Affari di Famiglia di LadyNorin (/viewuser.php?uid=1179372)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte prima: ***
Capitolo 2: *** Parte seconda: ***
Capitolo 1 *** Parte prima: ***
Parte
prima:
***
Quando
Sherlock e John infilarono la chiave nella serratura della porta di
casa, al 221B di Baker Street, e Sherlock abbassò la
maniglia per
entrare, quasi rischiò un colpo, trovandosi subito oltre la
soglia,
la signora Hudons, che a quanto pareva doveva averli sentiti arrivare
e aveva ben pensato di intercettarli prima ancora che salissero le
scale.
Il
buon dottore, dopo aver visto l’amico sussultare, si era
spaventato
a sua volta.
«Sherlock?
Che ti prende?»
cercò
di infilarsi tra lo spazio ristretto dello stipite e del suo
imponente amico, che gli impediva la visuale e quindi di capire la
situazione e agire di conseguenza, ma ci trovò appunto, solo
la
signora Hudson, con un'espressione allarmata in volto.
«Signora
Hudson?»
«Oh
ragazzi per fortuna che siete tornati.»
prese
i due uomini per le maniche dei loro cappotti e quasi gli
tirò
nell’ingresso a forza, assicurandosi di chiudere bene la
porta dopo
che furono entrati.
«Che
cosa le prende?»
il
dottore era sempre più preoccupato, vedendo la donna
così agitata.
Era un comportamento sospetto e così poco da lei.
«Signora
Hudson?»
questa
volta era stato Sherlock a parlare, e anche dal suo tono il dottore
aveva capito che nemmeno l’intelligente consulente, aveva la
più
pallida idea di che diavolo stesse succedendo.
«C’è
qualcuno di sopra, vi sta aspettando da almeno un ora.»
«Un
cliente? E cosa c’è di così
strano?»
domandò
Sherlock.
La
signora Hudson puntò il suo sguardo su John, che si
sentì come
quando a scuola combinava qualcosa e la maestra lo umiliava davanti a
tutta la classe, come punizione.
«Che-che-c’è…
Perché mi sta guardando in quel modo?»
«Sta
cercando te John.»
«Me?
Chi! Chi c’è di sopra signora Hudson?»
Anche
Sherlock sembrava molto sorpreso che qualcuno cercasse espressamente
John, e non lui. La cosa un po' lo ingelosiva.
Chi
poteva preferire John, a lui? Il super Detective?
Quando
John Watson si era svegliato quella mattina, credeva che sarebbe
stato un giorno come un altro. Aveva un caso da risolvere con il suo
amico, coinquilino e partner di indagini, Sherlock Holmes. Un caso su
cui stavano indagando già da più di una settimana.
Un
uomo era stato ucciso. Ovviamente. La particolarità di quel
caso era
che la vittima fosse morta cadendo da una grande altezza, e lo
avevano ritrovato in una vecchia barca senza remi o motore, a qualche
chilometro dalla costa.
Ora,
di come un uomo che era morto per una caduta da una forte altezza,
fosse finito in una barca in mezzo al mare, rimaneva un enigma.
Enigma che aveva tenuto impegnata la mente di Sherlock per tutto quel
tempo. Soprattutto perché all’inizio non avevano
alcun indizio,
non sapevano chi fosse il morto, da dove provenisse, dove si trovasse
la scena principale del crimine, e nemmeno di chi fosse la barca su
cui era stata trovata la vittima, che era stata rinvenuta da alcuni
pescatori, a faccia in giù, e senza alcun documento.
Per
fortuna il corpo era in giro da poco, e le foto del volto, pubblicato
dalla polizia locale, furono utili a trovare la piccola cittadina di
origine.
Da
lì in poi il resto venne da sé, soprattutto dopo
aver scoperto che
la barca proveniva da un faro, e che il corpo senza vita, fosse stato
messo lì, dopo che da vivo, l’assassino, aveva
buttato giù la
vittima dalla cima del suddetto faro. Un gran brutto volo per una
storia con un triste finale, perché era venuto fuori che la
vittima
non era così tanto una vittima e che l’assassino
era solo una
povera donna che si era difesa da un marito violento.
Quindi
ora l’unica cosa che voleva John, era fare una lunga doccia
calda e
stendersi sul suo comodo letto, dove dormire per almeno due giorni di
fila, non un altro maledetto caso. E soprattutto non capiva chi
potesse cercarlo. Pensò a qualche vecchio commilitone che
era venuto
a sapere del suo nuovo lavoro.
«Oh
no no, è una donna.»
la
voce della signora Hudson che parlava in tono frenetico lo
ridestò
da quel flusso di pensieri.
«Come
ha detto prego?»
domandò
John, sicuro di aver capito male.
«Che
è una donna.»
Il
consulente al suo fianco gli lanciò una strana occhiata.
«Una
donna? Io non conosco nessuna donna…»
anche
la signora Hudson lo guardò con un espressione dubbiosa.
«Che
c’è? E’ vero! E poi scusi non le ha
detto chi è?»
La
signora Hudson scosse la testa.
«No,
solo che doveva parlare assolutamente con te. Sembrava conoscerti
molto bene.»
«Uhm…
E non è che magari ha notato se fosse armata?»
La
faccia della signora Hudson si riempì di indignazione.
«Per
chi mi avete preso un poliziotto! Non mi metto a perquisire le
persone!»
«Ma
no, non intendevo in quel senso. Però se uno si porta una
pistola si
nota. Di solito.»
«No,
niente armi, è solo una donna.»
«Perché
una donna che dice di conoscerti dovrebbe venire a cercarti
armata?»
A
John non era sfuggito il tono divertito con cui Sherlock aveva detto
quelle parole.
«E
io che ne so!»
«Allora
andiamo a vedere di chi si tratta.»
Sherlock
sembrò sottolineare l’ovvio.
John
sospirò.
«Sì
andiamo, è stupido stare qui a fare congetture.
Però prima vai tu.»
«Nell’esercito
non insegnano ad essere coraggiosi?»
John
lanciò un'occhiataccia a Sherlock, che stava sorridendo
sornione. Lo
odiava quando faceva così, però aveva
già preso le scale, così
non gli restò che seguirlo.
«Io
resto qui, urlate se devo chiamare la polizia.»
la
saggia signora Hudson.
Le
scale scricchiolavano ad ogni passo, facendo crescere l’ansia
di
John. Arrivarono in cima. Ovviamente la porta
dell’appartamento non
era chiusa a chiave, così a Sherlock bastò
abbassare la maniglia.
John era dietro e non poteva vedere nulla, dal momento che la schiena
del consulente gli copriva del tutto la visuale. Forse non era stata
una grande idea mandare avanti lui.
«Buona
sera.»
sentì
il tono pacato di Sherlock, che salutava chiunque fosse presente nel
loro appartamento, ma non sentì la risposta.
Quando
finalmente Sherlock fu entrato per levare sciarpa e cappotto, anche
John entrò.
Effettivamente
c’era una donna seduta su una delle poltrone, dava loro le
spalle e
poteva vedere solo che aveva i capelli biondo cenere con un taglio a
caschetto che non andava più di moda da almeno gli anni
novanta. In
quel momento lei si alzò in piedi e si voltò
verso i due uomini.
Aveva
un gran sorriso e le braccia spalancate, e John credette che sotto i
propri piedi si fosse aperta una voragine in cui era certo stava
precipitando, o almeno ci sperava.
_________________________________________________________________________________________________________
Note
d’autrice:
Vi
sono mancata eh? (Si detto come lo direbbe Moriarty).
Questa
sarà una follia che ha partorito la mia mente. Io ve
l’ho detto,
poi non dite che non vi ho avvisati. E’ una storia divisa in
parti,
tipo prima, seconda, terza ecc...
Non si colloca in nessun
periodo specifico, solo dopo la seconda stagione.
Ok
visto che tanto non so mai cosa scrivere, mi raccomando recensite
<3
e ci si scrive presto con la seconda parte!
Lascio
qui di seguito tutti i profili dove potete
trovarmi:
https://www.wattpad.com/user/LadyNorin
https://archiveofourown.org/users/LadyNorin
https://efpfanfic.net/viewuser.php?uid=1179372
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Capitolo 2 *** Parte seconda: ***
Note d’autrice:
Ho
degli avvisi da mettere. Ovviamente come avete visto, questa storia
non viene aggiornata ogni settimana. Non ho idea di quante volte
verrà pubblicato, ma penso uno o due volte al mese.
Ci
tengo a precisare, che questa storia è una pazzia. Pura
follia
uscita dalla mia testa bacata. Fate conto che niente potrebbe avere
della coerenza (almeno credo). La figura del personaggio che
conoscerete a breve, è praticamente inventato da 0. Tenendo
conto
che comunque abbiamo davvero poche conoscenze su di lei… Ho
inventato di sana pianta. La caratterizzazione, la storia dietro il suo
passato. Ho semplicemente pensato a come potevano stare le cose, e
improvvisato partendo da lì.
Non
prendete nulla sul serio.
Detto
questo, spero che vi possa divertire ed intrattenere!
Vorrei
ringraziare chi ha messo tra le seguite e preferite sia questa storia
che la precedente, e a tutti quelli che stanno continuando ad
aggiungersi. Grazie di cuore <3
Ho
alcuni link sia social che non, in cui potete seguirmi, tra cui
Wattpad.
Facebook
Ao3
Wattpad
Ah
stavo dimenticando, a proposito di Un Caso Personale, la sto
revisionando, quindi ogni qual volta saranno pronti, metterò
i
capitoli sistemati.
Li
riconoscerete perché in alto avranno la dicitura
[revisionato].
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Parte
seconda:
***
«Fratellone!»
in un attimo la donna aveva raggiunto John, per stritolarlo in un
abbraccio.
«Mi
sei mancato!»
John
si lasciò travolgere da quell’abbraccio senza
nemmeno provare a
muovere un muscolo, totalmente in balia degli eventi.
«H-harriet…»
«Come
hai detto?» finalmente la donna allentò la presa.
«Lo sai che odio
quel nome.» lo disse in modo scherzoso, ma John, che la
conosceva
meglio di chiunque altro al mondo, ci aveva letto la leggera
intonazione da minaccia.
«Ti
vedo bene. Hai un bell’appartamento, anche la
portinaia.»
«La
signora Hudson non è la portinaia, è la padrona
dell’appartamento,
ci viviamo in affitto qui.» ci tenne a precisare John.
«Ci?»
Harry sembrava sorpresa da quella nuova informazione.
«Si,
io e lui.» John indicò Sherlock alle sue spalle,
che si era
avvicinato e stava osservando la strana piccola riunione della
famiglia Watson, con estremo interesse.
Harry
aveva in volto un'espressione molto colpita e sorpresa.
«Non
mi dire, ti sei trovato uno!»
«Cosa?»
John non capiva il senso di quell’affermazione, anche
perché il
suo cervello si rifiutava di prenderne in considerazione alcuna che
fosse.
«Da
quanto vivete insieme? Perché non me l'hai detto
prima!»
«Ma…
Da un paio di anni direi, e non sapevo di doverti dire che ho un
coinquilino.»
«Ah
è così che si dice ora?»
«Che
si dice cosa?»
«Coinquilino.»
John
aggrottò la fronte, in una buffa espressione di totale
smarrimento.
«Sei
ubriaca?»
Harry
lanciò un'occhiataccia al fratello maggiore.
«Ma
no tonto! Vivete insieme.»
«Si…
Ed?»
«E
non mi hai mai detto che ora ti interessano gli uomini!»
La
faccia di John divenne bianca come quella di un lenzuolo.
Sentì il
sangue defluirgli dalle vene. Puff. Sparito. In compenso era rimasto
il gelo.
«Ma
come ti salta in mente! E’ il mio coinquilino! Paghiamo
l’affitto
e lavoriamo insieme, punto!»
«E
il tuo amico lo sa?»
Ora
invece del gelo nelle vene John aveva la lava. Tutto quello che in
precedenza era defluito, ora lo sentiva tutto sulle guance che gli
stavano andando a fuoco. Perché con sua sorella doveva
finire sempre
in questo modo. Infuriato per qualcosa che lei diceva o faceva.
«Harry!»
«Che
c’è, che ho detto di così
sconvolgente?» ora usava anche il
finto sguardo da ingenua. John lo sapeva benissimo, non c’era
niente di ingenuo in quella donna.
John
chiuse gli occhi e prese un profondo respiro, inspirando tutta
l’aria
dalle narici.
«Sherlock.»
La
voce di Sherlock così vicina lo fece sobbalzare e
spalancò gli
occhi. Sherlock era accanto a lui e aveva allungato la mano verso
Harry.
«Come
hai detto che ti chiami begli occhioni?» lei
l’aveva afferrata e
stretta con forza.
«Mi
chiamo Sherlock.» scandì bene lettera per lettera
come se stesse
parlando con un bambino.
«I
tuoi genitori ti odiano?»
Ora
anche Sherlock aveva aggrottato la fronte, assumendo un espressione
confusa. Strano, di solito arrivava subito alle conclusioni,
evidentemente arrivava a tutte le conclusioni, tranne quelle
sconclusionate di Harriet.
«Si
anche i miei. Per
questo mi hanno chiamato con quell’orribile stupido nome. A
John
invece è andata bene, almeno lui ha un nome
banale.»
«Harry…»
«E
dai sto scherzando, sei sempre il solito musone.»
John
afferrò la sorella per il gomito e la trascinò
più lontano.
«Perché
sei qui?»
«Perché
mi mancavi, mi sembra ovvio. Non ci vediamo da… Oddio una
vita.»
«Si
e la colpa di chi è?»
«Sei
tu che hai tagliato tutti i ponti.» sventolò un
dito indice davanti
alla faccia di John.
«Lo
sai benissimo perché.»
«Si,
si. La storia dell’alcolismo.»
John
le rifilò l’ennesima occhiataccia, che lei
ovviamente ignorò.
«Volevo
solo vederti perché
mi mancava l’unico membro della mia famiglia ancora in
vita.»
«Quante
cazzate.»
«Eh
dai, non essere così crudele.» Harry mise persino
il broncio.
«Non
usare certi termini con me, non sono p…»
«E
tu non pronunciare quella parola.» la donna tirò
fuori un finto
sorriso sulle guance paffute.
«Bene
ora ci siamo visti.» John andò verso la porta
dell’appartamento e
la spalancò. «E’ stato un piacere. Torna
pure tra qualche altro
anno.»
Harry
non si mosse da dov’era, e anzi, fissò il fratello
con le braccia
incrociate al petto.
«E’
così che tratti la tua unica sorella?»
«Gradisci
una tazza di tè?» Il tono e i modi gentili di
Sherlock stavano
esasperando John.
«Sherlock…»
richiamò l’amico pronunciando il suo nome tra i
denti e cercando
di fargli capire solo con i movimenti dei muscoli facciali quanto non
gradisse che invitasse la sorella a restare per altri interminabili
minuti.
«Non
dovresti essere così sgradevole John.» Sherlock
rimproverò il
dottore.
John
dal canto suo divenne di una tonalità vicina al rosso
pomodoro.
«Sì
grazie bellezza, mi piacerebbe molto una tazza di tè,
soprattutto se
me la porti tu.»
Sherlock
abbozzò un sorriso imbarazzato e sparì in cucina
più velocemente
che poté.
John
dal canto suo si passò stancamente una mano sul viso.
«Coinquilini.»
riprese Harry.
«E’
quello che siamo…»
«Si
d’accordo. Io non giudico. Anzi, sono contenta per te, almeno
ti
sfoghi un po’. E poi è molto bello. Per essere un
uomo.»
«Aspett-cosa?»
Era molto peggio di quello che credeva. «Di che cosa vai
blaterando!» sperava davvero di aver capito male.
«Ti
scegli meglio gli uomini di quanto ti sceglievi le ragazze. Mi
ricordo ancora di quella specie di gallina che avevi portato a casa
l’ultima volta. Com’è che si chiamava?
Ah sì, Samantha con
l’acca!»
Il
volto di John nel frattempo cambiava diverse tonalità di
viola.
«Se
è anche intelligente quanto è bello hai vinto
alla lotteria
fratellone.»
«Harry!»
«Che
c’è? Perché continui ad urlare il mio
nome?”
«Io
e Sherlock non stiamo insieme! In quel senso… Né
in qualunque
altro senso! A me piacciono le donne, io esco con le donne, e
soprattutto io vado con le donne!»
Gli
angoli interni delle sopracciglia di Harry si unirono verso
l’alto.
«Non
sto scherzando Harry, sono molto serio.»
Harry
si strinse nelle spalle.
«Okay,
okay. Però spiegami una cosa. Come faccio a credere che tra
te e il
tuo amico non c’è nulla se vivete insieme e vi
fate chiamare
coinquilini.»
John
prese un bel respiro.
«Perché
è quello che siamo. Lavoriamo insieme e dividiamo
l’affitto.»
«Uhm…
Sarà. Non siete un po’ troppo vecchi?»
«Non
c’è un'età per dividere una casa che
non puoi permetterti.»
«Se
lo dici tu. Credevo che il lavoro da dottore dell’esercito
fosse
ben pagato.»
«Non
è così.»
«Allora
a che serve?»
«A
fare il tuo dovere.»
Harry
roteò gli occhi verso il soffitto.
«Lavoro,
lavoro, lavoro. Doveri.»
«Si,
è così la vita.»
«E’
così per chi si fa abbindolare.»
«Tu
avevi una casa e una moglie.»
«Già,
avevo. Ma ora vivo molto meglio. Sono libera di andare dove voglio,
con chi mi aggrada.»
John
ne dubitava fortemente.
«Immagino.
Una vita entusiasmante.»
«Non
tutti sono fatti per la noia fratello bacchettone.»
«Senti
fa come vuoi. Ormai sei adulta e io non posso dirti come
vivere.»
«E’
per questo che mi hai scaricata?»
«Ho
provato ad aiutarti in tutti i modi che potevo.»
«Non
direi. Ti sei arreso subito.»
«Se
sei abbastanza grande per decidere della tua vita lo sei anche per
capire quando è ora di cambiarla, e anche per
riuscirci.»
«Si,
si. Bla, bla, bla. Sei sempre stato bravo con le parole.»
Tornò
Sherlock con un vassoio che posò sul tavolino in salotto.
«Prego.»
Harry
andò a sedersi su una delle poltrone.
«Grazie
begli occhioni. Sei sempre così gentile con tutti?»
Sherlock
lanciò un occhiata in direzione di John, che rimase
impassibile.
Non
lo aveva ascoltato prima quando aveva cercato di fargli capire di non
essere troppo accondiscendente con Harry, ora si arrangiava.
«Che
c’è non sai parlare, ti serve l’aiuto di
mio fratello?»
Sherlock
sistemò nervosamente l’orlo destro della giacca
elegante, e dopo
averla sbottonata, andò a sedersi sull’altra
poltrona.
«No.»
rispose secco.
«Allora
che fate di bello voi due scapoloni? E per voi due intendo tu. Lo so
che mio fratello il dottore è noioso.»
«Lavoro
per la polizia. Quando mi chiamano.» Sherlock
sorseggiò
elegantemente dalla propria tazza.
Harry
a quelle parole fece una smorfia.
«Oddio,
gli sbirri. Scherzi spero.»
«No,
non scherzo. Mi chiamano quando hanno bisogno che gli risolva qualche
caso.»
«Caso?
Caso di cosa?»
«Di
omicidio.»
Harry
rimase a bocca aperta. John un po’ gongolò.
«Quindi
insomma… I morti stecchiti.»
«Si,
esatto.»
«Wow.
Ma infondo non sarà così difficile dal fare il
dottore. Cioè anche
il mio fratellone ne avrà visti di cadaveri. Non
è vero John?»
John
raddrizzò la schiena.
«Non
è una gara Harry. E qui parliamo di omicidi.»
«Anche
la guerra lo è. Un grande omicidio legalizzato.»
«Non
ho intenzione di discutere di questi argomenti con te.»
«Ovviamente.
Perché sai che ho ragione.»
John
sentì la rabbia salirgli fino all’ultimo capello.
«Ho
fatto quello che andava fatto per il mio paese.»
«E’
normale che tu lo dica, da bravo soldatino repubblicano
colonizzatore.»
Prima
che John potesse aprire bocca, Sherlock si intromise, schiarendosi
forte la gola.
«Allora,
cosa ti porta qui in città Harry? A parte John
ovviamente.»
«Non
so perché non mi crediate, ma sono davvero qui per vedere
mio
fratello.»
«E
hai intenzione di restare molto in città?»
Questa
volta fu il turno di Harry di aprire bocca e rispondere, ma venne
interrotta prima che potesse dire alcunché.
«Sono
sicuro che Harry abbia un mucchio di cose da fare, e che dopo questo
tè, se ne andrà ovunque vive.»
Ovviamente John ci aveva tenuto a
mettere più enfasi su quell’ultima parte.
«Veramente…
Ormai è tardi e sarebbe lunga tornare a casa. Se potessi
restare qui
solo per questa notte.» Harry guardò con aria
supplichevole sia
John che Sherlock.
Ovviamente
Harry Watson da quale brava opportunista quale era, aveva imparato
subito chi fosse l’anello più debole, e puntava
tutto su Sherlock,
a cui rifilò un espressione disperata, con aggiunta di
sguardo da
cane bastonato. John sapeva, era fregato.
«Ma
certamente. Non è un grosso problema per una notte avere
ospiti,
vero John?» John era troppo occupato a immaginare i diversi
modi in
cui si sarebbe sbarazzato del cadavere di Sherlock, per preoccuparsi
di rispondere a quella domanda.
«Oh
grazie! Se solo tutti gli uomini fossero come te.»
Harry
si era buttata su Sherlock, e lo stava abbracciando, con le braccia
strette attorno al collo del detective. Ovviamente Sherlock non
gradiva il contatto fisico e si era completamente irrigidito.
«Prego…
Figurati.» fece un fintissimo sorriso, mentre cercava di
staccarsela
di dosso.
John
dal canto suo se ne stava con postura rigida, braccia incrociate al
petto, e sguardo omicida, sempre rivolto al suo coinquilino, cercando
di reprimere un forte desiderio di mettergli le mani intorno al
collo.
«E
dove dormirò?» Harry saltò in piedi.
Sherlock
voltò lo sguardo verso John, che intervenne ancora prima che
l’altro
potesse incastrarlo in un altra trappola.
«Oddio,
il mio mal di schiena.» si portò una mano nella
parte bassa della
schiena. «Ah, devo andarmi a stendere. Le mie povere ossa.
Non sono
più giovane come una volta.» si
trascinò stancamente verso il
piano superiore, dove si trovava la camera da letto. Usò
volutamente
un passo pesante, in modo che tutti i presenti potessero sentirlo
mentre saliva le scale, e poi la porta chiudersi con un tonfo secco.
Sherlock
sospirò. Quello era un chiaro segnale da parte di John: non
era
intenzionato ad aiutarlo a far restare la sorella.
Sherlock
si alzò lentamente dalla poltrona.
Harry
era in piedi di fronte a Sherlock, e lo stava fissando con uno strano
sorriso.
«Puoi
usare il mio letto…» lo suggerì quasi
come se fosse soltanto un
idea, buttata lì tanto per, giusto per essere gentili. Le
convenzioni sociali.
«Ma
no. Sei un vero gentleman ma mi accontento del divano, so adattarmi
bene.» Harry diede un colpetto a pugno chiuso sul braccio di
Sherlock.
«Insisto.»
Ormai il danno lo aveva fatto.
«Beh
se proprio insisti.»
«Vado
a cambiarti le lenzuola. Puoi usare il bagno intanto se vuoi.»
Harry
Watson a momenti non gli diede nemmeno il tempo di finire la frase
che già la porta del bagno si era chiusa.
Sherlock
sospirò nuovamente e andò nella propria stanza, a
prepararla per
l’imprevista e invadente ospite.
Forse
avrebbe dovuto dare retta a John.
Dovevano
essere qualcosa come le tre di notte. Sherlock si era sistemato con
un lenzuolo e un cuscino, sul divano del salotto. Ma era scomodo e
sapeva già che non avrebbe chiuso occhio. Odiava essere
sveglio e
non avere nulla da fare. Era quasi tentato di andare ad importunare
John, ma aveva come l’impressione che se avesse anche solo
provato
a presentarsi sulla soglia di camera del dottore,
quest’ultimo gli
avrebbe sparato.
Così
rimase a fissare il soffitto per ore interminabili. A tenersi
occupato pensando e ripensando a vecchi casi che gli venivano alla
mente al momento. A quello che avrebbe potuto dire di più
pungente
in conversazioni già avvenute da tempo. Ad inventarsi nuovi
insulti
da dire a Mycroft quando gli faceva perdere la pazienza, cosa che
accadeva molto spesso. Ma cosa più fondamentale di tutte, a
maledirsi e a chiedersi perché mai fosse stato
così idiota da non
dare retta a John.
Una
delle vocine nella sua testa gli rispose ‘forse
perché la tua
mania di competizione e la tua incontenibile curiosità ti ha
fatto
credere che fosse una fantastica idea avere a che fare con sua
sorella.’
Sherlock
convenne che la vocina aveva assolutamente ragione. Era stato un
idiota.
Finalmente
giunse la mattina, e Sherlock si era alzato non appena la luce
dell’alba aveva iniziato a filtrare dalle finestre. Poteva
chiaramente sentire il respiro pesante e i rantoli provenire dalla
propria camera.
Harry
Watson aveva degli evidenti problemi di respirazione.
Ne
approfittò per usare il bagno.
John
fu il secondo a svegliarsi all’alba. Quando scese per le
scale,
l’odore di caffè fresco appena fatto, gli
colpì le narici. Scese
gli ultimi gradini e guardò il divano. Era perfettamente
sistemato.
C’era un lenzuolo piegato e ordinato da un lato, con sopra il
cuscino.
Attraversò
il salotto per andare in cucina.
Trovò
Sherlock davanti la macchinetta, con una tazza fumante. Il detective
la allungò verso John, che senza proferire parola la prese e
andò a
sedersi a tavola.
Sherlock
recepì il messaggio.
«Dormito
bene?» chiese John,
dopo almeno dieci minuti di assoluto silenzio e contemplazione,
mentre sgranocchiava una fetta biscottata spalmata di burro e
confettura di albicocche.
Sherlock
si era seduto dal lato opposto, aveva finito il caffè e
stava
sfogliando pigramente le pagine del giornale.
«Meravigliosamente.»
mentì spudoratamente.
«Come
no.» ovviamente John non ci aveva creduto nemmeno per un
secondo.
Si
alzò dal tavolo e iniziò a ripulire.
«Che
fai?» domandò Sherlock.
«Non
lo vedi? Sto riordinando.»
Ok
John c’é l’aveva ancora a morte con lui
per la storia della
sorella.
«Ma
tua sorella…» Sherlock sapeva che fosse rischioso
pronunciare
quelle parole.
«Lei
prima delle undici non si alza.»
«Ah.»
«Già.»
«Quindi
cosa facciamo?»
John
si voltò a guardare il detective.
«Cosa
facciamo? Vorrai dire, cosa fai tu.»
«Andiamo
John…»
«Andiamo
John, un accidenti. L’hai voluta la bicicletta? Ora
pedala.»
«Ma
volevo essere solo gentile.»
«Piantala
Sherlock. Tu non sei mai gentile. In due anni che vivo qui non hai
mai voluto ospiti a casa. Dici sempre che sono degli scrocconi
invadenti.»
«Ma
ora è diverso…»
«E’
diverso? E perché mai?»
«Perché
è tua sorella.»
«Tu
lo sai che non vado d’accordo con mia sorella e che
è un ex
alcolizzata.»
«Lo
so si, però volevo sapere….»
Sherlock
si morse la lingua. Aveva parlato troppo, come al solito.
«Volevi
sapere? Cosa?» il volto di John si
era fatto
improvvisamente minaccioso.
Ovviamente
Sherlock aveva già capito che John si stava infuriando.
Poteva
chiaramente leggerglielo dall’espressione del viso, e dalla
vena
che gli si era ingrossata sul collo.
«Sapere
di te… Della tua… Famiglia… Tu non hai
mai detto nulla. Le
uniche cose che so le ho dedotte.»
John
si avvicinò con fare minaccioso, e Sherlock quasi si
rimpicciolì
sulla sedia.
Il
dottore puntò un dito contro il proprio coinquilino.
«Non
sono affari tuoi. Tu hai i tuoi segreti e io i miei. Stanne fuori.
Hai capito?» e detto ciò si allontanò
con passo da soldato, per
tornare al piano superiore. La
porta venne sbattuta con forza, tanto che quel tonfo
rimbombò anche
nel in salotto, fino alla cucina.
Sherlock
rimase fermo, seduto sulla medesima sedia, per un tempo
interminabile. A riflettere sui motivi che spingevano John a reagire
in quel modo quando si trattava della propria famiglia. Purtroppo
Sherlock era sicuro di conoscerlo quel motivo.
Harry,
proprio come aveva detto John, uscì dalla camera da letto,
che erano
passate le undici.
Nel
mentre i due si erano occupati di innumerevoli cose.
John
era andato a dare una mano alla clinica e Sherlock aveva scambiato
mail tutta la mattina con Lestrade, cercando di ficcare in quella
testa di cemento, alcune semplici e banalissime nozioni
investigative, che anche un bambino di dieci anni avrebbe compreso.
«Dov’è
il mio fratellone?» Harry entrò in cucina
stiracchiandosi e
sbadigliando rumorosamente.
«E’
andato in clinica. Torna per l’ora di pranzo.»
La
donna sbuffò e andò a buttarsi sulla sedia
più vicina.
«E
tu invece perché sei a casa?»
«Ho
lavorato al pc tutta la mattina.»
«E
sei così premuroso da far trovare il pranzo pronto a mio
fratello.»
concluse lei.
Non era una domanda ma proprio un'affermazione. Sherlock si
sentì un
po’ punto sul vivo.
«Assolutamente
no. Non sono la sua governante. Oggi è
un'eccezione.»
Harry
sorrise a Sherlock.
«Perché
ci sono io? Sei davvero troppo gentile begli occhioni. Scommetto che
sai anche cucinare bene. C’è qualcosa che non sai
fare?»
Sherlock
cercò di nascondere il disagio che stava provando, e
pregò che John
tornasse a casa presto.
«So
badare a me stesso.»
«Lo
prendo come un sì.»
«E
mio fratello lo sa dei tuoi vizietti poco leciti?»
Sherlock
a quelle parole si sentì sprofondare. Come aveva fatto a
scoprirlo?
Non andava di certo in giro con un cartello con su scritto
‘sono un
ex tossico’.
Prima
che potesse trovare una qualunque scusa, Harry aveva assunto un
sorrisetto stampato sulle labbra.
«Le
tue braccia tesoro.» le indicò. «Sai
quanti tossici ho visto e
frequentato nella mia vita? Ormai li riconosco con un
occhiata.»
Il
detective si affrettò a srotolare le maniche che aveva
precedentemente arrotolato fin sopra ai gomiti.
«Non
c’è problema, non ti vergognare. Io non
giudico.»
«Non
c’è niente da dire a riguardo»
La
donna proseguì imperterrita.
«Droghe
legali o illegali?»
Sherlock
chiuse gli occhi e prese un bel respiro.
«Tutte…
Tutte e due.»
Harry
sembrava colpita da quella risposta.
«Strano
che mio fratello ti abbia scelto come coinquilino e abbia resistito
così a lungo con qualcuno che non si comporta secondo i suoi
canoni
da vecchio bacchettone.»
«John
non è un vecchio bacchettone.»
Proprio
in quel momento, dall’ingresso provenne il suono della chiave
infilata nella toppa. La porta si aprì, e John Watson fece
la sua
comparsa.
Levò
la giacca, appendendo l'indumento al gancio. Quando si
voltò, trovò
la sorella che lo fissava dal tavolo della cucina.
«Sei
ancora qui?»
«Si,
non sei contento?»Harry
scoccò un sorriso smagliante al
fratello.
John
cercò lo sguardo di Sherlock, che sembrava grato di essere
stato
salvato.
«Rimani
a pranzo?» chiese rivolto alla sorella.
«Così poi ti accompagno
alla stazione.»
Harry
assunse un'aria innocente.
«Non
mi vuoi proprio eh? Va bene, ho recepito il messaggio. Mi sembra
brutto rifiutare un buon pranzo dopo che il tuo coinquilino
così
gentile lo ha preparato.»
«Allora
siamo d’accordo.»
John
andò a chiudersi in bagno. Sherlock finì di
preparare il pranzo e
mettere i piatti a tavola.
Parlarono
tutti e tre, non di cose chissà quanto profonde, giusto le
solite
frivolezze.
Harry
però continuava a guardare il cellulare e a scrivere
messaggi.
Sherlock lo trovava un comportamento un po’ maleducato, ma
ormai
aveva smesso di farsi domande riguardo la sorella di John.
Una
volta finito, e che ebbero preso il tè del dopo pasto, Harry
andò
in bagno a lavarsi e poi a raccattare le poche cose che aveva portato
dietro.
Arrivarono
le tre passate del pomeriggio, John scese le scale.
«Allora
Har,y hai raccolto tutto?» ma non ricevette risposta.
Trovò
la sorella seduta sulla poltrona, intenta a mangiucchiarsi un'unghia
e fissare lo schermo del cellulare, con un'espressione di apprensione
in volto.
«Harry?»
La
richiamò John.
La
donna si voltò in direzione di chi l’aveva
interpellata.
«Che
stai facendo?» chiese John.
«Oh
niente, niente. Non ha importanza.» lei si alzò
dalla poltrona,
lisciando
i pantaloni.
Ma
John era sicuro fosse preoccupata per qualcosa.
Le
si avvicinò.
«Cosa
c’è che non va?»
«Tanto
non ti interessa.»
«Provaci.
Magari sbagli.»
«E
perché? Mi stai praticamente sbattendo fuori da casa
tua.»
John
prese un respiro.
«Tu
non è che mi aiuti molto. Comunque non ti faccio andare via
finché
non mi dici cosa c’è che non va.»
Harry
sembrava davvero tormentata e nervosa, parve pensarci su per un
momento.
«Ho
un amica… Insomma non è proprio un'amica.
E’ un amica ma non
solo quello, con benefici ecco.»
«Ho
capito Harry, continua.»
«Si
chiama Indra. Ci saremmo dovute vedere una volta che me ne fossi
andata da qui. Ma non mi risponde. Non la sento più da ieri.
Sono
preoccupata. Lei… Ha una vita sregolata diciamo, solo che
frequenta
brutti giri, sai… Ho davvero paura che le sia capitato
qualcosa di
brutto.»
John
chiuse gli occhi e si afferrò l’attaccatura del
naso con indice e
pollice.
«Harry…»
«Si,
si, lo so. La paternale risparmiatela.»
John
riaprì gli occhi per guardare in faccia la sorella.
«Che
zona frequenta la tua amica?»
«Ci
saremmo dovute ritrovare a Liverpool, nella zona di
Birkenhead.»
«Un
bel posticino.»
«Oh
John…»
«Che
succede?»
In
quel momento sopraggiunse Sherlock.
«Un
amica di Harry. Non riesce a contattarla da ieri. E’
un… Soggetto
a rischio.»
Ovviamente
a Sherlock gli era bastato per capire di cosa si stesse parlando.
«Capisco.
Allora dobbiamo fare qualcosa per rintracciarla.»
Harry
sembrava davvero sollevata.
«Davvero?»
Sherlock
annuì, e anche John era d’accordo con il suo
coinquilino questa
volta.
Harry
buttò le braccia al collo del fratello.
«Grazie.
Lo sapevo che non eri così insensibile.»
John
prese i gomiti della sorella e sciolse l’abbraccio.
«Ora
non esageriamo. Andiamo a preparare i bagagli. Tu intanto chiama un
taxi. Andiamo alla stazione.»
I
tre si mossero subito.
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