Chances

di Clementine84
(/viewuser.php?uid=22717)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 1 ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 2 ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 3 ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 4 ***
Capitolo 6: *** CAPITOLO 5 ***
Capitolo 7: *** CAPITOLO 6 ***
Capitolo 8: *** CAPITOLO 7 ***
Capitolo 9: *** CAPITOLO 8 ***
Capitolo 10: *** CAPITOLO 9 ***
Capitolo 11: *** CAPITOLO 10 ***
Capitolo 12: *** CAPITOLO 11 ***
Capitolo 13: *** EPILOGO ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


Nulla di quanto narrato è reale o ha la pretesa di esserlo. Questo scritto è frutto della mia fantasia e non vuole, in nessun modo, offendere le persone rappresentate. I personaggi originali, invece, appartengono alla sottoscritta e ogni riferimento a persone reali è da considerarsi puramente casuale.
La canzone citata lungo tutta la storia è Chances, dei Backstreet Boys, che dà anche il titolo alla fanfic.
Non chiederò più recensioni, come in passato ma, se qualcuno volesse contattarmi per dirmi cosa ne pensa della storia, sappiate che mi fa piacere.


 

PROLOGO

 

What's a girl like you doing in a place like this?

 

 

I rumori dell’aeroporto rivelavano le frenetiche attività che si svolgevano al suo interno. Uomini d’affari che parlavano al cellulare con voci concitate. Allegre comitive di amici che si chiamavano l’un l’altro, ridendo. Le ruote delle valigie trascinate sul pavimento. I messaggi ripetitivi annunciati sempre dalla stessa voce metallica. Anche gli odori colpivano i sensi e contribuivano alla peculiarità del luogo. Detergente al limone utilizzato dagli addetti alle pulizie per igienizzare i bagni. Caffè appena fatto, proveniente dalle varie caffetterie e trasportato nei bicchieri di cartone dai passeggeri diretti ai loro voli, disperdendone in giro l’aroma. Le acque di colonia costose utilizzate dagli uomini in giacca e cravatta. La gomma surriscaldata delle ruote delle valigie, aspra e pungente.

Era difficile non farsi distrarre e coinvolgere dalla vita dell’aeroporto, specialmente se si viaggiava da soli, senza nessuno con cui scambiare due parole, e si aveva del tempo da perdere. Eppure, lei percepiva suoni e odori in modo distante, ovattato, quasi appartenessero a una vecchia fotografia ingiallita dal tempo. Non doveva distrarsi. Non poteva. Era necessario restare concentrata per non lasciarsi sopraffare. Quindi continuava a ripetersi nella testa, come un mantra, la lista delle cose da fare. Azioni banali, quasi meccaniche, ma che richiedevano più energie di quante sentisse di averne in quel momento.

Controllo documenti.

Recuperare le valigie.

Cercare Amanda.

Fingere di stare bene.

Quell’ultima cosa, in particolare, era fondamentale. Doveva riuscire a mantenere la maschera che si era appiccicata in faccia da cinque mesi a quella parte e convincere sua sorella che fosse tutto sotto controllo. Già le stava creando un sacco di problemi, sistemandosi a casa sua per un tempo indefinito, non poteva darle ulteriori preoccupazioni.

Ritirò i documenti che l’addetto le stava porgendo, salutandolo con un sorriso di circostanza, poi si diresse verso il nastro dei bagagli, mettendosi in attesa.

Las Vegas. Ci era stata una sola volta, per un weekend, in occasione dell’addio al nubilato di un’amica ma, oltre alla Strip e a qualche casinò, aveva visto ben poco. Si era divertita, ma ricordava di essersi sentita come quando, da bambina, i genitori avevano portato lei e sua sorella a Disneyland: un posto da favola, ma assolutamente surreale e irrimediabilmente finto. La sensazione era di essere in un limbo, dove nulla era permanente e tutto ciò che contava era l’esteriorità, la facciata. Ricordava di essere rimasta a osservare le facce di alcune delle persone impegnate a giocare alle slot machines nella hall dell’albergo dove avevano alloggiato, chiedendosi a cosa stessero pensando. Gli occhi fissi sugli schermi, concentrati sui simboli che si susseguivano davanti a loro, di tanto in tanto allungavano distrattamente una mano per raggiungere il bicchiere con il drink che stavano bevendo, ma non sembrava che se lo stessero godendo veramente. Chissà perché erano lì. Chissà quali erano le loro storie. Chissà se erano soli, oppure avevano qualcuno che li attendeva, a casa. E chissà cosa speravano di ottenere, da quella serata di scommesse. Scosse la testa. Assurdo come un particolare così insignificante le fosse rimasto impresso. La sua solita ossessione per la mente umana che, prima o poi, l’avrebbe messa nei guai.

Con la coda dell’occhio, identificò le sue due valigie, una gialla, la sua, e una arancione, di William. Si avvicinò al nastro e, con un po’ di fatica, data la dimensione dei suddetti bagagli, riuscì a tirarle giù. Prese un respiro profondo e si avviò verso l’uscita, ripassando mentalmente la lista.

Controllo documenti. Fatto.

Recuperare le valigie. Fatto.

Cercare Amanda.

Fingere di stare bene.

Non appena oltrepassate le porte che delimitavano la zona del ritiro bagagli da quella di attesa dei passeggeri in arrivo, si guardò intorno, alla ricerca dei capelli biondi della sorella. Subito non la notò e, meccanicamente, si infilò una mano nella tasca dei jeans, per prendere il cellulare, che non aveva ancora acceso da quando erano atterrati. Voleva controllare che Amanda non le avesse scritto per avvertirla di un eventuale intoppo o ritardo. Non fece in tempo nemmeno ad accenderlo che si sentì chiamare e, alzando la testa, vide la sorella correrle incontro, con aria trafelata.

Cercare Amanda. Fatto.

Fingere di stare bene.

Si stampò in faccia un sorriso, cercando di farlo sembrare il più genuino possibile, e ricambiò l’abbraccio in cui la sorella l’aveva avvolta.

“Scusami, ho trovato più traffico del previsto” si scusò, togliendole meccanicamente dalla mano il manico di una delle due valigie. “Hai fatto buon viaggio?”

“Un po’ di turbolenza all’atterraggio, ma tutto sommato a posto”.

Amanda sorrise e alzò gli occhi al cielo. “Oh, qui è sempre così. Ha a che fare con la differenza di temperatura tra l’aria e il terreno” spiegò. “Ti ci abituerai”.

Ne dubitava, ma evitò di farlo notare. Non si sarebbe mai abituata all’idea di vivere a Las Vegas, anche se solo temporaneamente. Era qualcosa che non aveva mai considerato possibile nella sua esistenza. Las Vegas, per lei, si riduceva all’accozzaglia di casinò e altri palazzi radunati attorno alla Strip e non aveva mai seriamente considerato la possibilità che qualcuno ci abitasse veramente. Questo fino a due anni prima, almeno, quando la sorella e il cognato si erano stabiliti in una zona residenziale della città in seguito al trasferimento di entrambi all’Henderson Hospital, dove lavoravano, lui come cardiologo e lei come ortopedica. E, adesso, per volere del destino, anche lei ci avrebbe vissuto.

Temporaneamente, si disse. Giusto il tempo di rimettersi in sesto e trovare un posto dove stabilirsi.

Mentre tornavano verso casa, ascoltò distrattamente le chiacchiere della sorella, che le raccontava dell’incidente sulla 215, che aveva causato il suo ritardo, e le annunciava che Derek aveva preparato i tacos per cena. Nel frattempo, osservava le luci della città che si rincorrevano, come tante lucciole impazzite, al di là del finestrino.

Fingere di stare bene. In corso di esecuzione.

 

~ * ~

 

What's a guy like me doing in a place like this?

 

Non appena scese dal taxi, il cancello di fronte a cui l’auto si era fermata si aprì quasi istantaneamente. Pagò la corsa e ringraziò l’autista, che l’aveva aiutato a scaricare le valigie dal bagagliaio, porgendogli anche un foglietto con il suo autografo. Durante il tragitto dall’aeroporto, l’uomo gli aveva confessato che la figlia era una fan e gli era sembrato un bel modo per ringraziarlo della sua gentilezza. E della sua discrezione, soprattutto. Non che fosse in incognito o si stesse nascondendo, ma stava, in qualche modo, scappando ed era grato all’uomo per non avergli fatto domande. Anche se sapeva dove stava andando. Da chi stava andando. E, probabilmente, anche perché. Sospirò, sentendo il solito peso sul petto che, ormai, lo accompagnava da settimane. La sua situazione era di dominio pubblico, chi non la sapeva? Quando avevano iniziato, negli anni ‘90, forse sarebbe stato più facile mettere tutto a tacere o, almeno, non divulgare i dettagli ma, oggi, nell’era di internet e dei social network, era un gioco da ragazzi venire a conoscenza della vita privata delle persone, anche senza che fossero loro a pubblicizzarla, in prima persona. Succedeva alla gente normale, figurarsi alle celebrità. Non si sarebbe mai abituato a quell’epiteto, nemmeno dopo quasi trent’anni di onorata carriera, ma questo non rendeva meno reale il fatto che fosse, a tutti gli effetti, considerato tale. Con tutti i pro e i contro che quella condizione comportava, tra cui riuscire a ottenere un appuntamento con lo specialista più quotato al mondo per le disfunzioni vocali, sebbene la lista d’attesa fosse in media di un anno, ma anche vedere la fine del suo matrimonio pluriventennale data in pasto alla stampa, notoriamente indifferente al cuore infranto delle persone coinvolte.

Ecco perché era lì. Aveva bisogno di staccare. Di allontanarsi dal vortice di pessimismo e recriminazioni che era diventata la sua vita, per rimettere insieme i pezzi e capire come ricominciare. Da dove ricominciare. Supponeva che la risposta fosse da sé, quindi abbandonare tutto e tutti gli era sembrata la soluzione migliore. E, quando aveva dovuto decidere dove andare, il primo posto che gli era venuto in mente era stato quello. O, meglio, la prima persona che gli era venuta in mente era stato il proprietario della casa verso cui si stava dirigendo in quel momento. Il suo migliore amico. Il fratello minore che non aveva mai avuto e, quindi, aveva ricercato in quel ragazzino biondo che l’aveva accolto, sorridente, quel pomeriggio di aprile di 29 anni prima. Anche lui in cerca di un legame, di una figura di riferimento, del fratello maggiore che non aveva mai avuto a sua volta. Si erano scelti reciprocamente, senza mai più lasciarsi. Oh, avevano avuto i loro alti e bassi, certo. C’erano stati momenti in cui si erano odiati, periodi in cui avevano fatto di tutto per evitarsi, rivolgendosi a stento la parola. Avevano litigato, si erano tirati contro le cattiverie più tremende, puntando sul fatto che si conoscevano così bene da sapere esattamente che tasti toccare per farsi più male. Ma, alla fine, c’erano sempre stati, l’uno per l’altro, specialmente nei momenti importanti, in quelli di maggior bisogno. Non si erano mai abbandonati e mai l’avrebbero fatto. Erano una famiglia. Per questo, non appena l’aveva chiamato, l’amico si era subito offerto di ospitarlo.

“Vieni quando vuoi e per tutto il tempo che vuoi” gli aveva detto. “Non c’è problema. Anzi, mi fa piacere poter fare qualcosa per te”.

“Sei sicuro?”

Aveva riso. “Mai stato più sicuro. Adoro averti intorno, lo sai”.

Arrivato ormai all’ingresso, alzò lo sguardo e se lo ritrovò davanti, con un paio di pantaloncini neri e il jersey dei Tampa Bay Buccaneers. Gli sorrise, sollevando leggermente l’angolo destro della bocca, in quel suo modo tipico che sembrava sempre un po’ ammiccante, quasi volesse conquistare chi gli stava davanti al primo sguardo. Non che con lui ce ne fosse bisogno, l’aveva già completamente conquistato tanti anni prima. Allargò le braccia e l’avvolse in un abbraccio, che sembrò portargli via parte della tensione che aveva accumulato nell’ultimo periodo.

“Ben arrivato” lo salutò. Poi lo squadrò da capo a piedi, con aria critica, e aggiunse “Hai un aspetto orribile”.

“Grazie tante” commentò, lasciandosi sfuggire una risatina. Il tatto non era mai stato il suo forte.

“Scusa, ma sono onesto, lo sai” si giustificò.

“Lo so” ammise “e non hai ancora imparato quando è il caso di esserlo e quando è meglio evitare”.

L’amico gli passò un braccio intorno alle spalle e afferrò il manico di una delle valigie.

“Non preoccuparti” lo rassicurò “adesso sei qui e ci pensiamo noi a rimetterti in sesto. Un paio di settimane e ti riconsegniamo al mondo e alle tue fan come nuovo”.

Non potè fare a meno di scoppiare a ridere, sentendo anche gli ultimi resti di tensione abbandonarlo. Mentre si lasciava condurre dentro casa dall’amico, si ripetè che la decisione di venire lì era stata giusta, forse l’unica cosa buona che aveva combinato in quelle ultime due settimane. Sarebbe stata dura, sarebbe stato un processo lungo e pieno di ostacoli, ma in qualche modo ce l’avrebbe fatta. Avrebbe superato anche quello.

Non era più solo.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** CAPITOLO 1 ***


CAPITOLO 1

 

What if I'd never run into you?

 

Aprì la porta di casa e fu subito colpito dalla temperatura. Era fine agosto e faceva caldo, dannatamente caldo. Non che ad Atlanta patisse il freddo, anche lì le estati erano discretamente calde, ma non così. Erano le sette di mattina e il suo orologio segnava 28°C. Decisamente troppo per i suoi gusti. In ogni caso, doveva uscire. Sentiva la necessità di muoversi e aveva deciso di andare a fare una passeggiata nel circondario. L’idea era di dare un’occhiata in giro e, magari, rimediare una tazza di caffè. L’avrebbe di sicuro aspettato una bella colazione, una volta tornato a casa, ma il suo amico e la moglie avevano avuto una nottata difficile a causa di una delle bimbe che era stata poco bene – aveva percepito i pianti e le voci rassicuranti dei genitori al di là della porta della sua stanza – quindi si meritavano di restare a letto un po’ più a lungo, figli permettendo. Si era comunque premurato di lasciare un biglietto sul bancone della cucina, avvisando i padroni di casa della passeggiata, in modo che non si preoccupassero se non l’avessero trovato al loro risveglio. Già averlo in casa era una bella incombenza, non voleva causargli ulteriori grattacapi. Alzò gli occhi al cielo, ammirandone le tonalità rosa e dorate, che piano piano stavano lasciando il posto all’azzurro limpido di quella giornata di fine estate. Sospirò e uscì dal cancello. Un passo dopo l’altro, un piede davanti all’altro. Doveva procedere nello stesso modo anche nella vita.

Stava camminando da almeno mezz’ora quando la notò. Era davanti a lui, leggings neri al polpaccio e una maglietta rosa. Camminava rapida, con passo deciso, come se sapesse esattamente dove andare, a differenza sua. Aveva i capelli castano chiaro legati in una coda di cavallo, che spuntava da un cappellino da baseball, e ondeggiava a destra e a sinistra, seguendo l’incedere dei suoi passi. La testa improvvisamente libera dai pensieri, si ritrovò ipnotizzato da quell’oscillare, che sembrava calmare i suoi nervi tesi e, senza nemmeno rendersene conto, prese a seguirla, mantenendosi a debita distanza. Non era sua intenzione spaventarla né, tanto meno, importunarla. Voleva soltanto lasciarsi cullare dal movimento ritmato di quei capelli, che parevano aver monopolizzato l’attenzione dei suoi neuroni e, magari, con un po’ di fortuna, farsi guidare verso la caffetteria più vicina.

 

~ * ~

What if I hadn't noticed you too?

 

Era uscita di casa verso le sette, come ogni mattina e, come sempre, si era stupita del caldo, che l’aveva accolta appena varcata la soglia come uno schiaffo in pieno viso. Ormai era una settimana che stava lì e non avrebbe più dovuto sorprendersi, ma era più forte di lei. Abituata al clima del Maine, prima, e del Connecticut poi, il caldo di Las Vegas rappresentava per lei un cambiamento così drastico che non si sarebbe mai abituata. Nonostante questo, non avrebbe mai rinunciato alla sua camminata mattutina. Aveva fatto una promessa e l’avrebbe mantenuta, indipendentemente dal clima. Solo condizioni di salute instabili, impegni inderogabili o un meteo particolarmente avverso avrebbero potuto farla desistere. Senza contare che, ormai, quelle passeggiate erano diventate una sorta di rituale. Con la sua musica preferita nelle orecchie, macinava chilometri, stancando i muscoli in modo da non dover ricorrere ai sonniferi per riuscire ad addormentarsi, la sera. Dormiva ancora molto poco e si svegliava prestissimo, ma era già qualcosa.

Le piaceva guardarsi in giro, ammirando le case dei vicini e notando il progredire delle stagioni nelle foglie degli alberi, che si facevano via via più chiare, tendenti al giallognolo. Doveva ammettere che il quartiere di Henderson, dove si era stabilita la sorella, era molto carino. Appena fuori Las Vegas, sembrava distante anni luce dalla frenesia della Strip ed era facile convincersi di essere in qualche cittadina della California. Non per niente molte celebrità avevano deciso di prendere casa lì. Amanda le aveva fatto l’elenco dettagliato di tutte le persone famose che vivevano, o avevano vissuto, in quella zona, ma non le aveva prestato molta attenzione e riusciva a stento a ricordare qualche nome, tra cui Celine Dion, Mike Tyson, Carlos Santana e Nick Carter, il biondino dei Backstreet Boys, per cui sua sorella aveva una cotta da ragazzina. Indipendentemente da chi ci viveva, alcune delle case a cui passava davanti durante le sue passeggiate erano veramente belle e ammirarle era un piacere per gli occhi.

Si accorse di avere una scarpa slacciata e si fermò per sistemarla. Rialzandosi dalla posizione rannicchiata in cui si trovava, sentì il rumore di un elicottero sopra alla sua testa e alzò lo sguardo verso il cielo per localizzarlo. Quando lo riabbassò, si accorse di una figura alle sue spalle, poco distante. Un uomo, in pantaloncini blu e maglietta bianca, capelli ricci biondo miele e un accenno di barba. Era fermo a pochi passi da lei, e sembrava impegnato a digitare qualcosa sul suo smart watch. Dopo avergli lanciato un ultimo sguardo, chiedendosi perché avesse un aspetto famigliare, si voltò e proseguì per la sua strada, mandando avanti la canzone che era appena iniziata per cercare qualcosa di più allegro.

Qualche minuto dopo, si fermò a un semaforo rosso e, inconsciamente, si voltò per controllare se l’uomo che aveva notato poco prima fosse ancora dietro di lei. Non solo c’era, ma aveva ridotto la distanza, avvicinandosi a pochi passi. Ora che non aveva il viso abbassato e poteva vederlo meglio, notò che aveva gli occhi azzurri e pensò che fosse strano accorgersene da quella distanza. Inoltre, aveva un vistoso tatuaggio sul braccio sinistro. C’era qualcosa, in lui. Era come se l’avesse già visto da qualche parte. Impossibile, si disse. Non conosceva nessuno a Las Vegas e non aveva avuto interazioni con nessuno oltre alla ragazza che le serviva il caffè, ogni mattina, alla caffetteria al confine del quartiere, che rappresentava il punto di arrivo delle sue camminate. Alzò le spalle, convincendosi che doveva somigliare a qualcuno che conosceva e, non appena scattò il verde, proseguì per la sua strada.

 

~ * ~

 

What if I hadn't asked for your name?
And time hadn't stopped when you said it to me?

 

La vide entrare in una caffetteria e non potè fare a meno di sorridere, tra sé. Aveva raggiunto il suo scopo, trovare del caffè. Quella misteriosa ragazza si era rivelata provvidenziale su più fronti ed era stato fortunato ad averla incrociata, quella mattina. Chissà come si chiamava e dove viveva.

Perso in quelle riflessioni, la seguì all’interno del negozio, ma dovette fermarsi di colpo quando si accorse che c’erano alcune persone in coda al bancone. Tra cui, ovviamente, la ragazza che aveva seguito. Ed era proprio davanti a lui. Probabilmente percependo la presenza di qualcuno alle sue spalle, si voltò e potè finalmente vederla in faccia. Profondi occhi castani, labbra sottili ma rosee, carnagione pallida e una spruzzata di lentiggini sulle guance. Gli rivolse un’occhiata che riuscì solo a definire come sospettosa e gli venne il dubbio che a. si fosse accorta che l’aveva seguita fino a lì o b. l’avesse riconosciuto. Sperando di trattasse della prima ipotesi, sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi e confessò “Ti ho seguita sperando mi portassi al caffè”.

Avrebbe potuto arrabbiarsi e rispondergli in malo modo, ma qualcosa gli diceva che non sarebbe successo. E non perché l’avesse riconosciuto, ma perché aveva l’aria di essere una persona gentile ed educata. Infatti, gli sorrise a sua volta e replicò “Eccoti accontentato”.

Nel frattempo, i clienti davanti a loro avevano ultimato le loro ordinazioni ed era arrivato il turno della ragazza, che ordinò un caffè nero, senza zucchero.

“Ne faccia due” disse alla cameriera, con un sorriso. Poi, avvicinandosi al bancone e prendendo il cellulare della tasca dei pantaloncini, lo posò sul lettore wireless, pagando entrambi i caffè e annunciando, rivolto alla ragazza “Lascia, faccio io. Per ringraziarti del servizio”.

Lei sorrise e, mentre ritirava entrambi i bicchieri che la cameriera le stava porgendo, ringraziò lo sconosciuto “Molto gentile”.

“Figurati…” minimizzò lui, bloccandosi prima di terminare la frase perché non sapeva il nome della ragazza.

Lei parve capire che lo sconosciuto voleva sapere il suo nome e lo accontentò. “Ellen. Ma tutti mi chiamano Elle” disse, porgendogli uno dei due bicchieri.

Uscirono dalla caffetteria, fermandosi sul marciapiede, uno di fronte all’altra.

“Piacere, Elle. Io sono Brian” disse lui.

All’udire il suo nome, qualcosa fece click nel cervello di Elle e collegò tutti i pezzi, mentre le sembrava di risentire nelle orecchie la conversazione avuta con sua sorella qualche giorno prima, a cena.

Nick Carter dei Backstreet Boys abita qui vicino. Ogni tanto lo si vede in giro con i figli.

Brian Littrell. Ecco chi era. Ed ecco perché il suo viso le sembrava conosciuto. Da ragazzine, sua sorella aveva la camera tappezzata di poster dei Backstreet Boys e il volto di Brian le sorrideva dai muri ogni volta che metteva piede nella sua stanza.

Senza che potesse fare nulla per impedirlo, un sorriso le si allargò sul viso e Brian se ne accorse perché sorrise a sua volta e commentò “Dalla tua espressione deduco che non serva che aggiunga il cognome”.

Elle si lasciò sfuggire una risatina e ammise “Ho passato almeno dieci minuti a chiedermi dove diavolo ti avevo già visto. Almeno adesso ho svelato il mistero”.

Lui scoppiò a ridere, colpito da tanta sincerità. Era raro ottenere una reazione del genere dopo essere stato riconosciuto, ma faceva sempre piacere avere a che fare con persone tranquille ed equilibrate, che non andavano in panico all’idea di parlare con un personaggio famoso. Sulla scia dell’entusiasmo provocato da quella reazione, le propose “Dato che facciamo la stessa strada, ci beviamo il caffè tornando verso casa?”

Lei piegò la testa di lato, come a considerare l’idea. Poi obiettò “Non mi piace bere mentre cammino. Preferisco gustarmi il caffè seduta tranquilla”.

Brian ci rimase male, anche se cercò di non darlo a vedere. Va bene non dare in escandescenza dopo averlo riconosciuto, ma non gli era mai capitato che qualcuno declinasse così palesemente un suo invito. Non da quando era diventato famoso, almeno. Stava ancora cercando qualcosa di intelligente da dire per togliersi da quella situazione imbarazzante, quando Elle parlò di nuovo.

“C’è un posto, qui vicino, dove vado sempre a bere il mio caffè. È tranquillo e c’è una vista spettacolare sulla città. Mi fai compagnia?”

Sentendo un sorriso allargarglisi in viso, Brian annuì. “Volentieri”.

 

~ * ~

 

I could have just walked by, who would've thought?


Seduti su una panchina, mentre sorseggiavano i loro caffè, ammirando le luci di Las Vegas che si andavano mano a mano spegnendo, lasciando spazio all’incedere del giorno, Brian scrutò Elle con la coda dell’occhio e decise di rompere il silenzio, per quanto confortante potesse essere.

“Allora, Elle” esordì. “Vivi qui?”
Lei scosse la testa. "No. Sono ospite di mia sorella e mio cognato. Temporaneamente".
Brian sorrise e bevve un sorso di caffè. “Anch'io sono ospite di un amico” disse. Poi, rendendosi conto di quanto tutta quell’elusività fosse assolutamente superflua, aggiunse “Di Nick”.
Elle annuì. “Sì, so che vive da queste parti” ammise.
Brian sospirò, rassegnato. “Allora sarai anche al corrente della mia situazione”.
“Sono stata un po' presa da altre cose, ultimamente, per occuparmi di gossip,” disse lei, distogliendo lo sguardo “ma mia sorella deve avermi accennato qualcosa”.
“È una fan?” le chiese lui, curioso.
“Una specie” gli rispose. “Ha superato i 40 da un pezzo ed è felicemente sposata, quindi non immaginarti una ragazzina esaltata, ma sì, le piace la vostra musica ed è stata a qualche concerto”.
“Beh allora saprà sicuramente dei miei problemi con la voce e del mio divorzio” osservò Brian, cercando di essere il più realista possibile.
Elle non confermò, ma nemmeno negò, i suoi sospetti. Si limitò a spostare di nuovo lo sguardo su di lui, commentando “Mi dispiace”.
“Per cosa?” le domandò, stupito di quanto il tono in cui gli aveva detto che le dispiaceva fosse sembrato sincero.
“Per entrambi”.
Brian si strinse nelle spalle, fingendo un’indifferenza che in realtà non provava, e commentò “Doveva andare così. A essere onesto, riesco ad accettare più facilmente il divorzio che il resto”.
Senza mai distogliere lo sguardo dal suo viso, Elle ribatté “Lo immagino. Ma non ci voleva anche quello”.
“No,” ammise Brian “ne avrei fatto volentieri a meno”.

Tra loro, cadde nuovamente il silenzio. Entrambi distolsero lo sguardo, tornando ad ammirare il paesaggio davanti a loro. O, almeno nel caso di Brian, fingendo di farlo. In realtà, continuava a spiare con la coda dell’occhio la donna seduta accanto a lui, mentre un miliardo di domande che avrebbe voluto porle gli affollavano la testa. Chissà come mai era ospite della sorella? Da dove veniva? Era lì da sola? Moriva di curiosità, ma non voleva sembrare invadente o maleducato. Doveva contenersi e trovare un modo adeguato per far proseguire il discorso e, magari, scoprire qualcosa di più su di lei.

All’improvviso, notò un luccichio sulla sua mano sinistra e si accorse che portava la fede. Come lui, d’altra parte. Avrebbe decisamente dovuto toglierla, ma non ne aveva ancora avuto il coraggio. Poteva essere un buon modo per continuare la conversazione, però, quindi le chiese “Sei qui con tuo marito?”

Elle non potè fare a meno di trasalire. Le succedeva sempre. Non riusciva a controllarsi. Non ancora. Si accorse che Brian le stava guardando la fede e, senza riflettere, la accarezzò con l’indice della mano destra. Inspirò profondamente e scosse la testa. “No. Sono qui da sola”.

Evidentemente, Brian fraintese il suo gesto e la sua risposta, perché spalancò gli occhi e domandò “Anche tu...?” supponendo che anche Elle fosse reduce da una separazione o un divorzio. Suo malgrado, lei si ritrovò a pensare che avrebbe preferito fosse così. Non avrebbe comunque potuto avere William, ma l’idea che fosse ancora parte di quel mondo sarebbe stata confortante, in qualche modo. Sforzandosi di non soffermarsi su quei pensieri, fece di nuovo no con la testa e si decise a confessare il suo segreto, in modo da evitare fraintendimenti futuri. “No. Mio marito è morto sei mesi fa”.

Brian non reagì subito, il che, Elle aveva imparato a sue spese, non era sempre un male. Di fronte a un annuncio del genere, di solito la gente tendeva a non sapere cosa dire e, per togliersi dall’imbarazzo, si affrettava a prodigarsi in esclamazioni di stupore o tristi constatazioni di circostanza, che avevano il potere di farle ribollire il sangue nelle vene. Non che li biasimasse. Non era colpa loro. Si rendeva conto che la sua confessione metteva le persone in una situazione difficile da gestire e non gliene faceva una colpa. Solo che, a volte, le sarebbe piaciuto che si fermassero a pensare a come potesse sentirsi lei, per prima, a dover annunciare a degli sconosciuti che suo marito, l’uomo che aveva amato – e continuava ad amare – con tutta se stessa, se ne era andato. Era ancora più difficile da dire che da ascoltare. E avrebbe voluto che la gente lo capisse e, semplicemente, ne tenesse conto. Quindi, quando Brian aspettò qualche secondo, prima di parlare, Elle iniziò a sperare di non sentirsi dire le solite frasi trite e ritrite, che ormai le facevano venire la nausea.

Brian, d’altro canto, si sentì come se gli mancasse la terra da sotto ai piedi e dovette aggrapparsi al bordo della panchina con la mano sinistra, libera dal bicchiere di caffè, per contrastare il senso di vertigine che l’aveva colto. Non si trattava solo di vergogna per aver fatto la domanda più inappropriata tra tutte quelle che avrebbe potuto pensare, anche se c’era anche quella. Era più il dispiacere per aver messo Elle in una situazione chiaramente scomoda. Forse non ne voleva parlare e sarebbe stato più che comprensibile.

“Io...scusa. Non sapevo” farfugliò, in imbarazzo.

Elle si strinse nelle spalle e scosse lievemente il capo. “Non scusarti. Non potevi saperlo. Non hai fatto niente di male. Sono io che dovrei decidermi a togliere l’anello”.

“È difficile. Lo so” concordò Brian. Poi, temendo di poter essere frainteso, precisò “Non sto dicendo che la mia situazione sia uguale alla tua, ovviamente. Ma, come vedi, anch’io non sono ancora riuscito a togliere la fede, quindi immagino quanto possa essere difficile per te”.

Elle gli rivolse un debole sorriso. “Già”.

Restarono un istante in silenzio, poi Brian decise di rischiare. Sapeva di camminare su un terreno minato domandandole del marito, ma non farlo sarebbe stato anche peggio, a suo avviso. L’argomento sarebbe diventato il proverbiale elefante rosa nella stanza e avrebbe finito col catalizzare tutta l’attenzione, creando sempre più tensione e imbarazzo.

“Posso...posso chiederti…” balbettò, indeciso su come porre la domanda, senza sembrare indelicato.

Fortunatamente, Elle capì e andò in suo aiuto. “Com’è morto? Certo. Cancro ai polmoni. Mai fumato in vita sua”.

Brian abbassò lo sguardo, toccato da quel commento, che voleva sottolineare la crudele ironia dell’evento. “Quanti anni aveva?”

“45” rispose Elle. Poi, forse decidendo di aprirsi con lui, spiegò “Stava male da tempo. È stato un calvario durato 8 anni, tra operazioni e ricadute”.

“Avete…?” tentò di domandare ancora, maledicendosi per non essere in grado di terminare una frase.

Di nuovo, Elle capì cosa voleva sapere. “Figli? No. Avremmo voluto, ma ha iniziato a stare male e...avevamo altro per la testa, ecco”.

“Immagino” convenne Brian, capendo perfettamente la situazione.

“E io avevo già 33 anni, quindi il treno è passato e l’abbiamo perso” aggiunse Elle, con una punta di rimorso. “Ma, forse, è stato meglio così”.

Brian percepì che l’argomento costituiva un ulteriore nervo scoperto per Elle e tentò di cambiare discorso, pur senza farlo in maniera troppo plateale.

“Come si chiamava?” chiese, tornando a riferirsi al marito.

“William”.

Rivolgendole un sorriso che, sperava, potesse essere confortante, le propose “Ti va di parlarmi di lui? Solo le cose belle”.

Elle sorrise, sentendosi improvvisamente pervadere da un senso di calore, che poco aveva a che fare con il graduale aumento della temperatura. Nessuno le aveva mai chiesto di parlarle di William raccontando solo le cose belle. Di solito, tutti domandavano della malattia, soffermandosi – e obbligandola a ricordare – sui dettagli più dolorosi, che la facevano stare male e le riempivano il cuore di angoscia. La richiesta di Brian, invece, la rasserenava. Non voleva dimenticare William, per nessun motivo. Ma quello che voleva ricordare non erano quegli otto anni di calvario, trascorsi tra ospedali e notti in bianco, sforzandosi di ricacciare in gola le lacrime che le pizzicavano gli occhi ogni volta che guardava ciò che era rimasto dell’uomo allegro e divertente di cui si era innamorata. Voleva riportare alla mente solo i ricordi belli, quelli che ancora la facevano sorridere e le riscaldavano il cuore.

Guardò Brian negli occhi e confessò “Ricordo solo quelle. Buffo, vero?”

Lui scosse la testa. “No. Anche se la mia situazione è completamente diversa, ti capisco”.

Grata per essersi sentita compresa, Elle iniziò a raccontare.

“Non c’è molto da dire. Ci siamo conosciuti all’università. Amici in comune, una cosa banale. Faceva il programmatore e per un bel pezzo siamo stati lontani perché lavorava nella Silicon Valley. Poi, quando è riuscito a tornare, mi ha chiesto di sposarlo e ci siamo trasferiti a Hartford, in Connecticut. Lui era di lì”.

“Tu vivi lì, quindi?” le domandò, interessato.

“Non più. Ho venduto la casa, non riuscivo più a starci” rispose Elle, stupendosi della facilità con cui aveva confessato a uno sconosciuto qualcosa che aveva faticato ad ammettere anche a sua sorella. O, forse, la differenza stava proprio lì.

Brian annui. “So cosa intendi. Io ho lasciato la casa a Leighanne ma, se non l’avesse voluta, l’avrei venduta. Non ce l’avrei fatta a restare a vivere lì”.

“In più, io e mia sorella siamo originarie del Maine, in Connecticut non ho più nessuno. Non aveva senso” aggiunse Elle, per fornirgli il quadro completo della situazione.

“Quindi dove vivi adesso?” volle sapere Brian.

“Per ora da mia sorella, ma sto cercando casa”.

“Dove?”

Elle scosse la testa. “Non lo so. So solo che voglio vivere sul mare. È sempre stato un nostro sogno” ammise, con aria sognante.

“California?” azzardò Brian.

“Forse” concordò lei. Poi decise che era arrivato il momento di passare la palla a Brian. Fino ad ora aveva parlato solo lei e immaginava che la ragione fosse che, effettivamente, Brian non la conosceva e stesse cercando di saperne di più su di lei. Il problema, però, era che evidentemente Brian era convinto che lei sapesse già parecchie cose su di lui mentre, invece, aveva solo vaghi ricordi risalenti al tempo in cui Amanda andava matta per i Backstreet Boys e un paio di notizie buttate lì per caso dalla sorella, in mezzo ad altri discorsi. Un po’ pochino per basarci...qualsiasi cosa fosse quello che stava iniziando tra loro. Per questo motivo, gli chiese “Tu invece?”

Lui sospirò, ma non sviò la domanda. “Discorso molto simile al tuo. Sono del Kentucky, vivevo ad Atlanta perché Leighanne era di lì ma, a parte mio figlio, che ormai è grande, non ho nulla che mi leghi a quel posto. Sono anch’io alla ricerca di una casa e punto alla California perché mio cugino abita lì ed è quanto di più simile a un secondo fratello io abbia. Oltre a Nick, ovviamente, ma lui ha la sua famiglia e, per quanto siano felici di avermi qui, non potrei mai stabilirmi definitivamente”.

“Non ti piace Las Vegas?” gli domandò.

Brian alzò le spalle. “Non è male, ma non fa per me. Non mi ci vedo a vivere qui, non so se mi spiego”.

Elle gli sorrise. “Perfettamente” convenne. “Mai pensato di tornare in Kentucky?” chiese ancora.

“In realtà sì, ma credo di avere bisogno di cambiare aria” confessò Brian, sincero. Non ce l’avrebbe fatta a tornare in un posto dove tutti lo conoscevano e si sarebbero sentiti in dovere di fargli sapere quanto erano dispiaciuti per tutto quello che gli stava succedendo. Voleva dimenticare e, per farlo, aveva bisogno di stare in un posto dove nessuno lo conoscesse. Beh, più o meno. Per quanto la cosa fosse possibile, nelle sue condizioni.

“Ti capisco” convenne Elle. “Neanch’io potrei mai tornare nel Maine, per quanto lo adori. Non sopporterei la continua compassione della gente. Non voglio essere la povera vedova triste. Lo sono, ma non voglio che la gente mi conosca così. Voglio essere Elle. Solo Elle”.

“Beh, per me è un pochino più difficile essere solo Brian” ironizzò lui, riuscendo a strapparle una risatina.

“Quanto conti di restare da Nick?” gli chiese Elle, dopo un istante.

“Non lo so. Finché non avrò trovato un posto dove trasferirmi, suppongo. Il mio agente immobiliare sta valutando varie proposte e mi sottoporrà solo quelle che combaciano con le mie esigenze. Ma è un processo lungo. Intanto ho trovato un buon terapista qui a Las Vegas e, forse, uno specialista in grado di aiutarmi con il problema alla voce a Los Angeles. Ho un appuntamento a fine ottobre. Vedremo” spiegò. “Tu, invece? Resti molto da tua sorella?”

“Finché non trovo un posto dove stare” annunciò “e finché lei non si sarà convinta che può perdermi di vista senza che tenti di affogarmi nella vasca da bagno”.

Brian si voltò a guardala di scatto, gli occhi spalancati e un’espressione preoccupata stampata sul viso. Senza sapere né come né perché, a Elle venne da ridere ed esclamò “Non fare quella faccia. Non lo farei mai, stai tranquillo. Ma, a essere onesta, non sono ancora pronta a stare da sola”.

Brian non rispose. Non sapeva cosa dire. Elle parve capire il suo imbarazzo perché si alzò dalla panchina e buttò il bicchiere vuoto in un cestino lì accanto.

“Torniamo verso casa, prima che diventi troppo caldo?” propose.

Brian annuì e si alzò a sua volta. Si sorrisero e si incamminarono in silenzio, ritornando sui propri passi.
 

~ * ~

 

What if you'd never smiled at me?

 

Tornando a casa, chiacchierarono del più e del meno, di cose frivole, preferenze, considerazioni sul tempo, ricordi d’infanzia. Per quanto indubbiamente famoso, Brian era una persona alla mano e parlare con lui era facile ed estremamente piacevole. Elle si stupì di non provare mai imbarazzo e di sentirsi più a suo agio con lui che con persone che conosceva da una vita. Era strano. Non era timida, ma si era sempre considerata una persona piuttosto riservata e non dava confidenza facilmente, a meno di non sentire una qualche connessione con l’altra persona. Le era successo poche volte, nella vita. Con William, ovviamente, e con alcune delle sue più care amiche. E, ora, con Brian. Il che, considerato che lui non era propriamente una persona comune, rendeva la cosa ancora più curiosa. Ma non voleva arrovellarsi il cervello in questioni simili. Aveva già abbastanza pensieri negativi, senza crearsene di nuovi. In fondo, si disse, non c’era niente di male ad avere conosciuto una persona con cui le faceva piacere chiacchierare. Anzi, faceva parte della lista.

Punto quindici: fare nuove amicizie.

Non sapeva se quella conoscenza sarebbe mai diventata un’amicizia, ma di sicuro era un inizio. Un buon inizio. E chi se ne frega se Brian era famoso. Era simpatico, gentile e parlare con lui le piaceva. Non poteva uscirne niente di male.

Arrivarono davanti a casa di Amanda ed Elle si fermò.

“Io sono arrivata” annunciò. “A te manca molto?”

Brian scosse la testa e fece un gesto vago con la mano, indicando un punto imprecisato davanti a lui. “No, Nick abita giusto in fondo alla strada”.

“Bene. Allora, grazie del caffè e della compagnia, Brian. Mi ha fatto molto piacere conoscerti” disse, con un sorriso, tendendogli la mano.

Brian gliela strinse. “Grazie a te della chiacchierata. È stato molto piacevole”. Poi, dopo un istante, aggiunse “Se ti va, possiamo replicare domani”.

Elle annuì, felice che gliel’avesse proposto. “Con piacere. Esco tutti i giorni alla stessa ora per la mia passeggiata. Possiamo vederci qui appena dopo le sette, se ti va”.

“Perfetto. A domani, allora” concordò lui, con un cenno del capo.

Elle era già arrivata alla porta di casa quando si voltò e richiamò il suo nuovo...amico? Poteva chiamarlo così? O, forse, sarebbe stato meglio compagno di passeggiate.

“Brian?”

Lui, che stava allontanandosi, diretto verso casa di Nick, si fermò di colpo e si voltò a guardarla.

“Domani il caffè lo offro io” annunciò Elle, con un sorriso.

Brian non rispose, si limitò a rivolgerle uno di quei sorrisi che Elle aveva sempre segretamente adorato e trovato magnetici perché, pur riducendogli gli occhi a due fessure sottili, riuscivano nel contempo, a farglieli brillare di una luce che gli illuminava tutto il viso e che risollevava lo spirito a chiunque lo osservasse.

Fare nuove amicizie. In corso di esecuzione.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** CAPITOLO 2 ***


CAPITOLO 2

 

Who am I? Who's to say?


Come promesso, il giorno seguente Brian si fece trovare fuori da casa di Amanda e lui ed Elle fecero la passeggiata insieme, chiacchierando e imparando a conoscersi meglio. Questa volta, fu Elle a offrire il caffè e si sedettero di nuovo a gustarselo sulla panchina affacciata sulla città.

“Cosa fai per vivere?” le chiese a un certo punto Brian, distogliendo l’attenzione dal panorama.

Elle prese un sorso di caffè, prima di rispondere “Scrivo”.

L’espressione di Brian si fece interessata. “Romanzi?”

Lei scosse la testa. “Magari” rispose, con un sorrisetto sarcastico. “Mi piacerebbe, ma no. Manuali di mutuo aiuto”.

“Del tipo?”

Come ritrovare te stesso senza perdere contatto col mondo, Rientra in connessione col tuo bambino interiore...roba così” disse lei, elencando un paio di titoli di cui si era occupata in passato.

“Interessante” commentò lui, stringendo il bicchiere di caffè con entrambe le mani.

Elle alzò un sopracciglio. “Trovi?”

“Mai letto uno,” ammise, onesto “ma a Nick piacciono. Magari ha letto qualcosa di tuo”.

Le venne da ridere a immaginarsi Nick Carter che leggeva qualcosa che aveva scritto lei, ma non poteva escluderlo a priori.

“Magari” sentenziò. Poi si sentì in dovere di aggiungere “Sembrano cretinate, ma ho studiato psicologia, quindi hanno una base scientifica”.

“Sei terapista?” le domandò Brian, curioso.

Elle fece no con la testa. “Mai praticato. Ho studiato psicologia perché ero affascinata dalla mente umana e volevo scoprire come funziona, ma la verità è che, più studiavo, più mi convincevo che non è possibile capirlo del tutto e suddividere i vari processi mentali in categorie fisse è troppo riduttivo, quindi sono una psicologa disillusa. Per questo non ho mai praticato. Mi sarebbe sembrato incoerente basare il mio lavoro su teorie a cui non credo” spiegò.

Brian le rivolse uno sguardo impressionato. “Wow. Sincera”.

“Sempre” confermò lei, sorridendo.

“E così sei finita a scrivere” osservò Brian, tornando al discorso originale.

Elle annuì. “Già. Ma mi sento un’impostora anche lì”.

“Perché?”

“Tu compreresti un manuale di aiuto scritto da una che non riesce ad aiutare se stessa?” gli domandò, senza mezzi termini.

Brian rimase spiazzato da tanta sincerità. Non era abituato. Di solito, quando conosceva qualcuno, tentavano sempre di impressionarlo, per fare la migliore figura possibile. Elle, invece, si stava mettendo a nudo con lui come mai nessuno aveva fatto prima di allora, almeno da quando era diventato famoso. E, oltretutto, lo stava facendo con una semplicità disarmante, a cui Brian non sapeva come reagire. Quindi, si trovò a farfugliare “Ehm...io…”.

“Ecco. Appunto” lo interruppe lei, con un mezzo sorriso. “Per quello non sto scrivendo, adesso”.

“Non per…” azzardò, non riuscendo, però, a terminare la domanda.

Come al solito, Elle parve leggergli nel pensiero e capì a cosa si riferiva. “Per William?” domandò. “Anche. Dopo la sua morte, sono caduta in depressione. Mia sorella è dovuta venire in Connecticut a stare da me per un po’ perché ero uscita completamente di testa. Oltre a mancarmi terribilmente, mi sembrava di non avere più uno scopo. Come ti ho detto, è stato malato per anni, prima di andarsene, e la nostra intera esistenza girava intorno alla sua malattia, le visite, le terapie. Quando tutto è finito, non sapevo come riempire le giornate. Mi sentivo inutile” raccontò, stupendolo, ancora una volta, per l’onestà che stava dimostrando nei suoi confronti. Avrebbe potuto eludere le sue domande o rispondere in modo vago, invece lo stava rendendo partecipe di dettagli privati e importanti della sua vita, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Se, da una parte, ne era lusingato – gli era sempre piaciuto essere il prescelto per accogliere le confidenze altrui – dall’altra ne era un po’ spaventato. Un tempo non lo sarebbe stato. Si sarebbe buttato in quella nuova amicizia, dando il cento per cento, e fidandosi ciecamente della nuova conoscenza, partendo dal presupposto che le persone fossero fondamentalmente buone e meritevoli di fiducia e attenzione. Ma, con la fama, era arrivata anche la diffidenza e aveva smesso di aprirsi come un tempo. Selezionava i nuovi amici con molta attenzione e non apriva più il suo cuore facilmente com’era solito fare da ragazzo. Non ne era orgoglioso e gli mancava il Brian aperto e fiducioso di un tempo, ma era un meccanismo di difesa necessario per evitare che gente opportunista si approfittasse di lui e del suo buon cuore, per non restare ferito. Quelle considerazioni lo fecero sorridere. A cosa serviva essere diffidente verso le nuove conoscenze se, poi, le ferite più profonde gli erano state inferte da colei di cui si fidava di più al mondo? Forse avrebbe dovuto rivedere la sua teoria.

Rivolse a Elle lo sguardo più rassicurante che riuscì a rimediare e le chiese “E poi? Cos’è successo?”

“Vuoi sapere se ne sono uscita?” domandò lei, diretta.

Brian si limitò ad annuire e lei sorrise.

“Non del tutto” confessò. “Ma, un giorno, ho realizzato che lui non avrebbe voluto vedermi così e nella mia testa è scattato qualcosa”.

“L’hai fatto per lui” osservò Brian, colpito dalla forza d’animo della donna seduta accanto a lui.

Elle, però, scosse la testa. “No, l’ho fatto per me. Ma lui mi ha aiutato. Abbiamo addirittura stilato una lista”.

“Una lista?” ripetè Brian, stupito, spalancando gli occhi.

Lei annuì. “Sì. Di cose da fare quando lui non ci sarebbe più stato”.

Era assurdo, lo sapeva, ma a Brian sembrò di sentire distintamente qualcosa muoversi nel suo stomaco a quella rivelazione. Rivolgendole uno sguardo commosso, balbettò “È…”

“Non dire romantico, ti prego” si intromise Elle.

Lo sguardo di Brian, da commosso, si tramutò in stupore. “No?”

“No” confermò lei. “Non immaginarti una cosa stile P.S. I Love You. È più un insieme di consigli, tipo mangiare più insalata o muoversi di più, o di cose che ho sempre detto che avrei voluto fare ma poi non ho mai messo in pratica. Ma sono decisa a rispettarla. Per questo esco a camminare ogni mattina”.

“Te l’ha chiesto lui?” si informò Brian, sempre più interessato.

“Una specie. Siamo sempre stati tipi piuttosto sedentari. Ci piaceva giocare, ci divertivamo, ma a una passeggiata in montagna abbiamo sempre preferito una serata sul divano. E ci dicevamo sempre che avremmo dovuto alzare il culo e muoverci. Quindi…”. Elle lasciò la frase in sospeso, facendo un gesto con le mani che voleva significare qualcosa tipo eccomi qui.

Brian restò un attimo in silenzio a riflettere, poi decise di buttarsi ed esternare la domanda che gli rimbalzava in testa. “Credi che gli dispiacerebbe sapere che ti faccio compagnia, mentre cammini?”

Elle gli sorrise e scosse la testa. “Affatto. Anzi, ne sarebbe felice. Uno dei punti della lista dice di fare nuove amicizie” affermò, sicura. Poi aggiunse “La nostra cerchia di amici si è ridotta drasticamente quando Will ha iniziato a stare male. Non tutti riescono a sopportare una situazione del genere”.

Brian alzò gli occhi al cielo e commentò “Non me lo dire. Ne so qualcosa”.

Elle distolse lo sguardo e abbassò leggermente il capo. “Scusa”.

Questa volta fu Brian a scuotere la testa. “Non importa” la rassicurò. “Devo farmene una ragione, solo che sentirsi dire dalla persona con cui hai condiviso tutta la vita che ti lascia perché non riesce a sopportare che tu stia male e, di conseguenza, ti senta emotivamente instabile, è tremendo. E fa ancora male”.

Mentre parlava, Brian si stupì di come gli fosse venuto naturale confessare certe cose. Ed era strano, perché, pur essendo da sempre il destinatario delle confidenze degli amici, lui era sempre stato restio ad aprirsi con gli altri. Aveva a che fare con la volontà di nascondere le sue debolezze e mostrarsi forte, un comportamento che affondava le sue radici nella sua infanzia quando, a causa della sua salute precaria, veniva trattato con i guanti da tutti coloro che gli stavano intorno, mentre lui avrebbe solo voluto essere come tutti gli altri. Crescendo, aveva imparato a nascondere dolore, sentimenti negativi e debolezze, per dare al mondo l’immagine di un uomo forte, coraggioso e inarrestabile. Ma non era così. Aveva sofferto e aveva avuto paura, sia in passato, sia in quel preciso momento. Si sentiva confuso, spaesato, solo e spaventato. Gli mancava la sua vecchia vita, suo figlio e, nonostante tutto, gli mancava anche Leighanne. Ed era terrorizzato dai suoi problemi di salute. Temeva che non si sarebbero mai risolti ma che, anzi, sarebbero peggiorati e lui, a un certo punto, non sarebbe più stato in grado di cantare. E cantare era la sua vita, l’unica cosa che gli fosse rimasta. Non poteva pensare di doverci rinunciare.

Elle parve capire perfettamente come si sentiva perché commentò “Immagino. E ti capisco. Dopo la morte di Will, tutti si aspettavano che mi riprendessi in fretta perché la situazione era tragica da così tanto tempo che avrei dovuto essere preparata”.

“Ma non funziona così” si ritrovò a esclamare Brian, scioccato da quella rivelazione.

“Vaglielo a spiegare” disse lei, stringendosi nelle spalle.

Brian si lasciò sfuggire un sospiro, mentre sentenziava “Che idioti insensibili”.

“Forse” dichiarò Elle. “Ma non li biasimo”.

“Come fai?” le chiese, stupito, strabuzzando gli occhi.

“Non sapevano gestire la situazione” spiegò. “O, meglio, non sapevano gestire me in quelle condizioni. D’altronde, era molto più facile avere a che fare con la donna forte, che non si arrendeva mai e fingeva che tutto andasse sempre bene. Quando quella persona è scomparsa, si sono trovati spiazzati e volevano che ritornasse. Il prima possibile”.

“Credo sia lo stesso per me” si sentì dire Brian, sorprendendosi di se stesso. “Il Brian allegro, gentile e giocherellone, che dispensa sorrisi a tutti, è più facile da gestire rispetto a quello che soffre di sbalzi di umore assurdi a seconda di quanto i suoi muscoli schiaccino le corde vocali e di come la sua voce riesca a uscire”.

Elle esitò un istante, prima di parlare. Voleva chiedere a Brian della sua voce, ma temeva di essere inopportuna e non voleva assolutamente forzarlo a parlare di qualcosa di cui non gli andava. Lei era stata molto aperta e sincera, con lui, ma era stata una decisione dovuta a svariati fattori. Primo su tutti, si trovava bene in sua compagnia. Per quanto assurdo potesse sembrare, considerato di chi stava parlando e che si erano incontrati per la prima volta solo il giorno prima, Elle non poteva negare di sentirsi perfettamente a suo agio, con lui, tanto da non aver esitato a confessargli cose di cui non aveva mai parlato a nessuno. Forse, il fatto che Brian non sapesse nulla di lei la faceva sentire meno in soggezione a rivelare particolari personali, come quando si diceva che era più facile parlare con uno sconosciuto. Elle non sapeva se fosse vero o no, sapeva solo che le sembrava di conoscere l’uomo seduto accanto a lei da molto più di mezza giornata. Inoltre, se c’era una cosa che la malattia di Will le aveva insegnato, era a non sprecare tempo a preoccuparsi di cose banali. Quando sai che hai poco tempo a disposizione, questioni come la discrezione, le convenzioni sociali e la riservatezza passano in secondo piano, diventando improvvisamente irrilevanti. Erano anni che Elle non si preoccupava più di cosa la gente pensasse di lei o di come potessero reagire a determinate sue dichiarazioni. Lei era così, onesta, sincera e senza filtri. Potevano accettarla oppure andarsene. Il che, ovviamente, non voleva dire che se ne infischiava degli altri. Al contrario, era estremamente sensibile e rispettosa dei sentimenti e delle opinioni altrui. Solo non permetteva che interferissero con la sua vita e le sue scelte. E, soprattutto, non si aspettava lo stesso comportamento dagli altri. Per questo non riusciva a decidersi. Alla fine, dopo aver preso un respiro profondo, optò per una domanda non troppo specifica, ma la cui risposta le interessava altrettanto.

“Ti fa male?”

Brian si voltò a guardarla. “Intendi la voce? No. Di solito no. Solo a volte, nei giorni peggiori. Tipo quando tenti di parlare con il mal di gola, hai presente?”.

Elle annuì, per indicargli che aveva capito. Poi, rinfrancata dalla tranquillità con cui le aveva risposto, si azzardò a chiedere ancora “È legato allo stress?”

“Non esattamente,” rispose Brian “anche se, in parte, influisce”. Poi, spinto da un bisogno di confidarsi con qualcuno che non credeva nemmeno di avere, iniziò ad aprirsi con Elle, in modo talmente naturale che non pensò nemmeno per un istante che potesse essere strano né, tanto meno, sbagliato.

“Il nome tecnico della mia situazione è disfonia da tensione muscolare. Praticamente i muscoli attorno alle mie corde vocali tentano di strangolarmi bloccando il passaggio dell’aria e, quindi, non permettendo alle corde vocali di funzionare come dovrebbero. E c’è anche un altro problema che si è aggiunto a quello, come se non fosse stato abbastanza. Si chiama distonia. Il cervello manda un segnale neurologico alla voce per farla funzionare ma, nel mio caso, a volte quel segnale non arriva, e la voce non esce. Oppure arriva in ritardo e sbaglio gli attacchi delle canzoni. Non è sempre così, fortunatamente. Ho giorni buoni, e giorni cattivi. In quelli buoni, quasi non ci si accorge di niente. In quelli cattivi, la voce non ne vuole sapere di uscire e riesco a emettere solo un flebile suono gracchiante perché i muscoli schiacciano talmente tanto le corde vocali che mi manca l’aria e faccio quasi fatica a respirare, figurati cantare. Purtroppo non dipende da cosa faccio o non faccio, la situazione in cui sono o la stanchezza. Succede e basta, non posso farci niente. Ho iniziato una terapia che, in parte, sembra aiutare a controllarlo, ma la verità è che non c’è una cura ed è qualcosa con cui dovrò fare i conti per tutto il resto della mia vita. Come ti dicevo, l’ansia influisce perché l’idea di non essere in grado di cantare come la gente si aspetta da me mi provoca un forte stress emotivo, che irrigidisce ulteriormente i muscoli, compresi, ovviamente, quelli intorno alle corde vocali che, quindi, tendono a strangolarmi ancora di più. Ma non è strettamente legato allo stress. Non solo, almeno”.

Rincuorata dal fatto che Brian avesse deciso di aprirsi con lei su un argomento di cui, evidentemente, non gli faceva piacere parlare, Elle si rilassò e non ebbe più timore a domandargli “E questo specialista che mi hai detto che devi vedere a Los Angeles?”

Lui sospirò e, in tono disincantato, confessò “Non lo so. Ho sentito che ha aiutato altri cantanti che si sono trovati nella mia stessa situazione e ho voluto provare. Ma lo considero l’ultimo tentativo. Se non riesce a migliorare le cose, mi rassegno”.

Elle gli rivolse un sorriso velato di tristezza e commentò “Dici così, ma non lo farai mai. Fingerai di aver accettato la cosa e, forse, ti convincerai anche di esserci riuscito. Fino a quando non sentirai parlare di un altro specialista, una nuova terapia, e ci proverai di nuovo, tornando a sperare”.

Brian provò un moto di risentimento, nell’udire quelle parole. Non lo conosceva, come poteva pretendere di sapere come si sarebbe comportato? Con che diritto si permetteva di smontare le sue convinzioni, che aveva faticato così tanto a costruirsi? Cercando di contenere la rabbia che sentiva bruciargli nelle vene, si limitò a ribattere “Cosa te lo fa pensare?”

Era proprio curioso di sentire cosa si sarebbe inventata per giustificare le sue affermazioni.

Lei gli sorrise, tranquilla, per nulla colpita né, tanto meno, offesa dal tono risentito che lui aveva utilizzato, e rispose “Perché sei un combattente. Lo percepisco, perché siamo uguali. E i combattenti non si arrendono mai veramente”.

Spiazzato da quella considerazione così banale, eppure così vera, Brian sentì tutta la collera sciogliersi come neve al sole e fu avvolto da un sensazione di calore e calma che non provava più da molto tempo.

“Forse hai ragione” convenne. “E mi stupisco di come tu sia riuscita a percepirlo, mentre persone che mi conoscono da una vita mi hanno dato dell’illuso”.

“Lasciali parlare” minimizzò lei, con un sorriso di superiorità. “Non importa cosa pensano. Basta che tu stia bene”.

Ed era vero. Era dannatamente vero e Brian l’aveva capito solo in quel momento, sentendole pronunciare quelle parole. Per anni, ogni suo comportamento era stato indirizzato verso l’unico scopo di dimostrare alla gente, al mondo, che si sbagliavano sul suo conto. Che non era il ragazzino fragile e bisognoso di protezione, che non era un pazzo a essersi innamorato a prima vista di quella ragazza, incontrata per caso sul set di un video, e a volerla sposare dopo soli due anni di fidanzamento, che non era troppo presto per avere un figlio, che Nick, colui che aveva scelto come fratello adottivo, non era il ragazzo insensibile a sconsiderato che dipingevano i media, ma una persona intelligente e sensibile, che meritava tutta la fiducia e l’affetto del mondo, che i suoi recenti problemi di salute non gli avrebbero comunque impedito di continuare a cantare ed essere la voce portante del gruppo. Ma, alla fine, a forza di impiegare tutte le sue forze a dimostrare quanto valeva, aveva perso di vista la cosa più importante, vale a dire la sua serenità. Per questo Elle aveva ragione a dire che non importava ciò che gli altri pensavano di lui, della sua vita privata, della sua voce. Brian aera stanco, non aveva più la forza di lottare ogni giorno per dimostrare qualcosa al mondo. Aveva passato tutta la vita a farlo. Adesso era arrivato il momento di smetterla e, se proprio doveva dimostrare a qualcuno quanto valeva, quel qualcuno doveva essere se stesso.

Con il cuore leggero e la sensazione che gli fosse stato tolto un enorme peso dal petto, rivolse a Elle un sorriso radioso e si sentì in dovere di dirle “Grazie”.

“Di cosa?” chiese lei, sorpresa da quel ringraziamento inaspettato.

Brian fece spallucce. “Per avermi ascoltato. Mi ha fatto bene parlarne con qualcuno. Non mi ero mai accorto di quanto ne avessi bisogno e di come tenermi tutto dentro mi stesse consumando”.

Ipnotizzata, ancora una volta, dal sorriso magnetico dell’uomo di fronte a lei, Elle ricambiò e disse “È stato un piacere. Quando vuoi”.

E non erano solo parole di circostanza. Brian lo sapeva. Elle lo sapeva. Stavano ancora imparando a conoscersi, ma di una cosa erano entrambi certi: era appena nata una nuova amicizia.

Salutando Brian, sulla porta di casa, Elle si ritrovò ad aggiornare mentalmente la lista.

Fare nuove amicizie. Fatto.

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** CAPITOLO 3 ***


CAPITOLO 3

 

What's a girl like you doing in a place like this?
In a crowded room, what are the odds?

 

Era ormai qualche settimana che Brian ed Elle si incontravano ogni mattina per la loro consueta passeggiata e il caffè. Ormai, potevano dire di conoscersi discretamente bene e avevano scoperto di avere parecchie cose in comune. Parlavano di un po’ di tutto, alle conversazioni personali e profonde dei primi giorni, alternavano chiacchiere più leggere e banali, ma altrettanto importanti per consolidare la loro amicizia. Entrambi si trovavano molto bene con l’altro ma, se Brian era stupito e anche un po’ spaventato dalla facilità con cui era riuscito ad aprirsi con Elle, lei, invece, ne era entusiasta. I lunghi anni trascorsi a occuparsi del marito malato avevano praticamente azzerato la sua vita sociale, riducendo le sue interazioni alla cerchia di persone strettamente legate alla sua famiglia e all’ospedale. Per quanto non rimpiangesse nemmeno per un istante quello che aveva fatto per il marito – l’unico rimpianto era non essere riuscita a tenerlo con sé – Elle si rendeva perfettamente conto di aver passato gli ultimi anni a sopravvivere, più che vivere. E vivere le era mancato. Per quanto facesse ancora tremendamente male, specialmente quando il suo primo pensiero sarebbe stato quello di condividere alcune delle cose che le succedevano con Will, per poi ricordarsi di non poterlo fare, aveva bisogno di nuove esperienze, nuove emozioni e nuove amicizie. E, in quel senso, Brian rappresentava una boccata di aria fresca. Un’aria strana, tormentata e non facilissima da gestire, ma non per questo meno interessante. Aveva iniziato a considerare le loro passeggiate mattutine come il momento più piacevole delle sue giornate e, per la maggior parte del tempo che passava con lui, si dimenticava addirittura che era, a tutti gli effetti, una celebrità. Le tornava in mente solo quando rientrava a casa ed evitava di parlare alla sorella del suo nuovo amico. Non che non si fidasse di Amanda ma, conoscendola, ne avrebbe fatta una questione di Stato, ricamandoci sopra chissà cosa e spronandola a portare il loro rapporto a uno step successivo, magari invitandolo a cena. Elle sapeva che la sorella lo faceva per il suo bene e voleva solo vederla felice. Le aveva confessato più volte che la sua più grande paura era vedere la sua sorellina sprecare il resto della sua vita a crogiolarsi nel dolore causato dalla perdita del suo grande amore. E la capiva. Nel profondo del cuore, anche Elle temeva di ricadere nel loop di depressione e negatività da cui si era lasciata avviluppare subito dopo la morte di Will. Ma, d’altra parte, era anche piuttosto fiduciosa di stare facendo dei passi avanti. Piccoli e, forse, non particolarmente significativi per chi la osservava dall’esterno, ma assolutamente fondamentali per lei. Anche solo essere riuscita a parlare di Will a Brian senza scoppiare a piangere era stata una conquista. Inoltre, aveva ricominciato a dare fiducia a un altro essere umano, cosa che aveva smesso di fare da molto tempo. Non sapeva nemmeno bene perché. Forse aveva semplicemente deciso che l’universo doveva avercela con lei, vista tutta la sofferenza che le stava scaricando addosso e, quindi, l’umanità non era degna della sua considerazione. Oppure, molto più semplicemente, aveva deciso di non affezionarsi più a nessuno, in modo da non restare ferita quando avrebbe perso quella persona. Perché sarebbe successo di nuovo, ne era certa. Era la storia della sua vita.

Con Brian, però, era diverso. Anche lui era sembrato estremamente diffidente, all’inizio, quasi faticasse a fidarsi e lei l’aveva subito percepito come uno spirito affine. Entrambi erano stati feriti, seppur in modo diverso, e stavano soffrendo. Erano vulnerabili e avevano paura del dolore che poteva derivare dal dare fiducia a un’altra persona. E proprio per questo Elle si fidava. Brian sapeva cosa voleva dire soffrire, sentirsi tradito e abbandonato, e non voleva più provare quel dolore. Quindi, sicuramente non l’avrebbe inflitto nemmeno a lei. Non ne avevano parlato apertamente, ma sembrava che anche lui la pensasse allo stesso modo. O, almeno, questa era la sensazione che aveva Elle ogni volta che era con lui. Godevano della reciproca compagnia, ma nessuno dei due sembrava sentirsi pronto o trovare il coraggio per portare la loro amicizia a uno step successivo. Per questo si limitavano solo a quelle passeggiate che culminavano nel caffè gustato insieme, ma nessuno aveva mai pensato a invitare l’altro a bere un caffè seduti al tavolino di un bar, ad esempio. Non si erano mai nemmeno scambiati il numero di telefono. Si limitavano a trovarsi ogni giorno alla stessa ora davanti a casa di Amanda.

Fino a quel giorno.

Erano seduti sulla solita panchina a sorseggiare il solito caffè, ammirando il solito paesaggio e avevano appena constatato che il numero di foglie gialle sugli alberi stava aumentando, con l’avvicinarsi della fine di settembre, quando Brian le aveva chiesto, in tono distratto, con l’unico scopo di fare conversazione “Che programmi hai per oggi?”

Elle aveva alzato le spalle. “Niente di entusiasmante. Ho promesso a mia sorella che sarei andata a fare la spesa”. Poi, con una risatina, aveva aggiunto “Non ho idea di cosa mi sia passato per la testa in quel momento. Non so nemmeno dove sia il supermercato e mi agito da morire a guidare un’auto non mia in mezzo al traffico di Las Vegas ma, dato che mi sono offerta, adesso mi tocca”.

Brian era rimasto un attimo in silenzio, perso nei suoi pensieri, poi aveva annunciato “Forse posso aiutarti”.

“Puoi dirmi dov’è il supermercato?” gli aveva chiesto lei, improvvisamente interessata.

Lui le aveva sorriso, uno di quei sorrisi che gli riducevano gli occhi a due fessure che, però, non impedivano di veder brillare quell’azzurro chiarissimo che li caratterizzava.

“Posso fare di meglio. Ti ci posso portare”.

Elle aveva strabuzzato gli occhi e aveva scosso la testa, affrettandosi a declinare l’offerta. “Non è necessario. Non voglio che ti disturbi così tanto per me”.

“Nessun disturbo” le aveva assicurato lui. “Ho promesso a Nick che l’avrei accompagnato a fare la spesa, questo pomeriggio. Puoi venire con noi, se ti va”.

Per quanto non si fosse mai considerata una grande fan dei Backstreet Boys, Elle dovette deglutire un paio di volte prima di rispondere, per accettare l’idea che andare a fare la spesa con Brian Littrell e Nick Carter fosse una cosa assolutamente normale. Non lo era, lo sapeva. Ma doveva convincersi che lo fosse, se voleva approfittare dell’offerta di Brian. Inoltre, non poteva nascondere che la prospettiva di trascorrere del tempo ulteriore con Brian le facesse estremamente piacere.

“Io...grazie, accetto volentieri” farfugliò, grata.

Brian le sorrise di nuovo e, con un’espressione divertita, la ammonì “Però devo avvisarti: fare la spesa con Nick è come portarsi dietro un bambino di cinque anni. Gioca con il carrello, lo riempie di schifezze e commenta qualsiasi oggetto gli capiti tra le mani con espressioni molto poco appropriate”.

Elle si ritrovò a scoppiare a ridere e lo rassicurò “Credo di riuscire a sopravvivere”.

Anche Brian rise e, per la prima volta da quando si erano conosciuti, Elle si scoprì a pensare che capiva perché milioni di donne, là fuori, lo trovassero così affascinante. Quella riflessione la fece arrossire e distolse lo sguardo, per poi darsi dell’idiota. Cosa mai poteva esserci di male nel constatare che un uomo era attraente? Era una considerazione puramente estetica, si disse, mica stava flirtando con lui. Che poi, anche fosse stato, chi se ne avrebbe avuto a male? Nessuno. Purtroppo, non c’era più nessuno a cui importasse se guardava un altro uomo. Scosse la testa, per scacciare quei pensieri negativi che minacciavano di rovinarle la giornata, e si sforzò di concentrarsi sull’uomo davanti a lei che, senza smettere di sorridere, aveva commentato “Come vuoi. Solo non dire che non ti avevo avvertita”.

In quel momento, mentre osservava Brian giocare con il carrello che avrebbe dovuto spingere, appoggiandosi al manico con tutto il peso e sollevando i piedi, in modo da farsi trascinare, Elle si ritrovò a scuotere la testa, ricordando le parole dell’amico e pensando che, più che Nick, che era accanto a lei e stava spingendo il suo carrello in modo tranquillo e composto, il bambino sembrava essere proprio Brian.

Nick, con cui aveva fatto conoscenza solo mezz’ora prima, quando era passato a prenderla davanti a casa con la sua auto, e che aveva subito trovato molto piacevole e alla mano, sembrò leggerle nel pensiero.

“È sempre così” sentenziò, scuotendo la testa e ridacchiando. “Scusalo”.

“Perché?” ribatté Elle, ricambiando il sorriso. “È divertente guardarlo”. Poi si avvicinò a Brian e, posandogli una mano sulla spalla, lo rimproverò “Rischi di ribaltarti, se non fai attenzione”.

Lui si voltò a guardarla, sorridendo, e propose “Allora aiutami a riempire il carrello, così facciamo contrappeso”.

Elle annuì e mise nel carrello una confezione da sei di Diet Coke. “Meglio?”

Brian annuì e, appendendosi di nuovo al carrello, come a volerne testare la sicurezza, sentenziò “Decisamente più stabile”. Poi si bloccò di colpo, con espressione concentrata, ed Elle capì che stava ascoltando la canzone che passava alla radio.

“Ehi, questi siamo noi!” esclamò, voltandosi a guardare Nick, mentre le prime note di As Long As You Love Me risuonavano tra le corsie.

Nick annuì e, prevedendo esattamente cosa stava per fare l’amico dallo sguardo furbo che gli aveva rivolto, lo supplicò “Non lo fare. Ti prego”.

Brian lo ignorò completamente, afferrò il manico di una scopa in esposizione e, usandolo come se fosse l’asta di un microfono, iniziò a esibirsi nell’iconico balletto abbinato alla canzone, canticchiando le parole in accompagnamento. Elle non riuscì a fare a meno di ridere, mentre Nick si passava una mano davanti agli occhi e scuoteva la testa, disperato.

“Meno male che il bambino ero io” commentò, restando a osservare l’amico con le mani sui fianchi.

Senza interrompere il suo show personale, Brian gli lanciò un’occhiataccia, facendogli la linguaccia. Lui rispose con un gestaccio e Brian scoppiò a ridere, sentenziando “Sei solo invidioso perché sei troppo fuori forma per starmi dietro”.

Un lampo di luce illuminò gli occhi azzurri di Nick e Brian sorrise, capendo di aver centrato il suo obiettivo. Conosceva troppo bene l’amico e sapeva che non era in grado di resistere a una sfida. Infatti, abbandonò immediatamente il carrello per andargli vicino e, non appena riuscì a prendere il ritmo, iniziò anche lui a eseguire la coreografia della canzone.

Quando il piccolo spettacolo improvvisato terminò, Elle applaudì i due ragazzi, asciugandosi contemporaneamente le lacrime con il dorso di una mano.

“Oddio, non ci posso credere” commentò. “È stato surreale ma assolutamente esilarante”.

“Piaciuto?” chiese Nick, riprendendo possesso del suo carrello.

Lei annuì. “Una delle cose più divertenti a cui abbia mai assistito”.

Brian si inchinò davanti a lei, per poi prenderle una mano e farle il baciamano. “I Backstreet Boys al suo servizio, mademoiselle” scherzò. “Una parte, almeno”.

Elle gli tirò un colpetto sulla testa e, ridendo, commentò “Scemo”.

Anche Brian si mise a ridere di gusto. Nick lo guardò e si stupì di quanto quel Brian davanti a lui fosse simile al Brian di qualche mese prima. Anzi, qualche anno prima, perché Brian non era mai più stato completamente Brian da quando gli era stata diagnosticata la malattia e il divorzio era stato solo la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, facendolo crollare. Ci provava, fingeva, e la maggior parte delle volte ci riusciva anche piuttosto bene. Era sempre stato dannatamente bravo a nascondere le sue paure e le sue debolezze. Con gli altri. Non con lui, però. Nick captava tutto, percepiva quando qualcosa affliggeva o preoccupava l’amico. Era sempre stato così e non sarebbe mai cambiato. Ma, allo stesso tempo, capiva anche quando le cose andavano bene, come stava accadendo in quel momento. Quella, per Brian, avrebbe dovuto essere una cattiva giornata. Quella mattina, a colazione, lui e l’amico si erano messi a canticchiare una canzone che passava alla radio e Nick si era accorto subito che era un giorno no. La voce di Brian non ne voleva sapere di uscire e l’amico era stato costretto a usare il falsetto per arrivare in fondo alla canzone. Nick si era aspettato un drastico peggioramento dell’umore dell’amico, che avrebbe finto di stare bene di fronte a sua moglie e ai suoi figli ma, poi, si sarebbe chiuso in se stesso, adducendo un mal di testa improvviso come scusa per chiudersi in camera e non dover interagire con nessuno. Invece, inaspettatamente, l’umore di Brian non era cambiato, aveva continuato a canticchiare come se niente fosse, quasi nemmeno facendo caso a quanto gracchiante suonava la sua voce. Nick gli aveva rivolto una serie di occhiate stupite, ma non aveva osato fare domande, per paura della reazione che avrebbe potuto scatenare. Poi, mentre sorseggiava il suo caffè seduto al bancone della cucina, Brian gli aveva chiesto se potevano passare a prendere una persona per portarla a fare la spesa con loro. Sforzandosi di non lasciare trasparire la sorpresa che gli aveva provocato la richiesta dell’amico, Nick gli aveva assicurato che non c’era problema. Poi, fingendo indifferenza e guardandolo da sopra il bordo della sua tazza, gli aveva chiesto “Chi è?”

“Oh, solo una persona con cui vado a passeggiare la mattina” aveva risposto Brian, vago.

Puntando sulla confidenza che derivava da un trentennio di amicizia, Nick gli aveva rivolto un sorrisetto malizioso e aveva domandato “Carina?”

“Nick” aveva replicato Brian, in tono di rimprovero.

Nick si era subito messo sulla difensiva. “Cos’ho detto?”

“Niente. È quello che hai pensato che mi preoccupa” aveva sentenziato Brian, scuotendo la testa.

“Comunque non hai risposto alla domanda” gli aveva fatto notare Nick, sempre guardandolo con aria divertita.

“Non ti ho nemmeno detto se è una donna o un uomo” aveva ribattuto Brian, restio a confidarsi con l’amico.

“Hai ragione,” era stato costretto ad ammettere Nick “ma spero sia una donna”.

Brian non aveva risposto, si era limitato a sorseggiare il suo caffè, in silenzio, cercando di non incrociare lo sguardo dell’amico. Nick, però, non aveva intenzione di lasciar perdere così facilmente, quindi era tornato alla carica.

“Allora?”

“Cosa?” aveva chiesto Brian, tornando a guardarlo.

“È una donna?”

Brian aveva annuito.

“Vive qui?” gli aveva domandato Nick, curioso.

“Temporaneamente. È ospite della sorella e del cognato” aveva spiegato.

“Come vi siete conosciuti?”

“Andando a camminare, te l’ho detto” aveva risposto Brian. “Ci siamo incontrati per caso il giorno dopo che sono arrivato e abbiamo fatto due chiacchiere. Abbiamo preso l’abitudine di fare la passeggiata insieme e prenderci un caffè”. Poi, notando lo sguardo curioso dell’amico, aveva aggiunto “Passeggiata e caffè. Tutto qui. Non pensare chissà che”.

“Non sto pensando proprio niente” aveva ribattuto Nick, scuotendo la testa. Ma non riusciva a smettere di sorridere.

“E allora levati quel sorrisino compiaciuto dalla faccia” aveva sentenziato Brian, sorridendo a sua volta.

“Sono solo curioso” si era giustificato Nick, posando la tazza e incrociando le braccia.

Brian aveva sospirato, rassegnato, e, dopo aver posato a sua volta la tazza sul bancone, si era lasciato andare contro lo schienale dello sgabello e aveva ceduto “Okay. Cosa vuoi sapere?”

Gli occhi di Nick si erano illuminati, diventando di un azzurro più limpido, tendente al celeste, e Brian aveva pensato che, quando si entusiasmava per qualcosa, l’amico tornava a essere il ragazzino dodicenne che aveva conosciuto – e scelto come anima gemella – ormai trent’anni prima. E lui adorava questo suo lato infantile. Sentendo parte della tensione abbandonarlo, si era rilassato e si era deciso a confidare il suo segreto a Nick, per quanto l’amicizia con Elle potesse essere considerata un segreto.

“Come si chiama? Cosa fa? Perché è qui? Cosa ti ha colpito di lei? Tutto quello che ti va di raccontarmi” gli aveva detto l’amico.

Brian aveva sorriso. Quando si faceva prendere dall’entusiasmo, Nick era un fiume in piena.

“Si chiama Elle. Ellen, in realtà, ma mi ha detto che tutti la chiamano Elle. È psicologa ma scrive manuali per lavoro ed è ospite della sorella perché si è appena trasferita dal Connecticut e sta cercando un posto dove stabilirsi”.

“A Las Vegas?” aveva chiesto Nick.

Brian aveva scosso la testa. “No. Forse in California. Vuole vivere sul mare”.

“Come te” aveva osservato l’amico e Brian aveva annuito.

“Sapeva chi eri quando vi siete parlati la prima volta?”

“Non proprio. Aveva l’impressione di avermi già visto ma non riusciva a capire dove. È stato buffo” aveva ricordato.

“E ti piace” aveva constatato Nick. Non era stata una domanda, l’amico lo conosceva abbastanza bene da saper leggere tra le righe. Brian aveva riflettuto un istante, prima di rispondere. Era una situazione strana. Erano anni che non si apriva con qualcuno come aveva fatto con Elle e, se da una parte la cosa lo spaventava a morte, dall’altra era estremamente eccitante e gli faceva ricordare quanto era bello fidarsi delle persone, com’era solito fare da ragazzo. Era certo che avesse a che fare con il fatto che, in quel periodo, si sentisse particolarmente vulnerabile, ma anche Elle lo era e, comunque, non gli sembrava il tipo da approfittarsi delle sue debolezze, quindi non correva alcun rischio. E, sì. Elle gli piaceva. Gli piaceva parlare con lei, adorava il fatto di riuscire a confidarle i suoi sentimenti più profondi senza sentirsi in soggezione o giudicato. Stava bene, in sua compagnia. E non riusciva a vederci niente di male. Quindi, quando finalmente si era deciso a rispondere a Nick, aveva cercato di essere il più onesto possibile.

“Sì, mi piace” aveva detto. “Andiamo d’accordo e mi trovo bene con lei”.

Nick era rimasto a guardarlo con aria soddisfatta, poi aveva proposto “Invitala a cena”.

“No” si era affrettato a replicare Brian. “Non posso”.

“Perché?” gli aveva domandato l’amico.

“Perché è…” Brian si era bloccato, alla ricerca della parola giusta per descrivere la situazione “...complicato”.

Nick aveva esternato i suoi pensieri emettendo un sospiro piuttosto rumoroso. Poi aveva commentato “No. Sei tu che rendi tutto complicato, Bri”.

“No, tu non capisci” aveva insistito Brian.

“E allora spiegami” l’aveva spronato Nick.

Passandosi una mano tra i capelli, Brian aveva tentato di spiegare “Beh, innanzitutto il mio matrimonio è finito solo quattro mesi fa e, tecnicamente, sono ancora sposato con Leighanne”.

“Dettagli burocratici” l’aveva interrotto Nick, facendo un gesto vago con la mano, come a voler scacciare una mosca fastidiosa.

Brian l’aveva ignorato e aveva proseguito “Forse. Ma non mi sento ancora pronto a buttarmi in una nuova storia. E tanto meno lei”.

“Come fai a saperlo?” aveva domandato Nick, scettico.

Brian aveva preso un respiro profondo e si era deciso a sputare il rospo. “È vedova”.

Nick aveva spalancato gli occhi e aveva aperto la bocca per dire qualcosa ma, sul subito, non ne era uscito alcun suono. Poi, dopo che Brian era rimasto a fissarlo, in attesa di una reazione, era riuscito a farfugliare “Vedova? Ma...quanti anni ha?”

“Uno meno di te”.

“Vedova a 41 anni?” aveva quasi esclamato Nick, sconvolto.

Brian aveva annuito. “Il marito è morto di cancro sei mesi fa. Era malato da anni”.

“Cristo” aveva commentato Nick, passandosi una mano tra i capelli.

“Per favore” l’aveva rimproverato Brian, che non amava sentire certe esclamazioni.

“Sì, scusa. Solo che…” Nick si era fermato prima di usare un’altra espressione di stupore che sicuramente l’amico non avrebbe apprezzato.

“Adesso capisci perché, anche ammesso che volessi invitarla a cena, cosa che non sono sicuro di voler fare, sarebbe complicato?”

Nick aveva annuito, senza riuscire a trovare qualcosa di intelligente da dire, quindi avevano lasciato cadere la conversazione.

Adesso, però, guardandoli scherzare insieme mentre riempivano il carrello e, soprattutto, vedendo com’era felice Brian in sua compagnia, Nick pensò che, per quanto complicato potesse essere, quei due dovevano darsi una chance. Erano anni che non vedeva l’amico così sereno, Elle lo faceva indubbiamente stare bene. E Dio solo sapeva quanto Brian avesse bisogno di stare bene. E, anche se non poteva dire di conoscerla, anche Elle sembrava stare bene in compagnia del suo amico. Senza che potesse fare niente per impedirlo, e sentendosi anche un po’ stupido, gli risuonarono nella mente le parole di una delle loro ultime canzoni.

What are the chances that I could have found you,
Like two in a million, like once in a life.

Quante erano le possibilità che quei due si incontrassero? Due su un milione.

E quante che capissero di essere fatti per stare insieme? Una la salvezza dell’altro? Una nella vita, anche se, probabilmente, non ci credevano nemmeno loro.
 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** CAPITOLO 4 ***


CAPITOLO 4

 

And you'd never showed up where I happened to be

 

Quella mattina, Elle si svegliò alla solita ora e diede un’occhiata all’orologio che aveva il polso. Sapeva esattamente che ore fossero, l’occhiata le serviva per assicurarsi di ricordare anche che giorno era. Constatando che non si era sbagliata, sospirò e si tirò le coperte sopra alla testa, rannicchiandosi in posizione fetale. Le tornarono alla mente le parole di uno dei suoi show preferiti di quando era ragazzina, Gilmore Girls. Nella puntata in cui Rory si era lasciata con il fidanzato, la mamma cercava di convincerla a concedersi un giorno per sfogare il dolore. Imbruttirsi, lo chiamava. Stare sul divano a guardare film strappalacrime mangiando schifezze. Elle non era mai stata tipo da piangersi addosso, preferiva di gran lunga reagire, tenersi occupata, qualsiasi cosa pur di non lasciarsi sopraffare dal dolore. Ma, quel giorno, non ne aveva la forza. Solo l’idea di uscire dal letto le sembrava richiedere una dose di energie che non credeva di avere. No, quel giorno non si sarebbe sforzata di reagire. Amanda e Derek sapevano perfettamente che giorno era e non ci avrebbero visto niente di male. Non avrebbero fatto domande. Quel giorno, Elle si sarebbe imbruttita.

 

~ * ~

 

Brian guardò per l’ennesima volta l’orologio, prima di alzare lo sguardo verso la facciata della casa davanti a lui. Strano. Erano le sette e venti e di Elle non c’era traccia. Di solito, la trovava già ad aspettarlo appoggiata al muretto del cancello, con quel suo sorriso sincero a cui Brian non poteva fare a meno di rispondere. La vedeva già dal fondo della strada e agitava la mano per salutarla, felice. Quella mattina, invece, era in ritardo. In realtà, anche lui era in ritardo. Odin, il figlio maggiore di Nick, gli aveva fatto perdere tempo, coinvolgendolo in un gioco con le spade laser a cui non aveva proprio potuto sottrarsi. Perché è risaputo che, se un bambino ti punta una spada giocattolo al petto, tu devi buttarti a terra fingendo di essere stato colpito a morte, non importa chi tu sia o quanto poco tempo tu abbia. Così era arrivato all’appuntamento con Elle con una decina di minuti di ritardo. Era, quindi, ancora più strano non averla trovata ad attenderlo. All’improvviso gli venne in mente che, forse, aveva deciso di avviarsi da sola. Era un’ipotesi con poco fondamento, dato che non era mai successo, ma, non sapendo che altro fare, Brian decise di iniziare la passeggiata, dirigendosi a passo spedito verso il bar dov’erano soliti prendere il caffè, sperando di trovarla lì ad attenderlo, magari con due bicchieri in mano e quel sorriso divertito che faceva sempre quando si preparava a prenderlo in giro.

 

~ * ~

 

Tra la nebbia del dormiveglia, Elle sentì suonare il campanello di casa, ma non se ne curò. Era domenica, Amanda e Derek erano entrambi in casa e ci avrebbero pensato loro. Tanto, sicuramente chiunque fosse non era venuto a cercare lei. Non sapeva che ore fossero e nemmeno le interessava. Si era lasciata completamente coinvolgere da questa storia dell’imbruttimento ed era fermamente decisa a continuare in quella direzione.

 

~ * ~

 

Mentre suonava il campanello della villetta bianca, che aveva sempre solo visto dall’esterno, Brian si sentiva un perfetto idiota. Che scusa avrebbe trovato per giustificare la sua decisione, presa così d’impulso? Non ne aveva idea. Sapeva solo che, quando non aveva visto Elle al caffè e non l’aveva trovata nemmeno seduta sulla loro solita panchina, una sensazione di panico aveva iniziato a dilagare dentro di lui, facendogli immaginare gli scenari peggiori, tra cui, il più apocalittico, prevedeva la sua nuova amica accasciata dentro a una vasca da bagno completamente sporca di sangue. Mentre aspettava che qualcuno gli aprisse la porta, scosse energicamente la testa, per allontanare quell’immagine. Non avrebbe dovuto guardare 13 Reasons Why con Baylee, lo sapeva.

Finalmente, il pesante portone nero si aprì e Brian si trovò davanti una donna sulla quarantina. Capelli ondulati color miele, grandi occhi nocciola, carnagione leggermente abbronzata. Era la versione bionda di Elle. Cercando di ricordarsi le buone maniere, le sorrise. Gli avevano sempre detto che il sorriso era il suo punto di forza e sperò ardentemente che lo cavasse d’impaccio, anche quella volta. La donna strabuzzò gli occhi e Brian ebbe la certezza che l’aveva riconosciuto. Gli tornarono alla mente le parole di Elle, quando gli aveva parlato della sorella: le piace la vostra musica ed è stata a qualche concerto. Il fatto che fosse una fan poteva essere sfruttato a suo favore.

Brian sfoderò uno dei suoi migliori sorrisi – mentre dentro di sé pensava che, se ci fosse stato Nick, con quel suo fare ammiccante che provocava la ola negli ormoni della popolazione femminile dai 12 ai 60 anni, sarebbe stato tutto molto più facile ma, purtroppo, doveva cavarsela solo con le sue forze – e si decise a parlare.

“Ciao. Tu devi essere Amanda. Io sono Brian, piacere” le porse una mano, che la donna strinse, senza smettere di fissarlo a bocca aperta. Capendo che non avrebbe ottenuto risposta dalla sua interlocutrice, Brian proseguì. “Sono passato a vedere come sta Elle. È in casa?”

Con un cenno affermativo della testa, la donna si spostò di lato, facendogli segno di entrare. Brian le passò accanto, ringraziandola, e si lasciò guidare in un bel salotto arredato nei toni del bianco e del beige.

Ritrovando finalmente la parola, la donna farfugliò “A-accomodati. Vado a chiamare Elle”.

Brian annuì e si sedette su uno dei divani, rassicurato dal fatto che non sembravano esserci drammi in corso e, quindi, la sua amica doveva stare bene, ma con il cuore che gli batteva forte all’idea di cos’avrebbe pensato Elle della sua idea di andare a trovarla. Non che ne avessero mai parlato esplicitamente, ma presentarsi a casa sua rappresentava senza dubbio un’invasione della sua privacy e non sapeva come avrebbe potuto prenderla. Magari non voleva vederlo. Magari si era stancata di lui e non sapeva come dirglielo. Brian alzò gli occhi al cielo e si diede dello stupido. Da quando si faceva tutti quei problemi nei rapporti interpersonali? Da sempre, gli rispose una vocina interiore, te li sei sempre fatti. Solo che, di solito, ti nascondi dietro la maschera della celebrità o del clown del gruppo e ne esci pulito. Con Elle, invece, si era messo a nudo. Le aveva mostrato il vero Brian, permettendole di assaporare la sua anima, e questo perché Elle gli piaceva. Era inutile continuare a mentire a se stesso. Finché negava l’evidenza con Nick – che comunque lo conosceva troppo bene per bersi le sue bugie – era un conto, ma doveva almeno essere onesto con se stesso. Da giorni, ormai, pensava a come portare la loro amicizia allo step successivo, il che non significava provarci con lei, per quello non era ancora pronto e non sapeva nemmeno se lo sarebbe mai stato, ma avrebbe voluto comportarsi con lei come si comportava con i suoi amici più cari, perché ormai era così che la considerava. Una cara amica. Per quello si era preoccupato da morire, quella mattina. L’idea che avesse potuto esserle successo qualcosa, o che stesse anche solo male, gli risultava insopportabile. Voleva fare qualcosa per lei. Ne aveva passate talmente tante, da sola, che si meritava l’appoggio di un amico. Un amico sincero. E lui era lì, era disponibile. Voleva che lei lo sapesse. All’improvviso, gli era sembrato dannatamente importante, anche se non sapeva spiegarsi bene il perché.

Fu distolto da quelle riflessioni da un rumore di passi che si avvicinavano e, alzando la testa, si trovò davanti Elle, pantaloni della tuta e una felpa blu troppo grande per lei, i capelli castani scarmigliati e gli occhi rossi, come se avesse pianto. Vedendola, Brian fu pervaso da un’incontenibile voglia di abbracciarla che non lo stupì nemmeno più di tanto. Era sempre stato un tipo piuttosto fisico e cercava spesso il contatto con le persone per cui provava affetto. Ed era quello che provava per Elle. Affetto. Non l’aveva calcolato, ma era successo e non aveva intenzione di contrastarlo. Non quando lo faceva sentire così bene.

 

~ * ~

 

Elle stava riguardando vecchie foto di lei e Will che aveva salvato sul cellulare, quando sentì aprire la porta della sua stanza. Riemergendo dalle coperte, sotto cui si era completamente nascosta, trovò sua sorella seduta sul letto accanto a lei. Le rivolse uno sguardo sorpreso, mentre tornava con la mente alle innumerevoli volte in cui Amanda era andava a svegliarla, da ragazzina, per convincerla ad alzarsi e accompagnarla in una delle sue svariate attività, che andavano dallo shopping alle partite di tennis, mentre lei brontolava perché voleva restare a dormire ancora un po’.

Notò subito che la sorella aveva uno sguardo strano, ma non fece in tempo a domandarsi cosa potesse averlo suscitato perché fu Amanda la prima a parlare. Senza mezzi termini o giri di parole, com’era nel suo stile, le chiese “Posso sapere cosa ci fa Brian Littrell nel mio salotto e soprattutto perché chiede di te?”

Elle si mise a sedere di scatto, spalancando gli occhi per la sorpresa e fissando la sorella a bocca aperta.

“Cosa?” farfugliò, scioccata.

Amanda scosse la testa. “No, qui l’unica autorizzata a fare quella faccia sono io, se permetti”.

“I-io...non ne ho idea” tentò di rispondere Elle, passandosi una mano tra i capelli arruffati.

Amanda alzò gli occhi al cielo. “C’è un cantante famoso nel mio salotto che chiede di mia sorella e tu mi dici che non ne hai idea? Dovrai inventarti qualcosa di meglio, signorina” commentò, nello stesso tono che usava per rimproverarla quando erano piccole.

Nonostante l’assurdità della situazione, a Elle venne da ridere. Distolse lo sguardo e confermò “Non so cosa ci faccia qui, ti giuro”.

Amanda prese un respiro profondo e guardò la sorella con espressione accondiscendente. “Okay, facciamo un passo indietro” propose. “Com’è che lo conosci?”

“Ti ricordi quando ti ho detto che avevo fatto amicizia con un vicino con cui andavo a camminare, la mattina?” confessò Elle.

Amanda annuì. “Non dirmi che è lui”.

Questa volta fu il turno di Elle di annuire.

“Ma non abita qui” osservò la sorella, confusa.

“Sta da Nick” tentò di spiegare Elle, senza entrare nei dettagli.

Amanda spalancò gli occhi e rivolse alla sorella uno sguardo assassino. “Non dirmi che conosci anche lui”.

Elle abbassò la testa e sussurrò “Una specie…”

“Porca paletta!” esclamò Amanda, senza riuscire a trattenersi. “Abito qui da due anni, e so che Nick Carter vive in fondo alla strada, ma non l’ho mai nemmeno incrociato. Arrivi tu e, dopo nemmeno un mese, fai amicizia con due dei miei cantanti preferiti di quando ero adolescente. Come diavolo ci sei riuscita?”

“Uno” precisò Elle, senza rialzare lo sguardo.

“Cosa?” chiese Amanda, troppo sconvolta per ragionare con lucidità.

“Uno. Conosco Brian, ho visto Nick solo una volta”.

“Che è comunque sempre più di quanto l’abbia visto io in due anni” commentò Amanda, sarcastica.

Suo malgrado, Elle si ritrovò a ridacchiare, seguita subito dopo dalla sorella.

“Perché non me l’hai detto?” le chiese Amanda, posandole una mano sulla spalla.

Elle fece spallucce. “Non lo so. Forse mi vergognavo. Forse non volevo che ci vedessi chissà cosa. Andiamo solo a camminare insieme, niente di più”.

“Lo sai che non c’è niente di male a farti qualche nuovo amico, vero?” le fece notare la sorella, con un sorriso materno.

Elle annuì. “Lo so. Devo solo accettarlo”.

Amanda annuì, comprensiva, sapendo esattamente a cosa si riferiva la sorella minore. Poi disse “E non hai idea del perché sia qui”.

Elle le rivolse un’occhiata incerta. “Forse…”

“Forse?” la spronò Amanda.

“Dovevamo vederci per la solita passeggiata, stamattina, ma io non sono andata. Forse si è preoccupato” spiegò.

La sorella le rivolse uno sguardo di rimprovero. “Vuoi dire che non l’hai avvisato?”

Elle scosse la testa. “Non sapevo come fare” si giustificò. “Non ho il suo numero”.

Amanda roteò gli occhi e sospirò. Poi tirò via le coperte che ancora avvolgevano il corpo della sorella e, alzandosi in piedi, le ordinò “Adesso vai di sotto e ti scusi con lui per averlo fatto aspettare per niente”.

“Ma…” protestò Elle, solo per essere subito zittita dalla sorella maggiore.

“Niente ma. Ho intenzione di vivere qui per il resto della mia vita e voglio mantenere buoni rapporti con i vicini. Specialmente se si chiamano Nick Carter” sentenziò.

Elle scoppiò a ridere e si alzò da letto, mugugnando “Okay, okay. Farò in modo che Nick non ti veda come la sorella pazza della maleducata che ha trattato male il suo amico”.

“Molte grazie” replicò Amanda, ridendo a sua volta.

 

~ * ~

 

Brian si alzò dal divano e fece un passo verso di lei, rivolgendole un sorriso che voleva essere rassicurante.

“Ehi” esordì.

“Ehi” replicò lei, avvicinandosi fino a fermarglisi davanti.

“Scusa l’invasione, spero non ti dispiaccia se sono passato” si giustificò Brian, lottando contro il bisogno di toccarla che sentiva crescere dentro di sé.

Elle scosse la testa. “No, affatto” lo rassicurò. Poi, appiccicandosi in faccia un sorriso che Brian capì subito essere finto, domandò “Cosa ci fai qui?”

“Ti ho aspettata per un po’, stamattina e, quando non ti ho vista, ho pensato che ti fossi avviata senza di me. Quando non ti ho trovata né al bar né alla nostra panchina, però, mi sono preoccupato. Volevo solo accertarmi che stessi bene, ma non sapevo come fare” le spiegò.

Continuando a sorridere, Elle propose “Forse è meglio se ti lascio il mio numero”.

Brian si lasciò sfuggire una risatina. “Sì, forse è meglio. Così la prossima volta evitiamo di far prendere un colpo a tua sorella”.

Finalmente, anche Elle rise, facendo crollare quella maschera di finta serenità che aveva indossato quando aveva messo piede in salotto.

Senza riuscire più a resistere, Brian le prese una mano, aspettandosi che lei la sfilasse subito o, almeno, che si irrigidisse. Invece, non accadde nulla di tutto ciò ed Elle si limitò ad alzare lo sguardo su di lui, incollando gli occhi ai suoi.

“Cosa succede?” le chiese Brian, preoccupato.

Elle scosse la testa e minimizzò “Niente. È solo una brutta giornata”.

“Stai male?”

Di nuovo un cenno negativo con la testa. “No. Non fisicamente almeno”.

Senza smettere di stringerle la mano, Brian le sorrise e, con voce particolarmente roca, che Elle non sapeva se attribuire alla sua malattia o all’emozione, le disse “Non voglio forzarti a parlarne, se non vuoi. Ma non posso aiutarti se non mi dici cosa c’è”.

Elle sentì distintamente il suo cuore fermarsi per un istante, anche se non sapeva perché. Il fatto che l’uomo in piedi davanti a lei avesse appena espresso la volontà di aiutarla da una parte la riempiva di gioia e gratitudine ma, dall’altra, la spaventava, facendola mettere sulla difensiva. Il fatto era che non era abituata a farsi aiutare. Per cause di forza maggiore, era sempre stata lei a dover aiutare gli altri, mostrandosi forte e nascondendo le sue debolezze quindi, semplicemente, non aveva idea di come fosse essere aiutata. Pur desiderandolo con tutta se stessa, non sapeva come lasciarglielo fare. Infatti, la sua risposta tentò di farlo desistere dal suo intento. “Non devi aiutarmi, Brian. Non puoi. Nessuno può”.

Brian le rivolse uno sguardo triste e preoccupato. Non voleva lasciarlo trapelare, ma si era sentito ferito dalle sue parole. Voleva solo aiutarla, farla stare meglio, per quanto poteva. Lo desiderava con tutto se stesso. Perché non glielo permetteva?

Elle si costrinse a guardare Brian negli occhi e si stupì di non trovare il solito azzurro limpido e brillante, che tanto le piaceva. Gli occhi di Brian, in quel momento, erano di un azzurro slavato, quasi tendente al grigio, e non c’era traccia di luccichio. Quell’amara constatazione la spaventò, specialmente perché era certa di essere stata la causa di quel cambiamento improvviso. Si sentì in colpa e si diede della stupida. Per una volta che trovi qualcuno che vuole aiutarti, lo tratti a pesci in faccia? Le disse una vocina dentro di sé. Complimenti. Se decidesse di non rivolgerti più la parola, avrebbe tutte le ragioni. L’idea di non poter più godere della compagnia di Brian a causa del suo stupido comportamento le servì da scossone e si affrettò a ritrattare. “Scusa” disse, stringendogli di più la mano che teneva la sua. “Tu non c’entri niente, non è colpa tua. Sono una persona orribile”.

Brian sorrise ed Elle tirò un sospiro di sollievo nel notare che i suoi occhi avevano ripreso a brillare come al solito. “Magari tutte le persone orribili fossero come te” commentò, ironico.

Elle si lasciò sfuggire una risatina, che contribuì a far allargare ancora di più il sorriso di Brian. “Allora?” le domandò, accarezzandole il dorso della mano con il pollice.

Cercando di ignorare i brividi che le stavano correndo lungo la schiena nel sentire le dita di Brian muoversi sulla sua pelle, Elle si decise a spiegare. “Oggi è il compleanno di Will. O, meglio, lo sarebbe stato se fosse ancora vivo. Per questo è una brutta giornata. Ma tu non c’entri, non potevi saperlo. Avrei dovuto avvertirti che non sarei uscita per la passeggiata” si scusò.

Brian scosse impercettibilmente la testa. “Non potevi, non avevi il mio numero. E, comunque, è comprensibile”.

“Grazie. Sei troppo buono con me” sussurrò lei, rivolgendogli un timido sorriso.

“Potrei dire lo stesso di te” convenne lui.

“Mi dispiace averti fatto aspettare per niente” aggiunse, pentita.

Brian alzò le spalle. “Non importa. Più che altro mi hai fatto preoccupare. Credevo stessi male”.

Elle si trovò a scusarsi. Di nuovo. Ormai sembrava un disco rotto. “Scusa. Cosa posso fare per farmi perdonare?”

Brian non rispose subito. Restò a guardarla per un istante, pensieroso. Poi le rivolse uno dei suoi splendidi sorrisi e propose “Vediamo...Vestiti e vieni a fare colazione con me”.

Elle non potè fare a meno di strabuzzare gli occhi, sorpresa. “Colazione? Ma sono le dieci, ormai”.

“Non importa” ribatté lui, facendo spallucce. “Nick mi ha detto che c’è un posto dove fanno una torta al caramello salato da urlo. Tu non vai matta per il caramello salato?”

Colpita dal fatto che se lo ricordasse – ne avevano parlato tempo prima, ma erano state chiacchiere senza importanza e non immaginava che Brian avesse tenuto a mente un dettaglio così banale – Elle annuì.

“Andiamo, allora” la spronò lui, intrecciando le dita della mano che le stava ancora stringendo con le sue.

“Adesso?” chiese Elle, impreparata.

“Hai qualcosa di meglio da fare?” ironizzò lui.

Lei scosse la testa e balbettò “Io...no. A parte restarmene chiusa in casa a piangermi addosso”.

Brian colse il sarcasmo racchiuso nel suo commento e replicò con lo stesso tono. “Puoi piangerti addosso mentre mangi la torta. Ti è concesso. In via del tutto straordinaria, s’intende”.

Sentendo la malinconia della giornata abbandonarla, Elle rise e annuì. “Okay. Dammi quindici minuti per rendermi presentabile”.

Brian le sorrise e fece un cenno affermativo con la testa. “Ti aspetto fuori, così non mando in paranoia tua sorella con la mia presenza”.

Ancora ridendo per quella battuta, Elle tornò in camera sua per mettersi addosso dei vestiti e pettinarsi, sorpresa, ma grata, per la piega inaspettata che quella che era iniziata come una brutta giornata stava prendendo. Ed era tutto merito di Brian, quell’uomo così straordinario che mai avrebbe pensato di poter incontrare, tanto meno conoscere, e che, per qualche motivo a lei sconosciuto, aveva deciso di diventare suo amico.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** CAPITOLO 5 ***


CAPITOLO 5

 

 

Is it love? Is it fate?
Who am I? Who's to say?
Don't know exactly what it means

 

Ingoiando l’ultimo pezzo di torta al caramello – Nick aveva ragione, era da urlo – Elle posò la forchetta sul piattino e alzò lo sguardo su Brian, che le sorrideva compiaciuto, sorseggiando il suo caffè.

“Piaciuta?” le chiese.

Elle annuì. “Ottima. Ringrazia Nick per averti consigliato questo posto”.

“Lo farò” le assicurò lui, ridacchiando.

Elle bevve un sorso del suo pumpkin spice latte, valutando se fosse il caso di porre a Brian la domanda che le ronzava in testa da un po’. Poi, guardandolo giocherellare con il tovagliolo, lo sguardo che vagava per il piccolo locale in cui l’aveva portata, le sembrò così normale che decise di buttarsi.

“Posso farti una domanda?”

Brian riportò lo sguardo su di lei e annuì. “Certo”.

“Cosa ci trovi in me?”

Spiazzato. Ecco come si sentiva Brian dopo aver sentito quella domanda. Restò a fissarla senza parlare, non perché non sapesse cosa dire ma, al contrario, perché non sapeva da che parte iniziare per farle capire quanto fosse speciale e quanto fosse diventata importante per lui, in così poco tempo. Si conoscevano da poco, ma Brian aveva la sensazione di aver imparato molto, su di lei, e poteva affermare di sapere tutto ciò che era necessario. Per questo era sicuro che coprirla di complimenti, che pure gli venivano in mente, non sarebbe stato il giusto approccio per farle capire perché considerasse la loro amicizia così importante. Non era questione di modestia, quella la conosceva bene, anche lui era stato educato secondo quei principi e nemmeno la fama era riuscita a cambiarlo. Elle era convinta di non essere speciale. Credeva che tutto ciò che aveva stoicamente sopportato, nella sua vita, fosse stato semplicemente messo sulla sua strada dal fato e lei, senza farsi domande, aveva cercato di superarlo, uscendone al meglio possibile. Non c’era motivo per considerarsi speciale, aveva solo fatto ciò che andava fatto. Ma non era così, Brian lo sapeva. Nessuno avrebbe dovuto sopportare quello che era toccato a Elle. Brian si era sempre professato un uomo di fede, ma erano proprio quei momenti in cui sentiva la sua fede vacillare. Quale Dio avrebbe voluto infliggere tanta sofferenza a una persona così buona? E perché? Doveva esserci una risposta ai suoi quesiti, ma non riusciva a trovarla, in quel momento. Doveva, invece, rispondere alla domanda che lei gli aveva posto, prima che pensasse di averlo offeso, in qualche modo. Così si limitò ad alzare le spalle e a dire “Mi fai stare bene”.

Questa volta, fu il turno di Elle di restare a fissarlo, imbambolata. Non si aspettava quella risposta. A essere sincera, non sapeva cosa aspettarsi, ma di sicuro non quello. Non sapeva come ribattere. Come si replicava a una dichiarazione così...così bella? Nessuno le aveva mai detto una cosa del genere e, di conseguenza, lei non si era mai sentita così. Così come? Si domandò. Così apprezzata. E così soddisfatta. L’idea di avere il potere di far stare bene qualcuno, solo con la sua presenza, essendo semplicemente se stessa, era qualcosa che non aveva mai provato, almeno non coscientemente. Non escludeva di aver avuto lo stesso potere su altre persone, in passato, ma nessuno gliel’aveva mai confessato e, quindi, lei non se ne era mai curata. Adesso, invece, sapeva di poter far cambiare l’umore di Brian e la cosa la elettrizzava. E la spaventava, anche. Da morire. Era una responsabilità enorme che non era certa di saper gestire. Ma voleva farlo. Se c’era una cosa di cui era certa, era che non voleva rinunciare a quel potere. Perché la faceva stare bene.

Notando che Brian la stava fissando, in attesa di una sua reazione, si trovò a scuotere la testa, senza nemmeno accorgersene.

“Cosa c’è?” le domandò lui, sorpreso. “Cos’ho detto?”

“Nulla” replicò. “Solo non so cosa rispondere a una cosa così”.

“Perché?” chiese Brian, confuso.

Elle decise di essere sincera. “Perché è la cosa più bella che mi abbiano mai detto e non riesco a trovare niente di altrettanto bello da ribattere” ammise. “In questo momento, vorrei solo abbracciarti”.

Aveva parlato senza riflettere, confessando ciò che provava in quel momento, senza pensare a quale avrebbe potuto essere la reazione dell’uomo che sedeva davanti a lei. Non appena si zittì, maledisse se stessa e la sua impulsività. Cosa ti è venuto in mente? Si chiese. L’avrai spaventato a morte. Penserà che tu sia una pazza che vuole saltargli addosso.

Contro ogni previsione, però, Brian le sorrise. Si alzò dalla sedia e le andò vicino, fermandosi davanti a lei, che lo fissava, con espressione perplessa, senza capire cos’avesse in mente. Solo quando lo vide aprire le braccia, i pezzettini del puzzle iniziarono ad andare ognuno al suo posto.

“Molto bene” le disse “perché è da quando ti ho vista entrare in salotto che ho voglia di abbracciarti”.

Meccanicamente, completamente persa degli occhi azzurri di Brian, Elle si alzò dalla sedia e fece un passo verso di lui, lasciandosi avvolgere dalle sue braccia. Gli posò la guancia sulla spalla e chiuse gli occhi, sentendo tutta la tensione e quel poco di malinconia che ancora era rimasto abbandonarla. Percepì un calore partirle dallo stomaco e risalirle il petto, per arrivare alla gola, e dovette soffocare un singhiozzo. Non poteva mettersi a piangere, anche se sarebbero state lacrime di gioia. L’avrebbe spaventato o, peggio, avrebbe pensato di essere lui la causa. Il che era vero, ma in senso positivo. Erano anni che Elle non si sentiva così e le era mancato da morire, se ne rese conto solo in quel momento. Era come tornare a casa da un lungo viaggio, come se le braccia di Brian fossero il suo porto sicuro. Il che era strano, ovviamente, considerato da quanto poco lo conosceva. Ma in quel momento non voleva pensarci. Voleva solo godersi quella sensazione. Ne aveva bisogno.

Brian, d’altro canto, sentiva il cuore martellargli nel petto e non riusciva a credere di aver potuto esaudire quello che era stato il suo desiderio fin da quando aveva visto Elle venirgli incontro, quella mattina. Sapeva che quel gesto avrebbe comportato un cambiamento nel loro rapporto ma, invece di esserne spaventato, l’idea lo elettrizzava. Aveva passato giorni a domandarsi come portare la loro amicizia allo step successivo senza spaventarla e, adesso, era successo tutto all’improvviso e in modo così naturale che non gli sembrava quasi vero. Mentre la stringeva tra le braccia, come se fosse la cosa più naturale del mondo, si ritrovò a chiedersi se, per caso, non stesse sognando. Decise di fare qualcosa per assicurarsi che fosse tutto vero e, senza nemmeno domandarsi quanto quel gesto potesse essere inappropriato, specialmente in un locale pubblico dove chiunque, potenzialmente, avrebbe potuto riconoscerlo, posò un bacio sui capelli di Elle. La scarica elettrica che gli percorse la schiena lo convinse che no, non stava sognando. Era tutto vero. Ed era bellissimo.

Sentì Elle muoversi, tra le sue braccia, e poco dopo i suoi occhi furono su di lui.

“Perché non l’hai fatto?” gli chiese, senza allontanarsi da lui.

“Cosa?” domandò, la mente ancora annebbiata dal turbine di sensazioni che stava provando.

“Abbracciarmi” spiegò lei. “Se ne avevi voglia, perché non l’hai fatto?”

“Perché avevo paura di spaventarti” confessò, titubante.

Elle gli sorrise e scosse leggermente la testa. “Non potresti mai spaventarmi” sentenziò.

Brian le mise le mani sui fianchi e si sporse in avanti, appoggiando la fronte alla sua. Elle chiuse gli occhi e sospirò.

“Andiamo via di qui, ti va?” le propose Brian e lei annuì.

Presero le giacche e, quando Brian allungò una mano verso di lei, Elle non esitò un istante a stringergliela, intrecciando le dita alle sue. Poi si diressero verso l’uscita, certi che qualcosa, tra loro, era cambiato. In meglio.

 

Mentre tornavano a casa, passeggiando mano nella mano, Brian prese coraggio e le chiese “La prenderesti troppo male se io...ehm...ti invitassi a cena?”
“Perché dovrei prenderla male?” domandò lei, rivolgendogli un’occhiata stupita.
Brian si spettinò nervosamente i capelli sulla nuca. “Beh, perché magari non ti sembra appropriato. È solo che, ecco, mi piace stare con te e ho pensato che potesse essere piacevole farlo mangiando qualcosa di buono e bevendo un bicchiere di vino. Ma se non ti va...”
Elle gli sorrise e tutti i suoi dubbi scomparvero all’istante. “Sembra divertente” osservò. “Accetto molto volentieri”.

Anche Brian le sorrise, cercando di contenere l’eccitazione che sentiva montagli nel petto. Si era fatto tante di quelle paranoie inutili e, invece, stava andando tutto molto meglio del previsto. Prima che potesse ribattere, Elle gli chiese “Dove mi porti?”

“Non lo so” ammise. “Ma, dato il successo della torta al caramello, credo che mi farò consigliare un posto carino da Nick”.

Lei scoppiò a ridere e, senza poter fare nulla per impedirselo, Brian si ritrovò a pensare che quella risata era uno dei suoni più piacevoli che avesse mai udito ed era un peccato non poterla sentire ogni giorno della sua vita.

 

~ * ~
 

“Dove hai detto che ti porta, esattamente?” le chiese Amanda, mentre la osservava prepararsi, una spalla appoggiata allo stipite della porta della sua stanza.

“Non l’ho detto perché non lo so” le rispose la sorella, mentre si allacciava la catenina dietro al collo. “Ha detto che avrebbe chiesto consiglio a Nick”.

Amanda ridacchiò e scosse la testa. “Se non l’avessi visto con i miei occhi nel mio salotto, qualche giorno fa, penserei che tu ti stia inventando tutto” commentò. “Questa situazione è surreale”.

Anche Elle ridacchiò e, mentre si dava un’ultima occhiata allo specchio, pensò che la sorella avesse ragione. Se qualche mese prima le avessero detto che sarebbe uscita a cena con Brian dei Backstreet Boys, probabilmente sarebbe scoppiata a ridere in faccia a chiunque avesse partorito un’idea così assurda. Adesso però, le sembrava perfettamente normale. Specialmente perché non pensava a lui come a Brian dei Backstreet Boys ma semplicemente come Brian, il suo Brian. Scosse impercettibilmente la testa, sperando che Amanda non lo notasse. Doveva smettere di pensare a lui in quei termini. Certo, era estremamente affascinante ed era giunta alla conclusione che non ci fosse niente di male a pensarlo, ma non era assolutamente suo e non lo sarebbe mai stato. Erano amici, nient’altro. A dire il vero, non era nemmeno sicura che avrebbe voluto qualcosa di più, da lui. Non poteva nascondere di essersi trovata a immaginare, qualche volta, cosa sarebbe successo se lui le avesse fatto capire di essere interessato a lei in modo diverso dalla semplice amicizia. Se avesse tentato di baciarla, ad esempio. Come avrebbe reagito? Non ne aveva idea. Da una parte, era terrorizzata e la sola idea di baciare qualcuno che non fosse Will la faceva sentire terribilmente in colpa. Dall’altra, non poteva ignorare la sensazione di serenità e completezza che aveva provato quando Brian l’aveva abbracciata, alla caffetteria. Non le era mai successo con nessun altro, a parte Will, e non poteva essere un caso. Inoltre, c’era quell’ultimo punto della lista, quello per cui lei e Will avevano quasi litigato, quando lui si era impuntato a volerlo aggiungere e, alla fine, aveva ceduto solo perché era convinta che, tanto, non sarebbe mai riuscita a realizzarlo, checché il marito ne pensasse.

Il suono del cellulare, che la avvisava della ricezione di un messaggio, la riscosse da quelle riflessioni. Si avvicinò al letto, dove aveva lasciato il telefono, e lesse il messaggio di Brian, che la avvisava che la stava aspettando in macchina. Sorrise, tra sé, e prese la giacca e la borsa. Poi si voltò verso le la sorella, che la stava ancora osservando dalla sua postazione sulla porta.

“Come sto?” le chiese.

Amanda sorrise. “Come una che sta finalmente ricominciando a vivere”.

 

~ * ~

 

“Come sto?” chiese a Nick, che lo osservava divertito, l’avambraccio appoggiato allo stipite della porta della sua stanza.

“Se vuoi chiamo Lauren per avere un parere femminile, ma secondo me sei un figo da paura” rispose, con un sorrisino malizioso.

Brian scosse la testa, rassegnato. “Come fai a essere sempre così idiota?”

Nick fece spallucce. “Talento naturale”.

“Okay, allora vado” disse, prendendo le chiavi dell’auto che Nick gli stava porgendo. “Non so a che ora torno, non aspettarmi alzato”.

Nick scosse la testa. “Non ci pensavo proprio” replicò. “E, per quanto mi riguarda, puoi anche non tornare per niente. Ne sarei felice”.

Cogliendo immediatamente la nemmeno tanto velata allusione dell’amico, Brian gli rivolse uno sguardo di rimprovero. “Nick”.

“Lo so, lo so” si scusò lui, alzando le mani in segno di resa. “Il casto e puro Brian Littrell non si poterebbe mai a letto una donna al primo appuntamento, a differenza del dissoluto Nick Carter”.

Suo malgrado, Brian si ritrovò a ridere al commento dell’amico. “Non è questione di essere casto e puro,” precisò “sai che non è vero. Ma ci tengo a lei e voglio andarci con i piedi di piombo”.

Nick gli posò una mano sulla spalla e gli sorrise. “Lo so, ti stavo solo prendendo in giro” ammise. “Fai quello che ti senti, promettimi solo che cercherai di divertirti, okay?”

Brian annuì, ricambiando il sorriso. Non solo lo prometteva a Nick, ma voleva prometterlo anche a se stesso. Se lo meritava, dopotutto.

 

~ * ~

 

Il cameriere se ne era appena andato con le loro ordinazioni quando, alzando gli occhi sulla sua compagna di tavolo, Brian si accorse che lo stava osservando con aria preoccupata. Non ebbe bisogno di chiederle cos’avesse causato quell’espressione. Si era accorto da solo che la sua voce, mentre riferiva l’ordine al cameriere, era uscita particolarmente roca e gracchiante. Le rivolse quello che sperava fosse un sorriso rassicurante e disse “Oggi è una cattiva giornata”.

Lei abbassò lo sguardo sulle posate, probabilmente imbarazzata nel sapere che lui era riuscito a leggerle nel pensiero. Brian si sentì male per lei. Non aveva fatto niente di male, non doveva sentirsi in imbarazzo. Allungò una mano sul tavolo, fino a coprire quella di Elle, posata accanto al tovagliolo.

“Ehi” sussurrò, richiamando la sua attenzione e ottenendo che rialzasse gli occhi su di lui. “Va tutto bene. Succede. Ormai ci ho fatto l’abitudine”.

Elle gli rivolse un sorriso stentato. “Come fai?” gli chiese. “A sopportarlo, intendo”.

Brian si strinse nelle spalle. “La fede mi aiuta” confessò. “Mi fa credere che, per quanto doloroso possa sembrare, ci sia un piano dietro a tutto quello che mi sta succedendo”.

“Sei fortunato” osservò lei, senza sfilare la mano da sotto a quella di Brian.

Lui spalancò gli occhi, sorpreso. “Fortunato?” ripeté.

Elle annuì. “Ovviamente non per quello che stai passando. Non fraintendermi, quello è un incubo che nemmeno posso immaginare, ma almeno la fede ti aiuta a dargli un senso. Io non ho nemmeno quello. Non sono mai stata una persona molto religiosa e adesso, dopo quello che è successo, è proprio fuori discussione. Non posso credere in un Dio che ha deciso di portarmi via la cosa più bella della mia vita, nemmeno se facesse parte di qualche perverso piano a me sconosciuto”.

Brian non trovò niente di intelligente da ribattere a quella considerazione. Aveva ragione. Ci aveva pensato spesso, ultimamente, e nemmeno lui riusciva a giustificare un comportamento tanto scellerato da parte di quel Dio che credeva di venerare. E non poteva proprio biasimare Elle per aver perso quel poco di fede che aveva. Nel tentativo di infonderle un po’ di conforto, le strinse la mano che teneva sotto alla sua e si stupì quando lei girò la sua, così da potergliela stringere a sua volta.

Quel momento di confessioni fu disturbato dall’arrivo del cameriere con le bevande, così l’intreccio delle mani fu sciolto, la magia interrotta e Brian ed Elle ricominciarono a conversare di argomenti decisamente più leggeri.

A un certo punto della cena, si trovarono a raccontarsi le loro prime, disastrose, esperienze amorose, ridendo di gusto al sentire le reciproche disavventure. Entrambi convennero che l’aver trovato l’anima gemella relativamente presto gli aveva evitato di collezionare altre esperienze di cui avevano fatto volentieri a meno. Poi, dopo aver bevuto un sorso di vino ed essersi pulita le labbra con il tovagliolo, Elle confessò “Ora è ancora troppo presto, ma temo il momento in cui la gente decreterà che ho pianto Will a sufficienza e tenterà di accoppiarmi con qualsiasi uomo libero nel raggio di cinquecento miglia”.

Brian si lasciò scappare una risatina. “Ti capisco. Con il fatto che è stata Leighanne a lasciarmi, con me hanno già iniziato”.

“E non ti dà fastidio?” gli chiese lei, interessata.

Brian scosse la testa. “Non eccessivamente. Piuttosto mi fa sorridere. E, la maggior parte delle volte, li ignoro”.

Elle sospirò e ammise “Temo di non essere altrettanto brava e di finire col mandarli tutti a quel paese”.

“Chissà, magari finisce che ti trovano il principe azzurro, invece” scherzò Brian, stupendosi, allo stesso tempo, di aver pensato che sperava proprio che non succedesse, invece.

Questa volta fu Elle a fare un cenno negativo con la testa. “A parte che non ho mai creduto al principe azzurro, e comunque non conto di innamorarmi di nuovo”.

“Perché?” le domandò Brian, fingendo di ignorare quanto era rimasto deluso da quella dichiarazione.

“Perché ho già avuto il grande amore della mia vita e dubito possa succedere di nuovo” rispose lei, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

“Credi che ci si innamori solo una volta nella vita?” chiese lui, stupendosi di come fossero di nuovo finiti a parlare di questioni profonde. Sembrava che non riuscissero a farne a meno.

Elle scosse la testa. “Non è quello. Più un insieme di fattori”.

“Per esempio?”

“Innanzitutto non so più come si fa” confessò, candidamente. “Sono stata con Will tutta la vita e, anche se trovassi qualcuno che mi piace, non saprei da che parte iniziare a corteggiarlo. Sono fuori dal giro da troppo tempo”.

Brian si lasciò sfuggire una risata. “Non hai idea di quanto ti capisca. Ho conosciuto Leighanne quando avevo 22 anni e siamo stati insieme da allora. Ho dimenticato come si corteggia una donna” ammise. E purtroppo si vede, aggiunse tra sé.

Elle annuì, comprensiva, e proseguì. “Inoltre, sono diventata molto più esigente e diffidente. Non mi lascio avvicinare facilmente e, quando succede, sto sulle mie. E non sono disposta ad accontentarmi. O a sacrificare alcuni aspetti di me per adattarmi a un'altra persona. Suona egoista, me ne rendo conto, ma non sono più una ragazzina e cambiare è difficile ormai”.

Cercando di alleggerire l’atmosfera, Brian le rivolse un sorrisino divertito e scherzò “Io ti ho avvicinata però”.

“Vero. Chissà come hai fatto” replicò lei, nello stesso tono scherzoso.

“Non so. Forse eri distratta” ironizzò Brian, continuando lo scambio di battute divertenti.

“Probabile” convenne Elle.

“Sono contento che lo fossi, comunque” si sentì dire lui, senza nemmeno rendersene conto, maledicendosi subito dopo. Era vero, ovviamente, ma forse non era il caso di dirglielo in quel momento.

Elle sorrise e, senza staccare gli occhi da quelli del suo accompagnatore, ammise “Anch'io”.

“C'è altro che ti impedisce di innamorarti, oltre a quello che hai già elencato?” le chiese lui, con l’intento di togliersi dall’imbarazzo che aveva creato con la sua ingenua dichiarazione.

“Un'ultima cosa. La più importante” annunciò lei, tornando seria.

“Sentiamo” la spronò Brian.

Elle prese un respiro profondo e spiegò “Will era anche il mio migliore amico quindi, per innamorarmi di nuovo, dovrei trovare qualcuno disposto innanzitutto a essere mio amico, prima ancora che un possibile compagno. Ed è estremamente difficile”.

Brian si ritrovò a concordare con lei, commentando “Hai ragione” ma, in realtà, nella sua testa continuavano a rimbombare ben altre parole. Io sarei disposto. Anzi, lo sono già.

 

~ * ~

 

Mentre Brian la stava riaccompagnando a casa in auto, dopo quella che era stata una piacevolissima serata, Elle prese coraggio ed esordì con “Devo chiederti un favore”.

“Spara” disse Brian, senza distogliere lo sguardo dalla strada.

“Puoi chiedere a Nick se conosce un bravo tatuatore da queste parti? Mia sorella e mio cognato non hanno tatuaggi e non so dove sbattere la testa. Ma ho notato che Nick ne he e magari può aiutarmi”.

Brian le lanciò un’occhiata sorpresa. “Vuoi fare un tatuaggio?”

Elle annuì.

“Come mai questa decisione?”

“È sulla lista” spiegò. “È da quando ho vent’anni che dico di volerne fare uno, ma non avevo ancora deciso cosa. Adesso lo so ed è arrivato il momento”.

“Posso sapere cosa o è troppo personale?” chiese Brian, con una punta di insicurezza nella voce.

Elle sorrise, anche se Brian non se ne accorse, dato che teneva gli occhi fissi sulla strada.

“Certo che puoi. E smettila di avere paura a farmi domande. Se non voglio rispondere, te lo dico. Rilassati” lo rimproverò.

Brian rise, a quell’esclamazione, ma si sentì allo stesso tempo rassicurato e decisamente più rilassato.

“Voglio farmi scrivere un verso di una canzone degli Aerosmith, You’ve got to lose to know how to win. Will li adorava e credo che rappresenti bene la parabola della mia vita” ammise.

Brian annuì, pensando che avesse ragione.

“Okay. Chiedo a Nick e, nel caso, ti faccio prendere un appuntamento da lui, così non dovrai aspettare mesi” promise, facendole l’occhiolino.

“Grazie” disse lei, soddisfatta.

Brian restò un istante in silenzio, chiedendosi se fosse il caso di domandarglielo o no. Poi si ricordò di quello che gli aveva appena detto riguardo al non farsi problemi a farle domande e decise di buttarsi. “Vuoi che ti accompagni?”

Elle sorrise. “Se ti va”.

Anche Brian sorrise. “Ma certo”.

Arrivati sotto casa di Elle, Brian fermò la macchina e spense il motore, poi fece per scendere con l’intento di andare ad aprirle la portiera. Ma Elle lo fermò, mettendogli una mano sul braccio.

“Scendo da sola, non preoccuparti. Ma apprezzo il gesto” dichiarò.

Brian rise. “Troppo formale?” domandò.

Elle fece no con la testa. “No. Molto galante, in realtà. Ma non è necessario”.

“Come vuoi” cedette lui, voltandosi a guardarla.

“Grazie per la cena, Brian. È stata una serata molto piacevole” gli disse, con un sorriso.

“È piaciuto molto anche a me” convenne Brian, non riuscendo a trovare di meglio da dire.

Elle si sporse verso di lui e gli posò un bacio sulla guancia, sussurrando “Buonanotte”.

“B-buonanotte” farfugliò lui, con la testa che gli girava per quel gesto inaspettato. Poi, rispondendo a un’impulso che gli imponeva di annullare quella poca distanza fisica che ancora li divideva, la trattenne per un polso e la tirò a sé, stringendola in un abbraccio.

Elle sulle prime si irrigidì, pur non sapendo spiegarsi il perché. Forse era stata semplicemente l’imprevedibilità del gesto ad averla scioccata. Aveva dovuto fare appello a tutto il suo coraggio e alla sua intraprendenza anche solo per salutare Brian con un bacio sulla guancia, decisamente non si aspettava una reazione del genere da parte sua. Ma non poteva dire di esserne scontenta, anzi. I suoi abbracci avevano sempre il potere di farla sentire al posto giusto nel momento giusto. Sentì i muscoli rilassarsi e si abbandonò tra le braccia di Brian, rammaricandosi di non poterci restare più a lungo. Poi, pur controvoglia, si staccò da lui e, con un ultimo sorriso, scese dall’auto, fermandosi sulla porta per salutarlo con la mano. Restò a guardarlo finché l’auto non sparì in fondo alla via, probabilmente immettendosi nel vialetto della casa di Nick, e ne approfittò per far tornare i battiti del suo cuore a un ritmo pressapoco normale. Non si chiese nemmeno a cosa fosse dovuta quella sensazione di nervosismo mista a soddisfazione. Nonostante fossero passati parecchi anni da quando l’aveva provata per l’ultima volta, se la ricordava ancora piuttosto bene. Solo che non poteva permettersi di provarla di nuovo, non ancora. Non era pronta, nonostante quell’ultima voce sulla lista, che William aveva tanto insistito per aggiungere. O, forse, era il suo cervello a non essere ancora pronto. Ma poteva dire lo stesso del suo cuore?

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** CAPITOLO 6 ***


CAPITOLO 6

 

Of all of the plans that I could've made


Nick stava caricando la lavastoviglie quando vide Brian rientrare in cucina. Si avvicinò al bancone, si sedette su uno degli sgabelli, di fronte all’amico, posò il cellulare sul ripiano e sospirò. Nick alzò impercettibilmente un sopracciglio, continuando a fare quello che stava facendo e aspettando che l’amico si decidesse a parlare. Si era allontanato dalla cucina subito dopo pranzo per rispondere a una telefonata, quindi Nick sospettava che il cambio di umore fosse legato alla conversazione appena terminata. Vedendo che Brian non sembrava propenso a parlare, però, Nick decise di prendere in mano la situazione. Chiuse lo sportello della lavastoviglie con un fianco e, mentre si asciugava le mani in uno strofinaccio, gli domandò “Problemi?”

Brian alzò la testa di scatto e gli rivolse uno sguardo sorpreso, quasi si fosse dimenticato della sua presenza. “Cosa?”

Nick fece un cenno con la testa, a indicare il cellulare dell’amico. “Al telefono. Problemi?”

Brian scosse la testa. “No. Era Kevin. Insiste perché vada a passare il weekend di Halloween nella sua casa a Mammoth Lakes” spiegò.

“Sembra divertente” commentò Nick, ricevendo però in cambio un’occhiataccia dall’amico.

“Sei serio?” gli chiese.

“Perché?” replicò Nick, confuso.

Brian fece roteare gli occhi. “Divertente? Un intero weekend bloccato in mezzo alle montagne, senza possibilità di scappare dal fiume di consigli e raccomandazioni di Kevin? È mio cugino e gli voglio bene come a un fratello, ma sai anche tu quanto riesca a essere asfissiante, a volte”.

Nick si lasciò scappare una risatina. “Okay, te lo concedo. Quindi non ci vai?”

“Non lo so. Sto prendendo tempo. Ho altro per la testa, ultimamente” rispose Brian, con un sospiro.

Nick gli rivolse un sorrisetto malizioso e chiese “Elle?”

Lo sguardo di Brian gli fece letteralmente gelare il sangue nelle vene e si sentì di nuovo il ragazzino dodicenne rimproverato dal suo tutore legale per l’ennesima marachella. “No, idiota. La visita dallo specialista a Los Angeles”

“Ah già. Vero. Me l’ero dimenticato” ammise Nick.

“Io no” commentò Brian, serio.

“Sei preoccupato?” gli chiese.

“No, preoccupato non direi. Piuttosto ho paura di restare deluso” confessò l’amico.

Nick inspirò profondamente prima di ribattere. Poi disse “Capisco che tu riponga molta fiducia in questo dottore e spero anch’io che possa essere la svolta per trovare una soluzione al tuo problema, ma non è il caso di essere nervoso. Voglio dire, alla peggio non ti dirà niente di nuovo e avrai fatto un viaggio a Los Angeles per niente”.

Brian emise un gemito strozzato. “La fai facile tu”.

“Vuoi che venga con te?” si offrì Nick, desideroso di rendersi utile.

L’amico declinò l’offerta con un sorriso. “Non è necessario”.

“Brian” lo rimproverò Nick, in tono risentito. Sapeva perfettamente che l’amico aveva qualche problema nel lasciarsi aiutare e non avrebbe ceduto prima di aver battagliato un po’. Ma era anche piuttosto sicuro che non volesse andare a quell’appuntamento da solo, quindi si ripromise di non lasciargliela vinta.

“Nick” replicò Brian, nello stesso tono di rimprovero usato dall’amico. Poi sorrise e aggiunse “Grazie, davvero. Apprezzo il pensiero, ma non ce n’è bisogno. Ho intenzione di chiederlo a Elle”.

Le labbra di Nick si curvarono in un sorriso, mentre scherzava “In questo caso fingerò di non essere offeso dal fatto che preferisci lei a me”.

Brian rise. “Scusami, ma sì. Preferisco decisamente lei a te” ironizzò. “Puoi biasimarmi?”

“No, decisamente no” rispose Nick, ridendo anche lui. Poi gli propose “Perché non le chiedi di venire con te da Kevin?”

Brian restò per un attimo in silenzio, riflettendo sulla proposta dell’amico. Poi gli chiese “Dici che potrebbe essere una buona idea?”

Nick alzò le spalle. “Perché no? Già volevi chiederle di accompagnarti a Los Angeles, potreste andare da Kevin direttamente da là”.

“Non pensi che potrebbe trovarsi in soggezione a passare un intero weekend con Kevin e la sua famiglia?” disse Brian, esprimendo le sue perplessità ad alta voce.

“Non mi è sembrata particolarmente in soggezione, con me” osservò l’amico, pratico, riferendosi all’unico incontro che aveva avuto con Elle, in occasione della spesa al supermercato.

“Non lo so…” fece Brian, dubbioso.

Stufo dei continui tentennamenti dell’amico e capendo che aveva bisogno di essere spronato, Nick decise di prendere in mano la situazione.“Ascolta, è chiaro che quella donna ti piace”.

Brian aprì la bocca per replicare, ma fu prontamente zittito dall’amico che gli puntò contro un dito e proseguì nel suo discorso, come se niente fosse.

“E non dire di no perché ti conosco troppo bene per non capire che mi stai mentendo. E non c’è niente di male, ficcatelo in testa. Siete entrambi liberi e state bene insieme. Per quanto complicato possa essere, vale la pena tentare. E chi se ne frega se è presto, se avete entrambi un bagaglio pesante alle spalle, se ti senti uno stupido e ti sembra di essere tornato a quando avevi diciott’anni. Fregatene. Prendi le cose come vengono, senza farti troppe paranoie. Hai avuto abbastanza drammi, nella vita. Hai bisogno di un po’ di leggerezza. Il peggio che può succedere è che ti dica di no. Di sicuro non rovinerai la vostra amicizia per averle proposto di passare un weekend insieme in montagna”.

Dopo il discorso dell’amico, Brian si ritrovò a sorridere. Nick aveva ragione. Non era nel suo carattere, ma avrebbe davvero dovuto imparare a farsi un po’ meno problemi e a lasciarsi guidare dagli eventi. Tanto la sua mania del controllo dove l’aveva portato? A un matrimonio in frantumi e una carriera in bilico a causa di una subdola malattia senza cura. E nessuna delle due cose era, ovviamente, stata preventivata, altrimenti avrebbe almeno potuto prepararsi. Si ritrovò a chiedersi se sarebbe cambiato davvero qualcosa. Sapere in anticipo che il matrimonio con Leighanne non sarebbe durato per sempre, ad esempio, gli avrebbe fatto prendere decisioni diverse? Probabilmente no. L’avrebbe sposata lo stesso, perché la amava. E, se si escludeva l’ultimo periodo, il loro era comunque stato un matrimonio felice, di cui serbava ottimi ricordi. No, conoscere il futuro non era di nessuna utilità e nemmeno ipotizzare cosa sarebbe potuto succedere. Non aveva senso rinunciare a qualcosa che lo faceva stare bene in quel momento per paura di cosa poteva riservargli il futuro. E, in quel momento, Elle lo faceva stare bene.

“Okay” disse. “Mi hai convinto. Nel pomeriggio la accompagno a fare il tatuaggio e provo a sentire cosa ne pensa”.

 

~ * ~

 

Di ritorno dallo studio del tatuatore, Elle e Brian si erano fermati a bere qualcosa di caldo nella caffetteria dov’erano già stati dietro suggerimento di Nick. A Elle piaceva quel posto, e non aveva solo a che fare con la deliziosa torta al caramello salato. Era intimo, ma i tavolini erano sufficientemente distanziati da garantire una certa privacy e, in occasione dell’imminente festività di Halloween, i proprietari si erano sbizzarriti con decorazioni a tema. Dal soffitto pendevano ghirlande di fantasmini e pipistrelli stilizzati e in ogni angolo era stata sistemata una zucca di diverso colore e forma. Elle aveva un brutto rapporto con Halloween. Non aveva mai nutrito un grande entusiasmo per quella festa, ma le cose erano cambiate quando aveva conosciuto Will che, invece, la adorava. Ora, ovviamente, la situazione era complicata. Da una parte, Elle voleva ardentemente festeggiare, per tenere vivo il ricordo del marito ma, dall’altra, ogni riferimento ad Halloween sembrava rammentarle che lui non c’era più ed era come spargere sale sulle ferite della sua anima. Passandosi una mano sull’avambraccio sinistro, quasi ad accarezzare il tatuaggio appena fatto, sospirò, senza nemmeno rendersene conto.

“Non ti starai mica già pentendo?” le chiese Brian, osservandola al di sopra della sua tazza.

Elle sorrise e scosse la testa. “No, tranquillo. Il tatuaggio mi piace da morire. È Halloween che faccio fatica a sopportare” confessò.

Brian le rivolse uno sguardo incuriosito e domandò “Cos’hai contro Halloween?”

Lei si strinse nelle spalle e tentò di spiegare. “Teoricamente nulla. Solo che era la festa preferita di Will. Adorava travestirsi e addobbare la casa e il giardino con decorazioni che lui riteneva spaventose ma, in realtà, erano solo spaventosamente stupide. E io glielo lasciavo fare, perché amavo vedergli brillare gli occhi come un bambino in un negozio di giocattoli” ricordò, con un debole sorriso. “Adesso, però, è dura. Superare Halloween senza di lui è dura. Vedere tutte le buffe decorazioni nel quartiere e non poterle commentare con lui mi toglie il fiato. Vorrei soltanto scappare via, in un posto dove non si festeggia Halloween o, almeno, addormentarmi finché non sarà passato” confessò, abbandonandosi contro lo schienale della sedia.

Brian restò a osservarla in silenzio, poi le sorrise ed Elle notò una scintilla attraversare i suoi occhi azzurri. “Facciamolo” propose.

“Cosa?” gli chiese lei, confusa.

“Non posso farti addormentare, ma posso portarti via” le promise.

Il cuore di Elle fece una capriola. Le stava veramente offrendo una fuga da Halloween, solo per farla stare meglio? Non riuscendo a credere alla sua fortuna, domandò “Dove?”

“Mio cugino Kevin ha una casa in montagna a Mammoth Lakes e passeranno lì il weekend di Halloween. Niente festeggiamenti, solo marshmallow arrostiti sul fuoco e cioccolata calda. Forse qualche passeggiata nei boschi. Non è granché come programma, ma se l'idea era scappare, potrebbe funzionare” annunciò.

“È...sembra perfetto” si ritrovò a balbettare Elle, sentendo già nelle narici il profumo di erba umida e legna da ardere.

Brian le regalò uno dei quei sorrisi che le facevano torcere le viscere. “Andiamo, allora”.

“Sei sicuro?” gli chiese, in un ultimo, debole moto di insicurezza.

Brian annuì. “Kev mi ha invitato. Sarò onesto, non ci volevo andare da solo perché lui tende a fare la parte del fratello maggiore, con me, e avrebbe passato tutto il tempo a dispensare consigli che, in questo momento, non mi va di sentire. Ma sono certo che se ci sei tu saprà contenersi. E ho voglia di vederlo”.

Apprezzando l’onestà con cui Brian aveva parlato, Elle sorrise e annuì a sua volta. “Allora...okay. Quando si parte?”

“Passo a prenderti venerdì alle sette con Nick, se per te va bene. C'è un volo per Los Angeles alle nove. Poi affittiamo una macchina” pianificò. Prima che Elle potesse domandarsi perché dovessero prendere un volo per Los Angeles quando dovevano andare a Mammoth Lakes, specificò “Prima di andare da Kevin, però, dobbiamo fare altre due tappe”.

“Dove?”

“La prima a vedere una casa che il mio agente mi ha proposto a Oceanside” annunciò.

Elle spalancò gli occhi, impressionata, ed esclamò “Che bel nome!”

“Vero?” concordò Brian, condividendo l’entusiasmo dell’amica. “Ho pensato che fosse perfetto. Vivere sull'oceano a Oceanside. Speriamo che l'agente abbia ragione e la casa sia favolosa come sostiene”.

“E la seconda tappa?” gli chiese Elle, sempre più curiosa.

“Nel primo pomeriggio ho appuntamento con lo specialista a Los Angeles” le ricordò Brian, tornando serio.

Elle si sentì come quei personaggi dei cartoni animati giapponesi, a cui cade un masso gigante sulla testa.

“Oh. Beh, in questo caso, io…” farfugliò, imbarazzata. Ma Brian non le diede il tempo di terminare la frase e la pregò, in un sussurro “Mi farebbe piacere se mi accompagnassi”.

Cercando di non dare peso alla capriola che aveva chiaramente percepito il suo cuore fare, Elle si limitò a domandare “Davvero?”

Brian annuì e confermò “Sì. Ma ti avverto, di solito divento intrattabile, quando si parla della mia voce. Non voglio stare solo ma, allo stesso tempo, non mi va di parlare con nessuno. Lo so che non ha senso, ma...”

Questa volta fu Elle a non lasciarlo finire. Allungò una mano sul tavolo e la posò su quella di Brian, affermando “Sì che ce l'ha, invece. Non sono le parole, è la presenza che conta”.

“Esatto” concordò lui ed Elle sentì le dita dell’uomo intrecciarsi alle sue.

“Ci sarò con piacere” affermò. “E non ti costringerò a parlare, promesso. A meno che tu non voglia, ovviamente”.

“Che cosa farai, quando mi chiuderò in un silenzio ostinato, rifiutandomi addirittura di piangere?” le domandò lui, con una punta di apprensione.

Lei gli sorrise e, stringendogli più forte la mano, gli assicurò “Ti terrò la mano”.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** CAPITOLO 7 ***


CAPITOLO 7

 

What's a guy like me doing in a place like this?

Getting close to you, but here we are

 

Uscendo dal lussuoso palazzo bianco in cui si trovava lo studio del dottore, Elle lanciò un’occhiata a Brian con la coda dell’occhio e, come si aspettava, lo trovò pensieroso. Era chiaramente preoccupato, Elle lo intuiva dalla mascella serrata e dallo sguardo fisso davanti a sé, ma senza che osservasse veramente ciò che gli passava davanti agli occhi.

Era stata una bellissima giornata, fino a quel momento. Arrivati a Los Angeles, avevano ritirato l’auto che Brian aveva noleggiato e avevano guidato – o, meglio, Brian aveva guidato – fino a Oceanside, che si era rivelata essere una deliziosa cittadina di mare nei pressi di San Diego. La casa che l’agente aveva proposto a Brian di acquistare era un’adorabile villetta che dava direttamente sulla spiaggia e, anche se si era guardata bene dal confessarglielo, Elle se ne era innamorata all’istante, invidiando segretamente l’amico che si poteva permettere di comprare una proprietà così bella. Anche Brian ne era rimasto incantato e aveva assicurato all’agente immobiliare che era seriamente intenzionato a finalizzare l’acquisto, chiedendogli di inviargli le carte da firmare a casa di Nick. Mentre Brian si era fermato a discutere dei dettagli legali e delle piccole modifiche che voleva far apportare alla casa, Elle era uscita sulla spiaggia, godendosi il clima decisamente primaverile e riempiendosi le orecchie del rilassante rumore delle onde. Quando Brian l’aveva raggiunta e le aveva chiesto cosa ne pensasse della casa, gli aveva sorriso e aveva sentenziato “È fantastica e ti ci vedo a vivere qui”. Poi, costringendosi a vincere l’imbarazzo che la dichiarazione le causava, aveva aggiunto “Spero di poter venire a trovarti, qualche volta”.

Brian aveva ricambiato il sorriso e aveva risposto “Tutte le volte che vuoi. Sei la benvenuta”.

In realtà, nemmeno la visita dallo specialista era andata male. Il dottore aveva visionato tutti gli esami e le cartelle cliniche di Brian, l’aveva visitato e aveva confermato la diagnosi di disfonia da tensione muscolare e distonia. Come Brian già sapeva, non esisteva una cura, almeno per la disfonia. Gli aveva invece prescritto una serie di medicinali per tentare di limitare gli effetti della distonia. I farmaci avevano parecchi effetti collaterali, alcuni dei quali si combinavano decisamente male con lo stile di vita e il lavoro che Brian svolgeva, come ad esempio le vertigini o la visione offuscata, per non parlare di insonnia e depressione, ma non era detto che questi effetti comparissero e, comunque, si poteva sempre monitorare la situazione ed eventualmente modificare i dosaggi, o cambiare terapia in caso di complicazioni. Il dottore si era detto fiducioso in un miglioramento, almeno su quel frangente, specialmente se alla terapia farmacologica veniva abbinata una terapia del linguaggio, che Brian già seguiva. Per quanto riguardava la disfonia, invece, le cose erano un po’ più complicate. Il dottore, però, sosteneva che la chiave di tutto fosse allenare la voce, specialmente a fare ciò che a Brian premeva di più, cioè cantare. Abituando le corde vocali a eseguire sempre le stesse note, specialmente quelle con cui Brian aveva più difficoltà, si veniva a creare una sorta di routine e, a un certo punto, era come se il cervello ingranasse il pilota automatico. Il gesto diventava talmente naturale che i muscoli non si sentivano più sotto pressione e, mano a mano, si irrigidivano sempre meno, evitando di comprimere le corde vocali.

“Lei deve cantare,” gli aveva suggerito “giorno e notte, ogni minuto libero. Canti anche la lista della spesa, basta che canti. Ovviamente è meglio se canta le canzoni che poi dovrà eseguire dal vivo perché così la routine si crea su ciò che veramente le serve”.

“E quando ho una giornata particolarmente cattiva e la voce proprio non ne vuole sapere di uscire?” aveva chiesto Brian, preoccupato.

“Canti lo stesso” aveva risposto il dottore. “Anche se dovessero uscire solo suoni gracchianti. Interrompa solo se sente dolore, in quel caso meglio non sforzare le corde vocali, o se non riesce a respirare. Vedrà che piano piano andrà meglio. Ma deve essere costante e avere pazienza”.

Elle si era sentita rincuorata dalla parole del dottore ma, adesso, guardando l’espressione afflitta di Brian, poteva dire con certezza che non era lo stesso per lui. Avrebbe voluto che le parlasse, che le confidasse cosa lo preoccupava così tanto, ma gli aveva promesso che non l’avrebbe forzato a parlare, quindi si limitò a prendergli una mano, mentre si avviavano verso l’auto. Temeva una reazione negativa da parte dell’uomo, avrebbe potuto ritrarre la mano, chiedendole di lasciarlo in pace. Invece non lo fece e, anzi, quando sentì le sue dita intrecciarsi alle proprie, Elle tirò un sospiro di sollievo e capì che Brian aveva apprezzato il suo stargli vicino in silenzio.

A un certo punto, si voltò a guardarla e, finalmente, le sorrise. Sembrava aver abbandonato la nube di pensieri negativi per tornare nel mondo reale. Così, Elle si decise a parlare, restando sul vago.

“Quindi devi cantare” osservò, sulla difensiva.

Brian annuì. “Già. Specialmente le canzoni con cui fatico di più”.

“Dimmene una” lo spronò.

Brian ci pensò su un istante, poi rispose, sicuro. “I Want It That Way o In A World Like This, ad esempio. Ma solo la parte bassa”.

Elle restò un istante a riflettere, poi sentenziò “Preferisco la seconda”.

“Anch’io, se è per questo” convenne Brian, rivolgendole un’occhiata perplessa. “Ma devo riuscire a cantarle entrambe”.

Questa volta fu Elle ad annuire. “Certo. Ma, per la terapia, possiamo scegliere In A World Like This?”

“Non ti seguo” ammise Brian, confuso.

Elle gli sorrise e spiegò “Se devo sentirti cantare la stessa canzone ogni giorno, ripetutamente, almeno che sia una che mi piace”.

“Io...tu...vuoi dire che…” farfugliò lui, guardandola con gli occhi spalancati.

Elle si fermò di colpo, costringendo anche Brian a fermarsi, dato che gli stava ancora tenendo la mano, e si ritrovarono uno di fronte all’altra. “Credevi che ti avrei lasciato affrontare questa nuova sfida da solo?” gli domandò, con una punta di rimprovero. “Allora non hai proprio imparato a conoscermi”.

“No, è che...non osavo sperarlo” tentò di giustificarsi lui, preso in contropiede.

Elle piegò leggermente la testa di lato, rivolgendogli un’occhiata incredula. “Per essere un uomo di fede, a volte ne dimostri proprio poca, sai?” lo canzonò.

Brian non poté fare a mano di ridere, a quell’osservazione. Elle ne approfittò per stringergli ancora di più la mano. “Ci siamo dentro insieme, ormai. Non ti mollo, tranquillo” gli promise. “E, prima che tu dica qualsiasi cosa per tentare di farmi cambiare idea, so che ce la puoi fare benissimo da solo e non ne dubito. Sei forte. Ma ci si stanca a essere sempre forti da soli. Credimi, ne so qualcosa. Per questo voglio aiutarti, se posso”.

Ricacciando in gola le lacrime di commozione che sentiva salirgli agli occhi e domandandosi cos’avesse fatto per meritarsi il supporto totalmente disinteressato di quella donna che ne aveva passate talmente tante, nella vita, che avrebbe avuto tutto il diritto di chiamarsi fuori, pretendendo un po’ di tranquillità, Brian si trovò a balbettare “Io...non so cosa dire”.

“Allora non dire niente” tagliò corto lei, con un sorriso.

“Grazie. Non immagini neanche quanto significhi quello che stai facendo per me” confessò lui, non trovando niente di meglio da dirle. Ce ne sarebbero state di parole che avrebbe desiderato pronunciare, ma avrebbero espresso sentimenti importanti, che erano ancora troppo confusi nella sua mente per potergli dare una forma di senso compiuto. Anche se, invece, nel suo cuore si facevano sempre più chiari e lampanti.

“Invece credo di riuscire a immaginarlo perché è lo stesso per me” dichiarò Elle, serena.

Brian strabuzzò gli occhi, sconvolto. “Ma io non sto facendo niente per te”.

“Questo è quello che credi tu” ribatté lei. “In realtà, tentare di aiutarti mi ha ridato uno scopo ed era esattamente quello di cui avevo bisogno”.

Senza parole, Brian le strinse forte la mano e, insieme, si avviarono alla macchina, per poi partire alla volta di Mammoth Lakes.

Si erano appena immessi sull’autostrada, quando Elle iniziò a trafficare tra la radio dell’auto e il suo cellulare. Brian la osservava con la coda dell’occhio, senza dire niente, immaginando che volesse mettere un po’ di musica di suo gradimento. Quando sentì partire le note di I Want It That Way, però, si voltò a guardarla, rivolgendole un’occhiata perplessa. “Non ho intenzione di guidare per più di sei ore ascoltando me stesso cantare” dichiarò, con un sorrisino divertito.

Elle fece spallucce. “Peccato. Perché io invece ho intenzione di farti iniziare subito la terapia” annunciò, guardandolo con la stessa espressione ironica che lui aveva utilizzato.

“Devo cantare?” le domandò, incredulo.

Elle annuì. “Tu fai le tue parti e io le altre. Ci sarà da ridere, perché sono stonata come una campana, ma almeno così non ti sentirai di sicuro a disagio perché, pur con tutti i problemi che la tua voce può avere, sarai sempre più bravo di me”.

“Non credevo che conoscessi le nostre canzoni” commentò Brian, ridacchiando.

“Devo ricordarti che mia sorella è una vostra fan da tempo immemore?” gli fece notare lei, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. “Ne so più di quanto immagini, fidati”.

Questa volta, Brian si lasciò andare a una vera e propria risata e cedette. “D’accordo”.

“Molto bene” constatò Elle, soddisfatta. “Pronto? Faccio ripartire”.

Con un sospiro di rassegnazione, Brian confermò “Pronto” e iniziò a cantare la prima strofa della canzone: “You are my fire, the one desire, believe when I say I want it that way”.

Non si accorse nemmeno della pressione sulle corde vocali o del suono roco che uscì dalle sue labbra, tutta la sua attenzione era concentrata su Elle che, nel frattempo, mormorava la melodia, ondeggiando leggermente la testa. Quando la voce di Elle prese il posto della sua, per cantare quella che avrebbe dovuto essere la strofa di Nick, Brian sorrise, pensando che non era affatto vero che era stonata e, per la prima volta da quando quell’incubo era iniziato, sentì finalmente che stava facendo qualcosa per affrontarlo. E non aveva a che fare con la fiducia che nutriva nella terapia proposta dallo specialista ma, piuttosto, con un nuovo atteggiamento che sentiva nascere dentro di lui. Cantando le loro canzoni con Elle, si stava divertendo e non ricordava quand’era stata l’ultima volta che gli era successo. Cantare, ormai, gli provocava solo più stress e ansia di non riuscire a rispettare le aspettative che il pubblico, o i suoi compagni, avevano sulla sua performance. Non provava più piacere a farlo. In quel momento, invece, nulla aveva importanza se non il fatto che stava facendo quello che Elle gli aveva chiesto. Non importava come, bastava cantare. E, nel farlo, Brian aveva ritrovato quell’atteggiamento spensierato che lo aveva sempre caratterizzato, in passato, e che gli era mancato così tanto. All’improvviso, la rivelazione: non importava come avrebbe cantato, i suoi compagni e le loro fedeli fan lo avrebbero sempre supportato comunque. Non l’avrebbero abbandonato, come aveva fatto Leighanne. Gliel’avevano ripetuto innumerevoli volte, ma lui non aveva voluto crederci, per paura di rimanere deluso. In quel momento, però, gli sembrava una verità così lampante che si diede dello stupido per non averlo realizzato prima.

Divertirsi, ecco qual era la chiave. Se fosse tornato a divertirsi cantando, il suo cervello non sarebbe andato sotto pressione, peggiorando una situazione già di per sé non semplice. Era una considerazione talmente banale che Brian si stupì di non esserci arrivato prima ma, evidentemente, serviva Elle, con la sua strampalata idea del karaoke in macchina, per aprirgli gli occhi. E Brian non avrebbe mai smesso di essergliene grato.

 

~ * ~

 

Kevin stava assicurandosi che il fuoco su cui avevano arrostito i marshmallow dopo cena fosse effettivamente spento, prima di ritirarsi sul divano con Kristin a guardare la TV, quando sentì un’auto avvicinarsi. Immaginando che fosse il cugino, che l’aveva chiamato nel pomeriggio, avvertendolo che sarebbe arrivato tardi da Los Angeles, alzò lo sguardo e restò in attesa, aspettandosi di vedere sbucare la macchina di Brian dalla curva del vialetto. La verità fu che la udì, prima di vederla. O, meglio, udì della musica a volume piuttosto alto farsi sempre più vicina. Aguzzando le orecchie, realizzò che si trattava di una loro canzone, In A World Like This, ma c’erano delle voci che stavano cantando sopra alla traccia del CD. Una era sicuramente quella di suo cugino Brian. L’altra immaginò dovesse appartenere alla sua accompagnatrice misteriosa.

Quando Brian gli aveva annunciato che sarebbe arrivato in compagnia di una donna, Kevin era rimasto sorpreso. Suo cugino aveva avuto solo due storie importanti, nella vita, una da ragazzino e l’altra con Leighanne, la donna che poi aveva sposato, e che l’aveva lasciato, solo sei mesi prima. Conoscendolo, si aspettava che passassero anni, prima che lasciasse entrare un’altra donna nella sua vita, ammesso che mai decidesse di farlo. Si era stupito, quindi, quando l’aveva chiamato per accettare il suo invito per il weekend, ma gli aveva chiesto se poteva portare con lui un’amica. Un’amica, così l’aveva definita. Ma, guardandoli sorridersi e scherzare l’uno con l’altra, mentre scendevano dall’auto, Kevin capì che doveva esserci qualcosa di più. Brian aveva lo sguardo adorante e, cosa insolita nell’ultimo periodo, stava ridendo di gusto, felice, come se non avesse alcun problema al mondo. Kevin si ritrovò a pensare che, chiunque fosse responsabile di quel cambiamento in Brian, era la benvenuta. Loro ci avevano provato per mesi a riportare alla luce il vecchio Brian, quello allegro e sempre pronto a scherzare che le fan, e anche gli altri membri del gruppo, adoravano, ma senza risultato. Il cugino era schiacciato dai problemi e le preoccupazioni non gli permettevano di liberare la mente. Ora, invece, sembrava un’altra persona. E Kevin non avrebbe potuto esserne più felice.

Gli si avvicinò, con un sorriso, e, trovando i suoi ospiti che ancora ridevano per qualche battuta, li accolse, domandando “Vi stavate divertendo?”

Brian gli andò incontro, avvolgendolo in un abbraccio, e scherzò “Sai, se mai dovessimo decidere di toglierci dai piedi Nick, potrebbe prendere lei il suo posto. Le sue parti le riescono alla grande”.

Dando un paio di pacche sulla schiena del cugino, Kevin replicò, in tono altrettanto scherzoso “Proposta allettante. Di sicuro mi farebbe saltare meno i nervi di Nick”.

“Decisamente” concordò Brian, ridendo.

Sciogliendosi dall’abbraccio, Kevin posò una mano sulla spalla di Brian e gli disse “Ben arrivato. Avete fatto buon viaggio?”

Il cugino annuì. “Non male, grazie”. Poi, allungando un braccio in direzione della donna che era con lui, che fece un passo avanti, procedette con le presentazioni. “Kev, lei è Elle. Elle, lui è mio cugino Kevin”.

Elle e Kevin si strinsero la mano.

“Piacere, Kevin. E grazie dell’ospitalità” disse lei, con un sorriso. Kevin pensò che avesse un viso simpatico.

“Piacere mio” ricambiò. “E grazie a te di aver portato Brian. Non lo ammetterà mai, ma da solo non sarebbe mai venuto”.

Tutti e tre si misero a ridere, Brian compreso. Poi Kevin si avvicinò al bagagliaio dell’auto, per aiutare il cugino a scaricare i bagagli che avevano portato, e annunciò “Venite, vi mostro le vostre stanze e salutiamo Kristin. Poi, se volete, dev’essere rimasta ancora un po’ di pizza. Sarete affamati, dopo tutte quelle ore di viaggio. E cantare mette sempre appetito”.

 

~ * ~

 

Dopo essersi sistemati nelle camere a loro riservate dai padroni di casa, Elle e Kristin si sedettero sul divano a chiacchierare, per conoscersi meglio, mentre Brian seguì Kevin in cucina, con la scusa di aiutarlo a riscaldare la pizza. In realtà, voleva parlare a tu per tu con il cugino.

Mentre Kevin sistemava i resti della pizza su un piatto, per poi poterla mettere in microonde, Brian si sedette su uno sgabello, le braccia incrociate sul bancone davanti a lui. Dopo aver eseguito i suoi compiti, Kevin appoggiò i palmi delle mani sul ripiano e sorrise al cugino.

“Come stai?” gli chiese, senza troppi giri di parole.

Brian sorrise. Tipico di Kevin andare subito al punto. “Bene. Sto bene”.

“Com’è andata la visita a Los Angeles?”

“È andata bene. Mi ha prescritto dei medicinali per trattare la distonia. Possono avere controindicazioni piuttosto serie, ma mi ha detto di monitorare la situazione e fargli sapere se compaiono sintomi strani. Nel caso, ricalibriamo i dosaggi o cambiamo medicine” spiegò. “Per la disfonia, invece, devo cantare. A quanto pare, più canto, più la voce si abitua a certe note e meno fatica a uscire”.

Kevin ascoltò attentamente la spiegazione del cugino, poi, vedendolo particolarmente teso, come sempre quando parlava dei suoi problemi, tentò di sdrammatizzare e lo prese in giro “Per questo ti stavi sgolando, quando siete arrivati?”

Inaspettatamente, Brian annui e Kevin strabuzzò gli occhi, sorpreso. “Sì. Elle ha deciso che dovevamo iniziare subito la terapia” dichiarò.

Kevin alzò un sopracciglio, in quel suo modo eloquente che racchiudeva una miriade di significati diversi. “Dovevamo?” ripetè, in tono allusivo.

Brian si strinse nelle spalle. “Dovevo...dovevamo...è lo stesso”.

Kevin scosse la testa. “No, non è lo stesso. Dovevo prevede che te la sbrighi da solo, dovevamo implica un noi. C’è una bella differenza”.

Brian sorrise e distolse lo sguardo dagli occhi del cugino. Quando li rialzò, gli chiese, serio “Cosa vuoi sapere, Kev?”

Il sorrisino colpevole di Kevin gli fece capire che aveva fatto centro. “Tutto quello che ti va di dirmi” gli rispose il cugino, tranquillo.

Brian prese un respiro profondo e iniziò a raccontare. “Ci siamo conosciuti per caso. Sua sorella abita vicino a Nick, a Las Vegas, ed Elle al momento è ospite da lei. Abbiamo iniziato ad andare a camminare insieme, la mattina. Andiamo d’accordo, le ho raccontato cose di cui faccio fatica a parlare perfino con voi”.

“Come mai sta dalla sorella?” domandò Kevin.

“Suo marito è morto otto mesi fa” annunciò Brian.

Kevin si lasciò sfuggire un’espressione sconvolta, ma si riprese quasi subito e chiese “Incidente?”

Brian scosse la testa. “No, cancro. Un calvario durato otto anni”.

“Povera” commentò il cugino.

“Già” concordò Brian. “Nessuno si merita una cosa del genere, tanto meno lei che è proprio una brava persona”.

Kevin non rispose subito, indeciso su quanto potesse permettersi di sbilanciarsi con Brian. Non conosceva Elle, ma conosceva suo cugino, e ricordava di avergli visto quell’espressione negli occhi, mentre parlava di una donna, solo un’altra volta nella vita. Decise di rischiare e osservò “Devi considerarla molto importante, se ti sei fatto accompagnare alla visita”.

Brian annuì. Kevin aveva ragione. Suo cugino lo conosceva bene e sapeva perfettamente quanto delicata fosse per lui la questione legata alla sua voce e quanto potesse essere suscettibile. L’osservazione che gli aveva fatto era più che ragionevole. Prima di allora, aveva permesso solo a Leighanne di accompagnarlo alle varie visite e nemmeno ai suoi compagni del gruppo, che considerava dei fratelli, era stato concesso l’onore.

“Lo è” disse, in risposta all’osservazione di Kevin. “Mi è stata vicina in un momento difficile e io sto cercando di fare lo stesso per lei. Solo che non è facile. Lei...non l’ha ancora superato”.

Kevin gli rivolse un’occhiata di rimprovero, mentre replicava “E non lo supererà mai. Le è morto il marito, è un dolore che si porterà dentro per sempre”.

Vergognandosi della sua mancanza di tatto, Brian si affrettò a tentare di giustificarsi “Certo, lo so. È solo che…”

“Credevi che, conoscendoti, lo dimenticasse e si innamorasse perdutamente di te?” lo interruppe il cugino.

Brian abbassò la testa, colpevole, e farfugliò “Non l’avrei messa proprio in questi termini, ma…”

“Ma la sostanza è che ti sei innamorato di lei e speri possa ricambiare” concluse Kevin per lui.

Brian sospirò, prima di ribattere e, quando parlò, lo fece guardando il cugino dritto negli occhi. “Senti, non lo so, okay? Sicuramente ho iniziato a provare qualcosa per lei, ma non so se è amore. Magari è solo una profonda amicizia”.

Senza staccare gli occhi dai suoi, Kevin gli domandò, a bruciapelo “Hai mai immaginato di portartela a letto?”

Brian spalancò gli occhi, scioccato, e aprì la bocca per rimproverare il cugino, ma tutto quello che ne uscì fu un indignato “Kevin!”

Kevin non si scompose. Si limitò a rivolgere al cugino un sorrisetto di superiorità e a commentare “Significa sì”.

“Non ho nemmeno risposto!” obiettò Brian, risentito.

Continuando a guardarlo con la stessa espressione scettica, Kevin confermò “Significa sì”.

Brian alzò gli occhi al cielo e si lasciò sfuggire un gemito. “Basta. Mi arrendo”.

Kevin scoppiò a ridere e, posandogli una mano sulla spalla, sentenziò “Farai meglio a rispolverare le tue tecniche di corteggiamento perché temo che siano un po’ arrugginite, dopo tutti questi anni. E ho la sensazione che non ti basteranno un paio delle tue solite battute da clown per farla cadere ai tuoi piedi”.

Suo malgrado, anche Brian si mise a ridere ma, allo stesso tempo, pensò che Kevin avesse ragione. Se davvero voleva conquistare Elle – e la domanda che, prima di tutto, doveva porsi era: voleva? - avrebbe dovuto sfoderare l’artiglieria pesante.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** CAPITOLO 8 ***


CAPITOLO 8

 

On a quiet night, what are the odds?

Il giorno seguente, Brian si svegliò insolitamente tardi e particolarmente riposato. Mentre si avventurava verso la cucina, da cui provenivano una serie di voci, cercò di ricordare quando era stata l’ultima volta che aveva dormito così bene, senza riuscirci. Tra la malattia e i problemi con l’ex moglie, gli ultimi anni erano stati una vera e propria corsa sulle montagne russe e si era sentito perennemente teso, sempre con i nervi a fior di pelle e la paura che qualcosa potesse andare ancora più storto di quanto già non stesse facendo. Quella mattina, invece, si sentiva sereno. Rilassato. La sua situazione non era affatto cambiata, la malattia era sempre lì, una costante minaccia che incombeva sulla sua carriera e sul piacere che provava nel fare quello che aveva sempre considerato il lavoro più bello del mondo e, ovviamente, non aveva più nemmeno la sua fedele compagna da cui rifugiarsi, quando tutto sembrava remare contro di lui, ma, nonostante tutto, era più tranquillo di quanto non lo fosse stato anni prima, quando le cose sembravano essere migliori. Non sapeva spiegarsi perché, forse aveva a che fare con un suo cambio di atteggiamento. O, forse, l’idea di non dover affrontare questa nuova sfida da solo lo rassicurava più di quanto fosse disposto ad ammettere. Se pensava alla giornata precedente, oltre alla gioia e alla spensieratezza provata a cantare a squarciagola in auto con Elle, senza preoccuparsi di come la sua voce potesse suonare e senza il peso di dover garantire una performance perfetta e all’altezza delle aspettative del pubblico, gli risuonavano ancora nella testa le parole che lei gli aveva detto dopo la visita dallo specialista:

Ci siamo dentro insieme, ormai. Non ti mollo, tranquillo.

Ne aveva bisogno, Brian. Non voleva ammetterlo, ma non ce la faceva più ad andare avanti ad affrontare tutto da solo e sapeva che i prossimi mesi avrebbero rappresentato l’ennesima sfida. Il lancio dell’album di Natale, a inizio Novembre, con relative interviste e apparizioni televisive, e poi gli show a Las Vegas, dodici concerti in cui la sua voce – e i suoi nervi – sarebbero stati messi a dura prova. L’idea di affrontare tutto questo da solo, lo terrorizzava. Pensare di avere Elle al suo fianco, invece, dissipava le nubi che affollavano la sua testa e faceva tornare il sereno. Era diventata il suo porto sicuro, ormai l’aveva capito e accettato. Il groviglio di sentimenti che provava per lei era ancora un grande rebus di cui non aveva trovato la chiave di lettura, ma di una cosa era assolutamente certo: aveva bisogno di lei e non voleva perderla, per nessun motivo. Dopo la conversazione con Kevin, la sera prima, si era trovato a riflettere sulla domanda che gli aveva posto il cugino. Prima che lui glielo facesse notare, Brian non aveva mai pensato a Elle in altri termini se non quelli di una cara amica, per cui provava un affetto fraterno. O, almeno, questo era quello che credeva. In realtà, aveva sempre deliberatamente ignorato le scariche elettriche che gli percorrevano la spina dorsale ogni volta che si sfioravano o l’impulso di abbracciarla quando la vedeva con gli occhi tristi. E, la notte precedente, forse a causa delle parole di Kevin, per la prima volta gli era capitato di sognare di baciarla e…scosse energicamente la testa, come a scacciare quelle immagini. Non che non fosse stato un sogno piacevole, al contrario, ma la fantasia non si era propriamente fermata a un bacio e, se ci avesse ripensato in quel momento, probabilmente avrebbe avuto la necessità di farsi una doccia gelata prima di colazione. Stando ai ragionamenti del cugino, tutti quegli indizi portavano a una sola conclusione: si era innamorato di Elle. Razionalmente, Brian sapeva che non c’era niente di male. Come Nick gli aveva candidamente fatto notare, erano entrambi liberi, stavano bene insieme e avevano tutto il diritto di essere felici. La realtà, però, era leggermente più complicata di così. Elle era complicata. Non che lui non lo fosse, al contrario, ma la situazione di Elle era decisamente più delicata. D’altra parte, nel profondo del suo cuore, Brian era convinto che sarebbero stati bene insieme, che avrebbero potuto essere felici. Se pensava al suo futuro, Brian voleva che Elle ne facesse parte. Era combattuto. Da una parte, avrebbe voluto prendere coraggio e parlare a Elle per vedere se ci potesse essere la possibilità di far diventare quella bella amicizia che era nata tra loro qualcosa di più profondo. Magari non subito, con calma, concedendole tutto il tempo che le serviva. Dall’altra, era terrorizzato di spaventarla e, conseguentemente, allontanarla anche come amica. Sapeva anche di dover prendere una decisione piuttosto in fretta perché, con l’imminente lancio del nuovo album e i concerti subito dopo, le possibilità di passare del tempo con lei si sarebbero ridotte al minimo, nei due mesi seguenti. E Brian aveva bisogno di sapere, non gli piaceva restare nel dubbio. Già la sua vita in generale era una grande incognita, ultimamente, voleva mettere le cose in chiaro il prima possibile e capire se c’era almeno una possibilità, anche per evitare fraintendimenti. Perché avrebbe fatto la differenza. Se Elle gli avesse concesso anche solo una speranza, sarebbe cambiato tutto, non esteriormente, certo, ma dentro di lui.

Sospirando, entrò in cucina, dove trovò la famiglia Richardson, più Elle, già intenti a consumare la colazione. Si fermò a osservare la scena, una spalla appoggiata allo stipite della porta, e sorrise nel notare che Elle era impegnata in un’animata discussione con Max, il figlio minore di Kevin, su chi fosse più forte tra Spiderman e Ant-Man. Kevin, che aveva appena finito di dire la sua in merito, alzò lo sguardo e incrociò quello del cugino. Gli sorrise e fece un cenno impercettibile con il capo nella direzione di Elle, prima di strizzare l’occhio a Brian, che non riuscì a trattenere un sorriso. Nel loro linguaggio non verbale, specializzato negli anni, il gesto di Kevin significava apprezzamento e, in qualche modo, una sorta di benestare nei confronti dell’ospite che il cugino aveva portato. Insomma, Elle gli piaceva, e Brian non avrebbe potuto esserne più felice. Mentre era ancora impegnata a discutere con il ragazzino, si avvicinò, senza che lei se ne accorgesse, e annunciò la sua presenza sentenziando “Smettetela, tutti e due. Il migliore è ovviamente Black Panther”.

Elle si voltò a guardarlo di scatto, le labbra curvate in un sorrisetto divertito e gli occhi che luccicavano, mentre Max si affrettò a ribattere “Zio, non vale. Stavamo parlando di insetti”.

Brian scoppiò a ridere, mentre Mason, il fratello maggiore di Max, precisava che, tecnicamente, i ragni non sono insetti, innescando così una discussione accesa con il fratello minore, che permise a Brian di rubare l’attenzione di Elle per un istante.

“Ehi” le disse, avvicinandosi. “Dormito bene?”

“Magnificamente” rispose lei, sorridendo. “Tu?”

“Molto bene anch’io. Sarà l’aria di montagna” commentò Brian, prendendo posto sullo sgabello accanto a Elle e accettando la tazza di caffè che Kristin gli porgeva.

Elle lo scrutò attentamente e sentenziò “In effetti hai un bell’aspetto”.

“Lo prendo per un complimento” replicò Brian, alzando un sopracciglio.

Elle arrossì, rendendosi conto che il suo commento avrebbe potuto essere male interpretato. Fortunatamente, Kristin andò in suo aiuto, dichiarando “Ovvio che è un complimento, Brian, nessuno ha un bell’aspetto appena sveglio”.

Tutti scoppiarono a ridere e Brian pensò che aveva fatto proprio bene a seguire il consiglio di Nick e portare Elle con lui da Kevin.

 

~ * ~

 

La giornata trascorse lenta e tranquilla, tra chiacchiere, giochi, buon cibo e buffi aneddoti sulla loro infanzia che Kevin si divertiva a raccontare con il deliberato intento di mettere in imbarazzo il cugino davanti a Elle, la quale, però, seppur divertita dai racconti, continuava a lanciare a Brian sguardi adoranti, che non sfuggivano a Kevin. Verso l’imbrunire, mentre preparava il barbecue per cena, in tono del tutto casuale ma, in realtà, accuratamente studiato, Kevin suggerì al cugino di portare Elle a vedere il tramonto sul lago. Brian girò la proposta a Elle, in modo che fosse lei a decidere.

“Cosa ne dici?” le chiese. “Ti va una passeggiata?”

Lei annuì e alzò le spalle. “Perché no?” acconsentì, entusiasta.

Uscirono di casa, salutando Mason e Max che stavano giocando a basket in cortile, e si avviarono sul sentiero che si addentrava nel bosco. Brian conosceva la strada perché ci era stato altre volte, quindi non rischiavano di perdersi. Mentre camminava, Brian si ritrovò a pensare che aveva sempre percorso quel sentiero con Leighanne e gli sembrava strano essere in compagnia di un’altra donna, in quell’occasione. Solo strano, non brutto però. Anzi. Gli piaceva la compagnia di Elle, e apprezzava specialmente il fatto di poter passeggiare con lei in silenzio, senza che tra loro si creasse imbarazzo. Improvvisamente, mentre si guardava intorno, ammirando i maestosi alberi che li circondavano da ogni lato, a Brian vennero in mente le parole di una canzone che nemmeno credeva di ricordare e, senza riflettere, si mise a canticchiarla.

Such is the way of the world
You can never know
Just where to put all your faith
And how will it grow

Inaspettatamente, la voce di Elle si unì alla sua e terminarono il ritornello insieme.

Gonna rise up
Burning black holes in dark memories
Gonna rise up
Turning mistakes into gold.*

Brian si voltò a guardare la donna che camminava accanto a lui, con un sorriso che gli illuminava il viso, e si accorse che anche lei stava sorridendo.

“Adoro quella canzone” commentò Elle, con aria sognante. “Credevo di essere l’unica”.

Brian scosse la testa. “Piace molto anche a me, ma ti confesso che non credevo di ricordarmi le parole. Non so come mi sia venuta in mente”.

Proseguirono la passeggiata in silenzio e iniziarono a intravedere il luccichio del lago in lontananza, quando Brian esordì con “Mi togli una curiosità?”

“Spara” lo spronò Elle, incuriosita.

Brian le rivolse un sorrisino divertito. “Com’è che avevi tutta la nostra discografia sul cellulare?”

Elle sentì le guance avvampare, nonostante l’aria fresca della sera, e si affrettò a distogliere lo sguardo. “Mia sorella…” farfugliò, imbarazzata.

Era una bugia che aveva inventato lì su due piedi per togliersi d’impaccio. Non le piaceva mentire, men che meno a Brian, ma non aveva avuto scelta. Mai, nemmeno sotto tortura, gli avrebbe confessato che aveva scaricato l’intera discografia dei Backstreet Boys sul telefono perché aveva preso l’abitudine di addormentarsi ascoltando la voce di Brian. Suonava strano anche a lei, figurarsi quanto avrebbe potuto trovarlo inquietante lui. Eppure era vero. E, da quando aveva preso quell’abitudine, non aveva più avuto bisogno di calmanti e sonniferi per prendere sonno. La voce di Brian la tranquillizzava come niente era mai riuscito a fare. E non le importava se non era più quella voce limpida e calda di cui lui andava tanto fiero, ma una più roca e profonda, che lui considerava la brutta versione di quel dono che gli era stato concesso ma che, invece, lei trovava avvolgente e...ci aveva messo parecchio ad ammetterlo perfino a se stessa, ma anche eccitante. Per un brevissimo istante, pensò che, forse, avrebbe dovuto dirglielo. Magari, se gli avesse confessato cosa pensava della sua nuova voce, anche lui avrebbe iniziato a vederla con occhi diversi e non si sarebbe più sentito così inadeguato. Poi, però, cambiò subito idea. Ammettere una cosa del genere avrebbe implicato addentrarsi su un terreno pericoloso, intraprendendo una conversazione tremendamente personale che l’avrebbe inevitabilmente portata a confessare sentimenti che non era ancora certa di voler condividere con Brian. E non certo perché non si fidasse di lui, anzi. Ma perché lo riguardavano direttamente. Fin da dopo il loro appuntamento al ristorante, se così si voleva chiamarlo, Elle aveva iniziato a riflettere sul suo rapporto con Brian, domandandosi la natura di quei sentimenti che, suo malgrado, aveva dovuto ammettere di provare per lui. Si era affezionata tantissimo a quell’uomo così buono, gentile e sensibile, che la faceva sentire così a suo agio, come se lo conoscesse da una vita intera e non da un paio di mesi, e l’idea che, a breve, le loro strade si sarebbero divise, probabilmente per non incrociarsi mai più, data la differenza dei loro stili di vita o, a voler essere ottimisti, giusto un paio di sporadiche volte l’anno, nel caso avesse davvero deciso di andare a trovarlo nella casa sull’oceano che avrebbe acquistato, le faceva letteralmente mancare il fiato. E si dava della stupida, perché sapeva che non avrebbe dovuto affezionarsi. Si era ripromessa di non farlo, di non lasciarsi più coinvolgere da nessuno. Ma, alla fine, era successo e non aveva potuto fare nulla per impedirlo. Brian, con quel suo fare spontaneo e rassicurante, nonostante il suo status di celebrità, le era entrato dentro e adesso avrebbe sofferto, di nuovo. Era stufa di soffrire, sempre per lo stesso motivo, per giunta. Perché continuava a perdere le persone che amava? Sentì come qualcosa muoversi all’interno del suo stomaco e fu colta da un senso di vertigine.

Oddio. Ho appena ammesso di amare Brian?

Sebbene gli indizi per arrivarci ci fossero tutti, quella rivelazione la colpì come un pugno in pieno stomaco e dovette aprire la bocca e prendere un respiro profondo per riuscire a fare arrivare l’aria ai polmoni. Mettersi a riflettere sull’enormità di quella scoperta in quel momento, però, non le sembrava l’idea migliore, soprattutto perché era in mezzo a un bosco, da sola, proprio con l’oggetto delle sue fantasie. Prima di fare o dire qualcosa di cui avrebbe potenzialmente potuto pentirsi in un secondo momento, doveva fare chiarezza dentro di sé e aveva bisogno di restare sola. Decise, quindi, di dire qualcosa per colmare quel silenzio che, da confortante qual era stato fino a quel momento, si era improvvisamente fatto opprimente e insostenibile.

“Oggi non abbiamo ancora fatto terapia” ammonì Brian, attirando la sua attenzione.

Lui annuì e concordò “Hai ragione. Cosa vuoi cantare?”

Elle ci pensò un istante, poi propose “Perché non mi canti una delle nuove canzoni dell’album di Natale?”

Brian sorrise e attaccò con i primi versi di una delle canzoni che preferiva dell’album che avevano appena finito di registrare:

It's coming on Christmas
They're cutting down trees
They're putting up reindeer
And singing songs of joy and peace
Oh, I wish I had a river I could skate away on.**

Preso dalla performance, Brian aveva socchiuso gli occhi e quando li riaprì, si accorse non solo che, nel frattempo, erano arrivati sulla riva del lago, ma anche che Elle, in piedi accanto a lui, aveva le guance rigate dalle lacrime. Smise all’istante di cantare e le si avvicinò, posandole una mano sulla schiena.

“Ehi, che succede?” le domandò, con voce dolce.

Lei scosse la testa e tentò di rispondere, ma riuscì solo a farfugliare “Scusa” perché il resto della frase fu interrotto da un singhiozzo che non riuscì a trattenere.

Brian non si scompose, la prese per mano e, sempre tenendole l’altra mano sulla schiena, la guidò verso una roccia che dava proprio sul lago. Si sedette e fece sedere Elle tra le sue gambe, cingendole la vita con le braccia. Avvicinò il viso a quello della ragazza, sussurrandole all’orecchio “Sfogati”.

Lei continuò a singhiozzare, mentre Brian non poteva far altro che stringerla tra le sue braccia, cercando di non dare a vedere quanto vederla crollare in quel modo l’avesse sconvolto. A un certo punto, desideroso di fare qualcosa per aiutarla a calmarsi, ma non sapendo bene cosa, decise di fare l’unica cosa che sapeva fare – un tempo meglio di ora, ma comunque ancora piuttosto bene – e si mise a mormorare nell’orecchio di Elle le parole di una loro canzone, che gli sembravano appropriate alla situazione:

You been holding on so long
Tryin' to make believe that nothing's wrong
Not letting it show
There ain't nothin' you can do
To make me turn away from you
I need you to know

That you can let go.***

“Brian” sussurrò Elle, la voce ancora rotta dal pianto.

“Ssssh” la rassicurò lui. “Lascialo uscire. Sono qui”.

Non aveva idea di cos’avesse provocato quel crollo, ma era evidente che Elle ne aveva bisogno. Si era tenuta dentro tutta quella sofferenza per troppo tempo ed era giusto che la lasciasse sfogare. Brian non sapeva come aiutarla, purtroppo, ma voleva che sapesse che era lì per lei e non l’avrebbe abbandonata per niente al mondo.

Elle si mosse quel tanto che bastava tra le braccia di Brian da riuscire a voltarsi e stringere a sua volta le braccia attorno al petto del ragazzo, che iniziò ad accarezzarle i capelli, continuando a canticchiare la stessa canzone che aveva iniziato poco prima:

You never let me see you cry
You locked it somewhere deep inside
Baby, baby let me hold you tight. ***

Quando, dopo un tempo imprecisato, i singhiozzi di Elle si calmarono e il respiro tornò a essere pressapoco regolare, lei si decise ad alzare lo sguardo e i suoi occhi, arrossati dal pianto e ancora lucidi dalle lacrime, incrociarono quelli di Brian.

“Scusa” ripetè, in un sussurro.

Brian le accarezzò il viso, spostandole alcune ciocche di capelli umidi di lacrime dalla guancia. “Non devi scusarti” la rassicurò.

“Almeno ti devo una spiegazione” insistette Elle, passandosi una mano sulle guance, cercando di asciugarle dalle lacrime.

Brian restò in silenzio, senza staccare gli occhi dai suoi, in attesa che si sentisse pronta a parlare. Elle inspirò a fondo e poi spiegò “River era la canzone natalizia preferita di Will. Me la cantava sempre, anche se io gli dicevo che era troppo triste per essere una canzone di Natale”.

“Io...scusami” si affrettò a dire Brian, dispiaciuto. “Se l’avessi saputo, avrei scelto qualcos’altro”.

Elle scosse la testa e gli rivolse un debole sorriso. “Non è colpa tua. Non potevi saperlo. È che...è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ultimamente mi manca più del solito e non ce l’ho fatta”.

Brian le prese una mano tra le sue e domandò “È successo qualcosa di particolare?”

“Niente di specifico” rispose Elle, stringendosi nelle spalle. “Solo...sto iniziando piano piano a contemplare una vita senza di lui e, per quanto sappia che deve andare così, mi sento tremendamente in colpa”.

Brian non disse nulla, troppo concentrato a inspirare ed espirare per tentare di calmare i battiti del suo cuore che già avevano accelerato quando si era ritrovato Elle tra le braccia, il viso vicinissimo al suo, e avevano rischiato di impazzire al sentirle dire stava prendendo in considerazione una vita senza il ricordo opprimente del marito. Non si era nemmeno reso conto di aver iniziato ad accarezzarle il dorso della mano con il pollice, probabilmente sperando di tranquillizzarla con quei semplici movimenti ripetitivi, finché qualcosa non attirò la sua attenzione. Un particolare apparentemente insignificante, ma che per lui aveva una grandissima importanza. Forse non era il momento più opportuno per farlo notare, ma non riuscì a trattenersi e balbettò “Hai..hai tolto la fede”.

Elle annuì e gli rivolse un sorriso stentato. “Non mi serve un anello per ricordarmi di lui, finalmente l’ho capito”.

Senza sapere esattamente quale forza lo stesse muovendo, Brian sollevò lentamente una mano e sfiorò la guancia di Elle con la punta delle dita. La vide chiudere gli occhi, le labbra piegate in un lieve sorriso. I loro visi erano già talmente vicini che sarebbe bastato un minimo movimento da parte di uno dei due perché le labbra si sfiorassero. Brian si mosse leggermente in avanti ed Elle, che aveva ancora gli occhi chiusi, percepì qualcosa di caldo e morbido, che sapeva essere le labbra di Brian, sfiorare impercettibilmente le sue.

“Zio, Brian! Elle!”

Un urlo proveniente dal sentiero fece spalancare gli occhi a Elle e li fece allontanare all’istante. Era la voce di Mason, il figlio maggiore di Kevin e Kristin. Poco dopo, infatti, lo videro avvicinarsi alla riva del lago, accompagnato da uno dei cani dei Richardson, annunciando che la cena era pronta e il padre l’aveva mandato ad avvertirli.

 

~ * ~

 

“Portala a letto” disse Kevin al cugino, con un cenno del capo rivolto alla figura della donna rannicchiata sulla sdraio accanto a lui.

Dopo cena, Kevin aveva acceso il fuoco, in modo che i ragazzi potessero arrostire i marshmallow, mentre gli adulti si erano raggruppati intorno a quella fonte di calore, chiacchierando e bevendo caffè. Preso dalla conversazione, Brian non si era accorto esattamente quando, ma Elle doveva essersi appisolata, e ora dormiva beatamente, avvolta in una coperta, le gambe raccolte di lato e il viso appoggiato allo schienale della sedia, un’espressione serena e un accenno di sorriso sulle labbra. Quando posò lo sguardo su di lei, anche le labbra di Brian si curvarono in un sorriso, senza che potesse fare nulla per impedirlo, e sentì concretamente qualcosa muoversi nel suo stomaco. Lui, che si era sempre vantato di essere bravo con le parole, specialmente se servivano a descrivere i sentimenti, si trovava, per la prima volta, con la testa completamente vuota e l’unico aggettivo che gli veniva in mente per descriverla era adorabile. Avrebbe voluto poterla stringere tra le braccia e portare a termine ciò che stava per fare solo qualche ora prima, quando erano stati brutalmente interrotti dall’arrivo di Mason. Voleva baciare Elle, ne sentiva il bisogno, come se fosse un’urgenza fisica a cui doveva per forza dare ascolto. Ma la sua parte razionale sapeva anche che non poteva certo saltarle addosso alla prima occasione utile. Innanzitutto l’avrebbe spaventata a morte e le avrebbe dato un’idea decisamente poco lusinghiera di sé, e poi ci teneva che il loro – sperava – primo bacio fosse speciale. Durante la passeggiata si era creata la situazione perfetta e a Brian era sembrato che anche Elle fosse pronta per quel passo, da un lato così banale ma, dall’altro, per loro due, entrambi con un passato così pesante e complicato alle spalle e un presente ancora difficile da gestire, altrettanto importante. Chissà quando si sarebbe presentata un’altra occasione del genere. Brian temeva di dover aspettare ancora a lungo e non era certo di volerlo e poterlo fare. Aveva bisogno di Elle, non solo come amica. Ora che quella realtà si era palesata chiara e limpida davanti ai suoi occhi, non credeva di essere in grado di aspettare per poterla concretizzare.

Per questo le parole di Kevin l’avevano fatto sussultare, seppur solo internamente. Perché quell’innocuo suggerimento di portare Elle a letto, aveva fatto comparire nella sua mente immagini molto poco caste di loro due che passavano la notte insieme.

Costringendosi a non soffermarsi su quei pensieri, Brian annuì e si alzò dalla sedia su cui era seduto per avvicinarsi a Elle e sussurrarle, all’orecchio “Vieni, andiamo a nanna”.

Lei mugugnò qualcosa in risposta, ma Brian non capì una parola, quindi le mise una mano dietro alla schiena, fece passare l’altra sotto alle ginocchia e la sollevò tra le braccia, con l’intento di portarla in camera sua e tentando di ignorare il battito del suo cuore, che si faceva sempre più veloce.

Elle, con la mente sospesa a metà tra il sonno e la veglia, non capì del tutto cosa stava succedendo. Convinta di trovarsi nel sogno che stava vivendo mentre dormiva, in cui la scena tra lei e Brian nel bosco non era stata interrotta dal figlio di Kevin, ma si era svolta come lei avrebbe desiderato, passò le braccia dietro al collo di Brian, allacciandogli le mani dietro alla nuca, e appoggiò la testa sulla sua spalla, a pochi millimetri dal suo viso. Incapace di controllare la miriade di emozioni che passavano sulla sua faccia, neanche fosse uno schermo che proiettava i suoi sentimenti più intimi, e che non era ancora pronto a condividere con tutta la famiglia Richardson al completo, Brian si affrettò a entrare in casa, con Elle in braccio, e si diresse a passo spedito verso la stanza della ragazza. Una volta varcata la soglia, la adagiò il più dolcemente possibile sul letto, sperando di riuscire a non svegliarla del tutto. Quando fu certo di averla sistemata a dovere, lasciò la presa sul corpo di Elle e si passò le mani dietro al collo, con l’intento di slacciare quelle della ragazza, che erano ancora saldamente agganciate a lui. Lei, però, non sembrava dell’idea di volerlo lasciare andare, anzi, facendo una leggera pressione, tirò Brian verso di sé, costringendolo a puntare le mani sul materasso per sorreggersi e non finirle addosso. Ancora con gli occhi chiusi, in modo del tutto imprevedibile, Elle incollò le sue labbra a quelle di Brian, che sulle prime restò immobile, attonito, incapace perfino di ragionare, figurarsi reagire. Il cuore gli martellava talmente forte che credette di vederselo schizzare fuori dal petto e vampate di calore gli salivano lungo il collo, per avvolgergli completamente il viso che, sapeva con certezza, senza bisogno di guardarsi allo specchio, era diventato paonazzo. Uno dei suoi desideri più grandi si era appena avverato, stava baciando Elle, ma non era esattamente come se l’era immaginato. Nei suoi sogni, innanzitutto, lei aveva gli occhi aperti ed era perfettamente consapevole di quello che stava facendo. Brian temeva che, invece, in quel momento Elle non fosse totalmente in sé e padrona delle sue azioni, ma si trovasse, almeno parzialmente, ancora nel mondo dei sogni. Se, da una parte, l’idea che stesse sognando di baciarlo lo eccitava, dall’altra aveva bisogno di un po’ più di concretezza. E se la persona che stava baciando nel sogno non fosse stato lui ma qualcun altro? No, non poteva avvenire così. Raccogliendo tutta la forza di volontà che riuscì a trovare, Brian prese le mani di Elle e le staccò, dolcemente ma con fermezza, dal suo collo. Poi si alzò dal letto e tirò su il piumone, avendo cura di coprire per bene Elle, in modo che non prendesse freddo. Lei si rannicchiò su se stessa, accoccolandosi sotto alla coperta e, suo malgrado, Brian sorrise. Lentamente e il più silenziosamente possibile, si avvicinò al suo viso e le lasciò un bacio sulla fronte, sussurrando “Non hai idea di quanto sei speciale. Ma troverò il modo di fartelo sapere, stanne certa”, poi andò verso la porta. Prima di chiudersela alle spalle, diede un’ultima occhiata a Elle, che dormiva beata, sempre con quel mezzo sorrisetto stampato sul volto, e sospirò. Kevin aveva ragione, aveva capito tutto ben prima di lui. Si era innamorato. Non l’aveva previsto e nemmeno sapeva bene come gestirlo, ma era successo. Dio, o chi per lui, che ultimamente lo stava mettendo alla prova più di quanto credeva di meritare, gli aveva anche mandato qualcuno con cui condividere quella nuova fase della sua vita, forse meno spensierata degli anni passati, ma non per questo meno degna di essere vissuta appieno. Gli stava dando una seconda possibilità di essere felice e non voleva perderla per niente al mondo.

 

Prima di tornare fuori con gli altri, Brian si fermò un istante in soggiorno, per riprendere fiato e far rallentare i battiti del suo cuore. Poco dopo, Kristin entrò in casa, accompagnata dai due figli. Vedendolo, gli sorrise e annunciò “Metto a letto queste due pesti e poi torno. Intanto voi potete fare i vostri discorsi da maschietti”, dopodiché si diresse verso la stanza dei ragazzi, strizzandogli l’occhio. Brian sorrise, tra sé, e si decise a raggiungere il cugino in giardino.

“Sei riuscito a metterla a letto senza svegliarla?” gli chiese Kevin, mentre Brian prendeva posto sulla sdraio accanto a lui.

Ricordando quanto era successo poco prima in camera di Elle, Brian sentì le guance andargli in fiamme e si affrettò a distogliere lo sguardo, prima che il cugino captasse che c’era qualcosa che lo turbava. Annuì e rispose “Più o meno”.

Kevin restò a fissare Brian, in silenzio, rigirandosi la tazza, ormai vuota, tra le mani. Pur tenendo gli occhi fissi sul fuoco, ben deciso a non incrociare quelli del cugino, Brian ne percepiva lo sguardo su di sé ed era come se la pelle gli bruciasse, nell’esatto punto in cui Kevin lo stava fissando. A un certo punto, decise che non sarebbe riuscito a resistere oltre. Alzò lo sguardo sul cugino e gli rivolse un’occhiata decisa, quasi di sfida.

“Per l’amor di Dio, Kevin, parla. Non fissarmi come se potessi leggermi la mente perché ti svelo un segreto: non ci riesci”.

“Non ancora” ribatté Kevin, ridacchiando. “Ma mi sto allenando”.

Anche Brian rise, sentendo la tensione svanire. “Quindi?” domandò.

Kevin sospirò e, senza smettere di sorridere, disse “Vi ho osservato, oggi, e non ti ho mai visto così. Neanche con Leighanne. Sei sereno”.

Brian annuì, colpito dallo spirito di osservazione del cugino. “Lo so” concordò. “Mi fa stare bene. Ma lei non è Leighanne, Kev. È...complicata. Ha sofferto, è diffidente” gli confidò.
“E ti adora” si intromise Kevin, serafico. “Si vede. Sarà diffidente ma si fida di te. E tu di lei. Non riesco a vedere niente di male in questo rapporto”.

L’oracolo aveva parlato e aveva dato la sua benedizione. Ma Brian non aveva capito cosa esattamente si aspettasse da lui, così gli chiese, di nuovo “Quindi?”

“Quindi buttati” gli consigliò. “Falle capire che tieni a lei. Che la ami”.

Brian non tentò nemmeno di obiettare. Ormai aveva accettato di essersi innamorato di Elle, non aveva più senso tentare di negare la cosa. Decise, invece, di essere onesto e confessò “Ho paura”.

“Di cosa?” volle sapere Kevin, cercando di capire.

“Di spaventarla. Di ferirla. Di essere ferito” rispose Brian, di getto, come un fiume in piena.

Kevin scosse la testa e sentenziò “Non puoi negarti qualcosa di bello per paura di quello che potrebbe succedere. Perché potrebbe anche non succedere. E avresti perso la possibilità di stare con la tua anima gemella solo per paura”.

Brian spalancò gli occhi a quelle parole. “Anima gemella? Addirittura?”

Kevin annuì e gli sorrise, benevolo. “Secondo me siete fatti per stare insieme. Tu non lo pensi?”

“Sì. Ma lo credevo anche di Leighanne e guarda com’è finita” dichiarò Brian, cinico.

Kevin alzò le spalle e commentò “Forse non era vero”.

“E allora perché non farmi incontrare subito Elle?” sbottò Brian, dando voce a un dubbio che aveva iniziato a insinuarsi nella sua mente da un po’ di tempo a quella parte. Se, come Kevin sosteneva e come lui stesso sospettava, Elle era davvero la sua anima gemella, la persona destinata a lui, perché non l’aveva incontrata vent’anni prima, al posto di Leighanne?

“Perché tutto doveva portare a questo momento” dichiarò Kevin, sicuro. “Se Leighanne non ti avesse lasciato, non saresti andato a Las Vegas da Nick e non avresti mai conosciuto Elle. E, anche ammesso che fosse destino per voi incontrarvi, forse se fosse successo a vent’anni non sareste andati d’accordo e non vi sareste mai messi insieme. Conoscendoti, forse non sarebbe nemmeno stata il tuo tipo”.

Inaspettatamente, Brian si ritrovò a ridere. “Hai reso l’idea” commentò.

Kevin allungò una mano e la posò sulla spalla del cugino, costringendolo a voltarsi a guardarlo. “Prenditi il tempo che ti serve, ma parlale. Dille cosa provi. Sono abbastanza convinto che lei provi lo stesso per te e si stia facendo le stesse paranoie. Potete aiutarvi a vicenda a curare le rispettive ferite ed essere felici”.

Brian aprì la bocca per ribattere, ma Kevin lo lasciò letteralmente senza parole, uscendosene con una considerazione che, si accorse solo in quel momento, rispecchiava esattamente quello che pensava, ma non riusciva ad esprimere a parole. “Lo so che ti sembra terribilmente complicato, e forse hai ragione. Ma è pur sempre meglio una vita complicata con lei, che una vita semplice, ma da solo, non ti pare?”.

____________________________________________________________________________________________________________________________________________________

Le canzoni citate sono le seguenti:

* Rise – Eddie Vedder
** River - Joni Mitchell
*** You Can Let Go – Backstreet Boys


 

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** CAPITOLO 9 ***


CAPITOLO 9

 

What are the chances that we'd end up dancing?
Like two in a million, like once in a life
I could have found you, put my arms around you
Like two in a million, like once in a life

 

Come aveva sospettato, con l’uscita dell’album di Natale, la promozione e le prove per gli show a Las Vegas, le occasioni di passare del tempo da solo con Elle si ridussero ai minimi storici. Certo, si sentivano il più spesso possibile e il feeling tra loro era innegabile, tanto che tutti gli altri ragazzi avevano iniziato a prenderlo bonariamente in giro, ma non si potevano affrontare certi discorsi al telefono. Senza contare che Elle sembrava non avere memoria di quello che era successo quella sera a casa di Kevin, quando lei si era addormentata sulla sdraio, in giardino, e Brian l’aveva portata a letto in braccio. E di certo lui non aveva la benché minima intenzione di ricordarglielo. Anche perché, cos’avrebbe potuto dirle? A proposito, sai che quella sera mi hai baciato? Eri mezza addormentata e probabilmente stavi sognando, ma ecco io ci ho ricamato sopra un castello che Walt Disney levati e volevo che sapessi che sono perdutamente innamorato di te. Le sue tecniche di corteggiamento saranno anche state arrugginite, ma perfino lui capiva che non era decisamente il modo migliore per affrontare un argomento così delicato e che gli stava tanto a cuore. Doveva aspettare, anche se non sapeva esattamente quando avrebbe avuto di nuovo l’occasione per confessare a Elle i suoi sentimenti. L’aveva invitata allo show finale a Las Vegas, il 22 Dicembre, a cui sarebbe seguita una festa di chiusura della residency, e lei aveva accettato con entusiasmo, ma aveva forti dubbi che, anche in quell’occasione, sarebbe riuscito a ritagliarsi un momento di privacy per parlarle. Doveva farlo prima, anche se non sapeva quando. Intanto, già poter passare del tempo con lei gli sembrava un miraggio, quindi, quando Nick gli propose di invitarla a casa sua per un barbecue che aveva organizzato in occasione della visita di Baylee al padre, per il compleanno del ragazzo, a fine Novembre, Brian non se lo fece ripetere due volte. Solo dopo, riflettendoci a mente fredda, iniziò a rendersi conto delle implicazioni di quell’invito fatto d’impulso. Alla festa, quella domenica, ci sarebbe stato anche AJ con la famiglia, il che significava presentare Elle anche a loro. In che veste, ancora non lo sapeva. E, soprattutto, ci sarebbe stato Baylee e conosceva troppo bene suo figlio per non avere la certezza che il ragazzo avrebbe capito all’istante che il rapporto che lo legava a Elle non era semplice amicizia. Avrebbe voluto delle spiegazioni e Brian non era certo di saper trovare le parole giuste per dargliele. Sarebbe stato semplice dirgli soltanto Baylee, mi sono innamorato. Lei è fantastica e spero che ricambi i miei sentimenti perché vorrei passare quel che resta della mia vita con lei. Ma sapeva che non era così semplice. Non lo era mai, quando c’erano di mezzo un divorzio, nuovi partner e rapporti da costruire, tanto meno se tutto ciò doveva avvenire sotto l’occhio delle telecamere, come nel loro caso. Nonostante questo, Brian non voleva farsi prendere dal panico e gettare la spugna prima di averci provato. Avrebbe fatto un tentativo, sperando, come sempre, di essersi fatto tante paranoie per niente.

Domenica 27 Novembre, il giorno dopo il compleanno di Baylee, data fissata per la festa, Brian andò a prendere suo figlio all’aeroporto di mattina presto e si rallegrò quando il ragazzo lo strinse in un caloroso abbraccio, confessandogli che gli era mancato e osservando che lo trovava bene.

“Grazie” replicò Brian, sorridendo. “In effetti sto bene”.

“Mi fa piacere saperlo” commentò Baylee, ricambiando il sorriso.

Mentre tornavano a casa in auto, il ragazzo iniziò a informarsi su chi avrebbe partecipato alla festa oltre, ovviamente, a Nick e famiglia.

“Ci saranno AJ, Rochelle e le ragazze” iniziò a elencare Brian. “Kevin e Kristin hanno approfittato di questi giorni di pausa per tornare a casa a Los Angeles per una toccata e fuga e anche Howie e famiglia. Ma ci sarà Elle, una vicina simpatica che ho conosciuto quando sono arrivato da Nick e che sono curioso di farti conoscere per sapere cosa ne pensi” concluse, ostentando indifferenza.

Se Baylee notò l’agitazione nascosta dietro alle parole del padre, non ne fece cenno e si limitò ad annuire, soddisfatto. Brian gli lanciò un’occhiata sospettosa con la coda dell’occhio, ma non riuscì a scorgere nient’altro che una comprensibile eccitazione nel rivedere coloro che considerava parte della famiglia, quindi distolse lo sguardo, tornando a concentrarsi sulla guida.

 

Baylee era già stato monopolizzato da Odin, il figlio maggiore di Nick, quando il campanello suonò e il padrone di casa, impegnato in una discussione con AJ, fece cenno a Brian di andare ad aprire. Lui sorrise. Mancava solo Elle, quindi doveva essere lei, alla porta, e Nick lo sapeva, per quello aveva mandato lui ad aprire.

Quando se la ritrovò davanti, sorridente, con una torta tra le mani, il cuore di Brian fece una capriola. Dio se gli era mancata. Lo sapeva, ma non aveva realizzato esattamente quanto finché non l’aveva rivista. Doveva proprio parlarle, non riusciva a pensare di non poterla vedere ogni giorno della sua vita. Era cotto e, se da una parte la cosa lo faceva sentire come un adolescente impacciato e un po’ se ne vergognava, dall’altra non riusciva a vederci assolutamente niente di male, non se la sua sola presenza aveva il potere di farlo stare così bene.

“Ho fatto una cheesecake” annunciò, mettendogli in mano la scatola con la torta. “Non so se vi piace, ma è l’unica torta che mi riesce sempre bene e non volevo rischiare di fare brutta figura”.

Brian le sorrise e, prendendo la confezione che Elle gli porgeva, commentò “È la preferita di Baylee”.

Elle sorrise, soddisfatta, e sentenziò “Molto bene”.

Prima di raggiungere gli altri in giardino, si fermarono in cucina a posare la torta. Proprio mentre stavano uscendo, il cellulare di Elle iniziò a squillare e lei si affrettò a estrarlo dalla borsa, farfugliando uno “Scusate, mia sorella”.

Mentre Elle scambiava qualche parola con l’interlocutrice al telefono, Brian alzò lo sguardo e si accorse che suo figlio stava fissando la nuova arrivata con aria adorante. Non c’era nemmeno bisogno di chiedersi il perché, Brian lo sapeva perfettamente. Gli era bastato riconoscere la canzone che Elle aveva come suoneria per indovinare. Ring of Fire di Johnny Cash. Baylee adorava Johnny Cash. Brian sorrise pensando che forse, dopotutto, le cose sarebbero andate meglio del previsto.

Dopo aver chiuso velocemente la chiamata ed essersi nuovamente scusata per l’interruzione, Elle ripose il cellulare nella borsa e alzò lo sguardo sui presenti, rivolgendo a tutti un sorriso sincero.

“Ciao” esordì, timidamente, trovandosi tutti quegli occhi puntati addosso.

Nick fu il primo ad andare in suo soccorso. Si avvicinò e la strinse in un abbraccio. “Ciao, Elle. Benvenuta” la salutò. “Loro sono mia moglie, Lauren, e Rochelle, la moglie di AJ” iniziò a presentare, indicando le due donne, che stavano giocando con le bambine, Ava e Lyric, le figlie di AJ e Rochelle, e Saoirse e Pearl, le due bimbe più piccole di Nick e Lauren. Rochelle e Lauren fecero un cenno di saluto in direzione di Elle, che ricambiò dicendo “Piacere”. A quel punto, AJ si alzò dalla sedia su cui era seduto, si avvicinò e venne a stringere la mano a Elle. “Ciao, io sono Alex. AJ solo quando lavoro. Piacere di conoscerti, Elle”.

“Piacere mio, Alex” ricambiò lei, sorridendo.

Esclusi i bambini, mancava solo Baylee e Brian sapeva che toccava a lui fare le presentazioni. Appoggiando una mano sulla schiena di Elle, la condusse gentilmente verso il lato della piscina lungo cui era seduto suo figlio, che la stava ancora guardando con gli occhi spalancati.

“Elle, lui è mio figlio Baylee” presentò. “Bay, lei è Elle, la vicina di cui ti ho parlato”.

Il ragazzo si alzò dalla sedia e strinse la mano a Elle la quale gli sorrise e sentenziò “Non si può certo dire che non somigli a tuo padre”.

Baylee si lasciò sfuggire una risatina imbarazzata e abbassò lo sguardo, per poi rialzarlo subito dopo per dar voce alla domanda che gli ronzava in testa da quando aveva sentito il telefono di Elle suonare. “Ti piace Johnny Cash?”

Elle sorrise e annuì. “Sì. In particolare Ring of Fire. Era la canzone preferita di mio padre” spiegò.

“Anch’io lo adoro” confessò Baylee. “Credo sia uno dei motivi per cui ho iniziato a fare musica country”.

Gli occhi di Elle si spalancarono e Brian notò il luccichio che segnalava entusiasmo per qualcosa. “Fai country?” domandò a Baylee, interessata. Il ragazzo annuì, con un’espressione a metà tra lo stupito – probabilmente si aspettava che Elle già lo sapesse – e l’orgoglioso.

“Ti piace?” le domandò.

Questa volta fu Elle ad annuire. “Lo adoro” ammise. Poi, vedendo il viso di Baylee illuminarsi in un sorriso, si azzardò a chiedere “Dopo mi fai sentire qualcosa?”

Baylee annuì e acconsentì “Con piacere”.

E fu in quel momento che Brian seppe, con certezza, che tutte le sue paure erano state, ancora una volta, completamente infondate ed Elle, in quel suo modo spontaneo e anche un po’ ingenuo, aveva conquistato anche il cuore di suo figlio.

 

~ * ~

 

“Sposta quella mano, per l’amor del cielo. Ha detto blu, non giallo” esclamò Nick, esasperato.

“Non posso. Se sposto la mano cado addosso a Elle” obiettò AJ, mantenendosi in bilico, con una gamba attorcigliata a un braccio di Nick.

“È lo scopo del gioco, papà” lo ammonì Ava, ridacchiando, comodamente rannicchiata sotto a Elle. “Qualcuno deve cadere, a un certo punto”.

“Sbrigatevi a finire la partita che voglio giocare anch’io” piagnucolò Odin, guardando imbronciato il padre, lo zio, Ava ed Elle che si sfidavano a Twister sul pavimento del salotto, mentre Lyric teneva in mano il tabellone con la ruota girevole e dava gli ordini, ridendo di gusto ogni volta che la situazione si faceva più complicata.

“Tranquillo, Odin” lo rassicurò Baylee, trattenendo a stento una risata. “Non credo che la partita durerà ancora molto. Zio Alex è messo talmente male che gli do tempo un altro giro per crollare, portandosi dietro tutti gli altri”.

“Grazie tante, Bay” commentò AJ, sarcastico. “Sei un motivatore nato”.

Brian, appoggiato allo stipite della porta che dava sul soggiorno, osservava la scena, divertito e per nulla sorpreso di come Elle si fosse subito ambientata all’interno del suo gruppo di amici, sebbene li avesse conosciuti per la prima volta solo poche ore prima. Baylee intercettò lo sguardo del padre e gli sorrise, quasi potesse leggergli nella mente e sapesse esattamente cosa stava pensando. Brian gli fece un cenno con il capo e il ragazzo ne comprese immediatamente il significato. Si alzò dal divano, lasciando Odin alle cure della madre, e si allontanò con il padre in direzione della piscina, dove si sedettero su due sdraio, uno accanto all’altro.

“Allora” esordì Brian, sorridendo al figlio.

“Allora” ripetè lui, criptico.

“Ti stai divertendo?” gli chiese il padre, cercando di prendere il discorso alla larga.

Baylee annuì. “Sì, molto. E, dato che so benissimo dove vuoi arrivare, sì, Elle mi piace”.

Brian gli rivolse uno sguardo sorpreso. Sapeva che Baylee aveva intuito qualcosa, ma non si aspettava che fosse così diretto.

“Io non ho detto niente” replicò, sulla difensiva.

“No, ma avresti voluto” obiettò il ragazzo, sorridendo al padre.

Brian si lasciò sfuggire una risatina. “Okay,” cedette “hai ragione. Ho visto che avete chiacchierato parecchio ed ero curioso di sapere cosa ne pensavi”.

Baylee si voltò a guardare il padre e, senza girare intorno all’argomento, domandò “Perché ti interessa tanto saperlo?”

Brian decise che non aveva senso mentire o costringerlo ad accontentarsi di mezze verità. Baylee ormai aveva vent’anni e aveva tutto il diritto di essere trattato da adulto, quale era. Prese un respiro profondo e confessò “Perché mi piace, Bay. Mi piace molto. E sarebbe tutto più facile se piacesse anche a te”.

Il ragazzo sorrise, compiaciuto dell’onestà che il padre aveva dimostrato nei suoi confronti, e chiese ancora “Ti sei innamorato?”

Brian annuì. “Credo di sì. Non pensavo che sarebbe successo, non così presto, almeno. Ma è andata così”.

“Non puoi programmare o controllare certe cose” osservò Baylee, pratico, e questa volta fu il turno di Brian di annuire, stupito dalla profondità dell’osservazione del ragazzo.

“Comunque,” proseguì Baylee, dopo un istante “se è la mia benedizione che vuoi, procedi pure. Come ti ho detto, lei mi piace. E, soprattutto, mi piaci tu quando sei con lei”.

Brian non sapeva come rispondere a una dichiarazione del genere, quindi si limitò a osservare il figlio con gli occhi sgranati. Baylee sostenne il suo sguardo, fissandolo con espressione serafica, finché Brian non si riscosse e gli domandò “Cosa vuoi dire?”

“Ti brillano gli occhi, papà” spiegò il ragazzo, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. “E ridi. Era un pezzo che non ti vedevo più ridere così e mi era mancato”.

A Brian vennero gli occhi lucidi e, non trovando nulla da ribattere, si alzò dalla sedia, si avvicinò al figlio e lo strinse in un abbraccio. Baylee nascose il viso tra la spalla e il collo del padre e approfittò della vicinanza al suo orecchio per sussurrargli “Non preoccuparti per me, papà. Sono grande abbastanza da capire che, anche se tu e la mamma vi rifate una vita con altre persone, l’amore che provate per me non cambierà mai. E hai tutto il diritto di essere felice. Te lo meriti, più di chiunque altro. E, se Elle ti rende felice, allora va bene. Stai con lei. Sono contento di sapere che non sarai più solo”.

Brian strinse ancora più forte il figlio, lottando con il groppo in gola che le sue parole gli avevano provocato e farfugliando un riduttivo, ma eloquente “Grazie”.

L’ultimo scoglio sulla via per la sua ritrovata serenità era stato abilmente superato. Ora doveva solo trovare il momento – e il coraggio – di parlare a Elle, confessarle i suoi sentimenti e sperare ardentemente che lei ricambiasse.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** CAPITOLO 10 ***


CAPITOLO 10


 

Of all of the nights that I couldn't sleep


Elle si guardò un’ultima volta allo specchio e, lasciandosi sfuggire un sospiro, lisciò una piega immaginaria sulla gonna dell’abito rosso che indossava.

Era il 22 di Dicembre e si trovava in una camera del Planet Hollywood Resort & Casino, dove si stava preparando per assistere all’ultimo concerto della residency natalizia dei Backstreet Boys, a cui Brian l’aveva invitata. Dopo lo show ci sarebbe stata una festa, in albergo, per celebrare la chiusura degli eventi e, per questo motivo, si sarebbero fermati tutti a dormire in hotel, quella notte. Poiché, quando era venuta a Las Vegas da Amanda, tutto poteva Elle aspettarsi tranne essere invitata a partecipare a una festa elegante piena di celebrità, non aveva ovviamente portato nulla di adatto da indossare – non che avesse mai posseduto, in vita sua, un abito adeguato a un evento del genere, in effetti – quindi, qualche giorno prima, Amanda l’aveva portata a fare shopping. Dato che le due sorelle avevano gusti piuttosto differenti in fatto di abbigliamento, non era stato semplice trovare qualcosa che mettesse entrambe d’accordo. Quando, però, i loro occhi si erano posati su quel vestito rosso scuro, a maniche lunghe, con una semplice cintura di tessuto in vita, da legare in un fiocco, avevano subito pensato che fosse perfetto. E, quando Elle l’aveva provato, ne avevano avuto conferma: non solo le stava benissimo, ma la faceva anche sentire a suo agio, cosa straordinaria per una persona abituata a uno stile molto più casual.

Ma Amanda non si era accontentata di farle comprare un vestito adatto. L’aveva trascinata dal parrucchiere a farsi sistemare taglio e colore e, già che c’era, acconciare i capelli, che ora le scendevano sulle spalle in una cascata di boccoli realizzati ad arte.

Elle si guardò ancora una volta allo specchio, con aria critica. Non poteva dire che non le piacesse quello che vedeva riflesso ma, allo stesso tempo, si sentiva tremendamente stupida. Perché, si chiese, darsi tutta quella pena? Per fare bella impressione a chi? Brian? Fatica sprecata. Fino a un mese prima, forse, una piccola parte del suo cuore poteva aver nutrito qualche speranza che potesse essere interessato a lei più che come una semplice amica. C’erano state una serie di situazioni che le avevano fatto sognare una svolta nel loro rapporto, e per quanto spaventoso potesse essere, doveva ammettere che lo desiderava. Si erano addirittura quasi baciati quella volta, in riva al lago, mentre erano ospiti da Kevin. Erano stati interrotti, è vero, ma Elle sperava che, una volta a casa, Brian avrebbe trovato – o creato – un’altra occasione per riprendere il “discorso” da dove l’avevano lasciato. Invece, non era successo nulla. A parte nei suoi sogni che, però, per quanto veritieri potessero sembrare – e alcuni lo erano decisamente stati – restavano solo quello, sogni. Certo, lui era stato molto impegnato e si erano visti molto poco e quasi mai da soli, ma Elle aveva iniziato a perdere le speranze, convincendosi di essersi solo immaginata un interesse da parte sua e dandosi della stupida per averci anche solamente sperato. E, ovviamente, per avergli permesso di entrarle nel cuore.

Per quello si sentiva stupida, quella sera, tutta in tiro per un evento di cui poco le importava e in cui si sarebbe sicuramente sentita un pesce fuor d’acqua. Oh, non vedeva l’ora di assistere al concerto e ammirare Brian sul palco, ma avrebbe fatto volentieri a meno di partecipare alla festa. Fosse stato per lei – anche se ammetterlo le costava tanto e la imbarazzava molto più di quanto era disposta a dichiarare – si sarebbe rinchiusa in camera con Brian per parlare e capire, una volta per tutte, cosa c’era tra loro. Se davvero si era immaginata tutto, voleva saperlo, almeno si sarebbe messa il cuore in pace e avrebbe archiviato quel periodo della sua vita come un singolare intermezzo da ricordare con il sorriso. E si sarebbe concentrata a leccarsi le ferite dell’anima. Le ennesime. Ma, questa volta, poteva incolpare solo se stessa e la sua ingenuità.

Un paio di colpi alla porta la strapparono alle sue riflessioni. Domandandosi chi potesse essere, andò ad aprire e si meravigliò di trovarsi davanti Rochelle, la moglie di AJ.

“Ciao” la salutò, sorridente. “Ti disturbo?”

Elle scosse la testa. “N-no. Figurati” la rassicurò. “Posso aiutarti?”

La ragazza scosse la testa e annunciò “In realtà, sono passata a vedere se potevo aiutarti io”. Poi, notando lo sguardo confuso di Elle, spiegò “Ti serve una mano con i capelli o il trucco?”.

“Ti ringrazio” rispose Elle, sorridendole a sua volta. “I capelli sono a posto, ma accetto volentieri la tua offerta per il trucco. Sono una frana”.

Rochelle scoppiò a ridere ed Elle si scostò per lasciarla entrare.

Dopo circa un quarto d’ora sotto le sue mani esperte, mentre terminava di applicare il mascara sulle ciglia di Elle, Rochelle disse “Ecco fatto. Non mi piace vantarmi, ma sono estremamente soddisfatta del risultato”.

“Wow” commentò Elle, guardandosi allo specchio. “È...fantastico. Non sembro nemmeno io”.

“Non esagerare, adesso” minimizzò la donna, lasciandosi scappare una risatina. “Sei già molto carina di tuo, e questo vestito ti sta molto bene, quindi i miei servigi non erano indispensabili, ma mi piace dare una sistemata alle altre Backstreet girls, prima degli eventi”.

Sebbene Rochelle avesse parlato in tono assolutamente neutro e causale, senza insinuare nulla, Elle sentì le guance andarle a fuoco e si affrettò a replicare “Io e Brian non…”.

“Non state insieme. Lo so” osservò Rochelle. “Ma è chiaro che lo rendi felice, quindi siamo felici anche noi perché se lo merita. Non sta passando un gran bel periodo e vederlo sorridere di nuovo, come un tempo, è qualcosa che scalda il cuore”.

Elle si limitò a fissarla, senza trovare nulla di intelligente da dire. Era completamente spiazzata dalla dichiarazione della ragazza.

“Non so cosa dire” farfugliò, alla fine.

Rochelle sorrise e, prendendole le mani e guardandola negli occhi, la rassicurò “Non dire niente. Va bene così. Sappi solo che ti siamo tutti molto grati per averci restituito il vecchio Brian. Ci era mancato”.

 

~ * ~

 

Il concerto era quasi finito ed Elle se lo era goduto tutto da una posizione privilegiata, insieme alle mogli degli altri ragazzi. Oltre a Rochelle, aveva già conosciuto Kristin e Lauren, che si erano dimostrate entusiaste di rivederla, e le avevano presentato Leigh, la moglie di Howie, che ancora non aveva avuto il piacere di incontrare.

Improvvisamente, le prime note di River riempirono il teatro ed Elle, che non aveva tolto gli occhi di dosso a Brian per tutta la sera, si ritrovò a specchiarsi nell’azzurro dei suoi, che la fissavano, da sopra al palco. Qualcosa si mosse, nel suo stomaco, e si sentì come se uno sciame di moscerini impazziti avesse deciso di prendere dimora dentro al suo corpo. Il cuore accelerò i battiti e sentì salirle un groppo alla gola. Mentre Brian cantava, senza mai perdere il contatto visivo con lei, sentì le lacrime bagnarle le guance. Per la prima volta, però, non stava piangendo perché la canzone le ricordava Will e l’idea di non poterlo più avere al suo fianco le faceva mancare l’aria. Al contrario, piangeva dall’emozione, immaginando la faccia del marito se avesse saputo che un cantante famoso le stava dedicando la sua canzone natalizia preferita. Perché era quello che Brian stava facendo. Stava cantando per lei, senza ombra di dubbio. Quella constatazione, fece riaccendere la scintilla di speranza che, durante il mese passato, si era quasi estinta ed Elle si ritrovò a contare i minuti che la separavano dalla fine del concerto quando, finalmente, avrebbe potuto stare con Brian.

Sorrise. Forse, dopotutto, avevano ancora una chance.

 

~ * ~

 

Non appena il concerto terminò, le mogli dei ragazzi li raggiunsero dietro alle quinte. Con loro ci doveva essere anche Elle, e lo sguardo di Brian iniziò a vagare a destra e a sinistra, cercando di localizzarla. Si erano guardati, poco prima, mentre cantava River. Brian aveva incrociato appositamente il suo sguardo, sperando che capisse che voleva dedicarle quella canzone, che aveva un significato così speciale per lei. Elle gli aveva sorriso, quindi Brian sperava che avesse colto il messaggio. Quando la vide andargli incontro, con un vestito rosso svolazzante e un sorriso che le illuminava il viso, rendendole gli occhi luccicanti come pietre preziose, il suo cuore fece una capriola e si promise che, entro fine serata, le avrebbe parlato e avrebbe trovato un modo per confessarle i suoi sentimenti. Non erano più due ragazzini, ma due persone adulte e ragionevoli, che potevano discutere della situazione in modo onesto e civile. Non appena se la ritrovò davanti e sentì le sue braccia stringersi intorno al suo collo, però, Brian capì che non sarebbe stato così semplice. La cinse in un abbraccio, chiudendo gli occhi e nascondendo il viso tra i suoi capelli, respirandone il profumo. Avrebbe voluto baciarla, in quel momento, ma sapeva che Elle non avrebbe apprezzato che il loro primo bacio avvenisse davanti a tutti, quindi si trattenne, preferendo domandarle “Ti è piaciuto?”

La sentì annuire, poi si scostò leggermente, tenendogli però le mani appoggiate sulle braccia. “Sei stato bravissimo” dichiarò, con gli occhi le le brillavano di orgoglio. “Cioè, lo siete stati tutti, ma tu in particolare. La voce non ha mai ceduto” osservò.

Brian sorrise, compiaciuto del fatto che se ne fosse accorta. Si era allenato ogni giorno, tenacemente, per abituare la sua voce alle nuove canzoni e far sì diventassero talmente naturali da non avere problemi durante le performance. E il duro lavoro aveva pagato. Salvo rare eccezioni, nemmeno così tragiche, la voce aveva retto perfettamente e Brian era orgoglioso di sé. E il fatto che anche Elle lo fosse, non faceva altro che aumentare il senso di appagamento e soddisfazione che provava. Era tutto perfetto. O, meglio, lo sarebbe stato se avesse trovato il coraggio di dirle cosa provava.

La voce di Elle lo strappò a quelle considerazioni. “Posso...posso chiederti un favore?” gli domandò.

Brian annuì. Qualsiasi cosa. “Ma certo”.

“Sarebbe possibile fare un giro sul palco?” chiese.

Pur sorpreso da quella richiesta, Brian sorrise e la prese per mano. “Nessun problema. Vieni”.

La scortò fino all’ingresso del palco e, dopo essersi accertato che il teatro fosse ormai vuoto, la accompagnò all’esterno, dove si erano esibiti fino a pochi minuti prima. La osservò guardarsi intorno, con aria curiosa e affascinata, poi non riuscì più a trattenere la curiosità e, avvicinandosi, le domandò “Come mai questa richiesta? Volevi provare com’è la vista da qui sopra?”

Lei ridacchiò e scosse la testa. “No,” confessò “è sulla lista. Salire sul palco a un concerto. Lo so che, tecnicamente, il concerto è finito, ma facciamo finta che valga lo stesso”.

Brian alzò un sopracciglio e le rivolse uno sguardo scettico. “Lo sai che avrei potuto farti salire durante lo show, se me l’avessi detto?”

La vide spalancare gli occhi e rivolgergli un’occhiata terrorizzata. “Neanche per sogno. Sarei morta di vergogna. Va benissimo così, grazie”.

Brian scoppiò a ridere e le passò un braccio intorno alle spalle. “C’è altro che posso fare per aiutarti a spuntare ulteriori voci dalla lista?”

Forse fu soltanto un’impressione, ma a Brian sembrò di vederla arrossire e si domandò il motivo. Quando i loro occhi si incrociarono, notò una strana luce in quelli di Elle, come una punta di malizia, e sentì qualcosa muoversi nel suo stomaco.

“Forse” rispose, vaga, distogliendo lo sguardo. “Te lo farò sapere al momento opportuno”. Poi lo prese per mano, intrecciando le dita alle sue, e Brian non riuscì a fare a meno di sorridere.

“Andiamo alla festa?” le propose.

Lei annuì, ricambiando il sorriso. “Solo se mi prometti che mi concederai un ballo” scherzò. “Anche se non sono capace di ballare”.

Brian decise di stare allo scherzo e, avvicinandosi all’orecchio di Elle sussurrò “Solo uno? Avevo intenzione di monopolizzarti per tutta la serata”.

Lei scoppiò a ridere e Brian pensò che avrebbe voluto vederla così felice per sempre. Specialmente se lui era la causa della sua gioia.

 

~ * ~

 

Era ormai piuttosto tardi, Elle non sapeva esattamente l’ora, ma immaginava fosse notte inoltrata. La festa stava volgendo al termine, molti dei ragazzi si erano già ritirati nelle rispettive stanze con le compagne, solo AJ e Rochelle stavano ancora chiacchierando con alcuni ospiti in un angolo della sala. Elle era seduta su un divanetto e stava aspettando che Brian terminasse il giro di saluti per tornare in camera con lui. Cioè, non con lui nel senso nella stessa stanza. Sarebbero saliti insieme e poi ognuno sarebbe andato nella sua camera. Pur senza potersi vedere allo specchio, seppe con certezza di essere arrossita, pensando all’eventualità di ritirarsi in camera con Brian. Eppure non aveva potuto farne a meno. Così come non aveva potuto fare a meno di ammettere a se stessa che le sarebbe piaciuto. Si era presa una cotta pazzesca per Brian, anzi, più di una cotta. Gli aveva permesso di entrare nel suo cuore e nella sua anima come mai le era successo prima, escluso, ovviamente, con Will, tanti anni addietro. E, ormai, aveva deciso che non aveva più senso fingere che non fosse vero. Tanto valeva accettarlo ed essere onesta, almeno con se stessa.

“Andiamo?”

La voce di Brian, improvvisamente comparso davanti a lei, la fece sussultare.

“Sì, arrivo” si affrettò a rispondere, scattando in piedi e afferrando la mano che lui le porgeva.

Si avviarono insieme verso gli ascensori, salirono fino al piano dove si trovavano le loro camere e percorsero il corridoio in silenzio, evitando di guardarsi negli occhi. Nessuno dei due sapeva dire il perché, ma entrambi percepivano una certa tensione nell’aria. Non era una sensazione negativa, piuttosto sembrava il preludio di qualcosa che doveva succedere. Arrivati davanti alla porta della camera di Brian, si fermarono per salutarsi. Elle gli sorrise e gli diede un bacio sulla guancia, posandogli una mano sulla spalla.

“Grazie per la splendida serata, Brian” disse. “E buonanotte”.

Combattendo l’istinto di trattenerla, stringerla tra le braccia e baciarla con tutta la passione che sentiva bruciargli dentro, Brian si limitò ad annuire, ricambiando l’augurio. “Sogni d’oro, Elle. Dormi bene”.

Lei gli lasciò la mano, allontanandosi da lui, per poi proseguire lungo il corridoio e fermarsi due porte più avanti, di fronte a quella della sua stanza. Prima di far scattare la serratura, si voltò a guardarlo e gli sorrise un’ultima volta. Brian ricambiò, cercando di ignorare la spiacevole sensazione di inadeguatezza e vuoto che sentiva crescere dentro di sé. Poi si decise a entrare in camera, mettendo fine a quella tortura. Una volta dentro, richiuse la porta e ci si appoggiò contro con la schiena, lasciandosi sfuggire un sospiro di frustrazione. Perché? Si domandò. Perché doveva essere così difficile? Non avrebbe potuto semplicemente guardarla negli occhi e dirle che si era innamorato di lei? Forse non se l’aspettava, ma supponeva che non l’avrebbe colta totalmente di sorpresa. Era impossibile che non si fosse accorta di nulla, quando lui passava la maggior parte del tempo perso in sua contemplazione, come un idiota. E, quando si erano quasi baciati, in riva al lago, anche lei sembrava volerlo. Non poteva esserselo solo immaginato. Perché, quindi, non la smetteva di farsi tutte quelle paranoie e non le apriva il suo cuore? Non poteva essere così terribile. Non era più un ragazzino insicuro. Era un uomo adulto, con anni di esperienza alle spalle, che aveva affrontato cose ben più difficili, nella vita, che dite ti amo a una donna. Quando era diventato così rammollito e paranoico? All’improvviso, gli risuonarono nella testa le parole che Nick gli aveva rivolto la prima volta che lui gli aveva parato di Elle e di quanto una loro ipotetica relazione sarebbe stata complicata: Sei tu che rendi tutto complicato, Bri.

Aveva ragione. Lui aveva la tendenza a ipercomplicare tutto, vedendo mille problemi, anche dove non ce n’erano. Ora, non che una relazione con Elle fosse la cosa più semplice a cui riusciva a pensare, ma di sicuro non poteva essere così tremenda. Non se si amavano. Se anche lei avesse provato per lui gli stessi sentimenti, allora non c’era niente che avrebbe potuto dividerli e, insieme, sarebbero riusciti ad affrontare qualunque ostacolo. Brian ne era certo perché lei gli dava la forza per andare avanti, quella forza che credeva di aver perso e, invece, si era solo nascosta, in attesa di qualcuno in grado di farla affiorare di nuovo. E quel qualcuno era Elle, Brian non poteva esserne più sicuro. Grazie a lei, era riuscito ad affrontare quei concerti senza troppe paranoie, certo di aver fatto di tutto per essere al meglio delle sue possibilità. E quella serena consapevolezza aveva aiutato a non aumentare lo stress a cui sottoponeva i muscoli, permettendo alla voce di uscire con minore fatica. Elle lo faceva stare bene, in ogni modo possibile.

Improvvisamente, gli tornarono in mente le parole di Kevin, quella considerazione che, nella sua estrema semplicità, l’aveva oltremodo colpito.

È pur sempre meglio una vita complicata con lei, che una vita semplice, ma da solo, non ti pare?

E capì che non aveva senso aspettare nemmeno un minuto in più.

Prima di permettersi di cambiare idea, riaprì la porta e si diresse a passo deciso verso quella della camera di Elle. Bussò e attese che gli aprisse. Ci volle qualche istante, poi la porta si spalancò e Brian si ritrovò davanti Elle, con ancora indosso quello splendido vestito rosso, così natalizio, che faceva risaltare il lieve rossore delle sue guance, quando qualcosa la imbarazzava. Come in quel momento. Gli rivolse uno sguardo sorpreso e aprì la bocca per chiedergli qualcosa, probabilmente cosa ci facesse lì o se avesse bisogno di qualcosa, ma Brian non le diede il tempo di parlare e, prima di perdere il poco coraggio che era riuscito a racimolare, esordì con “Senti, lo so che probabilmente rovinerò tutto, ma devo fare una cosa, se no divento matto”.

Elle strabuzzò gli occhi e domandò “Cosa?”

“Questo” rispose Brian, prima di prenderla tra le braccia e baciarla, finalmente, come aveva sognato di fare da tanto, troppo tempo.

Non sapeva esattamente cosa aspettarsi, sperava soltanto di non essere respinto in malo modo. Restò piuttosto stupito, però, quando sentì le mani di Elle passargli tra i capelli e si accorse che stava ricambiando il suo bacio. Sentendosi pervadere da una sensazione di felicità che non provava da parecchio tempo, Brian continuò a baciarla, accarezzandole la schiena con le mani e cercando di non dare troppo peso ai brividi che sentiva corrergli lungo la spina dorsale ogni volta che Elle gli mordicchiava il labbro inferiore. Dopo un tempo imprecisato, entrambi si staccarono dall’abbraccio in cui erano avvinghiati, ancora frementi di desiderio, ma bisognosi di riprendere fiato.

Elle gli rivolse un timido sorriso e gli chiese “Perché hai aspettato così tanto?”

“Perché...credevo che non fossi pronta” farfugliò Brian, ancora incredulo che quello che aveva sognato per settimane fosse realmente avvenuto.

Elle annuì, confermando i suoi sospetti. “Forse non lo sono. Ma volevo che lo facessi da quando siamo andati da Kevin” ammise.

“Volevo farlo, ma avevo paura di spaventarti” spiegò Brian, onesto.

“Te l’ho già detto, non potresti mai spaventarmi” replicò lei, sorridendo.

Brian le posò una mano sulla guancia, ed Elle chiuse istintivamente gli occhi. Lui non riuscì a resistere e la baciò di nuovo. Fu un bacio molto più dolce e meno passionale, questa volta, ma altrettanto intenso e senza nulla da invidiare al precedente.

Quando, di nuovo, si staccarono per prendere aria, Brian le rivolse uno sguardo supplichevole e la pregò “Posso restare? Ho bisogno di te”.

Ora che aveva sperimentato cosa si provava ad averla tra le sue braccia e ad assaporare il gusto dei suoi baci, non riusciva a pensare di trascorrere tutta la notte lontano da lei.

Elle sorrise e gli prese una mano, trascinandolo all’interno della stanza, mentre Brian richiudeva la porta dietro di sé, con un piede. Gli passò le braccia dietro al collo e si avvicinò al suo orecchio, sussurrandogli “L’idea che tu esca di nuovo da quella porta non è proprio contemplata”.

Brian sorrise e, chiedendosi se il suo cuore fosse in grado di contenere tutta quella gioia, le prese il viso tra le mani, posando nuovamente le labbra su quelle di Elle. Era andato tutto bene. Ora, superato quello scoglio, le cose potevano soltanto migliorare.

 

~ * ~

 

Quando Elle si svegliò, la mattina successiva, trovò Brian che la fissava, gli occhi azzurri luccicanti come non mai e un sorriso dolce dipinto sul viso.

“Buongiorno” la salutò, senza smettere di guardarla.

Elle sospirò profondamente, accoccolandosi a lui, posandogli la testa nell’incavo tra il collo e la spalla e passandogli una mano intorno alla vita.

“Buongiorno a te” rispose, chiudendo gli occhi.

Brian le posò un bacio sui capelli e iniziò ad accarezzarle la schiena, con movimenti lenti e ripetitivi. Intanto pensava a come tutto era cambiato, in meglio, in una sola sera. Buttando all’aria tutti i dubbi che l’avevano trattenuto fino a quel momento, si era finalmente deciso a confessare a Elle quello che provava per lei o, almeno, gliel’aveva fatto capire. E, come nel più bello dei sogni, era venuto fuori che evidentemente lei ricambiava il suo affetto e aspettava solo un segno da parte sua. Per quanto ancora gli sembrasse troppo bello per essere vero, avevano passato la notte insieme, una splendida notte, tra l’altro, in cui avevano esplorato ogni centimetro del corpo dell’altro, imparando a conoscersi anche fisicamente e non solo mentalmente e spiritualmente. Avevano sperimentato quali gesti provocavano sensazioni travolgenti ed eccitanti e quali frasi sussurrate avevano il potere di rendere il tocco delle loro mani ancora più coinvolgente. Nessuno dei due aveva troppa esperienza alle spalle, essendo stati entrambi con un solo partner per lungo tempo, ma non c’era stato imbarazzo, soltanto voglia di stare bene l’uno con l’altra e di perdersi l’uno nell’altra, finalmente uniti totalmente. Era stato dolce, tenero e spontaneo ma, allo stesso tempo, eccitante e passionale, e ogni nervo di Brian fremeva ancora al solo pensiero delle mani di Elle su di lui, del tocco delle sue labbra sulla sua pelle, dove avevano lasciato segni che sembravano bruciare, tanto avevano risvegliato sensazioni che mai avrebbe creduto di provare di nuovo.

Mentre era perso nel ricordo della notte appena passata, Elle aveva iniziato a far scorrere una mano sul suo torace, disegnando linee e cerchi, quasi a voler scrivere il suo nome, lasciare il suo marchio sulla sua pelle. Beandosi delle sensazioni che il suo tocco gli provocava e sentendo ogni nervo pulsare sotto il lieve sfiorare delle dita di Elle, Brian quasi nemmeno si accorse che i polpastrelli della ragazza si soffermarono leggermente più a lungo su un punto, proprio al centro del suo torace. Elle ci passò sopra l’indice un paio di volte, per poi scendere verso il basso, ma Brian non glielo permise, afferrandole la mano e riportandola su quel punto così sensibile, non tanto a livello fisico, quando emotivamente. Guidò la mano di Elle fino alla cicatrice, che occupava il posto d’onore al centro del suo petto, e lì la trattenne, stretta nella sua. Poi iniziò a parlare, con voce calma e tranquilla.

“Sono nato con un soffio al cuore. A 5 anni sono stato due mesi in ospedale perché mi sono beccato un’infezione e credevano che non ce la facessi. Invece, ne sono venuto fuori. Però, a 23 anni mi hanno dovuto operare perché il mio cuore si stava ingrandendo in modo anomalo e questa è il risultato”.

Senza accennare a voler spostare la mano ma, anzi, facendo scorrere lentamente un dito sulla cicatrice, Elle annuì leggermente e commentò “Sì, ricordo la tua operazione. Mia sorella è stata in ansia per giorni, finché non ha saputo che era andato tutto bene”.

Brian si lasciò sfuggire una risatina. Ovviamente sapeva che molte fan avevano reagito in quel modo alla notizia della sua operazione, ma non credeva che la sorella di Elle fosse tra loro.

“E tu?” le domandò, curioso.

“Io ero una ragazzina” replicò lei. “E non capivo perché mia sorella preferisse passare il pomeriggio attaccata alla radio ad aspettare notizie su una persona che nemmeno conosceva invece di uscire con me. Però, quando ho saputo che tutto era andato per il meglio, ricordo di essere stata felice, perché sapevo che avrei potuto ancora sentire cantare il ragazzo con quella voce che mi piaceva tanto”.

Brian la strinse più forte a sé e le baciò i capelli, stupendosi di come potesse essere così dolce già da ragazzina. Era una delle tante cose che amava di lei. Poi, decidendo che non voleva avere segreti di nessun tipo, continuò a spiegare “Per anni mi sono vergognato di mostrarla, non so nemmeno io perché. Forse mi faceva sentire vulnerabile e non volevo farmi vedere debole. Adesso non mi dà più fastidio. Ho accettato di non essere né perfetto né infallibile. E va bene così”.

Lentamente, Elle si voltò e, facendo leva sul braccio che teneva sotto di sé, si sollevò leggermente, quel tanto che bastava per raggiungere il petto di Brian e posare un tenero bacio su quel lembo di pelle su cui si stagliava il segno più chiaro della cicatrice. Poi alzò gli occhi su di lui e gli sorrise. “Certo che va bene così. Vai bene così. Siamo tutti vulnerabili, in qualche modo, solo che la tua cicatrice è visibile, mentre altre, come le mie, ad esempio, sono ben nascoste all’interno dell’anima. E, come te, non mi piace mostrarle”.

Brian alzò una mano e le sfiorò dolcemente una guancia, osservando “A me le hai mostrate, però”.

“Perché tu mi hai mostrato le tue” replicò lei. “E non sto parlando di quelle fisiche”.

Brian si sollevò un po’, sporgendosi appena, in modo da poter posare le sue labbra su quelle di Elle. La amava, profondamente e completamente, e non voleva più passare nemmeno un istante della sua vita senza di lei. Senza riflettere, esternò quello che gli stava passando per la testa e le chiese “Posso tenerti con me?”

Elle sorrise e gli rivolse uno sguardo sorpreso. “Sono con te”.

“Intendo per sempre”.

La vide spalancare gli occhi, un’espressione di incredulità dipinta sul viso. E si spaventò. Cretino, si disse. Cosa diavolo ti viene in mente di dirle una cosa del genere dopo una sola notte passata insieme? L’hai terrorizzata. Va bene che sei innamorato di lei, ma potevi anche evitare di metterla così sotto pressione. Sei fortunato se non scappa a gambe levate.

“Scusa” si affrettò a dire, preoccupato. “Non volevo farti pressioni. Non spaventarti”.

Inaspettatamente, Elle sorrise e scosse la testa. “Non sono spaventata” lo rassicurò. “È solo che...non me l’aspettavo”.

“In che senso?” chiese Brian, rivolgendole uno sguardo confuso.

“È...beh, per sempre è piuttosto impegnativo” farfugliò lei, abbassando gli occhi e mettendosi a sedere, con il piumone avvolto intorno al corpo, quasi improvvisamente si vergognasse di farsi vedere nuda da lui.

Brian sollevò il busto, facendo leva sui gomiti. Poi allungò una mano e le mise un dito sotto al mento, facendo una leggera pressione e costringendola ad alzare di nuovo gli occhi su di lui. “Guardami” le sussurrò. “Non ci conosciamo da molto, è vero, ma pensavo che avessi capito che non sono il tipo che prende le cose alla leggera. Se ho fatto quello che ho fatto è perché sono convinto al cento per cento. Voglio impegnarmi. Non ti prenderei mai in giro, lo sai”.

Elle annuì, impercettibilmente. “Lo so”.

Ma Brian non aveva ancora finito. Voleva essere il più sincero possibile, in modo che non ci fosse spazio per eventuali fraintendimenti. “Però, giusto per mettere le cose in chiaro, ti amo. Voglio te e ti voglio per sempre. Esattamente come sei, con le tue ferite e le tue debolezze. E spero che tu voglia me, con il mio passato ingombrante, il mio lavoro difficile e la mia reticenza a parlare dei miei problemi con chiunque tranne che con te”.

Elle si lasciò sfuggire una risata al sentire la descrizione che Brian aveva fatto di se stesso. Poi si sporse verso di lui e, senza dire una parola, posò le labbra sulle sue. Pur stupito da quel gesto, Brian non potè fare a meno di ricambiare, lasciandosi travolgere dalla passione che nasceva in lui ogni volta che sentiva le labbra di Elle addosso. Quando si staccarono, con Brian che ancora le teneva il viso tra le mani, Elle gli sorrise e annunciò “Puoi tenermi con te”.

Senza riuscire a evitare di sorridere, come un idiota, Brian le accarezzò le guance con i pollici e propose “Partiamo da Natale?”

“Del tipo?” domandò lei, confusa.

“Vieni a passare le vacanze con me, a casa mia?” precisò, esternando un’idea che gli era appena venuta, ma che gli sembrava semplicemente perfetta.

Elle sorrise e, scherzando, gli chiese “La tua nuova fantastica casa sulla spiaggia?”

Brian rise e annuì. “Partiamo domani, passiamo la vigilia tranquilli, solo io e te, e poi a Natale andiamo da Kevin. Ti piace come programma?”

“Sì, mi piace” confermò lei, facendo sì con la testa.

“Così intanto vedi come ti trovi e, magari, Natale diventa Capodanno, e poi il resto dell’inverno e, se sono fortunato, alla fine, decidi di restare con me per sempre” azzardò Brian, in tono ironico ma, in realtà, sperando segretamente che le cose andassero veramente in quel modo.

“Se sei fortunato?” ripeté Elle, alzando un sopracciglio.

“Molto fortunato” specificò Brian, con una punta di divertimento nella voce.

“Tu?” chiese ancora Elle, incredula.

Brian corrugò la fronte, perplesso. “Perché? Lo trovi così assurdo? So che al momento è difficile da credere, dato che sembra che il mondo intero mi si sia rivoltato contro, ma c’è stato un tempo in cui sono stato fortunato anch’io”.

Elle scoppiò a ridere e scosse la testa. “Non intendevo questo”.

“E cosa, allora?”

“Che, se decidessi di restare per sempre, quello fortunato non saresti tu, ma io” spiegò. “Te ne dimentichi sempre, ma là fuori c’è almeno un milione di donne che vorrebbe essere al mio posto, in questo momento”.

Brian sospirò e, accarezzandole delicatamente una spalla, dichiarò “Ma a me delle altre novecentonovantanovemilanovecentonovantanove non interessa nulla. Mi importa solo di te. È con te che voglio stare”.

Sentendo il cuore martellarle nel petto e domandandosi se fosse scientificamente possibile che, a un certo punto, le schizzasse fuori a causa dell’eccessiva quantità di amore che provava per l’uomo di fronte a lei, Elle si trovò a pensare se mai qualcuno, nella vita, le avesse detto qualcosa di così dolce. Le ci volle un solo istante per rispondersi che no, non era mai successo. Nemmeno con Will. Si amavano alla follia, ma nessuno dei due era particolarmente incline ai sentimentalismi e preferivano dimostrarsi ciò che provavano l’uno per l’altra con piccoli gesti, apparentemente insignificanti per chiunque, ma tremendamente importanti per loro. Elle aveva sempre creduto che il romanticismo non facesse per lei e che si sarebbe trovata in imbarazzo se mai qualcuno le avesse rivolto dichiarazioni degne dei migliori film d’amore. Invece, in quel momento, con Brian che la fissava con espressione ansiosa, in attesa di una reazione alla sua dichiarazione, Elle pensò che non c’era proprio niente di sbagliato nell’esternare i propri sentimenti in maniera più plateale e che, anzi, faceva piuttosto piacere ricevere una dichiarazione così dolce e appassionata.

Sorridendo, prese il viso di Brian tra le mani e annunciò “Allora, forse, la fortuna è tornata a sorriderti perché quell’unica di cui ti importa su un milione ha finalmente capito che vuole stare con te”.

 

~ * ~

 

Quando scesero nella sala della colazione, mano nella mano, e si ritrovarono gli occhi di tutti gli altri puntati addosso, Elle iniziò a pensare che, forse, aveva leggermente sottovalutato la situazione. Mai, nemmeno per un minuto, si era chiesta come avrebbero reagito gli amici di Brian nel vederlo intraprendere una relazione con un’altra donna, dopo aver condiviso trent’anni di amicizia con Leighanne. E si diede della stupida per non averci pensato. Istintivamente, strinse più forte la mano di Brian, che si voltò a guardarla, sorpreso. Poi, incrociando il suo sguardo preoccupato e probabilmente intuendo cosa le stava passando per la testa, intrecciò le dita della sua mano con quelle di Elle e si avvicinò al tavolo con passo sicuro.

“Buongiorno a tutti” salutò, sorridente, senza smettere di stringere la mano di Elle. “Spero che abbiate passato una buona nottata”. Poi, sollevando leggermente un angolo della bocca, in un sorrisino malizioso, aggiunse “La nostra è stata fantastica”.

Elle sentì allo stesso tempo le guance avvamparle e un accenno di risata nascerle in gola per la sfacciataggine di Brian che, però, aveva trovato un modo assolutamente geniale per cavarsi d’impaccio, fugando ogni dubbio che poteva essere sorto nella mente degli amici senza, però, rivelare nulla di ciò che era veramente successo.

Senza trovare il coraggio di sollevare lo sguardo sugli altri, Elle sentì in lontananza alcune risatine e poi la voce di Nick che commentava “Ci fa piacere saperlo, amico. E, comunque, è giusto che tu sappia che quella giacca dona molto di più a Elle che a te. Fattene una ragione”.

Elle sorrise, tra sé. Indossava una giacca rossa di pelle che Brian aveva usato durante gli spettacoli natalizi. Se ne era innamorata all’istante, non appena l’aveva vista, e, quella mattina, prima di scendere per colazione, aveva confessato a Brian quanto le piacesse. Lui, ovviamente, era subito andato a recuperarla per regalargliela, commentando che il rosso le donava particolarmente e che sarebbe stata molto meglio a lei che a lui.

Brian scoppiò a ridere e replicò “Lo so benissimo. Per questo gliel’ho regalata”, poi si voltò e diede un bacio sulla guancia a Elle, che si voltò a guardarlo, stupita da quel gesto così esplicito ma, allo stesso tempo, grata di constatare che Brian non provava alcuna vergogna nel farsi vedere con lei e presentarla a tutti come la sua nuova compagna. Prendendo coraggio, rivolse ai ragazzi e alle rispettive mogli un sorriso timido, prima di confessare, scherzando “In realtà ho dovuto pregarlo parecchio per farmela dare. È piuttosto possessivo con le sue cose”.

I ragazzi scoppiarono a ridere e Howie commentò “Sì, ne sappiamo qualcosa”.

“Oh, andiamo!” si lamentò Brian, fingendosi offeso “Non sono così terribile”.

“Non sei così terribile?” si intromise AJ. “Devo ricordarti quanto te la sei presa quella volta che ti ho rubato una maglietta dalla valigia, perché mi ero dimenticato di fare il bucato, e l’ho accidentalmente sporcata di salsa barbecue?”

“Era la mia maglietta preferita” si giustificò Brian, mettendo il broncio.

“In ogni caso,” minimizzò AJ, facendo un gesto con le mani per zittire l’amico “complimenti vivissimi a Elle per essere riuscita a farsi regalare quella giacca che a Brian piace tanto. È un evento. E, per quanto stia morendo di curiosità, non voglio sapere come hai fatto perché sono sicuro che tu gli abbia promesso in cambio cose non adatte alle orecchie sensibili di alcuni di noi”.

Pur con le guance in fiamme dall’imbarazzo per la nemmeno tanto velata allusione del ragazzo, Elle non potè fare a meno di scoppiare a ridere, ringraziandolo segretamente per aver alleggerito la tensione con quella battuta così stupida e fuori luogo.

Mentre Kevin rimproverava il povero AJ per aver messo in imbarazzo Elle e il cugino, lei si sedette accanto a Brian e gli sussurrò, all’orecchio “Sembra che l’abbiano presa bene”.

Avvicinandosi a sua volta all’orecchio di Elle, Brian rispose “E si stanno trattenendo per non metterti in imbarazzo. Credimi, in questo momento farebbero scoppiare i fuochi d’artificio, se potessero”.

Elle rise, felice e strinse la mano di Brian sotto al tavolo. Aveva ancora paura a buttarsi completamente in quella nuova avventura, ma amava Brian e se, come le aveva assicurato, anche lui provava lo stesso per lei, allora sarebbe andato tutto bene.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** CAPITOLO 11 ***


CAPITOLO 11

 

Is it love? Is it fate?
Where it leads, who can say?

 

 

Elle era in camera sua a preparare il borsone da portare con sé in occasione della partenza con Brian per trascorrere le feste a Oceanside, quando sentì qualcuno bussare alla porta. Poco dopo, la testa di Amanda fece capolino. Elle le sorrise.

“Ehi”.

“Ehi. Serve aiuto?” le chiese la sorella.

Elle scosse la testa. “No, ho quasi fatto”. Poi, dopo averle rivolto uno sguardo pentito, domandò “Sei sicura che non ti dispiaccia se vado con Brian?”

Questa volta fu Amanda a scuotere la testa. “Ti ho già detto di no” la rassicurò. “Anzi, mi dispiacerebbe se non ci andassi”.

Elle sorrise di nuovo, più rilassata, e solo in quel momento di accorse che la sorella teneva in mano un pacchetto.

“Quello cos’è?” le chiese, curiosa.

Amanda abbassò lo sguardo sul pacchetto che stringeva tra le mani e porgendolo a Elle, rispose “È per te. Da parte di Will”.

Elle spalancò gli occhi e le sembrò di sentire il pavimento della stanza muoversi sotto i suoi piedi, quindi si lasciò cadere sul letto, per evitare di ritrovarsi stesa sul pavimento, senza nemmeno accorgersene.

“Co-cosa?” farfugliò, sconvolta.

Amanda annuì. “Mi ha chiesto di dartelo il primo Natale che avresti passato senza di lui” spiegò. “Ho detto di sì, per farlo contento, ma speravo di non doverlo fare veramente. Invece…”. Lasciò cadere il discorso, posando una mano sulla spalla della sorella, che stringeva il pacchetto tra le mani, fissandolo come se fosse un raro manufatto alieno.

“Ti lascio sola” annunciò Amanda, uscendo dalla stanza e richiudendo la porta dietro di sé.

Elle aspettò che la sorella se ne fosse andata, poi prese un respiro profondo, per farsi coraggio, e iniziò a scartare il pacchetto, togliendo prima il nastro azzurro, e poi la carta con la scritta Merry Christmas glitterata, facendo attenzione a non romperla. Era stato Will a incartare quel regalo ed era l’ultima volta che poteva scartare un pacchetto preparato con le sue mani. Era prezioso.

Una volta concluse le varie operazioni, mise da parte nastro e carta, dopo averla piegata accuratamente, e si concentrò sugli oggetti che si era ritrovata tra le mani: un CD, un biglietto natalizio, e una busta bianca con scritto il suo nome.

Guardò subito il CD e, istintivamente, sorrise. Era il singolo della canzone River, nella versione originale cantata da Joni Mitchell. A Elle non serviva ascoltarla, la conosceva a memoria. Con mani tremanti, aprì il bigliettino e iniziò a leggere le parole, scritte nella grafia tremolante di Will dell’ultimo periodo.

Buon Natale, amore. Ho pensato di regalarti la mia canzone preferita, così puoi ascoltarla, dato che non ci sarò più io a cantartela. Il che, in effetti, potrebbe anche essere un bene, considerato quanto sono stonato”.

Nonostante la vista fosse già annebbiata dalle lacrime, Elle sorrise e continuò a leggere.

L’ideale, però, sarebbe che tu trovassi qualcuno che te la canti al posto mio. Questa, o qualcosa di più allegro, come piaceva a te. Magari qualcuno più intonato di me.

I wish I had a river I could skate away on”.

Elle si ritrovò a ridere, tra le lacrime, pensando a quanto Will avrebbe trovato ironico che Brian, un cantante professionista, le avesse dedicato proprio quella canzone, giusto la sera prima. Richiuse il biglietto e le sue dita si strinsero attorno alla busta con il suo nome. Da una parte voleva aprirla ma, dall’altra, le mancava il coraggio. Nell’istante in cui la sua mente era andata a Brian, aveva sentito crescere dentro di lei una sensazione di vergogna, come se stesse facendo qualcosa di male. Sapeva che era assurdo, ma si sentiva come se il solo pensare a Brian significasse tradire Will. Per non parlare di quello che aveva fatto la sera prima. Chiuse gli occhi e scosse energicamente la testa, cercando di scacciare quei pensieri, ma non ci riuscì e, quando li riaprì, erano ancora lì, che pesavano sulla sua anima, più opprimenti di prima. Sentendo il panico iniziare a prendere possesso di lei, serrandole la gola in una morsa, abbandonò la busta sul comodino, afferrò la giacca rossa di Brian, che aveva posato accanto al borsone, con l’intento di portarla con sé, e si precipitò giù dalle scale, ignorando Amanda che la chiamava, per sapere cosa stava succedendo. Uscì di casa e si diresse a passo spedito verso l’abitazione di Nick. Aveva la mente annebbiata e il cuore che batteva forte, ma non era una sensazione piacevole, come la sera precedente, anzi. Voleva solo che smettesse in modo da poter tornare a respirare normalmente. Arrivata davanti al cancello, suonò il campanello con mano tremante. Dopo qualche istante, sentì la voce di Nick domandare “Chi è?”

Agendo come un automa e riconoscendo a stento la propria voce, si sentì rispondere “Nick, sono Elle. Devo vedere Brian”.

“Ti apro subito”.

Mentre percorreva il vialetto che conduceva alla porta d’ingresso, una parte del cuore di Elle sapeva che stava per commettere l’errore più grosso della sua vita. L’altra parte, però, era spaventata, completamente paralizzata dal terrore, e fu quella ad avere il sopravvento, impedendole di tornare in sé anche quando Nick la fece entrare, accompagnandola in salotto, dove trovò Brian che la aspettava sorridente. Le andò incontro e la strinse tra le braccia, tentando di darle un bacio. Solo quando lei si scostò, fissandolo con espressione spaventata, Brian si accorse che c’era qualcosa che non andava. Cercando di non farsi prendere dal panico, la prese per mano e la fece avvicinare al divano, dove si sedettero, uno accanto all’altra.

“Amore, che succede?” le domandò, senza smettere di stringerle la mano. “Sarei passato a prenderti tra qualche ora”.

Lei lo guardò, con gli occhi colmi di lacrime. “Io...non posso, scusami. Non posso venire” farfugliò, trattenendo a stento i singhiozzi.

“C-cosa…?” balbettò Brian, confuso, iniziando a sentirsi invadere dal panico. Stai calmo, si disse. È chiaramente terrorizzata. Cerca di capire cos’è successo.

“Credevo di farcela, invece non sono ancora pronta” aggiunse lei, lasciandosi sfuggire un singhiozzo.

“È successo qualcosa?” le domandò, ostentando una calma che in realtà non provava affatto. “Cosa ti ha fatto cambiare idea?”

“Will mi ha lasciato un regalo di Natale e una lettera. Non l’ho ancora aperta, ma mi ha fatto capire che non ce la faccio, non sono ancora pronta a lasciarlo andare” spiegò Elle, con le guance ormai bagnate dalle lacrime, che scendevano libere dai suoi occhi tristi. Poi posò una mano sulla guancia di Brian e guardandolo negli occhi, disse, in un sussurro “Scusami, sono una persona tremenda. Ti ho illuso. Ma non volevo. Provo davvero qualcosa per te ed ero convinta di essere pronta a dimostrartelo completamente. Invece non è così. Perdonami”.

Brian restò a fissarla, senza sapere cosa dire o fare. Avrebbe voluto abbracciarla, stringerla forte a sé e dirle che sarebbe andato tutto bene, che qualsiasi cosa fosse, l’avrebbero affrontata insieme e che lui non le avrebbe fatto nessuna pressione. Voleva implorarla di ripensarci, di non lasciarlo. Di non abbandonarlo di nuovo, come aveva fatto la sua ex moglie. Aveva bisogno di lei, solo Elle sapeva dare un senso a quel casino in cui si era trasformata la sua vita. Ma la voce non gli usciva, non ne voleva sapere di collaborare e, invece, sentiva salirgli un groppo in gola che, sapeva, si sarebbe presto trasformato in singhiozzi, se non avesse combattuto per impedirlo. Così non disse nulla, si limitò a guardarla, con occhi tristi, pregando che quello che stava succedendo non fosse vero, che fosse solo un brutto sogno. Elle lasciò scivolare la mano dalla sua guancia e, senza smettere di piangere, si alzò lentamente dal divano, avviandosi verso l’ingresso. Non si voltò a guardarlo, non avrebbe retto. Stava spezzando il cuore all’unica persona al mondo a cui, invece, avrebbe voluto donare il suo. Ma non poteva. Non era ancora pronta. Credeva di esserlo, ma evidentemente si sbagliava. Se il regalo di Will le aveva fatto quell’effetto, significava che non l’aveva ancora dimenticato e non poteva illudere Brian, non se lo meritava. Non appena si richiuse la porta alle spalle, iniziò a correre verso casa, singhiozzando rumorosamente, incurante della gente che la osservava con espressione stupita quando la incrociava. Non credeva possibile che il suo cuore potesse rompersi una seconda volta, eppure era successo. Ed era solo ed esclusivamente colpa sua.

 

~ * ~

 

Quando Nick sentì richiudersi la porta d’ingresso, si stupì del fatto che Elle se ne fosse andata senza salutarlo. Lasciando Odin e Saoirse a guardare un cartone animato in TV, si avviò verso il salotto, dove trovò Brian seduto sul divano con la testa tra le mani. Non appena sentì i passi dell’amico avvicinarsi, alzò lo sguardo e Nick si accorse con sgomento che aveva gli occhi colmi di lacrime. Gli andò vicino e, sedendosi accanto a lui, gli posò una mano sulla spalla.

“Ehi. Cos’è successo?” gli chiese.

“M-mi ha scaricato. Credo” farfugliò in riposta Brian, scuotendo leggermente la testa.

Nick strabuzzò gli occhi, il ritratto dell’incredulità. “Cosa?” sbottò. “Perché?”

“Dice che non si sente ancora pronta” tentò di spiegare Brian, sebbene quella scusa suonasse assurda anche a lui.

“Ma...ieri sera…?” balbettò Nick, cercando di rimettere insieme i pezzi.

Brian annuì. “Lo so. Lo credevo anch’io. Lo credeva anche lei, a quanto pare. Ma, alla fine, non ce l’ha fatta”.

“Dovevate passare le vacanze insieme” osservò Nick, sentendosi improvvisamente triste per l’amico. Avrebbe voluto potersela prendere con qualcuno ma, in quel momento, non sapeva nemmeno bene a chi dare la colpa.

Brian sospirò. “Non me lo dire. Avevo mandato qualcuno ad addobbare un albero di Natale, per farle una sorpresa al nostro arrivo” confessò.

“Dio, Bri. Mi dispiace” si lasciò sfuggire Nick, abbracciandolo.

Brian nemmeno commentò l’esclamazione dell’amico. Non ne aveva la forza. Nick lo notò ed ebbe la conferma che Brian stava veramente crollando.

Nonostante questo, si strinse nelle spalle e tentò di minimizzare. “Non importa. Doveva andare così. Era troppo bello, per essere vero”.

Nick gli strinse una mano, preoccupato. Brian si voltò a guardarlo e gli rivolse un debole sorriso.

“Sto bene” lo rassicurò.

“No, non stai bene” obiettò Nick, scuotendo la testa.

“Okay, non sto bene” ammise Brian, con un sospiro rassegnato. “Ma la supererò, come sempre”.

Nick decise di non approfondire ulteriormente l’argomento – sapeva che a Brian non piaceva farsi vedere troppo vulnerabile – e passò alle cose pratiche.

“Cos’hai intenzione di fare?” gli chiese.

“Andrò a casa mia, come programmato” rispose Brian, deciso.

“Da solo?” domandò Nick, scettico. Non gli avrebbe fatto bene, sarebbe stato meglio avere gente intorno in modo da non lasciarsi avvolgere dalla spirale autodistruttiva di cui Brian era solito cadere vittima, quando qualcosa di veramente brutto incrociava la sua strada. Ma Nick lo conosceva abbastanza bene da sapere che non l’avrebbe mai ammesso e anche che non avrebbe cambiato idea. Era testardo come un mulo e orgoglioso come un vecchio leone ferito, che non accetta di mostrare le sue debolezze per paura di essere dimenticato in un angolo e sostituito. Solo lui riusciva a fare breccia sotto quella corazza. Lui ed Elle. Per quello quei due dovevano stare insieme. Cosa poteva fare per sistemare le cose?

Fu riportato alla realtà e strappato alle sue riflessioni dalla voce di Brian che commentava, afflitto “Devo farci l’abitudine”.

“Sai che puoi stare qui, vero?” gli ricordò. Non riusciva a sopportare l’idea dell’amico che trascorreva le vacanze di Natale da solo, a struggersi per aver perso l’unica persona che era riuscita a entrare di nuovo nel suo cuore.

Brian sorrise, anche se era un sorriso di circostanza. “Lo so, e ti ringrazio. Ma ho bisogno di stare un po’ da solo per tentare di rimettere insieme i pezzi della mia vita. Per l’ennesima volta”.

“Cosa farai a Natale?” gli chiese Nick, preoccupato.

Brian alzò nuovamente le spalle. “Andrò da Kevin. Ci sarei andato comunque. E poi Baylee mi raggiungerà per Capodanno con Addison”. Poi, notando lo sguardo corrucciato di Nick, gli posò una mano sul ginocchio e lo rassicurò “Starò bene, non preoccuparti”.

Non ne era sicuro. Non ne era sicuro per niente. Anzi, era certo che sarebbe stato tutto, tranne che bene. Ma non aveva senso dirlo a Nick e farlo preoccupare ulteriormente. Per quanto l’affetto dell’amico – o, forse, avrebbe fatto meglio a dire fratello adottivo, perché era così che aveva sempre considerato Nick – lo commuovesse e gli riempisse il cuore di gratitudine, Brian voleva stare solo. Aveva bisogno di leccarsi le ferite e capire da dove ricominciare, finalmente. Solo in quel momento si rese conto che, dopo la fine della relazione con Leighanne, non si era mai fermato a riflettere su cosa volesse veramente, su come vedesse il suo futuro. Non ne aveva avuto il tempo. Era arrivata Elle e gli aveva sconvolto la vita con la sua spontaneità e la sua determinazione, e lui si era semplicemente lasciato travolgere da quel fiume in piena di nuove emozioni, senza domandarsi cosa gli avrebbe riservato il futuro. O, meglio, l’aveva fatto, ma soltanto per immaginarlo insieme a Elle. E, per un breve ma bellissimo istante, si era illuso che il suo sogno potesse diventare realtà. Aveva creduto di essere stato davvero così fortunato da trovare la sua anima gemella, quella vera, in grado di leggere nel suo cuore come quasi nessuno era mai riuscito a fare. E di poter passare il resto della vita con lei. Era stato quello il suo unico scopo. Fino a quel giorno. Adesso, il castello di carta su cui aveva ricostruito la sua vita era miseramente crollato sotto l’uragano che gli si era scagliato contro e Brian non poteva fare altro che rimettere insieme i pezzi, come meglio riusciva, e ricostruirsi una sorta di vita. Non sarebbe mai stata bella e appagante come quel sogno in cui si era cullato fino a poche ore prima, ma avrebbe dovuto fare del suo meglio. Anche se sarebbe stato tremendamente difficile e doloroso.

 

~ * ~

 

Elle stava singhiozzando da almeno un’ora, abbandonata tra le braccia di Amanda, che ancora non era riuscita a capire esattamente cosa fosse successo. Aveva colto qualche pezzo di frase, qua e là, tra il delirio della sorella minore, e aveva tentato di ricostruire la vicenda, a grandi linee. A quanto pareva, il regalo di Will aveva sconvolto Elle, come, in effetti, Amanda temeva. Sua sorella si era lasciata prendere dai dubbi e dal rimorso per aver, a detta sua, dimenticato così in fretta il marito e aveva agito d’impulso, scaricando Brian e rifiutandosi di rivedere la sua decisione. Sulle prime, Amanda avrebbe voluto prenderla a schiaffi per vedere se riusciva a farla rinsavire. Cosa diavolo le era saltato in mente? Quell’uomo terribilmente affascinante e dolce la amava e le aveva giurato di voler passare tutta la sua vita con lei, perché la sua stupida sorellina non la smetteva di fare la martire e si decideva a godersi la vita, una volta per tutte? Dopo tutto quello che aveva dovuto sopportare, si meritava un lieto fine. Ora, però, tenendola tra le braccia e sentendo il suo corpo scosso dai singhiozzi, si ritrovò improvvisamente catapultata indietro di trent’anni, quando aveva dovuto consolare una Elle undicenne che era tornata a casa da scuola in lacrime perché aveva deliberatamente sbagliato l’ultima parola alla finale statale della gara di spelling, lasciando vincere la sua compagna di classe Kathy e precludendosi la possibilità di partecipare al concorso nazionale, per cui si allenava da ormai due anni.

“Ma perché l’hai fatto, se adesso ci stai così male?” le aveva chiesto Amanda, confusa.

Elle aveva alzato le spalle e, asciugandosi le lacrime con il dorso della mano, aveva risposto “Perché Kathy non ha la mamma e deve occuparsi del fratellino piccolo perché suo papà lavora fino a tardi. Se lo meritava più di me”.

A distanza di trent’anni, la situazione era pressoché la medesima e sua sorella non era affatto cambiata. C’era sempre qualcuno che stava peggio di lei e che si meritava più di lei quello a cui tanto agognava. Elle aveva l’animo da martire e, sebbene non avesse idea da dove diavolo l’avesse ereditato, dato che lei non era per niente così, Amanda doveva rassegnarsi a tenersela com’era. In quel caso specifico, anche se non sapeva bene cosa l’avesse spinta a farlo, doveva aver deciso di non meritarsi l’amore di Brian o un futuro felice con lui, e aveva fatto dietrofront prima di pensare di averlo preso in giro. Elle era fatta così. Era fatta male, a suo avviso, ma ormai non nutriva grande speranza che potesse cambiare.

Quando i singhiozzi sembrarono essersi leggermente calmati, Amanda fece alzare Elle, in modo da poterla guardare negli occhi e, sorridendole dolcemente, le chiese “Mi dici solo perché? Stamattina non vedevi l’ora di passare il Natale con Brian e adesso, di punto in bianco, lo scarichi a poche ore dalla partenza e piangi come una disperata, quindi deduco che non sia stata una decisione presa a cuor leggero”.

Elle prese un respiro profondo e farfugliò, con la voce roca per il lungo pianto “Mi sono accorta che stavo dimenticando Will e non voglio. Non posso dimenticarlo”.

Amanda sentì crescere dentro di sé un’ondata di tenerezza per quella creatura che le stava di fronte, a cui la vita aveva riservato così tante sfide da lasciarla completamente distrutta, anche se non voleva darlo a vedere. Alzò una mano e accarezzò una guancia della sorella, dicendole “Ma tu non dimenticherai mai Will. È parte di te. Ti creerai semplicemente nuovi ricordi con Brian”.

Elle scosse energicamente la testa, tirando su col naso. “No” replicò, decisa. “Tu non capisci”.

Amanda annuì. “Hai ragione,” ammise “non capisco. Non capisco perché ti ostini a credere di non meritare un po’ di serenità. Nessuno la merita più di te, mettitelo in testa. Ma devi capirlo da sola”.

Detto questo, si alzò lentamente dal letto e uscì dalla stanza, lasciando la sorella sola, a riflettere sugli avvenimenti di quel movimentato pomeriggio.

Ritrovatasi sola e con un vuoto incolmabile nel cuore che, era certa, solo la presenza di Brian sarebbe riuscita a riempire, Elle allungò una mano verso il comodino, per prendere il cellulare. Voleva mandare un messaggio a Brian per chiedergli nuovamente scusa, anche se sapeva che sarebbero state parole vane. Come poteva perdonarla dopo che lo aveva illuso, giocando con i suoi sentimenti e trattandolo come un dolce ordinato sulla scia dell’entusiasmo e poi abbandonato praticamente intatto nel piatto, a fine pasto, quando si era accorta di essere troppo sazia per mangiarlo? Nemmeno Brian, che riteneva in assoluto la persona più buona che avesse mai conosciuto, poteva essere così compassionevole. Non poteva arrivare a tanto. Nell’avvicinarsi al telefono, le dita di Elle si posarono su qualcosa di sottile e ruvido e si accorse di avere la mano sulla busta con il suo nome che Will le aveva fatto recapitare da sua sorella insieme al CD e al biglietto natalizio. Senza riuscire a staccare gli occhi da quelle lettere, scritte nell’inconfondibile grafia del marito, Elle prese la busta e iniziò a rigirarsela tra le mani. Se la portò al viso e le sembrò di percepire il profumo del dopobarba di Will, per quanto assurdo potesse sembrare. Istantaneamente, le tornò alla mente il profumo di Brian, che sentiva su di sé per aver indossato la sua giacca, che ne era ancora impregnata. Sospirò e alzò gli occhi al cielo, cercando di ricacciare indietro le lacrime che minacciavano di ricominciare a scendere all’idea che, se non fosse stata così codarda e impulsiva, in quel momento avrebbe potuto essere con lui, in viaggio verso l’oceano, verso la loro nuova vita. I suoi occhi si posarono nuovamente sulla busta che teneva tra le mani.

Will.

Dio, quanto le mancava. Aveva deciso di aprire la busta a Natale, in un ultimo disperato tentativo di sentirlo ancora con lei ma, in quel preciso momento, la nostalgia per il marito era talmente forte che le mancava l’aria e faceva fatica a respirare. Lasciandosi guidare dall’istinto, aprì la busta e ne estrasse un foglio, che spiegò con mani tremanti. Recava la scrittura di Will. Cercando di non mettersi a piangere ancora prima di iniziare, si apprestò a cominciare la lettura.

Mia cara Elle,

non so dove sarai in questo momento, forse a Las Vegas da Amanda. Spero soltanto che tu non sia sola e che non senta troppo la mia mancanza. Ho pensato a lungo a cos’avrei voluto dirti per salutarti, ma mi venivano in mente soltanto stupide battute tratte dai nostri film preferiti e qualcosa mi dice che, quando leggerai questa lettera, non sarai troppo in vena di scherzare. Non sono mai stato bravo con le parole, ma a te non è mai importato. A volte, però, avrei voluto essere capace di esprimere tutto quello che sei stata per me. So che lo sai, ma è bello sentirselo dire, ogni tanto. Purtroppo, non ne sono capace, quindi mi concentrerò su questioni più pratiche. Sorridi, Elle. Sorridi perché, quando lo fai, ti si illuminano gli occhi e tutto il viso diventa radioso, come quei dipinti delle madonne che ci divertivamo a prendere in giro quando andavamo a visitare i musei. Solo che non è ridicolo, anzi. È bello vederti ridere. Scalda il cuore. Voglio che tu sia felice, Elle. E non importa se riuscirai o meno a tenere fede a tutti gli impegni della lista che abbiamo fatto. Non è questo che conta. Conta solo che tu sia felice. Io lo sono stato, con te. Lo siamo stati, insieme. Ora devi esserlo anche senza di me. Con qualcun altro, magari, qualcuno a cui dare tutto l’amore che hai dato a me. Ne hai ancora tanto, lo so. E sarebbe un peccato che nessun altro potesse goderne, come ho fatto io.

Questo mi devi promettere. Solo questo. Indipendentemente da dove vivrai, cosa farai o quanti tatuaggi deciderai di farti (o non farti).

Non avere paura di dimenticarmi, non succederà mai.

Lasciami andare e accetta ciò che il futuro ha in serbo per te.

Verranno giorni felici. Te lo meriti.

Tuo, per sempre.

Will”.

Elle ricominciò a singhiozzare, stringendo la lettera tra le mani e bagnando la carta con le lacrime, che non riusciva a trattenere. In parte, erano lacrime di commozione, certo. Will le aveva scritto una lettera dolcissima e non se lo sarebbe mai aspettato. Per la maggior parte, però, erano lacrime di disperazione. Stupida, si disse. Stupida che non sei altro. Ti sei lasciata accecare dalla paura e hai rinunciato all’unica cosa che ti avrebbe reso felice, come voleva Will. Asciugandosi le lacrime con la manica della felpa, Elle aprì il cassetto del comodino e ne estrasse un foglio scritto a computer. La lista delle cose da fare dopo la sua morte che Will l’aveva obbligata a stilare mentre era in ospedale. Scorrendola, si accorse che erano quasi tutte spuntate, tranne l’ultima. Quell’ultimo punto su cui tanto avevano discusso, arrivando quasi a litigare, e che, alla fine, aveva acconsentito ad aggiungere alla lista solo perché non voleva bisticciare con lui. Osservò i caratteri stampati, nero su bianco, soffermandosi su quell’ultima voce, ancora senza spunta.

Innamorarti di nuovo.

Non credeva che sarebbe mai riuscita a tenere fede a quell’ultimo impegno, invece, inaspettatamente, era successo. Si era innamorata di Brian e, ormai, l’idea di dover passare il resto della vita senza di lui le faceva mancare l’aria. Boccheggiando, si alzò di scatto dal letto e spalancò la porta, fiondandosi verso le scale e urlando “Amanda!”

La sorella comparve subito in fondo alla rampa, un’espressione terrorizzata in viso.

“Cosa c’è?” domandò, preoccupata. Aveva lasciato Elle solo pochi minuti prima, cosa poteva essere successo, nel frattempo, per costringerla a urlare così?

“Io...sono un’idiota” farfugliò Elle, scendendo velocemente le scale e andando verso di lei. “Un’enorme, colossale idiota”.

Amanda si lasciò sfuggire una risatina e stava per ribattere con un commento sarcastico su quanto concordasse con la constatazione della sorella, ma Elle non gliene lasciò il tempo e annunciò “Devo andare da Brian”.

“A-adesso?” balbettò Amanda, presa alla sprovvista.

Elle annuì. “Sì, adesso. O, almeno, il prima possibile”.

Amanda non fece domande. Non chiese cosa le avesse fatto cambiare idea, in fondo, non era importante. La cosa fondamentale era che Elle sembrava essersi resa conto di aver commesso un errore ed era decisa a rimediare. Le posò le mani sulle spalle e sospirò. “Okay, calmati. Vai di sopra, finisci di preparare le valigie e fatti un bel sonno, che se Brian ti vede così si spaventa, pover’uomo. Io, intanto, cerco di capire come farti arrivare a Oceanside nel minor tempo possibile”.

Elle aprì la bocca per protestare ma la sorella non glielo permise. La fece voltare e la spinse su per le scale, con gesti decisi. “Niente obiezioni” la rimproverò. “Lascia fare a me”.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** EPILOGO ***


EPILOGO

 

Brian era sdraiato sul divano, davanti alla TV, ma non la stava veramente guardando. Il suo sguardo era puntato sul grande albero di Natale innevato, pieno di palline dorate e lucine scintillanti, che troneggiava in un angolo del salone. Era la vigilia di Natale e l’atmosfera della casa avrebbe dovuto essere calda e accogliente. Forse lo era, ma Brian sembrava non notarlo, perso com’era nella spirale di depressione e autocommiserazione in cui era caduto non appena aveva lasciato Las Vegas, il giorno prima. Aveva guidato per cinque ore filate, senza mai fermarsi, su un’auto che aveva acquistato qualche settimana prima e che non aveva nemmeno avuto il tempo di provare. Voleva solo andare via, allontanarsi da tutto e da tutti, specialmente da quel posto, dov’era stato tanto bene ma che gli ricordava troppo Elle e tutto quello che aveva perso. Arrivato a casa, la vista dell’albero di Natale addobbato gli aveva dato il colpo di grazia ed era crollato, lasciando finalmente libero sfogo alle lacrime, che aveva trattenuto stoicamente fino a quel momento, in un vano tentativo di non far preoccupare Nick. Adesso era solo e poteva togliersi la maschera da supereroe che aveva indossato nelle ultime ore.

Abbandonate le valigie in mezzo al salotto, si era diretto in camera da letto, dove si era buttato sul letto e aveva iniziato a piangere. Non ricordava per quanto fosse andato avanti, sapeva solo che, a un certo punto, doveva essersi addormentato, sopraffatto dal dolore e dalla stanchezza. Quando si era svegliato, quella mattina, per un attimo aveva creduto che si fosse trattato di un brutto incubo e aveva inconsciamente allungato una mano verso l’altro lato del letto, sperando di trovare Elle, stesa accanto a lui. Quando le sue dita si erano strette attorno alle pieghe di un lenzuolo freddo, però, si era reso conto che era tutto vero e quella semplice constatazione gli era piombata addosso come un macigno. Voleva far credere a tutti di essere forte, ma era soltanto una facciata. In realtà, tutto quello che avrebbe voluto fare era rannicchiarsi in posizione fetale sul letto e scomparire, in attesa che tutto quel dolore che provava passasse e lui potesse tornare a respirare.

Dopo un tempo imprecisato, il suo stomaco gli aveva ricordato che non mangiava niente dal giorno prima a pranzo, così si era costretto ad alzarsi per andare a prepararsi almeno una tazza di caffè, da bere insieme a qualche biscotto. Poi si era lasciato cadere sul divano, facendo zapping tra i vari canali, senza riuscire a decidere quale fra gli svariati film natalizi in programmazione guardare dato che, in realtà, non gliene importava niente.

Sobbalzò, quindi, quando sentì il campanello della porta. Voltò la testa di scatto, chiedendosi chi diavolo potesse essere. Nessuno, a parte i suoi amici e suo figlio, sapeva che era lì e nessuno di loro sarebbe andato a fargli visita la vigilia di Natale. Sperando che non fosse qualche vicino ficcanaso con cui sarebbe stato costretto a fare conversazione per non sembrare scortese, Brian si alzò controvoglia dal divano e si avvicinò alla porta, per andare ad aprire. Si bloccò di colpo a pochi passi dall’ingresso, quando i suoi occhi misero a fuoco una macchia rossa al di là del vetro smerigliato della porta. Il suo cuore ebbe un sussulto e, per un istante, si ritrovò a sperare che fosse Elle, dato che l’ultima volta che l’aveva vista indossava la giacca rossa degli show di Las Vegas che le aveva regalato. Scosse la testa, dandosi dello stupido per averci anche solo pensato. Tutte quelle commedie natalizie in TV dovevano avergli dato alla testa, inducendolo a credere in un alquanto improbabile – per non dire impossibile – miracolo di Natale. Prendendo un respiro profondo e appiccicandosi in faccia un sorriso forzato, si decise ad aprire la porta, pronto ad affrontare una qualche conversazione di circostanza con uno sconosciuto. Quando, invece, si ritrovò davanti proprio la sua giacca rossa, non poté fare a meno di spalancare gli occhi per la sorpresa.

“Elle” disse, incredulo, registrando chi stava indossando la sua giacca.

“Ciao” lo salutò timidamente lei, accennando un sorriso.

“Come...come sei arrivata qui?” farfugliò, completamente frastornato. Se fosse stato un pelo più lucido, si sarebbe reso conto che non era la domanda giusta da farle. Non per prima, almeno.

“In macchina” rispose lei, tranquilla, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

“Hai guidato fin qui da Las Vegas?”

Elle scosse la testa. “No. Sono arrivata in aereo a San Diego e poi ho affittato una macchina” spiegò.

“Tu odi guidare auto non tue. Specialmente se non conosci la strada” osservò Brian, stupito.

“Vero” ammise lei, annuendo. “Ma se vuoi qualcosa che non hai mai avuto devi essere disposta a fare qualcosa che non hai mai fatto. Lo diceva Franklin”.

Spiazzato da quella risposta, Brian si ritrovò a domandarle “E cos’è che vuoi e non hai mai avuto?”

Elle gli sorrise e disse, semplicemente “Te”.

Brian chiuse gli occhi e sospirò. Poi li riaprì e iniziò a parlare “Mi avevi, ma…”

“Ma sono stata una codarda” lo interruppe lei. “Ho avuto paura di quanto fossero forti i sentimenti che provo per te e ti ho allontanato. Invece, avrei dovuto avere paura di perderti, non di stare con te”.

Brian non disse nulla, troppo confuso per azzardarsi a parlare. Da un lato, avrebbe voluto prenderla tra le braccia e confortarla, assicurandole che non l’avrebbe mai perso. Dall’altra, nutriva ancora un po’ di timore di poter restare scottato un’altra volta e preferì aspettare e sentire tutto quello che lei aveva da dire, prima di buttarsi.

Con un vago cenno del capo e un lieve sorriso, per quanto velato di tristezza, Elle proseguì “È buffo. Ho passato anni a convivere con la paura di perdere la persona che amavo, senza poter fare nulla per cambiare le cose e, adesso, sta succedendo di nuovo. Questa volta, però, posso fare qualcosa. Per questo sono qui. Per chiederti scusa e vedere se sono ancora in tempo per rimediare. Se, su quel milione di donne, vuoi ancora me”.

Con il cuore che gli batteva a mille e non riuscendo a credere alle sue orecchie, Brian allungò una mano verso Elle e lei si affrettò a stringergliela, intrecciando le dita alle sue.
“Certo che ti voglio” la rassicurò. “Su quel milione, continua a importarmi solo di te”.

Elle sorrise e gli si avvicinò, liberando la mano dalla sua stretta e posandogli i palmi sul petto. Brian ne approfittò per prenderla tra le braccia e cingerle la vita, nascondendo il viso tra i suoi capelli.
“Ti amo” sussurrò Elle, inaspettatamente.

Brian sentì il cuore mancargli un battito e si trovò a domandare “Davvero?”

Non avrebbe voluto essere così insicuro, avrebbe preferito godersi quel momento. Ma doveva sapere. Doveva essere assolutamente certo che Elle fosse convinta di quello che provava. Non avrebbe accettato ripensamenti, questa volta. Non sarebbe riuscito a sopportarlo, non di nuovo.
Elle si lasciò sfuggire un accenno di risata e annuì “Per quanto strano possa sembrare, è vero. Mi è stata concessa una seconda occasione di innamorarmi e non voglio rinunciare per una stupida paura. Non voglio rinunciare a te. A poter essere felici, insieme”.

Brian si allontanò da lei e le prese il viso tra le mani. “Ti amo anch'io” le disse. “E non è strano. È giusto. Doveva andare così”. Dopodiché la baciò, cercando di infondere in quel gesto tutto l’amore che provava per lei.

Quando il bacio terminò e Brian ed Elle si staccarono l’uno dall’altra, senza fiato, lui la strinse ancora tra le braccia, accarezzandole i capelli.

“Quindi posso tenerti con me?” le chiese.

Elle annuì e Brian la sentì muovere la testa, posata sul suo petto.

“Per sempre?” domandò ancora, sperando che dicesse di sì.

“Per sempre” gli assicurò lei. Poi, quasi avesse potuto leggergli nella mente, indovinando i suoi timori, aggiunse “E non cambierò idea, questa volta. Voglio stare con te”.

Brian sorrise, sentendosi scoppiare il cuore di gioia. Poi sciolse l’abbraccio e la prese per mano, facendola finalmente entrare.

“Vieni” le disse. “Benvenuta a casa”.

 

~ * ~

 

Quando Brian aprì gli occhi, la mattina di Natale, dopo un lungo sonno ristoratore senza sogni, che gli aveva permesso di ricaricare le energie, Elle era già sveglia da un po’. Aveva passato una buona mezz’ora a osservare Brian che dormiva, beato, con un accenno di sorriso che gli incurvava le labbra, soffermandosi su ogni singolo dettaglio di quel viso, che le era diventato così famigliare da farle dubitare di averlo conosciuto solo quattro mesi prima. I suoi occhi avevano indugiato sui riccioli color miele, ancora senza accenno di fili bianchi, nonostante l’avanzare dell’età, e sulla mascella pronunciata, il cui contorno avrebbe voluto seguire con la punta di un dito, ma si era trattenuta dal farlo, per non rischiare di svegliarlo. Poi erano scesi, scrutando le braccia muscolose, con quel vecchio tatuaggio che faceva bella mostra di sé sul bicipite sinistro, e il torace scolpito dagli addominali, frutto del costante esercizio in palestra e delle ore passate a provare e riprovare le coreografie per gli spettacoli, che lo rendevano così diverso da ciò a cui era abituata con Will. Aveva amato suo marito e avrebbe continuato a farlo per sempre ma, quello che l’aveva sempre attratta maggiormente, in lui, non era mai stato l’aspetto fisico, bensì la sua anima. Con Brian, invece, le cose erano diverse e, oltre a essersi perdutamente innamorata della sua personalità e del suo spirito, non poteva nascondere di essere terribilmente attratta anche da quel corpo, così lontano dall’immaginario tipico di un quasi cinquantenne. Elle sorrise, tra sé, e allungò una mano, fino a sfiorare il braccio sinistro di Brian, con cui lui stava abbracciando il cuscino, seguendo con tocco leggero i contorni del tatuaggio che lo circondava. Per quanto delicata avesse cercato di essere, evidentemente non lo era stata abbastanza, o Brian doveva avere il sonno particolarmente leggero, perché spalancò immediatamente gli occhi ed Elle si ritrovò a specchiarsi in quell’azzurro brillante che li rendeva così magnetici.

“Ehi” le disse, sorridendo, con la voce resa roca dall’inutilizzo notturno.

“Buongiorno” lo salutò lei, avvicinandosi al suo viso e sfiorandogli le labbra in un bacio.

“Cosa fai?” le domandò, mentre lei continuava a sfiorargli il braccio.

Elle sorrise. “Controllo i miei possedimenti” scherzò, facendolo ridere.

“Ah, sì?” replicò, decidendo di stare al gioco. “E ti soddisfano?”

Lei si lasciò sfuggire una risatina e annuì. “Non mi lamento”.

Brian si voltò sul fianco e la prese tra le braccia, tirandola a sé e baciandole il collo. Elle rise e tentò di divincolarsi, ma Brian rafforzò la stretta, tenendola intrappolata nel suo abbraccio. Lei sospirò e chiuse gli occhi, beandosi della sensazione di completo appagamento che provava nell’essere tra le sue braccia. Si sentiva amata e protetta. Per gran parte della sua vita, Elle aveva dovuto mostrarsi forte e coraggiosa, nascondendo le sue debolezze per poter essere la roccia a cui le persone a cui teneva e che ne avevano bisogno potessero aggrapparsi. E non si era mai accorta di quanto quella condizione l’avesse sfiancata e sfibrata in ogni singola molecola del suo essere. Avrebbe rifatto tutto altre mille volte, se necessario, ma era stanca, e l’idea che adesso, con Brian, non dovesse più fingere, la sollevava da un peso. Sapeva che con lui poteva essere se stessa, senza maschere né ostentazioni di coraggio. L’aveva vista piangere e gli aveva confessato cose che non aveva mai detto a nessuno. E lui aveva fatto lo stesso con lei. Anche lui, abituato da sempre a recitare la parte del ragazzo allegro, spensierato e coraggioso, aveva lasciato cadere la maschera, rivelando le sue debolezze e chiedendo, forse per la prima volta in vita sua, aiuto a un’altra persona. Fidandosi. Per questo erano fatti l’uno per l’altra, perché riuscivano a tirare fuori il meglio e il peggio dell’altro, accettando e affrontando entrambi. Insieme.

Mentre si godeva quel momento di tenerezze, lasciando vagare la sua mente, Elle aveva ricominciato ad accarezzare il braccio di Brian, senza nemmeno accorgersene. Di nuovo, si ritrovò a seguire i contorni del suo tatuaggio, quella croce, con i raggi del sole che la illuminavano, e il profilo di quell’angelo. Non gli aveva mai chiesto cosa significasse, ma Brian era una persona molto religiosa, quindi probabilmente aveva a che fare con quello. E poi c’era quella scritta, che gli girava attorno al bicipite, e che Elle era riuscita a leggere solo in parte, decisamente più occupata a prestare attenzione ad altri dettagli, ogni volta che si era trovata davanti Brian senza maglietta.

“Non sono ancora riuscita a leggere per intero cosa dice il tuo tatuaggio” osservò, continuando a lasciare delicati tocchi sulla pelle di Brian.

“Ti accontento subito” ribatté lui. “Dice: It was the 15th of June when she walked in my life, it was the first time someone said hello with her eyes. È in ricordo di quando ho conosciuto Leighanne” spiegò. “Forse dovrei farmelo togliere”.

Elle fece scorrere la sua mano fino a raggiungere quella di Brian, stretta intorno alla sua vita, e intrecciò le dita con le sue.

“Non farlo” obiettò. “Tienilo. È parte di te, della tua storia. Non bisogna mai cancellare il passato, ci ha reso quello che siamo ora”.

Brian si trovò a sorridere. “Da quando sei diventata così saggia?” domandò, con una punta di ironia.

Elle ridacchiò. “Sempre stata. Solo che non te l’ho mai dimostrato prima per non metterti in imbarazzo” scherzò.

Brian rise e commentando “Ma sentila” ricominciò a baciarle il collo, facendole solletico e tentando di trattenerla quando iniziò a contorcersi per scappare.

“Dove pensi di andare?” le chiese, controllando a stento le risate. “Hai promesso che potevo tenerti con me per sempre” le ricordò.

Elle si rigirò nell’abbraccio fino a trovarsi faccia a faccia con lui. “E lo confermo. Non vado da nessuna parte. Resto qui. Per sempre”.

Brian avvicinò il viso al suo, appoggiando la fronte a quella di Elle, e chiuse gli occhi. Fece un respiro profondo e li riaprì. “Non mi sembra vero” confessò.

“Che cosa?” gli chiese lei, posandogli le mani sulle spalle e iniziando a tracciare piccoli cerchi con le dita.

“Averti qui con me e sentirti dire che resterai per sempre, quando solo ieri credevo di averti persa” spiegò.

Elle sorrise e gli appoggiò il palmo di una mano sulla guancia.

“Ehi, guardami” gli disse, richiamando la sua attenzione. “Parafrasando quello che mi ha detto un uomo piuttosto saggio, qualche giorno fa, giusto per mettere le cose in chiaro, ti ricordo che ti amo. Voglio te, solo ed esclusivamente te e non ti cambierei di una virgola. E non importa quanto il tuo passato possa essere ingombrante, il tuo lavoro difficile e quanto sarai ostinato nel non volermi mostrare le tue debolezze. Non mi arrenderò. Non scapperò. Non cambierò idea. Mai. Sarai anche l’essere umano più testardo del mondo, ma hai trovato pane per i tuoi denti, caro il mio signor Littrell”.

Nonostante il suo cuore stesse rischiando di esplodere, dall’emozione che quella dichiarazione così spontanea gli aveva risvegliato, Brian non potè fare a meno di scoppiare a ridere sentendo il commento ironico con cui Elle aveva terminato il discorso. E anche quello era un aspetto che adorava di lei. Le piaceva ridere e scherzare, proprio come a lui.

Pur sapendo che, probabilmente, avrebbero dovuto alzarsi e prepararsi per andare da Kevin, che li aspettava per pranzo, Brian era restio ad abbandonare il calore confortante del letto e, soprattutto, a sciogliere Elle dall’abbraccio in cui l’aveva intrappolata. Così decise di prolungare ancora un po’ quel loro idillio personale, dicendosi che Kevin e Kristin non si sarebbero certo offesi se avessero tardato di qualche minuto.

“A proposito di signor Littrell,” esordì, baciandole la punta del naso “mi rendo conto che è terribilmente prematuro, ma mi hai ripetuto più volte che posso chiederti quello che voglio senza avere paura di spaventarti, quindi, mi domandavo, quanto devo aspettare per proporti di diventare la nuova signora Littrell senza rischiare di sembrare completamente pazzo?”

Questa volta fu Elle a scoppiare a ridere, cercando di non dare troppo peso al fatto che, a tutti gli effetti, Brian le avesse appena chiesto indirettamente di sposarlo. Socchiuse leggermente gli occhi e si prodigò in un’espressione concentrata, fingendo di riflettere seriamente sulla sua domanda. Lo vide strabuzzare gli occhi, sorpreso.

Gli sorrise e ripose “Considerato che sei completamente pazzo, e lo so, direi che puoi propormelo quando vuoi”. Poi si avvicinò al suo orecchio e sussurrò “Ma ti ricordo che, tecnicamente, sei ancora sposato”.

Con un sorriso a trentadue denti e il cuore che gli batteva forte, Brian avvicinò le labbra all’orecchio di Elle e le sussurrò, a sua volta “Dettaglio trascurabile”.

Lei alzò un sopracciglio e gli rivolse uno sguardo scettico. “Se lo dici tu”.

Brian alzò una mano e ne prese una di Elle tra le sue, lasciando che le loro dita si intrecciassero tra loro. Poi le baciò il dorso e annunciò “Non c’è fretta, ma in settimana ti porto in gioielleria a scegliere un bell’anello, così intanto facciamo sapere a tutti che sei mia. Per sicurezza”.

Elle rise di nuovo e scosse la testa, rassegnata. A lei non importava niente, ma Brian era molto legato a certe tradizioni e, se ci teneva così tanto a ufficializzare la loro relazione, allora gliel’avrebbe lasciato fare. Non le costava nulla e adorava vederlo così felice.

“Forse, prima dovresti dirlo a Baylee” gli fece notare, leggermente in apprensione.

Aveva visto il figlio di Brian una sola volta ed erano andati subito molto d’accordo, ma da essere in sintonia ad accettarla come nuova compagna del padre, c’era una bella differenza.

Brian le sorrise e sentenziò “Lo sa già”.

Elle spalancò gli occhi, incredula. “Lo sa già?” ripetè.

Brian annuì. “Baylee è un ragazzo sveglio e ha capito tutto fin da subito. Gli piaci. E sa che mi rendi felice. È contento per me. Per noi”.

Elle sorrise e si sentì come se le avessero tolto un peso dal cuore. Non voleva ammetterlo, ma la reazione di Baylee alla notizia era una delle cose che la preoccupava di più. Insieme al fatto di finire sotto i riflettori, ovviamente, ma quello era certa che avrebbe imparato a gestirlo, con i consigli e il supporto di Brian.

“Sai a chi dobbiamo dirlo, invece?” le chiese Brian, interrompendo le sue riflessioni.

Lei scosse la testa e lui proseguì “A Nick. È ancora convinto che tu mi abbia scaricato e io stia scegliendo il modo migliore per farla finita”.

Elle si portò una mano alla bocca, scioccata. “Oddio” esclamò. “È vero. Diglielo subito, poverino. Sarà preoccupato da morire”.

Brian sorrise e annuì. “Ora lo faccio”.

Elle gli diede un bacio veloce sulle labbra e commentò “Bravo. Io intanto vado a farmi una doccia. E una tazza di caffè. Magari non proprio in quest’ordine”.

Detto ciò, si liberò dall’abbraccio di Brian, scostò le coperte e scese dal letto. Recuperò la maglietta di Brian, abbandonata su una poltroncina, e se la infilò. Lui le rivolse uno sguardo offeso. “Ehi, quella è mia” si lamentò.

Lei fece spallucce e, mentre si avviava verso la cucina, sentenziò “A me non importa se i vicini ti vedono a torso nudo. E a te?”

Brian scoppiò a ridere, colpito ma anche vagamente eccitato dalla sfacciataggine della risposta. Poteva abituarsi, si disse. Poteva decisamente abituarsi a mattinate come quella. Alle coccole a letto e a quei teneri battibecchi in cui amavano cimentarsi. Per non parlare della sensazione delle mani di Elle sulla sua pelle e del sapore dei suoi baci. Non solo poteva abituarsi ma, si rese conto, non avrebbe più potuto farne a meno.

Ancora con il sorriso sulle labbra, prese il cellulare dal comodino e mandò un messaggio a Nick.

Buon Natale, Frack. Non indovinerai mai chi è venuto a trovarmi.

Dopo una manciata di secondi, un bip gli segnalò che l’amico aveva già risposto.

Buon Natale a te, Frick. Non dirmi che è passato Babbo Natale.

Brian ridacchiò leggendo il messaggio e, pensando che, tutto sommato, l’intuizione di Nick non era poi troppo lontana dalla verità, digitò subito la risposta.

Una specie. Diciamo che mi ha portato il regalo che desideravo.

Sarebbe? Gli domandò Nick, rapido.

Elle. Quattro lettere, le più belle a cui riusciva a pensare.

Il telefono iniziò a suonare e sul display comparve il nome di Nick.

“Ehi” rispose Brian, accettando la chiamata.

“Mi stai dicendo che Elle è venuta lì?” chiese l’amico, senza troppi preamboli.

Brian sorrise, divertito, ma niente affatto sorpreso, dall’irruenza di Nick.

“Esatto” rispose.

“E…?” lo spronò a raccontare.

“E niente. Mi ha chiesto scusa per essersi lasciata sopraffare dalla paura, ha ammesso di aver commesso un errore, ha detto che mi ama e mi ha domandato se la volevo ancora. Ovviamente ho detto di sì” spiegò.

Nick non rispose subito, probabilmente gli serviva un attimo per metabolizzare le informazioni appena ricevute. Quando si riscosse, commentò “Wow. Avrei voluto esserci”.

Brian si lasciò sfuggire una mezza risata. “Senza offesa, ma ho preferito che non ci fossi” scherzò.

“Scemo” replicò Nick, ridacchiando. “E maiale”.

“Vorrei vedere te” si giustificò Brian, mantenendo la conversazione su un tono scherzoso.

Nick sospirò. “No, non vorresti. Credimi”.

“Certo che no, idiota” lo rimproverò Brian, alzando gli occhi al cielo. “Era per dire”.

“Va beh,” tagliò corto Nick, passando alle questioni pratiche “quindi come siete rimasti? Per dire”.

“Siamo rimasti che stiamo insieme” rispose Brian, tornando serio. “Per sempre”.

“Sicuro?” gli domandò l’amico. Si fidava di Brian, ma voleva accertarsi che non si ritrovasse per l’ennesima volta con il cuore spezzato.

“Mai stato più sicuro in vita mia” gli rispose, deciso.

“E lei?” chiese ancora Nick. “Anche lei è sicura di voler stare con te per sempre?”

Brian si lasciò sfuggire un sospiro di frustrazione ma, in realtà, era commosso dalle premure dell’amico e sapeva che si preoccupava per il suo bene, perché non voleva vederlo soffrire di nuovo.

“Sì, Nick. È sicura. Al cento per cento. Ha accettato di sposarmi” confessò.

“C-cosa?” sbottò Nick, scioccato.

“Non subito, ovviamente. Ma in futuro voglio farlo. Sai come sono fatto” lo tranquillizzò Brian.

“Non ti sembra di correre un po’ troppo?” gli fece notare l’amico. “State insieme da nemmeno ventiquattr’ore e parli già di matrimonio”.

Brian alzò le spalle, anche se Nick non poteva vederlo. “Forse,” ammise “ma è la mia anima gemella, l’unica persona al mondo con cui voglio condividere la mia vita, gioie e dolori. Soprattutto, è l’unica da cui non mi vergogno a farmi vedere debole. A parte te, Elle è l’unica con cui riesco a confidarmi e che riesce a fare sembrare sopportabile lo schifo di situazione in cui mi trovo. Che senso ha aspettare? Non sono più un ragazzino e nemmeno lei”.

“Okay, come vuoi” cedette Nick. “Se sei felice tu, sono felice io, lo sai. Quello che hai detto al mio matrimonio vale anche per me: amo quello che ami”.

“Grazie” sussurrò Brian, colpito dalle parole di supporto dell’amico.

“Beh, caro il mio Frick, goditi il tuo miracolo di Natale, allora. E fammi sapere come vanno le cose” gli fece promettere.

“Puoi contarci” gli assicurò Brian, prima di salutarlo e chiudere la chiamata.

Quando, posato di nuovo il cellulare sul comodino, alzò lo sguardo, trovò Elle che lo osservava con aria divertita, una spalla appoggiata allo stipite della porta e due tazze di caffè in mano, il cui aroma iniziava ad avvolgere tutta la stanza.

“Da quanto sei lì?” le chiese, mentre lei si avvicinava al letto, appoggiandoci sopra un ginocchio e porgendogli una tazza di caffè, che accettò, grato.

“Abbastanza da aver colto il succo della conversazione” ammise. Poi aggiunse “Carino Nick a preoccuparsi per te”.

Brian sorrise e si spettinò i capelli sulla nuca, leggermente imbarazzato all’idea che Elle avesse sentito la telefonata con l’amico. Non si vergognava, erano tutte cose che le aveva già detto, ma non si aspettava che gliele sentisse ripetere in modo così diretto e senza fronzoli.

“Sì, beh...siamo come fratelli, sai. Frick e Frack” farfugliò, tentando di giustificarsi.

Elle sorrise e commentò “È bello avere un’amicizia così. E ti invidio, sai? Io non l’ho mai avuta”.

Brian alzò una mano e gliela posò sulla guancia. “Ma adesso hai me” le disse “e, di conseguenza, i ragazzi ti adotteranno e diventerai parte della famiglia. Entro la fine del prossimo anno, pregherai che ti lascino in pace. Garantito”.

Elle scoppiò a ridere e osservò “Detto così, sembra quasi una minaccia”.

“Oh, lo è” confermò Brian. “Anzi, fossi in te avrei un po’ di paura”.

Lei scosse la testa. “Non ho più paura di niente, te l’ho detto. Non voglio più averne” dichiarò, seria. Poi, guardandolo con un luccichio divertito negli occhi, aggiunse “Anzi, sai l’unica cosa che mi spaventa, in questo momento?”.

Brian fece no con la testa.

“Non avere idea di cosa mettermi per andare a pranzo da Kevin e Kristin”.

Brian scoppiò a ridere e avvicinò il viso a quello di Elle per baciarla, pensando a quanto era stato fortunato, quel giorno, a incontrarla, per caso, mentre andava alla ricerca di un caffè.

Allo stesso tempo, Elle guardò Brian, sentendosi il cuore colmo d’amore, e si chiese cosa sarebbe successo se, quel giorno, quando si erano incontrati per la prima volta, lui non l’avesse guardata con quei suoi magnetici occhi azzurri, rivolgendole il sorriso più bello che lei avesse mai visto.

Mentre le loro labbra sembravano non riuscire a staccarsi le une dalle altre, entrambi seppero con certezza che, qualsiasi cosa fosse successa, qualsiasi cosa avessero fatto – o non fatto – in qualche modo il fato li avrebbe messi uno sulla strada dell’altra perché così era scritto e, semplicemente, loro due erano destinati a stare insieme. Per sempre.

 

What if I'd never run into you?
And what if you'd never smiled at me?

Maybe you and I were meant to be.


 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4001854