Contro ogni ragionevole previsione

di crazyfred
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Salve a tutti! Io sono crazyFred. Sono un po' emozionata perché questa è la mia primissima storia originale ed è un salto nel vuoto assurdo ma meraviglioso. Spero che vorrete seguire la storia, che vi possa piacere e soprattutto farmelo sapere nei commenti (anche se non vi piace, eh!XD)
Vorrei invitarvi anche a seguirmi sulla mia pagina Facebook, se vi va, dove troverete altri miei lavori. EDIT: Ora che la storia è avviata, a chi si approccia solo adesso alla lettura, permettete un consiglio da parte mia: insieme al prologo, credo sia necessario leggere anche il primo capitolo per avere una valutazione d'insieme migliore. BUONA LETTURA!
 








Prologo


Alessandro Bonelli. 45 anni. Editore e direttore creativo di RomaGlam. Ha fondato la sua rivista online prima ancora che le riviste online fossero mainstream, quando nessuno ci avrebbe scommesso sopra un centesimo. Quello che era di tendenza nella capitale lo decidevano lui e il suo team prima ancora che i romani sapessero di volerlo. Loro non raccontavano le mode, gli stili: loro li creavano. Oltre i semplici reporter di serate e mostre, più degli influencer che spuntavano quotidianamente riempiendo spazi inutili nei social con i loro piazzamenti di prodotti e il racconto delle loro vite viziate e vuote.
Appartamento duplex in un edificio signorile del quartiere Prati, era nato a Testaccio tra gli operai e i banchi del mercato rionale. Si è fatto da solo era la frase che più ricorreva tra la gente del bel mondo quando si parlava di lui. I genitori, gente semplice, si erano fatti in quattro per farlo studiare e la sua grande ambizione aveva fatto il resto. Arrivato fino ad Oslo in una rivista per uomini dopo gli studi, lì aveva acquisito la sua filosofia lavorativa: niente cognomi, niente lei, solo nomi e un informale tu per far essere tutti contenti e alla pari.
Alex, così lo chiamavano i suoi colleghi, era uno sportivo, amava andare in moto e nuotare, ma con il suo lavoro e i ritmi che la vita mondana gli imponeva finiva sempre su un tapis roulant in una palestra troppo piena di gente e il massimo dello sport all'aria aperta era un doppio al Tennis Club tra un meeting e l'altro. Romanista, sfoggiava un abbonamento di rappresentanza in Tribuna Monte Mario, ma non sapeva resistere al richiamo dei cori e dei compagni del quartiere d'infanzia in curva Sud e, se qualcuno lo beccava con le mani nel sacco, dava la colpa a suo figlio a cui il calcio nemmeno piaceva.
Già … la famiglia: sposato con Claudia, conosciuta l'ultimo anno d'università, avevano avuto Edoardo, 15 anni, e Giulia, 5 anni. Da fuori, la famiglia del Mulino Bianco.
 
Maya Alberici. 30 anni. Assistente personale di Alex. Nata tra gli agi e i comfort di un villino liberty dei Parioli, aveva avuto dalla vita tutto quello che la mente può desiderare e i soldi comprare. Fino a 20 anni. Suo padre, infatti, imprenditore - quando era bambina aveva notato che tutti papà delle sue amichette avevano questa strana, incomprensibile qualifica - aveva improvvisamente abbandonato il mondo dei vivi lasciando alla sua famiglia solo un mucchio di debiti infiocchettati dal loro buon nome; per ripagarli, assieme a sua madre e ai suoi fratelli, era stata costretta a vendere tutto. Ma Maya, al suo stile di vita, non poteva rinunciare.
Alta, longilinea, gambe chilometriche, pelle di porcellana, capelli perfetti, sapeva di essere bella e lo dava a vedere; eppure questo non la rendeva molto desiderabile: era una ragazza socievole e amante della compagnia, altezzosa ma solo per deformazione familiare, la sua normalità era quello che molti altri si permettevano come stravaganza di una sera. Chi era nel suo giro ed era cresciuto con lei la vedeva come una sorella o un'amica, chi la conosceva per la prima volta, scappava appena entrava nel suo giro.
Era stata costretta a mettere a frutto la sua laurea in Scienze della Comunicazione presa tanto per passare il tempo, tra un selfie e l'altro, tra una gita in barca d'estate e una discesa sulle piste a Courchevel d'inverno, in attesa di capire cosa fare della sua vita. Pensò che lavorare in una rivista di lifestyle fosse il miglior compromesso possibile, lei che era stata educata nelle migliori scuole e conosceva l'inglese e il francese come un madrelingua e aveva gli agganci giusti in tutti i posti giusti.
 
Quando Alessandro l'aveva assunta, oltre al suo aspetto patinato, aveva notato la sua classe e il suo buon gusto, oltre a una sensibilità e intelligenza nascoste, ma scalpitanti e volenterose di venire fuori. Forse nemmeno Maya si rendeva conto, all'epoca, che razza di diamante grezzo fosse. Alex però, che nello scoprire talenti era un segugio infallibile, non se l'era fatta sfuggire.


 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***







Capitolo 1

 
Ricominciare a lavorare dopo una pausa è sempre traumatico. Dopo le ferie estive lo è ancora di più: i viaggi, le serate in discoteca, i pranzi in barca ormeggiati davanti a qualche isolotto roccioso per avere quel post sui social che fa tanto parvenu ma che comunque fa crepare tutti di invidia. Ricominciare a lavorare il 30 di Agosto, passando dal sole dell'Ultima Spiaggia alla pioggia su via Cristoforo Colombo, incolonnati al semaforo, aveva quel certo non so che di punizione divina che faceva riconsiderare la propria condotta estiva. Come se non fosse abbastanza, Maya quella mattina era anche in ritardo. Nonostante la sveglia, non era riuscita a uscire dalla doccia in tempi decenti e la soluzione era scegliere tra l'essere in orario o uscire di casa senza trucco: così ora si ritrovava nella sua Smart con il led del telefono che lampeggiava minaccioso.
Risolse che leggere i messaggi, che sicuramente arrivavano dall'ufficio, le avrebbe messo ancora più ansia, così coprì l'iPhone, buttato sul sedile passeggeri alla rinfusa insieme alle chiavi, con la borsa a mano che usava come cartella. No, lei non sarebbe mai andata in giro con una ventiquattrore o un portadocumenti. Una Birkin, astuccio per il trucco e un tablet era tutto il nécessaire per la sua giornata di lavoro.
Parcheggiata l'auto nel parcheggio sotterraneo, preso l'ascensore al volo e timbrato il badge, sfrecciò nei corridoi della redazione per raggiungere la sua scrivania, nell'anticamera dell'ufficio di Alex, il capo. Sull'uscio trovò Alice, addetta alla reception, che usciva sconsolata.
"Maya Alberici" la riproverò, provando ad urlarle contro con un filo di voce "ti sembra l'ora di presentarsi a lavoro?!"
Era coetanea di Maya, eppure la scambiavano tutti puntualmente per qualche liceale impegnata in qualche progetto scolastico o per l'alternanza scuola-lavoro. Una volta qualcuno le aveva chiesto se per caso fosse la ragazza di Edo, il figlio di Bonelli. Lei ormai ci aveva fatto il callo. Piccolina, capelli corvini tirati su sempre alla stessa maniera con delle fasce vintage, grandi occhiali da vista neri che nascondevano i suoi occhi color cioccolato e lo sguardo dolce ma vispo. Abbigliamento stile hipster andante, amante dei colori sgargianti e delle fantasie un po' bambinesche.
"Non dirmi niente Alice, lo so … ho trovato un traffico pazzesco" non era l'unica ragione, ma a Roma quella del traffico era sempre valida, pensò.
"Eh ma proprio oggi porca miseria, Maya!"
Il rientro era traumatico per tutti, ne conveniva, ma cosa poteva esserci di tanto catastrofico?! A meno che …
"Oh no …" "Oh sì" "Cazzo …"
Era arrivato in anticipo e non le aveva detto niente. Era abitudine dopo qualsiasi vacanza o ponte o weekend che Alex non arrivasse a lavoro prima delle 10.30. Jet lag e riorganizzazione familiare, le motivazioni ufficiali. Erano le 9.30 di lunedì 30 Agosto, lei era in ritardo e lui era in anticipo, grandioso. "Quando è arrivato gli ho detto che stavi parcheggiando e saresti stata su in cinque minuti … ma è passata mezzora!!!" "Augurami buona fortuna" chiese ad Alice, mentre tirava a sé la porta a vetro dell'ufficio "Condoglianze!" le rispose la ragazza, strizzando l'occhio e saltellando via.

"Maya!!!"
Al primo colpetto di tacco 12 sul parquet dell'ufficio la voce del capo rimbombò nell'anticamera. Poggiato tutto in fretta e furia sulla scrivania, corse nel suo ufficio imbracciando il tablet. "Buongiorno Alex, ben trovato! Passato delle buone vacanze?" la tecnica migliore in questi casi era sempre la dissimulazione, la cortesia, il fingere che vada tutto bene, in tre parole: rigirare la frittata. Lo conosceva come una persona amichevole, disponibile e ragionevole, non c'era motivo perché non dovesse farle passare un ritardo. Sì, è vero che ce n'erano stati altri, ma in cinque anni si contavano sulla punta delle dita e tutti ampiamenti giustificati.
"I cinque minuti più lunghi della storia … mezzora hai impiegato per parcheggiare, dov'è che hai trovato parcheggio? A Laurentina?" "Scusami, veramente … c'era tantissimo traffico" Alex sbuffò, alzando gli occhi al cielo e dando le spalle a Maya con la sua poltrona girevole. Tra i due, sinceramente, pensò Maya, era lei l'unica autorizzata a sbuffare. Un cazzo di sgarro all'anno e rompeva proprio il giorno del rientro. Inoltre, a dirla tutta, tacito accordo prevedeva che l'assistente personale conoscesse ogni spostamento del proprio superiore per poterne anticipare le mosse, e lui con queste improvvisate non collaborava di certo.
"Senti, gli inserzionisti secondo la mia to do list della giornata dovrebbero essere già arrivati per il meeting, sento Alice e li faccio salire in sala riunioni" "No, hanno chiamato, hanno spostato la riunione nel pomeriggio. Alice era proprio qui per questo. Ti sei salvata" le disse, pacato ma ancora di spalle, guardando piazza Marconi e l'obelisco. Quando faceva così, di solito aveva problemi che niente avevano a che fare con il lavoro. Maya poté tirare un sospiro di sollievo. Chai Latte alla cannella e muffin di Bakery House - senza dirgli che venivano da Bakery House - lo rimettevano al mondo più di quei beveroni organici e salutisti che si ostinava a spacciare per caffè ma che al gusto sembravano più caffè d'orzo bruciato.
"Cos'altro dice la tua tabella di marcia per la giornata?"
Stava perculando la sua precisione, e non in maniera spiritosa. Maya era rimasta spiazzata da questo suo comportamento lunatico e totalmente out of character che Alex fu costretto a girarsi e schioccare le dita un paio di volte per richiamare l'attenzione della sua assistente
"Uè Maya, sei tra noi questa mattina o dobbiamo ancora svegliarci? Su, forza!" "Ehm, sì, scusa. Se il meeting è spostato a questo pomeriggio allora direi che abbiamo tempo per un briefing, così rivediamo tutto quello che hai da fare questo mese, prima della riunione alle 11 in contabilità. Che ne dici?"
L'unico modo che aveva per recuperare era mostrarsi competente, propositiva e forte del suo spirito pratico unito ad una dose di naturale intuito femminile.
"Va bene, ma prima vai a prendermi quel tè alla cannella da Bakery House" "Prego?" "Secondo te non me ne accorgo che mi fai bere quella porcheria?" confessò, ridendo "Ma è una di quelle porcherie che fa stare bene, tipo la Nutella, e oggi ne ho bisogno. Ogni tanto capita anche ai migliori di avere voglie da ragazzini"
Sì, si considerava un migliore. Forse qualcuno lo avrebbe giudicato spregiudicato e spocchioso, ma ne aveva ben donde visto cosa era riuscito a costruire da zero. Non era facile a Roma, dove tanti figli di papà e leccapiedi raccomandati riuscivano a emergere senza arte né parte solo grazie ad affiliazioni politiche o tesoretti di famiglia. E Maya lo ammirava per questo: lei lavorava per necessità ma ne avrebbe fatto volentieri a meno; lui amava il suo lavoro e se lei avesse avuto anche solo un quinto della passione che ci metteva Alex, probabilmente sarebbe stata seduta dietro una scrivania e non certo per rispondere a un telefono oppure organizzare l'agenda di un superiore. Ma, in fin dei conti, non le interessava più di tanto: sarebbero state delle ulteriori, inutili responsabilità per lei che vedeva quell'impiego solo come una soluzione temporanea per pagare l'affitto e le vacanze in attesa di qualcuno da sposare e con cui poter fare la vita da signora. Ma, in attesa, mentre passava da un caso umano all'altro, era bloccata in quell'ufficio ad ordinare caffè e mandare completi in tintoria.
"Meglio così" decretò la ragazza, guardando al lato positivo "almeno non devo più fare travasi".
Alex le riservò un sorriso insolente, di sfida, divertito evidentemente dalla schiettezza della ragazza, ma altrettanto schiettamente la invitò a uscire dallo studio con un ampio gesto della mano. Mentre Maya si preparava per andare a prendere la colazione non poté fare a meno di sbirciare verso lo studio, la cui porta aveva lasciato socchiusa andando via come faceva sempre. Che lui se ne rendesse conto poco importava, non aveva mai opposto resistenza o rimostranze. Non era una spiona o una ficcanaso, ma aveva preso l'abitudine di assicurarsi, di tanto in tanto, che fosse tutto apposto prima di uscire per essere sempre un passo avanti alle necessità del suo datore di lavoro: le bastava uno sguardo, il più delle volte, per capire se fosse il caso di delegare qualcuno e restare in ufficio o aggiungere qualcos'altro alla lista delle commissioni. Era seduto alla scrivania, il volto corrucciato e con la mano si massaggiava la fronte, come chi rimugina a lungo su qualcosa e non riesce a venirne a capo. "Francesco non puoi capire" riuscì a carpire, aiutandosi con il labiale. Alessandro era al telefono con il suo avvocato e amico di allenamenti. Un tipo aitante e dalla parlantina facile e sciolta, ma con poco sale in zucca secondo il suo modestissimo parere; Maya lo aveva conosciuto in situazioni prettamente lavorative ma, per quel poco che ci aveva avuto a che fare, aveva difficoltà a capire cosa potesse uno come Bonelli avere da spartire con lui. Sì, era un principe del foro, brillante nel suo lavoro, ma le sue qualità finivano lì. Un pallone gonfiato senza pari, pronto a fare lo splendido ad ogni occasione.
Alzatosi di scatto, non riusciva più a capire cosa dicesse né voleva, francamente: soprattutto se, come le sembrava, si trattava di fatti privati. C'era un limite nel suo lavoro e quel limite invalicabile era la sfera personale. Conosceva la moglie del suo capo e qualche volta aveva visto i suoi figli, en passant, durante quelle noiosissime cene aziendali natalizie in cui erano ammessi i bambini. Forse per un paio di volte aveva anche acquistato dei regali oppure ordinato dei fiori per gli anniversari, ma aveva sempre messo in chiaro che era un extra e non rientrava nelle sue competenze fargli da colf. Quello non era Il Diavolo Veste Prada, Alex non era Miranda Priestley e lei di certo non era disposta a fare la fine di Andrea ed Emily. Timbrato il cartellino, se ne sarebbe riparlato il giorno dopo.
Per questo motivo, Maya girò i tacchi e uscì dallo studio, direzione Bakery House.
 
L'effetto benefico del veloce scambio scherzoso tra i due al suo arrivo, che sembrava aver disteso la tensione in ufficio, era durato il tempo per Maya di tornare con il chai latte. E non era bastata nemmeno la fine della giornata a far andare via quel nuvolone nero di malumore che si era posato su tutta la redazione. Quando Bonelli era di cattivo umore - e capitava veramente di rado, era uno di quelli che credeva fermamente nel lasciare a casa i problemi - finivano con esserlo tutti. Era un po' come quando ci si sveglia con il mal di testa e tutto il corpo ne risente; del resto, lui era il capo e tutti gli altri erano le altri parti del corpo che lavoravano al suo comando: chi gli arti, chi gli organi; ma nessuno si muoveva senza il suo benestare. Difatti, meno era trattabile e meno gli altri erano capaci di lavorare in autonomia. Maya, che era la persona a più stretto contatto con lui, era anche quella che, inevitabilmente, subiva il peggio di quelle giornate nere. Perché la linea interna era in fiamme per ricevere ordini e lamentele e su di lei tutti riversavano le loro frustrazioni per il capo fuori di testa o per le incompetenze dello staff che lui stesso aveva selezionato.
Lei ormai, dopo cinque anni, ci aveva fatto le ossa. Un analgesico contro il mal di testa e passava ogni paura. Aveva anche imparato ad avere un udito selettivo. Le lamentele le filtrava, passandole totalmente inosservate, come se non fossero mai state pronunciate: lo sapeva bene che, non appena fosse passata ogni angustia, avrebbe dovuto ordinare un brunch a buffet di scuse per tutta la redazione.
Intanto, per essere il primo giorno di lavoro dopo le ferie, non era andata affatto male: tutto quello che non doveva succedere era successo. Lei era arrivata in ritardo, lui aveva sgamato che gli aveva sostituito i biberoni organici con una schifezza americana, in contabilità avevano fatto un casino con la relazione del bilancio trimestrale e, grazie al suo splendido umore, Alex aveva fatto saltare il contratto con un grosso inserzionista. Tra una tragedia greca e l'altra c'era stato solo il tempo di una sigaretta e un panino al volo sulle scale antincendio con Alice, di cui per una volta riuscì ad apprezzare i racconti delle sue vacanze estive sfigatelle sulla riviera romagnola, sempre nello stesso alberghetto, sempre il solito stabilimento balneare. Niente serate al Papeete, niente cene di pesce al Caminetto di Milano Marittima. Solo piadine e giri in risciò con gli amici. Il massimo della trasgressione era andare a ballare il Lindy Hop vestiti in stile anni '50 (e facendosi anche acconciare i capelli!!!) sulla rotonda sul mare a Senigallia al Summer Jamboree. Una tristezza infinita. Quella tiritera annuale era un supplizio che tentava di rifuggire come la morte, ma in quelle circostanze era stata un sollievo per spegnere il cervello da tutte le informazioni che aveva assimilato e non era sicura di riuscire a trattenere.
 
"Maya!"
Alex stava in piedi di fronte alla sua scrivania - una novità assoluta, lui pronto per andare via prima di tutti, ben prima della chiusura delle pagine da mandare online il giorno dopo. Essendo una rivista online non esisteva un vero e proprio menabò, ma in quanto direttore e coordinatore di progetto, ogni cosa che finiva sul sito doveva passare per le mani di Alex. Ed Alex aveva una mania assurda e paradossale per il fondatore di una rivista digitale: tutto quello che veniva pubblicato doveva essere stampato. Diceva che gli articoli aveva bisogno di sentirli, oltre che di leggerli. Maya la trovava una cosa assurda: erano una rivista di lifestyle, non esattamente il Times o Nature. Ma lui le pagava lo stipendio e così obbediva.
"Gli articoli di domani"
Niente per favore. Prese un respiro profondo: per oggi doveva farselo andare bene, era già tanto che non la liquidasse con un ehi tu! A lei non era andata tanto male, in fin dei conti. I ragazzi della redazione avevano dovuto fare i salti mortali perché aveva richiesto che tutto il lavoro venisse consegnato un'ora prima. Inoltre, se lui andava via in anticipo, poteva tagliare la corda prima. Le ultime parole famose.
"Ho un mucchio di corrispondenza accumulata, ci pensi tu? Non posso proprio oggi"
"Non ti preoccupare, è il mio lavoro" rispose gentile, girata di spalle mentre aspettava che la stampante finisse il suo lavoro. Ma dentro ribolliva. Addio sogni di gloria di un'uscita anticipata. Era categorica con sé stessa di non portare mai a casa il lavoro e così, spesso, finiva col fare compagnia all'impresa di pulizie che arrivava a fine giornata a rimettere in ordine la redazione.
Tendendo il plico di fogli al suo capo, l'uomo, mancino, le porse la mano sinistra. Seppure distrattamente, a Maya cadde lo sguardo sulla mano dell'uomo. Non era di quelle mani eleganti da musicista che cercava disperatamente in ogni uomo, eppure, come tutto in Alessandro, aveva fascino. Dita lunghe e nodose, i polpastrelli più pronunciati, erano comunque le mani curate di una persona che limitava la sua manualità alla tastiera di un computer o alla pratica sportiva. Quello che però non passò inosservato a Maya era l'assenza, sull'anulare, della fede. Quell'anello d'oro giallo, pur nella sua semplicità, era un cruccio per Maya. Non sapeva spiegarne il motivo, ma una mano maschile con la fede, per lei, era incredibilmente affascinante. Neanche guardava i visi, non c'entrava nulla l'attrazione per questa o quella persona, una fede maschile era il suo personalissimo tallone d'Achille. E ad Alex donava particolarmente. Strano che, dopo tutta la giornata trascorsa fianco a fianco c'avesse fatto caso solo in quel momento, ma Maya risolse che erano stati talmente presi dal lavoro per rendersi conto di quanto accadeva intorno a loro. Certo, potevano esserci mille motivi per quella assenza. Poteva averlo perso in vacanza, poteva essersi rotto, allentato, poteva persino averlo portato in oreficeria a farlo rilucidare. Eppure c'era una vocina nella sua testa che le diceva che quel malumore, quel volto accigliato al telefono con il suo avvocato, i suoi modi bruschi, potevano avere a che fare con l'anulare nudo.
Alex, fortunatamente, non si era accorto di questa sua epifania e, presi i fogli, la lasciò al suo lavoro.
 
A fine giornata, guardando fuori dalla finestra, la giovane si rese conto che il temporale, dopo la piccola tregua di mezzogiorno, aveva lasciato finalmente e definitivamente spazio ad un tramonto di quelli romani, quelli meravigliosi, quelli che finiscono impilati nelle colonnine girevoli dei negozi di souvenir del centro, stampati sulle cartoline, dove il giallo, il rosso e il blu cedevano il posto l'uno all'altro, gradualmente, con sfumature violacee e rosate laddove le nuvole, basse e sparse, schermavano e attutivano la luce solare calante. Si massaggiò la schiena, staccandola dallo schienale della sedia mentre finalmente spegneva il computer. Aveva solo voglia di mettersi a cavallo della sua auto, sfrecciare verso casa se il traffico glielo avesse concesso e calarsi nella sua vasca da bagno, con una maschera rinfrescante per il viso, un bicchiere di vino e un po' di musica lounge di sottofondo. La sua giornata, così, poteva dirsi veramente conclusa. Non conosceva miglior dito medio per quella vita di merda che era costretta a fare da quando il suo castello di carte era crollato, sarebbe a dire da quando suo padre, morendo, aveva lasciato lei, sua madre e i suoi fratelli, in un mare di debiti e con tutti i loro progetti di vita ancora in sospeso. Non glielo aveva mai perdonato, anche se è difficile potersela prendere con un morto. Lei era fatta per organizzare eventi, vernissage, al massimo aste di beneficenza ed intrattenere ospiti, non per stare dietro alla giornata di qualcun altro. Ci si vedeva benissimo invece con una P.A. tutta sua e un'agenda piena, pronta a dare ordini a destra e a manca, magari facendo la stronza spacciandola per autorevolezza.
Miracolosamente, quella sera, riuscì a parcheggiare la sua auto poco lontano da casa e si fermò nel forno proprio al pianterreno del suo stabile per prendere un vassoietto con qualche pizza. Era in grado di spadellare qualcosa di veramente basic per assicurarsi la sopravvivenza e non avvelenare nessuno, ma in casa, tornata last minute dall'Argentario, c'erano solo confezioni di caffè e salatini e non aveva voglia di mettersi a spingere un carrello in tailleur e tacchi con la cassiera che ti sta col fiato sul collo perché sono le 8 meno 5 e deve tornare a casa dai pupi. Rientrata, chiuse la porta di casa a doppia mandata, posando il vassoio sul tavolo da pranzo e lanciando letteralmente le scarpe nel piccolo soggiorno del suo bilocale: concentrata com'era solo sulla vasca e sull'acqua calda che l'aspettavano, una finì sul divanetto, l'altra nel centro della stanza,. Non ci badò; tanto per cambiare, non aspettava nessuno.



 
Qui crazyFred, a rapporto. Con le mani che mi tremano per l'emozione vi propongo questo primo capitolo. Spero che vorrete lasciarmi un feedback dopo la lettura. Vi ricordo l'appuntamento con il prossimo capitolo, venerdì prossimo.
Per seguire tutti gli aggiornamenti su questa e altre storie vi rinvio sulla mia pagina Facebook, se vi va.
A presto!

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


 





Capitolo 2


 
La settimana era andata avanti con alti e bassi. Più bassi che alti. Un momento Alex era il boss cordiale di sempre, il resto della giornata era freddo e scostante, pronto a criticare ogni decisione e iniziativa. La mattina Maya arrivava in studio - puntuale, anzi addirittura in anticipo, tanto per stare sicura - quasi in punta di piedi, per paura di trovarlo già alla scrivania irritato e contrariarlo ulteriormente. Neanche la sua colazione preferita sembrava più ad addolcirlo. Anzi, arrivato al giovedì, era tornato a pretendere i suoi caffè alternativi biologici che sapevano sempre e comunque di … normalissimo caffè. Maya ne era convinta: parte del cattivo umore, partiva da lì. L'altra parte, invece, in quella fede che ancora mancava al suo anulare sinistro.
Finalmente era arrivato il venerdì. Era il giorno della settimana che Maya preferiva: più del sabato, che era riservato al restauro personale e alle pulizie in casa, il venerdì era per lei il giorno più produttivo. Lavorava straordinariamente di buon umore, in attesa che scoccasse l'ora x per mandare tutti a quel paese e correre a casa a prepararsi. Il venerdì sera c'era la serata con gli amici, quella che, a differenza del sabato, manteneva ancora un po' di contegno morale. Il sabato sera, invece, era lo svacco totale e la perdita di ogni dignità.
Arrivato Alessandro in ufficio, come sempre di buon ora, vedendolo sfilare e riporre la giacca del completo davanti al guardaroba, la giovane buttò l'occhio sulla mano ed era ancora senza fede. Non erano fatti suoi e certo non avrebbe fatto domande, ma era inevitabile chiedersi se per caso non fosse successo qualcosa. Per un attimo ebbe la tentazione di domandare ad Alice, gli occhi e le orecchie della redazione, ma risolse che, se fosse stata all'oscuro anche lei, avrebbe alimentato un fuoco assolutamente inutile, buono solo a scatenare quegli sciacalli di Stefano e Lisa, rispettivamente vicedirettore e caposervizi nella sezione food. Eccellenti nelle proprie competenze, avevano però un'incredibile intolleranza verso la subordinazione, in particolar modo nei confronti di Alessandro che era più giovane di loro. Secondo Alice - che era il più recente acquisto della compagnia eppure conosceva peste e corna di ognuno di loro - erano stati assunti per la loro esperienza, riassorbiti da quotidiani locali che, con la crisi della stampa, avevano finito col chiudere i battenti. Eppure, a differenza del direttore, non erano abbastanza lungimiranti, convinti che un giornale andasse comunque stampato e venduto nelle edicole, nonostante la carta stampata fosse stata la causa del loro precedente licenziamento. Un cenno di fragilità di Alex ed avrebbero iniziato a volteggiare intorno a lui come degli avvoltoi. Lo avevano fatto quando Alex si era preso qualche settimana di aspettativa per stare vicino al padre infartuato, non ci avrebbero messo niente a farlo con una crisi coniugale. Lei non glielo avrebbe permesso.

A mezzogiorno, di ritorno dalla riunione di redazione, Alex convocò Maya nel suo ufficio. La settimana successiva si sarebbe tenuta, come ogni anno, una festa di inizio anno, per motivare e rinsaldare i rapporti di tutto il personale dopo l'estate. Maya non era una grande fan di queste riunioni, specialmente perché, a causa del suo ruolo, non era davvero parte integrante della redazione. Lei passava tutta la giornata in quegli uffici, ma non era parte dell'ingranaggio, lavorava per il capo e non l'avevano mai veramente fatta sentire parte del gruppo. D'altro canto però, forse era anche colpa sua: nessuno di loro era parte del suo mondo e, ogni giorno, c'era sempre qualcosa che faceva o diceva che finiva per ricordarlo. L'unica che le dava corda era Alice, ma forse perché, come lei, se ne stava dietro al bancone della reception, rispondendo alle telefonate e prendendo appunti: come lei, era una voce al telefono e una presenza vaga, più che una persona con cui relazionarsi.
Alex lasciava l'incombenza dell'organizzazione dell'evento a Stefano, il suo vice, ma l'imprimatur sui dettagli spettava naturalmente a lui. Maya aveva ricevuto via email il tableau dei tavoli e lo porse ad Alex, seduto nella piccola area living del suo studio. Erano tre fogli, in cui erano stati ripartiti i sette tavoli da dieci dove avrebbe preso posto il personale della rivista ed eventuali accompagnatori, ma li sfogliava freneticamente come fossero stati in cinquanta, la mano davanti alla bocca e lo sguardo accigliato.
"Dobbiamo fare qualche modifica" disse, inquieto, indicandole il divano di fronte a lui.
Accomodatasi, Maya gli porse penna ed evidenziatore e si pose in ascolto di ogni eventuale indicazione. Era ammirata da come riuscisse a tenere conto di ogni esigenza dei suoi dipendenti e cercasse di rispettarle. Voleva che tutti fossero contenti, e non solo per una serata, perché era fondamentale che si lavorasse bene per tutto il resto dell'anno.
"… e poi bisogna spostare Lisa al mio tavolo" annunciò.
"Lisa?"
"Sì, lo so cosa stai per dirmi … che lo prenderà come un premio o una promozione e sta sempre in agguato, ma è l'unica non accompagnata che possiamo mettere al mio tavolo senza cambiare granché"
"Non è per quello" non solo "è che il tuo tavolo è già completo"
"Non se togli mia moglie."
"Ah! Devo togliere tua moglie? Non viene?"
"Direi proprio di no…" commentò l'uomo a denti stretti.
Non voleva indagare, né fargli capire che aveva intuito qualcosa, così pensò di uscirne facendo la brillante.
"Sei sicuro?"
"Certo che sì"
"Però poi non fate come l'anno scorso" esclamò sarcastica "che all'ultimo minuto per farle posto abbiamo dovuto sbarcare quel poveretto di Maurizio al tavolo della contabilità"
Fortuna che il grafico era un tipo molto socievole e tra nerd si intendevano perfettamente.
Del resto, lo sapevano anche le pareti di RomaGlam che Claudia, la moglie di Alessandro, non amava particolarmente mischiarsi con i dipendenti di suoi marito. Presenziare a serate di gala e premiazioni era una cosa, socializzare nei pranzi aziendali un'altra. La signora Bonelli era un po' come lei, e forse era per questo che, a naso, non le diceva nulla di buono, perché chi è troppo simile finisce per cozzare. Se la immaginava cresciuta in una di quelle villette immacolate della Piccola Londra al Flaminio, figlia di un dirigente pubblico, iscritta alla scuola francese e studi di architettura senza aver mai praticato la professione. Queste erano le vibrazioni che emanava quando era al cospetto di quella figura diafana, bionda e con gli occhi così chiari da sembrare trasparenti. Bella era bella, nessuno avrebbe potuto dire il contrario, ma algida come poche. Non era molto alta, non quanto lei, eppure riusciva a farla sentire minuscola ed inadeguata comunque. L'aveva vista ridere, per cortesia, sì e no una decina di volte. L'unico sorriso sincero, glielo aveva visto fare durante una visita in ufficio con la bambina che in braccio al papà faceva delle facce buffe. Quella era l'unica prova che avesse un cuore di carne e non uno di ghiaccio.
"Guarda, fai un po' come vuoi …" troncò Alessandro, stizzito "anzi fai così, visto che sei tanto brava … se riesci a riportarla a casa magari ci viene pure"
Maya rimase di sasso. Di tante teorie che la sua mente poteva aver concepito, questa era la più remota. Non si erano semplicemente lasciati. Oh no!, lei aveva fatto armi e bagagli e, a giudicare dal comportamento di lui, probabilmente senza alcun preavviso.
Il suo sguardo per un istante incrociò quello di Alex che, ad occhi sgranati, passava dall'incazzato allo sconcertato al mortificato. Per un attimo, uno solo, era come se quella persona che le stava davanti non fosse il suo datore di lavoro, bensì la sua versione privata. E non erano quelli i patti. C'era un confine invalicabile e lo avevano appena varcato. Era come se, anche solo per un nano secondo, gli avesse aperto il suo mondo. Maya sentì avvampare.
Abbassò in fretta il capo, fingendo di appuntare qualcosa sull'agendina: non riusciva a sostenerlo. Con gli occhi fissi sui fogli bianchi, la mano stretta attorno alla penna che cercava di non tremare, sentiva un piede di Alex tamburellare ritmicamente sul pavimento. Lo poteva figurare benissimo. La sua camicia bianca immacolata, senza cravatta, le maniche arrotolate, Alex se ne stava sulla poltroncina Eames girevole, curvo, magari una mano davanti alla bocca, frenandosi dal mangiucchiare le unghie, focalizzato sul tableau per riguadagnare la concentrazione o far finta che lei non fosse nella stanza con lui.
All'improvviso vide con la coda degli occhi i fogli finire sul tavolino di fronte a lei violentemente e lui alzarsi.
"Maya … senti, per favore, vai in pausa" le disse, lapidario, di spalle, rovistando sulla sua scrivania "qui finisco io".



 
 

Ciao a tutti! Innanzi tutto vorrei ringraziarvi per le tantissime recensioni. Se non avete trovato una risposta, non preoccupatevi, mi impegno solennemente a rispondere un grazie a ciascuno di voi, appena ho un po' di tempo.
Eccoci con un nuovo capitolo: oggi iniziamo ad inquadrare un po' quale sia la situazione in casa Bonelli e quindi capiamo cosa affligge il povero Alex da farlo diventare così burbero e scostante. Il capitolo originale era stato pensato come molto più lungo. Ho preferito lasciarvi con un po' di suspence. Cosa succederà adesso? Non vi resta che venire a scoprirlo tra una settimana ahahha!!
Vi ricordo che potete venire a trovarmi su Facebook e vi invito a lasciare anche il minimo commentino qui: per chi scrive è importantissimo sapere anche quando e dove sbaglia.

A presto, 
crazy Fred ^_^
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***





 
Capitolo 3

 
Scesa per strada, Maya prese una grossa boccata d'aria. Era una bellissima giornata di fine estate, calda, senza una nuvola in cielo. Sulla strada principale il traffico e i clacson scorrevano abituali, ormai totalmente parte dell'ordine naturale delle cose che nemmeno ci si faceva più caso. Prese una strada laterale per dirigersi verso un piccolo bar che all'ora di pranzo si trasformava in bistrot. Avrebbe preso un'insalata e un caffè, come sempre, e sarebbe tornata al lavoro, pregando che nel frattempo Alex fosse andato in pausa pranzo e non avrebbe dovuto incontrarlo. Non era stata strigliata, ma il fatto che avesse provocato, con la sua battuta, una situazione di tale imbarazzo tra di loro, l'aveva decisamente stordita.
Ma il bistrot era ancora affollato per l'aperitivo così, ricordandosi di aver finito le sigarette, cambiò programma e si diresse verso il tabacchino più vicino.
"Un pacchetto di Marlboro Rosse, per favore."
Lei era più tipa da Philip Morris, ma aveva bisogno di lasciarsi andare un po' e sentire il sapore forte e avvolgente delle rosse più note, oltre che il loro bel colpo in gola ad ogni tiro.
"Sarebbe meglio se la smettessi con quella porcheria" le intimò una voce alle sue spalle, con un tono leggermente sarcastico "sei giovane e ti fa male." Era Alex.
A parte che sono cazzi miei, avrebbe voluto rispondergli. Ma poi cosa ci faceva già fuori dall'ufficio?
"L'ultima volta che ho controllato è proprio questo che fa una dipendenza. Non si riesce a smettere nonostante si sappia che fa male."
Lui sorrise sommessamente, abbassando e ciondolando un po' la testa, divertito da quel modo tutto particolare che lei aveva di rispondergli a tono.
"Finito con il seating plan?" gli domandò, mentre riponeva portafogli e sigarette in borsa.
"Sì, non ci voleva poi molto" rispose lui, avvicinandosi al bancone."Un pacchetto di Nirdosh. E mi dà anche un accendino. Grazie"
"Com'era quella cosa che il fumo fa male?"
"Non mi guardare così" le disse, notando il suo sguardo sconcertato mentre uscivano dal negozietto "non fumo. Ma quando mi vengono i 5 minuti ho bisogno anch'io di distendermi e queste sono completamente naturali. Niente tabacco e nicotina. Anzi, dovresti provarle …"
Le allungò il pacchetto, ma Maya mise le mani avanti.
"Magari dopo pranzo …"
"Pure tu hai ragione. A proposito … ti va un sushi?"
"Come prego?"
"Qui a fianco c'è questo locale fusion … giappo-brasiliano … offro io, si intende. Devo farmi perdonare per prima. Allora, ci stai?"
Dopo averci pensato un po' su - sia mai che Maya non facesse un po' la sostenuta quando si trattava di inviti - accettò, di buon grado.
Per la maggior parte della gente le lasagne della mamma o la torta della nonna erano i piatti per coccolarsi, ma sua madre non cucinava e l'unico cibo vagamente familiare di cui aveva memoria era la zuppa inglese che la loro governante preparava ogni domenica ed era il dolce preferito di suo padre; per lei, invece, l'unico comfort food a cui poteva pensare erano gli onigiri, ricordo della brevissima fase nerd da liceale a causa di un ragazzetto per cui aveva una cottarella.
Il locale era piccolino, più un bar si sarebbe detto, ma coloratissimo e accogliente. I posti a sedere erano pochi e questo a tutto vantaggio della quiete. Tuttavia, Maya avrebbe gradito un po' più di chiacchiericcio in sottofondo, qualcosa che l'aiutasse a fare conversazione spicciola per rompere il ghiaccio. Non si era mai trovata in una situazione tanto informale con il suo capo. Al massimo avevano condiviso un box take away in ufficio mentre lavoravano, ma seduti da soli, faccia a faccia, in tavolino per due, nella sala da pranzo semivuota sul soppalco di una temakeria dell'Eur, questo mai. C'era una prima volta per tutto, e lei non era tipo da tirarsi indietro di fronte alle novità, ma non poteva nascondere un certo disagio. Conosceva Alex per il suo lavoro, ma qui erano fuori dal loro habitat naturale ed era tutto da scoprire.
"Devo chiederti scusa per prima, non avevo alcun diritto di parlarti in quel modo" le disse, mentre aspettavano le loro ordinazioni, versandole dell'acqua minerale nel bicchiere.
"Ci mancherebbe altro, Alex … se c'è stato qualcuno di inopportuno, quella ero io"
Sbollita la rabbia e la tensione dei primi istanti, Maya si rese conto di non potergli addossare alcuna colpa.
"Ma che stai scherzando? Tu non potevi mica sapere …"
Sapere forse no, ma intuire sì. Ed erano cinque giorni che non era l'Alex che lei conosceva e, si sa, e già solo tre giorni di indizi avrebbero fatto una prova.
"È che questa storia mi ha scombussolato il cervello … e siccome è una questione delicata per via dei miei figli finora ne ho parlato solo con l'avvocato e mi sembra di scoppiare"
"Posso solo immaginare…"
Maya provava in tutti i modi di fargli capire che andava bene così, che non c'era bisogno che entrasse nei dettagli, ma più lui lo faceva, più lui le raccontava, più capiva che in realtà aveva solo bisogno di sfogarsi, di raccontare a qualcuno che non fosse il suo avvocato quello che era successo. E forse aveva scelto proprio lei perché non faceva parte della sua vita; perché, sebbene, a suo modo, si prendesse cura di lui, non si era mai interessata a quella parte che ora era andata in frantumi. Lei era, del resto, una colonna di quella parte del suo mondo che era ancora in piedi, salda, sicura e di successo.
"Tu lo sai dove vado in vacanza tutti gli anni ad Agosto, vero?"
Maya annuì. Aveva una casa al Circeo, non molto grande stando a quello che aveva sentito dire, ma aveva una bella terrazza ed era vicinissima al mare. "Beh tutti gli anni Claudia va da sola qualche giorno prima per aprirla e mettere tutto in ordine … "
Ma a questo giro, al suo arrivo con i figli, Alex trovò solo un biglietto in camera da letto dove c'era scritto che aveva bisogno di stare da sola e di ritrovare sé stessa.
"Solo che uno si immagina un viaggio in India tra templi e santoni o un ritiro in qualche convento per ritrovare sé stessi … non una vacanza in un resort a Bali"
Maya lo lasciava parlare. Un po' perché francamente non sapeva cosa dire, lei in una situazione del genere non ci si era mai trovata - o piuttosto sarebbe stato sconveniente ammettere di essersi trovata dall'altro lato della storia - un po' perché gli faceva una tenerezza tremenda. Quell'uomo che lei conosceva come tutto d'un pezzo, si stava aprendo con lei come se di fronte non avesse una dipendente, ma semplicemente un'amica. I suoi occhi, che lei aveva sempre associato al ghiaccio, nonostante le sfumature grigio verdi, così decisi, fermi come le posizioni che prendeva, ora sembravano essersi sciolti, pieni di incertezze e di paure.
"Che poi per carità … io le crisi sono anche abituato a gestirle" aggiunse "è per i miei figli che mi preoccupo"
"Hanno capito?" si limitò a chiedergli, tentando di non risultare invadente.
"Edoardo sì, ovviamente, è grande ormai. Ci ha messo un paio di giorni a capire che qualcosa non andava ma non ho dovuto dirgli niente. Ma Giulia è una bambina … cosa vuoi che capisca?! Mi sono inventato che la mamma è andata ad accudire una vecchia zia malata, figurati."
Per fortuna la signora si era ricordata di essere una madre e, dopo essersi spostata dai genitori, pensionati alle Canarie, si era messa in contatto con i suoi figli, ma per il momento non aveva fatto alcun cenno di ritorno a Roma.
"Posso chiederti come stai?" domandò Maya, di getto.
Si rese conto di quello che gli aveva chiesto quando ormai aveva terminato di pronunciare quella frase e non poteva più tirarla indietro. Le era uscita spontanea, onesta, come poche volte le era capitato prima. Proprio lei, che aveva fatto della sua vita un calcolo continuo e una lunga lista di regole ed imposizioni per mantenersi a galla.
"Certo che puoi …" la rassicurò, gentile.
Sembrava fragile in quel momento, mentre girava il cucchiaino nel caffè che aveva ordinato per chiudere il pasto.
"Come vuoi che stia? Come uno che si accorge che la sua vita era un castello costruito sulla sabbia e ad un certo punto arriva la marea. Ecco come mi sento … ma forse è una frase troppo ad effetto che non mi si addice."
Sì, era una persona pratica e cinica, che non stava lì molto a rimuginare, ma rendeva benissimo l'idea. Una vita trascorsa insieme, credendo di aver creato qualcosa di buono e duraturo - per non dire perfetto - e poi suona la sveglia, come il primo giorno dopo le ferie.
"Ma la cosa peggiore" aggiunse "è che è successo da un momento all'altro. Non mi sono accorto di niente, ero convinto che andasse tutto bene … ma forse è colpa mia, forse mio figlio ha ragione"
Come se non bastasse, infatti, Edoardo aveva preso le difese della madre, accusandolo di aver dedicato troppo tempo al lavoro e poco alla famiglia. Ma non era giusto, pensò Maya, che lui si accollasse una mancanza del genere, perché sapeva benissimo che non era così. Non poteva essere una colpa provvedere per la propria famiglia. Suo padre, ad esempio, quel riguardo nei confronti di lei, di sua madre e dei suoi fratelli non lo aveva mai avuto. Spendi e spandi fino all'ultimo e poi l'amara scoperta.
"Dio mio, ho monopolizzato tutto il pranzo con le mie fisime … di te che mi dici, hai passato delle belle vacanze, al contrario di me?"
Quell'autoironia, quel sorriso compassato e amaro, la spezzavano. Ne aveva sempre ammirato il rigore con cui teneva dritta la barra senza mai una lamentela o una spiegazione, la professionalità con cui lasciava che il suo privato non interferisse. Se possibile ora lo rispettava ancora di più, perché capiva a quale caro, carissimo, prezzo avesse acquistato il successo personale e quello della sua rivista.
"Abbastanza, non mi posso lamentare. In barca da Napoli fino all'Argentario."
"Una vacanzuccia economica insomma"
"Sì, penso si sia capito ormai che sono una persona di poche pretese"
Per la prima volta da quando si erano seduti a tavola, Alessandro si lasciò andare ad un sorriso libero, spensierato. A Maya faceva piacere sapere di aver contribuito a rasserenarlo un po'. Avrebbero continuato a parlare ancora a lungo se il cameriere non li avesse interrotti, presentando il conto.
"Perdonatemi" esordi non proprio mortificato, come sperava di risultare, ma ben più chiaramente alterato "ma dobbiamo chiudere il servizio"
"Oddio, ma che ore sono?" domandò lui, alzandosi dalla sedia e indossando la giacca che aveva accuratamente appoggiato allo schienale della sedia. Erano le 15. Avevano passato due ore come fossero meno di mezzora. Assolutamente volate. E la cosa assurda era che, per una che si era imposta di non unire lavoro e vita privata, Maya avrebbe continuato tranquillamente quella conversazione, e se lui le avesse chiesto qualcosa di lei magari gli avrebbe risposto pure.
"Io vado via" le disse, mentre si attardava alla cassa per pagare "devo andare a prendere la bambina all'asilo e le suore ci tengono alla puntualità … meglio non sfidare il traffico di Roma. Tu ne sai qualcosa …"
"Va bene, per la chiusura degli articoli e delle pagine carico tutto sul cloud così puoi stamparteli a casa e ti invio una bozza degli appuntamenti della prossima settimana"
"Ti ringrazio. Ah Maya …" la richiamò, un'ultima volta, mentre lei era sulla porta "non ho bisogno di dirti che quanto ci siamo detti qui, qui rimane. Ho bisogno della massima discrezione."
"Perché? Che ci siamo detti?" rispose lei, fintamente perplessa, strizzando l'occhio e uscendo dal locale.
Forse quella regola che si era data, a proposito del separare il lavoro dal privato, in fin dei conti era una stronzata: poteva andare bene all'inizio, quando non si conoscevano, per darsi un tono. Ma erano passati quasi cinque anni e ormai potevano fidarsi l'uno dell'altro. Non erano amici. Erano un team.
Mentre tornava in ufficio, Maya si rese conto di una cosa, piacevolmente stupita: nessuno dei due aveva più avuto bisogno delle sigarette che avevano acquistato.


"Ma che c'entro io con voi?"
"Senti cosa" quando la faceva incazzare, per Maya sua sorella era semplicemente cosa "non esci mai, il tuo concetto di vita sociale è il pranzo a mensa con i colleghi del reparto, per un venerdì sera che non lavori mi fai il favore di venire con me a toglierti di dosso quella puzza di disinfettante che porti in giro!"
Lavinia, la sorella maggiore di Maya, era un'internista. Quando il padre era morto, con i casini finanziari che avevano avuto, si era fatta avanti per lasciare l'università - rigorosamente UNICATT - e aiutare la famiglia come poteva. Ma la madre aveva detto di no, che non era colpa loro per come erano andate le cose e, a costo di vendere anche l'orologio della comunione, ai figli non avrebbe tolto nulla. Così Lavinia si era rimboccata le maniche e si era guadagnata la borsa di studio per ogni singolo anno di corso. Lei, tra i tre, era la posata, la responsabile, la giudiziosa. A differenza di Maya, la festaiola, e di Lorenzo, il mediano, che dal suo appartamento di South Kensington si faceva gli affari suoi con il lavoro nella City di giorno e le serate con gli stessi soggetti che frequentava a Ponte Milvio, expat come lui. Ma Lavinia no. Lavinia era tipa da andarsene a passare il weekend tra un'attività benefica e l'altra e le vacanze in missione in Africa. Una santa, una suora.
"Io non puzzo!" esclamò offesa la giovane donna, mentre sua sorella le camminava davanti ad un paio di metri di distanza, annusando furtivamente vestiti e capelli. "E poi non credo di essere la benvenuta" continuò "ti ricordo le belle parole che mi hanno riservato i tuoi amici"
Un commento captato per caso una sera che aveva accompagnato Maya ad una serata a La Maison, per via di un mezzo stalker che non aveva capito il no a caratteri cubitali che Maya aveva espresso. Guai a toccarle la sua sorellina, dovevano prima passare sul suo cadavere. E così, mentre erano in cubicolo del bagno a fare pipì, aveva sentito una certa Cris dire che era inutile che andava a farsi le foto in Africa con i bimbi dalle pance gonfie, quando aveva la nonna a casa con l'Alzheimer. E lei c'era rimasta così di merda che aveva trascinato via sé stessa e Maya, in lacrime.
"Certo che sei una pressa!!! Era una battuta!" ribattè Maya, girandosi scocciata verso la sorella "e sono passati due anni da allora, e Cristina non c'è. Potresti metterci una pietra sopra, come ho fatto io."
"Sarà… ma a me le persone che parlano alle spalle degli altri non piacciono" spiegò Lavinia "e se lo hanno fatto con me, di sicuro lo hanno fatto anche con te"
Del resto, nel frattempo la nonna se n'era andata, le amiche stronze della sorella no.
Ma Maya scacciò via quel pensiero dalla sua testa, tanto più che erano arrivate al teatro dove avrebbero trascorso la serata e bisognava cercare, tra la folla, i ragazzi che avevano anche i loro biglietti. Tirò fuori il telefono dalla borsa, ma prima che potesse iniziare a mandare un vocale su Whatsapp si sentì chiamare. Una ragazza alta e grossa, tozza e un po' grossolana si sbracciava per attirare la sua attenzione. Era Olivia. Non l'avrebbe mai definita la sua migliore amica, lei non aveva migliori amiche tranne sua sorella, ma era quella che conosceva da più tempo. In un certo senso le faceva la carità. Non c'entrava nulla con lei e con Roma Nord, i suoi erano di Orvieto, ma avevano ereditato da uno zio una casa al Fleming e da allora avevano lasciato il paesello per far crescere la figlia nella Roma bene. Non aveva frequentato le sue stesse scuole, non se le poteva permettere, ma - sebbene pubbliche - il Nitti e il Mameli le avevano fatto comunque conoscere la gente che conta. Siccome a lei e ai suoi era rimasta la mentalità di provincia, invece del motorino o della macchinetta, per andare a scuola usava i mezzi; da neopatentati, era l'unica tra gli amici ad avere ancora bisogno di chiedere lo strappo il sabato sera e finiva puntualmente presa per il culo. Per Maya era sempre stata un accollo, perché lei era la principessina di casa, la Belle di turno, e questa al massimo poteva fare la teiera di Belle viste le merende a pane e Nutella dai tempi delle elementari, a cui con il tempo aveva aggiunto un pacchetto al giorno di Camel Blue e Sex on the Beach all'ora dell'aperitivo ogni sera. Ma le loro mamme si erano conosciute in palestra e andavano straordinariamente d'accordo: dovevano farlo anche loro. E così, in qualche modo, a trent'anni non era ancora riuscita a levarsela di torno. Forse perché nel frattempo a Maya non era rimasta una lira neanche per piangere mentre i genitori di Olivia avevano fatto i soldi e un'amica con soldi e proprietà che ti invita sempre fa comunque comodo.
"Ciao tesò!" la salutò Olivia, abbracciando l'amica. Maya si sentì stritolare.
"Ciao anche a te Olivia" le disse, divincolandosi e sistemando il minidress di Erdem che aveva sentito stropicciarsi nella stretta. Le era costato metà quattordicesima, doveva restare immacolato.
"Madò che figa! Manco se mi chiudo in palestra per un anno divento così …"
Olivia aveva una sorta di venerazione per Maya, la seguiva come un cucciolo in cerca di attenzioni e coccole e Maya, che era egocentrica e vanitosa, lasciava che continuasse perché viveva per quel genere di adulazioni. Lavinia guardava sua sorella sconsolata, come fosse una battaglia persa. La sosteneva, in qualunque scelta, per lei e per tutti gli altri era la piccola di casa e l'avevano sempre protetta e scusata in ogni cazzata, ma le dispiaceva che sfruttasse la povera Olivia in quel modo.
"Gli altri dove sono? Non mi dire che ci sei solo te"
"No, tranquilla, sono già dentro. Flavia aveva sete e sono andati al bar del foyer"
"C'è pure Flavia?" domandò Maya, stupita "È una vita che non la vedo, pensavo ormai avesse sconfinato definitivamente …"
Sconfinare, per Maya e quelli come lei, era trasferirsi al di là di Ponte Milvio. Quando l'aveva conosciuta, ai tempi dell'università, Flavia frequentava il Villaggio Globale, a Testaccio, leggeva Il Manifesto e si impegnava in battaglie sociali e lotta di classe. Costantemente annoiata dalla vita e dall'Italia, sognava l'estero, ma il massimo dell'esotico all'epoca era andare a mangiare etnico in qualche locale al Pigneto e fare musica sulla Scalea del Tamburino a Trastevere, sentendosi profondamente migliore. In poche parole, una radical chic. Di quelle impegnate con il partito e che asseriscono, fiere, di non avere la tv - ma poi la guardano in streaming e votano pure ad ogni singola nomination dei reality di turno.
"I tempi sono cambiati" ridacchiò complice Olivia "ora va solo a feste private ed esce solo con gente del centro"
"Avrà trovato lavoro…"
il padre glielo aveva trovato … d'altronde quando telefona il Senatore …
"Lo vuoi davvero sapere?"
"Spara …"
"FAO" Maya alzò le mani, platealmente. "Dacce sti biglietti prima che se rovinamo la serata, Oli'!"
Forse stava solo rosicando, perché lei non ce l'aveva un padre senatore a cui bastava alzare la cornetta, anzi; suo padre aveva lasciato in eredità una lunga lista di creditori. Ma più vedeva certe cose e più le veniva la nausea.
Nella sala del teatro, le poltroncine di velluto rosso avevano lasciato il posto ai tavoli e le luci formali da platea erano state sostituite da luci soffuse e avvolgenti da club. Ad aspettarle al tavolo, oltre a Flavia, c'erano Andrea e la sua ragazza, Aurora, e Max, il compagno di Olivia. I due stavano meravigliosamente insieme, Maya lo ammetteva, e ammetteva anche che solo una come Olivia, che si faceva andare bene laqualunque, poteva andare d'accordo con Brontolo. Si lamentava di tutto, dei posti in cui andava, della gente che frequentava, della città che era ormai morta, di Ponte Milvio pieno di bori, del Caffè della Pace ormai così, del GOA diventato cosà. Che schifo qui, che schifo lì. Era una vita che si lamentava ma sempre negli stessi posti stava. E quando glielo facevano notare rispondeva, ineluttabile, “mi ci hanno portato”.
"Ciao principe'! Stasera sei splendente"
"Vola basso, Andrea!"
Vola basso … era stata un'espressione involontaria, non c'era alcun intento offensivo, eppure Maya dovette contenere con tutte le sue forze una risata ma anche solo un sorriso. Perché lei lo aveva ribattezzato Chuck Bass, ma aveva più a che fare con la sua mancanza di centimetri in altezza che con Gossip Girl. Era assistente di economia alla Sapienza, ma spento l'iniziale entusiasmo sembrava determinato a non passare la sua vita dietro una cattedra a sentire gli studenti ripetere giorno dopo giorno sempre gli stessi argomenti d'esame. Molto più probabilmente a studi conclusi avrebbe aperto una società di eventi, qualcosa che gli avrebbe permesso di esprimere sé stesso e tutta la sua iperattività. Organizzava di tutto: il tavolo in discoteca, il torneo di calcetto, la settimana bianca e naturalmente la cena del venerdì. Il suo guru, a Roma, era proprio Alessandro Bonelli ma, come ha detto qualcuno, ne doveva mangiare di cereali sottomarca per arrivare al suo livello. Maya aveva anche ceduto e c'era stata insieme per un'estate, un paio di anni addietro, ma quel suo essere sempre a mille - non era mai riuscita a capire se fosse questione di carattere o di sostanze - le trasmetteva un costante stato d'ansia e lei, con il suo lavoro, non poteva stressarsi pure nel privato. Ora si era sistemato con Aurora, o Patata, che viveva la sua vita in funzione di lui. Maya non sapeva molto di lei, al di fuori delle foto di coppia che postava in continuazione sui social assieme ad una sfilza di hashtag. Erano stucchevoli, quando girava bene, due pazzi, quando invece si toppavano a vicenda i messaggi della tesista o dell'istruttore di zumba di turno sui rispettivi cellulari. Ma Maya teneva duro e se li teneva stretti, perché con loro la svolta della serata era sempre dietro l'angolo.
 
Il post cena aveva in programma una serata di stand up comedy. Tra comici, o pseudo tali, più o meno noti nei locali della capitale, la serata scorreva tra un cocktail e l'altro, ridendo sguaiatamente davanti ai monologhi sentiti e risentiti sulle differenze tra i vari quartieri della capitale e i cliché sui suoi abitanti. All'ennesima battuta sui bravi ragazzi di Roma Nord, mentre tutti attorno ululavano e battevano le mani, lei alzava gli occhi al cielo e sbuffava. "Dai Maya sciogliti un po'!" la esortò la sorella.
"Vuoi che rida, Lavi'?" rispose, piccata "com'è dice quella comica in tv? … per carità, uno una risata se la fa perché siamo persone di spirito, però manco approfittarsene così biecamente"
Ma lei lo sapeva perché non riusciva, al contrario degli altri, a ridere di quegli stereotipi, perché dietro a quegli accenti, dietro alla ragazza che si iscriveva a Storia dell'Arte tanto per prendersi un pezzo di carta, dietro al ragazzo con l'abbronzatura da lettino solare che disquisisce di televisori come farebbe con un purosangue a Tor di Valle, si celava lei, con tutte le sue falsità ed ipocrisie. Lei, che aveva speso tutte le sue energie per rimanere dentro a quel mondo e lo prendeva così sul serio che aveva smesso di guardarsi attorno e rendersi conto che la sua vita era un circo e lei ed ognuno di loro, un pagliaccio o un numero da mandare in scena. Finti, malinconici, decadenti, ridicoli.
I suoi compagni di tavolo continuavano a ridere e a bere, ma lei sentiva la nausea assalirla. Le tornarono alla mente le parole di Alessandro, su come la tua vita può cambiare da un momento all'altro, su come certezze possono crollare dall'oggi al domani.
"Vado un attimo in bagno" urlò nell'orecchio della sorella, mentre un momento musicale si incastrava tra un comico e l'altro.
"Vuoi che ti accompagni?"
"No tranquilla"
Provenendo dalla penombra della sala dove aveva trascorso la serata, la luce fredda dei neon del foyer la accecò, improvvisa. Aveva bisogno d'aria, si sentiva soffocare e non era solo per l'aria viziata del locale. Uscì un'istante all'esterno per accendere una sigaretta. Sulle sale dell'ingresso un paio di ragazzi criticavano l'esibizione di un tizio del nord che aveva provato a far ridere una platea di romani. Provò pena per il tipo, e lo immaginava depresso dietro le quinte nel suo camerino, perché era stato alquanto un disastro. Appoggiata al muretto della scalinata, frugò nella borsa per le Marlboro Rosse che aveva comprato quella mattina ma, mentre rovistava, un plico bianco si metteva sempre di traverso. Era da quel pomeriggio, quando lo aveva trovato nella posta, che tentava di ignorarlo, pur immaginando benissimo di cosa si trattasse. Alla fine, stufa, dopo aver acceso la sigaretta e fatto un lungo tiro iniziale, tirò fuori quell'insieme di carte: era una diffida, in cui la proprietaria di casa la invitava - poco garbatamente - a rispettare il contratto d'affitto. Quando avevano estinto i debiti paterni, si era solennemente promessa di non fare cazzate, di essere giudiziosa nella contabilità ed oculata nelle spese. Ma il suo stile di vita non si finanziava da solo: si era dovuta ingegnare, negli anni, per far credere che per Maya Alberici tutto continuasse a girare come sempre. Il sistema Parioli, lo aveva ribattezzato. Ma per farlo credere agli altri doveva crederci anche lei e, così, gli sgarri annuali erano diventati mensili e ora non sapeva con che soldi pagare l'affitto e le altre spese di condominio, se non attingendo al fondo emergenze, un piccolo gruzzoletto che teneva da parte per spese extra come riparazioni e manutenzioni varie. Non poteva permettersi di spendere quei soldi e non voleva chiederne a nessuno, era troppo orgogliosa per ammettere di aver commesso un errore ed essere in difficoltà. Sapeva cosa avrebbe dovuto fare, per uscire da quell'impasse; era una scelta semplice, ma non così facile da attuare. Bisognava ridimensionarsi e farlo prima di venire fagocitata da un mostro che lei stessa aveva creato.

 
 


 
 

Ciao a tutti! Naturalmente, prima di ogni cosa: GRAZIE GRAZIE GRAZIE per le recensioni. 
Avevo promesso un nuovo capitolo per venerdì, ma domani ho un po' da fare e così ho deciso di anticipare la pubblicazione, tanto il capitolo era già pronto.
Finalmente sappiamo nel dettaglio cosa è successo al povero Alex: bella batosta vero? E Maya che sta lì ad ascoltarlo, non deve essere stato facile per lei che è tutta un io, io, io.  
Come vediamo, quel pranzo a due ha avuto delle conseguenze per Maya, di cui tralaltro vediamo uno spezzone di vita in comitiva.
A tal proposito, come ho spiegato ad alcuni di voi nelle risposte alle recensioni, non sono romana e per scrivere e descrivere la romanità mi sono affidata a qualche ricerca, agli sketch comici (se fate attenzione c'è qualche citazione di comiche romane più o meno famose) e a qualche cliché Roma Nord/Roma Sud. Spero nessuno si senta offeso, perché Roma è una città che amo e voglio omaggiarla nel limite delle mie possibilità.
Vi do appuntamento alla settimana prossima, verosimilmente tra giovedì e venerdì a seconda dei miei impegni.
Vi ricordo che potete venire a trovarmi su Facebook e vi invito comme d'habitude a lasciare anche un piccolo commentino.
 
A presto, 
crazy Fred ^_^
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***





 
Capitolo 4

 
La classica sveglia, il bip assillante o il trillo assordante, buona solo a buttarti giù dal letto traumatizzandoti, non era cosa da Alex. Lui preferiva una radiosveglia soft, con della buona musica che aumentava di volume poco alla volta, o la voce calda e rassicurante di uno speaker che legge la rassegna stampa. Soprattutto il lunedì mattina, quando bisognava fare il possibile per iniziare la settimana nel migliore dei modi.
E così, anche quella mattina, lo speaker di Radio Roma Capitale aveva ricevuto l'arduo compito di dare il buongiorno al signor Bonelli.
Da quando era tornato a Roma dopo le vacanze, puntualmente gli ci volevano quei 5-10 minuti per fare mente locale di tutta la sua attuale situazione familiare.
Scalzo, in calzoncini e maglietta, dopo il pit-stop in bagno svegliava i ragazzi e scendeva in cucina. I suoi figli non potevano pretendere una colazione come quelle che gli preparava la madre, ma l'importante era sfamarli e non dimenticare nulla.
La colazione trascorreva silenziosa. O meglio, ognuno di loro aveva la propria attenzione rivolta a qualcosa di diverso: la piccola di casa ai cartoni in tv, il grande ai social ed Alessandro alla lettura delle breaking news sul suo tablet. Essere direttore di una rivista non lo rendeva di certo esente dall'informarsi, tanto più che Roma Glam non si occupava né di cronaca, né di economia. Mentre leggeva un articolo di finanza, pensò di contattare la sua assistente per prendere appuntamento in banca con il suo consulente finanziario.
"Ah Maya …" aggiunse alla registrazione del vocale "avverti pure l'avvocato De Stefanis che ho bisogno di parlargli. Fammi sapere se viene da noi o devo andare io in studio da lui. Ci vediamo più tardi."
Si sentì addosso lo sguardo scrutatore di suo figlio. Era ovvio che avesse capito il motivo dell'incontro con Francesco, non c'era mica bisogno di vedersi di persona per organizzarsi per il tennis o il calcetto. Ma lasciò perdere, il lunedì era l'ultimo giorno indicato per discutere, tanto più che su certe questioni di certo non doveva rendere conto a lui delle sue scelte e delle sue decisioni.
"Papà quando torna mamma?" domandò Giulia, di punto in bianco, candidamente. La piccola non poteva immaginare come bruciasse in petto a suo padre quando si toccava quel tasto dolente. La delusione era ancora troppo, troppo forte da accettare. Era passato un mese, eppure non riusciva ancora a capacitarsi di quello che era successo. "Non lo so, amore, la zia Luisa non sta ancora molto bene."
Era stato provvidenziale che Claudia avesse una vecchia zia, sola, che viveva in Veneto e nessuno vedeva o sentiva troppo spesso, da poter sfruttare come scusa. Nessuno si era fatto troppe domande: i genitori di lei non parlavano più con l'anziana più tempi di una lite per un'eredità e l'unica ad essere rimasta in contatto era Claudia che era la sua figlioccia. Tutto si incastrava alla perfezione ed era sicuro che Claudia avesse interesse tanto quanto lui a reggere il gioco.
"E perché non possiamo andare a trovarla pure noi?" "Perché tu e Dedo dovete andare a scuola. È importante. E poi ci sono io con voi, non sei contenta che puoi stare nel lettone con papà quando vuoi adesso?"
La piccola annuì vistosamente, soddisfatta di questa piccola riconquista. Claudia era stata categorica che la bambina si abituasse a dormire nella cameretta, ma Alessandro, complice la solitudine e la malinconia di quelle serate, non ci aveva messo granché a farla tornare a dormire con lui. Alla piccola mancava sua madre e, alla fin fine, si facevano compagnia a vicenda.
"Però mi devi accompagnare a fare sopping"
"Si dice shopping, moccolo" la corresse Edoardo.
"Ma devi essere sempre così acido tu? Ha cinque anni!!!"
"Ho cinque anni Dedo!!! Sono piccola!!!"
Cinque anni ed un caratterino già bello e formato, teneva già suo padre completamente in pugno. Non solo perché era la femminuccia, la principessa di casa, ma perché era arrivata in un momento in cui lui si era sentito veramente pronto a diventare padre; con Edoardo, invece, nato nel bel mezzo della sua ascesa lavorativa, non aveva saputo dedicare sé stesso a quel piccoletto come avrebbe meritato. Giulia era stata la possibilità di dimostrare a sé stesso che poteva essere un buon padre.
"E sentiamo. Di cosa avresti bisogno?"
"Un grembiulino nuovo. Quello che mi metti è stretto"
Effettivamente gli era sembrato un po' corto di maniche, ma pensava fosse solo a causa dell'asciugatrice un po' aggressiva - anche quella era una novità per lui. Non aveva nemmeno idea di dove si comprasse un grembiule; quelle erano cose di cui si occupava Claudia. Lui di solito si limitava a portare i figli a scuola e a filmare le recite di Natale e fine anno. Quando si era ritrovato a dover organizzare il ritorno a scuola per Giulia ed Edoardo si era reso conto di cosa significasse veramente. Prenotare i libri - e stare appresso al libraio che li consegni in tempo, la cancelleria, i buoni pasto della mensa, i bavaglini, il sacco nanna, i cambi … da uscire pazzi. Fortuna che era un buon organizzatore e con qualche schema e appunto era riuscito a fare tutto.
"Che dici se vai con nonna a comprare il grembiulino? Papà oggi non riesce proprio … ha troppo da fare a lavoro."
"Va bene"
Ai suoi genitori non aveva detto niente di Claudia, ovviamente. Nessuno, al di fuori di Edoardo, Francesco ed ora Maya, sapevano di quanto accaduto. Sarà stato da immaturi e codardi, ma non si sentiva ancora pronto ad affrontare pubblicamente la cosa. Prima o poi avrebbe dovuto farlo, soprattutto se lei non si fosse degnata di tornare in tempi decenti, ma per ora andava bene così.
Le sorrise, la sua piccolina senza problemi, che si faceva andare sempre bene tutto e non faceva mai i capricci. Anche solo per un istante gli rischiarò la giornata.
Mentre poggiava nel lavello le tazze della colazione suonò il campanello. A giudicare dall'ora era Ines, la signora che avevano a servizio. Di solito aiutava in casa una volta a settimana per le pulizie più profonde, ma ora, senza Claudia, Alessandro le aveva chiesto di dare temporaneamente una mano tutte le mattine.
"Edo hai messo in ordine in camera?" domandò l'uomo, urlando in direzione delle scale verso il piano superiore, mentre andava ad aprire.
"A cosa serve? Paghiamo Ines!"
"Ines viene a dare una rassettata, non a spalare l'immondizia che lasci sparsa in camera tua!"
Non aveva voglia di litigare. Prese qualche lungo respiro per calmarsi e rispose al videocitofono.

"Signor Alessandro, ma dorme ancora in camera degli ospiti?" urlò la donna dal piano di sopra, mentre i Bonelli si preparavano ad uscire, al piano di sotto.
"Eh … io la chiamata l'ho fatta, Ines" le disse, mentre abbottonava il grembiulino alla bambina seduta sull'isola in cucina - era veramente piccolo e l'aveva mandata a scuola in quello stato, chissà le suore cosa avevano pensato "non è colpa mia se un tecnico non si può avere prima di due mesi."
Alex aveva lasciato la camera padronale. Da quando erano rientrati a Roma la usava solo per lo stretto necessario: entrava per prendere i vestiti ed usciva il più in fretta possibile. Era troppo impregnata del profumo che aveva regalato a sua moglie per il compleanno e dell'essenza delle candele profumate che accendeva ogni sera prima di andare a dormire. Lui le odiava, le diceva sempre che bruciavano ossigeno ma non era mai riuscito a farla smettere.
Ma ad Ines, per non dare troppe spiegazioni, disse che si era rotto il condizionatore e ci voleva tempo per ripararlo. Non era sicuro che se la fosse bevuta, perché
quel fine estate non era poi così caldo da necessitare il condizionatore di notte. Conoscendola, probabilmente lo aveva anche controllato di persona per vedere se diceva la verità - era una che usava tre parole anche quando ne bastava una e sapeva tutto di tutto il palazzo anche se non ci abitava; ma non aveva detto una parola, né aveva alluso. E per adesso ad Alex andava bene così.
"Vorrei sapere quando finisce questa sceneggiata" commentò tra i denti Edoardo, alzando gli occhi al cielo mentre prendeva le chiavi del motorino da una ciotola sul tavolino in salotto.
"Perché non lo chiedi a tua madre?" rispose il padre, piccato, poggiando aggressivamente entrambe i pugni sul piano dell'isola.
Alex aveva storto il naso quando Claudia aveva voluto assolutamente che si buttasse giù il muro tra cucina e soggiorno, ma riconosceva che aveva i suoi vantaggi: tenere i figli sotto controllo.
"NON SONO IO " continuò, ma poi si ricordo di dover moderare il volume della voce, più per Giulia che, accanto a lui, non poteva né doveva capire nulla, che per Ines, che al piano di sopra già aveva acceso lo stereo in camera di Edoardo per avere un po' di compagnia "non sono io quello che se ne sta in vacanza da oltre un mese"
"Ines noi andiamo!" disse, praticamente urlando, sulla porta di casa, con la bambina in braccio, zaini e zainetti e ventiquattrore a tracolla e la testa che alle 8 del mattino già gli scoppiava. In più il cellulare in tasca già aveva iniziato a squillare "Le chiavi lasciale in portineria, come al solito!"

"Dimmi Maya" disse, rispondendo al telefono non con qualche difficoltà nel vano dell'ascensore tra i figli e le varie borse.
"La segretaria dell'avvocato ha detto che è fuori tutto il giorno, puoi passare questo pomeriggio alle 17.30"
"Benissimo, ci vediamo in ufficio più tardi."
 
Lo studio dell'avvocato De Stefanis era situato al piano nobile di un elegante palazzo d'epoca del centro, a due passi da Villa Borghese, con ingresso di rappresentanza e servizio di portineria, come si conveniva ad uno studio di quel calibro. La targa in ottone al portone era la cosa meno appariscente.
Ad accoglierlo una segretaria attempata in tailleur gessato e spilla d'oro giallo sul bavero della giacca, ultima vestigia dei tempi in cui lo studio lo dirigeva De Stefanis senior e che ora suo figlio non vedeva l'ora di mandare in pensione, per sostituirla con qualcuno - o meglio qualcuna - di più giovane, che si abbinasse meglio alla una nuova immagine che il cambio al vertice aveva inevitabilmente imposto.
"Buon pomeriggio signor Bonelli, l'avvocato sarà qui a breve ma può attenderlo nel suo studio" lo salutò la donna, deferente e professionale "posso portarle un caffè?"
Alex, meritocratico fino al midollo, l'apprezzava e si era battuto affinché l'avvocato la tenesse con sé e non trovasse un escamotage per mandarla via prima del tempo.
"Gentilissima come sempre ma no, grazie, sto bene così."
"L'accompagno"
"So la strada, grazie"
Alessandro era di casa dai De Stefanis. Non solo era uno dei clienti più affezionati, affidandosi alla consulenza legale dello studio da quando era tornato in Italia per lanciarsi nella sua avventura editoriale, ma era anche amico stretto dell'avvocato, o meglio Francesco, coinquilini ai tempi dell'università e poi anche testimone di nozze. Ad uno scapolo impenitente come Francesco era costato caro accettare quel compito 16 anni prima. Per lui Alessandro e Claudia erano troppo giovani e, se proprio era così necessario sposarsi, avrebbero dovuto divertirsi ancora un po' prima di mettere su famiglia.
Così, Alex lasciò che la donna tornasse al suo lavoro e si addentrò nell'appartamento dai soffitti alti e dalle pareti immacolate che lo rendevano luminosissimo. Nelle varie stanze che si aprivano nel corridoio, i suoi praticanti e i collaboratori lavoravano alle loro scrivanie come tante formiche operose. Si domandò se per caso, ad un occhio esterno, anche i suoi dipendenti non facessero la figura degli scribacchini.
Entrato nell'ufficio, si stravaccò sul divano in pelle nera di fianco alla porta, buttando la cartella per terra e slacciando la cravatta e il colletto della camicia. Uno dei suoi migliori investitori, editore di un giornale nazionale che gli stava con il fiato sul collo per riassorbire anche RomaGlam, era andato in visita quel pomeriggio: quando si presentava, Alex era costretto a mettere il completo da prima comunione per compiacerlo. Era un democristiano da prima repubblica, tutto casa e chiesa, tanto che per l'occasione aveva anche dovuto infilare al dito la fede per tenerselo buono. Lo odiava con tutto sé stesso e in quei giorni sentiva di detestare le sue ipocrisie ancora di più, ma era ricco da fare schifo e questo lo rendeva il suo migliore amico.

"Carissimo, come andiamo? … ma tu lo sai che io ci sono sempre per te, caro il mio dottore" la voce alta e leggermente sguaiata dell'avvocato irruppe nel silenzio dell'ufficio provenendo dal fondo del corridoio. A giudicare dal tono, tanto per cambiare, impegnato al telefono. Era uno di quelli che adorava darsi un tono chiamando gli amici con i loro titoli, lo faceva sentire ancora più importante di quanto già non fosse. Tutte le conversazioni con lui sembravano essere prese dalla relazione di una vertenza sindacale o di un colloquio giudiziario, anche se si parlava di acquistare un televisore o di una partita di tennis. Entrò nella sua stanza con l'eleganza e la delicatezza di un pachiderma e uno dei praticanti, piccoletto, mingherlino e maldestro lo seguiva annaspando per raccogliere borse, faldoni e giacca; vedendolo entrare, Alex si alzò per stringergli una mano ma Francesco lo fece accomodare, sbattendo fuori il malcapitato del praticante e chiudendogli la porta praticamente in faccia. Con nonchalance, mentre si metteva comodo anche lui nel piccolo salottino, continuava la telefonata, mantenendo il cellulare all'orecchio con la spalla, come se non fossero stato inventati vivavoce o auricolari bluetooth.
"Allora ho confermato il campo per 21.30. Ti posso già confermare il presidente, ovviamente, ho sentito il professore e c'è anche lui, e ho qui il direttore che mi fa cenno che lui non viene, ma tanto è na pippa, quindi sticazzi!" esclamò ridendo e tirando una pacca sulla spalla dell'amico.
Non era vero che non era bravo a giocare a calcetto, ma aveva subito un infortunio al ginocchio e preferiva andarci piano con quei macellai contro cui Francesco si ostinava a giocare. Con loro era più una partita di rugby che calcetto.
"Gigi? Certo che no. Sta incasinato col padre .. ma che n'hai saputo?  Je so entrati 'n casa …"
Francesco era così. Era un professionista distinto dei quartieri in della città, con la camicia bianca, il cardigan poggiato sulle spalle e il mocassino quando non indossava il completo scuro d'ordinanza, ma il suo parlare forbito difficilmente nascondeva quell'inflessione romana che puntualmente veniva fuori tra amici
"Ma quali ladri?! 'e guardie! Sì … pe' tutto quel casino che sai, per quelle carte che aveva firmato. Però è meglio se non parliamo di ste cose al telefono vah … sì sì … vabbè, vabbè, ci risentiamo! Cia' cia'!"
L'uomo chiuse il telefono, mettendolo via e biascicando qualcosa di indecifrabile sul suo interlocutore, che per quanto ne sapeva Alex poteva tranquillamente andare da bravo ragazzo a che coglione.
"Allora direttore carissimo…come andiamo?"
"France', sai il mio nome. Usalo" chiarì subito Alex. Non era giornata per quelle pagliacciate.
"Sì vabbeh come vuoi te … oh! Scusami se t'ho fatto venire a quest'ora ma oggi sono stato veramente con l'acqua alla gola, pare che se so' messi tutti d'accordo a farse arresta' … a momenti a pranzo manco 'n medaglione me toccava!"
Alex gli credeva per quieto vivere, ma lo vedeva come se lo avesse davanti agli occhi in quel momento, in giro per i bar attorno al Palazzo di Giustizia a fare ancora il cretino dietro alle colleghe.
"Comunque andiamo sempre uguali. Non è tornata, non si sa quando torna e si fa sentire solo con i figli. Tu che dici?"
"Allora Alessà, poche chiacchiere" rispose l'amico, senza pensarci due volte "ho studiato un po' la faccenda … io non sono un matrimonialista ma questo è abbandono del tetto coniugale bello e buono. Se ti vuoi separare - e io dico che dovresti - è una situazione un po' lunga ma ti becchi casa, figli e neanche sei tenuto a versarle l'assegno di mantenimento. Hai fatto er botto!"
Alessandro si buttò sullo schienale di peso. Francamente non sapeva cosa voleva. Era oltre un mese ormai che Claudia era andata via di casa e di certo era un chiaro segnale che il matrimonio era finito anche per lei. Ma non era sicuro di voler scaricare su di lei la rabbia per quel gesto o vendicarsi in quel modo. Le voleva bene ed era comunque la madre dei suoi figli. Per ora, si era detto, avrebbe aspettato. Sperava nel suo ritorno. Dovevano parlare. Non tanto per sistemare le cose, quanto per capire; perché lui, onestamente, non trovava alcun motivo per cui avesse avuto bisogno di scappare via a quel modo, da codardi, senza spiegazioni. Ma forse era colpa sua, forse da uomo era limitato e non vedeva i suoi errori.
"Tu la fai facile, ma io non lo so se…"
"Alessandro per piacere" lo interruppe "Carnevale è passato. Non facciamo scherzi. Non te la vorrai mica riprendere dopo che è stata in giro per il mondo a spassarsela con chissà chi?"
Tutti i torti non li aveva. Ma lui evitava di pensare a quel dettaglio. Deluso dalla sua codardia poteva anche andare avanti, come se non fosse successo nulla, per il bene dei figli, ma preso in giro proprio no. Non era una questione di onore o di orgoglio. Era una questione di onestà. E su questo lui era sempre stato chiaro: l'amore è eterno finchè dura, si intitolava un film e lui ne era fermamente convinto. Glielo aveva sempre detto: se e quando ci innamoreremo di qualcun altro, ce lo diremo e sarà finita lì, da adulti, senza troppe storie. E invece lei era riuscita a mettere in piedi una sceneggiata da prima serata su Rai 1. E questo non sapeva se poteva perdonarglielo.
"Senti" riprese l'avvocato, tendendogli un biglietto da visita, preso al volo dalla scrivania "ti mando da un collega. È specialista del campo e sa il fatto suo. Solo per una consulenza" mise le mani avanti, non appena si accorse che Alex non sembrava ben disposto all'idea "non è che devi divorziare domani. Di certo ti può consigliare meglio di me su come agire anche se vuoi solo provare a parlare con tua moglie. Perché io non sono la persona giusta per quel tipo di assistenza. Al massimo ti posso consigliare di cambiare la serratura e mandarla a fanculo"
Alessandro rise di getto, anche se non avrebbe voluto. Era una risposta alla Francesco e gli voleva bene proprio perché sarà stato pure un cazzone, ma non si faceva problemi a dire le cose come stavano, pane al pane, vino al vino. A volte gli avrebbe tirato una sprangata sui denti, ma altre volte era necessario sentirgli dire le sue stronzate perché, a differenza sua, lui non era capace di dirle: lui pensava troppo, contava fino a 10, fino a 100 se necessario, per quel maledetto vizio di essere tanto diplomatici e concilianti nella vita, quanto spietati sul lavoro.
"Ora mi dispiace, ma ti devo lasciare" gli disse, alzandosi dalla poltrona "avevo detto alla tua segretaria che oggi non avevo molto tempo. E stasera c'ho pure la cena annuale dell'Ordine, non mi posso presentare con l'ascella pezzata con tutte le avvocatesse in tiro che ci saranno stasera....che t''o dico a fà!"
Per forza non si poteva sistemare, aveva la vita sociale di un universitario in Erasmus.
"Non è la mia segretaria … comunque va benissimo così, non ti preoccupare".
Mentre uscivano insieme dallo studio, scendendo l'elegante scalinata di marmo, Francesco tirò fuori l'argomento del giorno tra gli ambienti che contavano: il gala benefico organizzato dalla Festa del Cinema di Roma a Villa Miani. Alex era riuscito ad ottenere non solo due inviti, ma persino l'accredito per la rivista per il red carpet di quella serata esclusivissima. Francesco, manco a dirlo, aveva venduto l'anima pur di trovarsi anche lui tra celebrità e grossi imprenditori. Troppa gente che contava a cui stendere il nuovo biglietto da visita del suo studio, finalmente a suo nome, per potersela perdere. E lo stesso avrebbe fatto Alessandro, che aveva bisogno di nuovi investitori ed inserzionisti. E quale posto migliore se non una cena con gente ricca che elargiva denaro. Che fosse per affari o per beneficienza, per lui, faceva poca differenza.
"Con chi ci vai?" gli domandò l'amico.
"Da solo, che domande. Mi stai chiedendo di portarti con me?" domandò, perplesso e incuriosito.
"Non ti preoccupare caro, ho già preso le misure dal sarto per uno smoking nuovo. Per questioni di privacy non ti posso dire con chi mi accompagno, ma sta sicuro che Francesco tuo brutte figure non ne fa mai. Tu piuttosto … non ti puoi presentà da solo, Alessa'. Claudia t'ha massacrato, mo tocca a te. Fai er bomber!"
"Fai er bomber? Ma come parli? Che stai dicendo?"
L'amico lo avvertì che, per quanto lui si sforzasse di tenere un basso profilo, a Roma le voci iniziavano a circolare. Era una grande città, ma a volte sembrava un paesello di provincia. Del resto, non erano gli unici del loro giro ad andare in vacanza al Circeo e le loro conoscenze al golf club e al circolo tennis avevano iniziato a notare l'assenza di Claudia da Roma. Poi, chissà, magari erano pettegolezzi che giravano da inizio estate e lui non se n'era nemmeno accorto. Magari ne sapevano persino più di lui. Sarebbe stato il colmo, ma non impossibile.
"Che stupidaggine. Per me è una serata di lavoro. E già ci vado abbastanza controvoglia. Non devo dimostrare niente a nessuno. Vado lì solo per incontrare gente a cui spero di poter far staccare assegni."
"Fai come credi, ma io dico che è meglio presentarsi forti e vincenti, piuttosto che cornuti che fanno pietà"
"Io non sono cornuto e non faccio pietà a nessuno!" esclamò Alex convinto e offeso, bloccando fisicamente l'amico nel bel mezzo dell'androne, ma sapeva benissimo di non poterne essere sicuro.
E poi anche Maya glielo aveva detto di guardarsi le spalle, che era in un momento come quello che i suoi detrattori avrebbero provato a fargli le scarpe. I primi nella lista erano naturalmente Stefano e Lisa, che di sicuro avevano subodorato che qualcosa non andava e li vedeva già, durante le riunioni di redazione, troppo rumorosi e sospettosi, confabulare tra di loro più di quanto fosse consigliabile di fronte al proprio datore di lavoro. Lui lo sapeva benissimo che nessuno avrebbe potuto fare il suo lavoro meglio di lui, che nessuno ci si spendeva quanto lui, ma già solo il fatto che lo mettessero in difficoltà e sotto stress in un momento in cui ne aveva già fin sopra alla cima dei capelli, lo mandava in bestia. E di certo, se lo facevano dentro i suoi stessi uffici, figurarsi cosa succedeva al di fuori. Forse Francesco aveva ragione. Se sparlavano, era meglio che fosse lui stesso a fornire l'argomento di conversazione.
"E sentiamo … con chi dovrei andarci?!"
Fermandosi sul portone d'ingresso, l'amico ci pensò su. "Ma scusa perché nun ce vai con la segretaria tua?"
"Vuoi dire Maya?"
"Eh bravo. Perché … che je voi dì?" domandò sarcasticamente, alludendo alla procacità della ragazza.
"Niente ... ma innanzi tutto non è la mia segretaria, è la mia assistente personale"
"Oh allora lo vedi che è perfetta. Sei in un momento di difficoltà personale? È la tua assistente … che ti assista!"
"Non è certo un'accompagnatrice … è la mia più stretta collaboratrice"
"Eh appunto …strigni, strigni …" rimbeccò l'avvocato, uscendo in strada.
"È una professionista seria" proseguì Alex, fingendo di non sentirlo. "Non accetterà mai, il nostro è un rapporto puramente professionale"
"Obiettivamente, ma quando le ricapita di andarci con il miglior partito della città recentemente tornato single?!"
"Non ricominciare con questa storia … e poi non è che tutte le donne sono come quelle con cui esci tu."
Maya, per quanto lui ne sapeva, non aveva bisogno di accompagnarsi con un uomo per ottenere quello che voleva: veniva da una buona famiglia, aveva studiato nelle migliori scuole della citta e viveva ai Parioli. E di certo, se anche ne avesse avuto bisogno non le serviva un partito come lui, le bastava fare una passeggiata a ponte Milvio o fare jogging a Villa Ada e subito uno stuolo di pretendenti molto più giovani e molto più titolati di lui sarebbero stati disponibili.
"Maya è la figlia di Luigi Alberici, un imprenditore morto qualche anno fa, sua madre una nobildonna" non sapeva perché glielo aveva detto, non erano fatti di Francesco, ma si sentiva in dovere di tracciare una linea netta tra Maya e le tipe che frequentava il suo amico.
"Meglio ancora, no?" risolse l'avvocato, mettendo il casco "Quella è gente che a questi eventi ci sguazza. Faresti un figurone andando con lei. Pensaci … io adesso devo andare, fammi sapere se ci sono novità con Claudia. Ciao bello!"




 

Eccoci alla fine di un nuovo capitolo. Lasciamo per un attimo la vita della redazione di Roma Glam e seguiamo, per la prima volta, la vita privata di Alessandro, il quale si trova a fare i conti con la moglie che è andata via e a doversi occupare dei figli, forse per la prima volta. Conosciamo anche Giulia, la principessa di casa, ed Edoardo, un adolescente burbero e un po' viziato. E poi un siparietto con un personaggio tutto particolare, l'avvocato Francesco De Stefanis, piccolo omaggio a Max, l'assistente di Economia della web series "Esami" di Edoardo Ferrario su Youtube. Lui è un personaggio che o si ama o si odia, un po' una macchietta, ve lo concedo, ma a me fa morire XD!!! Francesco, pur nei suoi modi un po' grezzi e sessisti è una sorta di grillo parlante per Alessandro in questo momento. Chissà se Alessandro seguirà il suo suggerimento e inviterà Maya...lo scopriremo presto.
Come sempre un grazie va a tutti quelli che seguono e/o commentano la storia, siete tantissimi. Mi scuso se non riesco a rispondere a tutti, ma a volte non riesco.
Ora ho un piccolo quesito per voi. Sto pensando di fare una pausa per la prossima settimana, vista la coincidenza con il weekend di Ferragosto, ditemi voi devo fermarmi o meno.
Al presto,
Fred ^_^

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***






Capitolo 5



Francesco mise in moto lo scooter, lasciando Alex con un palmo di naso sul marciapiede, con il sole che del tramonto che, scendendo di traverso, lo accecava, tra le moto parcheggiate alla rinfusa e i cassonetti pieni e maleodoranti anche in quella strada elegante. Si incamminò verso la sua auto con i rumori del traffico e di un cantiere stradale d'emergenza che gli affollavano le orecchie e la testa mentre cercava di assimilare tutto quello che si erano detti. Rigirava tra le mani il biglietto da visita che l'amico gli aveva dato e, nella foga della conversazione, aveva fatto distrattamente scivolare nella giacca del vestito. Ripensava a quello che aveva fatto Claudia, non tanto per quello che aveva fatto a lui quanto per quello che aveva fatto alla loro famiglia, ai ragazzi. Se dovevano risolvere quella faccenda, era più per loro, che per loro stessi.
Affrontare le chiacchiere sulla separazione, loro due, che erano adulti, potevano farlo, ma pensare che i pettegolezzi di amici, colleghi, conoscenti e perfetti sconosciuti potessero rimbalzare su un ragazzino in piena adolescenza e su una bambina che andava ancora all'asilo era intollerabile. Non avrebbe permesso che i figli pagassero il prezzo di vivere in una società in cui una notizia riesce ad arrivare agli estranei prima ancora che ai diretti interessati, per colpa di due genitori che non riescono a parlarsi.
Per strada, fermo in coda con l'auto, il suo pensiero corse a Maya. A causa di alcune deviazioni era finito in Piazza della Repubblica e, sfilando con l'auto di fianco a Palazzo Naiadi gli tornò in mente quando l'aveva accompagnato, prima dell'estate, a ritirare un premio. Si era fatto così tanti scrupoli, ma erano infondati: alla fine si trattava una serata di lavoro per entrambi e non sarebbe stata né la prima, né l'ultima volta che l'avrebbe accompagnato. Certo, per la prima volta si sarebbe trattenuta oltre la passerella di rito, sedendo al suo fianco al tavolo, ma se lo meritava. Aveva lavorato sempre sodo per lui e nelle ultime settimane era stata fidata e discreta; non che prima non lo fosse, ma - e se ne rammaricava - lui lo aveva sempre dato per scontato. E poi, se la compagnia di una ragazza, di ottima famiglia e di bella, anzi bellissima, presenza, avesse aiutato a far salire le sue personalissime quotazioni di fronte a colleghi ed investitori … beh, tutto di guadagnato.
 
L'indomani mattina, Alex trovò la postazione della sua assistente, nell'anticamera, vuota; Maya era però nella sua stanza, a sistemare quotidiani e riviste maniacalmente sulla sua scrivania. Lui forse era un tantino ossessivo compulsivo, ma il fatto che lei lo assecondasse non lo aiutava. All'occhio dell'uomo saltava sempre, fin dal loro primo incontro, il giorno del colloquio, la sua innata eleganza: pure in jeans, riusciva ad essere sempre di classe, pur senza tralasciare mai un tocco di eccentricità. A volte era un gioiello appariscente, altre era un paio di scarpe colorate o l'acconciatura diversa. Era alta, e questo aiutava, ma non si poteva dire che non sapesse spiccare anche con poco.
Gli aveva preparato anche una bottiglia di acqua leggermente frizzante - rigorosamente in vetro - con accanto una tazza fumante di caffè lungo fatto alla moka, come piaceva a lui. Alla fine aveva ceduto, forse. Alex accennò ad un mezzo sorriso compiaciuto, mentre si accomodava alla sua scrivania, ma non poteva darlo a vedere, era pur sempre il capo.
"Buongiorno! È quello vero stavolta? Niente acqua sporca americana?"
"Nn nn" la ragazza scosse la testa "caffè biologico con estratti di ginseng. Anche se continuo a non capire ... con quello che spendi per queste miscele ci paghiamo una Nespresso che fa il caffè meglio che al bar"
"Se dici un'altra volta una bestemmia simile ti licenzio"
Su poche cose Alex era intransigente come lo era per il caffè: purista della moka, non avrebbe mai rinunciato all'inconfondibile borbottio della macchinetta e a quell’inebriante aroma che si spande lentamente nell’aria, proprio come in quel momento. Lo avrebbe prima respirato e poi, poco alla volta, lo avrebbe gustato, senza zucchero e senza fretta.
"Peccato per te che non mi hai assunta solo per il caffè e mi rincorreresti in ginocchio pregando di tornare prima ancora che io esca dal parcheggio" esclamò la giovane, tirando fuori una linguaccia quasi impercettibile e sorridendogli.
Aveva ragione. Non era di certo l'unico, ma quel suo modo di rispondergli a tono era uno dei motivi per cui non riusciva a fare a meno di lei. Non amava essere contraddetto; ma stimolato, quello assolutamente sì. E Maya era una sfida continua, quasi una lotta quotidiana a dimostrare di essere l'uno migliore dell'altro, ciascuno nel proprio campo.
Lui aveva una necessità? Lei l'aveva già soddisfatta. Un compito da assegnarle? Già svolto. Lo sentiva quello sguardo che ogni tanto sbirciava dall'anticamera e si sentiva sicuro: discretamente, si prendeva cura di lui. Ma non era una balia, né un angelo custode: era semplicemente il suo braccio destro.
Aveva sentito troppe volte le chiacchiere che in ufficio giravano su Maya: snob, algida, acida e anche un po' facile - ma solo con chi aveva lo yacht a Porto Cervo e il Ferrari parcheggiato sotto casa. Ma lui se le faceva uscire da un orecchio, così velocemente come dall'altro erano entrate. Da un chirurgo si vuole che sappia operare, da un medico che sappia curare: quello che fa fuori dal suo orario di lavoro non è di alcun interesse. E questo valeva sia per Maya che per tutti gli altri suoi collaboratori.
La verità era che tante lingue biforcute che lavoravano in quella redazione avrebbero dato l'anima al diavolo per poter essere un unghia di Maya, e lei lo faceva anche senza particolare sforzo.
La ragazza fece per uscire dalla stanza ma l'uomo la fermò.
"Maya! Maya!" con una mano reggeva la tazza di caffè e con l'altra le fece cenno di avvicinarsi alla scrivania.
Da un cassetto tirò fuori una busta verde menta chiaro e l'intestazione del mittente scritta in caratteri maiuscoli dorati, eleganti.
"Cos'è?" domandò Maya, senza troppo scomporsi.
Naturalmente sapeva benissimo cos'era. Raissa della sezione eventi avrebbe seguito la serata sul posto e ne parlava da mesi. Si vociferava che tra i partecipanti ci sarebbero stati alcuni attori di Hollywood che venivano a Roma per la Festa del Cinema e ci aveva già perso il sonno. Ma, naturalmente, non poteva dare ad Alex la soddisfazione di sapere che stava aspettando la sua chiamata alle armi.
"La Gala Charity Dinner di Cinema per Roma. Mi rendo conto del poco anticipo, ma con la situazione che sai ho dovuto rivedere un po' i miei piani" spiegò Alex, serio e senza alcun cenno di debolezza. A lei che lo aveva visto nel momento di maggiore fragilità, faceva strano vedere che non faceva una piega, come se quello che era successo gli scivolasse addosso. "Comunque … avrei bisogno che mi accompagnassi e naturalmente puoi mettere tutto il necessario in nota spese."
"Ma figurati non c'è problema, non prendo mai impegni durante la settimana"
Del resto, era un lunedì e, come aveva sentito in un film, il lunedì non si palesano neanche gli spacciatori di popper. No. La verità era che in realtà non aveva preso impegni proprio in attesa che lui le dicesse che doveva accompagnarlo, ma ormai quasi non ci sperava più. Era convinta che alla fine avrebbe rinunciato alla serata a causa della stronza che non era ancora tornata. Non ne poteva parlare con nessuno ma, quando ci pensava, ormai per lei la signora Bonelli era semplicemente la Stronza, con la s maiuscola. Perché ok a fare un po' i preziosi, a prendersi un attimo per capire cosa fare … ma più di un mese? E con dei figli? Era troppo pure per i suoi standard. E non lo pensava perché era una donna che doveva stare a casa a fare la mamma, anzi. Lei era più esperta di moda mare che di relazioni sentimentali, ma non ci voleva un genio a capire che una storia d'amore, che sia appena nata o duri da vent'anni, non si gestisce in solitaria, e forse era anche per quello che, fino a quel momento, Maya era rimasta praticamente single. Perché non era pronta a condividere un peso del genere con nessuno.
"E poi il solito completo scuro andrà benissimo, non ho bisogno di grandi spese" dichiarò.
Al massimo, se proprio insisteva, avrebbe approfittato per una visita dal parrucchiere e avrebbe comprato delle scarpe nuove, ma non ne avrebbe abusato. Le note spesa le inviava lei alla contabilità e solo lei sapeva le frecciate e le occhiatacce che doveva sorbirsi ogni volta che metteva qualcosa di strano sotto la voce spese di rappresentanza.
"No no, forse non ci siamo capiti. Non devi venire con me per il red carpet, mi devi proprio accompagnare all'evento. Sarai la mia plus one."
"Ah"
Maya era proprio sicura di aver perso un battito. La sua plus one? Aveva sentito bene?
"Non guardarmi così, Maya, è lavoro" esclamò Alex, senza scomporsi.
Maya non poté far altro che arrossire. Era brava a nascondere le sue emozioni generalmente, ma solo perché era brava a tenere il controllo su ciò che la circondava, anche calcolando ogni singola eventualità. Erano i contropiedi inaspettati a fregarla. Probabilmente, pensò, lo stava squadrando come se le avesse fatto chissà quale proposta indecente
"È una cena importante, ed è un'ottima opportunità anche per te. Chissà … magari dopo questa cena mi lasci e te ne vai a lavorare ad Hollywood"
Avrebbe voluto dirgli che lei da Roma non schiodava, ce l'aveva troppo nel sangue per pensare di andare altrove. Viaggiare sì … una settimana, quindici giorni … ma poi sentiva sempre forte il bisogno di tornare a casa. Ma uno come Alex non l'avrebbe mai capita, pensò. Era troppo un uomo di mondo per non sentirsi stretta addosso anche una metropoli come Roma.
"Sì sì non lo metto in dubbio" rispose Maya, tirando fuori una risatina isterica a quell'affermazione "è solo che non me lo aspettavo … sinceramente. Perché?"
"Perché avevo questo biglietto e visto che chiaramente la mia signora moglie non verrà non volevo mandarlo indietro con quello che mi è costato, né sprecarlo…" Maya lo scrutò, interdetta. "Fai conto che è un premio per quello che hai fatto in questi anni e in particolare in quest'ultimo periodo. Per la tua discrezione, soprattutto."
"Ho fatto solo il mio lavoro. Un'assistente personale non può non essere discreta"
"Ma io ti voglio ringraziare comunque. Te lo meriti. Davvero." le disse, spingendo sul tavolo il biglietto più vicino a lei.
Con quei chiari di luna, Maya avrebbe preferito un vero premio produzione o un aumento dello stipendio, ma a caval donato non si guarda in bocca, se lo sarebbe fatto bastare. Era tanta roba e i suoi amici avrebbero rosicato. Poteva anche vedere il bicchiere mezzo pieno e scorgere una doppia soddisfazione per lei che annaspava e aveva dovuto smettere di uscire con gli amici inventandosi che, puntualmente e molto casualmente, rientrava tardi dal lavoro proprio quando dovevano andare a cena fuori e che non ce la faceva. Al massimo vi raggiungo dopo, e così risparmiava dai 30 a 50 Euro a settimana. Già si immaginava Chuck Bass che avrebbe voluto tutti i dettagli visto che era un socialite, ma il biglietto per la serata se lo poteva scordare.
Avrebbe voluto accettare senza battere ciglio, ma sapeva che la situazione era ben più complessa di come lui la faceva sembrare.
"Non pensi che sia un problema? Per tutta la tua situazione?" domandò.
"Perché?" chiese allora lui.
"Perché tutti si aspettano che tu vada con tua moglie" disse e istintivamente le venne da abbassare la voce e guardarsi intorno.
Sapeva che non c'era nessuno, ma meglio non rischiare.
"Cosa si direbbe se ti vedessero accompagnato da me? Tutto quello che hai fatto per tenere la cosa nascosta sarebbe vanificato, non credi?"
"Figurati … tanto ormai …" Alex spinse indietro la sedia girevole per alzarsi ed andare a chiudere le tende alle sue spalle.
"Che significa? Guarda che io sono stata una tomba. Ti faccio solo un nome: Alice. Con lei ci si mettono cinque minuti a sapere tutti i pettegolezzi della redazione, ma non ho nemmeno provato a sondare il terreno per paura che potesse sospettare qualcosa"
"No ma che vai a pensare?!" tornato alla scrivania, rimase in piedi.
Era un tipo con tante piccole abitudini e strane manie. Una di quelle era leggere i giornali stando in piedi. Prese il Messaggero e iniziò a sfogliarlo. Difficile dire se leggesse o meno. Ma che ne poteva sapere Maya: magari aveva una memoria fotografica oppure una lettura a velocità supersonica. Chi era lei per giudicare.
"Lo so che tu non c'entri" chiarì "ma la moglie di un editore conosciuto che non si vede in giro per un po' dà di che parlare nei luoghi che frequenta … a questo punto non mi sorprenderebbe se la notizia fosse arrivata anche qui. Anzi, ne sono quasi sicuro …"
Claudia e la moglie di Stefano frequentavano lo stesso parrucchiere a Prati e si incontravano praticamente tutte le settimane. Dopo un mese di assenza, anche la persona più discreta - e la moglie di Stefano non lo era - avrebbe iniziato a fare domande.
"Comunque … non mi interessa quello che ha da dire la gente. Per noi è lavoro. Che parlino" non poteva dirle che, in fondo, attirare l'attenzione era pubblicità gratuita per la loro rivista, anche perché rispettava e apprezzava la sua integrità. Alla faccia delle chiacchiere degli invidiosi. "Se serve a farti stare più tranquilla posso chiamare gli organizzatori e farti fare un invito nominale anziché essere semplicemente la mia accompagnatrice. Con quello che costano i biglietti e la donazione che farò è il minimo che possono fare …"
Era una stupidaggine e forse non aveva molto senso, ma Maya ci teneva a fare le cose per bene. Già non era in splendidi rapporti con la redazione, si fosse saputo in giro che lei ed Alex avrebbero fatto coppia per il gala di beneficenza, le avrebbero direttamente cucito la lettera scarlatta addosso. E anche se si ripeteva di fregarsene, lei era fatta così: non riusciva a non dipendere dal giudizio degli altri.
"Ti ringrazio" disse, prendendo il biglietto tra le mani, finalmente "prometto che non ti farò sfigurare"
"Non ne dubito."

Il resto della giornata Maya lo passò straordinariamente di buon umore. Alex si era confinato nel suo ufficio per una call con Los Angeles: stava mettendo a segno un grosso colpo per la loro rivista e preferiva gestire le trattative e i preparativi personalmente.
A lei, dopo aver sbrigato alcune telefonate per conto del boss, non restava molto da fare, se non controllare le mail e rispondere al telefono, così iniziò a pensare al gala e a come si sarebbe presentata, ma soprattutto a cosa Alex si aspettava da lei. Sì, era una sorta di premio e, sì, aveva messo in chiaro che si trattava di lavoro, ma Maya sapeva che sarebbe stata una situazione fuori dall'ordinario. Quando lo aveva accompagnato a qualche evento prima di quel momento era stato sempre per gestire le domande che i colleghi gli avrebbero fatto durante le premiazioni e aiutarlo a districarsi tra gli ospiti; oppure, semplicemente, per tenere compagnia a sua moglie mentre lui parlava di affari: quest'ultima circostanza la temeva come la peste, ma era pagata per fare anche quello e se lo faceva andare bene. Ma stavolta era diverso: il suo nome sarebbe stato comparso sulla lista degli ospiti, probabilmente sarebbero arrivati separatamente, ma quello non era un sushi in pausa pranzo o una cena aziendale. Lui sarebbe stato l'unica persona che conosceva in tutta la location e  con cui avrebbe probabilmente trascorso tutta la serata.
"C'è posta per te!"
Alice entrò nell'anticamera con la sua proverbiale vitalità e un tono di voce più alto del necessario. Maya le fece segno di tacere, ricordandole che Alex era nell'altra stanza, anche se la porta era chiusa.
"Ops … comunque non è veramente posta per te" chiarì, posando alcune lettere sulla scrivania della collega e lanciandole un occhiolino divertito e complice. Pensava di essere simpatica.
"Ovviamente" confermò lei, gli occhi al cielo.
Le firmò la ricevuta sul tablet con il solito scarabocchio più in fretta che poteva, sperando di levarsela di torno, ma era più facile a dirsi che a farsi con Alice. Ci doveva essere qualcos'altro.
"Che c'è Alice?"
"Ehm sì, Maya" esordì la ragazza, terrorizzata come se dovesse chiedere alla prof di greco zitella e acida di mandarla in bagno nel bel mezzo della versione "ti ricordi che Simone sta per diventare papà?"
Ah già. Uno dei giornalisti della sezione sport. Le piaceva che da loro non si parlasse solo di calcio e Simone era uno di quelli che si impegnava veramente tanto a far conoscere tutti gli sport possibili ai loro lettori. Lo rispettava, ma nulla di più. Alla fine rimaneva un tizio in maglione acrilico e camicia comprati al centro commerciale, berretto di lana in testa pure il 15 di Agosto a coprire un'attaccatura dei capelli sempre più alta, che snocciolava dati e statistiche sportive come fossero la tabellina del 2. Alquanto ossessivo compulsivo per i suoi gusti.
"E quindi?"
"Stiamo facendo una colletta per prendere qualcosa dalla lista baby come regalo dal giornale"
Ah ecco. Era una questione di soldi. Questo era al quarto o quinto figlio, aveva perso il conto, e loro si dovevano svenare ogni volta.
"Per le nascite quanto mettiamo?" chiese Maya, prendendo la borsa dal guardaroba e poggiandola sul tavolo energicamente, rimarcando il suo dissenso.
Non sarebbe stato quell'obolo a mandarla in bancarotta ma perché essere carini e gentili quando ci si può distinguere facendo la voce fuori dal coro e anche un po' la cagacazzi. Lo riconosceva: era un po' una drama queen e le piaceva pure.
"10 per i compleanni, 20 per le nascite e 50 per i matrimoni" le ricordò Alice.
Era un vero e proprio tariffario.
"Per fortuna che oggi convivono tutti e siamo in flessione nascite" commentò sarcastica e Alice rise.
Solo che per Maya non era affatto una battuta; un po' le dispiaceva essere una stronza ma non riusciva ad evitarlo, le usciva naturale.
Come al solito la sua borsa aveva il potere di nascondere quello che al mattino lei disponeva con ordine certosino. Persino un portafogli appariscente e coloratissimo che le aveva regalato sua sorella - Lavinia e la sua fissa con i regali pratici - con la cattedrale di San Basilio di Mosca era capace di volatilizzarsi. Dopo aver rovistato per un po' riuscì a tirarlo fuori ma, mentre prendeva i soldi da dare ad Alice, la borsa, che era stata poggiata troppo in bilico sulla scrivania, capitombolò a terra portando con sé le sigarette e le mentine, alcune ricevute della posta, un catalogo Sephora, i soliti volantini che trovava sul parabrezza dell'auto e che a differenza degli altri non stracciava mai a terra, i fazzoletti e … l'invito al gala. Ma, prima che Maya se ne rendesse conto, Alice lo aveva già raccolto ed esaminato per bene.
"MAYA ALBERICI!!!"
Ad Alice non interessavano le raccomandazioni a fare piano. Se doveva urlare la sua sorpresa c'era un solo volume da usare: fortissimo.
"Ma è un invito al gala di Cinema per Roma?"
"Perché cos'altro ti sembra?" strappandole il biglietto dalle mani e riponendolo con delicatezza di nuovo nella borsa.  
La ragazza si sistemò meglio gli occhialoni neri da nerd, come faceva sempre quando si lanciava nei suoi interrogatori.
"E perché ne hai uno?"
Maya sbuffò.
"Forse perché sono stata invitata?!"
"E da chi?"
"Secondo te?" disse con un leggero cenno del capo verso l'ufficio di Alessandro, con una punta di autocompiacimento malcelato.
"Ma allora è vero quello che si dice …" commentò Alice, piegandosi sulla scrivania e sporgendosi minacciosamente verso Maya con fare inquisitorio.
Aveva toccato un nervo scoperto: nella testa della ragazza, se qualcuno avesse controllato, avrebbero notato un allarme rosso scattato con tanto di lampeggiante e sirena rumorosissima. Per dissimulare, Maya tornò a sedere con calma e nonchalance alla sua scrivania, dopo aver raccolto tutte le sue cose. Si guardò intorno come se dovesse raccontare o ricevere un segreto di stato e, in particolare, facendo finta di badare se Alessandro potesse sentirle o meno.
"Perché? Che si dice?"
"Che sua moglie se n'è andata con un altro prima delle vacanze e non è ancora tornata. E lui è rimasto solo con i figli."
"Ma chi le va dicendo queste cazzate? Anzi, non me lo dire. Lo immagino da sola."
Doveva esserci per forza lo zampino di Lisa o peggio ancora di Stefano; i riguardi nei loro confronti non bastavano mai, ma riuscivano comunque a metterglielo in quel posto. Per inciso a lei non risultava nemmeno ci fosse un altro e Alex non aveva avuto alcun motivo per nasconderle quel dettaglio o mentirle.
"Non è così? E com'è?" rimbeccò Alice.
Maya le diede la versione ufficiale, quella che Alessandro aveva ideato per i suoi figli e per la sua famiglia, per il momento poteva bastare. Poi avrebbero trovato insieme la migliore exit strategy. Una cosa era certa: non si poteva andare avanti così ancora per molto.
"Se lo dici tu … " Alice non se la stava bevendo manco per cavolo, ma Maya non avrebbe ceduto e lei non avrebbe insistito perché l'anticamera dell'ufficio del capo non era certo il luogo ideale per controbattere.
"Certo che lo dico io … sono la sua assistente personale, se non lo so io, chi dovrebbe saperlo?"
"Ummm…va bene…e perché di tante persone che ci sono qua dentro avrebbe deciso di portare proprio te?"
Perché io sono io e voi non siete un cazzo. Quella risposta le era balenata in testa ma saggiamente preferì contare fino a 10 prima di proferire parola.
"Cosa vuoi insinuare?" le domandò.
Maya lo sapeva bene, lo aveva capito immediatamente, ma voleva capire se aveva il coraggio di dirglielo in faccia.
"Insinuare? Io? Cosa? Assolutamente nulla" balbettò Alice, vaga ed impacciata. "Senza offesa" continuò la giovane - ma lo stai facendo, pensò Maya "ma ci sono molte persone qui che avrebbero diritto a quell'invito più di te"
Aveva una bella faccia tosta, a quanto pareva, Maya non se l'aspettava.
"Tipo?" domandò, lo sguardo inquisitore e sospettoso.
"Tipo Raissa che si occupa di eventi. O qualcuno dei ragazzi che stanno alla sezione Cinema"
Senza battere ciglio, Maya le spiegò che Alex aveva definito quell'invito un premio per i suoi anni di lavoro al suo fianco.
"Qualcosa di buono devo averlo combinato, non ti pare?"
Non nascondeva di andarne molto orgogliosa. E il fatto che la preferisse a qualcuno che aveva maggiori credenziali di lei era uno smacco clamoroso di cui andare fieri.
"E comunque è un gala di beneficenza" ribadì "Raissa sarà sul red carpet ed evidentemente Alex ritiene che al suo fianco ci sia bisogno di qualcuno che sappia stare nel bel mondo invece di una penna raccatta scoop. È incredibile che dobbiate mettere in discussione pure le sue decisioni solo perché ha preferito me, la segretaria - perché lo so che mi chiamano così … senza offesa, a voi"
Anni di leccate di piedi, per poi pugnalarlo alle spalle alla prima occasione utile, e lui premia una che con il lavoro della rivista non c'entrava nulla. Maya sapeva benissimo come lavoravano quelle teste e le associazioni che facevano. Di sicuro, appena Alice avrebbe riportato la notizia, avrebbero ricamato sulle voci che circolavano e su questo nuovo dettaglio, facendo l'inevitabile 2+2.
"Ma che c'entro io?"
La faccia come il culo.
"Appena ti ho detto che vado con lui al gala subito mi hai chiesto perché"
"Ma era per fare conversazione! Lo sai come sono fatta …"
"E non mi piace come sei fatta … sempre lì a farti i fatti degli altri, a supporre … mettiti nei panni di quelli di cui spettegoli una buona volta. Prova ad immaginare come ci si sente"
Alice si alzò dal tavolo, accigliata e risentita da quelle parole. Maya aveva esagerato? Forse. Era pentita? Ma neanche per sogno. A tutto c'è un limite e quando si sta in un gruppo ancora di più. Il rispetto degli altri non è una cosa che si perde quando si acquista confidenza. E se Alice pensava di essere amica di Maya, beh pensava male. Erano colleghe, era diverso.
"Fai come se non ti avessi detto niente, Maya, tranquilla … però c'hanno ragione a ditte che sei permalosa"
"Permalosa?" Maya si lasciò andare ad un sorrisetto nervoso "Devi vedere quanno so' incazzata … vai vai!" la liquidò, indicandole l'uscita.
Fortuna volle che Alessandro le chiese di mettersi in contatto con lo studio della fotografa Ilaria Orsini per organizzare un photoshoot e trovò così il modo perfetto per calmarsi e far passare la rabbia che le era montata. Quando la chiamavano snob, influencer da quattro soldi, principessa sul pisello o cose simili lei stava al gioco perché alla fine era un po' tutte queste cose: viziata, piena di sé, pretenziosa e un tantino arrogante, ci si riconosceva in tutti quegli aggettivi e in tanti altri ancora. Ma raccomandata o mantenuta proprio no. E ammetteva anche che, quando proclamava, tracotante, che lei avrebbe sposato un uomo ricco e avrebbe lasciato il lavoro per fare la signora, probabilmente aveva praticamente gettato con le sue mani la benzina sul fuoco dei pettegolezzi. Ma tra il dire e il fare c'era di mezzo il mare e la realtà era che in quelle sue stesse parola più passava il tempo e meno ci si riconosceva. Forse a vent'anni uno crede che la vita sia come un film, con una trama prestabilita, ma a trenta ci si sveglia e ci si accorge che i piani sono un lusso che nessuno può permettersi.


 

Eccomi qui per il nostro appuntamento del venerdì. Alex propone a Maya di andare al gala e con un po' di reticenza la ragazza finisce con accettare l'invito. Alla fine si tratta di lavoro. Ma ben presto tastiamo con mano il perché dei suoi dubbi.
Forse il litigio tra le colleghe vi sembrerà uscire dal nulla, ma io cerco di presentare dei personaggi che siano il meno stereotipati possibili e quindi con dei lati buoni e cattivi, con luci ed ombre. E comunque tensioni tra colleghi sono all'ordine del giorno, quindi perché stupirsi. Vedremo se le ragazze riusciranno a riconciliarsi.
Ringrazio tutti voi per essere sempre così numerosi e chiedo scusa se non riesco a rispondere a tutte le recensioni. Con quest capitolo "Contro ogni ragionevole previsione" va in vacanza per una settimana, ci ritroveremo qui a fine mese, il 27 di Agosto. 
A presto e buone vacanze a tutti,
Fred ^_^

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***





Capitolo 6


 
Il sabato mattina di Maya non era come quello di tutti gli altri impiegati, che possono permettersi prendersela con calma perché liberi dall'ufficio e dal lavoro. Ancora a stomaco vuoto, si buttava a capofitto in 30 minuti di HIIT per scaricare ogni tensione. La prima cosa che aveva tagliato dopo la diffida della padrona di casa, era stato l'abbonamento in palestra. A tutti aveva detto che si era iscritta ad un esclusivo club di Los Angeles che seguiva le star di Hollywood e che forniva corsi on demand, che le era utile anche per tenere il suo inglese allenato. Ovviamente non era vero un cazzo. Seguiva dei video su Youtube e un gruppo di fitness su Facebook che forniva schede gratuitamente.
Dopo una bella doccia e un meritato caffè - in accappatoio e asciugamano a turbante in testa, che le dava più gusto - Maya tirava fuori dall'armadio i suoi abiti più comodi, mocassino college o Hogan a seconda della stagione e, inforcati gli occhiali, li metteva come frontino, in caso ce ne fosse stato bisogno durante il viaggio. Sì perché ogni due settimane - o almeno quando sua sorella non era di turno in ospedale - il sabato era il giorno del pellegrinaggio: così lo aveva ribattezzato, e Lavina, per una volta, non aveva fatto una piega a riguardo. Maya passava a prenderla con l'auto - perché Lavinia si preoccupava della sua impronta di carbonio ed usava solo mezzi pubblici, ma non si faceva scrupoli ad usare quella altrui - ed insieme si dirigevano verso i Castelli, a Grottaferrata, dove la madre viveva in un'elegante villa d'epoca con il suo nuovo compagno - un conte o un marchese, la situazione titoli non era proprio ben chiara - e la loro cagnetta Bianca, una Jack Russell vispa e giocherellona.
Lavinia era sempre di buon umore in queste occasioni e, quando poteva, non diceva mai di no alla proposta della madre di prepararle una stanza per la notte; non che Maya disdegnasse quelle visite, purché rimanessero un appuntamento a cadenza quindicinale e non si sforassero le 3 ore. L'aria pulita e l'assenza dei rumori della città andavano assunte con il contagocce. I mobili d'antiquariato e il silenzio le mettevano ansia. Preferiva di gran lunga tornarsene in città a mettere in ordine la sua casa fredda e contemporanea.
Uscite dal Raccordo, il telefono di Maya iniziò a squillare. Mise in vivavoce.
"Maya, tesò ho trovato la tua chiamata" era Olivia.
"Sì, ciao Olli, come stai tesoro? È parecchio che non ci sentiamo!"
Lavinia sgranò gli occhi. Non poteva credere a quello che stava sentendo. Maya, dal canto suo, pregava tutte le divinità esistenti in tutte le lingue che conosceva che non si rendesse conto di quanto le stesse leccando i piedi in quel momento. Sua sorella, però, dopo l'iniziale smarrimento, non se la bevve e infatti scuoteva la testa. Era paracula, ne conveniva lei stessa.
"Tutto bene tesò. Scusami eh, ma il sabato mattina dormo un po' più del solito"
"Non ti preoccupare, avessi potuto lo avrei fatto anch'io. Ma io e Lavinia stiamo andando a trovare la Principessa Torlonia nella sua dimora di campagna".
No, la madre non era né una Torlonia, né una principessa. La storia che si tramandava era che una trisavola era figlia di un barone svizzero o belga mandata a fidanzarsi con il figlio di un ambasciatore presso la Santa Sede, ma aveva finito per innamorarsi di un banchiere romano: ricco, ma pur sempre borghese. Da allora la famiglia, rimasta a Roma, aveva iniziato a darsi arie di nobiltà, senza titolo né residenza di famiglia.
"Ascolta … avrei bisogno di un favore. Mi servirebbe il numero di quell'amica tua che mi avevi presentato tempo fa … quella che frequentava lo IED …" disse, vaga.
"Ma chi? Marzia?"
"Ecco sì, brava, proprio lei …"
L'aveva conosciuta non più di tre anni prima ad una presentazione di tessuti indiani organizzata da sua madre in un casale in Toscana e ne ricordava malapena il volto ma quell'insopportabile voce nasale e l'intercalare ricercato, pieno di super e troppo fico, e quei modi da finta timida che tira una ciocca di capelli dietro l'orecchio se li ricordava benissimo; le aveva sfracassato le ovaie tutta la sera con la sua ossessione per Vogue, pregandola di ottenere un articolo su Roma Glam o un colloquio, le andava bene qualsiasi cosa. Lei le disse che ci avrebbe provato, più che altro per zittirla, ma se ne scordò appena rientrata a casa. Nel frattempo, però, le aveva scroccato un vestito per andare al matrimonio di una cugina in Umbria. Non sarà stata la Coco Chanel del ventunesimo secolo, ma sapeva vestire le donne a seconda del loro fisico invece che seguendo il suo gusto personale.
Aveva provato a contattarla ma le opzioni era due: o aveva chiamato numero, o aveva bloccato il suo contatto.
"Maya, Marzia si è diplomata quattro anni fa" ecco forse erano addirittura passati cinque anni, perché ora che ci pensava bene lei lavorava con Alex sì e no da un paio di mesi all'epoca.
"Veramente? Ma come vola il tempo! È pazzesco!" doveva smetterla di essere così teatrale, prima o poi qualcuno l'avrebbe sgamata.
Sua sorella, guardandola in cagnesco, disapprovava. Maya nel frattempo aveva calato gli occhiali per proteggersi dal sole e avrebbe voluto accendersi una sigaretta, ma Lavinia gliela prese dalle mani, aggressivamente, e borbottando qualcosa a proposito dell'andarsi ad ammazzare per accendere un mozzicone.
"Metti le cuffie e ascolta la tua musica di merda su Spotify …" la sgridò, scacciandola.
Non era facile starsene in disparte, sedute in una Smart, ma Lavinia si placò, se non altro per agitare la sorella che guidava.
"No, nooo non dicevo a te, scusa" chiarì Maya al telefono "c'è Lavinia in macchina con me e ti saluta. Comunque ti dicevo … avrei bisogno del suo numero perché so che in redazione stanno preparando una serie di articoli su stilisti emergenti romani e mi sono permessa di fare il suo nome. Glielo devo …"
Non era vero un cazzo, ma poteva far credere loro quello che voleva: che il progetto non era andato in porto o che i suoi vestiti non erano in linea con il taglio che avrebbero dato agli articoli.
"Ma il direttore vorrebbe prima vedere le sue creazioni per decidere, e così ho pensato che potrebbe vestire una nostra inviata alla Charity Dinner del Festival del Ci-…"
"Oh ma che ti stai a giustificare con me? Mica faccio la segretaria di Marzia io"
"No certo, hai ragione scusa …"
Maya si morse la lingua, perché la base del Sistema Parioli era sì costruire bene le sue bugie, ma al contempo non riempirle di dettagli inutili ed impervi.
"Comunque, ti mando il suo contatto su Whatsapp. Riguardo a noi invece … da quand'è che non usciamo una sera insieme?"
"Eeeh da un po'" per fortuna, pensò Maya "a lavoro con il Festival del Cinema in arrivo è tutto un fermento. Poi sto anche cercando casa …"
Maya soffocò in gola le sue stesse parole. Sua sorella, ridacchiò, con quell'espressione da te l'avevo detto, puntandole il dito contro. Quello era ciò che Lavinia chiamava karma. Prima o poi tutto si paga, persino un castello di carte. Ma Maya non aveva soldi da spendere neanche per quello ed era ben più scaltra del karma.
"Ma sì … la padrona di casa è una stronza. Già pago 1700 Euro per un bilocale, vuole anche aumentarmi l'affitto. Ok che siamo a Roma Nord, ma non ho Paolina Bonaparte come vicina di casa. Magari è la volta buona che me ne vado a Balduina, così faccio contenta pure mia sorella che le sto più vicina"
"Maya Alberici che lascia i Parioli, questo sì che sarebbe un evento storico …"
Effettivamente era così. La sua famiglia ci aveva vissuto più o meno dalla loro costruzione, nei primi del Novecento, si poteva quasi dire che gli Alberici i Parioli li avevano fondati, ma non era propriamente una cosa di cui vantarsi per come le stavano andando le cose. Quando aveva confessato i suoi problemi a Lavinia, passati i cinque minuti di sfogo dall'incazzatura e la predica sull'irresponsabilità nonostante i suoi trent'anni suonati, la sorella si rimboccò le maniche anche più di lei e la spronò a sistemare la situazione, offrendosi anche di ospitarla per qualche tempo se si fosse reso necessario. Maya sperava non si dovesse arrivare a tanto. A trentacinque anni Lavinia viveva ancora con dei coinquilini in un appartamento vicino al Policlinico Gemelli, dove lavorava. Invece che fare vita da simil-universitaria, Maya piuttosto avrebbe dormito di nascosto in ufficio.
"Comunque se ti va ti accompagno a fare un giro di case …" aggiunse la ragazza al telefono "Max ha un amico che lavora in un'agenzia immobiliare, ci ha aiutati tantissimo quando abbiamo preso casa insieme"
Olivia non era tipa da farsi troppi problemi. Non aveva mai assorbito veramente le dinamiche romane: le conosceva, si sforzava pure di capirle, ma per lei Ponte Milvio non era una sorta di dogana come per molti altri loro conoscenti. Si fosse anche trasferita a Torpignattara, per lei non avrebbe fatto alcuna differenza.
"Devi scroccare un vestito a quella ragazza? Di nuovo?" la rimproverò sua sorella, quando chiuse la telefonata.
"No! Lo affitto a spese della rivista. Ho il permesso di mettere in nota spese tutto quello che mi serve."
"Ma perché non compri un abito a via Condotti come farebbe una persona normale?"
"Perché io non voglio essere una persona normale"
Se c'era una cosa che Maya detestava, e si stupiva che sua sorella ancora non se ne fosse fatta una ragione, era passare inosservata, mescolata nel piattume della folla. Era un'occasione speciale e, anche se era solo lavoro, lei doveva essere al top.
"Però se le dico che è per me mi manderebbe via a pedate dall'atelier dopo l'ultima volta" spiegò "almeno così se non riesco a farle avere un articolo posso sempre farle pubblicità gratuita sul red carpet con le foto che di sicuro mi faranno."
"Perché non le dici la verità?" domandò Lavinia, dopo aver rimuginato per un po' in silenzio.
"Ancora?"
"Ma no! Mi riferivo ad Olivia …"
"Per dirle cosa esattamente? Che non c'ho na lira?"
"Olivia è una brava ragazza, capirebbe"
"E se si venisse a sapere?"
"Esticazzi Maya, sinceramente … delle persone ti deve interessare la correttezza nei tuoi confronti, non il loro giudizio. Non ci esci solo per sentirti importante, fosse anche … che ne so … Kate Middleton"
Ma lei era cresciuta così, in quella bolla dorata che era stata la sua vita privilegiata e aveva finito per credere che quello era l'unico modo per essere spensierati e felici. Alla fine della fiera, riusciva anche a divertirsi sul momento ma le restava poco. Non una vacanza che potesse chiamare indimenticabile, non una serata tra amici che fosse uguale alle altre. E giudicando tutto e tutti, consapevole di essere trattata alla stessa maniera. Vuota forse, ma di sicuro non era proprio una vita leggera. Vivere con quella costante pressione addosso non era per tutti.
Arrivate a Grottaferrata, al crocevia tra due stradine strette di campagna, malamente asfaltate, che si dividevano a V, c'era un elegante cancello in ferro battuto, con tanto di monogramma familiare. Lavinia scese per suonare al citofono e a loro si aprì un lungo viale di ghiaia bianca in cui cipressi e altri alberi secolari si alzavano a protezione della proprietà dagli sguardi indiscreti dell'esterno. Tra alcuni alberi di ulivo si intravedevano la piscina e la dependance che la madre usava come studiolo. Di fronte a loro, alla fine del viale, si apriva invece un piccolo spiazzo di fronte alla faccia della villa. Era un casino su tre livelli, color ocra ma sbadito dal tempo e piante rampicanti ovunque si avesse la possibilità di farle arrampicare: dal portone d'ingresso su per il balcone del primo piano, sulla piccola tettoia che riparava le porte finestre del soggiorno e nel pergolato del terrazzino al primo piano dove, conoscendo la madre, avrebbero di sicuro mangiato. Era una bella giornata, soleggiata e calda abbastanza per approfittarne ancora nonostante fossero i primi di Ottobre.
Le due sorelle non fecero in tempo ad uscire dall'auto che alle loro caviglie si ritrovarono, festante, quella piccola peste di Bianca. L'avevano chiamata come un'antenata di Ruggero, tanto per ribadire il concetto del blasone.
"Le mie bambine!" la madre uscì nel piazzale, accogliendole a braccia aperte.
Era sempre così, Matilde faceva gli onori di casa e Ruggero se ne stava in cucina a preparare il pranzo, per fare il suo ingresso scenografico con grembiule da cucina, ascot al collo e un vassoio da portata tra le mani. Di bianco vestita, con uno scialle etnico sulle spalle, Matilde aveva l'aspetto a metà strada tra una santona e una modella di Laura Biagiotti.
"Lei ha 35 anni, io 30, il londinese 32" le ricordò Maya "direi che abbiamo passato l'infanzia da un pezzo"
"Quanto sei antipatica Maya, per una mamma i figli sono sempre piccoli come il giorno che li ha presi in braccio la prima volta" ma sua figlia scosse la testa, alzando gli occhi al cielo. Con Matilde, le conversazioni prendevano sempre una piega tra il poetico e il patetico. Era di sicuro uno spirito più affine alla maggiore tra le sorelle, Maya era sicuramente più cinica e meno sognatrice, ma le voleva bene ed era contenta che fosse riuscita a rifarsi una vita dopo suo padre. Alla fine era una giovane vedova e non c'era motivo perché si chiudesse al mondo prima ancora di spegnere 60 candeline. Non l'aveva cercato, era capitato, non era certo un amore passionale ma una compagnia pacata e fedele ed andava benissimo così.
"Bianca a cuccia!" la donna riproverò la cagnolina che saltellava da una parte all'altra sui pantaloni delle ragazze "Dai, entrate, che mi dovete raccontare tutto ma proprio tutto di quello che combinate a Roma"
"Tua figlia ha ricevuto una promozione" dichiarò Lavinia, riferendosi alla sorella minore, mentre attraversavano il salone principale dove la semplicità del pavimento in cotto faceva da contrasto all'opulenza delle cornici dei quadri alle pareti e al broccato dei divani.
"Veramente?" la madre si fermò sulle scale che portavano al piano superiore dove avrebbero pranzato, sorpresa.
"Ma non la stare a sentire, mamma, non è vero. Anche perché il mio lavoro non prevede promozioni."
"Beh come lo chiami tu andare come ospite del tuo datore di lavoro ad un evento mondano? Per me è una promozione. Sta diventando una VIP"
Lavinia strizzo l'occhio a sua madre la quale, sotto la morbida e folta chioma castana, non poteva nascondere uno sguardo complice verso una figlia e un sorriso orgoglioso e furbastro verso l'altra.
"E se non ricordo male il tuo capo è anche un gran bell'uomo, Maya, no?"
"Se vabbè ciao … non mettetevi in testa strane idee voi due. È lavoro"
"Io non ho detto niente … mamma ha fatto tutto da sola"
"E va beh" si giustificò Matilde "una madre avrà pure il diritto di sperare che le sue figlie si sistemino"
"Sì ma magari non con un uomo parecchio più grande di lei e con già due figli" tagliò corto Maya.
Era fuggita volentieri dalla città per scrollarsi di dosso i pettegolezzi che sempre più insistenti le ronzavano intorno in redazione, soprattutto dopo che aveva litigato con Alice e la ragazza per vendicarsi si era data ancora più da fare a confermare le chiacchiere che correvano. Non voleva fare la bambina piagnucolosa dell'asilo e andare a riferire tutto ad Alessandro, ma stringeva i denti e aspettava che la marea passasse. Dopo l'evento, provato che non c'era niente da provare, tutto sarebbe tornato come prima.
"Tadàaaaa!"
Ruggero, questa volta, si era fatto trovare con la tavola imbandita sotto la pergola. Occhiale da vista multicolore, barba e capelli bianchi raccolti in un codino, solo a guardarlo dava una sensazione di benvenuto e di familiarità, con la sua eccentricità, il suo sorriso smagliante e le braccia sempre spalancate. Non si riusciva a non stare bene se lui era nei paraggi. Non era un padre per le due ragazze, si conoscevano da troppo poco e loro erano troppo grandi per un patrigno, ma un buon amico sì. E poi cucinava da Dio, il che non guastava. Lui, dal canto suo, non pretendeva nulla da loro: figli ne aveva, anche se lavoravano all'estero, chi in Svezia, chi in Germania e se andava bene li vedeva su Skype un paio di volte a settimana. La sua unica speranza era che potessero tornare a prendersi cura della tenuta, un giorno. 
"Spero abbiate fame, perché mi è scappata un po' la mano con le quantità" era una scusa, ma la ripeteva ogni volta. Semplicemente amava ricevere ospiti, in villa lui e Matilde non erano mai soli e lui non sapeva cucinare per meno di 5 persone.
"Io di sicuro" lo tranquillizzò Lavinia "mia sorella non saprei … ora che fa la VIP forse deve mantenere la linea"
"La smetti con questa storia della VIP?"
Le due erano cane e gatto praticamente da quando Maya era nata, l'una punzecchiava l'altra e nessuno mai aveva provato a dividerle perché era palese che fosse parte del gioco. Del resto, quando le aveva raccontato dell'invito c'era mancato poco che non ribaltasse la Smart della sorella dall'eccitazione per la notizia.
"Vogliamo tutti i dettagli, mi raccomando … e anche le foto dei personaggi famosi!!!" rincarò la dose l'uomo.
Sarà stato il vino, sarà stato il buon cibo o l'aria fresca e il profumo dei fiori che ancora incorniciavano la pergola grazie al pollice verde di sua madre, ma a questo giro Maya fece fatica a rimettersi in auto per tornare a casa. Era come se quella boccata d'aria fresca le avesse aperto i polmoni e d'improvviso avesse sempre più fame di quell'aria buona.
"La porta è sempre aperta, potete venirci a trovare quando volete, anche per qualche giorno" le incoraggiò la madre, posando un bacio sulla guancia della minore delle sue figlie mentre l'abbracciava.
"Ma voi avete sempre ospiti, saremmo di troppo"
"Non sarete mai di troppo in questa casa, ragazze, non scherziamo" la rassicurò Ruggero "e poi, non c'è partita se vi confronto con quelle cariatidi che vengono per parlare di solo di quadri, vini e giardinaggio. Anche noi abbiamo bisogno di un po' di vita mondana ogni tanto …"
"Potreste venire voi a Roma ogni tanto. Saremmo ben felici di farvi da Cicerone"
Maya avrebbe voluto tirare un pizzicotto sul braccio della sorella, come faceva sempre da bambina quando, puntualmente, Lavinia faceva la spiona sulle sue marachelle. Ok giocare alla famigliola felice di campagna, ma a Roma era tutta un'altra cosa. Loro, e ci metteva anche sua sorella, avevano le loro vite e non potevano certo mettersi a fare le guide turistiche. Ma a lei cosa fregava, tanto con la scusa dei turni in ospedale li avrebbe di sicuro smollati a lei per presentarsi solo ad ora di cena. La ragazza però preferì prendere l'argomento sotto un altro punto di vista
"Ma sì … vi prendete una bella camera d'albergo in centro, ve la posso prenotare io se volete e ve ne andate a teatro … che ne so, all'opera oppure al Sistina, quello che vi pare, cenetta romantica da Armando al Pantheon - che lo so che a voi non piacciono le cose troppo complicate - e date una bella botta di vita alla vostra routine campagnola"
La madre e Ruggero le sorrisero, grati, promettendo che ci avrebbero fatto un pensierino. Maya, mentre con la sua Smart si lasciava la villa ocra sbiadito alle spalle, era tranquilla: non l'avrebbero mai fatto.
 
A Roma, invece, a casa Bonelli, qualcuno avrebbe preferito tenere la testa concentrata sul lavoro piuttosto che tornare a confrontarsi con la realtà che la sua vita privata gli metteva davanti. Se non altro si era deciso a prendere un appuntamento con l'avvocato divorzista che Francesco gli aveva suggerito, dopo giorni di ripensamenti. Alla fine, come gli aveva detto l'amico, si trattava di farsi consigliare, capire come muoversi, senza dover per forza già preparare carte o allarmare nessuno.
Accompagnati i figli a scuola e tornato a casa, aveva indossato casco e giubbino di pelle ed aveva tirato fuori dal garage la sua Moto Guzzi. Claudia non amava andare in moto; al massimo, per battere il traffico, si faceva scorrazzare su scooter più comodi e quel classico gioiellino era rimasto un vezzo tutto per lui che si era concesso per starsene per conto suo di tanto in tanto, anche solo per scendere in garage a prendersene cura. Imboccando la via Tuscolana dal GRA si era lasciato guidare un po' dall'istinto e un po' dalla strada, finendo nei Castelli Romani, costeggiando il lago di Albano, le dolci colline che lo circondano ricche di vegetazione e la residenza papale che, da Castel Gandolfo, sta di guardia sull'antico vulcano.
Il cielo terso e il calore del sole autunnale gli avevano fatto venir voglia di prendere il cellulare, chiamare sua sorella e lasciare che si occupasse lei dei ragazzi. Ma poi pensò che non aveva più vent'anni e i problemi era perfettamente in grado di prenderli di petto; lo faceva a lavoro, poteva e doveva farlo anche a casa.
Sarebbe tornato a Roma e non solo avrebbe parlato con suo figlio, ma avrebbe anche raccontato tutto ai suoi genitori: dovevano sapere le cose come stavano ma, soprattutto dovevano saperlo da lui e non da qualcuno che avrebbe dato una versione che non corrispondeva a realtà. Aveva tergiversato fin troppo.
Sulla strada del ritorno pensò a lungo alle parole da usare, ma alla fine si convinse che la cosa migliore da fare era restare sul semplice, senza troppe spiegazioni e senza giri di parole. Anche perché, da spiegare c'era veramente ben poco: lui stesso non aveva idea del perché Claudia avesse lasciato la sua famiglia per oltre due mesi.
Lasciata la moto, Alessandro andò a piedi a prendere la bambina. Ines, che era andata a fare le pulizie, lasciava sempre qualche suo manicaretto per il week end e non aveva alcuna fretta di tornare a casa per mettersi ai fornelli, tanto più che, conoscendo suo figlio, all'uscita da scuola passava sempre con gli amici a prendere patatine e Coca Cola in qualche baretto e a casa, puntualmente, non aveva fame.
Sul Lungotevere le foglie dei platani già iniziavano, lentamente, ad ingiallire: presto avrebbero formato un tappeto rossastro lungo la strada e, più in basso, sulle banchine del fiume, rendendo praticamente impossibile correre sulla ciclabile. A breve, l'ora di sfogo di Alex, di corsa fino al Foro Italico, sarebbe stata sostituita con una sala attrezzi asettica, non importava quanto esclusiva fosse. Alex aveva tutti i privilegi e i comodi che i soldi potevano comprare ma era anche consapevole che non facevano la felicità. Forse perché era ancora un ragazzo, ed era in un momento della sua vita in cui le ristrettezze non le capiva o non gliele facevano capire, ma lui la felicità l'aveva vissuta: non in un appartamento duplex, ma in una stanza condivisa con sua sorella, in un tinello con cucinino come zona giorno e un unico bagno per quattro persone; non con un parco auto a cinque zeri, ma con un Ciao comprato andando a lavorare a tempo perso dal carrozziere dietro l'angolo.
Ma Alex aveva lavorato sodo per tutto quello che aveva e non lo disprezzava; semplicemente gli sarebbe piaciuto riassaporare, anche per un po', la leggerezza di quei giorni.
Di ritorno a casa, non trovò la porta di casa chiusa a chiave come l'aveva lasciata, stranamente Edoardo era già a casa. Ma la cosa che stranì di più Alex, fu il vociare che arrivava dal fondo del corridoio. Edo era lunatico, come tutti i ragazzi della sua età alternava giorni in completo mutismo ed estraniazione a giorni di grande affabilità, ma non era tipo da mettersi a conversare amabilmente con Ines. Inoltre, era abbastanza sicuro che, quando era salito a casa in fretta e furia, dopo il giro in moto, la donna fosse già andata via.
Entrato nella zona giorno, la piccola Giulia sfilò velocemente la sua manina dalla stretta del padre, correndo verso la cucina.
"Mamma mamma!"
Claudia si inginocchiò, per prendere in braccio la bambina, accogliendola con un gran sorriso
"Amore mio! Ma come sei cresciuta!!!"
Era tornata.



 
Ciao a tutti e ben trovati!!! Come promesso oggi ci ritroviamo con un nuovo capitolo.
Come si dice: chi non muore, si rivede. E finalmente, dopo due mesi di lontananza, Alessandro rivede Claudia. Adesso sì che ne vedremo delle belle.
Presa una pausa dal lavoro scopriamo un altro lato, meno glamour ma sempre di un certo livello, della vita di Maya. In più i preparativi per il gala vanno avanti, ancora nello spirito del famigerato Sistema Parioli.
Chiedo scusa se non sono riuscita a rispondere a tutti i commenti ma siete stati tantissimi e non posso che ringraziarvi, quindi a questo giro ho preferito rispondere alle recensioni in cui c'era qualcosa che mi premeva approfondire o spiegare.
Alla prossima, 
Fred ^_^
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***







Capitolo 7



Da quando Alex le aveva rivelato della sua situazione in famiglia, Maya aveva iniziato ad occuparsi un po' anche della sua agenda privata. Diceva sempre di essere una P.A. part-time, le cui competenze si limitavano alla sfera lavorativa e stava bene a tutti e due. Ma con la rivoluzione familiare che Alex aveva subìto suo malgrado, Maya si era offerta di aiutarlo a trovare un ritmo nelle sue giornate e a non perdere nulla per strada. La sua presenza, discreta e organizzata, aveva permesso ad Alex di ritrovare un po' di serenità, il che gli consentiva anche di essere più produttivo e propositivo a lavoro.
Per Maya non era una gran fatica, del resto: doveva solo stilare una tabella di marcia, ricordargli quando fare questo o quello, i ricevimenti dei professori di Edoardo, l'uscita dall'asilo di Giulia, le visite dal dentista, cose così ... niente che le portasse via più di 10 minuti, insomma.
Era il turno di Alex di andare a prendere la piccola all'asilo: il lunedì ci pensava sua sorella Anna, il martedì e il giovedì i suoi genitori e il mercoledì e il venerdì spettava a lui; Maya non si era azzardata a chiedergli quanto la famiglia sapesse di quello che era successo, ma non doveva esser stato molto aperto e chiaro se a lavoro si faceva ancora così tanti scrupoli. Ma questa era solo la sua opinione un po' pettegola ed era meglio non farsi troppi film mentali. Lei, poi, non poteva proprio parlare: dopo aver attinto al suo fondo emergenze per pagare l'affitto, aveva comunicato alla padrona di casa di voler lasciare l'appartamento e la donna, nonostante i tre mesi a cui Maya aveva diritto per contratto, le stava letteralmente con il fiato sul collo, portandole in casa, a giorni alterni, estranei che avrebbero potenzialmente preso il suo posto. Ma di questa situazione non ne aveva fatto parola con nessuno, nonostante i modi passivo-aggressivi della donna la stessero portando ad un passo dal manicomio.
Doveva sbrigarsi a trovare un nuovo appartamento, ma non aveva alcuna intenzione di adattarsi e non era ancora saltato fuori niente che facesse al caso suo.
Il tablet riportò Maya saldamente con la testa nell'ufficio, notificandole che era ora che Alex andasse via per tornare in centro a prendere la bambina. Buttò uno sguardo veloce nell'ufficio, ma non sembrava neanche in procinto di prepararsi ad uscire. Stava seduto tranquillo alla sua scrivania, impegnato al computer. Erano un paio di giorni che aveva dei ritmi un po' sballati ed era spesso sovrappensiero, ma con la situazione in casa non c'era da meravigliarsi; magari aveva concordato diversamente con la famiglia e lei non era stata avvisata, ma era meglio sincerarsi.
"Alex perdonami" disse, bussando alla porta ma rimanendo sull'uscio "sarebbero le 15.25. Forse è ora che ti avvii o non arriverai in orario per l'uscita di tua figlia dall'asilo"
"Ah no, oggi sono esonerato" le disse, alzando la testa dallo schermo del computer "grazie comunque."
"Come non detto …" disse la giovane, sorridendogli un po' impacciata.
"È tornata Claudia, sai?" le disse, mentre si defilava.
Lei non aveva chiesto nulla ma a lui uscì spontaneo, come una confidenza che ad una persona fidata, amica. Maya fece marcia indietro.
"Ah sì?" domandò, ma entrambi sapevano che non era interessata a fare pettegolezzi.
"Già. Non ti ho detto nulla perché -" "Perché non sono cose che mi riguardano, molto semplicemente. Vorrà dire che appena puoi rivediamo la tua agenda. Suppongo che adesso si torni un po' alla vecchia routine …"
"Suppongo di sì."
Maya non riusciva a decifrare lo sguardo che le rivolse: un misto di speranza e disincanto; probabilmente era consapevole che indietro non si tornava più. Quella fragilità che si imponeva di cacciare dentro e con forza li accomunava ed era disarmante, per lei, riconoscercisi.
"Per la Charity Dinner invece?"
"Cosa?"
"Immagino che a questo punto andrai con tua moglie" ed io dovrò inventare una scusa per bloccare il vestito, avrebbe voluto aggiungere.
L'ennesima figura di merda con Marzia, ora sì che l'avrebbe ammazzata … e pure con Olivia, che avrebbe scoperto il suo bluff, ma le stava bene perché sua sorella aveva ragione: lei non sapeva essere umile. Un vestito in una boutique, tu, mai …
"Maya ho detto che è tornata, non ho detto che abbiamo rinnovato le promesse nuziali in una cerimonia romantica al tramonto"
Un silenzio raggelò la stanza; mancavano solo i grilli che frinivano a sottolineare l'imbarazzo per quella battuta un po' troppo personale.
"No, la verità è che l'ho dovuta far rientrare a casa per forza visto che anche di sua proprietà" si affrettò lui a chiarire, per uscire da quella situazione d'impaccio "Scusami, non so perché te lo sto dicendo"
Era la seconda volta che succedeva, che non riusciva a trattenersi dal confessarle dettagli così personali. "Perché evidentemente ne avevi bisogno"
Maya, che lentamente si era avvicinata alla scrivania, si ritrovò piegata verso l'uomo, il braccio disteso e la mano ad afferrargli delicatamente il braccio: era una premura e un gesto di supporto che a malapena riservava a sua sorella, figurarsi ad un uomo che per lei doveva essere poco meno di uno sconosciuto. Si ritrasse velocemente, ma l'uomo non si scompose.
Era così; Maya aveva ragione: aveva bisogno di dirlo e, per una volta, non sentirsi giudicato. Dirlo e chiuderla lì: una cosa che certo non aveva potuto fare con i suoi. Quando aveva raccontato ai genitori quello che era successo era toccato a lui consolare la madre, prima di tutto, e poi spiegare il perché e il per come non aveva alcuna intenzione di proseguire con il matrimonio. Sì. Ora ne era certo. Nel momento esatto in cui aveva visto Claudia di nuovo in casa aveva capito che il loro matrimonio era finito: non era più sua moglie, non gli era mancata.
"Non cambia niente" chiarì, invitandola a sedere di fronte a lui "anzi. E poi … stiamo andando per lavoro"
"Ecco…a questo proposito…" lo incalzò Maya "sono due settimane che continuo a ripetere a chiunque che è per lavoro. Ma esattamente cos'è che dovrei fare?"
"La definirei soft diplomacy. Dobbiamo convincere gente con i soldi che siamo il cavallo giusto su cui puntare, ma visto il luogo e il contesto non sta bene farlo apertamente. E tu ci sai fare di sicuro meglio di me."
Claudia era una maga in questo. Se qualcuno avesse avuto bisogno di vendere del letame, le diceva sempre, lei non solo ci sarebbe riuscita, ma avrebbe convinto l'acquirente che aveva acquistato dei diamanti: un'imbonitrice nata; per la prima volta, questo lo stava sperimentando a sue spese.
"Io? Meglio di un uomo d'affari? Non direi …" ribatté la ragazza.
"Un uomo d'affari ad un gala di beneficienza è un po' come un pesce fuor d'acqua. Non lo sai che siamo una specie che vive in luoghi grigi ed asettici e parliamo solo con numeri e statistiche?" spiegò lui, ironico.
Maya fu divertita e sorpresa da un Alessandro così libero e aperto con lei. Di solito il sarcasmo era la sua arma per essere pungente quando voleva rimproverare, ora invece voleva semplicemente fare una battuta. Erano sempre andati d'accordo, ma questa intesa così … intima era il termine che avrebbe usato … era una novità assoluta. Sentiva finalmente di aver trovato qualcuno, all'interno di quegli uffici, che la trattasse come pari. Ed era assurdo che, tra tutti quelli che vi lavoravano, fosse proprio il suo datore di lavoro a farlo.
"E perché pensi che io sia più un grado di uno del reparto marketing?"
"Perché non ho bisogno di vendere inserzioni, quello lo possiamo fare anche da qui. Ho bisogno di vendere me stesso, in un certo senso … di convincere che io sia un'ottima controparte per fare affari. Ma se lo faccio da solo rischio di risultare solo un pallone gonfiato."
"Non lo so se ha senso questa cosa, né se sono in grado" rifletté lei, scettica, ad alta voce, arricciando la bocca "ma chi se ne frega! Ad un certo punto … è pur sempre una delle feste più esclusive dell'anno e non me la perdo per uno scrupolo di coscienza o le malelingue dei giornalai che popolano questa redazione"
"Maya!" la riprese lui "Meno pensieri ad alta voce, per favore. Va bene tutto, ma ti stai prendendo troppe libertà …" Maya aveva cantato vittoria troppo presto. "E poi … di che malelingue parli?"
"Non le immagini?"
"Hanno già cominciato?" domadò lui, telegrafico. Non c'era bisogno di aggiungere altro, ma era il turno di Maya di sfogarsi.
"Quello che ti è successo lo sanno già ed è bastato che Alice vedesse per sbaglio il mio invito per ricamarci su e farci diventare amanti …"
Si vergognava anche solo a pensarla una cosa del genere. Non solo perché Alex era molto più grande di lei - quella forse era davvero l'ultima cosa a cui pensare - ma perché era incredibile che, secondo loro, dopo 5 anni di lavoro fianco a fianco, stava succedendo solo in quel momento. Per di più, se con lei avevano sempre fatto battutine, risatine e occhiate d'intesa alle spalle, con Alex, la caratura morale non era mai stata messa in discussione; fino a prima delle vacanze estive era per tutti un lavoratore indefesso, un marito e un padre esemplare: un modello da seguire in tutto e per tutto. Una singola voce, una notizia arrivata per vie traverse, incompleta e maliziosa, ed era diventato un dongiovanni e un porco che se ne va con le ragazze più giovani per risollevarsi dalla classica crisi di mezza età. Magari ci fossero in giro più uomini con la stessa crisi di mezza età.
"Mi dispiace Maya, sinceramente. Se vuoi li metto a tacere io"
"A che pro? Servirebbe solo ad agitare ancora di più le acque. Se ne sono convinti lo prenderebbero per un'ulteriore prova"
"E pure tu hai ragione. Vedi che faccio bene a portarti con me?" la punzecchiò, pungente "Ti butti sempre giù, ma sei sempre un passo avanti a tutti …"
"Devo per forza, quando si lavora con il migliore"
Maya si alzò dalla sedia, con quell'espressione un po' impertinente che lo faceva diventare matto. Aveva un disperato bisogno di quella sfacciata leggerezza che Maya sapeva portare alle sue giornate di lavoro. Stare a casa sua, invece, era diventato un macigno.
"Questa però è una sviolinata"
"Non è per questo che mi hai invitato al gala? Mi alleno…" e di nuovo, gli strizzò l'occhio, ironica.
Lui sorrise; anzi no, rise. Lo aveva aiutato ad alleggerire il peso del ritorno di sua moglie, della disapprovazione di suo figlio, dei piagnistei di sua madre e dei silenzi di suo padre; se questo era l'effetto di pochi minuti, non vedeva l'ora di staccare la spina per un'intera serata.
 
Se comunicare ai suoi genitori che aveva deciso di separarsi da Claudia gli era sembrato un ostacolo insormontabile, spiegarlo alla sua piccola di cinque anni, si era rivelato un'impresa titanica. Giulia era infatti in piena fase dei perché e i suoi interrogatori, per quanto semplici, sapevano essere estenuanti. Spiegarle che, tra mamma e papà non per forza ci si vuole bene per sempre, era stato fin troppo semplice; più difficile, per assurdo, era stato farle capire perché, tornata la mamma, lui avrebbe continuato a dormire in un'altra stanza.
Voleva essere sincero, per quanto una bimba di cinque anni potesse capire, e spendeva ogni energia che aveva per farle comprendere che in nessun modo era colpa sua e che nulla sarebbe cambiato nel modo in cui loro le volevano bene, né nel modo in cui lei avrebbe voluto bene a loro.
Ma un conto era sedersi nel suo lettino in cameretta, con la luce soffusa dopo cena, con il sonno già abbondantemente pesante sopra le palpebre e parlare in linea teorica, un conto è vivere, nei fatti, la realtà di un a famiglia che si sta sgretolando, con un figlio che riparte con il suo mutismo selettivo e una moglie che fa finta che non sia successo niente. Per Alex, invece, erano successe troppe cose e avrebbe voluto solo aprire la porta ed uscire lui, a questo giro. Ma non poteva farlo: sapeva quanto la legge sa essere dura con i padri, l'avvocato era stato ben chiaro. Non doveva rischiare, dopo quello che aveva dovuto sopportare, di passare dalla parte del torto.
"Papà mi porti tu a scuola" gli domandò la piccola, affacciata alla porta della sua stanza già con addosso il grembiulino, che ora le cadeva a pennello.
Con il ritorno della madre, Giulia era tornata ad uscire di casa come una bambina ordinata e a modo, e non più come un barboncino pronto per la fiera. Per quanto sua sorella e sua madre passassero i pomeriggi a pettinarla per compensare le sue evidenti lacune, la mattina Alessandro era di nuovo punto e a capo.
Quella chioma castana con riflessi dorati, era tanto bella quanto impossibile e solo la pazienza e le mani esperte di Claudia riuscivano a domarla.
I suoi occhioni di diamante, grandi e color acquamarina come quelli della madre, gli perforavano il cuore ogni volta che il loro sguardo si posava su di lui.
"E mi vieni anche a riprendere?" forse la sua fantasia esagerava, ma ad Alex sembrava che sua figlia fosse terrorizzata dall'idea di perderlo. Sua madre era andata via per due mesi e lui ne pagava le conseguenze se si vedevano per qualche ora in meno del solito.
"Non lo so piccola. Non credo di fare in tempo" le spiegò, dolcemente, prendendola in braccio. Sapeva di camomilla e frutta fresca estiva, e forse era stupido da dirlo, ma se la sarebbe mangiata di baci ad ogni secondo.
"Papà stasera ha un impegno importante e torna a casa tardi" gli venne automatico posarle un bacio sulla tempia, un po' per farle pesare meno la notizia, un po' per fare il pieno del profumo della sua pupetta. "Anzi, adesso andiamo a preparare una cosa che serve a papà."
"Che cosa?"
"Adesso vedrai"
Nella camera che occupava ormai dal ritorno dal mare aveva ormai spostato quasi tutto il guardaroba quotidiano, eccezion fatta per gli abiti più pesanti, di cui non aveva ancora avuto bisogno e i capi più importanti, tra cui lo smoking che avrebbe indossato quella sera.
Era finalmente arrivata la serata del gala. A Maya aveva dato il permesso di stare a casa per prepararsi, poteva benissimo cavarsela da solo per un giorno; se avesse avuto anche solo l'1% di somiglianza con sua moglie, a Maya avrebbe fatto piacere, prima di una serata così importante, avere del tempo per un restauro completo. Non che ne avessero bisogno, né Claudia, né tantomeno Maya, ma valle a capire le donne. Poi, aveva voluto risparmiarle la vagonata di sguardi indiscreti e speculatori di quella manica di stronzi che aveva assunto. Dei buoni giornalisti devono saper essere un po' sanguisughe, specie se si bazzicano ambienti come quelli di cui scrivevano loro, ma aveva sempre sperato che tra di loro fossero più clementi. Anni di cene, esperienze di gruppo e summer camp per fare team building … tutti soldi sprecati.
"Possiamo?" domandò a Ines, che stava rifacendo il letto.
"Certo"
"Come mai qui?" le chiese "Pensavo fossimo tornati ai soliti vecchi ritmi ora che la signora è a casa."
"Qualche pulizia generale arretrata che di solito facevamo a fine estate. Tapparelle, tende …" spiegò la donna, continuando il suo lavoro, ma con una certa irrequietezza. Si vedeva che aveva qualcosa da dire ma non trovava il coraggio, Alex la scrutava dallo specchio sull'armadio.
"Ines … che c'è?"
"Oh signor Alessandro! Non può capire quanto mi dispiace" gli sussurrò, per rispetto alla piccola Giulia che si era andata a sedere sulla panca ai piedi del letto.
La donna si avvicinò pericolosamente, più di quanto le fosse mai stato consentito e più di quanto Alex potesse tollerare, poggiandogli una mano sulla spalla per confortarlo: era sì un tipo amichevole, ma erano poche le persone con cui si sentiva a suo agio fisicamente. Si ritrasse e la donna fece quasi un saltello all'indietro, come se avesse preso la scossa. Antifona ricevuta
"Non dico che non avessi sospettato qualcosa, ma arrivare fino a questo punto. Siete una coppia … una famiglia così bella" girò il suo sguardo pietoso verso la bambina. Sembrava che avesse davanti a lei la piccola fiammiferaia.
"Eeeh per piacere Ines!" tagliò corto "Le cose cambiano e sarebbe bello se si riuscisse a farlo da persone adulte e ragionevoli, una volta tanto."
La donna si scusò, tornando alle sue mansioni.
"In Italia se non facciamo le prefiche per ogni cosa non siamo contenti" borbottò Alex, mentre cercava la custodia dello smoking. Era sicuro che fosse lì, l'aveva riposta lui stesso.
"Che cerchi?" domandò Claudia, entrando in stanza "Ines per favore, andresti tu a lavare le stoviglie, Edoardo ha finito con la colazione"
"Buongiorno" Alessandro stava bene attento ad incrociarsi con la moglie il meno possibile, al punto che a volte si auguravano il buongiorno mentre erano in procinto di uscire di casa "Lo smoking. Mi serve per questa sera."
La donna finse di frugare nel comò di fianco al letto per mostrarsi imperturbabile, tenendo la conversazione con il riflesso dello specchio dove si stava sistemando i capelli biondi e mossi in una crocchia lenta. La piccola si avvicinò alla madre, giocando a truccarla con i pennelli che erano sul piano del comò.
"Stasera?"
"Sì, c'è un gala di beneficienza all'interno della Festa del Cinema"
"Ah sì, è vero … adesso mi ricordo … a Villa Medici, giusto?"
"Villa Miani."
"Ah già … comunque lo smoking è nell'altra anta" gli disse, avvicinandosi a lui e prendendo la situazione in mano.
Era strano, per Alessandro, comportarsi da estranei in casa propria con una persona che era stata la più vicina e la più cara che aveva, fino a pochi mesi prima. Lei invece si muoveva con naturalezza, come se nulla fosse successo. Probabilmente fingeva, non sapeva dirlo, ma questa cosa metteva Alex ancor più a disagio.
"Mi sembra pulito, ma se vuoi lo porto da Assunta qui sotto per una rinfrescata"
"No grazie, ci penso io. Mi cambio in ufficio e vado direttamente lì. A tornare in centro con il traffico che c'è rischio solo di fare tardi"
"Ma dai, vai a prendere Giulia all'asilo e ti prepari a casa almeno la fai contenta."
Era furba Claudia, lui l'aveva sempre pensato. Mettendo la bambina al centro del discorso lo aveva messo letteralmente spalle al muro: avesse detto no, avrebbe fatto la figura del padre snaturato, stronzo ed insensibile. Dovette annuire senza troppe storie, ma almeno aveva fatto contenta Giulia, che gli saltò addosso per la contentezza. Magra consolazione
"Vai da solo?" domandò Claudia, mentre lui e la bambina lasciavano la stanza "adesso che ricordo avevi preso due biglietti per la serata" ma come ricordava bene proprio in quel momento, pensò lui. 
"Vai a vedere se Dedo è pronto" disse Alex alla bambina, che corse lungo il corridoio urlando a squarciagola il nomignolo del fratello "A parte che a questo punto non sarebbero cose che ti riguardano … ma volevano una conferma dei partecipanti e siccome non avevo nemmeno idea di dove fossi ho dovuto rimediare."
Semplice, freddo, incisivo. Giusto così. Non le doveva altro.
"E con chi ci vai?"
"Una collega"
Non le avrebbe detto altro, non erano cose che la riguardavano. Lei ci avrebbe ricamato sopra di sicuro e avrebbe trovato il modo per colpevolizzarlo e voleva trascorrere serenamente le ultime settimane in quella casa.
"Quale collega?"
"Non sono affari tuoi, Claudia" inveì Alex, cercando di mantenere il tono della voce più neutro e composto che poteva.
Tanto lo sapeva che, se avesse voluto, ci avrebbe messo poco a scoprirlo. Ma almeno non avrebbe esposto Maya personalmente. Lui, del resto, aveva la coscienza pulita. Non stava facendo nulla di male.
"Dal momento che ci hai lasciati da soli per due mesi, non sono affari tuoi".
"Perché sei così severo?" domandò sua moglie "Non hai capito nulla di quello che ti ho scritto nella lettera … o peggio fai finta di non aver capito …"
Lui l'aveva capita benissimo la lettera. Le aveva detto che aveva bisogno di ritrovare sé stessa,  di capire dove stavano andando come coppia visto quanto poco presente in casa era lui. Il problema era che per farlo aveva deciso di prendersi una vacanza più lunga di un viaggio di nozze. Senza farsi sentire mai. E ora se ne usciva che era pronta a riprendere da dove aveva lasciato, che era tutto apposto.
"Io non posso rinunciare a te"
A quello ci credeva. Ma tutto stava nel capire a quale parte di lui non potesse rinunciare: il marito, il compagno, l'amante o la casa a Rione Prati, la villa al Circeo, le auto e tutto quello che con la sua posizione poteva offrirle.
Non lo avrebbe detto ad alta voce, ma lo aveva pensato e tanto bastava.
"Ci possiamo riprovare, ricominciamo da capo. Lo so … ti ho ferito" ammise "quello che ho fatto è stato terribile. Ma non capita anche a te di avere un momento di blackout?"
"Vedi Claudia…tu ancora non hai capito il problema. Un blackout ci sta, ce li hai tu come ce li ho io, e possiamo ferirci … non è normale ma può succedere in una coppia. Ma fare quello che hai fatto ai nostri figli, no."
"Non dire stupidaggini … Edoardo ha capito e Giulia è una bambina, dimenticherà presto"
"Ma ti senti? Non ti fai schifo? Come puoi parlare così? Non hai il minimo rimorso per quello che hai fatto?"
"Rimorso per cosa? Per essermi presa cura di me ed aver protetto i miei figli dalle mie frustrazioni e dalle mie depressioni?"
"Ma che stai dicendo?"
"Le mie giornate erano tutte uguali … tu non c'eri mai. Come vuoi che mi sentissi?"
"Basta … ho sentito fin troppo"
Alex uscì dalla stanza come una furia, prendendo Giulia che era ancora davanti alla porta del bagno che bussava al fratello.
"Tu esci da lì entro 60 secondi e vai a scuola. Se vengo a sapere che ti hanno lasciato fuori alla prima ora ti scordi la festa d'istituto!"
"Dove vai?" domandò sua moglie, dalle scale "i problemi si affrontano, non si scappa"
"Ma stai zitta, ipocrita di merda …"
Sì, forse lui aveva avuto le sue mancanze, ma non era stato lui di certo a non volerne parlare, anzi scappando via.
Sceso al piano di sotto, Alex fu costretto ad entrare in cucina, dove Ines stava asciugando le tazze, per prendere lo zainetto della bambina. Dallo sguardo scuro che gli aveva lanciato, era chiaro che aveva sentito tutto. Te pareva. Avrebbe voluto sotterrarsi. Anche Edoardo al piano di sopra, li aveva sentiti, ovviamente. Non c'era da sorprendersi allora che si fosse chiuso in bagno.
Forse era stato troppo drastico e si vergognava di aver dato spettacolo di fronte ad un'estranea. Ma non poteva credere che Claudia stesse inventando di essere depressa pur di giustificare la sua fuga. Si ricordava benissimo della depressione che aveva avuto dopo la nascita di Giulia e non c'era stato nulla, nei mesi precedenti, che potesse far sospettare un ritorno di quella condizione. Gli montava su un senso di nausea, ricordando quanto avessero lottato, insieme, per spiegare a chi le stava vicino, che non si doveva banalizzare il suo malessere.
Sbatté la porta di casa alle spalle ma, smanioso, non riusciva neanche a stare fermo ad aspettare qualche secondo l'ascensore, precipitandosi giù per le scale. Doveva uscire di lì il più in fretta possibile.

Aveva guidato così veloce dall'asilo di Giulia all'ufficio che doveva ringraziare che Roma era Roma, che se fosse vissuto a Londra o un'altra metropoli europea a quest'ora se ne sarebbe stato chiuso in un ufficio di polizia a spiegare perché giocava a Need for Speed per le strade della città.
Nel frattempo, Maya era al telefono con Alice.
"Ti ringrazio, ma non ho bisogno di un master per fare un caffè. L'ho già fatto altre volte"
Tra le due ragazze c'era ancora un po' di tensione. Alice si era resa conto di essere stata inopportuna, ma era troppo orgogliosa per scusarsi e se la tirava ancora un po', facendo la preziosa con la collega che, da casa, le stava semplicemente dando qualche consiglio per la giornata in cui avrebbe dovuto sostituirla.
"Alice non sto scherzando. Ieri la Roma ha perso, quindi se vuoi fare un piacere a tutta la redazione nascondi tutti i giornali sportivi" ovviamente Alex conosceva il risultato, ma rinnovargli le piaghe lo avrebbe solo indisposto ed innervosito inutilmente.
"Fai già partire la moca, che tanto a quest'ora dovrebbe essere in arrivo, così appena entra in ufficio è pronto e puoi portarglielo. Segna tutto mi raccomando … e non farti problemi a chiamarmi se non capisci qualcosa"
Maya lo aveva capito perché Alex l'aveva lasciata a casa quel giorno. E gli era grata. Non avrebbe sopportato di essere squadrata dalla testa ai piedi per scorgere novità, dettagli anche minimi da sussurrare ad un orecchio e ingigantire nell'automatico gioco a telefono senza fili che ne sarebbe scaturito.
Anche per questo aveva messo da parte la sua politica del "no work at home", per dimostrare agli altri che non c'era nessuno scoop da rivelare. Che loro due erano un noiosissimo caso di dirigente e relativa assistente.
"Alice! Con me in ufficio" sputò Alex, entrando in redazione.
La ragazza riagganciò la telefonata in fretta, senza congedarsi, fiondandosi fuori dalla sua scrivania con la Smemoranda da liceale che usava sempre quando Alex le parlava. Era una macchinetta, non riusciva a stargli dietro.
"Dì a Marina che ho visto le modelle scelte per il servizio sulla moda curvy. Quelle me le chiama modelle curvy? Dille che se in agenzia pensano che la 46 sia una taglia forte, cambiamo agenzia. Qui non ci spaventiamo a leggere 50 o 52 sul cartellino di un vestito. Poi conferma a Dario che può partire con la scheda che mi ha proposto, mi piace. Chiama casa mia, prima di subito, e accertati che lo smoking per stasera venga mandato in tintoria e le scarpe lucidate. Devi parlare solo con Ines, è chiaro? Solo Ines."
L'ultima cosa che voleva era che Claudia, dopo il loro litigio, gli sabotasse la serata. In passato non lo avrebbe mai fatto, ma non conosceva più la donna che aveva sposato, ora non poteva esserne così sicuro.
Mentre entravano nel suo ufficio, per poco Alice non si ebbe la porta a vetro in faccia, impegnata com'era ad appuntare tutto. Si domandava come facesse Maya a tenere tutto a mente.
"Ah. Voglio tutti quelli che lavorano all'evento di questa sera in sala riunioni tra un'ora. Un'ora Alice, niente quarto d'ora accademico. Il caffè dov'è?" domandò Alex, sedendo alla scrivania.
"Arriva subito" Nella fretta non aveva potuto sfilare i quotidiani sportivi dal tavolo ed il primo che Alex prese fu proprio la Gazzetta. Lei lo guardò, scoraggiata. Maya l'aveva avvertita però …
"Che guardi? Forza Alice! Ci siamo svegliati stamattina o no?"
Lei si scusò, mortificata, sparendo nella sala relax della redazione.
Alex, che non aveva smaltito ancora del tutto la rabbia per quello che era successo a casa sua, collegò il suo telefono alla docking station per la linea fissa e alzò la cornetta Bluetooth. In un paio di squilli dall'altro capo lo salutarono con un buongiorno.
"Buongiorno!" rispose lui, migliorando decisamente il suo umore "Non te lo dovrei dire ma … qua manchi come l'aria"
"Un giorno che mi assento e crolla l'ufficio. Chi lo avrebbe mai detto?!"
Erano alle solite: a darle una mano, Maya si prendeva sempre il braccio quando si trattava di confidenza. Ma Alex doveva ammettere che l'aveva chiamata lui e che, una voce amica, che gli facesse spegnere il cervello per qualche minuto era quello di cui aveva bisogno. "Scherzi a parte" disse lei, dandosi un tono serio e professionale "non avevo bisogno di un'intera giornata di ferie, te lo avevo detto. Posso venire subito se serve" Non gli avrebbe detto che in quel momento era in pantacollant e maglietta dell'Hard Rock di Mallorca sbrindellata, i capelli sconvolti e una tazza di caffellatte sul divano a spulciare il sito dell'agenzia immobiliare con nessuna voglia di mettersi in ghingheri e correre dall'altra parte di Roma. Ma tanto sapeva che non le avrebbe mai detto di sì.
"Non ti preoccupare" appunto "niente che non si possa risolvere con un po' di polso"
"Non farti odiare" si raccomandò, ma dal tono sembrava più una raccomandazione da madre che da assistente "che ultimamente non abbiamo molti fan in ufficio … comunque, se controlli la mail ti ho inviato dei file con tutto il lavoro di oggi e più tardi devo chiamare in Università per confermare la tua presenza al convegno"
"Perfetto, però specifica che -"
"- che non rimarrai oltre il tuo panel, ci mancherebbe altro. Consideralo già fatto."
Alice nel frattempo era tornata con il caffè. Mentre lui parlava con la sua assistente al telefono, la quale da casa era stata in grado di svolgere il suo lavoro anche se non le era stato richiesto, vedeva e percepiva lo sguardo di Alice. Forse la sua era solo la suggestione di chi sapeva di cosa si vociferava in quei giorni nei suoi uffici, ma rimaneva il fatto che quelle mezze occhiate, il risolino soffocato o un ammiccamento freddato, parlavano molto di più di un pettegolezzo colto in flagrante.
"Attendi un attimo in linea Maya per favore" mise giù la cornetta, mettendo in muto il microfono "vuoi essere licenziata per caso?"
"Io? Che ho fatto?" domandò la ragazza occhialuta, agitata.
"Se hai qualche commento da fare fallo subito, altrimenti ferma quegli ingranaggi che frullano nella tua testa e pensa a lavorare."
"Torno alla mia scrivania" si limitò a dire la ragazza, umiliata.
Sì, aveva fantasticato su Maya e Alex, ma come si fa davanti ad una coppia di una serie tv. Lei era single, di lui si diceva che lo stava tornando, per essere belli erano belli e così le era partita la ship. Una cosa assolutamente innocente. Non pensava di meritarsi tutta questa severità. "Se hai bisogno chiamami"
"Eccomi" disse lui, tornando al telefono una volta rimasto solo "ti ho chiamata perché volevo sapere a che ora devo passare a prenderti"
"Non c'è bisogno, grazie. Prendo un taxi."
Prati era a poca strada da Villa Miani e, a passare per i Parioli, avrebbe fatto una deviazione ben più lunga.
"Non se ne parla. Non voglio rischiare di arrivare tardi e lasciarti lì da sola. Le 19.00 possono andare?"
"Credo di sì, ma non metto mai la mano sul fuoco quando si tratta di puntualità"
"Purché sia un ritardo elegante …"



 

Salve a tutti!!! Nuova settimana, nuovo capitolo, nuovi guai. So che state aspettando il gala con ansia, ma sta arrivando, lo prometto, ma vi faccio penare un po'. Ne varrà la pena, ve lo prometto.
Come possiamo vedere Alessandro non ha chiarito per niente con sua moglie, anzi. In questo momento, sono entrambi nella fase della recriminazione: tutti e due hanno torto e tutti e due hanno ragione e si dicono cose orribili, quindi non prendetele come verità assolute. Ci sarà il momento dei mea culpa e in cui capiremo meglio da che parte stare, per così dire.

Vi ringrazio di cuore per le splendide recensioni e vi dò appuntamento a venerdì prossimo, come sempre.

Fred ^_^

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***





 
Capitolo 8

 
"Sali per favore. È un'emergenza" la serratura del cancelletto d'ingresso del condominio si aprì senza che Alex potesse dire una parola. Scala A, terzo piano. Aveva parcheggiato l'auto in una traversa nei paraggi, sul marciapiede, ma c'erano così tante auto lasciate come veniva, oltre la sua, che era praticamente impossibile che gliela caricassero. E se fosse successo … beh, medaglia per la sfiga.
Il cortile interno del condominio era ben tenuto, niente a che vedere con quelli delle case popolari a cui era abituato da ragazzino con i compagni di scuola. I sanpietrini della pavimentazione disegnavano degli eleganti ventagli, e non ce n'era uno che saltasse o traballasse al passaggio. Nelle aiuole, le piante esotiche e le siepi erano curate e in salute, nessuna cicca o cartaccia lasciata in giro dagli avventori.
Leggendo fugacemente i nomi ai campanelli per cercare quello di Maya, Alex aveva notato la grande quantità di dottori, professori, avvocati che esercitavano la loro professione in quel condominio e gli venne da chiedersi, ridendo tra sé e sé, se a Maya bastasse lo stipendio che le dava per pagare l'affitto o il mutuo di un appartamento in quella zona.
Arrivato al piano, notò che la giovane gli aveva lasciato la porta aperta, leggermente accostata. Entrò, un po' timoroso di trovarla in situazioni imbarazzanti.
"Permesso?!"
"Entra Alex …" la voce di Maya veniva da dietro una porta sulla sinistra, probabilmente la camera da letto o il bagno.
L'uomo non poteva dire di esserselo immaginato così, l'appartamento di Maya, perché  non ci aveva mai pensato prima, ma a vederlo con i suoi occhi le calzava, si poteva dire, a pennello. Era piccolo, quasi minuscolo, non sarà stato più grande di 50 m², forse anche meno, ma c'era tutto quelle che serviva. Con il parquet, la elegante boiserie alle pareti e uno specchio sul piccolo camino di marmo nero, non sembrava nemmeno di essere a Roma; aveva tutta l'aria, infatti, di essere un pied-à-terre parigino, una chambre de bonne sottotetto in un palazzo signorile in stile Haussmann. Avrebbe scommesso che, aprendo la finestra, non sarebbe uscito sul balconcino con affaccio sul cortile interno, ma piuttosto su uno scorcio del Sacre Coeur e dei tetti di Parigi tutt'attorno. L'atmosfera era contemporanea e vintage allo stesso tempo, con un tocco di anima industriale. Incantevole.
"Alex girati verso l'ingresso per favore … " esclamò, aprendo uno spiraglio della porta di quello che Alex intuì essere il bagno.
L'uomo obbedì all'istante, in evidente difficoltà ma divertito in fondo da quella situazione. Di solito quelle cose succedevano a casa di Francesco, quando lo trovava ad intrattenersi con la modella o l'attricetta di turno, ma mai con qualcuno con cui lavorava tutta la settimana. Per fortuna gli passò alle spalle così in fretta che l'unica cosa che vide era una nuvola bianca che spariva dietro un'altra porta, la camera da letto. Sperava fosse una vestaglia e non l'accappatoio, altrimenti sarebbero arrivati a cena iniziata.
"Scusami" esclamò lei, mortificata, dalla camera da letto "quella cretina della manicure c'ha messo un'ora a farmi il refill e mi ha incasinato tutto il pomeriggio"
"Tranquilla, siamo ancora perfettamente in orario"
"Mentre aspetti fai come se fossi a casa tua" lo invitò "in frigo c'è della birra e sicuramente ho dei salatini da qualche parte negli armadietti"
Forse perché quella situazione al limite dell'assurdo gli aveva messo sete, forse per dare alla ragazza ancora più privacy di quella che già la porta chiusa le garantiva, Alex fece come gli era stato detto e se andò nel piccolo cucinino. Era separato dalla zona giorno da una vetrata a vista a mezza altezza, che dava luce ad un angolo della casa che ne era totalmente sprovvisto. Difficile pensare a Maya come una cuoca, e il ripiano bianco di marmo, immacolato e senza un graffio, aiutava Alex a confermare la sua tesi. C'era una macchinetta del caffè a capsule e questo gli fece storcere il naso, ma lo sospettava, e un forno a microonde - sospettava anche quello. Un dettaglio che lo colpì piacevolmente: un frigorifero all'americana, stile anni '50. Lui, patito del modernariato, approvava.
"C'è anche del vino" la sentì aggiungere, ironica, "ma forse è un po' presto per quello!"
"Che ci fa una millennial con i gingerini nel frigo?" le domandò, sarcastico, aprendo il frigo "pensavo fossero un'esclusiva di noi boomer!"
Sentì una risata cristallina arrivare dalla camera da letto "Devo essere boomer dentro, allora…"
Inconsapevolmente, anche sul volto di Alex si aprì un sorriso sommesso. Forse Maya aveva riso per educazione, forse perché, banalmente, era il suo capo, ma almeno non aveva dovuto sentire il solito mamma che grasse risate che ci facciamo a questa battuta acido di Claudia. Per la prima volta si rendeva conto che non ricordava l'ultima volta che con Claudia avevano riso di gusto insieme.
Fortuna che gli arredamenti moderni sono tutti più o meno uguali e Alex impiegò poco a trovare il cassetto delle posate e prendere l'apribottiglia, perché rovistare anche solo tra i cassetti della dispensa, gli provocava un senso di disagio, come se stesse ispezionando e frugando nella vita di Maya. Se Feuerbach aveva ragione, anche ciò che mangiamo parla di noi.
Aprì la bottiglietta di vetro e se ne tornò nel salottino a sorseggiare il suo ginger. Tutto era così compatto e probabilmente su misura per adattarsi agli spazi ridotti. Il tavolo da pranzo aveva solo due sedie, ma una panca incassata al muro dove il tavolo era appoggiato permetteva di aggiungere qualche posto a sedere in più. Il divano a due posti era addossato alla parete sotto al finestrone della cucina e un tavolino da caffè di design lo separava da una poltroncina che guardava verso la finestra. A terra, accostati alle pareti e non, come ci aspetterebbe, appesi ai muri, c'erano diversi quadri; arte contemporanea, di un paio forse riconosceva anche la mano, ma non era in grado di dire se fossero originali o meno.
Tutto era sui toni del grigio e del bianco, con qualche tocco di verde e di blu; che Maya avesse gusto non lo aveva mai messo in discussione, ma se era arrivata al punto di arredare casa con i colori che meglio le si addicevano, allora era proprio di un altro livello.
"Eccomi!"
La giovane, affannata, era appoggiata alla maniglia della porta della sua camera mentre tentava di allacciare, in corsa, tra i veli di seta che scendevano dalle spalle, la fibbia di un sandalo gioiello, naturalmente con tacco altissimo - come se non fosse già di suo abbastanza alta, pensò Alessandro, mordace. I capelli, con delle onde che parevano scolpite per quanto erano perfette, le cadevano tutti da un lato e le coprivano il volto, morbidi e luminosi.
"Ciao!" lo salutò finalmente, soddisfatta, e riprendendo fiato ad impresa terminata.
Alex ricambiò il saluto, ma si domandò come fosse sembrato alle orecchie di Maya, perché alle sue aveva tutta l'aria di essere un sussurro. Ma la verità era che gli aveva tolto il fiato. L'abito, blu elettrico, dalla silhouette fluida che giocava tutto sul vedo non vedo dei suoi tessuti, sembrava il peplo di una dea greca. Ma l'aveva vista innumerevoli volte vestita di tutto punto, elegante e oggettivamente bellissima; non era quello: era il modo in cui, con innocenza e nonchalance, si poneva. Era come se addosso avesse una t-shirt, un paio di shorts e delle scarpette di tela, e non un abito da mille e una notte, come se dovesse andare a fare un picnic con gli amici e non presenziare ad una cena di gala.
Non doveva essere una novità per lui, era un tratto che aveva notato da un sacco di tempo, ma quella disinvoltura e quella leggerezza che metteva nel fare qualsiasi cosa lo fregavano ogni maledettissima volta. Cercò di ricomporsi, come meglio poteva, controllando malamente i gemelli ai polsini e il nodo del papillon. Avrebbe messo una normalissima cravatta, fosse stato per lui, chi se ne frega del galateo, ma Giulia voleva vederlo in papillon e chi era lui per contraddire la cocca di casa. Si sarebbe vestito anche da principe azzurro delle favole in calzamaglia, se per lei fosse stato il look più opportuno.
"Dovresti farmi una cortesia …" esordì Maya, incerta se azzardare tanto. Sticazzi … alla fine c'era mancato poco che la vedesse in deshabillé, cosa poteva essere quest'ultima richiesta.
"Con queste unghie sono un'impedita totale" gli disse, mostrandogli la french manicure appena fatta "c'ho messo mezz'ora per sistemare le scarpe, se faccio da sola anche con la collana forse ce la facciamo ad arrivare per mezzanotte"
Alex  le sorrise, annuendo.
"Ci proviamo … ma queste mani sono troppo grandi per le chiusure dei gioielli, non ti prometto niente"
Claudia, dopo anni insieme, aveva perso ogni speranza a riguardo e alla fine aveva trovato un metodo tutto suo per allacciare da sola persino i braccialetti. Sperava di non sfigurare, quantomeno.
"Hai una casa bellissima" mentre Maya era tornata in camera sua a prendere la collana, Alex provò a fare conversazione spicciola, andando in cucina a buttare la bottiglietta dell'aperitivo. Magari avrebbe potuto lasciare questi banali convenevoli al tragitto in auto, ma alla fine convenne che con una come Maya, gli argomenti di conversazione non sarebbero certo mancati. E poi doveva riempire i silenzi, doveva impedire al suo cervello di pensare, di pensare a Maya e alla serata insieme che li aspettava. Se queste sono le premesse … non sarà una serata facile.
"La padrona sarà felice di saperlo" commentò lei, di ritorno, con la pochette e un astuccio quadrato in velluto verde menta.
"Ah … pensavo fosse tua"
"No. Anzi…presto dovrò lasciarla"
"Come mai? … se posso chiedere …"
"Molto semplice … è diventata troppo cara"
Maya per un attimo rimase di sasso di fronte alle sue stesse parole. Non solo non poteva credere che lo avesse detto, ma si stupì di quanto fu facile dirlo. Ma doveva aspettarselo: Alessandro le aveva confidato una parte così intima della sua vita che, inconsapevolmente, lei si era sentita sicura nel fare altrettanto. Si fidava di lui.
"È un peccato" riprese lui.
"Già … ma magari cambiare aria mi farà bene, chi può dirlo. Come si dice … si chiude una porta, si apre un portone, no?"
"Ma sì, infatti"
Non ne era così sicura; anzi, il suo grillo parlante interiore le diceva che era solo l'inizio della fine, che presto avrebbe fino per diventare una gattara sola, tutta telefilm e libri, la cui massima espressione di vita sociale è la chat di Facebook, il social più sfigato di tutti. O peggio, che avrebbe finito per scroccare una stanza a sua madre e al suo compagno e a fare la pendolare tutti i giorni. Preferiva non pensarci e godersi al massimo quello che aveva in quel momento. E in quel momento sentiva di toccare il cielo.
"Tieni" passò la collana, aperta, ad Alex.
"Come si mette?" domandò lui, perplesso.
"È un pendente da schiena" spiegò, voltandosi.
Forse per la concitazione, forse per il mare di informazioni che la sua testa aveva recepito in così poco tempo da quando era entrato in quel miniappartamento, non aveva proprio fatto caso allo scollo vertiginoso che le arrivava poco più sopra del fondoschiena.
Alex, che aveva tra le mani il collier ma non si era reso conto di come ci era arrivato e ne percepiva a malapena la consistenza tra le dita, cercava di concentrarsi più che poteva su tutto il resto, sul moschetto della chiusura, sui capelli da non rovinare, sul piccolo strascico da non pestare. Su tutto, volendo anche su una mosca posata sul vetro della finestra, tranne che su quelle fossette di Venere sulla schiena, pericolosamente in basso, sulla sua pelle bianchissima dove i nei sembravano quasi disegnare una costellazione o sul suo profumo inebriante ed intenso.
Passò la catenina leggera attorno al collo della ragazza che, delicatamente, scostò il capelli ulteriormente di lato, per consentirgli di unire i due capi. Ma anche impegnandosi con tutte le sue forze, non poteva evitare il contatto delle sue mani, calde, con la schiena, fredda, morbida e candida come la seta che copriva il resto del corpo. E più le stava così vicino, più quelle poche gocce di profumo che lei aveva addosso diventavano forti, spavalde quasi. Se le fosse stato ancora così vicino ne sarebbe rimasto ossessionato, ci avrebbe scommesso. Chiudi questa fottuta collana e muovi il culo, pensò. Ma doveva usare la testa, e non quella del piano di sotto. Era una semplice risposta ormonale a quello che i suoi sensi recepivano, nulla di più. Lei era una bella, bellissima ragazza, e lui era solo da un po'. Il suo corpo banalmente gli ricordava di avere dei bisogni. Ma così come glielo ricordava, se lo sarebbe dovuto scordare.
Era Maya, cazzo.
 
Maya non si era mai pentita di una decisione così tanto in vita sua.
Avrebbe dovuto dirgli di aspettarla in macchina, magari farsi un giro dell'isolato, due se necessario. E invece no, lei cogliona come al suo solito doveva fare la parte di quella simpatica e sicura di sé. L'aveva fatto salire, gli aveva detto di fare come fosse a casa sua, prendersi da bere e gli aveva chiesto di allacciarle la collana. Ora lui stava alle sue spalle, le mani che sfioravano la pelle della sua schiena nuda e le voleva morire.
Non era normale. Le sembrava che il tempo non scorresse, tipo una di quelle scene a rallentatore da 50 Sfumature o filmetti per signore sull'orlo della menopausa. Lui indossava il suo smoking di sartoria che gli stava come un guanto e probabilmente aveva spruzzato del profumo ai polsi, perché quando le sue mani - e già qui era partita per la tangente, lei e quel maledetto feticcio per le mani degli uomini - le erano passate attorno al collo per sistemare la catenina, era stata travolta da una fragranza speziata dai toni legnosi. Forse stava farneticando, ma le venne in mente Londra e un vecchio pub che suo fratello l'aveva portata a visitare, le cui travi erano impregnate del tabacco e del malto consumati lì dentro nei suoi quattrocento anni di storia. Sapeva di gentleman e di strada.
Forse perché aveva risposto un po' troppi no ai ti va di vederci di Ultima Spiaggia - all'anagrafe Federico … non si ricordava più il cognome, e questo la diceva lunga - su Whatsapp che volevano dire solo una cosa e ora stava andando in crisi d'astinenza, forse perché aveva tirato troppo la corda a fare la Madre Teresa con Alex nelle settimane precedenti, ora sentiva di star facendo una cazzata a giocare all'amicona del suo capo. In un modo o in un altro sarebbe andato tutto in malora, lo sentiva. Però si sentiva bene, si fidava, sapeva di essere al sicuro con lui e non c'erano molte altre persone di cui potesse dire lo stesso. E per la prima volta nella sua vita, non sapeva che fare.
"Perfetta … " balbettò l'uomo, facendo un passo indietro "la collana è perfetta per questo abito"
Mantenere dritta la barra e andare per la propria strada, far finta che l'inciampo fosse voluto e non accidentale. Da dove gli era uscito quel commento - perfetta - Dio solo lo sapeva. Era riuscito a recupera in fretta, ma Maya, lui lo sapeva bene, era ben più sveglia e svelta di lui. sperava solo non si sarebbe offesa.
Lei tornò a voltarsi, lo sguardo basso, il sorriso impacciato di chi sa di aver ricevuto un commento ambiguo e ne era al contempo lusingata e inorridita. La disapprovazione, naturalmente, era più per sé stessa che per Alex, e le faceva schifo pure quello.
Era andato tutto bene,  la clip si era chiusa senza tante storie e ora dovevano andare. Categoricamente. La giovane tirò un sospiro di sollievo e, riprendendo il controllo della situazione, corse a prendere le chiavi appese dietro la porta
"Possiamo andare"
 
"Ma non hai preso una giacca per dopo … uno scialle?"
In auto, tutta la tensione che si era creata in quel piccolo salottino era completamente dissipata. Forse aver respirato aria fresca mentre andavano a prendere l'auto aveva schiarito le idee a tutti e due. Erano tornati ad essere Maya ed Alex, o forse sarebbe stato meglio dire Alberici e Bonelli; Alex quasi quasi iniziava a rimpiangere la scelta di non usare i cognomi per mettere a loro agio i suoi dipendenti: Maya, una a caso, si sentiva fin troppo a suo agio. E lui con lei. NO GOOD.
"Ti chiami Matilde per caso?" domandò Maya, cercando di rimanere seria, guardando dritta davanti a sé, sulla strada.
"Come?" ribatté lui, confuso.
"È il nome di mia madre" chiarì lei, beffarda "anche se in sua difesa non mi ha mai detto di non sudare o stare attenta ai colpi d'aria in vita mia".
"Ma tu sei sempre così?"
"Così come?"
"Mordace … ostinata ad avere l'ultima parola …"
Maya avrebbe voluto dirglielo che era solo una finzione, un'armatura che aveva creato nel tempo per tenere a bada le sue emozioni e le persone che le giravano intorno. Ma non lo fece. Si fidava di lui, ma non si fidava di se stessa. E, per quella sera, si era già esposta abbastanza.
"Non sono io ad essere ostinata" disse, con fare altezzoso "sono gli altri ad avere torto".
Alex non aveva nulla da obiettare e lasciò che della musica leggera dalla radio li intrattenesse per un po'. Stavano dando un vecchio pezzo, avrà avuto più di vent'anni, ma ci stava benissimo.
Mentre la berlina di Alex li conduceva attraverso strade di Roma, il Tevere alla loro destra, erano sereni. Nessuna menata sulla serata che li aspettava. Poco importavano i clacson che suonavano fastidiosi intorno, poco importava che il traffico li stava lasciando imbottigliati: c'era la musica, davanti a loro il Foro Italico e, in lontananza, Monte Mario. Il sole era tramontato da un pezzo, ma non era ancora notte: dietro la collina, si scorgevano ancora gli ultimi bagliori rossastri del giorno che si mischiavano al blu della notte imminente. I lampioni, già accesi lungo la via, davano vita ad uno spettacolo unico: due mondi separati eppure uniti.
Si dice che chi vive a Roma tenda a dimenticarne la bellezza e a non vederla più, diventando quasi fastidiosa da conviverci nella routine quotidiana. Per Maya era così, ma bastavano spettacoli come quelli a ricordarle del suo privilegio; Alex invece no, non la dava mai per scontata: aveva questa mania assurda di dover sempre, in ogni suo tragitto, dover metterci sempre un pezzetto lungo il Tevere, qualsiasi fosse la sua meta. Da ragazzino lo vedeva tutti i giorni dal terrazzo dove sua madre saliva a stendere i panni mentre lui tirava calci ad un pallone che lei minacciava di bucare ogni volta che con un lancio le macchiava le lenzuola.
Ora invece con la sua auto di lusso guidava sicuro e quasi autorevole verso uno dei posti più belli ed esclusivi di Roma, una donna al suo fianco che chiunque gli avrebbe invidiato - e nessuno avrebbe creduto che non aveva nulla a che fare con lui - e nessuno, entrando avrebbe avuto da ridire sulla sua presenza lì. Dal monte dei Cocci, era arrivato alle colline dei signori, da ragazzo di borgata si era trasformato in un re di Roma.
All'ingresso della villa, una lunga fila di fiaccole accoglieva sul viale acciottolato gli ospiti della serata. Poco più avanti un parcheggiatore li attendeva per prendere in consegna l'auto.
"Pronta Maya?" le domandò aprendole la portiera.
La giovane, sistemato l'abito, annuì, accettando il braccio di Alex.
"Si va in scena"


 

Direi che ci siamo. Il capitolo parla abbastanza da sé, non c'è bisogno di spiegazioni. Questa serata è davvero per i due il punto di non ritorno, anche se per adesso entrambi sembrano ricacciare il pensiero. 
Approfitto di questo spazio per proporvi un'altra mia storia. Si tratta di un fandom poco conosciuto, la fiction Un Passo Dal Cielo (giuro che non sono così boomer XD). Tant'è che rovinata la mia coppia preferita ho smesso di guardarlo ahahah però devo rigraziarli - tacci loro: senza quella porcheria di trama non avrei mai ripreso a scrivere e non sarei qui adesso. Quindi se vi va, passate a trovarmi anche su "Noi Casomai"..è un sequel alla storia andata in tv, ma secondo me è leggibilissima anche senza averla vista.
Per il resto, spero di ricevere qualche commento in più a questo capitolo perché dai, se lo merita, no?! XD Non per me, per carità, ma per quello che è successo ;-)
Alla prossima,
Fred ^_^

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***





 
Capitolo 9

 
Mentre salivano le scalinate monumentali che, all'esterno, conducevano dal giardino verso la villa, candida e perfetta nel suo stile neoclassico, Maya non riusciva a smettere di guardarsi attorno, estasiata, come un bambino che vede per la prima volta le luci di Natale. Era abituata a club esclusivi, feste private eleganti, ma sembrava come essere in un videogioco e lei aveva sbloccato il livello successivo. Tra le siepi e il prato curato del giardino all'italiana oppure fermi sulle scale, c'erano produttori cinematografici, attori e attrici che era abituata a vedere sullo schermo al cinema o in tv seduti in qualche salotto a presentare i loro lavori, modelle e altra gente che, pur non essendo riconoscibile, aveva tutta l'aria di avere le carte in regola per essere lì.
E a questo giro, ce le aveva pure lei. Sottobraccio al suo accompagnatore, un brivido di eccitazione le percorse la schiena: sapeva che era solo un'opportunità, che, come Cenerentola, l'incantesimo sarebbe svanito a mezzanotte, eppure non si sentiva di essere un pesce fuor d'acqua. Sentiva di essere dove da sempre meritava di stare, era parte di quel mondo.
"Ci sei mai stata qui prima d'ora?" le domandò Alex, con tono confidenziale.
Mentre raggiungevano l'edificio principale, aveva sentito puntati su di lui occhi di persone che, sebbene non conoscesse personalmente, con molta probabilità conoscevano lui. Ancora più probabile che le signore, con i colli inclinati leggermente verso le orecchie dei loro consorti, conoscessero sua moglie e stessero raccontando l'ultimo pettegolezzo. E sia per lui, sia per il giornale, che naturalmente per Maya, era fondamentale che la donna che aveva al suo fianco non sembrasse una scappata di casa raccattata per strada per far parlare di sé. Se dovevano spettegolare su di loro per tutta la sera, e lo avrebbero fatto, dovevano farlo in grande stile. Dovevano sembrare intimi, complici e affiatati, e quello che era successo a casa di Maya mezz'ora prima gli diceva che non sarebbe stato difficile farglielo credere.
"In realtà sì, era il matrimonio di una zia cui ho fatto da damigella" spiegò Maya "ma non mi ricordo di esserci stata, ricordo di aver visto delle foto … ero troppo piccola"
"Capito. Beh è la location più ricercata di Roma, per qualsiasi evento. Anzi … mi è venuta in mente un'idea per un servizio … ricordamelo domani, prima della riunione di redazione"
"Ma tu non stacchi mai? Ok che è una serata di lavoro ma, cioè, anche meno…sei nella location più figa di Roma, tra gente ancora più figa e schifosamente ricca, probabilmente ci serviranno cibo e da bere che costano più di quanto paghi tutta la redazione ogni mese … stacca il cervello almeno per 5 minuti!"
Alex rise, ma non era una risata studiata, per convincere chi gli stava attorno che era già tornato in carreggiata dopo l'incidente di percorso con sua moglie, presto ex.
"Ci proverò. Tu piuttosto … la vuoi vedere la cosa più figa della serata?" la musica, man mano che si avvicinavano al red carpet e all'ingresso si faceva sempre più forte, e fu costretto a parlarle vicino all'orecchio. Lì per lì fu un gesto automatico, ma si rese presto conto della pessima idea: di nuovo, quel veleno che Maya indossava come profumo tornò a stordirlo, appetitoso quasi, sembrava stimolare di più il gusto che l'olfatto, scivolando tra naso e gola come lava incandescente. La ragazza non poteva dire di passarsela meglio: mentre gli parlava, quel respiro fresco le pizzicava il collo e ancora una volta fu costretta a ricordarsi che non c'era niente da trovare attraente, che erano solo le circostanze e l'indomani, in ufficio, avrebbe ripensato a quanto si era resa ridicola a vedere Alex, il paranoico e maniacale Alex, con gli occhi con cui lo stava guardando in quel momento. "Cosa?" "Girati"
Erano arrivati in cima alle scale, sul terrazzino della villa dove avevano attrezzato una specie di red carpet per foto ed interviste degli invitati all'evento. Ma Alex indicava altrove, alla loro destra. In lontananza, oltre il terrazzo, oltre il giardino sottostante, si apriva la vista di Roma più bella che avesse mai ammirato. Forse solo il Giardino degli Aranci poteva competere. Il Cupolone si stagliava potente e argentato dalla sua illuminazione notturna e tra le case si distinguevano Castel Sant'Angelo e, più indietro, a sinistra, l'Altare della Patria e il Campidoglio.
"Che meraviglia …"
"E dal terrazzino al piano di sopra è ancora meglio" precisò lui "magari più tardi ci andiamo"
Maya avrebbe voluto rispondergli ma furono letteralmente fagocitati dall'evento. Riuscirono a superare il red carpet in maniera veloce e indolore. Raissa, la loro inviata, si era ricordata dell'accordo con Maya di chiederle ad alta voce di chi fosse l'abito così da attirare l'attenzione di qualche fotografo e giornalista di moda. Glielo doveva alla povera Marzia, aveva fatto un ottimo lavoro. Magari, alla fine, avrebbe provato a parlare con Alex per convincerlo a darle uno spazietto sul sito. Una volta arrivati sotto il porticato, dove servivano dei cocktail di benvenuto, Alex fu letteralmente accerchiato, e lei con lui, da gente che aveva visto passare in ufficio, o che gli aveva passato al telefono, ma anche da perfetti sconosciuti: fotografi, scrittori, registi, imprenditori di questo o quel ramo, editori; una stretta di mano, un saluto fugace o qualche parola in più, tutti puntavano ad avvicinarlo. E non era il solo. Era abbastanza sicura di aver scorto altri giornalisti, ed erano tutti nella loro stessa situazione.
"È incredibile … qui la gente tratta i giornalisti come dei re" commentò Maya, quando finalmente riuscirono ad entrare nella villa, in uno dei saloni, a bere con calma il loro prosecco.
I camerieri passavano con i loro vassoi di canapè e sushi: prese qualche finger food per lei e per Alex, il quale però aveva la pessima abitudine di non pensare ad altro quando lavorava. Più che promoter della rivista, si sentiva la più tradizionale degli stai sciupato a mamma, in versione chic, mentre lo costringeva ad assaggiare questa tartina o quel uramaki.
"Il giornalismo, oggi, è come una qualsiasi transazione finanziaria" le spiegò "tu dai a me, io do a te. Se vedi un personaggio famoso paparazzato su un giornale, all'80% c'è finito di sua spontanea volontà. Se vogliono sparire lo fanno, senza troppi problemi"
"Ma tu non sei un paparazzo e RomaGlam è più di un sito di gossip"
"Questo è vero. Ma siamo gli artefici di ciò che è in e ciò che è out e non ce n'è uno qui che voglia essere out, ovviamente. La vedi quella lì?"
Maya guardò verso il punto che Alex le aveva accennato discretamente. Una signora di mezza età, se ne stava seduta su una chaise longue, un po' in disparte rispetto alle altre persone attorno a lei, come se si fosse seduta lì per nascondere di essere senza una compagnia: elegante, ancora molto bella, ma una sfinge a confronto della maggioranza delle invitate alla cena - tra accompagnatrici, attrici in erba e modelle, l'età media delle donne sarà stata di 25 anni; era la compagna, o forse sarebbe stato meglio dire ex compagna, di un grosso nome nel cinema. Praticamente la sua musa per vent'anni. Lei non aveva lavorato con nessun altro oltre lui, e nessuno l'aveva più cercata dopo la loro separazione. Sembrava sparita nel nulla.
"La settimana prossima sarà nell'home page a presentare il suo nuovo progetto. È un piccolo film di un giovane regista ma tornerà di sicuro alla ribalta … e saremo noi a dire al pubblico e agli altri giornali che voglio parlare e sentir parlare di lei."
Erano anni che lavorava al suo fianco, ma ogni volta rimaneva estasiata di fronte alla passione che ci metteva nel suo lavoro. E sicuramente era una passione cinica, quasi speculatrice della sua professione, ma di sicuro era efficace. E il fatto che le stesse dedicando anche solo cinque minuti per insegnarle qualcosa, era sintomo che valeva qualcosa di più degli appunti e delle tabelle di marcia che gli preparava o i rendiconto che portava in contabilità.
"Bonelli carissimo!" mentre parlavano, una voce sguaiata richiamava l'attenzione di Alex.
Lui, ovviamente, la riconobbe immediatamente, alzando gli occhi al cielo. Si salvi chi può. "Avvocato…"
Francesco De Stefanis si avvicinò con un'andatura maestosa e fiera, non tanto da leone quanto piuttosto da pavone che mette in mostra sé stesso e le sue conoscenze.
"Direttore non mi presenti la tua bellissima compagnia?"
Alex avrebbe voluto mangiarselo a morsi, un boccone per volta, giusto per rendergli l'agonia il meno sopportabile possibile. Sapeva benissimo chi fosse la donna che era con lui e la conosceva, anche, ma non rinunciava mai all'opportunità di fare il provolone.
"Maya sicuramente ricorderai l'avvocato De Stefanis"
"Come dimenticare il carissimo avvocato …"
Carissimo … Maya non aveva idea di quanto. Praticamente il gioiellino d'epoca che sfoggiava d'estate a Forte dei Marmi glielo avevano pagato Alex e le parcelle delle sue consulenze.
Alex era contento che Maya, dalla stretta di mano fredda e lo sguardo perplesso, sembrava condividere la sua stessa irritazione. Lei, dal canto suo, conosceva fin troppo bene i tipi come l'avvocato per farsi intimorire: nella sua vita, ne aveva conosciuti fin troppi, convinti di essere gli unici depositari di antica saggezza italica in fatto di arte amatoria e gli unici in grado di disporre di una donna come più li aggrada, convinti che le donne li stiano aspettando ardentemente come a Roma si aspetta un autobus e altrettanto convinti di poterle lasciare a piedi senza troppi complimenti.
"Maya? Ma sei la sua segretaria?" domandò l'uomo fingendo palesemente di cadere dalle nuvole.
"Assistente personale" risposero entrambi, all'unisono, ma Francesco non badò affatto alla correzione.
"Perdonami cara ma ti sei fatta male?"
"Scusi … non capisco" lei era confusa.
"Dico … quando sei caduta dal cielo … ti sei fatta male?"
La battuta sulla stella no, ti prego … avesse avuto con sé il bauletto rigido di Louis Vuitton ereditato dalla nonna, Maya glielo avrebbe volentieri tirato dritto sui denti. Non potevano esserci veramente delle persone convinte che certe frasi per rimorchiare da commedia romantica funzionassero davvero nella vita reale.
"Francesco ma non mi avevi detto che saresti venuto accompagnato? Dov'è la tua compagnia per la serata?" Alex tentò di distrarre l'amico dal fare il cascamorto con Maya. 
"Al bancone dei drink" rispose lui, sornione "qui fa molto caldo e abbiamo bisogno di reidratarci … non so se mi spiego"
Maya era sempre più perplessa da quell'uomo; non capiva se stesse parlando anche della persona che era con lui o fosse talmente autoreferenziale da usare il plurale maiestatico.
"Vedi Maya … io vorrei tanto credergli ma la tiene segreta da un mese. A questo punto non sono neanche tanto sicuro che esista questa accompagnatrice"
"Vado lì a spiegare" iniziò la sua arringa, con fare serio e quasi drammatico "la signorina in questione non è adatta ad una compagnia raffinata come la vostra … non sono neanche sicuro che sia in grado di leggere il menù sui tavoli …"
Maschilista del cazzo.
"Sempre molto delicato, eh avvocato?!"
"Delicatissimo, Alessa', ça va sans dire. Ma che ti devo dire … purtroppo un mio cliente è dovuto venire qui con la sua signora e aveva questa amica da presentare a dei produttori, ma capite benissimo che da sola quella non va da nessuna parte"
"E te sei immolato alla causa insomma …"
"Esattamente. Come si dice: chiniamo la testa e accontentiamo il padrone … soprattutto quando firma assegni a quattro e cinque zeri. Ora mi dovete scusare, ma devo recuperare la signorina … ci vediamo in giro"
"Non so se credergli o meno" confessò Alex mentre venivano invitati a prendere posto nel grande salone delle feste "secondo me è venuto accompagnato da qualche anziana dama di carità e non me lo vuole dire"
"Più che altro, se mi permetti, mi chiedo come fai a sopportarlo un così"
In ufficio, probabilmente, l'avrebbe rimessa al suo posto. Non sapeva perché ma quella sera sentiva che le avrebbe concesso qualsiasi sgarro, qualsiasi impertinenza. Stavano lavorando, eppure la percepiva molto più vicina di quanto non lo sia normalmente un collaboratore, per quanto stretto.
"Abitudine, probabilmente. Ci conosciamo dai tempi dell'università e ho imparato a volergli bene nonostante questo carattere un po' sborone. Alla fine è tutto fumo …"
"Conosco il genere …"
Era un po' così tra lei e Olivia. Non sopportava quei modi così sgraziati, la totale mancanza di gusto nel vestire visto che se la trascinava dietro ma soprattutto quel suo costante essere amicona con tutti. Fosse stato per opportunismo l'avrebbe capito, è un modo come un altro di sopravvivere; ma no, Olivia, era amica di tutti perché lei voleva bene a tutti. Ormai erano anni che se la portava appresso per pura abitudine, perché era parte della comitiva e perché - lei sì che era opportunista - la invitava a casa sua in montagna per sciare.
 
Il salone era enorme. Avrebbe tranquillamente accomodato più di 300 persone, ma la cena esclusiva ne ospitava più o meno metà. Quattro lunghe tavolate occupavano la sala solo a metà. In fondo era stato allestito un palco e dello spazio era stato lasciato davanti come pista da ballo.
Le luci erano calde e soffuse, tanti piccoli faretti illuminavano dal basso le pareti, creando un contrasto di chiaroscuri con le finestre che, grazie al buio esterno, sembravano coperte da teli neri. Sui tavoli, candelabri di varie altezze e lumicini posizionati davanti ad ogni posto a sedere completavano l'illuminazione.
A Maya, mettendosi a sedere, venne da ridere. Tante volte sua madre, appassionata di fiori e decorazioni, aveva ripetuto a lei e sua sorella, da piccole, che è fondamentale che i fiori a tavola permettano ai commensali di vedersi. E lei, in quel momento, vedeva solo la pelata dell'ometto di mezza età che le stava seduto di fronte, coperto dal centrotavola di rose, peonie ed eucalipto che copriva la tavolata per tutta la sua lunghezza.
Non sapeva se essere sollevata o volersi sotterrare quando, al suo fianco, si accomodò una coppia di vecchie conoscenze, genitori di una compagna di scuola di sua sorella e produttori cinematografici. Se da un lato era stato facile rompere il ghiaccio, dall'altro era stato un dito nella piaga sempre aperta della sua vita.
"Sei la figlia del povero Luigi Alberici" le disse la signora, e scommetteva quell'espressione sensibile e rispettosa nascondeva solo commiserazione.
Come se si potesse dimenticare la ragione del costante annaspare suo e dei suoi fratelli. Poi, insieme, i due avevano iniziato a vantare la figlia, che lavorava in una banca all'estero e aveva finito per sposare un ricco nobile tedesco.
Peccato che Lavinia l'opportunità di andare a studiare nelle migliori università estere non l'aveva avuta e si era dovuta accontentare di farsi il mazzo in Italia per guadagnarsi i due spicci che passano le borse di studio le università.
Voleva evitare di commettere un omicidio davanti a così tanti testimoni e così si girò verso Alex, il quale però era impegnato in una conversazione appassionata con una bionda slavata che teneva il braccio sullo schienale dell'uomo. Bionda, assomigliava vagamente a sua moglie, ma con in più quell'aria da mi sento stocazzo che legittima ogni comportamento.
"Scusa Alex, ho bisogno di un po' d'aria fresca …"
"Stai bene? Hai bisogno che venga con te?" domandò, sinceramente preoccupato.
"No no" lo rassicurò, alzandosi e, d'istinto, posandogli una mano sulla spalla. Daje Maya, si rimproverò "non voglio disturbare, sei impegnato con la signora … non credo ci abbiano presentate"
"Maya, Eleanor Reale, la regina di Roma o The Queen, come la chiamiamo tutti"
Quel nome lo aveva già sentito diverse volte a lavoro; per la prima volta, riusciva a collegarlo ad un volto. Lui la ammirava, si vedeva a tre chilometri. Solo a pronunciare il nome gli occhi e la bocca si erano riempiti di considerazione e stima. Strettamente  professionale, s'intende, ma le girava che ci fosse qualcuno seduto a quel tavolo che le toglieva pure quello.
"Maya Alberici è la mia assistente, l'avrai vista già di sicuro in altre occasioni"
"… di sfuggita, credo" disse la donna, con un vago accento americano.
Forse era straniera, forse fingeva di esserlo. Le strinse la mano quasi con repulsione, come se davanti a lei avesse un topo di fogna. Ma lei non poteva proprio permettersi di giudicare nessuno, pensò Maya: a sensazione era una vipera della peggior specie, più viscida di quelle che aveva visto in gita alle medie al Rettilario del Bioparco.
"È giusto portare un po' di sangue fresco a queste serate. A questo proposito …" si avvicinò ad Alex con fare sensuale, portando il suo braccio dallo schienale alla spalla dell'uomo. Lo aveva fatto perché qualche secondo prima lo aveva fatto pure lei. Ma non di sfuggita. Oh no. Eleanor Reale quel braccio lo aveva proprio accomodato. Tanto per chiarire il concetto di chi poteva e chi no. "Stasera ho portato alcuni giovani talenti della mia scuderia. Te li voglio far conoscere" gli disse "Le aspettative su di loro sono molto alte, sono un treno in partenza che ferma a Venezia, Cannes, Berlino … non so se mi spiego"
"Meglio comprare i biglietti allora…" fu l'ultima cosa che sentì commentare ad Alex prima di lasciare il tavolo.
La sigaretta di Maya durò meno del previsto. La fumò nervosamente e non riuscì nemmeno a godersi il panorama di Roma che pure era mozzafiato. Era salita sul terrazzino che lui le aveva promesso di vedere insieme. No Maya, pensò, ti ha detto magari. Prima i tizi che le avevano ricordato di vivere costantemente al di sopra delle proprie possibilità, poi la PR che metteva in chiaro che al mondo ci sono due tipi di persone: quelle che possono permettersi tutto e quelle che stanno a guardare.
E Maya, abituata ad essere sempre al centro dell'attenzione, era semplicemente entrata nel panico. Le piaceva essere guardata, voleva essere ammirata - era per questo che non aveva ancora mandato a quel paese Olivia.
Tornata al tavolo, il posto alla destra di Alex era vuoto. Si guardò intorno e vide la donna chinata a parlare con due ragazze e un ragazzo, tutti attori, probabilmente quelli che voleva presentare ad Alessandro. Lui invece era impegnato a conversare con due uomini, lui seduto, loro in piedi. Era così nel suo elemento, disinvolto, sicuro, che non capiva perché avesse avuto bisogno di portarla con sé, quando alla fine si era dimostrata più una bella statuina con un bel vestito che altro; un tempo le sarebbe bastato, ma iniziava a volere di più. Doveva dimostrarlo a quelli che in ufficio avevano dato per scontato che aveva avuto l'invito perché se la faceva con Alex, ai tizi seduti vicino a lei che in quel povero papà avevano inserito tutto lo sdegno e la pietà che si prova per un pezzente. E lo doveva a sé stessa, che non voleva più vivere la favola di Cenerentola aspettando la fata madrina e il principe, ma voleva tirare su le maniche e diventare padrona del proprio destino.
"Da quando in qua i giornalisti prendono ordini dagli uffici stampa?" domandò, quando i due uomini se ne andarono, facendo un cenno al posto vuoto di Eleanor Reale.
"Oh my sweet summer child …" la canzonò lui, carezzandole lievemente la guancia con una nocca "è il gioco del do ut des di cui ti parlavo prima. Ma prima di darle un risposta devo valutare la posta in gioco, capire se posso fare questo investimento"
"Forse so chi sono gli attori di cui parla. Vuoi la mia opinione?"
Alex annuì. Forse alla fine si faceva solo ed esclusivamente come voleva lui ma ascoltava sempre l'opinione di chi lavorava per lui, anche solo per soppesare la sua.
"Sono bravi, questo nessuno lo mette in dubbio, ma è anche vero che in tv fanno le solite particine romantiche e strappalacrime con preti e commissari" lei preferiva guardare le serie americane in streaming ma ogni tanto le capitava di fermarsi a guardare qualche replica in tv mentre stirava o faceva le pulizie, giusto per staccare il cervello o avere compagnia "e i ragazzi saranno giustamente insoddisfatti ma si sono rovinati la piazza".
Così per rilanciare le loro quotazioni agli occhi del cinema che conta The Queen voleva organizzare per loro  servizi fotografici su qualche rivista importante dallo stile un po' trasgressivo assieme a nomi importanti della moda, interviste vagamente profonde su di loro come attori e sul loro percorso di artisti.
"E ne vale la pena secondo te?" domandò Alex.
Questa era una cosa che Maya non si aspettava. A sua memoria, raramente Alex chiedeva consigli. Sapeva sempre cosa fare o, quanto meno, non dava mai a vedere di non saperlo.
"Io dico di sì" rispose lei, sicura "Noi riceviamo i click del pubblico generalista e loro si ripuliscono il curriculum. Semplice. Pulito. Alla pari."
Lui la guardava, senza dire nulla, e lei sentì su di sé quello sguardo, lo stesso che lui aveva rivolto a The Queen poco prima. Difficile descriverlo. Era come se gli piacesse ciò che stava vedendo, ma ad un livello più mentale che fisico. Era l'orgoglio di un insegnante di fronte all'alunno che raggiunge un traguardo, ma senza condiscendenza o paternalismo. Se quello era un esame, lei lo aveva superato. Ma più che per aver portato a termine il compito, se così si poteva chiamare, era contenta di aver provato a sé stessa di non star semplicemente scaldando la sedia su cui era seduta.
Alex si alzò, tendendole la mano. Lei restò per un attimo interdetta e gli lanciò un'occhiata confusa.
"Mi hai detto che devo staccare almeno per cinque minuti, no? Beh allora andiamo a ballare …"
Non si era neanche accorta che la musica di sottofondo che stava accompagnando la cena aveva lasciato il posto ad un pezzo disco che faceva più cinepanettone anni '80 che elegante serata di beneficenza. Vai a capire, magari divertendosi si dona di più e più volentieri.
"Sei sicuro?"
"Prometto di non pestarti i piedi" proclamò, sornione, alzando in maniera solenne la mano destra "o almeno ci provo"
 
"Sei sicura di stare bene? Il piede ti fa ancora male?" domandò Alex, mentre con l'auto lasciavano la villa.
"Oddio, Alex, tranquillo, quante volte devo dirtelo che sto benissimo"
Era l'una, ormai non era rimasto più nessuno seduto ai tavoli e il deejay aveva messo su una carrellata di musica anni '90, Eurodance come se piovesse. Quel coglione di Francesco, alticcio se non ubriaco - a sua discolpa non era l'unico - era finito addosso a Maya, facendola finire a terra. Inutili i riflessi pronti di Alex, che aveva provato ad evitare che le cadesse addosso.
Avevano rispedito l'avvocato a casa assieme a quella specie di sirena caraibica con cui era andato alla festa - alla fine venne fuori che non aveva mentito - e se n'erano tornati a casa anche loro, vista l'ora. Il giorno dopo sarebbero dovuti andare regolarmente a lavoro, non si scappava.
"Nemmeno il vestito si è strappato, per fortuna" commentò lei.
"Sarebbe stato un peccato. È molto bello" aggiunse lui "Anche se una giacchina ci voleva"
Pesante era pesante, c'era poco da dire. Però era anche un gran signore. Tutti sudati per aver ballato, quando uscirono dall'edificio Maya si trovò a sfregarsi le braccia con le mani per scaldarsi, come volevasi dimostrare. Per evitare un te l'avevo detto del suo accompagnatore, provò a farlo con discrezione, ma con scarsi risultati: senza dirle nulla le prestò la sua giacca, il tempo necessario per il parcheggiatore di portare loro l'auto. Una volta seduta gliela restituì immediatamente, non voleva abusare della sua gentilezza.
"A proposito dell'abito …" esordì, incerta.
Quando aveva avuto la brillante idea di farsi fare un abito da una stilista, non ci pensava proprio a chiedere quel favore ad Alex; ma più passava il tempo e più le salivano i sensi di colpa. Avrebbe fatto una figura di merda, ma almeno avrebbe avuto la coscienza pulita.
"Dimmi"
"La ragazza che lo ha fatto è una giovane stilista … magari si potrebbe trovare il modo di darle uno spazio sul sito..."
"Stai per caso facendo una raccomandazione?"
"Eeeeeh … nnni" ammise "ma è una storia complicata che è troppo tardi per spiegartela."
"Forse è meglio se non me la spieghi proprio".
"Ecco forse è meglio". Erano su Corso Francia, dove le macchine sfrecciano nonostante i limiti e l'attraversamento è selvaggio e mentre le parlava lui teneva le mani strette e sicure sul volante e lo sguardo fisso sulla strada.
"Non ti assicuro nulla" proseguì "ma vedo cosa possiamo fare. Nei prossimi giorni fammi avere un suo portfolio"
Maya si rilassò sul sedile, dove già era scivolata comodamente grazie al tepore dell'auto: se non altro non avrebbe più dovuto mentire.
Arrivati nei paraggi di casa sua, Maya chiese ad Alex di avvicinarsi con l'auto fino al cancello, senza parcheggiare. Non sapeva perché l'aveva fatto, non c'era motivo di credere che Alex volesse salire da lei eppure si sentì in dovere di farlo. Forse era un automatismo acquisito, un meccanismo di difesa da quei casi umani con cui puntualmente usciva e puntualmente le toccava rimandare a casa con una scusa o con un'altra.
"E così devi cambiare casa?" le domandò, accostando l'auto.
"Già, ma sarà un'impresa. Io ho gusti difficili che non vanno molto d'accordo con le esigenze delle mie tasche"
Vista la casa dove abitava, Alex non faceva fatica a crederlo.
"Non in tutte le case si trovano opere d'arte alle pareti…"
"Hai visto i quadri?"
L'uomo annuì. Era praticamente impossibili non notarli, se non altro per la loro posizione inusuale.
"Sono tra le poche cose di mia proprietà"
"Davvero?"
Di cosa si sorprendeva?! Era una ragazza dalle mille risorse che, dopo cinque anni di lavoro, solo ora stava scoprendo veramente.
"Una forma di investimento, se così si possono definire"
Spiegò che erano tutti quadri di artisti emergenti e che appena le quotazioni salivano sufficientemente, li rivendeva a buon prezzo.
"Ho un amico che ha naso per queste cose e mi sa indirizzare sui nomi giusti"
"Un amico o …" quel commentò uscì innocente, spontaneo.
In altre circostante lui se ne sarebbe pentito e lei risentita, ma non quella sera: erano stati così bene che nessuno dei due lo trovò fuori luogo.
"No no, solo un amico. A parte che non ho proprio la testa per certe cose in questo momento e poi lui è interessato ad un altro genere proprio…"
"Ah … oook. Poi magari un giorni di questi me lo presenti che interessano anche a me certi investimenti. Sbaglio o c'era un Agrimi?"
"Ah. Vedo che siamo intenditori …" "
No" ammise "ma l'anno scorso c'è stata una mostra al Mucciaccia Contemporary ed esponeva anche lui. E Roma Glam, ovviamente, era lì."
"Ovviamente. Buonanotte Alex" troncò lei, uscendo dall'auto.
"Buonanotte" rispose lui, ma lei ormai aveva già chiuso la portiera.
Lui aspettò che chiudesse il cancelletto alle sue spalle e ripartì. Come in tutte le favole, l'incantesimo era finito. Si tornava alla realtà.


 

Nuova settimana, nuovo aggiornamento. Ho anticipato la pubblicazione, ma solo di poche ore perché io per prima non stavo nella pelle di condividere con voi questo capitolo.
Non so se sarete contenti, visto quanto lo avete aspettato e di sicuro ognuno di voi si è creato delle aspettative. Spero non vi deluda.
Purtroppo per motivi personali, nulla di brutto, anzi, Contro Ogni Ragionevole Previsione va in vacanza per un paio di settimane. Anche per questo motivo il capitolo è più lungo del solito, così potrete anche leggerlo a più riprese XD
Verosimilmente, penso che tornerò a pubblicare l'8 di Ottobre. Prima purtroppo non riesco, perché non avrò il pc con me ma solo il telefono, per cui potrò solo leggere e scrivere recensioni e risposte, ma non vi preoccupate perché la scrittura della storia in questi giorni prosegue a gonfie vele e ci sarà di che divertirsi ed emozionarsi per un po'.
Vi aspetto numerosi tra le recensioni, mi fa sempre piacere leggerle e vi ringrazio infinitamente, ma sarebbe bello ogni tanto scoprire qualche nuova voce...non mordo, promesso!!!
A presto,
Fred ^_^

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***





 
Capitolo 10



 
Già quando si è stanchi si dorme male, Alex venne anche svegliato di buonissima ora dal suo vice, Stefano.
"Alex, non siamo un giornale online se per certe cose dobbiamo seguire le procedure standard" gli ricordò l'uomo al telefono, mentre lo buttava letteralmente giù dal letto alle 6 del mattino. Il resto della casa dormiva, lui scendeva al piano inferiore per andare nel suo studio.
"Non stampiamo?! Benissimo, ma almeno battiamo la concorrenza sulle notizie"
Raissa aveva lavorato tutta la notte per l'articolo sulla festa e le foto erano state pubblicate dalle agenzie quasi in tempo reale.
"Stefano apprezzo la tua buona volontà" rispose Alex, assonnato e con la testa che scoppiava - memo per la prossima festa: mai più combinare alcool ed Eurodance, non c'hai più l'età per certe cose Alessa'! "ma dobbiamo pubblicare il resoconto di una festa, non il bollettino di guerra da Gaza. Anche meno. Ora lasciami lavorare. Ti richiamo io."
Si sedette alla scrivania e accese il pc, mandando giù un'aspirina a stomaco vuoto. Ne avrebbe pagato le conseguenze per tutto il giorno con il mal di stomaco, lo sapeva già, ma in quel momento non aveva fame e doveva lavorare senza un trapano che gli perforava il cervello.
Aperto il cloud dove caricavano tutti gli articoli in attesa di pubblicazione, Alex lesse l'articolo e le foto selezionate. Oltre le solite foto tutte uguali del red carpet, erano state selezionate alcuni scatti della cena e dei discorsi ufficiali, per mostrare la sala, i tavoli e un po' di movida. Tra queste due colpirono la sua attenzione: un uomo, seduto al tavolo, sussurrava qualcosa all'orecchio di una donna. La stessa coppia, in un altro scatto, ballava in pista, la mano di lui che cingeva la vita di lei, quella di lei poggiata sulla sua spalla. Sembravano estremamente complici ed intimi. Era una di quelle coppie su cui, normalmente, avrebbe indagato per provare a costruire qualcosa di buono da raccontare. Non questa volta. Erano lui e Maya.
"Dimmi Alex" rispose senza troppi preamboli Stefano, appena Alex lo ricontattò.
"Fai sparire quelle foto mie e della mia assistente!"
"Come? Quali?"
Avrebbe messo la mano sul fuoco che quegli scatti erano stati messi lì intenzionalmente per divertirsi e creare l'ennesimo pettegolezzo in redazione e mettere in difficoltà sia lui che Maya. Prima di arrivare ad Alex, almeno quattro o cinque persone avevano visualizzato le foto e l'articolo. 
"Fai poco lo gnorri …" lo freddò, irritato "l'articolo va bene, ma togli quelle foto. Ce ne saranno centinaia sul sito dell'agenzia da poter usare. Non siamo un giornaletto di gossip spicciolo e soprattutto non alle spese del team. Sono stato chiaro?"
E non lo diceva solo perché in quelle foto c'era lui. Era sempre stato molto rigido nel rispettare la deontologia, a volte andando anche oltre quando si trattava di mantenere un clima sereno tra colleghi. Il gossip, anche se a volte erano costretti a farne, non era giornalismo.

Il disagio nello stringere la mano a Eleanor la sera prima, quello sguardo schifato che le si era posato addosso, non era nulla a confronto di quello che, la mattina successiva, Maya si trovò a provare in ufficio.
Tutto era tornato come prima. Forse per la fatica post serata, forse per il contesto lavorativo freddo, formale ed abituale, Alex e Maya avevano di nuovo ceduto il passo al capo e alla sua assistente. Niente di meglio, niente di più normale. Come Maya aveva previsto, si sentiva ridicola ai pensieri quasi indecenti che la vicinanza ad Alex le aveva provocato solo qualche ora prima. Quel profumo che tanto l'aveva scombussolata, ora quasi nemmeno lo sentiva. Era lì, indifferente, come tutte le mattine. Lui nel suo ufficio, lei alla sua scrivania.
Di punto in bianco la porta si spalancò: era Claudia. Non la vedeva da prima delle vacanze estive, ma non era cambiata di una virgola. Trench di Burberry, pantalone palazzo scuro e camicia bianca, occhiali da sole calati sugli occhi, si diresse spedita verso l'ufficio del marito. Senza farsi annunciare, senza chiedere se fosse impegnato.
"Buongiorno" la salutò Maya, alzandosi meccanicamente, come si faceva a scuola con i prof più temuti. Lei era esattamente come quella stronza di inglese del liceo fissata con la pronuncia.
La donna girò lievemente il viso verso di lei, ma non rispose. Era come se avesse sentito un suono e cercasse di cogliere da dove provenisse. Le passò letteralmente attraverso con lo sguardo. Di solito la faceva sentire una nullità, questa volta l'aveva resa invisibile.
Maya non aveva bisogno di sapere perché. Poteva ignorarli quanto voleva, ma quei risolini, gli sguardi e il vociare che avevano accolto il suo arrivo al lavoro restavano.

"Claudia! Che ci fai qui?"
Alex capì immediatamente che non si trattava di una visita di cortesia. Era nera in volto ed era rimasta in piedi, come fosse in un ufficio reclami. In fretta chiuse una telefonata con Milano e si dedicò completamente a lei.
"Questa si che è bella" rise lei, nervosamente "mi chiede anche cosa ci faccio qui … ma quanto sei ridicolo?!"
"Si può sapere che succede?" 
Quella mattina, preso dalla storia delle fotografie, aveva fatto colazione nello studiolo e quando era arrivato il momento di uscire per andare al lavoro, Claudia nemmeno l'aveva vista. Dopo la sfuriata della mattina precedente, oltretutto, non avevano più parlato.
Lei bruscamente tirò fuori il telefono dalla borsa e gli mostrò la pagina web di un loro diretto concorrente. Ovviamente le foto di lui e Maya erano state sbattute in home page con il titolone "È nata una nuova coppia?" 
"Chi è l'ipocrita ora?" urlò la donna, gettando il telefono sul tavolo in vetro "Io che mi preoccupavo di averti ferito e tu già avevi il rimpiazzo. Con la segretaria poi.. il più squallido dei cliché. Quanti anni ha, eh? 25? … chissà da quanto te la porti a letto vista quest'uscita pubblica"
Il volume della voce di Claudia era fuori controllo. Lo stabile aveva una buona insonorizzazione ma era abbastanza sicuro che Maya avrebbe potuto sentirle pronunciare quelle cattiverie; in quel momento, però, assicurarsi che stesse bene, che non stesse lì a sentire, avrebbe fatto più male che bene. Strinse i denti, alla ragazza avrebbe pensato dopo.
"Ma come ti viene anche solo in mente una cosa simile? Ma tu sei completamente fuori? Non avrei mai fatto una cosa del genere, sai come la penso."
In teoria, lo sapeva. Glielo aveva sempre ripetuto: se ci innamoriamo di un'altra persona, lasciamoci, ma non facciamo nulla dietro le spalle.
"E come pensi che io possa crederti dopo queste foto?"
Sì, quelle foto davano di che pensare e parlare, ma più le vedeva e più gli sembravano tranquille, innocenti come innocenti erano stati loro due la sera prima: due amici che si divertono insieme, niente più niente meno; lei però avrebbe dovuto credergli sulla parola, non aveva altro. Se per lei la sua parola valeva ancora qualcosa.
"Comunque a questo punto non dovrebbero essere più affari tuoi. Non lo sono più dal momento che te ne sei andata"
Lei rinnovò il suo proposito di voler ripartire da zero, come coppia e come famiglia. Gli si avvicinò, posando le sue mani sul petto. Sentiva il respiro agitato del marito e poteva indovinare, dalla giugulare gonfia che si intravedeva dal colletto della camicia, che anche il suo battito doveva essere accelerato. Al tempo stesso, tuttavia, con lei era freddo come una statua.
"Io non voglio" tagliò corto. Non sapeva più come dirglielo. La fece accomodare al salottino e prese le sue mani tra le sue, guardandola dritta negli occhi. Voleva che vedesse tutta l'onestà che ci stava mettendo. "Ti sto dando la possibilità di finirla nel modo più indolore e civile possibile. Non voglio passare anni tra avvocati e tribunali. Ci siamo voluti bene e te ne voglio ancora perché sei la madre dei miei figli, ma ora come ora voglio solo andare avanti."
Gli occhi lei si riempirono di lacrime. Forse, finalmente, aveva capito. Le faceva male, probabilmente quanto aveva fatto male a lui, realizzare che il loro amore era finito.
"Ma perché?"
Alessandro prese un grosso respiro. Se lei gli aveva fatto male, lui per lei non desiderava affatto restituire il maltorto.
"Non sei più la donna che ho sposato" confessò, modulando le parole con attenzione "e se lo sei allora non so più perché ti ho sposata. O forse più semplicemente sono cambiato io."
Quella, forse, era l'ipotesi più probabile. Quelle settimane da solo gli avevano offerto la possibilità di riflettere sulla sua vita e sulle sue priorità e si era accorto di quanto, fino a quel momento, avesse tenuto la famiglia sullo sfondo. Tutto veniva prima di loro, dei suoi figli, dei suoi affetti più cari. Era arrivato il momento di riprendere in mano la sua vita, anche se a malincuore doveva ammettere che percepiva Claudia come parte di quelle cattive, vecchie abitudini. In un certo senso doveva ringraziarla, ma doveva anche lasciarla andare.
"Ad Edoardo e Giulia non ci pensi?"
"Certo. Ci ho pensato tutti i giorni quando tu non c'eri" non ci riusciva a non ricordarglielo. Lei doveva capire, e non ci riusciva o non voleva riuscirci, che il torto più grande lo aveva fatto a loro e non a lui. "e credo che sia meglio così, anche per loro."
"E questo?" sputò lei, alzandosi e tornando a spiattellargli il telefono davanti al naso "Anche questo è meglio per loro?"
"Questo, come lo chiami tu, non è niente! Non sapevo che fosse reato ballare. O avresti preferito che andassi ad una festa con il lutto al braccio."
Se voleva le sue scuse o che si strappasse le vesti non lo avrebbe mai fatto, perché non c'era nulla per cui fare ammenda. 
"Benissimo. Avrai quello che vuoi se proprio ritieni che il nostro matrimonio non sia recuperabile" disse lei arrogante, ricomponendosi "ma non pensare che sarà una passeggiata di piacere. Vi terrò d'occhio, a te e alla tua amichetta."
"Ah pure? Fai quello che ti pare. Non abbiamo niente da nascondere."
La donna uscì dall'ufficio furente come era entrata. Alex la seguì per sincerarsi che non se la prendesse con Maya. Ma la giovane, che evidentemente aveva ascoltato almeno in parte il loro litigio, non c'era. 

Maya, a cui era bastato sentire Claudia sbraitare indistintamente dietro alla porta di vetro opacizzato, si era rifugiata nella sala relax della redazione. Con lei Alice che, seduta sul piano della piccola cucina, se ne stava, impertinente come una fatina delle favole, ad ascoltare i racconti di Maya sulla serata trascorsa con Alex, bevendo caffè americano.
"Oh senti Maya! I fiori e il menu qui non interessano a nessuno" protestò la ragazza "le foto incriminate le abbiamo viste tutti … si può sapere cos'è successo?"
"Perché ti interessa?" domandò, indisponente "Così puoi spettegolare con i tuoi amichetti qui in redazione?"
Maya non riusciva a dire nulla. In certo senso era gelosa di quella serata speciale che avevano trascorso, anche se sapeva che persino quella ritrosia avrebbe potuto rivoltarsi contro di lei.
"Guarda che non ti considereranno mai come una di loro" ricordò ad Alice "Sei una receptionist, smisti le telefonate e la posta. Come me." 
Maya voleva che capisse che, alla fine, erano uguali - cena di gala a parte - e non c'era bisogno di punzecchiarsi e danneggiarsi a vicenda.
"Lo so" ammise Alice, lo sguardo basso "ma io non ho mai detto o fatto niente con cattiveria nei tuoi confronti. Né ho mai fatto un pettegolezzo"
Maya non rispose nulla, ma Alice lo sapeva che non era facilmente espansiva. Anche solo uno sguardo d'intesa bastava per farle capire che era tornato tutto apposto con lei e poteva osare una battuta in più.
"È che … lo sai … sono un'inguaribile romantica … e siete troppo carini insieme!"
La voce mielosa suonava come quella di una fan in fila per il firmacopie di un cd oppure al botteghino dell'ultimo film con il bonazzo di turno. Erano coetanee, ma Alice era rimasta ferma alla pubertà.
"Non ti mettere in mente strane idee. Non c'è niente tra me e Alex. Mai c'è stato e mai ci sarà. È sposato!"
"Maya! A parte che è un segreto di Pulcinella che lui e la moglie sono separati in casa" in effetti era così, a quella storiella della zia malata non ci aveva creduto nessuno e le voci delle vere ragioni erano circolate velocemente "E poi le foto non mentono"
"Alice! Le foto possono raccontare quello che gli pare se fatte da un bravo fotografo"
"E allora questo doveva essere proprio uno bravo perché sembrate proprio una coppia"
Maya prese il telefono dalle mani di Alice e guardò con attenzione le foto: fino a quel momento, infatti, non ne aveva avuto il coraggio; Alex le aveva accennato a questo piccolo incidente e le aveva assicurato che non sarebbero state pubblicate dal loro giornale. A lei era bastato a stare tranquilla: nessuno della sua famiglia leggeva quella spazzatura di sito che ci stava invece ricamando sopra e gli amici, eventualmente, avrebbe trovato il modo per gestirli.
"Tu devi smetterla di leggere le fanfiction su Wattpad, ti fanno male!" la strigliò.
"Sshhh!" con un dito davanti alla bocca, Alice le intimò il silenzio.
Sul pavimento di marmo il rumore imperioso dei tacchi quadrati di Claudia, che si avvicinava all'uscita, rimbombava sufficientemente per poter essere tenuta sotto controllo. Alice a piccoli passi felpati uscì dalla stanza, in tempo per tornare alla sua postazione e poterla salutare.
Maya tirò un grosso sospiro di sollievo. L'ultima cosa che voleva era che la moglie - quasi ex - del suo capo, con il quale aveva trascorso una serata piacevolissima da amici, le facesse una piazzata. Riconobbe la voce di Alex nel corridoio e Alice che gli diceva che lei era lì, nella sala relax.
"Eccoti ..."
"Sì scusami, ero venuta a prendere un caffè al volo" sapevano tutti e due che non era così, ma andava bene a tutti e due che minimizzasse "Ti serve qualcosa?"
"No tranquilla. Sono…sono venuto solo a chiederti scusa."
"Per cosa?"
"Per mia moglie. Lo so che hai sentito lo show che ha fatto."
Alex aprì il frigo e fissò dentro come cercasse qualcosa. Deluso, lo richiuse energicamente. In realtà, Maya lo intuiva, era solo smanioso, innervosito dalla visita inaspettata e sgradita della moglie.
"No ma figurati … ho sentito mezza parola, davvero."
"Le ho chiesto la separazione e me lo sta facendo pesare. Tutto qui" ora se ne stava appoggiato al tavolo come ci si appoggia ad una ringhiera di un balcone e tamburellava nervosamente con i polpastrelli. "Si sta aggrappando a qualunque cosa" continuò, lasciando sfuggire una risata amara "se avessimo un cane troverebbe di che rinfacciarmi anche su quello"
Se qualche mese prima si era sentita a disagio nel sentirlo parlare della sua sfera privata, ormai aveva fatto il callo anche a quegli sfoghi. Lui ne aveva bisogno e lei aveva imparato a filtrarli, consapevole che aveva bisogno di qualcuno che stesse solo a sentirlo. 
"Sono sicura che è solo una cosa passeggera. È una donna intelligente. Capirà ..." gli disse, ma nel suo cervello suonava più come: stronza, strega, malefica, cessa.
Il telefono di Maya venne in aiuto con la sua vibrazione; senza, non avrebbe saputo proprio cosa uscire da quella situazione. Lui si confidava e lei aveva due opzioni: fare la bella statuina, o - impresa ardua - arrabattarsi per trovare una frase ad effetto che lo tirasse su. Non era per niente facile.
"Tutto ok?" domandò Alex, notando il suo disappunto mentre leggeva un'email.
"Sì … più o meno. È l'agenzia immobiliare. Non capiscono che quando gli dico che possiamo sforare con il budget intendo di 50 Euro, non di 200"
Ad Alex venne da ridere. Con le dovute proporzioni, era esattamente quello che diceva a Claudia quando stavano ristrutturando casa e se ne usciva con qualche nuova miglioria da proporgli. Mentre le lasciava il tempo di rispondere gli venne un'idea.
"Stavo pensando una cosa …" le disse, mentre tornavano in ufficio. "Dimmi" "Se sei in difficoltà e non trovi nulla io ho un appartamento sfitto. È la vecchia casa dei miei, a Testaccio."
"Veramente?"
"Sì. Non sarà il tuo piccolo appartamento parigino, ma è stato comple-tamente rimesso a nuovo ed è ben tenuto."
Maya lo guardò come si guarda un fenomeno da baraccone. Lo aveva veramente chiamato il tuo piccolo appartamento parigino ad alta voce. Però era vero, non avrebbe ritrattato.
"Sei gentile ma non mi sembra davvero il caso"
"Perché no?"
"Offenderei la tua intelligenza se davvero dovessi spiegartelo".
Con tutti i pettegolezzi andati in giro per un banalissimo invito … figurarsi se si fosse venuto a sapere che le stava affittando un suo appartamento. In più non poteva mica dirgli che a lei Testaccio non ci si vedeva proprio. Roma finiva a Ponte Milvio, era risaputo. Ma pensò che ad Alex, che a Testaccio c'era nato, questo probabilmente era meglio non dirlo.
"Non ti far condizionare mai dagli altri Maya. Te lo dico per esperienza, non porta mai niente di buono"
"Per una casa?!" ironizzò lei, ma in realtà Alex aveva toccato una nota dolente. Perché lei aveva basato tutta la sua vita sulle opinioni altrui.
"Ovviamente no …" se nella sua vita Alex avesse badato ogni volta ai se e ai ma che gli altri stabilivano per lui, non sarebbe diventato il fondatore di una pubblicazione, non avrebbe avuto una casa in centro a Roma e una al Circeo e non sarebbe andato in giro con moto e auto costose "ma comunque vieni a vederla, senza impegno … lo so che Testaccio non è proprio la tua maggiore aspirazione, però magari scopri che ti piace"
In realtà, Alex aveva solo bisogno di una scusa per andare dai suoi a prendere le chiavi della casa. Aveva bisogno di rientrare tra quelle mura, di risentire gli odori di quella parte di Roma, i suoi colori e i suoi suoni, di ritrovare quella dimensione di rionale e familiare che il trambusto della sua vita gli aveva tolto. 
E poi gli piacevano le sfide, quando ne sentiva il sapore, perdeva completamente la testa. Gli dispiaceva mettere Maya in mezzo, ma Claudia voleva provare che avevano una relazione e le avrebbe servito su un piatto d'argento le prove dell'esatto contrario. Chi non ha niente da nascondere non scappa o si nasconde, come aveva fatto lei.
"Va bene" rispose lei.
Contrariamente alle sue aspettative, Alex non aveva dovuto faticare molto per convincere Maya. Quello che non sapeva era che lei, proprio come lui, stava solo trovando un pretesto, una scusa per convincersi che doveva lasciare la sua vita agiata per forza.
"Però" chiarì "non ti aspettare che io ti dica che mi piace solo perché sei il mio capo. Se non mi piace, te lo dico chiaro e tondo"
"Non mi aspetto niente di diverso da te, Maya."


 

Ciao a tutti!!! Sì lo so, avevo detto che non avrei aggiornato prima di venerdì prossimo, ma questi due testoni mancavano a me quanto (spero) a voi, per questo ho deciso di aggiornare appena tornata a casa, anche se non è il giorno abituale. Questo però non può che farvi piacere perché dalla prossima settimana torneremo regolarmente al venerdì, il che significa che dovrete aspettare di meno. Ringrazio chi ha commentato in queste settimane, appena possibile risponderò alle vostre recensioni che ho già letto.
Spero di ritrovarvi numerosi ora che sono tornata ... a presto!
Fred ^_^

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


 

 
Capitolo 11


Un'altra persona non avrebbe dovuto inventarsi una scusa per entrare nella casa dove era cresciuto, ma le altre persone non avevano una sorella come la sua.
Tra fratelli è normale litigare, fare pace, poi litigare di nuovo e continuare la propria vita senza neanche tenersi il broncio o ricordare perché si litiga. Fa parte dell'ordine naturale delle cose. Meno naturale è riversare le frustrazioni della propria vita difficile su chi è stato più fortunato di te.
Anna, che non era mai stata una cima a scuola a differenza di suo fratello, aveva un solo sogno da ragazza: aprire un suo salone di bellezza. Niente di troppo chic o complicato, ma un posto dove le signore del quartiere potessero ritrovarsi e uscire un po' più serene e piacendosi un po' di più. Finita la scuola dell'obbligo si era iscritta ad una scuola di parrucchieri e tutto procedeva secondo i piani. Avrebbe fatto la gavetta e, un poco alla volta, avrebbe messo da parte i soldi per il suo progetto.
Ma a vent'anni i progetti si scontrano con le passioni e il cuore fa a pugni con la testa, anche quando questa ha ragione.
Alla fine dell'estate si era scoperta incinta di un ragazzo che lavorava come stagionale al mare, ad Ostia, che era sparito e non aveva mai più saputo niente di lui. Al bambino non aveva saputo rinunciare: era l'unica cosa che le restava di quella storia romantica e un po' selvaggia da romanzo della beat generation. Dopo due anni, ancora: la promessa di un amore, la passione e l'abbandono. Di nuovo in attesa.
Mentre la sua vita andava a rotoli, suo fratello raccoglieva i frutti della sua brillante carriera universitaria, trasferendosi ad Oslo e iniziando a pensare di mettere su casa con la sua ragazza di ottima famiglia. Lui l'orgoglio dei genitori, lei i loro sospiri.
 
Ad Alex piaceva la Garbatella. Sembrava di essere in un vecchio paesello di provincia con Roma a portata di metro. Era lì che ora viveva Anna assieme ai suoi, Cesare e Maria, che le erano rimasti accanto per aiutarla con i ragazzini e con le spese. Per un po' avevano vissuto nella casa a Testaccio, in cinque in una casa che a malapena andava bene per 4, ma con i figli che si facevano grandi e avevano le loro esigenze non era più la casa giusta.
Ora avevano un ex casetta popolare nel lotto 24, un villino modello anni '30 a due piani con un piccolo giardinetto comune alle altre villette intorno; Alex non aveva mai avuto niente da dire sulla loro decisione: lo avevano sostenuto durante gli studi e quello che stavano facendo con Anna non era né più, né meno quello che avevano fatto con lui. Era sicuro che avrebbero aiutato lui allo stesso modo se ce ne fosse stato bisogno. Aveva avuto solo una richiesta: non vendere la casa di Testaccio. Affittandola, avrebbero avuto un'ulteriore entrata, oltre alla pensione del padre e allo stipendiuccio di parrucchiera dipendente di Anna. E lui avrebbe mantenuto il suo legame con quel posto che, sebbene non fosse più parte della sua vita, considerava ancora come la sua tana.
 
"Ciao zi'!"
"Ciao Vale'!"
Gli aprì la porta un ragazzotto di 19 anni, robusto e spilungone, dai capelli biondi lasciati crescere un po' come veniva. Un giovane vichingo, in pratica. E dire che sua madre era pure parrucchiera. Se non fosse stato per il felpone e i pantaloncini da basket che indossava anche a dicembre e per qualche centimetro in più, sarebbe stato la fotocopia di suo figlio.
"C'è mamma?" gli domandò, mentre lasciava la giacca sull'attaccapanni del piccolo ingressino.
"A lavoro, torna a momenti"
Alla fine lavorava davvero in un piccolo salone di parrucchiera, niente di pretenzioso, come lo voleva lei: un negozietto con due poltrone e una shampista che dava una mano. C'era solo un problema: era lei la shampista e, chiusa là dentro dalle 9 fino alle 7 di sera, era un'impresa fare la mamma come lei avrebbe voluto e i ragazzi meritato.
Il ragazzo tornò in poltrona dove, assieme a suo fratello, stava giocando alla Playstation.
"Possibile non abbiate di meglio da fare?" domandò ai ragazzi, incollati con le mani al joystick e le facce fisse alla tv.
"Se non ce la regalavi te, non ci giocavamo mica?!" lo provocò il minore.
Daniele, diciassette anni ma ancora un bambinone. Lo stesso carattere gioviale e caciarone del fratello, fisicamente erano agli opposti: leggermente più basso e dai carattere più marcatamente mediterranei, portava i capelli castani corti, a spazzola. Dei Bonelli entrambi avevano ereditato gli occhi verdi. Avrebbe voluto che Edoardo, molto più introverso e scorbutico passasse più tempo con loro, ma gravitavano attorno a mondi così diversi che era difficile farli anche solo incontrare.
Sua sorella non era in casa ma sua madre sì.
"Alessa'!"
Se non lo avesse chiamato, Alex lo avrebbe capito dall'inconfondibile odore di pollo con i peperoni - ricetta di nonna.
"Ciao ma'! Ciao pa'!" salutò, entrando in cucina.
Alex si stupiva ogni volta di come a casa sua, pur nel lusso e nei comfort della tecnologia, lui si sognasse quel calore che una villetta popolare riusciva creare, pur stando stretti stretti. La tv accesa sul quiz preserale, sua madre che apparecchiava e suo padre che, occhiali da lettura inforcati quasi sulla punta del nasone, leggeva Il Romanista. Un'immagine non troppo diversa da quella che lo accoglieva la sera da ragazzo, quando rientrava dalle scorribande in motorino con gli amici.
"Com'è che ce sei venuto a trova'?" domandò sua madre "te vuoi mangia' na cosarella con noi? Ho fatto il pollo alla romana"
"Si sente …"
"Tanto co tu madre poi sta tranquillo che il cibo non manca mai. Uno non può neanche più decidere liberamente di stare leggero a cena …"
Era il tipico litigio dei suoi: il padre, ipocondriaco dal quale aveva ereditato tutte le sue manie salutiste, che si lamentava della cucina della madre e lei che rispondeva sempre con la solita frase "Ma è tutta roba genuina, possono mangiarlo pure i bambini! Io mi ammazzo di lavoro in cucina e lui neanche mi dà la soddisfazione di dire che è buono "
Li amava da morire. Perché si punzecchiavano ma bastava un occhiolino al momento giusto per capire che, dopo quasi 50 anni insieme, era solo un gioco, se possibile un modo tutto loro di corteggiarsi.
"Allora, apparecchio pure per te?"
"No, ma', vado di fretta. Sono venuto a prendere le chiavi dell'altra casa"
La stanza si ammutolì. Si sentiva solo la voce del presentatore che scandiva le domande e il soffio leggero del fuoco lento sotto alla padella del pollo. Suo padre aveva tolto gli occhiali e chiuso il giornale, sua madre si era seduta accanto a lui a tavola.
"Te ne vai quindi? Proprio non si può fare niente?"
Maria non andava molto d'accordo con sua nuora, ma era ormai si era rassegnata che tra nuora e suocera dovesse andare così e dopo quasi sedici anni le si era affezionata. Cesare, invece, era più fatalista. In più era sempre stato dell'idea che quel matrimonio non si dovesse fare, che se una coppia arriva ad un bivio in cui le opzioni sono matrimonio e rottura, allora è meglio chiuderla prima di fare danno. Ma aveva sempre rispettato le scelte e gli errori dei propri figli, non li aveva mai ostacolati. E così si limitava ad osservare, apparentemente freddo e distaccato.
"No, no … non è per me. Forse ho trovato un'affittuaria, domani viene a visitare casa"
Senti il sospiro di sollievo di sua madre; suo padre, invece, non riusciva a decifrarlo: prese il telecomando e girò ad un canale di sole notizie, concentrandosi; forse era deluso dal figlio, forse non gli interessava più di tanto cosa facesse.
"Comunque non è cambiato niente" disse. Sua madre non doveva illudersi. "Sto facendo preparare la lettera di separazione dall'avvocato. Rimango a casa solo per Giulia ed Edoardo fino a che mi sarà possibile"
Dopo aver preso le chiavi, lasciò la casa per tornare nella sua. Avrebbe volentieri cenato con la sua famiglia, ma non gli sembrava giusto nei confronti di Edoardo e Giulia: erano l'unica cosa che veramente importava. Qualunque cosa fosse successa con Claudia, loro non ne avrebbero pagato le conseguenze: lui voleva esserci per loro, quella era l'unica battaglia che, se necessario, era intenzionato a fare in tribunale.
Sul viale, mentre si sistemava in moto, intravide sua sorella che avvicinarsi.
"Anna!"
"Ohi … scusami, con il casco e al buio non ti avevo riconosciuto"
"No … eri concentrata sul cellulare" le disse, togliendo il casco.
"Touché!"
Si scambiarono un bacio sulla guancia veloce, ma Alex avvertì tensione da parte di sua sorella, per niente espansiva.
"Arrivi o te ne vai?" gli domandò.
"Me ne vado. Ho qualcuno interessato a casa a Testaccio ed sono venuto a prendere le chiavi"
"Anche agente immobiliare, ora? Devi aggiungerlo al curriculum" rispose lei, con malevole ironia.
"Che hai? Perché sei sempre così acida?"
"Ho parlato con Claudia" disse lei, senza mezzi termini, guardandolo severamente.
"Ah. Quindi mia sorella si è alleata con mia moglie anziché con me? Ora sì che le ho viste proprio tutte …"
Quando aveva raccontato ai suoi di quello che era successo con Claudia, perché era stata via tutto quel tempo, lei in casa non c'era, né si era fatta sentire dopo. Alex aveva immaginato che quella notizia potesse aver riportato a galla ricordi non belli, ma non si aspettava neanche lontanamente questo ribaltamento della situazione.
"Certo che sì, se mio fratello decide di buttare via 16 anni di matrimonio"
Anna era una sognatrice e lui glielo aveva sempre rimproverato: nonostante le due grosse delusioni d'amore che l'avevano lasciata senza soldi e con due figli da crescere da sola, continuava ad essere innamorata dell'idea dell'amore e, probabilmente, aveva riversato le sue fantasie su di lui e sua moglie.
"Te l'ha detto tua cognata cosa ha fatto?" le chiese, brusco.
Lei sulle prime tacque, segno che sì, nemmeno lei aveva approvato quell'uscita di scena.
"Ma è tornata" la difese lei "e adesso vuole riprovarci. Tu invece vuoi chiudere tutto senza neanche pensarci."
"Senza pensarci? Anna! Claudia stata via sette settimane. Sette! Direi che ho avuto abbastanza tempo per pensarci!"
Alex, infastidito, mise il casco ed sfrecciò via in fretta e furia, senza neanche salutare. Non poteva credere che sua sorella, che tra tutte le persone che gli gravitavano attorno era quella che meglio di tutti poveva sapere cosa si provava, aveva avuto il fegato di dare ragione a Claudia e non a lui. Come se in quelle settimane che aveva fatto passare dal suo ritorno non avesse dato a sua moglie la possibilità di provargli che era veramente dispiaciuta. Ma lei non era neanche in grado di capire perché lui ce l'aveva con lei ed era riuscita persino ad accusarlo di tradimento. Bel modo di metterci una pietra sopra e ricominciare.
Se non altro Anna non sembrava sapere nulla dell'argomento principale della sfuriata mattutina. Evidentemente si era fatta un esame di coscienza ed aveva capito di aver fatto un grosso buco nell'acqua con Maya. O almeno, Alex lo sperava.
 
Se non fosse stato per lo scheletro del gazometro di Ostiense in lontananza, difficilmente Maya avrebbe riconosciuto Roma tra quelle strade che stava percorrendo. Si sentiva una stupida, ma era così: era straniera nella sua stessa città.
Era stata a Testaccio una volta sola, a sua memoria, trascinata dalla madre ad una mostra fotografica al Mattatoio, in una delle sue rare incursioni romane da quando suo padre non c'era più. Forse di passaggio l'aveva anche attraversata, come attraversava molte strade di Roma ogni giorno per andare a lavoro o tornare a casa: distrattamente, tenendo gli occhi sulla strada più che guardandosi intorno.
Alex l'aveva convinta ad andare a vedere la casa in pausa pranzo e le sembrava che fosse più eccitato lui al prospetto di andarci che lei. Questa sensazione non sapeva come prenderla: era stato gentile a prodigarsi per lei, ma tutte quelle attenzioni, così repentine e in un momento così complicato nella vita di lui, pur facendole piacere la spaventavano. Ne aveva conosciute di persone che si gettavano a capofitto in qualsiasi cosa - sport, lavoro, studio, una nuova storia - per dimenticare un ex. E temeva di essere diventata la sua idée fixe. Qualcosa come: non era riuscito a salvare il suo matrimonio e ora voleva aiutare lei.
Ma in quel momento, sfrecciando di fianco al Tevere tra Portuense e Trastevere sulla moto di Alex, allacciata alla sua giacca in pelle, quel pensiero non la sfiorava neanche di striscio.
Le era preso un colpo quando le aveva detto di lasciare la sua macchina nel parcheggio della redazione e di andare con lui, ma l'aveva facilmente corrotta: lei non conosceva la zona e a quell'ora sarebbe stato pressoché impossibile trovare parcheggio.
"Benvenuta a Testaccio" le disse, urlando sotto il casco, mentre attraversavano il ponte che prendeva il nome dal quartiere "il quartiere più romano di Roma"
"Ma quello non era Trastevere?"
Maya aveva sentito parlare della rivalità tra trasteverini e testaccini e aveva voluto fare una piccola prova.  Non era rimasta delusa: pezzo dopo pezzo, l'uomo di ferro per cui lavorava stava lasciando il posto ad un tenerone sentimentale che sentiva forte il richiamo delle sue radici.
"Adesso accosto e ti faccio scendere" la minacciò, mentre però dava gas più energicamente, di proposito, per vendicarsi della battuta di cattivo gusto facendola spaventare.
Maya rise di gusto, stringendosi più forte all'uomo. Quella che era stata fino a quel momento una presa leggera ed innocente, si trasformò in un vero e proprio abbraccio. Fu un movimento istintivo, di protezione, ma Maya si sentì avvampare. La giacca di pelle, dal taglio un po' vintage, era ruvida al tatto. Era di quei modelli invecchiati ad hoc e questo la rendeva anche più aderente al corpo dell'uomo. Sapeva benissimo come era vestito, lo aveva visto entrare in ufficio: giacca di maglia e t-shirt bianca, come sempre quando andava a lavoro in moto, ma era come se potesse toccare i suoi fianchi direttamente, senza che ci fossero i vestiti a separare la sua pelle dalle mani di lei.
Lui, alla guida, sembrava non fare una piega.
In realtà, di spalle e con il casco addosso, con tanto di visiera scura, ringraziava tutti i santi del paradiso che lei non potesse vederlo. Quando gli aveva messo le mani attorno alla vita, aveva avvertito quel vuoto d'aria piacevole che aveva avvertito quando l'aveva vista per la prima volta nel suo abito blu la sera della festa. Come sulle montagne russe, ma con i piedi ben ancorati a terra.
Usa la testa, Alex, usa la testa, si ripeteva e la sua testa gli diceva che erano solo reazioni chimiche, una questione di ormoni che poteva accadere tra un uomo e una donna mediamente attraenti che si ritrovano a poca distanza l'uno dall'altra. E poi c'era tutta la questione di Claudia, e poi la serata che avevano trascorso insieme. Il suo corpo gli giocava brutti scherzi. Aveva bisogno di una bella doccia fredda. Sì, anche ad Ottobre.
"A Roma Nord non vi fate guerra tra i quartieri?" le domandò, per distrarsi.
"Non che io sappia …" Maya era senz'altro legata ai Parioli, erano casa sua, ma più per l'espressione di uno status quo che per l'affetto per luoghi e persone "e comunque tu abiti a Prati, sei uno di noi ora!"
"Giammai!"
Alex fermò la moto davanti ad un'inferriata grigia, coperta a metà da una siepe che probabilmente nessuno teneva a bada e che nascondeva un giardinetto comune abbandonato a sé stesso. La strada, piena di buche che non mancavano nemmeno nei quartieri più signorili, era sporca: il fogliame dei pochi alberi si mischiava a cartacce e cicche, e quel che rimaneva delle aiuole dove un tempo c'erano degli alberi era solo l'ennesima buca del marciapiedi, un mix di sterpaglie ed escrementi di cani. Maya alzò lo sguardo da terra, una volta tolto il casco, e si domandò cosa ci stesse facendo lì, in quel momento.
Alex aveva visto dove viveva, non poteva veramente credere che potesse farsi andare bene quella catapecchia.
Il palazzo, dei primi del Novecento, era di un colore indefinito. Si intravedeva un giallognolo oltre alla patina di grigio dello smog e della decolorazione dovuta al tempo. A livello della strada, i murales sporcavano - se così si poteva dire di una casa già malandata - le mura del palazzo e del cancello. Anche ai Parioli si vedevano delle scritte di tanto in tanto, ma principalmente nelle serrande e in traverse poco trafficate; certo non sotto le finestre di un appartamento. Chissà se Alex aveva mai visto quelle palazzine in uno stato diverso da quello che stava vedendo lei. Ne dubitava.
Ai balconi erano appesi in quantità industriale i motori dei condizionatori; in alternativa, dagli stendini a corda pendevano lenzuola e altri vestiti. Solo l'idea che i suoi vestiti potessero toccare quelle pareti le metteva prurito addosso.
"Lo so che stai pensando" disse Alex, aprendo il cancello "ma ti prego di mettere da parte ogni pregiudizio"
Era bravissima a giocare a carte, la nonna le aveva insegnato tutti trucchi per non tradire alcuna emozione, ma con Alex diventava sempre clamorosamente un libro aperto. E questo la infastidiva e la affascinava al tempo stesso. Alzò le mani, in segno di resa.
 
Non poteva essere vero, doveva essere passata in un portale o qualche marchingegno fantascientifico perché una casa del genere non poteva stare dentro quel condominio. All'ultimo piano, si apriva un open space ampio e luminoso, esattamente l'ultima cosa che si aspettava di trovare mentre salivano con l'ascensore preistorico in dotazione e Maya pregava di arrivare sana e salva.
Le pareti, di un bianco immacolato, risaltavano ancora di più la luce che, anche in autunno, a Roma non manca mai e ben contrastavano il pavimento multicolore in cementine originale. Solo la cucina e il bagno erano ammobiliati, per il resto era una tela bianca, da far diventare esattamente come avrebbe voluto lei se avesse deciso di abitarla.
La cucina, a cui mancava il frigo, addossata alla parete sul fondo, era in stile anni '60 ma era tutto così ben assemblato e tenuto che non sapeva dire se fosse lì da prima che  Alex nascesse o se erano parte un arredamento in stile vintage.
"Il tuo frigo ci starà benissimo qui" commentò lui "sempre se puoi portarlo via"
Maya sorrise timidamente, annuendo, mentre ammirava la credenza d'antiquariato che era sopra al lavabo della cucina. Erano passati solo un paio di giorni, ma non poteva non apprezzare che ricordasse un dettaglio così insignificante.
"È una casa incredibile Alex, davvero" esclamò, onesta.
Chiunque altro non avrebbe avuto molto da dire, ma lei riusciva a vedere oltre al bianco delle pareti e al vuoto intorno.
"Tutto merito del vecchio inquilino" rispose lui, orgoglioso "un professore ad Architettura a Roma Tre, ci ha aiutati a ristrutturare"
Le spiegò che originariamente la zona giorno era composta da una cucina piccola e stretta e da un tinello che loro usavano praticamente per tutto e così, per ampliare la zona living avevano unito le due stanze e rosicchiato un po' di spazio ad una delle camere da letto.
"Questa era la camera dei tuoi genitori?" domandò, ispezionando una camera che le sembrava enorme, ma forse lo era solo perché completamente vuota.
"No, era la mia. La dividevo con mia sorella e i miei ci avevano ceduto la più grande"
"Deve essere stata un'impresa … io non riuscirei neanche ad immaginare di condividere la mia stanza con mio fratello … a dire il vero probabilmente neanche con mia sorella"
Visitare quella casa le stava dando l'opportunità di capire Alex meglio. L'importanza che dava al fare gruppo a lavoro, la sua constante informalità, quell'essere perfettamente alla mano e a suo agio con la receptionist e il top manager, indistintamente.
Quel posto era un po' come lui: ruvido e inospitale all'apparenza, speciale conoscendolo a fondo.
"Mi dispiace solo che non sia tutta ammobiliata" si scusò lui, dispiaciuto "io l'avrei arredata tutta ma non dipende solo da me"
"Come scusa?"
"La casa è dei miei genitori e l'affitto copre le spese della casa che dividono con mia sorella e i miei nipoti."
Era il modo più conciso per spiegarle la situazione, senza entrare troppo nel dettaglio di cose che, con molta probabilità, a Maya non interessavano minimamente.
"Ogni casa ha una tegola rotta, diceva mia nonna" ironizzò malinconicamente.
"Anche più di una" concordò Maya.
Nel suo caso, pensò la ragazza, era l'intero tetto piuttosto che qualche tegola, ma il detto rendeva perfettamente l'idea.
"Comunque non ti preoccupare per i mobili. Potrei sempre vendere i quadri" considerò lei "non ce li vedo molto qui dentro…"
"Allora ti piace?"
"La sto … considerando" rispose, vaga "il che è molto di più di quanto abbia fatto con le case che ho visto finora."
"Beh lo considero un successo" gongolò Alex, facendole un occhiolino.
Non c'era molto che potesse fare, oltre che starsene fermo, le mani in tasca, a guardare la giovane girare per casa sua. Per quel poco che aveva imparato a conoscerla, avrebbe giurato che fosse scattato il colpo di fulmine. Riconosceva nei suoi occhi quella luce d'entusiasmo che le si accendeva quando aveva qualche idea o quando qualcosa la intrigava.
"E quella?" domandò Maya, indicando una scala alle spalle di Alex. L'uomo si voltò.
"Ah dimenticavo … c'è un terrazzino qua sopra. È molto bello. Mia madre ci andava a stendere i panni"
Quest'ultima informazione era perfettamente inutile, Maya era più da asciugatrice che da panni stesi - quando non andava direttamente in tintoria - ma la disse con un tono così nostalgico e compassato che Maya poté benissimo figurarsi la scena e trovarla un'immagine bellissima.
"Posso vederlo?" domandò lei.
"Non te lo consiglio. La casa è rimasta chiusa da luglio. Non ho idea di che condizioni ci siano lassù con i gabbiani del Tevere"
"Oddio" Maya rabbrividì, disgustata. Avesse preso la casa, minimo lui avrebbe dovuto pagare una disinfestazione approfondita.
Mentre stavano lì a discutere dell'eventuale affitto il telefono di Maya squillò.
"Sono arrivata. Dove suono?"
"Aspetta che ti apro … è mia sorella" chiarì la giovane mentre Alex la guardava interdetto "le ho detto della casa e mi ha chiesto di venire a vederla." "Non c'è problema, falla salire"
Quello che nemmeno Maya aveva capito, era che Lavinia non era particolarmente interessata alla casa, ma non si sarebbe persa per nulla al mondo la faccia di sua sorella mentre perlustrava un quartiere popolare come Testaccio. E a questa specie di esperimento sociale, non avrebbe assistito da sola.
"E tu che ci fai qui?" mentre aspettava la sorella sulla porta dell'appartamento, vide uscire dall'ascensore anche Olivia.
"Niente, tua sorella aveva bisogno di un passaggio ed ero libera" "Il giorno che smetterai di sfruttare la carbon print degli altri sarà un grande giorno per la lotta al surriscaldamento globale"
Maya non era particolarmente attenta alle tematiche ambientali, faceva il minimo indispensabile, ma non sapeva rinunciare alle comodità e prendeva in giro sua sorella per questa piccola ipocrisia, magari totalmente inconsapevole. Lavinia incassò il colpo silenziosamente, non poteva dirle che era andata in metro e che Olivia si era precipitata in maniera del tutto indipendente solo per conoscere Alex di persona. Andrea meglio noto come Chuck Bass aveva inviato a Max, il suo ragazzo - e probabilmente a mezza piazza Euclide - le foto di Maya ed Alex che giravano sul web ed aveva bisogno di verificare in prima persona se i pettegolezzi che giravano erano veri o era il solito polverone montato ad arte dalla stampa e ingigantito dalla gente. Ma quella era la scusa più plausibile che le due erano riuscite a mettere in piedi.
"Alex queste sono mia sorella, Lavinia, e Olivia, una mia amica"
Quando vide Lavinia, Alex comprese che la bellezza era una questione genetica in casa Alberici. Maya castana, Lavinia bionda; Lavinia con un viso più morbido e dolce, Maya dei tratti più spigolosi e provocanti. Pur non somigliando in maniera evidente, le due sorelle condividevano quei dettagli anche minimi ma sufficienti a determinare chiaramente la parentela, oltre al fascino e all'eleganza innate che avevano colpito Alex quando aveva conosciuto la sua assistente. La stessa carnagione lattea, le stesse pagliuzze gialle negli occhi nocciola che con il sole tendono al verde.
"Molto piacere, signor Bonelli" Lavinia gli strinse la mano educatamente.
"Vi prego, chiamatemi Alessandro o Alex" chiarì immediatamente "odio certe formalità …"
Sarebbe rimasto volentieri a scoprire se le differenze e le somiglianze si estendevano anche ai loro caratteri, ma una telefonata dell'avvocato a cui aveva affidato la separazione lo richiamò in centro città.
"Scusate ma devo scappare, ho un'emergenza"
"Oddio! Niente di grave spero …"
Alla parola emergenza, Lavinia scattava sempre in modalità E.R.; anche se fosse stato un problema con un elettrodomestico, lei era pronta a dispensare diagnosi e prognosi.
"No, no, tranquilla, è solo che non posso restare"
"Non ti preoccupare Alex, veramente, hai fatto già tanto!" esclamò Maya, riconoscente.
Alex prese le chiavi dell'appartamento dal piano della cucina e le porse alla ragazza.
"Chiudi tu, me le restituisci più tardi a lavoro. Solo che … per andare via …?"
"Tranquillo, ci sono io, sono di strada" lo rassicurò Olivia, i cui muscoli facciali erano in evidente sforzo per mantenere il volto serio e senza alcuna espressione particolare. Non era vero neanche un po' che era di strada, ovviamente, ma era grata che Olivia  stesse al gioco.
"Meglio così. È stato un piacere conoscervi, ragazze"
"Anche per noi"
"Ciao"
Mentre si avviava lungo il corridoio dell'ingresso, infilando la giacca di pelle che, stretta, aveva tolto per aprire le persiane, le due partner in crime di Maya squadravano l'uomo dal basso verso l'alto, indugiando sul fondoschiena. Maya, immobile dal soggiorno, le guardava, esterrefatta.
"Bel culo" decretò Olivia, mordendosi le labbra, appena l'uomo ebbe chiuso la porta alle sue spalle.
"Un armadio al posto delle spalle …" rincarò la dose Lavinia "… mani grandi …"
"Come si dice: mani grandi …"
"SMETTETELA SUBITO!" esclamò Maya, indignata, mentre le due ragazze si lanciavano sguardi complici come di chi aveva già un piano d'azione "è il mio capo, siete indecenti!"
"Dai Maya, non dirmi che in 5 anni di lavoro fianco a fianco a lui non hai mai fatto un pensierino su quelle mani che ti prendono … che ti stri-"
"Va bene. Va bene, va bene. Sì, lo ammetto" si arrese "passeggero però. Torbido, ma passeggero."
La  prima volta che lo aveva visto, dopo che dalle risorse umane l'avevano richiamata per un secondo colloquio direttamente con lui, per poco non ci era rimasta secca. Era solo grazie alla miriade di complessi e difetti che quel bell'involucro era passato in secondo piano. Ma le sue mani e gli occhioni verdi da cerbiatto erano rimasti comunque un grosso ostacolo su cui lavorare quotidianamente.
"Lo vedi?" infierì Olivia "D'altronde, solo un cieco riuscirebbe a rimanere indifferente …"
"Per quanto" precisò Lavinia "un cieco ha gli altri sensi mooolto sviluppati. Il tatto ad esempio … e l'olfatto"
Lavinia non aveva neanche idea di quanto anche il suo tatto e il suo olfatto si fossero affinati di recente.
"Finiscila, dai! Concentrati sulla casa"
"Cosa voi che ti dica Maya?! Mi sembra bella anche se non c'è quasi niente da vedere. Quanto hai detto che te la farebbe pagare?"
"700 mensili"
"Prezzo di favore, naturalmente" disse Olivia. Non era un agente immobiliare, ma per andare a convivere con il suo Max avevano visionato più case loro che i gemelli Scott in tv.
"Lui dice di no"
"Impossibile. Oggi a Testaccio con 700 Euro è già tanto se ti danno un monolocale a pianterreno."
"Lo so … ma non sono convinta. Ai Parioli sui campanelli leggevo avvocato, dottore … e mi sentivo tranquilla. Chi ci abita qui?"
"Bah .. salendo ho sentito odore di carbonara" sentenziò Olivia, muovendosi nel corridoio tra una porta e l'altra, ispezionando gli infissi, i pavimenti e i termosifoni.
Qualunque cosa stesse facendo, a Maya sembrava che sapesse il fatto suo.
"Ma te pensi sempre a mangiare?"
"Oh senti, non è colpa mia se te visiti le case ad ora di pranzo e non mangio da stamattina alle 10"
Maya avrebbe voluto replicare, ma sua sorella la fulminò con lo sguardo.
"Comunque" riprese Olivia "ho sentito odore di carbonara. Non puoi essere una cattiva persona quando mangi la carbonara"
"La carbonara non risolve tutti i problemi del mondo, Olivia"
"Magari no, ma sicuramente li rende più sopportabili"
"Lavi, almeno tu, dimmi qualcosa. Voglio dire … hai visto fuori cos'è? E la strada …"
"Maya sei a Testaccio, non all'Esquilino o a TorPigna"
"Tua sorella ha ragione. E comunque ultimamente ci sono più radical chic qui che a via Cola de Rienzo. Fanno tanto gli snob e poi tutti al Velavevodetto stanno."
Sì, su Roma Glam gli articoli sulle nuove aperture di locali o eventi culturali e le recensioni di ristoranti di nuovi ristoranti bio si sprecavano, ma pensava fosse solo perché Alex aveva un occhio di riguardo per il quartiere.
"A me sembra che tu sia abbastanza decisa e stai facendo storie per niente…"
Lavinia era la voce della verità: quella casa aveva più pregi che difetti. Dall'Eur erano solo 15 minuti, la metà rispetto al tempo che impiegava normalmente per andare a lavoro. Superata la sua misofobia, avrebbe potuto anche lasciare a casa l'auto e prendere la metro … ora non esageriamo. Poi era grande e luminosa, all'ultimo piano con terrazzo privato e per quella cifra era un mezzo miracolo. Avrebbe dovuto arredarla, ma poco per volta e con il metodo Parioli, sarebbe riuscita a mettere su qualcosa di carino.
"È che non so se ci riesco a lasciare i Parioli.."
Lavinia, piena di quei discorsi senza senso, prese la sorella per la manica del blazer e la trascinò fuori dalla zona giorno, rintanandosi nel bagno.
"Scusaci Olivia. Piccola riunione di famiglia."


 

Eccoci, siamo arrivati alla fine di un nuovo capitolo. In questo facciamo la conoscenza di un'altra parte del privato di Alex, forse la più intima per lui. E capiamo, credo, tante cose di lui. Di Maya invece iniziamo, secondo me, ad apprezzare qualche margine di cambiamento. Chissà se riuscirà a venire a capo delle sue tare mentali.
Per quanto riguarda il quartiere Testaccio, diciamo che mi sto prendendo alcune libertà narrative. Non essendo di Roma ho cercato un quartiere che fosse popolare (ma non malfamato) quando Alex era un bambino e ne abbia conservato oggi le sembianze rimanendo nel cuore di Roma. Abbiate pazienza se magari non corrisponde alla realtà.
Vi ringrazio tutti per i commenti che mi lasciate qui e là ogni settimana e ci aspetto venerdì prossimo!!!
Fred ^_^

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***





 
Capitolo 12



Si erano chiuse dentro, una seduta sul bordo della vasca in muratura, l'altra sul gabinetto, come facevano da ragazze quando dovevano raccontarsi qualcosa di nascosto dalla governante spiona che avrebbe riferito tutto ai genitori. Come allora, Maya aprì la finestra del bagno e accese una sigaretta. "Devi smettere. Con papà morto d'infarto io non sfiderei le leggi dell'ereditarietà"
"Ho trent'anni"
"Papà ne aveva 55 ed era un tipo sportivo. Non mi sembra che si sia salvato."
"La smetti di fare l'uccello del malaugurio? Che vuoi?"
"Devi smetterla di autosabotarti per un ideale di vita che esiste solo nella tua testa"
Lavinia era sempre indulgente con sua sorella, ma era anche l'unica persona che, se necessario, era in grado di farsi ascoltare da Maya; generalmente, finiva sempre con l'alzarsi e andarsene, offesa: non con sua sorella.
"Non è solo una questione di quartieri o case. Tu vuoi una vita che non puoi permetterti." Eccola che comincia con i suoi predicozzi… "I viaggi, le vacanze … io e te dobbiamo sudarceli, Maya, non siamo più come le tue amiche che hanno avuto la ri- noplastica in regalo per i 18 anni e la casa di proprietà per la laurea. Prima ti arrendi a questa cosa e prima vivrai meglio con te stessa."
"Ti do una notizia: lavoro, guadagno e sono single" dichiarò, facendo cadere la cenere fuori dalla finestra "non devo rendere conto a nessuno di quello che faccio con i miei soldi"
"A te stessa sì però"
"E questo che significa?"
"Significa che per stare al passo con loro vai in affanno tralasciando quelle che sono le cose importanti"
"E sarebbero? Una bella casa? Un gruzzoletto in banca? Vedi che sei più venale di me … e ti permetti anche di farmi la morale!"
"Eeeh Maya … accanna"
Lavinia era nera. Era buona e cara ma se perdeva la pazienza, e succedeva veramente di rado, non ce n'era per nessuno. Era una paladina delle libertà individuali, ma non tollerava gli sprechi. E non solo quelli materiali. Sua sorella era in gamba, se solo avesse voluto si sarebbe potuta costruire una carriera in qual
siasi ambito, e considerava uno spreco che si limitasse focalizzare tutte le sue energie tra frivolezze solo perché il mondo in cui era cresciuta le aveva fatto credere che .
"Intendevo gli affetti … ma quelli veri, non quelli che ti sei scelta per poter andare a sciare d'inverno o in barca d'estate. Qualcuno che non esce con te per il tuo nome o quello che metti addosso, ma per come sei fatta dentro"
"Proprio tu parli" insinuò Maya "che per uscire la sera hai bisogno di me?"
"Sei così dissociata dalla realtà che pensi che avere degli amici significhi necessariamente fare serata."
Non lo diede a vedere, girandosi di spalle per soffiare il fumo fuori dalla finestra, ma Maya accusò pesantemente il colpo. Sì, lei e sua sorella avevano stili di vita diversi. Una più mondana, l'altra più ritirata. Ed era anche vero che della vita privata di sua sorella non sapeva molto, e non perché fosse una donna riservata, mentre Lavinia si interessava sempre di lei. E non c'erano scuse per questo suo disinteresse.
"Scusa" sussurrò "e comunque chi ti dice che i miei amici sono così come li descrivi?"
Lei stava bene con loro, quando stavano insieme si divertivano un sacco … o almeno se ne convinceva.
"Provalo" la sfidò sua sorella "trasferisciti qui e vediamo se fanno il giro di Roma per venire a trovarti o ti invitano comunque ad uscire con loro. Se lo faranno sarò ben felice di chiederti scusa e rimangiarmi quello che ho appena detto"
Ma Maya dentro di sé sapeva già la risposta, anche se non voleva ammetterlo, nonostante continuasse a ripetere a sé stessa quanto fighe ed esclusive le loro serate e le loro vacanze insieme. Ma un'amicizia non si calcola con i km fatti per vedersi o per andare in vacanza in comitiva. Da quando stava limitando le uscite non si stavano di certo strappando le vesti né insistevano più di tanto ogni qual volta lei si tirava indietro. Lavinia aveva ragione, probabilmente nessuno si sarebbe interessato più a lei. Magari solo Olivia, che lei aveva sempre preso in giro alle sue spalle e che invece per lei c'era sempre. E il prospetto la terrorizzava.
"Non riesci a deciderti con nessuna casa perché sai che significa rinunciare a quella vita"
No. Non riusciva a decidersi perché aveva paura: di una esperienza nuova e diversa dalla sicurezza della sua comfort zone, ma principalmente per il terrore di restare da sola e trovare dei nuovi amici. Proprio lei, così esuberante e sfrontata. Chi può volere un'amica così? Spocchiosa, vanitosa, amante del lusso e delle comodità, che se non c'avesse trovato lavoro per lei l'Eur sarebbe rimasto meta di gite per concerti, per cui i mezzi pubblici sono qualcosa che esiste per sentito dire e per cui se la cucina non è fusion allora è meglio non mangiare. Chi poteva avere qualcosa in comune con lei?
"Io ci provo …" disse, la voce tremolante, gettando il mozzicone dalla finestra "ma tu stammi vicino perché se nessuno mi cerca più poi chi mi resta?!" "Quanto sei stupida ..."
Lavinia prese tra le braccia sua sorella, strapazzandola come piaceva a lei e come Maya detestava più di ogni altra cosa: le ricordava il modo in cui, da bambine, Lavinia stritolava il povero Mister Cat, che sembrava progettare lo sterminio dell'intera fami
glia ogni volta che finiva tra le braccia della maggiore di casa Alberici.
"Secondo te posso lasciare da sola la mia sorellina?"
"Sì sono una stupida. Mi faccio prendere da paure inutili."
"Non sono inutili. Ma veniamo da un mondo che è sconnesso dalla realtà e non tutti sono bravi a tornare con i piedi per terra da lì. Tu lo stai facendo e sei fortissima!"
Le stampò un bacio sulla guancia, lasciandole una sbavatura di rossetto.
"Finiscila … non abbiamo 10 anni e non sono Mr Cat"
"Oddio te lo ricordi!"
"E chi se lo scorda poverino … ti odiava da morire!"
"Non è vero!"
Risero a quel ricordo ed avevano quasi dimenticato perché avevano iniziato la discussione. Maya, a cui era scesa una lacrimuccia, tirò fuori dalla borsa un fazzoletto e l'astuccio del trucco, poggiandolo sul piano d'appoggio del lavabo.
Pure il bagno, in quella casa, era particolare. Le piastrelle colorate le ricordavano le ceramiche della costiera amalfitana e gli arredi in legno la facevano fantasticare quasi di essere al mare. Doveva essere più semplice al mattino se anche il bagno in cui ti prepari ti mette di buon umore.
"Dimmi un po'…ma veramente ti piace questa casa?" le domandò sua sorella.
Non c'era niente di male, ed era veramente carina e tutto era al posto giusto, prezzo compreso; semplicemente non riusciva a capire come avesse detto di sì ad un appartamento in condominio malandato come quello quando aveva rifiutato una casa a due passi dal Pantheon.
"Non so spiegarmelo, ma c'è qualcosa che mi ha colpita da subito" confessò "forse il fatto che non è ammobiliata e posso farla diventare un po' mia…"
"Forse il fatto che è di Alex …" ammiccò Lavinia, calcando la mano sul nome, mentre la sorella la guardava dallo specchio, sistemando il trucco.
"Ma che vai a pensare…" Maya scacciò quel pensiero immediatamente dalla testa di sua sorella. Era il suo capo, non poteva permettersi una leggerezza simile. Con la casa, ancora meno.
"Dimmi quello che vuoi ma lo guardi in un modo che se non fosse sposato sarebbe perfetto, ma siccome lo è direi che è inopportuno."
"Non lo è" ammise, distaccata "o meglio, a breve non lo sarà più."
"Ah beh allora questo cambia tutto…però stai attenta. Gli uomini sposati dicono sempre alle ragazze che stanno per divorziare e poi non lo fanno mai" Maya annuì ma non diede peso più di tanto alle parole della sorella. Lei non lo conosceva come lo conosceva lei. Lavinia le si avvicinò, appoggiandosi al mobile del bagno per scrutarla meglio.
"E comunque non è come pensi tu."
"Maya abbiamo visto almeno altre tre case senza mobili, ma nessuna ti è piaciuta subito come questa .."
Maya prese un grosso respiro. Prima Alice, ora lei. Sì era un bell'uomo, incredibilmente affascinante e tutte le donne che gravitavano attorno a lui avevano speso almeno cinque minuti della loro vita a fantasticare su di lui sotto la doccia, ma da lì a pensare ad altro ce ne passava.
"Ho scelto l'appartamento ai Parioli perché mi sembrava chic, 
la casa perfetta da poter mostrare agli altri" spiegò "questa invece mi ha dato subito l'idea di casa, mi sono immaginata mentre la vivevo. Che è una cosa ben diversa …"
"Decisamente" annuì Lavinia, soddisfatta dai piccoli passi che sua sorella stava facendo. L'aveva sempre considerata la sua piccola protetta, e anche se aveva trent'anni, vederla crescere davanti ai suoi occhi la emozionava "direi che è fatta, non ci resta che dirlo anche ad Olivia"
"-ad Alex" disse Maya, sovrapponendosi alla sorella.
"Vedi che allora c'entra?!"
"Ancora? Ovvio che c'entra … è la casa dei suoi! A chi dovrei dirlo se non a lui…"
Olivia, dal corridoio, bussò "Ragazze tutto apposto? Non mi fate preoccupare"
"Sì tranquilla" Lavinia si affrettò a rispondere, aprendo la porta.
"No perché s'è fatta 'na certa e io c'avrei fame … se devo pure portare Maya all'Eur ci rimane poco tempo"
"Tranquilla, prendo la metro"
"Te la metro? Nun ce credo manco te vedo guarda" la punzecchiò Lavinia "Comunque ho un po' fame anche io. Che facciamo?"
"Ho controllato su Google e c'è una fraschetta qua vicino …"
Maya storse il naso. E pensare che era arrivata a Testaccio scendendo da una moto che forse costava quanto la sua auto e ora si trovava ad andare a mangiare una ciabatta prosciutto e formaggio, sottaceti e vino alla spina. Il massimo dell'eleganza made in Rome, in poche parole.
Ma non disse niente; come aveva promesso ad Alex, avrebbe messo da parte ogni pregiudizio.

 
Il trasloco non era stato malaccio. Dalla casa ai Parioli, Maya non aveva dovuto portare via molte cose. Per arredare aveva venduto i quadri. Non le avevano fruttato quanto avrebbe voluto, ma era stato sufficiente per comprare qualche mobile svedese e il divano per il soggiorno. Per la camera da letto le erano venuti incontro sua madre e Ruggero, dandole dei mobili della villa che erano fermi a prendere polvere in cantina; alcuni, a dire il vero, sembravano presi direttamente da una casa al mare anni '80 con le loro impagliature in rattan, ma era riuscita a comunque ad abbinarli in maniera decente. Poco alla volta, poi, avrebbe aggiunto qualche tavolino e altri dettagli per personalizzarla. Lavinia le aveva regalato un tronchetto della felicità come portafortuna da mettere in soggiorno, Olivia un plaid, ideale per affrontare l'inverno ormai imminente. A Roma non era mai particolarmente freddo, ma Maya aveva mani e piedi gelati anche d'estate, quindi era un regalo veramente gradito.
Con la scusa del trasloco, aveva passato l'ultima settimana mangiando fuori casa o ordinando pizza o cinese su Glovo. Dopo sette giorni così, il fegato e lo stomaco pregavano per un'insalata e della frutta, ma aveva bisogno di acquistare quantomeno una ciotola, un piatto e delle posate. Quelle che aveva usato fino a quel momento erano in dotazione nella vecchia casa e nella casa nuova non ce n'erano.
Era la prima domenica da quando si era trasferita ma giurava che sarebbe stata l'ultima che avrebbe passato nei padiglioni immensi di Ikea, pieni di famiglie con figli urlanti e mariti depressi al seguito di mogli pazze e sclerotiche. Meglio diventare una gattara che finire così, si ripromise.
Sorprendentemente, i suoi amici non avevano alcun problema con Ikea, lei invece prima di cambiare casa non ci aveva mai messo piede. Magari non avrebbero mai comprato una cucina, ma una libreria e delle posate erano ancora perfettamente accet
tabili. Per i più radical, era un modo per ostentare buon gusto e dimostrare di essere sostenibili e responsabili senza passare per pulciari.
Ad accompagnarla nella spedizione, Aurora, la biondina fidanzata di Andrea che la domenica veniva puntualmente tradita con la Lazio all'Olimpico, e l'immancabile Olivia. Maya si domandava se avesse per caso scritto in fronte rifugio degli afflitti o qualcosa del genere, perché i casi umani, non importava se fossero uomini o donne, amanti o amicizie, finiva sempre per attirarli lei. Mai una volta che fosse Flavia, la fi- glia del Senatore, a farsi avanti per uscire con lei, oppure Cristina, il cui unico problema nella vita era scegliere la borsa da abbinare alle scarpe. E invece no, la fidanzata di professione, che avrebbe passato tutto il tempo al telefono per accertarsi che patato fosse veramente allo stadio e non in qualche albergo ad ore con un'altra, e la svaccata, che le avrebbe costrette a mangiare le polpette alle cinque di pomeriggio. Grandioso.
"È un quartiere pieno di potenzialità, in continua crescita" spiegò, esaminando gli scampoli di tende per interni appese allo scaffale come fossero camicie. Quella era la risposta che dava a chiunque le chiedesse, ancora e ancora, perché avesse lasciato i Parioli per Testaccio. In realtà era forse più un mantra che ripeteva più a sé stessa, per convincersi che era stata la scelta giusta. Questa volta era stato il turno di Aurora.
"Sì ma Andrea non capisce perché viverci" prima o poi Aurora avrebbe espresso un pensiero tutto personale, ma non era quello il giorno, evidentemente "è buono per andare a vedere qualche mostra o mangiare un piatto di cacio e pepe, ma non per viverci. Troppo caotico …"
Caotico, quasi sicuramente, era un modo carino per dire popolare e dozzinale. Decise di soprassedere, in quel momento aveva cosa più importanti a cui pensare.
"Sì, ma è molto più vicino al lavoro. Il tempo che risparmio di viaggio lo posso impiegare per tante cose" concluse, diplomatica, sperando di chiuderla lì. Erano belle bugie che, per il momento, sembravano reggere.
"Però appena ti sistemi per bene una serata a casa tua la dobbiamo fare" decretò Olivia, mentre sceglievano i cuscini per le sedie "Aurora e gli altri devono vedere che bijou sta venendo, altro che quel garage al Pantheon che l'agenzia voleva far passare per un appartamento"
"Già…" Per essere centrale era centrale, nulla da dire, ma avrebbe avuto problemi perenni di parcheggio e la casa era una ex bottega riconvertita, la cui unica fonte di luce naturale era una finestrella quadrata che affacciava sulla strada. La casa nuova, in questo, era impareggiabile.
Maya glissò sulla cena, facendo finta di concentrarsi su alcune ciotole e tazze blu coordinate.
"Piuttosto" riprese, mentre nel carrello sistemava un set di bicchieri "dobbiamo organizzarci per il week end dell'Immacolata. Io ve lo dico … quest'anno non ci 
sono scuse. O Sankt Moritz o Dresda."
Erano anni che progettavano di andare sul treno rosso sulle montagne svizzere o ad uno dei mercatini di Natale più belli d'Europa e ogni anno finivano col dire
l'anno prossimo. Ad una certa Maya s'era stufata.
"Ma … veramente …" esordì Aurora, tra il meravigliato e l'incerto.
"Vabbeh ho capito" disse Maya "quest'anno ponte di coppia, eh? Lo capisco … eh, ci mancherebbe. E anche quest'anno sarà per l'anno prossimo"
Sarebbe stata contenta sua madre, che finalmente dopo anni l'avrebbe avuta ospite a casa sua.
"No veramente … Andrea ha già prenotato per tutti a Dresda. Pensavo lo sapessi e ci fossi pure tu …"
"Cosa?" le parole le si strozzarono in gola.
Dresda gliel'aveva fatta conoscere lei e ora la lasciavano a casa. Perché? Perché? Non può essere davvero per una cazzo di casa. In quel momento avrebbe voluto urlare e dire che non ne sapeva un cazzo, ma le mancò la forza. Sentì solo un forte bruciore nel petto, come se le avessero tirato un pugno forte sullo sterno. Voleva piangere ma sentiva gli occhi completamente asciutti. Forse per il colpo così improvviso, forse per il riscaldamento a palla nel negozio.
"Ma sì, Maya non ti ricordi quando ne abbiamo parlato?" intervenne Olivia, strizzandole l'occhio così velocemente che Maya aveva il dubbio che lo avesse solo immaginato
"Mi hai detto che devi partire per un viaggio di lavoro con il tuo capo il 9 e proprio non ci stai con i tempi"
Olivia le stava tenendo il gioco. Non sapeva perché lo stava facendo, ma le stava letteralmente porgendo un salvagente mentre era sul punto di annegare.
"Oddio è vero" confermò, riprendendosi "con il trasloco non so dove ho la testa. Fai conto che non ho detto niente …"
Aurora si tranquillizzò subito e non sospettò nulla. Difficilmente ne avrebbe parlato con il fidanzato, e anche ne avesse fatto menzione lui non avrebbe mai avuto il fegato di chiamarla per darle una spiegazione o delle scuse. Era troppo arrogante e coniglio per affrontare faccia a faccia qualcuno, anche solo con un vocale. Lo conosceva bene. Se l'aveva cancellata, non avrebbe fatto una piega e sarebbe andato avanti per la sua strada. E lei avrebbe fatto lo stesso.
Maya restò in silenzio per tutto il resto del pomeriggio, un mal di testa improvviso la scusa perfetta per poter fare la scazzata. Ad Olivia l'arduo compito di liquidare Aurora al momento dei saluti nel parcheggio.
"Maya io …" esordì Olivia, salendo nella sua Mini. Si era offerta di accompagnarla perché la Smart di Maya era troppo piccola per i borsoni pieni di Ikea.
"Tu lo sapevi? Sei stata invitata?"
"Sì, ma non ci vado. Lo sai che a Max non interessa niente di queste cose e così ho deciso io. Non andiamo da nessuna parte senza di te."
"Perché?"
"Perché sono dei pezzi di merda. Uno può avere un momento di difficoltà economica ma questo non ne fa una persona peggiore o indegna"
"Chi te lo ha detto? Lavinia vero?"
"Assolutamente no. Mi sono accorta che qualcosa non andava quando 
hai iniziato ad accampare scuse il weekend ed uscivi di meno. Poi il trasloco. Uno fa due più due …"
Maya annuì in silenzio. Effettivamente era una ragazza molto intelligente, nonostante lei e quei capolavori che fino a poco prima aveva chiamato amici la sminuissero sempre. La burina, la signorina Trinciabue, la svaccata e tutta una serie di epiteti che negli anni le avevano affibbiato e che ora non riusciva nemmeno a pronunciare nella sua mente. Si sentiva piccola piccola vicino a lei che invece non ci aveva messo niente a venirle in aiuto.
"Quando prima ti ho chiesto perché … intendevo … perché ancora mi vuoi come amica? Ti ho mentito … e forse non è la cosa peggiore che ho fatto in questi anni. Sono … imperdonabile."
"Vuoi sapere perché?" domandò, sorridendo sarcastica "Perché anche se per i motivi sbagliati sei stata l'unica che comunque mi ha incluso quando ero solo una bambina grassa e sempliciotta che veniva da fuori città."
Maya si ricordava bene i capricci con la madre che le imponeva di chiamarla alle sue feste quando nessun'altro lo faceva, oppure quando la incastrava ad uscire insieme.
"Se oggi posso permettermi di poterli mandare a fanculo è per quello che hai fatto allora. Lo so bene che forse era per pietà e perché tua madre te lo chiedeva. Ma senza di te probabilmente sarei tornata a Viterbo … e te ne sono grata, perché lì non avrei avuto le stesse possibilità che ho avuto a Roma."
"Dio quanto mi sento stronza" esclamò Maya, coprendosi il volto con le mai.
"Non lo sei. Sei solo cresciuta in un ambiente un po' … strano" la consolò Olivia, poggiandole leggera una mano sulla spalla.
Non erano frasi fatte oppure devozione cieca, come qualcuno pensava. Non si sentiva il suo cagnolino, anche se così poteva sembrare. Piuttosto il suo angelo custode che, senza che Maya se ne accorgesse, le guardava le spalle. Lei c'era stata per Olivia, anche se inconsapevolmente, e lei sentiva di sdebitar- si in quel modo.
"Dillo pure: tossico" affermò Maya. Ora quasi ci rideva su a come si era incaponita che quella fosse la vita che faceva per lei, ma era una vita costruita bugia su bugia, finzione su finzione.
"Sai che ti dico? Hai fatto bene a cambiare aria" le disse l'amica, simpaticamente "Benvenuta tra noi mortali allora"
Maya sospirò, sorridendo. Sì, era il paragone più azzeccato. Era scesa da una collinetta che tutti spacciavano per Monte Olimpo e dove tutti si credevano principi e divinità ed era andata a vivere tra gli umani, dove forse si faticava un po' ma almeno non c'erano facciate eleganti a nascondere sepolcri maleodoranti..
In questo senso, Alex l'aveva ispirata: non importa quanto doloroso, essere onesti con sé stessi è sempre la cosa migliore, anche se significava chiudere un matrimonio lungo quasi due decenni. Anche lei, ora, iniziava a volere la stessa onestà tra le pareti di casa sua e con le persone che la circondavano nel privato.
 
Alex, dal canto suo, approfittava di ogni circostanza utile per stare in casa solo lo stretto necessario. Prima che le cose precipitassero con Claudia aveva la brutta abitudine di trattenersi in ufficio oppure organizzare pranzi e meeting anche quando era ora di stare con la famiglia, ma ora era ben diverso. Non avrebbe tolto un secondo ai suoi figli, ma trovava difficile dividere il tetto sopra alla testa con sua moglie. Non poteva andarsene, non finché non avessero stabilito ogni dettaglio, ma lei stava mettendo i paletti su tutto. Più era chiaro che lui avesse fretta, più lei metteva un freno alle sue velleità.
Più il tempo passava, più si rendeva conto che la delusione e il risentimento che aveva provato quando se ne era andata, e la freddezza con cui l'aveva accolta al rientro, non erano dovuti solo al gesto in sé e per sé. In realtà, per la prima volta, aveva la percezione che quel matrimonio si stesse trascinando da un po'. Faceva fatica a farsene una ragione, ma forse era da prima della nascita di Giulia che avrebbero dovuto separarsi. Non c'era odio, ma lontananza sì. L'abitudine e i figli il loro unico collante, l'interesse reciproco di un marito professionista e una moglie perfetta padrona di casa che sa sta- re nel mondo che conta. Gli venivano i brividi anche solo ad ipotizzare che Giulia era stata, inconsciamente, la soluzione che entrambi avevano trovato per risollevare le sorti inevitabili a cui quell'unione era destinata.
Così, appena poteva, accettava qualsiasi invito possibile: una partita di tennis col Cavaliere Tizio, un pranzo di lavoro con il commendator Caio, e la sua agenda era piena tutto il giorno. Era talmente affamato di aria pulita, che aveva persino accettato di par- tecipare al solito calcetto dell'avvocato De Stefanis e dei suoi amici macellai.
"No va beh allora dottore, adesso a questa cosa non ci posso stare!"
Francesco sbraitava come un ossesso in lungo e in largo per il campetto, sbracciandosi a più non posso di fronte al dottor Garavani, chirurgo plastico, che si prestava a fare da arbitro e aveva appena fischiato un rigore contro la sua squadra, all'ultimo minuto di recupero della partita, per un fallo ai danni di Alex.
"Adesso io mi appello al foro competente e vediamo chi ha ragione. Capriani venga un po' qui per favore! Chiedo scusa ma quando è troppo è troppo." Quando faceva così, era una parodia di sé stesso, ma erano così presi dalla trance agonistica che nessuno ci faceva caso. Solo Alex, che era fuori dal giro da un po', non poteva non notarlo.
Capriani, che lavorava negli uffici del giudice di pace, sezione penale, era il loro VAR umano, perché per l'avvocato il calcetto del giovedì era una cosa talmente sacra che o si faceva bene o non si faceva proprio.
"Capriani! No guardi, mi perdoni, eh …" continuò con il suo show come se fosse in un dibattimento in tribunale "ma qua il dottore mi sostiene che siamo in presenza di un rigore e mi sembra un'eresia."
L'uomo gli dava ragione, aggiungendo che c'erano anche gli estremi per un'espulsione per simulazione da parte di Alessandro.
"Ma certa
mente … è la prima cosa che ho detto. Ma stiamo scherzando?! Possiamo ufficializzare per cortesia?"
"Fate quello che vi pare" decretò Alex, rialzandosi e lasciando il campo "che s'è fatta na certa e c'ho fame …"
Sotto le docce, l'avvocato approfittò della situazione più raccolta e senza scampo per aggiornarsi sulla situazione familiare di Alex.
"Il primo Natale da solo dopo quasi un ventennio, eh? Come ci si sente?"
"Benissimo, visto che vado da mia madre con i miei figli"
Lui e Claudia avevano deciso che non avrebbero passato le feste insieme, anche se c'era voluto un po' per farle accettare l'idea, convincerla che per i ragazzi fosse meglio così. Alex era convinto fermamente che dovevano iniziare a capire, soprattutto la piccola, che la loro famiglia stava cambiando; l'affetto per loro non sarebbe mutato di una virgola, ma era necessario non dare loro false speranze.
"E lei?"
"In montagna come sempre. Poi il 27 torna a prendere Giulia ed Edoardo"
In passato, con la scusa dei genitori che tornavano dalle Canarie per le feste, Claudia riusciva sempre a trascorrere il Natale con i suoi nella casa in montagna. Alla famiglia di Alex rimaneva solo la Befana, e per Alex era il giorno più bello di tutti. Non aveva nulla contro i suoi suoceri, ma da quando erano espatriati li vedeva solo durante le feste comandate e un paio di settimane d'estate, e non c'era tutta quella confidenza tra di loro.
Allo scoccare del mese di dicembre, Edoardo aveva iniziato a sbuffare ogni volta che sentiva parlare di Roccaraso. Quando era bambino si sarebbe messo la tuta da neve già a Roma ma, da quando l'adolescenza l'aveva travolto come un tir, il paesotto sperduto dell'Abruzzo aveva perso ogni attrattiva visto che i suoi compagni di scuola partivano tutti per Livigno o Madonna di Campiglio. Di solito gli passava dopo la prima discesa, ma quest'anno il viaggio con sbuffi e musi lunghi non sarebbe stato affar suo. Un po' se ne sentiva in colpa, ma era una bella sensazione.
"Allora posso tentarti con un bel programmino per le feste?"
"Guarda, per un anno che non devo dar conto a nessuno, voglio fa' na cosetta tranquilla e sta' coi miei."
"Comunque, che succede? Lo vedo che non sei tranquillo"
"Niente, ho solo molto lavoro"
"Stronzate. Tu hai sempre molto lavoro ma sei sempre sul pezzo. Pure in campo … non mi eri concentrato"
"…è Claudia, tanto per cambiare" ammise, approfittando dell'uscita dalla doccia per prendersi il tempo necessario.
Francesco era sempre dalla sua parte, ma la sua leggerezza stava iniziando un po' a stancarlo. La vita non era un gioco di società come lo faceva sembrare lui.
"Prima ha accettato la negoziazione assistita per fare in fretta ed evitare il tribunale e ora mette i bastoni tra le ruote" continuò "se continuiamo così scadranno i termini e dovremo finire in tribunale comunque. Mi sta sabotando."
"Bene. Sono contento di vedere che hai fretta, evidentemente qualcosa bolle in pentola…"
Era esattamente quello il problema che 
aveva con Francesco: quel modo di fare un po' cazzone, che gli aveva risollevato il morale tante volte, ora non gli bastava più. Aveva ancora bisogno di ridere e distrarsi, ma non più così, come due tredicenni dagli ormoni impazziti per cui basta che una donna respiri. Non tutto si poteva più risolvere con una serata in discoteca e una scopata, per quanto ne valesse la pena.
"Non bolle assolutamente niente in pentola, che vai a pensare?! Un matrimonio lungo 16 anni non si chiude così. Semplicemente ho bisogno di buttarmi questa storia alle spalle"
"Ecco, a tal proposito. Tra una settimana c'è il party di Natale all'Exe, sono in lista con due modelle russe … che te lo dico a fa' … non ci metto niente ad aggiungere il tuo nome sulla lista, me basta na telefonata. Che dici? Tanto è vicino a dove lavori … male che va la mattina vai direttamente là"
"Negativo. Avrò una riunione in videoconferenza con Milano e devo essere al 100%…sai com'è con quelli del Nord"
Alex asciugò i capelli e si rivestì in fretta. La voglia di tornare a casa non gli stava cer- tamente saltando addosso, ma aveva necessità di interrompere quella conversazione il prima possibile. Tra il vapore delle docce e l'oppressione dell'amico gli mancava l'aria.


 

Salve salvino gente!!! Incredibile ma vero sto pubblicando. E devo ringraziare pubblicamente mio fratello per avermi prestato il pc, altrimenti questo capitolo avrebbe visto la luce del giorno ben più tardi. Inoltre, visto il ritardo, mi faccio perdonare con un bel capitolo lungo.
Comunque...ricapitoliamo: Maya ha dato un bel taglio netto con il passato, casa nuova, amicizie nuove. Alex, beh anche lui mi sembra determinato a chiudere con il passato. E con la fine dell'anno che si avvicina, chissà quali novità arriveranno per i due protagonisti.

Alla prossima,
Fred ^_^

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***






Capitolo 13


Tutto sommato, il Natale di Maya era passato tranquillo. Il camino acceso nella grande sala di rappresentanza della casa di Ruggero, davanti al quale leggere un bel libro dopo il pranzo. Le sanguinose partite a carte a cui erano tutti costretti a sottoporsi, nonostante Matilde, sua madre, fosse una giocatrice quasi professionista. Assieme a Ruggero e ai suoi figli, ci avevano provato a proporre qualche nuova idea, ma dopo il tronchetto al cioccolato, un mazzo di carte francesi puntualmente veniva sbattuto sul tavolo con un piglio quasi assatanato e non si poteva dire di no.
Per le feste era tornato anche suo fratello Lorenzo da Londra, ma ad esclusione del paio di giorni comandati, era difficile trovare del tempo da trascorrere con lui, impegnato a fare rimpatriate ad ogni ora del giorno e della notte. Lavinia si incazzava, la madre lo giustificava - e quando mai - Maya accettava la situazione, dispiaciuta sì, ma anche rassegnata. Lei stessa infatti, non era disposta ad essere a disposizione dei suoi dal 24 dicembre al 6 gennaio. Sarebbe tornata a lavoro per un paio di giorni - 'tacci loro le riviste online non vanno in vacanza, e poi sarebbe andata in montagna, ospite di Olivia.
L'idea non la elettrizzava particolarmente, ma lo faceva per lei, perché era stata gentile ad invitarla nella casa dei suoi; "ti prometto che ce ne stiamo per conto nostro" le aveva detto, ma Maya sapeva bene che non era una promessa facile da mantenere. Olivia e suo padre erano consulenti finanziari per le migliori famiglie romane e, anche se non avevano niente da spartire con quella gente, non potevano fare a meno di frequentarli. E poi Cortina era un paesello troppo piccolo per riuscire ad evitare gli altri, soprattutto la notte di Capodanno, quando tutti hanno il tavolo prenotato in un rifugio per fare serata e poi scendere a valle sciando con le fiaccole. Per certe cose, lo sapeva bene, erano tremendamente abitudinari.
Erano le 10 ed Alex era in ritardo, ma Maya era tranquilla. Quando doveva affrontare delle presentazioni importanti si riservava sempre qualche ora per prepararsi in disparte, a casa sua, senza essere osservato. Mentre aspettava in ufficio il messaggio del custode del parcheggio, che l'avvisava dell'arrivo di Alex per metter su la moka, faceva mente locale delle cose da portare in montagna, segnando tutto sul tablet. Sarebbero andati su con il SUV di Max, problemi di spazio non ne avrebbero avuti. Aveva appena iniziato a scrivere crema solare che il telefono sulla scrivania squillò.
"Pronto? Ufficio di Alessandro Bonelli ... ohi Alex! Bloccato nel traffico?"
Tra il trasloco e la separazione, le cose tra Maya ed Alex erano tornate quasi a come erano prima che tutto il polverone del gala si alzasse. La quotidianità, come previsto, aveva avuto il sopravvento sugli ormoni impazziti in una serata diversa, tra l'atmosfera galante e l'alcool. In un certo senso non si tornava più indietro, ma entrambi si erano acclimatati a quella nuova situazione: erano meno che amici, ma sicuramente qualcosa di più che dipendente e superiore.
"Macché … è successo un casino … ho la bambina con la febbre alta e sono solo, non posso lasciarla"
"Che ... significa?!" domando, perplessa. In realtà sospettava che non la stesse chiamando dall'auto. Non c'era la solita Radio Roma Capitale in sottofondo e non c'era alcun rumore del traffico mattutino romano. Al contrario si sentivano delle voci, probabilmente sua moglie e i suoi figli.
"Dovresti farmi un favore" le disse, la voce alquanto avvilita "non te lo chiederei se non fosse importante."
"Se posso … dimmi tutto"
"La riunione di redazione devo farla da casa oggi. Ma ho lasciato il pc nell'ufficio"
"Ah ok … beh se mi dai la password posso mandarti tutto quello che ti serve … se hai un tablet o un fisso in casa" che domande Maya, pensò tra sé e sé, figurati se non ce l'ha "oppure posso venire a portarti il pc"
"Ecco, sì, forse se vieni qui è meglio, così mi aiuti pure …" indicò lui.
"Io non faccio da baby sitter però...né da infermiera"
"Non mi risulta che io te lo stia chiedendo…"
Maya si morse la lingua: lei voleva spezzare la tensione, lui era troppo agitato per cogliere la sua ironia e l'aveva presa malissimo. Fatemi partire per le Dolomiti ORA!
Avvertito il vicedirettore della situazione, Maya raccolse il pc di Alex e le sue cose e si avviò verso l'uscita.
"Dove vai?" le domandò Alice, alzando lo sguardo dal pc della reception.
"A casa di Alex"
"Cosa cosa?" la ragazza balzò letteralmente dal bancone, fiondandosi davanti alla porta d'ingresso prima che Maya potesse varcarla, per bloccarla.
"Levati Alice, non è il momento di scherzare."
"Lo sai che poi ti tocca raccontarmi tutto, vero?" la stuzzicò, irriverente.
"Sto andando a lavorare, smettila di schiumare come una fangirl dei One Direction … oltretutto ti ricordo che hai trent'anni"
"Stronzate!" rimbeccò la ragazza, con quella sua espressione da folletto impertinente "quando parte una ship, puoi avere pure sessant'anni … parte e non la fermi! Anzi … dovrò pensare ad un nome da darvi…"
Maya alzò gli occhi al cielo e, con un gesto svelto e brusco, la scansò per guadagnare l'uscita.
 
In cinque anni che lavorava per lui, era la prima volta che metteva piede in casa sua. C'era passata davanti diverse volte, quando in occasioni speciali usufruivano dell'autista e lo passavano a prendere. Oppure si era fermata nell'androne per portargli, fuori orario, dei documenti o i freebies che gli sponsor gli inviavano in redazione.
L'appartamento, però, era una no-go zone. Lui era tremendamente protettivo della sua privacy e lei non aveva alcun motivo per contravvenire a quel desiderio.
Mentre saliva in un elegante ascensore d'epoca, cercava di non pensare all'imbarazzo che avrebbe provato ad entrare in quell'appartamento, limitando - se possibile - le sue battutine e le sue solite figure di merda.
Il portoncino verde a due ante, che affacciava su un pianerottolo piccolo ma molto elegante e rifinito, era stato lasciato aperto, ma ad accoglierla non c'era nessuno.
"È permesso?!" domandò, intimorita, entrando lentamente.
Nel corridoio d'ingresso, lungo e leggermente buio, erano incassate due librerie: quella a sinistra, copriva l'intera parete, quella a destra solo metà, fin dove le scale che portavano al piano superiore lo consentivano. In fondo, una porta aperta a metà mostrava quello che con molta probabilità era lo studiolo di Alex.
"Buongiorno!" la salutò Alex, sbucando da un'apertura della parete sulla sinistra.
Maya era talmente concentrata a prendere le misure di quel luogo, che non si era accorta che si stava avvicinando e quasi si spaventò.
Non sapeva esattamente dire perché, ma il suo cervello si era convinto che lo avrebbe trovato in tuta. Invece, ovviamente, era in jeans e camicia bianca, pronto per andare in videoconferenza.
"Che c'è?" le domandò, vedendola stranita.
"Niente" rispose, con un sorrisetto nervoso, cercando di non arrossire per la vergogna "buongiorno a te!".
"Lì c'è il guardaroba. Poggia pure il cappotto lì" le disse, indicando una porticina sulla destra "stavo facendo il caffè, ne vuoi una tazza?"
"Sì, grazie"
Lo seguì verso la zona giorno. Era un open space immenso, che faceva impallidire quello della sua casetta di Testaccio, di cui lei andava così orgogliosa. Sicuramente opera di un designer di interni, il connubio tra antico e moderno era assolutamente perfetto e la differenza impercettibile. Tutti gli elementi originali, gli ornamenti a stucco dei soffitti, i vecchi infissi, il camino in marmo, i pavimenti in legno del salotto e le cementine della cucina erano stati conservati e riportati allo splendore originale. Qua e là un quadro di arte contemporanea e la cucina dal design industriale riportava il visitatore nel 21esimo secolo, dopo aver fatto un lungo viaggio tra il vintage ed il modernariato dei mobili della zona living.
"Ti piacciono i quadri?" le domandò, vedendola palesemente affascinata e ricordando la sua particolare forma di investimento.
"Non particolarmente" ammise "in realtà ero più colpita dal risultato d'insieme. È molto … molto più maschile di quanto mi aspettassi." "Veramente? Eppure è stata mia moglie a progettare tutto. Anche se forse la mia passione per il modernariato ha influito un po' …"
Maya dimenticava facilmente che Claudia era una designer. Da quello che sapeva era praticamente una moglie e una mamma a tempo pieno e il suo lavoro lo faceva più che altro per passare il tempo.
"Però nel complesso mi piace" si affrettò a recuperare lei. Non per sé stessa, forse, neanche per l'Alex che aveva conosciuto nelle ultime settimane, ma per Mr Bonelli, l'uomo d'affari impegnato in collaborazioni internazionali, era la casa perfetta: di rappresentanza, impersonale, che racconta di sé attraverso i successi invece che attraverso la propria vita privata.
Alex la invitò ad accomodarsi ad uno degli sgabelli dell'isola in cucina, mentre lui, di spalle, tirava fuori le tazzine da una delle ante grigie che sembravano essere di calcestruzzo.
"Solo?" domandò "… a parte tua figlia, intendo. Avrei giurato di aver sentito delle voci al telefono."
Si domandò se fosse il caso di domandare, vista la situazione in casa e la sua posizione, ma alla fine si convinse che la sua buona fede sarebbe stata recepita.
"Ah sì. C'erano Edoardo e Claudia, stavano partendo. Anche Giulia doveva andare con loro ma con la febbre non era proprio il caso."
"Come sta?"
Nel frattempo l'odore di caffè si spandeva nella cucina, insieme al tipico crepitio che sa tanto di oh finalmente. Alex lo lasciò quietarsi e poi lo girò, nella macchinetta. Mentre compiva questi gesti così semplici se ne stava in silenzio, come fosse un rituale.
"Dorme in cameretta" disse poi "credo che sia solo influenza, ma non era il caso di mandarla in montagna con la madre ed il fratello."
Le spiegò che non aveva potuto chiamare la loro collaboratrice domestica, tornata al paesello per il Natale, né sua madre, che aveva in casa altri tre influenzati e una baby sitter era fuori questione: non l'avrebbe mai lasciata con un'estranea.
"Non siete una famiglia … siete un lazzaretto!" Dio Maya! Cosa avevamo detto sulle battute cretine?!
Questa volta Alex però, sembrava aver apprezzato, perché annuì, divertito e sorridente.
"Puoi dirlo forte … per una volta che passo le feste con la mia famiglia, si ammalano tutti! Il tuo Natale invece?" chiese, garbato, porgendole la tazzina e la zuccheriera. Maya la declinò: il caffè, lei, lo beveva amaro.
"Regolare …"
"La casa? Come va?"
"Mi sto adattando, per ora non è male."
In realtà andava alla grandissima, ma a Maya non piaceva dare soddisfazione alle persone. Adorava quell'atmosfera da paese nella città che si respirava a Testaccio, il mercato, la piazza dove sedersi e ascoltare quello che accade intorno. Era sempre Roma, ma de ppiù, più verace, più vivace, più colorata, più profumata, più saporita. Non era la Roma elegante a cui era abituata, ma era onesta e ci si trovava benissimo. Forse era ancora in una fase di luna di miele, in cui vedeva tutto con gli occhi dell'estranea, quasi da turista per cui tutto è molto pittoresco, ma avrebbe affrontato il problema della quotidianità poco alla volta, se si fosse presentato. Inutile fasciarsi la testa prima di averla rotta.
Si misero a lavoro. Era l'ultima settimana dell'ultimo mese dell'anno e per Alex significava lavorare il doppio di quanto facesse normalmente: bisognava validare ogni articolo per la settimana in corso, giorno per giorno, iniziare a lavorare sulla successiva, mettere in piedi il tradizionale editoriale di fine anno, una specie di commento a quanto successo durante l'anno e di autovalutazione alla rivista che Alex faceva pubblicare sul loro sito ogni 31 dicembre, e naturalmente programmare l'editorial board di Febbraio.
Mettere in piedi la bozza del palinsesto mensile era un'impresa titanica. Bisognava scegliere il mood della pubblicazione e selezionare i contenuti, accertandosi che tutto fosse coerente allo spirito della rivista ma mai monotono e ripetitivo. Si passavano ore a consultare gli archivi, perché guai a pubblicare due articoli anche vagamente simili. Anche la banalità era assolutamente bannata. Generalmente sarebbe un lavoro che un direttore mette in piedi insieme ai suoi più stretti collaboratori, ma che Alex, nella sua maniacale precisione, preferiva fare da solo. Le riunioni con Stefano, Lisa e il resto dei responsabili di settore erano un di più, e grazie alle sue capacità oratorie, riusciva persino a convincerli che le scelte erano state perfettamente democratiche.
Seduti al lungo tavolo in radica del soggiorno, l'uno di fronte all'altra, ciascuno con il proprio pc, non c'era alcuna differenza con l'essere in redazione. Alice continuava a passare a Maya le telefonate per Alex sul telefono aziendale e lei le declinava annotando ogni nome, come sempre in queste occasioni. Lui concentratissimo, non toglieva gli occhi dallo schermo e quasi non batteva ciglio. Ogni tanto lo vedeva alzarsi e salire su per le scale, a volte passando prima per la cucina per prendere un bicchiere d'acqua, e lo sentiva vagamente parlare con la sua bambina. In quei momenti era come se spegnesse un interruttore ed Alex riappariva magicamente. Ogni volta le veniva voglia di salire e curiosare, vedere se l'Alex più privato che lei aveva avuto modo di conoscere al di fuori dell'ufficio, aveva qualcosa in comune con quello che si stava prendendo cura della bambina che era al piano di sopra.
"Come va?" gli chiese, quando era ormai l'una ed era salito su a controllarla già una decina di volte.
"Così così. Le fa male la testa e ha ancora la febbre alta" le disse, guardando l'orologio "forse è il caso di farla mangiare un po', ma non ha fame"
Farsi vedere da Maya completamente incapace di gestire l'influenza di sua figlia, lo metteva a disagio. Chissà cosa avrebbe pensato di lui … in fondo aveva due figli, avrebbe dovuto affrontare la cosa ad occhi chiusi. Ed invece era come se Giulia, né Edoardo prima di lei, avessero mai avuto la febbre. Nada, nisba, blackout totale. Il problema era che aveva sempre lasciato fare a Claudia. Lei quella mattina gli aveva perfino salvato, a memoria, il numero del pediatra sulla rubrica del telefono. Bacetto prima di andare a lavoro la mattina e mano sulla fronte per vedere se era ancora calda la sera, quando tornava a casa: questo era, generalmente, il massimo del suo contributo.
"Dalle un po' di latte e miele …" gli consigliò Maya "mia mamma non era proprio un angelo del focolare, ma con me e i miei fratelli faceva sempre così quando avevamo la febbre e non volevamo mangiare. Anche perché il latte chiama i biscotti, garantito"
"Ma i biscotti a pranzo?"
"Ha la febbre! Almeno la consoli con quelli … noi piuttosto?"
"Noi cosa?"
"È l'una … non pensavo di dovermi portare il pranzo da casa"
"Oddio no! Assolutamente … carbonara o gricia?"
"Ci vai leggero dopo 3 giorni di pranzi e cene!"
"Mi dispiace, non ho molto in frigo. Come ti ho detto avevo ben altri programmi. Se vuoi ordiniamo una poké bowl in un locale qui vicino. Ma visto che siamo in casa pensavo …"
Alex si stava palesemente agitando. Non amava non avere la situazione sotto controllo ed era così che si sentiva ogni volta che Maya rosicchiava, suo malgrado, un pezzettino della sua vita privata per farsi spazio. La poverina non stava facendo assolutamente nulla eppure stava succedendo di nuovo, lo stava spiazzando. Gli scoppiò a ridere in faccia, quella risata contagiosa che gli faceva capire che non faceva sul serio e lo faceva persino sentire meno in colpa di esserci cascato.
"Guarda che scherzavo! Una gricia andrà benissimo."
Mentre Alex si dava da fare ai fornelli, Maya si offrì di apparecchiare, non senza prima aver lavato le mani. Dalla piccola toilette per gli ospiti, di fianco allo studiolo di Alex, sentì una vocina chiamare papà mentre si asciugava le mani. Era molto flebile e dubitava che Alex l'avesse sentita con la ventola della cucina accesa. Fece per chiamare Alex ma poi, istintivamente, cambi idea e si trovò a salire le scale. Questa cazzata ti costerà il posto, lo sai Maya? si disse, ma mise subito a tacere il grillo parlante nella sua testa. Se la bambina non stava bene, era meglio correre.
Al piano di sopra, sembrava di essere in un altro modo. Pur elegante, e ben studiata, davanti a lei si apriva finalmente una casa di famiglia e non un salotto figo per ricevere gli ospiti e fare bella figura. Si sentiva sfacciata a guardare dentro le stanze, ma tutte le porte erano aperte e sembravano quasi invitarla a farlo, a dare uno sguardo alla vita di Alessandro Bonelli quando usciva dall'ufficio. C'era stanza del figlio maggiore, sportiva e casinista come solo la stanza di un adolescente può essere, la camera matrimoniale, dove si riconosceva tutta la classe e l'eleganza di Claudia - e anche un po' del suo esibizionismo. Lì Alex, non ce lo vedeva affatto, rispetto al piano inferiore. Poi capì perché: di fronte, tra due bagni, c'era un'altra camera matrimoniale e Maya intravide degli abiti maschili appesi ad un servomuto: Alex stava dormendo lì.
"Papà!" la piccolina, dalla stanza in fondo a sinistra, continuava a chiamare la voce più forte.
Maya, distogliendo lo sguardo dalla stanza di Alex, la trovò in piedi, appoggiata allo stipite della porta della sua cameretta, nel suo pigiamino rosa e grigio.
"Ciao piccolina!"
"Chi sei?" domandò la bambina, stropicciandosi gli occhietti con le mani, infastidita dalla luce uscendo dalla sua cameretta buia.
"Sono Maya, lavoro con il tuo papà"
Maya l'aveva vista diverse volte, ma dubitava che la piccola potesse ricordarsi di lei.
"Che ci fai fuori dal letto? Hai la febbre, devi stare al caldo"
"Mi sono stufata" spiegò la bambina come meglio poteva "e mi fa male la testa"
Maya le sorrise dolcemente e, istintivamente, avvicinandosi, le toccò la fronte. Gli unici bambini piccoli con cui aveva avuto a che fare in vita sua erano i nipotini di Ruggero, che vedeva un paio di volte l'anno in villa durante le feste. Per loro era la zia simpatica e divertente e nessuno si aspettava da lei che se ne prendesse cura: per quello bastava ed avanzava Lavinia.
Non ci voleva la laurea in medicina di sua sorella, però, per capire che la piccola aveva la febbre altissima. Le guanciotte erano rossissime e la fronte le bolliva.
"Vieni con me" le prese la manina e la riportò in cameretta, aprendo velocemente la persiana per far entrare un po' di luce senza che la piccola potesse prendere freddo.
Si guardò intorno e trovò il termometro sul comò bianco di fianco al lettino in metallo smaltato bianco. La cameretta era classica e semplice, dai toni chiari, perfetta per quella che doveva essere proprio principessina di casa.
"Misuriamo la febbre, Giulia?"
"Come sai il mio nome?"
"Te l'ho detto, lavoro con il tuo papà. Parla tanto di te"
Non era vero, ma la piccola non si sarebbe mai lasciata avvicinare se non si fosse sentita al sicuro con lei. La piccola annuì, alzando il braccino per permettere a Maya di infilare il termometro sotto l'ascella. In pochi secondi, il termometro digitale suonò, dando il suo responso: 39.5°. Un bel febbrone di quelli avrebbero messo k.o. anche un gigante.
"Posso scendere a guardare i cartoni?"
"Ti fa male la testa e vuoi guardare la tv?"
La bimba scosse la testa "Non la tv, i DVD"
Solo per quella risposta ingegnosa, fosse stato per lei le avrebbe concesso anche di andare al cinema e mangiare popcorn. 5 anni, 1 metro circa di altezza, ed era più affine a lei di tante persone grandi e grosse che aveva conosciuto.
"E tu che ci fai qui?"
Un colpo in pieno petto avrebbe fatto meno male. Il cuore, semplicemente, non lo sentiva più. Ecco, lo sapevo. Inizia a scrivere il curriculum, Maya, stai per essere licenziata. Alex entrò nella stanza lentamente, la tazza con il latte in una mano, la biscottiera di latta nell'altra.
"L'ho sentita chiamare e ho pensato di venire a controllare …" si affrettò a scusarsi, la voce che le tremava.
Il volto di Alex, concentrato sulla bambina, era imperscrutabile.
"Maya ha detto che posso vedere i cartoni!" intervenne la bimba. Piccola peste bugiarda! Il problema era che non le avrebbe mai torto un capello; a Maya sembrava quasi di rivedersi in quella piccolina. Esattamente come lei, da buona beniamina di casa, riusciva a farla franca sempre addossando le colpe agli altri. Un sorriso e uno sguardo languido da quegli occhioni grandi e dolci e, Maya lo sapeva bene, non ci sarebbe stata bugia che non le sarebbe stata perdonata.
"Giulia!" la redarguì suo padre, non credendole minimamente.
"Oooccheeei!" Alex sorrise, sia alla bambina che a lei. Il cuore riprese a battere regolarmente.
"Hai fatto bene, non ti preoccupare" disse Alex a Maya, sinceramente grato di essere accorsa dalla bambina.
Vederla seduta sul letto, accanto alla bambina, avrebbe dovuto innervosirlo. In passato sarebbe stato così. Era così geloso dei suoi affetti che lasciare avvicinare chiunque non fosse un amico fidato o un parente, era un evento più unico che raro. Non solo ora non gli faceva né caldo e né freddo ma, paradossalmente, lo trovava perfettamente naturale. Ci sarebbe dovuta essere Claudia, ed invece c'era Maya. Ed andava benissimo così.
In quel momento della sua vita non c'era persona di cui si fidasse di più.
 
"Cosa significa che non parti più?"
"Non lo parli più l'italiano Olli? Non posso partire ho dei casini con il lavoro, siamo indietro e Alex non va in ferie quindi non me le posso prendere nemmeno io"
"Ma porca di quella pu-"
"Olli!!!"
Maya troncò la parolaccia dell'amica al telefono mentre tirava fuori i panni dalla valigia. Sì non poteva più partire, sì erano rimasti indietro con il lavoro, ma non era vero che Alex non le concedeva più le ferie: era stata lei ad offrirsi di restare.  La verità era che stava solo cercando, da giorni, la scusa perfetta per poterle dire che restava a casa. Non ci si vedeva a mettersi in ghingheri e andare ad un cenone elegante e poi a ballare. Magari, se la sorella non fosse stata di turno in ospedale, sarebbero uscite insieme per il centro, una bottiglia di spumante, due bicchieri compostabili per farla contenta e avrebbero brindato al nuovo anno. Chi l'avrebbe mai detto che si sarebbe ridotta così?!
Il tutto perché uno scriccioletto di 5 anni non aveva voluto prendere il latte in cameretta, era scesa a guardare i DVD in salotto e aveva sabotato l'intero pomeriggio, mostrandole quanto era bello starsene a casa con qualcuno a cui vuoi bene veramente. Alex, che la viziava, aveva persino mandato all'aria la riunione di redazione per dedicarsi alla bambina. E aveva rimandato a casa pure lei dopo pranzo, augurandole una buona settimana bianca.
Era stato allora che si era proposta. L'idea di tornare in quella casa, vedere Alex che scende le scale con in braccio Giulia avvolta nella sua copertina di Paperina, la bimba che canta le canzoncine Disney e recita le battute a memoria, valevano di più di una discesa con gli sci o una passeggiata tra le boutique del centro con gente che, appena se ne fosse andata, le avrebbe parlato alle spalle. Olivia doveva fare buon viso a cattivo gioco, ma lei non aveva più alcun interesse.
"Fattelo dire, il tuo capo è uno stronzo! Dirtelo così all'ultimo momento è una bastardata bella e buona!"
Olivia era nera. Ecco, solo per lei le dispiaceva, che si era fatta in quattro per invitarla, che si sentiva in colpa - senza motivo - per la storia del ponte dell'Immacolata e aveva voluto a tutti i costi darle un weekend sulla neve.
Ma non era quello che a Maya interessava. Era una vita che non postava più storie su Instagram, non sentiva più quell'affanno di mettersi in mostra. Voleva stare bene con sé stessa e con le persone a cui voleva bene, non importava dove.
"Non dire così. Poveretto non è colpa sua se la figlia sta male" si sentiva anche in colpa per aver messo in mezzo Alex che in tutta questa storia non c'entrava nulla, visto che aveva fatto tutto da sola. "Facciamo così" propose allora all'amica, risoluta "ora ti godi il capodanno con Max e il primo weekend utile ce ne andiamo nella Tuscia in qualche SPA a ricaricarci un po'. Solo io e te e ci aggiorniamo un po'. Che ne dici?"
"Sei sicura?"
"Ma certo … non sto morendo di fame, una Smart Box Addio Stress me la posso ancora permettere"
"Va bene, l'importante è che non passi il Capodanno da sola, altrimenti dì all'amico tuo che quel bel faccino glielo imbruttisco a suon di schiaffi sia chiaro!"
Maya sorrise, salutandola e chiudendo la chiamata. Erano anni che cercava un'amicizia così: l'aveva avuta sotto il naso tutto il tempo e non se n'era accorta. Chi l'avrebbe mai detto che bastava un briciolo di onestà ...
 
Prima di andare a casa di Alex, quella mattina Maya si fermò ad una boulangerie, una panetteria francese che aveva scoperto il giorno prima vicino alla fermata dell'autobus, poco lontano da casa di Alessandro. Sì, anche Maya Alberici, alla fine, dopo 30 anni vissuti a Roma, aveva provato finalmente l'ebbrezza dell'usare i mezzi pubblici. Quando Alex l'aveva chiamata, infatti, non aveva avuto altra scelta, ma aveva passato più tempo a trovare parcheggio che a spostarsi dall'ufficio all'Eur fino al quartiere Prati. Allora si era fatta coraggio e, armata di Amuchina e biglietto, in mezz'ora era arrivata a destinazione: se non altro aveva risparmiato benzina e parolacce ogni volta che una minicar come la sua le faceva credere di aver trovato parcheggio ma non era vero.
"Pain au chocolat e chausson aux pommes appena sfornati!" esclamò ad Alex che al citofono domandava chi fosse.
"Ma cosa hai portato?" le domandò l'uomo, che l'aspettava alla porta.
"Una sciocchezza" minimizzò lei "sono due giorni che cucini per me, non mi andava di presentarmi a mani vuote"
Con la piccola ancora malata, Alex aveva insistito per continuare a lavorare da casa e naturalmente tutto andava a rilento, con la piccola Giulia che li interrompeva per ogni minima cosa. Era la piccola di casa e, con quel caratterino, sapeva come attirare su di sé tutte le attenzioni.
"Mayaaaa!"
Giulia si precipitò giù per le scale urlando il nome della sua nuova amica con tutto il fiato che aveva in gola, scivolando quasi sul parquet del corridoio con le sue pantofoline di peluche. La ragazza diceva di non sapere nulla di bambini e non si era mai considerata particolarmente materna, ma era stato piuttosto il suo essere un party animal ad averla messa in connessione con la bambina, che la vedeva come un'animatrice della ludoteca dove lei e i suoi compagnucci dell'asilo festeggiavano i loro compleanni.
"Buongiorno signorina Bonelli!" la salutò Maya, prendendola in braccio "stiamo bene questa mattina"
"Macché! La febbre è sempre a 38° ... ieri sera è passato il pediatra a visitarla e ha detto che ha la bronchite"
"Il dottore ha detto che ho il catarrino" spiegò lei.
"Sì ma ieri tutta questa energia non ce l'aveva" ribattè Maya "io lo chiamo un netto miglioramento, vero puffetta?"
La bimba annuì vistosamente, mentre si lasciava andare a qualche colpo di tosse grassa. L'aveva rinominata puffetta per quelle uniche due ciocche biondissime che le contornavano il viso, oltre che per la dolcezza. Suo padre, completamente innamorato, amava vederla così di buon umore anche in un momento un po' così. Tentava di rifuggire il pensiero, ma era inevitabile: vedeva interagire Maya e Giulia e si domandava cosa era mancato alla sua famiglia per essere così, quando esattamente lui e Claudia avevano smesso di essere due giovani spensierati ed erano diventati due snob con la puzza sotto il naso, persino in famiglia, perché con un'estranea riusciva ad essere così aperto e spontaneo e con sua moglie, la donna con cui avrebbe dovuto avere tutta la confidenza e la naturalezza del mondo, era ormai così lontano e freddo.
"Puffetta lo vuoi un saccottino al cioccolato?" le domandò Maya, mostrandole la bustina di carta della panetteria
"Ammazza!" esclamò la piccola, scendendo a terra e correndo verso la cucina.
"Devo assolutamente tenerla lontana dalla tv e dal fratello" dichiarò l'uomo "o quanto prima me la ritrovo a gridare sticazzi e me cojoni davanti alle suore all'asilo"
Maya si lasciò andare ad una risata delle sue, di quelle che, spalancando il suo sorriso, sarebbero state capaci di illuminare una stanza buia. Le era mancata e solo in quel momento se ne rendeva conto. Ad eccezione dei weekend, l'aveva vista praticamente ogni singolo giorno, ma dopo che l'aveva accompagnata a visitare casa sua, presa dal trasloco, non l'aveva sentita più così vicina come nei giorni della festa a Villa Miani. Ora quella connessione si era ripristinata di nuovo, l'assistente aveva di nuovo ceduto il passo a Maya, la pariolina - che non abitava più ai Parioli - senza peli sulla lingua. Eppure c'era qualcosa di diverso, questa volta, che non sapeva spiegare nemmeno lui che di solito era bravo a razionalizzare quello che gli accadeva.
"Ti faccio ridere?" chiese, cercando di distrarsi mentre da lontano sorvegliava Giulia che aveva preso nel frigo il cartone di succo d'arancia e si arrampicava sullo sgabello dell'isola per versarlo in un bicchiere.
"No, assolutamente" si affrettò a chiarire Maya "ma non sei male quando non lasci prendere il sopravvento alle tue paranoie"
"Quindi pensi che io sia un paranoico …" la squadrò, cercando di capire cosa ci fosse in quella testa, provando anche ad individuare un possibile bluff. Maya fece spallucce, lasciandosi andare ad una piccola smorfia di incertezza.
"Non dico questo. È solo che dovresti lasciarti andare un po'" suggerì la ragazza, sistemandosi alla sua temporanea postazione lavorativa nel salotto dei Bonelli "In redazione chiedi a tutti di darti del tu, di essere informali … ma poi …"
"Ma quella è autorità … è diverso" la interruppe, in piedi davanti a lei "se giocassi a fare l'amicone non mi prenderebbe più sul serio nessuno."
"E perché con me è diverso?" domandò allora lei, guardandolo dritto negli occhi.
Il modo in cui lei lo squadrava dal basso era come se lo stesse guardando dentro. Giocava a poker con lui e ogni volta la posta era sempre più alta; e quella era una partita che sarebbe stato ben felice di perdere.
"Perché lavoriamo a stretto contatto tutto il giorno tutti i giorni" rispose banalmente, ma ci credeva poco pure lui "sei la persona di cui mi fido di più"
Eccola la verità, nuda e cruda. Claudia se n'era andata e pretendeva di avere pure tutti gli onori al suo rientro, sua sorella aveva preso le difese di sua moglie e il suo migliore amico era un cazzone che lo avrebbe spinto tra le braccia di una escort invece che stargli vicino. L'unica che fino a quel momento c'aveva capito qualcosa era, sulla carta, la più estranea di tutti.
Maya si trovo impreparata, come raramente accadeva, a rispondergli. Come se non bastasse, era tornata a sentire quel profumo, caldo ed opulento, ancora più forte ed avvolgente del solito, complice forse il calore del riscaldamento in casa che lo esaltava. O forse, semplicemente, ogni centimetro di quell'appartamento era intriso del suo profumo, visto che ci viveva. Il solo pensiero le annebbiava il cervello. Ma doveva rimanere con i piedi per terra, esattamente come aveva fatto la sera del gala e nei giorni successivi. Avrebbero finito il lavoro, sarebbe andata a casa a prepararsi ed avrebbe aspettato la mezzanotte con sua sorella. E poi lo avrebbe rivisto dopo la Befana. Sarebbe passato tutto, come già era successo una volta. Anche lei, pensò, era fatta di carne e aveva certi bisogni … forse era il caso di chiamare Federico Ultima Spiaggia, e vedere se era disponibile per una serata e via.
Un fragore li distolse. Giulia, in cucina, aveva rovesciato il succo su tutto il piano della cucina ed il padre era dovuto correre in soccorso; arrotolando le maniche della camicia bianca, Alex aveva dovuto pulire tutto e lei, prendendo un saccottino alle mele e accendendo il pc, affogò la tensione accumulata nel dolce e nel lavoro.
 
"Bene. Direi che ci siamo"
"Direi proprio di sì"
Erano le 17 del 31 Dicembre e l'editorial board era pronto. Alex avrebbe rivisto ancora qualcosa nei giorni successivi, prima di presentarlo alla redazione, ma nulla che non avrebbe potuto fare da solo.
"Ora sei libera di goderti le tue meritatissime vacanze" le disse Alex, riordinando alcuni fogli sul tavolo "e anche qualche giorno in più quando vuoi. Non esitare a chiedere … in fondo hai perso una settimana bianca per me."
"Non è stata una grave perdita" ammise lei "e poi è perfettamente in linea con la tradizione del giorno …"
Alex la scrutò incuriosito e interdetto.
"Buttare la roba vecchia" spiegò lei.
"Da come ne parli sembra quasi la vita di una delle protagoniste di Baby" quella serie non era certo il suo genere, ma si parlava di Roma e se l'era dovuta sorbire perché avevano fatto diversi pezzi di attualità e di commento partendo proprio da lì.
"Non così estrema, ma abbastanza borderline"
Probabilmente uno che veniva dalla borgata non avrebbe mai capito cosa significa vivere nel lusso senza esserti sudato un centesimo di ciò che spendi. È facile, ma non da alcuna soddisfazione, ed è come una droga. Alla fine, vivi totalmente disconnesso dalla realtà.
Era la prima volta che si confidava con lui così candidamente. Fino a quel momento aveva accennato, magari essendo una persona molto intelligente lui aveva intuito qualcosa. Chissà, forse aveva persino preso informazioni su di lei quando le aveva affittato casa dei suoi, chi poteva dirlo e chi avrebbe potuto biasimarlo.  Ma mai si era sentita così libera e sicura nel raccontare a qualcuno che non appartenesse ala sua cerchia più stretta - Lavinia ed Olivia in pratica - dei dettagli della sua vita privata.
Non era ancora il momento di raccontargli del Metodo Parioli, ma era sicura che prima o poi l'avrebbe fatto e non temeva più la sua reazione e il suo giudizio.
Fidarsi ciecamente era una cosa che lei non sapeva fare ma, per qualche motivo, stava iniziando proprio con Alex.
"Beh comunque" disse lei per stemperare l'atmosfera - non le piaceva quando le cose si facevano troppo serie a lungo "per incominciare il nuovo anno devo prima liberarmi di Puffetta"
Giulia, dopo pranzo, si era messa a vedere i cartoni in braccio a Maya mentre faceva l'aerosol e lì era rimasta, tra le sue braccia, addormentandosi. Né Alex, né tantomeno Maya erano stati in grado di spiegarsi questo colpo di fulmine tra le due, ma certo non se ne lamentavano. Alex sorrise dolcemente "Hai ragione, ci penso io"
Mentre si avvicinava per prendere la piccola, il campanello dell'appartamento suonò, inaspettatamente.
"Claudia?!"
Aprendo la porta, con grande sorpresa Alex trovò sua moglie.
"Scusa … sotto ho incontrato il signor Albiati del terzo piano che mi ha aperto e non riuscivo a trovare le chiavi"
"Certo … quella è la borsa di Mary Poppins!" esclamò lui "Te lo dico sempre. Ma che ci fai qui? Edoardo?" le domandò, aiutandola a portare in casa i bagagli.
"Cosa vuoi che ti dica, con Giulia con la febbre non riuscivo a stare tranquilla. Dedo è rimasto con i miei. Lo riportano loro a Roma il 5, prima di ripartire"
Mentre entrava in soggiorno, Claudia si fermò, raggelata. Maya stava seduta al tavolo del soggiorno, e in braccio a lei Giulia che dormiva.
"Non ci credo … che schifo …!"
Era stato solo un sibilo, con un po' di fortuna Maya non l'aveva sentita. Ma Alex sì. L'uomo prese di forza la moglie per un braccio, strattonandola verso il corridoio.
"Che cazzo dici?" domandò a bassa voce, perché Maya nell'altra stanza non sentisse.
"Che ci fa lei qui?"
"Claudia non fare scenate inutili. Maya è la mia assistente, è ovvio che stia lavorando qui con me visto che sono dovuto rimanere a casa con la bambina"
"Appunto. Tu dovevi rimanere con la bambina. Non lei … dille di levarle le mani di dosso sennò vado di là e faccio un casino, Alex. Te lo giuro." sbraitò, guardandolo in cagnesco.
"Signorina Alberici!" la salutò con affettata cortesia, entrando in soggiorno, seguita da Alex, senza neanche badare troppo a mimetizzare il disprezzo che provava nei confronti di Maya
"Da quanto tempo …" "Signora!" rispose la ragazza, timidamente.
Di nuovo, come ogni volta che le stava di fronte, Maya provò una spiacevole sensazione di inadeguatezza. Riusciva con uno sguardo solo a farla sentire un niente. E ora, con sua figlia tra le braccia, quegli occhi di ghiaccio sarebbero stati capaci di darle fuoco.
"Maya che ne dici se ti riaccompagno a casa?" le propose Alex, gentile ma allo stesso tempo in difficoltà; la ragazza aveva capito subito, appena aveva sentito pronunciare il nome della donna ed aveva sentito la sua voce che avrebbe dovuto levare le tende il prima possibile; da come la guardava e da come Alex, inquieto, guardava lei, non le era ancora passata per la storia delle foto. Lei, in quelle settimane, aveva completamente rimosso la sfuriata in ufficio al marito. La signora, la stronza, evidentemente no.
Accettò passivamente l'invito del suo capo e meccanicamente mise apposto le sue cose. Lentamente, si alzò dal tavolo per allungare la piccolina sul divano. Non sentiva niente, il suo cervello era completamente immobile, intorno tutto era ovattato, come se lei fosse in una bolla di sapone o si fosse alzato un banco di nebbia fitto. Sentiva solo le sue guance infuocate - di certo non per il riscaldamento nella casa - e concentrò tutte le sue forze a non incrociare lo sguardo della donna.
"Anche a casa l'accompagni, neanche più ti nascondi quindi …" bisbigliò verso Alex, piegandosi sul divano per coprire Giulia con una coperta mentre Maya era andata in corridoio a mettere la giacca "beh certo dopo quelle foto non serve più."
"Ho bisogno di prendere un po' d'aria … approfitta del tempo che starò fuori per capire quanto ti stai rendendo ridicola" le disse Alex, indignato.
Se non ci fosse stata Maya … e non c'entrava solo il lavoro. Quello, bene o male, anche se in ritardo, l'avrebbe portato a termine. Ma se Claudia era stata la tempesta che le aveva sconvolto la vita in peggio, Maya era un uragano al contrario, che gliel'aveva raddrizzata, dirompente.
Razionalmente, voleva solo lasciarsi il passato alle spalle e riorganizzare la sua vita. La vita, senza alcuna logica, lo stava spingendo sempre più in fretta e sempre più con forza, verso quella ragazza.
 
 

Ciao a tutti! Eccoci alla fine di un nuovo capitolo. Ce n'è di carne sul fuoco a questo giro, e sono sicura che mi sono fatta anche debitamente perdonare per non aver fatto interagire Alex e Maya nello scorso capitolo. Chissà cosa succederà ora: Claudia ha perso la testa, Alex sembra sempre più pieno di lei e sempre più vicina a Maya. Anche lei non è più così tanto indifferente al suo capo. Riusciranno a resistersi? Lo scopriremo presto alla prossima puntata XD
Ringrazio quanti stanno recensendo di capitolo in capitolo, anche quelli più vecchi, anche chi non si fa sentire ma è presente con le visualizzazioni che sono tante! Alla prossima,
Fred ^_^

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***






Capitolo 14
 

In auto era calato un silenzio tombale. Maya era ancora a disagio per essersi trovata in mezzo a quel fuoco incrociato. Non aveva capito una parola, tutto quello che Maya aveva sentito era un parlottare indistinto, ma era chiaro che non fosse la benvenuta per Claudia e la sua presenza aveva aggravato la posizione di Alessandro agli occhi della moglie. Lui, dal canto suo, era incazzato e mortificato: Maya non meritava di essere trattata con così poco rispetto. È vero, stava succedendo quello che forse non doveva succedere, ma non era colpa di nessuno. O forse, stava solo succedendo l'inevitabile. E neanche questo era colpa di nessuno. Claudia doveva farsene una ragione e comportarsi da adulta.
Nonostante non fossero nemmeno le 18 era già completamente notte e le strade erano affollate di auto e di gente che tornava a casa per prepararsi all'ultima notte dell'anno. Forse anche per quello la meta sembrò non arrivare mai.
Arrivati finalmente sotto casa di Maya, Alessandro accostò davanti ad un passo carrabile. Non si curò nemmeno di mettere le quattro frecce, sapeva che nessuno se ne sarebbe curato e se fosse arrivato qualcuno si sarebbe spostato senza troppi problemi.
"Posso chiederti un favore?" chiese a Maya.
"Dimmi"
"Ho bisogno di una sigaretta …"
Maya ridacchiò, uscendo dall'auto. Gli diede una delle sue Philip Morris e ne accese una anche per sé.
Alex fece un lungo tiro. Non fumava da una vita - quelle naturali che si concedeva di tanto in tanto non facevano testo - e persino quella Philip Morris, che in passato avrebbe considerato leggera, gli bruciò in gola immediatamente, come fosse un principiante. Tirò il fumo fuori dal naso, ma se ne pentì subito: anche lì, oltre al sapore dolciastro della sigaretta, sentì forte la sensazione di bruciore.
"Io sto pensando di smettere" gli confessò la ragazza, appoggiata alla carrozzeria dell'auto; Alex non poteva fare a meno di notare come riuscisse ad essere elegante e femminile anche mentre fumava: il braccio piegato e la sigaretta al livello della bocca, da un lato, con il palmo rivolto verso l'alto. "Non incominciare tu adesso” lo esortò “non dopo che mi hai rimproverata …"
"No promesso. È solo una situazione d'emergenza" stava di fronte a lei, il braccio lungo il corpo e la sigaretta rivolta a terra "veramente vuoi smettere?"
"Ma sì" fece spallucce "alla fine non mi dà più così gusto e non voglio passare a roba più pesante."
"Posso considerarlo un successo personale?"
​"No, 
ma mezzo sì. " lo schernì "anche Lavinia, mia sorella, mi ha scassato con sta storia per anni"
Fecero ancora qualche tiro in silenzio, poi Alex, spenta la sigaretta a terra, andò a poggiarsi alla fiancata dell'auto, vicino a Maya.
"Scusa per prima, per averti messo fretta. Anche se mi dici di no, lo so che ti sei accorta della scenata di Claudia"
"Non mi sono accorta di niente, giuro" disse lei, per minimizzare e non metterlo più a disagio di quanto non fosse, soffiando con forza il fumo dalla bocca.
"È sempre stata molto protettiva nei confronti dei figli. Edoardo e Giulia li ha cresciuti praticamente da sola. Io ero sempre fuori per lavoro." 
"Non ti buttare giù così" lo richiamò Maya, senza pensarci due volte, gettando via la cicca ormai esaurita sul marciapiede "sei un buon padre."
"Lo pensi davvero?"
"Non sarai perfetto … ma quale genitore lo è?!"
Sua madre e suo padre erano una coppia affiatata ed affettuosa nei confronti suoi e dei suoi fratelli, ma sua madre sapeva a malapena accendere i fornelli e il forno a microonde quando la colf non era in casa e suo padre, che tanto amava dare di sé l'immagine di padre premuroso, aveva persino perso i soldi dei conti cointestati con i figli per riparare ai suoi investimenti andati male.
"Almeno i tuoi figli ce l'hanno un padre. Se hanno qualcosa da recriminare possono venire a dirtelo in faccia. Io, per esempio, al massimo posso andare al Verano*."
"Ti manca tuo padre?" le domandò.
Smanioso, Alex non riusciva a restare fermo in un posto ed iniziò a fare avanti ed indietro, di fronte alla ragazza che parlava.
"Adesso che ho lasciato i Parioli di più, prima mi sembrava di rivederlo ogni volta che passavo davanti al suo bar preferito, oppure davanti al suo barbiere"
Era arrivata alla conclusione di non odiarlo per quello che aveva fatto, soprattutto da quando neanche lei era riuscita a tenere i suoi conti apposto - doveva essere un tratto ereditario; ce l'aveva con lui perché non le aveva dato il tempo di litigarci, di sbattergli la porta di camera sua in faccia come faceva di solito e di sentire sua madre al piano di sotto che borbottava, di fare pace con lui che bussava impercettibilmente e pensava di poter far passare tutto con un maritozzo alla panna.
"Dovevate essere una bella famiglia …"
"A nostro modo lo siamo ancora. Scricchioliamo, ma ci guardiamo le spalle a vicenda" disse, sorridendo fiera. "Perciò posso dirti una cosa Alex?” chiese, braccandolo per un braccio, di fronte a lei.
Lui stette immobile e in silenzio, indagando con lo sguardo dove volesse andare a parare.
"Tua moglie se n'è andata di casa per settimane lasciandoti solo con i tuoi figli. Al lavoro devi supervisionare tutto perché ci sono degli sciacalli pronti farti le scarpe e nonostante tutto non li fai fuori perché sono i migliori sulla piazza e non vuoi lasciarli in mezzo ad una strada o peggio alla concorrenza, hai aiutato me quando ero in difficoltà" sapeva anche che aiutava la sorella sola con due figli, ma questo non glielo avrebbe detto, perché conosceva la sua riservatezza "ma a te chi ci pensa?"
Era arrivato il momento che pensasse un po' a sé stesso. Aiutare gli altri può far sentire bene, ma prima bisogna sistemare quello che non va dentro di noi, altrimenti si finisce per scoppiare. E si vedeva che Alex era quel che si dice una bomba ad orologeria.
"Tu" detto così, dritto negli occhi, a freddo.
Non può fare sul serio, pensò Maya. 
"Ma dai!" sminuì Maya, sospirando e buttandola sul ridere "io che c'entro? Ti ricordo che mi paghi lo stipendio per occuparmi di te"
"Dico sul serio"
D'improvviso, Maya si ritrovò la mano intrecciata a quella di Alex che si era avvicinato a lei oltre una distanza che avrebbe definito amichevole. La bocca dell'uomo, fine, ma inscritta perfettamente nel suo volto, era all'altezza dei suoi occhi, così vicina che non riusciva a distogliere lo sguardo. E questo le faceva paura perché che non le dispiaceva affatto. Il cuore iniziava a batterle veloce, lo sentiva rimbombare nelle tempie. Di sicuro, se si fosse guardata allo specchio, avrebbe visto il volto, di solito di un colore tendente al bianco porcellana, diventarle rosso fuoco: si sentiva avvampare.
Lui non la guardava invece; era focalizzato a stringerle la mano, ad accarezzarla dolcemente, a giocherellarci quasi. Era il solo modo che aveva per dirle quello che in quel momento gli passava per la testa, per rimanere vigile.
"Non sto scherzando. Quando ti ho raccontato cosa mi stava succedendo potevi scegliere di fregartene, potevi dirmi che non era compito tuo occuparti del mio privato. Ed invece mi sei stata vicino e mi hai capito più del mio migliore amico, più della mia famiglia…
"Che…che significa?" la voce tremava.
Maya aveva quasi dimenticato come si respira; senza volerlo, ebbe un singulto, ma lui non sembrò dargli peso. Rimaneva lì, più vicino e più pericoloso, ma allo stesso tempo più invitante; adesso però la scrutava eccome, nella semioscurità, alla luce giallastra del lampione sulla strada. Lei invece non riusciva a fare assolutamente nulla: né a tirarsi indietro, né tantomeno a chiudere la distanza tra loro. Era chiaro dove sarebbero andati a finire, ma lei aspettava. Aveva ancora bisogno di capire, o meglio di realizzare che stava succedendo davvero.
Sentì le labbra di lui sfiorare le sue, per un istante. Era più come una goccia improvvisa e leggera di pioggia che cade solitaria all'inizio di un temporale. Era ad un centimetro da lei, il suo odore le era entrato fin dentro ai polmoni, sulla sua fronte il pulsare di quella vena leggermente sporgente che lui aveva sulla sua, eppure lo sentiva ancora troppo distante. Avrebbe voluto tirarlo a sé per la giacca, ma era pietrificata, ancora non riusciva a credere che stesse succedendo per davvero. Se ne stava lì, in piedi, le labbra dischiuse, aspettando che Alex e il destino facessero il resto.
Finalmente lo sentì ancorarsi letteralmente alle sue labbra. Dapprima piano, Alex si concesse di assaporare le labbra morbide e carnose di Maya, a cui nemmeno la sigaretta aveva tolto il sentore avvolgente di mandorla e vaniglia. E gli venne fame, di quella bocca aperta alla sua, di quelle curve che avevano finito per sfregarsi contro il suo corpo.
In men che non si dica si ritrovò le mani di Maya sul petto e coraggiosamente, la ragazza superò la giacca e afferrò la camicia lievemente, ma con forza. Quel bacio era mille cose insieme: incoraggiante, supplichevole, spasmodico, imponente. La pelle morbida e i muscoli tesi, due corpi incerti che, man mano, acquisivano sempre più sicurezza e dimestichezza, alla ricerca di un modo per plasmarsi l'uno nell'altro, per lasciarsi andare, per trasformarsi in una cosa sola.
La mente stordita, la testa leggera che sembrava in preda alle vertigini. Loro fermi e il mondo che girava vorticoso intorno a loro. Staccarsi era difficile, ma era l'unica cosa da fare.
Alex si lasciò andare ad un sorriso esultante, di chi ce l'aveva fatta. Maya no. Maya aveva lo sguardo basso, confuso, e le mani che fino a poco prima sembravano volergli strappare la camicia di dosso, ora lo tenevano a distanza.
"Vai a casa Alex" lo pregò, in un soffio.
Non gli diede nemmeno il tempo di capire quale fosse il problema, cosa avesse fatto di male o se si fosse spinto troppo oltre senza il suo permesso. Aveva freneticamente raccolto la borsa che era scivolata a terra e, concitatamente, aprì il cancello e corse via nel viale, sparendo in fretta dietro il portone. Ad Alex non rimase che tornare in auto e mettere in moto. Mentre percorreva le strade della città al contrario, per caso portò il dorso della mano sulla bocca. Forse era solo una sua impressione, una suggestione del momento, ma giurava di poter avvertire ancora tra le dita il profumo dei capelli che aveva accarezzato fino a poco prima.
 
 
Maya salì le scale in fretta, non curandosi neanche dell'ascensore. Aveva chiuso il portone dietro di sé, ma nonostante questo provava quasi paura, un irrazionale timore che lui potesse inseguirla. Sapeva benissimo che era rientrato in auto, mentre girava le chiavi nella serratura del portone aveva sentito la portiera sbattere e dall'androne aveva sentito anche il rombo del motore allontanarsi. Era andato via.
Aprì la porta di casa e la chiuse di peso, con la sua schiena, ansante. Poggiò tutto a terra, come una moderna Pollicina, disseminando nel tragitto verso camera borse, scarpe, giacca, vestiti. Si buttò sul letto, lo sguardo perso nel vuoto del soffitto. La stanza era buia, illuminata solo da un bagliore argentato che dall'esterno entrava tramite la persiana lasciata socchiusa e tagliava la stanza a metà, il suo corpo investito in pieno dal fascio di luce. Il torace andava su e giù freneticamente, come avesse corso una maratona. Non pensava a niente. No. Non era vero. Non riusciva a pensare ad altro che a quelle labbra che avevano sfiorato le sue, a quel respiro così pericolosamente vicino, alla lingua a cui aveva dato il permesso, alle mani che le avevano accarezzato la schiena e i fianchi, che erano arrivate quasi fino al seno. Non era solo Alex ad averla baciata. No, anche lei aveva baciato lui.
 
Tornato a casa, aprendo la porta, Alex venne investito da un senso di nausea. Non era senso di colpa, ma solo disprezzo per sé stesso, che ancora stava mandando avanti quella farsa.
"Dobbiamo parlare" gli disse Claudia, affacciandosi dalla cucina.
Giulia era lì, seduta su uno degli sgabelli, che sgranocchiava un grissino. Sui fornelli, quello che dall'odore sembrava un brodino per la cena della bambina.
"Ciao papà" "Ciao amore" le sorrise.
Tutta quell'innocenza e quella dolcezza non meritavano di sfiorire per colpa di litigi e piazzate di due persone che non si sopportano più.
"Dov'è Maya?" "È tornata a casa amore" disse lui "tra poche ore è Capodanno, sicuramente lo festeggerà con qualcuno"
Un qualcuno che non sarebbe stato lui, questo era chiaro. Gli aveva detto che non c'era nessuno, che non aveva tempo per quelle cose, ma forse nel tempo che era passato da quando glielo aveva detto le cose erano cambiate e lui non se ne era accorto. Eppure non sembrava contrariata quando l'aveva baciato. "Già che c'eri potevi anche rimanere a festeggiare il Capodanno con lei, non abbiamo bisogno di te che ci fai l'elemosina" "Stai zitta" le intimò, severo, salendo le scale per il piano superiore "ora devi stare solo zitta, non ti voglio sentire"
Claudia non poteva neanche immaginare quanto avrebbe voluto essere con Maya in quel momento, a fare l'amore come due disperati, addossati alla parete fredda di una stanza buia, oppure appoggiati alla ringhiera del cancello del condominio di Testaccio, come due adolescenti, a baciarsi dolcemente. Non c'era differenza, sarebbe stato bello uguale. Aveva solo un estremo bisogno di sentirla vicina, fisicamente: aveva scoperto che la sua vicinanza era come una sostanza stupefacente di cui non riusciva a fare a meno. Completamente assuefatto ne aveva bisogno sempre di più. E ancora. E ancora.
"Ah quindi tu ti porti l'amante in casa e io devo stare zitta?!"
"Ma quale amante in casa? Che stai dicendo? Tu sei completamente fuori di testa!"
Non voleva ascoltarla, le sue parole erano pura eresia. Sì, provava qualcosa per Maya, qualunque cosa fosse era molto più forte di quello che lo teneva ancora sotto quel tetto inospitale per il bene dei figli e l'aveva baciata, ma fino a quel momento era stato corretto nei suoi confronti.
"Quella ti sta fregando e tu neanche te ne accorgi. Il brillante Alessandro Bonelli è in preda ad una crisi di mezza età e corre dietro alle gonne della prima ragazzina che passa. Lo sai che non è la figlia di papà che vuole far credere?" gli disse, ridendo meschinamente, orgogliosa di quella rivelazione che avrebbe potuto mettere Maya in cattiva luce ai suoi occhi "il padre è morto lasciando un mare di debiti alla sua famiglia. Non hanno più niente. Secondo te perché fa la schiavetta dagli occhi dolci con te? Sono i tuoi soldi a farle gola, Alex, mica tu"
"Adesso basta" tuonò, indicandole la camera da letto dove dormiva da qualche mese e chiudendo la porta alle loro spalle, perché la bambina non li sentisse. "Primo: non so cosa ti abbia fatto quella ragazza, non lo voglio sapere perché so che finirei solo per incazzarmi"
Non era mai entrato nel dettaglio nella situazione finanziaria di Maya, non erano fatti suoi, ma se fosse stata interessata ai soldi, avrebbe tentato di accalappiarselo molto prima, non dopo cinque anni di lavoro e uno stipendio regolare ma non certo da nababbi.
"Secondo" continuò "non ti dirò che non è la mia amante e non ti darò spiegazioni o giustificazioni perché non devo più rendere conto a te della mia vita. Sei uscita da quella porta ad agosto dicendomi che andavi alla casa al mare e non era vero e sei tornata dopo due mesi come se nulla fosse. Come minimo la morale la vai a fare a qualcun altro.”
Claudia taceva, era chiaro che suo marito aveva colpito là dove faceva più male.
“È il momento di essere sinceri tra di noi, Claudia, come non lo siamo stati per troppo tempo” continuò, andando a sedere sul davanzale della finestra; prese un grosso respiro, cercando di dissipare la bile che gli era montata dentro. Claudia si sedette sul letto, lo sguardo fisso sul marito che invece guardava fuori dalla finestra.
“Te l’ho già spiegato, non sono stato un marito perfetto e come padre forse è andata anche peggio, ma forse perché qui non mi sentivo più a casa e mi sono buttato nel lavoro per convincermi che non fosse così, per togliermi quell’idea assurda dalla testa. Ma tu? Perché sei andata via?”
“Lo sai”
“Perché non parlarne invece? Ci saremmo risparmiati queste scenate e non avremmo messo Giulia ed Edoardo in mezzo”
“Sapevo che mi avresti dato questa risposta. E non la volevo sentire. Io non la voglio sentire, Alex. Non lo accetto. Io ti amo” erano tornati al punto di partenza, dopo due mesi, erano ancora fermi a quel punto.
“Mi ami?” le domandò lui allora, sprezzante, senza neanche rivolgerle lo sguardo.
“Cosa ami di me Claudia?” 
Claudia si era avvicinata, poggiandogli una mano sulla spalla. Subito il profumo floreale della fragranza che le aveva regalato per l’ultimo compleanno, poco prima del suo colpo di scena, gli riempi le narici, facendogli montare quasi un senso di nausea.
“Che domande sono?”
“Se lo sapessi risponderesti, no?! Ma non mi ami, proprio come io non amo più te, ma sei attaccata ad un’idea, ad un uomo che non c’è più”.
C’era stato un tempo in cui l’ambizione lo aveva spinto oltre il limite, a diventare l’uomo di successo che era ora bruciando le tappe, non guardando più in faccia a nessuno. E Claudia si iscriveva perfettamente in quella cornice: era bella, intelligente, raffinata, di ottima famiglia e aveva nei suoi progetti un traguardo comune a quello del giovane Bonelli. Tutti lo dicevano: erano assolutamente perfetti insieme. Ma Alessandro poco alla volta si era accorto di aver lasciato indietro troppo di sé. Claudia no, lei così c’era nata e non poteva capire, neanche ci provava.
“Io questa sera me ne vado dai miei e mi cerco un posto dove stare” si alzò dal davanzale e iniziò a prendere della biancheria dai cassetti “Appena torna Edoardo ci parliamo e ti decidi a firmare l'accordo della separazione."
"E se non volessi firmare? Non puoi obbligarmi" lo minacciò lei “e se te ne vai posso chiedere la separazione con addebito".
Sapeva come giocare le sue carte; aveva scelto un ottimo avvocato, che l'aveva istruita per bene, questo era sicuro.
“Correrò il rischio, che ti devo dire …” Alessandro era arrivato alla conclusione che a restare dentro quella casa, per assecondare Claudia e provare ad indorare la pillola ai figli, avrebbe finito per ammalarsi, e lo stesso valeva per i figli. “Però vedi che avevo ragione. Tu non mi ami. Forse ami l’uomo d’affari, la casa che abbiamo messo su, la vita che ti ho permesso di fare. È per questo che sei tornata. Sei avida Claudia … non innamorata”
“Non ti permettere!”
“Convincimi che non è così, avanti” la spronò “avrei potuto toglierti tutto in un attimo, potevo farlo, sai che è così, ma non ho mai voluto. Tu invece ci hai messo un attimo a minacciarmi”
“Quando Edoardo mi ha detto che stavi sentendo un avvocato io ho avuto paura e sono tornata immediatamente per provare a rimettere insieme i cocci e invece ho trovato un muro, come dovrei sentirmi?” Edoardo e Giulia avevano avuto sporadici contatti con la madre durante la sua assenza: Alex però ignorava, o forse preferiva non rendersi conto, che lei li avesse usati per tenerlo sotto controllo.
“Non fare la vittima! Ci hai messo due mesi a tornare … non hai avuto paura per noi, hai avuto paura per te e non negarlo. Ora fuori che ho bisogno di fare una doccia"
Si preparò in fretta e poteva giurare di aver sentito, oltre il rumore del phon, Claudia parlare al telefono con il suo avvocato. Ormai, gli importava meno di zero delle sue minacce. Era arrivato il momento di interrompere quella fiera dell'ipocrisia. A San Silvestro si butta la roba vecchia, aveva detto Maya. Doveva farlo pure lui.
Mise un jeans e una felpa, prese le chiavi del garage e della moto e scese nella zona giorno.
"Dove vai, papà?" chiese Giulia.
"Da nonno Cesare e nonna Maria" le disse, posandole un bacio sulla fronte ancora calda.
"Voglio venire pure io da nonna Mia" quando era più piccola non riusciva a pronunciare le r e così Maria si era trasformato in Mia e così era rimasto.
"No Puffetta" esclamò, trovandosi ad usare lo stesso soprannome che Maya le aveva dato "tu non puoi uscire, hai ancora la febbre e devi prendere le medicine. Stasera il DVD di Lilo e Stitch lo guardi con mamma e domani mattina papà tuo ti porta il saccottino al cioccolato per colazione, va bene?"
"Va bene" si arrese la bambina, abbattuta. Gli si stringeva il cuore al pensiero che poche ore prima, nonostante la febbre alta, era totalmente spensierata, ma questo gli dava anche la speranza che avrebbe reagito ed era molto meglio per lei, per tutti loro stare separati ma sereni.
"Dove vai?" gli urlò contro, scendendo anche lei dal piano di sopra, ma lui non le prestò la minima attenzione. "Alex! Se vai via non rientri più. Giuro!" lo avvertì "cambio la serratura e vediamo come rientri"
Ma Alex rise, sicuro di sé. Sapeva che non avrebbe mai potuto farlo, e anche lo avesse fatto non gli importava proprio nulla: quelle quattro mura poteva pure tenersele.
"Mavvaffanculo va'!" Prese il giubbotto invernale e il casco dal guardaroba e chiuse la porta di casa dietro di sé.
 
"Alessa'!" suo padre, alla porta, era sorpreso di vederlo "che ce fai qua?"
"Claudia è tornata da Roccaraso … e io me ne sono andato di casa"
"Vie' dentro che fa freddo" lo incoraggiò, stringendosi meglio la vestaglia attorno al collo, e Alex avrebbe giurato di aver ricevuto una pacca sulla spalla dal padre.
A Cesare, Claudia non era mai andata a genio completamente. L'aveva accettata per il bene del figlio, ma erano troppo simili e troppo diversi al tempo stesso. Due teste calde, abituate ad avere ragione e a non sentire ragioni dagli altri, uno era un borgataro fatto e finito, che aveva sudato ogni singolo giorno lavorativo e persino la pensione se la stava sudando appresso a figlia e nipoti. Claudia invece era figlia di borghesi - gente per bene, per carità, ma gente abituata a lavorare negli uffici, in giacca e cravatta, tutti puliti e con tutti gli agi e i bonus che il lavoro statale offriva. Una bella casa in centro, le vacanze premio per i figli, gli sconti di qua e di là, la pensione anticipata … tutte cose che Cesare non aveva mai visto nonostante le dure lotte sindacali.
Forse era solo una guerra tra classi, ma a lui continuava a credere che fossero troppo diversi da loro per spartire qualcosa oltre un buongiorno e un buonasera.
"Alessa'! E tu qua stai?!" chiese sua madre, preoccupata, vedendolo entrare, mentre apparecchiava il tavolo del piccolo salottino.
"So’ venuto a mangiare na cosetta con voi. Si può?"
Non voleva darle quel dispiacere proprio a Capodanno, così sorvolò sulla questione. Ma sapeva che sua madre sapeva. Glielo leggeva negli occhi che si erano subito rabbuiati, ma anche lei avrebbe fatto finta, per quella sera, che andava tutto bene e avrebbero tirato avanti.
"Come no! Lo sai che qua pe' te posto ce sta sempre" esclamò la donna, aprendosi in un sorriso un po' forzato. Era felice di avere suo figlio con sé, ma quella situazione non le piaceva per niente. "E la pupetta mia come sta?" domando.
"Meglio dai, all' Epifania speriamo di poter venire qua, con Edoardo pure che torna dalla montagna"
"Basta che lassa a casa quella puzza sotto ar naso che se porta sempre appresso quello"
"Daniele!" il nonno fece volare un giornale che era sul tavolino della tv in direzione del nipote, che scendeva le scale.
Niente fine dell'anno fuori casa per lui e suo fratello: come Giulia e il nonno, anche loro si erano beccati l'influenza. Il ragazzo riuscì a schivarlo facilmente
"Chiedi immediatamente scusa a zio!"
"Ma ho offeso Edoardo, mica zio"
"Aridaje!"
"Lascia perde' papà, c'ha ragione. Ha preso tutto il brutto carattere della mamma …"
Sotto gli occhiali da lettura, Cesare si lasciò andare ad un sorrisetto compiaciuto. Ormai, non nascondeva più il suo compiacimento per quella separazione, e che la moglie avesse pure blaterato … lui quella sera avrebbe brindato per un motivo in più.


  
Credo di aver preso l'influenza.
Prendo un'Aspirina e mi metto a letto.

Scusami con i tuoi amici.
Va bene. Riguardati.
Se non ti senti bene chiamami.
Domani vengo a vedere come stai.
 
Maya non se la sentiva affatto di uscire. Era confusa e non riusciva a pensare ad altro. Non sarebbe stata di grande compagnia per sua sorella e i suoi colleghi. Inoltre, pensò, fosse uscita con lei, Lavinia avrebbe di sicuro indagato e non poteva dirle nulla perché non avrebbe saputo come spiegarle quello che era successo. Non era neanche sicura di cosa fosse successo.
Così, alle 22, appena Lavinia le aveva mandato un messaggio per dirle che era uscita dal turno in ospedale, si era precipitata ad accamparle una scusa credibile.
Così si era fatta un programmino tutto suo. Netflix e un pezzo di lasagna di Natale che Ruggero l'aveva obbligata a portare a casa e a congelare "per le emergenze". E quella era un'emergenza. Alla fine, al terzo episodio di fila di The Crown si era addormentata sul divano, tanto che a mezzanotte fu svegliata di soprassalto dai botti che partivano tutt'attorno nel quartiere. Qualcuno dei suoi vicini stava persino sparando dai balconi. Accese la tv su un canale qualsiasi dove una band stava suonando il solito medley da Capodanno e prese nel frigo la bottiglia di spumante che avrebbe dovuto portare in centro con sé, per brindare con Lavinia e i colleghi. Riempì un bicchiere e, infilato il telefono in tasca, mise addosso il plaid che le aveva regalato Olivia e salì sul terrazzo, mentre in tv presentatore, starlette e vecchie glorie ballavano sulle note di
 una di quelle canzoni deprimenti da trenino. Anche se da sola, i fuochi d'artificio non se li sarebbe persa.
Oltre i tetti delle poche case più signorili, oltre la foresta di antenne e le parabole sulle terrazze delle case popolari, un tripudio di luci e colori si apriva nel cielo scuro verso nord. Non li aveva mai visti così. Non era bravissima ad orientarsi, ma da lì non doveva essere molto lontano il Circo Massimo. Ma anche non ci fossero stati i fuochi comunali, i Romani erano bravi a saper fare da sé, nonostante le raccomandazioni e i divieti.
Mentre stava lì a guardare e a bere il suo spumante, il telefono vibrò. Pensò a sua sorella o ad Olivia. Ma il cuore perse un battito a leggere il nome del mittente del messaggio: Alex.
Buon Anno.



*Verano= cimitero monumentale di Roma

Ciao a tutti!!! Dopo questa bomba di capitolo preferisco tacere e non dare nessuna spiegazione o interpretazione, mi piacerebbe però sapere la vostra opinione a riguardo di tutto quello che è successo, le vostre aspettative per il futuro. Vi mando un grande abbraccio e vi ringrazio sempre per le recensioni e le visualizzazioni!
Alla prossima, 
Fred ^_^

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***






 
Capitolo 15




Maya ci aveva messo un po' a rispondere a quell'SMS. Aveva riletto quelle due semplici parole mille volte per capire come contraccambiare. Non dicevano nulla, ma lei ci leggeva comunque mille cose dietro. Anche perché, in cinque anni di lavoro, era stata la prima volta che le mandava un sms di auguri e di certo non era stato un caso o un errore.
Se non avesse risposto avrebbe fatto la figura della stronza che se la tira, ma cosa avrebbe dovuto scrivergli?! Alla fine risolse mandandogli una foto di auguri un po' da boomer che si mandano sui gruppi WhatsApp per tagliare la testa al toro. Le sembrò la soluzione più impersonale possibile. E quell'attesa era stata provvidenziale perché il messaggio lo aveva mandato che ormai era quasi l'alba e lui avrebbe avuto l'impressione che lei non ci aveva pensato tutta la notte, come invece aveva fatto.
Arrivati al 6 Gennaio avrebbe voluto darsi per malata, mandare un certificato medico e non presentarsi a lavoro, ma prima che potesse inventarsi qualche trucchetto dei suoi, Alessandro la precedette con un messaggio, anche questo telegrafico: le chiedeva di farsi trovare in ufficio, l'indomani, in anticipo rispetto al solito. La voglia di accampargli una scusa era davvero tanta, ma prima o poi avrebbe dovuto ritrovarsi faccia a faccia con lui e prima avrebbero risolto, meglio sarebbe stato per tutti.
La mattina dopo, arrivata nell'anticamera dell'ufficio di Bonelli, dove aveva la sua scrivania, Maya trovò Alex al suo posto. Grazie alla porta socchiusa, poté far finta di non averlo notato, sistemandosi alla sua postazione come faceva sempre, con i suoi piccoli gesti quotidiani. Fu lui ad avvicinarsi a lei.
"Ciao …" la salutò, dolcemente, avvicinandosi.
Maya stava in piedi, di spalle, a sistemare alcuni fascicoli che aveva lasciato sparsi in giro quando aveva dovuto lasciare la redazione per andare da lui una settimana prima.
"Buongiorno" rispose lei, tentando di rimanere distaccata.
"Verresti di là un secondo?!"
Maya lo seguì in un ufficio, lasciando la porta aperta; non c'era nessuno in redazione, solo il vigilantes che aspettava la fine del turno: si fidava di Alex, ma non voleva dargli modo di creare situazioni troppo intime dalle quali non avrebbe saputo - o voluto - tirarsi fuori.
Lui era nervoso. Stava in piedi davanti alla scrivania, muovendosi nervosamente, le mani irrequiete si spostavano dai fianchi, alla fronte, allentando la cravatta, scostando la giacca.
"Senti …" esordì, esitante, appoggiandosi al piano della sua scrivania come fosse coperto di chiodi "per quello che è successo la sera di Capoda-" "Non è successo niente la sera di Capodanno, stai tranquillo"
Era più che sicuro che lei lo volesse, quasi quanto lui, o l'avrebbe fermato. Quantomeno, lo avrebbe bloccato molto prima di quanto non avesse fatto. Ma forse non aveva capito niente; forse era talmente fuori allenamento 
per certe cose, se così si poteva dire, che non aveva saputo cogliere i segnali giusti.
"No, stammi a sentire…io volevo scusarmi perché forse ti ho messo in una situazione imbarazzante"
Forse c'era qualcuno nella sua vita o semplicemente lui era stato un cretino di prima categoria a dare per scontato che lei potesse provare quello che provava lui. Che, di preciso, non sapeva nemmeno lui cosa fosse. Una cosa però la sapeva: non voleva fare a meno di lei.
Ed Alex non poteva immaginare quanto favorevolmente lei avesse accolto quel bacio. Ma non doveva saperlo, nella maniera più assoluta. Maya era determinata su questo punto. Neanche. Il Minimo. Sospetto.
Perché per lei era stata una cosa puramente fisica, come il ballo al gala, un riflesso incondizionato, come la mano sulla sua spalla o sul suo braccio per mostrargli la sua solidarietà e il suo conforto. Perché le circostanze del momento, la tensione in casa Bonelli e i dissapori con sua moglie avevano fatto il resto. Era come una sbornia colossale, di quelle che si prendevano il giovedì universitario, quando si pensava che si sarebbe stati male in eterno: sarebbe passata, doveva passare.
"Non è colpa tua" questo però voleva che fosse chiaro come il sole.
Non voleva che credesse di averla baciata contro la sua volontà. Era talmente paranoico che ne sarebbe stato capace e ci starebbe stato male e non voleva questo. Reputava sé stessa una stronza, ma non così stronza.
"Non è colpa tua" ribadì "ma non significa che non sia stato un errore."
"Ho lasciato mia moglie" disse, interrompendola "quando sono tornato a casa me ne sono andato. Adesso sto in un residence"
Maya rimase senza fiato. Non poteva averlo detto davvero, non con l'intenzione che ci leggeva lei tra le righe. Scosse la testa, nervosamente.
"Se è quello che volevi sono contenta per te, davvero."
Su questo era onesta. Lo aveva visto affrontare quei mesi arrivando, alcuni giorni, a non riconoscerlo. Era giusto mettere la parola fine se le cose non andavano più.
"Era la cosa migliore da fare. La situazione era diventata insostenibile … non riuscivamo nemmeno più a mantenere un'atmosfera tranquilla per Edoardo e Giulia … che a proposito, chiede ancora di te."
Non andava bene. Non andava assolutamente bene. Lei era una dipendente del padre, non una nuova compagna di giochi. Giulia era una bambina speciale ed anche Maya si era affezionata, ma non doveva crearsi troppe aspettative.
Era tutto così surreale e il peggio era che ci si era infilata con tutte le scarpe e lo aveva fatto da sola: non poteva incolpare nessuno, tranne che sé stessa. Se avesse seguito il programmino per le feste di Olivia a quest'ora avrebbe avuto un'abbronzatura da montagna, un paio di chili in più per i canederli e lo speck e, soprattutto, una questione di cuore in meno da gestire; che poi era la questione di cuore di un altro, ma ovviamente i casi umani sempre a lei capitavano. Una calamita umana per la sfiga.
Doveva mettere dei paletti per tutti e due, e alla svelta.
"Hai fatto breccia" commentò lui, scherzoso.
Ma lei troncò subito ogni tentativo di Alex di addolcire la situazione a suo favore.
"Non va bene " disse, controllata e decisa. Se fosse arrivato qualcuno non dovevano sentirla, ma al contempo doveva essere sicura che lui capisse quanto lei fosse determinata. "Tra datore di lavoro e dipendente ci sono dei limiti invalicabili e noi li abbiamo valicati tutti, Alex, e non è giusto né per te, né soprattutto per me"
"Perché dici così?"
La sua testa le diceva che il modo in cui si era avvicinato non avrebbe portato a nulla di buono, che era quasi come una fissazione che si era dato per dimenticare i suoi guai o quantomeno alleviarli.
"Posso essere sincera?" Lui annuì: da lei non voleva altro. "Non sei lucido ed è comprensibile per tutto quello che ti è successo. Io lo capisco, non te ne faccio una colpa. Ma è come se per te in questo momento io fossi … un rimpiazzo per … per tua moglie, per la tua famiglia … per tutto quello che non va nella tua vita". 
I suoi problemi però prima o poi li avrebbe risolti: le conseguenze, a quel punto, le avrebbe pagate solo e soltanto lei. E lei non poteva permettersi di rimanere in mezzo ad una strada, letteralmente.
"Così mi offendi, però, Maya. E offendi anche la tua intelligenza" disse lui, deluso che le potesse essersi fatta quell'idea di lui "tu sei tu e sei ben diversa da Claudia. Non sei affatto un rimpiazzo. Pensavo non ti dispiacesse questa cosa che abbiamo costruito, in qualsiasi modo vuoi chiamarla"
Non le dispiaceva affatto. Non era un'amicizia, ma non era più nemmeno un rapporto di lavoro: era un'intesa fortissima, una connessione mentale che spesso però mandava i loro corpi in corto circuito.
"Io però lavoro per te" proseguì "tu mi paghi lo stipendio. E come se non bastasse vivo in casa tua"
Non solo lui avrebbe potuto licenziarla, ma avrebbe anche potuto cacciarla di casa. Scherzare con il fuoco poteva essere divertente, eccitante, ma rimaneva pur sempre pericoloso
"… in qualsiasi modo vuoi chiamarla, se finisce male, solo io ci rimetto"
Non lo avrebbe mai ammesso, nemmeno con sé stessa, ma aveva una paura matta di svegliarsi una mattina e scoprire di essere rimasta fregata. Di essere andata oltre, e di averlo fatto da sola. Non le piaceva non avere il controllo delle cose, figurarsi del suo cuore.
"Io non sono la persona migliore per dare certi consigli, ma credo tu abbia prima di tutto bisogno di stare da solo per un po' ... riprenderti i tuoi spazi. Non hai bisogno di buttarti in qualcosa che oggi pensi sia giusta ma che in realtà rischia di rovinare tutto quello che di buono ti è rimasto. Siamo un buon team, lavoriamo bene insieme. Questo teniamocelo stretto."
Mentre le parlava, Alessandro se ne stava in silenzio a rimuginare, come fanno i bimbi quando le mamme li strigliano. Il tono di Maya non era autoritario, né acido. Era comprensiva della sua situazione in modo in cui nessuno lo era. Non era la prima volta che glielo dimostrava, ma rimaneva sempre strabiliato dalla forza che veniva fuori dalla sua franchezza. Faceva male sentirle dire quelle cose perché in fondo sapeva che erano vere, ma ne apprezzava la lealtà. Era talmente contornato da leccapiedi e giuda che era facile dimenticarsi cosa volesse dire avere qualcuno che ti tiene con i piedi per terra.
Purtroppo aveva ragione: non sapeva neanche lui cosa volesse e non doveva fare danni nello scoprirlo. Sentiva di volere Maya nella sua vita, ne aveva un bisogno viscerale, ma come poteva trascinarla in qualcosa a cui non riusciva nemmeno a dare un nome?! E se fosse stato come diceva lei? Se un giorno si fosse svegliato e si fosse accorto che era solo riconoscenza? Avrebbe sciupato l'unica cosa che funzionava nella sua vita.
"Forse hai ragione tu" ammise, cercando di essere sereno come lo era rimasta lei per tutto il tempo "forse è meglio che io faccia un passo indietro. Sei sempre dalla mia parte? Anche dopo questa colossale figura di merda?"
Maya gli tese la mano, raggiante. Lui la accolse nella sua e la strinse da pari, come faceva sempre alla chiusura di un buon contratto.
"Paghi bene, sei puntuale e la casa che mi hai affittato è un sogno. Dove vuoi che vada?!" rispose lei, sarcastica e divertita.
Entrambi tornarono alle proprie attività, sicuri di aver raggiunto un accordo più che ragionevole: tanto per cominciare, non si erano persi.
 
 
Se qualcuno le avesse chiesto come andavano le cose con Alex, Maya avrebbe tanto voluto rispondere tutto bene, tutto come prima. Ma non poteva, non era così.
Lui era un signore, su questo non ci pioveva. Lei lo aveva rimesso al suo posto, gli aveva chiesto di pensare a sé stesso e lui lo stava facendo. Pur restando gentile e affabile, era estremamente professionale. Non era lui il problema.
Il problema era lei. Era come quando da bambina sua madre tornava dal Festival di Salisburgo con le Palle di Mozart artigianali e le metteva nel ripiano più alto della credenza perché i bambini non si abbuffassero; risultato: lei e i suoi fratelli puntualmente finivano per arrampicarsi e mangiarle di nascosto.
Proprio come allora, più una cosa era off-limits, più per Maya diventava desiderabile, poco importava che questa l'avesse resa off-limits con le sue stesse mani.
Dapprima spiegato come una risposta chimica, era palese ormai che quel bacio era stato qualcosa di più. Maya lo avrebbe definito una bruciatura. Ma non come il dito sul ferro da stiro caldo. Oh no! Come acqua bollente che ti cade addosso dalla pentola della pasta, piuttosto. A suo modo una risposta, forse ai tanti cambiamenti che la sua vita aveva subìto in quell'ultimo periodo, ma molto più complessa di una mera questione di profumi, ormoni e altre stronzate varie che si era inventata per giustificare quel momento di debolezza.
Che poi … era davvero una debolezza? Perché per ricambiare il bacio del proprio capo e poi dargli il benservito ci vuole una certa dose di coraggio.
E sulle prime era andato tutto bene, era super orgogliosa di sé e di come aveva gestito la cosa da persona adulta, matura e responsabile. Fatto sta che, tempo un paio di settimane, più lui si comportava normalmente, più lei lo vedeva sotto una luce diversa. Non se ne era accorta subito, ma con quel bacio qualcosa in lei aveva fatto click. E non andava bene. Non andava bene per niente, perché tutte le ragioni che aveva dato ad Alex a proposito dell'andare avanti come colleghi stavano ancora in piedi, perfettamente logiche e valide.
La mattina ormai, sistemando caffè e giornali nel suo ufficio, cercava di farlo il più in fretta possibile. Tutto profumava troppo di lui, talvolta aveva la sensazione che fosse nella stanza, nascosto da qualche parte, tanto lo sentiva forte.
A volte, come quella mattina, quando arrivava riusciva a prenderla totalmente alla sprovvista, e Maya doveva trattenersi dal sussultare per lo spavento.
"Buongiorno!" la salutò lui, di buon umore, entrando nell'ufficio e sfilandosi il cappotto.
Da quando aveva lasciato casa, lui era tornato quello di sempre, professionalmente parlando. Ora aveva degli orari specifici in cui occuparsi dei figli, ma si vedeva che era riuscito a recuperare una dimensione di tranquillità, nonostante tutto.
"Buongiorno!" rispose lei, ricomponendosi e prendendo il cappotto, lo sguardo basso e cercando di defilarsi in fretta.
"Che hai?" le domandò, andando a sedere alla scrivania.
Maya si raggelò sulla porta d'ingresso, tornando sui suoi passi. Doveva fingere indifferenza a tutti i costi.
"Ti vedo strana …" aggiunse ancora lui, con nonchalance, la tazza di caffè in mano e lo sguardo attento sulla prima pagina del Messaggero.
"Ma no che vai a pensare" minimizzò lei, nervosamente "non ho niente"
Niente, a parte il fatto che non posso guardarti in faccia visto che hai deciso di far crescere un filo di barba senza chiedere il permesso a nessuno e così sei illegale.
Alex si era finalmente concesso un vezzo che Claudia detestava e gli impediva di tenere più a lungo di un weekend. Per quanto concordasse con lei sull'immagine più professionale, quando si guardava senza barba, lo specchio gli restituiva un'immagine sbattuta, pallida persino, nonostante la sua carnagione olivastra, accentuando tutti quei piccoli difetti che l'età stava iniziando a far venire fuori.
Francesco aveva apprezzato quel cambio di look, gli aveva detto che ora era decisamente pronto a rimettersi sulla piazza, ma lui non ci pensava nemmeno, per il momento: stava riscoprendo le gioie di una vita senza vincoli - per quanto potesse esserlo la vita di un padre single - e soprattutto, stava scoprendo l'uomo che era diventato. Con la famiglia e la carriera non aveva mai speso neanche 5 minuti della sua vita nei 10 anni precedenti per fare i conti con sé stesso. Maya, tanto per cambiare, aveva avuto ragione.
"Tutto bene con la casa?" le chiese.
Anche se ora ci viveva lei, rimaneva pur sempre la sua casa di gioventù e quel legame non si recideva così facilmente. Troppi ricordi, troppe amicizie, troppe ragazzate - le alessandrate, come le chiamava suo padre - tra quelle mura, per le scale e per le vie attorno al palazzo per far finta di nulla.
"Sì, tutto bene. Ho anche una pasticciera di fiducia tra i vicini"
"La signora Rossi? È ancora viva?!" chiese lui, divertito e stupito al tempo stesso "Ho sempre pensato fosse immortale, ma non credevo fino a questo punto"
Per quanto volesse mantenere un contegno, Maya non riuscì a non sorridere.
La signora Rossi abitava sullo stesso pianerottolo dei Bonelli. Quando Alex era un ragazzino, lei era già anziana, o almeno così sembrava ai suoi occhi, forse però aveva solo un look antiquato. Lei e suo marito non avevano avuto figli e tutto il suo affetto lo riversava sui vicini, per i quali cucinava dolci tutti i giorni. Sua madre era una brava cuoca, ma anche lei suonava al campanello della signora Rossi per le torte di compleanno. Si era presentata a Maya durante il trasloco con una pizza rustica di benvenuto, e lei si era sentita spaesata, trovandosela alla porta su due piedi: non era abituata a tutte quelle smancerie e alle confidenze tra vicini. Poco alla volta però era diventata una presenza dolce, è proprio il caso di dirlo, e rassicurante, da salutare tutte le mattine sul terrazzo mentre si annaffiano le piante o si stende il bucato. Un giorno di questi vieni da me che ti insegno qualche ricetta, le disse: a Maya sembrò una minaccia più che un invito ma, seppur diametralmente opposte, le ricordava troppo sua nonna per dirle di no.
"Comunque stavo pensando una cosa …" disse allora lei.
"Cosa?"
"Quell'appartamento ora servirebbe più a te che a me, non è giusto che ci stia io"
"Non dire stupidaggini" ribatté lui "i miei non mi farebbero pagare l'affitto e a loro quei soldi servono."
Tutto sommato i suoi stavano bene, non navigavano nell'oro ma non gli mancava nulla e, con i ragazzi di sua sorella che stavano per finire la scuola, sapere che avevano quell'entrata in più faceva stare Alex più tranquillo.
"Stai tranquilla. Il residence è più un punto d'appoggio che una vera e propria casa. Con il lavoro e tutto il resto ci sto veramente poco"
Quando Maya riuscì a lasciare finalmente l'ufficio, con una scusa qualsiasi andò a rifugiarsi in bagno. Si sentiva una quindicenne in piena tempesta ormonale, ma non ci poteva fare niente, in poco tempo la cosa le era sfuggita completamente di mano.
Non poteva rovinare il trucco e così prese una salvietta asciugamani dal dispenser e la passò sul collo, tamponando poco alla volta.
Alice, puntuale come la morte, entrò nel bagno proprio mentre lei si stava rinfrescando. 

"Stai bene?"
Se le avesse detto che era lì per pura coincidenza, Maya non ci avrebbe mai creduto, neanche sotto tortura.
"Ti ho vista correre in bagno e mi sono spaventata"
"Tranquilla, avevo solo bisogno di rinfrescarmi un po'. In questi uffici fa caldissimo"
"Ma quale caldo? Ci sono 20°. Sei sicura di non avere l'influenza?" le domandò la ragazza, provando a toccarle la fronte, ma Maya la scacciò prontamente "guarda che in questo periodo è normale. Anzi, abbiamo il personale ridotto proprio per questo"

Sì, adesso si chiama influenza, diciamo di sì, pensò Maya tra sé e sé.
"Sto benissimo, forse mi sono vestita troppo pesante" ma si mangiò la lingua immediatamente, quando guardandosi distrattamente allo specchio si ricordò di avere addosso un abitino smanicato con una camicia bianca di cotone sotto.
"Va beh" esclamò Alice; la vedeva strana, almeno da un paio di settimane.
Da quando Maya era tornata dalle vacanze. E siccome sapeva benissimo dove era stata prima delle ferie, la sua mente si era data a voli e fantasie. Che non c'avesse creduto era alquanto palese, ma Maya era grata che non avesse insistito più di tanto o non avesse indagato oltre. Non erano così in confidenza da potersi permettere certi discorsi.
"Però se hai bisogno di parlare … di qualsiasi cosa … io ci sono eh! Quando voglio so essere molto discreta"
"Tu?!" chiese Maya, sarcastica "e quand'è che vuoi?"
"Quando c'è una ship da far salpare…" spiegò la collega, vagamente subdola, con quel sorrisetto ironico di chi ne sapeva di più.
"Ma va' a cagare…" rispose Maya, uscendo dalla toilette, ma Alice non se la prese per nulla, perché mentre andava via il volto della giovane si increspò in un vago ghigno che era quanto bastava per intuire che non solo non se l'era presa, ma si aprivano spiragli per trovare un'intesa tra le due.
"Ah comunque" disse Alice e Maya fu costretta a fermarsi sulla porta "buon compleanno!"
   
Quel pomeriggio Maya aveva chiesto da Alex di poter andare via in anticipo. Lui le accordò il permesso di buon grado, non sgarrava quasi mai ed era una lavoratrice a cui non si poteva dire nulla di male. Eppure qualcosa non quadrava. Era strana, a tratti assente. Come se evitasse a tutti i costi di intrattenere anche solo la minima conversazione con lui che non fosse attinente al lavoro. La conosceva per essere impertinente e simpaticamente invadente, ora era distante e sfuggente. E la sua testa non poteva fare a meno di darsi la colpa per quel cambiamento così radicale.
Gli aveva detto che era tutto a posto tra loro, che aveva messo una pietra sopra su quello che era successo, ma forse era solo interessata a tenersi casa e posto di lavoro, tenendo lui a debita distanza. E come darle torto: lui l'aveva baciata senza accertarsi che fosse una buona idea e si era quasi messo in testa di poter avere una storia con lei.
A pensarci in quel momento gli veniva da ridere per la vergogna: non sapeva più come si stava soli, figurarsi a ricominciare daccapo con un'altra donna. No, era un'idea improponibile.
Questo non voleva dire che quello che provava quando era nei suoi paraggi era improvvisamente sparito. Oh no! Era tutto esattamente come un paio di settimane prima, la stessa attrazione forte, la stessa voglia di restare solo con lei. Con l'unica differenza che ora stava facendo prevalere cervello e una buona dose di buon senso, che gli dicevano di occuparsi prima di sé.
Ora, con quella ulteriore ritrosia, doveva stare ancora più attento. Se la loro amicizia - se così si poteva chiamare - e la loro collaborazione lavorativa erano quanto lei gli poteva offrire, non doveva rischiare di giocarsi pure quelli.
"Gli articoli di domani" disse Alice, facendogli scivolare un plico di fogli sulla scrivania.
Non si era neanche accorto che era entrata; lì per lì gli venne voglia di rimproverarla per non aver bussato, ma non era sicuro che non l'avesse fatto.
"Grazie …. ehm senti ..." incerto, doveva trovare le parole migliori per parlare con la ragazza e non mettersi nei guai "tu e Maya siete amiche, vero? Vi vedo spesso parlare anche in pausa"
"No, capo, non dire proprio amiche"
"Alice … lo sai che non mi piace che mi chiami capo"
Alice però ci cascava sempre, era più forte di lei. Trovava innaturale dare del tu al suo datore di lavoro e ogni volta era una faticaccia enorme. Lui era un superiore ideale, non trattava mai nessuno con condiscendenza, ma lei ne aveva comunque un timore reverenziale.
"Comunque no, Alessandro, direi piuttosto buone colleghe. Perché?"
"Mah … no … nulla" si arrabattò per trovare una scusa che tardava a tirare fuori "è che è qualche giorno che la vedo strana. Mi domandavo se avesse parlato con te. Se fosse qualcosa di inerente al lavoro …" Sei un genio Alex! Bene cosi!
"Ad essere strana è strana, lo credo anche io" concordò la ragazza, cercando di non scomporsi troppo.
Da un lato si stava sciogliendo di fronte ad Alex che le chiedeva di Maya, e si sentiva come una specie di Cupido, che lavorava con il favore delle tenebre per la sua coppia preferita; dall'altra però, se lui si era esposto a tal punto da chiedere a lei di Maya, sicuramente non c'entravano questioni private. Come infrangere i sogni di gloria di una shipper …
"Non credo c'entri il lavoro però" spiegò "qui va tutto come al solito. Forse però …"
"Forse però?"
Gli occhi furbi di Alice si illuminarono. Se il suo intuito non si sbagliava e le cose stavano come pensava lei, questi due avevano bisogno di una piccola spintarella. Magari stava facendo un grosso buco nell'acqua, ma non bisognava lasciare nulla di intentato … ogni lasciata, d'altronde, è persa.
"Forse è solo contrariata che in redazione tutti fanno gruppo e puntualmente si dimenticano di noi"
"Che vuol dire?"
Alice emise un sospiro tra l'avvilito e l'indifferente. Te pareva. Persona intelligente e brillante, anche Alessandro Bonelli era un diesel.
"Oggi è il suo compleanno, Alex"
Coglione. Deficiente. Cretino. Fesso.
Lo sapeva benissimo che era il 20 Gennaio, perché ogni anno gli chiedeva il giorno libero il 21 per smaltire i postumi dei festeggiamenti con i suoi amici. Quest'anno no. Quest'anno era andata via prima, senza troppo entusiasmo, e lo aveva saluto con un semplice e formale A domani; e lui se n'era dimenticato. Probabilmente non si aspettava nulla da lui, prima di allora non avevano mai onorato la ricorrenza, ma forse almeno gli auguri se li aspettava. Oppure stava scappando proprio da quelli, chi poteva dirlo.
"Te ne sei scordato?!" domandò la ragazza, sperando di non aver osato troppo.
Lui la guardò torvo, contrariato dalla sua impertinenza.
"Assolutamente no" recuperò, mostrandosi sicuro.
"Il suo colore preferito è il rosso"
"E quindi?"
"No … niente .. così … era tanto per dire"
"Alice, torna alla tua postazione"
La ragazza, soddisfatta di aver sganciato quella bomba, se ne andò e quasi non toccava per terra mentre camminava, o forse era meglio dire zompettava, nei corridoi della redazione.
 



 

Eeheh ad Alice piace fare da Cupido e scoccare frecce dal suo arco. Chissà che non abbia fatto centro?!
Ad ogni modo vediamo come procedono le cose tra i due idioti - passatemi il termine - che si impongono di restare razionali quando i loro cuori ormai se li sono giocati, mi sembra evidente, da un pezzo. Riusciranno a resistersi ancora a lungo? Mah...non ci resta che aspettare i prossimi capitoli...
Grazie mille a tutti per le prime insperate 100 recensioni (al 4 Novembre) e per questo traguardo ho deciso di farci questo regalo e pubblicare un giorno prima.
A presto
Fred ^_^

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***







Capitolo 16
 


"Non capisco perché tu non abbia voluto festeggiare da mamma e Ruggero"
Mentre indagava, Lavinia scolava la pasta nella padella doveva aveva preparato la salsa. Nonostante le proteste della sorella minore, che l'accusava di essere rimasta ferma agli anni '80, le penne alla vodka erano il suo piatto preferito e le cucinava appena ne aveva occasione. E Maya, che cucinava solo per sopravvivenza, non poteva che apprezzare un volontario ai fornelli, specialmente il giorno del suo compleanno; le sue lamentele, quindi, erano più un fuoco di paglia fatto per scena che per convinzione.
"Perché dopo i 25 non si festeggia ogni singolo compleanno. Al massimo è tollerabile un brindisi con gli amici, ma la festa con la torta della mamma proprio no"
La torta della mamma che, per la cronaca, non sarebbe stata davvero della mamma perché Matilde era a malapena in grado di fare un caffè e cuocere la pasta asciutta, ma per Maya le feste in famiglia evocavano un periodo che era morto e sepolto, letteralmente. Il vestitino rosa o celeste con le maniche a palloncino e fiocco sulla schiena, ballerine mary jane lucide e tutta la famiglia al completo: suo fratello che non preferiva le sue compagnie alla famiglia e suo padre ancora vivo.
"E questa cena come la definisci?" domandò sua sorella, aggrottando le sopracciglia, perplessa costantemente dalle pippe mentali di Maya.
"Come una normalissima cena tra sorelle, visto che per i prossimi tre giorni sarai chiusa in ospedale ed è già tanto se riuscirò a sentirti su Whatsapp con dei vocali"
Lavinia prima o poi si sarebbe abituata alle dimostrazioni d'affetto sui generis della sorella, ma non era quello il giorno: starle dietro era una fatica mentale incredibile.
"Non mi rinchiudono mica" chiarì Lavinia, scherzosa "la fai sembrare così tragica!"
"Ma perché lo è … fate dei turni assurdi!"
Maya ammirava la passione di sua sorella, che per il suo lavoro disconosceva parenti e amici e, in caso di necessità, si tratteneva in ospedale oltre il suo orario di lavoro. Le ripeteva sempre che era troppo buona e si faceva mettere i piedi in testa troppo facilmente; il che era vero, ma Lavinia aveva una vera e propria vocazione.
"La torta almeno l'hai presa?"Lavinia cambiò argomento, riportando la conversazione sui 31 anni di sua sorella "Una foto con le candeline ci vuole"
"Certo che l'ho presa … semifreddo cioccolato e arancia"
Era andata a prenderlo nel bar di Piazza Euclide dove faceva sempre colazione - o forse era meglio dire brunch - la domenica mattina, per recuperare dalla sbornia. Ma questo dettaglio l'avrebbe omesso, così come avrebbe omesso il suo dileguarsi in fretta prima che qualcuno della vecchia comitiva potesse intercettarla. "Ma ho preso la candelina e basta … col cavolo che mi fai una foto con il numero …" precisò, facendo alla sorella il gesto dell'ombrello. Lavinia sorrise, impiattando.
"Potevi farla fare alla tua vicina … è bravissima con i dolci"
Anche Lavinia aveva scoperto i dolci della signora Rossi, in particolare i suoi biscotti e le crostate visciole e ricotta, e non ci aveva messo niente ad andare a suonarle al campanello, con la scusa di restituirle un piatto, per congratularsi e dirle che doveva assolutamente partecipare a Bake Off. Sì, Lavinia, la tranquilla e riservata dottoressa di casa Alberici, aveva avuto la sfacciataggine di andare da un'estranea ed entrarci immediatamente in confidenza, e trovandole persino un soprannome: La Betty. C'è davvero una prima volta per tutto…
"Va beh tirare la cinghia ma non sono così al verde da non potermi più permettere neanche una torta"
Si misero a tavola; tra il cibo e il vino - Maya aveva tanti difetti ma in quanto a vini pochi se ne intendevano come lei - arrivarono al dolce senza quasi accorgersene. La conversazione tra loro non loro non era mai stata un problema: erano talmente diverse, due poli opposti in pratica, che per raccontarsi il tempo volava; ora che Maya riusciva a confidarsi molto più liberamente, era ancora più piacevole.
C'era una cosa però che la giovane non era ancora riuscita a rivelarle: il bacio di Alex. No, non di Alex. Con Alex. C'era una bella, netta, grossa differenza.
Quell'uomo ricco e affascinante era stato oggetto di sfottò da parte di Lavinia e Olivia, ma tornata seria sua sorella non aveva fatto mancare di esprimere la sua preoccupazione quando si era accorta che Maya aveva iniziato a guardarlo e a pensarlo in maniera diversa.
Maya non sapeva dire perché non gliene avesse parlato finora. Forse temeva la sua riprovazione, un'ennesima strigliata per qualcosa che le stava già creando problemi così com'era e che stava già combattendo da sola, persino contro sé stessa. Non che non fosse in grado di controbattere o tenerle testa, ne era perfettamente capace, ma era una cosa che sentiva, almeno per il momento, di dover gestire da sola, da persona adulta qual era. Non aveva bisogno di una mamma chioccia. E poi era una situazione complicata: meno persone erano coinvolte, meglio sarebbe stato per tutti.
Per questo motivo Maya stava bene attenta a misurare ogni parola e a scacciare dalla testa il pensiero di Alex affinché non finisse per caso in qualche frase o in un lapsus.
Ma c'era una cosa che Maya non aveva calcolato: d'improvviso, mentre mangiavano la torta, suonò il citofono.
"Dimmi che non hai fatto venire qualcuno a festeggiare a mia insaputa …" pregò Maya implorante. Ma Lavinia alzò le mani.
"Io?! Al massimo avrò detto della cena alle mie coinquiline …"
Maya si alzò per andare al citofono, contrariata che qualcuno l'avesse interrotta mentre mangiava la torta e insospettita dall'orario; magari era una sorpresa di Lavinia, un regalo della madre o di suo fratello - tanto Amazon consegna fino alle 23. Oppure era semplicemente Olivia che le faceva un’improvvisata, presentandosi con spumante e pasticcini, nonostante avessero già in programma di andare in una SPA per festeggiare e recuperare la settimana bianca saltata qualche settimana prima.
"Chi è?"
"Maya Alberici?"
"Sì"
"Ho un pacco per lei"
"Scendo subito"
Prese le chiavi dietro la porta e corse al pianterreno dove il fattorino l'aspettava che con un piccolo pacchetto nero tra le mani. Dopo aver firmato sul palmare diede una sbirciata veloce al furgone prima di tornare a prendere l'ascensore, ma era un corriere qualsiasi e poteva essere qualunque cosa.
Mentre saliva, notò riflesso allo specchio dell'ascensore un logo dorato sul retro della scatola nera: Interflora. Ora almeno sapeva che erano dei fiori.
Arrivata al pianerottolo, trovò sua sorella alla porta ad aspettarla come una pettegola comare di paesello.
"Allora?"
"Sono dei fiori"
"Sarà un fiore solo … guarda quanto è piccola la scatola" fece notare Lavinia "chi te lo manda?"
Maya fece spallucce; era curiosa, ma non al punto da non poter aspettare di rientrare in casa per saperechi fosse il mittente. Sperava solo non fosse Federico Ultima Spiaggia: sarebbe stato complicato spiegare a sua sorella che aveva un trombamico. O meglio aveva avuto, visto che negli ultimi tempi gli aveva dato buca ripetutamente e alla fine lui aveva smesso di insistere. Non era mai stato tipo da certe smancerie, era proprio per quello che esistevano gli amici con benefici, per non avere implicazioni sentimentali e obblighi vari, ma non si poteva mai sapere.
Aprì la scatolina e dentro trovò, in un cubo di plexiglas, una rosa rossa. Di lato, naturalmente, un bigliettino.
"Dio che poracciata!" commentò sua sorella.
"Perché?" chiese Maya, distrattamente, mentre tirava fuori il cubo e il biglietto.
"Una rosa stabilizzata?! Me pare più una bomboniera che un regalo romantico."
Ma Maya quelle parole le filtrò completamente. Mentre leggeva il bigliettino che accompagnava la rosa dovette obbligarsi a respirare perché d'improvviso senti un vuoto d'aria, come un pugno nello stomaco che ti lascia senza fiato. Tirando fuori il cartoncino dalla piccola busta, la prima cosa che saltò al suo occhio fu la calligrafia e la firma, inconfondibili.
 
"Se vuoi bene ad una rosa che sta su una stella, di notte è bello guardare il cielo."
Buon compleanno, Alex
 
"Chi te la manda?"
"Eh?" rispose, stranita.
"Maya! Che succede? Chi ti ha mandato la rosa?"
Maya porse il biglietto a sua sorella e andò a sedersi sul divano, portando con sé la rosa. Era piombata in uno stato catatonico, rigirando tra le mani quel box come fosse un enigma da risolvere. In un certo senso lo era. Non era tanto il fiore il problema: era un gesto gentile, elegante, ma anche un po' impersonale, come aveva suggerito il commento di Lavinia. Forse era solo un modo per scusarsi per essersi dimenticato di farle gli auguri - che comunque lei non pretendeva affatto.
Era la frase nel biglietto che non riusciva a spiegarsi. Era una citazione dal Piccolo Principe, Maya lo conosceva praticamente a memoria, era il suo libro preferito da bambina, suo padre glielo aveva letto persino in francese; che lui lo sapesse, però, era escluso. Forse l'aveva presa a caso da uno di quei siti per frasi d'auguri, forse gliel'aveva suggerita la fiorista eppure non riusciva a non leggere tra le righe, a non pensare che fosse un segno del destino. La rosa era un simbolo, nel libro, di un legame speciale. Era quello che lui sentiva per lei? Ancora? Nonostante fosse stata chiara?
"Maya? Che significa?" sua sorella si era seduta accanto a lei e forse era da un po' che le stava porgendo quella domanda perché aggiunse "Mi vuoi rispondere?"
"Cosa?"
"Si può sapere che è successo con quest'uomo? E non dire niente perché me ne accorgo se menti"
Maya si lasciò ad andare ad uno sbuffo ironico, mentre poggiava la rosa sul tavolino da caffè di fronte al divano.
"Non te ne accorgi se mento, Lavi, è un dato di fatto. Ti ho nascosto una cosa nelle ultime settimane …"
"Oddio …" sua sorella trattenne il respiro, portando le mani in viso, sbalordita "ecco lo sapevo! Ti sei messa con lui ma non ha lasciato la moglie"
"No, ma che vai a pensare!" Maya scosse la testa "Ti ricordi la sera di Capodanno, quando ti ho detto che non mi sentivo bene?"
Lavinia annuì. In realtà aveva sospettato che Maya avesse solo trovato una scusa per non uscire con lei, ma pensava più ad una scusa per non farsi vedere in giro con la sorella come una sfigata - alla maniera della vecchia Maya.
"Beh per farla breve quel pomeriggio mi ha riaccompagnata a casa dopo il lavoro e mi ha baciata"
Le avrebbe risparmiato i dettagli: lo sguardo di fuoco di Claudia rientrata in casa all'improvviso che la trova con Giulia tra le braccia che dorme, la conversazione con Alex sul padre e naturalmente le loro mani intrecciate mentre si decidevano ad accorciare la distanza tra loro.
"E tu?"
"Io cosa?"
"Dai Maya non far finta di cadere dalle nuvole!" la richiamò Lavinia, seria ma agitata. "Io … io non mi sono propriamente tirata indietro"
Si vergognava da morire, specialmente perché di fronte a sé aveva sua sorella e Lavinia doveva cavarle di bocca la verità poco per volta; ma se non riusciva ad accettarla lei per prima, non c'erano speranze che riuscisse a parlarne serenamente nemmeno con sua sorella. Se ne stava con gli occhi bassi e accartocciata su sé stessa, pronta a parare il colpo della sicura strigliata di sua sorella, dei suoi te l'avevo detto sicuri come la morte.
"Beh non ci sono andata troppo lontana."
Lavinia era tranquilla, impassibile quasi; forse non era comprensiva, né entusiasta, ma non aveva affatto l'aria di essere pronta a giudicarla negativamente. Sembrava quasi essersi messa il camice bianco addosso, pronta a segnare tutti i dettagli anamnestici di una paziente.
"E ora?"
"E ora niente. Gli ho detto che stiamo bene così, da colleghi di lavoro e basta"
"E tu ci credi?"
"A questo punto non più, visto il biglietto e il regalo …"
"Non sto parlando di lui" chiarì "sto parlando di te"
"Io che c'entro?"
"Mi pare di ricordare che certe cose si fanno in due, Maya"
"Non lo so … è tutto tremendamente nuovo e complicato"
E non era la parte complicata a spaventarla di più, paradossalmente. Si era costruita un castello di bugie per sopravvivere per anni in un mondo che non le apparteneva, una relazione con un uomo separato e con due figli quanto più difficile da gestire poteva essere?
"Lui se n'è andato di casa dopo che ci siamo baciati …" le rivelò.
Aveva la sensazione che sua sorella non si fidasse appieno di Alex - come avrebbe potuto, non lo conosceva come lo conosceva lei.
"Davvero?"
Maya annuì. Con quel dettaglio, aveva chiaramente attirato l'attenzione di Lavinia. Forse non si aspettava che potesse fare sul serio fino a quel punto, non uno come Alex che le sembra più uno di quelli che, con l'altro sesso, non deve chiedere mai, che uno a cui piace fare le cose per bene. Per come glielo aveva descritto sempre Maya e per quel po' che la prima impressione gli aveva consentito di indagare, era persino stupita che fosse sposato.
"Ma non cambia nulla … ho come l'impressione di essere un ripiego in un momento di crisi e non posso rischiare una storia con uno che mi può lasciare letteralmente in mezzo ad una strada se le cose vanno male."
"Quindi non lo hai rifiutato perché non ti interessa …"
Maya avrebbe voluto controbattere, ma per la prima volta davvero si rese conto che non poteva perché era proprio come sua sorella aveva detto. Di tutte le obiezioni che aveva dato anche a sé stessa fino a quel momento, nessuna era del tipo: mi è totalmente indifferente. Del resto, quando lui l'aveva baciata, lei non lo aveva respinto e, a dirla tutta, le era pure piaciuto parecchio, altrimenti non avrebbe passato una notte a pensarci e non avrebbe iniziato a perdere la concentrazione quando lui era nei paraggi.
"È successa una cosa strana. È come se avessi sentito un … click … dentro di me" ammise.
Non sapeva come spiegare quello che provava, era una cosa mai provata prima, e quello era il paragone migliore che riusciva a provare.
"Che significa?" domandò Lavinia, confusa.
"Dopo che è successo quel che è successo … è cambiato tutto. Non è più Alessandro Bonelli, il redattore capo di Roma Glam. È Alex e basta."
Aveva paura che lui potesse ferirla e restare fregata, ma si era già fregata con le sue mani e lui c'entrava davvero in minima parte. Si aggrappava più che poteva alle sue ragioni, logiche e inoppugnabili, ma sentiva la forza venirle meno ogni volta che lui era nei paraggi.
"Oh Maya" sospirò sua sorella, abbracciandola "la mia sorellina che si strugge per amore!"
"No no no no no ferma!" la giovane frenò l'entusiasmo di sua sorella, divincolandosi "chi ha parlato di amore? Ho solo detto che non mi lascia indifferente"
Amore … che parola grossa e super impegnativa, una parola che era meglio tenere alla larga, perché aveva imparato a sue spese che tutto può cambiare in un battito di ciglia; a questo punto, immaginava, persino i sentimenti. E si rifiutava di stare male, tanto meno per un uomo.
"Eh va beh … se sono rose fioriranno, è proprio il caso di dirlo" ironizzò Lavinia, prendendo il cofanetto con la rosa tra le mani "comunque per me rimane un soprammobile da vetrinetta a casa della nonna. Poteva fare decisamente meglio"
Le sorelle risero mentre la minore le strappava il regalo dalle mani. Lei non la pensava così; quella rosa era destinata a durare a lungo, molto più di più di un bouquet ben più ricco e costoso. Era come se le dicesse che lui per lei ci sarebbe sempre stato e che l'avrebbe aspettata senza cambiare di una virgola i suoi sentimenti. O forse era solo un film mentale e sua sorella aveva ragione, era solo un brutto regalo, ma preferiva di gran lunga la sua versione a quella di Lavinia.
Andò a mettere al sicuro in camera da letto quel dono mentre sua sorella si sedeva a tavola per finire la torta. Si sedette sul bordo del letto, poggiando la rosa sul comodino e prendendo il cellulare che era in carica.
"Ora che farai?" le domandò Lavinia dalla zona giorno "non puoi mica far finta di niente?!"
"Lo ringrazierò domani, ma senza troppe smancerie …"
Considerò davvero quell'ipotesi ma ci ripensò: non poteva lasciarlo in sospeso così, sarebbe stato come dire che non gliene fregava nulla e invece gliene fregava tanto, forse anche troppo. Sia della rosa che del biglietto, che aveva appoggiato sulla piccola teca trasparente. Rilesse quella frase ancora ed ancora - come se ne avesse avuto bisogno - e se lo immaginò alla finestra, in attesa di un suo messaggio o di una chiamata. Finiscila Maya! Adesso ti stai rendendo ridicola! Non è Edward Cullen e tu non sei Bella Swan, cresci! Era tardi per entrambi per giocare agli eroi romantici e maledetti, la loro data di scadenza per essere protagonisti di un teen drama era passata da un pezzo e bisognava rimanere realistici.
Andò su Whatsapp e digitò qualche parola di ringraziamento. Troppo formale, cancellò subito.
"Maya ho fatto il caffè … vieni a finire la torta e poi mi devi ancora raccontare tutto nei dettagli!" 
Maya alzò gli occhi al cielo. Non voleva la festa a casa della madre e si era ritrovata comunque con sua sorella a farle il terzo grado, ma era il bello di avere una sorella come lei: ogni tanto bisognava sopportare anche quello che non le andava di fare per averla vicina ed essere così unite.
A quel pensiero le venne in mente il modo perfetto per ringraziare Alex, ed inviò in fretta il messaggio per tornare da sua sorella.


Alex era appena rientrato con i ragazzi nella sua nuova casa. Aveva preso in affitto a tempo indeterminato un appartamentino in un residence a Borgo Pio, vicino alla casa di famiglia. I termini della separazione prevedevano che vedesse i figli 3 giorni a settimana, e restassero con lui a dormire week end e festività alternate. Erano riusciti a trovare quest'accordo senza dover far intervenire alcun giudice dopo un lungo tira e molla, con l'impegno da parte di Alex di non spostarli troppo dal loro quartiere quando li avrebbe tenuti lui. Di conseguenza, Alex per il momento si era dovuto accontentare di quella sistemazione di ripiego, anche se estremamente lussuosa, nell'attesa di trovare una sistemazione definitiva. Di questa decisione, Edoardo non era il più fervido sostenitore. Giulia, invece, riusciva per fortuna a trasformare tutto in un gioco.
L'appartamento era moderno e abbastanza spazioso, con un piccolo terrazzo che affacciava sui tetti di una delle zone più antiche della città, ma rimaneva pur sempre un aparthotel: impersonale, neutro, con le lenzuola ruvide stirate dalla lavanderia industriale e i saponi nelle boccette monouso.
Mentre Edoardo si buttò sul divano sciattamente, lasciando il suo borsone in mezzo alla stanza e la giacca sul tavolo, Giulia corse a poggiare il suo trolley di Frozen nella cameretta con i due letti singoli che condivideva con il fratello.
"Ti piace stare con papà?" Alex domandò alla piccola, mentre sistemava i vestiti nell'armadio.
Era da due settimane che Alessandro abitava lì e i figli lo avevano già visitato diverse volte, ma il primo vero weekend che avrebbero passato insieme in quell'appartamento gli metteva ansia addosso. Alex si accertava di continuo che i figli fossero a loro agio, apprensivo per quella situazione in cui li aveva trascinati: non voleva tornare indietro, ma i suoi figli non dovevano pagare per le sue scelte.
La piccola però annuì, tutto sommato contenta "Sembra di stare in vacanza, anche se non c'è il mare e domani mattina vado all'asilo"
"La vogliamo fare una cosa veramente da vacanza?"
"Cosa?"
"Domani mattina invece di fare colazione qui andiamo nella sala dell'albergo dove fanno un grande buffet"
"E ci sono anche i cornetti con la Nutella?" domandò la bambina, sorpresa ed entusiasmata.
"Soprattutto i cornetti con la Nutella!"
Tirando fuori un gridolino così acuto più vicino agli ultrasuoni, la piccola corse a comunicare la notizia a suo fratello che era distratto dallo zapping sulla pay TV. La scacciò via malamente, ma la bambina era uno spirito così positivo che si infervorava con poco ed era difficile farla imbronciare.
"Vai a disfare anche tu il borsone, non aspettare di andare al letto che poi disturbi Giulia" lo ammonì il padre.
Sapeva di doverci andare piano, che era solo un ragazzino in piena fase di ribellione cui era caduta addosso, pesante come un macigno, la separazione dei genitori; ma Edoardo aveva anche bisogno di regole e non avrebbe usato la scusa della situazione familiare per viziarlo: detestava le gare tra genitori separati per accaparrarsi l'affetto dei figli.
"Non la disturberei se avessi una casa normale con una stanza ciascuno" polemizzò, come faceva ogni singola volta che metteva piede in quell'appartamento "ah già … è già troppo se non ci tocca un divano letto"
Quando li aveva portati a vedere l’appartamento la prima volta, Alessandro l'aveva buttata sul ridere con quella battuta, ma Edoardo evidentemente non l'aveva trovata affatto divertente.
"Cos'è una casa normale?" gli domandò, sorvolando sul commento "alla tua età vivevo in una casa normalissima eppure condividevo camera con zia Anna"
"Noi però non siamo pov-"
"AH REGAZZI'!" tuonò suo padre prima che potesse finire la frase, mettendosi davanti alla tv per avere tutta la sua attenzione.
Edoardo sbuffò, battendo il telecomando sul divano, stizzito.
"Forse nonno e nonna non avevano i soldi per un appartamento in centro extralusso o per pagarci la retta in una scuola privata, ma il rispetto e la dignità sono cose i soldi non possono comprare e loro ne avevano a vagonate, cosa che purtroppo non posso dire di te".
"Ma ti senti? Mi rimproveri sempre ma sei tu il primo a rinfacciarmi le cose che mi dai. Magari se mi avessi dato più tempo che denaro forse oggi non saremmo in questa situazione"
Sentire quelle parole fece male ad Alex, perché erano una prova schiacciante della sua colpevolezza. Fisicamente c'era, ma troppo spesso aveva messo al primo posto gli affari, la rivista, gli investitori, persino gli amici al posto dei figli. Forse con Giulia era diverso la piccolina aveva un carattere più espansivo e riusciva ad attirare l'attenzione più facilmente, ma il carattere introverso di Edoardo dava facilmente l'impressione, quando era piccolo, di stare bene così, sempre sulle sue, di non avere bisogno di nulla oltre quello che suo padre gli offriva. E poi era molto legato a sua madre, ma solo ora Alessandro si rendeva conto che quel legame era anche frutto delle sue assenze.
Un'altra cosa attirò la sua attenzione: la voce di suo figlio era cambiata, ispessita, scurita. Agli angoli della bocca stavano spuntando dei primi peli più scuri, avvisaglia dei baffi imminenti. Stava diventando un uomo e c’era mancato poco che non se ne accorgesse.
Preso un lungo respiro e, le labbra serrate e tremanti per trattenere una lacrima che forzava l'uscita e bruciava gli occhi, con calma, Alessandro si andò a sedere al suo fianco.
"È vero … hai ragione sono stato uno stronzo, ma anche i genitori sbagliano e lo sai perché? Perché nessuno ci insegna, per quanti libri possano pubblicare o gli esperti parlare e consigliare. Non ti dirò che non farò più errori perché non è vero. Non è umanamente possibile, ma voglio provarci, se me lo permetti."
"Perché non ci provi anche con mamma?"
“Edo … vedi … lo so che è difficile da accettare, ma quando due adulti ...”
“Oh ma fammi il piacere” lo troncò immediatamente “non vado più all’asilo, ho 15 anni, possiamo parlare da adulti!”
“Vuoi parlare da adulti? Benissimo … beh tra te e mamma c'è una differenza: io e lei non ci amiamo più"
"Non è vero, altrimenti non sarebbe tornata"
"Ma un matrimonio si vive in due"
Era ancora troppo fresca la ferita per il ragazzo, che aveva attivamente provato a salvare il matrimonio dei suoi, e suo padre non avrebbe girato il coltello nella piaga spiegandogli che forse era lontano dalla famiglia perché da tempo aveva smesso di farne parte, ed era per il mantenimento dello status quo che non aveva chiuso i battenti prima, perché alla fin fine conveniva un po' a tutti.
Il ragazzo non disse nulla, rimase in silenzio a rimuginare. Non era sicuro di averlo convinto, ma almeno era un inizio.
Il telefono di Alex, sulla piccola credenza alle loro spalle, vibrò. Lasciò Edoardo rimuginare ancora, scompigliandoli la chioma bionda.
 
"È una follia odiare tutte le rose perché una spina ti ha punto”
Antoine de Saint-Exupéry
Io questa, ad esempio, l'ho apprezzata tantissimo. Grazie.
 
"Maya" Alex si accorse di aver letto ad alta voce il nome del mittente.
Rimase inebetito a rileggere quel messaggio per essere sicuro di non averlo immaginato o sognato. Se non ci fossero stati Edoardo sul divano e Giulia che gli scorrazzava intorno, si sarebbe dato un pizzicotto sul braccio.
Dopo aver fatto l'ordine in un fioraio dell'Eur, per essere sicuro che nessuno di sua conoscenza lo vedesse, era rimasto lì con il pensiero per tutto il tempo, mentre aspettava i ragazzi fuori dalla porta di casa sua o a tavola nella loro pizzeria di fiducia.
Era stato un gesto istintivo, e quasi se ne era pentito, ma ci doveva provare. Quel che è certo, è che non si aspettava mica una risposta del genere. Era pronto a tutto, ad una telefonata indignata, con Maya che gli urlava qualcosa del tipo come ti sei permesso, oppure silenzio di tomba fino al giorno dopo, quando avrebbe trovato l'ufficio vuoto e una lettera di dimissioni. Aveva pensato a tutti gli scenari negativi possibili, e stava elaborando un piano per giustificarsi in ognuno di essi, ma non si era soffermato nemmeno per un momento alla possibilità che lei potesse, in effetti, aver gradito.
Non solo, aveva colto la citazione e aveva risposto con una simile. Era intelligente Maya, lo sapeva eppure si stupiva ancora, dopo tutto il tempo passato insieme. Era un segno - del destino, di Maya stessa forse - che gli dava il permesso di non arrendersi, di portare pazienza e provarci ancora, al momento giusto.
"Hai detto qualcosa?" domandò suo figlio.
"No…niente…cose di lavoro"
Era una porticina che si apriva, che lasciava intravedere uno spiraglio di luce. Non era molto ma per il momento era più che sufficiente.



 

Eccoci alla fine di un nuovo capitolo! Alcune cose iniziano a tornare al loro posto, qualche piccolo passetto avanti viene fatto, ma non è tutto oro quello che luccica, sia ben chiaro...il cuore di Maya anche se più aperto di prima alla possibilità che possa esserci qualcosa, rimane pieno di dubbi che la sua ragione le impone. In questa battaglia cuore/ragione chi l'avrà vinta? Lo scopriremo solo continuando a leggere XD
Un abbraccio e un ringraziamento a tutti i lettori, a chi è sempre presente dei commenti, a chi è un silenzioso passante (mi piacerebbe "leggere" anche una vostra opinione, la speranza è l'ultima a morire) e a chi sta scoprendo la storia ora poco alla volta (magari arriverà a questo capitolo tra un po' ma poco importa).
Alla prossima, 
Fred ^_^

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***






Capitolo 17

 
Era passata una settimana da quella sorta di tregua non scritta sancita tra padre e figlio. Ma Alex restava comunque sul chi vive, conscio che quella pace, nella loro situazione, era una bomba ad orologeria che poteva essere innescata in qualsiasi momento. E quel momento arrivò il pomeriggio di una domenica piovosa e senza granché da poter fare, mentre aiutava i ragazzi a preparare le borse per tornare a casa. Tra una chiacchiera e l'altra, pensando a quanto l'estate sia odiata per il caldo ma il suo ricordo è l'unica cosa che fa sopravvivere durante l'inverno, venne fuori che Alessandro aveva messo in vendita la casa al mare al Circeo.
L'aveva acquistata dopo anni di affitto - nonostante lui fosse di gran lunga più tipo da avventura, da meta diversa ogni anno - per fare contenta Claudia, che adorava il posto e aveva fatto amicizia con i vicini che per lei non era un problema restare da sola con i bambini se lui doveva tornare a Roma per lavoro. Non era cointestata e quindi, ora che non erano più insieme, non sentiva più l'obbligo di tenerla. Tanto più che non era esattamente un luogo di cui conservava un bel ricordo, visto quanto accaduto.
Edoardo, manco a dirlo, era di un altro avviso. Ne era seguita una discussione accesa, su come non avesse fatto neanche il minimo sforzo per provare a tenere unita la loro famiglia e aveva preteso di tornare a casa prima dell'orario previsto, giurando di non voler avere più nulla a che fare con il padre. Gli sarebbe passata prima o poi, bisognava dargli tempo, Alessandro lo capiva benissimo, ma era difficile quando ad assistere a queste scenate era anche la piccola Giulia.

"Claudia non puoi viziarlo così!"
La mattina successiva, mentre si recava a lavoro, in auto ricevette una telefonata dalla sua ex moglie, che lo informava che Edoardo non sarebbe andato a scuola, che dopo quello che era successo si era messo a letto con un forte mal di pancia e non voleva saperne di alzarsi.
"Guarda che sta davvero male!" l'avvertì da donna "Non bisogna sottovalutare i sintomi psicosomatici"
"Lo so"
Alessandro tirò fuori un lungo sospiro, abbattuto. Era colpa sua, era evidente, ma era umano, aveva i suoi limiti e non poteva controllare tutto.
"Ma dico io" lo rimproverò Claudia "c'era bisogno di vendere la casa così in fretta? Lo sai che Edoardo è affezionato, c'è quasi nato in quella casa"
In effetti, quell'affermazione di sua moglie si avvicinava molto alla realtà. Arrivato con due settimane d'anticipo, in piena estate, erano stati costretti a correre all'ospedale di Terracina perché non avrebbero mai fatto in tempo a rientrare a Roma. Gli veniva ancora da ridere al ricordo dei suoi genitori che arrivarono da Roma con tutto il necessario in fretta e furia, suo padre tronfio nel veder nascere il nipote in un ospedale pubblico anziché nella clinica privata che Claudia aveva scelto.
"Adesso o tra due mesi non faceva differenza" tagliò corto lui "e poi ho un'acquirente disposto a pagare subito e bene e a me quei soldi servono"
Sembrava strano da dire, ma la separazione e quanto ne conseguiva stavano mettendo a dura prova anche le casse di Alessandro. Non da finire sul lastrico, ma pagare per una casa dove non si vive, il mantenimento per Claudia, l'assegno per i figli e l'affitto del residence erano un bel cambiamento persino per le sue finanze.
"Beh non è colpa nostra" gli ricordò Claudia "hai scelto tu di andare via"
Se Claudia sperava di colpirlo con quelle stoccate, aveva proprio sbagliato bersaglio. Alessandro non era tipo da cadere di fronte a certe provocazioni e trucchetti.
"Non mi freghi" le disse, entrando nel parcheggio della redazione, ridendo nervosamente.
Preso dalla conversazione, mancò poco che prendesse la sbarra dell'ingresso, dimenticando totalmente di ridurre la velocità.
"Io avrò le mie colpe, non lo metto in dubbio ma sei tu che te ne sei andata di casa"
"Io sono tornata però …" gli ricordò la donna.
"Ancora con questa storia, Claudia! E basta!"
Era stanco di litigare con lei sempre sugli stessi argomenti, senza una via d'uscita. Era un botta e risposta sempre uguale e non riusciva a credere che Claudia non ne fosse altrettanto snervata.
Arrivato nel parcheggio riservato alla sua auto iniziò le manovre necessarie
"Guarda se preferisci posso dirti grazie, se vuoi. Non ci metto niente" rimbeccò, sarcastico "Grazie per avermi aperto gli occhi!"
Lo disse con un tono ironico, ma in fin dei conti non c'era poi tanto da ridere: se lei non fosse andata via, lui non si sarebbe mai reso conto che stava meglio senza di lei, che il loro matrimonio era finito da un pezzo ed era solo da ipocriti andare avanti.
La sua fredda ironia colpiva sempre la donna, che riusciva ad essere severa, ma mai cinica e distaccata come Alessandro ed interruppe la chiamata, imprecando nei confronti del marito.
"Sì sì chiudimi pure il telefono in faccia … questo è quello che succede quando non si hanno a-"
BOOM!
Nel bel mezzo della retromarcia, tra un'ingiuria e l'altra, Alex non si accorse, nonostante la telecamera posteriore e i sensori di parcheggio, di aver ecceduto con la velocità e di essersi avvicinato troppo all'auto parcheggiata nella piazzola posteriore, prendendola in pieno.
"Cazzo!"
Scese dall'auto per dare uno sguardo. La sua BMW tutto sommato se l'era cavata con la carrozzeria un po' rientrata e da riverniciare. L’altra auto, una Smart, aveva avuto la peggio: il muso era completamente accartocciato e il fanale destro a terra in mille pezzi. Era compatta e praticissima, perfetta per una città come Roma in costante surplus di auto rispetto ai parcheggi, ma - lo aveva sempre sostenuto - pericolosissima. La sua berlina non era un carrarmato eppure con un po' di velocità in più l'aveva distrutta.
Fece un attimo mente locale e si rese conto: era l’auto di Maya.
"Ma porca di quella puttana!"
Non sapeva nemmeno lui contro chi stava inveendo ma era una di quelle occasioni in cui il turpiloquio aiuta a sfogarsi. Il custode del parcheggio si avvicinò, avendo evidentemente sentito il botto.
"Ah dotto’?! E ch'è successo?"
"Niente niente"
"Devo chiamare sopra? Faccio scenne' la signorina Alberici?" domandò, notando che aveva preso in pieno l'auto di Maya.
Alex gli disse di non preoccuparsi, che avrebbe pensato a tutto lui: l'ultima cosa che voleva era avere un pubblico pagante ad assistere a quella colossale figura di merda che stava per fare con Maya. Fece un grosso respiro per darsi una calmata, prese la cartella dalla sua berlina e andò a prendere l'ascensore.
"Alice chiama questo numero e passamelo in ufficio per favore" disse, appena entrato in redazione, copiando su un post-it preso dalla consolle di Alice un numero che aveva sul suo telefono.
Neanche il tempo di un buongiorno da parte della receptionist e corse via. La ragazza si domandò perché non lo chiedesse a Maya, ma sapeva bene che, quando entrava così, era meglio porre meno domande possibili.
"Buongiorno Alex"
Maya, già operativa nella sua postazione, si alzò come d'abitudine per seguirlo nel suo ufficio e fare un rapido briefing prima di lasciarlo al suo caffè e ai suoi giornali. Lo aveva sentito arrivare non appena aveva girato l'angolo nel corridoio, la voce squillante di comandi, i suoi mocassini che picchiettavano più rumorosi del solito sul pavimento neanche fossero delle stiletto. Appena i loro sguardi si incrociarono, l'espressione dell'uomo cambiò immediatamente: da tesa e corrucciata a mortificata, tenera quasi.
"Vieni con me Maya, per cortesia" la invitò, garbato.
La ragazza non se lo fece ripetere due volte, ma quel cambio repentino e il tono di voce la spaventarono. Per quanto entrambi si imponessero di mantenere le distanze e di restare formali, difficilmente ci riuscivano davvero, finivano sempre per essere molto easy: quella formalità, in quel momento, suonava come una nota stonata.
Arrivato alla scrivania, l'uomo scansò caffè e giornali: secondo cattivo anzi no, pessimo presagio. Non rifiutava mai il suo caffè. Maya fece per prendere la tazzina, ma Alessandro la fermò, pregandola di sedere.
"Che succede?"
La sua domanda fu interrotta dalla linea fissa che squillava.
"Sì? Sì, Alice passamelo … Franco?! Ciao sono Alessandro! Sì sì tutto bene grazie. Senti…" si fermò un attimo, prendendo un respiro per raccogliere le idee. Del resto Maya era di fronte a lui e non voleva allarmarla più di quanto necessario "c'è stato un piccolo sinistro nel parcheggio della redazione. Potete occuparvene voi? … Sì, Grattacielo Italia su piazza Marconi, EUR … Assolutamente sì! … Perfetto! Ci vediamo più tardi allora. Grazie ancora"
Maya rimase in ascolto, per cercare di capire cosa fosse successo. Aveva incidentato l'auto. Alex. Era salita in macchina con lui poche volte e una volta sola in moto, ma le sembrava un pilota provetto. Doveva essere in corso una congiunzione astrale particolarmente negativa.
"Un piccolo sinistro?!" gli domandò, vagamente sarcastica per cercare di stemperare la situazione.
Se lo conosceva anche solo un po' non era nero, di più, e difficilmente avrebbe pensato ad altro tutto il giorno.
"Senti … qui penso a tutto io, oggi non hai grandi appuntamenti e posso rivedere la tua agenda se hai bisogno di occuparti dell'auto"
"Ehm no, grazie"
Ecco, quella era una novità. Forse la sua vita privata sottosopra aveva rimesso diverse cose in prospettiva, anche la storica priorità per il suo parco auto.
"Non è per la mia auto"
"Ah no?!"
"No ... Dio Maya, sono mortificato!"
Se Maya non fosse stata seduta, in quel momento sarebbe crollata. Per un attimo, vide tutto nero. La prima cosa che ricordò dopo quel blackout repentino fu Alex di fianco a lei che le porgeva un bicchiere d'acqua e lei che lo scacciava.
"Maya non so come sia potuto succedere, quel parcheggio lo faccio a memoria, non uso neanche il parcheggiatore automatico!"
"... ECCHECCAZZO ALEX PEROOÒ!!"
Maya sbottò all'improvviso, spalancando le braccia, rendendosi solo in un secondo momento di star parlando con il suo capo e non con suo fratello. "Oddio scusa!" esclamò lei, la mano davanti alla bocca, imbarazzata da quell'uscita alquanto fuori luogo.
"Ma no hai ragione, figurati!" ridacchiò Alex, sollevato che Maya almeno stesse dando segnali di vita: era convinto, del resto, che alla notizia sarebbe svenuta "Mi merito anche di peggio! Comunque non ti preoccupare, ho chiamato un carrozziere di mia conoscenza. È il migliore e poi è di Testaccio … ce l'hai vicino casa"
"Grazie" Magra consolazione.
Maya non era affezionata alla sua auto, era solo un mezzo per spostarsi più velocemente e senza vincoli di orari in giro per la città, ma proprio per questo non poteva farne a meno. In più, dopo il trasloco e le spese per il mobilio, quella era l'ennesima tegola al suo conto in banca il cui rosso era da poco tornato ad assumere una colorazione più vicina al giallo.
Scesero nel garage per lasciare tutti i dati e le chiavi delle auto al soccorso stradale. Il titolare della ditta, con cui Alex aveva parlato al telefono, era andato di persona. Maya sapeva perfettamente quanto abile e versatile Alex fosse nel destreggiarsi con la gente, ma era sempre sbalorditiva per lei la sua capacità di essere a suo agio tanto un ricco imprenditore quanto un umile operaio.
"Io e Franco ci conosciamo da una vita" le disse l'uomo, notando il suo stupore "da ragazzo lavoricchiavo in officina con lui e suo padre per comprare il primo motorino"
Pur nella concitazione e nell'agitazione del momento, quel pensiero la rincuorò. Più lo conosceva e più si accorgeva di quanto normale e semplice fosse l'uomo dietro il professionista. Qualcuno avrebbe detto che aveva avuto solo fortuna, ma la fortuna ride agli audaci, a chi lavora sodo e per lui era stato esattamente così.
"È sempre stato un patito per i motori e la velocità" spiegò l'uomo, portando a fatica il braccio attorno alle spalle di Alex a causa della differenza di altezza, tirandogli una pacca leggera sul petto, caloroso "ma dimme 'n po' … a quant’annavi? Stai dentro a 'n parcheggio, mica a Vallelunga!"
"Lascia perde … avevo mia moglie al telefono"
Eccallà … chissà perché Maya aveva una pulce nell'orecchio che le diceva che c'entrava Claudia. Stronza. Strega. Malefica. Cessa. Se il suo cervello e il suo istinto l'avevano ribattezzata così, La Stronza - e il suo cervello e il suo istinto raramente sbagliavano - un motivo c'era. Chissà cosa gli aveva detto per renderlo nervoso a tal punto. Inoltre Maya non poteva fare a meno di notare che l'avesse chiamata moglie: forse era solo per abitudine, per tagliare corto di fronte ad un conoscente che non era aggiornato sulla sua storia familiare, ma lei che ne sapeva di più si stranì comunque.
"Eeeh io lo dico sempre. In auto accendi la radio e spegni socera e moje!!!" i due risero, complici.
Maya avrebbe avuto qualcosa da ridire a riguardo, ma finché si parlava della Stronza non avrebbe fatto obiezioni.
"Dò un'occhiata alle macchine in giornata" continuò il carrozziere "passate in officina questa sera e vi saprò dire di più"
"Qualche anticipazione sulla Smart?" domandò Maya, intimorita.
Non era il suo campo, ma si vedeva ad occhio nudo che la sua auto non era messa affatto bene.
"Non è tanto il lavoro in sé" disse l'uomo "è che devo vedere se ho i pezzi di ricambio o devo mandarli a prendere. Nun me piace sbilanciamme … comunque stasera ne parliamo co' calma, va bene?!"
Maya annuì, stringendo tra le mani, strette come la copertina di Linus, tutte le cose che aveva nel vano portaoggetti e aveva dovuto levare.
"Tutto ok?!" domandò premuroso Alex, mentre guardavano le auto che venivano portate via.
"Insomma … mi hai appena sfasciato l'auto!"
L'uomo si sentì osservato con una naturalezza che non percepiva da un po', come se l'incidente avesse esposto a tal punto Maya da far cadere ogni barriera emotiva che continuava ad imporsi. La sentiva più vicina e la cosa gli scaldò il cuore per un attimo.
"Naturalmente è tutto a mie spese … manco a dirlo!"
"Grazie … ma non è per quello, ci mancherebbe"
Era suo dovere, certo, visto che aveva causato l'incidente, ma era comunque un sollievo sapere che se ne sarebbe occupato lui.

Come volevasi dimostrare, l'auto di Maya sarebbe rimasta ferma per qualche giorno in carrozzeria. Avevano dovuto ordinare un fanale nuovo e poi andavano risistemati e riverniciati paraurti e cofano. L'auto di Alex, invece sarebbe stata pronta l'indomani, già ci stavano lavorando su. Ovviamente
"Non si possono accorciare i tempi per la Smart?" domandò Alex, insistente.
Si vedeva che era un uomo d'affari, nemmeno con un amico di gioventù riusciva a trattenersi. Chiusi nell'ufficio dell'officina, Maya se ne stava seduta alla scrivania, composta e attenta - più che altro perché non capiva niente di auto; Alessandro stava in piedi, con fare di chi sa il fatto suo e pretende che le cose siano fatte come vuole lui.
"Alessa', credimi, già così te sto a fa' un trattamento da amico, veramente!" scosse la testa l'uomo, mostrandogli sul computer l'ordine che aveva fatto del fanale da sostituire "appena m'arriva er pezzo te faccio l'auto, giuro, ma almeno 'na settimana me la devi da'"
"Almeno un'auto sostitutiva ce l'hai? La signorina ci lavora…"
"E che noi stiamo in vacanza qua?" rimbeccò l'uomo.
Maya rise di nascosto, torti non ne aveva.
"Aspetta che controllo … guarda, le nostre sono tutte fuori in questo momento, ma possiamo noleggiarne una"
"No, va bene così grazie" si affrettò a chiudere Maya.
"No no, la prendiamo, tutto a mie spese ovviamente"
"Ma non se ne parla nemmeno, già ti stai accollando tutto"
"L'assicurazione, non io …"
"Sì, va beh, ma non è quello che volevo dire. Hai già fatto tanto"
Anche solo averla accompagnata dal carrozziere in taxi, essere rimasto lì con lei a spiegarle come sarebbero intervenuti non era una cosa banale. Lei di auto non capiva nulla e al massimo poteva chiamare Ruggero - che forse ne capiva meno di lei - oppure il compagno di Olivia, ma non erano così in confidenza. Lui l'aveva fatto senza pensarci, non perché era Maya, per fare colpo o altro: semplicemente perché era la cosa giusta da fare. Ma non poteva negare che poterle essere d'aiuto e starle vicino gli desse una bella sensazione. Nonostante tutto, si sentiva di un umore migliore rispetto a quando era arrivato al lavoro quel mattino, con Claudia che rimbrottava nel vivavoce dell'auto.
Espletate tutte le pratiche burocratiche e presi tutti gli accordi con l'officina i due si avviarono a piedi verso il Lungotevere. Alex avrebbe riaccompagnato Maya a casa e il taxi che aveva chiamato lo avrebbe aspettato lì. Maya strinse più che poteva la cinta del suo cappotto a vestaglia color cammello, ma non sapeva dire se fosse d'improvviso calata la temperatura, oppure se l'impaccio di camminare al fianco di Alex le provocasse brividi lungo la schiena. Alex, dal canto suo, se ne stava tranquillo, le mani in tasca nella giacca invernale e guardava, alto e fiero, davanti a sé e tutto intorno: era da tanto che non gli capitava di passeggiare per quello che considerava ancora il suo quartiere e cercò di assorbire tutte le novità che captava, come un nuovo negozietto etnico o l'ennesimo bistrot bio-vegan.
"Mi dispiace per tutto questo casino, lo so che non è un buon momento per restare anche senz'auto."
"Tranquillo, ci sono cose peggiori, l'auto si riaggiusta … soprattutto se non pago io" ironizzò lei, facendogli l'occhiolino.
Lui la osservò per un istante, ricambiando il suo sorriso. Camminare vicini per strada era normale e strano allo stesso tempo, stavano bene l'uno affianco all'altro eppure si mantenevano a distanza di sicurezza, come se una scarica di corrente scorresse tra di loro, attraendoli e dando loro la scossa, tutto insieme. Dal compleanno di Maya le cose si era fatte più complicate eppure più semplici: implicitamente, senza dirlo ad alta voce, avevano ammesso che dal bacio non era cambiato niente, che quello che avevano provato quella sera - qualunque cosa fosse - era ancora lì, intatto, anche se entrambi erano ancora timorosi nel dimostrarlo; Maya, in particolare, non solo faticava ad ammetterlo, ancora, ma lottava con tutte le sue forze per scacciarlo.
"Adesso me lo dici cosa è successo?"
"Te l'ho già spiegato."
"Non voglio sapere come è successo, lo hai già ripetuto 3 volte: a me, al tizio dell'officina e all'impiegata dell'assicurazione"
"Stavo parlando al telefono con Claudia …" e dire che stavano parlando era essere generosi "… mio figlio ha ufficialmente deciso di cancellarmi, come si usa tra gli adolescenti oggi"
"Mi dispiace"
"Naaah, al massimo un paio di settimane e gli passa, anche se questa situazione è pesante alla lunga. Tutto per una cavolo di casa al mare"
Come quella volta al sushi bar, era un fiume in piena. Lei aveva semplicemente dovuto dargli il la, lui aveva fatto il resto. Come sempre, lei lo lasciò parlare, comprendendo che non era una normale conversazione, non le stava raccontando i fatti di casa sua: aveva solo bisogno di sfogarsi.
"E poi naturalmente c'è mia sorella" concluse "che invece di supportare me ha deciso di diventare improvvisamente amicona di mia moglie contro di me, loro che a mia memoria a malapena si parlavano quando c'era da fare qualche regalo nelle ricorrenze di famiglia"
"Posso dirlo?"
"Cosa?"
"Bella famiglia di me-" "-rda" concluse lui per lei "per fortuna non sono tutti così. È mia sorella che è sempre stata un po' invidiosa."
"Non potrei neanche immaginare di avere una sorella gelosa. Io e mia sorella siamo diversissime, questo sì, e ce le diciamo di santa ragione quando litighiamo, ma non oseremmo mai andare l'una contro l'altra. E lo stesso vale per mio fratello"
Lorenzo, suo fratello, non è molto legato alle sorella come Maya e Lavinia lo erano tra di loro, era andato via di casa e da Roma presto, ma non Maya non ce lo vedeva a fare una cosa simile.
"Sono contento per voi …" le disse, sorridendo malinconico.
Lui non era stato così fortunato, eppure non aveva mai fatto nulla contro sua sorella. A parte, forse, vivere la sua vita e la sua carriera senza intoppi. Forse questa battuta d'arresto nel privato era una rivincita per Anna che non aveva trovato la strada altrettanto spianata dal destino.
"Scusa, non avrei dovuto"
Lei e i suoi fratelli non avevano un rapporto così ideale come sembrava dal di fuori, e temeva di avergli sbattuto in faccia, vantandosi, qualcosa che lui non aveva, ma nemmeno lei.
"Cosa? Dirmi che hai un bel rapporto con i tuoi fratelli? E perché mai?!"
"E comunque non siamo la famiglia perfetta" chiarì Maya.
"Non credo ne esistano ed è giusto così"
Alex era una persona pratica. Non credeva nei rapporti - d'affetto, d'amicizia o d'amore non faceva differenza - eterni ed incondizionati ma nella capacità di sapersi adattare o meno ai cambiamenti dell'altro, e questa era un'abilità per pochi eletti, come i suoi genitori per esempio, soprattutto nel ventunesimo secolo. Ci si poteva innamorare, desiderare e avere bisogno di stare con una persona, ma non c'era niente di male ad avere una data di scadenza: non impedisce di vivere con intensità il rapporto e si chiude senza rancori. Per lui era molto meglio di relazioni o amicizie tossiche trascinate a forza e con sofferenza per tutti. Ed era per questo che disapprovava le tirate di Claudia, le scenate di suo figlio e le ripicche di Anna.
"Siamo arrivati" gli fece notare Maya, fermandosi davanti al cancello d'ingresso del suo palazzo "ti inviterei a prendere qualcosa da bere ma non ho nulla a parte l'acqua del rubinetto."
"Neanche un gingerino"
"Ebbene no…non ricevo più tante visite come ai Parioli, ma va bene così"
In verità, nemmeno ai Parioli riceveva poi così tante visite, ma le piaceva così tanto farlo credere agli altri che aveva finito per crederci lei stessa.
"Non ti preoccupare, tanto il mio taxi è arrivato" le disse, indicando un'auto bianca che si avvicinava. "Allora a domani …" "Ah…a proposito … passo a prenderti io. Non mi hai fatto noleggiare l'auto di cortesia ma permettimi di accompagnarti"
"Ma neanche per sogno! Sarei troppo d'incomodo"
Alex le ricordò che l'indomani sarebbe dovuto passare comunque a Testaccio per ritirare la sua auto dal carrozziere e che non era una così grande deviazione rispetto al tragitto abituale.
"Sul serio Alex, non posso accettare. Prendo la metro, è comodissima!"
"Maya Alberici che prende la metro. Perdonami ma non ti ci vedo proprio. Guarda che una promessa è una promessa … niente secondi fini"
L'aveva buttata lì con disinvoltura, come sapesse che Maya stava pensando proprio alla loro conversazione al rientro dalle ferie di Natale. Magari non c'erano secondi fini da parte sua, ma era comunque un modo per creare situazioni pericolose, ormai Maya conosceva abbastanza sé stessa ed Alex per non poterlo prevedere e prevenire. Quanto ad Alex, non poteva negare che si trattava di un'occasione ghiotta, ma conosceva bene i termini del loro accordo, per quanto le loro carte erano state scoperte di recente, e non lo avrebbe infranto, soprattutto perché - e su questo Maya aveva ragione, doveva lavorare ancora tanto su sé stesso.
Il taxi accostò sul ciglio della strada. Alex gli chiese di aspettare qualche secondo, facendo partire il tassametro.
"Pensaci, verresti insieme a me a lavoro…il che significa arrivare più tardi e andare via prima" ammiccò "per me ti conviene"
"Se la metti così però …"
Alex sorrise sornione, aprendo la portiera del taxi "Ci vediamo domani mattina alle 9. E vedi di farti trovare pronta … se non ci sei faccio come gli autobus, me ne vado"
"Se sei come gli autobus di Roma sono io a dovermi preoccupare. Di solito quelli neanche partono"


 

Nuovo venerdì, nuovo appuntamento. Tra capo e assistente le cose sembrano tornate normali, l'imbarazzo del post bacio svanito e persino quel compromesso - anche se viene tirato in ballo - sembra non avere poi più così valore. Adesso Alex la scorrazzerà anche in giro per Roma...direi che le premesse ci sono tutte per rovinare ogni buon proposito di rimanere ciascuno al proprio posto. Voi che ne dite?
Vorrei anche chiedere scusa a tutti i romani e le romane che stanno leggendo la storia per come sto storpiando il romanesco in queste pagine, spero vorrete perdonarmi. Un abbraccio e un grazie a tutti quelli che seguono e lasciano commenti (ma anche ai timidoni che la leggono solamente). Al prossimo appuntamento,
Fred ^_^
 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***






Capitolo 18
 



Andare al lavoro insieme era stato più facile di quanto Maya credesse. Alessandro aveva mantenuto le distanze, dimostrandosi distaccato e professionale. Appena Maya si accomodava in auto, lui dopo un veloce buongiorno attaccava con il briefing che di solito doveva aspettare la fine del suo caffè e della lettura dei giornali.
Lei non poteva saperlo, ma al contrario di lei Alessandro stava facendo una fatica immane a restare concentrato alla guida e parlare di lavoro era l'unico modo: da un lato, guardare dritto davanti a lui, sulla strada, gli evitava di buttare uno sguardo alle gambe della giovane che, sebbene indossasse i pantaloni, erano sempre fasciate da modelli particolarmente aderenti; dall'altro era stato costretto a lasciare uno spiraglio del finestrino abbassato, memore di quel profumo così intenso, per poter prendere aria fresca ed evitare di venirne stordito.
Arrivare in ufficio, dunque, era per lui talmente un sollievo, che gli sguardi indiscreti gli passavano totalmente inosservati. Non importava che la storia dell'incidente fosse di dominio pubblico, che tutti ne avevano riso per una giornata intera: vedere Maya arrivare e andare via con lui aveva monopolizzato l'attenzione rispetto a tutti gli altri pettegolezzi di redazione. C'era chi non ci vedeva nulla di male, chi gridava allo scandalo, chi cadeva dalle nuvole, chi diceva che ormai era una storia vecchia che si sapeva già da un po': ognuno dava la sua opinione e la sua versione dei fatti senza sapere nulla, ovviamente.
C'era chi, invece, era elettrizzato come un bambino la mattina di Natale e, invece di affidarsi al solito gossip, tentava di procurarsi le notizie giuste direttamente dalla fonte, come i migliori giornalisti di cronaca. Alice, al terzo giorno di questo andirivieni sospetto, decise di passare all'azione e prendere Maya di petto.
Durante la pausa pranzo, decise di seguire Maya in un localino vicino all'ufficio e, dopo la lunga fila al banco del self service, andò a sedersi al suo tavolo, senza essere invitata. Maya, concentrata sul catalogo di Shein, per poco non ribaltò il suo risotto ai funghi quando la collega picchiò rumorosamente il vassoio sul tavolo per attirare la sua attenzione.
"Cosa mi sono persa?" domandò Alice, dal nulla, sedendole di fronte.
"Dio, Alice mi hai fatto prendere un colpo! Ma ti sembra il modo?!"esclamò Maya, una mano sul petto per cercare di riprendersi "E poi cosa ti sei persa? Che ne so"
Non diceva per finta, davvero non seguiva il filo del discorso della collega.
"Uno non si può ammalare per un paio di giorni che qui si ribalta tutta la situazione" disse Alice, con Maya che la guardava sempre più perplessa. "Ti sei salvata ieri" continuò "che eravate tutti agitati e sembravate delle trottole in ufficio. Ma oggi non scappi."
La ragazza era riuscita con un po' di fortuna a braccare quasi letteralmente Maya grazie al tavolino addossato alla vetrata del locale da un lato e la shopper enorme che aveva adagiato nel piccolo passaggio tra i tavolini, l'unica via di uscita in quella saletta da pranzo riempita fino all'orlo per soddisfare quanta più gente possibile.
"Che vuoi?"
Maya si arrese, sbuffando, insofferente, sapendo di non avere tanta scelta. Poteva scappare, ma Alice l'avrebbe seguita fino a casa se necessario.
"Vorrei capire perché la mattina arrivi con lui e a sera andate via sempre insieme - e un uccellino mi ha detto che succede da qualche giorno. Dico: cosa mi sono persa?"
"Non ti sei persa niente … perché il giorno che Alex ha deciso di salire sulla mia auto con la sua stile sfasciacarrozze c'eri"
"E quindi?"
"Quindi si è offerto di farmi da autista per tutto il tempo che la mia auto sarà in riparazione"
Erano passati già tre giorni dall'incidente, notizie non ne aveva ricevute e con il weekend alle porte era realistico pensare che la situazione non sarebbe cambiata prima del martedì successivo.
"Oddio che cosa bellissima!" squittì Alice, esultante di gioia. Sembrava un personaggio dei manga giapponesi con gli occhi a cuore e le mani sulle guance arrossite per l'emozione "I miei Albelli!!!"
"I miei cosa?"
"Albelli. Alberici più Bonelli" spiegò Alice.
Maya la guardò con gli sgranati, sotto shock. Tra le due, avrebbe dovuto essere lei quella a dover arrossire e magari anche a sotterrarsi per la vergogna e invece doveva mantenere contegno anche per la collega.
"Dai smettila! Ti rendi ridicola" la rimproverò, però riusciva davvero a stento a rimanere seria anche lei. Ma non per divertimento: il fatto che qualcuno avesse fondato una specie di fan club era ben oltre il limite del surreale.
Ad Alice, ovviamente, non importava un fico secco di rendersi ridicola - diceva a tutti di essersi giocata la reputazione quando aveva partecipato al suo primo Lucca Comics, ma Maya non aveva mai indagato - e, appoggiandosi con i gomiti al tavolino quadrato, la squadrava inquisitoria, sporgendosi verso di lei come fosse un interrogatorio.
"Tu mi nascondi qualcosa … sono settimane ormai che sei strana. Praticamente dalla fine delle vacanze di Natale. E ora siamo a febbraio. Cosa è successo a casa di Alex?"
"È inutile che mi guardi così, non è successo proprio niente."
Non stava dicendo una bugia. Era la verità: non era successo proprio niente … a casa di Alex.
"Senti, lo so cosa pensi di me … che io sono la tipica nerd ingenuotta, ma per queste cose ho un radar. E tu non me la racconti giusta, signorina."
Maya sospirò, sconfitta. Ad Alice scappò un piccolo grido, strozzato tra le mani che Maya le aveva precipitato davanti alla bocca per non farsi sentire da nessuno, visto che tra la folla c'erano anche altri impiegati della redazione.
Tuttavia, la ragazza non riuscì a non lasciarsi andare un sorrisetto, nascosto cautamente dal tovagliolo, perché per quanto si sforzasse, non riusciva a non lasciarsi rapire dal ricordo di quel momento. Era stato così intenso, così diverso da tutti gli altri, che non riusciva a scacciare il ricordo di quel bacio.
"Mi ha baciata"
"E tu hai baciato lui, Maya, non dire bugie che la tua faccia non mente"
"Che differenza fa?"
"Tutta la differenza del mondo…"
Purtroppo, anche se non voleva ammetterlo, Alice aveva ragione. Si era convinta di averlo respinto ma prima che lo mandasse via aveva partecipato a quel bacio mettendocisi d'impegno.
"E ora quindi state uscendo insieme…fate coppia…?"
"Ma come ti vengono in mente certe cose, ovvio che no"
"Guarda che non devi avere paura di dirmi che state insieme. Giuro che sarò una tomba. E poi se ci pensi avere qualcuno che sa la verità e vi aiuta a mantenere il segreto è molto meglio per voi. Voglio dire … con tutta la sua situazione familiare deve essere un bel casino ed è normale se volete un po' di privacy finché …"
"Frena frena frena" la bloccò Maya, quasi fisicamente.
Alice non si era fatta un film in mente, ma un'intera trilogia con tanto di contenuti extra. Qualcuno le avrebbe dovuto consigliare un corso di sceneggiatura, perché aveva talento, questo doveva riconoscerglielo. Maya si ricompose, assumendo un atteggiamento serio di chi vuole portare la conversazione su lidi più sicuri e favorevoli.
"Non stiamo insieme, non stiamo uscendo e non c'è niente in corso … niente di niente. Mi dispiace se ti abbiamo delusa" aggiunse, vedendo lo sguardo della ragazza passare da speranzoso a scoraggiato "ma i tuoi resteranno per sempre dei film mentali"
"Non ti credo"
"Cosa?"
"Lo dici solo perché non ti fidi di me…e forse veramente non c'è nulla in questo momento, ma se ti ha baciata e tu non gli hai mollato un ceffone direi che è solo questione di tempo. È comprensibile, del resto fino a poco tempo fa lui era un uomo sposato … non rispondi più, eh? Allora vedi che ho ragione?!"
"Non rispondo perché non devo rendere conto a te. Non ti offendere, ma sei una collega, non l'amica di scuola con cui fare pigiama party e raccontarsi delle cottarelle mentre si spazzolano i capelli"
No, non era la sua migliore amica. Fuori dall'orario di lavoro non condividevano nulla: al massimo le cene aziendali e raramente qualche festa di compleanno o pensionamento. Che si fosse accorta di cosa stava succedendo non la stupiva, in fondo era risaputo che fosse la più pettegola della redazione e tutti i gossip passavano per il bancone della reception. Eppure aveva centrato in pieno la questione; come Lavinia prima di lei, ora un'estranea a tutti gli effetti, le ripeteva cose che lei continuava a negare a sé stessa: non poteva dire di essere stata colta alla sprovvista perché lui l'aveva presa per mano, c'era stato tutto il tempo per rendersi conto che stava per succedere e invece di respingerlo aveva lasciato semplicemente che accadesse.
"Onesto … lo prenderò come un sì a mezza bocca" sorrise furbescamente Alice, tuffandosi nel suo piatto di penne all'arrabbiata, soddisfatta comunque dalla risposta che aveva ottenuto.
Rimaneva della sua idea - e probabilmente lo sarebbe rimasta anche se Maya avesse continuato a negare o le avesse portato prove per giustificarsi - ed era sempre convinta che quei due avessero bisogno di una spintarella. Bisognava solo trovare l'occasione giusta.


Terminato il pranzo le due tornarono insieme a lavoro. Neanche il tempo di mettere piede in ufficio e Maya si sentì chiamare da una vocina acuta e cristallina.
"Mayaaaaaa!!!" la giovane si voltò e vide la piccola Giulia correrle incontro a braccia aperte, il padre poco dietro di lei.
"Ciao Puffetta!!!" la salutò, tirandola su dopo che la bambina le era saltata praticamente addosso, placcandola alle ginocchia.
"Puffetta?" indagò Alice che le era rimasta a fianco: una scena del genere non se la sarebbe persa per nulla al mondo.
"Lo ha inventato Maya" disse la bambina orgogliosa dell'invenzione della sua amica grande, come l'aveva ribattezzata "perché ho i capelli biondi come Puffetta"
"Adesso anche i nomignoli alla figlia del capo diamo, eh? Meno male che non c'era nulla" commentò sottovoce, per non farsi sentire da Alex che era a pochi passi da loro.
"Alice" intervenne Maya, a mezza bocca "eclissati"
La giovane receptionist se ne andò nell'area relax, proclamando ad alta voce, esagerando volutamente, che sarebbe andata a prendere un caffè prima di rimettersi a lavoro, mentre superava Alex. Una volta alle spalle dell'uomo, si lasciò andare a qualche smorfia che Maya non comprese a pieno, ma nei labiali intuì esserci dei oh mio Dio o cose simili.
"Ti abbiamo cercato dappertutto" disse la piccolina, con un'espressione grave, quasi da adulta. A Maya divertiva tantissimo quel suo modo di fare quasi da boss baby, con quella leggera pronuncia blesa delle s e delle r, un vocabolario da bimba dell'asilo ma modi da quindicenne, tipico dei fratelli minori. Un'adorabile peperina che, forte della presenza del suo papà, si sentiva altrettanto risoluta e sicura di sé, nonostante non fosse un'assidua frequentatrice di quegli uffici.
"Già … Puffetta voleva salutarti ma in sala relax non c'eri"
"Sono andata a pranzo fuori … scusa avrei dovuto avvertire"
"Ma ci mancherebbe altro … è la tua pausa pranzo, puoi fare quello che vuoi. Scusaci tu" ribadì Alex, in imbarazzo.
"E tu" domandò Maya alla bambina, per trarlo d'impaccio "non dovresti essere all'asilo?"
La bimba scosse la testa "L'allarme si è rotto!"
Alessandro le spiegò che c'era stato un guasto al sistema antincendio e per questioni di sicurezza avevano mandato a casa tutti i bambini.
"Ma Claudia aveva da fare e i miei pure, Edoardo è a tennis e quindi visto che una baby sitter non si trova con così poco preavviso eccoci qua"
"Eccoci qua" ripeté la bambina. "Ma … ma oggi …" Alex fece cenno a Maya di fermarsi
"Puffetta, vai a prendere una merendina alla macchinetta" disse alla figlia, prendendo la chiavetta del distributore dalla tasca del pantalone, mentre Maya la faceva scendere "è nella stanza con i tavolini dove siamo andati prima, ti fai aiutare dalla signorina Alice. E dille grazie"
"Ma oggi pomeriggio non viene Eleanor Reale?"
Dopo la proposta fatta la sera del gala, grazie anche all'intuizione di Maya, Bonelli era riuscito a trovare un accordo per una serie di articoli sugli attori seguiti dalla PR meglio nota come The Queen. Quel pomeriggio si sarebbero incontrati per definire i dettagli.
"Sì lo so…ma non potevo dire di no a Claudia, che per giunta si è presentata qui senza preavviso, ti lascio immaginare"
Finalmente Claudia si era decisa a rimettersi in carreggiata lavorativamente parlando, perché doveva contribuire alle spese della casa ora che Alessandro non ci abitava più e la pazienza e il buon cuore di suo marito non erano eterni. Era laureata in architettura, faceva l'interior designer nelle case dei conoscenti più per passione che lavoro, e con le conoscenze giuste era riuscita ad ottenere un paio di colloqui. Magari non ne avrebbe cavato nulla, ma Alex e il giudice volevano vederla impegnarsi nella ricerca. Ecco perché l'uomo non potuto opporsi ad avere la bambina in ufficio.
"E quindi? Che si fa?"
"Pensavo che potresti pensarci tu mentre io sono in riunione"
"E no eh, non cominciamo…"
"Sì lo so, Maya, non sei una baby sitter e non sei pagata per fare questo, ma si tratta di una situazione d'emergenza, un paio d'ore al massimo. Giulia è affezionata a te, sono sicuro che non ti creerà problemi. E poi se dovessi avere bisogno c'è sempre Alice"
"Ma mica è per la bambina, figurati" si affrettò a chiarire Maya "ma farti assistere da Alice mentre c'è la Queen in sala riunioni è praticamente un harakiri"
"Guarda che ti ho sentito Maya" alle spalle di Alex, Alice stava tornando in reception mano nella mano con Giulia e il pacchetto di Oreo.
"Vorrà dire che correremo il rischio" ironizzò Alex, strizzando l'occhio alla sua assistente.
"Allora Puffetta" disse l'uomo, inginocchiandosi di fronte a sua figlia "adesso papà ha una riunione importante, ma tu stai con Maya, va bene?" "Sìììì"
 
  
"Maya, ho finito" Giulia si avvicinò a Maya, mostrandole il disegno che aveva fatto. Il padre le aveva promesso che sarebbe potuta andare a prendere una cioccolata calda al bar, solo a patto che la piccola avesse fatto prima un pisolino, come faceva sempre all'asilo di pomeriggio, e poi un disegno. Era stato il colpo di genio di Alex che così l'aveva messa k.o. per un'oretta e aveva permesso a Maya comunque di essere a sua disposizione almeno per parte della riunione.
"Fammi vedere" le disse la ragazza, facendo sedere la bimba sulle sue gambe.
Quando aveva avuto il lavoro a Roma Glam, non avendo alcuna esperienza nel campo se non il suo titolo di studio, qualche stage e il suo cognome ancora spendibile tra Roma e dintorni, era pronta ad assecondare le richieste più assurde, consapevole che i P.A.  sono dei veri e propri baby sitter per adulti; non poteva immaginare, però, che uno dei pomeriggi più strani sul luogo di lavoro, avrebbe previsto letteralmente una sessione di baby sitting con un bimba addormentata sul divano e lei seduta a leggere email alla scrivania del capo. Era così surreale che ogni tanto le veniva da buttare lo sguardo nell'angolo dell'ufficio dove c'era il salottino e controllare se per caso la bambina fosse davvero lì a dormire prima e a disegnare poi, o se per caso era stato solo un suo trip mentale, magari un'allucinazione da intossicazione alimentare … aveva mangiato il risotto con i funghi a pranzo, non si poteva mai sapere. Era un po' come se fosse andata a visitare gli appartamenti reali di una reggia e si fosse seduta di nascosto sul trono, o in crociera fosse riuscita ad entrare sul ponte di comando; era stupido pensarlo, perché ormai Alex le aveva, di fatto, lasciato carta bianca praticamente su tutto, ma quell'ufficio rimaneva ancora, nella sua testa, off limits, il luogo dove ancora esisteva ed era tangibile la differenza tra di loro.
"Sei brava Giulia! È proprio bello!"
Per essere il lavoro di una bambina di 5 anni, i tre protagonisti del disegno erano perfettamente riconoscibili: Giulia, nello scamiciato blu notte con camicetta bianca che indossava quel giorno, due lunghe code e i nastrini rossi, Alex nel suo vestito da lavoro e poi c'era Maya, che quel giorno indossava un abito maglione bordeaux. I collant neri e gli stivaletti li aveva saltati, ma del resto le facce erano tonde e le braccia e le gambe solo delle lineette, i piedi e le mani dei piccoli ovali e nessuno aveva il collo, non si poteva pretendere un ritratto iperrealista.
Alex era al centro, Giulia a sinistra mano nella mano con il suo papà, Maya dall'altro lato invece leggermente defilata, ma tutti erano sorridenti; aveva disegnato anche la scrivania, vicino a Maya, e qualche sedia, ricreando probabilmente lo studio.
"Perché hai disegnato me e non la tua mamma?" le domandò.
Era più che sicura di essere lei quella nel disegno perché la chioma era castana e non bionda, come quella che aveva disegnato su di sé senza problemi.
"Perché papà con te ride sempre, con mamma no"
Maya non era pronta a ricevere una risposta simile. Si aspettava che le dicesse che aveva voluto disegnare quel pomeriggio nello studio del padre, avrebbe avuto perfettamente senso; le stava bene pure che le dicesse mamma è cattiva e antipatica e litiga sempre con papà, lei non avrebbe battuto ciglio, anzi sarebbe stata fondamentalmente d'accordo; averla messa su quel piano, invece, dichiarando che lei riusciva in qualcosa in cui sua madre aveva fallito l'aveva colpita in pieno petto, levandole il fiato.
Cosa si risponde ad una cosa del genere? Forse era vero, del resto i due si erano separati, era un dato di fatto che non andassero più d'accordo, ma lei? Lei cosa c'entrava? La cosa più disarmante era la semplicità, la normalità a bruciapelo che la bambina usò per darle la sua motivazione: era come se per lei fosse un dato di fatto, espresso senza un giudizio. Non c'era giusto o sbagliato: ai suoi occhi, era così e basta.
Forse, in fin dei conti, non era una dichiarazione che pretendeva una replica da parte sua, perché per la bambina era un fatto assodato, non le stava dando la sua opinione. Così Maya decise di rimanere in silenzio, presto interrotto dalla bambina.
"Ora possiamo andare a prendere la cioccolata al bar?"
"Direi di sì, te la sei meritata proprio"
 

Seduta alla poltroncina in velluto del bar, un ginseng in tazza grande davanti a lei, Maya controllava il telefono ogni 30 secondi. Aver lasciato l'edificio prima che lo facesse The Queen, che era ancora in riunione con Alex, Stefano e altri giornalisti, aveva mandato nel panico Alice; una promessa, però, era una promessa, e se la figlia del capo aveva mantenuto la sua, lei non poteva essere da meno.
"Stai tranquilla" le aveva detto "sono ad un attraversamento pedonale di distanza. Mal che vada rientro e poi i cellulari sono stati inventati a posta, puoi chiamarmi"
Giulia, nel frattempo, si godeva la sua cioccolata con panna, ignara della crisi in corso.
"Lo sai che io c'ho il fidansato?" le disse, di punto in bianco, leccandosi il baffetto di panna che aveva sul labbro superiore.
"Davvero?" con dei genitori come i suoi, Maya si chiedeva da dove era venuta fuori Giulia. Ok, lo concedeva, Alex non era poi così male, ma non si poteva dire che fosse il re degli estroversi, almeno non con gli estranei. Con lei ci aveva messo cinque anni e una crisi coniugale ad aprirsi.
Giulia annuì, orgogliosa. "Si chiama Tommaso"
"Viene all'asilo con te?"
"Sì"
"E vi date i bacini?" domandò la giovane, con un sorriso furbesco, fintamente curiosa.
"Nooo che schifo!" esclamò la bambina "Però lui mi presta le tempere e mi dà la mano quando andiamo a mangiare. E tu ce l'hai il fidansato Maya?"
"No, io non ce l'ho"
"Perché? Sei bella!" le disse, ingenuamente.
"Grazie, ma per i grandi non basta solo essere belli" le spiegò "e poi ti svelo un segreto: quando si è grandi è molto più facile stare da soli che con un fidanzato"
"Perché?"
"Perché gli adulti non si prestano solo le tempere o si danno la mano per andare a mangiare. E così si finisce per non andare d'accordo."
"Come mamma e papà?"
Maya si rattristì; Claudia non le stava per niente simpatica, ma per la prima volta si rese veramente conto che quella situazione aveva coinvolto non solo Alex, di cui lei prendeva le parti istintivamente, ma anche altre due persone che non avevano alcuna colpa.
"A volte sì, Puffetta"
Tornarono entrambe alle loro tazze, Giulia come se non fosse successo nulla, per fortuna, Maya pensierosa e malinconica. Ancora una volta, le venne in mente che aveva fatto la scelta giusta a frenare Alex; in quella brutta storia, non c'era spazio per egoismi. Lei forse avrebbe vissuto un momento di passione ma il conto lo avrebbero pagato anche altri, anche Puffetta, non solo lei. E non era giusto.
"Avete provato i cupcake? Mi hanno detto che qui sono buonissimi …"
Alex si avvicinò al tavolino a braccia spalancate, trionfante. Giulia lo raggiunse di corsa per farsi prendere in braccio al volo. Maya a malapena si era accorta di lui, presa dai suoi pensieri.
"Ehm no" cercò di riprendersi in fretta, per non scatenare domande a cui non avrebbe saputo rispondere "lei ha preso un brownie, io nulla … ho ancora il pranzo sullo stomaco"
"Colpa mia?"
"Assolutamente no" in realtà sì, in un certo senso, ma non per quello che credeva lui "Puffetta è una compagna di merende senza pari. Deve venire un po' più spesso, così mi risparmio il lavoro"
"Non ci contare …" la riprese Alex, stando al gioco "È ora di tornare a casa Puffetta, mamma ti sta aspettando. Ma prima accompagniamo Maya a casa"
Sulla strada di casa, con la bambina seduta sul sedile posteriore e loro che, davanti, discutevano della riunione del pomeriggio e sul programma dei giorni successivi, Maya provò una sensazione contrastante, un sentore dolceamaro che le risaliva in gola e la infastidiva. Tutto era calmo, normale, apparentemente piacevole: c'era il lavoro, aveva finalmente delle amicizie di cui fidarsi, aveva ritrovato anche la stabilità economica e un po' di equilibrio interiore, senza il castello di carte che era stata la sua vita fino a qualche mese prima; eppure c'era una nuova menzogna, quella relazione strana con Alex, i loro detti/non detti, i sottintesi, quella calma apparente che però poteva tramutarsi in caos in un niente. Le piaceva e la spaventava a morte allo stesso tempo, tentata di tuffarcisi a bomba o scappare a gambe levate. Quella cosa che per tanto tempo aveva negato a sé stessa stava iniziando a prendere forma e lei riusciva a riconoscerla: un sentimento.
 
 

Con 24 h di anticipo più o meno pubblico oggi il nuovo capitolo, un po' perché domani avrò una giornata piena, un po' perché è uno dei miei capitoli preferiti e non vedevo l'ora di regalarvelo. Spero sarete della mia stessa opinione. Ormai le cose sembrano avviarsi verso una certa meta, bisogna solo lasciare che le stelle trovino il giusto allineamento ... 
Nel frattempo,una piccolina di 5 anni sembra avere molto più sale in zucca degli adulti, capendo che se le cose vanno in una certa direzione non c'è bisogno necessariamente di giudicare o farsi la guerra. Giulia è decisamente la luce dei miei occhi, la proteggerò sempre a spada tratta, sappiatelo XD
Ringrazio come sempre per le tantissime visualizzazioni e recensioni e vi dò appuntamento alla prossima settimana,
Fred ^_^

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***




 
Capitolo 19



"Allora Maya mi raccomando, appena hai il nuovo numero mi chiami così lo salvo. Va bene?"
"Sì certo"
"È stato un piacere conoscerti, davvero"
"Anche per me. Buonanotte"
Maya chiuse la porta tirando un grosso sospiro di sollievo. Era finita, finalmente. Non lo avrebbe richiamato, era evidente. Si era inventata quella scusa del cambio di gestore solo per non dargli il suo numero. Per i social, si sarebbe inventata qualcosa nel caso non avesse capito l'antifona. Si girò verso i padroni di casa che, l'una con le mani nel lavello sotto l'acqua corrente, l'altro con un canovaccio e un piatto tra le mani, la guardavano con il fiato sospeso, in attesa del responso.
"Allora, voi due" Maya, imperiosa, puntava il dito contro Olivia e il suo compagno "la prossima volta che vi viene in mente di incastrarmi con qualcuno con la scusa di una cenetta tranquilla …"
Quando l'avevano invitata a cena era stata veramente contenta di accettare. Si era da poco riappropriata della sua auto e le era mancato girare per Roma al volante, scaricando le tensioni lavorative accumulate nella giornata sul traffico dell'ora di punta, e cercava ovunque pretesti per guidare. Tuttavia quando era arrivata da Olivia e Max a Rione Monti, si era presto resa conto che non solo non sarebbero stati solo loro tre, ma che Eugenio, il ragazzo che si sarebbe unito a loro per la cena, era tornato casualmente da poco da Berlino ed era altrettanto casualmente single. Un appuntamento al buio in piena regola, ma con testimoni.
"Te l'avevo detto che era una pessima idea" borbottò Olivia nei confronti del ragazzo.
"Ma dai Maya, Eugenio è perfetto per te!"
In effetti, sulla carta, Eugenio era veramente perfetto: architetto, di buona famiglia, tornato con un curriculum di tutto rispetto dalla Germania per aprire uno studio tutto suo, elegante ma alla mano, in procinto di acquistare un 15 metri da attraccare ad Ostia per l'estate. Fosse tornato a Roma con qualche mese di anticipo, Maya non se lo sarebbe di certo fatto scappare. Ma ora era tutto diverso: viveva a Testaccio, casa arredata un pezzo alla volta come fosse una coperta patchwork, cene formula All You Can Eat, shopping online. E poi c'era quell'altra questione - Alex, ma preferiva non pensarci.
"Lascia decidere a me chi è meglio per me, Max!"
"Lo sapevo!"
Olivia lasciò cadere le posate nel lavello e rubò lo strofinaccio a quel povero malcapitato di Max per asciugarsi sommariamente le mani e avventarsi 
risoluta su Maya, scaraventandola sul terrazzino alquanto sgraziatamente; a Maya non piaceva particolarmente la casa di Olivia: il parcheggio era più un miraggio nel deserto, i soffitti erano bassi a causa dei soppalchi e il bagno era piccolo e con una misera finestrella, ma se c'era una cosa che le invidiava era la vista. In fondo al viale, oltre un arco del muraglione, uno scorcio del colonnato del Tempio di Marte.
Le due si accesero una sigaretta, anche se Maya più che altro la teneva accesa, facendo un tiro di tanto in tanto, distrattamente.
"C'entra il tuo capo … come si chiama … Alex, vero?"
"Non so di cosa tu stia parlando" dissimulò "è solo che non mi piace quando la gente pensa di sapere chi o cosa sia meglio per me. Non è che perché ho 31 anni allora devo per forza stare con qualcuno!"
"Non fare la melodrammatica Maya, non ti si addice" ribatté Olivia, braccia conserte e spalle al muro, studiando l'amica attentamente; Maya fingeva indifferenza, ma quegli occhi che la squadravano la mettevano a disagio.
"Tra voi due è successo qualcosa"
Non glielo stava chiedendo.
"Te lo ha detto Lavinia?"
Olivia scosse la testa "È dal giorno che l'ho conosciuto che lo penso … prima o poi tra quei due scatta la scintilla"
Bisognava riconoscerlo, Olivia era sempre stata molto intuitiva: aveva capito che stava attraversando un periodo di difficoltà e ora si era accorta dell'attrazione tra lei ed Alex.
"È stato solo un bacio" tentò di minimizzare, affacciandosi al cornicione.
"Solo?! Non avresti disdegnato Eugenio se si fosse trattato solo di un bacio. Magari se ammettessi di essere attratta da lui sarebbe tutto più semplice"
"Ma quello lo ammetto senza problemi" esclamò Maya ironica, ridendo nervosamente rivolgendosi all'amica "a Roma Glam siamo tutte attratte da lui, chi più chi meno. Tranne Elena del settore Cultura, ma lei non fa testo, a lei gli uomini non piacciono proprio"
"Maya dai stiamo facendo un discorso serio!" la riprese Olivia, intenzionata a non prenderla alla leggera "Non parlo di sbavargli dietro … parlo proprio di immaginarsi insieme con lui. Mentre fate … " Maya si raggelò al pensiero di quello che avrebbe potuto dire, ma Olivia la sorprese " … cose normali da coppia"
Se possibile, era anche peggio: Maya non lo sapeva cosa erano cose normali da coppia, non aveva avuto una relazione abbastanza lunga per far subentrare la routine.
"Di cosa hai paura?"
Maya prese un lungo respiro "Non lo so…un paio di settimane fa sua figlia è venuta in redazione ed io..io mi sono sentita fuori posto. Lui ha i suoi figli e questo io non lo posso cambiare"
In realtà c'era altro e non solo non riusciva a raccontarlo, ma cercava anche di non ricordarlo. Una sera, riaccompagnandola a casa, Maya chiese ad Alex se poteva fermarsi ad un supermercato per fare la spesa. Ne approfittò anche lui. Quindi, a ben vedere, una risposta alla domanda di Olivia ce l'aveva: a fare insieme cose da coppia con lui ci si vedeva benissimo.
"Sì ma non possiamo sempre pensare agli altri" l'ammonì l'amica "ogni tanto bisogna pensare anche a noi stessi"
"E qui ti sbagli Olli, perché nel suo caso è un pacchetto unico. I suoi figli ci saranno sempre e io devo farci i conti fin da subito. E non mi sento pronta per quel genere di cose"
Era da un po' che aveva iniziato a pensare ad Alex come a qualcosa di più del suo superiore, e se inizialmente si era detta che la sua situazione familiare era la parte meno difficile, ora non era più sicura.
"Pronta per cosa? Per essere felice? Perché di questo si tratta …"
"È che…con la bambina … io mi sono sentita all'improvviso come se fossi parte della famiglia e quella sensazione mi ha … mi ha spaventata, ok?! Perché io voglio un uomo, ma non voglio ritrovarmi a fare la madre o la mogliettina che prepara la cena per la famiglia"
Maya non cercava una relazione a tutti i costi, non più, non per i motivi che l'avrebbero spinta qualche mese prima ad accasarsi con il primo riccone che capitava; voleva finalmente provare ad avere quello che tutte le ragazze sue coetanee avevano vissuto già qualche anno prima: una relazione spensierata, anche un po' adolescenziale, libera da programmi e aspettative.
"Ma lui ti conosce, lo sa come sei e non credo che pretenda questo da te" la rassicurò Olivia.
Non conosceva Alex, ma era ragionevole pensare che se si era dato da fare per Maya, non poteva essere uno stronzo da una botta e via.
"E poi" continuò "la bambina una mamma ce l'ha, no?"
"Non tocchiamo questo tasto…"
"Ascoltami: tu provi qualcosa per Alessandro?" Maya provò a protestare e a glissare di fronte a quella domanda ma Olivia la bloccò "Rispondimi"
"Credo di sì ... ma è la prima volta che provo qualcosa del genere"
"E allora smettila di andarci con i piedi di piombo, perché così non farai tanta strada e farai solo tanta fatica. E se davvero senti qualcosa per lui, prova! Cosa hai da perdere?!"
"Tutto Olli, tutto"
"Ma vedi allora che sei cretina?!" Per come la vedeva lei, si era speso troppo per ridurre tutto ad una scopata. "Alex non è così stronzo, sono sicura che non ti lascerebbe mai in mezzo ad una strada. E poi non è che te lo devi sposare o andarci a vivere insieme domani. Un passo alla volta: intanto mi pare di capire che non sa di questo tuo interessamento. Comincia da lì …"
Dall'interno dell'appartamento, un fragore interruppe la conversazione. Maya vide Olivia sbiancare e spegnere la sigaretta in fretta e furia nel posacenere sul tavolino in terrazzo. Lei fece con tutta calma, approfittando di quel fortunato intervallo per riprendersi un po' da quella conversazione che era stata un po' come andare sulle montagne russe. Si sentiva tutta sballottolata dentro, confusa, la testa un po' le girava.
"MASSIMILIANOOOO"
Nessuno chiamava mai Max con il suo nome per intero, nemmeno Olivia; doveva essere successo qualcosa di grosso.
Maya si precipitò all'interno e trovò Max impietrito nella zona cucina dell'open space che guardava la sua compagna, inginocchiata per terra, spaesato e mortificato.
"Che succede?"
Ma Olivia non le dava ascolto: era troppo impegnata a raccogliere dei cocci da terra.
"Lo sai quanto costa questa ciotola del cazzo? OTTANTA CAZZO DI EURO" tuonò con un frammento in mano, usandolo per minacciare Max. Maya indietreggiò, impaurita. "È un pezzo di design, porca puttana. Porcellana e oro 24 carati e tu la maneggi così, come se fosse una tazza dell'Ikea!"
"Ma dovevo rimettere a posto i piatti!!!"
Olivia era fuori di sé. Continuava a blaterare del valore di quella insalatiera, dell'artista che l'aveva fatta, di una non ben identificata antica tecnica giapponese. Maya ne approfittò, senza dire nulla, per squagliarsela. Fece un cenno con la mano al povero Max, sperando di non leggere di lui tra le pagine di cronaca nera del giorno dopo. Riuscì a tagliare la corda con un po' di fortuna da quella specie di terzo grado, ma questo non le impedì di riflettere su quanto le aveva detto l'amica. Per quanto lo volesse, era determinata a non scoprirsi troppo: le sue paure, sebbene le argomentazioni di Olivia fossero ragionevoli, erano ancora intatte e solo il tempo, forse, sarebbe riuscito a scalfirle.


Se c'era una categoria di persone che Alex biasimava, quelli erano gli uomini separati. Ora che si trovava dall'altra parte della barricata capiva finalmente quanto fossero fondamentali quelle serate tra amici, le partite di calcetto, i motoraduni, persino le rimpatriate di scuola, che per anni aveva snobbato. Erano degli anestetici perfetti.
Si considerava un privilegiato, nella sua posizione la separazione non gli aveva alterato la vita in maniera radicale, ma i pensieri e le preoccupazioni erano raddoppiati, questo non poteva negarlo.
Se lasciare il tetto coniugale era stato un sollievo, una liberazione dai musi lunghi e dai litigi, quella pace e quel silenzio tanto agognati diventavano assordanti nel momento in cui si ritrovava da solo, senza i figli. Già solo quando andava a prenderli la gioia di rivederli si mischiava all'amara consapevolezza che le ore, non importava che fossero 4 o 48, erano limitate e tutto il tempo che passava con loro si trasformava in un continuo compensare i sensi di colpa, cercando di goderne appieno. I mi mancherai della sua Puffetta ma anche solo i ci sentiamo su Whatsapp di Edoardo, detti a mezza voce e con noncuranza, al momento dei saluti, si trasformavano in coltellate. Avrebbero meritato una famiglia unita, ma era più importante dare loro dei genitori sereni e quel pensiero era l'unica cosa che lo aiutava a contare le ore che lo separavano prima della visita successiva.
Quelle serate, dunque, erano il modo migliore per provare a spegnere il cervello per un po', persino quando il pretesto era turno infrasettimanale della Serie A a casa di Francesco, nel suo villone all'Olgiata.
Oltre ad Alessandro, ospite dell'avvocato erano altri tre compagni dei tempi dell'università: Nicola, come Alex iscritto a Lettere Moderne, ora insegnante di Italiano in un liceo al Talete; Silvio, Economia e Commercio, ora commercialista di mezza Montecitorio e Riccardo, detto Ricky, Economia e Management, direttore di uno dei più grandi alberghi di Roma. Alex li aveva conosciuti quando, al terzo anno di università, erano partiti per sei deliranti mesi di Progetto Erasmus in Olanda. Francesco, Silvio e Ricky erano tutti ragazzi della Roma bene, rigorosamente di destra e rigorosamente biancocelesti, erano partiti solo per fare caciara a sera fino a tardi e lontani da occhi indiscreti. Nicola, nativo di San Lorenzo, quartiere popolare quanto Testaccio, era romanista come lui ed era quello che raccoglieva gli altri ubriachi per strada e li riportava al dormitorio.
"Che partita de merda"
Francesco spense la televisione buttando sul tavolino davanti a sé il telecomando, deluso dal risultato.
"Vabbeh ma te ancora segui la Lazio" gli fece notare Alex, gongolando e alzandosi dalla poltrona per andare a prendere una birra.
Francesco stette in silenzio per pochi istanti, rimuginando su qualcosa da dire per controbattere.
"A' giallorosso! Te dico solo na cosa: 26 maggio 2013. V'AVEMO ARZATO LA COPPA 'NFACCIA!" cantò, in coro con gli altri due laziali.
"Ciao core! Ci campate di rendita ormai" fece notare loro Nicola.
"Forse noi ci campiamo di rendita professore" rimbecco De Stefanis "ma a voi brucia ancora!"
"E a voi quanno ve ricapita"
Punzecchiarsi sulle reciproche squadre era la cosa che gli riusciva meglio. Silvio, che tra di loro era quello meno incallito di tutti quando si trattava di calcio, si era messo il grembiule da cucina addosso
, nonostante Francesco esibisse orgogliosamente più collaboratori domestici che stanze in casa, quando era abbastanza palese che la Lazio, quella sera, non avrebbe portato a casa i tre punti … ma nemmeno uno. Li invitò a sedere a tavola, servendo loro la più classica spaghettata da post partita. Nicola accese di nuovo la tv, per continuare a seguire gli approfondimenti.
"Professore, insomma, ma questo è accanimento terapeutico, la prego di risparmiarci questo stillicidio"
"Avvocato" lo canzonò l'uomo, paffutello e brizzolato, parodiando il suo modo di parlare dell'amico "Casus a nullo praestantur"
"Che tradotto per noi economisti?"
"I casi fortuiti non sono imputabili a nessuno … il che significa che non è colpa mia se perdete pure contro i morti. E mo ve sucate pure il post partita" decretò Nicola, portando una forchettata di pasta alla bocca.
"Comunque ti sei comprato un bel giocattolino " fece notare Ricky a Francesco, indicando il televisore.
"Hai visto, eh? Siamo d'accordo che sotto ai 50 pollici manco s'entra in negozio, ve'?"
"Ovviamente"
Iniziò una lunga e noiosissima disquisizione su quale marca fosse meglio, sui colori, sulle prestazioni durante le partite e altre cose che ad Alex non fregavano minimamente. Per come ne parlavano, ad un certo punto non era più nemmeno sicuro che stessero parlando di televisori.
“’A zì qua se sta a parlà de roba seria mica se potemo perde in chiacchiere. Eddai, famo i seri …” l'avvocato rimproverò Nicola sguaiatamente, quando gli fece notare che non tutti si potevano permettere l’home theatre in casa “se devi far er purciaro pure per na televisione è mejo si nun t'a compri proprio!"
Non c'era niente da fare: era un boro, anche se abitava nella Beverly Hills di Roma, tra ville con piscina, country club e un campo da golf a 27 buche 
- o forse era proprio quello il motivo. Però era il mattatore delle serate, con lui non c'era un attimo per rimanere seri e per spegnere il cervello era l'ideale.
Dopo cena, erano rimasti solo Alex, Francesco e il povero Nicola che, con la scusa del giorno libero dalla scuola, era stato confinato alle mansioni di sguattero per il post serata.
"Allora direttore caro, che mi racconti … è da un po' che non facciamo una bella chiacchierata" 
"Niente di nuovo sul fronte occidentale" ironizzò Alex, citando il titolo del romanzo di Remarque.
"Nicolino, qua la situazione è critica … uno stallone di razza come il nostro direttore non può rimanere in questo francamente pietoso stato di inattività. Questo filo di barba alla divo di Hollywood mi aveva fatto ben sperare, ma vedo che qui non si batte chiodo."
"Non ti preoccupare che a me ci penso io"
Francesco, che si era stravaccato in poltrona con un bicchiere di scotch, scattò in piedi e si diresse verso Alex, guardandolo con fare inquisitorio, di sbieco e con gli occhi serrati. Anche Nicola, posata la spugna insaponata, si asciugò le mani e andò a sedere sul bracciolo della poltrona, dove Alex era rimasto per chiacchierare con i due. Ovviamente avevano capito entrambi che, al contrario di quanto lui diceva, c'era qualcosa che bolliva in pentola.
"Domanda fondamentale" fece l'avvocato "È legale? Non è che mi finisci ar gabbio? Perché Franceschino tuo c'è sempre per te, tu poi hai sempre pagato le parcelle, ma un'accusa di pedofilia …"
"Ma sei scemo?" Alex si alzò, indignato "No … hai sbattuto la testa da piccolo, altrimenti non si spiega. È Maya"
"Maya chi?" domandò Nicola.
"La mia assistente, lui la conosce. E Maya ha 31 anni, mica 13"
"Dio che bomber!" esclamò Francesco, con un'espressione in volto che era tutto un programma "lo vedi che quando ascolti a Franceschino tuo tutto funziona a meraviglia? Non una gnocca Nicolì … la più gnocca. E pure principessa"
Francesco divideva le donne in due categorie: principesse e maleducate; lui di solito, finiva sempre con le maleducate.
"Ma Alex, per una relazione seria come speri che le cose possano funzionare con qualcuno così tanto più giovane di te? Cosa avete in comune?" chiese l'amico professore, che era completamente estraneo a tutta la faccenda e la analizzava come poteva, nella maniera più spicciola e concreta che poteva.
"Ma chi ha parlato di avere una relazione seria?" lo interruppe l'avvocato "Alex parliamoci chiaro…un matrimonio basta e avanza. Pensa a divertirti … vacci a letto, goditela e quando ti stufi le trovi un posticino di lavoro da qualche parte e te la levi di torno. Tanto le donne sono tutte uguali, bastano una passeggiata al mare e un bracciale tennis per farle contente."
"Fai schifo …" sputò Alex, stizzito; anche Nicolino alzò le braccia in segno di incredulità "Mamma mia che squallore però France'!"
"Ma perché che ho detto di male?" si difese l'uomo "Scopate, che la vita è troppo amara per perderla in inutili complicazioni"
"Maya non è una di quelle con cui esci tu. Se a loro sta bene essere trattate come 'n par de mutande fatti loro, ma Maya è molto di più di una botta e via"
Non ci stava a sentirlo vaneggiare ancora. Francesco era sempre stato così, prendere o lasciare, amare od odiare. E lui fino a quel momento lo aveva quasi sempre amato, ma non negli ultimi mesi: sentirgli fare certi discorsi, era diventato sempre più difficile. Ora si rendeva conto che, in realtà, quei siparietti, quell'umorismo becero e sessista erano solo un diversivo dal piattume della sua vita coniugale. Se una cosa funziona per un po', non significa che funzionerà per sempre: era il suo mantra da quando era ragazzo, eppure solo in quel momento riusciva a metterlo davvero in pratica, iniziando a pretendere di meglio per sé stesso. Preferiva restare da solo piuttosto che in un matrimonio senza amore, preferiva restare senza amici, piuttosto che con gente che non condivideva i suoi stessi valori.
"Dai Alessa' dove vai?" gli domandò il padrone di casa, vedendolo prendere la giacca e il casco.
"Dove vuoi che vada? Io con gente che tratta le donne come pezze da piedi non ci parlo."
"Ma fai sul serio? Ma era una battuta!"
"Una battuta? Ma stiamo scherzando?"
"Dai ti chiedo scusa…non avevo capito che con Maya facevi sul serio"
"Vuol dire che in questi 20 anni che ci conosciamo non hai capito niente di me e non so se la cosa mi fa più rabbia o tristezza"
Uscì dalla dependance lasciando Francesco con un palmo di naso, incredulo che l'amico di una vita, quello che lo aveva scelto come testimone di nozze stesse veramente troncando la loro amicizia per una battuta come mille ne aveva fatte da quando si conoscevano. Nicola invece lo inseguì nel giardino.
"Alex! Alex!"
"Nico non ti ci mettere pure tu"
"Ma no Alex, fai come credi … io con tutti voi mi sento solo per queste rimpatriate, viviamo vite troppo diverse per giudicarvi, sono solo un professore di liceo in confronto a voi" 
"Non dire così, lo sai che per me non c'è differenza"
"Lo so e lo apprezzo. E mi fa piacere un paio di volte l'anno ricordare i vecchi tempi, pensare di avere ancora vent'anni. Ma dimmi…tu con una ragazza così giovane fai davvero sul serio?"
"Ha 31 anni, è una donna fatta e finita. Io quei 15 anni di differenza non li sento … è l'unica con cui mi sento davvero me stesso, Nico … né il caporedattore di Roma Glam, né un ricco imprenditore… solo Alex. E credimi era da tanto."
"Lo capisco, ma pensaci … magari è solo una fase, magari stai solo cercando di superare Claudia, non è così improbabile"
"È quello che dice anche lei"
"Perché evidentemente è sveglia, più sveglia di te. Non voglio sminuire quello che provi ma pensa anche solo che siete in due fasi diverse della vita"
"Che significa?"
"Voglio dire, tu hai avuto la tua vita in famiglia, lei alla sua età magari vuole una famiglia e tu sei veramente disposto a ricominciare tutto daccapo? Pannolini, nottate, pappette …"
"Ao' ma che è stasera, la serata del vince chi la spara più grossa? Io vi ho solo detto che c'è una donna che mi piace: quello mi dice di farmi una mantenuta e tu che devo prepararmi a pannolini e pappette. A me interessa solo capire se ho ancora una chance con lei in questo momento …"
Mise il casco e partì via, alla volta di Roma, non aspettò nemmeno che l'amico ribattesse, non aveva bisogno dei consigli di nessuno. Nella vita lui ce l'aveva sempre fatta da solo, e ne era sempre uscito vincitore. Qualcuno avrebbe avuto da ridire sulla sua sicurezza, Maya l'avrebbe rimesso al suo posto con una freddura delle sue, ma nella sua testa era sicuro che l'avrebbe spuntata anche stavolta.

  
"Sei in ritardo"
Maya avrebbe voluto ribattere a Lisa che lei era lì dalle quattro di quel pomeriggio, che era tornata a casa solo per prepararsi e la punizione divina le aveva inflitto un imbottigliamento nel traffico. Ma non lo fece: la caposervizi nella sezione Food considerava la redazione come una vera e propria catena alimentare, dove lei era ovviamente alla sommità e Maya, assieme ad Alice e Giovanni lo stagista, si collocava più o meno a livello del krill; al livello plankton, sotto di loro, solo addetti alle pulizie, corrieri e rider.
"Sì scusami" troncò, senza fare troppe polemiche "sono rimasta bloccata nel traffico"
"Partivi prima" la rimproverò la donna "lo sai che questa serata è troppo importante!"
Maya alzò gli occhi al cielo mentre la donna le dava le spalle. No, non lo sapeva. Era la festa per i 10 anni di Roma Glam: di solito, per l'anniversario della rivista, Alex faceva organizzare una festa aziendale semplice, senza troppi fronzoli, con il personale e qualche collaboratore esterno; certo 10 anni erano una cifra tonda significativa ma, per qualche motivo che non aveva condiviso nemmeno con lei, sembrava tenere particolarmente a che la serata fosse memorabile e a questo giro non aveva badato a spese, con tanto di party planner e una lista di invitati esterni alla rivista da fare invidia agli after party della settimana dell'Alta Moda. La lista degli invitati includeva anche ospiti stranieri, giornalisti ed editori di diverse riviste straniere del settore, quindi probabilmente voleva solo evitare di sfigurare e dimostrare di essere alla loro altezza. Ecco perché aveva passato l'intero pomeriggio di fianco all'organizzatrice per assicurarsi che tutto fosse come aveva richiesto Alex; sapeva benissimo quanto fosse orgoglioso e competitivo: per lui l'importante è partecipare non era affatto un atteggiamento contemplato.
Maya entrò nel palazzo e fece le due rampe di scale affollate di ospiti nella sua jumpsuit nera e le sue Aquazzurra nuove di zecca, il primo acquisto stravagante dopo mesi di ristrettezze; quasi perdeva la cappa rossa, appoggiata sulle spalle, per la fretta di arrivare a destinazione per fare … non sapeva bene cosa a dire il vero, visto che tutto era sistemato. La location era delle più esclusive, manco a dirlo, la Terrazza Caffarelli ai Musei Capitolini, con una delle viste più esclusive di Roma - cosa che si poteva dire probabilmente di almeno un altro centinaio di posti della capitale ma, nella giornata giusta, non c'era posto migliore per gustarsi lo spettacolo della città spaparanzata ai propri piedi, il panorama sui Fori, gli alberi del Gianicolo, persino gli autobus e il traffico dell'ora di punta: meglio di una sessione di un massaggio thailandese.
Uscì sulla terrazza, dove un gazebo moderno ed elegante ospitava la sala ristorante e i tavoli per la cena. All'esterno invece, tutto era già in fermento per il cocktail di benvenuto; non importava che fosse ancora febbraio: nonostante la serata imponesse ancora il cappotto, nessuno - romano e non - si sarebbe perso un lussuoso aperitivo affacciati sull'Altare della Patria.
Cercò Alex tra la folla, ma fu più facile per l'uomo trovare lei.
"Sei meglio di un faro con questa mantellina" ironizzò lui.
"Ho esagerato?" domandò lei, sentendosi le guance avvampare, sistemando la cappa e abbottonandola.
"Neanche per idea"
Come avrebbe potuto? La generosa scollatura sul davanti - e anche sulla schiena, ma Alex questo non poteva saperlo - erano il perfetto complemento al rosso fuoco del cappotto; una cosa era certa: Maya sapeva come attirare gli sguardi su di sé, e Alex pensò che forse l'idea di essere guardata la lusingava, ma non avrebbe voluto condividere quella vista con nessun altro. Da un lato si morse la lingua per quel commento idiota e le avrebbe volentieri slacciato quel bottone che aveva ricomposto, ma dall'altro fu soddisfatto dalla prospettiva che, in quel modo, nessun altro, oltre lui, avrebbe goduto della vista di quel dettaglio.
"Appena entriamo nella sala e tutti saranno seduti ai tavoli avrò bisogno del discorso" le disse, cercando di ricomporsi dal quel pensiero indecente. Le aveva fatto una promessa, anche se non si sentiva più in grado di poterla mantenere.
"È già pronto sul leggio, nel tuo portadocumenti"
"Poi per favore, in giro ci dovrebbe essere l'avvocato De Stefanis … trova qualcuno che lo tenga alla larga da me"
Non gli era ancora passata l'arrabbiatura per i commenti della serata di un paio di settimane prima ma gli inviti erano stati inviati un molto prima e Francesco restava pur sempre il rappresentante legale della rivista, anche se, Alex lo ammetteva, tenere lavoro e vita privata separati gli riusciva proprio male, era più forte di lui.
"Non ti preoccupare …" Maya non poté fare a meno di notare il tono astioso con cui aveva pronunciato il cognome del suo amico. Evitò di fare domande, ma se lo stava allontanando era solo un bene; a lei, l'avvocato, non piaceva per niente. "Non sarà facile" aggiunse "ma al suo tavolo ci dovrebbero essere un paio di modelle che attireranno la sua attenzione per un po'"
Alex annuì: Maya era sulla sua lunghezza d'onda.  
"Qualcosa da sapere sugli invitati per non fare brutta figura?" le domandò, togliendo la cravatta e mettendola in tasca, sbottonando il primo bottone della camicia; lo faceva sempre quando era nervoso: gli conferiva un'aria energica e risoluta, di chi ha talmente tutto sotto controllo da non aver bisogno di seguire certi canoni prestabiliti per dimostrare la propria autorità.
"Vediamo … al tuo tavolo è seduta la direttrice di Funny Vegan … se fossi in te eviterei di rompere il ghiaccio parlando dei mini hamburger di Scottona del buffet" spiegò Maya, che voleva essere totalmente seria ma entrambi finirono per ridere pensando all'eventuale pessima figura. "Poi da qualche parte in sala c'è Berardi … il produttore cinematografico. La ragazza con lui è la sua compagna, non sua figlia, fai attenzione … ed è anche in dolce attesa. E naturalmente l'ambasciatore francese … grande appassionato di tartufi"
"Ricordami perché lo abbiamo invitato..."
"Per ottenere Palazzo Farnese per un photoshoot di moda"
"Perfetto … ah Maya un ultima cosa e poi puoi goderti la serata pure tu …" le disse, allontanandosi.
"Dimmi"
"Lunedì ricordami di chiamare la contabilità per darti un premio, te lo meriti tutto"
Maya non sapeva se prenderlo come uno scherzo, una provocazione o come la verità, ma Alex non era noto per essere una persona imprevedibile e se diceva una cosa era da prendere sempre alla lettera; accennò un sorriso discreto per mostrarsi riconoscente, ma dentro in realtà ballava la conga: era bello sentirsi apprezzati.
Arrivato il momento di prendere posto, Maya si recò al tableau per trovare il suo. A memoria avrebbe condiviso il tavolo con le acidelle del settore moda, un vecchio tennista prezzemolino del jet set romano, uno scrittore fallito e un paio di stilisti emergenti, tra cui Marzia, la ragazza che le aveva cucito l'abito per il gala e che aveva finito per comparire proprio sullo speciale - eccezionalmente stampato - per il decennale.
Strabuzzò gli occhi una, due, tre volte per essere sicura di aver letto bene. Il suo nome era stato spostato dal tavolo 5 a quello 1, proprio di fianco ad Alex. Inutile chiedere spiegazioni alle hostess, ne sapevano meno di lei. Si guardò intorno e, in lontananza, tra la folla, appoggiata al bancone del bar Alice la fissava con un flute di champagne tra le mani. Aveva raccolto i capelli in un'acconciatura stile anni venti con un frontino dorato e indossava un abito corto azzurrino, troppo leggero per quella serata, un po' stile Great Gatsby, un po' Biancaneve.  Era perfetto per lei. Maya la raggiunse a grosse falcate, quasi a tempo di marcia militare. Probabilmente, pensò, la gente intorno avrebbe potuto vedere il fumo uscirle dalle orecchie per la rabbia.
"Cosa cazzo hai combinato?" disse a bassa voce, per non farsi sentire ma il tono era chiaramente perentorio e minaccioso. Se avesse potuto l'avrebbe strozzata lì, davanti a tutti.
"Ho fatto di necessità virtù, Maya"
"Che significa?"
"Significa che il sindaco ha dato forfait all'improvviso e abbiamo dovuto rimediare"
"Abbiamo chi?"
"Io, me stessa e me medesima naturalmente" commentò fiera la ragazza "il tavolo più importante non poteva certo restare sguarnito, con tutti i fotografi che bazzicano in giro per la sala questa sera"
"Eh certo … e tu hai ben pensato di mettere me con tutte le persone ben più importanti che ci sono tra gli invitati!"
"… non c'è di che" concluse Alice, caustica, alzando il flute per un brindisi e prendendo sotto braccio al volo uno dei commercialisti della rivista per sfuggire alle grinfie della collega.
Maya rimase con un palmo di naso: sapeva che Alice prima o poi le avrebbe fatto qualche dispetto nella convinzione di aiutare lei ed Alex ad avvicinarsi, ma non si aspettava di certo che avrebbe agito in una serata del genere. Non aveva più tempo per sistemare alcunché, ormai non poteva fare altro che andare con la corrente e cercare di limitare di danni.
"Che ci fai tu qui?" le domandò Alex vedendola prendere posto al suo tavolo anziché in quello alle sue spalle, come concordato; era stato talmente preso contropiede che non riuscì nemmeno ad alzarsi per spostarle la sedia per farla sedere.
"Il sindaco ha dato forfait e una certa persona che lunedì ucciderò con le mie mani si è divertita a fare di testa sua con i posti a sedere. Ma se vuoi cedo il posto a qualcun altro …"
"No no ... va benissimo così, non è colpa tua. E poi averti come spalla mi fa stare più tranquillo"
Le aveva detto spalla per non metterla a disagio, ma nella sua testa in realtà aveva in mente qualcosa di più intimo e personale; la sua presenza al suo fianco aveva un effetto benefico che non provava con nessun altro, e con il discorso che si apprestava a fare ne aveva proprio bisogno. Maya sorrise, grata che non le facesse pesare quell'imprevisto: in passato probabilmente lo avrebbe fatto, ma questo Alex aveva poco a che vedere con l'uomo che l'aveva assunta. Approfittando del riscaldamento poté levare la giacca, mettendo in mostra la schiena scoperta e la generosa scollatura del davanti: pur non scadendo nel volgare, era estremamente sexy ed Alessandro non riusciva a rimanere indifferente; cercò di rimanere composto anche se improvvisamente la sua sedia sembrava essere ricoperta di chiodi e il riscaldamento pareva essere stato alzato a temperature tropicali. Aveva una mezza idea di chi le aveva fatto quello scherzetto, e forse avrebbe dovuto premiare anche lei: gli stava servendo un assist preziosissimo.
A fine serata, gli ospiti stavano lasciando la location e Maya, come sempre, era stata braccata da Lisa per raccattare dalle poltrone quelli che, a causa dell'open bar, alzavano il gomito e rispedirli a casa, assicurandosi che non prendessero l'auto. Era un compito ingrato, lo odiava, ma a causa della famosa catena alimentare, toccava per forza a lei, Alice e allo stagista.
"Allora, come è andata? Vi ho visti molto complici" la punzecchiò la collega, avvicinandosi mentre si preparavano finalmente ad andare via.
"Stai zitta … avresti meritato di essere licenziata in tronco" rispose Maya stizzita "ringrazia che Alex è un santo"
No, non ce l'aveva affatto con lei, alla fine era stata veramente una serata piacevole, eppure quella strana sensazione di essere la padrona che faceva gli onori di casa non l'aveva abbandonata un secondo e se la sarebbe risparmiata volentieri e farglielo pesare un po' e tenerla sulle spine era il suo modo per vendicarsi. Nel piazzale di fronte al palazzo, salutata Alice, Maya tirò fuori il telefono dalla pochette per chiamare un taxi.
"Sei venuta in taxi?" Alex sulla moto, si fermò proprio davanti a lei. Maya annuì. "Salta su, ho il casco di mio figlio nel bauletto, posso accompagnarti io"
"Non se ne parla, è lontanissimo da qui"
"Sciocchezze, saranno sì e no 5 minuti con le strade vuote a quest'ora. E poi non voglio che rimani qui da sola ad aspettare"
Avrebbe potuto dirle che avrebbe aspettato il taxi insieme a lei e avrebbe sortito lo stesso effetto premuroso e gentile; invece no, si era proprio proposto per accompagnarla a casa, dopo che tutta la sera erano rimasti vicini, troppo vicini per quanto la riguardava. Non che a Maya fosse dispiaciuto, ma si sentiva in colpa con sé stessa per quello che provava. Eppure, puntualmente, lasciò che il suo istinto prevalesse e che Alex aprisse il bauletto per prendere il casco e salire in moto con lui.
"È stata una bellissima serata, vero?" domandò lui, fermi al semaforo vicino al Teatro Marcello.
"Mmmm sì … tutto sommato…"
"Perché?"
"Perché non so chi ha contrattato con il catering ma io muoio di fame. C'erano tre pappardelle nel mio piatto. Tre. Fossi in te li pagherei la metà."
Alex ridacchiò a quel commento, perché era se lo sarebbe aspettato da sua madre, ma certo non da Maya, eppure ora che gli era stato fatto notare, aveva anche lui un certo languorino, in effetti. Come sempre quando si tratta di eventi aziendali, non importava quanto formali, il suo focus per gli affari finiva sempre per distrarlo dai bisogni primari. Sempre un bicchiere pieno d'acqua a portata di mano per non avere la bocca impastata e poteva andare avanti per ore a discutere di lavoro senza accorgersi di nient'altro.
"Dai ci penso io" decretò Maya, senza riflettere "conosco un posto che fa al caso nostro"
"Cosa?! Vuoi offrire tu? Ma non se ne parla nemmeno!"
"E dai su! Che sono ancora questi stereotipi di genere?" protestò lei, a voce alta, ridacchiando "Non muore nessuno se pago io e poi … e poi tu comunque ci metti la moto"
Forse perché il casco era una sorta di schermo, forse perché non aveva i suoi occhi puntati su di lei, forse perché non c'erano centinaia di persone attorno a loro, ma in quel momento si sentiva più libera e sicura ad esprimersi con naturalezza e leggerezza.
Alex ci pensò un po' su e poi, complice la fame che iniziava a mordere nello stomaco domandò: "Dove la porto signorina?"
"Faccia inversione signor Bonelli, andiamo a Campo de Fiori"


 

Oggi, eccezionalmente, vi lascio un capitolo più lungo del solito. Mi sono interrogata parecchio su come dividere la parte della storia che affronteremo da qui in avanti. Sinceramente, non mi andava di lasciarvi con un capitolo di transizione, che vi desse l'impressione che questi due si erano impantanati di nuovo a fare chiacchiere con i personaggi non protagonisti. E così ho aggiunto la terza parte del capitolo, in cui si apre uno scenario veramente interessante. Voi che dite? Sono aperte speculazioni su quello che succederà dopo, sono curiosa di sentire la vostra opinione.
Come sempre, quando i miei personaggi parlano romano, uno SCUSA mastodontico va a tutti i miei lettori/le mie lettrici di Roma e dintorni. Io faccio del mio meglio.
Vi aspetto e vi mando un abbraccio
Fred ^_^

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***






Capitolo 20


 
"Brava. BRA-VA!" si complimentò, aprendosi in un sorriso luminosissimo e alzandosi dal bordo della fontana della "Terrina" mentre Maya tornava con due cartocci e une bottiglie di birra "Questa è la prima cosa da vera romana che ti vedo fare da quando ti conosco: la pizza bianca del Forno di Campo è la migliore"
"Nata e cresciuta a Roma e pensi che non conosca le basi … questa pizza è un monumento della città, quasi meglio del Cupolone"
Alex con le chiavi della moto aprì le due bottiglie porgendone una a Maya. "Alla pizza bianca, che unisce Roma Nord e Roma Sud" propose Alex, sollevando leggermente la sua bottiglia verdastra, per un brindisi. Senza rispondere nulla, Maya tintinnò la sua bottiglia contro quella dell'uomo. Nella sua testa però, avrebbe volentieri dedicato quel brindisi a quella serata, a loro, o persino ad Alice, perché se erano lì, insieme, in quel momento, non era certo merito solo della pizza.
Entrambi addentarono voracemente il trancio, croccante ai bordi e morbido all'interno.
"Mmmm" commentò Alex "la salatura e l'olio sono assolutamente perfetti"
"Scusa ma parliamo di questa mortadella" aggiunse Maya, con la bocca piena "fine ma a venti strati... che c'è?"
Alex la guardava incantato ma divertito mentre tesseva le lodi alla focaccia.
"È che non ti facevo proprio tipa da pizza bianca con la mortadella … sì al sushi, no al carboidrato" la canzonò, con un gesto delle mani come se declamasse il motto di una réclame.
Maya ridacchiò, portando un tovagliolo di carta alla bocca per pulire via molliche ed olio, ancora masticando, ma non poteva che dargli ragione: fino a pochi mesi prima, l'idea di andare a passare la serata a Campo, sedendosi sulla base della statua di Giordano Bruno, oppure per terra dove capitava, in mezzo a ragazzi ubriachi e sudati a mangiare un trancio di pizza unta e grassa, l'avrebbe inorridita. Al massimo, se la sua comitiva l'avesse trascinata a forza per qualche evento nelle vicinanze sarebbe rimasta in piedi tutta la sera, con un'espressione tra l'altezzoso e lo schifato e ne avrebbe rubato un quadratino ad Olivia.
"Deve essere l'aria di Testaccio" commentò "i manicaretti della Betti … ho messo su tre chili da quando mi sono trasferita"
La signora Rossi, ormai diventata La Betti, aveva preso in simpatia lei e sua sorella e le viziava in continuazione.
"Ti stanno divinamente" affermò Alex, con prontezza, senza battere ciglio. Ma ne era convinto: il suo viso si era leggermente addolcito e somigliava molto di più a sua sorella, per quanto potesse ricordare da quel fugace incontro avvenuto mesi prima.
"Questo significa che si vedono però. Vergognati!" si finse indignata e iniziò a camminare, con fare scherzoso, verso il centro di Campo de Fiori.
La piazza brulicava di gente: come di giorno le bancarelle pittoresche del mercato la riempivano di turisti, così la sera i localetti della zona sostituivano i banchi di frutta e verdura con i loro tavolini di legno attirando comitive di giovani nella piazza più profana di Roma, infondendole un senso di buonumore e spensieratezza. Era così che tutti e due si sentivano: leggeri e liberi da quei vincoli che si imponevano reciprocamente di giorno, al lavoro; forse era la notte, che con le sue luci rendeva tutto più singolare e lecito.
Mentre Maya, a passo svelto raggiungeva l'altro capo della piazza, Alex la rincorreva, divertito.
"Dai Maya! Lo sai cosa volevo dire …" allungò il braccio per fermarla, ma invece di prenderla per l'avambraccio, la sua mano scese ad afferrare quella di lei.
Quella mossa, che Alex fece senza pensare, istintivamente, gli era immediatamente sembrata avventata, sconsiderata, ed era pronto a ricevere tutto lo sdegno e la contrarietà di Maya: già si vedeva lei che chiudeva lì la serata, prendendo il telefono per chiamare un taxi o, se le girava bene, chiedendogli di riportarla a casa. Invece si girò, ma non era sorpresa né alterata; buttò uno sguardo veloce alle loro mani, e velocemente incrociò il suo sguardo con quello dell'uomo, sorridendo timidamente e lasciando andare la presa. Non era pronta, Alex aveva capito, ma non era contrariata; semplicemente gli stava chiedendo di seguirla, con i suoi tempi. A lui stava bene, non pretendeva altro. Maya, dal canto suo, non sapeva come si sentiva, non sapeva come era giusto sentirsi: il suo cuore stava clamorosamente bene, talmente bene che quasi le sembrava una serata di maggio, in cui mettere via il cappotto e andare in giro con le maniche corte e i sandali spuntati; ma il suo cervello no: quella stronzetta della sua testa tirava il freno a mano, ricordandole tutto quello che poteva andare storto e che per le ustioni d'amore non esiste pomata che funzioni. In quel braccio di ferro, in quel momento era la testa a comandare.
"Lo so, tranquillo" lo rassicurò "ma mi piace avere l'ultima parola…"
"Meglio così"
Continuarono a camminare, senza una meta precisa, tra gruppi di turisti spaesati tra i vicoli, gente ferma alle vetrine e gente ancora seduta ai tavolini dei bar e dei ristoranti, che qualche avventore più coraggioso per sedersi all'aperto si trova sempre, nonostante l'aria frizzantina, soprattutto tra i turisti. Loro, invece, padroni delle strade e del momento, si lasciavano semplicemente guidare dalla conversazione piacevole. Lui ogni tanto le mostrava qualche dettaglio sconosciuto ai più, come un attento Cicerone, lei rispondeva indicandogli questo o quel locale di birre artigianali, oppure quello per gli amanti di shottini.
Era un po' triste che conoscesse la sua città solo per la sua vita mondana, ma non poteva farci nulla se le sue prospettive erano alquanto limitate fino a poco tempo prima. In particolare, avrebbe sorvolato sull'associazione automatica che la sua testa faceva tra i locali e i casi umani che puntualmente le si azzeccavano addosso vedendola da sola, o peggio ancora gli appuntamenti con gente conosciuta su Tinder e che nel 60% dei casi non corrispondeva mai alla foto profilo.
Per caso, abbassò lo sguardo a causa di una lattina lasciata per terra sulla quale stava per inciampare; Alex si avvicinò per aiutarla a mantenere l'equilibrio, ma fu un'altra cosa ad attirare l'attenzione di Maya: tre piccole targhe d'ottone tra i sampietrini, tre pietre d'inciampo. Alzò lo sguardo, e capì che erano entrati nel vecchio ghetto ebraico: le insegne dei negozi e persino gli ombrelloni aperti dei bar riportavano scritte in ebraico o l'indicazione kosher; poco più avanti, in fondo al largo viale, il Portico d'Ottavia e sulla destra, la Sinagoga.
"Roma Glam ha mai fatto servizi sulla cucina giudaica a Roma?" domandò ad Alex.
"Credo di sì, devo controllare … ma perché me lo chiedi?"
"Per quello che hai annunciato questa sera"
Durante il suo discorso Maya e tutti gli altri convenuti avevano capito il perché della serata così importante: Alex aveva annunciato la creazione di un network di riviste web dedicate alle maggiori città del mondo, con articoli tradotti in diverse lingue per attirare il pubblico di tutto il mondo.
"Pensa se si scrivesse che ne so … un articolo o un reportage a puntate sul turismo kosher, su misura della grande comunità ebraica americana. Tipo … dove mangiare seguendo i precetti, dove poter celebrare lo Shabbat …"
"Come ti è venuto in mente?"
"Mah … così, di getto, visto che siamo vicini al Tempio, ma ai tempi dell'università conoscevo una ragazza che era venuta da New York per un programma di scambio ed era colpita che a Roma ci fosse questa grande tradizione nonostante il Vaticano. Non molto lontano da qui per esempio c'è un forno dove andava sempre a comprare pane azzimo e non usano lieviti in nessun preparato"
"È un'ottima idea. Ne parlerò nei prossimi giorni con New York e con il resto della redazione" le disse, guardandola con orgoglio e un filo di tristezza "comunque lo sapevo"
"Cosa?"
"Da quando ti ho conosciuta sapevo che prima o poi avrei dovuto lasciarti andare. Che avevi solo bisogno dei giusti stimoli … sei sprecata per essere solo la mia assistente"
Maya rimase colpita dalle sue parole: non aveva mai considerato sé stessa al di fuori di quel ruolo, anche perché lo aveva sempre visto come un impiego temporaneo, una fase prima di sistemarsi come la Signora X o Y.
"Ma era solo un'idea, nulla di che …"
"Un'idea che nessuno in redazione ha avuto fino ad ora però. E non è giusto che siano altri a prendersene il merito"
"Ma al massimo te lo prenderesti tu e io lavoro per te, e sono contenta se posso esserti utile. Non sono una giornalista o una blogger, non so nemmeno da dove si comincia per scrivere. So organizzare ruolini di marcia, intrattenere pubbliche relazioni, fare da tramite per conto tuo. Sto benissimo dove sto, credimi"
"Sicura?"
"Assolutamente … poi per scrivere bisogna leggere e io ammetto di non essere un'avida lettrice. Al contrario di te …"
"Di me?"
"La leggo la rivista e leggo i tuoi editoriali, si vede che scrivi molto bene perché hai una grande cultura"
Ovviamente, che leggessero la rivista era il minimo che Alex si aspettava dai suoi dipendenti, ma il giudizio di Maya, detto in quel modo così sincero ed accalorato, per nella sua semplicità, lo impressionò più delle recensioni che ricevevano dagli addetti ai lavori. La sua opinione, per lui, contava immensamente, perché sapeva che non aveva peli sulla lingua e se qualcosa non andava, non aveva problemi ad ammetterlo.
Erano arrivati all'isola Tiberina. Di notte, quel lembo di terra separato dal resto di Roma dal Tevere tagliato in due era uno spettacolo come pochi. L'illuminazione, un po' come molte cose a Roma, era un po' raffazzonata - luce calda qui, luce fredda là, eppure il risultato d'insieme funzionava, creando un effetto scenografico di luci ed ombre, con le tinte verdastre della vegetazione che scendeva fin dentro il fiume e ben si sposavano con i colori caldi degli edifici e il bianco dei marmi sui ponti.
Dal ponte dove si erano affacciati si potevano scorgere coppiette appartate nello spiazzo di fronte al Ponte Rotto. Sicuramente l'atmosfera romantica e il fiume che ovattava i rumori del centro città alle prese con il week end erano l'ideale per chi voleva un po' di privacy.
"Vogliamo scendere un po' lì?" domandò Alex.
"No" non perse tempo a rifletterci su Maya "no, torniamo indietro per favore"
"Ok"
Alex non disse altro, sapeva che doveva andarci piano, perché anche se il suo istinto gli diceva che poteva sperare, al contempo non era ancora arrivato il momento di osare.
Lei era mortificata. Sapeva che Alex non avrebbe fatto nulla che lei non volesse, ma non riusciva a lasciarsi andare come avrebbe voluto. Quella passeggiata, finita - neanche loro sapevano come - in uno degli scorci più romantici di Roma, aveva assunto sempre di più i toni di un appuntamento. E lei lo sapeva come andavano queste cose. Si ride, si fa i cretini, poi si torna a casa e, tanto per prendere un drink, ci si sveglia la mattina dopo nello stesso letto, nudi, storditi e pentiti di aver rovinato tutto. E non voleva né poteva lasciare che finisse così con Alex. Però le piaceva stare con lui, quella sua presenza pacata e rassicurante la faceva sentire a suo agio come mai si era sentita prima ad uscire con un uomo. Sapeva che non ci sarebbero stati imprevisti, cazzate e, se ci fossero state sorprese, il suo istinto le diceva che sarebbero state solo cose belle.
Mentre aspettavano di poter attraversare la strada e tornare, a ritroso, verso Campo de' Fiori, Alex le fece da scudo con un braccio: sovrappensiero, non si era neanche accorta di un monopattino che, sfrecciando incurante dei pedoni, le aveva tagliato la strada.
"Sto deficiente!" esclamò l'uomo indignato.
"Lascia perdere …"
Maya, inconsapevolmente, aveva stretto la mano tra le sue e non riusciva a mollare la presa. Lui non fece una smorfia, non la guardò nemmeno, ma intrecciò le dita con quelle della mano destra della ragazza e, appena possibile, ripresero a camminare.
 
"Grazie per il passaggio" disse Maya, scendendo dalla moto e slacciando il casco per restituirlo ad Alex "e grazie per la passeggiata"
"Grazie a te per la pizza" aggiunse lui, e Maya fece spallucce.
"Non c'è di che"
Maya poggiò il casco sulla gamba dell'uomo che stava ancora seduto sullo scooter, ma lo aveva spento per parlare. Con la mano, sfiorò quasi impercettibilmente la sua coscia ed Alex sentì un brivido salirgli lungo la schiena. Maya cerco di rimanere all'erta, concentrata e seria, perché se era vero che quella sera avevano percorso, letteralmente, una nuova strada assieme, non era ancora in grado di capire cosa lui volesse e dove stava andando a parare.
Mentre Alex sistemava il casco nel bauletto posteriore, Maya non si mosse e rimasero entrambi in silenzio: era il classico momento di imbarazzo dopo un'uscita in cui non si sa bene cosa fare, se salutare o se invitare a salire per un drink, nella speranza di proseguire la serata in altro modo. Forse Alex ci sperava, forse no, Maya non riusciva a decifrarlo; quanto a lei, era tremendamente combattuta: farlo salire era tremendamente rischioso ma al contempo non riusciva a lasciarlo andare. Bisognava buttarsi, Olivia aveva ragione, ma era un rischio che non era disposta a compiere senza una minima garanzia.
"Allora ci vediamo lunedì" fece Alex, tornando in sella, sorridendole "passa un buon week end"
"Anche tu" annuì Maya, prendendo le chiavi nella borsa "a lunedì. Buonanotte"
"Buonanotte"
Aveva lasciato, in pratica, che fosse lui a decidere per entrambi: una decisione di cui ora si pentiva amaramente, ma non poteva tornare indietro, non doveva dargli l'idea di essere una disperata, perché evidentemente lui non lo era più di tanto.
Sul portoncino, prima di entrare, Maya si girò, speranzosa di non si sapeva nemmeno lei cosa; lui era ancora lì, ma ormai aveva messo in moto lo scooter. Con un sorriso amaro, stampato a forza sulle labbra, alzò leggermente il braccio per salutarlo e lui ricambiò, da sotto il casco, con un misero cenno del capo.
 
Come faceva sempre quando la accompagnava a casa, Alex aspettò che chiudesse il portoncino per ripartire. Sulla strada, mentre sfrecciava lungo il Tevere ripensò alla serata appena trascorsa, a come l'aveva vista perdere ogni inibizione, come un'amica con cui si passerebbero ore. No, non era amica la parola che cercava. Compagna, compagna era molto più appropriata. E poi aveva stretto la sua mano a quella di lei, avevano passeggiato per i vicoli del centro come decine di altre coppie che erano intorno a loro: incuranti degli sguardi dei passanti, che di certo non erano interessati a loro, e paradossalmente incuranti di loro stessi. Dopo un'iniziale scossa, un nanosecondo per rendersi conto che era successo davvero, che tutti i pianeti si erano miracolosamente allineati e lei aveva finalmente fatto quel passetto verso di lui, e tutto era continuato ad andare come doveva, tranquillo e normale perché insieme stavano bene, funzionavano perfettamente. Non poteva negare e nascondere l'emozione, quella trepidazione un po' timida e un po' adrenalinica che faceva battere il cuore come quello di un ragazzino nel guardarsi e, senza parlare, dirsi che stava succedendo veramente, ma al contempo c'era quella sensazione dolce di benessere e di giustezza che faceva sembrare nulla di eclatante quello che stavano facendo.
Si rese conto, per la prima volta, che non aveva pensato neanche per un secondo a Claudia quando era con Maya; finalmente, aveva smesso di essere il metro di paragone di ogni sua nuova esperienza. Aveva detto alla giovane che non era mai stato un ripiego, un modo per dimenticare sua moglie e digerire la separazione, ma implicitamente ogni cosa che faceva con Maya finiva col farlo pensare alle mancanze di Claudia o alle sue come marito.
Ora non più: stare con Maya non era più un bisogno, un'ossessione quasi; passare anche solo del tempo insieme era un'emozione da vivere totalmente, senza pensare ad altro, conquistato da quegli occhi dolci e irriverenti allo stesso tempo, da quella risata genuina e piena di vita.
Coglione. Alex, sei un emerito coglione.
Mentre era ancora per strada, iniziò ad imprecare contro sé stesso e se avesse avuto un muro a portata di mano avrebbe rimosso il casco e ci avrebbe battuto la testa contro ripetutamente.
Nella sua mente, l'immagine dell'ultimo sguardo che Maya gli aveva rivolto, ritornava di fronte ai suoi occhi tremenda e insopportabile. Lì per lì non ci aveva fatto caso, i suoi occhi ancora distratti da quella patina rosa che era stata quell'uscita a due, ma ora poteva giurare che lo sguardo della ragazza, quando si era girata per l'ultima volta prima di rientrare in casa, fosse spento e deluso. Forse - anzi ne era praticamente certo - non aveva capito niente, forse tanto per aspettarla e rispettarla, si era dimenticato di fare la sua parte dopo che lei aveva fatto la sua.
Appena la strada glielo consentì, Alex fece inversione e ruotò la manopola dell'acceleratore: a tutto gas, verso Testaccio.



 

Lo so, dopo questo finale probabilmente verrete a cercarmi in giro per l'Italia per uccidermi. Ma vi chiedo solo un altro po' di pazienza e verrete ripagati di ogni attesa, ve lo prometto. Anzi, per farmi perdonare per un capitolo anche più corto del solito potrei anche pubblicare prima il prossimo; che ne dite, vi piace come compromesso? Un saluto e un ringraziamento a tutti voi che continuate a seguire la storia e a presto,
Fred ^_^

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***




Capitolo 21


 
Maya era sotto la doccia. Nonostante l'orario, appena rientrata a casa ci era entrata di corsa, quasi con tutti i vestiti, e non importava che avrebbe svegliato gli inquilini del piano di sotto o la Betti nell'appartamento di fronte. Doveva levare quell'odore caldo e speziato che le era si era letteralmente stampato addosso quando aveva abbracciato Alex sulla moto o la notte l'avrebbe passata completamente insonne. Non era certo per l'esperienza in sé: non aveva quindici anni ed era uscita con molti altri ragazzi e spesso si finiva a camminare mano nella mano o persino a baciarsi al primo appuntamento, in maniera inaspettata, casuale o addirittura per consuetudine. Era la sensazione che non riusciva a scacciare dalla sua testa: quel senso di familiarità unito alla passione insaziabile era tornato ad insinuarsi nei suoi pensieri per l'ennesima volta.
Eppure Alex le aveva augurato la buonanotte e basta, se ne era andato senza dire una parola sulla serata se non un misero grazie, non si era esposto dopo che lei aveva rifiutato di scendere a bordo fiume con lui.
Il loro patto era saltato, lo sapevano entrambi pur senza averlo sancito ufficialmente, e la serata appena trascorsa ne era una prova lampante. Continuare a tenere il freno a mano tirato era solo un'ipocrisia, Maya lo sapeva bene, ma finché lui non si fosse esposto doveva continuare a stringere i denti, anche a fare il bagno nel ghiaccio per placarsi, se necessario, perché si rifiutava di essere il divertimento di una serata. Al contempo però dannava sé stessa.
Cosa cazzo hai combinato Maya? Come ci sei arrivata a ridurti così?
Nella sua testa, davanti allo specchio appannato che pulì con la manica dell'accappatoio, si rimproverava di essere stata così incauta pur sapendo benissimo a cosa andava incontro. Ripeteva a sé stessa che aveva paura di rimanere bruciata se lui si fosse rivelato una sòla, ma era consapevole che, ormai, era già andata. Forse non riusciva a descrivere a parole quello sentiva, non riusciva a dargli un nome perché per lei era una novità assoluta, ma sapeva che era ben diverso da ogni tentativo precedente. Mentre tamponava i capelli con l'asciugamano, il citofono squillò. Il telefono segnava le 2, col cavolo che sarebbe andata anche solo a controllare dal video. Di sicuro era qualche ragazzo del quartiere in vena di scherzi, alla peggio un ubriacone o un drogato da tenere alla larga, ma dopo un paio di tentativi andati a vuoto, quando pensava di aver fatto desistere chiunque fosse ad importunarla, il telefono squillò. Era Alex. Il suo cuore fece un tuffo nello stomaco e riprese la sua corsa almeno un paio di battiti dopo, proprio come quando sulle montagne russe si comincia la discesa più ripida e veloce.
"Alex?!"
"Maya … scusa ti ho svegliato, sono un idiota"
Sì, lo sei
"No, non mi hai svegliato, tranquillo … ma hai suonato tu?"
"Sì … sì scusa. Potrei salire? Ho bisogno di parlarti … lo so che è tardi, ma è importante"
Maya resto in silenzio per qualche secondo, per assorbire tutta quella mole di informazioni che il suo cervello stava ricevendo in quel momento: era tornato indietro, le aveva citofonato e ora le stava chiedendo di salire. Era tutto quello che avrebbe voluto accadesse eppure ora che stava accadendo era terrorizzata.
"Maya … Maya ci sei ancora?" Alex al telefono richiamò la sua attenzione.
"Sì … ehm, dammi cinque minuti"
In fretta e furia mise su un paio di leggings e una felpa vecchissima, larga e un po' logora che usava sempre per le pulizie di casa e aveva lasciato in camera da letto appesi ad un'anta dell'armadio. Aveva provato ad arrotolare i capelli in un turbante con l'asciugamano, ma le mani le tremavano e non riusciva a tenerlo fermo come al solito; lasciò così i capelli all'aria, ancora umidi, se non altro non gocciolavano.
Aprì il portone dal citofono, lasciando la porta socchiusa. Andò in cucina e accese il bollitore elettrico; nella sua mente, farsi trovare indaffarata a preparare una tisana, era il modo migliore per minimizzare l'assurdità della situazione. E poi aveva bisogno di tenersi occupata, o il suo cervello le avrebbe proiettato nella testa immagini di un futuro possibile che non poteva né doveva immaginare o l'autocombustione sarebbe stata inevitabile. Mentre prendeva una bustina dalla scatola delle tisane sentì la porta chiudersi. Ringraziò di avere un filtro tra le mani e non la tazza o sarebbe finita a terra in mille pezzi, visto il sussulto che le provocò. Era un fascio di nervi.
"Ciao" la voce di Alex era quasi un sussurro eppure Maya poteva coglierne ogni sfumatura dolce e calda, trepidante ed incerta.
"Che succede?" chiese lei, mentre versava l'acqua nella tazza; non fingeva di cadere dalle nuvole: aveva semplicemente bisogno di capire.
"Ne vuoi un po' anche tu?" gli chiese, ma si vedeva che non era lì per fare semplice conversazione.
Lui scosse la testa: non erano le cinque del pomeriggio e quello che aveva da dirle non era una pillola poteva essere indorata con tisana bollente. Lei lasciò la tazza a stiepidire sul piano dell'isola e gli si avvicinò, sedendo sul bancone dell'isola, come fosse il muretto davanti scuola. Era folle e ne era consapevole, ma era così che si sentiva con lui: una scolaretta alle prime armi.
"Dimmi … avanti …"
"Non so come dirlo. Non è facile …"
"In questi mesi ti sei sempre aperto con me e ora non è facile?"
Eccallà…quando non sapeva gestire qualcosa, automaticamente Maya sentiva l'armatura montarle addosso. La faceva apparire forte, ma anche stronza e quello non era proprio il momento adatto. Alex pensò invece che aveva ragione, che non doveva avere paura di dirle la verità perché tra loro era sempre funzionato così. E alla fine, che fosse andata bene o male importava relativamente, ma almeno si sarebbe levato quel macigno di dosso.
"Senti" esordì dopo un lungo respiro di incoraggiamento "lo so che tu provi quello che provo io. Non me lo sto sognando, vero?"
"Non lo so cosa provi tu Alex"
"Io mi sto innamorando, Maya."
Maya aveva preteso che fosse diretto, ma non avrebbe mai immaginato che sarebbe stato così tanto diretto; girò la testa altrove, allungando il braccio per prendere la mug: non voleva incontrare lo sguardo dell'uomo, o sarebbe crollata. Alex si portò di fronte a lei, così vicino che poteva sentire il calore e il profumo di camomilla e lavanda salire della tisana.
"Ho mantenuto la promessa" proseguì lui "mi sono fatto da parte, sono stato da solo e ho cercato di capire cosa volessi. E io voglio te."
In quel momento quelle parole, per quanto attraenti e pronunciate con un tono sommesso ed implorante, le ricordarono tutti i dubbi e le incertezze che le erano montate nelle settimane trascorse dopo il bacio, dopo quell'assurdo patto in cui lei lo aveva rimesso al suo posto ma che, di fatto, l'aveva lentamente spinta sempre più violentemente verso di lui.
"Alex io e te abbiamo 15 anni di differenza…quando io sono nata tu andavi già in motorino, quando ti sei laureato io a malapena avevo finito le elementari"
"E questo che c'entra?"
"C'entra. Abbiamo un bagaglio di esperienze troppo diverse … tu hai una famiglia, io non ho mai avuto una storia seria, come pretendi che possa funzionare?!"
"Lavorandoci giorno per giorno Maya. E ti prometto che l'età sarà solo un numero."
"Io non voglio più una storia a tempo determinato, Alex"
"Non è quello che ti sto offrendo."
"E chi me lo garantisce che tra qualche tempo vorremo ancora le stesse cose? Tu sei più vicino ai 50 anni, io ho appena superato i 30. L'età sarà sempre un problema"
"Nessuna relazione può darti certezze. Neanche dopo vent'anni …  e io ne so qualcosa" disse, ridendo nervosamente. Lentamente, come sempre succedeva quando parlava con lei, stava prendendo coraggio "Voglio solo fare un passo alla volta, ma voglio farlo insieme a te"
Ridusse ulteriormente la distanza tra di loro, togliendole la tazza dalle mani e portando le sue mani sul viso di lei. Erano così grandi quelle mani, che Maya riusciva a sentire le dita sfiorargli contemporaneamente le guance, la mascella, il collo e la nuca. Quel profumo, che era riuscita a lavare via, era tornato prepotente, lo sentiva di nuovo addosso, stampato da quel tocco e da quella vicinanza pericolosa e piacevole. Forse era suggestione, ma poteva giurare di riuscire persino a sentire il suo polso accelerare. O forse, più banalmente, era il suo che ormai andava all'impazzata.
"Stavolta te la faccio io una proposta" le disse, sorridendo rassicurante "io ti propongo di darci una possibilità, senza fare programmi o darci definizioni. Che ne dici? Mmh?"
In teoria, era la proposta perfetta: lei non aveva idea di come stare in una relazione e l'idea di muovere i primi passi senza aspettative, vedendo come va, giorno per giorno, in passato l'avrebbe convinta immediatamente. Ora, invece, non era più così convinta. Forse era l'età, forse era la sensazione di volere di più ma non riuscire ad ammetterlo.
"Ho paura" quello, pur con fatica, Maya riuscì a confessarlo.
"Di cosa?"
Scosse la testa, lo sguardo perso nel vuoto "Se lo sapessi lo affronterei"
Aveva paura di lui e di sé stessa, di quella cosa che non aveva mai vissuto: di tutti i ragazzi con cui era stata, del resto, non ce n'era mai stato uno di cui aveva pensato stavolta voglio davvero che funzioni. E lei voleva davvero che funzionasse con lui e ora sapeva che la stessa cosa valeva anche per lui … mi sto innamorando, le aveva detto: era la garanzia che stava aspettando, che non ci sarebbe stata nessun'altra e non era il capriccio di un momento di confusione o di solitudine.
"Non devi affrontarle da sola le tue paure. Ci sono io" le disse, accarezzandole le guance con i polpastrelli, delicatamente "ma devi lasciarti andare, come sto facendo io"
Per la prima volta da quando era entrato in casa, Maya lo guardò dritto negli occhi. Erano limpidi, febbricitanti e quel verde misto al grigio si era acceso a tal punto da renderli quasi blu. Il suo sguardo, fisso su di lei, era sereno eppure così intenso che sembrava riuscisse a leggerle nella mente e che i suoi pensieri gli piacessero.
Maya posò lentamente la sua mano destra su quella di lui: era forte, robusta, eppure le stava accarezzando il viso così gentilmente che quasi sembrava velluto sulla sua pelle; la strinse e, lentamente, la portò verso le sue labbra, baciandone il palmo ad occhi chiusi, per inspirare la sua essenza e prendere da lui tutto il coraggio che le era mancato fino a quel momento.
"Io ci voglio provare" disse, tutto d'un fiato, come se avesse paura che le parole potessero sfuggirle per andarsi a nascondere da qualche parte. Aveva inclinato il capo leggermente, poggiandosi con il viso sul palmo della mano di lui come fosse un cuscino.
Era la prima volta che Alex la vedeva così: docile, vulnerabile. Si stava affidando completamente a lui e quegli occhi nocciola, con qualche piccola pagliuzza dorata, gli stavano aprendo un mondo che fino a quel momento era stato inaccessibile. Era la vera Maya, quella che si era protetta da tutto e da tutti, anche da lui, con un'armatura spessa. Alex lo sentiva che c'era ancora tanto da scoprire, ma non aveva idea che quel giardino segreto fosse tanto meraviglioso. Fece un passo in avanti, l'ultimo che mancava per essere insieme.
Le sue labbra corsero su quelle di lei come si fa con un bicchiere d'acqua fresca in una calda giornata d'estate. Era la sua oasi nel deserto, il suo rifugio nella tormenta, il suo porto nella tempesta.
 
Non avevano avuto tempo di riflettere su quello che stavano facendo. La luce ancora accesa nella zona giorno a far loro da guida, finirono presto in camera da letto. Nella penombra della stanza, illuminata solo dalle luci che venivano dalla strada, tutto ciò che esisteva era Alex: i rumori della notte, le ambulanze, le scorribande dei motorini e il vociare delle comitive erano lontani, silenziati. La casa, chiusa e vuota per quasi tutto il giorno, era fredda, ma l'unica cosa che Maya percepiva era il fuoco che bruciava attraverso i suoi vestiti e quelli di lui; lo aiutò maldestramente a rimuovere la camicia e, mentre i bottoni, tra un bacio e l'altro, non volevano saperne di slacciarsi, ad Alex scappò un risolino inatteso e quasi imbarazzato.
"Che c'è?" domandò Maya "ti faccio ridere?"
Con una maglia normalissima, pensò, sarebbe stato tutto più facile. Ed invece ora stava facendo la figura dell'impedita, mentre era tutta colpa dell'emozione e della foga.
"Oddio no … è che … è la prima volta che porto una ragazza in camera mia a casa dei miei"
Maya impiegò un attimo a ricollegare, ma poi rise anche lei: quando le aveva mostrato la casa per la prima volta le aveva raccontato che quella era stata la sua camera da letto, da ragazzo. La casa era ben diversa ora, poco era rimasto di quegli anni e lui stesso, con il mobilio che intravedeva al buio, faticava a riconoscerla. Ma rimaneva un posto speciale ed era bello condividerlo con lei.
Delicatamente, Alex la fece scivolare sul letto, portandosi su di lei; Maya, una mano tra i capelli di lui, fece scorrere le dita dell'altra lungo la pelle del braccio magro ma tonico: era morbida, interrotta solo dal filo sottile di una vecchia cicatrice sui bicipiti. Era un'imperfezione, ma ai suoi sensi lo faceva sembrare ancora più perfetto. Mentre lui le scostava i capelli per baciarle il collo sentiva i muscoli tesi e le mani leggermente tremanti, ma sapeva bene che non era timore ma solo impazienza: proprio come lei, voleva vivere il momento appieno, ma al contempo voleva sempre di più.
Alex fece scorrere il naso lungo il viso di lei, respirando a pieni polmoni l'odore di pulito di quella pelle ancora leggermente umida e dei capelli ancora bagnati; si lasciò andare ad un sospiro gutturale, soffocato mentre studiava il suo profilo con le labbra, e alle orecchie di Maya suonava come musica. A Maya scappò un leggero sorrisetto compiaciuto: era lei che lo faceva sentire così e ne andava tremendamente fiera. Gli accarezzò la guancia e fu il suo turno di baciargli ogni centimetro del collo fino a farlo gemere di nuovo. O forse era stata lei: sembravano condividere ogni respiro, ogni battito cardiaco. Era come se il mondo intorno fosse scomparso e tutto ciò che rimaneva erano loro due che si tenevano stretti.
"Non credevo che potesse essere così" le disse, tirandosi indietro e guardandola, le mani impegnate a tirarle via i capelli dal viso. Aveva lo stesso sguardo un po' stupido ed emozionato di un bambino rapito dai piccoli bagliori dei fuochi d'artificio che, come piccole stelle, riscendono a terra nel buio della notte.
“Nemmeno io” Maya aveva avuto tanti flirt, non aveva paura ad ammettere di essere stata a letto con diversi ragazzi, ma stava imparando in quel preciso momento, per la prima volta, cosa significa fare l’amore. Portandosi su di lui Maya gli baciò il naso, poi tracciò la linea dello zigomo con la punta delle dita, nel suo sguardo un'intensità incantatrice. Impertinente, intrigante, capace di ribaltare la situazione quando meno te l'aspetti, in grado di mandarlo in orbita con un piccolo gesto o una parola sola: q
uella era la sua Maya, SUA. Avrebbe voluto che quella notte non finisse più: si sentiva febbrilmente vivo, ogni terminazione nervosa vibrava mentre lei, davanti a lui, toglieva la felpa e sotto non c'era niente da slacciare.
Sospirò, attirandola a sé e correndo con le mani lungo la schiena nuda dalla pelle bianca e levigata come un marmo di Canova.
Mentre lei gli aveva braccato il viso tra le mani, lui catturò le sue labbra in un bacio, così feroce e pieno di desiderio che sembrava una canzone d'amore cantata a squarciagola.



 

Carissimi, eccoci qui finalmente al momento clou. *__* L'attesa è stata lunga ma credo di averla ampiamente ripagata. 
Finalmente Alex e Maya sono insieme e, per il momento sono felici. Non sarà facile per loro, ma non lo è mai per una coppia all'inizio. 
Piccolo annuncio: il prossimo capitolo sarà l'ultimo ... per il momento. Mi prenderò una piccola pausa di qualche settimana dopo le feste ed anno nuovo arriverà una ideale "seconda stagione" di Contro Ogni Ragionevole Previsione. Ma non è questo il momento degli addi. Per ora vi dò semplicemente appuntamento alla prossima settimana, tra mercoledì e giovedì. Alla prossima
Fred ^_^
 

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***


 

 
Capitolo 22


Maya si trovò ad aprire gli occhi lentamente, beandosi del raggio di sole che, entrando nella stanza dalla persiana leggermente aperta, le riscaldava il viso. Ci mise un attimo per fare mente locale. Non era sola in quel letto, aveva passato la notte con Alex: a fare l'amore, a restare in silenzio, a guardarsi e sorridersi, di nuovo a fare l'amore. Non voleva essere ridicola o sdolcinata, ma a definirla una delle notti più belle della sua vita non ci sarebbe andata troppo lontana. Affondò il viso nel cuscino sentendosi quasi una ragazzina alle prime armi. Ma era tutta colpa, o merito, di Alex: era riuscito laddove altri avevano fallito, toccando le sue corde più profonde e più vere, abbattendo quel muro che con fatica, per anni aveva costruito attorno a sé. Si era messa a nudo davanti a lui e non solo fisicamente.
Si stiracchiò leggermente e si tirò su, facendo attenzione a non tirare via troppo le coperte da lui che, alla sua destra, dormiva ancora. Si girò lievemente per guardarlo meglio. Le sembrava un piccolo leoncino addormentato, con i capelli leggermente arruffati - quelli invece erano colpa sua.
Aveva voglia di caffè ma, prima di alzarsi, non poteva resistere alla tentazione di respirare ancora il suo profumo o di baciarlo di nuovo. Forse si sarebbe svegliato e l'avrebbe braccata a letto, ma doveva correre il rischio.
Si chinò leggermente su di lui che dormiva supino, con un braccio sotto il cuscino. Prese un lungo respiro per inspirare quel profumo che tanto le piaceva. Per la prima volta, notò anche una nota dolciastra. Il suo profumo che si era mischiato a quello di lui: era come se lei fosse rimasta lì, sul suo corpo; gli baciò la schiena e poi risalì con la punta del naso fino al collo dove quell'odore era così intenso, più forte che mai, tanto da stordirla, tanto da doversi obbligare a lasciarlo dormire ancora un po'.
Fuori dalle coperte, raccolse gli slip e, vedendola lì a terra, non seppe resistere alla tentazione di mettere la sua camicia, per sentirsi avvolgere ancora.
La zona giorno, dove aveva lasciato le persiane aperte, era inondata di luce. Era una bellissima giornata, assolata e calda, quasi primaverile, ed il fatto che fosse il suo giorno libero la rendeva anche migliore. Prese la mug di camomilla che aveva preparato la sera prima per darsi un tono ed era ovviamente diventata fredda ed imbevibile e la rovesciò nel lavandino mentre accendeva la macchinetta. A caffè pronto, si appoggiò al piano della cucina, sorseggiando il suo espresso.
"Buongiorno!"
Alex entrò nella stanza con addosso solo i boxer neri aderenti, scalzo, strabuzzando gli occhi leggermente socchiusi per adattarsi alla luce del giorno. Maya si irrigidì all'improvviso, senza una particolare ragione. Forse vederlo così in pieno giorno le stava dando l'opportunità di razionalizzare cosa era successo: quando era con lui, come era successo la sera prima a passeggio, in giro per le strade del centro, oppure quella notte in camera da letto, dimenticava che non era solo Alex, ma anche la persona che le aveva affittato quella casa e che le pagava lo stipendio ogni mese.
"Buongiorno!" si limitò a ricambiare, sorridendogli lievemente e tornando a bere il suo caffè.
Lui le si avvicinò lentamente, cingendola in vita e affondando il viso nell'incavo del suo collo, cogliendola totalmente di sorpresa: il calore del suo respiro, la morbidezza delle labbra che le sfioravano la pelle, le scatenavano di nuovo quei pensieri che il suo raziocinio avrebbe volentieri lasciato tra le lenzuola. Era la persona più incredibile che avesse mai conosciuto, pur con tutti i suoi difetti e le sue fragilità, e riusciva in qualche modo a far uscire fuori la parte migliore di lei, una parte che faticava a riconoscere come propria.
"Ti ho spaventata?" domandò lui, notando quel piccolo sussulto.
"Nn-nn ...ero solo sovrappensiero" chiarì, mentre lui le baciava l'angolo della bocca, dove il caffè le aveva lasciato un baffetto di crema.
"Mmmm … sembra un eccellente caffè" commentò, sornione e provocante; aveva gli occhi lucidi e piedi di desiderio, ma anche dolci e attenti a studiare ogni lineamento del suo viso, come se non credesse davvero di trovarsi lì in quel momento. Quella sensazione di essere amata Maya la sentiva entrare in ogni poro della sua pelle, in ogni respiro, e la faceva sentire forte ma anche estremamente vulnerabile e bisognosa di protezione al tempo stesso; non aveva mai provato una cosa simile e, sebbene fosse curiosa di scoprila, la temeva e aveva paura di non essere in grado di gestirla.
"Ti va?" domandò provando a cambiare argomento e slacciandosi da quell'abbraccio tanto travolgente quanto imprudente "Ti avverto però, è quello delle capsule"
"Farò uno sforzo" accettò lui, fintamente acido. 
Maya si girò verso il ripiano della cucina e lui se ne stava appoggiato all'isola, e lo sguardo non poté non cadergli sulle lunghe gambe bianchissime, mentre si alzava in punta di piedi per prendere, da un ripiano più alto, una scatola di capsule da aprire.
"Ecco dov'era finita la mia camicia" ironizzò lui, avvicinandosi e facendo scivolare la mano sotto la camicia, tra la pelle calda e morbida e il sottilissimo strato di pizzo dello slip.
"La vuoi indietro?"
"Neanche per sogno … ma francamente la preferirei a terra"
Lei si lasciò andare ad un breve sorrisetto, ma Alex non poteva evitare di percepire un certo distacco da parte della giovane.
"Se hai freddo" gli disse, porgendogli la tazzina "nel comò in camera ci dovrebbe essere una maglietta da uomo"
Alex la guardava perplesso, pur tentando di rimanere impassibile; Maya sapeva di non essere una persona facile da gestire e non pretendeva che lui la capisse: solo qualche minuto prima lo aveva probabilmente svegliato con i suoi baci, ed ora si stava tirando indietro; quello che Alex vedeva, dal canto suo, era una donna stupenda, che girava scalza per quella che una volta era casa sua, i capelli leggermente mossi e scompigliati che si erano asciugati nel tepore del letto e aveva addosso solo gli slip e la sua camicia, eppure in quel momento stava tirando il freno a mano. Erano troppe informazioni da processare appena svegli e per giunta terribilmente contrastanti.
"Era di mio fratello" continuò lei "gliel'ho fregata l'ultima volta che sono stata da lui a Londra. Dovrebbe starti."
Maya avrebbe giurato di vedere Alex tirare un sospiro di sollievo; ammetteva anche lei di avere una certa reputazione, e la cosa la faceva ridere perché non aveva mai pensato ad Alex come ad una persona gelosa: passionale sì, ma pur sempre pragmatico e realista.
"Che c'è Maya?" chiese, andando a 
sedere su uno degli sgabelli dell'isola.
"Niente"
"No…non è
niente" insistette lui e, lasciata la tazzina sul piano, tese una mano verso Maya.
Lei ripensò per un attimo a quello che si erano detti prima di perdere totalmente il controllo, prima di abbandonarsi totalmente ai propri sentimenti. Lui le aveva detto che avrebbero fatto un passo alla volta e che le sarebbe stato vicino, l'avrebbe aiutata ad affrontare ogni sua eventuale paura. Le stava dando fiducia e lei doveva fare altrettanto. Strinse la mano di lui con la sua, intrecciando le dita.
"Posso confessare una cosa?" domandò, titubante.
"Puoi dirmi tutto, lo sai" lui era tranquillo e attento, tirandola a sé cingendola alla vita.
"È che … mi sento in imbarazzo … non mi capita spesso di fare colazione con qualcuno con cui ho passato la notte. Di solito … uno dei due torna a casa prima che sia giorno"
Lei, tenendo lo sguardo basso e vago sulle mattonelle della cucina, sentiva gli occhi di lui puntati su di lei, eppure non si sentiva giudicata bensì, stranamente per i suoi standard, compresa.
"Invece se io mi sveglio accanto ad una donna di solito poi l'accompagno all'asilo"
Risero di gusto, insieme, e Maya strinse le sue braccia attorno al collo dell'uomo.
"Scusa … non è facile per me, te l'ho detto."
"È tutto nuovo anche per me"
Lei poteva non crederci, ma quando aveva vent’anni era tutto diverso: erano gli anni di Beverly Hills e Non è la Rai, eppure non era così facile e normale avere un po’ di intimità tra fidanzati, nemmeno a Roma, specialmente se venivi da Testaccio e la tua ragazza dal Flaminio.
“È più bello e più facile farlo insieme"
"Qualsiasi cosa stiamo facendo …" giudicò Maya.
"Già …"
Chiunque si sarebbe raffreddato a quella sua precisazione, ma non Alex. Entrambi avevano bisogno di ripetizioni in educazione sentimentale, ed erano felici di poter essere in classe insieme. Per la prima volta dopo tanto tempo, per Maya forse era addirittura la prima volta, entrambi si sentivano a casa.
"Di là ho visto la rosa che ti avevo mandato" le disse, mentre Maya portava la sua fronte a contatto con quella di Alex "non pensavo l'avessi tenuta"
"Perché? Te l'avevo detto che per me era un regalo bellissimo … nonostante mia sorella non la pensi allo stesso modo"
"Ah sì?"
"È una lunga storia …"
"Abbiamo tutto il tempo"
Mentre erano stretti in quell'abbraccio, il telefono di Maya iniziò a squillare sul tavolino di fronte al divano. Dalla suoneria personalizzata riconobbe subito che si trattava di Lavinia. Parli del diavolo …
"Nooo" esclamò la ragazza "cazzo!"
"Lascia stare" le consigliò lui, distraendola con un bacio, ma Maya fu costretta a defilarsi, controvoglia.
"Non posso, è mia sorella. Dovevamo andare a pranzo da mia madre oggi"
Era sabato e sua sorella non era di turno in ospedale, il che significava una sola cosa: pellegrinaggio a Grottaferrata dalla principessa Torlonia. Ma con tutto quello che era successo, Maya si era completamente dimenticata.
"Lavi!" rispose, sedendo sul divano, titubante ma cercando di dissimulare la sua incertezza.
"Maya sono pronta, quando vuoi puoi passare a prendermi"
Maya allontanandosi dal telefono pronunciò una serie di parolacce sottovoce "Aehm, Lavi, ascolta …"
"Ti sei dimenticata ..."
"Dimenticata? No, ma quando mai? È che ieri è stata una giornata pazzesca a lavoro e non ho avuto un minuto per avvertire né te né mamma che oggi non posso proprio … viene il tecnico della caldaia, ho dei problemi con l'acqua calda"
Alex, andando a sedere al suo fianco, stava a guardarla apparecchiare quella bugia con una maestria sopraffina, così divertito da quella situazione surreale che gli venne voglia di punzecchiarla, stendendola lentamente sul divano e baciandola, ma Maya cercava con le poche forze di volontà che le erano rimaste di non ridere e al contempo tenerlo a bada scacciandolo con le mani come si fa con una mosca fastidiosa, ma più lo faceva e più lui continuava ad infastidirla, sbottonandole la camicia.
"Il tecnico della caldaia, Maya?! Di sabato?" domandò sua sorella, scettica.
"E quando dovrebbe venire che io lavoro tutta la settimana? Con quello che si fa pagare viene anche di domenica se serve, altrimenti se la deve vedere con la furia degli Alberici"
"Sia mai" la frenò sua sorella, finalmente convinta o forse arresa "ma io ora come faccio?"
"Prendi un taxi, un treno oppure un autobus … i mezzi pubblici mi dicono essere stati inventati"
"Va beh, ho capito, mi informo … ci risentiamo Maya"
"Ecco brava. Saluta mamma e Ruggero da parte mia"
Chiuse la telefonata con la solita catena ininterrotta di ciao da una parte e dall'altra, sbuffando. C'era mancato veramente poco … non stava facendo nulla di male, non c'era nulla da nascondere, semplicemente voleva tenersi quello che stava succedendo tra lei e Alex ancora per sé. Alex le prese il cellulare dalle mani e lo spense.
"Che stai facendo?"
"Non vogliamo correre il rischio di avere mamme o altri parenti che chiedono perché non vai al pranzo di famiglia, vero?" le domandò, facendole l'occhiolino.
"Assolutamente no" concordò, slacciando l'unico bottone della camicia che era rimasto abbottonato "allora, dove eravamo rimasti?"
  
 
"Maya? Maya!" la voce profonda e suadente di Alex risvegliò Maya nonostante fosse poco più che un sussurro.
"Ehi …"
"Devo andare a casa a prepararmi … ma non volevo andare via senza salutarti" disse lui, seduto sul letto, togliendole delicatamente una ciocca di capelli dal viso; solo in quel momento Maya si accorse che aveva rimesso addosso i vestiti, la camicia che aveva fatto sua per tutto il weekend e che accidentalmente lei gli aveva anche macchiato con il sugo degli spaghetti, e già persino le scarpe, che erano finite sotto il divano e lì erano rimaste fino alla sera prima.
"Devi già andare? Che ore sono?"
"Le sei" rispose lui, guardando la sveglia sul comodino.
"Ma …"
"Lo so, è presto, ma vorrei evitare il traffico e ho un po' di cose da rivedere sul pc prima di andare a lavoro"
"Mmmm va bene" sbuffò la giovane, gettando la testa sul cuscino, pur ridacchiando.
Le accarezzò il viso dolcemente, la sua espressione un misto di colpa e tenerezza. Si abbassò leggermente per sussurrarle all'orecchio: erano soli, eppure voleva comunque che rimanesse tra loro, come se nemmeno le mura di quella casa dovessero sentire.
"È stato un week end indimenticabile … non avrei mai voluto che finisse"
Maya gli si avvinghiò al collo e al tronco con le braccia e le gambe "Uffa, rimani ancora cinque minuti"
"L'ultima volta che hai parlato di cinque minuti è passata una notte intera, Maya … non posso davvero."
Avrebbero passato la giornata insieme, ma non poteva proprio essere la stessa cosa; ne avevano parlato la sera prima, ed entrambi erano d'accordo che tutto sarebbe rimasto tra loro ancora, che a lavoro tutto doveva restare com’era: non erano due bambini e, anche se era un grande sforzo, ognuno sarebbe rimasto al suo posto. L'idea però di non potersi neanche dare un bacio, dopo due giorni passati quasi letteralmente sempre sotto le lenzuola, un po' le pesava.
Alex sciolse quella presa, benché controvoglia, e finalmente lasciò il letto. Avere i ragazzi fuori città con la madre era certamente stato provvidenziale e aveva reso i due giorni appena trascorsi magici, ma ora doveva tornare alla realtà, alla vita di tutti i giorni, ai suoi impegni e alla sua routine: era bello però poter finalmente includere Maya nella sua quotidianità, e non più solo in quella lavorativa.
"Alex…" mentre l’uomo era sulla porta e metteva addosso la giacca, Maya lo raggiunse nel corridoio, indossando in fretta e furia la maglietta dei The Clash di suo fratello che gli aveva dato da indossare.
"Ehi!" senza che potesse dire nulla si ritrovò Maya ancorata al suo collo e alle sue labbra "guarda che ci vediamo tra poche ore!"
"Lo so" rispose lei, imbarazzata, portando i capelli dietro le orecchie "senti … torna qui dopo il lavoro"
Non era un invito o una proposta: doveva andare.  
"Devo raggiungere Claudia all'incontro con i professori di Edoardo" rispose, accarezzandole la guancia con un dito "ma dopo ceniamo insieme, te lo prometto"
"E poi resti a dormire"
"Beh … se proprio si fa tardi …" suggerì, sorridendo sarcastico.
 
Mantenere le distanze al lavoro era stato più facile del previsto: era un copione talmente ben scritto che filava letteralmente da solo, come una macchina ben oliata e collaudata che bastava avviare. Lui aveva le sue telefonate, lei la corrispondenza, lui la revisione degli articoli, lei le sue mansioni amministrative.
Durante la riunione di redazione, Maya si stava occupando di stampare e refertare alcune fatture per la contabilità, ma si accorse che la carta della stampante era finita. Poiché durante le riunioni Giovanni lo stagista era con le teste (così erano chiamati non molto amabilmente i capiservizio) in sala riunioni per fare più da cameriere che altro, Maya lasciò la sua postazione per andare a rifornirsi da Alice, colei che deteneva le chiavi del paradiso, meglio noto come lo sgabuzzino delle scorte di cancelleria.
"Allora di venerdì sera che mi dici?" domandò la collega, alzandosi per aprire lo stanzino alle sue spalle.
"Cosa vuoi sapere?" fingendo indifferenza. Restare sulla difensiva l'avrebbe certamente insospettita e Maya non voleva questo.
"Quando me ne sono andata ti ho lasciata sola all'ingresso e Alex stava prendendo la moto"
"Ho chiamato un taxi e sono tornata a casa" le disse, prendendo il cellulare girando un po' per caso su Instagram per non prestarle attenzione e farsi sfuggire qualche espressione che potesse tradirla.
"Dici sul serio?" le domandò dallo stanzino.
Metodo Parioli, Maya, Metodo Parioli, pensò. "Perché? Cosa avrebbe dovuto fare?"
"Minimo accompagnarti a casa, ovvio"
"E perché?"
Alice, tornando con la risma di A4 la poggiò fragorosamente sul bancone e, dopo averle lanciato uno sguardo di ghiaccio, finse di battere la testa contro il piano. "MA COME DEVO FARE IO CON VOI?!!!" esclamò la ragazza.
"Shhhh!" le intimò Maya "io te l'ho detto che non c'è niente ma tu sei ostinata e questi sono i risultati"
"Eppure mi sembrava che ci fosse chimica tra di voi, l'altra sera ero proprio convinta che c'eravamo. Se scopro che mi stai mentendo Maya Alberici, io -"
"Allora? Battiamo la fiacca?” Alex, fermo nell'androne, alle loro spalle, le guardava severo, contrariato "Non vi pago per mettervi i bigodini e fare pettegolezzi come se foste dal parrucchiere"
Lisa, alle spalle di Maya, ridacchiava sotto i baffi, come fanno le bullette a scuola quando gli insegnanti rimproverano le loro vittime per qualcosa che invece hanno commesso loro. Vipera acida.
"Scusa capo!"
"Scusa Alex, ero venuta solo a prendere questa risma …"
"Vai nel mio ufficio e aspettami lì" le ordinò l'uomo, telegrafico e autoritario.
Maya lasciò l'ingresso della redazione con la coda tra le gambe e Alice con il labiale mimava un pesante nei confronti di Bonelli; mentre Alex dava delle ultime disposizioni a Lisa, Maya incrociò il suo sguardo: le stava rivolgendo un sorrisetto flebile, quasi impercettibile. Forse la sceneggiata era stata un po' eccessiva, ma finché c'erano cascati tutti, chi era lei per lamentarsene.
Entrando nell'anticamera del suo ufficio, dove era la scrivania di Maya, Alex rilassò la postura e rallentò la camminata man mano che si avvicinava alla meta. Il sorriso, accennato all'inizio, si faceva sempre più aperto e furbo.
"Dovrebbero darmi un Oscar" commentò, chiudendo la porta a vetri opaca alle sue spalle.
"Adesso non esagerare …" lo provocò lei, appoggiata alla scrivania in cristallo.
"Hai deciso di farmi impazzire oggi, per caso?"
"Perché?" domandò lei, fingendo di cadere dalle nuvole ma accavallando le gambe velate da un collant leggerissimo, quasi invisibile, scoprendole ulteriormente, più di quanto già non fossero: indossava una minigonna in tweed nera e lupetto bianco, sulle labbra un rossetto opaco rosso mattone che sul suo incarnato perlaceo risaltava neanche fosse un cremisi.
"Perché sei bellissima!"
Tanti ragazzi con cui era uscita oppure aveva banalmente frequentato in comitiva con i suoi vecchi amici la riempivano di complimenti, comme il faut, e lei viveva per riceverli; ma il modo in cui glieli faceva Alex, come se fosse la persona per cui questo o quel complimento fosse stato inventato, faceva scomparire tutto intorno a lei: non si sentiva la migliore, si sentiva unica.
"Ho indossato questi vestiti già altre volte" provò a minimizzare.
"Ma altre volte non ti avevo vista nuda" le sussurrò, provocante, abbracciandola in vita e iniziando a strusciare il naso contro il suo collo "e ora mi immagino troppo facilmente cosa c'è sotto"
"Lo immagineresti anche se venissi al lavoro con uno scafandro…"
Alex non poté fare a meno di ridere, riuscendo finalmente ad assaporare le sue labbra dopo ben 6 ore di astinenza: decisamente troppe per quelle labbra vellutate che chiedevano solo di essere baciate, e baciate ancora. Baci dolci, sensuali, piccoli schiocchi, lunghi baci alla francese: tutto il repertorio si adattava perfettamente a quella bocca. Maya però era molto di più di quel desiderio che riusciva a scatenargli: era pungente, ironica, sagace. Una ventata di aria fresca in quella stanza piena di aria viziata che era diventata la sua vita.
"Ho parlato della tua idea per il giornale alla riunione … è stato un successone" dichiarò, tentando di abbassare la temperatura che stava vertiginosamente salendo nella stanza.
"Veramente?" Maya sembrava sinceramente stupita, come se lui non le avesse già detto che c'era del potenziale nella sua proposta.
"Mm mm" annuì lui, soddisfatto e orgoglioso di lei "oggi pomeriggio chiamo New York per sentire se hanno qualche indicazione da darci, ma non dovrebbero esserci problemi. Solo …"
"Solo?"
"Mi piacerebbe che te ne occupassi tu … non mi va di prendermi il merito dell'idea e che poi per giunta sia qualcun altro a scrivere"
"Scrivi tu allora"
"No. Devi farlo tu, Maya ... dico sul serio, sono sicuro che saresti in grado di farlo."
"No, Alex ne abbiamo già parlato, non me la sento" dichiarò lei, perentoria, staccandosi dalla sua presa "e poi adesso sarebbe anche peggio."
"Perché?"
"Perché tornerebbero ad insospettirsi e non ce lo possiamo permettere. Immagina … tu che di punto in bianco mi assegni una serie di articoli"
"Sarà…"
Alex rimaneva scettico: lui credeva profondamente nella meritocrazia e che qualcuno brillasse di luce non propria non gli andava giù; già in passato aveva notato come Maya si sabotasse o comunque non credesse nelle proprie possibilità, ma ora, che la conosceva meglio, la vedeva come una sorta di contraddizione vivente: le piaceva ricevere complimenti e vedersi riconosciuti i propri talenti, ma al contempo aveva questa brutta tendenza a buttarsi giù e a non volersi esporre troppo. Era difficile da spiegare, ma quell'arcobaleno di pregi e difetti, quel prisma di luce pura ma anche di ombre era la precisa ragione che lo stava facendo innamorare di lei, sempre di più, ogni secondo che passava.
"Comunque" Alex non voleva gettare una nuvola negativa su quel momento e sul resto della giornata "dobbiamo brindare"
"A cosa?"
"A questo successo, anche se non vuoi ammettere che è merito tuo" Maya alzò gli occhi al cielo "è così, non fare quella faccia. E poi a noi … un primo appuntamento come si deve ce lo meritiamo tutto, non credi?"
"Non è bastata la passeggiata di venerdì sera?"
"Non nego che è stata una signora passeggiata, ma quello me lo chiami appuntamento? Con pizza bianca e mortadella?"
"E dove avresti intenzione di portarmi? Sentiamo …"
"Questa è una sorpresa, ma vestiti elegante perché è un posto speciale …"
"Qualche indizio?" Alex scosse la testa "Sennò che sorpresa è?"
"Eddai!!!"
Maya si sentiva su una nuvola, esattamente come avrebbe voluto sentirsi quando immaginava quella relazione come si deve che tardava ad arrivare. Certo le sue aspettative erano ben diverse da quelle che aveva mesi prima, ma era incredibile come, ridimensionandosi, avesse ottenuto ben di più di quanto osasse sperare in passato. Forse la stava vivendo come un'adolescente, con le tipiche schermaglie che hanno più il sapore di coccole e tenerezze e giochi che fanno credere di essere adulti. E le piaceva da morire quella leggerezza, proprio a lei che a lungo aveva vissuto sotto il peso gravoso di bugie sempre più complesse.
"E va bene …" Alex non ci riusciva proprio a dirle di no: come avrebbe potuto, trovandosi di fronte quegli occhi che sembravano cioccolato fondente e foglie d'oro e quel sorriso luminoso, dolce e infuocato al tempo stesso "ti porto da Heinz Beck."
Alex poteva vedere dallo sguardo attento e concentrato di Maya la sua testolina buffa lavorare per decriptare l'indizio; sapeva però che non le ci sarebbe voluto molto.
"A La Pergola?"
"Yes"
Ovviamente Maya aveva individuato immediatamente il posto: un ristorante da favola a Roma Nord e quasi proibitivo anche per la gente del posto.
"Ma … ma è un tre stelle Michelin, ci saranno almeno sei mesi di lista d'attesa. No dai,  mi stai prendendo in giro."
"Assolutamente no"
"E come hai fatto?"
"Diciamo … che il maître de salle mi deve un favore e mi ha promesso un tavolo in qualunque momento, basta una telefonata"
Maya non trovava nella sua mente le parole adatte per descrivere il livello di fortuna che sentiva esserle piombata addosso, eppure di fronte a lei c'era quell'uomo meraviglioso che la guardava come se ad essere fortunato fosse lui.  Lei era complicata, presuntuosa, nervosa, chiusa in sé stessa e fintamente espansiva e nonostante tutto, per qualche sorta di miracolo o di allineamento di pianeti, contro ogni ragionevole previsione, lui aveva saputo vedere oltre e l'aveva portata ad aprirsi. Il sogno aveva preso il posto della paura, ed era così bello sognare.



 

Wow. Che dire se non ... è successo. Si conclude qui questa prima parte di una lunga avventura. Forse vi sembrerà che non è successo granché, ma vi posso assicurare che stento a riconoscere i personaggi dal primo momento in cui ho iniziato a muovere le dita sulla tastiera ad oggi. Questa, fin dal principio, non è stata pensata solo come una storia d'amore, ma anche come la storia di due individui, in un percorso di cambiamento e di crescita, una storia di amicizia e di famiglie. E da questo punto di vista credo di aver raccontato tanto. E spero vi abbia soddisfatto, anche solo un po'. 
Non voglio fare ringraziamenti particolari perché, in fondo...mica è finita così. Come dicevo questa è solo la prima parte c'è ancora tanto da raccontare, ma ho deciso di farlo aprendo una nuova storia. E siccome a Natale siamo tutti più buoni, ho deciso di iniziare subito, QUI  c'è il link al primo capitolo di "Contro Ogni Ragionevole Previsione 2 - Oltre Ogni Aspettativa". Spero di trovarvi anche lì e spero che, arrivati alla fine di questo percorso anche voi, miei amatissimi lettori silenziosi, vorrete farmi un salutino o lasciare un commento, anche piccolo piccolo. Sono curiosa di conoscere la vostra opinione.
Ci vediamo nella nuova avventura, 

Fred ^_^

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