Shattered Heart

di Ciarax
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

«Oh, Andiamo! È la quarta volta da stamattina che non funzioni, qual è il tuo problema?» urlò piena di frustrazione la ragazza passandosi una mano sulla fronte sudata e finendo con l'imbrattarsi ulteriormente il volto con le mani sporche, dopo aver lavorato ore su quel dannato braccio meccanico.

Buttò da un parte il cacciavite a stella e riguardò per l'ennesima volta il codice che aveva scritto quasi un mese prima al computer, l'aveva ricontrollato più di quindici volte da quella mattina ma quell'affare non ne voleva sapere di funzionare. Arrivato a metà programma si interrompeva immediatamente, segnalando un errore fatale sullo schermo del portatile.

Max si buttò all'indietro sulla sedia che era davanti la scrivania piena di fogli di carta ammucchiati e sparsi qua e là, cercando con lo sguardo il foglio, o meglio i vari pezzi di carta, dove aveva appuntato quel progetto che si stava rivelando più arduo del previsto. Ritrovare le cose in quell'immenso caos le stava dando ovvia ragione per imporsi di rimettere un minimo d'ordine una volta finito quel lavoro.

Qualcosa dietro di lei si mosse con flebili rumori meccanici e girando lo sguardo colse la piccola figura di un robot che si muoveva nella sua direzione: i quattro arti su cui poggiava ricordavano quelli di un ragno mentre sul corpo erano montati la scheda principale di funzionamento, un piccolo vano batterie e una sottile lamina di pannello solare in grado di dargli l'alimentazione necessaria.

«Switch, fermo» esclamò fermamente Max notando come ogni movimento compiuto dal piccolo quadrupede si interruppe immediatamente dopo aver ricevuto quel comando.

Max sorrise. Si alzò e prese in mano il robot che con le zampe tentava di ritrovare equilibrio dopo essere stato poggiato sopra la scrivania, fallendo un paio di volte prima di rialzarsi completamente.

«Almeno te non sei un lavoro da buttare»

Il piccolo robot fece roteare i sensori ad ultrasuoni che aveva installati, e che avevano la vaga forma di due occhi, scannerizzando l'area circostante per trovare eventuali impedimenti. Individuata la fonte di luce della lampada che illuminava fiocamente anche il resto di quel garage incasinato.

«Dovrò sistemare anche te prima o poi» mormorò Max quando vide il robot girare su sé stesso raggiungendo la lampada, ritrasse i motori delle zampe e mise il pannello sotto la luce diretta.

Switch era stato il suo primo prototipo di robot e ricordava ancora bene come la prima volta che l'aveva assemblato, il piccoletto sapeva a malapena mettere una zampa di fronte l'altra. I codici per riuscire a far muovere in modo armonioso i tre motori che ogni zampa aveva era stato arduo, specialmente all'inizio.

Erano cinque anni che continuava a mettere mano sui suoi codici e oramai era diventato il suo piccolo orgoglio: in grado di camminare e ritrovare l'equilibrio in quasi ogni situazione, i sensori che aveva installati invece gli permettevano di evitare gli ostacoli e riconoscere alcuni semplici e precompilati comandi. Anche se l'ultimo non era interamente merito suo ma del suo ultimo aggiornamento, un primo tentativo con la rete neurale e che dava una vaga sorta di intelligenza artificiale al piccolo robot.

Si trattava di un qualcosa di molto semplice e con la poca potenza di calcolo che aveva a disposizione il suo raggio di apprendimento era veramente basso, ma non le importava. Forse quando avrebbe raggiunto la vecchiaia quel piccolo robot sarebbe stato in grado di mettere due parole in fila.

Max si accorse solo in quel momento dell'assurdo orario in cui si era ritrovata a lavorare, erano da quasi cinque ore che non faceva una pausa e si era dimenticata anche di mangiare qualcosa per cena. Sospirò e decise che per quella giornata ne aveva avuto abbastanza e prese a sistemare alcuni degli attrezzi nel borsone che si era portata dietro, ci buttò dentro anche alcuni fogli del progetto e spense la luce.

Con uno sbadiglio chiuse quel minuscolo garage che aveva adibito a laboratorio improvvisato, avviandosi verso la strada per tornare a casa con Switch che rimaneva saldo sulla sua spalla, bilanciandosi di tanto in tanto sulle quattro zampe.

Pesanti passi a qualche blocco di distanza però la bloccarono sul posto, guardandosi intorno nell'oscurità dell'ora tarda di notte e nella via fiocamente illuminata. Di solito a quell'ora non girava mai nessuno in quelle zone ed era anche la tranquillità generale della cittadina che le permetteva di sentirsi al sicuro anche nel cuore della notte.

Maledicendo la sua curiosità ingoiò l'appena nata paura che sentiva montargli in petto e decise di dare un'occhiata, sentendo man mano che si avvicinava dei rumori di metallo su metallo e qualche rombo di motori decisamente potenti.

Il respiro le si mozzò in gola quando fece capolino nel vicolo, la testa appena affacciata dietro l'angolo mentre guardava con occhi sgranati quelli che sembrarono a prima vista degli enormi robot giganti. A causa della scomoda posizione in cui si trovava non si ricordò del piccolo robot che aveva accanto e che, cercando di bilanciarsi, finì col cadere dalla sua spalla.

Max si tuffò d'istinto in avanti afferrandolo giusto in tempo prima che potesse cadere a terra e probabilmente riportare alcuni danni ai suoi circuiti ancora esposti alle intemperie, ritrovandosi quindi a terra con in mano il piccolo robot inerme e sia occhi umani che non puntati su di lei.

Con lentezza si alzò dolorante a causa dell'improvvisa botta che aveva preso e controllò con perizia il robot, sperando che non avesse riportato alcun danno e ricordandosi mentalmente di doversi decidere a fargli una qualche sorta di protezione per tutti i collegamenti dei suoi circuiti che ogni volta rimanevano scoperti o si impigliavano da qualche parte.

«Max?» una voce femminile le fece alzare la testa e Max sorrise riconoscendo la figura della ragazza. Mikaela era una delle poche persone che forse riusciva a stare dietro alle sue mille idee e spesso le procurava i pezzi di cui aveva bisogno quando si vedevano saltuariamente.

Si accorse però che al suo fianco c'era un ragazzo che non conosceva, entrambi erano coperti di sporco e terra dalla testa ai piedi e per una attimo si domandò cosa diamine avessero fatto per ridursi così, ma la risposta arrivò da sola. Erano tutti circondati da cinque enormi robot alti dai cinque ai dodici metri abbondanti e tutti guardavano a lei come se avesse due teste.

«Ditemi che non è un'allucinazione» mormorò tra sé e sé Max passandosi una mano tra i capelli corvini sfuggiti dalla crocchia improvvisata e che ora le ricadevano dietro la schiena.

Uno degli enormi robot, probabilmente il più grande tra loro era inginocchiato al livello del volto dei due ragazzi e spostando lo sguardo incrociò gli occhi verdi di Max, leggermente intimidita da quegli enormi occhi illuminati a neon che la squadravano con estrema attenzione.

«Cos'è?» la voce baritonale con cui parlò la colse di sorpresa, forse più della consapevolezza che stava parlando perfettamente la sua lingua.

Seguendo la direzione del suo sguardo, notò come i suoi sensori erano focalizzati sul piccolo robot quadrupede che ancora teneva saldamente tra le mani. Alternò per un attimo il peso tra le gambe, indecisa ma alla fine avanzò di qualche passo fino ad affiancare Mikaela e protese leggermente le mani lasciando che l'enorme robot potesse avere una visuale migliore.

«Oh... Lui è Switch» disse con un filo di voce mentre sentì un altro di loro avanzare leggermente e guardare con attenzione anche lui.

«Ha la stessa attività di uno sparkling in formazione» esclamò poi uno dei due. Era più basso rispetto al robot che era a pochi metri da lei che era invece coperto da un esoscheletro particolarmente dipinto di rosso e blu.

«Com'è possibile?» domandò un terzo poco distante, alzandosi dal vecchio rottame di un'auto su cui era seduto e che era collassato sotto il suo peso.

Max si sentì improvvisamente a disagio, anche se non era dovuta al fatto di avere davanti degli enormi robot giganti ma più che altro per il fatto che gli occhi di tutti erano puntati su di lei come se fosse il centro dell'attenzione di quell'incontro, quando in realtà era capitata lì per caso. O maledicendo la sua curiosità a ficcanasare in giro in pessimi orari.

«Sei stata tu a generarlo?» parlò nuovamente il robot rosso e blu che la squadrava con curiosità silenziosa mentre la vide annuire timidamente.

Con attenzione riportò Switch sulla sua spalla assicurandosi che non corresse nuovamente il rischio di cadere e rivolse di nuovo l'attenzione a quegli enormi ammassi di metallo e circuiti che sembravano provenire da qualche fumetto di fantascienza, «Si? È stato il mio primo progetto con un robot, ma all'inizio sapeva solamente muoversi di qualche passo senza fare granché» disse imbarazzata con una mano dietro la nuca mentre ebbe finalmente il coraggio di guardare negli occhi quell'enorme creatura che gli appariva fin troppo umana.

L'attenzione venne poi riportata nuovamente su Mikaela e l'altro ragazzo di cui Max seppe chiamarsi Sam solo in quel momento, non avendolo mai incrociato visti i tre anni di differenza che aveva con Mikaela che era l'unica che frequentava di quella età. Non che avesse stretto particolari rapporti con qualcun altro, diciannove anni e le persone che realmente conosceva poteva contarle sulle dita di una mano mentre quelle considerabili amiche erano forse ancora di meno.

«Ti prego, Sam -pregò Mikaela al suo fianco, -dimmi che hai quei dannati occhiali»

Tutti gli Autobot si ritrasformarono sotto lo sguardo stupito di Max che non seppe cosa fare e rimase immobile mentre gli altri due umani salirono sopra la Camaro gialla a strisce nere che fino a qualche secondo prima era uno stupendo robot dello stesso colore.

«Hai intenzione di rimanere lì?» domandò l'autoarticolato che aveva preso posto dell'enorme robot, sfoggiando una vistosa vernice custom blu e rossa fiammante.

La portiera del guidatore era aperta e la stessa voce profonda era arrivata tramite gli speaker dell'interno del veicolo.

Non se lo fece ripetere due volte e salì, con un po' di fatica, all'interno del veicolo che con una rapida inversione si portò a capo di quello stravagante convoglio. Max notò con una punta di curiosità come gli altri avessero preso le sembianze di una stupenda Pontiac Solstice grigia, un enorme GMC Topkick nero lucido e un ingombrante Hummer H2 dal particolare colore giallo-verde.

«Chi siete?» domandò Max dopo qualche minuto di silenzio, venendole naturale non definirli oggetti nonostante ad occhi esterni lei stava effettivamente parlando con un veicolo.

«Veniamo da Cybertron, siamo organismi robotici autonomi -o Autobot, e siamo qui per ritrovare l'AllSpark. Io sono Optimus Prime» spiegò presentandosi l'Autobot e sorprendendosi leggermente quando avvertì che i livelli dell'umana che stava trasportando erano rimasti quasi perfettamente normali. Quando si erano presentati a Sam e Mikaela i loro cuori sembravano sul punto di impazzire.

«Max Cohen, ma va benissimo anche solo Max- si presentò a sua volta Max con un piccolo sorriso, sentendosi molto meno a disagio ora che poteva dare un nome a quelle creature provenienti da un altro pianeta, -mentre Switch già l'ho presentato»

«È impressionante per un essere umano aver generato un qualcosa di simile»

Max storse leggermente il naso, indecisa se sentirsi offesa o meno, «In realtà il piccoletto è stato un bel grattacapo all'inizio, non che facesse chissà che cosa se non muoversi avanti e indietro a comando. Adesso almeno è in grado di muoversi in modo abbastanza autonomo ma è presto per chiamarla intelligenza artificiale, è semplicemente un piccolo robot che impara»

«Anche se non è molto la sua attività è molto simile a quella di uno sparkling appena formato»

«Che significa? Anche l'altro aveva detto la stessa cosa»

Optimus si prese qualche secondo per trovare le parole adatte a spiegare, «Possono essere considerati l'equivalente di un "cucciolo" umano. Sono cybertroniani appena formatisi e che ancora non sono in grado di fare molto»

«Bambino, il termine per gli umani è bambino- corresse dolcemente Max, catturata da quella prospettiva così intrigante di star veramente conversando con esseri così avanzati tecnologicamente, -ma per quanto sia bello, Switch non ha grandi possibilità di crescita, avrebbe bisogno di una potenza di calcolo eccessiva per mantenere anche un corpo così piccolo. E con questi tempi ci impiegherebbe almeno venti anni solo per diventare più preciso nei movimenti e nel seguire qualche comando più complesso»

«Siamo arrivati, Max» finì quella conversazione Optimus quando furono arrivati di fronte una casa con un curato giardino all'inglese, in un piccolo isolato con case a schiera.

Max scese con agilità e guardò con meraviglia e per la prima volta la trasformazione di Optimus che riprese la sua forma bipede mentre Sam implorava tutti loro di dargli solo cinque minuti.

Dovevano restare nascosti, semplice. L'attesa però non era contemplata quando si trattava di questioni di così grave urgenza e lei si ritrovò a seguirli mentre si inoltravano goffamente nel giardino sul retro, rompendo gran parte di quello che si trovavano davanti.

Quella sarebbe stata decisamente una notte movimentata.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2


«Da cosa siete alimentati?» domandò di punto in bianco Max prendendo di sorpresa Ironhide che abbassò lo sguardo leggermente diffidente ma perlopiù sorpreso.

«I suoi livelli sono normali. Non ha paura» si intromise Ratchet al fianco dell'altro Autobot passando uno dei suoi scanner sul corpo di Max che ridacchiò alla sensazione di solletico improvvisa.

«Sono in pericolo?»

«No»

«E allora perché dovrei avere paura?» sia Ratchet che Ironhide furono presi alla sprovvista da quella schiettezza e Ratchet si abbassò lentamente.

Seguendo le indicazioni di Max che se la ritrovò a pochi passi mentre lo osservava curiosamente e con attenzione da ogni punto, anche se la differenza d'altezza non aiutava. Girò attorno all'Autobot un paio di volte, rischiando anche di far cadere Switch dalla sua spalla e di inciampare in uno dei piedi dell'enorme robot tanto era assorta a contemplarlo sul suo funzionamento.

«Posso?» domandò poi educatamente indicando la mano di Ratchet e facendogli così capire se potesse guardarlo più da vicino.

Ratchet non disse nulla ma abbassò lentamente la mano a terra permettendole così di salire e una volta assicuratosi che non avrebbe rischiato di farla cadere, si rialzò. Chiuse leggermente le dita in modo da impedirle di sporgersi eccessivamente e si ritrovò silenziosamente divertito da quel suo atteggiamento curioso e istintivo che non mostrava la minima paura nei loro confronti.

L'atteggiamento che aveva riscontrato in Sam e Mikaela al contrario era molto più cauto e guardingo come se si aspettassero di venire attaccati da un momento all'altro. Lui non era mai stato particolarmente amante degli esseri umani anche se era molto interessato alla biologia del loro pianeta e come delle creature organiche fatte per la maggior parte di acqua potessero muoversi e creare una così grande varietà di tutto.

Accennò un minuscolo sorriso quando la vide tenersi le mani al petto per evitare di toccarlo senza permesso e Ratchet gradì immensamente quella accortezza, annuì in approvazione quando lei gli rivolse poi uno sguardo implorante. Vide il volto di Max illuminarsi di gioia quando prese ad osservarlo con muto stupore e adorazione, passò le mani delicatamente sul metallo mentre ne controllava il funzionamento e Ratchet assecondò i suoi movimenti che guidavano con una gentilezza assoluta le enormi dita metalliche; tracciò con le dita i pistoni e i cavi che sporgevano leggermente dagli arti superiori e si sorprese del tepore emanato dal metallo che fungeva da esoscheletro, colorato con la stessa verniciatura della sua versione Hummer.

«Siete una meraviglia» mormorò alla fine estasiata, prendendo mentalmente nota di come ogni pezzo si unisse all'altro e del loro funzionamento generale. Max notò una scintilla di divertimento negli occhi artificiali di Ratchet e sorrise leggermente imbarazzata, sedendosi comodamente sulla sua mano senza alcuna paura di cadere.

«È altrettanto sorprendente vedere come sei stata in grado di costruire un essere così» replicò lui di rimando, indicando il piccolo robot sulla spalla dell'umana.

«Già l'avete detto più di una volta ma Switch non è niente di particolare, non è vivo come lo siete, ovviamente, voi» rimarcò Max con testardaggine, e in effetti aveva ragione nella sua testa. Quegli Autobot non erano solo un ammasso di metallo e circuiti che eseguiva comandi prestabili o che avevano una qualche vaga sorta di intelligenza, era vivi, in grado di ragionare e provare emozioni come lei e ogni altro essere vivente su quella Terra. Switch non era così, era in uno stato talmente primordiale da neanche poter venire considerato vagamente vivo, e ci sarebbero voluto chissà quanti decenni per poterlo definire tale, specialmente se aveva accesso solamente ad una così poca potenza di calcolo.

«La scintilla nel nostro petto ci mantiene in vita, è la sede dei nostri ricordi e delle nostre personalità – spiegò Ratchet mentre riportava Max a terra, che ridacchiò alla scena di Ironhide puntare i suoi enormi cannoni su un minuscolo chihuahua, -è considerabile come il vostro "cuore" umano»

«Sei parecchio curiosa, lil'miss» la prese di sorpresa Jazz facendola girare con uno scatto.

L'Autobot argentato era tra i più piccoli e anche il più agile tra tutti loro e, onestamente, quello che le incuteva meno timore anche con il tono gioviale che sembrava avere. Max rimase interdetta da quel suo modo così naturale di parlare ma probabilmente avevano imparato a parlare utilizzando internet o chissà quale altra risorsa a loro disposizione.

«Non mi capita tutti i giorni di incontrare enormi robot così interessanti» esclamò lei alzando le spalle noncurante, accennando un sorrisetto divertito.

Jazz ridacchiò, «Mi piaci, ragazzina»

Le richieste disperate di Sam le giunsero alle orecchie quando vide Optimus girovagare intorno al giardino e continuando a chiedergli di fare in fretta, iniziando a mostrare segni di impazienza nel trovare quegli occhiali.

«Oh! Hey, there she go... such a cutie, right?» Max accennò un sorriso divertito a quella canzone e si avvicinò a Bumblebee che curiosava nel piano inferiore, piegato a carponi per terra.

La sua testa era alla stessa altezza della ragazza e i suoi occhi slittarono immediatamente sul piccolo robot che era sulla spalla di Max, Bumblebee emise un cinguettio incuriosito e prese a stuzzicare Switch con la punta di un dito metallico. Max alla fine prese e gli porse il piccolo robot che adagiò con cautela sul palmo aperto della mano dell'Autobot che seguiva meravigliato ogni suo movimento.

Con la coda dell'occhio notò sempre di più come Optimus stesse iniziando a perdere la pazienza con il comportamento agitato di Sam che, evidentemente, non doveva avere un grande ordine in camera sua per perdere quel paio di occhiali che sembravano tanto importanti.

«Se vuoi posso provare a dargli una mano. Ho visto quanto siete di fretta» lo chiamò Max battendo delicatamente la mano sul piede dell'Autobot per attirare la sua attenzione.

Prime abbassò la testa nella sua direzione e la squadrò per un attimo prima di accennare un sorriso di ringraziamento, «Lo apprezzerei molto, più tempo perdiamo e più i Decepticon hanno un vantaggio»

«Allora è meglio se ci diamo una mossa, è difficile che il vostro arrivo passi inosservato» esclamò lei di rimando pensando di setacciare il piano inferiore magari pensando ad un modo di entrare di soppiatto nella casa. Certamente era una soluzione migliore che farsi trovare all'improvviso in camera di Sam assieme anche a Mikaela.

La situazione sarebbe stata imbarazzante anche senza il suo intervento.

Neanche il tempo di poter entrare dalla porta secondaria lasciata aperta che un tremendo scossone fece tremare la terra sotto i suoi piedi, facendola finire a terra dopo aver perso l'equilibrio. L'intera energia elettrica dell'isolato era saltata lasciando le case e le strade senza luce elettrica, piombando nel buio.

Max sospirò sentendo vagamente le voci concitate di Ironhide e Ratchet che doveva essere probabilmente stato l'autore di quel casino.

...

L'energia elettrica era ritornata ma ora il problema era un altro, e ben più grave.

I federali di un settore sconosciuto avevano circondato la casa, costringendo Max ad entrare in casa dei Witwicky mentre veniva spintonata da due agenti decisamente poco amichevoli. Il gracchiare dei diversi contatori geiger risultava fastidioso e quando poi glielo puntarono contro la lancetta schizzò tra i valori più alti mai registrati, ammanettarono i tre ragazzi e in meno di cinque minuti si ritrovarono dentro un furgone blindato schiacciati sui sedili posteriori.

L'agente di fronte a loro sembrava soddisfatto di quel bottino e la conversazione tra i due adolescenti e quel Simmons per poco non fecero urlare Max dalla frustrazione. Detestava trovarsi lì, schiacciata come una sardina in un posto che non le apparteneva e con le mani bloccate dietro la schiena.

Anche mentre Sam tentava di convincere il federale che la sua denuncia di furto era stato un caso isolato e per nulla connesso alle recenti attività extraterrestri che erano state rilevate nella città, Max sentì un paio di manette aprirsi prima che anche quelle che bloccavano le sue mani rilasciarono immediatamente la tensione sui suoi polsi. Rivolse un silenzioso sorriso di ringraziamento a Mikaela che ricambiò prima di rispondere acidamente a Simmons che ghignò divertito dal suo temperamento.

«E tu -disse poi rivolgendo la sua attenzione a Max che gli rivolse uno sguardo inviperito da sotto una ciocca di capelli neri, -Max Cohen, giusto? Piccola inventrice pazza, non mi sorprende che sei stata adottata così tante volte. Dov'è adesso la... cos'è? La quinta fami...» non fece in tempo a finire la frase che il furgone sobbalzò con una brusca manovra di arresto.

Qualcosa fece tremare l'intero veicolo che venne poi afferrato dal tettuccio e alzato da terra, Sam e Mikaela urlarono qualcosa spingendosi in avanti e trascinando Max con loro. Il metallo cedette sotto la tensione e tutti finirono bruscamente a terra ma ancora all'interno del blindato completamente aperto come una lattina.

L'enorme testa di Optimus era a pochi passi da loro e un moto di sollievo attraverso Max mentre sentì anche gli altri Autobot raggiungere Prime e circondare i veicoli.

«Signori, lasciate che vi presenti il mio amico... Optimus Prime» ghignò Sam ancora ammanettato mentre le due ragazze uscirono lentamente dal veicolo.

Max si sorprese nel notare come gli agenti federali non fecero una piega, probabilmente erano al corrente della vita su altri pianeti ma trovarsi faccia a faccia con un enorme alieno metallico doveva sortire un qualche effetto. Una volta uscita si diresse verso il medico Autobot che sembrava stringere qualcosa in mano, abbassandosi poi al suo livello e lasciando che Switch accennasse qualche timido movimento sulla sua mano.

«Ecco dov'eri finito. Grazie Ratchet» esclamò poi tenendo il piccolo robot sulla sua spalla e rimanendo al fianco dell'Autobot.

«Qualcosa ti turba» commentò Ratchet scansionandola rapidamente e facendola ridacchiare per un attimo alla sensazione di solletico che ogni volta le procurava.

«La gente ha la lingua lunga certe volte, -si zittì quando vide le placche del volto metallico contrarsi in un'espressione corrucciata e si affrettò a spiegare, -parla senza sapere quando è il momento giusto di stare zitti. Si impicciano di cose che non li riguardano»

Ratchet annuì anche se tenne un occhio sulla ragazza che era vicino a lui ma che attenta non lo sfiorava affatto, ricevendo nuovamente il suo silenzioso e sincero apprezzamento.

Troppo presa a rimuginare per i fatti suoi, Max a malapena si accorse del grido di Ironhide che con un colpo a terra riuscì a far depistare un paio di furgoni neri in rapido avvicinamento e senza che potesse protestare si sentì afferrare da un'enorme mano metallica. Emise un piccolo grido di sorpresa quando vide Ratchet trasformarsi rapidamente attorno a lei che si ritrovò in pochi secondi rannicchiata sul sedile del passeggero, la cintura di sicurezza che per poco non la soffocava tanto era stretta.

Sfrecciando e cercando di depistare i federali, Max si accorse presto di Ironhide al loro seguito e vedendo come la situazione non stesse migliorando decise di fare qualcosa, sciogliendo la cintura e prendendo posto da parte del guidatore.

«Lasciami guidare, so dove possiamo nasconderci. Conosco queste strade a memoria, Ratchet» supplicò la ragazza prima che l'Autobot potesse protestare. Si sentiva in colpa per quelle sue maniere brusche e non avrebbe voluto surclassarlo in quel modo ma sentiva l'urgenza di dover trovare immediatamente un nascondiglio per lei e per loro.

Con un paio di svolte riuscirono a depistare l'unico veicolo blindato che li stava inseguendo, nascosti com'erano in una strada secondaria.

«Si stanno allontanando» le comunicò Ratchet tramite la radio, riaccendendo il motore e facendo tirare un sospiro di sollievo a Max che accennò un sorriso tirato.

«Scusa per prima»

«Ci hai salvato, non scusarti»

Max sperò che anche gli altri fossero riusciti a sopravvivere e sfuggire in tempo agli agenti del Settore Sette che sembrava essere particolarmente informato sugli alieni.

«Credi che gli altri staranno bene?» domandò lei con una punta di paura.

Ratchet non rispose e si avviò silenziosamente con Ironhide poco fuori dalla città.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3


 
          Viaggiare per oltre tre ore su un veicolo medico ricavato da un mezzo dei pompieri non era di certo l’esperienza più piacevole di sempre, anche se il senso di colpa per quello che era successo ai due ragazzi e Bumblebee la teneva sufficientemente distratta tanto da non prestarci molta attenzione.
Anche se lo spavento era passato da parecchio, la fastidiosa pressione all’altezza del petto che le comprimeva i polmoni e le seccava la gola c’era ancora, quella silenziosa ma pesante presenza di malessere che non le permetteva di concentrarsi su nient’altro se non rimuginarci sopra.

            Ratchet non aveva detto nulla da quando erano partiti dopo l’ordine di Prime di raggiungere un punto da cui poter vedere i dati incisi sugli occhiali, aveva tenuto sotto controllo i livelli di stress di Max e iniziava a provare una sincera preoccupazione per la ragazza. Nonostante la curiosità era sempre diffidente verso quelle creature umane che sembravano talmente ignoranti della crudeltà che erano capaci di dimostrare senza saperlo, eppure con quell’umana dimostratasi tanto accorta nei loro confronti non riusciva a provare lo stesso disprezzo.
Max aveva mostrato empatia sin dal primo momento, meravigliata dalla loro anatomia e dal loro funzionamento, li aveva trattati come esseri viventi, non come meri oggetti animati. Incuriosita e decisa anche ad aiutarli senza troppi riguardi e ora era in preda all’angoscia.
Non era stata lei quella a venire catturata ma ne soffriva allo stesso modo.
            «Cosa porti con te? Sento la presenza di qualcosa di molto elaborato» esclamò Ratchet di punto in bianco, fece sobbalzare Max quando sentì la sua voce tramite gli speaker, colta in fallo mentre pensava.
La ragazza si guardò per un attimo attorno spaesata pima di cogliere il motivo di quella domanda e iniziare a rovistare nella propria borsa, seguita attentamente da Ratchet che ne osserva curiosamente i movimenti.
            «Progetti... Perlopiù... E poi c'è questo» disse sovrappensiero mentre spargeva sul sedile anteriore pezzi di carta e fogli pieni di scarabocchi e piccoli appunti ai margini, tirando poi fuori un piccolo contenitore metallico grossolanamente rifinito.
            «Funziona?»
Max scosse la testa.
            «Era un prototipo quando volevo provare a dare una fonte di energia più duratura a Switch, ma non ho le stesse risorse di Tony Stark quindi non credo che funzionerà mai» disse sconsolata.
            «Tony Stark?»
La ragazza rise al tono confuso dell’Autobot.
            «È un fumetto, aveva progettato un reattore in grado di produrre energia praticamente infinita. Ma non ho possibilità di trovare del Palladio, e comunque dubito funzionerebbe lo stesso. Ho modificato un po' quel progetto ed è uscito fuori questo, ma è solo un ammasso di latta se non so con cosa alimentarlo» ed era vero, il progetto si ispirava al reattore Arc ed era nato da una serata di noia dopo l’ennesimo tentativo fallito di Switch di riuscire a ricaricarsi autonomamente grazie al piccolo pannello solare sul suo dorso.
            Il piccolo involucro metallico era grande quanto il palmo della mano di Max, un cono dalla punta tagliata e costruito interamente in lega metallica. Sulla sommità c’erano sei piccole bobine in rame dispiegate ordinatamente e avvolte attorno alla piastra superiore che lasciava il centro scoperto e mostrando la cavità interna; la parte inferiore invece si restringeva ed era percorsa da una griglia metallica per la dissipazione di eventuale calore generato.
Il problema di base era molto semplice, mancava una fonte di energia adatta ma non essendo molto ferrata in scienze aveva semplicemente accantonato quel piccolo oggetto metallico.
            «Dove andiamo?» domandò finalmente Max dando un’occhiata attorno a sé ma vedendo solo il deserto del Nevada a circondarli.
            «Un posto dove poter rintracciare la posizione dell’AllSpark. Serve un luogo lontano da occhi umani»
            Certamente il tetto di un osservatorio in mezzo al deserto era una scelta scontata, ironicamente Max si diede dell’idiota per non averlo capito prima. Silenziosamente però scese dal veicolo e aspettò che Ratchet e gli altri riprendessero la loro forma bipede, notando con amarezza l’assenza di Bumblebee.
Strinse a sé il piccolo Switch e cercò un modo per raggiungere gli altri Autobot che non avevano avuto alcun problema a raggiungere il tetto di quell’edificio completamente bianco e anonimo. Fu Jazz ad accorgersi dell’assenza della piccola umana e guardando giù notò anche come nessuno di loro avesse pensato a lei, troppo presi dalla necessità di trovare l’AllSpark.
            «Serve una mano, lil’miss?» esclamò l’Autobot porgendo il palmo della mano a Max che ricambiò con un enorme sorriso, salendo timidamente sulla mano metallica e assicurandosi per non cadere quando Jazz si arrampicò agilmente su per l’edificio.
            «Grazie, Jazz» ringraziò a bassa voce Max mettendo un piede a terra, silenziosa per non disturbare la discussione tra Optimus e Ironhide, che le diede un’occhiata di sbieco prima di tornare alla conversazione.
Max non se la prese per quella così poca considerazione, dopotutto era lei quella di troppo in quel momento, capitata lì per caso. Non le era difficile capire i loro sentimenti ma allo stesso tempo non poteva immaginare lo strazio nel perdere il proprio pianeta natale, la propria casa. Il concetto stesso di un posto da chiamare casa le era quasi totalmente sconosciuto, dopo essere stata sbattuta qua e la da cinque famiglie adottive diverse e senza durare più di un anno in ciascuna.
            Era questo che non sopportava, loro, tutti loro, una casa ce l’avevano… un posto in cui tornare, una famiglia forse e invece erano chissà quanti secoli che combattevano una guerra che li stava logorando senza pietà. Se l’AllSpark era l’unico modo per mettere fine a quella guerra e permettere loro di ricostruire Cybertron, Max si ripromise che li avrebbe aiutati. Ognuno di loro aveva perso molto e lei si sarebbe assicurata che il Cubo sarebbe ritornato nelle loro mani, Optimus e tutti gli Autobot dovevano mettere un punto a quella guerra.
            Il sole stava sorgendo timidamente all’orizzonte e Max dovette trattenere uno sbadiglio visto quanto poco fosse riuscita a dormire la notte prima, nonostante i diversi tentativi di Ratchet, proprio non era riuscita a scrollarsi di dosso il rimorso per aver lasciato catturare Bumblebee e gli altri. Strinse il piccolo Switch a sé, al sicuro tra le sue mani che emise un piccolo verso metallico non riuscendo a muovere nessuna zampa mentre gli Autobot continuavano quella discussione.
            : Sono una razza violenta e primitiva, perché combattere per loro?, il tono di Ironhide era duro, non accettava lasciare che degli umani potessero fare qualsiasi barbaria venisse loro in mente al povero Bumblebee. Non finché loro avrebbero potuto impedirlo, oggettivamente la cosa non era affatto difficile per loro ma Optimus, nella sua lungimiranza, comprese bene le conseguenze di tali azioni e reazioni.
            : Sono una razza giovane, hanno ancora molto da imparare e la loro libertà, come la nostra, è il diritto di ogni essere senziente.
            «Non sono una razza in grado di accumulare interi cicli stellari di esperienza come noi, hanno una durata media di meno di un centinaio di cicli della loro stella principale. Sono statisticamente più ingenui» fu Ratchet il primo a parlare finalmente in una lingua compresa anche da Max, che rivolse all’Autobot un piccolo sorriso di ringraziamento che lui ricambiò con un cenno.
Per quanto fosse difficile per una creatura che era in grado di vivere esponenzialmente per millenni, meno di un secolo terrestre era un lasso di tempo veramente breve e non realmente quantificabile. E Max non si sorprese per quell’atteggiamento tanto istintivo da parte di Ironhide, anche se non capiva praticamente nulla di quello che stavano dicendo: il Cybertroniano era una lingua troppo veloce e complicata per poter anche solo captare tutti i suoni, figurarsi decifrarne il senso.
            Tutti loro sembravano più o meno provati dalla guerra infinita che stavano combattendo contro quei Decepticon, una guerra intestina contro i loro stessi fratelli. Non li biasimava certo per il rancore che stavano provando nel lasciare indietro Bumblebee, uno della loro stessa squadra, nelle mani di quegli agenti federali. Gli esseri umani sapevano dimostrare crudeltà oltre ogni limite concepibile.
            «Se non riuscirò a sconfiggere Megatron, unirò l’AllSpark alla mia scintilla» dichiarò solennemente Optimus aprendo sul petto la camera di contenimento dove risiedeva la loro scintilla vitale.
Max osservò estasiata quel piccolo globulo luminoso che sembrava emettere la stessa energia e calore di una stella, racchiusa e protetta nei petti di ogni Cybertroniano. Era quello che le aveva descritto Ratchet la notte prima, quando erano ancora tutti nel giardino di Sam cercando gli occhiali.
La sua curiosità voleva prendere il sopravvento, chiedere tutte le migliaia di domande che le stavano venendo in mente ma, in quel momento, dovette tenere a freno la lingua: c’erano questioni più urgenti che quella di soddisfare la sua infantile curiosità.
            «Questo è un suicidio, Optimus» fu l’ovvia protesta di Ratchet, uno dei suoi più vecchi amici.
Optimus non replicò, sapendo come ognuno di loro tenesse a lui. Non poteva permettersi di lasciarsi andare ai sentimentalismi quando una così grande responsabilità gravava sulle sue spalle da secoli, e la minaccia dei Decepticon doveva giungere ad una fine, in un modo o nell’altro.
Spostando lo sguardo, Optimus alzò la mano che teneva precariamente tra la punta di due dita gli occhiali del capitano Witwicky: le lenti sporche e segnate dal tempo ma marchiate indelebilmente del codice che avrebbe condotto tutti loro alla posizione dell’AllSpark.
            «Secondo il codice su questi occhiali… L’AllSpark si trova a circa duecentocinquanta miglia umane da qui» esclamò Optimus attivando l’ologramma generato dagli occhiali stessi.
Un enorme globo fiocamente illuminato d’azzurro che riproduceva la Terra, alcune coordinate erano in evidenza mentre quella simulazione roteava lentamente su sé stessa.
Max aggrottò la fronte ripensando a cosa c’era nelle vicinanze. Non era mai stata una cima in geografia e oltre l’immenso e desolato deserto del Nevada per un attimo pensò che il cubo fosse seppellito tra qualcuna di quelle dune. Un oggetto di quella importanza non poteva essere semplicemente disperso in quel deserto, ma poi si ricordò, in effetti qualcosa c’era in quella zona: Hoover Dam.
            «Ratchet – richiamò la sua attenzione a bassa voce, sentendo lo sguardo del medico Autobot su di sé, -sapresti collegarti ad uno dei sistemi di localizzazione satellitare che utilizziamo noi umani?»
L’Autobot annuì come se fosse la cosa più semplice al mondo prendere controllo e infiltrarsi nei satelliti militari e non utilizzati dagli Stati Uniti: quantomeno per loro era uno scherzo, la tecnologia umana non era particolarmente avanzata per loro.
            «Più a Nord di qui dovrebbe esserci una diga. Una bella enorme» per un attimo Max colse lo sguardo confuso di Ratchet, probabilmente a quel termine a loro sconosciuto ma con una rapida ricerca lui capì cosa intendesse dire l’umana.
Un altro cenno d’assenso confermò la richiesta di Max, «Ce n’è una a Nord-Est da qui. Duecentosessanta miglia umane. Come lo sapevi?»
            «Progetto di scienze. La mia conoscenza della geografia e senso dell’orientamento sono veramente pessimi ma quella diga è stata l’unica cosa che mi ha salvata dal ripetere l’anno. Un evento del genere non lo dimentichi» spiegò lei con una punta di imbarazzo mentre sentì Jazz alle sue spalle ridacchiare divertito.
Alle volte gli umani sapevano rivelarsi utili.
Dopotutto, erano creature piene di sorprese.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4
 


          «E adesso?»
Ratchet rimase per qualche secondo in silenzio prima di risponderle, «Andiamo a prendere l’AllSpark. È quello che avrebbe voluto Bumblebee» aggiunse quelle ultime parole in modo incerto, notando i livelli alterati di Max che non era stata molto loquace in quelle ore di viaggio.
            Tutti gli Autobot seguivano in fila Optimus che avanzava a grande velocità sull’autostrada in pieno deserto, sotto il sole cocente del Nevada che in quel momento disturbava i vani tentativi di Max di provare a riposare qualche minuto. Non aveva chiuso occhio negli ultimi giorni e la stanchezza la stava consumando, ma la preoccupazione per Bumblebee le si era ancorata in un pesante groppo in gola e non voleva lasciarla andare.
            Non si accorse neanche del fastidioso rumore di statico che la radio di Ratchet emise, cogliendo invece di sorpresa il piccolo Switch che sul sedile accanto era in ricarica.
            «Here I am, This is me...» Max si rizzò a sedere con uno scatto, presa di sorpresa da quella canzone sparata all'improvviso all'interno del veicolo. Non fece in tempo a chiedere cosa gli fosse preso a Ratchet che l'Autobot l'anticipò nel momento in cui un potente rombo di motore li raggiunse in lontananza.
            «È Bumblebee dal comlink»
Max alzò la testa quando scorse in lontananza una Camaro gialla sfrecciare nella loro direzione e superarli senza troppe cerimonie, un alone di giallo e a seguito altri due veicoli corazzati militari a poca distanza.
            «Bee, se volevi farmi piangere- esclamò Max, reggendosi e tenendo stretto a sé Switch quando gli Autobot fecero una brusca inversione di marcia, -ci sei riuscito»
            «There's nowhere else on Earth I'd rather be» la colonna sonora che tanto amava risuonò nuovamente nelle casse dell’impianto audio e in quel momento Max non riuscì a trattenere un paio di lacrime. Se per la felicità di sapere che il suo amico stava bene o se per la canzone, non seppe dirlo, mentre si asciugava le guance col dorso della mano, rimettendo sul sedile posteriore il pover Switch.
            Ratchet non disse nulla, sentendo i cinguettii metallici di Bumblebee, preoccupato per averla fatta piangere. Nessuno dei due Autobot aveva ancora visto un essere umano che mostrasse tanto le proprie emozioni, che non si vergognasse ad esternarle in un modo tanto spontaneo e ingenuo.
            «Hai fatto preoccupare Bumblebee»
            «Cosa -dovrei essere io quella preoccupata per lui!» esclamò Max presa in contropiede.
Sentì di nuovo quella sensazione di solletico attraversarla da testa a piedi prima che Ratchet le rispose, dopo averla analizzata con i suoi scanner, «Perdi lubrificante, per questo si preoccupa. Anche se non hai nulla di anomalo»
            «Sono lacrime di gioia, Ratchet. Non sempre si piange quando qualcosa non va» spiegò con pazienza la ragazza sentendo qualche commento in Cybertroniano da parte dell’amico su cui viaggiava.
            La città più vicina era ora a pochi chilometri di distanza e Max non la smetteva di torturarsi le unghie delle dita dall’ansia, anche se erano finalmente tutti insieme e con l’AllSpark. Aveva l’orribile peso sul petto che le impediva di respirare tranquillamente, l’istinto che le urlava come tutto sembrava troppo facile.
Il sole non picchiava con la stessa intensità del giorno prima e il cielo era totalmente sgombro di nuvole, ma la sua attenzione venne distolta quando sentì alcuni forti rumori provenire dalla strada dietro di lei.
            Max girò la testa e vide come un enorme mezzo corazzato si stava facendo strada sul cavalcavia, scaraventando di lato qualsiasi veicolo gli capitasse di fronte e avanzando a grande velocità verso di loro. La radio di Ratchet emise alcuni versi metallici, il comlink tra gli Autobot e in un istante l’imponente semirimorchio di Optimus finì in coda agli altri, ingaggiando uno scontro con quello che doveva essere Barricade.
            I militari che li accompagnavano erano dispiegati in un blocco improvvisato e attorno alla Camaro e ai due ragazzi c’erano gli altri Autobot, pronti ad intervenire. Optimus era scomparso poco prima che gli altri entrassero a Mission City ma dal comlink avevano capito che era salvo, in quel momento il problema erano i Decpticon in arrivo.
Mentre Sam stringeva il piccolo cubo al suo petto, Mikaela era al suo fianco e nessuno dei due sapeva dove guardare. I rinforzi aerei richiamati da uno dei soldati erano in dirittura d’arrivo e il fragore del motore udibile anche a quella distanza.
            «Ratch… -riuscì a malapena a dire Max una volta che tutti furono arrivati nel pieno della strada principale, -ho paura»
Max non riuscì a sentire quello che Ratchet le disse a causa dell’urlo di Ironhide che mise tutti sull’attenti e nell’arco di un paio di secondi la terra le mancò sotto i piedi.
            La testa le pulsava pesantemente, oppure erano i polmoni completamente svuotati da ogni traccia di ossigeno. Dovette stropicciarsi gli occhi col dorso della mano insanguinata prima di riuscire a mettere a fuoco quello che era intorno a lei, con un gemito rotolò su un fianco e tirò un sospiro di sollievo quando sentì tutti gli arti al loro posto.
Le orecchie le fischiavano insistentemente e riuscì a malapena a scorgere la figura scaraventata in lontananza di Bumblebee, buttato contro il camion dietro di lui dopo l’impatto con la bomba lanciata da uno degli aerei che stava sfrecciando tra i palazzi.
            Max scostò a malapena la testa trovando a poca distanza la propria borsa e qualcosa muoversi al suo interno, arrancando fino a prenderla quasi le vennero le lacrime notando la figura di Switch appena uscito dalla ricarica, ancora intatto, per la maggior parte almeno. Con uno sforzo raggiunse Sam e Mikaela, a meno di una decina di metri da lei.
            «Avanti Bee, andiamo!»
I versi di dolore di Bumblebee le riempirono le orecchie, ancora fischianti a causa della troppa vicinanza con l’ultima esplosione lanciata dal Decepticon. Vide di sfuggita come Sam cercava di far avanzare l’Autobot che arrancava sulle proprie braccia e ignorò attorno a lei il caos di civili che fuggivano in preda alla paura e al panico.
            «Bumblebee…» singhiozzò a bassa voce Max, ingoiando il groppo di lacrime che sentì pronte ad uscire.
Il dolore che aveva in ogni parte del corpo sembrò improvvisamente attutita, smorzata alla vista di com’era ridotto il povero Bumblebee, dove l’intera parte inferiore era saltata assieme all’esplosione.
            Max avanzò di qualche passo, venendo notata da Bumblebee che emise qualche metallico cinguettio di sollievo nel vederla salva e solamente ferita in modo superficiale. Le orecchie ancora le fischiavano ma non era quella la sua preoccupazione principale.
Abbandonando la propria borsa vicino uno degli enormi detriti dei palazzi, dopo aver preso quei pochi attrezzi che portava dietro, si diresse a controllare più da vicino quello che le sembrava essere il danno peggiore.
            Lì c’era una pesante perdita di Energon, quel liquido verde così importante per la sopravvivenza dei cybertroniani, si stava riversando con troppa velocità sull’asfalto distrutto. Probabilmente come l’equivalente di un’emorragia per un essere umano, ma Max non aveva alcuna conoscenza medica ma riparare componenti meccanici e robotici era quello che faceva da una vita e non avrebbe di certo lasciato l’Autobot al suo destino.
In parte ignorò e neanche si accorse di Sam che sembrò richiamarla più volte, troppo assorbita dal cercare la soluzione più veloce per interrompere la fuoriuscita di Energon. Dovette fare in modo che Bumblebee stesse il più fermo possibile mentre lei si arrischiava tra quelle parti lacerate di metallo alieno, di ciò che rimaneva delle sue gambe: mentre la destra era stata strappata via quasi fin all’attaccatura del busto, la sinistra era ancora funzionante fino alla giunzione con il ginocchio.
            Individuato il punto di fuoriuscita, due tubi di diverso diametro che fuoriuscivano  da quello che rimaneva della gamba destra, non esitò a cercare di forzare alcune delle lastre di metallo ancora attaccate penzoloni al corpo di Bumblebee per tentare di comprimere quanto più possibile i due tubi.
Fallendo nel primo tentativo provò con diversi attrezzi a cercare di strozzare invece la fine del tubo ma quando parte dell’Energon le schizzò sulle braccia, si ritrasse immediatamente.
            Dovette mordersi l’interno guancia per non emettere un gemito di dolore strozzato a causa del bruciore che provò al primo contatto, sembrava olio bollente gettatole sulle braccia senza preavviso. Non poté però perdere tempo a controllare i danni quando la vita di Bumblebee era sul filo del rasoio.
L’unica cosa a cui penso prima di ributtare la sua attenzione su quello che sarebbe stato un lavoro estenuante, fu solo quella di sperare che tutti sarebbero stati in grado di uscirne vivi da quel disastro.

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


CAPITOLO 5
 


            Bumblebee era finalmente sistemato, i resti delle gambe non perdevano più Energon e Max era riuscita più o meno a contenere i danni per il giovane scout. Per la gamba destra non c’era molto che poté fare, il resto si era totalmente distaccato mentre per la sinistra riuscì in qualche modo a riassettare alcuni meccanismi di giunzione. Anche se non era saldo abbastanza da reggere il peso dell’Autobot, non avrebbe rischiato di perdere altri pezzi in giro per la città o contro qualche Decepticon se non ingaggiava altri combattimenti.
Sentiva le braccia bruciare al contatto con l’Energon e le ferite aperte non aiutavano di certo ma non disse nulla e continuò a lavorare sull’Autobot fin quando Mikaela non arrivò aiutando Sam a fissare Bee sul carro attrezzi dandogli modo di continuare a fare fuori qualche Decepticon.
            «Aiutatemi a legarlo» esclamò la ragazza ricevendo un cenno d’assenso da parte di Sam che non perse tempo a darle una mano mentre Max rivolse un piccolo sorriso d’incoraggiamento a Bumblebee che non voleva saperne di arrendersi.
Il piano era semplice, Sam avrebbe consegnato l’AllSpark ai militari mentre Ironhide e gli altri gli avrebbero guardato le spalle dagli altri Decepticon.
Facile.
Qualcosa però doveva essere andato storto.
            Megatron era sbucato dal nulla dopo che Mikaela aveva iniziato a guidare in retromarcia tra le macerie per strada mentre Bumblebee sparava ogni colpo possibile con i propri cannoni, il Decepticon invece aveva afferrato e preso di mira Jazz che, nonostante il coraggio, non poteva fare molto nella imponente differenza di stazza tra i due.
Max aveva semplicemente cercato di seguire a breve distanza Sam che, paradossalmente, era quello più distante dal centro caldo della battaglia. Ma anche lì la fortuna non sembrava girare a loro favore e in poco tempo entrambi i ragazzi persero di vista anche Ironhide e Ratchet che lì avevano preceduti fino a quel momento.
            La testa di Max pulsava terribilmente, mentre la pressione alla base della nuca le rendeva la vista sfocata a più riprese e fu solo dopo poco più di una corsa di tre isolati che anche lei perse di vista Sam. Il caccia che li aveva bombardati all’inizio lì aveva nuovamente colpiti e scaraventati distanti l’uno dall’altra, facendoli separare.
Nonostante tutto però Max sì rialzò di nuovo, fallendo un paio di volte quando sentiva le gambe cedere sotto il proprio sforzo, serrò la mascella e proseguì verso il grattacielo dove erano diretti entrambi.
Qualcosa però catturò la sua attenzione ma non era un Decepticon. O meglio, non ne era sicura.
            Una creatura dalle sembianze di un Cybertroniano  in miniatura era a ridosso del marciapiede e girava la testa da una parte all’altra, confuso. Quello sparkling appena nato era alto a malapena da arrivargli al ginocchio, nonostante l’inizio aggressivo si era rapidamente acquietato quando aveva percepito che Max non era una minaccia, anzi, era quasi più terrorizzata di lui.
            «Non ti faccio nulla, andiamo» esclamò lei cercando di mantenere un tono pacato anche se aveva una certa urgenza di muoversi da lì.
Lo sparkling emise qualche rapido verso in Cybertroniano ma mise giù le armi che aveva tirato fuori inizialmente.
            «Andiamocene prima che ci trovino i Decepticon, dai» e con quello lo sparkling si avvinghiò sulla sua spalla e Max non perse tempo dirigendosi verso il punto in cui aveva visto cadere a terra il corpo senza vita di Jazz.
            In quelle condizioni non sarebbe stata di alcun aiuto a Sam o ai militari e provò a rendersi utile in qualche altro modo.
Svoltò l’angolo quando vide ciò che rimaneva del suo amico, due pezzi abbandonati in mezzo alla strada, ricoperti di fuliggine e bruciature di esplosione. Sfregò con forza gli occhi che iniziavano a lacrimare rendendole la vista offuscata, combatté alcuni singhiozzi strozzati e si avvicinò al corpo metallico.
            L’Autobot era riverso a terra e al contatto il metallo era freddo, senza vita. Gli occhi completamente spenti senza l’innaturale luce azzurra ad illuminarli, gli rimandavano uno sguardo vuoto come se fosse un semplice ammasso di rottami.
            Max singhiozzò più forte portando le mani davanti la bocca nel tentativo di fermare quel pianto isterico. Non aveva fatto nulla per impedire a Megatron di uccidere Jazz, continuava a ripetersi che avrebbe potuto fare qualcosa ma era rimasta lì, ferma. Aveva guardato impietrita mentre il corpo del suo amico veniva diviso in due e gettato via come un vecchio giocattolo rotto.
I deboli ronzii metallici dello sparkling sulla sua spalla la distrassero un attimo, osservandolo mentre si arrampicava con lentezza sul corpo dell’Autobot, si fermò solo quando raggiunse il suo petto e lì si girò verso Max emettendo altri suoni che la ragazza colse a malapena. Max provò a decifrare cosa stesse dicendo quel piccolo Cybertroniano e solo in quel momento colse il motivo della sua arrampicata fin lì.
            Rapidamente si ritrovò anche lei sul corpo, apparentemente, senza vita di Jazz, premendo le mani sul metallo del suo enorme petto però il suo volto si illuminò tra le lacrime che le rigavano le guance.
Il metallo era tiepido, lì c’era ancora qualcosa del suo amico.
            Dalla borsa che portava a tracolla tirò fuori un paio di attrezzi e tentò in ogni modo di spostare la placca di metallo che proteggeva il suo corpo e dopo qualche tentativo fallito, ci riuscì. Lì c’era un piccolo antro che conteneva qualcosa, dove tutti i terminali che portavano l’energia nel suo corpo partivano da lì.
 
“È considerabile come il vostro “cuore” umano”
 
La scintilla di Jazz. Il suo cuore, la sua anima.
            Era lì, fiocamente pulsava nel suo petto mentre moriva in modo lento a causa dei gravi danni che aveva subito. Max ne percepiva l’enorme energia che le avrebbe disintegrato una mano se solo avesse provato a prenderla e allora tentò di pensare ad un modo per portarla via da lì.
Il suo progetto. L’esperimento fallito di dare una fonte di energia a Switch.
            Era lì, nella sua borsa, quel contenitore di metallo che aveva considerato inutile fino a quel momento se non come mera riproduzione del reattore Arc del suo eroe Marvel preferito. Lo prese dopo aver rovistato freneticamente tra le sue cose, lo tenne in mano rigirandoselo alla ricerca di una soluzione.
            Mise da parte la paura e aprì il contenitore metallico dopo aver tolto un paio di viti che ne assicuravano la parte superiore, tese la mano con cautela verso la scintilla che era decisamente più piccola rispetto alla camera che la ospitava e aspettò un attimo. Anche lo sparkling rimase curioso al suo fianco mentre osservava quel contenitore che l’umana aveva tra le mani, non arrischiandosi neanche lui a toccare la scintilla che lo avrebbe probabilmente fuso viste le alte temperatura che poteva raggiungere.
            «Avanti, Jazz -supplicò con la voce rotta dal pianto che minacciava di ricominciare, -Ratchet ha detto che la scintilla è il vostro cuore, no? Quindi sei ancora vivo, non puoi far vincere Megatron» avvicinò un po’ di più il piccolo contenitore e si morse il labbro quando sentì la pelle delle braccia tirare e sanguinare a causa delle ustioni.
La scintilla rimase immobile e solo dopo qualche secondo Max la vide oscillare lievemente prima che uscisse dalla cella di protezione in cui era stata e posarsi con delicatezza all’interno del contenitore metallico. Rischiuse l’involucro e se lo tenne stretto al petto asciugandosi le lacrime con la mano sporca del suo stesso sangue.
            «Grazie. Ora cerca di resistere finché non ti porto da Ratchet» mormorò sentendo il calore della scintilla tra le proprie mani.
Lo sparkling al suo fianco gracchiò un paio di volte prima di trasformarsi e prendere la forma di un portatile che Max sistemò velocemente nella borsa scendendo come poté dal corpo di Jazz. Mise un piede in fallo e cadde sull’asfalto con un tonfo, girandosi appena in tempo sulla schiena per impedire che la scintilla subisse ulteriori danni.
            I polmoni si svuotarono con l’impatto e Max rimase per qualche attimo con lo sguardo rivolto al cielo mentre sentiva la testa pulsare ferocemente, il cuore battere all’impazzata nel suo petto e sentiva bruciare ogni suo muscolo. La scintilla era tiepida nonostante le mani e le braccia completamente rovinate, sentiva quel calore che le fece tirare un sospiro di sollievo mentre rotolò su un fianco tentando di rialzarsi.
            Le macerie erano dovunque e anche i resti dei Decepticon che giacevano immobili a terra sparsi in giro per le strade deserte. Non aveva più sentito alcuna esplosione e per un attimo sperò che Optimus avesse vinto la sua battaglia contro Megatron ma non poteva fermarsi, se avesse smesso di correre era certa sarebbe crollata a terra sfinita.
Svoltò un paio di edifici e finalmente trovò il punto dove si erano radunati gli altri Autobot, Optimus in piedi che sovrastava il cadavere di Megatron e Bumblebee vicino agli altri esseri umani mentre era ancora attaccato al retro del carroattrezzi. Scorse anche Ironhide e Ratchet con tutti gli altri e tirò un sospiro di sollievo, rallentando impercettibilmente il passo.
            Chiamò gli Autobot a gran voce o almeno ci provò ma non sentì nessun suono uscire dalla sua bocca se non un flebile rantolio, la gola le bruciava terribilmente anche se non ricordava di aver urlato. Il fiato era corto e iniziava a sentire le gambe intorpidite, sempre meno sensibili anche le braccia al calore della scintilla che teneva stretta al petto.
            Riuscì a fare solo un’altra decina di passi prima che le gambe cedettero e si ritrovò a terra, la tempia sinistra che aveva cozzato contro l’asfalto facendola gemere di dolore. Sentì a malapena dei cinguettii metallici e un movimento provenire dallo sparkling che era al sicuro nella sua borsa prima che anche la vista le si offuscasse, perdendo i sensi.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


CAPITOLO 6
 


            Megatron era morto, caduto per mano del coraggio di Sam che aveva trovato un modo per impedire il sacrificio di Optimus e per questo l’Autobot era immensamente grato a tutti gli esseri umani che in quel giorno aveva combattuto al loro fianco con coraggio. Avevano sacrificato anche loro qualcosa ma la prospettiva di una pace duratura e la fine di ogni imminente conflitto alieno sul loro pianeta era stato un ottimo incentivo per mettersi in moto in quell’impresa.
            Bumblebee voleva rimanere con Sam e con i processori vocali ancora danneggiati aveva rispettosamente espresso quel suo desiderio, cui il ragazzo aveva immediatamente accettato; gli altri soldati erano tutti vivi seppur ammaccati qua e là, stessa cosa per gli Autobot che non versavano in condizioni migliori.
            Fu quando Ironhide tornò da loro con in mano i due pezzi in cui il corpo di Jazz era stato diviso che l’appena ritrovata leggerezza svanì, Optimus guardò con dolore i resti smembrati di uno dei suoi più fidati amici ma rimase perplesso quando notò tracce di manomissione sul petto dell’Autobot.
I suoi scanner erano perfettamente funzionanti e nonostante nel petto di Jazz non vi fosse più alcuna traccia, la sua scintilla era ancora da qualche parte, anche Ratchet ne avvertiva l’energia e scandagliò rapidamente l’area circostante quando individuò un movimento ad una decina di metri da loro. Non attivò le armi poiché non proveniva da lì alcuna minaccia.
            «Uno sparkling?» Ratchet era sorpreso, erano secoli che tutti loro non vedevano uno sparkling e probabilmente era frutto degli ultimi istanti prima che l’AllSpark venisse definitivamente distrutto.
Il piccolo Cybertroniano aveva raggiunto i tre Autobot che lo guardavano incuriositi e nei pochi e frenetici gesti per cogliere la loro attenzione lo sguardo di Ratchet sfrecciò verso il fondo della strada dove si trovavano, una minuta figura riversa a terra colse la sua attenzione e da lì sentì provenire anche l’inconfondibile energia del loro amico.
            Era viva… ma respirava a malapena, aveva perso conoscenza e Ratchet passò i suoi scanner una volta dopo l’altra cercando di capire cosa stesse succedendo al suo corpo. I suoi organi interni erano prossimi al collasso e la frequenza del suo cuore era a livelli altissimi, faticava a capire come ancora facesse a sostenere un simile sforzo prolungato.
Optimus al suo fianco si inginocchiò e con delicatezza la prese in mano portandola dove c’erano anche gli altri e dove Bumblebee girò immediatamente la testa sentendo i pesanti passi dei due Autobot. Un piccolo contenitore metallico era stretto tra le sue mani e Prime quasi non credette ai suoi sensori quando avvertì la rassicurante presenza provenire da quella microscopica cella di contenimento.
            La scintilla di Jazz era lì. Debole, fioca ma ancora in funzione. Al sicuro in quel contenitore non avrebbe rischiato di spegnersi e questo provocò un moto di sollievo in tutti i cybertroniani.
            : Ratchet, c’è un modo per aiutarla?, la voce di Optimus aveva un tono grave e anche il medico Autobot sentì la sua preoccupazione per la vita di quella fragile umana che aveva rischiato senza pensarci due volte, solo per provare a salvare uno di loro.
            : L’organo che pompa nel suo corpo è gravemente danneggiato. Continua a perdere sangue e c’è una probabile contaminazione da Energon, Optimus, la situazione era particolarmente disperata e i ronzii metallici di Bumblebee erano il chiaro segno della sua preoccupazione, così come quella di tutti gli altri Autobot.
            : Ha fer…fermato la perdita di… di Energ…n quando Starscream, non servì aggiungere altro, Bumblebee si sentiva in colpa e continuava a pensare di essere stato lui la causa del malessere di Max.
Nel tentativo di fermare la fuoriuscita di Energon dalle sue gambe, la ragazza si era messa in pericolo senza prestare la minima attenzione alle sue ferite dopo l’attacco del Decepticon.
            Tra i militari non c’erano state ingenti perdite e quello che rimaneva del Cubo non era altro che un frammento, preso in custodia dai militari con il benestare di Optimus che decise di dare fiducia agli esseri umani. Sam e Mikaela invece erano stati trasportati nell’ospedale più vicino e dimessi poco dopo solo con qualche graffio o ferita meno grave, mentre di Max i due non avevano più avuto notizie.
            : Sopravviverà?, la domanda era arrivata tramite il comlink, dopo aver passato l’intera nottata a lavorare su quell’acerbo progetto.
Ratchet emise un sospiro.
I suoi scanner non mentivano.
            : L’Energon non ha procurato danni eccessivi, fu l’unica risposta che Optimus ricevette mentre mostrava anche lui preoccupazione per la sorte di quella fragile umana che aveva rischiato la propria vita per Jazz.
La sua scintilla era al sicuro mentre il corpo dell’Autobot era in corso di riparazione, non appena fosse stato pronto avrebbero rimesso la scintilla al suo posto e avrebbero scoperto se Jazz sarebbe sopravvissuto a quel tentativo disperato di salvataggio. Persino Bumblebee non voleva lasciare Max, fino a che non avrebbe saputo che sarebbe stata bene.
            Due vite erano state salvate da un’umana capitata lì tra loro per caso, e Ratchet neanche credeva di aver trovato un esemplare di quella razza, così primitiva, che invece era stata capace di dimostrare non solo una spiccata intuizione, ma anche un’abnegazione totale verso sé stessa quando era in gioco la vita di qualcuno.
E in quel momento ne stava pagando le conseguenze, specialmente quando il suo cuore si era fermato per l’ennesima volta quella notte mentre l’Autobot cercava un modo di farla sopravvivere alla contaminazione di Energon.
            Un piccolo cinguettio metallico distrasse Ratchet che abbassò lo sguardo verso il piccolo Switch tenuto in mano dallo stesso sparkling che lo aveva avvisato della posizione di Max a Mission city. I due erano stati portati in vita prima che l’AllSpark andasse perduto ed erano terribilmente preoccupati per le sorti di Max.
Nessuno dei due riusciva a parlare ancora, e lo sparkling emetteva solo qualche verso in cybertroniano.
            La scintilla di Ratchet si contrasse dolorosamente, e lo sguardo saettò verso il corpo di Max, intubato e indotto in uno stato comatoso. Passò ripetutamente i suoi scanner e per un momento fu sollevato di notare i valori che, lentamente, tornavano alla normalità anche se la sua temperatura corporea era ancora pericolosamente alta rispetto al solito.
Poi lo sguardo gli cadde sul suo petto, poco sotto la clavicola sinistra e sopra il seno coperto, dove prima batteva il suo cuore. Un involucro metallico era saldamente ancorato all’interno della sua cassa toracica e da cui fuoriusciva solo una placca metallica che si fondeva con la pelle circostante, livida per l’intervento di poche ore prima e tutto pesantemente bendato da garze sterili.
            Quello era stato un azzardo, una mossa dettata per la maggior parte dalla disperazione e finché non si sarebbe svegliata non c’era verso di capire quali sarebbero state le conseguenze.

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


CAPITOLO 7
 


            Respirava, questo era già un buon segno.
Non ricordava molto, le ultime cose a cui pensava erano solo un ammasso di ricordi e pensieri confusi che si intrecciavano e le sfuggivano ogni volta di mente. Non riusciva a concentrarsi su un pensiero fisso e a seguirlo. La gola le bruciava terribilmente e qualcosa all’altezza del petto era dolorosamente caldo, sentiva di andare a fuoco dall’interno.
            «Calmati, calmati» la voce familiare di Ratchet le giunse alle orecchie e Max tentò di aprire gli occhi combattendo la spossatezza che sentiva in ogni fibra del corpo.
            Faticosamente socchiuse le palpebre e le sbatté un paio di volte abituandosi alla fioca luce della stanza, che a prima vista non riconobbe. Intravide a distanza la silhouette dell’Hummer in cui era solito trasformarsi Ratchet e la figura di un uomo con dei capelli sul biondo sporco che la guardava apprensivo.
Indossava un camice e nonostante la confusione le parve quasi infantile come lo associasse alla figura del medico degli Autobot ma dovette ricredersi quando, tentando di muoversi leggermente venne fermata dall’uomo.
            «Ti ho detto di calmarti, Max. Non puoi muoverti nelle tue condizioni» la voce era meno rauca, il timbro più caldo e non più metallico com’era abituata a sentire ma era lui. Era inconfondibilmente Ratchet.
Le mani posate sulle sue spalle le impedirono delicatamente di muoversi anche di un solo millimetro, passando poi sulla sua fronte e togliendole dal volto alcune ciocche corvine che erano sfuggite.
Stanca, si abbandonò sul lettino. La gola le bruciava e ogni muscolo sembrava in fiamme.
            Dopo essersi assicurato che non avrebbe tentato di nuovo di muoversi, Ratchet passò in rassegna tutti i suoi valori. Controllò con cura maniacale in particolare la sua temperatura e le braccia che erano coperte da sottili strati di bende, che frizionavano contro la sua pelle e le davano fastidio.
Max, nel frattempo, si guardò intorno stancamente notando come sembravano essere in un ambulatorio da campo, o comunque provvisorio.
            «A parte la temperatura corporea, gli altri valori sono normali… dovresti guarire in poco meno di un mese. Non hai riportato ulteriori ferite rispetto a quelle che ti sei procurata occupandoti di Bumblebee» la voce di Ratchet anche se più umana era risuonata particolarmente dura nell’ultima frase. C’era un sottinteso ammonimento, in particolare nell’occhiata di sbieco che gli rivolse quando Max provò ad accennare un piccolo sorriso di scuse, senza provare a parlare a causa della gola troppo secca e irritata.
            Ratchet però colse un lampo di incertezza negli occhi verdi di Max quando le sembrò per un attimo immersa nei propri pensieri, qualcosa aveva attirato la sua attenzione. La guardò portarsi due dita della mano sulla giugulare, poco sotto la mascella e sgranare gli occhi impietrita.
Non sentiva il suo battito. Sapeva che sul polso a volte non riusciva a sentirlo ma sul collo c’era sempre il regolare, rassicurante pulsare del suo cuore.
Lì non c’era nulla.
            Tremante, Max allungò la stessa mano verso il proprio petto, scostando lo scollo della maglia chiara che indossava e corrucciandosi alla vista di un’enorme garza quadrata che le copriva dalla clavicola al seno sinistro.
Lì era il punto dove si sentiva bruciare. Era debole anche per la sensazione di febbre alta che stava provando in quel momento: il bruciore della gola era esteso anche alle articolazioni, già indolenzite dalla mancanza di movimento. Ogni movimento le costava fatica e il respiro era lieve, ogni volta che incamerava aria era come se respirasse fiamma libera che le entrava nei polmoni. Aria rovente che dalla cassa toracica si espandeva in ogni punto del suo corpo.
            Max dovette sbattere più volte le palpebre per liberarsi dalle lacrime in procinto di uscire che le offuscavano la vista. Rivolse uno sguardo implorante a Ratchet, rimasto in silenzio fino a quel momento e che sospirò nel vederla in quelle condizioni.
Certo non si sarebbe aspettato una reazione migliore ma questo non voleva certo dire che fosse pronto ad affrontare l’emotività umana. Figurarsi quella di una persona come Max che sembrava provare le emozioni con una intensità spaventosa rispetto agli altri esseri umani che l’Autobot aveva avuto modo di conoscere da quando era arrivato sulla Terra.
            «Il calore che senti è un frammento della mia scintilla. L’organo che si occupa della circolazione del vostro sangue era troppo danneggiato dall’Energon… non c’era altro modo per salvarti la vita»
Max aggrottò la fronte a quella parola.
Una scintilla, sapeva che gli Autobot ne avessero una e che fungeva loro da cuore e da fonte primaria di vita. Cosa c’entrava però questo con lei?
            «Quando hai salvato Bumblebee… l’Energon è entrato in circolo nel tuo corpo, consumandolo dall’interno…»
Aveva smesso di prestare attenzione alle parole che l’holoform di Ratchet stava dicendo, osservando assente la sua bocca muoversi ma senza sentire alcun suono provenire da lì.
            Si ritrasse quando Ratchet provò ad avvicinare una mano per tranquillizzarla, Max scosse la testa con forza indicando l’Hummer appena fuori da lì. Il medico Autobot rimase per un attimo in silenzio prima di disattivare l’holoform facendolo scomparire con un flebile rumore di statico, riprese la forma bipede e con attenzione mise un ginocchio a terra guardando Max rannicchiata sul letto mentre singhiozzava.
Avvicinò silenziosamente una mano metallica e sfiorò il più delicatamente possibile la piccola figura di Max con un dito che appena sentì quel flebile contatto provò a fiondarsi sulla sua mano, venne sorretta prontamente vista la debolezza estrema a cui il suo corpo stava facendo fronte tentando di abituarsi al corpo esterno che batteva al posto del suo cuore.
            Quel singhiozzare e le lacrime gli stringevano la scintilla in una morsa dolorosa, sentendosi a disagio per non essere riuscito a fare il possibile per salvare il suo cuore, ora sostituito da un complesso meccanismo in grado di ospitare un frammento infinitesimale della scintilla di un Cybertroniano. Quel fragile involucro organico non sarebbe riuscito a sopportare una tale emissione di energia e non era neanche certo di quanto sarebbe durato tutto quel tentativo di salvarle la vita.
Teneva Max vicina al suo petto, lei rannicchiata nella sua mano al riparo tra le dita leggermente socchiuse mentre vi poggiava contro la schiena, tentando di asciugarsi le lacrime che continuavano ad uscire copiose.
            «Perdonami ma non sono riuscito a fare altrimenti, non c’era nessun altro modo per salvare la tua vita – mormorò Ratchet reclinando un poco il capo, sentendo la propria scintilla contrarsi dolorosamente sentendosi colpevole di essere lui la causa del suo pianto incontrollato, -il tuo corpo sembra reagire bene però…»
            Max scosse la testa e Ratchet ebbe qualche difficoltà a capire cosa stesse dicendo, l’Energon stava causando dei problemi e cambiamenti nel suo corpo che ancora doveva mappare completamente ma l’importante adesso era assicurarsi che la sua vita non fosse in imminente pericolo di morte. Con il dorso della mano si asciugò le poche lacrime che ancora le rigavano le guance arrossate e si schiarì debolmente un paio di volte la gola.
            «No… col…tua» tossì tra una parola e l’altra ma poggiò la mano sul suo petto e strinse la maglia che portava prima di mostrargli un piccolo sorriso rassicurante. Aveva gli occhi lucidi e la temperatura corporea era ben sopra la media, onestamente Ratchet non comprendeva come potesse ancora essere cosciente, dopo tutti gli stravolgimenti a cui era andata incontro.
Non gli era difficile vedere quanto stesse soffrendo anche se quando glielo domandò lei scosse la testa e liquidò la domanda con un piccolo sorriso.
            Era ancora debole e non riusciva a stare in piedi, era seduta sulla sua mano e gli sembrò estremamente fragile in quel momento tanto da provare a rimetterla sul letto per farla riposare ma Max protestò stringendosi ancora più forte ad una delle sue dita metalliche.
Ratchet sospirò.
Con l’altra mano passò delicatamente il dito sopra la sua schiena scossa da leggeri tremiti.
            Era quello il crollo emotivo che si sarebbe aspettato in primo luogo, eppure ora che ce l’aveva davanti, non sapeva come rimediare. Vederla in quello stato non faceva che aumentare il dolore nella sua scintilla, addossandosi la colpa per non essere riuscito ad agire in tempo per salvare il cuore di Max.
E fu nuovamente sorpreso quando sentì la delicata pressione delle piccole mani fasciate della ragazza premere sul suo petto, in corrispondenza della camera di contenimento della sua scintilla.
            Ed ecco il motivo per cui non aveva voluto rinunciare a trovare un modo per salvarle la vita: anche in preda alle lacrime e al panico per quello che aveva scoperto appena risvegliatasi, Max era più preoccupata per il senso di colpa di Ratchet che per sé stessa. Le lacrime sembravano essersi fermate per il momento e la ragazza sembrò tirare un piccolo sospiro di sollievo tornando poi ad accomodarsi sulla mano di Ratchet.
Un dubbio però le si insinuò nella mente mentre guardava l’Autobot di fronte a sé.
            «Switch?» domandò raucamente con un fil di voce.
            «È insieme allo sparkling che hai trovato quando hai salvato la scintilla di Jazz»
Jazz! Ecco anche cosa stava dimenticando.
Non aveva le forze necessarie in quel momento o si sarebbe fiondata a vedere come stavano i due Autobot, pregò solamente che entrambi erano sani e salvi.
            «Spar…kli…?»
Ratchet annuì.
            «Il piccolo cybertroniano che è stato generato dall’AllSpark prima che venisse distrutto. La sua energia deve aver risvegliato anche Switch. Dovresti dargli una designazione»
Max inarcò un sopracciglio, confusa. Ricordava a pezzi quello che era successo, dallo sparkling che si era aggrappato a lei al tentativo di portare al sicuro la scintilla di Jazz.
            Ratchet non fece in tempo ad aggiungere altro che nel suo raggio di visione entrò una creatura alta meno della metà di Max, con sulla spalla un altro esserino ancora più piccolo. Era l’ennesima visita in quell’arco di giornata da parte dello sparkling e di Switch, i due dimostravano una testardaggine veramente unica.
Max tentò di seguire lo sguardo di Ratchet ma quando provò a sporgersi oltre la sua mano venne trattenuta dall’Autobot che la ammonì silenziosamente. La portò perciò a livello del terreno anche se le impedì ulteriori movimenti, lasciando i due piccoli robot il compito di avvicinarsi curiosamente.
            Lo sparkling non era molto diverso da gli altri Autobot, molto simile in realtà a Bumblebee che tra tutti era quello più dalla figura meno massiccia: lui invece aveva l’esoscheletro di un grigio opaco e non era affatto intimidatorio mentre gli occhi illuminati dal neon azzurro li guardava curiosamente.
Emise qualche click metallico e anche Switch appena individuò la figura di Max sembrò andare su di giri, cercando un modo di raggiungerla senza cadere a terra o dalla spalla dello sparkling su cui si trovava.
            Quindi era quello l’Autobot a cui lei doveva dare il nome? Max in realtà non era mai stata molto fantasiosa e in quel momento di debolezza fisica e mentale non ce n’erano molti che le vennero in mente.
            «Shift?» disse rocamente, più come una domanda mentre rivolse uno sguardo su Ratchet.
Osservando la reazione alquanto comica dello sparkling, permise anche a lui di salire sulla sua mano e di affiancare Max prima di ritrasformarsi in un portatile e lasciando il povero Switch sulle gambe di Max.
            Notando lo sguardo corrucciato della ragazza Ratchet si affrettò a spiegarle, «Sembra piacergli»
Alla fine riportò Max all’interno di quell’ambulatorio improvvisato, lasciandola in compagnia dei due piccoli Autobot, e rimandando ulteriori spiegazioni ad un altro momento. Mentre lei curiosava tra i meccanismi di Switch, rigirandoselo pigramente tra le mani, sotto le proteste del povero Autobot.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


CAPITOLO 8
 


            Una settimana e mezzo era passata prima che qualcuno potesse fare visita a Max, nonostante si fosse svegliata già da un pezzo. Ratchet era deciso a mantenere al minimo la percentuale di rischio di peggioramento delle sue condizioni fisiche, con il sistema immunitario completamente azzerato a causa della contaminazione da Energon. I cambiamenti nel suo corpo erano lenti ma costanti e il medico Autobot faticava a trovare uno schema in tutto quel puzzle di sintomi e reazioni.
Max si stava lentamente abituando alla temperatura corporea costante di circa trentotto gradi, divenuta normale a causa della massiccia produzione di energia del frammento di scintilla che le pulsava nel petto al posto del suo cuore. La sensazione di febbre costante le stava passando anche se faticava a volte ancora a sopportare le improvvise vampate di calore o di freddo mentre il suo corpo cercava di regolare quell’anormale temperatura.
            I dolori muscolari erano pian piano spariti mentre guariva dalle ferite dopo lo scontro a Mission City e qualche volta Max provò a sgattaiolare per prendere un po’ d’aria fuori da quell’ambulatorio improvvisato, ma Ratchet era rapido nel beccarla ogni volta. Non sapeva come facesse a saperlo, fatto sta che neanche il tempo di mettere due passi fuori che la mano metallica dell’Autobot la bloccava sul posto, le placche sul volto contratte in un’espressione di rimprovero e l’ennesimo sospiro di Max per la fuga fallita.
            «Mi sembrava di averti già detto più di una volta che non puoi uscire – la paternale giornaliera era quasi sempre la stessa ma Ratchet non sembrava farci caso, si zittì solamente quando vide lo sconforto sul volto di Max, -Il tuo corpo ancora non resiste ad una temperatura appena più alta del normale… esporti così inutilmente non mi sembra logico»
Non sapeva da quando Ratchet era diventato così bravo nel capire le sue emozioni, era da giorni che gli bastava rivolgerle uno sguardo e sembrava intuire immediatamente qual era il suo problema, qualsiasi cosa la affliggesse. Non capiva l’origine di quella sensazione e da quella mattina la cosa si era fatta più insistente.
            Max non fece in tempo a replicare che un dolore sordo al petto la fece ripiegare su sé stessa, tenendosi stretta la maglia dove si trovava la scintilla che sentiva contrarsi dolorosamente nel suo petto. Sentì il metallo tiepido della mano di Ratchet afferrarla in tempo prima che cadesse a terra, percepì a malapena gli scanner dell’Autobot che la controllavano dalla testa ai piedi alla ricerca di un qualsiasi problema per quel dolore improvviso. Ma non c’era niente.
O meglio, fisicamente non c’era nulla che potesse provocare ulteriore dolore nel corpo di Max ma Ratchet intuì dove fosse il problema. Era solo un’ipotesi ma se le sue statistiche non erano completamente falsate c’erano molte probabilità che avesse ragione.
E i suoi calcoli non erano mai sbagliati.
            Dovette sottostare ad un’altra serie infinita di controlli prima di poter finalmente muoversi intorno sulle sue gambe, anche se sempre deboli dallo sforzo. Max non capiva esattamente il motivo del comportamento rude di Ratchet in quella giornata, eppure dai risultati, il suo corpo sembrava guarire in modo abbastanza normale; ad eccezione della grave sordità sull’orecchio destro, a causa delle esplosioni troppo ravvicinate durante l’ultima battaglia, non aveva riportato altri danni.
Certamente non considerava il frammento di scintilla che ora aveva nel petto come un danno collaterale, era stata solo una conseguenza sfortunata del suo agire sconsiderato; anche se questo non sembrava impedire a Ratchet di darsi la colpa.
            E parlando proprio del medico Autobot, eccolo di nuovo mentre incrociava gli occhi verdi di Max che lo fissavano preoccupati: ogni volta sembrava che intuisse quando c’era qualcosa che non andava, e la ragazza ebbe la netta impressione che c’era qualcosa che l’Autobot gli stava nascondendo.
            «Ratch?» provò a richiamare la sua attenzione ma venne interrotta quando uno dei soldati entrò senza troppe cerimonie richiedendo la presenza del suo amico.
Ratchet rivolse un piccolo cenno di scuse a Max e si dileguò lasciandola sola nella parte di hangar che Ratchet aveva adibito ad ambulatorio improvvisato.
            Max non se lo fece ripetere due volte e con lentezza riuscì a raggiungere il secondo hangar dove, sporgendosi leggermente, trovò immersi in una discussione sia Optimus che Ratchet; il suo occhio poi cadde sull’unico umano tra i due Autobot, in piedi su una piattaforma rialzata in modo da fronteggiare alla stessa altezza i due cybertroniani. Non lo riconobbe immediatamente ma doveva essere il Capitano Lennox che aveva partecipato alla battaglia di Mission City.
            «È una civile, perché dovrebbe venire nella nuova base con gli Autobot? Non è neanche un soldato»
            «Non ha nessuno che può occuparsi di lei» la secca risposta di Optimus la colse  di sorpresa, costringendola a trattenere dei colpi di tosse.
            «È un’adulta, le daremo una mano finché non si sarà sistemata» Lennox sembrava irremovibile.
Max era arrivata appena in tempo per sentire parte di quella discussione, anche se rispettava la privacy degli altri in quel momento era stato un istintivo gesto di cui iniziava a pentirsi. Non era il suo posto stare lì in quel momento in quella conversazione privata, anche se riguardava strettamente lei e il suo futuro.
            Futuro a cui non aveva pensato da quando era incappata in quegli enormi alieni robot che le avevano scombussolato la vita. Una vita ribaltata a testa in giù nell’arco di un paio di giorni, e che in poco più di un mese l’aveva messa in una tale condizione di incertezza che non sapeva neanche da dove partire.
Forse Lennox aveva ragione quando affermava come quello non fosse il suo posto…
            Nel frattempo la conversazione tra i tre era continuata ma Max, com’era silenziosamente arrivata, se n’era andata senza sentire altro. Solo Optimus si accorse di un dettaglio che spostò la sua attenzione per qualche istante.
            «I Decepticon sono in grado di individuare il segnale della scintilla, anche se è solo un frammento» replicò ostinatamente Ratchet che non capiva assolutamente il senso di tutta quella discussione.
Il capitano Lennox in quel momento gli stava ricordando sempre più il motivo per cui non sopportava la stragrande maggioranza di esseri umani. Erano egoisti, e con un senso della comunità ai minimi storici, violenti senza alcuna ragione e immaturi.
            «Cosa dovremmo fare allora, Optimus?» Lennox era disperato.
            Optimus tuttavia rimase per un attimo concentrato sulla piccola creatura che si aggirava indisturbata sul piano rialzato dove si trovava Lennox. Allungò un servo e aspettò paziente che il piccolo Autobot si sistemasse con cautela sul palmo della sua mano prima di sentire i suoi ronzii metallici e alcuni click di varia intonazione, suoni in una lingua totalmente incomprensibile per l’unico umano presente ma che fecero sgranare impercettibilmente le ottiche illuminate al neon dei due Autobot.
            «Ha salvato la vita di Bumblebee e Jazz. Noi Autobot abbiamo un debito a vita nei confronti di quella umana coraggiosa, e con quella scintilla è un Autobot come noi» replicò Optimus.
            «Non dici sul serio»
            «È sotto la protezione di Ratchet e spetta a lui e Max decidere per la sua sicurezza. Non volto le spalle ad uno dei miei compagni» e con quello il leader degl’Autobot si congedò da quella conversazione, lasciando che il piccolo Switch passasse sulla mano di Ratchet rimasto in silenzio negli ultimi istanti di discussione, finalmente libero di poter pensare alla sensazione di inadeguatezza e di angoscia che sentiva provenire dalla sua scintilla.
Il suo stesso frammento che si contorceva in quella ondata di sentimenti negativi, era decisamente una cosa nuova per lui e non perse tempo anche lui a congedarsi per tornare nel suo laboratorio improvvisato.
            «Non vuoi venire nella nuova base con tutti noi, vero?» la voce di Jazz si era fatta impercettibilmente più seria, mentre i due guardavano il sole in procinto di tramontare.
L’Autobot si era ripreso quasi completamente dopo che Ratchet aveva finito di riparare il suo corpo, con la partecipazione insistente di Max; anche se doveva evitare qualsiasi sforzo eccessivo, questo non lo fermava dallo scalare il tetto uno degli hangar dove erano per il momento ospitati gli Autobot e i militari, specialmente portandosi dietro Max dopo averla colta girovagare senza meta.
            Max era seduta mollemente sulla gamba piegata di Jazz mentre entrambi si godevano il caldo non più così asfissiante dell’estate nel Nevada. Si distrasse però a quella domanda posta così dal nulla, aveva rimuginato parecchio da quando aveva origliato per caso quella conversazione e non sapeva cosa pensare.
Non c’era un reale motivo, prima di tutto quel marasma l’unica cosa che voleva era riuscire a frequentare l’università della California e finalmente poter studiare quello a cui si dedicava da tutta la sua vita. Ma in quel momento, avrebbe potuto nuovamente girovagare da sola? Quando a malapena riusciva a mettere più di una parola insieme senza peggiorare le sue condizioni già gravi, non ne aveva idea.
            «Paura… ho paura» riuscì a dire senza incrociare lo sguardo sorpreso dell’Autobot.
Jazz prese senza preavviso Max, girandola in modo da fronteggiarla a viso aperto e notando immediatamente lo sconforto sul volto della ragazza, sempre più frustrata dal non poter parlare liberamente come prima.
Quella piccola e fragile creatura aveva salvato sia lui che Bumblebee, aveva rinunciato involontariamente a parte della sua libertà per salvare creature aliene che conosceva da meno di un paio di giorni. Un tale livello di abnegazione e altruismo era veramente raro tra i cybertroniani, di cui forse solo Optimus si distingueva in queste caratteristiche.
            «Come va la tua scintilla, lil’miss?» domandò di sana pianta Jazz, distraendo Max dopo aver notato lo sconforto sul volto della ragazza, preda di chissà quali pensieri.
Max si afferrò d’istinto la maglia che portava, stringendola all’altezza del cuore, dove ora pulsava il frammento di scintilla che Ratchet le aveva donato per salvarle la vita.
            «È calda… e fa male» disse Max con una punta di esitazione notando come le placche sul volto di Jazz si contrassero immediatamente in un’espressione indecifrabile.
            «Come… “fa male”?» domandò nuovamente, ripetendo con lentezza le parole come se fossero termini nuovi e a lui sconosciuti, «Ratchet non ne sa niente?»
Max scrollò le spalle a quell’ultima domanda veramente stupida. Certo che Ratchet era al corrente di qualsiasi condizione e cambiamento nel suo corpo, non la lasciava un attimo in pace in quel frangente.
            «Sì ma… no problemi» replicò semplicemente lei, che per quanto si sentisse sollevata dal sapere che Ratchet era sempre pronto a tenere un occhio sulla sua salute, dall’altro lato era anche terribilmente spaventata quando quelle scariche di dolore si presentavano senza preavviso. D’altronde più di una volta Ratchet le aveva detto che dal punto di vista fisico non c’era nulla che non andasse, il frammento di scintilla si comportava in modo normale e non c’erano problemi neanche dall’Energon nel suo corpo. Come poteva pensare di tornare ad avere una vita quanto più normale possibile in quelle condizioni?
E proprio in quel momento uno strozzato gemito di dolore lasciò le sue labbra a quella ennesima fitta, meno debilitante rispetto alle altre a cui si stava disgraziatamente abituando ma abbastanza da far preoccupare Jazz.
            «Ratchet non ti ha detto altro sulle nostre scintille?» pressò nuovamente l’Autobot, prendendola con delicatezza e poggiando Max sulla sua spalla in modo da poter scendere dal tetto della struttura.
Max scosse la testa, fece un paio di respiri profondi e si rilassò al contatto con il metallo caldo nell’incavo del collo di Jazz. Ebbe l’impressione che il suo amico sapesse qualcosa che a lei sfuggiva, o che sembrava essere al corrente ma che non voleva dirle in alcun modo.
            Jazz camminò con tranquillità fino all’ingresso dell’hangar e lasciò Max con cautela di fronte l’entrata, scoccandole un’occhiata rassicurante.
            «Non c’è nulla di cui preoccuparsi, lil’miss. Parla con Ratchet, non è compito mio questo» le disse prima di dileguarsi e lasciarla lì.
Il sole oramai tramontato all’orizzonte e l’hangar quasi completamente deserto da umani, visto come Ratchet sembrasse detestare qualsiasi contatto non necessario con degli esseri umani, ad eccezione straordinaria di Max.
            Si girò e rivolse un’occhiata di sbieco all’entrata di quel laboratorio, improvvisato come ambulatorio, certa di trovarci Ratchet intento a lavorare su qualche progetto o a controllare ennesimi dati di chissà che cosa.
Cosa c’era di tanto importante che le stava sfuggendo?

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


CAPITOLO 9
 


            Era da un paio d’ore che Ratchet era chiuso in quella complicata serie di studi per cercare materiali adatti per costruire un secondo prototipo ma venne interrotto quando sentì le proteste del piccolo Switch che era rimasto accanto a lui. Il piccolo Autobot era particolarmente eccitato e non perse tempo a trovare una via per raggiungere il più in fretta possibile la figura di Max che aveva appena fatto capolino.
            Con i capelli ricci raccolti in una disordinata cipolla, Max si passò imbarazzata una mano dietro la nuca mentre cercava di ignorare lo sguardo pungente di Ratchet su di sé. Prese Switch e lasciò che si posasse sul posto preferito sulla sua spalla, fece un respiro e si avvicinò all’Autobot che si era abbassato per raggiungere più o meno la sua altezza.
In quel momento non sapeva se provasse paura o vero e proprio terrore, di perdere quel poco di famiglia che forse aveva iniziato a scoprire solo in quei giorni, o di qualcuno a cui sembrasse importare seriamente di lei. Ma se la conversazione che aveva sentito solo in minima parte quel pomeriggio era andata a finire male, questo voleva solo dire che presto avrebbe dovuto dire addio a tutti gli Autobot, a Jazz… a Ratchet e forse anche Shift.
            «Sei nuovamente in sovraccarico emotivo?» domandò con una punta di curiosità Ratchet dopo aver passato un altro scanner sul corpo minuto di Max rispetto al suo, vedendo l’inizio del suo formarsi di occhi lucidi.
Lì non serviva il legame con la scintilla per capire come qualcosa non andasse, quella fragile e coraggiosa umana era come un libro aperto per lui. E Max per una volta non sembrò tentare di nascondere la sua paura, asciugandosi le lacrime che minacciavano di uscire col dorso della mano e annuire leggermente verso il proprio guardiano.
            «Senti dolore da qualche parte?»
Max strinse le labbra in una linea sottile, annuì leggermente stringendo poi la maglia all’altezza del cuore. Vide Ratchet rimanere per un secondo immobile, perso nei suoi pensieri prima di annuire e sospirare, facendole cenno di salire sopra la mano che abbassò in quel momento.
            «Il tuo corpo si sta adattando abbastanza bene al frammento di scintilla, e per quanto le probabilità di rigetto siano infinitesimali c’è il rischio che non sappia come gestire tutta l’energia e il diverso funzionamento rispetto all’organo che pompava prima il sangue nel tuo corpo»
            «Fa male»
            «Di tutto… non pensavo che si potesse sviluppare questo problema- Ratchet dovette zittirsi quando colse lo sguardo sempre più preoccupato di Max, -non è nulla che metta a rischio la tua vita. Più di quanto già non sia stata messa a rischio»
            Quella le era sembrato semplicemente un tentativo di risposta evasiva, solo per tranquillizzarla quando aveva percepito la sua agitazione salire a quelle poche parole. Non bastavano già gli effetti collaterali dovuti all’Energon che circolava liberamente nel suo corpo, facendo chissà quali danni e modifiche al suo genoma o peggio.   
Quel dolore che le stringeva il petto in una morsa asfissiante non era paragonabile a nulla che avesse mai provato, ma Ratchet -per quanto riluttante, sembrava cercare un modo di consolarla o quantomeno di rassicurarla… forse doveva conoscere la vera origine di quegli strani sintomi ma per qualche motivo non voleva dirgli la verità. Non mentiva, ma di certo non parlava schiettamente come era solito fare con lei.
Aveva la sensazione di essere sempre tenuta sott’occhio, o che qualcosa fosse sempre con lei. Erano sempre quelli i momenti in cui sentiva l’inizio del dolore al frammento di scintilla che la teneva in vita.
            Max sgranò gli occhi, rivolse un’occhiata incredula verso Ratchet quando un pensiero totalmente folle in quel momento le si presentò alla mente.
Dopotutto, se esistevano degli enormi alieni robotici… poteva anche esistere roba del genere.
Vide Ratchet socchiudere per un attimo le ottiche innaturalmente azzurre come resosi conto di qualcosa.
Sospirò, «Hai qualcosa che circola in quei processori organici nella tua testa, vero?»
La ragazza annuì esitante prima di corrugare la fronte, indicando prima la propria protesi cardiaca e poi, con titubanza, il punto dove pulsava la scintilla vitale di Ratchet.
            «Senti… le stesse cose? La scintilla. È unita?»
Tentativo infantile di spiegare un concetto molto più complicato di quello? Assolutamente sì, ma Ratchet non poté fare a meno di accennare un sorriso a quel tentativo sentito di spiegare una cosa che per lei non aveva alcun senso.
            L’Autobot sapeva che Max era sveglia e la sua intuizione non l’aveva tradita neanche in quel momento, anche se era stata pesantemente limitata dal suo corpo organico che mostrava gli effetti della contaminazione da Energon sul suo corpo. Per quanto gli avesse permesso di continuare a sopravvivere, non sapeva se mai avrebbe potuto fare qualcosa per ridarle la voce, ridotta a sussurri rauchi e parole spezzate a metà. Notò il volto di Max contorcersi nuovamente in una maschera di dolore e si affrettò a darsi una calmata.
            «Non penso ci siano espressioni adatte a tradurre il concetto nella tua lingua… ma è volgarmente analogo ad un legame -connessione, tra la scintilla e gli eventuali frammenti che si generano. Stessa cosa avviene tra gli sparkling generati dalla stessa scintilla. Diversa è quella tra una coppia di cybertroniani» quel concetto non era una cosa facile da spiegare in una lingua limitata come quella terrestre. Le parole a sua disposizione era terribilmente ridotte rispetto alla vastità offerta dal cybertroniano, ma Ratchet pensò che questa limitazione dovesse essere dovuta alla circoscritta capacità dell’essere umano di poter emettere suoni con le sue fragili e organiche corde vocali.
            «Fa sempre -sempre così male?» fu l’ovvia protesta di Max che non sorprese affatto Ratchet.
            «Sarà un frammento della mia scintilla ma il legame è ugualmente troppo estenuante su un corpo organico come quello degli esseri umani. È molto simile al vostro concetto di anima ma non dovrebbe mai essere doloroso in questo modo. Il tuo corpo è fragile e debilitato dall’Energon»
Quella spiegazione non fece altro che accendere una lampadina nella testa di Max, la sua mente che stava già elaborando mille diverse teorie a quella scoperta totalmente sconcertante.
            Sapeva già come la scintilla dei cybertroniani era la fonte primaria di vita, ma era anche la sede del loro Essere… le loro emozioni, i loro ricordi -era la loro anima. Impensabile quasi la sola idea che potessero scinderla in frammenti, ma c’era quel piccolo globulo di calore che le pulsava nel petto a ricordarle di come invece fosse possibile.
Se quella era la loro anima… il dolore che sentiva quando il frammento si stringeva in sé stesso, non era suo -non era una sensazione che veniva generata dal suo corpo. Le fitte non avevano un ordine, o uno schema -capitavano e basta.
Ratchet si sentiva in colpa. Ecco cos’era quel dolore.
Le emozioni di Ratchet che lei sentiva grazie a quel fragile legame col suo guardiano. Lo stesso che aveva donato parte di sé per salvarle la vita, ma che non si perdonava per quello che le era successo.
            Max si riscosse dai suoi pensieri solo quando annaspò in cerca d’aria, singhiozzando per l’emozione improvvisa. Passò una mano sorpresa, asciugando col dorso le lacrime che le rigavano le guance e rivolse la sua attenzione all’Autobot che aveva di fronte.
Se non avessero condiviso quel legame, Ratchet avrebbe dedotto che quello scoppio improvviso altro non era che il sovraccarico emotivo di Max che si era ostinata a mantenere l’apparenza di tranquillità da quando si era risvegliata. Ma non era quello il motivo del pianto.
Si dispiaceva per lui. Erano le lacrime di dolore per il senso di colpa che provava Ratchet.
Neanche una volta aveva sentito qualcosa di lontanamente simile all’accusa nei suoi confronti e ora che Max aveva capito l’origine di quelle fitte di dolore… quella fragile umana era tanto empatica da soffrire per il suo guardiano, senza pensare minimamente a sé.
            La ragazza sentì l’Autobot abbassarsi su un ginocchio e passarle delicatamente una delle mani metalliche dietro la schiena, facendo timido contatto con la sua figura mentre tentava di metter un freno a quelle lacrime che non erano per lei. Non erano le lacrime che stava versando per quello che l’aspettava se Lennox non l’avesse voluta nel NEST; neanche per quello che ne sarebbe stato di lei se quella protesi cardiaca non avesse funzionato.
Quelle erano semplicemente lacrime per il senso di colpa che le stava affiorando in petto alla consapevolezza della pressione che aveva involontariamente messo su Ratchet. Specialmente ora che capiva il motivo di quelle scariche improvvise di dolore che altro non facevano che accentuare quel nascente stato di colpa verso sé stessa.
            Era bastata a malapena mezz’ora ma Ratchet era ancora restio a capire come aveva fatto smettere di piangere Max, che in quel momento era intenta ad asciugarsi gli ultimi residui di lacrime. Gli ci era voluto un po’ per collegare che il suo stesso senso di colpa verso di lei non faceva altro che peggiorare la situazione e dovette mettere a freno i propri sentimenti per non farla sentire peggio: quelle erano solamente lacrime per l’empatia innata che provava verso chi le stava vicino.
            «Ratch…» il sussurro rauco di Max attirò la sua attenzione quando la vide indicare il progetto alla quale stava lavorando da giorni.
            «Sto cercando di trovare una soluzione più congeniale e meno affrettata per il contenitore del tuo frammento di scintilla…- spiegò l’Autobot prima di cogliere una scintilla di curiosità nello sguardo della ragazza, -ma lavorare su così piccole dimensioni è molto più… ostico di quanto non abbia anticipato già» confessò riluttante, odiando la sensazione di non riuscire a fare di testa sua in quei progetti.
Max inclinò per un attimo la testa, pensierosa. Lentamente si diresse poi verso il punto dove era abbandonata la borsa che aveva dietro dall’inizio di quell’avventura, ridotta piuttosto male ma ancora utile per contenere tutte le poche cose che portava sempre con sé.
            Con un po’ d’aiuto i due riuscirono a districare sull’enorme -e improvvisato tavolo da lavoro, una serie infinita di schizzi, una tale quantità da far rimanere allibito Ratchet. Quello che aveva davanti erano fogli di tutte le dimensioni: pezzi racimolati di carta strappata e scritta con qualsiasi cosa capitasse a tiro, disegni, schemi e diagrammi che non sembravano seguire alcun ordine logico. Gli appunti erano scritti in maniera talmente confusionaria da poter venire scambiati per semplici tratti accidentali finiti sulla carta, e gli ci volle l’aiuto paziente di Max per analizzare e scansionare tutti quei rimasugli del progetto iniziale.
            «Secondo il tuo progetto il prototipo dovrebbe avere una forma simile a questa» esclamò Ratchet dopo aver analizzato i progetti della ragazza, calcolando rapidamente metalli, peso e dimensioni gliene mostrò poi una replica olografica di fronte a lei.
            «Cosa... Come» Max balbettò qualche parola incoerente prima di guardare Ratchet completamente attonita, sotto lo sguardo divertito del medico Autobot.
Quell'umana era sempre una fonte continua di reazioni inaspettate. Colta com’era nell’osservare anche i dati che erano elencati di fianco al piccolo ologramma, scritti in cybertroniano ma che Max osservò con particolare attenzione e Ratchet non si sorprese se fosse stata anche in grado di capirne a grandi linee il senso.
            «Il metallo migliore, considerando la tendenza del corpo organico a deteriorarsi facilmente, sarebbe il titanio. Anche se nessun materiale terrestre resisterebbe al calore provocato anche solo dal frammento di una nostra scintilla» spiegò Ratchet facendo sparire l'ologramma e cogliendo la domanda nell'espressione di Max.
            L'Autobot poggiò delicatamente la punta del dito metallico sul petto della ragazza, producendo un leggero tic metallico al contatto con la protesi cardiaca, «Questo è materiale cybertroniano, naturalmente resiste a queste alte temperature ma è dannoso per il vostro corpo. Non ci sono molte probabilità di aggravare ulteriormente la tua salute in questo momento, però è necessario costruire un altro prototipo che sia compatibile con il tuo corpo. Mi dispiace ma non c'era tempo per trovare altre soluzioni»
Il frammento di scintilla che le pulsava nel petto si strinse leggermente al dolore in quelle parole ma era molto più sopportabile rispetto a quando lo aveva provato la prima volta. Max sapeva di quanto Ratchet si sentisse in colpa per quello che le era successo e che stava ancora subendone le conseguenze, ma a lei non importava.
            «Senza errori di calcolo non dovresti avere alcun problema di contaminazione da Energon» spiegò poi l’Autobot facendo sparire l’ologramma e cogliendo lo sguardo curioso di Max.
            «Ce ne sono?»
Ratchet sorrise, «No»
            «Posso conservarlo?» quella domanda posta con una tale innocenza quasi fece sgranare gli occhi dallo stupore all’Autobot.
            «Perché dovresti? È un pezzo inutile»
Max abbassò lo sguardo e strinse la maglia all’altezza del cuore. Forse era vero che si stava emozionando troppo per un semplice pezzo di metallo ma le emozioni che percepì Ratchet quando la ragazza alzò di nuovo lo sguardo lo fecero tentennare per un attimo.
            «Salvato la vita… non è inutile»
            «Sei un essere strano» sospirò sconfitto il medico Autobot.
            «Lo so» sorrise di rimando Max riprendendo ad indicare i vari segni che componevano la lingua Cybertroniana sotto lo sguardo vigile di Ratchet, sempre più sorpreso dalla sua capacità di apprendimento.
Era felice di poter stare di nuovo insieme agli Autobot, i suoi amici, la sua nuova famiglia.
Sapere che qualcuno si preoccupava tanto per lei era ancora una sensazione nuova, se prima non aveva nessuno su cui contare ed era sempre stata abituata a pensare di doversela cavare da sola in ogni situazione.
            Switch emise all’improvviso qualche piccolo cinguettio metallico dalla spalla di Max che fece irritare Ratchet, tanto che lo colpì delicatamente sulla testa ricevendo in risposta quelli che sembrarono insulti molto coloriti. A giudicare dalla velocità di quei clack di varia intensità che il piccolo Autobot stava emettendo, Max non poté far altro che sorridere mentre tentava di consolare l’amico.



---Note---
Pubblicato quasi tutto in una volta, ma visto che erano meno di una decina di capitoli... non vedevo il motivo di prolungare ulteriormente l'attesa. Avevo una voglia matta di vederlo completato.
Sono in via di progettazione anche i seguiti, sempre seguendo la linea temporale dei film, possibilmente fino allìEra dell'estinzione. Credo che il quarto film sarà l'ultimo, già di per sé quella pellicola l'avrei abolita su tutti i fronti ma, visto che c'è, ci scriverò qualcosa sopra.
Sono ancora indecisa ma probabilmente sarà una storia nuova ogni film, per un totale quindi di quattro per questa serie... spero di iniziarla quanto prima!

Ciarax

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