Spire Protettive

di Neamh Moonstar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Frecce infuocate ***
Capitolo 2: *** Minacce preoccupate ***
Capitolo 3: *** Gocce sacre ***



Capitolo 1
*** Frecce infuocate ***


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Buongiorno o buonasera a tutti! 

Disturbo solo un secondo per dire che questa storiella di tre capitoli è nata principalmente per essere in inglese. In sostanza: non so perché io abbia deciso di metterla anche qui. Chissà.

Normalmente non mi distacco dal rating verde (anche se dovrei?), ma qui c'è una presenza di sangue persistente, oltre che alla seppur breve descrizione di cadaveri, perciò ho pensato potesse essere l'idea migliore. Prendetelo come un "trigger warning".

Altro mini appunto: il nome di Anathema è rimasto all'inglese. In realtà a me piace sempre mescolare l'italiano e l'inglese, in questo caso si tratta di una questione puramente legata alla traduzione.

Non mi dilungo ulteriormente. Buona lettura!

- Neamh

**


Il piccolo villaggio di Tadfield non era come gli altri. C'era qualcosa in quel pacifico e verde luogo che sembrava attirare l'attenzione di Dio, anche se nessuno avrebbe saputo dire perché.

Non a caso, era protetto dagli angeli.

Ce n'erano tanti, tutti diversi, che di tanto in tanto sbucavano fuori dal Paradiso per dare un'occhiata agli umani che vivevano in quel piccolo ma particolare angolo di Terra. Alcuni di essi scendevano addirittura in mezzo a loro, portando grazia, doni, consigli e idee. Presto, con lo spargersi della voce, Tadfield divenne luogo di pellegrinaggio e meta di gente in cerca di miracoli. 

Nonostante il continuo viavai di gente, però, la calma sembrava permanere imperturbabile. C'era una bolla di pace che abbracciava quella ridente comunità, la quale per anni ed anni visse sotto la protezione delle sue amorevoli creature angeliche. 

Gli abitanti erano sempre felici, il tempo sempre perfetto, i raccolti sempre abbondanti e le visite sempre gradite.


Dove ci sono pace e tranquillità, però, arriva sempre a formarsi il seme del male.


Alcuni umani, forestieri e non, decisero di volere il potere degli angeli tutto per sé. Iniziarono le cacce: alcuni si procurarono armi capaci di distruggere e frammentare le auree angeliche; il tutto grazie all'aiuto dei demoni.

Le creature infernali erano anch'esse da tempo attirate verso il villaggio. Il loro obbiettivo era portare discordia laddove le loro controparti celesti avevano creato un nuovo paradiso terrestre. Così, fecero ciò che sapevano fare meglio: convinsero gli umani a schierarsi dalla loro parte in cambio di un potere ineguagliabile; il potere nato da Dio, risiedente nel cuore stesso degli esseri a Lei più prossimi.


Gli scontri divennero presto la consuetudine e la popolazione di Tadfield si ritrovò, volente o nolente, a proteggere coloro che li avevano protetti. "Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori" divenne letterale, e il villaggio costruì delle mure sia fisiche che divine, cercando di contrastare le forze del male.


Umani buoni contro umani cattivi. Angeli contro demoni. Giorno dopo giorno, anno dopo anno.


Gli umani che venivano feriti, correvano dai medici. Gli angeli feriti andavano dai Guaritori.

Anathema era un di loro.

Aveva iniziato a studiare quando aveva a malapena tredici anni. L'angelologia poteva essere complicata -soprattutto se applicata alla cura stessa delle creature forgiate dall'Altissimo- ma lei divenne presto la migliore nel suo campo. Sapeva come contrastare la peggiore delle armi demoniche, creava unguenti e pozioni, ricuciva ferite e sanava ali. Senza conoscere il contesto in cui lavorava, si sarebbe potuta definire una strega. 

Per questo era in prima linea la notte in cui arrivò un attacco devastante.


Le battaglie sopra il cielo di Tadfield erano sempre terribili: un continuo scontrarsi di piume bianche e nere che si attorcigliavano e sbattevano l'una contro l'altra, artigli che strappavano tuniche e denti che affondavano in morbide carni. Una pioggia di sangue scuro e dorato cadeva sulle genti sottostanti, intente a combattersi fino allo stremo con spade, pugnali o qualsiasi altra cosa riuscissero a trovare. Era il delirio.

Era il bene contro il male, sia in cielo che in terra. Sembrava un'apocalisse perpetua, il tutto in un semplice e circonciso villaggio immerso nel verde.


Tra il marasma di corpi eterei sopra di lei, Anathema vide volare alcune frecce dalle punte cremisi. Seguirne la traiettoria non fu facile: i seguaci dei demoni dovevano essersi appostati fuori dalle mura, archi in mano, pronti a colpire i loro obbiettivi con dardi modellati dal fuoco dell'Inferno. Era chiaro che fossero stati creati per volare nell'aria per molti metri, automaticamente attratti dall'essenza che dovevano distruggere.

La giovane raccolse velocemente la sua borsa piena di libri e fiale, cercando di mettersi a riparo. Non staccò quasi mai gli occhi dal cielo, sbattendo più di una volta contro chi, come lei, stava correndo per le vie del villaggio in cerca di un luogo sicuro. 

Fu allora che lo vide.

Uno dei tanti angeli combattenti, spada di fuoco ancora stretta tra le mani, venne colpito in pieno da una delle frecce. Fece un volo stentato all'indietro, verso i fitti alberi al di fuori delle mura. Tentò più volte di riprendere quota o di perderla il meno rovinosamente possibile, finché non iniziò a precipitare.

I rami avrebbero attutito la caduta, pensò Anathema, ma non c'era altro tempo da perdere: doveva correre il rischio e uscire.

Nessun angelo protettore di Tadfield sarebbe rimasto indietro; non finché c'era lei ad occuparsi dei feriti.


~•°•~


Aveva rubato una spada. I guaritori non sapevano combattere di norma, ma Anathema voleva andare sempre sul sicuro. Tutto ciò che faceva era a favore di un obbiettivo ben preciso e di un piano perlopiù congeniato preventivamente.

Non era stato facile capire come muoversi: non aveva tempo di curare i dettagli; sapeva solo di dover fare il più in fretta possibile. Avevano cercato di fermarla al confine con le mura, intimandole di restare il più possibile all'interno del villaggio, là dove la barriera divina era stata eretta per minimizzare il più possibile i danni. Ma lei era determinata a portare a termine il suo compito.

Aveva visto alcuni dei nemici correre nel fitto del bosco per cercare la loro preda caduta. Non erano più di cinque, ma Anathema era comunque da sola: doveva giocare d'astuzia.


Dopo una breve corsa, la giovane aveva iniziato a camminare tra gli alberi in silenzio, concentrandosi sull'aurea angelica ora quasi silente, in agonia. Si era allenata tanto per arrivare a percepire la presenza degli angeli feriti con tanta facilità, e più volte il suo talento le era venuto in soccorso nei momenti di maggiore difficoltà. Se faceva piano, forse poteva usare qualcuno dei suoi assi nella manica (o meglio, nella borsa) per distrarre i cacciatori.


Era ormai giunta dove il flebile segnale divino iniziava a farsi più forte, e fu lì che dovette bloccarsi.

Davanti ai suoi occhi, quasi invisibili nel buio della notte, si districavano lunghe tracce di sangue fresco. Seguendole con lo sguardo, aiutata dal chiaro di luna che faceva capolino tra le fronde, arrivò a localizzare cinque cadaveri sparsi nell'erba e nel fango. 

I cacciatori, realizzò, erano stati brutalmente feriti, trascinati e sbattuti contro i tronchi degli alberi. Uno di loro aveva il ventre aperto, e il suo compagno, pochi metri più in là, aveva il cranio ridotto in poltiglia.


La giovane smise per un attimo di respirare e si bloccò, non più solo a causa della terribile visione, ma anche a causa del sibilo inquietante che sentì a pochi metri da lei.

Una nuvola oscurò la luna e qualcosa frusciò tra le foglie. Nell'oscurità più totale, l'unica cosa che Anathema poté fare fu stringere l'elsa della sua spada tra le mani e pregare, invocando i nomi di tutti gli angeli che aveva aiutato e che avevano dato lei la loro benedizione.

Li pronunciò a bassa voce, come un incantesimo, sentendo un senso di calma invaderle le membra man mano che li elencava. Non lo aveva mai fatto prima, forse perché non era mai stata in una situazione del genere: sola, alla mercé di un qualcosa che ancora strisciava non lontano dalla sua posizione. Qualcosa che aveva appena brutalmente ucciso un gruppo di cacciatori armati.

Non poteva essere un angelo: loro non sarebbero mai stati così violenti nei confronti degli umani. Inoltre, quelle ferite non erano state inflitte da un'arma: quegli uomini erano stati sbranati da una bestia.


«Un demone...» bisbigliò Anathema, guardando dritto davanti a sé.


Un paio di grandi occhi dorati si aprì di fronte a lei. Erano oblunghi, tagliati in due da pupille strette e nere come la Morte.

Ora che la luna era di nuovo libera dalla coltre che l'aveva nascosta, Anathema poté finalmente vedere il bagliore di tante fitte squame rossastre che scivolavano l'una contro l'altra. Davanti a lei era comparso un serpente enorme e minaccioso la cui lingua biforcuta saettava impazzita, come a intimidirla.

Quel che era peggio però, constatò la giovane, era che l'essenza angelica era proprio lì: intrappolata nel freddo abbraccio di quelle demoniche spire. 


Non avrebbe mai potuto saperlo. Anathema sapeva individuare gli angeli, ma i demoni erano un territorio pericoloso: nessun umano sano di mente avrebbe mai provato a raggiungere la loro aurea, pena la morte istantanea. Perciò, in quel momento, la giovane era praticamente impotente.


All'ennesimo sibilo, il serpente avvicinò la testa e Anathema si ritrovò a indietreggiare. Le mani le tremavano ma alzò comunque la spada verso la bestia. «Vade retro, malvagio tra i malvagi!» Gridò, o meglio, alzò la voce tremante. 


Contro ogni aspettativa, il demone si fermò, squadrandola dapprima con curiosità indagatrice e soffermandosi poi con lo sguardo sulla pesante borsa che portava a tracolla. Vi si avvicinò e Anathema notò con orrore che le squame attorno alla sua bocca erano ancora ricoperte di sangue.

Doveva stare molto attenta se non voleva fare la stessa fine degli sventurati sparsi attorno a sé, perciò rimase immobile. Smise nuovamente di respirare e attese.


Non ci volle molto prima che la serpe decidesse di indietreggiare e spostare il grande capo proprio davanti a quello della giovane, la quale rimase completamente impietrita, arma ancora alzata e cuore a mille.

Per un attimo si immaginò la scena: il serpente apriva le fauci, sguainava i lunghi canini, faceva uno scatto verso di lei e le staccava la testa di netto. In meno di due secondi, Anathema sarebbe diventata cibo per gli animali selvatici e addio missione di soccorso.


Niente di tutto ciò accadde.


«Tu. Tu sei una Guaritrice.»


Anathema sbarrò gli occhi. 

I demoni parlano, certo, esattamente come gli angeli. Lo facevano da ancor prima che gli umani esistessero: era un dato di fatto. 

Eppure, la giovane si sarebbe aspettata una voce terribile, cavernosa, capace di farle scricchiolare le ossa. Invece, il rettile assassino davanti a lei aveva un timbro assolutamente normale, quasi umano. Se fosse stata non vedente, avrebbe quasi fatto il terribile errore di invitarlo a casa a prendersi un tè.

«Esatto» rispose, senza comunque abbassare la guardia.

Era un trucco: non c'era alcun dubbio. I demoni erano incredibili nell'arte della tentazione, non a caso l'avevano inventata loro. Ma Anathema non si sarebbe fatta fregare, no signore.


«Molto bene. Ho un compito per te» continuò il serpente.


La giovane cominciò a ponderare l'idea di minacciare la bestia riversandole addosso tutti i suoi angelici protettori, ma scartò l'idea per due motivi. Il primo: i suddetti erano al momento troppo occupati a cercare di non finire come il poveretto che Anathema stava cercando di aiutare; il secondo: minacciare un demone non era esattamente la più furba delle trovate.

«A che pro?» Chiese cauta. Magari parlare avrebbe portato a qualcosa?

Ora che ci pensava: neanche intrattenere una conversazione con un demone era una buona idea.


In effetti, la serpe parve spazientirsi.

I suoi occhi iniziarono a illuminarsi e tuonò: «Senti, fattucchiera, come ti chiami. Non ho tempo da perdere!»


Fu allora che l'incubo di Anathema si fece realtà.

Il serpente aveva effettivamente mosso la testa verso di lei, portandola a cacciare un urlo.

Quindi sarebbe finita così? Dove andavano le persone uccise dai demoni? Probabilmente all'inferno, tipo premio di caccia.


Tutto quello che la giovane sentì, però, furono le ruvide e fredde squame posarsi contro la sua fronte.

In un attimo, tutto le fu chiaro. Venne pervasa da un bruciante senso di paura e apprensione, il tutto mescolato in una profonda rabbia e in una buia voglia di vendetta.


Il serpente si staccò da lei, indietreggiò e, con una delicatezza che poco si conviene a qualcuno della sua specie, aprì ad una ad una le sue spire. Le squame scivolarono l'una contro l'altra come drappeggi di seta, rivelando l'immobile e candida figura di un angelo dormiente.


Anathema guardò entrambe le creature più volte e la spada le scivolo tra le mani, cadendo con un tonfo sordo nell'erba umida.

«Non lo stavi intrappolando» realizzò, guardando la bestia. «Lo stavi proteggendo».


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Capitolo 2
*** Minacce preoccupate ***


Tutti gli angeli emanano luce.

Il paziente di Anathema, seppur ferito e privo di sensi, aveva illuminato l'area attorno a sé per almeno cinque metri; abbastanza da permettere alla Guaritrice di lavorare, abbastanza da evidenziare le sfumature cremisi delle squame del demone e abbastanza da far vedere l'effettivo stato dei corpi martoriati.

Come se non bastasse, nell'aria iniziava a sentirsi un odore acre.


Anathema decise di focalizzare l'attenzione sul ferito. Ora che lo guardava bene, infatti, capì di averlo già visto nella piccola biblioteca del villaggio.

Non si erano mai parlati, ma ricordava bene quel volto gentile affondato tra le pagine di un libro. Ricordava anche il tono calmo e accogliente con il quale si era rivolto a chiunque gli si fosse avvicinato, i modi garbati e le parole ricercate. Più volte, la giovane aveva staccato gli occhi dai suoi studi per osservare come quell'educato fascio di luce tendesse a perdersi in saggi, romanzi e tomi per ore.

Una creatura così dolce, bella e curiosa, ridotta in quello stato... Anathema non poteva sopportarlo.


«Devi aiutarlo e devi farlo subito» le disse il serpente con urgenza. «Sono disposto a darti quello che vuoi, davvero, basta che ti sbrighi.»


Anathema non se la sentiva proprio di scendere a patti con creature maligne, per quanto strane. La situazione, però, non era solo inusuale: era completamente assurda.

Tornò a guardare prima la serpe, poi l'angelo, poi di nuovo la serpe, poi il visibile intestino di uno degli uomini riversi nella fanghiglia. Ricacciò il senso di nausea ed esaminò l'improbabile coppia, soprattutto il modo in cui il demone aveva disposto le sue spire in modo da mettere il suo protetto nella posizione più confortevole possibile.

«L'unica cosa che vorrei in questo momento, sono risposte» disse. «Pensavo che non poteste neanche toccarvi, angeli e demoni. Se non per triturarvi a vicenda, ovviamente.»


Non pensava che i serpenti fossero capaci di alzare gli occhi al cielo, ma quello che aveva davanti lo fece in un modo così esasperato e plateale da farla quasi ridere.

«Facciamo così: tu curi, io rispondo a tutto quello che vuoi.»

Sembrava determinato. Di certo era terribilmente preoccupato, Anathema lo aveva sentito.

«Ci stai o no?» La esortò il demone. «Piú quell'affare resta lí, più la situazione peggiora.»


"Quell'affare" altro non era che la freccia conficcata nell'ala destra dell'angelo. La punta era sparita da qualche parte in mezzo alle piume e, dal foro che aveva lasciato, scorreva un lungo, abbondante rivolo rossastro e dorato che andava spargendosi in mezzo allo scombinato piumaggio, sporcandone il candore.

Armi demoniache e creature celesti non erano due cose da mescolare e la serpe aveva ragione: se il corpo estraneo non veniva rimosso, era la fine.


Senza perdere altro tempo, Anathema slacciò un nastro che teneva legato al polso e lo utilizzò per raccogliere i lunghi capelli scuri. «Ci sto» disse, togliendosi la borsa dalle spalle. «Ora lasciami un po' di spazio.»


La creatura eseguì e si spostò, fissandola intensamente mentre si avvicinava al suo paziente. «Vedi di essere delicata, umana» la ammonì. «Appena vedo che qualcosa non va, ti faccio fare la fine di quei basstardi.»


Per quanto Anathema sapesse che non stava scherzando, c'era così tanta preoccupazione in quelle minacce e in quei sibili che la paura non fece in tempo ad arrivare per rimescolarle lo stomaco. 

I cacciatori stavano cercando l'angelo per distruggerne e rubarne l'essenza; lei era lì per fare l'esatto contrario. In pratica, se faceva il suo lavoro come doveva -e di questo era sicura- il demone non avrebbe dovuto torcerle un capello.

«Rilassa le squame, bestia: voglio aiutarlo esattamente quanto te. È mio dovere di Guaritrice far sì che torni in salute.»


La lingua del serpente saettò nervosa. «Ssì, sì: mutuo aiuto e tutta quella roba. Dico ssolo che se anche per ssbaglio lo uccidi, o se lasci anche non volendo che la ssituazione peggiori, non mi limiterò a staccarti la sspina dorsale.» 

Mentre parlava sembrò farsi più grande, sovrastando Anathema e rivolgendole uno sguardo che avrebbe potuto incenerirla, se solo non si fosse trattenuto.

«Prenderò la tua anima e la ridurrò in pezzi cossì fini da-»


Non fece in tempo a finire, poiché Anathema gli aveva messo un dito sulla bocca -nonostante non la stesse muovendo per parlare- sporcandosi il polpastrello di sangue. La giovane gli rivolse uno sguardo determinato, seppur l'inquietudine si percepisse chiaramente dal suo respiro irregolare e tremante.

«Nessuno dei miei pazienti è mai spirato. Il tuo angelo non sarà il primo.»

"Il tuo", la Guaritrice aveva enfatizzato quel punto per vedere come il demone avrebbe reagito. La possessività era naturale per quelli come lui: se si "affezionavano" diventavano suscettibili e vulnerabili. Stava giocando con il fuoco, ma ormai era tardi per ritirarsi: tanto valeva andare fino in fondo.

«Temo che dovrai fidarti di me.»


La serpe sembrò capire. Tornò alle dimensioni precedenti, senza staccare gli occhi da Anathema: «E allora procedi.»


Lei annuì e tornò a guardare l'angelo. La sua luce aveva iniziato ad affievolirsi lentamente, segno inequivocabile che avevano perso fin troppo tempo.

Tirò fuori due grandi pezzi di stoffa dalla borsa, mettendosene uno sulla spalla e afferrando una boccetta di vetro. Sparse un unguento sulla pezza che aveva in mano e si avvicinò all'ala ferita, analizzandola da vicino.


Il serpente si mosse in modo da darle la miglior visione possibile, accomodando il suo protetto con una delicatezza meticolosa. Sembrava quasi che avesse paura di ridurlo in briciole, o di graffiarlo con le squame. Ogni fibra delle sue spire pareva esistere solo per fare da giaciglio al suo malmesso ospite.


Tamponando la ferita, Anathema notò che la freccia aveva quasi trapassato l'ala da parte a parte. Una volta pulito il sangue, sarebbe stata un'impresa estrarla.

Certo, se solo fosse effettivamente riuscita a completare la fase di pulizia.

Man mano che spalmava l'unguento, si rese conto che i rivoli dorati non smettevano un attimo di fuoriuscire copiosi.

Scosse la testa: «Sarà un'operazione complicata e dolorosa.»

Avvolse la per quanto possibile la pezza attorno alla ferita, in modo da bloccare il più possibile l'emorragia. Per sicurezza, avvolse i palmi attorno all'altro pezzo di stoffa, afferrando la freccia con entrambe le mani. «Tienilo fermo, puoi?»


Il demone fece un deciso cenno col capo: «Tutto quello che serve.»

Strisciò verso l'angelo, poggiando lentamente la testa sul suo petto e iniziando a sussurrargli qualche parola di conforto che Anathema non riuscì a sentire. 

Era una scena tra l'inverosimile, il dolce e lo straziante. 


«Scusa, devo calpestarti» annunciò la giovane, poggiando uno stivale sulla spira sotto di lei. «Mi serve una leva. Ora inizierò a tirare, va bene? Al mio tre.»

Uno. Anathema fece un bel respiro, stringendo la presa sul dardo.

Due. Il serpente ammutolì, concentrandosi sui movimenti della Guaritrice e preparandosi ad agire nel caso la situazione fosse precipitata.

Il silenzio della notte li avvolse. Per un attimo sembrò che l'intero pianeta avesse smesso di girare e che tutto l'universo si fosse messo a guardarli. Forse era Dio che aveva iniziato a preoccuparsi per la sua povera, sanguinante creatura. 


«Tre!» Esclamò Anathema iniziando a tirare.


La pace venne istantaneamente rotta da un lamento straziante e la luce proveniente dall'angelo si fece accecante, tanto che la giovane fu costretta a chiudere gli occhi.

Smise anche di tirare, le braccia che le tremavano e la testa in subbuglio. Non era la prima volta che le capitava di essere sopraffatta da un'ondata di dolore metafisico; ma quello, quello fu devastante.

Si ritrovò a indietreggiare, staccando le mani dalla freccia. Il grido continuò imperterrito, finché non arrivò un'altra voce a sovrastarlo.

«No! No, no, no. Calmati, calmo» disse il demone. «Va tutto bene. Ssh.»


Anathema aprì un'occhio e vide che la bestia aveva iniziato a strofinare il muso, ora miracolosamente pulito, contro la guancia rigata di lacrime dell'angelo.

La povera creatura stava soffrendo indicibilmente, gli occhi stretti dal dolore e la luce che andava e veniva al ritmo dei battiti di un cuore affannato. La freccia conficcata nella sua ala si era effettivamente mossa un po', colorando di rosso e oro il panno che avrebbe dovuto fermare il flusso.


La giovane ritornò al suo posto, ricominciando a premere. Le ci volle un po' per riprendersi e per riprendere il dardo cremisi tra le mani ora macchiate di bordeaux. Alcune macchie le ballavano davanti agli occhi, causa della troppa luminosità, impedendole di avere una visione chiara della situazione.

«Chiunque abbia forgiato questi affari» commentò, «sapeva quel che stava facendo. Non ti mentirò: è peggio di quel che pensassi.»


«Credi che mi importi quello che penssi?» Ringhiò il demone. «Estrai quella roba e bassta.»


«Pensi che non ci stia provando? Vedi di tenerlo fermo e zittirlo, o domattina saremo ancora qui e lui sarà morto.»

Un'umana e una creatura dell'inferno unite per combinare qualcosa di buono? Non poteva certo filare sempre tutto liscio. In un modo o nell'altro altro ne sarebbero usciti, però, o Anathema poteva dirsi pronta a rinunciare al suo titolo.

«Secondo giro. Pronto?» Chiese, nuovamente pronta a tirare.


L'altro non le rispose neanche, ricominciando a consolare l'angelo. Stavolta la giovane riuscì a percepire qualcosa tra il: "Sono qui, sono qui" e "Piano, fatti aiutare".


Anathema tirò di nuovo e stavolta sentì la punta della freccia scavare un solco nell'ala candida, graffiandola e pungendola. Era come estrarre una radice dalle profondità della terra, solo che la terra in questione non faceva altro che gridare e lamentarsi per il dolore.

Dopo poco, il ferito prese anche a dimenarsi disperato. Se non fosse stato per il rettile sopra di lui, l'angelo sarebbe stato capace di peggiorare esponenzialmente la situazione. Anathema dovette stare molto attenta agli scatti improvvisi dell'ala, fermandosi i pochi secondi necessari a stabilire l'equilibrio.

Anche nella totale incoscienza, l'agonia della creatura celeste pareva intollerabile.


In tutto questo, il demone continuava a fare il possibile per tranquillizare il suo protetto. Le parole iniziarono a perdere potere, disperdendosi nei lamenti. A nulla valsero i: "Va tutto bene, calmati. Sono qui, calmati."

Passò quindi ai gesti: il suo muso non faceva altro che strofinare dolcemente tra la fronte pallida e i riccioli ancor più candidi dell'altro. Non si sarebbe fermato a costo di passare il resto dell'eternità raggomitolato nel fitto degli alberi, il suo angelo stretto nel suo abbraccio. 


Le cose parevano peggiorare ogni secondo di più e raggiunsero il fondo quando Anathema dovette bloccarsi, mollare la presa e indietreggiare. Aveva la fronte imperlata di sudore e lo sguardo fisso su l'unica parte di freccia ancora saldamente aggrappata all'angelo: la punta.


Ovviamente, tanto bastò per far venire un ipotetico infarto al demone che esclamò: «Che stai facendo? Non fermarti!»


«È incastrata!» Strillò l'altra tra la rabbia, la stanchezza e la disperazione. «E il tuo fare ansiogeno non aiuta.»

Prese a frugare nella borsa, cercando nervosamente qualcosa che potesse aiutarla tra tutto il materiale che si era portata dietro.

 

Alle sue spalle, il serpente aveva alzato la testa, furioso. «Quanto pensi possa ssopportare ancora?!» 


La risposta era: "non molto" e la giovane ne era consapevole, ma non disse nulla. Semplicemente, tornò al suo lavoro con un nuovo unguento tra le mani e l'espressione distrutta di chi voleva che le cose finissero il prima possibile.


«Ssei ssicura di quello che fai?» Continuò il demone, sibilando minacciosamente. «Dimmi che ssai con certezza che andrà tutto bene.»


Ma Anathema non lo sapeva e non poteva mentirgli: se ne sarebbe accorto e l'avrebbe decisamente sbranata.

Ad una sua mancata risposta, però, l'altro parve quasi ergere le squame come fossero gli aculei di un istrice. Gli occhi dorati divennero due fari nella notte, gialli come limoni maturi.


E Anathema la sentì: la voce che stava aspettando. Quasi la vide risalire dalle profondità dell'Inferno per materializzarsi e tuonare nei suoi timpani, infilarsi nelle sue ossa, scuotere la sua anima. Era fredda, roca, terribile. «TI HO CHIESTO UNA COSA, STUPIDA UMANA. RISPONDI!»


Fu come essere scossi da un terremoto. La giovane si tappò le orecchie, schiacciata da quella valanga sonora che le stava riducendo i sensi a brandelli. Era peggio di una tortura; pareva di essere travolti da uno tsunami, doleva e confondeva peggio di una botta dritta sulla testa. Sicuramente faceva male come una stilettata al fianco ed echeggiava come-

Un rantolo di dolore?


Demone e umana bloccarono quella metafisica battaglia mista a sessione di tortura che stavano avendo, e si voltarono all'unisono verso l'angelo. Si era raggomitolato verso sinistra, usando l'ala buona come fosse una coperta. I suoi occhi si muovevano instancabili sotto le palpebre serrate, come se stessero inseguendo un incubo. 


Il demone imprecò e tornò veloce come la luce a posare la testa accanto a quella del suo protetto, prendendo a pronunciare uno sproposito di frasi addolorate e cariche di ansia.

«Scusa! Scusa. Hai ragione, mi dispiace, perdonami. Mi perdoni, vero? Non volevo urlare. Non urlerò mai più» gli disse, scombinandogli i riccioli e cercando il suo volto tra le piume.


Anathema si mise una mano sul petto, ancora scossa da ciò che era appena successo. Era stato come dare un'occhiata a Satana in persona e tornare indietro sana e salva.

Mai più, si disse. Mai più.

«Ascolta» disse, prendendo più volte il respiro prima di continuare. «Hai ragione, la situazione mi ha colta impreparata, ma ho ancora qualche idea. Ti prego, ti supplico: lasciami continuare a provare finché non lo salverò... o finché non morirà, così che tu possa mettere fine alla mia esistenza nei peggiori modi possibili.»

Stava pregando un demone? Ora sì che la nottata non poteva essere più assurda. 


«Fosse per me, saresti già bella che morta» rispose la bestia, ancora fermamente attaccata all'angelo. «Ma lui ha bisogno di te.»


«Di me e della tua calma» affermò la giovane. «Credi che gli faccia bene sapere che sei così nervoso e preoccupato?»


Come se avesse sentito la conversazione -e chissà se così non fosse- l'angelo emise un altro gemito, debole e tremante. Assomigliava sempre di più ad una fiamma scossa dal vento, le mani sulle braccia e le dita che stringevano le maniche della sua tunica in una specie di auto-abbraccio.


Anathema tornò, instabile e barcollante, ad afferrare la freccia. Fissò il suo improbabile compagno di salvataggio, in attesa di un ultimo cenno di fiducia o, perlomeno, collaborazione.


L'altro non la fece attendere molto. «Ringrazia il mio amore per questa creatura e il fatto che mi odierebbe se scoprisse che ho fatto fuori chi cercava di salvarlo» disse.


E la Guaritrice lo fece: ringraziò mentalmente il ferito per essere stato capace di rabbonire la serpe al punto da renderla così predisposta a pazientare. Gli angeli: sempre dalla sua parte, e lei sempre pronta a ricambiare il favore. Era un ciclo continuo di, beh, mutuo aiuto, come aveva detto il demone.

Se rischiare di patire le pene dell'Inferno era il rischio da correre per salvare il suo paziente, allora Anathema lo avrebbe corso anche due volte, senza alcun dubbio.

«Va bene, allora. Tiriamo fuori questa dannata freccia.»


Lei, mani e gamba in posizione, pronta a mettere fine a quella tortura.

Il demone, testa e spire in protezione dell'angelo, ancor più convinto di lei.

Non contarono, stavolta. Semplicemente, Anathema concentrò le poche forze che le erano rimaste e tirò.


Fu un unico colpo secco. La radice venne estratta dalla terra e sulla faccia della giovane volarono una miriade di gocce dai riflessi dorati.

La Guaritrice perse l'equilibrio, ci fu un altro straziante grido, la luce fece tornare il giorno per due secondi.


Poi, come se qualcuno avesse soffiato sulla fiamma, l'angelo si spense.

Anzi, ci andò molto vicino.

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Capitolo 3
*** Gocce sacre ***


«Umana?!» Esclamò il serpente, nel panico. «Che sta succedendo?»


L'area diventava sempre più buia con il passare dei secondi. La notte aveva ripreso ad avvolgerli nella sua coltre. Tutt'attorno regnava un'oscurità crescente che odorava di morte e putrefazione. 


L'angelo si era ridotto ad un lume intermittente. Se ne stava immobile, accasciato contro il corpo squamoso del demone come una marionetta. Nonostante fosse già naturalmente candido, il suo volto era ora quasi grigiastro: una maschera mortuaria.

Aveva smesso di lamentarsi, i suoi occhi erano serrati e immobili. Non cambiò di posizione, né mosse l'ala, ora libera dal fardello che l'aveva bucata.


Nulla che Anathema non si aspettasse.

Posò la freccia che aveva ancora tra le mani, scattò in piedi come una molla -causandosi un giramento di testa- e infilò le dita nelle tasche interne della borsa come un animale che cerca la sua preda sottoterra. 

«Sta' indietro, demone» disse al serpente, una volta trovata la fiala lunga e sottile che stava cercando. «Questa non ti piacerà.»


Ed effettivamente, quando il demone ebbe notato ciò che la giovane aveva appena tirato fuori, sbarrò -per quanto possibile- gli occhi dorati e fece scattare all'indietro la grossa testa.

Nella fialetta c'era della pura, trasparente ed immacolata acqua santa.

«Te ne vai in giro con quella roba?» Sibilò, tra lo schifato e l'impaurito.


«Vivo in un villaggio protetto da angeli e continuamente attaccato da demoni. Nei casi d'emergenza dovrò pur avere un'ultima risorsa, non credi?» spiegò Anathema, svitando il tappo.


L'acqua santa era un'arma potente. Sui demoni aveva il terribile effetto di ridurli in poltiglia: una goccia ed era fatta; inoltre, le creature infernali non potevano individuarla in nessun modo: motivo per il quale la serpe non era riuscita a fiutarla in precedenza.

Se la Guaritrice avesse sospettato, anche solo per un secondo, che si sarebbe ritrovata un serpente demonico davanti, ne avrebbe versata un po' sulla spada e non ci avrebbe pensato due volte a colpire. Da un lato sarebbe stato meglio, dall'altro...

Per quanto riguarda gli angeli, per loro -in casi normali- era come della comunissima acqua potabile, se non fosse stato per l'effetto rinvigorente. In casi di emergenza veniva usata dai Guaritori sui pazienti più gravi, ma mai era stata applicata direttamente su una ferita così profonda e così profondamente martoriata da un'arma infernale.

Normalmente, veniva diluita o unita agli unguenti. Usarla pura era qualcosa che nessun Guaritore si sarebbe mai sognato di fare. Ma quella non era una situazione normale, ormai era chiaro. 

Anathema non sapeva quali effetti collaterali avrebbe avuto l'azione che stava per compiere, ma il liquido benedetto era la sua ultima speranza. La sua e quella dell'angelo morente.


Senza dire una parola, la Guaritrice tolse la pezza intrisa di sangue angelico dall'ala e fece cadere qualche goccia di acqua santa tra le piume ormai ridotte ad un miscuglio marrognolo dai riflessi gialli. Fece molta attenzione a non farne cadere nessuna sulle ora più distanti spire e, a lavoro terminato, si allontanò.


Per dieci interminabili secondi, nulla cambiò.

Anathema sentiva i brividi salirle e scenderle per la spina dorsale. Tenne lo sguardo fisso sulla ferita e la boccetta stretta in pugno. Smise persino di respirare, iniziando lentamente a pregare Dio e tutti i santi che la cosa funzionasse.

Non poteva né vederlo né sentirlo, ma l'ansia del demone era quasi percepibile. Entrambi avevano cancellato l'universo attorno a loro, concentrandosi solo ed esclusivamente sull'angelo ancora immobile.


Lentamente, come il sole all'alba, la luce tornò. Prima flebilmente, poi pian piano sempre più forte. Arrivò a sembrare un piccolo falò tra le tre figure; non luminoso come quando il serpente aveva liberato l'angelo dalle sue spire, ma stabile.

Sembrava che l'angelo stesse migliorando: il volto gli si addolcì, colorandosi di in tenue bagliore rosato. Poi però, una striscia di sangue gli scivolò dall'angolo destro della bocca e altre due si mescolarono alle lacrime, iniziando a scendergli dagli occhi. Fu come se l'emorragia avesse deciso di spostarsi dall'ala per andare a morire su quelle gote perfette. 


Anathema chiuse la fiala, buttandola nella borsa, e si inginocchiò di fronte al ferito. Avrebbe dovuto recuperare lo straccio ancora avvolto al dardo, ma al momento la sua testa non arrivò a fare il collegamento. In quel frangente, la sua mente era in subbuglio: una massa di ansia, preoccupazione, stanchezza e decisioni prese sul momento.

«Sapevo che sarebbe stato come buttare della polvere da sparo nel fuoco» disse, pulendo il volto sanguinante del suo paziente con il mantello. «Almeno sta recuperando.»


Il demone era rimasto -stranamente- in silenzio per tutto il tempo, le pupille ridotte a due sottili linee nere immerse nell'oro dei suoi occhi.

Gli ci volle un attimo per tranquillizzarsi, assicurarsi che il liquido fosse abbastanza lontano, e riabbassare il capo. «Ne sei certa?» Chiese, cauto e leggermente tremante.


Anathema annuì. «Mi sono concentrata sulla sua aura. Sta tornando calma e tranquilla, proprio come dovrebbe essere.»

Nonostante gli forzi, però, il suo tentativo di pulizia finì in tragedia, spargendo il sangue sulle morbide guance dell'angelo.


A quella vista, il serpente tornò a spazientirsi. Allontanò la mano della Guaritrice con un gesto seccato del muso, e si mise a passare lentamente la lingua sul volto macchiato del suo protetto, ripulendolo con la stessa dolcezza di una madre che passa un tovagliolo sulla bocca sporca di marmellata del figlio.


La giovane ne approfittò per fare qualche passo indietro e si lasciò cadere sull'erba, distrutta. Sospirò, togliendosi gli occhiali e passandosi due dita sulle palpebre. Si asciugò la fronte imperlata di sudore e pensò alla figura che avrebbe fatto tornando a Tadfield sporca di sangue angelico e fango. Si chiese anche se la battaglia avesse procurato altri feriti che sarebbe poi stata costretta ad aiutare. Il solo pensiero le fece venire la nausea e fece pulsare la sua già dolorante testa.

I suoi pensieri vennero interrotti da una serie di sibili e sussurri. Alzò nuovamente lo sguardo sull'improbabile duo e notò che il demone aveva preso a picchiettare lievemente il muso contro la fronte dell'angelo, il quale non dava cenni di risposta.

«Qualcosa non va?» Chiese Anathema, già pronta a sentirsi dire che le condizioni del ferito avevano ripreso a peggiorare.

Eppure l'aura angelica andava stabilizzandosi e l'angelo stesso aveva un aspetto decisamente migliore...


«Quando si sveglierà?» Chiese la serpe; tutta la sua rabbia e ansia ormai sciolte in una pozza di tristezza e preoccupazione. 


«Ho appena finito di curarlo, dagli un attimo» rispose la Guaritrice, cercando di rivolgergli un sorriso stanco ma rassicurante. «Non appena potrà, si richiuderà la ferita da solo e si darà una bella ripulita. Non preoccuparti.»


Il demone annuì. Se avesse potuto, avrebbe sospirato mentre tornava ad accarezzare l'angelo con premura.


Il silenzio che seguì, servì soprattutto ad Anathema per calmare gli incessanti battiti del suo cuore. Alla fine rimasero solo la spossatezza e la testa dolorante a tormentarla.


«Ti avevo promesso delle risposte, no?» Chiese ad un certo punto il serpente, posando la testa sul petto del suo protetto.


Oh, giusto. Anathema se n'era completamente dimenticata. 

Guardò la bestia negli occhi ed annuì. Forse, nell'attesa che il ferito desse segni di vita, quello sarebbe stato il modo migliore di passare il tempo e di distrarre il demone.


«Molto bene, allora. Procedi. Tutto quello che vuoi: penso di dovertelo» disse quest'ultimo, come se le stesse facendo un favore. Un favore di quelli grossi.


La giovane pensò di iniziare sul semplice. «Come ti chiami?»

Il demone la fissò stranito -per quanto un serpente possa sembrare stranito.

Forse si aspettava una domanda più profonda, pensò Anathema. Magari qualche nozione sui demoni da poter utilizzare contro di loro in battaglia.


Nonostante ciò, il demone rispose: «Mi chiamo Crowley. Sì, so che ti sembrerà poco originale.»


«In realtà» rispose la giovane, facendo spallucce, «lo trovo azzeccato. Io sono Anathema, comunque.»


 Crowley alzò appena il capo, stupito: «Ecco, questo è originale. Diciamo che è strano, insomma, che razza di nome è?»


«Nome di famiglia. Una delle mie antenate era fissata con i nomi particolari: pensa che sua figlia si chiamava Virtue... che sì, non è strano come Anathema, ma comunque inusuale.»

La giovane aveva avuto quella conversazione innumerevoli volte, ormai. In effetti, era quasi sicura di essere l'unica Anathema al mondo e ciò straniva praticamente chiunque -demoni compresi, a quanto pareva.


L'altro emise un "mhmh" che suonava tutto fuorché convinto, così la giovane decise di cambiare argomento.

«Che mi dici di lui?» Chiese, indicando l'angelo. 


«Si chiama Aziraphale e vive più a Tadfield che in Paradiso, praticamente.»


Anathema annuì: «Sì, immaginavo. Sta sempre in biblioteca.»


L'altro emise una leggera risata, di quelle che si fanno pensando ai bei momenti e alle persone care. «Già, puoi dirlo forte. Sarebbe capace di trasferirsi lì dentro per l'eternità.»


La giovane non poté fare a meno di sorridere. Nonostante l'assurdità della situazione, tutto -dalla preoccupazione, alla paura, all'affetto ai quali aveva assistito, era così dolce e così genuino da rendere la fatica tutto fuorché vana. 

Decise così di tirar fuori ciò che ormai da un'ora la attanagliava. La domanda fatidica. Il dubbio arcano.

«Sembri volergli davvero bene. Come ha fatto un demone ad affezionarsi ad un angelo?»


«Sai che avevo già intenzione di maledirti per cucirti la bocca e che questo peggiorerà la situazione, vero?» Chiese Crowley, gli occhi ridotti a due fessure.


Anathema deglutì. Essere maledetti da un demone non era cosa buona per nessuno, soprattutto per chi lavorava a stretto contatto con gli angeli. Si ritrovò combattuta tra la curiosità e la paura di essere scoperta. Poi realizzò che, anche rifiutando di assecondare la prima, Crowley l'avrebbe comunque condannata a tenere le labbra cucite sulla questione. Non aveva motivo di non andare sul sicuro, in fondo. No?

«Lo so, lo so» rispose infine, sospirando. «Correrò il rischio.»


«Beh, la questione è più semplice di quel che potresti pensare» iniziò Crowley. «Accadde durante uno dei primi conflitti, molto tempo fa. Ci ritrovammo a combattere l'uno contro l'altro e lo scontro fu così violento da farci finire fuori dal villaggio, tra questi stessi alberi. Precipitammo stremati e, per un po', nessuno di noi due si mosse.»

Si fermò a guardare Aziraphale, come se volesse fargli rivivere quel momento, e continuò: «Ad un certo punto, lui mi guarda e dice che preferisce morire per mano di un demone, piuttosto che continuare a combattere una battaglia senza senso.»


La domanda sorse spontanea: «E tu perché non l'hai fatto? Insomma: un angelo che si arrende spontaneamente è il sogno di qualsiasi creatura infernale.»


«Primo, perché "qualsiasi creatura infernale" normalmente significa "tutti tranne me"» puntualizzò Crowley. «E poi perchè nemmeno io volevo combattere. Andiamo, pensaci: questa guerra è un'idiozia. Nessun umano o demone, per quanto ci provi, potrà mai appropiarsi del potere di un angelo. Loro hanno Dio al loro fianco, capisci che vuol dire?»


Anathema capiva perfettamente. Anzi: era assolutamente d'accordo. 

Certo, senza battaglie non c'erano angeli feriti e senza angeli feriti non c'erano Guaritori; ma la giovane avrebbe volentieri dato il suo lavoro in cambio dell'ormai lontana pace perpetua della quale le avevano raccontato i suoi nonni. Una Tadfield lontana, persa nelle pieghe del tempo e circondata dall'Amore di Dio.

«E quindi vi siete alleati» azzardò la giovane.


«Non solo» precisò Crowley. «Abbiamo scoperto di andare d'accordo. Non è stato facile, inizialmente. In fondo stavamo andando contro i nostri ruoli e la nostra natura.»


Eppure adesso erano lì, l'uno accanto all'altro, pensò Anathema. Qualcosa le disse che, se la situazione fosse stata ribaltata, l'angelo avrebbe fatto carte false pur di risolvere la situazione ed aiutare Crowley. Capì poi quanto le due creature fossero sotto la paura costante che l'Inferno e il Paradiso facevano gravare su di loro. Se fossero stati scoperti, sarebbe successo un disastro al quale non osava neanche pensare.

E ora, tra l'alto del cielo e le profondità della terra, c'erano un angelo, un serpente e lei: un'umana incastrata tra i due regni sui quali si reggeva l'intero universo. Una posizione assai scomoda, dalla quale si aveva però una prospettiva interessante di ambedue le parti.


Con un mugugno, la debole mano di Aziraphale cercò il muso di Crowley, il quale spostò immediatamente tutte le sue attenzioni su di lui.

Anche Anathema fece lo stesso, fissando quelle morbide dita luminose accarezzare delicatamente le ruvide squame del demone. Era un gesto così dolce, tenero, lieve e bisognoso d'affetto da farle venire il magone. 


«Sono qui» rassicurò Crowley, la voce ridotta ad un sussurro. «Sono qui, cosa c'è?»


L'altro non rispose, continuando a strisciare debolmente i polpastrelli contro il muso del serpente. Era ancora stretto nella morsa dell'incoscienza, ma la sua luce era ormai tornata la meraviglia che era stata inizialmente.


«Forse dovrei lasciarvi spazio» disse Anathema. Aveva già iniziato a raccattare le sue cose, freccia compresa, pensando che forse era di troppo in mezzo a quel cerchio perfetto fatto di amore, affetto e spire. E poi, Crowley le aveva già detto tutto e forse anche troppo. Non le interessavano le strategie di guerra, né voleva sapere cosa si nascondeva nelle profondità dell'Inferno; voleva solo tornare a casa e farsi un sana dormita.


«Resta» la intimò il demone. «Giusto in caso le cose vadano male.»

Sembrava una preghiera, un preghiera intrisa di aspettative. Ma i demoni non pregano, giusto? E non si fidano di nessuno, nemmeno di loro stessi.


Crowley però lo aveva fatto: aveva riposto fiducia in lei, pensò Anathema.

Aveva mantenuto la sua promessa, anzi, le disse che poteva continuare a domandare intanto che aspettavano; che poteva riposare e che ci avrebbe pensato lui a svegliarla se avesse avuto bisogno di aiuto.

E così, la Guaritrice rimase e i due si misero a parlare. Fu interessante scoprire come le origini della Terra stessa fossero indissolubilmente legate a quello strano duo. Una cosa era certa: la giovane non avrebbe più letto i testi sacri allo stesso modo.


~•°•~


Anathema se ne andò all'alba.

Quando si svegliò, vide che la ferita di Aziraphale si era rimarginata, lasciando dietro di sé solo lo sporco e il sangue rappreso.

Con un debole sorriso, guardò Crowley, il quale non aveva chiuso occhio -non che ne avesse bisogno- e chiese: «Quindi, posso considerarmi maledetta?»


«Solo moralmente» disse lui, aprendo le sue spire e lasciandola andare.


L'umana salutò con un cenno del capo, sorpasso i corpi già mezzi putrefatti e tornò verso Tadfield. 

La battaglia aveva lasciato i suoi segni dovunque e piume bianche e nere volavano ancora a mezz'aria. Voci sparse e sussurri dicevano che l'armata di Dio aveva trionfato, ma che frecce rosse come il fuoco avevano ferito gravemente i protettori del villaggio.

La giovane capì che avrebbe trovato i suoi colleghi già al lavoro.

«Nulla che un po' di acqua santa non possa sistemare» avrebbe detto, entrando in infermeria spettinata, sporca e maleodorante.

Avrebbe dato una mano e poi sarebbe andata a darsi una lavata. Se tutto andava bene -ma ne era certa- l'indomani avrebbe incontrato Aziraphale in biblioteca.


~•°•~


Il sole iniziò a fare capolino tra le fronde e Crowley lo accolse con gioia. Dopo la nottataccia che aveva passato, i raggi caldi parvero sciogliere le sue spire e spazzare via il freddo pungente che si era insediato nel suo essere. Una vera e propria benedizione.

Chiuse gli occhi, iniziando a crogiolarsi. Per un attimo, non sentì i movimenti incerti e gli spostamenti stentati che stavano avvenendo all'interno della sua morbida stretta. Fu la flebile voce a strapparlo brutalmente dal suo stato di torpore.


«Crowley?»

Aziraphale aveva iniziato a passarsi le mani sugli occhi. Dove passavano le sue dita, sporco e incrostazioni sparivano, lasciando spazio ad un volto perfetto.

Aprì lentamente gli occhi, seppur non del tutto, guardando l'altro con aria interrogativa, confusa e leggermente frustrata. 


«Aziraphale! Accidenti a te» esclamò Crowley infilando il muso tra il mento e il petto dell'angelo, stringendolo più forte di quel che avrebbe voluto. «Hai idea di quello che mi hai fatto passare!?»


L'altro gli avvolse delicatamente le braccia attorno alla testa, sospirando: «Scusa, ma non è stata colpa mia. Non avrei mai voluto andare a combattere in prima linea.»

La sua voce era ancora lieve e rauca; i suoi movimenti, però, si erano fatti più sicuri e la sua stretta più salda.


«Lo so, lo so, angelo. Non ti stavo incolpando» si affrettò a precisare Crowley. «Adesso rilassati e riprenditi con calma. Un passo alla volta.»


Aziraphale scosse la testa, avvicinandosi l'ala ferita e iniziando a passarci debolmente le dita sopra, per sistemarla. «Non posso. Da quant'è che sei qui? Chissà cosa penseranno se-»


Crowley lo zittì, spostando le spire in modo che creassero come una sfera protettiva attorno a entrambi. 

L'angelo non replicò, lasciandosi accomodare. Non era da lui, pensò il demone. Normalmente avrebbe dovuto fare i salti mortali per convincerlo a non muoversi. L'ultima volta che aveva visto Aziraphale così allo stremo, era stato il giorno in cui si erano scontrati.

Se trovava il demone che aveva creato quelle dannate frecce...


«Ehi, Crowley?» domandò Aziraphale, guardando il foro bordeaux sulla sua ala destra. «Lei chi è? L'umana. Dovrei ringraziarla. È stata così gentile...»


«Lo farai, angelo. Lo farai» lo rassicurò il demone. «Tornerai a Tadfield non appena starai meglio.»


L'altro annuì, seppur non del tutto convinto. «Non dovremmo restare qui» disse, richiudendo gli occhi. «È pericoloso.»


«Non preoccuparti, se arriva qualcuno, ci penso io a-»


«Crowley... Niente spargimenti di sangue.»


Il serpente ripensò per un attimo ai cacciatori che aveva ucciso durante la notte. Oh, l'angelo gli avrebbe fatto una di quelle ramanzine infinite. Pazienza, ormai. Crowley l'avrebbe rifatto anche venti volte se ciò avesse potuto salvare Aziraphale da morte certa.

«Nnno, niente sangue. Tranquillo» rispose con un ghigno sul muso.


L'altro aprì un occhio, scoccandogli un'occhiata di rimprovero e scuotendo la testa. Ecco: quello era l'angelo che Crowley adorava.


«Comunque; grazie, caro» disse Aziraphale accarezzandogli la testa. 


«Questo ed altro per te, lo sai» rispose il demone, iniziando a cullarlo.


Rimasero lì tutto il giorno, aggrovigliati l'uno attorno all'altro, circondati solo dal fruscio del venticello tra le foglie. Nessuno venne a cercarli e nessuno li disturbò.


~•°•~


Il giorno seguente, Anathema uscì di casa più veloce di un fulmine. Corse verso la biblioteca, schivando i passanti che la guardavano straniti. 

Era una giornata meravigliosa. Sembrava quasi che non fosse successo niente: Tadfield era calma e pacifica come sempre; tutti gli angeli erano stati soccorsi, così come tutti gli umani. Il male si era nuovamente allontanato, lasciando dietro di sé una dolce seppur temporanea pace.


La giovane entrò in biblioteca, dirigendosi rapida verso la sezione dove era solita studiare. 

Fu lì che vide Aziraphale: in mezzo ai tavoli, un libro chiuso tra le mani e l'aura perfetta. Se non fosse stato per il leggero segno rossastro rimasto sull'ala, nessuno avrebbe mai potuto immaginare le condizioni in cui era stato non molto tempo prima.

Davanti a lui, però, c'era qualcuno che Anathema non riconobbe. 

Pareva umano. Aveva le braccia conserte, indossava abiti scuri e una miriade di capelli rossi gli copriva i lineamenti affilati.

Le bastò sentirlo parlare per capire.

Quella voce era semplicemente indimenticabile.


Con un sorriso, Anathema fece un bel respiro e li raggiunse.


~•°•~


Fine

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