Quell'angolo di infinito

di Neamh Moonstar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Due angeli e una stella ***
Capitolo 2: *** Dio e tante domande ***
Capitolo 3: *** Guerra e l'amore che non uccise ***



Capitolo 1
*** Due angeli e una stella ***


    “Quando non sarai più parte di me, ritaglierò dal tuo ricordo tante piccole stelle, allora il cielo sarà così bello che tutto il mondo si innamorerà della notte.”

    - William Shakespeare, "Romeo e Giulietta"

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    Il cielo sopra di lui era una piatta tavola dalle sfumature bluastre che si estendeva oltre l'orizzonte, ancor più in là delle nuvole sulle quali era inginocchiato. Era come un blocco vuoto e spento sopra il suo capo riccioluto; una blanda superficie che scorreva tutta uguale davanti ai suoi occhi azzurri.

    Eppure Azraphel non riusciva a smettere di osservarla, muovendo lo sguardo verso ogni immaginario angolo di quella volta infinita. Sapeva che qualcosa sarebbe accaduto, prima o poi.

    Ed effettivamente, qualcosa accadde.

    Si udì un fruscio e qualcuno lo affiancò.

    «Sarebbe ora di riempire anche quest'angolo, non credi?» Disse l'alta figura in piedi alla sua sinistra.

    Quando si volse a controllare chi potesse essere, Azraphel si ritrovò d'innanzi ad un altro angelo dai lunghi capelli rossi che gli ricadevano dolcemente sulle spalle, sulla schiena e sulle grandi ali candide. Guardava verso l'alto; aveva gli occhi dorati e le palpebre ristrette ad indicare che si era messo a pensare intensamente. Una delle sue dita affusolate tamburellava contro le labbra sottili, mentre l'altro braccio magro risiedeva rilassato lungo il suo fianco. Era il ritratto della concentrazione: le sue idee si susseguivano così velocemente nella sua mente da formare leggere volute sopra il suo capo. Studiò il cielo per un lungo, interminabile minuto, come se in quella superficie monocolore ci fosse qualcosa che nessuno, se non lui, poteva scorgere.

    A giudicare dall'aurea che emanava, Azraphel capì che si trattava di un arcangelo. Un suo superiore: qualcuno che non si sarebbe mai sognato di interrompere. Attese paziente, quindi, che l'immaginazione dell'altro smettesse di galoppare impazzita attorno alle onde cremisi che costituivano la sua chioma.

    Non dovette aspettare a lungo.

    «Sai qual'è il problema?» Esclamò il rosso. «Che ho finito le idee! Abbiamo già riempito il resto del cielo con-»

Si interruppe a metà frase, girando finalmente la testa verso Azraphel e fissandolo con uno strabiliato sguardo aureo. Dovette sbattere le palpebre più volte e pensare bene a cosa dire, prima di prendere parola.

    «Ma tu brilli!» Esclamò infine.

Ci fu qualche secondo di silenzio: quello che servì ad Azraphel per capire bene di che cosa stesse parlando. Effettivamente (e ne era consapevole) tutto, dalle sue piume bianche, alla sua tunica altrettanto bianca, ai suoi riccioli biondi, splendeva di luce propria. Notò anche come ciò contribuisse ad evidenziare ed affinare i lineamenti dritti e affilati dell'altro, il quale ancora non aveva smesso di guardarlo come se stesse assistendo ad un miracolo glorioso da Lei Stessa attuato.

Drizzando ulteriormente la schiena, come ben si conveniva davanti ad un superiore, sorrise cordialmente e rispose: «Sì, in effetti è vero.»

    «Non ho mai visto nessuno brillare così! Devi essere l'unico del tuo genere. Sei nato da poco?»

    Azraphel annuì: «Proprio così.»

Il rosso spalancò appena la bocca, sorridendo a sua volta e lasciandosi cadere di peso accanto al biondo. Atterrò sulle nuvole con la stessa leggerezza di una piuma, a gambe incrociate. Qualche ciocca gli era caduta davanti alla faccia, ma decise di non spostarne nessuna.

Azraphel si fece un po' più in là, in modo che le loro due paia di ali non si intralciassero a vicenda.

    «Ogni volta mi sorprende con una creazione migliore» disse l'arcangelo. «Come ti chiami?»

    «Azraphel.»

    «E con un nome migliore, direi. Io sono Raphael, e al momento» spiegò Raphael tornando per un secondo a guardare il cielo, «sono un po' bloccato. Tu? Dico, cosa sei? Una creatura così splendente ha sicuramente un ruolo importante.»

    «A dire il vero» rispose il biondo stringendosi nelle spalle, «non ho ancora un compito. Lei mi ha detto che ricoprirò una certa posizione in uno dei suoi futuri progetti sulla Terra, quando l'avrà creata» disse, indicando un punto non ben specificato al di sotto delle nubi. «Solo che non so ancora quale sia.»

In effetti, a parte il suo nome e la sua posizione nella scala gerarchica, Azraphel non sapeva granché di se stesso; ma non aveva importanza. Tutto avrebbe acquisito un senso al momento opportuno.

    «Pensa tu» commentò Raphael, meravigliato. «Sai, alle volte mi piacerebbe tanto sapere che cosa Le passi per la mente. Vorrei poter essere del tutto partecipe delle Sue idee, dei Suoi schemi, dei Suoi piani, delle Sue ragioni... Dev'essere qualcosa di veramente spettacolare la volontà di Dio.»

Allora fu il turno di Azraphel per sbarrare gli occhi in segno non di stupore, ma di sorpresa e leggera inquietudine.

 Ogni angelo nasce sapendo una cosa: mai e poi mai provare anche solo a chiedersi quali siano i ragionamenti del Signore. Ciò che Dio fa non si discute, non si tocca e non si esplora. Nessuno sapeva che cosa sarebbe accaduto in caso contrario proprio perché nessuno si era mai azzardato ad oltrepassare quella linea. Eppure Raphael aveva smosso quel pensiero come fosse una cosa del tutto normale, con una leggerezza pericolosa.

Azraphel non era del tutto sicuro di voler affrontare quel tipo di discorso (anzi, non lo era proprio per niente). Decise così di passare oltre.

    «Su cosa sei bloccato? Parli del cielo?»

    Raphael annuì, poggiando la testa sul palmo di una mano: «Non so come disporre le stelle. Volevo che l'ultimo angolo di cielo fosse speciale, memorabile anche. Ma ormai non so più cosa inventarmi.»

    «Stelle? Dici quei puntini bianchi che si vedono in lontananza durante la notte?»

    «Esatto. Sai, i primi tempi c'era Dio ad aiutarci a crearle e diversificarle. Adesso ci siamo solo io e...» l'arcangelo concluse indicando l'infinito sopra le loro teste con un ampio movimento del braccio. 

Azraphel gli rivolse uno sguardo dispiaciuto: gli sarebbe piaciuto poter dare un consiglio concreto, ma non sapeva bene da dove iniziare. Poi ripensò al modo in cui le idee e i pensieri dell'altro si erano manifestati pochi attimi prima, dandogli la possibilità di scorgerne le ombre, e gli venne un'idea.

    «Hai un modo di pensare tutto tuo» affermò con un sorriso. «Se Lei ti ha dato questo compito, significa che hai tutte le capacità di portarlo a termine». Volse gli occhi al cielo e lo indicò con entrambe le braccia, imitando ciò che aveva appena visto fare: «Hai tantissimo spazio a disposizione. Forse puoi iniziare creando qualcosa, vedere come va e poi comportarti di conseguenza.»

Tanto bastò per far tornare una metaforica luce sulla faccia di Raphael; luce che diventava fisica ogni volta che si voltava verso il suo splendente interlocutore.

    «Sai una cosa? Hai ragione! Sei proprio bravo a dare sicurezza. Non è che sei nato per questo?»

    Azraphel fece spallucce, felice di essere stato d'aiuto. «Può essere» disse semplicemente.

Nonostante la rinnovata passione e voglia di fare, Raphael non si mise subito a fare quel che avrebbe dovuto. Rimase invece nuovamente rapito dall'altro che, dal canto suo, inclinò la testa e tacque.

Azraphel capì che Raphael era tornato a ragionare, poiché sentiva tante tacite domande e considerazioni riversarglisi dolcemente addosso. Si sentiva studiato, osservato e analizzato da quello sguardo attento e da quella mente acuta; il tutto mentre veniva accarezzato da un moto di dolcezza che gli sussurrava quanto la sua luce fosse bella, quanto Dio avesse espresso il Suo amore in lui, di quanto fosse di ispirazione per l'arcangelo in quel momento... Era come essere abbracciati senza che ci fosse effettivamente un contatto fisico.

    «Ci sono!» Esclamò l'arcangelo, infine. «Farò sì che quest'angolo di cielo brilli esattamente quanto te.»

L'altro balzò appena sul posto: «Quanto me?»

    «Esatto! In fondo, sei una delle Sue migliori creazioni. Sarà un ottimo modo di farLe sapere quanto io abbia apprezzato e per far capire agli altri quanto anche loro dovrebbero sempre apprezzare quello che crea.»

Certo, il ragionamento non faceva una piega per quanto concerneva la seconda parte. Ma Azraphel avrebbe voluto ribattere per quanto riguardava la prima, in particolare la cosa del: "Sei una delle Sue migliori creazioni", poiché non era assolutamente vero. Aveva visto bene anche qualcuno degli altri suoi (e di Raphael) superiori: loro sì che erano belli, splendenti, con tantissime ali colorate e altrettanti bellissimi occhi.

Come sempre, però, lo frenò il rispetto profondo che provava nei confronti di quell'arcangelo dai capelli di fuoco che lo aveva onorato sin dal primo istante. 

    Cambiò discorso, chiedendo: «Perciò, cos'hai intenzione di fare?»

Raphael si alzò sulle ginocchia, spostandosi interamente in modo da rivolgersi con tutto il corpo verso Azraphel, e disse: «Sta a vedere.»

Sfregò un po' le mani, facendo partire qualche innocua scintilla che si disperse nell'aria. Quando le riaprì, sui suoi palmi si era formata una bella sferetta arancione che pulsava, riluceva e riscaldava il piccolo spazio che si era formato tra le due creature celesti.

    «Questa è una stella?» Chiese Azraphel rapito dalla potenza che sentiva risiedere nel nucleo della piccola creazione di Raphael.

    «Non ancora. Quando questa piccoletta ascenderà, diventerà molto, molto ma molto più grande e la sua luce viaggerà fino a noi finchè Morte non la vorrà per sé. Non so che dimensioni raggiungerà: ho sempre lasciato che facessero da sé. So solo che, entro i confini del Sistema Solare, non possono diventare più grandi del Sole... altrimenti il nome della galassia non avrebbe senso, no?» 

A spiegazione terminata, l'arcangelo guidò la sua creazione verso l'alto, e lui ed Azraphel la seguirono con lo sguardo finché non prese posto nel cielo. Sola, distante, ma già una grande differenza rispetto alla monotonia di qualche secondo prima; almeno, così parve agli occhi del più giovane dei due.

    «È molto bella» affermò.

    L'altro scosse la testa: «Ma non alla tua altezza.»

Azraphel si mise nervosamente a giocherellare con le nuvole sotto le sue ginocchia, provando un moto di imbarazzo e nervosismo.

    «Non dovrebbe essere alla mia altezza, ma alla Sua» disse mentre cercava di evitare, per la prima volta in modo volontario, di incontrare lo sguardo dell'altro.

    «Oh, credimi, ci abbiamo provato. RaggiungerLa è impossibile» disse Raphael, rimettendosi subito a lavoro. «L'idea delle stelle ci è venuta guardando i Suoi occhi. Abbiamo tentato di replicarli e sono venute fuori le galassie, ma non erano la stessa cosa. La tua lucentezza, invece, viene sempre da Lei ed è decisamente più nelle mie corde. Vorrei, almeno per una volta, renderLe omaggio come si deve.»

Guardando un'altra stella prendere il volo, affermandosi subito come molto più grande e luminosa dell'altra, Raphael sospirò e così fece Azraphel.

    «Sono certo che Lei sia già più che felice del tuo operato» affermò quest'ultimo. «Se non lo fosse, te lo farebbe di certo capire.»

    «Non è Lei ad essere infelice, Azraphel» confessò l'arcangelo, iniziando a sfregarsi le mani per la terza volta. «Temo di esserlo io.»

    Una creatura di Dio... Infelice?

Suonava così male nella testa di Azraphel che l'angelo decise di non pensarci, o almeno di provare a non pensarci. Era sbagliato.

Sbagliato. Ecco: tutto ciò che andava contro ciò che Dio avrebbe voluto era esattamente quello. Era sbagliato.

Scosse la testa riccioluta, fissandosi sulle ormai numerose luci che si stavano raggruppando sull'angolo di volta celeste sopra di loro. I movimenti di Raphael si fecero dapprima incerti, poi nervosi, poi svogliati. Il suo sguardo smise di osservare l'angelo di luce con stupore e passò a guardarlo con serietà e una certa stanchezza. 

 La tavola bluastra si fece sempre più bella, decorata di tanti puntini multicolori, ma niente di ciò che vi si unì pareva soddisfare l'arcangelo.

    «Guarda questa» disse ad un certo punto Azraphel, indicando la stella che Raphael aveva appena formato. «È più rossa dei tuoi capelli.»

    L'altro ridacchiò: «È vero. Credo di essere stato un po' violento con lei.»

    «Penso mi piaccia più delle altre. Posso?»

Azraphel aveva timidamente allungato un dito verso la sfera e Raphael gliel'aveva prontamente avvicinata. 

    «Certo che puoi» disse d'istinto. «Occhio, è calda.»

Lo era davvero, e l'angelo non poté fare a meno di notare che in lei risiedeva parte del nervosismo del suo creatore. Era alimentata dal senso di frustrazione e dal fallimento: due cose anch'esse sbagliate, Azraphel ne era certo. 

Cercò così di infonderle un po' di calma, sfiorandola con i polpastrelli. Certo non si aspettava una reazione... Che invece avvenne.

La neo stella divenne bianca. Candida come le nuvole, splendente come le loro ali.

    Raphael la fissò, gli occhi dorati pieni di rinnovato stupore: «Come hai fatto?»

    «Ho solo pensato che se fosse stata più tranquilla, avrebbe brillato di più» si giustificò l'altro. Era il suo primo miracolo, pensò, e non era male. Aveva cambiato un astro in meglio e lo aveva fatto per venire incontro ad un superiore, un amico, un fratello.

L'arcangelo guidò la piccola palla infuocata verso il cielo e la osservò mentre prendeva posto. 

Fu allora che la sua mente elaborò la trovata.

    Prese le mani di Azraphel tra le sue, esclamando: «Ho un'altra idea!»

    L'altro sbatté gli occhi, sorpreso: «Ovvero?»

    «Dovresti provare a crearne una tu.»

La separazione fu così repentina da fare male. Le mani dell'angelo erano scivolate via dal quelle dell'altro per attorcigliarsi l'una all'altra, e la stessa luce della quale era composto parve tremare come una fiamma al vento. A Raphael la cosa non piacque proprio per niente, nel senso che tutta la sua essenza parve ritrarsi e iniziare a piangere. Fu terribile.

    «Ma non posso!» Esclamò Azraphel. 

    «Certo che puoi. Non hai ancora un ruolo: puoi fare quello che vuoi.»

 Raphael lo disse con sicurezza ma non ne era per niente sicuro. Una cosa era certa: voleva che Azraphel ci provasse. Voleva vedere l'aspetto di una sfera di fuoco, di luce, nascere da una creatura fatta essa stessa di luce. 

La luce. La prima cosa che Dio aveva creato e che aveva riversato in un unico, meraviglioso essere; lo stesso che adesso lo guardava insicuro e terribilmente spaventato. Lo stesso che solo esistendo lo aveva stupito, meravigliato, incitato, sostenuto e che gli aveva fatto compagnia mentre cambiava quella triste, ultima tavola di notte. 

 Era diverso da coloro con i quali aveva parlato ultimamente e diverso dagli altri arcangeli. Era solo lui: l'unico fatto in quel modo. Era l'inizio di uno dei tanti progetti di Dio e aveva così tante potenzialità...

    «Facciamo così» disse infine l'arcangelo, riprendendo con delicatezza le mani dell'altro. «Facciamo che è un ordine.»

    «Un ordine da parte tua?»

Azraphel non parve per nulla sollevato, ma Raphael già se l'aspettava, così continuò:

    «Sì, un ordine da parte mia. Ho anche questo compito e tu, ma tanto lo sai bene quanto me, sei un mio sottoposto. Perciò, ti ordino di provarci.»

    Un sorriso furbetto e trionfante riempì la sua faccia immacolata e Azraphel, dopo essersi ristretto nelle spalle, aver spostato più volte il peso sulle ginocchia, essersi mordicchiato nervosamente un labbro ed essere tornato a guardarlo, disse: «Va bene. Come devo fare?»

Fu più facile del previsto.

A Raphael bastò guidare i movimenti e il resto venne da sé. Presto, tra le mani morbide dell'angelo, apparve una fiamma che andò arrotolandosi su se stessa fino a divenire una sfera candida, perfetta e così tanto brillante da fondersi con l'aura stessa del suo creatore.

Fu così che, seppur per un attimo, quella piccola area tra le nubi si illuminò a giorno, illuminando anche le due figure angeliche che vi risiedevano a pochi centimetri l'una dall'altra. Dopodiché, la bella stella bianca prese da sola la sua via verso la volta celeste, come se sapesse già quello che doveva fare.

In mezzo alle altre era così evidente, così fiera, così visibile... Talmente tanto che Raphael si alzò in piedi di scatto e la indicò con gli occhi dorati ricolmi di gioia.

    «È perfetta!» Esclamò. «È stupenda. Lei ne sarà così fiera!»

Azraphel era rimasto dov'era, ancora non ben conscio di ciò che aveva appena fatto. Aveva tanti pensieri in testa e ancora non sapeva bene se fossero positivi o meno. Aveva appena creato una stella senza che gli fosse detto che poteva farlo.

Senza che gli fosse detto che NON poteva farlo.

    Si guardò le mani, stralunato. Poi chiese: «Dici davvero? Pensi che Le piacerà?»

    «La adorerà!» Esclamò l'arcangelo spalancando le ali per la gioia. «Scommetto che diventerà importante.»

Azraphel guardò la sua piccola creazione e sorrise. In realtà non pensava sarebbe stata così rilevante in futuro, ma sicuramente pensava che fosse davvero carina. Inoltre, Raphael sembrava così felice... Renderlo felice gli riusciva facile e lo faceva sentire bene. Tanto male non poteva essere, soprattutto dopo la confessione di poco prima.

    Infelice.

    «Non mi resta che finire il lavoro» disse il rosso ricadendo sulle nubi e riprendendo a creare con rinnovata passione.

Azraphel rimase a guardare mentre l'ultimo angolo di cielo veniva riempito di stelle, scie, colori e corpi celesti, alcuni così lontani da essere a malapena visibili. Era uno spettacolo unico e mozzafiato.

 L'universo aveva finalmente un tetto e al centro di esso vi era una bella stella bianca.

    «Che ne pensi?» Chiese Raphael a lavoro terminato.

    L'altro si mise una mano sul petto, contemplando l'opera: «Sono senza parole. Davvero, hai fatto un lavoro splendido.»

    «No, mio caro. "Abbiamo" fatto un lavoro splendido.»

    «Non che io abbia fatto granché...»

    «Ah-ah» ammonì l'arcangelo mettendo un dito sulle labbra di Azraphel per zittirlo. «Taci e prenditi il merito che ti spetta. Vuoi?»

Non lo disse con effettiva rabbia. Anzi, sorrideva e il suo sguardo splendeva alla luce dell'angelo al suo fianco (e adesso anche alla luce delle stelle).

Tacquero entrambi, i loro volti rapiti da quell'angolo di infinito che avevano condiviso e riempito. Il silenzio li avvolse finché non fu nuovamente Raphael a prendere parola, battendosi una mano sulla coscia.

    «Stenditi» disse in tono accogliente. «Vedrai meglio.»

 Azraphel lo guardò dapprima dubbioso, poi cambiò finalmente e lentamente posizione, capendo cosa l'arcangelo volesse da lui.

 Poggiò cautamente la testa sulla gamba dell'altro, come se la sua essenza avesse un peso e potesse effettivamente dargli fastidio. Perché le ali non lo intralciassero, le avvolse attorno a sé come una coperta e notò con meraviglia quanto il cambio di prospettiva avesse effettivamente stravolto tutto.

Ora aveva una visione molto più completa sia della "sua" piccola creazione che della volta nella sua interezza.

    «Avevi ragione» commentò con un sorriso. «Mi piace osservarlo così.»

    Gli angeli avevano un modo tutto loro di approcciarsi gli uni agli altri. Quando tra loro non distavano interi strati gerarchici di Paradiso, erano soliti stare insieme, vicini, perennemente uniti. Volavano assieme, si prendevano per mano, si prendevano vicendevolmente cura delle loro arruffatissime piume. Non era strano per loro far risonare l'Amore di cui erano fatti attraverso gesti di mutuo affetto.

Non fu strano per Raphael iniziare a sgrovigliare i perfetti riccioli di Azraphel, così come non fu strano per Azraphel lasciare che l'arcangelo glieli sistemasse e godesse del loro brillio.

    «Sono felice che ti piaccia» disse il rosso facendo scivolare le lunghe dita attraverso le candide ciocche dell'altro. «Anche Lei lo amerà, me lo sento» ripeté con un filo di voce.

    Infelice.

Quella parola risuonò nuovamente nella mente di Azraphel, il quale spostò lo sguardo per incontrare, per quanto possibile data la posizione, quello di Raphael. 

Effettivamente, c'era qualcosa che non andava in quelle pozze dorate. L'angelo fatto di luce non avrebbe saputo dire che cosa fosse, ma non chiese. 

Per l'ennesima volta decise di tacere e, coccolato dai gentili gesti che gli accarezzavano il capo, di godersi il momento.

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Capitolo 2
*** Dio e tante domande ***


“Non v'è un mezzo per accontentare quelli che vogliono sapere il perché dei perché.”

    - Leibnitz

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    Se c'era una cosa che amava, era vedere i Suoi angeli vivere felici.

    Sarebbe rimasta per sempre lì, con gli occhi di stelle fissi sugli esseri che con tanto amore aveva fatto nascere, ai quali aveva dato un nome, dei quali aveva accuratamente scelto le caratteristiche e i ruoli. Li amava così tanto da ammirarli rapita mentre si prendevano per mano, si parlavano e si stringevano in un meraviglioso moto di Amore e fratellanza.

    Li accoglieva sempre con gioia quando accorrevano da Lei per riferirLe le loro idee, le loro gioie e i loro ricordi. Alcuni La chiamavano Madre, ma alle volte poteva essere Padre. Molti La stringevano in abbracci dolci ed espansivi, mentre altri preferivano restare rigorosi e mostrarsi al Suo cospetto come figli obbedienti.

    A Dio non faceva nessuna differenza. Per Lei meritavano tutti affetto, dal primo all'ultimo; da coloro che aveva designato perché fossero i Suoi aiutanti, a coloro che aveva posto al servizio di ciò che avrebbe creato. Ogni singolo angelo era la Sua gioia.

    Anche lui: quello che Le volò veloce davanti, facendosi finire una miriade di ciocche rosse davanti agli occhi. Senza scoprirsi il viso, La salutò con un sorriso puro e smagliante: «Ce l'ho fatta!» Esclamò.

    «Lo so, Raphael» rispose Lei, invitandolo tra le sue braccia. 

    Lui non se lo fece ripetere due volte e si lasciò cadere sulle nuvole accanto alle Sue ginocchia, aspettando che iniziasse a sistemargli i capelli, come spesso accadeva.

    «Sei stato bravo, anzi» continuò Dio. «Lo siete stati entrambi.»

    Raphael sussultò contento: «Sapevo che lo avresti detto!»

    Lei sorrise, tirando fuori la risata più cristallina e armoniosa dell'universo. «Come potrei non apprezzare un cielo stellato, amor mio?»

    «Parlando di quello,» disse l'arcangelo voltandosi un po' verso di Lei. «Lui. Lui è incredibile.»

    «Parli di Azraphel» constatò Dio, iniziando a intrecciare tre di quelle belle ciocce infuocate. «Sono felice di vedere che l'hai preso sotto la tua ala. È in ottime mani.»

    «Ha fatto una stella, hai visto? È meravigliosa.»

    Dio annuì: «Certo che l'ho vista, amor mio. È davvero luminosa.»

    «Lo è. Lo è eccome!» sospirò Raphael, ripensando al magnifico momento in cui l'avevano creata, al modo in cui le loro mani si erano unite per dar vita all'astro più bello di sempre. «L'ha fatta per te.»

    Dio non rispose subito, ma non smise nemmeno di sorridere. Ovviamente sapeva tutto ciò che i due si erano detti, così come sapeva che avevano finito il cielo assieme. Li aveva osservati bene, studiando i loro movimenti e, per la prima volta dall'inizio dei tempi, era rimasta sorpresa. C'era qualcosa tra loro due: era Amore, il Suo, ma anche qualcos'altro. Non aveva ancora trovato il modo di definirlo. Era un rapporto sbocciato dal nulla ma che subito si era messo a brillare come le stelle stesse. Forse, come Lei, era qualcosa di troppo grande e troppo alto da descrivere. Era, era... Aveva bisogno di una parola adatta.

«È un dono meraviglioso» rispose, accarezzando la testa di Raphael. «Lo custodirò con piacere.»

    L'arcangelo sorrise, gli occhi colmi di gioia: «Oh, quando lo saprà, sarà felicissimo. Grazie.»

    Era da tanto che Dio non vedeva il suo arcangelo così felice. Ultimamente il suo sguardo dorato si era rabbuiato. Tutto era iniziato quando Lei aveva deciso di rivelare il Suo più grande progetto: la Terra. Da lì erano partite le domande; non da parte di Raphael stesso (non inizialmente), ma la curiosità si era sparsa ad una velocità disarmante, tanto da essere arrivata a toccare anche lui, alla fine. Non che la curiosità in sé non andasse bene: erano più i risvolti ai quali poteva portare, il problema.

Alcuni dei Suoi angeli avevano iniziato a far crescere in loro il seme del dubbio, ma finora la situazione era stata più o meno gestibile. Lei aveva vegliato su di loro per quanto aveva potuto, ma sentiva che le cose Le sarebbero potute scivolare dalle mani, prima o poi.

«Non devi ringraziare me,» riprese Dio, «ma Azraphel. Sembra che ti abbia messo davvero di buon umore. La cosa mi rende lieta.»

    Raphael annuì: «Lo farò. Puoi starne certa.»


    Dio e il Suo arcangelo rimasero in silenzio per un po'. Lei si occupò di riordinargli i capelli, districando le ciocche che lei stessa aveva tessuto e ondulato; mentre lui prese ad osservare gli angeli che volavano gioiosi tutt'attorno a loro, cantando e chiacchierando.

L'idea che gli angeli sappiano cantare è assolutamente vera. Se Dio era nei paraggi, poi, davano il meglio di loro e l'atmosfera si colorava di note.

    Oh, Dio conosceva bene quello sguardo e quel velo che sempre più spesso ormai copriva gli occhi dorati di Raphael. Avrebbe potuto elencare una ad una tutte le cose che gli passavano per la testa.

«Pensi ancora a lui, amor mio?» Gli chiese, sapendo già la risposta.

    L'arcangelo annuì di nuovo, improvvisamente serio: «Ho così tante domande. Perché lo hai creato? Perché brilla così tanto? Come ti è venuto in mente il suo nome? È così bello. Lui è così bello. E poi perché tanta segretezza sul suo ruolo? Insomma, non-»

    Dio si rimise a ridere e lo zittì, posandogli delicatamente un dito sulle labbra sottili. «Piano, amore mio, piano. È normale che tu sia così affascinato dalla novità, ma non posso dirti niente.»

    Raphael La guardò deluso: «E perché?»

    «Perchè non è ancora il momento. Non temere, però: arriverà presto.»

    «Ma presto quando?»

    «Quando lo deciderò.»

    «Ma allora come fai a essere certa del fatto che sarà presto, se ancora non l'hai deciso?»

    Dio scosse la testa e sospirò, posandogli una mano sulla guancia: «Ammiro la tua curiosità, amor mio. Ma fai troppe domande ed hai troppi dubbi.»

    L'arcangelo fece un lamento tra il deluso e l'infastidito, guardando in basso: «Lo so, me lo dici sempre. Lo dici anche a Lucifero e i suoi amici.»

    «Perché ho notato la stessa cosa anche in loro. Avete troppa ansia e siete troppo attaccati al futuro.»

Con una mano candida ed eterea, Dio indicò il Paradiso che si estendeva in ogni direzione: «Dovreste stare tranquilli e godervi il presente. Ad esempio, ho creato angoli di Paradiso meravigliosi perché possiate rendere reali le vostre idee. Perché non li visitate più spesso? Ho adorato i nuovi animali che vi avete messo all'interno: li metterò anche sulla Terra.»

    «Ti piacciono? Li metterai tutti?» Chiese nuovamente l'arcangelo, inclinando la testa.

    «Raphael, amor mio...»

    «Oh, giusto. Questa era una domanda.»

    Dio annuì e sorrise. «Sai, ora che ci penso: avevo detto ad Azraphel che sarebbe stato bello se ci fosse andato anche lui. Dovrà lavorare sulla Terra, in fondo: avere già un'idea di cosa lo aspetta non può fargli che ulterior bene.»

    Non appena Lei ebbe nominato l'angelo, Raphael era balzato in piedi. «Lui è lì? Perché non me l'hai de- ah, no, aspetta: questa è una domanda. Lascia stare: sono felice che tu me l'abbia detto! Volo lì.»

E in effetti, in un attimo aveva spiegato le ali candide ed era decollato, lasciando Dio con un sorriso amaro sulle labbra. 

    In cuor Suo, sebbene non ne avesse uno (ancora non lo aveva inventato, ma ci stava lavorando) sperò che il comportamento di Raphael e gli altri non portasse a qualcosa di sbagliato.

Sbagliato: aveva denominato così tutto ciò che andava contro la Sua volontà. Era una parola che non conosceva nessuno.

Nessuno tranne Azraphel.

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    Dio l'aveva chiamata "spiaggia" e la Terra ne avrebbe avuta una, forse di più. Quella che aveva messo in Paradiso era fatta di sabbia bianca e, a pochi metri da essa, vi aveva posizionato una miriade di alberi, tutti diversi, alti e rigogliosi. In mezzo al verde vi abitavano gli animali: creature viventi e costellate di particolari, frutto delle idee di Dio e degli angeli. Nessuno a parte Lei lo sapeva, ma fu proprio da quel luogo che avrebbe preso spunto per costruire l'Eden.

    Azraphel si era messo ad osservare una creaturina che aveva catturato la sua attenzione e che adesso si crogiolava tranquilla su un ramo. Ne stava studiando i movimenti, quando un fruscio ed una voce a lui familiare lo distrassero. 

    «Azraphel! Ciao!»

    Voltandosi, l'angelo vide Raphael salutarlo con un sorriso radiante stampato in faccia. «Oh, ciao» lo salutò a sua volta, cordiale come sempre. «Come stai?»

    «Sempre meglio quando vedo la tua aurea luminosa. Che stavi facendo?»

    Con un dito, Azraphel indicò l'animale che tanto lo aveva incuriosito: «Mi piace quell'essere» affermò. «Si muove in maniera così elegante e sinuosa...»

    Raphael strabuzzò gli occhi dorati ed esclamò: «Ma è un serpente! Li ho fatti tutti io, sai?»

    L'angelo osservò il lungo animale ricoperto di scaglie brillanti, soffermandosi sui suoi incredibili occhi solcati da sottili tagli neri. Non lo stupì scoprire che era stato l'arcangelo dai capelli di fuoco ad inventarlo: solo lui avrebbe potuto avere un'idea così originale. 

«È molto bello, davvero. Ce ne sono altri? Li vorrei vedere» chiese. «È la prima volta che vengo qui. Dio dice che potrebbe essermi utile.»

    Raphael non se lo fece chiedere due volte e prese l'angelo a braccetto, accompagnandolo nel fitto della piccola foresta. «Certo che ce ne sono altri. Ne ho fatti tantissimi: alcuni sono così piccoli che dovremo stare attenti a non calpestarli; altri sono davvero enormi. Credevo di aver esagerato quando li ho creati, ma Dio ha detto di non preoccuparmi. Ti piaceranno, vedrai.»

    Azraphel rise appena, inclinando la testa come sempre faceva quando qualcosa lo straniva. «Certo che non devi preoccuparti. Dio ama vedere le idee di tutti: penso che più sono, meglio sia per Lei. Riempirà meglio e più rapidamente la Terra se già sa cosa metterci, no?»

    Raphael gli rivolse uno sguardo meravigliato: «La tua logica è impeccabile. Vorrei averla io.»

    Azraphel si bloccò, costringendo il suo accompagnatore a fare due passi indietro. Aveva spalancato gli occhietti azzurri, aggrottando la fronte: «Suvvia, non dire così.»

    Raphael era confuso. «Dire cosa?»

    «Dico, non desiderare di avere qualcosa che non ti è stato dato. Tu vai benissimo così come sei. Non avrai la mia logica, ma hai la tua immaginazione; non avrai la mia luce, ma hai le tue ali perfette.»

    L'arcangelo non seppe subito come replicare. La verità era che l'angelo aveva ragione, come sempre. Come facesse, quello era un mistero per lui. Dio aveva fatto un gran bel lavoro con Azraphel e quella era una convinzione che si consolidava ogni attimo di più.

«Tu...» disse dopo un minuto infinito di contemplazione assoluta. «Tu sei così libero da ogni dubbio.»

    «Da ogni... Da ogni, cosa?»

    «Dubbi, domande» puntualizzò Raphael. «Sai, tipo: ti sei mai chiesto perché Dio ti abbia fatto nascere adesso e non, che so, quando avrà finito con la Terra?»

    Azraphel non dovette nemmeno pensarci. Scosse la testa, facendo rimbalzare i riccioli sul suo capo: «No, mai.»

    «Non ti sei mai nemmeno chiesto perché ti abbia dato il nome che hai?»

    «Perchè avrei dovuto? Se me l'ha dato, c'è una ragione. Magari per Lei ha un significato profondo, o magari Le piace come suona. Qualunque sia il motivo,» spiegò l'angelo, alzando un dito, «Non può che essere un buon motivo.»

    Raphael sbatté gli occhi un paio di volte, sconfitto di fronte a quella spiegazione perfetta. «Mai, eh?» richiese, invece.

    «Proprio mai» confermò l'altro. 

    Detto ciò, si rimisero a camminare. Nonostante fosse nuovamente immerso nei suoi pensieri, Raphael portò l'angelo esattamente dove ricordava esserci la tana di un serpente dalle squame giallognole. Lì, lasciò che l'angelo di luce lo ammirasse ed esplorasse i dintorni.

Rimuginando, l'arcangelo arrivò alla conclusione che sì, sapeva che Dio avrebbe rivelato le Sue intenzioni, prima o poi. Ed era proprio quel: "prima o poi" che lo disturbava; inoltre, Lei era sempre così schietta e vaga... Raphael invece voleva risposte chiare e concise. Quelle di Azraphel, per esempio: quelle sì che erano argomentazioni sagge e ben pensate.

    Il flusso interminabile di pensieri del rosso venne interrotto da una risatina. Alzando gli occhi, vide l'angelo mettersi una mano davanti alla bocca e dire: «Scusa, non volevo.»

    «Non volevi cosa, ridere? Ma per favore. Ridere è bellissimo» affermò Raphael. «E hai una bella risata, perciò... Perché ridi?»

    «Il fatto è che,» si mise a spiegare Azraphel, sfiorando la testa del rettile ora attorcigliato attorno al suo polso. «Lo sai che quando pensi, si vede? Intendo che si creano tante piccole spirali e scintille attorno alla tua aureola. Mi piace guardarle: si inseguono e si attorcigliano come, beh, come serpenti.»

    Raphael si mise ad agitare un indice: «Esatto. Vedi? Anche questa è una cosa che non capisco. Perché mi succede?» Chiese, indicandosi la testa con entrambe le mani. «Insomma, a che serve?»

    «Magari» azzardò l'altro, «A Dio piace vedere come si evolvono i tuoi pensieri. Non mi sorprende, in realtà: come ho già detto, hai una fantastica immaginazione. Non riesco a figurarmi qualcuno che non sia interessato a intravederla.»

Concluse la frase con un sorriso così dolce e intelligente da spiazzare l'arcangelo, di nuovo. Ormai il rosso provava piacere nel vedere il suo muro di pensieri venir momentaneamente distrutto da quella luce alata. Era una sensazione strana in senso ancor più stranamente positivo.

    «Ah. Sai, non l'avevo mai vista in questo modo» ammise Raphael, andando a sedersi accanto all'angelo. «Potresti avere ragione. Anzi: sono sicuro che ce l'hai.»

    Azraphel rimise delicatamente la strisciante creaturina sulla roccia sopra la quale l'aveva trovata, rivolgendo le sue totali attenzioni all'arcangelo. «Posso permettermi di dirti una cosa?» Chiese.

    Aveva lo sguardo serio, ma con una punta di preoccupazione che fece rivoltare qualcosa nella mente di Raphael. Capì che l'angelo avrebbe voluto esprimersi prima, ma non era sicuro di volerlo (e poterlo) fare. Vedere anche solo la più lieve incrinatura nell'immacolato volto dell'altro non gli piaceva; non gli piaceva proprio ma proprio per niente.

Così, decise di intervenire nel modo più chiaro e conciso possibile: «Non hai bisogno del mio permesso: puoi dire tutto quello che vuoi» rispose. Nulla avrebbe dovuto fermare la sua luce dal dire quello che pensava necessario.

    Azraphel annuì, si inginocchiò e drizzò la schiena, poggiandosi le mani in grembo. «Tu ti sorprendi con poco e ti preoccupi per molto meno» affermò, gli occhi fissi sulle iridi dorate di Raphael. «Non dovresti cercare di raggiungere confini che sai di non poter toccare. È sbagliato.»

    L'arcangelo corrugò le sopracciglia, facendo un leggero scatto indietro con la testa: «Che significa "sbagliato"?»

    «Significa che non devi farlo perché va contro la volontà di Dio. Non lo sapevi?»

    «No. Pensavo te lo fossi inventato.» 

    «Oh» disse l'angelo, sorpreso. «No, l'unica cosa che io abbia mai creato è stata quella stella, con te.»

    «Ehi, a proposito» esclamò Raphael, alzandosi di colpo. «Ho tanta voglia di rivederla. Torniamo al nostro angolo di infinito?»

Non avrebbe saputo dire se la sua reazione fosse scaturita dall'effettiva voglia di ammirare l'astro, o dall'intenzione ancor più forte di oltrepassare quello scomodo discorso. 

    «Cielo, non è il nostro» precisò Azraphel scostando lo sguardo e prendendo a torturarsi le dita. «Ma sì, vorrei rivederla anche io.»

Seconda regola non scritta degli angeli: tutto ciò che viene creato non appartiene a nessuno, se non a Lei. Un'altra di quelle linee invalicabili che Raphael sorpassava con una facilità innaturale.

    «Non essere così nervoso, mi fa sentire male, sai?» disse l'arcangelo, allungando una mano verso l'altro. «È "nostro" nel senso che lo abbiamo fatto insieme. Ti va bene così?»

    Azraphel annuì, decisamente più tranquillo. Prese la mano di Raphael e lasciò che lo aiutasse ad alzarsi. «Sì, penso che mi vada bene. E poi è un bel nome: è un piccolo pezzo ben delineato del cielo, che pero è infinito. Vedi? È il tuo talento naturale inventare le cose.»

    Raphael fece spallucce e sorrise con orgoglio. Sentir parlare l'angelo era come sentir parlare Dio, ma diecimila volte meglio.


    Le loro mani non si staccarono mai durante il tragitto a ritroso, verso la spiaggia. Le tennero unite quando si alzarono in volo e non le allontanarono nemmeno quando arrivarono sulle nuvole. Nessuno dei due pensò di mollare la presa mentre si siedevano ad attendere che il cielo si oscurasse, e finirono per non separarsi neanche quando le prime stelle iniziarono a fare capolino nella volta celeste.

    «Davvero ti piacciono le mie ali?» Chiese ad un certo punto Raphael, dal nulla.

    Azraphel staccò gli occhi dal cielo e li volse verso di lui. «Come, scusa?»

    «Prima hai detto che sono perfette. Intendevi dire che ti piacciono?»

    L'angelo si illuminò ulteriormente, realizzando cosa l'altro volesse sapere. «Oh, è vero. Beh, in quel caso la risposta è sì,» rispose, sorridendo dolcemente. «Mi piacciono molto.»

    Raphael si sentì infinitamente lusingato da quelle parole. Era sempre lì a pensare a quella luce alata: a quanto calda e stupenda fosse, a quanto i suoi occhi fossero dello stesso colore del cielo sereno, a quanto i suoi capelli sembrassero fatti della stessa sostanza delle nuvole. Ed ora quella luce aveva iniziato a ricambiare.

Sentiva un calore più forte di quello dell'Amore di Dio invadergli il petto: una sensazione che lo rendeva euforico. Con quel sentimento a guidarlo, avrebbe potuto creare altri cieli, altri pianeti, altri animali. Avrebbe potuto arrivare ai confini del Paradiso e farli suoi.

Era sbagliato amare qualcuno più di quanto si amasse Dio? E se lo era, allora perché lo faceva stare bene come non mai? Non sorrideva a quel modo da tanto tempo. Un sentimento così bello non poteva che essere positivo.

    «Qualcosa non va?»

    Quella domanda strappò l'arcangelo dai suoi pensieri, facendogli realizzare che era rimasto a fissare l'angelo per tutto il tempo. Non voleva certo farlo preoccupare, così annuì e disse: «Sai come sono fatto: mi distraggo sempre. Tu poi sei la migliore delle distrazioni.»

    Azraphel scosse la testa, divertito. «È vero, lo fai spesso.»

    «È una cosa sbagliata, secondo te?»

    Il biondo ci pensò su per un attimo, facendo vagare lo sguardo sulle nubi. «Forse dipende da quello a cui pensi.»

    Rimasero a rimuginare sulla questione a lungo. La filosofia l'avrebbero inventata gli umani un'infinità di tempo dopo, ma intanto quei due improbabili angeli ne avevano gettato (senza saperlo) le basi. 

    Tra una considerazione e l'altra, Raphael si spostò alle spalle di Azraphel per sistemargli le piume. Prima che l'arcangelo arrivasse, il povero angelo era svolazzato di qua e di là senza che nessuno si occupasse di accompagnarlo. Ciò aveva ridotto le sue ali ad uno spettinato ammasso candido che le sottili dita del rosso si occuparono di lisciare, separare e raddrizzare.

«Secondo te» chiese, intanto che lavorava. «Cosa succede a chi fa le cose sbagliate?»

    «Non saprei» rispose l'angelo. Per la prima volta aveva rilassato le spalle, cullato dai movimenti svelti ma dolci dell'altro.

    «Perché, pensaci» riprese Raphael. «Se una cosa non va bene, Dio non può certamente reagire positivamente, no?»

    «Questo non possiamo saperlo, ma di una cosa sono sicuro» rispose Azraphel, voltando la testa verso di lui. «Ricordi quando mi hai detto di essere infelice? Ci ho pensato a lungo. Ho capito che forse è questa la conseguenza se fai le cose sbagliate: la tristezza.»

    Da un lato, Raphael lo aveva sempre saputo. La sua sete di conoscenza lo aveva portato a sentire un vuoto incolmabile dentro di sé. L'Unica che avrebbe potuto riempirlo, però, preferiva lasciare che si allargasse fino a diventare una voragine. 

Passando dall'ala destra a quella sinistra, Raphael si ritrovò, nonostante tutto, a fare spallucce: «Può essere, ma non mi importa. E sai perché?»

    Azraphel scosse la testa.

    «Perché ho trovato te.»

    L'angelo parve sorpreso. La sua aurea luminosa sfarfallò e lui spostò subito lo sguardo verso il basso, stringendosi nelle spalle. «Grazie, ma stai esagerando.»

    Il rosso sorrise, finendo di allineargli le piume. Si alzò con un unico movimento sinuoso, spostandosi a sinistra e reinvitando l'altro a poggiare la testa sulla sua coscia, come la volta prima.

    Azraphel quella volta parve esitare un po'di più, ma si risdraiò in silenzio. Alzò un'ala per osservarne il ritrovato ordine e lasciò che l'arcangelo gli scostasse i riccioli dalla fronte.

    Le giornate non erano ancora state inventate, semplicemente c'erano punti del cielo in cui le stelle si susseguivano, alternando il buio alla luce. Comunque sia, alla fine l'angolo di Raphael e Azraphel tornò a risplendere e, al centro di esso, risorse il candido astro dell'angelo.

    «Quindi» riprese il biondo. «Mi stai dicendo che la mi presenza ti rende meno infelice.»

    «E non solo» affermò Raphael. «È l'unica tra le innumerevoli cose che non mi so spiegare della quale non voglio un chiarimento. Con te sto bene e mi va bene così.»

Avrebbe dovuto essere sempre così, con tutto e con tutti. Ma Dio era distante, e gli angeli che frequentava avevano iniziato anch'essi a sussurrare come se avessero paura di far sentire le loro idee. Era per questo che non voleva che Azraphel si chiudesse in sé solo perché stava parlando con un suo superiore. Tenersi i dubbi dentro doveva essere decisamente sbagliato, si disse l'arcangelo.

E poi, Raphael non era un semplice "capo" per l'angelo. Sin dal primo istante era stato qualcos'altro e lo sapevano entrambi.

    «Anche io sto bene con te» affermò Azraphel. 

    Non ci fu bisogno di dire altro.

    Che strano, pensò l'arcangelo. Tra loro due c'era qualcosa che oscillava tra lo strano e il perfetto. Era tutto così misterioso: faceva riflettere ma stare bene. Non era uno di quei dubbi che gli martellavano la testa, no: era meravigliosamente inspiegabile e nervosamente irraggiungibile, era... Era...

Avrebbe dovuto inventarsi una parola per definirlo, ma non c'era fretta. Per adesso c'erano solo lui, la sua luce alata e il loro personalissimo pezzo di notte.


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Capitolo 3
*** Guerra e l'amore che non uccise ***


“È lecito inventare verbi nuovi? Voglio regalartene uno: io ti cielo, così che le mie ali possano distendersi smisuratamente, per amarti senza confini.”

- Frida Kahlo

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    Sotto di Lei si consumava la battaglia.

    Lame fiammanti cozzavano l'una contro l'altra, squarciavano vesti, distruggevano auree e perforavano ali. Il terreno venne innaffiato di bordeaux e oro, diventando sempre più secco e rotto. 

    Morire o cadere: questo il grido che, dolorante, squarciava l'aria.

    Il primo aveva già scavato un solco nelle profondità del cosmo. Le sue ali erano bruciate al punto da diventare nere come la cenere e, con un sorriso sul volto, si era allontanato da Lei per creare il suo stesso regno. Lì avrebbe raccolto coloro che adesso, l'uno dopo l'altro, stavano facendo la sua stessa fine. Avrebbe costruito l'armata capace di distruggere il Bene e l'Amore del paradiso. Sarebbe stato l'unico e indiscusso signore delle tenebre.

    E Lei, Lei non poteva fermarlo. Era troppo tardi, ormai: avrebbe dovuto farlo quando aveva visto lui e i suoi farsi sempre meno convinti e sempre più restii a crederLe.

Aveva lasciato che i suoi angeli se ne andassero. Aveva lasciato che diventassero qualcos'altro, qualcosa che Lei non avrebbe mai voluto. Qualcosa di sbagliato.


    Tra le Sue braccia c'era una bambina dai lunghi capelli rossi. Stava guardando il tutto con lo sguardo rapito e la bocca semi aperta, seguendo con interesse la traiettoria delle spade, assaporando il modo in cui ponevano fine alla pace che aveva regnato fino a quel momento. «Che meraviglia» commentò. «Vorrei non finisse mai.»

    Ma tutto ciò che inizia, ha una fine e Morte, ora alla sinistra di Dio, lo sapeva meglio di chiunque altro.

«Lo avevamo capito sin da subito, Mia Signora» disse, osservando anch'egli verso il basso. «Ovunque ci sia il bene, ci sarà sempre il male. Ovunque Tu creerai la vita, io verrò per portarla via. È così che deve andare.»

    Dio annuì: «Sai che ti ho sempre dato ragione a riguardo. Eri già designato a prendere posto nel mio progetto, e adesso...» Indugiò, guardando la bambina. «Adesso so che non sarai solo.»

    Morte fece un segno d'assenso e strinse la sua falce. «Dove vanno gli angeli quando muoiono, Mia Signora?»

    «Non preoccuparti di questo. Pensa a raccogliere le loro essenze: al resto penserò io.»

Detto ciò, Dio posò la bambina e lasciò che prendesse posto tra le buie ed eteree braccia di Morte.

    Contrariamente a quanto si pensa, non furono gli umani ad inventare la guerra. Guerra nacque nel momento in cui gli angeli fedeli e quelli ribelli decisero che doveva essere per forza lei l'unica soluzione.

Morte, invece, nacque il giorno in cui Dio creò la prima stella. La bella e pulsante sfera visse finché poté e poi esplose, lasciando dietro di sé un lunga scia di detriti. Aveva completato un ciclo: il primo di tanti. In futuro, tutti gli esseri viventi avrebbero subìto la stessa sorte.

    Gli angeli avrebbero dovuto essere immortali e, in un certo senso, lo erano. Poche cose potevano scalfirli: Dio, che non lo avrebbe mai fatto, e le armi che aveva creato. Mai avrebbe pensato potesse essere necessario; eppure, ora che osservava la battaglia, capì che non avrebbe potuto fare altrimenti. Era stata la volontà stessa delle Sue creature a portare a ciò, e Lei non sarebbe mai andata contro i loro desideri.

Le si stringeva l'ipotetico cuore ogni volta che vedeva le candide piume annerire e i Suoi amori precipitare nel fuoco e nell'oscurità.


    Ad un certo punto, la bambina allungò un pallido dito davanti a sé e chiese: «Cosa sta facendo?»

    Dio e Morte si voltarono all'unisono verso la direzione da Guerra indicata, e sussultarono. 

    Uno degli angeli non stava combattendo, anzi. Vagava per il campo di battaglia alla ricerca di qualcosa.

Alla ricerca di qualcuno.

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    Azraphel trascinava la sua spada come fosse il peggior fardello che avrebbero mai potuto mettergli tra le mani, ed effettivamente lo era. Non aveva nessunissima intenzione di utilizzarla; peccato che nessun altro pareva condividere le sue intenzioni.

Attorno a sé si stava consumando uno spettacolo terribile. Più volte si ritrovò involontariamente in mezzo ai colpi, i quali gli causarono più tagli. Uno di essi, in particolare, gli aveva procurato una lunga e sanguinolenta linea lungo tutto il fianco. Da essa fuoriuscivano tante sottili strisce dorate che macchiavano la sua veste bianca; dorate come le iridi che stava disperatamente cercando di trovare nel bel mezzo del disastro.

    «Raphael?» Gridò, cercando di sovrastare i suoni del conflitto. Aveva cercato l'arcangelo in lungo e in largo ormai, dando un'occhiata a tutte le figure rivolte a terra che aveva incontrato sul suo cammino. Ogni volta, scostava le loro ali macchiate di sangue con il terrore di scorgervi, al di sotto, le familiari ciocche rossastre. Altre volte ancora, posava lo sguardo su coloro che venivano risucchiati dalle voragini che si aprivano sotto i loro piedi, terrorizzato. 

    Morire fisicamente o moralmente: non c'era altra via d'uscita da quell'ammasso di clangori, urla e puzza di bruciato.


    L'angelo stava per riprendere a chiamare, stavolta così forte che le sue corde vocali avrebbero urlato pietà, se le avesse avute.

Non fece in tempo, però, perché sentì un peso arrivargli in picchiata sulla schiena. Cadde, rotolò più volte, sentì il terreno graffiargli le guance e, alla fine, una mano si strinse attorno al suo collo. C'era un angelo che non riconobbe sopra di lui: la sua spada era pronta a colpire, lo sguardo rabbuiato dal desiderio di violenza e le ali che gli si stavano lentamente ma inesorabilmente annerendo.

«Cosa c'è, raggio di sole? Ti sei perso?» Chiese lo sconosciuto, la voce rauca ridotta ad un ringhio. «Dov'è Dio, eh? Perché non è qui a salvarti?»

    Azraphel lo fissò con terrore. Come aveva potuto una creatura da Lei creata finire in quel modo? E per cosa, poi? Dubbi, domande.

La sua mente tornò a Raphael. Spesso aveva temuto di non trovarlo perché forse era già-

    Il terreno sotto di loro si crepò e il ribelle sorrise: «A quanto pare, verrai giù con me.»

    L'angelo di luce scosse più volte la testa, prendendo a dimenarsi. La spada doveva essergli caduta; proprio adesso che avrebbe volentieri voluto usarla per tirarsi fuori da quella situazione. 

A nulla valsero i suoi sforzi.

    Il ribelle fece un unico, veloce e fluido movimento del braccio. La sua lama affondò nel petto di Azraphel con una facilità innaturale, spaccandone in due l'essenza.

    L'angelo non emise un suono. Sbarrò ulteriormente gli occhi, le pupille ridotte a due puntini neri persi nell'azzurro cielo delle sue iridi. Sentì un fiotto caldo fuoriuscire dal solco che la spada aveva creato, e il suo sguardo si perse nel vuoto.

Per la prima volta si chiese perché. Perché tutto cio? Perché Dio aveva lasciato che accadesse? Perché?

    Domande.

    Dubbi.

    Qualcuno che urlava il suo nome.

    Il ribelle venne violentemente sbalzato via dal suo stomaco. Voltando lentamente la testa, Azraphel vide una familiare figura alta, dai bei capelli di fuoco, prendere il ribelle e sbatterlo al suolo sotto al quale sparì. I suoni si erano fatti così ovattati che non riuscì a capire cosa fossero gli urli che gli rimbombavano in testa. Il mondo attorno a sé stava iniziando a ridursi ad un ammasso informe di ombre.

    Qualcuno gli prese la testa tra le mani. Un paio di occhi dorati pieni di lacrime lo stavano fissando addolorati. Fino a qualche tempo prima erano così belli, seppur così insicuri... Perché finire così?

Sorrise appena, ricacciando indietro un coagulo che gli si era formato in bocca. «Ti stavo cercando.»

    Raphael lo raccolse, iniziando a singhiozzare: «E io stavo cercando te. Credo di aver fatto un disastro. Tutto questo è anche colpa mia.»


    Per un po', Raphael aveva iniziato a parlare sempre di più con un gruppo di angeli che ad Azraphel avevano sempre messo un po' di inquietudine. Lo aveva confessato all'arcangelo, il quale aveva fatto un movimento noncurante con la mano, dicendo: «Non sono pericolosi: hanno solo idee un po' strane.»

Poi, come sempre faceva sotto al "loro" angolo di infinito, si era messo a prendersi cura di lui.

Era diventata prassi incontrarsi, parlare, discutere del più e del meno, per poi finire a guardare le stelle. Avevano creato il loro piccolo, personale universo: un posto in cui Raphael tornava felice e in cui Azraphel poteva rilassarsi del tutto.

Quando stavano assieme, il resto spariva. Stavano così bene l'uno accanto all'altro... Si erano fatti sempre più vicini. Le loro mani si cercavano da sole, le loro ali srtrisciavano l'una sull'altra, intralciandosi. Era tutto così perfetto, così caldo, così inusuale. 

E adesso rischiava di finire nel sangue.


    Lasciando che le magre braccia dell'altro lo avvolgessero, Azraphel disse: «Allora è questo che succede a chi fa le cose sbagliate.»

La sua voce era ridotta ad un flebile lamento e la sua luce aveva iniziato ad affievolirsi.

    «Ti prego» pianse Raphael stringendolo sempre più a sé. «Non andartene. Non puoi farlo! Facciamo che è un ordine?»

    L'angelo rise appena, facendo scivolare ancor più fiotti dorati dal suo petto. «Un ordine da parte tua?»

    L'altro annuì, ormai completamente colto dagli spasmi e dal pianto. «Tu non capisci. Sei l'unica cosa che mi tiene attaccato a Dio. Sei l'unico rimedio alla curiosità che mi sta mangiando. Se tu te ne vai, io non avrò più ragione di esistere.»

    Azraphel si ritrovò a scuotere la testa e chiuse gli occhi, sapendo che prima o poi l'avrebbero fatto da soli, per sempre. «Promettimi che non cadrai» chiese, raccogliendo le ultime forze che gli restavano. «Raggiungimi ovunque vadano gli angeli quando muoiono, piuttosto.»

Era una richiesta così egoista, se ne rendeva conto. Avrebbe voluto dare un'occhiata migliore all'arcangelo prima di sparire chissà dove, anche solo per avere la conferma che ciò che stava dicendo non era del tutto infattibile. 

    Raphael lo strinse così forte da far sfiorare il suo petto contri la lama. «Non te ne andare» ripeté, la voce null'altro che un rantolo di dolore. «Io ti amo. Ti amo più di quanto ami Dio.»

    Oh, quanto l'angelo avrebbe voluto replicare. Quanto avrebbe voluto dirgli che provava le stesse cose, anche se forse era sbagliato. Ma che differenza avrebbe fatto? Ormai sentiva tutto il suo essere svanire nel vuoto, andando ad abbracciare l'ignoto.

Sentì le labbra sottili dell'altro posarsi dapprima sulla sua fronte, poi sulle sue guance rigate dalle lacrime e dal sangue. Era una sensazione così bella... Non avrebbe potuto immaginare un modo migliore di andarsene.

    «Mi ami anche tu, vero?» Chiese Raphael.

Ma non ottenne risposta se non dal suono delle grida, delle spade e del terreno che si apriva a tratti.


    La sua luce alata si era spenta. Al suo posto erano rimaste una pozza dorata e un ammasso di candide piume, circondanti un volto pallido e privo di emozioni.

    Qualcosa dentro l'arcangelo si ruppe. Fu come se qualcuno avesse finalmente sbloccato la voragine dentro di lui, lasciando che il suo contenuto si riversasse tutto insieme e tutto nello stesso istante.

Dov'era Dio? Perché non li stava aiutando? Perché non stava mettendo fine a tutto ciò? Perché aveva lasciato che il suo angelo più bello finisse in quel modo? Perché era sbagliato voler sapere cosa Le passasse per la testa? Come poteva sapere cosa fosse sbagliato se nemmeno sapeva quali fossero le cose giuste?

Perché?

Perché?!

    Poggiò ciò che rimaneva di Azraphel al suolo e, in silenzio, si alzò. Si pulì il viso dalle lacrime e si allontanò, diretto verso un punto imprecisato del campo di battaglia.

Che senso aveva continuare a credere se l'unico in cui credeva era morto? Che senso aveva continuare a combattere se non aveva nessuno da proteggere?

Forse, se non si fosse mai messo a parlare con gli angeli sbagliati, tutto ciò non sarebbe accaduto. Ma ormai era tardi.

    Sentì un bruciore pervadergli le scapole e si fermò. Spostò un'ala per guardarla e notò che si stava annerendo, accompagnata da più volute di fumo e sprazzi di scintille.

Il terreno sotto di lui si spaccò. Le crepe lo circondarono, pronte a spalancarsi come fauci.

    «E sia» disse, rivolgendo il suo sguardo al cielo. «Fallo. Distruggi anche la sua ultima speranza, già che ci sei. Fammi cadere.»

    Lassù, da qualche parte, nascosta tra il grigio pallido delle nubi, c'era la stella di Azraphel. Non "sua" perché l'aveva fatta lui, no. "Sua" perché gli apparteneva e sempre gli sarebbe appartenuta, anche se Dio non voleva. Era tutto ciò che rimaneva della spettacolare luce che era stato.

    L'ustione arrivò velocemente alla punta dell'ultima delle sue piume. Il candore sparì, lasciando al suo posto il nero di una notte senza stelle.

La bocca della terra si aprì e Raphael sentì un calore insopportabile, seguito dal terribile odore del fumo e dello zolfo. Chiuse gli occhi e sentì le vertigini avvolgerlo, circondandolo man mano che iniziava a sentire il vuoto tutt'attorno a sé. Era impotente mentre prendeva a precipitare verso il basso, le sue ali ferite si rifiutarono di iniziare a sbattere per stabilizzarlo.

Si rigirò più volte a mezz'aria, gli occhi iniziarono a bruciargli. Era così che sarebbe finita: con lui che piombava in mezzo a chi aveva fatto la cosa sbagliata. Eppure non se ne pentiva. Aveva chiesto e aveva amato: ne era valsa la pena.


    Fu allora che tutto si fermò.

==================================

    «Perché l'hai fatto?» Piagnucolò Guerra. «Era tutto così bello.»

    La battaglia si era bloccata. Le spade erano rimaste alzate nell'aria e l'intero universo era ammutolito. Dio aveva ancora un braccio davanti a sé, il palmo aperto e gli occhi fissi nel vuoto.

    Morte si volse verso di Lei. «Mia Signora? Cosa succede?»

    «Non crucciarti, ombra mia» rispose Lei. «Non ho intenzione di riprendermi ciò che ora è tuo. E non piangere, tenera goccia di sangue» disse, rivolgendosi a Guerra. «Non sparirai ora che sei comparsa.»

Fissò mesta sia i guerrieri, che i morti, che Raphael. Era ancora lì, tra il cielo e le profondità della terra, sospeso tra ciò che era stato e ciò che era diventato.

«Non cancellerò ciò che è avvenuto» continuò. «Lascerò che lo scontro avanzi e lascerò che il mio arcangelo cada. Ti darò quel che ti spetta, Morte. Ogni singola anima. Tutte tranne una.»

    «Ciò che state chiedendo non rientra nelle mie corde, Mia Signora» disse il mietitore.

    «Ma rientra nelle mie. Preserva l'angelo di luce: al resto penserò io.»

    Morte acconsentì con un cenno del capo: «Se questo è ciò che volete.»

    «È ciò che voglio, ciò che ti chiedo e ciò che ti ordino» affermò Dio.

    Guerra inclinò la testa, confusa: «Significa che sbloccherai il tempo? Voglio vedere come va a finire.»

    Lei annuì. Richiuse lentamente il suo palmo e fece ricominciare il clangore.

    Le spade ripresero a cozzare, il calore a disperdersi, le urla a risuonare. Sangue dorato si riversò ulteriormente tra le crepe del terreno arido e Raphael completò la sua rovinosa discesa, sparendo alla vista di Dio.

    Molti candidi corpi avvolti dalle loro stesse ali erano ancora sparsi per il campo di battaglia. C'erano tutti coloro che, pur di non allontanarsi da Lei, avevano deciso di soccombere alla violenza di coloro che erano stati i loro stessi fratelli; gli stessi con i quali avevano condiviso le gioie del Paradiso.

C'erano tutti. Tutti tranne uno.

    «Grazie, Morte» disse Dio, sorridendo al mietitore. «Il tuo gesto non verrà dimenticato.»

    «Sono e sarò sempre al vostro servizio, Mia Signora.»


    Dio, Guerra e Morte attesero.

    Gli angeli vinsero e i demoni nacquero. Da quel momento in poi ci sarebbero stati un Sopra e un Sotto, il Bene e il Male, il Giusto e lo Sbagliato, il Paradiso e l'Inferno.

Quella battaglia cambiò tutto in modo radicale. Persino i piani di Dio cambiarono: si fecero più lungimiranti e più complicati. Ma soprattutto, Lei doveva ora tenere da conto quel rapporto che ancora non era riuscita a spiegarsi. Il rapporto che aveva deciso di voler salvare.

    «Non è la fine» disse alle altre due identità. «È un nuovo, incredibile inizio.»

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    Era una bella giornata. Tutte le giornate erano belle.

Ce n'erano state sette prima di allora.


    Dio sorrise, gli occhi puntati sul muro orientale dell'Eden.

    Adamo ed Eva avevano imparato una bella lezione e gliel'aveva insegnata un serpente. Erano dovuti fuggire, fortunatamente non a mani vuote: Azraphel aveva dato loro la sua spada di fuoco. La cosa non La stupì granché: l'angelo l'aveva odiata sin dalla prima volta che l'aveva presa in mano. Pensò di chiedergli dove l'avesse messa, così da scoprire come avrebbe risposto.

Era cambiato così tanto ma allo stesso tempo non era cambiato per niente. Di certo si era fatto più complicato: i suoi pensieri erano sempre costellati di tacite considerazioni e domande. Le ricordava molto ciò che Raphael era stato.

In quanto al suo ruolo, quello era rimasto invariato: Dio avrebbe sempre voluto che fosse un guardiano. Col tempo, il suo lavoro avrebbe avuto più risvolti e più senso; nel frattempo, però, aveva già fatto la cosa che qualsiasi guardiano che si rispetti avrebbe fatto: aveva dato la possibilità ai suoi protetti di difendersi, anche se non sapeva se fosse la cosa giusta da fare o meno.

Il suo aspetto era sempre quello che Lei gli aveva dato. Lo aveva fatto nascere pensando alla rotondità, alla morbidezza e al candore delle nubi; il tutto immerso nella potente e calda luce del sole. La sua luce c'era ancora, ma era nascosta perché sulla Terra le regole erano diverse, e gli umani non avrebbero sopportato quel candore divino. 


    Adesso erano rimasti nel giardino solo lui e... Aveva un nome diverso da quando era caduto: Crawly o qualcosa del genere. Era un po' strano, pensò Dio, ma gli donava. 

Nemmeno lui era cambiato poi tanto: aveva un bel paio di ali corvine, certo, ma lo stesso fisico magro e affilato, gli stessi capelli e persino gli stessi occhi. Questi, però, erano adesso il riflesso della sua nuova natura. Lei non poté fare a meno di sorridere: un serpente, ma certo. Che altro avrebbe potuto diventare se non le creature che lui stesso aveva creato quando ancora viveva in Paradiso?

    «Oh, sono tornati» disse Morte, affiancandoLa e mettendosi ad osservare la scena. «Non è strano? Un angelo e un demone che parlano del bene e del male?»

    Dio sorrise, scuotendo il capo: «Non per loro, no.»

    «È un peccato che non si ricordino l'uno dell'altro» commentò il mietitore. «Da quel che ho potuto capire, sembravano volersi bene.»

    «Era necessario» affermò Dio. «Il loro rapporto era l'unica cosa che doveva sopravvivere alla guerra e al fuoco dell'Inferno. Questo era l'unico modo.»

    «Mi sarà mai concesso saperne il motivo, Mia Signora?»

    Azraphel parve indignato da qualcosa che Crawly aveva detto e Dio non poté fare a meno di ridere, una mano davanti alla bocca. C'era ancora quel qualcosa tra di loro, solo che stavolta avrebbe avuto bisogno di tempo e pazienza per sbocciare. Recupereranno, si disse, recupereranno.

«So che potrà sembrarti strano, ombra mia» disse, rivolgendosi a Morte con lo sguardo di una madre fiera più che mai dei suoi figli. «Ma l'amore che c'è tra di loro, che c'è stato e ci sarà, è così grande che nemmeno io riesco a coglierne le sfaccettature.»

    «Capisco. Una chimica così particolare dev'essere preservata» intuì il mietitore.


    Si mise a piovere. Azraphel alzò un'ala e Crawly vi sì mise al di sotto; gesti naturali, immediati, istintivi. Loro non potevano saperlo, ma altro non erano che l'ombra di ciò che era stato; ciò che rimaneva di un rapporto di cui nessuno, tranne Dio e Morte, ricordava i particolari.

    «Li incontrerai, un giorno» disse Lei al suo oscuro compagno. 

    Morte si illuminò, metaforicamente parlando. «Oh, sono quasi impaziente all'idea. Ciò significa che c'è un nuovo Piano ben pensato.»

    «Nei minimi particolari. Preciso ma ineffabile.»

    «"Ineffabile", Mia Signora?»

    «Troppo grande e alto da poter essere espresso a parole» spiegò Dio. Poi indicò l'improbabile coppia in piedi sul muro e disse: «Come loro due.»


    Quando la notte scese, facendo calare il deserto nell'oscurità, Adamo ed Eva si ritrovarono soli, al freddo e al buio. C'erano solo due fonti di luce a guidarli: la spada di fuoco e una stella. 

Tra le tante sparse nel cielo, quella era così evidente da far sembrare le altre dei miseri puntini colorati immersi nel blu. Così, la coppia decise di seguirla e, ben presto, trovarono un posto sicuro dove stare.

    Con il tempo, quella stella divenne la guida di tanti altri umani. Quando nacquero i navigatori, essi iniziarono ad usarla come punto di riferimento. 

Visto che era tanto bianca e splendente, la chiamarono Stella Polare. Divenne importante: divenne una bussola, un punto fisso, una speranza per chi si perdeva nel buio.

    Nessuno avrebbe potuto immaginare che quella stella era stata creata dalle luminose mani di un angelo, aiutato da un arcangelo che ora non lo era più. Nessuno avrebbe potuto sapere che era nata dall'amore di due esseri che ancora adesso si amano infinitamente, seppur in modo diverso. 

    Nessuno avrebbe mai saputo di Azraphel, Raphael e di ciò che era accaduto sotto quell'angolo di infinito.

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Fine

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