Oltre i confini del tempo

di MissAdler
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Parte prima ***
Capitolo 3: *** Intermezzo ***
Capitolo 4: *** Parte seconda ***
Capitolo 5: *** Parte terza ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


PROLOGO






“Se fossi davvero qui potrei anche abbracciarti.”


L'aveva detto eppure non l'aveva mai detto davvero. Non a lui. Non a questa versione di lui. A quel Loki in bilico su un futuro impossibile da raggiungere e senza speranze di poter tornare indietro, a un passato che aveva irrimediabilmente compromesso con azioni decisamente discutibili.
Sapeva di essere bloccato in un limbo squallido e insensato, con la consapevolezza di aver avuto ogni cosa a portata di mano da sempre e di non aver mai capito che bastava così poco...
Così dannatamente poco.

Non l'aveva visto, quell'abbraccio, sul maxi-schermo traballante che gli mostrava con spietata indifferenza il suo fallimento, l'inconsistenza di tutti suoi più gloriosi propositi, un effimero barlume di felicità. Ma qualcosa dentro di lui, giù in fondo alla gola e più in profondità, si era mosso. Una crepa sottile su un robusto stato di ghiaccio, una sensazione che gli aveva riempito gli occhi e mozzato il fiato in gola.

Era stato amato.

Il dio dell'inganno, lo Jotunn disprezzato dalla sua stessa gente, l'ingrato che aveva rinnegato chi lo aveva cresciuto come un figlio... era stato amato.

Sua madre.

Suo padre.

Suo fratello.

Perfino Thor gli aveva voluto bene, sebbene avesse fatto davvero tutto il possibile per farsi odiare da lui, odiandolo a sua volta.

Aveva odiato quel sorriso bonario, quei modi rudi, quella risata roca e chiassosa. Aveva odiato la sua forza, la sua testardaggine, il suo essere ammirato sempre e comunque. Aveva odiato la sua luce accecante, che lo metteva in ombra più di quanto Loki non fosse già. Lui, il principe di Asgard scuro e dispettoso, tutto inganni e giochi di prestigio, che troppo spesso indugiava dietro una colonna, una porta socchiusa o un tronco d'albero, a osservare quel fratello così fastidiosamente perfetto, con l'oro tra i capelli e il cielo negli occhi, la pelle abbronzata che profumava di pioggia e temporali estivi.
L'aveva odiato anche più intensamente il giorno in cui aveva scoperto di non essere davvero suo fratello, forse perché il sangue era l'unica garanzia che li avrebbe legati in eterno, nonostante tutto, pur non concedendogli di esserlo nel modo che Loki segretamente desiderava.
Non voleva perderlo. Non voleva restare solo.
E così, cercandolo negli occhi chiari di guerrieri e principesse di cui non ricordava nemmeno i nomi, aveva continuato a odiarlo, con tutto l'impegno e la devozione di cui era capace.

Forse l'amore è odio.

Non aveva mai dubitato che fosse così.





 
CONTINUA



ANGOLINO DELL'AUTRICE

Salve a tutt* e ben ritrovat*! Torno dopo una lunga pausa e totalmente a sorpresa, soprattutto per me, che pensavo di aver chiuso con le fanfiction, di aver già detto tutto quel che avevo da dire e di non avere più tempo per dedicarmi allo svago. 
E invece eccomi qui, in un fandom totalmente nuovo, in cui ho sempre e solo letto ma mai scritto. Non avevo nemmeno mai pensato di shippare questa coppia, devo essere sincera. Eppure, ultimamente, complice un rewatch dei film Marvel e l'uscita della nuova serie Loki su Disney+, ho partorito questa cosa. Prometto di aggiornare abbastanza in fretta, nel frattempo spero di avervi incuriosito almeno un po'. Se vi va di lasciare qualche parola mi farà tanto piacere.
Potete trovare la storia anche su Ao3.
A presto!

MissAdler




 





 

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Capitolo 2
*** Parte prima ***


Oltre I Confini Del Tempo

 
Parte prima





 
Midgard, 2019




La luce del tardo pomeriggio tingeva di rame la superficie appena increspata del lago. Una brezza leggera gli accarezzava le guance, portando con se l'odore acre dei crisantemi e il ronzio delle libellule.
Loki se ne stava in disparte, ben nascosto tra le auto parcheggiate, il portale già chiuso dietro di lui. Osservava quella folla nera e malinconica cercando smanioso e impaziente i capelli dorati e gli occhi chiari che conosceva così bene.
Si chiese distrattamente se per lui la Terra fosse un luogo sicuro. Anche se per lui era trascorso a malapena un giorno, per coloro che si trovavano in quel punto esatto della linea temporale erano passati già sette anni dall'attacco dei Chitauri. Forse avevano dimenticato quella sua disastrosa sortita. Eppure, ciò nonostante, la sensazione di essere ancora un acerrimo antagonista di quel pianeta sembrava fin troppo vivida in lui.
Il suo Loki non si era redento, non aveva sacrificato se stesso in un ultimo, disperato tentativo di sconfiggere Thanos e salvare la sua gente, non aveva avuto addosso le lacrime calde e salate di Thor. I suoi polsi dolevano ancora per le manette che proprio suo fratello gli aveva stretto ai polsi, dopo l'umiliante sconfitta a opera di quegli stessi Avengers che ora rivedeva lì, uno accanto all'altro, anch'essi vestiti di nero.
Il soldato, l'arciere, il tizio dello Shield e la sua inutile aiutante, il Dottor Banner, la donna di Tony Stark, e uno stuolo di facce che non gli dicevano assolutamente niente. Avvertì comunque un leggero brivido sulla schiena.


“È un funerale” sentenziò Sylvie accanto a lui, facendolo trasalire.
Per un attimo pensò che fosse una domanda ma poi capì che si trattava di una costatazione. Quando si voltò a guardarla lei fece spallucce come se avesse appena pronunciato un'ovvietà.
“Il marito di quella donna” spiegò facendo un cenno in direzione di Pepper Potts, che con gli occhi arrossati adagiava sull'acqua una corona di fiori, “è il suo funerale, mi sembra evidente.”
“Tony Stark?” domandò lui con voce acuta e un'espressione incredula. “È morto?”
“Se quel Thanos era davvero così potente la sua sconfitta deve aver avuto un costo molto alto.” Sylvie osservava la scena con una strana espressione sul volto, infine aggiunse a bassa voce, come se parlasse a se stessa: “non puoi vincere se non accetti di sacrificare qualcosa.”


Loki pensò al se stesso che aveva visto spirare sullo schermo della TVA, ai suoi arti scossi dagli spasmi mentre il titano gli stringeva le dita intorno alla gola, al suo corpo senza vita tra le braccia di Thor, i cui singhiozzi rabbiosi facevano tremare l'immagine.
Anche il suo era stato un sacrificio per un bene superiore? O si era trattato di un gesto assolutamente inutile che nessuno, in questa linea temporale, ricordava già più?
Aveva programmato il TimePad per il giorno successivo alla sconfitta di Thanos e l'aveva fatto per una ragione ben precisa. Non poteva negare che vedere se stesso morire per mano di quell'essere lo avesse scosso nel profondo e che la sola idea di incontrarlo nuovamente gli era intollerabile.
Ricordava ancora le torture subìte diversi anni prima, dopo essere precipitato dal Bifrost, quando il titano lo aveva scovato, catturato e rinchiuso. Ricordava quelle notti di torture interminabili, le ferite inferte un colpo dopo l'altro, ancora e ancora, il suo cervello che veniva spremuto, svuotato e rivoltato come uno straccio logoro e sporco. Assecondare quel folle piano, fingersi suo alleato e attaccare la Terra per rubare il Tesseract, in fondo avrebbe fatto comodo anche a lui. Ed era ciò che lo aveva tenuto in vita, dettaglio non trascurabile.
Era stato un vigliacco? Probabile. Aveva fatto il possibile per sopravvivere? Ovviamente. E lo avrebbe fatto anche ora, evitando di imbattersi in Thanos o in qualunque Avenger che non fosse suo fratello.
Si infilò in tasca il TimePad e una tenue luce verdastra percorse magicamente il suo corpo dal basso verso l'alto, dandogli le sembianze di un vecchio canuto con gli occhiali da sole. Fece segno a Sylvie di restare dov'era, mentre lui avanzava tra la folla.


La prima cosa che notò, guardandolo da dietro, furono le crocs sopra i calzettoni di spugna. Storse la bocca e gli uscì una risatina, sulla punta della lingua una frecciata assolutamente spassosa pronta da scoccare. Poi però avanzò di qualche passo, bloccandosi lì accanto e trovandosi costretto a ingoiare quella stupida battuta, insieme a un groppo dal gusto troppo amaro.
Quell'uomo, che se ne stava seduto su una panchina lungo la sponda del lago, che ingurgitava tartine scadenti e guardava il vuoto senza espressione, quello non poteva essere suo fratello.
Gli si accostò ancora un po', protetto dalla menzogna di quelle anonime sembianze, osservandolo da vicino e con più attenzione. Dov'era l'oro dei suoi capelli? Cosa era successo all'elettricità che permeava i suoi muscoli, che faceva vibrare l'aria attorno a lui profumandola di pioggia? Ora le sue braccia forti scomparivano nella stoffa infeltrita di una giacca troppo larga, i capelli opachi e crespi gli nascondevano il viso come un sipario semichiuso su un palcoscenico vuoto. E gli occhi, quegli occhi che avevano avuto dentro il cielo in tempesta, ora a malapena si intravedevano, sotto quell'ammasso di nodi color cenere, rivelando solo una placida indifferenza.
Gli balenò in testa un mattino d'estate, i giardini del palazzo reale, risate di bambini che echeggiavano tra gli alberi, spade di legno e una folta chioma bionda. Un piccolo se stesso che osservava incantato quei fili dorati intrecciati con mille raggi di sole.


“Thor?” si era lasciato sfuggire dalle labbra, senza nemmeno accorgersene.
E suo fratello doveva averlo sentito, perché si era voltato pigramente verso di lui e gli aveva rivolto un sorriso vacuo, mandando giù l'ennesima tartina al salmone.
“Sì?” biascicò mantenendo le labbra arricciate in una smorfia quasi innaturale. “Ci conosciamo?”
Loki cercò dentro la propria bocca quella lingua scaltra e bugiarda che lo aveva sempre contraddistinto, ma fallì miseramente e restò in silenzio senza sapere bene cosa rispondere.
“Sei asgardiano?” gli venne in soccorso quel Thor così diverso, a malapena riconoscibile.
“S- sì, ovviamente” rispose. E fu felice di non essere costretto a mentirgli.
“Ci saremo incontrati a Nuova Asgard allora! Siediti vecchio, prendi una di queste... non so bene cosa siano in realtà” borbottò tra sé, rigirandosi una tartina davanti alla faccia, “i mortali dicono che il cibo è una balsamo per l'anima dopo un lutto.”
Loki gli si era avvicinato con passo incerto, mentre Thor si scostava per fargli posto accanto a lui.
E fu solo in quel momento, a una distanza così ravvicinata, che si accorse che quelli non erano i suoi occhi, non entrambi almeno, e che uno era stato sostituito da un bulbo meccanico con un'iride color miele. Per una frazione di secondo pensò a suo padre, alle ultime parole che aveva rivolto all'altro Loki sul maxischermo della TVA, prima di dissolversi nell'aria salmastra. Un motivo in più per invidiare quel se stesso, il quasi eroe che lui non sarebbe diventato mai.
“E gli dei?” domandò abbassando lo sguardo sull'addome gonfio e sformato di suo fratello. “Loro come affrontano la morte di coloro che amavano?”
Thor lo fissò in silenzio poi prese a guardare la distesa d'acqua davanti a sé per un tempo che gli parve infinito.
“Perdonami, mio re, non intendevo mancare di rispetto” si giustificò frettolosamente, non sapendo come cancellare quella domanda troppo sbagliata. Non voleva metterlo in difficoltà, non voleva farlo andare via.
Per tutta risposta Thor scoppiò in una risata roca e senza allegria.
“Non sono un re, vecchio mio. Non più.” Si pulì la barba incolta dalle briciole e batté stancamente una pacca sulla spalla di quel vecchio indiscreto. “Sarete in buone mani, amico, tu e tutti gli altri giù a Nuova Asgard, te lo garantisco” poi, come se si fosse già dimenticato della sua presenza, si voltò di scatto agitando la tartina per aria, “ehi, Banner! Dove hai preso quella birra?”
Due secondi dopo colui che una volta era il dio del tuono era già scomparso, lasciandolo a fissare il nulla, con una tartina di salmone a mezz'aria.


“Sul serio? Tutto qui?”
Sylvie apparve alle sue spalle facendolo trasalire, poi gli si sedette accanto, sistemandosi il mantello con fare nervoso.
“Non ti avevo detto di restare nascosta? Non è esattamente un abito da funerale, il tuo!”
“Ah, ti prego! Hai finto che il TimePad fosse rotto per trascinarmi in questo... folle viaggio della speranza! E questo ridicolo scambio di battute deprimenti è tutto quello che sei riuscito a ottenere?”
“Non è così semplice” si difese lui fiaccamente.
“Okay, dammi quel coso.”
“Quale coso?”
“Il TimePad, dammelo!”
“Scordatelo, resterei bloccato qui e al momento non penso sia una buona idea.”
“Ascolta” iniziò lei abbassando il tono di voce e assumendo un atteggiamento condiscendente, “sono venuta con te perché non avevo scelta, non volevo morire su Lamentis. Ma ero anche curiosa di vedere la tua realtà, le persone a cui eri legato, quindi ti ho assecondato senza troppe storie. Ora però devo finire quello che ho iniziato e tu puoi scegliere di venire con me o restare qui, ma dammi quel dannato aggeggio o lo prenderò in un modo che non ti piacerà.”
Si alzò in piedi e gli tese la mano, sostenendo il suo sguardo mentre lui cercava una soluzione che andasse bene a entrambi, una che non fosse troppo rischiosa e che gli concedesse un po' di tempo in più. Si rese conto con una punta di irritazione che non esisteva.
“Ti vedranno.”
“Non mi vedrà nessuno. Anzi, se proprio vuoi saperlo” indicò distrattamente le persone vestite a lutto ancora nel paraggi, “loro credono che tu stia parlando da solo.”
“Ma se la TVA mi trovasse...” la incalzò alzandosi a sua volta, senza badare a quello che lei aveva appena detto.
“Se avrò successo non accadrà. Fidati di me” lo rassicurò arricciando il naso in un sorriso furbo.
“E se sarò io a fallire? Se scoprirò che mio fratello è perso per sempre?”
Si maledì quasi subito perché quella domanda non sarebbe potuta suonare più patetica. Poi, con un gesto arrendevole, porse il TimePad a Sylvie, osservandola mentre vi digitava rapidamente delle coordinate, preparandosi a scomparire nel portale che si era aperto dietro di lei.
“Niente è perso per sempre.”
Fu l'ultima cosa che le sentì dire, prima di ritrovarsi lì da solo, con una tartina molle e maleodorante ancora tra le dita.




 
§




Era iniziata con una lite. Con un combattimento vinto grazie a un inganno durante uno dei loro allenamenti condivisi, con un giovane dio del tuono imberbe che gli gridava contro furente, le guance rosse, le tempie sudate. Era stato il terrore misto a qualcos'altro, nel momento in cui Thor gli si era gettato sopra bloccandogli i polsi e schiacciandolo col suo peso, sul terreno arso dal sole estivo. Era stato un bisogno sconosciuto, brutale, che aveva percorso come elettricità il suo corpo di adolescente, scaldandolo e facendolo fremere, togliendogli il fiato per la violenza con cui quel desiderio si era impadronito di lui.
Erano stati i capelli di suo fratello, umidi e profumati di mare, ricaduti sul suo viso come fili dorati, i palmi bollenti stretti sui suoi polsi, il peso di quel corpo agile su di sé, i muscoli ancora acerbi che si tendevano sotto la pelle abbronzata.
Più avanti c'era stato un sorriso, uno di quelli che Thor dispensava a chiunque come se ne possedesse una scorta infinita. C'era stata una sera d'inverno, un fuoco scoppiettante nel silenzio della reggia addormentata, un momento in cui si era sentito pericolosamente debole. C'era stato il modo in cui suo fratello l'aveva guardato, sollevando gli angoli della bocca senza staccare gli occhi dai suoi come se potesse leggervi dentro, curiosare negli antri più oscuri della sua anima. Loki sapeva che nessuno avrebbe mai potuto farlo, che era lui quello esperto nei giochetti psicologici, eppure, per un istante, si era sentito nudo, scoperto, disarmato. Un cervo in trappola di fronte al suo cacciatore.
Mille giorni e mille notti di desiderio misto a senso di colpa, pulsioni indesiderate, conflitti con se stesso. Perché doveva essere così disgustoso? Cosa c'era in lui che non andava?
E poi quel pomeriggio di fine estate, galoppare fianco a fianco nel bosco di querce, il sole che splendeva tra i capelli intrecciati di suo fratello, il vento fresco sulla faccia, il cuoio che gli si appiccicava addosso nell'eccitazione della corsa. L'aveva visto spogliarsi con foga, abbandonare stivali e mantello sui sassi coperti di muschio, i polpacci immersi nell'acqua gelida del lago, la schiena arrossata per le cinghie troppo strette della corazza, l'espressione di sfida che gli aveva rivolto mentre lui se ne stava ancora rigido in groppa alla sua giumenta, a stritolare le redini fino a farsi male. Non sarebbe mai riuscito a togliersi dalla testa quell'immagine, quella sensualità ingenua e un po' rozza, la barba bionda e rada che gli era da poco spuntata sulle guance, il petto nudo che fremeva di affanno e risate mentre lo schizzava gridandogli di raggiungerlo, di non essere noioso, di non fare il cacasotto.


Era iniziata un giorno qualunque, o forse era sempre stata lì, quella brama eterna e insaziabile, che l'aveva fatto sentire un mostro ancor prima di scoprire di esserlo davvero.
Aveva desiderato suo fratello e l'aveva fatto in un modo violento, disperato e indecente che lo aveva reso marcio fino al midollo. Era stato un principe, un dio, e tra tutte le cose che avrebbe potuto pretendere nei Nove Regni, lui aveva scelto l'unico frutto proibito e irraggiungibile, un sogno impossibile che era rimasto tale anche quando aveva scoperto di non condividere lo stesso sangue di Thor. Non avrebbe ottenuto nulla, perché qualcosa tra di loro si era ormai spezzato, allontanandoli inesorabilmente. La vanità del legittimo re di Asgard aveva generato distanza e indifferenza. Il desiderio frustrato di Loki si era confuso con l'invidia, la gelosia, la recriminazione, finché l'odio e l'ambizione avevano consumato il dio dell'inganno, rendendolo l'antieroe di quella grottesca tragedia familiare.
Eppure la sua follia non era mai cessata davvero. Il desiderio di lui era sempre lì, vivo e incessante, e Loki sapeva bene che, nonostante la rassegnazione, non sarebbe mai riuscito a liberarsene.




 
§




“Thor, aspetta!”
L'aveva visto allontanarsi in direzione delle auto parcheggiate, chiedere un passaggio a chiunque gli capitasse a tiro, barcollando impercettibilmente con una bottiglia in mano. Aveva accelerato il passo per raggiungerlo, senza badare al fatto che il vecchio di cui aveva preso le sembianze non avrebbe mai potuto muoversi in quel modo.
“Ehi, nonnetto!” lo notò infine. “Hai visto il Dottor Banner? Cerimonia molto sentita ma ora ho proprio bisogno di tornarmene a casa.”
Era smanioso e insofferente, un velato nervosismo trapelava dalla voce e dal modo scattoso con cui tendeva il collo per cercare Banner tra la folla. Loki si chiese incidentalmente a quale casa si stesse riferendo, dopo l'apocalisse di Ragnarok.
“Thor, devo parlarti” ritentò scacciando ogni altro pensiero, cercando le parole più appropriate nel suo vasto repertorio di dialettica. Non voleva che li vedessero, che occhi estranei assistessero a quella conversazione, così aveva preso fiato, espandendo il suo incantesimo tutto intorno a loro, facendo svanire le auto, la gente, il chiacchiericcio incessante e l'olezzo stantio dei fiori appassiti. Adesso erano invisibili agli altri e gli altri erano invisibili a loro. Forse la sua illusione più riuscita, si disse ammirando il prato sconfinato che si stendeva a perdita d'occhio, le colline sinuose addormentate ai piedi di immense catene di roccia, mentre l'odore di terra e muschio gli riempiva le narici. Per un attimo gli parve di essere tornato ad Asgard e una fitta di nostalgia gli strinse lo stomaco, mentre tutto ciò che fece suo fratello fu di aggrottare le sopracciglia e squadrare da vicino la bottiglia di birra che teneva mano.
“Per la barba di Odino, questa roba è pessima!” concluse buttando giù il poco liquido rimasto.
Protetto da quella cupola illusoria a Loki non restava altro da fare che riprendere le sue sembianze, dirgli ogni cosa, tentare il tutto per tutto. Ma per qualche motivo continuava a indugiare.
Suo fratello non gli avrebbe mai creduto. E anche se fosse riuscito a convincerlo, che possibilità avrebbe avuto di essere accolto a braccia aperte? E se lo avesse odiato, così come in fondo sentiva di meritare, che alternativa gli sarebbe rimasta? Avrebbe scontato un vero e proprio esilio su Midgard, rifiutato da un popolo che mai l'avrebbe accettato. Solo. Completamente solo. E per un momento rimpianse di non aver seguito Sylvie nella sua folle crociata.
Come poteva spiegargli una cosa tanto assurda?
Si fece coraggio e riportò l'attenzione su Thor, intento a squadrare l'etichetta sulla bottiglia vuota, forse soppesando la gradazione alcolica e la quantità di alcolici trangugiati. A fatica scacciò l'impulso di prenderlo a schiaffi per farlo rinsavire e quello ancora più insistente di passargli le dita tra i capelli aggrovigliati. Piegò la testa da un lato e sospirò forte, come a voler buttare fuori un peso ormai insostenibile, l'ennesimo inganno di cui liberarsi. E infatti la menzogna del suo travestimento gli scivolò letteralmente di dosso, lungo le braccia, le gambe, in un impercettibile luccichio verdastro, fino a svanire tra i fili d'erba. Fu allora, in maniche di camicia e con i capelli scuri che gli ricadevano sul viso, che allargò teatralmente le braccia mimando un ta-daaa di cui si pentì immediatamente, preparandosi a subire l'ira di suo fratello.
Lo vide indietreggiare di scatto, come se avesse appena ricevuto un pugno in faccia, sgranare gli occhi con il terrore di chi ha appena visto un fantasma. In fondo non era poi così lontano dalla realtà, si disse Loki rilasciando le braccia lungo i fianchi, mentre ogni ilarità abbandonava le sue labbra.
Poteva leggere uno dopo l'altro i pensieri che attraversavano come saette impazzite l'unico occhio del dio del tuono: che non poteva essere lui, che l'aveva visto morire, che doveva essere diventato pazzo. Lo sentì farfugliare qualcosa del genere, scuotendo lentamente la testa come se fosse caduto in una specie di trance.
“Fratello” iniziò Loki con cautela, facendo un passo avanti.
“Sta' zitto, sta'... zitto!” Gli puntò contro un indice tremante e indietreggiò ancora. “Tu... tu non sei reale, sei una stupida allucinazione frutto di troppe birre scadenti!” E per rimarcare il concetto pensò bene di scagliargli contro la bottiglia vuota, colpendolo in pieno sulla testa e strappandogli un ahi sarcastico. Loki prese a massaggiarsi il punto offeso e vide l'espressione di suo fratello mutare completamente, le palpebre spalancate e lo sguardo incredulo.
“Tu... non può essere... ho sentito il tuo cuore che smetteva di battere... ti ho tenuto tra le braccia mentre succedeva...”
Il cuore gli si strinse nel petto. Avrebbe disperatamente voluto essere il Loki di cui parlava Thor, quello morto tra le sue braccia, quello che meritava le sue lacrime e il suo dolore, perché se lo fosse stato allora avrebbe potuto restituirglielo, dirgli eccomi, fratello, era solo un trucco, ora puoi insultarmi e prendermi a calci, dirmi che non cambierò mai e che mai più ti fiderai di me. E poi ricominciare tutto da capo, combattere uno contro l'altro e subito dopo fianco a fianco, esattamente come i due principi di Asgard che si sorridevano sullo schermo della TVA.
Ma lui non era quel Loki.
Cosa aveva sperato di ottenere tornando da lui? Non avrebbe mai potuto sostituirsi a quel se stesso così diverso, così compianto, così amato. Sicuramente quel Thor nemmeno si ricordava più del Loki invidioso, sadico e guerrafondaio che sette anni prima aveva riportato a casa in catene. Era un'immagine sbiadita che ai suoi occhi aveva perso rilevanza. Gli eventi che in quegli anni avevano piegato, plasmato e limato la crudeltà del dio dell'inganno, che avevano fatto emergere la sua parte migliore, questo Loki non li aveva ancora vissuti e non li avrebbe vissuti in nessun caso. E se da un lato questa consapevolezza lo sollevava, perché significava risparmiarsi sofferenze insostenibili, come la morte di Frigga, dall'altro lo faceva sentire in trappola, bloccato dentro se stesso, senza speranza di crescere, di evolversi e riscattarsi, di dare un senso alla sua esistenza.
“Perché mi fai questo?” esalò Thor senza voce, afflosciandosi su se stesso e finendo seduto su un prato che in realtà non esisteva. Ma non c'era rabbia in lui, né recriminazione, bensì un sentimento che Loki non seppe identificare, duro e violento come i tuoni che ora squarciavano il cielo sopra di loro e che spinsero la folla fuori dalla loro bolla illusoria a disperdersi.
“Mi hai lasciato credere che fossi morto...”
“Ed è così” mormorò inginocchiandosi cautamente accanto a lui. “Ascolta...”
“Come hai potuto... dopo che...” ma non riuscì a terminare la frase.
“Non c'è un modo giusto per dirlo senza farlo sembrare assurdo, te lo concedo.” Con dita incerte gli sfiorò lo zigomo, sentendo una leggera scossa pungergli i polpastrelli e arrivargli fino al polso. Gli occhi di suo fratello persi nel vuoto. “Io sono... Loki è... lui è stato davvero ucciso da Thanos. E stavolta non tornerà, non così come tu lo ricordi.”
“E allora tu chi sei?”
Ora quell'unico occhio lo fissava con una disperazione disarmante, convincendolo a dirgli ogni cosa.
Gli raccontò di Thanos, del modo in cui lo aveva spinto a invadere la Terra e a rubare il Tesseract, della sua fuga nel 2012, della TVA, di Mobius e Sylvie, della vita che non aveva vissuto e che gli era passata davanti agli occhi come un film proiettato in uno squallido cinema di quart'ordine.
“Io sono tuo fratello, ma non quello che tu...” si interruppe perché non sapeva bene che altro dire, ma anche perché era troppo penoso continuare a spiegare l'inspiegabile.
Quando Thor riportò gli occhi su di lui, Loki riuscì a malapena a reggere il suo sguardo. Era troppo. Desiderò sparire e per un momento pensò di farlo davvero, di usare la sua magia per trasformarsi in una mosca, una rana o un serpente, in qualunque altra cosa potesse portarlo lontano da lì. Ma si diede subito del vigliacco. Aprì bocca e la richiuse mentre la mano di suo fratello gli si posava sulla spalla, stringendola come per avere la certezza che fosse davvero lì, fatto di materia reale, di carne viva e ossa. Non poté fare a meno di sorridere, quando anche le labbra di lui si arricciarono.
“Non può essere vero...”
“No” convenne il dio dell'inganno, “eppure sono qui.”


Forse erano state le dita ruvide di suo fratello strette sulla sua nuca, il respiro irregolare, gli occhi lucidi, quel sei qui che Thor gli aveva soffiato sul viso e che sapeva di alcol e di sollievo. Forse era stato l'abbraccio rude e sgraziato che l'aveva intrappolato subito dopo, quasi soffocandolo, risvegliando in lui l'antica smania che aveva confinato nel profondo di se stesso per troppo tempo. O più probabilmente era dipeso dalla sensazione della sua carne sotto le dita, dai suoi capelli in bocca, dal suo calore che gli ridava vita, ricordi, speranze. Fatto sta che le parole di Sylvie presero a rimbombargli nella testa come una cantilena fastidiosa.
Niente di vero. Questo era ciò che lei aveva dedotto mentre lui le raccontava ciò che il suo cuore aveva ottenuto in millenni di immortalità, questo era ciò che lui aveva scelto di credere così a lungo. Ma si trattava di una menzogna.
Le braccia che ora lo stringevano goffamente, quell'odore intenso e familiare, il respiro caldo che gli solleticava l'orecchio... tutto questo era vero. Quell'amore così ostinato, capriccioso e senza speranza era reale. Lo era sempre stato. Tutto il resto non aveva più importanza.




 
§




Nuova Asgard era un piccolo agglomerato di casette di pescatori arroccate su un fiordo rigoglioso. L'aria salmastra, profumata di terra e mare, si insinuava sotto la camicia di Loki come una fresca carezza di benvenuto.
“Così ora è questo il tuo regno.”
“Te l'ho già detto, non è il mio regno.”
“Non funziona così, caro fratello, non puoi alzarti una mattina e abdicare come se niente fosse. Nostro padre aveva scelto te, se ben ricordo” sentenziò non senza una punta di sarcasmo.
“Nostro padre mi aveva sopravvalutato. In effetti, tutti l'hanno fatto.”
“Oh, non io. Ho sempre saputo che la sua era una pessima scelta.”
Thor non diede segno di aver colto quella provocazione, si strinse nel maglione infeltrito continuando a fissare il mare, col vento che gli arrossava l'occhio buono.
“Nostro padre non aveva idea di chi sarei potuto diventare. Sono debole, fratello, e un re non può permettersi la debolezza.”
Il modo in cui l'aveva guardato subito dopo, stirando le labbra come a trattenere parole impronunciabili... Loki aveva sentito le viscere contrarsi, le dita stringersi a pugno nelle tasche dei pantaloni. Pensò di trattenerlo, mentre con passo pesante il dio del tuono si incamminava giù per il sentiero ripido e sterrato. Voleva formulare una qualunque obiezione a quelle affermazioni, ma la sua testa era come svuotata. Tacque e lo seguì con passo incerto sui ciottoli sabbiosi, verso le piccole abitazioni erose dal maestrale. Un peso gli gravava sul cuore, un senso di colpa misto a impotenza, perché se lui fosse stato l'altro Loki, il martire tanto compianto, quanto meno si sarebbe potuto prendere la responsabilità di averlo abbandonato crepando come un idiota. Ma nemmeno quello poteva concedersi in fin dei conti.
Adesso era lì, ma non era certo che sarebbe bastato. Poteva davvero recuperare il rapporto con suo fratello? Nella sua linea temporale aveva fatto un casino, in quella attuale era morto dopo una totale riconciliazione. Ripensò all'abbraccio sgraziato di poco prima, non si erano mai stretti in quel modo prima di allora. E tenendosi strette le sensazioni provate tra le sue braccia avvertì una strana e immotivata speranza che si faceva strada dentro di lui.


La catapecchia in cui entrarono li avvolse in un'oscurità polverosa, il puzzo stantio di formaggio fuso e birra gli fece rigirare lo stomaco. O forse era stato il pensiero di suo fratello tra quelle quattro mura ingiallite, a bere e ingurgitare solitudine, a consumarsi nell'apatia giorno dopo giorno.
Lo guardò mentre si sfilava il maglione di due taglie più grande e lo gettava distrattamente sul divano consumato, restando avvolto in un secondo cardigan più attillato ma ugualmente rovinato. Percorse con gli occhi quel corpo curvo e pesante, i capelli arruffati, le mani callose e secche di salsedine, cercando di scacciare il ricordo insopportabile del dio luminoso e possente che era stato un tempo. E in quello stesso momento capì che non poteva arrendersi, che suo fratello era ancora lì, sotto strati di dolore, vendetta e rimpianto, che la sua luce non si era spenta, che lui avrebbe fatto l'impossibile per scorgere di nuovo i lampi squarciare l'azzurro di quell'unico occhio e il sole risplendere tra i suoi capelli.
Eppure non poteva ignorare il modo in cui Thor lo guardava, l'insistenza con cui lo spiava quando lo credeva distratto. Sembrava cercare in lui il Loki che conosceva e che aveva perduto. Faceva male.
“È per la mia morte?” azzardò spezzando il silenzio. E quelle poche parole sussurrate echeggiarono nella stanza come un frastuono di piatti rotti, facendoli sussultare entrambi.
Thor si voltò sfoggiando un'espressione confusa.
Ormai era tardi per rimangiarsi la domanda, pensò Loki, imponendosi di andare fino in fondo. Il tatto non era mai stato il suo forte e comunque da qualche parte doveva pur cominciare!
“È per questo che tu...” fece un gesto evasivo a indicare quella sottospecie di salottino e uno più specifico in direzione di suo fratello, che assottigliò lo sguardo e trattenne il respiro per un momento che parve lunghissimo.
“Vuoi sapere se mi sono ridotto così perché sei morto?” sorrise amaro, scrollando le spalle.
“Contrariamente a ciò che potresti pensare non è per gongolare!
“Davvero?” Di nuovo quell'espressione, quello sguardo penetrante che bucava l'anima.
“Davvero” assicurò lui. E in quell'istante vide i tratti di suo fratello addolcirsi, illuminarsi, farlo somigliare a quello che era stato un tempo. Per un attimo sperò che la risposta fosse affermativa, perché se la sua dipartita era riuscita a privare il figlio di Odino – il possente Thor, il re di Asgard! – di tutta la sua divina potenza, questo avrebbe potuto significare che lo aveva amato. Che magari avrebbe potuto amare anche lui, un giorno! Di un amore fraterno, ovvio, ma ciò sarebbe stato comunque più di quanto avrebbe mai osato sperare.
“Oh, Loki...” Thor sospirò e si lasciò cadere a peso morto sul divano, il tonfo attutito dai cuscini macchiati. “Tutto questo mi sta mandando fuori di testa” concluse nascondendo il volto tra le mani
“Non vuoi che mi senta responsabile? Ti preoccupi per me come quando eravamo bambini?” lo punzecchiò tentando invano di spezzare quella tensione.
Attese una risposta che non arrivò e infine gli si sedette accanto, silenzioso come un gatto nella penombra del tardo pomeriggio. Le mani sulle ginocchia, il cuore a rimbombargli nelle orecchie.
“Mi dispiace, sono uno stronzo, lo sai.” Loki sentiva di star compiendo uno sforzo insopportabile per riuscire a parlare. “So di non essere il fratello che hai perso, ma sappi che se potessi mi scambierei con lui in qualunque momento” con la bocca secca strinse forte le ginocchia tra le dita, “se questo servisse a qualcosa.”
“Vorresti essere morto?” chiese Thor sollevando il viso dai palmi e trafiggendolo di nuovo con lo sguardo.
“Avrei voluto essere il fratello che meritavi.”
“Lo sei stato. E forse io sono riuscito a esserlo per te, prima che Thanos...” prese fiato mentre sembrava cercare le parole giuste, “ Loki, tu non hai idea di quello che significhi per me riaverti qui ora, ma tu non...”
Loki attese il resto della frase, parole che non arrivarono mai.
“Ma io non sono lui?”
“Lo sei. Sì, insomma, sulla carta sei sempre tu, ma ci sono troppe cose che non sai e io non ho idea di come fare a spiegartele...”
“Provaci per Odino!” Il suo cuore prese a battere all'impazzata, un groppo che gli bruciava in gola. “Eravamo fratelli, lo eravamo diventati davvero, l'ho visto sullo schermo della TVA, volevi perfino abbracciarmi. Diamine, è schifosamente sentimentale perfino per te.”
“Oh, non penso che ti abbiano mostrato tutto.”
“Ti prego, dimmi che non ci siamo anche messi a piangere.”
Thor sorrise, ma la patina lucida sul suo occhio non sfuggì a Loki.
“Vuoi davvero saperlo?”
“Sai quanto posso essere curioso.”
Restò in attesa, scrutando l'espressione indecifrabile di Thor.
Cos'era successo in quegli anni? Quali eventi potevano aver fatto appassire suo fratello in quel modo? Quale trauma, forse legato alla venuta di Thanos, l'aveva privato della sua luce calda e accecante?
“Magari più tardi” sentenziò invece l'altro, alzandosi per stappare una bottiglia di birra e lasciando cadere il discorso.
Loki tentò invano di combattere la frustrazione. Non si sarebbe certo arreso. Odiava non sapere tutto, essere tenuto all'oscuro di qualcosa che lo riguardava. E odiava ancora di più vedere suo fratello che in qualche modo lo teneva sulle spine.




 
§




Passarono i giorni, l'argomento non venne più nemmeno sfiorato.
Loki iniziava a prendere confidenza con quella cittadina di pescatori, con il silenzio delle notti stellate, con le distese verdeggianti che si perdevano nella nebbia del mattino per gettarsi nelle acque gelide del fiordo. Si sorprese ad apprezzare l'odore di salsedine misto a quello d'erba umida, le imprecazioni dei vecchi giù al molo, le urla divertite dei bambini che giocavano fingendosi guerrieri di Asgard, con spade e martelli di legno.
Thor dormiva sul divano, lui in camera da letto, affondando in un cuscino in cui l'odore di suo fratello era ormai una timida traccia confusa. Doveva aver rinunciato a passarvi la notte molto tempo prima, preferendo le molle poco confortevoli e la puzza di muffa.
Parlavano di argomenti superficiali, del clima rigido che aveva gelato il raccolto l'inverno precedente, della pesca di aringhe, di quei bizzarri alieni goliardici che di tanto in tanto invadevano il salotto per sbronzarsi e giocare a qualche videogame, sprofondando pigramente tra gli stessi cuscini su cui poi Thor avrebbe dovuto passare la notte.
Qualche volta Loki lo accompagnava in paese per certe commissioni. Giusto per accertarsi che non svanisse, ma anche perché sapeva che suo fratello aveva lo stesso identico timore riguardo a lui. Camminavano in silenzio, ben attenti a non sfiorarsi, sospirando di sollievo ogni qual volta incontravano qualcuno che rivolgeva loro la parola, spezzando la tensione.
L'abbraccio al funerale di Tony Stark sembrava un lontano ricordo. Quella commozione, quella gioia, adesso erano state sostituite dalla frustrazione di parole non dette e segreti mai confessati.
“Mi mancano i nostri genitori” aveva mormorato Thor una sera dopo cena, mentre sedevano sotto la tettoia in silenzio, contemplando l'aurora boreale. “Tu pensi mai a loro?”
Loki fu colto di sorpresa. Dopo tanti silenzi e frasi di circostanza non si aspettava una domanda così intima. Ci pensò su, fu tentato di rispondere scioccamente che non erano davvero i suoi genitori, ma poi prese fiato, senza smettere di guardare il cielo, e per una volta disse semplicemente la verità.
“Sempre.”




 
§




I giorni divennero settimane, gli scambi di battute si trasformarono poco a poco in discorsi, le commissioni in paese erano diventate lunghe passeggiate che i due facevano insieme prima di cena. Anche la catapecchia dove vivevano sembrava più accogliente, pulita e luminosa.. Il ventre di suo fratello si andava gradualmente sgonfiando. Loki aveva notato che beveva molto meno, che aveva quasi bandito del tutto pizza, patatine e formaggio fuso. Ogni giorno a cena arrostivano il pesce appena pescato e lo mangiavano avvolto nelle alghe e cosparso di miele, proprio come quello che si preparava ad Asgard e che da principi consumavano nel grande salone dei banchetti.
Una mattina Loki notò che la barba di suo fratello era più corta, i capelli meno arruffati, legati in uno chignon dietro la testa. Gli scoccò una frecciata strizzandogli l'occhio, ma lui balbettò qualcosa a proposito di Valchiria e di alcune questioni logistiche urgenti, per poi uscire in tutta fretta sbattendo la porta dietro di sé.
Era a quella donna che Thor aveva affidato il comando di Nuova Asgard, dettaglio che a lui non andava proprio giù. Dopo essersi quasi uccisi a vicenda per quel trono, adesso suo fratello lo cedeva come se si trattasse di una lavatrice difettosa.
Eppure, nonostante non sembrasse contemplare la possibilità di riprendere il suo ruolo di sovrano, il dio del tuono continuava a declinare l'offerta di cinque squinternati che gli avevano proposto una qualche avventura spaziale per cercare una certa Gamora. Per lui sarebbe stato semplice abbandonare quella condizione mediocre e deprimente, ma non sembrava ancora convinto di ciò che davvero desiderava. Oltretutto qualcosa lo tratteneva lì, e Loki sapeva per certo che quel qualcosa era lui.


“Me lo dirai prima o poi?”
“Mh?”
“Quello che non vuoi dirmi.”
Thor stava riparando una gamba del tavolo in cucina, la camicia a quadri slacciata sulla maglia bianca mostrava un barlume del corpo che aveva sfoggiato un tempo. Loki, che leggeva sdraiato sul divano, aveva notato come pian piano suo fratello stesse tornando a somigliare al dio che una volta aveva brandito Mjolnir.
“A cosa servirebbe?” borbottò con un chiodo tra i denti, senza smettere di martellare il legno. “Sei qui adesso. Non basta?”
Loki non rispose, attese che il frastuono cessasse e chiuse il libro sbuffando.
“Semplice curiosità” mentì stiracchiandosi e mettendosi seduto.
“Ne parleremo un'altra volta.”
“Sai che potrei scoprirlo facilmente.”
“Davvero lo faresti?”
No, non l'avrebbe mai fatto. Non a lui. Profanare i suoi ricordi con la magia era un pensiero che perfino il dio dell'inganno trovava deplorevole.
Tacque e abbandonò l'argomento. L'ennesima resa, la stessa identica frustrazione.




 
§




“Tu vuoi che resti?” gli aveva chiesto qualche giorno più tardi, mentre sedevano nello stesso identico punto in cui Odino li aveva salutati per l'ultima volta. Guardavano il mare in tempesta senza parlare, mentre una pioggiarella sottile gli pungeva il viso e le mani.
Lui voleva restare, non c'erano dubbi, ma non avevano mai davvero parlato di questo. Sembrava un continuo rimandare, un far finta di nulla per paura di spezzare quell'equilibrio.
Loki non intendeva certo tornare alla TVA, né vagare da solo per i Nove Regni come un esule. Lui voleva rimanere. Avrebbe soffocato i suoi sentimenti e gli sarebbe stato accanto come il più fedele dei fratelli, ma per farlo aveva bisogno di sapere che anche Thor lo desiderava.
“Certo che voglio” rispose quasi immediatamente. “Ma non posso chiedertelo.”
“Infatti non me lo stai chiedendo.”
“Loki, io non...”
Per un momento sentì freddo. Proprio lui, che al gelo era immune, iniziava a rabbrividire. Non gli piaceva lo sguardo di suo fratello, lo sentiva lontano, irraggiungibile, e temeva che potesse svanire da un momento all'altro nella foschia di quella violenta burrasca.
“Beh, ti ascolto” disse con fermezza, fingendosi indifferente e controllato.
“Dovrai prenderti da solo quello che vuoi.” Poi, scorgendo lo smarrimento sul volto di Loki, gli prese le mani e con un gesto un po' rude se le premette sulle tempie. “Guarda tu stesso.”
Quel contatto destabilizzò lo Jotunn, che si irrigidì non appena i suoi palmi schiacciarono i capelli del fratello, la fronte calda, le vene pulsanti di ricordi e dolori sconosciuti.
“Guarda” ripeté il dio del tuono puntando il suo unico occhio nei suoi. “E se poi vorrai uccidermi o scomparire per sempre giuro che ti capirò.”
Loki sentì il sangue defluirgli dalla faccia. Voleva davvero che lo facesse?
“Sono io che te lo chiedo” mormorò suo fratello come se gli avesse letto nel pensiero. “Non riuscirei mai a dirtelo a parole.”
A Loki non servì altro, perché in realtà voleva farlo con tutto se stesso, l'aveva desiderato dal primo momento e adesso aveva finalmente ottenuto il permesso di prendersi la verità a modo suo.
Chiuse gli occhi e lo vide.






 
Continua...

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Capitolo 3
*** Intermezzo ***


Intermezzo




“Se fossi davvero qui potrei anche abbracciarti.”
Glielo dico, e per un momento immagino la sensazione di farlo davvero. Le sue spalle spigolose, la seta nera dei suoi capelli, il suo odore, la pelle fresca e liscia contro la mia guancia.
Gli lancio la prima cosa che trovo a portata di mano, più per scacciare quei pensieri che l'illusione in sé. Ma non è un'illusione. Lui è qui, in carne, ossa e sarcasmo. In tutta la sua fastidiosa altezzosità. Sorride e me lo conferma, come se fossi troppo stupido per accorgermi dell'evidenza: “sono qui” dice, dopo aver preso al volo quello che potrebbe tranquillamente essere il mio cuore ma che forse è solo il tappo di qualche liquore scadente.
Non so quanti passi mi ci vogliano, forse mille, forse solo uno. Gli sono addosso, lo afferro, lo stringo. È qui. È rimasto con me. Non se ne andrà stavolta. Non se ne andrà più. Basta con gli inganni, con le fughe, con le macchinazioni. Lui resterà. Lui lo vuole.
Per un momento mi ricorda il Loki bambino, quello che mi sorrideva senza doppi fini, gli occhi limpidi e sinceri. So che non sarà più così, che dovrò combattere con lui ogni giorno, ma non mi importa. Non mi importa di quello che ha fatto, di quello che ha detto, di tutto il male in cui è sprofondato. Non mi importa di quanto mi ha odiato, di quanto l'ho odiato. Non mi importa di nulla che non sia questo momento.
Sento il suo corpo ammorbidirsi tra le mie braccia, le sue mani circondarmi lente ma decise, afferrare il mio mantello, premere contro la mia schiena. La testa che mi esplode.
Con lui sono completo. So solo questo. Lo so da sempre, l'ho ignorato troppo a lungo. Ho combattuto invano e ora non ci sono più scuse né alibi. Era mio fratello, era un mostro, era un nemico. Nulla di tutto questo è mai stato vero. O forse lo è stato solo in parte. La parte che continuo ad amare e che, me ne rendo conto solo ora, non voglio cancellare.
Ogni fibra del mio corpo freme, il mio sangue prende a invocarlo disperatamente, battito dopo battito, pulsando e bruciando. Sono terrorizzato. Se perdessi il controllo non potrei tornare indietro, non potrei trattenerlo. Fuggirebbe. Mi odierebbe. Mi lascerebbe di nuovo. Il mio raziocinio artiglia i lembi del mio cuore senza riuscire a trattenerlo, il desiderio che lo impregna è testardo, viscido, scivoloso.
Sento la sua pelle fredda come neve sotto le dita, eppure sul mio collo il respiro è caldo. Da quanto tempo siamo abbracciati? Dieci secondi o forse un secolo. Ha importanza? Siamo esseri divini. Potremmo restare così in eterno e ignorare l'universo a occhi chiusi solo per capriccio.


Mi è parso di sentirlo sussurrare il mio nome, ma forse l'ho solo immaginato.
Dovrei allentare la presa, lasciarlo andare, dirgli di seguirmi nella sala comando, decidere insieme una rotta, spezzare quell'incantesimo. Invece lo stringo più forte, mi aggrappo a lui come un disperato, le mie mani a percorrergli la schiena, a saggiare la consistenza della sua carne sotto il mantello e la corazza.
“Fratello” mi esce dai denti. E mi domando se sia stato davvero io a parlare.
Mi sorprendo a odiare quella parola, perché è ciò che ci lega e ciò che ci divide. Siamo fratelli eppure non lo siamo. Allora perché il mio sangue sembra parlare al suo? Perché anche il suo cuore di ghiaccio grida e implora contro il mio petto?
“Fratello” mi fa eco lui. E la sua voce è come una preghiera blasfema, un sibilo dolce e sensuale che mi fa perdere anche l'ultimo barlume di controllo.
Affondo il naso tra i suoi capelli, respiro con avidità contro la sua mascella, vi premo le labbra, lui digrigna i denti e resta in apnea. Sono ancora in tempo. Potrei scostarmi e far finta di niente, dargli un bacio sulla guancia per sfotterlo, battergli una pacca sulla spalla e dimenticare. Come ho sempre fatto da quando eravamo ragazzini.
Ma non sono ancora riuscito a elaborare questo pensiero che la mia bocca è già premuta sulla sua.


Le labbra di Loki sono umide e calde, la punta del naso invece mi solletica gelida la guancia. Il suo sapore mi coglie impreparato. Sa di neve e di qualcos'altro che in un primo momento mi sfugge.
Sambuco e biancospino.
La resina degli abeti ricoperti di brina.
L'inverno.
I boschi dove giocavamo da bambini.
Casa.
Mi allontano di scatto, pentendomi di tutto, cercando di formulare una scusa, una ridicola supplica per farlo restare. Quello che mi sconvolge invece è come Loki non sembri affatto pentito. I suoi occhi di rapace mi fissano come se volessero frantumarmi. Il respiro è accelerato e rumoroso, gli zigomi arrossati. Si passa la lingua sulle labbra e le arriccia trionfante. Lo voleva anche lui.
Il mondo si ribalta e ogni cosa ha finalmente senso.
È mentre questa consapevolezza si fa strada dentro di me che mio fratello mi bacia di nuovo, un sorriso quasi diabolico, le labbra che si schiudono sulle mie. Lo lascio fare, lo faccio anch'io, mi perdo per un istante che dura cento vite terrene.
Mi viene in mente il nostro vecchio precettore, quella volta in cui ci ha spiegato che anche il ghiaccio può ustionare. Forse più del fuoco. È ciò che mi sta accadendo adesso, mentre premo il palmo della mano sul suo collo gelido.


Ci stacchiamo a fatica, gli occhi ancora chiusi, la sensazione della sua lingua ancora nella mia bocca, le labbra che pulsano bagnate della sua saliva. Qualcuno sta bussando. Per un attimo penso che sia il martellare del mio petto contro il suo, una qualche esplosione da qualche parte tra le stelle.
“Resta con me” gli dico sottovoce, prendendogli la mano con una reverenza che non pensavo mi appartenesse.
“Sono qui” ribadisce lui con un sorriso scaltro e dolce al tempo stesso.


E poi quella specie di incoronazione, lui accanto a me, ma mai abbastanza vicino, tornare in fretta nella mia cabina, non sapere cosa dire o cosa fare e restare in silenzio a osservare lo spazio aperto fuori dal vetro della nave. Lui che mi chiede se sia una buona idea farlo tornare sulla Terra, io che gli dico di avere un buon presentimento e che ci credo fermamente, con tutto me stesso. Finché non la vediamo.
Una nave enorme, proprio davanti a noi, scura e minacciosa come un presagio di morte.


Thanos.






 
Continua...

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Capitolo 4
*** Parte seconda ***


Parte seconda



 
La mente di Thor lo rigurgitò fuori con violenza, un capogiro e un conato acido costrinsero Loki ad aggrapparsi alla roccia sotto di sé.
Si accorse di essere fradicio. Le maniche della camicia appiccicate alla pelle, gocce di pioggia e sale a pizzicargli gli occhi. Suo fratello se ne stava immobile sotto la pioggia, visibilmente turbato e non del tutto riemerso da quell’immersione negli abissi della memoria, ciocche bionde e gocciolanti erano sfuggite allo chignon, attaccandosi disordinatamente sul collo e sulle tempie. Loki poteva percepire distintamente il suo respiro pesante, la tensione nelle sue spalle curve e il lieve tremore delle mani. Anche lui stava tremando senza rendersene conto.
Sotto quelle nuvole nere, ascoltando il rombo dei tuoni, non si decidevano a parlare, o forse nessuno
dei due riusciva a trovare qualcosa di sensato da dire.
Loki sedeva rigido con le mani in grembo, provando inutilmente a metabolizzare ciò a cui aveva appena assistito nella mente di suo fratello. Si era preso i suoi ricordi e ogni certezza era crollata. Non riusciva ancora a crederci. Avevano combattuto gli stessi sensi di colpa, zittito le stesse pulsioni e gli stessi sentimenti per tutta la vita, credendoli irrimediabilmente sbagliati.
“Ora lo sai” lo sentì mormorare all'improvviso. E quella voce gli arrivò da lontano, ovattata, come se il rumore della pioggia battente volesse attutire ogni altro suono. “So che non sei lui, che nel tuo tempo mi consideravi un nemico, che una parte di te forse ancora mi odia” proseguì Thor incerto, “e se vuoi andartene...” lasciò la frase sospesa e quelle parole aleggiarono a lungo tra loro, echi impalpabili nel ticchettio della pioggia.
“Andarmene” ripeté lui meccanicamente, come se non avesse mai sentito quell'espressione prima di allora.
“Loki...”
“Tu pensi che io voglia andarmene?”
Si sentiva perso in una sorta di trance, millenni di rabbia e frustrazione gli scivolarono via dalle spalle come un mantello di seta.
Una parte di te ancora mi odia.
No, non era vero. Non più. Lo era stato prima. Prima della TVA, prima di aver visto la sua vita e la sua morte proiettati su un dannato maxischermo, prima di aver accolto dentro di sé un frammento di quel Loki che aveva tanto invidiato e che in fondo, finalmente ora lo capiva, era sempre stato lì, parte di lui, nascosto in angoli polverosi della sua anima che non aveva mai osato esplorare. Forse non l'aveva nemmeno mai odiato, quel fratello così schifosamente perfetto e ammirato da tutti. Almeno non fino in fondo. Forse detestava solo se stesso, quella sensazione di non avere un posto nell’universo, di essere mai nel giusto, mai abbastanza per nessuno, mai amato per ciò che era. E con una buona dose di irritazione comprese di essersi sbagliato anche su questo.
Quanto tempo sprecato! Avrebbe potuto averle colui che amava e invece, per secoli, si era preoccupato di mostrargli il suo lato peggiore, così come aveva fatto con tutti, arrivando a convincersi di essere solo quello, di non avere altro da offrire.
“Andarmene” ripeté spalancando gli occhi verso il mare, masticando quella manciata di sillabe come se il loro sapore amaro lo disgustasse.
Un lampo squarciò il cielo, seguito immediatamente da un tuono che rimbombò sulle loro teste. Avvertiva l'occhio di suo fratello su di sé, la sua incertezza, il panico che a poco a poco si impossessava di lui. E avrebbe voluto afferrargli i polsi, dargli dello stupido e scacciare ogni suo timore, far svanire con la magia tutto il dolore e la solitudine che gli aveva inferto, per lo più consapevolmente.
“Non lo farai?” provò a chiedere titubante il dio del tuono, interrompendo quel turbinio di pensieri. “Davvero non vuoi dileguarti stavolta?”
Loki si voltò di scatto, ciocche corvine a frustargli il viso, e quel no! pieno di sdegno quasi glielo sputò in faccia.
“No” ripeté con un filo di voce, abbassando lo sguardo sul giaccone sdrucito di Thor e passandosi le mani sulle cosce bagnate, deciso a ricomporsi. Raddrizzò le spalle e gli concesse un sorriso sghembo. “Vuoi già liberarti di me, fratello?”
Fu allora che la pioggia cessò.


Un timido raggio di sole si era posato sui capelli di Thor, facendoli risplendere come oro liquido. Una strana elettricità permeava l'aria e tutt’intorno non si udivano suoni, se non il lieve infrangersi delle onde sulla scogliera. Il vento freddo si era calmato, una brezza carica di salsedine li accarezzava come una madre indulgente.
Loki teneva le mani strette a pugno sulle ginocchia, incapace di compiere qualsiasi azione che non fosse guardare suo fratello, percorrere con gli occhi le linee del suo viso, riconoscerne la perfezione in ogni dettaglio, in ogni sfumatura, in ogni ciuffo di barba, perso in quella bellezza accecante che tanto gli aveva invidiato e che ora beveva avidamente con lo sguardo.
“Sono qui” fu tutto ciò che riuscì a dire, facendo eco a quel Loki scomparso, che ormai sentiva essere parte di sé.
Thor adesso gli sorrideva. Il suo unico occhio aveva di nuovo dentro il cielo, il mare e la prorompente luce divina che fino a pochi istanti prima sembrava irrimediabilmente affievolita.
In quel sorriso il tempo sembrò dilatarsi, e tanto da permettere e Loki di cogliere anche il più piccolo mutamento sul viso del fratello: gli angoli della bocca che si abbassavano facendolo tornare serio, la fronte che si aggrottava ombreggiandogli le palpebre, una goccia di pioggia che gli colava tra i capelli, sulla tempia, per poi scivolargli languida sullo zigomo. Trattenne il respiro quando Thor gli prese la testa tra le mani.
“Resta” gli aveva detto con quella voce calda, ruvida come il tocco dei suoi palmi. A Loki uscì una risatina sarcastica, ma non si ritrasse da quelle dita gentili.
“Non sei più adirato con me, fratello?” domandò ostentando aria di sfida, “volevo distruggere questo pianeta, rammenti?”
“È stato tanto tempo fa.” “Ho ucciso delle persone.”
“Non mi importa” esalò mentre una smorfia colpevole ma ostinata gli induriva i tratti del volto. “Ho provato a uccidere te.”
“Non mi importa.”
Come ipnotizzato, Loki osservò le sue labbra che si schiudevano, la punta della lingua che le inumidiva, il fiato tiepido che gli si condensava tra i denti al contatto con l’aria gelida dell’inverno. “Non mi importa” ripeté Thor per la terza volta, anche se Loki non aveva più formulato alcuna obiezione. E lo disse sottovoce, quasi fosse solo un sospiro, sostenendogli dolcemente la nuca, passandogli i pollici sulle guance, tirandolo impercettibilmente verso di sé.
Quel non mi importa valeva per ogni cosa, per qualunque tradimento suo fratello avrebbe potuto elencare, per ogni abominio commesso, per tutto il male, la guerra, le ferite che si erano inferti a vicenda.
A Thor non importava, lo voleva nonostante tutto, lo voleva in virtù di tutto. Loki non era mai riuscito a capirlo prima di allora e con arrendevolezza si abbandonò al calore delle sue mani, chiudendo gli occhi e lasciandosi guidare dal suo profumo.
Quando le loro labbra si toccarono fu come se l’universo intero si fermasse, congelato in un’esplosione di stelle.
Loki lo baciò senza respirare, con una sorta di timore reverenziale che non aveva mai provato prima. Assaporò la sua bocca con lentezza, beandosi del suo sapore, della morbidezza delle sue labbra, dell’irruenza con cui gli stringeva il collo. Gli piaceva da impazzire, tanto che fu proprio lui a infilargli la lingua tra i denti, incapace di resistere un altro secondo senza ingoiare il suo respiro. E quando sentì la lingua di suo fratello andare incontro alla sua un senso di calore lo investì come lava bollente, un fuoco liquido nelle vene, una morsa che gli stritolava le viscere risvegliando l’antica brama che troppe volte aveva ignorato o riversato altrove. Si aggrappò al suo giaccone fradicio e lo tirò a sé, premendo il petto contro il suo, il cuore che vibrava e galoppava sotto la stoffa. Ma quei maledetti vestiti erano troppo spessi perché Loki riuscisse a percepire la consistenza della sua carne o il calore della sua pelle. Se avesse potuto lo avrebbe spogliato in quel preciso momento, su quelle rocce dure e scivolose di pioggia, sotto quelle nuvole squarciate senza pietà da una lama di luce.
“Andiamo a casa” gli soffiò Thor sulle labbra con voce roca, e tanto bastò a dargli il colpo di grazia. Un brivido gli percorse la schiena fino alle natiche.
“Sì” esalò lui in rimando, inclinando le labbra in un sorriso lascivo. Ma, anziché staccarsi, i loro corpi si avvicinarono di più, le bocche di nuovo una sull’altra a scambiarsi il sapore dell’immortalità.
Loki avrebbe volentieri trascorso il tempo che gli restava da vivere baciando suo fratello, a farsi graffiare dalla sua barba, ignorando il resto del mondo e galleggiando con lui in una bolla tutta loro. E probabilmente Thor non avrebbe obiettato, perché nonostante le sue parole non diede alcun segno di volerlo lasciar andare. Lo tenne stretto ancora a lungo e quando infine interruppero quel contatto, allontanandosi controvoglia, continuarono a guardarsi in silenzio, immobili come statue millenarie senza alcuna necessità di respirare o sbattere le palpebre.
Thor sorrise, Loki notò distrattamente che le nuvole si erano ormai diradate e tutto aveva ripreso a muoversi. L'universo palpitava e una nuova linfa scorreva attraverso i rami di Yggdrasill. Potevano quasi sentire il fruscio delle sue foglie, là dove Midgard vi era appesa come un melograno maturo. “Avevi detto casa, giusto?” lo incalzò impaziente il dio dell’inganno.
Gli era stato concesso un assaggio e adesso si sentiva più famelico che mai. Ne voleva ancora, ne voleva di più. Voleva ogni cosa.
Ma non fece in tempo ad alzarsi in piedi che una luce accecante squarciò la realtà di fronte a loro, ruotando vorticosamente e dando origine a un portale temporale dal quale emerse una losca figura incappucciata.




 
§




Quando si ritrovò di fronte una figura incappucciata, Loki si paralizzò e un moto di terrore gli fece risalire in gola un rigurgito acido. Le guardie della TVA erano riuscite a trovarlo, pensò inorridito. Ma mentre passava mentalmente in rassegna decine di ipotesi su come uscire incolume da quella situazione, Thor gli si parò dinnanzi in tutta la sua magnificenza: una pioggia di fulmini a fargli da scudo, l’inconfondibile corazza nera e argentata che gli si disegnava addosso, coprendo ogni centimetro del suo corpo. Un’elettricità dirompente prese ad attraversarlo dalla testa ai piedi, carbonizzando i fili d’erba sotto di essi. Loki si perse per un istante a osservare i lunghi capelli dorati che sferzavano le spalle corazzate di Thor, sentendosi completamente soggiogato da quella potenza incontenibile, scatenata esclusivamente per proteggere lui.
“Fratello” esclamò, mentre un dubbio iniziava a farsi strada nella sua testa, ma il possente dio del tuono non gli diede ascolto, tese la mano destra e Mjolnir gli piombò nel pugno in meno di un secondo. “Se sei qui per lui sappi che non ti permetterò di fare un altro passo.” E la sua voce era un rombo di tuono che faceva vibrare persino l’aria attorno a loro. “Non lo toccherai.”
Il portale si richiuse e l’intruso si lasciò scappare una risatina divertita.
“Rinfodera le saette mister bicipiti, voglio solo scambiare due parole con tuo fratello.”
“È tutto a posto” lo rassicurò Loki, che ormai aveva confermato i suoi sospetti, e per rafforzare il concetto posò saldamente una mano sulla sua spalla. Non appena lo fece le sue dita furono percorse da una scossa elettrica, che le riportò per un istante al loro originale colore bluastro. Lo Jotunn sussultò a quell’improvviso pizzicore ma si sorprese di trovarlo anche stranamente piacevole.
Quando la figura misteriosa si abbassò il cappuccio rivelando la chioma biondo cenere, la tempesta di fulmini era cessata e il martello pendeva pesantemente lungo la coscia del suo proprietario. “Sylvie?” aveva domandato Thor incerto. “Fratello, è lei la variante di cui mi hai parlato?”
“E tu devi essere il grande re di Asgard” sentenziò lei strizzando un occhio in direzione di Loki.
Per tutta risposta questi superò a grandi falcate il suo difensore, che restò imparato a fissarli senza capire, si avvicinò a Sylvie prendendola per un braccio e la trascinò pochi passi più in là.
“Volevo solo sapere se andava tutto bene” farfugliò lei a bassa voce.
“Stava andando benissimo prima che tu piombassi qui” gesticolò Loki usando il labiale. “Ho interrotto qualcosa?”
“Sì!”
“Cielo, stavate facendo sesso.” “Cos- no!”
“Ma presto farete sesso?”
“Non lo so… può darsi!” bisbigliò esasperato. “Vuoi dirmi cosa ci fai qui? La TVA potrebbe rintracciarti e finiremmo entrambi disintegrati!”
“Puoi stare tranquillo, la TVA non è più un nostro problema” esclamò lei tornando a parlare normalmente.
“Cosa succede?” si intromise Thor avvicinandosi di qualche passo, senza allentare la presa su Mjolnir. “Succede” spiegò Sylvie mettendosi le mani sui fianchi, “che se lui vuole restare qui è libero di farlo
senza più preoccuparsi di quel manipolo di idioti.”
Lo sguardo di Thor rimbalzò da suo fratello a lei, per poi indugiare di nuovo su di lui. Era visibilmente confuso, ma più sollevato.
“E tu cosa farai?” chiese Loki infilandosi le mani in tasca.
“Quello che farai anche tu” cinguettò Sylvie arricciando il naso. “Un po’ di riposo, buon cibo, fornicazione, i soliti deliri di onnipotenza!” E prima che lui potesse zittirla malamente tornò seria e aggiunse: “il mio postino, ricordi? Forse l’ho fatto aspettare anche troppo.”
Si scambiarono un abbraccio impacciato, Thor le concesse un breve cenno del capo, poi quella variante di Loki, così simile a lui eppure così diversa, svanì come era arrivata, nel vortice luminoso che l’avrebbe riportata a casa una volta per sempre.






 
Continua...

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Capitolo 5
*** Parte terza ***


Parte terza



 
Quando il portale si richiuse, i due fratelli si ritrovarono immersi nel silenzio, avvolti dalla luce rosata del crepuscolo. Loki si rimise le mani in tasca, stringendo la fodera fredda e liscia tra le dita, non riuscendo a fare a meno di ripensare alle parole di Sylvie.
Ma presto farete sesso?
Si scoprì impaziente, fastidiosamente agitato. Ed era ridicolo - diamine! - non si riteneva certo un pivellino alle prime armi, probabilmente aveva anche molta più esperienza di suo fratello, ragionò gonfiando il petto. Si era sempre considerato un edonista, non era mai successo che si fosse privato di qualcosa che desiderasse, anche solo per noia o mera curiosità. Ma nessuno di quei capricci aveva mai coinvolto il suo cuore. Thor era, e sarebbe rimasto sempre, la sua eccezione.
 
“Hai fame?” gli domandò distogliendolo da quei pensieri. E parlò con assoluta nonchalance, come se non fosse accaduto nulla, come se nessuna versione alternativa di Loki avesse fatto irruzione da un’altra epoca per parlare con lui.
“Non particolarmente” confessò facendo spallucce. Non nel senso che intendi tu, pensò fra sé.
Con una smorfia che Loki trovò piuttosto buffa, Thor si legò i capelli nello stesso chignon spettinato che portava poco prima. Indossava di nuovo i jeans e il giubbotto sdrucito, ma stranamente sembrava più alto, più prestante. Perfino le spalle apparivano più larghe, mentre avanzava con sicurezza verso il sentiero.
Arrivarono a casa quando il sole era ormai tramontato. L’aria umida profumava di pesce alla brace e fumo di caminetto. Sui tetti delle casupole sbianchite dal sale si adagiava un’immensa trapunta di stelle argentate.
“Sei sicuro di non voler mangiare niente?” riprovò Thor una volta entrati, come se la cena fosse una questione della massima importanza.
“Sicuro” ribadì Loki alzando un sopracciglio e facendo scorrere le dita sulla spalliera del divano. “Però prenderei volentieri del vino.”
“Temo di avere solo una dozzina di casse di birra” si scusò l’altro togliendosi il giubbotto ancora bagnato di pioggia. “O magari no” si corresse divertito quando il dio dell’inganno sollevò elegantemente le dita, facendovi apparire un calice colmo di liquido rosso.
Con fare aggraziato se lo portò alle labbra e ne mandò giù un paio di sorsi, assaporandone il gusto acidulo e vagamente fruttato. Lo sentì scendergli in gola e scaldarlo dall’interno, infondergli un barlume della sicurezza che stava ostentando ma che in realtà non possedeva.
“Perché continui a portare quei vestiti?” chiese Thor appoggiandosi allo stipite della porta e incrociando le braccia.
“Vedo che siamo impazienti…”
“No! No, io… aspetta” balbettò arrossendo, “intendevo… perché continui a portare gli abiti che ti hanno dato alla TVA? È più di un mese che ti infili quella camicia… non voglio dire che tu non la tenga pulita, chiariamoci, però mi chiedevo come mai non ti trovi qualcos’altro, ecco, tanto per dire…”
Suo fratello sghignazzò e senza rispondere prese un’altra sorsata di vino.
Quello che accadde subito dopo lasciò Thor a boccheggiare come un pesce lesso.
Loki appoggiò il bicchiere sul tavolo e inclinando appena la testa si fece accarezzare da un bagliore verdastro che gli provocò un piacevole solletico lungo tuto il corpo, e che tramutò la sua camicia e i pantaloni in un abito regale, di quelli che si faceva confezionare su misura quando era ancora un principe di Asgard.
“Mi preferisci così?” lo sfidò lanciandogli un’occhiata maliziosa e andandogli incontro con passo cadenzato.
“Il verde è sempre stato il tuo colore” concesse Thor sfiorando il ricamo dorato sullo scollo, percorrendo con i polpastrelli il disegno elaborato che si snodava fino al petto.
Loki trattenne il respiro per un istante.
“Stai dicendo che mi trovi bello, fratello?” ostentò senza staccare gli occhi dai suoi.
“Ti trovo vanesio e irritante” replicò sistemandogli una ciocca scura dietro l’orecchio. E sfiorandogli lo zigomo   con un baciò impalpabile aggiunse in un sospiro: “ma anche bellissimo.”
Il vestito verde si dissolse in quel preciso istante, perché alla magia serviva una mente sgombra e la sua, mentre la barba di suo fratello gli solleticava il viso e il suo profumo gli confondeva i sensi, decisamente non lo era.
“Posso fare di meglio” dichiarò indietreggiando in silenzio e iniziando a sbottonarsi la camicia lentamente. Era sempre stato consapevole della propria avvenenza e non si era fatto sfuggire lo sguardo insistente di Thor, che lo stava già spogliando con gli occhi quando avevano messo piede in casa. Eppure la sensazione di concedergli finalmente la vista del suo corpo nudo gli regalò un piacevole brivido di adrenalina.
Ma non fece in tempo ad arrivare alla terza asola che Thor lo raggiunse, sfilandogli la camicia dalle spalle con un’impazienza che Loki trovò adorabile, facendola poi cadere sul pavimento insieme a un tintinnio di bottoni sparsi.
La sensazione delle sue mani sulla pelle lo fece tremare impercettibilmente. Era una conquista così piccola, in confronto a tutto quello che avrebbe potuto avere di lì a poco… eppure si ritrovò a pensare che se le guardie della TVA avessero fatto irruzione in quel momento per disintegrarlo, sarebbe comunque andato all’altro mondo soddisfatto.
Si lasciò sfuggire un sospiro e gli infilò le dita tra i capelli, liberandoli da quella crocca spettinata, poi gli sistemò con cura le ciocche dorate sulle spalle, resistendo all’impulso irrefrenabile di respirarne il profumo a occhi chiusi.
“Stiamo per infrangere tutte le regole” gli soffiò Thor sulle labbra, dopo essersi sfilato il maglione dalla testa con modi sbrigativi.
“Siamo dèi” sentenziò Loki facendogli scivolare lo sguardo sul torace scoperto, “noi non abbiamo regole.” E calcò l’ultima parola con evidente disgusto.
“Forse se fossimo cresciuti sapendo la verità…”
“Tu sei mio fratello” scandì Loki guardandolo negli occhi, “non mi importa della verità, io non voglio rinunciare a questo.”
Le sue mani andarono a posarsi sull’ampio petto di Thor, scivolarono sull’addome ancora lievemente gonfio, indugiarono impazienti sul cuoio della cintura. “Ma non voglio rinunciare nemmeno a questo” sibilò baciandogli le labbra con una lascivia che si compiaceva finalmente di mostrargli. “Io voglio mio fratello, si fottano le stupide regole.” E per rimarcare il concetto lo baciò ancora, senza soffocare i suoi sospiri spezzati, gemendo quando quelle braccia forti lo strinsero sollevandolo da terra e schiacciandolo contro qualche muro, da qualche parte in quel salotto disordinato. Ma fu quando Thor premette il corpo contro il suo che una fitta di piacere gli tolse il fiato, facendogli contrarre il basso ventre.
Non si rese pienamente conto di come suo fratello avesse finito di spogliarlo, o del modo in cui avevano raggiunto la camera da letto. Non era importante. Nulla lo era più ormai. Nulla a parte loro.
 
 
PER LA LEMON NON CENSURATA VEDERE LE NOTE IN FONDO AL TESTO
§
 
 
Quando l’alba illuminò le travi del pavimento, come un tappeto di luce che si srotolava fin sopra le lenzuola, Loki era già sveglio, o forse non aveva mai dormito davvero. Fissava il soffitto con le mani abbandonate sulla coperta, le membra leggere e percorse da un lieve formicolio, il sangue che gli scorreva caldo nelle vene. Sorrise tra sé quando si rese conto di non avere più le mani fredde.
Aveva trascorso le ultime ore della notte a ripercorrere con la mente ogni istante vissuto tra le braccia di quello che si ostinava a considerare suo fratello, a guardarlo dormire osservando tra sé che probabilmente era a tutti gli effetti l’essere più bello dell’universo. Ma ovviamente questo non gliel’avrebbe mai detto! E più ricordava i particolari di quella notte, più il sonno lo abbandonava.
Ore dopo, quando Thor finalmente aveva aperto gli occhi, si erano guardati e basta, senza parlare, restando immobili nel tepore che li avvolgeva.
“Cosa stai pensando?” biascicò suo fratello assonnato, quando il vociare dei pescatori iniziava a riempire l’aria gelida fuori dalla finestra.
“Sto pensando…” miagolò Loki stiracchiandosi teatralmente, “sto pensando che dovresti smettere di fare il derelitto, quando potresti deciderti seriamente a mandare avanti questo posto.”
“Cosa?” scoppiò a ridere lui, come se avesse detto la più grande idiozia mai sentita. “Davvero vuoi parlare di questo adesso?”
“Prima o poi dovrai parlarne.”
“Cos’altro c’è da parlare? Ho chiesto a Valchiria di-”
“Sei un idiota senza speranza” lo interruppe mettendosi a sedere con uno scatto nervoso, “non puoi davvero pensare che qualcun altro ne sia degno, ci siamo già passati.”
“Loki, ci ho provato. E sai com’è finita” sbottò sedendosi a sua volta, “dopo che tu sei… dopo che Thanos… non sono riuscito a tenere la gente di Asgard al sicuro, nessuna di quelle persone è sopravvissuta grazie a me, non sono stato capace di proteggerti...”
“Sei così fastidiosamente melodrammatico” lo zittì Loki infastidito. “Non morirò un’altra volta” gli soffiò sul collo mentre lo circondava con le braccia, premendo il petto contro la sua schiena calda, “so benissimo che senza di me sei una nullità.”
Thor si liberò da quell’abbraccio e lo spinse rudemente sul letto, dandogli un pizzicotto sulla coscia e stringendo fino a che non riuscì a strappargli un gridolino. Poi c’era stato un sorriso, e un altro, e un altro ancora. C’erano stati baci, qualche insulto, una lotta tra le lenzuola. Thor l’aveva messo di nuovo sotto, ma a lui non importava. Sapeva di avere ragione (adorava avere ragione!) e in fondo lo sapeva anche suo fratello. Il sole sarebbe tornato a splendere su Asgard, e quel cretino ne avrebbe portato l’oro tra i capelli, come faceva una volta, in una vita ultraterrena che nessuno dei due avrebbe mai dimenticato.
 
 
§
 
 
Più tardi, quella mattina, se ne stavano distesi su un manto d’erba profumata, tra rocce coperte di muschio e chiazze d’erica rosa scuro. Gli steli dei fiori selvatici danzavano sospinti dalla brezza marina e i trifogli spruzzati di brina scintillavano come smeraldi preziosi sotto il pallido sole invernale.
A Loki sembrava che un alone di magia circondasse ogni cosa. O forse era solo la nebbia, pensò mordendosi il labbro.
Dopo colazione avevano passeggiato fino al molo, si erano fermati a osservare i pescatori che intrecciavano metri di rete con le mani callose e screpolate, soffiando tra i denti nuvole di fiato bianco. Poi avevano scovato quell’angolo di pace e si erano distesi lì, come se fosse la cosa più naturale del mondo, come quando erano ragazzi e cavalcavano fianco a fianco per ore, nei boschi che profumavano di neve.
“Prenderò in considerazione quello che mi hai detto stamattina” disse Thor senza guardarlo, le braccia incrociate sotto la nuca, “ma in cambio tu devi promettermi una cosa.”
Loki ridacchiò, giocherellando distrattamente con i fili d’erba sotto le dita.
“Ti fideresti della mia parola?”
Thor continuò a fissare il cielo senza battere ciglio.
“Va bene, ti ascolto” concesse il dio dell’inganno, puntellandosi sui gomiti e sollevandosi quel tanto che bastava a guardarlo in viso.
“Qualunque cosa accada, ovunque saremo e non importa tra quanto tempo, devi promettermi… devi promettermi che morirai dopo di me.”
Loki tacque senza capire, poi ripensò alle immagini sullo schermo della TVA, a quando era caduto dal Bifrost, a tutti gli inganni perpetrati per inscenare la sua morte. E comprese.
“Promettimelo” insistette Thor.
E a Loki si strinse il cuore.
La nebbia si stava dissolvendo. I contorni delle montagne si facevano più nitidi attorno a loro, il profumo delle viole si mischiava a quello della brezza marina, facendo ondeggiare i fili d’erba tra i loro capelli. Poi un fiocco di neve era sceso lento su di loro, e poi un altro e un altro ancora.
Loki aveva di nuovo poggiato la testa a terra, lasciando che quei cristalli gelidi e impalpabili gli si adagiassero sul viso, sciogliendosi sulle sue guance arrossate, sulle sue labbra ancora calde di baci. E lentamente aveva preso la mano di suo fratello, intrecciando le dita alle sue, palmo contro palmo.
“Non vado da nessuna parte” disse, “sono qui.”
E quella era forse la promessa più pura e sincera che il dio dell’inganno avrebbe mai potuto pronunciare.
 
 
 
 
 
 
FINE
 
 
 
 
 
ANGOLINO DELL’AUTRICE
 
PER LA LEMON NON CENSURATA ANDATE

QUI

E dopo secoli ecco la conclusione di questa storia che pensavo non avrebbe mai visto la fine. Per ragioni personali non riesco a dedicarmi alla scrittura come un tempo. E nemmeno alla lettura, purtroppo.
Prima di tutto qualche puntualizzazione. Se ci dovessero essere incoerenze con i film o con la serie perdonatemi, anche se li ho visti tutti (i film anche diverse volte) potrebbe essermi sfuggito qualcosa, perciò preferisco mettere le mani avanti. Spero che i personaggi siano abbastanza IC, calcolando che a me il Loki della serie era sembrato un tantino OOC negli ultimi episodi, non sapevo bene come regolarmi e ho provato a optare per una via di mezzo tra quello e il Loki dei film. Tenete anche presente che è la prima volta che scrivo su di loro, quindi siate indulgenti. QQ Per quanto riguarda la promessa che Thor chiede a suo fratello, è una frase che sentii tanti anni fa in un anime che guardavo da bambina, Maison Ikkoku (cara dolce Kyoko), non so perché mi sia venuta in mente mentre scrivevo, comunque come concetto mi è sembrata perfetta.
Grazie a chi è arrivato fin qui, era un esperimento ma sono felice che sia piaciuta a diverse persone. Grazie per aver letto, per aver lasciato una recensione e per aver messo la storia in una categoria! Grazie davvero! Non so quando riuscirò a tornare, né in quale sezione, ma ne approfitto e vi auguro un sereno Natale.
 
Vostra MissAdler

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