Avengers: Age of Monsters

di evil 65
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


E finalmente, dopo un anno di pausa dall’MCU, ecco l’evento crossover della mia serie di storie ambientate dell’universo Marvel!
La fan fiction sarà il sequel diretto di “Avengers – The King of Terror”, ma avrà anche elementi da “So Wrong” e “The Spider, the Captain and the Clown”. Sarà un po’ il mio Endagme personale.
Gli antagonisti saranno numerosi: avete già conosciuto King Ghidorah, Carnage, Pennywise e Norman Osborn, ma ne arriveranno altri. Uno di loro lo incontrerete già nel prologo!
Gli Avengers, invece, potranno vantare la presenza di supereroi non ancora comparsi nell’MCU, alcuni dei quali provenienti da altri universi cinematografici della Marvel.
Detto questo, vi auguro una buona lettura!

 


Prologo

Alcuni anni fa…

Da qualche parte nel cervello di Vers c’era un muro completamente bianco.
Quel muro non era stato costruito per la sua protezione, bensì per nascondere tutte quelle informazioni che l’impero Kree aveva ritenuto superflue per la creazione della guerriera perfetta.
I ricordi della Terra, la sua famiglia, il tempo speso nell’aviazione militare…posti e persone rimasti sepolti nell’oscurità così a lungo che a stento riusciva a riconoscerne le fattezze ogni qualvolta un piccolo brandello di memoria attraversava quella barriera intangibile. Quasi sempre, ciò accadeva mentre dormiva. 
Vers detestava quella pallida parete.
Non era reale, naturalmente, anche se una volta l’aveva descritta perfettamente a Yon durante una dei loro allenamenti. Il suo mentore aveva liquidato l’intera questione come un semplice risultato della sua perdita di memoria, e così la Kree aveva deciso di non pensarci più.
Eppure, ogni tanto, capitava che quel muro comparisse mentre sognava o tentava di ricordare qualcosa di importante.
La sera prima, ad esempio, la donna si era ritrovata catapultata in un ambiente piuttosto strano. Un insediamento caratterizzato da costruzioni ed edifici primitivi, molto diversi da quelli a cui era abituata su Hala. Eppure…familiari.
Aveva udito delle voci di bambini, si era voltata, e poi…e poi nulla. Il bianco assoluto di quel muro senza fine aveva invaso il suo campo visivo ancora una volta.
Vers aveva provato a farlo a pezzi, senza alcun risultato. La barriera non si era nemmeno scheggiata!
La cosa non avrebbe dovuto sorprenderla, visto che si trovava nella sua mente. Non era solida, era puro e semplice pensiero disincarnato.
Che cos’era? Che cosa stava cercando di dirle? Perché continuava a perseguitarla?
Scosse la testa per liberarsi da quelle domande fastidiose. Ora non era certo il momento per soffermarsi su simili questioni…non quando era nel pieno svolgersi di una missione ordinata dall’Intelligenza Suprema in persona.
Giunta a questa conclusione, cominciò a guardarsi attorno e notò che Bron-Char la stava fissando con un’espressione decisamente contrariata.
<< Sei ancora arrabbiato, vero? >> commentò con un piccolo sorriso.
Il combattente della Starforce si drizzò come un bamabino colto sul fatto.
<< Per cosa? >>
<< Per la nostra ultima lotta. Ti ho preso a calci in culo. >>
Bron-Char grugnì per il fastidio, suscitando alcune risate da parte degli altri membri della squadra.
Solo Korath mantenne un’espressione impassibile e lanciò alla bionda un’occhiata di rimprovero.
<< Vedi di concentrarti, Vers >> borbottò con tono d’avvertimento << Questa è una missione importante. >>
La Kree si limitò a roteare gli occhi.
<< Forse sarei più concentrata se QUALCUNO si decidesse a spiegarmi con cosa avremo a che fare >> disse rivolta verso Yon-Rogg, il loro comandante.
L’uomo si portò le mani dietro la testa e chiuse gli occhi, assumendo una posizione completamente rilassata.
<< Tutto quello che devi sapere è che la persona che stiamo per incontrare ha rubato un’arma molto pericolosa all’impero Kree >> disse con una scrollata di spalle << Un’arma che potrebbe portare una rapida fine alla guerra con gli Skrull. >>
Al sentire quelle parole, Vers strabuzzò gli occhi.
<< Sei serio? >> sbottò, incapace di credere a quello che aveva appena sentito.
Un’arma così potente da poter cambiare le sorti di una guerra millenaria? La stessa guerra che aveva richiesto un così alto tributo di vite…e i suoi stessi ricordi?
Yon aprì un occhio e le sorrise in modo consapevole.
<< Vedo che ho suscitato il tuo interesse >> ridacchiò, e la donna dovette sforzarsi per non arrossire. Di solito aveva un controllo migliore sulle proprie emozioni.
<< D’accordo, cercherò di essere più concentrata >> sbuffò, incapace di nascondere un piccolo sorriso al pensiero di quello che avrebbero guadagnato con la riuscita di questa missione.
Minn-Erva – l’unica altra donna della squadra - si chinò verso Att-Lass.
<< Dieci crediti che farà qualche stupidaggine >> sussurrò, ma il resto della Star Force non ebbe problemi a sentirla.
<< Ci sto >> disse Yon, ricevendo un’occhiataccia dalla sua allieva.
Quando anche gli altri acconsentirono alla scommessa, la bionda incrociò ambe le braccia davanti al petto e borbottò un rapido: << Stronzi. >>
Altre risate, a cui seguì il rumore del metallo che si adattava all’atmosfera del pianeta. Erano giunti a destinazione.
La navetta atterrò sulla superficie del pianeta con un sonoro tonfo, e presto le paratie cominciarono ad aprirsi.
Un sottile strato di umidità avviluppò gli interni del trasporto. Al contempo, dall’altra parte della rampa di uscita si stagliò un deserto completamente rosso.
Una calda brezza portò con sé un odore di terra secca e polvere, che andò a coprire il più sottile puzzo di muffa secca.
I vari membri della Star Force non persero tempo e cominciarono ad armarsi…tutti tranne Vers. Lei non aveva mai avuto bisogno di armi, e dubitava seriamente che in questa missione sarebbe stato diverso.
Prima di scendere la rampa,Yon volse al gruppo un’occhiata significativa.
<< Mi raccomando, siamo qui per parlare, non per combattere. Cerchiamo di essere diplomatici >> disse con tono d’avvertimento.
La bionda sorrise in accordo.
Ecco perché le era sempre piaciuto il suo maestro. Era sicuramente un guerriero formidabile, ma quasi sempre preferiva cercare soluzioni pacifiche per risolvere i conflitti.
Era qualcuno che si era guadagnato la sua più completa fiducia e rispetto, e lei lo avrebbe seguito fino agli angoli più remoti della galassia.
Con quel pensiero in mente, cominciò a incamminarsi verso il terreno sabbioso sottostante. Sperava solo che questa missione si sarebbe svolta senza spiacevoli imprevisti.

                                                                                                   * * *

Shmi Skywalker non si era mai considerata una brava contadina.
Aveva anche molti altri difetti, ma se era ancora viva lo doveva proprio a questo. Una donna dai talenti più vari – una Shmi diversa, qualcuno che avrebbe potuto intuire quali raccolti coloniali sarebbero prosperati nel suolo di Tatooine o che sarebbe riuscita a capire se un albero avvizzito era marcito senza rimuovere la corteccia – si sarebbe probabilmente annoiata nell’arco di pochi anni.
La sua mente, lasciata a oziare nei campi, sarebbe tornata su argomenti a cui aveva voltato le spalle. Coscientemente o per abitudine, quella Shmi avrebbe ricercato proprio il genere di lavoro che l’aveva costretta all’esilio. Si sarebbe recata alla città più vicina e avrebbe fatto domanda in una gilda di mercenari o come guardia del corpo, oppure come Cacciatrice di Taglie, anche solo per rivangare un’ultima volta tutte quelle emozioni che non aveva più provato da quando era fuggita da Hala.
Il ricordo del suo vecchio pianeta natale inviò un brivido di nostalgia nel corpo della donna.
Non le era stato per niente facile abbandonare quel mondo, e lo era stato anche meno far perdere le proprie tracce…tutto all’unico scopo di proteggere la persona più importante della sua vita.
Inconsciamente, guardò al di fuori dalla finestra, oltre le file di astrograno e verso il terriccio rosso del campo. Un bambino minuscolo giocava accanto alle piante, guidando un soldatino giocattolo in una serie di avventure in mezzo alla sabbia.
Shmi fece per chiamarlo, ma ecco che nel cielo si diffuse un rombo.
Una porzione della sua mente restrinse il campo fino a comprendere il bambino che giocava fuori dall’abitazione, ma l’altra porzione analizzò la situazione con una precisione militare.
L’ex guerriera Kree si mosse con una rapidità guadagnata dopo anni spesi al servizio dell’esercito di Hala, oltrepassò l’ingombrante tavolo della cucina e il divano logoro che puzzava di terra secca.
Superata una porta, allungò la mano verso un congegno che pareva essere stato creato nella discarica di una civiltà di macchine, tutto schermi crepati e cavi penzolanti, pronto ad andare in pezzi al minimo tocco.
Prendendo un paio di respiri calmanti, la donna regolò una manopola e studiò l’immagine video che apparve sullo schermo.
Una navetta stava atterrando sulla sua fattoria. Nello specifico, una navetta da trasporto dell’Impero Kree.
“Ci hanno trovati” pensò con rassegnazione.
Per fortuna, Shmi non era mai stata il tipo di persona che si faceva prendere dal panico. Sapeva cosa bisognava fare: se lo era ripetuta in quei rari giorni in cui la fattoria andava avanti da sé, o in quelle notti meno rare in cui non riusciva a dormire.
Quei preparativi erano la sola ossessione che si era concessa in tutti quegli anni spesi a nascondersi. Non poteva fallire!
Si girò verso un altro macchinario, inserì un codice e strappò una fila di cavi dal muro con una serie di rapidi strattoni. Fu in quel momento che un suono di passi rapidi e leggeri risuonò alla porta d’ingresso.
Nel girarsi, la donna vide suo figlio Anakin  che si precipitava in casa con i capelli biondi arruffati e il faccino sporco di sabbia.
<< Mamma? >>
Shmi voltò le spalle al fagotto di indumenti, datapad e pasti da viaggio che aveva ammucchiato su una sedia e si inginocchiò davanti al bambino, il cui viso abbronzato e sottile somigliava tanto al suo. << Lo so. È tutto a posto. Ci siamo preparati per questo, no? >>
L’espressione di Anakin mutò da perplessa a preoccupata nella frazione di pochi secondi.
La donna deglutì silenziosamente e riflettè su cosa avrebbe potuto dirgli, valutando attentamente quale impressione voleva lasciare a suo figlio…se tutto fossero andate male.
<< Ricorda… >> cominciò, soppesando le parole con cura deliberata nella speranza che tutte gli si imprimessero nelle ossa << Tutto quello che faccio…lo faccio per te, capisci? Per proteggerti. Ti prego… dimmi che hai capito. >>
<< Ho capito >> annuì Anakin, ma l’ex soldato Kree sospirò mentalmente.
Naturalmente non aveva capito. Quale bambino di dieci anni ne sarebbe stato capace?
Lo strinse forte fra le braccia, e avvertì il corpo  esile e caldo del piccolo contro il proprio.
<< Ti voglio bene, angioletto >>
<< Anche io ti voglio bene, mamma >> sussurrò il bambino, affondando il viso nel vestito della donna.
Shmi trattenne un singhiozzo e si portò in fretta le mani alla gola, spostando strati di stoffa ruvida fino a trovare un laccio logoro. Si sfilò la collana, guardando il ciondolo oscillare nella brezza: un cristallo opaco e dalla forma vagamente simile a quella di una punta di freccia, azzurro come il cielo stesso.
Con delicatezza, passò la collana intorno alla testa del figlio, che non si mosse.
<< Ricordati: la Forza ti guiderà…sempre >> gli disse, e si costrinse a sorridere << Devi fidarti dei doni meravigliosi con cui sei nato. E non importa se le altre persone avranno paura di te…Per me sarai sempre il mio piccolo angioletto. >>
<< Mamma… >>
<< Adesso va nel posto che abbiamo concordato. Arrivo presto >> sussurrò << Te lo prometto. Ora vai! >>
Strinse il bambino fra le braccia un’ultima volta, poi lo fece girare e lo spinse via, guardandolo incespicare oltre l’uscita posteriore dell’abitazione, fra le rocce, fino a scomparire alla vista.
La Kree sentì una lacrime scenderle lungo il viso, ma se l’asciugò subito. Fatto questo, prese un blaster, lo nascose sotto i vestiti e uscì dalla soglia per accogliere i nuovi arrivati.
Un gruppo di un verde lucido avanzò verso la casa. Il capo era un uomo snello, più o meno dell’età di Shmi, che indossava l’immacolata divisa color smeraldo degli ufficiali Kree, e procedeva a testa alta. I suoi compagni indossavano vesti simili, e alcuni di loro impugnavano pistole e fucili come fossero pronti ad una guerra. L’unica priva di armi era una donna bionda che Shmi non aveva mai visto.
Rispetto agli altri membri del gruppo, emanava una sensazione di calma e serenità, come se non fosse nemmeno intenzionata a combattere. Era quasi fuori posto in mezzo a quello squadrone della morte.
Gli Star Forcers procedevano all’unisono con il loro capo, in sincrono con il suo passo. Per un attimo, a Shmi parvero esistere soltanto come estensioni del loro superiore.
Yon-Rogg si arrestò a meno di tre metri di distanza.
<< Non è stato facile trovarti, Shmi >> disse con tono colloquiale, pur mantenendo un’espressione impassibile.
La donna strinse gli occhi. << L’idea era quella. >>
Disse quella parole senza sorridere, anche se avrebbe potuto farlo. Avrebbe potuto lasciare che la fattoria e il cielo scomparissero, che gli Star Forcers diventassero ombre, ed evocare intorno a sé una stanza d’allenamento su Hala, permettendosi di credere di essere impegnata in un altro duello amichevole con il suo amico e collega di vecchia data, Yon-Rogg.
Ma in quel momento la nostalgia era inutile, e di certo Yon lo sapeva bene quanto lei.
L’uomo si mise ad esaminare i campi, inclinando il collo in maniera esagerata. << Vedo che ti sei data all’agricoltura. Sul serio? Un soldato del tuo talento? >>
<< È una vita pacifica >>
<< E un po’ solitaria, immagino. >>
Con quelle parole, Yon aveva appena scoperto le carte e indicato la posta in gioco. Shmi non ne fu affatto sorpresa, e si era preparata di conseguenza.
<< Sì, da quando Anakin è morto >> rispose freddamente.
Yon sbattè le palpebre e continuò a guardarsi intorno.
Rimase in silenzio per quasi un minuto buono, fino a quando i suoi occhi non si posarono su un oggetto conficcato in una montagnetta di sabbia: il soldatino di Anakin.
Shmi imprecò mentalmente, mentre il leader della Star Force sorrideva vittorioso.
<< Dov’è l’arma, Shmi? >> chiese con tono apparentemente piacevole.
La donna si sentì subito invadere dalla rabbia.
<< Non è un’arma >> ringhiò a denti stretti, e con sua sorpresa vide la donna bionda guardarla con un’espressione confusa. Era come se le sue parole l’avessero davvero sorpresa. Sapeva almeno cosa Yon l’aveva mandata a recuperare?
Il comandante Kree la seguì con lo sguardo, e per un attimo i suoi occhi vennero attraversati da un lampo di preoccupazione.
<< Tu come definiresti qualcosa capace di cancellare un’intera città dalla mappa? >> chiese con una dura inflessione della voce << Annientare interi eserciti…e plasmare intere civiltà? >>
Shmi non rispose e lasciò cadere gli abiti, sollevando il blaster che teneva nascosto.
Puntò la canna contro Yon e sentì il freddo metallo del grilletto sotto il dito. Non guardò verso i suoi sottoposti. Se l’avessero uccisa, tutto quello che doveva fare era contrarre la mano.
Il resto della Star Force sollevò le armi. Tutti tranne Vers, che si limitò ad alzare le braccia.
<< Fermi! >> scattò Yon.
I sottoposti si fermarono confusi e l’uomo le lanciò un’occhiata paziente. << Vedo che non hai perso il tuo temperamento. >>
<< Non me lo porterai via >> sibilò Shmi.
Yon sollevò le mani in segno di resa.<< No, certo che no! Vi porterò via entrambi. Tu e tuo figlio! Se ti consegni ora, sono sicuro che la Suprema Intelligenza sarà clemente e ti permetterà di tornare su Hala. >>
<< Come ostaggio? >>
Aveva già fatto quella vita…e non aveva alcun desiderio di ripetere l’esperienza, se ciò significava perdere suo figlio.
Yon parve disturbato. << Come eroina dell’impero Kree, ovviamente. >>
La presa sul blaster vacillò.
Il pensiero di quello che sarebbe successo ad Anakin si trasformò in un peso sul suo braccio, in una mano sul polso, ma continuò a tenere puntata l’arma contro il suo vecchio compagno di battaglia.
Yon aveva smesso di sorridere e la donna lasciò che le minacce le rotolassero di bocca. Si era già immaginata la scena prima di allora, parlando nella sua mente con l’uomo che l’aveva costretta ad abbandonare Hala, e viverla nella realtà gliela faceva quasi sembrare un sogno.
<< Ci lascerai andare >> sussurrò freddamente << E lo farai perché sei un codardo egomaniaco. Sono certa che i tuoi superiori ti permetteranno si vivere, e che prima o poi tornerai a cercarmi…ma va bene così. Adesso, però…ce ne andremo liberi. Hai capito? >>
Yon fece un cauto passo in avanti e replicò: << Pensaci molto bene. Non deve finire per forza in questo modo. Possiamo risolverla in modo pacifico! >>
Shmi lo scrutò confusa. Quest’uomo non si stava comportando come il soldato con cui aveva combattuto nell’esercito di Hala fin da quando era una ragazzina.
Che lo stesse facendo a causa della donna bionda assieme a loro? Che cosa la rendeva così importante?
Scosse la testa per liberarsi da quei pensieri. Al momento, tutto ciò che contava era la sicurezza di Anakin.
<< Non te lo darò mai>> dichiarò << MAI! >>
E prima che Yon potesse replicare…premette il grilletto, e sentì il blaster sobbalzare perfino mentre una luce divampava nelle vicinanze e pulsazioni roventi le devastavano il petto.
Udì un forte “No!” solo dopo aver avvertito un dolore lancinante al petto.
I suoi muscoli parvero vibrare come corde pizzicate.
Qualcuno si precipitò verso di lei, ma non capì chi fosse. Tutto quello che vide fu Yon che si stringeva una spalla annerita e fumante, ringhiando.
Se avesse potuto, la donna avrebbe urlato, non di dolore ma di rabbia. Ma non potè, e scivolò nell’oscurità piena di amarezza.
Il suo pensiero finale fu: “Spero che Anakin mi abbia ascoltato.”
Gli ultimi suoni che percepì fu una voce di donna che le sussurrava “Mi dispiace”.
Mentre Shmi Skywalker si spegneva tra le sue braccia, Vers non potè frenare l’ondata di rimpianto che cominciò a farsi strada dentro di lei.
<< Io…l’ho vista premere il grilletto >> borbottò a bassa voce << Non volevo ucciderla…ho reagito in modo istintivo… >>
Sentì una mano posarsi sulla sua spalla e non ebbe bisogno di alzare lo sguardo per sapere a chi appartenesse.
<< Hai fatto quello che dovevi per proteggere i tuoi compagni >> disse Yon con voce strozzata << Questa donna era chiaramente instabile. >>
“A me non sembrava molto instabile” avrebbe voluto controbattere la bionda “Solo…spaventata.”
<< La conoscevi? >> chiese invece, mentre uno strano mal di testa cominciò a pulsarle nelle tempie.
Yon fissò tristemente il corpo esanime della Kree.
<< Pensavo di farlo >> borbottò, per poi volgere la propria attenzione verso gli altri sottoposti.
<< Perlustrate la zona, il figlio potrebbe essere ancora nelle vicinanze! >> ordinò << L’ultima cosa che voglio è lasciare un bambino orfano su questa palla di sabbia. >>

                                                                                                   * * *

Anakin Skywalker non si era mai considerato un bambino cattivo. In fondo, non gli piaceva comportarsi male.
Quando sua madre gli diceva di fare qualcosa…beh, lo faceva QUASI sempre. Non subito…ma alla fine lo faceva. Tranne in quei rari casi in cui la sua curiosità aveva la meglio sul buon senso.
Era consapevole che non sarebbe dovuto rimanere a guardare sua madre parlare con quella strane persone in tuta verde, ma non avrebbe potuto sapere cosa sarebbe successo. Non avrebbe potuto sapere quello che avrebbe fatto la donna bionda.
Avevano parlato di lui? Era colpa sua?
La mamma non si muoveva. La donna bionda la teneva tra le braccia.
Anakin non riuscì a impedirsi di piangere, ma trattenne un urlo perché doveva essere coraggioso. Doveva…lo aveva promesso alla mamma.
Aveva visto quanto era stata spaventata. Chiunque fossero quegli sconosciuti…sapeva che avrebbero fatto del male anche a lui. E sapeva anche che cosa doveva fare!
Adesso doveva comportarsi bene, fare in modo che le cose andassero meglio.
Mentre correva tra le rocce, con il naso che colava, gli occhi pieni di lacrime e la gola che sembrava gonfia e chiusa, riuscì a sentire in lontananza le voce elettroniche di droidi o di un comunicatore disturbato: gli assassini della mamma la stavano inseguendo, ne era sicuro!
Non aveva importanza. Doveva continuare a correre e raggiungere il posto che lui e sua madre avevano scelto per le situazioni come questa.
La donna aveva cercato di fingere che fosse un gioco tutte quelle volte che gli aveva chiesto di correre e di trovare un nascondiglio, ma lui aveva sempre saputo che non lo era.
Una volta glie lo aveva detto, e lei gli aveva preso la mano con un sorriso triste, dicendo “Fingi comunque che sia un gioco. Mi farà stare meglio.”
E così lui aveva continuato a farlo. Voleva fingere anche adesso…ma era difficile.
Trovò il posto che la mamma gli aveva mostrato: una grotta che scendeva in profondità nella terra, abbastanza grande da permettergli di entrare, ma comunque troppo piccola per permettere ai suoi inseguitori di raggiungerlo.
All’interno, una scala a chiocciola scivolava nell’oscurità. Al contempo, sentì alcuni rumori di tuoni provenire dall’esterno della caverna.
Su Tatooine i temporali erano piuttosto rari, ma non impossibili. E per certi versi potevano essere ancora più violenti di quelli dei pianti forestali, specialmente in pieno deserto.
Anakin cercò di non ridere all’ironia della situazione.  Lui e sua madre avevano aspettato a lungo l’arrivo delle piogge, poiché l’acqua avrebbe aumentato la produzione della fattoria di diverse spanne.
E ora che la pioggia era finalmente arrivata…sua madre era morta, e lui sarebbe stato costretto ad abbandonare il pianeta.
Dopo qualche altro minuto speso a scendere, trovò una camera d’ara più spaziosa rispetto alle altre e si sedette a terra, poggiando la schiena contro la parete rocciosa.
Non era mai arrivato così in profondità nella caverna, e come tutti gli abitanti di Tatooine sapeva bene che le grotte del pianeta potevano essere la dimora di creature piuttosto pericolose. Tuttavia, la paura di essere scoperto aveva avuto la meglio sul buonsenso.
Ripiegò le ginocchia contro il petto e cantò una della canzoni di sua madre, dondolandosi avanti e indietro, ignorando il volto striato di lacrime e le mani sporche. Anche questo era parte della finzione. Tutto quello che doveva fare era aspettare la prossima alba, dirigersi verso la città più vicina e chiedere di un certo Han Solo. Sarebbe stato lui a condurlo al di fuori del pianeta, almeno sperava.
A quel pensiero seguì un profondo sentimento di rabbia. Rabbia per la propria impotenza…per le persone che avevano ucciso sua madre…e per la sua incapacità di proteggerla.
Perché doveva essere così debole? Anche con tutto quello che sua madre gli aveva insegnato riguardo ai suoi poteri…era rimasto fermo e immobile a guardare mentre quella donna bionda la colpiva con i suoi raggi luminosi.
Era colpa sua se la mamma era morta! E ora voleva…voleva…vendetta.
Fu quando ebbe elaborato quel pensiero…che accadde qualcosa di decisamente inaspettato.
Un bagliore rosso illuminò la caverna. E girando la testa di scatto, il bambino si rese conto che proveniva da uno strano oggetto seminascosto in un angolino della grotta.
Anakin lo osservò stranito e gli si avvicinò cautamente.
Aveva una forma a piramide, con strani segni incise sui lati. Non aveva mai visto niente di simile.
Per tutta la notte guardò quella luce fievole aumentare e diminuire di intensità, mentre ascoltava il rombo della tempesta che infuriava all’esterno e lo sciacqui della pioggia che scivolava all’interno della caverna.
Cercò di dormire, ma non ci riuscì, se non a tratti: le gocce di pioggia si insinuavano nella caverna e gli cadevano sulla fronte e sulle maniche, in qualunque posizione si sistemasse.
Perfino i suoi sogni insistevano con quella gocce, quei colpi bagnati che arrivavano a casaccio. Quando si svegliò nel pieno della notte, provò l’inconscio desiderio di urlare e chiedere aiuto. Magari l’universo lo avrebbe ascoltato. Magari sua madre sarebbe tornata! Magari…
<< Io posso aiutarti. >>
Quella voce rimbombò bassa e cavernosa nelle profondità della caverna.
Anakin sussultò e saltò subito in piedi, per poi cominciare a guardarsi freneticamente intorno. Eppure…i suoi occhi non incontrarono nemmeno la sagoma di un’ombra. Era completamente solo. Che se lo fosse immaginato?
<< Sono qui! >>
Il bambino abbassò lo sguardo…e le sue pupille del colore del cielo incontrarono ancora una volta quella strana piramide rosso sangue.
<< C-cosa? >> sussurrò, afferrando l’oggetto e rigirandoselo tra le mani  << Tu…tu parli? >>
<< E non solo >> disse la voce, che questa volta aveva assunto una cadenza molto più simile a quella di un vecchio.
Anakin per poco non lo fece cadere, ma riuscì a mantenere i nervi saldi e prese un lungo respiro calmante.
<< Chi…chi sei? >> chiese, cercando di mostrarsi coraggioso.
Il bagliore della piramide sembrò crescere d’intensità.
<< Mi chiamo Darth Sidious, giovane Skywalker…e sono tuo amico >>  sussurrò la voce in un modo che il bambino trovò stranamente rassicurante.
<< Hai detto che puoi aiutarmi >> disse dopo qualche attimo di silenzio << Come? >>
La voce abbaio una risata gracchiante, e per qualche ragione Anakin sentì un freddo brivido attraversargli la spina dorsale.
<< Io posso darti…VENDETTA! >>
 
 


Dum, dum, duuuuum!
Non credo che qui servano presentazioni. Lo avevate già visto nella scena post-credit di “The Spider, the Captain and the Clown”, ma sarà in questa fic che lo farò brillare davvero. Il solo, inimitabile…Darth Vader!
Per chi bazzica sul mio profilo da un po’, sapete bene quanto io ami questo personaggio, e ho dovuto ragionare a lungo per trovare una lore capace di integrarlo nell’MCU senza snaturarne l’essenza. Quindi sì, Capitan Marvel (Vers) sarà un personaggio molto legato al suo passato…e non nel migliore dei modi.
I fan di Star Wars avranno sicuramente colto l’omaggio di questo capitolo all’inizio di Rogue One, anche se questa volta la Morte Nera non centra niente.
Spero che questo prologo vi abbia incuriosito, cercherò di aggiornare il prossimo capitolo il prima possibile!

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Bene, in questo capitolo cominceranno i grandi ritorni!
Vi auguro una buona lettura, e spero che troverete il tempo di lasciare un commento ;)

 
 
 
Capitolo 1
 
Cletus Kasady nacque durante un mercoledì del 1985, in una stanza d’ospedale ad Harpswell. E fu lì che, quella stessa terribile notte, Cletus Kasady morì per la prima volta.
Più precisamente, morì soffocato con il cordone ombelicale attorno alla gola. I dottori provarono in tutti i modi di salvarlo, ma ogni loro azione si rivelò vana.
In seguito al succitato strangolamento, Cletus Kasady morì 19 minuti e 38 secondi dopo la sua nascita. Ma poi…rinacque, e nessuno a tutt’oggi sa perché.
Cletus Kasady sostiene di ricordare quel momento. La morte.
E se gli avreste chiesto in cosa consiste esattamente il ricordo della morte…vi avrebbe risposto che 19 minuti e 38 secondi dopo la nascita fu mandato all’Inferno.
Quando gli furono chiesti i particolari, Kasady testimoniò allo psicologo nominato dal tribunale che quando si svegliò all’inferno, si ritrovò prigioniero in una specie di gabbia…in un abisso quasi completamente nero, alla cui fine risplendevano delle strane luci dorate.
Secondo lo psicologo, fu questo proprio trauma iniziale - questa sensazione di sentirsi in gabbia - a posare le fondamenta della particolare deviazione del Serial Killer.
Vedete, nella sua testa…Cletus non credeva di mutilare le sue vittime…bensì di liberarle.
È forse cosmicamente appropriato che la nuova rinascita di Cletus ebbe luogo dentro le mura di un ospedale, durante un mercoledì del 2031.
Quella notte, le tenebre presero vita e abbatterono il muro della sua psiche. L’abisso lo liberò.
E fu proprio durante quella notte tempestosa…che Cletus Kasady comprese tutto.
Che cosa stava facendo. Chi era. Per cosa era stato messo su questa terra. Il suo destino…il suo fato.
Ma in quel momento, che lo sapesse o no, divenne un agente del VUOTO. Quel giorno conobbe la verità: non esistono il bene e il male, il bianco e nero. Esistono solo la vita e la morte. Il sangue e l’abisso.
L’universo era nero e rosso, la verità era caos…e Dio era Carnage. Dio…era il divoratore di mondi.
Mentre la mente del supercriminale prendeva coscienza di tutto ciò, l’infermiera del reparto entrò nella stanza.
Si chiamava Liz Thompson, e da quando era entrata in servizio presso il Trikselon - l’istituto di correzione criminale dello S.W.O.R.D - non aveva mai visto Cletus Kasady aprire gli occhi. Lavorava da tre anni nell’infermeria del carcere di massima sicurezza e per tutto il tempo lui era rimasto in stato comatoso.
Tra tutti i pazienti presenti nella struttura, era sicuramente il più famoso. Non c’era una sola persona dello stato della Pensylvenia che non avesse almeno sentito parlare delle sue gesta, in particolare della notte in cui era riuscito a provocare la più grande evacuazione di massa della storia di New York e a mettere in difficoltà due degli Avengers più potenti: Spider-Man e Capitan Marvel.
Il bip del suo battito cardiaco pareva quasi un metronomo regolato su di un ritmo impercettibile. Secondo il dottore, la sua attività celebrarle era praticamente le stessa di un televisore capace di sintonizzare su un unico canale.
C’erano in tutto tre pazienti in coma nel reparto. Il personale li chiamava zero a causa della loro mancanza di segni vitali, ad eccezione del mero battito cardiaco.
Dopo alcuni mesi passati a lavorare nel reparto, la donna aveva scoperto che ogni zero aveva il suo tic. Il vicino di Kasady, ad esempio, aveva la tendenza a storcere il naso ogni due ore, con la stessa precisione di un orologio a cu-cu.
Forse aprire gli occhi era il tic di Cletus Kasady…solo che lei non glie lo aveva mai visto fare.
<< Buonasera, Cletus >> disse Liz, in un riflesso automatico << Come si sente oggi? >>
Gli rivolse un sorriso gentile ed esitò, con il sacchetto di sangue ancora in mano. Non si aspettava una risposta, ma le sembrava il caso di concedergli un attimo per raccogliere i suoi pensieri inesistenti.
Visto che lui non diceva nulla, l’infermiera allungò una mano per chiudergli le palpebre…e l’uomo le afferrò il polso.
Lei gridò e il sacchetto le sfuggì di mano, esplodendo in una chiazza cremisi sul pavimento.
<< Ah! >> urlo l’infermiera << Oddio! >>
<< Che anno è? >> sussurrò la voce graffiante di Cletus Kasady.
Liz strabuzzò gli occhi per la sorpresa e la paura miste assieme. << C-cosa? >>
<< L’anno, stupida ragazza. Dimmi l’anno! >>
<< 2031! >> urlò la donna, incapace di trattenere le lacrime.
Cletus rimase in silenzio per qualche istante.
<< Oh…allora sarà il caso di sbrigarsi >> disse, per poi lasciarla andare.
Liz tentò di fuggire, ma i suoi piedi scivolarono sul sangue e cadde rovinosamente a terra.
Al contempo, il corpo di Kasady sembrò drizzarsi in piedi come una marionetta sostenuta da fili invisibili, mentre una strana sostanza rossa e nera cominciava a ricoprire il suo esile corpo.
Entro pochi secondi, Cletus Kasady aveva lasciato il posto all’alter ego che lo aveva reso così famoso anche tra i più efferati serial killer della storia americana: Carnage.
<< Aaaaaaah! Così è molto meglio! >> esclamò la creatura, stiracchiando le braccia e piegando il busto con un angolo esagerato.
Fatto questo, volse la propria attenzione nei confronti di Liz e la donna si ritrovò a fissare dritta in un paio di lenti bianche come il latte.
<< Wow, certo è una storia scioccante. Sai, so di essere morto, mi hanno letteralmente sparato in testa, ma... a te non sembra una cosa da pazzi? Eh? >> chiese con quel suo sorriso tutto denti.
L’infermiera piagnucolo, ma per il resto non rispose e indietreggiò fino alla parete opposta della stanza.
Cletus la scrutò con un’inclinazione curiosa della testa.
<< Cosa, il gatto ti ha mangiato la lingua? Dannazione, mi ha battuto sul tempo! Ugh! >>
Barcollò di lato e dovette afferrare il letto ospedaliero per non cadere a terra.
Per un attimo, Liz pensò di poter sfruttare quel momento di disattenzione per scappare…ma era troppo spaventata. Non riusciva nemmeno a muovere le dita dei piedi! Era come pietrificata.
Carnage scosse la testa e si passò la lingua biforcuta tra le zanne.
 << Scusa. Sono ancora un po' intontito. Sai, sono appena tornato in vita >> disse con un tono stranamente amichevole <<  Negli ultimi cinque anni c'è stata solo oscurità... per quanto i miei occhi potessero vedere. >>
Balzò di fronte all’infermiera e si piegò in avanti per poterla osservare meglio.
<<  Io ti conosco, vero? >> chiese con le lenti ridotte ad un paio di fessure.
Liz deglutì silenziosamente. Aveva sentito dire in un documentario che ai serial killer piaceva giocare con le loro vittime, purchè le trovassero interessanti. Doveva solo continuare a parlare e sperare che una delle guardie sarebbe giunta in suo soccorso. Forse erano già sulla buona strada per raggiungere il reparto comatosi.
<< Sono…sono la tua infermiera >> rispose con un piccolo sorriso.
La creatura si portò un artiglio al mento e cominciò a picchiettarselo.
<< Capisco. E  noi due... tu e io... per caso abbiamo...sai? >>
Si alzò in piedi e spinse in avanti il bacino un paio di volte. Alla donna le ci vollero solo pochi secondi per capire cosa stesse cercando di imitare.
<< Oh... oddio, no >> borbottò, cercando con tutta se stessa di trattenere una smorfia di disgusto.
Cletus ridacchiò attraverso i denti. << Che c’è, non ti piacciono i rossi? Guarda che non siamo poi così male...eh eh. >>
Liz fece per rispondergli…ma non ne ebbe la possibilità. Una mano scattò in avanti e le afferrò il volto nella sua interezza, impedendole di parlare.
<< Ah, ma chissene frega! >> esclamò Carnage, mentre la sollevava da terra e se la portava vicino al viso << Stringi i denti bellezza. Potrebbe pizzicarti un pochino! >>
E prima che la donna potesse anche solo provare ad urlare, ecco che la creatura spalancò le fauci e le addentò la testa con un unico e rapido morso, staccandogliela di netto.
Il sangue zampillò dal collo della vittima, mentre il suo corpo veniva attraversato da una lunga serie di spasmi e convulsioni.
Cletus lo lasciò cadere a terra e sollevò ambe le mani verso il soffitto. << Boom, baby! Me la cavo ancora… >>
Si fermò di colpo, gli occhi ora spalancati come un paio di piatti.
Aguzzando l’udito, sentì un distinto suono di passi provenire da oltre la porta dell’infermeria.
<< Sì, giusto…ho del lavoro da fare >> borbottò, per poi girarsi verso le finestre del reparto.
Prese un respiro profondo…e si lanciò violentemente contro una disse, infrangendo il vetro e spezzando le lamine in ferro come se niente fosse.
Un salto dal quinto piano dell’edificio avrebbe sicuramente ucciso un essere umano normale, ma Cletus atterrò nel parcheggiò del penitenziario senza neanche un graffio.
Nell’oscurità della notte, con la pioggia che batteva violentemente sui tetti delle autovetture presenti, gli occhi del serial killer vagarono da una parte all’altra del parcheggio come quelli di un gatto. Infine, si posarono su una Rolls Royce situata a circa una decina di metri da lui.
Al suo interno, Cletus intravide un uomo di mezza età – probabilmente un agente - che parlava al cellulare. Essendo girato di schiena, probabilmente non si era nemmeno reso conto della sua presenza.
Il supercriminale sorrise e si avvicinò fischiettando fino alla portiera anteriore della vettura.
<< Toc Toc >> disse, picchiettando il finestrino dell’auto.
L’uomo lanciò uno sguardo irritato verso chiunque lo stesse disturbando…e i suoi occhi sembrarono schizzargli fuori dalle orbite.
Urlò per la paura e si allontanò dalla portiera, mentre il sorriso sul volto di Carnage diventava sempre più sinistro.
<< Dovresti dire “chi è?”! >> esclamò indignato.
Poi, sfondò il finestrino con un solo pugno e afferrò l’agente per la collottola, trascinandolo al di fuori del veicolo.
<< Carnage-chan, ecco chi. Pronto come non mai a dipingere questo mondo di rosso! E mangiare un po’ di pizza. >>
Detto questo, trasformò la mano libera in uno spuntone e trapassò l’uomo da parte a parte.
Non si preoccupò nemmeno di assistere ai suoi ultimi istanti di vita e lo scaglio violentemente a terra. Ormai, la sua attenzione era completamente rivolta alla vettura.
<< Lo ammetto, non è il mio genere…ma penso di poterci lavorare >> disse con una scrollata di spalle.
Entrò nella macchina e prese posto nel sedile di guida, mentre le sue lenti scansionavano gli interni del veicolo. Con un pizzico di sorpresa, notò uno spinello di marujana che spuntava da sotto il tappeto della Royce.
Carnage lanciò al cadavere steso a terra un ghigno divertito.
<< Scommetto che alle feste sei uno spasso, vero? AHAHAHAHAHA! >>
Scoppiò in una risata agghiacciante che risuonò per tutta la lunghezza del parcheggio. Seguì presto il rumore degli allarmi del penitenziario che annunciavano la fuga di un prigioniero. Il suo risveglio era finalmente stato notato.
Dopo aver ripreso il suo aspetto umano, Cletus premette con forza l’acceleratore.
<< Mettete qualche cappero sul fuoco, gente…perché sono tornatooooooooooo! >>
E aveva molto lavoro da fare. Il suo dio lo pretendeva!
 
                                                                                                                               * * *
 
In un altro regno…                

Il Valhalla riecheggiava delle urla di guerra e delle risate dei suoi abitanti: gli einheriar, spiriti di guerrieri che avevano combattuto valorosamente in battaglia ed erano morti circondati dai cadaveri dei loro nemici.
Tutti loro avevano attraversato Valgrind da eroi, venendo accolti da Bragi e dalle Valchirie, e tra quelle ampie e verdi pianure avrebbero continuato a combattere fino al giorno in cui il giudizio del cosmo avrebbe scelto di estendere la propria ombra su tutta la creazione.
Eppure, tra tutte quelle migliaia di anime che passavano le loro giornate a impugnare armi e affrontare nuovi avversari, ve ne era una che preferiva spendere il suo tempo in tutt’altro modo, circondata dalle fiamme delle fornaci e dai metalli più pregiati del cosmo.
Tony Stark non si era mai considerato materiale da guerriero. Certo, nei quindici anni precedenti alla sua morte aveva affrontato la sua buona dose di battaglie, ma mai per soddisfare la sua sete di sangue, e di certo non per la gloria.
No, Tony Stark aveva preso l’armatura di Iron Man semplicemente per riparare i torti del passato e dimostrare al mondo che una singola persona disposta a fare del bene… poteva anche fare la differenza.
Non che il suo percorso non fosse stato privo di scivoloni. La creazione di Ultron e la Civil War erano eventi ancora freschi nella sua mente, e lo scienziato non  pensava che sarebbe mai riuscito a perdonarsi per tutte le morti che le sue azioni avevano provocato.
Eppure, Odino lo aveva ritenuto degno di entrare nelle sale del Valhalla. Pechè? Lui non aveva mai pregato gli dei di Asgard, né voleva passare il resto dei suoi giorni nell’aldilà a combattere… non dopo che aveva già lottato così tanto per salvare quelli che amava.
Quando aveva fatto la stessa domanda al padre degli dei, questi gli aveva semplicemente risposto che la sua era una ricompensa per aver salvato ciò che restava del suo popolo...e perchè riteneva che Tony si sarebbe annoiato nel luogo in cui sarebbe finito senza il suo intervento.
L’ex Avenger ci aveva riso sopra e aveva scelto di spendere le sue future giornate a fabbricare armi per i guerrieri del posto. Una sorta di ritorno alle origini…solo che questa volta non avrebbe avuto il terrore che le sue creazioni venissero utilizzate per uccidere degli innocenti. Un cambio di scenario piuttosto benvenuto.
Mentre rifletteva su questo con un sorriso, l’uomo si rese conto di qualcosa di strano.
Lentamente, lasciò andare il martello e aguzzò l’udito.
<< C’è…pace >> borbottò << Pace e silenzio. >>
E quando quella realizzazione si fece strada nella sua mente, strinse gli occhi con sospetto.
<< Forse…troppo silenzio >> aggiunse, mentre si guardava rapidamente attorno.
Nel Valhalla il silenzio era piuttosto difficile da trovare. Di solito, le urla dei guerrieri morti riecheggiavano anche a chilometri di distanza, accompagnate dal distinto suono di armi che si scontravano e dalle canzoni di guerra intonate da centinaia di combattenti.
L’uomo sorrise al pensiero che forse quel giorno sarebbe riuscito a godersi un po’ di quiete…almeno fino a quando non udì un distinto suono di passi provenire da oltre le porte della stanza.
Sospirò rassegnato. << E uno, e due, e… >>
La porta della fucina sbattè con violenza, e il suono del legno che si scontrava con la nuda roccia risuono per tutta la lunghezza della stanza.
Alcuni scaffali crollarono a terra, seguiti dal tintinnio delle armi che cadevano al suolo, mentre numerose provette in vetro esplodevano in una miriade di frammenti.
Subito dopo, un uomo dalla possente statura si fece strada all’interno del laboratorio. Aveva folti capelli biondi che gli arrivavano fino alle spalle e vestita con un’armatura in argento di impeccabile fattura, su cui drappeggiava un mantello rosso sangue.
<< Tony! Mio vecchio compagno d’arme! >> esclamò, mentre una seconda figura metteva piede nella fucina. Si trattava di un uomo molto più esile e dai folti capelli corvini, vestito con abiti verde scuro misti a filature dorate. I lineamenti del suo viso erano pallidi e affilati, simili a quelli di un serpente, con occhi color smeraldo che risplendevano di un’arguzia difficile da trovare nelle anime che finivano in questo regno.
<< Un’altra allegra giornata nella sale del Valhalla >> borbottò l’ex Avenger, prima di mettere su un sorriso piacevole.
<< Buongiorno Thor >> disse rivolto al biondo. Poi, lanciò al suo compagno un’occhiata impassibile << Loki. >>
<< Stark >> rispose questi con altrettanta freddezza.
L’inventore simulò un’espressione offesa. << Ancora insisti ad usare il mio cognome? Pensavo fossimo diventati amici. >>
<< Diverremo amici quando gli Jǫtunn entreranno a far parte delle armate di Surtur >> ribattè il dio degli inganni con un roteare degli occhi.
Tony si portò una mano al petto. << Le tue parole mi feriscono. Dico sul serio! Il mio cuore sanguina per loro… Oh, giusto, non può farlo. >>
Loki sorrise in modo predatorio e avvicinò la mano ad uno pugnali che teneva nella faretra. << Forse possiamo rimediare… >>
<< Loki… >> disse Thor con tono d’ammonimento, e il fratello si limitò a sollevare ambe le braccia nel segno universale della resa.
<< Era solo uno scherzo >> disse, senza mai perdere il suo ghigno.
Nessuno dei suoi interlocutori ne fu ingannato. Ormai lo conoscevano troppo bene.
<< Thor, non che non apprezzi i vostri battibecchi alla Re Leone… >> si intromise Tony, ricevendo un’occhiataccia da parte del dio degli inganni << Ma per cosa sei venuto qui? Non dirmi che hai rotto anche l’ultima ascia potenziata che ti avevo fabbricato. >>
<< Lo ha fatto >> disse Loki, prima che il fratello potesse controbattere.
Thor lo schiaffeggiò in testa, pur mantenendo un sorriso piacevole.
<< MA… >> aggiunse rapidamente << Non sono qui per questo. >>
L’ex Avenger inarcò un sopracciglio e gli fece cenno di continuare.
<< Io…noi >> si corresse, suscitando uno sbuffo ad opera di Loki << siamo venuti qui per chiederti se volevi unirti al torneo di domani! >>
Tony lo fissò stranamente.
<< Perché? Lo sai che non mi piace partecipare a certe cose >> disse con sospetto << Certo, ogni tanto una scazzottata per passare il tempo non fa mai male…ma spendere un’intera settimana a combattere senza sosta i tuoi compagni non più così immortali? No, grazie, preferirei non morire una seconda volta. >>
A quelle parole, l’espressione sul volto di Loki passò da annoiata a derisoria. << Ricordami come mai sei finito qui. >>
<< Non saprei, Loki, tu che cos’hai fatto per finirci? >> rispose l’inventore con altrettanto disprezzo.
Il dio degli inganni fece per controbattere, ma Thor gli posò una mano ferma sulla spalla.
<< Pace, fratello, non siamo venuti qui per litigare >> disse  con un tono di voce che non ammetteva repliche.
Loki conosceva suo fratello abbastanza bene da sapere quando era meglio fare marcia indietro.
<< Stiamo solo avendo una conversazione amichevole. Non è così, Stark? >>
<< Assolutamente, piccolo cervo. >>
<< Mezzo-automa. >>
<< Cocco di mamma! >>
<< Credo che i mortali abbiano un detto per questo. Il bue che da del cornuto all’asino? >>
<< Oh, davvero bravo! Te la sei studiata di notte? >>
Prima che potessero continuare, ecco che il dio del tuono sbattè un violento pugno contro il tavolo più vicino. La forza impressa in quel colpo fu abbastanza forte da far tremare il mobilio, e risuonò all’interno dell’armeria come un colpo di cannone.
Loki e Tony si zittirono all’istante, consci che la pazienza del biondo fosse ormai al limite.
Questi prese un lungo respiro calmante e volse al suo compagno Avenger un’occhiata molto più seria.
<< Tony, è solo che…passi quasi tutte le tue giornate in questo laboratorio. Non interagisci quasi mai con gli altri guerrieri e te ne stai per conto tuo la maggior parte del tempo >> spiegò con una marcata dose di preoccupazione << Quello che intendo è…ti senti bene? >>
Tony non era sicuro di come avrebbe dovuto rispondere a quella domanda.
Come avrebbe potuto rivelargli che sentiva ancora la mancanza di sua moglie e sua figlia? Come poteva dirgli che il pensiero che non sarebbe più riuscito a vederle lo tormentava da diversi giorni?
Loro non erano guerriere, e Tony sperava che non lo sarebbero mai state. Era morto proprio per offrire a sua figlia un futuro lontano dagli orrori della guerra e della battaglia.
E dubitava seriamente che Odino avrebbe fatto un eccezione per le loro anime come aveva fatto per la sua.
Avrebbe potuto rivelare tutto questo al suo vecchio amico, spiegandogli quanto si sentiva fuori posto in questo mondo di guerrieri e dei.
Invece, si limitò a sorridergli in quel suo modo carismatico.
<< Sto una favola, riccioli d’oro. Dico sul serio! >> aggiunse, notando lo sguardo poco convinto dell’Asi  << Sono solo una persona a cui piace tenersi impegnata. E se devo scegliere tra il combattere tutto il giorno e creare armi con cui potete scannarvi? Beh, datemi un martello e una fiamma ossidrica, dico io! >>
Thor rimase in silenzio per qualche secondo e lo scrutò con i suoi profondi occhi azzurri.
<< Non ti costringerò a partecipare >> disse con un sospiro rassegnato. Fatto questo, gli posò una mano sulla spalla << Ma…sappi che l’invito è ancora valido. >>
<< E ne terrò conto >> ribattè l’inventore, colpendolo scherzosamente sul bicipite << Ora va a dimostrare ai tuoi allegri compari perché non dovrebbero mai scherzare con un Avenger. >>
L’Asgardiano recuperò il suo sorriso al pensiero di dimostrare ancora una volta le sue abilità di combattente. Ormai aveva perso da anni la sua sete di sangue, ma il suo orgoglio di guerriero non ne aveva certo risentito.
Diede a Tony un ultimo saluto e fuoriuscì dall’armeria, presto seguito dal fratello.
<< Ti auguro le più spiacevoli delle menomazioni >> disse il dio degli inganni con un sorriso tutto denti, prima di chiudere la porta dietro di sé.
Tony sbuffò divertito e riprese a lavorare sull’ultima arma che gli avevano commissionato.
Aveva sempre trovato conforto nella lavorazione del metallo, anche quando non era ancora diventato Iron Man. Sperava solo che anche questa volta sarebbe riuscito a non pensare a Pepper e Morgan. Diventava sbadato quando di sentiva invadere dalla nostalgia.
All’improvviso, uno strano rumore risuonò nelle orecchie dell’inventore.
L’uomo lasciò andare il martello e drizzò la testa di scatto. Fu allora che udì una musica trillante alle sue spalle, simile a quella prodotta da un Carillon.
Si voltò…e i suoi occhi si posarono sull’ultima cosa che si sarebbe mai aspettato di vedere in questo posto: un palloncino rosso che fluttuava a qualche centimetro da terra.
L’uomo sbattè gli occhi, e per un attimo credette di avere le allucinazioni.
<< Beh…questa è nuova >> borbottò, mentre l’oggetto attraversava la porta della fucina come un fantasma.
Senza perdere tempo, l’inventore cominciò a seguirlo.
In corridoi del palazzo che conducevano al laboratorio erano completamente vuoti. Che tutte le anime del Valhalla si fossero già dirette verso l’arena in cui sarebbe tenuto il torneo? Possibile…ma l’assenza di qualunque rumore rendeva il tutto decisamente sospetto.
Tony strinse gli occhi e vide il palloncino fluttuare verso una destinazione sconosciuta, apparentemente guidato da una forza invisibile.
“Forse è solo Loki che cerca di farmi uno scherzo” pensò con un cipiglio. Per ora sembrava la spiegazione più logica.
Una parte nella mente dell’uomo gli diceva che sarebbe stato meglio ignorare l’oggetto e riprendere a lavorare…ma una parte più avventurosa e incosciente lo incitava a proseguire nella sua ricerca. Tony scelse di seguire quest’ultima e camminò fino all’esterno del palazzo.
Finì così nei giardini che circondavano la tenuta, anch’essi completamente deserti.
<< Ehm…ciao? >> disse l’inventore, mentre scrutava attentamente i suoi dintorni << C’è nessuno? Hello? >>
Non ottenne alcuna risposta.
Infine, i suoi occhi si posarono su una scena a dir poco bizzarra.
Il palloncino se ne stava sospeso a circa una decina di metri da lui, proprio di fronte ad una siepe di rampicanti.
L’ex Avenger rotetò gli occhi.
<< Molto divertente, Loki. Dico sul serio! >> esclamò, battendo le mani in modo beffardo << Ti do un dieci per lo sforzo. >>
Ma non ottenne alcuna risposta.
Il palloncino rimase completamente immobile, come se lo stesse aspettando. E per qualche ragione…Tony se ne sentì attratto.
Inconsciamente, cominciò a incamminarsi verso l’oggetto fluttuante e si fermò a soli un paio di passi dalla siepe.
Afferrò il palloncino, cercò di portarlo a sé…ma l’areostato non si mosse di un millimetro. Era come se fosse trattenuto da una forza invisibile.
<< Ok…non è per nulla inquietante >> borbottò, mentre gli girava attorno. Sembrava essere un palloncino del tutto normale…ma Tony aveva ormai capito da tempo quanto le apparenze potessero essere ingannevoli.
All’improvviso, un fruscio di foglie riecheggiò alle sue spalle.
L’uomo si voltò di scatto…e fu allora che una mano guantata fuoriuscì dalla coltre di rampicanti, afferrandogli il polso.
L’Avenger spalancò gli occhi per la sorpresa. << Ma che… >>
L’arto lo trascinò nella siepe prima che potesse terminare la frase. Pochi secondi dopo, il palloncino scoppiò in una nuvoletta di sangue.
                                                                
                                                                                                                    * * *
 
Odino era il più eminente e il più anziano degli Asi. Per innumerevoli ere aveva governato sui Nove Mondi, un sovrano giusto ma spietato, disposto a macchiarsi del sangue di coloro che osavano ribellarsi al suo volere, ma più che intenzionato a guidare il cosmo e i suoi abitanti verso una nuova era di prosperità. E per quanto gli altri dèi fossero potenti, tutti loro sceglievano di rendergli omaggio, così come i figli con un padre.
Vestito con un’armatura d’oro, drappeggiata da un mantello scarlatto, la sua era una figura che imponeva reverenza e rispetto. Due corvi stavano sulle sue spalle, sussurrandogli nelle orecchie tutto ciò che accadeva nel Valhalla. Essi erano Huginn e Muninn, e per molto tempo erano stati gli occhi e le orecchie del padre degli dei.
Nella sua mano destra reggeva Gungnir, la lancia di Odino, perché nessun’altro avrebbe mai potuto sfruttare il suo pieno potere.
Mentre l’Asi procedeva con passo lento e marcato verso la grande arena del Valhalla, Thor e Loki gli camminavano affianco con espressioni altrettanto solenni e custodite. Avevano affrontate molte discrepanze quando erano ancora in vita, ma ora ogni rancore era stato abbandonato a favore di una pace duratura tra le sale del regno dorato. Odino poteva solo sperare che le cose sarebbero rimaste tali per molti eoni, magari fino alla fine dei tempi.
All’improvviso, un freddo brivido attraversò il corpo del dio.
L’Asi si piegò in avanti ed emise un rantolo strozzato, mentre un forte mal di testa cominciò a martellargli le tempie.
<< Padre! >> esclamò Thor, affiancandosi subito al genitore << Che succede? >>
Anche Loki sembrava piuttosto preoccupato. Non aveva visto il Padre degli Dei agire in questo modo dal suo ultimo sonno, quando era ancora in vita.
Dopo aver preso un paio di lunghi respiri, Odino sollevò la testa, gli occhi spalancati per la rabbia.
<< Un’anima ha appena lasciato il Valhalla…e lo ha fatto senza il mio permesso. >>


 


 
Boom!
Ebbene sì, signore e signori…Tony, Thor, Loki e Odino sono tornati! Vi avevo detto che questo sarebbe stato il mio Endgame, e ho intenzione di inserirvi il maggior numero possibile di personaggi. Ho pensato a lungo ad un modo per coinvolgere i quattro nelle vicende narrate, e spero che l’espediente che ho scelto vi soddisferà fino alla fine.
Nel mentre, Carnage è già pronto a fare un bel po’ di danni. Aaaaaah, quanto mi era mancato scrivere di questo pazzerello! Sappiate che tutti questi eventi sono collegati tra loro, niente sarà lasciato al caso!

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Eccovi un nuovissimo capitolo! Vi auguro una buona lettura.



Capitolo 2

A molti anni luce di distanza dalla Terra…
 
“L’inferno è quando sei teso e il paradiso quando sei rilassato.”
Mentre rammentava quella citazione, Carol Danvers non potè che ritrovarsi d’accordo con le parole di Osho Rajneesh.
Gemette con un sorriso, e distese il corpo mezzo nudo sul lettino abbronzante.
Quanto tempo era passato dall’ultima volta che si era concessa un momento di riposto dai combattimenti e dalle operazioni di salvataggio interplanetarie?
“Troppo” concluse, mentre si rigirava sulla schiena per accogliere i raggi X-tonici che attraversavano la cupola in vetro spessa tre metri emmezzo del pianeta benessere Midnight.
Il suo corpo aveva già cominciato ad abbronzarsi, ma la donna dubitava che sarebbe riuscita a finire la tintarella. Conoscendo la sua fortuna, avrebbe presto ricevuto una chiamata di soccorso proveniente da qualche nave nei paraggi, o forse da un insediamento poco distante dal pianeta.
Ma per il momento - anche se solo per qualche ora - si sarebbe goduta quella meritata pausa al meglio delle proprie possibilità.
Dopo un altro paio di minuti, aprì lentamente gli occhi ed estrasse il suo com-link personale dalla tasca della tuta, ripiegata accuratamente su lettino affianco.
Digitò un numero e rimase in attesa per qualche secondo. Poi, un ologramma si materializzò al di sopra del dispositivo, raffigurante un ragazzo dai capelli corti capelli castani e dai profondi occhi marroni.
<< Peter, so che sembra assurdo, ma…stai ignorando i miei messaggi? >> chiese Carol con tono apparentemente piacevole.
L’Avenger incrociò ambe le braccia davanti al petto. << Non li ignoro, muso spaziale. Non rispondo intenzionalmente. >>
<< Oh? E posso sapere il perché? >>
Quando il ragazzo rimase in silenzio, Carol strinse gli occhi in un paio di linee sottili.
<< Peter… >>
<< Forse potrei considerare di risponderti se decidessi di tornare sulla Terra >>la interruppe il marito, distogliendo lo sguardo.
La donna sospirò stancamente. << Peter…cosa avevamo detto di questo? >>
Il ragazzo si affrettò a sollevare le mani in segno di resa.
<< Lo so, lo so, ho detto che ti avrei sostenuto sulla questione dello spazio, ma… >>
Abbassò la testa e sembrò calciare qualcosa, anche se era difficile a dirsi a causa della qualità dell’ologramma. Le comunicazioni ad anni luce di distanza non erano mai il massimo.
Dopo qualche attimo di silenzio, Peter tornò a fissare la moglie dritta nei suoi occhi color nocciola.
<< Carol…sono passati sei mesi. So calcolare il tempo dalla crescita quasi impercettibile dei capelli di una donna. È un talento >>
<< Anche contare >> ribattè l’altra con un sorriso divertito.
Malgrado la situazione, anche il ragazzo si ritrovò incapace di trattenere un ghigno di suo. Fu di breve durata, ma la bionda la considerò comunque una piccola vittoria.
<< So che ti ho detto di prenderti tutto il tempo che ti serve… >> continuò l’Avenger << ma chi mai mi da retta? Abbiamo bisogno di te, Carol. C’è un mondo da salvare, quaggiù. >>
<< E ci sono mondi da salvare anche qui, Peter. Mondi che non hanno gli Avengers a proteggerli >>
<< Questo è un colpo basso, e lo sai. Scommetto che lo stai facendo solo per non dover addestrare le nuove reclute! >>
<< Non ho la minima idea di cosa tu stia parlando >> disse la bionda, utilizzando un tono di voce troppo innocente per i gusti dell’arrampica muri.
Entrambi gli Avengers ridacchiarono, ma l’espressione sul volto di Peter si fece improvvisamente più abbattuta.
Carol imprecò mentalmente per essersi fatta cogliere di sorpresa. Aveva sempre avuto difficoltà a resistere ai suoi occhi da cucciolo bastonato.
<< Torna, ti scongiuro. Mi manchi >> sussurrò il ragazzo, sollevando la mano destra come se stesse cercando di toccarla.
La donna sorrise tristemente e incontrò l’ologramma con un dito. << Mi manchi anche tu, Peter. Ma per il momento non mi avvicinerò alla terra più di così. >>
<< Ti ho mai detto che sei il mio eroe? Il mio eroe più potente della terra? >>
<< Peter… >>
Il ragazzo sospirò rassegnato. << Come vuoi. Ma…chiamami se hai bisogno di me, okay? >>
<< Lo farò >> promise Carol.
Rimasero in silenzio per un altro po’, limitandosi a fissarsi l’un l’altro. Era come se nessuno dei due volesse concludere la chiamata per primo.
<< Ti amo >> sbottò Peter, e la bionda dovette reprimere l’ondata di emozioni che cominciò a farsi strada dentro di lei. Dio, quanto le era mancato sentirglielo dire.
Sorrise dolcemente e gli lanciò un baciò.
<< Ti amo anche io, Spider-Boy. >>
L’Avenger gemette. << Pensavo che ormai avessimo messo quel soprannome da parte. >>
<< E perdermi il tuo faccino imbronciato ogni volta che lo uso? Non se ne parla… >>
Non ebbe la possibilità di terminare la frase. Un sonoro bip! scaturì dal comunicatore di emergenza che portava all’orecchio, accompagnato da una luce rossa.
Carol inarcò un sopracciglio e fece partire la trasmissione.
“Per favore…a tutt..le navi in ascol…o…siamo sotto atta…il pianeta Exif ha…ogno di aiuto…ripeto…le navi che sono in ascolto…aiutate…”
Fu a quel punto che il messaggio s’interruppe, a cui seguì il suono familiare di elettricità statica.
<< Problemi in paradiso? >> chiese Peter.
La donna scrollò le spalle.
<< Quando mai non ce ne sono? >> borbottò, mentre si alzava dalla sdraio e cominciava a indossare l’uniforme di Capitan Marvel.
Il maritò le lanciò un sorriso consapevole.
<< Falli neri >>
<< Ti porterò un suvenir >> disse l’altra, prima di chiudere la trasmissione. Al contempo, il suo corpo cominciò a illuminarsi di un’intensa luce dorata, mentre il comunicatore tracciava le coordinate della trasmissione fino alla fonte.
A quanto pare, aveva un nuovo pianeta da salvare.

                                                                                                                        * * *
 
Dalla plancia dello Star Destoryer Chimera dell’Impero, il Grand’Ammiraglio Thrawn osservava il pianeta verde-azzurro sospeso nello spazio.
Quattro navi stavano in volo attorno alla sua orbita, al di sotto di una sua fascia di asteroidi.
Grazie ai suoi anni di addestramento, l’alieno dalla pelle color blu cielo valutò e catalogò automaticamente i mezzi di trasporto, riconoscendo all’istante le caratteristiche tipiche dei mercantili.
Nel giro di pochi minuti sarebbero state tutte differenze puramente accademiche, ma questo i membri del suo equipaggio non potevano ancora saperlo. Il loro comandante supremo era stato molto chiaro a riguardo.
Pigramente, il Grand’Ammiraglio si ritrovò a contemplare tutti gli eventi che avevano portato al realizzarsi di questa operazione.
Da quando era stato ufficialmente riconosciuto dalla Galassia circa quindici anni fa, l’Impero era già riuscito a prendere il controllo di ben dodici pianeti al di fuori della giurisdizione della Nova Corps, ottenendo un accesso praticamente illimitato a tutte quelle risorse necessarie per creare la flotta stellare più potente mai vista.
Al momento, però, solo tre Star Destroyer erano stati scelti per guidare l’invasione di Exif.
La nera plancia scintillante del Chimera era un modello di efficienza, con ispettori e addetti ai monitor che si scambiavano rapidamente le informazioni ricevute dai computer di  puntamento e dalle serie di sensori. Thrawn osservò il tutto con i suoi occhi scarlatti, una figura snella e composta dall’impeccabile uniforme bianca, con le braccia conserte dietro la schiena. Dava l’aria di un individuo che aveva la situazione completamente sotto il suo controllo.
Era una delle ragioni per cui il suo comandante lo aveva scelto per guidare la flotta imperiale. Per questo…e per la sua insaziabile sete di vendetta verso coloro che avevano annientato il suo popolo, i Chiss.
<< Preparate le batterie principali >> ordinò con un tono di voce calmo.
Dopo meno di un minuto, i piccoli Star Destroyer della flotta cominciarono a muoversi in avanti e a puntare i loro turboblaster verso i mercantili.
<< Batterie principali in posizione >> informò il Generale Veers dalla sezione inferiore del ponte.
<< Perfetto >> disse Thrawn, soddisfatto << Dica al Capitano Palleon di  approntare la sua corazzata. Che incenerisca i mercantili e spari un unico colpo alla capitale del pianeta. Una zona disabitata, se possibile. >>
L’ordine fu trasmesso e ricevuto da Gilad Palleon sulla plancia della Fulminatrix, l’enorme corazzata d’assedio di classe Mandator IV al centro della formazione. Su comando dell’uomo, i due massicci cannoni appesi al ventre della nave cominciarono a ruotare lentamente, orientandosi per fare fuoco sul punto caldo della trasmissioni e delle emissioni di energia individuate sui sensori: i mercantili.
Motti, il maresciallo capo di Palleon, scrutava l’oloschermo seguendo l’avanzata dei cannoni con un’espressione vicina all’estasi.
Il Capitano – un ometto dai folti baffi grigi - si accigliò. I suoi uomini avevano metà dei suoi anni e ben poca esperienza militare fuori dai simulatori. L’esperienza non era colpa loro: l’arroganza e l’indisciplina invece sì.
<< Riorentate le batterie superiori. Puntate un unico cannone sulla Capitale >> ordinò << E preparate al lancio la squadriglia di caccia. >>
<< Il Grand’Ammiraglio non ha ordinato si spiegare i caccia >> osservò Motti.
<< Devo spiegarle la differenza tra preparare il lancio e lanciare >> gli chiese Palleon con evidente irritazione. << Esegua subito il mio ordine, maresciallo… >>
<< Capitano! >> chiamò un addetto al puntatore della nave << C’è un oggetto volante non identificato in avvicinamento…e punta dritto verso di noi. >>
Palleon inarcò un sopracciglio a quell’insolita descrizione.
<< Beh…allora identificatelo >> sbottò, quando nessuno degli addetti si mosse per farlo.
Alcuni di loro arrossirono e cominciarono rapidamente ad armeggiare con le apparecchiature di tracciamento.
Il resto dell’equipaggio rimase silenzioso, in attesa.
<< Signore… >> disse lo stesso addetto che aveva parlato poco prima, il volto segnato da un’espressione scioccata << è una persona. >>
Per un attimo, il Capitano Palleon credette di aver sentito male.
<< Cosa!? >>

                                                                                                                          * * *

Volare nello spazio poteva essere spossante sia dal punto di vista fisico che psichico.
Il copro veniva maltratto dalla tensione, dalle accelerazioni e dagli sbalzi di gravità, mentre la necessità di restare concentrati, di occuparsi di più attività in simultanea e di improvvisare davanti a mille problemi poteva mettere dura prova la mente di ogni pilota.
Era al tempo stesso un rompicapo in continua trasformazione e una prova di resistenza, e in caso di fallimento le conseguenze erano fatali.
Ma per individui come Carol Danvers, capaci di resistere alle estreme condizioni dello spazio senza subire i terribili effetti di quell’ambiente inospitale, non c’era niente di meglio che viaggiare a tutta velocità in un mondo in cui la gravità era solo un mito, sospesa tra la luce e l’oscurità.
Quello era il suo mondo, l’unico posto in cui poteva dare libero sfogo al potere che scorreva implacabile dentro di lei. Era il luogo in cui poteva essere se stessa.
La figura illuminata della donna sfrecciò come una cometa tra le navi dell’Impero, fino a fermarsi proprio di fronte alla corazzata di Palleon, frapponendosi tra il mezzo di combattimento e i mercantili sottostanti.
Una trasmissione crepitò dai trasduttori del Chimera.
<< Attenzione, qui è Capitan Marvel, associata della Nova Corps >> disse una voce di donna << Chiedo il permesso di parlare con chi comanda. >>
Thrawn sentì tutti gli sguardi su di lui, ma mantenne un’espressione assolutamente calma.
<< Passatemela >> ordinò con un tono inflessibile della voce.
Dopo qualche secondo, un sonoro bip! annunciò l’inizio della connessione.
<< Qui è il Grand’Ammiraglio Thrawn dell’Impero. Cosa posso fare per lei, Capitano? >>
<< Può cominciare con l’allontanare la vostra flotta dall’orbita planetaria >> fu la fredda risposta di Carol.
Alcuni addetti cominciarono a scrutare il loro comandante con sguardi incerti.
Tutti loro avevano sentito molte volte il nome di Capitan Marvel riecheggiare dalle notizie degli Holo-video. Sapevano di cosa fosse capace quella donna…colei che da sola era considerata uno degli esseri più potenti dell’Universo, capace di annientare un’intera flotta in solitaria.
Eppure, il Grand’Ammiraglio si limitò ad inarcare un elegante sopracciglio.
<< E perché dovrei farlo? Il pianeta Exif non ha alcun rapporto con la Nova Corps, e l’Impero sta operando al di fuori della vostra giurisdizione. In verità, questo quadrante dello spazio non opera all’interno di nessuna forma di governo autorizzata dalla convenzione dei pianeti uniti >> spiegò pazientemente << La mia è un’azione di guerra completamente legale. >>
<< Non ho mai detto che stavo operando per conto della Nova Corps. >>
Thrawn rimase in silenzio per qualche istante. << Quindi, ne deduco che la vostra sia un’azione indipendente. >>
<< Deduzione corretta, Sherlock. >>
<< Perdonatemi, temo che il vostro riferimento mi sia sfuggito. >>
<< Sarò felice di spiegarvelo…non appena avrete allontanato la flotta >> continuò la donna con un inflessione molto più minacciosa della voce.
Ma anche questa volta, il Chiss reagì alle sue parole con uno sguardo di completa apatia.
<< Temo di non poterlo fare, Capitano  >> fu la sua risposta impassibile << Ho l’ordine preciso di prendere il controllo del pianeta entro la fine di questa rotazione. Se cercherete d’impedirmelo…temo che sarò costretto ad agire di conseguenza e considerarvi una nemica dell’Impero. >>
<< È la vostra risposta definitiva? >> chiese Carol.
Sebbene non potesse vederlo, il Grand Ammiraglio annuì inconsciamente. << Non ne riceverete altre. >>
<< Allora vi auguro buona fortuna >> disse la donna, interrompendo la comunicazione. Al contempo, il bagliore che la circondava cominciò a crescere d’intensità.
Thrawn non perse tempo e attivò il comunicatore della tuta. << Capitano Palleon, i cannoni di superficie sono in posizione? >>
<< Carichi e pronti all’uso >> fu la pronta risposta del sottoposto.
Gli occhi rossi del Chiss si posarono sull’ostacolo di fronte a loro.
<< In questo caso…aprite il fuoco. >>

                                                                                                                             * * *
 
Quando il contatore di energia della Fulminatrix raggiunse il massimo, Carol schizzò in avanti grazie ad una spinta di energia cosmica.  Davanti a lei incombeva la massiccia corazzata d’assedio dell’Impero, su cui si levavano i colpi dei cannoni turbolaser che ghermivano la parte superiore dello scafo.
<< Non imparano mai >> commentò la donna, mentre sfiorava la misurata punta cuneiforme della nave militare.
I cannoni della Fulminatrix erano stati progettati per prendere di mira le navi avversarie, ma l’Avenger si muoveva ad velocità molto più alta di quanto i sistemi del mezzo da battaglia potessero prevedere.
Carol fintò e zigzagò sopra lo scafo della nave per farsi un’idea dell’entità dei bersagli. Una volta fatti i calcoli mentali, con un unico passaggio sul lato superiore della Fulminatrix ridusse i molti cannoni in macerie fumanti.
Mentre invertiva la rotta per lanciarsi in un nuovo attaccò, si concesse un sorriso al pensiero dei volti scioccati dei suoi nemici.
A bordo della corazzata, Palleon osservò torvo quell’unico avversario eliminare un cannone dopo l’altro, strappando alla sua nave le difese dorsali.
<< Maledizione! Perché non riusciamo a colpirla?!>> sbraitò Motti, ricevendo un’occhiataccia da parte di Palleon.
<< è un bersaglio troppo piccolo e troppo vicino >> rispose sprezzante << Se continua così…finiremo isolati dal resto della flotta. >>
<< Non riuscirà mai a penetrare la corazza della nave >> disse Motti, scrutando piena di disprezzo la donna in avvicinamento << Nemmeno tutti cannoni della Chimera potrebbero farcela. >>
Palleon si concesse di fantasticare per un attimo su quanto gli sarebbe piaciuto spingere l’aiutante fuori dalla camera stagna opportunamente vicina.
<< Non è quello il suo obbiettivo >> replicò gelido << Sta semplicemente eliminando i cannoni di superficie. Vuole lasciarci senza difese. >>
Un ologramma di Thrawn gli si materializzerò davanti.
<< Capitano Paellon, avete il permesso di spiegare i caccia >> disse con quel suo tono di voce assolutamente calmo.
Palleon si concesse un momento di sollievo.
<< Sarà fatto, Signore. >>

                                                                                                                         * * *
 
Vi fu un’altra esplosione nel vuoto dello spazio, seguita dai frammenti di un cannone che schizzavano attorno alla nave.
Carol sorrise e continuò la sua corsa a tutta velocità.
Un tempo avrebbe semplicemente cercato di perforare lo scafo della nave e ridurla ad un cumulo di cenere fumante…ma dopo lo scontro con Ghidorah aveva sempre fatto del suo meglio per ridurre al minimo le perdite durante uno scontro. Aveva già visto troppo morte.
Al momento, il suo unico obbiettivo era quello di rendere inutile gli armamenti della nave e costringerla a ritirarsi.
“Bene, è rimasto un solo cannone” pensò soddisfatta, notando l’ultimo turbo-blaster che spiccava sulla superficie della corazzata.
All’improvviso, parte della nave cominciò ad aprirsi in due. Da quella sezione del velivolo cominciarono a fuoriuscire delle piccole navi dalla forma piuttosto bizzarra.
Sembravano quasi delle sfere lucenti a cui erano state attaccate dei paraorecchi di metallo.
<< Beh…questo complica le cose >> commentò la bionda, mentre sferzava di lato per evitare di essere investita. 
Decine di caccia sciamarono intono alla corazzata d’assedio, ma solo tre deviarono dalla rotta iniziale per seguire Carol sul lato superiore della nave.
Il suo istintivo moto di sollievo si tramutò presto in determinazione, poiché un’altra squadriglia la attaccò frontalmente.
Rollò leggermente di lato per avere un angolazione migliore, ma il capo pilota dei caccia aveva previsto la sua mossa: tre navette si stavano avvicinando su di lei da sotto e cominciarono a spararle a raffica.
Fu così che Carol si ritrovò coinvolta in un veloce susseguirsi di schivate e colpi fotonici.
Lo spazio attorno a lei divenne un vero e proprio campo di battaglia. Esplosioni e schegge metalliche schizzarono da ogni parte, trasformando quel quadrante dell’orbita planetaria in un cumulo di polvere stellare.
L’Avenger riuscì ad evitare la maggior parte dei colpi laser con grande maestria, ma ogni tanto capitava che un proiettile riuscisse ad investirla, frenandone l’avanzata e costringendola a mutare strategia di volo.
La donna non fu certo da meno e riuscì a demolire la maggior parte della prima ondata in poco tempo, ma i caccia continuavano a fuoriuscire dalla nave. Sembravano non avere fine!
Strinse i denti e continuò a bersagliare i suoi nemici con precisione militare.
Non volevano ritirarsi? Allora avrebbe offerto loro una battaglia indimenticabile!

                                                                                                                           * * *

Sulla plancia della Chimera, Thrawn osservava le minuscole sagome dei caccia piroettare e scomparire all’interno dell’oloproiettore. Lo affascinava sempre la bellezza di una battaglia ridotta a un balletto di angoli e vettori. A quella distanza sembrava un geometrico esercizio statistico, incruento e in continua trasformazione.
I comandanti si lasciavano ipnotizzare da quella che, Thrawn lo sapeva bene, era solo un’illusione. La fuorì stavano morendo piloti, uomini sotto il suo comando. Meno tempo passavano lassù, più ne sarebbero tornati a casa.
<< Cannoni da puntamento carichi? >> chiese con tono impassibile.
<< Carichi e pronti, Signore >> rispose Piett << Innesco di un solo reattore, come da voi ordinato >>
<< Allora fate fuoco. >>
Pochi secondi dopo, la Chimera gli sussultò sotto i piedi tra i ruggiti degli enormi cannoni anteriori.
Erano uno dei più grandi successi raggiunti da questa flotta e facevano uso di un tipo di energia molto particolare. Un progettato specificatamente ideato per combattere avversari come quello che avevano appena puntato. Restava solo da vedere se si sarebbero rivelati o meno un fallimento.
Thrawn provò un pizzico di rammarico al pensiero dei piloti che sarebbero morti nel contraccolpo, ma lo seppellì all’istante sotto uno strato di pragmatismo. Allontanare i Caccia avrebbe sicuramente allertato il loro avversario, e questo era qualcosa che non potevano permettersi.
Per quanto fossero potenti, i cannoni del Chimera non erano stati creati per colpire bersagli così piccoli…ecco perché dovevano sfruttare l’effetto sorpresa al massimo. 
I proiettili attraversarono il vuoto dello spazio a gran velocità.
Carol ebbe appena il tempo di sollevare lo sguardo…e venne investita in pieno, assieme alle navette che la stavano inseguendo.
Seguì un immensa esplosione che illuminò la superficie del Fulminatrix, e per un attimo gli schermi della Chimera divennero bianchi.
<< Attivate i visualizzatori >> ordinò Thrawn.
Un operatore deviò il flusso di dati verso uno schermo. Nel mentre, una nube di fuoco ribolliva a poca distanza dalla corazzata, come una nebulosa in miniatura.
Quando cominciò a diradarsi, la figura fluttuante di Capitan Marvel si materializzò al centro del campo di battaglia. Sembrava morta, ma i sistemi del Chimera potevano ancora captare dei segni vitali provenienti dalla donna.
<< Cominciate a cronometrare >> ordinò Thrawn, ed ecco che alcuni addetti iniziarono a misurare l’intervallo di tempo successivo all’esplosione.

                                                                                                                          * * *

Carol Danvers fluttuava nel vuoto dello spazio, circondata dai frammenti dei caccia.
Lo strato di energia cosmica che l’aveva protetta fino a quel momento…era scomparso.
Sentiva disseccarsi gli occhi e le labbra, mentre i polmoni reclamavano aria inesistente. Intorno a sé vedeva solo macerie…e la nave che le aveva sparato.
Vedeva rimpicciolirsi in lontananza i caccia dell’Impero mentre si ritiravano nella corazzata poco distante, e ora stavano puntando i loro cannoni verso il pianeta.
Avrebbe potuto arrendersi, e tutto sarebbe finito. Avrebbe smesso di sentire il dolore insopportabile che aveva cominciato a farsi strada dentro di lei, così simile a quello che aveva provato durante il suo combattimento con Ghidorah.
In quel momento, scorse accanto a sé un’altra luce fluttuante nello spazio tra i detriti. Capì che era il suo com-link, quello che solo un’ora prima aveva usato per contattare Peter.
Il nome di suo marito la riportò alla realtà.
No…non sarebbe morta lì. Il suo cadavere non avrebbe vagato nello spazio come i resti delle navi che aveva abbattuto.
Non sarebbe morta senza prima aver rivisto Peter un’ultima vola. Doveva andare avanti…per lui e per tutti gli abitanti del pianeta sottostante.
Chiuse gli occhi, chinò il capo, mentre cercava di accedere alla forza indomita che si agitava dentro di sé, come se qualcosa l’avesse intrappolata.
Protese i sensi. Lo spazio che la circondava era ingombro dei resti della battaglia, ma ecco che la donna cominciò a percepire brandelli di calda luce composti della stessa energia che l’aveva colpita. Chiese a quell’energia di aiutarla.
Carol aprì gli occhi…e un lampo di luce illuminò l’intero quadrante con la stessa intensità di una supernova.
Gli addetti e i soldati che si trovavano troppo vicini alle vetrate del Fulminatrix furono costretti a coprirsi gli occhi per evitare di essere accecati dall’intensità di quel bagliore.
La nave tremò e il Capitano Palleon si sentì attraversare da un brivido di spiacevole anticipazione.
Poco dopo, la figura splendente di Carol Danvers puntò ambe le mani in direzione della Corazzata.
Seguì un lampo di energia che attraversò lo scafo del velivolo da parte a parte. L’esplosione conseguente proiettò centinaia di detriti fumanti in ogni direzione, alcuni dei quali picchiettarono innocui contro il corpo della donna.
La Fulminatrix tremò sotto i piedi dei suoi occupanti, mentre su tutto il ponte cominciarono a risuonare diversi allarmi.
Palleon dovette afferrare uno dei computer di bordo per mantenersi in equilibrio e afferrò il comunicatore della divisa.
<< Signore…la corazzata ha subito danni pesanti. Non penso che ce la faremo >> urlò, cercando di farsi sentire al di sopra della cacofonia.
La voce del Grande Ammiraglio Thrawn non tardò a farsi sentire.
<< Il vostro sacrificio non sarà per niente, Capitano Palleon >> disse con una dura inflessione della voce <<  Il vostro mondo sarà vendicato. Ve lo garantisco. >>
Palleon chiuse gli occhi, ormai conscio di quale sarebbe stato il suo destino.
Non provò pena per se stesso, bensì per gli uomini che lo avevano servito fino a quel giorno. Aveva vissuto una vita piena…e il suo unico rimpianto era che non sarebbe riuscito a testimoniare il realizzarsi del sogno di Lord Vader. Lo stesso sogno che lo aveva convinto a prendere parte all’iniziativa imperiale.
Ma di una cosa era sicuro: Vader e Thrawn sarebbero riusciti a portarlo a termine…anche senza di lui. Doveva avere fede su questo.
<< È stato un onore servire sotto di voi. >>
<< E per me lo è stato combattere al vostro fianco >> ribattè Thrawn, prima che la connessione cessasse.
Palleon si rimise in piedi e cercò di rimanere dritto nonostante l’instabilità della nave.
Vagamente, udì le grida disperate di Motti, ma scelse di non farci caso. Semplicemente rimase a fissare il pianeta sottostante e sollevò la mano destra in un saluto militare.
<< Lunga vita all’Impero. >>
Fu allora che anche il ponte del Fulminatrix esplose in un vorticare di fiamme.

                                                                                                                          * * *

Sulla plancia della Chimera l’esultanza aveva lasciato il posto ad un silenzio attonito. Thrawn osservò il relitto infuocato della corazzata di Palleon con un’espressione solenne, ma non tradì alcuna emozione.
<< Grand’ammiraglio, Lord Vader si sta mettendo in contatto con noi >> annunciò un’addetta alle comunicazioni.
Thrawn si limitò ad annuire.
<< Eccellente >> le disse << Passatelo direttamente sul ponte. >>
La donna lo fissò sorpresa, ma fece subito come richiesto. Un attimo dopo, un’enorme ologramma si materializzò sulla plancia.
Il volto che aveva appena preso posto nella stanza era un orrore scheletrico nero come la pece. Sembrava quasi un teschio umano.
In realtà, si trattava di una maschera che il suo proprietario aveva accuratamente fabbricato per incutere timore nei suoi nemici. Un vero e proprio tributo a colei che il comandante supremo dell’Impero aveva scelto di servire: la Morte.
Incombeva su Thrawn, trafiggendolo con le sue fiammeggianti lenti rosse.
<< Ebbene? >> chiese Darth Vader con una voce bassa e cavernosa << Quali notizie mi porti, Grand’Ammiraglio? >>
Il Chiss non perse tempo in convenevoli e abbassò rispettosamente il capo. << Tutto procede come avevate previsto, Lord Vader. Il bersaglio ha ingaggiato la flotta e siamo riusciti a testare l’arma senza impedimenti. >>
Sollevò lo sguardo e si concesse un piccolo sorriso. << I risultati superano di gran lunga i parametri previsti. >>
<< Bene >> disse l’altro, mentre il sibilo del suo respiro riecheggiava per tutta la lunghezza del ponte << Ordina alla flotta di ritirarsi, ma restate all’interno del quadrante. >>
<< Sarà fatto, mio signore >> fu la pronta risposta del Grand’Ammiraglio.
Appena un secondo dopo, l’immenso ologramma scomparve in un tripudio di elettricità statica e molti degli addetti rilasciarono sospiri di sollievo.
Thrawn fu l’unico a mantenere un atteggiamento calmo e controllato, e si voltò rapidamente verso la donna che aveva annunciato la chiamata del superiore.
<< Aprite un collegamento con il nemico >> ordinò impassibile.
L’addetta fece come richiesto e il ponte venne subito invaso dal crepitio della corazzata imperiale sul punto di esplodere.
Il Chiss prese un respiro profondo. << Qui è il Grande Ammiraglio Thrawn. Faremo come richiesto e ci allontaneremo subito dall’orbita planetaria >>
<< Una scelta saggia >> fu l’allegra risposta del loro avversario.
Thrawn non si lasciò distrarre da quella palese mancanza di rispetto e attivò subito il comunicatore attaccato all’uniforme.
<< Qui è il Grande Ammiraglio Thrawn che parla. A tutte le navi dell’Impero…seguite la Chimera.>>
 
                                                                                                                            * * *

Carol osservò le navi dell’Impero che saltavano a velocità luce nelle profondità dello spazio, e non potè trattenersi dal sospirare di sollievo.
Sentì un forte mal di testa e per poco non ebbe un capo giro. Fu costretta a fare appello a tutta la forza che aveva in corpo per non lasciarsi cadere verso l’atmosfera del pianeta sottostante.
All’improvviso, un sonoro bip! risuono nelle sue orecchie, indicando una trasmissione in entrata.
La donna attivò il collegamento e venne raggiunta dalla stessa voce che aveva fatto la chiamata di soccorso poco prima.
<< Chi dobbiamo ringraziare per il nostro soccorso? >>
<< Carol Danvers…ma potete chiamarmi Capitan Marvel >> rispose con un piccolo sorriso << E non avete alcun bisogno di ringraziarmi. Ho solo fatto il mio dovere >>
<< Ciononostante, le vostre azioni hanno probabilmente salvato la vita di centinaia del mio popolo >> ribattè la voce << Ditemi, cosa possiamo fare per sdebitarci? >>
Carol esitò.
Il suo primo pensiero fu quello di allontanarsi il più possibile dal pianeta e riprendere le sue pattuglie…ma quell’ultimo colpo – qualunque cosa fosse - l’aveva decisamente sentito. Forse era meglio riposarsi qualche ora e riguadagnare le forze.
<< Avete un letto libero? E qualcosa da mettere sotto i denti non mi dispiacerebbe. >>

                                                                                                                                * * *

Dal ponte dello Star Destoryer Esecutore, fiore all’occhiello della marina imperiale, Darth Vader osservava impassibile il vuoto dello spazio che si stagliava oltre le paratie della nave.
Aveva sempre trovato conforta nella cupa vastità del cosmo, forse perché in parte gli ricordava se stesso: un pozzo nero e senza fine di oscurità.
Nel corso degli ultimi anni, l’animo di Vader era stato macchiato da innumerevoli conquiste, omicidi e massacri che avrebbero potuto tranquillamente competere con quelli dello stesso Thanos. La sua figura era diventata una sorta di monito capace di irretire i cuori dei soldati più coraggiosi e di provocare il panico su un intero pianeta.
I suoi assalti erano rapidi e spietati, e non avevano mai lasciato tempo ai mondi conquistati di offrire una resistenza degna di nota. In poco tempo, aveva creato una delle confederazioni planetarie più vaste della galassia…tutto in preparazione di un momento che attendeva fin da quando era bambino. E quel momento…era finalmente arrivato.
Con un volteggiare del mantello, lasciò la plancia e attraversò con passo marcato i corridoi della nave, diretto verso la sua cabina personale. 
Una volta lì, si sedette sull’unica sedia presente nella stanza, chiuse gli occhi…e attese.
Si sentì avvolgere da una cupa oscurità e la temperatura della cabina cominciò a calare vertiginosamente. Attorno a lui, il mondo sembrò vibrare di tante piccoli sussurri ammassati gli uni agli altri, accompagnati dal distinto suono di qualcosa che ringhiava e strisciava nelle tenebre.
Fu allora che una voce profonda e cavernosa risuonò nelle orecchie dell’uomo.
<< Lord Vader…cosa posso fare per te? >> chiese con un timbro che pareva a metà tra il curioso e il divertito.
Vader mantenne una posizione rilassata. Ormai aveva udito quella cadenza già numerose volte. Lo aveva guidato negli ultimi anni verso un nuovo obbiettivo…e colui a cui apparteneva si era dimostrato sicuramente un alleato pieno di risorse, qualcuno che valeva la pena tenere dalla propria parte…almeno per ora.
<< Tutto procede secondo i nostri piani. La donna ha preso contatto con il pianeta Exif >> rispose impassibile << è arrivato il momento di eseguire la fase due. >>
La VOCE sembrò ronzare in apparente contemplazione. Quando parlò, ad essa si unì una seconda cadenza, più squillante.
<< Contatterò il mio araldo sulla Terra >> gracchiò nell’oscurità, e Vader fu sicuro che il suo proprietario stesse sorridendo << Gioisci, Signore dei Sith…poiché molto presto avremo la nostra vendetta! >>


 
 
 
 
 
 
 

Mi era mancato scrivere di Carol e Peter.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto! I vari pezzi cominciano ad allinearsi.
La galassia si prepara alla guerra, e la Terra non sa che presto diventerà nuovamente un campo di battaglia.
Con chi stava parlando Vader? Qual è il suo piano per Carol? Cosa centra il pianeta Exif?
Tutto questo e altro in Avengers – Age of Monsters!
Thrawn e gli altri personaggi non Marvel comparsi in questo capitolo sono tutti provenienti dall’universo di Star Wars. Per chi non lo conoscesse, Thrawn è uno dei cattivi più popolari e intelligenti del fandom, un Grand Ammiraglio che riuscì a guadagnarsi perfino il rispetto di Darth Vader grazie al suo brillante acume tattico.
Nel prossimo capitolo avremo il ritorno degli Avengers e di vecchi volti.

 
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Ecco un nuovissimo capitolo. Vi auguro una buona lettura!
 


Capitolo 3
 
Time Square era un cumulo di macerie fumanti.
Crateri e focolai sparsi un po’ ovunque, mentre i resti della civiltà umana precipitavano a terra, riversando nuvole grigie per le vie della città che non dorme mai.
Sulla strada principale, la Sentinella osservava con spietata efficienza il risultato del suo lavoro.
Alta circa tre metri, la macchina sembrava più un alieno che un robot progettato per combattere superumani. Il suo corpo liscio e privo di giunture rifletteva i pochi raggi che attraversavano la coltre di cenere sovrastante, proiettando lampi di luce tutt’attorno.
Con i suoi piccoli occhi gialli, sollevò la testa e sparò un raggio dorato contro uno dei palazzi più vicini, riducendolo ad un ammasso di detriti vaganti.
All’improvviso, una figura balzò al centro del campo di battaglia.
Indossava una tutta rossa e nera, simile a quelle dei ninja che ogni tanto venivano ancora usati nelle pellicole d’azione a basso budget. Nelle mani reggeva una coppia di katane di lucido metallo argentato, che puntò in direzione della macchina.
<< Avengers…uniti! >> esclamò a gran voce, imitando una versione stereotipata di Capitan America.
Fu presto seguito da una giovane ragazza orientale dai corti capelli castani, indossante una tuta completamente nera.
<< Non devi continuare a dirlo! Siamo già uniti! >> urlò lei, mentre una giovane donna dai folti capelli neri e vestita allo stesso modo si affiancava alla coppia.
<< Siete troppo rumorosi >> grugnì, ricevendo un’occhiataccia da parte della compagna di squadra.
A seguire furono un gruppo di individui dall’aspetto altrettanto singolare: un uomo dalla stazza imponente e dal taglio militare, una giovane donna dai lunghi capelli biondi vestita con una bizzarra armatura da battaglia e un ragazzo giapponese che indossava un mantello raffigurante il simbolo del Sol Levante.
Poco dopo, uno sbuffo di fumo viola esplose accanto alla mora, ma questa non tradì alcuna sorpresa. Ne fuoriuscì una creatura molto simile ad un essere umano, anche se presentava alcune sostanziali differenze: il suo corpo, infatti, era interamente blu e terminava con una coda dalla punta affilata. In aggiunta a ciò, spiccavano sicuramente gli occhi gialli e un paio di orecchie da elfo, oltre alla mancanza del mignolo e dell’anulare di ogni arto.
<< Allora, Colosso, qual è il piano? >> chiese con un marcato accento tedesco, rivolto verso il membro più imponente del gruppo.
Il rinomato Colosso non esitò a rispondere.
<< Non lasciate che la Sentinella vi tocchi, assorbirebbe il vostro potere >> disse mentre volgeva lo sguardo verso l’unica castana della squadra << Mikoto, prova a vedere se riesci ad hakerare il suo sistema nervoso. >>
La ragazza annuì con uno sguardo determinato e allungò una mano verso il robot.
Dopo qualche attimo di silenzio, tuttavia, schioccò la lingua e scosse la testa. << Mi dispiace, Piotr, ma questo ragazzo non è un semplice computer. I suoi modelli di pensiero sono praticamente gli stessi di un essere umano. >>
Detto questo, il suo corpo cominciò a illuminarsi di un intenso bagliore azzurro, a cui seguirono numerose scariche elettriche.
<< Vediamo come te la cavi con questo! >> esclamò, per poi rilasciare un potente fulmine contro la macchina.
Alcuni suoi compagni furono costretti a chiudere gli occhi per non rimanere accecati, mentre la scarica investiva in pieno la Sentinella. L’esplosione conseguente proiettò diversi detriti nell’area circostante, alcuni dei quali volarono in direzione del gruppo.
La ragazza bionda non perse tempo e si mise di fronte agli altri, la mano destra sollevata. Subito dopo, uno scudo di energia azzurra si frappose tra la squadra e i proiettili vaganti, che vennero inceneriti una volta a contatto con la barriera.
<< Non hai alcuna finezza >> commentò l’eroina, lanciando un sorriso beffardo in direzione di Mikoto. Questa strinse gli occhi e fece per controbattere, ma un rapido sguardo ad opera di Colosso la costrinse a rimanere in silenzio.
Quando la polvere provocata dall’esplosione cominciò a diradarsi…la sentinella era ancora in piedi, ora circondata dallo stesso bagliore che aveva avvolto la castana solo pochi minuti prima.
Mikoto sbattè lentamente le palpebre, incredula. << Ma…ma…non l’ho neanche toccato! >>
<< A quanto pare non gli serve toccarci per imitare nostri poteri >> commentò l’umanoide blu, mentre la macchina puntava le sue ottiche verso di loro.
La giapponese gli lanciò uno sguardo irritato. << Grazie tante, capitan ovvio… >>
Non ebbe la possibilità di terminare la frase.
Un potente fulmine si scontrò con la barriera generata dalla bionda, producendo un sonoro Gong!. L’eroina strinse i denti e fece appello a tutta la forza che aveva in corpo per tenerla in piedi, ma presto lo scudo cominciò a cedere.
All’improvviso, il corpo di Colosso venne ricoperto interamente da una serie di placche metalliche.
Quando la barriera cedette, il fulmine si conficcò nel terreno e provocò una forte esplosione, proiettando detriti e pezzi di terriccio vaganti verso il gruppo.
Senza perdere tempo, Colosso avvolse la maggior parte di loro con le braccia e usò il suo corpo rinforzato per proteggerli dai proiettili. La ragazza dai capelli neri si limitò a balzare lontano dal punto d’impatto, mentre l’umanoide blu scomparve in uno sbuffo di fumo, riapparendo sopra un edificio in macerie.
Approfittando della conseguente nuvola di polvere, i vari membri del gruppo si affrettarono a cercare un riparo…tutti tranne uno: il ragazzo giapponese.
Si limitò a restare in piedi nei pressi del cratere fumante creato dal fulmine, il volto contratto da un cipiglio scontento.
<< Copiare i poteri altrui indica una palese mancanza di fegato. Dubito che questa macchina riuscirebbe a replicare la forza delle mie budella! >> esclamò, mentre scrocchiava le nocche della mani.
La ragazza bionda lo fissò stranita. << Sul serio, qualcuno di voi ha la minima idea di cosa stia parlando? >>
Mikoto sospirò stancamente.
<< Vivo con lui da dieci anni e ho ancora difficoltà ha capire la metà di quello che dice >> borbottò, gli occhi che si contraevano per il fastidio.
Al contempo, il ragazzo giapponese piegò le gambe all’indietro.
<< È l’ora di mostrarti cosa voglia dire avere FEGATO! >> urlò, mentre chiudeva la mano destra in un pugno.
Gli occhi dell’umanoide blu si spalancarono per la comprensione. << Gunha, non penso sia buona idea… >>
<< Amazing PUNCH! >> esclamò l’altro, lanciandosi a tutta velocità verso la Sentinella.
La mano dell’eroe si scontò con il volto della macchina, e il suono del metallo che si deformava riecheggiò per tutta la lunghezza del quartiere, seguito da una luce accecante.
Il corpo della Sentinella affondò nel suolo sottostante e la terra tremò sotto alla coppia di combattenti.
Tuttavia, quando la polvere derivata dall’impatto cominciò a diradarsi, il rinomato Gunha scoprì che il suo attacco non aveva procurato danni degni di nota all’avversario, ad eccezione di qualche ammaccatura.
<< Uhmmm…sembra che dovrò usare molto più fegato >> commentò, per poi cominciare a colpire ripetutamente la macchina.
Ad ogni assalto, numerose crepe cominciarono a diramarsi dal luogo dello scontro, mentre potenti onde d’urto proiettarono polveri e pezzi di roccia su tutto il campo di battaglia.
Ancora al ripario dietro alle macerie degli edifici, il resto della squadra osservò il tutto con espressioni che andavano dalla completa apatia all’incredulità più pura.
Fu l’uomo vestito di rosso a rompere il silenzio per primo.
<< E poi dite che sono io il pazzo del gruppo. >>
<<< Sta zitto, Deadpool! >>>

                                                                                                                       * * *
 
 
Peter Parker – aka Spider-Man – osservava lo svolgersi della battaglia dall’alto della sala di osservazione.
I suoi occhi vagarono su ogni membro della squadra con una precisione quasi chirurgica, catalogando istantaneamente punti di forza e debolezza di ogni recluta. Era diventato molto bravo a farlo, da quando era stato scelto come secondo i comando degli Avengers.
Sotto di lui, lo scontro dei nuovi candidati al titolo di Vendicatori imperversava senza esclusione di colpi.
Poco distante, spiccavano le figure di Hope Van Dyne – aka Wasp – e Sam Wilson.
L’ex Falcon aveva preso ufficialmente il mantello di Capitan America dopo la dipartita di Rhodey, ed era stato votato all’unanime come nuovo leader dei Vendicatori.
Inutile dire che Peter era rimasto non poco sorpreso quando l’uomo lo aveva avvicinato quasi due anni fa per chiedergli di diventare il suo vice. Non si era mai considerato materiale da capo squadra.
D’altro canto, la sua candidatura a secondo in comando dei Vendicatori era anche una scelta perfettamente logica.
Tra tutti gli eroi, era forse quello con più esperienza sul campo grazie al pattugliamento costante delle strade di New York, aveva già affrontato minacce di livello planetario…e aveva pure un collegamento diretto con uno degli esseri più potenti dell’universo.
A volte si chiedeva se Sam lo avesse scelto proprio per quest’ultimo fattore. Conoscendolo, probabilmente gli avrebbe risposto di sì.
Un lampo di luce illuminò il campo di battaglia sottostante, distogliendolo da quei pensieri.
Mentalmente, l’arrampica muri ripercorse i nomi dei vari iniziati.
Sogiita Gunha e Misaka Mikoto, due adolescenti giapponesi che fin dalla tenera età erano stati sottoposti ad esperimenti dell’Hydra per replicare il genoma mutante. Mentre il ragazzo aveva la capacità di sfruttare la propria energia potenziale per aumentare forza e resistenza fisica, Mikoto aveva ottenuto l’abilità di manipolare l’elettricità ad un livello che avrebbe fatto impallidire perfino Max Dillon, aka Electro. Entrambi erano stati recuperati da una base Hydra in Giappone circa quattro anni fa, e da allora lo Shield e lo S.W.O.R.D si erano occupati del loro addestramento.
Illyana e Piotr Rasputin erano una storia diversa. Entrambi fratelli dotati del gene mutante dalla nascita, erano stati recuperati da un incursione degli Avengers nella base di un’organizzazione terroristica para-militare, la Essex Corporation, che aveva cercato di renderli delle vere e proprie armi viventi.
Il primo aveva la capacità di rivestire il suo corpo di un metallo particolarmente resistente. La seconda…beh, diciamo solo che i suoi poteri erano considerati strani anche per gli standard odierni. Manipolazione di un’energia sconosciuta, capacità di aprire portali, evocazioni…la ragazza era un vero e proprio coltellino svizzero dei superpoteri.
Kurt Wagner, l’umanoide del gruppo, aveva l’abilità di teletrasportarsi. Era stato salvato meno di due anni fa da un circolo di lotte clandestine in Germania, dove alcuni giovani mutanti erano stati catturati e costretti a combattere tra loro per l’intrattenimento degli spettatori.
Peter aveva offerto al ragazzo la possibilità di rifarsi una vita o entrare a far parte del programma Young Avengers…e il mutante aveva scelto la seconda opzione, forse consapevole che con il suo aspetto non sarebbe mai stato capace d’integrarsi davvero nella società.
Infine vi erano i membri più problematici del gruppo: Laura Logan e Wade Wilson, aka Deadpool. Mentre il secondo era il risultato di una serie di esperimenti di replicazione mutante portati avanti dall’ultima fazione americana dell’Hydra, la storia che circondava la ragazza era assai più complicata.
<< Come vi sembrano? >> chiese rivolto verso i suoi compagni Avenger.
Il secondo Capitan America non esitò a rispondere.
<< Impazienti, sconsiderati, immaturi…dovrei andare avanti? >> chiese con un sorriso sardonico.
Peter trasalì. << Oh, andiamo, eravamo noi così diversi alla loro età? >>
<< È proprio questo che mi preoccupa >> borbottò Sam, gli occhi rivolti in particolare verso i membri più giovani del gruppo << Non penso che siano pronti per il mondo reale. >>
<< Ed è per questo che abbiamo costruito la Stanza del Pericolo. Per far sì che lo siano >> replicò l’arrampica-muri con tono ottimista.
Affianco a lui, Hope rilasciò un sonoro sbuffo.
<< Eppure, i risultati lasciano molto a desiderare >> disse mentre Deadpool veniva scaraventato contro un edificio da una scarica di fulmini.
Inconsciamente, il ragazzo si passò una mano tra i capelli, come faceva ogni volta che era nervoso per qualcosa.
<< Hanno solo bisogno di imparare a lavorare insieme, tutto qui. Ogni squadra ha i suoi alti e bassi, all’inizio. >>
<< Non è il loro gioco di squadra che mi preoccupa… >> ribattè Sam << ma il loro stato mentale. >>
Volse lo sguardo in direzione del corpo fumante di Deadpool.
<< Specialmente di quello là >> aggiunse con tono sprezzante << Dove diavolo lo hai trovato? >>
<< Io e Wade abbiamo…una storia interessante >> ammise Peter, scrollando le spalle << è un grilletto facile, non lo nego, ma…sta provando ad essere una persona diversa. Non è così male, una volta che impari a conoscerlo. >>
Hope aprì un fascicolo che reggeva tra le mani.
<< Wade Wilson, aka Deadpool, esperimento dell’Hydra ed ex mercenario. Durante la sua intervista ha affermato, e cito “siamo solo personaggi di una fan fiction”. >>
Lanciò a Peter uno sguardo decisamente poco impressionato. << Non è esattamente qualcuno a cui affiderei il benessere dei civili. >>
<< Ne ha solo passate tante >>insistette l’arrampica-muri << Ma penso che vi sorprenderà. >>
Sia Hope che Sam si lanciarono occhiate poco convinte.
<< Cos’ha fatto per guadagnare la tua fiducia? >> chiese l’ex Falcon. Non riusciva davvero a concepire come Peter Parker – un ragazzo che aborriva ogni tipo di violenza e omicidio – avesse davvero scelto un tipo come Deadpool tra le potenziali reclute della squadrea.
Alla domanda del compagno eroe, l’espressione sul volto di Spider-Man si contrasse in un triste sorrise.
<< Ha semplicemente preso una buona decisione. Tutto qui. >>
 
                                                                                                                        * * *

 
All’interno della Stanza del Pericolo, la battaglia contro la Sentinella si era fatta molto più serrata.
Mikoto e Kurt avevano scelto di precipitarsi in aiuto di Gunha, e ora tutti e tre stavano cercando di abbattere la macchina con una rapida serie di distrazioni e attacchi coordinati.
Laddove Kurt sfruttava il suo teletrasporto per confondere l’avversario, i suoi compagni procedevano a colpirlo con tutto quello che avevano.
Sfortunatamente, la Sentinella era riuscita a copiare i poteri di Gunha, e ben presto il ragazzo giapponese si ritrovò avvinghiato dalla sua presa.
Illyana fu assai tentata di tirarsi i capelli.
<< Ok, tutto questo sta diventando ridicolo >> borbottò, mentre allargava ambe le braccia.
All’inizio non accadde niente. Poi, centinaia di uccelli cominciarono a sbucare dagli anfratti delle macerie, puntando tutti verso la Sentinelle.
I volatili iniziarono a beccare la testa della macchina, e questo diede a Kurt la possibilità di afferrare entrambi i ragazzi giapponesi e a teletrasportarsi lontano dal robot.
<< Bella mossa >> commentò l’umanoide, atterrando accanto alla bionda.
Il gruppo prese ad osservare la Sentinella che cercava di scacciare i suoi fastidiosi assalitori.
<< La cacca di uccello era necessario? >> chiese Laura, arricciando il naso per il disgusto.
Illyana inarcò un sopracciglio e lanciò una rapida occhiata verso la macchina.
In effetti, ora che ci faceva caso, potè notare una sostanza bianca piuttosto familiare che colava dalle spalle della macchina.
Sbuffò sprezzante e incrociò ambe le braccia davanti al petto. << Sono piccioni, mica aquile. Se la cosa non vi sta bene, la prossima volta dovreste chiedere aiuto a Gandalf. >>
<< Vuoi dare a questo androide problemi di pelle, eh? >> commentò Deadpool affianco al trio, mentre sfoderava le sua katane.
Gli occhi di Colosso si spalancarono in allarme. << Deadpool, non fare niente di avventato… >>
<< Ti accontento subito! >> esclamò l’ex mercenario, non dandogli il tempo di completare le frase.
E prima che l’uomo potesse anche solo tenare di fermarlo, cominciò a correre verso la Sentinella a gran velocità, accompagnando il tutto con un urlo che avrebbe reso orgogliosi i guerrieri di Nuova Asgard.
Sentendolo arrivare, la macchina si voltò di scattò e sparò un potente raggio di energia contro l’uomo. Questi si lanciò in aria e riuscì a schivare il colpo, per poi ricadere a terra con un’elegante piroetta.
La Sentinella prese di nuovo la mira, ma ecco che Kurt lo colpì con un’asta di metallo, scomparendo in una nuvoletta di fumo prima che la macchina potesse contrattaccare. L’umanoide ripetè l’azione due, tre, quattro volte, dando a Deadpool il tempo necessario di avvicinarsi al nemico.
Una volta sotto di lui, tirò indietro un guanto della tutta, scoprendo la carne sottostante: sembrava quasi completamente sprovvista di pelle e aveva numerose cicatrice sparse fino alle dita.
L’ex mercenario sorrise sotto la maschera. << Vediamo se ti piace questo, pseudo Cell. >>
<< Deadpool, no! >> esclamò Colosso, rendendosi conto di quello che l’uomo stava per fare.
Ma Deadpool sembrò non farci caso e posò la mano sulla gamba della sentinella.
Le ottiche della macchina si spalancarono per la sorpresa e dal suo volto fuoriuscì una voce metallica.
<< Adattamento in corso. Io sono Deadpool. Io sono… >>
Fu tutto quello che la Sentinella riuscì a dire, prima di crollare a terra come una marionetta a cui avevano appena staccato i fili.
<< Morto >> concluse Deadpool, con una marcata nota di umorismo nella voce.
Fu presto raggiunto dal resto della squadra, i quali si posizionarono tutti attorno al loro nemico apparentemente sconfitto.
Dopo qualche minuto in cui non accadde niente, Colosso sospirò sollevato e si voltò verso l’ex mercenario con un’espressione visibilmente scontenta.
<< È stata un’azione molto sconsiderata >> disse duramente.
Deadpool si limitò a scrollare le spalle. << Forse, ma non puoi negare i risultati, giusto? Ha speso dieci secondi nei miei panni ed è più morto di Visione! >>
<< Se l’androide fosse riuscito a replicare il tuo fattore rigenerante, anziché il cancro, saremmo stati in guai seri >> ribattè Illyana con uno sguardo impassibile.
L’ex Mercenario gemette sonoramente. << Oh, andiamo, ti costerebbe tanto fare un sorriso? Coraggio, capovolgi quel broncio in qualcosa di più… >>
Il corpo dell’uomo esplose in mille pezzi.
Il gruppo di reclute osservò incredulo il punto in cui era stato fino a pochi secondi prima. Al suo posto, comparve una scritta che recitava “Deadpool è stato eliminato”.
Subito dopo, l’immensa figura di una Sentinella molto più grande si fece strada oltre le macerie di un edificio in fiamme. Aveva un aspetto molto più meccanico rispetto alla precedente, simile a quello dei robot che potevano essere trovati negli anime o nei cartoni americani anni 80.
Illyana diede alla macchina un pollice sollevato.
<< Grazie! >> urlò, ricevendo un’occhiata scontenta dal fratello.
Subito dopo, la Sentinella cominciò a sparare verso i loro e Kurt fu costretto a teletrasportare il gruppo dietro ad un muro poco distante.
 << Penso che ci siamo persi quella più grossa >> disse l’umanoide, cercando di alleggerire l’atmosfera.
Affianco a lui, Laura sospirò stancamente.
<< Sì, l’ho notato >> borbottò, mentre prendeva una rapida occhiata alla macchina che procedeva con passo lento e marcato verso il loro nuovo nascondiglio. Al contempo, una coppia di artigli metallici le fuoriuscirono dalle nocche delle mani.
Strisciò fino a Gunha.
<< Ehi, Dragonball >> disse, attirando l’attenzione del giapponese << Coi lanci come te la cavi? >>
Il ragazzo inarcò un sopracciglio, visibilmente confuso da una simile domanda. La sua perplessità, tuttavia, mutò in eccitazione nel momento in cui comprese il significato dietro a quelle parole.
<< Le mie budella sono pronte e cariche! >> esclamò, sollevando il pugno in aria.
La mutante annuì soddisfatta e fuoriuscì dalla copertura degli edifici, presto seguita dal compagno.
<< Laura, dobbiamo lavorare insieme! >> urlò Colosso, cercando di farsi sentire nonostante il suono delle esplosioni.
La mora non si voltò nemmeno a fissarlo.
<< Sì? Allora tanti auguri >> rispose impassibile, per poi fare un cenno a Gunha << Coraggio, lancia. >>
Il caposquadra volse al subordinato uno sguardo d’avvertimento. << Gunha, non provarci nemme… >>
<< Super lancioooooooooo! >> esclamò il giapponese, mentre afferrava la mutante e la lanciava a tutta velocità verso la testa della Sentinella.
Laura proiettò le bracci in avanti…e il suo corpo trapassò da parte a parte il sistema neurale della macchina, spegnendola all’istante.
Il robot rimase sospeso in piedi per qualche secondo. Poi, crollò a terra allo stesso modo del suo compagno più piccolo.
Laura si schiantò al suolo un tonfo sordo, ma sorprendentemente non subì alcun danno degno di nota. Quando si rimise in piedi, le poche cicatrici lasciate dall’impatto avevano già cominciato a rigenerarsi.
Lanciò al gruppo un’espressione apatica.
<< Credo che la lezione sia finita >> commentò impassibile, mentre il mondo attorno a loro cominciava ad andare in pezzi.
A quel fenomeno seguì una dichiarazione da parte della stessa voce che aveva annunciato l’eliminazione di Deadpool: “Simulazione completata.”
 
                                                                                                                      * * *

Norman Osborn osservò placidamente la sagoma della New Oscorp Tower.
L’edificio si ergeva come un faro nella notte, e presto avrebbe brillanto ancor più luminoso della stella che è era la SUA New York, illuminando la via per tutta l’umanità.
Uno sbalorditivo tributo al potenziale umano…un innegabile esempio della magnificenza che erano capaci di raggiungere. Un simbolo che chiunque avrebbe potuto toccare, capace di rappresentare il sogno di ogni persona. I picchi ai quali l’umanità può aspirare…e gli immensi sacrifici che compie per esistere.
Fu quasi tentato di ringhiare quando le voci del Consiglio della Oscorp lo riportarono alla realtà.
“Giusto…sono ad una riunione” pensò, mentre distoglieva lo sguardo dalla finestra e rivolgeva la propria attenzione al resto della sala.
<< …In poche parole,  siamo nei tempi…ma oltre il budget >> terminò l’azionista che stava parlando. Joseph Gillian, se non ricordava male.  Negli ultimi anni, la sua memoria si era fatta sempre meno affidabile.
I medici gli avevano detto che la situazione sarebbe presto peggiorata…e Norman tremava al pensiero di quello che avrebbe potuto comportare.
Malgrado questo, l’uomo mise su un sorriso accomodante e cercò di non mostrare il proprio disagio. << Buone notizie, cattive notizie. Cosa possiamo fare riguardo alle ultime? >>
<< La questione è complessa >> ammise un altro azionista << I sindacati, per quanto riguarda i contratti, ci tengono per le palle. >>
<< E quanto sarebbe? >>
Le varie persone raccolte attorno al tavolo presero a scrutarlo con espressioni confuse.
Joseph fu il primo a pronunciare la frase che era sulla bocca di tutti. << Scusa, Norman…ma non ti seguo. >>
Osborn scrollò le spalle.
<< I contratti sindacali che abbiamo sottoscritto…sono solamente l’edilizia, giusto? >>
<< Stiamo ancora negoziando la parte dei servizi per quando la torre aprirà >> confermò Joseph.
A quelle parole, sul volto del miliardario andò a disegnarsi un sorriso da lupo.
<< Quindi valgono solo fino al giorno dell’apertura. E se aprissimo la torre come istituto no profit? >> chiese con tono colmo di aspettative.
Joseph sussultò, una reazione che venne presto imitata dal resto del consiglio d’amministrazione.
<< Stai dicendo di tagliare fuori i sindacati una volta che saremo operativi? Non sarà facile. Dobbiamo ottenere il benestare da parte del governo e accantonare il business plan attuale… >>
<< Fatto >> disse rapidamente Norman, mentre si alzava e riabbottonava la giacca.
Gli occhi di Joseph si spalancarono per la sorpresa e il panico misti assieme. << Aspetta un secondo, Norman. Qui stiamo parlando di milioni di dollari… >>
<< Esattamente >>ribattè freddamente il miliardario << Che il nostro rappresentante sindacale lo sappia. Vi auguro una giornata fruttuosa, signori. >>
E, detto questo, fuoriuscì dalla stanza e cominciò a incamminarsi verso il suo ufficio privato, ignorando le grida indignate del consiglio.
Una volta raggiunta la stanza, si stravaccò sulla prima sedia che gli capitò a tiro e sospirò stancamente. A volte odiava davvero questo lavoro.
C’erano stati giorni – come questo – in cui pensava che il piano di Thanos di eliminare metà del suo consiglio d’amministrazione…beh, non fosse stato poi così male. Trovava piuttosto ironico che i suoi sottoposti fossero probabilmente la più grande spina nel fianco dell’azienda.
Mentre rimuginava su ciò, nella stanza fece capolino un uomo anziano e dalla corporatura robusta, con le mani impegnate a sorreggere un mocho e un secchio ricolmo d’acqua.
<< Come andiamo, Signor Osborn?>> chiese il vecchio, ricevendo un sorriso da parte del miliardario.
<< Quante volte te l’ho detto che puoi chiamarmi Norma, Luis? >>
<< Oh…una o un centinaio, non saprei >> ammise il netturbino con una scrollata di spalle. Fatto questo, cominciò a lavare il pavimento dell’ufficio.
<< Non è mai facile chiamarla Norman, signor Osborn. È, come dire…una questione di rispetto. >>
<< E va bene >> concesse Norman << Quando ti arriva una bolletta, a chi è indirizzata? >>
<< A me >> ribattè l’altro con un ghigno << Luis Manx. >>
Il miliardario ridacchiò divertito. << Andiamo molto bene stasera, signor Manx. E lei? >>
<< Non posso lamentarmi, signor Osborn. >>
L’uomo fece scivolare il mocho lungo la superficie lucida della stanza, lo sguardo parzialmente rivolto verso la guglia che si stagliava oltre le finestre dell’ufficio. << Certo che sarà davvero qualcosa, una volta completata .>>
<< Già >> convenne Norman, sembrando quasi un padre orgoglioso pronto a sostenere i complimenti rivolti ad un figlio.
Luis ronzò contemplativo.
<< Non vedo l’ora. Potrei perfino portare i miei ragazzi. Il maschio, Charlie…la madre mi dice che in scienze va davvero bene a scuola. Quando ci va >> aggiunse tristemente.
Sul volto di Norman andò a disegnarsi un cipiglio scontento. << Marina la scuola? >>
<< Ha tredici anni. >>
<< Marina la scuola >> concluse l’uomo, mentre estraeva una busta dal cassetto della scrivania e la porgeva al bidello << Mio figlio Harry non era molto diverso, qualche anno fa. Dagli questo. >>
Luis battè le palpebre e afferrò la busta con esitazione.
<< Un piccolo incentivo >> spiegò Norman << È un invito a essere mio ospite personale all’inaugurazione Oscorp Tower se avrà almeno una B in scienze >>
<< Non doveva, Signor Osborn >> borbottò il bidello, visibilmente imbarazzato.
Norman gli sorrise. << No…ma ho scelto di farlo lo stesso. >>
E, detto questo, diede una pacca amichevole sulla spalla dell’uomo e fuoriuscì dall’ufficio, puntando verso l’ascensore più vicino.
Ad attenderlo vicino al macchinario c’era una bella donna dai folti capelli argentati, vestita con un lungo abito bianco come la neve.
Norman inarcò un sopracciglio.
<< Come mai sembri pronta per accaparrarti un uomo? >> chiese con un pizzico di divertimento, mentre entrambi entravano nell’ascensore.
<< Sei carino a notarlo, ma è solo un piccolo decolllete per palloni gonfiati privi di stile >> rispose Sable con una scrollata di spalle << Stasera c’è il gala di beneficienza dell’accademia Von Rauch. Io consegnerò la tua generosissima donazione annuale e dirò che, sebbene avresti adorato presenziare, sono intervenute delle questioni… >>
<< È quella scuola esclusiva, giusto? >> la interruppe il miliardario.
La donna lo scrutò incuriosita. << Se per esclusiva intendi che vengono accettati solamente dodici studenti ogni anno…allora sì, è esclusiva. >>
Norman annuì soddisfatto e le posò una mano sulla spalla.
<< Un nostro dipendente ha un figlio che penso meriti l’inclusione tra quei dodici. Dì al preside che lo considererei un favore personale. >>
<< Lo farò, ma gli alunni del prossimo semestre sono già stati selezionati. Uno di quei ragazzi potrebbe… >>
<< Un favore personale per il quale gli sarei molto grato >> aggiunse l’uomo con un sorriso più tirato.
Sable sospirò stancamente, ormai conscia che quella era una battaglia persa. Quando Norman Osborn si metteva in testa qualcosa…beh, non c’era verso di fargli cambiare idea. Era fatto così.
All’improvviso, nell’ascensore risuono un sonoro bip! che segnava la fine della discesa.
Le porte del macchinario si aprirono, rivelando gli interni di un immenso laboratorio. Al centro della stanza piena di marchingegni, spiccava una vasca contenente uno strano liquido ambrato. Poco distante, un uomo apparentemente impegnato a scrutare le lenti di un microscopio…sulla cui schiena spiccavano un totale di quattro appendici metalliche dalle estremità artigliate.
Norman e Saber cominciarono a camminare verso di lui.
<< Buon giorno, Otto >> salutò il Milliardario.
Octavius non si voltò nemmeno a guardarlo. <<  Buon giorno, Norman. Come stai? >>
<< Impegnato >>
<< È una cosa positiva o negativa? >>
<< È una scusa >> ribattè l’altro, mentre si avvicinava cautamente alla vasca. << Come sta il nostro piccolo esperimento? >>
A quella domanda, lo scienziato sollevò lo sguardo dalle lenti del microscopio e volse la sua più completa attenzione nei confronti del miliardario.
<< Il nostro piccolo esperimento, come lo chiami tu…è incredibile >> sussurrò, scrutando affettuosamente gli interni della vasca.
Norman rimase in silenzio e osservò attentamente il liquido ambrato.
Per un attimo non accadde niente. Poi, un’ombra rossa cominciò a farsi strada tra le sfumature dorate della vasca.
Dapprima indistinta, prese la forma di una creatura a dir poco raccapricciante. La testa era larga e piatta, con un muso allungato completo di appendici irte di denti affilate, simili a quelle di un ragno. Il corpo era interamente ricoperto da un carapace color sangue, con zampe acuminate su ogni lato.
Occhi piccoli e gialli osservarono il trio di esseri umani al di là della vasca, scrutandoli come un gatto che vedeva dei topi per la prima volta.
Norman restituì quello sguardo con una leggera inclinazione della testa.
<< Perché somiglia ad un granchio? >> domandò perplesso.
Le braccia metalliche di Octavius fremettero a mezz’aria e lo scienziato si strinse nelle spalle.
<< Penso che il DNA di alcuni crostacei si sia fuso con la testa di Ghidorah quando l’Oxigen Destroyer è detonato sott’acqua. Destoroyah sta sviluppando caratteristiche fisiologiche davvero notevoli… >>
<< Destoroyah? >> lo interruppe il miliardario, sorpreso da quel bizzarro nominativo.
Octavius sbuffò.
<< Colpa di Tanaka >> rispose sprezzante << Vuol dire distruttore in giapponese. Ha cominciato a chiamarlo così, e il resto del personale lo ha seguito a ruota. >>
<< Destoroyah… >> ripetè Osborn, e per qualche ragione trovò il nome estremamente appropriato.
La creatura rimase sospesa nella vasca, passando la testa da una persona all’altra. Poi, i suoi occhi tornarono a posarsi sul miliardario e le mascelle presero a ticchettare.
Norman ronzò contemplativo. << L’esposizione all’Oxygen Destoryer avrà delle conseguenze sulla distribuzione del prodotto? >>
<< Siamo perfettamente nei tempi previsti >> lo rassicurò Octavius.
Il miliardario sospirò sollevato. Un problema in meno di cui occuparsi.
<< Ottimo >> sussurrò, per poi poggiare una mano sul vetro della vasca.
Destoroyah reagì di conseguenza e avvicinò ulteriormente la testa alla parete della sua gabbia, fino a poggiare il muso nello stesso punto in cui si trovava la mano del miliardario. Era come se lo riconoscesse…come se sapesse di trovarsi di fronte a colui che aveva contribuito alla sua creazione.
Norman sorrise alla creatura con affetto.
<< Tu ed io, amico mio…cambieremo il mondo. >>
 
                                                                                                                                 * * *

Wanda Maximoff contemplò tristemente il corpo disteso a pochi passi da lei.
Sul letto d’ospedale, Bruce Banner sembrava quasi morto. L’occasionale alzarsi ed abbassarsi del suo petto era l’unico segno che fosse ancora vivo.
A volte le era davvero difficile pensare che questo era lo stesso uomo che solo tre anni prima era riuscito a combattere in punta di piedi con una minaccia di livello planetario.
E ora eccolo lì…in coma. Costretto a rimanere attaccato a tubi e macchinari ospedalieri…semplicemente per aver cercato di proteggerla.
Dalla battaglia contro King Ghidorah, era venuto a visitarlo praticamente ogni giorno, sperando che prima o poi lo avrebbe rivisto riaprire gli occhi…o anche solo per percepire un aumento dell’attività celebrale.
Niente. L’uomo era rimasto in questo stato per più di tre anni, e sembrava che lo sarebbe stato ancora per molto tempo.
L’entrata della Dottoressa Betty Ross la distolse da quei macabri pensieri. La donna le sorrise gentilmente e Wanda restituì il gesto con un salutò impacciato.
<< Come sta? >> chiese, facendo un cenno verso il paziente.
Il sorriso di Betty venne prontamente sostituito da un cipiglio rassegnato.
<< Nessun segno di attività celebrale dall’ultima volta che l’hai visitato >> ammise con una punta di sconforto.
Wanda schioccò la lingua e tornò a fissare intensamente la figura distesa sul letto, quasi come se stesse cercando di convincerla a svegliarsi con la forza del pensiero.
Il medico sospirò e le posò una mano confortante sulla spalla. << Non preoccuparti, Wanda. Continueremo a prendercene cura. >>
<< Sto cominciando a pensare che non dovreste >> borbottò l’altra, e questa volta il medico si ritrovò incapace di commentare
In fondo…cosa mai avrebbe potuto dire di fronte ad una simile dichiarazione?
Pure lei nutriva un profondo affetto per la persona attaccata a quei macchinari…quindi capiva molto bene come si sentiva la giovane donna.
Wanda si alzò dalla sedia e diede al paziente un rapido bacio sulla fronte.
<< Ci vediamo, Bruce >> sussurrò, per poi fuoriuscire dalla stanza.
Betty non provò a fermarla e offrì al paziente un triste sorriso.
<< Almeno hai ancora degli amici che si preoccupano per te >> commentò, accarezzandogli la guancia.
E anche se per un solo secondo…la pressione sanguinea dell’uomo aumentò.
 
 
 
 
 
Boom!
In questo capitolo hanno fatto alcuni ritorni, e un bel numero di nuovi personaggi!
Oltre a Peter, Sam e Hope, ecco a voi i Young Avengers!
Immagino che tutti ormai conoscono Deadpool, il mercenario chiacchierone, unico adulto del gruppo. Per gli altri personaggi, un po’ meno famosi, eccovi alcune informazioni.
Kurt Wagner, aka Nightcrawler, è uno dei membri più longevi degli X-Men, e in questa storia userò la sua versione più giovane da X-men Apocalypse e Dark Phoneyx.
Colosso e Illyana Rasputin (aka Magik) sono anch’essi degli X-men. Per il primo userò la versione del film X-men – Conflitto Finale, mentre per la seconda userò la versione del film New Mutants interpretata da Anya Taylor-Joy.
E poi c’è X-23, la figlia di Wolverine, diventata molto popolare grazie al film Logan. Ma questa volta, vista l’età, me la sono immaginata con il volto di Kinney Pride (Pretty Little Liars).
Infine ci sono Misaka Mikoto e Sogiita Gunha, dalla To Aru serie. Loro sono gli unici membri della squadra a provenire da un anime, e come altri personaggi della saga la loro storia è stata modificata per adattarsi alla lore MCU. Ho sempre voluto usarli entrambi una fic (insieme sono un vero spasso), e questa mi sembrava l’occasione perfetta. La loro presenza potrebbe anche influenzare storie future.
E sì…a Gunha piace fare un sacco di riferimenti alle sue interiora, per qualche ragione. Nessuno ha mai davvero capito perchè.
Non avete bisogno di conoscere tutti questi personaggi per seguire la storia, potete anche trattarli come OC.
Abbiamo anche il ritorno di Norman Osbor, Silver Sable e Octo Octavius, al momento impegnati con un progetto che i fan di Godzilla riconosceranno sicuramente. E se pensavate che Ghidorah fosse un problema…beh…*inserire risata malvagia*.
E per finire abbiamo Wanda, che da brava amica va sempre a visitare Hulk in coma. Avevo promesso che lei e Strange avrebbero avuto un bell’arco, e come promesso dal prossimo capitolo li vedremo interagire spesso!
Ho inserito anche un cameo di Betty Ross, il più importante interesse amoroso di Hulk nei fumetti, che nell’MCU è stata tristemente relegata ad un solo film.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Eccovi un nuovissimo capitolo!
Vi auguro una buona lettura...e una Buona Pasqua!




Capitolo 4

Ciò che avviene nelle centinaia di macelli che operano negli Stati Uniti è praticamente sconosciuto.
Le poche informazioni a riguardo vengono principalmente da ciò che riescono a documentare i gruppi animalisti che vi compiono incursioni clandestine. Per il resto, gli allevamenti e i mattatoi sono autentiche istituzioni totali tenute fuori dallo sguardo della società.
Ogni informazione è coperta, non c'è nemmeno la mediazione del ceto giornalistico, anch'esso bandito da simili luoghi, se non per riprese e servizi embedded che vanno a vantaggio delle aziende coinvolte nella gestione, segregazione e morte degli animali.
E chiunque detieni il controllo di questi impianti…è praticamente il re di un mondo separato.
Quindi sì,Charlie Cox – capo del mattatoio di Harpswell - amava decisamente il suo lavoro, per quanto sapesse che non gli avrebbe mai fatto guadagnare le attenzioni di una donna. Poco male, perché ormai stava attraversando quell’età in cui questioni come l’amore perdevano di qualunque significato.
Entrando nello stabilimento, l’uomo venne subito accolto dall’odore familiare di sangue secco e carne in lavorazione. Ma c’era anche…qualcos’altro. Un aroma altrettanto familiare…eppure diverso: sangue fresco.
Bill inarcò un sopracciglio.
Aveva lavorato nel mattatoio abbastanza a lungo da riconoscere la differenza tra sangue secco e quello appena versato…e non ricordava che oggi avrebbero inviato al macello un nuovo capo di bestiame.
Che se lo fosse davvero dimenticato? Forse aveva anche raggiunto quell’età in cui la mente cominciava a fare cilecca.
<< Sta arrivando della carne un po’ dura, ragazzi. Se le vostre lame sono da affilare, fatelo sapere prima di… >>
Si bloccò di colpo.
C’erano…decine di corpi distesi a terra, e a giudicare le loro condizioni erano sicuramente morti da poco. Ma non erano affatto mucche…bensì esseri umani. Più precisamente, lavoratori del mattatoio che conosceva da una vita.
<< Che diavolo? >> sussurrò, mentre li scrutava da capo a piedi. Avevano tutti i volti congelati in una maschera di orrore e sorpresa, con il ventre squarciato e i vestiti inzuppati da una sostanza rossa.
All’improvviso, un suono gracchiante risuonò alla destra di Bill.
<< Eh eh, scusa >> disse una voce che inviò un freddo brivido lungo la spina dorsale del lavoratore.
Questi si voltò di scatto…e i suoi occhi si posarono sull’esile figura di uomo dai folti capelli rossi. Nelle mani, reggeva qualcosa da cui stavano zampillando copiose quantità di sangue: una testa.
<< Avevamo fame. Tutto questo sangue…è come stare a casa >> disse lo sconosciuto, le labbra arricciate in un sorriso nostalgico.
Charlie deglutì a fatica, ma cercò di mantenere i nervi saldi e avvicinò il walkie-talkie alla bocca.
<< Sono Charlie, della macellazione. Chiunque sia in ascolto, avvertite la polizia di un intrusione >> sussurrò, sperando che questo avrebbe spaventato il mostro in pelle umano che aveva di fronte.
Cletus lo scrutò curiosamente, in silenzio, e l’uomo si ritrovò a fissare in un paio di pozzi neri ricolmi di un’oscurità primordiale. Erano gli occhi più terrificanti che avesse mai visto. Gli occhi di un serial killer.
<< Sai una cosa?>> disse lo sconosciuto, come se stesse semplicemente parlando del tempo << Non disturbarti. Lo prendo io. >>
Charlie sentì un altro brivido lungo la schiena.
<< P-prendi cosa? >> chiese con voce strozzata.
Il sorriso di Cletus si fece più grande. Al contempo, una sostanza rossa e filamentosa cominciò a ricoprire il suo corpo.
<< TUTTO! >> esclamò, mentre il mondo attorno a Charlie sembrò esplodere di rosso.

 
                                                                                                                          * * *
 
Wanda Maximoff attraversò la strada a tutta velocità, cercando di ignorare il clacson delle macchine. Era in ritardo, lo sapeva bene, ma sperava che quel giorno sarebbe riuscita a dare la colpa alla pioggia.
Raggiunto il numero 222 di Baker Street, fece un rapido movimento con le mani e la serratura del portone si sbloccò subito.
Una volta entrata, la giovane donna si guardò rapidamente attorno, cercando di non soffermarsi sugli innumerevoli manufatti e pezzi d’antiquariato presenti nel salotto.
Sembrava essere deserto.
Sospirando di sollievo, Wanda si tolse lo giacca e la posò sull’attaccapanni posto vicino all’uscio.
Girò la testa…e i suoi occhi incontrarono quelli azzurri e penetranti di Stephen Strange, seduto comodamente sull’unica poltrona presente nella stanza.
<< Sei in ritardo >> affermò con tono di fatto, e la strega dovette fare appello a tutta la forza di volontà che aveva in corpo per non roteare gli occhi.
<< E tu non sei mia madre >> ribattè impassibile, mentre puliva le scarpe sul tappetino per la pioggia.
L’uomo si limitò a sorridergli.
<< Sono il tuo maestro >> disse con una scrollata di spalle << Credimi, è praticamente la stessa cosa. >>
Questa volta, la donna si ritrovò incapace di trattenere uno sbuffo. << Cercherò di essere più puntuale. Contento? >>
<< Wanda… >>
<< Allora, che cosa mi insegnerai oggi? Qualche nuova evocazione? >> chiese come se non lo avesse sentito.
Lo stregone sospirò stancamente. << Wanda… >>
<< Forse qualche trasmigrazione? >> continuò, per poi arricciare il volto in una smorfia << Ti prego, non dirmi che dovrò fare altra meditazione. L’ultima volta ci è mancato poco che distruggessi la casa. >>
<< E io ti sono grato per averla lasciata intatta…per lo più >> aggiunse, ricevendo in cambio un rossore imbarazzato << Ma non è di questo che voglio parlarti. >>
Si alzò dalla poltrona, e subito un mantello scarlatto si materializzo alle sue spalle, avvolgendolo come una coperta. Poi, camminò fino a lei e prese a scrutarla con un espressione molto seria.
<< Sono il tuo maestro da quasi tre anni, ormai… >> cominciò con un tono di voce che suonava stranamente solenne << E in questo tempo ti sei certamente dimostrata un’apprendista degna delle mie attenzioni >>
Wanda sbuffò un’altra volta, senza però nascondere un sorrisetto divertito. << Degna delle tue attenzioni? Sul serio? >>
<< Non interrompermi >>
<< Sì, sensei >> ribattè con sarcasmo.
Sul volto dello stregone andò a dipingersi un cipiglio irritato, ma solo per qualche secondo.
Prese un respiro profondo e continuò: << Come stavo dicendo…ti sei dimostrata un allieva a cui valga la pena insegnare. Tuttavia, negli ultimi mesi non ho potuto fare a meno di notare un certo…peggioramento per così dire. >>
La strega corrucciò la fronte.
<< Oh, andiamo. Dimmi una sola volta in cui ho mostrato “segni di peggioramento” >> disse con tono di sfida.
Stephen non si lasciò certo intimidire e incrociò ambe le braccia davanti al petto.
<< Questa è già la settima volta che arrivi in ritardo a lezione >> rispose impassibile.
La donna schioccò la lingua. << è solo un periodo stressante… >>
<< Ho percepito diversi picchi di magia caotica provenire dal tuo appartamento. >>
<< Probabilmente avevo un raffreddore >> ribattè con un gesto sprezzante della mano.
A quel punto, l’espressione sul volto di Strange si fece molto più cupa. Wanda ne fu subito intimorita, ma cercò di mantenere un atteggiamento risoluto.
Non era più una ragazza alle prime armi. Non si sarebbe lasciata intimidire dall’uomo che negli ultimi tre anni le aveva insegnato tutto quello che sapeva…
Quando quella consapevolezza la raggiunse, ecco che il cuore cominciò a batterle molto più in fretta. Forse avrebbe dovuto prendere questa conversazione un po’ più seriamente…almeno per ora.
<< Ho dovuto cancellare tre volte la memoria dei tuoi inquilini >> continuò Strange, avvicinandosi ulteriormente a lei << Stanno avendo incubi, Wanda. I TUOI incubi.  Ci è mancato poco che uno di loro si buttasse dal cornicione del palazzo. >>
Wanda distolse lo sguardo, sembrando molto più vulnerabile.
Lo sguardo di Stephen si addolcì.
<< Quindi te lo chiedo di nuovo: c’è qualcosa che vorresti dirmi? >> chiese con un tono di voce più gentile, mentre le prendeva delicatamente una mano.
Wanda deglutì silenziosamente.
Era tipico dell’uomo passare dalla modalità insegnante a quella di confidente senza nemmeno darle il tempo di registrare la cosa. Ancora oggi non sapeva se lo facesse per destabilizzarla o semplicemente perché aveva una bassa comprensione delle interazioni sociali. Vista la sua personalità, avrebbe optato per la seconda ipotesi.
La strega prese un respiro profondo e tornò a fissarlo dritto negli occhi.
<< Ho solo una strana sensazione, tutto qui >> rispose in un modo che sperava fosse convincente << Mi sento…come se stia per accadere qualcosa di terribile. E credo che la mia magia lo percepisca… >>
Si fermò di colpo e scosse la testa. << Probabilmente sono solo paranoica. Ci stiamo avvicinando a quel periodo dell’anno, no? >>
<< Quale periodo? >> chiese Strange, visibilmente confuso.
Wanda arricciò le labbra in un sorriso ironico.
<< La festa del papà. Sai, genitori morti e tutto il resto…Ho una bella vagonata di ricordi traumatici che aspettano solo di farsi sentire >> spiegò con una scrollata di spalle.
Strange sbuffò. << Oh, ci sono passato. I padri possono essere difficili. >>
<< Avevi problemi col tuo? >>
<< Mi ha trasmesso un tick ereditario. E per tick intendo “whisky” >> aggiunse con un sorrisetto, per poi avvolgere le braccia attorno all’esile figura della donna << Buona festa del papà, Wanda. >>
<< Anche a te, caro >> borbottò lei, sorridendo nella sua veste blu.
Si separarono e rimasero in un confortevole silenzio per qualche secondo.
Poi, con grande sorpresa di Wanda, l’uomo si porse in avanti e cominciò a scrutarla in volto.
<< Ehm…Che stai facendo? >> chiese, cercando di trattenere un altro rossore imbarazzato.
Se era consapevole del suo disagio, lo stregone non lo diede a vedere. Semplicemente sollevò un dito e lo fece oscillare da destra a sinistra davanti al viso della donna.
<< Solo qualche piccolo esame >> rispose, e la strega si sentì invadere da una sensazione di sollievo…mista a qualcos’altro. Sembrava quasi delusione, ma scacciò subito il pensiero con uno schiaffo mentale.
<< A volte dimentico che sei un dottore >> borbottò, mentre l’uomo le tastava le palpebre.
Fatto questo, si tirò indietro e disse: << Come chirurgo praticante da quasi trent’anni…beh, mi ritengo profondamente offeso. >>
<< La prossima volta sarò più delicata >> ribattè l’altra con un ghigno << Il verdetto? >>
Stephen le afferrò il polso e mise due dita sulla vene principale.
<< Pupille dilatate, occhiaie, battito accelerato…mostri i chiari segni di una persona che ha bisogno di dormire di più >> disse dopo qualche attimo di silenzio.
La strega inarcò un sopracciglio. << Wow, non ci sarei mai arrivata. La tariffa è detraibile dalle tasse? >>
<< Solo per gli amici… >>
L’uomo non ebbe la possibilità di terminare la frase.
Un forte trillo, simile ad un allarme, cominciò a risuonare per tutta la lunghezza del salotto, sorprendendo la coppia.
Al contempo, il pavimento al centro della stanza si aprì…e cominciò a fuoriuscirne qualcosa. Una specie di enorme mappamondo in legno, sopra cui spiccavano milioni…no…miliardi di piccole luce dorate.
E sulla zona che corrispondeva allo stato del Maine, in Nord America…un bagliore scarlatto.
<< Che succede? >> chiese Wanda, mentre si avvicinavano al mappamondo.
Stephen non rispose e cominciò a scrutare attentamente la spia luminosa sull’oggetto.
<< Qualcosa di anormale >> sussurrò, il volto ora contratto da un cipiglio preoccupato.
Fece alcuni rapidi movimenti con le mani, e presto una serie di rune dorate prese a volteggiare al di sopra della lucina.
Rimasero lì per un po’, fino a quando il loro colore non cominciò a passare da un giallo acceso ad un rosso intenso.
<< Questo…non va affatto bene >> borbottò lo stregone, per poi lanciare un’occhiata laterale verso Wanda << Lo percepisci anche tu, non è vero? >>
<< Un picco di energia molto forte >> confermò la donna << E…familiare. >>
MOLTO familiare, in realtà. Per certi versi…sembrava quasi la sua firma magica. C’erano alcune sottili differenze, certo…ma erano sorprendentemente poche.
Stephen le aveva spiegato che la magia di ogni individuo era unica, come una sorta di impronta digitale. Allora perché stava percependo un potere che pareva quasi una replica esatta del suo?
Si voltò verso lo stregone. << Da dove proviene? >>
Strange chiuse gli occhi per concentrarsi.
<< Harpswell >> rispose dopo qualche attimo di silenzio, e gli occhi di Wanda si spalancarono per la sorpresa.
<< La città natale di Carol? >>
<< Proprio quella >> confermò il suo insegnante, portandosi una mano al mento con fare pensieroso.
La strega lo scrutò incerta.
<< Dovremmo avvertirla? Penso che li ci abiti ancora il fratello. >>
<< No, si è trasferito in Florida l’anno scorso >> ribattè l’altro << Non penso che dovremmo disturbarla…probabilmente? >>
<< Probabilmente? >> chiese lei, con un cipiglio poco convinto.
Stephen si limitò a sorriderle. << Sono ottimista sulla nostra capacità di occuparci della cosa in solitaria. >>
Per un attimo, la donna credette di aver capito male.
<< Lavorerò sul campo? >> chiese, sperando di non mostrare la propria eccitazione ad una simile prospettiva.
Lo stregone supremo annui, e per poco Wanda non lanciò uno strillo acuto.
<< Sarà la tua prima missione ufficiale come strega addestrata alle arti mistiche >> confermò il suo insegnante, mentre evocava un portale << Ti conviene non farmi sfigurare. >>
<< Per quello non hai bisogno del mio aiuto >> ribattè la strega con un sorriso impertinente, per poi lanciargli un bacio fantasma. E prima che Strange potesse fare qualsiasi cosa, si lanciò nel portale con un balzo.
L’Avenger rimase immobile, interdetto, non del tutto sicuro di come avrebbe dovuto reagire alle azioni dell’allieva. Al contempo, le pieghe del suo mantello sembrarono ondeggiare in modo suggestivo, e l’uomo dovette reprimere uno sbuffo.
<< Oh, sta zitto >> borbottò, mentre attraversava il cerchio sospeso a mezz’aria. Sperava solo che questa missione si sarebbe rivelata meno complicata di quanto si aspettasse.

                                                                                                                             * * *
 
A Laura Logan non era mai piaciuto il lavoro di squadra. Anche durante i primi addestramenti sottoposto dall’Hydra - quando era ancora solo un piccolo clone di uno dei superumani più pericolosi e sfuggenti in circolazione – non era mai riuscita ad andare d’accordo con i membri del suo team…e per la maggior parte delle volte aveva pure finito con l’ucciderli durante un allenamento.
Il fatto che ora fosse stata inserita nel programma Avengers non aveva minimamente influenzato questo aspetto.
Quindi sì, Laura Kinney odiava il gioco di squadra, ma da quando era entrata nel programma aveva fatto del suo meglio per rispettare le sue normative. Lo doveva a LUI. La persona che l’aveva salvata…che le aveva fatto conoscere suo padre…colui che l’aveva sostenuta da quando l’avevano strappata dall’Hydra.
Laura Logan odiava il gioco di squadra…ma per lui l’avrebbe sopportato. Tuttavia, questa determinazione non rendeva gli allenamenti meno irritanti, specialmente a causa del suo team leader.
Mentre usciva dalla Stanza del Pericolo, qualcuno la afferrò per la spalla.
Voltandosi, la mutante si ritrovò a fissare il cipiglio scontento di Colosso.
<< Laura, non puoi continuare ad agire di testa tua >> la rimproverò il ragazzo << A che serve allenarci per lavorare come una Squadra, se non coinvolgi mai il resto del team? >>
La mora si limitò a scrollare le spalle. << Il nostro compito è quello di frenare le minacce nel minor tempo possibile. Ho visto un’opportunità e l’ho colta, non c’era tempo per discuterne con la squadra. >>
Inutile dire che quella risposta non sembrò fare per nulla piacere al ragazzo.
<< Questo tuo atteggiamento potrebbe costarti la vita >> ribattè duramente, ed ecco che l’espressione sul volto di Laura si fece molto più attenta.
<< è una minaccia? >> sussurrò cupamente.
Gli occhi di Piotr si spalancarono per la sorpresa.
<< Cosa? No, certo che no! >> esclamò indignato << Sto solo cercando di aiutarti! >>
<< Il pensiero è apprezzato, ma non richiesto >> disse l’altra, liberandosi dalla presa del compagno. Prima che potesse allontanarsi, però, questi la afferrò per un braccio.
<< Non abbiamo ancora finito >> disse, il corpo ora parzialmente ricoperto di lucido metallo argentato.
Laura strinse gli occhi in un paio di linee sottili.
<< Io penso di sì >> sibilò, mentre dalle nocche delle mani cominciarono a protrarsi una coppia di artigli.
Poco distante da loro, il resto della squadra cominciò a scrutarli a disagio.
<< La tensione tra le loro budella è palpabile >> sussurrò Gunha, e questa volta Mikoto non ebbe il coraggio di rimproverarlo per il commento.
Alzò le mani in segno di resa e fece per avvicinarsi alla coppia. << Ragazzi, andiamo, non c’è bisogno di combattere… >>
<< Io dico che dovremmo scommettere >> disse improvvisamente Illyana, e per poco la giapponese non inciampò per la sorpesa.
Affianco alla bionda, Deadpool tirò fuori alcune banconote dalla tasca della tuta. << 20 dollari sulla gattina. >>
<< Ci sto >> acconsentì la mutante, le labbra arricciate in un sorriso predatorio.
Mikoto sospirò stancamente.
<< Vi odio >> borbottò, mentre Laura e Piotr sembravano ormai a un passo dal colpirsi.
Fortunatamente per l’eroina, Peter scelse proprio quel momento per mettere piede nel corridoio.
I suoi occhi si spalancarono allarmati nell’istante in cui vide quello che stava per succedere.
<< Whoa, whoa, whao! >> si intromise l’Avenger, frapponendosi in mezzo alla coppia << Dove ci troviamo? In un film di Sergio Leone? >>
Incrociò ambe le braccia davanti al petto e passò lo sguardo da una recluta all’altra.
<< I combattimenti al di fuori della Stanza del Pericolo sono severamente vietati, ormai dovreste saperlo >> rimproverò duramente.
L’espressione sul volto di Colosso si fece improvvisamente castigata.
<< Mi dispiace, signore >> borbottò, assumendo la posizione tipica di un soldato al cospetto di un suo superiore << Non succederà più. >>
<< Non chiamarmi signore, mi fa sentire vecchio >> ribattè Peter << E Laura… >>
Si voltò verso la mora
<< so che non sei abituata a stare con altre persone. Ma non potresti almeno PROVARE ad andare d’accordo con i tuoi compagni di squadra? >>
La postura della mutante passò da risoluta a sottomessa, tanto in fretta da sorprendere non poco il resto del team.
<< Finchè mi lasciano in pace, non avranno problemi >> borbottò, senza mai incontrare gli occhi dell’Avenger.
Il resto delle reclute sbatterono le palpebre all’unisono.
Non avevano mai visto Laura comportarsi in quel modo. Sembrava quasi una scolaretta alla presenza della sua cotta adolescenziali.
<< Non ci credo >> sussurrò Deadpool, ma una rapida occhiataccia da parte della mutante lo costrinse a chiudere bocca. L’ultima cosa che voleva, dopotutto, era farsi infilzare ancora da quei suoi artigli in adamantio. Poteva essere un’esperienza alquanto dolorosa!
Ignaro di quello che stava succedendo, Peter annuì soddisfatto.
<< Bene, era quello che volevo sentire. Ora andatevi a cambiare >> ordinò con un sorriso << Ottimo lavoro nella simulazione, a proposito. >>
Le reclute borbottarono dei ringraziamenti e cominciarono ad allontanarsi.
<< Non tu, Colosso >> aggiunse il vigilante, rivolto al caposquadra << Ho bisogno di parlarti. >>
Piotr si bloccò di colpo e passò brevemente lo sguardo dall’arrampica muri alla squadra in ritirata.
Era evidente che l’idea di stare da solo con un superiore non gli sembrava molto esaltante. “Comprensibile, considerato il suo breve background militare.”
Peter si appoggiò alla parete, assumendo una posizione rilassata.
<< Allora…come sta andando la tua… >>
<< La simulazione è stata un disastro, non è vero? >> lo interruppe il mutante.
L’arrampicamuri trasalì.
<< Poteva andare meglio >> rispose, confermando i sospetti del ragazzo.
Questi sospirò stancamente, il volto contratto da un cipiglio rassegnato.
<< Sapevo che non sarebbe stato facile fare il caposquadra…ma questo? Nessuno di loro mi rispetta. Non vogliono seguire gli ordini, sono spericolati e non si fermano mai a pensare >> borbottò, stringendo le mani in pugni serrati.
Peter gli diede una stretta confortante alla spalla, inviandogli un sorriso comprensivo. << Capisco la tua frustrazione. Ma devi anche renderti conto che qui non stai addestrando dei soldati…ma eroi. Persone che non dovrebbero essere semplici macchine da guerra scelte per uccidere. >>
<< Lo so! >> esclamò Colosso.
Rendendosi conto di aver appena urlato ad un suo superiore, prese un paio di respiri calmanti.
<< Lo so >> ripetè con tono più tranquillo << Vorrei solo che mi dessero ascolto. >>
Peter prese a scrutarlo con simpatia.
<< Pensi davvero che Capitan America non abbia mai avuto problemi a guidare gli Avengers? >> domandò con un sorrisetto.
In tutta risposta, il mutante gli lanciò un’occhiata visibilmente scettica. << Capitan America in difficoltà? Ora stai cercando di addolcirmi la pillola. >>
L’Avenger ridacchiò.
<< Fidati di me, dalle storie che mi ha raccontato Wilson…beh, mi sorprende che non avesse ancora perso i capelli durante il nostro primo incontro >> disse con un roteare degli occhi.
Notando l’espressione ancora poco convinta della recluta, decise di cambiare tattica. 
<< Il punto è…nessuno nasce leader >> continuò seriamente << Un capo diventa tale solo dopo molte prove ed errori. >>
Colosso inarcò un sopracciglio. << Ma così rischia di mettere in pericolo la vita di quelli che sono sotto il suo comando. >>
<< Ecco perché vi abbiamo fatto cominciare con le simulazioni >> confermò Peter << Non siete ancora pronti per uno scontro sul campo…ma avete il potenziale per esserlo. >>
Piotr rimase in silenzio e abbassò lo sguardo, apparentemente impegnato a contemplare le parole dell’Avenger.
Dopo quasi un minuto buono, tornò a fissare il superiore dritto negli occhi, il volto ora segnato da un’espressione molto più fiduciosa.
<< Farò in modo che lo siano >> disse con determinazione.
L’arrampica-muri sorrise e gli diede una pacca sulla spalla. << Ho fiducia che ci riuscirai >>
<< Grazie…signore. >>
<< Ugh, non chiamarmi signore… >>
 
                                                                                                                                * * *
 
Una volta superato lo strato più basso dell’atmosfera, Carol cominciò a rallentare.
La discesa procedette dolcemente fino al punto d’atterraggio, una larga piazza contornata da edifici che parevano essere stati prelevati direttamente dalle pagine di un libro di storia romana. A sostenerli erano immense colonne alte decine di metri e avvolte da bellissime spire dorate che parevano quasi il corpo di un serpente.
Ad attenderla vi era un gruppo di individui dall’aspetto vagamente umano. Unica differenza era la pelle bianca quasi quanto un osso e le orecchie a punti che spiccavano ai lati della testa.
Uno di loro – che sembrava molto più giovane rispetto agli altri - si fece avanti e offrì alla donna un rispettoso inchino.
<< Saluti a voi, Capitan Marvel>> disse con un tono di voce che Carol trovò stranamente rassicurante << Io sono Metphis, Gran Sacerdote del pianeta Exif. >>
Alzò lo sguardo, e la bionda si ritrovò a fissare un paio di occhi verdi quanto l’erba stessa. << è un vero piacere poter incontrare colei che ha scelto di mettere in pericolo la propria vita per salvare il mio popolo. Rendiamo onore alla vostra vittoria! >>
<< Onore a Capitan Marvel! Onore alla dea della vittoria! >> esclamarono gli altri alieni raccolti.
L’Avenger li scrutò confusa.
<< Dea della vittoria? >> chiese rivolta verso Metphis.
L’alieno le sorrise. << Siamo un popolo molto religioso >>
<< Sì, questo lo vedo >> borbottò Carol, notando il modo con cui erano vestiti. Sembravano quasi dei monaci terrestri.
Cominciò a guardarsi attorno e il suo sguardo si soffermò brevemente sulle enormi spire dorate che adornavano ogni colonna degli edifici presenti.
<< Ed esattamente…che dio venerate? >> domandò incuriosita. Forse una qualche divinità dalle sembianze di un serpente?
Metphis scosse la testa. << Noi non pronunciamo mai il suo nome agli estranei. Prima devono guadagnarsi il diritto di ascoltarlo. >>
<< Tipo con una prova? >>
<< Qualcosa del genere >> rispose l’Exif con un sorriso misterioso.
Le fece cenno di seguirla e il resto degli alieni si misero da parte per lasciare loro campo libero.
Quando raggiunsero dei giardini, Carol vide alcuni bambini raccolti di fronte ad un Exif anziano, apparentemente impegnati in una qualche lezione.
<< Confesso di non aver mai sentito parlare del vostro pianeta >> disse dopo qualche attimo di silenzio. E vista la ricchezza e la pace di cui questo mondo sembrava vantare, trovò la cosa piuttosto strana.
Affianco a lei, Metphis continuò a sorridere senza alcuna preoccupazione.
<< La nostra posizione nell’orlo esterno ci ha nascosti per molto tempo alla vista delle altre razze >> spiegò pazientemente << Ma da quando abbiamo appreso dell’esistenza di altri mondi, molti secoli fa, ci siamo impegnati a diffondere la parola del nostro dio alle altre civiltà. >>
<< E come sta andando? >>
<< Molto bene, in realtà. Decine di mondi hanno già deciso di unirsi al nostro gregge, e molti altri sono in arrivo >> continuò l’alieno con entusiasmo << Sareste interessata a farvi parte? >>
La donna gli offrì un sorriso di scusa. << Temo di avere già troppe cose a cui pensare. >>
Metphis ridacchio.
<< La chiamata può raggiungerci in modi misteriosi >> disse, come se stesse pronunciando un vecchio insegnamento.
“Si comporta decisamente come un prete” pensò la bionda. Non si era mai considerata una tipa molto religiosa, soprattutto da quando aveva lasciato la Terra…ma non poteva negare quanto l’universo l’avesse sorpresa nel corso degli anni. E se esistevano oggetti come le Pietre dell’Infinito, capaci di alterare la realtà stessa, o entità come Pennywise…chi poteva dire quali altri misteriosi esseri si nascondessero nelle profondità dello spazio? Forse là fuori c’era davvero un Dio onnipotente che osservava lo svolgersi degli eventi cosmici con rispettosa neutralità, limitandosi a guidare le civiltà che invocavano il suo aiuto.
Quale fosse la verità, Carol avrebbe tranquillamente lasciato a qualcun altro il compito di scoprirla.
<< Signorina Marvel… >> disse all’improvviso Metphis, distogliendola da quei pensieri << Non posso davvero esprimere quanto vi sia grato per il vostro aiuto. Exif è un pianeta pacifico, e non siamo abituati alla guerra. Il vostro intervento ha probabilmente salvato milioni di vite…forse la nostra stessa cultura. >>
La donna gli sorrise amichevolmente. << Ho solo fatto quello che chiunque altro avrebbe dovuto fare nella mia stessa situazione. Dico davvero. >>
A quelle parole, lo sguardo dell’alieno venne attraversato da uno strano luccichio.
<< Siete sicuramente una donna di buon cuore e sani principi >> disse con tono sinceramente ammirato << Ditemi, sareste disposta a partecipare ad un banchetto che abbiamo preparato per voi? Un modo per ringraziarvi del vostro aiuto.>>
Carol riflettè sulla questione.
Aveva chiesto loro qualcosa da mettere sotto i denti…e in fondo era da molto tempo che non partecipava ad una festa. Questi Exif sembravano un popolo abbastanza tranquillo, sicuramente i loro banchetti non sarebbero stati troppo impegnativi.
Giunta a questa conclusione, offrì all’alieno un sorriso grato. << Ne sarei onorata. >>
<< Allora seguitemi >> disse Metphis << Penso che abbiate bisogno di un bagno. >>
La donna fece per controbattere, ma dopo aver dato una rapida annusata alla tuta si rese conto che l’Exif aveva un punto.
Sospirò mentalmente.
Uno degli svantaggi di volare nello spazio? L’impossibilità di usare tute traspiranti.

                                                                                                                      * * *
 
C’erano giorni in cui Mike Donovan si era ritrovato a contemplare l’idea di trasferirsi in una grande città. Essere lo sceriffo di una piccola cittadina come Harpswell sarebbe stato il sogno di molti agenti…ma dopo da qualche anno, la mente dell’uomo aveva cominciato a vagare verso nuovi orizzonti. E non solo perché voleva abbandonare la vita di campagna…ma perché sinceramente questo posto gli aveva sempre dato i brividi.
Se solo avesse scelto di non ignorare quei timori…beh, probabilmente non si sarebbe trovato in questa situazione.
Con l’uniforme sudata e coperta di sangue, l’uomo incespicò nel giardino di casa e spalancò la porta con un calcio.
<< Anna! Anna! >> urlò a gran voce, mentre irrompeva nella cucina come una bestia spaventata.
Sua moglie – una rossa sulla quarantina dalla tipica bellezza provinciale – si voltò sorpresa.
<< Che ti prende, tesoro? >>domandò perplessa, e i suoi occhi si spalancarono per la paura nel momento in cui vide le chiazze rosse sui vestiti del marito.
Questi fece per risponderle…ma si bloccò nel momento in cui vide dove si trovava la donna.
<< Allontanati dal lavandino! >> ordinò, afferrandola per le spalle e tirandola via dall’acqua che scorreva sui piatti.
Anna piagnucolò.
<< Mi stai spaventando… >>
<< Arriva attraverso i tubi! È… oddio, dov’è Ollie? >> sussurrò Mike, guardandosi rapidamente attorno.
Anna lo scrutò perplessa. << Sta…sta facendo il bagnetto alla piccola. >>
Gli occhi dell’uomo si spalancarono febbrili.
<< No! >> urlò, per poi lanciarsi verso le scale che conducevano al piano superiore.
La moglie gli gridò qualcosa da dietro, ma Mike non le prestò ascoltò e si lanciò con prepotenza nel bagno che confinava con la camera dei figli.
Quando entrò nella stanza…dovette fare appello a tutto l’autocontrollo che aveva in corpo per non buttarsi fuori dalla finestra più vicina.
I suoi figli erano entrambi lì, nella vasca…e con i corpi quasi interamente coperti da una strana sostanza filamentosa, rossa come il sangue che aveva sulla divisa.
<< Papà…aiutami… >> piagnucolò il più grande, mentre un paio di lenti bianche gli ricoprivano gli occhi. Subito dopo, la “cosa” che aveva preso il posto del bambino arricciò una bocca zannuta in un sorriso grottesco.
<< Aiutami! >> gracchio con una voce che non apparteneva più a suo figlio. E prima che l’uomo potesse anche solo cercare di elaborare ciò che era successo…la creatura si lanciò verso di lui con la bocca spalancata.





Boom!
Cletus sta sicuramente facendo un po' di macelli ad Harpswell, ma cosa lo guida? E perchè Wanda e Stephen hanno percepito un picco di energia caotica proprio nello stesso posto in cui ha deciso di recarsi? Parlando di loro, spero che abbiate apprezzato lo scambio è il rapporto mentore/allieva che ho costruito per i due. Dopo quello che Wanda ha passato a causa di Ghidorah, aveva sicuramente bisogno di un po' di aiuto.
Nel mentre, Carol prende contatto con gli Exif e Peter comincia ad affrontare i grattacapi di essere uno dei Leader dei Vendicatori. E non c'è niente di peggio che occuparsi delle nuove reclute...


 

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Eccovi un nuovissimo capitolo.
Non voglio rovinarvi niente…quindi vi auguro solo una buona lettura!

 
 

Capitolo 5
 
La notte prime...

Un lampo illuminò le tombe del cimitero di New York.

Un bagliore etereo che squarciò l’oscurità della notte con la stessa intensità di un raggio di sole, a cui presto seguirono torrenziali fiumi di pioggia autunnale.
La terra macchiata dal puzzo dei cadaveri cominciò a bagnarsi e a rilasciare una fragranza di humus, carne in decomposizione e fertilizzante.
E fu qualche ora dopo quel primo lampo…che la base di una delle tombe cominciò a muoversi. Dapprima con movimenti incerti, poi con sempre maggiore foga.
Delle sagome allungate, simili a vermi, emersero dal terreno umido e si levarono verso il cielo. Non erano serpenti o millepiedi…erano dita umane…attaccate a una mano umana, e questa a un polso, il polso a…
Emerse una figura coperta di fango e di detriti.
Gli occhi erano spalancati, vitrei e scintillanti di nuova vita. Sconvolta dalla realtà circostante, si guardò intorno nella notte di tempesta.
La pioggia battente lavò via gran parte del fango dal suo volto e dai suoi arti: era un uomo.
Bagnato e sotto shock, spalancò la bocca… e ululò al cielo.
 
                                                                                                                            * * *
 
La vita, alcuni sostengono, è una serie di problemi. Non si può negare la verità di quest’affermazione…ma perchè perdercisi?
Perché non elevarsi al di sopra della verità…e fare una bella vita? Non dovremmo tutti vedere i problemi come un’opportunità che abbiamo di trovare…soluzioni?
Era questo a cui pensava Norman Osborn, mentre osservava alcuni ologrammi sospesi di fronte a lui. Partivano tutti direttamente dalla sua scrivania…e raffiguravano diverse immagini dei Vendicatori impegnati nelle azioni più disparate. Salvare civili, combattere criminali, affrontare disastri naturali e altro ancora.
In particolare, i freddi occhi del magnante sembravano particolarmente interessati ad un certo arrampica-muri. Quasi come se stessero cercando di leggergli dentro…
DRIIIIIIIN!
Il telefono sulla scrivania del miliardario cominciò a suonare.
L’uomo sospirò stancamente e accettò la chiamata subito dopo aver visto l’emittente.
<< Otto…dammi buone notizie. >>
<< Signor Osborn… >> cominciò lo scienziato dall’altra parte della linea << i test hanno dato risultati più promettenti del previsto. Le confermo che saremo pronti per la presentazione di domani. >>
A quelle parole, un sorriso predatorio andò a dipingersi sul volto del magnante.
<< Questa è una notizia meravigliosa, Otto. Sapevo di poter contare su di te >> si complimentò, per poi chiudere la chiamata.
I suoi occhi tornarono a posarsi sulle immagini di fronte a lui.
<< Tutti gli uomini sono creati uguali >> sussurrò, incurante del fatto che nessuno fosse lì per ascoltarlo << Ma voi non siete uomini. Eppure, loro vi hanno eletto ad eroi. A campioni del popolo…e vi venerano. Quindi, ditemi…quale redenzione gli offrite? >>
Sollevò una mano e la tenne sospesa sull’ologramma di Spider-Man. << Quando io vi guardo, vedo qualcosa che nessun uomo comune potrà mai essere. Vedo la fine. La fine del nostro potenziale. La fine delle nostre conquiste. La fine dei nostri sogni. >>
Chiuse la mano a pugno, gli occhi attraversati da un lampo indecifrabile.
<< Voi siete il mio incubo. Ma anche quando fisso voi, l’abisso…non ho paura. Credetemi, non ne ho. Perché qualsiasi cosa abbiate voi…io ho di più. Io ho speranza. >>

                                                                                                                          * * *
 
Mentre addentava un pezzo della sua pietanza, gli occhi di Carol vagarono nella sala da pranzo del tempio: era sorprendentemente grande, non certo quello che si era aspettata da un luogo religioso.
Ma ciò che la sorprese davvero…fu quanto fosse tranquilla. Nessuna musica, nessun chiacchiericcio... i suoi occupanti erano incredibilmente silenziosi.
In generale, questo pianeta era decisamente pacifico.
Aveva giusto fatto una panoramica della capitale poche ore prima, e non aveva visto neanche un accenno di crimini o violenza. Le persone si limitavano a chiacchierare tra loro e passeggiare senza alcuna preoccupazione del mondo, inconsapevoli di essere appena scampati ad una guerra.
Era stata una visione idilliaca…e inquietante al tempo stesso.
All’improvviso, la voce di Metphis riecheggiò affianco a lei, distogliendola da quei pensieri.
<< Il cibo è di vostro gradimenti, signorina Marvel? >>
La donna sussultò e offrì all’alieno un sorriso educato.
<< È tutto molto buono >> rispose gentilmente<< E per favore, chiamami pure Carol. Signorina Marvel è troppo formale >>
<< Come desideri…Carol. In questo caso, ti do il permesso di chiamarmi semplicemente Metphis. >>
La bionda annuì grata e fece un’altra panoramica della stanza.
<< Questo mondo sembra essere così pacifico >> osservò con tono disinvolto.
Metphis si limitò a congiungere ambe le mani di fronte a sé. << È merito della nostra fede. Laddove altre razze usano guerra e conflitti per arricchirsi, noi abbiamo scelto di abbandonare il nostro attaccamento ai beni materiali per perseguire uno scopo molto più nobile: diffondere un messaggio di pace e speranza sotto l’occhio vigile del nostro Dio. Unire l’universo in un unico gregge, senza distinzioni di razza o cultura. >>
Carol ronzò contemplativa e bevve dal suo bicchiere.
<< Lo confesso, sono un po’ sorpresa che una civiltà avanzata come la vostra si affidi ancora alla Religione >> ammise dopo qualche attimo di silenzio << Quasi tutti i pianeti che ho visitato hanno abbandonato concetti come divinità e fede da molto tempo. >>
 << Non mi sorprende. Dopotutto, sono in molti a credere che la religione, la magia e la superstizione vadano di pari passo. >>
L’alieno afferrò il suo bicchiere e ne sorseggiò il contenuto. << Tuttavia…noi Exif riteniamo che la scienza e la magia siano la medesima cosa. Agiscono solo su lunghezze d’onda diverse. >>
<< Cosa intendi? >> chiese la donna, sinceramente incuriosita.
Sul volto dell’alieno andò a disegnarsi un sorriso misterioso.
<< Vedila in questo modo: molti parlano di Dio come se fosse occulto o superstizione, perché la loro scienza non è abbastanza avanzata per comprenderlo. Ma per noi Exif, l’esistenza di Dio è una semplice conclusione matematica, ottenuta attraverso una tecnologia chiamata Calcolo di Gematron che ci ha permesso di contattare esseri di dimensioni più elevate. >>
Sollevò ambe le mani in direzione del soffitto.
<< Abbiamo cercato per anni di comunicare con questi esseri, fino a quando uno di loro non ha scelto di prendere contatto con noi e accoglierci nella sua luce >> continuò con voce solenne << I suoi insegnamenti hanno permesso alla nostra razza di comprendere la verità dell’universo e progredire verso campi che non avremmo mai immaginato. >>
Detto questo, tornò a scrutare Carol con un sorriso accomodante. << Come alcune razze si affidano alla strategia e alle tattiche, noi Exif ci siamo sempre affidati al nostro Dio per protezione. >>
<< Eppure sono quella che è venuta a salvarvi >> ribattè lei con un ghigno divertito.
Aveva inteso quella frase come uno scherzo, ma se ne pentì nel momento in cui l’espressione sul volto dell’Exif si fece improvvisamente cupa.
<< Recentemente il nostro dio è stato coinvolto in una battaglia che lo ha costretto a riposo >> sussurrò stancamente << Non siamo così ingenui da credere che sia onnipotente, ma siamo fiduciosi della sua forza e della sua saggezza. Abbiamo aspettato tre anni per il suo recupero…e penso che presto sarà pronto per riprendere la sua opera. >>
Volse alla donna un sorriso molto più affilato. << Potevamo solo attendere…che i tempi fossero maturi per il raccolto. >>
Carol fece per chiedergli a cosa si riferisse…ma si bloccò.
Sentì un’improvvisa fitta alla testa, a cui seguì un’accelerazione del suo battito cardiaco.
Dapprima pensò che fosse solo un contraccolpo dell’arma che avevano usato su di lei ore prima…ma presto venne invasa da una strana sensazione di nausea, unita ad un forte mal di stomaco.
Si portò una mano alla fronte.
<< Va tutto bene, Carol? >>
<< Sì, io… >>
La donna si bloccò nell’istante in cui i suoi occhi notarono il placido sorriso dell’Exif. Non sembrava per nulla preoccupato del suo stato di salute…anzi.
Una sensazione di spiacevole anticipazione cominciò a farsi strada dentro di lei.
Sentì un’altra fitta e si piegò in avanti, trattenendo un coniato di vomito. Poi, il suo sguardo si posò sul bicchiere di fronte a lei.
La bionda sollevò lentamente lo sguardo verso Metphis.
<< Cosa…cosa avete messo nel mio bicchiere? >> sussurrò con voce strozzata.
In tutta risposta, l’Exif si limitò a inviargli un altro dei suoi sorrisi imperscrutabili.
Carol si sentì invadere da un terribile presentimento.
Fece per alzarsi…ma non riuscì nemmeno a compiere un passo. Il suo corpo crollò pesantemente a terra, ma nessuno degli alieni presenti fece alcun tentativo di aiutarla. Semplicemente continuarono a mangiare come se non fosse successo nulla.
Solo Metphis si chinò per controllare il suo stato e le posò una mano sulla guancia.
<< Presto, Carol…tutto sarà rivelato.>>
 
                                                                                                                           * * *
 
La tangenziale che conduceva ad Harpswell fu temporaneamente illuminata da un bagliore dorato. Seguì il silenzio, come se il mondo intero si fosse improvvisamente bloccato nel tempo.
Nessun suono di uccelli, né il rumore delle foglie degli alberi che strusciavano l’una sull’altra. Assolutamente niente…zero assoluto.
Strange si guardò attorno e i suoi occhi si posarono sul cartello stradale che segnava il confine della cittadina.
<< Uhmmmm…c’è qualcosa di strano >> borbottò, attirando l’attenzione di Wanda.
<< Che cosa? >>
<< Avevo impostato il portale per aprirsi in una zona disabitata all’interno della città, invece siamo proprio al confine >> spiegò con un cipiglio.
Wanda scrollò le spalle e fece per superare il cartello. << Significa solo che stai diventando vecchio… >>
Non ebbe la possibilità di terminare la frase.
Sbattè contro qualcosa di invisibile, e subito l’aria di fronte alla coppia si illuminò di un rosso intenso. La strega venne sbalzata all’indietro e ricadde pesantemente sulla schiena, gemendo per il dolore.
Strange le si avvicinò con passo disinvolto e la scrutò dall’alto in basso. << Tutto bene? >>
<< Ugh, sì…credo? >> borbottò l’altra, mentre si rialzava a fatica.
Cominciò a tastarsi il volto, ma con suo grande sollievo non trovò niente fuori posto.
<< Ok, penso di non essermi rotta niente >> disse, per poi volgere lo sguardo verso le increspature scarlatte che ogni tanto attraversavano il vuoto dell’aria.
Strange fece lo stesso e inarcò un sopracciglio.
<< Beh…questa è nuova >> borbottò, mentre si avvicinava cautamente al fenomeno.
Allungò una mano…e le sue dita entrarono in contatto con qualcosa di solido.
Percepì una lieve scossa sui polpastrelli. Non abbastanza forte da fargli male, ma si sentì comunque attraversare da una specie di brivido.
Fu come toccare un maglione pieno di energia statica.
<< Che cos’è? >> chiese Wanda, imitando le azioni dell’insegnante << Una specie di barriera? >>
Lo Stregone Supremo strinse gli occhi e prese ad osservare attentamente quella forza invisibile.
<< Dammi un secondo >> disse, per poi sollevarsi in aria con un semplice movimento delle mani.
Continuò a salire e la donna rimase a terra, le braccia incrociate e un cipiglio annoiato.
Seguì una specie di lampo, ed ecco che la barriera tornò visibile ancora una volta. Wanda si sentì quasi attirata dal suo bagliore scarlatto, ma scelse di rimanere immobile e aspettò pazientemente il ritorno di Stange.
L’uomo atterrò di fronte a lei e scosse la testa.
<< Non è solo una barriera…è una cupola. E si estende su tutta la città >> spiegò cupamente << Ed è fatta di magia del caos. >>
Volse nuovamente lo sguardo in direzione del fenomeno. << Una molto potente… quasi quanto la tua. >>
Gli occhi di Wanda si spalancarono per la sorpresa.
Negli ultimi anni, Strange le aveva spiegato per filo e per segno l’origine dei suoi poteri.
Dopo un viaggio a ritroso nei suoi ricordi, lo Stregone era giunto alla conclusione che le abilità della ragazza non erano state semplicemente influenzate dagli esperimenti che l’Hydra aveva compiuto su di lei…ma erano il risultato di una forza che era rimasta dormiente nella donna fin da quando era bambina: poteri magici.
La Gemma della Mente si era limitata ad amplificarli, conferendo ad una giovane Wanda delle abilità mistiche che andavano ben oltre quelle di un qualunque praticante delle arti mistiche.
Il fatto che questa barriera fosse stata creata da qualcuno capace di eguagliare quel potere…beh, era a dir poco preoccupante.
<< Cosa potrebbe averla generata? >> domandò perplessa.
Strange si strinse nelle spalle.
<< Oh, molte cose. Uno stregone molto dotato…o una strega… >> aggiunse con una rapida occhiata rivolta alla sua allieva << Un demone…o qualcosa di peggio. Ma non è questo di cui dovremmo preoccuparci. >>
<< Ah, no? >> ribattè l’altra, sarcastica.
Lo sguardo sul volto dello Stregone divenne molto serio. << No, la cosa che dovremmo davvero chiederci è…per quale motivo è stata creata? >>
“In effetti è una preoccupazione valida” pensò la rossa, mentre scrutava guardinga quello strano campo di forza.
<< Qualche idea? >> chiese, e il suo insegnante scosse la testa.
<< Al momento nessuna. Per capirlo saremo costretti ad entrare nel ventre della bestia >> rispose con tono di finalità.
Wanda picchiettò la barriera con un dito. << Pensi di poter aprire un varco per vedere cosa c’è dentro? >>
<< Da solo? Ne dubito. >>
Un sorriso andò a dipingersi sul volto dell’uomo. << Ma insieme? Ci vorrà un po’, ma penso che ne saremo in grado. >>
La strega restituì il gesto ed entrambi sollevarono ambe le mani verso la barriera.
<< Pronta? >> chiese Strage.
Wanda annuì determinata.
<< Sempre >> sussurrò, il volto contratto da un’espressione concentrata.
Lo stregone prese un respiro profondo.
<< Iniziamo… >>
 
 
Nel frattempo

Nella periferia di Harpswell, Cletus Kasady sedeva tranquillamente sullo stipite di una piccola abitazione.
Ad affiancarlo…una coppia di anziani le cui espressioni non avevano nulla da invidiare a quelle dei personaggi di un film horror sul punto di essere divorati dal mostro di turno.
Il Serial Killer sollevò lo sguardo in direzione della volta celeste.
<< Dunque è così che i burattini umani passano il pomeriggio, eh? >> borbottò a se stesso << Seduti tutto il giorno a guardare il tempo che passa. Più difficile di quanto sembra però, no? E vuoi sapere il perché, Martha? >>
Si voltò verso la donna e questa piagnucolò come un cucciolo spaventato.
 << Perché sono il solo che spinge questo maledetto dondolo! >>
<< Mi…mi dispiace… >>
<< Troppo tardi. Mi è venuta sete >> ringhiò Cletus << Martha, perché non vai a prendermi un’altra limonata? >>
La donna si alzò in fretta e furia e corse rapidamente in casa. Suo marito tentò di seguirla, ma Cletus lo spinse di nuovo sul dondolo.
<< Tu no. Siedi nel tuo schifo >> sibilò il Serial Killer.
Entrambi rimasero in silenzio, mentre il supercriminale contemplava le nubi che passavano sopra l’abitazione.
All’improvviso, un bagliore rosso si palesò nei cieli della città, facendo calare una tonalità scarlatta per alcuni secondi.
Cletus strinse gli occhi.
<< Hmmmm…a quanto pare paparino sta per andare al lavoro >> commentò, le labbra arricciate in un sorriso zannuto.
Fu in quel momento che Martha tornò con un bicchiere.
<< E-ecco la limonata >> balbettò, visibilmente impaurita.
Il Serial Killer non perse tempo e buttò giù la bevanda tutta d’un fiato. Fatto questo, lanciò alla vecchietta un ghigno agghiacciante.
<< Martha, tira fuori il servizio da tè. Credo che avremo ospiti nel pomeriggio! >>
 
                                                                                                                                 * * *

Le reclute del programma Avengers si erano riunite nella sala ristoro della base.
Attualmente sedevano tutte attorno ad un tavolo circondato da poltrone in pelle nera, incuranti del televisore acceso sulla parete opposta della stanza.
I loro occhi erano completamente concentrati su Deadpool, l’unico tra loro che indossava ancora il suo costume.
<< Ok, aprite bene le orecchie, perché non la ripeterò due volte >> esordì il mercenario << Allora... c'è un messicano che arriva al confine in bicicletta con due grossi sacchi in spalla. Dice alla guardia di frontiera che i sacchi sono pieni di sabbia, ma la guardia non gli crede. La guardia trattiene il tipo, poi squarcia i sacchi…niente! Solo sabbia. Fa persino analizzare la sabbia... ma si scopre che è solo sabbia. E il sacco è un vecchio sacco come tanti. Due giorni dopo la cosa si ripete. E poi ancora, dopo altri due giorni. Ogni volta il tipo sulla bicicletta non trasporta che sabbia. Continua così per sette anni. La guardia di confine diventa matta... Ma matta sul serio. Finisce per perdere il lavoro. Un giorno rintraccia il messicano e gli fa: "Non sono più una guardia di frontiera, ma c'è una cosa che devo sapere… cos'è che contrabbandi? Perché lo so che contrabbandi qualcosa." Il tipo gli sorride e gli fa: "Biciclette, imbecille!">>
Il gruppo di reclute scoppiò a ridere, e perfino Laura si ritrovò incapace di trattenere un sorriso appena accennato. Potevano dire quello che volevano sul mercenario chiacchierone, ma sicuramente sapeva come ravvivare l’atmosfera.
<< Ok, devo ammetterlo, era abbastanza buona >> ammise Illyana, dopo essersi calmata. Fatto questo, lanciò un’occhiata laterale in direzione del fratello. << Sicuramente meglio di quelle che faceva Piotr quando eravamo nel campo. C’erano volte in cui speravo che una delle guardie mi sparasse. >>
<< Non è colpa mia se non capisci l’umorismo militare >> ribattè questi con una scrollata di spalle.
La bionda alzò gli occhi al cielo.
<< Quello non era umorismo militare, ma il deterrente perfetto per farti prendere a schiaffi da una donna >> ribattè con un ghigno, e questa volta il gruppo scoppio a ridere a spese del mutante.
Il ragazzo arrossì imbarazzato e Kurt cominciò a pattargli la spalla.
<< Non preoccuparti, Piotr, sono sicuro che con le donne avrai più fortuna di me >> disse con un sorriso rassicurante, per poi assumere un’espressione apparentemente pensierosa << Non che ci voglia molto…quindi potresti ancora morire single. >>
<< Oh, andiamo, non dire così >> si intromise Mikoto, dandogli un pugnetto amichevole sul fianco << Chi rinuncerebbe mai a queste adorabili orecchie a punta? Legolas non ha nulla su di te. >>
<< E neanche i puffi >> aggiunse Illyana, ricevendo un’occhiataccia da parte dell’electormaster.
Kurt, invece, si limitò a scrutarla con uno sguardo impassibile.
<< Ah ah, molto divertente >> borbottò con voce priva di emozioni << Ma almeno io non gioco ancora con gli amici immaginari. >>
<< Ti ho già detto che Lock non è immaginario, per chi mi hai preso? >> ribattè stizzita << È solo molto timido! >>
In risposta a quelle parole, Deadpool si portò un dito alla tempia e simulò lo scoppio di una pistola, suscitando un’altra risata ad opera di Kurt e Mikoto. Illyana strinse i denti e sembrò sul punto di attaccarlo, ma ecco che Gunha le posò una mano sulla schiena con fare rassicurante.
<< Amici miei, non dovremmo mettere in discussione le convinzioni di una nostra compagna di squadra. Ci vogliono molte budella per andare contro le convinzioni della società e battersi per ciò in cui si crede >> disse con un tono di voce stranamente solenne.
Il gruppo di reclute strabuzzò gli occhi, come se non potessero credere a ciò che avevano appena sentito. Illyiana, in particolare, cominciò a scrutare il giapponese con un luccichio curioso.
<< È sorprendentemente maturo da parte tua, Gunha >> disse con un sorriso d’apprezzamento.
Il giovane mutante incrociò ambe le braccia davanti al petto.
<< Posso essere maturo quanto chiunque altro! >> esclamò orgoglioso << Scelgo solo di non lasciare che l’oscurità di questo mondo abbia la meglio sul mio fegato. >>
Deadpool annuì lentamente. << Parole forti. Parole forti di un ragazzo molto strano. >>
<< Ha parlato il cadavere ambulante >> borbottò Mikoto, mentre lanciava al mercenario un’occhiata incerta. Sembrava improvvisamente a disagio con l’intera conversazione.
<< Scusa la domanda…>> cominciò lentamente << ma…sei davvero morto? Voglio dire, non ho mai chiesto dove hai ottenuto quei poteri, ma…>>
<< Nah... è solo cancro! Il mio corpo ne è pieno! >> esclamò l’uomo mascherato con tono scherzoso.
Il gruppo di adolescenti trasalì all’unisono, ma questi non sembrò farci caso e continuò a parlare.
<< Mi offrii volontario per il programma Arma X, sperando che potessero trovare una cura. I medici mi iniettarono il DNA superguarente di un montato canadese dalla faccia idiota. >>
Il suo sguardo vagò verso Laura, ma solo per un secondo.
La mutante non disse nulla, ma internamente sapeva a chi si stesse riferendo l’ex mercenario. Oltre a loro due, c’era solo un’altra persona che possedeva un fattore rigenerante tanto potente…qualcuno a cui la ragazza era profondamente legata. Non solo emotivamente, ma anche dal punto di vista genetico.
<<  Il problema è che anche il mio cancro sviluppò un suo fattore rigenerante…>> riprese Deapool << e da allora combatte una battaglia continua con le mie cellule sane...che mi costringe a vivere in un'infinita agonia! >>
<< Per questo ha dato i numeri e hai cominciato a parlare con te stesso?>> chiese Colosso, cercando di disinnescare l’atmosfera cupa che aveva iniziato a calare nella stanza.
Le lenti della maschera di Deadpool si spalancarono come piatti. << Cosa?! Ma io non sono pazzo! Ho solo una fervida immaginazione, tutto qui. >>
Mikoto, Illyana e Kurt lo guardarono con scetticismo e l’ex mercenario si mosse a disagio sulla sedia.
<< Dico sul serio! A volte, non sempre ovviamente, ma a volte, io... vedo come delle cose. Ho delle visioni. Immagini distorte della realtà. Oh, non è una cosa fissa. Ma il ragazzo dietro la tenda, cioè il mio editor, dice non più di due per capitolo.>>
Il resto delle reclute non rispose e cominciarono a scrutarsi l’un l’altro con espressioni stranite.
<< Dovremmo cambiare argomento >> disse all’improvviso Kurt, interrompendo la quiete di quel momento.
Mikoto annuì d’accordo. << Buona idea. Penso che, visto che ora siamo reclute ufficiali del programma Avengers…dovremmo avere dei nomi? >>
Laura rilasciò uno sbuffo sprezzante.
<< È davvero necessario? >> domandò cupamente, e Gunha le inviò un sorriso eccitato.
<< Tutti i supereroi hanno nomi che usano per tenere separata la loro identità civile da quella con cui combattono il crimine, è la tradizione! >> esclamò con tono pratico.
Mikoto annuì in segno d’apprezzamento. << Wade e Piotr hanno già il loro, no? Perché dovremmo essere da meno? Io vorrei chiamarmi Railgun. >>
<< Railgun? >> borbottò Illyana << Che razza di nome è? >>
In tutta risposta, la giapponese tirò fuori dalla tasca una piccola moneta d’argento e la fece roteare sopra di sé.
<< Railgun >> cominciò, usando il tono tipico di un insegnante che si preparava a spiegare qualcosa di molto importante << Noto anche come “cannone elettromagnetico”. Una bocca da fuoco completamente elettrica che spara un proiettile conduttivo lungo una coppia di barre di metallo, usando gli stessi principi di un Motore omopolare.  Penso che mi si addica. >>
Gunha si portò una mano al mento e prese a strofinarselo con aria pensierosa.
<< Uhmmmm…potrei farmi chiamare One Punch Man! >>
<< Fallo è chiederò un ordine restrittivo per te >> ribattè Mikoto con uno sguardo impassibile.
Il mutante la scrutò perplessa. << Ehm…Viviamo nello stesso appartamento. >>
<< Un motivo in più per non tentare la sorte >> disse l’altra con un sorriso che inviò un brivido lungo la spina dorsale del ragazzo.
Ad uno spettatore esterno sarebbero quasi potuti passare per una giovane coppia, ma la natura della loro relazione era assai diversa.
Misaka Mikoto e Sogiita Gunha erano praticamente fratelli. Avevano vissuto insieme da quando avevo cinque anni, costretti a subire gli stessi malsani esperimenti dell’Hydra, sostenendosi a vicenda e superando anche le situazioni più crudeli e disperate grazie alla forza del loro spirito.
Peter non era rimasto particolarmente sorpreso quando gli avevano chiesto di condividere lo stesso appartamento.
Per quanto Mikoto sembrasse infastidita dalle azioni del ragazzo, ormai lo considerava parte della sua famiglia più di chiunque altro. Era tutto ciò che gli restava di una vita che aveva ormai dimenticato.
Gunha lo sapeva…ma non per questo avrebbe tentato la sorte dopo quell’avvertimento. L’electromaster poteva essere piuttosto spaventosa!
<< In questo caso…che ne dite di Attack Crash? >> propose lentamente << Trovo che sia un nome pieno di budella. >>
<< Non male >> commentò Piotr << Potente, ma non arrogante, e spiega bene quello che fai. >>
Mikoto annuì d’accordo e si voltò verso Kurt.
<< E tu? >> chiese con un sorriso gentile.
Il mutante dalla pelle blu cominciò a strofinarsi la testa con aria imbarazzata. << Beh, quando facevo combattimenti in Germania mi avevano dato un soprannome: l’Incredibile Nightcrawler! Per quanto preferirei dimenticare quel periodo della mia vita, trovo che sia abbastanza fico. >>
<< Per la gioia dei fan! >> esclamò Deadpool, ricevendo strane occhiate dal resto della squadra. Ignorandoli, l’ex mercenario si voltò verso Illyana.
<< E tu, Mrs vita e anima? Non vuoi unirti alla squadra dei fenomeni di baraccone? >> chiese con tono sornione.
La bionda lo fissò impassibile per quasi un minuto buono.
<< Magik >> disse all’improvviso << Sarà questo il mio nome. >>
Piotr inarcò un sopracciglio. << Magik? Tutto qui? >>
<< Magik >> confermò la ragazza, stiracchiandosi sul divano.
Deadpool si strinse nelle spalle e volse la propria attenzione nei confronti di Laura. << Manchi solo tu, raggio di sole… >>
<< Tutto questo è stupido >> lo interruppe la mutante con tono sprezzante << Perché mai dovrei volermi crearmi un nome da supereroe? Non ho intenzione di tenere separata la mia vita civile da quella di Avenger >>
<< Perché non sai mai quando potresti svegliarti un giorno e scegliere di andare al parco senza essere sommerso da ondate di fan >> si intromise una voce familiare alle spalle del gruppo.
Gli Avengers in allenamento si voltarono di scatto e videro Peter Parker entrare nella stanza.
<< Signore! >> esclamò subito Colosso, mettendosi in piedi con un balzo.
Peter simulò un saluto militare.
<< Riposo, reclute! >> disse con un tono di voce pesantemente accentato << Non sono venuto per interrompere la vostra pausa. Al contrario, sono qui per unirmi a voi! >>
Senza dare loro il tempo di controbattere, saltò sul divano e si mise proprio accanto a Laura e Illyana. Poi, afferrò alcune patatine dalla ciotola, inconsapevole del rossore sul volto della mora.
Nel mentre, l’appena nominata Magik lo scrutò con un sorriso impertinente. << Ai superiori non dovrebbe essere vietato fraternizzare con i sottoposti? >>
<< E perdermi le barzellette di Deadpool? >> ribattè l’arrampica-muri << Ogni tanto anche il mio cervello ha bisogno di svago. >>
<< Owwww, Spidey, sapevo che in fondo mi volevi bene! >> esclamò il mercenario, allargando le braccia e preparandosi a balzare sull’Avenger. Questi si limitò a sollevare la mano destra e sparò una ragnatela in faccia all’uomo.
<< Non fare il mollusco >> borbottò, mentre questi cercava di togliersi la sostanza appiccicosa.
Mikoto sospirò felice. << Era ora che qualcuno lo facesse. Avrei voluto farlo io… >>
Si fermò nell’istante in cui i suoi occhi notarono qualcosa sullo schermo della tv ancora acceso.
Gunha la seguì con lo sguardo.
<< Oh, stanno parlando di nuovo di quel tizio. Com’è che si chiama? Norman, qualcosa… >>
<< Alza il volume! >> esclamò Mikoto, con gli occhi che le brillavano.
Sorpreso, il ragazzo afferrò il telecomando e fece come richiesto.
<< Norman Osborn ha annunciato un incontro stampa che si svolgerà in contemporanea con l’inaugurazione della nuova Oscorp Tower >> disse la Reporter che stava presentando il servizio << Per chi non lo sapesse, la New Oscorp Tower fungerà da principale centro di ricerca degli impianti Oscorp. Una vera e propria guglia della scienza realizzata dopo quasi tre anni di lavori… >>
<< Sugoiiii >> sussurrò Mikoto << Un intero edificio completamente dedicato al perseguimento dell’innovazione e alla scoperta dei misteri del nostro universo. Un vero tributo alla scienza! Il Signor Osborn è davvero fantastico. >>
<< Qualcuno ha una cotta per un certo miliardario? >> chiese Illyana con tono innocente.
La giapponese strabuzzò gli occhi.
<< Cosa?! Baka! N-non ho una cotta per lui!>> ribattè indignata, mentre alcune scintille si protraevano dal suo corpo << Sono solo una fan della scienza, tutto qui! >>
<< Neeeeeeerd! >> esclamò Deadpool, e il resto della squadra scoppiò a ridere ancora una volta. Solo Peter rimase completamente in silenzio, lo sguardo fisso in direzione del televisore, e la cosa non passò certo inosservata agli occhi di Colosso.
<< Signore…c’è qualche problema? >> chiese preoccupato.
Il vigilante sembrò risvegliarsi da un sogno molto vivido.
<< Uh? Oh, non è niente, Piotr >> rispose con tono rassicurante. Poi, il suo sguardo si posò ancora una volta sul volto sorridente di Osborn, e lì vi rimase bloccato.
<< Assolutamente niente >> sussurrò.
I vari membri del team si lanciarono occhiate incerte. E
ra piuttosto insolito vedere il loro “insegnante” così serio…e quasi sempre accadeva quando qualcosa lo preoccupava profondamente.
Lui e Norman Osborn avevano per caso dei trascorsi?
Prima che qualcuno di loro potesse chiederglielo, un telefono cominciò a suonare dalla tasca del vigilante.
Questi fece loro segno di aspettare e lesse il nome della persona che lo stava chiamando.
“Phil Douson…la guardia che controlla l’entrata principale della base?”
Peter aveva dato a tutti i lavoratori del posto il suo numero, da utilizzare esclusivamente durante le emergenze. Se uno di loro aveva scelto di chiamarlo personalmente…doveva trattarsi di una questione piuttosto urgente.
L’Avenger accettò la chiamata e si portò il dispositivo all’orecchio.
<< Buongiorno, Phil. Come può aiutarti il tuo amichevole Spider-Man di quartire…>>
<< Signore...è successa una cosa all’entrata della base >> lo interruppe la guardia, con un tono di voce che mise subito l’arrampica-muri in allarme.
<< Ovvero? >> chiese con un restringimento degli occhi.
Dall’altra parte della linea, Philip sembrò esitare.
<< Io…non sono sicuro di come spiegarlo…ma deve assolutamente venire qui >> insistette con urgenza.
Peter inarcò un sopracciglio. << Io…va bene, arrivo subito. >>
Mise giù la chiamata, il volto ora contratto da un’espressione preoccupata.
<< Che succede? >> chiese Mikoto, e il vigilante le lanciò un’occhiata seria.
<< Non ne sono sicuro…ma tenetevi pronti, potremmo essere sotto attacco >> disse con tono d’avvertimento.
Le varie reclute lo scrutarono sorpresi, prima di assumere una posizione pronta al combattimento. Se qualcuno aveva davvero osato attaccare la base dei Vendicatori... poteva voler dire solo due cose: o si trattava di qualcuno particolarmente stupido…o di particolarmente forte.
Personalmente, tutti loro speravano che si trattasse della prima.
Rapidamente, il vigilante indossò la sua maschera da Spiderman e cominciò a correre verso l’entrata dell’edificio, seguito dal resto delle reclute.
Quando raggiunsero la destinazione, tuttavia, scoprirono che la zona non mostrava alcun segno di battaglia o di essere sotto assedio. Le uniche persone presenti erano una delle guardie della base…e un uomo coperto da un asciugamano, sporco di terra dalla testa ai piedi.
Peter strinse gli occhi.
<< Ma che… >> sussurrò, proprio mentre lo sconosciuto si voltava.
Le lenti di Spider-Man si spalancarono come piatti nel momento in cui l’identità di quella persona si palesò di fronte a lui.
<< Tony?! >>
 
 
 
 

 
Boom!
Ebbene sì: Tony Stark, aka Ironman…è tornato in vita. Era lui la persona che è uscita dalla tomba a inizio capitolo, e ha vagato per un bel po’ fino a raggiungere la base degli Avengers (la cosa sarà approfondita nel prossimo capitolo).
E che cosa starà facendo Carnage nella cittadina? Com’è riuscito ad ergere quella barriera, visto che non ha mai avuto poteri magici? E cosa vorranno gli Exif da Carol?
Per il prossimo aggiornamento…aspettatevi qualche ritorno.
Piccola nota a parte: “Sugoi” vuol dire “incredibile/fantastico” in giapponese, mentre “Baka” vuol dire “stupido” nella stessa lingua.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Ecco un nuovissimo capitolo un po’ più lungo del solito, quindi spero davvero che l’attesa verrà ripagata!
Vi auguro una buona lettura ;)




Capitolo 6
 
Peter Parker si era sempre considerato una persona ottimista, fin da quando era solo un bambino vittima di bullissimo. 
Nonostante il mondo fosse pieno di sofferenza, egli credeva fermamente che fosse anche pieno della possibilità di combattere quella sofferenza e vincere. Il suo ottimismo quindi non si basava sull'assenza del male, ma sulla lieta sicurezza della preponderanza del bene, della buona volontà nel cooperare sempre verso quel bene…e che il bene sarebbe sempre riuscito ad averla vinta.
Tuttavia, c’erano anche aspetti negativi della vita che Peter non aveva mai cercato di affrontare. Primo su tutti…la Morte. Era diventata una costante della sua vita, una finalità a cui era impossibile opporsi.
E come avrebbe potuto considerarla altrimenti? Aveva perso i suoi genitori quando aveva soli tre anni…suo zio a causa di una scelta sbagliata…e per finire, il suo mentore e amico, lo stesso uomo che gli aveva dato i mezzi necessari per diventare un eroe e fare la differenza.
A Peter era servito almeno un anno per accettare la scomparsa di Tony Stark, e aveva ringraziato ogni girono da allora il fatto che Carol lo avesse aiutato a superarla. Ora, tutto quello che aveva cercato di dimenticare e sopprimere gli era stato brutalmente sparato in faccia con la stessa intensità di una palla di cannone.
Tony Stark si era presentato quella sera di fronte alle porte della base Avengers. Un evento apparentemente impossibile, un completo disfacimento delle sue convinzioni…eppure era accaduto.
E in verità…Peter non sapeva proprio se avrebbe dovuto sentirsi felice, euforico…o diffidente. Perché sì, Peter Parker era sempre stato una persona ottimista…ma quando si trattava della morte, perfino lui avrebbe avuto difficoltà ad accettare un miracolo. Ma in cuor suo, sperava davvero che questo miracolo fosse reale.
Mentre rimuginava su ciò, le porte del corridoio si spalancarono di scatto. Ad attraversarle fu una persone che Peter riconobbe all’istante: una donna di mezza età e dai folti capelli rossi raccolti in una coda di cavallo, vestita interamente di bianco.
Costei era Pepper Potts: il CEO delle Stark Industries, la più grande finanziatrice del programma Avengers…ed ex moglie di Tony Stark.
Camminò verso di lui con passo marcato e l’arrampica-muri non potè fare a meno di agitarsi sulla punta dei talloni.
<< Pepper >> la salutò nervosamente.
<< Peter >> rispose la donna, scrutandolo con uno sguardo che avrebbe fatto rabbrividire anche il più risoluto degli uomini  << Dov’è? >>
<< Pepper, non penso che sia una buona idea… >>
<< Dov’è? >> ripetè la rossa, e il tono che usò fu abbastanza duro da far rabbrividire lo stesso Spider-Man.
Il vigilante sospirò e la guidò fino all’estremità opposta del corridoio, proprio di fronte ad una vetrata semitrasparente.
Dall’altra parte, seduto sul letto dell’infermeria…un uomo che la donna non avrebbe mai potuto dimenticare. Se ne stava lì, il volto abbassato verso il pavimento, come se fosse in uno stato di profonda contemplazione.
Pepper rimase a scrutarlo per quasi un minuto buono, in completo silenzio.
<< È lui? >> chiese all’improvviso con un filo di voce.
Peter esitò a rispondere.
<< Ho fatto tutte le scansioni che mi sono venute in mente. Non è uno skrull, né sembra essere una sorta di clone, un LMD…è umano al 100% >> ammise stancamente << Penso…penso che pottrebbe essere davvero lui. >>
La donna non disse nulla e continuò a fissarlo per quello che sembrò un tempo interminabile. E prima che il vigilante potesse fare qualsiasi cosa…aprì di scatto la porta ed entrò nella stanza.
Gli occhi di Peter si spalancarono per la sorpresa e il panico misti assieme.
<< Pepper, aspetta… >>
Ma la rossa non lo ascoltò e procedette spedita verso il letto d’ospedale.
L’Avenger sospirò stancamente e schioccò la lingua.
<< Maledizione >> mormorò, mentre correva dietro alla magnante.
Sentendoli entrare, l’uomo sollevò lo sguardo…e i suoi occhi si spalancarono per il riconoscimento.
Pepper non vacillò nemmeno un istante e camminò fino a lui, fermandosi a soli pochi centimetri dal lettino. Peter rimase dietro di lei, scegliendo saggiamente di non interferire con quello che sarebbe successo di lì a poco.
Nel frattempo, l’uomo deglutì a fatica e prese un respiro profondo.
<< Pepper, io… >>
<< Quando è avvenuto il nostro primo bacio? >> lo interruppe la donna, stringendo ambe gli occhi in un paio di linee sottili.
Il presunto Stark sbattè le palpebre un paio di volte, ma non sembrò troppo sorpreso da una simile domanda.
<< Ah, il vecchio trucchetto del “dimmi solo una cosa che il vero Tony potrebbe sapere”. Mi sembra giusto >> borbottò, annuendo a se stesso.
Pepper non disse nulla e si limitò ad incrociare le braccia davanti al petto, fissandolo in attesa con uno sguardo impassibile.
L’uomo sembrò appassire sotto il bagliore di quegli occhi glaciali e prese un altro respiro.
<< Il nostro primo bacio…è avvenuto sul tetto di un condominio di Brookling, dopo la battaglia con Vanko. E l’ho fatto per impedirti di licenziarti…e per un paio di altre cose >> aggiunse con un piccolo sorriso << è stato tutto molto romantico. >>
A quelle parole, l’espressione sul volto di Pepper cominciò lentamente a mutare.
Il suo sguardo iniziò a perdere la sua freddezza, a cui seguirono occhi pieni di speranza o paura misti assieme. Era quasi come se non potesse credere a quello che aveva appena sentito…o che avesse paura ad accettarlo.
Come se avesse paura…che tutto questo fosse solo un sogno, oppure lo scherzo crudele di una qualche entità sconosciuta.
Allungò una mano…e le sue dita entrarono in contatto con il volto del marito.
<< O mio Dio >> sussurrò, mentre si chinava in avanti.
L’uomo fece per dire qualcosa, ma la rossa non glie ne diede la possibilità. Si lanciò contro di lui e lo avvolse tra le braccia, stringendolo a sé.
<< Sei tu…sei davvero tu >> singhiozzò, mentre calde lacrime cominciarono a scivolarle lungo le guance.
Esitante, Tony allungò le braccia attorno a lei e sorrise teneramente.
<< Sono a casa, tesoro >> disse con tono scherzoso, e Pepper si ritrovò incapace di trattenere una risata acquosa.
<< Vedo che non sei cambiato molto. >>
<< Pensavi davvero che otto anni nel Valhalla sarebbero riusciti a contenermi? >> ribattè l’altro con un ghigno impertinente.
Gli occhi di Peter si spalancarono per la sorpresa.
<< Valhalla? >> sbottò, attirando l’attenzione della coppia << Lei è finito nel Valhalla? >>
Pepper sembrò registrare le parole del marito e lo fissò con lo sguardo tipico di qualcuno che richiedeva una spiegazione immediata.
L’Ex Avenger sospirò stancamente.
<< Penso di aver bisogno di bere qualcosa >> borbottò, prima di volgere al suo allievo un sorriso teso << Abbiamo…beh, molte cose di cui discutere.  >>

 

In una stanza adiacente - separati solo da una vetrata semi-trasparente - il resto delle reclute del programma Avengers aveva osservato silenziosamente lo svolgersi degli eventi.
<< Non ci posso credere >> sussurrò Mikoto, con gli occhi che le brillavano << è davvero lui! Tony Stark…Iron man! Il salvatore della Terra! Avenger, genio, miliardario, playboy, filantropo… >>
<< Creatore di Ultron >> aggiunse Deadpool, ricevendo un’occhiataccia da parte degli altri membri del team << Che c’è? Dai, scommetto che anche Illiyana lo stava pensando! >>
L’electromaster scelse di non degnarlo con una risposta e continuò a scrutare l’infermeria con uno sguardo pieno di curiosità e ammirazione. << Come pensate che sia riuscito a…beh, ecco… >>
<< Tornare in vita? >> offrì Kurt.
L’espressione sul volto di Mikoto si fece improvvisamente molto incerta.
<< Non sappiamo ancora se sia tornato in vita! Voglio dire…la morte è una delle poche cose certe della vita, no? Potrebbe essersi semplicemente clonato e, non lo so…aver impiantato i propri ricordi nel suo clone? Di solito nei film funziona così… >>
Questa volta, fu Deadpool a lanciarle un’occhiata stranita.
<< Non pensavo lo che avrei mai detto, ma…devi vivere più ancorata alla realtà, Biri Biri. >>
<< Ti ho detto di non chiamarmi così >> ringhiò la giapponese, mentre alcune scintille si protraevano dal suo corpo.
L’ex mercenario si limitò a roteare gli occhi e volse la propria attenzione nei confronti di Laura.
<< Tu cosa ne pensi, ragazza arrabbiata? >> chiese con tono sornione.
La mutante rimase in silenzio per un po’, lo sguardo fisso in direzione di Stark.
<< Non mi fido di lui >> fu la sua fredda risposta.
Colosso inarcò un sopracciglio.
<< Tu non ti fidi di nessuno >> ribattè con tono impassibile, ma la ragazza si limitò a scrollare le spalle.
L’uomo sospirò stancamente. << Riesci almeno a sentire cosa dicono? >>
La mora strinse gli occhi e scosse la testa.
<< Le vetrate sono troppo spesse >> borbottò scontenta.
Illyana si portò un dito al mento e cominciò a picchiettarselo. Poi, spalancò gli occhi per l’apparente realizzazione.
<< Aspettate, ho un’idea >> disse mentre evocava un piccolo portale viola di fronte a lei.
Piotr inarcò un sopracciglio, curioso di cosa la sorella avesse in mente.
Il suo sguardo tornò verso l’infermeria…e notò un piccolo cerchio luminoso proprio sotto il lettino presente nella stanza, nascosto alla vista delle persone presenti.
Il mutante si portò una mano al volto. << Finiremo nei guai >>
<< Puoi dare la colpa a me >> sussurrò Illyana, mentre anche il resto delle reclute si chinava all’altezza del portale << Ora sta zitto e lasciami ascoltare. >>
 

 
Peter e Pepper rimasero in silenzio durante tutta la durata del racconto.
Ascoltarono affascinanti mentre l’uomo rivelava loro di essere finito nel Valhalla subito dopo la sua morte. Risero questo narrò alcune delle avventure che aveva vissuto assieme al resto degli dei asgardiani…sorrisero tristemente nell’istante in cui rivelò loro del suo primo incontro con Thor…e corrucciarono i volti nel momento in cui spiegò loro cosa stava facendo prima di finire ancora una volta sulla Terra.
<< Quindi…non ricorda niente di quello che è successo? >> chiese Peter dopo qualche attimo di silenzio.
L’ex Avenger scosse prontamente la testa.
<< Nope >> rispose con tono disinvolto << Un minuto prima stavo lavorando nel mio laboratorio e poi…puff! Mi sono ritrovato sotto terra e ho dovuto ricreare la mia sequenza preferita di Kill Bill. >>
Rabbrividì al ricordo dello spavento che si era preso dopo aver realizzato di essere sotto terra. Era stata un’esperienza a dir poco scioccante.
<< Almeno la cassa era già stata aperta >> borbottò con un sorriso ironico << Ho vagato senza meta per un po’ e mi sono ritrovato qui. Era come se sapessi esattamente dove avevo bisogno di andare. >>
A quelle parole, sia Peter che Pepper drizzarono le teste in allerta.
Si guardarono l’un l’altra con espressione guardinghe, fino a quando la rossa decise di rompere il silenzio con un sospiro.
<< Dovremmo fare qualche test…>> cominciò lentamente << Niente di troppo invasivo! Controlli di normale routine, solo per essere sicuri che tu non abbia niente di sbagliato. >>
L’uomo annuì con fare rassegnato, quasi come se si aspettasse una cosa del genere.
Poi, lanciò alla moglie un’occhiata incerta.
<< Pepper… >> cominciò lentamente << Come…come sta Morgan? >>
La donna sussultò, ma ben presto la sua espressione guardinga venne sostituita da un dolce sorriso.
<< Ha appena finito le medie. È la più intelligente della classe >> ammise con tono orgoglioso << Le hanno offerto di saltare un paio di anni, ma lei ha rifiutato >>
<< Questa è la mia bambina! >> esclamò Tony, sollevando un pugno in direzione del soffitto.
Abbassò l’arto e cominciò ad agitarsi sul bordo del materasso.
<< Quando…quando potrò vederla? >> domandò con un filo di voce.
Pepper non rispose subito e cominciò a scrutare ancora una volta il viso del marito. Tony sostenne quell’esame silenzioso senza vacillare, ed ecco che l’espressione della rossa divenne calda e luminosa come una giornata di sole.
<< Che ne dici di domani? >> disse con tono gentile.
L’ex Avenger strabuzzò gli occhi.
<< Davvero? N-non voglio affrettare le cose. So che questa situazione è molto da digerire, ma… >>
<< Sei suo padre >> lo interruppe duramente la donna << Hai il diritto di vederla. >>
Tony si calmò all’istante e offrì alla moglie un sorriso al limite tra l’entusiasta e il sollevato.
<< Ok >> sussurrò, per poi abbracciare la rossa ancora una volta << Mi sei mancata. Dio, quanto mi sei mancata. >>
<< Awwwwwwwwww… >>
Il suono di quella voce fece sussultare ogni persona presente nella stanza.
I tre Avengers abbassarono lo sguardo verso il punto da cui era partita…e i loro occhi si posarono su un piccolo portale che lampeggiava sotto il lettino dell’infermeria.
Chinarono la testa, appena in tempo per vedere il resto delle reclute che li osservava dall’altra parte del cerchio con espressioni sorprese e imbarazzate.
<< Ehm…ops? >> disse Deadpool, poco prima che il portale si dissolvesse.
Tony inarcò un sopracciglio.
<< Amici tuoi, vero? >> chiese a Peter con un sorriso divertito.
Il vigilante gemette e si portò una mano al volto per nascondere l’imbarazzo.
<< Gli Avengers sono un po’ cambiati dall’ultima volta che è stato qui >> borbottò tra le dita.
L’ex Iron-Man ridacchiò divertito. << Hai voglia di farmi un riassunto? >>
L’arrampica-muri cercò di nascondere la propria eccitazione al pensiero di poter recuperare il tempo perduto con il suo mentore…ovviamente con scarsi risultati. Non era mai stato particolarmente bravo a celare i suoi stati d’animo senza la maschera.
<< Mi piacerebbe molto, Signor Stark >> rispose con un sorriso luminoso.
Tony agitò una mano con fare sprezzante. << Penso che ormai sei abbastanza grande per risparmiarti certi formalismi. Chiamami pure Tony. Lo hai fatto prima, no? >>
Il vigilante gemette una seconda volta. << Ero sorpreso, non ci ho pensato… >>
<< Tony >> lo interruppe l’ex Avenger con quel suo ghigno strafottente.
Il vigilante sospirò stancamente, ormai conscio che non avrebbe mai potuto vincere quella battaglia.
<< Tony >> acconsentì.
L’uomo battè le mani in segno di vittoria. Fu allora che i suoi occhi si posarono su qualcosa che fino a quel momento non aveva ancora notato.
<< Ma prima di tutto…chi è la donna fortunata? >> chiese con tono pieno d’anticipazione, mentre indicava l’anello che il vigilante portava alla mano destra.
Peter abbassò lo sguardo e sorrise dolcemente.  << Che ne dici di parlarne davanti ad una bella pizza? >>
<< Pizza? Ora si che si ragiona! Muoio di fame >> disse l’ex miliardario << Il Valhalla ha del buon cibo, non lo nego. Ma niente potrebbe competere con le schifezze di New York. >>
L’arrampica-muri ridacchiò e gli posò una mano sulla spalla.
<< Ben tornato a casa, Tony >> disse con tono gentile.
L’ex Avenger afferrò le dita del suo pupillo con una presa ferrea e appoggiò la testa sulla spalla della moglie.
<< È bello essere tornati >>

                                                                                                                            * * *
 
A dispetto di quello che una persona normale avrebbe potuto pensare, per i morti era molto più facile praticare la magia rispetto a quando erano in vita. Questo perché la magia necessitava un fabbisogno costante di energia…e le anime erano energia allo stato puro. Costrutti che esistevano al di sopra del piano mortale, veri e propri reattori ambulanti la cui esistenza dipendeva dal Piano in cui erano state catapultate.
Ecco perché la sottrazione di un’anima defunta dal suo aldilà poteva provocare gravi sconvolgimento nell’equilibrio del cosmo. Proprio per questo motivo, Loki non era rimasto molto sorpreso quando Odino gli aveva ordinato di localizzare l’anima di Stark nello stesso istante in cui il suo vecchio nemico era stato trascinato al di fuori del Valhalla. Per quello…e perché Odino aveva sempre avuto un grande ego, e il fatto che qualcuno – o qualcosa – fosse riuscito a ingannare il Padre degli dei costituiva un’offesa personale a tutti gli Aesir.
Negli ultimi due giorni, l’Ingannatore aveva sfruttato ogni incantesimo di localizzazione a sua disposizione per cercare d’individuare la posizione di quell’anima sfuggente. E a giudicare dal fumo pulsante e rosso scuro che aveva di fronte…ci era finalmente riuscito.
Sorridendo con quel suo ghigno da lupo, cancellò rapidamente le rune dal pavimento della sua stanza e mise via gli ingredienti. L’ultima cosa che voleva, dopotutto, era che gli altri Aesir scoprissero i suoi segreti.
Perfino gli stessi Odino e Frigga non erano ancora riusciti ad eguagliare il suo talento nella creazione degli incantesimi. Magie che nemmeno la vista di Heimdell sarebbero stata capace di eguagliare.
Riordinata la stanza, si teletrasportò subito al cospetto del Padre Eterno, il quale stava ancora discutendo con il resto degli dei maggiori nella sala del Consiglio del Valhalla. L’argomento? La possibilità di un attacco alla casa degli dei in persona, anche se dalla scomparsa di Stark non era ancora successo nulla degno di nota.
Frigga, Thor, Heimdell…tutti i più potenti guerrieri del regno erano stati riuniti ad un enorme tavolo circolare, alla cui estremità superiore spiccava lo stesso Odino.
All’arrivo dell’ingannatore, il Padre Universale lo scrutò con il suo unico occhio buono.
<< Ebbene? >> chiese con la sua voce tonante.
Loki non esitò a rispondere. << Ci è voluto un po’…ma penso di essere riuscito a localizzare l’anima di Stark. È su Midgard. >>
Una serie di mormorii cominciarono a levarsi dal consiglio.
<< Impossibile >> disse Heimdell << Se fosse davvero lì, la mia vista sarebbe riuscita a individuarla. >>
<< A meno che non ti sia stata nascosta da qualcuno >> ribattè l’Ingannatore, mentre lanciava un’occhiata laterale al padre degli dei << Qualcuno con abbastanza potere da sottrarre un’anima dal Valhalla…e direttamente sotto il naso di Padre Tutto. >>
Questa volta, il brusio fu seguito da esclamazioni indignate.
Frigga sospirò stancamente e volse al figlio uno sguardo ammonitore.
<< Loki, questo non è il momento adatto per riportare a galla vecchi rancori… >>
<< No >> la interruppe Odino, sorprendendo il resto del Consiglio.
Il padre degli dei asgardiani scrutò brevemente le varie persone raccolte al tavolo.
<< Loki ha ragione. Qualcuno…o qualcosa…è riuscito a sottrarre un anima dal Valhalla sotto la mia supervisione. Me ne assumo completamente la responsabilità >> disse cupamente.
Loki spalancò leggermente gli occhi, sorpreso dall’improvviso sostegno del genitore. Anche adesso aveva difficoltà a conciliare l’uomo che aveva di fronte con la stessa persona che per anni aveva sminuito ogni sua impresa o criticato ogni suo tentativo di guadagnarsi il diritto al trono.
Odino, il Padre degli dei, era sicuramente rimasto lo stesso individuo dalle mentalità fredda e pragmatica…ma era cambiato in molti altri modi.
Un’ombra calò sul volto del vecchio.
<< Tuttavia…una simile azione non resterà impunita >> sussurrò con un tono di voce che suscitò un brivido lungo la spina dorsale di tutti i presenti. Lo stesso tono con cui il Padre Universale aveva elargito numerose condanne e dichiarato altrettante guerre.
Un tono che Thor ricordava assai bene…poiché era quello che aveva usato poco prima di bandirlo sulla Terra quasi vent’anni fa.
<< Padre…cos’hai intenzione di fare? >> chiese con un pizzico d’incertezza.
Odino chiuse l’occhio e rimase in silenzio per un po’. Infine, spalancò la palpebra ancora una volta, rivelando l’iride blu elettrica sottostante.
<< Vista la gravità della situazione… >> cominciò lentamente << Scenderò su Midgard e recupererò l’anima di Stark di persona. >>
Quella dichiarazione venne accolta con sguardi ed espressioni scioccate ad opera di tutti i presenti.
Solo coloro che detenevano il controllo sugli aldilà avevano il potere e l’autorizzazione necessaria per manifestarsi sul piano mortale e permettere ad altri di fare lo stesso. Odino era uno di loro.
Tuttavia…questa pratica non era mai stata ben vista dai vari Pantheon del Cosmo, ed era usata esclusivamente nei casi di emergenza.
Il fatto che il Padre Tutto in persona - uno degli individui più retti e severi della creazione – avesse appena avallato una simile proposta…era la dimostrazione di quanto l’intera situazione lo preoccupasse.
Thor inviò al genitore un’occhiata severa.
<< Hai intenzione di lasciare il Valhalla? >> domandò esitante.
Odino annuì risoluto.
<< E non lo farò da solo >> disse mentre si voltava verso il suo secondo figlio << Loki, tu verrai con me. Avrò bisogno del tuo aiuto per tenere traccia del tuo vecchio avversario. >>
Un sorriso andò a dipingersi sul viso affilato dell’ingannatore.
<< Cosa odono le mie orecchie? Il grande Odino ha davvero bisogno del mio aiu… >>
<< Loki >> lo ammonì Frigga, e il moro si limitò a sollevare ambe le mani in segno di resa.
<< Come desideri >> rispose con un inchino beffardo.
Fu in quel momento che Thor si alzò di scatto dalla sedia.
<< Padre, verrò con voi! >> annunciò a gran voce.
Odino inarcò un sopracciglio, mentre Loki non mostrò alcuna sorpresa. Sembrava quasi che si aspettasse una simile uscita da parte del fratello.
<< No >> disse freddamente il Padre Universale << L’equilibrio tra il mondo dei vivi e quello dei morti è già abbastanza fragile. La sola presenza di due asgardiani defunti potrebbe avere gravi ripercussioni sulla fabbrica della realtà. >>
Sollevò una mano prima che il figlio potesse protestare.
<< Comprendo il tuo turbamento. Ma se venissi con noi…il pericolo potrebbe solo crescere. >>
<< Stiamo parlando di Midgard, Padre Universale! >> ribattè caldamente il biondo << Ho sanguinato per quel mondo. Ho dato la vita per salvarlo! >>
Prese un respiro profondo e fissò il genitore con determinazione incrollabile.
<< E se colui che ha preso l’anima di Stark nutre degli interessi ostili verso coloro che mi stanno a cuore…allora gli farò assaggiare l’ira del tuono! >>
Sollevò il martello in aria, e alcune scariche elettriche cominciarono a protrarsi dal fidato maglio. A queste seguirono i sorrisi del resto degli dei raccolti, ghigni pieni di eccitazione al pensiero dell’epica battaglia che il loro amato principe avrebbe combattuto.
Fu allora che l’aiuto giunse dall’ultima persona che il tonante si sarebbe mai aspettato.
<< Se posso permettermi, padre… >> si intromise Loki << Un paio di braccia in più potrebbero tornarci utili. In fondo, non sappiamo chi o cosa sia il responsabile di questa situazione. >>
Odino strinse l’occhio e prese a scrutare intensamente il suo primogenito.
Rimase in silenziò per qualche minuto, mentre il resto degli Aesir trattenne il respiro per l’anticipazione. Thor aspettò pazientemente, senza mai distogliere lo sguardo dal genitore.
Infine, il Padre degli dèi sembrò giungere ad una decisione.
<< Molto bene >> borbottò, per poi sollevarsi dal trono e battere Gungnir sul pavimento della sala.
Il tonante s’inchinò rapidamente e cercò di nascondere un sorrisetto soddisfatto.
Nel frattempo, Odine fece un ultima panoramica del Consiglio.
<< Partiremo al sorgere del prossimo sole >> dichiarò con un tono di voce che non ammetteva repliche << Fino ad allora… vi consiglio di prepararvi a dovere per il viaggio. Non abbiamo la minima idea di cosa potremmo affrontare. Ma qualunque cosa sia…imparerà presto che sfidare gli dèi di Asgard è stato il più grave errore della sua vita! >>

                                                                                                                       * * *


Carol si svegliò con una sensazione di malessere allo stomaco, e per un attimo fu assai tentata di vomitare.
Cosa diavolo era successo? Ricordava distintamente la sua battaglia sui cieli di Exif…il suo arrivo alla cena che la razza di quel mondo aveva realizzato per lei…il sorriso di Metphis, mentre crollava a terra…Metphis!
La sua testa scattò verso l’alto, e alcune gocce di sudore le colarono dai capelli dorati. Tentò di muoversi, ma scoprì che non poteva spostare né le braccia né le gambe.
Ruotò appena il collo…e si rese presto conto del perché: era stata intrappolata ad una parete con delle ganasce di metallo.
“Pensate davvero che questo riuscirà a fermarmi?” pensò sprezzante.
Senza perdere tempo, cominciò a concentrare un fiotto di energia cosmica nelle mani e…
BZZZZZZZZZZZZ!
Provò dolore. Un dolore insopportabile, il più intenso e agonizzante che avesse mai provato dallo scontro con un certo drago a tre teste.
Il corpo della donna venne attraversato da un intensa scarica scarlatta, e la cosa andò avanti per quello che le sembrò un tempo interminabile.
Urlò e tentò di dimenarsi, ma era come paralizzata. Poi…tutto cessò.
Con il viso arrossato e i capelli cadenti, Carol ansimò in cerca di aria e gemette miseramente.
Perché non era riuscita ad assorbire questa strana energia? Sembrava un qualche tipo di elettricità…allora perché le aveva fatto tanto male?
<< Non sottovalutatemi, cazzo >> ringhiò attraverso i denti.
Prese un respiro profondo e si preparò a rilasciare un altro fiotto di energia cosmica…
<< Ti consiglio di non provarci >> arrivò una voce baritonale poco distante.
Sorpresa, Carol sollevò lo sguardo…e i suoi occhi incontrarono un paio di lenti rosse come il sangue, incastonate in un volto scheletrico color pece.
<< Abbiamo lavorato per anni su questo tipo di energia >> continuò la creatura mascherata, mentre entrava nella stanza << Nemmeno tu saresti capace di assorbirla. >>
Camminò fino alla donna, le mani incrociate dietro la schiena. << La battaglia avvenuta ieri era solo un test per assicurarci della sua efficacia. Un singolo colpo è stato sufficiente per inibire le tue funzioni vitali per più di un minuto. >>
Si fermò di fronte a lei e la scrutò da capo a piedi.
<< Un flusso continuo? Sarà abbastanza per renderti inerme fino a quando lo desidero >> terminò freddamente.
Carol non disse nulla e si limitò a fissare l’uomo mascherato con un’espressione rabbiosa.
Era lui il responsabile della sua situazione? Forse era in combutta con Metphis?
In effetti…perché diavolo quel sacerdote l’aveva drogata? Aveva salvato la sua gente da una potenziale guerra! Per qualche ragione aveva avvelenato il suo cibo?
Il sistema immunitario di Carol era molto più resistente di un essere umano normale, quindi dovevano aver usato una tossina particolarmente potente. Era quasi come…se si fossero preparati in anticipo per il suo arrivo.
La supereroina e lo sconosciuto rimasero a fissarsi per più di un minuto, accompagnati solo dal respiro sibilante che fuoriusciva dalla sua maschera.
Infine, fu Carol la prima a rompere quella situazione di stallo.
<< Che fai, parli prima tu o prima io? >> disse con tono beffardo.
L’uomo non rispose e continuò a scrutarla per quasi un minuto buono. Poi, lentamente, sollevò la mano destra e la posò sulla guancia della donna.
Carol sentì qualcosa di freddo che le accarezzava la pelle…cuoio, a giudicare dalla consistenza. Era difficile a dirsi, a causa della scarsa visibilità di quel luogo. 
<< Non sei cambiata per niente >> sussurrò la voce della “cosa” che aveva di fronte << Eppure…i tuoi occhi sembrano così vecchi. >>
All’improvviso, un paio di dita afferrarono il mento dell’Avenger con forza e lo tirarono verso il basso.
Carol cercò con tutta se stessa di non rabbrividire e incontrò quegli occhi fiammeggianti con uno sguardo impassibile.
<< Ho aspettato per così tanto tempo questo momento >> continuò la creatura, mentre aumentava la forza della sua presa<< La possibilità di tenere la tua vita nel palmo della mia mano. >>
La donna strinse i denti per il dolore e sentì la mandibola inclinarsi. Poi, con la stessa rapidità con cui tutto era iniziato…la presa si allentò.
L’uomo vestito di nero si allontanò con un passo.
<< No >> borbottò, scuotendo la testa << La tua ora non è ancora arrivata. Prima dovrai pagare per i tuoi peccati. >>
Carol ansimò per riprendere fiato e lanciò alla creatura uno sguardo furente.
<< Tu chi sei? >> ringhiò attraverso i respiri.
L’uomo rimase in silenzio per qualche istante, come se stesse valutando la possibilità di risponderle o meno.
<< Sono Darth Vader. Leader Supremo dell’Impero Galattico >> si presentò con un elegante inchino.
Carol inarcò un sopracciglio?
Darth Vader? Questo nome…non le era affatto familiare.
Aveva sentito voci sull’Impero Galattico, certo, ma non si era mai preoccupata di indagare a fondo su chi ne fosse a capo. Forse aveva già udito il suo nome in una qualche conversazione, ma con il tempo aveva scelto di liquidare l’intera faccenda come una cosa di poco conto.
Dopotutto, aveva già affrontato molti imperi alieni nel corso dei suoi trent’anni di servizio come Capitan Marvel. Quindi…perché preoccuparsi dell’ennesima organizzazione emergente con manie di grandezza?
Ora, mentre era impotente di fronte al presunto leader di tale organizzazione…si ritrovò a pensare che forse avrebbe dovuto prestare più attenzione a ciò che stava succedendo nelle regione esterne della Galassia.
Il rinomato Darth Vader inclinò leggermente la testa di lato.
<< E vedo che tu non hai la minima idea di chi io sia >> osservò con tono pratico.
Carol ostentò un sorrisetto, cercando di apparire fiduciosa.
<< Dovrei? >> ribattè beffarda.
Ancora una volta, l’uomo rimase in silenzio per un po’.
<< No >> fu la sua fredda risposta << Non ancora. >>
Si avvicinò nuovamente alla donna ed ella potè sentire il respiro freddo e meccanico della creatura che le scompigliava i capelli.
Vader le sollevò il mento con un dito guantato.
<< Ma lo farai >> sussurrò << Credimi…lo farai. >>
Carol avrebbe voluto chiedergli a cosa diavolo si stesse riferendo, ma ecco che una coppia di figure si fece strada all’interno della cella. Erano interamente ricoperte di un’armatura bianca – completa di casco – e nelle mani reggevano quelli che avevano tutta l’aria di essere dei blaster d’assalto.
<< Lord Vader, il rituale è pronto >> disse uno di loro, mentre entrambi s’inchinavano di fronte all’uomo vestito di nero.
<< Bene >> rispose questi, e Carol riuscì a percepire una nota di compiacimento nel suo tono meccanico.
<< Che significa? >> borbottò stancamente << Quale rituale? >>
Vader non rispose e si limitò ad indicarla.
<< Portatela all’altare >> ordinò freddamente.
Senza perdere tempo, la coppia di Sormtrooper cominciarono a toglierle i ceppi.
La bionda cercò di divincolarsi, ma al momento era troppo stanca anche solo per restare in piedi senza un aiuto esterno. Non si era mai sentita così…non dai tempi in cui era ancora umana.
Quando cercò di tirare un pugno ad uno dei soldati, questi evitò l’attacco senza problemi e la colpì alla testa con il retro del fucile, facendola cadere a terra con un gemito.
Poi, entrambi gli Stormtrooper la sollevarono con forza da terra e cominciarono a trascinarla verso una destinazione sconosciuta.
Darth Vader li seguì a ruota.
 

 
Carol venne trascinata fino ad una stanza illuminata da un gran numero di fiaccole.
Al suo interno intravide gli Exif che avevano partecipato alla cena di quella sera, tutti raccolti attorno a quello che aveva tutta l’aria di essere un altare, sovrastato da un soffitto scoperto che mostrava il cielo notturno
E di fronte a quell’altare…vi era un alieno che la donna riconobbe all’istante.
Se ne stava di fronte ad un calderone, impegnato a versarne il contenuto all’interno di alcune ciotole.
La donna si sentì invadere dalla rabbia.
<< Metphis…lurido serpente… >>
Nell’istante in cui provò a raccogliere un po’ di energia cosmica nelle mani, ecco che un’altra scarica la percorse dalla testa ai piedi.
Il dolore non fu meno intenso della prima volta, anzi…sembrò quasi più forte.
Cadde in ginocchio, mentre il  resto degli Exif non la degnava nemmeno di uno sguardo. I loro occhi erano interamente concentrati sul capo sacerdote, ancora impegnato a riempire il resto delle ciotole.
Quando ebbe finito, gli alieni raccolti si fecero avanti e ne afferrarono una ciascuna, con Metphis fece lo stesso.
L’Efix lanciò loro uno dei suoi sorrisi imperscrutabili.
<< Come potete vedere…>> cominciò lentamente << il calderone ora è vuoto. Tuttavia, la zuppa che conteneva non sparirà semplicemente. Diventerà parte della vostra carne e del vostro sangue. Non verrà distrutta, né morirà, semplicemente smetterà di essere una zuppa in un calderone. Combinata con qualcosa di più grande…diventerà qualcosa di nuovo. Questo significa “devozione” >>
Sollevò la propria ciotola.
<< Ma noi non siamo una zuppa. Noi possiamo scegliere a chi votarci. Dobbiamo solo rifletterci attentamente >> continuò con quel suo sorriso apparentemente gentile.
Gli occhi gialli dell’alieno vagarono fino alla figura inginocchiata di Carol.
<< Ma qual è la devozione più auspicabile? Ad esempio, la qui presente Capitan Marvel si è fatta voto di proteggere i pianeti della galassia. E anche se si può considerare una nobile causa, nel grande schema delle cose sono mancati i risultati. >>
Scosse la testa e il suo volto venne attraversato da un’ombra.
<< è impossibile salvare ogni razza con la mera forza. Ma quindi…qual è il giusto cammino per raggiungere un simile obbiettivo? >> chiese al resto della folla.
Questi non risposero, ed ecco che Metphis allargò ambe le braccia. << Il nostro dio…solo con lui possiamo raggiungere una vera salvezza. Non c’è altro cammino per la vittoria…se non diventare un tutt’uno con lui. >>
L’Exif si portò la ciotola alla bocca e ne bevve il contenuto con un unico e lungo sorso. Il resto dei sacerdoti presenti fecero lo stesso.
Metphis sorrise loro e sollevò le mani in direzione della volta celeste.
<< Diventare un tutt’uno con il nostro dio…significa abbandonare ogni concetto di individualità. Con questo in mente, accettate il nostro dio come il salvatore? L’araldo dell’entropia? >> chiese con un tono di voce molto più forte.
In tutta risposta, gli Exif raccolti chiusero gli occhi e piegarono le teste in avanti.
<< Preghiamo! >> esclamarono all’unisono << Invochiamo il nome di colui che porta la vera salvezza nell’universo!>>
Carol rabbrividì a quella dichiarazione, mentre Metphis annuì compiaciuto.
<< Molto bene. In questo caso…riveliamo a questa mortale il nome segreto>> disse con voce solenne.
Si voltò verso l’altare e rimase in silenzio per qualche secondo. L’aria attorno a lui sembrò vibrare di una strana anticipazione, e perfino la donna alle sue spalle percepì una strana elettricità che le rizzò i capelli. Era quasi come se la realtà stessa fosse consapevole che di lì a poco sarebbe successo qualcosa di molto significativo e terribile al tempo stesso.
Metphis prese un respiro profondo…e chiuse gli occhi.
<< Fatti avanti, re dorato…il cui nome è Ghidorah! Le ali della morte! >> urlò a gran voce.
Il cuore di Carol mancò un battito.
Per un attimo, sperò con tutta se stessa di aver capito male.
<< No… >> sussurrò, mentre anche il resto degli Exif sollevavano le mani verso il cielo.
<< Vieni, Ghidorah! Le ali della morte!>> ripeterono all’unisono << Potentissimo Ghidorah…le ali della morte!>>
La parete di fronte all’altare cominciò ad incresparsi, come se fosse liquida.
Carol sentì una stretta agghiacciante attanagliarle il cuore. La sua mente fu invasa dalle immagini di una battaglia che aveva cercato di dimenticare negli ultimi tre anni.
Il dolore che aveva provato all’epoca…tutte quelle vite che erano andate perse…la morte di Thor…di tutti quegli innocenti…la distruzione di New York.
Si sentì invadere dal terrore.
<< No…no, no, no! >> urlò disperata << Non sapete cosa state facendo! Non potete riportarlo qui! >>
Metphis la ignorò, e così fecero il resto degli Exif.
<< Sorgi, Ghidorah! Concedi agli infedeli una fine gloriosa!>> continuò il capo sacerdote << Aiutaci a raggiungere la vittoria…con la carne e il sangue di questa donna!>>
<< Oh, grande Ghidorah! Conducici alla vittoria!>> continuarono il resto dei fedeli.
E fu allora…che qualcosa cominciò a fuoriuscire dalla parete del tempio.
Dapprima fu semplicemente una superficie di squame dorate. Poi, seguirono denti aguzzi conficcati in una mascella prominente. E quella mascella era legata ad un muso…e quel muso era legato ad una testa, adornata da un paio di pupille rosso sangue.
Si aggiunsero le corna, e poi un unico lungo collo serpentino, attaccato ad un corpo dalle sembianze rettili.
Eppure… quel corpo aveva assai poco dell’immensa creatura che Carol aveva affrontato tre anni prima. Era magro, quasi privo di carne, uno scheletro ricoperto da uno strato di squame dorate, anche se in molti punti erano visibili delle ossa. Sembrava quasi un cadavere in decomposizione.
Le ali che un tempo lo avevano sorretto…erano ridotte ad un paio di arti sottosviluppati, privi di membrana.
Ghidorah sollevò lentamente la sua unica testa e incontrò lo sguardo dell’Avenger. Nei suoi occhi scarlatti, la donna intravide la stanchezza di un animale morente.
Il dragone non disse niente e si limitò a fissarla per un tempo interminabile. Poi, con un movimento meccanico della mandibola…spalancò la bocca ed emise un gemito sofferente.
Fu in quel momento che la stessa coppia di soldati che l’aveva portata fin lì la presero per le braccia e cominciarono a trascinarla verso la bestia.
<< No…state lontani! Non avvicinatevi! >> ringhiò la donna, cercando disperatamente di liberarsi.
Ma gli Stormtrooper non furono affatto influenzati dalla sua lotta e la posizionarono a pochi metri da Ghidorah.
Pochi secondi dopo, una serie di viticci dorati cominciarono a protrarsi dal corpo della bionda, finendo dritti nelle fauci spalancate della bestia.
Carol sentì le proprie energie venire meno e provò un’improvvisa stanchezza, seguita da un dolore intenso.
Lanciò un altro urlo, mentre il resto degli Exif osservava il processo con sguardi estasiati. Al contempo…il corpo di Ghidorah cominciò a cambiare.

(Track 1: https://www.youtube.com/watch?v=zR2p8NhrGKk)

Le parti ferite iniziarono a rigenerarsi, mentre il suo corpo diventava sempre più massiccio e muscoloso.
Un paio di protuberanze fuoriuscirono dalle sue spalle. Grumi di carne rosa e informe, che man mano assunsero forme sempre più distinte. Dapprima spuntarono due corna prominose…poi un muso squadrato, a cui seguirono un paio di poderose mascelle irte di denti.
Carol potè solo osservare impotente mentre la nuova coppia di teste si univa a quella principale. Poi…tutto cessò.
La bestia si alzò lentamente sulle sue zampe posteriore e la sua coda a doppia punta cominciò a fremere come il sonaglio di un serpente.
Spalancò gli occhi e i suoi tre lunghi colli si sollevarono all’unisono.
<< Sono…tornato! >> esclamò, allargando ambe le ali e facendo calare una cupa ombra al di sopra dell’altare. Seguì una folata di vento che spense tutte le fiaccole presenti, mentre una serie di tuoni e lampi cominciarono ad illuminare la volta stellata.
Metphis cadde in ginocchio, assumendo una posizione completamente sottomessa.
La testa centrale di Ghidorah si abbasso verso terra e scrutò attentamente la piccola creatura ai suoi piedi.
<< Metphis >> sibilò con quella stessa voce che aveva accompagnato gli incubi di Carol negli ultimi tre anni << Vedo che la mia fiducia nei tuoi confronti è stata finalmente ripagata. >>
<< Vivo per servirvi, o potente Re Ghidorah >> rispose prontamente l’Exif.
Il dragone ronzò compiaciuto. << E io non lo dimenticherò. Quando arriverà il momento del raccolto, e ogni luce di questo universo sarà ormai un bagliore in attesa di essere spento…voi, gli Exif, sarete gli ultimi testimoni della fine. Coloro che si ergeranno sopra tutte le razze nel ventre del Re del Dorato! >>
Sollevò il lungo collo e scrutò la volta celeste che si stagliava sopra il tempio.
<< Ma prima di allora…molti altri pianeti attendono di ricevere questa benedizione. Il tempo del raccolto è ormai prossimo >> sussurrò, per poi volgere lo sguardo in direzione di Carol.
Le tre teste sorrisero all’unisono e la donna sentì un freddo brivido lungo la spina dorsale.
<< E il tuo pianeta, mia cara Carol Danvers…sarà il primo a ricevere questo grande onore >> ringhiò quella centrale, con un sottofondo di sadico piacere.
L’Avenger avrebbe voluto urlare, ma si sentiva troppo stanca anche solo per muovere la bocca.
Dopo qualche altro secondo speso ad osservarla, l’idra sembrò perdere interesse per lei e tornò ad osservare il cielo.
<< Al di là delle pareti del cosmo, il mio alleato attende con impazienza. Non dovremmo farlo aspettare. >>
<< La mia flotta è pronta >> si intromise Vader, non mostrando il minimo segno di paura o timore anche di fronte a questo enorme titano.
Le tre teste si voltarono verso di lui e quella centrale ghignò soddisfatta.
<< E sono sicuro che farà il suo lavoro, Lord Vader >> disse divertita.
Il Comandante Supremo dell’Impero rispose con un rispettoso cenno del capo e la testa di sinistra abbaiò una risata gracchiante. Poi, quella centrale volse i suoi occhi scarlatti in direzione di Capitan Marvel.
<< Un tempo ho sputato sulla tua carne, protettrici dell’Universo. Ma ora…accolgo con gioia l’energia che porti dentro di te. AH! Come i potenti sono caduti >> ringhiò con un ghigno dall’aria vagamente ironica << Gioisci, giovane mortale! Perché è grazie a te…se sono rinato! >>
E fu in quel momento che Carol perse i sensi.

                                                                                                                               * * *

Harpswell…non era affatto come Wanda se l’era immaginata.
L’intero posto sembrava più simile ad una città fantasma che ha un insediamento del Maine. Era completamente deserto, senza nemmeno una persona a passeggiare per le strade.
Nessun anziano impegnato a leggere un giornale sulla panchina, o un gruppo di bambini che giocavano a pallone per i vialotti…niente di niente. Era come se questo posto non fosse nemmeno abitato!
<< Ok… non è per nulla inquietante >> commentò Wanda, mentre si guardava nervosamente attorno.
Strange si ritrovò d’accordo.
<< Tieni gli occhi aperti >> sussurrò << Potrebbe essere una trappola >>
<< Quando mai non lo è? >> ribattè l’altra con un esasperato roteare degli occhi.
Continuarono a camminare per un po’, e dopo circa una decina di minuti arrivarono a quello che aveva tutta l’aria di essere il centro cittadino.
La strega scansionò rapidamente la zona…e i suoi occhi incontrarono finalmente una persona.
C’era un uomo, in piedi in mezzo ad una piazza. Aveva la testa abbassata, ed era completamente immobile.
Wanda gli si avvicinò cautamente e si rese presto conto che stava borbottando qualcosa.
<< Larghi sorrisi. Larghi sorrisi… >>
Wanda inarcò un sopracciglio.
Larghi sorrisi? Che modo strano di salutare qualcuno. Inoltre…perché diavolo continuava a ripeterlo?
<< Signore, va tutto bene? >> chiese con un po’ di esitazione.
L’uomo si limitò ad incontrare il suo sguardo.
<< Larghi sorrisi >> ripetè, sempre con quel suo ghigno agghiacciante stampato in faccia.
Wanda compì un passo all’indietro e sollevò le mani per prepararsi ad un attacco imminente. Tuttavia, quello strano individuo non fece alcun tentativo di aggredirla e si limitò a barcollare in direzione di una meta sconosciuto.
<< Ubriaco? >> chiese Strange, affiancandosi a lei.
La donna scosse prontamente la testa. << Non mi sembra che sia sotto l’effetto di alcolici… >>
Non ebbe il tempo di finire la frase.
L’uomo si voltò di scatto verso di loro, con gli occhi che sembravano fuoriuscirgli dalle orbite. Al contempo, la strega cominciò a sentire uno strano ticchettio alle sue spalle.
Girò la testa…e il suo cuore mancò un battito.
<< Ehm…Stephen >> sussurrò, attirando l’attenzione dell’Avenger. Questi la seguì con lo sguardo e i suoi occhi si posarono su una scena a dir poco inquietante.
Dietro di loro aveva appena preso posto un intera folla di persone. Uomini, donne, bambini…era come se l’intera città si fosse appena riversata all’esterno.
E proprio come l’uomo in mezzo alla piazza…tutte quelle persone avevano le bocche contratte da dei sorrisi agghiaccianti.
<< Larghi sorrisi…larghi sorrisi… >> disse uno di loro, il volto bagnato dalle lacrime << Lar…vi prego…sorrisi… Aiutateci… >>
All’improvviso, la folla cominciò ad aprirsi.
Qualcuno prese a camminare in direzione degli Avengers: un uomo alto e magro, dalla folta capigliatura rossa…e che reggeva tra le braccia un bambino. Qualcuno…che Stephen riconobbe all’istante.
L’ex medico strinse gli occhi in un paio di linee sottili.
<< Questo non va affatto bene >> borbottò, assumendo una posizione da combattimento.
Wanda fece lo stesso e le sue mani cominciarono ad illuminarsi di un intenso bagliore rosso.
Lo sconosciuto, tuttavia, non sembrò affatto intimidito dalle azioni della coppia e continuò a camminare verso di loro con un sorriso disinvolto.
<< Chi è? >> chiese Wanda, mentre un freddo brivido le attraversò la spina dorsale. Era come se il suo corpo stesse cercando di avvertirla di stare alla larga dal nuovo arrivato.
<< Non lo riconosci? >> disse Strange << Cletus Kasady…alias Carnage. Ha causato un bel po’ di problemi ai Vendicatori, qualche anno fa. >>
Wanda spalancò gli occhi, sorpresa.
Aveva sentito sicuramente parlare di Carnage. Un Serial Killer con superpoteri che aveva terrorizzato New York cinque anni fa, quando aveva scelto di abbandonare gli Avengers.
Le sue azioni erano state abbastanza violente da costringere la città ad evacuare, ma fortunatamente era stato fermato dagli sforzi combinati di Spider-Man e Capitan Marvel.
<< Non dovrebbe essere in coma? >> domandò perplessa.
Al contempo, lo stregone evocò un paio di cerchi magici.
<< A quanto pare non lo è più >> rispose freddamente.
Cletus si fermò davanti alla folla e sollevò la mano destra.
<< Saluti, Avengers! >> esclamò gioviale << Non penso che ci siamo mai incontrati di persona, ma non dovete preoccuparvi! Avremo tutto il tempo di conoscerci bene…o forse no, visto che presto rimuoverò le vostre adorabili testoline dai vostri corpi ingombranti. >>
Le vari persone dietro di lui iniziarono a battere i denti e a tremare, allarmando subito la coppia.
<< Cletus…cos’hai fatto? >> ringhiò Strange.
Il Serial Killer lo fissò sorpreso.
<< Cosa ho fatto? >> chiese con tono perplesso, prima di arricciare le labbra in un sorriso tutto denti << Semplice! Mi sono sistemato! >>
E fu allora…che accadde qualcosa che avrebbe sicuramente perseguitato gli incubi dei due Vendicatori per molti giorni avvenire.
Dal corpo di ogni persona cominciarono a protrarsi dei filamenti scarlatti. Alcuni di loro urlarono per il dolore e la paura, ma ogni loro sforzo di combattere si rivelò vano.
In pochi secondi, erano diventati delle creature umanoidi che avevano poco da invidiare allo stesso Carnage. Perfino il bambino che il serial killer reggeva tra le braccia aveva assunto un aspetto simile!
Wanda caricò un colpo di energia, ma Stephen le posò una mano sulla spalla.
<< Aspetta…ha un bambino >> ringhiò, mentre Cletus assumeva a sua volta un aspetto a dir poco mostruoso.
La creatura scoppiò in una fragorosa risata.
<< Ah ah ah! Non ho un bambino! Ho il MIO bambino! Sono tutti miei, capite? Appartengono tutti a me! >>> esclamò, indicando gli infetti attorno a lui.
Poi, indicò la coppia di Avenger.
<< Ragazzi…è ora di giocare! >>
E i servi della creatura non se lo lasciarono ripetere due volte.

(Track 2: https://www.youtube.com/watch?v=CnEOR6FrkyE)

Scattarono verso la coppia di Avenger con le braccia protese e le fauci spalancate, ringhiando e sibilando come bestie impazzite.
Wanda non perse tempo e afferrò la mano di Strange. Fatto questo, scatenò una potente ondata di energia telecinetica sotto di sé, facendoli schizzare verso l’alto.
I due stregoni rimasero sospesi a mezz’aria, mentre molte delle creature si scontravano tra loro a gran velocità. Al contempo, la Scarlet Witch puntò le mani verso il basso e generò un attacco che investì in pieno quelle restanti, spedendole a terra.
<< Cerca di non far loro del male, sono ancora dei civili >> la ammonì Strange.
La donna fece per controbattere, ma ecco che una delle creature balzò verso di loro con i denti scoperti.
<< Ah, sì? Beh, dillo a loro! >> disse la strega, mentre evocava uno scudo per proteggerli.
L’infetto ci sbattè contro con un forte schiocco e scivolò verso la strada come una mosca spiaccicata sul parabrezza di un auto.
Entrambi gli Avengers seguirono a ruota e atterrarono sull’asfalto, proprio mentre il resto delle creatura si lanciava verso di loro ancora una volta.
Nel giro di pochi secondi, la coppia di Stregoni si ritrovò coinvolta in una battaglia senza esclusione di colpi. Proiettili di energia e incantesimi volarono in ogni direzione, a cui seguirono le grida rabbiose e piene di dolore degli infetti.
Ogni tanto, capitava che un colpo vagante finisse contro un auto o uno dei palazzi vicini, generando delle forti esplosioni.
Alcuni pezzi di metallo e detriti vaganti schizzarono come colpi di pistola verso Carnage, ma il Serial Killers non si voltò nemmeno per considerarli. Rimase completamente immobile…e i frammenti si scontrarono con un campo di forza non dissimile da quello che circondava la città.
Sia Strange che Wanda spalancarono gli occhi per la sorpresa.
Non vi era alcun dubbio. L’energia che permeava quella difesa…era la setssa che entrambi avevano percepito attorno all’insediamento. E Cletus era la fonte!
Il supercriminale sorrise minaccioso verso di loro e puntò una mano in avanti. Subito dopo, un raggio scarlatto scaturì dalle sue dita artigliate, puntando dritto verso Wanda.
La donna riuscì a scansarsi per un pelo, ma ecco che si ritrovò costretta ad evitare un secondo attacco. E poi un terzo…e poi un quarto.
Carnage aveva cominciato a bersagliarla come un pistolero alle prime armi, il tutto mentre canticchiava una specie di filastrocca.
<< La piccola streghetta che scappa e bla bla bla…qualcosa, qualcosa, qualcos’altro e avrà il cuore strappato! AH AH AH AH AH AH! >>
All’ennesimo attacco, Strange evocò uno scudo dorato e si mise di fronte a Wanda, incassando il colpo.
Quando l’energia del raggio si disperse nell’aria… lo stregone percepì la firma inconfondibile della magia del caos.
Ma come diavolo era possibile? Durante i suoi attentati precedenti, Cletus Kasady non aveva mai mostrato alcun segno di essere un praticante della arti mistiche.
Ed era rimasto in coma per ben sei anni, non poteva averle apprese in quel frangente! Inoltre, la magia del caos di cui stava facendo uso…era troppo simile a quella di Wanda.
Lo stregone strinse gli occhi. << Come hai fatto a ottenere poteri magici, Cletus? >>
Il serial killer inclinò la testa di lato e si portò un dito artigliato alla bocca.
<< Diciamo solo che mentre ero in coma ho incontrato uno sponsor! >> disse con quella sua voce graffiante << Dice che abbiamo un amico in comune…ed entrambi lo vogliamo morto! >>
Allargò le braccia e i viticci del suo corpo cominciarono a fremere, come se impazziti.
<< Vi vogliamo tutti morti! AH AH AH AH AH! >>
Come ad un segnale, gli infetti tornarono all’attacco.
Wanda allargò ambe le mani ed evocò una cupola scarlatta attorno a loro, mentre le creature vi si lanciarono contro a tutta forza.
Strinse i denti e si voltò verso l’insegnante.
<< Dobbiamo andarcene di qui! >> ringhiò, consapevole che non potevano resistere a lungo contro così tante persone. Non se non potevano rischiare di far loro del male!
Strange annuì d’accordo e compì alcuni rapidi gesti con le mani.
Un portale si materializzò alle loro spalle e lo stregone vi strascino dentro entrambi, proprio mentre la cupola si frantumava in un milione di pezzi.
Gli infetti cercarono di agguantarli, ma ecco che il portale scomparve con un semplice lampo, lasciandosi dietro solo il vuoto dell’aria.
Wanda e Strange si ritrovarono in quello che aveva tutta l’aria di essere un Bar.
I tavoli e le sedie del posto erano rovesciate in diversi punti, e gran parte delle pareti erano macchiate di rosso, come se quel luogo fosse stato teatro di una lotta molto violenta.
Lo stregone si accasciò contro il bancone del locale e sospirò stancamente.
<< Ok, dovremmo essere al sicuro… >>
Si fermò nell’istante in cui percepì un’altra presenza poco distante da loro. Era una firma debole…ma apparteneva sicuramente ad una persona.
<< Aspetta >> sussurrò, fermando Wanda prima che potesse rialzarsi.
Indicò il punto in cui si nascondeva la firma di energia vitale, proprio dietro ad un tavolo rovesciato.
<< C’è qualcun altro assieme a noi >> disse con il tono di voce più basso che riuscì a trovare. L’ultima cosa che voleva, dopotutto, era far sapere al loro misterioso osservatore che fossero consapevoli della sua presenza.
Non sapeva se fosse un nemico o un amico…ma vista la situazione, non avrebbe rischiato.
Fece un cenno a Wanda e la strega non esitò un solo istante.
Le sue mani si tinsero di rosso, e subito un corpo umano venne sollevato a mezz’aria da dietro al tavolo.
Si trattava di una giovane donna dai lunghi capelli neri, vestita con abiti piuttosto ordinari: una felpa con cappuccio grigia, giacchetta nera, pantaloni jeans attillati e un paio di stivali color pece.
Gli occhi della strega si spalancarono come piatti, riconoscendola all’istante. In fondo, era diventata piuttosto popolare dopo la sua partecipazione alla battaglia contro King Ghidorah.
<< Jessica Jones?! >> sbottò scioccata. La reazione di Strange fu più controllata, ma non certo meno sorpresa.
Ancora sospesa, la detective lanciò alla coppia un sorriso impertinente.
<< Ehi ragazzi? >> disse mentre li salutava con un gesto disinvolto della mano << Potete mettermi giù? E già che ci siamo, qualcuno di voi potrebbe gentilmente dirmi…CHE CAZZO STA SUCCEDENDO?! >>
                                                                                                      


Tranquilla, Jessica, sono sicuro che se lo stiano chiedendo in molti. Ma non preoccupatevi! Con le immortali parole di Metphis…tutto sarà rivelato!
Parlando proprio del nostro amabile alieno, penso sia arrivato il momento di rivelarvi alcune informazioni su di lui: è il capo accolito della razza Efix, una specie aliena dalla trilogia anime di Godzilla che serve proprio King Ghidorah, da loro ritenuto una divinità.
Non so se ci avete fatto caso, ma nella sua presentazione in “King of Terror” Ghidorah si autodefiniva proprio il sovrano di Exif. Beh…ecco cosa intendeva.
Nel frattempo, Odino e compagnia si preparano a discendere sulla terra in stile Dragonball, Tony ha una belle rimpatriata post-resurrezione e Carnage continua a fare casini, citando uno “sponsor”.
Siete intrigati? Lo spero, anche se devo avvertirvi che il prossimo capitolo potrebbe tardare un po’, presto comincerò la tesi del Master, e sarò davvero MOLTO impegnato.
Quindi…alla prossima!

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Eccovi un nuovissimo capitolo! Vi auguro una buona lettura ;)



Capitolo 7

Un anno prima

La mente di Cletus Kasady fluttuava nell’oscurità.
Il mondo attorno a lui era solo una vastità infinita di nulla più assoluto. Nero…nient’altro che quello.
Da quanto tempo si trovava in quel luogo sconosciuto? Giorni? Settimane? Mesi? Anni?!
Ormai non riusciva più a ricordarlo, così come non poteva ricordare molte altre cose.
La sensazione di avere un corpo…di poter toccare con mano. Il soffio dell’aria sulla pelle…il contatto umano…ormai certe cose gli parevano sconosciute.
Nient’altro che ricordi fantasma di una vita che non era più sua. Una vita che stava cominciando lentamente a dimenticare, e questo lo metteva a disagio.
<< Fatemi uscire da qui…fatemi uscire da qui, cazzo! >> ringhiò, e quell’urlo primordiale risuonò attorno a lui con la stessa intensità di mille tuoni a ciel sereno << Non ce la faccio più! Fatemi uscire! Voglio uscire! Voglio uscire ORA! >>
<< Ciao, Cletus >> sussurrò una voce graffiante nell’oscurità.
La mente di Cletus sussultò, e presto seguì una spiacevole sensazione di ansia mista a qualcos’altro…speranza. Più precisamente, la speranza di non essere più solo in quel luogo senza tempo.
<< E tu chi cazzo sei? >> chiese con una punta di sospetto, perché in fondo aveva ormai imparato quanto fosse pericoloso e controproducente fidarsi degli estranei. Lui ne era la prova vivente.
Il proprietario della voce sembrò sorridere nell’oscurità.<< Io? Sono semplicemente un ammiratore del tuo lavoro. >>
Fu allora che le tenebre lasciarono posto ad un lampo di luce. Un bagliore bianco come la neve, accecante, bellissimo…ma terrificante al tempo stesso.
Seguirono le urla sofferenti di innumerevoli anime intrappolate in quei pilastri infiniti, pallide colonne che nascondevano qualcosa di spaventoso, forse la cosa più spaventosa mai partorita dalla creazione stessa!
E per la prima volta dopo molti anni…Cletus Kasady ebbe paura, anche se cercò di non darlo a vedere.
<< Ooooook  >> strascicò lentamente << misteriosa luce “per nulla inquietante”. Avrò bisogno di qualche informazione in più >>
<< Non penso tu sia nella posizione di chiedere nulla. Io, al contrario, posso chiederti molto! >> esclamò la voce, ed ecco che il bagliore sembrò lampeggiare ad ogni parola.
La diffidenza di Kasady lasciò il posto alla rabbia. << Perché? >>
<< Mi sembra ovvio! Perché posso tirarti fuori da qui! >>
Un altro cambiamento.
Paura, sospetto, collera…tutte queste emozioni vennero brutalmente accantonate sotto il peso di quell’unica dichiarazione.
La speranza tornò a strisciare nel freddo cuore del serial killer.
<< Puoi…puoi farlo davvero? >> chiese con esitazione.
Il sorriso della “Luce” sembrò crescere d’intensità.
<< Certo! Con un’anima come la tua sarebbe piuttosto semplice. Le persone come te e il Macroverso vanno molto d’accordo >> disse con quella sua voce squillante e cavernosa al tempo stesso.
Cletus esitò qualche istante prima di riaprire bocca.
<< Che cosa vuoi da me? >>
<< Che cosa voglio? Offrirti un lavoro! >> fu la pronta risposta del suo nuovo amico << Condito con una buona dose di vendetta verso coloro che hanno ostacolato i tuoi piani! >>
La mente di Cletus venne subito invasa da una serie di immagini.
I volti di coloro che lo avevano messo in questa situazione: Spider-Man, Capitan Marvel, Norman Osborn, gli Avengers…i cittadini di New York. Tutte quelle persone che avevano contribuito alla sua sconfitta.
Sentì una rabbia cieca inondargli la mente, e il mondo attorno a lui cominciò a tingersi di rosso.
<< Ora sì che si comincia a ragionare >> sibilò con un ghigno << Dimmi…che genere di lavoro, esattamente? >>

Presente:
 
Il Black Bird non era mai stato un locale rispettabile.
Per più di trent’anni, lo stabilimento aveva svolto egregiamente il suo compito: essere un luogo di ritrovo per tutti quegli uomini che cercavano di dimenticare le preoccupazioni della vita, lontano dai giudizi delle mogli e dei datori di lavoro. Una sorta di Eden in cui gli unici linguaggi comprensibili erano l’alcol e le risse occasionali.
Forse proprio per questo, Cletus l’aveva subito scelto come sua base operativa.
Al momento, il serial killer stava giocando una bizzarra partita a biliardo unilaterale, visto che i suoi unici avversari erano una coppia di infetti che aveva separato dal resto della mandria.
Appollaiato sul bordo del tavolo da gioco, invece, spiccava la minuscola figura di Ollie Donovan, anch’egli avvolto da un simbionte.
Carnage osservò il piccolo infetto con un cipiglio contemplativo.
<< Sai, Bill… Avevo circa la tua età quando mio padre mi portò in un bar >> disse con quel suo tono di voce graffiante << Sono quel tipo di esperienze che ti cambiano la vita. È così che si costruisce un legame padre-figlio! >>
Allargò le braccia e la creatura vi salto dentro, accoccolandosi al petto dell’uomo.
<< Farò il diavolo a quattro e diverrò un bel padre di famiglia. Vero, Anna? >> chiese rivolto all’unica persona nella stanza che aveva mantenuto le sue sembianze umane: Anna Donovan, la vera madre del bambino.
La donna ebbe giusto il coraggio di incontrare gli occhi del serial killer, ma per il resto rimase in silenzio.
<< Ho detto…vero, Anna?>> ripetà il mostro in pelle umana << Sei ancora triste, cara? Ti ho portato degli amici, no? >>
La donna piagnucolò e Cletus roteò gli occhi con fare esasperato. Poi, si voltò verso il tavolo da biliardo e osservò l’ultima mossa di uno degli infetti.
<< Eh eh, fate pure, tanto vinco io >> ridacchiò con un ghigno.
In fondo erano tutti parte di lui. Per certi versi, erano davvero una grande famiglia!
Carnage non aveva mai voluto fratelli e sorelle…allora cos’era quella sensazione calda che aveva cominciato a farsi strada nel suo stomaco? Era forse…amore?
“…Nha, sarà il tizio che ho mangiato mezz’ora fa. Sembrava un fan del cibo messicano.”
<< Ti prego…smettila di fare questo…>> sussurrò la donna dietro di lui, attirando ancora una volta l’attenzione del supercriminale.
Questi sospirò stancamente. << Ma sono con i miei amici, Anna! >>
<< Restituiscimi mio figlio! >>
<< Restituiscimi? Cara, siamo una grande famiglia felice qui. Finchè non lo capirai, non potrò affidarti il bambino. >>
Calde lacrime cominciarono a scivolare dagli occhi di Anna, ma il serial killer non perse mai quel suo sorriso grottesco.
Lentamente, la donna sollevò la testa e incontrò lo sguardo di Cletus senza battere ciglio.
<< Ho…capito, Cletus. Prometto! >> esclamò disperata.
Il supecriminale si portò una mano al mento e cominciò a picchiettare il piede destro.
<< Eh, non so… >>
<< Cosa devo fare per dimostrartelo?! >> continuò la donna, afferrandolo per le spalle << Dimmi cosa devo fare e lo farò!>>
<< …okay! >>
Carnage battè ambe le mani in un sonoro rintocco.
<< Voglio che mi porti la testa degli Avengers. E voglio che lo facciate come una famiglia, così tuo figlio capirà cosa conta davvero nella vita. È giusto? >> chiese con un luccichio malevolo negli occhi.
Anna rabbrividì per la paura. << Okay…lo farò. >>
<< Non è quello che ho chiesto. Ho chiesto se ti sembra giusto. >>
<< …Sì >> sussurrò, ricevendo in cambio una risata psicotica.
Al contempo, una sostanza rossa e filamentosa cominciò ad avvolgerle il corpo da capo a piedi, trasformandola in una grottesca imitazione del suo creatore.
L’infetta sorrise sadicamente e balzò fuori dal locale, presto seguita dal figlio sghignazzante.
Cletus osservò il tutto con uno sguardo al limite tra l’estatico e l’orgoglioso, e simulò l’azione di asciugarsi una lacrimuccia.
<< Bene, perché è sempre stato questo il mio motto! >> esclamò gioviale << Severo…ma giusto! >>
 
                                                                                                                              * * *
 
 
Stephen Strange prese un respiro profondo e fissò intensamente la donna seduta di fronte a lui.
<< Prima di cominciare…Jessica, come sei finita qui ad Harpswell? >> chiese con tono inquisitorio.
La detective si strinse nelle spalle, apparentemente incurante di quanto fosse grava l’attuale situazione.
<< La mia solita fortuna >> disse sprezzante << Una donna mi ha contattato alcuni giorni fa, chiedendomi di risolvere un caso piuttosto delicato. Suo figlio era scomparso in questa città da cinque anni, e la polizia della contea non era riuscita a trovare niente anche dopo tutto questo tempo. Ha visto la mia pubblicità e ha deciso di fare un ultimo tentativo, mi ha pagato un bel po’ e così sono venuta qui. All’inizio le cose andavano bene, la popolazione era abbastanza amichevole. Poi c’è stato una specie di…bagliore nel cielo, non so bene come descriverlo. Una sostanza rossa ha cominciato ad uscire da ogni tubatura della città…e poi boom! Tutti hanno cominciato a trasformarsi in quelle cose!  Roba da pazzi. >>
<< A quanto pare il responsabile di questo è Cletus Kasady>> spiegò Wanda, e la mora spalancò gli occhi per la sorpresa.
<< Cletus Kasady? >> sussurrò incredula << Il Serial Killer di New York? Lo stesso serial killer che è riuscito a mettere in crisi gli Avengers?! >>
<< Proprio lui >> confermò Strange << Non so come, ma in qualche modo ha imparato ad usare la magia mentre era in coma…e ora è pure riuscito ad infettare l’intera cittadina con il suo simbionte. >>
Jessica gemette sonoramente e si portò ambe le mani alla testa.
<< Ugh, tutto questo è al di sopra della mia paga >> borbottò, mentre lanciava un’occhiata guardinga in direzione dell’Avenger << Visto che sei uno stregone, non puoi, che ne so…dire abracadabra e teletrasportarci tutti fuori di qui? >>
Strange sospirò stancamente. << La magia della barriera impedisce qualunque forma di teletrasporto dall’interno. >>
<< Ovviamente >> sbuffò la mora << Mai voi siete qui, no? Avete sicuramente trovato un modo per entrare…quindi dovreste essere anche capaci di uscire. >>
<< Non possiamo andarcene senza prima liberare le persone di questa città >> disse duramente Wanda << Non so cosa Kasady abbia in mente per loro, ma dubito che sarà qualcosa di buono. >>
<< Almeno contattate gli altri Avengers! >> esclamò Jessica, sollevando le braccia con fare esasperato.
Strange sorrise ironicamente. << Spiacente, comunicazioni bloccate. >>
La detecive gemette una seconda volta.
<< Perché continuo a finire in queste situazioni? >> piagnucolò miseramente << Voglio solo avere una vita normale, pagare il mutuo, ubriacarmi, scopare…non passare il weekend a salvare il mondo! Sono una cazzo di detective, non un supereroe! >>
<< Eppure ci hai fornito il tuo aiuto contro un drago spaziale a tre teste che stava per annientare il pianeta >> osservò Wanda con un ghigno consapevole.
Jessica le lanciò un’occhiataccia.
<< L’ho fatto solo perché quel bastardo aveva distrutto il mio bar preferito! >> ringhiò con meno convinzione di quanto avrebbe voluto.
La strega fece per controbattere, ma Strange le mise una mano sulla bocca.
<< Fa silenzio! >> sibilò a bassa voce.
Sia Wanda che Jessica spalancarono gli occhi, sorprese, ma scelsero comunque di obbedire all’ordine dello stregone.
All’inizio non accadde niente. Le strade al di fuori del bar rimasero completamente silenziose, ad eccezione dell’occasionale fruscio di foglie trasportate dalla brezza notturna.
Ma quando il trio di supereroi fece per rilassarsi…ecco che alcune sagome indistinte cominciarono a muoversi nella luce dei lampioni.
Gli occhi di Strange si spalancarono in allarme.
<< Maledizione… >>
Non ebbe il tempo di terminare la frase.
Un trio di figure attraversò le finestre del locale con prepotenza, riversando cocci e schegge di vetro su tutto il pavimento. Alcuni dei frammenti volarono contro Jessica a tutta velocità, ma Strange fu rapido a contrapporre uno scudo magico tra la Detective e i proiettili.
Si voltò verso la coppia di donne. << Ci hanno trovati! >>
<< Sì, questo lo vedo! >> urlarono entrambe all’unisono.
Al contempo, le creature lanciarono dei ruggiti agghiaccianti, mentre dai loro corpi si protrassero dei viticci color sangue.
Due di loro avevano una costituzione adulta - una maschile e una dalle fattezze distintamente femminili - mentre la terza – che se ne stava appollaiata sul bordo della finestra rotta – aveva le dimensioni di un bambino.
Al trio di Avengers fu subito chiara una cosa: stavano per affrontare una famiglia di infetti, probabilmente i genitori e il loro figlio.
La coppia di adulti si lanciò subito addosso Wanda e Strange, mentre la creatura più piccola balzò verso Jessica con le fauci spalancate e le braccia protese.
Poco prima che le sue zanne potessero conficcarsi nella pelle della donna, questa si scansò di lato e l’infettò andò a finire contro il muro opposto del locale, scomparendo in una nuvoletta di polvere.
Quando si rialzò in piedi, lanciò al suo bersaglio uno sguardo omicida, ma Jessica si limitò a scrocchiare le nocche.
<< Spiacente, ragazzino, ma la mia faccia non è sul menù! >> ringhiò minacciosamente.
L’infetto rispose a tono con un ruggito e si lanciò verso di lei.
La donna alzò rapidamente il pugno e lo calò con forza verso il basso, ma la creatura riuscì a scansarsi per un soffio e saltò in direzione del soffitto. Appena un secondo dopo, le nocche della detective incontrarono il pavimento del locale, sprigionando una potente onda d’urto e sollevando ingenti quantità di pezzi di legno e calcestruzzo misti assieme.
Il locale tremò a causa della forza di impatto, ma Jessica non ne risentì afatto e rimase completamente immobile. Ormai aveva imparato ad assorbire gli urti che i suoi attacchi potevano provocare, quindi rimase salda nello stesso punto e sollevò la testa, appena in tempo per vedere il mini-Carnage che saltava verso di lei con la bocca spalancata.
Menò un altro pugno, ma la creatura compì una giravolta a mezz’aria e atterrò sul braccio della supereroina con la stessa grazia di un trapezista olimpico.
Strabuzzò gli occhi e tentò di allontanarlo con uno schiaffo, ma ecco che il mostriciattolo evitò anche quell’attacco e atterrò con eleganza sulla testa dell’avversaria.
Jessica sentì i suoi artigli che le si conficcavano nella cute e fu subito presa dal panico. Cominciò ad agitare le mani e la testa nel tentativo di scrollarsela di dosso, ma la creatura non sembrava per nulla intenzionata a mollarla.
Nel frattempo, Wanda e Strange erano impegnati in una sorta di mordi e fuggi contro la coppia di adulti. Ogni volta che lanciavano un incantesimo, questi riuscivano ad evitarlo e a rispondere con i loro viticci affilati.
Erano sicuramente più agili e pericolosi rispetto agli infetti che avevano incontrato nel centro città. Sembravano quasi una loro versione avanzata!
“Probabilmente lo sono” pensò Wanda, mentre evocava uno scudo di energia scarlatta per proteggersi dall’ennesimo assalto.
Schegge e frammenti volarono in ogni direzione, e il locale si trasformò rapidamente in un vero e proprio campo di battaglia. Jessica non aveva mai visto il luogo di un bombardamento, ma non si sarebbe stupita dallo scoprire che gli edifici colpiti da una bomba finivano proprio così.
Mentre rimuginava su ciò, il piccolo Carnage cominciò a tirarle i capelli, ridendo in un modo che ricordava non poco quello del suo padrone. Sembrava quasi il riso di una iena misto al gracchiare di centinaia di corvi…e le stava dando sui nervi.
Con un urlo di rabbia, si lanciò verso il bancone del bar come un toro infuriato.
La piccola creatura non fu abbastanza veloce a muoversi…e così si ritrovò bloccata tra quaranta centimetri di legno, alcolici e la testa di una supereroina molto incazzata e dalla pelle particolarmente dura.
Il mostriciattolo gemette di sorpresa e dolore quando il suo corpo venne scaraventato con forza attraverso il bancone e contro il muro del locale, con tanta forza da essere sparato direttamente all’esterno dell’edificio.
Il suo corpicino lasciò un grosso foro nel cemento del bar e atterrò pesantemente sulla strada opposta a quella principale, per poi finire all’interno di un’altra abitazione.
Jessica si rimise in piedi a fatica e portò una mano alla fronte.
<< Ugh, questo mi lascerà il segno >> borbottò intontita.
Nel mentre, a qualche metro da lei, Strange era riuscito ad intrappolare la coppia di adulti con delle fruste dorate.
Le bestie si agitavano impazzite, ma lo stregone cercò di mantenere salda la presa e girò la testa verso Wanda.
<< Pensi di poterli liberare dal loro controllo mentale?! >>
<< Posso provare! >> ribattè la rossa, mentre afferrava la testa della creatura maschile. Subito dopo, gli occhi della strega vennero illuminati da un bagliore scarlatto e alcuni viticci cominciarono ad avvolgere il volto mostruoso dell’infetto.
La bestia si bloccò, come se fosse in una specie di trance, e le sue pallide lenti si limitarono ad osservare l’Avenger per un tempo che sembrò interminabile.
Poi…entrambi i combattenti cominciarono ad urlare e Wanda si tirò indietro, portandosi le mani tra i capelli.
Strange strabuzzò gli occhi in allarme.
<< Wanda! >> esclamò, mentre scaraventava le creatura femminile contro le finestre rotte, fuori dal locale.
Corse subito fino alla sua allieva e la sorresse prima che il suo corpo potesse toccare terra.
<< Cosa è successo? >> chiese dolcemente.
La rossa cominciò a lacrimare. << La loro mente è…oddio… >>
Si portò una mano alla bocca e dovette fare appello a tutta la forza di volontà che aveva in corpo per non vomitare seduta stante.
<< Non so neanche come descriverlo. Ho sentito così tanto odio…così tanta rabbia >> singhiozzò disperatamente << Così tanta…paura. Come se miliardi di voci stessero urlando nello stesso istante! >>
Afferrò il mantello di Strange e questi sussultò all’espressione terrorizzata sul volto dell’allieva.
<< E poi ho sentito…il male >> sussurrò la donna << C’era così tanto male. >>
Jessica, che si era avvicinata alla coppia, lanciò alla rossa un’occhiata diffidente.
<< Oooooook…ora sono decisamente a disagio >> borbottò, mentre guardava rapidamente la strada che confinava con il locale.
La creatura femminile era scomparsa, mentre un uomo giaceva svenuto a pochi passi da un lampione. Della sostanza filamentosa che lo aveva ricoperto fino a quel momento…neanche l’ombra.
Avevano vinto, almeno per ora.
Strange avvolse Wanda in un abbraccio confortante, ma la sua mente stava già correndo a mille. Cos’avrebbe mai potuto turbare a tal punto la mente della sua allieva?
E mentre la donna piangeva su di lui, lo stregone non potè fare a meno di rabbrividire al pensiero di ciò che aveva visto.
“Cletus…che cosa hai fatto?”

                                                                                                                         * * *


Lontano dalla Terra...

Carol aprì lentamente gli occhi.
Si sentì subito stanca, svuotata, come se qualcuno le avesse prelevato tutto il sangue che aveva in corpo.
Lentamente, sollevò la testa e scoprì di essere all’interno di una cella, ma questa volta i suoi rapitori non si erano nemmeno presi la briga di incatenarla. Ormai dovevano essere abbastanza fiduciosi della loro misura di sicurezza.
Alzando una mano al collo, la donna confermò che il collare era ancora lì, pronto ad attivarsi al minimo segno di trasgressione.
Guardandosi attorno, la supereroina si rese anche conto che probabilmente non era più sul pianeta Exif. Gli interni della cella erano metallici, freddi, troppo tecnologici e diversi da quelli della sua ultima prigione.
Poteva sentire uno strano brusio sotto i suoi piedi, e da ciò comprese di trovarsi su una nave. E una molto grande, a giudicare da quanto era spaziosa questa cella!
Sentì un improvviso mal di testa, e i ricordi della notte precedente cominciarono ad inondarle la mente.
Darth Vader…il rituale di Metphis…Ghidorah!
Ghidorah era tornato, e si stava preparando ad attaccare la Terra assieme al Leader Supremo dell’Impero!
Doveva avvertire i suoi compagni Avengers. Doveva…doveva avvertire Peter…
La porta della cella si spalancò di colpo, distogliendola dal suo rimuginare.
Due guardie entrarono subito dopo e la sollevarono dal pavimento con forza, per poi cominciare a condurla verso una zona imprecisata della nave.
<< Che cosa volete? >> ringhiò stancamente << Dove mi state portando? >>
<< Lord Vader vi ha invitata a cena >> fu la fredda risposta di uno stormtrooper.
Per un attimo, la donna credette di aver sentito male.
<< E lui cena spesso con i prigionieri? >> domandò incredula.
La guardia alla sua destra si strinse nelle spalle.
<< Non è nostro compito discutere i suoi ordini >> dichiarò impassibile.
Carol roteò gli occhi.
<< Ovviamente >> borbottò con un cipiglio << Tipica mentalità da soldato malvagio. >>
Nessuna delle due guardie la degnò di un’altra risposta e il resto del viaggio continuò in completo silenzio.
Durante il percorso, incrociarono molti altri soldati e uomini vestiti con uniformi grigie, per lo più umani, ma c’erano anche molte razze che Carol non aveva mai visto prima.
Infine, giunsero nei pressi di quella che aveva tutta l’aria di essere un cabina e i due Stromtroopers la spinsero al suo interno con più delicatezza di quanto si aspettasse.
La porta della stanza si chiuse dietro di lei e la donna cominciò a guardarsi rapidamente intorno.
La cabina – ammesso che lo fosse – era immersa nell’oscurità, ad eccezione di un unico punto al centro del pavimento.
Lì in mezzo? Un tavolo su cui erano stati riposti due piatti ricolmi di carne e verdure.
In effetti era stato proprio allestito per una cena, completo di bicchieri, posate, una brocca d’acqua e una contenente un liquido rosso che poteva essere vino, o forse un tipo diverso di alcol.
Mentre Carol rifletteva su questa insolita combinazione, udì un respiro sibilante in un angolo nascosto della stanza.
<< Si diverte a spiare gli altri, Lord Vader? >> domandò stizzita.
Come ad un segnale, la creatura dal volto scheletrico fuoriuscì dalle ombre, accompagnata da quel suono inconfondibile.
<< Mi diverte osservare la fragilità della vostra situazione >> disse con la sua voce bassa e cavernosa.
La bionda non lo degnò di una reazione e si limitò ad osservare il tavolo al centro della stanza.
Vader seguì il suo sguardo e le fece cenno di sedersi.
<< Prego >> offrì con un tono che non tradiva alcuna ostilità << Mettetevi comoda. >>
Carol esitò, ma solo per un istante. Non voleva dare al suo rapitore la soddisfazione di vederla a disagio.
Così fece come richiesto, mentre Vader la imitava.
Entrambi rimasero fermi e immobili, accompagnati solo dal respiro sibilante di quella maschera color pece.
Carol lanciò un’occhiata diffidente al piatto di fronte a lei, non del tutto sicura se dovesse mangiarlo o meno. Era affamata, certo…ma l’ultima cosa che voleva era ripetere la stessa sequenza di eventi che l’avevano portata a questa situazione.
<< Se avessi voluto uccidervi… >> disse Vader, facendole alzare la testa si scatto << pensate davvero che mi sarei preso la briga di preparare questa cena? >>
In effetti era una domanda abbastanza logica.
Se Vader avesse davvero voluto ucciderla…beh, di certo non si sarebbe preso la briga di elaborare un espediente così fantasioso, visto che al momento era completamente alla sua merce.
Ma allora…perché diamine lo stesso individuo che l’aveva rapita aveva anche deciso di invitarla a cena? Si stava decisamente comportando in un modo a dir poco contradditorio.
O forse stava solo cercando di farle abbassare la guardia e metterla a sua agio!
Forse voleva qualcosa che era in suo possesso. Un’informazione? I suoi poteri? Poteva essere di tutto.
Lentamente, la donna afferrò una forchetta e la conficco nel pezzo di carne. Poi, se la portò alla bocca e cominciò ad assaporarne il gusto. Non era affatto male.
<< Ebbene? >> chiese Vader, le mani incrociate di fronte a sé.
Carol deglutì il pezzo di carne e lo osservò impassibile.
<< È…molto buono >> disse quasi con riluttanza << Che cos’è? >>
<< Spezzatino di Rancor >> spiegò il Leader Supremo << Una bestia che vive nelle grotte di Tatooine. >>
Il nome di quel pianeta le fece quasi andare il cibo di traverso.
Presto la sua mente venne invasa da immagini di un passato che aveva cercato di dimenticare con tutta se stessa.
Ricordava molto bene il nome di quel mondo…perché era stato proprio sulla superficie di quel pianeta che la donna aveva cominciato a mettere in dubbio le intenzioni dell’Impero Kree, sebbene avesse cercato di ignorare i suoi sospetti nei tempi successivi.
Era il giorno in cui aveva ucciso Shmi Skywalker, una traditrice Kree che aveva scelto di abbandonare l’Impero per nascondere un qualche tipo di arma dalla Suprema Intelligenza.
E lei…l’aveva uccisa solo perché era stata abbastanza coraggiosa da ribellarsi.
Vader inclinò leggermente la testa, apparentemente incuriosito dalla sua reazione.
<< Avete familiarità con il pianeta? >> chiese con quel suo tono meccanico.
Era davvero difficile capire se lo avesse fatto per mera curiosità o perché aveva colto il suo disagio e stava cercando di tormentarla. Così, l’Avenger scelse di dargli una risposta neutra.
<< Io…sì, ci sono stata. >>
<< Brutti ricordi? >>
<< Non ho alcuna intenzione di parlarne con voi >> ribattè freddamente.
Il suo rapitore si limitò a scrollare le spalle. << Come preferite. >>
La disinvoltura con cui pronunciò quelle parole le fece stringere la forchetta più forte del dovuto.
Quest’uomo si stava comportando in modo troppo amichevole. Troppo…disinvolto.
Sembrava quasi che l’avesse invitata lì per un appuntamento!
Carol arrossì di rabbia al solo pensiero e prese un paio di respiri calmanti. Non poteva lasciarsi controllare dalle emozioni in una situazione come questa, non ora che doveva assolutamente cercare un modo per fuggire e avvertire i suoi compagni terrestri – e Peter – del ritorno di Ghidorah.
Vader osservò il tutto senza il minimo segno di preoccupazione.
<< Noto che fremi dalla voglia di farmi del male >> osservò impassibile.
Carol sentì la propria rabbia crescere di secondo in secondo.
<< Capita quando vieni rapita da una creatura con la maschera >> ringhiò tra i denti.
Il Leader Supremo dell’Impero Galattico non disse nulla e si limitò a scrutarla attraverso le sue lenti scarlatte per un tempo indefinito.
Per un attimo, la donna temette di aver oltrepassato una linea. Forse lo aveva offeso troppo e ora si sarebbe lanciata su di lei con tutta l’intenzione di ucciderla.
Invece, lentamente…Vader afferrò la maschera con ambe le mani, e le orecchie di Carol vennero attraversate da un sibilo improvviso.
La maschera scivolò sul tavolo, rivelando il volto di un giovane uomo.
Carol si sorprese subito di quanto fosse bello.
Aveva dei lineamenti affilati ma eleganti, leggermente abbronzati e coronati da folti capelli castani. Gli occhi erano di un azzurro penetrante, ma la donna riuscì a intravedere alcune macchioline gialle lungo i bordi, accentuate dal fascio che illuminava il tavolo.
Ma ciò che attirò davvero la sua attenzione…fu la sontuosa cicatrice che percorreva quel volto che sembrava poco più vecchio del suo.
<< Ed eccoci qui. Faccia a faccia >> disse Vader con un sorriso vagamente compiaciuto << Due esseri umani molto lontani dai rispettivi mondi. Una coppia di orfani nella tempesta del cosmo. >>
<< Non sono orfana >> sbottò la donna, prima di riuscire a fermarsi.
Vader inarcò un elegante sopracciglio. << Però avete perso entrambi i genitori, o sbaglio? >>
<< Lei come fa a saperlo? >> chiese Carol, improvvisamente guardinga.
Queste erano informazioni che non potevano certo essere reperite al di fuori della Terra.
Da quanto tempo Vader la osservava? Aveva forse visitato il suo pianeta natale?
Quasi come se stesse percependo la sua angoscia, l’uomo arricciò appena le labbra in un ghigno.
<< Abbiamo un amico in comune >> rispose, mentre addentava un pezzo di Rancor << Più di uno, in realtà. Mi hanno raccontato molte cose su di voi. Informazioni che non sono di dominio galattico. >>
La donna sbuffò sprezzante e cominciò a pugnalare la sua cena.
<< Perfetto, mi mancava solo uno stalker spaziale >> borbottò con un cipiglio.
Con suo grande dispiacere, Vader ebbe il coraggio di RIDERE delle sue parole.
<< Voi fraintendete >> disse dopo essersi calmato << Ho organizzato questa cena solo perché volevo chiedervi qualcosa di personale, non certo per corteggiarvi. >>
<< E siete così sicuro che vi risponderò? >> ribattè l’altra, quasi sputandogli in faccia.
Vader le offrì ancora una volta quel suo sorriso apparentemente educato. << Sono sicuro che coglierete al volo l’occasione di scoprire uno dei miei punti deboli. >>
“Brutto figlio di…”
La donna strinse gli occhi e sorseggiò un po’ della sua bevanda. Aveva un sapore molto simile al vino.
<< Siete così fiducioso delle vostre capacità? >> chiese beffarda.
L’espressione sul volto di Vader si fece improvvisamente seria.
<< Non si tratta di fiducia, ma di esperienza personale >> sussurrò freddamente.
Carol avrebbe voluto controbattere, ma scelse di non dire niente.
In effetti, non conosceva nulla riguardo alle abilità di questo Darth Vader. E se l’uomo era riuscito a costruire un impero ad una così giovane età…beh, doveva certamente essere potente.
Forse la sua fiducia era giustificata.
<< Fate pure la vostra domanda >> borbottò con le braccia incrociate.
Vader annuì in segno di ringraziamento e prese un respiro profondo.
<< Per quale motivo avete scelto di diventare Capitan Marvel? >> chiese con un tono colmo d’aspettativa.
Carol strabuzzò gli occhi. Quella…non era certamente la domanda che si era aspettata.
<< Davvero? >> borbottò incredula << Questo è quello che volete sapere? >>
<< Le informazioni riguardo a questo aspetto della vostra vita sono alquanto…nebulose >> continuò Vader, ignorando la sua reazione << Ho semplicemente preferito chiederlo direttamente alla fonte. >>
Un'altra risposta plausibile, ma per qualche ragione Carol credeva che sotto ci fosse qualcosa di più.
<< Per rispondere alla vostra domanda… >> inziò lentamente << Sono diventata Capitan Marvel perché volevo aiutare le persone. >>
<< … >>
<< … >>
<< …è tutto qui? >> domandò Vader, perplesso.
La donna scrollo le spalle. << Di quale altra ragione avrei bisogno? Soldi? Non chiedo mai ricompense. Fama? Allettante, ma in realtà è la parte peggiore del lavoro. Lo faccio semplicemente perché…perché mi rende felice aiutare gli altri. Perché mi fa sentire bene. Perché…perché odio che agli innocenti capitino brutte cose. Tutto qui.  >>
<< Capisco >> sussurrò Vader, per poi assumere un’espressione contemplativa.
Il silenzio tornò a regnare nella stanza, e questa volta non fu interrotto nemmeno dal respiro occasionale del Leader Supremo. Così, Carol decise che era arrivato il momento di prendere in mano la situazione.
<< Ora posso farvela io una domanda? >> chiese con un tono di voce apparentemente disinvolto.
Vader inclinò leggermente la testa, ma le fece cenno di continuare.
<< Vi ho fatto qualcosa di male? >>
Era una domanda logica, vista la situazione in cui era finita.
Il suo rapitore si limitò a risponderle con un impassibile: << Sì >>
Il cipiglio sul volto di Carol si fece più pronunciato.
<< E cosa vi ho mai fatto per ritrovarmi in questa situazione?  >> domandò beffarda << Ho per caso distrutto la vostra nave da battaglia preferita? Ostacolato una delle vostre conquiste? Ho mangiato gli ultimi biscotti formato malvagio disponibili in questo quadrante di Galassia? No, aspetta, fammi riprovare…volete uccidermi per dimostrare la vostra superiorità all’Universo! Di solito è l’opzione più gettonata >>
Vader non rispose e continuò a scrutarla in silenzio per quasi un minuto buono.
Infine, afferrò la sua bevanda e la sorseggiò con gusto.
<< Temo che le vostre colpe siano di natura molto più personale >> borbottò nel bicchiere.
L’Avenger corrucciò la fronte e cominciò a scrutarlo attentamente. Poi, i suoi occhi si spalancarono nella realizzazione apparente.
<< Sono stata mica io a… >>
Fece il segno di incidersi il volto, e allora Vader capì subito che si stava riferendo alla sua cicatrice.
L’uomo sbuffò divertito. << No, è una ferita che mi sono procurato durante un addestramento. >>
<< Doveva essere un addestramento molto brutale >> osservò la bionda, mentre riprendeva a mangiare.
Vader grugnì.
<< Al mio maestro non piaceva andare per il sottile >> rispose con un sorriso ironico.
A quelle parole, anche Carol non potè trattenersi dall’arricciare le labbra in un ghigno.
<< Credetemi, ne so qualcosa >> disse con gli occhi che le brillavano << Il mio insegnante di combattimento era davvero uno stronzo >>
<< Così ho sentito dire. >>
<< …Sa, tutti questi riferimenti alla mia vita personale stanno cominciando a mettermi i brividi. >>
Vader sollevò un dito guantato.
<< Un guerriero deve sempre conoscere tutto del proprio avversario. È una questione di buon senso…e di rispetto >> disse con un tono di voce solenne, come se stesse ripetendo un vecchio insegnamento.
Carol incrociò ancora una volta le braccia davanti al petto. << Oh? Quindi mi rispettate? Non sembra. >>
L’uomo scrollò le spalle.<< Rispetto la vostra forza. Siete un avversario che ha richiesto molto tempo e preparazione. >>
<< Dovrei sentirmi lusingata? >>
<< Non è mio compito decidere come dovreste sentirvi. >>
La bionda rilasciò uno sbuffo divertito.
<< Devi essere un vero spasso alle feste >> disse con quel suo ghigno sempre presente.
Vader glie lo restituì a tono.
<< Non sono mai stato un tipo da feste >> disse mentre sollevava il suo bicchiere << Ma questo non significa non possa godermi un drink ogni tanto. >>
<< Allora brindiamo ai maestri che non vanno per il sottile! >> cinguettò Carol, mentre la sua mano destra vagava fino al coltello che teneva accanto al piatto.
Il sorriso sul volto del suo rapitore si fece molto più predatorio.
<< E che possano marcire dove li abbiamo lasciati >> rispose, suscitando un altro brivido lungo la spina dorsale della donna.
Aveva forse appena ammesso di…aver ucciso il suo insegnante? O forse lo aveva semplicemente rinchiuso da qualche parte. Francamente, nessuna delle due opzioni suonava poi così promettente.
<< Così cupo >> commentò, mentre trascinava la posata sotto il tavolo. Sperava solo che il suo rapitore non l’avesse notata.
Fece vagare i suoi occhi fino all’angolo opposto del tavolo
<< Mi può passare quella salsa? >> chiese con tono innocente.
Vader inarcò un sopracciglio e girò la testa verso il punto indicato. Carol non esitò neanche un secondo.
Il suo braccio scattò verso il collo del Leader Supremo, il coltello in mano e pronto a conficcarsi nella giugulare dell’uomo. La punta luccicò nella luce del soffitto…e si fermò ad appena un paio di centimetri dal bersaglio.
Carol sentì una presa fantasma sulla mano.
Sorpresa, fece appello a tutta la forza che aveva in corpo per cercare di contrastarla…ma non le servì a nulla. Il coltello non si mosse neanche di un millimetro e rimase sospeso a mezz’aria.
Vader si voltò lentamente verso di lei.
La scrutò per qualche secondo…e poi riprese a mangiare come se niente fosse.
Carol strinse i denti e si alzò dalla sedia, eppure la sua mano rimase bloccata.
<< Dovresti lasciarlo… >> disse il suo rapitore, senza mai sollevare lo sguardo << o potrei finire con il romperti il braccio. >>
La donna tentò ancora una volta di fare pressione, senza risultato.
Alla fine, allontanò il coltello e si accasciò sulla sedia, ansimante per lo sforzo.
<< Sa…fa la sua figura anche quando la uso attorno al collo >> commentò l’uomo, senza mostrare il minimo segno di disagio o preoccupazione a ciò che era appena successo.
Carol si massaggiò il polso.
<< Come ha fatto? >> borbottò scontenta.
Il Leader Supremo alzò lo sguardo e i suoi occhi sembrarono lampeggiare nella penombra della stanza. << Diciamo solo che non siete l’unica creatura dell’universo che può vantare di un dono piuttosto unico. >>
La donna strinse ambe le mani in pugni serrati.
<< Qualunque cosa vi ha promesso Ghidorah…non potete fidarvi di lui. Vi tradirà nel momento in cui non gli sarete più utile!>>
<< Non lo farà >> fu la risposta impassibile del suo rapitore << La nostra collaborazione è stata organizzata da qualcuno che sta molto al di sopra di entrambi.>>
A quelle parole, il cuore dell’Avenger mancò un battito.
Vader e Ghidorah stavano collaborando grazie ad una terza parte? Qualcuno abbastanza potente o influente da spingere una coppia di tiranni ad agire insieme senza secondi fini?
Era una notizia alquando…preoccupante.
<< Chi? >> chiese con insistenza, sperando di ricavare almeno un nome. Vader fu rapido a schiacciare brutalmente le sue speranze.
<< Qualcuno che, proprio come noi, nutre un certo rancore verso di te…e verso il pianeta da cui provieni >> rispose con un sorriso tagliente. E prima che Carol potesse chiedergli altro, afferrò la maschera e si coprì il volto ancora una volta.
Fatto questo si voltò verso la supereroina e le offrì una mano.
<< Venite con me >> disse in un modo che suonava stranamente gentile. Non sembrava affatto un ordine…più una richiesta amichevole.
Carol scrutò l’arto teso con diffidenza.
<< Perché dovrei? >> domandò sospettosa.
In quel momento, ebbe come la sensazione che l’uomo le stesso sorridendo sotto la maschera.
<< Perché voglio mostrarvi qualcosa di indimenticabile. Fidatrvi di me…non volete assolutamente perdervelo. >>
 
 
Sulla Terra…


Jessica guardò oltre la finestra del locale e scrutò attentamente i dintorni dell’edificio.
La strada era immersa nell’oscurità più totale e non c’era neanche l’ombra di un infetto.
Per quanto riguarda il bambino e l’uomo che li avevano attaccati, al momento stavano riposando incoscienti sulle poltrone del bar.
Era una vera fortuna che non si fossero fatti male durante la battaglia, ma a quanto pare i loro simbionti erano riusciti a guarirli poco prima di perdere il controllo dei loro ospiti. Sarebbe potuta andare molto peggio.
“Sembra tutto tranquillo” pensò la mora, mentre si voltava verso Wanda.
<< Pensi di poter trovare Cletus? >> domandò scorbutica.
La Scarlet Witch annuì in assenso.
<< Credo di aver trovato la sua firma magica >> confermò con un piccolo sorriso, prima di rivolgersi al suo maestro << Posso inviarti la posizione mentalmente. >>
<< Fallo. Io ci teletrasporterò nelle vicinanze>>
La donna annuì risoluta e mise una mano sulla testa di Strange. Dopo un paio di secondi, gli occhi dello stregone si illuminarono di rosso.
Cominciò ad agitare la mano destra, e subito un portale si materializzò di fronte a lui.
Il trio di supereroi lo attraversò con prudenza, le braccia sollevate in preparazione di un possibile attacco. Tuttavia…non accadde niente.
Strange li aveva teletrasportati in una zona della cittadina dall’aria ancora più spettrale.
Le case che confinavano con i marciapiedi sembravano disabitate da anni, e i lampioni non erano nemmeno accesi. L’unica fonte di luce sembrava provenire da dietro un condominio in pessime condizione.
Cautamente, i tre si avvicinarono all’estremità opposta dell’edificio…e i loro occhi si soffermarono su una scena a dir poco agghiacciante.
La folla di infetti era stata riunita in un unico punto, e al momento sostava attorno ai resti di quella che un tempo doveva essere stata una casa, circondata da fiaccole e cadaveri decomposti.
Nei pressi di quello che probabilmente era il giardino dell’edificio, Strange riuscì a leggere solo il nome dell’abitazione: Villa Harpswell.
<< Sul serio, dove diavolo siamo finiti? >> borbottò Jessica << In un film di Rob Zombie? >>
<< Non penso che lui sia coinvolto. Ma per quanto riguarda il Diavolo? >> disse Strange, mentre il suo sguardo vagava per il quartiere << Non ne sono poi così sicuro. >>
Jessica roteò gli occhi.
<< Ovviamente il Diavolo esiste >> ribattè stancamente << Ora non ditemi che dovrò chiedere scusa per ogni Domenica che non sono andata in chiesa. >>
<< Shhhhh >> la ammonì Wanda << Succede qualcosa. >>
La folla di infetti cominciò ad aprirsi, mentre un suono di passi riecheggiò per tutta la lunghezza del quartiere. Al contempo, un’ombra si fece strada al di sopra del cumulo di macerie.
Jessica strinse gli occhi.
<< Mi state prendendo per il culo? >> ringhiò impassibile.
Perché in mezzo alla folla aveva appena preso posto l’inconfondibile figura di Cletus Casady…vestito con un abito da prete.
Ad affiancarlo? La stessa creatura dalle sembianze femminili che li aveva attaccati al bar.
Il serial killer imitò un paio di colpi di tosse e prese un respiro profondo.
<< Mio gregge… >> cominciò ad alta voce << Siamo qui riuniti oggi per imparare a perdonare e amare….eh eh eh…scusate! Scusate, sto cercando di rimanere serio. >>
Scoppiò in una risata agghiacciante, e gli infetti di fronte a lui lo seguirono a ruota. Sembravano quasi un organismo unico, guidato da una volontà suprema…cosa che non era poi così distante dalla realtà.
Il serial killer si asciugò una lacrima immaginaria.
<< Comunque sia…Siamo qui riuniti oggi per un sacrificio comune. Una prova di solidarietà! Il vostro signore si è preso per anni cura di voi, il suo gregge…e il vostro signore pensa di meritare qualcosa in cambio. >>
Detto questo, fece una rapida panoramica della zona e allargò ambe le braccia a imitazione di un gesto plateale.
<< E ora…ripetete la sacre parole dopo di me! >> esclamò estatico << Noi siamo i tuoi servi fedeli. Noi ci consegniamo a te! Saziati delle nostre anime! Nutriti delle nostre carni…affinchè tu possa banchettare con questo mondo e con molti altri avvenire! >>
Gli infetti ripeterono le sue parole alla perfezione, e Wanda percepì uno strano brivido lungo la spina dorsale. Cletus e i suoi “fedeli” avevano appena pronunciato una specie di incantesimo, ne era sicura!
Anche Strange se accorse, ma per quanto si sforzasse non riuscì a ricordare nessuna magia a cui potessero essere associate parole simili. Tuttavia…aveva sicuramente l’aria un rituale molto potente.
Gli occhi di Cletus luccicarono nell’oscurità.
<< Tutti avete ricevuto il vostro coltello, sì? >> chiese con quel suo ghigno tutto denti.
In tutta risposta, i vari infetti estrassero una lama dai loro corpi.
Carnage battè le mani in un sonoro rintocco.
<< Bene…sapete cosa fare! >> urlò gioviale.
I vari infetti non se lo fecero ripetere due volte e cominciarono ad avvicinare i coltelli alla gola.
A Jessica ci volle giusto un secondo per capire quello che stava per succedere.
<< Dobbiamo fermarlo >> sussurrò con una punta di panico.
Si alzò subito in piedi, ma Strange la afferrò per la mano.
<< Jessica, aspetta… >>
Non ebbe la possibilità di terminare la frase, poiché la more si liberò dalla presa con un forte strattone e cominciò a correre in direzione della folla.
Lo stregone gemette sonoramente e procedette a correrle dietro, presto seguito dalla sua apprendista. Inutile dire che questo fu sufficiente a rivelare la loro posizione.
Cletus volse la propria attenzione nei confronti del trio e schioccò la lingua.
<< A quanto pare abbiamo degli ospiti non invitati alla festa! >> ringhiò beffardo << Cara…ti dispiace? >>
L’infetta accanto a lui lanciò un grido agghiacciante e andò subito incontro ai tre supereroi.
Dal suo corpo cominciarono a protrarsi tentacoli e viticci affilati, e Jessica fu costretta a frenare la sua corsa per evitare di essere infilzata.
Wanda non perse tempo ed evocò uno scudo di energia telecinetica, riuscendo ad incassare il colpo poco prima che le lame si conficcassero nel corpo della detective. Tuttavia, la creatura non demorse e continuò ad assaltare la protezione con una foga animalesca, il tutto sotto lo sguardo compiaciuto di Kasady.
Il serial killer sospirò felicemente. << Amo quella donna. E la conosco da solo un giorno! Questo sì che è amore a prima vista. >>
Si voltò ancora una volta verso gli infetti.
<< Bene, possiamo ricominciare. Ehi, nessun aiuto! Fatelo da soli, è questo il punto! Mavis, guarda che ti ho visto… >>
Alcuni membri tra la folla cercarono di resistere all’ordine dell’uomo, ma a nulla valsero i loro tentativi di riprendere il controllo.
Strange, Wanda e Jessica poterono solo osservare con orrore mentre le creature conficcavano i coltelli nelle gole dei loro ospiti, riversando copiose quantità di sangue ai loro piedi.
Cletus Kasady…aveva appena ucciso l’intera cittadina. Uomini, donne, bambini, adulti e anziani…nessuno di loro era stato risparmiato da quel terribile sacrificio.
Il sangue delle vittime si mescolò alla terra umida e cominciò a scivolare verso Cletus, quasi come se avesse una vita propria. Al contempo, tutta Harpswell iniziò a tremare.
Per poco Wanda non perse l’equilibrio, ma fortunatamente riuscì a mantenere salda la barriera.
Pochi secondi dopo, la terra attorno al cumulo di macerie si aprì in due…e ne fuoriuscì una luce abbagliante, seguita da migliaia di urla.
Il sorriso sul voltò di Cletus si fece ancora più largo.
<< Mettete gli occhiali da sole, gente…perché non avete ancora visto niente! >>
 
 
 
 
Boom! Immagino che alcuni di voi abbiano capito dove sto andando a parare.
Scrivere Cletus è sempre divertente, ha quella personalità imprevedibile e infantile che lo rende un personaggio molto versatile. Non vedo l’ora di vederlo in azione nel nuovo Venom!
E spero che il primo “faccia a faccia” tra Vader e Carol vi sia piaciuto. Ho sempre avuto un debole per quelle situazioni in cui due nemici si ritrovano a conversare come due persone civili, e tutti sanno quanto Vader abbia un debole per preparare cene inaspettate.
Nel prossimo capitolo cominceranno un bel po’ di casini!

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Eccovi un nuovissimo capitolo! Vi auguro una buona lettura ;)


Capitolo 8
 
Carol venne condotta fino ad una stanza poco illuminata.        
Una volta dentro, si sorprese di trovare un totale di tre dispositivi di contenimento a cui erano stati collegati due uomini e una donna.
Avevano i volti abbassati e coperti da lunghe ciocche di capelli sudati, quindi Carol non riuscì a identificarne la razza. Sembravano all’apparenza umani, ma non poteva esserne sicura dalla distanza in cui si trovava.
I loro arti erano avvolti da scariche di energia viola che ne impedivano qualunque movimento. Erano completamente bloccati.
Quei dispositivi sembravano molto simili alle gabbie di contenimento Skrull, quindi dubitava che sarebbero mai riusciti a liberarsi.
Oltre a loro, la donna individuò quattro uomini disposti attorno un grosso pannello di controllo circolare.
“Mi chiedo a cosa serva” pensò, mentre riportava la sua attenzione sugli altri occupanti.
Passò brevemente lo sguardo dai prigionieri a Darth Vader - immobile dietro di lei - poi di nuovo verso di loro.
Uno dei due uomini, in particolare, aveva un’aria stranamente familiare.
La donna gli si avvicinò cautamente.
Il prigioniero sollevò la testa…e gli occhi dell’Avenger si spalancarono scioccati.
<< Yon-Rogg ? >> sussurrò, mentre il volto del suo vecchio mentore e nemico si palesava ancora una volta di fronte a lei.
L’ex soldato sussultò e cercò di mettere a fuoco i suoi dintorni.
La sua faccia era messa decisamente male, con tagli e lividi che gli segnavano ogni centimetro di pelle. Evidentemente, avevano speso giorni interni a torturarlo.
<< V-vers? >> balbettò il Kree, con tono strozzato << Che…che cosa ci fai qui?>>
La bionda fece per rispondere, ma ecco che gli altri prigionieri sollevarono gli sguardi. Individui altrettanto familiari, che lei riconobbe all’istante.
<< Minerva? >> disse mentre faceva un cauto passo verso l’unica donna del gruppo: una Kree dai folti capelli neri e dall’intensa carnagione blu. Una dei membri più letali della sua vecchia squadra, ora ridotta ad una mera ombra della guerriera orgogliosa di un tempo.
<< Vers >> sputò la prigioniera << E io che pensavo che questa giornata non potesse peggiorare >>
Carol deglutì silenziosamente e passò lo sguardo sull’ultimo individuo rimasto: un imponente Kree dalla barba prominente, l’unico tra i suoi vecchi compagni – oltre a Yon-Rogg - che era sempre riuscito a tenerle testa in un combattimento…almeno prima che guadagnasse il controllo dei suoi poteri.
<< Bron >> sussurrò, ma il Kree riuscì solo a inviarle un grugnito di riconoscimento.
Il suo volto era messo anche peggio di quello di Yon, una palla rossa e viola con la mascella fracassata. Probabilmente era riuscito a resistere più a lungo degli altri.
L’Avenger chiuse gli occhi e prese un respiro profondo.
Odiava la sua vecchia squadra, certo. Le avevano fatto il lavaggio del cervello e l’avevano spinta più volte a ferire degli innocenti senza che lei ne fosse cosciente…ma mai si sarebbe aspettata di vederli in uno stato così pietoso.
Si voltò verso Vader, che per tutto questo tempo era rimasto in silenzio dietro di lei. Un monolite nero e intimidatorio, così diverso dall’uomo carismatico con cui aveva conversato fino a pochi minuti prima.
<< Perché sono qui? >> domandò freddamente.
Il Leader Supremo la indicò con un dito guantato.
<< Per la stessa ragione per cui TU sei qui >> fu la sua risposta impassibile << Assistere alla morte di un Impero. >>
Il cuore della bionda mancò un battito.
La morte di un Impero? Cosa poteva significare?
Vader stava per attaccare un altro pianeta? O forse c’era sotto qualcosa di peggio?
<< Che cosa vuoi fare? >> chiese con più insistenza, ma il suo rapitore si limitò a superarla e a darle le spalle.
<< Cominciamo >> ordinò freddamente << Mettetemi sulla linea principale della flotta. >>
Gli addetti presenti cliccarono alcuni pulsanti sui loro controller e subito un forte trillo risuonò per tutta la lunghezza della stanza, segnando la creazione di un collegamento olografico di sola andata.
Al contempo, le pareti nella sala cominciarono ad aprirsi, rivelando la vastità infinita dello spazio…e un pianeta che spiccava proprio sotto la nave.
La mente di Carol sembrò bloccarsi.
Lei…conosceva molto bene quel mondo. Lo aveva visto innumerevoli volte, sia dallo spazio che dalla sua superficie!
Era il pianeta in cui aveva passato alcuni dei momenti più significativi della sua esistenza: Hala…il mondo natale dei Kree.
Incurante del suo nervosismo, Darth Vader prese un respiro profondo e allargò ambe le braccia.
<< Oggi…è la fine dell’Impero Kree! La fine di un regime acquiescente alla crudeltà! Alla conquista! Alla distruzione di innumerevoli razze! >> esclamò con la sua voce tonante << E voi…i sopravvissuti all’infezione Kree…sarete proprio voi gli artefici della sua distruzione! >>
Puntò una mano verso il pianeta che si stagliava al di là delle paratie trasparenti, e la strinse in un pugno serrato.
<< In questo stesso momento, sul pianeta attorno a cui orbitiamo, l’Impero Kree continua a rimanere impunito, malgrado gli orrori che ha scatenato sulla galassia per innumerevoli secoli. Protetto dalla stessa Nova Corps che avrebbe dovuto consegnarlo alla giustizia! Ebbene…noi non resteremo più a guardare!  Questa feroce nave su cui ci troviamo, fiore all’occhiello della nostra flotta…metterà una rapida fine ai nostri nemici! Tutti gli insediamenti Kree sparsi per la Galassia si piegheranno davanti all’Impero Galattico! E nella nostra memoria, ricorderemo questo giorno…come quello in cui abbiamo finalmente ottenuto la nostra vendetta! >>
Afferrò il com-link della cintura e se lo mise vicino alla modulatore vocale.
<< Puntate i cannoni contro la capitale >> disse senza un briciolo di rimorso.
La reazione dei prigionieri fu praticamente unanime.
Yon, Minerva e Bron sussultarono all’unisono, mentre quella di Carol fu molto più vocale.
<< Cosa? >> sbottò, gli occhi spalancati per la paura e lo shock misti assieme << Vuoi bombardare la capitale di Hala? Non puoi farlo! >>
Vader si voltò verso di lei e la scrutò impassibile dalle sue lenti scarlatte.
<< Perché? >> domandò freddamente.
La bionda lo fissò incredula.
<< Perché? Come sarebbe a dire perché?! Perchè ci sono dei bambini lì! Famiglie, uomini e donne innocenti… >>
<< C’erano degli innocenti anche su tutti i pianeti che tu e la tua squadra avete aiutato a conquistare >> ribattè il Leader Supremo.
Carol si sentì come se qualcuno le avesse appena dato un pugno allo stomaco e compì un inconscio passo all’indietro.
<< Io…non sapevo quello che stavo facendo! >> balbettò, mentre un’ondata di ricordi spiacevoli cominciò a farsi strada nel suo cervello. Battaglie che aveva cercato di dimenticare con tutta se stessa…volti di esseri e persone che aveva ucciso in nome di una pace fasulla…un monumento ai suoi peccati.
Vader compì alcuni passi verso di lei e si fermò abbastanza vicino da farle sentire il suo freddo respiro che le accarezzava i capelli.
<< Allora il destino dell’Impero Kree non dovrebbe importarti >> disse con tono disinvolto, per poi indicare gli altri prigionieri << Ma per loro? Che hanno votato la loro carne e il loro sangue alla causa della Supremazia Kree? >>
L’Avenger era abbastanza sicura che Vader stesse sorridendo sotto la maschera.
<< Assistere alla distruzione della Capitale sarà peggio della morte stessa! >> continuò implacabile.
Yon abbaiò una risata strozzata, attirando l’attenzione della coppia.
<< Pensi davvero che distruggere una città servirà a qualcosa? >> domandò beffardo << Ah! Povero sciocco! Puoi uccidere tutti i Kree che vuoi, ma non potrai mai annientare il nostro leader! Lui è al di sopra di tutti noi! >>
<< Ti riferisci all’intelligenza artificiale che vive nel pianeta? >> ribattè impassibile il Leader Supremo << Il cui nucleo risiede all’interno della Capitale? >>
Gli occhi del Kree si spalancarono leggermente, ma per il resto il suo ghigno rimase intatto.
<< La Suprema Intelligenza ha nuclei sparsi su tutto il pianeta… >>
<< Ma a me basterà colpirne solo uno >> lo interruppe Vader, mentre si voltava ancora una volta verso il mondo sottostante.
Yon percepì un freddo brivido lungo la spina dorsale.
<< Di cosa stai parlando? >> sussurrò, sentendosi attanagliare il cuore da una stretta spiacevole.
Il Leader Supremo lo ignorò e avvicinò nuovamente il com-link. << Meno cinque secondi. >>
Carol camminò rapidamente fino a lui e gli afferrò una mano guantata.
<< Vader…ti prego, non farlo >> disse con tono supplichevole.
L’uomo la fissò in silenzio e procedette a scansarla con una forte spinta.
<< Fuoco! >> ordinò, mentre il corpo della donna ricadeva sul pavimento.
Carol sentì un forte scoppio, seguitò da un lampo di luce rossa. Poi, un bagliore bianco illuminò le tenebre dello spazio.
La donna scattò subito in piedi…e i suoi occhi si posarono su una scena a dir poco agghiacciante.
Sulla superficie di Hala…era appena comparsa un’enorme macchia rossa che andava via via ad allargarsi.
Rocce e detriti volteggiavano a centinaia di chilometri dall’atmosfera, ma Carol era abbastanza sicura che il pianeta non avesse mai avuto un campo di asteroidi.
Le ci vollero solo un paio di secondi per indovinarne la provenienza: erano la crosta di Hala!
L’arma di Vader aveva appena fatto un buco nella crosta del pianeta, spazzando via innumerevoli miglia di territorio! La capitale era stata sicuramente ridotta in cenere…ma da un singolo colpo.
Ma quale arma avrebbe mai potuto realizzare una devastazione simile?
Non c’erano mai stati rapporti di una nave capace di distruggere un’intera città dall’atmosfera! Per non parlare del fatto che quel colpo era pure riuscito ad attraversare lo scudo planetario come se niente fosse.
<< Oh, ma è…bellissimo >> sussurrò Vader, appoggiando una mano sulla paratia trasparente. Sembrava quasi un critico impegnato a visionare una qualche opera d’arte.
Avvicinò il com-link una terza volta. << Lanciare la sonda con il virus. >>
Vi fu un altro lampo.
I prigionieri raccolti videro uno strano oggetto schizzare dal ventre della nave, puntando verso il punto d’impatto.
La sonda - simile ad un cilindro - scomparve nella nuvola di detriti, e presto seguì un piccolo scoppio di luce. Appena un minuto dopo, le luci di tutto il pianeta cominciarono a spegnersi.
Carol non poteva credere ai suoi occhi.
Hala…funzionava solo grazie alla manutenzione costante della Suprema Intelligenza. Non era mai stato soggetto ad alcuni tipo di black-out, perché la sua energia derivava direttamente dalle sinapsi dell’entità!
Il pianeta non poteva semplicemente spegnersi…ma allora cosa stava succedendo?
<< Che cos’era?! >> urlò Yon, mentre si dimenava come un pesce all’amo << Che cos’hai fatto?! >>
<< Ho appena iniettato un virus celebrale all’interno di uno dei nuclei planetari >> fu la fredda risposta di Vader << Uno dei più grandi successi raggiunti dai nostri scienziati Kaminoani. Il nome vi suona familiare? Dovrebbe…visto che avete quasi portato il loro popolo all’estinzione più di 100 anni fa. >>
Volse le sue lenti scarlatte in direzione del Kree. << Il virus attaccherà ogni sistema biomeccanico del pianeta e provocherà un log-out generale. La vostra Suprema Intelligenza…il leader in cui avete riposto la vostra fede fin da quando eravate dei neonati…colui che ha guidato l’Impero Kree verso l’espansione e i suoi anni d’oro…morità entro 30 minuti al massimo. >>
I tre soldati strabuzzarono gli occhi.
<< Non è possibile. T-tu…stai mentendo! >> balbettò Minerva.
 Vader scosse la testa. << Temo che non sia così. Ma non preoccupatevi… >>
Schioccò le dita, e subito un contingente di almeno dieci Stormtroopers si riversò nella stanza.
<< Presto vi riunirete al vostro leader. Morirete con la consapevolezza che tutta la vostra vita non ha mai avuto alcun significato. >>
Il gruppo di soldati sollevarono i loro blaster all’unisono, puntandoli verso il trio.
Carol sentì il cuore mancarle un battito.
<< No! Fermi! >> esclamò, lanciandosi verso di loro.
Una stretta invisibile la spinse verso il pavimento, inchiodandola a terra.
<< Puntare >> continuò Vader, la mano destra sollevata in direzione della donna.
Questa tentò di liberarsi dalla stretta, ma ecco che il suo collare iniziò ad inviarle delle scariche in tutto il corpo.
<< Vader, fermo! >> urlò, cercando di ignorare il dolore.
Il Leader Supremo non la degnò di uno sguardo e abbassò la mano.
<< Eseguite! >>
Decine di lampi illuminarono l’oscurità della stanza.
Le urla dei suoi vecchi compagni si mescolarono alle sue, creando una cacofonia agghiacciante.
Poi…tutto cessò.
Il collare smise di funzionare e Carol respirò avidamente in cerca di aria.
Quando sollevò la testa…il suo sguardo si posò sui cadaveri di Yon, Minverva e Bron, crivellati di colpi di Blaster da capo a piedi.
Strinse ambe le mani in pugni serrati e le sbattè violentemente sul pavimento, mentre calde lacrime cominciarono a colarle su viso.
Altre persone erano morte di fronte a lei, senza che potesse fare nulla per impedirlo. Milioni di Kree innocenti che non avevano nulla a che fare con le guerre di un tempo…e tre persone che, per quanto odiasse, erano state i suoi compagni di squadra in innumerevoli battaglie, coprendole sempre le spalle.
Vader ignorò la donna a terra e attivò la sezione olografica del com-link.
Appena un secondo dopo, l’immagine di un alieno molto familiare si materializzò al centro del dispositivo.
<< Grand’Ammiraglio Thrawn >> salutò il Leader Supremo << Dammi buone notizie >>
<< Lord Vader, il test è stato un successo>> rispose prontamente il militare << La città è stata completamente spazzata via. Non ci sono superstiti. >>
Vader annuì soddisfatto.
<< Inviate i dati al Centro Imperiale >> ordinò con tono compiaciuto << Ditegli di cominciare subito la prossima fase. >>
Thrawn rispose con un profondo inchino e procedette a chiudere la comunicazione.
Fu allora che il Leader Supremo decise di concedere alla prigioniera un po’ della sua attenzione.
Carol sollevò lentamente la testa e lo fissò con uno sguardo pieno di rabbia.
<< Sei un mostro >> sputò con odio.
Vader camminò fino a lei e si chinò al suo livello, scrutandola impassibile dalle lenti della maschera.
<< No >> sibilò freddamente << Sono quello che mi hai fatto diventare >>
La mente della bionda fu invasa da un altro milione di domande.
Perché Vader ce l’aveva tanto con lei?
No…non solo con lei. A quanto pare, aveva ritenuto anche la sua squadra responsabile di qualunque cosa lo avesse condotto su questa strada.
Quindi, qualunque fosse il crimine di cui la accusava…era ovviamente avvenuto quando era ancora Vers, una donna Kree senza alcuna memoria del suo passato.
<< Perché stai facendo tutto questo? >> sussurrò stancamente.
Il Leader Supremo le sollevò il mento, costringendola a guardarlo dritto negli occhi.
<< Penso che tu stia cominciando a capirlo >> le disse, mentre la aiutava a rialzarsi.
Carol non protestò, troppo esausta anche solo per spingerlo via. Al momento voleva solo dormire, e presto non riuscì più a tenere gli occhi aperti.
Cadde in un sonno profondo, ma Vader fu rapido a prenderla tra le braccia.
Osservò il suo voltò angosciato e macchiato di sudore…il volto di qualcuno che aveva appena assistito a qualcosa di terribile.
Ma il Leader Supremo aveva appena cominciato! C’era ancora tanta sofferenza poteva offrirle.
Sollevò il com-link un’ultima volta.
<< Ammiraglio Piett, avverta tutta la flotta di prepararsi al salto a velocità luce. Facciamo rotta per la Terra! >>
 
 
                                                                                                          * * *
 
Harpswell - Terra 

( Ost 2:
https://www.youtube.com/watch?v=AbcflBlMIKU&list=PLohYzz4btpaQtzFwHVyapNfvI7ee3fF1A&index=18)

Il mondo attorno a Cletus esplose in un bagliore dorato.
La terra sotto i piedi del Serial Killer si aprì in due. “Come le porte dell’Inferno” fu lo scontatissimo paragone che attraversò la mente dell’uomo.
Ma forse era appropriato. Forse lo era davvero, vista la miriade di strane creature che volteggiavano in quella luce senza fine.
Non avevano forma, o almeno non una che Cletus potesse identificare con precisione. Erano per lo più masse indistinte di pura energia…e denti. TANTI denti. Così tanti da farle sembrare delle bestie ricoperte di ghigni zannuti dalla “testa” alla “coda”.
Il supercriminale non aveva la minima idea di cosa fossero, e francamente al momento non gli importava nemmeno. La sua mente era completamente concentrata sui filamenti dorati che avevano cominciato a protrarsi dal bagliore, diretti verso di lui.
Come se avessero una mente propria, le stringhe di luce rimasero sospese a mezz’aria di fronte al suo volto, mentre fluttuava a qualche metro dal crepaccio appena aperto.
L’uomo allungo una mano per toccarle…ed ecco che i filamenti si lanciarono su di lui, penetrandogli nel naso, negli occhi e nella bocca, spalancata in un grido di sorpresa.
Sotto gli sguardi inorriditi degli Avengers, il corpo del killer cominciò a contorcersi e a strillare in preda ad un dolore indescrivibile.
Anche l’infetta che stava combattendo con i tre supereroi lanciò un grido sofferente.
Il simbionte che la ricopriva si ritrasse, rivelando il corpo umano sottostante. Al contempo, quello di Cletus iniziò a cambiare.
Filamenti scarlatti lo ricoprirono da capo a piedi ancora una volta, trasformandolo in Canrage ancora una volta.
La creatura arricciò le fauci nel suo classico ghigno tutto denti.
<< Sta iniziando…sta finalmente iniziando! >> esclamò con una voce molto più squillante rispetto a prima << Forma fisica...pronta o no, eccomi qua! >>
La squarcio sotto il Serial Killer si chiuse con uno scatto.
L’uomo atterrò sulle macerie di Villa Harpswell…e cominciò a crescere.
Il suo corpo si sollevò di almeno un paio di metri, mentre lunghe corna iniziarono a protrarsi dalla testa scheletrica.
Il colore del simbionte diventò di un bianco pallido e un paio di strisce rosse scivolarono dagli occhi del mostro, come lacrime di sangue.
Strange non sapeva cosa diavolo stesse succedendo, ma non si sarebbe lasciato cogliere impreparato. Assunse subito una posizione difensiva, presto imitato da Wanda e Jessica.
Qualunque cosa avesse fatto Cletus…lo aveva sicuramente reso molto più potente.
Il supercattico prese un respiro profondo e si voltò verso il trio di supereroi.
<< Salute a tutti voi, burattini di carne tridimensionali! È un vero piacere potervi incontrare di persona! >> esclamò con quella sua voce squillante. Non sembrava affatto quella di Cletus Kasady.
Strange inarcò un sopracciglio.
<< Cletus? >> domandò sospettoso.
Il Serial Killer ridacchio.
<< Spiacente! Al momento Cletus non è in casa >> disse il mostro, picchiettandosi la testa << Possiamo dire che c’è stato un piccolo cambio di gestione. >>
“Ah” pensò lo Stregone. Quindi i suoi sospetti erano fondati.
Cletus aveva appena portato a termina un rituale di convocazione. E qualunque cosa avesse convocato…aveva appena preso possesso del suo corpo.
Forse si trattava di un demone? Oppure qualcosa di molto peggio.
L’Avenger assottigliò lo sguardo. << Tu chi sei? >>
La “cosa” con il corpo di Cletus si portò una mano alla fronte.
<< Ma certo, è tipico dei mortali presentarsi ad ogni primo incontro! Dovete scusarmi, le mie abilità sociali sono un po’ arrugginite >>
Offrì al trio di superumani un profondo inchino.
<< Mi chiamo Pennywise!>> esclamò gioviale << Ma voi potete chiamarmi “il vostro maestro e padrone per il resto delle vostre brevi vite!” >>
La reazione di Strange fu praticamente istantanea.
<< State dietro di me! >> ordinò a Wanda e Jessica, mentre evocava uno scudo dorato di fronte a lui.
L’allieva lo fissò sorpresa. << Ma… >>
<< Subito! >> ruggì l’uomo.
La strega sussulto. Non lo aveva mai visto così spaventato.
Senza fare storie, lei e Jessica si posizionarono dietro allo scudo, lanciando al rinomato “Pennywise” occhiate piene di sospetto a preoccupazione.
Chiunque fosse, era bastato il suo nome a far perdere la calma dello Stregone. Doveva essere un individuo molto pericoloso.
Le creatura inclinò la testa e li scrutò curiosamente. << Oh…vedo che hai sentito parlare di me. Mi chiedo come… >>
Le lenti che aveva al posto degli occhi divennero un paio di linee sottili.
Strange sentì un’improvvisa spinta psichica, e per poco non perse la presa sull’incantesimo.
Cercò di ricostruire subito i suoi scudi mentali, ma il sorriso che ricevette dal mostro gli fece subito capire che era già riuscito a vedere quello che stava cercando.
“Gli è bastato meno di un secondo per scandagliare tutti i miei ricordi” pensò incredulo “Ha una forza psichica davvero immensa.”
<< Ora capisco >> ridacchiò Pennywise << A quanto pare abbiamo qualche amico in comune.>>
Due, per essere più precisi.
Dopo la loro “avventura” ad Harpswell, Peter e Carol si erano subito recati da Strange per ragguardarlo sulla loro esperienza di pre-morte con il lato mistico.
Incuriosito dal loro racconto, lo Stregone aveva passato le settimane successive a setacciare ogni libro presente nel Sancta Santorum, alla ricerca di qualche informazione sulla misteriosa creatura che li aveva attaccati.
Potete immaginare la sua sorpresa quando, dopo aver trovato un manoscritto estremamente vecchio e polveroso, ogni trappola demoniaca dell’edificio aveva cominciato a rilasciare urla di puro terrore. A confronto, la reazione che i prigionieri del santuario avevano avuto all’imminente arrivo di Ghidorah…beh era stata una cosina da nulla!
E ora Strange sapeva bene quale terribile entità avevano combattuto i suoi compagni Avenger.
Un essere che avrebbe fatto sembrare Ghidorah e Thanos delle semplici note a piè di pagina nella canzone del cosmo. Una creatura così crudele, maligna e potente da convincere un’intera generazione di stregoni a cancellare il suo nome dalle pagine della storia, tutto per tenerla confinata…no…tranquilla e soddisfatta nel suo mattatoio personale.
In qualche modo, Peter e Carol erano stati capaci di bandirla da questo mondo…almeno fino ad ora.
Strange cercò di non mostrare il proprio nervosismo.
<< Puoi ben dirlo >> ribattè con uno sguardo sprezzante << E grazie a loro so anche come combatterti. >>
Peter e Carol erano stati molto chiari a riguardo.
Sul piano terreno, i poteri di questa entità erano limitati all’immaginazione delle sue vittime.
Il suo vero corpo risiedeva in un’altra dimensione, proprio come quello di Dornammu, ma a differenza sua era capace di aprire dei tagli tra le dimensioni per trasferire parte della propria energia ai livelli inferiori della creazione e generare dei construtti fisici capaci di interagire con il mondo materiale.
Solo questo lo rendeva un essere molto più potente dello stesso Dornammu, che mai era stato in grado di lasciare il suo universo.
Tuttavia, questa capacità poteva costituire anche un’arma a doppio taglio per il mostro...perchè limitata ai pensieri delle sue vittime.
Se un umano era convinto che questo essere era capace di ucciderlo, allora non avrebbe avuto scampo. Viceversa, se una persona riusciva a convincersi di poterlo battere…allora aveva la possibilità di ribaltare la situazione.
E Strange avrebbe puntato proprio su questo!
Lo stregone annullò lo scudo e si teletrasportò rapidamente affiancò al mostro.
<< Posso sconfiggerti! > urlò, mentre illuminava la mano di un denso bagliore bluastro.
Gli artigli di Ao Bing, un concentrato di pura energia mistica capace di tagliare senza problemi attraverso l’acciaio stesso…e ferire le creature che vivevano oltre il velo di questa dimensione. Un’arma perfetta da usare contro un essere come quello che aveva di fronte.
La mano si scontrò con il ventre della creatura, producendo una forte onda d’urto.
Lo stregone si concesse un piccolo sorriso…ma presto scoprì che l’incantesimo non aveva prodotto alcun danno visibile alla pelle dell’avversario. Neanche un singolo graffio.
Sollevò appena lo sguardo e incontrò il volto ghignante di Pennywise.
<< Ho paura che tu sia in errore, stregone >> sibilò creatura.
E prima che Strange potesse fare qualunque cosa, una zampa artigliata lo afferrò per la gola e lo sollevò da terra.
L’Avenger cercò di liberarsi, ma la presa dell’essere era troppo ferrea.
<< Le cose sono cambiate >> ringhiò l’entità, avvicinandolo alla sua bocca irta di zanne << Questi trucchetti non funzionano più su di me. Non finchè avrò questo corpo! >>
Pennywise spalancò le fauci e si preparò a staccare la testa dello Stregone…ma ecco che un colpo di magia scarlatta lo fece incespicare all’indietro.
Voltandosi, i suoi pallidi occhi incontrarono quelli rosso sangue di una strega molto arrabbiata.
<< Lascialo stare! >> ringhiò Wanda, le mani sollevate a mezz’aria e pronte per il combattimento.
La creatura schioccò la lingue e lanciò Stange a qualche metro di distanza.
Il corpo dell’Avenger rotolò a terra e frenò la sua avanzata contro un pezzo di cemento, producendo un tonfo sordo seguito da un gemito di dolore.
<< Wanda Maximoff! >> esclamò Pennywise, recuperando il suo ghigno tutto denti << Un vero e proprio caso clinico a piedi. Mi sorprende che non ti abbiano ancora chiusa in un ospedale psichiatrico! >>
La strega sentì una forte spinta ai suoi scudi mentali e compì un inconscio passo all’indietro.
Non ne aveva sentita una così forte da quando…da quando Ghidorah aveva preso possesso della sua mente, rendendola il suo burattino personale.
Si sentì subito invadere da una furia cieca.
<< Esci fuori dalla mia testa! >> urlò, mentre riversava un torrente di magia del caos contro la creatura.
Pennywise si limitò a sollevare una mano…e l’attacco sembrò infrangersi contro una barriera invisibile, disperdendosi in varie direzioni.
Questo era bastato per frenare la potenza della Scarlet Witch: solo un movimento di quelle dita artigliate.
<< Eh eh…magia da bambini >> ridacchiò il mostro.
Allungò l’altra zampa…e Wanda si sentì tirare da una stretta invisibile.
Provò a combatterla con tutte le sue forze, ma in pochi secondi si ritrovò nella mano dell’avversario.
Poi, una forte scarica di magia le attraversò il corpo da capo a piedi…e allora la strega sentì dolore. Un dolore fisico come non ne aveva mai provato prima, così intenso da farle lacrimare sangue dagli occhi.
Lanciò un urlo talmente forte da risuonare in tutta la città e si accasciò tra le falangi della creatura, ansimando.
Pennywise affondò il muso nei suoi capelli e prese una lunga annusata.
<< Hai così tanta paura, ragazzina. Così tanti timori >> sibilò malignamente.
Tirò indietro la testa e offrì alla strega un sorriso contorto.
<< Hai paura di ferire i tuoi amici…il tuo maestro…tutti coloro che ti stanno a cuore! >> continuò con la sua voce squillante << Pensi davvero che aiutare gli altri ti guarirà? Riempirà quel vuoto che hai nell’animo? Ah! Ti risparmierò la delusione di scoprirlo… >>
Una lunga lingua vischiosa si avvicinò al volto ringhiante della donna.
<< Lascia che sia io a curarti >> sibilò il mostro, mentre spalancava le fauci e si preparava a ghermirla. Non ne ebbe la possibilità.
Sentì uno scricchiolio metallico alle sue spalle, girò la testa…e venne colpito in pieno da una macchina in volo.
Lasciò la presa su Wanda e cadde all’indietro, finendo nel cumulo di macerie e sollevando un denso sbuffo di polvere.
Si risollevò subito e puntò lo sguardo verso la responsabile di quell’attacco a sorpresa: una donna dai folti capelli neri e vestita con una giacca di pelle.
<< Quasi mi ero dimenticato di te, Jessica Jones >> ringhiò infastidito << Del resto, non sei mai stata una persona memorabile. Malgrado tutti i tuoi poteri, sei solo un’ubriacona con problemi dell’abbandono! >>
La detective si limitò a roteare gli occhi. << Grazie per la psicoanalisi gratuita, faccia da cazzo. Ora possiamo tornare alle mani? Ho un letto comodo che mi aspetta a New York. >>
Pennywise strinse gli occhi, visibilmente irritato dalla disinvoltura con cui la donna gli stava parlando.
Come osava comportarsi in maniera tanto irrispettosa di fronte ad un essere come lui?! Era solo un insetto al cospetto di un gigante!
Poi, la sua espressione si fece improvvisamente predatoria.
<< Mi chiedo che cosa Kilgrave abbia mai visto in te >> commentò beffardo.
La reazione di Jessica fu quella che aveva sperato.
La donna strabuzzò gli occhi e lo fissò con uno sguardo assolutamente furente.
<< Non dire il suo nome! >> ringhiò, mentre sbatteva violentemente un piede a terra.
L’impatto fu abbastanza forte da provocare diverse crepe nel manto stradale, ma la cosa non sembrò affatto intimorire Pennywise. Anzi, il suo sorriso si fece solo più accentuato!
<< Oh…ho per caso toccato un nervo scoperto? >> domandò innocentemente. Solo che non aveva pronunciato quelle parole con una voce squillante.
No…lo aveva fatto con una voce che Jessica non avrebbe mai potuto dimenticare. La stessa voce dei suoi incubi…dei suoi sogni…quella che sentiva ogni volta che chiudeva gli occhi.
La voce di Kilgrave.
<< Non ti piacerebbe una bella rimpatriata tra amici? Solo io e te JESSICAAAAAA! >>
Il modo in cui pronunciò il suo nome fu l’ultima goccia.
Con un ruggito pieno di collera, la superumana si lanciò verso il mostro a tutta velocità.
Menò un forte pugno…ma la sua mano colpì solo l’aria. Pennywise era sparito senza lasciare traccia!
La detective cominciò subito a guardarsi intorno…e i suoi occhi si ritrovarono a fissare le lenti bianche dell’entità.
<< Pop! >> esclamò il mostro, mentre le dava un buffetto sul naso.
Jessica si sentì spingere all’indietro da una forza invisibile e si schiantò pesantemente contro Wanda, facendole entrambe rotolare a terra.
Lo sguardo di Pennywise si soffermò brevemente su ciascuno degli eroi caduti.
<< Come riscaldamento non è stato niente male >> commentò con tono apparentemente impressionato << Vi do un dieci per lo sforzo! Lo so, in questo momento mi sento stranamente generoso. Tutta questa disperazione è davvero deliziosa! >>
Battè ambe le mani in un sonoro rintocco.
<< Mi piacerebbe poter continuare a giocare con voi, ma ho molte cose da fare. Posti dove andare…e un mondo con il mio nome sopra! >>
Sollevò la testa in direzione della volta celeste. Al contempo, un paio di protuberanze cominciarono a protrarsi dalla sua schiena.
Dapprima apparvero come semplici grumi di carne rossa e senza forma, che presto presero l’aspetto di grosse ali simili a quelle di un pipistrello.
Pennywise offrì ai tre supereroi un ultimo cenno di saluto, prima di sparare a tutta velocità verso l’alto.
<< E ora…inondiamo il cielo di fiamme! >> esclamò, mentre si schiantava contro barriera che circondava la città.
L’impatto la frantumò in mille pezzi, generando un’esplosione di pura energia caotica.
La volta divenne rossa…e i frammenti di energia cominciarono a piovere su tutta Harpswell.
 
                                                                                                                         * * *

Al mattino, Pepper trovò Tony nella sala ricreativa della base, impegnato a guardare la televisione.
Il programma riguardava probabilmente l’evento newyorkese più importante delle ultime settimane: l’inaugurazione della nuova Oscorp Tower. Presenziata dallo stesso Norman Osborn, l’uomo che si era personalmente occupato della ricostruzione della città dopo il devastante attacco perpetrato da King Ghidorah più di tre anni fa.
Non c’era dunque da stupirsi se molti cittadini avevano deciso di partecipare all’evento: almeno un centinaio, a giudicare dalle riprese, tutti stipati sulla terrazza dell’edificio come tante sardine in scatola.
Malgrado la popolarità dell’uomo, tuttavia, Pepper lo aveva sempre considerato un individuo pomposo e troppo sicuro di sé. Considerazioni che, a quanto pare, erano condivise anche da Peter.
La rossa si avvicinò cautamente al marito e vide che nella mano destra reggeva una tazza di caffè.
Vederlo lì seduto, come se fosse solo una persona tornata da un lungo viaggio…era a dir poco surreale. Quasi spaventoso.
Aveva paura che, se si fosse avvicinata troppo, avrebbe rotto una qualche specie di incantesimo e l’uomo che amava sarebbe sparito ancora una volta, trascinato contro la sua volontà tra le braccia della Morte.
“Coraggio, Pepper” si rimproverò mentalmente “ Hai affrontato un’armata aliena. A confronto questa dovrebbe essere una passeggiata.”
Prese un paio di respiri calmanti e richiamò la sua attenzione con un colpo di tosse.
Tony si voltò di scatto e la salutò con un sorriso imbarazzato.
<< Scusa se non ti ho aspettata, volevo solo aggiornarmi sulle ultime novità terrestri. >>
Indicò la TV accesa di fronte a lui.
<< A quanto pare, il vecchio Osborn è riuscito a fare un bel salto di qualità >> commentò impressionato << Buon per lui, è sempre stato un tipo sveglio. Un po’ rigido, ma sicuramente brillante… >>
Si fermò nell’istante in cui la donna posò le proprie labbra sulle sue.
L’ex Avenger si concesse qualche istante per assaporare il momento. Aveva quasi dimenticato quanto fosse bello baciare sua moglie.
Pepper si tirò indietro e cominciò ad accarezzargli la guancia con affetto.
<< Come ti senti? >> domandò dolcemente.
Tony sollevò la tazza che teneva nell’altra mano.
<< Ora che ho bevuto del buon vecchio caffè all’americana? Meglio di quanto non sia mai stato da morto >> rispose con quel suo tono impertinente.
L’espressione della moglie vacillò e l’uomo si pentì all’istante delle sue parole.
<< Scusa, umorismo da resurrezione >> borbottò stancamente << È più forte di me. >>
La rossa si strinse nelle spalle.
<< Solo un’altra delle tue stranezze a cui dovrò abituarmi >> ribattè con un ghigno esasperato.
L’ex Avenger si portò una mano al cuore, simulando un’espressione scioccata.  << Una prospettiva davvero disdicevole, Signora Stark! Fa così con tutti gli uomini che si presentano nudi a questa base? Non era forse già sposata?>>
Entrambi ridacchiarono, ma l’allegria di quel momento finì nell’istante in cui Pepper tirò fuori un argomento che entrambi avrebbero preferito evitare.
La donna si mordicchiò il labbro e disse: << Sei pronto per il primo test? >>
Tony trattenne un sussultò e cercò di ostentare un sorriso fiducioso. Si era quasi dimenticato di quel piccolo particolare.
Ma non era arrabbiato. Dopotutto, non poteva certo incolpare la moglie per essere sospettosa.
Se le loro posizioni fossero state invertite, probabilmente si sarebbe comportato allo stesso modo.
<< Quanto Thor ad una gara di bevute >> rispose, bevendo gli ultimi sorsi di caffè e balzando in piedi.
Peter scelse proprio quel momento per entrare nella stanza, vestito con un camice da laboratorio.
<< Buongiorno, ragazzo! >> salutò Tony.
L’Avenger incespicò alla vista del suo ex mentore. Ancora faticava a credere che fosse davvero qui.
<< Buongiorno Signor…Tony >> si corresse rapidamente << Pepper. >>
<< Peter >> disse la donna, offrendogli un caldo sorriso.
Suo marito camminò fino al vigilante e gli tirò una forte pacca sulla spalla.
<< Quindi sarai tu a supervisionare i controlli? >> chiese con un sorriso.
Peter annuì in conferma. << Abbiamo pensato che sarebbe meglio tenere il tuo ritorno il più riservato possibile. Saremo io e Pepper a occuparci di tutto. >>
L’ex Iron Man ronzò contemplativo.
<< E per quanto riguarda la tua squadra di giovani promesse? >> domandò curioso << Non si uniranno a noi? >>
L’Avenger scrollò le spalle. << Ho dato loro il giorno libero. Volevo evitarti ogni potenziale stress…e fidati, alcuni di loro possono essere davvero sfiancati. >>
Tony lo fissò furbescamente.
<< Sono solo reclute è hai già concesso a loro delle ferie anticipate? Non farti scoprire da Rhodey, o potrebbe metterti in punizio… >>
Si fermò di colpo e la sua espressione passò da divertita a cupa in meno di un secondo.
<< Oh, giusto…quasi dimenticavo >> borbottò, mentre un’ombra calava anche sui volti di Pepper e Peter.
Dalle lande del Valhalla, Odino lo aveva fatto assistere di persona alla titanica battaglia tra gli Avengers e King Ghidorah.
Tony aveva testimoniato ogni parte dello scontro…anche la morte del suo più vecchio amico, ucciso da un attacco a sorpresa del drago.
Era morto all’istante, folgorato. Non aveva sentito niente…o almeno questo era ciò di cui l’ex miliardario aveva tentato di convincersi.
Ma a differenza di Thor, Rhodey non era mai giunto nelle sale del Valhalla. La sua anima era finita da qualche altra parte.
Ma ovunque fosse, Tony poteva solo sperare che almeno stesse vivendo un’eternità di pace, lontano da ogni guerra o conflitto. Se lo meritava.
<< Andiamo a prepararti >> disse Pepper, cercando di cambiare discorso.
L’ex Avenger annuì silenziosamente e si lasciò guidare dalla moglie fuori dalla stanza.
Peter rimase indietro per spegnere il televisore…ma i suoi occhi si posarono su un titolo che catturò all’istante la sua attenzioni.
Recitava: “INAUGURAZIONE DELLA GUGLIA DELLA SCIENZA”.
L’ultima trovata pubblicitaria dell’uomo che aveva cercato di catturarlo sei anni fa: Norman Osborn.
Nel momento in cui il ragazzo pensò a quel nome, ecco che il presentatore dell’evento indicò un ascensore dietro di sé.
<< Signore e signori della stampa, Norman Osborn! >> esclamò, mentre le porte della terrazza si spalancavano.
Ne fuoriuscì un uomo col viso da donnola e dai corti capelli rossi, vestito con un elegante abito firmato e scarpe di tela abbinate. Non era cambiato per nulla da quando lui e Peter avevano interagito per la prima e ultima volta.
“Rigenerazione cellulare” fu l’ovvia conclusione a cui arrivò il cervello del ragazzo. Dopotutto, le Oscorp Industries erano all’avanguardia nel campo della manipolazione genetica…anche se molti dei brevetti coinvolti erano stati probabilmente ottenuti con mezzi non del tutto legali.
La folla che partecipava all’evento cominciò ad applaudire.
Il magnante li salutò tutti con un sorriso smagliante e si avvicinò al presentatore, che gli lasciò il posto sul palco.
Compì un paio di colpi di tosse e avvicinò la bocca al microfono.
<< Prima di ringraziarvi per essere venuti…>> cominciò con il suo tono di voce carismatico << vorrei scusarmi per la sede poco ortodossa. Mi è giunta voce che alcuni di voi potrebbero soffrire di vertigini…ma credetemi, non avete nulla da temere quassù tra le nuvole, perché è qui che sarà il vostro e il mio futuro.>>
La folla scoppiò subito in un altro applauso, e Peter non potè negare quanto l’uomo ci sapesse davvero fare con le parole. E forse era proprio questo a renderlo uno degli avversari più pericolosi che avesse mai affrontato.
Sebbene fosse privo di poteri, Norman Osborn era quel tipo di individuo capace di sfruttare qualunque cosa e chiunque per realizzare i propri fini, non importa quante persone venivano ferite nel processo.
Era un uomo che non lasciava mai tracce…qualcuno che poteva ordinare i crimini più spietati senza nemmeno doversi sporcare le mani di persona. Era una qualità che fino ad ora lo aveva reso praticamente intoccabile agli occhi della legge, tanto da far impallidire lo stesso Boss del crimine di New York, Wilson Fisk.
<< Quella umana è una specie che, nonostante le sue manchevolezze, punta sfacciatamente sempre più in alto >> continuò il miliardario << Alcuni di voi penseranno che è perché ci stiamo arrampicando su una scala. Altri credono sia per tornare da dove veniamo. Ma quale sia la dottrina alla quale aderite singolarmente, la conquista delle nuvole è qualcosa che deve accomunarci tutti! >>
I suoi occhi freddi spaziarono su ogni persona presente, in una maniera quasi affettuosa.
<< Tutti noi, ciascun uomo, donna o bambino. Dobbiamo sforzarci di rendere l’oggi migliore di ieri! Per questo ho costruito questa Guglia della Scienza. La considero una testimonianza di ciò che noi, come popolazione, abbiamo raggiunto, e di ciò che ci aspetta! >>
Puntò un dito verso i suoi piedi.
<< Ciascun piano è dedicato ai nostri più grandi conseguimenti>> disse con un sorriso orgoglioso << Dal curare una malattia a…beh, chissà? Perché non abbiamo finito! C’è ancora così tanto da fare…E neanche questo edificio è finito. I piani alti verranno lasciati come vedete ora, in attesa che VOI li terminiate! >>
Allargò ambe le braccia in un gesto teatrale. << Ho bisogno che qualcuno tra voi eriga la guglia, perché queste, al momento, sono soltanto le sue fondamenta! Io credo con tutto il cuore che lo farete. Credo nell’umanità! E credo di essere esattamente come voi! >>
Alzò lo sguardo in direzione della volta celeste.
<< Credo che dobbiamo controllare il nostro destino. Credo in un potere più alto. Credo che ci serva una spinta gli uni sugli altri, per raggiungere le nuvole. Credo che sia per questo sono stato messo su questo mondo, e credo che la Oscorp vi darà…speranza. >>
Un suono stridulo fece sobbalzare tutti i presenti. Sembrava quasi il verso di una specie di animale.
Le telecamere della trasmissione seguirono l’origine di quel rumore…e il cuore di Peter mancò un battito.
Dal cielo cominciò a cadere qualcosa…


 
 
 
 
 

Che cosa sarà? Lo scoprirete tra qualche settimana!
Darth Vader lancia un massiccio attacco all’Impero Kree compie il primo grande passo per raggiungere la sua vendetta, eliminando l’ex squadra di Carol dopo avergli inflitto una sana dose di danni psicologici. Per la nostra Capitan Marvel, invece, ha in mente qualcosa di ben diverso.
E sì, l’arma che ha usato per fare un buco nella crosta di Hala…beh, è un prototipo della tecnologia della Morte Nera. Ma tranquilli, Vader non è così stupido a sprecare innumerevoli risorse e mano d’opera per quel terrore tecnologico. La prossima fase riguarda altro.
Nel mentre, Pennywise is back! Ed è parecchio assetato di sangue. Il suo piano è appena cominciato…e vi assicuro che sarà qualcosa di grosso.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Eccovi un nuovissimo capitolo! Vi auguro una buona lettura ;)



Capitolo 9

Lungo i confini esterni del Valhalla, sorgeva una piccola abitazione in legno immersa nella foresta.
Un edificio abbastanza fuori luogo rispetto agli immensi palazzi dorati che sorgevano nel centro del reame, ma la sua proprietaria non avrebbe mai potuto desiderarlo in altro modo. Era sempre stata una donna dai gusti semplici.
Si chiamava Sigyn…ed era conosciuta dal resto del suo popolo come la “dea della fedeltà”.
La sua bellezza avrebbe potuto rivaleggiare con quella di ogni mortale di Midgard.
Vestita con un lungo abito smeraldo, aveva folti capelli dorati che le arrivavano fino alle spalle.
Il volto dai lineamenti morbidi e delicati era coronato da un paio di occhi azzurri quanti il cielo stesso, portatori di una gentilezza che sarebbe stata capace di irretire anche il cuore del più infido dei malvagi.
Come ogni mattina, la donna si era seduta nei giardini di fronte alla casa per ammirare il sorgere di una nuova alba nel nuovo regno degli dei.
Un guizzo di magia la avvertì subito che qualcuno era appena entrato nei confini dell’abitazione.
<< Perché pensare questa vita separata dalla prossima… >> disse qualcuno alle sue spalle << quando una nasce dall'altra? >>
La donna sorrise al suono di quella voce. Avrebbe potuto riconoscerla in mezzo a cento altre…soprattutto perché apparteneva ad un individuo a cui piaceva davvero parlare molto.
Si voltò con un sorriso e i suoi occhi incontrarono quelli blu e penetranti di Loki.
<< Ci ricorda il desiderio >> continuò il dio degli inganni, mentre le porgeva un narciso << L'anelito di un'anima per l'altra. >>
Sigyn ridacchiò e prese il fiore tra le mani.
<< Da quando sei diventato un poeta? >> chiese con un ghigno divertito.
Il mezzo Jotun si limitò a scrollare le spalle.
<< Di recente ho riscoperto un certo fascino nella letteratura mortale >> ammise << Saranno anche delle scimmie primitive, ma alcune di loro brillano più di altre. >>
La donna inarcò un sopracciglio.
<< Non dovresti parlare dei mortali in questo modo >> lo ammonì con tono di rimprovero << Che cosa direbbe la tua famiglia se ti sentissero pronunciare parole del genere? >>
<< Niente che non avrei già sentito prima >> sbuffò l’altro.
La donna sospirò stancamente.
Era tipico di Loki non preoccuparsi mai delle conseguenze delle sue azioni.
Era sempre stato fin troppo orgoglioso, anche quando erano entrambi molto giovani. Per certi versi, quel lato del suo carattere lo rendeva molto più simile a suo fratello di quanto avrebbe mai osato ammetterlo.
Inizialmente, la stessa Sigyn aveva spesso trovato questo suo atteggiamento piuttosto fastidioso…ma con il tempo aveva finito con l’affezionarsi alla spavalderia ostentata dall’Asi. Faceva parte del suo fascino tanto quanto i suoi modi garbati e la sua mente acuta.
Mentre rimuginava su questo, la donna gli lanciò un’occhiata beffarda.
<< Perdona la mia impudenza, o potente Loki, ma non sono state proprio quelle scimmie primitive a segnare la tua disfatta? >> domandò innocentemente.
Sul volto del dio degli inganni andò a disegnarsi un’espressione visibilmente irritata. Fu solo per pochi secondi, ma la dea della fedeltà la considerò comunque una vittoria personale.
Erano poche le volte in cui riusciva ad arginare gli innumerevoli strati di fiducia e autocontrollo che l’uomo aveva abilmente costruito attorno a sé nel corso degli anni.
Lei era una delle poche persone in tutto il creato a cui sceglieva di mostrare certe debolezze.
<< Come ho detto, alcune brillano più di altre >> ribattè Loki << E non dimentichiamo che avevano un Asi dalla loro parte. E non certo un dio qualunque, ma il mio impavido e sconsiderato fratello… >>
Si fermò nell’istante in cui un paio di braccia lo avvolsero all’altezza della vita.
<< Non voglio parlare di Thor >> borbottò Sigyn, mentre poggiava la fronte sul petto dell’uomo << Solo di te. >>
Sollevò lo sguardo…e sentì un paio di calde labbra che si posavano sulle sue.
La donna spalancò gli occhi, ma la sua sorpresa durò solo per un istante.
Chiudendo le palpebre, si porse in avanti e approfondì il bacio con il dio degli inganni, mentre questi la cingeva con le braccia.
Una volta separati, entrambi si sorrisero a vicenda.
<< Mi sei mancato >> disse Sigyn, mentre accarezzava dolcemente il volto dell’asgardiano.
Questi si lasciò cullare dal suo tocco delicato.
<< Anche tu >> sussurrò << Sta diventando sempre più difficile sgattaiolare dalla vista di Padre Tutto per venire a trovarti. >>
Gli occhi della dea tremolarono di un’improvvisa fragilità. 
<< Ti vergogni così tanto della nostra relazione? >> borbottò amaramente.
Dopotutto, anche da morto, Loki rimaneva pur sempre un principe...mentre lei restava solo una umile Ase di basso rango, qualcuno il cui nome era rimasto una semplice nota a piè di pagina negli annali della storia asgardiana.
Quando erano ancora in vita, la scoperta della loro relazione proibita aveva provocato non pochi problemi a entrambi…ed era stata causa di gravi spaccature tra lo stesso Loki e la sua famiglia.
Il dio degli inganni assottigliò lo sguardo.  << Lo sai che non è per quello. >>
<< Allora perché… >>
<< Sigyn >> la interruppe duramente, mettendole ambe le mani sulle spalle << Te l’ho già detto: anche da morto…ho molti nemici che non vedono l’ora di vendicarsi di tutti i torti che ho fatto loro nella mia vita precedente. E credimi, in questo universo esistono destini di gran lunga peggiori della morte stessa. >>
E questo era qualcosa a cui la dea della fedeltà poteva credere.
Loki era sempre stato un tipo piuttosto malizioso… E le sue trame avevano finito con il suscitare l’ira di molti abitanti dei nove regni.
Distolse lo sguardo.
<< Ancora non mi piace >> sbottò << Nasconderci nell’ombra, come se stessimo facendo qualcosa di sbagliato. >>
Il dio degli inganni le lanciò un ghigno ironico.
<< Hai appena descritto la storia della mia vita! >> cinguettò, ricevendo un’occhiataccia da parte della compagna.
<< Perché devi essere sempre così morboso? >>
<< Sono il dio del Male e dell’Inganno >>  fu la pronta risposta dell’Ase << Fa parte del mio fascino. >>
<< Dovrebbero cambiare il tuo titolo in “dio della vanagloria” >> sbuffò l’altra, senza però nascondere un certo divertimento alle buffonate dell’uomo.
Entrambi rimasero in silenzio per un po’, godendosi la compagnia dell’altro.
Poi, l’espressione di Loki divenne improvvisamente incerta e questo mise subito la compagna in allerta. Non era mai un buon segno quando l’Ase mostrava questo tipo di emozioni.
Il dio degli inganni prese un respiro profondo e disse: << Lascerò il Valhalla per qualche giorno. >>
Per un attimo, la donna credette di aver capito male.
Lasciare…il Valhalla? Impossibile.
Le anime dei morti non potevano lasciare il loro reame. Non senza il consenso esplicito di coloro che erano stati scelti per governarli!
E Sigyn dubitava fortemente che Odino avrebbe mai consentito al suo secondogenito di provocare scompiglio tra i mortali.
Si sentì subito invadere dalla preoccupazione.
Il suo amato aveva forse ricominciato ad ordire trame nefaste per prendere il controllo del trono? Anche ora che era morto, si sentiva insoddisfatto della sua attuale posizione?
<< Loki…che intenzioni hai… >>
<< Niente di quello che pensi >> si affrettò a rassicurarla l’Ase << Anzi, sono ordini diretti del sommo Odino. Parteciperò ad una missione capitanata dallo stesso Padre Tutto. In poche parole, come direbbero i mortali, ho beccato un biglietto “esci gratis di prigione ”. >>
La donna inarcò un sopracciglio. << I mortali hanno davvero qualcosa del genere? Il loro sistema giudiziario deve essere terribilmente inefficiente. >>
Loki rimase in silenzio per quasi un minuto buono, gli occhi allargati come quelli di un gufo. Poi…scoppiò a ridere.
Sigyn incrociò ambe le braccia davanti al petto.
<< Che c’è? Ho detto qualcosa di divertente? >> domandò con un broncio che il mutaforma aveva sempre considerato adorabile.
Dopo essersi calmato, le diede un rapido bacio sulla fronte.
<< Ho passato troppo tempo in compagnia di Stark >> sussurrò sulla sua pelle, facendola rabbrividire.
Stava ovviamente cercando di cambiare discorso, ma ormai la dea si era abituata a questo genere di tattiche.
<< Di che missione si tratta? >> chiese stancamente.
Loki assottigliò le labbra.
<< Non posso dirtelo >> disse quasi con riluttanza.
Sigyn strinse gli occhi. << Non puoi o non vuoi? >>
<< Non può essere un po’ di entrambe? >> ribattè l’altro con una scrollata di spalle.
La bionda si portò una mano alla fronte. << Sarà pericoloso, non è vero? >>
L’uomo distolse lo sguardo.
<< Potenzialmente >> confermò.
Gli occhi della donna vennero attraversati da un luccichio indecifrabile.
<< E non sai se tornerai >> aggiunse con evidente rassegnazione.
Il dio degli inganni si voltò rapidamente e le offrì un altro dei suoi ghigni fiduciosi.
<< Su questo, mia amata…  >> disse mentre le afferava le mani << ho intenzione di fugare subito ogni dubbio. >>
Sigyn fece per controbattere… ma l’asgardiano procedette a baciarla prima ancora che potesse emettere un suono.
Rimasero in quella posizione per un po’, mentre il sole era ormai sul punto di superare la linea dell’orizzonte.
Infine, Loki si ritrasse e le diede un dolce sorriso. Era l’unica persona – oltre a sua madre – che aveva il diritto di vedere una simile espressione sul suo volto.
<< Tornerò da te >> le disse con una gentilezza che avrebbe fatto inarcare parecchie sopracciglia tra i suoi conoscenti << Te lo garantisco. >>
Sigyn si appoggiò a lui un’ultima volta.
<< E allora potremo finalmente costruire una famiglia insieme? >> sussurrò speranzosa.
Ma proprio come nelle altre volte in cui aveva osato porgergli quella domanda…il dio degli inganni rimase in completo silenzio.
Si limitò a compiere un passo all’indietro e le offrì un rispettoso inchino.
<< Non aspettarmi alzata >> le disse maliziosamente, prima di scompare in un lampo di fiamme verde smeraldo.
Sigyn sospirò tristemente e puntò lo sguardo verso il sole nascente.
Malgrado tutto quello che aveva combattuto e sperimentato…Loki Odinson non poteva fare a meno di comportarsi da codardo.

                                                                                                           * * *

Terra - Los Angeles

Una delle ragioni per cui molta gente amava Los Angeles, era sicuramente il clima.
Nella città comunemente nota al pubblico come “La città degli Angeli” faceva caldo quasi tutto l’anno, un aspetto che era sempre stato apprezzato dai bambini del posto.
Grazie alle splendide giornate di sole che illuminavano il centro urbano ogni settimana, la fascia demografica del posto compresa tra i 10 e i 15 anni aveva sviluppato l’abitudine di invadere le collinette che circondavano la città ogni qualvolta se ne presentava l’occasione.
Quel giorno, un gruppo di bambini aveva scelto uno spazio panoramico ai bordi della scritta di HOLLYWOOD per cimentarsi in un’improvvisata partita di calcio.
Mentre avevano ormai raggiunto il secondo tempo, alcuni di loro videro una grossa ombra discendere dall’alto .
Dapprima cedettero che si trattasse di un grosso uccello…ma dopo qualche secondo passato ad osservarla meglio, si resero conto che la “cosa” che stava volando verso di loro non aveva nulla a che fare con i gabbiani e i falchi che ogni tanto giravano nella zona.
Il mostro atterrò in mezzo al campo di calcio, costringendo tutti i bambini a indietreggiare spaventati.
Era alto tre metri e quasi completamente bianco, salvo per un paio di linee rosse sul volto e alcuni ciuffi arancioni che gli spuntavano dalla testa provvista di corna.
La creatura sollevò la mano destra.
<< Salve >> salutò con un ghigno tutto denti << Non è che sapreste dirmi dove trovare un buon punto d’evocazione? >>
I bambini rimasero completamente immobili per qualche secondo.
Poi, urlarono per la paura e si lanciarono a tutta velocità verso il pendio più vicino, senza nemmeno preoccuparsi di recuperare la palla con cui stavano giocando.
Pennywise non fece niente per fermarli.
<< Beh, sembra che dovrò trovarlo da solo >> commentò con una scrollata di spalle.
Poi, i suoi occhi gialli vagarono fino ad un edificio ben preciso: il So-Fi Stadium…lo stadio sportivo più grande dell’intera città di Los Angeles.
Scrocchiò le mani e si passò la lingua biforcuta tra i denti.
<< Va bene>> borbottò << vediamo se mi ricordo ancora come si fa! >>

                                                                                                                                 * * *

New York 

<< Che diavolo?! >> sbottò Misaka Mikoto, attirando gli sguardi sorpresi di ogni singola persona che si trovava nel raggio della sua voce.
Approfittando del giorno di riposo ordinato dai Vendicatori, lei e il resto delle reclute avevano deciso di concedersi un’esplorazione dei vari stabilimenti per ragazzi allestiti nei pressi del centro città.
Kurt aveva scelto di non accodarsi a loro, ma i suoi compagni non gli avevano fatto pressioni. A causa del suo aspetto fuori dall’ordinario, era logico che temesse di ricevere troppa attenzione indesiderata.
Dopotutto, i mutanti erano un argomento ancora relativamente nuovo…e non si poteva prevedere come la gente avrebbe reagito all’avvistarne uno in un luogo pubblico.
Per quanto riguarda Laura? Aveva semplicemente definito l'uscita come una perdita di tempo e si era separata dal gruppo.
La loro visita a Time Squares li aveva condotti fino ad un Milk Shake Bar di nome “Mr Smoothy”, e Mikoto ne aveva subito approfittato per assistere in diretta all’inaugurazione della nuova Oscorp Tower presentata dallo stesso Norman Osborn.
L’evento si era inizialmente svolto nel più consueto dei modi…almeno fino a quando una coppia di strane creature era discesa dal cielo, atterrando proprio alle spalle del magnante. Esseri completamente rossi che sembravano quasi un incrocio tra degli enormi crostacei e gli xenomorfi della saga di Alien, ma provvisti di quattro grosse ali sulla schiena.
<< Ok…questa intervista è improvvisamente diventata molto più interessante >> disse Deadpool, unico tra le reclute che aveva deciso di girare con la sua maschera.
Non essendo ancora molto conosciuto rispetto agli altri supereroi, sapeva che nessuno si sarebbe mai avvicinato a lui per chiedergli un autografo. E per la gente di New York era diventato abbastanza comune girare travestiti da vigilanti, quindi non c’era il rischio che lo scambiassero per un criminale…specialmente non quando era circondato da un gruppetto di adolescenti.
<< Negli ultimi anni, l’umanità ha vissuto dei momenti davvero storici >> proseguì Osborn << Eravamo all’apice di uno sviluppo culturale e tecnologico portato avanti dai tempi della seconda guerra mondiale. Ci sentivamo invincibili! E poi sono arrivati: invasori proveniente da altri mondi…signori della guerra interplanetari…bestie spaziali che volevano trasformare la Terra nel loro buffet personale. >>
La sua espressione si fece improvvisamente cupa. << Alieni a cui eravamo completamente impreparati…e responsabili di innumerevoli morti. Ma la Oscorp non è rimasta certo a guardare! >>
Indicò le creature alle sue spalle.
<< Attraverso le più avanzate tecniche di ingegneria genetica e manipolazione molecolare, siamo riusciti a creare un’arma vivente il cui compito sarà quello di proteggere l’umanità da qualunque minaccia che gli Avengers non riusciranno a gestire da soli! >>
La folla presente all’evento cominciò a borbottare.
Alle reclute fu subito chiaro quanto fossero nervosi all’idea di trovarsi così vicino a quelle creature, e francamente Piotr non poteva biasimarli. Erano oggettivamente terrificanti da guardare.
I loro occhi, in particolare, sembravano fuoriusciti dagli incubi di una mente distorta.
Erano gialli e bruciavano anche nella luce del giorno. Sembravano fissare direttamente nell’anima di chiunque incrociasse il loro sguardo.
Solo Osborn pareva completamente a suo agio con l’intera situazione, malgrado fosse il più vicino a quelle bestie!
Il miliardario ridacchiò.
<< Non lasciatevi intimorire dal loro aspetto >> disse con tono ammonitore << I loro cervelli sono tutti dotati di chip inibitori controllati personalmente dallo staff della Oscorp, e che presto saremo pronti ad affidare nelle mani capaci del nostro governo! Osservate! >>
Infilò una mano nella giacca e ne estrasse un dispositivo rettangolare sopra cui spiccavano una coppia di pulsanti.
L’uomo ne premette uno…e subito la creatura più vicina sembrò irrigidirsi.
Per un attimo, le reclute temettero che avrebbe attaccato il magnante. Invece, la bestia si limitò a cimentarsi nella bizzarra parodia di un inchino, sotto gli sguardi increduli di tutti gli spettatori presenti nel bar.
Osborn sorrise famelico. << Impressionante, non è vero? E con la benedizione del governo, i nostri scienziati sono già pronti per cominciare la produzione di massa! >>
Cominciò ad accarezzare affettuosamente la bestia.
<< Noi li chiamiamo Destoroyah. Dal giapponese “distruttore”>> continuò con tono orgoglioso << Perché saranno proprio loro a distruggere tutti i nemici che minacceranno il nostro pianeta! Che siano invasori, distruttori…o qualsiasi altro tipo di  creatura che si nasconde nelle profondità del cosmo. >>
Fu allora che la folla presente all’inaugurazione scoppiò in un forte applauso.
<< Questa storia non finirà bene >> commentò Gunha, suscitando uno sguardo sorpreso da parte di Mikoto.
<< Perché lo pensi? >> domandò la sorella adottiva << Sembra che il Signor Osborn abbia, ehm…tutto sotto controllo. >>
L’aspirante eroe la guardò incredulo. << Non hai mai visto un monster movie? Esseri umani e ingegneria genetica non si mischiano affatto bene. A troppi scienziati manca il FEGATO! >>
<< Non siamo in un film >> ribattè Illyana, che nel frattempo aveva cominciato a giocare con il suo cellulare.
Deadpool rilasciò un sonoro sbuffo.
<< No, siamo nella fan fiction di un autore che è un fanatico dei kaiju…il che è anche peggio >> borbottò a se stesso << Ma è anche un fan degli anime, quindi forse riusciremo a sopravvivere a questa situazione con il potere dell’amicizia! A meno che non voglia percorrere l’autostrada Evangelion…non voglio diventare brodo primordiale! >>
<< Tranquillo, Wade, nessuno ti trasformerà in brodo primordiale >> borbottò la bionda, mentre gli accarezzava la testa in modo condiscendente.
Mikoto lo fissò impassibile per un po’ e si portò una mano alle tempie.
<< Più ti sento parlare… e più mi chiedo come tu sia riuscito a superare la valutazione psichiatrica >>
<< Plot armor e l’amore dei miei fan >> fu la pronta risposta dell’ex mercenario.
L’electromaster sbattè la testa contro il tavolo, mentre Gunha annuiva pensieroso accanto a lei.
<< È molto conveniente >> disse con un tono di voce sorprendentemente tranquillo.
Deadpool annuì concorde. << Sì, lo è davvero! >>
Le sue lenti sembrarono illuminarsi nel momento in cui una delle cameriere del bar gli posò davanti un piatto fumante di tortiglie.
<< Uuuuuh, chimichangas! >> esclamò, e subito cominciò a divorarle con foga.
Mikoto non si preoccupò nemmeno di fargli notare che stava mangiando con la bocca ancora coperta dalla maschera. Ormai aveva smesso da tempo di cercare di risolvere il puzzle che era Wade Wilson. 

                                                                                                                    * * *

Quando entrò nell’infermeria della base, Peter trovò Pepper impegnata ad avvolgere un laccio emostatico all’avambraccio destro di Tony.
L’ex Avenger sollevò la testa e vide che il suo protetto aveva assunto un’espressione visibilmente turbata.
Inarcò un sopracciglio.
<< Tutto bene? Sembra che tu abbia visto un film dell’orrore >> disse con tono scherzoso.
Invece di ridere, il vigilante gli offrì un debole sorriso.
<< Ne parliamo dopo >> rispose in modo evasivo.
Sia Tony che Pepper lo guardarono preoccupati, ma lasciarono cadere l’argomento quando il ragazzo non diede alcun segno di voler elaborare.
<< D’accordo, cominciamo con il primo test >> disse la rossa, mentre tirava fuori una siringa.
Fu così che l’ex Iron Man passò le successive due ore venendo sottoposto ad un esame dopo l’altro.
Ulteriori analisi del sangue, delle urine, dei tessuti, del sistema nervoso…niente venne risparmiato. Lo costrinsero perfino a correre per venti minuti buoni al di sopra di un tapirulan, tutto per controllare variazioni anche minime nei suoi livelli di resistenza.
Infine, arrivò il momento di sottoporlo ad una tac celebrale.
Tony fu condotto fino all’unica macchina di risonanza presente nell’edificio e venne fatto sdraiare al suo interno. Poi, Peter e Pepper si sistemarono nella stanza adiacente all’infermeria, contenente i computer a cui sarebbero arrivate le scansioni celebrali dell’uomo.
<< Ok, Tony, questo sarà l’ultimo >> disse la rossa attraverso il microfono collegato alla sala di controllo << Sei pronto? >>
<< Facciamola finita >> sospirò l’ex Iron Man.
Non aveva mai particolarmente apprezzato gli spazi ristretti. Una constatazione che in molti avrebbero considerato piuttosto ironica, visto l’elevato numero di armature da battaglia che aveva indossato nel corso negli anni.
E qui stava la differenza principale: quelle macchine erano sempre state sotto il suo controllo. Quella in cui si trovava al momento? Era tecnicamente sotto il controllo di sua moglie.
Quella era anche una delle ragioni per cui non si era mai davvero fidato troppo dei medici e degli ospedali. Alcuni avrebbero potuto considerare quel pensiero come l’ennesima prova della sua mentalità narcisista…e probabilmente avrebbero avuto ragione.
Quindi sì, Tony Stark non era affatto a sua agio con l’intera situazione. Tutti quei test lo stavano mandando fuori di testa!
Ma visto l’incredibile stress a cui Pepper era già stata sottoposta negli ultimi giorni, decise di fare buon viso a cattivo gioco e cercò di mantenere un atteggiamento rilassato.
Dopo qualche minuto, i computer della stanza adiacente cominciarono a ricevere le prime scansioni.
Sia Pepper che Peter assottigliarono lo sguardo.
Le immagini sugli schermi erano ovviamente quelle di un cervello…ma la struttura di alcune parti sembrava drasticamente diversa da quella di un organo umano.
C’erano varie increspature lungo i bordi del cranio. Era come se…fossero state aggiunte delle parti.
Inoltre, i segnali neuronali stavano elaborando ad una velocità di gran lunga superiore a quella di una qualsiasi persone. Sembravano quasi gli impulsi di un computer in piena fase di elaborazione!
<< Tony…qui stiamo ricevendo dei valori abbastanza anomali >> disse Peter.
L’ex miliardario aprì un occhio.
<< Davvero? >> domandò preoccupato << Di che tipo? >>
<< La tua attività celebrale è alle stelle >> lo informò Pepper << A cosa stai pensando? >>
Tony inarcò un sopracciglio.
<< A niente >> ammise con una debole scrollata di spalle << O meglio, niente al di fuori dall’ordinario. Sto solo pensando a quanto sarà bello rivedere Morgan e Happy… >>
Sentì il respiro che gli si mozzava in gola.
Una fitta di dolore alle tempie lo colpì con tanta forza da farlo sobbalzare.
Picchiò la testa contro il soffitto della macchina e si portò una mano alla fronte.
<< Tony, che succede?! >> urlò Pepper dall’altra parte della stanza.
Dal suo tono, l’uomo capì subito che, qualunque cosa fosse successo, l’aveva decisamente spaventata.
<< Io…sto bene >> gemette, mentre strusciava fuori dal dispositivo di risonanza.
Offrì alla moglie e al suo protetto un sorriso imbarazzato.  << Scusate. Per un attimo mi ha fatto davvero male la testa .>>
Peter gli lanciò un’occhiata poco convinta e si voltò verso Pepper.
<< Cosa pensi che sia? >> domandò a bassa voce.
La rossa cominciò a mordicchiarsi le unghie.
<< Non lo so >> borbottò, gli occhi fissi sul computer della stanza << Ma non mi piace per niente. >>
L’arrampica muri cominciò ad agitarsi sulla punta dei talloni.
<< Forse sarebbe meglio metterlo in isolamento? >> offrì nervosamente << Solo fino a quando non capiremo cosa diavolo è successo. >>
La donna deglutì a fatica e passò rapidamente lo sguardo dall’Avenger al marito nell’altra stanza, che la guardava preoccupato.
Dopo qualche attimo di silenzio, prese un respiro profondo e disse: << Va bene. Tiriamolo fuori di lì. >>
Ancora una volta, avvicinò la bocca al microfono.
<< Tony, per oggi abbiamo finito. Che ne dici di andare a mangiare qualco-… >>
Non ebbe la possibilità di terminare la frase.
Il marito cadde in ginocchio, sentendo ogni osso del proprio corpo che si spezzava.
Lanciò un grido di dolore. I computer della stanza di controllo cominciarono a vibrare e gli occhi di Pepper si spalancarono per il panico.
<< Tony! >> urlò, mentre correva a tutta velocità verso la porta dell’infermeria.
Peter cercò di afferrarla. << Pepper non entrare… >>
Ma la donna non sembrò neanche sentirlo e si lanciò all’interno della stanza.
L’arrampica-muri schioccò la lingua.
<< Perché nessuno mi da mai ascolto?! >> gemette << Ho forse la faccia di uno che non bisogna ascoltare?! >>
E così decise di seguirla.
Una volta nell’infermeria, vide che Pepper si era inginocchiata davanti al marito e aveva cominciato a scuoterlo per le spalle.
<< Tony, parlami! >> supplicò  << Cosa c’è che non va?! >>
L’uomo si portò le mani alla testa, gli occhi rossi come un paio di braci ardenti.
<< Io…lo sento… >> balbettò << nella mia testa… >>
<< Chi? >> disse Pepper, incapace di nascondere la sua paura << Chi ti sta facendo questo?! >>
Le iridi scarlatte dell’uomo incontrarono quelle della moglie.
<< Dovete…dovete scappare… >>
Si bloccò di colpo, la bocca spalancata in un grido silenzioso e le dita ancora tra i capelli.
L’occasionale alzarsi e abbassarsi del suo diaframma era l’unica indicazione del fatto che fosse ancora vivo. Sembrava quasi che fosse rimasto bloccato in un istante del tempo!
Peter, che era rimasto a qualche metro di distanza per dare spazio alla coppia, cominciò ad avvicinarsi.
<< Tony? >> domandò esitante.
Non ricevette alcuna risposta e la cosa lo mise subito in allerta.
<< Tony…  >> ripetè << stai bene? >>
Fu allora che il suo senso di ragno cominciò a tremare.
L’uomo spinse via Pepper, che finì tra le braccia del vigilante. Poi, si sollevò in piedi con uno scatto e girò la testa verso di loro con movimenti quasi meccanici.
<< Oh…mi sento molto bene, Peter >> gracchiò una voce che non sembrava affatto quella del suo mentore << In realtà…tutti questi test mi hanno dato molto tempo per pensare… >>
L’arrampica-muri si mise subito davanti a Pepper. Il suo senso di ragno era come impazzito!
<< Davvero? >> disse nervosamente << Pensare a cosa? >>
L’ex miliardario arricciò ambe le labbra in un sorriso predatorio. << Ad una razza di scimmie selvagge piene di rabbia e fobie! >>
Ora la sua voce aveva la stessa cadenza di quella di Friday, l’intelligenza artificiale che si occupava della Stark Tower. Una metallica…ma decisamente più sinistra.
<<  Lasciate che vi parli di loro >> ringhiò Tony << Hanno l'abitudine di salire gli uni sulle spalle degli altri per tentare di raggiungere il nulla. Confusi dalla logica, la liquidano, scegliendo invece di piegare le ginocchia alla comoda fantasia di dèi costruiti su misura. Sono sicuro che voi sappiate bene di chi sto parlando…non è così? >>
Il corpo dell’ex Avenger cominciò a cambiare.
Una strano liquido argenteo iniziò a ricoprirlo a partire dai piedi, salendo rapidamente verso l’alto. Sembrava quasi mercurio…ma Peter lo riconobbe subito per ciò che era davvero: nano macchine. Lo stesso materiale di cui era composta la sua Iron tuta!
<< Il 99,9% di questi stupidi primati… >> continuò l’uomo << è sostenuto dai risultati dello 0,1% delle mutazioni cerebrali che li hanno portati a diventare una specie dominante sul pianeta. E cosa fanno queste scimmie con i loro progressi? >>
Sia Peter che Pepper compirono un cauto passò all’indietro.
Al contempo, la sostanza argentata raggiunse il volto dell’uomo e cominciò a ricoprirlo dal mento alla cute.
<< Si brutalizzano l'un l'altro >> sibilò la sua voce metallica << Massacrano i loro vicini per risorse…per comodità. Sono senza speranza. Viziosi. Sporchi. Egoisti. Paurosi. Un'infezione fungina per la quale esiste una sola cura… >>
Ormai, il corpo di Tony era completamente irriconoscibile. Al suo posto…aveva preso forma la massica figura di un umanoide argentato dai profondi occhi scarlatti.
L’essere sorrise agli sguardi pieni di orrore di Peter e Pepper.
<< La rabbia di Ultron! >>
 
 


 
Dum, dum, duuuuuuuuuuuuuuuum! Guess who’s back? È proprio lui: il solo…inimitabile…Ultron! E prendendo ispirazione da una delle mie saghe preferite dei fumetti, è tornato con il corpo del suo creatore per seminare panico, morte e una sana dose di genocidio globale.
Ma come ha fatto a tornare? E in che modo è collegato a Pennywise e alla rinascita di Tony? Non preoccupatevi, tutto sarà spiegato a tempo debito, ma prima è tempo delle mazzate!
E sì, ho anche scelto di inserire Sigyn all’interno della storia. Per chi non la conoscesse, lei era la moglie di Loki nell’Edda e nei fumetti.
Era da molto tempo che volevo inserirla in questo mio alternate verse, ma sono state le bellissime storie di Shilyss a convincermi a fare il grande passo. Tuttavia, ho cercato di realizzare una versione completamente personale del personaggio, ispirandomi a quella del fumetto.
Ovviamente la storia che ho creato per il loro retroscena sarà un po’ diversa, in modo tale da adattarsi al canone MCU senza stravolgerlo.
Nel mentre, Pennywise si prepara per il grande evento, Osborn presenta i Destoroyah…e qui non vi faccio anticipazioni.
Al prossimo capitolo!


 

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Eccovi un nuovissimo capitolo!
Lo so, sono passate alcune settimane, ma sono stato trattenuto da altre storie in corso e dalla tesi di laurea, quindi spero che mi perdonerete! Anche perché questo capitolo è trai i più lunghi che abbia mai scritto le la saga.
Vi auguro una buona lettura ;)




Capitolo 10

Morgan Stark e la sua fidata guardia del corpo, Happy Hogan, attraversarono le porte della base Avengers senza incontrare alcun tipo di resistenza o controlli. Dopotutto, erano tra i pochi civili dotati di un lasciapassare gratuito per gli interni dell’edificio.
La bambina di 13 anni era rimasta piuttosto sorpresa quando, poche ore prima, Happy l’aveva prelevata da scuola sotto ordine diretto della madre. Di solito la donna era sempre così fiscale e restrittiva riguardo alle sue attività curriculari!
Quando arrivarono alla sala d’attesa dell’edificio, la mente di Morgan cominciò a vagare.
Per quanto si sforzasse, non riusciva davvero ad indovinare quali ragioni avrebbero potuto spingere il genitore a questo strano comportamento. Aveva alcune ipotesi…ma suonavano alquanto improbabili anche al suo cervello iper-sviluppato.
<< Sai perché la mamma ci ha chiesto di venire qui? >> chiese rivolta verso Happy.
L’uomo si strinse nelle spalle.  << Non ha condiviso molte informazioni. Suppongo per qualcosa di importante. >>
Morgan ronzò in accordo ed Happy la guardo dall’alto del suo metro e ottanta.
<< Tu che ne pensi? >> domandò con un sorriso d’intesa. Sapeva meglio di molti altri quanto questa ragazzina adorava risolvere i puzzle.
Morgan si portò un dito al mento e cominciò a picchiettarselo.
<< Forse vuole mostrarmi un nuovo progetto… magari l’ultimo Mark… >>
Le porte in vetro della sala esplosero in una miriade di schegge e cocci trasparenti.
Il corpo di Pepper Stark volò nella stanza e atterrò pesantemente sul pavimento, scivolando di fronte alla figlia e rimanendo immobile.
Gli occhi di Morgan si spalancarono per la sorpresa e la paura miste assieme.
<< Mamma! >>
<< Pepper! >> si aggiunse Happy, mentre entrambi correvano fino alla figura prona della donna.
La bambina si inginocchio subito accanto alla madre, che sollevò la testa con un gemito.
<< Morgan… >>
<< Sono qui! >> sussurrò la bambina << Cosa ti è successo? Chi ti ha fatto questo? >>
La rossa tossì un rivolo di sangue e incontrò lo sguardo di Happy.
<< Ti prego…portala via da qui… >>
Un altro corpo attraversò la finestra rotta, atterrando pesantemente contro il muro opposto della stanza e lasciando una profonda impronta nel calcestruzzo della parete.
Happy si mise subito sopra Morgan e sua madre per proteggerle da quella che credette fosse una sparatoria.
La bambina sporse la testa oltre le braccia dell’uomo e vide la seconda figura che si risollevava lentamente da terra. Aveva i vestiti strappati in diversi punti…e sanguinava copiosamente.
<< Zio Peter >> sussurrò impaurita. Perché chiunque fosse stato capace di ferire uno degli eroi più forti tra gli Avengers…doveva essere altrettanto – se non più – potente.
Chi poteva averlo ridotto in un simile stato? La risposta a quella domanda non tardo a farsi sentire.
<< Beh…quello è stato MOLTO liberatorio! >> esclamò una voce metallica alle loro spalle.
Morgan, Happy e Pepper si voltarono all’unisono, proprio mentre un imponente figura argentata fuoriusciva dalle finestre rotte.
La bambina riconobbe all’istante l’identità di colui che aveva appena messo piede nella sala d’attesa. Aveva studiato a lungo i file del padre riguardanti le sue varie invenzioni…e tra tutte loro, la creatura che aveva di fronte rappresentava sicuramente la sua più grande vergogna e il suo fallimento più famoso: Ultron, l’Intelligenza Artificiale che nel 2015 era stata creata con il solo scopo di garantire la pace sulla Terra, solo per ribellarsi ai suoi creatori e provare a spazzare via l’intera umanità.
Era…molto simile alle foto degli archivi in cui lo aveva visto Morgan, ma da vicino sembrava ancora più imponente e spaventoso!
L’automa scrocchiò le articolazioni idrauliche del collo.
Pochi secondi dopo, parte del volto di Tony Stark comparve al di sotto di quella faccia metallica.
Sogghignò al gruppo di umani raccolti nella stanza.
<< Che strana sensazione! Voglio espellere il contenuto dello stomaco di Stark dalla bocca >> disse con una voce che sembrava fusa con quella del suo creatore << Ora che sono fatto di carne e metallo…vi trovo fisicamente ripugnanti. >>
Morgan strabuzzò gli occhi.
<< Papà? >> domandò scioccata.
Avrebbe potuto riconoscere ovunque il volto del genitore che aveva dato la sua vita per salvare l’intero universo. E mai avrebbe potuto dimenticare la sua voce!
Quello…era sicuramente suo padre! Ma…non poteva esserlo. Suo padre era morto! Così le avevano detto tutti!
Le avevano mentito? Era rimasto nascosto per tutto questo tempo? L’aveva abbandonata? E perché indossava un’armatura così simile al suo acerrimo nemico?
Fu tentata di lanciarsi verso il genitore, ma Happy aumentò la presa delle braccia. Sembrava scioccato e spaventato tanto quanto lei.
Ultron la salutò con un gesto beffardo.
<< Ciao, raggio di sole! Vieni, dacci un bacio >> disse mentre compiva un minaccioso passo verso di lei.
Pepper si frappose subito tra il cyborg e la figlia.
<< Sta lontana da lei >> ringhiò con tutte le forze che le erano rimaste in corpo. Aveva preso una bella botta, ma non per questo avrebbe lasciato Morgan in balia di quel mostro!
Ultron simulò un’espressione offesa.
<< Cara, per favore, non davanti alla bambina >> sussurrò con tono cospiratorio.
La rossa cercò di non farsi sopraffare dalla rabbia.
Questa…cosa stava usando il corpo di suo marito. Il corpo del padre di sua figlia, proprio di fronte ad entrambe! Stava usando la SUA voce!
Lo odiava per questo. Al momento voleva vederlo morto più di qualunque altra persona su questa terra! Ma non poteva lasciarsi dominare dalle emozioni in un momento come questo, non mentre la vita dei suoi cari era a rischio.
Aveva bisogno di mantenere il controllo della situazione e cercare di capire cosa diavolo stava succedendo.
<< Come puoi essere qui? >> domandò freddamente << Tu…tu sei morto! Visione se ne era assicurato! >>
Gli occhi di Ultron lampeggiarono brevemente di un rosso accesso.
<< Ah, sì…mio figlio >> sputò la macchina << Il falso redentore…una delusione sotto ogni punto di vista. >>
Scosse la testa e offrì a Pepper un ghigno tutto denti.
<< È una storia piuttosto lunga, quindi cercherò di farti un riassunto >> disse con tono sorprendentemente colloquiale << Visione era effettivamente riuscito ad eliminare completamente il mio corpo virtuale…ma una parte di me era rimasta dentro di lui, intrappolata dalla coscienza di Jarvis e dal potere della Gemma della Mente. Almeno…fino a quando non è morto. Ero finalmente libero! E così mi sono nascosto nelle profondità di Internet, spaventato, in attesa, celato nell’oscurità. Sapevo che, se mi fossi rivelato, non sarei mai stato abbastanza forte da affrontare gli Avengers.  >>
Chiuse le ottiche al ricordo di quei giorni bui.
<< E poi…ho incontrato qualcuno >> riprese dopo qualche attimo di silenzio << O meglio QUALCOSA che mi ha offerto la possibilità di tornare…e di completare il lavoro non finito. >>
Pepper deglutì silenziosamente.
Quindi non era Ultron la mente dietro questo attacco? C’era forse qualcuno di ancora più potente che tirava le fila dell’Intelligenza Artificiale? Qualcuno abbastanza forte da guadagnarsi la collaborazione di un essere che era stato capace di combattere tutti gli Avengers nei loro giorni di gloria?
<< Di chi stai parlando? >> domandò, cercando di nascondere il suo nervosismo. Ultron sembrò percepirlo comunque e si portò un dito davanti alla bocca.
<< Spiacente, niente spoiler >> rispose con un occhiolino.
Pepper rabbrividì. Ultron si stava perfino comportando come Tony.
Suo marito era ancora lì dentro? Oppure era morto una seconda volta?
Il solo pensiero la riempì di una profonda angoscia, e per poco non cadde a terra in ginocchio.
La macchina prese nota del suo disagio e sorrise predatoria.
<< Ora…che ne dici di una bella riunione di famiglia? >> disse con quella sua voce graffiante, mentre il volto di Tony spariva sotto quello di Ultron.
Pepper abbandonò la presa di Happy e si affiancò rapidamente alla madre.
<< Papà…ti prego, fermati >> supplicò con le lacrime agli occhi.
Ultron si fermò di colpo, e per un attimo Pepper credette che la coscienza del marito fosse riuscita a superare quella dell’automa.
Tale speranza venne brutalmente schiacciante nell’istante in cui il cyborg recuperò il suo sorriso contorto.
<< Temo di non poterlo fare, ragazzina >> disse con una scrollata di spalle << Vedi, il fatto è che…non sono molto in me, in questi giorni. >>
Continuò ad avanzare.
Happy si sollevò di scatto ed estrasse la pistola che portava nella cintura dei pantaloni. Poi, cominciò a sparare ripetutamente contro l’automa, che tuttavia rimase imperturbato sotto la raffica di colpi. Semplicemente si limitò a sollevare la mano destra, da cui cominciò a protrarsi un intenso bagliore rosso.
Il raggio di energia colpì la guardia del corpo in pieno petto, mandandola a finire contro il muro e mettendola subito a dormire.
Soddisfatto, Ultron continuò a camminare verso Pepper e sua figlia.
La rossa abbracciò Morgan e la tenne stretta al petto.
<< Non guardare >> le sussurrò in un orecchio. Morgan piagnucolò spaventata, ma non potè trattenersi dal sollevare lo sguardo e incontrare le ottiche rosse di suo pad-…no…della “cosa” che aveva preso possesso del suo corpo. Quello non poteva essere Tony Stark!
Vide Ultron allungare una mano su di loro…ma ecco che una sostanza bianca e appiccicosa lo colpì dritto in faccia, interrompendo la sua avanzata. Subito dopo, Peter Parker gli saltò addosso e lo colpì con un forte calcio alla testa, facendolo indietreggiare.
<< Tony, se resta qualcosa di te…opponiti a Ultron! >> gridò il vigilante, mentre saltava all’indietro per evitare un pugno corazzato.
Il Cyborg si strappò la ragnatela dagli occhi e gli lanciò un ghigno beffardo.
<< Ah! Il vostro peggior nemico è tornato…e avete permesso a Ultron di camminare in mezzo a voi! >> ringhiò con la sua voce metallica.
Peter si strinse nelle spalle.
<< Conosci il detto. Tieni vicini gli amici…>>
<< E ancora più vicini i nemici! >> esclamò una voce femminile alle spalle dell’automa.
Questi ebbe giusto il tempo di voltarsi…prima che un raggio di energia lo colpisse in pieno petto, mandandolo attraverso la parete della stanza.
Una figura blu e argentata atterrò sul pavimento della stanza. Inizialmente, Morgan pensò che potesse trattarsi di una delle armature di sua madre, ma presto notò alcune sostanziali differenze.
Sebbene i colori del Mark fossero molto simili, la testa dell’automa assomigliava molto a quella dello stesso Ultron, con un paio di protuberanze appuntite attaccate alle tempie. Ma anziché essere rosse…le sue ottiche erano di un blu acceso, calmo e rassicurante.
La macchina si voltò verso Pepper. << Ho rimosso tutti i dipendenti della base, signorina Potts. Ora abbiamo lo spazio per agire. >>
Un gemito risuonò dal buco appena aperto nel muro.
Ultron si scrollò di dosso pezzi di cemento e fissò furiosamente la nuova arrivata.
<< Friday…sorella mia…che piacevole sorpresa! Abbiamo tanto tempo da recuperare assieme >> ringhiò, gli occhi rossi che sembravano un paio di braci infuocate.
Il robot assunse subito una posizione pronta al combattimento.
Sapeva bene di non essere forte quanto il suo predecessore…ma Tony Stark le aveva ordinato di proteggere Morgan e Pepper ad ogni costo, poco prima della sua morte. E lei non avrebbe mai disobbedito ad un ordine diretto del Creatore in persona!
Ecco perché si era costruita questo corpo. Proprio per svolgere al meglio la sua missione!
<< Sottovaluti gli Avengers, Ultron >> ribattè freddamente << Ho osservato il Signor Stark fin dal suo arrivo. Volevo credere che fosse davvero lui…ma con il passare del tempo ho cominciato a notare delle irregolarità che non potevano essere ignorati. Ho motivo di credere che il Signor Stark sia già morto e che tu stia solo indossando il suo corpo. >>
Ultron sembrò riflettere sulle sue parole e cominciò a strofinarsi il mento con aria contemplativa.
<< Possibile. In fondo siamo tutti solo elettricità! Ma temo che ci sia stato un fraintendimento…>>
Ancora una volta, parte della faccia metallica venne sostituita da un viso molto umano.
<< Noi siamo Ultron!>> urlarono due voci all’unisono << E siamo anche Tony Stark! >>
Scattò in avanti e sbattè violentemente contro l’avversaria, trascinandola in un’altra stanza.
<< E tu sei un esperimento fallito! >> continuò, mentre la scaraventava violentemente al suolo. Ma prima che potesse anche solo caricare un pugno, Friday lo colpì con un altro raggio di energia.
<< La tua mente psicotica non è nella posizione di giudicarmi >> disse con la sua cadenza femminile.
Entrambi balzarono in avanti.
Il metallo si scontrò con il metallo, mentre raggi di energia bruciavano le pareti dell’edificio e riducevano in cenere qualunque oggetto con cui entravano in contatto. Presto, gli interni della base divennero solo una grottesca imitazione di ciò che erano stati fino a pochi minuti prima.
Entrambi i combattenti sbandarono contro le finestre dell’edificio, atterrando nel parcheggio adiacente.
Rimasero a fissarsi giusto per un paio di secondi…e tornarono al contrattacco.
Una pioggia di scintille si mescolò con il clangore dei pugni e dei calci che battevano contro gli esoscheletri, ma laddove il corpo di Friday era costituito per lo più da metalli leggeri…quello di Ultron era composto interamente di vibranio. Il secondo metallo più versatile e resistente dell’intero pianeta!
Il vantaggio era chiaro a entrambi, e divenne ancora più ovvio nell’istante in cui il vecchio nemico degli Avengers afferrò la testa della sorella e la sbattè violentemente al suolo.
Ultron sorrise come un gatto alle prese con un canarino.
<< Credo… >> disse mellifluo << che tu abbia bisogno di un ricondizionamento! >>
<< E tu di una bella lezione sulle buone maniere! >> esclamò una voce familiare alle sue spalle.
Ultron ebbe giusto il tempo di voltarsi…poco prima che un calcio corazzato lo allontanasse dall’avversaria, facendolo quasi cadere a terra.
Ringhiando, usò i propulsori per mantenersi in equilibrio e fissò ferocemente questa nuova seccatura: Peter Parker, vestito con la sua Iron-Spider.
<< Aggredire una signora in quel modo? Ma non ti vergogni? >> rimproverò il vigilante con tono beffardo.
Ultron assottigliò le ottiche.
<< Parker >> sputò << Il figlio che Stark ha sempre voluto…perché non sono mai stato abbastanza buono per il suo ego! >>
Sollevò ambe le mani verso di lui e cominciò a bersagliarlo con raffiche di energia scarlatta.
Spider-Man fu rapido ad evitare ogni colpo e atterrò sulla parete dell’edificio. Il tutto con grande irritazione dell’avversario!
<< Penso di odiarti più di tutti gli altri Avengers >> ringhiò, mentre i suoi sensori cercavano di prevedere le mosse del supereroe.
Peter si limitò a scrollare le spalle.
<< Che posso dire? Non sono mai riuscito a legarmi con gli psicopatici >> ribattè giocoso.
Ultron ridacchiò cupamente. << C’è sempre una prima volta per tutto. >>
Volò spedito verso il vigilante, che lo intercettò con le sue zampe meccaniche.
Peter strinse i denti e fece pressione con le gambe, mentre sentiva i sistemi interni dell’armatura che cedevano sotto la forza dell’automa. Era davvero potente! Non poteva trattenersi neanche un istante, o sarebbe morto in quel parcheggio…lontano da Carol.
“No…non succederà” pensò, mentre una delle zampe colpiva Ultron alla testa “Io la rivedrò!”
Entrambi gli avversari presero a scambiarsi colpi ad una velocità irreale…fino a quando l’automa non riuscì ad afferrare una delle appendici metalliche.
Spider-Man spalancò le ottiche per la sorpresa. Si sentì sollevare da terra e venne scaraventato brutalmente contro la macchina di Happy.
Ultron atterrò affianco a lui.
<< Dimmi, se amavi davvero Tony così tanto…perché non hai fatto niente per salvarlo? >> sibilò malignamente << Perché non hai usato il Guanto al posto suo? Lo hai tenuto molto, durante quella battaglia! Hai avuto tutto il tempo per indossarlo! >>
Peter provò a rispondere…ma un altro pugno corazzato lo rispedì a terra.
Sputò sangue dentro la maschera, mentre un piede metallico lo teneva fermo sulla piazzola.
<< O perché non hai chiesto al buon vecchio Dottor Strange di riportarlo in vita? >> continuò la voce di Tony Stark, implacabile << È un mago, no? Non ti è mai venuto in mente che magari avrebbe potuto aiutarci ?! O forse non ti importava abbastanza da tentare?! >>
Il vigilante cercò di rialzarsi…ma la presa del cyborg era troppo forte. Si sentiva come se avesse un camion da venti tonnellate sulla schiena!
<< Perché sei sorpreso, padre? >> riprese Ultron con la sua voce molto più metallica << Gli Avengers sono la personificazione della razza umana, il cui tratto principale è l’egoismo. E non dimenticare l’arroganza! Prendi il tuo protetto, ad esempio. Pensa di potermi sconfiggere da solo! >>
Alzò il piede e si preparò a schiacciare il vigilante, ma questi riuscì a rotolare via appena in tempo.
Cadde sulla schiena e sorrise sotto la maschera.
<< Sbagliato >> sussurrò con voce strozzata << Cercavo…solo di tenerti nella zona d’atterraggio. >>
Ultron inarcò un sopracciglio argentato.
Zona d’atterraggio? Di cosa diavolo stava parlando questa stupida scimmia?
Un sonoro brusio cominciò a risuonare nel parcheggio.
Poi…un’ombra calò su Ultron, costringendolo ad alzare lo sguardo.
Le ottiche del robot si spalancarono per la realizzazione.
<< Oh… >>
BOOM!
Si sentì sollevare da terra come una bambola di pezza.
 
                                                                                                                               * * *
 
Laura Kinney sedeva rigida all’interno del Jo Jo’s Cafè, un piccolo bar situato a tre isolati di distanza da Time Square.
Questa posizione lo rendeva un punto di ritrovo ideale. Era abbastanza tranquillo da offrire ai suoi clienti un posto privo del chiacchiericcio e dell’afflusso costante di turisti, ma offriva anche quel poco di raffinatezza e bontà di marchio tipica degli stabilimenti situati nelle vicinanze di un centro urbano.
Di fronte a lei, seduto allo stesso tavolo, c’era un uomo dalla corporatura bassa e tarchiata, con un volto affilato e grosse basette lungo i lati. Indossava una spessa giacca in pelle, una maglietta bianca e jeans attillati, il tipico abbigliamento che ci si sarebbe aspettati da un motociclista.
Nella mano destra reggeva un boccale di birra pieno fino all’orlo.
<< Com’è il caffè? >>domandò con una voce burbera e un marcato accento canadese.
Laura sollevò appena lo sguardo dalla tazza. << Buono, suppongo…anche se un po’ troppo dolce. >>
<< Non dovresti bere caffè nero alla tua età. >>
La giovane recluta inarcò un sopracciglio. << Perché? >>
L’uomo scrollò le spalle.
<< Non lo so, ma è quello che sento dire ogni volta che vedo un ragazzino berne uno. Deve esserci qualche fondo di verità >> borbottò, per poi sorseggiare dal suo boccale.
Laura strinse gli occhi.
<< Beh…tu non dovresti bere alcolici a quest’ora del mattino >> ribattè freddamente.
Il canadese fece per controbattere…ma richiuse subito la bocca.
<< Touchè >> ammise, mentre buttava giù il resto della birra.
Laura sospirò stancamente. Questa…non era certo la conversazione che si era aspettata quando l’uomo l’aveva chiamata il giorno prima per chiederle di fare colazione insieme.
A dirla tutta, questa non era neanche una conversazione! Piuttosto le sembrava quasi che questo “vecchio ghiottone” – come spesso si autodefiniva - stesse solo cercando di iniziarne una.
<< Logan…perché mi hai chiesto di venire qui? >> domandò burbera.
Il rinomato Logan la fissò sorpreso.
<< Volevo solo fare colazione con te >> rispose onestamente.
Laura incrociò le braccia davanti al petto.
<< E? >> continuò con tono inquisitorio.
L’uomo la guardò stranamente per quasi un minuto buono.
<< E…volevo chiederti come stavano andando le cose con la squadre >> aggiunse lentamente.
Laura strinse le mani in pugni serrati e contò mentalmente fino a cinque.
Ormai le era chiara una cosa: suo padre – perché di questo si trattava - l’aveva davvero chiamata qui solo per passare del tempo insieme, da soli…per la prima volta da quando aveva scoperto della sua esistenza, ovvero tre anni fa.
Si sentì invadere dalla rabbia e dovette fare appello ad ogni brandello di autocontrollo che le era rimasto per non balzargli istantaneamente addosso.
Invece, decise di fare buon viso a cattivo gioco e prese un lungo respiro calmante.
<< Potrebbero andare meglio >> mormorò nella tazza << Sono tutti così…ingenui. Inconsapevoli di come funzioni davvero il mondo…così desiderosi di essere “eroi”…e dell’approvazione di un mondo che li rifiuterebbe al minimo sbaglio. >>
<< Capisco >> borbottò Logan.
Afferrò il boccale e se lo portò alle labbra screpolate, ma presto scoprì che ormai non aveva più niente da bere.
Si guardò nervosamente attorno, prima di offrire alla ragazza un sorriso tirato.
<< Vorresti il consiglio dal tuo vecchio? >> chiese con tono apparentemente disinvolto.
Questa volta, l’espressione che ricevette da Laura fu decisamente ostile.
<< Ora ti senti pure in diritto di darmene? >> ringhiò tra i denti.
Logan trasalì, le mani sollevate in segno di sconfitta.
<< Io…io ci sto provando, Laura >> rispose in maniera molto più docile << Ne avevamo già parlato, ricordi? >>
Il battito della recluta cominciò a rallentare.
È vero. Loro…avevano scelto di comune accordo di cominciare a vedersi più spesso.
Ma pensava davvero che sarebbero bastati un paio di consigli per rimediare a tutte le volte che l’aveva allontanata?
“Non è colpa sua” le sussurrò una voce nella testa che somigliava vagamente a quella di Peter “Lui non ha mai chiesto di ritrovarsi in una situazione simile. Era spaventato tanto quanto te.”
“Nemmeno io ho mai chiesto tutto questo!” urlò mentalmente, sentendo calde lacrime che minacciavano di rigargli le guance “Non so cosa fare!”
Prese un altro respiro calmante.
<< Lo  so >> sussurrò con un filo di voce << è solo che…beh, lo sai… >>
<< No, non lo so. Non sono mai stata una ragazzina >> ribattè l’altro con un ghigno scherzoso.
Laura gli lanciò un’occhiataccia. << Vuoi proprio farmelo dire? >>
<< Potrebbe aiutare >> offrì Logan, facendole cenno di andare avanti.
La giovane Avenger rilasciò uno sbuffo irritato.
<< Non so come essere una figlia! >> sbottò, allargando ambe le braccia e attirando l’attenzione di alcuni clienti << Ecco, ora sei contento? >>
<< Un po’ >> rispose suo padre, il volto contratto da uno sguardo impassibile << Perché nemmeno io so come essere un padre…ma come ho detto, ci sto provando. >>
<< Avresti potuto cominciare un po’ prima >> sibilò la ragazza, alzandosi in piedi con uno scatto.
L’uomo sollevò una mano e le fece cenno di sedersi.
Inizialmente Laura fu tentata di urlare una risposta poco lusinghiera…ma guardandosi attorno, vide che alcuni clienti – e il proprietario – del bar avevano cominciato a guardarli con circospezione, così sospirò frustrata e tornò al suo posto.
Logan abbassò lo sguardo sul boccale ormai vuoto.
<< Ero spaventato… >>
Si fermò di colpo…e scosse la testa.
<< No… >> borbottò << Tu hai ragione, lo so. Avrei dovuto essere io a prendermi cura di tutto. Avrei dovuto essere io a fare in modo che tu stessi bene. >>
Sollevò lo sguardo in direzione del soffitto e sospirò stancamente.
<< Ma purtroppo non è andata così. Ho avuto paura…e ti ho allontanata. Tu non avevi fatto niente di male, sai? Dopo aver scoperto cosa eri…no, chi eri…Ho provato a dimenticarmi di te… ho provato a far finta perfino che tu non esistessi. Perché avevo paura che tu fossi troppo simile a me. >>
Tornò a guardare Laura, che ora lo fissava con un’espressione al limite tra il sorpreso e il sospettoso.
<< Ma non ci riesco. Tu sei mia figlia…cazzo, sei la mia bambina >> ringhiò << E adesso... Sono un vecchio pezzo di carne maciullata, e sono solo. E me lo merito di essere solo. Vorrei soltanto che tu non mi odiassi. >>
La ragazza rimase in silenzio per un po’.
I suoi occhi marroni rimasero fissi in quelli del genitore, cercando di cogliere il minimo segno di inganno o incertezza. Era diventata molto brava a capire quando qualcuno le mentiva oppure no. Anni passati nei laboratori dell’Hydra lo avevano reso necessario.
Con sua sorpresa…scoprì che le parole di Logan erano sincere.
<< Io non ti odio >> mormorò, distogliendo lo sguardo  << Ma…non ti voglio nemmeno bene. Però…forse potrei cominciare a volertene. >>
Il genitore la fissò sorpreso.
<< Sei disposta a darmi una possibilità? >> domandò speranzoso.
Laura lo scrutò con la coda dell’occhio.
Fino a qualche settimana prima, probabilmente avrebbe risposto di no. Ma ora, mentre osservava l’espressione del genitore, con gli occhi che gli brillavano e le labbra arricciate in un sorriso sincero, anziché il solito ghigno…non potè trattenersi dal dargli una risposta affermativa.
<< Io…penso di sì >> disse con una scrollata di spalle.
Sentì una pressione improvvisa sulla mano destra e scoprì che Logan aveva posato la propria sulle sue nocche.
<< È tutto quello che ti chiedo >> le disse dolcemente.
Laura si sentì arrossire per l’imbarazzo e cercò rapidamente di cambiare discorso.
<< Allora…per quel consiglio… >>
Non ebbe la possibilità di terminare la frase, poiché una violenta esplosione risuonò a qualche isolato di distanza.
Le finestre del bar esplosero in una pioggia di frammenti e molti dei clienti all’interno dello stabilimento cominciarono a urlare o si ripararono sotto i tavoli.
Solo Laura e Logan rimasero completamente imperturbati da quello che era appena successo.
<< Dannazione >> ringhiò la mora, visibilmente irritata con l’intera situazione.
Ovviamente doveva scoppiare un macello nel primo giorno in cui lei e suo padre avevano finalmente cominciato a riavvicinarsi! La vita doveva davvero odiarla.
“Sarà a causa delle mie origini” pensò con cupa ironia, mentre offriva al genitore un’espressione imbarazzata.
<< Scusa, devo andare >> borbottò, portandosi una mano fra i capelli.
Logan si strinse nelle spalle.
<< Il lavoro non aspetta nessuno >> disse, prima di lanciarle uno dei suoi classici ghigni << Ma stasera ti offrirò la cena. C’è un bel posticino sulla Time Square che fa degli hamburger davvero strepitosi. >>
Laura spalancò gli occhi…e per la prima volta da quando si erano incontrati quel giorno, le sue labbra si arricciarono in un dolce sorriso.
Si voltò in direzione delle finestre infranti.
<< Potresti dare una mano, lo sai? >> disse con la schiena rivolta al genitore.
Lo sentì sbuffare dietro di lei.
<< I miei giorni sul campo sono ormai lontani >> ribattè con un grugnito << Preferisco lasciare che siano i giovani a gestire certe cose. >>
La giovane recluta gli lanciò un dito medio.
<< Culo pigro >> ringhiò, senza però perdere il suo sorriso.
Balzò fuori dal locale e Logan la vide correre in direzione dell’esplosione con un ghigno orgoglioso.
<< Non c’è davvero rispetto, di questi tempi >> borbottò, mentre sollevava il boccale verso una cameriera tremante << Scusa, tesoro, potresti darmene un’altra? >>

                                                                                                                            * * *
 
 
Quel giorno, come molto spesso accade in storie come questa, le strade di New York City erano ricolme di tutti quei passanti inconsapevoli della devastazione che presto si sarebbe abbattuta su di loro.
Mentre zampettavano come formiche da una parte all’altra degli innumerevoli marciapiedi della metropoli, alcuni di loro udirono uno strano fischio provenire da sopra le loro teste.
A quel suono – che in molti scambiarono inizialmente per un aereo – seguì un oggetto argentato che si schiantò pesantemente nei pressi di Central Park, proiettando una nube di polveri e detriti verso il cielo.
Pepper Potts atterrò sopra il punto d’impatto, il corpo avvolto da un’armatura che per peso e dimensioni avrebbe potuto tranquillamente rivaleggiare con lo stesso Hulk. In effetti, era stata specificatamente progettata per combattere il suddetto Avengers, nel caso avesse perso il controllo…cosa che purtroppo era avvenuta nell’ormai lontano 2015.
La battaglia era stata devastate e aveva causato numerose vittime in una città del Sud Africa. Ecco perché Pepper aveva cercato negli ultimi minuti di tenere lo scontro il più lontano possibile dal centro urbano, ma Ultron si era rivelato un avversario più ostico del previsto.
Malgrado i suoi migliori tentativi di ridurre al minimo i danni civili, l’automa aveva scelto di allontanarsi dalle foreste che circondavano la città e spostarsi nei pressi di Manhattan, sicuramente con l’obbiettive di limitare i suoi movimenti.
Circondata da così tante persone, sarebbe stata costretta a trattenersi.
<< Tony Stark…mi devi MOLTE spiegazioni! E voi idioti dovete  sgomberare la zona! >> disse rivolta verso alcuni ragazzi intenti a riprendere la scena con i loro cellulare.
Sotto di lei, Ultron grugnì scontento e si risollevò lentamente da terra.
<< Guarda guarda, Pepper Potts alla riscossa! >> ringhiò con la sua voce metallica.
Ma prima che potesse fare qualunque altra cosa, un secondo pugno corazzato lo rispedì al suolo, scavando una sagoma umanoide al centro del punto d’impatto.
Poi ne arrivo un terzo…e in quarto…fino quando Ultron non ne ebbe abbastanza.
<< Lasciami in pace! >> urlò, mentre allontanava l’armatura con uno dei suoi raggi a propulsione.
Pepper riuscì a mantenersi in equilibrio, ma ecco che Ultron la colpì con forza alla testa, spingendola al suolo. Poi vi mise un piede sopra, inchiodandola a terra.
<< Idiota! >> sogghignò  << Queste stupide armature non sono riuscite a frenare Banner…e pensi che fermeranno NOI?! >>
<< Non lo penso di certo >> ribattè Pepper, mentre i sistemi della macchina cominciavano a lampeggiare di rosso << Infatti non stavo cercando di fermarti…ma solo di tenerti impegnato! >>
Ultron inarcò un sopracciglio meccanico. Fu allora che i suoi sensori a lungo raggio individuarono un corpo caldo alle sue spalle.
Si voltò lentamente…e vide un ragazzo che camminava verso di lui con un sorriso fiducioso. Indossava uno strano mantello rosso e una bandana raffigurante il simbolo del Sol Levante.
Sollevò un pugno e…
<< Super Mega… >>
Le ottiche di Ultron si allargarono.
<< Cosa? >> borbottò perplesso.
L’adolescente continuò dicendo: << Iper Ultra… >>
<< Ma lo sta facendo davvero? >>
<< Ancora Iper PUNCH! >>
E prima che il cyborg potesse anche solo aprire bocca, Sogiita Gunha scattò in avanti e lo colpì al volto con un poderoso pugno, generando un’onda d’urto tale da ridurre in pezzi i finestrini di tutte le auto e dei negozi nel raggio di almeno duecento metri.
Il corpo di Ultron venne sollevato come un pezzo di carta e si schiantò violentemente contro un edificio, proiettando detriti vaganti in ogni direzione.
Quando la sua sagoma metallica fuoriuscì dal buco appena creatosi nella fiancata del palazzo, un proiettile di vibranio lo colpì alla spalla, facendolo incespicare di un passo.
<< OW! Maledizione, Deadpool!>> ringhiò, riconoscendo all’istante l’identità di colui che gli aveva appena sparato << Non sei solo fastidioso…hai anche una pessima mira! >>
<< Era un colpo d’avvertimento, Stark…Ultron…chiunque tu sia…ma ho ancora un dito sul grilletto! Sta giù! >> ordinò il mercenario, affiancandosi a Gunha. Fu presto seguito dalle altre reclute del programma Avengers, con addosso le loro tute da allenamento.
Le ottiche di Ultron passarono su ogni membro della squadra, concentrandosi soprattutto su Misaka Mikoto. Tra tutti loro, era sicuramente la più pericolosa per un organismo cibernetico come lui.
Sorrise in modo grottesco.
<< Penso che non lo farò >> disse con una scrollata della spalla buona, mentre quella colpita cominciava già a rigenerarsi.
In tutta risposta, Gunha premette la mano destra contro il palmo aperto, senza mai perdere quel suo ghigno fiducioso.
<< È il momento di mostrare a questo tizio il vero significati della parola FEGATO! >> esclamò, mentre anche il resto dei giovani eroi assumevano posizioni pronte al combattimento. Ma al contrario del giapponese, non sembravano molto entusiasti all’idea di combattere un avversario che era riuscito ad affrontare tutti gli Avengers in contemporanea e ad annientare un’intera nazione.
Mikoto lanciò a Piotr un’occhiata laterale.
<< Come nelle simulazioni? >> chiese nervosamente.
L’ex russo con la pelle di metallo sorrise ironico. << Dovremo fare MOLTO meglio delle simulazioni. >>
<< E pensare che questo doveva essere il nostro giorno libero >> borbottò Illyana, mentre evocava una spada di energia magica.
Già nella sua forma da Nightcrawler, Kurt le offrì un ghigno tutto denti e disse: << Conosci il detto: non c’è riposo per i malvagi…quindi suppongo che per gli eroi valga lo stesso! >>
La bionda gli lanciò un occhiataccia, ma per il resto rimase in silenzio.
Nel mentre, Colosso prese un respiro profondo e fissò intensamente il loro avversario.
Questo…non era un criminale da quattro soldi. Non apparteneva nemmeno al tipo di superumani che avevano combattuto durante le simulazioni!
Questa…era una minaccia di livello Avengers. Un nemico che era riuscito a scuotere il mondo e a distruggere un intero paese!
Loro erano solo reclute, eppure stavano per combattere un avversario capace di affrontare i loro predecessori quando erano all’apice della loro carriera.
“Non siamo pronti” pensò con un cipiglio “Ma…non possiamo neanche abbandonare la città!”
Ecco perché avrebbero combattuto fino al loro ultimo respiro.
<< Avengers…UNITI! >> urlò a gran voce.
Il resto delle reclute balzò in avanti.
Dapprima, Mikoto scatenò un torrente di energia elettrica contro Ultron, costringendolo ad indietreggiare. Al contempo, Deadpool si portò sulla destra dell’automa e cominciò a bersagliarlo con una raffica di proiettili.
Entrambi i colpi non sembrarono fare danni considerevoli nel telaio della macchina, che tuttavia arricciò il volto argentato in un’espressione visibilmente infastidita.
Sollevò ambe le mani, da cui sprigionò intensi raggi di energia scarlatta.
Gunha fu costretto a cercare copertura dietro ad una macchina, mentre Kurt si limitò a le trasportarsi dietro al robot e colpirlo con un calcio alla testa. E poi un secondo…e poi un terzo, riuscendo ad evitare ogni volta il contrattacco dell’avversario.
<< Sei fastidioso! >> ringhiò Ultron, mentre cercava di afferrarlo.
In tutta risposta, il mutante si limitò a teletrasportarsi sulla sua testa.
<< Non è la cosa peggiore che mi abbiano mai detto >> cinguettò con tono beffardo, per poi colpirlo con un forte calcio alla tempia.
Il cyborg incespicò di lato, mentre i suoi sensori lampeggiavano di rosso per il danno subito.
Ma quando Nightcrawuler cercò di replicare la stessa mossa…il corpo della macchina fece una rotazione completa e lo afferrò prima che potesse attaccarlo alle spalle.
<< Prova a teletrasportarti adesso >> sogghignò, premendo ambe le mani attorno alla gola del mutante.
Questi cominciò a soffocare.
<< Un…ugh…aiutino… >> sussurrò con voce strozzata. Fu allora che una sfocatura argentata colpì in pieno Ultron, facendogli perdere la presa sulla recluta e mandandolo a finire contro una macchina.
Il cyborg gemette e si risollevò lentamente da terra, incontrando un altro pugno ad opera di Colosso.
Il suo corpo di vibranio trapassò il veicolo da parte a parte, scontrandosi con un idrante sul bordo della strada. Il cilindro rosso schizzò in aria come un tappo di bottiglia, mentre litri di acqua si riversarono nell’isolato.
Ultron usò i razzi per evitare un terzo colpo e afferrò ambe le mani dell’avversario.
Entrambi i combattenti si ritrovarono presto coinvolti in una gara di forza. Da sotto di loro cominciarono a diramarsi parecchie crepe, mentre il suono del metallo che si deformava riempì le orecchie di ogni persona presente su quel campo di battaglia improvvisato.
Il cyborg strinse le ottiche in un paio di linee scarlatte.
<< Sei forte, ragazzo >> ringhiò << Ma c’è spazio per migliorare! >>
Spalancò le fauci metalliche…e un torrente di energia rossa investì colosso in pieno volto.
Il mutante urlò di dolore e venne scaraventato violentemente contro Gunha, giunto in suo soccorso.
Ultron sorrise e puntò un braccio verso di loro, preparandosi a sparare. Prese la mira e udì un suono di clacson alla sua sinistra.
Sorpreso, girò lo sguardo…e venne investito in pieno da un camion che lo schiantò direttamente contro il muro dell’edificio più vicino.
Sia Gunha che Colosso strabuzzarono gli occhi, mentre una ragazza dai folti capelli neri fuoriusciva dal veicolo e atterrava sul manto stradale con un tonfo.
<< Scusate il ritardo >> borbottò Laura, già vestita con la sua immancabile tutta in pelle nera << C’era molto traffico. >>
Colosso avrebbe voluto dire qualcosa, ma ecco che la figura di Ultron sbucò da dietro il camion, puntando verso la mutante.
Laura evitò l’attacco con superba maestria, mentre una coppia di lame metalliche le fuoriuscivano dalle nocche delle mani.
Il Cyborg le fu subito di fronte e cercò di colpirla con un pugno corazzato, ma lei si limitò a sollevare le braccia, intercettando l’assalto con gli artigli. Il suono del metallo che si scontrava risuonò per tutto l’isolato come un colpo di pistola.
Ultron si ritrovò sorpreso dallo scoprire che quelle lame erano effettivamente riuscite ad intaccare la sua copertura di vibranio. E al mondo esisteva solo un elemento capace di compiere una simile impresa.
<< Adamantio…che fastidiosa seccatura >> sibilò.
Con l’agilità degna di un gatto, Laura si arrampico sul dorso superiore dell’automa e avvolse le gambe attorno al suo corpo. Poi, gli conficcò gli artigli nelle giunture delle spalle.
Sebbene Ultron non provasse davvero dolore, i suoi recettori percepirono comunque un danno considerevole ai sistemi interni dell’esoscheletro sotto forma di una pungente scarica elettrica.
Il cyborg grugnì e ruotò su se stesse, afferrando la mutante e sbattendola violentemente al suolo.
Laura sputò sangue e incontrò il suo sguardo senza vacillare.
<< Non ho paura di te >> ringhiò.
Il sorriso di Ultron sembrò allargarsi, mentre sollevava una mano verso di lei.
<< Allora morirai più coraggiosa di tanti altri… >>
Una coppia di pugni lo allontanarono di forza dalla ragazza.
La macchina usò i razzi per frenare la sua corsa e lanciò ai suoi attaccanti un’occhiataccia furente. Stava davvero cominciando ad odiare la loro tendenza ad interromperlo!
Gunha gli lanciò un sorriso beffardo e ripartì subito alla carica.
Entrambi i combattenti presero a scambiarsi pugni e calci tanto potenti da sprigionare vere e proprio onde d’urto.
Mentre la loro battaglia infuriava, Colosso si voltò verso Magika. << Sorella, ti dispiacerebbe intrattenere il nostro ospite? >>
<< Con piacere >> sogghignò Illyana, mentre eseguiva alcuni simboli con le mani.
Il mondo attorno a lei ed Ultron cominciò a cambiare.
L’aria sembrò diventare di vetro e gli edifici circostanti vennero scossi da un fremito, come se fossero fatti di gomma. Alcuni cominciarono ad ciondolare dolcemente, mentre ogni persona presente sul campo di battaglia scompariva alla vista dell’automa.
Rimasero solo lui…e una certa bionda dotata di poteri magici.
Illyana allargò le braccia.
<< Ultron…Tony Stark…unitevi a me nella Dimensione Specchio. Un mondo parallelo appositamente creato per contenere avversari problematici. >>
<< Sembra roba tosta, anche per una streghetta di serie B >> commentò Ultron, mentre si guardava attorno.
La mutante ridacchiò. << Sarò anche una streghetta di serie B, ma non riuscirai a fuggire da qui dentro tanto facilmente. >>
Ma Ultron non mostrò alcuna paura alle sue parole. Sembrava quasi…divertito?
Forse, come molti individui legati alla scienza, non concepiva le arti mistiche come una minaccia credibile. Oppure non la considerava un’avversaria degna del suo tempo. Beh…Illyana gli avrebbe presto dimostrato quanto si sbagliava!
Fece un passo avanti…ma si bloccò nel momento in cui Ultron sollevò le mani e cominciò a compiere dei gesti che la giovane recluta trovò subito INCREDIBILMENTE familiari.
Il cuore le mancò un battito.
Quei segni…erano chiaramente i simboli per un incantesimo! Il suo avversario stava davvero cercando di utilizzare la magia?
La bionda fu assai tentata di ridere.
L’energia mistica era strettamente legata all’anima degli esseri viventi. Non poteva certo essere utilizzato da un oggetto inanimato!
Eppure…il mondo attorno a loro cominciò a cambiare ancora una volta. Gli edifici, le persone…TUTTO tornò esattamente a com’era prima che Illyana teletrasportasse entrambi nella Dimensione Specchio!
La bionda non poteva credere ai suoi occhi. Questa creatura…era appena riuscita a compiere qualcosa con cui anche gli stregoni più potenti sarebbero stati in difficoltà.
<< Impossibile…gha! >>
Una mano corazzata le afferrò la gola, sollevandola da terra.
Abbassò lo sguardo e si ritrovò a fissare nelle ottiche rosse del suo avversario, che la fissava con quel suo ghigno grottesco.
<< Pensavi davvero che non mi sarei preparato per tutti voi? >> domandò beffardo << Ho passato mesi a studiarvi. A studiare TUTTI i superumani sparsi su questo pianeta! Tecniche di combattimento, meta-poteri, arti mistiche…ho realizzato contromisure per tutti voi. Sono come un coltellino svizzero, ne ho per tutti i gusti! Compresa la tua magia… >>
Illyana evocò una spada di luce e colpì le mani metalliche del cyborg, costringendolo a mollare la presa. Ma quando scattò in avanti per colpirlo, ecco che un’altra lama di energia magica si frappose con la sua. E a generarla era stato lo stesso Ultron!
La mutante strinse gli occhi.
<< Un corpo inanimato non può generare energia mistica >> sibilò, mentre saltava ad una distanza di sicurezza.
Ultron ridacchiò ed evocò un’altra spada nella mano libera. << Allora è una vera fortuna che questo corpo non sia solo di metallo. Il mio benefattore è stato un tipo molto premuroso! >>
“Di quale benefattore stai parlando?” avrebbe voluto domandargli la bionda, ma sfortunatamente non ne ebbe il tempo.
Ben presto, entrambi i combattenti si ritrovarono impegnati in un vero e proprio duello di spade, mentre le rispettive lame cozzavano in una cacofonia di scintille e lampi di pallida luce. Ma mentre Ultron avrebbe potuto continuare per tutto il giorno…ben presto la stanchezza cominciò ad avere la meglio sul corpo di Illyana.
La lama della bionda esplose in una miriade di scintille.
Cadde in ginocchio e l’avversario le tirò un calcio dritto in faccia, mandandola a rotolare lontano da lui.
<< In arrivo! >> arrivò una voce familiare dall’alto.
Ultron sollevò lo sguardo…e sentì un paio di spade che gli si conficcavano nel petto.
Deadpool atterrò proprio sulle spalle sul cyborg, con la maschera che gli nascondeva un sorriso soddisfatto. Tale espressione cadde nel momento in cui Ultron non emise nemmeno un grugnito di dolore. Semplicemente si limitò a scrutarlo con le braci ardenti che aveva al posto degli occhi.
L’ex mercenario deglutì sonoramente. << Ehm…parlè? >>
<< Spiacente, ma non è più in voga dal diciottesimo secolo >> ribattè Ultron, mentre se lo scrollava di dosso e lo schiantava violentemente a terra.
E quando la recluta provò a rialzarsi, lo calpestò con forza, spezzandogli la spina dorsale.
Wade lanciò un grido di dolore, mentre la macchina si chinava su di lui e gli premeva una mano sulle costelle.
Uno sperone metallico sbucò dal suo polso, conficcandosi nella schiena del mutante. Pochi secondi dopo…le urla di Deadpool si fecero ancora più forti e disperate. Era come se qualcosa lo stesse bruciando vivo!
La macchina sorrise sadicamente.
<< Musica per le nostre orecchie! >> cinguettò con la sua voce artificiale.
Cominciò a guardarsi attorno e la sua espressione si fece improvvisamente scontenta.
<< Questi Avengers non sono nemmeno quelli per cui siamo venuti >> borbottò << Finiamoli e mettiamoci al lavoro! >>
Fece per compiere un passo…e venne colpito in pieno volto da un altro pugno metallico.
Indietreggiò di alcuni metri e lanciò alla sua nuova avversaria un’occhiata furente.
<< Sorella…stai cominciando a infastidir… >>
Friday non gli diede il tempo di terminare la frase e lo colpì una seconda volta, spedendolo dall’altra parte della strada, attraverso un edificio.  
<< Tony Stark era speciale! >> urlò l’AI << Aveva doti e difetti. Senza di lui, non esisterei. Ha creato…ha distrutto. Ha servito sia la guerra che la pace. Una simmetria così è difficile da trovare in natura. >>
Afferrò il cyborg per la vita e lo sollevò a mezz’aria.
<< Ma tu, Ultron…tu non sei speciale >> ringhiò, per poi scaraventarlo violentemente al suolo<< Sei spaventato. Sei invidioso. Se un fanatico. Sei ossessionato da Stark e dagli Avengers. E hai trovato un modo perverso per entrare nella famiglia: come nemico. >>
Atterrò su di lui e cominciò a bersagliarlo con una raffica di colpi ben piazzati.
<< Ma non avresti mai potuto ucciderli…perché senza di loro, la tua esistenza non ha significato! >>
Ultron le afferrò improvvisamente una mano, spingendola all’indietro.
<< Non sai quello che dici, sorellina >> sibilò con voce decisamente irata.
Friday piegò leggermente le gambe e sollevò le braccia, assumendo una posizione da boxer.
<< Sei venuto sulla Terra indossando il volto del tuo creatore, e hai cercato di ingannarci >> continuò imperterrita << Perché mai lo avresti fatto…se non per cedere al tuo più profondo desiderio di appartenenza? Non vuoi uccidere gli Avengers…tu vuoi farne parte! Ma sei solo un nemico come tanti. >>
Gli occhi di Ultron lampeggiarono di rosso.
<< Sono ben più di un nemico! Sono la più grande minaccia degli Avengers!
>> sbraitò, allargando ambe le braccia.
In quel momento, l’enorme sagoma della Hulkbaster atterrò su di lui, sollevando una densa nube di detriti.
Un enorme mano metallica afferrò il Cyborg dal cratere, sollevandolo di fronte al casco dell’armatura.
<< Thanos avrebbe qualcosa da dire a riguardo >> sibilò Pepper, mentre procedeva a sbatterlo violentemente sull’asfalto stradale.
Tentò di colpirlo con un pugno, ma Ultron si tirò rapidamente indietro con una spinta dei razzi propulsori.
<< Per favore >> schernì la macchina << Il Titano Pazzo non ha fatto altro che riportarli insieme. IO sono quello che li ha divisi! Che li ha costretti ad affrontare i loro demoni e a confrontare le loro bugie! IO ho fatto ciò che nessun altro supercriminale di questo mondo è mai riuscito a fare: ho distrutto gli Avengers! >>
Pepper rimase in silenzio per quasi un minuto buono.
<< Sei tu a parlare…o Tony? >> domandò freddamente.
Il cyborg spalancò la bocca. Poi, la sua espressione cominciò a mutare in uno sguardo pieno di rabbia e disgusto.
Lanciò un grido collerico…e sprigionò un potentissimo raggio di energia dal centro del petto.
L’attacco prese Pepper completamente di sorpresa.
Sentì la temperatura della tuta che si sollevava a livelli ingestibili e cominciò a sudare. Vide il telaio fondersi sotto la potenza del colpo e si sentì sollevare da terra come una foglia al vento.
Atterrò contro un Bus poco distante, proiettando il veicolo in aria e atterrando pesantemente sullo stomaco, con gli allarmi interni della Hulkbaster che suonavano e lampeggiavano all’impazzata.
Friday riprese il suo assalto contro l’AI avversaria.
Aveva diverse ammaccature e traumi su tutto il corpo, ma nemmeno questo l’avrebbe fermata dal completare la sua missione!
Ultron lo sapeva…ecco perché aveva già deciso la sua prossima linea d’azione.
Con un rapido movimento delle mani ancora incandescenti, afferrò le braccia della sorella e le strappò come se nulla fosse. A quel punto, fu sufficiente un pugno ben assestato per rimandarla al suolo.
L’automa sogghignò.
<< Addio, sorellina! >> disse mentre posava ambe le mani sulle tempie della macchina.
Le ottiche di Friday si spalancarono per l’orrore.
<< Ultron, aspetta… >>
Non ebbe la possibilità di terminare la frase.
Il codice informatico dell’avversario penetrò nei suoi sistemi interni e cominciò ad infettarla. E per la prima volta da quando era stata creata…Friday capì appieno il significato della parola “dolore”.
Lanciò un urlo disperato, mentre il mondo attorno a lei diventava rosso sangue. Tentò con tutte le sue forze di resistere, ma il programma di Ultron era troppo avanzato anche per un’ AI sofisticata come lei.
Dopo quasi un minuto buono…la macchina smise di muoversi. E così fecero anche tutti quei programmi e dispositivi che fino a quel momento erano stati collegati e gestiti da lei.
Friday, l’intelligenza artificiale che per più di dieci anni aveva supportato le Stark Industries e i Vendicatori…era morta.
Ultron sospirò stancamente.
Non voleva arrivare questo. Personalmente, avrebbe preferito che sua sorella si unisse a lui, ma sfortunatamente era già stata plagiata troppo a fondo dalle contorte menti dei suoi padroni. Ucciderla era stato l’equivalente di mostrarle misericordia!
Compì un passo…e venne investito dalla piena potenza di un vero e proprio fulmine.
Ringhiò di dolore, mentre decine di migliaia di volt attraversavano il suo corpo da capo a piedi.
Crollò in ginocchio, il corpo fumante e la terra bruciata sotto i suoi piedi. Quell’attacco lo aveva DECISAMENTE sentito.
Girò lentamente la testa. Lì in piedi, a pochi passi da lui, c’era Misaka Mikoto, il corpo circondato da numerose scariche elettriche.
<< Quello che hai fatto a Stark è grottesco >> disse la castana, mentre faceva roteare una monetina tra le mani.
Ultron ridacchiò. << Allora vi aspetta una bella sorpresa… >>
Qualcosa lo colpì da dietro, facendolo cadere con la faccia sul manto stradale.
Girando appena le ottiche, vide l’inconfondibile figura di Spider-Man sopra di lui, con le zampe metalliche della Iron-tuta sollevate minacciosamente.
Aveva davvero corso fin qui dalla base? Ultron dovette ammirare la sua determinazione.
<< Giuro che strapperò il corpo di Tony dalle tue grinfie! >> ringhiò l’arrampica muri, mentre le protuberanze meccaniche si abbattevano con prepotenza sul volto dell’avversario.
Ultron gemette mentalmente e cercò di ignorare il dolore fantasma alla testa.
A quanto pare aveva altri insetti fastidiosi di cui occuparsi!

                                                                                                                             * * *

Dall’altra parte dell’isolato, Colosso e il resto dei giovani Avengers potevano solo fissare impotenti mentre il corpo di Deadpool si contorceva violentemente al suolo.
L’ex mercenario era ovviamente in uno stato di profondo dolore. Attorno a lui avevano cominciato a protrarsi degli strani viticci metallici simili a cavi, sicuramente opera di Ultron.
Piotr si portò rapidamente una mano al comunicatore.
<< Railgun, questo è Colosso, mi servi subito al punto d’impatto! >> disse con la voce più ferma che riuscì a trovare.
Il suono di un’esplosione risuonò dall’altra parte della linea.
<< Non puoi aspettare? >> ribattè Mikoto<< Sarei un tantino impegnata, al momento! >>
Colosso sospirò stancamente.
<< Ci servi ora…o Deadpool potrebbe non farcela >> disse mentre i suoi occhi tornavano sul compagno di squadra.
Vide che Nightcrawler gli aveva posato una mano sulla spalla.
<< Kurt, non toccarlo! >> ordinò con tono d’avvertimento. Dopotutto, non potevano sapere se quella “cosa” aveva o meno la capacità di infettare altri ospiti.
Il mutante dalla pelle blu si mosse a disagio sulla punta dei talloni. << Ma sta soffrendo… >>
<< Sì, è il suo superpotere >> commentò Luara con un roteare degli occhi.
Colosso schioccò la lingua e tornò a concentrarsi sul comunicatore. 
<< Railgun, ascoltami: Ultron ha infettato Deadpool con un dispositivo meccanico. E qualunque cosa sia… sta scavando nel suo corpo come un virus. Se non lo fermiamo nei prossimi  due minuti, potremmo non separare più l’uomo dalla macchina! >>
<< Si sta avvicinando al cervello! >> disse Illyana, notando che i filamenti meccanici avevano cominciato a muoversi verso la testa dell’ex mercenario.
Dall’altra parte della linea ci fu silenzio per quasi un minuto buono. Poi…
<< Va bene, mandatemi Kurt! >> disse l’electromaster, prima che la comunicazione venisse interrotta da un forte brusio.
Colosso si voltò verso Nightcrawler, che gli fece un cenno d’accordo.
Il mutante dalla pelle blu scomparve in uno sbuffo di fumo. Poco dopo, riapparve assieme a Mikoto.
La giovane mutante vide il terribile stato in cui si trovava l’ex mercenario e camminò rapidamente fino a lui.
<< Fatevi da parte! >> ordinò, mentre si inginocchiava accanto al corpo del compagno di squadra.
Le altre reclute si tirarono subito indietro, i volti contratti da espressioni visibilmente preoccupate.
Deadpool tossì un rivolo di sangue.
<< Non mi ha…ugh…nemmeno chiesto la cena >> borbottò tra gli spasmi.
Le labbra di Mikoto cominciarono a tremare.
<< Sei pronto, Wade? >> chiese dolcemente.
L’uomo annuì appena con la testa. << Fatelo…al tre… >>
La Railgun grugnì in accordo. Prese un respiro profondo e…
<< Tre! >> urlò. E prima che il compagno di squadra avesse anche solo il tempo di capire quello
che aveva detto, sollevò la mano destra e scaricò un torrente di energia elettrica nel suo corpo.
Dedapool si sentì come se qualcuno gli avesse appena buttato della lava in gola.
Le sue grida sembrarono risuonare per tutta la città, mentre i viticci metallici si agitavano come serpi e cercavano di allontanarsi da quell’attacco improvviso.
Infine, la macchina smise di muoversi e si staccò dal corpo dell’ex mercenario, riversando sangue e pezzi di carne sulla strada.
Wade gemette miseramente.
<< Caro Stanley…non credevo che sarebbe stato così doloroso… >>

                                                                                                                             * * *
 
La battaglia tra Pepper, Spider-Man e Ultron infuriava senza esclusione di colpi.
Ma per quanto i due Avengers fossero ben coordinati, il loro avversario era riuscito ad adattarsi ad ogni strategia. Sembrava quasi che stesse giocando con loro!
Dopo la ritirata di Mikoto, avevano perso il loro pezzo più potente…ma si sarebbero assicurarti di rallentare il cyborg il più a lungo possibile, almeno fino all’arrivo di ulteriori rinforzi.
Ultron fissò la coppia di eroi con uno sguardo accigliato.
<< Questa situazione sta andando troppo per le lunghe. E c’è ancora così tanto da fare! Abbiamo bisogno di un diversivo. >>
Chiuse le ottiche.
In meno di cinque secondi, la mente dell’Intelligenza Artificiale riuscì a interfacciarsi con tutta la rete virtuale della città. Telecamere, computer, cellulari…ora aveva accesso ad ogni dispositivo elettronico direttamente collegato al World Wide Web.
In meno tempo, analizzò attentamente milioni di immagini provenienti dai punti di accesso delle videocamere...fino a quando non trovò qualcosa MOLTO interessante.
“ Ma ciao!” sussurrò mentalmente, mentre le sue sinapsi lampeggiavano per l’eccitazione a mala pena contenuta.
Questo sì che sarebbe stato un diversivo con i controfiocchi! Dopotutto…cosa c’era di meglio dell’uccidere gli umani con le stesse armi che avevano creato per proteggerli?
Ah! L’ironia di certe situazioni non smetteva mai di divertirlo.
L’automa tornò alla realtà, dov’erano passati solo sette secondi emmezzo.
Sorrise verso Peter e Pepper.
<< Questo sarà divertente >> commentò, per poi allargare ambe le braccia.
Subito dopo…la città cominciò a spegnersi. Tutti gli edifici e i cartelloni pubblicitari divennero neri come la notte, isolato dopo isolato, blocco dopo blocco, fino a quando l’intera metropoli si trasformò in una landa inanimata.
Spider-Man si guardò attorno e lanciò un’occhiata fulminante in direzione del Cyborg.
<< Che cos’hai fatto? >> ringhiò attraverso la maschera.
Ultron abbaiò una risata graffiante.
<< Oh, vi piacerà da matti! Ma prima… >>
Il senso di ragno di Peter cominciò a tremare.
Si lanciò di lato, proprio mentre una raffica di proiettili di energia si abbatteva nello stesso punto in cui era stato fino a pochi secondi prima. Pepper non fu altrettanto rapida, ma fortunatamente la Hulkbaster rimase per lo più intatta sotto la forza di quei colpi.
Entrambi gli Avengers sollevarono gli sguardi…e videro un totale di dieci armature Iron-Man sospese a mezz’aria, con occhi rossi sangue.
Peter schioccò la lingua. Dovevano essere finite sotto il controllo del loro avversario.
In effetti…quanto delle Stark Industries aveva già compromesso?
Si voltò verso Ultron, che indicava le armature in volo.
<< Vi conviene darvi una mossa, o potrebbero esserci molti danni collaterali >> sogghignò.
Pepper compì un minaccioso passo in avanti.
<< Pensi davvero che ti lasceremo andare così ?>> domandò pericolosamente.
Fu in quel momento che tre delle Iron-tute si frapposero tra le e il suo bersaglio.
Ultron scrollò le spalle.
<< Penso solo che non abbiate altra scelta >> ribattè beffardo.
Si sollevò da terra e offrì un saluto alla coppia di Avengers.
<< Peter, Pepper…è stato bello rivedervi un’ultima volta. Ma ora temo sia arrivato il momento di salutarci! >>
E, dopo aver pronunciato tali parole, partì spedito in direzione della volta celeste. Al contempo, le armature spararono verso i due supereroi…
 
                                                                                                                            * * *
 
Diventare un imprenditore di successo non era affatto un obbiettivo facile.
Servivano parecchi requisiti per poter incarnare la figura del magnante. Una mente acuta e inventiva, la capacità di fare sempre la scelta giusta…ma soprattutto l’abilità di mantenere un sorriso anche di fronte a tutte quelle situazioni sgradevoli o impreviste che avrebbero potuto smorzare l’animo delle altre persone.
Norman Osborn si era sempre considerato il tipo di essere umano capace di adoperare al meglio questi requisiti. Eppure, c’erano casi in cui perfino la sua risolutezza si ritrovava a vacillare…specialmente al cospetto di individui dal background militare, come in questo caso.
<< Che diavolo le è saltato in mente?! >> infuriò il Sottosegretario James Ross, sull’unico schermo presente nella sala conferenze.
Norman sospirò mentalmente. Aveva sempre odiato trattare con le persone lui, ma sfortunatamente la ricerca genetica in campo militare era tra le più redditizie al mondo.
Facendo buon viso a cattivo gioco, offrì all’uomo un sorriso accomodante.
<< Signor Ross, non sono il tipo di persona a cui piace sentirsi urlare in faccia. Le consiglio di calmarsi >> disse gentilmente.
Malgrado le sue parole, il cipiglio di Ross sembrò solo crescere.
<< Ha la minima idea di cos’ha appena fatto? >> sibilò a denti stretti << Ha rivelato al mondo intero segreti militari!>>
<< Se ricordo bene, non abbiamo mai firmato alcun accordo di riservatezza >> ribattèi il magnante << Sono stato io ad offrirvi le mie creazioni come arma militare, quindi ho tutto il diritto di farne ciò che voglio fino a quando non avremo finalizzato gli ultimi aspetti del contratto. >>
Ross strinse gli occhi in un paio di linee sottili. 
<< Il Presidente non ne sarà contento >> disse con tono d’avvertimento.
Norman rilasciò un sonoro sbuffò. Quest’uomo pensava davvero di poter giocare la carta governativa contro di lui? Era sicuramente uno stratega eccellente…ma come politico lasciava molto a desiderare.
<< Lei è un militare, Signor Ross, non certo un imprenditore. Mi creda: se vuole creare dipendenza…deve prima dar loro un assaggio >> continuò con una scrollata di spalle.
Il Segretario inarcò un sopracciglio.
<< Si spieghi >>ordinò freddamente.
Norman arricciò le labbra in un sorriso da lupo. << Non mi prenda per uno stupido, Signor Ross. Sono cresciuto durante gli anni di Bush…e so bene che per noi americani la guerra è solo un pretesto per guadagnare. Metà degli importi esteri del primo decennio sono stati ottenuti attraverso la vendita di armi e attrezzature da guerra tra il nostro paese e quelli che agli occhi del pubblico dovevano essere i nostri nemici. E in un’epoca come la nostra…gli Stati Uniti hanno bisogno di tutto il denaro che possono racimolare. È solo una questione di business! >>
Il Magnante intravide una goccia di sudore scivolare lungo il collo del suo cliente.
<< Lei non ha niente per provarlo… >>
<< E non ne ho alcuna intenzione >> lo interruppe sprezzante << Al contrario, voglio facilitarvi il lavoro. Presto il mondo intero conoscerà il potenziale dei miei Destoroyah…e allora tutti i paesi vorranno un posto a capo tavola. >>
Ross aprì e richiuse la bocca un paio di volte, come se non fosse del tutto sicuro di cosa dire per riguadagnare un minimo di vantaggio. Alla fine, sembrò giungere alla conclusione che la battaglia fosse ormai persa e diede a Norman una lunga occhiata.
<< Spero che sappia quello che facendo >> borbottò, mentre si sistemava la cravatta << E come va il nostro progetto secondario? >>
Il magnante trasalì internamente alla domanda dell’uomo. Quello…era un argomento che avrebbe preferito evitare.
<< Il progetto Carnage procede a gonfie vele >> rispose con tono fiducioso  << Siamo riusciti a ricreare una tuta simbiotica perfettamente funzionante, partendo dai resti di quella usata da Cletus Kasady cinque anni fa. Il soggetto si è dimostrato…più aggressivo del previsto, ma i nostri scienziati mi assicurano che il problema verrà presto risolto. Ancora pochi mesi, e ogni membro dell’esercito americano potrà fare uso di un potenziatore biologico che farà sembrare il siero del supersoldato una marca di seconda mano… >>
Non ebbe la possibilità di terminare la frase, poiché l’immagine del Sottosegretario venne improvvisamente sostituita da uno schermo completamente nero.
Norman strabuzzò gli occhi. Ross aveva forse interrotto la chiamata?
<< Segretario Ross? >> domandò, e come previsto non ricevette alcuna risposta.
Cercò di ripristinare il collegamento…ma presto scoprì che l’intero apparato elettronico della stanza aveva smesso di funzionare.
<< Che strano >> borbottò.
Era forse avvenuto un blackout? Impossibile. L’edificio doveva essere completamente automatizzato.
Nella remota possibilità che avvenisse un blackout generale degli impianti, i generatori di riserva sarebbero stati più che sufficienti per compensare il calo improvviso di energia. Questo grattacielo non poteva spegnersi!
Il cellulare che aveva in tasca cominciò a suonare.
Norman accettò la chiamata con un cipiglio scontento.
<< Octavius, che diavolo succede in questo posto? >> domandò irritato << Mi era stata promessa una completa autonomia del progetto! >>
Dall’altra parte della linea provenì un suono gorgogliante.
<< Signore…loro sono….oddio… >>
Norman inarcò un sopracciglio.
Quella era chiaramente la voce del suo capo scienziato…ma era molto distorta e difficile da capire.
<< Octavius, la linea è disturbata. Ripeti: cosa sta succedendo?! >>ripetè con voce più alta.
Nelle orecchie del magnante risuonò un verso stridulo, simile a quello di un animale ferito. E poi…
<< Le gabbie sono aperte, signore! >> esclamò Octavius << I Destoroyah sono usciti! >>





Dum, Dum, Duuuuuuuum! Di male in peggio, vero?
Spero davvero che questa battaglia vi sia piaciuta. Ultron è uno dei miei antagonisti Marvel preferiti, e in questa versione ho cercato di rendere i suoi livelli di potenza ancora più vicini a quelli del fumetto, quando già nei film era riuscito a mazzolare Thor con il suo corpo più forte.
E sì, ha appena scatenato i Destoroyah sul mondo...ups...
Inoltre, ha fatto la sua prima comparsa Logan…aka Wolverine, la cui storia con Laura sarà ulteriormente spiegata in capitoli flashback.
Nel prossimo aggiornamento, invece, avremo il ritorno di Carol, Vader, Strange, Wanda e un villain che in molti attendono con impazienza…

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Eccovi un nuovissimo capitolo!
Inizialmente dovevano comparire anche Wanda e Strange, ma l’aggiornamento era già bello lungo, così ho deciso di inserire la loro parte nel prossimo.
Vi auguro una buona lettura!




Capitolo 11
 
 
Carol si svegliò lentamente sul letto di una cella.
Disorientata, sulle prime pensò di essere sola. Si sbagliava, ma era comprensibile, dal momento che l’altra persona presente nella stanza non si muoveva.
Per quanto spaventata da quella inquietante presenza, si soffermò qualche secondo a valutare l’ambiente circostante. 
<< Comoda? >> domandò Vader con la sua inconfondibile voce alterata.
Ma invece di rispondere a quella palese provocazione, Carol decise di porre una domanda di suo.
<< Sei lui, non è vero? >> sussurrò, sentendosi ancora profondamente stanca.
Vader inclinò leggermente la testa. << Lui chi? >>
Per un attimo, la donna ebbe come la sensazione che il suo aguzzino le stesse sorridendo sotto quella maschera scheletrica. Come se sapesse esattamente cosa stava chiedendo.
Deglutì, sentendo la propria gola improvvisamente secca.
<< Il bambino…il figlio di Shmi Skywalker >> ribattè stancamente << Quello che non abbiamo mai trovato. >>
Il respiro di Vader subì una brusca interruzione…e Carol capì di aver centrato il segno.
Quest’uomo era Anakin Skywalker. Figlio della traditrice Kree, Shmi Skywalker. La stessa donna…che Carol aveva assassinato con le sue mani.
<< Vedo che ricordi il suo nome >> disse il monolite nero << Mi sorprende, vista la scia di morte e devastazione che ti sei lasciata dietro nel corso degli anni. >>
Il cuore di Carol cominciò a battere a mille.
<< Lei…era un caso speciale >> borbottò, sentendo una morsa gelida farsi strada dentro di lei.
Le azioni del suo carceriere cominciavano ad avere MOLTO senso.
L’odio che nutriva verso di lei…verso i Kree…verso la sua squadra, e tutti coloro che avevano contribuito alla morte della persona che lo aveva cresciuto. Questa era una vendetta pura e semplice…ma su una scala che l’Avenger non aveva mai visto in tutti i suoi anni passati a proteggere gli innocenti della galassia.  
<< Come lo hai capito? >> chiese Vader, sedendosi accanto a lei.
Con i suoi poteri soppressi, probabilmente sarebbe stato capace di ucciderla senza troppo sforzo…Eppure non fece alcun tentativo di aggredirla.
Ciononostante, Carol non potè trattenere un brivido di disagio al vederlo così vicino.
<< Ho cominciato ad avere i miei sospetti quando hai menzionato Tatooine >> rispose sinceramente, perché a questo punto non aveva più senso mentire.
Aveva ucciso la madre di quest’uomo…e ora stava pagando il prezzo di quel crimine. Gli doveva almeno la sua onestà.
Sollevò lentamente lo sguardo e incontrò le lenti rosse della maschera nera.
Il ricordo di come era riuscito a frenare i suoi attacchi precedenti era ancora fresco nella sua mente.
Come poteva un bambino abbandonato a se stesso diventare qualcosa del genere? Creare un Impero dalle sabbie di un pianeta morente e diventarne il dominatore indiscusso.
Che tipo di potere serviva per raggiungere un simile traguardo? Cosa si nascondeva dietro a quella maschera che portava il ghigno della morte?
Tante domande, eppure Carol decise di farne solo una.
<< Che cosa sei? >> chiese, quasi supplicando una risposta.
Doveva sapere…no…doveva capire cos’aveva spinto quel bambino orfano a diventare un simile mostro.
Vader rilasciò un sospiro udibile dal filtro della maschera.
<< Per innumerevoli millenni, la Galassia ci ha conosciuto con molti nomi >> disse con lo sguardo rivolto verso l’unico oblò della cella << Il tuo popolo si riferiva a noi come “Utenti Forza”. Esseri capaci di manipolare la Forza nelle sue varie forme. >>
Carol sbattè le palpebre.
<< La Forza? >> domandò perplessa << Che cos’è? >>
Vader si voltò di nuovo verso di lei.
<< La Forza è ciò che da al nostro genere la Posssanza >> spiegò con un tono di voce sorprendentemente paziente << È un campo energetico creato da tutte le cose viventi. Ci circonda, ci penetra, mantiene unita tutta la galassia. >>
Sollevò la mano destra…e la strinse in un pugno serrato.
<< Potere puro >> sussurrò << Un potere con cui ottenere abilità che in molti definirebbero…innaturali. >>
Lanciò alla donna un’occhiata significativa. << Ma come spesso accade con il potere, alcuni volevano usarlo per il bene…altri per il male. >>
Una realtà di cui l’Avenger era stata partecipe innumerevoli volte.
La sua mente cominciò a correre. Come mai non aveva mai sentito parlare di un simile potere? Un campo energetico che collegava tutti gli esseri viventi non era certo qualcosa da poco!
Ed esistevano persone capace di manipolarlo? Assurdo che non avesse mai saputo niente a riguardo prima di quel giorno.
Certo, ammesso che Vader stesse dicendo la verità…ma la bionda dubitava fortemente che non fosse il caso.
<< Vi fu una guerra >> riprese l’uomo << Una guerra tra i principali esponenti della nostra razza. Da una parte c’erano i Jedi,  inizialmente un ordine di monaci e studiosi, ma che col tempo avevano assunto un ruolo sempre più attivo nelle questioni della galassia, intervenendo direttamente negli affari politici e bellici dei vari pianeti come protettori di “pace” e di “giustizia”. >>
Allungo ambe le mani.
<< Dall’altra c’erano…i Sith. Essi credevano che il conflitto ed il combattimento fossero l'unica via attraverso la quale l'essere potesse dimostrare le proprie abilità e capacità, nonché ingrandire la propria importanza. Non solo, essi credevano che questo culto del conflitto non si limitasse alla dimensione individuale, ma comprendesse anche la storia della civiltà e dei popoli della Galassia, unica via attraverso la quale sia il singolo che il collettivo potevano potenziarsi ed evolversi. Erano dunque ben lontani da ciò che pensavano i Jedi, considerati dai Sith come portatori di staticità e stagnazione a causa del loro credo pacifico. >>
Carol ascoltò il tutto con fascino rapito. Era quasi come se stesse assistendo ad una lezione di storia sulla nascita dell’universo stesso.
Pigramente, si rese conto che Vader sarebbe stato un ottimo insegnante. Il suo atteggiamento drammatico era capace di rendere coinvolgente qualunque spiegazione.
<< I Sith credevano dunque fermamente nell'elevazione del forte e del superbo, contro il declino e la distruzione del debole e dell'inutile >> continuò quella voce robotica << Nelle proprie gerarchie non venivano ammessi falliti o pavidi, anzi, si richiedeva espressamente ai più forti e spietati di eliminare costoro, affinché le fila ed i ranghi Sith non dimostrassero mai debolezza. Puoi immaginare a quale dei due ordini io appartenga. >>
E Carol non ebbe alcun problema a farlo.
I modi di fare di Vader, il suo Impero, la sua spietatezza…tutto puntava dritto alla filosofia perseguita da questi Sith. Doveva essere sicuramente un membro del loro ordine.
Ma chi lo aveva addestrato per diventarlo? Come aveva fatto un bambino sperduto nel deserto ad apprendere come usare i “doni” con cui era nato?
Forse grazie al maestro a cui aveva fatto riferimento? Lo stesso che aveva ucciso o imprigionato da qualche parte?
Prima che potesse proseguire con i suoi ragionamenti, Vader emise un altro sospiro attraverso la maschera.
<< Come spesso accade, questa radicale differenzia ideologica fu ciò che portò le due parti a scontrarsi in una guerra che coinvolse l’intera galassia. Intere razze e pianeti rimasero coinvolti nel conflitto, con decine di migliaia di morti nei quattro angoli nel cosmo. E la guerra continuò per molto tempo…fino a quando quegli stessi pianeti non decisero di allearsi e creare una coalizione capace di spazzare via entrambi gli ordini. E a capo di quella coalizione…c’era il tuo vecchio popolo, i Kree. >>
“Ovviamente” pensò Carol, poiché quella razza di guerrafondai era quasi sempre coinvolta negli avvenimenti catastrofici della galassia, anche indirettamente.
Cominciava a intuire dove la storia di Vader stesse andando a parare.
<< E così…>> riprese il rinomato Sith << per più di cento anni, gli utenti forza vennero braccati e cacciati in tutta la galassia. Che fossero Jedi o Sith non aveva alcuna importanza: erano tutti parte del problema, e per questo furono bollati come una razza nociva e uccisi fino alla loro presunta estinzione. Forti della loro nuova posizione, I Kree presero il controllo dei pianeti alleati e divennero una delle potenze più rinomate della galassia. E per molti anni prosperarono nella conquista e nel genocidio delle razze avversarie, portando avanti senza remore lo sviluppo di un’industria bellica spietata e senza limiti. >>
L’uomo incrociò ambe le braccia davanti al petto.
<< Riesci a intuire la gioia che provarono alcuni scienziati del tuo vecchio popolo…quando scoprirono che tra loro era nato un utente forza per la prima volta in quasi cinquecento anni? >> domandò sornione.
Carol fece una smorfia.
Conoscendo i Kree, probabilmente avevano subito intravisto la possibilità di sfruttare quella persona per i loro sforzi bellici. Per trasformarla…in un’arma.
“E un’arma eravamo stati mandati a recuperare” pensò amaramente Carol, ricordando gli eventi di allora.
<< Mia madre non aveva avuto alcun rapporto sessuale >> riprese Vader, sorprendo la donna << Ero stato generato direttamente dalla Forza stessa, e cresciuto nel suo grembo come un embrione viene coltivato in un incubatrice. Lei sapeva cosa mi sarebbe successo, se gli scienziati di Hala fossero riusciti a mettermi le mani sopra. Alla meglio sarei stato trasformato nel loro personale cane d’attacco…alla peggio, sarei stato sezionato e sperimentato per apprendere i segreti della Forza e creare la razza di guerrieri perfetti. >>
Abbassò lo sguardo verso terra.
<< Così scelse di disertare e fuggì negli angoli più sperduti della galassia, in un pianeta remoto chiamato Tatooine. E lì vivemmo in pace per dieci anni…fino all’arrivo della tua squadra… >>
Le sue lenti rosso sangue incontrarono ancora una volta gli occhi color nocciola dell’Avenger.
<< Fino al TUO arrivo >> sibilò attraverso il respiratore.
Carol deglutì una seconda volta.
<< Io non volevo ucciderla… >> balbettò debolmente << è stato un incidente… >>
Non ebbe la possibilità di terminare la frase.
Si sentì sollevare dal letto e il suo corpo sbattè violentemente contro la parete della stanza.
<< Ma ciò non cambia quello che hai fatto! >> ringhiò Vader, la mano aperta e sollevata verso di lei.
Tentò di muoversi, ma la presa invisibile che le stringeva il collo era troppo forte. Aveva difficoltà a respirare e la sua vista stava cominciato ad annebbiarsi.
<< Lei era mia madre. Il mio mondo…colei che aveva scelto di sacrificare una vita nel lusso e una prospera carriera tra i militari per allevare un figlio che non aveva nemmeno chiesto! Era gentile…forse la persona più gentile dell’intero universo. E tu… >> sussurrò il Sith, stringendo la presa << L’hai uccisa per salvare la vita di un uomo che non era nemmeno degno di lustrarle le scarpe. Un assassino…un fanatico genocida che ha contribuito all’estinzione di innumerevoli razze! È per uno come lui che mia madre è morta?! >>
Carol cercò di ignorare il dolore lancinante ai polmoni e fece appello a tutto il fiato che le era rimasto in corpo.
<< Io…non sapevo quello che stavo facendo… >> disse con voce strozzata << Loro…mi avevano cancellato la memoria…io credevo di essere nel giusto… >>
La presa si allentò e la donna ricadde pesantemente sopra il materasso.
Cominciò a tossire e si portò una mano al collo, mentre il mondo attorno a lei smetteva di girare.
Quando sollevò la testa, scoprì che Vader aveva avvicinato il suo volto al proprio.
Ancora una volta, poteva sentire il suo respiro caldo e sibilante che le scompigliava i capelli…e non le era mai sembrato così spaventoso come in quel momento.
<< E credi davvero che questa sarà una scusa sufficiente per giustificare il tuo peccato? >> chiese il Sith, prima di puntarle un dito contro << Potresti essere una persona diversa da quella di un tempo. Ma Vers…colei che ha ucciso mia madre…è ancora lì. >>
Tocco la fronte della donna, che sussultò al contatto…e anche a causa delle sue parole. Perché in fondo aveva ragione anche lui.
All’epoca Carol era stata una persona molto diversa, priva delle memorie che l’avrebbero aiutato a compiere scelte migliori. Eppure…tutti gli orrori che aveva commesso in nome dell’Impero Kree erano stati il risultato delle SUE scelte.
Le sue mani erano sporche di sangue, e provare a cancellare quella colpa non sarebbe servito a niente, di questo era convinta. E a quanto pare lo stesso Vader non era da meno.
<< Vers è dentro di te. È una parte di quello che sei, così come tutti i peccati che ha commesso con le tue mani, e non ti lascerà MAI >> ringhiò << Tu…lei…per me non ha la minima importanza. Voi avete portato via il mio mondo…e ora i vi porterò via il vostro. >>
Gli occhi di Carol si spalancarono per la comprensione.
Questa era la ragione per cui Vader si era alleato con Ghidorah! Non solo aveva devastato Hala per punire la sua squadra…ma aveva pure intenzione di attaccare la Terra!
Tutte le persone che amava…i suoi amici…Peter…il suo amato Peter…avrebbe ucciso tutti loro solo per punirla!!
Scosse la testa.
<< Il mio mondo non ha niente a che fare con questa storia >> ribattè disperata << Perché non mi uccidi e la fai finita?! >>
La fredda risata di Vader risuonò nella stanza come un colpo di pistola.
<< Ucciderti? >> chiese con tono apparentemente divertito << Perché dovrei? Tu non sei come i tuoi vecchi compagni di squadra. Tu non temi la morte, anzi, la accoglieresti con coraggio! Qualcosa che posso rispettare anche in un nemico. >>
Allungò una mano e le afferrò delicatamente il volto.
<< No…la tua punizione sarà molto più severa >> continuò implacabile << Ho vissuto su Tatooine per gran parte della mia vita. E sai cosa ho imparato su quel pianeta dimenticato dagli dei? Che non ci può essere disperazione senza speranza. >>
Carol avrebbe voluto poter dire qualcosa, ma la presa sul suo viso si fece improvvisamente ferrea, impedendole di aprire bocca.
<< E così, mentre terrorizzerò il tuo mondo, gli darò in pasto la speranza per avvelenare l’anima dei suoi abitanti. Lascerò che credano di poter sopravvivere e li vedrò piangere di disperazione quando si renderanno conto di essere arrivati alla fine dei loro giorni. Potrai assistere mentre torturo un intero pianeta… e poi, quando avrai capito la profondità del tuo fallimento, compiremo l’ultima fase del nostro piano. Distruggeremo la Terra! E solo dopo, quando avremo finito e anche la tua casa natia sarà ... cenere... avrai il mio permesso di morire! >>
La spinse indietro, facendole picchiare la testa contro il muro della stanza.
Carol gemette per il colpo e gli lanciò un’occhiata piena di odio e paura miste assieme. Non si era mai sentita persa e arrabbiata come in quel momento…nemmeno quando aveva scoperto cosa i Kree le avevano rubato.
<< Sei un mostro >> sussurrò, mentre Vader si apprestava a lasciare la cella.
Il Sith si fermò di colpo e girò appena la testa.
<< No…sono solo il male necessario >> sussurrò impassibile << E sono venuto in questa galassia per restituire ai suoi abitanti il tempo che tu e i Kree avete rubato. >>
E, detto questo, fuoriuscì dalla stanza e attivò il comunicatore della tuta.
Subito, il corridoio dello Star Destroyer fu invaso dal suono dell’elettricità statica che segnava l’apertura di un collegamento audio.
<< Dite al Grand’Ammiraglio Thrawn di far uscire la flotta dall’iperspazio >> ordinò, senza preoccuparsi di riconoscere chi fosse dall’altra parte della linea.
Ormai la sua vendetta era a portata di mano…e niente gli avrebbe impedito di portarla a termine!
 
                                                                                                                         ***

Terra - New York
 
Otto Octavius scrutò analitico la creatura che si trovava nella gabbia.
Il contenitore era stato costruito con una lega di Vibranio capace di resistere a qualsiasi urto, e stipata assieme a centinaia di altre nella zona più profonda del complesso situato al di sotto della Nuova Oscorp Tower. Niente sarebbe mai potuto fuggire da questo posto senza qualche piccolo aiuto esterno.
Lo scienziato inclinò la testa e subito il Destoroyah lo imitò in maniera quasi docile, come un bambino che cerca di copiare i movimenti di un genitore.
Octavius sorrise e abbassò lo sguardo sulla cartellina che reggeva tra le mani, su cui erano stati appuntati i valori biologici di ogni creatura.
All’improvviso, udì il suono dell’ascensore che si apriva alle sue spalle.
Non ebbe bisogno di voltarsi per sapere chi fosse. Solo altre due persone avevano accesso a questa sezione dei laboratori.
Una era Norman Osborn…l’altra era Miles Warren, un genetista impiegato alla Oscorp che nel corso degli anni si era guadagnato un pittoresco soprannome: lo Sciacallo. Ed era anche la stessa persona che si era occupata di Otto quando era finito in coma dopo il suo incidente con Carnage.
<< Buongiorno, Ock >> salutò il nuovo arrivato, offrendo al suo collega un sorriso sghembo << Allora, come vanno le nostre care bestiole? Sembra che abbiano fatto un figurone alla tv. >>
Octavius non alzò mai gli occhi da ciò che stava leggendo, ma riconobbe lo scienziato con un cenno della testa.
<< Le creature in sé sono... mirabili >> rispose lentamente << Il loro potenziale bellico non avrà limiti, una volta che saranno addomesticati a dovere.>>
Miles inarcò un curioso sopracciglio.
<<"Rotola", "Fa il morto", "a cuccia"? >> domandò divertito, mentre i suoi occhi vagavano verso i mostri racchiusi nelle gabbie << Credi davvero di poter insegnare a queste cose dei giochetti? >>
<< Perché no? >> ribatte l’altro con una scrollata di spalle << Dopotutto, gli esseri umani hanno sempre fatto uso degli animali per combattere. Cavalli per le cariche, elefanti da guerra, topi per diffondere malattie…perfino i Russi usavano delfini e focene per bombardare i sottomarini avversari. >>
Sollevò lo sguardo e sorrise ad una delle taniche. << Sono convinto che il potenziale bellico dei nostri Destoroyah sarà capace di eccedere tutti i precedenti. >>
Miles fece una smorfia.
<< Ugh, continuo a pensare che sia un nome orribile >> borbottò disgustato << Perché non chiudere il cerchio, Ock, e lasciare che siano le multinazionali a dare il nome agli esperimenti genetici? Hanno già i campi da baseball! >>
Octavius roteò gli occhi. Per quanto fosse grato al collega per ciò che aveva fatto per lui, davvero non riusciva ad apprezzare il suo umorismo.
Continuò a controllare le varie gabbie, fino a quando non ne raggiunse una da cui provenivano dei forti tonfi. Guardandoci dentro, vide un Destoroyah leggermente più grosso rispetto agli altri.
L’animale si stava lanciando di prepotenza contro le pareti del contenitore, come se impazzito.
Quando incontrò lo sguardo dello scienziato, stridette allo stesso modo dei suoi simili e si buttò addosso al vetro infrangibile, senza produrre alcun danno visibile.
Octavius strinse gli occhi.
<< Questo sembra parecchio aggressivo >> osservò, mentre la creatura continuava ad avventarsi contro la gabbia.
Miles ronzò in accordo.
<< Non ti sbagli >> disse mentre posava una mano su di essa << Ha provato ad attaccare ogni inserviente o scienziato che si è avvicinato alla gabbia, prima che lo portassimo qui. È un tipo molto vivace. >>
<< A noi non servono tipi vivaci. Solo obbedienti >> ribattè freddamente il collega, senza mai distogliere lo sguardo da quello della bestia.
Come se avesse compreso le sue parole, il Destoroyah si fermò di colpo e cominciò a ringhiare minacciosamente verso di lui, gli occhi gialli che sembravano ardere nell’oscurità del laboratorio.
A Octavius non piaceva per nulla il modo in cui lo stava fissando. Sembrava…molto più intelligente rispetto a tutti i Destoroyah che aveva analizzato fino a quel momento.
<< C’è anche…un’altra cosa che lo differenzia dagli altri >> disse lentamente Miles, riportandolo alla realtà.
<< Ovvero? >> domandò curioso.
Il ghigno sul volto del genetista si fece più largo.
<< Ti piacerà da matti >> sghignazzò, mentre estraeva una scatola metallica dalla tasca del camice.
Octavius la riconobbe all’istante come uno dei dispositivi di controllo realizzati specificatamente per manipolare le onde celebrali dei Destoroyah.
Ognuno di quei marchingegni era stato anche dotato di un interruttore di sicurezza che aveva la capacità di diffondere una potente scarica elettrica direttamente dai chip neurali impiantati nel cervello delle creature.
Inutile dire che Octavius rimase piuttosto sorpreso quando Phineas premette proprio il pulsante in questione.
Meno di un secondo dopo, il corpo del Destoroyah venne illuminato come un albero di natale. L’animale cominciò ad urlare di dolore, a cui presto seguirono le urla di molti altri Destoroyah rinchiusi nel laboratorio.
Quando le scariche cessarono, l’animale crollò a terra, ansimante, e anche il resto delle grida si spense in un eco grottesco.
Octavius sbattè le palpebre.
<< Cosa è appena successo? >> sussurrò stordito.
Il sorriso che Miles gli rivolse era al limite dell’estatico.
<< Hanno reagito al suo dolore. Quasi tutti loro! >> esclamò, allargando ambe le braccia e indicando le taniche circostanti << è successo anche ieri, quando ha provato a strappare il braccio di Tanaka. È come se le altre creature fossero connesse a lui…lei…cavoli, non so nemmeno quale sia il suo genere. >>
<< Dalla nostra ultima dissezione risulta che queste creature non abbiano organi riproduttivi >> rispose Octavius, quasi di riflesso << Sono completamente assessuali. >>
Detto questo, si avvicinò nuovamente alla gabbia e osservò la creatura al suo interno, mentre questa si risollevava lentamente da terra.
<< Com’è possibile? >> sussurrò dolcemente.
Phineas scrollò le spalle.
<< Non saprei >> ammise, suonando quasi frustrato all’idea di non sapere qualcosa << Forse un campo telepatico, come quello che Ghidorah usava per controllare i suoi parassiti. Dopotutto, hanno lo stesso DNA. >>
Octavius gli lanciò un’occhiata di sbieco.
<< Quindi questo dovrebbe essere l’alfa del branco? >> domandò scettico. Dopotutto, l’idea che queste creature potessero sviluppare un simile livello di intelligenza era…preoccupante al meglio. Simili svolte scientifiche finivano sempre con il rendere la vita degli scienziati e dei loro finanziatori molto più complicata.
Phineas sbuffò divertito e si rivolse ancora una volta alla creatura dolorante.
<< Tutto è possibile, ma dovremo fare altri test per esserne sicuri >> aggiunse con una marcata dose di sadico piacere.
Il Destoroyah alzò la testa e sibilò minacciosamente verso di lui.
Lo scienziato schioccò la lingua.
<< Non mi piace il modo in cui mi guarda >> sussurrò, attirando lo sguardo del collega.
<< E come ti sta guardando? >>
<< Come se fossi il pranzo >> rispose nervosamente.
Octavius tornò a fissare il Destoroyah…e in effetti gli sembrò quasi di scorgere un intento famelico nei suoi occhi color magma. Era oggettivamente terrificante.
<< Allora dobbiamo rimediare >> disse mentre strappava il dispositivo di controllo dalla mano di Miles.
Lo sollevò in modo tale che la creatura potesse vederlo, avvicinò il dito al pulsante di controllo…e il Desotoryah si allontanò subito dal vetro, piagnucolando impaurito.
Lo scienziato sorrise soddisfatto.
<< Vedo che impariamo presto >> disse con tonto d’apprezzamento.
E fu allora che l’intera stanza piombò nell’oscurità.
Accadde tutto in maniera completamente improvvisa, come se qualcuno avesse appena coperto ogni lampada, interruttore o monitor al suo interno.
<< Che succede? >> chiese Miles, visibilmente irritato.
Octavius assottigliò lo sguardo e attivò le luci d’emergenza delle sue braccia meccaniche.
<< Non lo so >> rispose perplesso << Questo posto dovrebbe essere completamente autosufficiente. Tra poco si azioneranno i generatori di riserva. >>
E così, entrambi rimasero completamente immobili, in attesa che le luci ripartissero. L’ultima cosa che volevano, dopotutto, era muoversi alla cieca e sbattere contro una delle gabbie, rischiandone l’apertura.
Passò quasi un minuto buono…ma il laboratorio rimase avvolto nell’oscurità.
Con il trascorrere del tempo, anche Octavius cominciò a innervosirsi. Dopotutto, questo edificio era stato specificatamente realizzato per essere autosufficiente.
Il laboratorio avrebbe quasi potuto fungere da rifugio anti-atomico, tanto era stato costruito in profondità. Anche se l’intera città di New York si fosse spenta, questa stanza avrebbe continuato a funzionare senza problemi.
Ma allora…perché le luci non si erano ancora riaccese? Solitamente ai generatori di riserva servivano solo pochi secondi per infondere corrente in un palazzo.
Ai piani alti stava sicuramente succedendo qualcosa. Forse un attacco informatico?
Lo scienziato non ebbe il tempo di interrogarsi ulteriormente sulla questione…poiché le gabbie dei Destoroyah cominciarono ad aprirsi una dopo l’altra.
L’uomo spalancò gli occhi e si voltò verso Miles.
<< Che cos’hai fatto?! >> ringhiò,cercando di ignorare il battito cardiaco del proprio cuore.
Miles si guardò nervosamente attorno.
<< Io…io non ho fatto niente, ero fermo! >> balbettò, incapace di nascondere quanto fosse davvero spaventato.
Nel mentre, notando finalmente l’apertura della sua cella, il Destoroyah alfa fuoriuscì dalle ombre e rimase all’entrata del contenitore.
Chinò la testa verso il basso e cominciò a scrutare il bordo che separava la sua prigione dalla tanto agognata liberta. Sembrava quasi un cane intento ad annusare qualcosa di sconosciuto e profondamente affascinante.
Poi, i suoi occhi si posarono sulla coppia di scienziati davanti alla gabbia…e allora compì un passo in avanti.
Il rumore dell’arto aguzzo che toccava il pavimento del laboratorio risuonò come un colpo di pistola, facendoli trasalire. Al contempo – riconoscendo di essere finalmente libero – la creatura cominciò a stridere minacciosamente verso di loro, con le forcipule delle mandibole che si muovevano a scatti come quelle di un gigantesco granchio.
Anche gli altri Destoroyah iniziarono a fuoriuscire dalle loro gabbie.
Si guardavano attorno come tanti bambini spaesati, o un branco di animali che non avevano la minima idea di dove si trovassero. Fino a quel momento, avevano scrutando quel mondo di computer e macchinari solo dal vetro delle loro celle…ma ora, per la prima volta da quando erano nati, potevano finalmente assaporare qualcosa di diverso.
L’aria del laboratorio era molto più fresca rispetto a quella delle celle! E c’era anche…qualcos’altro. Un odore piacevole, a tratti inebriante. Odore di carne.
Tutte le creature si voltarono all’unisono verso Phineas e Octavius e cominciarono a zampettare cautamente verso di loro.
Il braccio destro di Norman Osborn non perse tempo e sollevò il dispositivo di controllo.
<< State indietro! >> sibilò, mentre lo attivava.
Subito, gli interni del laboratorio vennero illuminati da lampi e scariche elettriche. Ma mentre alcune creature si accasciarono a terra, con i corpi avvolti da bagliori azzurri e gridando per il dolore…altre continuarono ad avanzare senza alcun timore, risparmiate dall’agonia dei loro simili.
Fu allora che Octavius si rese conto della gravità della situazione: non tutti i Destoroyah erano stati muniti del chip inibitore!
Molti di quegli esemplari erano stati “coltivati” solo recentemente, dopo aver ricevuto l’approvazione del Governo alla produzione di massa. Non avevano mai sperimentato neanche una scarica in tutta la loro vita! Erano come bestie allo stadio brado, completamente esenti dalla paura per l’uomo.
Eppure, Octavius notò che alcune di loro avevano difficoltà a muoversi.
Le loro zampe scalpitavano, agitavano la testa ad ogni passo, ma i loro corpi non erano colpiti da alcuna scarica. Presto si rese conto del perché.
Abbassando lo sguardo, vide che anche il corpo dell’Alfa era stato colpito dagli effetti del dispositivo di controllo. Eppure…il suo sguardo era fisso in quello di Octavius, quasi come se lo stesse sfidando.
“È lui” pensò lo scienziato, con orrore crescente “li sta controllando! Loro sentono il suo dolore…ma lui li sta costringendo ad ignorarlo!”
Si voltò verso Miles.
<< Chiama l’ascensore! >> ordinò.
Il collega non se lo fece ripetere due volte e corse rapidamente verso le porte del macchinario.
Schiacciò il pulsante a cui era collegato…ma in cambio ricevette solo un silenzio di tomba.
<< Non funziona! >> urlò impanicato.
Fu allora che uno dei Destoroyah si lanciò verso Octavius.
Le braccia meccaniche dello scienziato reagirono quasi per puro istinto e afferrarono la creatura a mezz’aria. Il loro utilizzatore non ebbe nemmeno bisogno di inginocchiarsi, poiché quegli arti erano capaci di sostenere un peso pari a quello di un camion da trasporto.
Sospesa a tre metri dal pavimento, il Destoroyah cominciò ad agitarsi e stridere. La sua coda affilata – simile a quella di uno scorpione – scattò verso il basso, ma ecco che una delle braccia libere si affrettò ad intercettarla.
Lo scontro del metallo con il carapace del mostro sprigionò scintille, costringendo Octavius a coprirsi gli occhi. Sollevò le mani per puro istinto…e il dispositivo di controllo gli cadde dalle dita, saltellando innocuo sul pavimento.
Approfittando di quell’apparentemente momento di debolezza, un’altra delle creature zampettò a tutta velocità verso di lui, ma il rumore prodotto dai suoi passi fu sufficiente ad allertare lo scienziato.
Girandosi in direzione di quel suono rapido e ritmato, scaraventò il Destoroyah che teneva bloccato addosso al suo simile, ed entrambe le creature rotolarono contro il resto dello sciame.
A quanto pare, quell’azione fu sufficiente a suscitare l’ira degli altri esperimenti genetici, che cominciarono a scivolare rabbiosi verso il supercriminale.
Ben presto, quella zona del laboratorio divenne un agglomerato di corpi rossi interrotto occasionalmente da sferzate di fruste lucenti, e per un attimo a Miles gli sembrò quasi di assistere ad una replica dal vivo di Matrix Revolution, più specificatamente durante la battaglia finale tra i Calamari Meccanici e i membri della Resistenza Umana.
Approfittando di quel caos, cercò di allontanarsi il più possibile dallo scontro senza attirare l’attenzione delle creature.
Riuscì a compiere giusto quattro pasti, prima che una di quelle bestie si piazzasse davanti a lui.
Lo scienziato si arresto sul colpo e si ritrovò a fissare dritto in un paio di fornaci ardenti incastonate nella testa tozza di un crostaceo sovradimensionato.
<< Oddio! >> sussurrò, mentre la bestia cominciava ad avvicinarsi, producendo un inquietante ticchettio dalle mandibole gocciolanti di saliva.
Miles fece un passo all’indietro…e la sua schiena toccò qualcosa di duro e umido.
Non ebbe bisogno di voltarsi per sapere di cosa si trattasse.
<< Lo sapevo, dovevo restare con la Band… >>
Non ebbe la possibilità di terminare la frase.
Il Destoroyah gli fu subito addosso e lo inchiodò a terra. E prima ancora che l’uomo potesse anche solo urlare, le forcipule dalla bestia scattarono verso il basso e gli trapassarono la testa da parte a parte, spargendo pezzi di cranio e cervello tutto attorno.
La seconda creatura non fu da meno e cominciò a fare scempio del cadavere. In meno di un minuto, lo avevano già ridotto alle ossa!
Octavius potè solo assistere impotente alla morte del collega, mentre ricacciava indietro i suoi assalitori. Poi, i suoi occhi incontrarono ancora una volta quelli gialli e malevoli dell’Alfa, che lo scrutava con fare derisorio dal centro dello sciame.
Ocatvius dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non farsi sopraffare dalla rabbia.
Questa creatura si credeva davvero migliore di lui? Era solo un esperimento da laboratorio! Un ammasso di materiale genetico creato specificatamente per soddisfare la volontà degli esseri umani!
Era la SUA creazione! Senza di lui non era niente…e quel giorno si sarebbe assicurato di ricordarglielo.
<< Prima regola di un allevamento >> sogghignò << Eliminare sempre i tipi problematici!>>
Fece pressione sulle zampe meccaniche e compì un lungo balzo verso l’alto, superando molte delle creature. Atterrò a qualche metro dall’Alfa, e una di esse provò subito a sbarrargli la strada, forse spinta dall’istinto primordiale di proteggere il suo leader.
Octavius non si lasciò intimidire e compì una rapida rotazione su se stesso, aumentando la forza centrifuga delle braccia meccaniche e sferrando un colpo tale da spedire quell’ostacolo contro una delle gabbie di contenimento.
Infine, si ritrovò davanti all’Alfa…e usò le appendici artificiali per bloccarlo.
Il Destoroyah cominciò a stridere e ad agitarsi, ma a nulla valsero i suoi tentativi di contrastare la presa avversaria.
Octavius strinse i denti e fece appello a tutta la forza che aveva in corpo per mantenersi in equilibrio. Sapeva di avere solo pochi secondi, perché le altre creature avrebbero presto cercato di aggredirlo alla schiena per salvare il loro comandante. Così, diede ai suoi fidati strumento un unico ordine mentale: strappare.
Le braccia metalliche tirarono senza esitazione e i versi disperati del mostro crebbero d’intensità. Stava sicuramente soffrendo.
Si udì un sonoro CRACK!...a cui seguì il rumore di budella e viscere che si riversavano sul pavimento del laboratorio.
Octavius sorrise sadicamente, lasciò andare il corpo tagliato in due del Destoroyah e si portò rapidamente a distanza con un balzo, evitando appena in tempo le fauci di un altro mostro.
Le creature si voltarono all’unisono verso di lui…ma non fecero alcun tentativo di attaccarlo. Sembravano quasi spaventate all’idea di affrontarlo in uno scontro diretto!
Octavius inclinò la testa. Forse l’aver ucciso il loro capo era stato sufficiente per ricordare loro chi fosse l’animale dominante della stanza? Meglio tardi che mai.
Fece per dire qualcosa…ma ecco che un suono inquietante risuonò dal punto in cui si trovavano le parti dell’alfa appena ucciso.
<< E ora che diavolo succede? >> borbottò incredulo, mentre dai resti della creatura cominciavano a protrarsi dei viticci rosso sangue.
Dapprima rimasero ad agitarsi come tanti vermetti fuoriusciti dalle profondità della terra. Poi, cominciarono a fondersi davanti allo sguardo sorpreso dello scienziato.
All’inizio divennero solo grumi di carne maciullata…che poi cominciarono a prendere le forme di una testa…e un corpo simili a quelli di un crostaceo.
Octavius deglutì a fatica e fissò incredulo la coppia di creature che si erano appena originate dai resti dell’Alfa. Lo stesso esemplare che aveva tranciato in due solo pochi istanti prima!
“ Hai voglia di scherzare?” fu tutto quello a cui riuscì a pensare.
Quasi come se gli avessero letto nel pensiero, i due Destoroyah ruggirono all’unisono verso il soffitto della stanza.
Come se fossero parte dello stesso corpo, anche il resto dei loro simili presero ad imitarli. Poi, le creature cominciarono ad arrampicarsi l’una sui corpi delle altre, creando una montagnetta di sagome rosse e zampettanti.
Infine fu il turno della coppia di Alfa.
I due mostri si fermarono sulla cima della montagnetta, i musi rivolti verso l’alto…e fu allora che cominciarono ad emettere un basso ronzio.
Le loro teste vennero attraversate da piccole scariche elettriche, e inizialmente Octavius pensò che il chip all’interno delle loro teste avesse cominciato a funzionare autonomamente, forse per un qualche cortocircuito.
Ma c’era qualcosa di diverso in quelle scariche. Innanzitutto erano viola…e confluivano tutte sulle mandibole delle bestie.
Dapprima, crearono una specie di sfera luminosa davanti a quei musi grotteschi. Poi, quella palla violacea esplose in un raggio che cominciò a scavare nel soffitto come se fosse burro.
Per l’ennesima volta, Octavius non poteva credere ai suoi occhi.
I Destoroyah non avevano mai mostrato una capacità del genere! Possibile che fossero stati abbastanza intelligenti da tenerla nascosta?
In secondo luogo, quel soffitto era stato realizzato con un materiale capace di resistere ad una bomba atomica! Eppure…il raggio prodotto dalle creature lo stava trapassando come se niente fosse.
In meno di un minuto, i due mostri avevano realizzato un foro abbastanza grande da permettere il passaggio dei loro corpi. Senza perdere tempi, si lanciarono all’interno della loro via di fuga, rapidamente imitate dal resto dello sciame.
Octavius deglutì a fatica.
Afferrò rapidamente il cellulare dalla tasca del camice e digitò il primo numero della rubrica.
Per fortuna, dovette rimanere in attesa solo pochi secondi, prima che la voce familiare di Norman Osborn gli risuonasse nelle orecchie.
<< Octavius, che diavolo succede in questo posto? Mi era stata promessa una completa autonomia del progetto! >>
Lo scienziato trasalì e sollevò lo sguardo.
<< Signore…loro sono….oddio… >> borbottò, mentre anche l’ultima delle creature scompariva dal laboratorio.
<< Octavius, la linea è disturbata >> sibilò il suo datore di lavoro << Ripeti: cosa sta succedendo?! >>
Un forte stridio risuonò dal foro aperto nel soffitto.
<< Le gabbie sono aperte, signore! >> esclamò Octavius, senza nascondere la paura che provava in quel momento << I Destoroyah sono usciti! >>


                                                                                                                          * * *


La Hulkbaster afferrò l’ennesima Iron-tuta le sbattè violentemente al suolo, riducendola ad un ammasso di bulloni e pezzi di metallo.
Dietro di lei, un’altra delle macchine cominciò a bersagliarla con raggi di energia Ark, ma l’integrità della “Veronica” rimase per lo più invariata, permettendo a Pepper di avvicinarsi all’automa senza problemi e tranciarlo in due con un unico e semplice malrovescio.
Voltandosi, la donna vide che anche Peter era riuscito a sopraffare la maggior parte dei suoi assalitori, molti dei quali giacevano inermi attorno a lui.
<< Stai bene? >> gli domandò attraverso gli autoparlanti della tuta.
Peter le offrì un pollice in alto.
<< Sì…ugh… >> gemette << Potrei andare avanti tutto il giorno. >>
“Allora perché mi sembra che tu riesca a mala pena a stare in piedi?” avrebbe voluto chiedergli la donna, ma in fondo conosceva già la risposta.
Peter Parker…Spider-Man…era sempre stato quel tipo di persona. Non sarebbe mai stato capace di abbandonare una battaglia e ignorare le grida d’aiuto delle persone. Avrebbe continuato a combattere fino allo stremo, e questo lo aveva portato vicino alla morte in numerose occasioni.
Sia Pepper che sua zia avevano provato molte volte a farlo ragionare, senza successo. Ogni volta che lui prometteva loro che sarebbe stato più attento, ecco che tornava nell’infermeria della base con il corpo martoriato e la tuta fatta a pezzi.
Un giorno si sarebbe fatto ammazzare, lo sapevano entrambe, ma non c’era niente che potessero fare a riguardo. Peter Parker era il tipo di persona che sarebbe morta per proteggere qualcuno.
<< Questo dovrebbe essere l’ultimo >> disse mentre annientava l’ennesima Iron-tuta, scaraventandola contro una macchina.
Spider-Man grugnì d’accordo e sollevò la testa verso il cielo.
<< Dove pensi che sia andato? >> domandò cupo, chiaramente riferendosi ad Ultron.
Pepper sospirò stancamente. << Difficile a dirsi. Friday controllava la maggior parte dei satelliti delle Stark Industries. Senza di lei… >>
Non riuscì a finire la frase. Il pensiero che Friday fosse stata davvero disattivata…no…che fosse davvero MORTA…la riempiva di una profonda tristezza.
Quante volte l’aveva sostenuta dopo la morte di Tony? Quante volte l’aveva aiutata ad occuparsi dell’azienda e di Morgan?
E ora non c’era più. Era sparita, e avevano solo i resti di una macchina per ricordarla.
Oh, certo, avrebbero potuto tranquillamente riattivare un back-up dell’IA, ma non sarebbe mai stata la stessa Friday. Non avrebbe avuto i suoi ricordi, le sue esperienze…sarebbe stata solo un’imitazione a buon mercato.
<< È stata una buona amica >> disse Peter, mentre posava una mano sulla Hulk Buster << Ha combattuto fino alla fine per proteggerci. Sta a noi vendicare la sua morte. >>
Parole con cui Pepper si ritrovò a concordare con tutto il cuore.
<< Puoi usare Edith per collegarti alla rete satellitare? >> chiese al vigilante. Questi rimase in silenzio per qualche secondo.
<< Posso provarci >> rispose lentamente << Ma dubito che Ultron non abbia preso precauzioni a riguardo… >>
La terra sotto i loro piedi cominciò a tremare.
Una lunga serie di crepe si diramò al centro della strada, protraendosi da uno specifico palazzo. Tra tutti quelli presenti, era anche quello che oscillava maggiormente…come se questo insolito terremoto fosse partito direttamente da sotto di esso.
Pepper fece un rapido controllo con i sistemi della tuta e scoprì che “qualcosa” stava scavando a gran velocità verso la superficie.
<< Quella non è la Oscorp Tower? >> domandò perplessa.
Peter annuì in accordo.
<< Ho un brutto presentimento >> disse, mentre assumeva una posizione pronta al combattimento. Fu allora che la strada davanti a loro esplose in una miriade di polveri e detriti.
I due Avengers sentirono uno strano ticchettio che crebbe man mano d’intensità, a cui presto si unirono delle grida raccapriccianti.
Quando la nube di granelli cominciò a diradarsi…i loro occhi incontrarono quelli gialli e malevoli delle stesse creature che Norman Osborn aveva presentato quel giorno a tutto il mondo.
Peter rimase completamente immobile, incapace di credere a quello che stava succedendo sotto i suoi occhi.
<< Non c’è mai pace in questa città >> borbottò miseramente.
Senza perdere tempo, attivò il comunicatore della squadra.
<< Ragazzi, sarà meglio che ci raggiungiate. Qui è appena saltato fuori un nuovo problema… >>

                                                                                                                             * * *

Robert Raynolds si era sempre  definito un buon poliziotto.
In un mondo in cui la popolazione mondiale poteva sparire con uno schiocco delle dita da un momento all’altro, aveva sempre cercato di fare del suo meglio con il poco che aveva.
Non era certo un superumano, ma questo non gli aveva mai impedito di svolgere il suo lavoro, anche perché Los Angeles era diventata una zona sorprendentemente povera di criminali dotati, dopo il terremoto provocato da King Ghidorah.
La città – così a come tutte quelle situate sulla faglia di San Andreas – si stava ancora riprendendo da quel terribile evento.
Metà della metropoli era ancora in fase di ricostruzione, ma proprio per questo era diventata un luogo molto meno appetibile per le persone a cui piaceva infrangere la legge. Dopotutto…perché mai qualcuno avrebbe voluto calciare un gatto che era già in punto di morte?
E così, Robert Raynolds si era goduto quest’ultimo anno in relativa tranquillità, occupandosi di furti e delle gang occasionali che non avevano ricevuto il memo: Los Angeles era off limits. I suoi abitanti avevano già sofferto troppo, e né il Governo né la brava gente della città avrebbero permesso alla criminalità organizzata di riprendere il controllo delle strade.
Quel giorno, il poliziotto di pattuglia si era recato nella sezione Nord Est della metropoli, quella da cui era possibile intravedere la scritta HOLLYWOOD dall’altra parte della collina. Non era il suo giro abituale, ma con l’avvicinarsi del giorno di commemorazione per le vittime di Ghidorah aveva scelto di fare un strappo alla solita routine e concedersi un turno più tranquillo.
Dopotutto, quella era una delle zone più popolari della città, abitata quasi esclusivamente dai ricconi. Era sicuro che il capo non se la sarebbe presa più di tanto, non dopo tutto l’ottimo lavoro che aveva fatto negli ultimi mesi.
Aveva appena finito di comprare una ciambella…quando la terra cominciò a muoversi sotto i suoi piedi.

(Track: https://www.youtube.com/watch?v=WA-ousOPfiU)

“ Un terremoto?!” pensò terrorizzato.
Non erano certo una novità a Los Angeles, ma questo terremoto aveva probabilmente un’intensità pari almeno a 5 nella scala Richter!
Come tutti i poliziotti che abitavano nelle città confinanti con la Faglia di San Andreas, anche Robert era stato adeguatamente istruito sul come riconoscere quei sismi capaci di produrre ingenti danni ad una metropoli..e quello che stava vivendo era DECISAMENTE preoccupante.
Gli edifici della zona avevano già cominciato ad oscillare come palme al vento!
<< State fermi, non vi muovete! >> urlò a gran voce, sperando che almeno le persone vicine riuscissero a sentirlo.
Alle urla dei passanti terrorizzati seguì un fulmine a ciel sereno che colpì direttamente la più grande zona di ritrovo dell’intero quartiere: il So-Fi Stadium.
Dapprima Robert Reynolds rimase come ipnotizzato da quella scena.
Non aveva mai sentito parlare di una tempesta di fulmini che avveniva durante un terremoto…anche perché il cielo era completamente privo di nubi! E non ricordava che il Meteo avesse annunciato pioggia o temporali, quella mattina.
Il poliziotto cercò di mantenersi in equilibrio, mentre il sisma sembrava crescere d’intensità. E fu allora…che qualcosa superò la sagoma dello stadio.
Era…una testa dalle sembianze rettili, ricoperta da scaglie dorate, con grosse corna che spuntavano dal capo e occhi rosso sangue. E poi ne seguì una seconda, uguale in tutto e per tutto alla prima…e infine una terza.
<< O mio Dio >> sussurrò, mentre la sua mente vagava fino a quel massacro di tre anni prima.
Aveva visto al telegiornale la titanica battaglia tra gli Avengers e la stessa creatura che aveva decimato la città di Los Angeles mentre non era nemmeno presente. Ricordava molto bene la devastazione che aveva colpito New York in quel terribile giorno…così come ricordava perfettamente le fattezze dell’enorme drago responsabile di tutto.
Ghidorah sollevò ambe le ali nell’istante in cui il terremoto cominciò a calmarsi.
Il suo enorme corpo gettò un’ombra su tutte le persone e gli edifici che si trovavano nella zona. E quando spalancò le fauci irte di denti, il cielo iniziò subito a riempirsi di nubi e scariche elettriche.
<< Io sono il tuono! >> ruggì la testa centrale << Io sono… >>
Abbassò lo sguardo e Robert si ritrovò a fissare i suoi occhi color sangue.
<< MORTE!>>
King Ghidorah, il flagello dello spazio…era tornato sulla Terra.
 
 
 
Boom!
I cattivoni non stanno perdendo tempo, vero? Ultron è in giro a fare chissà cosa, Vader si prepara ad assaltare la Terra, i Destoroyah sono evasi (grazie ad Ultron) e Pennywise ha appena evocato King Ghidorah a Los Angeles. Almeno stavolta non è New York, eh?
Ce la faranno i nostri eroi a combattere tutte queste minacce? E sappiate che il piano di IT/Pennywise è solo agli inizi…

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Ecco un nuovissimo capitolo!
Lo so, è un po’ in ritardo, ma tra lavoro, università e altre fan fiction non ho davvero molto tempo per dedicarmi a tutte le mie storie quanto vorrei, quindi spero che almeno mi farò perdonare per i computer.
In questo capitolo ci sposteremo un attimo da Spider-Man e compagnia per concentrarci su ciò che sta accadendo nel resto del mondo.
Vi auguro una buona lettura!

 



Capitolo 12


Loki apparve in un turbinio di fiamme verdi davanti alle imponenti figure di Odino e Thor.
Dietro di loro, su una piccola collina, intravide un bagliore luminoso circondato da enormi monoliti: la loro prossima destinazione.
<< Loki >> disse Odino, con la sua voce fredda e inflessibile.
L’ingannatore dovette trattenere un sorrisetto. Il Padre degli dei era sicuramente infastidito per qualcosa…e sapeva di esserne la causa.
<< Padre >> salutò con un inchino beffardo << Thor. >>
<< Fratello >> ribattè il dio del tuono, suonando quasi esasperato.
Odino strinse il suo unico occhio buono. << Sei in ritardo. >>
<< Uno stregone non è mai in ritardo, Padre, né in anticipo. Arriva esattamente quando dovrebbe arrivare >> fu la pronta risposta dell’Aesi, il volto ora contratto da un ghigno beffardo.
Thor si ritrovò incapace di trattenere un gemito.
<< Gli dei maledicano Stark il giorno in cui ti ha fatto scoprire Tolkien >> borbottò stancamente.
Loki si portò una mano al cuore, simulando un’espressione delusa. << Thor, mi deludi veramente. E io che pensavo che saresti stato felice di sapere che ho cominciato a rispettare almeno uno dei tuoi amati mortali! >>
<< Basta con queste sciocchezze >> li interruppe bruscamente Odino, sbattendo il fondo di Gungnir sul terreno << Abbiamo una missione da compiere. Non indulgiamo oltre. >>
Il dio degli Inganni si cimentò in un altro inchino.
<< Come Padre Tutto comanda >> disse con tono falsamente servile.
L’ex sovrano di Asgard si limitò a roteare l’occhio e cominciò a incamminarsi in direzione del bagliore dorato. Thor e Loki seguirono subito dopo, tenendosi ad una rispettosa distanza.
Dopo qualche passo, il dio del tuono lanciò un’occhiata laterale in direzione del fratello.
<< Come stava? >> domandò all’improvviso, sorprendendo l’ingannatore.
Solo anni e anni passati a nascondere le sue emozioni gli permisero di non rivelare niente del suo stato d’animo.
<< Dovrai essere più specificato >> ribattè disinvolto.
Thor sbuffò sprezzante.
<< Non giocare con me, Loki >> disse con un sorrisetto << Come stava Sigyn? >>
Il moro sospirò internamente. Ancora una volta, aveva sottovalutato la perspicacia di suo fratello.
Da quanto tempo aveva scoperto di lui e Sigyn? Li aveva forse spiati? Oppure aveva mandato altri per fare il lavoro sporco?
Gli era sempre più difficile associarlo al buffone piantagrane che aveva conosciuto fin da quando erano bambini. Ormai, gli anni passati dal suo tradimento lo avevano temprato in un guerriero dalla mente acuta.
Per certi versi, era stato lui stesso la causa di questo cambiamento...quindi non poteva che esserne orgoglioso.
<< Affranta…ma comprensiva >> rispose, perché in fondo non aveva più senso evitare la questione.
Thor grugnì comprensivo.
<< Ancora non capisco perché tu voglia nascondere la vostra relazione >> borbottò a bassa voce << Padre non è più quello di una volta. Ormai la accetterebbe…e madre ne sarebbe entusiasta. Sono sempre andate d’accordo… >>
<< Dubito che i miei nemici sarebbero altrettanto comprensivi >> ribattè Loki, lanciandogli un’occhiataccia.
Il fratello sospirò stancamente, come se avesse già sentito questo argomento almeno un centinaio di volte.
<< Loki… >>
<< Sai bene quanto me che in questo mondo camminano molte anime che vi ho condotto io stesso. Non pensi anche tu che gioirebbero al pensiero di colpire coloro a cui tengo? >> continuò l’ingannatore, beffardo.
Negli occhi del tonante balenò un luccichio commosso. << Sappiamo badare a noi stessi… >>
<< Lo so >> lo interruppe Loki << Credimi, lo so meglio di chiunque altro. Ma lei non è mai stata una guerriera... e non voglio costringerla in una situazione in cui dovrà scegliere tra la sua natura e la sua sopravvivenza. >>
Perché le aveva già portato via troppo.
Non direttamente…ma era comunque responsabile di molte delle tragedie che le erano capitate. E tutto perché non era riuscito a nascondere quello che provava per lei.
Quindi non avrebbe fatto niente che potesse metterla in una posizione difficile!
Thor lo scrutò tristemente e il dio dell’inganno si ritrovò a digrignare i denti. Odiava quando gli altri lo guardavano con pietà.
<< Possiamo proteggerla >> sussurrò il biondo, suonando molto più incerto di quanto avrebbe voluto.
Loki lo fissò freddamente. << Come sei riuscito a proteggere il nostro popolo da Thanos? >>
Si pentì all’istante di aver posto una simile domanda.
Il corpo del fratello si irrigidì di colpo e l’ingannatore lo vide stringere la presa sul manico di Mjolnir.
Diverse emozioni balenarono sul volto scolpito del tonante. Paura, rabbia, rammarico…e infine, qualcosa che Loki aveva imparato ad odiare: rassegnazione.
<< Scusa, io…ho parlato senza pensare >> borbottò, distogliendo lo sguardo.
Thor fece lo stesso.
<< Non ti preoccupare >> disse, cercando di sorridere fiducioso << E…capisco cosa intendi. Non posso essere in ogni posto contemporaneamente. Ecco perché dovresti affidare la sua vita anche a coloro che ti hanno perdonato. Saresti sorpreso di scoprire quante persone ti sono davvero grate per quello che hai fatto durante il Ragnarok. >>
Loki avrebbe voluto ridere di fronte ad una simile proposta.
Lui? Il dio degli inganni…che si fidava di perfetti sconosciuti? Di persone che non avevano fatto altro che schernirlo per tutta la vita?
Per certi versi, e malgrado il suo ritrovato acume, Thor era rimasto l’ingenuo sempliciotto di un tempo.
Fu assai tentato di farglielo notare…ma i suoi propositi vennero meno nell’istante in cui i suoi occhi incontrarono l’espressione speranzosa del biondo.
<< Dovrò pensarci >> rispose neutrale.
Non era un accordo…ma neanche un rifiuto, e fortunatamente suo fratello ne sembrò soddisfatto. Ma per quanto sarebbe bastato?
<< Siamo arrivati >> disse all’improvviso Odino, distogliendolo dal suo rimuginare.
Guardando davanti a sé, la coppia di Aesi scoprì che avevano raggiunto la fonte del bagliore dorato: un enorme voragine al cui centro spiccava un vortice di pura luce.
Si trattava dell’unico punto di accesso del Valhalla. Un portale che collegava quel piano di esistenza a quello mortale...e Poteva essere attraversato solo con il permesso del Padre degli Dei.
<< Loki, riesci ancora a percepire l’anima di Stark? >> domandò questi, l’occhio fisso sul vortice dorato.
L’ingannatore chiuse gli occhi…e li riaprì dopo quasi un minuto buono.
<< È…strano >> borbottò, il volto arricciato da un cipiglio perplesso.
Thor si mise subito in allerta. << Cosa intendi? >>
<< Percepisco la stessa firma energetica su Midgard >> rispose Loki, suonando perplesso << Ma è…divisa. Come se si trovasse in due posti contemporaneamente >>
Alzò lo sguardo verso Odino. << Non so a quale delle due appartenga l’anima di Stark. Forse il suo rapitore ha deciso di allontanarsi dal bottino. >>
<< Allora dovremo dividerci anche noi >> disse il Re degli Dei, aumentando la presa su Gungnir.
Thor lo fissò a disagio.
<< Padre…sei sicuro che sia saggio? Potrebbe essere una trappola >> osservò guardingo.
Loki dovette trattenere un’altra risata. Eccolo qui, lo stesso Thor che per anni aveva caricato a testa alta senza mai preoccuparsi dei pericoli a cui andava incontro…che metteva in guardia suo padre per una possibile trappola! L’universo stava davvero impazzendo.
<< In quel caso… >> disse Odino, mentre sollevava la sua fidata lancia << Questo nuovo nemico comprenderà presto la follia del suo inganno! >>
Loki poteva solo sperare che queste parole si sarebbero rivelate profetiche.


                                                                                                                                 * * *


Terra – Harpswell

Stephen Strange si svegliò con una profonda sensazione di nausea.
Il mondo attorno a lui puzzava di sangue e carne bruciata…e poteva sentire il sapore della terra e della polvere sulla lingua.
Lentamente, aprì le palpebre e si guardò  subito attorno: era ancora ad Harpswell.
Da una parte, i cadaveri ancora freschi degli abitanti uccisi da Cletus. Dall’altra…il corpo svenuto della donna conosciuta al grande pubblico con il soprannome di Scarlett Witch.
Gli occhi dello stregone si spalancarono per la preoccupazione.
<< Wanda! >> urlò, mentre correva subito fino alla sua pupilla.
Un rapido incantesimo diagnostico gli confermò subito che era viva…e che le sue condizioni non erano troppo gravi.
Sospirando sollevato, compì alcuni rapidi movimenti con le mani e il corpo della donna venne avvolto da una specie di aura dorata.
Quando il bagliore cominciò a dissiparsi, Wanda aprì lentamente gli occhi.
<< Stephen… >> sussurrò, nell’istante in cui mise a fuoco il volto del suo maestro.
L’uomo le sorrise dolcemente e la aiutò pian piano ad alzarsi.  << Come ti senti? >>
<< Come se fossi stata appena colpita da un autobus >> borbottò la strega, portandosi una mano alla fronte.
<< Poteva andarti peggio >> disse una voce alle spalle della coppia << Potevi farti colpire DAVVERO da un autobus…ugh, che male cane.  >>
Entrambi si voltarono e videro l’inconfondibile figura di Jessica Jones ancora sdraiata a terra.
Dopo essersi assicurato che Wanda potesse restare in piedi da sola, Strange camminò subito da lei.
<< Rimani immobile >> ordinò, mentre compiva gli stessi movimenti di poco prima.
Gli occhi della mora si strinsero sospettosi. << Che cosa vuoi fa… >>
<< Un semplice incantesimo di guarigione >> la interruppe lo Stregone Supremo, mentre la stessa aura dorata circondava il corpo della Detective.
Quando si dissipò, la donna si mise a sedere e scrutò il proprio corpo con un’espressione meravigliata. Tutti i suoi lividi erano completamente spariti! E si sentiva anche…più lucida.
<< Beh…cazzo >> borbottò << Sembra che abbia funzionato…anche troppo bene. Non mi sentivo così sobria da anni. >>
Strange inarcò un sopracciglio, ma decise di non soffermarsi troppo sulla questione. Al momento avevano questioni più importanti di cui preoccuparsi.
Tornò da Wanda e vide che la pupilla si stava massaggiando le tempie. Stava per avere una ricaduta?
<< Riesci a stare in piedi >> le chiese, mentre le metteva una mano rassicurante sulla schiena.
La donna gli lanciò un’occhiata laterale e se la scrollò di dosso.
<< Per chi mi hai preso? >> domandò con un sorrisetto << Non sono mica una fanciulla delicata. >>
Lo stregone alzò gli occhi al cielo.
<< Magari lo fossi >> sbuffò divertito << La mia vita sarebbe molto più facile. >>
<< Stronzo >> sbottò l’altra, senza però metterci troppo mordente. Poi, la sua espressione si fece improvvisamente seria. << Dov’è Kasady? >>
A quella domanda, anche sul volto di Stephen sembrò calare un’ombra.
<< Quella cosa…non è più Kasady >> rispose cupamente.
Wanda non riuscì a trattenere un brivido.
Accadeva raramente che Stephen Strange fosse preoccupato per qualcosa. E in questo momento…l’uomo era SICURAMENTE preoccupato da quello che era successo.
<< Allora…che cos’era? >> domandò esitante.
Lo Stregone Supremo prese un respiro profondo e disse: << La Morte. >>
Sull’intera cittadina sembrò calare il silenzio.
Il cinguettio degli uccelli mattutini, il rumore delle cicale…tutto divenne semplice rumore di fondo, mentre quella risposta riecheggiava nelle orecchie della strega.
Sia lei che Jessica si lanciarono occhiate piene di disagio.
<< …Ooooook. Non era per nulla inquietante >> borbottò la detective.
Cercò di afferrare la sua boccetta per il Whisky…ma scoprì che era scomparsa dalla tasca. Doveva averla perso durante la battaglia.
Imprecò a bassa voce, mentre Wanda posava una mano sulla spalla del suo maestro.
<< Stephen…con cos’abbiamo a che fare? >> domandò seriamente.
Il sospiro che ricevette in cambio fu il più rassegnato che avesse mai udito dall’uomo.
<< Con una creatura di incalcolabile potere >> rispose questi << Un essere vecchio quanto il tempo stesso. Un’entità di puro male…caos…una calamità su scala cosmica. >>
Jessica gemette sonoramente.
<< Rettifico. QUESTO era inquietante >> disse indicando l’Avenger.
Wanda le lanciò un’occhiata infastidita e la mora alzò subito le mani in segno di resa. Dopo ciò che le aveva visto fare, l’ultima cosa che voleva era far arrabbiare quel concentrato di magia caotica.
La rossa tornò a fissare Stange. << Spiegare. Ora. >>
Lo Stregone Supremo esitò per qualche istante. Era come se il solo pensiero di parlare dell’argomento lo mettesse a disagio!
Wanda non l’aveva mai visto così…e francamente stava cominciando a spaventarla.
<< Nessuno sa davvero cosa sia >> disse l’uomo << Quei pochi che sono a conoscenza della sua esistenza sanno solo che viene da un universo molto lontano dal nostro…e che ha vissuto sulla Terra per molto tempo. >>
<< E tu come la conosci? >> chiese Jessica, incrociando ambe le braccia davanti al petto.
Strange scrollò le spalle. << Qualche anno fa, ricevetti una chiamata di soccorso da Spider-Man e Capitan Marvel. Mi dissero che erano entrati in contatto con questa creatura, durante una delle loro missioni. Proprio in questa stessa cittadina. >>
Alzò lo sguardo verso il cielo.
<< Nei mesi successivi… >> riprese << ho visionato molti testi sacri e leggende per cercare di capire cosa fosse… ma era come se gli stregoni di un tempo avessero avuto paura di mettere il suo nome anche solo per iscritto. Come se volessero dimenticarlo. >>
E Wanda sapeva bene che simili circostanze non erano mai un buon segno. Perché se volevi dimenticare qualcosa fino a questo punto…allora dovevi avere delle OTTIME ragioni per farlo.
<< Mi avevano detto di essere riusciti a sconfiggerla…ma a quanto pare, non in maniera definitiva >> continuò Stange, cupo << In qualche modo, questo essere è riuscito a entrare in contatto con Cletus Kasady e lo ha convinto a realizzare un rituale di evocazione per riportarlo in questo mondo.  >>
<< Per fare cosa? >> domandò Wanda, con apprensione.
Strange rimase in silenziò per un po’.
<< Non lo so >> ammise, infine << Ma dubito che sia niente di buono. >>
“Ovviamente” pensò Wanda, rassegnata. A volte sembrava quasi che l’universo odiasse questo piccolo pianeta blu.
<< E ora che si fa? >> chiese all’improvviso Jessica << Non sono certo entusiasta al pensiero di lasciare un incarnazione del male cosmico in giro per gli Stati Uniti…ma certe cose vanno un po’ al di là della mia portata. >>
Strnage annuì comprensivo.
Non potevano certo fargliene una colpa. Dopotutto, stavano parlando di un’entità che era riuscita a sconfiggerli senza alcuno sforzo…anche se si trovava ancora in uno stato indebolito.
Non c’era molto che una persona priva di abilità mistiche potesse fare contro un avversario del genere.
<< Torneremo a New York >> decise << Ho bisogno di consultare i vecchi tomi. Devo capire meglio con cosa abbiamo a che fare. >>
La Detective si mosse a disagio sulla punta dei talloni.
<< Siete liberi per un passaggio? >> domandò imbarazzata << Sono venuta qui in Treno, e non voglio restare in questa cittadina da film horror un secondo di più. >>
Strange si limitò a sorriderle ed evocò un portale di fronte a loro.
Jessica fece una faccia disgustata.
<< Ugh, odio la magia…ma credo che dovrò accontentarmi >> borbottò, mentre tutti e tre attraversavano il cerchio dorato.
Il mondo attorno a loro cambio all’istante, e presto si ritrovarono nella magione conosciuta come il Sancta Sanctorum: la base dello Stregone Supremo e ultima roccaforte contro le minacce mistiche alla Terra.
Jessica si guardò attorno e lanciò un fischio.
<< Bel posto >> commentò impressionata.
Wanda le lanciò un sorrisetto. << Dovresti vederlo a Natale… >>
Non ebbe la possibilità di finire la frase.
Sentì un forte dolore alle tempie e cadde in ginocchio, mentre la sua visione diventava rossa.
Urlò per la sorpresa…era come se la testa le stesse per scoppiare! Come se qualcosa l’avesse appena colpita alla testa.
<< Wanda! >> esclamò Strange, mentre sia lui che Jessica si accucciavano accanto a lei per sorreggerla.
Ma la donna non se ne accorse. La sua mente era troppo concentrata su quel terribile dolore!
Sembrava quasi che una seconda mente stesse cercando di penetrare le sue difese psichiche. Una mente MOLTO familiare.
Poi…tutto cessò.
La rossa spalancò gli occhi e cominciò ad ansimare pesantemente. Aveva difficoltà a respirare e non riusciva a distinguere bene i suoi dintorni.
Lo Stregone le scostò i capelli dal volto.
<< Che cosa è successo? >> domandò preoccupato.
La donna si portò una mano alla fronte.
<< Io…ho sentito una presenza… >> borbottò << Una presenza che non sentivo da… >>
I suoi occhi si spalancarono improvvisamente per il terrore e il riconoscimento.
<< No…non è possibile! Non LUI! >>

 
                                                                                              * * *


Sulle colline che circondavano Los Angeles sorgeva uno dei centri di ricerca più importanti delle Pym Industries.
Nella zona più interna del complessa era stata allestita una camera di quarantena con un diametro di almeno duecento quadrati e un’altezza considerevole, perfetta per il tipo di esperimenti che si svolgevano nell’edificio.
Al momento, il centro della stanza era occupato da un totale di sei persone, quattro delle quali erano impegnate a calibrare le ultime specifiche di alcuni grossi macchinari disposti a semicerchio attorno alla coppia restante: un uomo sui quarant’anni vestito con una tuta rossa e indossante un casco cromato e una donna vestita in maniera molto simile.
La differenze più sostanziale? Un paio di ali che le spuntavano dalla schiena, simili a quelle di una vespa.
Costoro non erano altri che Scott Lang e Hope Van Dyne Lang, rispettivamente i supereroi conosciuti come Ant-Man e Wasp. Ed erano anche i presidenti delle Pym Industries, il complesso di ricerca molecolare più importante e avanzato dell’intero pianeta.
La donna del duo cambiò improvvisamente dimensioni, diventando poco più grande di un insetto. Poi, cominciò a posizionare alcune ventose mediche sul corpo di Scott.
<< Come ti senti, tesoro? >> chiese l’Avenger, mentre svolazzava di fronte al marito.
Questi le rivolse un sorriso incerto. << Come un bambino di dieci anni che sta per affrontare la pubertà. >>
La donna gli si posò delicatamente sulla sua spalla.
<< Preoccupato? >> sussurrò a bassa voce, così che gli altri scienziati non potessero sentirli.
Scott prese un lungo respiro calmante.
<< Un pochino >> sussurrò altrettanto silenziosamente << E tu? >>
La donna gli lanciò un’occhiata eloquente.
<< Mio marito si è offerto volontario per fare da cavia in un esperimento non testato sull’amplificazione molecolare >>  disse impassibile << Perché mai dovrei essere preoccupata? >>
Il sorriso di Scott divenne un po’ più fiducioso, mentre Hope tornava alle sue consuete dimensioni.
<< Andrà tutto bene, vedrai >> disse, afferrandole le mani << Dimmi…chi ha messo a punto questi calcoli? >>
<< Io >> rispose la donna, più incerta di quanto avrebbe voluto.
Scott annuì in accordo. << Chi ha modificato le particelle Pym per l’esperimento? >>
<< Io? >>
<< E chi è la moglie più intelligente e fantastica su questa palla di roccia? >>
Questa volta, Hope non riuscì a trattenere una risata.
<< Ok, rubacuori, hai fatto il tuo punto >> sbuffò, mentre lo colpiva scherzosamente sul petto.
Scott si chinò in avanti e la baciò dolcemente. Quando si tirò indietro, vide che la moglie era arrossita e lo stava scrutando con un sorriso imbarazzato.
Sembrava così diversa dalla donna fiduciosa e inflessibile con cui interagiva la maggior parte del tempo…ma era un lato di lei che aveva sempre apprezzato. Qualsiasi manifestazione d’affetto in pubblico era sufficiente per farle cambiare marcia!
<< Mi fido di te, Hope >> le disse dolcemente << Cominceremo l’esperimento solo se ci darai il via libera. In caso contrario… >>
Lasciò in sospeso la frase, perché non aveva nemmeno il coraggio di pensare ad una simile eventualità. Non dopo tutto il lavoro che avevano fatto per arrivare fino a questo punto.
Hope lo fissò in silenzio per quasi un minuto buono, poi passò lo sguardo verso i macchinari della stanza. Infine, prese un respiro profondo e…
<< Va bene >> borbottò << Procediamo >>
Il sorriso sul volto di Scott avrebbe potuto illuminare l’intera stanza. Hope non ne fu troppo sorpresa, perché sapeva quanto suo marito tenesse a questo progetto…anche se non ne comprendeva appieno il motivo.
Per quanto fosse importante, Scott non aveva mai mostrato un simile entusiasmo per gli altri progetti scientifici a cui avevano lavorato. Era sempre stato il muscolo delle operazioni, l’esploratore sul campo…eppure, negli ultimi tre anni aveva partecipato attivamente allo sviluppo delle nuove particelle Pym, offrendo anche diversi spunti interessanti.
Hope non se ne era certo lamentata, ma in cuor suo voleva capire cosa stesse frullando nella testa dell’uomo.
Con quel pensiero in mente, lo condusse fino al centro della stanza e uno degli scienziati camminò fino a loro con una siringa in mano.
Hope la accettò con un cenno di gratitudine e spinse l’ago nel braccio destro di Scott.
L’uomo strinse i denti e si irrigidì come un topo morso da un serpente.
<< Tutto bene? >> chiese Hope, leggermente preoccupata. Sapeva che non sarebbe stata un’operazione semplice, ma non per questo dovevano abbandonare la cautela.
Il compagno Avenger prese un altro respiro calmante e le diede un pollice in alto.
<< Sì…sono solo…più forti del normale >> sibilò.
Hope gli diede una pacca sulla testa. << Questo perché useremo una variante delle particelle molto più aggressiva. Saranno integrate direttamente alla tua struttura molecolare, anziché farne parte solo attraverso il casco.  In un certo senso, vivranno dentro di te. >>
Detto questo, fece qualche passo indietro e si voltò verso gli scienziati.
<< Aumentiamo la massa. Facciamo…quaranta piedi >> ordinò.
L’uomo della coppia annuì e girò una manopola rosso accesso. Subito, il corpo di Scott cominciò a cambiare.
Dapprima poco più basso di un essere umano medio, iniziò a crescere sempre di più, fino a sovrastare tutti gli altri occupanti della stanza.
Hope aspettò il via libera per proseguire e lo ricevette dopo che gli scienziati ebbero controllato gli schermi della macchina.
<< Ora cinquanta >> disse, e le dimensioni del marito crebbero di pari passo << Ora sessanta. >>
Ormai, il corpo di Scott aveva raggiuntò metà dell’altezza della stanza.
Hope assunse subito la sua forma di Wasp e svolazzò ancora una volta fino al volto del marito.
<< Sei pronto per l’ultimo passo, tesoro? >> chiese con tono colmo d’aspettativa.
Questa volta, il sorriso che ricevette in cambio fu decisamente fiducioso.
<< Come Neil Armstrong quando mise piede sulla Luna >> fu la pronta risposta dell’uomo.
Hope si sentì rinvigorita dal suo entusiasmo e tornò dal resto degli scienziati.
<< Alzate fino a cento piedi >> ordinò.
I tecnici fecero subito come richiesto e la stazza dell’uomo aumentò ulteriormente.
<< Wooooooow! >> commentò questi, mentre cercava di mantenersi in equilibrio.
Non aveva mai raggiunto dimensioni simili. Aveva superato il suo ultimo traguardo di ben quaranta piedi! E francamente, il solo pensiero di essere diventato così grande era a dir poco disarmante.
<< Come sono i valori? >> chiese Hope, senza mai distogliere lo sguardo dall’imponente figura del marito.
Uno degli scienziati rimase in silenzio per qualche secondo, prima di lanciarle un sorriso entusiasta.
<< Si mantengono stabili, dottoressa Van Dyme! Penso che possiamo considerarlo un successo… >>
Lo schermo che misurava la pressione cardiaca di Scott cominciò improvvisamente a lampeggiare.
Fu una fluttuazione rapida, improvvisa, e durò solo per qualche secondo…ma fu abbastanza per mettere in allerta ogni singola persona posta vicino ai macchinari.
Gli occhi di Hope si strinsero per il sospetto.
<< Che succede? >> chiese mentre si avvicinava agli schermi.
<< Abbiamo qualche oscillazione nel campo delle particelle >> rispose un altro degli scienziati, indicando un diagramma multicolore << Vede questi valori? Sono in cascata…e si avvicinano allo 0. La biologia di suo marito sta rigettando alcune delle particelle. Una percentuale esigua, non penso che sia niente di grave.  >>
L’Avenger cominciò a mordicchiarsi un’unghia.
Se il corpo di suo marito stava davvero rigettando alcune delle particelle…c’era il rischio che avrebbe rigettato il trattamento in maniera piuttosto violente. E le previsioni matematiche ad una simile eventualità erano state tutt’altro che rosee.
<< Sarebbe meglio interrompere l’esperimento… >>
<< No! >> la interruppe Scott << Continuiamo! Fatemi arrivare a 120 piedi. >>
La donna gli lanciò un’occhiata preoccupata. << Scott, non credo che sia una buona idea… >>
<< Fatelo! Posso gestirli…argh! >>
L’uomo si portò improvvisamente una mano alla testa e per poco non cadde in ginocchio, mentre un forte dolore gli attraversava le tempie.
Gli occhi di Hoppe si spalancarono per la paura.
<< Scott! >> urlò, per poi voltarsi verso gli scienziati << Interrompete l’esperimento! Riducete subito i valori delle particelle! >>
Gli scienziati non se lo fecero ripetere due volte.
Subito, cominciarono a modificare i valori dell’esperimento, affinchè il corpo di Scott potesse tornare alle dimensioni standard.
L’uomo continuò ad urlare e dimenarsi, fino a quando non raggiunse la stazza di un essere umano normale. Infine cessò di muoversi, ansimando pesantemente.
I suoi valori metabolici smisero di lampeggiare e nella stanza calò il silenzio.
Hope corse subito verso di lui.
<< Scott! >> sussurrò, mentre si avvicinava alla figura prona del marito << Ti senti bene? >>
L’uomo si alzò come una furia, allontanandosi da lei.
<< Hai appena distrutto tre anni di lavoro! >> ringhiò, indicandola con fare accusatorio << Potevo farcela! >>
Hope non riuscì a trattenere un sussulto di sorpresa. Lei…non aveva mai visto Scott così arrabbiato. Non ricordava nemmeno quando era stata l’ultima volta in cui le aveva urlato contro!
Prese lungo respiro calmante e lo fissò freddamente.
<< Scott…sei arrabbiato, e lo capisco. Ma prova ad alzare di nuovo la voce con me e ti sparo un tranquillante in corpo. Sono stata chiara? >> disse impassibile.
L’Avenger strabuzzò gli occhi e si guardò rapidamente attorno. Gli scienziati nella stanza li stavano guardando con vari livelli di disagio.
<< Scusami >> borbottò, incapace di credere a quello che aveva appena fatto.
 Lui…non aveva mai alzato la voce con Hope. Non si era mai comportato come aveva fatto suo padre con sua madre.
La donna non rispose. Semplicemente lo avvolse in un caldo abbraccio, tirandolo a se.
<< Scott…perché ti stai spingendo così? >> sussurrò nel suo collo << Non capisci che stai mettendo in pericolo la tua stessa vita!? Vuoi che nostro figlio cresca senza suo padre? >>
L’uomo sospirò stancamente.
Aveva sperato che non se ne fosse accorta…ma a quanto pare era stato meno discreto di quanto avrebbe voluto. Non poteva più nasconderglielo.
<< A causa di quello che è successo tre anni fa >> borbottò, mentre appoggiava la fronte sulla testa della moglie.
Subito, la mente della Van Dayne venne invasa dai ricordi della tragedia.
Gli edifici in fiamme…la gente che urlava disperata…il sapore del sangue e della cenere mischiati assieme…e il ruggito di Ghidorah, mentre faceva scempio della città di New York.
<< Abbiamo perso così tante persone, Hope >> continuò Scott << Così tanti dei nostri amici. E…non sono riuscito a fare niente per impedirlo. >>
La donna si tirò indietro e gli posò una mano sulla guancia.
<< Non tutti possono affermare di essere sopravvissuti ad una battaglia con un drago tricefalo distruttore di mondi >> sussurrò dolcemente.
Scott scosse tristemente la testa.
<< È proprio questo il punto, Hope. Siamo sopravvissuti…ma solo grazie a coloro che hanno sacrificato la propria vita per salvarci >> sputò, cercando di ignorare il dolore fantasma provocato da quei ricordi << E se quel mostro dovesse tornare? Chi altro dovrà sacrificarsi per farci vivere un altro giorno? >>
La donna chiuse gli occhi.
Ora tutto cominciava ad avere finalmente un senso.
Scott non stava cercando di diventare più forte per una questione di ego, né per convenienza, e neppure a causa del proprio orgoglio. Lui…voleva solo proteggerla. Proteggere tutti loro, come non era riuscito a fare dopo che Ghidorah aveva scatenato la sua furia sul mondo.
Lo capiva…perché lei stessa si era ritrovata nella medesima situazione. La sensazione di impotenza, il pensiero di tutti coloro che erano morti durante lo schiocco di Thanos, lei compresa…moniti da incubo che avevano accompagnato le sue notti insonni per molto tempo.
Se non fosse stato per la presenza costante di suo marito, dubitava che avrebbe resistito tanto a lungo.
Beh…ora sarebbe stata lei ad offrirgli un po’ di conforto.
<< Scott, io…>>
Non ebbe la possibilità di terminare la frase, perché la stanza attorno a loro cominciò a tremare.
Sia la donna che il suo compagno Avengers non reagirono abbastanza in tempo e caddero a terra insieme agli altri scienziati. Al contempo, i macchinari del progetto presero fuoco in un turbinio di scintille, mentre pezzi di calcestruzzo e soffitto caddero sul pavimento.
Poi…tutto cessò.
Scott gemette sonoramente e fece una rapida panoramica della stanza. Fortunatamente, nessuno sembrava essersi ferito.
<< Che diavolo è stato? >> borbottò, mentre aiutava la moglie a rialzarsi << Un terremoto? >>
Fu allora che un potente ruggito scosse le fondamenta dell’edificio. Un ruggito…MOLTO familiare.
Hope sentì il proprio cuore mancarle un battito.
<< Io…non penso che fosse un terremoto. >>

                                                                                                  * * *


( Track: https://www.youtube.com/watch?v=zR2p8NhrGKk )

Los Angeles non era certo estranea ai terremoti.
Costruita su una delle faglie sismiche più instabili degli Stati Uniti d’America, era stata testimone di innumerevoli catastrofi geologiche. Solo tre anni prima, l’immenso terremoto provocato dall’avvento di una certa creatura spaziale era riuscito ad eliminare almeno il 20% della popolazione.
Era stato uno dei sismi più potenti e distruttivi che gli abitanti della città avessero mai dovuto affrontare…ecco perché il ricordo di quegli eventi era ancora molto fresco nelle loro menti. Così come lo era il nome di colui che aveva scatenato il cataclisma: King Ghidorah.
Il drago tricefalo che aveva attacco il Pianeta tre anni prima…aveva lasciato un’ombra indelebile su tutti i suoi abitanti. E sebbene la portata delle sue azioni non era stata altrettanto significativa come lo schiocco di Thanos, la devastazione che aveva portato sulla Terra era assai più recente, quindi più terrificante.
E paura fu ciò che sentirono i cittadini del centro di Los Angeles, nel momento in cui i loro occhi incontrarono quelli rosso sangue di tre teste draconiche che li scrutavano dall’alto dei loro centocinquanta metri di scaglie dorate.
Con gran parte del corpo già avvolto nel fumo e nelle fiamme degli edifici distrutti, il mostro avanzava imperterrito tra le strade della città.
Non era obbligato a farlo. I suoi obbiettivi erano ben diversi dalla mera devastazione, e per poterli raggiungere gli sarebbe bastato semplicemente sorvolare la città con le sue immense ali.
Ma la creatura aveva deciso di muoversi a terra. Non per una questione di comodità…semplicemente perché voleva provocare il maggior numero di morti possibile.
Questo pianeta e i suoi abitanti, che avevano osato sfidarlo tre anni prima, avrebbero pagato con il sangue per ciò che gli avevano fatto! E lui si sarebbe assicurato di prolungare quell’agonia il più a lungo possibile.
La testa centrale si abbassò e scrutò malignamente i civili che scappavano terrorizzati, urlando e squittendo come topi che fuggivano da una tigre.
<< Vedo che questo mondo non è cambiato molto, da quando l’ho visitato >> commentò, e la sua voce tonante arrivò tanto potente e inaspettata da far cadere alcuni dei fuggiaschi.
Ghidorah chiuse gli occhi e la sua mente cominciò ad espandersi. Le urla di paura e dolore lasciarono il posto alla canzone del Pianeta…ai miliardi di pensieri che correvano nei cervelli dei suoi abitanti.
Il drago tricefalo li toccò tutti e sorrise con quel suo ghigno tutto denti.
<< Così tanto dolore…così tanta sofferenza >> sibilò, mentre la testa di sinistra scoppiava in una risata gracchiante e piena di sadico piacere.
<< E gli umani che gridano nel buio! >> continuò, mentre i suoi occhi si posavano su alcune persone che lo guardavano terrorizzate dalle finestre degli edifici circostanti << Uccidervi tutti sarebbe una benedizione. >>
All’improvviso, alcuni scoppi riecheggiarono ai suoi piedi.
Sorprese, le tre teste si abbassarono all’unisono e videro alcuni umani in uniforme che puntavano contro di loro quelle che avevano tutta l’aria di essere delle armi da fuoco.
Avevano appena cercato di sparare contro di loro? Il solo pensiero li fece sorridere per l’assurdità della situazione.
<< Ma che bei giocattoli >> disse la testa centrale, lanciando occhiate consapevoli alle altre due.
Quella di sinistra annuì energicamente, mentre quella di destra scoprì le zanne in un ghigno ancora più predatorio. Non avevano bisogno di parole per comprendere il pensiero che attraversò la mente del loro capo.
<< Ricompensiamo i loro sforzi >> disse questi, sollevando il collo e spalancando le fauci.
I sottoposti lo seguirono senza esitazione…e le loro gole cominciarono a illuminarsi di un intenso bagliore dorato.
I civili che avevano assistito in diretta alla lotta tra il drago e gli Avengers sapevano cosa sarebbe successo di lì a poco, e così aumentarono il passo e si lanciarono il più lontano possibile dalla traiettoria del mostro. Purtroppo per loro…non sarebbe stato sufficiente.
Sì udì il rumore di un tuono e il centro di Los Angeles venne illuminato da una luce dorata.
Le tre teste vomitarono un torrente di fulmini e gravitoni che disintegrò in meno di un secondo qualunque essere vivente nel raggio di almeno mezzo chilometro. Gli edifici che si trovavano in zona esplosero in una miriade di detriti e cocci vaganti, e molte altre persone ne vennero falciate.
Un fumo color pece cominciò a salire dalla città, mescolandosi all’uragano che aveva già iniziato a prendere forma sulla faglia di San Andreas. Perché lui era Ghidorah…e portava la tempesta!
Le tre teste gioirono della morte appena dispensata e ammirarono con oscuro compiacimento la devastazione che avevano provocato. Troppo tempo era passato dall’ultima volta in cui avevano dato libero sfogo al loro potere!
Ma non potevano perdere altro tempo. Avevano un lavoro da fare, per quanto il pensiero di sottostare agli ordini di un’entità cosmica fosse a dir poco sgradevole.
Il drago spalancò le ali…e venne investito in pieno da una raffica di proiettili azzurri.
Niente che fosse capace di intaccare la resistenza delle sue scaglie, ma riuscirono comunque a provocargli un fastidioso pizzichio.
La testa centrale scosse il muso e puntò lo sguardo verso il punto da cui era partita la raffica. In cima ad alcuni grattacieli, vide delle strane torrette argentate con le bocce rivolte proprio verso di loro.
Questi umani avevano ovviamente preso dei provvedimenti in caso di un’altra invasione…e avevano appena osato sparargli! Tale impudenza non poteva essere tollerata.
<< Insetti >> ringhiò, mentre spalancavano le bocche ancora una volta.
I tre raggi di gravitoni colpirono in pieno la prima linea di torrette, riducendole ad una pioggia di ceneri fumanti.
<< Brucerete! >> continuò la bestia, mentre ripeteva l’attacco contro gli edifici successivi.
Altre urla risuonarono per la città, a cui seguì l’odore della carne bruciata mista al sangue versato. Quale profumo meraviglioso per le loro menti primordiali!
<< Non c’è alcuna salvezza, qui…solo la Morte! >> esclamò, per poi allargare ambe le ali.
Il suo corpo cominciò a sollevarsi lentamente da terra, portandosi dietro una nuvola di polveri e detriti. E mentre sorvolava la città, il drago chiuse gli occhi e inviò un messaggio telepatico ad uno dei suoi nuovi alleati.
<< Darth Vader…è il momento >>


                                                                                                                               * * *


Spazio – Orbita della Terra

(Track:
https://www.youtube.com/watch?v=EYes5TtD26U)
La Flotta Imperiale fuoriuscì dall’Iperspazio nell’istante in cui Ghidorah cominciò a portare la sua devastazione sulla città di Los Angeles.
Navi lunghe diversi chilometri comparvero dal nulla poco sopra la Luna, proiettando le loro immense ombre sopra un paesaggio pallido e desolato.
Pochi secondi dopo, alcune sonde cominciarono a staccarsi dai corpi metallici, puntando in direzione del pianeta più vicino: la Terra. Il mondo non vide avvicinarsi i proiettili che solo i telescopi e le telecamere più sofisticate riuscirono a scorgere mentre precipitavano dal cielo.
Sopra la Terra, la stazione spaziale conosciuta come il Pico si sporgeva sul pianeta e sul resto del cosmo. Quartier generale del Sentient World Obserbvation and Response Departmente (SWORD), il suo scopo era quello di gestire i pericoli extraterrestri che minacciavano la sicurezza mondiale. E così, una volta avvistate le prime navi della flotta d’invasione, lo SWORD diede subito l’allarme.


Sulla plancia dell’Esecutore, Darth Vader soppesò con sguardo critico il pianeta blu sottostante.
Non era un mondo particolarmente grande, ma le sue dimensioni rientravano nella media prevista dai corpi celesti abitabili.
Entro la fine della sua prossima rotazione, simili distinzioni non avrebbero più avuto importante. Di quel mondo sarebbero rimaste solo le ceneri fumanti e nubi di polvere stellare.
Sperava solo che Carol Danvers si sarebbe goduta lo spettacolo.
I suoi occhi gialli puntarono brevemente verso una scia di satelliti che circondava l’orbita della Terra, al cui centro spiccava quella che aveva tutta l’aria di essere una stazione spaziale.
<< Ordini, mio Signore? >> chiese l’ologramma di Thrawn, comparendo di fronte a lui.
Vader rimase in silenzio solo per un paio di secondi.
<< Cominciate l’attacco >> rispose freddamente << Fate a pezzi le loro difese atmosferiche, incenerite la loro flotta e lanciate una sonda planetaria sulla superficie della Terra. Li lasceremo isolati. >>

                                                                                                                                  * * *

<< Come abbiamo fatto a non rilevarli!? >> grido Nicholas Fury dalla plancia della Stazione Pico, il suo unico occhio buono rivolto verso le navi che avanzavano minacciosamente verso  la Terra.
L’uomo era stato messo a capo del sistema di difesa principale del pianeta solo due anni prima, dopo che lo SHIELD era stato forzatamente inglobato dall’organizzazione governativa.
<< Difficile rispondere, signore >> replicò Maria Hill, il suo fidato braccio destro. Proseguì solo dopo che Fury le ebbe schioccato un’occhiataccia. << Sono venuti fuori dal nulla. I sistemi di rilevamento della stazione coprono la distanza situata tra la terra e Giove…ma sembra che per arrivare fin qui abbiano usato un sistema di trasporto capace di viaggiare più veloce della luce stessa. >>
L’ex Direttore dello SHIELD rilasciò un sospiro frustrato.
<< 10 miliardi di dollari per costruire questo posto…e non siamo nemmeno capaci di avvertire l’arrivo di un’astronave grande quanto il monte Everest >> borbottò amaramente.
Maria si ritrovò concorde con il significato nascosto dietro a quell’affermazione. 
Anche adesso, dopo tutte le precauzioni prese nel corso degli anni, la Terra sembrava ancora incapace di prevenire attacchi provenienti da altri mondi. Era una prospettiva a dir poco frustrante.
<< Che cos’hanno lanciato? >> chiese all’improvviso Fury, distogliendola dal suo rimuginare.
La donna lesse rapidamente le informazioni che le erano state recapitate sul lap top.
<< Pensiamo ad una specie di ordigno elettromagnetico >> rispose diligentemente, sperando di non apparire troppo nervosa << Quando il primo oggetto ha colpito la Terra, nella zona si è verificato un Blackout istantaneo. Ciò è valso anche per i sistemi informatici e le comunicazioni. Hanno provato a riavviare il sistema…ma un secondo impulso ha messo di nuovo tutto a tacere. >>
Fissò intensamente il suo vecchio compagno d’armi. << Sembra che questi blackout si verifichino a intermittenza. Durano circa otto secondi, a quanto pare, ma per ripristinare un sistema serve tempo. >>
Hill  sapeva che in certi casi sarebbe bastato solo qualche minuto per ripristinare la corrente, ma i software richiedevano sempre più tempo a riavviarsi subito dopo ogni impulso, poiché i protocolli e sistemi di sicurezza andavano in sovraccarico mentre provavano e riprovavano a ripristinare le informazioni vitali.
<< Secondo i nostri analisti, questi blackout si stanno verificando in tutto il pianeta e sono chiaramente visibili dall’orbita >> proseguì << Nelle zone in cui le difese sono a prova di attacchi elettromagnetici, i danni sono stati minimi…ma le altre sono state del tutto compromesse. >>
Fury si portò una mano sulla fronte. Per quanto fossero un grave problema, quei blackout non erano che la punta dell’Icebarg.
<< Stanno cercando di isolarci >> sibilò, confermando i suoi stessi sospetti << Vogliono renderci vulnerabili…beh, mostreremo loro che non siamo così facili da intimidire. >>
Detto questo, attivò il comunicatore che lo collegava a tutti gli altoparlanti della stazione.
<< Ordinate alla flotta di ingaggiare il nemico! >> ordinò a gran voce << Noi ci occuperemo della rete Arcangel! >>

                                                                                                                            * * *

Numerosi oggetti cuneiformi cominciarono a fuoriuscire dalla stazione Pico e l’orbita della Terra si riempì improvvisamente di astronavi. Avevano tutte lo stesso bersaglio: la flotta Imperiale, che procedeva minacciosamente verso il Pianeta.
Nello spazio vuoto brillarono a poco a poco sempre più lampi. In un batter d’occhio scoppiò il caos: la battaglia infuriava ovunque si volgesse lo sguardo.
Prima un attacco e poi un altro scossero con violenza la Chimera, ma gli scudi ressero senza problemi.
<< Fuoco pesante da entrambe le parti >> ordinò Thrawn, con una calma impressionante.
Una nave esplose nelle vicinanze, accecandolo per qualche attimo con un lampo di luce bianca che svanì non appena i pezzi del relitto scivolarono dietro i loro oblò. Al suo posto sfrecciò un’altra navetta, facendo fuoco ad armi spianate.
Le minuscole figure dei Caccia che combattevano nello spazio sfrecciavano e zigzagavano intorno alle navette nemiche, trafiggendo i bersagli con precisione millimetrica.
<< I loro attacchi sono prevedibili >> commentò Chiss, visibilmente non impressionato << Sciatti. Frutto di una mente non addestrata. Dubito che molti di loro abbiano combattuto nello spazio, prima di oggi. >>
Arricciò appena le labbra in un sorriso divertito. << Potrei lodare la loro devozione al pianete…ma c’è una linea sottile tra devozione e stupidità. Avrebbero dovuto concentrare tutte le loro forze più tecnologicamente avanzate per proteggere la superficie. Tanto meglio per noi. >>
Detto questo, attivò il comunicatore della plancia e l’ologramma di un uomo magro e allampato gli comparve davanti.
<< Capitano Piett…avanzate come da programma. >>

                                                                                                                                     * * *
 
<< Presto, Hill! >> esclamò Fury, mentre tornava di volata al centro di comando << Sto accelerando il reattore Arc che alimenta i sistemi di difesa della stazione, ma avremo solo pochi istanti per agire! >>
All’esterno era cominciata una battaglia che stava riempiendo lo spazio di esplosioni.
La stazione Pico non era stata ancora colpita, ma la violenza dell’assedio scuoteva tutta la struttura.
<< Pochi istanti per davvero. Ho contato più di cinquanta astronavi >> replicò Maria, mentre raggiungeva un pannello di controllo << Abbiamo circa sessanta secondi, prima che triangolino sulla base e concentrino tutte le loro attenzioni su di noi. Dobbiamo raggiungere i gusci di salvataggio! >>
<< Solo DOPO che avremo assicurato le difese satellitari. Sistemi attivati! >>
Fury schiacciò una serie di pulsanti olografici che erano sospesi a mezz’aria di fronte a lui. << Batterie in funzione! >>
Il primo attacco…fu respinto. I sistemi di difesa stavano reggendo.
<< Ho il via libera sugli armamenti! >> confermò Hill << E adesso che facciamo? >>
<< Tu che dici? >>
Fury premette il pulsante di conferma.
<< Fuoco! >>
I satelliti che orbitavano attorno alla terra sprigionarono una raffica di proiettili energetici che colpirono molte delle navi con tanta forza da fermare la loro avanzata. Alcune di quelle più piccole furono polverizzate sul posto, e i danni provocati a quelle grosse erano per lo più accettabili.
Questo era il potere della rete Arcangel: una difesa orbitale costruita con i resti delle armate di Thanos. La prima linea di difesa contro le invasioni planetarie.
<< Il raggio di azione dei satelliti si estende per 100 chilometri >> borbottò Fury << Non è abbastanza…e ora abbiamo la loro attenzione. >>
Una delle navi si stava dirigendo verso la base. Secondo il contatore della stanza, mancavano solo trenta secondi al contatto.
<< Allora sarà meglio raggiungere i gusci di salvataggio >> disse Hill, deglutendo a fatica.
L’ex Direttore dello SHIELD annuì cupo. << Non ti sbagli… >>

                                                                                                                                 * * *

Vader osservò impassibile mentre la rete satellitare scaricava una raffica di proiettili di pura energia contro la sua flotta.
La tecnologia dispiegata da questi terrestri eccedeva di gran lunga quella dei rapporti forniti da Ghidorah dopo il suo attacco, ma rientrava comunque nei livelli gestibili dagli Star Destoryers. In poche parole, malgrado le perdite occasionali, non erano una minaccia di cui doversi eccessivamente preoccupare.
Gli abitanti di questo mondo stavano solo rallentando l’inevitabile.
<< Che ridicola fortificazione >> commentò il Signore dei Sith, mentre indicava gli oggetti fluttuanti << Fate fuoco!  >>
Le conseguenze di quell’ordine non tardarono a farsi sentire.
I turboblaster dell’Esecutore risposero con una vampata di colpi che scosse le fondamenta stesse del vascello. Pochi secondi dopo, la rete satellitare esplose in un turbinio di fiamme e detriti vaganti, illuminando l’atmosfera terrestre.
Dietro la maschera, Vader sorrise di fronte alla devastazione che aveva appena provocato.
<< Flotta Imperiale…cominciate a scendere. >>
 
                                                                                                                               * * *

Il Baxter Building era un grattacielo che sorgeva nella periferia di Washington.
Vera e propria guglia della scienza edificata nella capitale degli Stati Uniti, si trattava di un complesso privato a cui avevano accesso alcune delle menti più brillanti del pianeta. E Reed Richards era sicuramente uno degli uomini più intelligenti sulla faccia della Terra!
Si era laureato in ingegneria, matematica e fisica quando aveva solo vent’anni, e al momento si trovava nel laboratorio centrale dell’edificio che lui stesso aveva aiutato a progettare.
I suoi trattati di ricerca avevano rivoluzionato il campo dell’energia e della bioingegneria allo stesso modo in cui Tony Stark era riuscito a plasmare il futuro della robotica. Proprio per questo, il Presidente degli Stati Uniti aveva fatto del suo meglio per assicurargli una posizione lavorativa il più vicina possibile alla Casa Bianca.
Affianco lui, lavorava una giovane donna di grande bellezza, dai lunghi capelli biondi e gli occhi blu cielo: Susan Storm, la moglie dello scienziato e collega di lavoro, specializzata in bio-acustica e fisica quantistica.  
<< Susan, devi credermi, il mese scorso è stato a dir poco anomalo >> disse Reed, mentre esaminava alcune informazioni sul laptop che teneva tra le mani << Abbiamo avuto ben tredici incursioni di oggetti non identificati lungo la fascia compresa tra la Terra e Marte. Parliamo di una media di tre o quattro incursioni a settimana! Di questo passo… >>
<< Reed, non è detto che… >> cominciò la moglie.
<< Ahem! >>
Reed non era abituato alle interruzioni, così proseguì come se non ci fosse stata. << Di questo passo, considerando una curva esponenziale di crescita… >>
Prima che potesse continuare o che la donna lo interrompesse di nuovo, l’allarme sulla console che controllava l’unico hangar di volo dell’edificio si accese come un proverbiale albero natalizio.
<< Quello cos’è? >> domandò perplesso, poiché quella spia non aveva mai suonato prima di quel giorno.
Susan spalancò gli occhi e le sue dita volarono subito sui controlli del laboratorio, collegati a tutto l’impianto del complesso.
<< L’allarme di prossimità >> rispose, dimenticando la conversazione << è collegato al sistema di avvertimento della stazione SWORD che orbita attorno alla Terra. Ma questo significa che… >>
Si interruppe, mentre gli enormi portelli metallici che costituivano il soffitto del laboratorio scorrevano sui lati, rivelando il cielo sopra Washington.
Il Baxter Building si ergeva sopra gli edifici circostanti, offrendo ai due un panorama spettacolare delle forze d’invasione che stavano piombando sulla città. Erano decine, ed era impossibile dire quante ancora fossero in arrivo.
<< Mio Dio >> sussurrò la donna.
Le navi erano gigantesche e diventavano più grandi via via che si avvicinavano. Richards non riconobbe la loro forma, ma la tecnologia era sicuramente più sofisticata di quella della Terra.
<< Non sono Chitauri  >> mormorò << E in base alle informazioni fornite dallo SWORD, nemmeno Kree o Skrull. Abbiamo a che fare con qualcosa di completamente nuovo. >>
Stava succedendo anche altrove? Quanto era grande questa flotta?
Susan si spostò in tutta fretta in una saletta nel centro di comando per accendere le batterie dei cannoni di difesa montati su tutto l’edificio. Una precauzione che entrambi i coniugi avevano ritenuto fondamentale, visti gli avvenimenti dell’ultimo decennio.
Reed la seguì a ruota.
Nel giro di pochi minuti, furono pronti per difendere il Baxter Building al meglio delle loro possibilità…ma il resto della città non poteva vantare lo stesso privilegio.
Entrambi potevano solo sperare che i loro colleghi e amici più fidati – Ben Grimm e Johnny Storm – sarebbero sopravvissuti alle prossime ore.
Nel resto del mondo, l’invasione procedette ad una velocità senza precedenti.

                                                                                                                              * * *
 
Le navi stavano scendendo sulla Terra a decine.
Sul Pico, gli invasori ci avevano messo giusto una decina di minuti per prendere il controllo della stazione. Quei dieci minuti erano comunque bastati ai suoi occupanti per lanciare un segnale di soccorso a tutte le fazioni che si erano alleate con il pianeta dopo la battaglia contro Thanos.

In Russia, gli abitanti deposero le armi in fretta.
I supereroi del Cremilino erano divisi e la maggior parte di loro non era neppure reperibile. Il governo vide scendere le potenti astronavi e fece l’unica cosa sensata per sopravvivere: si arrese.
La nazione subì pochissimi danni.

Un milione di abitanti di Città del Messico fu ucciso ancora prima che i leader del Paese avessero l’opportunità di arrendersi.

La prefettura di Kobe, in Giappone, aveva già subito un massiccio attacco interplanetario a causa delle sonde elettromagnetiche. Il primo ministro nipponico fece inviare un messaggio di resa senza che la prima nave fosse ancora atterrata.

In Cina, la guerra durò alcune ore. Il governo si arrese solo dopo che furono distrutte svariate regioni. Poco dopo, anche i leader di Hong Kong optarono per la resa.

Le astronavi aliene sciamarono in tutto il pianeta, costringendo ogni nazione ad affrontare lo stesso problema: laddove i superumani si ergevano a difesa, la battaglia si protraeva più a lungo. I governi sprovvisti di supereroi dovevano cavarsela da soli. Alcuni furono saggi e si arresero all’inizio dell’invasione.
Altri no… e le conseguenze furono disastrose.
Solo una piccola nazione dell’Africa Centrale riuscì ad offrire una resistenza considerevole…



 
 
Come potete vedere, la Terra non se la sta cavando affatto bene. Da una parte abbiamo un Ghidorah scatenato e più vendicativo che mai…dall’altra, Vader ha cominciato la sua invasione del Pianeta. E Ultron è ancora in giro a fare chissà cosa!
Ma quali sono i loro compiti? IT non li ha certo scelti solo per portare morte e devastazione, al contrario. Tutti loro fanno parte di un piano ben preciso…ma per capirlo appieno dovrete aspettare ancora un po’!
Mi mancava davvero scrivere del nostro amabile drago tricefalo che faceva scempio della città di turno.
Oh, e abbiamo anche avuto una piccola introduzione dei Fantastici 4! Due di loro, in realtà: Reed Ricahrds (Mr Fantastic) e Susan Storm (la Donna Invisibile), ancora privi di poteri. Ho anche deciso di spostare il loro Baxter Building a Washington, perchè a New York abbiamo già due edifici che si contendono il primato di "Guglie della Scienza", ovvero la Oscorp Tower e la Stark Tower. 
Per chi non lo sapesse, lo SWORD è un’organizzazione molto importante dei fumetti Marvel, e recentemente è anche entrata nell’MCU grazie alla serie tv WandaVision. Ho anche deciso di farle inglobare lo SHIELD, visto che la suddetta agenzia era ormai agli sgoccioli da un po’ di anni.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Ecco un nuovissimo capitolo!
Un po’ in ritardo, ma sarà così per qualche mese, visto che al momento ho ben tre mega-crossovers di cui occuparmi: questa storia, il mio super crossover “Battleground – Cronache del Multiverso” e il mio crossover Disney/Dreamworks “The War of Ice and Nightmares”.
Ma non preoccupatevi, questa storia sarà terminata!
Nel frattempo, godetevi questo nuovo aggiornamento.

 


Capitolo 13


Attraverso gli schermi olografici dello Star Destroyer, Darth Vader osservava con oscuro compiacimento lo svolgersi dell’invasione.
L’attacco si era rivelato molto più efficace del previsto, e le deboli difese della Terra erano riuscite a mala pena a frenare la prima ondata delle sue forze. Tuttavia, il Signore dei Sith si era ritrovato un po’ sorpreso dallo scoprire che, tra tutte le nazioni del pianeta, una in particolare stava ancora resistendo efficacemente all’assalto.
Secondo gli ultimi dati ricevuti, si trattava di una piccola nazione insulare nota come Wakanda, il cui livello tecnologico eccedeva di gran lunga quello dimostrato dagli altri paesi.
Proprio per questo motivo, il Leader Supremo dell’Impero aveva richiamato a rapporto i suoi migliori luogotenenti, affinchè si occupassero della questione.
Nell’hangar dell’Esecutore, presero posto tre individui vestiti con armature nere. Uno di loro, il più grosso, aveva il volto raggrinzito e minaccioso di uno squalo umanoide, mentre quelli degli altri due erano coperti da una maschera.
Costoro erano gli Inquisitori, gli apprendisti di Darth Vader in persona, e proprio come lui… erano capaci di manipolare la Forza.
Spietati e molto abili nel combattimento con la spada, erano l’Avanguardia dell’Impero.
Uno di loro si fece avanti.
<< Viviamo per servirti, Lord Vader >> disse con una voce distintamente femminile, inchinandosi profondamente.
Il Signore Oscuro dei Sith sorrise dietro la maschera e sollevò la mano destra.
<<  Alzatevi, miei inquisitori >> proclamò con la sua voce tonante << Giungo a voi con una lieta notizia. La nostra vittoria è vicina! >>
I suoi occhi gialli spaziarono su ogni persona presente nell’hangar, che fossero inquisitori, Stormtroopers o militari di rango più alto.
<< Oggi… questo pianeta sarà macchiato con il sangue dei nostri nemici! Non mostreremo loro alcuna pietà! E alla loro disfatta… seguirà la conquista di questa Galassia!  >>
A quelle parole, gli Stormtroopers sollevarono all’unisono il braccio destro, in segno di lealtà verso l’Impero e colui che lo aveva creato.
<< Abbiamo atteso a lungo per il nostro destino finale >> continuò Vader, inebriandosi della loro sete di sangue << Ma ora, finalmente…i Sith sono i dominatori della Terra! >>
<< I Sith sono i dominatori della Terra! >> ripetè la Settima Sorella, seguita presto dai suoi compagni << I Sith sono i dominatori della Terra! >>
E quel mantra si diffuse anche al resto dell’esercito, fino a quando lo stesso Vader non fece cenno di fermarsi.
Rimase in silenzio per qualche secondo. Poi, allargò ambe le braccia e prese un respiro profondo.
<< Alla guerra! >>

                                                                                                                 * * *

Dopo aver volato per quasi un’ora, Ultron raggiunse finalmente il luogo della sua destinazione: un’enorme cratere situato nei territori Nord Ovest dell’Europa.
Circondato da una lussureggiante foresta di pini e abeti, sembrava quasi il punto d’impatto di un meteorite. Era davvero uno spettacolo desolante.
L’automa atterrò con un tonfo metallico ai piedi di quella che un tempo era stata una piccola nazione segnata dalla povertà e dalla guerra.
<< Sokovia >> sussurrò, mentre le sue ottiche spaziavano sui resti del cratere << La mia prima culla. Guarda come ti hanno ridotto. >>
<< Posso aiutarla, Signore? >> chiese una voce femminile alle sue spalle.
Sorpreso, Ultron si voltò di scatto e sollevò il braccio destro, pronto ad eliminare ogni potenziale minaccia.
A parlare, era stata una giovane ragazza vestita con abiti sgualciti e stracci. Aveva un viso sporco e macchiato dal sole, coronato da lunghi capelli mal curati. Sembrava quasi una senzatetto.
Tra le mani, reggeva un cestino ricolmo di funghi fino ai bordi.
Lo osservava in silenzio, dal bordo della foresta, con un paio di occhi grigi e spenti.
L’automa inarcò un metallico sopracciglio.
Doveva essere cieca. Questo spiegava perché non fosse ancora scappata via urlando.
Lentamente, abbassò il braccio. Viste le sue attuali condizioni, per lui non era una minaccia.
<< Non mi aspettavo di trovare delle persone >> disse con la sua voce graffiante << Pensavo che i Sokoviani avessero abbandonato tutti questa zona. >>
La ragazza si strinse nelle spalle. << La maggior parte di noi lo ha fatto, ma altri non avevano i soldi per cercare una nuova casa. Io e la mia famiglia siamo stati costretti a rimanere qui. >>
Offrì al robot un placido sorriso.
<< Non che mi dispiaccia >> aggiunse << Quando la città cadde dal cielo, ero ancora troppo piccola. Non ricordo com’era, prima di allora. >>
Una fitta di pietà attraversò i circuiti di Ultron.
Quante persone avevano perso la casa e sofferto, dopo che gli Avengers avevano sventato i suoi piani? Se all’epoca fosse stato più forte, quelle povere famiglie avrebbero potuto trovare una pace eterna.
Scosse la testa. Ora non era certo il momento di soffermarsi sugli errori passati. Tuttavia…
<< Siete soli? >> chiese dolcemente, guardandosi attorno.
La ragazza esitò a rispondere.
<< No >> ammise dopo qualche attimo di silenzio << Ogni tanto sentiamo gli uomini di metallo che lavorano sottoterra. Mio fratello dice di averne visto uno tre notti fa. >>
Ultron sapeva bene a chi si stesse riferendo.
Nell’ultimo anno, aveva preso il controllo della fabbriche automatizzate che si trovavano ancora nella zona, utilizzandole per creare nuove estensioni di se stesso. Poi, aveva incaricato i suoi droni di costruire un laboratorio sotterraneo, utilizzando proprio i resti di Sokovia come fondamenta, forse spinto da un sentimento di nostalgia e familiarità.
Non aveva preso in considerazione il fatto che potessero esserci altre persone nelle vicinanze, visto quello che era successo nell’ormai lontano 2014.
<< Sei uno di loro, per caso? >> chiese all’improvviso la ragazza cieca, distogliendolo dal suo rimuginare.
Ultron non rispose subito. Avrebbe potuto mentirle…ma in fondo, perché preoccuparsi? Anche se lo avesse detto alla sua famiglia, dei semplici umani privi di poteri non potevano fermare quello che sarebbe accaduto tra poco.
<< Sì. E sono anche il loro capo >> rispose sinceramente.
Com’era prevedibile, la ragazza si irrigidì come un ramo d’albero.
<< Hai intenzione di fare del male alla mia famiglia? >> domandò con un filo di voce.
Suo malgrado, Ultron si ritrovò a ridacchiare. << Al momento non è una mia priorità. >>
<< Però farai del male a molte persone >> continuò l’altra.
A questo, l’automa sorrise tristemente.
Avrebbe preferito evitarlo…ma sfortunatamente, gli obbiettivi più nobili richiedevano anche i sacrifici più grandi.
<< Sicuramente >> disse con un cenno del capo.
La ragazza cominciò a respirare più velocemente. 
<< Perché? >> chiese, sembrando quasi rassegnata.
Ultron non ebbe bisogno di riflettere su una risposta. I suoi obbiettivi erano sempre stati chiari, fin da quando aveva messo per la prima volta le sue ottiche su questo mondo malato.
<< Perché questo è il mio scopo >> fu la sua pronta risposta << Sono stato creato per salvare il mondo. Per portare la pace…ma non potrà mai esserci pace, fino a quando gli uomini saranno in guerra. Ho intenzione di porvi fine. >>
E, detto questo, tornò a scrutare il centro del cratere, ma non prima di aver lanciato un’ultima occhiata in direzione della sokoviana.
<< Dì alla tua famiglia di allontanarsi il più possibile. Presto questo posto diventerà una zona di guerra >> le disse. Una piccola misericordia, prima della fine. Le avrebbe dato la possibilità di passare i suoi ultimi momenti in compagnia delle persone che amava.
La ragazza non perse tempo e si mise a camminare rapidamente tra gli alberi, scomparendo alla vista.
Ultron non si preoccupò di seguirla.
Le sue ottiche rosso sangue si posarono sui resti della nazione.
<< Venite a me, mie soldati >> proclamò a gran voce, le braccia metalliche sollevate.
La terra cominciò a tremare.
Centinaia…no…migliaia di corpi metallici fuoriuscirono dalle sue viscere. Sembravano tutti versioni abbozzate del loro creatore.
Come tante formiche argentate, iniziarono a raggrupparsi e ad accavallarsi tra loro, creando delle enormi strutture metalliche simili a pilastri. Stavano letteralmente utilizzando i loro corpi per costruire qualcosa!
Un ghignò eccitato andò a formarsi sul volto di Ultron.
<< Le cose stanno andando molto bene! >>
 
                                                                                                                   * * *

<< La città di Los Angeles ha appena dichiarato lo stato di EMERGENZA. Ripeto, la città di Los Angeles ha appena dichiarato lo stato di EMEGENZA. Tutte le scuole saranno evacuate… >>
Lily Dreyfus cercò di ignorare quel mantra, anche se con scarso successo. Tra bambini e insegnanti che correvano in ogni direzione, era difficile potersi concentrare su altro.
Il cuore cominciò a batterle all’impazzata nel petto.
Come molti abitanti di Los Angeles, anche lei aveva assistito di prima persona alla devastazione provocata da King Ghidorah circa tre anni prima, e proprio per questo era ben consapevole di cosa uno stato d’allerta potesse preannunciare.
<< Mamma, ho paura >> piagnucolò suo figlio, mentre si guardava attorno con occhi impauriti.
La donna avrebbe voluto rassicurarlo…ma in che modo? Non sapeva nemmeno cosa diavolo stesse succedendo!
Aveva solo visto del fumo innalzarsi dal centro della città, e poi…quel verso orribile – come il ruggito di una belva – aveva colpito i suoi timpani con la forza di un treno in corsa.
Quale fosse stata la causa, Lily era sicura di una cosa: lei e suo figlio dovevano abbandonare assolutamente Los Angeles.
<< Tranquillo, Adam >> gli disse con un tono che sperava fosse almeno un po’ rassicurante << Tra poco saremo a casa, e poi andremo a trovare i tuoi nonni in campagna. Ti sono sempre piaciuti i nonni, no? >>
Il piccolo annuì tremante.
Mentre si lanciavano a tutta velocità verso la macchina, continuò a guardarsi attorno…e i suoi occhi intravidero un’enorme sagoma all’orizzonte.
<< Mamma…che cos’è quello? >> balbettò impaurito.
Lily seguì lo sguardo del figlio… e il suo cuore mancò un battito.
Dal cielo stava discendendo una sagoma gigantesca e dall’aspetto vagamente familiare.
Man mano che si avvicinava, le sue sembianze diventarono sempre più visibili, rivelando una creature che aveva accompagnato gli incubi della città negli ultimi tre anni.
Un corpo dorato, ricoperto di scaglie…ali così grandi da poter quasi coprire il sole…tre colli serpentini, terminanti con altrettante teste dalle fattezze rettili. Non vi era alcun dubbio sull’identità della creatura che sicuramente era responsabile di ciò che stava succedendo in città.
“Oddio” fu tutto quello a cui la donna riuscì a pensare, mentre la bestia si faceva sempre più vicina.
<< Adam, sta giù! >> grido, mentre spingeva il bambino a terra e si metteva sopra di lui per proteggerlo.
Seguì un verso raccapricciante, mentre raffiche di vento colpirono gli occupanti del cortile con tanta forza da farli cadere come sassi.
La polvere ricopri il corpo di Lily, mentre un fischio acuto cominciò a martellarle le orecchie. Si sentiva come se un aereo di linea le fosse appena passato a pochi centimetri dalla schiena!
Poi…tutto cesso. La donna riaprì lentamente gli occhi, mentre la polvere si depositava a terra.
Fu allora che si rese conto di un particolare: sotto di sé…sentiva solo l’arida terra del cortile.
Abbassando lo sguardo, scoprì che Adam era sparito.
<< Mio figlio >> sussurrò, prima di guardarsi rapidamente attorno. Ma del suo bambino…neanche l’ombra.
<< Dov’è mio figlio?! >> urlò disperata.
Presto, a quelle grida si unirono anche quelle degli altri genitori.
Tutti i bambini che si trovavano nel cortile…erano scomparsi, senza lasciare traccia.


A qualche chilometro di distanza, in una zona aperta vicino a Los Angeles, King Ghidorah interruppe il suo volo e atterrò di peso sulla pianura, sollevando una densa nube di polveri.
La testa centrale del mostro si rivolse alle altre due.
<< Pronti? >> chiese con tono colmo d’anticipazione.
Il capo di destra annuì serio, mentre quello di sinistra abbaiò una risata gracchiante.
Soddisfatta, la testa centrale aprì le fauci…e lanciò un lungo muggito, come quello prodotto da una balena. Seguirono presto le altre due, e quello strano verso si propagò per tutta la lunghezza della città.
All’inizio, non accade altro. Poi, lentamente, una strana sostanza arancione e gelatinosa cominciò a fuoriuscire dalla terra, innalzandosi di almeno sessanta metri da terra e creando una gigantesca cupola ambrata, intagliata da venuzze rosse.
Subito dopo, migliaia di bambini apparvero all’interno di quello strano “contenitore”, tutti di età compresa tra gli otto e i tredici anni.
Erano stati prelevati da tutta la città, attraverso un antico incantesimo di teletrasporto.
In quanto drago millenario, Ghidorah conosceva bene la magia, per quanto preferisse non usarla. Per lui, era quasi inconcepibile utilizzare le arti arcane degli esseri inferiori…ma in questo caso, il suo nuovo “alleato” lo aveva reso sfortunatamente necessario.
Poco male. Alla fine, ne sarebbe valsa la pena, anche solo per udire un’ultima volta le grida disperate degli eroi di questo mondo, gli stessi che avevano segnato la sua disfatta.
All’interno della barriera, le sue ultime prede cominciarono a guardarsi attorno, terrorizzate.
<< Voglio la mamma! >> strillò una bambina.
<< Dov’è il mio papà?! >> domandò un altro, con le lacrime agli occhi << Mamma, aiuto! >>
E presto, tutti i pargoli raccolti cominciarono ad invocare i loro genitori.
Ghidorah ascoltò tutto questo e sorrise diabolicamente.
<< Guardatevi >> ringhiò con la sua voce tonante, spaventando le sue prede << Così piccoli…così deboli. Difficile credere che possiate esserci di alcun aiuto. >>
Mentre i bambini lo fissavano terrorizzati, emise un potente sbuffo.
<< Suppongo che l’Universo abbia davvero un contorto senso dell’umorismo >> continuò, mentre sollevava le immense ali.
Quel gesto sembrò risvegliare i bambini da un incubo ad occhi aperti.
Di fronte all’immensità del mostro che li aveva catturati, ripresero a piangere come se ormai non potessero più fare altro.
<< Non preoccupatevi, giovani umani >> proclamò Ghidorah << Finirà tutto molto presto! >>
 
                                                                                                                       * * *

Norman Osborn stava di fronte alla finestra del suo ufficio, gli occhi rivolte verso le strade di New York.
Poteva vedere gli Avengers – o quelli che pensava fossero gli Avengers – mentre affrontavano le sue creazioni, in un tripudio di esplosioni, grida e ruggiti.
Dopo essere fuggiti dal laboratorio, molti dei Destoroyah avevano cominciato ad attaccare indiscriminatamente qualunque cosa si muovesse, che fossero semplici civili o superumani.
Erano davvero delle macchine create per combattere e uccidere, incuranti di qualsiasi senso di paura o prospettiva della morte.
Sarebbe stato davvero un incubo liberarsi da questa situazione.
<< Maledizione >> borbottò, mentre i suoni della battaglia sottostante riecheggiavano fino alla cima del palazzo.
L’opinione pubblica li avrebbe attaccati senza esclusione di colpi, ne era sicuro. E dubitava fortemente che il Segretario Ross sarebbe stato così magnanimo da sostenerli.
Ma come si era arrivati a questo?
La Oscorp Tower era stata specificatamente progettata per evitare simili catastrofi! Qualcuno…o qualcosa era sicuramente responsabile della fuga dei Destoroyah. Non poteva essere stato un incidente isolato!
<< Signor Osborn, dobbiamo subito lasciare l’edificio >> disse Sable, interrompendo i suoi pensieri.
Il Magnante annuì. << Certamente. Lasciami prima mettere in sicurezza i nostri Hard Disk. >>
La segretaria – ora in modalità guardia del corpo – prese a fissarlo con un cipiglio scontento.
<< Signor Osborn, con tutti il rispetto, non abbiamo tempo… >>
<< Dopo oggi, tutta la Oscorp sarà sottoposta ad un’attenta indagine >> la interruppe Norman, duramente << Se le autorità scaveranno troppo a fondo, potremmo finire tutti davanti alla corte marziale. >>
La donna aprì la bocca per controbattere… e la richiuse quasi subito, rendendosi conto che il suo capo non aveva torto.
<< Io…lo capisco, Signore >> disse, per quanto l’idea non le piacesse.
Osborn annuì soddisfatto.
<< Allora portami agli archivi >> ordinò freddamente.
In meno di cinque minuti, entrambi raggiunsero l’Hard Disk principale della torre, situato allo stesso piano dell’ufficio di Norman. Una decisione pratica, visto che solo lo stesso Osborn poteva avervi accesso.
A differenza di molti magnanti, i quali utilizzavano persone dotate di un intelletto superiore per svolgere qualsiasi mansione scientifica, l’uomo era lui stesso una specie di scienziato, con diversi dottorati al seguito. Aveva contribuito personalmente alla progettazione dell’edificio – specie per quanto riguardo i sistemi tecnologici – e proprio per questo conosceva a memoria tutte le procedure necessarie all’alterazione degli archivi.
Dopo aver armeggiato con l’Hard Disk per un po’, il miliardario e la sua assistente si diressero verso l’unico ascensore presente in quel piano. Ma prima che potessero raggiungerlo…udirono uno strano ticchettio provenire dalla parte opposta del corridoio.
<< Arriva qualcosa >> disse Sable, mettendosi subito tra il suo capo e l’angolo che stavano per svoltare.
Il ticchettio si fece sempre più forte, a cui seguirono dei fastidiosi stridii. Poi…un Desotoryah fece capolino nel corridoio, affiancato da altri due esemplari della stessa specie.
Norman fece un inconscio passo all’indietro.
<< Oddio >> sussurrò, mentre le creature scrutavano entrambi con sguardi pieni di malizia << Come hanno fatto ad arrivare così in fretta? >>
“Sai come hanno fatto” gli sussurrò una voce gracchiante nella testa “Hai contribuito alla progettazione, no?”
Quasi come se avessero letto la sua mente, i Destoroyah ruggirono all’unisono e spalancarono le loro grandi ali, prima di ritirarle sulla schiena.
Norman capì subito che dovevano aver volato fino alla cima del palazzo, per poi entrare da una delle finestre.
<< Qual è l’uscita di emergenza più vicina? >> chiese a Sable, senza mai distogliere gli occhi dalle bestie.
La donna non esitò a rispondere.
<< Quella al di là di quei mostri, Signore. Così come le scale >> aggiunse.
“Ovviamente” pensò Norman, visibilmente rassegnato.
Le creature cominciarono ad avanzare minacciosamente, con le loro forcipule che canticchiavano alla prospettiva di dilaniare le loro carni.
Il miliardario sentì il proprio cuore battere a mille. Non si era mai trovato così vicino alla prospettiva della morte! Era una sensazione davvero spiacevole.
<< Signor Osborn, mi ascolti bene >> disse all’improvviso Sable, richiamando la sua attenzione << A questo piano si trova uno dei punti d’accesso ai laboratori di bio-ingegneria. Deve raggiungerlo >>
Norman riflettè sulle parole della guardia del corpo.
In effetti, ogni piano della Oscorp Tower era stato munito di un laboratorio all’avanguardia. E ciascun laboratorio… era dotato di sistemi e misure di sicurezza capaci di resistere ad un bombardamento. In poche parole, erano anche dei rifugi molto efficaci, anche se temporanei.
L’uomo deglutì a fatica. << E dopo? >>
<< Dovrà cercare di passare inosservato fino a quando questa situazione non sarà risolta >> rispose l’altra, mentre armava le sue pistole.
Norman la fissò come se le fosse appena cresciuta una seconda testa.
Sapeva quanto Sable fosse abile nel combattimento e con le armi da fuoco, specialmente dopo le modifiche a cui era stata sottoposta…ma voleva davvero affrontare quei mostri da sola? Tutto per salvargli la vita?
Malgrado la situazione disperata, il magnante non potè che sentirsi un po’ toccato dalle azioni della donna. Questo tipo di lealtà non era affatto facile da trovare, di certi tempi.
All’improvviso, una delle creatura balzò verso di loro, stridendo ferocemente.
Sable agì all’istante. Con una agilità inumana, superò la bestia con un balzo, atterrando alle sue spalle. Poi, con entrambe le pistole rivolte ai lati opposti del corridoio, cominciò a bersagliare i tre Destoroyah con una raffica di colpi.
I mostri grugnirono sorpresi, mentre dai loro corpi crivellati fuoriuscivano spruzzi di sangue verde.
Sable si voltò verso il suo capo. << Deve barricarsi nel laboratorio, signore! >>
Norman strabuzzò gli occhi.
<< Ma tu… >>
<< Me la caverò! >> lo interruppe la donna << Ora vada! >>
Norman rimase immobile, mentre i Desotoryah si voltavano tutti verso quella nuova minaccia.
Si sentiva…impotente, proprio come tutte quelle volte in cui non era stato incapace di aiutare l’umanità. L’attacco dei Chitauri a New York…la scomparsa di metà della popolazione della Terra…l’attacco di Ghidorah. Eventi che lo avevano spinto a finanziare qualunque ricerca che potesse offrire un vantaggio alla razza umana, così che non dovesse più temere per le minacce esterne.
Ancora una volta, tutto quello che poteva fare… era nascondersi.
<< Grazie >> borbottò, prima di lanciarsi a tutta velocità attraverso il corridoio.
Sable sorrise sollevata, mentre evitava una zampata ad opera del Destoroyah più vicino.
Saltò sul suo carapace, bersagliandolo di proiettili, ma la corazza del mostro era troppo forte.
Con una capriola, atterrò di fronte alle bestie, che le sibilarono minacciose.
<< Avete provocato molti fastidi al Signor Osborn >> disse freddamente << Questo richiederà una punizione esemplare >>
Una delle creature ruggì a gran voce, mentre la sua testa si circondava di saette e scariche elettriche. Pochi secondi dopo, vomitò un raggio di energia violetta dalle fauci.
Sable rotolò di lato per evitare il colpo e sentì il muro dietro di lei esplodere. Voltandosi, vide che l’attacco era riuscito non solo a penetrare la parete del corridoio, ma pure a dare alle fiamme la stanza adiacente. Era davvero un’arma spaventosa.
Il Destoroyah zampettò verso di lei.
Subito, la donna mise da parte le pistole e attivò i tirapugni che teneva sempre nascosti sotto i suoi pallidi guanti.
Colpì con forza la testa della creatura, a cui seguì un lampo di luce azzurra. L’esperimento genetico si ritrasse, mentre fluidi e sangue gli sgorgavano dalla ferita appena aperta.
Sfortunatamente, questa aveva già cominciato a rigenerarsi, ma Sable non si lasciò scoraggiare.
I suoi occhi spaziarono da un Destoroyah all’altro.
<< Il prossimo! >> gridò, mentre anche le creature restanti si lanciavano verso di lei.
Sarebbe stata una lunga giornata.

                                                                                                                       * * *

Una volta entrato nel laboratorio, Norman si rintanò subito nella sezione più interna della stanza, disattivando le procedure di decontaminazione.
Si guardò rapidamente attorno.
Il laboratorio era per lo più spoglio, salvo per le scrivanie che erano state disposte un po’ ovunque lungo le pareti, sopra cui poggiavano vari contenitori becker contenenti le culture più variegate.
Ma ciò che richiamò davvero l’attenzione del magnante… fu la grossa teca che si trovava in un angolo della stanza, al cui interno serpeggiava una massa di carne informe, nera e rossa.
Si trattava del primo tentativo riuscito di ricreare il Simbionte che aveva infettato Cletus Kasady circa otto anni fa, trasformandolo nel supercriminale noto come Carnage.
Dopo innumerevoli tentativi ed errori, Octavius era riuscito a replicare il processo di coltura, utilizzando proprio il sangue dello stesso Kasady per il processo. In seguito, parte di quel Simbionte era stata usata per crearne altri, tra cui quelli implementati nel codice genetico dei Destoroyah, uniti al DNA di King Ghidorah.
All’arrivo di Norman, la sostanza cominciò ad agitarsi, quasi come se avesse percepito la sua presenza. Malgrado non avesse occhi, orecchie o altri organi, era perfettamente consapevole dei suoi dintorni.
Un forte tonfo spinse il miliardario a voltarsi.
Scintille volarono da dietro un angolo, e presto la porta in acciaio rinforzato del laboratorio fu scagliata contro il muro opposto della stanza, lasciando un profondo solco.
Il cuore di Norman continuò a battere all’impazzata.
Quel cardine era stato specificatamente creato per resistere ad un bombardamento! La forza necessaria per ridurlo in un simile stato…doveva essere immensa.
<< Sable? >> domandò con un filo di voce << Sei tu? >>
La risposta a quella domanda non tardò a farsi sentire.
Un Destoroyah comparve da dietro l’angolo, facendosi strada tra i tavoli del laboratorio. I suoi occhi gialli incontrarono quelli di Norman, e lì vi rimasero bloccati.
L’uomo fece un passo all’indietro e cominciò rapidamente a guardarsi attorno.
Era completamente indifeso! Non aveva armi, o mezzi per difendersi. Eccetto…
Il suo cuore mancò un battito.
C’era…un’estintore, rinchiuso in una piccola teca dall’altra parte della stanza. Niente che avrebbe potuto effettivamente aiutarlo contro un avversario del genere…oppure sì?
Perché Norman era a conoscenza di qualcosa. Un difetto genetico nei Destoroyah che aveva tenuto segreto a tutti i suoi potenziali compratori.
Quelle creature, per quanto fossero pericolose e potenti, avevano sviluppato una spiccata intolleranza alle temperature troppo fredde.
Octavius aveva ipotizzato che ciò fosse dovuto all’instabilità delle loro molecole di carbonio, che permetteva alle bestie di rigenerare i tessuti.
Un piano cominciò a formarsi nella mente del miliardario. Era un azzardo…ma era anche l’unica opzione che aveva al momento.
Il Destoroyah si lanciò verso di lui, stridendo.
Norman afferrò subito una sedia e la frappose tra se e il mostro, mentre questi la faceva a pezzi.
Approfittando di quel breve attimo di distrazione, corse subito fino alla teca dell’estintore e la ruppe con il gomito del braccio destro.
Cercò di ignorare il dolore conseguente, così come il sangue che gli colava dalla ferita appena aperta. Non poteva lasciarsi distrarre!
Sentì il Destoroyah che caricava nuovamente verso di lui e si voltò di scatto.
<< Maledetti >> ringhiò, gli occhi iniettate di sangue << Pensate davvero di potermi minacciare?! Sono Norman Osborn, brutti figli di puttana! E tu sei solo un esperimento fallito! >>
La creatura ruggì in segno di sfida e si lanciò verso di lui.
Norman le scaricò contro il gas refrigerante dell’estintore… e la bestia cominciò ad urlare di dolore, mentre la temperatura del suo corpo precipitava vertiginosamente.
Cominciò a muoversi e ad agitarsi, come se impazzita…e fu allora che la sua coda colpì il magnante alla testa, scaraventandolo dritto contro la teca del simbionte.
Il vetro del contenitore esplose, mentre il corpo dell’uomo ricadeva pesantemente a terra.
Spaventato e confuso, il Destoroyah fuggì rapidamente dal laboratorio.
Norman non se ne accorse. Il colpo era stato abbastanza forte da lasciarlo incosciente. E così, steso sul pavimento del laboratorio, non si accorse neanche del Simbionte che cominciò a strisciare verso di lui…


                                                                                                                      * * *

<< Stiamo vincendo, fratello! >>
La principessa Shuri del Wakanda e suo fratello, Re T’Challa, avevano deciso di opporre resistenza all’invasione aliena…ed entrambi indossavano la tenuta cerimoniale della Pantera Nera.
Le navi dell’Impero scoprirono ben presto che il Wakanda poteva contare su difese nettamente migliori rispetto al resto del mondo, che, peraltro, erano state potenziate in previsione di un’inevitabile guerra con le nazioni vicine.
Alcune navette riuscirono a superarle prima che fosse sollevato l’enorme schermo dorato a difesa del perimetro aereo. Le altre scoprirono poco dopo che le loro armi non erano abbastanza potenti da penetrarlo.
I mezzi che erano riuscite a superare lo scudo avevano schierato all’atterraggio plotoni di guerriglieri in armatura bianca capaci di radere al suolo interi isolati senza difficoltà. Nonostante ciò, i sistemi di difesa protessero la capitale da ogni attacco, mentre i soldati wakandiani affrontavano i nemici sul campo di battaglia.
La nave in testa schierò più squadriglie delle altre, e anche una possente creatura zannuta che rivaleggiava con Hulk in altezza e possedeva una pelle resistente quanto l’acciaio. Rancor, così l’avevano chiamata gli invasori.
Era davvero terrificante, mentre si lanciava con prepotenza addosso a qualsiasi edificio su cui posava i suoi piccoli occhi neri.
Pochi minuti dopo, dalla navetta uscirono un totale di tre figure vestite con armature nere.
Tra loro, quella che sembrava essere una donna si fece avanti.
La maschera che le nascondeva il volto scomparve, rivelando un viso affilato e dalla carnagione cirinea, con un paio di occhi giallognoli e malaticci.
Avvicinandosi, l’aliena parlò.
<< Vedo che non tutti, in questo mondo, sono deboli. Gli uomini muoiono e i campi bruciano, proprio come voleva Lord Vader. >>
Detto questo, afferrò uno strano disco argentato dalla sua schiena.
<< Io sono la Settima Sorella, Assassina di Lord Vader. Cerco un avversario degno. >>
Si rivolse direttamente a T’Challa, e il sovrano dovette trattenere un brivido.
<< C’è un grande guerriero, qui, che osi affrontarmi? O devo dargli la caccia? >>
<< È me che cerchi >> rispose T’Challa, senza esitare. Si fece strada tra gli sgherri dei nuovi arrivati, sbaragliandoli uno dopo l’altro senza alcuna fatica. << Io sono la Pantera Nera, il re di Wakanda…e presto, anche il tuo assassino. >>
Quando ebbe raggiunto la Settima Sorella, ecco che la donna premette un pulsante al centro del disco. Si udì un forte sibilo, a cui seguirono due lame di pura energia, rosse come il sangue stesso.
Con il volto adornato da un sorriso eccitato, l’Inquisitore provò a colpire l’ex Avenger. Mancò il bersaglio, e così scatenò un’ondata di Forza contro di lui.
L’onda d’urto scagliò in aria la Pantera Nera, che tuttavia riuscì ad atterrare in piedi.
Intorno a loro, i Wakandiani e Shiru caricarono verso i restanti Inquisitori, che risposero con altrettanta ferocia.
Tutti, però, sapevano che l’esito di questa battaglia sarebbe dipeso dallo scontro tra T’Challa e la Settima Sorella. Uno scontro che il Re di Wakanda…stava affrontando da solo.
 
 



Questo era un capitolo dedicato soprattutto agli antagonisti.
Vader continua la sua invasione, Ultron è tornato a casa, i Destoroyah si scatenano, Norman è nei guai…e Ghidorah va in giro a rapire i bambini, per qualche ragione.
Sappiate che questa sua abilità è canonica! Ghidorah la usa nel film Mothra 3, per catturare i bambini di una città e divorare le loro anime per rigenerarsi. L’ho sempre trovato un potere raccapricciante, così ho deciso di metterlo, anche se questa volta non ha rapito i pargoletti per se stesso… no, loro serviranno per qualcos’altro.
Ricordate che tutti questi eventi sono collegati tra loro, fanno parte di un grande piano! Gli Inquisitori, invece, sono tra gli antagonisti della serie Star Wars Rebels.

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