Se mi vieni in mente, un po' rimani

di ClodiaSpirit_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Se mi vieni in mente, un po' rimani ***
Capitolo 2: *** E = mc2 , cos'è la relatività? ***
Capitolo 3: *** Di ospedali e dichiarazioni ***
Capitolo 4: *** Anche se poi soffro di vertigini per te ***
Capitolo 5: *** Io ti volevo vincere, ma ti ho saputo perdere ***
Capitolo 6: *** Just a killer come to call ***
Capitolo 7: *** The love I meant to say ***
Capitolo 8: *** Di fiducia e verità faticose ***
Capitolo 9: *** Mad man for your touch ***
Capitolo 10: *** Di poesie e promesse ***
Capitolo 11: *** Me so m'briacato ***
Capitolo 12: *** Di viaggi scozzesi e conoscenze ***
Capitolo 13: *** Di viaggi scozzesi parte II ***
Capitolo 14: *** La fine della Scozia parte III ***
Capitolo 15: *** Di 19 sorprese ***
Capitolo 16: *** Rough Seas ***
Capitolo 17: *** Rough Seas II ***
Capitolo 18: *** Of years and rings ***



Capitolo 1
*** Se mi vieni in mente, un po' rimani ***


Boh raga, qua la sezione Un professore non c'è nella barra delle serie tv,
e forse è anche meglio perchè
se ritorno a scrivere una ONE SHOT dopo anni,
vuol dire che questa serie mi abbia fatto male.
Simone e Manuel mi sono entrati dentro -
nonostante chi li ha scritti ha
fatto un buco nell'acqua negli ultimi episodi.
Vi regalo quello che per me, è la riflessione di Manuel 
o che comunque doveva avere dopo quello che 
è successo con mio figlio, Simone Balestra (Cuoricino,
cercati un altro che problemi non ha,
lo diceva pure la mitica
Raffaella)
Buona lettura


- Clò



Un mese dopo. Simone e Manuel se ne stavano seduti su un piccolo muretto che dava sul Tevere.                                               
Lo sfondo dava sulle case, palazzi in profondità e come cornice, le mattonelle di cotto sbiadite si stagliavano, impiastricciate di nero dallo smog della città e con qualche groviglio di verde che ci cresceva in mezzo, rimanendo intrappolato dalla materia dura. In lontananza le auto passavano, sfrecciavano nel casino di una Roma sempre in fermento, mentre i due motorini erano stati parcheggiati e abbandonati pochi isolati più in là.  Era passato un mese dall’incidente di Simone, che si era andato a schiantare in una notte giusto sotto casa di Manuel, il quale era rimasto vicino al suo corpo steso a terra, almeno quindici minuti prima che l’autombulanza arrivasse. Manuel, aveva in silenzio maledetto se stesso: Simone era riverso a terra, il sangue secco gli copriva metà viso e il casco era scivolato malamente a terra, accanto ai suoi capelli ricci, crepando istantaneamente per lo schianto con un buco la visiera. Ricordava l’attimo stesso in cui si era sentito debole vedendo in quel modo l’amico senza sensi. Di peggio c’era che Manuel aveva sferrato colpi di parole piene di rabbia e di cattiveria quello stesso pomeriggio su Simone, come se fosse il suo bersaglio preferito da colpire più e più volte.               

Colpisci e fai centro, colpisci due volte e spezzi ancora di più.                                                                             

Manuel si era fatto schifo immediatamente dopo che l’amico aveva lasciato l’officina in preda all’ira. I suoi pensieri sfumarono però, riportato alla realtà dalla voce fisica di Simone.                                                        

« E’ assurdo che sia passato quasi un anno di scuola » Simone si portò una mano dentro la giacca di jeans, focalizzando il suo sguardo su un piccolo filo d’erba che spuntava sotto le sue scarpe da ginnastica.
                                                    
« Il tempo è ‘na merda » rispose Manuel, con un tono scazzato e acido. « Non puoi rimandare niente che ti piomba addosso come una catapulta, però c’abbiamo ancora 16 anni, » lo guardò di nascosto « veniamo promossi, ci liberiamo e poi quest’estate ci rifacciamo, tranquillo Simò »     
Simone per risposta fece una smorfia, portando la sua faccia a deformarsi quel tanto che gli permetteva. I suoi occhi erano distanti rispetto a quelli dell’altro. Manuel se ne accorse subito. « , Simone che c’hai? » 
Quello si strinse nelle spalle, con un movimento spontaneo, giungendo le mani vicino alle ginocchia che penzolavano snelle dal muretto.                                                             

« C’abbiamo solo 16 anni e già la vita è un casino, il tempo è una costante, che ci piaccia o no,  » affermò amareggiato « soprattutto se ti ritrovi addosso un sacco di notizie senza avere il tempo di metabolizzarle. Finisci che ti schianti un giorno, finisci in ospedale e vieni a sapere di avere un fratello morto » deglutì a forza.                                                                           
Manuel si sentì impotente, ma non lo diede a vedere.                                                               

« Simò non ne potevi sapere niente, non ne hai colpa »

« Ho cancellato metà della mia vita perché fottuto dal dolore. Un po’ di colpa ce l’ho anch’io »

Manuel ricordava di averlo accompagnato pochi minuti fa davanti alla tomba di Jacopo. Aveva percepito i singhiozzi trattenuti di Simone, gli aveva portato un braccio attorno alle spalle, la sua mano si era posata su una di quelle e lo aveva sostenuto. Ricordava il modo in cui erano stati in silenzio, mentre il tempo si cristallizzava sul fermo immagine della piccola lapide, con ai piedi un orsacchiotto infantile e ormai spelacchiato, intaccato dalle intemperie, il vento, la pioggia. Tutto ciò che Manuel era riuscito a fare era stato quello, stargli accanto, per tutto il tempo che gli servisse, saltando le ultime lezioni di scuola per l’urgenza del suo amico di andare a piangere una persona che non c’era più, che aveva eroso dalla sua memoria.  Glielo doveva: per tutte le volte che lui c’era stato nella enorme marea di casini in cui si era cacciato.                          
                                                                                                        
 « Lo hai fatto per proteggerti »
                                                                                                       
Simone si girò a guardarlo, ora, con il sole che si fiondava sulle trame dei suoi ricci, ricadenti sopra la fronte. Manuel vide l’altro nudo, aperto, proprio come quel giorno al cimitero. Certo, non aveva pianto, ma si era dimostrato fragile – com’è giusto che fosse.  « Eri un bambino, non c’abbiamo colpe a quell’età, anzi » sottolineò « siamo giustificati per un sacco ‘de motivi. E’ pericoloso raccontarsi altrimenti »  
Simone annuì piano, fissandosi le mani.  « C’hai 16 anni Simone, ma proprio per questo non ti devi azzardare a farti un patema ogni volta che c’hai un dubbio, un pensiero di troppo, » il tono di Manuel era diventato di colpo brusco e amaro « ci sei quasi morto per quello. »

« Vabbè sto qua ora, è passato un mese, scemo! »

« Mi hai fatto prendere un cazzo di spavento, che manco lo puoi capire, coglione » Simone ritornò a guardarlo: Manuel stava fissando il fiume, scuotendo malamente la testa, amareggiato, forse incazzato. Non era leggibile, Simone lo aveva ormai imparato. Manuel era criptico per natura. « Non devi fare più cazzate, almeno non falle pe’ me, Simone. Non ne valgo la pena. So’ che sono uno stronzo di natura, c’ho il brevetto ormai, ho un carattere di merda, » sputò fuori sincero « ma tu no. E se ce l’hai c’hai un motivo giusto per esserlo. Sei un bravo ragazzo, ‘ste cose non fanno parte della vita tua e così deve continuare ad essere. I problemi non t’appartengono, io ne sono pieno »
                                                                                            
Silenzio.
In sottofondo si sentivano i rimbombi dei motori, gente che magari camminava o parlava per strada, sul fiume c’erano due signori, - Simone e Manuel gli davano le spalle  - che fumavano delle sigarette, vestiti di tutto punto, in giacca e cravatta. Poi il teppistello si voltò verso Simone, riprendendo parola.
« Io ci voglio provare a cambià, mi sono stufato di essere così, non c’ha proprio più senso » scalciò la gamba destra in avanti, come se stesse scacciando via una pietra invisibile « non va bene per me, ‘pe mi madre, ‘pe te Simone, ‘pe tuo padre »
                     
« Se vuoi davvero diventare filosofo, un maestro ce l’hai, pur cazzaro che sia »     
                   
Manuel vide per la prima volta quella mattina l’altro ridacchiare. Era la cosa che lo faceva sentire meglio. Tanto che il sorriso apparve anche sulla sua faccia, sghembo, mezzo accennato. Gli occhi scuri si strizzavano e il volto si girava verso l’altro di sua sponte. Vedere Simone sereno era un po’ il modo di ripagare il suo debito con lui, per tutto quello che gli aveva buttato addosso in quei mesi.                                                                       

« Mi dispiace di essere stato un coglione totale con te, Simò, lo sai »                              

« Lo so »                                                                                                                                                                                     
« Com’era quella cosa della legge morale dentro di noi e il cielo stellato sopra di noi? Che ogni nostra azione è la conseguenza del nostro essere, eh… mi sa che me ne sono sbattuto il cazzo proprio » 
Si ritrovarono a ridere entrambi, quelle risate genuine che affacciavano la testa dopo un temporale burrascoso.

« Ce ne siamo sbattuti tutti e due »                                                                                                                                    
« Già »                                                                                                                                         

« Ho solo una richiesta però Manuel, » Simone prese coraggio, sospirò e si massaggiò le tempie con una mano libera  « puoi chiamarmi come vuoi, ma evita di ripetermi frocio »

« Simò- »                                                                                                                                      

« Mi da fastidio, tutto qua »                                                                                                           

« C’hai ragione.»
             
In realtà Manuel non collegava mai il cervello prima di dire certe cose, sparava a cento senza rendersi conto di ciò che usciva realmente dalla sua bocca. Premeva play senza considerare che ci fosse anche un tasto pausa o che il tasto successivo, il rec, poi si ripetesse nella testa del destinatario. Quando ci pensava, era veramente troppo tardi. E dopo, ad azioni sgradevoli compiute, si sentiva una merda umana. 
                         
« E un’altra cosa » Simone giocò nervosamente con le sue mani – torturarle era un modo per concentrarsi su altro ed evitare magari di scoppiare in sentimenti non richiesti e inopportuni « Non ti chiederò più cos’è successo quella notte, alla mia festa, non ne parlerò più »  e allora s’agganciò subito a Manuel, come per cercare conferma di ciò che stava dicendo. Quello annuì piano, rispondendo allo sguardo. « E’ inutile girarci ancora attorno, no? E’ stata una cosa senza importanza, eravamo ubriachi e non c’abbiamo capito niente »
                                                                                          
In quel momento uno dei due avvertì una strana sensazione. Stomaco, petto, testa? Non lo capiva con certezza, ma Manuel si sentì sconfitto nel vedere che Simone era ritornato cupo e fermo, nonostante capisse il perché stesse alzando una barriera. Lui era stato il primo a farlo, perché l’amico non doveva servirsi della stessa arma per difendersi? Combattere ad armi impari non era possibile, in guerra tutto era lecito.                                         
Manuel sentiva la testa annebbiarsi, come se ci passasse del fumo denso e scuro che appannava ogni cosa davanti a sé. Cosa strana il sentirsi stranamente e di colpo buttati in mezzo alla nebbia, come dei ciechi che pur avendo qualcosa a cui reggersi, rimangono fermi senza sapere come muoversi.                                                                                                                             
« Non ti chiederò più niente al riguardo, non ne parleremo più, va bene per te? »
                                    
« Certo, Simò »     

Ma era l’ennesima prova che Manuel parlava senza connettere il cervello - di nuovo.



 
**
 

 
Ritornato a casa, il ragazzo chiuse la porta. Anita si affacciò dalla piccola cucina, i capelli erano raccolti in una crocca con un elastico. Salutò il figlio.                                                                                                                                                                 
« Mamma so un po’ stanco, mi vado a sdraià un attimo »                                                           

« Va bene, tesoro »

Anita non voleva ribattere sull’aspetto distante di suo figlio Manuel, d’altra parte impicciarsi con lui era il più delle volte inutile. Sviava la maggior parte dei discorsi intavolati e mentiva. Essendo sua madre, ormai sapeva come funzionava, aveva Manuel entrò in camera sua, chiuse la porta dietro di sé.                                                 
Si buttò a letto, lanciando incurante lo zaino e le chiavi del motorino sulla scrivania. Il letto lo accolse sonoramente poiché ci piombò sopra e incrociò le braccia al petto. Come se fosse un soldato, Manuel stava disteso dritto immobile. A occhi chiusi, respirò piano, concentrandosi sul silenzio della stanza, sui poster appesi alle pareti, sulle piccole fotografie di lui e Anita insieme vicino l’armadio, sulle piccole scritte imbrattate sul muro dietro la sua testa.
Senza essersi nemmeno tolto le scarpe, avvertì la morbidezza del materasso contro la rigidità del suo corpo. Provò a rilassarsi chiudendo ancora una volta gli occhi, portando le braccia dietro la testa questa volta, i capelli gli ricadevano sul cuscino.         
Non ti chiederò più cos’è successo quella notte, alla mia festa, non ne parlerò più  Le parole dell’amico gli rimbombarono in testa con un rumore sordo, insinuandosi a ogni tentativo di Manuel di pensare ad altro.  
Perché stai sempre a pensà, a fissatte sulle cose, fa male Simone. M’hai rotto il cazzo!
Lo sai che se forse ti sforzassi di pensare un po’ di più eviteresti anche di essere così stronzo? 

Era giusto. Era giusto non parlarne più, eppure perché gli faceva male adesso? Perché tutto il viaggio di ritorno verso casa aveva pensato alla faccia triste di Simone? Perché come amico era un vero e proprio fallimento, pensò.

Amico.                                                                                                                                   

Non si guarda un amico in quel modo, non si parla così a una persona a cui tieni, non lo si fa sentire piccolo, indifeso, in difetto. Non si prova un dolore del genere a sapere che il tuo amico sta tra la vita e la morte, non come lo aveva provato lui almeno. Manuel sapeva che in fondo Simone non era solo un amico.  Non lo era quando aveva deciso di baciarlo la sera del suo compleanno.  Quando, dopo essere stato malamente scaricato, frustrato, era arrivato a scuola e aveva cominciato a bere qualsiasi cosa gli capitasse a tiro. Simone, che lo aveva seguito fuori e che era lì anche quando doveva essere il suo giorno libero – perché Manuel era il re delle cause perse, nella vita e l’amico, veniva sempre in suo soccorso anche non chiedendone l’aiuto.  Simone c’era e gli voleva bene. Quando tutti sembravano averlo lasciato, abbandonato, Simone era lì a strattonarlo e a intimargli di non fare cazzate, lo stesso ragazzo che aveva messo il naso nelle faccende di Sbarra che riguardavano solo Manuel e che per ciò aveva rischiato la vita.                                                                 
In quel preciso momento, Manuel non aveva più capito niente. Aveva bevuto, sì, ma era lucido. L’alito sapeva di birra e cocktail, ma la testa funzionava come un motore in fase continua di accensione – si stava riavviando e inceppando fino a quando non si era trovato davanti l’altro. Il viso di Simone preoccupato, ansioso, ansimante, sfatto dopo aver urlato con tutta la voce a disposizione gli ritornò alla mente.                        
Manuel non gli aveva chiesto niente, ma Simone era lì.
                                                                                                                                             
Manuel sospirò forte, deglutì, inspirò. Le narici che si dilatavano nervose, il petto che si alzava in una morsa meccanica.  E in quell’istante, con Simone davanti a sé, Manuel aveva pensato se le sue labbra fossero come quelle di Chicca, di Alice o di qualche altra ragazza che aveva frequentato e baciato. Si era chiesto se c’era davvero un modo possibile per provare un sentimento simile, al di là di chi si avesse davanti: uomo o donna.     
Chi cazzo se ne frega, è la festa sua e sta qua appresso a me.                                                                               

Così lo aveva baciato.                                                                                                                                               
Lo aveva tirato a sé, sconnettendo il cervello e anteponendo alla ragione, l’istinto. Protagonista assurdo, l’istinto ebbe la meglio.
Baciando Simone, Manuel capì che le sue labbra non erano né come quelle di Chicca, né come quelle di Alice.  Provò subito una scarica di adrenalina salirgli e pompare lungo tutto il suo corpo, scendere e salire continuamente, in modo frenetico. Simone era un gigante rispetto a lui, perciò Manuel si era aggrappato come meglio poteva, stringendogli la felpa, cercando un appiglio stabile. Gli tremavano le gambe.
                               
A Manuel Ferro tremavano le gambe.
 
                                                                                                                                         
I suoi denti si scontrarono più volte all’inizio, in un contatto repentino, veloce, scoordinato per poi dare spazio a una danza vorticosa, più studiata, facendosi spazio nel palato dell’altro, usando la lingua, intrecciando i volti fino a farli scomparire. Erano due masse informi di capelli ricci e nasi appena visibili.  Mentre Simone gli sfiorava il viso, Manuel artigliava con il suo collo, diminuendo la distanza – se realmente c’era, essendo appiccicati – per spingerlo su di sé, più e più volte. Più l’altro cercava di respirare, più Manuel glielo impediva.                                 
Simone lo aveva fermato solo un momento all’inizio di tutto quello - Manuel che cazzo stai facendo? -  Manuel ricordava di averlo zittito. Di nuovo, pensare faceva male ed era meglio accantonare l’uso di una ragione logica.  In quel momento, mentre le loro mani si artigliavano vogliose sui vestiti, sulle felpe, sulle patte dei pantaloni, la logica non esisteva, era persa in un piccolo puntino in qualche dimensione spazio temporale lontana. Lontana da Roma, lontana dalla scuola, lontana da loro.                                                                                                                                                           
Mica ti piacevano i maschi. 
 Infatti chi te l’ha detto, non mi piacciono, però con te è diverso, hai capito no?


In realtà non lo aveva capito tanto nemmeno lui. Era rimasto con un pugno di mosche. Dopo aver praticamente avuto un rapporto con l’altro, era ritornato a chiudersi. Mentre stringeva i denti e si forzava a venirne accapo, Anita si affacciò dalla porta, girando la maniglia.
  « Manuel tra un po’ si cena » lo informò.  Suo figlio annuì. « Mi dici che c’hai? Cos’è quell’espressione da funerale? » 
« Mà, sto un po’ incasinato » 
« Non mi dire che hai di nuovo casini con gente come Sbarra, Manuel, ti prego » sospirò preoccupata ed esasperata Anita.       
« Ma che no, mamma sta tranquilla, » si portò a sedere sul letto, mentre Anita si avvicinava al materasso e si sedeva sulla punta « ho chiuso con quella gente, voglio mette la testa apposto, lo sai »                                 
« E allora che succede? »                                                                       
« Mamma, » Manuel si grattò la testa « tu cosa hai provato quando ti sei innamorata? » Anita spalancò gli occhi, poi sorrise premurosa e in modo sognante verso il figlio. 
« Manu, è difficile rispondere in modo logico a questa domanda »               
Il ragazzo si strinse nelle spalle, guardando di colpo il coprimaterasso e il suo motivo a forme astratte. « Non c’è uno schema, Manuel. Quando succede lo capisci, c’è poco da spiegare »                                                                   
« Sì, ma c’avevi dei segnali no? Qualcosa che te lo ha fatto capì » sembrava duro però era demoralizzato, il suo sguardo tradiva la sua voce. Ancora una volta, sconnessi.                                                                   
Anita sembrò pensarci di più, riflettendo come poter spiegare a suo figlio quella marea travolgente che era l’amore.
 « Quando ero una ragazzina, c’era questo ragazzetto a scuola, biondo, alto, era un adone praticamente » ridacchiò « gli andavano tutte dietro. Era praticamente il manzo della scuola, sai come funziona quando un tizio si fa ‘a nomina no? Ecco, a lui non fregava di nessuna. Neanche di me. Ma io ero persa. E no, non era una semplice cotta, » Manuel ascoltava attento, in posizione dritta, le mani sui piedi, le gambe divaricate, come un bimbo « ero proprio innamorata. E sai da cosa lo capivo di più di tutto?»                 

« Da cosa mà? » 

« Dal fatto che quando ci stavo vicino, nella stessa stanza, alle assemblee o anche solo quando ci incrociavamo per la scuola – ogni tanto capitava – io avevo la testa da tutt’altra parte. Me ne facevo pure una colpa, me dicevo di essere rincoglionita, pensando magari "c’ho esagerato" lì per lì, ho ingigantito una piccola cosa, però quello che sentivo era reale. »


 
Ce l’ho con quel coglione di Simone che mi fa a sta a fa’ diventà matto
Professore gli dica ‘de tornà, glie’ dica che ci manca, che le manca, che mi manca.  Che fai, torni?                                                           
Sei strano, sei strano come parli, sei strano come te vesti, sei un perfettone. E adesso ho perso pure Simone.

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Capitolo 2
*** E = mc2 , cos'è la relatività? ***


Eccoci qua, 9 pagine di capitolo date in word.
NOVE PAGINE scritte in 48 ore,
è proprio il caso di dirlo: chiamate la neuro.
- Missing Moment 1x06 ,
ho modificato alcune cosette, perchè mi andava.
Che dire, buona lettura, cercate di rimanere vivi, eh

Clò









Quando Simone arrivò con il suo motorino dove l'altro gli aveva inviato la posizione, non ci voleva credere.  Manuel era riverso a terra, i vestiti sporchi, la sua bocca sporca di sangue, i capelli erano impiastricciati di sudore, il suo occhio destro vestiva un livido violaceo in piena formazione che sembrava più simile a una galassia, che a un ematoma. Il suo cuore fece un leggero tuffo indietro, saltando sicuramente qualche battito.

« Mio dio ma che animali, che ti hanno fatto-»

« Simò, non c'è tempo per le spiegazioni » con un tono completamente spezzato e sofferente, Manuel provò ad alzarsi ma ricadde contro l'albero su cui poggiava la schiena. Un lamento di dolore evaporò dalle sue labbra. Simone allora lo tirò su piano, il suo braccio circondò la sua vita, aiutandolo a camminare.

« Vieni, ti porto a casa mia »

Appena lo aiutò a salire sul motorino, Simone accese il veicolo e partì spedito verso casa. Mentre avanzava lungo la strada, la testa gli pulsava di colpa e terrore. Sbarra lo aveva picchiato per la macchina che lui gli aveva sfasciato. La macchina era stata solo il mezzo sfortunato su cui Simone aveva riversato la sua frustrazione, la sua rabbia, gelosia, il dolore di non poter essere ricambiato.  Che uno come "lui" fosse destinato a questo tipo di sorte: fosse stato per lui, avrebbe sradicato i suoi sentimenti nell'attimo in cui aveva cominciato a provarli. Niente pensieri costanti, niente domande senza risposta, niente di niente.    
È colpa mia, gli hanno fatto male per un mio capriccio.
Durante il tragitto, pensò più volte a come avrebbe spiegato all'altro quello che aveva fatto, a come avrebbe reagito Manuel. E soprattutto la motivazione che gli avrebbe chiesto e che lui, avrebbe dovuto dargli.
Cosa gli avrebbe risposto?
Scusa t'ho rotto la macchina perché mi sono stupidamente innamorato di te?
Forse era meglio: No, guarda il problema sono io che amo farmi del male e involontariamente mi sono innamorato di te, ma non volevo. È successo. E per questo ho deciso di distruggerti la macchina.
« Stiamo arrivando, Manuel, manca poco, reggiti » ma Simone non ebbe il tempo di dirlo perché l'altro lo stava già stringendo, le braccia erano posizionate lungo il suo giubbotto felpato e la sua presa era salda. Quel solo pensiero, solo per poco, calmò Simone, il quale girò subito a uno svincolo e poi proseguì dritto, fino a scorgere in lontananza il piccolo giardino che circondava casa sua.
Respirò sollevato.

« Simò, » biascicò piano Manuel dietro « se lo scopre mi madre- »
                          
« Dormi da me stasera, non preoccuparti. Ci penso io » lo liquidò oltre il rumore del motorino, mentre sorpassava l'ultimo tratto di strada. Subito dopo, non fu convinto di cosa sentì dopo, forse Manuel sussurrò un grazie o forse Simone se lo era solo immaginato.
Arrivati a destinazione, spense il motore e aiutò di nuovo l'altro a scendere. Cercò di pensare a una scusa valida che potesse giustificare la sua entrata e quella di un ragazzo appena pestato. Non sapeva cosa avrebbe tirato fuori per aiutare Manuel. Molto lentamente diede il tempo all'altro per avanzare. Simone pensò di aver scansato sua nonna e suo padre, ma quando varcò la soglia della porta, lo trovò lungo il corridoio. Non ci fu molto da sperare, lo sguardo allarmato e interdetto di Dante riempì la visuale del figlio.




Inventarono una scusa singolare: Manuel era finito in mezzo a una scazzottata e Simone era arrivato giusto in tempo per portarlo via.
Il tutto si era svolto in un bar a pochi passi da scuola. Il perché Manuel si trovasse lì rimase molto vago, ma in ogni caso Simone pensò fosse meglio buttarla sul verosimile. Non sapeva perché l'altro fosse lì o cosa ci facesse, non aveva voluto dirglielo - non ancora.
Erano saliti in motorino e aveva deciso di invitarlo a restare per la notte. Ovviamente Dante aveva subito telefonato ad Anita, non su vietata e supplicata richiesta di non farlo da parte di Manuel, il quale se ne era uscito con: “è successo altre volte, non c'è da preoccuparsi”. Ma nonostante ciò, Anita sarebbe arrivata una volta finito il turno di lavoro per sapere come stava suo figlio. 
Appena entrarono in camera, Manuel si trovò leggermente disorientato. Si era accasciato di colpo lungo il pavimento, sfatto e con gli occhi che si chiudevano da soli.
« Aspettami, non ti muovere, ti prendo qualcosa da mangiare così ti riprendi. Non ti voglio sulla coscienza. »
Disse prima di uscire dalla sua stanza, sentendo un breve risolino divertito di Manuel ovattato in sottofondo.





**

 
 
Manuel, che era posizionato spalle alla parete, gambe divaricate, teneva lo sguardo su tutta la camera del suo amico. Per prima cosa visualizzò il letto decentrato rispetto alla stanza, poi vide la finestra, mezza aperta con delle tende azzurro chiaro, spostò ancora gli occhi sulla scrivania contro il muro opposto rispetto al letto. Le pareti avevano un tono leggero, rilassato. Non c'erano poster appesi, solo qualche foto disseminata qua e là, foto per lo più di Simone da piccolo o Simone con la tuta da rugby. Era l'esatto inverso rispetto alla sua: caotica, confusionaria, piena di roba. Simone risultava pulito, calmo e ordinato anche nel luogo dove dormiva. Anzi, sembrava più un luogo contemplativo che una stanza di un adolescente.                                      
Non si stupì quando girando lo sguardo a destra, sullo scaffale, trovò in mezzo a una serie di tanti altri, dei libri su teoremi matematici.
La famosa fissa di Simone sugli assi cartesiani. Oltre a quelli svettavano però anche libri di poesie e non: Catullo, Pirandello, Shakespeare, un volume su Whitman.  Sul suo viso si disegnò un mezzo sorriso incuriosito.
Cautamente e misurando il punto dove sentiva ancora le percosse, Manuel si fece forza aggrappandosi con le mani sulla parete e alzandosi a malapena. Si appoggiò, fino a sfiorare con le dita la superficie lignea della piccola libreria, di fianco.
Quello era un piccolo grande mondo di sapere, di riflessioni, di bellezza. A Manuel sembrò di conoscere un po' di più sul suo amico, cose di cui però non parlavano. Tanti autori forse dicevano di più sulla personalità di una persona: non che Simone fosse un mistero, ma Manuel si stupiva anche con le sfaccettature più piccole dell'altro, notando quanto fossero due universi a parte.

« Eccomi, allora- » Simone entrò in camera con un piccolo tagliere, richiudendosi la porta alle spalle e subito lanciò uno sguardo furtivo all'altro, scocciato « ti avevo detto di non muoverti Manuel, però non hai voglia di ascoltarmi, niente, cavoli tuoi »

« Non c'avevo voglia de fa' il tappetino di camera tua, » rispose secco l'altro, mentre si teneva una mano sul ventre e con l'altra analizzava un volume di Kafka « e poi ho visto che c'hai un piccolo tesoro qua, li hai letti tutti? »
Simone sospirò mentre posava sulla scrivania, il tagliere con sopra dei tramezzini con della marmellata e burro e la bottiglietta di succo con due bicchieri annessi.
 
« Quasi, ne devo recuperare alcuni, però i migliori sono tutti disposti per primi, da sinistra fino a più della metà »
Manuel annuì, mentre fermava lo sguardo su dei volumi in particolare. Ogni edizione era diversa, ma altrettanto curata.

« Le metamorfosi di Ovidio, Galatea e Pigmalione… » pronunciò seguendo il titolo sul fronte della copertina.

« Ecco, quelli vanno letti almeno una volta »

« Sembrano belli » sentenziò Manuel incuriosito.

Simone si girò verso l'altro per un nano secondo, poi aprì il succo e lo versò nei due bicchieri davanti a lui.
« Uno posso prestartelo pure, basta che non me lo rovini » disse puntiglioso.                                                                                                  
Manuel si soffermò su G. Bernard Show. La mano indagò sulla trama del libro, vellutata, invitante, c'era qualcosa di molto raffinato in quella copertina che riportava una statua femminile sinuosa, delicata sul fronte.

« Mi stai a prende per il culo? »

« No, affatto, perché dovrei? » Simone arricciò il naso visibilmente infastidito. Manuel si fermò un attimo, poi annuì lentamente.
 
« Va bene, giuro che te lo riporto sano, » alzando il libro appena afferrato « se non sarà così, puoi ammazzame pure. Che la maledizione di Simone Balestra si scateni su di me. Però do solo a te 'sto onore Simò, sia chiaro.» portò la mano liberandola dal ventre sul cuore e alzando l'altra con il libro in alto, come se stesse recitando un voto di fedeltà.

« Idiota che sei, avanti, » ridacchiò portando l'altro a fare lo stesso, « facciamo merenda che altrimenti ti ci ritrovo davvero steso a terra »
 
 


Quando finirono di cenare e fu una cena abbastanza e imbarazzante dato che Dante aveva invitato Anita, per controllare come stesse suo figlio - Manuel e Simone filarono di corsa in camera. In realtà non durò poi tanto, ma comunque era bastata quell'oretta e mezza di sguardi furtivi e interrogatori tra i loro genitori, per capire che era meglio scappare ed evitare ulteriori questioni. Manuel diede la buonanotte a sua madre, Simone salutò suo padre e senza aspettare oltre si chiusero in stanza.                                 

« Oh ma secondo te se la sono bevuta?» chiese Simone.

« Mia madre sicuro sì, tu padre manco un po' » rispose furbo.

« No, io dico che manco tu madre c'ha creduto. Erano tutte e due come degli inquisitori alla corte marziale, che ansia »
Mentre diceva quello, Manuel si sistemò la coperta sul piccolo lettino che era stato messo apposta per lui, ritrovato conservato in sgabuzzino e comodamente si toglieva le scarpe.

« Che ci abbiano creduto o no, poco mi frega, so stanco morto » si portò una mano a ravvivarsi i capelli e si stiracchiò, contraendo però di colpo il viso in una smorfia.
 
« Non dovresti fare movimenti bruschi, sennò ti irrigidisci solo di più » consiglio Simone « Prima di ogni partita di rugby, ci rilassiamo prima di riscaldarci. Forse dovresti fare lo stesso » spiegò metodico

« Il problema è che non posso dormire con la stessa maglia, Simò, me fa un po' schifo. Sa di terra e sudore » il ragazzo si annusò la maglia, strizzando gli occhi, consapevole di aver bisogno anche di una bella doccia.
 
« Il bagno è in fondo al corridoio a destra » Simone afferrò all'istante, ormai era pratico nel fare da "Cicerone". Dopo tutto quel tempo passato con sua madre, era stato lui a prendersi cura di lei e della sua prima lunga fase di pianti dopo la rottura con suo padre « Ho una canotta pulita, un paio di mutande, magari quelle più vecchie...e posso darti un telo » continuò frugando nell'armadio. 
Prese quello che cercava e lanciò ciò che serviva a Manuel. Prima però di uscire per andarsi a fare una doccia purificante e pulita, Manuel sembrò lì lì per parlare a pochi passi dalla porta. Lo guardava, in piedi con la spalla magra, contro lo stipite.
« Che c'è? » Simone si sentiva puntato, come se fosse una specie di preda da essere divorata.

« Non te l'ho detto ancora ma... grazie, Simone » biascicò Manuel, stringendo il bottino che aveva in mano « se fossi tornato a casa sarebbe stato un casino. Sei un amico »
Simone annuì, le sue labbra si incurvarono e vide l'altro sparire oltre la porta.
Sei un amico.
E questo sei Simone, ricordarlo, sei questo.



 
 - - -


 
 
Finita la sua doccia calda, il teppistello si fece strada verso la stanza.  Con i ricci umidi e la canotta messa addosso, Manuel spiò dallo spiraglio della porta dischiusa. Nella sua visuale c'era l'amico che si infilava forse quella che doveva essere la sua maglia per dormire. Le figura di Simone era ben piazzata, le spalle larghe, la pelle di un rosato candido, intoccata. Manuel si soffermò forse un po' troppo prima di entrare. L'amico si girò di profilo, disegnando i particolari dei capelli, del naso dritto e della mascella. La luce della stanza giocava con i suoi tratti fisiognomici, lasciando la sua schiena colpita dalla fonte luminosa e il volto in penombra.
Manuel entrò in stanza, quasi in punta di piedi, mentre si passava una mano dietro la nuca e afferrava i pantaloni della tuta - l'unico capo che aveva deciso di non mettere da parte. D'altra parte, Simone gli aveva praticamente dato mezzo suo guardaroba.
Mentre si infilava i pantaloni, lo sguardo però gli ricadde ancora sulla figura dell'amico, inconsapevolmente. Simone non si era messo nessuna maglietta per dormire, era rimasto anzi a petto nudo.

« Non senti freddo la sera, Simò? »

Simone sobbalzò leggermente, mentre afferrava la felpa grigia di scatto, poggiata poco prima sulla sedia girevole della scrivania, strizzandola un po' con le mani.
« Le persone normali bussano prima di entrare, lo sai vero? » rispose scorbutico e fin troppo brusco. Manuel corrugò la fronte e disegnò una U con la bocca.

« Scusami, non c'ho pensato, » poi riprese indagando ancora un po' vago sull'altro « non stavi mica a nasconde cocaina o qualche altra sostanza, no? »
Simone roteò gli occhi, sospirando sonoramente. Mise la felpa che teneva in mano, girandosi completamente verso Manuel, questa volta.
 
« Sei sempre molto simpatico 'co ste battute, dovresti provare la carriera da comico, sai? »

« Non c'ho mai pensato, potrebbe essere un bel piano B » rifletté Simone ridendo, scostando le lenzuola nel suo lettino.

« E quale sarebbe quello A? »

« Il piano A è riuscire a 'fa tanti soldi e poi comprarmi una macchina vera, magari impossibile da sfasciare »

Simone abbassò lo sguardo, guardandosi la zip della felpa, ci giocherellò un po' prima di alzarlo per chiuderla.
Tipo quella che t'ho rotto io.
Manuel si era seduto sul letto, aveva dato uno sguardo al cellulare vicino a sé, stava sorridendo per qualcosa di buffo probabilmente. L'altro chiuse la finestra, lasciando però la serranda alzata. Simone amava il sole mattutino, non gli dava fastidio. Gli ricordava sempre le giornate passate da piccolo con i suoi - quando ancora stavano insieme - al parco. Quando si divertivano tutti e tre e la vita era molto più semplice.
 
« Oh ma alla fine, col tatuaggio, c'hai avuto problemi? »
Simone si girò si scatto, scrollando le spalle.

« No, mi pare tutto apposto. Non si è infettato, ne altro, » spiegò Simone « certo all'inizio mi pizzicava un po', però niente di che »

« Sì quello è normale, devi dare tempo alla pelle de abituasse »
Simone annuì, scostando stavolta lui le lenzuola del suo letto, più alto rispetto a quello dove per la notte avrebbe dormito Manuel. Ci si infilò dentro, i piedi che toccavano il tessuto senza nemmeno una piega.

« Posso vederlo? »

Simone si ritrovò leggermente stupito, ma cercò di nascondere visibilmente l'imbarazzo che provò all'istante.

« Sì, va bene »

Manuel allora si fece più vicino, le ginocchia che toccavano questa volta il materasso per farsi più alto, il cellulare messo da parte. La sua piccola figura si alzò di pochi centimetri.
Simone fece esattamente lo stesso, aprì leggermente la felpa, scostò la spalla sinistra, girando appena il braccio. 
Manuel si affacciò, la sua espressione era attenta, navigata, come se stesse ispezionando una cosa pregiata.
« Mh, la pelle ha assorbito bene l'inchiostro» la sua mano si poggiò sul ricamo nero di quelle poche lettere, ricalcandone la forma. In quel momento Simone stava trattenendo il fiato, non sapendo nemmeno lui perché ce ne fosse bisogno, l'altro stava solo vedendo ciò che gli aveva tatuato. « Per essere il primo tatuaggio che ti fai, ha reagito bene » il pollice e l'indice del ragazzo stavano ancora lì, neanche quella porzione di pelle fosse una carta geografica, mentre lo sguardo di Simone si sforzava di non posarsi su Manuel. Se si sentiva morire anche solo per quel piccolo contatto Simone Balestra aveva sicuramente bisogno di un consulto speciale.
 
« Perché ci sono stati problemi con altri? Intendo altra gente che se li è fatti fare da te » cercò di smorzare la tensione che sentiva accumularsi tra la gola e il petto.

« Non proprio, c'è stato un po' de rigetto per alcuni, durato un po' di giorni, » sospirò, mentre lo guardava « come se la pelle si rifiutasse d'essere marchiata » sottolineò. Simone annuì, la testa che meccanicamente disegnava una linea verticale, cercando di risultare tranquillo. Poi smise di colpo, bloccandosi un attimo. 
Sta calmo, per favore. Calmati. « Tutto bene, Simò? »
Ah cazzo, mi sta guardando.

« Mh? Sì, sì » non era molto convinto.

« Tutto liscio comunque, » dicendo così, allontanò la mano, Simone si rialzò la spallina della felpa bisognoso di protezione immediata « Ancora non ho capito perché hai scelto 'na formula di Einstein da tatuatte » lo prese in giro, il sorriso beffardo e da fighetto gli si formò subito in viso. Ecco che faceva lo stronzo, momento passato, pericolo scampato, pensò Simone.

« Ha un motivo ben preciso, in realtà » serrò la mascella, si fece abbastanza serio « sembra poter essere solo una formula, ma se pensi ai corpi, come le stelle, i pianeti, il tempo e lo spazio che li deformano alla velocità della luce... è applicabile alla vita, anche. È un po' quello che facciamo tutti quando cerchiamo di dimostrare qualcosa di cui siamo convinti come assoluto. La velocità con cui ci impuntiamo sugli altri » sospirò, portandosi una mano dietro la nuca.

« Tipo?»
Manuel era attentissimo.

« Tipo quando conosci qualcuno. Hai dei giudizi all'inizio, ma dopo un po', se tu pensi qualcosa e la spacci per unica e sola, si presenta il fatto. Ed è lì che si sbaglia, » articolò meglio « perché la versione di ognuno è diversa, è relativa. Ed è questo che rende vario chi ci sta attorno »
Manuel sembrò rifletterci bene, il suo sguardo si spostò prima dalla spalla di Simone, al blu delle lenzuola sotto di lui, per poi posarsi sull'amico « Non so se c'hai capito, forse sono stato troppo dispersivo » tagliò corto.

« Sei stato chiarissimo, anzi, » enfatizzò, Simone ebbe la sensazione che Manuel stesse fissando un punto indefinito della stanza, non accorgendosi che stava invece fissando un dettaglio ben preciso che lo riguardava « direi accademico. C'hai 'na bella capoccia, Simò » rialzò gli occhi.
 
Ci fu silenzio per un po'. Nessuno dei due disse niente e la tensione era abbastanza tangibile. Simone pensò di doverlo spezzare, prima di scoppiare ulteriormente. Cosa stiamo facendo, esattamente?
« Era un pensiero come un altro  »

« No, Simò » e così Manuel si spostò di nuovo sul suo posto, il letto dove avrebbe passato la notte  « sei un tipo intelligente, non tutti si tatuano robe così profonde addosso, »  L'altro serrò gli occhi, riprendendo sicuramente controllo di sé. « Se fissano 'co le belle stampe, i disegnini orientali, 'co le frasi d'amore, a volte o' fanno pe dei motivi stupidi »

Magari se te ne facessi uno anche tu, saresti più simpatico.
Cazzo Simone.
Forse, in verità, il significato dell'inchiostro simboleggiava anche altro. Uno non si fa incidere un marchio così di punto in bianco solo per il pensiero che c'è dietro. Simone lo sapeva purtroppo.
Me lo sono fatto pure per starti vicino, il tatuaggio, scemo.                                                                                                                        
« Ecco, lì è un po' 'na fregatura no? » Manuel gli rifilò un'occhiata furba, sistemò il cuscino dietro la testa « Avecce qualcosa addosso che ti ricorda 'na persona »

Eh sì, proprio stupido.
Povero e stupido Simone.

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Capitolo 3
*** Di ospedali e dichiarazioni ***



Fermare tutto. Metterlo in pausa. Riavvio.

Di solito, si usa fare così, quando qualcosa non va, una videocassetta, il motore di una macchina, un giradischi inceppato. Basta riavvolgere il nastro, pur usurato che sia, quello anche malamente andrà indietro.                                                            
Manuel però non ne era capace.
Disteso lì, sopra tre sedie dure nella sala d'attesa di un ospedale, non vedeva un pulsante restart.
L'aria sapeva di disinfettante e sapone, gli dava la nausea. Era tutto così asettico, bianco, neutro. Anche i corridoi: tristi, pieni di camici bianchi, smorzati solo da qualche penna nel taschino o qualche vestito di colore diverso che si intravedeva al di sotto.  Ma in ogni caso, c'era bianco ovunque. Non sarebbe stato male se a Manuel quel colore, già di per sé, sembrasse così sporco, vuoto, tutto insieme. Insapore. Come quelle minestre preconfezionate che si mangiavano quando non si aveva niente di meglio in casa. Aveva sonno, ma non voleva dormire.                            
E anche se ci fosse riuscito, lo avrebbe fatto sicuramente male. Sua madre Anita, gli accarezzava il ginocchio, con fare consolatorio e premuroso, ma Manuel non sentiva nessun calore. Sentiva solo una grande voglia di prendere a testate il muro, spaccare una sedia, la barella vuota appoggiata a una stanzina di reparto.  Erano in ospedale da due ore e mezza, forse. Manuel non sapeva nemmeno che ore fossero, non che gliene importasse qualcosa del tempo: che si fotta. Non mi interessa quanto ci vuole, svegliate Simone. Svegliate l'amico mio, pensò, che cazzo siete del mestiere no?

« Vuoi un caffè Manu? »

Sua madre era riuscita ad appisolarsi, poco dopo essere arrivati.
Manuel la aveva lasciata dormire tranquilla, mentre vedeva Dante andare avanti e indietro nel corridoio, cercando di non impazzire completamente. Facile a dirsi, ma non a farsi. Era riuscito solo a dirgli qualche parola, che suo figlio era una grande testa dura, che non avrebbe mollato. Se molli Simò, non penso di potercela fare.
Un infermiera passò svelta, sfrecciando loro davanti con una cartellina in mano.

« No, mà, non mi va » liquidò con un gesto della mano, gli occhi che si serravano e l'aria che fuoriusciva in un sospiro lungo.

« Non hai mangiato niente da quando siamo arrivati, » Anita insistette preoccupata « qualcosa dovrai prendere, o quanto meno dovresti riposare un po' tesoro » sua madre gli accarezzò i capelli, dietro la nuca, guardandolo.

« Non ci riesco, mà, » ticchettò ansiosamente le gambe, mentre le sue braccia erano incrociate al petto « quanto ci vuole ancora, mh? » spazientito, si morse il palato « Perché non ci hanno ancora fatto sapè niente 'sti qua, che c'hanno de più importante da fà?»

« Manuel » lo riprese Anita.

« Non c'ho voglia di mangiare, di bere, di parlare, di dormire, » ribatté testardo « mi viene da vomità, c'ho voglia solo di vedere Simone sveglio e cosciente. Okay? »

« Ce la fa, vedrai che ce la fa »

« Certo che ce la fa, » cercò di convincersi, si morse il labbro inferiore, gli occhi fermi, ridotti a due fessure stanche « è Simò, mà, è 'na roccia »

Anita annuì piano, stringendosi nelle spalle. Si alzò dalla sedia, ricongiungendosi con Dante vicino alla macchinetta del caffè. Manuel, fece per guardarla mentre si allontanava, ma nel momento esatto in cui ci provò, venne colpito da un ricordo assordante. O forse una serie di tanti ricordi che come una bobina, si azionavano nel suo cervello.
Per primo rivide lui e Simone, stavano seduti vicino a quella piscina vuota, tanto verde intorno. Ridevano, mentre Manuel fumava una sigaretta creando una nuvola di fumo.  Lui e Simone che lavoravano in officina, mentre cercavano i pezzi del motorino da riparare. Simone che gli passava le formule del compito di matematica. Simone che gli parla e si sfoga su Dante e lui lo ascolta. Simone che gli fa una smorfia, lui che lo percula, l'altro che si offende un po' troppo.  Lui e Simone alla festa di compleanno, le loro labbra intrecciate.
Tutto in un solo colpo, come una bomba infuocata interna che scoppiava. Manuel gettò la testa indietro sullo schienale della sedia, sentendosi pizzicare gli occhi. Stava per piangere?
Impossibile.
Da quanto Manuel non piangeva? Aveva mai pianto?

Manuel, devi sapere che l'uomo con cui ti ho avuto mi ha lasciata, disse Anita, a un Manuel più piccolo, curioso, di circa sette anni, con in mano un piccolo dinosauro verde. Non per questo però ti vorrò meno bene, te ne vorrò il doppio. Farò di tutto per farti stare bene, tesoro, ci proverò. Sarò tua madre e tuo padre, insieme. Il piccolo era scoppiato in lacrime, mentre sua madre lo aveva abbracciato stretto e gli aveva stampato un bacio sulla testa.

Oh, quello.
Dell'acqua salata cominciò a scendere, le sue guance si rigarono all'istante. Le lunga ciglia attorno a quegli occhi mori, si bagnarono, restringendosi di volume.  Si strinse al giubbotto verde, le unghia ci affondarono dentro quasi a cercare un appiglio a cui tenersi. Manuel si ritrovò completamente inerme. Dopo tanto tempo, veniva scalfito.

Non c'è un cazzo da piangere, Simone ora si sveglia.

Si scacciò con una mano le gocce dal viso, tirando su con il naso.  Alzò lo sguardo, vedendo con la coda dell’occhio la figura di Dante abbracciare sua madre, in un gesto di conforto. Era sollevato che almeno loro potessero dimostrarsi sostegno, in quel momento.                     
Il professore si stringeva ad Anita, come se fosse un ancora di salvezza. Sganciò subito l’intrusione, sentendosi a disagio.                            
Manuel gli aveva fatto male, aveva fatto male a padre e figlio tutto in una volta. Non doveva dire di Jacopo, spettava a suo padre parlargliene.
Che casino, che merda che sono.
Come lo aveva lasciato in officina, lo scontro in motorino.
Per me tu manco esisti.

Non era vero per niente, lo aveva detto per ferirlo. Simone era su quel lettino e lui gli aveva detto che non gliene fregava niente.  Riecco le lacrime, prepotenti, disperate uscire fuori. Questa volta non le cacciò. Semplicemente Manuel fissò la stanza con i vetri davanti a sé.  In fondo, la figura lontana dell'amico era intubata, la testa fasciata. Si stagliava così piccola, sfocata. Non era quella l’ultima immagine che voleva ricordare.

Non te ne puoi andare così, non posso lasciarti andare.     
Deglutì forte, i singhiozzi si sfogarono con più forza e fu sicuro allora, ci poteva mettere la mano sopra e bruciarsela se anche questa volta mentiva a se stesso. Se perdeva Simone, non sarebbe più stato lo stesso.
Nulla sarebbe stato lo stesso.
 









« Si è svegliato! SIMONE SI È SVEGLIATO! » la voce di Dante gridò in mezzo agli occhi zuppi, una volta che i dottori glielo comunicarono. Corse dentro, mentre Anita rincuorata, gli sorrideva.
Manuel si alzò di scatto da dove era seduto, attaccandosi alla finestra che dava sulla stanza. Vide entrare il padre di Simone dentro, notando il ragazzo che muoveva appena la testa, fasciato com'era. Un cuscino gli sosteneva a malapena la testa.  Simone era vivo.
Dopo la caduta in moto, contro una curva e non essere stato in grado di frenare, l'essersi preso addosso una macchina che stava arrivando dalla parte opposta della strada, dopo essersi riempito di pasticche, Simone aveva aperto gli occhi. L'amico si trovava su quel lettino, che sembrava stranamente più piccolo della sua stazza massiccia. Parlava col padre, forse una conversazione importante. 
Manuel non seppe dirlo con certezza, sapeva di star violando un po' della loro privacy, ma non riusciva a staccare lo sguardo da Simone che per come riusciva, muoveva le labbra, sbatteva le palpebre, rispondeva.

« Hai visto, Manu? È sveglio, è andato tutto bene » Anita gli circondò le mani sulle spalle, poggiando la testa nell'incavo del collo di suo figlio. Quello annuì, sorridendo ampiamente. Era un sorriso genuino, nonostante il resto del suo viso dicesse ben altro.

« Mà, te lo avevo detto, Simone è forte, » sussurrò, mentre sentiva che non era più il tempo di scappare, era ora di mettere un punto « la persona più forte che conosca dopo te, 'o sai? » si girò verso di lei, guardandola pieno d'affetto. 
Anita gli scoccò un sonoro bacio sulla guancia.
 



 
 - - - -
 




Quando toccò a Manuel entrare nella stanzetta, sentì il rumore sordo del suo battito cardiaco nelle orecchie.
Prendiamo sto toro per le corna.                                                                      
Inspirò forte, girò la maniglia ed entrò dentro. Le pareti erano di un celestino spento pallido, c'era un attaccapanni di ferro collocato accanto all'entrata, un lungo comodino slanciato con una lampada economica sopra e affianco, il letto dove stava l'amico. Manuel vide l'amico sorridergli appena lo vide entrare.

« Ehi » fu impercettibile.

Manuel sorrise ampiamente, senza escludersi la felicità e il sollievo che provava in quel preciso momento.

« Bentornato Simò » avanzò nella stanza, girò attorno alla sedia davanti al letto e si sedette. Si concentrò sull'immagine di Simone: aveva delle ferite lungo la parte destra del viso, delle escoriazioni rosse, la sua testa era fasciata con una benda, ben stretta, bloccando i capelli e rendendolo un po' più maturo rispetto alla sua età.
Manuel sospirò profondamente. « Come stai? » domanda stupida, ovviamente, ma non sapeva come cominciare la conversazione - avvertendo uno strano imbarazzo - con l'altro « voglio dire, come ti senti? »

Simone corrugò un po' la fronte, mentre con attenzione pronunciava piano le parole.
« Beh, prima di essere riempito con la morfina, sentivo dolore un po' ovunque, » sembrava voler ridere, ma ne uscì un suono nervoso « adesso sento solo un lato della faccia che tira e un leggero dolore al fianco »

« Te la sei vista brutta, Simò, » risultò abbastanza scosso « dicono che ti sei ingoiato 'de tutto prima di metterti alla guida »
Simone guardò davanti a sé, interessandosi al colore della parete. Manuel notò che evitava di rispondere. « Dovevo fermarti, non ci sono riuscito, non sai quanto mi fa sentire 'na merda questa cosa » l'altro lo guardò di sottecchi, inspirando piano. Manuel giunse la mani, ora appoggiate sulla base del letto. « Ogni volta è sempre a stessa storia, io faccio lo stronzo e tu ci vai di mezzo, sono stato un coglione colossale  »

« Manuel non è stata solo la litigata, cioè sì ha influito, ma sapere di Jacopo, » l'amico lo fermò, cercando di scegliere le parole giuste  « sapere di aver dimenticato un fratello, mi ha mandato in tilt. Volevo solo sparire per un po', dimenticare ciò che avevo saputo » tremò leggermente ma quello che venne dopo fu ben peggiore « volevo morire »

Manuel si sentì subito come un piccolo puntino invisibile che galleggiava nella stanza. Simone, il ragazzo che più di tutti aveva subito la vita, aveva avuto il pensiero di togliersela e non di combatterla.

« Non t’azzardare a dì così, per favore! »

« Ma è così, Manuel. Non mi importava più di niente » confessò.

Manuel serrò la mascella, sentendo la lingua incastrarsi tra la dentatura, si torturò le nocche, stringendo così tanto la presa delle mani, da farle diventare bianche.

« Neanche 'de me? De me non te importava, Simò? » fu sprezzante.

L'altro restò muto. Si guardarono per un tempo indefinito, mentre Manuel cresceva dentro di sé l’idea che non ci sarebbe stato momento migliore, per poter esplodere finalmente.

« Lo sai che ti voglio bene »

« A quanto pare non tanto se pensi de sparire così » si sforzò di rimanere calmo. Non sapeva quando aveva deciso di cambiare registro e tono, ma sapeva che Simone era stato egoista. « Tu padre, tu madre, tu nonna, Simone, hai un casino de persone che te vogliono bene, » addolcì la voce « un sacco di loro che ci pensano a te e che non vorrebbero vedette andare via. A loro non ci hai pensato? »

Simone si stupì di vedere Manuel tremare, abbassare di colpo gli occhi, dilatare le narici. Non lo aveva mai visto in quel modo, non gli si era mai presentata l'occasione di vedere l'amico fragile ed esposto. Non come lui aveva invece fatto mille volte, facendosi sempre colpire ad ogni occasione.

« Manuel-»

« No Simone, non c'hai neanche una minima idea, neanche la più lontana idea di come me so sentito sapendo che potevi anche non svegliarti più » la voce di Manuel si incrinò completamente, come un ramo spezzato, si sentì il cambio di suono, secco e rapido « Se non te lo dico ora, non c'avrò più il coraggio 'de dittelo » 
Simone sembrò allarmarsi e si tirò su sul letto.

« Dirmi cosa? » chiese curioso.
 
« Tu mi vuoi bene Simò, ma anch'io te ne voglio e pure parecchio » era al limite, gli sfuggì una lacrima e fu l'inizio della discesa.
Gli occhi di Manuel si incatenarono a quelli dell'altro, non lasciandogli modo di staccarsi tanto erano insistenti, decisi.

« Lo so »

« No, non lo sai, » ribatté mormorando « perché so stato un coglione, il peggiore amico possibile e sai, a 'na certa ho pensato, ma perché devo scassà la vita a un ragazzo apposto come lui? Perché non mi posso mettere da parte? Perché devo continuamente mette in discussione e cercare il contrasto se non m'ha fatto niente? »

Simone non capiva dove volesse indirizzarsi con quel discorso, sapeva solo che Manuel era visibilmente in fase esplosiva, e quando esplodeva, non bisognava fermarlo, perché poteva accendersi ancora di più e finire male.
« E poi ho capito. Quando ti ho visto mentre ti portavano in ambulanza, quando ti ho visto privo 'de sensi e non rispondevi, urlavo e te stavi zitto. Zitto Simò, cosa impensabile, tu che invece ‘de me, c’hai sempre da dire su tutto. Quando mi sono chiesto se non potevo lasciarti con altro, un saluto, qualsiasi cosa invece che urlatte contro ciò che doveva dirti tu padre. Potevo farmi i cazzi miei e invece no, e sai perché? »

« Perché? »

« Perché ci tengo, te non sei un amico » Manuel si sentì finalmente libero, perché questa volta aveva connesso il cervello alla lingua, alla parola « non lo sei mai stato. Quando t'ho detto che era diverso con te, era vero. Solo che c'avevo paura. Paura de ciò che provavo. Non abbiamo più parlato di quella notte, perché sapevo di aver agito d'impulso, perché pensavo di averti fatto male, ma anche de avé fatto la cosa più bella 'da vita mia dopo mesi interi. Sono stato egoista io, lì. Non lo so Simone, io non lo so quando me sei entrato sottopelle, non lo voglio capì più de tanto, » gesticolò in modo vizioso con le mani senza più tenerle ferme, Manuel era un fiume in piena « so solo che se continuo ad avere paura finisce che perdo, che te perdo. Che perdo l'occasione di non avertelo detto, senza averti detto che mi piaci. Perché è questo che provo. Mi piaci.»

Silenzio.
Simone rimase senza fiato, immobile, continuando a fissare l'amico che stava seduto accanto a lui. In realtà non era proprio accanto, erano prospettive sfalsate, ma che si annullavano quando dovevi elaborare tutto quel flusso di coscienza bruciatosi nel giro di pochi secondi. Gli sembrò di vivere sotto effetto di allucinogeni o forse l’effetto del calmante stava già evaporando dal suo corpo fermo sul letto d’ospedale.  Manuel spostava lo sguardo da Simone, alle sue labbra, al suo naso, alle ferite sul volto. Come in cortocircuito, sembrava essere esaurito. Deglutì, nell'attesa che quello parlasse.
Simone arricciò le labbra, notando come il ragazzo stesse fremendo per una sua risposta. Era confuso – come d’abitudine con l’amico, la confusione era diventato ormai, il suo pane quotidiano.

« Forse ho preso davvero una bella botta, mi sa » Simone ridacchiò e toccandosi la fronte, dunque la benda, con la mano.

« La botta me la stai a dà tu adesso, Simò, che dici? » tagliò corto.

« Non so che dire, devo pensare, sono tante cose-» tentennò vedendo che l'altro si spegneva un po' con lo sguardo, abbassandolo « Lo sai quello che provo io, è inutile pure dirlo » sussurrò spezzandosi.

« No, che provi Simò? »

Simone scoppiò a ridere amaro, coprendosi la bocca con la mano per evitare di mandarlo a quel paese.
« Fallo »

« Eh? »

« Mandami 'affanculo. Non mi interessa Simone, basta che rispondi »

« Come faccio a mandartici dopo quello che mi hai detto? » sospirò.

« Però vuoi farlo »

« Sì, la voglia è tanta  »

« Me lo merito, » Manuel si alzò leggermente dalla sedia « mi piaci anche per questo, perché me tieni testa »

« E’ uno scherzo? »

Il teppistello sospirò, oscillando con la testa riccioluta che si trovava e gli incorniciava il viso piccolo.  
« Magari lo fosse »

Forse era il caso di chiuderla lì. Forse, era il caso di smetterla di pensarci troppo, come da mesi stava facendo logorandosi.                  
D'altra parte se era tutto uno scherzo, l'altro avrebbe potuto alzarsi e andarsene in qualsiasi momento, ma stava ancora lì. Simone si diede il tempo per osservarlo meglio: il malato era lui, aveva tutto il diritto di andarci piano. Manuel se ne stava sulla sedia, le gambe erano incrociate e le labbra erano dischiuse. Aveva gli occhi gonfi, le occhiaie che si affacciavano sugli occhietti piccoli, le lunga ciglia unite – per via del pianto - , i capelli schiacciati e disordinati. Era sfatto, la maglia sotto il giubbotto verde era sgualcita, anche l’orecchino che usava portare sembrava al contrario, simbolo che forse lo aveva toccato più volte fino a cambiarne posizione. Manuel appariva più trasandato del solito.                                                             
Si guardarono ancora, questa volta però, non si stavano combattendo più, non era più uno sguardo di battaglia. Simone trovò un campo libero, ricordandosi di come l’altro lo aveva guardato la sera della sua festa: stesso principio e intenzione, solo che adesso, non c’era della rabbia repressa a fare da sfondo, c’erano solo lui e l’altro.
Manuel si sporse quel che bastava e molto delicatamente, poggiò le labbra sopra quelle di Simone. La sua mano si posò a coppa sulla sua mascella, non coprendola però del tutto, mentre il suo naso schiacciava quello dell'altro.
Fu un bacio leggero e delicato, non dettato dalla fretta.
Si sentì completo, come se si fosse aggiustato un pezzo di ossa o del corpo da solo.
Il ragazzo si stupì di sentire una capriola dentro al petto quando Simone rispose, esitante all'inizio, ma poi contraccambiando il bacio. Come se Manuel pensasse che l'altro lo avrebbe respinto, cacciato. Gli sarebbe servito da lezione, ma l'altro non la pensava come lui o almeno non la pensava più in quel modo. Cercare di non andare oltre, si rivelò più dura del previsto, portando Manuel a fare attenzione dato che l’altro era pur sempre convalescente.                                                           
Al momento di riprendere aria, Manuel pensò che forse una cosa giusta nella sua vita la aveva appena fatta: prendersi la sua dose di felicità. E quella - anche se aveva fatto finta fosse bendata dopo tutto quel tempo - era Simone.



...Eccomi.
Bene, se volete farmi a pezzi accomodatevi pure.
Manco c'è bisogno che vi scriva questo missing moment e quale sia la rispettiva
puntata associata.
Abbiamo tutti capito che Simone va protetto per me, che per lui
ruberei la luna, le stelle, anche un cuore nuovo
e che questo significa voler vedere Manuel piangere.
Bene, Manuel, t'ho fatto piangere. Però mi sento spezzata uguale.

Clò.

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Capitolo 4
*** Anche se poi soffro di vertigini per te ***


JEALOUSY! Ferro edition
finalmente eccoci, lo volevo tanto e vi avviso che non sarà l'unico sul tema.
Il capitolo si ambienta verso la fine della prima stagione e ci mostra
un ipotetico svolgimento di fatti dopo la pausa estiva, la scuola è finita, viva il sole, il mare... però a noi non interessa, almeno non a
Simone, che non resta sicuro a Roma.
Okay basta mi sto zitta.
Il titolo di questo capitolo è una canzone - con cui mi sono fissata, ovviamente - di Noemi
e si chiama Guardare giù.
Buona lettura.


Clò






Quella mattina l'aria era più fredda del solito.
Mentre però, il sole contraddiceva il periodo del primo solstizio d'autunno, Simone scendeva dalla sella del veicolo, spegneva il motore e controllava di aver parcheggiato bene vicino il liceo scientifico.
Sarebbe stato il 4 anno, per lui.
L'estate era passata velocemente, come se quei tre mesi fossero stati soltanto uno, condensato solo in più settimane.
Si attardò, con lo zaino in spalla e il casco che veniva depositato nel piccolo cruscotto del motorino.
Si scompigliò i capelli davanti, guardandosi nel piccolo specchietto davanti a lui. Ciò che vedeva, lo convinceva sempre di più. mentre notava il nuovo accessorio che sfoggiava con tanta curiosità. Forse suo padre poteva non essere d'accordo, ma sicuramente, Cristian aveva apprezzato molto di più quel suo nuovo look.
Oh, sì, l'estate era andata più in fretta rispetto a com'era abituato, passandola quasi interamente dalla madre, in Scozia.
Dante gli aveva permesso e consigliato di andarsene per un po' e lui senza farsi pregare, lo aveva fatto immediatamente.
Adesso, era ritornato a Roma solo da due settimane, giusto il tempo per riprendere in mano il rapporto con suo lui e ritornare alla vita di prima. Ritornare per modo di dire, la Scozia gli aveva permesso di mettere delle distanze tra lui e il suo cuore pesante. O per meglio dire, tra lui e Manuel.
Glasgow poteva sembrare fredda, buia, ma quando Simone aveva per sbaglio incontrato Cristian, in quella caffetteria inglese, la cittadina era diventata subito luminosa. Avevano parlato di cose abbastanza superficiali, fino ad incontrarsi ogni pomeriggio, dandosi appuntamento in quello stesso posto. Cristian gli era sembrato subito un ragazzo a posto, maturo, gentile - oltre che esteticamente piacente.
Si era trasferito in Scozia da qualche anno, decidendo di riprendere in terra europea i suoi studi. Era alle prese con il dottorato in beni culturali antichi, fuori dall'Italia, sempre alla ricerca di nuovi stimoli.
Avevano cominciato a frequentarsi solo dopo il primo mese in cui si erano conosciuti.
in realtà, Simone non aveva capito che le cose stessero andando così veloci fin quando Cristian non gli aveva detto chiaro e tondo che era interessato a lui.
Inoltre durante quei mesi, Manuel per lui era e doveva rimanere un capitolo chiuso. Se si fosse riaperto, molto probabilmente avrebbe mandato all'aria tutti quei giorni sereni. Si era obbligato a passarci sopra.
Tutto quello che interessava ora a Simone era viversi questa nuova piccola sorpresa che era capitata nella sua vita. Se lo meritava, no?                               
Simone pensò all'ultimo saluto con cui il ragazzo, all'aereoporto lo aveva lasciato.
Cristian sarebbe tornato in Italia subito dopo il mese di Ottobre, una volta concordato il suo progetto con il suo relatore.
Sorrise, compiacendosi delle parole con cui lo aveva lasciato "Non ti fare deprimere troppo da Roma, questo è il ragazzo che mi piace e voglio vederlo felice, ok?

Simone entrò, con in testa fisse quelle parole di cui aveva tanto bisogno, varcando il portone della scuola, respirando il tipico odore di chiuso, l'odore dei muri e delle aule che conosceva a memoria.



 
- - -
 
 

Alla macchinetta il caffè, faceva sempre più schifo, lasciandogli un misto di acqua e amaro in bocca, ma come al solito, Manuel non aveva chiuso occhio e quella dose di caffeina gli serviva più che mai.
La sua estate, era stata in bilico tra una serie di lavoretti onesti trovati in giro, aveva fatto un po' il barista, riparato moto, per aiutare sua madre con lo sfratto, la situazione economica e lo sconforto interiore che lo aveva logorato.
Ad aiutare Anita e loro, in parte era riuscito e questo, lo aveva sollevato ampiamente.
L'unica cosa è che, avrebbe preferito avere una spalla durante quegli ultimi mesi, dove, aveva dovuto fare appello a tutta la sua pazienza, per evitare di implodere. Qualcuno con cui parlare, oltre sua madre, qualcuno con cui scherzare, ridere. Simone aveva smesso di farlo e soprattutto di scrivergli verso metà giugno. La loro non era stata nemmeno un'ultima grande conversazione.        
Le ultime visualizzazioni, erano dell'amico, il quale aveva provato seppur malamente, a riscrivergli a fine dell'estate, chiedendogli come stava. Semplicemente questo.
Manuel si era sforzato il minimo, trafitto com'era ad aver provato a recuperare il rapporto con Simone. In risposta aveva ottenuto un "tutto ok" glaciale. Manuel lo sapeva, sapeva di averne la colpa. Per tre mesi, aveva sentito la mancanza di Simone, martellandosi in petto, tutta la colpa del mondo fino alla fine del terzo anno di scuola.
Sembrava che i due fossero ritornati di nuovo in stato di grazie e pace, ma, quando erano ultimate le lezioni definitivamente, Simone era diventato distante, distaccato. Come se Manuel avesse preso qualche forma virale di peste nuova e  contagiosa, l'altro si era allontanato di colpo, senza una spiegazione, senza lasciargli il tempo di elaborare quel taglio netto.
Mentre mandava giù quel liquido marroncino poco invitante dal bicchierino di plastica, i suoi occhi si alzarono di scatto.
Simone camminava lungo il corridoio iniziale, con gli occhi bassi e la mano poggiata sullo zaino in spalla.
Manuel si era appoggiato velocemente alla macchinetta con la mano, il braccio andò in tensione, irrigidendosi, il bicchierino scricchiolava e si curvava nel fascio di muscoli della sua mano. 
Simone era diverso.
Innanzitutto, aveva un taglio più corto di capelli, i ricci erano visibili su, ma erano stati rasati ai lati, portava un orecchino a cerchio al lobo destro dell'orecchio. Un dolcevita leggero blu oltremare gli vestiva il busto, le spalle larghe, ed era infossato dentro un paio di jeans più chiari, slanciando ancora di più la sua figura alta.                                                                                        
Ora che guardava meglio, portava anche degli anelli, in entrambe le mani, massicci e pesanti. Tutto il contrario dell'immagine dell'amico a cui era abituato l'altro. L'unica cosa che Manuel riconosceva erano le scarpe da ginnastica ai piedi, un paio che metteva quasi sempre per uscire e che ormai riconosceva per quante volte le aveva viste penzolare o lo aveva visto camminarci dentro.                                                                                       
Deglutì visibilmente, chiedendosi perché ne stava facendo così tanto un problema. Simone era sempre stato un bel tipo, non che ne fosse sorpreso, ma era diverso.
C'era qualcosa in quello che stava vedendo che fece crescere in Manuel un calderone di domande senza risposte.
L'amico si accorse dell'altro da lontano e si limitò a un cenno veloce della mano.
Manuel rispose secco, il braccio libero piegato a mezz'aria come saluto. E quello fu tutto ciò che riuscì a fare, bloccato com'era davanti la macchinetta.
O meglio, i piedi erano fermi, perché avrebbe voluto urlargli addosso l'assenza di quei mesi, perché era scomparso, perché aveva deciso di tagliarsi i capelli - nonostante gli stesse bene quel taglio, perché sentiva bruciargli il petto al di là del pessimo intruglio che aveva appena bevuto e sapeva non ne era la vera causa e tante altre domande che iniziavano tutte nello stesso modo: perché.
 
 
 
 


Durante la lezione di matematica, Simone era stato chiamato alla lavagna, mentre la prof gli dettava a voce chiara e attenta il problema. Manuel non riusciva a togliersi dalla testa il saluto di poco prima, puro ghiaccio e niente calore.
Che Simone avesse deciso di tagliare i ponti del tutto? Così, da un momento all'altro? Non era possibile, non dopo tutto quello che avevano passato insieme. Non dopo quello che avevano fatto insieme. Fatto, pensò, quello che lui ha fatto. Tu, esattamente, cosa hai fatto Manuè?
Serrò la mascella, sentendosi pizzicare gli angoli degli occhi. Scacciò via quello che stava effettivamente pensando.

« Chi sa dirmi, oltre Simone ovviamente, come si procede adesso? » la professoressa si aggiustò gli occhiali sul naso piccolo e regolare, in attesa di risposta da parte della classe. 
Non rispose nessuno, lasciando dell'imbarazzo palpabile lungo tutta l'aula. La professoressa portò la penna a scorrere lungo il registro cartaceo, giocando un po' con l'elenco di nomi degli alunni.                                          
« Bene, visto che queste vacanze hanno azzerato la vostra memoria, vediamo a chi posso rinfrescare qualcosa o chi può arrivarci con qualche aiuto, » sospirò semi rassegnata. La penna si impuntò, cadendo dritta e verticale sulla carta « Manuel, secondo te come si risolve questo problema? »
Il ragazzo sobbalzò per l'inaspettato richiamo al mondo reale, fuori dalla sua testa e puntellò i gomiti sul banco. Magari la matematica m'aiutasse a risolvere la matassa che c'ho in testa, prof.

« No, prof, non lo so, non ce capisco mai niente e lo sa pure lei, non perda tempo » rimase sulla difensiva, anche se il tono era più amaro che scontroso.
La professoressa per tutta risposta lo guardò però speranzosa, incoraggiandolo a non mollare.


« È più semplice di quel che credi, » mormorò « che tipo di funzione è? Riconosci se è elementare, lineare, esponenziale? »

Simone alla lavagna lo guardava vuoto. Come si guardano quelle macchie di sporco, la cui sporcizia però sai che non dipende da te, ma da chi la ha lasciata lì a formarsi e depositarsi sulla superficie. Manuel lo notò subito, quello si ritirò all'istante: il modo in cui si sistemava i polsi della maglia, il volto che guardava a terra, il gesso gli aveva tinto le dita delle mani, l'orecchino oscillava dal lobo dell'orecchio. In un lampo, pensò subito di voler uscire di corsa dalla stanza, scattare giù da quel banco e rifugiarsi in bagno e chiudercisi dentro fino alla fine della lezione successiva.

« Prof, le ho appena detto che non lo so, so 'na capra in matematica » ribattè onesto.

La professoressa assunse una smorfia di disappunto, però esalando un ultimo sospiro disperato, provandoci per l'ultima volta.
 
« Se guardi bene la funzione, una cosa piccola piccola, l'ho ripetuta più volte lo scorso anno, non ce n'è proprio nessuna di quelle che ti ho elencato, che ti viene in mente? »
 
Era ufficiale, Manuel si sarebbe alzato, avrebbe varcato la porta dell'aula e sarebbe filato dritto dritto a casa, ficcato la testa che si trovava ancora attaccata al collo, sotto al cuscino. Avrebbe sicuramente evitato sua madre, serrato le finestre, spento la luce e si sarebbe fatto piccolo contro le coperte. Ricoperto da strati e strati, in quel modo, avrebbe avuto una doppia protezione addosso a mo' di scudo antiproiettile. All'istante però, Simone mormorò qualcosa, muovendo la bocca senza emettere suono e non verso la professoressa, ma verso di lui. Lo riconobbe: era la tipica azione di quando voleva aiutarlo in qualcosa. Manuel sembrò non credere all'altro che gli sussurrava la soluzione, le labbra scandivano perfettamente, come un mantra, la risposta giusta.
Di colpo, Manuel annuì, confermando di non capirci assolutamente più nulla del modo in cui si stava comportando l'amico.

« Me sembra esponenziale, » buttò fuori sganciando velocemente lo sguardo dall'altro alla professoressa « è la funzione base cor numero de Nepero, no? » questo però lo pescò fuori lui, ricordando vagamente una delle giornate di studio a casa di Simone.                                                   
Si morse il palato subito dopo averlo pensato.                                                      
Ma ci sarà una volta che non ti penso, te stai lì, alla lavagna a prendermi sicuramente per il culo e io qua, con la voglia di sfonnà sto banco e scagliartelo contro.

« Sì Manuel, giusto » sorrise la professoressa, emettendo poi un sospiro di sollievo « Mi accontento di questo, anche se è poco » e con questo riprese a scorrere con la penna lungo il registro.

Manuel annuì, fissando in basso una macchia di caffè sul lato sinistro del banco. Una macchia piccola, ma ormai indelebile, penetrata tra le fibre del legno, così piccola eppure bastata per infiltrarsi dentro e restarci. Era troppo tardi per toglierla, ormai si era fatta strada lungo le venature della materia e lei avrebbe dovuto conviverci.
Avrebbe dovuto convivere condividendo quell'essere estraneo, che sembrava aver conosciuto, una volta depositato dentro, ma che ora era un totale corpo ignoto. Ecco, quel corpo ignoto lo stava guardando a sua volta, cercando di capire come non aveva fatto ad accorgersi in tempo e prima di lui, ora che, non poteva più mettersi in piedi e uscire via dal tessuto di legno.
 

 
 **
 



Quando la mattinata giunse al termine, Manuel sgusciò fuori dalla porta dell’aula portandosi il telefono - che stava già squillando - all'orecchio.  Era sua madre. Cominciò ad ascoltare mentre quella gli diceva che per sera non ci sarebbe stata, che aveva un appuntamento con un editore per la pubblicazione di una sua traduzione, che Manuel avrebbe dovuto prepararsi la cena da solo perché era stata invitata a cena fuori quando, il ragazzo si concentrò su un'immagine ben precisa.
Simone era anche lui al telefono, era girato di tre quarti rivolto verso le finestre che davano sopra la macchinetta, rideva di gusto e si guardava i piedi, dondolandosi appena, mentre la voce usciva rilassata. Se Manuel ricordava vagamente com'era la personalità di quello, sapeva perfettamente che quel gesto era spontaneo e che Simone lo faceva quando era sciolto, si lasciava andare. Quando stava bene.
Un tuffo al petto lo portò a non sentire più cosa diamine ancora stava dicendo sua madre al suo orecchio. Simone stava parlando con qualcuno. Qualcuno che non era lui. E lo stava facendo sorridere.

« Ho capito, ora scusa mà, » disse di fretta « sto salendo in motorino, te voglio bene, ciao » si affrettò a dire, chiudendo la chiamata senza nemmeno sentire la risposta di Anita.      
Manuel sapeva di non dovere avvicinarsi, che doveva mantenere gli spazi, le regole, tutto. Ma si ritrovò di nuovo nei pressi della macchinetta, con il sangue che gli pompava sordo nelle orecchie, come se stesse intonando un rumore di percussioni africano impossibile da fermare.
Simone era a pochi passi da lui. Si girò di scatto e Manuel si vergognò come un animale a stare lì, in piedi senza dire e fare nulla.
« Sì, sì, ci sentiamo dopo, » mormorò Simone con un sorriso stampato in volto « dai, manca un mese. No, no, tranquillo va tutto bene davvero, sto bene, anche tu mi manchi, » continuò, mentre si grattava la testa e sorrideva di nuovo « a stasera » concluse.

Uno di fronte all'altro adesso, si scambiarono uno sguardo pieno di disagio. Manuel deglutì e faticosamente si costrinse a parlare.

« Come stai Simò?» mormorò più per se stesso che per l'altro.

« Va tutto bene, Manuel » scrollò le spalle.

Ritornò l'imbarazzo, il rumore dei ragazzi che usciva e il brusio di risatine in sottofondo lo riempiva.

« Adesso scusa, ma devo andare » rispose secco.

Simone prese lo zaino da terra, caricando una delle estremità sulle spalle. Fece mezzo passo, fin quando l'altro non lo afferrò per il braccio. L’amico si girò malvolentieri, mentre lo guardava duramente.

« Simò qualsiasi cosa ti abbia fatto, » deglutì « scusami. E se non te basta, scusa due, tre, quattro volte. Però non aiutarmi, per poi farmi capire che non vuoi più sapè niente de me » sputò fuori in un sussurro. 
Gli occhi dell’altro si calmarono quasi subito, o forse utilizzarono l’indifferenza.

« Non ce l'ho con te, Manuel »

« Sei sparito per mesi »

« C'ho avuto da fare, non ero a Roma » tagliò corto. 
 
La mano di Manuel era ancora ferma sul suo gomito. Manuel capì all'istante, era stato da sua madre, in Scozia. Non gli aveva detto che era partito, non gli aveva detto che se ne era andato, gli aveva lasciato la testa e il cuore in subbuglio. Io sono stronzo, ma tu sei stato uguale Simò.

« Potevi dirmelo »

« Mi dispiace allora » mormorò, mentre si obbligava a non guardarlo per troppo tempo.

Quel ragazzo con cui ti stavi sentendo, lo hai conosciuto là, vero? Avrebbe voluto dirgli.
C'hai un ragazzo Simò? È questo? Il motivo per cui non t'ho più sentito?  È per lui che è sparito o forse sono solo io, un coglione fissato, problematico che se lo è meritato e non ha alcuna voce in capitolo?  Però una cosa c’è riuscita a farla dove io ho fallito: te fa ride.
Non disse niente di tutto ciò. Anzi, scelse proprio ben altre parole da tirar fuori.

« Spero tu abbia passato buone vacanze » gli uscì fuori senza pensarci.

« Sì, lo sono state » confermò secco l'amico, annuendo.

Che cazzo di tensione, la odio, ti odio.                                                             
Odio dovertelo dire, come se fosse stato facile per me.
Ho passato l'estate migliore, sì.
L'ho fatto.
E tu non sai niente Manuel, non sai proprio niente, non meriti di saperlo.
Perché ti sto parlando in questo momento, non lo so nemmeno io.

« Spero lo siano state anche le tue, » si sbrigò a dire, con il fiato che gli si spezzava e che aveva bisogno di ricostruirsi, doveva scrivere a Cristian e decidere il film che avrebbe guardato quella sera stessa, si sarebbero videochiamati e avrebbe ripreso a respirare, cancellando quella conversazione. « ci si vede » e detto quello, si avviò verso l'uscita dell'edificio.

Lasciato lì, Manuel non si mosse. Non si mosse quando il bidello cominciò a prendere il carrello per le pulizie dallo sgabuzzino.
Non si mosse quando gli ultimi professori uscirono fuori dall'aula insegnanti. Rimase impalato anche quando il bidello gli intimò fischiandogli che si era fatto un certo orario.
Non accennò a muoversi, pensando a come Simone gli aveva parlato: senza entusiasmo, senza spirito.     

Simone Balestra non era più suo.

E quel pensiero, lo distrusse.
Non è mai stato tuo, Manuè.     
Serrò gli occhi e si trascinò fuori dall'edificio, riscuotendo la curiosità di Dante, che giusto in quel momento, con la borsa da lavoro sotto braccio, l'orologio che segnava le due e venti, aveva visto il ragazzo con la coda dell'occhio andare via. Giurò di aver letto sulla sua faccia la delusione, mentre affacciandosi all'aria aperta e chiavi della macchina alla mano, Manuel si preparava sul motorino non scalciando via qualche sasso prima e sfrecciava via.

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Capitolo 5
*** Io ti volevo vincere, ma ti ho saputo perdere ***





« Simone, sai mica dove é stato messo- »

Dante entrò irrompendo nella camera di suo figlio senza bussare, mentre Simone e Cristian erano in videochiamata. Suo figlio era disteso sul letto, piedi incrociati, un braccio dietro la testa, lo sguardo attento. La mano teneva l'apparecchio elettronico con una presa sciolta, libera come se fosse la cosa più leggera oltre lui dentro la stanza. « Va bene, te lo chiedo più tardi » concluse per evitarsi un occhiataccia dell'adolescente più che comprensibile e giustificata.

« Papà sta tranquillo, » sospirò Simone « che cosa cerchi? » chiese curioso.

Dante esitò prima di parlare, per poi sentire la voce dell'altro ragazzo dal telefono di suo figlio fare capolino. Era un tono socievole, accogliente.
« Ciao Cristian » mosse la mano in modo meccanico , mentre Simone ridacchiava visibilmente prendendolo in giro.

« Papà non ti vede se te ne stai fermo la sulla porta »

« Oh giusto, » Dante allora si avvicinò con un sorriso stampato in pieno volto « Ciao Cristian! Come stai? Spero tutto bene »

Cristian rispose positivo in video, mentre Simone ripeteva a suo padre la stessa domanda fatta poco prima. « Cercavo solo quel maglione rosso, sai quello un po' vecchiotto ma che mi sta bene, quello che la nonna voleva dare via, ricordi?»
Simone annuì, arricciando il naso.

« Dovresti provare a cercare in ripostiglio, tutta la roba che sono riuscito a recuperare sta là. Lo scatolone ha un etichetta sopra. »

« Okay, ricevuto! »

Dante esitò però sulla porta prima di uscire veramente dalla stanza, adocchiando e studiando le reazioni dei due. Suo figlio sussurrava sornione qualcosa in segreto al ragazzo in totale silenzio sullo schermo del dispositivo elettronico. Simone alzò lo sguardo, ammutolendosi di colpo, notando la curiosità di Dante, risucchiò le sue labbra e i suoi occhi si fecero confusi.

« C'è altro? »

« No, è solo... » suo padre si grattò i capelli neri con la mano destra « ti vedo più sereno, mi fa piacere, tutto qui »

Ne era convinto. Dopo che era ritornato a stare da lui, per fine estate, Simone era più rilassato, meno teso, era ritornato una versione diversa da quella che se ne era andata in Scozia, a inizio pausa scolastica. Dante, non poteva saperlo del tutto, ma ipotizzava che Cristian fosse stato davvero un toccasana per lui, una sorta di medicina del buonumore che devi ricordarti di prendere ogni giorno per un tot di ore per poter dare il meglio di te. Ringraziò che suo figlio avesse ascoltato il suo consiglio, che sua madre si fosse preso cura di lui in quei pochi mesi distanza e che adesso, Dante lo avesse di nuovo sotto lo stesso tetto, ma ristabilito e vibrante.
Simone annuì, increspando le labbra, guardandolo sincero.

« Sì, lo sono » confermò. Suo padre girò la maniglia della porta, non prima però che suo figlio lo richiamasse un'ultima volta.

« Sì, Simone? Dimmi »

« Volevo dirti che Cristian scenderà a Roma, per fine mese, ha anticipato la partenza, gli ho detto che poteva restare qua, se non era un problema... » si affrettò a dire, velocizzando le parole.
Dante sembrò pensarci su, poi però, sorrise premuroso ed energico al figlio. La sua maglia era di un verde brillante, i pantaloni erano scuri e la barba incolta non era stata ancora sistemata quella domenica mattina. Poteva dare l'impressione di un barbone colto oppure, di un uomo affascinante con un fare prettamente filosofico anche quando era di buon umore.

« Nessun problema Simone, per quanto si ferma?»

Simone si rivolse a Cristian, annuì e rispose di rimando a suo padre.
« Sei giorni »

« Benissimo allora, » e dicendo così solo la sua testa ormai sbucò dallo spiraglio della porta « ci vediamo settimana prossima, Cristian! » parlò più forte e poi la richiuse dietro di sé. Simone sospirò fingendosi irritato, ma sapeva benissimo che suo padre era felice per lui, era solo un modo per non lasciarsi troppo sciogliere da quello.
Sapeva che suo padre gli voleva bene, anche troppo, più di quanto dovesse fare un padre con l'unico figlio rimastogli. Sapeva anche che conoscere Cristian non avrebbe fatto altro che confermarglielo e dimostrargli che lo accettava incondizionatamente.

« Sembra carino »

Cristian lo guardava, una mano appoggiata al viso, l'altra che teneva una tazza di thè fumante.


« Sì, solo si impiccia troppo spesso in cose che non lo riguardano »

« Simone, » lo riprese il ragazzo dolcemente « è pur sempre tuo padre »

« Lo so, solo che a volte... a volte vorrei fosse più discreto, tutto qua. » spiegò per chiarire.

 



 
 
Quella settimana sembrò non passare più, quando finirono ben due verifiche di italiano e latino e ben due interrogazioni di fisica e filosofia (nonostante quest'ultima fosse la sua preferita), Manuel pensò di essere riuscito nella sua impresa più grande: sopravvivere. Non importava come fossero andate, la cosa che contava di più era uscire da scuola, prima di vedere l'altro. Uscire prima di ribeccare il suo sguardo assente, distante, appuntito.
Eppure si ama proprio quello che fa più male perché Manuel lo cercava ugualmente, disperatamente, ad ogni ora in classe.
Lo cercava mentre lo guardava sfogliare qualche pagina prima dell'interrogazione, lo cercava in pausa merenda, lo cercava quando gli altri parlavano dei fatti loro e lui faceva finta di interessarsene, lo guardava anche quando magari l'altro non c'era o si era assentato in bagno. Si odiava. Odiava il modo in cui si era rotto il loro rapporto. Odiava non aver capito prima cosa si stava incrinando senza porre rimedio. Odiava ammettere a sè stesso che Simone gli mancava come l'aria. E così, quel venerdì mattina, alle due in punto, la campana annunciava la fine di un altro giorno di scuola, un altro giorno superato e altri due da passare in balia dei ricordi, del bello passato da digerire.
Manuel uscì per primo dall'aula, o almeno pensava, si apprestò lungo il corridoio finale, lo zaino pesava più del solito per via delle lezioni più importanti, matematica, fisica e latino. Mise fuori il naso dal portone e sarebbe andato oltre se non fosse stato per ciò che aveva a pochi centimetri da lui.
Si raggelò sul posto, mentre qualcuno gli passava davanti.
Simone era lì, vicino al suo motorino, come sempre, come ogni giorno.
Ma non era da solo.
Un ragazzo biondo, alto un po' più di quanto lo era lui, dagli occhi chiari e la postura sicura gli stava parlando e annuiva. L'altro sembrava in estasi. O almeno così sembrava a Manuel.
Ad un tratto, Simone si sporse verso quello e i due si baciarono. Il ragazzo biondo lo strinse forte, con impeto, circondandogli la schiena con le braccia, mentre Simone lo tirava di poco per il collo, affondando la mano dentro la felpa del biondo. Il tutto durò pochissimi secondi.
Manuel si sentì morire. Era come se tanti piccoli aghi gli bucassero la pelle, ma non il braccio, non la mano, ma il petto. E quegli aghi erano circondati da tante punte infuocate, gli uni vicini agli altri. Simone adesso, si portava il casco alla testa, diceva qualcosa a quel ragazzo nuovo, che assecondava il suo buon umore e gli porgeva il secondo casco.
Quello stesso motorino dove anche Manuel era salito, più di una volta.
Un'altra fitta.
Lo zaino gli cadde a terra, non avvertendone più la consistenza. 
I due si misero in sella, Simone guidava, l'altro era dietro ad afferrargli i fianchi. E mentre Manuel guardava, l'altro avviava il motore e pian piano si allontanavano insieme, sempre di più dal liceo.
Manuel sentì d'improvviso la rabbia caricare dentro di lui. Come caricato a pallettoni, iniettato di qualche sostanza strana o un treno in corsa, scese a grandi falcate gli scalini, afferrò le chiavi dentro la tasca del giubbotto, le infilò nel quadro del motorino e una volta sentito il rombo del motore partì, senza neanche infilarsi il casco. Guidò in maniera sporca, come mai aveva fatto prima. Lo zaino era ai suoi piedi, stretto e tenuto con i pochi muscoli che si ritrovava alle caviglie. In quello stato, aveva bisogno di sfogarsi, non sarebbe bastato riversare tutto nell'acqua salata dei suoi occhi. Manuel doveva reagire, doveva scaricare, doveva evitare di pensare. Pensare faceva male, gli ricordava ironico il suo cervello.
Sorpassò due macchine davanti a lui, impassibile anche a una parolaccia che gli venne gridata da un passante che lui non vide mentre attraversava le strisce pedonali. Non gli interessava.
In meno tempo del previsto, arrivò all'officina, parcheggiò in modo approssimativo il veicolo, tirò su lo zaino. Entrò dentro il suo luogo di svago, o comunque dedicato al suo tempo libero, buttò il peso morto di libri che aveva ancora appresso e afferrò il primo pezzo di ferro che trovò a disposizione. Si scagliò contro un paio di cataste di legno, accanto ad alcuni pezzi di ricambio. Le ammaccò, il pezzo di ferro si incastrò nella fessura e lo liberò subito, mirando in modo secco. Spaccò le casse in due soli movimenti. 
Poi passò a delle chiavi inglesi, degli attrezzi, bulloni, piccoli seghetti che trovò appesi alle pareti. Queste vennero colpite con così tanta violenza che al primo colpo, finirono a terra con i chiodi che le tenevano, producendo un rumore assordante. Trovò delle scartoffie, forse progetti di macchine o comunque disegni di moto che lui stesso aveva scarabocchiato e li strappò uno ad uno in tanti piccoli pezzi.
Non contento si ritrovò contro la scrivania che usava come tavolo da lavoro.                                                                                              
Proprio lì Simone lo aveva aiutato per i pezzi del motorino. E lì gli aveva tatuato la pelle. E lì ancora, gli aveva spiegato la differenza tra le varie potenze di cavalli di un motore.
A Manuel non sarebbe bastato però il misero pezzo di ferro che aveva tra le mani.
Alla parete di sinistra c'era un bastone con una punta affilata, un'ascia, ma più piccola. Decise all'istante, la prese al volo, impugnandola con forza e cominciò a picchiare il legno.

Una, due, tre, quattro volte.

Come se questo fosse un mostro a sette teste, incombente sul suo petto, sull'immagine di Simone e l'altro che aveva ancora fresca in mente.
Picchiò di nuovo, sentendo le mani arrossarsi.
Scalfì la superficie che ancora però resisteva nonostante i colpi ben assestati.

Colpì di nuovo.

Sentì le mani deboli, la presa venir meno, la mandibola dolorante per i denti digrignati. E allora urlò, urlò esasperato, sfogando tutta l'aria e la tensione nei polmoni. Urlò fino a quando non si accasciò a terra, buttando giù qualcosa che emise un rumore sordo, metallico.
Si appoggiò alla parete stremato, mentre le ginocchia tremanti si rilassavano, cedendo al nervosismo, all'accumulo di energia ora tirata fuori.
Manuel guardò in basso a sinistra e notò l'ago, i guanti di lattice, l'inchiostro nero colato per terra lasciando una chiazza grande quanto un cerchio, la macchina che usava per i tatuaggi riversa offesa e abbandonata in un angolo, ma intatta. E allora capì. Capì che era arrivato il momento di assecondare le lacrime. Perché in un modo o nell'altro, insieme a quel caos, aveva distrutto anche parte di sé.
In quell'istante, Manuel si sentiva spezzato. Lo era.
Perché lui era innamorato di Simone. Non c'era altro motivo per reagire in quel modo.
Voleva indietro Simone, ma non come amico. Ora lo sapeva.
Voleva Simone ora che lui aveva un altro. Ora che non c'era più niente da fare.
Quando si guardò le mani per asciugarsi la faccia, vide la pelle che pompava ancora per lo sforzo, il battito che si impossessava delle sue vene. Un altro rumore coprì il flusso cardiaco, proveniente però dal suo zaino questa volta.
Manuel lo raggiunse veloce avvicinandolo con il piede, mentre un’altra lacrima sfuggiva dal suo controllo, bagnava la guancia rapida in modo da non essere scacciata nella sua discesa. Si inarcò con la schiena e appena lo toccò, storse il naso: quello non era il suo zaino. Lo aprì: e quello non nemmeno il suo cellulare. Sul telefono spuntava un altro nominativo: Simone. Sbatté gli occhi confuso.
Guardò meglio la marca: cazzo. Aveva il telefono dell'altro.
E anche lo zaino era suo.

Non è possibile.
Che scherzo del cazzo.

Manuel fece mente locale della situazione, pensò alla mattina, cercò di rielaborare il tutto. 
Poi ci arrivò: i ragazzi avevano raccolto dei soldi per il fondo cassa della classe giusto quel venerdì, durante l'ultima ora e per farlo, entrambi avevano aperto gli zaini per prendere i portafogli. Zaini che tutti in classe avevano messo ammucchiati prima del piccolo raduno intorno che portava una chiara spiegazione del motivo e scelta della raccolta stessa. Si morse forte il labbro inferiore.
Sia lui che Simone non tenevano mai le chiavi dei motorini lì, ma nelle tasche dei giubbotti o nelle tasche dei pantaloni.
Non si capiva perché, ma ai maschi non andava a genio tenerle in posti più sicuri, a loro piaceva perderle da un momento all'altro. Ecco perché lo zaino pesava, Manuel non portava mai tutti i libri per ogni materia. In tutto ciò il cellulare affianco a lui stava ancora squillando e lui doveva prendere una decisione. E in fretta.
Era Simone.
Era l'ultima persona che voleva sentire in quel momento.
Così lasciò che squillasse, fino a quando sullo schermo non spuntò il famoso "chiamata persa".
 


 
- - -
 
 

A casa, finalmente, sprofondò a letto, la posizione del suo corpo era ad x, braccia distese, gambe divaricate, testa sommersa e in continua lotta. Simone aveva chiamato almeno tre volte, ma lui non aveva avuto il coraggio o la forza nemmeno di prendere quel dannato cellulare e rifiutare la chiamata.
Sei un debole.
Inventa una scusa, anche la più stupida
.
E d'altra parte, in ogni caso, non aveva il diritto di ignorarlo: Manuel, stai proprio messo male. Quello lo aveva cancellato, era vero, ma in ogni caso non aveva fatto altro di grave, a parte l'atto di svanire come una bolla di sapone.
Nella penombra della camera, si torturava le mani, si allungava un elastico della felpa fino a stropicciarne la punta morbida.
Simone aveva il suo cellulare, ma poteva benissimo restare da lui e tenerselo, per quanto gli importava. Manuel poteva vivere anche senza, aveva pur sempre sua madre, un'officina distrutta e da sistemare. La rabbia risalì potente, recuperando l'immagine vivida di quel bel ragazzo vicino a Simone, il modo in cui in modo libero e disinvolto lo aveva baciato e tirato a lui come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Lo mandava in bestia.
Quello era inaccettabile, ma quel ragazzo sconosciuto rendeva Simone felice. Era finalmente a suo agio, si vedeva lontano un miglio dal modo in cui gli aveva sorriso davanti scuola. Chi era lui per rovinargli ancora una volta la vita?
Chi era lui per irrompere ancora nei suoi affari e togliergli l'ultima fetta di speranza?
Quando la vibrazione di quel maledetto affare ricominciò, Manuel sperò seriamente di andare al diavolo, sprofondare negli inferi ed essere inghiottito da Lucifero in persona. Finire divorato sarebbe stato meglio di quell'ammasso di sentimenti.
Inutile leggere il nome che appariva - di nuovo - sul display.
Inspirò profondamente e facendo appello all'ultimo grammo di consapevolezza e lucidità che gli rimaneva, prese la chiamata.

« Manuel, dove cazzo eri finito, t'ho chiamato tutto il giorno! »

Sobbalzò sentendo la voce dell'altro furiosa.
Me la merito.

« Non c'ho avuto il telefono vicino, Simone, scusa » mentì. Avvertiva già la voce che veniva meno. Ricomponiti, idiota.

« Hai il mio zaino, le mie cose e il mio cellulare, così, per informarti »
Simone era scocciato.

« Lo so, me ne sono accorto da poco, » mentì di nuovo Manuel « ho dovuto stare appresso a mi madre, » eccolo il tono incrinato, il petto chiuso dentro una morsa vorticosa senza uscita « scusami di nuovo Simò »

« Tutto bene? »

Non me lo devi chiedere, non ha importanza.
Devi farti la tua vita Simone, la mia ormai è andata. Almeno tu, salvati.

« Sì, tutto apposto »

« Non mi sembra, ti trema la voce »

Me trema pure il cuore, ma fa niente.

« T'ho detto che va tutto bene, Simò » non ci credeva nemmeno lui nel tono finto di convinzione che aveva usato.

« Manuel, le cazzate non le sai dire, lo sai-»

« Senti ce riscambiamo le cose domani a scuola, » s'affrettò mentre l'aria veniva meno « ora devo annà, ciao »

E scorrendo il tastino rosso, riattaccò.
 
 
 





« Che ha detto? »
Cristian era seduto a cavalcioni sul letto di Simone, mentre gli portava una mano sulla spalla.

« Ha detto che ci scambiamo tutto domani...ma era strano » Simone guardò Cristian confuso e un po' preoccupato.

« In che senso strano? »
Cristian gli accarezzò piano la schiena, per tranquillizzarlo.

« Non lo so, sembrava triste...forse è successo qualcosa con sua madre »
Sembrava spento? Cosa da non credere, quando mai Manuel dimostrava apertamente di stare male con lui, con chiunque in generale. Se quello sta a passando qualcosa di negativo, sicuramente non lo avrebbe confidato a lui, o almeno non più dopo che Simone aveva deciso di mettere dello spazio tra loro.

« Forse era solo stanco » suggerì il ragazzo che ora lo guardava fiducioso.

« Fosse solo questo, ci avrebbe scherzato su e invece sembrava... assente, come se gli fosse successo qualcosa di importante »

Proprio tu parli di assenza. Si corresse subito. È diverso, io ho dovuto esserlo con lui per non continuare a starci male. Un po' di egoismo ogni tanto tornava utile.

« Ti preoccupi troppo degli altri Simone, anche quando questi non se lo meritano » soffiò Cristian baciandogli appena le labbra. Quel piccolo tocco sembrò già far stare meglio l'altro, che lo guardò un po' meno rabbuiato, ma comunque consapevole di essere sempre stato quella persona che potevi contattare sempre, su cui potevi confidare, anche senza ricevere in cambio lo stesso trattamento.

« È la croce dell’essere me »

« Sei una persona stupenda, » lo bloccò prima che uscisse fuori un pensierino negativo e deprimente « mi è mancato questo e anche altro di te, spilungone » sottolineò.

Simone sorrise un po', quello era ormai il suo soprannome ufficiale conquistato con orgoglio nella cittadina scozzese.

« Sono contento tu sia qui »

E dicendo quello, riprese a baciarlo con Cristian che gli sfiorava il petto con i palmi delle mani aperte, i capelli biondi che sembravano di un’altra tonalità per via della luce della stanza. Mentre però le mani di Cristian disegnavano la linea della sua mascella, Simone non capiva perché pensava ancora al tono triste di Manuel. La sua testa era tutta concentrata da una parte, mentre il suo corpo era incentrato su quello di Cristian, attraente, disponibile, presente.
Quando quello lo vide assentarsi, lo guardò confuso. Simone si giustificò all'istante.

« Cristian, » mormorò sopra le sue labbra « per stasera possiamo, uhm, non vorrei che mio padre, sai... »

« Oh, sì, certo »

« Lo sai che lo voglio, » lo guardò serio Simone « ma non sono, non sono ancora pronto » deglutì. Cristian gli accarezzò la guancia, infondendogli sicurezza.

« Non voglio forzarti in nulla, lo sai, » gli baciò l'angolo della bocca e gli mordicchiò il labbro inferiore « non sarebbe giusto »

« Devo sbloccarmi ancora, su questo » confessò.

« Non ho nessuna fretta Simone »
Questa volta fu però l'altro a scoccargli un bacio più curato e deciso sulla bocca, soffiando un 'grazie' impercettibile.
 




 

Clò:
Io vi lascio con il testo e il titolo del capitolo,
meravigliosa canzone di Masini che secondo me
descrive perfettamente la relazione di questi due idioti in
pochi semplici
spazi:



Io ti volevo vivere, ma ti sapevo uccidere
Io ti volevo stringere, ma non ti sapevo prendere
Io ti volevo complice, ma ti sapevo escludere

Io ti volevo fragile e ti lasciavo piangere

Bene, diciamo che mi merito tutti gli insulti
e i premi possibili. Grazie dell'attenzione,
di dedicarmi sempre del tempo e di sorbirvi la fantastica
ma sofferta gelosia di Manuel. Ovviamente, avrà un suo
finale conclusivo perchè, non pensiate
che ci sia solo soddisfazione eh, anche io ho un cuore
che batte per lui.

 

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Capitolo 6
*** Just a killer come to call ***


Alcuni dicono che l'amore sia una cosa che brucia
che disegna un anello ardente
Oh, ma io conosco l'amore  
come una cosa che svanisce
leggero proprio come una piuma in un ruscello



E con quella canzone dentro le cuffiette, camminava percependo un po' di più il suo significato, il testo chiaro e pungente, aspro.
La riproduzione causalmente la aveva appena fatta partire ed era risuonata come un sasso buttato dentro un lago. Tante piccole circonferenze che si allargavano e venivano risucchiate dal flusso dell'acqua. Così le frequenze del suono vibravano sulle frasi della partitura. Era questo che si doveva provare quando ci si innamorava?
Mà, non mi avevi detto che faceva così male però.
Forse era solo questione di esperienza. Ognuno viveva l'amore com'era giusto viverlo, adattandosi alla propria persona.
Non siamo tutti uguali, non tutti ci sentiamo dei sassi che cadono e vengono avvolti dalle onde.
Manuel camminava lungo i sanpietrini romani, aveva deciso di non prendere il motorino quel giorno, ma di andare a piedi. Le sue gambe erano stanche di stare ferme e poi, non guardava la sua città da un po' di tempo. E non al ricordava così piena, così viva già alle sette e un quarto del mattino. C'era un via vai di persone, dei bambini accompagnati dai genitori a scuola, dei ragazzi con gli skate o seduti sui portoni delle case.
Camminava con lo zaino dell'amico sulle spalle, sperando con tutto se stesso di liberarsene presto e chiudere quanto prima la faccenda.
Mentre il sole gli baciava il viso e i raggi entravano dentro le sue iridi, Manuel sospirò svoltando l'angolo e pesando i suoi passi, guardandosi le scarpe sporche ai lati.
È giusto così, pensò, forse è così che doveva andare, peccato non avere una palla de vetro però.
 
 
 



Quando si scambiarono di nuovo le loro cose, prima della lezione, i saluti erano stati cauti, attenti.
Simone aveva notato le occhiaie dell'altro, il modo in cui stancamente si sforzava a parlare, ma era stato zitto, tenendosi i propri pensieri per sé.             
Non sapeva però che la privazione di sonno, di ore a combattere con dei demoni ignoti dell'altro, erano dovuti a lui.
Si erano seduti sulle sedie posizionate di fronte all'aula insegnanti, aspettando che suonasse la campana, in completo silenzio. All'entrata degli altri ragazzi, quello però continuò, nonostante il brusio, l'eco di adolescenti distratti e che coprivano i problemi delle loro vite con stupidaggini e banalità. Simone e Manuel si decisero ad entrare, senza guardarsi proprio in faccia.
Vorrei sapere che c'hai, pensò Simone, entrando all’interno dell’aula, mentre Manuel si metteva a sedere con lo sguardo basso, l'aria bastonata.


 


- - -
 



La lezione di filosofia iniziò, Dante si sedette sulla cattedra e dopo aver salutato tutti, cominciò a parlare dell'argomento del giorno: Blaise Pascal.
C'era un piccolo libriccino di poche pagine o poco più, che teneva con una mano sola, fece scorrere le pagine.
Tutta questa fu incentrata sul suo pensiero puramente filosofico sul testo “I pensieri” dell’autore.
La vera apologia ricostruita del filosofo, prevedeva una visione abbastanza prevedibile.
Per tutta la prima parte e buona mezz’ora, Dante citò al pensiero pascaliano sulla miseria dell'uomo senza fede e senza dio, poiché era la sua stessa immaginazione, l'amore che lo seduceva, il divertimento che lo portava alla distrazione, che lo vedevano alla ricerca di un dio, una figura al di sopra di lui.
Poi Dante chiese qualcosa a Matteo, il quale ovviamente provocò la risata di tutta la classe.
Simone si voltò verso Manuel, notando che questo era sulle sue più del solito e invece di ridere, si ritrovò indifferente dal commento del compagno.
Dante poco dopo ritornò serio, spiegando come invece l'uomo con Dio, per Pascal, fosse invece una continua scommessa con la religione, perché come ognuna, cristiana o no aveva i suoi pro e i suoi contro che andavano oltre la ragione filosofica.
Quando però, si accorse che l'interesse all'argomento veniva meno, il professore si ritrovò a sospirare e a giungere le mani lungo le ginocchia, sedendosi di nuovo sulla scrivania di legno, dopo aver camminato secondo la sua diagonale della classe.

«  Ma ora veniamo a noi, » impostò la voce Dante « a parte tutti questi discorsi sull'indottrinamento o meno, che ruolo ha davvero l'amore per Pascal? »

Manuel osservò di scatto quello parlare, completamente in ascolto adesso. Come se avesse appena nominato una divinità ignota, guardò subito l'adulto.
« Pascal afferma, “Il cuore conosce ragioni, che la ragione stessa non conosce". Sicuramente, frase super e strausata nei famosi baci della perugina per rimorchio di ragazze, ma il cuore. Il cuore sa qualcosa che a noi sfugge. E allora tutto si complicherebbe »

« Professò, ma è ovvio che non stà a parlà solo de fede. Va bene Gesù e tutto, però il cuore è una cosa d'amore » disse all'improvviso Chicca, abbastanza interessata.

Manuel le lanciò uno sguardo rapido, giocando con una penna che aveva tra le mani.

« Sì, Chicca, ecco dove sta il nocciolo della situazione: ovvero, se è davvero come il filosofo ci dice » lo sguardo di Dante si orientò sul ragazzo che stava guardando incuriosito un oggetto di plastica « la vera domanda che dobbiamo farci è: ci sono situazioni della vita in cui dobbiamo andare non dove ci indica la ragione ma – “dove ci porta il cuore”? »

« Io penso che sia più corretto distinguere tra mente e cuore, perché se prendessimo o ascoltassimo solo il secondo, sarebbe un po' assurdo, no? Basare la nostra vita solo su un organo che può fallire »

Manuel alzò gli occhi di scatto. Chi aveva parlato era Simone, voce ormai che riecheggiava nella sua testa da giorni, immagine della sua irrequietezza, del suo disturbo fisso. Avvertì di dover distogliere subito lo sguardo, per evitare di peggiorare il suo umore.
La tortura cinese se l’era imposta sulla pelle, inchiostro o meno, c’erano ferite invisibili che solo lui consosceva.

« Ben detto Simone, » annotò suo padre « ma non possiamo nemmeno vivere seguendo solo la logica, anche quella fallace ahimè, altrimenti potremmo non sbagliarci mai e non impareremo mai niente della nostra vita » chiarì. Sembrò rifletterci su, per poi ritornare a osservare i suoi alunni. Gli occhi gli caddero di nuovo su uno in particolare, dall’aspetto torbo « Manuel, qual è il tuo pensiero al riguardo? »

Il ragazzo sobbalzò, scrollò le spalle, evitando il contatto visivo con il professore di filosofia.
« Io penso sia una causa che vale la pena di vivere, » mormorò, un filo di voce « se il cuore è solo un muscolo, perché tanti poeti c'hanno scritto? Perché perde tempo co' i sentimenti se non servivano a nulla? Ha senso. Il cuore è un muscolo fisico, involontario. Quello che fa, come si muove, non è dettato dalla nostra testa. Pascal c'ha ragione » concluse così, lasciando mezza classe interdetta.
Manuel si sentiva bruciare appena, non pensava fosse una cosa così aulica, nella sua testa c'era un groviglio di altre risposte ma quelle furono le sole che gli uscirono fuori.

« Quindi abbiamo due visioni totalmente opposte, » Dante alzò le mani, in rassegna e con un tono abbastanza interessato dalla faccenda, ritornava in fondo all’aula, questa volta per sedersi dietro la scrivania « testa o cuore, è questo il problema esistenziale dell'uomo »

Manuel si morse le labbra, mentre per sbaglio alzava i suoi piccoli occhi e vedeva l'altro che lo guardava. Avrebbe tanto voluto cancellargli quelle due pozze nere, grandi, gli facevano male.
 
 



- - -
 
 
 


Se Simone pensava che l'ora di ginnastica passasse in fretta, quella invece si trasformò in un macigno. Non fecero granché se non riscaldarsi e giocare a pallavolo. A lui piaceva giocarci, era bravo in quello sport quasi quanto nel rugby, ma quella volta era diverso.
Manuel non si era visto, o meglio lo aveva notato defilarsi con qualche scusa davanti al prof d'educazione fisica e andare via. Forse stava male.
Forse dovrei andare a vedere come sta.
Si intestardì sulla salute dell'altro per tutta la durata della partita.
Forse era il caso di smetterla, erano passati tre mesi e mezzo. Manuel avrebbe dovuto capire ormai, fin troppo bene, il limite tra il gioco e la verità.
Dopo aver giocato un altro po', Simone lasciò la palla agli altri, notando che il professore prendeva una chiamata al telefono e si era distratto. Simone tagliò diagonalmente la palestra con le gambe veloci, inoltrandosi nello spogliatoio. Manuel stava seduto lì, con un libro aperto sulle gambe. Il libro era il loro manuale di latino. Simone si sorprese a vederlo studiare, ripensando che quello gli aveva sempre detto che non riusciva a concentrarsi a scuola, né tanto meno a casa, nelle loro famose pause studio. Quello si accorse di lui e ritornò alla pagina, come se nulla fosse.
Simone si era seduto vicino all'armadietto opposto, i pollici si toccavano, la mascella era leggermente tirata, l'indecisione su come prendere parola. Poi un attimo dopo si sciolse e buttò fuori qualche parola.

« Stai bene? » biascicò.

Manuel non alzò di un millimetro lo sguardo dal manuale.

« Tutto apposto »

« Di solito non eviti l'ora di ginnastica, mi è sembrato strano »

« C'ho l'interrogazione di Lombardi, giovedì, » disse sconfortato « e sto messo un po' male, mi sa che pure il prof ha capito che sto nella merda »

« Di nuovo? Ma scusa Lombardi non ti aveva sentito la scorsa settimana? »

« Si è fissato che mi vuole risentire, su un argomento diverso però »

Simone annuì. Poi lo osservò meglio: Manuel era rigido, nonostante non fosse ripiegato sul libro e le mani sostenessero in modo saldo il tomo, c'era qualcosa nel suo corpo che lo bloccava. Sembrava un pezzo di marmo tirato fuori con maestria, ma che nonostante il movimento, comunicava staticità. Come fosse uno scudo. Indossava una maglia bianca e una felpa rossa scura sopra, i pantaloni gli ricadevano molli sulle gambe. Forse era fatto più magro, ma a Simone diede l'impressione quasi di uno spettro, le occhiaie erano ancora più evidenti dei giorni precedenti. Forse non era solo una questione di sonno. Simone però non sapeva come avrebbe potuto chiederglielo senza sembrare inopportuno. Sapeva solo che gli mancava avere l'altro nella sua vita, nei piccoli momenti, nelle battute troppo argute e furbe, nel capirsi magari solo con uno sguardo. Riempì i polmoni, come a prepararsi all'inevitabile.

« Manuel » mormorò, pentendosi di colpo di quello che stava per dire «per quanto riguarda quello che è successo quest'estate...»

L'altro alzò gli occhi su di lui. Simone ci lesse solo tanta ansia. Manuel, ansioso? Che stava succedendo?

« Non ti preoccupà Simone, » sussurrò « vedi che ho capito, non c'è bisogno che mi spieghi » scacciò via l’aria con la mano.

« No, Manuel, » sospirò « non era proprio tutto. È vero sono stato da mia madre, a Glasgow, ma l'ho fatto per un motivo ben preciso: volevo mettere un punto, volevo chiarirmi le idee, » Manuel si tenne all'oggetto che aveva in mano, come fosse la sua personale coperta di Linus « volevo tagliarti fuori, cercare delle mie risposte alle mie domande, » deglutì « la verità però è che non ne sento più il bisogno. Perché tutti quei mesi mi sono serviti a... a stare meglio » confessò.

Manuel annuì lentamente, visibilmente sconfortato.
« E non me la sento di tagliarti ancora fuori. È troppo. È successo qualcosa di inaspettato mentre ero via e vorrei parlartene, » lo guardò cercando di andare avanti « vorrei parlarne col mio amico »

Manuel chiuse di colpo il libro, la mano sul fronte, l'altra che si accarezzava piano il materiale della felpa.


« Ho conosciuto una persona, » continuò Simone « una bella persona, mi fa stare bene. È stata come una ventata di aria fresca quando meno me lo aspettavo. E vorrei potertelo dire, senza problemi. Vorrei poter ritornare a dirti tutto, Manuel »

Manuel sentì il cuore farsi di colpo più piccolo contro la gabbia toracica. Anche io, anche io lo voglio. Una vocina dentro la sua testa gli diceva di agire e di fare una cosa, il petto invece gli faceva male e si mangiava completamente quella, che era stata appena partorita fuori.

« Voglio che ricominciamo daccapo, mi manca la Manuel e Simone associati »

« Non so più quanto esista, dato che ora sto cercando di rigà dritto, » Manuel prese coraggio e guardò l'altro « ma manca anche a me Simò »

Preferisco riaverti come amico, piuttosto che perderti completamente.
Un piccolo accenno e via. Manuel vide l'altro rilassarsi completamente, mentre l'unico in tensione era lui.
Simone sorrise, con un solo gesto si alzò dalla seduta andando in contro all'altro. Manuel non si aspettò di ritrovarsi le braccia di Simone al collo, che lo tiravano forte. Inspirò l'odore nell'incavo del suo collo, concentrandosi sul suo profumo, il libro gli scivolò dalle mani e Manuel si sentì realmente bene dopo tanto tempo.
Gli pizzicavano gli occhi, ma optò per cacciare via le maree che aveva ormai versato in quei giorni.
Era un abbraccio, non è morto nessuno Manuel, è solo Simone.
Quella stretta durò più di quanto doveva, ma a lui non dette fastidio: Simone gli parlava di nuovo. Erano di nuovo la società a delinquere di una volta.
E questo doveva bastargli.


 
 
 
 

Passata quella settimana, sembrava essersi riparato quasi tutto. Manuel riaveva Simone con sé e i due parlavano di nuovo. Il primo però stava sempre molto attento nell’uso delle parole, più per l’altro che per se stesso. Aveva imparato a dosare i pensieri e a sfumarli quando Simone gli nominava Cristian, o il biondo come ormai l’altro lo aveva soprannominato nella sua testa. Manuel sapeva che doveva parlargliene, era normale lo facesse. Nonostante ciò si bloccava ogni qual volta veniva fuori o Simone si perdeva in qualche dettaglio superficiale, ma che accresceva la voglia del teppistello di prendere a testate il primo muro disponibile.
Quel pomeriggio, Simone, lo aveva invitato a casa sua per fare i compiti e studiare qualcosa in vista delle prossime interrogazioni.
Quello sembrava così entusiasta, che Manuel non se la era sentita di rifiutare la proposta – al di là che in quella stessa casa ci fosse stato il suo nuovo ragazzo. Questo era, d’altra parte no? Simone non aveva detto quelle esatte parole, anche se ne era uscita una ben più evidente: frequentiamo. Ci frequentiamo. Tradotto nel gergo di Manuel era evidentemente qua è meglio che me faccio er segno della croce, perché non so più a che santo voltarmi.
Ecco, era come dire la prima, ma in maniera meno ufficiale. 
Manuel credeva si sarebbe sentito ancora più a disagio, ritornando in quella stanza, in casa Balestra.
La luce che si posava sulle pareti calme e i piccoli oggetti per la casa. Invece, stando seduto, ora comodamente mentre l’altro stava alla scrivania, traducendo una versione di latino e spiegandogli passo passo, ogni vocabolo riprendendo la loro vecchia abitudine, si sentiva sollevato.  Una stanza era comunque una stanza, era banale come immagine, ma Manuel poteva giurare di averla riconosciuta come un secondo rifugio, a parte la sua. Ci aveva dormito, lì dentro. Lui e l’altro si erano anche presi in giro, seduti su quel letto oppure guardando un film. Cose semplici, certo, ma non per questo non importanti meno belle. E adesso che Manuel guardava quella foto di loro più piccoli, risalente all’anno passato, appesa alla bacheca, sul muro di fronte, era convinto che l’altro non aveva smesso di pensarlo, pensare alla loro amicizia anche quando aveva deciso di tagliare i ponti. I ricordi sono la fonte più preziosa che abbiamo.

« Non l’hai tolta quella »

Simone fermò la traduzione, seguendo con lo sguardo quello attento di Manuel, tutta incentrata sulla foto appesa con una puntina rossa sopra la sua testa.
« No, non ci sono riuscito » mormorò appena.

« Sai non mi ricordo nemmeno dov’eravamo lì »

Simone ci pensò un attimo, si alzò dalla sedia girevole e analizzò lo sfondo: delle rovine contornavano le loro figure, con del verde ancora più in lontananza. Capì subito.

« Era durante una delle lezioni di mio padre, al Colosseo… » la prese in mano e la mostrò all’altro « vedi l’architettura sullo sfondo? Ah, poi a sinistra si vede pure lui, di profilo » indicò la figura sfocata, ma riconoscibile di Dante, vista di spalle.
Manuel annuì, prendendola in mano.

« Sì, ora ricordo, » rise un po’ « Matteo aveva fatto lo stronzo e io l’ho ripreso, quanto m’aveva fatto incazzare »

Simone corrugò la fronte, guardandolo interrogativo. Manuel ristrinse le labbra, giusto il tempo di raccontare com’erano andate le cose.

« Te ti eri allontanato un attimo, però ha detto ‘na carognata su di te e io gli ho fatto capire che se doveva fa’ i cazzi sua »

« Non me lo aveva detto nessuno questo »

« Perché nessuno c’ha avuto veramente le palle e poi Matteo se crede furbo quando in realtà è solo deficiente »
   
Simone si sedette sulla punta del letto, guardando ancora un po’ quella fotografia.
« Beh, grazie » mormorò « per aver preso le mie difese »                                              

Simone riprese la foto e sorrise, la sua fossetta gli incorniciò la guancia.
E’ così vicino in questo momento.
Simone, alzati da questo letto, per favore, non me fa fare cazzate
Lo stava fissando, anche quella volta. Manuel costrinse la sua attenzione al libro di latino che aveva poggiato sulle gambe , pensando intensamente a quella merda di Lombardi e a una potenziale sufficienza da prendere in futuro.

« Sai, a Glasgow ho fatto delle foto simili, » Simone afferrò il suo cellulare dalla tasca , selezionando la galleria « alcuni giorni sembrava una landa desolata, » cominciò a scorrere con il dito, sistemandosi meglio sul suo letto « altri invece faceva capolino uno spicchio di sole e il verde era accecante »

Manuel sospirò, osservando le immagini. Simone aveva ragione: c’erano delle strutture in rovina, degli edifici medievali, il verde che sembrava grigiastro con il buio e verde acceso, finto, con un minimo di luce. Erano delle belle foto.
« Non sembra poi così male »

« La Scozia è bella, se riesci a vederla con altri occhi »      
                                       
Le immagini scorrevano, fino a raggiungere foto sue e di sua madre. Simone tossicchiò all’istante.

« Sì, dovevo aspettarmelo, queste sono le ultime foto che mi ha inviato mia madre, scusa »

« No, no aspetta »

Manuel lo fermò dal riporre il cellulare.
La donna aveva i capelli legati in una crocca, color biondo miele, un sorriso gentile le incorniciava il viso e degli occhi premurosi guardavano la fotocamera, avvolta da un cardigan pesante. Assomigliava un po’ al figlio: avevano la stessa forma degli occhi, grande e anche lo stesso naso dritto.

« Vi somigliate »

« Un po’, anche se molti hanno sempre detto che sono la fotocopia di mio padre, soprattutto da piccolo »

« Di tuo padre hai il colore dei capelli, quello degli occhi, qualche altra cosa, ma no, » soffiò fuori Manuel « hai la dolcezza de tu madre, nello sguardo »  
                                                                                                                       
Simone non commentò, anzi, si toccò la nuca con la mano vuota, aperta, mentre scrollava ancora le immagini sullo schermo.
Quello che venne dopo, gli provò una reazione di sorpresa.
Manuel affondò le unghia dei palmi nelle mani, deglutì e il disagio gli riempì del tutto la gola. Nella foto si vedevano Cristian e lui, che si baciavano. E sarebbe stato meglio sicuramente non averla vista, ma ormai nella mente di Manuel c’era il colore della maglia dell’uno, le mani intrecciate di entrambi. Non bastò nemmeno continuare a fissare il libro davanti a sé, perché Simone stava ancora controllando quelle maledette foto e quella che gli era entrata in testa non era la sola. Una dove erano in giro, l’altra dove prendevano il thè. Notò meglio una foto: Cristian non sembrava avere sedici anni. Aveva la barba curata, i capelli erano legati in  un codino disordinato, gli occhi verdi vispi.

Sta zitto, non dire niente.

« Non sembra un pischello come noi, quanti anni hai detto che c’ha?»

Troppo tardi.

« E’ di otto anni e mezzo più grande »

Manuel fece un calcolo rapido a mente. La sua faccia si colorò all’istante, sentendosi istantaneamente la testa pulsare forte, come se lo avesse preso un improvviso mal di testa. E’ un vecchio, signore santo.

« Fammi capire, c’ha 25 anni? »
Simone si scrollò nelle spalle, tranquillo.

« Quasi, ma non si vede »

« Non se vede, come non se vede, » Manuel era appena partito per la tangente « Simò c’ha la barba folta, l’aria seria, se vede a colpo d’occhio, ha l’aspetto de uno più vecchio! »

« Non capisco quale sia il problema, quando tu stavi con Alice, lei non aveva 30 anni? Da che pulpito parte la predica »

Cazzo Manuel.

« Era diverso, io so io, » tergiversò arrampicandosi al primo specchio disponibile « ‘ste cazzate sono da me, ma da te Simone, no. Questo c’avrà già la patente, due lauree, una casa tutta sua »

« Anche Alice lavorava e aveva una casa »

« Alice, Alice… ma chi se ne frega de Alice, Simò, qua stiamo parlando di te che stai con un tizio quasi col doppio dell’età tua! »

Simone rise amaro, si alzò di botto dal letto, portandosi le dite delle mani sulle tempie per massaggiarle.

« Manuel, il vecchio, come lo chiami tu, non si è approfittato di me, » era lucido e cercò di mantenersi saldo rispetto a quell’idiota che si ritrovava come amico « al contrario dell’architetto con cui sei andato a letto tu. Il rapporto che ho con Cristian non è da ‘na botta e via, quindi chiudiamola qua, è meglio » si andò a risedere alla sua scrivania, ispirando forte e riprendendo dal punto del testo dove si era interrotto poco prima.

« Chi ti dice che non sta succedendo lo stesso co’ Cristian? »

Simone stai calmo, respira.

« Perché si da il caso che io lo sto frequentando, io so chi è e tu non lo conosci. Non hai il diritto di parlarne così. »
Simone incrociò le braccia al petto, le spalle la schiena che si irrigidivano contro la seduta.

« Non significa niente, » sputò fuori, allargò le braccia in un gesto plateale alzando di un tono la voce « uno può avecce tanti motivi ‘pe stare con uno, ‘pe i soldi, così come ‘pe andacce a letto! »

« Tipo tu? »

Manuel fu preso in contropiede, ammutolendosi di colpo. Aveva ragione, lui non aveva nemmeno un chiaro segnale del perchè lo stesse facendo a parte la gelosia. Che brutta bestia, Simò tu non puoi capire.  

Scemo io che pensavo si facesse per amore.
Le parole in risposta a quelle di sua nonna risuonarono nella testa di Simone, inevitabili.

« So che ti da fastidio, perché per una volta ho qualcuno che ci tiene davvero a me e che non vuole prendermi in giro, » le sue labbra vibrarono e per un solo secondo, il tremolio arrivò e Simone pensò di stare per cedere, ma si riprese subito « ma Manuel non è detto che se è andata male a te, succeda anche a me »

Silenzio.
Fare silenzio non era nelle corde del teppistello, adesso. Sapeva benissimo di doversi stare zitto, sapeva che stava ancora una volta facendo male all’altro, ma a sua volta si sentiva una pezza, uno strofinaccio vecchio e da buttare. Stava cominciando a venir fuori la serpe velenosa che aveva tenuto sottochiave, dentro un cassetto, in fondo al marcio che era oramai divenuto rigoglioso dentro il suo esile petto. Doveva chiudere quei pensieri che si annidavano come code di serpenti, ma era impossibile al momento.

« Parli di Cristian come se fosse l’unico a volerti bene »

Cazzo stai dicendo.

Simone lo guardò in cagnesco.
« Sai che non lo intendevo in quel modo, se ti senti in colpa non è un mio problema Manuel »

Certo che mi ci sento, io sono costantemente in torto con te. Ma se lo faccio un motivo c’è,  porcamerda.

« Cristian fa questo, Cristian fa quello, sai com’è sto co’ Cristian, cosa magna Cristian, » non si stava più zitto, si era alzato dal letto e nemmeno lui aveva percepito il movimento del suo stesso corpo « me so rotto, Simò, me so rotto! » ringhiò furioso.

« Se ti sei rotto, perché non te ne vai? » la voce di Simone era diventata un sibilo, gli occhi ridotti a due fessure microscopiche che indicavano la porta.

« Ed essere appeso per altri tre mesi? Forse non lo sai, ma al contrario di te io c’ho avuto altri casini a cui pensare, non me ne annavo in giro ‘co ragazzetto per le strade inglesi a raccoglie fiori e bere caffè ‘cor whisky! »

« Sei sempre il solito stronzo. Pensi di esserci stato male solo tu?!» questa volta fu l’altro a ringhiare, si spinse dalla scrivania, la sedia andò indietro e lui scattò in piedi « sai minimamente cosa ho provato sapendo di doverti cancellare. L’idea non mi piaceva neppure un po’, ma dovevo andare avanti! Riesci a non essere sempre così egoista Manuel? Ci riesci, potresti provarci, per una DANNATA VOLTA? » urlò anche lui.

« SI SIMO', SONO EGOISTA, sono così egoista, che per quei mesi ho dovuto pensà a non fare perdere il tetto sopra la testa a me e mi madre, ho dovuto invernarmi tre quattro lavoretti per non farle pesare questo, oltre a quello de un figlio disgraziato come me! Eh, non c’ho avuto un cazzo di nessuno, nessuno tutta l’estate Simò, » Simone si trovò spiazzato da quelle dichiarazioni, subito lo guardò dispiaciuto mentre Manuel esplodeva « mentre tu ME CANCELLAVI, IO STAVO ‘NA MERDA! »

« … Mi dispiace, per tua madre »

« E’ passato ormai » deglutì forte, il pomo d’adamo che si muoveva lungo quel collo magro, in modo nervoso.

« Non immaginavo…»
                                                                                                   
Si sentì un rumore sordo o forse era solo la testa di Simone che stava lì lì per scoppiare dopo tutte quelle informazioni avute in soli cinque minuti.

« Non lo potevi sapere, Simone, » tuonò sprezzante, si mise le mani sui fianchi girando su se stesso « tu non c’eri »

« Lo sai perché l’ho fatto »

Lo sguardo di Simone si era fatto di vetro davanti a lui, portando l’altro a sentirsi ancora più stimolato, invogliato a urlargli in faccia tutto il tormento delle ultime settimane.

« E sai che a me importa di Cristian, lo stai facendo solo per farmi male, sai anche questo »

Sì, lo so.

« Sei invidioso perché c’ho una cosa bella per la prima volta in vita mia e non riesci ad accettarlo. Non hai mezze misure, se devi sparare a mille lo fai, non importa dove colpisci e sono stufo di questo. Per me non è sano, lo capisci? Sei invidioso »

No, questo no.

« A ME NON ME NE FREGA NIENTE DI AVERCI QUALCUNO! » fu odioso, si avvicinò all’altro, separando la poca distanza tra loro, le narici si dilatarono, misa le mani avanti come a toccare un filo d'erba invisibile intanto che Simone, che lo guardava con aria di sfida misto a una ferita appena aperta « Sto provando ad essere felice per te, davvero, ci provo, ma non ce la faccio » Manuel incatenò i suoi occhi piccoli all’altro, che anticipavano, dicevano molto di più di quanto volesse dire a parole « Lo capisci che a me di Cristian non frega niente? »

Simone si trovò più confuso di prima, se era possibile.
Quello lo guardava fisso, con il fiato corto, in cerca di una qualche comprensione che però risultava assente.

Che vuoi dire, Manuel.                                                                                          

Oscillò con la testa, ripristinando l’ultimo briciolo di integrità che gli rimaneva.

« Ti frega solo di fare male a me, quindi »

Manuel si era fatto ancora più vicino e adesso l’unica visuale possibile di Simone era soltanto quella: l’altro che era ormai a una spanna dal suo viso e che si sentiva addosso come un insetto curioso.

« Non ci arrivi proprio, mh? »







Io mi prendo tutte le responsabilità.
Tutte.
Fino all'ultima.
Ma vi prometto, ciò che è finito ora così - continua - la prossima volta.
Nel frattempo la canzone che sentiva Manuel all'inizio è tradotta ed è Song for Zula dei Phosphorescent.
Vi voglio bene,
ritorno nel mio antro del dolore.

Clò

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Capitolo 7
*** The love I meant to say ***





Buonasera ragazzuoli, siamo nel nuovo anno
e non è cambiato assolutamente nulla!
Okay forse è troppo presto per dirlo but
non disperiamo.
C'è ad attendervi un bel capitolo fresco fresco
per cui ho sclerato un bel po'
nella fase di pensiero, scrittura.
Devo ammettere che mi sono molto dilettata e
mi dispiace avervi lasciato appesi la scorsa volta
ma erano ben 16 pagine, troppe
da mettere qua per un OS.
Vi lascio nel profumo
e l'inizio speciale: mani.
Buona lettura a tutti tortellini stans
Clò









In quella situazione cosa doveva dire? Cosa si faceva quando avevi davanti a te una persona che volevi con tutto te stesso prendere a schiaffi senza doverti trattenere? Simone avrebbe preferito avere la testa sott'acqua, tapparsi le orecchie, gli occhi, trattenere il fiato. Lì dentro quella stessa stanza, che tutto si trasformasse in acqua, una grande piscina in cui galleggiare. Invece sembrava di stare nella Savanah, con la pura personificazione di una belva feroce che in realtà era il suo amico, davanti a lui. Per fortuna suo padre e sua nonna, erano usciti, altrimenti uno dei due avrebbe già fatto irruzione, per tutto quel casino.

« Non ce la faccio, vattene via » mormorò esausto, arrendendosi, si scansò dall'altro.

Manuel gli girò attorno piazzandosi di nuovo davanti a Simone, senza mollare.

« No, Simò non me ne voglio andare, » gli mise le mani sul petto « mi devi ascoltare! »

Simone spinse via quei piccoli artigli sopra di sé, indicandogli la porta con gli occhi.

« Non voglio più farlo, mi sono stancato, » il tono era duro « Manuel è meglio se vai »

« No, » Manuel si ancorò alla porta, ci si mise contro, le braccia che la coprivano quasi tutta, bloccando l'uscita « mi devi stare a sentire, altrimenti è peggio »

Sembrava davvero disperato adesso.
Il telefono di Simone squillò, la suoneria era un pezzo degli Oasis, abbastanza riconoscibile. Entrambi, nello stesso momento osservarono il telefono buttato sulla sedia della scrivania, come se fosse una bomba. Neanche il tempo di girarsi, che Manuel lo raggiunse veloce, staccandosi dalla porta. Lesse il nome sullo schermo: era il biondo.

« Manuel dammi il cellulare » gli intimò, cercando di rimanere stabile.

Manuel sentiva il cuore battergli come una grancassa nel petto e ad ogni vibrazione del cellulare di Simone e ogni lettura del nome sul display, sentiva di non dovere più fare cazzate. Quella, non è una cazzata.
Non pensò proprio, doveva solo fare il prossimo passo. Un passo che avrebbe dovuto fare già tempo addietro.
« Manuel, ti prego » ripeté Simone.
Rimase a distanza, il palmo della mano che si apriva per prendere l'oggetto. Manuel si spostò di lato e lo lanciò sul letto, non prima di aver chiuso la chiamata scorrendo col pollice veloce.
Simone sbiancò di colpo, andando alla carica. Spintonò l'altro, che vacillò ma non cadde, reggendosi al primo mobile. Manuel respirava a fatica, aveva i pugni stretti lungo i fianchi, ma lo sguardo non era più saldo come prima.

« CHE TI HO FATTO » urlò Simone spezzandosi definitivamente « SONO IO CHE NON VADO PIÙ BENE? STUPIDO IO CHE PROVO ANCORA A CAPIRTI, DIMMELO MANUEL, PERCHÉ DEVI FARE COSÌ! »

« Non mi hai fatto niente » deglutì indifeso Manuel.
Poi lo guardò chiaramente, mentre nei grandi occhi da cerbiatto davanti a se si stava affacciando l'acqua « anzi Simone, qualcosa hai fatto, » si mordicchiò le labbra « non voglio tu risponda al telefono, non a lui »
Il più alto lo strattonò di nuovo, le nocche si strinsero facendosi d’improvviso bianche mentre la felpa si stropicciava.

« Che ti ha fatto lui, allora? Il tuo problema è con me! PARLANE CON ME! Hai la presunzione che la gente indovini tutto ciò che pensi, io non capisco, Manuel aiutami a capire perchè- »

« Sono geloso » sputò fuori.

Simone mollò la presa. Rimase inchiodato nello stesso punto. Manuel riprovò pensando che l'altro non avesse sentito ciò che aveva appena detto.

« Sono geloso, Simò » ripeté Manuel con più forza nella voce « sono geloso perché lui ha te. Perché riesce a dirti cosa vuole. Perché la verità è che lui ha capito tutto, prima di me. Sono geloso, ecco che mi hai fatto. »

Era ancora completamente gelato, sul posto.
Guardava l'altro ma allo stesso tempo si evitava di farlo, sentiva le orecchie ovattate. Manuel si avvicinò a Simone, con calma, cercando di essere più delicato, anche a costo di farsi picchiare dall'amico, se fosse stato necessario.

« Che è ‘sta cazzata adesso-»

« Simone, sei libero di non crederci » mandò giù l'ultima dose di saliva che gli rimaneva in bocca, secca com'era.
Manuel lo guardò ancora e ancora, Simone era la sua visuale, il suo punto fisso e non si sarebbe più trattenuto, ne aveva avuto abbastanza.
Tutti quei mesi, tutti quei giorni, nero, sconfitto, avvolto nel ricordo, nell'idea che l'altro stesse meglio senza di lui. C'era solo un passo in più da fare, spettava a lui farlo. « Me sono innamorato di te »












In quel momento, tutto sembrò spegnersi. Simone non capiva definitamente più un cazzo, inutile raccontarsi altro. Forse aveva sentito male. Manuel se ne stava lì, fisso impalato, che lo guardava.
Non riusciva a muoversi.
Il petto gli faceva male, le mani gli formicolavano, il respiro gli moriva in gola. Simone era confuso, in balia degli occhi del più piccolo.

« Mi piaci »
E lo disse con un tono che l’altro non gli aveva mai sentito usare. Manuel era serio, ansioso, una miscela di chi ormai sa di avere tutto da perdere e gioca l’ultima carta nel mazzo.
Il più alto avrebbe voluto rispondere qualcosa di intelligente, connettere un pensiero razionale, ma la verità è che mentre pensava a come fare, il cellulare aveva ripreso a suonare, lì abbandonato sul suo letto.
Manuel sospirò, abbassando quel poco lo sguardo non prima di vedere l'altro girarsi verso la fonte del rumore.
Aveva capito che era troppo tardi.
Non ci posso credere, pensò.
Serrò gli occhi, pensando a quante occasioni sprecate erano sfuggite alla sua presa, a quanto tempo aveva buttato via, a quanto avrebbe potuto salvarsi. Manuel sembrò annullarsi all'inevitabile.
Simone però lo prese di colpo per la felpa.
Lo sguardo era calmo, deciso, anche se in contrasto col il corpo, poiché Manuel sentì subito la sua presa tremare. Le labbra di Simone toccarono quelle di Manuel, in modo cauto, come se stesse lì lì per rompersi.

Ecco, ora mi respinge, sicuro, perché lo sto facendo.

Però Simone quella volta si sbagliò. Manuel gli circondò il viso, avvolgendolo a coppa con le mani, si allungò sui piedi per raggiungerlo e lo tirò sopra di lui. Le labbra di Simone erano soffici, piene, fatte apposta per essere baciate. Ci si perse totalmente. Sentì l'altro mormorare sopra le sue dopo un po' di aria da riprendere e per paura che Simone avrebbe potuto staccarsi tanto presto da lui, Manuel spostò una delle sue mani e gli tirò piano i capelli ricci, ci frugò dentro, li scompigliò.
Si riprese la sua bocca, senza dargli il tempo di poter interrompere di nuovo il contatto. Si sciolse totalmente nell'approccio, approfondendolo di più. Poi, con quella stessa mano che gli aveva attenzionato i capelli, si spostò sulla nuca, il pollice andò ad accarezzargli la pelle dietro la maglia. Avvertì che Simone aveva la pelle d'oca. Manuel si intenerì di colpo, pensando a quanto l'altro fosse sensibile. Senza che nemmeno ci facesse caso, Simone gli stava sfiorando il collo, per passare alla linea della mascella, con un tocco si dedicava alla barbetta incolta.
Manuel sentiva il palato circondato dalla lingua di Simone, che insieme alla sua stavano quasi danzando insieme, seguendo gli stessi movimenti accurati, precisi. Quando si spinse a circondargli i fianchi con le mani, Simone però si ritrasse leggermente. Fronte contro fronte, Manuel notò il respiro affannato, le labbra arrossate e gonfie, gli occhi scuri, buoni che tanto conosceva, ornati da un paio di pupille dilatate.
Nessuno dei due disse niente, Simone aveva chiuso gli occhi, senza avere idea che l'altro lo stesse guardando. Guardava il leggero rossore poggiato in viso, i capelli ridotti ormai a una matassa ad incastro per averci giocato, il naso dritto, la mascella disegnata e ora rilassata.

« Non ci credo » soffiò il più alto.

Manuel si prese la briga di riportargli ancora le mani sul viso, sostenendogli la testa. La pelle era tiepida, vibravano le labbra come se fossero state due molle che ritornavano al punto di partenza. Avvicinò il suo naso contro quello di Simone, ma non lo baciò.

« Mi sono innamorato di te »

Sembrava essersi fissato con quelle parole, ma erano vere. Manuel avrebbe voluto dirgliele anche prima.
Prima di Cristian.
Prima di bruciarsi dentro per giorni, prima di quel momento. Simone aprì finalmente gli occhi. Spostava gli occhi in ogni punto, studiando la faccia di quello stronzo che però, per sua sfortuna non aveva dimenticato. Proprio per niente.

« Che casino » disse piano, il suo naso sfiorava quello del teppistello, schiacciandolo appena.

« Tempismo perfetto, uh? » rispose più per se stesso che all'altro.

« Te sei sicuro che non ti piacciono ancora i maschi? Sì? » lo prese in giro.

« A questo punto, tutto è possibile Simò, » aveva già il tono colorito « una cosa è certa, a me piaci tu »

Simone si sentiva vacillare, ma non tanto per mancanza d'aria, quanto per l'altro che glielo stava ripetendo a distanza di pochi secondi. Allungò le braccia intorno al collo di Manuel.

« Ti si è incantato il disco? » ridacchiò contro la sua bocca.

« Sto disco si è rotto da mò Simone, » il pollice gli accarezzava il mento « non c'ho più voglia de aggiustallo, » lo guardò, adesso, svuotato, in pace con se stesso « non c'ho più voglia di combatterlo »

Simone continuava incredulo a non capirci nulla. Che fosse completamente andato in tilt, quello era assodato, ma che Manuel fosse ancora lì, con le mani che gli si posavano sui fianchi. Gettò l'occhio sulle dita che si poggiavano sulla sua figura.
« Non vuoi, uhm, insomma-»

L'altro lo notò, allentando di poco la presa. Simone fece cenno di no con la testa, mordendosi il labbro inferiore.

« No, no, è solo...strano » avevano i piedi che si puntavano a vicenda, quella visione gli diede l'impressione di essere ubriaco « questo » sottolineò, mentre ritornava all'attenzione di Manuel.

« Strano perché me piaci o strano che te stringo? »

Non si teneva mai nulla, ormai Simone doveva saperlo bene.
Simone si inumidì le labbra con la lingua, non sapendo subito cosa rispondere.
« Guarda che se non me baciavi te, » continuò ormai col pulsante di controllo sopra la conversazione « lo avrei fatto io Simò » ma non aveva un tono di sfida, era sincero.

« Tu sei, insomma, proprio sicuro-»

« Te lo posso giurà su quello che vuoi, spara » le mani di quello erano ancora ancorate sui suoi fianchi di Simone e le braccia di Simone erano ancora lungo il collo dell'altro.

« Manuel » sospirò, chiuse gli occhi.

Nel suo cuore poteva sapere solo di fidarsi, la testa invece un'altra versione dei fatti. Poi il ragazzo sentì la bocca di quello che si riavvicinava, gli cuciva un bacio addosso, leggero. Allontanandosi, gli aveva impercettibilmente sfiorato il naso e il respiro caldo era rimasto addosso a Simone.

« Non voglio mentirti più » si era fatto più serio « non voglio andarmene più, se cerchi di mandarmi via, io non me ne vado. Simone qualsiasi cosa tu mi possa dire, sto qua »

Simone glielo stava per chiedere, stava per chiedergli se in qualche modo non si era sbagliato, se non avesse agito di impulso come quella notte, al cantiere, la sera della sua festa.

« Lo rifaccio, tu dimmelo e lo rifaccio, » Manuel non aveva intenzione di starsi zitto, cosa che normalmente avrebbe fatto per la sua indole « te bacio di nuovo e te lo ripeto. Poi te ribacio. Lo faccio tutte le volte che vuoi »

« Quindi non te ne penti? »

Caos nella sua testa, le gambe erano diventati due pali fissi sul pavimento, gli formicolavano di nuovo le mani.

« Tu? »

« Non si risponde a una domanda con un'altra domanda »

« No, la verità Simò... La verità è che in questo momento, avrei voglia di statte appiccicato e non staccamme più »

« Vuoi stare così per tutta la giornata?»

« Perché no, scusa, ce stanno gli sbirri ad attendecce sotto casa? »

Simone rise contro il viso dell'altro, la testa andò da una parte mentre la barba di Manuel gli solleticava l'angolo della mascella. Mi basta questo allora. Le mani di Simone scesero lungo le piccole spalle, le braccia, fino a raggiungere quelle di Manuel, le posizionò sopra. Si adattavano alla perfezione, quando le prese tra le sue, l'altro non si tirò indietro. E neanche quando le strinse, diede segno di resa.

« Lo sai che dovrò prima risolvere con Cristian e spiegargli tutto »

Manuel annuì lentamente.

« E sarà difficile, non se lo merita. È un ragazzo apposto, gentile, » elencò una serie di qualità che aveva imparato a conoscere di quella persona « mi è stato accanto. Glielo devo, gli devo una spiegazione »

« Lo so, Simò... » gli morirono in gola le prossime parole « è importante, per te »

Simone non si trattiene più, sapendo che era inutile. Era inutile mentre Manuel abbassava lo sguardo, era inutile dopo che aveva saputo cosa provava nei suoi confronti, era inutile mettere distanza che non era mai servita se non a fare ancora più male.

« Sì lo è, » sospirò « però con te è sempre stato diverso »





- - -






Erano distesi a letto, quel letto unico che permetteva al più alto di stare disteso su un fianco e al più piccolo di rannicchiarsi lungo il lato opposto.
Dante era rientrato e si era accontentato solo di chiedere a suo figlio se andasse tutto bene. Lo urlò da dietro la porta e quello rispose. Dopo di che, con un ghigno furbo nella voce salutò l’amico. Come reagì l’altro, fu tutto un programma di comicità.

« Buon pomeriggio, professò, come sta? »

Simone gli pizzicò il polso, stringendo le labbra, mentre Manuel se la rideva.

« Tutto bene Manuel, » rispose sicuro il padre di Simone « state studiando o cazzeggiando lì dentro? Giusto per sapere »

La voce di Dante sembrò come un rimprovero o forse era soltanto una domanda retorica che conosceva già la risposta. Manuel osservò Balestra junior accanto a sé, mentre si lasciava andare in un mezzo sorriso.

« Professò, » recitò quasi, quando gli occhi erano in tutt’altra modalità e lavoro « da mò che avemo finito »
« Papà, puoi stare tranquillo! »
Simone si ritrovò ad artigliare con un lembo della maglia nervosamente, mentre con insistenza l’amico lo osservava.

« Non si sa mai con voi due! » e dicendo quello, la presenza del padre fastidioso si dileguò.

Simone pensò che era stato fortunato quel giorno, la casa era rimasta vuota eccetto per lui e l’altro. Se solo suo padre fosse arrivato circa mezz’ora prima, sicuramente, li avrebbe separati o ci avrebbe quanto meno tentato, riempiti di domande, avrebbe cercato di farli calmare, psicoanalizzare la situazione neanche un Freud 2.0.
Ogni tanto, anch’io c’ho culo, pensò in testa sua.

« Che voi fà, glielo vuoi dì? »

Rimase spiazzato da quel commento. Manuel Ferro – il ragazzo che fino a un anno fa, riteneva il più etero di tutta la scuola – gli stava domandando di parlare di quello che era appena successo con suo padre, nonché suo professore di filosofia, nonché professore di entrambi?

« Una cosa alla volta, » mormorò osservando come Manuel si metteva più comodo, le braccia incrociate, la penombra che gli disegnava ombre su metà della faccia « sarà un po’ complicato spiegargli già di Cristian, come sono andate le cose e anche di questo » indicò loro due « E poi, » Simone se lo chiese di conseguenza « esattamente cos’è, Manuel siamo amici, non siamo amici - »

« Non possiamo semplicemente ‘esse due ragazzi che se amano, Simò? »

Oh.

« Voglio dire, » Manuel si mordicchiò il palato, le braccia conserte si scioglievano e una mano si apriva sul petto dell’altro « è successo tutto in fretta, t’ho fatto impazzire, io ce sò impazzito, » spiegò rapidamente « non siamo amici, tanto per cominciare, ecco. Due amici, » disegnò due virgolette per aria con l’indice e l’anulare della mano libera « non se baciano, ne tanto meno c’hanno la voglia che ho io di farlo »


Oh.


« Quindi, facendo due calcoli, non lo eravamo nemmeno quella notte al cantiere »

« Simò… » sembrava imbarazzato.
D’altra parte prima del sentimento verde della gelosia, era quello che aveva provato: imbarazzo. Una situazione nuova, un approccio mai avuto con un ragazzo della sua età. Eppure, lo stesso ragazzo lo aveva tormentato per mesi, era ritornato più volte su quel tasto martellandoci sopra. L’altro era stato un amico, molto prima di quello. Quello che Manuel sentiva adesso, era ben diverso da un sentimento d’amicizia, voleva cose diverse, amplificate e tutte quelle cose comprendevano gesti diversi, situazioni diverse, ritmi diversi. « No, non semo amici, » respirò ad ampi polmoni « mi sembra logico »

« Con te la logica è tutto un universo a parte, in realtà » lo schernì quello giocosamente.

« Balestra junior non fa tanto er galletto, » lo ammonì ripristinando il solito tono sprezzante e furbo che usciva sempre nei momenti in cui si sentiva minacciato « che te faccio finì male »

« Voglio proprio vedermelo questo film, » gli pizzicò la guancia ed emise un sussurro « provaci »

Manuel si puntellò sui gomiti, alzandosi per quel poco spazio che occupava il suo corpo sulla superficie morbida del materasso, cercò di arrampicarsi su Simone, ma quello rispose prontamente. In un attimo, grazie ai suoi riflessi, invertì le posizioni e il più piccolo finì sotto di lui. Gli teneva di poco fermi i polsi, con le mani sopra la testa e il suo corpo lungo disegnava una posizione arcuata, con le gambe a cavalcioni sopra i fianchi di Manuel.
Simone suonò tronfio e vittorioso.

« Ti ricordo che sono rugbista » mormorò.

Lo aveva atterrato, come un semplice compagno di partita qualunque. Manuel, i capelli sparpagliati sul cuscino, il viso preso da una leggera beatitudine, lo guardava dal basso, senza difendersi, né tanto meno provare a liberarsi.
Simone pensò che era stato fin troppo facile.
La presa sui polsi si allentò piano, mentre in un secondo, Manuel lo tirava giù su di sé, premendo i loro corpi l’uno contro l’altro. Fu un bacio disordinato, casuale, o forse meditato. Simone si ritrovò le mani dell’altro sulla schiena, curiose di vagare un po’ in giro.
Avvertì subito quanto facesse caldo, se ne era accorto quando con la mano aveva sfiorato la pelle dell’altro, notando la differenza di temperatura tra lui e quello. Manuel era schiacciato e si lasciava schiacciare volentieri da Simone, il quale stava cercando in tutti i modi di farsi più comodo per entrambi e per evitare di fargli male. Quando però, il più alto si spostò di poco, Manuel mormorò un lamento contro la sua bocca, appena liberata dal suo attacco precedente. Gli bastò poco per fargli capire quello che stava succedendo perché Simone avvertì subito una sensazione famigliare riempirgli il basso ventre. Delle parole sconnesse uscirono dalla sua bocca.
Le sue mani si infilarono sotto la sua maglia, rivelando la pelle intatta, salendo su fino al petto. Manuel sentiva la leggera peluria che la ricopriva, il contatto fu leggero ma sentì l’altro rabbrividire. Simone aveva gli occhi socchiusi, quella visione gli inaridì ancora di più la bocca, la grancassa risuonò di un ottava più alta dentro al petto.
Proprio mentre quello sembrava non avere più via di scampo, il cellulare squillò.
Non prese la chiamata, ma sospirò infastidito, la voce in segreteria era inconfondibile: era Anita.
Il messaggio in poche parole, recitava un impegno che aveva preso con la madre, pattuito qualche giorno prima e gli chiedeva di salutargli e ringraziare l’amico, che gli aveva voluto dare una mano con lo studio. Manuel se lo era completamente dimenticato tanto che, appena sentì sua madre ripetere quella cosa che dovevamo fare insieme, fece una smorfia.

« Devo richiamarla »

Diede un’occhiata all’aspetto dell’altro e subito pensò che le porte del paradiso dovevano assomigliare a qualcosa del genere. Simone – nonostante i segni visibili del suo stato scompigliato, come la maglia leggermente sollevata sulle anche di quel rosa candido, la piccola piega che si era creata e la rendeva sgualcita, la massa di ricci tirati – era la figura più bella che ricordava di aver visto. Quando questo si spostò per lasciargli lo spazio e il tempo di prendere il telefono, Manuel si rassegnò all’evidenza. Guardò l’orario e strabuzzò gli occhi: erano le sei e un quarto.
Avevano passato l’ultima ora e mezza a litigare, baciarsi, restare a letto.
Quel pensiero lo fece sorridere all’istante: non avevano proprio sprecato il tempo.

« Sì, ohi mà, » stava già parlando dopo aver preso la chiamata « abbiamo fatto un po’ tardi, sì, » continuò, mentre con la coda dell’occhio vedeva Simone aggiustarsi un po’ sulla punta del letto « damme dieci minuti e sono lì, okay, a dopo »

« Tutto apposto? E’ successo qualcosa? »

Simone suonò premuroso mentre si aggiustava i capelli ravvivandoli con la mano. L’altro annuì, scattando in piedi.

« Sì, solo devo ritornà a casa, » sussurrò « anche se non c’ho per niente voglia »
Si sentì osservato ancora una volta, pensando a quanto potesse perforarlo lo sguardo di quegli occhietti piccoli, ma letali.
Manuel prese le sue cose, riempì lo zaino con il libro – di cui solo sette pagine erano state toccate e studiate – infilò dentro il cellulare e dondolò sulle gambe. Simone lo raggiunse, uscirono dalla stanza e scesero le scale che portavano di sotto. Il ragazzo trovò il tempo per salutare il suo professore di filosofia e una volta alla porta però, non riusciva a muovere i piedi fuori dall’uscio di casa.

« Allora, ci… ci vediamo » mormorò.

« Ci vediamo a scuola, no? » lo corresse il teppistello.

« Sì, giusto »

Manuel restò con lo zaino in spalla fisso, i piedi erano ancora fermi. L’aria era frizzante e umida, si era alzato un po’ il vento e di sicuro per sera avrebbe piovuto. Si diede la spinta per girarsi, però non camminò poi molto.

« Manuel »

Simone era in mezzo al vialetto, adesso. Si voltò giusto un attimo, prima che venisse baciato. Durò pochissimo, il naso freddo e il respiro caldo gli inebriarono i sensi. Gli sorrise addosso.
Anche io sono innamorato di te.

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Capitolo 8
*** Di fiducia e verità faticose ***


Clò:  Ragazzuoli, che piacere che mi fa ritrovarvi qua - sorriso stampato in faccia -
Eh lo so è lunghetta, però con questa si chiude il volume tanto voluto e sognarto JEAOLUSY Ferro! e mi fa molto ridere come io abbia messo le mani avanti dicendo:
"Sì sì ma Manuel non piangerà stavolta, no no assolutamente" però poi me ne esco con un'altra cosa * tosse *
Vabbè bando alle ciance, ecco a voi.

P.S.: cercate di non voler picchiare uno dei tre pg qua,  è servito a uno scopo ben preciso.








Quando si svegliò, ricevendo il messaggio, Simone si stropicciò gli occhi.
Erano passati soltanto due giorni dalla sera in cui Manuel si era dichiarato.
In cui aveva davvero scelto lui. Più ci pensava più credeva di vivere all'interno di una bolla ovattata, leggera che si trasportava volteggiando in aria. Si era dichiarato. E quando, l'altro lo aveva preso per stringerlo, due sere fa, tutto gli era sembrato al suo posto.
Per tutta quella notte, non essendosi ripreso ancora, era rimasto sveglio, erano rimasti a scriversi messaggi fino a fare le ore piccole. Ringraziando che la mattina seguente a scuola non fosse poi così impegnativa o stressante, Simone aveva riletto gli stessi messaggi arrivando addirittura a memorizzarne alcuni. Sciocco da parte sua, ma l'altro non aveva fatto altro che dargli prova di esserci.

12:30 p.m
Manuel
Simone te l'ho detto. Non c'ho voglia de tornà indietro.
Anzi, ti dico già che me manchi, tanto ormai so un sottone.


Un altro era un po' più sconcio e il solo ripensarci lo faceva visibilmente arrossire.
Manuel gli aveva riempito la testa, rendendola una nebulosa rossa, a tratti sfumata verso l'intenso blu, fermandosi per istanti su gialli caldi. Come se fosse qualche dipinto astratto, dove ogni colore corrispondeva a un'armonia, un suono di ciò che provava. La tavolozza cambiava di continuo, ma non andava ormai più sui grigi o i neri. Solo occasionalmente, ripensava ai momenti sofferti, ma erano serviti. Si passava sempre da lì no? Il dolore è il miglior strumento di fortificazione.
Ecco che tutto prendeva di nuovo forma, ad avere un senso.
C'era voluto un anno e mezzo. Un anno e mezzo per le cose di evolversi, mutare, distruggersi, trasformarsi. Eraclito affermava "tutto scorre", pantarei. Il fiume che non si ferma mai, che non si esaurisce mai veramente.
Era un ciclo di vita vizioso e a volte, la fortuna non girava nemmeno a quella velocità, non per tutti. Si era messa di mezzo la fortuna o forse solo il caso. Non sapendolo esattamente, però, si puntava solo sul sentimento, unica cosa chiara.
Simone si alzò dal letto, andò in bagno a sciacquarsi la faccia, lavarsi i denti.
Il suo aspetto, al contrario del suo umore, non era dei migliori. Tra meno di un'ora avrebbe dovuto incontrare Cristian in aereoporto, arrivato a Roma per delle ricerche riguardanti la tesi. Simone gli aveva chiesto se era possibile vederlo il prima possibile, evitando di citare i testuali e paroloni cliché da rottura. Anche se, la risposta del ragazzo gli era parsa abbastanza confusa - come poteva essere altrimenti - perché Simone gli aveva subito scritto un "ci sono delle cose che devo dirti", rimanendo vago quando ambiguo.
Quando Simone scese di sotto per fare colazione, Dante era già uscito e sua nonna aveva preparato dei biscotti. La baciò dolcemente sulla testa e quella gli diede il buongiorno come tutti i giorni. Era sabato, quel giorno a scuola era stata indetta assemblea sindacale, il che aveva reso possibile l'incontro tra i due. E il chiarimento. Simone si scrollò nelle spalle, quando finì il suo tazzone di latte e biscotti, si preparò, infilò le braccia nella giacca di jeans imbottita e zaino in spalla, chiavi in tasca, scese le scale, salutò rapidamente sua nonna e uscì di casa.
In quel preciso momento, il display segnava le nove e venti del mattino e il cellulare mostrava una notifica di messaggio nella piccola icona in alto a destra: Manuel.

9:20 a.m

Buongiorno Simò
buona fortuna per oggi, fammi sapere come va…
Ci vediamo dopo pranzo al parchetto, se vuoi.


Istantaneamente Simone sorrise, benedicendo quel piccolo pensiero. Il fatto di dover rivedere l'altro dopo aver affrontato un discorso serio e complicato con Cristian, il ragazzo che aveva frequentato per tutta l'estate, che aveva imparato ad apprezzare e conoscere, gli dava più sollievo di quanto volesse ammettere. No, era così. Manuel gli stava dando la forza, per la prima volta. Forse, una delle tante prime volte all'interno di una nuova relazione. Le sue labbra si incurvarono in un sorriso, le fossette si fecero evidenti e riponendo il cellulare in tasca, arrivò al motorino parcheggiato fuori e lo mise in moto.










« Che vuol dire? Che significa? Ho fatto qualcosa- »

« Cristian, no, non è colpa tua »

« Non capisco, andava tutto così bene, hai voluto scrivermi e anche se era un messaggio cripitco, » Cristian si inumidì le labbra in evidente agitazione « ho pensato che ti mancassi-»

« Ho baciato Manuel » confessò.

Il volo di Cristian cambiò all'istante. Dal volto famigliare, rassicurante che l'altro aveva imparato a conservare nella sua testa quando lo richiamava, quello si oscurò di colpo. I capelli biondi erano lasciati liberi sul volto, mentre gli occhi chiari si incupivano cambiando leggermente tono. Simone si morse il palato, deglutendo per l'animo combattuto. Lo avevano fatto stare male, aveva sofferto dell'identica stessa sorte.
Sapeva cosa Cristian stesse provando, anche se in porzione diversa perché Simone non aveva avuto modo di stare con chi amava, non prima di quel momento. Sapeva cosa significava sentirsi rifiutati. Stava solo seguendo lo stesso schema che aveva subito.

« È successo, » continuò cercando di non rompere il contatto visivo con Cristian che ora però non lo guardava nemmeno più « Manuel era a casa mia, mi ha detto delle cose... importanti. Ce ne siamo detti un po’ tutti e due, in verità. Mi ha fatto capire che non la avevo ancora superata, » sospirò sincero « non sono riuscito a togliermelo dalla testa. E lui, beh lui... » Simone sembrò introdurre più aria di quanta ne necessitasse davvero « mi ha detto di essersi innamorato, » completò la frase, non credendoci ancora nemmeno lui « di me. Manuel si è innamorato di me »
Cristian si girò a guardalo finalmente. E l’altro ci lesse uno sguardo acido, triste, come se avesse appena saputo che gli era morto un parente o peggio.
Si maledì internamente per non essere stato forse più delicato e meno diretto.

« E tu ti fidi, così, facilmente? » chiese in un sussurro.

« Ha risposto al bacio, » Simone si sentiva malissimo vedendo il ragazzo che gli aveva curato le ferite per tutto il tempo che ne aveva avuto bisogno ridotto in quel modo « e non è stato nemmeno il solo che ci siamo dati, quella sera »
E fu allora che Simone vide Cristian tirare su col naso, stringersi le mani grandi e mature, lungo il giubbotto più pesante. Non c'era un modo più delicato nel lasciare le persone? Non esisteva un manuale con regole precise, che evitasse tutti i preliminari che inducevano alla tortura emotiva? Perché non lo avevano ancora inventato?
« Cristian, mi dispiace, ti voglio bene, continuo a volertene, » cercò in qualche modo di mettere una pezza sopra quella pozza di fango appena creata, la sua mano si allungò a sfiorargli la spalla, ma l'altro la tirò via, un attimo dopo, lentamente « meriti di meglio, meriti qualcuno che abbia una memoria vuota, che non abbia già sofferto per amore. Qualcuno migliore di me »

Simone fu limpido, in tutto ciò che stava dicendo c'era la verità. Cristian gli aveva dato tranquillità, stabilità e sicurezza quando meno se lo aspettava. E gliene sarebbe stato sempre grato, per averlo fatto sentire bene con se stesso quando voleva soltanto rinchiudersi a riccio, chiudere il cuore.

« Quello che mi meritavo era di non venire proprio a Roma, oggi, » Cristian risultò acido e sarebbe stato più crudele se solo non avesse il tono spezzato, lì com'era, con la sciarpa tenuta stretta al collo « se rimanevo a Glasgow forse mi evitavo tutto questo. Simone, » lo guardò dritto in faccia « io non ti ho solo voluto bene »
Il modo in cui enfatizzò quelle tre parole fece rabbuiare l'altro di colpo. Simone deglutì, maledicendosi ancora.
« Per quel che mi riguarda, » si alzò di fretta in piedi, il dorso della mano passò ai contorni dei suoi occhi verdi, asciugandoli « non voglio più vederti o sentirti, » la mano stringeva la valigetta con il suo portatile dentro, lo zaino su una spalla che ricadeva « almeno per un po', non voglio. Simone... »

« Lo capisco Cristian »

« Non ce la faccio, non adesso. Non con la tesi, non con quello che devo fare, non con quello che mi hai appena detto… ti chiedo solo di... ti chiedo tempo. » deglutì, la voce che si abbassava ancora di più, vedendo Simone seguirlo e alzarsi anche lui.
Simone annuì piano, consapevole « Spero che tu possa essere felice, Simone » riuscì però a dire infine.

Simone pensò veramente di aver fatto una carognata, ma sapeva di aver fatto la cosa più giusta. Di avere agito secondo una morale pulita, di non aver prolungato la sofferenza per nessuno dei due. Il suo cuore era di un altro, che lo aveva fatto penare, sì, ma era ormai inutile metterlo in discussione.

« Anch'io, ti auguro di trovare qualcuno che ti faccia stare bene, ma bene davvero Cristian, come tu hai fatto stare me » sottolineò.

« Sai che forse lo avevo già trovato? »

Simone si sentì ancora peggio sentendo l'altro ridere amaramente.
Cristian serrò la mascella, sembrò voler dire qualcosa ma dalla sua bocca uscì solo aria fredda. Simone voleva comunque abbracciarlo e non lasciarlo appeso in quel modo, nel disagio e nell'angoscia di una rottura struggente. Essere lasciati o sentirsi abbandonati, non era mai stata una passeggiata di salute. Perciò agì, senza aspettare l'altro. Simone tirò Cristian in un abbraccio, le braccia decise giravano intorno alla sua schiena con delicatezza, mente sentiva invece l'altro rigido, algido. Se lo aspettava, in qualche modo, Simone si era preparato a tutto quello, ore prima.
Me lo merito.

« Se sarai davvero felice, » sentì l'altro mormorare « vuol dire che sei davvero una persona di un certo impatto, Simone. Non ne ho mai avuto dubbi. Sta attento però » e allora il ragazzo concordò il gesto, stringendo forse troppo forte Simone, con la borsa del pc che si appoggiava a terra, ai suoi piedi « non è tutto oro quel che luccica »

E dicendo così, Simone lo vide un'ultima volta, sciogliere il gesto e lo guardò avviarsi lungo l'uscita “ARRIVI” dell'aereoporto. Cristian era appena uscito dalla sua vita, e il pensiero lo distrusse quel tanto da fargli pensare che se solo le cose fossero andate diversamente di soli pochi mesi, giorni, non avrebbe dovuto spezzarlo. Non ci sarebbe stato bisogno di illuderlo.





- - -





Quando Simone raggiunse il parchetto, un piccolo parco nel centro di Roma, sembrò come se lo vedesse per la prima volta, nonostante ci fosse stato tante di quelle volte, da conoscerlo a memoria. Il verde gli riempiva la vista, le panchine erano quasi tutte occupate. Non trovò l'altro, una volta trovato parcheggio. Simone, dirigendosi verso una panchina, pensò che l'altro avesse dimenticato l'appuntamento, finché qualcuno non lo abbracciò da dietro.
L'odore era inconfondibile: fumo e sandalo. L’incolta barbetta che gli pizzicava la pelle, la figura era piccola ma scattante, energica contro la schiena. Manuel gli dondolava un sacchettino davanti con la mano destra, mentre l'altra stringeva la presa attorno alla sua vita.

« Ciao Balestra! » mormorò allargandosi in un sorriso sornione.
Simone si sciolse per quel gesto d'affetto, non ancora effettivamente abituato a tutto quello.

« Ehi, non ti ho sentito arrivare » si girò quel poco che bastava, per guardare Manuel appoggiarsi sulla sua spalla, tenendo ancora quella posizione da animaletto curioso.

« Se non arrivavo così, che sorpresa poteva mai 'esse Simò? » gli fissò le labbra, poi gli occhi. Il pacchettino si alzò sotto il naso del più alto.
Simone se ne accorse tardi.

« Per me? »

Simone si stupì un poco. Manuel non era tipo da regali, o almeno, non lo era mai stato.

« Aprilo » sospirò Manuel non staccando neanche un secondo il contatto visivo.

Simone spacchettò la carta, la richiuse in una mano e con l'altra uscì il piccolo oggetto dalla scatolina nera. Era un piccolo portachiavi, che riportava la sagoma di una piccola moto grande e lunga quanto il suo pollice e sopra quella, c'era una frase incisa nel metallo proprio al centro, in inglese.

« Sì lo so, so che vor dì » disse prima che Simone glielo potesse chiedere « se non sbaglio è "ovunque tu sia, io saprò raggiungerti" o qualcosa der genere »
Ed era così, era effettivamente così.
Simone sorrise radioso, sentendosi pizzicare gli occhi, ma si limitò a sorridere. A sentirsi bene. Doveva imparare a farci l'abitudine. Perché era così che si stava sentendo, mentre Manuel lo guardava curioso, interrogativo.
« Che c'è, non te piace? »

Simone si voltò di nuovo a guardarlo, spostando questa volta tutto il corpo verso il più basso. Inspirò contro il suo viso, mentre accarezzava la superfice del portachiavi.

« È bello, è davvero bello » gli morirono le parole in gola, mentre il teppistello si alzava in un sorriso sghembo.

« Me fa piacere »

Manuel si sporse di poco per scoccargli un bacio sulle labbra, la mano gli copriva a malapena la nuca e l'altra si posava sulla guancia. Simone mancò il momento in cui quello si staccava e poi, ricominciava di nuovo, allungando il primo, che gli era sembrato fin troppo corto a quanto pare. In realtà l'ultimo bacio risaliva a un giorno prima, nei pressi di casa di Manuel.

« Manuel, non c’era bisogno però… » mormorò contro le sue labbra il più alto.

« Non cominciare Simò, l'ho visto in una bancarella e t'ho pensato, » protestò. Quello lo studiò per bene, come se Manuel stesse cercando segni evidenti sul volto di Simone o in qualche scatto dei suoi occhi, che avrebbero potuto dirgli com'era andata la chiacchierata avuta con Cristian quella mattina stessa « e poi se ce fai caso, » toccò anche lui la figura della moto con le dita, la superficie ruvida del metallo non levigato « assomiglia un po' a Paperella »

La moto dove Simone e Dante andavano quando era piccolo, la moto che ormai vecchia non aveva più funzionato a dovere ma che conservavano come cimelio di casa, del loro legame. Simone annuì. Quel dettaglio era rimasto a lui, quanto a Manuel, incredibile. Entrambi si sedettero sulla panchina, mentre Simone si rigirava il piccolo dono tra le mani, osservandone i dettagli. Le foglie erano a terra, un po' ovunque, gli alberi cominciavano a spogliarsi piano, l'autunno si faceva largo con la sua presenza.

« Quindi, com'è andata Simò? » tagliò corto Manuel.

Simone sembrò pesare l'oggetto con la mano, cercando di focalizzarsi sul dettaglio della sella, del piccolo fanale davanti, la riproduzione delle due maniglie del veicolo superiori.

« Se c'era un modo più semplice di non fargli male, io non l'ho trovato »

Manuel gli circondò la spalla con il braccio e lo tirò a sé.

« Simone, non potevi fare altrimenti, » lo consolò stringendo la presa « so che te detesti a morte in questo momento, vorresti prenderti a pugni fino a che non diventano dispari, però non potevi continuà a diglie fregnacce. Non sei così, non sei mai stato il tipo. »

« Avrei voluto quanto meno restassimo amici, mi ha aiutato molto, volevo restasse almeno mio amico, perché gli voglio ancora bene »

Manuel lo guardò preoccupato, premuroso. I suoi occhi però comunicavano anche tanta urgenza.

« Quando non c'eri, » si mordicchiò le labbra « volevo anch'io iniziare qualcosa con qualcuno, » ammise « trovamme qualcuno, una persona qualsiasi. Ma ero bloccato Simò, c'avevo un muro davanti, perché ogni volta che ce provavo pensavo che non era giusto. Non c'avevo bisogno di uno qualunque. Pensavo che se c'eri tu era un'altra cosa, che non sarebbe stato uguale »

Simone si voltò a guardarlo attento, Manuel si faceva più stretto nel giubbotto nero, la mano che articolava dalla sua spalla.

« Quella cosa per te è stata Cristian in Scozia, » sembrò difficile per lui dirlo, come se gli avessero cavato un dente senza anestesia « è giusto che tu ci tenga ancora tanto »

« Quando mi sono allontanato, volevo farti male, » Simone non pensò più a mettere dei filtri, ormai era andato, era il momento di dirsi il non detto, l'altro taciuto « non sapevo però che mi sarei fatto male pure io. E Cristian… lui ha solo cucito quel buco »

« Beh è stato bravo »

« Sì, ma questo non vuol dire che ci sia completamente riuscito » lo corresse.

Fu questa volta Manuel ad annuire, mentre gli sfiorava il naso con il suo e gli baciava l'angolo della bocca.

« Se penso a quanto t'ho fatto stare male, a quanto avrei potuto alleggerire le parole, tutta la merda che t'ho buttato addosso » mormorò con una punta di rabbia e dispiacere. « Gliè so grato, anche se sono geloso da morire, si è preso cura de te »

Simone sentì la voce che si faceva più bassa, il respiro caldo che gli coprì a la pelle e le labbra che si spostavano per tornare a guardalo. Manuel aveva gli occhi onesti. Poche volte Simone glieli aveva visto indosso.

« È bello sentirtelo dire »

« Non ti devi sentire in colpa, è giusto stacce male, ma era ancora peggio se aspettavi di più Simò. Un giorno, gli passerà e ti ringrazierà, anche se sembra strano, di averlo fatto così presto prima che fosse troppo tardi. »

Il suo pensiero non faceva una piega. Simone si stupì della saggezza di Manuel, delle parole giuste che erano appena uscite dalla sua bocca, ricamate perfettamente e con minuzia accortezza addosso a quello su cui stava riflettendo. Cristian gli aveva detto che aveva bisogno di tempo, spazio. Simone glielo avrebbe dato e quando l'altro avrebbe voluto riprendere un'amicizia, lui sarebbe stato lì ad offrirgliela, così come quello gli aveva sanato l'estate e il cuore in parte.

« Mi piace questo lato di te »

Simone giocò con la sua mano libera, le sue dita piccole, le unghia corte, appoggiati sopra il suo ginocchio. Manuel seguì l'altro, guardando la sua mano che si dilettava con la sua, che rispondeva per ovvie ragioni.

« Le mani? » chiese stupidamente.

Simone ridacchiò.

« Anche, ma mi riferivo al fatto che colleghi ciò che pensi a ciò che dici, lo fai con cognizione di causa, » fece notare, temporeggiando negli occhi piccoli e le ciglia lunghe, le sopracciglia folte e disegnate sulla fronte piccola ricoperta da quel cespuglio riccio « prima non lo facevi spesso Manuel »

Manuel in risposta, si avvicinò, il viso completamente rilassato e imperturbabile.

« Prima ero incazzato col mondo, con Sbarra, con me stesso. Ora non lo sono più, » vibrò con le labbra prima di unirle a quelle di Simone che lo ascoltava accogliente « ora c'ho te »

Il bacio che ne seguì, fu più lungo del previsto. Manuel si appropriò delle labbra di Simone, la mano era ancora stretta nella sua sopra il suo ginocchio, i loro nasi si schiacciavano, le teste ricciolute si spostavano di lato mescolandosi in un’unica massa. Manuel gli mordicchiò il labbro inferiore e Simone mormorò qualcosa appena il contatto finì, respirando in modo affannato. Il teppistello invece se la rideva furbastro.

« Così mi fai morire però »

Manuel si beò della visione di quello, gli occhi socchiusi, la mano ferma dietro il suo collo, il mento in evidenza.

Quanto sei bello aoh.

« Simò non ce posso fà niente, me fai diventà matto, lo sai »

« Matto già c'eri » sottolineò, aprendo gli occhi grandi.

« Sì è vero, » la mano libera che aveva appoggiato sul suo viso, si poggiò sul colletto della camicia, che spuntava fuori dal maglione a quadri che indossava quella mattina « però baciarti me piace troppo, » le dita accarezzarono la trama iniziale dell'indumento adesso « me fa sentire meglio, me fa stare bene »

Si rituffò su Simone senza dargli il tempo di parlare e quello dovette fare forza su tutta la lucidità che gli era rimasta, mentre strizzava il piccolo portachiavi e la mano di Manuel si spostava sempre di più. Gli sfiorava la porzione di pelle sotto la mandibola, il pomo d’adamo, il colletto della camicia. Simone artigliò il giubbotto di Manuel, forzandolo a retrocedere.

« Ti devo ricordare dove siamo? »

Oh sì, erano sempre in un parchetto di Roma. E adesso si sentivano delle urla acute e imbronciate di bambini in lontananza, figure di genitori che entravano dal cancelletto e li accompagnavano al parco giochi, a pochi metri da dove loro stavano seduti.

« Simo-» protestò.

« Per quanto vorrei, » la voce del più alto era ridotta a un sussurro, roca, contro l'orecchio di Manuel « restare ancora qua a fare questo, » si spostò per accarezzargli il labbro inferiore, sapendo di stare impazzendo in cuor suo, perché l'altro era così vicino « ti avevo promesso una sessione di studio da recuperare »

« Non me va de studià » scocciato lo schiacciò su di lui, premendo la bocca contro la sua, velocemente « voglio sta qua, non me ne frega se ce stanno guardoni, Simò, » e allora Simone capì di stare andando in iperventilazione « voglio sta qua ancora un po', con te, me importa solo de questo »

Il romanaccio di Manuel era da sempre una delle caratteristiche che Simone più apprezzava. Gli dava quel giusto lato spontaneo, comico ma anche onesto che lo rendeva unico. Anche lui ogni tanto usava qualche intercalare dialettale, ma il più delle volte usava l'italiano.
« Lo sai, vero che se continui così perdi l’anno? »

« No, non ce tengo a perde l'anno, » ribatté Manuel, la mano che si stringeva ora anche attorno all'altra che stringeva l'oggetto in metallo « perché poi me tocca non vederti per tutta l'estate, de nuovo »

Simone lo sentì strascicare le ultime due parole, annuì di colpo, sentendosi in colpa subito dopo.

« Non me ne vado, stavolta, Manuel »

« Certo che non lo fai Simò, » acquistò un tono furbo dei soliti « prima de tutto perché me devi aiutà a studiare, » cominciò, lo sguardo si spostava dagli occhi, alla bocca, al colletto della camicia « poi perché, non te lo permetterei proprio, te l'ho detto, se me cacci io te perseguito e te cerco 'pe tutta Roma se fosse il caso »

Simone assunse un'aria di sfida, senza però evitarsi di ridacchiare.

« Ah sì? »

« Sì, me metto d'accordo anche con gli sbirri per trovarti, » sorrise illuminandosi « faccio de tutto e se te ne ritorni in Scozia, sta tranquillo che vengo pure fino a la per romperti le palle »

Simone rise di gusto, le mani si fermarono sulla motoretta ricevuta solo qualche minuto prima, gli occhi che si aprivano sotto le pieghe ai lati, che si formavano per l'espressione contenta.

« Va bene, restiamo un altro po' » mormorò Simone.
In fondo avevano tutto il tempo, adesso, in quel parchetto per non pensare ai doveri, alla loro età, erano solo due ragazzi su una panchina, due ragazzi che si amavano in un parco romano.







Manuel legò la catena della bici, insieme alle tante altre davanti scuola, quel lunedì mattina. La moto aveva qualche problema e allora aveva pensato bene di lasciarla in officina. Si aggiustò la piccola giacchetta nuova, color rame, che aveva addosso. Era la prima volta che la metteva, ne andava fiero avendola comprata con qualcuno dei suoi risparmi fruttati da quei lavoretti estivi.
Si stava avviando verso il portone, quando qualcuno gli ticchettò sulla spalla.
Si girò e lo riconobbe subito, non c’era bisogno di un identikit accurato. Pensava fosse partito o almeno così Simone sembrava avergli detto, che sarebbe rimasto a Roma il tempo di uno, due giorni al massimo. A quanto pare, non aveva resistito a studiare il curioso caso del ragazzo che gli aveva tolto Simone.


« Sei tu Manuel? » gli chiese il tale.

« Sì so io, » rispose sprezzante, mentre si sistemava lo zaino sulla spalla con un braccio « e so anche chi sei tu. Che vuoi? »

Cristian lo guardò lampeggiante, aveva un espressione chiara dipinta in viso, gli occhi verdi erano gelidi come se l’erba si fosse fusa col ghiaccio temperato.

« Come immaginavo, non sei per niente alla sua altezza »

Manuel aveva pensato più volte quel fine settimana, che tutto era andato fin troppo bene. Sapeva benissimo che in qualche modo, avrebbe pagato un conto salato, solo non sapeva che quello sarebbe arrivato il giorno dopo, lì davanti la piazzetta del liceo, mentre altri ragazzi arrivavano a scuola.

« Non ti permettere a parlare di Simone » tuonò a bassa voce, mentre si trovava il ragazzo vicino alla sua bici. Sicuramente avrebbe dovuto disinfettarla visto che ci stava poggiando le mani sul sellino.

« No, infatti mi riferisco a te » rincarò la dose, le mani lungo i fianchi « Mi immaginavo fossi più minaccioso, ma sei soltanto un pischello che si diverte a giocare con le vite degli altri »

« Non sai niente di me » lo guardò con un leggero odio negli occhi, non paragonabile però a quelle spade di vetro verdi che lo fissavano.

« Non saprò molto, ma quel poco mi basta per dire che non te lo meriti. Uno come lui, non è roba per te »

« Questo, se permetti, non spetta a te deciderlo, » vibrò Manuel, sentendo il labbro superiore tirare « adesso scusa, ma non c’ho da perdere tempo, ho lezione »

Non era nè il luogo, nè il momento adatto a discutere di quello lì davanti. Manuel fece per girarsi e andarsene.
Cristian lo girò con un colpo solo, mentre quello si era voltato e con un solo colpo della mano chiusa in un pugno ben assestato, lo fece cadere a terra. Manuel atterrò a pochi metri dalla bici, di schiena, mentre il brusio della folla di ragazzi attorno a lui si levava in un oh di stupore.

« Sei completamente fuori di testa » Manuel mormorò portandosi una mano in faccia, sentendo il ferro colorato di rosso fuoriuscirgli dal naso: sangue. Cercò di non pensare alle sue dita sporche, che tremevano e provò ad alzarsi, ma Cristian gli si mise di sopra, afferrandolo bruscamente per la giacca.

« Mi chiedo, se ti diverte usarlo o è solo per passarti il tempo » gli mollò uno schiaffetto sulla mandibola.

« Te lo ripeto, » Manuel scacciò via le mani di quello, notando che erano quasi ogni dito portava un anello e che molto probabilmente il colpo era arrivato più per quelli che per la potenza e forza di Cristian « tu non mi conosci. Mi dispiace che tu sia stato lasciato, ma non è picchiandomi che risolverai qualcosa »

Un rumore di motorino si levò nelle vicinanze, fermandosi giusto quel poco per assistere alla scena che aveva davanti. Simone si slacciò il casco di corsa e lasciando a Laura, ferma immobile a guardare, il motorino, si avventò su Cristian furioso.

« Ma che cazzo succede, che ti è preso, Cristian! » gli urlò contro, lo allontanò con la mano facendolo retrocedere di colpo. Simone corse a sorreggere subito Manuel contro il suo petto, gli fermava la schiena e il busto con la mano. Deglutì appena notò il liquido rossastro che usciva copioso dal suo naso e quello che doveva essere un labbro spaccato.
La sua presa si fece più salda quando Manuel, quasi supplicante, gli fece cenno di no con la testa.

« Lui lascialo stare, prenditela con me, se proprio devi, avanti! » strinse i muscoli della mascella, mentre gli occhi assumevano il sentimento dell'odio.
« Simone io… » Cristian respirava a fatica, si mise le mani in testa e poi correndo dalla parte opposta, prese la sua bici parcheggiata e con un ultimo sguardo sconvolto al ragazzo terminò « dimenticati, dimenticati di me! » urlò ad ampi polmoni, scattando poi sul veicolo.

Simone non capiva niente, l’altro era ancora a terra che si aggrappava a lui. Gli bastò solo uno sguardo per capire tutto. Lo aiutò ad alzarsi, pensando al dejavù di quando Sbarra lo aveva fatto menare. Solo che adesso, la persona che lo aveva fatta non era un criminale, ma quello che Simone aveva ritenuto un ragazzo per bene.

« Dobbiamo andare in infermeria »
Mentre lo diceva, salivano gli scalini dell’entrata e varcavano la soglia della scuola. Simone non fece caso alle altre persone che erano ancora ferme incredule a osservare la scena che era appena accaduta.

« Simò è solo, solo un po’ de sangue… » oscillò la testa alla vista della sua mano sporca. Simone lo stringeva forte, mentre il suo braccio intorno alla spalla era cadente, abbandonato su di lui. Camminavano lungo il corridoio della scuola, sfilando davanti a tanti visi curiosi, dato che la sala dell’infermeria era rilegata in un piccolo atrio vicino la palestra.

« Non mi interessa, prima ti fai vedere e poi decidiamo se non è così grave »




- - -





La signora dell’infermeria era uscita da poco, consigliando al ragazzo di tenere premuto il cotone contro il naso e restare sdraiato. Sarebbe tornata tra un po’, dopo aver disinfettato alcuni strumenti. Manuel era disteso su un lettino striminzito che però conteneva perfettamente la sua figura, con delle palline di cotone a tamponargli entrambi le narici. Con la testa tenuta in alto, come gli aveva consigliato l'addetta all'ambulatorio della scuola, fissava il piccolo soffitto verdognolo, con l'odore di disinfettante che gli entrava in bocca. Simone gli era seduto accanto, su una sedia, a braccia conserte, lo sguardo acceso in due pupille che bruciavano.

« Non riesco a spiegarmelo, non pensavo che fosse capace di fare una cosa così »
Simone era veramente amareggiato, la fronte aggrottata nello sforzo di capire, darsi una risposta.

« Alla fine poteva andà peggio, » Manuel mormorò sfiorandosi la pelle gonfia per quei due fori, ai lati delle narici « poteva rompermelo del tutto il naso »

« Come fai a essere così calmo? » sbottò Simone evidentemente disgustato « se non fossi arrivato, se avessi ritardato anche solo un minuto chissà cos'altro avrebbe fatto-»

« Ma non è successo, Simone. Sto qua, » si indicò con le mani « sto vivo e te sto a parlà »

Simone annuì, però con uno sguardo tra il mesto e il dispiaciuto.
« Ciò non cambia che non è da lui, non pensavo...non ha osato mai toccarmi in quel modo » spiegò mangiandosi le parole, vedendo come Manuel scattava su, tirandosi di schiena.

Manuel stette in silenzio, in imbarazzo, roteando lo sguardo, le mani si sfregavano tra loro.

« Non che ci sia stato poi tanto modo, » incespicò con le parole, Simone si sentì subito un cretino « voglio dire, non siamo andati oltre qualche bacio, qualche altra cosa »

« Simò non me devi spiegà, davvero »

Simone annuì, sentendosi davvero un cretino ora. Non c'era bisogno di sottolineare quella cosa, d'altra parte aveva avuto tutto il diritto quando stava con Cristian di fare la sua esperienza, no?
Eppure deglutì, allungò la sua mano e trovò quella di Manuel, come se gli dovesse una qualche sorta di consolazione o rimedio.

« Non so se ho voglia di averlo ancora come amico dopo quello che è successo oggi » era serio « Ho cercato di essere giusto, di chiudere le cose con diplomazia, mi sono sforzato di essere gentile perchè la situazione lo richiedeva, ma non pensavo si sarebbe accanito su di te. »

Simone lo guardava davvero con degli occhi tristi e premurosi e a Manuel veniva soltanto voglia di avvicinarlo e dirgli che andava tutto bene, che lo vedeva, lo sentiva ancora. Che tutti i suoi organi funzionavano e che grazie al cielo, poteva ancora parlare con lui. Pensò che se lo era meritato un po' però in fondo alla vocina che parlava al suo cervello.

« Che ti ha detto? Prima di aggredirti »

« Niente de che » fece spallucce.

« Uno non viene sotto scuola semplicemente perché ha voglia di prendere a pugni, » esalò fuori Simone, alzandosi dalla sedia e accomodandosi in uno spazietto piccolo del lettino cadaverico, accanto all'altro « qualcosa ti avrà detto » e lo guardò interrogativo.

« Simò... »

Manuel esitò sinceramente, si portò una mano sui due fori di cotone che portava al naso, completamente rossi, li osservò, sembravano due batuffoli iniettati di veleno. Simone gli sollevò il mento delicatamente, portandolo sotto il suo sguardo.
Si aspettava una risposta, anche con calma, ma aveva bisogno di sapere. Due persone ne avevano sofferto: Cristian due giorni prima e ora quella che meno di aspettasse venisse presa di mira, Manuel. Forse Simone aveva una propensione per vedere le persone che amava soffrire.

« Ha detto qualcosa riguardo... qualcosa del tipo che non ti merito, che non sò alla tua altezza »

Simone notò l'amarezza e convinzione con cui Manuel lo aveva detto. Sospirò un poco e semplicemente la sua fronte tocco quella dell'altro, i capelli leggermente sudaticci.

« E tu ci hai creduto? »

« No, non è questo, » mormorò « non me conosce, non può sapere chi sono, però...non ha tutti i torti. Insomma, non sono alto quanto te ed è vero, » rise amaramente « e l'altra, beh, che un po' non te merito mica è na bugia »

Il più alto si portò entrambe le sue mani vicine, accarezzò le nocche, mentre la bocca si spostava a dargli un bacio veloce.

« Sono io che decido con chi stare, » disse Simone senza ombra di dubbio, rigoroso « così come sono io che decido se ne vale la pena o no, » gli sfilò un occhiata determinata « e sono sempre io che dico, che chi cerca di entrarti in testa non va mai ascoltato.»

Manuel annuì lentamente, mentre Simone gli sorrideva piano, si portava le nocche alla bocca e le baciava. In quel momento non pensava che all'altro potesse dare fastidio quel gesto, semplicemente voleva fargli sentire la sua vicinanza. Soprattutto se lo sguardo di Manuel era vacillato dopo le dichiarazioni di un Cristian disumano e su di giri, diverso da quello che aveva conosciuto e frequentato.

« Comunque lo capisco, » sussurrò « se mi ha puntato perché si sentiva rifiutato, lo capisco davvero »

« Io mi rifiuto di farlo, adesso, non quando si parla di alzare le mani su un'altra persona »

« Simone, oltre la perdita c'è la gelosia e io, che l'ho provata pe giorni, ce capisco qualcosa »

« Gliel’ho detto che c’eravamo detti delle cose, gli ho parlato di te ovviamente, prima, in questi mesi... » inspirò forte contro il suo viso « ma non ho mai voluto dire chiaramente cosa eravamo, perché nemmeno io lo sapevo »

Manuel lo tenne fermo, mentre si vedeva, piccolo forse, acciaccato, mezzo pieno e mezzo vuoto, in quegli occhi grandi, intensi, due fanali pieni di cura, amore.

« A me invece sembra più chiaro che mai »

Gli occhi piccoli di Manuel si accesero, scacciando lo storto del resto della sua immagine: sangue secco sul naso, il sudore che gli imperlava qualche riccio, il labbro inferiore con quella spaccatura evidente.

« Se l'è presa perché ora ha capito che sei il ragazzo mio, » Simone gli stringeva ancora le mani e sentiva il respiro farsi stretto stretto « e io sò il tuo »

« Che, la botta l'hai presa forte pure in testa oltre che sul naso, Manu? » sussurrò Simone.

Manuel sganciò la presa da quella dell'altro solo per circondare il collo di Simone e tenerlo stretto, più che poteva.

« Sei er ragazzo mio »

Oh.

« Non eravamo due ragazzi che si amano? »

« Sì, appunto, perché stiamo insieme »

Simone non ci capì più niente, sapeva solo di stare baciando Manuel, facendosi largo in quella sensazione intensa, così bella che sentiva dentro. L'altro aveva appena detto che erano entrambi il ragazzo dell'altro? La sua bocca si muoveva da sola, mentre l'altro respirava a fatica. Solo poco dopo Simone si rese conto che forse gli stava facendo male.

« Dio, Manuel, scusa- »

« Ma de che te scusi, Simò » Manuel respirava, solo si toccò leggermente la parte inferiore del naso e la punta per controllo. Simone lo guardò cauto, cercando di calmare l'artificio che si trovava in gola, il groviglio dello stomaco, il sorriso stupido che aveva stampato in viso.

« Che fai lì impalato, me baci o no? » ridacchiò stuzzicandolo. Questa volta il più alto non se lo fece ripetere una seconda volta.

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Capitolo 9
*** Mad man for your touch ***


Giù, sì proprio lì.

Sulla parete ci giocavano, quella sopra la sua testa, da lì scendevano tante piccole lucine. Queste gli sfioravano i pensieri, i ricci, si poggiavano e ricadevano proprio sulla punta del naso.
O erano lucine, oppure aveva sicuramente delle visioni curiose, quelle che ti fanno dubitare di essere sano. Forse poteva essere solo dovuto alla poca luce che entrava dalla finestra della sua camera, le imposte che si riflettevano e la fonte luminosa che ne disegnava strisce diseguali e strane.
Quando l'altro aveva accettato di dormire da lui, non aveva potuto fare a meno di sentirsi come se di colpo, la stanza si fosse accesa. La sua stessa stanza: disordinata, i vestiti ammucchiati sulla sedia, con le lenzuola colorate aggrovigliate, adesso, in un ammasso di gambe coperte da pantaloni da tuta e da una parte i calzini lunghi di Manuel ai piedi.
Il teppistello si stava interessando alla figura di Simone distesa a pancia in giù, il volto girato a destra verso di lui, accarezzato dalla luce notturna. Indossava una felpona grigia, ma che ora sembrava bluastra con tocchi di nero, a tratti evanescente e leggera. Se ci si concentrava meglio invece, sembrava pesante addosso a dei lineamenti fin troppo delicati, levigati.
Simone era rimasto a studiare con Manuel, fin quando non era arrivata l'ora di cena. In tutto quello sua madre sembrava contenta che per una volta suo figlio avesse portato qualcuno a casa sua, visto che non aveva mai visto nessuno dei suoi amici o conoscenti. Però dato che si trattava del figlio di Dante, Anita aveva immaginato che Simone potesse essere una persona davvero speciale per il figlio, solo che non ne faceva quasi mai parola, per non contraddire l'irascibilità di Manuel. E dopo, mentre Anita sparecchiava, i due erano ritornati nella stanza del figlio.
Avevano parlato un po', avevano finito per prendersi in giro. In realtà più Manuel che Simone, perché quello si lasciava comodamente ai commenti dell'altro, mentre gli sfiorava i capelli, la nuca. Si limitava ad annuire con la testa poco convinto solo per fagli piacere.
Se non fosse stato per la giornata pesante l'indomani a scuola, Manuel sicuramente avrebbe continuato a tirarlo a sé e soprattutto a prenderlo in giro.
Non amava dirlo, però la smorfia imbronciata del più alto gli dava tanta soddisfazione. Pensava di averci potuto scrivere anche un trattato esplicativo. Manuel avrebbe stretto ancora la presa su di lui e si sarebbe accertato di tenerla salda.
Poi l'altro - si era addormentato - e così dopo, Manuel aveva deciso di seguirlo, dato anche l'orario - anche se con scarsi risultati, svegliandosi poco dopo. Ma in fondo c'era ancora tempo, avevano ancora del tempo per tutto il resto.
Il volto di Simone era rilassato, nel sonno, con il braccio abbracciava il cuscino sotto di sé, l'altra mano era libera sul fianco a toccare il letto.
Gli occhi grandi erano chiusi, la mascella definita, la chioma scura sparpagliata sulla federa.
La mano di Manuel scivolò lungo il suo braccio, le dita tracciarono la sua linea fino al polso, dove il tessuto si alzava.
Sospirò leggermente, mentre pensava nella sua testa che una cosa così, non la aveva mai davvero avuta.
Che forse di tutte le cose che aveva fatto, quella fosse la migliore che si fosse riservato.
Aveva avuto Chicca, ma non ci aveva mai fatto caso, a come dormiva. Aveva avuto Alice, ma anche lì, non era stato tanto interesse quanto vincita, mettersi in mostra a una cosa più grande e acerba di lui.
Adesso, mentre guardava l'altro dormire, Manuel, avrebbe voluto davvero che l'altro continuasse a farlo e si svegliasse il più tardi possibile per non accorgersi che lo stava osservando.
Non sapeva nemmeno da quanto lo stesse fissando, ma non aveva minimamente sonno. Lui c'era abituato all'insonnia, o forse era l'insonnia stessa a portare il suo nome. Poco importava se l'indomani avrebbe indossato delle occhiaie evidenti, l'altro ragazzo dormiva così tranquillo come se fosse la rappresentazione di un sogno dell'inconscio.
Simone respirava, dormiva, nel suo letto, in mezzo a quel trambusto di cianfrusaglie, robaccia. In mezzo a tutto quel casino e frastuono della sua vita, Simone era l'eccezione. Il rimedio all'anomalia che Manuel sentiva e aveva sentito di essere dentro da troppi anni.
Il peso, l'impotenza, l'essere perso in partenza, il sentirsi definitivamente rotto ancora prima di fare capire che danno avesse.
E Simone lo aggiustava. Non voleva dirglielo e forse non lo avrebbe mai davvero fatto, ma Manuel sapeva di dovergli praticamente tutto.
E se sua madre, Anita, non sapeva ancora niente è perché aspettava soltanto le parole giuste per definirla, quella stessa persona che gli dormiva affianco. Perché lei, avrebbe capito. Non ne aveva dubbi.
Simone così, si lasciava illuminare da una luce fredda, mentre la mano di Manuel questa volta si spostava al palmo della mano, tracciandone le nocche, la lunghezza.
Se solo si fosse visto dall'esterno, mesi prima, si sarebbe dato dello stupido.
Adesso, si sarebbe chiamato sicuramente "stupido" ma secondo un'accezione positiva.
O forse "sentimentale" suonava meglio.
Quante volte aveva detto che i sentimenti erano per perderti, cose da femminucce e invece, vedi cosa aveva perso nel tragitto, di quell'idea pregiudicata. Manuel aveva valutato male quello, non ci aveva mai pensato davvero perché non pensava che le cose belle potessero accadergli.
Si sbagliava.
Sentimentale, stupido.
Manuel sorrise piano, fermandosi sulla schiena di Simone, coperta dalla felpa, ma di cui avrebbe voluto accarezzare e sentirne la pelle.
Mi piace, essere stupido.
Se l'etichettarsi in quel modo, significava stare a guardare Simone mentre dormiva, gli andava più che bene.



 
- - -



« Oh, Manuel » seduto com'era a rivedere gli appunti di storia, gli diede una gomitata. « La smetti e ti concentri per favore? Sei indietro di almeno tre paragrafi e non siamo nemmeno a metà del secondo » mormorò Simone.

Manuel scrollò le spalle, alzando le mani in sento di resa.

« Che è colpa mia se mi distrai così tanto? »

Simone socchiuse gli occhi ed esalò un sospiro, cercando di restare serio. Poi alzò gli occhi e trovò l'altro che lo guardava come una pecorella smarrita. Rise di colpo.

« Se vuoi mi metto un sacchetto in testa, » scherzò « ci faccio due buchi per gli occhi però, così magari riesco a leggere e spiegarti la rivoluzione di Ottobre » girò la pagina del libro, indicandogli l'introduzione, le lettere del titolo erano in grassetto nero, seguita da due immagini a fine di ogni pagina.

« Simò non c'è bisogno, anche se me piacerebbe finire quanto prima… ricordo vagamente che cos'è » disse tutto d'un fiato,

« Ti ascolto allora » lo esortò.

Simone sembrava un maestrino perfettone, mentre si metteva dritto contro l'albero del viale di casa sua. Aveva una maglia a maniche lunghe celestino e un giacchino grigio di sopra. Erano entrambi sull'erba. La giornata era fredda, ma non c'erano nuvole a far tenere un acquazzone. Avevano deciso di mettersi all'aperto, fuori da orecchie e sguardi troppo indiscreti.

« La rivoluzione d'ottobre è iniziata in Russia, a Febbraio nel 1917, ha segnato er crollo dell'impero russo e poi ha portato alla Russia sovietica socialista. In pratica è stata rovesciata la monarchia, il Re, ed è salito al potere il partito operaio dei bolscevichi russi » spiegò fluidamente, mentre si sbrigava a cambiare pagina. Simone lo fermò giusto in tempo, la mano si fermò sopra quella di Manuel.

« Continua, non hai finito » lo corresse.

Manuel annuì, pensandoci un attimo e poi riprendendo il filo del discorso.
« Fu una mossa strategica per fare assumere il potere in favore degli operai, soldati e contadini e dei loro diritti. Si parla dunque di democrazia e non più di un potere assolutistico. Il partito era guidato da Lenin e un altro, non ricordo chi era, c'ha un nome troppo difficile »

Simone annuì, accennando un segno di fierezza in volto. Tolse la mano e lasciò che l'altro andasse avanti.
« Giusto, bene »

Manuel sorrise tronfio e si inclinò leggermente spostando il peso su un fianco per lasciargli un bacio sulle labbra, molto rapido.

« Simò, sei bravo a fà er professore » mormorò.

L’altro scosse la testa, sospirando.

« Ma va, che queste cose non sono poi così difficili »

Simone gli stava praticamente morendo sulle labbra, a giudicare dal modo in cui i suoi occhi marroni e grandi erano fermi su quelle, anziché sulle piccole iridi furbe di Manuel.

« E poi, » si sbrigò a dire ritornando sul volume sotto di sé « questi argomenti sono passabili, ti voglio vedere sulle altre cose »

« Non c'è problema Simone, non ce spaventiamo qua, facciamo pure quelli » rispose convinto e spavaldo.
Simone posizionò meglio la schiena contro il tronco dell’albero, dietro di sé, mentre portandosi una mano pensosa sul mento, adocchiava il seguente capitolo del testo.

« Che mi sai dire della marcia su Roma del ‘22? »

« Venne organizzata dal Partito nazional fascista, guidata dal Duce anche se non era presente fisicamente, seguito da Bono e Balbo da lui nominati prima. Le camicie nere marciarono per prendere il potere del governo, minacciando anche violentemente se fosse stato il caso. Poi da lì in poi ce sta il casino delle leggi razziali che entrano in vigore nel ’38… » Manuel a quel punto si massaggiò le tempie, sospirando leggermente « Me mettono una tristezza assurda ‘sti argomenti, annamo avanti?»
Simone annuì ripetutamente.

« Non è colpa mia se ti sei lasciato dietro roba, che tra l’altro è stata spiegata settimane fa » accompagnò con un gesto della mano, sfiorando la carta liscia.

« Non c’avevo voglia de fa niente, ok? » Manuel si mise subito sulla difensiva, si grattò la testa, una smorfia gli corrugò gli angoli della bocca e le labbra sottili « E poi c’era tutto quel casino irrisolto con te, non ce la facevo a toccà libro, l’officina conciata come ‘na pezza… lasciamo stà »

Simone lo adocchiò fin troppo curioso.

« Che è successo al garage? »

« Simò non me va de parlarne » mormorò amareggiato, volendo cancellare quella giornata a rompere e buttare giù a terra bulloni, attrezzi, a rovesciare le sue convizioni.

« E’ per questo che non ci sei tornato? »

Aveva il tono premuroso, quella bella voce intrisa di calore ma anche tanta preoccupazione che a Manuel faceva sentire presente, importante. Mancavano solo i sottotitoli o le didascalie e sarebbe stato ridicolo quanto l'interesse di Simone oramai contasse per lui.

Mannaggia a te.

« Diciamo che c’è un mezzo casino che in parte ho sistemato, » si inumidì le labbra con la lingua « me so sfogato contro la roba che neanche Hulk » ridacchiò nervoso.

Simone annuì, osservando meglio come l’altro non lo guardava o evitava di farlo. Non pensava avesse potuto succedere chissà che cosa, ma l’idea che Manuel avesse rinunciato per un po’ di tempo al rifugio dei suoi motori, lo faceva sentire un po’ interdetto oltre che in colpa.

« Simò va tutto bene, » se ne accorse che lo stava squadrando, con le mani pronte sulle spalle del più alto « ho dovuto sfogà la rabbia in qualche modo, non me so fatto niente »

« Però un po’ mi dispiace… che tu non ci sia tornato per me » confessò, visibilmente rabbuiato. Manuel spostò le mani dalle spalle, portandogliele a sostenergli il visto.

« Ti dico che è passato, » gli occhi piccoli palpitavano « e poi non è vero che non ce so tornato, solo che non me và de perdere tempo con le moto, ora. Ho rimandato alcuni lavoretti, ma sono sempre in tempo per ritornarci » chiarì.
Simone sembrò sentirsi meglio, le mani dell’altro erano tiepide, anche se l’incarnato stonava con la maglia rossa spenta che portava, accollata su, fino al collo. Manuel si soffermò più del dovuto sulla figura dell’altro, mentre sembrava sfumare sempre più seriamente l’idea di continuare a studiare.

« Non l’ho sentito più sai? Cristian, intendo... »
D’un tratto Manuel si irrigidì giusto un po’, ma Simone sembrava parlargli col cuore in mano, arrovellandosi giusto un po’ e in quella situazione, lui non se la sentiva di rovinare tutto come suo solito. Era lì per ascoltarlo. « Mi sono detto che l’ha fatto perché preso dal momento, spinto dal rifiuto - non che sia stato giusto, anzi - ha sbagliato… però mi dispiace dover pensare che ci siamo staccati con questa immagine, di te a terra col naso che sanguina e lui che scappa via»
Manuel strinse la presa sul suo viso, stava poggiando la fronte contro la sua, adesso.

« Ecco perché sei un perfettone Balestra: tu sei esattamente l’ultima persona che dovrebbe sentirsi in colpa, in tutta ‘sta situazione »

Simone fece una smorfia di disapprovazione, le mani si andarono a poggiare dietro il collo di Manuel.

« La smetti di chiamarmi così? Lo sai che mi da fastidio »

« Non la dico come un’offesa, Simò, è la prova che sei ‘na brava persona, co’ tutti i valori e i sentimenti giusti, forse pure troppo giusta a volte »

« Ho capito, ma non mi chiamare più perfettone »

« Va bene allora continuo a chiamarti Simò, » fece scontrare i loro nasi e lo baciò veloce « Simone, Simo, » poi gliene diede una serie di altri dopo « Balestra, Balestra junior, in francese come po’ esse… Simonè, Simon ? » sentì l’altro ridere al suono di un inventato e deludente accento francese-romanesco e sorridergli subito contro, mentre Manuel continuava a stuzzicarlo in quel modo.
Simone si sentì accolto dalla vicinanza di dell’altro che adesso, si fermava a guardarlo furtivo, pieno di ingegno. Il gesto fu svelto: afferrava il libro e lo spostava a lato. Appena avvertì il contatto, Simone annaspò leggermente e in automatico smise di collegarsi al cervello. Entrambe le loro teste si mossero all’unisono, le bocche si confusero, mischiando i sapori, le sensazioni.

« Manu » mormorò il più alto ad occhi socchiusi, « così però se esce mio padre ci vede »

Manuel si girò di scatto verso la porta di casa, il viso si colorò un po’ d’ansia.
Erano a una decina di metri, ma aveva ragione. Se Dante fosse uscito la prima cosa che avrebbe visto sarebbe stato sicuramente quell’approccio “ancora non detto”. Non gliene faceva una colpa, d’altra parte era nuova a tutte e due quella situazione. Stavano da solo una decina di giorni effettivamente insieme.
Perciò, gli afferrò di scatto la mano, la presa salda e si portò Simone appresso, dalla parte posteriore, dietro l’albero. La visuale non era più decentrata, ma nemmeno così evidente. Nessuno li avrebbe visti, a meno che qualcuno non fosse arrivato all’improvviso dalla parte laterale della casa. Avrebbero dato meno nell’occhio. Quando Simone fu letteralmente disteso a terra sull’erba da Manuel, quello riprese da dove aveva lasciato. Gli riempì di nuovo la bocca, muovendosi piano, sentendosi completamente in controllo della situazione. Simone, dal canto suo, toccava con una mano qualche filo verde, mentre l’altra si agganciava al collo del più piccolo.
Sentì la mano di quello che frugava sotto la sua maglia, si poggiava ampiamente sul torace, ne sentiva la pelle liscia, appena sopra un po’ di peluria. Simone si sentì accaldare subito dopo, quando quello artigliò col lembo della sua maglia, cercando di togliergliela.
La frustrazione per quello – a quanto pare - era ai massimi della sopportazione.

« Manuel » lo interruppe Simone, portandogli la mano dietro la schiena.
L’altro si limitò a osservarlo dall’alto, le sue gambe erano a cavalcioni sulla sua figura lunga e costruita. Simone deglutì, cercando di ragionare con l’afflusso di sangue che ora era diretto in tutt’altra zona « Volevo chiederti una cosa… »

Manuel gli lasciò un bacio umido lungo la mascella, soffiandogli letteralmente sopra il viso.

« Spara »

Simone si fece forza, pensando che effettivamente, poteva suonare davvero all’antica come cosa, magari cliché, come quelle procedure di istruzioni all’uso prima di prendere una medicina o un farmaco. Però non poteva ammettere di non averci pensato o che la cosa non lo avesse sfiorato minimamente.

« Mi chiedevo se… uhm, noi due potessimo uscire, insomma » cominciò a girarci attorno, spaesato, quando stava con Laura, gli era venuto sempre semplice chiedere quel genere di cose « per un appuntamento o qualcosa così. Senza impegno ovviamente, è solo… un’uscita » si mangiò sbrigativo le parole. In realtà sapeva che non era così, una volta che aveva pronunciato la parola con la ‘A’, si era subito contraddetto miseramente con ciò che veniva dopo. Simone non credeva per davvero di averla scandita così rapidamente.
Manuel si alzò di scatto sopra di lui, inclinò il capo, lo sguardo vagamente confuso. Sulla maglia rossa si era formata una piega visibile, la spallina destra era stata tirata forse un po’ tanto da Simone, visto che gli ricadeva fuori, scoprendone la pelle più scura.

« Un appuntamento? Tipo a cena? »

Duh.

Simone si bagnò le labbra teso, ora, chiedendosi se forse non aveva spinto le cose troppo in avanti. In fondo era un’uscita, erano usciti tante di quelle volte prima, in sola amicizia. Certo, con lui che si struggeva il novanta per cento del tempo per quel piccolo stronzo, però erano dettagli futili.

« Vabbè, non… lascia stare- »
Simone si stava trascinando di nuovo giù Manuel, quando quello lo fermò.
Perché no?

« No, no » aveva due occhietti vispi, fattisi subito seri « va bene Simò, facciamolo »

Simone ricambiò seriamente lo sguardo, spostandolo di continuo. Pensò che l’altro lo stesse facendo per soddisfare un suo capriccio – cosa lontana dall’essere tale – e non per voglia.

« Non ti voglio forzare, se non ti va. Era solo un’idea »

Simone si vantava e pentiva un allo stesso tempo di quella pensata, pensando di stare chiedendo magari più sforzo all’altro, il pollice della mano accarezzava piano la guancia del piccoletto, la barba gli stava ricrescendo.

« Se fa felice te Simò, so felice pure io » concluse.

Simone si accese in un attimo. Si spinse a baciarlo, sollevato dal rumore che il cuore gli riproduceva in petto e dal sorriso che affiorava subito. Questa volta Simone si impegnò a dedicarsi a Manuel, le mani si aggrappavano entrambe al suo viso, le labbra sfioravano il naso, l’angolo della bocca, il naso gli solleticava il collo.

« Simò, » si staccò un attimo l’altro mormorando confuso « ma che me devo mette una camicia, cravatta, cose così, uh ? »

« Beh, in tuta sicuro non ci puoi uscire » rise prendendolo in giro.

« Me devo mette in tiro, quindi » azzardò un sorriso beffardo, quello sghembo che lo faceva sempre assomigliare a un delinquente troppo acerbo.

« Beh… »
Simone vagò con la probabile immagine dell’altro vestito bene, per una volta, in maniera un po’ più sistemata oltre le felpe, le maglie sportive e quel piumino verde militare che indossava quasi ogni giorno da quando lo conosceva.

« Per il giorno dovremo scegliere magari quando nun c’avemo troppi compiti o interrogazioni »

Simone annuì.

« Martedì e giovedì ho gli allenamenti coi ragazzi, a rugby, quindi esclusi… che ne pensi di venerdì? »

« Potrebbe annà bene »

Ritornò a baciarlo. Simone non si abituò presto perché l’altro si rialzò di nuovo di scatto, meno confuso ma agitato il giusto.

« Ma er locale, cioè, voglio dì, » Manuel si aggrappò ai ricci dell’altro, la mano ancorata sul fianco destro, incespicò ad articolare un discorso degno della grammatica italiana « ce ne stanno tanti, ugh, dove annamo, per carità me va bene tutto, ma insomma manco ad avecce tutti ‘sti spicci- »

« Mi va bene anche una pizza e una birretta, » lo tranquillizzò « non ho tutte queste grandi pretese »
Manuel annuì rapido, per tuffarsi nuovamente sull’altro.






Manuel si guardò al piccolo specchietto del bagno, girandosi di profilo, di tre quarti, di fronte. Aveva osservato ogni punto di vista possibile, anche di schiena girando la testa. Non si era mai davvero visto con una camicia addosso, gli sembrava strano. Forse l'ultima volta era stato tempo fa, da bambino.
Si sentiva un po' Narciso, lo specchio era il lago, in cui si specchia solo che forse quello sarebbe stato più sicuro con l'indumento addosso.
Diciamo che non faceva proprio parte della sua abitudine essere "ordinato", si sentiva leggermente ridicolo. Però non poteva certo presentarsi in tuta.
Fai la persona normale per una volta.
Il ragazzo si spostò nel piccolo soggiorno attaccato alla cucina, mentre Anita si affacciava da dietro il tavolino e posava un libro che teneva in mano.

« Serata speciale? » aguzzò lo sguardo incuriosita. Manuel si grattò la testa, cercando di non sembrare un cretino, annuì emettendo un sospiro un po' agitato. Sua madre si alzò e dalla cucina passò accanto alla figura del figlio. « Ricordo ancora quando te l'ho comprata un annetto fa, » mormorò soddisfatta « non te la sei mai voluta mette »

« Perché non c'ho avuto mai occasione, mà » borbottò, vedendo che sua madre gli aggiustava il colletto ai lati, attenta. La donna gli sistemò la piega sulle spalle, nonostante quella fosse rimasta Immacolata dopo tutto quel tempo dentro l'armadio e osservò la piccola catenina che portava al collo.

« Non ci credo, hai tirato fuori pure il regalo della comunione! » sua madre si coprì la bocca per lo stupore. Manuel roteò gli occhi, un po' scocciato da tutto quel teatrino.

« Sì, che faccio, la tengo sempre chiusa nel cassetto? »

« Quindi è una cosa seria »

Manuel si fece subito serio, come se da quella affermazione dipendessero le prossime sue possibili risposte.

« Mà... ce provo, spero lo sia » si mordicchiò il palato interno, mentre si toccava piano il tessuto che aveva addosso.

« Sono troppo sfacciata se ti chiedo chi è? »

Anita sembrò curiosa, ma con quella giusta punta di amore nello sguardo. La coperta le cadeva addosso, sopra la maglietta vecchia per stare a casa, i capelli erano sciolti lunghi a segnare il viso però ancora avvenente.

« Te posso dì che non è una ragazza »

Oh, ce l'ho fatta.

Sua madre disegnò un 'o' con la bocca, ma poi non risultò molto sorpresa: suo figlio ormai la aveva abituata a tutto. Non che ci fosse qualcosa di male, Manuel sapeva amare e glielo aveva sempre dimostrato. E anche se con gli altri lo camuffava, sapeva esprimere affetto a suo modo. Dopo la corazza, veniva la sua vera forma e quella era riservata a pochi. Anita lo sapeva: era la famosa scintilla che aveva visto il suo prof di filosofia.
« Ho faticato per sbrogliare la matassa, ma credo di esserci riuscito »

« C'ha l'età tua almeno? Questo lo posso chiedere o vengo linciata? » il tono di Anita era amichevole e scherzoso.

« Non te preoccupare, non vado contro il codice penale o minorile, mà, sta tranquilla »

Anita sospirò di sollievo, la mano andò subito al petto, almeno era un adolescente come lui e non una trentenne, com'era già successo quella volta.

« E poi non c'ho voglia, Alice è una storia bella e morta »

Manuel si strinse nelle spalle, totalmente tranquillo. Si guardò le mani, notando che il solito sporco che circondava le unghie non c'era più. Non toccava un attrezzo in garage da almeno tre giorni e non aveva avuto voglia di farlo. Quel posto gli ricordava ancora la sfuriata, la rabbia, i tormenti delle settimane scorse. In quel momento voleva lasciare spazio solo a quel sentimento denso, nuovo, a tratti spaventoso, che però lo faceva sentire vivo.

« Ti piace per davvero quindi »

« Mà capitan ovvio, » allargò le braccia in modo teatrale « sai che non so' mai andato a un appuntamento, non sono proprio il tipo, però, » mormorò sempre più fedele a se stesso, annuì sorridendo appena « questa volta è diverso » Anita lo stava ancora ammirando, le braccia contro il petto, la consapevolezza che anche se aveva diciassette anni, suo figlio stava crescendo. « Che c'è? »

« C'è che ti vedo bene, meglio, come se fossi rinato...stai benissimo, » lo strinse in un abbraccio, scoccandogli un bacio sulla testa e poi spostandosi sulla guancia « il mio bambino è diventato un uomo »
Manuel rise, cercando di staccarsi rapidamente da quella morsa di smancerie sonore, visto che Anita lo stava sbaciucchiando di nuovo.

« Va bene mà, prima che me stropicci tutto, » esordì, questa volta sorridendole ampio « me devo move tra qualche minuto sennò faccio ritardo »

« Vuoi che ti do uno strappo? »

Manuel fece di no con la testa, afferrò lo zaino (immancabile) e vide il giubbotto colore rame che ormai usava più per le occasioni che per tutti i giorni, per paura di rovinarlo, poggiato sul bracciolo del divano. « Dai, ti aiuto a metterlo » e così Anita lo prese e lo infilò a Manuel, glielo sistemò davanti e lo guardò un'ultima volta.

« Sì lo so, tuo figlio è un pezzo de manzo de prima qualità, » ironizzò, soppesando l'occhiata convinta di Anita « adesso posso andare? »

« Scusami se non vedo mai mio figlio tirato così a lucido » sospirò, incrociando le braccia « Vai su »

Vide Manuel avviarsi verso la porta, lo zaino in spalla, i riccetti ribelli, l'abbigliamento cambiato di poco ma curato.

« Buona fortuna » mormorò.

Manuel si girò, si sentì leggermente tremolare il fiato, unì le mani giungendole, le chiavi in una di quelle. Sussurrò un 'grazie' leggero, prima di vederlo uscire da casa.






Nervoso continuava a ritirarsi i pollici, era entrato in pizzerie e aveva deciso di aspettarlo lì. Forse però, Simone sarebbe dovuto ritornare fuori, visto che alcune persone sembravano troppo incuriosite dalla sua lunga figura. Alzò lo sguardo sopra di lui, mentre l'odore di pomodoro e di forno si levava sopra il suo naso. Niente, uscì fuori dal locale.
È ancora presto.
Si era fatto una lunga doccia, aveva fatto attenzione a cosa mettere, per poi buttarsi su una camicia classica bianca, con dei bottoncini dorati di metallo ai polsi. Il paio di jeans che indossava era nero, le scarpe di ginnastica, il suo solito giubbotto di pelle morbida imbottita. Se ne stava lì a ciondolare, avvertendo un po' il fresco pungente delle nove di sera, in una Roma che si svegliava per via della mondanità giovanile.
Cercò di rilassarsi, ripetendosi che era un'uscita banale, come tante altre volte. Solo che non si trattava dell'officina, o di una canna nel loro solito posto, e nemmeno del parchetto dove andavano sempre. Era un locale, fuori dal centro. Era arrivato con il motorino, lo aveva parcheggiato sul retro, come gli era stato indicato.
Sentì il telefono vibrate nella tasca del giubbotto, lo uscì. Lesse ciò che c'era scritto e alzò gli occhi.
La figura di Manuel scendeva dal veicolo, si slacciava il casco, lo infilava nel cruscotto. Simone lo vide avanzare verso di lui, un cenno della mano aperta in alto, a cui rispose. Vedendolo avvicinarsi sempre di più, notò che portava una camicia nera, che gli cadeva a pennello, portava dei semplici jeans più chiari e un giubbotto che gli aveva visto di recente a scuola. Simone pensò che non c'era altro modo per crederlo più bello e invece di sbagliava. Manuel si muoveva come al solito, quello era inevitabile, però sembrava più grande, meno bambinesco.

« Ehi »

« Sera Simò »

Entrambi si guardavano tremendamente impacciati come se fosse la prima volta che si vedevano. Simone si fissò la punta delle scarpe, pregando di riuscire a spezzare quell'imbarazzo assurdo.

« Te la sei messa alla fine, » indicò « quella »

Manuel si guardò a sua volta.

« Sì, me sento un po' ridicolo in realtà-»

« Stai davvero bene, invece »

Il più basso schioccò la lingua, osservando Simone più del dovuto mentre si avvicinava alla porta del locale, la mano sulla maniglia. Simone era Simone che doveva dirgli. Sarebbe stato bene anche con un mantello addosso. L'altezza, le spalle larghe, la postura decisa. Volendo, anche se fosse andato in giro con solo un pezzo di vestiario addosso. Manuel sentì di colpo una scossa arrivargli al ventre. Non interruppe mai il contatto visivo con l'altro, prima di aprirla ed entrare.

« Anche tu non sei male, Balestra »

 
- - -


 

La serata trascorse bene, nonostante l'imbarazzo iniziale. Simone sembrò sciogliersi nel momento in cui vide l'altro più in ansia di lui, si era rilassato visibilmente cercando di tirare fuori l'altro dal disagio. L'idea che ne uscì fuori fu di un'uscita normale forse solo un po' più accentuata, per via della serie di coppie nel locale vicino a loro. Manuel aveva sorseggiato la birra tra una parola e l'altra, mentre Simone tirava fuori degli aneddoti di classe, per smorzare la tensione. In tutto quello, il teppistello non smetteva di pensare a come Simone, gomiti poggiati sul tavolo, mani giunte sotto il mento, potesse sembrare l'unico lì dentro degno di essere guardato. Indossava quel cerchio piccolo al lobo destro e ogni tanto, se lo sfiorava. Risero ripensando a qualche tipica figura di merda fatta da Matteo o anche solo a qualche scena istrionica di Lombardi. Dopo aver finito l'argomento "scuola", si concentrarono su altro. Più che altro venne fuori l'intenzione di Manuel di proseguire gli studi. Simone non aveva fatto a meno di interessarsi di quella novità: avrebbe avuto un altro conoscente filosofo, oltre suo padre. La prospettiva poteva sembrare un tantino di troppo, però pensandoci, Manuel aveva sempre avuto dei bei pensieri, intelligenti, centrati se solo si sforzava e la smetteva di cazzeggiare. Sapeva tirare fuori da quell'aria sprezzante, arrogante, un vero e nuovo sé. Finita la cena, l'ennesimo scoglio era stato pagare, dopo una grande girata di occhi di Simone e un accentuato dibattito, decisero di dividere in metà evitando altre discussioni. Quando uscirono, si guardarono entrambi, meditabondi sul da farsi.

« Te va se annamo da te? Vicino la piscinetta? »


Le mani dentro che cercavano rifugio nelle tasche della giacchetta, l'aria pungente. Simone annuì ed entrambi si divisero soltanto per andare a recuperare i motori.



 

Gambe a penzoloni sopra quella piscina, Manuel passava una birra a Simone, presa dalla piccola refurtiva che teneva nel cruscotto dello scooter. Erano solo tre bottiglie, ma comunque un buon tesoro. Le fecero tintinnare avvicinandole a mo' di augurio. Il cielo sopra le loro teste, assomigliava vagamente a quella stessa sera dove Manuel gli aveva citato la citazione kantiana, solo con più puntini vaporosi bianchi sparsi, come se fossero sotto un quadro famoso. Simone guardava su, il naso gli si era fatto un po' rosso, per via del freddo. Se solo pensava che erano appena usciti, insieme, senza tanti problemi e che adesso, erano di nuovo lì, con una nuova consapevolezza addosso, gli veniva genuinamente da sorridere. Ed è quello che fece.

« Sai, pensavo, l'ultima volta che eravamo qua, c'era un tempo come questo, solo che avrei davvero voluto durasse di più »


Manuel gli prese la mano, poggiandogliela sopra, la birra che restava a mezz'aria nell'altra.


« Io sto a pensà ancora a quando te stavi a soffocà con la canna in officina »


Simone rise abbassando il volto sul becco della bottiglia. Manuel lo accompagnò. Il liquido biondo oscillò dentro il vetro contro la sera.


« Beh facevi tanto il fighetto, volevo provare anch'io » sottolineò.


« Simò, io so figo anche senza aver bisogno di fumare » la faccetta da bulletto ritornava prepotente.


« Già, » mormorò « anche se io ti avevo battezzato con un altro nome » restò vago.


Manuel lo perforò con lo sguardo, la birra ormai era finita.


« Cioè? »


Simone si voltò a guardarlo, si mangiò le labbra, forse era troppo pure per lui.


« Non è qualcosa tipo stronzo o er lupo cattivo, vero? » scherzò.


« No, tu eri "il più bello" di tutta la scuola » concluse, ammettendo quanto fosse imbarazzante e palese ripensandoci ora « lo so, molto banale »

Manuel deglutì appena, la bottiglia venne abbandonata al lato. Si girò completamente verso l'altro, la presa era libera, quindi si decise senza nemmeno darsi il tempo di frenarsi. Scoccò le labbra contro quelle di Simone, sentendosi pieno di poterlo fare. A cena gli aveva solo tenuto la mano, che ora, si poggiava dietro la sua nuca, alla base dei capelli, mentre con l'altra mano gli sosteneva ancora la presa.


« Tutte ste cose sentimentali non me sò mai piaciute, però Simone me fai una tenerezza che me lo scordo... » inspirò forte « voglio dire, ce so tante cose che non me piacciono, però 'co te... me dispiace pure dirti quale era il mio di appellativo, perché rovinerei tutto »


« Non è mica un mistero, guarda » sbuffò Simone, facendo quasi l'offeso.


« Me sa che me meritavo lupo cattivo come nomignolo » sospirò, mentre Simone si rilassava al tocco dell'altro, non avvertiva più il suo naso per la temperatura, ma non aveva voglia di assecondare i brividi. Voleva stare lì.


« Te sei mai chiesto cosa c'è in quella casetta de legno? » indicò con la testa che si spostava a indicarla. Simone la seguì e fece cenno di no.


« Boh, sarà abbandonata » scrollò le spalle.


« Io so curioso, te no? »


Detto questo Manuel si alzò facendo forza sulle gambe piccole e di scatto si avvicinò alla piccola costruzione.


« E se poi viene qualcuno? » Simone si guardò attorno, in cerca di qualche passante o figura che lo riprendesse o reclamasse la proprietà di quel pezzo di legno.


« Ah Simò, sta tranquillo, diamo solo un occhiata »

 
- - -




La casetta aveva una lampada che penzolava dal soffitto, con una piccola leva che ricadeva giù. Manuel alzò il braccio per tirarla e la stanza si illuminò di colpo.

« Non ci sono mai entrato, ma c'era già prima che prendessimo a casa, » indicò alcune ragnatele agli angoli del soffitto in legno chiaro « a giudicare da quelle »

Simone si mosse appena, le scarpe si mossero e il legno scricchiolò subito a peso. Manuel si guardò attorno: le poche pareti ospitavano degli attrezzi di vario tipo, seghe, delle pinze da giardiniere, chiavi, un piccolo cestino intrecciato su uno scaffale a mezza altezza conteneva dei pezzi di carta dai bordi smangiati, consunti e qualche altro cimelio. C'erano poi due cuscini in un angolo, abbandonati. poi un piccolo vaso, la foto delle dimensioni di un santino dentro una cornice. C'erano due figure ritratte, solo non si capiva bene chi rappresentassero per la vecchiaia della carta. Manuel indagò la foto tenendola tra le mani.

« Beh de sicuro qualcuno ce stava, questo è poco ma sicuro » agitò la piccola cornice e la rimise apposto, sollevando della polvere.

A sinistra, c'era un vecchio attaccapanni in ferro, un mobiletto con un’anta priva di chiave aperta e più in là una finestra rotonda sbarrata da delle persiane a croce, che sovrastava una brandina con una testiera della stessa fattura di quegli attrezzi. Il lettino portava però come incorniciato sopra, una coperta a scacchi, pulita. Simone storse il naso, all'istante.

« O qualcuno di recente c'è venuto »

Manuel si voltò, osservando la stessa identica cosa. Contrasse le labbra.

« Vabbè se viene qualcuno come siamo entrati, usciamo, » si mise le mani sui fianchi, mentre la voce si abbassava « non c'è problema »

Simone annuì, grattandosi la nuca, girandosi di poco e notando una piccola insenatura nel legno di fronte a sé, un buco forse o un’ammaccatura.
Poggiò le dita e la sfiorò piano con una leggera pressione. Quel varco non oppose resistenza e la fessura, si aprì.

« Oh, mi sa che ho trovato qualcosa! » suonò con l'entusiasmo di un bambino.

Manuel gli fu subito dietro le spalle, mentre Simone infilava la mano ed estraeva un paio di chiavi. Quelle gli tintinnarono tra le l'indice e l'anulare.

« Simò, non ce credo, so le chiavi de qua? »

« Non lo so, ma se è così, la visita non è stata fatta tempo fa, » borbottò ora ansioso « siamo entrati con la porta aperta ti ricordo »

Manuel gli prese le chiavi dalle mani e le poggiò sul mobiletto dietro l'altro.

« Tranquillo Simone, non abbiamo fatto niente de male, eravamo solo curiosi e poi, » si grattò la nuca « noi stiamo pe’ toglie er disturbo »

Un rumore istantaneo e inaspettato fece sobbalzare il più piccolo, che fissò subito la finestra, priva ovviamente di qualcosa per chiuderla. Stava diluviando e anche forte. L'acqua scrosciava e scendeva rapida contro il legno ticchettando freneticamente, mentre la porta oscillò fino a chiudersi di botto. L'aria lasciò subito entrare la prima umidità serale.

« Cazzo » corse verso la porta e cercò subito di aprirla. La maniglia però non rispondeva, ci riprovò più di una volta ma quella non voleva saperne « Non ci voleva »
Guardò Simone leggermente ansioso, mentre quello si piegava in una calma apparente. Portò le braccia dietro le testa, respirò piano aprendo poi le mani davanti a sè.

« Vabbè dai, quanto potrà durare? Sicuramente presto scampa »

Tutto quello che però disse venne subito contraddetto da un rombo in lontananza, e no, non era il rumore di una motocicletta cromata o macchina. Simone e Manuel si guardarono nello stesso momento.

« Aspetta, provo a vedere magari se c'è campo » Simone uscì il cellulare dalla tasca e provò ad aprire la schermata delle chiamate. Alzò gli occhi al cielo. « Solo chiamate d'emergenza » Manuel, che ora si stava tastando la giacca, stava per fare la stessa identica cosa, ma l'altro lo fermò riluttante. « Non ha senso, non prenderà nemmeno il tuo qua dentro »

Manuel annuì veloce, mentre capiva consapevole che erano davvero bloccati lì. Senza nessuno a interromperli, senza nessuno a controllarli. Erano in quel piccolo spazio e l'idea non lo dispiaceva proprio per niente, anzi.
Simone era lì che fissava nervosamente la finestra, poi si mordeva il palato, serrando la mascella. Il più piccolo non ci pensò due volte e quando vide che Simone finalmente lo guardava, lo attirò a sé. Fu calmo, studiato, mentre si insinuava dietro la sua nuca, mentre si spingeva contro la sua bocca. Poi però non capì più niente quando Simone gli strinse i fianchi e lo avvolse completamente lungo la schiena.
Il contatto si fece umido, sporco, come per l'urgenza di ciò che non doveva più essere rimandato. Simone gli sfilò la giacca, che ricadde a terra, le mani vagarono ancora sui fianchi di Manuel. Manuel invece si occupò prima del suo giubbotto e poi posò le labbra sulla sua mascella, sul collo, il suo respiro caldo arrivò alle orecchie dell'altro, che con le mani gli sfilava i bottoni dalla camicia con fin troppa attenzione. Simone si mosse di colpo sentendo i baci dell'altro sul suo petto, adesso libero, completamente alla mercé dell'altro.
Le mani artigliarono con la camicia nera - stupenda per carità, ma inutile in quel momento - la sfilarono dalle spalle mentre con un movimento rapido, Manuel lo aiutava e anche lui rimaneva a petto nudo.
Simone si staccò solo un istante, per togliersi la sua ancora aperta sul petto. Poi arpionò con il bottone dei jeans di Manuel, mentre quello lo tirava di nuovo per baciarlo, afferrandogli il viso, incasinandogli i capelli. Lo aveva così vicino, che Simone per un attimo pensò che il tuono che esplodeva fuori avesse preso le sembianze del suo battito cardiaco. Gli tremò la presa. Stava succedendo davvero.
Quando anche i jeans di Manuel furono tolti, Simone si sorprese a vedere che l'altro fu più svelto e meno metodico di lui.
Non stiamo andando troppo veloci? Si chiese di getto.
Manuel gli portava le mani sulla schiena, curiose, disegnandogli la spina dorsale. In un colpo, Simone azzerò quei pensieri e portò Manuel sulla brandina, lo spinse leggermente indietro e le mani gli cascarono sul petto, quel petto magro segnato intriso di inchiostro e figure. La sua erezione sfiorò quella del più piccolo in un minimo movimento quando gli fu completamente addosso. Simone lo vide disteso sotto di sé, staccandosi un attimo dalle sue labbra per osservarlo meglio. Manuel aveva un’espressione beata, non imbronciata, non perplessa. No, forse beata non era l'aggettivo giusto. Quello lo stava guardando come se fosse un'apparizione. La sua espressione era indescrivibile per Simone.

« Simò » mormorò piano, schiacciò il naso con quello dell'altro, il petto che si alzava in un fremito, Simone che gli sfiorava la pelle sul ventre piatto.

« Non so come, » esitò, mordendosi le labbra nervoso « come preferisci, se vuoi posso, possiamo invertire i ruoli » si colorò di rosso subito dopo averlo detto. Le due pupille more si accesero, come se ci fosse del fuocherello che stava divampando dentro. Fece di no con la testa.


« No, no » la mano si strinse forte dietro il suo collo « Simò io voglio te »

Oh.
Simone si accese in un sorriso ampio, mentre il cuore sembrò vibrare a una pulsazione più veloce di colpo, come se gli avessero dato una scossa. « E poi, » Manuel assunse un sorrisetto beffardo « qualcuno dei due dovrà pur sapere cosa fare, no? »

« Non che cambi poi molto »

« Simone, » gli fissò le labbra « un’idea ce l’ho, ma non so mai stato co’ uomini prima »

Simone tamburellò con le dita lungo l’addome di Manuel, un sorriso gli contornò le pieghe del viso, non potendo nascondere un velo di consapevolezza. Da quel punto di vista, si sentiva sicuramente preparato, non perché lo avesse fatto prima, ma perché si era documentato dopo aver abbracciato pienamente la propria sessualità. Era comunque piacevole, in ogni caso, sentirsi informato. Giocò con l’elastico delle mutande di Manuel sotto di sé, soppesando quella sensazione nuova che era sentirsi in controllo, forse una delle poche volte che gli era capitato.
L’attesa di Manuel finì poco dopo, con Simone che si prendeva la libertà di esplorargli completamente il palato. Si sentì afferrare qualche riccio, mentre le sue mani si aiutavano a sfilargli il cotone che bloccava l’erezione del più piccolo. Manuel mugolò, inarcandosi contro la brandina, il cuscino si piegò leggermente quando il tessuto sfilò via dalla sua pelle.
Lo sguardo gli cadde sulla figura di Simone, purtroppo ancora semi vestita. Le mani gli frugarono lungo la schiena, scesero sul sedere dell’altro e cominciarono a liberarlo completamente. La bocca che si riuniva in un vortice di lingue, in modo cadenzato, ritmato. Simone scalciò via l’indumento con un movimento rapido dei piedi. Adesso, non c’era nessuna frizione a fermarli. Manuel si ancorò all’altro, osservandolo come faceva sempre, un guizzo gli attraversava gli occhi ora seri, attenti.

« Manuel, » il respiro gli circondò il viso premuroso « dimmi quando sei pronto » mormorò, gli baciava la punta del naso, le labbra, il mento come se volesse infondergli sicurezza.

Accompagnando quelle parole con i gesti, le sue mani dai palmi aperti, scesero lungo le cosce di Manuel, le sfiorò con due semplici tocchi.
Manuel divaricò le gambe, respirando, annuendo lentamente, vide Simone portarsele lungo i fianchi, aveva l’aria concentrata, la mascella serrata. Si alzò di poco, così che la sua figura dominasse la sua intera visuale e Manuel pensò all’istante a tutte quelle volte che Simone si era sentito di meno, sottovalutato o che aveva pensato di non meritare uno sguardo. La pelle nuda di Simone era candida, intoccata, se non per quel tatuaggio sul braccio sinistro che lui gli aveva fatto.
Le spalle si piazzavano larghe, il ventre si stringeva ma non di troppo. Tutto si poteva dire, eccetto che non fosse bello, che desse quella sensazione di familiarità, di sicurezza. Quegli occhi grandi erano aperti, curiosi. Manuel si sentì il fiato mancare, quando il suo corpo si premette di nuovo sopra il suo, in attesa.

E’ così che voglio che sia. Con te.

« Vai, Simò »

Il più alto si posizionò tra le cosce di Manuel, facendo attenzione come se il più piccolo potesse rompersi. Quell’aspetto non lo intimoriva, ma l’impressione di fargli male la teneva sempre ben salda in mente. Si immaginò dovesse far male, soprattutto per uno come Manuel.
Entrò piano e accorto, catturando subito con la coda dell’occhio l’espressione accartocciata di Manuel.
Gli accarezzò dolcemente la guancia, mentre l’altra mano reggeva la presa sul suo fianco per non vacillare. Il gioco di sguardi fu appena percettibile, perché Simone lo baciò cautamente, mentre continuava a muoversi dentro di lui.
A ogni spinta, Manuel si aggrappava a Simone, torturandogli i ricci, stringendo la presa sul suo collo, le mani si aprivano sulle scapole e la fronte si trovava appiccicata a quella dell’altro.
I corpi erano premuti in una morsa, appiccicati, agganciati come due calamite.
Simone si staccò un attimo per guardare il ragazzo sotto di lui: goccioline di sudore gli imperlavano la fronte e qualche riccio si era completamente stirato, qualche altro resisteva ancora andando in direzioni diverse, la bocca era semi aperta mentre gli occhi si sforzavano di rimanere aperti. Simone si sentì pieno di quell’immagine.
Se c’era una cosa che non si sarebbe mai aspettato, era di star facendo l’amore con il ragazzo che amava. Il cuore ormai era ridotto a una valvola impazzita contro il petto, non distinguendola col rumore di fondo della pioggia, il respiro che gli si mozzava in gola.
Era la sua prima volta in assoluto e forse l’altro non ne aveva assolutamente idea, ma aveva comunque voglia di farlo stare bene. Di farlo sentire vivo. La paura era finita nel momento in cui i grandi occhi si erano fermati a vedere la testa di Manuel buttata all’indietro sulla trama del cuscino. Quando Simone sentì l’ennesimo gemito di quello alla sorgente del suo orecchio, pensò davvero di stare impazzendo e non in maniera negativa, anzi.
Le gambe del più piccolo gli si avvinghiarono ancora di più attorno alla vita e Simone venne spinto giù. Le lingue si scontravano malamente, in modo disordinato, convulso, desiderato, così come i denti. Si cercarono disperate o almeno Manuel cercò di farlo capire, forse perché l’altro era tutto concentrato a provocargli piacere e farlo ricadere contro il materasso più e più volte. Inarcò la schiena, la sua gamba sfiorò la natica dell'altro.
Simone aumentò la velocità delle spinte e Manuel per tutta risposta gli morì sulle labbra dicendo qualcosa di sconnesso, privo di logica. Un mormorio, un suono gutturale, non lo capiva sinceramente, ma Simone ridacchiò appena, gustandosi la visione del ragazzo che apriva la bocca, se la mordeva e si spingeva ancora – come se fosse stato praticamente bronzo fuso – contro di lui.

« Simò, cazzo » sussurrò.

Manuel arpionò la presa sul sedere di Simone, concedendosi il privilegio di esplorare la sua figura, lunga, che lo stava prendendo.
Avvertì la scossa invaderlo all’altezza del ventre, mentre Simone si dedicava a lasciargli baci umidi sul mento, laddove si presentava la barbetta incolta, il pomo d’adamo, la spalla. Si ritrovò a ripetere il suo nome, una, due, tre volte. Come se dovesse recitarlo a memoria come un mantra, Manuel conosceva soltanto quell’unica parola di sei lettere in tutta la storia dell’etimologia della grammatica italiana.
Signore, se devo morì me va bene così. Te so’ grato.

« Simone » sembrò supplicare quasi, gli afferrò il viso, Manuel si forzò a spalancare gli occhi e a guardarlo.

Il viso di Simone era rosso, se non per definirlo “paonazzo”, riscuoteva però un controllo che cozzava col suo aspetto: i ricci gli ricadevano sulla fronte, le labbra erano gonfie e piene, gli occhi imperiosi. Sorrise in modo sghembo, tra la stanchezza e il sentimento di appagamento che stava provando. « Sembri un angioletto » soffiò fuori.

Forse era una presa in giro, ma il tono non lo testimoniava, non si era colorato come al solito.
Il più piccolo si sbrigò a baciarlo esausto, ma sempre con decisione, mentre nel frattempo Simone capiva che di stare arrivando all’apice, che entrambi completamente avvolti dal sudore, lo avrebbero raggiunto insieme. Il suo corpo si mosse insieme all’altro, negli ultimi secondi. Poi in un rumore sordo e presente, le loro voci si mischiarono, Simone uscì da Manuel e non avendo letteralmente spazio di copertura sulla vecchia brandina, gli si accasciò addosso. L’aria della casetta era ora intrisa di sudore, misto a terra bagnata, al loro sapore, i respiri affannati.
Manuel accarezzò la testa di Simone, adesso abbarbicato esausto su di lui, il viso contro la sua spalla sinistra. Quando questo si girò appena, portò le braccia piegando i gomiti all’esterno, distendendole su tutta la lunghezza del petto del teppistello, le mani l’una sopra l’altra e la testa che si poggiava sopra. L’espressione era beata.

« Alla fine non è stato poi male rimanere bloccati » si schiarì la voce, non sapendo cosa dire.
Manuel lo guardò con una leggera smorfia.

« E chi se lamenta Simò, mica so scemo » alzò le mani in difesa.

Simone scoppiò a ridere, mentre l’altro spostava lo sguardo su quel sorriso, il naso dritto, gli occhi scuri. « E’ stato bellissimo »

Oh.

Per abitudine, perché si conosceva fin troppo bene, sicuramente sarebbe stato Simone tra i due a dirlo, conoscendo la sua indole e il suo attaccamento alle cose preziose, rare, alle cose significative. E invece era stato proprio Manuel. Simone si morse le labbra, quello lo ammirava in religioso silenzio.

« Se ti ho fatto male, puoi dirmelo, non mi offendo »

« Simone sta tranquillo, sto bene, » si indicò nonostante ci fosse l’altro ancora come peso morto su di lui, ma non gli dava fastidio « anzi, sto ‘na favola. Viè qua » lo invitò con un gesto della mano e Simone puntellò i gomiti su quel poco spazio esterno che il materasso gli permetteva « Per un momento, ho pensato me sarebbe uscito il cuore fuori dal petto » prese il viso di Simone per il mento « tanto stavo bene »

« Sai che era la prima volta? »

Manuel strabuzzò gli occhi, oscillò con la testa, incredulo.

« Non riconoscere i propri talenti è grave, Simò » suonò offeso.

« Non sto scherzando, » disse ancora sincero « lo era. Avevo paura all’inizio, ma ho capito non saresti scappato, non questa volta - porta bloccata a parte - si intende »

Simone si rilassò visibilmente, sfiorando il braccio di Manuel con le dita, avanti e indietro. Il più piccolo fece scontrare i loro nasi, il pensiero fisso di avere tante volte a cui rimediare – e lo avrebbe fatto - per l’essersi fatto spazio solo come una lama, che come una carezza.

« Allora sei proprio speciale, Simò »








Clo's: E L'AMOREEEEEEEEEEEEEE  avvolgerààà i sogni e la realtà

ok, abbiamo capito, adesso la smetto.
Ritorno tra un breakdown e l'altro della s*ssione
a lasciarvi questa chicca.
Eh sì, Simone è all'antica, almeno come me lo
immagino io, i due hanno un'uscita normale prima di
consumare le voglie.
Spero sia stata una lettura di vostro gradimento
e sì, nella mia testa Simone è anche TOP *smirk*
Apprestoavederci

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Capitolo 10
*** Di poesie e promesse ***


Quando la luce si posò sulla superficie della finestra, quella entrò a poco a poco, piazzandosi in mezzo alla stanza, battendo i suoi raggi caldi sul bruno del legno.
La mattina entrò di colpo, colorando per parte i corpi di Simone e Manuel abbracciati di un ocra appena accennato e intensificandosi man mano che si levava alto il sole. In realtà, più uno che l’altro, sembrava dipendere dal contatto.
Come se avesse trovato un pezzo in più e così mancante di sé senza volerlo lasciare più andare. Facendosi ancora più piccola se possibile, la figura di Manuel avvolgeva parte della schiena e la vita di Simone davanti a sè.
Stretto e avvolto com’era, dentro quell’unica coperta a scacchi che copriva entrambi, il mento gli arrivava a poco più della nuca di Simone, fermo lì, sulla pelle bianca, liscia. Due corpi, una sola unità.
Il tempo freddo e piovoso, aveva lasciato spazio al giorno, impresso però ancora delle sensazioni dense e degli umori della notte trascorsa insieme.
In lontananza si avvertiva soltanto qualche fruscio, un sussurro del vento che soffiava come se fosse una melodia sana, non invadente, si posava piano fuori dalla piccola costruzione. Piano, la stanza cominciò a prendere forma, la luce si posò sui piccoli oggetti, sugli attrezzi al muro, la porta si modificò proiettando un grande ovale allungato decentrato mentre i contorni restavano ancora in ombra, i capelli di Manuel si fecero diversi, si irradiarono alle punte, mostrando le schiariture dei ricci.
Quando sentì quel vento sfiorargli la pelle, inspirò piano, la presa si fece più salda su Simone e i capelli andarono a solleticargli l’inizio della schiena scoperta. Aprì gli occhi, abituandoli lentamente, visualizzando prima l’intera stanza, poi si spostò leggermente per guardare l’altro completamente risucchiato tra le braccia di Morfeo.
Sorrise appena, mentre con la punta delle labbra depositava un bacio lì, sulla pelle nuda, beandosi della totale tranquillità che provava. Ripercorse ciò che era successo la sera scorsa: cominciò a sorridere ancora di più.
Avrebbe scambiato volentieri tutte le sue serate più buie, per rivivere lo stesso momento, messo la firma per più giorni di pioggia da passare con Simone, che da solo. Cominciava a tenere il conto, quasi, di tutte le volte che aveva potuto veramente sentirsi così bene: si contavano sulle dita di una mano.
Avevano fatto l’amore, Manuel non mentì a se stesso. Era stato quel pensiero a svegliarlo, adesso. Non si era mai ricordato quando era stata la sua vera prima volta con un’altra persona, forse era ubriaco a una festa o forse rispondeva al secondo anno di liceo. Forse lo aveva fatto per i motivi più sbagliati, anche per presunzione, per primeggiare rispetto agli altri, per la malsana moda di pronunciare le parole “non sono più uno sfigato qualunque, ora sono un uomo”.
In realtà, l’importanza di momenti come quelli valeva eccome. E soprattutto con chi ti trovavi a viverli. Simone era una di quelle persone, una di quelle che prendeva a cuore tutto ciò che faceva e come lo faceva. Era questo che lo rendeva diverso. Manuel respirò piano, mentre la testa gli ricordava i freni inibitori che si ribellavano, venivano fuori e si portavano via l’immagine vecchia di se stesso, il viso del suo ragazzo che gli crollava dolcemente addosso. Non ricordava di essersi mai addormentato con nessuno, da piccolo amava stringersi al suo dinosauro giocattolo, ma ovviamente crescendo aveva capito fosse inanimato o una mera consolazione. Simone era una persona vera, che gli respirava accanto, lo aveva preso tra un viso imporporato e una determinazione ferrea in azione.
Mentre Manuel era lì, che rimuginava sulla notte passata, Simone si muoveva appena, davanti a lui, come un cucciolo alle prese col risveglio: la massa nera di capelli si spostava, la faccia disegnava un ritratto impastato dal sonno, la luce gli si posava addosso e lo portava a coprirsi infastidito. Una mano però saliva fino a coprire a coppa il viso di Manuel, mentre si lasciava scappare un mormorio strozzato.

« Giorno …uhm, che ore sono? » bofonchiò però mangiandosi metà delle parole.

Manuel gli passò una mano arruffandogli i capelli, gli baciò l’angolo della bocca.

« Buongiorno, è ancora presto, Simò, » la mano del più alto gli disegnò piano il contorno delle guance, riaprendo gli occhi grandi « dai, ritorna a dormire »

Simone annuì piano, accoccolandosi di nuovo sul materasso caldo, mentre l’altro gli riportava le mani alla vita e quello si girava questa volta, verso di lui.
Come se ne venisse fuori un’immagine dipinta e ignota, Simone risultava come uno di quei giovani ragazzi caravaggeschi barocchi, solo che al posto della frutta, si innestava con l’idea di un Cupido addormentato, sulla brandina di un letto troppo malandato per la sua preziosa figura. Forse, ora capiva perché l’arte prendeva a modello le persone reali, come aveva spiegato la professoressa a lezione di storia dell’arte: i modelli aiutano a catturare l’essenza di una persona, ma anche ad esaltarne la realisticità. La naturalezza delle pose, la stasi, il movimento. Se non si sbaglia, ciò che esce fuori è talmente vicino a ciò che conosciamo, da confondere ciò che è dipinto, da ciò che è fisico. Fonde le due idee che diventano una sola, nasconde laddove inizia la mano del pittore e finisce quella della persona reale.
Manuel sospirò piano.

Non ne avrò mai abbastanza, pensò.

Ne esplorò i tratti, senza darsi un limite o contegno, senza darsi fretta.
Le dita gli scivolarono piano dal naso, tracciarono il contorno delle labbra, la linea del collo, arrivando al petto. Segnarono la piccola linea fino all’ombelico e i fianchi ai lati. Come se fosse una specie di cartina dell’atlante, alla ricerca di una nuova terra da scoprire appena apparsa sulla mappa, le dita di Manuel segnarono le spalle di Simone, la linea delle sue scapole che scendeva giù, per poi incontrare la schiena. Simone farfugliò qualcosa nel sonno, il che portò Manuel a sorridere furbo e a fermarsi giusto un attimo.

« Oh, Simone, t’ho svegliato? »

Simone afferrò piano la mano di Manuel poggiata sulla sua natica sinistra, e la coprì con la sua. La bocca si mosse, mezza nascosta, contro il cuscino piatto e lungo che sosteneva la testa di entrambi.

« Come faccio a dormire, se mi torturi così? » sospirò, con la voce ancora impastata dal sonno. Differentemente dal suo tono di voce però, le iridi marroni si aprirono e fecero capolino. Simone risultava rilassato, anche in mezzo a quella smorfia che proclamava il suo diritto di dormire di più.

« Scusa » vibrò Manuel, gli depositò un bacio sulle labbra veloce « è che sembri un angioletto Simò, e non so che ho fatto per meritarti »

Simone lo guardò serio, allungò le braccia fino a toccargli la schiena, andargli in contro ed essergli più vicino. La luce gli toccava ora quei ciuffi di capelli che andavano da ogni parte, quasi a formagli attorno un’aureola moderna.

« Sa a quante persone lo hai detto prima » si sistemò meglio sul lungo materasso sotto di sé, muovendo il corpo « per il resto potrei farti la stessa identica domanda »

« Che tu ci creda o no, a nessuna » abbozzò solo sincerità nel tono « l’unica santa che me sopporta e conosce a parte te, è mia madre, se me lo chiedi »

Simone corrugò la fronte, evitandosi di ridere all’istante, strinse gli occhi. Sbadigliò.

« Comunque in ogni caso, gli angeli non esistono » Simone scrollò le spalle, e finì chiarendo con un broncio leggero.

Manuel allora scelse una via più praticabile, forse più comprensibile alle sue corde, una mezza scorciatoia – se vogliamo usare il termine giusto – per spiegargli il punto. Non era bravo a dire le cose, ma forse se prendeva in prestito quelle di qualcun altro, ci sarebbe riuscito sicuramente. Sospirò piano e come un flusso d’acqua, le prime parole fluirono liquide dalla sua bocca, come sciolte dopo un blocco del canale.

« E disgustato dai vizi che la natura diede in così gran numero all’indole femminile, visse a lungo, celibe senza moglie, senza compagna di letto… »

« Abbiamo la vena poetica di prima mattina? » mormorò Simone prendendolo in giro, ma l’altro non si fermò, anzi, fu spronato solo di più a continuare, testardo e risoluto dando ad ogni parola un significato preciso.

« Nel frattempo scolpì con arte mirabile, il candido avorio, e gli diede una forma con cui non può nascere nessuna donna e s’innamorò della sua opera » cominciò piano Manuel, adeguando sempre più il tono e soprattutto enfatizzando qua e la il testo senza perdere la cadenza « La guarda e si consuma d’amore per il corpo finto.
Spesso avvicina le mani per tastare se sia carne o avorio, e neanche allora si persuade che è avorio…
»

Simone ora si era fatto serio e gli prestava tutta la sua attenzione, preso dalla passione con cui aveva cominciato a parlare. Le sue mani si spostavano al viso del più piccolo, raccogliendolo e guardandolo tutto concentrato ma anche calmo com’era nel citare i famosi versi dell’Illusione di Ovidio. Gli stava davvero decantando i versi del libro che gli aveva prestato? Sapeva che Manuel amava la poesia, in particolare i versi latini, ma non che li avesse addirittura studiati a memoria.

« La bacia » Simone scorse il lampo negli occhi di Manuel, quello gli fissò le labbra e le pozze grandi, accoglienti che aveva al posto di semplici occhi « e crede di essere a sua volta baciato » gli sfiorò la nuca col pollice « le parla, la tocca e crede che le sue dita » Manuel intrecciò le loro mani con un gesto netto e deciso « s’imprimano sulle membra, teme che restino lividi… » il dito si fermò sul tatuaggio sulla spalla con l’altra libera. Si sporse per baciarne la piccola porzione di pelle che lo conteneva.
Manuel socchiuse gli occhi e Simone incurvò leggermente le labbra, gli occhi vivi posati completamente dentro quelle piccole fessure nocciola. Aveva davvero usato quei versi velati per dirgli quello che lui pensava?
« Temendo l’inganno, l’innamorato tocca e ritocca l’oggetto del suo desiderio » concluse, sfumando in uno sguardo evidente.

Simone restò per un po’ in silenzio, non sapendo cosa dire. Se c’era una cosa che era in grado di fare era sorprenderlo, anche quando magari pensava che fosse già un soggetto degno di interesse, Manuel si trasformava, continuamente.

Mannaggia a me e a quanto ti amo.

Il ragazzo alto poi si sganciò in un sorriso ampio, il viso che prendeva l’ingenuità e le sembianze di un bambino felice.

« Ti è piaciuto quindi, uhm, il libro?»

« Molto »

Simone lo studiò per bene, con quella barbetta incolta, con alcuni buchi qui e la, l’orecchino sdraiato sull’orecchio, il nocciola delle iridi.

« Io non sono di pietra come Galatea, però… » mormorò, mentre il tocco dell’altro si ripeteva lungo la sua schiena, lento e studiato.

« No, » Manuel fece strofinare i loro nasi « io ho la fortuna di averti qui, in carne ed ossa, Simone »

Non accettò più di riaddormentarsi, perché le loro labbra premute furono subito l’urgenza di Simone. Non importava se in giornata avrebbe dovuto prendere qualche caffè di troppo, Manuel era lì, tra le sue braccia e contava solo il modo in cui la sua pelle aderiva alla sua, se quella si sfiorava, si incastrava con l’altro come un pezzo mancante e finale per completare un’opera d’arte.
Il petto gli risuonava nei timpani, sordo com’era, mentre si curava di baciarlo, di riempirlo di tutto il suo lato inesperto, autentico, vero. Se lui era l’angelo in tutta quella situazione, Manuel era la sua più esplicita ossessione, la forza magnetica sfacciata che gli faceva venire voglia di lanciarsi nel vuoto.
Senza bisogno di nasconderlo, era la persona che lo completava, l’anello di unione tra il volersi continuamente mettere a disposizione, in aiuto e il volersi lasciare andare completamente, condividere ogni fibra di se stesso.
Prendergli il braccio, vivere col suo respiro addosso, sentirgli dire il suo nome ripetutamente, farlo stare bene e di conseguenza sentirsi appagato anche lui.
Simone si ritrovò incatenato al corpo di Manuel in un solo attimo, la sua immagine mandava in sovrimpressione quella della scorsa notte, a ripetizione come una cassetta la cui pellicola si riavvolgeva di continuo.
Il teppistello lo tirava per il collo, artigliando in mezzo alle sue scapole, baciandogli l’orecchio, mordicchiandogli il labbro inferiore. Di colpo i respiri si fecero affannosi, vogliosi, nell’atto di portarsi le mani un po’ ovunque: il disastro perfetto che erano, inspiegabile a parole.
Nella confusione totale del momento che aveva un senso logico solo per loro. Nel casino della loro età, di ciò che era passato ed era stato, ritrovarsi a guardarsi così non era da tutti. Era quel click che capita soltanto poche volte nella vita, di quelli che speri ti capitino e di essere vissuti senza freni. E Simone lo sapeva.
Negli occhi di Manuel, leggeva tutto ciò che voleva – che aveva sperato invano da un anno e mezzo – e adesso, lui gli dedicava versi poetici, lo chiamava angelo. Come cambiavano le cose in pochi mesi, assurdo.
Quell’aria afosa e umida venne interrotta da un rumore fastidioso proveniente nella stanza. Simone alzò gli occhi al cielo, mentre la sua mano si trovava ancorata alle cosce di Manuel.

« Lascialo squillare, ora sicuro smette »

Manuel annuì, avvinghiandosi ancora di più al ragazzo, le gambe facevano fatica a stare ferme e a non intrecciarsi. Mentre Simone giocava con la catenina che portava al collo con una delle dita e le altre gli scombinavano i ricci, la bocca gli si posava sul pomo d’adamo in evidenza. Accuratamente – come su istruzioni ben precise - scendeva sul petto marchiato d’inchiostro, lasciando tracce umide. Manuel privato di quelle stesse labbra, gli baciava di sfuggita la fronte, respirava a fatica, si spostava con le dita oltre la schiena, disegnava cerchi invisibili su quella pelle riscontrandone la leggera peluria, avvertendo già la frizione che lo frenava appena. Si sentì completamente perso, vedendo come Simone ignorava ancora il rumore di fondo, perché Manuel riconobbe la melodia fin troppo bene. Avrebbe voluto metterla in silenzio e mutarla a distanza, tramite il pensiero.

« Simò- »

Quando il cellulare riprese a squillare, Simone si girò di scatto, la figura capeggiante sopra Manuel risultò chiara, portando il corpo ad irrigidirsi. Il teppistello osservò quel capolavoro imponente, rettificando la sua posizione: sembrava più un Ercole adesso, non più un tenero putto da incorniciare. Sospirò, deglutendo appena.
« Non devo rispondere per forza, richiamerò più tardi » scrollò le spalle ritornando a Manuel, le sue labbra si scontrarono malamente con l’altro il quale mugugnò qualcosa di incartato. Simone si staccò poco dopo, confuso.

« Simò stavolta è il mio »

La suoneria era cambiata, era vero. Suonava un pezzo dei U2 emessa dallo stesso punto di prima. Simone sospirò amareggiato, annuì mordendosi il palato e lasciandogli lo spazio per alzarsi dal letto. Manuel camminò velocemente, avvertendo il primo freddo mattutino invadergli il corpo nudo. Non tutto senza uno sguardo ben assestato di Simone, che si concentrò soprattutto sulla forma del suo sedere, mentre camminava. Si tinse leggermente in viso, ma non distolse gli occhi. Manuel raggiunse la giacca rame e ne estrasse l’aggeggio elettronico. Scrollò la home e girandosi verso Simone si grattò la testa. Quello lo guardò interrogativo.

« Me sa che abbiamo appena fatto vacanza de un giorno a scuola, Simò » si avvicinò all’interessato, mostrandogli l’orologio sullo schermo. Segnava le 9:40.
E le chiamate perse mostravano il nome di Anita, almeno cinque volte.
Tutte a orari diversi. Sicuramente erano davvero esausti dalla notte prima, per sentirlo squillare circa tre ore prima.

« Cazzo, mio padre mi farà il terzo grado. Non credo di essere pronto. » si portò una mano in fronte.

« Sicuramente chiuderà un occhio, è tu padre, ha un approccio diverso, ma mi madre… valla ad ascoltare quella santa donna, signore mio »

Si guardarono nello stesso momento. Scoppiarono a ridere entrambi, come se quella fosse una delle barzellette più divertenti del secolo. Simone si coprì il viso, le mani glielo nascondevano fino a che le braccia che si sollevavano sulla testa disegnando un trapezio rovesciato.

« Cioè ti rendi conto che sono a pochi metri di casa, non l’ho chiamato, non sa dove sto…penserà che mi sono cacciato in qualche guaio o non so che altro e la cosa più divertente a cui penso è che non me ne frega proprio niente!» allargò le braccia, sorridendo come un bambino alla vista del suo gioco preferito.

« Simone Balestra da santo appeso al muro a ragazzaccio- sulle orme der “lupo cattivo” – tratto da una storia vera, prossimamente nei cinema »

Simone gli diede una gomitata, sentendo subito la presa in giro disegnare addosso a quello il tipico tono giocoso che conosceva fin troppo bene.

« Guarda che non sono il solo in questo casino » lo riprese.

« Se vogliamo esse sinceri, mi madre mi farà una capoccia più grande del tuo e il suo indiscusso amore pe’ la filosofia »

« La vedo dura, Manu… mio padre avrà già chiamato la tua, per chiedergli tutti i dettagli »

« Mia madre sa che sono uscito, ma non sa che sono uscito con te. Cioè, le ho detto che non era una ragazza quella dell’appuntamento » si inumidì le labbra.

Simone annuì, illuminandosi un poco. Manuel aveva accennato alla sua identità sessuale con Anita, anche se non in modo diretto? Era comunque un passo in avanti, anche se piccolo.
Poi ci ripensò un attimo: un ragazzo. Poteva essere chiunque, ma in ogni caso suo padre lo sarebbe venuto a sapere per l’apprensione esagerata di entrambi i loro genitori. Simone azzardò un sorriso a denti stretti, inspirò dal naso, scoppiò a ridere. Anita forse ci sarebbe arrivata più tardi, ma suo padre aveva una mezza idea sugli ultimi aggiornamenti della vita di suo figlio: pur non parlandogliene, Dante aveva capito i sentimenti che provava per Manuel – guarda caso unico ragazzo con cui veniva alle mani, che declamava come stronzo imperterrito, che citava il più delle volte a casa per domande curiose del padre. L’unico problema, era che non solo Simone gli aveva nascosto la loro relazione, ma aveva deciso di ingigantirla restando anche una notte fuori di casa – nella misteriosa casa di legno abbandonata - senza fargliene minimamente parola.

« E pensi che non faranno due più due appena si saranno parlati? »

« Forse… ma è la bellezza del brivido, mio caro Simone, » Manuel gli pizzicò la guancia « e poi non c’avevamo scelta ieri sera, con la tempesta fuori…s’era bloccata pure la porta »

Oh, sì, quella.

Simone fissò l’elemento d’arredo adesso, leggermente terrorizzato, come se potesse in qualche modo enunciare una sentenza negativa. Se la porta si fosse aperta, sarebbe dovuto uscire da quel letto, rivestirsi, ritornare alla vita reale. Simone si rifiutava di farlo, di affrontare subito Dante e di abbandonare il suo ragazzo – che stava stringendo fino a pochi minuti prima. Manuel lo seguì con lo sguardo e capendo ciò che intendeva, gli lesse lo stesso pensiero. O almeno così sembrava. Manuel mise da parte il telefono, posandolo a terra, di lato.
Le mani erano basse, giunte, schioccarono in un sonoro “clap”, mentre Simone si accarezzava vago il braccio destro.
Il teppistello lo guardava in un modo troppo eloquente, l’altro sembrava un cane bastonato. « Ma sì, è ancora bloccata, manco ce provo » esordì concludendo, mentre Simone annuiva scelto e con un movimento solo, si trascinava Manuel addosso.

« Restiamo qui » Simone sussurrò, gli occhi grandi d’angelo che ritornavano « non ho ancora voglia di andarmene » supplicò, le braccia attorno al collo di Manuel.

« Simò, ormai er danno è fatto, » Manuel gli schiacciò il naso mentre gli afferrava il viso con tutte e due le mani « minuto più, minuto meno non cambia niente… e poi non me pento di nulla, fosse per me resterei qua con te anche per tutto il giorno, dovessi scegliere »

« Adesso chi è il sentimentale tra i due? » gli disse Simone, prima di baciarlo.




- - -




Quando Simone ritornò a casa, chiuse piano la porta e attraversando in punta di piedi l'ingresso, il suo volto ispezionò attentamente l'area a destra e sinistra non vedendo nessuno al suo passaggio. Posò le chiavi sul mobiletto, dentro una piccola ciotolina verdastra portatutto. Aveva ricevuto ben dodici, dodici chiamate da suo padre tra la soglia delle 2 di notte e le 8 del mattino. Stava rincasando alle undici, colpa dell'altro che lo aveva trattenuto più a lungo.
Se suo padre non era nei paraggi sicuramente non avrebbe più a avuto modo di spiegargli com'erano andate le cose.
E una versione concisa, senza occlusione di colpa. Simone scosse la testa, prima o o poi quello sarebbe saltato fuori, com'era suo solito. Si levò il giubbotto e lo attaccò sull'attaccapanni.

« Oh il figliol prodigo si è degnato di tornare finalmente a casa! » tuonò il prof di filosofia.

La voce di Dante alta e impostata, fece saltare leggermente di sorpresa Simone, portandolo a girarsi, con due occhi più spalancati del normale.

« Pensavo fossi ancora a scuola a quest'ora »

« Non ho lezione il sabato mattina, Simone, » incrociò le braccia Dante, mentre una vestaglia blu scuro gli arrivava lungo le gambe e le ciabatte nere ai piedi facevano la loro entrata trionfale « dovresti saperlo. Adesso per favore ti siedi, e mi dici dove sei stato, per cortesia. »

Simone si mosse verso la cucina, oltrepassando l'ingresso, grattandosi la testa. Sudava leggermente freddo, le mani si mossero sole, cercando di scaricare la prima tensione che avvertiva in corpo.

« Innanzitutto vorrei che ti calmassi, » mise le mani avanti, mentre muoveva una sedia del tavolo, per sedersi « te l'ho detto che uscivo ieri sera »

Dante si massaggiò le tempie, sospirando per cercare la pazienza dentro di sé fuggita da qualche altra parte o corsa nel corpo di qualche altro individuo.

« Sì che uscivi me lo ricordo, il problema è che hai avuto il telefono staccato tutta la sera, » Dante si sedette di fronte al figlio, quel tavolo era l'unico oggetto che separava suo padre dal fare stupidaggini di cui si sarebbe sonoramente pentito « non sei stato rintracciabile nemmeno la mattina, ora io capisco che siete giovani - con chiunque tu sei uscito - visto che, è la tua vita, ho imparato a non impicciarmene dopo degli increscenti episodi dell'anno scorso. Però quanto meno avere la decenza di rispondere, dire anche solo "Ehi papà, faccio tardi, tutto bene, sono vivo!" avrebbe fatto la differenza »

Simone guardò suo padre visibilmente preoccupato, la mascella si contrasse e esalò aria fuori un respiro pesante. Portò le mani davanti a sé, torturandosi i pollici. Più guardava a quella situazione, più si sentiva ridicolo. Aveva imparato a non aver più paura di suo padre, o quanto meno a ripristinare il sentimento di fiducia spentosi molto tempo prima, per la sua mancanza nella sua infanzia. Adesso Dante c'era e gli stava dando l'opportunità di parlare. Chi era lui, se non quello che doveva mettere in chiaro come stavano le cose, senza più evitare di dirle? O nasconderle.

« Hai ragione, su tutta la linea papà » mormorò guardandolo dritto negli occhi « Avrei potuto rispondere, ma non potevo. Non c'era campo nel posto dov'ero... dove eravamo » deglutì appena. Dante cambiò subito espressione, corrugando la fronte. Simone si mangiò le labbra e riempì per bene i polmoni « Se ti sei sentito con Anita forse sai già tutto, no? »

Dante disegnò una smorfia col viso, la bocca andò all'ingiù, le rughe si formarono sulla fronte e invecchiò di almeno cinque anni.

« Sì, ma non c'era bisogno di lei per sapere che Manuel non era venuto a scuola, per quello ci sono gli altri insegnanti e Lombardi che aggiornano il registro elettronico. Ma che c'entra questo? »

Ah.

Simone pensava che gli avesse detto di più. Invece così non era - o forse sapeva qualcosa e non lo diceva. Il ragazzo buttò fuori l'aria e cercò le parole giuste per intavolare il discorso che stava per costruire.

« Papà promettimi che non ti incazzi » mormorò Simone.

Dante cominciò a pensare che l'intrusione di Manuel non avesse già portato o fatto abbastanza danni. Anzi, aggiungeva al tavolo tutte le possibilità che il caso offriva. Contò mentalmente fino a dieci prima di rispondere e mettere da parte quel sentimento di terrore.

« Più di così credo mi sia impossibile Simone, » sospirò, aggiustandosi contro lo schienale della sedia, aderendovi completamente « comunque sì, lo prometto »

« Bene, allora preparo del caffè, » si alzò di scatto e si diresse verso la moka posizionata dentro lo scaffale sinistro « sarà una cosa lunga »







Il rumore della moka uscì gorgogliante, diffondendo l'aroma della caffeina per tutta la cucina. Appena fu pronto, Simone lo versò in due tazzine bianche con qualche disegnino sopra, prese il barattolo del caffè e infilò dentro ognuna di quelle, un cucchiaino. Una volta portate fumanti a tavola, si sedette di nuovo soppesando lo sguardo di suo padre. Simone deglutì appena, mandò giù un sorso della bevanda scura e appena la sentì scoppiettargli lungo la gola, iniziò dal principio. O Almeno ci provò.

« Manuel c'entra in tutta la storia. Ieri sera, eravamo insieme » Simone non usò giri di parole « non so cosa vi siate detti tu e sua madre ma sono uscito con lui. E questo perché, » si morse il labbro inferiore e vide suo padre che lo scrutava dall'altra parte, « questo perché è il motivo per cui ho rotto con Cristian. E perché non l'ho più sentito. Perché dal momento in cui Manuel mi ha detto che gli piaccio e non solo come amico, non ho capito più niente. » Simone bevve l'ultimo sorso di caffè, lo mandò giù e riprese da dove aveva interrotto « Non so perché non te l'ho detto prima, non so forse perché immaginavo mi avresti messo in guardia, ma poi mi sono detto "lo ha sempre difeso, non ha senso lo faccia adesso", però è anche la persona che mi ha fatto più male, » Simone lesse negli occhi di Dante un velo di tensione che cedeva a poco a poco « e tu lo hai capito, da solo, senza che te ne parlassi, quando me ne sono volto andare a Glasgow questa estate sei stato tu a convincermi. Anche quando mi sono innamorato di lui, lo sapevi ma non hai interferito. Se non per cercare di farmi abbracciare chi ero, provandoci in ogni modo. E per questo te ne sono grato papà. Ti ho odiato, è vero, ma ora non più. »

Dante annuì lentamente, allungò la sua mano e afferrò di colpo quella di suo figlio, che la accettò subito guardandolo. La mano di suo padre era grande, levigata, ma non pensava affatto sopra la sua.

« Uhm, sì dov'ero... volevo bene a Christian, era sincero l'affetto che provavo. Gliene voglio ancora, ma non sono riuscito ad andare oltre l'ombra di Manuel. Quando si è quasi rotto il naso, quel giorno a scuola, non ha litigato con nessuno: Christian si è presentato fuori e gli ha tirato un pugno. Non lo sento da allora, certe volte non mi chiedevo altro, sul perché si fosse spinto a tanto. Poi però ho capito perchè non poteva essere un caso...quando Manuel mi ha detto cosa provava, non ci volevo credere. Ho pensato di averlo immaginato, ma era vero. Ho pensato al tuo discorso, al fatto che meritassi anch'io quella cosa, che avevo già tutte le carte in regola per avere anch'io una cosa come l'amore. Che il mondo era pieno di persone che lo cercano, ed io – senza nemmeno starci a girare troppo attorno - ero tra quelle.
Incredibilmente, mi sono ritrovato con quel qualcosa tra le mani, papà. C'ho messo un po' per carburare e farci l’abitudine, perché pensavo di non meritarlo, ma ormai so chi sono. So chi sono e ogni volta che mi ritrovo con lui, tutto torna. Tutt'ora, molte volte mi sembra impossibile... voglio dire quante possibilità c’erano?
Quindi sì, eravamo insieme ieri sera. Non solo da ieri, in realtà. Stiamo insieme da un po' in effetti... non so perché sto dicendo tutto adesso, spero che possa avere una qualche logica per te...» Simone prese fiato e si morse le labbra « come ho detto non c'era campo, anche per via del mal tempo, siamo rimasti bloccati...fino a stamattina » si sbrigò a dire senza ulteriori dettagli.

Dante fece un lungo respiro, mentre i suoi occhi buoni puntavano placidamente quelli del figlio, accennò un sorriso breve, mentre annuiva comprendendo e analizzando tutte quelle informazioni. La barba era rasata, anche se aveva lasciato della peluria sotto il naso, il professore sembrava portare due baffi curati da sceriffo.

« Simone, » mormorò premuroso Dante « qualsiasi scelta tu faccia, devi esserle tu a prendere non io. È la tua vita. Se sei felice, » strinse la presa del figlio « io ti appoggio. »

Simone sorrise subito in risposta, gli occhi che si annacquavano il giusto, sentendosi di essersi finamente tolto un peso dal petto.

« Ti voglio bene papà »

« Mai quanto te ne voglio io, » disse in tono più basso « però la prossima volta, manda magari un messaggio, anche prima di andare in posti senza linea o campo, non so, non voglio sapere il perché tu e Manuel ci siate andati, anche se posso immaginare » restò sul vago, ma suo padre gli fece l'occhiolino.

Simone arricciò il naso, evidentemente imbarazzato, abbassò subito lo sguardo evitando di scontrarsi con Dante.

« Papà, non è come... come pensi »

« Oh beh, e che importa quel che penso, » tornò con la presa sul suo caffè e lo trangugiò tutto d'un fiato « l'importante è che quel che pensi tu di ciò che è successo »

« Questa psicologia inversa con me non attacca, papà » lo ammonì Simone, vergognandosi come un verme adesso.

« Almeno siete stati attenti? » gli scappò fuori e alzò le mani in segno di difesa. Simone si alzò di colpo dalla sedia, rimettendola apposta. « Chiedo venia, perdono, mi ammonisco da solo, okay non proferirò più parola » imitò il gesto di un lucchetto sopra la sua bocca con l'indice e il pollice, mentre metteva le due tazzine nel lavandino per poter essere lavate. Si contraddisse subito però aggiungendo un simpatico punto di vista. « Chi sono io poi per farti la predica, a quell’età gli ormoni ballano e scalpitano-» Simone si morse il palato, guardando seriamente suo padre che ripeteva il gesto di prima e ritornava al suo lavoro « Quello che voglio dire, è che non c’è nulla di male, certe cose sono naturali »

Il ragazzo annuì, rilassandosi subito, mentre Danta gli mostrava un sorriso comprensivo e accondiscendente.

« Papà? »

Dante ritornò a guardare suo figlio, la testa si girò, il busto ruotò leggermente, la spugna col detersivo in mano, ferma a mezz'aria.

« Grazie per...non essertela presa. Soprattutto, se devi dare a qualcuno la colpa, dalla a me. Non a Manuel. »

« Questo ti rende nobile Simone, » arricciò le labbra, mentre strofinava l'interno della prima tazzina « hai un cuore stupendo, ma ciò non vuol dire che non debba parlare anche con lui quando lo rivedrò »

Simone restò impalato, dondolandosi in avanti, guardandosi i piedi per un secondo.

« Te l'ho detto, non c'è bisogno davvero, è tutto chiaro. Almeno, per me » si indicò, il tono ridotto a un'eco serena.

« Sì, appunto. Ma tu non sei un genitore, Simone. Io ho bisogno comunque di...di potergli parlare, dirgli qualcosa almeno, ai limiti del possibile. Non voglio fargli domande scomode o nulla, solo, vorrei potermi fidare totalmente. Non puoi vietarmelo questo. Per quanto tu me lo impedisca, ti proteggerò sempre. Sei mio figlio, » abbassò di più la voce, che gli si incrinò un po' verso la fine « l'unico che ho. »

Simone pensò al fantasma di suo fratello Jacopo che fluttuava di tanto in tanto, inevitabile e presente ancora tra le mura di quella casa, annuì e avvicinandosi di poco a suo padre gli posizionò un bacio sulla testa, mentre Dante si scioglieva un po'.

« D' accordo » sussurrò. Simone gli strinse la spalla e quando sentì lo sguardo di suo padre ritornare saldo, capì di aver centrato il punto. Una conversazione sana, senza urla, ne rimpianti, ne rimorsi, come un normale padre e un figlio. Fino a poco tempo fa, non si sarebbe minimamente sognato di avere un certo tipo di dialogo con lui, mentre adesso le cose erano totalemente cambiate. Dante gli posò un bacio sulla mano che gli reggeva la presa, lasciava ad asciugare le due tazzine e due cucchiaini a lato. Con un solo cenno del capo si limitò a dirgli un'ultima cosa.

« E comunque Anita non credo sospetti niente, » sospirò « l'altro cretino - perché questo siete due cretini - si è presentato a casa poco fa, canticchiando dalla porta, aveva una bottiglia di spumante in mano, manco avesse vinto alla lotteria! »
Simone scoppiò a ridere immaginandosi la scena, mentre Dante lo vedeva salire di corsa le scale.




- - -




« Manuel ma ti sei ammattito, cos’è questa roba?»

Anita guardò la bottiglia di spumante uscita da un sacchetto dal figlio evidentemente un po’ troppo su di giri. In realtà, sapeva che c’entrava l’appuntamento della sera precedente, ma aveva evitato di rispondere alla sua prima domanda, quando lui le aveva sorriso e le aveva stampato un enorme bacio sulla guancia. Manuel oscillava come a passo di una danza sconnessa, barcollante, con la busta ancora penzolante in mano.

« Mà, la vita è bella, bisogna festeggiare! » esclamò, dimenticandosi quella per terra, cercando un apri-tappi in qualche cassetto in cucina, aprì il primo e ci rovistò dentro. Anita portava una mano a reggersi la testa e l’altra era posata su un fianco. Neanche un bambino di due anni, si comporta così.

« Mi vuoi dire, invece di fare tanto il fichetto con la bottiglia in mano, dove stavi ieri e stamattina? Ormai sono abituata a te che rientri tardi, però non manco a fa così Manu, uno se preoccupa »

Manuel riuscì finalmente a trovare ciò che cercava e facendo pressione sul tappo di sughero, si aiutò poggiandosi sul banco incassato, facendo forza con le dita avvitando la puntina dell’oggetto. Girò piano piano, fino a quando non si sentì un sonoro pop, uscire fragoroso, accompagnato da un leggero vapore che fuoriusciva dal beccuccio della bottiglia.

« Mà viè qua, balliamo un po’ » afferrò sua madre per qualche secondo e la fece girare per la stanza. Mise insieme qualche passo maldestro di danza, oscillando appena, portandola come se fosse un valzer, anche se ne venne fuori solo una scenetta comica.

« Manuel sei impazzito proprio! » Anita non riuscì a non lasciarsi scappare una risata, riuscendo però a ricomporsi poco dopo « davvero, rispondi, mi dici dove sei stato? »

Il teppistello fece fare un altro giro a sua madre, il suo ultimo gesto lo vide in un baciamano, prima di allontanarsi e ritornare al suo secondo interesse e bene alcolico di qualità.

« Dove so stato mà… sono stato fuori, a cena, poi dentro una mezza casetta persa nel bosco e poi, una cosa tira l’altra, » afferrò due bicchieri, di cui uno con la bocca in bilico, ne riempì uno poggiandolo sul mobiletto affianco « hai capito, no? »

Anita sembrava persa in un’altra dimensione, pensando seriamente di chiamare qualcuno che potesse tradurre le parole di suo figlio, perché al momento, nemmeno lei che lo faceva di professione, ci riusciva. Manuel gli porse il bicchiere pieno, lo prese e lo guardò seriamente.

« Non ce riesci proprio a fare il serio tu, eh? »

« Dimmi che vuoi sapere e vedo dove ti posso accontentà »

Manuel poggiò le mani sul banco, coi palmi aperti e l’aria tranquilla, svagata. Anita stringeva il bicchiere con entrambe le mani, coperte fino metà da un maglione porpora.

« Voglio sapere perché non hai chiamato, sai che mi faccio i film mentali se non mi fai sapere dove stai » prese un sorso di spumante e gli frizzò subito lungo la gola per via delle bollicine.

« Oh mà, te l’ho detto, ero in un pezzo de legno diroccato, c’è stata ‘na mezza tempesta ieri notte, che non ci hai fatto caso? » mormorò, riempiendosi il bicchiere « Stava venendo giù il cielo, non prendeva er cellulare, nessuna bugia, è vero, siamo rimasti bloccati e quindi abbiamo passato la notte lì » Manuel fece scontrare il suo bicchiere con quello di sua madre e lo alzò in alto « Salute! » accennò uno sguardo tronfio.

Anita sospirò, abbozzando un mezzo sorriso poco convinto.

« Hai dormito fuori, in mezzo a un bosco, fino alle dieci di mattina? »

« Vabbè, “bosco” se fa per dire, non è che fosse ‘na bettola, ma manco un resort a cinque stelle… però ero al sicuro. Guardami, sono vivo, respiro » si girò su se stesso, indicandosi « manco un buco de proiettile, vedi? »

« Che cretino che sei… almeno ne è valsa la pena, tutta quest’ansia che mi hai fatto venire, sì? »

Suo figlio dichiarò uno sguardo a metà tra il sornione e il vittorioso. Mandò giù la bevanda tutta d’un colpo.

« Me dispiace se ti ho fatto preoccupare, ma il tempo si è come fermato e non c’ho pensato in quel momento. Stavo bene e me so dimenticato tutte le cose brutte » scrollò le spalle « Sono quelle cose che accadono e non le puoi controllare, ho toccato la felicità, mà »

Sua madre posò il bicchiere davanti a sé, le braccia si incrociarono al petto e l’età sembrò svanire in un attimo. Manuel sapeva che sua madre fosse una bella donna, solo che molto spesso lei era la prima a dimenticarsene. Portava gli occhiali da lettura, i capelli come due onde voluminose sul maglione comodo. Un sorriso le colorò il volto e ci lesse dentro anche uno sguardo malizioso.

« La felicità » ripeté facendogli il verso Anita annuendo. Si avvicinò a suo figlio e prendendo la bottiglia gliela allontanò da davanti. Manuel ruotò il busto per riprendersela, ma Anita non vacillò neanche quando il figlio cominciò a solleticarle la pancia « Se la rivuoi prima mi devi dare almeno un indizio, » arricciò il naso, scuotendo ripetutamente la testa « lo conosco? »

« Mà, ora me chiedi troppo »

« E dai Manu, qualcosa piccola piccola puoi dirmela » lo supplicò, mentre suo figlio si portava una mano a grattarsi il mento. Quello sospirò.

« Non è una persona lontana, se ce pensi bene la conosci e non la conosci, è un tipo apposto » si mordicchiò le labbra « in realtà forse manco te lo aspetti che me possa essere innamorato di uno così »

« E perché, scusa? Che c’hai scritto in testa stronzo che cammina ? Manuel, » Anita posò la bottiglia di nuovo sul bancone, sospirando. Affettuosa cinse il viso di suo figlio con le mani « a volte mi fai diventare pazza, neanche io ti capisco, ma non vuol dire che tu non sia meritevole di amore. Anzi, proprio perché ti senti così, devi riceverne. Tuo padre questo non lo hai mai capito, né con me, né con te. Ma noi siamo diversi, possiamo sembrare duri ma siamo persone di cuore »

« Boh, non c’ho mai capito niente di queste cose, so solo che ci sono tutti i segnali mà, sono innamorato, non me sbaglio proprio »

Anita gli scoccò un bacio sulla fronte, lo abbracciò leggero, mentre Manuel quatto quatto si riempiva l’altro bicchiere con un altro giro di spumante.

« E quando te sposi che porti a casa, l’intera distilleria della Moretti? » lo prese in giro, scombinando i suoi ricci sulla fronte.

« Madò già stai a parlà de matrimonio, che ansia mà, no » un segno di corna con le mani accompagnò la risata di Manuel, mentre assaporava la bevanda sul palato, ricordandosi poco dopo di aver dimenticato lo zaino in motorino. « Uhm, tornò subito, c’ho le cose mie di sotto » finì il contenuto del bicchiere e scese di corsa sotto.


Anita lo guardò divertita mentre usciva dalla porta. Si accorse del suo cellulare vibrare sul divano. Lo prese, aggrottò la fronte e visualizzò lo schermo. Manuel lo aveva dimenticato buttato lì sopra. Anita disegnò una smorfia con la bocca, ma ormai aveva già visualizzato l’anteprima dei messaggi.

Simone
10:40
Sto tornando a casa, augurami buona fortuna, spero di uscirne vivo.
In ogni caso, se non dovessi farcela, posso sempre andarmene col pensiero di stanotte. O stamattina, anche se non riesco a decidere tra i due.


Ma non sarà? Anita non ebbe il tempo di bloccare il display col tasto, che ne arrivò un altro subito dopo:

Simone
10:40
Già mi manchi, avvisami quando rientri
e non fare cazzate, per favore.


Simone.
Ma certo, era ovvio.
Anita sentì il rumore dei passi lungo le scale e con un gesto veloce spostò il telefono del figlio sul bancone, facendo finta di niente.
Pensò alla breve chiamata – ma delirante da morire - con Dante quella stessa mattina.
Una mano finì per coprirsi la bocca, poi aprendola in una risata nervosa.
Manco te lo aspetti che me possa essere innamorato di uno così.
Adesso tornava tutto: la chiacchierata che avevano avuto prima dell’incidente tempo addietro, Manuel che aveva dormito in ospedale e che si era rifiutato categoricamente di ritornare a casa, il periodo estivo in cui la aveva aiutata coi lavoretti e non stava affatto bene, le giornate passate in camera sua senza toccare cibo, le cene mancate, Manuel che ritornava da scuola sporco di sangue, Simone che lo aiutava coi compiti nelle ultime settimane.

Simone mi stà a fa diventà matto. Simone sta in Scozia. Mà lascia stare Simò, quello c’ha cose più importanti che pensà a me. Simone mi sta aiutando con latino, non torno per cena. Mà se non c’era Simone, finivo male.

Non ripeti o parli così spesso di una persona, senza un motivo, un significato.
Anita sorrise di colpo, ricostruendo pezzo per pezzo le vicende di quei mesi dove suo figlio si era più volte fermata ad abbracciarla, a starle accanto. Anita serrò gli occhi, ripensando alla solitudine del figlio in quel periodo.
Il motivo scatenante era stato il suo amico. Che adesso era un ex-amico ed era diventata la persona più importante per Manuel. Non si voleva confondersi ancora di più le idee e allora optò soltanto per il buon sentimento che si sentiva dentro, da madre, capendo che suo figlio non aveva potuto scegliere persona migliore.
Una volta che vide Manuel aprire la porta, con lo zaino che gli penzolava sulla spalla, non riuscì a trattenere un sorrisetto nervoso che però mascherò girando il volto.

« Vedi che hai lasciato il telefono qua, te l’ho messo lì » si limitò a dire, senza però smettere di pensare a ciò che aveva appena scoperto, ma forse in fondo, sempre sperato. Manuel annuì veloce, prendendolo al volo e scrollando col dito. A sua madre non sfuggì il sorriso illuminato che fece quando cominciò a digitare per rispondere.

« So’ contento abbiamo parlato, mà » disse, poi, riprendendo lo zaino e andando in camera.

« Sì, anche io! » urlò quando la porta si chiuse, ridacchiando leggera.




- - -





« Sei già ubriaco o provo a richiamare più tardi? »

Simone si affacciò al cellulare, mentre era seduto sulla scrivania, masticando il tappo di una penna. Manuel ridacchiò, alzando il braccio, che teneva soltanto un libro in mano: quello di latino.

« Negativo, me so scolato solo tre bicchieri, il resto può anche finirlo mia madre…ma comunque c'avevo voglia »


« A proposito, come l’ha presa?»

« Come l'ha presa Simò... è contenta, cioè non contenta che manco me so fatto sentire, è contenta per me »

Simone lo vide trattenere un sorriso, mentre si allungava a prendere la felpa buttata sul letto. Manuel se la mise addosso, il cellulare veniva posato momentaneamente sulla colonnetta del capezzale, le braccia entravano dalle maniche da sopra la testa cosicchè l'indumento veniva tirato sul suo busto, senza neanche tirare o aprire la zip.

« Il filosofo invece, com’è, non t'ha linciato, vero? » si toccò i capelli, ravvivandoli dietro.

« No, è stato... comprensivo, » Manuel percepì quasi un velo di orgoglio nella voce di Simone « non solo volati né piatti, né urla…gli ho detto tutto. Di Cristian, di te, di come mi sento. Sono più leggero, è una bella sensazione » abbassò lo sguardo, cambiando strumento, optando per un evidenziatore azzurro: il capitolo di letteratura non si sarebbe studiato da solo.
Ci fu un leggero silenzio e quando Simone alzò di nuovo gli occhi, notò che Manuel sventolava un paio di chiavi sotto il suo naso.

« Quando le hai prese quelle? »

« Quando eri troppo impegnato a piegarti e a cercare i vestiti prima di uscire stamattina » suonò malizioso Manuel. Simone roteò gli occhi, cercando di nascondere l'imbarazzo « Non che non mi piacesse la vista, anzi » enfatizzò « già me manca, ma non potevo farmi sfuggire l'opportunità di un posto tutto nostro »

Simone sentì subito crollargli l'evidenziatore dalla mano, avvertì subito un un rumore sordo come se gli fossero appena fischiate le orecchie. "Nostro". Sarebbe stato così dunque tra loro da quel momento in poi?

« Effettivamente ora che mio padre sa di noi due, non è molto furbo continuare a farti dormire sempre qua da me » ci ragionò su.

« Eh ma è per comodità, no? » gli fece il verso il più piccolo, l'altro gli fece un gesto eloquente « e poi che vor dì, ce posso sempre venire a casa tua, mica me sono trasformato in un “ninfomane depravato” »

« Ah sì? » lo sfidò il moro.

« Sì, perché che succede, basta che stamo attenti...»

Manuel usò quell'espressione tranquillona, come se la cosa o l'idea di essere scoperti da Dante non lo toccasse minimamente. Anzi, forse avrebbe pure usato la carta tagliente dell'ironia in quella situazione, conoscendone l'indole sarcastica e d'astuzia. Simone sospirò rincarando la dose.

« Bene allora da oggi si cambiano le regole, » Simone disegnò subito un cerchio in aria con le dita, poggiando lo strumento di studio per qualche secondo « questa è casa mia, » poi con l'indice raffigurò un omino dritto, fuori dalla figura geometrica « e questo sei tu »

Sul teppistello si disegnò subito un velo d'ingegno, come fulminato da un'idea brillante, geniale.

« E io me incateno sotto uno degli alberi che ti ritrovi in giardino, finché non mi fai entrare! » Manuel allargò le braccia, le incrociò al petto, imitando un martire.

Simone scosse la testa, ridendo appena. Ricadde leggera, mentre oscillava in basso. L'immagine del più piccolo che gli si formò era di lui vestito di tunica lunga, una corda attorno alla vita e le mani giunte mentre, in modo canonico, rivolgeva il capo di ricci al cielo. Era il ritratto di un santino a soli diciassette anni.

« Sì e poi ti metti a parlare agli animali come San Francesco »

« E ti pare, potrei pure farlo, per via della follia e della disperazione che me fai provare Simò » rispose prontamente.

« Lo strano caso del liceale che sussurrava agli uccelli…»

Elaborò subito quello che aveva appena detto, aspettandosi un contraccambio di battuta. Si morse d'istinto le labbra, capendo di aver spinto troppo sull'immaginazione. Era andata, Simone sapeva di essere diventato un caso perso oramai, neanche più utile per essere studiato da esperti del settore. Manuel si limitò a guardarlo enigmatico, mentre l'altro ragazzo tossicchiò fintamente per spezzare il commento.

« Non me fa diventà volgare, che già siamo messi male, » Manuel si mordicchiò un unghia portandosi un dito alla bocca « ad esempio, possiamo parlare benissimo di com’era bello quel panorama mentre ti rivestivi »

« Sei impossibile » sospirò stanco « se resti a dormire qua, dovremo solo dormire » sollevò le sopracciglia che disegnerano un arco e gli occhi risultavano decisi « o sforzarci di studiare comunque. Non mi sento a mio agio con mio padre che gira per casa... » si massaggiò le tempie.

« Vabbè allora vieni tu da me e usiamo la casetta quando non può nessuno dei due, » Manuel scrollò le spalle, baciando le chiavi di ferro « l'idea era questa »

« Magari la prossima volta ci portiamo qualche altra cosa dietro, qualche cuscino in più, una coperta... » si lamentò, stiracchiando la schiena contro la schienale della sedia girevole « ho dei leggeri dolori, non so se perché ho preso freddo o per quanto era scomodo quel letto »

« Sì mo' ora è colpa del letto se hai dolori, non me fa ridere » abbassò lo sguardo, studiandolo serio. Simone rispose con una smorfia, innocente.

« Guardalo come si atteggia, ci abbiamo dormito entrambi la sopra, mica ero da solo su quella brandina. Va bene è deciso tu a casa mia non ci dormi più » sentenziò facendo il finto offeso.

« Simò sveglio tutta Roma che manco er gallo de campagna alle cinque del mattino oltre a incatenarmi all'albero, non te conviene »

« Forse devo ricordarti che il "Simò non ti muovere che c’ho freddo, restiamo ancora che te frega” si è trasformato in un loop di un'altra ora, perché dicevi che avevo un buon odore? Uh? »

Manuel si morse il labbro inferiore, osservando il modo in cui Simone si portava lentamente le mani sotto il mento, e ci poggiava tutto il peso del viso. I suoi occhi risultavano sproporzionati rispetto agli altri elementi del volto. Sembrava un cerbiatto che guardava il cacciatore.

« E non solo quello, Simò »

Simone si imporporò leggermente, sperò non si notasse molto tramite lo schermo del telefono, anche perché si sentiva davvero stupido.
Il suo corpo rispondeva di conseguenza al suo cervello, se quello elaborava subito l'informazione, non riusciva a smistarla in modo superficiale, anzi, la canalizzava in modo che arrivasse dritta al petto, come un messaggio in bottiglia lungo le onde del mare o un oggetto che sprofondava in un andamento di ascensione. Proprio come un pacco lasciato dentro un ascensore, questo, scendeva o saliva, senza avere il tempo che qualcuno ne fermasse il movimento.

« Mi manchi anche tu » mormorò, guardandolo senza filtri. « Sai a che pensavo oggi appena sono ritornato? »

« A cosa? »

« A quando mi hai citato tutti i versi del Pigmalione » incurvò le labbra « sei davvero bravo Manuel, perché non mi fai leggere qualcosa qualche volta? » azzardò.

Manuel strizzò gli occhi, restando impalato, grattandosi la nuca con una mano, il braccio che formava un angolo acuto in alto.

« Non t'ho mai detto che scrivo » risuonò stranito, come se si fosse dimenticato un particolare.

« Non ce n'era bisogno, » Simone lo fermò col tono quotidiano, intriso di cura « so che ti piace la poesia, quindi ho collegato questo al fatto che ti piace leggere i classici. Ho solo fatto due più due »

Manuel annuì, il libro era ancora buttato aperto sul letto alla pagina della seconda guerra mondiale. Girò lo sguardo, giocando a fare un orecchione alla carta, proprio a fine pagina.

« Non lo so Simone, non sono granché eh »

« Lascialo decidere a me questo »

« Ma le leggeresti davvero? » suonò quasi incredulo, mentre la sua attenzione andava tutta verso quelle labbra carnose in video.

« Sì »

« Di solito le leggo solo, per conto mio, » sospirò, prendendo forza « sono pensieri scostanti a volte, manco dei veri versi. C'è un po' de casino esistenziale in mezzo » gesticolò con le mani.

« Se ti fa sentire più a tuo agio, puoi solo prestarmi, uhm, l'agenda dove le tieni, ma mi piacerebbe leggerle »

Simone non sapeva perché il discorso era passato dalla casetta, ai santi, per poi arrivare proprio lì. Ma l'idea di poter conoscere di più Manuel attraverso i suoi pensieri fisici su carta, lo intrigava. Forse c'erano punti che gli erano sfuggiti o gli sfuggivano ancora sulla sua figura. Forse voleva soltanto immaginarsi di leggerli con la sua voce nella testa a declamarli. Forse erano entrambe le cose, ma ci teneva a informarsi a quell'altro suo pezzo della sua anima.

« Va bene » Manuel annuì, facendosi leggermente silente « ma ti avviso che alcune sò criptiche, alcune risalgono ai primi giorni di scuola, altre ai mesi estivi...ce sta un po' de tutto »

« Sono pronto a leggere tutto »

« Forse però la prossima volta ti porto il taccuino con tutto il plico, uhm, non c'è bisogno che le leggi tutte da solo, » Manuel si sforzò di non suonare troppo impanicato « non me piace vantarmene, però qualcuna caruccia c'è »

« Va bene, come vuoi » concluse sorridendo.

Quello ritornò al suo libro, sottolineando qualcosa. Il silenzio calò subito, mentre Manuel sbirciava la sua concentrazione, la mascella che si serrava, il volto tutto indurito, i ciuffi che spuntavano costruiti sulla testa, la felpa che spuntava fuori ricadeva sul petto, e si stringeva sulle spalle. Fino a poche ore fa era riuscito a sfilargliela e stavano sotto un cielo di legno, ma che non gli era sembrato mai tanto bello. Avrebbe tanto voluto dirglielo, ma pensò fosse troppo presto. Che tempistiche esatte c'erano per dire determinate cose? Eppure era lì, che lo aveva chiamato per assicurarsi che andasse tutto bene. Era ovvio stesse bene.
Era lì che gli aveva chiesto se poteva frugare tra i suoi pensieri. E lui aveva risposto di sì. Lo sapeva, sapeva nella sua testa di dover fare quel passo, però vedendo Simone così preso da ciò che stava facendo, ci ripensò e tornò indietro. Gli piaceva conservare la sua immagine così, senza sconvolgerla, serena, al sicuro, senza troppi grattacapi o grilli per la testa.

Un giorno te lo dirò, te lo dirò Simone.





Clo'sCapitolo artistico, in tutto e per tutto.
Ho voluto fondere un po' il mio amore tra le varie cose.
Anche molto genitori\figli centrico (necessario), ma anche una bella visione poetica per il teppistello bi che è ovvio nella mia testa tenga un raccoglitore o zibaldone di pensieri (ce lo vedo molto).
L'idea della casetta era troppo bella per lasciarla alla deriva, sarà il loro personale nido d'amore ( inserire oh sospiranti - qui -)
Grazie ancora per i numeri che state regalando a questa serie di os,  non vi lascio perchè vi voglio bene, ok?

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Capitolo 11
*** Me so m'briacato ***


Clò: - Parapaparaparapapapararapara parara -
Ok, la settimana santa del festival è finita (respirando tristezza e malinconia), le fancam continuano a girare (quelle salvano tutti) e vi lascio una consolazione, con questo
aggiornamento che posso finalmente darvi  e regalarvi.
Stavo fremendo da giorni, e ora è vostro.
Ne vado particolarmente fiera, siate buoni.
Buona lettura.








Dopo che gli alberi avevano perso le loro foglie, i colori erano cambiati dall’arancio, al giallo, il tempo aveva lasciato spazio all’arrivo della primavera e con questa, erano arrivati anche il primo sole e caldo. Lo spostamento di aria era avvenuto in sette mesi che veloci, erano passati riempiti di verifiche, piogge, giornate buie e che terminavano prima che si potesse organizzare il proprio tempo libero in altro modo.
Era la terza settimana di Maggio, eppure c’era già voglia di saltare le ultime lezioni mattutine e andarsene al mare, per godersi l’aria fresca e il vento sui capelli.
Una giornata che culminava con la lezione della professoressa di storia che spiegava a una classe che preferiva scarabocchiare sul quaderno, passarsi pezzi di carta con segreti in codice o semplicemente fissare il soffitto annoiati.
Manuel fissava il banco di Simone, vuoto, mentre sentiva suonare la campanella che segnava la fine della giornata scolastica e la fine di quella tortura cinese.
C’erano stati pochi risvolti interessanti: qualche battuta, un professore in malattia, un altro che si rifiutava di andare avanti col programma e pretendeva di interrogare per il terzo giorno di seguito.
Manuel si tirò dietro lo zaino sulle spalle e si avviò verso il portone d’uscita della scuola. Non era triste, quanto la sensazione che provava era di pura mancanza per l’assenza dell’altro. Simone era partito per una breve escursione con Dante, lontano da Roma, gli sembrava avesse detto si trovasse su, in Piemonte. Era una specie di loro tradizione di famiglia, così ricordava gli avesse detto, almeno fino a quanto Simone ancora piccolo, riusciva a vedere il padre per le vacanze estive prima che lui sparisse. In ogni caso, erano già passati tre giorni e Manuel si sentiva letteralmente catapultato nell’apatia e nella noia. Per i primi due, non era riuscito a sentire il suo ragazzo, se non tramite messaggi o qualche chiamata, visto che la linea internet prendeva malissimo nel posto dove si trovava.
Manuel era contento che Simone avesse staccato un po’ da quell’aria abitudinaria, da città e che soprattutto stesse approfittando di un po’ di tempo per stare con suo padre, ma d’altra parte gli mancava, anche solo lanciarsi frecciatine a vicenda e il punzecchiarsi, gli aveva fatto vivere quei giorni tra i banchi più lenti del solito.
Quando ritornò a casa, fu la solita routine: parcheggiò lo scooter, salì le scale, aprì, posò il giubbotto senza scomodarsi di appenderlo, salutò sua madre, intenta alle prese con una delle sue traduzioni e sprofondò nel divano, esalando un sospiro.

« Che c’è Manu, giornata pallosa a scuola? » Anita batteva al computer, muovendo le dita come una piccola mitragliatrice esperta e attenta.

Manuel si limitò portare i piedi lungo il divano, senza togliersi le scarpe, portando le braccia dietro la testa.

« Tutte le giornate uguali, » mormorò, adocchiando il telefono, sfilandoselo dalla tasca dei jeans « in officina c’ho poco lavoro, fa caldo, c’avevo sta mezza idea de andà al mare, ma non me va ».

Controllò con il pollice il display, sperando in un messaggio di Simone, ma non c’era nessuna nuova notifica, nessun nuovo aggiornamento. Il cellulare gli ricadde sulla maglia a maniche corte, color verde militare.

« Se vuoi più tardi ce possiamo fa un giro, » suggerì Anita, adocchiandolo un attimo da sopra lo schermo del computer « però prima devo finire qua, poi la passeggiata in spiaggia ce la possiamo pure fare se ti va ancora »

Manuel annuì, sospirando sommessamente. Anita si morse le labbra, mentre si alzava e prendeva qualcosa e gliela lanciava. Suo figlio l’afferrò al volo, aggrottando la fronte, confuso.

« Che cos’è mà? »

Manuel osservò la plastica che avvolgeva quella che doveva essere una busta, o comunque un pezzo di carta, data la forma rettangolare e piatta. Anita sorrise furba, mentre accendeva la pentola con l’acqua per la pasta.

« Te aprila e vedi »

Manuel strappò il triangolo che formava la busta, in modo caotico, senza ricamarci troppo sopra, e ne uscì fuori una cartolina. La piccola carta riportava un borgo piccolo di case o forse palazzi, circondato da un lago blu profondo, affianco una piccola scritta: Isola di San Giulio. Il teppistello girò la cartolina dalla parte interna, notando una scrittura familiare, composta, anche e la mano era giovane. Sorrise subito.
Anita sbirciò l’espressione di suo figlio, mentre lo vedeva ricalcare con le dita la carta, come se quella avesse imparato a parlare o ad animarsi. Non volle leggerla ad alta voce, cercando di memorizzare quelle lettere e di ricordare come suonava la voce di Simone nella sua testa.

« Che dice, si sta divertendo? » sua madre spezzò la sua immaginazione.

In quelle poche parole, Simone diceva che le giornate erano già calde come se fosse già estate e che ogni tanto, lui e Dante beccavano il tramonto sul lago. Aveva fatto un sacco di foto e suo padre aveva scambiato una suora per una vecchia conoscente, mentre si incamminavano verso un bosco nei pressi dell’isola. Inutile dire che lo aveva preso in giro per tutto il giorno. Scriveva che c’erano già alcuni turisti, molto di quelli erano stranieri, soprattutto francesi.
Aveva visto anche molte moto d’epoca, di cui gli prometteva di mandargli le foto.
Le ultime parole erano:

Appena posso e trovo due tacche di linea
in questo posto sperduto,
ti chiamo subito.
Promesso.

Simone.

« Sì, sembra proprio de sì » mormorò, stropicciando quella carta plastificata che si teneva ancora tra le mani.

« Dai Manuel, ancora poco e puoi ritornare a rompere le palle anche a lui » lo consolò Anita, mentre pesava un paio di spaghetti e il sugo si scongelava sul bancone da cucina. Suo figlio annuì, portandosi in piedi e andando a preparare la tavola.

« Più che altro spero ce la faccia a tornà per il falò de classe » mormorò dubbioso.

Anita si girò a guardarlo, incuriosita. Manuel spiegò, mentre stendeva la tovaglia e stirava le pieghe con le mani « I ragazzi hanno voluto organizzà una specie di festa sulla spiaggia, sai na cosa per festeggiare la fine della scuola o comunque il fatto che ce siamo arrivati sani e salvi »

« E quando sarebbe questa rimpatriata? »

Manuel si portò le mani sui fianchi, mentre con una mano posizionava i due bicchieri, i tovaglioli e le posate.

« Praticamente è lo stesso giorno in cui lui dovrebbe tornare a Roma, » si mordicchiò le labbra « io c’ho provato a convince gli altri, solo Laura era dalla mia parte nel decidere ad aspettare magari qualche altro giorno. Alla fine, hanno paura co’ le verifiche di fine anno e quindi vogliono togliesse il dente adesso »

Anita gli accarezzò il braccio con la mano, vedendoselo arrivare vicino per guardarla, mentre vedeva l’acqua bollire e aggiungeva la pasta.

« Dai ce la fa sicuramente, » usò il suo tono premuroso « te non ci pensare troppo però, che non te fa bene »

« Sai che non funziona ‘sta cosa del “non ce pensare” perché più lo si dice, più uno effettivamente ce pensa? »

Anita roteò gli occhi al cielo, mentre girava gli spaghetti dentro la pentola e suo figlio prendeva un pentolino, accendeva il gas e schiaffava il sugo dentro, per riscaldarlo. Manuel provò però a pensarla davvero in modo diverso. Simone non era mai mancato a una riunione o festa di classe, in tre anni di liceo. Anzi, si era sempre messo a disposizione, insieme agli altri, nel raccogliere soldi e farsi carico di impegni. Sarebbe stato strano se fosse capitato proprio adesso, visto che mancavano ancora dei giorni prima che rientrasse a casa e con lui, anche l’entusiasmo di Manuel.

« Forse hai ragione mà, » afferrò un cucchiaio di legno e cominciò a girare il contenuto dentro il pentolino « me sto facendo troppi pensieri negativi »







La relazione che doveva presentare per il giorno seguente prevedeva una reinterpretazione di un testo che avevano letto e analizzato in classe. La consegna doveva essere per la terza ora, durante la lezione di inglese. Tutto nella norma se solo si fosse deciso ad andare avanti.
Manuel non aveva minimamente voglia di mettersi in azione, fissava il foglio con la penna tra le dita, il tappo buttato chissà dove. Aveva studiato soltanto pochi capitoli di latino prima, portando la sua testa a non volerne più sapere dopo l'ennesima traduzione. Pensava a che cosa avrebbe fatto se ci fosse stato il suo ragazzo con sé.

Se ce fosse Simone sarebbe tutto più facile, pensò.

Magari avrebbero finito per chiudere i libri e studiarsi a vicenda per il resto della giornata, oppure Simone avrebbe scelto un film da guardare insieme e passare così il tempo, magari evitando di guardarlo tutto per poi distrarsi entrambi. Probabilmente lui gli avrebbe detto qualcosa per provocarlo, così da scatenare in Simone la voglia di sfidarlo subito dopo. Manuel si massaggiò le tempie cercando di scacciare il pensiero del suo ragazzo assente. La carta sulla scrivania era brevemente macchiata di nero, con una calligrafia misurata, ma scostante.
Manuel aveva scritto solo quattro parole per poi bloccarsi all'istante, non sapendo come continuare. Gli occhi gli caddero sulla sveglia che segnava le cinque del pomeriggio. Si portò le mani alla testa, rileggendo il titolo del tema, cercando di riprendere di nuovo in pugno la sua concentrazione.
Appena sua madre entrò, si girò a guardarla con un cane bastonato in cerca di aiuto e quella subito gli piazzò una tazza fumante di thè davanti al naso.

« Cerca di non strapazzarti troppo, che me diventi secchione » lo prese in giro, mentre depositava un bacio sulla testa del figlio. Manuel avvicinò piano la tazza alle labbra, soffiandoci sopra.

« Grazie mà » si portò la bevanda alla bocca, mentre il sapore dolceamaro gli arrivava al palato. Anita osservò suo figlio posare la penna, per accogliere l'oggetto caldo tra le mani e poi riposarlo affianco al foglio.

« Dovresti prenderti una pausa, magari ci ritorni dopo, ti ricordi, mi hai detto che volevi uscire un po' » gli accarezzò i capelli. Manuel sospirò pesantemente, stropicciandosi gli occhi con una mano sola.

« Non mi va più e poi c'ho sta cosa da presentare domani, me devo mette sotto, sò gli ultimi botti » prese un altro sorso del suo thè e impugnò di nuovo la penna nera.

Anita annuì, mentre gli chiedeva se voleva qualcos'altro oltre al thè, magari qualche cosa da mangiare. Manuel scosse la testa e allora sua madre uscì dalla stanza socchiudendo la porta.
Manuel si caricò con due piccoli respiri, spronandosi da solo, o come meglio poteva. Rilesse le prime righe e ripensando al titolo della consegna, riattaccò bottone. Pensò a tutte le volte che si era distratto e a quelle in cui Simone lo riprendeva. Finiva sempre per fare però di più di quanto non facesse da solo, nello studio.
C'erano ovviamente giornate più fortunate e altre più scarse, ma aveva portato comunque buoni risultati quella loro associazione. Poi, che dopo aver studiato, finissero per almeno un'ora e mezza buona a baciarsi, era un altro discorso. Manuel riempì circa mezza pagina, ricontrollando di tanto in tanto i verbi usati, alcuni termini. Scarabocchiò qualche frase gergale - decisamente inopportuna - e qualche periodo troppo lungo. Riprese daccapo, almeno fino a quando il telefono vibrò. Si alzò di scatto, come se ne derivasse la sua vita e sorrise subito quando spuntò sull'interfaccia la foto e il nome di Simone, che lo stava videochiamando.

« Chi non muore si rivede eh » lo salutò così, mentre si sedeva accovacciato sul letto. Simone dall'altra parte del telefono, sorrideva e risultava leggermente più colorito. « Ma guarda come ha preso colore er principino! »

Simone sfoggiò un sorriso confidente.

« Ciao anche a te scemo! »

Manuel si sentì come un adolescente in balia di sentimenti primordiali e da dodicenne in fase di pubertà. Erano giorni che non vedeva il viso del suo ragazzo e adesso, gli sembrava di avere qualche allucinazione.

« Ho ricevuto la tua bustarella, » mormorò « com'è sta storia della suora? »

Simone rise, il fumo uscì dalla bocca e formò una nuvola vaporosa che oscurò un attimo la sua bella immagine. Era in canotta grigia, seduto vicino a un'altura di scogli.

« Praticamente mio padre pensava fosse stata una sua studentessa, prima che si trasferisse a Roma, » ridacchiò un poco « allora l'ha fatta girare e ha cominciato a parlare, facendole i complimenti, » prese un'altra boccata dalla sigaretta « le ha chiesto se si ricordava di lui. Le era volato il velo a pochi metri di distanza e quando è corsa per andarlo a riprendere, quando si è girata ha guardato mio padre in cagnesco »

Manuel sentì Simone di buon umore, mentre finiva di raccontare, beandosi di come almeno uno dei due, stesse bene.
« Insomma, tutto questo senza essere ubriaco »

« Ti giuro, mi sono pisciato addosso, aspetta ti faccio vedere una cosa » strinse la sigaretta tra le labbra, cambiando inquadratura e facendo vedere dove si trovava. C'era una larga visuale, sul primo piano un po' di ghiaia, degli alberi rigogliosi a capitanare in lontananza come sfondo e in mezzo si stagliava un lago ampio e chiaro, su cui si rifletteva il bagliore del sole.

« Wow, Simò è stupendo, pare un luogo fatato »

« E al tramonto è ancora meglio » confessò. Simone camminò alzandosi, e annuendo a qualcuno che passava. Poi ritornò a Manuel.

« Mio padre, scusa » gesticolò con la mano, la cenere gli cadde un po' a terra, mentre dava l'ultima boccata.

« Hai letto il messaggio che t'ho mandato? » suonò un po' rompiscatole e dunque addolcì il tono di voce « voglio dire, l'idea dei ragazzi del falò »

Simone annuì veloce, buttando la cicca della sigaretta, infilandosi le mani nella tasca dei jeans. Si riprese per lungo con il cellulare.

« Mi piace, ma come sempre c'ho un culo in queste cose » si bloccò un attimo, recuperando un tono positivo « Provo ad esserci, anche se l'orario è un po' una carognata, » abbassò lo sguardo « ci vogliono almeno quattro/cinque ore per tornare con la macchina, » si inumidì le labbra « se avessimo preso un volo sarebbe stato più veloce »
Manuel annuì, spegnendosi leggermente in volto.

« Ho capito Simò, io c'ho provato a fà cambiare idea agli altri, ma niente, » si toccò il ginocchio con la mano, accarezzandolo, come a farsi forza « se cagano sotto per le ultime prove e interrogazioni »

« Per fortuna facendo i miei calcoli, io devo andare interrogato solo di matematica, » si aggiustò i capelli, attaccati alla fronte per l'afa, il sudore li aveva già presi in umidità « per farmi tutte le materie mi sono fatto un mazzo... è stata la settimana prima di partire...»

« Sì, me lo ricordo, eri intrattabile »

Simone sentì l'altro strano, come distante.

« Che c'hai? »

Manuel sospirò, mentre si alzava dal letto e si piazzava davanti alla finestra guardando fuori. Il sole stava su in alto, il vetro trasparente era caldo, toccandolo con una mano.

« Niente, la verità è che qua è un po' una palla senza de te, » ammise assumendo il tipico sguardo abbandonato « le giornate so tutte uguali, in officina c'è poco da fare, vengono in pochi, perché ormai le giornate so belle, pare che l'estate arrivi prima quest'anno. Ce stanno già i pischelli che girano per strada in pantaloncini e pallone »

Simone cambiò la fotocamera, dirigendo l'inquadratura su altro. Manuel si distrasse un secondo, sforzandosi di capire cosa l'altro stesse facendo. Il ragazzo più alto, camminò per un breve tratto e inquadrò col cellulare un punto dell'insenatura di roccia, al di là dell'acqua, dove si trovava. Un piccolo frammento di roccia riportava due iniziali incise: S + M.

« Riesci a vedere bene? » gli chiese Simone.

Manuel si ritrovò a sorridere, mentre pensava che una cosa del genere fosse completamente nella mentalità di due dodicenni che di due ragazzi a cui mancava solo un anno per finire il liceo.

« Ora non ti incazzare, so che non ti piacciono queste cose, però mi piaceva il pensiero che anche tu fossi qua con me »

« Mi manchi »

Simone sospirò, riprendendosi di nuovo, invertendo la telecamera. Lo guardò cercando dentro quegli occhietti dietro lo schermo, la voglia di fargli coraggio, trasmettergli un po' di forza. Era raro che il piccoletto fosse così rabbuiato, conoscendo la sua vena giocosa.

« Anche tu... » incurvò le labbra, sussurrando piano. Simone però sapeva di provare lo stesso. Guardando i primi tramonti dal lago, aveva immaginato di averlo vicino e trovarsi in confusione su quale fosse la vista migliore per i suoi occhi « Manca poco però e poi potrai prendermi in giro quanto vuoi, non mi opporrò, giuro. Farò di tutto per esserci giovedì, anche se dovessi arrivare alle dieci di sera »

Manuel annuì, cercando di mostrarsi convinto, anche se forse l'unica immagine che ne uscì fuori fu di un nervoso e soprattutto speranzoso al limite del disperato.

« Devi ricordarmi di inviarti le moto che ho visto, » disse poi « secondo me appena le vedi impazzisci »

« Più de come sto a impazzì ora mi sembra difficile Simone »

Simone si intenerì sentendo l'altro ridere amaramente, lesse nella trama del corpo che si appoggiava alla tenda della finestra, il suo solito lato trasandato ma vestito dal malumore.

« La connessione oggi sembra tenere...hai da fare? »

Manuel osservò il foglio di carta fermo, abbandonato, impassibile sopra la scrivania, ora così distante per poi ritornare da Simone sullo schermo.

« E quando me ricapita de risentirti, approfittamo de ste due tacche de linea »

Con un solo balzo, Manuel si mise disteso a letto, e ripresero a parlarsi.








« Oh, Manuel, questi dove li mettiamo? »

Laura caricava delle piccole sedute di legno, in realtà erano delle cataste che avevano racimolato un po' da qualche bar visto che i proprietari non ne avevano più bisogno e dovevano buttarle. Sarebbero servite per sedersi in spiaggia o posare sopra le bibite e il cibo. In tutto erano riusciti a ricavarne quattro/cinque.

« Lì, su due file, magari due a sinistra e due a destra » suggerì, indicando con le mani. La ragazza annuì, i capelli lunghi le coprirono la faccia « Aspetta, ti aiuto » Manuel allora sollevò una panca, posizionandola proprio a pochi metri dall'altra. Laura lo scrutò per bene, cercando di non risultare troppo invadente.

« Di Simone ancora nessuna notizia? » la voce si colorò di dolcezza.

Manuel fece cenno di no, visibilmente amareggiato. Erano già le sei e mezza di pomeriggio e l'ultima volta che lo aveva sentito era stato il giorno prima.
Da quel momento, il silenzio totale. Pensò che non fosse un segno per forza negativo, d'altra parte sapeva che lui e suo padre aveva deciso di viaggiare per conto loro, in macchina. Si augurava che Dante mettesse il turbo, per farsi dal Piemonte a Roma, col figlio, partendo dopo pranzo.
Manuel vide gli altri ragazzi arrivare con le varie cibarie e bevande, mentre le ragazze, tra cui Chicca e Luna, cominciavano a piazzare le tende. Matteo ridacchiava, Aureliano e Giulio sembravano aver iniziato una conversazione seria invece.

« Sono sicura che in qualche modo ce la fa » Laura allungò una mano, per posargliela delicatamente sulla spalla « non si perderebbe mai una cosa così. Gli piacciono troppo queste pensate. »

Manuel annuì, si allacciò la felpa intorno alla vita, rimanendo in maglia a maniche corte. Era già sera, ma sentiva già caldo. La temperatura giocava sempre brutti scherzi col suo corpo, quando l'estate si avvicinava. I capelli erano già una prova del disastro che l'aumento dei gradi riportava: l'umidità. E ripensandoci, anche le zanzare. Quelle erano il male per ogni individuo.

« Tu non monti la tua tenda? » le chiese, mentre si chiedeva dove potesse essere la legna per il fuoco. Laura sembrò leggergli nel pensiero e gli fece cenno con la testa dall'altra parte, all'entrata della spiaggia libera, sul muretto di pietra. Quella, era stata fornita gentilmente dal padre di Aureliano, che avendo un camino a casa, si procurava da solo le cataste di legno per accenderlo d’inverno.

« Io la condivo con Pin » azzardò, dondolando un po' con le gambe. Laura sembrava a metà tra l'imbarazzo e la voglia di ostentare sicurezza.
Manuel sorrise furbastro.

« Abbiamo avuto la stessa idea, anche io pensavo di usarne una in due... » si masticò il desiderio prepotente che veniva spento dall'idea che Simone non ce la avrebbe fatta a raggiungerli per il falò.

« Sta tranquillo, c'è ancora tempo »

Laura gli rivolse un sincero sorriso di incoraggiamento. Manuel attenzionò lo sguardo davanti a sé: il sole cominciava a tramontare e scomparire oltre la linea del mare, disegnando scaglie di arancione e rosato in cielo. Immaginava come sarebbe stato bello trovarsi a guardalo in due. Invece era da solo. Circondato da tutti quanti, ma si sentiva comunque da solo.
Simone sbrigate, per favore.
Il suo corpo si voltò e con le sue gambe veloci era già a metà strada per recuperare la legna al muretto, per capire dove posizionarla sulla sabbia.





 
- - -




« Ragazzi, calmi calmi » il teppistello mise le mani avanti, il fuoco scoppiettava a pochi metri da lui. Manuel prese controllo della situazione zittendo tutte le persone presenti tutti disposti in cerchio attorno alla spiaggia e il gran baccano delle loro voci che gli schiacciavano la testa « ditemi quale altra canzone volete, prima che divento sordo co’ tutta sta caciara! »

Manuel appoggiò la chitarra acustica contro il petto e le gambe, abbracciandone con fare protettivo la cassa con le mani. Ci si appoggiò come fosse il bastone della sua recuperata pazienza da tenere sempre pronto in caso di stress, nervosismo, come in quella situazione. Qualcuno dei ragazzi sembrò pensarci su, mentre si levavano già altre voci testarde di liceali.

« Fai una canzone dei Muse! Come si chiama quella nuova, uscita da poco? » batté le mani entusiasta Luna.

« No, deve cantà in italiano, oppure una canzone importante, altrimenti non ce capisco niente » borbottò Matteo, incrociando le braccia.

Manuel si portò una mano alla fronte, cercando di liberare la testa da tutto quel baccano infernale.

« Matté si vede che sei antico, la musica è internazionale, ed è giusto farsi una cultura al riguardo, uomo delle caverne » lo riprese Martina, che schioccò un batti cinque tattico con Chicca.

« E se facessimo decidere a Manuel? » Laura lo guardò cercando di venirgli in soccorso « tanto è lui che suona e che canta, quindi è lui che dovrebbe decidere, non noi »

Manuel le mimò un grazie con le labbra, giunse le mani, sollevato visibilmente per il sostegno appena ricevuto.

« Sì, sono d'accordo è giusto così, e brava Lauretta » Chicca se la trascinò in un abbraccio aperto, con la mano sulla spalla.
Manuel si concentrò, pensando a cosa aveva ascoltato ultimamente nei pochi giorni di relax che aveva avuto. Prima che tutta la raffica di compiti, verifiche gli cadesse addosso come un peso gravoso. Aveva una canzone fissa in testa da giorni, un po' perché si era intestardito a farla sentire a Simone prima che partisse e un po' perché, gli piaceva un sacco il testo e la musica. Ritrovava un po' della sua vena personale, quella di divertirsi e parlare con voce non sua.

« Va bene, Mannarino lo conoscete tutti? »

Alcuni annuirono, mentre altri fecero un'espressione perplessa. Manuel abbassò lo sguardo sulla chitarra, posizionandosela sul grembo, le gambe incrociate come un bambino attento. Cominciò a strimpellare le corde, lasciandosi cullare dalla musica che veniva fuori dallo strumento. Il ritmo del suono incalzò e sfumò nell'aria, trovando dapprima silenzio assoluto.

« Quando io sono solo con te,
sogno immerso in una tazza di tè
ma che caldo qua dentro,
ma che bello il momento »

Una seconda prima risposta arrivò in qualche ragazzo, o ragazza - non lo capì perché era completamente concentrato - che accompagnava Manuel col battito o schiocco di mani. Manuel ripeté la stessa scala di note, per la seconda strofa, chiudendo gli occhi. Intriso delle parole del testo, avendo solo una sola precisa immagine in testa.

« Quando sono con te
non so più chi sono perché
crolla il pavimento e mi sciolgo di dentro »

Mentre continuava, si levò un po' di brusio intorno, ma non ci fece granché caso, continuando a toccare le corde con le dita, tese inizialmente e che poi vibravano, scivolando dentro, in quella sensazione densa che si sentiva in corpo, quel coraggio fatto di musica. Sentì una voce familiare e fu allora che alzò lo sguardo, bloccandosi di colpo. Simone si piegava piano verso ognuno, a salutare i compagni, chi lo abbracciava, chi muoveva la mano sventolandola, mentre un sorriso del ragazzo gli creava quelle amate fossette familiari. Quando l'attenzione di tutti ritornò, Manuel riuscì finalmente a farsi guardare. L’altro incrociò il suo sguardo, nel momento esatto in cui riprese a pizzicare le corde.
Manuel non disse niente, solo riprese a cantare, con più impeto di prima. Incasinò le note, velocizzandole leggermente, vorticando dentro se stesso.

« Quando penso a te
mi sento denso perché
Io ti tengo qua dentro di me,
io ti tengo qua dentro con me »

Subito, il piccolo musicista inventato venne accompagnato dagli altri, seguito dal battito di mani, ma poco importava: Manuel guardava solo e ancora Simone.

« Me so' 'mbriacato de 'na donna
Quanto è bono l'odore della gonna
quanto è bono l'odore der mare
ce vado de notte a cercà le parole »

Manuel fece forza sulle gambe e si alzò piano, cominciando a girare con la chitarra addosso, come se fosse un’arma potente, sprigionava tutto ciò che teneva chiuso da ben cinque giorni.

« Quanto è bono l'odore der vento
dentro lo sento, dentro lo sento
quanto è bono l'odore dell'ombra
quanno c'è il sole che sotto rimbomba »

Manuel piroettò attorno alle figure davanti al fuoco, girava lo sguardo su qualcuno adesso, ma ritornava sempre alla figura del suo ragazzo seduto tra Laura e Pin, adesso. Non sapeva nemmeno come si stesse muovendo, ma sicuramente il sorriso si era piazzato anche sulla sua faccia, adesso. Inconsapevole e ubriaco solo di Simone, ricominciò con l'altra strofa. Adesso era proprio vicino al ragazzo, stava in piedi davanti a lui, inchiodato, col quel fuoco che zampillava e gli scoppiettava dietro.

« Quando sono con te
Io mangio meglio perché
non mi devo sfamare
non mi devo saziare con te »

Abbozzò un’espressione contrariata, in totale discordanza con quell'ultima frase, visto che in nessun modo possibile, Manuel si riconosceva nella sazietà dell'altro.
Non avrebbe mai ammesso il contrario, lui ne andava fiero. Notò come Simone era visibilmente imbarazzato, un sorrisetto velava forse la voglia di nascondersi, ma in quel momento non poteva farci nulla, la dedica ormai era partita dall’esatto momento in cui lo aveva visto arrivare. In sottofondo Manuel, sentì gli altri ragazzi prepararsi al ritornello.
Manuel fece di nuovo il giro e sentì Simone liberarsi a cantare, batteva le mani insieme agli altri.

« Me so' 'mbriacato de 'na donna,
quanto è bono l'odore della gonna
quanto è bono l'odore der mare
Ce vado de notte a cercà le parole »

Il teppistello volteggiò un po', mentre terminava la canzone, allungando leggermente l'ultima nota con la chitarra e sfumando la voce.

« Quant'è bono l'odore dell'ombra
quanno c'è il sole che sotto rimbomba, come rimbomba l'odore dell'ombra
e come parte e come ritorna, » Manuel si inchiodò con gli occhi al suo ragazzo « come ritorna l'odore dell'ombra »

Strimpellò le ultime note, beccandosi l'applauso dei suoi compagni di classe mentre in modo abbastanza impacciato alzava le mani in segno di stop. Si sentì qualche "bravo" in sottofondo, mentre a lui in realtà interessava soltanto una cosa. Poggiò la chitarra al supporto di legno lì affianco e fece un inchino più da giullare, che da performer grato.
« Bene, comunico un attimo de pausa che c'ho una cosa importante da fare ora » annunciò.

Manuel si avvicinò a Simone, lo prese per mano, facendolo alzare. Si allontanò lì sulla spiaggia, portandosi via dalla confusione di tutti quegli sguardi indiscreti.
Ci mise un attimo solo per guardarlo e poi tirarlo contro di lui, facendo scontrare i nasi e le labbra. In sottofondo si sentì comunque il silenzio rotto da degli 'oh' che sembravano ululati stonati, ma Simone portò le braccia dietro il collo di Manuel, preferendo il rumore delle onde del mare. Il suo corpo si faceva leggero e il cuore pompava veloce.

« Mi sa che ci stanno guardando tutti » mormorò Simone contro le labbra di quello. Manuel ghignò giusto il tempo di avvicinarlo di nuovo e dirgli poco altro.

« So solo invidiosi, lasciali perde »

Gli diede un bacio più lento, godendosi quel piccolo momento tutto loro, dopo quasi una settimana. Simone si strinse ancora di più alla nuca e Manuel si mise un po' sulle punte come se stesse sprofondando nella sabbia. O forse era solo il contatto della bocca calda e le lingue che ritornava o a scontrarsi. Il più alto si staccò per riprendere fiato e osservare come la figura dell'altro stava bene con il cielo già puntellato sopra le loro teste e la sera che segnava appena le otto.

« Mio padre ha corso come un matto su mio suggerimento » gli tirò un riccetto che spuntava fuori « non ho dormito molto, ma ci tenevo ad esserci. Te lo avevo promesso. »

Manuel annuì, sfoggiando un piccolo sorriso. Osservò come Simone era decisamente più abbronzato, vedeva la linea dove aveva preso il sole che si interrompeva oltre la maglia a strisce azzurra e bianca. Doveva aver usato tutta la crema solare che poteva, ma il distacco era evidente.

« Dai, andiamo, che sennò quelle me menano » Manuel lo prese per mano « sto a fa' un concerto gratis qua »

Simone rise e lo seguì, con lo stesso passo, la stessa lunghezza d’onda, né un centimetro indietro, né uno in avanti.






- - -






« Vi siete organizzati bene » Simone spostò un po’ di granelli sabbia tra le mani, quella scivolò veloce liscia, seduto vicino a Manuel davanti alla loro tenda montata.

« Sì, il merito è quasi tutto mio e di Laura, però » si grattò la barba, mentre la chitarra era distesa a pancia su affianco a lui « abbiamo pensato a tutto, poi Aureliano c’ha aiutato con la legna. Al cibo e al resto c’hanno pensato gli altri, però l’organizzazione è stata più nostra »

« Mi dispiace non aver potuto fare niente, a saperlo prima »

« Simò tu te sei rilassato al lago, tranquillo. Lo abbiamo fatto anche per te »
Simone fece ciondolare la birretta che teneva nella mano sinistra, mentre osservava l’altro strofinarsi le mani sulle ginocchia.

« Sei bravo, » indicò lo strumento che teneva da parte « al di là della canzone che hai scelto »

Manuel roteò gli occhi, sbuffando offeso.

« Ah quante storie, è ‘na bella canzone. La prossima volta la dedica te la fai da solo »

Simone scolò l’ultimo goccio di birra, la infilò tra la sabbia e le cosce e lo tirò dalla maglia con un dito, arpionandolo. Gli depositò un bacio rapido, mentre lo vedeva cambiare espressione.

« Stavo scherzando, guarda che mi è piaciuta, » sussurrò, ispirando piano « nessuno ha mai fatto una cosa così per me »

« Se penso a te, me vengono in mente solo cose belle Simò » strofinò il naso contro il suo, poggiandogli una mano sulla guancia.
Simone si rilassò completamente, chiudendo appena gli occhi.
Una leggera brezza serale si avvicinava e i ragazzi erano un po’ sparsi ovunque a parlare o a cazzeggiare col telefono. Avevano spiluccato qualcosa, più bevuto in realtà, cantato per due orette fino a quanto almeno, Manuel non si era fatto prendere dai morsi della fame e aveva annunciato anche l’apertura della tavola calda.
Il ragazzo alto poi si ricordò di una cosa, il suo zaino era dentro la tenda, quindi si alzò di scatto.

« , dove vai? »

« Ti ho portato una cosa, aspettami qui »

Manuel però non obbedì e lo seguì dentro, nemmeno fosse stato il suo cagnolino da compagnia. Era come se tutti quei giorni di distanza, gli avessero fatto scattare un’assurda dipendenza. Richiuse la tenda dietro di sé e si ritrovò l’immagine di Simone che frugava nella tasca dello zaino. Le gambe da una parte e il busto in torsione.
Curioso, si mise a sedere pure lui, lungo i due cuscini e la tovaglia che era stata distesa lunga, con tutta la stoffa sfilacciata ai bordi, sulla superficie plastica della tenda. Simone ne uscì fuori un pacchettino chiuso con dello scoatch ai lati, era molto semplice ed entrava dentro la sua mano. Quella si mosse contro Manuel, che afferrò il pacchettino con delicatezza.

« Se non ti piace, puoi anche non usarla » Simone suonò teso, anche se l’aspettativa lo stava leggermente divorando dentro « l’ho vista e ho pensato potesse piacerti »

Manuel aprì piano la carta, non volendo rompere qualsiasi cosa ci fosse dentro. Poi alzò il pacchettino e sul palmo della mano scivolò una collana di caucciù, aveva una piccola chiusura metallica ed era decorata con poche pietre irregolari nere e marroni al centro. Le dita sfiorarono accurate il materiale, simile a corda, ma più resistente.
Manuel se la portò al collo, chiudendo il gancetto metallico, mentre le dita ispezionavano le pietruzze davanti. Simone aspettò dicesse qualcosa, invece l’altro si limitò a trascinarlo e a scoccargli un bacio.

« Me piace un sacco »

Manuel lo abbracciò stretto, assaporando la sensazione di quelle braccia, quel profumo che conosceva di pulito e di sicurezza che gli era mancata fin troppo. Simone si sentì tirare, le mani di Manuel si spostarono una sulla sua schiena e una sulla spalla.

« Io ho la motoretta rossa che mi hai regalato e tu questa, » mormorò « mi sembrava giusto così » il mento si mosse sull’incavo del suo collo. Rimasero in quella morsa per un po’ di secondi, deformando il tempo.

« Simò, non partì più » supplicò piano.

Manuel si scostò di poco, le braccia stavano ancora allacciate alla vita del ragazzo, mentre quello si stringeva nelle spalle. Gli occhi erano grandi, la penombra della tenda li nascondeva appena, sembravano luccicare anche per via del piccolo spiraglio di plastica foderato e aperto. Da lì, si vedeva un po’ il cielo macchiato di puntini luminosi.

« Il mese prossimo dovrò andare a trovare mia madre, a Glasgow, lo faccio ogni anno… » mormorò, mordendosi le labbra. Manuel sospirò piano, serrando gli occhi. Simone lo prese per il mento, le dita ormai completamente fuori controllo. Questa volta fu lui ad avvicinare le fronti « Vieni con me »

Le piccole fessure si aprirono, le pupille si allargarono di colpo. Manuel sembrò un attimo perplesso. Si indicò da solo.

« Io, con te in Scozia? »

« Sì, io e te in Scozia »

Simone venne completamente stravolto dal piccoletto che lo sovrastava, lo spostava di posizione e lo riempiva di baci, al lato della bocca, dietro la guancia, sul mento. Avvertì il solletico della barba di Manuel sulla pelle, facendo appello a tutto se stesso per non scoppiare a ridere sentendolo ripetere cose sconnesse. « E poi voglio fartela conoscere » d’altra parte sua madre era ancora all’oscuro di Manuel, se non per il fatto che avesse parlato dei suoi sentimenti, senza citare il nome del diretto interessato, visto che lui a quei tempi, non rientrava nei suoi pensieri.

« E che me devo mette, roba pesante, cose così? »

« Manuel c’è ancora un mese e ci pensi adesso? » cominciò a ridere, vedendo quanto fosse euforico.

« Vabbè sempre meglio essere preparati, non se sa mai che me prendo quarche malanno »

Simone lo guardò divertito, piegato in due, senza smettere di ridere, tanto che l’altro a un certo punto si alzò ginocchioni sopra di lui, e gli diede una leggera gomitata sul fianco destro.

« Simò so serio, ci tengo a queste cose »

« Sei troppo carino » si alzò quel tanto che bastava da catturargli la bocca e avvicinarlo di nuovo.
E Manuel si lasciò prendere, senza fare troppe storie, riportando giù il suo ragazzo, che aderiva completamente alla tovaglia sotto di loro. Le dita artigliavano tra i capelli, i vestiti, la pelle che svettava fuori da quelli. Quando il respiro gli cadde addosso, Simone sentì subito caldo, sfilandosi la maglia, cercando di non colpire Manuel, che intanto gli baciava il ventre che piano piano si scopriva. A torso nudo, adesso, Simone sentì delle voci fuori dalla tenda. A giudicare dal tono, c’era qualcuno che piangeva o forse, si lamentava.

« Signore, no non me frega niente » sbottò Manuel alzando la voce, per farsi sentire. Simone ricollegò la fonte sonora, qualcuno lo stava effettivamente chiamando da fuori. Si dedicò al suo braccio, disegnando con le dita delle linee invisibili sulla pelle, baciandogli le nocche delle mani. Le voci continuavano imperterrite, c’era evidentemente qualcuno che stava schiamazzando, disturbandolo. Il teppistello si ritrovò a scattare di nuovo in controbattuta « Qua vogliamo dormì, annate via e non rompete er cazzo! »

In realtà una risposta ci fu, chiara e precisa.
Manuel stava per parlare di nuovo, ma Simone gli mise un dito davanti alla bocca, per zittirlo. Cercò di concentrare tutto il silenzio – anche se non c’era fisicamente – sull’altro, catturando la sua attenzione. Usò le dita, lunghe e affusolate, per disegnargli il contorno del labbro superiore, poi passò a quello inferiore.
La sua mano scivolò poi sul cotone che copriva il petto di Manuel, finì sul lembo della maglia che alzò piano e uscì fuori, dal capo dell’altro, scombinandogli i ricci. La maglia ovviamente finì accartocciata in un anfratto di spazio.
Petto contro petto, adesso, si muovevano piano l’uno contro l’altro, studiandosi appena, avvolti dal buio.
Sbottonati i jeans, Simone vagò sulla figura del ragazzo, tastò la curvatura della schiena, scendendo lungo la mappa del corpo esile, ma proporzionato.
Dei piccoli gemiti gli morirono in gola, quando quello artigliò con la sua cerniera e la voglia di Simone risultò evidente, se non lampante alla vista dell’altro.
Quando anche quelli furono dimenticati e abbandonati chissà dove, Manuel cominciò piano a ripercorrere il corpo del suo ragazzo, ricordando subito la sensazione che gli provocava toccarlo, quel famoso misto di adrenalina, liberazione, passione che lo contraddistingueva. Era come se non riuscisse mai a staccarsi davvero dalla densità di ciò che Simone scatenava dentro di lui. Manuel depositò un piccolo bacio sull’anca di Simone, iniziò ad abbassare lentamente l’ultimo indumento che lo ricopriva.
La testa di Simone si gettò di scatto indietro, la schiena si inarcò a seguire, la sua mano artigliò di colpo sulla massa riccioluta di Manuel, mentre quello lo liberava completamente dall’ultimo strato di biancheria che lo opprimeva.
Manuel non aspettò nemmeno un attimo per fare lo stesso su di sé, catturando un luccichio in quegli occhi così grandi – sotto di sé – scanditi da una movenza tremendamente calma, osservatori come due fanali notturni.

« Manuel, » sussurrò « io non ho…non ho- »

« Sta tranquillo, io sì » lo baciò rapidamente, muovendosi felino per raggiungere lo zaino. In realtà ci mise un po’ per cercare di orientarsi e ricordarsi dove lo avesse buttato. Si sentì il rumore di una zip che si apriva, il rumore della plastica incartata e Manuel che ritornando andò a sbattere contro la gamba di Simone. Gli scoppiò un risolino. Quando il teppistello riprese la sua posizione, cominciò un po’ a vibrare. Pensò alle poche volte in cui Simone gli aveva permesso di ritrovarsi dentro di lui e che – pensandoci bene – lui aveva voluto il contrario « Simone, uhm, te va bene, vero? »

« Mi sei mancato pure tu » lo prese, trascinandolo giù, mentre Manuel stringeva ancora il preservativo nella mano sinistra « sì, sono sicuro »

Manuel sentì la mascella fargli male, stava decisamente sorridendo troppo quel giorno. Annuì veloce, mentre si sistemava per infilarsi la protezione.
Le mani gli tremavano un poco, ma con attenzione, alla fine raggiunse l’obiettivo e riuscì a fare tutto come doveva. L’idea di sentirsi così, ogni volta con il suo ragazzo, lo mandava seriamente all’altro mondo. Simone si voltò su un fianco e Manuel si posizionò dietro di lui, cingendogli i fianchi con le mani, le dita piccole gli andarono ad accarezzare i glutei, mentre lo sentiva respirare, la schiena aderiva contro il suo petto.
Senza chiedergli nulla, si spinse dentro di lui, le gambe e i piedi di Simone già si attorcigliavano a quelli del ragazzo, girandosi a baciarlo. Scontrò i denti, più che le labbra all’inizio con un contatto disperato.
Il teppistello ritmò le sue spinte, mentre la gamba restava avviluppata alla morsa di Simone, che in modo totalmente sconnesso soffocava mugolii di piacere.
Manuel però, voleva sentirlo, così la sua mano andò liberamente a posizionarsi sulla lunghezza del suo ragazzo, svelandone l’eccitazione. Le spinte cominciarono a farsi frenetiche e ad alternarsi alla sua mano che si muoveva, costante e decisa.
A quel punto, Simone si lasciò andare, contorcendosi contro la figura del più piccolo, la testa ricadde indietro, mentre Manuel la spostava sulla sua spalla, depositandogli piccoli baci sopra.
Simone andò sgretolandosi piano piano, mentre Manuel lo ricopriva di attenzioni, si muoveva su di lui sapendo esattamente come fare, via via che l’intensità cresceva.
Il più piccolo sentì Simone mormorare contro la sua bocca, ora che gli ficcava una mano dietro i suoi ricci, girava il volo, lo baciava, tra una spinta e l’altra, facendo morire il nome di quello sulle sue labbra appena si staccavano per riprendere aria. E via così, la mascella si muoveva, la mano restava sempre imprigionata sul cuoio capelluto e il corpo era già madido di sudore. Goccioline gli imperlavano già i boccoli sulla fronte. Si sentì come se stesse annaspando in cerca d’aria, ma allo stesso tempo, Simone si liberò del tutto quando Manuel, cominciò a sussurrargli cose all’orecchio.
L’alito caldo gli arrivò dritto come il vapore di un treno in corsa contro il padiglione auricolare. Quell’insieme di lettere e verbi risultarono sconnessi, ma tutte, tutte quante, lo riguardavano.
Il suo nome si posava ad ogni battito, ogni suono emesso dal corpo, ogni scatto sussultorio. Suonarono vorticando dentro la sua testa, fluttuando in mezzo al rumore dei corpi che si intrecciavano in un’unica somma, nella forma più pura che potesse esserci.

Mi fai impazzire, Simò.

Un’altra spinta.

Te voglio sentire, parlami.

Simone sembrò danzare sulla voce bassa e roca di Manuel, che continuava sommerso solo di quelle parole.
La mano si spostò dal suo sesso, al ventre, salendo su per tracciargli la linea dell’addome.

Madonna mia, quanto me sei mancato Simone.

« M-manuel » un suono sommesso, spezzato.

Quando Manuel avvertì Simone arrivare al limite e in effetti, provando quella stessa sensazione calda al ventre che si spostava giù, capì che erano gli ultimi attimi prima di raggiungere il piacere. Venne in parte sulla tovaglia e in parte sul suo stomaco, mentre Manuel uscì fuori da lui e lo accompagnava poco dopo, chiazzandogli la porzione bassa della pelle, all’altezza della schiena.
Respirando a fatica, Simone trovò la forza di girarsi, perdendosi tuttavia quello che aveva detto l’altro. Tra il petto frenetico che saliva e scendeva come un’onda impetuosa, lo guardò nel buio totale.

« Non ho sentito, che hai detto? » mormorò. Il braccio si depositò stanco lungo la spalla, cadente, mentre la mano circondava a coppa il viso di Manuel.

Se non te lo dico adesso, mi maledico da solo.

« Simò, » Simone giurò di vedere una piccola luce attraversargli gli occhi « ho detto che ti amo »

Simone si arrestò totalmente. Avrebbe voluto vederlo meglio in viso, piuttosto che ridursi a un’immagine della sua testa, creata apposta e proprio per questo illusoria. Sentì il tocco di Manuel dei palmi aperti sul petto.

« Anche io, » la voce gli tremò, senza controllo « anche io ti amo » schiacciò il naso contro il suo e chiuse gli occhi.








Si appisolarono giusto qualche ora, stanchi, l’uno accanto all’altro.
Quando Simone però, si svegliò per andare bere, accese la torcia del telefono, troppo nostalgico di guardare l’altro. Si sorprese nel trovarlo aggrovigliato su se stesso, gambe tirate un po’ troppo, il braccio gli copriva metà del viso, piegato e rilassato sopra a quello, il quadro della beatitudine. Gli aveva davvero detto che lo amava. Lui, Simone Balestra, era riuscito a far confessare, a far aprire Manuel.
Certo, erano passati un po’ di mesi, ma non riusciva a capacitarsene. Era passato dal chiamarlo frocio, a non respingere più se stesso, fino a comunicargli i suoi sentimenti.
Simone si distese affianco, pensò che i brividi fossero una chiara prova e che si fosse dimenticato di coprirsi – essendo troppo testardo per ammettere di sentire freddo - si allungò a cercare un’altra tovaglia che aveva portato per comodità o emergenza e gliela mise di sopra, coprendolo a dovere.
Adesso, poteva risultare come il quadro di un bambino grande, dalle sopracciglia folte e la barba appena accennata.
Fece per posizionarsi meglio e soprattutto per non disturbarlo, sentendo appena in lontananza, il rumore del vento, del mare che si accavallava e sprigionava solo tranquillità e pace.
Era quello che più gli piaceva, restarsene lì, in ascolto e in visione, di tutto quello. A un tratto, aprì gli occhi piano, lamentandosi, tastando davanti a sé, cercando qualcosa con il braccio che si allentava.

« Simone, dove sei? »

La pelle uscì fuori dalla coperta improvvisata e lui, gli lasciò un bacio, lì, sul polso.

« Sono qua, sveglio »

« Mmh » bofonchiò, con una smorfia, la mano era posizionata pigramente sul petto di Simone. Manuel venne illuminato dalla luce fredda della torcia, come un faretto puntato addosso « spegni sto coso e vieni qua »

Simone obbedì, avvicinandosi piano e Manuel gli offrì parte della sua tovaglia, avvolgendo entrambi. Gli circondò la schiena subito dopo, mormorando qualcos’altro. Stavolta era l’altro ad essere freddo, la pelle era calata di temperatura.


« Sei gelato » non c’era letteralmente più spazio tra il suo corpo e quello dell’altro « mò te scaldo io per bene »

Salì fino ad avvolgerlo completamente, per quanto possibile, con la sua figura, non facendo più capire dove finivano le sue gambe o quelle di Simone. Il viso era poggiato lungo la sua guancia, i capelli gli finivano all’altezza degli occhi e della fronte. Si inerpicò neanche fosse un animaletto curioso, in modo da distribuire in modo equo più calore possibile. Neanche un contorsionista si sarebbe snodato così bene.

« Lo sai vero, che non c’è bisogno di fare così? » ridacchiò, sentendo la barba che gli solleticava il collo, il mento.

« Va un po’ meglio? »

« Sì, anche se mi sembri un koala » rise ancora.

« Ssh, dovresti ringraziamme, se non fosse per me saresti un ghiacciolo »

« Oh, come farei senza di te, Manuel » replicò facendogli il verso « non sapevo fossi anche una stufa umana »

« E’ una delle mie tante qualità nascoste » sorrise.

« Ma che per caso ve siete fatti il bagno, oggi? » cambiò argomento.

« Sì, perché? »

Simone aveva sentito quel pungente sentore di salsedine anche mentre facevano l’amore, gli era arrivato alle narici, gli si era depositato addosso anche se in minor parte. Preso com’era dal momento, non aveva avuto occasione di puntualizzarlo.

« Sei salato »

Manuel si scostò un attimo allungando la presa sul collo, guardando per bene Simone, come se fosse ubriaco ma senza aver bevuto. Non aveva più tanto sonno e gli venne in mente un’idea. Sicuramente dormivano tutti in tenda e in fondo una bella nuotata non avrebbe fatto male a nessuno dei due.

« Te va de fa un bagno? »

Simone sollevò le sopracciglia, fino all’attaccatura della fronte.

« Se trovassi prima le mutande » soffiò fuori.

« Vabbè chi ha detto che te servono… » il teppistello suonò di un malizioso assurdo, da censura per i minori di diciott’anni.

Oh.
Perché no?
Non lo aveva mai fatto, quale migliore occasione? Simone gli levò un’occhiata rapida, poi si alzò in piedi. Si viveva una volta sola, era la loro età e dovevano viverla.

« Chi arriva ultimo, paga pegno! »

Simone uscì fuori all'aperto, il freddo e la brezza gli entrarono subito nelle ossa, mentre correva sulla sabbia. I piedi presero velocità, fino a quando arrivato alla riva, spostò l'acqua con le gambe. Non appena realizzò di starlo facendo davvero, si tuffò in acqua, immergendosi completamente. L'acqua era freddissima e sopra di sé il cielo era puntellato qua e là, come se fosse l'unico a voler accogliere sprazzi di luce in quel posto. I capelli erano già bagnati e pettinati indietro, il viso di purificava di sale. Non capì che Manuel era arrivato anche lui in acqua, sentì solo la schiuma che provocò la sua entrata.

« Cazzo se è fredda » pronunciò una volta emerso fuori. Simone respirò a pieni polmoni l'aria salmastra, le onde che si infrangevano e le tende ridotte a delle casupole sfocate in lontananza.

« Ho vinto, ti tocca pagare la colazione a tutti, domani » le mani si mossero sopra la superficie liquida, con un sorrisetto imperiale sulle labbra.

Manuel simulò un attacco e cominciò a spruzzargli acqua, all'improvviso. Una smorfia sorpresa apparve sul viso del più alto, neanche fossero due bambini dell'asilo, il teppistello continuava imperterrito « Va bene, stronzetto, l'hai voluto tu! »

Iniziò a schizzarmi sollevando acqua con le mani, alzandosi quel poco, in modo che quella gli lambisse soltanto dai fianchi in giù. Manuel cercò di studiare una tattica ben precisa, convinto di attaccarlo di lato, in modo da colpirlo di sorpresa ed evitare di essre colpito. Simone, però, dall'alto del suo lato da "rugbista" sempre allerta, se ne accorse e si voltò di scatto, con i suoi riflessi pronti. Gli schizzi si sollevavano ancora, la schiuma li circondava, frizzando in acqua e insieme a quelli, cominciarono anche a salire le risate. Era una lotta decisamente imapri, in cui solo uno dei due la avrebbe spuntata. Quando Simone lo afferrò per i fianchi, sollevandolo sulla superficie liquida, Manuel realizzò che non ce la avrebbe mai fatta.

« Okay, okay mi arrendo! » sollevò le mani in segno di difesa.

Simone liberò la presa e si immerse in acqua, mentre la pelle d'oca gli puntellava la pelle. Manuel lo raggiunse, creando una leggera curva nell'acqua. Simone circondò le spalle di Manuel e quello concordò che le sue gambe appartenevano senza dubbi al bacino dell'altro. Un koala bagnato, con le goccioline di sale che gli scendevano sul naso, i capelli completamente ridotti a delle onde piatte umide che ricadevano davanti. Simone catturò qualcuna di quelle, come fossero delle lacrime, con la bocca.

« Bello er tramonto, ma quelle, sono meglio der sole, » Manuel alzò la testa, incantato dalle stelle « non credi? »

Simone annuì, anche se non guardava il cielo come l'altro. Pensò che sicuramente avrebbe tanto voluto rimanere abbracciati in quel modo, per una durata infinita. Se avesse potuto, avrebbe fatto di tutto per lui, ma la vera natura delle cose era che non poteva vietarsi di non fare niente. Gettarsi a mare, a notte fonda, era una delle tante cose, per cominciare.
Guardarlo mentre non lo vedeva, era un'altra. Stare a pensarlo, un'altra ancora. Faceva tutto parte di una vasta compilation di piccole abitudini che ormai erano diventate la sua quotidianità.
Manuel ritornò al suo ragazzo, imbambolato a fissarlo. Aveva pensato il peggio per quasi una settimana e adesso, tutta la sua preoccupazione, la sua paura erano svanite come una bolla di sapone. Era avvinghiato a Simone, in una notte di Maggio e c'era soltanto il rumore del mare a cullarli e nessun'altro. Era quella la sua meritata dose di felicità.

« Quando hai detto quella cosa, prima » Simone parlò a cuore aperto, concedendosi tutto il tempo di osservarlo per bene « non ci ho creduto quasi » Manuel ci pensò un attimo, la confusione passò in un secondo sul suo viso « Forse mi fa ancora strano che sono passati dei mesi e tutto questo è reale »si prese in giro da solo, saldo alle spalle dell'altro.

« In realtà non sapevo quando fosse il momento giusto, però è così. Me so fissato, ormai me devi sopportà » fece scontrare i nasi « Simone, m'hai n'castrato male »


« E chi ti molla a te? »

Si baciarono, il sale era presente ovunque, sulla pelle, sulla bocca. L'acqua si infiltrava di poco in mezzo, come se lo spazio fosse tutto loro. Le lingue si scontrarono, le mani si cercarono di nuovo, tirandosi, toccandosi. Nel momento esatto, in cui Simone gli mordicchiava il labbro, l'altro gli cinse la vita, spingendoselo addosso. La pelle era ridotta tutta un brivido, formata dal freddo che saliva e che gli rendeva le ciglia unite e i respiri corti.

« Manuel » sussurrò.

Quello afferrò all'istante e senza staccargli la mano, si portarono fuori dall'acqua, piano, diversamente da com'erano entrati. Lentamente le gambe si scoprivano, così come le cosce, i glutei. La notte resisteva, mentre qualche sagoma si affacciava al micro accampamento inventato studentesco. Simone aguzzò la vista, superò Manuel, si fiondò nella tenda di scatto, afferrò la tovaglia a terra e avvolse entrambi. Manuel lo guardò in cagnesco, non ebbe il tempo di parlare che il ragazzo lo trascinò dentro.

« Che è successo, t'ha morso qualcosa? » lo prese in giro beffardo, mentre l'altro rivestiva un sorriso imbarazzato.

« Un conto è che ti vedo io, » lo indicò da sotto la stoffa, anche se non credeva veramente di dirlo « e un conto è che lo faccia qualche deficiente dei nostri compagni »

« Hai capito, » Manuel non si lasciò sfuggire l'occasione, lo spinse contro di sè « anche Simone Balestra è geloso, me piace »

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Capitolo 12
*** Di viaggi scozzesi e conoscenze ***


Clo's: ogni tanto ritornano.
La mia testolina partorisce un momento preciso e si butta di getto a scribacchiare.
Ogni tanto ritornano e mancano.
Ritornano prepotentemente mischiando un po' di tutto. Spero di non risultare too much o extra, ma mi piaceva l'idea di un ulteriore conoscenza - che vederete presto qua - e che apra un po' più gli occhi sui momenti di vita che mi piacerebbe vedere e che forse non vedrò mai. Questo, è uno di quelli.
Dante sa di Manuel e Simone, anche Anita lo sa.
Chi manca quindi ?
Non voletemi troppo male se potete.
Questo capitolo avrà una seconda o terza parte (ancora è da decidere), ma intanto questa prima è nata. Vi ringrazio per continuare a leggere ciò che scrivo perchè in parte, mi fa sentire di fare qualcosa di buono con il mio tempo. Per il resto, resto un caso perso, lol.
Buona lettura, keyword del capitolo : Scozia.









Le dita sopra i suoi ricci si muovevano leggere, frugandoci in mezzo, scandendo il giusto ritmo per dare loro il tempo di fermarsi in un punto e riprendere poco dopo. Come se quelle lunghe dita sollevassero la sabbia o toccassero qualcosa di estremamente delicato e prezioso, studiavano ogni movimento.
Manuel si lasciava andare a quelle premure e quelle attenzioni, mentre con l'altra mano guardava perso il cellulare. Simone e Manuel erano a di questo, distesi sul suo letto, con un copriletto decisamente diverso, quel giorno, caricato di un potente blu elettrico acceso, contro le pareti della stanza. Ormai arrivati in un giorno afoso di giugno, le imposte delle finestre erano inevitabilmente aperte, il caldo di Roma soffocava la gente fuori, ma a loro non importava minimamente del clima, a giudicare dalle loro posizioni.
Nel silenzio di una domenica, Simone si era fermato a casa sua, approfittando dell'uscita momentanea di Anita. Manuel sembrava interessato molto a un video sul telefono, poi però, quando quella passò, mise il blocca schermo e buttò il telefono di lato, alzò il viso fino a incontrare la figura di poco più alta di Simone affianco a lui.

« Quindi è tutto vero? » esordì trasognato.

Simone arricciò il naso confuso. La maglia a maniche corte che portava gli si incollava al petto e anche se risultava di un colore spento, gli rendeva giustizia.

« Cosa? »

« Che voliamo in Scozia insieme, Simò »

Simone ebbe un balzo piccolo in petto, ma lo condensò in un piccolo sorriso che non cancellava tuttavia il battito comunque più veloce.

« Mi hai detto di sì, no? » gli stampò un bacio sulla tempia.

Manuel annuì, piano, poi si alzò di poco, per essere alla sua altezza lungo il materasso. Si mise di fianco, mentre il braccio si poggiava, il gomito schiacciava il tessuto sottostante e Simone spostava la mano lungo il suo braccio, stavolta.

« Me dovrai scusà tutte le volte che parlerò, non mastico l'inglese o almeno, » sospirò con una smorfia « a scuola ce provo, me impegno ma quelli sò i risultati »

Simone rise leggero. Conoscendolo, avrebbe attaccato discussione col primo cameriere che non riusciva a capire. Ma in fondo, gli piaceva anche per quello, non aveva filtri e il suo carattere riusciva sempre ad avere la meglio su Manuel.

« Le basi sono chiedere un caffè, ordinarlo e chiedere informazioni. Poi sei apposto, » le dita affusolate si mossero disegnando linee verticali cadenzate, senza fare troppa pressione « e poi ti faccio io da guida, sta tranquillo »

Manuel si abbandonò lungo il cuscino, un lieve accenno si formava sulle pieghe della bocca. Come in uno stato di trance contemplativa, i suoi occhi si chiudevano e le narici si muovevano, riempiendosi e svuotandosi calme di aria.

« Devo ancora dirlo a mia madre, » mormorò « ma penso non ci siano problemi »

« Se ha messo te al mondo Simò, non me preoccuperei più di tanto »

« E perché? »

« Perché senza di lei, mica te conoscevo »

Oh.

La sfacciataggine di Manuel era qualcosa di difficile a cui abituarsi, nonostante fossero passati mesi e nonostante stessero insieme da tutto quel tempo. Era una particella piccola, eppure così di stupore per Simone. Lo era sempre stata: quel non possedere più filtri che si era proprio mostrato in maniera incisiva, inisibita dopo che l'altro si era fatto avanti. Forse Simone non si sarebbe mai davvero abituato, sapeva che quel cambiamento, seppur banale in superficie, aveva preso completamente le trame di ogni sua fibra corporea.

« Non sono preoccupato, sono solo...curioso » scrollò le spalle.

Manuel suonò un po' a bruciapelo adesso, come una macchina sparapetardi, si trovò a masticarsi il labbro inferiore e spingere in avanti il pulsantino.

« Le hai parlato de me quando te ne sei andato quella volta, vero? »

Ahia.

Simone si inumidì le labbra, annuendo velocemente.

« Sì, qualcosa le ho detto... » il tono era consapevole, fermo. « non tutto, ma insomma tra il dirle che ero gay e le varie cose, il tuo nome è venuto fuori. Sarebbe stato strano il contrario. »

Manuel mostrò l'arcata superiore dei denti, che si premeva contro il labbro, annuendo, formulando forse qualche altro pensiero che gli girovagava in testa. Deglutì poco dopo. Simone lo scrutò meglio, non annullò mai il contatto fisico, come se quei piccoli tocchi potessero in qualche modo aiutarlo a scaricarsi. O a scaricare qualsiasi cosa tenesse chiuso dentro.

« Non tutto, tipo? »

« Tipo che non mi corrispondevi, che volevo assolutamente non tornare a Roma perché avevo paura di rivederti. Cose così. »

Manuel disegno ò un 'oh' con la bocca. Simone lo studiò ancora. « Le ho detto di Christian. E che ci siamo lasciati, le ho detto che c'era un'altro, » i suoi occhi si fecero ancora più grandi « ma non le ho detto che eri tu.»

Manuel sembrò elaborare meglio tutte quelle informazioni, facendo mente locale sullo sguardo ipotetico della madre di Simone quando lo avrebbe visto varcare la soglia di casa sua. Cosa avrebbe detto? Come si sarebbe presentato? "Salve ho fatto soffrire suo figlio in passato, ma adesso so che voglio stare con lui". Non suonava proprio bene.


« Almeno so da dove comincio, meglio sapere che no, al contrario di Socrate. Ora sono un po' preparato, è meglio »

Manuel era...teso? Cosa c'era da essere tesi, erano ragazzi, era solo una nuova conoscenza. Importante per carità, ma iniziale.

« Guarda che è solo mia madre, non un plotone d'esecuzione eh » lo schernì giocosamente Simone.

Manuel lo guardò serio però, come se si fosse appena depositato su di lui il peso di tante piccole pietre. Simone si sporse per dargli un bacio lampo. Lo hai detto tu, non c'è da preoccuparsi, è solo una visita e andrà bene, » la mano si spostò sulla spalla stringendola appena, il tessuto dal maglia che formava delle grinze « sono sicuro che le piacerai »

Manuel si lasciò cullare dalla presenza della mano di Simone sul suo viso e inspirò. Si tranquillizzò appena allungò le mani sui suoi fianchi. Amava farlo, sentirlo la pelle del suo ragazzo sotto le sue dita lo faceva sembrare reale. Lo rendeva cosciente di essere davvero in una relazione con lui.

« Speriamo Simò »

Simone lo avvolse di nuovo vicino, i ricci gli solleticavano il collo, e il naso e il mento erano poggiati sulla sua maglietta. Il calore si espandeva velocemente e le dita ritornavano a disegnare linee immaginarie lungo la schiena, toccando ogni tanto il braccio, il polso. Le sue dita si piegavano, le unghia si sentivano appena. Simone aveva un tocco delicato e rassicurante.
Manuel sospirò sonoramente rilassato.

« Anch'io voglio imparà a fa' ste cose » disse all'improvviso.

« Quali cose? »

Manuel toccò lentamente la mano di Simone, che adesso restava ferma a mezz'aria all'altezza del rene del ragazzo. « È tutta una questione di ritmo, » mormorò « non ci vuole granché »

« Come hai detto che se chiamano? »

La tenerezza di Manuel era oltre limite del possibile. Simone roteò gli occhi, cancellando l'immagine appena formatasi di Manuel con in braccio un animale. L'idea era veramente carina, ma sinceramente non avrebbe mai avuto il coraggio di esporla apertamente con Manuel. Lo avrebbe sicuramente deriso fino alla morte.

« Grattini »

« Me sto rilassando un sacco, » riprese, farfugliando sopra la sua maglietta, il respiro caldo arrivò dritto attraverso il tessuto « c'hai le dita magiche Simone »

La risata riempì la stanza, mentre gli depositava un bacio sull'orecchio, non potendosi aggrappare alla sua bocca. Lo avrebbe fatto volentieri, se solo avesse potuto.

« Ti svelo un segreto, se mi tocchi i capelli, e riesci a non torturarli, mi addormento » soffiò quasi con un velo di malinconia « lo faceva sempre mia madre quand'ero piccolo, quando non riuscivo a dormire. Si distendeva con me. Le favole non facevano granché effetto con me, lei, era più brava. »

Il teppistello si voltò a guardarlo, dal basso. Si immaginò un piccolo Simone alle prese con le serate insonni, la testa piccola, le gambe rannicchiate. Forse aveva smesso di dormire bene anche per la perdita di Jacopo. Sospirò, pensando che adesso invece ci sarebbe stato pure lui ad evitargli gli incubi.

« Va bene allora quando vuoi, sono a disposizione Simò. Anche perché nun me sembra giusto a essere solo io quello che riceve i trattamenti speciali » si abbarbicò ancora di più alla vita di Simone, depositandogli un bacio sulla maglia, all'altezza del cuore.

La beatitudine di quel momento durò poco però. Un cellulare squillò, vibrando sul capezzale.
La musica non ebbe il tempo di suonare la sua melodia per molto, poiché Simone ruotò il busto, agganciò la mano sul mobile evitando di fare cadere a terra l'apparecchio e lesse il nome sul display.
Subito, sembrò accendersi una comprensione istantanea, scambiandosi un rapido sguardo con l'altro, prese la chiamata. Simone si portò il cellulare all'orecchio.

« Ehi, mamma, ciao » il sorriso si ampliò sul volto, mentre la voce arrivava un po' più amplificata all'orecchio di Manuel, poggiato ancora su di lui. Sarebbe rimasto lì, se non avesse sentito subito il corpo del suo ragazzo irrigidirsi di colpo. Manuel alzò di scatto la testa, vedendo Simone rabbuiarsi completamente. « Che cosa significa? » lo osservò mangiarsi quasi le parole, sempre mantenendo la presa salda su di lui, si sistemò lungo il materasso.
Cercò di decifrare il viso di Simone, leggendo forse tristezza, ansia, preoccupazione. Forse tutte e tre. Manuel non riusciva a capirlo.
Questa volta socchiudeva gli occhi, le parole che vennero dopo gli uscirono spezzate. « Da quanto lo sai, da quanto? » Simone deglutì, suonando sconvolto. Mentre continuava a non torturarsi, si portava una mano a coprirsi faccia e con l'altra cercò qualcosa a cui reggersi. Manuel rispose subito senza nemmeno fargli perdere tempo. Il ragazzo annuì, evitando di guardarlo però, prese a respirare subito dopo, come se avesse ritrovato l'aria in corpo, i polmoni che si riempivano. Simone si sostenne alla presa dell'altro, come se non avesse più forza per se stesso e la cercasse in Manuel.

« Papà lo sa? »

Il teppistello indagò, pensando a che cosa potesse essere successo anche se la reazione del suo ragazzo era decisiva: era qualcosa di grave. « No, mamma, io ti raggiungo prima, » Simone cercava la stabilità, soprattutto serrando la mascella ora, in una pressa ferrea, ma Manuel sapeva che non era così, aveva già perso la serenità di qualche minuto prima, era lampante. La serenità assaporata pochi istanti prima, leggeri e spensierati da soli, di quando avevano riso con qualche video stupido su internet, dello stare semplicemente nel silenzio.
« Io mi faccio rimborsare il biglietto, lo rifaccio e vengo. No, ascoltami tu! » riprese sua madre al telefono, impostando la voce « Non puoi impedirmelo, riguarda tanto te quanto me. Non puoi stare in quella casa senza nessuno, senza un aiuto e io ho bisogno di vederti ancora di più, adesso. Lo so, lo so ma lo capisci che dovevi comunque farmi sapere qualcosa? Dammi il tempo di organizzarmi, qualche giorno e sono lì... »

Manuel lo guardò ancora, provando in qualche modo a infondergli sicurezza mentre gli spostava la mano a mo’ di corazza che Simone portava ancora davanti alla faccia. Un’espressione tramortita aveva sostituito la calma antecedente e la prima lacrima gli rigava appena la guancia destra, creando un solco preciso.

Cazzo.

« Sì, ti faccio sapere. Tu riposati, hai capito? Ti voglio bene anch'io mamma. »

Appena riagganciò, Manuel non gli chiese niente, anche perché Simone non riuscì più a trattenersi. Tremante il ragazzo serrava gli occhi e la mascella risultava contratta nell'atto di farsi ancora da scudo. Scudo che crollò nel momento in cui Manuel si avvicinò a lui, sfiorandogli la pelle. Il pomo d'adamo si mosse in uno spasmo veloce e Simone non potè più nascondersi.

« Mia madre...le hanno, » era spezzato, il singhiozzo lo accompagnò a coronare le ultime parole « le hanno riscontrato un piccolo tumore, non si sa se benigno o di forma più invasiva »

Manuel lo afferrò e lo strinse subito in un abbraccio, mentre Simone si lasciava andare ad un pianto liberatorio contro la sua spalla. Non disse nulla, solo lo avvolse con tutto ciò che aveva a disposizione, le sue braccia, la sua presenza, il suo silenzio. Non c'era bisogno di dire niente, semplicemente aveva solo bisogno di sfogare ciò che aveva appena saputo.
I singhiozzi di Simone si alternarono a dei sommessi respiri che cercava di recuperare, ma che non erano regolari, perché ogni volta che ci provava, ricascava nella morsa delle parole di sua madre.
Il petto gli pesava come un macigno e risentiva la sua voce. Sembrava tranquilla, o almeno così gli era sembrato. Aveva saputo quella cosa da una settimana, ma per via dei vari impegni di lavoro, aveva dimenticato. Sua madre si era accorta del problema solo dopo aver controllato delle analisi con dei valori che non quadravano.
Era in ritardo di almeno un mese e aveva fissato di corsa l'appuntamento. Lei sembrava tranquilla, ma Simone avrebbe voluto mangiarsi il mondo, le mani, si sarebbe giocato tutto piuttosto che crederci. Sua madre era da sola, a Glasgow.
Per quanto fosse forte, non aveva nessuno se non qualche collega di lavoro a cui parlarne, ma nessun affetto famigliare. Sua madre, l'unica che lo aveva capito quando suo padre si presentava e scompariva a suo piacimento. La donna che c'era sempre stata per lui, stava male e lui era lì, a Roma, con suo padre, coccolato dal suo ragazzo. Si sentiva in colpa, non c'era stato per lei e doveva raggiungerla. Doveva andare da lei, doveva starle vicino.
Il fascio di nervi colpì di nuovo Simone, che riprese a piangere. Manuel non si allontanò nemmeno un attimo, la mano salì e gli accarezzò la nuca, l'altra rimase fissa sulla sua schiena. Il respiro era strozzato e la mano di Simone si aggrappava alla maglia di Manuel, adesso.

« Non ci credo, è surreale... io de-devo partire » sibilò tra i denti, con la voce rotta « entro questa settimana, non ce la faccio a restare qua »

Manuel lo accarezzò ancora, la mano si muoveva come poteva, cercò di muoversi lenta. Chiuse gli occhi, sospirando inutilmente. Si sentì subito impotente, nonostante sentisse Simone respirare meglio, adesso, non sapeva cosa fare.
Il ragazzo si stava calmando, ma le mani non smettevano di tremargli, tantoché la sua presa si era fatta molle intorno a lui e Manuel dovette proprio sorreggerlo per entrambi.                                                                                                                       
La figura di Simone ricadeva senza controllo, sfinita come fattasi inconsistente, trasparente. Cosa poteva fare, effettivamente? Simone doveva raggiungere sua madre. Questo era ovvio, era la priorità assoluta. C'era da rifare tutto, organizzare di nuovo, annullare il volo prenotato, riordinare i pensieri. Questo però significava anche fare partire Simone in solitudine. Forse avrebbe voluto così, ma no non era fattibile, in quello stato, non avrebbe retto durante il viaggio e forse neanche dopo. Manuel sentì che non era giusto.
Vederlo così spezzato - di nuovo - anche se non per colpa sua, ma per un'altra persona a cui teneva tanto, non era discutibile. Non sopportava l'idea però che affrontasse tutto quello da solo, senza nessun sopporto, senza una spalla, senza qualcuno con cui parlare.

« Vengo con te »

Simone si sganciò un attimo, stropicciandosi gli occhi. Quei begli occhi grandi da cerbiatto che amava, erano rossi, stanchi, invecchiati così velocemente. Fino a pochi istanti prima sussurravano calma, spensieratezza. La mano di Simone cadde di nuovo giù, lo sguardo si abbassò. « Guardami » il ragazzo lo guardò combattuto « Non fà storie, non ti faccio partire così. E poi te lo avevo promesso, sarei venuto a prescindere. Me la sbrigo io con mi madre, tu pensa ai biglietti, partiamo quando vuoi, se te la senti anche domani »

Simone aveva una faccia stralunata, come se gli fosse caduto dal cielo un appiglio indistruttibile su cui fare affidamento. Un portafortuna da usare prima di una prova difficile, l'ancora sicura a cui tenersi per non cadere. E dire, che non pensava mai che avrebbe avuto la fortuna di trovare tutto quello in unno come Manuel. Annuì, mentre tirava su col naso, che sentiva bloccato per ovvie ragioni. « Non ti lascio da solo, Simò » lo riprese con sè, strofinandogli i polsi sulle guance ancora bagnate, poi i pollici accarezzarono la pelle umida « ci sono, sono qua. Andremo insieme da lei. »

Non aggiunse nient'altro, non ce n'era proprio bisogno. Bastava quello. Non ci fu bisogno di dire altro perché Manuel era capitato nel momento più inaspettato e in quel momento, lui era lì a raccoglierlo. Simone si ritrovò di nuovo a tirare su col naso, mentre Manuel ritornava a stringerlo forte circondandolo con le sue braccia.






Mentre faceva la valigia, Manuel pensò subito a come aveva lasciato Simone il giorno prima. Uscito da casa aveva avvertito di nuovo il suo stato di impotenza fare capolino. L'unica cosa che era riuscito a fare, era mandargli qualche messaggio, ma si era in ogni caso sentito inutile. Sarebbero partiti due giorni dopo, con un volo dell'ultimo minuto. Stringendo il piccolo maglioncino tra le mani, sospirò forte. Forse non era la persona più giusta per accompagnarlo, però voleva esserci. Era la cosa giusta da fare.
Simone per lui era sempre stato presente, senza che l'altro glielo chiedesse. Gli doveva questo, tante altre cose e in futuro, chissà cos'altro.
I binari di quel percorso di vita li aveva fatti incontrare, le rotaie si erano curvate in modo brusco, ma avevano finito per riagganciarsi dopo un tratto spezzato. Come delle vene che portavano il sangue al cuore, per Manuel vedere il suo ragazzo in quelle condizioni, non era stato piacevole e si era raggelato a sentirlo piangere. Era questo che aveva provato quando lui non lo corrispondeva? Scacciò quel pensiero, sentendosi un retrogusto amaro in bocca. Se avesse potuto, avrebbe fatto tutto il possibile per farlo stare meglio.
Andare in Scozia, era una di quelle.
Sistemò qualche altro paio di jeans, qualche calzino in più, ma soprattutto aggiunse uno strano berretto che aveva trovato tra le varie cose che non metteva più. Non sapeva che tempo avrebbero trovato ad aspettarli a Glasgow, ma era sempre meglio non farsi mancare nulla. Quando aveva parlato a sua madre, Manuel la aveva vista comprensiva, come poche volte in quei tempi. Gli aveva solo risposto 'vai, ha bisogno di te'.
Era così, per la prima volta qualcuno aveva bisogno di lui, per davvero.
Manuel sorrise un poco, mentre adocchiava lo schermo del telefono: il blocca schermo era una foto di Simone di profilo, in bianco e nero. La aveva scattata poco tempo prima, la mattina dopo quel falò in spiaggia, seduti in un piccolo bar del centro. Non era molto chiara, un po' sfocata, ma il ragazzo sorrideva, come se qualcuno gli avesse appena raccontato una cosa divertente. Il pollice si mosse sopra, lasciando la sua impronta sullo schermo.



 
- - -




L'odore di plastica gli arrivò alle narici, le sedie erano tremendamente scomode e le gambe ticchettavano nervose. Manuel non si ricordava l'ultima volta che aveva davvero viaggiato, forse era davvero troppo piccolo per ricordare o forse non aveva mai davvero preso un aereo per allontanarsi da Roma. Mentre la voce robotica del conducente, annunciava le norme di sicurezza e le prime hostess si affacciavano lungo l'intera ala centrale a controllare che tutti avessero allacciato le cinture.
La schiena gli si irrigidì contro lo schienale appiccicoso, colore giallo spento, le mani erano giunte, in grembo e sembravano volersi sfidare a vicenda.

« Tutto bene? »

Simone attirò la sua attenzione e annuì distratto.

« Mh, sì, non ho mai preso un aereo » la voce era pregna di tensione, come se qualcosa gli stesse attanagliando la gola.

« Davvero? » suonò incredulo.

Guardò Manuel fingere un'aria tranquilla, con in sottofondo il rumore del motore e delle ventole dell'aereo in azione. In quel momento, con la coda dell’occhio notò una delle due mani poggiarsi sul ginocchio, strizzò la pelle sotto i jeans scoloriti, accartocciando il tessuto. Subito, Simone la raggiunse, e nella sua. Il tutto fu scandito anche da uno sguardo premuroso e aperto.

« So' stupido, lo so, ma penso a sto coso, se ce schiantiamo o se casca giù Simò » Manuel deglutì agitato, vedendo tutti gli altri passeggeri che si rilassavano, chi si indossava le cuffie.

« Respira » gli rispose. L’altro lo seguì, poco dopo, inalando e buttando aria. Manuel annuì, anche se non proprio convinto completamente « Non pensare dove siamo, pensa invece a una cosa bella, quella che ti viene per prima in mente »

« Ce provo, okay, ce sto provando »

Manuel continuò così per qualche altro minuto con quell'esercizio, mentre l'altro gli ripeteva di concentrarsi su altro come se recitasse un mantra. Il ragazzo affianco gli stringeva ancora la presa, senza smettere di guardarlo per infondergli coraggio.
Il motore dell'aereo si fece sempre più presente, avvertì che correva lungo la pista, sempre più veloce.
Le ruote sbattevano contro la strada, provocando un rumore sordo che gli scuoteva il petto. « Simò dio mio, ma che cazzo ma lo senti? » sbottò di colpo. Avvertì lo sguardo di un signore seduto nei posti di fronte che lo guardava interrogativo. Manuel avrebbe tanto voluto fargli il gesto medio, come a suggerirgli di farsi i cavoli suoi.

« Una cosa bella, Manuel. Concentrati solo su quella. » ripetè calmo Simone.

Manuel allora seguì il consiglio, chiuse gli occhi, frugò dentro la sua testa. Una cosa bella, una cosa bella. Poi, affiorò da sé.
Le immagini che gli si disegnarono in testa, erano delle più semplici, ma proprio per questo furono efficaci: lui che aggiustava una moto in officina e si sporcava le mani di olio. Sua madre che lo abbracciava. Poi lo sfondo si colorò di verde, un campo in primo piano. Non capiva che stagione fosse, il sole lo investiva. Su quel campo non era da solo. Una figura riccia in controluce avanzava, gli tendeva con il palmo aperto della mano. Nell'altra un casco. Lui lo afferrava, poi, saliva in sella. Gli occhi venivano colpiti dalla luce, famigliari come sempre.
Manuel respirò a pieni polmoni, mentre stranamente le sue orecchie si erano chiuse per la pressione.
Deglutì, la tensione si sciolse e aprì gli occhi. Il suo viso si voltò per guardare fuori dal finestrino, trasformando la sua età da due a una cifra soltanto.
Il piccolo oblò presentava tanti cumuli di nubi soffici come batuffoli, ognuno di dimensione diversa.
Quelli venivano a poco a poco superati e aperti dal mezzo che fendeva il cielo a velocità sostenuta, ma quanto bastava per passarci attraverso. L'azzurro del cielo sembrava dare vita a quegli spruzzi di bianco vaporoso che si dissolvevano al passaggio dell'aereo.

« Ma che siamo già decollati? » strabuzzò gli occhi, fissando tutto quello davanti al suo naso dalla finestrella ovale.

« Hai visto? »

L'altro si girò, vedendosi Simone farsi più vicino, che gli rubava un bacio. Avvertì che Manuel ora era meno rigido, la presa si era fatta meno forte, ma resisteva comunque. Adesso i nervi si erano assopiti e il ragazzo sembrava aver ripristinato quell'aria tranquilla, da sbruffone che sfoggiava sempre come se si lasciasse scorrere il mondo addosso. Anzi, sembrava farsi eccitata ora che Simone lo osservava meglio.

« Non ce credo, » mormorò, il solito sorriso sghembo « siamo davvero su, stiamo volando! Simone, stamo su in cielo! »

« Uno dei tanti miracoli della tecnologia, sì » se la rideva l'altro.

« Che figata! Siamo altissimi, manco i supereroi aò » continuò, con l'entusiasmo di un bambino.

Il signore di prima alzò gli occhi, sospirando con fare annoiato. Manuel se ne accorse. Simone gli girò il viso, premuroso, come a evitargli di scatenare una rissa lì, in mezzo a tutti.

« Me lo potevi dire che avevi paura degli aerei »

« Non era importante e poi se te lo dicevo, manco me avresti fatto venire » ribatté.

« Non è vero, perché sono stato io a chiedertelo, ti ricordo »

« Con te avrei preso pure un treno merci, se fosse stato necessario Simone, » i suoi occhietti erano sinceri e le labbra si posavano sulle nocche intrecciate « questo era il minimo che potessi fà »

Poi Manuel gli strizzò subito le guance in un gesto euforico, portando le sue labbra su quelle del suo ragazzo. Quello arricciò il naso come fosse infastidito, corrugò appena la fronte. Trovò quegli occhi grandi e profondi a guardarlo e a Manuel bastarono per calmarsi del tutto.

« Non è poco. Non te l'ho ancora detto, perché mi sembrava di ripetermi ma... Manuel, grazie » la voce sembrò quasi sfumare di nuovo in uno stato di tristezza, ricadente nel vuoto di giorni prima « Sembra banale, ma grazie. È davvero importante che tu ci sia, al di là di ogni cosa... »

Si rivide riflesso in quelle pozze castane grandi, che tanto gli piacevano e che adesso sembravano riempirsi di acqua. Manuel schiacciò i loro nasi, la mano ritornava forte con la sua presa, come fosse l'appiglio più saldo che ci fosse.

« Non me devi ringraziare, non te ce mannavo da solo, neanche se me supplicavi in ginocchio. Andrà tutto bene, Simone. » notò come l'altro si tirava un poco su, la mano di Simone era sempre lì, nella sua. Il teppistello poi spinse l'argomento oltre, come a suggerirgli altro a cui pensare « E poi me devi fà conoscere la città, ricordi? »

« Giusto » annuì sorridendo.

« Quando me ricapita de avecce una guida così poi? »

Simone si strinse nelle spalle.

« Sei stato fortunato, » gli lanciò uno sguardo furbo, facendo l'occhiolino « di solito c'è la fila per prendere appuntamento »

Manuel schioccò la lingua, adocchiando un po' i passeggeri intorno. Nessuno questa volta sembrava prestare loro attenzione.

« 'Ammazza, allora ho trovato la pentola d'oro in fondo all'arcobaleno, me sa »

Simone scoppiò a ridere. La testa riccioluta e scura oscillò, mentre l'altro lo seguiva a ruota, chiedendosi però perché.

« Peccato che stiamo andando in Scozia, non in Irlanda » lo corresse.

« E stai zitto, cretino, viè qua »

Lo baciò, godendosi la testa che fluttuava. Fluttuava leggera mentre si scambiavano il calore, le lingue si incontravano, i visi aderivano, fluttuava in quel piccolo spazio dedicato solo a loro, sopra le loro figure, sopra il cielo.






- - -








La città si stagliava davanti ai loro occhi, una volta arrivati a Glasgow.
Il clima era più freddo di Roma, ma non esageratamente freddo. Manuel aveva uscito il berretto dalla borsa a tracolla, prestatagli da Anita, per necessità e lo aveva messo appena scesi in aereoporto.
Manuel aveva visto dall'alto, una terra grande, cucita con lembi di verde, blu e marrone, con strade e quelle che sembravano delle vere e proprie brughiere. Atterrati e preso il primo bus, Simone davanti che sembrava una di quelle guide a cui ti rivolgevi per avere un itinerario di viaggio organizzato per bene, si intravedevano le prime architetture e il lato urbano. Svettavano già i primi edifici gotici alti e appuntiti, le chiese col loro grigio e bruno, il verde copriva lo spazio costellato di cipressi, betulle, siepi, alberi di ogni genere, sparsi qua e la. Simone gli indicò con il dito la Cattedrale, appena la passarono, o come si chiamava, George Square con il municipio e con una statua al centro della piazza dedicata a Re Giorgio.
Il mezzo poi oltrepassò il fiume, - l'andamento liscio come l'olio - dove si trovava uno dei tanti musei d'arte della città.
Era rinomata a quanto pare, non solo per la sua birra, ma anche per gli studi universitari, la storia e le tante opere d'arte, letterarie. Passarono davanti ad altri edifici, alcuni un po' più moderni di altri, qualche pub, qualche negozio, addirittura un piccolo commerciante di lana. Il percorso si interruppe fino ad arrivare in una zona aperta, in cui il cartello della fermata del bus era piazzato in mezzo a un piccolo piazzale curato, con una panchina tinta di arancione e una caffetteria a pochi metri.
L'insegna era spenta, ma le lettere a caratteri più grandi del normale, non erano in inglese, almeno così sembrò al più piccolo. Scesi dal bus, valigie alla mano, Simone e Manuel proseguirono dritti girando l'angolo.
Un gruppo di ragazzini lì vicino, gli passò accanto sfrecciando in bicicletta.
Simone si sentì un po' tremare all'idea di vedere sua madre, era felice, certo, ma anche nervoso per come la avrebbe trovata. Lui e Manuel fecero un breve tratto di strada a piedi, fino a inserirsi in un sobborgo di case l'una di fila all'altra. Disposte a schiera, sembravano tutte uguali, di mattoni grigi o sul beige, sul rosso o sul bianco, ognuna con un breve pezzo di terra e verde che faceva da cortile esterno.
Manuel le avrebbe confuse, se non fosse stato per alcune, che prevedevano anche dei balconcini in ferro battuto o più moderni, o dalle finestre con stili diversi. In ogni caso, Simone si diresse verso uno di quei tanti appartamenti e suonò il citofono. Manuel osservò l'appartamento: circa sei piani. Il volto restò incantato a guardare su un bel po'. Al citofono rispose una voce gentile e pacata.

« Mamma, sono Simone, apri »

Il portone si aprì e i due ragazzi si avviarono su per le scale. Non c'era ascensore, quindi dovettero fare almeno tre rampe a piedi. Uno dei due notò che l'altro faceva fatica. Prese la valigia di Manuel con l'altra mano, lo zaino sulle spalle e lo sentì subito lamentarsi.

« Simone, dai su, damme quella valigia che pesa un botto! »

« Ce la faccio tranquillo, e poi siamo quasi arrivati » fu sbrigativo.

Manuel roteò gli occhi e alzò le mani al cielo. La scalinata fu faticosa, almeno fino a quando non arrivarono gli ultimi scalini.

« Ma tra voi inquilini ve conoscete tutti qua? »

« Con alcuni sì, gli altri sono quasi sempre via per lavoro o hanno una casa fuori città dove passano l'estate con la famiglia »

Finiti anche quei centimetri di scale, si trovarono davanti la porta di casa, che però era ancora chiusa. Simone premette il piccolo campanello a lato con l'indice, sfiatando un poco per lo sforzo. Le mani gli formicolavano sopra la valigia, ansiose. Cercò di chiudere la bocca, per evitare di farsi sentire dall'altro che avrebbe potuto rinfacciargli il trasporto anche del suo bagaglio fino a pochi minuti fa.
Quando la porta si aprì, la donna si affacciò. Era alta, i capelli biondi erano legati in una coda bassa, un cardigan blu le lambiva le spalle e le arrivava fino ai fianchi, alle gambe portava dei pantaloni da tuta aderenti.
Simone si buttò tra le sue braccia, lo zaino crollò a terra come un sacco privo di importanza, la salutò così, senza nemmeno dirle 'ciao'.

« Tesoro mio, » mormorò contro la sua spalla « non ti aspettavo così presto »

« Mi sei mancata un sacco » sussurrò piano.

Sua madre gli accarezzò la testa, poi gli baciò la fronte. Un sorriso confortante le si dipinse in viso, addolcendo anche quello stato di stanchezza visibile, che portava addosso.

« Anche tu, amore. Ma hai dormito? Sembri stanco...devo avvertire tuo padre » fece per tastarsi il cardigan e uscire fuori il telefono, ma suo figlio la fermò, incontrando il polso di sua madre.

« Gli ho scritto appena siamo atterrati, non preoccuparti » la tranquillizzò.

Quando Simone si staccò dall'abbraccio, solo allora, sua madre si accorse della presenza di Manuel dietro di lui. Simone si morse il palato e si spostò di lato, non ci fu nemmeno bisogno di tergiversare troppo. Lo sguardo di sua madre si incuriosì subito sulla figura dell'altro ragazzo, mentre suo figlio parlava. Il ragazzo se ne stava in piedi, dondolando un po' con le gambe, una borsa a tracolla sulla spalla.

« Mamma lui è Manuel, » si illuminò un poco, felice di poterlo finalmente dire « lui è uhm, il mio ragazzo »

Manuel si ritrovò ad allungare la mano alla donna, un sorriso imbarazzato gli incorniciava il viso non più tanto furbo. Si sentiva le mani sudate o forse era solo una sua impressione. Come quelle che ti crei quando devi socializzare con qualcuno di nuovo e devi essere tu il primo a intavolare un discorso.

« Piacere di conoscerla »

La donna annuì, guardandolo per bene, il sorriso si apriva un po' di più, dopo un attimo di stupore iniziale. Il ragazzo portava dei jeans stinti, un dolcevita rosso vino, un giubbotto usurato ma pulito e un berretto a coprirgli quelli che dovevano essere ricci, ma risultavano più delle onde intricate, sparpagliate e sformate sotto quello.

« Mi fa piacere conoscerti, Manuel. Ti prego, chiamami Floriana, » sospirò, Manuel notò i suoi occhi ve de nocciola, grandi come quella foto che ricordava Simone gli aveva mostrato « non farmi sentire una vecchia, per favore » ridacchiò.

Manuel sembrò sciogliersi un po' di più, lì impalato sull'uscio della porta. Floriana si mise dietro la porta, - l'aspetto di una gentilezza e disponibilità complete - aprì le mani indicando dentro. Il cardigan si allargò mostrando la sua figura longilinea e snella. Non sembrava avere l'aria di una donna dalla puzza sotto il naso, ne tanto meno che ti avrebbe rifilato del veleno. Il suo aspetto trasmetteva solo cose positive, era dolce, gentile. Più la guardava, più Manuel ci vedeva qualcosa di famigliare, anche se non sapeva bene spiegarsi il perchè. Forse era quell'aria quotidiana o forse la vide molto simile a Simone anche solo nei primi gesti.

« Non statevene qui, entriamo su »



 
- - -





Appena sistemarono le loro cose nella camera di Simone, Floriana offrì loro un caffè, dei biscotti, del succo, portando tutto in tavola. Anche se ovviamente, più che bere, suo figlio si limitava a osservarla apprensivo e attento. Sua madre risultava stanca più del solito, gli occhi erano sempre cordiali, ma c'era qualcosa che stonava. L'idea che si era fatto era di trovarla smagrita, o anche solo spossata. Floriana invece era nella sua solita veste di mamma, diplomatica, anche se le sue borse sotto gli occhi dicevano che non dormiva bene da giorni. Si sedettero attorno al tavolo della cucina, spaziosa e molto moderna, sullo stile minimale. Manuel si guardò attorno: quel posto sembrava uscito fuori da una rivista di complementi d'arredo ricercati. Le sedie del tavolo erano nere, essenziali, la cucina un misto di bianco e legno chiaro, una piccola isola si stagliava in mezzo allo spazio, con sopra un vaso dalla forma più strana che avesse mai visto. Le tendine della finestra che dava sul piccolo balconcino, erano di un blu intenso.

« Com'è stato il volo? » chiese, con le mani sulla tazza fumante, prima di portarsela alle labbra.

« Normale, niente di che » fu secco. Simone sentiva un misto di amarezza dentro, anche essendo lì in quel momento, non sapeva quando l'argomento sarebbe venuto fuori.

« E tu Manuel, » Floriana bevve un rapido sorso « è la prima volta che vieni a Glasgow? »

Manuel sembrò scottarsi appena col caffè, poi posò la tazzina, che fece un rumore evidente.

« Non sono mai uscito da Roma, in verità, » suonò abbastanza tranquillo « diciamo che è il mio primo viaggio in trasferta. Anche il mio primo volo oltremare » si grattò il capo.

Floriana annuì, notando come quel ragazzo aveva qualcosa di speciale, non sapendo però subito afferrare cosa.

« Simone aveva quattro anni quando ha preso il suo primo aereo, » il fumo dalla tazza salì su, fino a circondare la donna di una cornice di vapore « era emozionato e non la smetteva di parlare »

Manuel guardò l'altro, che ora si era fatto piccolo piccolo contro la sedia. Il ragazzo sorrise intenerito, perché Simone era ovviamente in imbarazzo.

« Non c'ho avuto mai la possibilità di viaggiare, da piccolo ricordo le passeggiate ai fori romani, sui sampietrini, er gelato che si scioglieva per strada. Però lo avevo promesso a Simone, » si mangiò il labbro inferiore « quindi ho preso la palla al balzo e mi sono detto perché no? »

Floriana inclinò la testa, con la coda dell'occhio osservò bene l'espressione di Manuel, gli occhi gli erano ritornati immediatamente su suo figlio, mentre parlava. Suo figlio dal suo canto, ricambiò lo sguardo del ragazzo per un attimo, ma fu quello a bastare a Floriana per cominciare a capire. « C'avevo un po' paura, però è andato tutto bene »

« Ci sono tanti bei posti fuori dalla capitale, » riprese Floriana « stare sempre fermi in un posto va bene, ma il mondo è grande. Avrai tutto il tempo per girarlo »

In tutto quello, Simone ticchettava con le nocche sulla superficie di vetro sotto di lui. Non si dava pace, perché sapeva che il discorso era solo un modo per sviare il perché del viaggio.

« Sì, beh me piacerebbe vedere altro. A Roma ce so nato e cresciuto, ma più di lì, non sono mai andato. Una volta preso il diploma, chissà... » deglutì.

« Avete ancora un anno pieno, c'è tutto il tempo per pensare a cosa fare dopo »

Manuel annuì, visibilmente sollevato che Floriana non volesse indagare oltre sul suo passato.

« Va bene, non giriamoci più attorno, » Simone interruppe l'amichevole conversazione, catapultando i suoi occhi ansiosi su sua madre « hai fissato l'appuntamento col dottore? »

« Tesoro, sì, » Floriana usò un tono pacato e dolce « ma ci vogliono ancora tre giorni, » la tazza sembrò di colpo alleggerirsi sua presa « e nel frattempo non voglio che si citi più di tanto alla cosa, sto bene. Simone, sarà un controllo di routine più rinforzato. Ho paura? Sì, certo, » disse senza filtri, massaggiandosi le tempie « è normale che ce l'abbia. Ma non devi fartene carico in questo modo. Sei qua ora, » Floriana si girò a guardare Manuel « avete fatto tutta questa strada e non voglio che la vostra presenza sia un peso o venga avvertito come tale. Non lo merito né io, né voi. »

« Mi preoccupo per te, com'è giusto che sia »

« Lo so, Simone, ma io sto bene. Mi vedi? »

Floriana mimò se stessa con la mano che si slegava dal manico della tazza. Suo figlio sospirò, ancora un po' corrucciato.

« Almeno ti sei fatta dare dei giorni di pausa dal lavoro? » Simone suonò disperato, bevendo finalmente il caffè che aveva tra le mani tutto d'un fiato.

Floriana gli afferrò la mano, stringendogliela. Simone la guardò subito. Era il tipico gesto, sua madre gli si avvicinava per confortarlo e usava il contatto fisico, non riuscendo a spiegare a voce. Era da lei che aveva imparato quella cosa, che molte volte è meglio un abbraccio, un bacio. A volte, un piccolo gesto, rendeva più di tante altre parole.

« Sì, ma sappi che non me ne starò qui in casa, a maciullarmi nell'attesa, senza fare niente fino a giovedì, » lo incalzò lei sicura e in possesso dell'argomento « voglio vedermi con una mia collega e poi devo anche andare a fare la spesa »

« La aiutamo noi, non c'è problema » Floriana si voltò a guardare Manuel, l'espressione amorevole in volto. « A fà la spesa, voglio dì »

Simone lo guardò in risposta, poi ritornando a sua madre. Floriana osservò attentamente il ragazzo, poi si lasciò andare a un accenno di approvazione.

« Non mi farebbe male un aiuto, dovrei andare nel pomeriggio, ma forse siete troppo stanchi per via del viaggio » si massaggiò il petto.

« Ma che, non è nulla, non si preoccupi, ormai io faccio stanco de secondo nome » Manuel sembrò prendere possesso della conversazione, lasciando Simone ammutolito, ma sorpreso positivamente.

« Va bene allora, » sospirò Floriana, finendo il contenuto della sua tazza, che conteneva una tisana, al posto del caffè « ma ti prego dammi del tu, Manuel, ho appena passato la soglia dei quaranta, non sono ancora da buttare, c'è ancora del tempo prima che accada. » scherzò ridendoci sopra.

Anche Manuel stava ridendo e Simone osservò la complicità tra i due, come se fosse la cosa più spontanea e naturale che esistesse.

« D'accordo, » alzò le mani in segno di resa « Ti aiutiamo noi Floriana, vero Simò? »

Simone annuì, ritrovandosi Manuel completamente avvolto dalla luce di casa, il berretto gli aveva scombinato ancora di più i capelli e sembrava più giovane del solito, in quella veste allegra, domestica.





La sera stessa, Floriana Simone e Manuel si sedettero a cenare insieme.
Manuel aveva insistito per portare più buste della spesa, facendo inevitabilmente a gara col suo ragazzo, il quale sembrò offendersi un po'. Caricarono tutto a casa, mentre Simone confermava a sua madre che avrebbe cucinato lui.
Non si lasciò impietosire dallo sguardo di Floriana, che, invitata da Manuel, rifiutava di farsi scoraggiare in quella richiesta. Continuava a ripete che erano “ospiti” in casa sua, ma suo figlio prendeva tutti gli ingredienti dal frigo e li aveva già depositati sul banco da cucina. Alla fine, Simone, testardo com'era, l'aveva avuta vinta.
La luce fredda del lampadario piombava sopra le loro teste, ma l'atmosfera era tutt'altro che glaciale. In mezzo a un tipico piatto di pasta cacio e pepe, cucinato con dedizione e alla lettera, Floriana stava raccontando qualche aneddoto d'infanzia su Simone, riscuotendo in quest'ultimo la voglia di cambiare il prima possibile argomento.

« E sai cosa gli piaceva? Gli piaceva scorrazzare per casa, aveva questa strana fissa che doveva salvare tutti, anche solo con una coperta portata sulle spalle »

Manuel era attento, lo sguardo completamente perso nei ricordi di un Simone che non aveva opportunità o modo di conoscere.

« Mamma, dai, sicuramente a Manuel non interesserà sapere di questo » Simone fermò la forchetta con un rotolo di pasta già aggrovigliato, dentro il piatto.

« No, no me interessa, » ribatté Manuel « eccome se me interessa »

Sì beccò un’occhiata torva e truce da Simone, che per risposta decise seriamente di simulare una sordità breve.

« Era incredibile, » Floriana versò la birra restante nel bicchiere di Manuel « era molto arguto, qualsiasi cosa pensava o faceva, io e suo padre ci stupivamo. Era sveglio, un po’ prematuro per la sua tenera età, ma chi decide cos'è giusto o no in un figlio? »

Simone soppesò il tono di sua madre, che sembrava sul punto di incrinarsi in una specie di pianto commosso. Le fermò il polso, con la mano dolcemente, gli occhi grandi erano pieni di affetto « Ho sempre saputo che Simone era un bambino stupendo e ho avuto ragione, » concluse « su tutta la linea »

« Mia madre ha sempre detto de me che ero una piccola carogna, immagino che la mela non cada lontana dall'albero » rise amaro, aggiustandosi un riccio cadente sulla fronte.

« Ma smettila! » Simone gli diede una gomitata, in tono offeso « tu e papà mi avete sempre visto come l'angelo di casa, avete sempre avuto una visione distorta di me » ribadì verso sua madre.

« Ma distorta de che, Simone è la perfetta descrizione di come sei, non c'hai un difetto manco a trovarlo! »

Floriana li ascoltava divertita, godendosi lo spettacolo davanti ai suoi occhi.

« Ma se tre sere fa hai detto che russo, » gli fece notare riprendendolo, la smorfia che si formava sulla bocca « questo è già un difetto. Ergo, sono umano. »

« Se, vabbè, cogito ergo sum, buttiamola sul classico. E poi so dettagli, qua se parla de carattere Simone »

« E tutte le volte che mi hai ribadito quanto pensassi troppo alle cose? Manuel di che parliamo, quello non ce lo metti come difetto? » gli puntò i rebbi della forchetta contro.

Manuel alzò la mano in alto, la forchetta si levò verticale contro il soffitto, come se fosse stato accusato di qualche reato grave a lui sconosciuto.

« Simò è una fissa che c'hai, sì, ma è più un sinonimo de intelligenza, anche se me da fastidio lo devo ammettere »

Quello scambio di battute sembrò riportare alla mente ricordi che pensava aver rimosso, di quando anche lei era così giovane, piena di energia, testarda a imporsi. La sintonia tra quei due sembrava far scoppiettare la stanza di energia.

« Vabbè, ma in ogni caso è comunque una visione idilliaca, il periodo di chiusura lo abbiamo avuto tutti, per fino io. »

« Questo è vero, ma solo perché è l'età della pubertà che crea tutti quei sentimenti contrastanti, le prime cotte, i cambiamenti- »

« No, mamma anche tu con la psicanalisi no, già mi basta papà a casa, risparmiami » la supplicò.

Floriana cominciò a ridere, mentre Manuel ormai partito in quarta, voleva continuare a saperne di più di Simone.
« E la matematica? » chiese, senza troppo disincanto « Credimi io non c'ho mai capito niente di tutta quella roba, proprio zero. Una vita a perdece tempo per me, ma Simone è una specie di genio » gesticolò con le mani, portandosi poi l'ultima forchettata di pasta alla bocca. « Me fa quasi paura a volte »

« Vedi? Ecco trovato un altro difetto »

Manuel roteò gli occhi al cielo, rivolgendogli solo un sorriso esausto di resa.

« È sempre stato un genietto quindi? » chiese di nuovo a Floriana.

In tutto quello Simone si sentiva pizzicare le guance: l'intera discussione stava ricadendo ancora su di lui. Non sapeva che cosa avesse mai fatto per meritarsi tutte quelle attenzioni. Non era abituato. Poteva anche essere il primo della classe, ma quando si parlava troppo di lui gli fischiavano le orecchie.

« La matematica, quella gli è sempre piaciuta, almeno che io ricordi, » Floriana si illuminò « le maestre erano sempre in prima linea a complimentarsi con me e Dante, tranne che qualche compagno di classe, ovvio »

Manuel si voltò verso il diretto interessato. Simone invece scrollò le spalle, bevendo dal suo bicchiere tranquillo.

« Le solite cose, le prese in giro, qualche ripicca, le gelosie, cose così » fu vago.

« Ti prendevano in giro? »

Simone annuì, indicando il grande contenitore al centro della tavola. Afferrò il mestolo e con un gesto agile guardò Floriana.

« Mamma, dai su, non hai mangiato quasi niente, facciamo che questa te la finisci » e prendendo una porzione generosa, la servì nel piatto di Floriana.

« Accetto solo perché non so quando cucinerai per me di nuovo, anche se sono sazia » mormorò, strizzandogli la spalla « Comunque sì, i bulletti ci sono sempre nelle scuole, anche qua il fenomeno è molto diffuso » alzò gli occhi su Manuel che adesso però sembrava essersi d'un tratto disconnesso dalla conversazione.
Serrò gli occhi, e come se fosse lontano, cominciò a giocare nervosamente con il tessuto del suo dolcevita, il volto si indurì. Simone si accorse troppo tardi del silenzio che era calato e cercò di colmarlo.

« Bene, sì, visto che hai quasi narrato tutta la mia vita - vicende imbarazzanti a parte - al mio ragazzo, che ne dici se appena finisci ti vai a riposare un po'? » disse Simone vedendo sua madre ancora confusa per la reazione dell'altro ragazzo, la forchetta a mezz'aria in stato interrogativo « qua ci pensiamo noi »

Floriana sospirò, finendo il suo ultimo bis di pasta, mentre cercava di fare mente locale sul perché quel ragazzo - a suo modo speciale - si fosse ammutolito subito.
Simone invece, si limitò a scoccargli un bacio sulla fronte, prendendo i piatti da lavare e avvicinandosi al lavandino.
Manuel si alzò con fare frastornato, con la consapevolezza adesso, che Simone aveva già subito degli atti di ripicca in passato e che lui aveva solo contornato il tutto in mesi e mesi precedenti. Forse era un po' troppo, però si sentiva comunque un piccolo nodo in gola che non riusciva a scacciare. Si immaginò un bambino di sette anni e altri a circondarlo che ridevano ingiustamente di lui.

« Che c'hai? » sussurrò.

Manuel fece cenno di no con la testa.

« Niente Simò, tutto apposto »

« Sicuro? » il sapone della saponetta gli scivolò tra le mani, mentre apriva con il gomito il rubinetto per fare uscire l'acqua.

« Si, » fu secco « le tovaglie per asciugare i piatti dove stanno? »

« Secondo cassetto a destra, davanti a te »

Manuel lo aprì e ne tirò fuori una dai bordi azzurri, con uno strano motivo decorativo a scacchi sopra. Non si aspettava però, di ritrovarsi Simone che si sporgeva per premergli il dito insaponato sul naso e abbozzando un sorriso, gli stampava un bacio sulla guancia. Simone rise di gusto. Quella piccola attenzione, lo fece sentire un po' meglio.




 
- - -





La stanza di Simone era ampia, vantava di un letto al centro della stanza, un lungo tappeto laterale ed i colori che erano risultati vivaci nel primo pomeriggio, ora assumevano le tonalità calde per via della luce del grande capezzale sparato in quel grande spazio. Al contrario della stanza che aveva a Roma, Simone aveva pochissime foto, il colore esplodeva e compensava la mancanza di tanti oggetti, con una degna e vasta collezione di cd sullo scaffale a parete.

« Come ti è sembrata mia madre? »

Simone si tirò nervoso gli elastici della felpa che portava come parte superiore del pigiama, attorno alle dita lunghe. Manuel, si sistemava meglio il cuscino e rimboccò la coperta dal suo lato. Avrebbero dormito insieme, anche se ormai quella non era nemmeno tanto una novità. Piuttosto, dormivano insieme lontano da casa.
Si infilò a letto, sentendo i piedi che entravano in contatto con il lenzuolo freddo.

« È simpatica, Simò. Non so perché continuavo a farmi paranoie, è bello parlacce, sembra la versione più soft de tuo padre. »

Manuel aveva in voce tutta questa sincerità contagiosa, parlando a cuore aperto quella sera.

« Mi fa piacere, ma intendevo dire, » Simone si inumidì le labbra torturandosi « fisicamente, dici che sta bene? »
Manuel sospirò, mettendosi seduto, la schiena premeva sulla federa del cuscino, i occhi puntavano dritti sul ragazzo intento a fissare i due lacci della felpa.

« Simone » lo richiamò. Quello alzò la sua attenzione su Manuel. L'espressione ridotta solo a comprensione e cura, questa volta da parte dell'altro. « È una donna forte e se sta male non lo da a vedere. Ma so’ sicuro, » continuò, il calore si sposava con il suo tono di voce « sicurissimo, che andrà tutto bene. È testarda e sa che non può mollare. Non sembra, ma te lo ripeto, v'assomigliate molto »

Simone annuì, quelle parole lo confortarono solo in parte, perché la sua preoccupazione restava palpabile, come se ormai si fosse presa abbondante spazio nella sua testa.

« Vorrei solo che tutto questo non stesse succedendo a lei, non lo merita » deglutì, di nuovo gli occhi bassi.

« Non ce fasciamo la testa prima de rompercela, » cercò di infondergli fiducia, non sapeva nemmeno come, ma Manuel ci provò « dobbiamo pensare positivo »

« Voglio esserlo. Lo voglio, per lei, » si sbottonò completamente « voglio essere forte per tutti e due. Non so come faccia, ma è veramente una roccia » le parole sembrarono lontane, come se Simone stesse pensando ad alta voce e fosse da solo in camera.
Manuel non sapeva esattamente come prenderlo, lì, afflitto e naufragante nei suoi pensieri tristi. Poi però, afferrò quelle mani impegnate, costruendosi in mente il modo giusto – forse era un tentativo disperato, ma tentare non avrebbe guastato.

« Facciamo un gioco, te va? È 'na cosa semplice » esordì.

« Non abbiamo alcolici in casa, Manuel »

Manuel lo guardò al confine tra lo sconforto e l'esasperazione.

« Sta tranquillo che non serve per questo. E poi ce sta tua madre de la, che figura ce faccio poi io? »

Simone trattenne un sorrisetto per il modo in cui Manuel sembrava ormai aver conquistato nelle sue più fervide fantasie sua madre.

« Che gioco? » Simone si distese, gli occhi grandi curiosi, il corpo portato su un fianco, seguendo il movimento dell'altro.

« Io dico una parola e tu riprendi dall'ultima lettera di quella che ho appena detto. Deve essere de senso logico però, se no non vale e se va a ruota così, fin quando l'altro non trova più collegamenti »

In realtà era una cosa del tutto banale, un passatempo che si era inventato Anita quando stava male a letto e non aveva voglia di mettersi a studiare o a fare qualcosa di più produttivo. Ricordava di divertirsi troppo a non farsi battere.
Simone abbozzò un piccolo cenno assenso, la testa si mosse appena.

« Va bene, ci sto »

Manuel si mise comodo sul materasso, con le mani sempre strette in quelle del suo ragazzo.

« Parto io... acqua! »

« Questa è facile... azzurra »

« Acqua azzurra, acqua chiara con le mani posso finalmente bere » intonò Manuel, l'altro gli rise in faccia, al che sospirò cercando di non farsi contagiare. Arricciò poi il naso, e concentrandosi i denti scattarono fuori e si strinsero sul labbro inferiore
« Azzurra, okay ci sono, aria »

« Aria aperta »

« A, come anta »

« Armadio »

« Ossigeno. L’armadio è fatto de legno, di legno è l’albero che produce ossigeno »

Simone sentì un sordo rumore di unghie che si attaccavano allo specchio. Aggrottò la fronte, ma decise di dargliela per buona. Era la prima volta che sentiva nominare quel gioco e quindi pensò andasse bene.

« Okay, rilancio…ozono »

Simone strizzò gli occhi, immaginando la prossima parola che potesse avere un alche modo senso.

« Origine, l'origine del buco dell'ozono » mormorò soddisfatto.

Manuel si passò la lingua sul palato, evidentemente in difficoltà.

« Cazzo, sei bravo, ok, allora... » alzò gli occhi al soffitto, contemplandolo concentrato e con la voglia di non mollare proprio in quel momento « Età. »

« Io dico amore » mormorò.

Manuel sembrò fermarsi un attimo, sospendendosi negli occhioni di Simone, che si erano completamente accesi. Quanto gli piaceva frugargli dentro, notare qualche piccolo cambiamento, se l’iride si faceva più scura o più chiara, se quel castano diventava più intenso o si spegneva.

« Amore eterno »

Simone buttò la testa sul cuscino, i ricci si infossarono sopra, il viso si rilassò completamente. Manuel non pensava nemmeno tanto più a rispondere sensatamente, mentre le mani già si sfioravano più di prima.

« Oblio » sussurrò flebile.

Simone prestò attenzione a quella sensazione di benessere, tranquillità, soltanto rimanendo in contatto con l'altro. Non immaginò come sarebbe stato trovarsi a Glasgow da solo, senza l'altro, adesso, che se lo ritrovava nel suo letto e lo faceva distrarre per non pensare allo stato di Floriana. Non voleva pensarci. Manuel era lì per lui e avrebbe voluto tempestarlo di grazie all'infinito, fino a diventare ripetitivo e insopportabile.

« Obbligare »

L’obbligo che mi do è quello di non starti mai più lontano. Cascasse il mondo, non me ne vado.

« Esercitare un obbligo. »

« Sì e adesso andiamo di verbi con la prima coniugazione, » Manuel rise, per poi ritornare di nuovo serio « uhm, vediamo… etimologia. »

« Ascolto »

Manuel sbuffò, erano arrivati a un bivio senza logica. Osservò la tranquillità del ragazzo, adesso, abbandonato sul letto.

« Vabbè, ma che è... mi arrendo, non me ne vengono più, » Manuel spostò dei ricci dalla fronte di Simone e gli lasciava un bacio sulla bocca « dimme un po' lo conoscevi bene sto gioco, mh? »

« Mai sentito in verità »

« Se c’avevi un mazzo de carte, te avrei proposto di giocare co’ quelle »

Le mani di Manuel si muovevano sulla pelle rosea del suo ragazzo, vedendolo più rilassato rispetto a prima. Forse era riuscito a distrarlo, seppur in minima parte. Si ritrovò a sorridere quando Simone si accoccolò vicino alla sua spalla, il naso che si poggiava.

« Non importa, mi piace stare così » soffiò Simone sopra la pelle bruna.

Simone si lasciò toccare da Manuel, le mani passavano sulle sue spalle, lungo la guancia libera, dietro le orecchie. I suoi occhi si chiusero senza nemmeno imporre loro quel comando, in uno stato di quiete assoluto, sentendo il tocco del ragazzo che gli accarezzava la pelle che adesso, in fare totalmente disinvolto, faceva lo stesso con i capelli.

Ti svelo un segreto, se mi tocchi i capelli, e riesci a non torturarli mi addormento.

« È stata una giornata lunga Simò, » gli disse soltanto, si apprestò a dargli un altro bacio all'angolo della bocca, con quel sorriso accennato contro il suo corpo « dormiamo su »

Simone si addormentò da lì a poco, preso dalle braccia di Morfeo. Manuel invece, era sveglio, lo sguardo gli solleticava la curiosità e si posava sul suo ragazzo.

Mentre dormi ti proteggo e ti sfioro con le dita ti respiro e ti trattengo, per averti per sempre, oltre il tempo di questo momento.





Clo's: ringraziamo Max Gazzè per la nota finale in Mentre dormi, che ci stava benissimo per chiudere questa I parte secondo me. Che dirvi, il legame tra quei due è sempre più puro e si orienta verso una direzione ben precisa e soprattutto credo sia supporto l'altra keyword che descriva il tutto.
Grazie ancora e alla prossima.

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Capitolo 13
*** Di viaggi scozzesi parte II ***


Clo's: ci ritroviamo qui, con la seconda parte che è diventata una terza
(non dico chi me lo ha suggerito altrimenti verrò uccisa nella notte)
che dirvi, ragazzi, keep going and stay tuned
ho tanto sclerato scrivendo certe parti, spero sarà lo stesso per voi (ehehehe)
keyword: fidanzatini vibes
bando alle ciance,
buona lettura











Manuel si alzò nel bel mezzo della notte, non infilò nemmeno le ciabatte e i piedi toccarono il pavimento solo vestiti di quei calzettoni lunghi. Era riuscito a non svegliare Simone, spostandolo lentamente al lato opposto del letto, accompagnando il suo corpo, poi, con fare furtivo, era uscito in punta di piedi dalla stanza.
Arrivò in cucina, trovando stranamente la luce accesa. La figura di Floriana era seduta sul piccolo divano all’angolo, con un bicchiere d’acqua in mano. La donna sfoggiò un breve sorriso, le gambe erano portate contro il petto, la schiena poggiata al divano, il pigiama che portava era semplice, senza fronzoli con una vestaglia più pesante sulle spalle.

« Non riesci a dormire neanche tu? » gli chiese.

Manuel annuì e un sospiro gli gonfiò il petto, la mano si stropicciò il viso. Si sedette attorno al tavolo, non capendo neppure lui perché l’insonnia non lo lasciava in pace nemmeno fuori da Roma. Floriana si alzò, aprì il frigo e afferrò la bottiglia d’acqua in vetro. Con la stessa eleganza, si diresse verso lo scaffale sopra il forno e ne uscì un bicchiere e glielo mise davanti.

« Grazie » mormorò, stupendosi di quel piccolo gesto. Cosa c’era da stupirsi poi, era la madre di Simone. Quei due erano nati per dare e dimostrare affetto. Manuel prese il bicchiere e l’acqua fresca scese lungo la sua gola, rinfrescandolo e facendolo rabbrividire un po’. Lo rinvigorì quanto bastava per tenerlo lucido. Posò l’oggetto sul tavolo, osservando la sua forma tondeggiante. « Tu, perché non riesci a dormire? » le chiese rompendo il silenzio.
Floriana si avvicinò, la mano libera poggiata sul bancone da cucina, lo sguardo stanco ma sveglio.

« Pensieri, pensieri di ogni genere »

« Sono una rogna, ne so qualcosa » alzò il bicchiere, come volesse brindare a quella piccola sfortuna che avevano in comune.

« A diciassette anni si dovrebbe avere la testa libera, leggera, svagata…»

« Peccato che io sia un adolescente rotto, nun me m’hai piaciuto essere come gli altri, » Manuel fu amaro come se avesse inghiottito recentemente del veleno « è sempre stato un bel problema »

« E’ questo il motivo per cui sei sveglio? » il tono della donna si colorò di premura, subito intriso di dolcezza e accortezza.

« Ce ne sono un paio, ma sì, fa parte della matassa »

« Definisci “rotto” »

Floriana risucchiò le labbra, le pieghe si fecero evidenti e gli occhi si aprirono mostrando un colore vivido sotto la luce fredda della cucina. Quel suo sguardo aperto, cordiale, invogliava Manuel a dirle ogni cosa, come se fosse un’amica a cui poter confidare ogni cosa. La conosceva da un giorno appena, eppure quella donna sembrava già avergli aperto molte porte, accogliendolo senza riserva.

« Stavo pensando a Simone da piccolo, » Manuel si voltò. Floriana era composta sulla sedia adesso, riempiva il suo di bicchiere ormai vuoto « a tutte quelle belle cose, ma anche a quelle brutte »

« Ognuno le vive, Manuel. Simone non è l’unico che affronta la vita. Essere rotti significa questo per te? »

Il ragazzo annuì piano, le palpebre gli pesavano tremendamente, come se fossero lì lì per chiudersi. Manuel sapeva che se avesse permesso loro di farlo, il tarlo della sua coscienza lo avrebbe logorato oltre. Doveva liberare quel groviglio che ancora portava dentro, altrimenti si sarebbe soltanto fatto del male ulteriormente. Parlare, era questo che Simone gli aveva insegnato. Parlare e non tacere aiuta ad alleggerire il cuore.

« Prima di… prima di stare con Simone, io me so comportato male con lui, » confessò, la guardò da sopra il bicchiere, come se si vergognasse di essere messo sotto giudizio e giudicato colpevole « non sono stato il miglior esempio che ci si possa aspettare, » la donna continuò ad ascoltarlo senza intervenire o interrompere « e me ne pento. Ogni giorno, me dico de avere fatto cazzate su cazzate, che la confusione c’era e che non la stavo ascoltando. Che quando potevo agire diversamente, ho fatto il contrario, così come tante altre cose, se c’avessi pensato, sarebbero andate meglio. Ecco dove sta la rottura, dove sta lo storto. Quando ho sentito di Simone bullizzato, mi è ritornato tutto indietro, come un boomerang. E so, so benissimo che sono cose der passato, che bisogna lasciarlo lì dov’è, ma fanno sempre male, come uno scavino elettrico o un tatuaggio, te bucano dentro e te marchiano »

Manuel deglutì sentendosi la bocca secca, riarsa. Avrebbe voluto bere, ma prima che potesse raggiungere la bottiglia con la mano, Floriana lo anticipò. Era lì, che gliela versava con cura, per lui. I suoi occhi incontrarono quelli di lei, incorniciati da una smorfia pensosa, ma non seria.

« So cosa hai fatto in negativo, » esordì, portandosi un dito a sistemarsi una ciocca di capelli « quando Simone è venuto qui da me, quel famoso giorno in cui ha saltato scuola, mi ha raccontato qualcosa. O meglio, quello che si sentiva di raccontarmi. Il punto Manuel è, » guardò dritto negli occhi il ragazzo « che so anche cosa non hai fatto di sbagliato. »

« Non è molto importante quello in verità »

« Ah no? » Floriana suonò contrariata, alzò le sopracciglia, una strana energia le prendeva posto in corpo « Non lo hai lasciato solo per venire qui, a chilometri di distanza da casa, per correre qua da me, senza ancora un vero esito finale, » si schiarì la voce, il ragazzo si mordeva le labbra percependo la sua tenacia « non lo hai lasciato solo, nemmeno quando ha saputo di Jacopo. Lo so, suo padre me lo ha detto. E la stortura, l’errore, lì è stato il nostro… » Manuel si incollò il bicchiere d’acqua alla bocca « La notte del suo incidente ti sei addormentato in ospedale e sei rimasto lì fin quando non si è svegliato. »

Manuel si ritrovò senza risposta o meglio, provò a cercarne qualcuna, ma suonavano tutte come scuse o come parole che non avrebbero potuto controbattere quelle di una madre.

« Sai cosa ho pensato quando ti ho visto, stamattina, affianco a lui? »

« Non lo so, cosa? »

Manuel sussurrò, come se avesse paura di sentire la risposta a quelle parole, come se potesse svegliare qualcuno. Ma lui e Floriana stavano parlando con attenzione e il suo ragazzo era difficile da destare dal suo sonno anche con le fanfare, bell’addormentato com’era.

« C’è qualcosa di speciale in questo ragazzo, mi sono detta » incurvò le labbra in un sorriso interessato, le mani si poggiavano sotto il suo mento magro « non capivo cosa e ho pensato, chissà quale sarà la sua storia, che intreccio potrà mai avere con mio figlio. Ora lo vedo, vedo perché Simone ti ha scelto »

« Me verrebbe da rispondere perché in quel momento era sordo oppure cieco, ma non credo sia ciò che vuoi davvero dirmi » ci scherzò sopra, come faceva sempre quando le cose si facevano troppo serie e il sentimento cambiava e si faceva netto e denso.
La verità era che non sapeva nemmeno lui darsi ancora una risposta: lui e Simone erano finiti insieme per quello che gli altri amavano chiamare destino, mentre a Manuel veniva solo in mente l’idea che era stata semplicemente natura, la natura semplice delle cose. Non c’è un ordine prestabilito, a lui piaceva vederla in quel modo anche se aveva fatto inciampare entrambi più e più volte in quel percorso naturale.

« Simone ti ha scelto perché ha visto cosa c’era dietro quella scorza che porti all’esterno, ha voluto vedere dietro la maschera e scavarci dentro, a suo rischio e pericolo, ma lo ha fatto liberamente » Floriana suonò cristallina.

Manuel sembrò pensarci seriamente, gli occhi fissarono un punto indefinito della stanza e le gambe si scioglievano dalla tensione. Dietro la maschera.

Sai che non sei così, è solo quello che vuoi fare vedere.
Pensi di conoscemme e invece te sbagli. Simò io non sono come te, non c’ho bisogno costante de fissamme sulle cose. Io so fatto così, punto.
Che è sta storia Simò, me scastro io e mo’ te incastri tu?

Serrò gli occhi, ripristinando qualche conversazione temporalmente opposta a quello che stavano vivendo adesso. La musica ora era ben diversa e se prima i pezzi erano sempre finiti sul tragico, ora sfumavano in una sinfonia armoniosa e calma. Ora c’era Manuel che avrebbe concesso ogni pezzo di sé pur di vedere il ragazzo che amava felice, lontano dal dolore.

« Sai cos’è strano? La cosa più strana de tutte è che sapevo di dover diventare una persona migliore prima, ma non ho mai capito davvero perché una persona pura come Simone l’abbia meritata proprio io »

Floriana si addolcì ancora di più, la mano si posò sulla spalla del ragazzo e a quello non sfuggì il gesto. La presa era cauta, fiduciosa. Si levò sopra gli occhi grandi della madre, sempre più simili a quelli del figlio.

« Non credo sia strano, credo sia solo umano. Quando due persone si trovano, non c’è una ragione da ricercare, non esiste una risposta a tutto. E non è un caso Manuel, che io veda Simone più felice, più sereno negli ultimi tempi » gli fece l’occhiolino.
Manuel si rassicurò, Floriana gli accarezzò una guancia, con quel suo fare candido e protettivo. Pensò istantaneamente a sua madre, la chiamata fatta nel primo pomeriggio, tornati dalla spesa. L’amore, anche quello era un tratto solo e unicamente loro.

« Lo amo, » la parola gli uscì fuori ovattata come neve « voglio davvero dimostrarglielo più che posso perché Simone merita questo, amore. Voglio provare a non sbaglià più »

« Sbagliamo tutti, accade. E tu sei ancora giovane, la vita insegna pure questo »

Floriana circondò le spalle di Manuel, strizzandogliele un poco. Si limitò a quello e il ragazzo si accorse della sua premura a sganciarsi prima che il tempo le permettesse di abbracciarlo. Forse pensava che fosse troppo presto.

« Grazie »

Manuel era sincero, un sorriso grato gli incorniciava il viso bisognoso di riposo.

« E’ il mio lavoro, oltre quello professionale. L’ascolto è molto sottovalutato oggi giorno. Forse è il caso che tu ti rimetta a letto, c’è ancora tempo, sono solo le tre. Buonanotte Manuel »

Il ragazzo annuì, fece per voltarsi, ma qualcosa lo bloccava. Non era giusto lasciare Floriana in quel modo. Tornò indietro, camminò spedito e la tirò in un abbraccio. Lei sembrò non aspettarselo, perché le sue mani risposero qualche istante dopo aver realizzato. Manuel la sentì sorridere contro la sua spalla.

« Riposati, anche tu. Simone ha bisogno di entrambi »

La vide annuire piano, portargli una mano sul viso e poi la figura di Manuel si diresse davvero a letto, questa volta, per cercare di addormentarsi.




 
- - -






A poco a poco, la luce mattutina si posò sulle sue palpebre, le sopracciglia, il naso. Simone entrò in camera, la porta si apriva e quella fu la prima cosa che vide. Un sorrisetto gli circondava le guance, più piene. Simile a un bambino, più che a un adolescente, con quel pigiama comodo e i piedi nudi sul pavimento. La felpa gli ricadeva addosso, le mani nelle tasche e il passo lento. Manuel era disteso a pancia in giù, dal lato della finestra. Le gambe piegate, il braccio abbandonato sul cuscino opposto.
Simone fu cauto, mentre con le labbra gli dava un bacio leggero, premuto proprio sulla fronte.

« Dormiglione, se non ti alzi la colazione si fredda » sussurrò dolce al suo orecchio come un canto.

Manuel si mosse, lamentandosi nel sonno. La mano si arpionò al cuscino, tastando in cerca di Simone. Il ragazzo in piedi, rise un po', prima di ridargli di nuovo attenzione. Il bacio si posò sulla guancia, questa volta. Il teppistello mugolò qualcosa, incomprensibile. Il corpo di Manuel si spostò nel letto, aprendo piano la sua visuale sul suo ragazzo, le palpebre ripeterono il loro movimento più di una volta prima di prendere totale consapevolezza. Simone, ora che se lo trovava davanti, appoggiò la sua mano al materasso, il braccio in tensione, il naso si attaccava piano a schiacciare quello di Manuel.

« Buongiorno, non ce credo sei mattutino come un orologio svizzero pure qua, Simò? » mormorò assonnato. La mano si stropicciò gli occhi, dimostrando la mera dei suoi anni.

Simone mosse il naso e dunque anche quello dell'altro. Manuel che aveva gli occhioni puntati dritti su di lui, la sua mano andò a posizionarsi dietro la nuca del suo ragazzo.

« Buongiorno anche a te, Manuel. Hai dormito di nuovo male, vero? »

« Non proprio male, ma sai com'è...l'insonnia me gioca sti scherzi » sospirò.

Simone annuì e gli depositò un bacio rapido sulla bocca.

« Tu e mia madre potete stringervi la mano. Dovete farvi prescrivere qualcosa, prendere una camomilla la sera, qualcosa che vi faccia dormire tranquilli » fu premuroso.

« Simò a me nemmeno una bomba de sonnifero me farebbe dormire per più di cinque ore »

« O forse semplicemente ti dovevo stringere di più » confessò.

Manuel accennò un sorriso sereno, beato, la mano salì ad accarezzare i ricci del suo ragazzo.

« Dai sbrigati, » lo incalzò Simone « non ti posso portare il cibo qua, cioè lo farei, ma vorrei ci sedessimo tutti e tre a tavola. Ti aspetto in cucina » lo riempì di una serie di baci, uno dopo l'altro, ognuno breve.

Manuel ridacchiò ancora impastato nel sonno, pieno di tutto quel calore mattutino, ancora intontito, ma non lamentandosi affatto di come avevano preso piega le cose. Quando Simone si staccò, la sua mano si arpionò forte alla sua, tirandolo e facendolo ricadere a letto con sé.

« La colazione può aspettare, io no » sussurrò roco « vieni qua, ho bisogno di altra energia per alzamme »

Si incollò alla bocca di Simone, la mano lo spinse giù, tirandolo alla base dei capelli. Il contatto fu delicato, lento e anche pigro. Forse era troppo scontato da dire, ma Simone apprezzava quei baci più di tutti gli altri, sapevano di abitudine, di sicurezza.
Manuel era completamente rilassato e l'aria era quotidiana, come se mancasse solo quel tassello per iniziare ogni giornata, quando avevano dormito insieme la sera prima. I baci erano caldi, comodi, non dovevano essere per forza perfetti. Le mani si incontrarono per sprofondare dietro il collo, sulla schiena, disordinate ma calme, senza aver fretta di accelerare il loro tragitto. E più si intrecciavano, più si ingarbugliavano, più sapevano quanto sarebbe stato difficile interrompere il contatto.
Quando Simone capì di trovarsi ormai spalmato completamente sull'altro, dovette trovare tutta la forza di volontà necessaria dentro di lui per non restare lì, facendosi tentare e dimenticando ciò che aveva sul fornello, in cucina.

« Va bene, playboy » mormorò, la mano fece forza sul materasso, invece Manuel manteneva la presa, tenendolo ancorato « se continuiamo così, mi si brucia la colazione, anzi, la nostra » gesticolò con la mano libera, indicando la porta della camera.

« Ma se può sapere che stai a cucinà, er banchetto pe la regina del Scozia? » una smorfia di evidente delusione in viso, nonostante la battuta.

Simone ridacchiò, mentre gli dava una carezza leggera. Poi, sollevandosi e tornando in piedi finalmente, assunse un’aria fiera e soddisfatta di chi ha appena compiuto una dura prova. Si chinò solo per baciargli una delle mani poggiate sopra le coperte.

« Se vieni in cucina tra cinque minuti, lo vedi tu stesso » e così, si dileguò a passo scandito fuori dalla stanza.
Manuel sospirò, osservando lo spiraglio di sole proiettato dalla finestra.
Lentamente si portò sui suoi piedi, alzandosi. Si stiracchiò, le braccia si alzavano e la maglia del pigiama le seguiva scoprendo un po' il ventre. Si alzò leggermente i pantaloni e ravvivandosi i capelli, andò per qualche secondo in bagno. Manuel si sciacquò il viso, osservandosi allo specchio. Aveva un po' l'aspetto di un cadavere e le borse erano ancora presenti. Si asciugò il viso con l'asciugamano apposita che aveva portato con sé e si diresse in cucina. Ad attenderlo, Floriana seduta al tavolo, la moka al centro della tavola, tre piatti, tre tazze di cui una in mano a lei, Simone era dietro i fornelli, con lo sguardo concentrato.

« Buongiorno » Manuel salutò la donna, che rispose subito dopo, accennando un sorriso. Poi si portò un dito alla bocca, entrando subito in combutta con Floriana, quella annuì capendo all'istante. Si portò dietro la schiena di Simone e lo circondò con le braccia. Quello sussultò un po', il viso premuto contro il suo.

« Er servizio in camera non funziona, è un vero peccato » la sua voce era roca, così vicina. Simone percepì quella distrazione, ma nonostante la presenza di Manuel dietro di lui, girò una delle tante crepes in padella. Sorrise quando riuscì a non bruciare nemmeno quella « Però ho sentito dire che il cuoco è caruccio » continuò Manuel, strofinandogli il naso sulla spalla.

Simone adagiò la crepe sul piatto lì vicino, che scivolò perfetta impilandosi sopra le altre , poi si girò a guardarlo. Aveva quel sorrisetto tipico di chi sta per fare battute perverse.

« Ah sì? Beh, buon per lui »

« Benissimo, » Manuel lo guardava pieno d'amore e malizia « peccato però che è già impegnato, glie volevo chiede de uscire a bere qualcosa, una thè, una limonata »

Simone rise, le labbra si incurvarono all’insù ma non si evitò il gusto di dargli una piccola gomitata.

« Vatti a sedere, che è pronto »

« Agli ordini, Balestra! » si portò una mano sopra la testa e si mise dritto come un soldato.

La scena scatenò la risata di Floriana, che ondeggiò con la testa divertita. Simone spense il gas, accertandosi di aver pulito le mani sulla pezza lì, vicino al gancio del fornello e poi portò il piatto di crepes sul tavolo di vetro, insieme a coltelli e forchette. La varie marmellate e creme erano già state preparate precedentemente.

« Dio Simone, non avrai esagerato? » Floriana indicò il piatto, portandosi il caffè vicino alla bocca.

« Non facevamo colazione insieme da un po', » sospirò « e poi so quanto ti piacciono » si mise a sedere. Ognuno prese la sua, riempiendola della crema che desiderava.

« Perché non uscite oggi? C'è una bella giornata » esordì Floriana, il primo boccone le attraversò il palato e si fermò socchiudendo gli occhi in estasi « sono stupende »

Simone sorrise annuendo.

« Lasciati viziare un po', fin quando sono qua, mamma » mormorò soddisfatto « comunque non lo so, insomma, tu hai già degli impegni? Perché se vuoi restiam-»

« Simò ti ricordo che mi avevi promesso di farmi da guida in giro per la città »
Manuel intervenì, notando lo sguardo rapido di Floriana che chiedeva soccorso.
Simone mandò giù un altro boccone e guardò prima sua madre e poi il suo ragazzo.
« Tesoro dovevo vedermi con quella collega di cui ti parlavo ieri, » si affrettò a dire « e poi non voglio che ve ne stiate chiusi qua tutto il giorno »

« La verità Floriana è che Simone ha paura che me prendo a parole con uno scozzese, » ironizzò, finendo di masticare « me applico nella lingua anche se non è proprio quella la mia preferita »

Simone strabuzzò gli occhi, la forchetta ricadde nel piatto, il suo sguardo sembrava metterlo in guardia. Manuel sembrava non essere minimamente toccato da come lo stava mettendo a tacere con gli occhi.

« Sono sicura, Manuel, che qualcosa ti verrà in mente. Chiedere qualcosa è molto semplice in verità » si limitò a dire Floriana, divorando l'ultimo pezzo di dolce. Il caffè lo accompagnò subito dopo.

Simone riprese parola, la forchetta che veniva degnata di attenzione.

« Va bene allora, » soppesando ancora lo sguardo divertito di Manuel « ti porto a fare un giro in città, solo le cose principali, nonché le più belle. C'è da camminare e ad ogni lamentela, ti avviso, aumento il prezzo della "guida turistica" »

Floriana si alzò un attimo, il cellulare le squillò dal piccolo soggiorno adiacente proprio in quel momento. Si pulì con un tovagliolo e si scusò per andare a controllare. Uscì fuori dalla cucina, chiudendo la porta-separè in vetro dietro di sé.

« Ma ti pare il caso di dire certe cose? » sospirò, Simone, evidentemente in imbarazzo, una volta che sua madre scomparve dalla stanza.

Manuel scrollò le spalle, tranquillo. « E comunque anche se fosse ti fermerei prima che tu possa venire alla mani con qualcuno. Gli scozzesi sono buoni, ma se li provochi finisce male e io non voglio vederti di nuovo sanguinante a terra. Mi è bastato una volta. »
Manuel arricciò le labbra, la crepe gli ripulì la bocca, ma la testa ripercorse quei bei due lividi e ricordi contrastanti, lasciati da Sbarra e Zucca, più all’ex fidanzatino scozzese di Simone.

« A me lasciame perde, l'importante è che non te tocchino, poi posso pure andarci d'accordo » Simone roteò gli occhi, poi lo vide cambiare subito discorso. « In ogni caso quanto costa la tariffa guida? » riprese a prenderlo in giro, sorrise sornione.
Era impossibile.

« Devo controllare, » abbozzò uno sguardo di sfida « dipende da un sacco di cose » poi Simone si ingegnò di furbizia « puoi pagare come vuoi, quando vuoi » la voce si abbassò a un sussurro, metà della crepe che se ne stava ancora lì, abbandonata sul piatto.

Ci fu uno sguardo tra i due che sembrò durare un'eternità. Manuel si inumidì le labbra, gli occhi gli finirono su quelle del ragazzo. C’era una certa cosa chiamata decenza – in realtà anche contegno e dignità - che non rientrava nel suo vocabolario quando non lo guardava negli occhi e quando Simone si prestava a certe allusive interpretazioni, l’unica cosa che davvero desiderava era prenderlo e baciarlo di continuo.

« Mi piace un sacco come idea »

Simone ritornò in sé, il cibo che ritornava ad essere degnato di attenzione, sbuffò fintamente offeso.

« Certo che ti piace, sarebbe strano il contrario »





Floriana sospirò, portandosi una mano alla fronte. Nella stanza accanto, dosò bene il motivo di quella chiamata.

« Sì, Dante va tutto bene » si affrettò a dire « no, non credo mi stiano sentendo o almeno lo spero » la voce era bassa abbastanza ma non troppo, affinché il suo ex marito la sentisse.

« Quando pensavi di dirgli che l'appuntamento con dottore lo hai oggi? » tuonò l'uomo quasi come se la stesse riprendendo.

Floriana si aggrovigliò la manica del pigiama tra le dita, le unghia lunghe, in bocca ancora il sapore della marmellata di fragole.

« È stata una cosa dell'ultimo momento, mi ha mandato un e-mail per avvisarmi ieri, lo sai » pronunciò quelle parole come a cercare una scusa. « Si è liberato un posto, cos'altro dovevo fare? Meglio togliersi il dente subito »

« Sì, ma non pensi abbia il diritto di saperlo? » la voce di Dante era molto seria. Floriana si portò la mano sul fianco, come ad appigliarsi a qualcosa.

« Non mi va di preoccuparlo ancora di più, » mormorò, fece per spostare la porta scorrevole di vetro. Uno spiraglio si disegnò in mezzo alla due ante, su cui il suo occhio spiava le figure dei due ragazzi, intenti a parlare. Simone stava ridendo e l'immagine le suscitò tranquillità « e poi c'è Manuel con lui »

« Come dimenticarmi, il mio alunno filosofo » lo sentì ridere un poco dall'altro capo del telefono.

« Sai che me lo aspettavo diverso? Non so, pensavo mettesse più timore, soggezione... » sentì subito di aver giudicato male durante l'estate in cui suo figlio si era rifugiato da lei. « e invece è una ventata d'aria fresca. È totalmente l'opposto di nostro figlio, eppure sembra essere ciò che di cui ha esattamente bisogno »

« Ti avevo detto che Manuel era un po' incasinato, non di certo il diavolo! » la risata dell'uomo riecheggiò imperativa, portando Floriana ad allargare le labbra, contagiata.

« In realtà da come me ne avevi parlato, sembrava più il classico fighetto che voglia metterti sotto con la macchina »

« Che io sappia, non c'è questo pericolo, non ha la patente per guidarla e seconda cosa, » sentì l'uomo sospirare « ho sempre pensato fosse in gamba, solo che lui lo ha capito tardi. E' un classico caso che viene definito "perso", ma che in realtà bisogna solo sapere prendere »

Floriana annuì, accarezzava le maniglie lucide davanti a sè, come se quel gesto potesse arrivare alla figura di suo figlio dall'altra parte della stanza che li divideva. Manuel aveva il broncio, spiandolo adesso e suo figlio, si era appena alzato per mettergli le mani dietro le spalle e abbracciarlo da dietro.

« Abbiamo parlato un po', la sera scorsa... » restò vaga ricordando esattamente le parole del ragazzo: sono rotto. Sembrava dare l'impressione opposta a guardarlo, adesso, ma aprendosi aveva fatto trapelare più cose di quante non si dicessero in apparenza.

« Immagino siano cose importanti, da come me lo stai dicendo »

« Tiene molto a Simone, me lo ha fatto capire. E poi, credo che abbiano dei trascorsi simili, al di là delle differenze »

« Se non tenesse a Simone non avrebbe tartassato sua madre ogni giorno sul fatto di dover venire lì, quello è sicuro »

Floriana risultò piacevolmente sorpresa. La figura di Manuel dallo spioncino ora si alzava e andava verso il lavandino, Simone prendeva i piatti e glieli portava. Era così piccola la figura del ragazzo, se usava fare il paragone con il discorso che avevano intavolato la serata prima, tutti e due moribondi in astinenza da sonno.

« In ogni caso, oggi escono. Così penserò a un modo per dirglielo, una volta avuti risultati concreti » deglutì e fu sbrigativa. Dante le sembrò comprensivo, anche se portava una vena di disappunto nella voce.

« Sono sicuro che capirà, e se non dovesse farlo, ti aiuterò io Floriana »

« Lo so, testone. E grazie per esserci »

« Non c'è bisogno che tu me lo dica. Riposati e aggiornami appena sai »

Floriana annuì, si salutarono e chiuse la chiamata. Poi fece un respiro profondo e piazzando un sorriso, aprì le ante della porta scorrevole e rientrò in cucina.



 
- - -




Simone fece da cicerone per tutta l'uscita, preferendo girare per il centro principale di Glasgow che sapeva a memoria.
Per prima cosa, portò Manuel a Kelvingrove Park, situato presso il fiume Kelvin. Dato che la mattinata portava il sole, nonostante la brezza pungesse leggermente, era raro visitarlo con quel tempo, dato che per tutto l'inverno il manto era coperto dalla pioggia, dal fango o dalla neve. Quest’ultima forse, era la vista più speciale di tutte. Ma il mese andava in contro al primo periodo estivo e quindi, era naturale uscire con le belle giornate. Il parco era vasto e rigoglioso, lunghi alberi dalle chiome folte erano sparsi qua e la, qualche persona era sdraiata sopra l’erba, a godersi l’aria aperta leggendo o si rilassandosi al sole. Da una certa visuale, a una certa altezza, si vedeva l'edificio principale dell'università, svettante e imponente in stile neogotico.
Un porticato a tre archi, si sporgeva in avanti, mentre il muro dietro era più alto e riportava dei tetti spioventi sul verde spento. Due torri più lunghe dominavano la scena e si allungavano ai lati. Per il resto l'intera struttura continuava longitudinalmente. Era il museo civico del parco. Lo visitarono anche perché, quella giornata risultò gratuita per l'entrata dei turisti. L'interno sembrava più grande, c'era un grande salone a scacchi e ogni galleria presentava il nome specifico di una collezione, opera d'arte internazionale e italiana, come Dalì, Tiziano e Botticelli, oggettistica varia come armi e armature.

« Sai che esiste una leggenda popolare secondo cui l'edificio è stato creato con la facciata sul retro rispetto al parco? Si dice che questo ha portato alla morte dell'architetto, anche se non si sa fino a che punto sia una cosa vera o inventata »

« Poraccio » Manuel digrignò i denti in una smorfia dolorosa.

Erano in una delle tante sale, piene di dipinti e qualche piccolo busto scultoreo ai alti. Simone si stupì molto dell'interesse di Manuel, il che lo mandò con la memoria a quel giorno al museo naturale, con il resto dei compagni. Forse non era troppo il caso di pensarci. Osservò Manuel davanti a un dipinto, volendo con ogni fibra del suo corpo, prendere il telefono e scattargli una foto.

Non mi sta guardando, è un momento perfetto.

Si posizionò bene, cercando di metterlo al centro dell'obiettivo: la figura di spalle, il giubbotto color corda, i ricci che si liberavano da sotto il berretto. Poi decise di farne un’altra, inquadrandolo di profilo. Con un altro piccolo click, Simone scattò.

« Me chiedo come riuscivano a fare 'ste cose, io non saprei nemmeno colorare un cerchio » Manuel si girò in quel momento, Simone che distratto alzava lo sguardo « Che stai a guardà? »

« Io? Niente » infilò il cellulare nella tasca dei pantaloni, come se nulla fosse.
Manuel si avvicinò al ragazzo, circondandogli i fianchi con le mani. Nel museo c'era qualche turista, ogni tanto si vedeva girare qualche donna in divisa sicuramente per il controllo della sicurezza.

« Mi ricordo di quella volta che c'hanno portato al museo, » mormorò pensieroso Manuel « solo che ce stava solo roba impagliata, più che altro morta »

Simone non poté fare a meno di pensare al bacio che aveva provato a dare all'altro, su quella scalinata superiore, c'era il vuoto del primo piano sotto di loro, lo spazio isolato, lontano da tutti.

« Quello che ricordo è ben altro di quel giorno, » si morse le labbra « non proprio gli animali appesi ai muri » rise nervoso.

Manuel annuì, capendo subito a cosa Simone si stesse riferendo. Sospirò e tirò fuori lui il cellulare. Simone lo guardò un attimo confuso, indicò l'altro.

« Che fai ora? »

« Rimedio a quel ricordo e ne creo uno nuovo, Simò » così dicendo, aprì la fotocamera e tirò il ragazzo inquadrando anche qualche pezzo artistico dietro di loro « E poi è come se fossi un po' in gita scolastica, solo che qua possiamo essere più tranquilli »

Messi in posizione, Manuel scattò, prendendo entrambi. Quando finì però non si limitò a quello, il tempo della foto risultò più lungo, perché Simone si trovò Manuel che lo baciava, proprio come aveva tentato lui quella volta. Gli poggiava la mano a coppa sul viso, poi sul mento e poggiava le labbra. Non c'era il bracciolo di una grata o una scala però a sostenerli entrambi, questa volta. La presa di Manuel risultò libera, identica e improvvisata, continuando nello stesso momento a scattare. Quando si staccarono, Simone si sentì imporporare il viso e avvertì subito il calore arrivargli alle orecchie, gli occhi erano luminosi.

« Vedi te se dovevi venire fino in Scozia per baciarmi in un museo » la fronti erano premute l'una contro l'altra.

« La prossima volta, te porto io ai Musei Vaticani e te bacio pure davanti al Papa se lo becchiamo »

Simone scoppiò a ridere, la bocca si aprì e il sorriso ne risultò gigante. La risata causò l'attenzione di alcuni visitatori che stavano passando giusto in quel momento. « Quanto sei bello quando ridi Simone » se lo lasciò scappare, con quell'espressione aperta, vulnerabile.

« Andiamo va, » Simone indirizzò l’attenzione in basso e lo prese per mano « ci sono ancora altre cose da vedere e poi ti porto a bere qualcosa »

« Non c'è bisogno de farmi ubriacare, sono così al naturale te ricordo! » camminava e mentre gesticolava da vero italiano, non c'erano dubbi sul fatto che ancora, qualcuno lì dentro si fosse incuriosito a guardare Manuel.

« Non si beve la birra alle undici o dodici del mattino, almeno, qua loro sono abituati così. Ti faccio provare un caffè alcolico buonissimo però »

« Quindi quella non se beve, ma l'alcol nel caffè invece sì » lo prese in giro.

Simone sospirò, il fiato di Manuel gli stava sul viso, mentre gli dava un bacio sul mento e poi gli stritolava le guance.

« Sono io la guida, se non ti va bene, cercati qualcun'altro, non so, magari puoi chiedere a qualcuno qui dentro. Ovviamente in inglese e senza il mio aiuto, c'è qualcuno di interessante che ti attira? » gli piaceva tantissimo mettersi al suo stesso livello. Simone aveva imparato come prenderlo ormai e non poteva sfuggirgli quella vena ironica e di pieno flirt che sembrava trattare bene al pari del suo ragazzo.

« Sì, me sa de sì, aspetta, che mo' glielo chiedo » Manuel si staccò da Simone di botto, l'altro lo guardò colpito, la smorfia sul viso lampeggiante. Poi quello tornò indietro, la mano alzata sull'altro, neanche fosse un numero da circo e si piazzò davanti a Simone « Sorry, » disse in un inglese romanizzato, l'altro già stava ridendo e Manuel continuò « could you be my... nun me viene- »

« Guide » gli suggerì.

« Sì, giusto, could you be my guide, Simone? » l'inglese stentato era così dolce, che Simone non seppe non abbonarglielo.

« Yes, of course, if you want me too » rispose.

Manuel si fermò un istante, era cristallino con gli occhi piccoli e sicuri. Simone pensò che forse non aveva capito cosa gli avesse appena detto, quindi provò a tradurlo. Il ragazzo però aveva già capito, a sua insaputa.

« Io te voglio sempre, Simò »

Simone perse un battito, gli stampò un bacio veloce, il viso gli si era colorato di nuovo. Procedevano di nuovo vicini, avanzando per le ale del museo.






Simone e Manuel camminavano per le strade inglesi, senza fretta, godendosi il paesaggio. Ogni tanto, uno dei due si fermava, per immortalarlo in qualche scatto.
A Simone veniva da ridere, perché Manuel si attaccava a qualche albero oppure si copriva il viso, ogni tanto metteva la mano davanti la sorgente dell’obiettivo oppure lo tirava in mezzo. Anche l’altro gliene aveva scattata qualcuna, più che altro nei momenti in cui era distratto o si fissava a spiegargli qualche altro dettaglio su ciò che stavano guardando. Quando però se ne accorse, Simone in risposta gli rubò il berretto in un gesto rapido e si misero a correre per tutta la lunghezza del parco. Forse i bambini, sarebbero stati meno infantili, ma a loro piaceva così, corrersi dietro, con qualche frase colorita che usciva dalla bocca di Manuel.
Inutile dire cosa successe dopo: se ne stavano distesi sull’erba l’uno sull’altro, i respiri affannati, Simone che gli rimetteva il cappello in testa aiutandosi con entrambe le mani, Manuel che lo baciava. L'intero parco non sembrava più poi così grande, loro due, soli.
Poi, alla vista di un ponte di pietra, che attraversava il fiume, Manuel, registrò un video, le scarpe da ginnastica ben piantate per terra, la bocca stava improvvisando una pronuncia della lingua alquanto singolare. Il berretto gli dava un’aria tenera, schiacciandogli i capelli, la barba incolta gli era già cresciuta per metà e il solito sorriso svettava fuori impudente. Simone, Glasgow la aveva sempre trovata una bella città, ma adesso stava davvero riempiendosi tutta di un nuovo sapore che c'era Manuel insieme a lui.

« Dai, su è pe mi madre Simone, saluta » gli aveva detto. Il gesto della pace, la ripresa girando appena il telefono.
Simone aveva messo su un sorriso piccolo, ma sincero, muoveva la mano dietro il ragazzo. Per il resto, si inquadrava il panorama, il verde, le casette tutte uguali e in mattoni, gli edifici storici.

« Più tardi dovrò svuotare un po’ di memoria, » mormorò Simone « avrò almeno una cinquantina di foto tutte tue » arricciò il naso, ridendo.

« E’ cosa buona e giusta, » si faceva vicino e gli stampava un bacio, il naso era già freddo, il respiro caldo invece « così te le guardi quando non ce sto e te manco »

« Le più belle le faccio sviluppare » si strinse nelle spalle, la sciarpa gli ricadeva gonfia sul collo e non sentiva quasi più le mani.

In circa due ore avevano scattato non si sa quante foto, spostandosi in mezzo alla gente, ritrovandosi a ciondolare in qualche negozio di dischi o in qualche vicolo particolare della città.
Dopo aver letteralmente passato il tempo in quel modo, i morsi della fame si fecero potenti per entrambi e scelsero di fermarsi da qualche parte per mangiare un boccone. Sotto consiglio di Simone, uno dei tanti Caffè speciali, si trovava vicino la piazza principale e a pochi metri dalla galleria d’arte moderna.
L’insegna del bar spenta e di colore rosso, dominava su delle ampie vetrate in legno ebano scuro. Lo scorcio in prospettiva permetteva di leggere i vari menù e i tavolini sistemati appositamente uno affianco all’altro, in bella vista. La porta aprendosi tintinnò, i due addetti dietro il bancone della caffetteria diedero il benvenuto, Simone accennò un gesto della mano.
La visuale si aprì su uno spazio largo, caldo e accogliente: delle piccole lampadine scendevano dal soffitto, le pareti erano metà in mattone e metà dipinte di un colore che dava sul verdone, i tavoli con qualche panca a muro, erano ognuno separato da un separé in legno, in modo da dare la giusta privacy a ogni cliente. Infisso a una grossa lavagna, erano riportate le varie scelte del menù. In generale, quell’ambiente suggeriva tanta calma e riposo. Simone avanzò verso uno dei tavoli, bloccandosi di colpo, quando riconobbe un volto ben preciso in mezzo agli altri.
Si strinse lo zaino sulla spalla, la sciarpa gli si appiccicava come un serpente al collo ora e il respiro si appesantiva in gola. Manuel, che lo retrocedeva, si accorse di quanto fosse rigido, senza però capirne il motivo. Solo quando il suo ragazzo si piazzò davanti all’oggetto del suo livore, riuscì a farsi un’idea del suo stesso sentimento.
Christian aveva guardato subito verso Simone, nel momento esatto in cui si era fermato in mezzo alla stanza. L’elefante rosa era più presente che mai.
Se non lo faccio ora, non lo farò mai più.
Simone era fermo a pochi metri dal tavolo in questione, era in compagnia di qualcuno quindi non pensò di doverai nemmeno avvicinare: l'educazione era una virtù per pochi. E anche se avesse voluto farlo, non ne ebbe il tempo, perché l’altro prese l’iniziativa al suo posto.
L’ex aveva tinto i capelli, macchiandoli di rosso su qualche ciocca, risultando estremamente ridicolo rispetto all’età che aveva. Gli occhi verdi sembravano grigi e portava un paio di occhiali ripiegati sul collo a v della maglia. Simone lo trovò – in ogni caso – uguale all’immagine che aveva vissuto tempo prima, anche se più sbiadita ai contorni.

« Simone » gli fu davanti, adesso, l’espressione tremolante.

« Ciao » suonò freddo, distaccato. Avrebbe tanto voluto chiedersi perché non aveva pensato alla possibilità che lui potesse essere lì.
Che idiota. Se non altro, Simone non lo avrebbe affrontato da solo.
Il viso di Manuel fece capolino dietro di lui, come fosse un piccolo animaletto curioso ma ben testardo. Simone non poteva vederlo in quel momento, vedendosi oscillare in bilico tra l’uscire da quel locale e urlargli contro di trovarsene un altro e lasciarli in pace. Avrebbero dato spettacolo lì dentro, soltanto a suon di insulti.

« Manuel »

Christian sembrò vagamente adombrarsi, la vergogna gli si dipinse in faccia, anche se sembrò più un’emozione costruita che veritiera.

« Oh, ciao, » il tono si fece affilato al punto giusto « purtroppo ti informo che se vuoi darmi n’altro pugno, non credo la passerai liscia come l’ultima volta »

Simone deglutì, la mano gli si piazzò aperta e in protezione, per fermarsi contro la pancia di Manuel.

« Lascia stare Manuel, non credo si meriti tutta questa attenzione, » ritornò al diretto interessato « d’altro canto, non ha mai chiesto scusa » gli occhi densi di delusione.

« Avrei voluto tante di quelle volte, » Christian abbassò lo sguardo, poi si rivolse a Simone « ma avevo paura che non avresti più voluto parlarmi. E ne avresti avuto tutte le ragioni. Mi dispiace, » temporeggiò su Manuel questa volta « di averti aggredito in quel modo. Non te lo meritavi. »

Simone studiò a fondo l’immagine di quel ragazzo che lo aveva portato per l’estate in giro per i pub, che lo aveva ascoltato e che nel giro di pochi mesi dopo, aveva buttato tutte le buone idee e pensieri che gli aveva costruito addosso.

« Te mancava er coraggio prima, però pe rompermi quasi il setto nasale la forza ce l’hai avuta» tuonò in difesa. Simone teneva ancora fermo il suo ragazzo, sospirando appena, mentre il volto dell’ex sembrava essersi ridotto a una cartina spinta via dal vento.

« Mi dispiace Manuel » sembrò lì lì assumere una posa corrucciata e in parte, poteva essere anche vera, ma lo sguardo che riservò a Simone poi, la cambiò. Era come un pupazzo ferito. Simone però, non diede tanta attenzione a quelle poche parole. Si scusava, ma la cosa che più lo disturbava era quell'aria di assoluta indifferenza che aveva avuto nei suoi riguardi.

« Non ti sei fatto vivo. Lo hai fatto solo perchè avevi la coscienza troppo sporca? Certo, era più facile sparire piuttosto che uscire le palle. Sai, ti credevo diverso, Christian » fu sprezzante. Gli occhi da grandi si fecero due fessure che colpirono a segno.

« Anche io pensavo lo fossi. Non posso dire altro perché mi scaverei la fossa da solo, ma non meritavo di essere lasciato così. Ti volevo davvero bene.»

Simone respirò riempiendo i polmoni.
Si era sentito fin troppo in colpa nell’esatto istante in cui Manuel gli aveva messo in mano la verità dei fatti: non era giusto illudere l’altro se non era riuscito a lasciare andare lui per primo. E ora in che altro modo poteva ritorcere il coltello se non dalla sua parte? Una risatina amara gli uscì fuori come un gorgoglio. Non conosci una persona fin quando non ne subisci i colpi inaspettati dal basso e ti ritrovi a terra.

« Qua l’unico che non se meritava tutto questo, era Simone » si fece avanti, evitando la presa di Simone ancora ferma contro il suo corpo. La spostò di lato, scambiando una rapida occhiata col suo ragazzo. « Per quanto mi riguarda accetto le tue scuse, ma spero de non rivederte più manco cor binocolo perché respiro puzzo da ridicolo fin da qui » mormorò piano, difendendolo.
Poi, con un gesto veloce, prese Simone per mano e lo allontanò via da Christian, senza il tempo di lasciargli dire nient’altro. Vide rimpicciolire la figura del ragazzo che restò impalato per un po’ e dopo ritornò a sedersi al suo posto. Manuel fece per poggiare la mano sulla maniglia della porta d’entrata, ma Simone lo fermò per il polso.

« Quel coglione se meriterebbe un bel calcio in culo, anzi due » esordì, leggendo lo sguardo ancora teso di Simone.

Scosse la testa, riflettendoci per bene.
Chi era lui per decidere dove dovevano stare?

« No, non può averla vinta, non così »

Lo guardò per un lungo lasso di tempo, le loro mani si toccarono.

« Simò se te fa stare male, possiamo andare in un altro posto, non c’è bisogno manco che tu lo dica » Manuel suonò veramente premuroso.
Simone sapeva che lo avrebbe fatto per lui, che avrebbe preferito farsi un altro po’ di strada a piedi, piuttosto che fermarsi lì con quella presenza ingombrante nell’aria.

« Non gli permetterò di rovinarci la giornata, » se prima ci giocava, ora gli afferrò la mano, intrecciandola nella sua « mi interessa solo di stare con te, Manuel, tutto il resto non esiste »

Manuel cercò l’indecisione nei suoi grandi occhi. Simone aveva il naso leggermente rosso, le labbra increspate, il viso rilassato.

« Sei sicuro? »

« Posso fare quello che voglio, sono qua col mio ragazzo, in una giornata – stranamente - soleggiata, ho tutto il diritto di stare qui quanto ne ha lui e non nessuna intenzione di scegliere un altro posto dove pranzare » Simone fece qualche passo in più, gli schiacciò il naso e socchiuse gli occhi.

Il teppistello non si contenne più e lo tirò in un bacio, facendo scontrare i nasi, le labbra, mentre le mani restavano sempre incollate. In piedi, all’interno della caffetteria, le loro figure sembravano le uniche a scambiarsi quel gesto.
L’idea di essere visti neanche lo sfiorava, anzi, in quel momento, Manuel pensò che se anche Christian avesse buttato loro occhio, si sarebbe meritato quello spettacolo. Forse non doveva parlare troppo, ma il pensiero che Simone avesse superato anche quel confine passato, lo fece subito sorridere sulle sue labbra in mezzo al bacio.
Il controllo gli veniva sempre meno quando Simone si rivelava a quel modo: la persona migliore che conosceva e che lo ispirava. Avvertì il respiro caldo del suo ragazzo addosso e quando si staccarono, il naso era schiacciato sulla guancia, la mano libera di Manuel era dietro la sua nuca.

« Mò immagina come ha rosicato quello la oh! » esclamò nel tono più tranquillo che ci fosse.
Simone rise, gli abbassò il berretto sulla fronte e poi, lo trascinò verso uno dei tavolini in fondo alla caffetteria.






« Ma che c’hai, oh, Manuel, non ti sdraiare a terra, su » rideva vedendo l’altro in completo stato di scioltezza sbandare, in mezzo alla strada per ritornare a casa. Erano le cinque e mezza del pomeriggio e Manuel sembrava subire gli effetti dell’alcool in corpo. In realtà il primo allarme era scattato quando aveva cominciato a prendersi un po’ troppa confidenza con l’autista sul bus per il viaggio di ritorno. Simone aveva dovuto pungolarlo più volte per farlo smettere di conversare in un romano sconnesso – senza che l’uomo alla guida capisse una parola, tra l’altro.
Poi, a Simone sembrò di vederlo un attimo bloccarsi mentre camminavano. E adesso che quello si muoveva barcollando, tutto si era fatto chiaro. « Credo che tu non regga tanto bene il whisky » lo sorresse per le spalle, sentendo anche la puzza di birra dal suo alito.

« Simò ma a te non te gira un po’ la testa?, » Manuel strabuzzò gli occhi, camminando dritto, ma percependo la testa annebbiata, i ricci erano ora liberi dal berretto, che per la sensazione di calore Manuel aveva deciso di togliere e riporre nella tracolla « c’hai qualche superpotere, per caso? Dimmi la verità »

Simone non capiva come potesse essersi innamorato di quel piccolo ragazzo che cercava disperatamente di restare in piedi, dopo solo due caffè corretti e due birre artigianali grandi prese per accompagnare il brunch.

« E te lo dicevo, la birra scozzese non è come la nostra, è leggermente più forte.I primi tempi facevo fatica anch’io a farmi passare la sbronza » passarono le strisce pedonali, la borsa a tracolla finì sopra l’altro braccio di Simone, lo zaino era un peso dietro la schiena. Dava l’impressione di un facchino fin troppo giovane.

« Appena tu madre mi vede così, me rispedisce a Roma, sicuro » ridacchiò strizzando gli occhi.

« Mia madre non ti vedrà così, uno perché saluteremo veloci e due perché cercherai di dissimularlo. »

« Sì, vabbè se ce so riuscito per mesi con te, ce posso riuscì con chiunque » passarono a un altro incrocio con un semaforo e lo sguardo di Simone sbiancò.

« Che vuol dire per mesi? Non mi avevi detto che te ne sei accorto durante l’estate? » sostenne l’altro meglio che poteva, mentre attraversavano l’ultimo svincolo. Un paio di minuti e sarebbero arrivati a destinazione.

« E’ così Simò, » biascicò quelle poche parole « solo che penso di aver sviluppato tutto un po’ prima senza averlo capito bene. E’ un accozzaglia di roba, quelle cose che se non ce sbatti la testa più volte, non le riesci a fare tue »

Simone lo guardò bene: gli occhi erano aperti, ma sembravano stralunati, il respiro era calmo, la camminata si stabilizzava, il braccio libero gli penzolava. Una siepe adornava un centro abitato, una pizzeria all’angolo aveva un’insegna fulminata, un po’ più avanti dei signori parlavano tra loro.

« E’ proprio vero che l’alcool ti tira fuori tutto dalla bocca » mormorò.

« Che poi mannaggia a me, t’ho sempre guardato! E non come se guarda una persona, tipo normalmente, c’avevo sta cosa de fissarti, l’hai notato pure te, huh? »

In realtà era una caratteristica ben precisa a cui aveva fatto caso, anche se per le prime volte pensava fossero solo casi isolati.
« Sì, ma ai tempi mi sembrava mi prendessi in giro »

« Ero io che me prendevo in giro da solo… so che non suona proprio carino da uno un po’ ubriaco, » Manuel vide Simone frugarsi nella tasca del giubbotto - sempre stando attento a non lasciarlo - le chiavi di casa, che tintinnarono una volta trovate « ma quando hai deciso di darmi un’opportunità me so sentito il ragazzo più fortunato della terra, me so sentito come se avessi vinto alla lotteria, Simò »

Si scambiarono una rapida occhiata d’assenso o forse solo per tastare il silenzio del vicinato. I villini col calare del sole erano diventati tutti più caratteristici.

« Bell’affare che hai fatto con me allora » scherzò Simone, intravedendo subito la schiera di case famigliare. Sentì la presenza di sua madre e del letto vicine.

« Ho fatto er jackpot! » urlò e alzò le braccia al cielo, facendo per un attimo vacillare la figura del ragazzo facchino accanto a lui.

« Questa sera farai il jackpot di caffè fino a vomitare, ecco cosa farai » l’immagine di suo padre che lo vedeva steso a terra nel salone di casa, gli ritornò in mente.

« Cazzo non altra caffeina, per favore » piagnucolò Manuel.






« Mamma siamo arrivati! » chiuse la porta dietro di sé, adocchiando bene Manuel con la luce fredda della casa: poteva dare l’impressione di stanchezza, come se avesse bisogno di un caffè.
L’altro annuì consapevole, cercando di darsi un tono.
Quando però non lo guardava più, Manuel era andato subito a sedersi sul piccolo divano, avvertendo un breve giramento della stanza.
Floriana si affacciò da una delle porte dalla camera. In mano teneva una busta piegata che strofinava con gli indici, i capelli erano sciolti sulle spalle e indossava una maglia lunga bianca.
Simone la adocchiò subito e il suo umore cambiò all’istante.

« Tutto bene? » il figlio si avvicinò, mettendole le mani a coppa sulle guance.


« Sono stata dal dottore. Non sono riuscita a dirtelo, mi sembrava brutto rovinarvi la giornata, » guardò anche Manuel, notando il ragazzo con le mani giunte in grembo in un’insolita aria meditativa « mi ha avvisata ieri sera. Ho ricevuto le analisi, non ha voluto nemmeno dirmi niente mentre mi ha visitato. Vi aspettavo per aprirla » ticchettò sulla busta sigillata che portava in mano, una smorfia in pieno viso. Simone si rabbuiò, poi però si lasciò andare ad un sospiro e delicatamente poggiò le sue dita sul piccolo involucro di carta.

« Lo faccio io, ti va? »

Floriana annuì. Simone afferrò la busta e pianò strappò i bordi che ne contenevano un foglio ripiegato e con una scrittura di piccolo font e battuta a macchina. Manuel si sporse appena, inclinando il capo. Floriana e Simone si scambiarono uno sguardo d’intesa, annuendo nello stesso momento.
Il ragazzo muoveva gli occhi sulla carta, senza fermarsi un secondo.
« Bene, che cosa dice? » chiese Floriana in ansia.

Simone guardò sua madre, sostenendo il peso dei suoi occhi, Manuel si era alzato dal divano, mettendosi dietro di lei, la mano sulla spalla per darle sicurezza e coraggio.

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Capitolo 14
*** La fine della Scozia parte III ***


Dentro il piccolo soggiorno si trovavano tutti e tre, in attesa che il ragazzo leggesse il referto che teneva in mano. Senza esitazione Simone si schiarì la voce e cominciò a dire cosa ci fosse scritto sul foglio in questione.

« Abbiamo riscontrato nei recenti esami di risonanza della TAC che la paziente, presenta un adenoma che non ha invaso i tessuti » il suo sorriso si fece enorme mentre leggeva, Simone alzò lo sguardo su sua madre poi sul suo ragazzo ancora vicino a lei, le stringeva le spalle sereno « Tuttavia, per evitare l’insorgere della massa ghiandolare, si consiglia di fissare un piccolo intervento per asportarla, in data da confermare su appuntamento, al fine di evitare che causi squilibri all’organismo » finì di leggere il rapporto medico, il foglio tremava fra le sue mani. Floriana si portava una mano alla bocca, sollevata. Sorrise di felicità poco dopo.

« Che fai, non te ne stare fermo lì, Simone! Vieni qua! »

Il ragazzo si mosse dal posto, per correre ad abbracciarla più forte che poteva, la carta si raggrinzì tra le sue dita, il sorriso di sollievo lo riempì calmandogli il petto. Floriana coinvolse anche Manuel nella stretta, lo strattonò incurante e li abbracciò entrambi forte. Quel gruppetto di tre sembrava un perfetto quadretto famigliare, pronto ad essere incorniciato e appeso. Il respiro di quei corpi premuti l’uno contro l’altro, riempì la stanza, l’amore si diffondeva a largo spettro toccando ogni oggetto inanimato e presente lì dentro.

« Ma quindi devi comunque operarti? » mormorò Simone contro la spalla di sua madre. Floriana gli accarezzò la schiena con la mano destra, la sinistra al contrario, stritolava Manuel dal lato opposto. Era come se avesse di nuovo due figli in casa, ma si tenne quel piccolo pensiero tutto per sè.

« Sarà una cosa da nulla, Simone. Stasera contatto l’oncologo e chiedo informazioni. Adesso però, » liberò la presa di poco e guardò entrambi i due ragazzi « qua bisogna festeggiare! Che ne dite, pizza per tutti stasera? »

Floriana disse raggiante, sentendosi come liberata da un peso fin troppo gravoso e pesante che le scendeva dalle spalle, dal corpo. I due ragazzi annuirono, visibilmente sollevati quanto lei.

« Va bene mamma, la prendiamo dal solito posto » Simone le scoccò un bacio sulla guancia, avvertendo la pace prendere il posto della preoccupazione continua di quei giorni, da quando aveva saputo della situazione, fino a pochi istanti prima. Il sorriso andava da un orecchio all'altro.

« Manuel, ti senti bene? »

Floriana si voltò a guardare il ragazzo, percependo il suo strano silenzio. Non aveva parlato da quando erano arrivati, anzi, le era stato vicino, ma ora il suo viso era come assente. Simone si preparò per coprirlo, la mano si poggiava su sua madre.

« E’ solo un po’ stanco, è tutta una giornata che camminiamo » si morse il labbro inferiore, alzando gli occhi sul suo ragazzo « è il caso che adesso ci riposiamo un po’, verso le sette chiamo la pizzeria » Simone si prolungò a dare un altro bacio a sua madre, che gli accarezzò subito la guancia. « Tu rilassati un po’ mamma »

Manuel si sganciò da Floriana, riservandole uno sguardo felice che durò il tempo di sparire dalla sua visuale, visto che sentiva sempre la testa vagare da un’altra direzione che non fosse tutto tranne che pianeggiante. La stanza vorticava ancora attorno a lui, facendolo sentire spaesato ad ogni passo. Simone stava passando oltre il corridoio, andando in camera e controllò che l’altro sapesse ancora mettere un piede dopo l’altro. Si girò in tempo prima di vederlo.

« Simone-»

Manuel si mosse appena per seguirlo, poi in un gesto scattante, le gambe giravano, la mano si piazzò alla bocca dello stomaco, l’altra si copriva il viso e Simone lo vide scomparire e correre in bagno.
Il ragazzo si trovò a seguirlo di conseguenza, richiuse di riflesso la porta alle sue spalle e vide Manuel attaccarsi alla tazza del gabinetto. Simone si inginocchiò di fronte, gli sorresse la testa indietro e gli toccò piano la schiena, passandogli ogni tanto le dita sulla spalla. Cercava di infondergli tranquillità, ma il rumore gutturale di Manuel era più presente che mai. Simone sviò lo sguardo, sapendo che quell’immagine non gli era piacevole nemmeno quando qualche volta era capitata a lui la stessa cosa. Tanto per citarne una, la "famosa larva umana", il tanto simaptico appellativo originale che aveva coniato suo padre.

« Alla fine non sei arrivato nemmeno a prenderlo il caffè » mormorò Simone, sentendo il ragazzo rimettere l’alcool della giornata.
Lo sentì svuotarsi per una decina di minuti buoni, la stanchezza gli si leggeva in faccia. Completamente sbiancato, Manuel se ne stava contro la tavola del sanitario, immobile.
Com’è giusto che fosse, la casa non era insonorizzata e quando Simone sentì bussare alla porta del bagno, capì subito che poteva essere solo sua madre. « Mamma, non preoccuparti, sta tranquilla, ci penso io! » alzò un po’ la voce, per poi calmarsi.

« Manuel, dopo ti faccio un intruglio disintossicante, » replicò lei da dietro la porta « a Simone hanno sempre fatto effetto quando tornava ubriaco »

Manuel appoggiava la mano saldamente alla tavola del sanitario, sentendo la gola rilassarsi anche se un odore acido gli pungeva il palato, diffondendosi in modo orrendo. La voce di Floriana dietro la porta lo calmò un po’, ma subito realizzò l’idea che la donna aveva capito tutto. Arricciò il naso disgustato, gli occhi si strizzavano, la bocca ridotta a una smorfia.

« Grazie Floriana » disse stancamente, provato e quasi stanco. Con la coda dell’occhio osservò Simone, presente, ancora lì a reggergli la fronte. Lo guardò preoccupato e sfinito, i ricci risultavano stremati, tirati quasi tutti indietro « Se tu madre non mi uccide, ricordamelo, la faccio santa »

« Non lo farà, » lo rassicurò « la hai sentita, no? »

« Me sento come se avessi inghiottito della spazzatura, Simò » sospirò ridendo sommando l’amaro del riso all’amaro che sentiva in bocca « ma almeno ora mi sento un po’ meno da schifo »

« Possiamo anche non ordinarla la pizza stasera eh, » gli accarezzò lentamente la schiena premuroso « se stai così, non ha molto senso »

« Non se ne parla Simone, » ribatté Manuel, alzò il capo riccio dal sanitario, seduto sulle mattonelle del bagno « tua madre è fuori da ogni pericolo e dobbiamo celebrare la cosa. Non me va de fa il guastafeste, sono già un ospite, non vorrei rovinare tutto. Me riprendo, ho solo bisogno di… » serrò gli occhi, cercando di respirare ma sentendo solo l'odore dei conati appena rigettati, che gli otturava le narici « di aria »

Simone aspettò un’altra risposta, ma Manuel se ne stava così, fermo, respirando anche troppo lentamente per capire se si fosse ripreso davvero. Dunque si tirò in piedi e aprì la finestrella del bagno, in alto alle loro teste. La prima cosa che avvertì fu il rumore di tanti piccoli spilli filiformi d’acqua battere sulla strada: stava piovendo e anche forte.

« Forse ora dovrebbe andare meglio » spalancò un po’ l’anta, mentre l’aria di terra bagnata si diffondeva per la piccola stanza del bagno « Come va adesso, meglio? »

Manuel annuì un poco, gli occhi serrati, la testa contro il muro. Le narici si aprirono, inalò un sentore di umido provenire da fuori.

« Ma che fa, piove? »

Manuel si toccò la gola, il collo gettato indietro, per guardare la lunga figura di Simone in piedi dietro di lui. Simone annuì, le mani si poggiavano per terra, mettendosi a sedere di nuovo, accanto al malcapitato.

« Siamo stati fortunati, se fossimo rincasati, ora saremmo completamente zuppi »

Quell’attimo si colorò di silenzio, col solo battito frenetico della pioggia ritmico che cadeva da sottofondo. Distesi sulle mattonelle del bagno, contro la parete liscia delle piastrelle azzurrine, la luce nella stanza che si andava via via spegnendo per via del mal tempo fuori. Manuel andava a ritroso, a quelle giornate d’inverno che erano passate in un lampo, Simone portava sempre quei maglioni sopra le camicie che lo facevano un po’ più maturo di quanto in realtà non fosse, sua madre gli gridava di vestirsi meno leggero, Dante spiegava l’ennesimo filosofo in programma, l’acqua che batteva sulle finestre fuori dall’aula.

« Questa cosa me manca, » indicò la finestra sopra di loro « ritornare fradicio da scuola fino a casa, il motorino che si ingolfa nel fango, mi madre che me dice che non devo entrà sporco dentro casa » sospirò sogghignando, offrendo la mano a Simone.

Il ragazzo arricciò il naso, vedendosi tra i corridoi di scuola, l’ansia nel vedere il professore di latino che gira con quegli sguardi furtivi e accusatori, poi le verifiche di matematica – seppur le sue preferite – a sorpresa.

« A me la scuola non manca poi tanto, » mormorò guardandolo sinceramente, Manuel poggiava la testa sulla sua spalla, i ricci sudati si posavano in intricati rami ondulati « mi mancano gli allenamenti di rugby, quelli sì… però sai, ora che ci penso, mi piace un po’ di più, » la maglia ocra si spegneva assomigliando più a un giallo spento « la pioggia intendo »

« Non te piaceva prima? » lo guardò curioso, dal basso verso l’alto.

Simone si ritrovò senza neanche sforzarsi troppo di tirare fuori quella notte in tempesta, un venerdì sera qualunque, una casa diroccata, il cellulare senza campo, la porta bloccata, un appuntamento.

« Mi ricorda troppo quella notte alla casetta di legno, sai quand’è successo » risultò già rosso in viso, solo che la penombra del bagno lo aiutava a renderlo meno palese.

Manuel si voltò verso Simone, un sorriso indecifrabile sulle labbra, gli occhi pieni.

« Se non avessi l’alito che puzza de morte, » la mano si stringeva forte, il respiro era regolare « te bacerei in questo momento Simone. La pioggia mi ha regalato te, mi ha regalato quella sera » concluse, baciando le loro le nocche intrecciate.
Simone lo guardò serio, nonostante l’odore di terra bagnata che lavava via la pestilenza improvvisa del bagno, gli sembrava di essersi ritrovato dentro una sorta di romcom fissa su un loro canale personale.

« Ma sei reale tu? »

Manuel era serio, strofinò il naso sul tessuto della maglia del suo ragazzo.

« Certo che so’ reale, Simò »

« Certe volte non me ne capacito proprio, » mormorò, guardò davanti a lui il tappetino sotto il lavandino « l’idea di te, di noi, mi lascia sempre un po’ incredulo. Mi mancherà tutto questo quando torneremo a Roma »

« Simone, » Manuel alzò il capo, puntandogli quelle iridi piccole e scure, bisognose « ce saranno altri momenti così, da qualunque parte, » il pollice gli accarezzava la pelle « certo magari, la prossima volta me metto a bere meno e magari evitiamo ‘sto mezzo casino, » l’altro ragazzo rise appena « però ne avremo tanti altri. Che siano a casa, o no, qua in Scozia o a Roma. A me non importa dove e quando, basta che ce stiamo insieme »

« Quello che voglio è non perderti »

Il cuore di Simone fece un salto in avanti, le labbra venivano morse, lo sguardo si faceva subito ansioso come se si aspettasse la risposta sul teorema dell’universo spiegata in due parole da Manuel.
Manuel fu abbastanza chiaro, sorrise leggermente.

« Questo è impossibile, Simò »

« Che ne sai tu, parliamo di adesso, ma tra qualche anno forse ti sarai già stancato, finiremo la scuola, le cose cambieranno »

« Simone Balestra, » Manuel suonò imperioso, le mani si poggiavano sulla mandibola del ragazzo, lo sguardo era acceso come un fuocherello caldo ma non invadente « c’hai la testa più dura de me. Se c’è una cosa di cui so’ sicuro è questa: noi due. Non me la toglierà nessuno, neanche se me porti gli schemini sulle probabilità e statistiche, stiamo qui, in un bagno pieno di vomito – il luogo meno romantico di tutti – eppure, a me piace lo stesso, perché me tieni la mano e mi piaci anche quando dici ‘ste fregnacce. »

Simone poggiò un bacio sulla fronte del suo ragazzo, un sorriso piccolo gli contornò le labbra.

« Ripeto: non sei reale » mormorò in un sussurro.

Manuel si fece piccolo contro il viso di quello, le labbra sigillate nel desiderio di volerlo disperatamente baciare e Simone se ne accorse. Aveva la tendenza alla prevedibilità: conosceva tutti quei segnali a memoria. « E coroniamolo questo momento nel posto meno romantico di tutti »

Simone si sporse per baciarlo delicatamente, il dito sulla punta del mento di Manuel. Si aspettò che il contatto fosse pessimo e invece il sentore fu solo un po’ aspro, crearono un sapore inaspettato. La lingua non si evitò di uscire fuori, nel momento preciso in cui Manuel si diede la libertà di invadere il palato del suo ragazzo.

« Me dispiace de non profumà de rose, Simò » rise amaramente.

« Sta zitto »

Un bagno in mattonelle si era appena trasformato – a loro insaputa - in un piccolo angolo di cielo privato, la pioggia batteva ancora fuori dalla finestrella rarefacendo l’aria all’interno dello spazio, il sole scendeva sempre più giù. Le figure di due ragazzi contro il muro, si teneva per mano, le teste si muovevano confondendosi in uno scontro di chiome confuse, quando gli occhi non vedevano, si lasciavano i baci a parlare.








Quella sera mangiarono davvero la pizza, tutti e tre seduti sul divano, con i cartoni sul tavolino del soggiorno. Floriana era riuscita nel suo intento di far bere uno strano miscuglio di acqua, limone e miele a Manuel. Aveva esitato inizialmente a inghiottire il composto, ma dopo quell’ora passata al bagno, avrebbe ingurgitato di tutto pur di sentirsi meglio. Qualche ora dopo, in effetti, il colorito di Manuel era ritornato, non sudava più freddo e con aria tranquilla, si stendeva sul divano.
Simone evitò di concedersi una birra con la cena, preferendo condividere una coca cola, in dovuta compassione con Manuel. L’aria quotidiana, semplice, in quel gesto condiviso portò il ragazzo a pensare a tutte le volte che avrebbe voluto ci fosse anche suo padre con loro. Era così bello essere tra sua madre e Manuel, e Dante – commenti imbarazzanti a parte – avrebbe completato il quadretto famigliare. Simone gli aveva inviato un messaggio poco prima, ricevendo subito una risposta.

« Mamma, ti va se chiamo papà? » il pezzo di pizza veniva posato sul cartone.

« Certo, » Floriana beveva la sua birra, mettendosi comoda sullo schienale del divano « fai una videochiamata, così ci vede tutti »

Simone annuì, aprì la rubrica e selezionò l’opzione videochiamata. Il cellulare fu posizionato contro un piccolo vaso decorato sul tavolo, come supporto. L’apparecchio squillò un poco, prima di vedere comparire il viso barbuto e occhialuto di Dante sullo schermo.

« Ma buonasera a tutti! »

« Ciao papà » Simone alzò la sua lattina di coca. Floriana in risposta si avvicinò a Simone, alzando la birra. Il ragazzo girò il telefono e inquadrò anche Manuel, che stava sospirando, il palmo della mano era aperto e il bicchiere d’acqua veniva portato alla bocca.

« Buonasera professò »

« Ve la spassate senza di me, vedo » intonò ridendo.

« Manchi solo tu, papà, » Simone si strinse nelle spalle, poi sorrise « la mamma ti ha già detto delle analisi? »

Si girò verso Floriana, quella annuì, afferrando un altro pezzo di pizza.

« Mi ha detto tutto, lo sapevo che sarebbe andato tutto per il verso giusto. Tua madre, è una forza della natura, Simone, una grande donna » suonò più come un professore che come un padre, con quella sua aria sapiente e il suo fare diplomatico.

« Adulatore » lo riprese Floriana.

Manuel guardò il modo in cui Simone annuiva sollevato, come se avere presenti anche se non fisicamente entrambi, gli avesse totalmente messo a posto il cuore e lo spirito. « E poi con la pizza si festeggia sempre qualcosa, » Dante si grattò la testa, posava il cellulare in un angolo della cucina, mentre accendeva i fornelli « io invece dovrò accontentarmi di un paio di uova perché tua nonna è andata a teatro »

« Ah ecco perché ti vedevo con un’espressione sconsolata, è andata da sola? » Simone sorseggiò dalla bocca della lattina.

« E’ andata con Lombardi, una serata “educativa” e “letteraria”, come mi ha detto lei »

« Educativa non credo proprio, più che altro mostruosa co’ quell’uomo la, professò » Manuel intervenne, il morso alla pizza si fece più grande. Simone si voltò a guardarlo, cercò di trattenere una risata.

« Beh penso che tra dotti ci si capisca al volo, » stava scaldando una padella, gli ingredienti erano accanto a lui « un po’ come tu ti capisci con Simone, no? »

Simone e Manuel si guardarono per un secondo.

« Vabbè che c’entra, suo figlio non è stronzo come quel mostro de Lombardi »

Floriana alzò un sopracciglio, incuriosita dalla piega che la conversazione stava prendendo. « Io non me ce metterei mai con uno così, letterato o no. E’ ‘na serpe, mette sempre voti bassi a tutti, anche quando studiano » il tono di Manuel era acido, scocciato, come se il pensiero del latino avesse ripreso a perseguitarlo. Simone gli piazzò una mano sul ginocchio.

« Papà effettivamente la nonna non si frequenta con qualcuno da un sacco di tempo e non è proprio una scelta magnifica quella di creare continui legami con tutti i miei professori. Però devo ammettere, che se fa felice lei, va bene »

Floriana aggrottò la fronte, posò la bottiglia di birra sul tavolino e si mise seduta dritta contro il divano.

« Legami con tutti i tuoi professori? Che vuol dire, tesoro? »

Simone si morse le labbra, Dante aveva un’espressione molto vaga e colpevole, Manuel invece, se ne stava più tranquillo che mai, si puliva le mani con un tovagliolo davanti a sé.

« Professò, fossi in lei direi quello che c’è da dire, prima di creà casini »

Simone gli lanciò uno sguardo supplichevole, Manuel fece spallucce sussurrando un ‘è meglio così’.

« Niente Floriana, » sospirò Dante, riprendendo parola « c’è stato un piccolo scambio con la prof di matematica a scuola, ma è finita subito, anzi è stata una cosa proprio inesistente »

« Ah, dimenticavo il tuo lato da acchiappa-donne, » Floriana rise cristallina, come se la cosa che avesse appena sentito fosse la più normale dopo quei giorni di agonia « hai sempre avuto un radar per quello, non ce la fai proprio. Però Dante, la prossima volta se puoi usarlo anche fuori dall’aula di nostro figlio, sarebbe cosa gradita »

« Sì e la mamma di Aureliano dove la metti in questo radar? »

Manuel si chiuse la bocca bevendo la sua acqua, Simone guardò giudicante Dante dallo schermo del cellulare, Floriana, sospirava rassegnata, porgendo un altro pezzo di pizza al figlio.

« Basta così, Simone, tuo padre è stato chiamato per vederci, non per fargli il terzo grado »

Il silenzio tagliò d’improvviso il soggiorno minimale, con i suoi divani lunghi in pelle grigi, le due librerie nere che si allungavano e davano l’aria di due colossi con ombre serpentinate sotto la luce data solo dalle due lampade moderne ai lati della stanza.

« Tuo figlio ha ragione, Floriana, » sospirò l’uomo, il rumore delle uova che sfrigolavano si sentiva forte e chiaro, mentre continuava a parlarci sopra « ho fatto degli errori non di poco conto »

« Papà, » Simone lo fermò, accettando lo sguardo di Floriana da una parte e del suo ragazzo dall’altra « dai lascia stare, di tristezza ne abbiamo avuta già troppa, che programmi hai per stasera? »

Dante annuì dallo schermo del telefono, aveva un cucchiaio di legno che si muoveva sulla pentola e con la mano destra teneva ferma la padella.

« Molto probabilmente leggerò qualcosa prima di dormire, voi, cosa prevede la serata? »

« Ma in realtà pensavamo di guardare un film »

Floriana abbozzò un sorriso, gli occhi entusiasti e le mani che battevano l’una contro l’altra. Simone la fulminò con lo sguardo « Mamma, non uno di quei film che guardiamo di solito, ti prego » la supplicò a denti stretti. Manuel si fece di colpo interessato, per l’espressione del suo ragazzo improvvisamente allarmata.

« Simone hai chiamato tu la pizzeria, almeno il film, concedimelo »

Simone sbuffò sonoramente, Dante riempiva ridendo invece.

« Perché che film guardate de solito? »

Il teppistello si accovacciò meglio sul tessuto molle del divano, aveva l'angolo della bocca sporco di salsa di pizza. Simone gli aveva preso un tovagliolo, indicandogli il punto preciso.
Sinceramente a Simone l’idea che Manuel dovesse sorbirsi due orette di commedia romantica non andava per niente giù. Pensava solo a quanto lo avrebbe preso in giro soltanto per il gusto che aveva nel guardare qualcosa di leggero qualche volta. Quei film erano per le serate sue e di sua madre, appollaiati sul divano, in un sabato sera qualunque. Non era geloso, era solo… in imbarazzato. Un imbarazzo anticipato.
I film che aveva visto con Manuel erano per lo più thriller, d’azione: amava quel genere, ma ogni tanto preferiva guardare qualcosa di meno impegnato. Ecco perché, molte volte preferiva in assenza di Floriana, guardarli in solitaria.

« Solo film belli » rispose Floriana, alzando la birra.

Simone si massaggiò le tempie, guardando la figura di suo padre che si serviva le uova strapazzate su un piatto e rovesciava malamente la padella dentro il lavandino.

« Pà, per favore dissuadila » Simone mimò un aiuto che suo padre non sembrò cogliere.

« Simone se tua madre vuole vedere un film romantico, lasciala fare »

Eccoci.

Simone sentì l’impulso di stringersi le mani sui pantaloni color cachi che aveva ancora indosso da quella mattina. Sapeva che per sera avrebbe dovuto farsi una doccia risanante e purificatrice, ma quell’idea non sembrava un male anticiparla dopotutto.

« Prima che tu dica qualcosa, » si voltò verso Manuel per chiarire « è una delle tradizioni che abbiamo quando vengo qua, ci rilassiamo, commentiamo un po’, non siamo degli assidui cinefili di commedie romantiche »

« Simone, » Floriana ticchettò sulla sua spalla, l’espressione si fece confusa « cosa c’è di male nell’amare questo genere, ti è sempre piaciuto. Ora, posso magari capire se a Manuel non piacciono, magari cambiamo film, se è questo il problema-»

« No, me va benissimo, Floriana » la voce del ragazzo era tranquilla, la pizza gli scivolò sul cartone « non me fanno impazzì, però la serata è la tua e quindi dovresti decidere te »

Simone si concentrò sulla figura di entrambi, intenti a sorridersi. Cosa sta succedendo, è un complotto? Ci pensò subito, almeno fino a quando Dante non parlò di nuovo.

« E dai che non è poi una gran tragedia, d’altra parte ora Manuel è parte della famiglia, o no? »

Sul volto di Manuel si affacciò un’espressione stupita, il bicchiere gli rimase a mezz’aria, si voltò verso madre e figlio, che gli sorridevano premurosi.
Era quella allora la sensazione che si provava ad aver trovato qualcuno che ti vuole bene e ti accetta? E soprattutto in così poco tempo, senza nemmeno essere preparati a ricevere quelle attenzioni. Manuel si ammutolì, la mano si toccava i capelli e veniva portata dietro la testa. Non c’erano state proprio tante volte nella sua vita in cui la gente gli aveva davvero detto quelle cose, eccetto Simone. E ora si aggiungevano i suoi genitori. Forse non era poi così male come persona.
« Professò, non corriamo troppo, sono solo un ospite qua »

« Oh, ma la smetti? » Simone gli scombinò i capelli, perdendo l’aria tramortita assunta pochi istanti prima « Se ti viene detto, vuol dire che lo sei »

Manuel sorrise un poco, avvertendo del calore sul volto.

« Ha ragione, sono d’accordo con te Dante » si aggiunse Floriana.

« Non so che dire, » Manuel si inumidì le labbra, le parole gli uscivano a stento « il sentimento è reciproco, voglio dì siete delle persone stupende e non mi è mai capitato de stare simpatico subito a qualcuno, non ce so tanto abituato »

« Beh, dovrai farci l’abitudine, » posò la bevanda sul tavolo « qua siamo molto seri su queste cose, almeno i 2\3 di noi lo è, » Dante emise un suono di disapprovazione in sottofondo « vero mamma? »

Floriana annuì, alzandosi e scorrendo sulla una delle due librerie per scegliere il dvd da inserire. Simone la guardò per un attimo, poi sospirò, abbassando il capo.

« Mamma non sceglierne uno troppo sdolcinato, per favore » la pregò.

« Non fa na piega comunque »

« Cosa? »

« Che te piacciono le cose romantiche, dal discorso che abbiamo fatto quando stavo a rimettere pure l’anima questo pomeriggio. »

Simone scrollò le spalle, esasperandosi internamente ma dando a vedere solo una parte controllata di sé, all’altro.
« Sono pur sempre un adolescente »

« Prendi un altro nome. Che cosa c’è in un nome? Ciò che noi chiamiamo con il nome di rosa, anche se lo chiamassimo con un altro nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo »

Aveva pronunciato i versi di Shakespeare. L’idea che in ogni circostanza provasse a smuovergli qualcosa dentro inavvertitamente, lo faceva sentire impotente. Anche se il tono di Manuel non sembrava proprio derisorio, Simone non poteva permettere a se stesso di sciogliersi, non in quel momento almeno, in cui sua madre sembrava aver adocchiato finalmente il definitivo passatempo serale.

« Mi annoierai per il resto dei giorni con queste battute al riguardo, non è così? » chiese conferma.

Manuel gli solleticò l’orecchio col naso, un bacio gli arrivò a pochi centimetri di pelle sotto di quello. Simone si girò di poco, trovandoselo a pochi centimetri dal viso: gli occhi gli stavano dicendo “c’è tua madre, ma farei volentieri altro”.
Avrebbe tanto voluto riempirlo di baci, l’espressione non diceva altro fuorché quello, ma si stava trattenendo per via di sua madre presente.

« Solo una cosa, Simò, » si fece molto serio « un’ultima curiosità: da oggi quindi te posso chiamà Romeo? » sbatté le palpebre prendendolo palesemente in giro, Simone roteò gli occhi.

« Lo sapevo, io lo sapevo » scosse la testa, la bocca assumeva una smorfia.

« Romeo » replicò.

« Ma quanto sei scemo? »

Manuel si avvicinò al suo ragazzo e dopo tante prese di potere gli stampò finalmente un bacio sulla bocca. Dopo che Floriana ebbe selezionato il dvd, salutarono tutti e tre Dante, augurandogli una buona cena.


 
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Dopo la visione del film, entrambi i ragazzi avevano dato la buonanotte a Floriana, scegliendo però di non ritirarsi subito a letto. Si divisero per chi doveva prima farsi la doccia: Manuel riuscì a giocarsela – anche per via del malore pomeridiano e andò per primo. La nuvola di vapore si era appena creata nella stanza, il ragazzo ci camminò in mezzo. Quando toccò a Simone – attento a non disturbare l’altro - quello entrò in doccia quando Manuel stava ancora passandosi l’asciugamano in testa, davanti allo specchio. La felpa gli ricadeva sulla spalla, con la canotta sotto, i pantaloni erano già quelli a righe del pigiama. Simone non ci mise non molto, per togliersi il sudore di dosso, sciacquarsi ed evitare di toccare i capelli.
Al contrario dell’altro ragazzo, Simone non aveva sudato per la quale durante la giornata, i suoi capelli erano intonsi e decise sul momento e anche per noia, di prestar loro attenzione. In realtà era diventato un gesto tutto dedito alla cura di sé ma quello che desiderava era proprio farsi una sana doccia. Lo rilassava lo scroscio dell’acqua calda sulla pelle prima di stendersi tra le lenzuola.
Simone uscì dalla doccia, allacciandosi l’accappatoio blu. Di scatto, quasi come vergognandosi, con la presenza di Manuel ancora dentro la stanza, si asciugò come poteva e soprattutto, abbastanza rapidamente.
Non erano mai stati insieme nello stesso bagno e pensò fosse meglio evitare di cadere in tentazioni. Afferrò i pantaloni da tuta che usava per dormire e la biancheria e li indossò, lasciando però il torso libero.
Rivoli di goccioline gli cascavano però lungo la linea del petto, facendosi strada sotto l’elastico dei pantaloni comodi, che gli ricadevano sulle cosce. Simone adocchiò Manuel, ancora intento a strofinarsi i capelli con l’asciugamano. La sua espressione era indecifrabile, mentre muoveva la testa da tutte le parti.

« Ancora lì stai? » si avvicinò a lui, togliendogli delicatamente la stoffa dalle mani « Dovresti sbrigarti ad asciugare quella matassa » indicò i ricci da cane bagnato del suo ragazzo, davanti allo specchio del bagno.

« Di solito non uso mai il phon, me scoccia, s’asciugano soli »

Simone sospirò, mise l’asciugamano sotto il lavello, si mosse di lato afferrando il phon dentro uno dei cassettoni bianchi.

« Ora si spiega perché sono sempre sparpagliati un po’ ovunque » ridacchiò leggermente, il tono velato di interesse, Simone attaccò la spina e si armò di un piccolo pettine « Dai, te li asciugo io, sennò dopo la sbornia, ti prendi pure un raffreddore »

Per prima cosa, Simone osservò bene la matassa davanti a lui: c’erano ovviamente dei nodi tra quei ricci. Come dei serpentelli bagnati, vorticavano e si diramavano in direzioni diverse, come fossero un piccolo elogio al mito di Medusa. Sospirò e riaprì il cassetto all’angolo, tirando fuori una boccetta di districante al sandalo. Se ne versò un po’ su due dita e cominciò a toccare piano le punte e alcune ciocche.

« Che me metti? » arricciò il naso Manuel. Era molto rilassato, con le mani abbandonate lungo i fianchi.

« Lo uso per districare i nodi, » Simone si spostò piano ai lati e poi dietro la figura del ragazzo, intento a poggiare lo sguardo sul piccolo flacone sul mobiletto, accanto agli spazzolini « non voglio tirarti o spezzarti qualche capello. E’ utile. »

« Questo è incluso nel pacchetto della guida? » scherzò Manuel. Simone ondeggiò con la testa, le dita si mossero per altri pochi secondi sopra la testa del suo ragazzo.

« Non credo, è solo dolore fisico nel vedere questo scempio che ti trovi in testa »

« Simò non so’ così preciso, voglio dì so solo capelli »

« Ed è qui che ti sbagli » Simone afferrò il phon, non senza prima sciacquarsi la mano e strofinarla sulla tovaglia al alto dello specchio.

« Quindi famme capì, te faccio schifo con i capelli miei di solito-»

Simone gli stampò un bacio sulla tempia.

« No, non ho detto questo. Tu non mi fai mai schifo »

Notò come l’altro sorrise subito dopo a quell’affermazione.
Manuel spiò l’altro dallo specchio con fare curioso, Simone si metteva dietro di lui, il pettine alla mano e phon nell’altra, sembrava quasi un parrucchiere provetto. Sentì il modo in cui molto piano, gli separava le ciocche e faceva attenzione a non fargli male. Il calore dell’attrezzo e il rumore sordo che proveniva fuori, trasmetteva un po’ di brividi sul suo corpo, facendogli rizzare i peli della pelle scoperta.
Di tanto in tanto Simone si spostava per vedere un po’ come procedeva la situazione: Manuel osservava la sua concentrazione, quasi maniacale, nel provare adesso, a mettere via il pettine e proseguire solo con le mani. Gli muoveva leggermente le ciocche, accarezzandole piano, seguendone il movimento ondulato. Le dita affusolate risultavano così grandi rispetto a quelle di Manuel, immerse tra i batuffoli dei suoi ricci. Quando Simone si spostò di lato, per asciugarli all’altezza della piccola frangia che andavano a creare sulla fonte di Manuel, quello arpionò le sue braccia lungo il bacino di Simone, coperto appena dall’elastico della tuta. Sorrideva, col vento creato dal phon che gli veniva sparato addosso, sentendo le mani del ragazzo che gli spostavano ancora il cuoio capelluto. Quando Simone cercò fargli abbassare la testa in avanti, Manuel ne approfittò per monopolizzare la spalla scoperta del ragazzo depositandoci sopra dei baci piccoli.

« Dai, Manuel » mormorò Simone, la mano posizionata sulla nuca del suo ragazzo.

« Me piace sta così e poi non c’hai la maglia Simò, » soffiò sopra la pelle chiara « il caldo me lo sto a prende tutto io »
Manuel si avvinghiò letteralmente alla vita del suo ragazzo, il naso gli solleticava la clavicola, la barbetta che pungeva. Il rumore del phon continuava imperterrito, così come il calore che si espandeva sempre più tra le loro due figure. « Sai che ‘ste piccole cose non le aveva fatte mai nessuno ‘pe me? » mormorò in tono così basso che quasi Simone dovette ricostruire metà della frase perché questa riscontrasse un senso logico alle sue orecchie.

« Tua madre non te li asciugava da piccolo? »

« Beh sì, però non è con mi madre potevo fa così » si mise in punta di piedi per un secondo, baciando Simone sulla bocca. L’aria calda del phon sollevò le ciocche dei capelli di Manuel, dietro, dalla parte opposta, sembravano aver preso vita « Dove potevo ho sempre fatto per conto mio, ‘pe non crearle impicci e cose così »

« Mi fa solo piacere farlo »

Simone se ne stava lì, radioso e premuroso, il petto ampio, il sorriso spontaneo che copriva quella nudità abbracciandola. Ci fu un po’ di silenzio scaturito dagli ultimi tocchi di calore, il vapore condensato sul vetro ora pian piano se ne andava via del tutto, abbandonando l’appannatura e rendendo le loro due immagini a fuoco, nitide.

« Ma in generale Simone, » soffiò baciandolo di nuovo « non c’ha mai pensato nessuno a fa ste cose, c’ho sempre dovuto pensà da solo alle cose mie »

Simone gli diede un buffetto sulla spalla, si limitò a sorridergli, poi spense il phon. I ricci di Manuel erano più che asciutti e apparivano anche più curati.

« Ora non sei più da solo »


 
- - -





« E comunque il film era caruccio, la fine molto realistica »

Manuel svoltò il lenzuolo, ormai la parte destra del letto era la sua, non gli piaceva tanto dormire accanto alla finestra.

« Io e mia madre lo avremo visto almeno una decina di volte » Simone si nascose le mani dentro la maglia del pigiama « e ogni volta, mi innervosisce il finale »

« Ma è finto bene, anzi » Manuel era già dentro il letto, le coperte però distanti di poco, le gambe incrociate e le mani ferme sui talloni « Alla fine per lui c'è speranza no? Cioè se capisce che la tipa non era quella giusta e infatti c'è un finale positivo »
Simone storse il naso, la coperta gli ricadde sopra la pancia, il cuscino dietro la schiena.

« È vero ma se pensi a tutti quello che lei ha fatto a lui, » mormorò critico « lo ha preso in giro, lo ha illuso per poi fare cosa, dire loro che non poteva esserci niente? »

Manuel si tirò su le coperte, il viso che restava fuori dall'ammasso del tessuto ambrato.

« C'hai ragione, ma è proprio questa la cosa realistica, » fece notare, gesticolando « lui ha dovuto capire che lei era sbagliata per andare avanti. Ha dovuto passà le pene dell'inferno per rendersi conto che poteva avere de meglio »

La piccola luce della lampada oscurava una parte della stanza, quella dal lato di Simone creandogli leggere ombre striate sul viso. Manuel non capì se stava annuendo o semplicemente riflettendo.
« In ogni caso lo ha trattato da schifo, come minimo io mi sarei vendicato, in qualche modo » sottolineò metodico.
Manuel abbassò lo sguardo, le mani di Simone erano ferme sulla federa del cuscino, grandi e lisce. Sospirò.

« Simò se magari te contattava, te sei un esperto di sfascio di macchine »

Simone scoppiò a ridere, un sorriso era visibile sul viso, rispetto alle ombre che giocavano ancora con la sua immagine.

« Ecco perché mi rivedo in quel personaggio, » riempì i polmoni, modulando la voce « perché so cosa si passa, cosa si prova nel costruirsi dei castelli di carta, un appiglio immaginario. Quando lui la idealizza, » cominciò a spiegare « percepisco ogni cosa. In quel momento ci crede perché sta vivendo qualcosa di nuovo, di bello e non ha paura di rimanere scottato. È questo che mi fa stare male per lui, mi fa entrare in empatia. »

Manuel annuì. Simone era sempre stato molto chiaro con le parole, suo malgrado. Non era mai sbagliato o quando lo era, era perché non voleva essere troppo diretto e allora addolciva la pillola. Gli piaceva quel suo lato, attento, di arrivare alle cose senza farle esplodere, cosa invece in cui Manuel sembrava essere un maestro di prima categoria.
La mano si mosse sopra il materasso, raggiungendo quella di Simone. Ci giocò piano, le dita si intrecciavano lente, nel silenzio totale. Forse era pure quella una parola chiara. Manuel stava implicitamente dicendo: io ti capisco, ma preferisco dirlo così. Oppure quando si distraeva a osservarlo fin troppo e quelle erano già due parole ben note.

« Simone, posso farti una domanda? »

« Vai, spara »

« Quando hai capito che te piacevo? »

La testa di Simone ricadde in avanti.

« Ah, così, a bruciapelo, proprio? »

« Beh, io te l'ho detto più o meno, tutta la storia la sai già »

Simone annuì. Le dita si toccavano ancora, si fermò a guardarle.

« Non so bene proprio con esattezza. Ma so per certo che quando mi trovavo con Laura, quello che sentivo era di volerle bene, ma mancava qualcosa. Mancava lo svegliarmi col suo pensiero, mancava anche solo volerla rivedere il giorno dopo. Tutt'ora se ci penso, i segnali c'erano tutti, solo che non pensavo fossero giusti » deglutì piano, gli occhi si alzarono sul ragazzo di fronte a sé « Quando stai tanto tempo con qualcuno, arriva l'abitudine a fregarti, la monotonia. Pensavo mi fosse successa una cosa simile, ma non era così. Poi ti vedevo a scuola, vedevo come ti sedevi, come ridevi alle battute di quel coglione di un nostro compagno di classe o come ti portavi la matita alla bocca, come rispondevi ai prof…» Simone sembrò sgombrare tutti quei piccoli lucchetti della memoria uno ad uno, aprendo la serratura che li teneva custoditi « Erano cose banali, me ne rendo conto, ma era quanto bastava. Bastava per capire che ero già dentro qualcosa più grande. E la cosa peggiore è che ero totalmente invisibile per te, Manuel. Potevo immaginarmi ogni cosa, ma restava comunque nella mia testa. »

Manuel si avvicinò piano, il peso sul materasso fece gracchiare le molle, il suo viso era così vicino a Simone, che sentì quasi il suo respiro mozzarsi in gola.

« Quando l'ho capito è stata una liberazione, ma mi sentivo anche incasinato da morire » sospirò riguardando ancora la presa delle loro mani unite « insomma, mi ero scelto il tipo più ambito, più popolare se non discusso della classe, la solita fortuna » un riso amaro venne fuori come un'onda sonora fuori tempo « Sì, diciamo che la macchina sfasciata è stata una vendetta ma anche una realizzazione totale, anche se era cresciuta già prima. »

Manuel avvertì il silenzio improvviso di Simone, l'idea era quella di riuscire a rispondergli qualcosa, ma non gli veniva niente da dire. Tutte quelle parole erano scivolate come burro, come una lama e al contempo del miele che arrivava dopo una nota amara. La sensazione fu subito di colpa, poi però analizzandola meglio, non era quello che doveva ripetersi. Erano mesi che continuava a ripetersi che avrebbe potuto fare di più, per entrambi. Adesso, trovandosi lontani km da Roma, dopo aver conosciuto Floriana, aver passato ancora più tempo insieme, Manuel sapeva di non doversi rimproverare nulla: stava rimediando a quel muro invisibile che aveva posto tra lui e Simone, prima di tutti quei mesi di relazione, prima del realizzare che si fosse innamorato di lui.

« C'era Chicca che piangeva » imitò o almeno provò a farlo, la voce dell'altro.

Simone rise un poco, la mano si allungava sulla schiena di Manuel sganciando la presa.

« Per favore, non sapevo come cazzo uscirne e ho detto la prima cosa che pensavo »

« E c'era Manuel che non capiva un cazzo » mormorò piano.

Ritornava il silenzio, le fronti si toccavano, i nasi si sfioravano. Quando Simone si aggrappò ancora di più alla schiena di Manuel, quello lo baciò pieno di impeto. Le bocche si mossero con calma, lentamente, dandosi tutto il tempo per studiarsi. Un piccolo mugolio si levò dalla bocca di uno quando si staccarono bisognosi di aria e quando le mani cominciarono a muoversi un po' ovunque. Tutto prese più ritmo quando la figura di Manuel si portò sopra Simone, le mani a coppa sulla mandibola, la presa sulle labbra salda più di prima. Simone vagava per la schiena del ragazzo, toccando il lembo dei pantaloni del pigiama, passandoci attorno con le dita. Già premuti l'uno sull'altro, un altro gesto portò Simone a sentirsi totalmente vulnerabile sotto la presa di Manuel: la mano di quello era finita dentro i pantaloni della tuta e vagava libera, fermandosi sull'interno coscia, salendo per l'inguine coperto dalla biancheria.

« Manuel dobbiamo fare piano » soffocò una voce già andata a farsi benedire dal contatto che gli scatenava ora il salire e scendere di Manuel lungo il suo collo.

« Non se muoverà una foglia qua dentro, » mormorò rocamente « parola di lupetto » notò le due dita libere col segno della pace tirate su, vicino alla faccia.

Simone lo riprese sopra di sè, le mani gli sfilavano veloci la canotta, lasciandolo a petto nudo. La sua figura si trovava adesso a cavalcioni sopra di lui. La luce giocava con l'inchiostro del serpente sulla pelle e i ricci sembravano una corona perfetta sopra la sua testa. Manuel fece lo stesso, eseguendo una manovra alquanto sprecisa, data la differenza d'altezza e la lunghezza del suo ragazzo.La maglia si intrappolò sulle braccia di Simone, provocando in lui una risata.

« Aspetta, aspetta »

« Questo è perché sei un gigante Simò » riuscì a sfilargli l'indumento poco dopo, buttandolo senza troppo cura a terra.

« Sei tu che sei troppo secco »

Prese a baciarlo di nuovo e questa volta il suo peso finì sopra il più piccolo, invertendo le posizioni. Manuel non sembrò lamentarsi troppo, la mano vagava già ad abbassargli la tuta, mentre Simone avvertiva alle narici l'odore del suo stesso balsamo che aveva usato per i suoi capelli ricci.
I pantaloni rimasero bloccati a metà e Simone si aiutò come poteva per scalciarli via dalle gambe. Ci riuscì, ma poco dopo Manuel si arpionò letteralmente, al suo sedere, come se fosse una cosa su cui mettere il proprio marchio personale. Simone allora caricò tutta la forza, le mani si misero in azione e quando abbassò anche i pantaloni di Manuel, quelli vennero via subito invece, con due gesti secco e veloci. Quando si trovarono entrambi in boxer, il passo successivo fu cercare la protezione. Simone frugò in uno dei cassetti in camera e uscì un preservativo, lo aprì tirando la linguetta. Si stava abbassando l'ultimo indumento rimasto, quando Manuel lo colpì con uno sguardo accigliato, forse bastonato.

« Mica c'hai fatto roba con qualcuno per caso su sto letto? »

Simone si intenerì all'istante. C'era stata una volta sola in cui avrebbe voluto fare altro e agire cancellando il ragazzo, ma non c'era proprio riuscito. Neanche se si fosse trovato in una situazione di vantaggio, Simone avrebbe rinunciato a rimanere fedele a se stesso.

« Sì, un po' di ragazzi in effetti, facevano la fila dietro la porta » lo prese in giro. Manuel restava comunque serio. Simone si piegò in avanti sopra di lui, un bacio sul naso « Non c'ha dormito nessuno prima di te, scemo »

« Oh meno male »

Il sollievo di Manuel lo incoraggiò a riprendere quello che aveva fermato prima del suo intervento di chiara gelosia.

« Avevi dubbi per caso? »

« Che ne so, so sei stato co' Christian »

« Non c'ho fatto niente con lui, nè con nessun'altro » Dopo fu tutto molto veloce. I boxer di Simone furono tolti, infilò la protezione su di sè e con uno sguardo rapido, notò Manuel che lo guardava di sottecchi: puntati addosso come due insegne che lampeggiavo, eccoli, che ritornavano, prepotenti.

« Manuel »

« Certo però, che coglioni, è toccata solo a me la fortuna de sta visione »

Manuel fece tutto da solo, non c'era neanche stato bisogno dell'intervento del ragazzo. Anche lui libero da costrizioni di tessuto, il cuore che pompava contro il petto. Lo tirava giù baciandolo, schiacciandogli il naso.
Quando Simone si spinse dentro di lui, le sue gambe erano già avvinghiate contro il suo bacino, la presa era artigliata lungo le sue scapole, il respiro si spezzava.
Il respiro si mischiò al sudore e in poche battute, Simone si ritrovò a sostenere il ritmo, con i gemiti di Manuel che spacciava per lo stridio di una sirena. Mischiare le due cose era sempre un po' denso, un po' dolce, un po' tante cose assieme. Simone capiva di sentirsi integro soltanto quando osservava Manuel presente anche con gli occhi socchiusi, la bocca semiaperta, il petto che veniva intrappolato dal suo.
Quando Manuel gli morse la pelle sopra la spalla, capì che si stava trattenendo. Soffrì a non sentirlo chiamare il suo nome nella notte. Nell'altra stanza c'era pur sempre Floriana che sveglia o no, poteva benissimo immaginare cosa stesse succedendo in camera sua. L'immagine svanì subito dopo perchè con un'altra spinta, Simone sembrò toccare un punto ancora ignoto e fu proprio in quel momento che Manuel non si trattenne più.

« Simone! » il suo suonò come un urlo spezzato contro il suo orecchio, il viso era nascosto nell'incavo del suo collo, minuscolo, come rattrappito in cerca di protezione. Simone riuscì a trovare il suo naso, a tentoni, lo sfiorò con la bocca. Questa si spalancò in un bacio sporco, disordinato, bisognoso, mentre ancora una volta si prendeva spazio dentro il suo ragazzo, che non smetteva adesso, di prounciare le sei lettere del suo nome « S-simone » la mano gli stringeva la pelle, l'altra se lo tirava per il mento.

« Manuel » sussurrò « cerca di fare piano » lo baciò all'angolo della bocca.

« S-simone non me dì quello che devo fare, sta zitto e muoviti! » mormorò incalzandolo, ma non era intimidatorio così, senza fiato, i ciuffi di ricci già incollati alla fronte. Manuel lo stringeva di più.

Simone non si lasciò più dire nient'altro. Continuò a fare l'amore con il suo ragazzo, sentendolo gemere contro di lui, trovando ogni tanto qualche risposta ripetendo il suo nome, totalmente coinvolto in quel vortice di sudore, concitazione, perdizione. Raggiunto l'apice, Simone si slegò da Manuel, arrivando poco dopo ricadendo a lato del letto, le braccia larghe sul materasso, il fiato che veniva recuperato. La sua posizione non durò poi tanto, perché Manuel lo raggiunse poco dopo, la testa venne accolta e gli finì sotto il braccio.

« Credevo di morire »

Simone si girò a guardarlo.

« Esagerato » riprendeva fiato, ancora.

« Forse tu non lo sai, » Manuel gli metteva un dito dritto in pieno petto « ma ogni volta me fai annà in paradiso »

« È un modo carino per dirmi che faccio crepare la gente? » arricciò il naso, confuso.

Manuel sorrise sornione, le labbra gli baciarono il petto, una volta spostato il dito.

« È un modo carino 'pe dirte che sei na bomba a letto » concluse.

Simone si ritrovò a ridere fragorosamente, i denti venivano fuori, il tono di voce non riuscì ad abbassarsi, nemmeno quando l'altro gli intimò di farlo. Manuel arrivò addirittura a tappargli la bocca.

« Ma che te ridi, Simò? Ho detto na cosa bella. Poi dicevi a me de fà silenzio! »

« È che sei un comico, Manuel » gli accarezzò il fianco tatuato con la mano.

« Però te piace questo comico, eh » la bocca gli stuzzicò il collo, la mandibola « eccome se te piace »

Tra il braccio e il petto del suo ragazzo, il braccio ancora steso attorno, si addormentò così, con quell'odore che ora sapeva di umido ed essenza di sandalo in mezzo. Simone risentì nella sua testa quelle parole tanto vere adesso, prima di raggiungere Manuel nel sonno: ora non sei più solo.





Clo's: questo phon mi ha creato più scompensi di quanto non doveva.
Come rovinarmi un altro oggetto quotidiano: fatto.
Romeo Simone + momento Manuelico introspettivo: fatto
Volevo ringraziare - non farò nomi - una nuova aggiunta che mi ha scritto delle parole stupende, arrivata oggi a casa dall'uni ho trovato una tempesta di recensioni piene di parole - solo belle, augurandomi di non smettere di scrivere.
Grazie, anche a te, queste cose mi fanno sempre bene.

 

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Capitolo 15
*** Di 19 sorprese ***


Il viaggio di ritorno dalla Scozia era stato molto tranquillo. Simone aveva sentito un piccolo vuoto - come ogni volta che si separava da Floriana - mentre chiudeva la valigia, ancora sfatta la sera prima. Manuel la aveva già chiusa, tenendo fuori solo il necessario da aggiungere all'ultimo minuto. Quando aveva varcato la soglia della sua seconda casa, Floriana si era stretta forte al figlio, respirando il suo famigliare profumo, tenendogli la schiena. C'era stato un breve scambio di parole e qualche parola sussurrata. Quando toccò a Manuel, lo prese in disparte, mentre Simone si avviava già lungo la scalinata. Il ragazzo incalzava con la sua voce già a più di metà scala, sua madre stringeva Manuel e sembrava sussurrargli qualcosa all'orecchio.
Manuel ricordava quelle paroline, seduto lì sul sedile dell'aereo, mentre si preparavano al decollo.
Controlli passati, una piccola attesa prima di allontanarsi dall'aereoporto. Solo pochi giorni prima, gli veniva fatta forza per superare quella paura, ora, non vedeva l'ora di ritornare a Roma, riabbracciare Anita, riprendere le sue giornate con il suo ragazzo. Guardava verso Simone, le cuffiette dentro le orecchie, le mani rilassate lungo i braccioli del sedile in plastica scomoda. Ripensò anche allo sguardo di Floriana in verità, pregno di fiducia, verità.

Manuel, mi raccomando. Ti lascio Simone, so che sarà in ottime mani. Promettimi di tenerlo d'occhio.

E quella cosa gli suscitava dentro un bocciolo di responsabilità che per altri sarebbe sembrata pesante, eccessiva. Una persona era tante cose a cui tener conto, averne cura era una doppia promessa. Per Manuel invece, la promessa era ormai più che ovvia. Non rigida, non forzata. La cosa più spontanea che gli veniva naturale, era il pensiero dell'altro e per l'altro. Simone ora era parte della sua vita e avrebbe fatto parte chissà per quanto ancora. Si augurava, per molto. Il futuro poteva essere relativo e spaventoso, ma con quel ragazzo accanto, non c'era da temere: lo avrebbe protetto senza bisogno che glielo si chiedesse.

Tranquilla Floriana pensò, guardando come il sole si poggiava sulla figura di Simone adesso ora so quale è il mio posto. E non lo lascio.

Atterrati a Roma, la prima cosa che fecero furono vedere arrivare i loro genitori in aereoporto. Rispettivamente, Anita urlò a suo figlio perché non gli avesse risposto dopo un'intera giornata, abbracciandolo in ogni caso, malinconica, Dante, invece, diede una rapida pacca sulla spalla a Simone, accompagnandolo fuori, con un braccio intorno alle spalle.
Quando Simone e Manuel si salutarono, l'idea era quella di rivedersi il giorno dopo - cosa che sarebbe sicuramente successa - ma l'approccio istintivo di entrambi, avrebbe voluto essere più esplicito di un semplice saluto della mano o sguardo di troppo. Solo quando Anita e Dante si staccarono un attimo per andare a recuperare le macchine, i due ragazzi avevano avuto modo di scambiarsi un bacio - seppur veloce - ma comunque un bacio.

« Allora, quanto la devo pagare la guida Balestra? »

Simone restava con la valigia ancorata nella presa della mano.

« Hai già pagato quando hai deciso di venire con me. Questo vale più di tutto, Manuel. »

Manuel si voltò a guardare sua madre intenta ad aprire il portabagagli, distratta. Poi ritornò a Simone.

« Te seguirei ovunque, Simone » le mani si portarono al suo viso, il naso veniva sfiorato e il sorriso era diventato una collana di perle.

« Manuel, sbrigati, dobbiamo andare! » sentì la voce di sua madre richiamarlo da pochi metri. Dante invece era appoggiato al cofano della macchina, leggeva qualcosa al cellulare.

Manuel si voltò un attimo. Anita guardava l'orologio al polso come un ossessa, aveva un impegno di lavoro e non poteva tardare troppo.

« Mà, arrivo, ancora due minuti! » si sbrigò, poi rimise la mano sulla maniglia della valigia, lo sguardo faticava ad allontanarsi dal ragazzo alto. « Simò, domenica te va de venì a casa mia? »

« Va bene »

« Te invito per pranzo, me invento qualcosa, sicuro tanto per mi madre va bene »

Questa volta fu Dante a urlare il nome di Simone e il figlio sospirò, incamminandosi verso l'auto. Il teppistello lo seguì, fianco a fianco.

« Porto qualcosa però, non mi va di venire a mano vuote »

« Non fa cerimonie, è solo casa mia, mica na reggia » corrugò la fronte, storse il naso.

Simone assunse una smorfia, la bocca si incurvava all’ingiù.

« E che significa, reggia o no, porto qualcosa. È da persone educate »

« Mr maleducato non t'ha mai portato niente eppure non lo hai mai buttato fuori de casa tua- »

Simone lo prese per il colletto del dolcevita, gli bastò solo uno sguardo veloce e deciso per capire che lo aveva già zittito.

« Perché devi scaldarti tanto, dai, altrimenti non vengo più »

Manuel sospirò, sconfitto. Gli passava di già, immaginandolo, un dito sulle labbra di Simone e poi gli avrebbe sicuramente baciato quella porzione lì, dietro l’orecchio. Immaginava, appunto perché avvertiva lo sguardo pressante dei loro genitori uno parcheggiato davanti all'altro, su di sé.

« Va bene Simò » sentì la presa allentarsi di poco, lo sguardo intenso « niente birra però eh, ti avverto, non voglio berla per almeno due giorni »

Simone rise al disgusto disegnato sul volto di Manuel. Annuì, sistemandosi meglio lo zaino sulla spalla.

« E poi te l'ho detto, a me bastava solo che ci fossi, mia madre deve essere rimasta colpita… a proposito che ti ha detto? »
« Questi sono segreti che non si possono dire, » sentì lo sguardo curioso del suo ragazzo e l'idea di tenerlo sulle spine lo allettava parecchio « me dispiace Simone, le promesse se mantengono e poi c’hai ragione, me conviene stare calmo sennò non vieni e sarò il primo che se incazza qua. Anche perché c'ho tutto il diritto » dondolò volteggiando quasi con il bagaglio in mano.
Simone annuì, sorridendo vagamente furbo.

« Ti ha parlato di me non è vero? »

« Simò, » infilò la valigia dentro il portabagagli di sua madre, mentre Simone era già sulla fiancata della macchina di Dante « so muto come un pesce. Ci vediamo domenica, te ricordi che giorno è, no? »

Simone gli fece l'occhiolino, prima di accennare un saluto, depositare la valigia dietro e salire sul posto del passeggero.

« Ti vedo bene »

Dante sembrò assicurarsi che il signore sulle strisce pedonali, davanti a loro, avesse finito di attraversare la strada.

« Insomma, c'è stata una ripresa negli ultimi giorni, dopo i risultati di mamma... un po’ di paura generale »

« Non ci pensare più, ora mamma sta meglio. Ti sei divertito almeno un po’?»

« Sì, dai, ho fatto un po' fare il giro per il centro a Manuel, il museo, i luoghi che preferisco, cose così »

« È stato molto carino da parte sua accompagnarti » sottolineò suo padre, in fare premuroso « Come siamo organizzati quindi?» Dante proseguì dritto, cambiando la marcia.

« Papà, il programma rimane quello, ho solo bisogno di prendere e comprare alcune cose, » spiegò mettendosi comodo, le strade romane già scorrevano davanti ai suoi occhi « devo organizzare tutto bene, inoltre c'è da capire un po' i compiti. Dovrei farcela però »

« Hai bisogno di una mano? Voglio dire, ho già avvisato Anita, se posso aiutarti in qualche altro modo Simone... »

Simone osservò lo sguardo tranquillo di Dante alla guida. Un piccolo sorriso gli creava una fossetta sulla guancia.

« Sì, mi servi per una piccola cosa, in effetti. È essenziale, » mormorò, le mani poggiate sulle ginocchia « in ogni caso, mi piacerebbe riuscire a fare tutto, ci tengo »

Dante allungò una mano dal volante, coprendo quella del figlio. Quel gesto gli diede conforto.

« Tutto ciò che vuoi, Simone. Abbiamo tre giorni ancora a disposizione, ti ricordo che in tre giorni il signore è resuscitato »

« Sì, solo che io non ho i poteri divini o dello spirito santo »

Simone rise, seguito da suo padre. Si guardarono entrambi abbastanza sereni e sciolti.

« Dai, ce la facciamo » lo rassicurò.

Simone annuì, osservando come avevano ormai superato l'aereoporto, inoltrandosi tra strade famigliari. I sanpietrini, le strade con le buche, i piccoli centri abitati, il sole che batteva sui bar e le facciate degli edifici. Il mese di Giugno non era mai stato così caldo a Roma, il sole era alto in cielo e già qualcuno camminava per le piccole vie con un cono gelato in mano. Abbassò il finestrino, i capelli si muovevano poco, le narici respiravano l'afa estiva.
La cosa più bella erano le giornate, si allungavano, il sole si muoveva piano, il tempo era a sua disposizione e si poteva riempire come più si voleva. Avrebbe ricominciato gli allenamenti di rugby in tutta tranquillità a fine estate, riprendendo con i primi dolori alle gambe e il sudore. Simone ci pensava, pensava, ora, alla possibilità di andare al mare, di trovarsi a leggere libri per puro piacere, al di fuori dell’impegno scolastico, di dormire e il poter poltrire a letto fino a tardi. Pensava anche ad altro. Sarebbe stata infatti la sua prima estate fuori da Glasgow dopo tre anni e la prima con Manuel a Roma, l'inizio di una di tante.

« Ti va di prenderci qualcosa al bar? È ancora presto » Dante svoltò lungo una stradina popolata, lungo i due marciapiedi stavano piantando dei nuovi alberi.

« Si, dai. Tanto offri tu, no? »

Simone tamburellò le dita sulle ginocchia, Dante annuì.

« Non sbuffare troppo, ma mi è mancata un po' la tua presenza in casa. Anche solo per urlarmi contro, tua nonna poi... un usignolo rotto »

Simone guardò suo padre, i raggi di sole gli investirono i peli sella barba e l'inizio del naso. Sospirò.

« La nonna esagera sempre, » gli occhi di Dante erano coperti dalle lenti degli occhiali « la prossima volta dalla mamma ci andiamo insieme, che dici papà? »

Dante annuì, visibilmente sorpreso.

« La patria di Hume ed Hamilton, non vedo l'ora » era entusiasta, mentre le mani giravano il volante e gli occhi si muovevano per parcheggiare in zona.

Simone alzò gli occhi al cielo, sospirando stanco.
« Certo che per una volta potresti anche evitare di fare riferimenti filosofici »

« Chiedo scusa Simone, visto che la tua unica religione è Manuel, speravo di illuminarti su altro argomento »

Simone lo sentì quel tono sarcastico, Dante era particolarmente allegro quel giovedì mattina. Suo figlio poteva anche ribattere, ma anziché imbronciarsi, scelse di ridere insieme a suo padre. D'altro canto, non poteva che dargli ragione: ultimamente prima dell'accaduto di Floriana, non aveva fatto altro che parlare del suo ragazzo.

« Se proprio dobbiamo parlare d’altro, c’ho una fame… »

« Non preoccuparti per quello, siamo quasi arrivati »





- - -






Quella domenica mattina, Manuel si alzò, senza sapere che ore fossero esattamente.
I piedi puntarono fuori dal suo letto, scattanti. Scostò la serranda della finestra, le braccia si stiracchiavano. Manuel si mosse veloce verso il bagno, afferrò lo spazzolino al volo con la mano destra, il dentifricio venne maltrattato per essere spremuto, andato a finire per metà circa, sul lavandino. L’energia pompava addosso come se avesse fili elettrici lungo tutto il corpo, lo possedeva, vibrava dalla testa alle punte dei piedi.
12 di Giugno.
Solo diciannove anni fa, era ancora un piccolo pensiero inaspettato dentro la pancia di sua madre. Quello che Anita gli aveva raccontato lo ricordava sempre a memoria: quando aveva avuto la certezza dal dottore, era rimasta spaventata ma felice, più di ogni altra cosa. Lo aveva definito “la cosa più bella che mi sei capitata”. Su quell’espressione il ragazzo le aveva sempre detto che era di parte, lei, gli rispondeva che quando sarebbe stato padre, avrebbe provato sicuramente la stessa cosa.
Manuel era nato una domenica di mezzogiorno, come si diceva per voce popolare, il giorno che portava il significato di una persona testarda, cocciuta, accompagnata anche da un orario particolare. E insieme alla sua nascita, Anita gli aveva raccontato che nel letto accanto al suo, una signora aveva allungato il suo stato di gestazione per altre ventiquattro ore, quindi era stata più che fortunata. Manuel muoveva lo spazzolino sui denti, fino a quando non sputò. Sciaquò di nuovo e ripeteva l’azione. Fuori il tempo invogliava ad uscire, fare una passeggiata, ballare in strada. L’ultima volta che aveva fatto qualcosa, si era ritrovato da solo con sua madre, davanti a una torta già confezionata.
Il ricordo era custodito a dovere, ma l’immagine di Simone che gli cantava la tipica canzone imbarazzante davanti, gli provocava tanta sicurezza e anche sollievo. Amava sua madre, ma adesso era diverso. Non vantava – da sempre più o meno – grandi amicizie, se non si contava qualche conoscente incontrato dopo i traffici con quei delinquenti di Sbarra e Zucca. Adesso, aveva messo la testa apposto e le cose sarebbero andate diversamente, perché avrebbe avuto il suo ragazzo presente in quella giornata dedicata solo a lui.
Manuel mise a posto lo spazzolino nel bicchierino color petrolio all’angolo del lavandino e dopo essersi sciacquato il viso, si diresse in cucina.
Non ebbe neanche il tempo di aprire il frigo e afferrare il cartone del latte per fare colazione, che sua madre lo sorprese abbracciandolo da dietro. Le mani di Manuel accarezzarono quelle di Anita, ferme sul suo petto magro.

« Auguri al figlio più rompi palle, ma che amo con tutto il cuore. Diciannove anni fa, soffrivo le pene del parto, però a guardarti come sei cresciuto ora, le passerei di nuovo »

Manuel rise, la voce gli uscì impastata, bassa, l’unica porzione del suo corpo salva e che ancora dormiva. Con un gesto rapido chiuse l’anta del frigo.

« Sentimentali di prima mattina, mà? Giorno »

Anita gli scompigliò i ricci, baciandolo sulla guancia.






La giornata passò in un elenco abbastanza lungo dei compiti da fare e da dividersi come meglio poteva. Simone organizzò bene le piccole commissioni per due giornate intere. Sperava soltanto di non sbagliare qualcosa. La piccola visita al rifugio, gli aveva reso chiari: lo spazio, quanto in effetti potesse reggere il legno, se usare dei chiodi o semplicemente del nastro adesivo. Tutto gli sembrava un po’ come uno scatolone di carta, incollaggi, strumenti, che si andava piano piano a comporre nella sua testa. Gli venivano in mente quelle famose trasmissioni per bambini, mandate agli orari della merenda. Poi, Simone, uscì fuori, notò l’erba incolta. Si accovacciò sulle ginocchia, la mano toccò la terra calda e con un pollice o forse due e un occhio chiuso, misurò la distanza tra qualche ciuffo e l’altro.
, pensò, non sarà un problema.
Prese il suo blocchetto e ci appuntò sopra qualche modifica.
Si passò una mano a grattarsi la testa, sospirando un poco. Manuel se la sarebbe presa troppo? Forse non era il caso di rimuginarci così tanto, era una bella cosa. Si ripeteva in testa che era per una buona causa, tutto quel trambusto era stato messo in atto pochi giorni prima di sapere di sua madre, di allontanarsi da Roma. Niente sarebbe andato storto. Se c’era qualcosa che Simone aveva sempre amato, fin da piccolo, era festeggiare. Che fossero palloncini, colori vivaci, urla sollevate, erano momenti che amava, soprattutto se li condivideva con qualcuno.
Tutto sommato, non importava tanto con chi, era sempre stato abituato a dare affetto, attenzioni e a riceverle. L’idea era molto semplice: quella di dare tutte queste cose anche all’altro. Prima di tutto perché se le meritava e secondo, perché Simone si sentiva come in debito – anche se non sapeva bene spiegarsi perché.
Manuel era un’immagine più che solida, che era potuta risultare sgradevole agli inizi, coperta, sbiadita, ma vedendo l’intero trascorrere di quei mesi, vivendoci accanto, sentendolo vicino sempre, Simone aveva potuto conoscerlo davvero. E quell’immagine era diventata un quadro completo: con le sue macchie di sbavatura, ma anche con la scelta dei colori migliori da usare per la tela. Il cellulare vibrò, nella tasca dei suoi pantaloni.
Ecco, ora devo recitare, com’è che mi ha detto nonna? Ah sì, calma e tono solido.
Simone respirò profondamente e il dito premeva il tasto verde lì, sullo schermo.

« Ma buongiorno, » esordì, tutto sorridente, un filo d’erba venne strappato dalle dita di Simone « auguri pagliaccio » scherzò.

Sentì un leggero brontolio dall’altro capo del telefono.

« Ah, proprio belli sti auguri, Simò »

« Fammi finire, auguri a quel pagliaccio che ho come ragazzo, quello dalle battute comiche, dalla vena poetica, la persona più importante, il mio pagliaccio preferito »

Simone lo sentì felice solo nel tono di quella risata in risposta.

« Ma come devo fare con te? Mi fai degli auguri come se fosse ‘na cartolina de San Valentino che manco comprerei, eppure, » mormorò Manuel « me piace un sacco pure questa cosa. Non lo so, Simò, so diventato rincoglionito. È causa tua o sai questo, sì? »

Simone si alzò dall’erba, osservò vicino a lui la piscina grande e vuota. Scalciò con i piedi in avanti. Pensava a come fare a spegnergli l’entusiasmo senza farlo restare troppo male. Come si faceva a disinnescare una piccola bomba senza spargimenti di amarezza?

« Manuel » suonò dispiaciuto. E lo era, in fondo. Nonna Virginia gli aveva insegnato che la prima cosa era lasciare andare i veri sentimenti, poi, adottare una tecnica più sistematica. Gli aveva spiegato la tecnica conosciuta ed efficace in pochissimi atti: bisognava che pensasse a qualcosa di molto triste, che magari aveva vissuto e riportarla a galla all’istante. Poi allo stesso modo, per ritornare al sentimento inverso, doveva mutarla e concentrarsi su una cosa diversa.

« Che c’è Simò, te conosco, che succede? »

La voce del festeggiato cambiò subito umore, colore. In realtà Simone pensò di essere visto anche in quel momento – cosa non possibile – mentre si torturava le labbra e si portava una mano dietro la nuca, nervoso.

« Ti volevo dire per stasera, visto che avevamo spostato giovedì, mi sono dimenticato che avevo l’impegno con i ragazzi di rugby, » cercò di risultare credibile, camminando un po’ in avanti, senza realmente volersene andare « glielo avevo promesso prima di salire da mia madre, era da un mese che volevamo organizzarla, sai dopo la scuola »
Il silenzio dall’altra parte diede a Simone una mazzata invisibile, arrivò dritta dietro al collo come una frustata. Si inghiottì le parole che avrebbe voluto dire, urlargli che era tutta una cosa falsa, però si contenne. Il piano doveva procedere come pattuito e non si sarebbe lasciato trascinare da pochi attimi di pentimento.

« Simò, non puoi rimandare? »

Manuel emise un sussurro che fece capire il tono completamente diverso, come se si fosse spento tutto d’un tratto.

« C’ho provato, o meglio, ho spiegato anche perché, ma non li vedo da fine degli allentamenti, e ho sempre dato loro buca per le verifiche, le interrogazioni… »

Mantieni il tono, non incrinarlo altrimenti è fatta la frittata, sentì le parole di sua nonna in testa.

« Ho capito Simò, però giusto er giorno mio… la cena la potete fà sempre, io faccio gli anni solo una volta all'anno- »

« Possiamo vederci a pranzo, oggi, » fu veloce senza lasciarlo finire « al posto di stasera, non sarà la stessa cosa però almeno ci vediamo. »

« Simone oggi a pranzo non posso, mi madre ha deciso che vengono a farmi visita due zie che vengono non so manco da dove, » sospirò amareggiato « si è fissata che vuole che ci rivediamo. Ecco perché volevo che venissi stasera, con calma e senza rottura de palle »

Simone annuì, contorcendosi al pensiero di Manuel bloccato a casa con la presenza di parenti non richiesti e che non gli erano magari neanche simpatici, mentre lui si dilettava nell’artista di turno, contento e attento, per organizzargli una festa a sorpresa.

« Puoi passare nel tardo pomeriggio, » pensò che l’aiuto di suo padre sarebbe scattato proprio in quel momento, d’altra parte era a quello che gli serviva « quando ti liberi, l’uscita tanto è dopo le sette. »

« Non c’è tanto gusto così però, » il tono basso e distratto di Manuel già faceva desistere Simone, che chiuse la mano a pugno, concentrandosi sulla chioma di un albero in lontananza, all’altezza dei suoi occhi « avrei voluto che ce fossi tu, mi madre, pe’ fa na cosa diversa. C'avevo un'idea anche un'idea de uscì, insomma, hai capito, no? »

« Lo so e mi farò perdonare Manuel, » cominciò Simone, giocando la carta del dispiacere « mi sento un po’ una merda, ti giuro. Ma tra il casino di mia madre, il ritorno, non c’ho più pensato… »

« Non te preoccupà... »

E’ già triste, cazzo.
Simone si focalizzò sulla sorpresa, ancora poche ore e tutto si sarebbe spiegato. « Faccio de tutto ‘pe liberamme qua per pomeriggio, e passiamo un po’ de tempo insieme, te prenoto già, visto che sei richiesto, altrimenti me fregano pure questa cosa »

« Sei incazzato? » gli uscì di getto.

« Simone non me và di innervosirmi oggi » sbuffò pesantemente, il respiro era pesante.

Il ragazzo sapeva di cosa aveva bisogno, doveva soltanto lasciarlo sfogare. D'altra parte, aveva tutto il diritto di avercela per la situazione - fittizia - ma reale per Manuel.

« Ma lo sento, sei incazzato. »

« La verità? » la voce si scurì leggermente, come se un coltello lo avesse pungolato in un punto sensibile del copro « un po’ »

« Dai, su, sfogati pure »

« Simò

« Non ti conoscono Manuel e non lo sapranno mai da me, sfoga tutto. Se vuoi, fallo. » sorrise un poco, immaginando il suo ragazzo che scriveva su un foglio nero tutti i nomi dei suoi poveri e innocenti compagni di allenamento.

« So’ un po’ dei bastardi. Scommetto che loro co’ le loro ragazze la sera del compleanno ce la passano insieme, mentre io me devo accontentà de due orette se tutto va bene, per stare con te, Simone »

Le parole gli arrivarono dritte come un treno in corsa, la breccia che colpiva e spaccava a metà la mela. Il pensiero di Manuel invidioso lo faceva impazzire perché era come se gli dicesse in modo indiretto quanto lo amava. In realtà insieme alla gelosia era un sentimento che se gestito bene, risultava pure nobile. Era come dire non lo fare, o anche tu prova a farlo e io ritorno più combattivo e speranzoso di prima.
Simone fissò ora il blocchetto che teneva in mano: la prossima commissione lo vedeva uscire in motorino per sbrigare altre due cosette prima del pranzo. In una giornata sarebbe riuscito a fare tutto – doveva riuscirci.

« Mi faccio perdonare. Ti lascerò prendermi in giro per una settimana, argomento a tua scelta. Facciamo quello che vuoi, se vuoi non usciamo proprio, ah, e aggiungo anche delle dormite a casa mia come bonus.»

« Mi fai morire, sembra che me stai vendendo un folletto, Simò »

Simone scoppiò a ridere, e l’altro lo raggiunse poco dopo.

« Davvero, te lo prometto, tutto ciò che vuoi…»

« E’ il mio regalo de compleanno? »

Oh, se sapessi qual è il tuo regalo.

« Sì e no, » Simone si dondolò in avanti e in dietro, la testa gli vagava sulle cose che ancora doveva sbrigare, preparare in pochissime ore « posso fartene più di uno, uno per ogni volta che mi hai fatto stare bene »
Pensò che l’altro avesse chiuso la chiamata, che fosse caduta la linea o che semplicemente, avesse deciso di trincerarsi nel silenzio come modalità del suo umore offeso. Poi però, Manuel prese parola.

« Simone ringrazia che non sono lì, adesso, altrimenti non te farei più uscire dalla camera dove te trovi. Anni nuovi o no, che me frega, me le passerei delle ore solo con te, in quel modo »

Non sono in camera, ma sì, sto arrossendo lo stesso.

« Lo sai vero, che non ti è permesso dire queste cose prima di un certo orario? »

« Me ne frego della fascia protetta, » lo canzonò per bene « fà l’amore col ragazzo mio è sempre uno dei regali che preferisco »

« Guardati come ti sei ridotto, a diciott’anni odiavi le cose sentimentali e adesso…» la buttò sull’ironia, anche perché sentiva già le guance rosse presentarsi e ringraziò che Manuel non potesse vederlo in quel momento.

« E adesso amo te »

Simone sembrò sul punto di dirgli tutto, di cosa stava combinando, che non doveva restare così, appeso, che tutto ciò che voleva era che ciò che stava preparando andasse in porto.

« Se può farti stare meglio, » Simone serrò gli occhi, creando e visualizzando una foto in movimento ben precisa « prova a pensare a come stavamo giorni fa, quando abbiamo fatto le due di notte, perché non riuscivamo a dormire. Abbiamo ascoltato la musica, a letto. Ci penso spesso, e ricordi anche cosa ti ho detto? »

« Che non sono solo » ripeté Manuel.

« Esatto. Anche oggi che non ci sarò, » Simone ringraziò se stesso confortando entrambi a sua insaputa « ma io sto lì, Manuel. Anche se non mi vedi. E ti auguro davvero di passare una giornata che non dimenticherai »

Ed era vero, sperava davvero di rendergliela indimenticabile. Nel bene e nel male, il pensiero sarebbe sempre stato rivolto a quel ragazzo, anche se il terrore che potesse rovinare qualcosa, lo avrebbe portato a dare il massimo.

« Quant'è vero che ho la capoccia dura, io arrivo da te e me libero Simò. Fosse l'ultima cosa che faccio. »



 
- - -




Alle cinque e mezza in punto, Simone che stava sgranocchiando dei biscotti, trovò la figura di suo padre, intenta a mandare un’e-mail, il pc era posizionato sul tavolo da cucina, il cellulare di fianco a quello. L’orologio in alto, ticchettava sopra la mensola del muro.

« Papà, devi entrare in azione, manda un messaggio a Manuel » suonò deciso, anche se la sua figura trasmetteva uno stato di ansia quasi totale.

Dante alzò gli occhi sul figlio, gli occhiali gli ricaddero sul naso. Notò come suo figlio stesse ansiosamente cercando di fare mente locale, con le granelle di cioccolato che ricadevano tutte sul tovagliolo. Una mano era chiusa, nell’altra si stringeva il cibo.

« Bene, » afferrò l’apparecchio e aprì l’icona dei messaggi « che devo scrivere? »

Simone sospirò. Aveva pensato bene a cosa, ma non sapeva come formularla ora che ci pensava. Manuel sarebbe arrivato di lì a pochi minuti e lui doveva scomparire per un’oretta. Pensa Simone, pensa. Si inumidì le labbra, posò il biscotto sul tovagliolo e a mente sgombra, capì qual era la mossa più giusta.

« Ciao Manuel, per caso sai dov’è Simone, » cominciò a dettare, parola dopo parola « è uscito più di mezz’ora fa, non mi ha detto dove andava e da chi. Per caso è lì da te? La domenica la passate insieme di solito... »

Dante rilesse il messaggio, controllando se ci fossero errori di battitura, poi mostrò il display a Simone. Suo figlio annuì e suo padre inviò il messaggio.

« E se non dovesse abboccare? »

Simone sentiva di stare entrando in paranoia per una cosa inutile.
« Non dire gatto finché non ce l’hai nel sacco »

Simone si alzò in piedi, aveva bisogno di muoversi un poco. Agitato o no, doveva rimanere lucido, come avrebbe continuato poi se l’altro avesse risposto?
Il cellulare di Dante vibrò, una notifica nella casella dei messaggi.

17:34
Professò, se fosse venuto da me m’avrebbe avvisato e poi stavo venendo io lì, da voi.
Ha provato a chiamarlo? Magari è ‘pe strada col motorino.


« Rispondi così: ho provato già, ma il cellulare è staccato »

Simone di colpo, con la mano tremante – si sentiva uno stupido – spense il cellulare. Annuì a suo padre, che ticchettò con le dita sulla superficie lignea del tavolo. Un'altra vibrazione.

17: 35
Non famo scherzi! L'ho sentito stamattina prima de pranzo, era tutto tranquillo.
Non mi ha detto che doveva uscire. Ora provo a chiamarlo io e le faccio sapere.


Simone immaginò il tono del suo ragazzo, cadenzato. Pensò anche che lo stava facendo preoccupare. Il tono da cadenzato si tramutò in uno sguardo confuso e bastonato. Era normale accadesse, era parte del piano, si disse in mente, doveva funzionare tutto. Manuel non doveva avere il minimo sospetto.

« Aspettiamo un altro po’, se ti risponde che sta arrivando qui, » spiegò a suo padre « tu tienilo occupato, se non esce di casa, ho già avvisato Anita, il tempo di farmi una doccia e raggiungerla per prendere la torta e le altre cose. Quando arriviamo, dovete spostarvi in soggiorno o in studio »

« Ricevuto »

« La nonna ti farà un segnale quando avremo fatto, passeremo dalla finestra che da sul giardino, per non far sentire il rumore della porta »

« Sembra un film di spionaggio » azzardò Dante. Simone sorrise nervoso.

Passò un tempo che gli sembrò indefinito, ferro fuso nei suoi passi e soprattutto nel pensiero di un Manuel possibilmente in stato di panico causato da due semplici messaggi. Era così forse, che dovevano sentirsi i cattivi delle serie tv. Ma Simone era tutto fuorché quello.

17: 40
Cazzo, professò non risponde. Facciamo una cosa, io mo’ esco e vado un po’ in giro, vedo se riesco a pensà a qualche posto in particolare.
Poi me precipito a casa sua e vediamo cosa fare.


Scacco.
Simone baciò suo padre in testa, l’euforia che gli pompava in pieno petto. Sentì la risata di suo padre, mentre lo lasciava libero di rispondergli con un ‘va bene, fammi sapere’ e corse dritto su per le scale, a farsi una doccia rapida. Dopo, sarebbe uscito prendendo la moto, in modo da risultare credibile e da lì in poi, sarebbe stata solo questione di pochissime ore. Ogni cosa stava andando secondo i suoi piani.

17: 41
Sto uscendo adesso, lei mi tenga aggiornato.

Si ricordi de striglià de parole su figlio.






Segreteria telefonica.
La segreteria squillò per la quarta, poi quinta volta, avrebbe voluto rispondere alla vocina registrata mandarla tanto al diavolo e dirle che il suo ragazzo la segreteria non la lasciava parlare mai, perché rispondeva sempre. Il cellulare venne quasi sbattuto a terra, se non fosse stato per il materasso su cui rimbalzò, dopo il lancio fortunato di Manuel.

« Mannaggia a te Simò, dove te sei cacciato? »

Manuel si aggrovigliò gli elastici della felpa, fino a quando non decise di alzarsi e prendere lo zaino e le chiavi del motorino. Se gli era successo qualcosa, non se lo sarebbe perdonato. Ma poi che cosa poteva essere successo? Lo aspettava a casa sua, prima di uscire, la sera del suo stesso compleanno. Sospirò scacciando via il pensiero che potesse trovarsi in pericolo. Sicuramente aveva avuto un’emergenza ed era uscito in fretta e furia di casa.
Un’emergenza, de domenica?
Simone non aveva detto che lo aspettava nel pomeriggio? Che avrebbero passato qualche ora insieme per farsi perdonare? Il cervello di Manuel navigò l’idea che forse, forse era rimasto bloccato per strada, al durante la guida bisogna evitare di guardare il telefono. Voleva escludere l’idea di un possibile incidente, ma nell’esatto momento in cui ci pensò, non sapeva più togliersi quella macabra possibilità dalla testa. No, non era proprio il caso di crearsi una tragedia in testa, era più plausibile che stesse ritornando a casa e non poteva rispondere.
E’ il mio compleanno, signore per favore, fammi sta grazia: non oggi.

« Manu, dove vai? » Anita si affacciò dal soggiorno, una tazza di caffè in mano.

« Mà, devo fare una cosa urgente, » mormorò, cercando di non dare a vedere lo sguardo di pietra « poi te spiego, ok? »

« Tutto apposto, è successo qualcosa-»

« Sta tranquilla, la risolvo da sola, » cercò di dirlo convincendo più se stesso, che sua madre « appena ho fatto ti chiamo »
E così dicendo, uscì di fretta, chiudendosi la porta alle spalle senza far caso a come aveva sbattuto. Anita, afferrò il telefono, rapida.

« Simone, sì, » un sorriso sornione le spuntò sulla faccia « sta tranquillo, è uscito adesso, va bene, ti aspetto e ci partiamo insieme »





Parcheggiato in modo sbrigativo, Manuel si slacciò il casco in un solo gesto, poggiandolo poi sul manubrio del motorino. Incalzò il passo e bussò a casa Balestra. Non usò il campanello, ma direttamente le nocche. Dante gli aprì dopo qualche minuto, l'espressione dell'uomo era serissima. Il ragazzo si accese in un barlume di speranza.

« Professò, lo ha sentito, vero? Me dica de sì » entrò dentro subito, senza neanche togliersi il giacchetto che portava indosso. Dante chiuse la porta dietro di loro e si infilò le mani nelle tasche dei jeans. Ondeggiò con la testa.

« Mi piacerebbe dirti di sì, ma no »

Manuel chiuse gli occhi, le mani ancorate sui fianchi. Sentì l'ansia montargli dentro, la gola secca.
« Ma dove cazzo è finito, so andato per quasi tutta Roma a cercarlo! » alzò le braccia in aria esasperato « Qua dobbiamo per forza chiamare qualcuno, la polizia- »

« No no, Manuel calmiamoci un attimo » Dante lo frenò, mettendogli le mani sulle spalle « le scomparse non si denunciano se non sono passate almeno ventiquattro ore. È la prassi. Dobbiamo capire solo se può esserci qualche cosa che ti ha detto, magari qualche cosa piccola, che può farci un indizio. »

Manuel annuì, l'espressione di totale panico. Qualcosa che mi ha detto. Che cazzo mi ha raccontato Simone in questi tre giorni? « Ti prendo un bicchiere d'acqua, vedo che ne hai bisogno »

Manuel si mosse attorno all'entrata ancora, l'atmosfera era abbastanza silenziosa, anche troppo. Si guardò intorno, cercando qualcosa, qualsiasi cosa che nella sua testa potesse dargli un respiro di sollievo. Qualcosa che potesse dargli un po' più di speranza. Dante ritornò poi con il bicchiere d'acqua e il ragazzo lo afferrò, portandoselo alla bocca.

« È già un'ora e mezza che è fuori di casa, » Dante optò per un tono più basso, amareggiato « vorrei capire cosa doveva fare di così importante da non comunicarmelo »

Manuel bevve l'acqua in un sorso veloce, per poi dare il bicchiere a Dante, riportò le mani sui fianchi, in fare pensieroso che non andava per niente in armonia col ritmo frenetico dei piedi, avanti e indietro, lungo il pavimento dell'entrata.

« Magari c'entra con Floriana? Magari può essere ritornato in Scozia, senza avvisare, » ipotizzò « o qualcosa del genere »

« Potrebbe, ma sua madre mi avrebbe avvertito se la avesse contattata »

Manuel si portò le mani alla testa. Dante gli mise una mano sulla spalla, con fare premuroso. « Manuel se continui ad agitarti così non risolveremo comunque niente, » la sua voce suonò rilassante d'un tratto « ti va se ci andiamo a sedere un attimo di là, in soggiorno? »

Il ragazzo annuì, anche se avrebbe preferito che il suo cellulare squillasse da un momento all'altro. Dante accompagnò Manuel lungo la stanza, attraversando il corridoio. Si tastò nella tasca dei pantaloni, mentre il ragazzo avanzava oltre la porta.

18:46
Noi siamo quasi arrivati, stiamo svoltando l'angolo,
mi raccomando papà, come da programma.


Dante si ficcò di nuovo il cellulare in tasca, facendo finta di niente. Raggiunse Manuel sul divano, le mani giunte e la schiena un po' rigida.

« Forse doveva vedersi con qualcuno »

« Sì, come le ho già detto, se doveva vedè con me, » si grattò la nuca, con fare meccanico « non so se lo sa, ma oggi è il giorno in cui 'sto soggetto è venuto al mondo » si indicò.

Dante sorrise un poco, senza scomporsi troppo « Volevo passà qualche ora con lui, visto che stasera aveva già da fare » mormorò.

« Auguri allora. Sono diciannove, giusto? Per Simone, sono sicuro che per cena rientrerà, dobbiamo pensare questo, dobbiamo essere fiduciosi »

« Grazie, diciannove anni de sta vita complicata ...professò, o spero per lui, altrimenti finisce che - senza offesa - ma suo figlio me farà invecchiare prima del tempo »

« Siete ragazzi, » Dante si strofinò le mani sulle ginocchia « a questa età il vostro compito è quasi solo di fare salire i nervi ai vostri genitori »

« Sì, ma Simone non è sempre così, lui è diverso. In senso positivo, intendo »

Dante si distese lungo la poltrona, la schiena era sciolta, lo sguardo ritornava serio come prima.

« Non ti ho ancora ringraziato per averlo accompagnato da sua madre, è una cosa che mi ha colpito molto »

« Si figuri, prof, io non c'avevo minimamente intenzione de lasciarlo partì da solo. Penso siano queste le cose giuste che si dovrebbero fare quando se sta insieme a qualcuno, no? »

Manuel sembrò cristallino, nonostante il tono fosse basso e gli occhi gli ricadessero costantemente sullo schermo del suo cellulare messo sul tavolino in mezzo alla stanza.

Dante annuì, cogliendo subito la piccola dichiarazione del ragazzo, anche seppur velata.

« Manuel, il modo in cui tieni a Simone è bello. Non voglio essere di parte, ma mio figlio è una delle persone più buone che ci siano e non lo dico solo perché sono suo padre, è sempre stato così. Non voglio che tu possa pensare male, ma lo difenderò sempre, o almeno ci proverò. È l'indole del genitore, » rise un po', colorando il tono « anche se non sono riuscito bene a gestirla in tutti questi anni. Ma sto recuperando. Voglio che tu sappia, che qualsiasi cosa succeda, in un modo o nell'altro, Simone, al mio stesso modo, cercherà sempre di proteggerti le spalle. È fatto così, non c'è scusa che tenga »

Manuel si sentì leggermente preso in causa, ma sul viso dell'uomo non c'era ira, né collera, né un ultimatum di avvertimento. Dante parlava a cuore aperto, senza troppi giri di parole. « Mi piace e voglio pensare che da ora in poi, per te sarà lo stesso. »

« Per Simone me butterei giù da un ponte se servisse, » sussurrò, stavolta concentrandosi solo sullo sguardo dell'uomo davanti a lui, non del suo professore di scuola « io glielo giuro, non ho intenzione di andarmene dalla vita di suo figlio. Per quanto sia stata un casino la mia, 'na giostra de errori, non lo farò. Non lo voglio, e se fosse il caso non saprei neanche come farlo. Perché lui sta qua ormai, » si inumidì le labbra, si toccò il petto indicando il cuore « e non penso se ne andrà via tanto facilmente »





 
- - -






Simone scattò in avanti, scavalcò la finestra che dava sul giardino, prendendo il pacco dalle mani di Anita. Molto lentamente, la donna si portò dietro l'armamento vario: palloncini, uno striscione, dei tovaglioli abbinati ai palloncini. Quando furono entrambi dentro, all'altezza della camera di sua nonna, che adesso stava sicuramente al piano di sotto, dopo l'intero pomeriggio passato dall'estetista, con Dante e Manuel. Simone visualizzò la cucina, notando che la porta del soggiorno era chiusa. Fu sollevato nel sapere che suo padre aveva avuto la decenza di chiuderla. A passo felpato, lui e Anita cominciarono a piazzare le cose, cercando di spostare piano, i palloncini erano già gonfi quindi non ci fu neanche il rumore del fiato per riempirli di aria. L'idea di Anita era stata molto carina: lo striscione riportava l'immagine di una moto, con sopra foto-montata la faccia del suo ragazzo, che capeggiava. La scritta auguri era scritta in diagonale, sotto di quella. La appesero ai lati di due sedie, che rovesciarono sul tavolo, in modo che lo striscione ricadesse non finendo del tutto a terra e fosse ben visibile.
Organizzarono la tavola come meglio potevano, distribuendo tutto il necessario. Per finire, Simone uscì la torta dall'involucro e posizionando le candeline sopra, con un accendi gas, le accese. Il ragazzo diede il segnale ad Anita, la quale annuì, digitava sul cellulare. Simone si premurò di spegnere luci della cucina. La porta del soggiorno si apriva piano. La prima cosa che Simone vide, fu l'espressione del suo ragazzo, avanzato per primo, completamente incredula. Se ne stava fermo lì, senza sapere cosa dire. Le luci delle candeline illuminavano quel poco riquadro dove Simone si trovava.

« Tanti auguri a te » canticchiò Simone, avvicinandosi a Manuel, con la torta tra le mani. Il ragazzo si ritrovò spiazzato, le mani ferme lungo i fianchi, gli occhi fissi in quelli di Simone. La piccola fiamma sulla torta li rendeva più belli, se possibili.

« Che bastardo, » mormorò, sorridendo incredulo « avevi organizzato tutto? »

Simone scrollò le spalle, sorridendo a sua volta.

« Sono stato aiutato »

Manuel si girò a guardare tutti dentro la stanza, adesso di nuovo illuminata. Nonna Virginia, Dante dietro di lui, sua madre per ultima. Cantarono tutti quanti la canzone. La tipica canzone che sentiva da 19 anni, e da 19 anni gliela aveva cantata solo sua madre. Adesso, c'erano quattro persone a farlo per lui. Il viso di Manuel era un misto tra imbarazzo e felicità, come se l'idea di tutte quelle persone lì per lui, fosse un sogno troppo surreale perché avvenisse. Quando finirono, li guardò ancora un po', ciascuno di loro.

« Non ce credo, ma che infami, lo sapevate tutti? Eravate tutti coalizzati? »

Simone rise giusto il tempo di pungolarlo con quegli occhi ansiosi, entusiasti.

« Vuoi soffiare su questa torta o aspettiamo direttamente i vent'anni? »

Manuel lo guardò radioso, le sue labbra spensero le candeline numerate, mentre tutti nella stanza applaudivano. Osservò lo striscione sul tavolo. Rise.

« Di chi è stata l'idea di quello? » lo indicò. Sua madre alzò la mano, trepidante dall'orgoglio. Suo figlio le mimò un grazie, andò ad abbracciarla. Poi Manuel ritornò a Simone, che mentre si era già spostato al centro della stanza per posare il dolce, in modo che venisse tagliato. Le bibite erano già posizionate, tutte tranne la birra: così come il festeggiato aveva ordinato. Entrambi volevano evitare che la situazione in Scozia avesse un disgustoso continuo. Simone sembrava aver avuto un'altra variante però, perchè in verità, aveva riservato una bottiglia di spumante solo per loro due, più tardi. « Ma quindi l'idea de farmi venì quasi mezzo infarto era pure inclusa o...? » alzò un sopracciglio, anche se il tono fu scherzoso.

« Mi dispiace per quello, » alzò le mani in segno di difesa « ma non dovevi sospettare nulla »

Manuel gli cinse il volto con entrambe le mani, lo sguardo era pieno di amore. Una giornata che non dimenticherai gli riecheggiò nella testa. Il bacio fu spontaneo, davanti ai loro famigliari, con la voglia di non limitarsi solo a quello. Aveva l'impressione di stare sorridendo fino a farsi venire una paresi facciale, ma non gli importava.

« Simò, io non so che dirti, davvero... » le mani si spostarono dietro il collo « fino a pochi minuti fa pensavo fossi disperso, e ora me ritrovo 'na torta e 'na festa de compleanno. »

« È la magia dell'associazione sorprese di Balestra Junior »

« Quindi non c'avevi la cena dei rugbisti stasera- »

« Era parte del piano, stasera, » Simone sentì solo la sua voce in mezzo già al chiacchiericcio degli altri nella stanza « è dedicata solo a te. »

Poi con un semplice bacio sulla guancia e un sorriso di Manuel contro il suo viso, quello gli tagliò una fetta di torta e gliela passò.





Finito di mangiare e bere, e aperti i regali, si era creato tra il soggiorno e la cucina, un dibattito acceso tra Dante, Nonna Virginia e Anita. Non ricordava nemmeno come fosse iniziato, ma Manuel fece scorrere lo sguardo divertito tra Simone e sua madre, la quale stava ridendo su una cosa appena detta da Dante. L'aria era piena di spirito, ed era così che pensava di trascorrerla, a cuore e testa leggeri. Allontanandosi un attimo a riempire il bicchiere, Simone lo osservò con la coda dell'occhio e finì per alzarsi e seguirlo.

« Sei pronto per la seconda parte? »

« In che senso, non te seguo »

« La seconda parte della sorpresa » gli tolse il bicchiere dalle mani, senza nemmeno lasciarlo finire di bere. Simone lo prese per mano. « Scusate, noi usciamo un attimo a prendere un po' d'aria, » si affrettò « voi continuate pure » Manuel non ebbe nemmeno il tempo di salutare, che venne trascinato fuori di casa. L'insieme di voci so quietò prima che la porta venisse chiusa dietro di loro. Poi Simone si frugò nella tasca dei jeans, tirando fuori una benda nera.

« Oh, Simò aspetta, » mise la mani avanti, sorridendo cauto, il tono era velato di malizia « non sarebbe meglio entrà dentro per fà certe cose? »

« La benda non è per quello che pensi tu, » sospirò, oltrepassando il doppio senso, poi la mosse tra le mani aprendola « non devi vedere, altrimenti che sorpresa è? »

« Ah »
Simone restò fermo, mentre si sporgeva per bendargli li occhi, Manuel lo trattenne per i polsi. « Non è che me stai a vizià un po' troppo?»

« Ma quando mai » mormorò.

« A me sembra de sì invece » si morse le labbra, posando le mani sui fianchi « Posso almeno avere un indizio? »

Simone sospirò, impaziente. Le mani si annodavano sul tessuto dell'oggetto.

« Ti fidi di me? »

« Che stamo a fà Jack e Rose? No perché io voglio essere Jack tra i due, sia chiaro » le mani lo toccarono sul petto, con i palmi aperti, lo prese in giro beffardo.

Simone lo guardò sopprimendo una risata, la serietà sfuggiva al suo controllo quando Manuel tirava fuori il repertorio del comico. Il ragazzo lo guardò diversamente, col silenzio di pausa che si era creato. « Certo che me fido di te »
Manuel lo baciò veloce e si lasciò coprire gli occhi, la benda venne legata non troppo stretta e Simone lo prese per mano. Cominciarono a camminare, senza però evitare di sentire Manuel ogni tanto incespicare su qualche possibile informazione da tirargli fuori

« Ma è una cosa grande Simone? »

« Aspetta e vedrai »

« È 'na moto? »

« Ce la fai a non fare domande per qualche minuto? » rispose quasi scocciato.

Mentre procedevano, Manuel sembrò quasi cascare su un ciottolo e Simone gli evitò per riflesso, di sfracellarsi a terra. « Siamo quasi arrivati, dai »
I due ragazzi si fermarono, o meglio, Simone si fermò mentre Manuel metteva le mani dappertutto, sospese com'erano nel vuoto. Quell'immagine provocò la risata di Simone, che gli uscì contagiosa da morire, tantoché Manuel fece lo stesso.

« Sembro un coglione, sì? »

Simone tirò fuori l'accendino che usava per fumare e cominciò veloce a farne uso, quando finì, si riavvicinò al ragazzo. Gli sciolse la benda, e prima che aprisse gli occhi, glieli baciò entrambi.
Si scostò un poco, fino a quando Manuel non si accorse dov'erano.
Quello era il loro posto, la casetta di legno vicino la piscina. Il rifugio, era riempito e circondato tutto per il perimetro della facciata di fiori, sparsi qua e là, qualche rosa rossa, una serie di margherite, dei gelsomini, alternati e conficcati tra le assi di legno sottile. La composizione sembrava un grande tappeto in verticale, misto, profumato dove il bianco, il rosso e qualche tocco di giallo dava l’idea di un prato mobile o di un quadro impressionista vivente.
L'erba intorno riportava circa una ventina di candele, di media altezza, accese ai lati, ognuna correva in direzioni precise, per file ordinate, tutt'intorno al perimetro della casa. Alzando gli occhi, Manuel notò che la porta riportava una serie di lucine a contornarne la sua forma rettangolare. Simone rimase attento ad ogni sua microespressione, vedeva come Manuel si avvicinava a toccare qualche petalo, sfiorava delicatamente la base, poi si concentrava sulla visione generale.
Si sentiva un po' in ansia, ma si rilassò vedendo l’altro come incantato. Manuel pensò di non essere ancora sazio e i suoi occhi vagavano ancora su ciò che non avea notato. Stava lì, proprio sotto il suo naso, in basso, sotto la porta, un piccolo tappeto. Una nuova aggiunta di Simone, che dava quel tocco di quotidianità anche se molto semplice, dai bordi in rosso, la scritta riportava la parola ‘home’ al centro. Proprio lì, sulle lettere della M e della O, si posizionava una bottiglia di vetro con dentro un foglio arrotolato che indirizzò la sua curiosità. Manuel guardò Simone, indicandosi incerto e il più alto annuì. Raccolse l'oggetto e ne estrasse la carta. Era tutta scritta a penna.

« Se vuoi, puoi leggerla dopo, » mormorò « voglio farti vedere dentro »

Manuel non disse niente, stringeva quel piccolo pezzo di carta in una mano, come fosse una verità assoluta, posò la bottiglia al lato dei suoi piedi e si lasciò guidare da Simone senza fiatare, dentro la piccola casa.
Una volta dentro, Manuel capì che quella non era più solo una misera casa sfasciata. Al lato della stanza, c'era un nuovo oggetto, una sorta di puff - che all'apparenza sembrava usato - ma senza un buco. Le pareti lungo la branda del letto, con qualche cuscino in più, coprivano il legno con dei teli ampi, colorati, di blu, rosso, violetto, e sopra di quelli dominavano una serie di foto, ognuna percorsa da delle lucine automatiche ad intermittenza. Non sapeva quante fossero, forse una trentina. Erano tutte in formato polaroid. Si avvicinò per guardare meglio. Manuel sorrise inconsapevolmente. Riconobbe subito quando le avevano scattate, anche perché non si aveva spesso l'occasione di vederlo con un berretto e un maglioncino addosso.

« Le hai fatte sviluppare » disse meravigliato, guardandone una da più vicino.

« Sì, te lo avevo detto, solo le più belle »

In una lui e Simone stavano palesemente scherzando, un selfie sul ponte, nell'altra si vedeva Manuel di profilo, nell'altra ancora, Simone metteva una mano davanti all'obiettivo lasciando però parte del visto scoperta, con lo sfondo di un paesaggio. Un sorriso ampio quando beccò la sua foto con in mano una birra scozzese. Manuel guardò meglio l'ambiente, poi, catturando solo dopo, il pacchetto incartato nella stanza, sopra lo scaffale in alto. Simone seguì il suo sguardo.

« Oh sì, giusto, dimenticavo, il tuo regalo » si spostò per afferrarlo.

Manuel teneva ancora il foglio in mano, indeciso se leggerlo in quel momento o meno.

« Come se non avessi fatto nulla per me Simone, » prese il pacchetto dalla mano di Simone, senza nemmeno guardare, la carta finì nell'altra mano « quanto c'hai messo per fare tutto questo? »

« Quasi tutto in un solo giorno, soprattutto per i fiori, altrimenti sarebbero diventati uno schifo »

« Te sei completamente matto Simò » lo baciò attaccandosi a lui, senza freni, scambiando finalmente un contatto pieno, desiderato dall'inizio della giornata. Forse non c'era posto migliore che farlo lì, in quel posto battezzato ormai di loro proprietà. Simone si riprese poco dopo, il respiro faticò a ritornare, il naso incollato a quello di Manuel.

« O si fanno bene le cose o non si fanno proprio »

Manuel annuì piano, non riusciva ancora a capacitarsi di averlo trovato nella sua vita. Che fosse capitata a lui quella fortuna sfacciata. Simone vagò sul suo ragazzo, le dita indicarono il regalo «Beh, aprilo, no? »

Manuel sembrava come stordito, mosse la testa, la carta era ancora stretta nelle sue mani, quindi la posò un attimo sul mobiletto affianco. Passò ad aprire piano l'involucro protettivo, tolto quello, della carta da imballaggio cadde senza cura a terra. La foto che gli aveva scattato, era incorniciata: Simone, quel giorno al bar. Aveva usato il filtro bianco e nero, sapeva che i suoi lineamenti sarebbero risaltati. Le fossette, le braccia poggiate al tavolo, la visione frontale di un ragazzo che amava. L'altro aveva subito ribattuto che a colori sarebbe stata diversa. Invece il bianco e nero gli rendeva ancora più giustizia. Ed era proprio così. Manuel la osservò per bene, i pollici accarezzarono d'istinto il vetro che proteggeva l'immagine, un pizzicore leggero lo avvisò dei suoi occhi già umidi.

« Ho pensato che quando non ci sarò, potrai sempre avere questa a ricordarti, sai quello che ti ho detto oggi… magari puoi anche toglierla dalla cornice se ti sembra troppo importante »

« Non gliela tolgo, Simone, » la voce sembrava già persa, flebile « è bella così »

Simone annuì, accarezzandogli le mani, poggiate sulla cornice della foto. Il teppistello lo tirò in un abbraccio improvviso, aggrappandosi alla figura di Simone, il regalo protetto in mezzo alla stretta. « Simone, sò felice, » Manuel percepiva la sua voce sussurrata, le lacrime agli angoli dei suoi occhi, la sensazioni che non aveva mai provato prima e che adesso, stava sperimentando tutte con l'altro « tu mi fai felice »

Simone sorrise contro la sua nuca, il respiro era regolare, il battito di uno dei due era più accelerato.
« Buon compleanno, Manuel »

Il festeggiato restò incollato al suo ragazzo ancora un altro po’, sentendo il tempo congelarsi e volendolo fermare solo con la forza del pensiero. Simone si dedicò ad accarezzargli i capelli, un gesto piccolo.

« Possiamo restare qua? » mormorò piano.

« Sì, tanto ho chiesto a tua madre se potevi dormire qua, stanotte »

Manuel si staccò da Simone, scoccandogli un bacio, la foto la teneva ancora tra le mani, avviluppate in modo disordinato alle sue spalle.

« Pensavo che non t’avrei proprio visto oggi, invece me sbagliavo »

« Che fai scherzi? E poi scusa, quando mi ricapita di brindare col mio ragazzo? » gli sfiorò il naso e allentando la presa, frugò dentro il vecchio armadio diroccato nella stanza. Due bicchieri in mano e una bottiglia di spumante « Però al secondo ti fermi Manuel, non c’abbiamo il bagno qua per vomitare »

Il ragazzo scoppiò in una risatina, annuì e si ritrovò ad osservare ancora quello schermo fotografico, che sembrava fin troppo lontano adesso dall’immagine reale di Simone.

« Penso di potercela fare a reggerlo » si mosse verso lo stesso mobiletto dove aveva lasciato la famosa lettera e posò anche la foto di Simone. Fece per riprendere la carta, aprendola ai contorni « posso leggerla adesso? »

Simone stava riempiendo i due bicchieri di plastica, dall’altra parte.

« Però non ad alta voce, altrimenti prevedo altre prese in giro fino ai miei vent’anni » sospirò.

Manuel annuì piano, andò a sedersi sul letto e lesse in religioso silenzio.

In una giornata come questa, non so esattamente cosa scriverti. Non sono stato mai bravo in questo genere di cose. Amo sapere che riuscirai lo stesso a capire però. Se mi avessero detto che mi sarei ritrovato a organizzare il compleanno per la persona che amo, non ci avrei creduto. Se avessero anche provato a dirmi che quella persona, si sarebbe legata a me, quanto io a lei, mesi fa, nemmeno.
Quando si è felici, la sensazione è quella di galleggiare in una bolla, ed è proprio così che mi sento. Ed è strano, perché non immaginavo mi sarebbe successo.
Così come so che queste cose non ti piacciono ed è strano che io ci abbia provato comunque… so che avresti preferito una cosa meno alla Simone, più semplice, ma non potevo non dedicarmici e non farlo.
Mi sono chiesto cosa desiderassi, cosa volessi per questo giorno speciale. Spero siano le stesse cose che voglio io, perché se un po’ ti conosco, so che comunque ti piacerà, lo spero. Non so scrivere poesie, non so comporre, però so dirti che ti amo.
Ed è la cosa più bella che ho scoperto. Perché adesso, ci sei tu nella mia testa, ci sei tu dentro di me, ogni giorno, quando vorrei scacciarti via, quando non voglio, quando mi sveglio, quando dormo, sei dentro e non manchi più.
Auguri Manuel.


Simone si avvicinò col bicchiere in mano, riempito un po’ troppo, evitando di fare cadere il contenuto per terra. Glielo offrì.

« A te » alzò il bicchiere, una volta affianco a lui.

Manuel adesso stava piangendo, se prima era riuscito a trattenersi, adesso aveva due righe ben definite lungo gli zigomi. Avrebbe inciso dentro quelle parole, dalla prima all’ultima. Simone scacciò quelle piccole maree con il pollice, la fronte si poggiava già vicino alla sua, gli spuntava l’accenno di un sorriso « Non si piange il giorno del proprio compleanno » suonò così dolce, delicato.

« Sei te che me fai piagne. E sò lacrime felici, » mormorò, il bicchiere quasi gli scivolava dalle mani, la carta scritta sul grembo « sono lacrime perché ti amo Simone »

Simone lo baciò, così, semplice, senza nemmeno approfondire il contatto. Il festeggiato soffiò vicino al suo volto prima di fare tintinnare il bicchiere con quello del suo ragazzo « A noi »


Clo's: ragazzi è andata così, alla fine ho cambiato tre volte il titolo
non sapendo quale potesse andar meglio.
In effetti però la parola diciannove è quella che viene ripetuta
spesso e quindi chissenefrega mettiamoci quella.
La sorpresa nella casetta era d'obbligo, è mielosa da morire, stucchevole forse,
vi chiamerò un dentista, lasciate pure sul mio conto.
Simone è l'uomo delle sorprese in grande stile
è così e basta. E' semplicemente nel suo stile.

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Capitolo 16
*** Rough Seas ***


24 Giugno.

Quella giornata era iniziata come un sole pieno e alto.
Il sole, però, non si vedeva dalla spirale di luce che entrava nel piccolo spazio. Era bloccato. Bloccata come la figura di Simone che se ne stava contro il muro di un ambiente insolito. I capelli erano ridotti a un ammasso di nodi, tra ricci ribelli e disordinati. Il sale gli era rimasto addosso, incollato sulla pelle, lo sentiva, infilato dentro i pori. Quel sale ormai, come parte del suo organismo, al posto quasi del suo sangue se era possibile. Il sale si usava sulle ferite di sangue.
Quella non era una ferita, ma era molto simile: un'emorragia momentanea, ma comunque rilevante. Le braccia erano conserte al suo petto, le gambe erano sbilanciate in avanti rispetto alla schiena aderente al muro instabile.
Fuori era un sabato estivo.
Gocciolava il tubo di un sanitario pulito, dentro una piccola cabina in fondo allo stanzino del bagno pubblico della spiaggia. L'odore era di calura, di umido e arrivava alle narici di Simone prepotente, come se fosse stato disinfettante puro, ad alto concentrato. Invece sembrava più un odore misto, di olio, di unto, di sporco. Simone ci si stava immergendo totalmente.
Forse stava esagerando, ma era davvero il caso di non ascoltare a cosa stava pensando dentro? Valeva davvero la pena lasciare perdere quello a cui teneva?
Si sentiva un po' drastico, amareggiato, con se stesso, con quello che era successo. Forse era davvero inutile montare quella sensazione appiccicosa tremenda: cos'era stata la gelosia se non qualcosa che quando si presentava così, rapida, senza controllo, da voler estirpare alla radice?
Simone si guardò i piedi pieni di sabbia ai talloni, li incrociò l'uno sull'altro, sentendo l'esigenza di lavarseli immediatamente.
Com'era che era lui a sentirsi sporco se non aveva fatto niente?
Assurdo, sono assurdo.
Mentre ci pensava, sentiva solo di volersi prendere a schiaffi da solo. Quelle rare volte in cui ti senti di aver agito restando fedele a te stesso, ma senti in ogni caso di doverci ritornare sempre. Mettere a fuoco, allontanare, ripristinare l'obiettivo.
No, non mi interessa.
Non era colpa sua, lui era stato sempre sincero, su tutto.
Simone se ne stava sempre lì, contro il muro, la schiena cominciava a fargli male, ma non si sarebbe mosso. L'aria tirava dalla finestrella del bagno chimico e il sudore gli bagnava i nervi sulla pelle.
L'immagine di una ragazza gli percorse la mente, ma non era quella che voleva richiamare a sé. Subito dopo, una figura riccia venne a galla, famigliare, con un sorriso sghembo. I tipici elementi che Simone avvertiva quando stava per crollare da un momento all’altro, irruppero poco dopo, la mascella si serrava, gli occhi si chiudevano. Poi, un rumore come di qualcosa che sbatteva, lo fece voltare improvvisamente.




- - -



22 giugno.

Manuel era riuscito a fare dell'officina una piccola impresa, con tanto di cartellino specializzato. Almeno, lo sembrava anche se ne aveva fatti stampare un po’, grazie all'aiuto di Simone. Aveva cominciato a diffondere la voce, anche per chi gli portava dei pezzi di motore da poter aggiustare.
Il tutto, ovviamente, era fatto legalmente. Le nuove risorse di Manuel, erano tutte persone con fedina penale pulita, e se qualcuno gli dava sospetto, lo faceva passare sotto qualche controllo.
Simone, si era dato da fare, selezionando come occupare al meglio il suo tempo. Grazie a un'amica di sua nonna, era riuscito a stabilire qualche orario e qualche settimana per l'inizio delle ripetizioni da fare a ragazzi del primo e secondo anno di liceo. Gli argomenti erano vari, o semplicemente i programmi scolastici dovevano essere recuperati nell’arco di pochi giorni.
Una missione abbastanza pesante, ma che pensò subito di saper gestire al meglio.
A Simone piaceva stare dietro a ragazzi che magari avevano avuto dei debiti in matematica - materia in cui lui non aveva mai avuto problemi - o anche in italiano. Non gli interessava molto l'essere pagato, quanto riuscire ad essere d'aiuto a quei ragazzi disperati, che avevano davvero preso in modo tragico le loro situazioni scolastiche. Dove poteva, Simone cercava di lenire con qualche parola o semplicemente, concedendo loro delle piccole pause tra un argomento e l'altro.
Lui e Manuel non avevano trovato molto tempo per vedersi in quei giorni. Quando Manuel era libero, Simone aveva un pomeriggio occupato e viceversa.
I due si sentivano tramite messaggi e la sera, riuscivano sempre però a darsi la buonanotte, stesi ciascuno in mezzo ai loro sorrisi. Quella sera, era una di quelle.
Simone guardò lo schermo, mentre Manuel insisteva a volerlo convincere dell'idea che aveva avuto su una nuova promozione dell'attività che si era messo in testa.
Si era intestardito sulla cosa e Simone annuiva e lo lasciava parlare, fluido come acqua corrente.

« Te dico che la gente è cominciata a venire più spesso, vengono ragazzi con le ruote bucate, con le vespe vandalizzate, » gesticolò con le mani, mentre si lasciava con la canotta « ce stava una ragazzina che mi ha chiesto un favore per un'amica sua. Me so confuso l'altro giorno. I bigliettini stanno finendo e mi sa che devo farli ristampà »

« Dovevi ascoltarmi, dieci erano troppo pochi Manu »

« Eh lo so, Simò, » mormorò sospirando « ma che ne potevo sapè. Provo a fare prezzi buoni, inoltre c'ho na mezza idea de offrire pure qualche tatuaggio gratuito con la rimessa dei mezzi »

Il sorriso furbo come la personificazione di una volpe che riesce ad arrivare all'uva, diversamente dalla versione originale.
« Questo non è proprio legale però » sottolineò Simone perentorio.

« Beh solo se lo vogliono, mica li costringo a farsi bucare, » Manuel mostrò le mani in segno di difesa « e poi me li so fatto addosso io, non mi hanno mai chiesto o detto nulla. A te t'hanno mai sconcicato Simò? »

Simone abbassò il capo, le mani sul lenzuolo, il piccolo bracciale di corda al polso destro.

« No, » si inumidì le labbra, vedendo che l'altro sorrideva fiero « ma questo non vuol dire che i loro genitori non lo chiederanno ai ragazzi che ti affidano le moto, le vespe o le bici »

« È proprio per questo che l'idea è quella de fà firma una sorta de contratto civile e di totale segreto sulla cosa, Simone. Loro se inventano il tatuatore, se lo scordano o semplicemente lo nascondono ai loro e tutto quadra »

« Sarà, ma mi pare un po' un azzardo »

« Perché i ragazzini tua come fai a sape che sono tutti dei santi appesi al muro? »

Simone scrollò le spalle, storcendo la bocca. Non è che lo sapeva con certezza, ma molti di quelli a cui prestava il suo tempo, sembravano ragazzi per bene o senza strane idee per la testa. O forse dopo essersi messo con Manuel, non sapeva effettivamente distinguere i casi speciali da quelli normali.

« Non lo so, ma sono sicuro che la metà di loro non si farebbe tatuare senza qualcuno con la licenza » lo guardò attento, diretto.

« Ah, beh, che te devo dì, uno così strano te capita solo una volta nella vita...»

Simone gli mostrò il dito medio, sorridendo in fare provocatorio.
Manuel ricambiò mandando un bacio volante allo schermo, che Simone scacciò via in modo immaginario.

« Non ti ha stancato questo strambo però, mi sembra di capire e poi mi sono affezionato ad alcuni, sono molto tranquilli »

Sei troppo lontano, sei vicino, ma non te ho qua vicino per poterlo dire.
Eppure erano giorni che avrebbe tanto voluto toccarlo, sentirlo sotto le sue dita. Manuel non si stancava di quelle notti a sentirsi così, prima di dormire. I sogni che facevano, erano solo sogni che riguardavano cose belle. Una di queste, era proprio Simone.
Gli arrivava in maniera chiara e poi, quando si sbagliava e non era la sua figura a bussargli in mente, erano comunque immagini rassicuranti che ripercorrevano cose che lo riguardavano lo stesso: degli occhi grandi, un oggetto alto e lungo, una bevanda scura, come i suoi capelli, il colore rosso di un tessuto di lana, caldo, che sapeva di un buon profumo.
« Non me stancheresti mai, Simone » sussurrò, il respiro si faceva basso. Aveva tanta voglia di soffiarglielo sul viso. « Senti, ma quando ce vediamo noi? »

« Non lo so »

« Dovremmo rimediare, perché ho bisogno de un po' de vitamina Balestra, mi è finita l'ultima dose che avevo in corpo » scherzò tronfio.

Simone pensò veramente di aver iniziato la relazione con un comico di professione, più che con un suo coetaneo. « La vitamina che possiamo prendere è quella del sole, pensavo, magari potremmo andarcene una giornata al mare, io e te. Ci sarà un giorno in cui non hai lavoro in officina, no? »
« Eh Simone, c'ho un po' de respiro giusto in questi giorni, e se non ce l'ho, me lo prendo. Vediamo... te va bene venerdì? »

« Venerdì non posso, è il compleanno di Nonna, » si grattò il mento « sabato? »

« Vada per sabato allora » il ragazzo sorrise, leggermente sollevato che avrebbero trovato modo di rivedersi, poi il tono di Manuel si colorò di un lamento annoiato « Però annamo alla spiaggia libera, niente Ostia, ce starà una marea de gente »
Simone annuì, convinto.

« Va bene, a che ora facciamo? »

« Non facciamo all'alba, Simò »

« Per le dieci però dovremmo già essere in spiaggia, altrimenti poi c'è davvero il casino »

Manuel si stiracchiò, un braccio dietro la testa, l'espressione soporifera.
« Vabbè, per le nove te va bene se me faccio trovà sotto casa tua? »

« Sì, poi andiamo con la mia vespa »

Il teppistello ebbe un moto di lamento, sospirando.

« Per come guidi arriveremo sicuro dopo due ore »

Manuel conosceva la guida di Simone, precisa e pulita. Solo raramente si permetteva di sforare il limite di velocità per strada. Quando arrivava da lui, ad esempio, la tempistica era di mezz'ora, cioè poco. Per lunghi tragitti, invece, se la prendeva con più calma.

« Sempre meglio la mia vespa che quel catorcio che te ritrovi » sottolineò la parola catorcio, provocando la drammatica offesa dell'altro, che di portò una mano al petto.

« Ma che catorcio Simò, ho fatto rinnovà il motore da uno bravo, adesso va come una scheggia »

« Il problema non è tanto il motorino, quanto l'ombrello...mi sa che dovremo affittarlo là »

« Simò non me pare il caso de camminà con quello dietro… voglio dì, già bastano gli zaini »

« Io porto una sacca, per mettergli dentro la tovaglia, è troppo grande per lo zaino, e poi, » Simone si rannicchiò dentro al letto, il fianco ruotato, infilato tra il materasso e le coperte « mi porto un cruciverba, un mazzo di carte…»
Manuel osservò il ragazzo, di cui ora erano visibili solo gli occhi, una porzione del naso regolare, perché la restante parte nascosta dalla trama della coperta.

« Vabbè allora parcheggio il mio catorcio da te e giriamo con la signora vespa, Balestra »

Una risata gioiosa gli uscì dalla gola, gongolando della sua stessa battuta.

« Sì, puoi dirlo, almeno lei non mi prende per il culo!»
L’espressione del ragazzo era simile a un cucciolo di animale in via d’estinzione o qualcosa di molto vicino, con quel naso schiacciato sul cuscino, i pochi ciuffi di capelli che ricadevano sulla fronte, gli occhi come due telecamere che ti controllavo senza perderti di vista. Manuel ricordava l’ultima volta che erano stati insieme, dormito nello stesso letto. Anche se erano passati pochi giorni, contò mentalmente quanti fossero – forse sette, otto giorni in tutto – percependo tutta la mancanza provata in assenza del calore di Simone, del suo sentore di vaniglia, della pelle morbida e delicata sotto le sue piccole dita, del respiro che veniva fuori una volta preso sonno. Guardò di scatto la foto sul capezzale, nonché suo regalo di compleanno. Sospirò.

« Restiamo per tutta la giornata, in spiaggia e poi vieni a dormì da me, stavolta non c’hai scusa che regga »

« Se per tua madre non è un problema… »

« Ma quale problema! A mi madre fa solo piacere, anzi, » mormorò con l’idea che gli era appena balenata come il disegnino appena apparso, di una lampadina accesa « se poi voi restà per pranzo, non se lamenta mica »

Il ragazzo disteso a letto arricciò il naso, senza però spegnere gli occhi grandi, che capeggiavano, trasformando quel suo ritratto a quello di un bambino.

« Non si lamenta lei o tu? »

E’ ovvio Simò. La sua testa rispose per lui, seguito dallo sguardo, senza che però emettesse un singolo fiato o suggerimento attraverso la sua bocca. « Terra chiama Manuel »

« Simone, che c’è da capì, voglio er ragazzo mio, a casa mia. Okay, sì, è più per me però il concetto remane quello: se vuoi restare sabato, » Manuel mise più enfasi sulle ultime parole « me faresti contento. »

Simone lo trovò molto carino, la dolcezza che sprigionava in quelle piccole verità, quei piccoli bisogni interni nascosti che uscivano, così, allo scoperto, mettevano a nudo solo la parte più spoglia, più bella di Manuel e a cui lui si stava pian piano e inevitabilmente abituando. Tuttavia, l’idea di tenergli testa, era troppo forte per lasciarsi andare a smancerie frivole.

« Ringrazia pure Anita allora, » sorrise Simone, incurvando le labbra, che però l’altro non colse, perché erano nascoste dal tessuto « dille che resterò per pranzo »

« Cioè, famme capì, ti ho invitato io e tu ringrazi mi madre? »

Il tono infastidito di Manuel lo fece ridere, scoprendo di colpo il viso, il corpo si mosse e i due incisivi separati di Simone saltarono fuori, inquadrando l’opera completa.

« Scusa solo tu puoi prendermi in giro? E poi la padrona di casa è lei, io porto solo il dovuto rispetto »

« Guarda te che me tocca sentì, Simone sabato, facciamo i conti tu ed io »

«1…2…3 »

Manuel lo guardò serio, gli occhi sgranati, come si guarda qualcuno e si prova subito un senso di svilimento. « Sì, il comico viene meglio a te, hai ragione »

« Lascia stà, che certe cose non te riescono. Te viene meglio la parte del ragazzo senza manco un difetto »

« Ma in tutto questo che ore sono?»

Manuel diede un’occhiata alla sveglia, alla sua sinistra. La lancetta era puntata tutta su un unico numero: l’una di notte. Andavano avanti da due ore e mezza.

« Non è tardissimo, so solo l’una… te c’hai sonno, Simò? »

Il ragazzo alto pensò che non avrebbe fatto differenza qualche minuto in più, considerando che si sarebbe alzato con comodo la mattina dopo. E poi, la voce dell’altro era una calda compagnia nell’aria della casa silenziosa già da un’ora.

« No, per niente »


- - -





24 giugno
L'idea di averlo visto andare via, non gli tolse dalla testa il sentore di colpa, l’ennesima.
Scattò subito in piedi, il mare gli lambiva le dita dei piedi, lì, fermo sulla riva, le mani sui fianchi.
Il petto era esposto al sole, ma era come se avvertisse solo uno strano freddo in quel preciso momento.
Manuel sapeva che avrebbe dovuto parlare. Lo aveva imparato, eppure non lo aveva ritenuto opportuno. Com'era quando si tacevano le cose perché era troppo tardi ormai per ritirarle fuori? Eppure non aveva importanza.
Non avrebbe mai avuto importanza, e lo sapeva.
Non aveva neanche una minima particella, un minimo valore, non era niente di quello che provava per lui. Non avrebbe mai potuto mettersi a paragone. Scosse la testa, e scacciò via la sabbia bagnata con un solo calcio.
Avevano fatto un discorso ben preciso, giusto quella mattina. Manuel avrebbe tanto voluto cambiare la decisione di non avergli detto nulla. Già Simone lo cambiava, plasmava e incombeva sul suo prossimo errore fatto indietro ai suoi ricordi.
Simone me dovresti cambià eccome.
Manuel si girò sui suoi passi. Camminò lungo quella polvere fina, che scottava, che i bambini scalciavano, dove si rincorrevano. La sabbia scottava, ma non gli dava fastidio. L'unica cosa che gli premeva, era cercare Simone e andargli a spiegare tutto quanto.
Parlare, Manuel, glie devi parlare.
Guardò la fila di persone davanti la porta del bagno chimico a pochi metri di distanza. Respirò a fondo, prima di inventarsi che il suo ragazzo non stava tanto bene e si era chiuso dentro.
Una bugia per la verità. La metà di quello che si vorrebbe dire, a volte, si ripaga con qualcosa di falso.
In effetti non fu proprio falso, Manuel mosse la maniglia della porta del bagno chimico, ma quella risultava bloccata da dentro.
Manuel allora bussò, le nocche sfioravano il legno verdognolo, attese. Nessuna risposta, riprovò un’altra volta, più forte e usò le dannate parole.

« Simone, per favore, apri, sono Manuel »








24 giugno, mattina, 11:00.

Il sole era bello alto, la giornata era molto calda e i primi venditori si aggiravano per la spiaggia, molestando di parole e di suppliche le poche famiglie presenti al mare. C’erano file ordinate e non di ombrelloni. Simone e Manuel ne avevano noleggiato uno in comune, piantato per adesso, solo da un lato: quello di Manuel. Erano distesi sopra i loro teli, un po' in disparte rispetto alle madri con i bambini, dai giocatori di bocce, dai signori più anziani, ma comunque più vicini al bar e ai servizi.
Era una posizione ottimale anche per l'entrata in acqua. Arrivati perfettamente in orario, Manuel si era ricreduto e sconvolto anche se non si era risparmiato di dare scherzando, della lumaca a Simone.
Prima di scendere in spiaggia aveva esordito con un la signora vespa ha fatto il suo lavoro beccandosi un’occhiataccia del proprietario nonché guidatore. Rilassati, con i corpi in posizione molle e pigra, sentivano in sottofondo il rumore delle onde, il leggere risucchio della schiuma, il chiacchiericcio e qualche gabbiano che planava in cielo, contraddistinto dal rumore e lo stridio tipico che rendeva la loro specie più simile a delle cornacchie bianche. Era il tipo di giornata ideale per rilassarsi e godere delle ore che avevano finalmente da poter passare insieme.

« Manuel, » Simone si voltò un attimo verso il teppistello, aveva gli occhiali da sole che ricadevano sul naso, come qualche icona famosa ed era impegnato a leggere una rivista di motori. La gamba era portata sull'altra in una posa disinvolta e anche poco maschile, se proprio Simone doveva fare un piccolo appunto « mi spalmi la crema dietro? Non ci arrivo »

In quel preciso momento, Simone pensò di volersi sotterrare. Faceva caldo, ma l'idea lo imporporò comunque all'istante, ed ecco perché aveva già cambiato traiettoria. Adesso era più interessante osservare un bambino che costruiva con paletta e secchiello un castello di sabbia.
Simone gli passò la protezione senza nemmeno guardarlo. Avvertì subito che Manuel gli si metteva dietro, con le mani sulle spalle. Piano e anche in modo abbastanza attento, quello si dedicò prima alle spalle, scapole, poi passò alla schiena e infine alle braccia. Per fare assorbire la crema ci passò più volte.

« Va bene, Manuel può bastare-»

« Simone anche se me incuriosirebbe tanto, » mormorò pacifico « non me va de vederti come un gamberone arrostito dal sole, anche se secondo me saresti bello pure in quella maniera »

Il ragazzo si voltò a guardarlo, stava già ridendo, strizzando gli occhi.

« Guarda che non sono mica così delicato »

Le gambe di Manuel erano ancora dietro la figura di Simone, solo in quel modo riusciva ad avere qualche centimetro in più e poteva guardarlo da un punto di vista migliore.

« Questo lo dirai te, » il dito sporco ancora un po' di crema solare gli finì sotto il mento dell’altro « se poi non te puoi muovere chi me accompagna a casa? »

« Ah ecco perché » rispose rassegnato, un sorrisino consapevole.

Manuel lo tirò, facendolo voltare di poco e senza esitare e lo baciò a fior di labbra. La mano di Simone si era mossa, gli toccava l'avambraccio. Era al mare e stava davvero baciando il suo ragazzo.

Che grandi passi avanti, pensò.
L’odore di crema solare si diffondeva, il sole gli premeva già addosso. Manuel si staccava dalla bocca del ragazzo e poi spostava il dito ancora leggermente unto, glielo premeva sul naso. Afferrò il tubetto messo un attimo sul telo mare, raccolse qualche altra goccia di prodotto e poi lo depositò due linee da indiano sotto gli occhi di Simone. Manuel lo guardò: i segni bianchi si assorbivano piano piano. Simone si ritrovava agganciato, quegli occhi vivaci frugavano dentro i suoi senza difesa, senza censura.

« La protezione resiste all'acqua? »

« Sì »

« Va bene, allora, » Manuel si tolse gli occhiali neri, lanciandoli sullo zaino, la camicia colore paglia che portava addosso venne sfilata in un secondo « annamoci a fà sto bagno, Simò, che sto a morì de caldo »

Lo vide andare in contro alla distesa azzurra, tanto grande, più grande della sua figura a confronto. Simone tirò via la canotta buttandola sul telo, poi raggiunse l'altro, che intanto aveva già urtato un piccolo bambino che correva lì, sui pressi della riva. Manuel si scostò di lato, mentre il bambino si strofinava il punto colpito. Simone si accovacciò verso quella figura piccola, le ginocchia in avanti e le mani che sporgevano in fuori. La faccia del piccolo era ancora leggermente confusa per l'urto.

« Ehi, va tutto bene » Simone sorrise al piccoletto, mise la mano su quella spalla minuscola. Il bambino si fece a poco a poco più convinto, annuendo.
Le lentiggini sul naso gli davano un aspetto particolare, il sole ci picchiava sopra. Quel bambino gli arrivava a malapena alle ginocchia, i suoi capelli biondi quasi scintillarono sotto i raggi caldi, quasi che per un attimo Simone pensò gli si fosse appena disegnata un’aureola sopra la testa. Poi con un'altra occhiata, la creatura innocente si allontanò, le gambe si muovevano, correndo dalla madre nella direzione opposta. Quando Simone rialzò lo sguardo, si ritrovò Manuel a studiarlo.

« Stai per uscire un commento sarcastico, avanti, sono pronto » inclinò la testa, la bocca in una smorfia.

« Nessuno, » le gambe di Manuel erano già per metà in acqua « sembra solo tu ci sappia fare con i bambini »

« Se tu sei tranquillo, trasmetti loro tranquillità. Non ci vuole chissà quale maestria »

Manuel annuì, silenzioso. Il rumore dell'acqua risuonava calmo, profondo nelle orecchie. Non era freddissima, ma neanche a temperatura ambiente, quindi Simone optò per muoversi piano, creando una piccola scia dietro la sua figura.
« Com'eri da bambino, Simò? »

« Non lo so, mi ricordo solo che mi piaceva molto l'aria aperta, l'aria di mare » si girò verso Manuel, ancora distante.

« Mia madre me doveva correre dietro tutto il tempo, invece, » i passi acquatici mossero la traiettoria della scia del ragazzo, creando della schiuma appena percettibile « i giorni al mare per lei erano una tortura, sono sempre stato una peste. Povera donna. »

« Beh non è proprio a tutti i bambini che la tranquillità arriva, » Simone portò la testa indietro, i capelli toccarono l'acqua, la nuca si bagnò per prima « poi non sono tutti uguali »

« Te dovevi essere un bambino di quelli che si mettono a colorare o ad ascoltare il rumore dei passi, contare le formiche, guardare il cielo » fece notare Manuel, il corpo cominciava a sparire con la marea dell'acqua.

Simone si morse le labbra, pensieroso. Gli venivano in mente le poche estati con suo padre, sua madre distante, la figura di quest'uomo barbuto che lo faceva giocare a pallone sulla sabbia. Sorrise nostalgico.

« Forse è stata la presenza di mio padre solo in quei momenti, ma il mare ha sempre avuto un effetto curativo per me. Ci venivo spesso, ogni tanto ci torno. Il rugby, poi, quello aiuta a scaricare un sacco »

« Quello che me domando è chissà come sarebbe stato crescere insieme »

« Intendi, se avessimo frequentato le stesse scuole? »

Il ragazzo annuì, aveva i ricci davanti più chiari, rispetto a quelli dietro. Sembrava molto più piccolo, se non fosse stata per la barba, sul mento, sulla mascella, che ingannava l’età. Il petto magro si immerse, annacquando il serpente sinuoso al centro della pelle. Manuel gli fu vicino senza che se ne rese conto, le mani erano intorno alle spalle, l'acqua gli arrivava già al mento e i capelli erano un ammasso di liane bagnate, dei ricci non c'era più alcuna traccia.

« Se ti avessi avuto come amico prima, » mormorò in tono basso « forse sarei riuscito ad ascoltà meglio il mondo, Simone. Quella vocina nella testa che te dice cosa è giusto e cosa è sbagliato » il ragazzo gli portò le mani sul viso, gli scostò un ricciolo che gli cadeva davanti l'occhio destro « Forse, sarei stato una persona diversa se ci fossimo conosciuti quando eravamo entrambi più piccoli, meno consapevoli »

Il naso di Simone lo sfiorava, con quell'espressione un po' aggrovigliata, pregna di sincerità.

« Non sarebbe cambiato nulla, » Simone si avvicinava ancora, l'odore del mare sempre più forte « e poi, tu sei tu. Non mi piaceresti se fossi diverso. »

« C'è sempre qualcosa che si può cambiare »

« Manuel, non mi interessa. Il bambino di prima, secondo te vedendomi, pensava 'questo ragazzo è troppo uno spilungone, magari fosse più basso' ? No, ha visto solo un ragazzo che gli sorrideva. Secondo me, manteniamo sempre un po' un lato infantile. E quello non cambia, non va cambiato. »

« Ah quindi, non cambieresti niente? Proprio niente de me? » si indicò, la mano si sfilava per un attimo dalla presa. Simone schiacciò il suo naso, prima di depositarci un bacio sopra.

« Sei troppo irruento a volte, ma no, non ti cambierei, non vorrei tu cambiassi. Si cambia solo se si vuole, ma cambiare qualcuno... È la tua natura. Mi piacerebbe non mi facessi sentire così fragile a volte, ma questa è più una cosa mia, che devo sbrogliare io »

Simone sembrò non prestare troppo caso a cosa aveva appena detto. Era vero, la sua sensibilità veniva fuori all'istante quando si trattava di Manuel. Ogni tanto, Simone, si sentiva un po' come un canale in cui le monetine gli cadevano tutte dentro, ne cadevano così tante che ognuna - nessuna esclusa - per lui aveva un valore, ognuna gli provocava un senso di pienezza, di vuoto, lo scuoteva. Manuel gli accarezzò la schiena, metà sopra e metà sotto il filo dell'acqua.

« Simone, » lo tirò così vicino, le gambe si sfioravano sott'acqua e la mano dalla schiena, si spostava sul fianco immerso nel bagnato « se te parlassi de tutte le volte che m'hai tenuto stretto il cuore in pugno, faremo notte. Non hai idea. »

Il contatto risultò umido, mentre le dita si attorcigliavano già nei nodi di quella matassa bagnata. Con il rumore dei gabbiani, della calca, col caldo estivo, l'aria umida. Le onde cullavano entrambi, tra un vai e vieni, tra il sole che batteva sullo specchio marino e creava quel riverbero a spicchi tanto splendido, quanto fastidioso alla vista. Quando le bocche si trovarono, riprendendo confidenza, nonostante ormai fossero maestri nell'essere inesperti e istintivi, quelle sembrarono riconoscersi dopo quello che era sembrato un tempo infinito. Simone e Manuel erano così, all'interno di uno specchio azzurro d'acqua che li lambiva come uno scudo e mentre con la stessa esatta cura, loro si tenevano a vicenda, si stringevano. Era sabato, non sarebbe andato niente storto. Nulla avrebbe potuto.




Entrando nel chioschetto della spiaggia, la confusione era evidente.
Un bel po’ di gente era in fila, davanti i distributori di thè, di merendine, gelati.
Il piccolo bancone dove servivano dietro due ragazze vestite di cappellino, coda di cavallo e maglia e pantaloncini, cominciava già a ricevere gli ordini di panini e tavola calda. Simone si trovava in mezzo alla calca per prendere solo due coni gelato al piccolo spazio accanto, osservando una serie di piedini che tiravano il braccio ai genitori, impazienti. Manuel era rimasto a guardare gli zaini e le loro cose.
Quando anche un altro ragazzino superò Simone, quello avanzò lungo la coda.
Una signora accanto vantava di un cane che le scodinzolava attorno alle gambe, il pelo della coda gli passava attraverso.
Ricordava la voglia di tenere un animale da piccolo a casa, poi però pensò anche al fatto che anche quelli se ne andavano prima o poi.
L’immagine di Jacopo gli balenò in testa, come per uno strano e ingenuo collegamento, come se fosse un pensiero automatico. Gli capitava sempre più di rado ultimamente. Tra le varie cose e ritmi dei suoi giorni, la figura di suo fratello era diventato un tassello sbiadito, sostituito dalla presenza di Manuel.
Simone non stava dimenticando, aveva solo preferito accantonarlo dentro di sé e tirarlo fuori solo quando non poteva farne proprio a meno. Mentre era in fila per un gelato, in piena estate, Simone pensava a quello.
L’immagine era legata solo a delle foto che non ricordava e a un oggetto che aveva chiarissimo in mente: l’animale che possedevano in comune era un dinosauro, anche se di plastica, ma pur sempre un animale.
Simone ricacciò indietro il pensiero. Era troppo triste come immagine in una giornata spensierata come quella.
Simone non ce devi pensà. La felicità è una scelta, afferrala.
Sentì la voce di Manuel nella testa.
Quando ritornò alla realtà, il cliente davanti a lui aveva quasi finito. La signora stava già pagando e quindi Simone osservò bene i gusti artigianali di gelato presenti nei piccoli contenitori della cella frigorifera. Il gusto che Manuel preferiva era l’amarena, la adocchiò subito, a primo colpo.




- - -





Tornato in spiaggia, coni alla mano, Simone trovò Manuel che parlava con una ragazza. Era più o meno della stessa altezza del suo ragazzo, capelli rosso mogano, un paio di occhiali da sole sulla riga di quelli e due grandi orecchini a cerchi ai lobi. Una camicia a righe annodata sopra l’ombelico le scopriva la pelle, mentre dei pantaloncini corti di jeans, le lasciava scoperte l’inizio delle cosce.
Simone si sentì un po’ confuso, anche se pensò si conoscessero per forza per parlare in modo così tranquillo e sciolto. Avvicinandosi un poco, Manuel lo notò e gli fece un cenno con la mano. Il dialogo si era spento nell’esatto istante in cui Simone aveva passato il cono a Manuel e la ragazza era in piedi, con lo sguardo fin troppo curioso poggiato sulla sua figura.

« Vi conoscete? »

Solo ora Simone notava gli occhi verdi della ragazza, sembravano due spilli che ti si conficcavano dentro, oppure due gemme antiche, colore di uno strano innesto tra il verde e l’ambrato. Potevano sembrare quelli di un gatto, ma meno invasivi.

« Oh, beh sì diciamo che siamo conoscenti » la voce della ragazza suonò melliflua, la bocca si aprì in un sorriso plastico, come se sorridesse a forza. Le dita lunghe si mossero, portavano dei piccoli tatuaggi. Simone distinse solo la parola away lungo l’anulare sinistro. Per il resto la ragazza, portava una borsa a strisce sulla spalla destra, i due manici erano fatti di corda. Manuel sembrava distante dal suo sguardo, ora che lo osservava. Tuttavia non lo era, nei confronti di lei, sembrava più vigile che mai nei suoi riguardi, come se dovesse anticiparne qualche mossa.
Simone annuì verso la nuova figura piazzata davanti, il sole gli calava sugli occhi, una mano si coprì la fronte per evitare di rimanerne accecato.

« Simone, lei è Giulia » suonò sbrigativo, mentre il gelato in mano cominciava a gocciolare leggermente sul cono. La ragazza ebbe come un sussulto, l’occhio si fece interessato di colpo, la borsa estiva le ricadeva dal braccio e ne usciva fuori un fogliettino che allungava a Manuel « Ci conosciamo perché ha aiutato mia madre in una relazione da tradurre »

Simone scosse il capo in cenno di comprensione, ma in realtà non ci stava capendo granché, il sapore del gelato alla nocciola gli rinfrescò il palato ma gli congelò il pensiero. Non sapeva nemmeno perché si stava facendo dei problemi e così decise di scegliere la calma.

« Ciao, piacere »
La ragazza gli fece un sorriso, che però non risultò molto veritiero. Simone osservò il ragazzo accanto a sé abbozzare un piccolo sorriso, alzò il bigliettino sventolandolo di poco in aria.

« Ho pensato te servisse, dato che non mi hai più scritto, » sospirò Giulia, « il mio numero di casa e di cellulare. Posso passare il contatto dell’officina a un paio de amiche che ne hanno bisogno come er pane » l’accento ora era cambiato.
Prima non aveva usato il parlato romano, adesso, era come se si fosse sentita in diritto di imporre la sua caratteristica simile a quella di Manuel. Solo che laddove lui suonava naturale, lei sembrò caricaturale.

« Te ringrazio, anche se lo sai perché non ce l’avevo più, Giulia, anche meno » sospirò Manuel, infilando il bigliettino dentro la tasca inferiore dello zaino. Il gelato venne leccato un attimo dopo, volendo chiudere lì la questione.

« Voi ragazzi etero, » sibilò, in modo molto schietto « non sapete proprio come si trattano le ragazze »

Etero.
Simone si morse le labbra, soffocando una risata ben evidente. Giulia girò di scatto la testa, la sua attenzione ora era fin troppo palese per il ragazzo. Simone se ne accorse, il palmo della mano rivolto verso la direzione del sole.

« Scusa, ma sentire Manuel ed etero nella stessa frase, mi ha fatto ridere » sottolineò, lo spazio tra i denti si aprì in un sorriso genuino.

Giulia guardò un attimo Manuel e poi ritornò a quel ragazzo che tanto la incuriosiva. Il suo sorriso si allargò, inevitabilmente.

« Manuel, » il tono era abbastanza sospettoso « l’amico tuo non lo sa che te piacciono le ragazze? »
Simone guardò dritta la ragazza, la mascella si serrava. Si credeva simpatica? Tutto quello era un po’ ridicolo, lei sembrava ridicola in quella situazione. Prima che Manuel potesse rispondere, il ragazzo aveva già messo la quarta.

« L’amico qui davanti, è il suo ragazzo » i suoi occhi grandi erano accesi, ma non era il sole ad averli resi vivi. Si erano animati soli. Se c'era qualcosa da mettere in via ufficiale era proprio il loro stare insieme, Simone avrebbe difeso sempre quella cosa.
La ragazza sfoggiò un’espressione sorpresa, l’attaccatura della fronte si sollevava appena e la mano si portava ad accarezzarsi qualche ciocca rossastra con le dita. Osservò bene Simone, che non aveva intenzione di mollare la presa determinata, la decisione sul volto.

« Ah, quindi è quel Simone? »

Questa volta il ragazzo però, non si evitò di voltarsi a guardare Manuel. Che cosa voleva dire, le aveva raccontato di lui? I due si conoscevano da così tanto tempo? Perché Manuel non gliene aveva mai parlato, si chiese. Forse era un’amicizia scomoda? Sembrò capire qualcosa che non voleva riconoscere.
Simone sgranocchiò il cono rimastogli in mano, sentendo una strana sensazione all’altezza della gola, proprio lì, si faceva strada e pompava energia negativa.
Manuel si ritrovò a scrollare le spalle, il gelato ridotto ad acqua dolce, il tovagliolino alla base ormai inutile.

« Sì, è lui, ora comunque noi c’avremo da fare, » Manuel si alzò facendo forza sulle gambe, mentre si metteva di fronte a Giulia « il numero me lo hai dato Giulia, non abbiamo nient’altro da dicce, no? »

Nient’altro da dirci. Quelle parole rimasero sospese nella testa del ragazzo ancora seduto sul telo, la testa gli stava ripetendo delle parole insensate, sconnesse, un universo di incastri che non trovavano soluzione.

« Ma perché non ce posso parlà? Tranquillo Manu, mica te lo rubo, » le dita della ragazza si mossero in un attimo, aprì la mano e la presa rivolta a Simone, ignorando completamente Manuel « tanto piacere, lui mi ha parlato molto di te, Simone Balestra, giusto? »

Sapeva il suo nome e cognome per intero.
Il soprannome.
Manu.
Quel modo di chiamarlo gli fece ribollire il sangue. Lui lo chiamava così.Simone deglutì, non riusciva più a guardala bene negli occhi, una patina era come se la coprisse davvero. Pensò solo: chi cazzo sei tu.
E non sapeva nemmeno perché. Si atteggiò a tranquillo, ma non era più tanto sicuro di esserlo.
Si voltò verso Manuel: lo riconosceva quello sguardo. C’era qualcosa che lo stava infastidendo, era visibile, palpabile. Corrucciava la fronte, aveva due pupille fisse e accese come braceri. C’era qualcosa, negli occhi del suo ragazzo, che non gli potevano dire che era realmente tutto apposto.
Accettò la stretta di mano, che fu molto rapida. La ragazza si divincolò poi, studiandolo ancora un bel po’. « Sai non ti facevo così, da come me ne parlavi Manuel, me lo aspettavo diverso »
Manuel si mosse, le mani finirono arpionando un braccio della ragazza, quello piegato nell’atto di reggere la borsa, quasi ad allontanarla da loro.

« Non si sceglie chi si ama, altrimenti avremmo tutti un copione per quello »

Simone pensò di giocarsela sulla verità e di risultare affilato solo con quella. Di pungolarla con stile. Non accettava di abbassarsi a certi giochetti, soprattutto da chi non conosceva.

« Mortacci, che pescata che hai fatto. Dov’è che lo hai trovato fuori dai libri romanzeschi? » rise, mentre lo sguardo del teppistello incombeva rovente « Non sembri proprio uno stronzo o sfigato che gioca a rugby… » ritornò a Simone.
Simone guardava impietrito davanti a sé. Se sapeva quello, sapeva molte altre cose. Manuel gli aveva elencato anche cosa gli piaceva o cos’altro disgustava? A una persona che lui non conosceva, gli era estranea.

« Saprai che sono anche compagno di Manuel, immagino » lo disse più per una questione di chiarezza che non di interesse.

« Sì, infatti mi risulta proprio strano, » i capelli rossi si accesero contro la luce del sole « Manuel avrà dei gusti particolari pe’ i suoi compagni de classe. Come se chiamava quell’altra, Chicca, giusto? »

« Giulia, mò basta però, vedi de annà via » la spingeva, di lato, in un atto di rabbia trattenuta. Simone si accigliò, non era più in tilt ora che vedeva il suo ragazzo alle prese con quegli scatti tipici di chi non vuole iniziare una rissa.

« Scusa, ma chi sei tu per giudicarlo tanto? Non ho ancora capito »

Giulia aprì la bocca e la richiuse subito, in cerca di qualcosa da dire, ma Manuel si mise tra lei e Simone.

« Simone lasciala stare, purtroppo una volta che apre bocca, le escono solo cose brutte. Fidati, » Manuel si voltò verso l’interessata « ora è meglio se ce salutiamo, Giulia »

« Ma perché scusa, se stava parlando in pace, che non lo sa? Non glielo hai detto? »

Giulia lo sussurrò, ma Simone lo sentì ugualmente. Non glielo hai detto.
Il panico si fece evidente, ma il protagonista era lui. Il ragazzo si alzò dal telo, in un unico movimento veloce.
Basta, ora.
Simone non ne poteva più.

« Non credo che sia il caso di parlarne qua »

Simone fermò Manuel per un polso, la sua mascella era già in allarme, serrata contro i denti, sentiva lo sforzo che stava facendo per rimanere calmo e le pulsazioni erano già aumentate. Nonostante lo stato fisico in rivolta, la voce contrastò perché uscì calma.

« No, lasciala parlare, cosa c’è che non so? »
Gli occhi grandi rimasero fermi sulla figura della ragazza, si sentiva come un essere microscopico, eppure era più alto di lei, era più pronto, ma i suoi nervi erano tesi. Così, ansioso, il volto si limitava a un’espressione sulla via del crollo. Simone sapeva di aver retto fino a quel momento, ma l’impressione era diventata ormai evidenza e non c’era nulla da fare, se non chiedere.
Il petto gli cominciava a fare male e il gelato appena ingerito, avrebbe voluto già rimetterlo in qualche angolo di spiaggia. La ragazza lasciò andare la presa di Manuel, reggendo la presa sulla borsa con una mano. Schioccò la lingua con fare disinvolto, suonò come mastica con cui si giocava alla tipica bolla e veniva fuori il sonoro pop. Simone vide un piercing brillare e ballare al centro della bocca, quando la bolla dentro la sua bocca, scoppiò.

« Beh, giusto di un piccolo incontro occasionale, un po’ di tempo fa » la ragazza rise un po’ sopra, come se contornasse le parole col veleno « ma che a me piace ricordare ancora molto. Era anche quello un sabato, no? Me ricordo anche com’ero vestita. Te sembri averlo dimenticato, non è vero, Manu? »

Manuel la guardava adirato, la testa era eretta, ma le mani ormai abbandonate lungo i fianchi, le labbra erano contratte. Non mosse un muscolo però, la mano di Simone era ancora ferma sul suo polso e la stava guardando. Quando rialzò lo sguardo, fu per conficcarlo negli occhi della ragazza simili a due pietre.

« Non me piace ricordà certe cose, » fu lui questa volta a rigirare il coltello dalla parte del manico che Giulia aveva tenuto per metà del tempo « soprattutto se so morte e sepolte »

« Non la pensavi proprio così, quella sera » Giulia gli rivolse uno sguardo eloquente, che non aveva bisogno di aggiungere altro pepe al discorso « In ogni caso, è stato un piacere fare la tua conoscenza, » si girò per un’ultima volta verso Simone « ti auguro buona fortuna, te lo sei scelto bene il tipo »

Il ragazzo non la sentì nemmeno andare via e spostare la sabbia.
I suoi occhi erano rivolti a Manuel, che adesso le andava addosso a pochi metri di distanza, il cono finì dentro un contenitore della spazzatura, stava urlando forse, non lo capiva. Sentiva come un ronzio che faceva da eco.
Giusto un piccolo incontro casuale. Cos’era quella sensazione?
Non glielo hai detto? La conosceva, ma non la provava da un po’.
Non la pensavi così quella sera.

Oh, sì, gelosia.
Ma più di quello, era la sensazione di sicurezza che gli scivolava via dalle mani.
Quando però lo vide tornare, era lui che non voleva più stare lì. Simone aveva voglia di correre altrove, confuso, la testa faceva male e l’ultima cosa che avrebbe voluto era discutere. Simone si limitò a guardare Manuel, prima di mettersi a camminare in direzione opposta. Non fece però molta strada, perché quello lo tirò per il braccio.

« Simone per favore, lasciami parlare »

« Non ho voglia di ascoltare, ho bisogno di essere lasciato da solo » il tono era basso, flebile. Gli dava le spalle, larghe e tese.

« E invece è l’ultima cosa che devi fare, stammi a sentire e poi se vuoi te ne vai, Simone » lo supplicò dispiaciuto.

« Sa che gioco a rugby, sa che scuola faccio, cos’altro le hai detto? Che ti andavo dietro come uno scemo o no, aspetta, »
Simone deglutì, la gola mmediatemente secca, non riusciva proprio a guardarlo, fissò un punto indefinito sulla sabbia « che sono stato male per te? Cristo Manuel, sono uno sfigato e va bene. Ma quella ragazza sapeva di questo, ma non di noi. Non hai detto una parola su quello » la rabbia gli montò in corpo, ma uscì solo un verso amaro.

Cazzo no, questo no.

« Non lo sa, perché non la sentivo più da un pezzo- »

Simone si mosse aggirandolo mentre gli si piazzava davanti. Lo superò, senza nemmeno dargli l’attenzione che meritava. Ho bisogno di stare da solo.

« Devo andare in bagno, Manuel »

« Simone, per favore, guardami! » Manuel con quella poca forza che si trovava in corpo, lo fece voltare e notò il suo sguardo assente.

« Per favore, non mi va di litigare » provò a camminare ancora, ma l’altro gli bloccava ancora la strada, la visuale.

« Ma noi non stiamo litigando, » Manuel deglutì, costringendolo a guardarlo, gli prese le mani, la voce cambiò con un tono più lento, dolce « dobbiamo solo parlare, quella la non la sento più, tu devi sapere-»

Simone sganciò la presa all’istante, quasi come se si fosse scottato.

« Io non voglio sapere proprio più niente, Manuel. Tu hai detto i cazzi miei a una sconosciuta, di cui tra l’altro non ti ho mai sentito dire nemmeno una singola parola, in mesi e io non dovrei incazzarmi? Puoi averci fatto quello che ti pare » deglutì pentendosi subito di quello che aveva appena detto. L’ipotesi era quella, ma non approfondì di più « ma non voglio starti a sentire adesso »

Manuel non percepiva la rabbia, ma il dolore, l’aspro nella sua voce. Cercò inutilmente di avvicinarsi, premere la fronte contro quella di Simone e trovare con calma, il modo per dirgli tutto. Simone gli prese i polsi e li spinse via, piano. Scosse la testa, guardando in basso.

« No, Manuel, lasciami stare! » si girò di nuovo, mentre sentiva già Manuel che riprovava a riprenderlo, avvicinarlo di nuovo a sé. Sentì le braccia che si avvinghiavano al suo corpo, la presa che si stringeva sempre di più per non lasciarlo andare. Simone non voleva associare quei gesti a quelle parole velenose di poco prima.

« Simone ti prego, sono stato un coglione, ma se solo me provassi ad ascoltare… » sembrò sul punto di spezzarsi « se Giulia sa qualcosa, un motivo c'è, se non te spiego come sono andate le cose, non potrai mai capire »

« Peccato io non voglia ascoltarle adesso, non ce la faccio » Simone rimosse ancora le braccia dell’altro e si allontanò, i piedi sulla sabbia si mossero lenti e pesanti. Non voleva correre. E anche se lo avesse fatto, Simone sapeva non lo avrebbe raggiunto nemmeno volendolo, perché era deciso a non parlargli in quel momento. Non si voltò nemmeno un’ultima volta prima di guardare Manuel.








24 Giugno, 15:00, pomeriggio

« NON VOGLIO NESSUNO, VAI VIA » urlò da dentro.

Manuel continuò a bussare, insistentemente sulla porta, qualche asse di legno era scolorito e in qualche angolo anche sporco. La gente in fila cominciò a spazientirsi. Il ragazzo li guardò esasperato.

« Forse dovrebbe essere più gentile, non ha detto che è il suo ragazzo? »

« Mi scusi signora, ma si faccia i fatti suoi » e nel tono fu quanto meno garbato, ma avrebbe voluto dirglielo con meno premura e più faccia tosta. Ritornò a parlare dietro la porta, sentendosi avvilito « Simone, vedi che non me muovo da qua, apri e parliamo. »

« DITEGLI DI ANDARSENE »

Manuel sospirò stanco, era almeno una decina di minuti buoni che era lì dentro e non sapeva in che condizioni fosse. Se avesse pianto, se invece avrebbe programmato di passare la giornata lì dentro. Si sentiva malissimo, impotente. Gli spettatori erano ancora lì, a osservare la scena. A quanto pare, dovevano sembrare interessanti, o troppo tragici o divertenti. Si rivolse a tutti quanti.

« Sentite, qua è ‘na cosa lunga, ce sono gli altri servizi più avanti, andate a usare quelli! »

La gente lo guardò male e offesa per la maniera con cui aveva parlato, non prestandosi cura di scegliere un tono meno brusco. Piano piano la calca si dissolse, chi si lamentava, chi invece sembrò far finta di concentrarsi su altro. Manuel respirò un pochino dopo che si liberò di quegli sguardi invadenti e riprese a bussare con la mano aperta stavolta.

« Simone se non apri questa porta e mi fai entrare, te giuro che la butto giù! »

« Non me ne frega niente, ti ho detto che voglio restare solo »

Manuel studiò la cabina non molto grande del bagno chimico, se ci fosse stata una finestra, sarebbe stata la sua ultima opzione possibile. Girò l’intero abitacolo e sul retro, una piccola apertura che doveva assomigliare a una finestra, dalla forma lunga, rettangolare ma molto stretta, si posizionava in alto a destra della struttura in legno. Manuel sospirò: l’altezza era l’unico problema a tenerlo distante da Simone che si era chiuso dentro da ormai una decina di minuti. Gli serviva uno sgabello, qualcosa su potersi alzare di qualche centimetro. Si guardò intorno.
A pochi metri, al chiosco del bar c’era una sedia messa al contrario e vuota, lasciata al lato dell’entrata. Manuel fu abbastanza veloce, l’addetto alle pulizie lo vide trascinava un secchio e un mocio. Vide il ragazzo portarsi via l’oggetto, ma non disse nulla.
Ritornato sotto la struttura mezza fatiscente, Manuel si piazzo sopra la sedia, salendo sullo schienale. I piedi scivolavano un poco e le gambe tremavano, ma non mollò. Le mani si arpionarono all’interno della fessura. Per fortuna che era magro e la sua struttura ossea - seppur composta da massa magra che grassa - reggeva bene i colpi.
La testa trovò spazio al centro, non però avvertendo un leggero schiacciamento delle braccia, che per via della poca larghezza della fessura, risultavano troppo attaccate.
Una volta sormontato quel problema, artigliò con le mani in basso, dandosi una spinta con le gambe che prontamente scivolarono rimandandolo giù. La parete della struttura era fin troppo liscia. Doveva esserci qualcosa a cui poteva tenersi e farsi da sostegno. Manuel ci riprovò di nuovo, questa volta, trovando un piccolo buchetto col piede all’interno del legno. Non doveva essere più di quattro o cinque centimetri, ma gli bastò per farsi leva su un solo piede. La testa spuntò fuori di nuovo, dall’apertura, le braccia gli fecero male, ma poco importava.
Simone guarda te cosa mi tocca fare per tirarti fuori da lì.
Scalò la superficie e in un attimo si trascinò giù col corpo come se si stesse tuffando. Solo che non incontrò né acqua, né il pavimento. Una gamba gli finì dentro la tazza del gabinetto, dove si trovava adesso: un piccolo cunicolo dove batteva la luce del sole e la porta aperta e cigolante e con i cardini alla serratura di ferro, strappati. Manuel dovette fare rumore in quell’esercizio disperato, perché una volta atterrato, vide subito Simone nascosto in un angolo, girarsi verso la fonte del suono, verso di lui.




Clò: amo il titolo del capitolo, amo proprio
l'idea dietro che mi è frullata giorni e giorni fa, si ripeteva prodigiosa, come una lampadina.
Il mare e le sue incantevoli tempeste, come un famoso quadro che amo: Il viandante sul mare di nebbia,
Romantico, apocalittico, naturale. Ho voluto invertire le parti, anche perchè un Ferro già geloso lo abbiamo avuto.
Tivibì Simone.
Chissà cosa scatenerà questa tempesta, ma chissà chissà.
L'indecisione era tra Elena e Giulia, la seconda era più romana anche se la prima ha scatenato la Guerra di Troia.
Mi hanno fatta desistere, anche se la prima non ci stava poi tanto male.

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Capitolo 17
*** Rough Seas II ***


Quando si ritrovò Manuel davanti a sè, Simone si scostò dal muro, arretrando di qualche passo.

« Simò per favore, adesso mi devi stare a sentire per forza! » Manuel sollevò la gamba bagnata dal sanitario, camminò in avanti, sgocciolando acqua sul pavimento.

« Potevi farti male scendendo da lì... » indicò la finestra, Manuel non ci prestò attenzione « e poi cosa non capisci della parole voglio restare da solo? » sbottò, le braccia sempre conserte e lo sguardo che gli cadeva sulla figura di Manuel, che si avvicinava e creava piccole scie di cerchi bagnati.

« Non voglio capire Simone, » gli si mise di fronte, studiando se avvicinarsi o meno « e non me ne vado. Voglio che invece capisca tu perché non me va che tu possa pensare cosa che magari ti stanno già frullando in testa »

« Non mi è piaciuto il modo in cui mi guardava quella la, sembrava una serpe, » sputò fuori, le braccia che si aprivano, stava sempre attento a non fare entrare Manuel nel suo spazio vitale, adesso « mi sorprende che sia tua amica »
Manuel fece qualche passò avanti, ma Simone gli fece cenno di no con la testa.
« Non siamo amici. C'è stata quando tu stavi in Scozia Simone, » mormorò « tutto qua »

« Quindi è da un anno che pensavi di continuare a tenertelo per te o che avresti voluto dirmelo? » precisò, ridendo amaramente Simone.

Manuel serrò gli occhi, si fissò i piedi, le mani stavano già davanti, pronte a muoversi, l'agitazione gli premeva dentro come un macigno.
« Non me sembrava fosse importante, per questo non te l'ho detto »

« Però le cose mie doveva saperle, » era amareggiato, gli occhi erano un misto tra rassegnazione e delusione « erano la priorità, giusto? »

« Simone, » Manuel si avvicinò questa volta, non ce la faceva più a rimanergli distante, a doversi trattenere dal contatto visivo, anche se faceva male, si erano sempre confrontati anche quando venivano alle mani « non l'ho cercata io. È successo. Era il primo mese che eri andato via e non mi rispondevi ai messaggi, né sapevo come stavi, se ce pensavi un minimo ‘sto cretino che stava qua. Non avevo modo di parlare con te di quello che sentivo, » le mani si facevano più vicine e Simone indietreggiava, fissandole, volendo scappare per paura di cedere « come facevo a dirti che ero rimasto senza un appiglio se nemmeno mi davi un segnale? »

Manuel lo guardò negli occhi e Simone rispose. Fu un attimo solo, ma bastò all'altro per capire che non era ancora andato tutto perso.
« Mia madre aveva bisogno de aiuto, e non potevo parlare con lei di te ogni volta che volevo, aveva già i suoi impicci e io la aiutavo come potevo. Giulia l'ho conosciuta per caso, è venuta un giorno a casa mia per quel suo progetto e ho pensato di avere una valvola di sfogo co’ lei » spiegò.
Simone non sapeva più come ripetere a se stesso che doveva restare calmo e lucido, le mani gli si fermarono sul legno fatiscente della cabina, sentendo la ruvidezza del materiale: grezzo e frastagliato. « In quel mese mi ha aiutato parlarne, anche solo per buttarti insulti addosso, sì, è vero, » Manuel si indicò alzando un tantino la voce « me veniva più facile darti dello sfigato, piuttosto che coprirti di elogi, perché dentro sapevo, sapevo che lo stavo facendo per proteggermi, Simone, perché stavo messo male. Avrei voluto parlarti, avrei voluto abbracciarti, » il ragazzo era così vicino adesso, il palmo aperto si fermò sul legno, all'altezza della testa di Simone « ma avevo un muro. Eri diventato un cazzo di muro Simone. E con i muri non se può parlare »

« Ed è così che è successo, quindi? » a Simone fischiarono le orecchie, inghiottì l’aria, anche se non fu sufficiente a fare desistere il rumore sordo del petto. Inghiottì quel briciolo di ossigeno.

Manuel lo guardò confuso, spostando gli occhi in continuazione.

« Successo cosa, Simò? »

Simone chiuse gli occhi, i muscoli della mascella di nuovo tesi.
Sapeva qual era la domanda, ma aveva paura a farla. Aveva paura di avere una conferma o solo di sentirgliela dire? Simone doveva farla però o non avrebbe mai saputo.

« Sì, sincero, adesso e rispondimi »

« Simone dimmi tutto quello che vuoi sapere »

« Ci sei andato a letto? »

La domanda fu netta, uscì così tanto in fretta che a Manuel sembrò di aver capito male o forse voleva solo sorvolarla.

« Simone, avanti-» le mani gli si aggrovigliarono sui fianchi, ma non si voltò.

« Ci sei andato a letto sì o no? » Simone alzò il tono della voce, completamente in stato di nervosismo.

Occhi negli occhi, viso a viso.
Cosa ci vedi dentro?
Galassie, vulcani in eruzione, o semplicemente tanta paura. Veniva tutto fuori, come se avesse vomitato il ricordo più brutto percorrendolo a ritroso e riportandolo subito in vita.
La cosa migliore sarebbe stato evitare di guardarsi, perché Manuel poteva leggere lo stato d’ansia in cui si trovava Simone e Simone leggeva chiaramente il panico negli occhi dell’altro.

« È successo una volta sola »

L'espressione completamente vuota, senza calore. Simone si divincolò da quel piccolo spazio e camminò per quell'altra metà che restava all’interno stanza. Più vorticava però, più gli sembrava troppo stretta quella zona, avrebbe voluto avere più aria, più metri dove muovere le gambe. « Non ha significato niente! Simone, mi guardi un attimo? » Manuel lo raggiunse e Simone continuò a girare intorno, sfuggendo alla sua presa.
Simone si voltò giusto per caricare fuori la rabbia che gli montava in corpo.

« Ti rendi conto che io non sono riuscito ad andare con Christian, e tu, sei riuscito ad andarci con quella la! QUELLA GRANDISSIMA STRONZA CHE SE LA RIDEVA, RIDEVA DI ME » il tono era furioso, le mani portate alla testa e la voglia era quella di sprofondare. Simone continuò a oscillare con il capo, in stato di choc.
Manuel cercò di raggiungerlo, ma Simone continuava a stare lontano come se fosse fuoco puro e l’altro aveva paura di scottarsi. I palmi delle mani erano aperti davanti all’altro, il tono si stava abbassando per recuperare un minimo di pacificità.

« Lei non è nessuno… Ascolta, tu a Christian volevi bene, ce stavi insieme, ce stavi bene. E io ce stavo male, perché era una cosa quanto meno reale. Io a Giulia non la volevo, è capitato, è stata ‘na cosa da poco »

« L'idea di farlo mi sembrava ingiusta! Illuderlo, mi faceva schifo » il corpo di Simone vibro con un piccolo spasmo, gli occhi erano giganteschi « Non sono il tipo che si butta, Manuel. Dovresti saperlo, se non lo sento, non lo faccio. Ero bloccato, la tua idea, L’IDEA DI TE NON ME LO HA PERMESSO! Non puoi decidere con chi stare, ma puoi decidere se ascoltarti prima, » Simone era ridotto come un giocattolo da cui stavano uscendo tutti i fili che lo azionavano. Serrò la mascella, la voce si spense a mezzo tono « Io avevo un motivo valido per allontanarmi, lo sai quanto ci ho messo - »

« Avresti dovuto Simone, » Manuel era ridotto a un cane bastonato, le braccia lungo i fianchi, teneva le labbra serrate « avresti dovuto andare a letto con lui, magari ti sarebbe anche piaciuto. Perché non avresti avuto colpe, stavate insieme. Io e te, invece, non eravamo niente, invece. Se me lo chiedi, Simò, io di quella sera non ricordo niente, » fu già più vicino, perché non ce la faceva ad averlo lontano, anche se si fosse beccato un pugno, lo avrebbe preso perché era Simone a darglielo. Sapeva di meritarselo. « Non mi ricordo il giorno, l'ora, non ricordo nemmeno chi ha cominciato dei due. Ricordo di aver solo pensato come sarebbe stato se ci fossi stato tu con me, » scrollò le spalle, mentre sussurrava e non riusciva più a modulare la voce « perché questo pensavo. Non ho di certo pensato a lei. Chissà se Simone riuscirebbe a baciarmi sapendo come sono, chi sono, cosa faccio, chissà se me prenderebbe sul serio. So solo che dopo quella sera non l'ho più cercata. Ecco perché ha fatto la stronza, ho deciso di tagliare. In parte lo è pure, di carattere, ma c'è un motivo se ti ha risposto così. Forse mi sono solo cercato chi mi corrispondeva quando facevo ancora cazzate. Quelle persone che fanno le cose solo perché glie conviene. O forse no. E io questo, l'ho capito troppo tardi. »

Simone lo stava già guardando in modo diverso. Se avrebbe voluto, si sarebbe già dimenticato della questione, ma era passato troppo tempo per non farci caso.

« Te lo sei tenuto per tutto questo tempo, » sussurrò « se era una cosa chiusa, potevamo parlarne, io l’ho fatto con te. Ti ho parlato di lui e a lui ho parlato di te, ma non così. »

« E dirti cosa, Simò? Che ho buttato tempo a cercare di scacciarti dalla mia testa con una che manco me piaceva? Simone lo capisci che tu per tutta l'estate mi hai lasciato senza nulla, con un pugno de mosche in mano? Io non credo di volerce ritornare, ma tu mi ci costringi » alzò le braccia, senza la forza di arrabbiarsi.

« Non ritorniamo su questo punto, io stavo nei casini per te! »

« Io non me la so’ passata tanto meglio, ti ricordo »

Simone si morse il palato, inspirò, si irrigidiva sempre più. Cos’era, una gara a chi aveva sofferto di più? Tutto quello era ridicolo.

« Se avevi tanta paura come dici, così come ti sei consolato con lei, potevi farlo con altre Manuel » sbottò, colpendo nel segno.

Manuel non si sentiva di venir meno a quella frecciata.

« E tu pensi che io non ci abbia provato? » Manuel gli mise le mani attorno ai polsi, senza fare pressione però, glieli cinse delicatamente « Simò, io ho provato a replicare la cosa ma la verità è che mi sentivo così vuoto che non me fregava di averci qualcuno che non eri tu. Mi puoi chiedere tutto, ma non me puoi dì che potevo pescare gente a caso, per sostituirti. Quella ragazza, è l'esempio perfetto di come mi stavo rovinando la vita, Simone, perché tu non c’eri. »

Il ragazzo non parlò più, si era ammutolito. Non sapeva cosa fare, che dire. Simone se ne stava lì, con il petto che gli faceva meno male, ma che aveva comunque accusato più di un colpo. La sua testa era un ronzio preciso e ritmato, una recita di parole confuse, il cuore diceva a quello di ripensarci. Manuel era lì fermo davanti a lui, la presa sulle sue braccia.

« Quella stronza me la sognerò la notte » mormorò in tono duro, l'immagine della ragazza gli si ripresentava davanti, ironica e pungente.

« Non devi darci peso, non vale tutto questo. Questa, è un’altra cosa, noi siamo altro! »

« Mi sento così sporco e non dovrei nemmeno. Non ho motivo di sentirmi così, mi sento come se non contassi nulla ora »
Non lo scacciò, ma nemmeno gli diede segno di interruzione. Simone era lì, a muso duro, gli occhi erano una valanga colma di tante piccole puntine luminose, decisamente più saette che lacrime.

« Non dirle nemmeno ste cazzate »

Simone deglutì.

« Perché, non è così? Avevo tutto il diritto di saperlo, anche se è stata una botta e via, stiamo insieme, CRISTO, MANUEL! »

« Avanti, picchiami, » Manuel soffiò fuori sollevando la mano di Simone sul suo viso « se ti aiuta a sfogarti, fallo. Me lo merito, mi merito questo di essere mandato a fanculo, anche un calcio forte sulle palle se serve, » spostò lo sguardo negli occhi dell'altro in cerca di una risposta « piegame in due se aiuta, quanto ti ho chiesto se avresti voluto cambiarmi, ero serio, non so perché continuo a sbagliare, ma ritorno sempre indietro con te. Ma non andrò mai avanti, se non risolviamo, perché non posso vedermi senza de te Simone. Avanti, colpisci »

La mano e le dita affusolate di Simone erano lì ferme, immobili. Le narici seguivano il ritmo tribale del petto, inalando aria che non sapeva nemmeno a cosa gli servisse. Sentiva già sciogliersi la stretta che aveva in gola, le parole gli vorticano ancora però, sfortunatamente, dentro la testa.

« Tu credi davvero che mi basterebbe darti un pugno per risolvere le cose? »

« Più de uno se vuoi, anche tutte le parolacce e madonne che te vengono, » toccò piano la mano di Simone, chiudendola a pugno contro di sé, prese un respiro « sono pronto. Quando vuoi. »

Simone lo guardava con gli occhi chiusi, il naso si arricciava, e la mano si fermava proprio lì, sul suo braccio destro, a stringergli la pelle. Voleva essere picchiato, mentre manteneva e stringeva quel contatto con lui. Gli occhi di Simone frugarono ancora dentro quelli chiusi di Manuel, in attesa della sferrata improvvisa, del colpo. Quando però abbassò la mano che teneva stretta, Manuel aprì gli occhi, confuso.
Simone chiuse la mano a pugno e quello arrivò. Sapeva come fare male, senza far uscire il sangue, a rugby si colpivano continuamente, ma senza esagerare: lo zigomo di Manuel pulsava un poco, la mano andò a coprirsi la pelle, non si era formata nemmeno la stampa della mano. Gli occhi erano già pronti, annuivano e stavano per chiudersi per ricevere altro. L'irruzione di Simone non finì lì. Prima che quello colpito potesse parlare, le mani lo afferrarono prima per i lembi della camicia, poi per il collo, ma non per picchiarlo, anzi, lo spintonò dirigendo il corpo di Manuel contro la parete.
Il colpo fisico si sentì più del primo, la presa di Simone fu forte e assestata, come se fosse un giocatore in campo, andò dritto, spedito, senza lasciare che l'altro prendesse fiato o che ci provasse.
Quando Manuel provò a toccarlo, Simone gli fermò i polsi contro la parete, portandoglieli sopra la testa, in un atto svelto. Mentre sentiva la sua lingua contorcersi contro il palato dell'altro, gli venne in mente quella volta in cui un suo compagno delle medie gli aveva chiesto se avesse mai baciato qualcuno: Simone aveva risposto che avrebbe aspettato, perché solo con la persona giusta gli sarebbe venuto bene farlo. In quel momento aveva dimenticato tutta la finezza, la compostezza e la dolcezza che lo contraddistinguevano mandando al diavolo le buone maniere. Manuel non aveva bisogno di carinerie, così, sbattuto contro il legno scolorito. Il respiro caldo gli appannò quasi il viso, senza fiato, provando a ricomparsi, Manuel provò a dire una sola parola.

« Simon-»

« Statti zitto »

E così Simone ritornò di nuovo a baciarlo, in modo assolutamente disincantato e frenetico. Manuel aveva addosso quella camicia leggera, il colore rosso già sudato, che si scuriva. Avvertiva la gamba umida e i peli bagnati per via dell'atterraggio maldestro, quando si era calato dalla finestra del bagno.
Simone notò subito che Manuel non era indifferente a quelle sue attenzioni. Lo spinse contro la parete di nuovo, giusto per il piacere di farlo e quello si ritrovò a emettere il primo verso, uscitogli strozzato dalla gola. Simone non si curò tanto della sua testa che sembrava ancora parlare sopra il rumore dell'organo abbastanza scalpitante dentro la sua gabbia toracica.
Sfilando la camicia leggera e lasciandolo in boxer del costume, la figura di Manuel, andò a scagliarsi su ordine del più alto, contro la porticina del bagno, e con le dita, le nocche già bianche, cercava in tutti i modi di reggersi a lui, per l’ovvio tremore delle gambe. Un bacio completamente disordinato lo portò a scontrarsi con i denti, le lingue si toccavano di continuo, attraversate da tanti nervi caldi, energici.
La sensazione che aveva addosso era incomprensibile da spiegare.
Simone sembrava fosse il gatto e l'altro il topo, in un gioco ancora senza un vincitore reale. Quando Simone spinse Manuel sul pavimento, gli balenò in testa l'idea del luogo dove si trovavano. Fissò la porta per un secondo e poi un click gli partì in testa tra qualche minuto sarete più sudici di quel pavimento.
Il ragazzo se ne stava fermo in attesa, in suoi ricci erano ovunque, una matassa improvvisata, il petto si abbassava e alzare come la marea del mare. Raggiungendo Manuel a terra, Simone venne tirato giù perché quello lo spinse su di sé, infilandogli finalmente una mano dietro la schiena, lungo la linea interna dei boxer. Sperò di continuare così, sentendo entrambi i loro corpi premuti, già tiepidi ma non ebbe modo di dedicarsi a toccare il suo ragazzo, perché Simone lo privò per primo dell'unico indumento che gli restava addosso. Quando Manuel provò ancora a sfiorarlo allungando una mano, Simone si allontanò di colpo per osservarlo. Si mise al lato, ginocchia per terra. Era così che doveva essere, era così che voleva pagare il danno subito. Il suo tenerlo d'occhio era calcolato, in quel momento vinse la testa.

« Come lo avete fatto, quella sera? » chiese a voce seria e ferma.
Manuel di tenne su puntellando i gomiti, l'espressione era ridotta a un intruglio di confusione.

« Ti ho detto che non ha significato niente »

Lo aveva già ripetuto. Simone si sentì pizzicare qualche corda interna, l'immagine della rossa faceva capolino.
« Questo lo hai già detto. Voglio sapere, come eravate messi: dietro o davanti? »

« Non starai dicendo sulserio »

« Non mi sembra di aver chiesto nulla di male »

Manuel stava lì, disteso sul pavimento, incredulo, gli occhi ridotti a due fessure. Cosa stava facendo esattamente?

« Simone, cosa te ne frega...la proposta è ancora valida se vuoi, te puoi sfogare- »

« Non ti darò un altro pugno » Simone si alzò, le gambe lunghe lo facevano sembrare un gigante. Era abbastanza determinato, lo sguardo era rivolto a Manuel, non era dolce. Non era quel suo solito sguardo che vestiva di solito. Simone si spogliò molto piano di quel che gli rimaneva addosso. I boxer blu gli contornavano le cosce, poi toccarono le ginocchia, infine scesero ai piedi.
Manuel lo guardò, come sempre, senza darsi rimedio, senza nessun filtro.
Non diede all'altro nemmeno la soddisfazione di fare quel gesto al posto suo, lo costrinse a guardare, lontano, distante. Appena l’indumento raggiunse terra, Simone si avvicinò, il suo corpo si posizionò tra le cosce di Manuel. Simone mosse le dita indicando il suo corpo e quello dell'altro.

« Dimmi, stavate così? »

« E’ davvero questo che te interessa? » Manuel non riusciva a capire, il viso di Simone era impenetrabile – cosa non da lui « una cosa che non c’ha valore- »

« Per te non lo avrà, » Simone era in atteggiamento di sfida « se la hai cercata, vuol dire che un minimo ti piaceva »

« Allora non me sarei dovuto immaginà un’altra persona mentre ce ne stava un’altra sopra o sotto de me »

Simone faceva forza con il braccio sul pavimento, il palmo della mano aperta, guardava deciso e dritto Manuel, le gambe erano già pronte, la mano si piazzò sul fianco destro. L’immagine del suo ragazzo, adesso, era curiosa, c’era qualcosa di nuovo che non aveva mai visto in quella sospensione, quel suo distacco. In quel momento Manuel pensò che anche se avrebbe dovuto aspettare, si sarebbe accontentato solo di guardalo, nonostante lo volesse più di ogni cosa. Pur curioso e allettante che fosse, intuiva cosa Simone stesse facendo. Manuel si limitò a sospirare, a bocca asciutta. « Se te dico de sì, smetti de essere incazzato? » mormorò piano, indifeso.
Simone non rispose, non gli chiese nemmeno se era pronto per accoglierlo. Nel momento esatto, in cui il ragazzo alto sfiorò pochi centimetri dell’interno coscia, entrò dentro Manuel e quello ebbe un sussulto. La mano si artigliò dietro la sua nuca, le gambe erano già divaricate. Sostenne lo sguardo di Simone, che gli sembrò invasivo, troppo attento, come se fosse sotto una rigida analisi.

« Simone, » respirava piano, « scusami »

Simone lo guardava, senza parlare. Manuel non sapeva che fare, sembrava come se fossero tornati a pochi minuti prima, quando si stavano urlando addosso « Mi dispiace, avrei dovuto dirtelo. Avrei dovuto essere diretto, ma stavo male. Come te stavi male fuori Roma. Non ha avuto importanza, manco mi è piaciuto, te lo posso giurà su quello che vuoi » sussurrò.

« Se lo me ne avessi parlato, mi sarei di sicuro incazzato meno »

Manuel annuì, ma il sorriso non c'era più. La fronte di Simone venne premuta contro la sua, rimanendo fermo in quel modo, dentro di lui, senza muoversi. Si avvertì solo il respiro di entrambi che si incrinava.

« Che stiamo facendo, voglio dì, Simone, che senso ha tutta questa cos-»

« Manuel » gli occhi si chiudevano, il tono era bagnato di rabbia, lo aveva lì sotto di sé, allacciato al suo corpo « so solo che preferirei tu stessi zitto »

Manuel, disteso lì lungo il pavimento scomodo in legno, deglutì, il pomo d’adamo si mosse, avrebbe voluto toccarlo, ma non osava farlo.

« Non ti voglio perdere per questa cazzata »

Il ragazzo lo guardò senza dire ancora nulla, gli occhi vennero attraversati da qualcosa di simile alla comprensione.

« Lo capisci che non è tanto il modo, quanto l’avermelo tenuto nascosto? »

Simone si fece spazio ancora dentro il suo ragazzo, mentre quello annuiva soltanto, non riuscendo a rispondere.
Poi, con un piccolo gesto, Manuel trovò spazio, nel dargli un bacio sulle labbra e Simone non lo respingeva, trovò libertà quando finalmente sentì quello baciargli l'incavo del collo. Simone si mosse e Manuel ricostruì quella sensazione che non smetteva mai di meravigliarlo: i loro corpi si fondevano, come bronzo fuso colato all'interno di uno stampo.
Si sciolse completamente quando Simone gli lasciò che gli accarezzasse la schiena e toccarlo, avvertire i peli che si rizzavano, la tensione dei muscoli, il braccio che lo stringeva. La pelle di Simone sapeva di sale, di sudore, di casa.
Aumentando il ritmo delle spinte, Simone si staccò per guardarlo, per sentirlo già gemere e cercare di trascinarlo di nuovo giù a premere i loro petti. In quel preciso istante, la voce di Manuel e le sue braccia interamente avvolte alla schiena di Simone, vennero fuori come un canto e un corpo di ballo spezzati.

« Non è così, non è stato mai così con nessuno, » sembrava agonizzante mentre Simone si muoveva dentro di lui, lo toccava nel profondo e riprendeva daccapo « né co’ Alice, co’ Chicca, co’ Giulia » Manuel cercò di tenergli fermo il viso, perché voleva guardare il suo ragazzo mentre gli diceva tutto quello, ansimando e libero « con nessuno è così. Simone, nessuno. Solo con te »

« Sta zitto, parli troppo » lo interruppe baciandolo, mentre si muoveva ancora, avvertendo la mano di Manuel riportarlo di nuovo a dargli ascolto, tra le gambe che cercavano di restare salde e il respiro che veniva meno. Simone lo coprì di nuovo, ingoiandosi un suo gemito. Manuel riprovò ancora, mentre si sforzava di non cedere, gli teneva fermo il viso ancora. Lo obbligò a stare fermo, la voce gli si abbassava a un sussurro spezzato.

« Quando mi prendi, Simone, » il calore gli arrivò sparato in viso « mi sento completo. Quando lo facciamo, mi sento così pieno... Per me esisti solo tu »

Lo sguardo che si scambiarono fu lampante, Simone non era più distante, i suoi occhi si erano colorati di nuovo, le labbra erano gonfie e due ciocche formavano due strane onde ai lati dell'orecchio. Riunendo le labbra, Simone sorrideva imbarazzato dentro, mandando in malora l'idea che si era portato in testa: quella di farlo penare.
Forse un po' di aveva provato, ma le parole di Manuel non ammettevano altre spiegazioni o repliche. Lo amava. Si erano detti di tutto, ma lo amava. Quando Simone colpì lì, dentro il corpo di Manuel, un sussulto uscì fuori.
L'impressione fu che gli avesse fatto male, ma il volto di Manuel era completamente preso, non dava segno di dolore. Simone gli accarezzò la guancia con la mano libera, mentre il corpo si spingeva sempre più in là, imprimendosi come cera. La tentazione di urlargli quanto lo odiasse era forte. Ma altrettanto lo era quella di tenerlo con sé, ancora per un po'.

« Non penso proprio ci perderemo » mormorò in un secondo, il suo viso era semi nascosto all'altezza dell'orecchio, gli partì un bacio giusto sotto il lobo.

A un'altra spinta, Manuel poggiò le labbra sulla spalla di Simone, le gambe erano diventate come due lunghe ventose al corpo del suo ragazzo, a cui ormai era legato. Non lo aveva sentito forse, preso com'era dal gemere contro la sua pelle, ora sudaticcia. Il sale era evaporato e ora nelle sue narici penetrava solo il calore, l'umido. Non sapeva come spiegarlo, ogni volta che si scambiavano la pelle, ogni volta che si toccavano, anche solo il minimo gesto, tutto si amplificava. Stare bene e sentirsi scoppiare dentro sembravano due concetti così dissimili, eppure Manuel era lì, totalmente sotto di lui, e si sorprendeva ingenuamente alla sua vista. Simone lo trovava così tanto preso da lui, quella bocca dischiusa, quegli occhi aperti e ora chiusi, quel tirarlo per avere un altro bacio e soffocarsi un gemito: era tutto un rito, di cui andava un po' fiero, se doveva ammetterlo.

« Ti amo »

Quello lo aveva sentito, forte e chiaro. Come una nave che avvistava la terra dopo giorni di viaggio. Suonò così piano, che Manuel si maledì internamente, tirò i capelli di Simone, lì, dietro la nuca.
Un'altra spinta e Manuel mugolò qualcosa di sconnesso. Riprovò. « Cazzo Simò, » la bocca gli tirò il lobo dell'orecchio in un atto di resistenza, anche se le sue gambe la dicevano lunga, avviluppate. La mano scivolò dalla schiena di Simone, ai suoi glutei « mi hai sentito? »

Simone era sul punto di scoppiare a ridere per aver fatto finta di non sentirlo.

« Che cosa, te che urli? » lo baciò sulla curva del mento, sul collo, i suoi movimenti di bacino si facevano sempre più svelti. Non c’era più frizione, scivolava dentro il suo ragazzo, gli provocava una serie di mugolii e frasi sconnesse, tra le quali appariva anche il suo nome, di tanto in tanto.
In un ultimo atto di lucidità, Manuel gli incastrò il viso nell’incavo del collo, la fronte era madida, una gocciolina di sudore gli cadde sulla porzione di pelle. Quando sollevò lo sguardo, trovò Simone, a una spanna dai suoi occhi, dal suo naso, riuscì a solo una cosa.

« Ti amo » ripetè.

Simone premette la sua bocca, baciandolo ancora, riprendendo più forte di prima, sentendo il cuore che gli pompava, se lo sentiva in gola.

« Io di più » fu solo quello che disse, quando sentì che erano pieni entrambi.

Nel momento in cui Simone si staccò, uscendo dal suo ragazzo, il petto e la pancia si sporcarono, le voci riempirono la cabina chimica del bagno, forse qualcuno di passaggio stava ascoltando da fuori. Quel pensiero non durò più di tanto e Simone sfinito, si accasciava su Manuel, nascondendo il viso dietro la spalla.
Il bussare alla porta fu qualcosa che li portò a guardarsi: scoppiarono a ridere entrambi. Il suono arrivò a colorare l'aria di quello squallido spazio striminzito, mentre qualche voce si levava fuori, abbastanza inviperita. Simone guardò Manuel, come se avesse già dimenticato quasi tutto. Ne era passata di acqua sotto i ponti, stava passando anche quello. Il ragazzo gettò un urlo, che suono più come una minaccia e i colpi alla porta cessarono di colpo.

« Non c'hanno tutti i torti, Simò, da quanto siamo qua dentro? »

Simone inspirò piano, gli occhi si chiudevano, l'aria adesso sapeva del loro sapore.

« Non lo so, » Simone di abbarbicò ancora di più alla figura dell'altro, la voce suonò ovattata « ma non mi va di alzarmi adesso »

Manuel gli accarezzò la schiena, l'idea di rimanere schiacciato dal suo ragazzo, era la cosa più bella e di sollievo che potesse avere. Soprattutto dopo quello che era venuto fuori. Forse non aveva finito di scusarsi, conoscendosi, Manuel ci avrebbe ripensato ancora un po'.

« Simone devi sapè che non le pensavo davvero quelle cose, quelle che dicevo a lei, » si fece serio « per me sei sempre stato l'opposto di uno sfigato, in realtà te invidiavo pure un po' »

« Lo so, non ne parliamo più »

Manuel non cercò di nascondere l'evidente senso di sollievo che gli incorniciò la faccia, il sorriso ritornava di nuovo. « Però glielo puoi dì, di questo incontro occasionale all'amica tua. Chissà se le può interessare, magari dopo le mandi un messaggio » usò un accento romano che gli uscì malissimo. La battuta gli uscì tranquilla, le labbra sfoggiavano gli incisivi. Manuel rise, il petto magro gli si gonfiava e il solo vederlo così, a Simone bastò.

« Il messaggio non renderebbe Simone, questo se chiama fà l'amore con stile » evidenziò, le dita indicavano le pareti « non potrò più vedè un bagno senza pensarci d'ora in poi »

Simone arricciò il naso, la mano percorse la linea d'inchiostro del tatuaggio.

« È anche una pena abbastanza lieve, se mi permetti » soffiò.

Manuel lo vide, le dita tracciavano i contorni della figura dell'animale sul suo petto, completamente disincantato.

« Te ne sei pentito per un-»

« Non ricominciamo, » Simone gli baciò la clavicola « non ti avrei mai messo le mani addosso. Mi è costato pure farlo. »

Il sorriso malizioso si affacciò sulla faccia del teppistello.

« Su quello dissento, c'hai pensato in un altro modo Simò »

Simone si sporse per baciarlo e fu calmo, lento, un contatto delicato. Come se la fretta fosse stata solo per scandire l'attimo, solo destinata al loro incontro di corpi, ma le anime rimanevano ancora vincolate fuori.

« Tu che dici, hanno capito che abbiamo fatto qua? »

« Manuel »

Simone scoppiò a ridere, seguito dall'altro in un secondo. I denti si affacciano sul teppistello, gli occhi sembravano già più grandi.

« Che c'è, era na domanda seria! »

« Non sono un esperto di musica, » Simone si alzò sul suo ragazzo, le gambe a cavalcioni « ma hai raggiunto frequenze notevoli. Se qualcuno è passato, suppongo non si sia limitato a andare via »

« Che te devo dì Simone, » Manuel gli teneva i fianchi « a me di trattenermi, non me ne frega proprio »

« L'ho notato »

« E certo che lo hai notato, ormai so' un libro aperto »

Simone gli sfiorò il naso e poi si accoccolò di nuovo accanto a lui, questa volta, senza pesargli addosso. Manuel non fu della stessa idea però, perché se lo trascinò vicino, cingendogli i fianchi.
« Non me davi fastidio, viè qua Simone » i capelli gli solleticavano la guancia, Simone si era fatto più stretto, contro la figura del ragazzo, come se quello più basso fosse lui. Respirava con il suo fiato, percepiva l'aria tiepida, ascoltava i battiti cardiaci.

Era un sabato pomeriggio estivo. Simone e Manuel distesi sul pavimento di un bagno chimico, occupato non si sa esattamente da quanto tempo, che non sembrava mai abbastanza. Era un sabato estivo e i mari in tempesta non davano più segnale di cattivo tempo, si erano finalmente placati.






Stava in piedi, le mani erano sudate, era conciato male. Non capiva perché il respiro gli risaliva agli occhi e quello che vedeva non era chiaro.
L’immagine sfocò, sgretolando i bordi: il viso davanti a lui, era cambiato, gli occhi erano cambiati e diventati più grandi, il mento era più pronunciato e i capelli si erano tramutati in ricci al posto di lunghe ciocche lisce.
Quando provò a guardare meglio quella non cambiò. Sapeva benissimo chi era, la forma delle labbra non mentiva e neanche il colorito candido, la piccola fossetta al lato. Era Simone.
Sbatté le palpebre più volte, ma la figura non cambiò: Simone.
La sua testa gli stava facendo degli strani scherzi, la scosse un po’.
Simone non era a Roma, non era lì. Non era fisico. Eppure, quando Manuel allungò lo stesso la mano per sfiorargli la guancia, quella sembrava la sua. Erano le sue dita, le vene delle mani, era tiepida. Si concesse un sorriso.
Gli aveva mai davvero sfiorato la guancia prima?
La pelle era morbida, sotto il tatto. Gli aveva già detto che gli era mancato?
Fece per aprire bocca, ma si fermò.
Manuel deglutì, nella luce fioca, gli occhi gli dicevano qualcosa di falso. Voleva credere che fosse davvero lì ma non era una cosa vera e lo sapeva. Simone si sarebbe lasciato sfiorare se ci avesse provato?
Se quello era Simone, perché erano in un garage e non a casa sua? Se era Simone, perché non gli parlava? Perché non lo chiamava, perché non lo chiamava stronzo? Se era davvero Simone, perché portava una collana al collo al collo e le labbra erano contornate di rossetto?
Manuel osservò la ragazza che si rivestiva in quell’anfratto di spazio che doveva essere il suo garage. Solo quando parlò, capì di aver immaginato tutto. Tutto quanto. Vedeva i fianchi stretti, i tatuaggi sulle mani, il modo in cui si annodava i capelli con un elastico. La ragazza e i suoi capelli rosso fuoco, lo guardarono.
Manuel fissò i suoi piedi nudi, poi risalì, una sensazione di apnea orrenda a invaderlo: i pantaloni erano ancora calati, era sporco e il fiato era ancora corto. Serrò le labbra e chiuse gli occhi. Cosa aveva appena fatto?
Si disse tra sé e sé: Simone cosa ho fatto, perché non ci sei tu qui.
La ragazza si rivestì totalmente, disse qualcosa e lui annuì, senza sentire veramente. Quella gli scoccò un bacio sul collo, l’odore era forte, sentore di rosa. Forse era più una rosa appassita. L’altro, sarebbe stato di vaniglia, se ancora ricordava bene. Se lei non fossi tu.

Simone ritorna.
Se solo lei fossi tu.










24 Giugno, pomeriggio

Usciti dalla cabina, Simone e Manuel avevano fatto una rapida corsa e si erano subito buttati in acqua, attirando qualche sguardo curioso e indiscreto. In effetti qualcuno abbassò gli occhiali da sole, guardandosi confuso. Quando Manuel lo tirò vicino, Simone quasi finì capovolto in acqua, trovandosi l'altro che lo tenne all’ultimo momento, dietro la schiena. La scena fu esilarante, perché quello più alto tra i due era proprio quello che cadde indietro dentro l’acqua.

« Simone, oh, hai bevuto? » il tono un po' preoccupato, portò Manuel a verificare fosse tutto nella norma.

Il ragazzo era stato affondato in acqua, il viso era bagnato ai lati, riaffiorava il naso, gli occhi e la bocca. Non sembrava aver subito qualche effetto collaterale, sputò un po' d'acqua in una leggera tossicciola. Fece cenno di no all'altro.
Poi Simone chiuse gli occhi, sentendo soltanto la presa di Manuel sul suo corpo, respirando piano. Stava dicendo qualcosa, ma le orecchie erano per metà coperte dall'acqua e la voce dell'altro suonava vicina, ma anche come un'eco. Il sole del pomeriggio gli batteva in faccia, creando luci ed ombre sul viso, rendendo Simone un dipinto. Le mani di Manuel si spostarono leggermente, si accovacciò sulla superficie dell'acqua, senza mollarlo del tutto. Trascinò il corpo di Simone di lato, senza affondarlo, questa volta. Delicatamente, lo muoveva a un ritmo sostenuto, ondulatorio, come si faceva per rilassare qualcuno. Manuel lo vedeva: come teneva le palpebre chiuse, il respiro era regolare, la mascella rilassata, le labbra incurvate. Gli sfiorò piano un fianco, mentre lo muoveva sul pelo dell'acqua, con quel leggero dondolio.

« Sai quando me agitavo troppo, mi madre me calmava così » mormorò. Il tatuaggio di Simone schizzava come una macchia nera contro la superficie chiara « Me ripeteva immaginati di essere leggero, un aereoplano, un pezzo de carta che viene soffiato via »
Manuel continuava a spostare Simone, il sole gli batteva sul petto adesso, con dei rivoli d'acqua.
« Io le ripetevo mamma ma come fa un pezzo de carta a non affondare in acqua? E lei subito co' la risposta pronta non pensare con la testa, usa la fantasia. Ripeteva lo stesso schema quando me faceva il bagno o quando stavamo al parco »

« E ci riusciva? » la voce uscì ovattata, trasparente « riusciva a calmarti? »

« La maggior parte delle volte sì, » una delle dita di Manuel gli passarono sul petto « quando non ce riusciva me lasciava andare e mi arrangiavo »

« E che facevi? »

Manuel arricciò il naso, raccolse una piccola ciglia da sotto l'occhio di Simone. Ci soffiò sopra.

« Stavo per conto mio oppure davo fastidio a qualche altro bambino »

« Certo, » Simone ridacchiò « dovevo immaginarlo »

« Ero già un po' rompi palle, sì » confessò.

« Manuel piccola peste Ferro »

Manuel rise un poco, sciogliendosi un poco. Mentre Simone veniva cullato, pensò molto a quelle ultime cose che gli passavano per la testa: loro due che avevano trovato sempre ogni pretesto per venire alle mani. La sfuriata di qualche ora fa, era un'altra. Solo che non c'era stato proprio odio, come le prime volte. Quel germoglio era cresciuto e ora c'era più amore.


« Simone ma te ci pensi mai a come eravamo prima? »

« Ogni tanto mi capita, perché lo chiedi? »

« Boh, così, » scrollò le spalle, « ce azzuffavamo pe niente...mi viene in mente quando abbiamo avvicinato i banchi »

« Sì perché così copiavi meglio, mi ricordo »

Manuel sospirò, e lo guardò dritto negli occhi, ora erano aperti: il sole colorava il castano intenso, la grandezza di quelle pozze.

« La verità è che me sentivo più sicuro così, » lo sollevò leggermente e Simone si raddrizzò dentro l'acqua, le gambe si toccavano « la matematica rientrava nei motivi, ma me sembrava strano non stare vicini »

Goccioline di sale cadevano lungo gli occhi di Simone, contrastando con le strisce di sole incastonate sulla pelle.

« Dillo che volevi primeggiare con mio padre, non mi offendo eh » scherzò.

« Dai, sò serio, » sentiva le mani del suo ragazzo portate a coppa sul viso « ogni tanto ce penso a questa cosa. A quando Matteo c'ha rotto perché voleva cambiare pure lui di posto e Lombardi lo aveva ripreso e noi invece ce siamo riusciti lo stesso. »

« Mi ricordo che me lo avevi chiesto e ti avevo detto di no la prima volta »

« C'avevi paura de me? »

Manuel insistette con quegli occhi curiosi, da specialista inventato. Simone che fino a poco fa avrebbe dato di tutto per vederlo sparire, ora lo guardava come faceva sempre. Per questo pensava di essere davvero troppo innamorato, o forse troppo scemo. O entrambe.

« Avevo paura che mi sarei lasciato troppo andare se avessi accettato »
Lo sguardo di Manuel fu tutto un programma, annuiva piano, poi gli portava una mano sul petto bagnato. « Da te mi aspettavo tutto tranne che mi chiedessi di sederti accanto » Simone la buttò sul ridere, sdrammatizzando. Manuel invece era serio.

« Ma lo hai fatto comunque »

« Già »

« Cosa ti ha fatto cambiare idea, Simò? »

Simone sospirò, baciò Manuel sulla bocca, già salata e poi gli passò un dito sulla stessa, disinibito. Il ragazzo lo fissò subito e glielo baciò.

« Quella frase che hai detto, il giorno che ci siamo cambiati di banco: senza de te non ha senso venire qua. Mi sono detto che se lo pensavi davvero, non era poi una cosa tanto sbagliata starti vicino »

Fu forse una delle poche volte che Simone vide Manuel diventare di un colorito più vivace, quasi sul rossigno, ramato. Si registrò quell'espressione in testa, la avrebbe trovata lì e riavvolta ogni volta che avrebbe avuto bisogno.




- - -



“Lo sai vero?” Sentì la voce parlare, ma in realtà voleva solo silenzio. Manuel alzò la testa, per guardare la fonte del suo. “Lo sai vero che se me voi chiamare, hai il numero, Manuel, non mi fare fa tanti giri di parole”
“Sì, lo so” aveva sospirato, inghiottendo le labbra “Adesso però devo annà, se arrivo tardi a casa mi madre fa un casino”
La rossa annuì, si stava sistemando il mascara allo specchietto, sopra un vecchio stereo, all’interno del garage. Quando si tirò su lo zaino, però quella gli disse un’ultima cosa. Il teppistello si raggelò sul posto. “Non ti ho capito, scusa”
In verità aveva sentito bene, l’idea non gli piaceva.
“Ho detto” esordì, scrollando le spalle, gli occhi che si infilavano sotto la pelle di Manuel come un bisturi tagliente “la prossima volta possiamo vederci a casa tua, magari quando non c’è Anita. Mio padre qua non viene mai a bussare, però me voglio togliere il vizio, sai” chiarì con le dita. Aveva due gemme verdi fosforescenti, polvere stregata, incantesimo di ripiego.
“Te faccio sapè, eh”
“Ci conto”
E dicendo quello, Manuel uscì fuori dal garage, si avviò allo scooter. Il cellulare vibrò dentro la tasca del giubbotto verde scolorito. Strabuzzò gli occhi: era il primo segnale che aveva dopo settimane. Simone aveva postato una foto, era quella di un cielo, terso di nuvoloni, ma con un lampione acceso in mezzo alla strada.
Oh.
Si apprestò a scrivergli qualcosa, qualunque cosa.
Cosa poteva dirgli? Per pubblicare questa roba sì, per farmi capire, invece no. Stava già per inviare, ma cancellò tutto subito dopo.
Era appena andato a letto con un’altra persona. La aveva toccata, la aveva baciata. E lo aveva fatto per fargli male. O forse, per farsi male da solo. Non lo sapeva: tutto era cominciato quando aveva deciso di andarsene. Forse era successo pure prima inconsciamente e lo squarcio era arrivato prepotente a colpirlo.
Manuel ricacciò il cellulare in tasca, con l’ultimo ricordo che gli restava. Quella dannata foto del cielo nuvoloso scozzese su un social. E’ questo che era diventato, Simone era un cielo diverso, dall’altra parte del mondo. E per quel cielo, ora ci stava piangendo.




- - -




24 Giugno, 18:30 pomeriggio

Col sole che pian piano calava, il tramonto era sempre più vicino, i corpi erano asciutti, stesi lungo la battigia, una birra a fianco ciascuno, l'aria che di era rinfrescata, calando verso l'ora di punta. Con qualche sorso qua e là, Simone frugava nella sacca spessa, cercando la maglia a maniche corte. La infilò non con poca fatica, restando con quella e con i boxer del costume. Sentiva la testa leggera, era calato il silenzio in spiaggia e alcuni dormivano sotto gli ombrelloni.

« Che bello »

Manuel guardava il sole sulla linea dell'orizzonte ridotto a una palla incandescente, la linea del mare era così sottile, sembrava vicina quasi a poterla toccare con la mano.

« Sì, proprio bello »

Prese un altro sorso della sua birra, osservando il ragazzo girato verso il tramonto, nella presa del cellulare che scattava con la fotocamera a quello che vedeva. Proprio bello, sì.
Aveva avuto paura per mezza giornata, aveva rischiato di farsi venire una crisi e tutto perché era innamorato di quel ragazzo lì. L'amore era lacerarsi e ricomporsi, un ciclo vizioso.

« Simone, » mormorò, sorprendendo l'altro mentre sfiorava la bottiglia di vetro « quindi stasera dormi da me, giusto? »
Il ragazzo assaporò la birra, aspettando un po' prima di ingoiarla.

« Non lo so, forse passo »

Manuel lo guardò in cagnesco, il cellulare ricadde dentro lo zaino o forse scivolò sulla sabbia. Simone era già contro il telo da mare, la bottiglia era tenuta a mezz'aria.

« Te scriverò una lettera de scuse, dove quella parola appare per almeno per dieci pagine e più, se serve, » Manuel gli teneva le mani sul petto, sembrava disperato « però l'ho detto a mi madre ormai Simò, fallo per lei, ce rimarrà male »
Simone ridacchiò dispettoso.

« Di lettere non ne voglio, » sospirò « voglio che ci diciamo tutto. E quando dico tutto, intendo anche la cosa più stupida »
Manuel annuì ripetutamente, precipitarono i suoi occhi.

« Sì, Simò, va bene, tutto, niente più segreti, niente più Giulie o rogne, » lo baciava tra una parola e l'altra, Simone si sentiva stordito « voglio solo dormì con te stanotte, vicini, appiccicati » la bocca si spostò sulla mascella, sulla spalla. Il ragazzo non ce la faceva a non tenerlo ancora sulle spine.

« E se io volessi dormire sul divano? »

Si alzò sui gomiti, e Manuel si ritrovò sollevato, a guardarlo offeso, ma comunque ci teneva ad affermare i propri diritti. Il suo diritto era quello di stendersi nel suo letto, dopo quell’intera giornata, col suo ragazzo.

« Ah Simò il divano no eh »

« Sono l'ospite, le richieste degli ospiti si soddisfano » continuò a giocare.

« Ma perché devi dormire sul divano, quando c'ho un letto in stanza che è grande abbastanza per tutti e due? »

Simone rise per il tono infantile appena usato, non era possibile che fossero coetanei, per come Manuel stava rispondendo. « Non mi vuoi? »

Aveva le mani spalmate sul suo petto, gli occhi dolci – come sapeva tirarli fuori in quelle situazioni speciali – puntati addosso a lui, il naso che lo sfiorava, la barba sul viso magro e furbo. Simone sapeva di non dover sospirare e cedere, ma era impossibile resistere quando l’altro faceva così.

« Manuel, la risposta già la sai »

Il ragazzo più piccolo, gli depositò un bacio, lì, all'altezza del cuore, per poi strofinarci il naso sopra. La maglietta pulita strideva con l'odore di sale, che ora era solo un’essenza, come fosse stato cotto, evaporato sulla pelle di Simone. Come se il cuore lo avesse assorbito e sciolto, lasciando solo il vago sentore.

« Me puoi toglie tutto Simone, ma quello no. Ormai ho battezzato il lato sinistro del materasso col nome tuo, immagina se glielo cambio, s’offende pure »

La testa riccia si chinava, sorrideva a quell’uscita pessima, ma rideva comunque perché Manuel era stato troppo serio nel pronunciarla.

« Che ne dici di andare tra un po', ci facciamo un giretto, ti va? » cambiò discorso, sapendo di dover tenere almeno saldo quel freno. Se si fosse sciolto completamente, Simone avrebbe fatto l'amore con lui di nuovo, senza nascondersi, davanti ai pochi rimasti sulla spiaggia.

« Va bene, » sorrise beffardo Manuel, rubava la bottiglia di birra a Simone e se la portava alle labbra, sempre mantenendo il contatto visivo, la mano sempre ferma sulla pelle « chi guida? »

« Ti dovrai fare portare ancora da me, purtroppo » gli sfilò via la birra dalle mani e si allungò sulla schiena, uno dei gomiti poggiati sul telo che sprofondò nella sabbia. Il sorso avvenne rapido, davanti ai suoi occhi già accesi e lampeggianti, il sorriso era aperto prima di chiudersi a mangiargli le labbra.







La brezza colpiva le figure di Simone alla guida della vespa e quella di Manuel dietro che si teneva alla sua felpa. Il paesaggio urbano di Roma, sfrecciava davanti ai loro occhi, come in una foro-ricordo o testimonianza diretta: il sole stava scomparendo quasi del tutto, la gente ritornava a casa dopo il mare, i colori del cielo viravano verso il rosa, il blu e il violetto come una pennellata di colore violenta appena rovesciata in cielo. La vespa proseguiva e si muoveva, con le mani di Simone lungo il manubrio, sciolte, il casco gli schiacciava il viso, il retro della felpa gli si gonfiava sulla schiena per via della velocità e del vento. Manuel si teneva saldo al suo torace, le mani si coprivano come potevano nelle maniche del giacchetto di jeans di Simone, avvertendo delle piccole scariche di freddo, con il corpo ancora caldo. Il calore che veniva tolto dal vento, veniva ricercato nel ragazzo alla guida, concentrato sulla strada. Manuel poggiò la testa tra l’incavo del suo collo, ed ebbe come l’impressione di stare sognando quella cosa, di trovarsi con Simone a girare in motorino per le strade romane. Lo aveva fatto anche con Chicca, però era diverso.
Non sapeva come spiegarlo a se stesso, Simone gli dava quel senso di protezione, che non aveva avuto con altri. Non lo avrebbe mai ammesso, com'era solito, le cose le dimostrava in modo diverso e andava bene così. Gli bastava tenersi comodo dietro il veicolo, aggrappandosi al corpo del ragazzo davanti, per dirlo.
Ogni tanto i due sobbalzavano, per via di qualche buca o perché l’asfalto sulla strada mancava. Alcuni tratti di quella erano liberi, privi di automobilisti, o presentavano orde di turisti ammassati. Passarono col veicolo nei pressi di Castel Sant’Angelo: il ponte con le statue di angeli ai lati sul ponte, era gremito di gente. Si stavano accendendo già i primi lampioni ai lati dei marciapiedi, gettando le prime luci sui sampietrini. Il cielo cambiava ancora, tingendosi di blu scuro, con un sentore di porpora violento, alla base. Le nuvole cambiavano, ridotte a batuffoli curiosi, allungati, spostandosi insieme a Simone e Manuel, al volo della vespa bianca, che fendeva il percorso. Simone, a quel punto disse qualcosa, ma col rumore di sottofondo del motore e del traffico, l’altro non sembrò sentire quasi nulla.

« Ho detto, ti va di mangiare qualcosa in giro? Ci fermiamo da qualche parte » alzò la voce di poco, calcolando che erano di pochi passi dal centro storico della città.

« Me va bene Simò »

Manuel si strinse più forte, avrebbe voluto riuscire a vederlo in viso, se non fosse stato per la protezione del casco.

« Vado troppo piano? Cosa ne pensa l’esperto qua? »

Manuel rise al lamento di Simone, osservando i suoi occhi dallo specchietto - occhi che non lo stavano guardando perché rivolti a svoltare l’angolo e la curva poco dopo - attenti, luccicanti.

« No, va bene così Simone, non c’è fretta de fare finì sta giornata »

Strattonò dolcemente la felpa, sgualcendola, portando gli occhi del suo ragazzo a muoversi e ad attenzionarlo. Fu in quel piccolo guizzo, che Manuel captò il leggero rossore del ragazzo alla guida. Quando reagiva così, avrebbe voluto baciarlo senza finire più.
T’ho beccato.
Come faceva quella canzone che ora gli veniva in mente? Simone la aveva ascoltata di recente e non riusciva a ricondurre bene la memoria. Sì, dai, quella nostalgica, la storia luminosa di Roma, la sera, due cuori in cerca dell’altro, la metafora di loro che sfrecciavano – adesso - davanti ai vari edifici.

« Che c’è, perché mi guardi così? »

Per capire fino in fondo la parola: accanto.

« Perché sto bene, Simò. Non voglio ancora tornare a casa » mormorò in mezzo alla confusione di clacson e altri rumori in lontananza.
Affondava il viso sul tessuto morbido della felpa, godendosi la vista. Simone cantava già la canzone in testa e aveva già associato quel preciso momento alle parole centrali del testo, cancellando l’aspetto triste. Quello non li descriveva.

Mi ricorderò di te, tra le luci di Roma, ogni abbraccio per strada.

« Simone, tutto bene? » lo studiò con aria attenta e curiosa.

« Torniamo insieme a casa » parlò, osservando furtivamente dallo specchietto, Manuel aveva il viso accoccolato su di lui, sembrava così innocente, era così vivida quell’immagine e voleva imprimerla così, con i primi lampioni accesi della sera. Simone gliela avrebbe dedicata, quella e molte altre canzoni, se solo il petto non gli fosse andato in tilt. « Però prima mettiamo qualcosa sotto i denti, non so tu, ma ho una fame tremenda »

« E so’ d’accordo, pensa io quanto ho mangiato, ero troppo impegnato a scassinà un bagno pubblico »
Simone con la sua risata fragorosa, accompagnò il motore della vespa e quando il verde scattò, quella melodia riempì l’unico spazio davvero importante: quello del guidatore e il ragazzo, dietro, che gli scoccava un bacio sulla spalla felpata, con attorno le prime luci serali della città che si accendevano.

Mi ricorderò di te, tra le luci dell’alba.








I ragazzi rientrarono dopo cena, la porta fece lo scatto girando la chiave e la figura di Anita era già posizionata sul divano accanto alla cucina.

« Oh, ciao ragazzi, com'è stata la giornata al mare? »

La donna sorrideva, e Simone e Manuel si guardarono a vicenda. Cosa c'era da dire? Simone si grattò la testa. Nessuno dei due sapeva chi parlare per primo, così venne fuori la voce del figlio in un miscuglio di ilarità.

« Com'è stata...
» Manuel guardò Anita cercando di rimanere piatto « scoppiettante » mormorò.

A quelle parole Anita abbozzò un sorriso mezzo confuso mente Simone ne nascondeva uno imbarazzato e si avvicinava per salutarla meglio. La donna aveva una coperta sulle gambe ed un libro posato sul grembo adesso.

« Simone, se vuoi qualcosa, se volete qualcosa da mangiare- » guardò subito Manuel che era già andato in camera.

« Non preoccuparti, » anticipò Simone, un sorriso comodo « abbiamo già cenato fuori »
Simone si incuriosì dal titolo del testo, lo indicò. « Su quello, ho letto delle ottimi recensioni »

« Ah sì? E speriamo, » sospirò, toccandosi le tempie Anita in fare stanco « mi tocca tradurlo, quindi spero ne valga la pena »

Simone annuì, abbozzando un sorriso di comprensione, mentre Manuel posava lo zaino a terra nella sua camera, la porta lasciata senza importanza, aperta.

« Deve essere una bella cosa, vedere come cambiano i modi di dire, da lingua a lingua, le sfaccettature »

« Si, è gratificante, c'è un sacco di differenza tra un testo e l'altro e tanto lavoro dietro »

Il ragazzo annuì, le occhiaie sotto gli occhi della donna la dicevano lunga. Simone si strizzava la sacca sulla spalla.

« Anita, » Simone si girò tra lei e la figura del figlio dall'altra parte « è un problema se per stanotte, sai, ugh, potessi dormire sul divano- »

In un attimo Manuel si precipitò nel salottino e lo prese per il braccio, fece cenno con il viso alla madre.

« Lascia sta mà, Simone sta scherzando, è un tutto un gioco suo »

Il ragazzo rise compiaciuto di averci potuto riprovare, con l'altro che lo trascinava nella stanza e Anita che gridava un buonanotte pieno di attenzione e un ghigno in volto.
Simone si affacciò, la testa spuntò dalla camera di Manuel, prima di essere risucchiato dentro dalla sua presa.

« Buonanotte Anita! »

La porta venne chiusa e Manuel lo guardò dandogli un buffetto sulla spalla. Poi camminò.

« Simone c'ho un letto apposta, ancora un po' e te ce faceva dormì davvero là » borbottò. Aprì il cassetto dentro l'armadio e tirò fuori un accappatoio pulito e due asciugamani. Le diede a Simone, che esitò un attimo prima di prenderle.

« Non volevi farti la doccia tu per primo? »

« No Simò, vai tu, » scrollò le spalle « poi appena hai fatto, mi aspetti qua buono buono e senza addormentarti »

« E chi si addormenta? » cercò il cambio posando la sacca sulla sedia della scrivania, poi prese le asciugamani e depositò un bacio, lì, sulla guancia di Manuel.


Il ragazzo ci impiegò più del previsto. Dei granelli di sabbia gli erano rimasti impigliati tra le ciocche e non poteva di certo ritornare a letto con i capelli bagnati però. Cercò quindi di velocizzarsi. Una volta finito, scattò in fretta verso la porta della camera, che si richiuse alle spalle. Respirò piano, trovando l'altro già bello che andato. Scosse la testa, gli si allargò il volo tingendosi di un mare di denti. Si inserì piano nella trama del materasso. Non era stato nemmeno sollevato il lenzuolo, perché Manuel ci dormiva sopra. Allora prese la coperta grande, la trovò di fianco al mobiletto pieno di cianfrusaglie variopinte. Se la portò dietro.
Simone si sdraiò sul materasso, inspirando piano, per paura di svegliare Manuel che stava già dormendo. Stese la coperta e fece per girarsi sul fianco. Il materasso scricchiolò sotto il peso e si immobilizzò per un secondo. Quando si mosse di nuovo, il corpo accolse la figura del più piccolo, le mani gli circondavano la vita e il naso respirava ancora il mare.
Il mare mi calma.
Che bello pensare a Manuel come al mare, ora.
Il suo rifugio inaspettato.
Irruento e violento nei giorni di tempesta, calmo quando rasserenava.
Pensò che fosse già completamente rapito dalle braccia di Morfeo, quando, la mano di Manuel si spostò per afferrare la sua e stringersela ancora di più sul corpo. Il gesto lo scaldò subito in un sorriso.

« C'hai messo un sacco » mormorò, si rimpiccoliva contro Simone, per aderirvi completamente.

« Lo so, scusa »

« Non fa niente Simò, » Manuel intrecciava il contatto, una mano dentro l'altra « io sono crollato » sbadigliò poco dopo.

Simone si sporse a baciargli la pelle dietro l'orecchio.

« E allora dormiamo » soffiò dolcemente.

« Te resti qui, sì? »

Dove dovrei andare, senza te.

« Sempre »

La luce venne spenta da Simone che si inerpicò con il braccio per raggiungere la lampada e poi, si incastrò di nuovo al suo ragazzo, nella morsa che di creava, tra schiuma e sale, tra sapone e vaniglia.





Clò: Un bagno, non potrà pi essere visto in modo normale.
Un garage, non potrà più essere visto in modo normale.
Io, non sono più normale.
Scrivere durante le ore buca in uni e aver paura - di essere guardata - non è normale.
Simone Balestra geloso e determinato, ci piace e chi ha da ridire
viene qua e lo canzono per bene.


Vi comunico che il prossimo sarà l'ultimo capitolo,
tenetevi saldi perchè non so se riuscirò a condensarlo nei tempi.
Vi voglio bene.



 

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Capitolo 18
*** Of years and rings ***


Clo's: e ci siamo, siamo alla dirittura di arrivo. Non posso spiegare quanto ritornare a scrivere mi sia stato d'aiuto, quanto mi abbia riempito e svuotato; quanto l'idea di poter lasciare andare i pensieri nocivi via per quel poco tempo, nelle mie ore, dopo l'uni, dopo l'insicurezza, dopo il senso di fiacchezza.
E non posso spiegare che bello sia stato ritrovare qualcuno interessato a leggere, dedicando un'ora o anche meno del suo tempo, a questa serie di OS. O se proprio devo dare un nome, sono piccole storie.
Il ringraziamento finale va a Simone e Manuel,
senza loro ad ispirarmi, non sarei riuscita a riprendere.
Grazie.
Grazie a voi, vi voglio bene.
E.... apprestoavederci






E dopo l’estate passata con notti un po’ insonni, un po’ tra il sale del mare, un po’ tra i baci che venivano dati sotto il Colosseo colmo di turisti, un po’ sotto al portone del liceo da cui spesso erano passati, tenendosi per mano, anche la stagione era passata. Nonostante le ore lunghe non fossero mai abbastanza, troppo poche per entrambi, quei tre mesi erano passati portandosi via dei bei ricordi. La casetta di legno era diventata un rifugio fisso, in cui scappavano quando il mondo faceva troppo rumore intorno a loro, ci si svestivano, tra baci scomposti, mani che ricreavano il profilo nel buio, intrecci di dita col calare del sole. Un rifugio a cui dedicarsi, passare la notte a chiamarsi tra il dormiveglia e l’insonnia, l’osservarsi sempre col cuore troppo scoperto. Pieni custodi e protettori sacri di momenti come quelli. Le tende colorate erano rimaste, ufficiali - dal compleanno di Manuel - in quello spazio tutto loro, così come le foto, attaccate alle pareti. Frammenti di un pezzo di anno insieme, 365 completi, un giro completo attorno ai pianeti, alla terra. C’era solo qualche altro elemento in più come una bandiera della pace, qualche libro, qualche piccolo poster, qualche pupazzo sulla brandina, aggiunto - ovviamente - da Simone.
Fuori e dentro quel rifugio, Simone e Manuel avevano passato l’estate come mai pensavano di aver potuto fare: tante erano state le foto e tanti altri i litigi stupidi scatenati per nulla.
Ma la cosa più bella, era quando si riprendevano con la stessa forza con cui si lasciavano qualche ora prima. Così come si era spenta la discussione, si riaccendeva la scintilla.
Arrivava uno scusa, un so un coglione, o anche un me fa schifo non parlarti, famo pace su che riportava tutto nella sua forma originaria.
Manuel si fermava a guardare Simone e l’altro pensava di aver appena sprecato del tempo per poter fare altro. Puntualmente, finiva tutto per incastrarsi come un puzzle.
Le intenzioni e la dedizione a cui si prestavano, erano superiori: le mani servivano per prendersi, gli occhi aiutavano a leggersi dentro, i nasi erano fatti per schiacciarsi.
E anche dopo tante parole, i due, ritornavano sempre a cercarsi, era più forte di loro. Due pezzi di una metà mancante, una stella priva delle punte, un quadro senza colore.
La paura veniva tagliata fuori e in tutti i modi possibili, il mondo messo sullo sfondo, quando si sentivano liberi, addosso l’uno sull’altro. Anche adesso, con il risveglio di una nuova stagione, l’abitudine continuava: il teppistello che lo aspettava ansioso sotto casa, per passarlo a prendere. Simone si presentava poco dopo, infilando malamente il giubbetto di jeans, l’altro lo riprendeva per il ritardo, scatenandogli un sommesso sospiro.
Se lo tirava contro, gli premeva le labbra, salivano sul mezzo e poi con un click, il portachiavi con la piccola riproduzione del veicolo che pendeva, Manuel metteva in moto e partivano percorrendo le strade romane durante la mattina.
Le occhiaie evidenti, i capelli ricci quasi di medusa o di uncini, che fuoriuscivano dal casco, il tipico giubbotto verde militare stinto, il sorriso sbilenco che gli veniva fuori, quando lo ammirava dallo specchietto: era tutto ciò che Simone aveva voglia di vedere, ogni giorno.
Avevano deciso così, a giorni alterni seguendo turni, avrebbero dato un passaggio all’altro, per comodità ma anche per voglia. La comodità delle sere a dormire nei letti, a lasciare impregnate le lenzuola del loro odore, era diventato più un rito troppo atteso per il fine settimana, dove le scuse erano quasi sempre diverse sapendo, in ogni caso, che i loro genitori non ci avrebbero creduto più di tanto.
Ma lo facevano lo stesso. La verità era che in ogni occasione, Manuel non si sognava di dormire senza Simone affianco ed era per questo, che ogni domenica puntuale, il suo ragazzo era diventato l’ospite usuale d’onore a casa Ferro.
La fine delle giornate soleggiate e l’inizio degli allenamenti di rugby per il suo ragazzo, avevano un po’ modificato i loro orari e adesso, con la scuola, sarebbe stato un po’ più difficile. Ecco perché, quando Simone aveva esordito con quella proposta, Manuel non aveva potuto fare a meno di condividere.ì
E con quel ritmo, avevano ripreso con le lezioni, si era fatto spazio di nuovo il mese di ottobre, tra i compagni di classe, le prime campanelle che suonavano scandendo il tempo lento come una clessidra rotta, le risatine tra i corridoi che smorzavano la pesantezza.
Le giornate scorrevano come uno yo-yo, andando su e giù, le prime spiegazioni di matematica e le prime corse di Manuel a casa Balestra, come se fosse davvero un chiaro motivo per mettersi davvero studiare e capirci qualcosa di quella roba numerica e di calcolo. Quella era – l’ultima cosa – che davvero succedeva.
In ogni caso, bastavano solo pochi minuti e Simone rimetteva in riga Manuel, dopo aver completamente messo a soqquadro la stanza, quando uno dei due decideva di smettere di perdere tempo con le pagine e i capitoli dei testi e confrontarsi corpo a corpo, in un duello senza sconfitti.
Simone accettava la presenza del suo ragazzo, ogni volta che veniva spiegato qualcosa di nuovo, pur sapendo in anticipo che si sarebbero concentrati solo per un’ora su tre. Le restanti le passavano a discutere su qualche stupidaggine, si scambiavano opinioni e gusti musicali, Manuel lo stuzzicava e Simone lo colpiva con il libro, si toccavano, allungavano le mani.
Simone contava tutte le volte che l’altro lo guardava, dopo tutto quel tempo, quell’attenzione era sempre una sferzata al petto. Contava tutte le volte che non lo faceva, anche. Ed era per lo più nei momenti in cui era concentrato su altro e non su Manuel.
Quando lo faceva, lo vedeva masticare il tappo della penna, cercando di risolvere un problema o una traduzione di latino: quella immagine era in poco tempo, diventata la sua casa.
I martedì e i giovedì, aveva i soliti allenamenti di rugby e così un giorno, per scherzare, Simone la aveva buttata lì, proponendogli di venire per guardarlo giocare.
Non ci aveva creduto, quando il ragazzo aveva visto Manuel tra gli spalti, un giovedì pomeriggio, intento a urlare – pur non capendoci assolutamente nulla di quello sport, che seppure Simone gli aveva spiegato più di qualche volta – e a sorridergli.
Erano passati da rugbista sfigato a Simò sei stato bravissimo, ma ve fate male vero sul campo?
Al rugbista piaceva prenderlo in giro, la mano si chiudeva e gli strofinava i capelli, mentre l’altro si tirava la spalla contro. E così Manuel si lamentava e allora l’altro trovava il modo di scoccargli un bacio sulla bocca, prima di ritornare a casa, sudato com’era e farsi una doccia.
E procedeva così la quotidianità, durata per ben un anno, un anno pieno.




Manuel camminava per strada, il colletto della maglia gli schizzava fuori dal collo, forse un po’ troppo largo. Le cuffie larghe sopra i ricci, il passo spedito. La porta dell'officina venne aperta, quel venerdì pomeriggio, buttate le chiavi a lato del tavolo da lavoro, la musica gli pompava un pezzo ritmato alle orecchie.
Manuel si mise l’usuale tuta da meccanico, lasciando i vestiti piegati da una parte, facendo attenzione a non coprire i pezzi di bici e di moto da ricambio. Afferrò gli strumenti, posandoli sul tavolo. Storse la bocca, osservando i fili disposti in ordine e di colore diverso. Il pezzo di carta attaccato da schizzo gli dava le linee generali su come proseguire. Aveva passato tutta la giornata a scuola a scarabocchiarlo, cercando di nasconderlo agli occhi di Simone, in mezzo alla pagina del quaderno di matematica. Tanto, era giornata di interrogazione e lui era già andato qualche giorno prima. La penna aveva rimarcato con attenzione alcuni passaggi e accentuato dei particolari. In realtà Manuel aveva pensato a più di un’opzione, ma la prima era quella che la convinceva di più.
Quanto potrà essere complicato lavorarlo, ce faccio pure de cognome così.
Non sapeva dove avrebbe iniziato e con quale di quei fili, tutti di colori diversi. In realtà, aveva seguendo il primo disegno, aveva pensato a qualcosa di semplice, ma di impatto visivo. Il ragazzo sospirò. Uscì fuori il telefono dalla tasca poggiandolo di fianco. Poi notò la casella delle chiamate perse incombere sulla parte superiore - 4 notifiche : alzò gli occhi al cielo. Tolse le cuffie. Il pollice scorse sul nome in rubrica e gli squilli cominciarono.
Ne bastarono solo due.

« Buon pomeriggio, ma dov'eri finito? »

La voce di Simone gracchiò dal vivavoce, con Manuel che cominciava ad avvitare il filo lungo il tubo metallico e afferrava un paio di pinze appese alla parete.

« Simò sono in officina, sto lavorando a un pezzo de un cliente, avevo il silenzioso »

« Da quando lavori all'ora di pranzo? »

Madonna mia che è un questionario?

« Me volevo portà avanti, oggi non se studia, è giornata di festa, no? »

« Sì, però quanto meno potevi mandare un messaggio, » dal suono sembrò sospirare « non puoi farti vedere in video? »

Ma che semo matti.

« E no, Simò, » inventò una scusa, morse il labbro inferiore « sto sotto una macchina, te parlo col vivavoce »

Ecco, così va meglio. Simone me piacerebbe ma te leverei tutto l'entusiasmo.

« Vabbè, ma pure stamattina sei dovuto scappare di fretta, » espordì un po' rabbuiato « manco il tempo di chiederti- »

« Simone, » Manuel cominciò a girare il filo, facendo molta attenzione a non piegarlo nella direzione sbagliata, lo sforzo gli fece aggrottare la fronte « t'ho detto stasera a casa mia, che mi madre non c'è. Così festeggiamo »

« Ma da te... a cena? »

« Sì, da me a cena » mormorò esausto « tranquillo non te avveleno col cibo »

Il silenzio si depositò nel momento in cui Manuel guardò la forma venire fuori, che si annodava attorno al lungo tubo di sostegno sul tavolo, cercò lo sgabello in fondo alla stanza e decise di sedersi sopra per guardare meglio e metterlo in verticale.

« Guarda che se non ti va, possiamo anche vederci un film, uscire, passi da me, robe così. »

Ma che stai dicendo. Aspetta, mi fermo sennò me se rompe sto lavoretto.

« Simone non provacce nemmeno per scherzo, facciamo un anno e te cucino io, mia madre dorme fuori e c'abbiamo casa libera, » Manuel trasformò il suo tono in velluto morbido « C'avevo da fà una commissione per questo lavoro qua, poi da fà la spesa » in realtà quella doveva ancora farla, ma ovviamente l'altro non ne sapeva nulla « mi dispiace se ti sono sembrato distaccato » sussurrò.

« Ho esagerato mi sa, scusa- » si scusò Simone.

Manuel si sentì leggermente in colpa, la pinza si fermò sul tavolo, la mano si massaggiò le tempie.

« No, no, te lo dovevo dire Simone, c'hai ragione, » si inumidì le labbra « solo voglio che assicurarmi che stasera vada tutto bene, c'avevo pure sto pensiero in testa »

Silenzio, rumore di una risata, o comunque l’accenno di una, gli arrivò all'orecchio.

« Non sono uno che pretende, vorrei solo passare l'anniversario col mio ragazzo »

Manuel annuì, un sorriso venne fuori e avrebbe tanto voluto che Simone vedesse cosa stava facendo in quel preciso momento.

« E sarà così, te lo prometto » inspirò. Immaginava l'espressione di Simone una volta che avrebbe visto quel piccolo pensiero, sempre se gli fosse riuscito. Non era granché amante di grandi doni, però Simone gli stimolava soltanto grandi gesti. Se c'era anche la remota possibilità e opportunità di fare qualcosa in grande, quella sarebbe stata per lui, unicamente per lui. Era forse da egoisti volere i meriti e il bene infiniti per una sola persona al mondo?

« A che ora? »

« Te presenti alle otto e mezza sotto casa mia, » riprese in mano la pinza e riprese ad avvolgere la materia sotto entrambe le dita da artigiano « e porta na bottiglia de vino, niente birra stasera, facciamo i signori come se deve »

Simone rise dall'altro capo della cornetta, un rumore emerse dal telefono, come qualcosa di pesante, di fogli. Manuel non lo afferrò bene, per quanto il suo udito fosse acuto e affilato quanto la sua lingua.

« Ne porto anche due »

Il rumore in sottofondo smise all'istante.

« Che stai a combinà lì, che è sto casino che sento? »

« Cose »

« Ah ho capito, » aguzzò il tono di voce curioso « è na sorpresa »

Simone si ingegnò all'istante.

« Le famose cose che starai facendo anche tu, immagino, no? »

Manuel incurvò le labbra, una smorfia all'ingiù che tradiva un battito nel petto che veniva a mancare subito dopo.

« Non sto capendo de che stai a parlà, io sto lavorando qua dentro » si alzò veloce dalla seduta e diede un colpo a un pezzo di ferraglia: era un vecchio cruscotto di una macchina che teneva come cimelio, la sua prima furbata da ladruncolo. Pezzo di una vita con cui ormai aveva smesso, datato di lontananza per anni, quasi secoli.

« Lasciami sognare almeno un po' » sbuffò Simone, ridendo subito dopo.

« Perché con me non sogni Simò? »

Era ritornato a sedersi, stringendo forte il cellulare tra le mani, il respiro era diminuito, così come la sua sfacciataggine. Tutto d'un tratto gli venne in mente una frase ad effetto ma se la tenne per sé.

« Oh, » Simone cambiò voce, quasi fosse la cosa più ovvia « purtroppo Manuel, tu ci sei sempre, nei miei sogni »

L'officina si alleggerì, cambiando il suo aspetto, cambiando la luce fissa e fastidiosa della lampada che ogni tanto vibrava e si fulminava, cambiò addirittura i pezzi di ricambio, adesso erano tanti testimoni di quelle parole sussurrate durante una chiamata. Non sembrava si trovasse più in un luogo di lavoro. « Vabbè, tagliamo, altrimenti mi becco gli insulti anche oggi che è il giorno nostro »

« Sono quelli più belli » tagliò corto Manuel, « i sogni di me e te »

Ci fu silenzio, mentre si rifletteva sull'importanza delle immagini, dei frammenti della memoria.

« Non te ne puoi uscire con queste dichiarazioni però, » l'amore tattile nella voce « io ora vorrei vederti »

« Te posso descrivere la situazione: mani sporche de grasso, tuta da meccanico e sorriso da coglione a trentadue denti in vista »

« Ma non puoi smettere per qualche minuto e ci vediamo un attimo? »

L'urgenza di Simone gli colpì il petto, portandolo a deglutire e subito dopo a sorridere fiero.

Anche io te vorrei tanto vedere. Stasera Simone, devi avè pazienza.
Manuel strizzò la lingua in mezzo ai denti, ruotò la forma del filo, facendolo girare, poi fissò il piccolo foglio strappato attaccato con lo scotch al tavolo.

Qua me tocca cambià verso per il motivo ad intreccio.

« E te l'ho detto Simone, sto sotto una macchina, oltre che sotto per te » suonò leggermente distratto, ma fu sincero.

« Va bene va, io c'ho provato… » il rumore di una busta, adesso fu evidente all'orecchio del teppistello « Volevo sapere se posso presentarmi con una camicia, come ultima cosa e poi ti lascio al tuo grasso per motori »

« Se porti la bottiglia de vino, porti pure la camicia Simò. Devi metterla, » abbozzò un sorriso furbo, che risultò luminoso sostituendo la lampada mezza rotta dell'officina « perché casa mia stasera diventa meglio de un ristorante a cinque stelle »
Una pausa, poi Simone prese per ultimo la parola.

« Ho capito porto pure qualche medicinale dietro, se uno dei due si sente male, non si sa mai »

« T'ho detto che non ti avveleno, non succede mai nei posti rinomati »

« Eh appunto, quelli. Casa tua è una cosa a parte, a stasera Manuel »

« Non me offendo solo perché te ricrederai appena lo vedi, a stasera, oh mia croce rossina. Puntuale, me raccomando! »

« Se l'idea è quella di un infermiere sexy, sappi che passo »

Saresti perfetto come medico.

Lo tenne per sé. Al contrario, Manuel rise fragorosamente mentre il ragazzo chiudeva la chiamata. Si portò il telefono al viso, inspirando. Manuel rise fragorosamente mentre il ragazzo chiudeva la chiamata. Si portò il telefono al viso, inspirando.
Sogno, immaginazione.
Cosa aveva sognato di recente? Il volto del ragazzo gli balenò colorandosi in testa, gli apparve vestito di un camice lungo, uno stetoscopio, ma stranamente non provò malizia, perché capeggiava con un paio d'occhi innocenti. Due pozze di fiducia, d'aiuto, di premura.
Sorrise, stupendosi come anche l'immagine risultò di una dolcezza inaudita. Chiuse gli occhi e ritornò al suo lavoro.
Spero ti piaccia, Simone. Spero che valga un minimo di quello che me fai provare.

Un'altra idea gli venne subito in mente. Annuì mentre avvitava il ferro attorno al tubo, e lo incastrava, il movimento gli risultò facile una volta presa confidenza. La materia sembrava piegarsi, più ci stava dietro, come se si fosse posta in ascolto e lui fosse l’artista. Manuel si alzò dalla seduta e continuò così, con la testa colma di parole già dette.

Manuel, tu ci sei sempre, nei miei sogni.







Manuel si ipnotizzò con le buste della spesa su una piccola margherita, lì in una delle aiuole vicino al supermercato. Quel fiore colpì la sua attenzione, allora si chinò piano, le buste si accasciarono sul breve lato del marciapiede. Sfiorò con il pollice e l'indice la corolla di petali bianchi attorno al centro giallo chiaro. In ottobre, resistevano ancora, piccole e aggraziate, nonostante il freddo.
Sorrise inconsapevole, ripensando vividamente a qualcosa.

« Dai, avanti su » Simone cercò di farlo smettere, sull'erba nel parco in cui avevano visitato prima il museo, sentendo le dita di Manuel che lo solleticavano. Allora lui aveva provato a fare la stessa identica cosa, atterrandolo, ma l'altro si era messo a strofinargli l'orecchio di continuo tra il collo e il mento ed era come se ripetesse il gesto di prima solo senza le mani. Poi iniziò a depositare piccoli baci lungo gli stessi punti.

« Simone sono preso bene, e poi se non ti piace me lo avresti già detto »

La risata di Simone uscì come un gorgoglio fuori dal petto, su cui sopra adesso, si trovava la sua mano per tenersi la pancia.
Quando Manuel si scostò e terminò la sua tortura, Simone si mise su un fianco, la mano toccava ciuffi d'erba, tirandoli un poco. I suoi occhi erano fermi in quelli del ragazzo, il berretto gli copriva metà della fronte e i capelli uscivano ridicoli dall'indumento.

« Sai che non avrei mai pensato che saresti venuto qui? »

La Scozia era appena diventata un posto condiviso insieme, lo sapeva. Sapeva che quando ci avrebbe pensato, l'altro ne avrebbe fatto parte.

« Te l'ho detto, Simone col cavolo che non venivo. Io ormai sono la tua ombra, che te piaccia o no »

« È una minaccia? »

Simone arricciò il naso, inclinò la testa. Manuel annuì, ridendo di sbieco, le dita accarezzarono qualche fiore lì in mezzo a loro. C'era qualche piccola viola, e qualche piccola margherita schizzava fuori, col suo candore. Staccò il fiore dallo stelo con delicatezza e si allungò verso Simone.
« Che fai? »

« Aspetta, Simò »

Le dita posizionarono la margherita dietro l'orecchio di Simone, incorniciandogli quella piccola porzione di spazio tra l'attaccatura dei capelli e del lobo.

« Sei più carino così, ti dona » indicò il piccolo ornamento che aveva appena depositato.

Simone sorrise imbarazzato, scuotendo il capo e Manuel glielo tenne fermo, poi con la mano frugò sempre tra l'erba, prendendo un'altra piccola margherita ripetendo l'operazione precedente.

« Stai cercando di farmi una composizione floreale addosso? Cosa sono un vaso umano? »

Manuel lo guardava attento, mentre gli infilava il fiore sull'altro orecchio, un altro ancora, dentro un boccolo nascosto.

« O sai Simò, le opere la dentro, erano belle, » mormorò Manuel studiando quei ricci dove poter infilarci dentro la prossima margherita « pezzi rari, però non me pare de aver visto una cosa che assomigliasse a te »

Simone deglutì, il sorriso era piccolo, accennato e si sporse a baciarlo. Contava già quattro margherite in testa. La mano gli si fermò sulla guancia di Manuel.

« Stai staccando tutti i fiori del parco, attento che ci cacciano » lo schernì, in tono basso.

Manuel sbuffò, incurante.

« Se vogliono, glie posso spiegà che me servono per fà un po' d'arte »

Simone soffiò sulle labbra del suo ragazzo, quello continuava il suo lavoro meticoloso.

« Il ragazzo con la margherite » sussurrò intitolando l'opera.

« Mi suona famigliare »

« I diritti de copyright so' miei, così come il modello, » gli baciò l'angolo della bocca « non li cedo manco se me pagano »

« Però per ogni margherita che mi hai messo, » Simone sospirò socchiudendo gli occhi « ci starebbe un bacio »

Manuel raccolse qualche altro fiore e incoronò quei pochi ricci liberi rimasti. Poi con il dito contò ognuno, annuì veloce.
« Nove » guardò bene Simone, catturando l'espressione che aveva dipinta in volto, sembrava davvero un quadro vivente « va bene, mettiamoci a lavoro »

Sentì una piccola risata del ragazzo con le margherite, mentre si fiondava sulla sua bocca.

Manuel sorrise di sbieco, si alzò di nuovo, mentre proseguiva lungo la strada. Quello che non calcolò, fu un veicolo che non lo vedeva attraversare le strisce. Arrivò a tutta velocità, l'impatto fu veloce, in un nano secondo, Manuel si trovò sdraiato sulla strada, le buste della spesa si aprirono, mentre la maglia si squarciava impigliandosi al piccolo cavallino decorativo sul paraurti. Il giubbotto attorno alla vita gli attutiva il colpo, facendogli da cuscinetto. Per un attimo non capì, nulla, gli occhi fissavano il cielo sopra di lui: pensò di stare sognando quella scena. Si tastò la fronte, sentendo qualcosa di gonfio. Manuel riprese in pochi minuti coscienza, si guardò, controllandosi: non aveva nulla di rotto. Fece forza sulle braccia, sollevandosi in piedi. Davanti a lui la macchina non c'era già più, si era sicuramente spostata all'angolo, per proseguire il suo cammino, fregandosene del ragazzo che aveva quasi stirato sotto.
Questo bastardo, non si è manco fermato.
Stava riprendendo le buste della spesa, quando notò del sangue che gocciolava sulla plastica, in una linea netta, che correva lungo la busta. Fu allora che osservò il suo braccio sinistro: un lungo taglio partiva da sotto il polso, fino all'avambraccio. Il liquido usciva copioso e per un attimo cercò di pensare fosse tutto tranne che suo. Subito, afferrò il cellulare, sua madre non rispose dopo quattro squilli. Si avviò verso il motorino. Strappò parte della maglia legandosela al braccio per tamponare il sangue. Manuel poggiò le buste della spesa davanti ai suoi piedi, le mani si mettevano al manubrio e partì. Nelle vicinanze c'era un piccolo centro di pronto soccorso, si sarebbe fermato lì prima di tornare a casa.
Che culo, Manuel.
Giusto oggi te dovevano parà.





- - -




Su un lettino di un piccolo pronto soccorso, fuori dal centro, Manuel si guardava la fasciatura al braccio. Mentre i suoi occhi scrutavano ancora l'immagine dei punti e della pelle che veniva ricucita, dalla porta apparì sua madre che venne subito osservata da una delle addette alle punture. La coda di cavallo le penzolava agitandosi insieme a lei, la maglia a righe la si sgualciva, il piumino la rendeva ridicolmente muscolosa con quel fisico slanciato. Sgusciò dentro la stanza, scavalcando due signori fuori dalla stanza.

« Sono la madre!» entrò finalmente e si precipitò accanto a Manuel. Gli mise le mani attorno al viso, a scostargli i capelli, come se quello scottasse o avesse la febbre. Notò il piccolo bernoccolo a sinistra della fronte, così che Manuel sentendola ansimare e partire con le domande cercò di fermarla, recuperando in extremis almeno un minimo di preoccupazione.

« Stai bene, tes-»

« Prima de tutto, come sei arrivata qua e seconda cosa, mamma, sto bene » le prese le mani e le spostò sulle spalle, sul petto in modo che con quel gesto capisse che era ancora fatto di carne « m'hanno solo scambiato per un palo della luce o forse chi guidava era mezzo ubriaco »

« Sono arrivata perché mi hanno chiamato dal tuo cellulare, grazie al cielo direi. Mi hanno spiegato che un tizio ti ha investito e che sei stato fortunato ad avere urtato di fianco. Potevi rimetterci una gamba o peggio »

Manuel rimase un attimo a boccheggiare, guardò la colonnetta e subito si voltò verso l'addetta del reparto che stava entrando nella stanza.

« M'avete preso il cellulare senza dirmelo? » risultò scorbutico e brusco. La signora, doveva all'incirca essere sulla quarantina, rispose in modo calmo ed educato.

« Sei svenuto mentre ti mettevano i punti, » precisò, tastandosi in tasca « non sapevamo se ti saresti ripreso subito e avevamo bisogno di qualcuno da avvisare, visto l'età, c'è bisogno del consenso di un genitore per firmare e andarsene. »

Manuel ricordava vagamente il primo punto, il secondo... dopo il terzo non penso più a come era fatto il suo braccio, né a la carne che si rincollava col sangue secco di mezzo, né al filo che veniva tirato. Non era come i tatuaggi, lì potevi togliere l'ago e modificare la pressione quando volevi.
La donna del reparto porse il cellulare al ragazzo, che le faceva il dono di due occhi a fessura pronti a sganciare una fiamma potente, adesso.

« C'ho diciannove anni, so maggiorenne! Se volete vedere i miei documenti potete controllà dentro il giubbotto visto come siete veloci a frugare tra la roba degli altri!»

Anita gli mise una mano lì, sul petto, come in segno di stop. L'addetta si limitò a guardarlo in modo antipatico questa volta, senza nemmeno rispondergli. Sua madre intervenne, pacifica.

« Non si preoccupi, vi fornirò tutte le credenziali una volta che lo avrete dimesso » annuì, cercando di confortare la signora, la quale sembrò quietarsi un po' prima di uscire dalla stanza. Sua madre ritornò a guardare Manuel, che fissava ancora la porta da dove era uscita quella "specie" di donna.

« Meno male che sei tutto intero » esalò un respiro di sollievo, e Manuel abbozzò a un piccolo sorriso sollevando solo un lato del viso.

« C'ho sette vite, come i gatti mà »

« Ma lo hai visto almeno il tipo che ti ha messo sotto? »

« Eh no, mà, ero troppo impegnato a sdraiarmi per strada e contà le nuvole... » mormorò, peggiorando il tono. Cercava di ricomporsi, non poteva agitarsi quel giorno. Quel giorno era suo e di Simone.

« A sti cafoni dovrebbero togliere la patente, anzi, manco dargliela »

« Lascia stare, ci sono cose più importanti...tipo che devo tornare a casa e devo preparare tutto per stasera, con questo » alzò il braccio fasciato che sentiva premere sulla pelle « coso addosso. Avevo pensato a tutto, ce mancava solo il pirata che me metteva sotto. Quando dici la fortuna » suonò leggermente irritato, meno di prima ma comunque scosso, Manuel fissò il materiale plastificato del lettino sotto di lui.

« E che problema c'è scusa, ti aiuto io Manuel » sua madre gli fece spostare lo sguardo.

« Davvero me daresti na mano? »

« E come no, » gli baciò la fronte « prima che vado da Luisa, la mia collega, ti aiuto con la cena »

« Facciamo che tocchi solo quello che te dico io, » puntualizzò Manuel « e in più me devi consigliare come mette la tavola, ho comprato qualcosa… »

Anita roteò gli occhi al cielo, suo figlio le stringeva la mano con il braccio sano, il destro.

« Va bene, ti prometto che tocco solo lo stretto indispensabile. Dove riesci a fare, me lo dici tu. »

« Me sento un po' sollevato, ho passato mezza giornata in officina tra l'altro » buttò fuori una nuvola d'aria, avvertì i passi di un'infermiera lungo il corridoio stretto.

« Che gli hai regalato? » Anita fu curiosa.

« Appena torniamo a casa ti faccio vedere... è una cosa un po' melensa, me ce sono messo d'impegno »

Anita annuì, accarezzandogli piano la testa. Manuel si guardò le mani: una libera e l'altra subito dopo il polso, imbrigliata dalla fasciatura che si era leggermente sporcata di sangue ai bordi. Avrebbe dovuto cambiare ogni due giorni, per due settimane, questo è quello che gli avevano consigliato.

« Simone apprezzerà » lo disse più per autoconvincersi che non come domanda.

« Certo che gli piacerà, » Anita gli sorrideva calorosa « cercate solo di non distruggere casa »

« Tranquilla mà » aveva gli occhi dell'amore « al massimo buttamo giù qualche piatto a terra o ce lo tiriamo addosso »

Cominciò a ridere e Anita oscillava la testa, arrendevole.




« Me fai vedere sì o no? »

Anita si pulì le mani sul grembiule che portava addosso, mentre alzava lo sguardo sul figlio che aveva messo un nastro sopra il pacchettino semplice, in cartone, il nastro era di spago rosso, gli dava un tocco più artigianale. Manuel tamburellò sulla confezione e sciolse il nodino che aveva appena fatto. Si avvicinò a suo madre e quella aprì la bocca in stupore.

« Non te fà strane idee... è un simbolo, di questo anno passato insieme a Simone » chiarì. Osservò illuminarsi sua madre, e fu come una carezza, un balsamo che lo tranquillizzò un po'.

« Manuel... ma c'hai le mani d'oro, amore! » la donna teneva il piccolo dono tra le mani, mentre la parte superiore portava le due dita di Manuel.

« Le mani sì, le finanze purtroppo, no » rise, grattandosi la testa.

La camicia bordeaux che indossava per l'occasione era arrotolata per via del braccio fasciato. Aveva indossato la collanina di Simone, quella estiva che gli aveva regalato la sera del falò in spiaggia, perché gli sembrava che dovesse in qualche modo, fare onore anche a quel ricordo, quella sera. Si sentiva un po’ la pressione addosso, ma ormai gli veniva naturale l’idea di rimanere da solo col suo ragazzo.

« C'hai lavorato parecchio, eh? »

« Un po', avevo quasi perso le speranze, ho buttato metà del materiale, » mormorò, mentre accarezzava la scatolina con le dita « spero vada bene. Per lavorarci la prima volta, non è poi venuto malaccio »

Anita lo guardò, scoccò un bacio rumoroso a suo figlio e gli porse di nuovo il dono.

« Simone è un ragazzo fortunato »
Manuel biascicò qualche parola, ma l'unica che gli venne in testa era e raccontava una sola verità.

« Lo sono io ad avere uno come lui, mamma » e dicendo così, osservò la tavola. Mancava qualche altra rifinitura.

« Adesso mi vado a fare una doccia veloce, poi prendo il cambio e vado, » Anita si slacciò il grembiule di dosso, affiancandolo al bancone da cucina « tranquillo per l'ora prestabilita sarò già via » la donna camminò via dalla stanza « lascio piccioncini da soli! »

La sentì urlare da dietro la porta, dopo che ebbe oltrepassato il soggiorno.
Manuel annuì, guardando sul punto dove prima si trovava sua madre. Le mani gli sudavano, poi rivolse i suoi occhi al contenuto della scatolina, fissandolo. Forse era vero che l'amore era una salvezza, pensa che viaggio la vita, formulò subito quel pensiero nella sua testa.


- - -



Simone arrivo sotto casa di Manuel, con solo due minuti di ritardo, almeno così riportava il suo orologio al polso. Sospirò, torturandosi l'orecchino all'orecchio destro, quando bussò alla porta. Ci vollero solo cinque secondi - Simone lo aveva contati - per vedere apparire il suo Manuel che sorrideva. Trovandosi a baciarlo velocemente a stampo, per prima cosa Simone non ci fece molto caso, poi inquadrandolo per bene, adocchiò la fasciatura al braccio.

« E quella? Che è successo- »

Manuel scrollò le spalle.
« Niente Simò, oggi hanno deciso di scambiarmi per striscia pedonale...un pezzo di merda mi ha messo sotto »

Simone si allarmò subito, gli prese il viso tra le mani, tastandolo. Manuel ridacchiò. La mano lo portò al piccolo bernoccolo sulla fronte, poi inspirò piano.

« Chi è questo stato il pazzo, hai visto la targa? Si può denunciare? » suonò premuroso, a metà preoccupato, forse trasalì un po’ troppo. Manuel gli schiacciò il naso, la sua mano ancora ferma sulla fronte.

« No, non l'ho vista. Oh, tranquillo Simò, c'ho solo questo piccolo vulcano qua... e sette punti sul braccio, per aver strisciato contro un oggetto del cofano »

Simone annuì piano, gli prendeva ora, la stessa mano che lo aveva condotto sul piccolo bozzo e se la portava alla bocca, baciandone le nocche.
« Mi potevi chiamare, lo sai, sarei venuto »

« Simone, ti saresti preoccupato per nulla, non volevo rovinà niente » sospirò, lasciò che gli sfiorasse la mano col pollice « e poi, ho avuto un piccolo aiuto » si girò e lo trascinò in cucina.

Una volta davanti alla tavola, quella riportava una candela al accesa al centro, qualche petalo sparso qua e là, due piatti l'uno, con accanto dei tovaglioli nello stesso colore del runner, che rosso correva, lungo tutta il centro tavola, dove svettava la candela. Simone sentì percorrere i suoi occhi, ma decise di fermarli. Quello che vedeva era per loro due, ed era una cosa bella. Anche se piccolo, quello spazio a Simone sembrò subito accogliente.
« Ce sta pure er dolce in frigo… per fine cena » gongolò soddisfatto. Simone annuì distratto, quel mobile nella stanza gli sembrava diverso.
« Ma quel tavolo non era diverso e contro la parete? » fece notare, vedendo Manuel ai fornelli. Simone indovinò subito il piatto, vedendo le uova, il pecorino, il guanciale messi a lato. Era uno dei suoi piatti preferiti.

« Sì, il tavolino vecchio... questo qua me lo sono fatto vendere qualche settimana fa... con i soldi delle riparazioni. Mi hanno fatto un buon prezzo. »

Simone rimase stupito. Lo guardò con lo stesso modo e si avvicinò.

« Tu hai comprato un tavolo solo per questa sera? »

« Simò ho comprato un tavolo perché l'altro era rognoso, e anche minuscolo... in più ho fatto felice due persone, » pesò la pasta in bilancia, sul fornello c'era anche un'altra padella ma quando Simone fece per sollevarla, Manuel lo fermò con il braccio « almeno, mi madre è rimasta contenta »

Simone gli depositò un bacio sulla guancia, Manuel sentì un leggero brivido, non capì se dall'acqua della pasta il cui vapore gli arrivava in faccia, o se per colpa del suo ragazzo.

« È bello, sì, si intona con la stanza »

Manuel ridacchiò, sentendo il tono falso del suo ragazzo « Cretino, è ovvio che mi piaccia, » gli strinse le mani attorno alla vita, infilando il viso nell'incavo del suo collo, respirò l'odore del suo bagnoschiuma, menta? « anche se non ti facevo un tipo da candele, atmosfera, cose del genere...»

« Nemmeno io, Simò » vide l'acqua bollire e buttò giù la pasta, poi vide l'altro adocchiare il bancone « però è una serata speciale... Mi rompi le uova che stanno de là?»

Il più alto annuì ed eseguì i comandi. Quando Simone ruppe le uova e si preparò con il formaggio, Manuel gli gettò addosso un occhio di rimprovero.

« Simò ho detto di romperle, non facci la cremina »

« Ti do una mano, visto che non dovresti sforzare sennò ti saltano i punti » sospirò « te lo hanno detto questo mentre ti ricucivano, vero? »

Simone lo vide esitare, poi Manuel annuì vigorosamente.

« Prima di svenire, forse. Però pe' quattro uova, non ce vuole certo la forza de Sansone »

« Anche a me hanno dato qualche punto, sbucciandomi un ginocchio da piccolo, ricordo ancora come l'ago entrava-»
mormorò, mentre prendeva la forchetta e raccoglieva il composto ai bordi della ciotola.

« Ecco perché non potrei mai lavorà in ospedale, me ha fatto troppo senso » rabbrividì.

Manuel era girato verso di lui in quel momento e allora, Simone, furtivo, gli stampò un bacio, la forchetta amalgamava gli ingredienti. Sentiva Manuel sciogliersi, quando staccati, gli baciò la punta del naso. « Metti il sale e il pepe ora, al guanciale ce penso io »

Simone annuì. Ad azione eseguita poi, si allontanò un attimo, cercando ciò che doveva nella sacca che aveva portato dietro. Manuel di girò, per vederselo arrivare con un pacchetto ripiegato con cura.

« Devo piagne sulla pasta, Simò? »

« Ho pensato che fosse meglio dartelo ora, così magari se mi avveleni hai pure un motivo valido » scherzò.

Manuel si pulì le mani sulla piccola tovaglia posizionata sul il forno, poi afferrò la carta del pacchetto e cominciò a scartarla. Quello che vide gli suscitò una risata divertita. Aprì la maglia, che riportava davanti la scritta "PROPRIETÀ DI " e girandola, lesse il continuo: una foto con la faccia di Simone, riportava la scritta completa "SIMÒ RUGBISTA BALESTRA".

« Ecco, ora puoi benissimo metterci del veleno per topi lì dentro » indicò la pentola con la pasta dentro.
Manuel osservò la maglia, guardandola ancora. Baciò rapidamente Simone e poi fece per mettersela. Il braccio fasciato gli suscitò un piccolo lamento poco dopo, e Simone intervenne.

« Aspetta, ti aiuto io » infilò la maglia dalla testa, scorrendola sulle braccia quando le alzò piano, fino a farla ricadere sulla figura di Manuel, che sotto portava quella camicia rosso bordeaux. Era ridicolo, ma adorabile allo stesso tempo.

« Come mi sta?» Manuel si indicò.

« Guarda che se non ti piace puoi dirlo eh »

« È caruccia, come idea, simpatica. Mi piace, Simone » lo tirò per il mento e gli baciò l'angolo della bocca « E poi te sei impegnato, hai scelto una foto che non me distrae per niente » rise di gusto.

La foto era appunto Simone, colto nell'alto di fare la linguaccia, gli occhi caricati di ironia e portava la tuta da rugby addosso. Ma la cosa più bella era sicuramente l'espressione in generale.

« Puoi usarla per casa o quando lavori in officina»

« No, Simò, altrimenti la sporco, la voglio usare per dormici, quando non ce sei »

Oh.

Simone rimase fermo, si sentì le guance un po' più rosse.
Manuel, come se avesse detto la cosa più innocente, invece tornò al bancone, dedicandosi a tagliare il guanciale.

« Girami la pasta va, altrimenti tra una smanceria e l'altra non mangiamo proprio qua »

« E il mio regalo? » il sorriso di Simone si incurvò curioso, come un bambino in cerca delle caramelle nascoste in qualche angolo della casa. Già si posizionava al fornello.

« Il tuo, lo apri dopo cena » mormorò Manuel, « altrimenti davvero non mangiamo più »

« Un piccolo indizio? »

Manuel si girò a guardarlo, aveva quell'espressione con gli occhi grandi, le labbra in un sorriso, con gli incisivi evidenti, la camicia che portava era blu carta da zucchero e gli stava davvero bene. L'orecchino gli oscillò un poco, mentre girava il viso e ritornava alla pentola. A Simone in realtà sarebbe stato bene anche un sacco addosso.

« Ferro »

Simone corrugò la fronte.

« Hai deciso di regalarmi te stesso? »

« Simone non te posso fà spoiler, però è una parola che c'entra » depositò il grasso dentro la padella, accese il gas.

« Va bene, va bene porterò pazienza » sospirò, arrotolò un filo di pasta col cucchiaio di legno e se lo portò alla bocca « qua manca un minuto ed è cotta »

Si beccò un occhiata dal ragazzo e allora avvolse un filo di pasta sul mestolo di legno e Simone si premurò di avvinarglielo, quella scena era così quotidiana: due ragazzi alle prese in cucina, nel loro anniversario. « Attento che scotta »

Manuel assaggiò la pasta, lo sguardo attento del più alto che attendeva.

« Beh? »

« E’ bona » mormorò.

« Uomo di poca fede »

Manuel ridacchiò, se lo tirò un secondo per baciarlo. Poi preparò lo scolapasta, aprendo il piccolo sportello a lato.


- - -




Dopo aver lavato i piatti – o meglio, dopo che Simone si era offerto di lavare i piatti – dopo cena, Manuel e lui se ne stavano sul divano. Manuel stava disteso con la sua testa sulle gambe di Simone e il ragazzo gli accarezzava i ricci. Messi così, in silenzio, ogni tanto si scambiavano qualche sguardo di troppo, non trovando nulla da dire o forse troppo.
Simone osservò come Manuel giocherellava con la collanina al collo, attenzionando con cura ogni pietruzza.

« Ci pensi che è già passato un anno? E che tra meno di un altro sarà il nostro ultimo di liceo? » mormorò Simone, la mano si muoveva lenta sul groviglio sotto di sé. Manuel alzò gli occhi, sospirando sommessamente.

« Sì, ma non sono triste… voglio dì, sì c’ho paura del futuro » abbozzò una mezza smorfia « ma se penso che in mezzo, ce siamo scontrati noi due, non potrà andare tanto male »

Oh.

« Il perfettone e lo stronzo, tratto da una storia vera »

Era così serio, che per un attimo l’altro sembrò quasi cascarci, poi però entrambi scoppiarono a ridere.

« Un accoppiata meglio de Batman e Robin, Simone » lo tirò piano per la camicia e il più alto si fece dare un bacio.

« Se sento una piccola vocina dentro di me, la paura la sento anch’io, » Simone si fissò su un riccio ribello che ricadeva sulla fronte di Manuel « penso che andrà bene però, qualsiasi cosa accada »

« Simò non fà il tragico, perché dovrebbe succede qualcosa? »

Simone scrollò le spalle.

« Nulla è scritto, non è detto che ciò che c’è adesso, ci sarà più avanti »

« Noi, ci saremo sempre »

Simone accarezzò il polso di Manuel con la mano libera, avvertendo i peli che si rizzavano appena sulla pelle.

« Puoi promettermelo? »

Manuel si fece serio in volto. Di colpo, si alzò sulle sue gambe, rovesciandosi quasi a terra dal divano per la fretta. Quell’immagine convinse Simone che sì, sto proprio con un comico nato.

« Aspetta, sta fermo qua! Non te move »

« E chi si muove? » lo osservò cambiare stanza, per poi ritornare qualche secondo dopo. In mano teneva un pacchetto, piccolo e con un fiocchettino di spago rosso. Simone si girò sul divano, era in ginocchio adesso, e il braccio destro era sorretto sul cuscino dello schienale. Manuel si sedette di nuovo, inspirando molto piano. Agganciò gli occhi piccoli e furbi a Simone, che ora erano tinti solo di emozione, agitazione, ci lesse anche un po’ di speranza.

« Questo è per te » tremò leggermente, porgendogli il pacchettino. Manuel accompagnò il tono con un piccolo gesto con le dita, in fare nervoso.

Simone teneva la scatolina tra le mani, sentendo lo sguardo del suo ragazzo addosso. Quasi per paura di romperla, sfilò piano lo spago che la avvolgeva e aprì il coperchio. Quello che vide lo lasciò senza parole.
Deglutì visibilmente, incontrando lo sguardo di Manuel davanti a sé: avrebbe voluto dirgli che era lui che lo avrebbe fatto piangere, quella sera, che quello sicuramente, era inaspettato.

« Manuel… » sussurrò. Si ammutolì all’istante.

« Simone, puoi prenderlo non è incandescente eh » doveva suonare simpatico, ma in realtà il pomo d’adamo si mosse in uno spasmo nonostante il commento.

Simone prese delicatamente l’anello al centro della scatolina: era rotondo, seguiva una forma intrecciata con più di un fil di ferro avvolto su se stesso, come se fosse un motivo decorativo zigzagato. Dava l’impressione di tanti tralci di foglia fitti e sottili, l’idea di qualcosa di costoso, ma in realtà era molto semplice. Era lucido e non riportava una singola ammaccatura, e concludeva la sua forma con una piccola stilizzata dietro. Era minuscolo, ma bastava affinché si capisse cos’era, era innegabile: il filo si piegava in un cuore, nel punto di giuntura dove finiva il filo.

« E’ un simbolo, di quest’anno passato insieme » cominciò Manuel, schiarendosi la voce « ho pensato subito a cosa fare, a cosa poteva andare bene. Me sono detto che in realtà l’idea ce l’avevo: me piace pensare che quello lì e questo, » tirò fuori dalla tasca dei jeans lo stesso identico anelli, mettendoselo al dito « siano come noi, due metà mancanti che se sono trovate, Simone. E’ come se fossimo stati spezzati, vaganti senza meta, in una giornata di pioggia… e quando è ritornato il sole, noi due ci siamo visti e abbiamo deciso di camminare insieme. »

Simone sentiva già pizzicargli gli occhi grandi, ricaddero sul piccolo dono che teneva tra le dita, avvertendo dentro di sé la voglia di urlargli che quella era davvero la cosa più bella che qualcuno avesse fatto per lui.

« L’hai fatto tu? » invece riuscì unicamente a dire, flebile.

« Sì, Simò… avrei voluto comprartene uno vero, ma non c’avevo i soldi, e poi me sono detto che era meglio qualcosa di unico…che non avresti potuto trovare in giro »

Simone annuì. Quello lo aveva solo lui, così come Manuel, del resto.

« E’ bellissimo » mormorò.

« Quando ho cominciato a lavorare il filo, ho trovato anche un’altra metafora: hai presente quei fili che si spezzano e non tornano più come prima? »

Simone annuì, senza però riuscire a guardarlo negli occhi « Ecco, questi sono fili che non si spezzeranno mai, neanche se li maltratti Simone. Sono difficili da piegare, c’ho messo un po’ io stesso a lavorarli… noi siamo difficili da spezzare, se siamo insieme. Come in questo anno. »

Sento che potrei piangerti davanti, in questo momento. Quello che mi sento di dirti già lo sai, sei la cosa più bella che ho, Manuel.

« E’ stato un anno pieno di tutto, pieno di… di tante cose che non avevo mai avuto » finalmente Simone alzò quegli occhioni grandi su Manuel, trovandoci tanta anima « Non avevo mai avuto qualcuno che ci tenesse così tanto a me, Manuel. Qualcuno che mi navigasse i pensieri, come hai fatto tu.
Non ho mai pensato di passarci nemmeno lontanamente un anno pieno, non avevo mai avuto relazioni così lunghe… e so anche la risposta. So che cercavo qualcosa che non avevo e non potevo avere. Questa cosa, mi fa sentire vivo, il semplice dirti che mi hai regalato un anno di ricordi, di momenti, dirti che ti amo, non sarà mai abbastanza per me. Urlartelo forse rinforzerebbe il concetto, ma è così, » Simone aveva già le lacrime agli occhi « ti amo e non trovo davvero altro modo. E’ assurdo io ti ho appena regalato una maglia stupida e tu… tu mi hai praticamente fatto capire ancora una volta quanto per me sia importante questo. Quanto siamo importanti io e te »

In un lampo, Simone si gettò tra le braccia di Manuel, respirando contro la sua pelle, avvertendo le lacrime che cadevano. Manuel gli accarezzò la schiena, baciandogli la nuca.

« Non te volevo fare piangere, Simò! »

« Non sono lacrime di tristezza, » sussurrò con la voce un po’ bassa « sono lacrime felici, Manuel »

Manuel lo strinse di più, temendo potesse staccarsi, ma Simone non ne aveva proprio intenzione. Non lo avrebbe fatto nemmeno se a chiederglielo fosse stato proprio l’altro. Quel cuore si era duplicato, legandosi in un altro posto come custodia protettiva: lo portava ancora stretto nella mano, ne stringeva il corpo, ora, circondato dalle sue braccia.

« Ti prometto che quello che porti al dito, sarà solo una serie di tanti altri giorni, di noi due che ce mandiamo affanculo, che ci prendiamo per il culo-» lo sentiva ridere nel pianto.

« Di te che mi baci, che mi piombi a casa disperato… »

Simone si sporse solo per baciarlo, spingere la sua bocca contro la sua, tirandolo, facendo attenzione al braccio fasciato per evitare di fargli male. Il petto gli risuonava come una grancassa, scandendo il ritmo tra il fiato che veniva ingoiato, cancellato dall’incontro delle loro labbra. Quando si staccarono, Manuel prese quell’anellino che Simone stringeva ancora nella mano destra e glielo mise in una delle dita. Al ragazzo alto venne un po’ da ridere, tra i solchi delle lacrime sulle guance.

« Quello non è proprio il dito giusto, sai cosa significa-»

« Sssh, Simone, in mancanza de uno vero, accontentati »

L’anulare che aveva appena scelto era il sinistro. In realtà Manuel non sembrò dare segno di sbaglio, ne tanto meno di voler sfilare l’anello e scegliere qualche altra delle dita della mano di Simone. L’idea lo mandò seriamente in ansia, il rossore si fece più vivido e Simone notò che lo stesso era successo per la faccia di Manuel.
Ah bene.
Si guardò adesso il dito contornato dal piccolo anello, valeva per lui anche cento volte di qualasia altra cosa, che fosse in ferro o fosse stato in carta, non gli importava.
« Oh, Simò non ce allarghiamo però, prima dobbiamo finire la scuola, poi dobbiamo capire se vuoi fare il matematico… eh, hai capito, insomma è c’è tempo »

Simone gli circondò il viso a coppa e gli stampò un bacio.

« Lo so, tranquillo...però non ti nego, che l’idea mi dispiacerebbe » si mangiò le labbra, deglutendo. Come sarebbero stati tra dieci, quindici anni? Chi poteva dirlo. Forse uno dei due avrebbe trovato una professione ben precisa o forse, sarebbero sempre stati gli stessi ragazzini, anche una volta diventati adulti. Come sarebbe stato sopportarsi nella stessa casa, e fare l’amore ogni volta che volevano, senza compiti, senza banchi di scuola?
Simone ebbe un sussulto: il petto gli bussò in gola, inevitabilmente.
Manuel toccò la fronte con quella di Simone, chiuse gli occhi, la camicia sotto la maglia, si stava già tirando e spiegazzando. La mano era già dietro la nuca del più alto.

« Beh nel caso ipotetico, se quello che porti al dito dovrebbe trasformarsi, quello che porterebbe la pagnotta a casa saresti tu, Simò, sicuramente. Io, forse, farei l’insegnante de filosofia… sempre se potrò permettermi l’università, me la immaginerei così »

Simone guardò le palpebre chiuse, le labbra pronte e dischiuse: era una visione.

« Ci riuscirai. L’università, dico, ti darò una mano se mi permetterai »

« Non devi, è troppo »

« Sono il tuo ragazzo, sì? Lascia decidere a me » la sua voce si mischiava al silenzio dello spazio, era riempito solo da quel piccolo attimo, come due protagonisti di un atto unico « Ti prometto che ogni volta che mi dirai no, io tornerò più rompi palle di prima. E tornerò a sollevarti, Manuel. Se vorrai odiarmi, mi farò odiare. Ma che sia una singola volta oppure ogni volta, io tornerò. »

Manuel aprì di scatto gli occhi, verificando le due pupille piene, ancora in fase di riempimento, come se l’acqua volesse uscire un’altra volta fuori.

« Sono così fortunato… che ce sia sta legge morale o no, a me interessa solo la nostra di legge, Simone »

Simone sprofondò, il cuore si fece piccolo e l’unica cosa che rispose fu un sussurro debole, l’altro lo avvertì a malapena, trascinandoselo in un bacio umido. Simone ripeté la parola e Manuel scoppiò a ridere.

« E’ un colpo basso » sembrò più la voce di un bambino che di un rugbista grande e grosso.

« Madonna neanche la cipolla me sa che te fa piagne così tanto…» Manuel scacciò i piccoli solchi, sollevati dal sorriso aperto del ragazzo davanti a lui. Lo vide ridere, mentre si trascinava Manuel addosso, come fosse l’unica coperta che desiderava, l’unica persona che avrebbe scelto ancora e ancora.

« A tanti altri anni, insieme » sussurrò Simone. I nasi già si schiacciavano, i corpi erano già spalmati come un corpo solo sul divano del piccolo soggiorno. Manuel respirò il profumo speciale di vaniglia del suo ragazzo prima di travolgergli le labbra, così, vicino com’era al suo viso.

« A un anno e a tanti altri, Simone »



- - -





Sentendo il battito premuto contro l’orecchio e intrecciando la mano nella sua, ora contornata da quei due gioielli, Manuel sentì di starsi riempiendo totalmente con Simone, sopra di lui. Era corso rapidamente per recuperare la bottiglietta di lubrificante e un preservativo dal cassetto, nella camera di Manuel. Poi, Simone, era corso rapido di nuovo e mentre Manuel lo aiutava, aveva avvertito uno sguardo abbastanza divertito da parte di quello.

« Guarda che non è divertente prendersi gioco dei sentimenti degli altri » lo canzonò Simone, posizionandosi in mezzo alle cosce del suo ragazzo. Manuel rise, tirandoselo addosso avvertendo la sua mancanza.

« Scusa, Balestra » soffiò, seguendo con una delle dita delle mani la linea dorsale della schiena.

Simone lo baciò con calma, senza fretta. Il divano era un po’ piccolo, ma avrebbero comunque trovato il modo di farlo risultare comodo. In realtà, Manuel aveva proposto di andarsene in camera, ma Simone era stato deciso a volerlo prendere lì, a incidere quella sera lì. Fu attento a non schiacciarlo, evitando di incastrare il suo braccio fasciato che comunque, si spostò poiché Manuel vagò con le dita – visto che quelle poteva ancora muoverle - lungo la spina dorsale della schiena di Simone. Quando Simone entrò dentro di lui, la prima cosa che Manuel fece fu appigliarsi e frugare tra i ricci del ragazzo. Simone notò i suoi occhi chiusi, la bocca che si spingeva per richiedere un bacio.

« Tutto bene? »

« B-benissimo, ‘na favola S-simò » biascicò, catturandogli le labbra.

La spinta successiva risultò già più veloce, e piano piano Simone cadenzò il ritmo, avvertendo Manuel aggrapparsi con tutta la forza che aveva al suo fianco. Simone si lasciò baciare l’orecchio, Manuel tirò il lobo con la bocca, le loro mani si incastrarono, stringendo i due anelli portati alle dita come parte integrante e fusa dei loro corpi. Sembrava un gioco di forme: dalle matasse dei due ricci, ai corpi incastrati, i piccoli bagliori come due fedi indistruttibili.

« Manuel » esordì Simone, quando gli bisbigliò qualcosa nell’orecchio, che non percepì bene. Gli sembrò una frase sconnessa, priva di senso. Spingendosi un’altra volta, il gemito gutturale fu bene evidente.

« Ho d-detto ADESSO PIANGO IO »

Simone fece una sana risatina, in mezzo al sudore che già scendeva in goccioline sul suo petto, travolgeva quello magro e più in basso di Manuel. L’odore della stoffa già bagnata gli entrava nelle narici e pensò subito che non lo aveva mai fatto su un divano. Adesso, in un anno, aveva fatto l’amore col suo ragazzo in alcuni posti inimmaginabili o che vagamente si sarebbe sognato.

« Se piangi, lo farò anch’io » gli stampò un bacio sulla clavicola, sulla spalla, seguì la linea della barbetta sul mento e ad aspettarlo ci fu Manuel che chiuse un gemito dentro la bocca, la lingua di Simone che giocava con la sua.

« M-mmh » mormorò Manuel.

Simone riprese vigore, sotto quei piccoli mugolii del suo ragazzo, che adesso stringeva le ginocchia contro il suo bacino, di cui una sembrò ricadere da una parte, più stretta del divano. Al ritorno della sua vista su quello, però Manuel era già scomparso, perché la sua bocca era impegnata a lasciargli un marchio ben evidente lungo il collo. Toccò a Simone questa volta sforzarsi di non impazzire, continuò a spingersi dentro Manuel che a tratti – si svincolava solo per emettere piccoli versetti di consenso e approvazione.

« Simone »

Avvertendo la presa salda su di sé, Manuel si dedicò ancora alla piccola zona dietro il collo, come se ne dipendesse un po’ la sua volontà. Stava così bene ogni volta che si sentiva legato all’altro. E quando non c’era, non riusciva a non pensare a tutte le volte che avrebbe voluto farci l’amore.

« Manuel, » mormorò, un piccolo tocco tamburellò sull’addome del ragazzo « voglio vederti » basso, grave, quel tono portò il ragazzo sotto a smettere all’istante. Spingendosi per le ultime volte, Simone prese le loro mani strette e se le portò alla bocca, baciando quei piccoli luccichii. « Se mai dovesse succedere qualcosa, voglio che ti rimanga impressa » si spinse ancora. Manuel si contorceva e lo guardava, portarsi le loro mani al suo petto madido di sudore « questo qua è tuo »

Manuel annuì più volte, come se si fosse rotto qualche osso del collo, annuì senza fiato, mentre se lo riportava per baciarlo. Se la promessa era quella, avrebbe voluto imprimersi l’immagine di Simone sopra di lui e rivederla continuando a mettere play, nella sua testa, per tutta la sua vita. Quando arrivarono all’apice, Simone gli ricadde sopra, il sottofondo si battezzò con le loro voci acute e goffe e il divano si macchiò inevitabilmente.
Manuel si sistemò meglio contro il cuscino dietro la testa, un braccio – quello sano - veniva portato alla testa e si voltava a guardare Simone che si faceva piccolo di lato, contro di lui.

« Un altro regalo, pensandoci, ce l’avrei Simone »

Quello lo guardò dal basso verso l’alto, in fare confuso. Il naso si arricciò, il petto si abbassava e si alzava.

« Vuoi farmi piangere ancora? »
Manuel rise, accarezzando con la sua mano la pancia di Simone « Sono serio, come pena niente grattini per una settimana »
Simone avvolse il viso di Manuel, picchiettando un dito sopra il naso, che si arricciò di conseguenza.

« Non te farà piangere, te lo avevo promesso tempo fa, » soffiò fuori, lo sguardo dolce « se cerchi nello scaffale, quello accanto all’armadio, in camera mia, dovrebbe esserci un quadernetto »

Simone aprì largamente gli occhi – sempre se era possibile – e rimase un po’ sospeso. Manuel si mangiò le labbra risucchiandole, indicandogli con la testa di andare. Il ragazzo si mosse piano, cercando di non fargli male e corse in quella caccia al tesoro. Ritornò con un piccolo taccuino, poi energicamente si mise in ginocchio dall’altra parte del divano, ma Manuel non accettò la nuova posizione. Simone si distese di nuovo contro il suo ragazzo e quello, aprì il taccuino.
« Sono le tue poesie? » chiese con un sorriso ampio. Un giorno te le leggerò gli aveva detto una volta. Manuel annuì, sfogliando qualche pagina.

« Vuoi ancora che te le legga, Simò?»

« E me lo domandi? »

Si fece più comodo contro il cuscino del divano, e la spalla di Manuel.

« Scegline una, dai »

Simone girò alcune pagine con un dito, fino a trovarne una dal titolo interessante o che comunque lo colpì. Si intitolava La notte.

« Questa qui » indicò la grafia abbastanza ordinata, anche se piccola. Era leggibile, ma avrebbe preferito sentire la voce del suo autore, in diretta, dal divano di casa sua.

Manuel si schiarì la voce, anche se tradì un po’ un mezzo sospiro.

« La notte ti cerco e non ti trovo
quando ti chiamo, non arrivi, mi perdo
nel ricordo dei tuoi occhi e
nella voce sapiente e cosciente, nella notte,
dormo: è un’illusione.
Perché il tuo nome mi rimbomba nelle ossa.
La notte ormai, si chiama come te e io non la distinguo più »

Scandì tutto perfettamente, con le giuste pause, prendendosi il tempo di arrivare fino alla fine. Simone lo osservò attento, come quando si osserva un maestro all’opera. « Ti sei scelto quella più depressa, Simò »

« Scemo, è davvero bella invece… ti sottovaluti troppo »
Poi con uno scatto degli occhi, guizzò sul foglio, Manuel gli guardava la bocca. « Posso sceglierne un’altra? »

Manuel annuì, catturando il sorriso sincero dell’altro, mentre stropicciava piano la carta del taccuino e cambiava pagina. Lesse una data ben precisa riportata in alto sul foglio, lo conosceva proprio quel giorno: il cuore gli si fermò un attimo.

« E’ di quando ero a Glasgow? » articolò male, balbettando sulla lettera ‘g’. Appena quello gli diede conferma, la morsa stretta al suo petto venne rilasciata.

« Sì e manco questa è felice, se lo vuoi sapere » ridacchiò.

Non mi interessa, ora sono qua.

« Me la leggi lo stesso? » gli strinse forte la mano, era ancora tiepida. Simone si accoccolò sulla sua spalla e Manuel sospirò. Stampò un bacio sulla testa boccolosa, inspirando il sentore che tanto aveva imparato ad apprezzare.

« Non te da fastidio? Magari vuoi che te ne legga una più felice-»

Simone fece cenno di no, le labbra dischiuse.

« Ah e comunque posso dirti che qui, c’è una virgola di troppo » indicò un punto della scrittura, da professorino.
Manuel lo guardò subito dopo, annoiato, ma Simone non sembrò darci peso, anzi, si fece più piccolo contro di lui. Il poeta allora, schiarì di nuovo la voce e riprese la lettura.

« Se mai tra le strade dovessi pensare a me
un miracolo cascherebbe giù e io
sarei risucchiato via
dal mondo, verrei a stringerti,
io che non credo
ma che per te crederei »

Silenzio, poi il poeta parlò.

« E’ un po’ bruttarella »

Io credo che tu ti sbagli.

Simone gli baciò la guancia, gli formicolava la mano adesso, la libera.

« Smettila di dire cazzate e leggimene qualche altra »







Il divano diventò presto un letto, perché ci si addormentarono sopra.
Il taccuino era rimasto aperto sul piccolo tavolino del soggiorno, il più grande stringeva il più piccolo, coprendolo quasi del tutto col suo corpo nudo. Manuel, aveva finito per leggergliene circa una decina, di quelle poesie a penna, scarabocchiate, schizzate sulla carta, e il suo ragazzo i aveva fatto da recensore: solo parole positive. Gli aveva anche suggerito di pubblicarne alcune. A Manuel era sembrato molto di parte, ma gli occhi di Simone non avrebbero mai mentito. Era il suo potere nascosto: traspariva l'anima da quelle pozze.
Sei la cosa più bella gli aveva detto poi prima che Manuel smettesse di leggere. Più tardi e dopo qualche altro bacio, Morfeo li aveva presi entrambi. La vista di Simone si chiuse, un po' come una finestra sul mondo, il respiro calmo, la menta mischiata alla stoffa dove dormivano, entrambi distesi, stretti l'uno all'altro.




La manina si mosse nell’oscurità, in corrispondenza del braccio scoperto dell’uomo. Quando la incontrò capì subito chi era. Simone, si svegliò, un occhio era aperto, l’altro ancora chiuso, la spalla del pigiama gli ricadeva sulla spalla, segno che non aveva dormito pienamente.

« Andrea, amore, che cosa c’è?» la voce era impastata dal sonno, per via del turno della sera precedente e del ritorno tardo a casa. Il piccolo bambino, i suoi capelli corvini e ondulati si mossero per primi, le mani invece erano impegnate in altro gesto: si stava tirando i lembi del pigiama rosso con dei motivi di tartaruga stampati sopra, nell’atto di nasconderci le mani. Con i suoi occhi grandi, il naso all’insù, le labbra gentili, era forse la personificazione più simile a quella di un putto. A Simone ricordava sempre più lui, da piccolo.

« Papo non si alza, gli ho tirato la coperta… ma niente, papà io devo andare a scuola! » borbottò in tono preoccupato, ma suonò solo tanto dolce.

Simone annuì, sospirando sommessamente. Si alzò, mentre una mano si portava sulle lenzuola e l’altra scombinava i capelli del figlio. Poi, diede una gomitata – non tanto carina – a Manuel che gli dormiva, a sinistra.
La coltre del lenzuolo, quasi tutta tirata dalla sua parte, si mosse come se fosse viva. Un mostro di coperte.


« Manuel, tocca a te oggi »

Si sentì un lamento in protesta, così Simone si voltò verso la fonte e gli tastò il braccio, accarezzandolo con le nocche « Avevamo deciso, io i giorni pari e tu i giorni dispari »


« Veramente ho deciso io, papà! » disse il piccolo Andrea, prendendo voce in capitolo, alzò le braccia in fare drammatico e suo padre sorrise intenerito, annuendo col capo. Le coperte si mossero, per rivelare la figura completamente stravolta di Manuel. La barba gli era cresciuta ancora di più, la maglia era tutta tirata da una parte, scoprendogli un fianco. Stropicciò gli occhi e si mise seduto sul letto.

« Ehi campione, buongiorno, hai già fatto colazione? »

Andrea fece cenno di no con la testa.

« Male, invece, molto male, che ore sono? » Simone osservò la sveglia al capezzale. Erano le sette e un quarto, tra meno di mezz’ora sarebbero dovuti arrivare a scuola.


« C’abbiamo tutto il tempo » Manuel vide Andrea venirgli incontro e gli stampò un bacio sulla testa, poi gli diede un buffetto sulla schiena quando si girò per fare lo stesso con Simone, salì sul letto a cavalcioni e suo padre lo abbracciò.


« Così papo non è geloso » chiarì il piccolo Andrea, di soli cinque anni.
Simone rise, mentre gli accarezzava delicatamente la testa.

Manuel gli sorrise di sbieco, gli prendeva la mano e se la portava alle labbra. Ci stampava un bacio sopra.


« Adesso fila in cucina, altrimenti niente porta pranzo dei supereroi oggi! » lo ammonì poi, guardandolo in finta aria minacciosa.

Andrea non se lo fece ripetere due volte e scese di corsa dal letto, fiondandosi oltre la porta. La sua piccola figura scomparve, come una saetta.

« Dove la trova tutta questa energia, me chiedo » Manuel si grattò la testa, mentre si voltava per guardare Simone. Quello, inclinò la testa, facendo la stessa cosa.

« Non lo so, ma non è una cosa che ha preso sicuramente da te »
Simone arricciò il naso, beccandosi un occhiata torva dall’altro.


« Ah-ah, simpatico! » grugnì in tutta risposta. Non sembrava per niente un adulto, forse non lo era mai stato. Ma a Simone piaceva lo stesso.

Ecco perché Simone lo ghermì con un braccio, scivolando sotto la curva del suo collo, il bacio risultò pigro, ma efficace perché Manuel si riprendesse dall’offesa.

« Dovresti rimetterti a dormire, ci penso io oggi » gli soffiò preoccupato sul viso, vedendolo leggermente sbadigliare poco dopo.

« Ci provo, anche se esattamente tra un’ora e mezza ho il turno e devo muovermi » mormorò, la mano si posava sul viso, qualcosa di scintillante brillava all’anulare sinistro, esaltando il resto delle dita lunghe, affusolate.

Simone si mosse sul cuscino del divano, scomodo per com’era, il naso cercò la stoffa annusandola, mentre combatteva per non svegliarsi dal sonno. La figura dell’altro ragazzo era già accovacciata dietro di lui.

Manuel lo baciò leggero, il respiro fu caldo. Poi si mosse, le ginocchia si piegavano e si alzava finalmente dal letto. Afferrò la camicia piegata sulla sedia della camera e allungò le braccia.
« Te l’ho detto, ce vuole una pausa per passà del tempo tutti e tre insieme »

Simone annuì, portandosi una mano a coprirsi di nuovo il corpo col lenzuolo.

« Aspetto le ferie per quello »

« Potremmo fà una scappata anche solo di due giorni, Simone »

« E Andrea salta la scuola? »

« Che c’entra, » Manuel infilò la camicia, lasciandola aperta « ci organizziamo con le feste di Pasqua, così siamo sicuri »

Simone annuì, sbadigliando di nuovo. Si sarebbe ficcato il viso in mezzo al cuscino, se non fosse stato per suo marito che gli si piazzava davanti, e gli strizzava le guance per baciarlo di nuovo.

« Pensace che passi più tempo in clinica, che non a casa »

Simone allungava un braccio e lo trascinava di nuovo, la barba gli pungeva il mento, ma non gli dava fastidio.

« Lo farò »

Vide Manuel dirigersi verso la porta, nella penombra sembrava ancora più piccola la sua figura. Non era allungato, né accorciato in quei dieci anni: quell’immagine gli provocava sempre una certa dose di tenerezza dentro, inspiegata.

« Buona giornata, filosofo » sussurrò.

Simone sorrise improvvisamente, come se la discussione di poco prima si fosse appena trasformata in realtà. Il suo inconscio aveva proiettato tutto.

Manuel si voltò verso Simone, un ammasso indistinto tra le coperte, l’uomo che lo doveva sopportare, ma che amava comunque farlo. Sorrise, sembrò scintillare nella penombra della stanza.

« Buona giornata a te, pediatra »

E dicendo così, svanì dietro la porta della camera.







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