Per te

di LorasWeasley
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Per te, Atsumu ***
Capitolo 2: *** Per te, Kota ***



Capitolo 1
*** Per te, Atsumu ***


n.a. Ciao a tutti!
Questa storia fa parte della raccolta sulle fanfic dei bambini (che vi consiglio di recuperare se non l'avete ancora fatto, le trovate nella serie di cui fa parte questa). Sono due capitoli sakuatsu ma che si possono definire OS singole (anche perché hanno un salto temporale di cinque anni) ho deciso di metterle insieme perché il titolo doveva essere lo stesso e lo spiegherò nelle note autrice del prossimo capitolo. Il prossimo aggiornamento sarà domenica sera.
Buona lettura e ci risentiamo fra due giorni!
Deh
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Per te, Atsumu
 
Sakusa Kiyoomi dovette arrivare ai trent’anni prima che l’idea di avere una famiglia gli sfiorasse la mente.
Aveva sempre saputo che la sua misofobia gli avrebbe impedito di fare tutto quello che i suoi coetanei davano per scontato, ma non se n’era mai preoccupato più di tanto: se viveva bene in un determinato modo, non vedeva perché avrebbe dovuto cambiare le sue abitudini.
Lo capì quando Atsumu entrò nella sua vita come un uragano, ma stranamente riuscì a far funzionare anche questo.
Ci mise mesi ad abituarsi a lui, ad accettare i suoi tocchi e l’idea di avere un’altra persona in quei spazi che aveva sempre definito privati e sicuri. Ma Atsumu era sempre stato rispettoso, non l’aveva mai spinto a fare nulla che non volesse e aveva sempre aspettato i suoi tempi anche solo per accettare un’uscita al ristorante.
Quindi, la vita di Sakusa era stata stravolta da Atsumu fino a quando questa non era diventata la sua nuova quotidianità. Kiyoomi amava quello che avevano e, stranamente, non c’era alcun giorno in cui pensava che avrebbe voluto tornare a vivere da solo, non c’era mai nulla che era troppo.
Certo, la sua misofobia era migliorata da quando andava al liceo, ma questo non voleva a dire che riuscisse a stare a contatto con lo sporco senza avere attacchi di panico o che riuscisse a stringere le mani alle persone senza i suoi guanti.
Era una vita serena e rassicurante ed era sicuro che non avrebbe voluto avere nient’altro, ma non aveva fatto i conti con quello che invece Atsumu avrebbe voluto.
Sakusa entrò nel panico la prima volta che si rese conto che il suo ragazzo avrebbe voluto un bambino.
Era una cosa alla quale Kiyoomi non aveva mai pensato, i bambini erano sporchi: piangevano, vomitavano e si rotolavano nel fango, senza contare che per almeno i primi tre anni di vita avevano bisogno di qualcuno che gli pulisse i bisogni. Inoltre, aveva sempre saputo di essere gay, quindi non si era mai posto il problema che una sua futura ragazza potesse rimanere incinta.
Si rese conto di quanto era stato stupido quel pensiero nell’esatto momento in cui si soffermò a guardare il volto luminoso di Atsumu mentre giocava con sua nipote Naomi, figlia di Osamu e Rintaro. Non importava che le persone fossero etero o omosessuali, era nella maggior parte della natura umana desiderare un bambino arrivati a quell’età.
Atsumu non gli aveva chiesto di avere un bambino né, Kiyoomi lo sapeva bene, l’avrebbe mai fatto. Ma come poteva il corvino ignorare una cosa talmente grande adesso che lo sapeva?
Quella sera Kiyoomi ebbe un attacco di panico e, per la prima volta, non riuscì a dire al suo fidanzato cosa lo avesse provocato.
 
Sakusa era sempre stato quel tipo di persona che se prendeva un impegno lo portava a termine mettendoci tutta la propria attenzione. Così era anche per i pensieri, non avrebbe più potuto lasciare andare quel discorso fino a quando non avrebbe capito cosa fare.
Due settimane dopo, si presentò a casa di sua sorella senza preavviso.
Kaori, di dieci anni più grande di lui, lo fissò sorpresa quando aprì la porta di casa.
-È successo qualcosa?- domandò subito preoccupata.
-Ho solo bisogno di un consiglio, sono venuto da te perché credo che tu sia la più indicata avendo tre di quei cosi per casa.
La donna alzò un sopracciglio mentre lo faceva entrare e gli dava delle ciabatte –Parli dei bambini?
-È esattamente quello che ho detto.
Si diressero in soggiorno e qui si sistemarono sul divano, la casa era silenziosa e, prima che Sakusa potesse esprimere quel pensiero, Kaori lo precedette –I ragazzi sono a scuola, non c’è nessuno, puoi parlare tranquillamente.
Kiyoomi annuì, poi andò dritto al punto –Credo che Atsumu voglia un bambino.
-Te l’ha detto?
-No, ma non è stato difficile da capire.
Kaori lo scrutò con lo stesso sguardo che utilizzava lui un po' troppo spesso –Non è un argomento che dovresti affrontare con lui?
-Lo farò- rispose continuando a guardarla, un silenzioso “voglio sapere che ne pensi tu” che aleggiava tra di loro.
-Sarò sincera, Kiyo- sospirò intrecciando le mani e spingendosi in avanti –non penso che tu possa avere un bambino.
Lo stomaco di Kiyoomi si strinse, anche se sapeva benissimo che non poteva essere che quella la risposta, cosa aveva sperato andando da Kaori?
-Ma- continuò lei subito –Non pensavo neanche che saresti mai riuscito ad avere una relazione stabile. Insomma, guardati adesso. Vivi da anni con il ragazzo che ami. Lo baci, lo abbracci e fate sesso. Se qualcuno me lo avesse raccontato solo dieci anni fa gli avrei riso in faccia, eppure eccoci qui.
Kiyoomi s’immobilizzò, incapace di rispondere in alcun modo.
Kaori sospirò –Avere un bambino non sarà facile come avere una relazione ovviamente, non ti mentirò su questo. Ci sono giorni in cui vorrei chiuderli tutti dentro una stanza insonorizzata e buttare la chiave, ma li amo più della mia stessa vita e… ne vale la pena. So che non posso capire cosa si prova ad essere misofobi ma, sai, se tu volessi provarci… non saresti solo. Se dovesse diventare troppo, ci sarebbe sempre Atsumu al tuo fianco.
 
Kiyoomi lasciò il bagno privato della loro camera dopo una lunga doccia e trovò Atsumu già a letto mentre rideva guardando qualcosa sul proprio cellulare.
-Cos’è?- domandò curioso il corvino mentre si sedeva al suo fianco e provava a sbirciare.
-Sunarin fa foto a Naomi con una frequenza non umana, ma guarda che carina!- girò il cellulare verso di lui per mostrargli la bambina con un pigiama peloso a forma di orso.
Sakusa mormorò concorde e Atsumu continuò a sfogliare le foto della sua nipotina con gli occhi luminosi.
Il corvino lo scrutò a lungo, infine chiese –Vuoi un bambino, Atsumu?
Il telefono del suo ragazzo cadde mentre lui strabuzzava gli occhi e si metteva dritto –Cosa?
-Lo vedo il modo in cui guardi Naomi.
-Questo… questo non vuol dire nulla! Lo faccio solo perché è mia nipote!
-Non ti sto accusando, non devi trovare una giustificazione.
Atsumu lo guardò, poi sussurrò pianissimo –Non ti chiederei mai una cosa simile.
-Perché?
-Perché ti amo e so che non vuoi.
-E io ti amo e so che lo vuoi. Perché devi essere sempre tu quello che fa dei sacrifici per me?
Atsumu corrugò la fronte, la sua voce era piatta mentre rispondeva –Avere un bambino non dovrebbe essere un sacrificio.
Sakusa ebbe uno spasmo alla mano e si morse la guancia –Non volevo dire quello. Io… cazzo, non sono bravo in questo.
Atsumu non disse nulla, lasciandogli il tempo di rimettere insieme i suoi pensieri.
-Ascolta…- sospirò infine guardandolo serio negli occhi –se tu vuoi un bambino, se lo vuoi davvero, credo che potrei farcela. Dovrò chiederti di occuparti di cose come cambiargli il pannolino e tenerlo per mano quando tornerà sporco dal parco, alcuni giorni potrei anche non farcela e ti sentirai come un genitore solo, ma ti prometto che ce la metterò tutta.
Atsumu aveva gli occhi lucidi, in un mormorio volle accertarsi –Vuoi avere un bambino con me, Omi?
-Sei l’unico per il quale lo farei.
 
Parlarono a lungo di quell’idea, passarono giorni prima che scrivessero tutti i pro e i contro e decidessero sul da farsi. Pensarono all’adozione e poi alla madre surrogata.
Fu Kaori, la sorella di Omi, a offrirsi di partorirlo con l’inseminazione artificiale. Decisero di prendere quella strada perché lo psicologo di Kiyoomi gli disse che per la sua mente sarebbe stato più facile accettare un bambino nato direttamente all’interno della sua famiglia piuttosto che adottarne uno in orfanotrofio.
Passò più di anno quindi prima della sua nascita e questo servì anche a Sakusa per prepararsi in ogni modo.
Quando il bambino nacque, Atsumu pianse la prima volta che lo prese tra le mani. Sakusa fissò la felicità negli occhi del suo fidanzato e gli venne naturale dire –Kota. Dovrebbe chiamarsi Kota.
Atsumu lo guardò stupito, poi gli sorrise innamorato –sì, è perfetto.
Fu diverse ore dopo che anche Sakusa riuscì a prenderlo tra le braccia. Il bambino era stato lavato, aveva mangiato e adesso stava dormendo tranquillamente, fu solo a quel punto che Atsumu gli chiese se volesse provare a tenerlo.
Kiyoomi esaminò la situazione e si disse che non c’era nulla che lo preoccupava, così lo prese con cautela e lo sistemò per bene tra le sue braccia.
Il fagottino continuò a dormire tranquillo e Sakusa non ebbe alcun tipo di reazione negativa. Anzi, più lo guardava e più si rendeva conto che quello era il suo bambino. Suo e di Atsumu.
Nessuno dei due sapeva ancora che il bambino avrebbe avuto gli occhi e la bocca di Atsumu, ma i capelli ricci e neri tipici della famiglia Sakusa, così come i due nei che gli sarebbero spuntati vicino alla bocca. L’unica cosa che sapevano, al momento, era la più importante: l’avrebbero amato più di ogni altra cosa.

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Capitolo 2
*** Per te, Kota ***


Per te, Kota
 

Sakusa non aveva mai voluto un bambino, ma dal momento in cui aveva tenuto Kota tra le braccia aveva capito che non l’avrebbe più lasciato andare.
Non era stato facile. Non era facile per nessuna famiglia alle prese con il loro primo figlio, ma per loro fu ancora più difficile. Kiyoomi aveva delle limitazioni e questo era stato chiaro fin da subito, Atsumu lo sapeva e, per quanto fosse difficile, non se n’era mai lamentato.
Ogni età di Kota portava a un nuovo problema e, se durante il suo primo anno il bambino non faceva altro che vomitare ogni volta che si metteva a piangere, durante il secondo iniziò a fare i capricci su qualsiasi tipo di cibo. Arrivati a tre anni, sembrava che ormai tutti quei problemi potessero essere lasciati alle spalle, il bambino capiva e parlava bene, andava all’asilo e non gli aveva dato alcun tipo di preoccupazione.
Questo almeno, fino a quando Kota non iniziò ad insistere di volere un animale.
Tutto cominciò quando al parco iniziò a giocare con i cagnolini dei suoi compagni, per poi continuare con i gatti che trovava per strada di ritorno da scuola o quando usciva con i suoi zii e la cuginetta Naomi. Atsumu gli aveva detto più volte che non potevano tenere dentro casa un animale, che doveva limitarsi a giocarci ogni volta che uscivano, ma il bambino sembrava non voler capire.
La situazione andò avanti per altri due anni, fino a quando non esplose un giorno dei suoi cinque anni.
Kota era stato fuori con Bokuto, Akaashi e i loro gemelli. L’avevano appena riaccompagnato a casa ed era stato Atsumu ad aprire la porta agli ospiti.
Sakusa stava finendo di mettere insieme gli onigiri per quella sera con gli ingredienti che gli aveva portato Osamu il giorno prima, quindi non raggiunse gli altri all’ingresso, ma poté tranquillamente sentire le loro conversazioni.
-Mi dispiace- disse Akaashi –ho provato a dirgli di non portarlo, ma ha insistito e non voleva lasciarlo.
Kiyoomi sentì Atsumu sospirare per poi dire ad Akaashi di non preoccuparsi, che se ne sarebbe occupato lui. Chiuse la porta dopo averli salutati e ringraziati nuovamente, per poi parlare con Kota.
-Cos’è quel gatto, Kota?
-Non è bellissimo?- la voce del loro bambino era eccitata –Gli ho fatto una carezza e mi ha seguito per tutto il tragitto! Non potevo non portarlo a casa! Possiamo adottarlo, vero?
-Sai bene che non possiamo- provò a spiegargli Atsumu per la milionesima volta.
-Ma papà- piagnucolò Kota –so che piacciono anche a te gli animali!
-Non è quello il punto, è che non possiamo tenerli a casa, lo sai.
-Ma non è giusto!- urlò allora il bambino –Perché tutti gli altri bambini hanno un animale e io no? Non è giusto!
-Kota adesso basta, sai quali sono le regole.
-Sono delle regole stupide!- urlò ancora il loro bambino ormai in preda alla rabbia –Faccio un sacco di cose per papà Omi! Mi lavo sempre ogni volta che me lo chiede e non porto nessuno dei miei amici a casa, uso sempre il disinfettante a scuola e metto la mascherina quando siamo fuori e ci sono tante persone! Ma lui non fa mai nulla per me! Io lo odio!
Sakusa sussultò, così come sicuramente fece Kota, al forte rumore di Atsumu che sbatteva con violenza il pugno contro uno dei loro mobili.
-Non dire mai più una cosa simile verso tuo padre!- era la prima volta in cinque anni che Atsumu urlava contro loro figlio –Omi ha cambiato tutta la sua vita per te! Come puoi dire che non ha mai fatto nulla nei tuoi confronti? Chi è che ti prepara i bento con dentro il cibo a forma di animaletti ogni singolo giorno che vai all’asilo?
Kota non rispose, Atsumu ruggì –Rispondimi quando ti parlo!
-Papà Omi…- sussurrò a quel punto il bambino con voce tremolante.
-E chi ti ha comprato tutti quei giochi da usare nella vasca da bagno?
-O…Omi…
-Chi ti lascia sempre il pezzo più grande di torta? Chi ti canta la ninnananna ogni volta che hai un incubo e non vuoi più dormire da solo?
Kota non riuscì più a rispondere, ma aveva iniziato a singhiozzare.
-Vai nella tua camera, sei in punizione. E lavati prima le mani visto che hai toccato questo gattino.
Kota corse in bagno per fare quello che il padre gli aveva detto di fare, nello stesso momento Kiyoomi sentì la porta d’ingresso aprirsi e chiudersi, segno che Atsumu era uscito, probabilmente per lasciare in un posto sicuro il gatto che Kota aveva preso.
Kiyoomi lasciò l’onigiri che stava facendo a metà, si pulì le mani e si avviò lungo il corridoio.
Quando il bambino uscì dal bagno, sussultò nell’accorgersi di suo padre. Lo fissò e i suoi occhi rossi di pianto si fecero ancora più lucidi, poi singhiozzò –Papà…
Kiyoomi avrebbe voluto consolarlo, dirgli che aveva ragione ad odiarlo, che era colpa sua se non poteva fare metà delle cose che i suoi coetanei davano per scontato e che gli dispiaceva. Ma non una di queste parole lasciò la sua bocca. L’unica cosa che riuscì a fare fu distogliere lo sguardo per evitare che anche lui iniziasse a piangere, in fondo in che altro modo avrebbe dovuto reagire quando il proprio bambino diceva di odiarlo?
Kota singhiozzò più forte a quella reazione, poi corse a chiudersi in stanza esattamente come gli aveva detto di fare Atsumu.
Sakusa invece raggiunse la loro camera, si mise a letto e si nascose sotto le coperte.
Non seppe dire quanto tempo passò quando Atsumu lo raggiunse, sapeva solo che doveva essere passato parecchio tempo considerando che nella stanza era ormai scesa l’oscurità.
-Ehy- sussurrò il biondo mettendogli una mano in testa e accarezzandogli i ricci –Vieni a cena?
-Non ho fame- borbottò in risposta con voce spezzata.
-Vuoi che ti porti qualcosa qui?
-Voglio che mi lasci da solo.
Sakusa non ce l’aveva con Atsumu e non ce l’aveva neanche con Kota. L’unica persona che doveva incolpare di tutta quella situazione era solo se stesso.
-Guarda che non ti odia davvero- sussurrò Atsumu dopo qualche secondo di totale silenzio –è un bambino, l’ha detto solo nella foga del momento.
-Appunto perché è un bambino ha detto la verità.
-No, Omi, tu non…
Sakusa lo interruppe mettendosi seduto –Mi sono appena reso conto di una cosa.
Atsumu lo fissò confuso e in ansia, il corvino continuò –Mi sono reso conto che dal primo momento in cui abbiamo deciso di averlo, non abbiamo mai pensato a lui, ma solo a me. Ci siamo sempre soffermati su come io avrei vissuto questa situazione, su come io mi sarei sentito. Non abbiamo mai pensato a quello che avrebbe passato lui.
Atsumu iniziò a scuotere la testa, ma Kiyoomi non aveva intenzione di farlo parlare, non voleva essere consolato perché sapeva di aver ragione.
-Tu mi hai scelto, Atsumu. Tu hai scelto di vivere una vita con delle limitazioni insieme a me. Kota non l’ha scelto, l’abbiamo solo costretto a vivere in questo modo. Quel bambino meriterebbe di meglio di un padre come me.
-Smettila!- urlò Atsumu mentre gli afferrava con forza il viso con le mani e lo costringeva a guardarlo negli occhi –Non puoi pensare delle cose simili, Omi non puoi!
Sakusa gli afferrò le mani e le tolse dal proprio viso, poi tornò a stendersi e, con la faccia contro il cuscino borbottò –Andate a cenare.
 
Atsumu si sentiva uno schifo. Si sentiva uno schifo perché aveva urlato contro suo figlio e si sentiva uno schifo perché non era riuscito a fare nulla per impedire che quei pensieri orribili invadessero la mente di Kiyoomi.
-Vieni a mangiare- disse a Kota dopo aver aperto la porta della sua stanza e trovandolo seduto sul bordo del letto con lo sguardo basso.
Il bambino lo seguì senza fiatare, andò a lavarsi le mani in bagno e poi raggiunse la cucina dove si arrampicò sulla sua solita sedia.
Atsumu gli mise davanti un piatto con due onigiri al salmone, che Kiyoomi aveva fatto appositamente per lui conoscendo i suoi gusti.
Kota ne afferrò uno con timore, poi fissò la sedia vuota di Kiyoomi e chiese tentennante –Papà non mangia?
-Non ha fame adesso.
Il viso di Kota si fece più abbattuto e Atsumu dovette distogliere lo sguardo e mordersi l’interno guancia a sangue per evitare di consolarlo. L’aveva messo in punizione per un motivo, Kota non avrebbe capito i suoi errori se lui fosse stato sempre lì, pronto a proteggerlo.
Kota diede tre piccoli morsi al suo onigiri prima di parlare nuovamente.
-Cosa significavano quelle frasi strane che diceva?
Atsumu gli lanciò uno sguardo sorpreso, poi con cautela domandò –Quali frasi?
-Che io non ho scelto e che non mi merita. Cosa significa?
E Atsumu non avrebbe mai potuto spiegare il significato di quella conversazione a suo figlio di cinque anni, così decise di eludere la domanda cambiando argomento –Come hai fatto a sentirle? Non eri in punizione nella tua stanza?
Il volto di Kota si fece completamente rosso, abbassò di nuovo lo sguardo e non disse più nulla.
Atsumu era convinto che quelle due teste ricciolute l’avrebbero ucciso con il loro essere adorabili in qualsiasi situazione.
 
-Papà?
Erano le due di notte quando Kota li raggiunse in camera da letto e li chiamò dopo aver aperto piano la porta. Nessuno dei due stava dormendo, quindi non fu difficile per loro accorgersi di lui.
Sakusa si strinse contro se stesso e Atsumu si voltò verso il bambino –Che succede? Perché non stai dormendo?
-Posso dormire con voi? Per favore?
E per quanto Atsumu si fosse ripromesso di non cedere, Kota che li raggiungeva con gli occhi lucidi alle due di notte fu troppo.
Sospirò e scostò le coperte –Vieni qui.
Il bambino corse veloce e si arrampicò sopra il letto e poi sulle gambe di Atsumu, lo fissò con il labbro che tremava e chiese –Sei ancora arrabbiato con me?
Atsumu cedette del tutto abbracciandolo e baciandogli la testa –Non sono arrabbiato con te, puoi dormire tranquillo.
Kota si strinse a lui, borbottò delle scuse e infine si spostò per mettersi in mezzo ai suoi genitori.
-Papà Omi, posso abbracciarti?- chiese tentennante dopo qualche secondo –Mi sono lavato.
A Sakusa si strinse il cuore, poi mormorò con voce roca –Non hai bisogno di dirmelo, lo so che sei pulito.
Kota si gettò su di lui, stringendosi al suo petto e nascondendo il volto contro la sua spalla, muovendo il volto come un cucciolo in cerca di coccole.
-Non è vero che ti odio- pianse poco dopo –non volevo dirlo- singhiozzò –perdonami, non avercela con me!
Sakusa rispose a quell’abbraccio con forza, rispondendo subito –Non ce l’ho con te, non potrei mai avercela con te.
-E non dire più quelle cose strane- continuò il bambino –io non ho capito cosa volevi dire, però non andartene, io voglio che tu sia il mio papà.
Fu solo a quel punto che Kiyoomi si permise di piangere e Atsumu arrivò alla consapevolezza che finalmente credeva a quelle parole. Nonostante fossero le stesse frasi che gli aveva detto Atsumu fino all’attimo prima per consolarlo, Kiyoomi non voleva sentirle da lui, voleva sentirle da Kota, voleva sentire da lui che li aveva scelti e che nessuno lo stava costringendo a stare insieme, poiché solo a quel punto riuscì a crederci davvero.
Sorrise e si avvicinò ai due per unirsi a quell’abbraccio, sarebbero stati un po' scomodi ma ne sarebbe valsa la pena.
 
Due mesi dopo quell’avvenimento, Sakusa tornò a casa con un gattino grigio tra le braccia.
Il primo a notarlo fu Atsumu. Il biondo fissò incredulo la piccola palla di pelo tra le sue braccia, poi il volto del suo ragazzo e infine di nuovo l’animale.
Non riuscì a dire nulla, cosa che invece fece Kota dopo che anche lui si accorse della situazione –Papà!- urlò –Hai un gatto addosso!
Sakusa rise nel sentire la voce preoccupata del suo bambino, poi si inginocchiò per essere alla sua altezza –Vuoi ancora un animale, vero?
Il bambino fissò con desiderio il gattino grigio tra le sue braccia, poi però alzò lo sguardo e rispose sincero –Non se questo ti fa sentire male.
-Kota, ascoltami bene- Kiyoomi iniziò a parlargli seriamente –sai che non mi piace lo sporco, giusto?
Il bambino annuì diligente.
-E sai che quindi non voglio animali perché loro porterebbero lo sporco da fuori.
-Sì- annuì di nuovo.
-Ma questo gattino è cieco, lui non ci vede. Quindi per questo non può andare fuori, capisci? Si perderebbe o si farebbe male, dovrà sempre rimanere in casa nostra. Ha bisogno di molte più cure dei gattini che hai sempre trovato per strada. Ma se pensi di farcela… vuoi essere suo amico?
Gli occhi di Kota si fecero lucidi mentre tornava ad annuire.
-Dovrai prenderti cura di lui.
-Lo farò!
Kiyoomi gli sorrise, poi gli porse il piccolo gattino grigio che aveva iniziato a svegliarsi e a miagolare.
-So che lo farai, sei sempre bravo a prenderti cura di me nel non sporcarmi, sono sicuro che sarai bravo anche con lui.
Kota lo prese con riverenza, poi iniziò a coccolarlo e a parlargli con tenerezza.
Sakusa si rimise in piedi e portò lo sguardo su Atsumu, sorrise nel vedere la sua espressione sconvolta e commentò –Sembri un’idiota.
-Credo di essere più confuso di Kota.
Kiyoomi lo raggiunse e iniziò a spiegare –Non ho mai preso in considerazione l’idea di prendere un gatto o un cane perché sarebbe stato crudele costringerlo a rimanere in casa. Ma ieri sono andato al centro commerciale e fuori c’era questa postazione dove si poteva donare per aiutare tutti quegli animali con problemi che non riuscirebbero a sopravvivere da soli, cani che sono stati investiti o maltrattati, quelli che sono nati senza una zampa e così anche per i gatti. Sono stato lì almeno un’ora a farmi spiegare tutto e alla fine ho deciso che avrei preso quel gatto. Oggi gli hanno fatto i vaccini, l’hanno lavato da cima a fondo e mi hanno detto che fa i suoi bisogni solo quando riconosce di essere dentro la lettiera. Inoltre, come ho detto a Kota, non potrà lasciare questa casa perché non sopravvivrebbe, quindi non ho nulla di cui preoccuparmi.
Atsumu lo stava fissando con un amore tale da metterlo in imbarazzo anche dopo tutti quegli anni di relazione.
-Sei fenomenale- sussurrò.
Kiyoomi s’imbarazzò ancora di più, poi specificò –Voi fate così tanto per me, anche io voglio fare quello che posso per te e per Kota.
Atsumu eliminò la distanza che li separava e lo baciò profondamente –Ti amo così tanto.
Kota si intromise –Anche io!
Il biondo abbassò lo sguardo con un sorriso, poi lo prese in braccio e chiese –Anche tu cosa?
Kota stava ancora stringendo tra le braccia il suo nuovo gattino, questo si era svegliato e aveva iniziato ad annusarlo e leccarlo –Anche io amo papà. Tutti e due.
Kiyoomi sorrise lasciandogli un bacio in guancia –anche noi ti amiamo- poi si concentrò sul miagolio del gattino –Allora, vogliamo dargli da mangiare? Scommetto che è affamato.
-Sì! Tutti insieme!



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Ed eccoci qui con la seconda parte come promesso!
Ecco, il motivo per cui ho unito queste due OS completamente differenti in due parti è che in entrambe volevo mettere il titolo "per te", questo perché nella prima Sakusa prende una decisione importantissima solo per Atsumu, nella seconda solo per Kota. Kiyoomi fa due cose che non avrebbe mai fatto per nessuno se non per quelle che sono le due persone più importanti della sua vita.
Spero che vi sia piaciuta e sappiate che ovviamente le storie di Kota (soprattutto con la cugina Naomi o gli altri bambini) non finiscono qui, continuate a tenere d'occhio la serie! ;)
Alla prossima,
Deh

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