Come in cielo, così in terra

di Neamh Moonstar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tutto assolutamente perfetto ***
Capitolo 2: *** Tra il ghiaccio e le fiamme ***
Capitolo 3: *** E noi giusto in mezzo ***
Capitolo 4: *** Dio non abbandona ***
Capitolo 5: *** Dio non muore ***
Capitolo 6: *** Dio non parla... ***
Capitolo 7: *** ...e non risponde ***
Capitolo 8: *** Ma soprattutto, Dio non sbaglia ***
Capitolo 9: *** L'amore che tutto può ***
Capitolo 10: *** Tutto assolutamente perfetto (stavolta davvero) ***



Capitolo 1
*** Tutto assolutamente perfetto ***


“Non so se Dio è morto. Forse Dio talvolta è assente e Satana fa il supplente.”


- Davide Morelli

**

Da quando il mondo non era finito, tutto era cambiato.

Il cibo gli sembrava più buono, il vino gli riscaldava le guance come una coperta in inverno e le conversazioni... Oh, le loro conversazioni erano così divertenti, così libere, così leggere. Finivano sempre tra le risate, le mani sulle spalle e le camminate a braccetto. 

Le loro parole uscivano senza freni, senza paura e si disgregavano nell'aria senza rimpianti. Le barriere erano crollate, così come i divieti e le limitazioni.

Avevano mille milioni di progetti e il mondo a disposizione. Crowley gli diceva sempre di avere in mente un'idea riguardante l'edificio vuoto da chissà quanto che stava davanti alla libreria. Non entrò nei dettagli, solo era ovvio che sarebbe rimasto miracolosamente invenduto per chissà quanto ancora.

Aziraphale non lo stuzzicò per saperne di più, per quanto volesse. Era già entusiasta al pensiero che il suddetto edificio altro non fosse che ad un'attraversata di strada da lui. Così vicino che poteva vederlo dalla vetrata, così vicino da poterci arrivare in due passi, così meravigliosamente, semplicemente vicino.

Vicino come le loro spalle per tutto tempo quella sera, durante tutto il tragitto verso casa. Vicini come loro stessi erano diventati negli ultimi due anni.

Solo due, nulla di più. Per due creature immortali non erano che uno sbattere di palpebre o uno schiocco di dita. Certo, ormai stavano per diventare tre: dicembre era alle porte; ma erano comunque davvero pochi. Pochi ma semplicemente perfetti, meravigliosi, intimi ed utopici: un sogno che non aveva il diritto di finire.


Arrivati alla libreria, le loro braccia si slacciarono. Aziraphale andò ad aprire sorridendo ed alzando gli occhi al cielo all'enessima affermazione di Crowley su quanto Gabriel sembrasse un perfetto scemo nelle sue finte, plastiche e ipocrite espressioni da perfettino. Ormai prendere in giro i loro ex-capi era diventata una valvola di sfogo; la conversazione che prendeva piede quando tutte le altre avevano fatto il loro tempo.

    «Sicuro di non voler entrare a bere qualcosa prima di andare?» Chiese l'angelo a metà tra l'uscio e l'entrata.

Da quando non erano più costretti a stare lontani, la separazione era diventata complicata. Ormai era una semplice convenzione: lo facevano perché quando incontri qualcuno sai già che ad un certo punto dovrai lasciarlo andare; far sì che ognuno si riprenda i propri spazi.


    Il demone sorrise e fece un gesto noncurante con la mano: «Nah, sto bene,» disse indietreggiando verso la Bentley, mani nelle tasche. Era il ritratto della nonchalance.

Parcheggiava sempre lì davanti, laddove chiunque si sarebbe beccato una multa. Chiunque tranne lui, ovviamente.

    «Domani alla stessa ora?» Chiese, mettendosi al volante.


    L'altro annuì: «Domani alla stessa ora.»

Si salutarono e Aziraphale aspettò come sempre che si fosse allontanato per chiudere la porta e tornare alla tranquillità che rimarcava la sua solitudine. Non che avesse preso abitudini diverse, anzi, erano le stesse: stessi libri, stesso tè, stessa musica. Il modo in cui le faceva era cambiato, invece: si era fatto più leggero di una piuma nell'aria, abbandonando i gesti guardinghi e lasciando spazio alla semplice naturalezza.



Strinse la tazza bollente tra le mani, rendendosi conto di quanto il calore fosse piacevole e inebriante. Effettivamente faceva freddo ora che l'inverno imminente aveva iniziato ad appropiarsi del clima.

Normalmente Aziraphale non sentiva il freddo, ovviamente: quella era la semplice prova provata del fatto che si stava rilassando troppo, lasciando crollare anche le sue ultime difese. Ovvió al problema con una scrollata di spalle e un plaid, aprendo un libro. Era di quelli che aveva lasciato Adam ed era davvero interessante per essere uscito fuori dalla mente di un ragazzino. Va bene, un ragazzino che era stato l'anticristo, ma pur sempre un ragazzino.

Era a metà di un capitolo particolarmente intrigante quando una breve vibrazione lo distrasse. Gli ci volle un attimo per capire cosa fosse, sbarrare gli occhi e andare a frugare nella tasca della giacca. Lì, sepolto e abbandonato, c'era un cellulare dai riflessi bluastri; uno di quegli affari ai quali normalmente non si sarebbe nemmeno avvicinato. Era facile capire chi glielo avesse regalato per scherzo, finendo poi per farglielo usare davvero.



Il messaggio del demone apparí sullo schermo, portando Aziraphale a chiedersi cos'avessero le semplici chiamate che non andasse.

    "Tornato ora. Che leggi?"

Rimettendosi al suo posto davanti alla scrivania, l'angelo iniziò a ticchettare con il polpastrello sullo schermo in un modo che avrebbe fatto sbattere una mano in faccia a chiunque. Se solo a Crowley non fosse piaciuto tanto conversare in quel modo...

    "I libri di Adam" rispose. "Tu non vai a dormire?"

Lasciò lo schermo accesso e riprese a leggere fino alla vibrazione seguente.

    "Non mi va" aveva risposto l'altro. "Mi cerco un film."

Arrivarono altri messaggi che facevano riferimento a qualche horror dalla trama particolarmente interessante e al fatto che era da un po' che non andavano al cinema.

Aziraphale arrivò a fine paragrafo prima di volgere l'attenzione all'incessante vibrare delle notifiche. Fece per prendere il cellulare ma questi gli cadde dalle mani come una saponetta, cadendo sul pavimento con un tonfo.


Aggrottando le sopracciglia, l'angelo si guardò le mani e le riscoprì tremanti, fredde come due blocchi di ghiaccio. 

In un primo momento non seppe che pensare. Raccolse il dispositivo - miracolosamente intatto - e si alzò, pensando di aumentare un po' la temperatura dell'ambiente circostante. Il solo rimettersi in piedi, però, gli causó un terribile senso di ansia: un'ipotetica adrenalina che gli trapassò l'anima come una stilettata all'addome. 

Si voltò istintivamente in più direzioni per capire di cosa si trattasse. Intrusi? Ladri? Umani troppo curiosi? O il peggiore dei suoi incubi: angeli o demoni tornati per vendicarsi?

Nulla di tutto ciò. La musica classica aleggiava nell'aria, come sempre. La polvere si posava tranquilla sulle copertine, come sempre. La luce calda avvolgeva l'ambiente, come sempre.

Tutto era assolutamente perfetto, come sempre.

O quasi.



Qualcosa non andava. Era come un pezzo di puzzle mancante in una composizione altrimenti perfetta; un cielo notturno dal quale era sparita una stella o uno scaffale dal quale era stato tolto un grosso tomo.

Qualcosa non c'era: qualcosa di estremamente importante era sparito, creando uno strappo nel tessuto stesso dell'esistenza.



Il senso di vuoto iniziò a gravare sopra la sua testa e, poco dopo, dentro di lui. Lo avrebbe paragonato alle vertigini: quelle che si provano salendo sulla cima di un monte e mettendosi in punta di piedi a fissare il basso, stando molto attenti a non perdere l'equilibrio. 

Aziraphale si sentiva esattamente così: fermo sull'orlo di un baratro, ad un passo dal vuoto. Dovette aggrapparsi allo schienale della poltrona, subito preso da quella specie di giostra interiore. 

Il cellulare vibrò di nuovo ma lo ignorò. Strinse gli occhi senza sapere che fare, intanto che alle vertigini si aggiunse un terribile senso di nausea. Sembrava che qualcuno avesse schioccato le dita, facendo sparire la pace e mettendoci al suo posto le montagne russe che l'intero essere dell'angelo si era involontariamente trovato a guidare.

Discese e giravolte si susseguivano l'una dietro l'altra, riducendolo ad una foglia al vento. D'un tratto fu come se la gravità avesse deciso di rianimarsi per spingerlo verso il basso e Aziraphale si ritrovò con palmi e ginocchia a terra, tremante come un cucciolo esposto alle intemperie.

Il plaid gli scivolò di dosso, facendo diventare il freddo più pungente e insopportabile e a nulla valsero i suoi sforzi di riavvolgersi nella morbida lana.

Pensò di chiedere aiuto ma la voce gli si bloccò in gola. Voleva riprendere il cellulare e fare una chiamata al volo ma non riusciva più neanche a muoversi.

Tutto si fece chiaro quando il gelo venne brutalmente spezzato da un terribile senso di bruciore alle scapole. Fu come se due mani fatte di fuoco gli avessero aperto la schiena in due per afferrare le sue ali e tirargliele fuori con un colpo secco, stritolandole e strappandone le piume.


Solo allora riuscì a gridare.

**

Il messaggio era rimasto lì: visualizzato senza una risposta. Accadeva spesso, in realtà: significava solo che la lettura in questione si era rivelata più importante di qualsiasi suo desiderio di vedere un film assieme.

Crowley sospirò: adesso era quasi curioso di sapere cosa ci fosse di così incredibile in un libro creato dal nulla da un undicenne.


Si rimise pigramente a guardare l'horror che aveva scelto. Avrebbe volentieri fatto due chiacchiere con il regista per quanto riguardava la scena dell'esorcismo: quella che stava guardando era un'esagerazione bella e buona; gli venne quasi da ridere.

Nel bel mezzo della scena clou gli venne automatico dare uno sguardo alla chat per scoprirla invariata.


Dovresti chiamarlo.


E distrarlo dalle sue letture? Stuzzicare un leone nel bel mezzo del pranzo avrebbe causato meno problemi. Anzi, Aziraphale aveva solo bisogno di rendersi conto della sua distrazione - il che poteva anche richiedere delle ore - per poi catapultarsi a rispondere con un: "Perdonami, caro. Hai detto cinema? Ma certo, quando vuoi".


E allora perché si sentiva così?


Perché le sue dita si erano messe a giocherellare nervosamente con il bavero della sua camicia sbottonata? Perché i suoi occhi non facevano altro che passare da uno schermo all'altro? Perché non riusciva a rimanere concentrato su una scena che fosse una? 


Devi tornare lì.


E perché non riusciva a far zittire i suoi pensieri? O meglio: non che mettere un freno alla sua mente fosse facile, ma in quel momento non sembrava esserci verso.


Con uno sbuffo, Crowley mise in pausa, prese il cellulare e fece partire la chiamata. Al secondo "bip" scattò a sedere come una molla lasciata in tensione troppo a lungo: quando si trattava di lui, Aziraphale non lasciava mai squillare - a meno che non avesse dimenticato di nuovo il cellulare in qualche tasca, e quello non era il caso. 

Ne fece partire un'altra e la preoccupazione si trasformò in panico. Volò fuori dall'appartamento senza neanche spegnere la televisione e in mezzo secondo era già in macchina.


Sbrigati.

E si stava sbrigando, accidenti, si stava sbrigando! 

Fortunatamente a quell'ora della notte le strade erano pressoché deserte ad eccezione di qualche avventore di pub. Anche se fossero state piene, comunque, a Crowley non avrebbe fatto nessuna differenza: se lui doveva andare dall'angelo, tutti gli altri potevano tranquillamente arrangiarsi e trovare un'altra strada.


Strinse il volante così forte da far sbiancare le nocche, la tensione ormai alle stelle. Non sapeva cosa fosse successo così di colpo, ma non gli piaceva: non gli piaceva per niente.


Corri.


E stava correndo, dannazione, stava correndo!

Non aveva mai corso tanto in tutta la sua esistenza.





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Capitolo 2
*** Tra il ghiaccio e le fiamme ***


Le luci della libreria erano spente e già quello era strano. L'unica parte quasi sempre spenta di quel luogo era il piano di sopra, semplicemente perché Aziraphale non lo usava se non a mo' di sgabuzzino. In pratica, c'erano libri che nessuno se non lui poteva toccare e quelli stavano lì, in una stanza in cui neanche la polvere osava mettere piede.

Per quanto riguardava il piano di sotto, se non ci pensava il sole ad illuminarlo, lo faceva la luce artificiale. Nelle notti invernali c'erano sempre i lampioni di Soho e la libreria dell'angelo a rendere visibile quel tratto di strada, sempre. Tranne quella volta.


Crowley scese dall'auto e si buttò verso la porta di ingresso, aprendola un po' miracolosamente, un po' con una spallata. Era già la seconda volta che arrivava così di colpo in quel posto, e la prima riviveva ancora vivida nella sua mente. Per un attimo credette di rivedere le fiamme ballare davanti ai suoi occhi, il fumo salire e il calore soffocare l'aria... ma no. Non era quello il momento di farsi prendere dagli incubi e dai brutti ricordi. Succedeva già abbastanza spesso in momenti normali, tante grazie.

Qualcosa non andava ed era peggio di un incendio. Non avrebbe saputo dire cosa fosse, né da dove provenisse, ma c'era. O meglio: non c'era; o meglio: c'era ma non c'era.


In un gesto di nervosismo, Crowley si passò una mano tra i capelli, come se ciò potesse bastare a scacciare quei pensieri confusi.


Oh, no.


"No"? "No" cosa?

Si guardò attorno, confuso; nella libreria regnavano l'oscurità - che per lui era tutto fuorché un problema, "benedetta" visione notturna - e il silenzio. Poi si ricordò della stanza sul retro, quella dove spesso e volentieri si fermavano a bere e chiacchierare, quella dove c'era il suo divano preferito - non dal punto di vista estetico, per carità. Ci aveva fatto i migliori pisolini, lì, avvolto dalla calma della luogo. Calma che adesso gravava come un peso insopportabile. 

Si fiondò dove sapeva esserci la scrivania piena di fogli di Aziraphale: quella dove si metteva a leggere la sera. Doveva essere lì, per forza. Era sempre lì, sempre.


Sbrigati.


E in effetti Aziraphale era lì: sotto un fascio di luna che faceva capolino dalla finestra, tagliando il buio in due. 


Crowley non respirava, di norma, ma in quel momento il respiro gli si bloccò dritto in gola. Una morsa gli stritolò il petto, le gambe gli si bloccarono e sbarrò gli occhi talmente tanto che temette di perderli. 

Di tutte le cose che gli erano passate per la testa durante il tragitto fin lì, quella che si ritrovò davanti era la peggiore di tutte. La sola vista lo colpì all'inutile cuore di cui il suo corpo era disposto, perché avrebbe potuto sopportare tutto: avrebbe distrutto qualsiasi umano, angelo o demone malintenzionato se necessario. Sarebbe tornato in Paradiso a farsi buttare tra le fiamme; avrebbe ridato fuoco a tutto, anche all'intera città nel caso. Ma quello.

Tutto ma non quello.


**


Era Lei a mancare. Lei ad essere improvvisamente sparita, come se qualcuno gliel'avesse strappata via. 

Le vertigini erano le stesse che si provavano precipitando nel vuoto, alla mercé dell'aria e dell'oblio. Crowley gli aveva detto della Caduta: di come il terreno si fosse aperto sotto di lui, e di come si fosse ritrovato avvolto da quel senso di vuoto che lo aveva accompagnato fino al terribile tuffo nella lava e nel fuoco. Era stata una conversazione dolorosa e tutto fuorché sobria: il demone si era ritrovato in lacrime, la testa sulle ginocchia dell'angelo e le gambe tra lo schienale e i braccioli del divano. 


I sintomi c'erano tutti: la paura, la nausea, il nulla e il dolore. 

Aziraphale si rese conto di star Cadendo, con la "c" maiuscola. Capì che forse aveva finalmente fatto un passo di troppo e che adesso ne stava pagando le conseguenze. Capì che tutto l'affetto e l'amore che provava erano stati incanalati verso la creatura sbagliata e che Dio se ne fosse resa conto. 


Si mise una mano sulla bocca, cercando di soffocare i lamenti. Ormai era per metà attanagliato dal freddo e per metà frustato dal senso di bruciore che continuava a mordergli le scapole.

Aveva tirato fuori le ali ma non si era azzardato a guardarle, per paura. Semplicemente, se le era avvolte attorno al corpo, alla ricerca di un impossibile ed irraggiungibile conforto. 


Si mise a piangere, senza sapere che altro fare. Le lacrime gli rigarono il volto e caddero pesanti sul pavimento.

Sentì qualcosa di caldo fare capolino dagli angoli della bocca, scivolando sul palmo della sua mano. Aprì gli occhi ma scoprì che la sua visione era ora macchiata da rivoli scuri, quasi neri, perfettamente divisi a tratti da strisce dorate. Stava perdendo sangue da ogni dove.


Forse, per tutto quel tempo, aveva creduto di star facendo le cose come si doveva mentre stava in realtà preparando il suo essere a quel preciso momento. 

Si sentiva completamente perso mentre cercava di connettere i pensieri, ormai ridotti ad un cumulo insensato di domande. Si chiese cosa sarebbe successo una volta finito il tremendo processo che lo stava consumando. Immaginò che cos'avrebbero pensato all'Inferno, immaginò anche quanto Gabriel e il suo gruppetto avrebbero sghinazzato pensando che - oh, forse è per questo che non era bruciato: Dio stava semplicemente aspettando il momento giusto.


Si raggomitolò su se stesso, stringendo gli occhi e singhiozzando. Al di sopra di tutte le sue preoccupazioni c'era Crowley, ovviamente. Chissà come avrebbe reagito. Da un lato sarebbe stato meglio se non lo avesse mai scoperto. 

Aziraphale desiderò ardentemente di sparire tra le assi del pavimento. Forse, se si concentrava abbastanza, poteva auto-cancellarsi dall'esistenza e far finta che nulla fosse accaduto.

Rimase lì, scosso dal pianto, a metà tra le spalle in fiamme e il corpo che ormai aveva perso sensibilità a causa del freddo che lo attanagliava. Non sapeva quanto tempo stesse passando: forse erano minuti, forse secoli. Per un attimo volle solo mettere fine a quella sofferenza persistente che pareva non dare segni di cedimento e dormire per un secolo, almeno. Odiava dormire, ma in quel momento gli sembrò la migliore prospettiva.

Come se non bastasse, un'altra stilettata di dolore si formò sul suo petto, dal quale sentì uscire un altro caldo fiotto di sangue. Ormai si era ridotto ad una pozza bordeaux annaffiata di lacrime; un esserino dolorante e sofferente che si consumava sotto gli occhi incuranti di Dio.


Era così che si Cadeva, di quei tempi? Riducendosi a null'altro che un corpo sanguinante sul pavimento? Niente più terra che si rompeva, niente più fuoco e fiamme - non fisiche, perlomeno - e niente più Satana a darti il benvenuto? 

O forse era lui il problema? Aziraphale si disse che era assolutamente possibile. In fondo, lui non era più parte del Paradiso, ormai. 


Nella campana di suoni ovattati che era il suo dolore, sentì un tonfo e una campanella. L'ingresso, si disse. 

Passi affrettati che si avvicinavano per poi bloccarsi di colpo dietro di lui.

Cinque secondi di silenzio, contati. 

E poi qualcuno che urlava il suo nome così forte che avrebbero potuto sentirlo dall'altra parte della strada.


Il ghiaccio e le fiamme in mezzo alle quali era intrappolato si calmarono, seppur lievemente.

Due mani gli spostarono le ali con una delicatezza infinita, poggiandosi poi sulla sua faccia ed esplodendo in una miriade di carezze.


Forse poteva lasciarsi andare adesso. Poteva scivolare nell'oblio e lasciare che quelle dita affusolate facessero tutto.

Poteva semplicemente lasciare che si infilassero tra i suoi riccioli separandoli, pettinandoli e risistemandoli distrattamente ma amorevolmente.


**


Gli faceva male la gola da quanto stava urlando. Se solo qualcuno si azzardava ad entrare, attratto dal caos, l'avrebbe spedito all'altro mondo più veloce di un fulmine.


Si era buttato in ginocchio davanti ad Aziraphale, chiamandolo e richiamandolo, sperando in un cenno, una risposta, qualcosa.

Gli aveva immediatamente spostato le ali dalla faccia. Il modo in cui vi si era rintanato gli aveva fatto salire i brividi lungo la schiena: sembrava un bozzolo di disperazione.

Non l'avesse mai fatto.

    «Oh, cazzo. Aziraphale, che cosa sta succedendo?!» Chiese, fissando i rivoli di sangue sparsi su quel volto normalmente bianco e perfetto.

Il fatto che non gli stesse giungendo risposta, poi, rendeva la situazione decisamente peggiore.

A quel punto, "cazzo" era l'unica parola decente a descrivere quel casino. La ripeté più volte, insieme alla voglia impellente di tirare giù Dio e dirgliene quattro perché, cazzo, quello era un incubo.


Calmati.


"Calmati"? Sul serio, inconscio? Quello era il momento perfetto per il panico.


Con i pensieri a mille, Crowley raccolse il volto dell'altro tra le mani, iniziando a togliere - per quanto possibile - le terribili tracce mezze cremisi e mezze oro.

    «Andiamo, angelo, dì qualcosa. Ehi?!» Prese a chiedere tra gli schiaffetti e le carezze stentate sulle quelle guance che - si rese conto - erano più fredde del fottuto Polo Nord. 

Ma niente. Assolutamente niente; non una risposta, non un rantolo, solo un volto angelico distrutto in una mezza smorfia di dolore.


Solo un'ala si smosse.

Crowley si voltò a fissarla d'istinto, sperando in un qualche segno di ripresa. Fu allora che, per la seconda volta quella notte, si bloccò con gli occhi sbarrati e le pupille serpentine ridotte a due linee sottili.


Alla luce della luna erano visibili quelle belle piume che il demone si aspettò di trovare bruciate, più nere della pece e di un cielo senza stelle. 

Perché era quello che stava accadendo al suo angelo, no? Se n'era accorto quando non aveva visto il candore di quelle ali stupende fare breccia nell'oscurità della stanza. Era stato quel pensiero a portarlo alla disperazione e alle grida. 

Eppure...


Le ali di Aziraphale non erano nere, no. Non erano di quel corvino bluastro che contraddistingue i demoni e che loro stessi portano come simbolo di vanto e ribellione.

Non erano più bianche, poco ma sicuro. Non erano più il simbolo della purezza divina in cui tutti gli angeli vivevano.

Niente di tutto ciò.


Crowley si sfilò gli occhiali, come se ciò potesse aiutarlo ad avere una visione migliore della cosa. Il punto era che non si stava sbagliando: non era un gioco di luci e ombre, né la sua immaginazione che aveva ripreso a galoppare impazzita.


Le ali del suo angelo erano diventate grigie

Grigie come le nuvole cariche di pioggia.

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Capitolo 3
*** E noi giusto in mezzo ***


A quel punto, l'unica - seppur amara - certezza di Crowley era crollata, lasciando dietro di sé una scia di insensatezza assoluta. 

Qualunque cosa stesse accadendo non era buona, su quello almeno non aveva dubbi. Era tutto il resto a sparpagliarsi tra quell'aria di mancanza generale, il volto del suo angelo ridotto a uno spargimento di sangue, e i suoi stessi - ormai fottutamente incasinati - pensieri. In cima a quella pila disastrosa, c'era una miriade di piume color grigio perlaceo ora praticamente impossibile da non notare.

Doveva trovare un senso a tutto ciò e doveva farlo subito.


Va bene, un passo alla volta: poteva provare a pensare in quel modo, una volta tanto. Già sapeva quale fosse il passo uno: Aziraphale. Ovviamente non poteva essere che lui la sua prima preoccupazione. Se non lo vedeva riaprire gli occhi in meno di subito, rischiava di impazzire - e già era sulla buona strada per quello, a giudicare dal suo attuale stato mentale. 


Di sopra.

Oh, bravo inconscio; finalmente una buona idea. Effettivamente c'era un letto di sopra: vecchio e praticamente inutilizzato, ma sicuramente meglio del divano - e del pavimento, se per questo - date le circostanze. L'unico problema adesso era portarci l'angelo.


Con un respiro profondo - inutile ma rassicurante, Crowley riprese le irriconoscibili ali di Aziraphale e pensò a un modo per accomodarle e rendersi il trasporto facile... O perlomeno, meno difficile, ecco. Dopo solo un paio di manovre, però, capì che sarebbe stata un'impresa titanica.

Sbuffò. Una punta di nervosismo si trasformò subito nell'inizio di un pianto che troppo aveva aspettato ad arrivare, ma che il demone scacciò passandosi un braccio sugli occhi. 


Bravo: non ora. Non adesso che lui ha bisogno di te.


    «Lo so, lo so. Taci!» Disse a- bene, adesso era decisamente e ufficialmente fuori come un balcone. Forse non era l'unico demone ad avere demoni interiori, ma sicuramente era l'unico a parlarci.

    Si passò due dita sugli occhi rimasti scoperti e infilò distrattamente l'altra mano tra i capelli dell'angelo. «Va bene, facciamolo. Possiamo farlo,» rassicurò, un po' entrambi e un po' sé stesso - anzi, soprattutto sé stesso. Certo era che sarebbe sembrato più convincente senza la voce tremante che si ritrovava, ma stava mantenendo anche troppo il sangue freddo; perciò quelle parole stentate potevano essere considerate una vittoria.

Con un minimo sindacale di rinnovata speranza, avvolse le ali cenerine attorno al corpo di Aziraphale, alternando ogni movimento ad una carezza veloce. Normalmente non si sarebbe mai, mai e poi mai sognato di strapazzarlo in quel modo. Cioè, la prima volta che si erano presi per mano - quell'indimenticabile notte sull'autobus - aveva contribuito da sola a farlo sentire un po' al settimo cielo e un po' come se fosse la cosa più assurda che avesse mai fatto. Tutto ciò che era avvenuto dopo l'Apocalisse (Apoca-no? Apoca-quasi?) era stato un susseguirsi di gesti sempre più naturali che lo avevano portato a volerne sempre di più. In fondo, la possessività era nella sua natura, così come la voglia assurda che lo portava a immaginare di stringere quelle mani morbide, la voglia di non staccarsi mai da quelle salde braccia, la voglia di toccare quel bel volto candido. Era sempre più inspiegabilmente attratto come una falena verso la luce dell'angelo, ma per il momento era sempre riuscito a sopprimere tutti quei sentimenti sotto una semi-apparente tranquillità e un velo di gesti rilassati. L'ultima cosa che voleva era risentirsi dire che andava troppo veloce: la prima gli sarebbe bastata per tutta l'eternità, tante grazie.

E adesso? Adesso si era ritrovato a far passare un braccio sotto le ginocchia di Aziraphale e l'altro dietro quelle povere ali, iniziando a sollevarlo come un sacco di patate. 

Notò che la schiena dell'angelo bruciava e per un attimo dovette fermarsi per evitare che un'altra ondata di ricordi lo distraesse dalla sua missione. Le cose erano già abbastanza incasinate di loro e non aveva assolutamente bisogno di altra negatività.


Laddove il volto di Aziraphale andò a poggiarsi, esattamente tra il collo e la spalla, Crowley sentì il sangue sporcargli la pelle e i riccioli stuzzicargli il mento e la guancia. Sarebbe stato meraviglioso se solo la situazione non fosse stata tra l'inquietante e l'assurdo, pensò. Quello era il loro primo abbraccio, d'altronde... Sempre che potesse essere considerato tale. Non sarebbe dovuto avvenire così, no. Si meritavano di meglio.


Fai piano.


Non si sarebbe mai azzardato a fare il contrario, ma sì: salì gli scalini uno ad uno, mantenendo l'equilibrio e facendo innaturalmente piano.

    «Resisti, ci siamo quasi,» sussurrò all'altro prima di aprire la porta che dava sul buio e polveroso appartamento al piano superiore.

Così com'era entrato, fece sparire i libri dal materasso e vi poggiò Aziraphale come fosse fatto di porcellana. Almeno aveva completato il passo numero uno, il che significava che era ora di pensare al secondo.


In realtà sapeva già cosa fare.

I demoni, ahimè, non curano; altrimenti gli sarebbe bastato schioccare le dita e addio sangue. L'unica cosa che Crowley avrebbe ottenuto provandoci, sarebbe stato farne uscire altro, il che significava che aveva bisogno di una bacinella e di tanta acqua calda.

Non fece nemmeno in tempo ad allontanarsi dal letto per far comparire il necessario.


Resta vicino.


Gli venne automatico provare ad accendere la luce. Fortunatamente, il blackout sembrava essere passato... Beh, forse "fortunatamente" non era la parola più adatta. 

Crowley poteva ora vedere chiaramente lo stato pietoso in cui riversava il suo angelo, così come poté notare la crescente smorfia di terrore e dolore che si stava delineando sul suo viso sporco e distrutto.

    Al primo cenno di lamento, il demone si buttò nuovamente a lato del letto, con la pezza bagnata ora miracolosamente apparsa nella sua mano: «No, no, no! Sh, calmati. Sono qui, ok? Sono qui,» prese a dire, pulendo la faccia di Aziraphale e sperando che non si rimettesse a piangere sangue. «Mi senti? Va tutto bene-»

    Cazzate. Non andava bene proprio per niente, si disse iniziando a mordersi l'interno della guancia. «Troveremo una soluzione, ora calmati.»


Dovresti calmarti tu, prima.


Beh, anche no. Il fatto che adesso ci fosse una macchia anche sul petto dell'angelo, poi, non rendeva certo le cose migliori. Da quanto era lì? Crowley era stato così occupato a fissare la faccia e le ali dell'altro da non averla notata. E quel che era peggio, è che c'era un solo modo per pulirla.

    «Cazzo. Va bene: perdonami. Potrai uccidermi più tardi per questo,» disse rivolgendosi  a quel povero volto ora perlomeno visibile. 

Iniziò a disfarsi della camicia ora più beige che azzurra di Aziraphale, scoprendo un taglio oblungo che si estendeva proprio all'altezza del cuore. Sembrava uno squarcio nel bel mezzo di un tessuto bianco, morbido e setoso. 

    «E questa adesso da dove viene?» Chiese al nulla, nuovamente sull'orlo del pianto.


Non preoccuparti, fai piano.


E fece piano. Pianissimo. 

Accarezzò quella ferita fino a renderla una linea rossastra, e ripulì quelle belle guance fino a farle tornare alla normalità. Se solo avesse potuto sbiancare le ali allo stesso modo, lo avrebbe fatto. Eccome se lo avrebbe fatto.


**


Il cielo notturno era così bello e quelle mani tra i suoi capelli erano così gentili... Sarebbe rimasto lì per sempre, tra il cielo e la figura che si stava prendendo cura di lui.

Si chiese perché non avesse mai provato a dormire prima. Erano così i sogni? Ne valevano davvero la pena. Forse era stato condizionato dall'aver visto gli umani avere i primi incubi: quello lo aveva decisamente convinto a non rischiare mai di averli a sua volta.

Ma questo? Oh, questo era stupendo. Tutte le volte che lo vedeva sparire, cercava di riprenderlo e puntualmente la dolce figura tornava. Qualcosa gli disse che non se ne sarebbe mai andata.


«Ti prego...»


Una voce familiare fece breccia nella sua mente. Con essa tornò il freddo, tornò il bruciore, tornò il dolore... Eppure non erano più così persistenti. C'erano ma ovattati, come se qualcuno li avesse zittiti.


«Apri gli occhi per me, vuoi?»


Era così disperata e aveva una punta di... Non avrebbe saputo dire cosa fosse, ma si rese conto che ogni volta che la sentiva, il vuoto spariva. Quella voce, da sola, riempiva il cielo senza stelle.


Così aprì gli occhi. La luce lo costrinse a richiuderli, ma fece in tempo a vedere una scia di giallo, rosso e nero fare capolino davanti alla sua faccia.

C'erano due mani piacevolmente calde sulle sue guance, notò. Era un tocco così piacevole, seppur non esattamente delicato, che spazzava via il gelo.

    «Aziraphale?!»

Crowley?

Riaprì gli occhi a fatica e sì, sì era lui. Aveva la faccia di chi aveva appena visto l'Apocalisse provare a tornare, magari facendo esplodere la tanto agognata guerra tra Paradiso e Inferno.


    Chiedere venne spontaneo: «Crowley? Stai bene?»

In realtà era una domanda retorica: si vedeva che non stava bene. Era praticamente sbiancato, le mani gli tremavano e le sue dita erano sporche di sangue. Un sangue particolare, però: sembrava cosparso di brillantini dorati.


Aziraphale fece per riaprir bocca, ma in un attimo si ritrovò circondato dalle strette braccia dell'altro, bloccato in un abbraccio carico di sollievo.

    «Mi hai spaventato! Stavo impazzendo, lo capisci?!» Esclamò il demone, prendendolo subito per le spalle e costringendolo a guardarlo negli occhi. «Si può sapere che cazzo ti sta succedendo?»


Con gli occhi ancora sbarrati per la sorpresa, l'angelo aggrottò appena le sopracciglia. Niente da fare: le sue scapole urlavano ancora pietà. Almeno il peggio sembrava passato.

Abbassò lo sguardo. L'ultima cosa che voleva era preoccupare il povero Crowley, e guarda cosa stava succedendo. Possibile che non fosse capace di stare lontano dai guai? Tutte le volte sembrava che l'universo ce l'avesse con lui e che a pagarne le conseguenze fosse il demone costretto a salvarlo.

    «Non è ovvio?» Disse semplicemente, iniziando a torturarsi le dita.


    «NO! Non lo è!» Urlò l'altro, prendendogli un'ala - ah, le aveva ancora fuori? - e spostandola in modo che potesse vederla.


Fu allora che gli occhi di Aziraphale si sbarrarono di nuovo, portando la sua bocca a fare altrettanto.


    «Esatto!» Esclamò Crowley, come se quell'espressione potesse valere come risposta. «Cioè, non ha senso. Lo capisci anche tu che non ha senso, vero? Insomma: sai in che condizioni sei?»


Ne aveva un'idea, sì. Era stato terribile.

Mentre Crowley prendeva a farneticare, le braccia metà per aria e metà tra i capelli, Aziraphale si mise a sfiorare quelle piume perlacee con le dita fredde. Erano di una sfumatura tendente al bianco sporco, soprattutto sulle punte, il che era assolutamente strano. Certo: non tutti gli angeli avevano le ali bianche, ma tutti i demoni appena Caduti ce le avevano nere. Poi erano liberissimi di cambiarle in corso d'opera - anche se, a detta di Crowley, era difficile che accadesse - ma quand'erano fresche di bruciatura era dolorosissimo anche solo toccarle.

Le sue ali non facevano male, a differenza della sua schiena e del suo petto. Erano solo incredibilmente sensibili: l'angelo lo aveva notato nel momento esatto in cui la destra gli era stata spostata. 


    «Ho detto di tacere!»


Aziraphale spostò subito l'attenzione verso il demone, il quale aveva iniziato a strofinarsi nervosamente gli occhi.

    «Io non ho parlato,» disse, in tono quasi giustificatorio.


    «Lo so, lo so. Scusa, fa' come se non avessi detto niente, ok?» Disse Crowley, abbassando il tono di voce e prendendogli la mano con la stessa naturalezza con la quale gli cingeva il braccio mentre camminavano. 


Confuso, Aziraphale annuì. 


    «Piuttosto,» riprese l'altro, «come ti senti?»


Quella era un'ottima domanda.

    «Ho freddo,» spiegò, «ma ho le spalle in fiamme. Ho paura anche solo a poggiarmi al cuscino.»

Perché si rese conto solo adesso di essere nel suo letto al piano di sopra, avvolto da almeno tre coperte. Attorno al suo petto erano strette delle cose che parevano bende e aveva addosso un maglioncino color crema che era sicurissimo di non aver mai visto prima.


    Crowley prese a ticchettarsi il labbro con un dito. Lo faceva tutte le volte che spingeva l'assurda ma meravigliosa mente che aveva al limite, e Aziraphale adorava guardarlo. Alle volte poteva quasi intravedere i suoi pensieri.

    «È assurdo. Cioè: me lo ricordo, purtroppo. Prima ti si bruciavano le ali, ma non durava mai più di - cosa? Cinque secondi?» Spiegò il rosso, ormai ridotto ad un fascio di nervi. «Poi iniziavi a volare di sotto e lì sentivi il freddo. Allontanarsi da Lei è una specie di mix letale di, di-» si bloccò, facendo un gesto indescrivibile con le mani.


    «Di vuoto e nausea?» Completò, Aziraphale guardando altrove. «È come essere strappati via dal Suo amore, no?»

Non avrebbe saputo come altro spiegare quella sensazione, in effetti. Era proprio come se fosse stato privato di un organo vitale, per metterla sul piano più umano possibile.


    Crowley fece comparire una sedia, cadendoci sopra e riprendendogli la mano: «E ti senti ancora così? Dico, la sensazione non è passata?»


Aziraphale negò con la testa. "Anche se è migliorata da quando sei qui", avrebbe voluto aggiungere. Non gli parve il caso di aggiungere altri dubbi, però, e tacque.


    «Sai cosa mi sembra?» Riprese l'altro. «Magari è un'idiozia, ma è come se fossi rimasto bloccato a metà del processo. Insomma: un mezzo Caduto.»


In effetti suonava assurdo, eppure...

Le sue ali non erano bruciate del tutto: ciò avrebbe spiegato il colore. Forse era per quello che combatteva un po' con quella frusta fiammante che continuava a colpirgli la schiena e un po' con il freddo pungente della lontananza. Forse era per quello che il vuoto persisteva, aleggiando attorno a lui come uno spirito persecutore. 

Cos'è il grigio se non la perfetta mescolanza di bianco e nero, in fondo? 

    «Sai una cosa?» Disse infine, in un sussurro. «Forse hai ragione.»

Che situazione assurda. C'erano sempre stati l'Inferno, il Paradiso e loro due giusto in mezzo. E adesso Aziraphale si sentiva la metafora vivente della loro esistenza.


    «Anche se fosse, non è normale ed è successo troppo in fretta,» precisò Crowley, ora decisamente più calmo. «Dobbiamo capire cosa sta succedendo e, soprattutto, perché sta succedendo a te.»


    L'angelo annuì, mettendosi una mano sul petto. A proposito: «E questa come la spieghi?» Chiese, indicandosi il cuore e alludendo all'ultima ferita che aveva sentito aprirsi.


    Crowley scosse la testa: «Semplice: non me la spiego.»


Rimasero in silenzio, pensando al da farsi. Aziraphale si strinse un po' nelle coperte e scoprì che nascondere le ali era fuori questione: faceva troppo male. Provò a poggiarsi su un fianco, non senza l'aiuto di Crowley, il quale continuava a guardarlo nella paura che potesse succedere qualcos'altro. 

Ogni tanto, quando era immerso nei suoi pensieri, il rosso si ritrovava a scuotere la testa come se stesse rispondendo malamente a qualcuno. Doveva essersi stressato tantissimo e l'angelo si sentì in colpa.

Da quando Lei era sparita, Crowley era rimasto l'unica cosa alla quale poteva aggrapparsi.

    «Senti,» gli chiese ad un certo punto, rompendo il silenzio. «So che è una richiesta stupida ma, resteresti qui? Dico, nella libreria? Almeno finché non troviamo una soluzione.»

Era una richiesta così egoista, se ne rese conto. Alle volte lo diventava, egoista, ma non poteva farci niente: era una parte di lui che aveva sempre cercato di nascondere in favore del demone e degli umani.


    Crowley lo fissò allibito: «Che razza di domanda è? Ovvio che resto. Mi vedrai uscire da qui solo per fare il tè. A proposito-»


    Aziraphale sorrise ed annuì: «Sarebbe carino da parte tua.»


E Crowley detestava fare cose carine - a meno che non fossero per il suo angelo, ovviamente. Per questo faceva finta di offendersi ogni qualvolta Aziraphale gli facesse notare quei piccoli gesti. Era naturale, ormai.

Almeno, in mezzo a tutto quel disastro, si ergeva forte la certezza che loro sarebbero rimasti in piedi - in un modo o nell'altro.


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Capitolo 4
*** Dio non abbandona ***


Ed eccole di nuovo: le stelle. La figura era dietro di lui, stavolta: gli stava sistemando le ali con gesti svelti ed esperti. Chiacchieravano del più e del meno, come se si conoscessero da sempre. Di cosa? Non avrebbe saputo dirlo. Le parole nei sogni scompaiono, si volatilizzano e perdono di senso. L'atmosfera era meravigliosa, però: un balsamo per l'anima e ormai suo unico rimedio al dolore che gli procurava tornare alla realtà.

Prima o poi, però, ti svegli e tutto ritorna. La cosa buona, è che a destarlo fu l'unica voce che avrebbe voluto sentire.


    «Ehi, angelo. Odio disturbarti, ma questa la devi vedere!»


    Strofinandosi gli occhi e sbuffando al ritorno di tutte le sensazioni che ormai incorniciavano la sua assurda situazione, Aziraphale si mise a sedere con un'espressione confusa stampata sulla faccia fredda e assonnata: «Cosa c'è?» Chiese con un filo di voce.


Crowley aveva spostato la tendina dell'unica finestra della stanza, posta davanti al letto. Nel farlo, aveva scoperto il buio della notte, illuminato dalla flebile luce di un lampione da qualche parte sulla strada sottostante.

    L'angelo lo guardò ancor più stranito di prima: «Cosa c'è di strano?»

A giudicare dall'espressione stralunata dell'altro, c'era decisamente qualcosa che non riusciva a capire.


    «C'è di strano,» riprese il demone, tirando nervosamente fuori il cellulare dalla tasca, «Che sono le otto del mattino, Aziraphale. Le otto del mattino!» Esclamò, girando lo schermo perché potesse vederlo.


L'angelo sussultò.

Quello spiegava molte cose, ma allo stesso tempo non spiegava assolutamente niente.


Buttando distrattamente il dispositivo sul materasso, Crowley si mise a passeggiare ansiosamente avanti e indietro, tornando velocemente ad essere il ritratto del nervosismo. I suoi bei capelli rossi erano ridotti ad un ammasso spettinato a furia di essere strapazzati; aveva la camicia ancora mezza sbottonata, le mani ancora macchiate di chiazze marroncine e la faccia distrutta di chi non doveva aver passato la migliore delle nottate. 

Aziraphale guardò la sedia accanto al letto con aria mesta, sentendosi più in colpa che mai. Era quello il motivo per il quale avrebbe tanto voluto smaterializzarsi e comparire altrove: un pensiero che stava ricominciando a spingere sempre più nella sua mente. 

Come se non bastasse, sembrava che il mondo intero avesse deciso di smettere di girare, lasciandoli nel buio di una notte eterna. L'angelo si chiese se anche quello non fosse colpa sua. Perché era tutta colpa sua, vero?

In fondo era lui quello a metà tra il cielo e la dannazione eterna; lui che non La sentiva più, lui quello nei casini - tanto per cambiare-, lui che doveva necessariamente aver fatto qualcosa per far succedere tutto ciò. Perché Dio non abbandona, non sbaglia e non ti lascia soffrire senza motivo. 

Sì, doveva per forza essere lui il problema. Magari l'aveva fatta arrabbiare così tanto da farLe decidere che quella doveva essere l'unica punizione accettabile. Magari se l'era presa quando se n'era andato ufficialmente dal Paradiso, o magari era proprio colpa di tutto l'affetto che Le era stato tolto in favore di una creatura delle tenebre.

Sentì una scia calda e sottile scendergli giù dalla guancia e raccolse a sé le ginocchia, lasciando che il vuoto iniziasse a mangiarselo. La sua vista si oscurò di nuovo, ma che importanza faceva? Era l'unica cosa che un essere indefinito e inutile come lui avrebbe-


    «Ehi!» Urlò una voce, nel panico.

Quella voce, quella che da sola sapeva farlo sentire meglio.


Aziraphale si passò le dita sugli occhi, cercando di riprendersi. In fondo, se voleva che Crowley smettesse di impanicarsi e di stare così tanto in ansia per lui, doveva provare a metterci del suo e non lasciarsi andare alla disperazione.

Più facile a dirsi che a farsi quando ogni fibra del tuo essere è sballottata tra il piano più alto e quello più basso dell'universo.


**


«Ti ho spaventato, vero? Non volevo urlare, scusami,» prese a dire Crowley, mentre cercava di far sparire le nuove macchie di sangue da sotto gli occhi dell'angelo.


Di cosa ti scusi? Non dipende da te.


    Come se gli avesse letto nel pensiero, Aziraphale scosse la testa: «Non è colpa tua. È la situazione ad essere un po'...» si fermò un attimo a cercare la parola adatta, poi fece semplicemente spallucce e riprese a guardare in basso.

E dire che il suo angelo trovava sempre le parole giuste. Ne conosceva così tante e le esponeva come una sorta di vanto, portandolo ad alzare gli occhi al cielo. Faceva tutto parte del loro gioco: una tacita e scherzosa guerra a turni.


    Non appena il morbido volto angelico fu nuovamente pulito, Crowley vi poggiò entrambe le mani, costringendo delicatamente Aziraphale a guardarlo. «Hai ragione, ma non devi andare in panico, ok? Se tu cerchi di stare calmo, io cerco di stare calmo. Ci stai?»

L'angelo annuì e Crowley lo strinse di nuovo a sé perché sapeva che ne avevano bisogno entrambi, così come quella notte avevano avuto bisogno di intrecciare le dita su quel bus dopo una settimana che chiamare frenetica è dire poco. Era necessario, rassicurante e sì: nonostante le circostanze, era stupendo.

Il modo in cui Aziraphale si sciolse nel suo abbraccio gli fece capire che stava facendo la cosa giusta, almeno per il momento. Qualche tempo prima avrebbe detto che quella roba affettuosa non era da lui, il che in realtà era vero - in parte. L'unica eccezione si stava adesso aggrappando al bavero della sua camicia, affondando la fronte ghiacciata sul suo petto mezzo scoperto. 

Attese con tutta la pazienza che non aveva mai avuto che l'altro si allontanasse, ma non accadde. E per quanto la cosa non gli dispiacesse - anzi, avrebbe voluto fossilizzare quel momento e renderlo infinito - il suo ormai inarrestabile inconscio ruppe la calma.


C'è un problema da risolvere.


Si può strangolare un pensiero? Perché in quel momento Crowley l'avrebbe fatto volentieri. Che poi, più che un pensiero sembrava una specie di sesto senso: c'erano stati momenti in cui aveva anticipato gli eventi. A quel punto le cose erano due: o stava finendo di impazzire del tutto, o qualcosa non quadrava.

Ma non aveva tempo di pensare a se stesso, adesso. 

    Si staccò lentamente dall'angelo, prendendogli le spalle: «Meglio?»


    Con un sorriso e un cenno del capo, l'altro si strinse un po' nelle ali. «Sì, grazie.»


Ottimo. Ora potevano tornare seri.

    Incredibilmente, fu Aziraphale a prendere in mano la situazione. «Gli eventi devono essere collegati, immagino,» disse, giocando distrattamente con una delle sue piume cenerine.


Crowley non poteva che essere d'accordo.

Si alzò dal letto e andò a dare un'occhiata fuori dalla finestra: per le strade la gente aveva già iniziato a girare con le torce accese, in preda alla confusione più totale. Altro che apocalisse: questo era quasi peggio. Almeno la fine del mondo te l'aspetti; questo invece sembrava più una specie di stupido scherzo.

    «Va bene, domanda: cosa ferma il mondo e fa succedere-» si girò verso l'angelo, indicandolo con entrambe le braccia, «Questo?»


    L'altro ovviamente non poté che fare spallucce. «Non ne ho idea» disse mesto. «E se la situazione dovesse peggiorare?» Chiese poi, torturandosi le dita. «Insomma; prima io, poi il mondo intero, e poi?»


Calmalo.


    «Ehi,» ammonì il demone. «Piano. Ricorda cos'abbiamo appena detto.»

Aziraphale era sempre stato un piccolo e rotondo fascio di ansie e preoccupazioni. Nonostante ciò, finora era sempre riuscito a domarle bene: quel comportamento non era normale. Uno moralmente forte come lui non si sarebbe mai fatto prendere dal panico così facilmente: la situazione lo stava decisamente distruggendo.


E allora tu distruggi la situazione.


Esatto, inconscio-barra-sesto senso. Anche se la verità era che, in momenti come quello, Crowley si sarebbe buttato volentieri in un angolino a piagnucolare. 

Ma ehi, se l'angelo aveva bisogno di aiuto, lui accorreva: era quella la regola.


    Aziraphale annuì, come se stesse cercando di scendere a patti con se stesso: «Scusa, hai ragione.»


    «Certo che ce l'ho,» rispose scherzosamente Crowley, andando a ributtarsi sulla sedia. «Adesso, per quanto odi l'idea, dobbiamo partire dall'inizio.»


Bravo.

Grazie, lo so.


    «Devi descrivermi la situazione nei particolari, tutto. Tipo, come i sospettati di un omicidio nelle serie tv.»


Aziraphale non poté fare a meno di sorridere. A quel punto iniziò con calma a parlargli di ciò che era accaduto mentre conversavano al cellulare, ed effettivamente al demone non piacque per niente. A detta del biondo, il senso di vuoto era semplicemente arrivato e Lei aveva deciso di fare armi e bagagli, per poi sparire metaforicamente dalla sua vista. Nulla che già non avesse immaginato.

La domanda principale era: perché? 

Una cosa era certa: arrivarono alla conclusione che Aziraphale e il pianeta erano entrambi a metà di un processo. Uno in mezzo al passaggio tra Paradiso e Inferno, l'altro in mezzo al passaggio dalla notte al giorno.

Cosa significasse, beh, quello era un mistero. Era come se il meccanismo stesso dell'esistenza si fosse bloccato.


    «Stavo pensando ad una cosa,» intervenne l'angelo, «Ma non ti piacerà.»


    Rassicurante. «Sarebbe?»


    «Gli ex-capi devono per forza saperne qualcosa, non credi?» 


    In effetti era ovvio. Tutto ciò che accade sulla Terra finisce necessariamente in mano agli angeli e ai demoni, i quali se ne occupano poi nella maniera che più li aggrada, sfruttando le situazioni. Il che significava... «Dovremmo chiederglielo, dici?» Crowley affondò lungo lo schienale, sbarrando gli occhi e scuotendo la testa: «Dubito mi accoglieranno con un abbraccio e un sorriso sulle labbra.»


    Aziraphale inclinò la testa: «No, ma hanno sviluppato un certo timore nei nostri confronti. E poi, che significa: "mi accoglieranno"? Io non ti faccio andare fin lì da solo.»


    «E io non ti faccio scendere da quel letto, angelo. Già è tanto se mi allontano da te.»


    L'altro incrociò le braccia, stizzito e deluso: «Vorrei rendermi utile, una volta tanto.»


    «Ti renderai utile avvisandomi se qualcosa non va. A proposito,» disse Crowley facendo comparire il cellulare dell'angelo nella sua mano e poggiandoglielo sul comodino, «Tieni il mio numero pronto, va bene?»

Si alzò, prendendo dolcemente il braccio di Aziraphale e aiutandolo a mettersi su un fianco. L'angelo non era felice, se ne rendeva conto, ma doveva accettare la cosa.


Resta vicino.


E avrebbe tanto, tanto, tanto voluto; ma non poteva. Che odio. Era stato così per secoli: "voglio ma non posso"; quel capitolo doveva essere già bello che chiuso.

    «Faccio presto, ok?» Disse, prendendo le fredde mani di Aziraphale tra le sue. «Dai, lo sai che sono una scheggia. Sarò qui tra un secondo.»

Il biondo prese a guardarlo con una serietà e una supplica infinite. Dannati occhietti azzurri; quasi quasi se lo portava e lo costringeva a stare in macchina. In effetti non era malaccio come idea. 

Ma no, era troppo rischioso. Il poveretto non riusciva nemmeno a mettere le sue ali al sicuro, e il Paradiso - o peggio, l'Inferno - avrebbe potuto approfittare di quel momento di debolezza per fargli del male. Era fuori questione.

    «Dai, non fare così,» lo pregò, rivolgendogli un'occhiata di finto rimprovero. Poi un'idea si fece strada nella sua mente, portandolo a irrompere in un sorrisetto furbo: «Sai, mi è venuta un'idea.» 


Aziraphale non rispose. Semplicemente, aggrottò appena la fronte, braccia ancora incrociate e sguardo fisso.


    «Potrei - ma è solo un'idea, eh- provare a vedere se quella brava pasticcera ha voglia di lasciar perdere la situazione della notte eterna per un attimo e, sai, provare a darmi un vassoio di quella roba zuccherosa che ti piace tanto.»

Lo disse con noncuranza, allacciandosi la camicia e ripulendosi le mani.


Davanti a lui, l'altro si era messo a guardare altrove, mordicchiandosi un labbro e torturando nervosamente l'orlo di una delle coperte.

Crowley sorrise, facendo finta di togliersi un pelucchio dalla manica. Tre, due, uno-


    Aziraphale cedette: «E va bene. Ma non farti ammazzare, dico sul serio.»


    Bingo. «Pf, l'hai detto tu, no? Hanno paura. Andrà alla grande.»

E visto che l'altro era tutto fuorché convinto, Crowley si disse che: "ora o mai più". Si abbassò, gli stampò un bacio sulla fronte e si rialzò veloce come una molla, facendo comparire un nuovo paio di occhiali. «Ci vediamo dopo!»

Non si fermò ad assaporare l'espressione sicuramente interdetta dell'angelo, per quanto avesse voluto. 


Semplicemente uscì al freddo di quell'assurda notte, si assicurò che la libreria fosse ben chiusa e si infilò in macchina. Prossima destinazione: l'ultimo posto in cui sarebbe mai voluto tornare.

Quella volta fu un po' più difficile farsi strada nel traffico di gente confusa e preoccupata, ma di nuovo: non che per lui fosse un problema. Fece brutalmente spostare chiunque gli sbarrasse la strada e in un attimo fu davanti all'edificio che tanto avrebbe voluto buttare giù.

Scese dal suo beneamato bolide quasi con un balzo, superò la porta scorrevole e si bloccò.

Qual'è la perfetta conclusione di una mattinata - sempre che si potesse definire tale - del cacchio? Ovvio: ritrovarti davanti a qualcuno che ti sta sullo stomaco, per non dire altro.


A pochi metri da lui, sguardo sconvolto e capelli ancor più sconvolti, c'era Gabriel.

    «Tu...» ringhiò l'arcangelo, socchiudendo quegli assurdi occhi viola che si ritrovava. Diede subito una veloce occhiata dietro di sé, come se avesse paura che qualcuno potesse comparire alle sue spalle.


    Crowley allargò le braccia, sogghignando internamente: «Io. Che sorpresa, eh?»


L'altro si irrigidì e prese a marciare verso di lui. Il demone pensò subito a come far atterrare un pugno su quel perfetto faccino da ebete, ma qualcosa lo fermò.


Stai calmo.


Lo "stare calmo" lo portò ad essere afferrato per un polso da quelle manacce schifose. Tante grazie, inconscio.


    L'arcangelo prese a trascinarlo, tornando nuovamente verso le scale mobili. La sua voce tremante si ridusse ad un sussurro: «So che c'è il tuo zampino, bestia. Non so cos'abbiate combinato tu e quel traditore, ma dovete mettervi fine.»


Sentire quel velo di terrore nascondersi sotto quel fare stoico, rese Crowley schifosamente felice. Mai aveva visto l'espressione sorniona di "Gabe" ridotta in briciole, ma gli avrebbe volentieri scattato una foto da guardare nei momenti bui.

    «Hai appena superato il numero massimo di cazzate,» gli disse, un'espressione tra l'offeso e il divertito. «Non so di cosa stai parlando.»


Superarono le porte del Paradiso a passo svelto. La presa di Gabriel si fece più forte e il suo sguardo più preoccupato, intanto che si addentravano nel fastidiosissimo biancore di quell'attico immacolato.

    «Te lo dico subito di cosa sto parlando,» disse l'arcangelo scoccandogli un'occhiataccia.


Quando arrivarono a quello che Crowley chiamava "il quartier generale", la loro corsa finì. Davanti a loro si aprì una scena surreale e il demone, nonostante gli sforzi, sbarrò gli occhi e irruppe in una risata.


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Capitolo 5
*** Dio non muore ***


Aziraphale rimase inebetito a fissare il vuoto per chissà quanto tempo. Si sfiorò la fronte più volte, quasi riassaporando il tocco di quelle labbra sottili che si posavano sulla sua pelle gelata. Avrebbe voluto racchiudere quel leggero calore e conservarlo prima che sparisse, in modo da stringerlo a sé durante il breve periodo di solitudine.

Era stato strano. Uno "strano" positivo, però.

Si rese conto che non gli dispiaceva affatto. Si ritrovò a sorridere e, in parte, a ridere di sé stesso. Si era sempre auto-considerato un solitario, e in effetti era sempre stato un amante della calma, della privacy e del tempo per sé. E adesso? Adesso stava disperatamente sperando nel tocco e nei baci dell'altro.


La verità era che - non appena Crowley era uscito, il freddo, il bruciore e il dolore avevano ripreso a martellarlo. Forse avrebbe dovuto chiamarlo: in fondo, era l'unica cosa che gli era stata chiesta di fare.

Ma no: il demone si era spinto nel cuore di quella nottata inusuale per indagare ed aiutarlo. Mentre lui, ridotto ad uno straccio, poteva solo starsene lì a soffrire nella sua assurda posizione. L'ultima cosa che voleva era mettersi a piagnucolare. Seppur non più del tutto, era pur sempre un angelo: era abbastanza forte da sopportare la situazione per un po'.

O almeno, così sperava.

Si chiese se alla fine - fermo restando che il disastro in cui si trovava fosse risolvibile, il processo si sarebbe effettivamente concluso con lui che faceva il fantomatico "giro di sotto". Una volta che hai iniziato a Cadere, puoi solo scendere, no?


Si passò le mani sulla faccia, avvolgendosi nelle ali e chiedendosi se non fosse il caso di distrarsi. Avrebbe voluto continuare a leggere il libro che aveva lasciato a metà, ma la sola idea di farlo comparire accanto a lui gli fece venire mal di testa. Si sarebbe accontentato di uno dei volumi già presenti nella stanza - anche se la maggior parte di essi erano stampati vividi nella sua memoria.

Con una lentezza terribile, si costrinse a sgusciare fuori dal letto per avvicinarsi ad un'ordinata pila di vecchi libri. Ne prese uno che non toccava da un po' e diede un'occhiata al di fuori: le stelle brillavano come nei suoi sogni, e il cielo era così bello e luminoso da contrastare terribilmente con il caos di gente confusa e ansiosa che si stava formando al di sotto. 

Preso dalla curiosità e dalla preoccupazione, aprì la finestra per osservare meglio l'andazzo ma l'aria fredda del primo inverno lo colpì così forte da costringerlo a richiudere le imposte e fare due passi indietro. Pessima, pessima idea.


Usando le sue ora perlacee ali come fossero un sostituto del plaid, Aziraphale tornò sotto le coperte, deciso a lasciarsi momentaneamente le circostanze alle spalle.

Per un po' ci riuscì. Era sempre bello perdersi tra le parole stampate, anche se non era nelle sue solite capacità di concentrazione e isolamento.

Capì di essere arrivato al limite quando si ritrovò a strofinarsi gli occhi stanchi. Non se ne stupì: ormai anche fare la minima azione era diventato faticoso. Muoversi era un dramma e i suoi pensieri, per qualche motivo, andavano sempre ad annidarsi in un angolino buio e tetro, dove iniziavano a sussurrargli che sarebbe stato meglio se fosse sparito. Senza di lui, il mondo avrebbe ricominciato a girare e le cose sarebbero tornate come prima; Crowley non si sarebbe più dovuto fare in quattro per nessuno, e Dio avrebbe smesso di essere tanto arrabbiata.

Fortunatamente, aveva un lato logico pronto ad arare quelle convinzioni. Prima di tutto, Crowley non lo vedeva come un peso; e dato che non sentiva più Dio, non poteva sapere se si fosse effettivamente alterata con lui. Le opzioni erano tutte aperte.


Guardò il cellulare, leggermente preoccupato. Vero era che Inferno e Paradiso avevano praticamente iniziato a temerli; nonostante ciò, Aziraphale decise che la prudenza non è mai troppa. Prese il dispositivo che tanto detestava e si mise faticosamente a scrivere:

    "Come sta andando?"

Aspettò pazientemente la risposta, poggiando l'aggeggio bluastro sul letto e raccogliendo le ginocchia. 

Rimase infagottato, circondato a sé stesso e avvolto nel silenzio. Alla fine si ritrovò involontariamente a pensare a quel bel cielo notturno. La figura che vedeva spesso nei suoi sogni e che tanto amava avere accanto: si chiese se non fosse Dio. Magari il suo essere martoriato lo stava spingendo a pensare che potesse ancora volergli bene.


    «Scusa, non volevo svegliarti.»

Oh, eccola. O "eccolo", non avrebbe saputo dirlo. Non faceva differenza: era così felice di sapere che fosse lì, con le mani sempre affondate nei suoi riccioli.

    «Torna a dormire, prometto che faccio piano questa volta.»

C'erano le nuvole sotto di loro e le sue ali erano ancora bianche. Perché tornare alla realtà quando lì si stava così bene? 

    «Non preoccuparti,» si ritrovò a rispondere. 

Sorrise mentre la figura riprendeva ad accarezzargli la testa con amore. Sì, voleva restare lì per sempre.

Ma nulla è per sempre.

Quando quel dolce tocco sparì, al suo posto arrivarono una serie di clangori. Sembravano spade che cozzavano, seguite da urla lancinanti di rabbia e dolore.

Era solo.


Si svegliò di colpo, senza capire quando si fosse addormentato in primis.

Era finito di schiena sul cuscino, e tanto gli era bastato per balzare a sedere, subito colto dal lancinante e ormai familiare bruciore alla schiena.


Come se non bastasse, il cellulare stava squillando. 

Ancora mezzo confuso, l'angelo lo prese tra le mani tremanti e - con un respiro profondo di assestamento - rispose.


**


Non c'era angelo del Paradiso che non stesse andando in panico. Tutti non facevano altro che sbattere l'uno contro l'altro, strillarsi contro, gesticolare impazziti e mettersi le mani nei capelli. Era una scena meravigliosa: regnava il caos più totale e quegli stronzetti di bianco vestiti stavano finalmente assaporando un po'di sana giustizia.

Crowley faticò seriamente a smettere di ridere. Era troppo divertente: sembravano uno sciame di api impazzite. Davvero, quasi ci stava fare un video.


    «Smetti di fare l'imbecille!» Tuonò Gabriel, seppur standogli a qualche metro di distanza. Il suo timore era la ciliegina su quel disastro di torta, e rendeva il tutto ancor più esilarante.


    «Vedi di calmarti,» rispose il demone, ricomponendosi a stento. «Magari fossi stato io. Sembrate dei perfetti scemi.»

Se il suo inconscio fosse stato una persona, in quel momento avrebbe scosso la testa. 

    «Piuttosto, perché tanta confusione?»

Domanda stupida: c'erano abbastanza motivi per dare di matto. Ma dal preoccupare un solo arcangelo al far impazzire tutto il piano di sopra, ce ne voleva.


    Gabriel strinse i pugni. Era leggermente sbiancato, segno inequivocabile del fatto che la paura stava prendendo il sopravvento. «Scommetto che il tuo angelo non se n'è nemmeno accorto, vero? Sicuramente era troppo preso a ingozzarsi.»


Calmati.


    In effetti, il pugno che Crowley avrebbe voluto dargli poco prima aveva già iniziato a formarsi, sbiancandogli le nocche: «Bada a come parli, Gabe. Ricorda chi hai davanti,» disse, enfatizzando l'ultima parte con un sibilo.


    «Le tue sguazzate nell'acqua santa sono l'ultimo dei miei problemi, bestia!» Esplose l'arcangelo, ormai nel panico come il resto dei suoi sottoposti. «Dio è sparita!»


Quelle tre parole piombarono addosso al demone come un meteorite. Rimbombarono come un eco, infrangedosi in mille pezzi per poi ricomporsi e tornare ad espandersi come un palloncino pronto a scoppiare.

    «Come sarebbe a dire?!» Esclamò.


    «Mi hai sentito. Nemmeno il Metatron sa che pesci pigliare!»

Come se quelle parole fossero state una specie di formula magica, le luci dell'attico iniziarono a sfarfallare. L'intermittenza portò le urla ad intensificarsi, poi si stabilizzò, lasciando il Paradiso un po' più al buio.

    «E chi credi che prenderà la palla al balzo?» Continuò Gabriel, gli occhi ora più lilla che altro. «I tuoi ex-colleghi, ecco chi.»


La mente di Crowley prese a galoppare - anzi, no; prese a sfrecciare come una macchinina degli autoscontro, andando a sbattere a destra e a manca nella sua testa. Ora tutto era chiaro: sembrava che l'intera esistenza avesse perso un pezzo perché era proprio così. Non era una metafora, era la pura realtà.

L'universo era ridotto ad un orologio senza meccanismi, ad un corpo senza cuore o una testa senza cervello. E tutto ciò che Lei pensava in cielo, si riversava sulla Terra: tutto era influenzato dalle Sue intenzioni. Il giorno e la notte si alternavano grazie a Lei, e il suo angelo-

Doveva tornare da lui.

    «Beh, Gabe, mi dispiace per voi,» disse, cercando di liquidare l'arcangelo. «Ma io non c'entro niente.»

Fece per fare dietrofront, ma l'altro lo afferrò di nuovo.


    «Non sei di certo venuto qui per una riunione di famiglia, no?»

Nel tono di Gabriel si sentiva ora una punta di scherno. Quel dannato deficiente si meritava una sberla ora più che mai.

    «È successo qualcosa, non è vero? Da quando tu e Aziraphale non girate appiccicati l'uno a l'altro, eh?»


Non farlo.


    Con uno strattone, Crowley si liberò da quella stretta forte e viscida. «Non sono cazzi tuoi.»


Gabriel scosse la testa. Sembrava esattamente come il demone lo aveva visto il giorno dello scambio: se la stava facendo sotto, mantenendo però la sua plastica compostezza. Aveva persino lo stesso cazzo di sorrisetto irritante che si ergeva sopra la sempre più crescente preoccupazione.

    «Non mi stupirei nello scoprire che ci avete condannati tutti, fermando l'Apocalisse. Avete fottuto l'intero Paradiso solo per scambiarvi qualche bacetto.»


Ti prego, no.


Niente da fare: quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Finalmente il pugno riuscì ad atterrare proprio sul naso dell'arcangelo, spedendolo a terra e riducendolo ad un'agonizzante figurina grigia che grondava sangue dalle narici.

    Crowley non si era mai sentito meglio in vita sua. «Te l'avevo detto che non erano cazzi tuoi.»

Detto ciò, tornò indietro, passando in mezzo al caos come se questo non esistesse.


Le sue gambe si muovevano da sole, spinte da quella che si rese conto essere l'effettiva gravità della situazione. Su una cosa mister stronzetto aveva ragione: se Dio non c'era, a farla da padrone restava solo la sua controparte non esattamente benevola. Gli venivano i brividi solo al ricordarlo mentre usciva fuori dall'asfalto della base aerea di Tadfield. 

Non appena anche solo un demone si fosse accorto della situazione, tutto sarebbe inevitabilmente crollato nel giro di poco tempo. La Terra sarebbe caduta in mano al male assoluto e le parole di Nietzsche avrebbero avuto un senso: "Dio è morto".

Ma Dio è immortale per definizione, no? Non può semplicemente sparire e lasciare i suoi angeli alla mercé del caos, del sangue e del dolore. O meglio: per quel che gli riguardava, poteva anche farli cadere, farli soffrire tutti.

Tutti tranne uno.


A quel punto, fare una capatina all'Inferno era fuori discussione. Volò in macchina e tirò fuori il cellulare; un ipotetico colpo al cuore accompagnò la notifica di un messaggio non letto.

    "Come sta andando?"

Ovviamente Aziraphale era preoccupato. Non era passata che una mezz'oretta, ma - di nuovo - l'idea di avvicinarsi ai quartier generali non era mai allettante. Anzi, dopo quella faccenda, Crowley era adesso convinto al cento per cento di non volercisi più avvicinare. Mai, mai, mai più.


Decise di far partire una chiamata. Mise il vivavoce, partì e pregò, beh... Qualcuno, che l'angelo rispondesse. 


Tranquillo.


    Con un paio di fruscii, la risposta arrivò. «Hai fatto?» Chiese una voce rauca, stanca e sofferente.


    «Già e ho una notizia sia buona che terrificante. Passo a prendere quelle cose e arrivo, ok?»

Mentre parlava, si chiese come avrebbe fatto a spiegare il fatto senza mandare il poveretto in paranoia.


    «Va bene. Non traumatizzare la poveretta: dev'essere rimasta scombussolata da tutto quello che sta succedendo.»

Figurati se l'angelo non si metteva a preoccuparsi della salute mentale della pasticcera. Non era di certo lei quella ferma a letto con le spalle in fiamme, accidenti a lui.


    «Farò del mio meglio,» rispose Crowley, alzando gli occhi al cielo. «Sembri distrutto. Cosa c'è?»


    «Il solito,» rispose l'altro. Stava ovviamente facendo il vago, e la cosa non andava affatto bene.


    «Quando torno mi dici tutto,» impose. «Va bene?»

Svoltò verso la pasticceria, scoprendola incredibilmente aperta. Era anche bella affollata: gli umani si stavano decisamente riunendo alla ricerca di protezione e conforto, soprattutto nei posti che normalmente usavano per incontrarsi e prendersi qualcosa di buono. Presto il mondo non avrebbe parlato d'altro che di quello strano ed inquietante fenomeno, e il demone non sapeva se preoccuparsi del caos che si sarebbe creato, o fare appello alla capacità che l'umanità aveva sempre avuto di adattarsi alle situazioni. Il problema è che adattarsi alla notte era una cosa; sopravvivere ad un mondo in mano al male, beh...


    «Va bene, anche se il tuo tono mi preoccupa,» aveva risposto Aziraphale nel frattempo. «A dopo.»


    «A dopo. Faccio presto.»

Chiuse la chiamata e andò a fare quel che doveva.


    L'umana che gestiva il posto lo conosceva bene. Anzi, quando lo vide entrare si mise una mano sul cuore, preoccupata: «Signor Crowley, sono felice di vederla, sa? Ha visto che sta succedendo?»

Il demone non poté che stare al gioco, sfruttando la situazione per chiederle se - magari - non potesse riempire leggermente di più il solito vassoio. Inutile dire che bastò nominarle il suo dolce e gentile cliente preferito per farla sorridere e convincerla che sì, certo che poteva mettere due pasticcini in più. E poi - oh? Si era ammalato? Povero caro. Certo che poteva abbassare un po' il prezzo; in fondo era una situazione particolare.

Altro che "traumatizzare", era stato anche fin troppo facile. 


Dannata nottata e ancor più dannata mezza Caduta. Se non fosse stato per loro, il pugno a Gabriel e il profumato sacchetto sul sedile del passeggero avrebbero reso quella giornata semplicemente perfetta. 


Non avresti dovuto.


    «Ma finiscila. Se lo meritava ed era da troppo tempo che volevo farlo. E poi che vuoi che sia? Si sarà già curato a quest'ora.»

Arrivò a Soho, parcheggiò quasi finendo con una ruota sul marciapiede e scese con il suo fumante bottino tra le mani. 

Ad un passo dall'entrata della libreria si bloccò. Aveva di nuovo parlato ai suoi pensieri, vero? Si chiese se esistesse uno psichiatra infernale, perché ne aveva decisamente bisogno.


Dovresti provare ad ascoltare.


    Con uno sbuffo, aprì la porta. «Ascoltare chi, te? No, grazie. Anzi: se sparissi mi faresti un piacere.»


Capiresti.


    «Come ti pare.»

    Salì agilmente gli scalini ed entrò nella cameretta al piano di sopra. «Indovina chi è riuscito a farsi dare due dolci in più?»


    Sul letto, Aziraphale si strofinò gli occhi e sorrise: «Davvero?» Chiese. Poi si fece improvvisamente serio: «Non l'hai spaventata o che, vero?»


    «Ma se era aperta,» spiegò Crowley aprendo la busta e iniziando ad avvolgere uno dei pasticcini in un tovagliolo che prima non era assolutamente lì. «E ti saluta. Quando le ho detto che ti sei beccato "l'influenza" si è messa a chiedermi se non fosse il caso di esagerare con lo zucchero a velo.»

Sul serio, però: era una fortuna che nessuno di loro due potesse avere il diabete. O la carie. O un infarto, a quel punto.


    L'altro tornò a sorridere: «È sempre così gentile. Devo andare a ringraziarla quando posso.»

Vederlo stare bene fece andare Crowley in brodo di giuggiole. Quella facciotta soddisfatta era un raggio di sole tra le nubi, letteralmente: la vera forma di Aziraphale era composta perlopiù da luce, e alle volte - quando l'angelo era particolarmente felice - poteva quasi vederla. A proposito: forse avrebbe dovuto controllarla, ma glielo avrebbe chiesto più tardi. Ora voleva solo che si godesse la colazione in pace.


Prima di accomodarsi alla solita sedia, andò velocemente a preparare il tè e tornò al suo posto, assicurandosi di mettere l'altro il più possibile a suo agio.

    «Tutto bene?» Chiese, più spesso di quanto avrebbe voluto. 

Ad ogni "mhmh" detto a bocca piena ed ogni annuire, l'ansia si fece meno stretta.

In ogni caso, le domande di rito erano d'obbligo: schiena? In fiamme, ok. Mani? Ghiacciate, e la tazza bollente non sembrava aiutare. Petto? Dolorante, va bene. Quella ferita era ancora in cima alla lista di: "cose da tenere assolutamente d'occhio".

    «Hai dormito?»

Lui lo sapeva meglio di chiunque altro che, quando hai un problema, dormirci su è la migliore delle soluzioni - soprattutto se il secolo che stai vivendo ti fa schifo e hai voglia di saltarlo del tutto. All'angelo la pratica non era mai piaciuta: lo costringeva ad abbassare completamente la guardia e non se lo poteva permettere; o almeno, così gli aveva sempre detto.


    Aziraphale annuì mesto: «Sì, credo di aver avuto un mezzo incubo.»


    «Beh, quando capita a me ti costringo a sorbirti tutte le mie lamentele. Ora puoi vendicarti,» scherzò Crowley, nonostante la notizia l'avesse effettivamente turbato. Ci mancava solo che il suo angelo non riuscisse a riposarsi.


    L'altro fece una mezza risata: «Magari dopo. A te com'è andata?» Chiese, strofinandosi le braccia. «Da quel che ho capito, non è una situazione semplice, eh?»


Non che si aspettasse il contrario. Nessuno dei due se l'aspettava - ma adesso che era costretto a scendere nuovamente a patti con la situazione, il demone si sentì schiacciato dal peso della paura. L'angelo era imprevedibile: e se si fosse spaventato? Già il crollo emotivo che aveva avuto prima che si separassero non era stato un buon segno.

Non sapeva nemmeno come iniziare la conversazione. "Ehi, lo sai che ho dato un pugno in faccia al tuo ex-capo?"


Meglio di no.


    «Beh,» disse infine. «Cerchiamo di metterla sul piano positivo. Dio non manca in te: manca dappertutto.»

Wow. Era quello il piano positivo? Che schifo.


Aziraphale sbarrò gli occhi. Per un po' non disse niente: si mise semplicemente a fissare il vuoto, la fronte che si corrugava e stendeva a ritmo dei suoi pensieri. Aveva preso a giocherellare nervosamente con una piuma, abitudine che di solito riversava sui bottoni della giacca quando il nervosismo se lo mangiava. 

    «Come sarebbe a dire?» Balbettò infine.

Una sottile striscia rossastra gli si era formata tra gli occhi e le palpebre, segno inequivocabile che stava per mettersi di nuovo a piangere.

    «E dov'è, allora?»


    Crowley scosse il capo, armandosi dell'ormai immancabile pezza bagnata. «Non lo so. So solo che ha lasciato il Paradiso in subbuglio, la Terra al buio e te a soffrire.»

Per un attimo, sentì quella maledetta vocina fare capolino da qualche parte nella sua testa, ma - per la prima volta da quand'era comparsa - riuscì a ricacciarla indietro.


    «Ma non ha senso,» continuò l'altro, con un filo di voce. «Non ha nessun senso. Non lo farebbe mai,» una striscia bordeaux e oro rotolò giù per la sua guancia. «Dev'esserLe successo qualcosa.»


    Ripulendolo, il demone lo circondò con un braccio: «Può essere,» rispose, non del tutto convinto. Dio era capacissima di lasciare il mondo in mano a chi ci viveva. Aveva un modo di fare tutto Suo e nessuno riusciva a capire quale fosse, ma soprattutto: aveva la brutta abitudine di fare le cose senza spiegarle.

Crowley se lo ricordava bene. 

    «Beh, però,» aggiunse, «Questo significa anche che non sei tu il problema.»


    Aziraphale si sciolse nella sua stretta, poggiandosi a lui come fosse l'unica colonna portante del pianeta. «Ne sei sicuro?» chiese tristemente.


    «Sicuro? Ne sono sicurissimo, angelo. Ne sono dannatamente sicuro.»

Per quanto fossero solo parole, sembrarono fare effetto. Tanto bastava, per il momento.

    «Ah, sai che ho dato un pugno in faccia a Gabe?»


Crowley.

Cosa? È il modo migliore per risollevare l'atmosfera.


    Dopo un paio di secondi di silenzio, Aziraphale si portò una mano alla bocca, soffocando una risata: «Davvero?» Chiese. Aveva quell'espressione da: "Non dovrei ridere: dovrei dirtene quattro. Ma ammetto che immaginare la scena è stato fantastico".


Crowley: uno, voce rompi palle: zero.


    «Già,» ammise il demone, trionfante. «Situazione a parte, è stato divertente. Magari la prossima volta impara a lavarsi la bocca con il sapone.»


    «Oh, no.» L'angelo mise su un'espressione contrariata, rimettendosi composto e guardandolo serio: «Perchè, che ti ha detto?»


Ci volle un po' per convincerlo che, davvero, non era niente. Era adorabile quando faceva così: pronto a mettersi contro chiunque provasse a dire "cose poco carine" al suo demone. Tranne quando si arrabbiava davvero: lì sì che faceva paura, accidenti. Mai far arrabbiare un angelo: essere inceneriti dalla luce divina è una fine che nemmeno la peggiore creatura dell'universo si meriterebbe.


Alla fine, decisero che avrebbero pensato a qualcosa verso sera. O meglio, lo decise Crowley.

Aziraphale avrebbe voluto sistemare le cose il prima possibile, ma ogni goccia di sangue che versava lo riduceva in briciole. Quelle poche lacrime non erano state da meno: non faceva altro che passarsi le mani sugli occhi e si vedeva che al momento pensare era off-limits per lui.

Farfugliò qualcosa sul fatto che non avevano tempo, che chissà cos'avrebbero fatto al piano di sotto. E aveva ragione, aveva assolutamente ragione, come sempre.

Alla fine si addormentò di nuovo. 


Questo posto è sicuro.


    «Se parli della libreria e dei demoni, sì: non possono entrare. Tranne me, chiaro. Piccola protezione che ho voluto-»

Ecco, l'aveva fregato di nuovo.

    «Non ti avevo chiesto di sloggiare?»


Non posso. Devi ascoltarmi.


    «Passa quando tutto questo sarà finito, allora.»

Ancora non era sicuro di cosa si trattasse; se fosse tutto frutto della sua immaginazione - assolutamente possibile - o se fosse effettivamente qualcos'altro... o qualcun altro.

Nah. I demoni posseggono, non vengono posseduti. Non che impazzire completamente fosse un'idea altrettanto allettante...


Si mise distrattamente a giocherellare con i riccioli dell'angelo. Era quasi rilassante, e poi: segretamente aveva sempre voluto farlo. 

Passò lentamente le dita in mezzo a quelle volute bianche e perfette, chiedendosi perché quei gesti gli sembrassero così familiari e rassicuranti. Magari era solo una sua impressione; un modo per sentirsi meglio in mezzo al marasma che stava avvenendo attorno a loro.


È bello, non è vero?


Lo era. Lo era davvero.

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Capitolo 6
*** Dio non parla... ***


Era solo e stava gridando.

Il terreno era aspro e rotto; lame fiammanti si scontravano senza pietà e l'aria era intrisa di sangue fresco e zolfo. Attorno a lui c'erano innumerevoli pozze dorate sovrastate da esanimi corpi bianchi e angeli che si scontravano tra di loro, infilzandosi a vicenda e strillando. 

Ricordava quel giorno: se lo ricordavano tutti. Lui, dal canto suo, ricordava di non aver mai alzato la lama. Sapeva di aver girato per il campo di battaglia come un fantasma, finendo occasionalmente sotto tiro. Quel suo comportamento lo avrebbe messo in cattiva luce a scontro terminato: era soprattutto per quello che gli arcangeli non lo avevano mai visto di buon occhio. Lo consideravano una debole, piccola, tremante fiammella alata incapace di difendere ciò in cui crede.

Non ricordava di star cercando qualcuno, però. Non si era fatto molti amici in Paradiso: era stato uno degli ultimi a nascere, e solitamente scambiava poche parole con quei pochi angeli dal chiacchiericcio facile. Di certo, non aveva legato con qualcuno tanto da rischiare di morire per trovarlo in mezzo allo scontro.

Eppure stava gridando un nome, facendo saettare lo sguardo a destra e a manca. Di tanto in tanto guardava i morti riversi a terra, alla ricerca di qualcosa; altre volte ancora osservava i ribelli venire risucchiati dalla terra che si apriva sotto di loro. Dov'era?

Ma dov'era chi? La figura, forse: quella che lo coccolava sotto le stelle. Ma non sapeva nemmeno come fosse fatta... sapeva solo che perderla avrebbe significato la fine dei suoi sogni e l'inizio dei suoi incubi.


Continuò a vagare sconsolato. Sentiva un leggero dolore alla gola, nonostante non avesse ancora un corpo: sicuramente colpa di tutta la voce che stava consumando alla ricerca di- di chi?


Qualcosa di pesante gli piombò sulle spalle, buttandolo a terra.


**


Crowley aveva deciso di passare il tempo appiccicato alla finestra. Sobbalzava ad ogni ombra che vedeva passare sul marciapiede, interrompendo continuamente i suoi ragionamenti. Il suo piano in caso di emergenza - per ora - era fermare il tempo, prendere Aziraphale e scappare il più lontano possibile.

Sapeva di dover trovare qualcosa di più consistente, ma era preda di un blocco. Aveva troppe preoccupazioni e quando ciò accadeva, si ritrovava sempre a fare le cose d'istinto. Fuggire via era il suo istinto migliore: quello che balzava fuori nelle situazioni peggiori.

Va bene che la libreria era paragonabile ad un bunker, ormai - ma ciò non eliminava l'assurdità e l'imprevedibilità della situazione. Tutto sarebbe potuto accadere: doveva stare in campana e cercare di individuare ogni possibile pericolo prima che il pericolo individuasse loro. 


Di tanto in tanto, per rilassarsi, dava qualche veloce sguardo alle stelle.


Te le ricordi?


Se le ricordava eccome. Quell'angolino dove stava la Stella Polare l'aveva fatto lui - nel senso che ci aveva messo gli astri. Era rimasto l'ultimo pezzo di cielo ancora vuoto, e aveva deciso di renderlo il più luminoso e visibile possibile: uno dei pochi ricordi positivi che conservava del periodo precedente alla Caduta. Tutto il resto aveva preferito dimenticarlo, come il suo vecchio nome - il che era pratica comune: nessun demone voleva portarsi dietro il fardello dell'identità che aveva volutamente rinnegato.

Non che gliene importasse qualcosa. Anche se a dirla tutta, lui non avrebbe mai voluto rinnegare niente: erano stati gli altri a spingerlo.


E la tua curiosità.


Come se quella da sola potesse costituire un problema. E poi, non era colpa sua se Dio si aspettava di fare grandi progetti senza spiegare niente a coloro che avrebbero dovuto aiutarLa a compierli. Non ci si può comportare così e aspettarsi il silenzio, no? Prima o poi qualcuno si alza e inizia a curiosare, a chiederti e a pretendere spiegazioni. 

E a Crowley le spiegazioni non erano mai arrivate, così come non erano arrivate a nessuno. L'unica risposta che avevano ricevuto era stata una guerra finita con ali bruciate ed angeli morti. Ricordava di averne parlato con Aziraphale una sera, e aveva scoperto che - in qualche modo - il biondo era riuscito ad uscirne senza spillare una goccia di sangue. Doveva odiarla proprio quella spada.

Ma poi perché diamine si ritrovavano sempre a parlare di quelle cose?


Fa parte della vostra esistenza, in fondo.


Nemmeno si conoscevano all'epoca. In poche parole: non era stato un periodo interessante; anzi, alle volte Crowley si sentiva come se non lo avesse mai vissuto. Poco male.


Aveva appena ripreso a guardare la strada, quando venne distratto da un leggero mugugno alle sue spalle. Si voltò così velocemente da farsi venire male al collo, e in mezzo secondo fu accanto al letto. Scostò le coperte per controllare che Aziraphale stesse bene e tirò un ipotetico respiro di sollievo nel vederlo rilassato. Pareva anche star meglio: non fosse stato per il fatto che sembrava un ghiacciolo, la scena sarebbe sembrata più inusuale che altro.

Inusuale e dannatamente tenera.


Diede un'occhiata a l'ora, decidendo di lasciare all'angelo un'ultima mezz'oretta di calma. Sarebbe dovuto tornare a controllare fuori, ma ormai aveva messo un braccio sul materasso e ci aveva poggiato sopra la testa, iniziando a sfiorare quelle morbide e rotonde guance fredde con un leggero sorriso stampato in faccia. Quando si perdeva in quei gesti, si sentiva come se non fosse mai successo niente; gli davano la possibilità di lasciar perdere tutto il male a cui aveva assistito in quei quasi due giorni.


Rimase dieci minuti buoni concentrato solo sulle carezze, finché non vide il volto dell'altro iniziare lentamente a corrugarsi. Non fece in tempo a reagire che l'angelo si era già portato le ali sul volto, riprendendo a balbettare sottovoce.

Fantastico, ci mancava solo quello. Maledetti incubi: avrebbe dovuto farseli raccontare, anche se forse non sarebbe cambiato molto. Certamente era meglio che tenersi tutto dentro, cosa in cui l'angelo era bravissimo.

    Con il panico che già ammontava dentro di sé, Crowley spostò le piume grigiastre e affondò le mani tra i riccioli e le tempie dell'altro: «Ehi, che c'è, cosa succede?» Chiese in un soffio. 

L'unica risposta che ricevette furono altri due incomprensibili rantoli. 


Lascialo stare, solo per un attimo.

Ma vaffanculo.


Non ci pensava neanche ad allontanarsi, anzi: lo tirò a sé, in una mezza scrollata. Doveva rassicurarlo in qualche modo, farlo calmare o svegliarlo in quell'istante in modo da interrompere qualsiasi cosa lo stesse turbando.

Un moto istintivo lo portò a baciargli la fronte, poi le guance, poi-


Due mani gli strinsero le spalle e lo respinsero, spingendolo all'indietro.

Aziraphale aveva sbarrato gli occhi, mettendosi a fissare il pavimento come se avesse appena assistito alla scena più terrificante e grottesca della sua esistenza.


Nella mente del demone iniziarono ad avvinghiarsi i pensieri più disparati: aveva esagerato, vero? Aveva decisamente esagerato. Non avrebbe dovuto, cazzo, cazzo, ca-


Non sei stato tu.


    Le fredde mani dell'altro si aggrapparono alle sue spalle, stringendogli la camicia così forte da rischiare di strapparla. «Scusa...» balbettò. Fu allora che sul suo petto iniziò a formarsi una larga chiazza scura.


    Crowley capì di doversi ricomporre e subito. «Calmati, stai giù,» disse, chiedendosi dove diamine avesse messo la testa. Non era quello il momento di lasciarsi prendere dalle smancerie, accidenti a lui e a quella stupida-


Calmati.


Esatto, lei. Iniziava a volersela strappare di dosso a mani nude.


Avresti dovuto aspettare.


    «Ehi, fai male...»


Quel tono tremante lo fece tornare alla realtà, dove scoprì di aver alzato il maglioncino dell'angelo con una veemenza nervosa.

    «Scusami. Faccio piano stavolta, promesso.»

Si mise a sistemare la misteriosa ferita, chiedendosi per l'ennesima volta perché ci fosse e perché cavolo non stesse guarendo. Era rimasta la stessa linea vermiglia del giorno prima.


Non sparirà così.


E come? Lasciando che l'angelo venisse mangiato dagli incubi? Lasciando che morisse di paura? Lasciando che sanguinasse come un, come un- 


    «Crowley,» lo chiamò debolmente Aziraphale, intanto che lavorava. «Stai bene?»


Tipico. Oh, tipico. Mai una volta che quel pazzo pensasse a sé stesso: aveva uno spirito di conservazione pari a zero.

    «Dovrei essere io a chiederlo a te.»


    «L'hai già fatto,» rispose l'altro con un leggero sorriso. «E stai mugugnando.»


    Maledetta vocina. Stava prendendo il sopravvento. «È solo nervosismo, lascia stare. Piuttosto: che ti è successo?» Chiese, facendo comparire bende e panni puliti. «E stavolta non scappi: dimmelo e basta.»


    «È solo un incubo,» rispose Aziraphale, tirandosi una delle coperte fin sopra alle spalle. «Non ha importanza. Dovremmo parlare di quello che sta succedendo, piuttosto.»


Ha molta importanza, invece.


Certo che ne aveva. Eppure, vero era che la "questione Dio" doveva permanere la priorità. Magari, adesso potevano ragionarci assieme e provare a cavare un ragno dal buco.

    Con uno sbuffo, Crowley decise che ciò che diceva il suo angelo era decisamente più importante di quello che asseriva il suo inconscio - o voce rompi palle interiore, che dir si voglia. «Va bene, ma vieni qui,» disse allargando le braccia e aspettando che l'altro si avvicinasse un po'. Voleva avere il permesso stavolta. «Tremi come una foglia.»

Non dovette aspettare molto per stringere quella fragile e fremente figurina che, anche stavolta, parve afflosciarsi tra le sue braccia.

Come poteva lasciarlo andare? Aveva sempre e costantemente bisogno di avere qualcuno accanto. Da solo avrebbe semplicemente continuato a soffrire ininterrottamente.


**


L'ipotetico pomeriggio, divenne un'ipotetica sera. L'ipotetica sera, un'ipotetica notte. L'ipotetica notte, un ipotetico nuovo giorno. Il cielo al di fuori permase scuro e costellato di piccole luci biancastre. Il tempo stesso esisteva ormai solo negli orologi e nell'abitudine delle persone. 

Aziraphale provò a non pensare a ciò che aveva visto dopo che il suo sogno lo aveva scaraventato sull'aspro terreno del campo di battaglia. Provò più volte a staccarsi da quell'abbraccio e prendere in mano la situazione, ma non ci riuscì. Inoltre, dopo un po' sentì Crowley rilassarsi contro di lui, allentare la stretta e poggiare pigramente la testa sulla sua. Decise quindi che ora toccava a lui lasciarlo dormire e intervenire nel caso fosse successo qualcosa.

Magari non era la cosa giusta da fare, ma gli diede il tempo di fare pace con la sua testa e ragionare. Per questo arrivò presto ad avere una piccola idea che non era granché, ma era decisamente qualcosa. E avere anche solo "qualcosa" in quel marasma di freddo, caldo, dolore e vuoto, era una vittoria non da poco.


    Quando sentì l'altro alzare la testa, raccolse ogni fibra di se stesso e sorrise: «Buongiorno. Sarai felice di sapere che forse so da dove potremmo iniziare.» 

    Si sedette, sgranchiendo un po' le ali e dando una sistemata alle piume che aveva involontariamente piegato. «Stai meglio?»


    «"Stai meglio"? Continui a chiedere se io- cioè, non- pf, vabbè. Lascia stare,» bofonchiò l'altro passandosi le mani sugli occhi. «Perchè diamine non mi hai svegliato?»


    «Perchè non sarebbe stato giusto e perché non volevo,» rispose l'angelo, facendo spallucce. «Allora, vuoi sapere a cosa ho pensato?»


    Crowley alzò gli occhi al cielo, non senza farsi scappare un mezzo sorrisetto: «Ovvio, che domande. Dai, spara.»


Il cerchio che teneva nascosto sotto al tappeto al piano di sotto gli era veramente stato utile giusto un paio di volte nel corso del tempo. Alla fine veniva sempre Gabriel a controllare come andassero le cose o, nell'evenienza, era lui stesso a fare una capatina in Paradiso. Inoltre, la prima - e unica - volta che aveva provato a chiamare Dio, era finita male. Va bene, era finita malissimo.

    Perché allora avrebbe dovuto funzionare quella volta? Bella domanda. Di nuovo: non era granché come idea, ma, come disse Crowley: «Sempre meglio che starsene con le mani in mano. A giudicare da quello che mi ha detto Gabe, ho come l'impressione che il Paradiso non abbia fatto che rompere le palle al Metatron nelle ultime ore.»


    «Sì, ma stavolta lo chiameremo noi.»


    «Sarà divertente stuzzicarlo,» disse l'altro con un sorrisetto divertito. «Magari riesco a tirargli fuori qualche dettaglio.»


    «Ne saresti perfettamente capace. Ci hai mai parlato?» Chiese Aziraphale, prendendo una coperta, tirandosela sulle spalle e iniziando a sgusciare fuori dal letto.


    «No, ma- che stai facendo?» Lo riprese Crowley, alzandosi e piantandogli le mani sulle spalle.


   L'angelo alzò un sopracciglio: «Vengo di sotto con te? Non vorrai mica attivare quell'affare da solo, vero?»


    «Guarda che so come si fa. Non sono nato ieri.»


    Il biondo si ritrovò, suo malgrado, a ridacchiare con la mano pronta davanti alla bocca: «Ma se sono più le volte in cui ci sei finito dentro ad uno di quei cerchi.»

La gente fissata con le evocazioni demoniache doveva darsi una bella calmata. Ci fu un periodo assurdo in cui il povero demone venne richiamato per ben tre volte nel giro di una settimana dalla stessa inesperta cricca di giovani umani. 


    «Appunto!» Esclamò Crowley, leggermente contrariato. «Dovrei saperne più di te. Ora stai buono qui, mentre io vado di sotto.»


Aziraphale non fece nemmeno in tempo a replicare che l'altro gli aveva già messo una tazza bollente in mano. Si beccò uno sguardo da: "Dico sul serio. Non ti muovere". Quasi sentì quelle pupille oblunghe e quelle iridi dorate perforarlo da parte a parte.

    «Va bene, va bene,» disse infine, stringendosi nelle spalle. 


Con un "mh", il rosso uscì.

L'angelo aspettò di sentire quei passi affrettati arrivare in fondo alle scale, posò il tè sul comodino, e si alzò lentamente. Prese una seconda coperta - anche se sapeva bene che sarebbe stata completamente inutile, e aprì la porta con una calma infinita.

Subito venne accolto dal fruscio del tappeto che veniva spostato e dall'incedere frenetico e ansioso dell'altro, il quale stava balbettando qualche lamentela all'aria, abitudine che aveva preso da quando era iniziato il disastro. Era già alla terza imprecazione di fila.

    Con uno scuotere di testa, Aziraphale si poggiò al corrimano con le braccia incrociate e alzò la voce: «Ho nascosto le candele nel cassetto della scrivania.»


    In quattro pesanti passi, Crowley comparì sotto di lui: «Sei un bastardo.»


    «Non me le facevi usare. Che altro avrei dovuto fare?»


    Il demone si sbattè una mano in faccia: «No, non per quello! Cioè, anche per quello - tu e la tua maledetta idea di "atmosfera". Dico: che ci fai qui?»


    «Tecnicamente,» precisò Aziraphale alzando un dito, «Non sono di sotto, quindi non puoi dirmi niente. Terzo cassetto dal basso.» Concluse con un sorriso, poggiando una guancia sul palmo della mano.


    L'altro strinse i pugni, farfugliò qualche lamentela e gli puntò un dito contro: «Sappi che un po' ti odio.»


    «Sì lo so, ora vai.»

Seguì il suono dei cassetti che sbattevano e sorrise amaramente ai versi di scontento. 

    «C'è anche l'accendino. Lo hai visto?»


    «Sì, e sappi che sto per tiratelo addosso.»


Sapeva quanto la storia dell'incendio avesse lasciato Crowley leggermente traumatizzato - e per "leggermente" si intende "davvero tanto", e un po' si sentì in colpa. Ma ormai non poteva fare altrimenti e avrebbe comunque trovato il modo di farsi perdonare, come sempre.


Fece per chiedere come stesse andando, quando udì un fruscio alla sua sinistra.

    «Finalmente ci rivediamo, luce alata,» parlò una voce profonda, ruvida e stranamente echeggiante.


Aziraphale si fece scappare un sussulto, indietreggiando velocemente e finendo dolorosamente con la schiena martoriata contro la parete. Sapeva bene di chi si trattava: l'ultima volta che si erano incrociati, era stato due anni prima.

    «Che ci fai qui?» Chiese, alla alta e scura figura davanti a sé.

Dal piano di sotto arrivò il suo nome, seguito da una corsa che piombò alla base delle scale.


Morte strinse la falce tra le dita ossute. I suoi occhi vuoti si posarono sull'angelo, inespressivi ma allo stesso tempo carichi di apprensione.

    Pronunciò due parole. Semplici ma piene di importanza: «Dobbiamo parlare

E in un attimo il mondo attorno a loro sprofondò nel buio. Non quello della notte, ma una melma nera, pesante e silenziosa.


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Capitolo 7
*** ...e non risponde ***


Aziraphale si tolse lentamente le mani dalla faccia e le riscoprì luminose. 

La sua vera forma era rimasta nascosta per secoli, tutto per evitare che gli umani ne rimanessero accecati. Adesso era di nuovo lì: splendente come non mai. Sovrastava il buio e faceva breccia nelle tenebre, tagliandole come una lama affilata.

Confuso, fissò il candore della tunica che si ritrovò addosso; si passò una mano tra i riccioli ora un po' più vaporosi e diede uno sguardo alle ali, scoprendo che anch'esse erano tornate bianche come neve appena caduta.

Non aveva freddo, anzi, la sua luce emanava calore. Non sentiva più il bruciore alle scapole, come se qualcuno ci avesse passato sopra un miracoloso balsamo lenitivo. Le uniche note negative erano Morte ancora davanti a lui, il buio e la solitudine.

   Colto dall'inquietudine, sbarrò gli occhi celesti e fissò il mietitore: «Non mi hai ucciso, vero?»


    L'altro scosse la testa: «No, ma sei più vicino a me di quel che credi.»


L'angelo non seppe se considerarla una buona notizia o meno.

    «Dov'è Crowley?» Chiese, sapendo che - nel migliore dei casi - si stava disperando sul suo corpo ora vuoto contro la parete della libreria.


    «Non preoccuparti, sta avendo un altro tipo di conversazione,» disse Morte, iniziando a camminare verso un punto non ben precisato del vuoto.


    Aziraphale lo seguì, improvvisamente ansioso. «Aspetta, in che senso? Con chi è?»

Sperò ardentemente che la risposta non fosse Satana, perché in quel caso avrebbe combattuto con le unghie e con i denti per andare all'Inferno. Sarebbe Caduto del tutto, se necessario.


    Il mietitore scosse la testa: «Come ho già detto: non è lui quello in pericolo, ma tu


    Nulla di nuovo, quindi. Il biondo incrociò le braccia, guardando altrove: «Questo lo immaginavo,» disse. «Ma perché? Ancora non riesco a capire se e quando io abbia fatto qualcosa di sbagliato.»

Se proprio voleva dirla tutta, di cose considerabili sbagliate ne aveva fatte a bizzeffe. Fino ad allora, però, aveva sempre creduto di andare sul sicuro. Non c'era stato giorno in cui non avesse creduto ardentemente nel fatto che ci fosse di mezzo la Sua volontà.

Persino nella sua mezza Caduta - sotto sotto, nelle profondità del suo essere martoriato - non aveva mai smesso di credere in Lei. Persino quando aveva scoperto della Sua sparizione, la prima cosa che aveva fatto era stato preoccuparsi per Lei. 

I pensieri più bui andavano e venivano, certo - ma il tempo di nascere e già si scioglievano al sole delle sue certezze e, soprattutto, della vicinanza dell'altro che già gli mancava terribilmente.

E allora perché? Qual'era il senso delle sue piume perlacee, del freddo, del bruciore, del sangue? Come aveva fatto Dio ad andarsene? Per definizione, Dio non poteva semplicemente smaterializzarsi nel nulla.


    «Non sei stato tu, guardiano di luce. Ma per far sì che tu comprenda, ho bisogno di mostrarti una cosa

Mentre ancora camminava, Morte mosse la falce e davanti a loro comparve la terra aspra e rotta del campo di battaglia. La Guerra imperversava sotto ad un plumbeo cielo carico di risentimento; ovunque si espandevano urla, strepiti, cenere e sangue.


    «Sei stato tu a farmi sognare tutto questo?» Chiese Aziraphale, stringendosi un po' di più al mietitore. 


    L'altro scosse l'incappucciata testa: «Non erano sogni, ma ricordi


    «Questo lo so. C'ero anche io: c'erano tutti. È stato il giorno in cui le fazioni a cui appartenevamo sono nate.»

Quello scontro era stato l'inizio di tutto. Era stato aspro, più di qualsiasi guerra iniziata da mano umana; aveva creato la scissione che lui e Crowley avevano eliminato, restando null'altro che una macchia nel tessuto delle loro esistenze.


    Morte seguì distrattamente alcuni angeli che fuggivano con lo sguardo vuoto, riprendendo parola: «Eppure c'è qualcosa che non sai. Per metterla su un piano che possa aggradarti: ci sono capitoli del libro della tua esistenza che non hai mai letto.»


A quel punto, Aziraphale era più confuso che spaventato. Guardò la spada - la sua, quella che gli ritornava sempre indietro come un boomerang, per quanto non la volesse - che ora stava stringendo nella mano destra.

    «Ci sono tante cose che non ricordo del periodo precedente alla Guerra,» asserì. «Ricordo il giorno in cui sono nato, per esempio. Non ho idea di come si chiamassero i pochi angeli con cui ho parlato, però. Insomma: sono giorni così distanti per tutti; è difficile che qualcuno ne parli.»

Da sobrio. Era difficile che qualcuno ne parlasse da sobrio.


    «E la prima volta che hai visto il cielo? Quella te la ricordi?» Chiese Morte, aggirando uno dei tanti pallidi cadaveri.


    L'altro scosse la testa, facendo rimbalzare i riccioli candidi: «No. So solo che non mi dispiaceva guardarlo.»

Non gli dispiaceva nemmeno adesso, in realtà. La volta celeste aveva assunto sfumature diverse da quando Crowley gli aveva raccontato di come avesse aiutato a creare le stelle.

    «Scusate, ma questo che importanza ha?» Chiese poi, alzando un sopracciglio.


    «Non hai sognato anche il cielo notturno?»


    «Sì, certo. Pensavo fosse collegato alla notte eterna scesa sulla Terra; o che fosse un modo per - non so, alleviare il dolore.»

Non aveva veramente approfondito la questione. Sapeva solo che quei momenti sotto le stelle lo facevano stare meglio, e che i gesti di quella figura misteriosa lo facevano sentire amato come non mai.


    Morte si fermò, girandosi verso l'angelo e puntandogli addosso le sue orbite vuote: «È ora che tu sappia.»


Aziraphale fece per chiedere di più, ma un potente peso sulle spalle lo fece piombare a terra. La spada gli scivolò tra le mani e si sentì sbalzato più volte contro il terreno ruvido e polveroso.

Quando finalmente si fermò, sopra il suo stomaco stava inginocchiato un ribelle che non riconobbe: aveva uno sguardo assassino, le ali in procinto di annerire del tutto e la spada pronta a colpire.


    L'angelo di luce sbarrò gli occhi e si rivolse a Morte, in piedi poco più in là: «No, ti prego! Non questo. Non di nuovo!» Esclamò.

Era stata l'ultima scena del suo incubo. Quella che aveva sentito come fosse reale; quella dalla quale aveva provato a fuggire senza riuscirci, salvo poi essere salvato dal demone che era ormai il suo angelo custode.


Prese a dimenarsi, ma ormai era tardi. 

Il ribelle affondò la lama nel suo petto, trapassandolo come fosse burro fuso. Fiotti dorati scesero copiosi là, all'altezza del cuore - dove nel bel mezzo della sua mezza Caduta, Crowley aveva stretto delle candide bende.

    Non emise un suono. Puntò gli occhi azzurri pieni di lacrime sul mietitore e con la bocca mimò un silenzioso: "Perché?"


    La nera figura si volse verso destra: «Aspetta e vedrai,» disse. «Aspetta e vedrai


**


Era scivolato vicino alle scale come un povero imbecille. Doveva aver sbattuto la testa per bene, perché improvvisamente stava vedendo tutto nero. Nero come nera era la figura che aveva scorto al piano di sopra.

Morte, quel maledetto. Se voleva il suo angelo, doveva prima passare su di lui... In senso figurato. Quell'essere gli metteva paura e portava sfortuna; dove c'era lui, c'erano guai - guai belli grossi, anche. 

Qualcosa si sarebbe sicuramente inventato, una volta arrivato in cima alla scalinata. 


Quando riuscì finalmente a rimettersi in piedi, però, sbarrò gli occhi. Sì, aveva decisamente preso un colpo di quelli brutti; a meno che la libreria non avesse deciso di sparire nel nulla, lasciando il posto ad una landa desolata sovrastata dal cielo notturno più stellato che avesse mai visto.

Sembrava un deserto fatto di morbida sabbia bianca, del tutto simile a quello che lui stesso aveva esteso nella sua dimensione personale.

Non tirava un filo di vento, non volava un suono e Crowley sentiva la sua mente leggermente svuotata, come se le avessero tolto un peso.

Concentrandosi per due secondi, capì poi che la voce era sparita al pari della polvere e degli scaffali colmi di volumi. Oh, grazie a-


    «Ha funzionato!» Esclamò qualcuno alle sue spalle, come se stesse intonando una melodia chiara e cristallina.


Un brivido gli percorse la spina dorsale. Sentì i capelli rizzarglisi sulla nuca, mentre l'eco di quell'esclamazione si infrangeva su di lui come una secchiata d'acqua ghiacciata in pieno inverno. 

No, non era vero. Non poteva assolutamente essere vero. 

Non si girò per paura di sapere cos'avrebbe scoperto; per paura di dar voce alla sua immaginazione, cosa che normalmente adorava fare: adorava piegare la realtà; lo faceva sentire libero e piacevolmente potente. 


    Poi, la voce - sì, lei: quella che lo aveva tartassato per più di ventiquattro ore - rise. Aveva la risata più bella ed armoniosa dell'universo. «Ciao, amor mio


Nessuno lo chiamava così se non un unico essere in tutto il cosmo. 


Lentamente - molto lentamente, Crowley si girò e vide due cose: la prima furono le sue ali corvine che - chissà quando e chissà perché - aveva tirato fuori. La seconda fu decisamente più sconcertante.


Lei non aveva mai avuto una forma precisa: la cambiava di tanto in tanto - a seconda di come Le girava - e aveva messo un po' dei Suoi "travestimenti" preferiti in ogni creatura che aveva creato: dagli angeli, agli umani. 

Quella volta se ne stava compostamente in piedi sulla sabbia, coperta da un lungo vestito bianco. Era la perfetta rappresentazione della donna-angelo: chiara come l'alba, lunghi capelli dorati, ali così candide da far male agli occhi e iridi fatte di stelle. Era così bella da far venire le lacrime agli occhi, ed era così bella perché era lì, era presente; semplicemente, c'era e non era sparita nel nulla. 

    «È da molto tempo che non ci vediamo,» continuò Dio, sorridendo cordialmente.


La prima cosa che la mente del demone riuscì a elaborare fu che: o era tutto uno scherzo ben congeniato; o aveva ufficialmente messo KO la sua già misera sanità mentale, sbattendo clamorosamente contro gli spigoli lignei dei gradini della libreria.

Forse era effettivamente la seconda opzione, dato che adesso la testa gli stava girando. Se non fosse stato per quelle braccia morbide e forti, sarebbe finito sulla sabbia come - beh, come un qualcosa che cade sulla sabbia.


    «Piano, amor mio. Piano,» disse Lei, togliendogli delicatamente gli occhiali dal viso e prendendo ad accarezzargli la fronte. «Ti fai prendere troppo dalle emozioni, l'ho sempre pensato


Crowley si congeló sotto quel tocco, sbarrando gli occhi e cercando di strisciare il più lontano possibile da quelle dita dolci.

    «Asspetta, aspetta! Frena!» Esclamò non appena la sua lingua decise di ricominciare a funzionare di nuovo - più o meno.

Si inginocchiò davanti a Lei, standoLe ad almeno tre metri di distanza. La guardò come se fosse la cosa più assurda mai accaduta, iniziando a balbettare consonanti a caso. La guerra con il suo inconscio era finita solo perché quella con le sue capacità comunicative potesse iniziare.

    «Tu?» Fu l'unica espressione logica a sopravvivere a quel marasma di foni.


    Dio annuì: «Ora possiamo finalmente parlare con calma. Non ringrazierò mai abbastanza Morte per tutto quello che fa


Morte?

    Il demone balzò in piedi, guardandosi attorno: erano soli. «L'hai mandato tu?» Chiese, con un filo di voce. 

Si era davvero presa il suo angelo? Aveva seriamente deciso di consegnarlo al mietitore, mettendo fine all'esistenza della creatura a cui teneva più di qualsiasi altra cosa al mondo?

Sentiva già le lacrime pizzicargli gli occhi, la tristezza si mescolò ad una voglia pazzesca di riversare tutto il suo dolore e tutto il suo risentimento su Colei che aveva di fronte.


    Dio lo raggiunse, sfiorandogli le guance sottili: «Non è come credi, amor mio,» lo rassicurò. «Io e Morte collaboriamo da tanto tempo. Questo è il secondo favore più grande che mi abbia mai fatto


Crowley si sentì mancare di nuovo. A quel punto non ci capiva più niente: tutto il suo essere oscillava tra i dubbi, la confusione e la preoccupazione, facendolo sentire come in preda ad un attacco di panico. Voleva solo nascondersi e piangere - anzi, no: voleva tornare a casa, prendere Aziraphale e riprendere Alpha Centauri in considerazione. 

Questa volta, quando Dio venne per circondarlo nella Sua stretta calda e gentile, era troppo infognato nel suo stato d'animo per reagire. L'unica cosa che poté fare, fu fissare il vuoto e scuotere la testa.

    «Dov'eri?» Balbettò. «Dove sei stata? Perché te ne sei andata?»

Dubbi, domande. Quelli a cui Lei non rispondeva mai.


    Dio gli accarezzò le ciocche rossastre, cercando di consolarlo: «Sei qui per comprendere, amor mio. Ho provato a parlarti, ma la tua preoccupazione per la mia dolce luce era più forte di qualsiasi altra cosa.»


La "Sua" dolce luce, eh? Non se la ricordava così possessiva e simpatizzante dei soprannomi.

    «Beh,» riprese il demone, staccandosi e passandosi un braccio su gli occhi per contrastare il pianto. «La tua povera luce, come lo chiami tu, non ha fatto che piangere sangue per ore. E tutto perché Vostra Maestà ha deciso di ritirarsi nei Suoi alloggi divini.»


    Dio si poggiò le mani in grembo, guardandolo con aria mesta: «Ti spiegherò ciò che è accaduto per gradi. Ma devi collaborare con me se vuoi mettere fine a tutto questo,» disse, inclinando un po' la testa per incontrare quegli assenti occhi dorati, troppo adirati per guardarLa. «Vuoi salvare il tuo angelo, no?»


Certo che voleva. Lo voleva ora più che mai.

    «Sei seria quando dici che risssponderai?» Chiese dubbioso, cercando di tenere i sibili a freno. «Perché, scusa se te lo dico, ma ho i miei seri dubbi.»

Quante volte aveva provato a chiederLe qualcosa? Lo faceva in Paradiso, così come lo aveva fatto durante i peggiori momenti della storia. Persino durante la corsa all'Apocalisse l'aveva fatto, solo per arrivare all'amara considerazione che Dio non risponde - né agli angeli e tantomeno ai demoni disperati come lui.


    Con un sorriso meraviglioso stampato sulle gote perfette, Lei gli poggiò una mano sulle scapole, prendendo a camminare: «La risposta dipende dalla domanda,» disse. «Ce ne sono alcune che hanno bisogno di tempo per trovare la loro risoluzione. E dato che di quesiti stiamo parlando, è proprio da uno di essi che dobbiamo partire.»


Evvai, questioni filosofiche. L'unico con cui Crowley avrebbe mai potuto affrontare certi argomenti, era Aziraphale.

A proposito di lui: chissà dov'era. Sapere che Dio e Morte erano pappa e ciccia - da quando, poi? Doveva essersi perso qualcosa - gli fece sperare che stesse bene e che non stesse soffrendo. Gli mancava così tanto... Da quando era così appiccicoso? Forse era la situazione o forse il fatto che ormai vivevano in simbiosi. 


Con un leggero sbuffo, seguì Dio attraverso quel deserto infinito. Lentamente, la notte fece posto al giorno e il sole cocente prese a sbattere violentemente sopra le loro teste. Nell'aria aleggiava un leggero odore di pioggia.

    «Ehi, aspetta un attimo,» disse, girando un po' su se stesso mentre camminava. «Conosco questo posto.»

Lo aveva osservato per così tanto tempo da poter indicare l'ubicazione di ogni duna, ogni roccia e ogni tana di leone particolarmente affamato.


Non era un deserto qualsiasi, realizzò. Era quello che si estendeva attorno alle mura dell'Eden.


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Capitolo 8
*** Ma soprattutto, Dio non sbaglia ***


Crowley e Dio seguirono con lo sguardo le due figure che camminavano sulla sabbia cocente; il primo con la bocca semi aperta in un moto di sorpresa e stupore, la seconda con un sorriso e la mano poggiata sul petto.

    «Ricordo questo giorno,» disse Dio. «Può essere considerato come il vostro primo giorno di lavoro


Anche Crowley se lo ricordava: era come se stesse guardando il film della sua esistenza. Il mondo attorno a loro si muoveva come fosse su un tapiroulant - mentre lui e l'Altissima se ne stavano fermi, l'uno accanto all'Altra, a guardare quel piccolo sprazzo di passato.

    Osservò la figurina nera dai lunghi capelli rossi - che aveva riconosciuto subito come se stesso - correre sulla sabbia come nulla fosse, piombare davanti all'altra ed esclamare: «Aspetta, aspetta. Devo chiederti una cosa!»

    Aziraphale mimò un sospiro, superandolo senza smettere di camminare: «Non dovresti seguire gli umani nella direzione opposta?» Chiese, senza rivolgere al suo interlocutore neanche il minimo sguardo.

    «Sì, sì; dopo lo faccio,» riprese Crawly, rimettendosi in marcia alla sinistra dell'altro. «Però davvero: ho una domanda.»

    L'angelo alzò gli occhi al cielo: «Fai troppe domande, tu. I tuoi superiori non dicono niente sul fatto che vieni sempre a chiedere le cose a me?»

    Il demone sorrise furbamente, mettendosi le mani dietro la schiena con un finto sguardo innocente: «Lo farebbero, se lo sapessero. E poi, tu mi rispondi sempre: è gratificante.»

"Dio non lo faceva mai" avrebbe voluto aggiungere.

    «Appunto. Non dovrei farlo,» affermò Aziraphale accelerando il passo. «Quindi, se permetti, ora vado ad aiutare quelle due povere creature indifese.»

    Crawly si fermò, osservando quella candida creatura marciare sulla sabbia come se fosse il terreno più solido mai creato. «È questo il punto!» Esclamò perché lo sentisse. «Non dovresti ma lo fai comunque. È per questo che mi piaci.»


    L'angelo si bloccò di colpo, girando la testa verso sinistra con un'espressione indecifrabile sul volto. Per qualche attimo non disse niente, fissando le iridi dorate dell'altro come se volesse scavarci dentro. Poi, con un sospiro vero e proprio, ponderò le parole con una leggera scrollata di testa e disse: «Va bene. Dimmi.»

    In tre passi, il demone fu di nuovo accanto a lui: «Bene, la domanda è: perché l'hai fatto?»

    «Fatto cosa?» Chiese Aziraphale inclinando il capo e abbassando appena la voce. «Di nuovo la storia della spada?»

   Crawly scosse la testa: «No, non quello. La cosa dell'ala.»

    L'angelo riprese a fissare davanti a sé, le sopracciglia corrugate e un sorrisetto amaro sul viso: «Ah, quello. Beh: avresti preferito restare sotto la pioggia?»

    «Ovvio che no. Però è stato strano: tu non l'hai trovato strano?»

    «A me quello stranito sembri tu. E poi, non sono io il demone che si è arrampicato strisciando su un muro solo per chiacchierare con un angelo. Quello sì che è stato strano.»

    Dopo qualche attimo di silenzio e tre veloci sbattiti di palpebre, il rosso rispose: «Va bene, è vero. Però non hai risposto alla mia domanda.»

    L'angelo aprì le braccia e le fece ricadere lungo i fianchi in un silenzioso moto di protesta. «Non lo so, va bene?» disse infine, esasperato. «Non so perché l'ho fatto. L'ho fatto e basta.»

    «Oh, quindi lo fai spesso. Dico: sei uno che fa le cose solo perché gli vanno?» Lo stuzzicò Crawly, ticchettandogli la spalla con un dito. 

    «Non è affatto così. Ora va' per la tua strada e dimentica questa conversazione, va bene?»

Fu così che Aziraphale tentò di allontanarsi il più possibile da quella furba e fastidiosa creatura delle tenebre.


A Crowley scappò una leggera risata: di quelle nostalgiche, cariche di bei ricordi. Scosse leggermente la testa, divertito nel vedere quelle due figure agli albori di ciò che lui sapeva sarebbe nato poi.

Quanto adorava istigare l'angelo ai tempi. Forse il loro gioco era iniziato allora: con lui che cercava ogni volta di indovinare come l'altro avrebbe reagito, per poi scoprire che era semplicemente impossibile. Aziraphale era sempre capace di dire e fare cose che lo lasciavano interdetto.


    «Hai continuato a chiederglielo ogni qualvolta ti venisse in mente, ricordi?» Chiese Dio. Non aveva smesso un secondo di sorridere. Per un attimo, il demone credette di aver visto delle lacrime comparire sotto ai Suoi meravigliosi occhi. «Non eri mai soddisfatto della risposta


    «Ovvio che no,» affermò Crowley. «Continuava a dire che-»


    «Non lo so,» rispose l'angelo mentre camminavano per le vie di Roma.

La prima volta che avevano pranzato assieme: difficile da dimenticare. Il demone aveva appena avuto una delle giornate peggiori della sua esistenza, e la nuvola nera che gli occupava la mente era stata prontamente spazzata via da quel biondo raggio di sole voglioso di vino e compagnia.

Subito dopo erano usciti e si erano messi a girovagare, cosa che non avevano quasi mai avuto il coraggio di fare. 

    «Oh, eddai,» aveva esclamato Crowley, deluso. «Scommetto che non ci hai più ripensato.»

    L'altro si era stretto nelle spalle: «Certo che no. Avrei dovuto?»

    «Io di sicuro ho pensato spesso al perché sono salito su quel muro per parlarti». Eccome se lo aveva fatto: per anni non aveva pensato ad altro.

    «Ah, sì? E ti va di dirmelo?» Aziraphale aveva inclinato la testa, facendosi ricadere qualche ricciolo sulla fronte. Quel micro movimento ormai era suo, come suo era quel modo impacciato e nervoso di intrecciare le dita o giocherellare con le stoffe.

    «Forse ti deluderà come risposta, ma la verità è che mi sono incuriosito a vederti lì, disarmato. Così ho fatto quello che mi viene meglio: andare a romperti le scatole e chiedere,» concluse Crowley, con un sorrisetto.

    Al biondo parve piacere la risposta. Si era messo a sorridere e scuotere il capo, alzando appena gli occhi al cielo: «Non mi stupisce: tu vuoi sempre sapere troppo.»


Il cielo attorno a loro cambiò di nuovo, così come il resto dell'ambiente circostante. 

    Il demone guardò Dio con aria interrogativa: «So dove vuoi andare a parare, ma non sto capendo,» disse. Poi - indicando una strada sporca, umida e deserta che si stava delineando davanti ai loro occhi, affermò: «Londra, inizi della peste.» 


    «La prima volta che avete deciso di voler fermare un disastro assieme,» completò Dio. «All'inferno erano convinti che la malattia fosse stata un'idea tua


    «Ancora con questa storia?» Stava chiedendo Aziraphale, sbuffando. «Ti piace proprio infastidirmi, eh?»

    «Ehi, sta piovendo e mi è tornato in mente,» si era giustificato il demone. «Lascia stare. Certo che ti alteri facile quando vuoi.»

Alla fine della fiera, anche quella volta - dopo tanti battibecchi avvenuti sotto quell'aria di stress generale e morte - l'angelo aveva risposto: "Non lo so".


    «Non lo sapeva neanche quando gliel'ho chiesto durante la Seconda Guerra Mondiale,» disse Crowley incrociando le braccia e seguendo con lo sguardo le morbide volute in cui la realtà si modificava di volta in volta, saltando da un periodo temporale all'altro. «Ad un certo punto ho semplicemente smesso di chiederglielo.»


    «Oh, il Blitz,» disse Lei, mettendosi una mano sulla guancia. «Vorrai dire la prima volta che gli hai dato un passaggio.»


Quella notte era stata assurda e assurdamente eccitante: la chiesa, l'esplosione, quei libri salvati per miracolo e quei due occhi celesti che lo avevano fissato ammaliati lungo il tragitto verso Soho. Il demone non sarebbe mai riuscito a toglierseli dalla testa - non che volesse farlo: aveva amato quello sguardo e aveva odiato far finta di non averlo mai notato. 

    «Sì, anche. Il punto è: cosa vuoi dirmi con questo?» Chiese, mentre la notte prese lentamente a tornare, accompagnata dall'odore di pioggia.

Non erano in un deserto, stavolta - ma in un parco. Il Saint James, per la precisione.


Ma certo, il primo pic-nic: quello che si erano "promessi" negli anni Sessanta e che alla fine avevano fatto una settimana dopo l'Apocalisse.

    «Ecco, quella per esempio,» stava dicendo Crowley, puntando un dito verso il cielo solo appena coperto di nubi. 

    «La Stella Polare?» Aveva chiesto Aziraphale. Aveva un libro chiuso sulle ginocchia e un inutile - ma a detta sua, molto confortevole - coperta sulle spalle.

    L'altro aveva annuito: «Anche quella l'ho creata io.»

Si erano messi a fare una specie di gioco: a turni si facevano domande, comprese quelle che avevano sempre avuto paura di farsi prima di allora. Erano passati dagli argomenti più frivoli a quelli più profondi, e più tardi - quella stessa sera - si sarebbero ritrovati mezzi brilli sul divano della libreria a parlare della Caduta.

    «È meravigliosa,» aveva commentato l'angelo, con un sorriso. «Ti sono sempre piaciute le stelle: ora capisco perché.»

    Con una scrollata di spalle, l'altro si era poggiato al tronco di un albero. «Te l'ho detto: è una delle poche cose che ho voluto ricordare di quel periodo,» disse. «Ora tocca a te». Si mise a pensare e il biondo aspettò paziente. Dopo neanche un minuto, tirò fuori il suo solito sorrisetto stuzzicante e chiese: «Perché mi hai protetto dalla pioggia il primissimo giorno?»

    Con uno sguardo che da solo diceva: "Sul serio?", Aziraphale riuscì a far ridere il suo compagno.

    «Sto scherzando, sto scherzando,» disse Crowley tra le risa. «È che è strano: tu rispondi sempre a tutto e se non sai qualcosa, ti metti a supporre. Sempre. Tranne per quanto riguarda questo.»

    «È che non lo so, davvero. Credimi: vorrei tanto dirtelo,» aveva confessato l'angelo con un sorriso amaro. «E ci ho anche ripensato, come spesso hai suggerito. Ma non lo so,» disse, iniziando a guardare il cielo. «So solo che lo rifarei anche mille volte.»


    La scena si dissolse e, prima che il demone potesse dire qualcosa, Dio chiese: «Lo vuoi sapere il perché?»


E Crowley annuì, deciso e speranzoso. Dopo tutto quel tempo le cose si stavano a poco a poco muovendo. Presto i pezzi di quell'assurda storia si sarebbero ricongiunti a formare il quadro generale, e lui sarebbe tornato dal suo angelo. 

Era quasi emozionato, e una punta di eccitazione si fece largo nel suo oscuro essere quando l'erba dell'area verde londinese fece spazio a tante candide, dolci e morbide nuvole. Il Paradiso prima della Guerra e della Caduta: il luogo ameno e perfetto dove aveva vissuto un'infinità di tempo prima. Subito sopra di lui c'era quell'angolo di cielo, quello che aveva decorato per ultimo - e poco più in là, davanti ai suoi occhi, c'era la sua ombra: l'angelo dai bei capelli rossi che era stato.


    «Raphael!» Esclamò una voce familiare

Raphael?

    L'angelo dagli occhi dorati si voltò e sorrise: «Oh, sei qui! Che bello rivederti.»

    Subito lo affiancò la figura più bianca, dolce e luminosa che avesse mai visto. Altro che Dio: quello era l'angelo più bello dell'universo ed era, era... Aziraphale?

    «Scusa se ci ho messo tanto,» disse il biondo, intrecciando le dita morbide. «Mi sono messo a parlare e-»

    Raphael lo bloccò, posandogli un dito sottile sulle labbra: «Ehi, ehi: quante volte ti ho detto che non devi giustificarti con me?» Disse, sorridendogli dolcemente. Pareva completamente rapito da quegli azzurri occhi splendenti, e come biasimarlo.

    I due si presero per mano e andarono a sedersi sotto le stelle. Subito, il rosso fece poggiare la testa dell'altro sulla sua coscia, prendendo a passare le mani attraverso i quei perfetti, soffici e candidi riccioli.


Nella mente di Crowley si fece tabula rasa. Rimase in piedi a fissare quei due angeli parlarsi, accarezzarsi e guardarsi mentre parlavano distrattamente del più e del meno. Non mosse un muscolo, non sbatté un occhio - aprì leggermente la bocca ma non disse nulla. Per la prima volta nella sua esistenza, la sua testa e la sua lingua smisero di funzionare, rendendolo del tutto simile ad una statua di marmo.


    Alla sua sinistra, Dio gli poggiò una mano sulla spalla. «Vi amavate così tanto,» disse, ora seria e addolorata. «Tutti gli angeli sono nati ricolmi d'Amore, ma voi? Voi eravate diversi


Il demone voltò lentamente la testa verso di Lei, guardandoLa con gli occhi già colmi di lacrime.

Non emise un suono. Non servì.


    «Non eri un semplice angelo: eri il mio miglior arcangelo. Quello creativo, quello curioso, quello con il sorriso sul volto,» iniziò a spiegare Dio. «Ti chiesi di riempire l'ultimo angolo di cielo: sapevo che avresti trovato il modo di renderlo speciale, ma non sapevo che nel farlo avresti trovato anche Aziraphale,» disse, iniziando a passargli dolcemente la mano sulla schiena.


    Dopo varie strofinate agli occhi e altrettanti, sforzatissimi, respiri profondi - Crowley chiese: «Ci-ci conoscevamo.»

Anzi, non era una domanda: era un'affermazione. Un'affermazione venuta fuori come un flebile e straziato rantolo.


    Con un cenno affermativo del dorato capo, Dio continuò: «Avete passato assieme tanto di quel tempo... Poi è arrivata la Guerra: quella che ha portato alla Caduta


Oh, no. Crowley aveva fatto di tutto per sotterrare quel ricordo, e adesso? Adesso vide le nuvole indurirsi, fino a ridursi ad un secco terreno rossastro. Il cielo si ricoprì di nubi, fino a diventare una piatta tavola grigia come le piume del suo angelo. L'odore di bruciato lo investì e d'un tratto il mondo attorno a sé si fece peggio del peggiore dei suoi incubi.

Si guardò attorno: quelle spade fiammanti che si scontravano e quelle grida... Erano le ultime cose che aveva visto prima di venire risucchiato nel vuoto, spinto dalla gravità verso le fiamme della sua dannazione eterna.


    Dio gli prese le mani, puntandogli addosso quelle costellazioni che aveva come iridi. «Sai, amor mio; tutti hanno dei limiti: persino io,» disse, «E il mio limite siete sempre stati voi.»


Crowley scosse la testa. Due ciocche rosso fuoco gli ricaddero su gli occhi, ma non ci fece caso; così come non fece caso alle sue ali improvvisamente bianche.

    «Che significa?!» Gridò, in modo da contrastare i suoni della battaglia.


    «Il vostro rapporto era talmente particolare da andare oltre la mia stessa comprensione,» spiegò Lei, mentre due leggere righe di lacrime iniziarono a rigarle le guance bianche. «Sai, finita la Terra, avrei voluto mettere la mia dolce luce a guardia degli umani e tu a guardia del loro amore. Eri perfetto: affettuoso, dolce e premuroso; ma soprattutto: avevi amato più di chiunque altro, e nessuno meglio di te avrebbe potuto assolvere a quel compito. Ma poi quello stesso sentimento è riuscito a superarmi di nuovo e tu - tu, amor mio, non sei Caduto per curiosità,» disse, mettendogli le mani sulle gote ossute. «Sei Caduto per aver messo il tuo amore prima del Mio.»


Dio, per definizione, sa tutto e capisce tutto. È colei che tutto può, eppure - e Crowley dovette ripetere più volte il concetto nella sua testa per afferrarlo a pieno - Ella Stessa stava ora piangendo, confessandogli che il rapporto che lui aveva - e aveva avuto - con Aziraphale era così grande da sbordare oltre la Sua conoscenza, e che era stato così forte da averlo portato a staccarsi da Colei che lo aveva creato. 

    Ma allora... «Allora perché non ce lo ricordiamo?» Chiese, anche lui sull'orlo di una crisi di pianto. «Se eravamo così perfettamente coesi, uniti e, e-» innamorati? «Allora perché?»


A quel punto, i suoni della battaglia si fecero più lontani e ovattati, come se qualcuno avesse fatto calare una cupola di vetro attorno a loro.

    «È stata tutta colpa mia,» disse Dio, accarezzandolo. «La Guerra ha deciso di separarvi, e io non potevo permetterlo. Chiesi a Morte di salvare il tuo angelo, anche se ciò avrebbe comportato un grande cambiamento. Avreste dovuto dimenticare e così è stato; per questo dopo l'Apocalisse non ho fatto altro che osservarvi e attendere». Mentre parlava, le sue dita avevano iniziato a scorrere amorevolmente attraverso le ondulate ciocche cremisi dell'altro. «Ho visto i vostri volti addolcirsi e i vostri occhi perdersi gli uni negli altri. Ho assaporato i momenti in cui le vostre braccia e le vostre dita si allacciavano, e non c'è stato attimo in cui non ho sperato di vedervi tornare com'eravate un tempo. Ma nel momento esatto in cui ho voluto aiutarvi a riavvicinarvi un po' di più...» si bloccò, smise di guardarlo e prese a fissare verso il basso.


    Si sentiva così in colpa che Crowley poté quasi sentire quel dolore attanagliargli l'anima. «Cosa?» Le chiese in un sussurro strozzato. «Cos'è successo?»


    «Mi sono persa,» confessò Lei in in soffio. «Il vostro legame è come un intrico di fili che non posso sciogliere. Non so come spiegarlo: so solo che non posso mettervi mano. Senza volerlo mi sono allontanata: mi sono ritrovata come incastrata tra voi. Ho provato a cercare rifugio in Aziraphale ma non sono riuscita a raggiungerlo in tempo; per questo sono venuta da te. Solo che, nel farlo, ho lasciato la mia Terra in balia della mia stessa interdizione e con lei tutto ciò che vi vive. Ho abbandonato la mia dolce luce così violentemente e così di colpo da ridurlo a ciò che hai visto: in balia tra la fede in me e la consapevolezza della mia assenza.»


Le lacrime di Colei che, per definizione, non sbaglia; si stavano ora consumando sulla confessione di un errore madornale. E Crowley rimase - per l'ennesima volta, assolutamente interdetto.

    «Tu... Tu mi stai dicendo,» iniziò, un nodo alla gola. «Tu mi stai dicendo che hai fatto fermare un pianeta, quasi fatto Cadere un angelo, mandato gli umani fuori di testa e buttato il Paradiso in una spirale crescente di disperazione, solo per far sì che io e Aziraphale tornassimo la coppia felice e contenta di un tempo?» 

Lo disse così velocemente che, se avesse avuto bisogno di respirare, sarebbe decisamente morto asfissiato.

    «Anzi, anzi,» continuò, incespicando più volte prima di arrivare al punto. «Mi stai dicendo che hai voluto mettere mano alla nostra relazione pur sapendo che era l'unica cosa che non potevi fare?»


Lei si passò le mani sulle braccia e annuì.


    «Mi stai dicendo che l'unico motivo per il quale Aziraphale mi ha protetto dalla pioggia quel giorno - che il nostro volerci parlare, il nostro continuo incontrarci, il nostro ritrovarci sempre - altro non è che l'ombra di un rapporto che Tu hai voluto salvare?» Continuò Crowley, ormai incapace di fermarsi.


E Dio, Colei che ha creato gli angeli perché la aiutassero; colei che ha creato il mondo, gli umani e la vita, Colei che non abbandona, non muore, non parla, non risponde e - soprattutto - non sbaglia; semplicemente abbassò il capo e annuì.

La Madre, Protettrice del Bene, essere più alto dell'universo e Creatrice dell'Amore si era rifugiata nell'inconscio del demone tentatore per continuare a preservare l'unica cosa che era stata capace di sconfiggerLa.


    «E Tu,» riprese Crowley che sì, ormai stava piangendo, lasciando che le lacrime gli scivolassero addosso. «Tu mi stai dicendo che io per tutto questo tempo ti ho cacciata e detestata quando, quando-»

Fu istintivo e più forte di lui. Con un semplice slancio in avanti La strinse così forte da farsi male alle braccia e scoprì che un po' ancora La odiava. Perché se fosse stata così chiara sin dall'inizio, si sarebbero risparmiati chili e chili di dolore e piagnistei. La odiava perché era stata davvero stupida a volerli spingere quando sarebbe bastato lasciarli fare. La odiava perché aveva fatto credere ad Aziraphale che non gli voleva più bene.

Però da un lato La amava. La amava perché aveva fatto l'impossibile per farli stare assieme. La amava perché cercava sempre di pensare a tutto come la migliore delle madri. E - sotto sotto - amava l'idea di essere una spanna sopra di Lei, così come amava vedere che tutti avevano un lato vulnerabile; persino Dio che, per definizione, non dovrebbe averne.


Quando Lei ricambiò l'abbraccio, ricoprendolo di lacrime, baci e carezze, fu come se il cosmo intero avesse cominciato a rimettersi apposto. E con esso, anche la mente del demone aveva ripreso a galoppare come sempre; stavolta più libera, sciolta e sicura.


Fu più facile del previsto.

A Raphael bastò guidare i movimenti e il resto venne da sé. Presto, tra le mani morbide di Aziraphale, apparve una fiamma che andò arrotolandosi su se stessa fino a divenire una sfera candida, perfetta e così tanto brillante da fondersi con l'aura stessa del suo creatore.

Fu così che, seppur per un attimo, quella piccola area tra le nubi si illuminò a giorno, illuminando anche le due figure angeliche che vi risiedevano a pochi centimetri l'una dall'altra. Dopodiché, la bella stella bianca prese da sola la sua via verso la volta celeste, come se sapesse già quello che doveva fare.


Ma certo: la Stella Polare non l'aveva creata lui, ma l'angelo. E Quell'angolo di cielo lo avevano decorato assieme, facendolo diventare il loro piccolo e personale rifugio.

Poi lui aveva iniziato a farsi le compagnie sbagliate, quelle che aveva fatto diventare il capro espiatorio della sua disfatta. E la guerra? Ora ricordava. Ora sapeva perché quella ferita sul petto di Aziraphale si fosse aperta e mai più richiusa.


 «Tu non capisci. Sei l'unica cosa che mi tiene attaccato a Dio. Sei l'unico rimedio alla curiosità che mi sta mangiando. Se tu te ne vai, io non avrò più ragione di esistere.»


Aveva lasciato un discorso in sospeso ed era ora di chiuderlo.


    Con rinnovata determinazione, Crowley si passò un braccio su gli occhi e guardò Dio: «Mettiamo fine a questa storia.»


    Lei si passò le dita sulle gote e sorrise: «Oh, amor mio, ma tu sei l'unico che può farlo». Con un dito candido, indicò un punto lontano del campo di battaglia: «Va' e trova Morte. Lui saprà cosa fare.»


Il demone annuì, Le strinse le mani per l'ultima volta e si girò, iniziando a marciare in mezzo al marasma con i pugni stretti.

Quella era stata la riconciliazione più teatrale e struggente di sempre ma ehi, lui era sempre stato un gran esagerato, dopo tutto. E tutti quei suoi discorsi mentali sul fare con calma, l'andare piano e il non fare mosse avventate nel vostro rapporto perché rischi che Aziraphale non riesca a seguirti, erano già state fatte crollare da Dio. Per sbaglio.

Per sbaglio.


Corri, prima che la sua luce si spenga.


    «Agli ordini, Capo,» disse, mettendosi a correre.


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Capitolo 9
*** L'amore che tutto può ***


La sua memoria corse come un cavallo impazzito a dirgli che aveva un ribelle da contrastare. Molto bene, allora: quel bastardo - per quanto fosse solo una delle tante ombre che popolavano quella battaglia lontana nel tempo - ci avrebbe dovuto pensare due volte prima di infilzare il suo angelo come uno spiedino.

Quando lo vide in lontananza, sorridente come un bimbo al quale hanno lasciato un regalo enorme sotto l'albero di Natale, Crowley sentì la rabbia ammontare e si mise a correre.

    Sorpassò Morte, in piedi in disparte, con un: «'Giorno!» E si buttò a capofitto contro l'assassino, sbalzandolo via dal petto di Aziraphale e facendolo sbattere contro il terreno in procinto di aprirsi per mangiarselo. «Questa è la parte in cui Cadi,» gli disse, allontanandosi con uno slancio e lasciando che la voragine se lo portasse via.

Primo problema risolto, di nuovo.


    «Sei stato veloce,» commentò il mietitore.


Il demone lo ignorò, buttandosi a capofitto sull'angelo che si era messo a fissarlo con gli occhi sbarrati. La spada fiammante del ribelle spuntava fuori dal suo petto come la sua controparte mitica spuntava dalla roccia, riducendolo a un bianco e flebile corpicino sanguinante.

    Raccogliendolo con tutta la cura dell'universo, Crowley gli fece poggiare la testa sulle ginocchia. «Sono arrivato, sono qui,» disse, la voce rotta dall'ansia e dalla frenesia del momento.


    L'altro sbattè le palpebre più volte, un po' per mettere a fuoco e un po' perché non era sicuro di ciò che stava vedendo. «Crowley?» Chiese. La sua luce sfarfallò violentemente, e lo sforzo di parlare contribuì a far scorrere altro sangue dorato fuori dalla sua bocca. «Sei davvero tu?»


    «Già,» disse l'altro, osservando stranito le sue ali candide e soffiandosi via una ciocca rossa dalla faccia. «Qualcuno qui tiene davvero tanto alla rappresentazione, a quanto pare.»


    Scoccò un occhiata a Morte che, in tutta risposta, fece spallucce. «Non faccio io le regole, serpente dell'Eden.»


    Il demone scosse la testa, mentre Aziraphale si fece scappare una leggera risata - salvo poi romperla con una fitta di dolore marcata da uno strozzato: «Ahia...»


Fai presto.

Giusto, giusto.


    A dirla tutta, Crowley non sapeva bene che cosa fare. Sapeva solo che aveva un'idea, e vi si aggrappò come fosse l'unico leggero filo al quale era appesa la sua intera esistenza. Sorresse l'angelo mettendogli un braccio dietro le spalle, sforzandosi di sorridere. «Bene, ora non so quanto tu sappia di questa storia, ma-»


    Il biondo alzò una mano per zittirlo dolcemente. «Eri tu, vero? Eri tu sotto quelle stelle.»


    L'altro annuì e - accidenti, stava per piangere di nuovo. «Non ci crederai mai, ma ho parlato con Dio e mi ha detto che tutto questo è successo per... diciamo, "colpa" Sua,» disse, passando la mano libera su quelle guance rigate di bordeaux e oro.


    «Ah sì?» Si meravigliò Aziraphale, inclinando appena la testa. «Oh, beh...» disse, la voce ridotta ad un filo. «Non fa niente, io La perdono.»


    «Sai anche tu quello che so io, eh?» Chiese Crowley.

Sentì il suo intero essere avvampare, e si rese conto solo in quel momento che la confusione attorno a loro si era spenta, lasciandogli quegli attimi di intimo spazio.


L'angelo annuì. Ormai era quasi irriconoscibile con la faccia macchiata di sangue, così come inguardabile era il suo petto ferito lì: all'altezza del cuore. 

Assurdo quanto quell'immagine fosse forte e significativa. In fondo, eoni prima era morto nel tentativo disperato di cercare l'amore della sua esistenza in mezzo al marasma di tradimento e morte che la Guerra aveva portato. Il tutto era finito con il suo cuore spezzato in due; moralmente e fisicamente.


    «Beh, a questo punto c'è una cosa che devo dirti,» iniziò Crowley, che già sentiva le sue capacità comunicative ricominciare a picchiare la sua lingua. Come accidenti doveva porre quel discorso? Non aveva nemmeno il tempo di pensarci dato che il suo angelo gli stava letteralmente morendo tra le braccia (di nuovo); solo che stavolta non ci sarebbe stata Dio a salvarli. Stavolta Aziraphale sarebbe semplicemente finito sotto la falce di Morte per non tornare mai più.


Perché quel conflitto aveva portato a qualcosa che, ora come ora, il demone non si sarebbe mai sognato di fare così di slancio. Aveva portato ad una confessione, e lo sapevano entrambi.

Lo avevano portato a stringere forte quella luce alata per dirgli che lo amava. Lo amava più di quanto amasse Dio. Che lo aveva amato sin dal primo momento senza un perché, senza preamboli, senza starsi a chiedere da dove venisse quel sentimento. Era l'unico "perché" del quale non gli interessava. Lui amava quell'angelo perché sì. Punto.

Perché sì.


E adesso? Dio aveva faticato tanto per rimetterli assieme. Perciò, la chiave di lettura di tutta quella storia - per metterla in termini che Aziraphale avrebbe adorato - doveva essere quella: il "ti amo" a cui l'angelo non aveva mai risposto, poiché la sua luce si era spenta prima che potesse farlo.

Doveva essere stata quella la fine e l'inizio di tutto. Le parole che avevano portato l'Altissima a voler cambiare tutto per salvarli.


    «Perciò, uhm,» riprese Crowley guardando un po' a terra, un po' verso il cielo, un po' verso Morte - che sicuramente prima o poi si sarebbe sbattuto una mano in faccia - insomma, un po' ovunque tranne che verso i cerulei e sorridenti occhi dell'altro.

Porca vacca, doveva muoversi.


Tu puoi, amor mio. Tu puoi.

Non si sarebbe mai abituato all'idea del Grande Capo che tifava per loro. Pazzesco.

Era passato dal volerLa cacciare al volere che restasse mentalmente attaccata a lui per supportarlo.


    «Perciò,» respiri profondi. Tanti, inutili, imbarazzati. «Io ti amo. Ecco. L'ho detto... di nuovo.»

Chiuse gli occhi perché aveva improvvisamente paura. Aveva paura di aver sempre provato sentimenti a senso unico. Aveva paura di rimanere deluso e - ancor peggio - aveva paura che la storia si ripetesse e che le sue parole rimanessero nuovamente vuote, senza risposta e senza speranza di trovare compimento.

    «Che ne pensi?» Chiese infine, schiudendo una palpebra per scrutare il volto distrutto ma pur sempre stupendo dell'angelo. Che razza di domanda fosse, non lo sapeva neanche lui.

Ormai aveva perso la testa. Era innamorato pazzo e stava facendo la figura del perfetto imbecille in un momento serio.


    Ma Aziraphale sorrise. Sorrise tanto da illuminarsi come un faro nella notte, nonostante le condizioni in cui versava. «Cosa ne penso?» Sussurrò, dolorante ma felice. 

Si picchiettò debolmente un dito sulle labbra, facendo finta di pensarci. Un sorrisetto furbo, ma dolce e morbido come le nubi, ruppe il suo dolore.


Da qualche parte nella mente di Crowley, Dio si mise a ridere. Vedi tu se non si metteva a fare l'adorabile bastardo che era anche in quella situazione al limite, accidenti a lui.


    «Penso proprio che la cosa sia reciproca,» concluse poi l'angelo, più raggiante che mai. 


Il rosso sbarrò entrambi gli occhi perché si rese conto di non essere preparato. Ad un eventuale rifiuto sarebbe semplicemente andato da Morte a chiedergli se potesse gentilmente mettere fine alla sua inutile esistenza; facile e veloce. Ma a quel punto, sia la sua mente che la sua intera e buia anima si erano fermate a guardarsi, facendo spallucce e chiedendosi come reagire a quella situazione.

    «Tu, cioè- io e te. Tu... Ah, sì?» Chiese, incespicando. Aveva le guance in fiamme e le lacrime che facevano a gara per precipitare in picchiata giù dal suo volto.


    Aziraphale annuì, come se quella domanda avesse avuto il benché minimo senso. Poi si strinse un po' nelle spalle, improvvisamente mesto. «So che ci sono state volte in cui ti ho fatto credere il contrario,» disse. «E mi dispiace. Ho avuto paura per così tanto tempo che, non appena abbiamo avuto la possibilità di dirci tutto, ho voluto che le cose facessero da sé. Non volevo rovinare ciò che stavamo costruendo, capisci?»


E Crowley capiva. Capiva eccome.

Annuì, poiché erano le stesse preoccupazioni che lui stesso si era fatto per secoli e secoli; le stesse che lo avevano mangiato negli ultimi due anni (quasi tre).

Anche se era vero, accidenti. L'angelo lo aveva fatto penare per secoli, lasciandolo cuocere in quel minestrone di sentimenti; portandolo spesso a mettere in dubbio quell'amicizia che forse non era solo quello.

Anche lui, però, quante volte avrebbe voluto avvicinarsi di più e non lo aveva fatto? Quante volte avrebbe voluto fare sue quelle mani morbide, ritraendosi? Quanto tempo avrebbe dovuto aspettare prima che fossero pronti entrambi a fare un passo avanti?

Ma nella vita - nell'esistenza, nel loro caso - non si è mai pronti. Bisogna buttarsi.

    «A-alla fine Dio non ha sbagliato,» disse, ancora tremante. «Alla fine ci ha veramente dato una spinta. Cioè - diciamo anche che ci ha catapultati nell'occhio del ciclone. Ma ha funzionato.»


    «Beh,» disse Aziraphale in un sussurro. «Ovvio: Dio non sbaglia mai.»


Non si era sbagliata su di loro, questo era certo.

Crowley poteva quasi sentirlo: il potente ed inebriante calore di quel rapporto. O forse era lui che ormai - poteva figurarselo alla perfezione - doveva essere diventato color vino rosso a causa dell'imbarazzo. Un piacevole imbarazzo, ovviamente.

    Fissò la luce ormai intermittente del suo amato e quegli occhi ormai mezzi socchiusi ma carichi come non mai di gioia. «Hai ragione. Come sempre,» disse, sapendo che c'era solo un'ultima cosa da fare. L'unica che ancora restava sospesa nell'aria, paziente, in attesa di essere compiuta.

L'unica che avrebbe potuto sbrogliare i fili e far tornare il sole. L'unica rimasta tra le cose che il demone avrebbe sempre tanto, tanto, tanto, tanto voluto fare.

Un gesto così umano e così inutile per due creature eterne come loro. Inutile poiché tanto non sarebbe mai bastato a riassumere ciò che provavano.

Eppure era lì, che chiedeva di essere fatto e che pregava di esistere. Lì che spingeva come un matto perché se lo meritavano: meritavano di farlo per sancire una volta per tutte la loro unione.


Fallo.


Circondando il suo angelo nel gesto più dolce che gli fosse possibile - e che ben poco si addiceva ad uno come lui, Crowley avvicinò il suo volto rigato di lacrime a quello luminoso, seppur imbrattato, dell'altro.

Non dovette pensarci due volte: un po' perché non aveva tempo di farlo e un po' perché sapeva che non c'era nulla a fermarlo, quella volta.

Così baciò le dolci e morbide labbra di Aziraphale che, prontamente, ricambiò - posandogli debolmente una mano sulla guancia scarna e prendendo ad accarezzarla.


Il tocco fu lieve, dolce, caldo e semplicemente perfetto. Vi si sciolsero entrambi, sperando che fosse il primo di molti e sapendo che sarebbe stato l'unico del suo genere.

Si staccarano appena per riprendersi, perché era così che facevano: si allacciavano e si slacciavano, si amavano e si stuzzicavano, si assomigliavano ed erano assolutamente diversi in tutto. Ma andava bene così.

Andava bene così.


Presi nel momento, non sentirono la terra sparire sotto di loro, accompagnata dal cielo. Non sentirono Morte fare dietrofront e allontanarsi. Non sentirono la realtà in cui si trovavano disfarsi, né sentirono la cristallina, dolce e gioiosa risata di Dio in lontananza.

Non c'era niente se non loro, in quel momento. Niente se non le loro labbra che si cercavano a vicenda, chiudendo una storia che si era aperta ancor prima che la Terra vedesse la luce.

Non appartenevano a nessuno se non l'uno all'altro.


Il tutto si dissolse lasciando, per un attimo, solo loro. Loro che da soli avevano fatto crollare le certezze più basiche: prima la dualità su cui si poggiavano l'universo e l'umanità, poi l'Apocalisse e alla fine persino Colei che tutto può. 

Anzi, no. Non "tutto": quasi tutto. 

L'unica cosa che davvero tutto poteva, era l'amore tra quei due. Loro erano l'eccezione.

E le creature che più amava in tutto l'universo.

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Capitolo 10
*** Tutto assolutamente perfetto (stavolta davvero) ***


Il silenzio venne rotto dal rumore dei clacson, dal vociare eccitato delle persone in lontananza e dai passi veloci che si susseguivano in massa sul marciapiede.

Che diamine aveva la gente? Pensò Crowley stringendo gli occhi, infastidito. Normalmente riusciva a dormire bene nella libreria, ma quella volta sembrava che qualcuno avesse sguinzagliato una mandria di elefanti impazzita davanti all'ingresso.

Cercò di contrastare il baccano tirandosi la coperta fin sopra le orecchie. Peccato che bastò un tocco per fargli capire che quella che aveva addosso non era una coperta. Al tatto era morbida, calda e soffice, ma era come se fosse ricoperta di... Di piume?

Aggrottando le sopracciglia, toccò la superficie sotto di lui e capì che non erano i cuscini del divano, bensì le fredde e lignee tavole che costituivano il pavimento della libreria. 

Un attimo. Che ci faceva per terra?


Con una fatica immane aprì gli occhi, salvo poi richiuderli a causa della - della luce del sole?

Li riaprì subito, stupefatto. Il piano di sotto era effettivamente inondato dalla calda luce del mattino, segno inequivocabile dell'arrivo di un nuovo giorno. La notte eterna era finalmente finita: ciò spiegava la gioia che aveva invaso le strade.

E sopra di lui era poggiata un'ala dalle belle piume candide come le nuvole in un cielo sereno; appartenenti all'angelo dormiente accanto a lui. Non uno qualunque, il suo: l'amore della sua esistenza. L'essere meraviglioso al quale era sempre stato legato e che ora giaceva tranquillo al suo fianco, con il volto pulito e rilassato; la fronte contornata da riccioli perfetti, ben raggomitolato tra lui e il piccolo rifugio piumato con il quale aveva circondato entrambi. 

Era vivo e vegeto, non era ferito e stava bene. 

E lo amava. Si amavano di un amore che nessuno avrebbe mai eguagliato.


Tutte queste sicurezze inondarono l'animo del demone con un calore così dolce da portarlo alle lacrime.

Pianse tutto: la paura che aveva provato, il sangue che aveva visto sgorgare, il dolore che aveva visto sul volto di Aziraphale, i ricordi che aveva dovuto rivivere... Ma soprattutto, pianse di gioia. Ora sapeva che, nonostante la Caduta, aveva fatto la scelta giusta: aveva deciso di rischiare, chiedere e affezionarsi. Non avrebbe cambiato ciò che provava neanche per tutte le stelle del cielo. E se fosse stato costretto a tornare indietro di nuovo, lo avrebbe fatto solo per non cambiare assolutamente nulla.

Forse, l'unica cosa che adesso rimpiangeva, era la lontananza di Dio. Sapeva che non si sarebbero più parlati, ma poco importava: si erano ricongiunti, per quanto assurdo potesse sembrare. Era abbastanza da farlo stare meglio con sé stesso: gli sembrava di essere riuscito a sanare una vecchia ferita.

Certo che era davvero fuori di testa il Grande Capo. Si ritrovò a sorridere al pensiero, e si disse che gli umani si sarebbero meritati di conoscere la Sua vera natura. Di certo, era molto più interessante di qualsiasi cosa avessero deciso di venerare.


Contrastando lo sfogo a fatica, Crowley si asciugò il viso e prese ad accarezzare le morbide guance dell'altro con un amore e una sicurezza che prima di allora non si sarebbe potuto permettere. 

Adesso sì che erano liberi del tutto. Non che prima non andasse bene, anzi: forse sarebbero riusciti ad andare avanti anche senza scoprire niente di ciò che avevano scoperto. Solo, sarebbero stati un po' più lenti e un po' più incompleti.

Povero Aziraphale: tutti che lo spingevano a fare tutto. Mai nessuno che lo aspettasse, andando al suo passo e godendosi i momenti, attendendo che le cose maturassero da sé. Beh, adesso aveva tutto il tempo di fare con calma: Crowley sarebbe rimasto lì anche un secolo ad attendere che si riprendesse da tutto lo strazio che aveva passato, e lasciando che si riposasse alla luce del nuovo sole e nel calore della ritrovata presenza di Dio.


Strisciando lentamente sotto quelle ali sempre pronte a proteggerlo, il rosso avvicinò il volto a quello dell'altro e diede un bacio a quelle labbra così dolci e così morbide da fare un baffo alle nubi del Paradiso. Labbra che non si ritrassero ma risposero lentamente e pigramente al tocco, come se stessero aprendo una porta, invitando quel gesto ad entrare. 

Oh, sarebbe diventato rompi scatole e dannatamente appiccicoso. Cioè, era già entrambe le cose - ma adesso sentiva che non sarebbe riuscito a domare la sua naturale possessività così bene e Lei non era lì per calmarlo.

Mai dare ad un demone esattamente ciò che vuole: rischi che vi si attacchi. Si prospettava un cambiamento divertente e particolare, ma era pronto a viverlo tutto; alti e bassi - anche se già interrompere quel bacio fu difficile. Tanto, tanto difficile.


Fortuna volle che non dovette aspettare tanto per averne un altro.


**


Si svegliò sotto ai tiepidi raggi di sole invernali, e da lì capì che le cose erano tornate apposto. Lo capì anche dall'assenza di freddo e bruciore; così come lo capì dalla presenza persistente di Lei, chiaramente percepibile attorno a sé.

Accolse un bacio, sapendo che ne avrebbe dati tanti da quel momento in poi. Decise di godersi gli ultimi attimi di pigrizia, un po' perché ne aveva bisogno e un po' perché aveva deciso di aver dormito abbastanza. Non lo avrebbe fatto mai più, mai, in tutta la sua esistenza.


Si stirò appena, passandosi le mani sul volto. Venne accarezzato e cullato da un leggero: "Ssh...", seguito da una mano che si faceva strada tra i suoi capelli.

    «Non vorrai alzarti così presto, mh?»


Aziraphale affondò pigramente il volto tra il mento e il collo di Crowley, senza dire una parola. Voleva solo vivere un altro po' in quella bolla di benessere, pace, amore, piume e lontane grida di gioia.

    A proposito delle sue ali: «Sono tornate normali, vero?» Chiese, più per avere la conferma che per effettiva preoccupazione. Non dovette nemmeno specificare.


    «Candide e immacolate,» disse l'altro con una punta di orgoglio. «Puoi stare tranquillo.»


Aveva funzionato davvero, quindi. L'angelo si ritrovò a sorridere, pensando a quanto tutto ciò sembrasse la trama di quelle serie smielate che Crowley faceva finta di detestare - ma che in realtà era capace di finirsi in una serata, piangendo anche. 

    «Davvero hai parlato con Dio?» mugugnò, strofinando il naso contro quella pelle liscia e sottile.


   L'altro ridacchiò: «Già. È stato pazzesco: poi ti racconto,» promise. «Un demone che parla con Lei. Assurdo, eh?»


    «Beh, io ho scoperto che dalle Cadute ci si può rialzare, più o meno. Parlando di assurdo.»

Di certo, era possibile avendo qualcuno pronto a prenderti per mano e tirarti su. E lui aveva la fortuna di avere sempre quel qualcuno pronto a farsi in quattro per aiutarlo.


    Crowley gli rispose con un tenero e gioioso: "mhmh" stampandogli un bacio tra i riccioli. «Vuoi che ti porti su?»

Aziraphale scosse la testa.

    «Il divano?»

Altra negazione.

    «Va bene, allora stiamo qui. Tutto quello che vuoi.»


Venne sorpreso da un altro bacio. Lo ricambiò con un sorriso sulle labbra, si separò appena solo perché l'altro potesse riavvicinarsi, e scoprì che gli piaceva quel piccolo gioco: quel toccarsi, staccarsi, tornare ad unirsi per poi scindersi ancora. Esattamente come la prima volta, all'angelo parve una grande metafora della loro esistenza e del loro rapporto. Rapporto che aveva fatto quel piccolo salto avanti che li avrebbe portati ancor più lontano di quel che avrebbero mai immaginato.


Rimasero lì per tutto il giorno, avvinghiati, stretti l'un l'altro in un abbraccio infrangibile e condito di occasionali gesti d'affetto gratuiti, istintivi. Quell'amore non era più l'ombra del loro passato: ne era diventato la conferma. 

E andava bene così.

Andava bene così.


**


Passò un anno da quei tre assurdi giorni.

    Morte affiancò Dio, ponendosi come sempre alla Sua sinistra. «Come va, Mia Signora?» Chiese.


Lei sorrise, gli occhi splendenti fissi sull'edificio davanti alla libreria. Aveva aperto da poco ed era diventato un pub: uno dei migliori della città - oltre che uno dei più festaioli (il che, per qualche miracoloso motivo, non arrivò mai ad intaccare la calma e la concentrazione dei lettori di fronte).

    «Sai, sono cambiati molto senza cambiare per niente,» disse, guardando dolcemente il Suo interlocutore. «Si separano di rado, parlano, ridono, bevono, battibeccano e ricominciano da capo. Ogni volta, però, riescono a rendere il tutto sempre più interessante da osservare


    Il mietitore annuì: «Possono essere più vicini di così?»


    «E chi lo sa,» rise l'altra. «Sono capaci di tutto, quei due. Sai cosa mi ricordano?»


Morte scosse la testa, mettendosi distrattamente a guardare Crowley e Aziraphale uscire dal pub. Il demone chiuse la porta con un unico, fluido movimento del braccio, intrecciò le dita con quelle dell'altro e i due si misero a conversare con naturalezza, prendendo a camminare.


    «Conosci Alpha Centauri?» Chiese Dio, cingendo l'ossuto braccio del mietitore.


    «Oh, eccome. Una delle Vostre migliori creazioni


    «Ha una storia particolare. È un sistema costituito da due stelle così simili tra loro, e così vicine l'un l'altra, che da lontano sembrano una,» Concluse l'Altissima con un sorriso.


    «Capisco cosa intendiate,» affermò l'altro.


Seguirono i due lungo tutto il tratto verso il parco, osservandoli mentre facevano quello che avevano sempre fatto - sin da quando il mondo che tanto amavano ancora non esisteva. Solo che stavolta alle parole si alternavano i baci; al gesticolare si susseguivano le carezze, le dita strofinate sui dorsi delle mani, le loro fronti che si sfioravano. Erano arrivati ad essere ciò che Lei aveva sempre sperato e per il quale aveva mandato in subbuglio la Terra.


    «Si sta mettendo a piovere,» commentò Morte, osservando il cielo plumbeo come le ali di un mezzo Caduto.


    «Non temere, Ombra Mia: Aziraphale ha sempre un ombrello con sé,» disse Dio con un tono dolce e orgoglioso.


    «Dite che se la caveranno? Ho come l'impressione che abbiano davanti a loro ancora tante cose da fare, da vivere, da sistemare...»

Il mietitore La conosceva bene: la sua Signora passava il tempo a pianificare, intrecciando il tessuto dell'universo secondo regole che solo Lei conosceva. Per quanto riguardava Crowley e Aziraphale, però, le cose si facevano sempre piacevolmente intricate.


    «Andrà benissimo,» lo rassicurò Dio, osservando l'ombrello dell'angelo aprirsi all'arrivo delle prime gocce. «E poi: ci sono io con loro. Sempre, anche se non possono sentirmi.»

Le sarebbe mancato parlare col demone. Nonostante tutto, si era divertita e aveva sistemato uno dei rapporti migliori che avesse mai avuto con una delle sue creazioni.


E fu così che Dio e Morte rimasero ad osservare quelle due creature così diverse amarsi così tanto. Sorrisero nel vederle unite, imperturbabili sotto l'acquazzone crescente, saldamente appiccicate l'un l'altra.

Da soli, quei due rappresentavano la perfetta idea di unione e la perfetta idea di amore. Erano meravigliosamente coesi e meravigliosamente... Loro. Loro che avevano spinto l'Altissima a fare l'impossibile, loro che non seguivano regole perché erano loro stessi una regola.

E andava bene così. Andava bene nonostante il tempaccio, il freddo, le differenze. Andava bene perché - finalmente - si erano detti e fatti ciò che per secoli avrebbero voluto.


Non sarebbe stato sempre tutto rose e fiori, ma non importava. Crowley non sarebbe mai stato paziente, ma non importava. Aziraphale sarebbe sempre rimasto un po' indietro, ma non importava. Importava solo il presente. Importavano quei baci rubati sotto la pioggia.

E andava bene così perché meglio di così non poteva andare.

Era tutto assolutamente perfetto.


Stavolta davvero.


**

Fine.

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