Scared to be lonely

di Ciarax
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno ***
Capitolo 2: *** Capitolo due ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno ***


CAPITOLO - I

 
 
            «Il sole deve averti fritto qualche circuito»
Una risata dal comlink rimbombò all’interno della base quasi deserta.
            : Se anche la piccola Max è preoccupata per me deve essere proprio il mio giorno fortunato.
            «Non montarti la testa, Cliff. Aspetta solo di rientrare alla base e poi ti faccio vedere io chi è che si preoccupa per una testa di metallo dura come la tua» rimbeccò Max con una nota di esasperazione, un sorriso divertito sulle labbra a tradire il tono falsamente severo.
            : Forse lasciarti con Ratchet non è stata una scelta molto saggia da parte di Optimus.
Ratchet, sentendosi chiamato in causa si girò scoccando un’occhiata irritata verso il comlink, tornando poi a prestare la propria attenzione agli schermi che aveva dinanzi a sé, borbottando qualcosa di incomprensibile.
            La conversazione terminò lì e Max riprese a lavorare sul piccolo Switch: un piccolo robottino quadrupede in grado di muoversi autonomamente. Era l’ennesima volta che tentava di sistemare il piccolo pannello solare che montava sull’esoscheletro, per permettergli una ricarica in caso si fosse scaricata la batteria ma quella primitiva intelligenza artificiale continuava a scambiare qualsiasi fonte di luce artificiale come una naturale.
Il risultato naturalmente non portava a quello sperato, e Max era esasperata dalla testardaggine che il suo piccolo amico che aveva costruito -quando aveva poco più di dodici anni, fosse in grado di dimostrare.
            Dopo l’ennesimo risultato inconcludente nel trovare una fonte di Energon, Max ebbe l’impressione di trascorrere un’altra giornata nello stesso identico modo rispetto ai mesi passati ma dovette ricredersi quando vide tutti gli Autobot attraversare il Groundbridge con una tale fretta, lasciandola da sola alla base nell’arco di un paio di minuti.
            : Ratchet, mi ricevi? Siete arrivati sani e salvi? Non trovo il segnale di Cliffjumper vicino a voi, la voce dal comlink risuonò nei canali audio del medico e degli altri Autobot presenti in quella miniera oramai abbandonata.
            «Apri il Groundbridge» l’ordine era risuonato secco e senza un’altra risposta dall’altro capo della comunicazione. Il Groundbridge si aprì dietro di loro senza alcuno scambio di conversazione e gli Autobot lo attraversarono senza esitazione.
            Il silenzio accolse gli Autobot al loro rientro dalla missione, con il solo solito click sulla tastiera che raramente si interrompeva durante il giorno. La base era illuminata a sufficienza per lo più grazie agli enormi schermi olografici su cui Ratchet lavorata ininterrottamente, mettendo raramente piede sul campo; mentre poco più giù c’era una base rialzata a sufficienza che ospitava alcuni computer a dimensione di essere umano, sempre occupati.
            Max alzò lo sguardo dalla sua postazione e incrociandolo con Ratchet che scosse la testa, si trattenne dal domandare quello che più le premeva sapere in quel momento. Osservò silenziosamente il rientro dei Cybertroniani, chiusi in un mutismo piuttosto eloquente e senza bisogno di parole capì cosa fosse successo.
Cliffjumper non ce l’aveva fatta. O almeno qualcosa doveva essere andato seriamente storto perché Arcee non era con loro.
            Arcee non riusciva a perdonarselo. Tre anni di inattività e al primo scontro con i Decepticon uno di loro era stato fatto brutalmente fuori: Cliffjumper era stato lo sfortunato tra loro che aveva avuto il destino segnato da quello scontro e lei non sapeva come si sarebbe potuta perdonare con quel senso di colpa.
Mentre sfrecciava tra le strade deserte che portavano alla piccola cittadina di Jasper, sperò solamente che nessun altro di loro avrebbe dovuto subire lo stesso destino del suo più vecchio amico, finché sarebbero rimasti su quel pianeta roccioso.
            Alla base la situazione non era oltremodo leggera: Optimus si era ritirato e Bulkhead in quel momento non sembrava prestare particolare attenzione a quello che lo circondava quindi i due rimasero a lavorare in silenzio per un paio d’ore; mentre Bumblebee si era presto dileguato per fare alcuni giri di perlustrazione in modo da tenere tutto sotto controllo.
            «Ratch…» l’atmosfera all’interno della base si era fatta improvvisamente pesante, mentre il medico Autobot rivolse solo un’occhiata all’umana seduta vicino gli enormi computer sul ponte rialzato.
            Max non riusciva a concentrarsi sui dati che le scorrevano sullo schermo, anche se per quanto era stato lo shock della perdita di Cliffjumper, per gli Autobot l’accaduto doveva essere stato ancora più sentito. Avrebbe voluto rispettare il loro silenzio ma non riusciva a rimanere immobile mentre sembravano tutti sommersi dal lutto. Dove persino Ratchet era stato tanto scosso da mostrare qualcosa in più rispetto alla solita espressione corrucciata, e questo era un segnale chiaro e forte di quello che stavano passando.
            Ratchet non poté fare altro che trattenere un sospiro cogliendo la scintilla di tristezza negli occhi verdi di Max, la stessa umana che era stata al loro fianco nell’ultimo anno. Anche lei stava soffrendo come loro per la perdita di Cliffjumper ma aveva deciso di rimanere una silenziosa presenza di conforto, ben consapevole di come le parole lì non sarebbero state in grado di mitigare lo sconforto.
            «Ci serve solo un po’ di tempo» sospirò il medico Autobot con un tono sommesso, forse per la prima volta dopo chissà quanto tempo.
Gli unici che mancarono per quasi l’intera giornata furono Arcee e Bumblebee che fecero ritorno alla base solo nel pomeriggio inoltrato, richiamati poi da Optimus e ragguagliato immediatamente sullo scontro con i Decepticon e il coinvolgimento non intenzionale di alcuni esseri umani. Il cinguettio metallico di Bumblebee fu quello che attirò l’attenzione del piccolo Switch, intento a ricaricarsi inutilmente vicino ad all’ennesima fonte di luce artificiale; uscendo dallo standby iniziò a camminare verso la fonte del rumore, evitando alcuni attrezzi lasciati in giro da Max, immersa nel suo disordine e per nulla accortasi della scomparsa del suo amico robotico.
            Fu solo quando un pesante tonfo metallico riverberò all’interno della base che Max si scosse dalla sua concentrazione totale verso i dati sullo schermo. Girò la testa e notò come persino Ratchet si voltò a cercare la fonte del rumore, ossia Bumblebee, lanciatosi a terra in un gesto istintivo per evitare una caduta rovinosa a Switch dal ponte rialzato che gli avrebbe causato seri danni.
            «Quel piccoletto ha seriamente bisogno di una sistemata» commentò Arcee con un piccolo sorriso divertito mentre osservava Bumblebee e Switch comunicare tramite click e cinguettii metallici, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
            «Con una potenza di calcolo così piccola provaci te a farlo funzionare come si deve» borbottò la ragazza prima di scrollarsi di dosso l’irritazione improvvisa che sentì montarle in petto. Sospirò, sapendo che non era colpa di Arcee se sentiva che tutto in quel momento era un totale caos, si alzò dalla sedia su cui era rimasta seduta dalla notte precedente e lasciò che Bumblebee depositasse Switch sulla sua spalla.
            L’Autobot spinse il piccolo robot con movimenti delicati e rivolse uno sguardo inquieto verso Max che sorrise leggermente per tentare di rassicurarlo, prendendo una delle razioni che l’Agente Fowler le mandava mensilmente e aspettò l’apertura dell’ascensore che portava fuori la base, «Vado a prendere un po’ d’aria»
            «Ho detto qualcosa che non va?» domandò improvvisamente preoccupata Arcee, mentre gli Autobot osservarono Max prendere l’ascensore per arrivare sul tetto della base a prendere un po’ d’aria. Ratchet scoccò un’occhiata alla postazione vuota dell’umana e riprese il proprio lavoro in silenzio mentre gli altri iniziarono a ritirarsi per la notte, con la pesantezza degli ultimi due giorni ad incombergli pesantemente tra i circuiti.
            L’aria torrida del deserto non era decisamente il tipo di aria “fresca” in cui avrebbe sperato Max, ma almeno era fuori dalla base e poteva rimuginare senza il rischio di far preoccupare qualcuno degli Autobot. Capì immediatamente come essendo l’unica presenza umana costante nella vita dei sei -cinque Autobot in quell’ultimo anno, si erano rapidamente affezionati a lei, sentimento ben ricambiato; ma questo a volte la faceva sentire anche costretta, volendo essere sempre il punto ottimista in quel gruppo che era diventato presto una famiglia.
            L’atteggiamento ottimista però non impedì a Optimus o Ratchet di notare quando Max era preoccupata per qualcosa o nervosa, ma non voleva addossargli anche i suoi di problemi. Dopotutto, con esseri vecchi di milioni di anni, cosa potevano essere se non frivolezze i problemi di un essere umano, infinitesimamente più piccolo e con un’aspettativa di vita tanto breve?
Non aveva alcun motivo di far pesare anche i propri dilemmi sulle spalle degli Autobot, specialmente ora che i Decepticon avevano fatto nuovamente capolino dopo tre anni di inattività. Avrebbe sommerso tutto buttandosi nei propri progetti o nel lavoro di supporto così come aveva fatto nell’ultimo anno, e così come faceva da una vita.
            Solamente il pigolio di Switch la distrasse dai propri pensieri, il piccolo robot si era ricaricato a sufficienza con i pochi raggi solari del sole oramai tramontato da un pezzo. Senza volerlo doveva essere rimasta lì più tempo del previsto e gettando uno sguardo all’orizzonte, sospirò.
Un anno ma ancora non si era abituata a quelle razioni militari e la mancanza di appetito non l’aiutava certo a mandare giù quel cibo insipido. Pensò invece di passare quelle poche ore che ancora mancavano prima del sorgere del sole ad eseguire un’ennesima scansione sul territorio circostante a diverse profondità, sperando che qualche giacimento di Energon fosse lì da qualche parte.
            Fu Ratchet l’ultimo a decidere di staccare dalla propria postazione, e accorgendosi solo in quel momento del flebile cinguettio di protesta di Switch poco più in basso. Lo schermo era bloccato su una sequela di dati compilati per metà, mentre Max era appisolata sulla tastiera e che con la mano schiacciava il povero Switch incapace di muoversi.
Con attenzione l’Autobot riuscì a liberare il piccolo robot che pigolò qualcosa e si richiuse in sé stesso, andando finalmente in standby e lasciando Ratchet con l’onere di dover decidere se svegliare o meno Max.
            Si era a malapena accorto del suo rientro ma talmente abituato alla sua presenza costante che non aveva prestato attenzione all’improvviso ricominciare del picchiettare ritmico sulla tastiera. Era decisamente tardi e anche quella volta Max si stava concedendo solo un paio di ore scarse di riposo, dando così anche l’occasione a Bulkhead e Bumblebee di prenderlo in giro e rimarcare come i comportamenti dell’umana fossero sempre più simili al suo guardiano.
Non che l’avesse ignorata, quella fase era stata superata da talmente tanto tempo che neanche ricordava più, arresosi presto all’idea di avere quella piccola creatura organica sempre intorno a sé. Con un lieve sospiro si ripromise di parlarle per costringerla a fare più attenzione alla propria salute, nettamente più fragile di quella di un Cybertroniano; la prese con attenzione e la depositò con cautela sulla branda che aveva reclamato come proprio letto da un anno oramai, accoccolandosi su sé stessa una volta toccata la superfice scomoda.
            Ratchet gettò un’occhiata sulle razioni rimaste di quel mese e si accorse con un certo disappunto di come fossero più del previsto, dai dati raccolti in quei tre anni e l’esperienza diretta gli era parso immediatamente chiaro come gli umani necessitassero di una consumazione regolare e giornaliera per essere funzionali. Cosa che Max non stava facendo, ignorando non solo il cibo ma anche la quantità minima di sonno richiesto.
Quell’umana si stava rivelando veramente un’impresa e ingenuamente si chiese da dove stesse prendendo un esempio tanto deleterio per la sua persona.
            «Arcee e Bumblebee sono in arrivo…»
            «Qualcosa non va?» domandò Max sentendo l’esitazione nelle parole di Ratchet che però non fiatò e si limitò ad aprire l’ingresso della base, permettendo ai due Autobot di fare rientro.
Arcee e Bumblebee lasciarono che gli umani si allontanassero di un paio di metri prima di poter riprendere la loro forma, mentre Bulkhead si avvicinò loro incuriosito.
            «Ma non erano solo due gli umani?» domandò Ratchet affiancando Bulkhead, confuso se per caso non avesse sentito male il giorno prima ma certo che i suoi recettori audio fossero perfettamente funzionanti.
Lì c’era decisamente un umano di troppo.
            «Oh ma non lo sai? Gli umani si moltiplicano» fu il commento sarcastico di Arcee dopo aver ripreso le proprie sembianze e affiancandosi agli altri Autobot.
L’unica ragazza del trio si allontanò un poco dagli altri e assalì di domande il povero Bulkhead, zittito da quel concentrato di eccitazione ed euforia. Sommerso dalle mille domande di Miko, l’Autobot non riuscì a seguire la conversazione degli altri dove Raf si fece timidamente avanti, intimamente incuriosito da quelle creature totalmente fuori ogni logica e schema.
            «Non capisco, se siete robot chi vi ha costruito?»
Per un attimo il volto di Ratchet mostrò qualcos’altro oltre indifferenza, ma si ricompose immediatamente tradendo solo una vaga irritazione.
            «Ma per favore…» borbottò sposando lo sguardo di lato, risentito da un’insinuazione tanto ingenua quanto scortese nei loro confronti.
Max, nonostante l’empatia provata nei confronti di Ratchet non disse nulla per non rendere nota la sua presenza, preferendo osservare dalla sua solita postazione quei tre ragazzi alquanto eterogenei tra loro. La diciannovenne era pressoché sicura di come il più grande tra loro fosse comunque di un paio d’anni più piccolo di lei, e dando retta la proprio istinto pensò come il ragazzino che sembrava già tanto attaccato a Bumblebee fosse un piccolo genio.
Persino lei dopo quasi un anno ancora aveva qualche difficoltà a capire il povero scout degli Autobot quando era in preda alla agitazione, e invece quel piccolo Raf era stato in grado di entrarci immediatamente in sintonia.
Un gruppetto alquanto ben assortito.
            Fu poi Optimus ad attirare l’attenzione su di sé, una volta fatta la conoscenza dei tre umani e averli messi al corrente della loro guerra plurisecolare, che purtroppo aveva raggiunto anche la Terra. Di tutti però l’unico quasi interamente catturato dal racconto fu Jack, mentre il piccolo Raf era ancora intento a capire come potessero esistere creature del genere, non costruite dal genere umano.
            «Sembra un gioco a quiz» esclamò Miko palesemente annoiata e facendo storcere il naso di Max a quell’atteggiamento irrispettoso.
            «Ma che cosa c’entriamo noi con questo Megatron? Non riesco a capirlo» ne approfittò intromettendosi Jack. Anche se quella situazione aveva del surreale, non capiva cosa avesse richiesto il loro coinvolgimento se nessuno di loro tre aveva mai visto questo tanto temuto leader dei Decepticon.
            «Di Megatron non si hanno notizie da parecchio tempo – concesse Optimus cogliendo l’esitazione in quei tre giovani umani, -ma se ha deciso di tornare all’attacco potrebbe essere una versa catastrofe»
            Ci fu solo qualche minuto di silenzio in cui Optimus lasciò che i tre digerissero un minimo quella importante mole di informazioni. Ben consapevole di come gli esseri umani fossero alquanto ingenui nei confronti di ciò che divergesse rispetto al naturale corso della loro esistenza, l’unica eccezione forse la riscontrò quando Max scoprì di loro: quando l’anno prima le loro strade si incrociarono quasi per caso e la notizia dell’esistenza di creature extraterrestri avanti anni luce non sembrò turbarla affatto, al contrario, l’unica emozione che sembrò cogliere nel suo sguardo fu la curiosità pura e genuina. La curiosità infantile di qualcosa di nuovo.
            «Dal momento che da oggi sapete della nostra esistenza è molto probabile che anche i Decepticon sappiano della vostra» attirò nuovamente l’attenzione il leader degli Autobot con tono grave.
            «Okay, se vediamo auto strane chiamiamo la polizia» tentò di essere sbrigativo Jack prima di venire interrotto dalle vivaci proteste di Miko che vennero ignorate da Max.
Riportando l’attenzione sullo schermo di fronte a sé, riprese a compilare alcuni dati mancanti di progetti rimasti incompleti o mai iniziati, mentre con la mano destra infastidiva giocosamente Switch che non la smetteva di emettere piccoli versi metallici di protesta sentendosi ogni volta sbilanciato da una parte o dall’altra.
            Max non si accorse dello sguardo di Ratchet su di sé, che da quando quei tre umani avevano fatto capolino alla base lei non si era ancora presentata, al contrario, era da quella mattina che si era chiusa sui suoi progetti e aveva a malapena detto due parole, saltando nuovamente i pasti. Se quello fosse stato dettato semplicemente dal suo solito carattere o parte del problema fosse dovuta anche alla recente perdita di Cliffjumper, Ratchet non ne era sicuro ma quell’indolenza così prolungata iniziava ad essere molto strana anche da parte di una personalità eccentrica e fuori dagli schemi come quella di Max.
            «È meglio che voi restiate sotto la nostra protezione, almeno finché non capiamo quali siano le intenzioni dei Decepticon» decretò finalmente Optimus, giungendo all’unica conclusione logica per la salvaguardia sia degli Autobot di cui era responsabile sia degli umani che si erano ritrovati lì senza saperlo.
            «Amico mio, con tutto il sincero rispetto… questi sparkling -bambini umani sono in pericolo qui come in qualsiasi altro posto del mondo. Non hanno nessun esoscheletro protettivo e se ne capita uno sotto il piede rimangono… schiacciati» si intromise finalmente Ratchet, irritato e contrario sin dall’inizio dal coinvolgere ulteriormente quei tre -originariamente due, umani. Calcò in particolare l’ultima parola e rendendo chiaro come lì il problema fosse più grave di quanto nessuno di loro forse avesse seriamente considerato.
            Max osservò divertita quel tentativo di far cambiare idea ad Optimus, anche se con lei era stato molto più diretto, Ratchet fu piuttosto eloquente nell’esprimere il suo punto di vista. Non era preoccupazione per l’incolumità di quei tre esseri umani, ma la semplice noia nell’averli in giro per la base senza controllo.
Gli umani non si erano dimostrati particolarmente simpatici agli occhi del medico Autobot che evitava parsimoniosamente ogni contatto con la specie nativa di quel pianeta, arresosi solo alla costante presenza di Max all’interno della base, considerabile come l’unico esemplare di umano che non stesse sui nervi a Ratchet. Non che avesse avuto particolare scelta da quando l’avevano incontrata, non c’era comunque nessuno legato a lei e questo le permise anche di potersi stabilire definitivamente alla base degli Autobot.
            «Ed è per questo motivo Ratchet che dobbiamo stare attenti a dove ci muoviamo…»
Optimus non fece in tempo a finire la frase che l’assordante rumore di un allarme risuonò chiaro e forte tra le pareti rocciose, illuminate a cadenza regolare dal segnale di prossimità attivatosi improvvisamente e attirando l’attenzione di tutti.
            «Fowler è in arrivo» informò semplicemente Max mentre spense l’allarme, aprendo poi l’immagine di sicurezza presente sul tetto su uno degli enormi schermi di Ratchet.
La voce sconosciuta mise improvvisamente sull’attenti i tre ragazzi che alzarono di poco lo sguardo e si accorse finalmente della quarta presenza umana che era dentro la base con loro. Seduta pigramente sulla sedia, Max rivolse loro malapena uno sguardo ma smettendola finalmente di torturare il suo piccolo amico che smise di protestare e si riassestò delicatamente sui quattro arti mobili come quelli di un aracnide.
            «Avevo capito che noi fossimo gli unici a sapere di voi» esclamò finalmente Jack, improvvisamente agitato. Non sapeva come reagire quando nessuno di loro si era accorto della presenza di quella ragazza che doveva essere stata lì per tutto il tempo, sentendoli sclerare e porre domande senza freni.
            «L’agente Speciale Fowler è il nostro collegamento ufficiale col mondo esterno. In genere ci fa visita solo in caso di… problemi» spiegò Optimus fermandosi un attimo per calibrare con cura le parole, incerto su come continuare.
            «Non mi riferivo solo a lui»
            «Meglio se vi nascondete, Fowler non ha un carattere così facile. A malapena mi sopporta, altri tre umani lo manderebbero ai pazzi» esclamò Max ricevendo occhiate stranite, guardando come i tre ragazzi seguirono alla lettera il suo suggerimento.
Se Fowler era lì, non era certamente una visita di cortesia e Max non poté fare altro che sperare come la situazione non peggiorasse ulteriormente. Incerta se avrebbe retto ad una qualsiasi altra perdita.
            Sospirò e scosse la testa, aspettando l’arrivo di Fowler e preparando mentalmente una serie di possibili valide spiegazioni per poter giustificare la presenza di ulteriori tre esseri umani -per di più adolescenti e un bambino, all’interno di una ex base militare adibita a centro di un gruppo di alieni giganti.
Quella giornata non si prospettava delle più rosee, ma qualcosa sembrò dirle come non ci sarebbe voluto molto a peggiorare ancora di più.

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Capitolo 2
*** Capitolo due ***


CAPITOLO – II
 


            «Penso che debba darmi qualche spiegazione, Prime»
Agente speciale William Fowler. Lo stesso che un anno prima aveva quasi rischiato un infarto vedendo Max curiosare ingenuamente con Bumblebee senza nessun timore o paura nei confronti di creature talmente tanto grandi da poter far fuori un umano senza particolari problemi. Si era presto accorto della stravaganza e dell’ingegno di quella ragazzina poco più che maggiorenne, dall’intuito fuori dal comune per essere riuscita ad imparare e capire gran parte di quello che riguardava i cybertroniani con quasi nessuna fatica.
            «Abbiamo tutta la situazione sotto controllo, Agente…»
            «Sono tornati vero?» lo interruppe bruscamente Fowler, ricevendo un’occhiata seria da parte di Optimus.
            «Se si riferisce ai Decepticon dubito se ne siano mai andati, il vostro pianeta è troppo… prezioso per loro» calcò con enfasi le ultime parole, anche se l’Autobot ebbe l’impressione di come le sue parole suonassero quasi sorde alle orecchie dell’agente speciale.
            «In questo caso devo avvisare il Pentagono»
            «Mi ascolti agente Fowler, noi siamo la vostra migliore linea di difesa contro la minaccia dei Decepticon» disse gravemente Optimus, con una nota di irritazione nella voce. Non era in alcun modo il tipo da perdere la pazienza così facilmente ma quella testardaggine iniziata a diventare veramente faticosa da ignorare.
            «Direi anche l’unica» borbottò Max forse a voce un po’ troppo alta quando si accorse dell’occhiata di sbieco che le rivolse Ratchet che incurvò un angolo della bocca in un impercettibile sorriso, senza smettere di lavorare alla propria postazione.
Fowler però non fu dello stesso avviso, scoccando un’occhiata truce verso Max rimasta girata di schiena, «Non è una discussione che la riguarda, signorina Cohen. Le ricordo che è qui solamente per gli Autobot hanno insistito»
            «Hey sacco di carne – attirò la sua attenzione Bulkhead, -è rimasto schiacciato qualcuno sull’autostrada? Noi Autobot sappiamo quando usare la forza e soprattutto quanta usarne» esclamò strappando e riducendo in rottami il braccio robotizzato che Max e Ratchet avevano finito di sistemare da meno di una settimana.
            «Se i militari venissero coinvolti sarebbe una vera catastrofe. Lei forse può passare sopra il numero di vittime che una guerra causerebbe… ma io non posso permettermelo» si aggiunse poi Optimus, fermamente deciso ad impedire qualunque tipo di spargimento di sangue o Energon. Di perdite ne aveva subite già fin troppe, non c’era bisogno di ulteriori vittime… per di più totalmente estranee alla guerra che infuriava da millenni tra Autobot e Decepticon.
            «E allora mi faccia il favore di sistemare al più presto la situazione, Prime… oppure ci penserò io» esclamò dunque Fowler prima che l’ascensore si richiudesse per portarlo nuovamente al suo elicottero, facendo tirare un sospirò di sollievo ai tre clandestini che poterono di nuovo uscire allo scoperto.
            «Per essere un umano si dà troppe arie» si lamentò Bulkhead ricevendo un’occhiata di ammonimento da Optimus che non fece fatica a comprendere l’atteggiamento schivo di quell’umano.
            «L’agente Fowler si preoccupa per il suo pianeta ed è giusto così»
Un bip di avvertimento colse l’attenzione di Max, che spostando da parte Switch si protese verso lo schermo più vicino. Il respiro le si mozzò in gola quando vide la fonte del segnale.
            «Ratch…- mormorò con un filo di voce attirando a malapena l’attenzione di Ratchet che le rivolse un’occhiata di sbieco, -è il segnale vitale di Cliff» passò poi l’immagine sullo schermo principale del computer del medico Autobot, attirando così poi l’attenzione di tutti gli altri.
Miko, Jack e Raf ne approfittarono per salire sulla postazione di Max in modo da smetterla di guardare dal basso tutti gli Autobot.
Il piccolo Raf fu l’unico a rivolgere un’occhiata in più alla diciannovenne seduta scompostamente sulla sedia di fronte ai quattro schermi, pieni di dati in una lingua completamente a lui sconosciuta. Avvicinandosi al piano di lavoro invaso da carte e fogli con su schizzati progetti e appunti dal tratto illeggibile, un piccolo cinguettio metallico attirò la sua attenzione.
            «È un altro Autobot?» domandò innocentemente il dodicenne attirando l’attenzione di Max che lo osservò per un attimo da cima a fondo prima di spostare lo sguardo su Switch e scuotere leggermente la testa.
            «Oh no, lui è Switch il mio più vecchio amico… e primo progetto di intelligenza artificiale -anche se primitiva» mormorò lei osservando Switch avvicinarsi incuriosito alla mano aperta di Raf, con cautela poi accennò qualche passo in avanti bilanciandosi sui quattro arti prima di ruotare i due sensori ad ultrasuoni -che ricordavano la stessa forma di due occhi, emettendo alcuni cinguettii metallici che a Raf ricordarono molto quelli di Bumblebee.
            Switch era stato il prototipo di robot che Max riuscì a costruire e ricordava ancora bene come la prima volta che l’aveva assemblato, il piccoletto sapeva a malapena mettere una zampa di fronte l’altra. I codici per riuscire a far muovere in modo armonioso i tre motori che ogni zampa aveva era stato arduo, specialmente all’inizio.
Erano cinque anni che continuava a mettere mano sui suoi codici e oramai era diventato il suo piccolo orgoglio: in grado di camminare e ritrovare l’equilibrio in quasi ogni situazione, i sensori che aveva installati invece gli permettevano di evitare gli ostacoli e riconoscere alcuni semplici e precompilati comandi. Anche se l’ultimo non era interamente merito suo ma del suo ultimo aggiornamento, un primo tentativo con la rete neurale e che dava una vaga sorta di intelligenza artificiale al piccolo robot.
Si trattava di un qualcosa di molto semplice e con la poca potenza di calcolo che aveva a disposizione il suo raggio di apprendimento era veramente basso, ma non le importava. Forse quando avrebbe raggiunto la vecchiaia quel piccolo robot sarebbe stato in grado di mettere due parole in fila.
            «Presto Ratchet prepara subito l’infermeria… potrebbe servirci» esclamò Optimus attirando l’attenzione di tutti.
            «E noi che facciamo?»
            Il leader degli Autobot passò un attimo in rassegna i tre giovani umani che lo guardavano in attesa di istruzioni, l’entusiasmo di Miko rapidamente smontato dalle parole pronunciate qualche attimo dopo, «Restate qui con Ratchet»
Ignorando i versi di disappunto sincronizzati di Miko e Ratchet, Max preparò le coordinate del Groundbridge, scambiando solo una veloce intesa di sguardi con Optimus che colse la flebile speranza dell’umana. Con un cenno attivò la protezione metallica sul volto e tutti gli Autobot attraversarono senza esitazione il Ponte terrestre richiusosi immediatamente dopo il loro passaggio.
«Aspetta cos’è successo?» domandò incredulo Jack, sporgendosi dal parapetto per cercare di capire dove fossero andati quegli ammassi di metallo alti almeno una decina di metri ciascuno.
            «Li abbiamo trasferiti usando le coordinate esatte per il Groundbridge» spiegò senza particolare enfasi l’unico Autobot rimasto, riprendendo il silenzioso e meticoloso lavoro nella sua postazione.
            «E cos’è?» chiese Raf continuando a stuzzicare curioso il piccolo robot che teneva delicatamente tra le mani.
Prima che Ratchet potesse di nuovo interrompersi, già irritato dalla sola presenza di quei tre umani, Max lo precedette, «È una scala ridotta di quello che i cybertroniani chiamano Ponte Spaziale, con quello possono viaggiare anche da un pianeta all’altro»
            «Ma visto che non siamo in possesso né dei mezzi né di Energon a sufficienza per i viaggi intergalattici, siamo bloccati qui con esseri come voi -tagliò corto l’Autobot senza distogliere lo sguardo ma senza nascondere il risentimento nello stare su quel pianeta, -Però sono riuscito a ricostruire il Groundbridge per viaggiare da un punto all’altro del vostro pianeta»
            «Vuoi dire che potrei andare a visitare i miei genitori a Tokyo in questo istante?» domandò improvvisamente Miko, saltando sul posto dall’eccitazione mentre Jack le rivolse un’occhiata esasperata.
            «E in pochissimi minuti anche… se vuoi spedisco tutti e tre a Tokyo» disse Max con una punta d’ironia senza staccare gli occhi dal segno lampeggiante che indicava il segnale vitale di Cliffjumper, ricevendo un’occhiata preoccupata da parte di Ratchet.
Il medico non l’aveva mai vista rispondere in modo così… diretto a qualcuno, era sempre abituato a vederla preoccuparsi di non offendere nessuno e fare in modo che non ci fossero litigi neanche tra loro Autobot. E nonostante la battuta notò come fosse da due giorni -da quando effettivamente aveva ricevuto la notizia della morte di Cliff, che non sorrideva. Neanche una volta.
            «Piuttosto… tu chi sei? Non ti sei presentata fin dall’inizio» Miko non sembrò prenderla affatto sul personale oppure la sua curiosità ebbe semplicemente la meglio e rivolse tutta la sua attenzione sulla ragazza che non sembrava affatto avere alcuna intenzione di intraprendere una conversazione.
            «Sono Max» tagliò corto con un sospiro la diciannovenne. Beccandosi un’occhiata poco gentile di Miko, riprese a controllare i dati che aveva sullo schermo più vicino a sé, registrando a malapena la scomparsa dei due ragazzi più grandi.
Miko iniziò a guardarsi intorno e a curiosare in giro. «Posso sapere a cosa serve questo?»
            «È rotto, non toccare» tagliò corto Ratchet senza neanche voltarsi a guardare cosa stesse indicando l’umana rumorosa.
            «C’è niente qui che possiamo toccare?» domandò Jack leggermente irritato da quel trattamento infantile, neanche fossero bambini di cinque anni.
Passò qualche attimo di silenzio, entrambi convinti che Ratchet non li avesse neanche sentiti, quando la voce di Max giunse a loro chiara, «Si, prendete quel braccio meccanico distrutto da Bulk prima… l’avevo appena finito di riparare»
Un messaggio di errore comparve sullo schermo di Ratchet e il suo verso di disappunto non passò inosservato al piccolo Raf che era rimasto sulla piattaforma, incuriosito dai vari progetti di Max sparsi in giro disordinatamente.
            «Mi spieghi come mai usate i computer terrestri?» domandò poi mentre il piccolo Switch era in bilico sulla sua spalla accoccolato.
            «Ovviamente non per nostra scelta, -si giustificò immediatamente Ratchet, prima che altri messaggi di errore comparvero sui tre schermi, -gran parte di quello che c’è qui l’abbiamo ereditato dai precedenti proprietari di questa ex base missilistica. Li modifico ogni volta che lo ritengo opportuno»
            «Ma ovviamente è fallimentare se non ci danno i pezzi che ogni volta gli chiedo. Fowler riesce ad essere un vero testardo…»
            «Se tu magari prestassi attenzione quando ti do delle istruzioni» il tono di rimprovero di Ratchet zittì Max, facendole interrompere il proprio lavoro e rivolgendo al suo guardiano uno sguardo truce.
            «Oh avanti, Ratchet! Nessuno mi ha insegnato quello che so, se non avessi fatto quelle modifiche i processori si sarebbero fusi» si giustificò la ragazza, incurante di aver attirato l’attenzione anche di Miko e Jack che avevano appena portato i pezzi principali del braccio meccanico nei pressi della piattaforma rialzata.
            «E tu avresti rischiato di saltare in aria» puntualizzò semplicemente il medico Autobot con un’espressione contrariata, a malapena diversa dalla solita corrucciata che aveva sempre ma particolare a sufficienza da venire riconosciuta immediatamente da Max che perse immediatamente il cipiglio severo di poco prima.
            «Saltare in aria?» domandò confuso Raf da quell’acceso scambio, mentre apriva il proprio portatile e collegandolo a quello nella postazione principale, accettando il cavetto passatogli da Max.
            Max annuì, «Il mainframe si stava surriscaldando e rischiavamo di fondere tutti i processori… ho dovuto collegare un ponte molto rapido in modo da raffreddare il prima possibile tutto il sistema e nel mentre erano da sostituire alcune schede di memoria che si erano fritte» spiegò poi indicando alcuni punti nel codice originale del sistema.

            Osservò Raf ascoltare attentamente tutte le sue modifiche, annuendo seccamente poi diete una scrollata veloce tra le righe di codice e fece alcune piccole modifiche. Fu poi il suono piacevole e la scomparsa delle notifiche di errore che sorpresero Ratchet che osservò meravigliato come finalmente il sistema non sembrasse avere più alcun problema.
Max lasciò Raf curiosare ancora un po’ nel sistema, mentre Miko e Jack raccoglievano alcuni pezzi rimasti in giro e sparsi qua e là del braccio robotico -che avrebbe dovuto riparare più in là in quella giornata, si sporse leggermente poggiando le braccia sulla balaustra metallica.
            «Pensi sia veramente solo un bug nel sistema?» domandò con un filo di voce a malapena percepita solo da Ratchet grazie ai recettori audio più sensibili del normale udito umano.
Il medico Autobot si voltò a guardarla, a pochi metri da lui mentre non ricambiava lo sguardo ma vide chiaramente il tentativo di trattenere quelle poche lacrime che si concedeva solo quando era da sola. In meno di una settimana aveva ricevuto la notizia improvvisa della morte di Cliffjumper e subito dopo la sua possibile ricomparsa -quando gli altri Autobot erano sul campo a rischiare la vita mentre loro due erano incastrati lì a fare da babysitter a tre umani. Per quanto poi nessuno dei due sapeva di non essere quasi di alcuna utilità nel mezzo dell’azione -anche se Ratchet certamente sapeva difendersi, questo non aiutava né lui né Max a mitigare il senso di impotenza.
Un sospirò fece incurvare impercettibilmente il corpo di Ratchet, per nulla a suo agio in quelle situazioni ma incapace di sentirla parlare con un tono tanto distrutto.
            «Non lo so» ammise con lo stesso flebile tono di voce, schietto e incapace di mentirle solo per lo scopo di farla sentire meglio, illudendola. La sua speranza era già così debole che di certo non si sarebbe assunto la responsabilità di vederla spegnersi in caso di esito negativo di quella missione.
Delicato poi le poggiò la punta del dito indice sulla testa, sfregando leggermente il metallo tiepido sopra la folta matassa di ricci corvini prima di tornare a digitare rapidamente sulla tastiera. Il gesto prese alla sprovvista Max ma un timido suono di protesta e divertimento uscì dalle sue labbra mentre tentava di sistemare quel groviglio di lunghi capelli legati distrattamente in una crocchia disordinata.
            Un tiepido e minuscolo sorriso fu più che sufficiente a rasserenare la scintilla del vecchio medico Autobot, intimamente sollevato di sapere come la stessa ragazzina dolce che aveva vissuto con loro nell’ultimo anno era ancora lì. Seppellita da una coltre di dolore che stava lentamente tentando di digerire e superare.
Avrebbe dovuto portare ancora un po’ di pazienza.
            «Da quanto tempo li conosci?» domandò il piccolo Raf, incuriosito mentre studiava Switch da diverse angolazioni per studiarne il funzionamento.
            «Più o meno… un anno credo - rispose pensierosa Max prima di notare il leggero tremore sui quattro arti metallici del robot, -attento a non tenerlo sotto sopra per troppo tempo, diventa intrattabile poi»
            «Oh, scusa piccolino» esclamò riportando Switch in una posizione neutra, mentre i suoi cinguettii di protesta si fecero sentire più del dovuto.
Jack e Miko finalmente riuscirono a finire in meno di mezz’ora di raccogliere e radunare tutti i pezzi che Bulkhead aveva distrutto del braccio meccanico, ora abbandonato in una pila scomposta ai piedi della piattaforma rialzata, su cui salirono i due non appena poterono.
            : Max, inserisci le coordinate. Presto! Il richiamo di Optimus dal comlink fece scattare sull’attenti Max che slittò verso la propria postazione e digitò rapidamente alcuni comandi da terminale.
            «Coordinate inserite, Ratch. Il Groundbridge è pronto» esclamò dando così il permesso a Ratchet di aprire il Groundbridge, seguendo poi a ruota i tre ragazzi che si sporsero dalla balaustra metallica per vedere il ritorno degli altri.
            Il peso natole in petto non diminuì affatto neanche quando vide gli Autobot sfrecciare a grande velocità fuori dal Groundbridge, Optimus trasformatosi rapidamente prima che il portale venisse chiuso subito da Ratchet, impedendo così all’esplosione che li stava seguendo di danneggiare qualcosa all’interno della base.
Lo sbalordimento e l’incredulità era chiaramente visibile sui volti dei tre ragazzi che erano rimasti a bocca aperta di fronte quell’entrata spettacolare, ignari delle cupe espressioni che i cybertroniani avevano in quel momento.
            Max tirò un sospiro di sollievo quando li vide tutti in piedi, o quasi, mordendosi il labbro inferiore fino a sentire il sapore ferroso del sangue quando si accorse che non c’era l’unico -che forse in quel momento sperava egoisticamente di vedere in piedi assieme agli altri Autobot.
            «Avete fatto molto in fretta, -esclamò Ratchet, abbassando poi lo sguardo su Max che cercava con una certa urgenza quello che era come un fratello per lei, -… e come sta Cliffjumper?»
Il silenzio improvviso calò tra gli Autobot e quando Optimus chinò la testa fu chiara la risposta a quella domanda, ma Miko non sembrò accorgersene del pesante momento, irrompendo esuberante ed eccitata per l’esplosione di poco prima.
            «Che cos’è quell’esplosione? Avete lottato? Ci portate la prossima volta?»
Max non ebbe neanche il tempo di voltarsi che Arcee la anticipò nella risposta, impedendole di fatto di pentirsi di quello che avrebbe potuto dire in quel momento senza ragionare. Jack trascinò a forza con sé Miko, con una pallida scusa per dare del tempo agli Autobot di piangere il loro amico.
            «Arcee che cosa hai visto?» incalzò allora Optimus dopo che i due si furono finalmente acquietati.
L’Autobot si chiuse in un abbraccio silenzioso, socchiudendo lentamente gli occhi «Non era più Cliff. Era… come uno degli esperimenti dei Decepticon»
Provando a compiere qualche passo in avanti Arcee venne prontamente afferrata da Bumblebee che cinguettò preoccupato, aiutandola poi a sedersi dopo un momento iniziale di vertigini. Gli altri Autobot anche seguirono vicino a lei, improvvisamente allerta delle sue condizioni mentre Miko, Jack e Raf si sporsero ancora di più dalla piattaforma rialzata su cui si trovavano.
            «Robot che hanno le vertigini» iniziò Miko.
            «Robot che provano emozioni…» continuò Raf mentre smise di carezzare Switch, in piedi sulle sue mani.
            «E possono morire» concluse Jack quando finalmente tutti e tre parvero venire colpiti dalla immediata realizzazione di come quelli non fossero semplici macchine.
            Quegli esseri erano di un altro pianeta, chissà quanti migliaia di anni avanzato rispetto alla Terra. Giganti in guerra da una vita e che avevano sofferto, gioito e pianto come ogni essere umano, come ogni essere vivente.
Max in quel momento non sentì i tre ragazzi mentre arrivavano -finalmente, a quelle conclusioni così infantili, o forse non aveva la forza di rispondergli. L’unica cosa di cui era certa in quel momento era come la flebile speranza di poter ritrovare Cliff ancora vivo, sfumò in pochi secondi: lo sguardo sui volti dei suoi amici Autobot ne fu la prova più evidente.
            Ratchet non perse tempo e iniziò a scansionare Arcee dalla testa ai piedi, individuando e prelevando un campione di una sostanza ignota e di cui Cliffjumper era ricoperto. Spedì poi l’Autobot a fare una decontaminazione urgente e completa.
Il breve momento di silenzio fu interrotto da Jack e Raf che si resero improvvisamente conto di quanto fosse tardi, essendo stati fuori da quel primo pomeriggio dopo scuola. Jack tirò poi fuori il proprio cellulare e si accorse della totale assenza di segnale, spiegata da Optimus riguardo strani e diversi sistemi di isolamento di cui era dotata la base per evitare qualsivoglia sorta di rintracciamento.
            «Sono le dieci passate, ho il coprifuoco» si giustificò prontamente Jack cercando di mantenere un tono calmo nonostante l'agitazione evidente, mentre sperava che la madre non si accorgesse di quel madornale ritardo.
            «Anche io devo tornare a casa o mi mettono in castigo per un anno» esclamò il piccolo Raf con una nota di tristezza nella voce mentre poggiò a terra il piccolo Switch, lasciando che Optimus decidesse quali Autobot li avrebbero riaccompagnati dalle loro famiglie.
            «E Max? Non torna con noi?» domandò Miko improvvisamente ricordatasi di quella strana ragazza che sembrava conoscere già da tempo gli Autobot.
            «Vive qui alla base» tagliò corto Ratchet, continuando ad analizzare la sostanza ignota, ignaro delle occhiatacce di Miko nei suoi confronti. Non le piaceva l’atteggiamento di quell’Autobot più simile ad un vecchio scienziato scorbutico.
            «Piuttosto, dov’è? Era qui con noi un minuto fa»
Gli Autobot si guardarono intorno improvvisamente accortisi della sua scomparsa, e i cinguettii metallici di Bumblebee non fecero che irritare ulteriormente Ratchet.
            Il medico scoccò un’occhiata alla postazione lasciata abbandonata e sospirò, scacciando un poco il senso di colpa improvvisamente formatosi nella sua scintilla quando non si era accorto neanche della defilata di Max. Sarebbe dovuto essere lui il suo guardiano, tenerla protetta da qualsiasi pericolo finché la minaccia dei Decepticon non sarebbe stata eradicata da quel pianeta roccioso; e invece, non riusciva neanche ad accorgersi se l’umana spariva nel mezzo di una conversazione tanto era preso dall’irritazione per quei tre nuovi fardelli di cui si erano fatti carico.
Era Max l’unica di cui si sarebbe dovuto preoccupare, l’unica nativa di quel pianeta che era in grado di non stargli sui nervi… l’unica che in quel momento non era lì.
            «Vive qui? -domandò ingenuamente Raf, -ma i suoi genitori saranno preoccupati»
            «Questo non è qualcosa di cui posso parlare senza il suo permesso. Non intendo tradire la sua fiducia» interruppe Optimus, impedendo qualsiasi ulteriore discussione sull’argomento e finalmente riuscendo a spedire i ragazzi a casa.
            Per l’ennesima volta forse scappare di punto in bianco non era stata la mossa migliore che aveva fatto nell’ultimo periodo. Continuava ad avere l’impressione di non fare altro che sgattaiolare via da tutto quello che le causa dolore, quando erano gli Autobot quelli che avrebbe dovuto consolare.
Erano gli Autobot quelli che avevano appena perso un fidato compagno e amico di innumerevoli battaglie, e lei stava piangendo Cliffjumper dopo averlo conosciuto per poco più di un anno terrestre. Sentiva solo l’egoismo per il proprio bisogno di piangere per quello che era diventato come un fratello per lei, una parte di una famiglia che non ha mai avuto la fortuna di avere.
Troppe ne aveva cambiate, e altrettante l’avevano rifiutata.
Si sentì egoista per sperare che almeno questa durasse un po’ di più.
            «Arcee come sta?» domandò di punto in bianco senza muoversi di un millimetro, improvvisamente cosciente dell’enorme Cybertroniano di oltre dieci metri che si trovava alle sue spalle in religioso silenzio.
            «Starà bene… Cliffjumper non è stato il suo primo compagno caduto, e temo che non sarà neanche l’ultimo» rispose con prudenza l’Autobot, tentando di mantenere la propria voce baritonale al minimo, per non disturbare la quiete della notte.
Optimus vide il capo di Max reclinarsi leggermente in un piccolo cenno, mentre decise di raggiungerla con pochi e misurati passi prima di prendere posto accanto a lei, sul ciglio della montagna dove era scavata la loro base.
Era sempre rimasto incantato dalla tranquillità e dalla meraviglia che il cielo terrestre riuscisse a trasmettere, non gli venne difficile credere che gli umani spesso cercassero rifugio tra le stelle quando cercavano di mettere a tacere le proprie paure, anche se solo per qualche ora. Anche se notò, con una punta di rammarico, come non fosse visibile la porzione di galassia dove si trovava Cybertron; avrebbe potuto indicarla senza esitazione, ma non poterla neanche ammirare era una dolorosa costrizione per la sua vecchia scintilla.
            L’Autobot ebbe però l’intuizione che la piccola umana al suo fianco non condividesse la stessa tranquillità che quella notte trasmetteva a lui, nonostante il lutto ancora presente per la morte di Cliffjumper. Era chiusa in sé stessa e sembrava come al solito decisa a non mostrarsi debole con gli altri, un atteggiamento che aveva notato immediatamente ma che Optimus sperava avrebbe risolto prima o poi.
Loro c’erano sempre e Max sapeva di poter contare su di loro, la loro fiducia se l’era guadagnata da parecchio.
            «A volte ti invidio, sai? Riesci sempre ad essere calmo anche durante le battaglie, a malapena riesco a trattenere le lacrime in questo istante – iniziò Max con voce flebile, si interruppe e tirò su col naso, -non dovrei piangere io Cliffjumper, non in questo momento… non in questo modo»
Un leggero silenzio calò tra i due a quella confessione inaspettata. Optimus si ritrovò per un attimo spiazzato da quella sincerità improvvisa ma non poté che esserne felice, sollevato che finalmente Max si stesse confidando, riponendo finalmente la sua fiducia in qualcuno di loro.
            «Se c’è una cosa che ho potuto apprendere in questo periodo qui sulla Terra è quanto breve sia la vita di voi esseri umani. Con un tempo così limitato siete portati ad esprimere le vostre emozioni in maniera così… significativa. Siete creature capaci di estrema empatia ma anche di immensa crudeltà, spietatezza che ho visto solamente in alcuni Decepticon» disse d’un tratto Optimus, scegliendo con cura le proprie parole.
Max alzò la testa confusa, con gli occhi lucidi incrociò le ottiche azzurre dell’Autobot, non capendo, «Dove vuoi arrivare, Optimus?»
            «Sei dotata di grande empatia e l’immenso aiuto che hai dato a noi Autobot in questo poco tempo è inestimabile, abbiamo un debito a vita nei tuoi confronti. Non hai alcun motivo di provare vergogna per il tuo bisogno di esprimere un’emozione – calcò per un attimo l’ultima frase, assicurandosi di aver fatto capire la serietà e la sincerità delle sue parole, -Io… ho semplicemente avuto più tempo per imparare quando c’è bisogno di essere calmi e quando no. Gli Autobot contano sulla mia guida»
            Quelle parole le entrarono lentamente in testa, rassicuranti come poche volte nella sua vita. Parole sicure ma attente e sincere… Optimus era senza dubbio una delle creature più oneste che avesse mai incontrato, non c’era stata una volta in cui l’avesse sentito mentire o dire qualcosa che potesse nuocere volontariamente ad un altro Autobot o essere umano. Neanche Fowler, per quanto irritante c’era riuscito.
Con il cuore meno dolorante, alzò lo sguardo e ammirò per alcuni minuti il cielo notturno. Nonostante non amasse il clima torrido del Nevada o la vista di tutta quella sabbia, non poté fare a meno di sentire una ondata improvvisa di calma distenderle tutti i nervi tesi fino a quel momento. La tranquillità di quel luogo era stata di certo una delle migliori fortune di quegli ultimi anni.
            «Qualche volta… anche chi guida gli altri ha bisogno di sfogarsi, sai Optimus?» esclamò poi Max mettendosi in piedi, rivolgendo un piccolo sorriso stanco all’Autobot che ricambiò con un cenno del capo.
Rimaneva solo un’altra questione da risolvere in quel momento.
            Anche se non ne era sicura, per una volta sperò timidamente che il suo guardiano avesse ceduto alla stanchezza, decidendo di andare finalmente a ricaricarsi. Ma così non fu.
Ratchet era ancora in piedi, mentre picchiettava ritmicamente sulla tastiera nella propria postazione, non si accorse dell’apertura dell’ascensore da cui fece timidamente capolino Max. Camminò silenziosamente fino all’imbocco del ponte rialzato che portava alla sua solita postazione, fermandosi proprio in prossimità degli enormi schermi traslucidi.
            Il medico Autobot smise di digitare sulla tastiera e rivolse finalmente la sua attenzione poco più in basso, corrucciando l’espressione come confuso ma prima che potesse dire nulla, Max lo anticipò.
            «Scusa, Ratch… non volevo farti preoccupare» disse a bassa voce, ringraziando il perfetto funzionamento dei suoi ricettori audio che non la costrinse a ripetere le sue parole.
Ratchet scosse la testa abbandonando definitivamente l’ennesima compilazione di dati, notando solo in quel momento quanto in realtà fosse tardi secondo gli orari degli umani.
            «Non devi scusarti di niente…» la tranquillizzò senza particolare dolcezza nelle parole, constatando la stanchezza dell’umana dall’enorme sbadiglio che tentava di nascondere con scarsi risultati.
Silenziosamente allungò una mano e diede un cenno d’assenso quando Max lo guardò, aspettando come sempre il suo permesso prima di poterlo toccare -così come lo aspettava per tutti gli altri Autobot, accomodandosi poi con sua sorpresa tra il collo e le placche dell’esoscheletro che erano ancorate alle sue spalle.
            «Ancora non mi abituo a qualcuno che si preoccupa per me» mormorò con un filo di voce Max mentre si raggomitolò su sé stessa, confortata dal metallo tiepido e sentendo Ratchet riprendere a digitare sulla tastiera.
            Che il suo guardiano non fosse il migliore con le parole lo aveva scoperto subito, schietto e senza peli sulla lingua non aveva problemi a dire in faccia quello che lo irritava. Altrettando disinvolto non lo era se doveva consolare qualcuno, neanche lontanamente abituato a dire qualcosa che non fosse un commento pungente ma con Max quell’atteggiamento non durò molto.
Sapeva perfettamente dei suoi goffi tentativi di non essere sempre scorbutico ma erano le silenziose azioni come quella che le scaldavano il cuore. Ratchet non sarà stato molto bravo nel confortare a parole ma quei gesti erano quanto di più Max avesse mai potuto sperare.
Gli Autobot erano una famiglia che ci sarebbe sempre stata per lei.

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Capitolo 3
*** Capitolo tre ***


CAPITOLO – III
 



            «Finalmente un po’ di pace e di silenzio» mormorò l’Autobot una volta per tutte libero di potersi dedicare alle sue analisi senza alcun tipo di distrazione fastidiosa. Era ancora mattina presto ma aveva preferito approfittare il più possibile per recuperare il lavoro arretrato da quando quei tre umani si erano imbucati nella loro base.
            «È domenica Ratchet, non penso che quei tre abbiamo intenzione di passare l’unico giorno libero dalla scuola dentro la base» rispose rocamente Max con una tazza di caffè bollente in mano. Massaggiandosi il collo indolenzito si sistemò finalmente alla propria solita postazione: anche se aveva dormito un paio di ore in più rispetto al solito grazie al tiepido calore di Ratchet, il metallo non era decisamente il materiale più comodo su cui fare un pisolino, figurarsi una tirata notturna.
            «Nessuno li invita a rimanere» borbottò di risposta Ratchet analizzando al microscopio la sostanza ignota che aveva trovato il giorno prima su Arcee e che, apparentemente, ricopriva anche quello che sarebbe rimasto di Cliffjumper.
            Un rumore metallico riecheggiò in quel momento nel silenzio della base e Ratchet alzò lo sguardo quando un secondo rumore si fece più vicino, gettando lo sguardo su Max che era talmente assorbita dal suo lavoro che non si era accorta di nulla, la sua attenzione completamente rivolta ai vari pezzi del braccio meccanico rotto da Bulkhead poco tempo prima. Ratchet non fece in tempo a tornare al proprio lavoro che qualcosa lo assalì con una certa aggressività, sbattendo all’indietro e facendo sobbalzare Max dallo spavento che improvvisamente si accorse della situazione.
            Liberatosi con uno strattone da quel minuscolo robot, l’Autobot afferrò con rapidità un tubo metallico che Max gli avvicinò con estrema difficolta vista la pesantezza e nascose l’umana dietro di sé. Colpendolo ripetutamente, spedì il robot sopra il suo microscopio che venne ridotto in rottami in meno di un secondo. Pronto nuovamente a balzargli addosso, la creatura finì completamente disintegrata da un colpo proveniente dal cannone di Optimus, allertato da tutto quel trambusto.
            «Ratchet!» la voce allarmata di Max fece voltare l’Autobot che venne sorpreso dal nervosismo che l’umana stava mostrando, squadrandolo dalla testa ai piedi in cerca di una qualunque indentatura nell’esoscheletro metallico.
Senza dire nulla Ratchet allungò una mano con un cenno della testa e sistemò poi Max sopra la sua spalla, i cui livelli di agitazione si andavano pian piano stabilizzando. Girandosi poi verso Optimus che continuò ad osservare quella piccola creatura riversa a terra che non accennò più alcun movimento.
            «Mi piacerebbe sapere che sta succedendo» borbottò il medico Autobot quando Optimus gli rivolse un’occhiata grave.
            «Io ho un brutto presentimento, Ratchet… l’Energon oscuro»
Quella frase colse l’attenzione di Max, che guardò nelle ottiche azzurre Optimus. Superato finalmente il terrore di trovare il suo guardiano con qualcosa fuori posto, o peggio, contaminato da quella sostanza che aveva ridotto Cliff ad una bestia, Max poté finalmente tornare a ragionare più lucidamente.
            «Che cos’è? Una specie di Energon corrotto o contaminato?» domandò accomodandosi meglio sulla spalla di Ratchet, poggiandosi contro la parte laterale dell’elmo senza dargli fastidio.
            Optimus annuì, «È traviato dal sangue del più antico rivale di Primus, Unicron. Una volta sconfitto fu spedito nei confini dello spazio e non si ebbero più sue notizie»
Max ingoiò a vuoto, sentendo la bocca improvvisamente amara. Se quello che la sua mente stava ipotizzando si sarebbe rivelata vera, avrebbe probabilmente sperimentato per la prima volta rancore e odio verso qualcun altro, «Questo… Energon, quindi, può -può riportare in vita un Cybertroniano? - domandò cautamente anche se sapeva già la risposta a quel dubbio che la stava attanagliando, -Pensavo che una volta spenta la vostra scintilla fosse come il cuore di un essere umano… non può tornare a battere»
            «Infatti normalmente è così, ma l’Energon oscuro è impregnato della corruzione di Unicron e purtroppo non sono a conoscenza dell’estensione delle sue applicazioni – le rispose Optimus chinando impercettibilmente il capo, addolcendo le parole, -I Decepticon potrebbero aver fatto esperimenti per trovarne un utilizzo efficace contro di noi»
            «Sono… come possono essere così irrispettosi nei confronti di un morto…» le parole di Max vennero pronunciate con un filo di voce, mentre stringeva il metallo caldo sotto di sé, tanto che Ratchet dovette girarsi leggermente per sentirla bene nonostante l’avesse vicina ai propri recettori audio.
            Voltandosi nella sua direzione colse gli occhi verdi asciutti, ma pieni di uno sconforto che lo spiazzarono per un istante. Si astenne dal puntualizzare come, da quanto aveva imparato nel tempo trascorso su quel pianeta, gli umani erano stati capaci di compiere tragedie ancor più atroci e comunemente dimostravano un’estrema irrispettosità nei confronti dei loro defunti; ma quello ovviamente era un assunto di cui tutti gli umani erano ben coscienti, eppure per Max non era in un alcun modo concepibile un tale disdegno per quello che prima era una creatura vivente come loro, un loro fratello.
            Era la sua protetta da un anno oramai e più andava avanti e più Ratchet si domandava come fosse stata in grado quella piccola e fragile umana di mantenere una tale purezza di carattere e innocenza nello sguardo. Aveva saputo di quello che aveva passato prima di conoscerli e probabilmente quel gruppo così vario di Autobot -e ora anche tre umani, era la prima cosa stabile nella sua giovane vita.
Doveva imparare che c’era anche qualcun altro su cui poter contare.
Attento poi a non voltarsi troppo rapidamente, colse Optimus mentre richiudeva quella creatura indesiderata dentro una piccola cella refrigerativa che lo avrebbe mantenuto in stato di criostasi, impedendogli in qualsiasi modo di tornare operativo.
            «Ascolta, se quella strana sostanza che è rimasta attaccata ad Arcee ha portato in vita la tua attrezzatura non c’è da escludere che abbia riattivato Cliffjumper» esclamò greve Optimus mentre Ratchet colse semplicemente l’irrigidirsi di Max alla menzione di Cliff ma non disse nulla.
            «Questo se non altro spiegherebbe il motivo per cui si è riacceso il suo senale vitale – meditò con attenzione il medico Autobot inclinandosi leggermente e dando un’occhiata di sfuggita alla sua attrezzatura distrutta, - l’Energon oscuro è così da essere praticamente inesistente e poi non capisco… che cosa ci fa sulla Terra?» quella domanda non ricevette immediata risposta ma colse l’attenzione di Max che finalmente alzò la testa in direzione di Optimus.
            «Ma se c’è presenza di Energon qui… non è normale che ci sia anche quello oscuro? Voglio dire… anche in minima parte» ipotizzò la ragazza pensierosa, torturando una ciocca riccia sfuggita dalla crocchia disordinata.
Optimus negò scuotendo leggermente la testa, «È stato portato qui da Megatron. Il suo scopo è conquistare la Terra e per farlo ha intenzione di resuscitare guerrieri defunti»
            Anche se detto nella serietà che contraddistingueva il leader degli Autobot, Max non poté trattenere un moto di sdegno e incredulità al solo sentire del piano di quello che si stava sempre più rivelando come un tiranno dispotico e totalmente impazzito. Quei Decepticon iniziavano sempre più a rivelarsi esseri senza scrupoli e diametralmente opposti agli Autobot che aveva imparato a conoscere, ad apprezzare, a chiamare famiglia.
Anche solo pensare come Megatron avesse intenzione di riportare in vita i guerrieri che si erano sacrificati per quella guerra che i cybertroniani combattevano oramai da tempo immemore, era una cosa totalmente folle. Letteralmente un’orda di zombie di metallo al seguito del leader dei Decepticon, uno scenario talmente folle da sembrare apocalittico e fuori da ogni logica.
            «Ma… anche se la Terra è piena di rifiuti elettronici, come possono essergli di alcuna utilità? La Terra non è Cybertron»
            Optimus non fece in tempo a rispondere che il sensore di prossimità risuonò chiaro e forte all’interno della base, segnalando l’arrivo degli altri Autobot che fecero capolino con il forte rombo dei loro motori. Arcee, Bulkhead e Bumblebee -che aveva portato con sé il piccolo Switch dopo aver pregato Max diverse volte, per la gioia di Raf. Anche Miko e Jack erano sicuramente presenti ma l’unico ad aver attirato vagamente l’attenzione di Max era stato il piccolo genio, era sicuramente quanto di più simile ad un rapporto con un fratellino minore di cui si sentiva parzialmente responsabile.
            «Solitamente la domenica è il giorno in cui voi umani riposate… passeremo mai più una giornata tranquilla?» borbottò sottovoce Ratchet, immediatamente irritato da quell’improvvisa esplosione di chiacchiericcio e urla. Un’occhiata di sostegno fu quello che ricevette da Max prima di sentire la sua proposta alquanto allettante in quel momento.
            «Potremmo sempre spedirli tutti e tre a Tokyo, Miko mi era sembrata entusiasta di andare a trovare i suoi genitori l’altro giorno… nessuno verrebbe a saperlo» suggerì in un soffio in uno dei suoi recettori audio, mantenendo un tono basso e cospiratorio, accennando un sorrisetto giocoso.
            «Non mi tentare» la ammonì Ratchet senza però mostrare alcuna irritazione nella voce o nell’espressione, rivolgendole un’occhiata di traverso mentre Max era comodamente accoccolata sulla sua spalla e completamente a suo agio con il solito tono burbero del medico Autobot. Nonostante le apparenze in quel momento Ratchet non era affatto irritato, il volto per una volta non era perennemente corrucciato anche se il cipiglio severo era sempre lì.
Entrambi poi riportarono l’attenzione sul gruppo quando Optimus si fermò di punto in bianco.
            «Voi restate qui – ordinò diretto ai tre Autobot di fronte a lui, -Ratchet, tu vieni con me. Senti Arcee, resteremo fuori dal raggio delle comunicazione per qualche tempo. Prenderai tu il comando» al solo sentire quelle parole Max si irrigidì involontariamente.
            Fin da quando li conosceva non aveva mai visto Ratchet lasciare la base, capitava molto raramente quando lei stessa aveva bisogno di qualcosa, oppure non era mai per questioni legate ai Decepticon. Non bastava la sicurezza di sapere Optimus al suo fianco, Max non poté trattenere il moto di ansia e disagio che mise radici improvvise nel suo petto, costringendolo e facendole accelerare impercettibilmente il respiro, fattosi pesante.
Anche se era solitamente il contrario, in quel momento fu lei a preoccuparsi per la salute di Ratchet che aveva delle indubbie abilità mediche, sperando che ne avesse altrettante in caso di un combattimento o un’imboscata fuori programma.
            Ratchet d’altro canto, si diresse impassibile e silenzioso verso la piattaforma rialzata e con delicatezza aspetto che Max salisse sopra la mano metallica che aveva alzato vicino a lei. Aspettò invano quando si accorse che l’umana non sembrava avere la minima intenzione di spostarsi dalla sua spalla, tesa come una corda di violino, irrigidita fino allo spasmo mentre lo sguardo era basso e sembrava cercare in ogni modo di ritirarsi in sé stessa.
Normalmente una reticenza del genere lo avrebbe fatto irritare in meno di un secondo, mal sopportando quei comportamenti infantili a cui era fin troppo abituato con Bumblebee ma in quel momento non poté sentire la solita ondata di fastidio, specialmente nei confronti di Max: suo guardiano o no, era l’unico essere umano in grado di calmarlo, non risultando irritante in alcun modo ai suoi sensori e sempre accorta ad ognuno degli Autobot.
            «Max…» iniziò Ratchet, venendo interrotto dalla voce flebile, uscita in un soffio appena udibile anche ai suoi recettivi sensori.
            «Non azzardarti a fare la stessa fine di Cliff, dovessi… scendere all’inferno e riportarti indietro per poi spegnere la tua scintilla con le mie mani. Ti prego»
Quella fu probabilmente la prima volta che la vide fragile, caratterialmente parlando, quando Ratchet l’aveva sempre considerata una creatura che, nonostante la fragilità del suo corpo organico come quello di ogni essere umano, era stata capace di dimostrare una caparbietà di sopravvivenza degna di un Cybertroniano. Si era guadagnata il rispetto del vecchio medico Autobot in poco tempo, da quando era diventato il suo guardiano e aveva presto imparato a conoscerla meglio degli altri.
Fu in quel momento che si accorse di vedere per la prima volta questo suo lato così esposto, fragile ed insicuro.
            La morte di Cliffjumper l’aveva devastata ma quello… non era lo stesso sentimento che le procurava tremori di agitazione in tutto il corpo, gli occhi dilatati dal terrore per lui mentre non diceva una parola.
Con Arcee e Bumblebee fuori in ricognizione Max tentò di riparare il braccio meccanico distrutto da Bulkhead, mentre Raf controllava i dati sullo schermo, con alcune annotazioni sulle vecchie riparazioni.
            «Non... ci capisco nulla. In che lingua sono?»
            Max interruppe il lavoro e diede una rapida occhiata allo schermo, improvvisamente accortasi del problema, «Ah...Cybertroniano. Li ho tenuti così in caso Ratchet avesse dovuto fare qualche modifica- spiegò Max passandosi il dorso della mano sulla fronte sudata, macchiandosi il volto di sporco -è la stessa lingua che parla Bumblebee, dovresti capirla»
            «Io capisco solo Bumblebee... Te riesci anche a leggerlo?»
Annuendo la ragazza riportò l’attenzione su alcuni frammenti deformati dalla forza di Bulkhead, fuori da ogni speranza di riparazione, «In realtà… non è difficile, posso darti una mano ad impararlo se vuoi. Ci ho messo un po’ all’inizio ma Cliff e Ratchet sono stati davvero pazienti con me»
            «Me lo insegneresti veramente?» domandò speranzoso, improvvisamente eccitato a quell’idea di imparare qualcosa che non avrebbe mai potuto apprendere in circostanze normali.
Max notò quell’entusiasmo e accennando un piccolo sorriso annuì.
            A Raf piaceva guardare Max al lavoro su uno dei suoi progetti, per quanto concentrata rispondeva quasi sempre alle sue domande che ogni tanto uscivano fuori mentre lei corrucciava la fronte leggendo i suoi stessi appunti. Nonostante i suoi tanti fratelli, una ragazza conosciuta meno di una settimana prima era stata in grado di farlo sentire a casa, ascoltato e mai una volta fuori posto. Probabilmente Max non raggiungeva la sua spiccata genialità ma aveva un'inventiva e intuizione che non la fermavano mai.
Un dubbio e una innocente curiosità però colsero l'attenzione di Raf che non penso molto mentre pose quella domanda.
            «Cliffjumper era il tuo guardiano?»
            Il dodicenne si pentì immediatamente di aver posto quella domanda innocente senza pensarci un attimo quando Max interruppe bruscamente il suo lavoro.
In quella settimana era riusciva bene o male a tenere il pensiero della morte di Cliffjumper fuori dalla sua testa, nessuno apparentemente era intenzionato a nominarlo e questo l'aveva aiutata enormemente. Gli Autobot certamente ancora erano il lutto per il loro compagno ma anche Optimus le aveva pazientemente ricordato un paio di sere prima come loro, a differenza degli umani, erano da secoli in una guerra che aveva visto perire decine e decine di Autobot: Cliffjumper non era che l'ennesimo e per quanto straziante, erano in grado di andare avanti e tentare di impedire ad un altro compagno di cadere per mano dei Decepticon.
            «No... Cliff è -era il primo Autobot che incontrai» riuscì a mormorare Max con fatica e scuotendo leggermente la testa, si alzò e aprì un paio di cartelle sul computer, occupando uno dei quattro schermi con alcune immagini che Raf osservò con curiosità.
            Max era ben visibile, sorridente in un modo che il piccolo genio ancora non aveva avuto l'occasione di vedere, sembrava irradiare gioia da ogni centimetro del suo corpo. Era poggiata goffamente sulla spalla di un Autobot con una lucida finitura rossa, sorrideva anche lui ma Raf non riuscì a riconoscerlo.Non l'aveva mai visto alla base. Molte altre foto erano simili: Max sempre sorridente sulla spalla dell'Autobot che replicava un sorrisetto a sua volta, oppure mentre l'umana si divertita con uno dei corni che il Cybertroniano mostrava con orgoglio ai lati della testa.
            «È lui Cliffjumper?»
            Max annuì semplicemente, riguardando quelle foto che tanta nostalgia le procuravano, ripensando soprattutto agli stupidi battibecchi quando lei voleva utilizzarlo per arrampicarsi e Cliff era costretto ad evitare che cadesse, facendosi male o peggio. Anche se si era proposto di diventare il suo guardiano, sia lui che Optimus capirono presto come l'atteggiamento spericolato di Cliffjumper -superando persino Bumblebee, non era esattamente quello che serviva all'umana appena aggiuntasi al Team Prime.
            «È stato come un fratello, anche se terribilmente testardo e spericolato»
            «Da quanto tempo lì conosci?» domandò allora Raf in un blando tentativo di distrarla dalla costante memoria dell’Autobot morto. Per quanto doloroso quello non doveva affatto essere il ricordo predominante per lei, specialmente dopo aver visto coi propri occhi quanti momenti spensierati i due avevano passato insieme.
            Max scrollò le spalle, «Più di un anno fa. Un incontro casuale in California, quando ancora non avevo imparato a farmi gli affari miei. Avevo indispettito Cliff più del necessario e lui ha fatto saltare la sua copertura solo per rimproverarmi» sorrise al ricordo di quella giornata totalmente assurda. Quando il riflesso di quella stupenda e lucida finitura rossa aveva catturato la sua attenzione, sotto il sole estivo della California una macchina del genere non passava affatto inosservata e, per quanto avesse fatto del suo meglio per mantenere la discrezione assoluta, Max non resistette alla sua curiosità.
            I due ritornarono poi a lavorare pazientemente sul braccio meccanico, o quello che ne restava. Per quanto gli appunti di Max fossero dettagliati lì non sembrava esserci verso di poter ricostruire tutto e la ragazza si arrese all’idea di dover andare a compare qualche pezzo mancante o comunque da sostituire, scettica che alla base ci sarebbe stato qualcosa che avrebbe fatto al caso suo.
            Nel frattempo Miko sembrò avere l’idea di iniziare una concertistica in solo, oppure di dichiarare la base come nuovo punto di incontro e sala prove della neo-band formatasi al momento, semplicemente un rumore di fondo per Max totalmente concentrata sul lavoro di fronte a sé.
Fu solo il rumoroso e abbastanza visibile allarme di prossimità che riuscì ad attirare e distogliere l’attenzione di Max dal suo lavoro, precipitandosi verso il proprio computer e aprendo un paio di schede per vedere il problema.
            «Bulkhead, Fowler è in arrivo!» urlò Max tentando di sovrastare il chiasso della chitarra elettrica di Miko.
L’Autobot la sentì a malapena ma il lampeggiare costante del sensore di prossimità fu praticamente impossibile da ignorare e costrinse Miko a interrompere il suo assolo, scocciata da quell’impedimento che ogni volta sembrava capitare nei momenti meno opportuni.
            Fowler entrò sbraitando e Max ebbe a malapena il tempo di spegnere l’allarme che notò Miko e Jack scapicollarsi dietro la gamba di Bulkhead, improvvisamente rigido da quell’arrivo inaspettato e tempestoso dell’agente speciale.
            «Prime!» urlò a squarciagola, non appena mise piede nella base piombata nel silenzio assoluto.
            «Agente Fowler, non c’è nessuno qui… a parte me e Max» ridacchiò improvvisamente teso l’Autobot, cercando silenziosamente con lo sguardo il supporto di Max ben cosciente del temperamento imprevedibile di quell’essere umano che garantiva per loro il soggiorno su quel pianeta.
            «E dov’è andato? Sta seminando il panico in un centro commerciale? – domandò retoricamente, prima di dare tempo materiale a Bulkhead anche solo di formulare una risposta coerente, -Non so che lingua parliate voi robot sul vostro pianeta ma mi aveva promesso che avrebbe sistemato i Decepticon…-
            «Si può sapere cosa si aspettava da loro?» la voce di Max interruppe lo sfogo di Fowler che abbassò immediatamente lo sguardo su di lei.
Alzatasi con uno scatto a quelle parole totalmente crudeli nei confronti di creature che tanto avevano sofferto era una cosa inaccettabile per Max, che attirò presto l’attenzione di Fowler facendo cadere dietro di sé la sedia a causa del movimento fulmineo. Anche se l’agente speciale non l’aveva che considerata come poco più di una lieve seccatura in quell’anno in cui gli Autobot tanto avevano insistito per tenerla lì con loro, quella fu probabilmente la prima volta in cui Max alzò la voce in quel modo contro qualcuno.
            «Cosa mi aspetto da loro? Mi aspetto che facciano quello per cui gli è stato permesso di rimanere sulla Terra. Se non sono in grado di occuparsi dei Decepticon se ne occuperà il governo e loro dovranno andarsene» esclamò in risposta senza dispiacere nella voce, dopotutto quelli erano un male necessario per liberare il loro pianeta dalla minaccia dei Decepticon e lui non vedeva l’ora di concludere quella storia dopo quegli anni di ricerche estenuanti.
            Max sentì le orecchie fischiare e serrò la mascella a quelle parole sputate con così tanta tranquillità, si arrampicò senza difficoltà e raggiunse Fowler guardandolo furibonda. Registrò a malapena lo sguardo preoccupato di Bulkhead che assisteva silenzioso a quella scena. Neanche l’Autobot aveva mai visto Max così infuriata verso qualcuno, aveva sempre conosciuto quella piccola umana come gentile e una creatura incapace di portare rancore eppure, in quel momento, c’era tutto fuorché gentilezza in quegli occhi verdi che per un attimo parvero spiritati dall’odio.
            «Noi abbiamo guerre che vanno avanti da cinquant’anni e lei si aspetta che loro ne risolvano una che va avanti da secoli… in tre anni? Non sarò un soldato e non avrò mai visto la guerra, Fowler, ma so che le cose non accadono da un giorno all’altro solo perché lo vogliamo. Sarei dovuta morire già anni fa altrimenti… lasci in pace gli Autobot, ci stanno proteggendo e noi neanche li ringraziamo» non alzò la voce, ma la veemenza con cui sputò fuori quelle parole le fecero sentire in fiamme il volto, improvvisamente accaldata dovette distogliere lo sguardo dall’agente Fowler.
            Il rumore di una chitarra attirò l’attenzione dei due e finalmente Fowler notò come qualcosa fosse fuori posto. Ufficialmente scoperti, Miko e Jack sbucarono fuori da dietro il piede di Bulkhead mentre Raf fece capolino dai resti del braccio meccanico su cui Max stava lavorando fino a quel momento.
            «Avete avuto contatti con altri civili?» esplose Fowler incredulo, ignaro della defilata di Max che riprese silenziosamente il posto dove era prima, improvvisamente appesantita dallo sfogo di prima.
Non era solita urlare a quel modo, specialmente non aveva mai mancato di rispetto a Fowler anche se i due avevano spesso qualche testata a causa della testardaggine di entrambi ma mai di una furia tale. Non era sicura se fossero state le sue parole oppure il suo stato emotivo decisamente alterato ma in quel momento qualcosa si smosse e non poté trattenersi dal ributtargli contro tutta la sua frustrazione.
            Come poteva pensare che degli esseri vecchi di migliaia di anni risolvessero un conflitto che aveva fatto fuori la loro stessa razza, decimandoli e costringendoli all’esodo dal pianeta che avevano distrutto a causa di quella guerra civile? Non era semplicemente l’infantile ragionamento a farla infuriare ma l’ipocrisia intrinseca, come se gli esseri umani non avessero mai dato inizio a guerre insensate che si erano protratte per oltre cinquant’anni, e solo nell’ultimo secolo. Non c’era alcuna logica nel poter anche solo pensare che Optimus e gli Autobot avrebbero potuto mettere fine a quella guerra semplicemente nell’arco di un paio d’anni. L’ospitalità che il governo americano aveva dato loro certo era un dono apprezzato ed anche solo il pensiero che qualcuno li potesse costringere ad abbandonare la Terra fece venire il voltastomaco a Max.
            Si accorse che qualcosa non andava solo quando uno dei suoi schermi si illuminò con una chiamata di emergenza da parte di Fowler, che si interruppe prima che la ragazza poté anche solo avviare il programma di triangolazione, magari collegandosi al segnale dell’elicottero con cui era solito venire.
            Max si girò appena verso Raf che era poco dietro di lei ma venne afferrata da Miko ed ebbe appena il tempo di capire cosa stesse succedendo, prima di venire buttata dentro il Groundbridge appena aperto mentre era tenuta saldamente per un braccio da quel tornado di adolescente di Miko.

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Capitolo 4
*** Capitolo quattro ***


CAPITOLO – IV
 


          «Miko, che diavolo stai facendo?» urlò Max una volta ritrovato l’equilibrio, scoccando un’occhiata seccata verso l’altra ragazza che non fece altro che accennare un sorriso.
          «Oh avanti, ammetti di essere anche tu eccitata di stare in mezzo all’azione per una volta!» rispose di rimando Miko, nient’affatto toccata dall’esasperazione presente sul volto di Max che detestava trovarsi in mezzo ai combattimenti degli Autobot.
          Il sole del Nevada picchiava fortemente sulle loro teste e i pesanti passi di alcuni Veichon attirarono la loro attenzione. Erano atterrate poco dietro Bulkhead, già nascosto dietro un enorme sperone roccioso e che intimò loro di fare silenzio, non appena si accorse della loro presenza. L’Autobot era particolarmente agitato ora che era venuto a sapere di dover anche preoccuparsi di tenere al sicuro le due ragazze, compito nient’affatto facile quando c’era il rischio di venire circondati da nemici nell’arco di pochi minuti se solo l’avessero scoperti.
          La fortuna non girò dalla loro parte quando il Decepticon si accorse della presenza delle due umane e prima che potesse anche solo puntare loro contro il cannone Max trascinò con sé Miko, strattonandola per un braccio finché non si furono allontanate abbastanza e senza osare minimamente guardarsi indietro. Bulkhead si gettò nel combattimento contro il Veichon prendendolo di sorpresa, intimando poi a Miko di rimanere nascosta mentre Max la trattenne vicino a sé dietro un’enorme roccia che sperò essere sufficiente a non farle correre un altro infarto come quello di pochi minuti prima.
          «Si può sapere cosa avevi in mente? Hai idea del pericolo in cui ci hai cacciate?» esclamò nuovamente Max, esasperata dalla poca attenzione che Miko le stava rivolgendo. Normalmente non si faceva prendere dalla rabbia ma in quel momento, oltre ad essere stata gettata in una situazione totalmente mal voluta, entrambe stavano rischiando la vita… e per cosa? Per lo stupido desiderio di Miko di cercare un po’ di adrenalina, come se il conoscere creatura magnifiche e complesse come i cybertroniani non fosse già abbastanza, a quanto pare ritrovarsi in prima persona in mezzo alla loro guerra millenaria sembrò essere altrettanto allettante.
          Miko d’altro canto, fu più concentrata sul combattimento tra i due cybertroniani per anche solo prestare attenzione alle parole di Max, non accorgendosi però neanche di un altro pericolo incombente.
          «Non preoccuparti, Bulkhead ci terrà al sicuro» disse Miko sicura di sé, girandosi di scatto quando la presa di Max sparì dal suo braccio e sentì le sue urla agghiaccianti dietro di sé.
          Era stata afferrata da un altro Decepticon, Max si era allontanata per evitare che il Veichon prendesse di mira anche Miko, e lei non poté far altro che osservare impotente la sua cattura.           Bulkhead era ancora impegnato da non aver notato le urla di Max che venne portata senza troppa esitazione dentro la Nemesis dei Decepticon.
Per quale motivo poi la fecero loro prigioniera anziché ucciderla sul posto rimase un mistero per parecchi minuti, considerando quasi sempre i Decepticon come mere macchine di distruzione e morte… non sembravano esattamente inclini a ragionare strategie particolarmente complesse. Se ovviamente non si parlava di Megatron o Starscream, gli altri Decepticon semplicemente eseguivano gli ordini senza pensare particolarmente ai danni e alle conseguenze a cui le loro azioni avrebbero portato più in là nel tempo.
          Venire strattonata come una bambola di pezza non era esattamente l’esperienza migliore degli ultimi anni, stretta in modo asfissiante tra gli artigli di uno dei Veichon che lavoravano per Megatron. La Nemesis sembrò un enorme sistema labirintico di corridoi infiniti e tutti uguali, cercando di ricordare almeno parte del tragitto Max dovette arrendersi presto, quando la mancanza di aria iniziò a darle alla testa e un pensiero cupo le attraversò la mente.
          Il Decepticon alla fine sembrò fermarsi solo dopo qualche minuto di tragitto, di fronte un’area vagamente diversa rispetto al monotonia degli altri corridoi. L’enorme varco chiuso fu quello che attirò l’attenzione di Max, ingresso che le ricordò infantilmente alla sala di comando di una di quelle enormi navi spaziali che venivano rappresentate nei cartoni animati.
          Il secondo Veichon batté il pugno un paio di volte prima di ricevere risposta affermativa ed entrare con l’altro dentro quello che sembrò sempre più essere il pontile di Nemesis. E il motivo della loro venuta era lì di fronte a lei… l’agente speciale Fowler, legato a pesanti catene che lo tenevano sospeso in aria in modo da rimanere ad altezza viso di Cybertroniano.
          «Chi è che osa interrompermi nuovamente?» la voce alquanto stridula di Starscream non passò inosservata a Max che continuò a tenere il suo sguardo fisso sulla figura di Fowler sperando in un qualche suo movimento, anche se era semplicemente svenuto e non sembrava affetto da qualsiasi stimolazione esterna.
          «E chi è questa pulce? -si interruppe per un secondo, squadrando meglio la piccola umana che aveva davanti, semisvenuta tra le grinfie del Veichon, -Ma certo, sei l’animale da compagnia del medico Autobot»
          Quella voce stridula, poche volte aveva avuto occasione di sentirla ma finalmente poté associarla ad un volto.
Starscream.
Lo stesso Decepticon che aveva ucciso Cliffjumper, lo stesso che lo aveva ridotto in uno stato pietoso che anche Arcee ne era rimasta scossa. Tuttavia, per quanto il lutto tornò a farsi sentire, in quel momento l’urgenza era tirare fuori Fowler da lì… e si maledisse per non aver trovato un modo migliore.
Prese un profondo respiro, per quanto poté con i polmoni costretti, e finalmente si decise a parlare.
          «Cosa… cosa vorresti farci con Fowler? Speri che ti dica dove si trova la base degli Autobot? -domandò a mezza voce Max tentando di suonare il più convincente possibile, -senza di me Fowler non può accedere, il sistema è impenetrabile tanto quanto la vostra nave. Se non hai l’accesso non c’è modo di entrare…»
          «Allora sarai tu a rivelarmi il modo per arrivare al cuore della base Autobot. Sono sicuro che il tuo caro Autobot sarà ben felice di riaverti indietro… anche se non totalmente integra. I vostri involucri sono particolarmente fragili»
          Starscream sembrò essere caduto in quel blando tentativo di distogliere la sua attenzione da Fowler, cosicché almeno Bulkhead avrebbe avuto meno difficoltà nel tentare di salvarlo. L’agente speciale venne di fatto lasciato lì, svenuto mentre Max fu portata in una stanza ugualmente tetra anche se visibilmente più piccola; liberata dalla presa ferrea del Decepticon, venne prontamente legata similmente, impedendogli ogni movimento e con il cannone del Veichon pericolosamente puntato su di lei.
Se due parti di quel piano improvvisato avevano funzionato, tra il salvare Miko e il tenere occupato Starscream, Max non seppe se mai ci sarebbe stata una parte che avrebbe previsto la sua fuga… o più semplicemente la sua sopravvivenza.
          «Sai che anche se mi tieni rinchiusa qui, non otterrai nulla vero?»
          «Mi accontenterò delle tue urla allora. Il vostro organismo sembra curiosamente ricettivo all’Energon oscuro» disse semplicemente Starscream, tirando fuori lo stesso strano affare con cui aveva torturato Fowler e che lo aveva presto ridotto in quello stato di svenimento forzato.
          Tra i servo di Starscream, Max notò immediatamente l’emanazione di energia corrotta, malvagia provenire da quell’arnese che aveva e un brivido le percorse pericolosamente la schiena. Se quello era realmente Energon oscuro, non riuscì ad immaginare le conseguenze sul suo corpo; ricordò con un brivido come sia l’attrezzatura di Ratchet tornò in vita dalla contaminazione da quell’Energon corrotto ma anche semplicemente la debilitazione di Arcee quando ne aveva avuto solo una quantità infinitesimale sul dorso della mano metallica.
          Starscream ovviamente non fu affatto preoccupato dell’incolumità di quel sacco di carne di un’umana, specialmente visto il suo stretto legame con gli Autobot. Non si sarebbe fatto problemi a riconsegnarla a Ratchet ridotta in pezzi o peggio.
Detestava stare su quel pianeta roccioso pullulante di organismi così insignificanti e privi di qualsiasi interesse.
          Max non ebbe tempo materiale di elaborare un pensiero quando la colpì. Quel pungolo che teneva tra le mani emanò una forte scarica di energia che la attraversò dalla testa ai piedi, tremendamente più forte di un semplice teaser.
          Per un attimo ebbe l’impressione di sentire i propri organi interni friggere a quella improvvisa scarica elettrica, ogni singola terminazione nervosa mandava pesanti scariche di dolore al suo cervello, non più in grado di gestire un tale allarme generale nel proprio corpo. La vista le si offuscò per qualche secondo, notando solamente macchie scure nella sua visione periferica e distinguendo a malapena la figura di Starscream.
Annaspò in cerca d’aria quando ebbe l’orribile sensazione di annegare.
Uno dei polmoni aveva smesso improvvisamente di funzionare.
          Impiegò diversi minuti per ritrovare un barlume di pensiero logico, riuscendo ad isolare una minima parte di quel dolore lancinante e concentrandosi semplicemente sul cercare di non morire asfissiata. Le scariche di dolore sembrarono essersi interrotte e Max distinse vagamente la figura di Starscream poco distante da lei, che la fissava silenzioso ma non riuscì a scorgerne altri dettagli.
          L’aria le raschiava la gola ad ogni respiro affannoso, contratto dalla cassa toracica che non ne voleva sapere di espandersi a dovere; il fianco al contrario sembrava essere stato buttato sulla fiamma viva, lo sentiva pulsare dolorosamente e non ebbe il coraggio di trascinarci sopra una mano per sentirne le condizioni.
Il dolore sarebbe stato atroce.
          «Sicuramente sembri avere più voce di quell’altro rifiuto organico, - commentò con una punta di divertimento Starscream, godendo nel guardare Max agonizzante e di già a malapena cosciente, -se decidi di collaborare posso subito mettere fine a questo spettacolo noioso»
          «Già… già ti arrendi, Starscream? Pen…si che tradisca così la mi-mia famiglia?» la voce era spezzata, roca con ogni respiro che le costava una fatica immensa. Non si era minimamente accorta delle sue urla a squarciagola degli ultimi minuti, le orecchie ronzavano insistentemente e a malapena aveva sentito la propria voce.
          «Voi ammassi di carne sapete essere veramente patetici» commentò semplicemente il Decepticon, già stufo di quella inutile conversazione.
Non fece tuttavia in tempo ad aggiungere altro che dalla porta dietro di lui comparve la massiccia figura di Bulkhead, cannoni spianati e puntati contro Starscream, pronto a colpire chiunque fosse tanto stupido da provare una mossa avventata contro l’ex Wrecker.
          Max udì un’indistinta serie di rumori ovattati, prima di serrare gli occhi e venire nuovamente invasa dallo stesso dolore lancinante di prima, colpita nello stesso identico punto sul fianco già martoriato. Un urlo agghiacciante lasciò le sue labbra e non riuscì a registrare nient’altro che non fosse quell’atroce sensazione di venire bruciata dall’interno quando lei era ancora viva, con il solo desiderio di svenire il prima possibile… o che quel Decepticon la freddi sul posto.

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque ***


CAPITOLO – V
 

          «Fantastico e ora chi glielo dice a quello scorbutico di un robot che i Decepticon hanno rotto la sua amica?» domandò Miko in un blando tentativo di smorzare un po' quella pensante tensione che si era creata non appena avevano trovato Max in quelle condizioni.
          Jack aveva fatto quel che poté per impedire almeno l'insorgenza di infezioni su quelle brutte ustioni sul fianco, anche se non ebbe potuto fare molto visto l'innaturale colore violaceo che di certo non l'aveva rassicurato affatto; non era certo la miglio delle situazione, ma non sapeva cos'altro avrebbe potuto fare senza richiedere l'aiuto di qualcuno più qualificato. Ringraziò mentalmente il comportamento iperprotettivo della madre e le sue conoscenze mediche nel suo lavoro da infermiera, che l'avevano costretto ad imparare una o due cose.
Perlomeno Fowler sembrava solamente svenuto e leggermente debilitato, nulla che una buona dose di riposo e tranquillità non avrebbe risolto.
          «Ratchet ci vorrà morti non appena lo verrà a sapere» borbottò Bulkhead, il tono estremamente preoccupato per la piccola e ingegnosa umana che aveva vissuto con loro in quel periodo.
          Quasi tutti alla base alla fine la consideravano alla stregua di uno Sparkling vivace e curioso che amava imparare riguardo tutto quello che aveva intorno a sé. Bumblebee continuava ad emettere cinguettii preoccupati e Raf non seppe come consolare il suo guardiano, preoccupato anche lui come non mai mentre stringeva il piccolo Switch a sé, in cerca di un po' di conforto.
          «Che cosa dovrei sapere...» la voce di Ratchet morì a metà non appena vide il corpo incosciente di Max, il volto contorto dal dolore. I suoi sensori scattarono immediatamente a livelli anormali e lì gli fu chiaro come il sole la gravità della situazione.
          «Cos'è successo?» la voce fu gelida, tanto che anche Miko si ammutolì e reprimendo a forza piccoli brividi lungo la schiena.
          Bumblebee emise solo qualche cinguettio strozzato ma lo sguardo assassino di Ratchet lo zittì immediatamente e il povero guerriero distolse lo sguardo come gli Altri due Autobot. Non fu intenzione di nessuno quella di perdere di vista Max, o di coinvolgere i tre umani a cui erano stati affidati; tuttavia, si sentirono terribilmente in colpa per lo stato in cui era stata ridotta la ragazza, che versa a in uno stato decisamente più grave rispetto a Fowler.
          Era forse la prima volta da quando Optimus lo fece diventare suo guardiano che si allontanava da Max per una missione. Ratchet non era quasi più abituato a ritrovarsi senza la sua presenza costante, mai fastidiosa o irritante anche se sapeva dimostrarsi di una vivacità da mettere in discussione anche Miko quando qualcosa attirava la sua attenzione.
E per una sola volta in cui era stata richiesta la sua presenza per una missione con Optimus… ebbe seriamente l’impressione che la scintilla si fosse fermata per qualche nanoklik quando l’aveva vista svenuta, bendata di fortuna e il volto contorto in un’espressione sofferente.
I suoi sensori lo avevano messo subito al corrente della gravità della situazione ma fu necessario chiedere agli altri tre Autobot cosa fosse successo, e tutta la pazienza di Optimus per impedire a Ratchet di compiere un massacro per il nervoso e la preoccupazione accumulatesi in un attimo.
          Fu proprio in piena notte che qualcosa smosse lo stato alienante di concentrazione del medico Autobot.
          «Nuovi... dati, Ratch?» la voce flebile e roca di Max fece saltare sul posto Ratchet che subito si riscosse e la inchiodò con lo sguardo, vedendola in piedi sulla piattaforma che si reggeva sulla balaustra.
          «Primus, cosa ti ha mandato in corto circuito i processori per andare contro i Decepticon?» domandò duramente l'Autobot, allungando una mano e permettendo così a Max di salirci sopra con difficoltà, impedendole di rimanere in piedi più del dovuto.
Alle sue ottiche attente non era affatto sfuggito la smorfia di dolore che accompagnava ogni movimento della ragazza, che aveva deciso testardamente di alzarsi senza alcun minimo aiuto. Che fosse finalmente cosciente era stato un sollievo per Ratchet, ma i dati che i suoi sensori continuavano a riportargli non lo tranquillizzavano affatto.
          «Miko… voleva vedere i Decepticon – spiegò semplicemente lei con un filo di voce, sentendo lo sguardo omicida del proprio guardiano già indirizzato nei confronti della povera ragazza, -Li ho distratti. Da Miko. Bulkhead si sarebbe… preoccupato»
          Ed ovviamente, anche in quelle condizioni Max doveva trovare una giustificazione per impedire al pessimo carattere di Ratchet di trovare sfogo su quelli che lui riteneva responsabili per le condizioni dell’umana. Non c’era verso di farle trovare un modo per pensare a sé stessa per una volta, sempre più preoccupata che gli altri non corressero in guai per i suoi piani improvvisati e che, puntualmente, finivano con lei coinvolta in qualche incidente.
          «Faresti meglio a non giustificarli. Sanno benissimo di non doverti coinvolgere nelle missioni sul campo, specialmente se implicano un contatto diretto con i Decepticon» la voce di Ratchet si ridusse ad un sussurro rabbioso, cercando di contenersi per non svegliare gli altri Autobot in standby nel cuore della notte.
          Lui non era un soldato come Bumblebee o un ex Wrecker come Bulkhead, sapeva difendersi certo ma la sua era un’esperienza diversa sul campo rispetto a loro. Max detestava vederli ritornare da ogni scontro feriti e doloranti, aveva imparato ad occuparsi di loro come solo un medico Autobot avrebbe saputo fare. E la guida diligente di Ratchet l’aveva aiutata molto a crescere e nell’imparare quello che poteva sull’anatomia dei cybertroniani; al contrario, lui non era mai stato particolarmente interessato alla biologia di quelle creature organiche tanto fragili. Il suo disappunto per quel pianeta e i suoi abitanti non era cosa sconosciuta e, apparentemente, solo Max sembrava essere esente da quel suo disprezzo per gli esseri umani.
E fu in momenti come quello in cui si pentì di non essersi mai interessato vivamente ad imparare qualcosa sull’organismo degli esseri umani. Impossibilitato dunque ad aiutare Max in qualsiasi modo possibile, e dovendo fare affidamento sulle mani inesperte di Jack o di qualche altro essere umano che avrebbe potuto aiutarla.
          Max, di tutta risposta, si limitò a scrollare leggermente le spalle a quell’ammonimento sul suo solito comportamento totalmente abnegante nei confronti di sé stessa. Con difficoltà riuscì poi ad accucciarsi sopra la spalla di Ratchet, trovando conforto nel metallo tiepido e un minimo di sollievo anche se non poté avere la magra consolazione di un po’ di riposo; passò, infatti, il resto della nottata osservando distrattamente Ratchet a lavoro.
...
          Più tardi quel giorno, quando finalmente anche i tre ragazzi poterono fare ritorno alla base nel pomeriggio, Bulkhead impedì a Miko di fare più rumore del solito visto l'umore nero di Ratchet, che sembrava più scorbutico del solito da quella mattina. Motivo ulteriore fu a causa dell’insonnia di Max che non le permise di cadere addormentata se non da meno di un paio di ore prima, troppo sofferente per riuscire a dormire sulla solita branda e trovando solo un minimo di conforto sulla spalla del suo guardiano.
Anche Raf era silenziosamente seduto sulla spalla di Bumblebee mentre teneva Switch sulle gambe, divertito dal comportamento dell’Autobot con quel piccolo robot.
          «Come può stare più comoda su del metallo che su un letto?» domandò Miko di punto in bianco attirando l'attenzione di Bulkhead, che non ebbe una risposta e scrollò semplicemente le spalle.
          Il comportamento anormale di Max non era più una novità per nessuno di loro: dalla reazione curiosa del loro primissimo incontro alla relazione singolarmente fraterna con Cliffjumper, ai comportamenti sempre più simili a quelli di Ratchet mentre i due passavano tempo insieme.
          Bulkhead e Bumblebee, tuttavia, non si preoccuparono solo per Max, Ratchet era da quasi due giorni che non si ricaricava decentemente, prima per la preoccupazione e poi per la sua dedizione al lavoro. Era da quella notte che continuava ad analizzare i dati che Raf e Miko erano riusciti a fotografare sulla Nemesis, scoccando occhiate a Max che stava finalmente riposando placidamente; non era riuscita a chiudere occhio quella notte a causa del dolore, non che poi fosse diminuito, e aveva preferito provare a dare il suo piccolo contributo quando poté indicando di tanto in tanto i dati in Cybertroniano che a volte sfuggivano a Ratchet.
          Quell’enorme mole di dati però sembrò finalmente dare qualche risultato e quello che lesse di certo non lo tranquillizzò affatto.
          «Optimus, ho trovato la posizione del Ponte spaziale di Megatron. È nell'orbita terrestre» esclamò Ratchet attirando l'attenzione dell'Autobot che si avvicinò dando un'occhiata ai dati sullo schermo.
          «Fuori dalla nostra portata» rispose semplicemente Optimus, ben consapevole delle limitazioni causate dalla loro posizione sfavorevole. Per quanto l’aiuto da parte del governo fu immenso rispetto a quello che gli Autobot si sarebbero aspettati inizialmente, la tecnologia umana era primitiva e nulla al confronto di quella cybertroniana.
          «D'accordo, voi non potete volare. Ma potreste usare il ponte terrestre, no?» domandò Miko con un tono di voce particolarmente squillante come al solito, ricevendo un'occhiataccia di Ratchet che però non fece in tempo a risponderle, distratto da un lieve movimento sulla sua spalla destra.
Nell'incavo tra la placca a protezione della giuntura della spalla e il collo, infatti, Max era accoccolata su sé stessa, rannicchiata sul fianco sano mentre si teneva quello ustionato, coperto da pesanti medicazioni.
          «Ha una gittata... più limitata. Troppo rischioso» mormorò raucamente, svegliata dalla voce squillante di Miko che venne silenziosamente ammonita dal proprio guardiano.
          La voce era ancora aspra e i dati degli scanner di Ratchet non tranquillizzarono affatto il medico, sorpreso tuttavia dalla resilienza dell'umana. Ancora non l'aveva aggiornata sulle sue condizioni, e per un momento non è neanche sicuro di farlo: nel corpo di Max c'erano tracce di Energon, la concentrazione era tremendamente alta sulla ferita che aveva riportato sul fianco e Ratchet non seppe come muoversi.
          Sapeva del rischio di contaminazione di Energon per un corpo organico, ma Max sembrò riprendersi, o quantomeno non sembrava avesse riportato particolari effetti collaterali; era, ovviamente, più debole e il suo corpo stava reagendo in modi inaspettati. Organi delicati come le corde vocali probabilmente erano state deteriorate dal passaggio dell'Energon, ma oltre quello non sembrava esserci stato alcun altro sintomo allarmante. Per un attimo si maledì per non aver voluto saperne niente sull’anatomia umana, avrebbe di certo saputo come muoversi e non rimanere immobile nell’assistere al deteriorarsi del corpo della povera Max.
          «Visto che Megatron si starà già muovendo, temo che dovremo correre il rischio- esclamò Optimus, che per quanto concordasse con il ragionamento di Max e Ratchet, sapeva come quella fosse la loro unica possibilità di impedire un'invasione di non morti cybertroniani, -Dobbiamo raggiungere quel ponte spaziale, è l'unico modo che abbiamo per fermarlo»
          Un clacson attirò l'attenzione di tutti e dal tunnel asfaltato uscirono Arcee con Jack, per la sorpresa di tutti e la confusione di Max.
Ratchet non sembrò particolarmente toccato dalla felice riunione e scoccando uno sguardo a Max, notò come il suo volto fosse una maschera di confusione e le mormorò mentre riprendeva il lavoro, «Per un attimo ho sperato nella possibilità che questa base potesse tornare silenziosa»
          «Ti sarebbero mancati. Ammettilo»
          Max accennò un piccolo sorriso, passandosi una mano tra i ricci corvini li sentì terribilmente annodati in una massa informe, sospirò cercando di mettersi quantomeno seduta. Fallendo, rinunciò dopo un paio di tentativi, specialmente dopo l'occhiataccia di Ratchet che le impedì di fare anche il più minimo movimento.
Impossibilitata a muoversi dalla spalla dell'Autobot, si limitò ad osservare di sbieco Raf, Miko e Jack che salutarono i rispettivi guardiani mentre Ratchet attivò il Groundbridge, dando un ultimo ammonimento al leader degli Autobot.
          «Optimus, sii prudente. Se mi lasci su questo pianeta pieno di terrestri non te lo perdonerò mai» esclamò il medico Autobot sentendo la piccola mano di Max battere contro la placca metallica su cui era poggiata.
          «Finché non ci rivedremo, vecchio amico» rispose semplicemente Optimus, dando poi l'ordine agli altri Autobot che in pochi secondi sparirono dietro il Groundbridge che si richiuse prontamente dietro di loro.
          «Pensi che se la caveranno?» domandò ingenuamente il piccolo Raf, a nessuno in particolare.
          Max si sporse appena, sentendo la preoccupazione dell’amico e incrociando il suo sguardo gli sorrise rassicurante, «Fiducia. Ce la faranno»
Quando Ratchet riprese la propria postazione mise in funzione il comlink, stabilendo un contatto radio che permise anche ai tre ragazzi di sentire i discorsi tra gli Autobot.
          : Senza la parabolica Megatron non può puntare il Ponte Stellare su Cybertron, esclamò Optimus dall'altra parte della ricezione, sollevando i dubbi dei tre umani.
          Raf in particolare, assieme a Miko e Jack sulla piattaforma rialzata avevano parecchie domande sul funzionamento di quel Ponte spaziale ma fu un dettaglio che lo attirò più di tutti, «I Decepticon non sanno dov'è Cybertron?»
          Per quanto ingenua una domanda simile, sembrava una cosa assurda come creature tanto avanzate non sapessero le coordinate del proprio pianeta natale. Ratchet sembrò sul punto di rispondere nuovamente in modo scontroso, ma venne fermato da Max che lo ammonì silenziosamente facendo sospirare l'Autobot, sconfitto.
          «Cybertron è distante anni luce. La mira deve essere precisa» borbottò poi tenendo a freno qualunque commento sgradito che avrebbe potuto anche solo lontanamente offendere il piccolo Raf.
          «Ratch...» attirò la sua attenzione Max, indicando il ponteggio rialzato che sopraelevava il computer dell'Autobot. Iniziando a sentire le gambe formicolare, gattonò con qualche difficolta, arrancando sulla mano del suo guardiano che poi la depositò delicatamente a terra.
Rabbrividì al contatto con il pavimento gelido di metallo ma questo le permise di non cadere alla spossatezza che sentiva nelle ossa.
          : Se Megatron si è preso la briga di agganciarsi al Ponte Spaziale significa che ha un sistema di puntamento alternativo remoto, continuò poi Optimus, parlando nuovamente con gli altri tre Autobot con lui.
          Quelle parole fecero scattare qualcosa nella mente di Max che si girò di scatto, attirando debolmente l'attenzione dell’amico dodicenne, «Raf... Texas. L'osservatorio»
Poche e rauche parole ma che accesero una lampadina per Raf, e dopo poche ricerche mostrò con soddisfazione una serie di paraboliche nell'osservatorio in Texas, attirando così anche l'attenzione del medico Autobot. Ratchet fu quasi costretto a ripensare la propria opinione su quello sparkling umano, decisamente più dotato della media degli esseri umani con cui l’Autobot aveva avuto già disgraziatamente a che fare.
          Tentando di fare forza sulle braccia per alzarsi, Max fu costretta a scivolare a terra con la schiena contro il parapetto metallico, sentendo le gambe cedere sotto il proprio peso. Il respiro leggermente accelerato e preoccupanti chiazze scure ai lati della visione periferica.
          Qualcosa non andava, da quando il formicolio alle gambe aveva iniziando a diffondersi anche agli altri arti e parti del corpo; riuscendo solamente a sentire il costante pulsare della ferita al fianco, tanto dolorosa da sembrare infetta anche se era stata pulita in modo accorto da Jack ore prima.
          Tentò di articolare una frase ma il rantolio che le uscì dalla bocca non fu sufficiente e gli altri erano decisamente troppo presi dalla teoria dell'osservatorio in Texas per accorgersi della figura di Max che si accasciò improvvisamente a terra.
 

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