Un cuore d'acciaio

di Lilithan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tipico prologo poco originale ***
Capitolo 2: *** Passato e Presente ***



Capitolo 1
*** Tipico prologo poco originale ***


Serafina spalancò la porta dell’aula e tirò un sospiro di sollievo scoprendo che l’insegnante non era ancora arrivato. Velocemente fece slalom tra i banchi occupati da alcuni dei suoi compagni per raggiungere Carol al penultimo banco della fila centrale. Non esattamente il migliore dei posti per Serafina, ma Carol sosteneva che in quella posizione era più facile copiare senza essere beccati.
“Buongiorno a lei principessa, se l’è presa comoda stamattina. Niente caffè per la povera compagna di banco in astinenza?”
“Sai benissimo dove puoi ficcarti l’astinenza da caffeina.”
“Oh ooh, qualcuno è di peeessimo umore.”
“Ma davvero? E da cosa l’hai capito esattamente?” chiese la ragazza che, con gesti abbastanza teatrali ma poco aggraziati, gettava la borsa sul banco e si buttava letteralmente sulla sedia. Era a malapena riuscita a mettere un po’ di correttore per coprire le occhiaie da paura che si ritrovava in faccia da qualche settimana ormai. Carol fece un lungo respiro mentre posava il cellulare sul banco e ruotava in direzione dell’amica.
“Seri, seriamente, ho capito che non riesci a dormire molto bene ultimamente, ma devi proprio ferire i miei sentimenti di prima mattina? Non sono così psicologicamente pronta.”
“Scusa, non volevo, forse ho esagerato.”
“…quindi il mio caffè?”
Serafina grazie al cielo non fece in tempo nemmeno ad articolare un insulto perché il professor Mirna fece il suo ingresso proprio in quel momento, tutto trafelato, testa semi stempiata sudata, occhiali calati sul naso arrossato e mazzo di fogli stretto al petto.
Calò il silenzio in aula. Erano stati corretti i compiti in classe.
 
“Era proprio ora che avessi il mio caffè.”
“Sai che non puoi affogare i tuoi brutti voti nel caffè?” replicò Serafina sghignazzando mentre tirava via il suo bicchierino fumante dalla macchinetta automatica.
“Ah ah ah, potrei sempre affogare te. O quel pesce lesso di Mirna.”
“Ti servirebbe davvero molto caffè allora”
“Dio, quanto è lecita odiarla la matematica?” esclamò Carol alzando gli occhi al cielo.
“Abbiamo letteratura tra un po’, puoi consolarti”
“Di male in peggio, ma chi me l’ha fatto fare di iscrivermi al liceo. Comunque, signorinella, non pensare di riuscire a sviare la mia attenzione così facilmente. Per quello ti serve qualcosa di molto, molto ripieno al cioccolato e so per certo che non hai niente del genere nella borsa.”
“Come fai a saperlo esattamente? Ahahah”
“Le mie doti olfattive sono riconosciute in tutto l’istituto, lo sai bene. Ora, prima che quel pesce lesso si accorga che non siamo esattamente in bagno: litigio potente o incubo tremendo?”
“Incubo tremendo” sospirò la ragazza passandosi una mano tra i capelli. “Sempre lo stesso, te l’ho detto. Sono in questa stanza dall’aria vecchia, al buio, intorno a me c’è un cerchio di fuoco. Respiro affannato, odore di cenere, urla strazianti di sottofondo, le solite cose.”
“Mmh. E come vanno le cose con tua madre?”
“Meravigliosamente. Proprio stamattina mi ha…”
Serafina non fece in tempo a finire la frase perché la porta del bagno, dove lei e Carol si erano rifugiate dopo il caffè, si aprì di botto rivelando Miss Ficcanaso in persona, Elisa, una loro compagna di classe. Tutta ricci e lingua biforcuta, manco fosse stata partorita da Medusa.
“Il prof Mirna vi sta aspettando. Vuole che siamo tutti in aula per il cambio dell’ora. Veloce, dai, scattare.”
E Seri dovette afferrare il braccio di Carol per tirarla via, prima che si lanciasse in una delle sue requisitorie, mentre Miss Ficcanaso le seguiva senza perderle di vista.

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Capitolo 2
*** Passato e Presente ***


Nell’esatto momento in cui Serafina aprì la porta di casa, capì di essere condannata. Sua madre aveva tirato fuori le decorazioni natalizie e ne aveva già appese la metà, con Bianco Natale sparato a tutto volume.
“Bentornata tesoro! Che te ne pare? Quest’anno va di moda il dorato, non è fantastico?” disse la donna tutta eccitata mentre scendeva dalla scala di alluminio con Dio solo sa quanti led arrotolati addosso. Sconcertata ma divertita, la ragazza rise approvando le scelte della madre, chiedendo poi cosa ci fosse per pranzo, biscotti glassati a parte.
La signora Marta aveva adottato Seri quando questa non aveva ancora compiuto tre mesi. Era stata trovata una notte di dicembre in fasce ad una delle porte secondarie dell’ospedale. Nessun biglietto né altro, solo questo fagotto con la piccola adagiato a terra. Non poteva avere più di qualche giorno. 
Tutto molto poetico e vagamente inquietante.
Marta era di turno quella notte, faceva l’infermiera. Fu lei a trovarla e fu lei a prenderla con sé. Era stato amore a prima vista, lo aveva sempre raccontato così. Non che Serafina non si fosse mai fatta domande sulle proprie origini, su chi fossero i suoi genitori biologici, sul perché avesse gli occhi così scuri da non riuscire a distinguere l’iride dalla pupilla, o dei zigomi così poco pronunciati, una faccia ovale e non ben definita come quella di Carol, cose del genere. Semplicemente non aveva mai avvertito la mancanza di qualcosa, era Marta sua madre, l’unica famiglia di cui avesse bisogno e che voleva. Non le aveva fatto mai mancare nulla, anzi, a volte sembrava amarla anche troppo.
Capitava però, alcune volte, soprattutto nelle sere umide e ventose, che Serafina si guardasse allo specchio mentre intrecciava i capelli prima di mettersi a letto. Allora percepiva qualcosa di strano, come se la forza di gravità raddoppiasse improvvisamente, la temperatura salisse e l’oscurità l’avvolgesse. Quasi come se il buio stesso le si stringesse addosso. 
Durava poco, due minuti al massimo, bastava alzarsi in piedi, spalancare la finestra e farsi arrivare il vento gelido in faccia, respirare a fondo. Avveniva raramente, da sempre. Non ne aveva mai fatto parola con nessuno. Forse era un po' un'ansia inconscia, non lo aveva mai capito.
A questi momenti di inquietudine, si alternavano incubi particolari. Erano tutti molto simili, quasi uguali: si trovava in un luogo buio, sempre diverso eppure uguale, come una vecchia stanza di hotel in rovina che allo stesso tempo era una grotta, le stalattiti si confondevano coi lampadari, le rocce sembravano ora tavolini ora banchi ora divani di pelle consumata. Si guardava intorno perché si sentiva osservata notava poi una figura rannicchiata, di solito in un angolo, faticava a capire se si trattasse di una persona o un animale. Capiva che era qualcosa di vivo perché la vedeva tremare, non sembrava muoversi o produrre suoni. A quel punto si svegliava solitamente.
Da qualche settimana non andava proprio così: diventava più cosciente del proprio corpo nel sogno, sentiva di trovarsi al centro della stanza-grotta, cercava di avvicinarsi alla sagoma, per capire cosa fosse, voleva assolutamente capire cosa fosse. Percepiva lo sguardo della creatura, ma non riusciva ad incrociarlo. Avanzava di un passo ma respirare diventava difficile, si sentiva soffocare. Un fuoco si accendeva intorno a lei, accerchiando e avvolgendola. La figura si alzava, sembrava immensa, continuava a guardarla. Voleva aiutarla? Ma Seri non vedeva altro che fiamme, ascoltava le proprie urla mentre sentiva la propria pelle bruciare. Allora si svegliava in un bagno di sudore e indolenzita, si prendeva la testa tra le mani e pressava finché non sentiva male e capiva di essere tornata al mondo reale. Era d’obbligo una bella doccia fredda e della cioccolata calda.
Per Serafina era difficile parlare di questi sogni o di quelle sensazioni strane, poiché non ne capiva l’origine o il senso. Non ricordava quando fossero iniziati, inizialmente non le disturbavano il sonno. Inoltre era l’unico sogno che riusciva a ricordare così bene. Certo, fino a due mesi prima non prendeva mica fuoco, il sogno di solito finiva quando si rendeva conto della presenza della cosa. O forse era la cosa a rendersi conto della presenza di lei. Era una presenza costante. 
Alcune notti, dopo essersi svegliata, si chiedeva cosa potesse essere la cosa. Qualcuno che conosceva? Qualcuno che ricordava? E quella specie di stanza: c’era mai stata? Era un qualche ricordo distorto di un film visto da piccola?


Quel giorno di dicembre, dopo aver aiutato sua madre a finire le decorazioni di Natale anticipate e aver mangiato un boccone insieme, le due si separarono: Marta si era ritirata in camera a riposare, avrebbe iniziato il turno di guardia qualche ora dopo, Seri andrò dritta in bagno a fare una doccia veloce, che diventò una doccia rilassante che le portò via un’ora e mezza. Si sentiva stremata, gli occhi le si chiudevano da soli quasi. Maledetta acqua calda pensò, mentre infilava degli slip, una maglietta a caso e si buttava a letto. Dovrei asciugare i capelli. Forse. Forse no. Forse dovrei chiamare Carol e dirle di passare. Nah, il telefono è troppo lontano in questo momento. Dio, è davvero buono questo shampoo, ha un odore fantastico. Mentre pensava cose a caso, Seri prese sonno senza accorgersene.

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