Put your lips on me (and I can live underwater)

di My Pride
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** When worlds fallin' apart ***
Capitolo 2: *** And all was more stranger ***
Capitolo 3: *** From father to son ***
Capitolo 4: *** The past is salty like the ocean ***



Capitolo 1
*** When worlds fallin' apart ***


Put your lips on me Titolo: Put your lips on me (and I can live underwater)
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons, Batman
Tipologia: Long Fiction
Capitolo uno: 3593 parole [info]fiumidiparole 

Personaggi: Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent, Bruce Wayne, Lois Lane, Clark Kent, Tim Drake, Dick Grayson, Jason Todd, Talia Al Ghul, Vari ed eventuali
Rating: Giallo
Genere: Generale, Slice of life, Fluff, Smut, Light Angst

Avvertimenti: Mermaid!AU, Accenni slash, Hurt/Comfort


SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.

    Seduto su uno scoglio poco distante dalla riva, Jon gettò uno sguardo all'orizzonte mentre dondolava i piedi nell'acqua, mordendosi un po' il labbro inferiore nell'attesa.
    Era la prima volta che Damian tardava ai loro appuntamenti, e stava cominciando a diventare nervoso. Si conoscevano ormai da sei anni ed erano praticamente cresciuti assieme, a dispetto della diversità che li divideva.
    Ricordava ancora il giorno in cui si erano incontrati. Aveva dieci anni e stava giocando proprio in quell'insenatura, arrampicandosi sulla scogliera; aveva messo un piede in un punto sbagliato tra le rocce ed era scivolato, sgranando gli occhi nel cadere verso il basso, con il cielo che si allontanava e le mani che cercavano inutilmente di afferrare qualcosa. L'acqua di mare gli aveva riempito la bocca e ne aveva respirata un bel po', agitando inutilmente braccia e gambe per cercare di risalire in superficie, poiché a quel tempo non sapeva nuotare; l'ultima cosa che aveva visto, fra la moltitudine di bolle che scappavano dalle sue labbra, era stato un lampo verde che gli era sfrecciato accanto, poi più nulla... finché non si era risvegliato su uno scoglio e qualcosa di caldo e liscio che gli schiaffeggiava ripetutamente le guance.
    Jon ammetteva di aver gridato per la sorpresa quando, mettendo a fuoco il mondo circostante, si era ritrovato a fissare quello che gli era sembrato in tutto e per tutto un giovane tritone. Ne aveva sentito parlare da suo padre e dalla gente del villaggio, ma nessuno, da quel che ne sapeva, ne aveva mai visto uno; solo suo nonno Jonathan, da quale aveva preso il nome, aveva blaterato di averne conosciuti un paio e uno di loro l'aveva anche descritto come un distinto gentiluomo inglese dalla pelle bianca e dai baffi perfetti, ma nessuno aveva voluto credergli e la cosa era ben presto finita nel dimenticatoio. Almeno finché Jon non si era ritrovato a guardarne uno.
    Quando lo sconcerto iniziale era passato, e quel tritone gli aveva sbottato contro in una strana lingua - Jon non l'aveva capito, ma dal tono gli era sembrato molto simile a qualcuno che si lamentava per le cattive maniere che gli venivano rivolte -, Jon aveva potuto guardarlo meglio e aveva dovuto ammettere a se stesso che era del tutto diverso dai tritoni che erano sempre comparsi nelle storie del suo vecchio nonno. La pelle, per niente pallida come quella che si era aspettato da una creatura che viveva nell'oceano, era di un piacevole colore ambrato tendente al miele, e aveva fatto risaltare come non mai i suoi occhi, di un verde così brillante che per un momento erano sembrati luccicare esattamente come la lunga coda squamosa, la quale non aveva smesso di agitarsi tutto il tempo con un certo nervosismo.
    Jon non aveva capito bene cos'era successo, ma quel giovane tritone l'aveva salvato e non aveva fatto in tempo a ringraziarlo che, così com'era apparso, alla fine era sparito. Rammaricato, il giorno successivo era tornato a quell'insenatura con la speranza di rivederlo, e così aveva fatto il giorno dopo e il giorno dopo ancora, e aveva quasi perso le speranze di rivederlo quando, facendo timidamente capolino dal pelo dell'acqua, la testa mora di quel tritone si era fatta finalmente vedere, e Jon aveva sorriso radioso nel saltare sugli scogli per raggiungerlo.
    Per un po' si erano fissati in un imbarazzante silenzio, Jon in piedi sullo scoglio e quel tritone col capo rivolto verso l'alto; poi, dopo aver fatto spuntare parzialmente la pinna caudale al di fuori dell'acqua, aveva anche allungato una mano verso di lui, e Jon per un momento aveva avuto la stupida paura che l'avrebbe trascinato ancora una volta sul fondo dell'oceano. Paura che era sparita come spazzata via dal vento quando, con voce austera e sicura, quel tritone si era rivolto a lui e gli aveva semplicemente detto «Mi chiamo Damian» nella sua lingua, aspettando che gli venisse stretta la mano. E Jon non ci aveva pensato due volte a ricambiare con l'ennesimo sorriso, presentandosi a sua volta e, mentre lo ringraziava per quel salvataggio, non aveva potuto fare a meno di notare il lieve rossore su quelle guance scure.
    Da quel momento erano passati ben sei anni e la loro amicizia, nonostante quei due mondi di distanza, era diventata ben più forte di quanto loro stessi avessero pensato all'inizio, per quanto Jon, nel silenzio della sua camera, ammettesse a se stesso di non provare soltanto quello... ma era un sentimento letteralmente impossibile, quindi si teneva per sé ogni cosa, godendosi almeno il tempo che potevano passare insieme. Ed era proprio per quel motivo che in quel momento era così nervoso, tanto che aveva cominciato a battere ritmicamente un piede sullo scoglio mentre gettava uno sguardo verso il cielo. Era quasi il tramonto. Sarebbe dovuto tornare presto a casa e Damian... Damian non era venuto.
    Un orribile pensiero gli balenò in testa e scattò in piedi così in fretta che quasi rischiò di scivolare da quello stupido scoglio. Gli era forse successo qualcosa? Suo padre, che nonostante avesse accettato quell'amicizia non vedeva di buon occhio gli umani, l'aveva costretto a tagliare del tutto i ponti con lui? Oppure... oppure aveva incontrato quel branco di squali di cui gli aveva parlato, e loro avevano finito per... oh, Dio. Non voleva nemmeno pensarci.
    «Cadi di nuovo in acqua e stavolta ti lascio affogare davvero».
    Jon sussultò alla voce proveniente dalla sua destra, e finì col sedere sullo scoglio quando si mosse troppo in fretta per voltarsi; imprecò a denti stretti e si massaggiò il sedere, fulminando il tritone con lo sguardo nel sentirlo ridere senza tanti complimenti.
    «Mi hai fatto prendere un colpo, D!» si risentì, aggrottando la fronte prima di incrociare le gambe e poggiare una mano sulla caviglia destra. «Stavo cominciando a preoccuparmi», ammise poi, e l'ilarità sulle labbra di Damian sparì, lasciando posto ad un'aria un po' infastidita. 
    «Mio padre». Oh, ecco. Jon l'aveva immaginato. Adesso avrebbero dovuto dirsi addio e... «Ma non è come pensi», si affrettò ad aggiungere Damian, come se gli avesse appena letto nel pensiero. Le sirene - pardon, tritoni - potevano farlo? Nah, forse era semplicemente un libro aperto. «I miei fratelli sono tornati dal loro viaggio dal Mar Nero, e mio padre ha organizzato un evento in loro onore».
    Jon trasse un lungo sospiro di sollievo, sentendo il cuore rallentare un po'. Aveva davvero pensato al peggio, e forse era stato persino un po' stupido. «E non sei felice di averli rivisti? Tu adori i tuoi fratelli», accennò con un sorriso, e Damian si strinse nelle spalle.
    «Mhn. Passabili», affermò lui, ma si vedeva lontano un miglio che lo diceva solo per salvare le apparenze e mantenere la sua solita maschera di compostezza.
    Jon non li aveva conosciuti bene, ma ogni tanto aveva potuto vedere anche i fratelli di Damian. Le prime volte che avevano cominciato ad incontrarsi, Damian era stato seguito proprio da uno di loro e, quando era stato visto, Jon per poco non era stato colpito da un bastone lanciato a tutta velocità, simile ad un giavellotto; era letteralmente sbiancato dalla paura nel sentirlo conficcarsi alle sue spalle, e Damian aveva urlato contro quello che Jon aveva scoperto essere suo fratello Tim, il quale aveva pensato che lui - Jon - fosse un umano che stava cercando di fare del male al suo fratellino. Chiarito il disguido, alla fine Tim si era scusato, ma una scena simile si era verificata anche con Jason, il fratello di mezzo. E il fatto che gli avesse sparato contro una vera e propria bolla d'aria, che aveva fatto saltare le rocce dietro di lui, aveva quasi fatto svenire Jon.
    Il suo preferito, però, era Richard, per gli amici Dick. Anche se persino lui non si era risparmiato dal proteggere il fratello minore a modo suo - Jon non aveva mai pensato in vita sua di vedere dei bastoni da escrima alimentati da anguille elettriche -, Dick era il classico tipo solare che riusciva ad andare d'accordo con tutti, ma al tempo stesso incuteva abbastanza timore da calmare i battibecchi dei suoi fratelli; Damian aveva anche una sorella, Cassandra, ma quest'ultima si limitava ad assistere con divertimento alle liti che davano vita e alle quali Jon stesso non riusciva a resistere, ridendo a più non posso. Era strano dirlo, ma si era affezionato a quella famiglia di tritoni e sirene come non avrebbe mai pensato prima. Peccato che non poteva dirlo a nessuno.
    Il padre di Damian era stato un altro paio di maniche. Insospettito dal continuo via vai del figlio, e del modo in cui anche i restanti figli sembravano sparire, alla fine aveva seguito silenziosamente Damian ed era emerso dalle acque in uno spumeggiare di onde e schiuma, spaventandoli entrambi. E per un bambino di undici anni, per quanto piuttosto alto per la sua età, era sembrato davvero mastodontico con la sua espressione austera e il cipiglio nervoso che aveva solcato le folte sopracciglia scure. Per fortuna, per quanto si fosse mostrato poco disposto a sopportare quegli incontri, aveva lasciato che lui e Damian continuassero ad essere amici, imponendo come unica regola dei giorni stabiliti e soprattutto degli orari in cui non avrebbero rischiato di essere visti. Né da soli, né insieme. Avevano accettato a malincuore quelle condizioni, ma con gli anni avevano capito che era per il loro bene... ma soprattutto per quello di Damian.
    «Jon?»
    Damian lo richiamò e lui dovette sbattere più volte le palpebre, essendosi perso nei suoi pensieri. Non si era nemmeno accorto che Damian si era sporto un po' sullo scoglio verso di lui, le mani sul bordo umido e il viso quasi ad una spanna dal suo, e gli occhi di Jon si ingigantirono un po'. Era la prima volta che si trovavano così vicini l'uno all'altro, e Jon poté vedere che le iridi di Damian tendevano al dorato proprio intorno alla pupilla, e piccole squame gli coloravano le guance di verde come una spruzzata di lentiggini; sulla gola, proprio al di sotto delle orecchie a punta, aveva dei piccoli tagli che Jon capì essere delle branchie, e a dire il vero non credeva che Damian le possedesse; le labbra erano stranamente rosee e carnose, e Jon si ritrovò a deglutire senza nemmeno rendersene conto.
    Rimasero immobili per attimi interminabili, poi si resero conto della situazione e si allontanarono così in fretta che Jon quasi cadde con la schiena all'indietro e Damian sparì sotto il pelo dell'acqua, salvo poi ricomparire dall'altra parte dello scoglio con un'espressione vagamente corrucciata mentre le prime luci del tramonto coloravano il cielo d'arancione.
    «Sarà meglio che torni a casa», sentenziò, indicandogli la scogliera con la punta della coda. «I tuoi potrebbero cominciare a chiedersi che fine hai fatto, se resti ancora qui».
    Jon sospirò pesantemente. Odiava ammetterlo ma, anche se non erano riusciti a passare del tempo insieme, Damian aveva ragione. «Vorrei poter rimanere di più».
    «Lo so. Ma non possiamo. Ci vediamo domani».
    «Domani?» lo guardò con un cipiglio curioso quando sentì quelle parole, e Damian si strinse un po' nelle spalle.
    «Ho fatto tardi per colpa di mio padre, mi deve un giorno in più».
    Il sorriso di Jon divenne sfavillante e, per quanto Damian avesse pronunciato quelle parole con disinteresse, notò che le labbra gli si erano incurvate in un po'. Si salutarono mentre il sole cominciava a calare verso l'orizzonte, e Jon sentì lo sguardo di Damian sulla schiena come ogni volta in cui tornava verso la costa e a casa, regalandogli un ultimo saluto con una mano prima di cominciare ad arrampicarsi sulla scogliera per lasciare quell'insenatura con un po' di imbarazzo ancora dipinto in volto.
    Oh, accidenti. Era stato quasi sul punto di abbassare il viso e baciare Damian, che diavolo stava pensando? Per quanto avesse cominciato a vedere Damian sotto una luce diversa da un paio d'anni a quella parte, non poteva continuare a fantasticare inutilmente in quel modo. Che razza di futuro avrebbero potuto avere? Non sapeva nemmeno se quel sentimento era ricambiato, quindi sarebbe stato meglio mettersi il cuore in pace fin da subito.
    Jon allontanò quei pensieri dalla propria testa e afferrò la sporgenza per salire di qualche altro centimetro, rabbrividendo per il venticello freddo che aveva cominciato a sferzare l'insenatura; ma fu quando allungò la mano ancora una volta, per quel sentiero su cui si arrampicava praticamente da sei anni, che la roccia sotto il suo piede destro franò, e lui sgranò gli occhi nel cercare di stringere inutilmente la presa mentre precipitava esattamente com'era successo sei anni addietro, con la sola differenza che non ci sarebbe stato l'oceano ad attutire la sua caduta, ma solo un ammasso di rocce e spuntoni.
    Gridò, e al suo grido parve fare eco la voce di Damian, e quasi pianse mentre vedeva la sua vita scorrergli veloce davanti agli occhi. No. No. No. Non davanti a Damian. Si sarebbe sfracellato sulle rocce e il suo corpo senza vita sarebber rimasto lì a sanguinare sotto lo sguardo terrorizzato del tritone che aveva cominciato a... i suoi terrificanti pensieri furono interrotti quando si rese conto di essere stato afferrato letteralmente al volo, lasciandosi scappare un piccolo suono soffocato mentre sbatteva contro qualcosa di massiccio, sì, ma al contempo caldo e rassicurante.
    Jon, che aveva stretto furentemente le palpebre col cuore che batteva all'impazzata e il fiato mozzato nel petto, ci mise un secondo di troppo a rendersi conto di cosa fosse successo, esattamente come quel suo salvatore. Aprì piano un occhio, poi un altro; forti braccia muscolose dalla pelle ambrata e umida sorreggevano il suo corpo, e quando voltò di poco la testa incontrò gli occhi verdi e dilatati di Damian, che sembrava stupito esattamente come lui.
    «D-Damian?» domandò con voce stridula, tossicchiando per schiarirsi la gola. Non fece in tempo a chiedere altro che entrambi caddero con un tonfo sordo sulla sabbia sottostante, imprecando a denti stretti. E fu a quel punto che Jon, proprio come Damian, si rese conto che qualcosa non andava. Era seduto su Damian e... e quello che premeva contro le sue natiche non era di certo una coda.
Il sangue gli salì al viso fino alle orecchie e si allontanò di scatto per gattonare sulla sabbia il più lontano possibile, levandosi la giacca tra borbottii imbarazzati mentre Damian, incredulo, si osservava le gambe che avevano sostituito la sua coda e l'organo umano che aveva preso il posto dell'apparato genitale a cui era abituato. Era... impossibile. Com'era successo?
    Sbattendo le palpebre, Damian allungò una mano per pizzicare quella strana carne di cui aveva letto solo nei libri che i suoi fratelli portavano dai loro lunghi viaggi - aveva imparato a creare una bolla d'aria in cui poterli conservare, così che non si rovinassero a causa dell'acqua dell'oceano e potesse leggerli in santa pace -, e che, se ben ricordava, si chiamava coscia; anche le ginocchia erano strane, per non parlare di quell'affare floscio fra le sue gambe, niente a che vedere con l'emipene biforcato munito di spine che aveva sempre posseduto. Ciononostante il suo sguardo era curioso, e stava quasi per toccarlo - aveva letto molte storie in cui gli umani lo usavano anche per il piacere, e non solo per la riproduzione - quando venne coperto da quella che capì essere una felpa. La felpa di Jon.
    Damian sollevò lo sguardo verso Jon, che aveva accuratamente evitato tutto il tempo di guardarlo. «Che dovrei farci con questa?» domandò e, per la prima volta in vita sua, sentì Jon dar vita ad un suono frustrato.
    «S-Smettila di guardarti e copriti». Jon non si girò per accertarsi che l'avesse fatto, borbottando un ringraziamento per essere stato salvato - di nuovo - prima di trarre un lungo sospiro e fare la domanda ovvia che aveva cominciato a farsi largo nella sua testa. «Mi spieghi che significa?» chiese, forse persino con un pizzico di risentimento.
    Damian, però, abbassò nuovamente lo sguardo, rigirandosi un po' quella felpa fra le mani prima di abbandonarla sulle cosce. «Ne so quanto te».
    «Come puoi non saperlo? Non sai sempre tutto?»
    «Se lo avessi saputo, non--» Damian si interruppe, sbottando qualcosa in quella lingua che Jon non riusciva tuttora a capire prima di gettare via la felpa, che affondò un po' nella sabbia. «Lascia perdere. Torno a casa».
    Jon avrebbe voluto dire qualcosa, ma non sapeva cosa. Si era solo ficcato le mani in tasca e aveva guardato Damian di sottecchi, vedendo il modo in cui cercava di rimettersi in piedi; arrancò un po', con le gambe che tremavano sotto il suo peso, e mosse qualche passo incerto verso il mare, barcollando come un ubriaco mentre cercava di mantenere inutilmente l'equilibrio. Cadde in ginocchio non appena raggiunse la riva, ma l'espressione sul suo volto passò dallo stranito al terrorizzato mentre affondava le mani in acqua e afferrava la sabbia colma di conchiglie e sassolini.
    «Jon».
    Jon dovette far ricorso a tutta la sua forza di volontà di giovane adolescente per non guardare Damian, correndo verso la felpa per prenderla e avvicinarsi a lui. «Cosa c'è che non va?» chiese preoccupato, abbandonando ogni forma precedente di risentimento di qualunque tipo. La voce di Damian sembrava davvero spaventata.
    «La mia coda». Scavò nella sabbia come se ciò potesse servire a qualcosa, i grandi occhi verdi fissavano l'acqua che stava diventando un pozzo nero a causa del sole che tramontava. «Non so come far tornare la mia coda».
    Massaggiandosi il ponte del naso, Jon gli lanciò una rapida occhiata. «Okay... ragiona. Come hai fatto a farti spuntare le gambe?»
    «Ti ho detto che non lo so, idiota», sbottò Damian. «Ti ho visto cadere e non ho pensato razionalmente, mi sono solo gettato verso la riva».
    Jon guardò la scogliera e poi di nuovo Damian, volgendo lo sguardo verso il mare e l'orizzonte prima di tornare a fissare la scogliera. Nessuno dei due sapeva cosa fosse successo e, se Damian non riusciva a farsi spuntare di nuovo la coda, allora avevano davvero un bel problema. Un'altra folata di vento lo fece rabbrividire, e notò che anche Damian l'aveva fatto, massaggiandosi le braccia su cui era spuntata la pelle d'oca. Oh, dananzione. Quanto era idiota?
    «Metti questa», lo invitò immediatamente, poggiandogli lui stesso la felpa sulle spalle; ricevette da Damian uno sguardo confuso ma, nonostante il borbottio che si lasciò scappare, parve accettare di buon grado quella gentilezza, lo sguardo perso all'orizzonte con una strana nota nostalgica.
    «...e adesso?» sussurrò mentre si stringeva in quella stoffa calda, e Jon, puntellandosi al suo fianco, scosse brevemente la testa.
    «Non... non lo so», ammise. «Ma non puoi restare qui».
    «La mia famiglia si preoccuperà».
    Era vero, l'avrebbero fatto di certo. Conoscendo i fratelli e la sorella di Damian, nonché suo padre - oh, Dio, suo padre l'avrebbe infilzato con il suo tridente e l'avrebbe trasformato in cibo per i suoi pescecani -, probabilmente stavano già nuotando verso l'insenatura nel rendersi conto che aveva superato l'ora del coprifuoco. Jon sapeva che anche suo padre e sua madre si sarebbero preoccupati a morte, ma non poteva abbandonare Damian e non sarebbe comunque potuto risalire insieme a lui. A malapena si reggeva in piedi su quelle sue nuove gambe, come avrebbe potuto arrampicarsi?
    Jon sospirò, raschiando i denti sul labbro inferiore prima di scivolare vicino all'amico e avvolgergli un braccio intorno alle spalle; Damian si irrigidì, ma Jon si giustificò dicendo che in quel modo sarebbero stati più al caldo e la fece passare per una semplice cosa umana, guadagnandoci un grugnito un po' scettico mentre se ne stavano lì, col sole che veniva inghiottito dal mare e la notte che cominciava ad avvolgerli.
    «Non credo di sentirmi molto bene», disse d'un tratto Damian. Aveva la voce roca e faticava a tenere gli occhi aperti, e Jon lo sentì tremare contro di lui solo per vederlo con le palpebre socchiuse.
    «Cos'hai?» chiese preoccupato.
    Damian si portò debolmente una mano al ginocchio. «Le... le gambe. Mi fanno male». Si umettò le labbra, deglutendo più e più volte mentre brividi freddi gli correvano dietro la spina dorsale. «E... non respiro».
    «O-Okay, aspetta, io...» Cosa poteva fare? Non aveva mai visto Damian in quelle condizioni e non aveva idea di come comportarsi, il respiro dell'amico era sempre più rotto e Jon sgranò gli occhi nel rendersi conto, quando gli poggiò una mano sulla fronte, che scottava. «Damian, ehi, D, guardami», lo richiamò, avendo notato il modo in cui stava poco a poco abbassando le palpebre, e proprio in quel momento reclinò la testa all'indietro, lasciando Jon ancor più sconvolto.
    Dovette farlo sdraiare sulla sabbia e cercare di tenerlo al caldo il più possibile con la felpa che gli aveva dato - era una fortuna che gli stesse grande, perché almeno lo copriva fino a metà coscia -, impanicato. Cosa avrebbe dovuto fare? Cosa poteva fare?
    Jon si guardò intorno, gli occhi che guizzavano da una parte all'altra dell'insenatura senza aver idea di come aiutare il suo amico, finché la parte razionale del suo cervello, alla vista delle condizioni di Damian che peggioravano praticamente sotto il suo sguardo, gli diede l'unica soluzione possibile. Per la prima volta dopo sei anni, Jon fece una cosa che non aveva mai fatto: condivise il suo luogo segreto... e chiamò suo padre.






_Note inconcludenti dell'autrice
Allora. Questa storia in realtà è nata un po' per caso (soprattutto grazie all'immagine che apre la storia), ma sono stata spronata a scriverla davvero solo grazie 
a Shun di Andromeda, alla quale dedico l'intera storia (di cui mi ha anche aiutato a scegliere il titolo)
Negli ultimi mesi mi è stata vicino un sacco e mi ha fatta tornare la voglia di scrivere e sclerare, quindi la scrittura è tornata ad essere un vero e proprio divertimento... e avevo dimenticato come ci si sentiva a lasciarsi andare in mondi immaginari o scenari del tutto inventati, quindi non posso non dirmi contenta di essere tornata a pubblicare qualcosa
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥



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Capitolo 2
*** And all was more stranger ***


Put your lips on me_2 Titolo: Put your lips on me (and I can live underwater)
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons, Batman
Tipologia: Long Fiction
Capitolo due: 3026 parole [info]fiumidiparole 

Personaggi: Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent, Bruce Wayne, Lois Lane, Clark Kent, Tim Drake, Dick Grayson, Jason Todd, Talia Al Ghul, Vari ed eventuali
Rating: Giallo
Genere: Generale, Slice of life, Fluff, Smut, Light Angst

Avvertimenti: Mermaid!AU, Accenni slash, Hurt/Comfort


SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.

    Jon sbadigliò sonoramente e si stiracchiò sulla sedia su cui era accomodato, stropicciandosi gli occhi prima di gettare uno sguardo verso il proprio letto, dove Damian stava riposando. Aveva ancora le palpebre abbassate e respirava pesantemente, simbolo che la febbre non si era ancora abbassata.
    Erano passati appena due giorni ed era stato tutto così... assurdo. Nessuno dei due si sarebbe mai aspettato che le cose finissero in quel modo, eppure eccoli lì, a casa sua. Quando si era reso conto della piega che stavano prendendo le cose, non aveva esitato ad afferrare il cellulare per chiamare suo padre e spiegargli per filo e per segno dove si trovasse e che cosa fosse successo - omettendo ovviamente la parte in cui Damian era un tritone e limitandosi semplicemente a dire di aver trovato un ragazzo svenuto sulla spiaggia -, così che lui stesso potesse aiutarlo con Damian. Nell'attesa, però, mentre teneva stretto a sé l'amico febbricitante per farlo stare al caldo, l'oceano davanti a loro aveva cominciato a ribollire e Jon per poco non aveva gridato quando due luminosi occhi azzurri lo avevano scrutato nella mezza oscurità.
    Col cuore in gola, Jon ci aveva messo un secondo di troppo per rendersi conto che il volto che era emerso dalle acque era quello di Dick. E lo aveva visto cambiare espressione così tante volte, nell'arco di una manciata di secondi, che aveva faticato non poco a spiegargli la situazione e a dirgli che Damian, nonostante ci avesse provato, non era riuscito a farsi spuntare nuovamente la coda e alla fine aveva deciso di portarlo a casa sua per tenerlo al caldo ed evitare che la sua febbre peggiorasse. Dick lo aveva fissato a lungo, facendo scorrere lo sguardo dal suo volto alle gambe nude di Damian che spuntavano sotto la felpa, e Jon era stato certo, nonostante la parziale oscurità, di aver visto le labbra di Dick ridursi ad una linea sottile, proprio come le sue palpebre.
    Dick se n'era andato dicendogli che ci avrebbe pensato lui stesso ad avvertire Bruce e che lui avrebbe fatto meglio a comunicare loro le condizioni di Damian giorno dopo giorno, ma, prima di sparire fra le onde, gli aveva consegnato una conchiglia dalla forma ovale con la quale avrebbero potuto parlare, anche se in un primo momento Jon aveva creduto che lo stesse prendendo in giro. Però, quando Dick gli aveva bonariamente detto che se non voleva credere a lui poteva parlare direttamente con Bruce, Jon alla fine aveva accettato quella conchiglia con la promessa che si sarebbe preso cura di Damian finché non fossero riusciti a trovare una soluzione per le sue attuali condizioni.
    Suo padre l'aveva raggiunto nello stesso istante in cui la coda azzurra di Dick era sparita sotto la superficie dell'acqua, e non aveva perso tempo: fissando le corde che usava solitamente per le sue arrampicate, si era calato nell'insenatura e aveva avvolto Damian in una coperta e se l'era issato lui stesso in braccio, indicando a Jon una delle funi col gancio di sicurezza; quando erano risaliti e avevano preso posto nel furgone, suo padre aveva cominciato a tempestarlo di domande, dal perché si fosse spinto fin laggiù a come aveva trovato quel ragazzo, e Jon aveva risposto a tozzi e bocconi, restando sempre piuttosto sul vago. L'interrogatorio era stato ripreso da sua madre, per quanto si fosse occupata nel frattempo delle condizioni di Damian, sempre più febbricitante.
    Adesso, con addosso un pigiama troppo grande e imbottito di medicine, Damian se ne stava rannicchiato sotto il piumone sotto lo sguardo mesto di Jon. Si sentiva come se tutta quella situazione fosse stata colpa sua. Se non si fosse distratto, se non avesse cominciato a pensare a Damian durante la salita, forse... scosse il capo, poggiando i gomiti sulle cosce per abbandonare la testa fra le mani. Damian sarebbe davvero riuscito a tornare normale? Per quanto Jon si fosse trovato egoisticamente a pensare che in quel modo sarebbe stato più facile confessargli i suoi sentimenti... non l'avrebbe mai fatto a discapito della sua felicità. Damian aveva una famiglia da cui tornare, un intero mondo che faceva parte di lui... e, per quanto Jon avrebbe voluto dirgli tutto, non poteva dargli l'ennesimo peso né tenerlo con sé, soprattutto quando non aveva idea di cosa provasse Damian.
    «J-Jon...?»
    Trasalendo, Jon sollevò di scatto la testa e puntò lo sguardo sul volto di Damian, le cui palpebre aperte a mezz'asta stavano mostrando in parte i suoi occhi verdi. Era ancora febbricitante e le sue guance erano rosse e accaldate, ma il respiro aveva cominciato a tornare in parte regolare.
    «Ehi». La voce di Jon uscì tremula mentre si sporgeva verso il letto. «Come ti senti?»
    Damian si prese un momento, tossendo prima di leccarsi le labbra. «...come se mi avesse masticato uno squalo», ammise, e Jon si lasciò scappare una risatina.
    «Ne hai anche l'aspetto».
    «Mhnr. Non sei divertente».
    Chiuse gli occhi, salvo poi riaprirli di nuovo di scatto prima di raddrizzare immediatamente la schiena; il capogiro che lo colpì, però, lo costrinse a cadere ancora una volta all'indietro, per di più con una raffica di colpi di tosse che lo fecero piegare di lato e sollevare le gambe con un gemito doloroso. Allora le aveva davvero, non era stato un sogno. Sentì Jon massaggiargli delicatamente la schiena per aiutarlo a calmarsi e ammise a se stesso di aver apprezzato il gesto, sentendo poco a poco quella tosse calmarsi e lasciarlo in pace. Cosa gli stava succedendo? E dov'era? Provò a chiedere spiegazioni, ma la voce non uscì, avvertendo solo un orribile subbuglio nel suo stomaco.
    «Ti ho... portato a casa mia». Jon rispose come se gli avesse letto nel pensiero, e sollevò giusto una palpebra per vedere il modo in cui si stava massaggiando un braccio. «Stavi male, non potevo lasciarti lì da solo senza essere certo che ti... sai...» abbassò la voce, come per timore che qualcuno potesse sentirlo «...ti spuntasse di nuovo la coda».
    «Casa tua?» ripeté Damian, cercando di fare mente locale. Aveva vaghi ricordi di quello che era successo, ma ciò che gli era rimasto impresso era il modo in cui si era gettato verso la riva per salvare Jon. Poi le gambe, il corpo accaldato, il dolore... perché i muscoli di quei nuovi arti gli facevano così male? Non aveva mai letto niente del genere nei libri che... la consapevolezza lo colpì come uno schiaffo in pieno viso, e guardò Jon in stato confusionale. «Che giorno è?»
    «La tua famiglia sa che sei con me», disse subito Jon, leggendo fra le righe di quella domanda. E, nel vedere l'aria stranita di Damian, si affrettò a continuare. «Quando sei svenuto... ho chiamato mio padre». Frenò subito ogni replica nel vederlo pronto ad aprire la bocca, ricordandogli che stava male e che urlargli contro avrebbe solo peggiorato le sue condizioni, oltre a richiamare i suoi genitori. «Nell'attesa, è arrivato Dick. Mi ha consegnato questo». Jon frugò fra le tasche della tuta, porgendogli il piccolo dispositivo a forma di conchiglia che gli era stato affidato. «Mi ha chiesto di informarli delle tue condizioni tutti i giorni. Oggi è il secondo».
    Damian l'aveva osservato per tutto il tempo in cui aveva parlato, e un po' si era tranquillizzato. Era passato poco tempo, bene. Ma restava sempre lo stesso inconveniente di quelle due protuberanze che aveva al posto della coda. «Non sanno nulla riguardo a quelle?» chiese nell'accennare alle proprie gambe, e Jon scosse la testa.
    «Troveranno qualcosa. Ne sono sicuro», provò a rincuorarlo, avendo notato l'espressione mesta che si era dipinta sul volto di Damian. Voleva tornare a casa. Ma come avrebbe potuto biasimarlo? «Ora cerca di stare tranquillo. La mamma ha detto che avevi la febbre molto alta quando ti abbiamo portato qui».
    Anche se incerto, Damian si limitò a fare un breve cenno col capo. Era... strano respirare aria e starsene sotto quelle coperte, e soprattutto ancor più strano era il pensiero che quello fosse il letto di Jon. Sentì le guance bruciare, ma diede la colpa alla febbre e voltò la testa verso la finestra, sentendo la pioggia che picchiettava contro i vetri. Non si era accorto che stava piovendo, e si concentrò a tal punto su quel suono che quasi sussultò quando sentì la mano di Jon sulla sua fronte, tornando a guardarlo con fare interrogativo.
    Jon sorrise imbarazzato e si massaggiò il collo con l'altra mano, giustificandosi col fatto che volesse solo controllare che non scottasse troppo, e Damian lo lasciò fare, abbassando le palpebre quando una piacevole pezza bagnata cominciò a rinfrescargli la fronte. Bollente com'era, gli sembrava davvero una bellissima sensazione.
    Non si accorse nemmeno di essersi addormentato di nuovo, svegliandosi con un colpo di tosse e il piacevole profumo di cibo. Non aveva idea di che cosa fosse, di certo non erano le alghe e gli altri piccoli animali acquatici che preparava solitamente Pennyworth, ma l'odore era invitante e, quando aprì del tutto gli occhi, vide la figura longilinea di una donna dai lunghi capelli scuri che aveva appena posato una gran ciotola sul comodino; per un attimo ebbe uno strano dejavù ma, prima che potesse capire il perché, tossì e richiamò l'attenzione della donna.
    «Scusa, ti ho svegliato?» Aveva una bella voce. Autoritaria ma, al tempo stesso, dolce e comprensiva. In un modo un po' bizzarro gli ricordava Selina, la compagna di suo padre.
    Damian scosse immediatamente il capo. «No», gracchiò, cercando di mettersi almeno a sedere; ma la donna lo frenò nel poggiargli delicatamente una mano su una spalla.
    «Non sforzarti», gli disse in tono cordiale. «Jon era davvero preoccupato quando ti ha portato qui. Hai bisogno di riposo». Gli scostò qualche ciocca di capelli che gli si era incollata al viso, e per un attimo Damian sussultò, temendo che potesse notare le sue orecchie a punta; la donna, però, lesse quel fare come diffidenza verso una persona sconosciuta, così sorrise rassicurante. «Oh, scusami. Dimenticavo. Sono Lois».
    Tossendo, Damian nascose il naso arrossato al di sotto delle coperte, osservando la donna con cipiglio. «Damian», si presentò in tono rauco, facendola ridacchiare.
    «Piacere di conoscerti, Damian». Si voltò verso il comodino, ma solo per sollevare il coperchio della ciotola; si sprigionò un profumo ancor più invitante, e Lois gettò uno sguardo verso il volto curioso del giovane. «Ti ho portato un po' di brodo di pollo. Hai bisogno di rimetterti in forze, ma non sforzarti se non riesci a mangiarlo tutto, d'accordo?»
    In un altro momento, Damian avrebbe probabilmente risposto col suo solito tono sprezzante, così da far capire alla donna che non era più un avannotto ormai da molto tempo e che era abbastanza adulto da poter fecondare delle uova, ma nel guardarla in quegli occhi scuri, ogni cattiveria gli morì sulle labbra ancor prima di formarsi. Quella Lois non lo conosceva minimamente, eppure lo stava trattando con una gentilezza tale che, fino a quel momento, oltre a Jon gli era stata riservata solo dai membri della sua famiglia e consorti.
    Incerto su che cosa dirle, alla fine mormorò un «Grazie» strascicato che parve essere abbastanza, giacché la donna sorrise e lo lasciò riposare, invitandolo a chiamarla se mai avesse avuto bisogno di qualcosa. Quando uscì, Damian fece spuntare nuovamente il naso fuori dalle coperte, cercando di mettersi a sedere con attenzione; le gambe gli formicolavano come non mai e sentiva quelle ossa nuove di zecca scricchiolare ad ogni movimento, persino il suo ginocchio destro fece uno strano suono quando lo piegò.
    Aggrottò la fronte e abbassò lo sguardo, studiando il proprio corpo tra un colpo di tosse e l'altro. Attento a muoversi con circospezione, sollevò la gamba destra per distenderla davanti a sé, arricciando le dita dei piedi e inclinando un po' il capo contro la spalla mentre si osservava; era... strano e in parte doloroso muovere le sue articolazioni, ma stava cominciando a farci l'abitudine. E lanciò uno sguardo verso il comodino, arrischiandosi ad allungare un braccio per afferrare quella ciotola. Lois l'aveva chiamato brodo di pollo, mhn...? Prese quel cucchiaio - se ben ricordava, si chiamava proprio cucchiaio - e lo affondò nel brodo, rigirandolo prima di arricciare un po' il naso e azzardarsi a prendere una cucchiaiata per portarsela alla bocca; le sue papille gustative apprezzarono e quel sapore gli inondò il palato, facendogli allargare un po' gli occhi. Qualunque cosa fosse quel pollo, il brodo era davvero buono.
    Mangiò lentamente, gustandosi quel pasto per quanto non fosse riuscito comunque a finire tutto il brodo,  infilandosi ben presto nuovamente sotto le coperte per godersi quel calore. Da quando aveva lasciato il mare non riusciva a scaldarsi come avrebbe dovuto, e non sapeva se reputare la cosa alla sua condizione attuale o al fatto che, come gli era stato detto, sembrava essersi ammalato. Fu chiedendosi che fine avesse fatto Jon che abbassò di nuovo le palpebre e si addormentò senza nemmeno rendersene conto, ignaro che quest'ultimo fosse andato fino in città per far comprare anche le sue medicine.
    Jon era difatti appena uscito dal droghiere dopo aver preso tutto ciò che sua madre aveva segnato sulla lista, sollevando lo sguardo verso il cielo cupo. Da quando lui e Damian avevano lasciato l'insenatura, il tempo stesso sembrava essere contro di loro, sempre pronto a riversare vere e proprie secchiate d'acqua sulla città; sapeva che era una coincidenza - perché era una coincidenza, giusto? -, eppure una vocina continuava a ripetergli che qualcosa, da quando Damian aveva scoperto di poter possedere quelle gambe, non quadrava.
    Scosse la testa per scacciare quegli stupidi pensieri, affrettandosi su per la strada che lo avrebbe riportato a casa. Non voleva essere colto all'improvviso dalla pioggia e inzupparsi, quindi darsi una mossa gli sembrava la cosa migliore da fare; se avesse potuto, avrebbe preso il furgone di suo padre e avrebbe fatto sicuramente prima, ma suo padre era a lavoro e avevano solo quel loro amorevole catorcio per spostarsi, dunque avrebbe dovuto accontentarsi dei suoi piedi allenati. 
    «Jonathan».
    Nel sentire alle sue spalle quel tono di voce così aspro, Jon per poco non si lasciò sfuggire la busta che stava sorreggendo. Si voltò con attenzione, rimanendo basito nel sollevare il capo e incontrare quello che si rivelò essere lo sguardo serio di Bruce; boccheggiando, provò a dire qualcosa, per quanto non riuscisse a spiccicare nemmeno una parola. Non sapeva che cosa lo avesse lasciato più stranito, il fatto che fosse davvero alto - non quanto suo padre, ma quasi - o il vederlo lì, sulla terra ferma, per di più in città come un... normale essere umano.
    «Bruce?» disse incerto, e fu a quel punto che Jon fece immediatamente scorrere lo sguardo sulla sua figura, dall'ampio petto nascosto dalla camicia che indossava alle gambe fasciate da un pantalone nero che le faceva apparire ancora più lunghe di quanto non fossero. Sbatté le palpebre più e più volte, a dir poco incredulo. «Che significa?»
    «Dov'è Damian?» domandò invece Bruce senza rispondergli, e Jon, per la prima volta in quegli ultimi sei anni, sentì montare una rabbia sorda nei confronti del tritone che aveva davanti.
    «Tu lo sapevi?» Lo sguardo di Jon si indurì, ignorandolo a sua volta mentre stringeva lungo il fianco il pugno della mano libera. «Sapevi che Damian sarebbe potuto salire in superficie... e non gliel'hai mai detto?»
    Avevano passato sei anni a seguire le condizioni di Bruce, a stare attenti proprio per evitare che Damian potesse essere visto e tenerlo in quel modo lontano dai pericoli... quando sarebbe potuto passare per un comune essere umano, godersi la luce del sole e camminare per le strade della città esattamente come stava facendo l'uomo che aveva davanti?
    Si squadrarono entrambi per attimi che parvero interminabili. Nessuno dei due proferì un'altra parola, per quanto in quel momento ce ne sarebbe stato decisamente bisogno. Rigido e con la schiena dritta, Bruce aveva abbassato il capo per fissare Jon dritto negli occhi, ricambiando quel suo sguardo serio. Poi, contro ogni altra aspettativa, trasse un lungo respiro.
    «Era per il suo bene, Jonathan».
    Jon si sentì andare su tutte le furie, conficcandosi le unghie nel palmo della mano. «Cosa, esattamente? Tenerglielo nascosto? Aspettare che lo scoprisse da solo per caso e rischiare che potesse morire?» chiese, stupendo persino se stesso al tono sprezzante con cui pronunciò quelle parole. I suoi genitori gli avevano insegnato ad essere educato, certo... ma, in quel momento, si sentiva solo ribollire per il modo in cui Bruce aveva mentito ad entrambi per tutti quegli anni.
    «Non discuterò di questo, Jonathan. Non qui».
    «Se ti porto da Damian... ci spiegherai tutto?»
    Quel quesito fu pronunciato così in fretta che Bruce quasi rimase spiazzato da tutta quella sfacciataggine. Era abituato ai modi di fare dei suoi figli - Jason era il primo a contraddirlo non appena ne aveva l'occasione -, ma... non se lo sarebbe aspettato da un comune ragazzo come Jonathan.
    Bruce sollevò il mento, facendo scorrere lo sguardo sulla sua figura: per quanto riuscisse a fiutare in lui un pizzico di referenziale timore, il giovane umano non aveva mosso un singolo passo, confrontandosi con lui senza avere intenzione di tirarsi indietro. A ben vedere, apprezzava in parte quel suo mantenere la sua posizione. «Abbiamo un accordo», acconsentì infine. La sua priorità, in quel momento, era suo figlio.
    Non del tutto convinto, Jon guardò dapprima il suo volto per scrutarlo con attenzione, poi il più piccolo movimento del suo corpo, allungando infine una mano verso di lui; vide Bruce esitare un momento, un sopracciglio inarcato come se non capisse, e poi quella grossa mano afferrò la sua, stringendola con forza ma senza esagerare. Fu solo a quel punto che il giovane parve ritenersi soddisfatto - Damian gli aveva detto quanto valesse la parola data per i tritoni e, non possedendo una pinna caudale, una stretta di mano era ciò che più si avvicinava agli usi e costumi della loro razza -, facendo un breve cenno col capo prima di dargli le spalle e avviarsi.
    Quel ritorno a casa sarebbe stato un po' strano.






_Note inconcludenti dell'autrice
Inizio col ringraziare
Shun di Andromeda, alex_love e Liberty89 per aver letto, commentato e apprezzato il primo capitolo.
Mi sono resa conto che, per mancanza di tag come su Ao3, non ho spiegato che questa è una No Powers AU, quindi i protagonisti non hanno niente a che fare col mondo dei supereroi ordinari presenti nell'universo DC. Il modo in cui chiama suo padre è spiegato in questo capitolo ma, avendoli scritti tutti insieme di getto (letteralmente, Shun può confermare), per me era scontato che usasse un cellulare. Chiedo venia per non averlo effettivamente accennato prima e aver fatto avere un attimino di confusione più che giustificato aha
Non potevano ovviamente mancare i fratelli protettivi, il solito Bruce e soprattutto... Damian che fa sclerare male il povero Jonno innamorato mentre cerca di toccare tutto senza nemmeno rendersi conto di cosa possa implicare per gli umani. Dopotutto perché dovrebbe preoccuparsene, se non ha mai avuto problemi con i suoi organi riproduttivi e la nudità? Povero Jonno raggio di sole :D
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
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Capitolo 3
*** From father to son ***


Put your lips on me_3 Titolo: Put your lips on me (and I can live underwater)
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons, Batman
Tipologia: Long Fiction
Capitolo tre: 2720 parole [info]fiumidiparole 

Personaggi: Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent, Bruce Wayne, Lois Lane, Clark Kent, Tim Drake, Dick Grayson, Jason Todd, Talia Al Ghul, Vari ed eventuali
Rating: Giallo
Genere: Generale, Slice of life, Fluff, Smut, Light Angst

Avvertimenti: Mermaid!AU, Accenni slash, Hurt/Comfort


SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.

    Dal momento in cui suo padre aveva finito di parlare e tutti e tre si erano limitati a squadrarsi, Damian era rimasto stranamente silenzioso, e tuttora non aveva spiccicato una singola parola.
    Quando Jon era tornato a casa, sua madre era rimasta piuttosto stranita nel vederlo in compagnia di un uomo, facendo scorrere lo sguardo dall'uno all'altro con un sopracciglio inarcato; il suo cipiglio sospettoso era sparito solo nel momento in cui, con una voce soave che Jon non gli aveva mai sentito usare - per un attimo aveva sospettato che stesse usando chissà quali poteri da tritone, sapendo che ognuno di loro era dotato di qualcosa di diverso -, Bruce le aveva spiegato di aver perduto suo figlio ed era stato proprio Jon, sentendo il suo racconto in città e la descrizione di Damian, a guidarlo fino a casa per far sì che potesse accertarsi delle sue condizioni. Lois non aveva contestato molto quella sua storia - cosa che aveva reso Jon ancora più scettico, convincendolo davvero che forse la stesse un po' plagiando per evitare troppe domande -, informando Bruce che Damian in quel momento stava dormendo.
    Lois aveva inoltre aggiunto, riacquistando un po' del suo tipico cipiglio circospetto, che avrebbe potuto aspettare lì finché non si fosse sentito meglio, poiché ovviamente nessuno dei due voleva che un ragazzo ammalato si mettesse in viaggio per chissà dove; Jon aveva guardato Bruce stirare le labbra in una linea sottile, quasi si fosse aspettato che contestasse, ma aveva fatto un breve cenno del capo e aveva concordato, salendo di sopra con Jon solo quando Damian aveva finalmente aperto gli occhi.
    L'espressione confusa di Damian era stata comprensibile, così come la sua reazione quando aveva provato letteralmente ad attaccare suo padre nel rendersi conto che possedeva le gambe anche lui. Pur capendo ciò che provava, essendo arrabbiato a sua volta, Jon era comunque stato costretto a tenerlo a freno per evitare che facesse inutilmente sforzi e che con quello slancio potesse peggiorare le condizioni delle sue gambe, restando seduto sul letto al suo fianco per tutto il tempo in cui aveva squadrato il genitore. E quando Bruce gli aveva spiegato che la loro specie, a differenza di quella di altri tipi di pesci antropomorfi, possedeva un secondo strato di muscolatura all’interno della coda che permetteva loro di scinderla per trasformarla in un paio di gambe che a contatto con l’acqua sarebbero sparite solo in determinate condizioni - condizioni che lui al momento non soddisfaceva, aveva aggiunto - , era caduto un silenzio così fitto che il solo suono che lo aveva riempito era stato il vento che sferzava le fronde degli alberi e la pioggia che batteva contro i vetri e il tetto sulle loro teste.
    Jon poteva vedere la tensione accumularsi sulle spalle di Damian, le mani che artigliavano il piumone e le labbra stirate in una linea sottile, e le folte sopracciglia, solitamente corrucciate in un’espressione di candida saccenza, adesso erano aggrottate così tanto che sembravano al punto di fondersi coi suoi occhi verdi, fissi e riflessivi.
    «Perché?»
    Un’unica domanda che parve rimbombare sulle pareti della camera di Jon, ma l’adolescente sapeva che era solo una sua impressione. Damian aveva parlato in tono calmo, forse troppo calmo per uno a cui era stata nascosta la verità per così tanti anni e che pretendeva di conoscere il motivo per cui gli era sempre stata taciuta una cosa del genere. E Jon aveva imparato a capire che era solo la quiete prima della tempesta.
    Bruce fissò il figlio con un’espressione indecifrabile e seria, tacendo per lunghi attimi. «Esci, Jonathan», esordì, ma Damian schioccò la lingua sotto il palato e fece un gesto secco con una mano.
    «No», replicò con voce schietta e sicura. «È camera sua e lui resta qui. Ha il diritto di sapere tanto quanto me».
    Per quanto avesse assottigliato le palpebre, per nulla contento di quella soluzione, Bruce fece un breve cenno col capo e osservò i volti dei due ragazzi, una mano poggiata su un ginocchio e l’altra che batteva ritmicamente le dita sul bracciolo della sedia. «Ho cercato di tenerti al sicuro».
    «Non credi di avermi esposto molto di più, in questo modo?»
    «No». Bruce scosse la testa, ma la sua voce suonava sicura di sé. «L’insenatura era protetta dalla magia di Tim. Lui e Barbara hanno creato un cerchio infuso di potere per impedire a chiunque avesse cattive intenzioni di essere attraversato», e nel dirlo lanciò un rapido sguardo verso Jon, che lo fissava incredulo. «Funziona come i perimetri di sicurezza degli esseri umani. Con la sola differenza che colpisce con una scarica elettrica non appena messo piede nel cerchio».
    Dalla gola di Damian risalì un suono cupo e gutturale. «Quindi a che servivano tutte le tue raccomandazioni? Tutte le tue stupide condizioni su come e quando io e Jon avremmo dovuto vederci?» sputò quelle parole con asprezza, le palpebre assottigliate in una linea sottile. Ma Bruce non fece una piega, notando solo il modo in cui Jon si era avvicinato a Damian e gli aveva stretto una mano su una spalla a mo’ di supporto; e tergiversò un altro po’, scostando nuovamente lo sguardo per fissare negli occhi il proprio figlio.
    «Ad evitare che potesse trovarti tua madre».
    Bastò quello a congelare l’atmosfera nell’intera stanza. Jon non sapeva se era a causa dei poteri di Bruce o se erano stati colti talmente di sorpresa da essere rimasti senza parole ma, in quel momento, faceva così freddo che aveva la netta sensazione che la finestra si fosse aperta, facendo mulinare così foglie e acqua all’interno. Era consapevole che fosse solo una sua impressione, ma un brivido gli corse comunque dietro la schiena quando sentì Damian tremare sotto il suo tocco.
    «Mia… madre?» ripeté incredulo. «Non mi avevi mai parlato di lei».
    «E avrei preferito continuare a non farlo». Vedendo il figlio pronto a replicare in tono alterato, cosa che lo fece solo tossire quando ci provò, Bruce alzò una mano. «Ma mi rendo conto che tacerti la verità ha solo complicato le cose. È giusto che tu sappia».
    Quei nuovi attimo di silenzio furono accompagnati dal respiro pesante di Damian, che venne fatto nuovamente sdraiare a letto con la coperta sulle gambe. Jon aveva rassicurato sua madre che a portargli la cena ci avrebbe pensato lui e che non sarebbe dovuta salire mentre parlavano con Bruce, e a quel punto aveva davvero avuto conferma che quest’ultimo stesse usando i suoi poteri per soggiogarla un po’, poiché una donna sospettosa come sua madre si sarebbe già impicciato per capire cosa stesse succedendo e perché ci mettessero tanto.
    Bruce si schiarì la gola e richiamò nuovamente l’attenzione di Jon, che come Damian aveva cominciato a fissarlo negli occhi. «Ero molto giovane, all’epoca», esordì con voce calma, la mente persa nei suoi lontani ricordi. «Avevo lasciato il regno nelle mani fidate di Alfred ed ero partito per conoscere gli usi e i costumi del mondo umano, in modo da poter apprendere come governare al meglio e aiutare la nostra gente a prosperare. Vagai per un anno, forse due, comunicando i miei spostamenti ogni qual volta mi era concesso; fu durante uno dei miei pellegrinaggi che incontrai tua madre, una dea sbucata dalle acque del Golfo Persico». Si interruppe un attimo, come se stesse assaporando quella sua memoria senza dar peso al modo in cui i due giovani avevano cominciato a lanciarsi qualche occhiata tra loro. «Aveva la pelle scura e i capelli castani, di una tonalità tale da sembrare neri; non avevo mai visto qualcuno con le sue fattezze, e quando incrociai il suo sguardo mi fissò con due occhi così verdi da fare invidia a tutte le meraviglie dell’oceano».
    «Da come ne parli, ne sembravi davvero innamorato».
    «Lo ero», confermò Bruce. «E lo capii nell’esatto momento in cui afferrò il pugnale sullo scoglio per gettarsi fulminea contro di me, inchiodandomi alla sabbia».
    Jon lo interruppe subito, parlando più veloce di quanto stesse per fare Damian, frenato da un altro colpo di tosse. «Aspetta, ti ha attaccato?!»
    «Avevo osato guardarla. La mia vita, secondo la sua logica, era un prezzo adeguato per quanto avevo visto», incontrando la confusione negli occhi dei due, continuò. «Forse fu solo per fortuna che evitai di essere ucciso, quella notte. Mi lasciò andare e tornò a bagnarsi fra le acque dell’oceano, ma le nostre strade si incontrarono ancora e ancora, e io non riuscivo a togliermela dalla testa. Per un attimo credetti persino che mi avesse stregato».
    «Come hai fatto tu con la signora Lois?» tossicchiò, al che Bruce assottigliò giusto un po’ le palpebre.
    «Come stavo dicendo», continuò, evitando accuratamente di rispondere a quella domanda, per quanto furono i suoi modi a farlo per lui. «Credetti che mi avesse stregato. Fu solo quando ci ritrovammo entrambi al Tropico del Cancro che capii che lei non aveva mai avuto alcun potere». Bruce poteva vedere benissimo la confusione negli occhi dei giovani, soprattutto di suo figlio, ma era troppo lontano per credere di potersi fermare lì. «Si trattava di semplice e pura attrazione, e quella notte potete immaginare voi stessi cosa successe». Ignorò il borbottio imbarazzato da parte di entrambi e riprese il suo racconto. «Restai al suo fianco mentre dentro di lei cresceva il frutto del nostro amore», e nel dirlo guardò gli occhi verdi e luminosi del figlio, «ma poi qualcosa cambiò in lei. Quando nascesti, eri poco più grande del palmo della mia mano. Perfettamente normale per la nostra razza… ma non per quella di tua madre».
    La consapevolezza colpì Damian come uno schiaffo mentre sgranava gli occhi nello stesso istante in cui li sgranava Jon. «Cosa… cosa stai cercando di dirmi, padre?» domandò. Anche se il tarlo del dubbio stava cominciando ad insinuarsi in lui, voleva sentirglielo dire. Voleva che quelle parole che aveva sempre taciuto si imprimessero a fuoco nella sua testa e nel suo cuore.
    La sentenza arrivò come la furia di una tempesta. «Tu sei in parte umano».
    «…stai scherzando?» domandarono i due giovani all’unisono, ma Bruce, osservandoli, scosse infine la testa.
    «No».
    Quella singola parola bastò a far scoppiare il caos. Damian scattò fuori dal letto così in fretta che Jon non ebbe nemmeno il tempo di afferrarlo, sentendolo scivolare letteralmente dalle proprie dita come se fosse stato fatto di pura e semplice acqua; urlando il suo sdegno, Damian si gettò contro il padre e chiuse una mano a pugno, e probabilmente sarebbe riuscito persino a colpirlo dritto sul naso se solo Bruce non avesse sollevato il palmo, chiudendo le dita intorno alle nocche del figlio.
    «Calmati», esordì con voce pacata, quasi stesse facendo leva sui suoi poteri. Jon poté sentire l'aria congelarsi intorno a loro, ma la cosa fece solo infervorare maggiormente Damian, il cui corpo parve ribollire letteralmente di rabbia. Nemmeno Jon, per quanto ci avesse provato, riuscì ad avvicinarsi a causa del calore che sembrava irradiare.
    «Calmarmi?!» Le sue iridi divennero incandescenti. «Perché diavolo non me l'hai mai detto?!»
    Adesso capiva. Adesso riusciva a comprendere lo sdegno che aveva sempre visto negli occhi dei tritoni e delle sirene che popolavano l'abisso, il modo in cui sussurravano alla vista della sua pelle scura e della coda esageratamente squamosa che possedeva, quel continuo evitarlo quando nuotava loro accanto, per quanto avessero sempre l'accortezza di non dare a vedere quei loro atteggiamenti quando nei paraggi c'era suo padre. Sapevano. Ognuno di loro sapeva che non faceva completamente parte di quel mondo e che non ne avrebbe mai fatto parte.
    «Eri giovane, lo sei tuttora; meno avresti saputo, meno saresti stato in pericolo», replicò infine Bruce, e Damian parve accasciarsi su se stesso, abbassando l'altra mano lungo i fianchi prima di chinare il capo.
    «Vattene».
    «Damian...»
    «Ho detto vattene!» gridò, e la finestra esplose in mille pezzi, facendo entrare la pioggia che si riversò sul pavimento in un turbinio di foglie e frammenti di vetro.
    Con un'esclamazione a metà tra il sorpreso e lo spaventato, Jon fu costretto a sollevare entrambe le braccia per evitare di ferirsi il viso e gli occhi, stringendo le palpebre mentre il gelo impregnava la stanza come se si fossero trovati in un enorme ghiacciaio; le nuvolette di vapore che scappavano dalle sue labbra si trasformavano in condensa, e quando riaprì gli occhi, osservando la stanza attraverso le dita, Bruce era letteralmente sparito. Al suo posto c'era solo una piccola scia umida che spariva in direzione della finestra.
    «Jon! Va tutto bene?!»
    Lois aprì la porta così di scatto che fece sussultare entrambi, osservandoli in viso con un'espressione stralunata. Sembrava stanca, grosse occhiaie scure le segnavano il viso come se fosse stata sveglia tutta la notte, ma non erano passate nemmeno un paio d'ore da quanto Jon aveva portato a casa Bruce e lei li aveva visti salire insieme. Eppure, contro ogni aspettativa, la donna non sembrava per niente sorpresa di vedere solo lui e Damian. Che Damian avesse avuto ragione e i suoi stessi sospetti fossero stati fondati? Bruce aveva davvero usato i suoi poteri su sua madre?
    «S-Sì... mamma... il vento... il vento ha rotto la finestra», disse solo, per quanto avesse lanciato una rapida occhiata verso Damian. Respirava pesantemente, il suo petto si alzava e si abbassava a ritmi irregolari, e fu Lois stessa ad avvicinarsi a lui, poggiandogli una mano sulla fronte senza che Damian desse peso ai suoi gesti. Aveva abbassato a metà le palpebre e sembrava così perso che, per un momento, Jon si chiese se non fosse caduto in un bizzarro stato di trance.
    «Scotta più di prima», esordì sua madre, avvolgendolo nel plaid per farlo stare al caldo, in contrasto con l'aria fredda che stava entrando in stanza. «Aiutami a portarlo in camera mia, Jonno. Poi ci occuperemo della finestra», soggiunse nel fargli un cenno.
    Jon dovette sbattere più volte le palpebre per riscuotersi prima di avvicinarsi a lei, pensandoci lui stesso, dopo un breve attimo di incertezza, a tirare su Damian. Lo sentì reclinare il capo contro il suo petto e dar vita ad un lungo respiro ansante, cosa che gli fece stringere maggiormente il cuore in una morsa alla vista di come la sua pelle, di solito di un sano colore ambrato, in quel momento apparisse pallida e malaticcia. Non poteva trattarsi solo di semplice influenza. Cosa gli stava succedendo?
    «Jon».
    La voce di sua madre lo richiamò alla realtà e lui sussultò per un attimo, scuotendo il capo per riprendersi e stringere contro di sé il corpo di Damian per incamminarsi fuori dalla propria stanza insieme alla donna; i loro passi parvero risuonare nel corridoio mentre superavano la porta del bagno e quella dello studio, e fu il primo ad entrare nella camera dei genitori per adagiare Damian sul letto. Fu Lois stessa a coprirlo, rimboccandogli le coperte. 
    «Forza, prima che la tua stanza si allaghi», spronò infine Lois, gettando un'ultima occhiata al giovane prima di incamminarsi per prima e fare un breve cenno al figlio; lui annuì e si affrettò a seguirla, fermandosi quando sentì Damian richiamarlo flebilmente.
    Accigliato, si riavvicinò nel vederlo continuare a mormorare senza che dalla sua bocca uscisse alcun suono, e fu a quel punto che Jon notò qualcosa, proprio al di sotto dell'orecchio destro di Damian. Si sporse un po' per dare un'occhiata, strizzando le palpebre come per volersi accertare di aver visto bene, e rimase interdetto alla vista del piccolo arco branchiale, al cui struttura allargata faceva intravedere solo parzialmente la morbida carne munita di spine. Perché Damian aveva ancora quella singola branchia? C'era sempre stata, da quando lo aveva portato a casa?
    Jon si morse il labbro inferiore, stringendo fra le dita la stoffa della sua felpa. Gli balenò in testa l'idea di mettere Damian in acqua, ma non aveva idea di come avrebbe potuto spiegarlo a sua madre. Non scottava al punto da necessitare di un bagno di ghiaccio o simile, e aveva il timore che la donna lo avrebbe guardato con fare stranito o peggio se solo avesse provato a proporre di lasciarlo in una vasca. E come avrebbe potuto biasimarla, dopotutto?
    Più Jon continuava ad osservarlo, più desiderava poter essere in grado di fare qualcosa di più per Damian.






_Note inconcludenti dell'autrice
Innanzitutto, grazie per la lettura e un grazie ad Akimi per l'analisi dettagliata del primo capitolo. Ho cercato di spiegare più cose possibili senza appesantire la lettura, delineando il resto nei capitoli successivi
Inoltre, ecco che qualche nodo comincia a venire al pettine, per quanto Bruce abbia solo complicato le cose e lasciato più dubbi di quanti non ce ne fossero prima. Damian è in parte umano, ma perché tenerlo lontano da Talia e mettere in atto tutte quelle difese perimetrali? Troppo preso dalla rabbia, Damian non ha nemmeno voluto saperlo e ha attito ai suoi poteri senza nemmeno saperlo. Inoltre è insorto un altro problema che Jonno non aveva previsto: una branchia. Cosa vorrà mai significare? I dubbi verranno chiariti? Lo scopriremo solo leggendo!
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Capitolo 4
*** The past is salty like the ocean ***


Put your lips on me_4 Titolo: Put your lips on me (and I can live underwater)
Autore: My Pride
Fandom: Super Sons, Batman
Tipologia: Long Fiction
Capitolo quattro: 3192 parole [info]fiumidiparole 

Personaggi: Damian Wayne, Jonathan Samuel Kent, Bruce Wayne, Lois Lane, Clark Kent, Tim Drake, Dick Grayson, Jason Todd, Talia Al Ghul, Zatanna Zatara, Giovanni Zatara, Vari ed eventuali
Rating: Giallo
Genere: Generale, Slice of life, Fluff, Smut, Light Angst

Avvertimenti: Mermaid!AU, Accenni slash, Hurt/Comfort


SUPER SONS © 2016Peter J. Tomasi/DC. All Rights Reserved.

    Puntellandosi sui talloni, Clark affondò la mano nella sabbia, sollevando il capo per fissare il mare in tempesta davanti a sé, le cui onde che si infrangevano sugli scogli e  spumeggiavano rabbiose. Pioveva a dirotto e aveva i capelli completamente appiccicati al viso, ma non sembrava importargli.
    Da quando aveva trovato Jon su quella spiaggia in compagnia di quel ragazzo, Damian, non aveva fatto altro che chiedersi cosa avesse spinto suo figlio a giungere fin laggiù. Era notoriamente una zona che veniva evitata da chiunque in città, a causa della maledizione che sembrava portarsi dietro. Non che lui ci credesse, ovviamente, o non si sarebbe mai trovato lì. Però, da quando nel corso degli anni più di una persona era tornata a casa completamente ricoperta di ustioni, nessuno aveva più provato ad avvicinarsi e quella diceria aveva preso forma nella bocca di tutti. Allora perché Jon era andato laggiù, per di più senza alcuna rete di sicurezza, e si era calato in quell’insenatura?
    Clark aggrottò la fronte, afferrando un pugno di sabbia umida prima di passarsi le dita dell’altra mano fra i capelli fradici per ravvivarli all’indietro. Tra tutti i posti, mai avrebbe pensato di ritornare lì proprio a causa di suo figlio. I ricordi del passato gli attanagliavano le viscere, e avrebbe preferito chiuderli in un forziere e gettarli in quell’oceano che sembrava farsi beffe di lui.
    «Clark?»
    A quella voce, alla quale fece eco il rombo di un tuono, Clark sgranò gli occhi. Aveva quasi paura di essersela immaginata, di aver sognato ad occhi aperti a causa delle sensazioni che quella stupida spiaggia stava facendo riaffiorare dentro di lui, e fu quindi deglutendo che si voltò con attenzione, preparandosi mentalmente al fatto che dietro di lui non ci sarebbe stato nessuno. Ma si sbagliava. In piedi a pochi passi da lui, con la camicia bagnata completamente aderente al petto e i capelli appiccicati alla fronte, c’era l’ultimo uomo che avrebbe mai creduto di poter incontrare.
    «Bruce?» chiamò incerto, ma il modo in cui lui irrigidì le spalle non lasciò spazio a fraintendimenti. «Oh, Dio, Bruce… credevo…»
    «…che mi fossi trasformato in schiuma di mare?» Il tono con cui pronunciò quelle parole suonò più freddo dell’aria che li avvolgeva, persino il suo viso, finora disteso, divenne marmoreo. «Non funziona come nelle favole, Clark».
    Con mille emozioni che lottavano sul suo volto, Clark si alzò e fece un passo verso di lui, fermandosi quando sentì la sabbia tremare e sollevarsi davanti a lui, creando degli spuntoni; guardò di nuovo l’uomo, la cui mascella serrata malcelava la rabbia che sembrava portarsi dentro. «Sei sparito davanti ai miei occhi».
    «Me ne sono andato», corresse Bruce in tono incolore. Non lo guardò oltre mentre si incamminava verso l’oceano, strappandosi letteralmente la camicia di dosso sotto lo sguardo stranito di Clark; i bottoni volarono ovunque mentre lui slacciava anche i pantaloni, senza dar peso alla cosa. «Avevi reso fin troppo chiare le cose».
    «Non è così, Bruce. Quel giorno non hai voluto ascoltarmi, io--»
    «Zitto», lo frenò, non avendo intenzione di sentirlo continuare a parlare oltre. «Non dovresti essere qui, piuttosto». Lanciò sulla sabbia anche i pantaloni, rivelando di non indossare l’intimo e di non curarsi del fatto di essere completamente nudo mentre una tempesta infuriava intorno a lui. «Nessuno di voi dovrebbe venire fin qui».
    Clark aprì la bocca per replicare, zittendosi per un momento. Si era perso ad osservare il corpo di Bruce, quella bellezza marmorea che mostrava senza alcuna forma di vergogna mentre parlavano; poi, come se gli avesse letto nel pensiero, Bruce si voltò per fulminarlo con lo sguardo, arrampicandosi sugli scogli scivolosi per lanciarsi direttamente in acqua e sparire fra la schiuma e le onde rumorose. Risalì solo una manciata di secondi dopo, schioccando le dita della mano destra per far sì che l’acqua ribollisse intorno a lui, e la lunga coda emerse dal pelo dell’acqua per sferzare le gocce di pioggia che continuavano a cadere.
    «Perché sei tornato, se pensavi che fossi morto?»
    La domanda creò un incerto stato di imbarazzo al quale nessuno dei due seppe porre fine. Sotto la pioggia battente, con i lampi che squarciavano il cielo e lo illuminavano a giorno, si limitavano ognuno a fissare il volto dell’altro come se lo vedessero per la prima volta. Clark non aveva nemmeno bisogno di avvicinarsi per sapere che gli occhi di Bruce erano di un azzurro ghiaccio così chiaro che sarebbero potuti sembrare bianchi, o che le creste sulle sue braccia, a dispetto di quanto sembrassero appuntite, erano morbide e vellutate al tatto, dalle svariate sfumature violacee come la coda di un pesce combattente. Per quanto fossero passati anni e fosse ormai andato avanti, in quel momento si sentiva nuovamente il diciottenne che era stato un tempo. Lo stesso diciottenne che, uscendo in barca con suo padre, aveva visto il furbo sorriso che quel tritone gli aveva rivolto al di sotto del pelo dell’acqua, facendolo sobbalzare. Erano stati altri tempi, tempi decisamente più semplici e meno logorati da quello strano odio.
    «Volevo capire cosa avesse spinto mio figlio a venire fin qui», affermò infine, e non gli sfuggì il modo in cui la punta della coda di Bruce si contorse, quasi si fosse irrigidito.
    «Tuo figlio?»
    «Jonathan».
    Clark non se ne rese conto, ma il mondo di Bruce in quel momento si sgretolò. La sua giovinezza corse davanti ai suoi occhi con la stessa rapidità con cui i fulmini sopra di loro sfrecciavano nel cielo e fra le nuvole, e per un attimo persino la pioggia smise di cadere, fermata in un momento di stasi; confuso, Clark sbatté le palpebre senza capire, lo sguardo puntato sul volto incredulo di quel tritone.
«Bruce?» lo richiamò, preoccupato nonostante tutto. Qualunque cosa fosse successa tra loro… quel cambiamento così repentino l’aveva lasciato interdetto.
    «Vattene».
    «Bruce, cosa…»
    Bruce non gli diede il tempo di continuare, sferzando l’aria col braccio destro per lanciare contro di lui una raffica di spine, vedendolo sussultare. «Non tornare mai più qui», sentenziò con un ringhio guttare dal fondo della gola, tuffandosi in acqua prima ancora che Clark potesse rendersi conto di cosa fosse appena successo.
    Con un’imprecazione, Bruce nuotò il più rapidamente possibile verso il fondo, con la testa colma di mille pensieri. Prima di intraprendere quel viaggio nel mondo, aveva provato una sola volta ad avvicinarsi agli umani senza confondersi fra loro. Una sola. E tutto ciò che aveva guadagnato era stato il rischiare di essere catturato e venduto come un fenomeno da baraccone.
    Clark gli era sembrato… diverso, un giovane pescatore che non aveva mai cercato di fargli del male, almeno fino al giorno in cui l’aveva visto su quella stessa spiaggia in compagnia di pescatori armati di reti e fiocine. Bruce, che era appena emerso dal pelo dell’acqua, aveva sgranato gli occhi e aveva provato a scappare, ma quegli uomini gli avevano gettato contro le reti non appena l’avevano notato; aveva gridato e al suo grido avevano fatto eco anche le urla di Clark, mentre veniva trascinato a riva e tenuto fermo con una fiocina dietro la schiena. Dibattendosi letteralmente come un pesce fuor d’acqua, aveva visto gli occhi sbarrati di Clark, il modo in cui aveva strattonato alcuni degli uomini lì presenti, e lui aveva sentito il cuore battere all’impazzata quando si era reso conto che volevano farlo uscire dall’acqua.
    Ricordava le urla di giubilo alla sua cattura, le risate quando le fiocine affondavano nella sua coda, il modo in cui uno di loro aveva strappato a mani nude la sua pinna dorsale e l’aveva fatto urlare di dolore, tutto sotto lo sguardo di Clark che cercava di farsi lasciare per corrergli incontro e aiutarlo. Ma era stato proprio a quel punto che le cose erano degenerata. Terrorizzato, con gli occhi brucianti di lacrime, il dolore che si irradiava nel suo corpo e il sangue che si diluiva nell’acqua salata… aveva sprigionato il suo potere. Le fiocine erano esplose con uno scoppio in mille schegge di legno e acciaio, le grida di gioia si erano trasformate in urla spaventate; uno degli uomini era caduto in acqua e aveva annaspato per raggiungere la riva, ma Bruce ricordava di essersi alzato letteralmente in piedi e di aver stretto la mano lungo il fianco solo per un attimo prima che il pescatore cominciasse a soffocare dinanzi a lui dopo aver vomitato acqua ed alghe. Lo avevano seguito poco dopo tutti coloro che lo avevano attaccato, persino quelli che tenevano stretti Clark.
    Col viso in fiamme, il respiro affannato e il cuore che batteva all’impazzata per ciò che aveva fatto… Bruce aveva guardato Clark, a pochi passi da lui. Quando aveva incontrato il suo sguardo, aveva visto quegli occhi azzurri ingigantiti dalla paura e aveva perso un battito; aveva provato a fare un passo verso di lui, ad aprire la bocca per dirgli che non era stata sua intenzione, ma quando lo aveva visto ritrarsi, qualcosa dentro Bruce si era spezzato.
    Dritto sui suoi piedi, le gambe tremolanti e il corpo nudo e ferito, Bruce aveva chiuso gli occhi solo per un attimo e se n’era andato. Le lacrime a cui aveva dato vita si erano confuse con la vastità dell’oceano e le aveva nascoste persino a sé stesso, reprimendo dentro di sé il dolore e la rabbia. Come il giovane e stupido tritone che era, si era tenuto tutto dentro e aveva raccontato ad Alfred, il suo tutore, che aveva avuto uno spiacevole incontro con dei pesci spada… ma, se Alfred aveva capito qualcosa, non lo aveva mai detto. Si era solo limitato a farlo sedere sull’enorme conchiglia dell’infermeria e aveva cominciato ad applicargli la pastura di alghe e plancton sulle ferite, ed era stato proprio a quel punto che Bruce aveva preso la decisione di partire.
    Sapere quindi che suo figlio Damian aveva cominciato a frequentare inconsciamente proprio il figlio di Clark… aveva riaperto in Bruce quella vecchia ferita che credeva ormai rimarginata da anni. E a quel pensiero imprecò, nuotando più velocemente mentre le correnti si impossessavano delle sue membra e della sua coda, raffreddandogli il viso o scaldandolo a seconda di quale corrente lo carezzasse. Avrebbe portato via Damian quel giorno stesso, se solo avesse potuto. A causa della sua natura ibrida, purtroppo, le cose diventavano ben più complicate e la sua coda non sarebbe potuta tornare con un semplice schiocco di dita. Non sarebbe nemmeno dovuta comparire, a voler essere sincero con se stesso.
    A quel pensiero imprecò e un grido animalesco gli sfuggì dalle labbra mentre aumentava la velocità di nuoto, superando pesci e grossi squali ai quali ringhiò contro, ricordando loro qual era il loro posto; si inoltrò nelle profondità marine che solo i pesci lanterna osavano varcare, ma la sua furia era tale da richiedere la sua presenza in luoghi che non avrebbe mai visitato se non fosse stato necessario. Così, con le mani chiuse a pugno e la lunga coda che sembrava emettere elettricità, batté furente le pinne contro la roccia che si ritrovò ben presto davanti, gli occhi letteralmente fiammeggianti d’ira.
    «Zatara!» gridò con voce gutturale, facendo tremare le pareti di pietra di quella caverna; un branco di pesci nuotò fuori e gli sfrecciò ai lati della faccia, ma non se ne curò, agitando furente la lunga coda squamosa per sferzare l’acqua. «Dove diavolo sei, Zatara!» urlò ancora, con la rabbia che montava dentro di lui come un mare in tempesta. E fu quando l’acqua nella grotta cominciò a ribollire che Bruce vide finalmente il guizzare di una piccola coda dorata, poi il volto di Zatanna, la figlia dello stregone Zatara, fece capolino oltre uno dei cunicoli.
    «Bru-- mio re?» si corresse accigliata, sbattendo più volte le palpebre mentre nuotava verso di lui. I lunghi capelli neri le fluttuavano intorno al viso, incorniciandolo, e la piccola lanterna che aveva sul capo rendeva i suoi occhi ancora più bianchi e luminosi. «Cosa ci fai qui? Mio padre… al momento non c’è».
    «Dov’è andato?» domandò nervoso, e Zatanna poté benissimo sentire l’acqua scaldarsi come non mai. Erano anni che non lo vedeva così arrabbiato.
    «Cos’è successo?»
    «Non ho tempo da perdere, Zee. Si tratta di Damian».
    Stavolta la donna si fece attenta e parve persino spaventata, fissandolo in viso con estrema attenzione. «Sta bene?» chiese, scrutando la sua espressione.
    Lei e suo padre, oltre alla grande famiglia di Bruce, erano gli unici a conoscere la vera natura del potere di Damian. Erano stati loro stessi a porre un sigillo su di lui quando era solo poco meno di un avanotto, così da bloccare i poteri che avrebbe potuto sviluppare a causa della sua natura ibrida; per quanto riuscisse a manipolare l’acqua intorno a sé, quando era appena nato aveva dato un tale sfoggio di potenziale che Bruce stesso era stato costretto a contenerlo per evitare che potesse fare del male a sé stesso e a qualcun altro. Ed era anche uno dei motivi per cui lo aveva strappato dalle grinfie di sua madre, la quale aveva visto un’opportunità non indifferente per sfruttarlo per i suoi scopi.
    «Il contatto con la terra ferma gli ha fatto spuntare le gambe, Zee. Esattamente come sarebbe accaduto a chiunque altro della nostra razza». La sentenza di Bruce la freddò seduta stante. «Tu e tuo padre mi avevate assicurato che non sarebbe successo».
Zatanna sbatté le palpebre. «Io… non mi spiego come sia possibile», ammise sconcertata.
    «Farete meglio a capire in fretta cosa è andato storto, perché mio figlio è in superficie e non è al sicuro».
    «Menti sapendo di mentirci». La voce improvvisa di Zatara rimbombò fra tutte le pareti di roccia, come se il potente mago fosse ovunque e da nessuna parte in particolare, e ci volle un momento di troppo per vederlo comparire davanti a loro in una nube di denso fumo liquido, lo sguardo nascosto dal pesante elmo della conoscenza che spesso indossava. «Ho scrutato gli anfratti e letto le perle, conosco bene il luogo in cui riposa tuo figlio».
    Zatanna rimase interdetta, facendo scorrere lo sguardo su entrambi gli uomini prima di soffermarsi su suo padre. «Che significa, papà?» le venne spontaneo chiedere, ma Zatara indugiò, gli occhi al di sotto dell’elmo fissi sulla figura di Bruce, il loro re.
    «Il nostro principe è nelle mani fidate del nipote di Jonathan Kent».
    «Quel Jonathan Kent?» replicò immediatamente Zatanna, sgranando i grandi occhi bianchi. La lampada sulla sua testa divenne più luminosa, quasi a voler riflettere la sua incredulità mentre l’acqua tornava a ribollire intorno a loro.
    «Ragione in più per riportarlo sott'acqua, Zatara». La voce di Bruce suonava tesa e nervosa, la sua coda non aveva smesso di muoversi avanti e indietro e a colpire l’acqua. «La tua magia aveva una falla. Esigo che tu faccia tornare Damian esattamente come prima».
    «Non mi è possibile», sentenziò l’anziano mago, ignorando le occhiate incredule che gli vennero rivolte da entrambi.
    «Cosa diavolo significa che non ti è possibile?» berciò Bruce nel far esplodere una roccia alla sua destra con l’energia scaturita dal suo corpo, ma il mago non ne parve impressionato.
    «Significa, mio re», cominciò, enfatizzando soprattutto sull’ultima parola, «che qualcosa ha interferito con la mia magia e ha permesso al principe di spezzare il sigillo che non consentiva alla sua coda di scindersi. Qualunque cosa fosse, è risultata più potente persino della mia stessa magia».
    Il silenzio che susseguì fu più terrificante della furia stessa del re. Nessuno dei tre proferì ulteriormente parola, osservandosi con attenzione come se il solo pensiero che la magia di Zatara, il mago più potente del fondale marino da quando era entrato in possesso dell’elmo del Dottor Fate, fosse stata infranta fosse oltremodo inverosimile. E, qualunque cosa stesse pensando Bruce in quel momento, non era sicuramente qualcosa di piacevole.
    «…cosa possiamo fare?» chiese infine Bruce, con la voce ridotta ad un lieve sussurro. La sua rabbia era ancora presente, ma sembrava essersi in parte sgonfiata al pensiero che persino uno stregone come Zatara non aveva idea di cosa fosse accaduto.
    Nuotando verso di lui con la lunga coda nera, Zatara osò sfiorargli la fronte con la punta delle dita, premendo l’indice contro il centro di essa. «Controllarlo e assicurarci che stia bene, mio re», replicò Zatara. «Riponga fiducia nei Kent come l’aveva riposta in loro vostro padre».
    «I Kent mi hanno già tradito una volta, Zatara».
    «Apra il suo cuore e capirà che le cose non sono sempre come sembrano, sire», affermò nel nuotare all’indietro qualche momento dopo, il tutto sotto lo sguardo stranito della figlia che non aveva proferito parola. «Ora vada. Non cerchi qui risposte che non ci sono, il tempo stringe. Protegga il ragazzo».
    La sua voce divenne un’eco lontana, uno strano strato di polvere e sabbia si innalzò fra loro e, mulinando nell'acqua, avvolse completamente Bruce, il quale cercò di muovere le braccia per scacciare quei granelli che gli si infilavano in bocca e nel naso, facendolo tossire mentre cercava di urlare il nome di Zatara; quando tutto finì, Bruce si rese conto di trovarsi nel grande salone del palazzo, riverso sul pavimento ricoperto di conchiglie levigate e con delle voci che gli riempivano le orecchie. Gli ci volle un po’ per mettere a fuoco le figure che torreggiavano su di lui, e una di esse trasse un lungo sospiro nel vederlo sveglio.
    «Accidenti, vecchio, ci hai fatto prendere un colpo», grugnì quella che registrò come la voce di Jason. «Si può sapere che diavolo ti è preso?»
    «Co… cosa?» riuscì a dire nel deglutire rumorosamente, sentendo la gola secca e ferita. Era come se quei granelli di sabbia gli avessero perforato la trachea.
    «Ti abbiamo trovato qui disteso mentre urlavi», spiegò la voce di Tim, e Bruce lo sentì aiutarlo a tirarsi su e a nuotare verso il trono con attenzione. «La tua coda era così arricciata che Alfred è stato costretto a mantenerla».
    Bruce si prese un momento, accasciandosi sul trono e accettando di buon grado la coppa che gli venne porta da Dick prima di cominciare a bere avidamente, senza azzardarsi a proferire una sola parola finché non ebbe finito tutto fino all’ultima goccia. «Ho parlato con Zatara». Un brusio sconnesso si agitò intorno a lui come un’onda, ma sollevò subito la mano per fermare ogni replica che i figli avrebbero potuto fare. «Non può aiutarci con Damian».
    Dick digrignò i denti, le pinne sul suo dorso fremettero come se avessero una vita a sé stante. «Allora cosa possiamo fare?» chiese, sentendo su di sé lo sguardo degli altri fratelli. Erano tutti preoccupati, ma come si faceva a dar loro torto? Il minore di loro era praticamente bloccato in superficie.
    «Non lo so», ammise Bruce nello stringere una mano sul bracciolo del trono. «Ma, qualunque cosa sia, è magia che nemmeno il più grande mago tra noi può infrangere», sentenziò.
    E proprio in quel momento, in superficie, gli occhi di Damian si spalancarono.






_Note inconcludenti dell'autrice
Ed ecco che qualche nodo sta cominciando a venire al pettine, ma tanti altri se ne stanno creando e stanno lasciando qualche dubbio che sembrava essersi dissipato... oltre al apssato di Bruce, che non è stato esattamente facile (aveva un'nfatuazione per Clark e quello che è successo ha irrigidito in parte il suo cuore), che cosa sanno tutti che Damian non sa? E che cosa succederà la prossima volta?
Stanno cercando di tenerlo all'oscuro per proteggerlo da sua madre, certo... ma non tutte le cose stanno andando come avevano sperato, quindi come avrà fatto Damian a sciogliere in parte l'incantesimo di Zatara?
Anche questa è una domanda alla quale non si avrà presto risposta, ma spero che la storia fino a questo momento vi abbia interessati e che vi abbia fatto venir voglia di continuare a leggere
Commenti e critiche, ovviamente, son sempre accetti
A presto! ♥



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