. – anche Kaylee, finalmente, smise di tenere i muscoli irrigiditi e si tranquillizzò. Si avvicinò a loro e gli porse la mano – Io sono Kaylee, piacere di conoscervi. – nessuno dei due, però, rispose al suo gesto.
- Il tuo potere. – il pallido la squadrò da cima a fondo. La ragazza spalancò gli occhi, poi li batté velocemente cercando di ricomporsi. L’avevano appena fregata. Si mordicchiò il labbro, poi alla fine, sotto gli sguardi sospettosi degli altri, rispose.
- Leggo il passato. – non c’era nessun motivo per mentirgli. I due si scambiarono un cenno di intesa.
- Io sono Mark. – disse il latino.
- Io Luke. – aggiunse l’altro.
- I vostri poteri? – domandò prontamente Kaylee – Voi sapete il mio, è giusto che io sappia i vostri. – i ragazzi ci pensarono per qualche secondo.
- Il mio è simile al tuo, vedo il presente. – spiegò Luke ridendo e mostrando i denti leggermente ingialliti dal fumo.
- Sono una specie di radar. Capisco dove gli altri si nascondono. Più o meno. – Kaylee guardò Mark inclinando leggermente la testa.
- Che significa “più o meno”? – il latino balbettò per qualche secondo alla ricerca delle parole più opportune.
- Non è che ho una cartina in testa. Semplicemente riesco intuitivamente a capire dove si trovano. – aggiunse, cercando di essere il più chiaro possibile. Il volto di Kaylee si illuminò all’improvviso.
- Perfetto! Allora cerca di capire dov’è la volpe. – disse la bionda, con un grosso sorriso stampato in volto.
- Non posso farlo. – Mark scosse la testa – Ho bisogno del contatto visivo per poter applicare il mio potere. – il sorriso sul volto di Kaylee si spense.
- Cara mia, temo che tu abbia preso questo giochetto troppo alla leggera. – questa volta fu Luke a sorridere – Siamo numericamente in vantaggio, ma è abbastanza chiaro che nulla ci sarà regalato. I nostri poteri, presi singolarmente, sono perfettamente inutili. – concluse, scuotendo la testa.
- L’avevo capito. – Kaylee sbuffò – Dobbiamo trovare gli altri e tutti assieme far fuori la volpe. – la ragazza batté un pugno sul palmo della mano e digrignò i denti. Se solo avesse ucciso la volpe, finalmente, sarebbe tornato tutto come tre anni prima. Avrebbe ricevuto l’aiuto che desiderava per poter finalmente condurre una vita normale. Ed era proprio la posta in palio a renderla fiduciosa: così come lei, anche gli altri avevano un qualcosa che desideravano ardentemente, quindi non c’era il rischio di doppi giochi.
- Wow, qui abbiamo un Napoleone versione femminile. Cazzo, i tuoi piani sono davvero ben studiati ed ingegnosi. – la prese in girò Luke, guardandola con un sorriso strafottente. Kaylee aprì la bocca per rispondergli a tono, ma venne fermata da Mark.
- Invece di tirarci frecciatine a vicenda, sarebbe meglio iniziare a cercare in giro. Stando qua buttiamo solo tempo. – il latino incominciò a camminare venendo seguito dai due. Kaylee si limitò a destinare un’occhiataccia verso Luke per fargli capire che non sarebbe finita lì, poi filò in silenzio dietro Mark.
Fu una camminata lunga e noiosa, caratterizzata da luci balbettanti, mura scrostate e tubature gocciolanti dal soffitto. Non di certo un ambiente caldo ed affettuoso. Così come non era né calda, né affettuosa la porta grigiastra che si ritrovarono davanti, quasi indicata da una luce opaca che sembrava fare da cartello di segnalazione alla stanza.
- Finalmente, cazzo! – esclamò Luke, prima di afferrare con forza la maniglia ghiaccia. Aprì la porta con un gesto secco e davanti a se trovò quello che aveva tutta l’aria di essere la stanza di antiquato di un museo. Appese alle pareti c’erano quadri raffiguranti diversi animali, da semplici ritratti di lupi, orsi, gufi e volpi a vere e proprie scene  crude di animali che si azzannavano a vicenda.
- Chi ha decorato questa stanza non aveva un gran senso del gusto. – costatò Mark guardandosi attorno. Oltre ai quadri, c’erano diverse vetrate poste ai lati e al centro della stanza, proprio come in un museo. I tre incominciarono a girare e si resero conto di aver fatto jackpot. Dentro alle vetrate c’erano coltelli, oggetti affilati ed armi di vario tipo.
- Beh, abbiamo avuto fortuna, non c’è che dire. – Luke appoggiò una mano sul vetro e si lasciò andare ad un lungo sorriso mentre osservava i coltelli. Uno cadde subito al suo occhio: aveva il manico rosso, ad occhio e croce in ferro, decorato da vari ghirigori in oro ed una lama seghettata ed appuntita.
- Come facciamo a prenderli? – chiese Kaylee – Spacchiamo la vetrata? – aggiunse, indicando una sedia con la quale avrebbero potuto farlo. Mark e Luke si guardarono e, proprio mentre Luke stava andando a prende la sedia, il latino lo fermò.
- Aspetta. – appoggiò la mano sulla sua spalla ed indicò un oggetto al centro della stanza che fino a quel momento nessuno di loro aveva minimamente calcolato. Sembrava un parchimetro, ma quando i tre si avvicinarono si resero conto che c’era qualcosa di strano.
Sullo schermo, dalla luminosità appena visibile, c’era scritta la frase “Inserire la carta nello spazio apposito”. I tre si guardarono, poi Luke estrasse la sua carta del leone e la mise all’interno dell’incavo contornato da una lucina verde. Sullo schermo apparve un’immagine di caricamento, poi la carta riuscì fuori dal buco ed un rumore alle loro spalle li fece girare.
Da una delle vetrate era caduto un oggetto. Luke si avvicinò e notò come il coltello che aveva adocchiato poco prima era per terra, proprio sotto la vetrata. Si abbassò e notò una sporgenza sotto il legno, segno che l’arnese fosse uscito da lì.
- È come una macchinetta delle merendine. – spiegò, invitando gli altri due a fare lo stesso.
- Modo curioso di armarsi. – scherzò Mark, prima di inserire la sua carta. Si ripeté lo stesso processo di prima, questa volta osservato con attenzione da un incuriosito Luke. Da una vetrata qualche metro più distante dalla precedente cadde un’accetta.
Dopodiché toccò a Kaylee. Il caricamento fu più lungo del solito, poi, finalmente, dalla stessa vetrata di prima cadde un coltello svizzero.
- Questo può essere utile. – costatò la bionda rigirandoselo fra le mani. C’era un cacciavite, un apribottiglie, un cavatappi e due tipi di coltelli differenti.
- Piuttosto, vediamo quanto credito hanno le nostre carte. – Luke girò la sua carta fra le mani e si avvicinò nuovamente alla macchinetta. Inserì il pezzo di carta ed attese con impazienza il caricamento. La macchinetta si lasciò andare ad un lungo beep, poi spuntò una luce rossa e la carta venne rigettata – “Transazione negata”. – lesse Luke – Beh, non ci resta che spaccare le vetrine. – il moro alzò le spalle.
- No, non facciamo cazzate. – lo bloccò Mark – Questo teatrino sembra fatto apposta per farci avere solo un’arma a testa. Evidentemente è quello che loro vogliono. – aggiunse.
- Wow, sei più intelligente di quanto mi aspettassi. – Kaylee si lasciò andare ad un sorrisetto che venne, più o meno, ricambiato dall’altro. Non le piaceva per nulla Kaylee, anzi, a primo impatto le dava l’aria di essere una ragazza di cui non poteva fidarsi. Aveva un atteggiamento passivo aggressivo che gli ricordava quello dei suoi compagni delle superiori.
- Hai poco da sfottere, Einstein dei poveri. – Luke, che dal canto suo aveva già inserito la bionda nella sua black list, non si fece scrupoli ad intervenire.
- Sia dia il caso che sono una psicologa. E, per essere precisa, ho preso la laurea con il massimo dei voti. Se c’è un cervello che funziona è proprio il mio. – Kaylee si batté l’indice sulla testa.
- Oh, Cristo, quanto vorrei tu fossi la volpe. – Luke si leccò le labbra e rigirò il coltello fra le mani.
- Invece di rompere –
- Mi sentite? Ehi, riuscite a sentirmi? Oh, giratevi, dannazione!
- Che cos’è stato? – Kaylee iniziò a guardarsi intorno alla ricerca della voce che aveva appena sentito dentro la testa – L’avete sentito anche voi? – Mark e Luke si guardarono negli occhi, poi scossero la testa in segno di dissenso.
- Ora hai pure le allucinazioni? – la sfotté Luke.
- Ho sentito una voce dentro la testa che mi diceva di girarmi. – spiegò, senza smettere di guardarsi attorno in modo maniacale. Era una voce maschile, bassa e leggermente affannata.
- Potrebbe essere uno dei nostri alleati. – ipotizzò Mark.
- Non penso ci sia altra spiegazione. – Kaylee non poté far altro che confermare la tesi del latino, mentre con la coda dell’occhio setacciava la stanza.
 
 
Un immenso tunnel di corridoio stretti ed illuminati male. Uno scenario che gli ricordava vagamente un film che aveva visto al cinema qualche anno prima, un semplice horror da quattro soldi con l’assassino assettato di sangue ed un gruppetto di adolescenti che doveva sopravvivere.
In quel caso, però, era il contrario. Ed era anche la vita vera.
Jasper cominciò a sbuffare. Iniziava ad essere stanco, camminava da più di venti minuti ed il suo fisico in sovrappeso non lo aiutava di certo. Sentiva le gambe doloranti ed il fiato mancargli ad ogni passo di troppo. Per di più la sua chioma bionda, lunga fino alle spalle, si attaccava alla sua fronte sudata dandogli una sgradevole sensazione di sporco. Il solo pensiero di avere i capelli umidi e sudaticci lo mandava in tilt, ma in quel momento aveva altro di cui preoccuparsi.
Affondò le dita paffute nelle palpebre che coprivano gli occhi celesti tendenti al grigiastro e si lasciò andare ad un lungo sospiro, che interruppe facendo scivolare la mano lungo le guancie morbide fino alle labbra, bloccando così la fuoriuscita di aria dalla sua bocca.
Avrebbe potuto usare la sua abilità per farsi trovare immediatamente dagli altri, ma l’idea di essere noto ai quattro venti non lo aizzava particolarmente. Voleva incontrare i suoi “colleghi”, ma ancora di più voleva evitare una qualsiasi situazione pericolosa. Non poteva rischiare di morire, non con suo figlio che lo aspettava a casa.
- Fermo dove sei. – una voce alle sue spalle lo colse alla sprovvista. Ironico che si fosse fatto prendere di sorpresa proprio mentre cercava di essere il più prudente possibile. Jasper fece come indicatogli. Rimase immobile senza muovere un muscolo, tenendo lo sguardo fisso verso la fine buia del corridoio davanti a lui.
Sentì diversi passi venire verso di lui.
- Che animale sei? – chiese poi la persona alle sue spalla. Jasper fece per girarsi, ma venne prontamente richiamato – Non muoverti! Sono armato. – il biondo si frizzò sul posto.
- Il panda. – rispose, cercando di parlare con il tono più alto possibile.
- La carta. – intimò quello. Jasper mosse con lentezza la mano sinistra fino ai pantaloni, dai quali estrasse la carta raffigurante un panda stilizzata. La girò verso il suo interlocutore e sentì nuovamente rumore di passi avvicinarsi verso di lui. Ci fu un attimo di silenzio, poi Jasper sentì l’altro sbuffare – Niente, non sei tu. – a quel punto il biondo si girò e ad i suoi occhi apparve un ragazzo alto quanto lui, dagli occhi blu mare e dai capelli scuri arruffati. Ciò che cadde subito all’occhio di Jasper fu il fisico allenato e piazzato, completamente il contrario del suo.
Il moro lo guardò di sfuggita, poi riprese a camminare verso la fine del corridoio, come se fosse un turista in visita al Duomo che, per puro caso, aveva scambiato uno sguardo con il biondo. Jasper balbettò qualche istante prima di riuscire a fermarlo. Mosse due passi e lo chiamò a se.
- Aspetta! – il moro si fermò di colpo – Dove stai andando? – chiese Jasper.
- Sto cercando la volpe. – rispose l’altro senza nemmeno girarsi.
- Beh, penso che la stiamo cercando tutti. Secondo me è meglio andare insieme. – Jasper fece altri due passi in avanti. Il moro sembrò pensarci su per qualche secondo, sotto lo sguardo stranito di Jasper. Non era normale che esitasse così tanto.
- Hai ragione. La stiamo cercando tutti. – finalmente si girò verso di Jasper ed i loro occhi chiari entrarono in contatto – Ma per ragioni diverse. – concluse, glaciale come l’Antartide.
- Che intendi dire? – in quel momento il cervello di Jasper era andato completamente in bratta. Non riusciva esattamente a capire cosa passasse per la testa del tizio che aveva di davanti, ma istintivamente la sua fronte aveva iniziato a sudare, come se percepisse un pericolo imminente dietro l’angolo.
- Io la volpe la voglio salvare. – il moro alzò le spalle e si lasciò andare ad una risatina. Fu a quel punto che Jasper iniziò ad avere paura. Se lo sentiva, quel tizio lo avrebbe ucciso. Sentiva che sarebbe stata l’ultima persona a vedere prima di morire. Si fece un passo indietro, sotto l’occhio vigile dell’altro – Non preoccuparti, non ho intenzione di farti del male. Voglio solo proseguire per la mia strada. – mosse la mano per fargli capire che non c’era nulla da temere. Jasper deglutì un boccone amaro come il veleno e riprese a respirare con calma.
- Posso venire con te? – domandò, seppur con tono esitante – Anch’io non ho ancora deciso cosa voglio fare. L’idea di dover uccidere una persona mi spaventa. – confessò, mentre con una mano si asciugava il sudore dalla fronte.
- Alan. – disse il moro, lasciandolo confuso – Io sono Alan. Tu? – lo invitò con la mano ad andare verso di lui.
- Io sono Jasper. – rispose il biondo poco prima di incamminarsi verso di lui. Jasper fece per tendergli la mano, ma in quel momento un rumore alle loro spalle li colse alla sprovvista. Jasper, per qualche secondo, provò le stesse sensazioni di qualche minuto prima.
- Finalmente ho trovato qualcuno! – dal buio del corridoio fece il suo ingresso un ragazzo alto, dai capelli castani scuro ricci e dagli occhi color miele. I suoi tratti egiziani risaltarono subito agli occhi dei due, in particolare la forma degli occhi leggermente a mandorla e la carnagione ambrata. Jasper ed Alan lo guardarono avvicinarsi in silenzio, entrambi spiazzati dalla sua presenza.
Le mascelle scolpite, il fisico allenato e la barba ben fatta mettevano loro parecchia suggestione. Sembrava quasi un personaggio dei film, troppo idealizzato anche solo per essere vero.
- Piacere di conoscervi, io sono Seth. – si presentò ponendo la mano verso i due. Jasper la accettò, seppur con riluttanza, venendo travolto da una forte stretta, mentre Alan si limitò ad alzare la testa in cenno di saluto. Quel tipo, senza nemmeno conoscerlo, già non gli piaceva per nulla.
- Alan e Jasper. – Alan liquidò rapidamente le presentazioni per poter andare subito al sodo – Che animale sei? – chiese, senza scostare gli occhi da lui nemmeno per un singolo istante.
- Sono un affascinante e letale serpente. – Seth estrasse di tasca la carta e, con il petto gonfio d’orgoglio, la mostrò ai due, che si limitarono a fare lo stesso cercando di non far trasparire il loro disagio – Quindi la volpe non è fra noi. – sbuffò Seth, per poi massaggiarsi la barba. Spostò lo sguardo verso i due e capì subito che non si fidavano minimamente di lui. Alan lo guardava quasi con astio, come se percepisse un’aura malvagia in lui, e Seth capì subito che manipolarlo sarebbe stato difficile.
Invece Jasper sembrava un cucciolo spaventato. E lui con i cuccioli spaventati sapeva esattamente come giocarci.
- Andiamo Jasper, abbiamo da fare. – Alan prese Jasper per un polso e lo trascinò con se verso la fine del corridoio. Seth, preso alla sprovvista, chiuse gli occhi ed usò il suo potere.
 
ANGOLO AUTORE:
E questo è il primo. Il secondo devo ancora scriverlo, quindi non so quando verrà pubblicato. Per di più, sto rimettendo mano alla sceneggiatura, quindi… beh, capirò come fare.
Allora cari miei, iniziamo subito a fare delle precisazioni: ho cambiato gli animali, perché così ho potuto dargli un minimo senso logico. Ho cambiato – o meglio cambierò – anche alcuni tratti dei vostri OC, o perché troppo complessi da inserire nella storia o per esigenze di trama. Insomma, userò la clausola Aya AHAHAHAHAH
Detto ciò, spero che la morte di Owen possa farvi capire lo spirito con il quale inizio questa storia. Oh, sì.
Per di più ci sono i poteri! Non avevo mai scritto una storia del genere, quindi… sì, dai, secondo me ci sta. Poi, oh, ho in mente dei pezzi per questa storia che non sto a dirvi. Roba forte, credo. Dipenderà da come la percepirete, ma nella mia testa sono davvero esplosive.
Vediamo… ho altro da dire? No, penso proprio di no. Per adesso ci lasciamo così. Alla prossima!

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Capitolo 3
*** Capitolo II ***


Gli occhi di Zoey si spostavano assiduamente dalla schiena di Duncan al corpo martoriato di quello che una volta era stato Owen. La visione del sangue, dei pezzi di cervello, del cranio e di tutti gli altri piccoli inquietanti dettagli, che non voleva sforzarsi più di tanto di vedere, la fece vomitare di nuovo. Quattro volte nel giro di dieci minuti.
Duncan, dal canto suo, sembrava non curante del cadavere a pochi metri da lui, anzi pareva solo leggermente infastidito dall’odore di ferro e di marcio che pian piano si stava propagando per la stanza. Quasi come se Owen non fosse stato che un secchio dell’immondizia da svuotare. Ed in effetti, dal suo punto di vista, non era poi così tanto diverso.
- Hai intenzione di riprenderti o vuoi studiare il suo intero processo di decomposizione? – sbottò dopo un po’, indicando con il pollice il corpo. Zoey fece l’errore di seguire la traiettoria del dito e di guardare nuovamente Owen. Vomitò per la quinta volta, sotto lo sguardo stufo di Duncan.
Le ci vollero altri cinque minuti, poi finalmente trovò la forza di alzarsi e di dirigersi, a tentoni, verso la porta. Quando i due uscirono dalla stanza vennero avvolti dall’odore di chiuso e bagnato tipico del corridoio. E se di solito quell’odore di muffa dava a Zoey parecchio fastidio, quella volta lo respirò a pieni polmoni come avrebbe fatto con dei croissant alla crema appena sfornati.
- Dove andiamo? – domandò Zoey. Teneva ancora la schiena leggermente ricurva e la mano destra  sullo stomaco, così da bloccare eventuali ulteriori rigurgiti. Sapeva che anche solo il ricordo di quello che c’era nella stanza alle sue spalle avrebbe potuto farla vomitare di nuovo, ma soprattutto il pensiero che era stata proprio lei a chiedere che tale scempio accadesse.
- Dimmelo tu. Sei tu che hai le visioni. – Duncan la guardò inclinando leggermente la testa. Attese una risposta che arrivò con fin troppa attesa.
- Ecco, io – Zoey aprì la bocca e la richiuse all’istante. Cercò di soffermarsi su quegli strani flash che aveva avuto e cercò di capire meglio cosa fossero.
- Tu? – la incalzò Duncan, sempre più indispettito ad ogni minuto che passava. Batté leggermente con la punta del tubo sul pavimento per pulirlo dai rimasugli del cervello di Owen, noncurante del fatto che Zoey fosse sull’orlo di rigettare ancora quel poco di acido gastrico che le era rimasto nello stomaco. La rossa trasse un forte respiro e mandò giù l’acido, al costo di assaporare quell’odore disgustoso in bocca per la restante mezz’ora.
- Io non lo so. – scosse la testa, senza aggiungere altro. Duncan sbuffò sonoramente, poi prese a camminare nella direzione opposta a quella che avevano percorso prima di arrivare nella stanza.
- Ho capito, se mi affido a te moriamo entrambi. – sbottò, per poi invitarla con un gesto ad andare con lui. Zoey non poté far altro che ridacchiare nervosamente ed aumentare il passo per stargli affianco. Ora come ora, Duncan era la sua unica possibilità di rimanere in vita.
- Dimmi un po’, quindi tu non ti ricordi niente, giusto? – chiese lui, dopo quasi cinque minuti di silenzio tombale.
- No, non – Duncan le fece cenno con la mano di abbassare la voce – Oh, scusa, hai ragione. – Zoey si mise entrambi le mani sulle labbra, poi riprese – Non ricordo niente di niente. Però prima mi sono venuti in mente i croissant. – non sapeva bene il perché glielo aveva detto, forse perché a conti fatti quell’odore nella sua testa era l’unica cosa che la legava al passato.
- Questo che cazzo vorrebbe dire? – Duncan alzò un sopracciglio e la guardò stranito. Zoey ridacchiò sottovoce, con la stessa spensieratezza di una bambina della elementari e Duncan non poté che pensare a quanto fosse strana. Nemmeno dieci minuti prima stava vomitando e piangendo davanti alla visione di un cadavere ed ora era come se niente fosse accaduto.
- Che mi piace l’odore dei croissant. – Zoey alzò le spalle.
- Dio mio. – Duncan roteò gli occhi e scosse la testa. Sì, quella ragazza era veramente svampita. Passare dal chiedere disperatamente di uccidere una persona al parlare dei croissant non era affatto da persone normali.
- Piuttosto – iniziò Zoey – tu hai già ucciso in precedenza. – Duncan strabuzzò gli occhi.
- È una domanda? – inclinò la testa.
- No, è un’affermazione. – concluse lei. Vomito, croissant e omicidi. Il climax e l’anticlimax dei suoi discorsi raggiungeva vette davvero elevate.
- Diciamo che le mie esperienze le ho avute. – replicò, con un velo di mistero, Duncan.
- Che significa? – Zoey cercò di spostare il velo, ma a far la guardia c’era un vero e proprio lupo aggressivo, feroce e facilmente irritabile,
- Non aggiungo altro. – uno sbuffo.
- Però – il secondo sbuffo fu più forte e più secco.
- Ho detto che non aggiungo altro. – fu il tono, simile a quello con cui aveva parlato ad Owen, a far desistere Zoey e la sua curiosità.
- Va bene, ho capito. – non poté far altro che accettare la sconfitta. Stette in silenzio per qualche minuto, alla ricerca delle parole giuste per poter continuare a conversare. Rimanere zitta non faceva che aumentare le sue ansie e le sue paure. Proprio quando aprì la bocca, però, Duncan fece uno scatto in avanti.
- C’è una porta! – disse soltanto, per poi avvicinarsi rapidamente. Era rossastra e, come quella che avevano visto prima, tutta arrugginita. Duncan le fece cenno di avvicinarsi a lui, la afferrò per una mano, sotto l’imbarazzo di Zoey, e poi abbassò lentamente la maniglia.
Ci fu un lungo cigolio, poi l’interno della stanza fu visibile ai loro occhi. Era abbastanza spaziosa, con al centro un quadrato formato da nove colonne rettangolari, alte un metro circa, poste su tre righe da tre l’una e a mezzo metro di distanza fra di loro, proprio come se fossero lì per un rituale. E Duncan quell’ipotesi la tenne subito a mente. Mosse un ulteriore passo all’interno e notò che ogni colonna, sulle rispettive quattro facce laterali, aveva inciso il volto di un animale. In cima, invece, c’era un piccolo rettangolo incavato con al centro una piccola lucina rossa.
- Che cos’è questo posto? – domandò Zoey, guardandosi attorno come se fosse finita in un cimitero abbandonato. Non le piaceva per nulla quella stanza. L’illuminazione, una luce che dal soffitto illuminava proprio le nove colonne, le dava ancora di più quella sensazione di pericolo.
- Non ne ho idea, mise sembra una di quelle mostre di Dugiamp che mi portavano a visitare alle medie. Una palla assurda. – sbottò Duncan,
- Duchamp, si dice Duchamp. – lo corresse Zoey, ottenendo come risposta uno sguardo seccato. A lei non rimase che constatare quando fosse permaloso.
Duncan superò le colonne ed i suoi occhi caddero sul leggio, simile a quello della stanza precedente, e sull’armadio che occupava tutta la parete pieno di libri, tutti con la copertina gialla.
Un particolare, però, attirò la sua attenzione. Il leggio aveva un microfono che spuntava dal legno, proprio come quello che aveva visto nella chiesa di Montreal quando a sette anni sua madre l’aveva costretto ad andare al matrimonio di suo zio. Seppur titubante, Duncan si avvicinò al leggio e lo osservò con attenzione. Il piedistallo su cui era attaccato il microfono aveva un bottone premuto su off e lui, senza pensarci due volte, lo spostò su on.
Si limitò a toccare due volte il microfono con la punta dell’indice, per richiamare l’attenzione di chiunque potesse sentirlo. Attese qualche secondo senza ricevere nessuna risposta. Spazientito, fece per parlare, ma Zoey gli afferrò la maglietta e lo tirò a se.
- Duncan, stai attento. Non sappiamo chi ci può ascoltare. – la sua paura era che quel microfono fosse collegato alle casse dell’intera struttura e che parlando avrebbe potuto, in qualche modo, rivelare la loro posizione agli altri. Duncan schioccò la lingua al palato, fece un cenno di assenso con la testa e si avvicinò al microfono piegandosi in avanti tenendo le braccia distese sui bordi del leggio.
- C’è nessuno? – chiese con un filo di voce. Inizialmente non accadde nulla, poi si sentì un lieve rumorino ed infine una voce rispose. La stessa che avevano sentito dalla cassa, quella che aveva dato inizio al gioco.
- Dimmi figliolo. – non aggiunse altro.
- Puoi sentirmi solo tu? – domandò subito Duncan, sotto consiglio di Zoey.
- Sì, solo io. – quella risposta lo aiutò a calmarsi – Dimmi pure ciò che vuoi sapere, cercherò di rispondere a tutto quello che posso. –
- Mi fa piacere saperlo. – Duncan si lasciò andare ad un ghigno – Dove siamo e, soprattutto, perché siamo qui? –
- Siamo nel covo della volpe per volontà della volpe stessa. – Duncan guardò Zoey, che si limitò ad alzare le spalle. Erano entrambi visibilmente confusi da quella risposta pragmatica.
- C’è un modo per uscire da qui senza uccidere la volpe? – chiese poi, sperando in una risposta più concreta che, effettivamente, arrivò.
- Sì, un modo c’è. – ci fu un attimo di attesa, nel quale Zoey, piena di euforia, guardò Duncan – Dovete radunare tutte e nove le carte ed appoggiarle sulle colonne. In questo modo si aprirà un passaggio e tutti i cuccioli potranno andarsene liberamente, senza però ottenere la loro ricompensa. – spiegò la voce.
- Bene, almeno so di non dover per forza fare una strage. – constatò Duncan.
- C’è altro che vuoi chiedermi? – domandò la voce.
- Chi è davvero Zoey? – Duncan  guardò la rossa di soppiatto.
- Lei è la volpe. – rispose, senza aggiungere niente.
- Okay, fin lì c’ero. Non puoi essere più specifico? – tutte quelle rispostine pragmatiche lo stavano facendo innervosire. Nessuna risposta da parte della voce. A quel punto Zoey si avvicinò al leggio ed incominciò a parlare.
- Ehm, scusi, posso sapere chi è lei? – chiese, cercando di essere la più educata possibile.
- Oh, volpe, che piacere udire la tua voce! Io non sono che un tuo umile servitore. – la voce dell’uomo si riempì di commozione, come se stesse parlando con il Papa in persona.
- Se sei un mio servitore, allora ti chiedo di fermare il gioco. – Zoey provò il tutto per tutto.
- Non posso farlo, perché sei stata tu stessa a dirmi di lasciarlo finire. – Duncan e Zoey si guardarono negli occhi sempre più straniti.
- Scusami, temo di non aver capito. – replicò Zoey, venendo però ignorata dalla voce.
- Lupo, c’è altro che vuoi chiedermi? – Duncan sbuffò, fece scansare Zoey e si avvicinò al microfono.
- No. – detto ciò, fece per spegnere il microfono, ma la voce lo fermò.
- Caro lupo, perché non vuoi uccidere la volpe? – Duncan rimase immobile con il dito sul pulsante. Ci pensò qualche secondo prima di rispondere.
- Perché, mi chiedi? – soffiò via un po’ d’aria dalla bocca e si mise a pensarci seriamente.
- Potresti ottenere tutto ciò che desideri e, inoltre, permetteresti anche agli altri di ottenere lo stesso. Sarebbe la scelta più saggia ed opportuna. – continuò la voce, lasciandolo di stucco. Duncan guardò Zoey e si accorse subito dell’espressione cupa e tetra che le si era impressa in volto.
- Non hai tutti i torti. – ammise scuotendo la testa. Zoey per poco non morì di infarto. Già si vedeva ridotta nelle condizioni di Owen.
- Allora perché non la uccidi? – Duncan strinse con forza il tubo, dopodiché si lasciò andare ad una lunga, grassa ed inquietante risata.
- Io sono libero. – disse – Io sono libero da tutto e da tutti. Ho promesso a me stesso che non avrei mai più obbedito agli ordini degli altri. Che siano persone o la società intera. – tenne lo sguardo fisso verso il pulsante.
- Non ti interessa nemmeno del tuo desiderio più grande? – domandò la voce.
- Per avere un cappio non ho bisogno che me lo dia tu. – detto ciò, schiacciò il pulsante e spense il microfono.
 
 
Kaylee continuava, di tanto in tanto, a guardarsi attorno. L’idea che quella voce che aveva sentita non fosse stata una coincidenza, ma bensì un messaggio indirizzato direttamente a lei, la metteva alquanto in soggezione. Non che ciò fosse impossibile, perché sapeva perfettamente dell’esistenza dei poteri e, tutto sommato, l’idea che ne esistesse uno in grado di far recapitare messaggi telepatici non era poi così tanto campata per aria.
Notando il modo maniacale e scrupoloso con il quale si guardava attorno, Luke non perse nemmeno un secondo per infastidirla.
- Che c’è, senti altre vocine nella testa? – si lasciò andare ad una risatina sottovoce, ma forte abbastanza da essere sentita anche da lei. La bionda da prima spalancò la bocca, come se volesse rispondergli a tono, poi cacciò un lungo sospiro e scosse la testa.
- Per adesso no. – puntò gli occhi azzurri verso il pavimento e si guardò la punta delle scarpe rossastre.
- Dite che dovremmo cercare gli altri? – chiese Mark. L’idea di essere in più persone possibile lo allettava particolarmente, ma al tempo stesso non voleva che ciò accadesse. Le brutte esperienze delle superiori lo avevano portato ad odiare gli agglomerati di persone.
- Più siamo meglio è, su questo non c’è dubbio. – rispose Luke – Tuttavia – si fermò per un istante. Portò lo sguardo verso il corridoio buio nel quale si stavano avventurando e rimase come incantato dal gioco di luci ed ombre che le lampadine gli mostravano – qualcosa mi dice che non è la migliore delle idee. – concluse poi, dopo aver messo apposto le sue idee.
- Su questo sono d’accordo. – Kaylee gli dette man forte – Vogliamo tutti uccidere la volpe, ma non possiamo sapere come gli altri intendano farlo e, soprattutto, se non ci sono variabili di cui non siamo a conoscenza. – specificò poi.
- Variabili x e variabili y. Cazzo, il liceo l’ho finito da un bel po’, non riportarmi alla mente quelle cazzate. – sbottò Luke, ripensando alle lavagne nere impregnate di gesso in improbabili grafici di funzioni tutt’altro che comprensibili. Non a caso, era uscito di scuola con un misero sessantaquattro.
- Spiegati meglio. – Mark la guardò con un’espressione corrucciata in volto.
- Te la metto così: supponi che qualcuno abbia deciso di partecipare solo per uccidere gli altri. Il suo scopo è solo quello di ammazzare gente a caso. – le parole di Kaylee lasciarono i due spiazzati.
- Dici davvero che potrebbe esserci un pericolo del genere? – domandò Luke.
- Ah, non ne ho idea. Sto solo sondando tutte le ipotesi possibili. – alzò le spalle – O le variabili. – aggiunse poi, guardando Luke con un sorrisetto in volto.
- Quindi, in poche parole, mi stai dicendo possiamo fidarci solo fra di noi. – dedusse Mark. Si lasciò andare ad un lungo respiro, poi appoggiò la schiena al muro freddo e portò gli occhi verso la luce tentennante sul soffitto.
- Neanche. – Kaylee scosse la testa – Potenzialmente, io stessa potrei essere una svitata vogliosa di ammazzare chi mi capita davanti. – Mark sgranò gli occhi, Luke si limitò a ridere.
- Quindi, secondo te, cosa dovremmo fare? – chiese Luke, guardandola di soppiatto.
- Fatemi vedere i vostri passati. – iniziò – Così facendo saprò se avete brutte intenzioni oppure no. – ci fu un attimo di silenzio, scandito solo dal rumore dei loro respiri asincroni.
- Ma che cazzo ti sei fumata? – obiettò immediatamente Luke. Si fece di un passo indietro e la guardò come se fosse una pazza.
- Sto cercando di capire se posso fidarmi di voi, tutto qui. – Kaylee portò le braccia al petto ed iniziò a tamburellare con le dita sui suoi avambracci in attesa di una risposta.
- No, no, no. Non ci sto assolutamente. I motivi per cui sono qua dentro sono esclusivamente cazzi miei. Non ti lascerò spulciare nella mia testa. – Luke scosse la testa con forza e guardò la ragazza assottigliando gli occhi. Non le avrebbe permesso in nessun modo di avvicinarsi, né tantomeno di toccarlo. Era pronto anche ad aggredirla se necessario.
- Per me non ci sono problemi. – Mark si scostò dal muro e tese la mano verso Kaylee. Luke lo guardò con gli occhi sgranati.
- Ma sei scemo? Vuoi davvero fidarti di questa qui? – obiettò.
- Non ho nulla da nascondere. – Mark puntò gli occhi scuri verso Luke mantenendo un’espressione seria. Luke, compresa la sua determinazione, non poté far altro che sbuffare ed allontanarsi di qualche passo smanettando.
- Fa come cazzo ti pare. – sbottò poi, prima di appoggiarsi al muro di peso. Puntò gli occhi sulla mano di Mark in attesa che Kaylee iniziasse. La bionda, dopo qualche istante di incredulità, rivolse a Mark un sorriso, poi allungò la sua mano e strinse quella del ragazzo. Non pensava che sarebbe riuscito ad incastrarlo in quel modo, certamente il suo discorso era veritiero, c’era davvero il rischio che qualcuno di loro decidesse di dedicarsi ad un bagno di sangue, ma le probabilità erano alquanto spicciole. In fin dei conti quella diatriba serviva più per convincerli a farle leggere i loro passati o meglio, per capire come la sua abilità funzionasse all’atto pratico.
Nel momento in cui i palmi delle loro mani entrarono in contatto, Kyalee trasse un respiro profondo e chiuse gli occhi. Si sentì come catapultata all’interno di un’altra stanza e, quando riaprì gli occhi, si rese conto di essere dentro ad uno spazio indefinito completamente bianco, talmente lucente da farle quasi male agli occhi. Il completo opposto rispetto al corridoio buio e tetro.
Si guardò attorno per un po’, senza riuscire a vedere nulla oltre il bianco tepore che la circondava. Sembrava quasi fumo, ma non poteva né toccarlo, né sentirne l’odore. Provò a scacciarlo da davanti con un gesto della mano, ma non si mosse di un millimetro, come se fosse parte stessa dell’aria.
Poi, all’improvviso, davanti a lei apparve una porta marrone con i cardini e la maniglia dorati. Passò una mano sul legno marrone scuro e pian piano scese con le dita fino a toccare la maniglia. La aprì, non senza qualche attimo di esitazione, poi entrò dentro venendo investita da un fascio di luce fortissimo.
 
Si ritrovò all’interno di una casa, circondata da mobili pieni zeppi di oggetti che le apparivano sfocati e da una nebbia fitta che le impediva bene di vedere alcune zone dell’appartamento. Kaylee si guardò attorno e subito si accorse delle due figure sedute su una poltrone a pochi metri da lei. Uno era un signore anziano, dai, pochi, capelli bianchi e dalla carnagione scura, l’altro era un bambino di poco più di otto anni, che stava seduto sul bracciolo.
- Abuelo, i ragazzi a scuola mi prendono in giro. – disse il bambino. Le parole arrivarono alle orecchie di Kaylee come ovattate, sembrava quasi che fra di loro ci fosse un sottile muro invisibile che le impediva di sentire bene.
- Chico, non ti preoccupare. – lo consolò il nonno, con uno marcato accento spagnolo – Quei ragazzi sono solo invidiosi di te, perché tu sei speciale! – l’anziano arruffò i capelli del bimbo, che iniziò a ridere.
- Grazie abuelo. – il bambino abbracciò il nonno.
Poi, tutto d’un tratto, l’immagine sparì e Kaylee si ritrovò in un campo durante una giornata piovosa. Le bastò guardarsi meglio attorno, seppur lo sfondo fosse tutto sfocato, per capire dove si trovasse: era ad un cimitero.
Il bambino di prima stava piangendo appoggiato ai piedi di una tomba in cemento che recitava “Qui giace Raul Ramirez, padre, nonno e persona meravigliosa”. Kaylee sentiva la pioggia batterle addosso, anche se non la bagnava.
Accadde la stessa cosa di prima, si sentì trasportata da un’altra parte, questa volta una scuola. Era circondata da armadietti rossi, da un pavimento giallognolo e da file di ragazzini che camminavano avanti ed indietro per i corridoi.
Davanti a lei c’erano quattro ragazzi che stavano picchiando un ragazzo della loro età. Kaylee non ci mise molto a capire di chi si trattasse. I quattro lo colpivano e lo deridevano, senza che nessuno cercasse di intervenire. Né gli studenti, né tantomeno gli insegnanti.
- Tornatene  nel tuo paese! – urlò uno dei bulli.
- Sì, qui nessuno ti vuole. – aggiunse un altro. Il ragazzino non poté far altro che scoppiare a piangere e coprirsi la faccia con entrambi i bracci mentre le lacrime scendevano fino a bagnargli la camicia rossastra.
Dopo aver riso della sua condizione, i quattro iniziarono a prenderlo a calci e schiaffi senza che nessuno facesse niente per fermarli.
L’immagine cambiò ancora, questa volta, però, fu più veloce. Vide il ragazzo prima spintonato, poi un’altra scena dove gli infilavano la testa nel cesso, poi un’altra dove lo picchiavano, una dove lo prendevano a pallonate ed un’altra ancora in cui giocavano a freccette tenendo il bersaglio appeso sulla sua schiena.
Kaylee si ritrovò all’interno di una piccola casa diroccata, con le finestre crepate, i muri scrostati ed i mobili graffiati. La sua attenzione cadde sulla cucina trasandata a pochi metri da lei. Fece qualche passo ed incominciò a sentire delle urla forti e chiari rispetto a quelle ovattate di prima.
- Non possiamo continuare a vivere qui! – urlò il ragazzo, agitando le mani con foga.
- Non abbiamo i soldi per andare a vivere da un’altra parte. Quello che possiamo permetterci è solo questo squallido appartamento. – suo padre, un uomo pelato e dalla barbetta incolta mezza nera e mezza bianca, rispose tenendo la gli occhi fissi sul tavolo.
- E allora cercate di fare soldi! – obiettò il ragazzo. Il padre colpì con forza il tavolo e poi si alzò in piedi tenendo gli occhi scuri incollati contro quelli del figlio. Era come se stesse guardando se stesso da piccolo.
- Tua madre fa tre lavori, io ne faccio altri due. Qui l’unico che non fa niente sei tu! Lo capisci in che situazione siamo? Se non troviamo i soldi, fra tre mesi rispediranno me e tua madre in Messico. – disse, per poi prendersi una breve pausa, come in attesa di una risposta che, però, non arrivò mai – Ah, ma a te frega solo della tua Harley, giusto? Ti importa solo di buttare lo stipendio dell’unico lavoro che tu abbia mai fatto per permetterti una stupida modo. Dannazione, Mark, ormai hai quasi vent’anni. Vedi di crescere!
Kaylee, a quel punto, si ritrovò in una piccola stanza grigia che ricordava fin troppo bene. L’immagine era parecchia nitida, tanto che riusciva a distinguere tutti gli arredi attorno a lei. C’era una riproduzione de “L’urlo” di Munch, un certificato di Laurea ad un’importante scuola privata e qualche altro quadro troppo sgranato per poter essere riconosciuto. Alle sue spalle c’era lo stesso lettino sul quale si era seduta anche lei e, a qualche passo di distanza, lo stesso dottore.
- Quindi accetti di partecipare? – domandò il dottore. Questo teneva i gomiti appoggiati al braccio e le dita delle mani intrecciate fra di loro. La sua faccia, tuttavia, non era distinguibile, Kaylee vedeva solo un grosso alone nero che gli circondava completamente il volto.
- Sì, accetto. – rispose il ragazzo, evitando accuratamente di guardarlo negli occhi.
- Ed in cambio, se tutto dovesse andare bene, vuoi dei soldi. – il dottore sciolse le dita dall’intreccio e le portò allo stetoscopio appeso al suo collo.
- Tanti. – il ragazzo non aggiunse altro.
- Va bene. – il dottore gli tese la mano e lui, non senza qualche istante di esitazione, la afferrò.
 
Quando Kaylee tornò alla normalità si sentì come se stesse per affogare. Respirò affannosamente cercando di riempire il più possibile i suoi polmoni con l’aria. Inspirò ed espirò per quasi un minuto intero, sotto gli occhi vigili e preoccupati di Mark e Luke.
- Non hai una bella cera. – la sfotté Luke. Kylee si asciugò la fronte con una mano e buttò indietro una ciocca di capelli biondi mossi – Allora, che cosa hai visto? Il nostro Mark è la reincarnazione di Jason di “Venerdì 13”? – aggiunse poi, in attesa che la bionda si riprendesse del tutto.
- Ovviamente non te lo dico. È un segreto professionale. – disse a bassa voce, cercando di riprendersi dai crampi allo stomaco che le stavano attorcigliando l’intestino. Non si aspettava di sentirsi così male.
- Esatto, preferirei non si sapesse in giro. – Mark le dette le spalle per l’imbarazzo. L’idea di confidare i suoi più grossi traumi ad un’altra persona, che fra l’altro nemmeno conosceva, non era forse stata la mossa migliore, ma in cuor suo sentiva come se il peso che portava da diverso tempo si fosse un tantino alleggerito.
- E così sarà. – replicò prontamente Kaylee rivolgendogli un sorrisetto. Non senza qualche difficoltà, si tirò su tenendosi appoggiata con una mano al muro – Su, adesso tocca a te. Fai il coraggioso. – Kaylee tese la mano libera verso di Luke, che la guardò come se fosse un coltello puntato alla sua gola. Poi il moro alzò il pollice ed iniziò a parlare.
- Per prima cosa, se facessi di nuovo una cosa del genere, molto probabilmente, ci rimarresti secca. – alzò anche l’indice – Seconda cosa, è più probabile che la volpe esca fuori a caso da una stanza qui vicino piuttosto che io ti lasci leggere il mio passato. – sollevò il medio – Terza cosa, muoviamoci. Abbiamo perso abbastanza tempo per stare appresso alle tue cazzate. –
 
 
- Mi sentite? Ehi, riuscite a sentirmi? Oh, giratevi, dannazione!
Jasper si girò di colpo verso di Seth. Lo guardò con un sopracciglio alzato cercando di capire se il riccio avesse parlato davvero o se fosse stata solo la sua immaginazione. Provò a balbettare qualcosa, ma dalla sua bocca non uscirono che delle vocali accennate. Fu proprio quel brusio a far voltare Alan.
- Oh, vedo che finalmente vi siete girati. – Seth trasse un sospiro di sollievo e si incamminò verso di loro – Questa è la mia abilità. Posso comunicare con tutte le persone con cui mi guardo negli occhi. – spiegò, come se fosse un cosa elementare.
- Cavolo, per un attimo ho pensato di essere pazzo. – rispose Jasper, per poi lasciarsi andare ad un sorrisetto. Alan rimase immobile. Lui non aveva sentito la voce. Si considerò fortunato di aver al suo fianco Jasper, che era talmente impacciato da poter essere utile in momenti come quelli.
- Scusate, mi andava di testarla. Inoltre questo può essere un modo per farvi fidare di me. Adesso sapete del mio potere. – spiegò Seth gesticolando e sorridendo al tempo stesso. Alan capì perfettamente dove volesse andare a parare. Di viscidi come lui nella vita ne aveva visti tanti, ma lui in particolare aveva, per qualche strana ragione, un aspetto fin troppo familiare.
- Non che la cosa mi interessi. – ribatté Alan. Non voleva nemmeno provare a fare l’amicone, sentiva in cuor suo che quel Seth sarebbe stato solo un impiccio per lui e, per di più, già si pentiva di aver rivelato a Jasper di non voler uccidere la volpe.
- Ma forse a Jasper sì. – Seth si avvicinò al biondo e gli appoggiò le mani sulla spalle. Jasper si sentì in soggezione, i trenta centimetri di differenza fra loro gli sembrarono quasi un metro.
- Beh, ecco, sicuramente è un’informazione utile. – balbettò il biondo, stregato dagli occhi chiari dell’altro. Alan si morse un labbro e quel piccolo gesto non sfuggì all’occhio vigile di Seth, che prontamente lo guardò e gli sorrise.
- Se non risulto scortese, potreste dirmi le vostre abilità? – chiese il riccio, mantenendo l’espressione fintamente cordiale in volto. Jasper guardò Alan, in attesa di una sua opinione, ma il moro rimase impassibile con gli occhi puntati contro quelli di Seth in un gioco di sguardi tutt’altro che amichevole.
- La mia mi permette di segnalare la mia posizione agli altri. – spiegò Jasper. Sia Seth che Alan lo guardarono. Seth stava già cercando di capire in che modo usare il suo potere, Alan, d’altro canto, aveva la certezza di doversi allontanare da lui immediatamente. Portarlo con se sarebbe stato troppo pericoloso.
- Uh, davvero interessante. Può essere utile per stanare la volpe. – Seth si crogiolò in dei complimenti finti che, paradossalmente, servirono solo a dare ancora più certezze ad Alan. Doveva assolutamente andarsene.
- Io la mia non la so. – mentì spudoratamente Alan. Nemmeno provò a risultare credibile.
- Particolare. – asserì Seth, che di bluff se ne intendeva parecchio. Il riccio si passò la lingua sulle labbra e si lasciò andare ad un sorrisetto – Questo però può essere un problema. – aggiunse infine.
- Che intendi dire? – Alan inclinò la testa da un lato.
- Come possiamo fidarci di te se non ci dici la tua abilità? – domandò Seth, tenendo impresso in volto un sorrisetto tutt’altro che amichevole. Ormai Alan lo aveva capito di che pasta era fatto quel tipo, così come aveva capito che per lui non c’era modo di tenere Jasper dalla sua parte.
- Hai ragione. – Alan scosse la testa in segno d’assenso – Non posso stare con voi, potrei esservi di intralcio. – detto ciò, indietreggiò di qualche passo.
- Ma no, Alan! Non importa. – Seth capì l’andazzo e cercò di sistemare la situazione senza dover ricorrere alle maniere forti. Non capiva il perché Alan volesse intraprendere quel gioco psicologico, ma era più che sicuro che ci fosse qualcosa sotto. Quel ragazzo era fin troppo sbrigativo.
- Abbiamo idee diverse. Obbiettivi diversi. – Alan assottigliò gli occhi - Preferisco non darvi fastidio, io andrò per la mia strada e voi per la vostra. – detto ciò, dette loro le spalle e se ne andò.
Seth, sulle prime, pensò di seguirlo, poi guardò Jasper e capì che, forse, era meglio così. Adesso aveva una pedina da usare a suo piacimento e nessuno che potesse in alcun modo ostacolarlo.
- Cosa facciamo adesso? – Jasper, che fino a quel momento era rimasto fermo come una bambola di pezza a guardare il loro battibecco. Tenne gli occhi azzurri fissi verso la schiena di Alan che spariva nel buio dei corridoi.
- Cerchiamo gli altri. – iniziò Seth – Più siamo meglio è, dico bene? – fece l’occhiolino verso l’altro che, dopo un secondo di esitazione, scosse la testa in un cenno positivo. Seth sorrise. Non voleva da subito passare per un capo, preferiva limitarsi a dare a Jasper libertà di scelta, ovviamente fra le opzioni che decideva lui, per far in modo di avere la sua fiducia.
- Hai ragione. – Jasper fece un passo in avanti, ma Seth si girò nella posizione opposta a quella dove era andato Alan. Prima di giocare all’acchiapparella con Alan aveva altri piani in mente. Ed uno di questi richiedeva di sapere tutti i poteri degli altri animali.
Seth, con il volto coperto dal buio, sorrise. A breve sarebbe diventato un dio.
 
 
ANGOLO AUTORE:
Spero che abbiate passato tutti un buon Ferragosto! Ah, comunque ciao a tutti!
Ho finito la stesura della trama (adesso devo solo scriverla LOL). Penso però che, forse, farò come feci con House of memories l’anno scorso. Ovvero che inizierò a pubblicare con regolarità solo dopo Settembre. Ancora non so, per adesso scrivo quando posso, ma fra lo studio e il lavoro l’impresa è bella ardua.
Torniamo a noi. Iniziamo a svelare i vari background dei pg, iniziamo con le prime liti e, soprattutto, capiamo robe. O forse le capisco io che già solo come va a finire LOL.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, scusate se sono sbrigativo, ma necessito di una doccia al più presto ;-)
Alla prossima!

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Capitolo 4
*** Capitolo III ***


- Davvero non hai intenzione di uccidermi? – Zoey aveva la gola secca, talmente secca che faceva fatica a deglutire. La saliva sembrava quasi bloccarsi quando la cacciava giù con forza, causandole quell’orribile sensazione di vomito che tanto detestava. Zoey si sentiva davvero impaurita. Da una parte per colpa di tutte quelle persone che volevano ucciderla, dall’altra perché non aveva ancora capito il perché Duncan la stesse tenendo in vita. Che vantaggio aveva? Nessuno che le venisse in mente su due piedi. Assolutamente nessuno. Per questo aveva davvero tanta paura, perché non sapeva se lui l’avrebbe sempre protetta o se, all’improvviso, si fosse scagliato contro di lei.
- Vuoi che lo faccia? – sbottò Duncan senza nascondere un pelo d’irritazione. Tutto quel chiedergli cosa volesse davvero fare e quel cercare di capire cosa pensasse diventavano piccoli tarli nella sua testa che, pian piano, lo portavano a riflettere. E a lui riflettere non piaceva per nulla. Perché ogni volta che rifletteva si rendeva conto di star facendo delle cazzate e quindi la sua coscienza gli suggeriva cosa fare. E nessuno doveva azzardarsi a dirgli cosa doveva fare. Nemmeno Duncan stesso.
- No, assolutamente! – Zoey mise le mani avanti e spagliò – Solo che… non lo so, mi sembra quasi che tu abbia un motivo per farlo. Tutto qui. – la rossa scosse la testa e Duncan si fermo a guardarla. Era davvero come diceva lei? C’era un motivo che lo spingeva a farle da cavaliere? No, o forse sì. Non voleva comunque pensarci.
- Ah, dannazione! – Duncan colpì con forza il leggio – Smettetela di farmi il terzo grado! Faccio solo e solamente quello che voglio fare. – sbuffò con forza e poi si avvicinò alla porta d’uscita.
- Ehi, non ti preoccupare. Non volevo farti arrabbiare, cercavo solo di capire. – Zoey cercò, nella maniera più democristiana possibile, di farlo calmare. Tutto voleva, tranne che si arrabbiasse. Anche perché aveva visto di cosa era in grado quando lo faceva.
- Allora non toccare più questo argomento. – Duncan poggiò la mano sulla maniglia, ma poi si fermò di colpo e si morse il labbro. Così, dal nulla, due dei suoi neuroni, gli unici probabilmente ancora funzionanti, crearono contatto ed un’idea stranamente geniale si fece spazio nella sua testa. Quasi fin troppo geniale per essere sua.
- Cosa c’è? – domandò Zoey, incuriosita dal modo in cui il moro si era praticamente congelato sul posto. Duncan si voltò verso di lei e le tese la mano.
- Dammi la tua carta. – Zoey lo guardò alzando un sopracciglio. Ci mise qualche secondo a recepire il comando, poco tempo, ma abbastanza per far innervosire Duncan, che mosse repentinamente le dita per farle cenno di sbrigarsi. Seppur ancora con qualche dubbio, fece come richiesto.
- Perché? – la domanda di Zoey venne completamente ignorata, Duncan prese la carta della volpe e se la mise in tasca, per poi estrarre quella del lupo e gliela passò.
- Da questo momento tu sei il Lupo. – disse, intimandole di nascondere il pezzo di carta. Zoey spalancò la bocca. Finalmente aveva capito – Ed io, ovviamente, sono la Volpe. – aggiunse Duncan.
- Ma è pericoloso! – urlò la rossa, indispettendo non poco l’altro – Gli altri ti prenderanno come bersaglio. – finì, con un tono ancora più alto di prima.
- Sai che me ne frega. – sputò acidamente Duncan – Hai già visto di cosa sono capace. Se voglio posso ammazzarli tutti. Tu invece – le premette l’indice contro la fronte – non riusciresti ad uccidere nemmeno una zanzara. – staccò il dito e si lasciò andare ad una risatina. Zoey si sentì particolarmente a disagio, era la prima volta che lo vedeva ridere come una persona normale.
- Quindi è questo il piano? – sussurrò – Tu ti fingi me e rischi la vita, mentre io resto nelle retrovie incolume? – guardò Duncan fisso negli occhi schiantandosi di colpo contro le lastre di ghiaccio del ragazzo. Seppur avesse paura di venire uccisa, l’idea di lasciare tutti i rischi nelle mani di qualcun altro non le piaceva. Non voleva morti sulla coscienza. Duncan, dal canto suo, non sembrò scomporsi più di tanto. Si avvicinò di un passo verso di lei e, senza pensarci due volte, la prese per il collo e la girò di colpo facendola sbattere contro la porta. Zoey perse un battito.
- Esattamente. – disse Duncan, mentre lentamente lasciava la presa, senza però scostarsi di un centimetro da lei – Perché io posso sopravvivere anche per i cazzi miei, tu invece non sei che un topo in gabbia. – lasciò la presa sul suo collo per afferrare la maniglia ed aprire la porta. Il cigolio dei cardini fece capire a Zoey che la porta era stata aperta, non fece nemmeno caso alla completa assenza della stessa dietro la sua schiena per quanto era spaventata. Era esattamente questo che la preoccupava di Duncan, era completamente imprevedibile. Uno schizzato di testa in tutto e per tutto.
Duncan la spinse e Zoey indietreggiò maldestramente fuori dalla stanza. Riottenne l’equilibrio dopo qualche passo incerto ed alzò la testa pronta replicare qualcosa, ma non fece in tempo.
- Chi sei? – domandò una voce femminile. I muscoli di Zoey si gelarono sul posto. Rimase immobile, con gli occhi puntati sul petto di Duncan e la bocca spalancata.
- Avviciniamoci. – questa volta fu un ragazzo dal tono più aspro e seccato a parlare – Ehi, non azzardare a muoverti. – la minacciò. Zoey sentì le mani e la fronte grondare di sudore mentre quegli sconosciuti si avvicinavano. Provò ad alzare lo sguardo verso di Duncan, ma il modo in cui si mordeva il labbro le fece capire che nemmeno lui sapeva bene cosa fare.
- Quanti sono? – le sussurrò Duncan sottovoce. Zoey, con la lentezza di una tartaruga, voltò la testa verso di loro. Vide, in maniera molto poco distinta, tre figure incamminarsi verso di lei.
- Tre. – mimò con le labbra, senza essere capace di far fuoriuscire la voce.
- Sono armati? – chiese il moro. A rispondere Zoey ci mise di più, perché faticava a distinguerli bene. Solo quando erano ormai a quasi venti metri si rese conto degli oggetti nelle loro mani. In particolare, fu il coltello dorato del ragazzo più alto ad impensierirla di più. Zoey non disse nulla, fece cenno di sì con la testa in maniera talmente vistosa che i tre non poterono non accorgersene.
- C’è qualcuno con te? – chiese il terzo, l’unico che non aveva ancora detto nulla. Il suo accento marcato ispanico riecheggiò per le mura del corridoio. Zoey sgranò gli occhi, mentre delle sottili lacrime argentee incominciarono ad uscirle fuori, e Duncan, a quel punto, capì di dover agire al più presto possibile.
- Dannazione! – urlò, per poi afferrare Zoey per la mano ed iniziare a correre. Non degnò loro nemmeno uno sguardo, concentrò tutto sé stesso nel coordinare le gambe il più velocemente possibile.
- Fermatevi! – quell’urlo fin troppo vicino fece capire a Duncan che erano giunti al capolinea. Provò a stringere la presa sulla mano Zoey, ma la sentiva fin troppo scivolosa e sudaticcia. Capì ben presto che gli rimaneva un’unica cosa da fare, forse la più pericolosa ed estrema.
Tirò Zoey verso di sé, dopodiché la spinse addosso ai loro inseguitori e riprese a correre più veloce della luce.
- Addio lupacchiotto, adesso non mi servi più! – urlò, per poi sparire nel buio dei corridoi.
Zoey cadde rovinosamente sopra uno dei tre, quello dall’aspetto più spaventoso e meno socievole. Ci mise meno di un secondo a scostarti da lui, dopo aver visto la sua espressione seccata, spingendosi all’indietro con i polsi delle mani fino a sbattere al muro, in quella che le sembrava una scena già rivista nella sua testa.
- Dannazione, è scappato! – sbottò la ragazza bionda tenendo lo sguardo fisso verso il corridoio. Dopo aver sbuffato, guardò Zoey e si avvicinò a lei. Sì piegò leggermente sulle ginocchia e la squadrò attentamente – Chi sei? – domandò, senza distogliere gli occhi dalla preda.
- Zoey – rispose la rossa, non senza qualche tentennamento. Inspirò ed espirò per una ventina buona di secondi, nella vana speranza di calmarsi e riuscire a ragionare razionalmente.
- Bene Zoey, io sono Kaylee, il ragazzo ispanico si chiama Mark e l’energumeno su cui sei caduta è Luke. – Kaylee presentò il trio cercando di metterla a suo agio. Era statisticamente probabile che quella fosse una di loro e ciò, a conti fatti, voleva dire che il ragazzo di poco prima non era che la volpe.
- Ah, fanculo, stronza. – Luke si tirò su – Perché le hai detto i nostri nomi? Non sappiamo se possiamo fidarci di lei. – puntualizzò poi, mentre con le mani si puliva i pantaloni.
- Se è per questo, io non mi fido nemmeno di te. – Kaylee sorrise ad alzò le spalle.
- Beh, qui ha fatto centro. – la supportò Mark, senza riuscire a non lasciarsi scappare un sorrisetto.
- Fottetevi. Entrambi. – Luke non poté far altro che sbottare in silenzio.
- Allora Zoey, chi era il ragazzo che era con te? – gli occhi di Kaylee si fossilizzarono su quelli di Zoey. La rossa era palesemente a disagio, Kaylee lo percepiva chiaramente. Il respiro affannoso, il modo in cui non alzava lo sguardo da terra e la sudorazione eccessiva erano tutti segni più che chiari.
- Ecco, lui era… - Zoey sentiva la sua mente spenta, come se fosse andata in cortocircuito. Iniziò a respirare sempre più forte, fino a quando non sentì i polmoni esploderle. Poi, di colpo, nella sua testa incominciarono ad intravedersi diverse immagini: Duncan che lottava con Mark, Kaylee svenuta per terra, Luke con il volto insanguinato ed una figura sconosciuta che la abbracciava con forza.
- Allora? – sbottò Luke, destandola dal suo stato di trance.
- Duncan. Si chiama Duncan. – rispose Zoey, mentre spingeva il palmo della mano contro la fronte per cercare di attenuare il suo mal di testa.
- Perché ti tieni la testa? – domandò Mark cercando di intravedere una qualche ferita all’altezza della fronte.
- Beh, ecco, lui mi ha colpito con un pezzo di ferro ed io – Zoey si fermò. Doveva scegliere con attenzioni le sue parole, non poteva permettersi di sbagliare – non ricordo più nulla. – concluse deglutendo con forza.
- Vediamo subito. – Kaylee afferrò il braccio di Zoey ed usò la sua abilità. Accadde tutto di colpo, dopo un’iniziale schermata grigiastra e bianca incomprensibile, che le ricordava quella del televisore a tubo catodico di sua nonna, vide Zoey stesa per terra, Duncan con un tubo arrugginito in mano teso verso la rossa e lo stesso Duncan che uccideva a sangue freddo un ragazzo biondo sovrappeso. Dopodiché, Kaylee fu costretta a togliere la mano perché colpita da una scossa improvvisa.
Sembrava quasi come se i ricordi di Zoey fossero corrotti. Kaylee mosse la mano cercando di riprenderne la sensibilità, poi guardò Luke e Mark e scosse la testa.
- Non sono riuscita a vedere molto. – ammise.
- Che cosa è successo? – chiese Zoey, anche lei colpita dalla leggera scossa. Kaylee si morse un labbro, non del tutto sicura di come risponderle.
- Non ricordi proprio nulla, eh? – la rossa scosse la testa in segno di assenso.
- Ha usato la sua abilità. – spiegò Mark.
- Abilità? – Zoey inclinò la testa di lato e guardò Mark con un sopracciglio alzato.
- Dannazione, non spifferare tutto ai quattro venti! – Luke colpì il muro con un pugno con fare stizzito. Fece per andare verso l’ispanico, ma Kaylee si frappose fra i due.
- Calmati, è pulita. Da quello che ho visto, non ci ha mentito. – la bionda si girò verso di Zoey e le sorrise nella speranza di farla calmare.
- Scusate, cosa sono queste abilità di cui parlate? – ripeté Zoey, cercando di non sembrare troppo insistente. Provò a sollevarsi e, con l’aiuto di Mark, ci riuscì.
- Ognuno di noi ha un’abilità specifica. Io capisco dove si trovano gli altri animali, Luke – lo indicò con l’indice – è capace di vedere cosa stanno facendo in questo momento, mentre Kaylee –
- Io leggo il passato. È quello che ho appena fatto con te. – si intromise la bionda.
- E cosa hai visto? – il volto di Zoey si illuminò di colpo e ciò non passò inosservato allo sguardo attento di Kaylee.
- Nulla di che, l’aggressione che hai subito ed un cadavere. – rispose cercando di essere la più diretta possibile.
- Un cadavere? – domandò Luke scostandosi dal muro. Kaylee fece cenno di sì con la testa.
- Esatto. Un cadavere di un biondo parecchio obeso immerso in un’enorme pozza di sangue. Ne sai qualcosa? – chiese a Zoey con tono leggermente ironico.
- Si chiamava Owen. – incominciò lei, per poi rischiare di vomitare tutt’insieme. Riuscì facilmente a buttare giù il boccone, ormai quel sapore amarognolo la accompagnava da talmente tanto tempo che nemmeno ci faceva caso – Duncan l’ha ammazzato. – continuò, con il respiro affannato e roco.
- Quindi questo Duncan è un vero e proprio schizzato. – Luke si avvicinò a Zoey di colpo fermandosi a pochi centimetri dal suo volto – E sentiamo, perché ti ha lasciata in vita? – la rossa esitò qualche secondo a rispondere, troppo intimorita dall’altezza e dall’aspetto burbero del moro. Non le veniva in mente nulla, non sapeva come sviare quella domanda tanto semplice quanto spinosa. Poi, di colpo, le parole perfette giunsero alla sua bocca proprio prima che il suo silenzio diventasse sospetto.
- Beh, ecco, io – il suo volto si tinse di rosso in una maniera talmente naturale da mettere a disagio tutti e tre gli ascoltatori – ho dovuto farci se… -
- Ferma, ferma, ferma! Abbiamo capito il concetto! – Kaylee le tappò la bocca prima che potesse aggiungere altro – Brutto idiota! Ti sembrano domande da fare? – se la prese poi con Luke, che si limitò a sbuffare a fare qualche passo indietro.
- Comunque sia – Luke si girò verso di Mark – Tu l’hai visto negli occhi? – il latino scosse la testa in segno di dissenso e Luke non poté far altro che lasciarsi andare all’ennesimo sbuffo – Cazzo. –
- Tu però l’hai visto. – lo incalzò Kaylee.
- Sì, ma non riesco a vedere nulla. – Luke chiuse gli occhi ed usò la sua abilità. Vedeva tutto buio a sprazzi e l’inquadratura si muoveva di continuo al punto da fargli venire il mal di mare – Sta correndo da qualche parte, ma non riesco a capire dove. –
- Fantastico! – sbottò Kaylee – Siamo punto a capo. Vabbè, amen, controlliamo questa stanza, poi vedremo come muoverci. – detto ciò, lei e Luke entrarono dentro.
Zoey mosse un passo avanti, ma Mark la fermò appoggiandole una mano sulla spalla. La rossa sussultò spaventata e ciò portò l’altro a ritrarre la mano.
- Oh, scusami, non volevo spaventarti! – si scusò Mark.
- No, figurati, mi hai solo presa alla sprovvista. – Zoey non poté far a meno di ridacchiare. Poggiò la mano destra sopra il cuore e strinse con forza le dita cercando di placare il battito in qualche modo.
- Volevo solo dirti di stare tranquilla e di non preoccuparti. Se ti serve una mano non esitare a chiedermelo, d’accordo? – Mark le sorrise e Zoey, seppur con qualche difficoltò, cercò di fare lo stesso.
- D’accordo, grazie mille. –
 
Duncan non aveva più fiato. Ormai erano quasi cinque minuti che correva senza sosta e, a giudicare dalla completa assenza di rumori, avevano smesso di inseguirlo. Si lasciò andare di peso con la schiena contro il muro finché non si ritrovò seduto per terra con il fiatone. Affondò la testa fra le gambe e trasse un grosso respiro con la bocca. Una goccia di sudore gli attraversò il viso fino al mento, per poi schiantarsi per terra. Si asciugò la faccia con la manica della maglietta e poi appoggiò la testa al muro.
Sentiva un certo magone nello stomaco, un magone che poteva essere spiegato solo con una parola: ansia. Sì, perché l’idea di aver letteralmente scaraventato Zoey insieme ai suoi carnefici un pochino lo attanagliava. Non era certo che quella fosse la scelta migliore, ma era l’unica che gli era venuta in mente in quel momento.
Non era mai stato maestro di improvvisazione, anche se nemmeno Jack Nicholson sarebbe riuscito a districarsi con facilità da quella situazione. L’unica cosa che doveva sperare era che qualcuno iniziasse davvero a vedere lui come l’obiettivo da eliminare. Era un lupo nei panni della volpe, un lupo dal pelo scuro tinto, o forse ricoperto, di un rosso scuro, pesante ed appiccicoso. Rosso sangue, il sangue dell’animale che qualche ora prima aveva sventrato senza pietà.
Perso nei suoi pensieri e nelle sue preoccupazioni, Duncan si tirò su barcollando e riprese a camminare stando ben attento a qualsiasi rumore attorno a lui. Al di là dello scoppiettio della lampadina sopra la sua testa, era immerso nel silenzio più assoluto.
Era scappato in direzione della stanza in cui aveva ucciso Owen, quindi a breve se la sarebbe dovuta trovare davanti. A quel punto avrebbe potuto prendergli la carta ed avvicinarsi ancora di più alla libertà. Non che la volesse così tanto, d’altronde per ottenerla subito gli sarebbe bastato uccidere Zoey, però l’idea di essere segregato là dentro senza nemmeno sapere il perché non lo aggradava per nulla.
Cinque minuti, cinque minuti persi nella sua testa a cercare un piano o comunque un’intuizione che potesse aiutarlo, poi finalmente si ritrovò la porta verde arrugginita davanti. C’era ancora un’impronta di sangue lasciata dalla mano di Zoey. Nel dubbio, per evitare rischi, si leccò la mano, impregnando le papille di un sapore ferroso ed acre, e la scancellò con le dita.
Dopo aver fatto un lungo sospiro, Duncan entrò all’interno della stanza e si chiuse subito la porta alle spalle cercando di fare meno rumore possibile.
- Immaginavo che saresti venuto qui. – Duncan si irrigidì dalla testa ai piedi. Rimase immobile, con la mano ferma sulla maniglia ed il respiro pesante. Sentì il rumore di due passi, poi il silenzio. Lentamente, Duncan si girò verso l’estraneo.
- Chi sei? – domandò, con il solo scopo di prendere tempo per poter elaborare un’idea accettabile. Quello, aggiustandosi la chioma nera, si fece un ulteriore passo avanti e gli sorrise.
- Non hai nemmeno gettato uno sguardo sul cadavere alle mie spalle. – sorrise – Quindi vuol dire che c’entri qualcosa. – concluse di colpo.
- L’ho ammazzato io. – Duncan assottigliò gli occhi. Si incurvò leggermente, pronto a saltargli addosso alla sua prima distrazione. Lo squadrò da cima a fondo e, dopo essersi assicurato che non fosse armato, strinse i pugni e si fece coraggio.
- Questo, in un certo senso, mi rende felice, sai? – Duncan lo guardò spalancando la bocca – Sarà più facile aiutarti se sei in grado di uccidere una persona senza ripensamenti. –
- Spiegati meglio. – il modo di fare così vago del suo interlocutore non lo metteva affatto a suo agio, anzi, gli faceva venire voglia di saltargli addosso.
- Io sono il Camaleonte. – il ragazzo estrasse la sua carta dalla tasca e gliela porse dopo essersi inginocchiato – Mi chiamo Alan e voglio aiutarti, mia amata Volpe. – Duncan strabuzzò gli occhi per diverse volte, senza riuscire a credere a quello che stava vedendo.
- Mi stai prendendo in giro? – irrigidì ancora di più i pugni per prepararsi ad un eventuale attacco a sorpresa.
- No, affatto. – Alan infilò la mano in tasca ed estrasse un’altra carta – Per dimostrarti la mia fedeltà ho già provveduto a prendere la carta dal cadavere. – Duncan le afferrò entrambe e le analizzò con calma. Una rappresentava un camaleonte, mentre l’altra, sporca di sangue, un orso.
- Come hai fatto a capire che la volpe sono io? – chiese poi. Alan si lasciò andare ad una risatina.
- Oh, me l’hai confermato tu in questo momento. – Duncan ebbe un sussulto – Però ne ero già praticamente sicuro: il modo in cui ti sei premurato di chiudere la porta, i tuoi vestiti insanguinati, il cadavere sventrato alle mie spalle. Devo continuare? – elencò tenendo il conto con le dita della mano.
- Perché vuoi aiutarmi? – domandò Duncan, prima di infilare in tasca le carte.
- Non lo so di preciso. So solo che devo farlo, perché il mio desiderio più grande è quello che salvare la volpe. È per questo che partecipo al gioco. – spiegò Alan, lasciando l’altro non del tutto convinto.
- Se lo dici tu. – Duncan si lasciò andare ad un lungo sospiro, poi appoggiò la schiena contro il muro. Non poteva ancora fidarsi di lui, perciò non avrebbe dovuto in alcun modo distrarsi o lasciare un fianco scoperto.
- A proposito, sai qual è la tua abilità? – gli chiese Alan. Duncan fece una faccia stranita che bastò come risposta – Immagino di no. – concluse il moro, per poi mettersi accanto a lui.
- Di che cazzo stai parlando? – Duncan si grattò la testa e sbuffò.
- Ognuno di noi ha delle abilità segrete che può usare. – spiegò Alan.
- Mi stai prendendo per il culo? – Duncan non nascose una certa stizza nella voce.
- No volpe, non ti sto affatto prendendo in giro. So che è difficile da credere, però è tutto vero. – Alan puntò gli occhi verso il soffitto – La mia abilità è l’immunità, sono immune ai poteri degli altri animali. – concluse. Duncan non poté far altro che scuotere la testa e staccarsi di peso dal muro.
- Okay, con questo ho sentito abbastanza stronzate. – fece per uscire dalla stanza.
- Sono la tua unica speranza per uscire di qua vivo. – Alan gli andò in contro – Tutti gli altri ti vogliono morto, ne ho già incontrati due. Uno di loro può comunicare telepaticamente, l’altro è in grado di segnalare la sua posizione a tutti i giocatori. Devi stare attento. – appoggiò una mano sulla spalla di Duncan, che lo scostò bruscamente.
- Ah, fanculo! – sbottò, per poi colpire lo stipite della porta con un pungo – Non ci sto capendo un cazzo. – portò l’indice ed il pollice della mano sui condotti lacrimali degli occhi ed applicò una leggera pressione nella vana speranza di riordinare le idee – Va bene, va bene. Mi fiderò di te. – non avrebbe voluto farlo, ma non aveva altra scelta.
- Ottimo! Mi fa davvero piacere sentirlo. – Alan si lasciò andare ad una risatina, dopodiché si avvicinò ad uno dei numerosi scaffali presenti nella stanza e lo gettò per terra di colpo.
- Che diavolo stai facendo? – Duncan lo guardò in modo scettico.
- Se vogliamo sopravvivere ci serviranno delle armi. – rispose Alan, per poi rompere uno dei perni dello scaffale con un colpo ben assestato. Duncan spalancò gli occhi di colpo.
- Hai ragione. – in quell’esatto momento un piccolo dettaglio tornò alla sua mente – Cazzo, il tubo di ferro! – lo aveva dimenticato da qualche parte nella stanza delle nove colonne che aveva visitato prima con Zoey.
- Hai usato quello per massacrare questo tizio? – chiese Alan indicando il cadavere di Owen.
- Esattamente. – la bocca di Duncan si piegò in un sorriso malato – L’ho proprio massacrato. – gli piaceva davvero tanto quella parola.
 
In Seth c’era qualcosa che inquietava Jasper. Forse era la sua altezza, forse il suo modo di fare fin troppo benevolo, o forse era la sua faccia così pulita e bronzata a metterlo in soggezione. In confronto a lui, Jasper si sentiva piuttosto inadatto alla vita. Era sempre stato in conflitto con sé stesso per via del suo aspetto fisico e questo suo disagio si accentuava parecchio quando si trovava vicino a persone che riteneva oggettivamente belle. Sì, perché Seth, con quella mascella scolpita, il fisico imponente, i capelli ricci e gli occhi color miele, era davvero bello. Di una bellezza esotica che gli ricordava il deserto del Sahara.
- Alan ti ha detto nulla di importante? – gli chiese Seth interrompendo le sue turbe mentali. Jasper boccheggiò qualche secondo, fino a quando non trovò le parole per rispondere.
- Mi ha detto che non vuole uccidere la volpe. – a conti fatti, quello era l’unico discorso che avevano realmente fatto.
- Uh, questo può essere interessante. Vuol dire che forse dovremo sbarazzarci anche di lui. – Seth schioccò la lingua contro il palato e portò una mano sotto il mento con fare pensieroso.
- Che intendi dire con “sbarazzarci”? – Jasper sgranò gli occhi. Seth inclinò la testa e lo guardò come se avesse detto qualcosa di molto stupido.
- Ucciderlo. – spiegò poi, con una semplicità tale che Jasper non poté che rimanerne spiazzato. Deglutì non senza difficoltà, sotto lo sguardo contorto di Seth.
- Ma io non voglio ucciderlo! – protestò Jasper senza riuscire a sembrare abbastanza convincente.
- Se si metterà contro di me dovrò ucciderlo. -  bastò un’occhiata storta di Seth per farlo ritornare al suo posto, un’occhiata di quelle talmente tagliente che Jasper per un istante pensò di avere la gola squarciata. Seth si accorse di esserci andato troppo pesante solo quando vide il modo in cui l’altro era sbiancato di colpo – Intendo dire che, se costretti, dovremo farlo. Fidati, nemmeno io voglio sporcarmi le mani, ma se vogliamo vincere il gioco è necessario. – appoggiò una mano sulla spalla di Jasper e lo guardò con il migliore dei suoi sorrisi.
- Hai ragione, scusami. – il biondo si morse le labbra ed abbassò lo sguardo, troppo spaventato per poter controbattere.
- No, sono io a dovermi scusare. – Seth scosse la testa e si lasciò andare ad un grosso sospiro – Mi sono fatto prendere troppo dal gioco. – portò le mani sul volto ed iniziò a singhiozzare – Purtroppo mio padre è molto malato e l’unico modo che ho per aiutarlo è quello di uccidere la volpe. Non voglio farlo, ma sono costretto! – disse poi.
Jasper ebbe un sussulto. Quelle parole fecero breccia nel suo cuore come una freccia scoccata da un arco. Vederlo in quelle condizioni e, soprattutto, per quel motivo lo fece sentire in colpa anche solo per essere in vita.
- Scusami, non lo sapevo. – gli appoggiò una mano sulla schiena per confortarlo – Sai, anche io sono qui per un motivo simile. Mio figlio sta male. – confidò Jasper. Seth tolse le mani dal volto e puntò gli occhi lucidi verso di lui.
- Quindi io e te siamo simili! – lo afferrò per le spalle e gli sorrise – Dobbiamo per forza collaborare, facciamolo per mio padre e per tuo figlio! – Jasper rimase quasi ipnotizzato da quegli occhi così magnetici, tanto che nemmeno fece caso al modo sopraffino con il quale era stato manipolato. Sì, perché Seth stava a fatica trattenendo un malefico sorriso a trentadue denti. C’era voluto poco, una generica frase fatta, ed aveva colpito al centro il bersaglio con una precisione tale da trapassarlo. Lo aveva raggirato con talmente tanta semplicità che per qualche istante pensò di avere a che fare davvero con un idiota di dimensioni cosmiche.
Un idiota che, tuttavia, in quel momento gli serviva come il pane.
- Forza, continuiamo a cercare gli altri. – Seth si scostò da lui e riprese a camminare – Perché non mi parli un po’ di tuo figlio? Mi sono sempre piaciuti i bambini. – chiese poi con un fintissimo sorriso in volto.
E così, fra un effimero discorso manipolato alla perfezione da Seth e l’altro, riuscirono ad arrivare davanti ad una porta. Il vocio proveniente dall’interno fece capire a Seth di aver fatto bingo. Spalancò la porta di colpo ed invitò Jasper con un cenno della mano ad entrare assieme a lui.
Sì trovò davanti un folto gruppetto di quattro persone che, non appena sentirono il cigolio dei cardini, si girarono verso di loro puntandogli contro tutte le loro armi. Seth rise, non poté fare altro.
- Magnifico, davvero magnifico. Posso sapere quelle dove le avete trovate? – indicò le armi di Manuel e Luke e si avvicinò a loro a passo spedito, con al seguito un riluttante Jasper.
- Non t’azzardare a muoverti. – Luke puntò il coltello contro il collo di Seth, che si fermò proprio quando la punta della lama si appoggiò contro la sua carne. Lo guardò per qualche secondo e, dopo aver sorriso di gusto, si fece un passo indietro.
- Vedo che già siete attrezzati a dovere. Ne sono molto felice, così sarà più facile stanare la volpe. – Seth sorrise ed estrasse la sua carta dalla tasca – Io sono Seth, il serpente. E lui è Jasper il panda. – indicò il biondo alla sua sinistra che si limitò a salutarli con un cenno della mano. Luke abbassò il coltello, ma si tenne a debita distanza.
- Luke. – disse – Mark. – indicò l’ispanico – Kaylee. – poi la bionda – E poi… - si fermò per un istante – Com’è che ti chiamavi? – si girò verso di Zoey, che sussultò di colpo.
- Zoey, lei si chiama Zoey. – fu Kaylee a rispondere, alzando gli occhi verso il soffitto. Seth si bloccò di colpo non appena i suoi occhi si incontrarono con quelli di Zoey.
- Zoey. – ripeté. Fece un passo avanti senza distogliere lo sguardo da lei nemmeno per un istante. La rossa si fece indietro fino a quando non si ritrovò con la schiena contro una delle nove colonne presenti al centro della stanza. Seth continuò imperterrito ad avvicinarsi, fino a quando Mark non si mise davanti lui e lo bloccò mettendogli una mano sul petto.
- Che c’è? – si girò verso di Zoey – Lo conosci? – chiese alla rossa, che si affrettò a fare cenno di no con la testa. Seth si risvegliò dal suo attimo di trance e smise di guardarla.
- Oh, scusatemi. Ero solo colpito dal suo bellissimo aspetto. – si giustificò – Dimmi Zoey, che animale sei? – le chiese, assottigliando gli occhi. Zoey aprì la bocca per rispondergli, ma Mark la anticipò.
- Il lupo. C’è qualche problema? – aumentò la pressione sullo stomaco di Seth, che a quel punto indietreggiò di un passo.
- No, tutto a posto. Era solo una curiosità. Un lupo dall’aspetto davvero inoffensivo. – sorrise. Si guardò poi attorno con occhio attento ed esaminò la stanza da cima a fondo.
- Perché non ci dite quali sono le vostre abilità? – domandò Kaylee. Seth scosse la testa.
- Quello lo capirete al momento più opportuno. Per adesso limitiamoci ad analizzare la situazione. – liquidò la faccenda con una semplicità che fece non poco imbestialire la bionda. Era lei il cervello del gruppo, non aveva bisogno di un belloccio che si atteggiava a capetto. Tuttavia per ora le conveniva far finta di nulla e sapere cosa avesse in mente, perciò fece buon viso a cattivo gioco.
- D’accordo. Quindi, cos’hai di così illuminante da dirci? – lo intimò a rispondere muovendo la mano in sua direzione.
- Ci sono nove colonne qua. – ci passò la mano sopra – E su ognuna di loro c’è un piccolo scavo in cui entra perfettamente una carta, inoltre al centro c’è il disegnino di un animale. – si bloccò per un istante – Quindi possiamo dedurre che ci sono nove animali in tutto e noi siamo in… - iniziò a contare.
- Sei. – rispose prontamente Kaylee facendolo sorridere.
- In sei, esattamente. Più la volpe sette e più il tizio che io e Jasper abbiamo incontrato per i corridoi otto. Ne manca uno all’appello. – constatò.
- Lascialo stare, quel poveraccio è morto. L’ha ammazzato la volpe. – disse Luke con un macabro sorriso – Giusto? – guardò Zoey, che fece cenno di sì con la testa.
- Interessante. – Seth si lasciò andare ad un sospiro – Quindi tu hai incontrato la volpe, dico bene? – il ricciolo guardò la rossa con un sorrisetto tutt’altro che rassicurante.
- Sì. – rispose lei.
- E che tipo era? – Seth assottigliò nuovamente gli occhi e Zoey si sentì ancora più sotto pressione.
- Un tizio alto dai capelli neri e con i vestiti sporchi di sangue. – Mark anticipò nuovamente Zoey, tenendo verso Seth uno sguardo di sfida.
- Fidati, identificarlo è l’ultimo dei nostri problemi. – aggiunse Kaylee sbuffando.
- Buono a sapersi. Invece, le armi? Dove le avete ottenute? – indicò il machete che Manuel teneva in mano.
- Esci dalla stanza, gira a destra, fatti due incroci a casaccio e se hai culo dovresti trovare una stanza con dentro delle vetrate. Lì c’è una specie di distributore delle merendine, se ci metti la carta dentro ti dà un’arma. – spiegò, un po’ a casaccio, Luke. Seth e Jasper lo guardarono con scetticismo.
- Sì, sembra strano, ma l’idiota sta dicendo la verità. – confermò Kaylee e ciò bastò ai due per fidarsi – A proposito. Luke, riesci a vedere qualcosa adesso? – il moro sgranò gli occhi, poi li chiuse e respirò profondamente. Vide diversi scaffali, poi il focus si spostò su una porta verdastra e poi, infine, vide una figura tutta nera. A quel punto dovette riaprire gli occhi per il troppo dolore.
- Mi sembra in una libreria, a quanto ho capito. Con lui c’è qualcuno, ma non riuscivo a vederlo bene. – spiegò poi, coprendosi gli occhi con entrambe le mani per cercare di alleviare il fastidio che sentiva.
- Dev’essere Alan! – esclamò Seth - Perfetto, allo noi due andiamo. – si girò di colpo e fece cenno a Jasper di andare con lui.
- Non è meglio restare uniti? – suggerì Kaylee, seppur non volesse restare assieme a lui per un minuto in più. Seth scosse la testa.
- In altre circostanze avresti ragione, ma ho un piano in testa e per attuarlo dobbiamo restare separati. – Seth si avvicinò alla porta – Voi tenetevi pronti per il segnale. – fece l’occhiolino. I quattro si guardarono confusi fra di loro.
- Che segnale? – chiese Luke.
- Fidati, lo capirete. A presto. – detto ciò, i due uscirono chiudendosi la porta alle spalle.
 
 
 
ANGOLO AUTORE:
Non voglio assolutamente lasciare questa storia incompleta. Attualmente ho già pronto un altro capitolo, mentre quello dopo lo sto scrivendo day by day. Speriamo bene!
Scusate per il ritardo abissale, ma mi ci è voluto moooolto più tempo del previsto.
Comunque sia, passiamo al succo! Sempre se c’è qualcuno che è ancora disposto a berlo AHAHAH.
Duncan e Zoey si separano, eheheheh, Mark fa il daddy iper protettivo, Kylee sente minacciata la sua posizione da leader suprema, Luke viene preso in giro da tutti, Alan prende oggetti dai cadaveri, Seth manipola gente a caso e Jasper si fa manipolare da gente a caso.
Che dite, può andare come riassunto?
Detto ciò, mi scuso nuovamente per il ritardo e spero vivamente di riuscire ad aggiornare il prima possibile! Buona domenica a tutti!

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