A Christmas Carol

di Vallyrock87
(/viewuser.php?uid=1163906)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Strofa prima: Lo spettro di Naraku ***
Capitolo 2: *** Strofa seconda: Il primo dei tre spiriti: Shippo. ***



Capitolo 1
*** Strofa prima: Lo spettro di Naraku ***


Strofa Prima

Lo spettro di Naraku

Un pensiero era baluginato nella sua mente quel giorno, dopo tanti anni dalla sua scomparsa; Naraku, il suo socio in affari era tornato alla sua memoria, e insieme a lui anche il ricordo di come se ne fosse andato in completa solitudine senza alcuna persona al suo fianco che lo piangesse. Nemmeno Sesshomaru, che era l’unica persona, ( oltre agli addetti alla sua cremazione), a essersi presentata al suo funerale, aveva versato alcuna lacrima. Non che la cosa non fosse normale per lui, tuttavia, almeno in quel momento ci si sarebbe potuti aspettare una minima reazione, ma il suo orgoglio non glielo avrebbe mai permesso.

Il ragazzo era morto dopo una lenta agonia a causa di una grave  malattia che lo aveva colpito, e anche quando si trovava agonizzante in un letto d’ospedale, nessuno era andato a trovarlo, nemmeno lo stesso Sesshomaru, che era troppo impegnato, per lasciare anche per un solo momento il suo lavoro. Così se ne era andato senza un minimo di affetto attorno a lui, era come se non fosse mai esistito, come se nessuno sapesse di lui o ciò che era stato. A volte anche lo stesso Sesshomaru si domandava che cosa, in realtà, fosse davvero stato Naraku. Ed era una domanda a cui ancora non sapeva rispondere.

Eppure, quel nome dall’insegna non lo aveva mai tolto, e anche dopo parecchi anni si leggeva ancora accanto a quello del suo socio: Sesshomaru e Naraku. Era per questo che la ditta era nota; per loro due. Di tanto in tanto, succedeva che qualcuno desse il nome a Sesshomaru; ora il suo, ora quello di Naraku e lui rispondeva a entrambi, ma in fondo non gli era mai importato più di tanto, aveva sempre considerato sia lui che il suo socio come una cosa sola.

Sesshomaru era sempre stato un ragazzo gelido, scostante; alto, dai capelli biondo argento, occhi azzurri, talmente chiari da somigliare alla punta di un iceberg, ma soprattutto era di una bellezza rara in quella piccola parte di mondo, e se non fosse per la sua natura umana, lo si sarebbe potuto scambiare per un demone. Ma la sua freddezza contrastava totalmente con la sua bellezza. Tuttavia, il gelido inverno per lui, non era che una lieve brezza, la quale non riusciva a scalfirlo. Non sentiva il freddo pungente sul viso, anzi, era lui stesso a farlo provare agli altri, nemmeno la più calda delle estati riusciva a riscaldarlo. Ogni persona che incontrava sulla sua strada, si scansava al suo passaggio, talvolta era egli stesso a fare paura a qualche ragazzino che aveva la sfortuna di incontrare sul suo cammino. Persino i cani dei ciechi cambiavano direzione non appena lo vedevano.

Ma lui ne gioiva di tutto questo, come se la paura delle persone fosse la sua fonte di sostentamento, e lo rendesse più forte. Ad ogni suo passo, urlava alla gente di lasciargli libero il passaggio, e questa si scansava timorosa, lasciandogli la via libera.

Un giorno in cui se ne stava rintanato nel suo ufficio, nella giornata della Vigilia di Natale, in una delle giornate più gelide di quell’inverno, in cui le persone fuori dal suo studio rabbrividivano per il freddo e cercavano di scaldarsi in qualche modo. L’orologio sulla sua scrivania segnava appena le tre, e nonostante l’orario pomeridiano, sembrava fosse piena notte. Gli edifici tutto intorno erano illuminati dalle fioche luci delle candele. Vi era una fitta nebbia che sembrava quasi entrare in ogni casa, facendole sembrare degli enormi fantasmi.

La porta del suo ufficio era aperta per dare modo a Sesshomaru di osservare ogni mossa del suo segretario, il quale seduto più in là, attendeva che il suo datore di lavoro finisse di visionare alcune pratiche, in modo da poterle poi catalogare. Il camino acceso nell’ufficio di Sesshomaru  mandava un fuocherello talmente misero che l’ambiente non riusciva a riscaldarsi come avrebbe dovuto. Ogni tanto il suo segretario entrava per poter ravvivare un po’ la fiamma, ma lui lo rimandava al suo posto, minacciandolo di fargli perdere il posto se avesse anche solo osato mettere qualche ciocco in più per aumentare il calore. Così Inuyasha; un ragazzo dagli occhi chiari e che aveva anch’egli i capelli biondo argento, che in quanto a bellezza, nulla aveva da invidiare al suo datore di lavoro, si era avvolto in una pesante giacca rossa, coprendosi con una sciarpa il collo e stringendosi il più che poteva nelle spalle, non riuscendo però a frenare il battito dei suoi denti.

 
- Buon Natale figliolo, che sia sereno anche per te! – La voce gioviale di un uomo di qualche decennio più grande del proprietario dello studio, irruppe nel silenzio di quella gelida stanza. La voce apparteneva al padre di Sesshomaru; Toga. Era entrato talmente silenziosamente che il ragazzo non lo aveva nemmeno sentito.

- Tsk, sciocchezze. -  Rispose il ragazzo al genitore, tanto da far inarcare un  sopracciglio a Toga.

 
Il padre di Sesshomaru era un uomo solare e allegro, tutto il contrario del figlio, eppure, avevano lo stesso colore degli occhi, anche se quelli di Toga erano un po’ più grandi di quelli del figlio, e splendevano come le stelle del firmamento. Ma a Sesshomaru tutta quella gioia e quel calore dava quasi il voltastomaco, tanto che per un attimo, un conato sembrava essergli salito dalle viscere.

- Dunque, è questo ciò che ti ho insegnato!? Ad odiare il Natale? Come puoi non gioire di questa festa? – Chiese il genitore, che quasi si sentì male all’udire quelle parole provenire dalle labbra del sangue del suo sangue.

- È una festa inutile, non vedo che motivo ci sia per gioire di tutto questo. E voi padre siete l’ultimo per cui ne dovrebbe gioire dato che non avete nemmeno uno straccio di moglie, visto che ognuna di quelle che avete conosciuto, vi hanno abbandonato, infine. – Toga fece un passo indietro e guardò il figlio quasi divertito, di certo era vero ciò che gli stava dicendo, ma non era un motivo valido per cui non si potesse festeggiare in quel santo giorno. Tuttavia, suo figlio non poteva sapere che  forse una donna presenziava di nuovo nel suo cuore, ed era più che sicuro che questa volta non sarebbe stato scartato come le volte precedenti.

- Senti da quale pulpito arriva la predica, nemmeno tu, se non sbaglio figliolo, non hai mai avuto qualcuno al tuo fianco. Tuttavia, non hai comunque nessun motivo per essere sempre così negativo e scostante, tutti hanno diritto di festeggiare il Natale, persino tu. – Sesshomaru che sembrò essere toccato da quelle parole, e non sapendo più cosa rispondere al genitore si limitò soltanto a ripetere: Sciocchezze. – Andiamo figliolo non essere sempre di così mal umore. – Ripeté Toga.

- Come potrei non esserlo con tutte queste persone intorno a me, così allegre e spensierate che anche se non hanno un briciolo di ricchezza, gioiscono per festeggiare questa insulsa festa. Che sia dunque dannato il Natale e tutti coloro per cui ne gioiscono. Ogni anno ci si ritrova ad essere sempre meno ricchi e meno giovani, non vedo proprio che cosa ci sia da gioire tanto. Dalla mia bocca non usciranno mai parole così disgustose come l’augurio per un Felice Natale. No. Non lo sentirete mai uscire da me. –

- Figliolo! – Lo rimproverò quasi il genitore.

- Padre.- Lo rimbeccò il figlio, pronunciando quella parola come se ne provasse disgusto. – sarà meglio che vi teniate questo disgustoso Natale, mentre io mi terrò il mio. – Nuovamente il sopracciglio del genitore saettò verso l’alto, quasi stava perdendo la pazienza con quel suo figlio fin troppo insensibile nel curarsi di sé stesso e forse anche degli altri.

- Il tuo Natale!? Come può essere anche il tuo se non hai alcuna intenzione di festeggiarlo, anzi provi addirittura disgusto per questo; dunque, come puoi pretendere che sia anche il tuo? – Un ruggito uscì dalla gola dell’uomo che quasi sembrava sconsolato dalla reazione del figlio.

- Significa soltanto che questo è il Natale  che piace a me, nient’altro. Dunque, lasciatemi in pace e godetevi il vostro Natale, evidentemente voi ne avete sempre tratto un gran profitto da questa festa a differenza mia. –

-Figliolo, tu ignori il vero significato del Natale; è un giorno in cui tutti si vogliono bene, si fa la carità a chi è più povero e si perdona e ci si diverte insieme alla famiglia. È il giorno in cui si pensa a chi ha meno di noi, non c’entra nulla il denaro o esserne felici per questo, conta lo stare assieme almeno una volta l’anno. E forse in questo giorno si può pensare anche a chi non c’è più, ma non per questo si deve essere per forza tristi, le persone scomparse e a noi care di certo non ne sarebbero felici. Io dico dunque,  che ci sia gioia almeno a Natale, questo è più che certo e nessuno dovrebbe restare solo in questo giorno. – Per un fugace attimo, e per la seconda volta in quel giorno il suo pensiero tornò al suo socio, che proprio quel giorno, qualche anno prima, aveva esalato il suo ultimo respiro, e un senso di malinconia lo pervase all’improvviso.

 
Un rumore di mani che si incontravano, attirò l’attenzione dei due uomini, il segretario, quasi inconsciamente aveva applaudito al discorso che aveva concluso l’uomo che era entrato da qualche minuto; ma quando si accorse di essersi lasciato andare a troppo entusiasmo, si rimise a sedere alla sua scrivania a fare finta di guardare le carte davanti a sé. E rabbrividì quando sentì un ringhio di disapprovazione, provenire dall’ufficio del suo datore di lavoro.
 
- Inuyasha, vuoi che io ti licenzi?  Allora, sarà meglio che tenga a bada il tuo entusiasmo, se non vorrai passare il peggiore dei Natali. – Un sorriso maligno si dipinse sul suo viso, ma allo stesso tempo, una stilettata al cuore gli arrivò come un fulmine al solo pensiero di non rivedere più quel ragazzo, e per un attimo sentì vacillare il suo autocontrollo, forse non era vero che nulla poteva riscaldarlo, in fondo in fondo qualcosa c’era, solo che ancora non lo voleva ammettere neanche a sé stesso.

- Su, su figliolo, non ti arrabbiare. Ad ogni modo, ero venuto fin qui per invitarti a cena domani sera, vorrei presentarti una persona. Per tornare al discorso iniziale, una donna nella mia vita forse esiste, e questa volta sarà quella giusta me lo sento. – Sesshomaru fece una smorfia di disgusto al solo sentire pronunciare quelle parole, e poi una cena a casa di suo padre di certo non poteva andargli a genio.

- Preferirei morire piuttosto che incontrare una vostra nuova fiamma, soprattutto durante la cena di Natale. – La smorfia sul viso del giovane non mutò di una virgola, e il padre continuò a sostenere il suo sguardo senza far trasparire la minima emozione.

- Oh, ma perché figliolo, perché ti rifiuti di stare almeno in mia compagnia il giorno di Natale? Andiamo!- Esclamò spazientito il genitore.

- Io invece mi domando perché continuiate a innamorarvi, ogni occasione sembra essere buona, e questa scusa del; è quella giusta non attacca più con me. – Il disprezzo di suo figlio nei suoi confronto gli faceva decisamente male, era come se una stalattite lo trafiggesse al cuore.

- Ti assicuro che questa volta è la donna che fa per me, e ne sono innamorato, e tu invece quando ti deciderai a trovare qualcuno che ti ami, oppure esiste già ma non lo vuoi dire al tuo vecchio? – Gli chiese più per provocarlo e vedere la sua reazione, visto che ai suoi occhi non era sfuggito la piccola smorfia di disapprovazione, non appena aveva accennato al licenziamento del ragazzo che lavorava per lui.

- Queste sono solo sciocchezze che affliggono i più deboli, ma non Sesshomaru, non mi innamorerò mai di nessuno, per nessuna ragione al mondo. – Disse cercando di sembrare il più indifferente possibile, ma nulla poteva sfuggire agli occhi del genitore il quale, aveva capito che forse quella sua corazza di ghiaccio sarebbe ceduta se solo avesse lasciato entrare quel ragazzo nel suo cuore.

- Ebbene, visto che sei fermo nelle tue decisioni a questo punto non mi sembra di avere più niente da fare qui. Ma ricorda queste mie parole, perché un giorno potranno ritornarti utili; avere qualcuno da proteggere potrebbe diventare l’obbiettivo più importante da raggiungere, anche più degli affari a cui pensi così ossessivamente. – Concluse dirigendosi verso la porta, lasciando il ragazzo sbigottito e toccato da quelle parole, che non si preoccupò nemmeno di mascherare quello strano stato d’animo in cui l’aveva lasciato, dato che l’altro era voltato di schiena e non avrebbe potuto vederlo.

- Buona serata padre. –

 
Suo padre se ne andò senza aggiungere altro. Ormai si era rassegnato agli atteggiamenti del figlio. Si soffermò soltanto qualche attimo per augurare un buon Natale a quel ragazzetto che gli faceva da segretario e che, nonostante fosse infreddolito, emanava molto più calore di Sesshomaru stesso. Il padre poi  sparì dalla sua vista, e quasi sperò che sarebbe potuto scomparire per sempre, anche se  nel profondo non credeva di poterlo pensare sul serio.
 
- Tsk, anche il mio segretario pensa a questa stupida ricorrenza come il Natale, nonostante la misera paga che gli do, nonostante abbia una madre a casa che lo aspetta. – Si lasciò andare stancamente sulla poltrona, ancora più disgustato dalle persone che lo circondavano.

Nel frattempo, il diretto interessato, aveva fatto entrare altre due persone. Due uomini per la precisione, che dall’aspetto sembravano essere due gentiluomini. Questi si levarono cappello e cappotti e si inchinarono rispettosamente davanti a Sesshomaru. Il ragazzo notò che avevano in mano alcuni fogli e per un attimo li scrutò curioso, pensando che potessero essere uomini d’affari come lui.
 
- Naraku e Sesshomaru, immagino, con chi abbiamo l’onore di parlare? – Disse uno dei due uomini, controllando su una specie di lista che aveva tra le mani.

- Il Signor Naraku è morto molti anni fa. – Rispose Sesshomaru sempre con la sua maschera di indifferenza in volto. – Morì proprio in questa notte, che sia dannato il Natale. – Quasi sputò le ultime parole.

- Oh, ci dispiace! Le nostre più sentite condoglianze. – Disse quello porgendogli un suo documento per farsi riconoscere. – Ma non dubitiamo comunque che voi siate riuscito a mandare avanti la vostra attività egregiamente mio signore. – A Sesshomaru quasi sembro che quello se lo volesse ingraziare a tutti i costi, anche se potevano essere uomini d’affari, non avrebbero dovuto osare tanto. E l’atteggiamento cordiale di quell’uomo lo irritava oltremodo.

- La preghiamo dunque, di scusarci per esserci presentati qui in questo giorno, ma vorremmo raccogliere una piccola offerta per i più bisognosi. Con questo freddo e la povertà, molti muoiono di fame. – Il ragazzo strinse con rabbia i braccioli della sua poltrona fino a  farsi venire le nocche bianche. Trovava un affronto una simile sfrontatezza da parte di quegli conosciuti, e soprattutto trovava irritante essersi sbagliato sul loro conto.

- Non ci sono rifugi per queste persone, bisognose come dite voi?- L’uomo lo guardò quasi incredulo non capendo la domanda.

- Certo ma non tutti vi possono accedere. – A quel punto Sesshomaru sentì l’irritazione impossessarsi del suo intero essere.

- Oh bene, mi conforta saperlo. – Disse infine quasi come se volesse prenderlo in giro.

-Tuttavia, anche le strutture hanno bisogno di essere mantenute, e noi tutti facciamo del nostro meglio per fare in modo che ciò accada. Quale somma volete dunque donare. –

- Niente. – Quello lo osservò incredulo, non capendo se quel ragazzo davanti a lui non volesse donare nulla o se volesse restare anonimo, come era solita intenzione nella maggior parte dei benefattori.

- Volete restare nell’anonimato? – Chiese allora l’uomo.

- Vorrei non essere disturbato, mentre sto svolgendo i miei affari, e voi mi state disturbando fin troppo; quindi, è meglio se mi lasciate in pace. Non voglio sborsare soldi per gente che non è nemmeno in grado di trovarsi un buon lavoro, come vedete ho il mio studio e il mio segretario da pagare e questo mi basta. – Pronunciò l’ultima frase indicando Inuyasha al di là della porta, quasi con disgusto.

- Ma signore, è la Vigilia di Natale… - Nemmeno ebbe il tempo di terminare la frase che Sesshomaru era scattato in piedi, facendo scivolare la poltrona dietro di sé e  battendo i palmi aperti sul piano della scrivania, provocando un suono che fece sobbalzare i due uomini.

- Non sono affari miei. – Ruggì con uno sguardo assassino in volto. – E se ci tenete alla vita e meglio per voi se ve ne andate. –

 
I due uomini impauriti ripresero i loro cappelli e i loro cappotti e lasciarono lo studio in gran fretta, come se avessero il diavolo alle calcagna, senza nemmeno salutarlo, dando un fugace sguardo di compassione verso il segretario, che gli sorrise di rimando.

Intanto fuori il buio era diventato ancora più fitto tanto che la nebbia non lasciava intravedere nulla a un palmo dal proprio naso. In quel momento, i lampioni si illuminarono di una luce traballante. In lontananza si sentivano scoccare le ore dalla torre dell’orologio, non poco distante da li. Alcuni barboni della via, avevano acceso un fuoco per riuscire a scaldarsi, e alcuni ragazzetti vestiti di stracci si erano aggregati a loro per riscaldarsi.  Alla porta di ogni casa vi era una ghirlanda di pino adornata da bacche rosse, ogni negozio nei dintorni era illuminato da una luce fioca che si poteva comunque intravedere attraverso la nebbia. Ancora di più in quel momento, le persone si stringevano nei loro caldi cappotti, cercando di riuscire in qualche modo a scaldarsi. Ognuno andava per negozi  preparandosi al grande giorno che sarebbe arrivato. Nonostante il freddo fosse ancora più pungente di qualche ora prima.

Improvvisamente, sotto la finestra dello studio, alcune persone si erano radunate per intonare un canto di Natale, credendo di allietare l’animo delle persone al loro interno. Ma Sesshomaru decisamente contrariato emise un sonoro grugnito non appena quelle persone intonarono la prima strofa, e le mandò via spaventandole a morte, di sicuro non si sarebbero più ripresentate sotto la sua finestra.

Giunse finalmente il momento di chiudere e di andare a casa. Sesshomaru non avrebbe mai voluto abbandonare il suo lavoro, e dunque, a malincuore, si alzò dalla sua scrivania e andò verso il suo segretario, che aveva già compreso che era ora di chiudere e si era alzato a sua volta.

 
- Immagino che domani non vorrai venire al lavoro? – Il ragazzo lo guardò deglutendo a vuoto, e arrossendo un poco, cosa che gli succedeva spesso quando il più grande gli era vicino. Ma poi cedendo all’imbarazzo, aveva abbassato la testa.

- Mi dispiace Sesshomaru, ma… ecco domani è Natale e mia madre… - Sesshomaru lo zittì con un segno della mano.

- Non mi riguardano i tuoi affari, tuttavia, nonostante non mi piaccia pagarti un giorno in cui batti la fiacca, te lo concederò ugualmente, anche se sarei tentato di ridurti la paga. Però vorrei che mi promettessi almeno che dopodomani sarai qui ancora prima del mio arrivo, sono stato chiaro!? – Inuyasha deglutì di nuovo e sollevò la testa  per guardarlo negli occhi.

- Te lo prometto, mi troverai qui ancora prima che arrivi il giorno. – Detto ciò, si dileguò per dirigersi verso casa da sua madre, non si preoccupò nemmeno di augurargli un Felice Natale, sapeva che se lo avesse fatto avrebbe compromesso il suo posto di lavoro e la sua paga anche se misera.

 
Prima di tornare da sua madre però si fermò a giocare con alcuni ragazzini che incontrò sulla sua strada, onorando così la Vigilia di Natale, poi si  diresse dritto verso casa. Ma non poteva pensare che qualcuno lo stesse aspettando, qualcuno di molto losco.
 

***

Sesshomaru rimasto solo, si intrattenne ancora nel suo studio a lavorare su alcuni incartamenti, cambiando così idea all’ultimo momento, per lui ogni ora poteva essere buona per lavorare, e quando avvertì la stanchezza prendere possesso delle sue membra si avviò verso casa, per mangiare un boccone e mettersi a letto. Il paesino in cui abitava, si trovava appena fuori Tokyo, ma la sua dimora, si trovava ai margini delle poche case di quel paesello. Era un casolare talmente grande che nemmeno lui era a conoscenza di quante stanze ci fossero. Detestava talmente tanto avere gente intorno, che non aveva nemmeno preso in considerazione di dare alcune stanze in affitto. Quello stesso casolare, era appartenuto un tempo al suo vecchio socio, e lui ne aveva preso la proprietà alla sua morte, era stato una specie di lascito da parte di Naraku. Quella sera la nebbia era talmente fitta ed era talmente buio che Sesshomaru quasi non riusciva a vedere nemmeno la porta di casa.

Mentre era intento a inserire le chiavi nella serratura, provocando un tintinnio che echeggiava nella nebbia, il suo sguardo si soffermò per qualche istante sul picchiotto massiccio della porta, che ritraeva la testa di un cane, simbolo della sua antica famiglia, lo aveva fatto aggiungere nel momento in cui, in quella dimora ci era andato a vivere. Fino a quel giorno, non aveva mai pensato un solo momento a Naraku e alla sua tragica morte, mai prima di quella mattina. Ma nel momento in cui la chiave entrò nella toppa, il picchiotto, sotto il suo sguardo, sembrò trasformarsi e da un momento all’altro il cane davanti a sé scomparve per fare posto al viso di Naraku.

I cui occhi rossi come sangue sembravano brillare in quella notte buia e nebbiosa, come anche il resto di quella testa apparsa dal nulla. I suoi capelli, mossi e corvini, come lui li ricordava, fluttuavano nell’aria, contro ogni tipo di forza di gravità. Sesshomaru storse la bocca in un gesto di disgusto e forse per la prima volta nella sua vita; terrore, verso quella cosa che gli si era parata davanti: un volto livido e occhi sbarrati e immobili che lo stavano osservando. Un senso di disagio per un attimo pervase la sua anima.

Rimase ad osservare quel picchiotto fermo e immobile, con la chiave ancora inserita nella toppa, nel silenzio nebbioso di quella notte di Natale. Riuscì a riprendersi nel momento in cui quella inquietante visione sparì dalla sua vista così come era venuta. Dovette sbattere un paio di volte le palpebre,  prima che quel viso livido sparisse dalla sua mente, girò poi la chiave ed entrò in casa, accendendo la candela che si trovava all’ingresso.

Sentì il sangue raggelarsi nella vene, più di ciò che già era, e il suo cuore sembrò volergli uscire dal petto senza alcuna minima intenzione di quietarsi. Sbattè la porta, talmente forte da fargli fare un rumore simile a quello di un tuono, che risuonò in tutta la casa, in ogni camera di quell’imponente immobile desolato. Dopo qualche istante, afferrò la candela, salendo le scale per dirigersi al piano superiore.

Le scale, come anche tutta la casa erano lugubri e tetre, avrebbero potuto mettere paura a chiunque, ma non a Sesshomaru che a quel casolare ormai ci aveva fatto l’abitudine, e che non credeva di certo a sciocchezze come a quella che esistessero i fantasmi. Eppure, nemmeno la candela che egli teneva in mano riusciva a rendere quel posto più accogliente.

Sesshomaru continuò a salire le scale, infischiandosene di quella oscurità, che in fondo costava poco, e a lui piaceva, ma prima di chiudere dietro di sé la porta del salotto in cui si trovava anche la sua camera, e dove vi era un caminetto acceso ed una ciotola di ramen che lo attendeva sul tavolino, andò a controllare una a una ogni singola stanza, per sincerarsi che tutto fosse al suo posto. Trovò tutto come sempre, ogni cosa era dove era sempre stata, nemmeno un granello di polvere era fuori posto.

Quando fu sicuro che non ci fosse nessun altro, oltre a lui, chiuse la porta dando una doppia mandata alla serratura. Si spogliò dei suoi abiti, indossando un kimono da notte, posizionandosi poi davanti al fuoco e prendendo la ciotola con il ramen e le bacchette, gustandolo nel silenzio di quella enorme dimora.

Il fuoco che sprigionava il caminetto era talmente flebile che dovette avvicinarsi un po’ di più per riuscire a riscaldarsi un pochino. Mentre mangiava, si perse con lo sguardo tra quelle fiamme, ripensando a ciò che aveva visto pochi minuti prima; il viso di Naraku ormai morto da tempo, chiedendosi per quale motivo, proprio in quel momento gli riaffiorava alla memoria il suo socio, era una cosa che proprio non riusciva a spiegare.

Quando ormai fu sicuro di essersi scaldato a sufficienza, tornò a sedere, nel frattempo aveva finito anche il ramen, posò la ciotola sul tavolino e subito dopo si lasciò andare sulla sedia e chinò la testa indietro poggiandola sulla spalliera della poltrona. Ad un tratto, un campanello che serviva per comunicare con qualche altra camera, iniziò a dondolare leggermente emettendo un flebile suono, piano piano però iniziò a suonare sempre più forte, tanto che, anche tutti gli altri campanelli della casa risposero al primo con insistenza. Quello strano fenomeno, durò un minuto o forse anche meno, ma a Sesshomaru era sembrato fosse durato per un’ora. I campanelli smisero di suonare improvvisamente, come se non si fossero mai mossi. Successivamente, i campanelli vennero sostituiti da un insolito rumore di ferraglia che sembrò provenire dal seminterrato. In quel momento a Sesshomaru balenò nella mente, il ricordo di una diceria che aveva sentito tra gli abitanti del paese: nelle case molto vecchie come era la sua, e possibile, se si tendono bene le orecchie, sentire alcuni spiriti che trascinano catene.

 
- Tsk, sciocchezze. – Disse a quel punto Sesshomaru, scacciando quelle strane dicerie dalla sua mente. – E dovrei credere a questa follia, sentita da gente altrettanto sciocca!? –

Tuttavia, avvertì un brivido freddo percorrergli la schiena, nel momento in cui la porta che aveva chiuso a doppia mandata si spalancò, e lo spettro fece il suo ingresso subito dopo. La fiamma del caminetto a quel punto diede un guizzo, come lo scodinzolare di un cane al ritorno del padrone, fu come se dicesse: So chi è, quello è senza ombra di dubbio Naraku.

Nemmeno ora che lo aveva davanti agli occhi, riusciva a credere che quella figura fosse Naraku. Eppure, portava lo stesso kimono viola e blu che era solito indossare quando si trovava nell’intimo della sua dimora. I lunghi capelli corvini erano legati come sempre, in una coda di cavallo fermata da un nastro bianco, gli occhi che riproducevano la visione di poco prima sul picchiotto, erano rosso cremisi come il sangue che scorre nelle vene dei vivi. Lo sguardo di ghiaccio del ragazzo cadde sulla catena che lo stringeva alla cintola, che si avvinghiava allo spettro come se fosse una coda. A una estremità, si trascinava uno scrigno di ferro che sembrava essere molto pesante, attaccato alla stessa catena vi erano una moltitudine di lucchetti, che insieme ad essa facevano un gran rumore. Il corpo di Naraku era trasparente, tanto che Sesshomaru vi poteva vedere attraverso.

In quel momento, posando lo sguardo sul volto di quello spettro, poté notare che una fasciatura gli circondava il capo per poi annodarsi  sotto il mento. Un particolare a cui non vi aveva badato ad un primo sguardo. Di tutta quella strana situazione era totalmente incredulo, nonostante la stesse vivendo sotto i suoi occhi.

 
- Che significato ha tutto questo? – Chiese con la fronte corrugata, nel suo solito tono freddo e scostante di sempre. – Che cosa vuoi da me Naraku? – Dopo aver sentito quelle parole lo  spettro emise una risata malefica che a Sesshomaru sembro risuonare per tutta la casa.

- Oh, mio caro Sesshomaru, io da te voglio molto. – Finalmente riuscì a sentire la voce dello spettro, per la prima volta da quando era entrato in quella stanza, e constatò che fosse proprio quella del suo socio.

- Chi sei tu, come hai osato entrare nella mia casa senza nemmeno chiedere il permesso? – Un'altra risata uscì dalla bocca dello spirito, ancora più inquietante della prima.

- Dovresti domandarmi chi sono stato, e poi; non ho bisogno dell’autorizzazione di nessuno per entrare nelle case. – La risposta fece irritare non poco Sesshomaru che strinse i pugni snudando i denti, ma riprendendo un certo contegno subito dopo, cercando di non fare vedere il suo scontento allo spirito.

- Allora dimmi, chi sei stato? – Si accorse di aver alzato la voce nel momento in cui le parole gli erano uscite di bocca. – Mi sembra che tu sia un tantino arrogante per essere soltanto un ombra. –

- In vita fui il tuo socio, Naraku Kagewaki. – Gli rispose lo spettro, non facendo caso all’ultima frase pronunciata.

- Potresti sederti? – Domandò Sesshomaru a quel punto dubbioso, ma allo stesso tempo trovando irritante dover guardare quello spettro che volteggiava nell’aria.

- Certo che posso. –

 
Sesshomaru aveva fatto quella domanda per vedere con i suoi occhi se uno spettro così pallido, fosse in grado di accomodarsi su un divano. Ma lo spirito gli si sedette di fronte, sulla poltrona che si trovava dall’altra parte del caminetto, come se fosse un gesto naturale. Per alcuni istanti, Naraku guardò il mortale davanti a lui per scorgere alcuni segni sul suo volto.
 
- Tu non credi che io sia davvero qui? –

- No – Rispose seccamente Sesshomaru, lo spettro rise di nuovo.

- Quale altra prova vuoi? -  A quel punto Sesshomaru non fu sicuro di ciò che volesse che lo spirito gli mostrasse, così rispose sinceramente.

- Non lo so –

- Per quale motivo dubiti dei tuoi sensi? –

- È semplice, perché potrei stare facendo un incubo in questo momento, e perché tu potresti essere il motivo di una qualche indigestione, e in ogni caso questo momento potrebbe essere soltanto frutto della mia immaginazione. –

 
A Sesshomaru, in quei pochi attimi in compagnia dello spettro, gli era sembrato di aver parlato anche più del solito, al di là dei suoi standard. Ma in quel momento stava cercando di dominare quello spiacevole senso di terrore che gli attanagliava le viscere, causato dalla voce e dalla risata dello spettro che gli faceva provare dei brividi fin dentro le ossa.

Aveva creduto che stare lì a fissare quelle pupille rosse come il sangue e non aprire bocca, non sarebbe stata comunque una buona idea. Inoltre, vi era una strana atmosfera che avvolgeva lo spettro, rendendola quasi simile all’inferno. Quei capelli corvino che gli volteggiavano intorno, lo rendevano ancora più spaventoso agli occhi del ragazzo.

 
- Tsk. – Esordì a quel punto Sesshomaru, cercando di sottrarsi per qualche attimo allo sguardo dello spettro. – Gli spiriti non esistono, e nemmeno tu, che sei qui davanti a me, esisti. –
 
A quel punto, lo spettro sembrò irritarsi, dando uno strattone alla catena che emise un tetro fracasso. Il terrore negli occhi di Sesshomaru crebbe nel momento in cui Naraku si tolse la benda che gli avvolgeva il viso, lasciando cadere la mascella sul suo petto.

In quell’istante, Sesshomaru sgranò gli occhi e cadde a terra, portandosi le mani per coprirsi il volto.

 
- Perché? – Domandò nella disperazione più totale. – Perché sei venuto qui per tormentarmi in questo modo? –

- Stolto – Rispose lo spettro – Ora ci credi? O continui con il tuo diniego? –

- Sì, sì, ora ci credo. – Balbettò a quel punto Sesshomaru, che nemmeno ricordava l’ultima volta in cui gli era successo. – Ma non capisco perché tu debba venire a tormentare proprio me, quando potresti scegliere chiunque altro.-

- Sono qui per portare la tua anima in salvo. – Rispose a quel punto lo spettro. – In vita ho pensato soltanto agli affari e a fare soldi, senza curarmi degli altri o a trovarmi una compagna di cui innamorarmi, oppure viaggiare per scoprire il mondo. Per questo ora sono condannato a vagare senza una meta precisa, osservando da lontano ciò che in vita avrei potuto avere. –

 
Dopo aver pronunciato quelle parole, le catene stridettero nuovamente, Sesshomaru poté vedere lo spettro torcersi le mani.
 
- Perché quelle catene? – Chiese Sesshomaru.

- Questa catena l’ho costruita con le mie stesse mani, quando ancora ero vivo.- Rispose Naraku – L’ho costruita io anello per anello, e me la avvolsi alla vita sempre per colpa mia e sempre per colpa mia la sto portando. Ti ricorda qualcuno per caso tutto questo? –

 
Sesshomaru a quel punto si ritrovò a tremare come mai in vita sua.
 
- Oppure vorresti sapere quanto possa essere pesante la tua?- Proseguì  lo spettro. – Era lunga quanto la mia, nell’anno in cui me ne sono andato, ma tu hai continuato a  vivere e ora ha un certo valore. Siamo noi gli artefici del nostro destino e non esiste alcuna divinità da incolpare per questo, soltanto noi stessi. –
 
Sesshomaru si guardò intorno, come a vedere se ci fosse una catena intorno alla sua vita e che proseguisse attorno a lui. Ma non riuscì a vedere nulla.
 
- Naraku. – Disse a quel punto supplichevole. – Dimmi qualcos’altro, che mi possa consolare in qualche modo. –

- Non avrai niente di tutto questo da parte mia. – Rispose lo spettro – Non ti posso dare nessuna spiegazione, niente di tutto ciò che cerchi lo avrai da me. Io non mi posso riposare o indugiare oltre. Il mio spirito non ha mai varcato la soglia del nostro studio, perché da vivo non sono mai uscito da quelle quattro mura. Ormai sono destinato a viaggiare senza alcuna meta.-

 
Sesshomaru, come era solito fare, si mise le mani nelle tasche del kimono senza riuscire ad alzare lo sguardo per guardare quegli occhi, continuando a rimanere in ginocchio.

- Ce ne hai messo del tempo, mio caro Naraku. – Gli fece notare a quel punto Sesshomaru.

- Che vorresti dire con questo? – Chiese lo spettro, non capendo la domanda che gli aveva appena posto il ragazzo.

- Che sei morto da parecchio tempo e sei sempre in viaggio. – Gli occhi dello spettro sembrarono illuminarsi ancora di più, anche se Sesshomaru disse tra sé che forse era stata soltanto una sua illusione.

- Io sono costretto a viaggiare, sempre, non posso avere né riposo, né pace. E non credere che ciò mi faccia piacere; questa è una tortura continua. -

- Chissà con quale velocità viaggerai? – Una ennesima risata uscì dalla gola dello spettro.

- Viaggio seguendo il vento, le correnti che mi portano lontano. –

- Chissà quanti paesi avrai visto in tutti questi anni! – Esclamò a quel punto il ragazzo.

 
Ma quelle parole non sembrarono essere gradite dallo spettro che emise un altro stridio delle sue infernali catene, rompendo il silenzio della notte, tanto che se Sesshomaru avesse avuto dei vicini, si sarebbero svegliati tutti, spaventati da quell’innaturale rumore.
 
- Credi che forse per me sia un divertimento? Che provi piacere a viaggiare in questo modo? Questa è soltanto la mia condanna, di cui non sono riuscito a godere quando ero in vita. Ho avuto le mie occasioni, ma non sono riuscito a coglierle quando mi si sono presentate, ed è questo ciò che ero. –

- Ma tu, Naraku, sei sempre stato un eccellente uomo d’affari.- Mormorò a quel punto, iniziando a capire a cosa sarebbe andato in contro se avesse continuato a vivere in quel modo. Naraku intanto emise un'altra risata inquietante che quasi poteva scuotere la terra.

- Certo, affari. – Lo spettro tornò a torcersi le mani. – I miei affari, sarebbero dovuti essere i miei simili. Il benessere comune, la carità, la sopportazione, la benevolenza, l’amore verso gli altri e forse nel trovare anche qualcuno con cui condividere la mia vita. I miei affari erano soltanto una goccia d’acqua, nell’immenso oceano. –

 
Naraku sollevò il braccio, che improvvisamente sembrò fin troppo lungo, e tornò a sbattere a terra la catena, che nuovamente fece un gran fracasso.
 
- Ogni anno, in questa stagione. – Continuò lo spettro. – Soffro più di ogni altro giorno. Mi chiedo ora che sono solo l’ombra di ciò che ero, perché passavo in mezzo alle persone senza curarmi di loro, schivando i momenti di gioia, i bisognosi che chiedevano aiuto, e tante altre cose di cui non mi sono mai curato. Chissà per quale motivo gli dèi hanno voluto che la mia vita proseguisse in questo modo senza indicarmi dove in realtà stessi sbagliando. Ma forse non sono loro da incolpare, soltanto io ho le colpe di tutto questo –
 
Sesshomaru si sentì ancora più scosso dalle parole dello spettro e iniziò a tremare come una foglia, sentendo l’aria venirgli meno in quel preciso momento.
 
- Ora ascoltami! – Gli comandò a quel punto Naraku. – Il mio tempo a disposizione sta per terminare. –

- Ti ascolto. – Rispose intimorito Sesshomaru. – Ma ti prego  di essere clemente nei miei confronti. –

- Come in questo momento tu riesci a vedermi, per molto tempo, dopo la mia morte sono stato al tuo fianco senza che tu te ne accorgessi. –

 
Quell’idea per il ragazzo, non era per niente piacevole, e sentì un brivido lungo la schiena. Si portò una mano alla fronte per asciugarsi il sudore.
 
- Fu una parte della mia condanna. – Continuò Naraku. – Ma se sono qui stasera, è per avvertirti, che per te c’è ancora speranza di sfuggire al destino che mi ha portato ad avere queste catene che ora mi avvolgono. E sono io che ti offro questa opportunità di speranza. –

- Sei sempre stato un buon amico per me Naraku. – Disse a quel punto Sesshomaru. – E per questo ti ringrazio. –

- Ma fai attenzione a ciò che ti dico Sesshomaru. – Aggiunse lo spettro. – Ti faranno visita tre spettri. –

 
Improvvisamente Sesshomaru si fece pallido, quasi da fare invidia allo spettro davanti a lui.
 
- Ed è questa la soluzione che mi stai offrendo Naraku? – Gli chiese accorgendosi improvvisamente che la sua voce si era abbassata di qualche tono.

- Non c’è altra via, migliore di questa. –

- Se davvero non c’è altra soluzione, ne farei volentieri a meno. – Disse Sesshomaru cercando di nascondere quella sensazione di disagio, che cresceva dentro di lui.

- Se rifiuterai la loro visita. – Lo ammonì lo spettro. – Non potrai evitare in alcun modo il sentiero che ho percorso io. Aspettati la visita del primo spettro per domani, allo scoccare della prima ora. –

- Non… non potrei avere la visita di tutti e tre in una volta sola? Così da farla finita con tutta questa storia? –

- Il secondo arriverà la notte successiva. E il terzo arriverà l’ultima notte, quando sarà scoccata la dodicesima ora. Per quanto riguarda me, non mi vedrai più, ma ricordati ciò di cui abbiamo parlato in questa notte. –

 
Quando ebbe finito, lo spettro raccolse la sua fasciatura dal tavolino su cui l’aveva appoggiata e se la avvolse come era prima. Sesshomaru se ne accorse dallo scricchiolio dei denti, nel momento in cui le mascelle si urtarono. Il ragazzo si trovò inaspettatamente in piedi, di fronte a quella apparizione soprannaturale, con la catena al braccio.

Lo spettro si scostò camminando  all’indietro. A ogni passo la finestra si apriva piano piano, fino a che non fu completamente aperta, nel momento in cui lo spettro la raggiunse, a quel punto Naraku sollevò una mano, avvertendolo di fermarsi. Ma Sesshomaru si fermò più per il terrore che per quell’ordine; aveva sentito dei rumori confusi provenire dall’esterno. Naraku stette un po’ ad ascoltare e poi sparì nella notte.

Sesshomaru per curiosità corse alla finestra, e poté scorgere diversi spettri che erravano di qua e di là senza una meta precisa, ognuno di loro, come Naraku trascinavano una catena, ce ne erano anche alcuni che erano incatenati insieme. Ma due figure più delle altre attirarono l’attenzione del ragazzo; erano una bambina dai capelli bianchi come la neve, e una donna dai capelli scuri come la notte. Anche lei, come Naraku aveva gli occhi rossi come il sangue.

Ricordava molto bene i loro nomi: Kanna e Kagura. E ricordava molto bene la loro fine, erano state uccise brutalmente, il nome del loro aggressore era sempre rimasto un mistero, si era sempre pensato a qualche malintenzionato. Ma anche Kagura come lui e Naraku non aveva mai pensato al bene degli altri o aveva mai dato l’elemosina a qualcuno e per questo ora era lì con la sorella, costretta a vagare per l’eternità. Sesshomaru pensò di aver provato qualcosa un tempo per quella donna, forse in età adolescenziale, ma essendo troppo preso dai suoi affari, non si era mai fatto avanti.

Ad un certo punto, gli spettri svanirono nel nulla, ma Sesshomaru non sapeva dire se fosse perché la nebbia si era fatta più fitta o perché forse stava impazzendo. Ma la notte, in quel momento, tornò a essere silenziosa come sarebbe dovuta essere.

Sesshomaru chiuse la finestra, poi si voltò per controllare la porta, ma era chiusa, proprio come l’aveva lasciata lui quando vi era entrato, ogni cosa era tornata ad essere al suo posto. Come se fosse un gesto naturale, dalle sue labbra gli sfuggì una sola parola: Sciocchezze! Ma se ne pentì subito dopo; ripensando allo spettro che quella notte gli aveva fatto visita, a quel viso e a quegli occhi che facevano paura. Improvvisamente, si sentì stanco, forse a causa di tutte le fatiche di quel giorno e dalla paura che aveva provato nel momento in cui aveva visto quello spettro entrare in casa sua. Così come era vestito, si  infilò sotto le coperte e si addormentò all’istante.
 
 

 
 
 
 
Angolo Autrice
Quasi non avrei scritto nulla per Natale, ma poi mi è venuto in mente di rappresentare nel mondo di Inuyasha, il cantico di Dickens, romanzandola un po' con la mia OTP preferita, Inuyasha per Sesshomaru, la storia avrà cinque capitoli, come la originale ovviamente, ma cambierò un po' la storia.
Sono un pochino in crisi dato che ho scritto alcune cose e per le quali non riesco ad andare avanti, quindi spero che questo possa darmi una mano a sbloccarmi, come sempre spero che vi sia piaciuto questo primo capitolo =)
Alla prossima =)

Ps.: In questa storia sono tutti esseri umani, a parte gli spiriti, ma penso che questo sia chiaro ;)

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Strofa seconda: Il primo dei tre spiriti: Shippo. ***


Strofa Seconda
 
Il primo dei tre spiriti: Shippo.
Sesshomaru aprì gli occhi lentamente; prima uno, poi l’altro. Si accorse che era ancora notte; nel buio della sua camera, non riusciva nemmeno a distinguere il muro dalla finestra, talmente era fitta quell’scurità. I suoi occhi chiari erano l’unica cosa  a brillare in quella stanza. Sentì suonare l’orologio della torre, che si trovava nel paesino, intonava i quattro quarti. Sesshomaru tese le orecchie per ascoltare l’ora.

Con suo stupore, il grande orologio passò dai sei colpi, ai sette, agli otto, e così via fino ad arrivare ai dodici. Dopodiché, tutto tacque. Mezzanotte! Sesshomaru corrugò la fronte perplesso, l’ultima volta che aveva guardato l’ora, prima di mettersi a dormire, erano le due passate. Possibile che l’orologio della torre fosse rotto? Che si fosse congelato qualche meccanismo? Mezzanotte! Ripeté tra sé.

Caricò il suo orologio a molla per correggere lo sproposito di quello della torre. Ma anche quello batté dodici colpi, poi si fermò.

 
- No, non può essere. – Disse Sesshomaru incredulo. – Che abbia dormito una giornata intera e tutta una seconda notte. Non può essere, forse il sole è malato, che sia mezzanotte quando invece è mezzogiorno. –

Quell’idea, era decisamente allarmante, e uscendo dalle coperte, andò brancolando verso la finestra. Con la manica del Kimono, fregò sui vetri per riuscire a vedere qualche cosa, ma non riuscì a scorgere nulla. Sentiva soltanto un gran freddo; e la nebbia era fitta,  nella stradina sterrata che passava vicino casa sua, non vide nessun viandante, che di norma, erano soliti passare di lì per dirigersi al paesello, come normalmente doveva essere, nel caso in cui, la notte avesse ammazzato il giorno prendendo così possesso del mondo. Tutto ciò che stava accadendo quella notte, era talmente strano da mettergli non poca paura, tanto che sentì un brivido corrergli lungo la schiena.

Sesshomaru se ne tornò a letto, e non riuscendo più a dormire, si mise a pensare, rimuginando; la sua mente era un turbine di pensieri che nemmeno lui riusciva del tutto a comprendere. Più ci pensava, più quella enorme matassa diventava sempre più ingarbugliata, ma più si sforzava di non pensarci, più la sua mente sembrava voler involontariamente tornare a quell’enorme quesito. Lo spettro di Naraku lo tormentava ancora, nonostante la sua presenza fosse svanita da un po’. Quante volte, in quei pochi attimi da quando si era svegliato, dopo un maturo esame, aveva finalmente detto a sé stesso, che era stato nient’altro che un sogno, ma nel momento successivo in cui la sua mente aveva formulato quel pensiero, tornava a tormentarsi ripresentandogli quella enorme matassa da scogliere: Era o non era stato un sogno?

Se ne restò lì, sul letto, a pancia in su a guardare il soffitto, fino a che; l’orologio non ebbe battuto altri tre quarti, in quell’istante si ricordò di ciò che gli aveva detto lo spettro; allo scoccare dell’una avrebbe avuto la prima di tre visite. Si impose di stare sveglio finché non fosse passata l’ora; e considerato che gli era stato fin troppo facile addormentarsi, sicuramente non sarebbe riuscito a stare sveglio per sentire tutti i rintocchi.

Quell’ultimo quarto, gli sembrò talmente lungo da dargli l’impressione di essersi addormentato e di non aver sentito suonare l’orologio della torre. Ma destandolo dai suoi pensieri, ecco che quel suono vibrò nel suo orecchio.

 
Din Don.
 
- Un quarto. – Disse Sesshomaru iniziando a contare.

Din Don.

- Mezz’ora. – Disse ancora.

Din Don.

- Tre quarti. -  Contò nuovamente.

Din Don.

- La prima ora. – Esclamò Sesshomaru come se avesse vinto alla lotteria. – Silenzio. –

 
Le sue labbra si erano mosse ancora prima che l’orologio segnasse l’ora, subito dopo, si udì un suono profondo, cupo e dolente. La camera fu immediatamente invasa da una luce, e le cortine del letto furono tirate indietro.

Il punto in cui le cortine vennero tirate, non era a capo o a piedi, ma esattamente nel punto in cui Sesshomaru aveva il viso posato sul cuscino. Vennero scostate e il ragazzo, mettendosi a sedere, si trovò faccia a faccia con l’essere soprannaturale che le aveva tirate.

Era una strana figura, dal suo aspetto si poteva dire che somigliasse a un bambino. Ma c’era qualcosa in lui, a dirgli che non poteva essere un bambino come tutti gli altri. Aveva dei folti capelli rossicci, legati sulla nuca da un fiocco verde acqua, che riprendeva il colore dei suoi abiti e una folta frangia che gli cadeva sugli occhi. Dei grandi occhi verdi che rispecchiavano tutta l’ingenuità e la sincerità di un bambino. La sua Kosode era verde acqua come il fiocco che portava sulla testa, e vi erano stampate delle foglie più chiare, mentre i suoi Hakama erano di un blu scuro come il cielo notturno. Ma la cosa più bizzarra di quell’essere, era che al posto dei piedi, aveva delle zampe e una coda di volpe sbucava dai suoi Hakama. Sesshomaru pensò che sicuramente fosse lo spirito di una Kitsune, che ancora non era nel pieno dei suoi poteri, visto che aveva soltanto una coda. In mano teneva un ramoscello di agrifoglio verde. Oltre al suo bizzarro aspetto però, il corpo della giovane Kitsune era completamente illuminato da un fuoco azzurrino. Sesshomaru pensò che si trattasse di un fuoco fatuo di cui tanto si sente parlare nelle leggende.

Eppure, di tutto questo, niente delle cose sopracitate sembravano essere quelle più strane; Sesshomaru, lo guardò meglio, e in un gioco di luce e di ombra, la Kitsune sembrava trasformarsi, ora in un enorme pallone rosa, ora invece sembrava avere una ventina di gambe, oppure ne aveva soltanto una sola, oppure soltanto con il busto e senza testa, o soltanto il capo senza il corpo. La Kitsune fluttuava davanti a Sesshomaru, e d’improvviso, tornava ad essere come prima, chiara e ben distinta.

 
- Sei tu lo spirito? – Domandò Sesshomaru. – Di cui mi è stata predetta la visita? –

- Sì, sono io. –

La voce della Kitsune, come Sesshomaru si era immaginato, somigliava tanto a quella di un bambino, ma sembrava provenire da lontano.
 
- Chi sei, e cosa sei? – Domandò Sesshomaru.

- Mi chiamo Shippo, e come puoi vedere sono una Kitsune. Io sono lo spirito del Natale passato. –

- Passato, da quanto tempo? – Chiese Sesshomaru, facendo mente locale dell’ultimo Natale che aveva festeggiato, e si ricordò che da allora era passato parecchio tempo.

- No. Il tuo ultimo Natale. –

Se qualcuno glielo avesse chiesto, Sesshomaru forse non avrebbe saputo dare alcuna risposta, sul perché in quel momento, fu tentato dallo spegnere la fiammella che avvolgeva completamente il minuscolo corpo dello spirito.
 
- Non credo sia una buona idea la tua! – Esclamò lo spirito. – Non puoi spegnere così presto la mia luce, con le tue mani profane. Tu sei stato fra coloro le cui passioni, bramavano che la mia fiamma si spegnesse, non ti basta già questo? –

Sesshomaru, umilmente dichiarò di non aver avuto nessuna intenzione di offendere la Kitsune, ma non credeva nemmeno di essere responsabile per ciò che gli uomini tendevano fargli. Infine, osò chiedere allo spirito, quale fosse il motivo per cui si fosse comunque presentato.
 
- Il motivo per cui sono qui, è la tua salute. – Rispose lo spirito.

Sesshomaru, pensò che se si fosse rimesso a dormire, di certo avrebbe giovato alla sua salute e che non ci sarebbe stato bisogno dello spirito per questo. La Kitsune, sembrò quasi udire quel pensiero, perché gli rispose subito:
 
- Allora, diciamo che sono qui per la tua redenzione. ­–

Subito dopo, la Kitsune tese una mano e lo prese per un braccio.
 
- Alzati e seguimi. –

Sesshomaru pensò che il tempo e l’ora non si addicevano per nulla a una passeggiata a piedi; il letto era troppo caldo e invitante per poterlo lasciare e la  temperatura al di fuori era sotto lo zero. Il suo Kimono da notte da solo non sarebbe riuscito a riscaldarlo, tremò al solo pensiero di poter prendere freddo. Ma quella piccola mano di bambino sembrava essere talmente salda sul  suo polso da convincerlo ad alzarsi dal letto. Quando vide però che la Kitsune si stava avvicinando alla finestra diede uno strattone alla presa, facendo indietreggiare di poco lo spirito.
 
- Spirito, io sono un mortale. – Protestò. – Potrei anche cadere. –

- Se ti fa stare meglio, la mia mano ti toccherà qui.- Disse lo spirito, posandogli la mano all’altezza del cuore. – Cosicché riesca a sostenerti in alto, senza precipitare. –

Quando la Kitsune spostò la mano, passarono insieme attraverso il muro, ed ecco che si trovarono in aperta campagna, sopra a una strada fiancheggiata dai campi di riso. Il buio e la nebbia, si erano dileguati, era una limpida giornata invernale e la neve biancheggiava al sole.
 
- Per tutti i Kami. – Esclamò Sesshomaru guardandosi intorno. – Qui è dove sono cresciuto; qui è dove ho passato la mia infanzia. –

Lo spirito lo guardò con dolcezza. La stretta sulla mano del ragazzo era gentile, benché lieve e istantanea, e nonostante questo, il giovane la sentiva. Sesshomaru chiuse gli occhi, e assaporò i profumi di quel posto, che gli riportarono alla memoria migliaia di ricordi, tra gioie, dolori e speranze di un tempo ormai andato.
 
- Il tuo labbro sta tremando. – Disse lo spirito notando quel leggero tremolio. – E che cos’hai, qui sulla guancia? –

Sesshomaru balbettò, con un insolito tremolio nella voce, che quella era soltanto una pustoletta, nient’altro. Era pronto a seguire lo spirito dovunque avesse voluto condurlo.
 
- Ricordi la via? – Domandò lo spirito.

- Si me la ricordo – esclamò Sesshomaru. – Ci andrei a occhi chiusi. –

- È strano però che per molti anni, tu, te ne sia scordato. – Osservò lo spirito. – Andiamo. –

E si inoltrarono in quella via. Sesshomaru conosceva ogni cancello, ogni albero, ogni piolo, e quando un tratto apparve un piccolo villaggio, con un ponte, un tempio e il suo fiume tortuoso; videro alcuni ragazzini che giocavano tirandosi palle di neve. Alcuni di questi, ne chiamavano altri che si aggiungevano al gruppetto, quei ragazzetti erano in grande allegria e si cambiavano tante grida, che la vasta campagna suonava di una musica giocosa che la stessa aria sembrava riderne udendola.
 
- Tutto ciò che vedi. – Disse lo spirito. – Sono ombre di cose del passato. Loro non possono vederci, pertanto, non hanno coscienza di noi. –

Alcuni viaggiatori che si avvicinavano al villaggio, Sesshomaru li riconobbe e man mano ne diceva il nome, come se quel momento lo stesse vivendo davvero. Si rallegrava nel vedere quei visi felici, e si domandava perché di tanta felicità, perché le sue pupille brillavano al solo vedere quelle scene? Perché il cuore sembrò maccargli un battito? Perché sentì un insolita dolcezza mentre vedeva quelle persone augurarsi un felice Natale? Che cosa gli importava in fondo a lui di un allegro Natale ? Che se ne andasse al diavolo il Natale! Che gli aveva mai fatto di bene il Natale?
 
- La scuola, non è ancora deserta. – Disse lo spirito. – Sembra che ci sia un ragazzo, sembra che i compagni l’abbiano lasciato solo. –

Sesshomaru disse che lo conosceva, e un singhiozzo sembro volergli salire dalla gola.

Uscirono dalla via maestra e si immisero in un ben noto sentiero, e ben  presto si avvicinarono ad un edificio rossastro, con una torre che superava la struttura che aveva una bandiera sul tetto e con una campana all’interno. Un tempo sarebbe dovuta essere una bella casa, ma sembrava essere caduta in disgrazia; gli stanzoni erano tutti in disuso e le pareti erano umide e ammuffite, le finestre erano rotte e le porte erano sdrucite. I polli chiocciavano nelle stalle, le rimesse  e le tettoie erano invase dall’ erba. Ma nulla in quella fatiscente abitazione, sembrava dare l’impressione di cosa quella casa fosse stata un tempo. Entrarono in quella corte malinconica e guardarono all’interno delle stanze con le porte spalancate,  notarono che erano miseramente fornite, fredde e ampie. Si sentiva nell’aria un odore di terra  e una nudità freddolosa, che in qualche modo poteva venire associata all’idea di alzarsi presto a lume di candela e del non aver molto da mangiare.

Sesshomaru e lo spirito oltrepassarono la corte per dirigersi verso una porta dietro la casa. Si aprì davanti a loro mostrandogli un enorme stanza nuda e malconcia, che sembrava anche più spoglia di ciò che era, nonostante le tante file di banchi e leggii. A uno di questi banchi vicino a un misero fuocherello, vi era un ragazzo che leggeva tutto solo; Sesshomaru nel rivedere sé stesso cadde sopra uno di questi e versò umide lacrime nel ricordare quei momenti in cui, si sentiva solo e dimenticato da tutti.

In quell’edificio vi era un silenzio quasi fastidioso, nemmeno uno scricchiolio riusciva a sentirsi, né nella casa né nel cortile, dove vi era la fontana ghiacciata non si sentiva nemmeno il gocciolare dell’acqua, tutto taceva, tutto era silenzio. E a Sesshomaru sembrò che le lacrime volessero premere sui suoi occhi per uscire.

La Kitsune gli sfiorò il braccio indicandogli il ragazzo solitario intento nella lettura. Da una finestra qualcuno lo stava osservando; era un bambino, biondo come lui, con grandi occhi luccicanti come stelle, portava un cappottino rosso di cui dalla finestra si potevano vedere solamente le spalle. I suoi occhi azzurri, grandi e furbi scrutavano all’interno della stanza, forse incuriosito dalla solitudine di quell’altro ragazzo.

 
- Quel bambino! – Esclamò Sesshomaru confuso, quasi si era dimenticato di quante volte aveva alzato lo sguardo e aveva incontrato quei grandi occhi curiosi. – Mi sono sempre domandato chi fosse, ma non so per quale motivo, lui non frequentasse la mia stessa scuola. Eppure, ora che ci penso, quegli occhi mi sembrano familiari, ma per quale ragione non riesco a ricordare chi sia ? – Soprattutto, si chiedeva per quale motivo se ne fosse completamente dimenticato. In quel momento, il suo cuore sembrò pompare più velocemente del solito e non ne capiva il motivo.

Di certo, vedere quella confusione avrebbe  destato sospetti persino in suo padre, c’era una luce nei suoi occhi che da diverso tempo si era spenta. Si domandò chissà quale reazione avrebbe avuto il genitore se lo avesse visto in quello stato.
 
- Perché si è sempre limitato a guardarmi da quella finestra senza mai parlare con me? – Si domandò Sesshomaru. – Perché ho dimenticato quel cappotto rosso? Perché non l’ho mai più incontrato? – Vide il ragazzo seduto al banco alzare il suo capo, volgendo lo sguardo verso la finestra. Il bambino dal cappotto rosso fece un enorme sorriso al ragazzo lettore e poi se ne scappò via, quasi come a farsi beffe di lui.

Si ricordò di quando rimaneva incantato ad osservare quella finestra cercando di capire se avesse sognato o meno, ma credeva che quegli occhi non li avrebbe mai dimenticati. Guardò l’altro sé stesso bambino e lo udì esclamare: se solo potessi conoscere il tuo nome, potrei incontrarti. Le lacrime erano sgorgate dai suoi occhi, quasi come un fiume in piena, quando gli tornò alla memoria di lui così solo da illudersi di poter avere l’amicizia di quel bambino sconosciuto, che forse era l’unico a cui importasse la sua esistenza.
 
- Vorrei. – Sussurrò Sesshomaru, mettendosi le mani in tasca e guardandosi attorno, dopo essersi asciugato gli occhi con la manica; vorrei… ma è troppo tardi.

- Che cosa?  - Domandò lo spirito.

- Nulla. – Rispose Sesshomaru. – Nulla, ci sono stati dei ragazzi ieri sera che cantavano alla mia finestra una canzonetta di Natale. Vorrei avergli dato qualcosa. – Disse ricordandosi che tra loro ce ne fu uno che gli aveva riacceso un ricordo, e ora che il passato era riaffiorato nella sua mente non aveva più dubbi su chi gli ricordasse.

Lo spirito gli sorrise meditando, e con la mano gli accennò di fare silenzio. Poi disse: Ma andiamo avanti, vediamo un altro Natale.

Subito, quel Sesshomaru bambino, si fece più grande e l’enorme stanza si allargò maggiormente divenendo anche più sudicia. Si screpolavano gli usci e le finestre; piovevano pezzi di intonaco e si scoprivano le assi del tetto. Come ciò fosse possibile, Sesshomaru non riuscì a capirlo. Ma sapeva che le cose erano andate esattamente così, e che egli stava lì, solo come prima, sempre solo.

Non era intento a leggere quella volta, ma andava su e giù nervosamente. Sesshomaru si voltò a guardare lo spirito, e la tensione sembrava aver preso possesso di sé, poi voltò lo sguardo verso la porta.

Questa si aprì. E un uomo fece il suo ingresso nella stanza. Suo padre quel giorno sembrava essere più felice e allegro del solito. I due si guardarono, ma il ragazzino sembrava teso alla vista del genitore: - Figliolo. –

 
- Sono venuto a prenderti. – Disse l’uomo, e la sua voce tradì una certa emozione nel pronunciare quelle semplici parole. – Andiamo a casa – Disse tendendo le sue labbra in un sorriso.

- A… a casa! ? – Domandò il ragazzo balbettando un po’.

- Certo ragazzo mio! – Ribatté il genitore con sicurezza.  – Mi dispiace figlio mio di averti mandato in questo istituto contro la tua volontà, ma se l’ho fatto è stato per il tuo bene. Volevo che avessi la migliore delle istruzioni. E mi dispiace di non esserti mai venuto a trovare, ma ero troppo orgoglioso per ammettere quanto mi mancassi. Accetta le mie scuse e torna a casa. Sei un uomo ormai. – Vide suo padre titubare, avrebbe voluto sicuramente abbracciarlo, ma non riusciva a muovere un passo dall’uscio. – Non tornerai più qui, te lo prometto, passeremo insieme tutti in Natali che vorrai. –

- Padre. – Urlò il ragazzo correndogli incontro e schiantandosi contro il petto del genitore. Versando calde lacrime, felice di poter tornare a casa insieme al padre.

Toga esitò per un attimo, ma poi strinse forte al suo petto quella testa argentata simile alla sua. Lo scostò per guardare quegli occhi lucidi di pianto simili ai suoi, per poi prendere il figlio per mano e uscire da quella camera insieme a lui.
Qualcuno, appena i due uscirono nel cortile di quella  struttura, urlò: Portate giù il baule di Sesshomaru. In quel punto stesso dove si era udita quella voce, apparve il maestro di Sesshomaru, che squadrò il piccolo, con una condiscendenza quasi feroce e il ragazzo si irrigidì non appena l’uomo gli strinse la mano. Li condusse poi, lui e suo padre, nella sala al pian terreno, vecchia e umida, peggio delle altre. Da una delle credenze di quella sala, tirò fuori una bottiglia di vino e un pezzo di focaccia squadrato, le offrì ai due, poi mandò fuori un esile servitore per offrire qualche cosa al cocchiere, che ringraziò immensamente il signore della sua gentilezza. Intanto, il baule di Sesshomaru era stato legato sulla carrozza, padre e figlio dissero addio al maestro. Il genitore ringraziò quest’ultimo per tutto ciò che aveva fatto per Sesshomaru, poi montarono sul veicolo, e questa scomparì alla vista del maestro non appena ebbero superato il viale e il giardino dell’istituto.

 
- E poi come andò a finire con tuo padre? – Disse lo spirito. – Sembra un uomo gentile e dal cuore buono. –

- Mio padre mi aveva mandato in quell’istituto per un litigio che avevamo avuto. – Disse Sesshomaru. – Non lo vidi per qualche anno, fino a quel giorno. –

- Eppure, sembra che da allora voglia stare con te il più possibile, non è vero? – Chiese lo spirito.

- È sempre appresso a qualche gonnella. – Disse sprezzante Sesshomaru.

- Anche questo è vero, ma forse sta cercando anche lui uno spiraglio di felicità. Dico bene? –

Dopo le parole della Kitsune, Sesshomaru sembrò improvvisamente turbato e rispose un timido: forse!

Si spostarono dalla scuola, per poi trovarsi tra le vie della città, dove vi erano i mercanti e le persone, dove questi sembravano essere piuttosto affaccendati. Ombre di uomini e carrozze si contendevano il passo, con tutto il tramestio e il trambusto di una vera città. Dalle vetrine delle botteghe, era chiaro che anche lì si festeggiava il Natale; era sera e le vie erano illuminate.

Lo spirito si fermò davanti a un grande palazzo scintillante, e domando a Sesshomaru se lo ricordasse.

 
- Certo che lo ricordo! – Esclamò Sesshomaru. – E la sala da ballo che mio padre aveva affittato un anno per la Vigilia di Natale. –

Entrarono. Superarono un lungo corridoio lussurioso, che immetteva direttamente nella sala da ballo ghermita di gente, tutti con vesti molto eleganti e ognuno degli ospiti portava una maschera. Appeso al soffitto, vi era un sontuoso lampadario di cristallo illuminato da mille candele, che dava luce a tutta la sala.
 
- Fu la festa più bella che mio padre avesse mai dato, ricordo che se ne parlò per mesi. – Disse Sesshomaru con occhi sognanti ricordandosi ciò che successe durante quella serata, e arrossì leggermente.

Si riconobbe più in là nella sala, ormai diventato un giovane uomo, nel suo abito più bello, creato appositamente per lui da una delle sarte più abili di quella città.
 
- Figlio mio. – lo chiamò il padre avvicinandosi a lui.

Il ragazzo si giro verso il genitore guardandolo con sorpresa. Pensava di non essere visto in quell’angolo della sala, non amava molto le feste, e aveva presenziato a quello solo per fare felice suo padre, dato che aveva tanto insistito.
 
- Sono contento che tu sia qui Sesshomaru, significa molto per me. – Disse il genitore.

Sesshomaru non disse nulla, ma nonostante fosse stato riluttante a presenziare a quella festa, provò un senso di tranquillità sapendo di averlo reso contento anche solo per la sua presenza, e fu una delle rare volte in cui provò un sentimento simile.
 
- Ma scordatevi che io balli con qualcuna questa sera. – Disse infine Sesshomaru.

- Oh, figliolo non importa, sei qui e non chiedo altro. – Disse Toga.

Vennero improvvisamente interrotti dai musicisti che entrarono in quel momento, anche il chiacchiericcio degli ospiti si interruppe. L’orchestra, composta da archi e fiati, superando la folla e superati poi tre scalini, si posizionò su un piano elevato apposito per loro, ai margini della sala. La musica di un Valzer invase la stanza, dando così il via alle danze,  ogni cavaliere scelse la sua dama e in men che non si dica la pista da ballo venne riempita da coppie danzanti, mentre altri li osservavano estasiati, compreso lo stesso Sesshomaru. Molte delle damigelle di quel ballo, avrebbero voluto danzare insieme a lui, ma il ragazzo non aveva mosso un muscolo per invitare qualcuna di loro, non provava alcun interesse in nessuna, in fondo.

In quell’istante, qualcuno fece il suo ingresso nella sala, era difficile non notarlo visto l’abito che indossava. Uno smoking rosso lucido che sembrava illuminare ancora di più quel posto, o forse era stata soltanto un impressione di Sesshomaru. Lo sconosciuto aveva dei lunghi capelli fluenti di un biondo argenteo che gli ricoprivano completamente la schiena, e come la maggior parte degli invitati portava un maschera che gli ricopriva per metà il volto, e questa luccicava sotto le luci delle candele. Ma ciò che attirò ancora di più l’attenzione di Sesshomaru furono i suoi occhi, dei famigliari grandi  occhi azzurri e scintillanti, che gli riportarono alla memoria un ragazzino di molti anni prima.
Lo sconosciuto era fermo sulla soglia della sala e, dal suo atteggiamento sembrava che stesse cercando qualcuno tra i molteplici volti mascherati. Il suo sguardo aveva scandagliato ogni singolo viso, ogni abito, ma nel momento in cui quello sguardo si posò su Sesshomaru, un guizzo passò nei suoi occhi: aveva trovato ciò che cercava.

In quel preciso istante, tutto sembrò fermarsi, e Sesshomaru si ritrovò a deglutire più volte, chiedendosi per quale motivo stesse avendo quell’atteggiamento. Lo sconosciuto dallo smoking rosso, mosse un passo dopo l’altro verso di lui, e nelle sue orecchie, oltre i rumori della musica e della folla, che sembravano essersi arrestati in quel momento, gli sembrò di udire il ticchettio delle eleganti scarpe che lo sconosciuto portava. Sesshomaru non seppe quanto tempo era passato, che improvvisamente si ritrovò a guardare quegli occhi azzurri da molto vicino, forse anche troppo. Il ragazzo, gli porse una mano inchinandosi leggermente davanti a lui, per poi riportare quei turchesi nei suoi occhi. Nella parte di viso scoperta dalla maschera, poté notare un accenno di sorriso.

 
- Vorrei chiedere se mi concedete l’onore di questo ballo. – Disse lo sconosciuto.

Allo Sesshomaru che stava osservando la scena in compagnia dello spirito, quella voce sembrò di averla già sentita da qualche parte, e alle sue orecchie sembro essere molto famigliare.
 
- Tsk. Tu sei un uomo, in che modo potrei ballare con te in mezzo a tutte queste persone? – Ribatté Sesshomaru.

- Io non mi faccio alcun problema di ciò che pensa la gente. – Disse il ragazzo, sorvolando sul tono sprezzante di Sesshomaru.

- Figliolo, per me non c’è alcun problema. E poi è sempre meglio che startene qui con quel muso lungo. – Intervenne Toga, e Sesshomaru non seppe se suo padre volesse prenderlo in giro, o se fosse un modo per dirgli che qualsiasi scelta avesse preso nella vita, lui lo avrebbe appoggiato sempre.

Sesshomaru, posò lo sguardo sulla mano ancora tesa dello sconosciuto, per poi alzare lo sguardo e immergersi ancora una volta in quelle gemme di turchese. Nemmeno lui seppe spiegare, per quale strano scherzo del destino, la sua mano si mosse da sola per afferrare quella dello sconosciuto e farsi trasportare al centro della pista, sotto gli sguardi attoniti e disgustati di tutti gli invitati.

Nuovamente si trovò a osservare quegli occhi che, in quel preciso istante, sembravano averlo ipnotizzato. Senti una mano posarsi alla base della sua schiena, ma i loro sguardi non si erano ancora staccati l’uno dall’altro, come anche le loro mani, sollevate poco più in alto  di una delle guance dello sconosciuto, mentre l’altra mano di Sesshomaru si era posata sulla spalla di quel ragazzo. Lo sconosciuto dallo smoking rosso iniziò a condurre la danza, e la gente, ora incuriosita da quella strana unione, aveva lasciato loro spazio al centro della sala e i due sembravano destreggiarsi molto bene in quel ballo, e in quel momento Sesshomaru si sentì stranamente a suo agio, più di quanto non lo fosse mai stato fino a quel momento, dimenticandosi anche di essere al centro dell’attenzione.

Il ballo prosegui per diverso tempo, tanto che i due ballerini ne avevano perso la cognizione. Ma poi, un orologio scoccò i rintocchi della mezzanotte, e Sesshomaru sentì lo sconosciuto irrigidirsi tra le sue braccia. Immediatamente, il ragazzo lasciò la presa su di lui e fece qualche passo indietro, Sesshomaru poté vedere quello sguardo, che fino a poco prima irradiava felicità e allegria, rabbuiarsi improvvisamente, e per poco non avvertì il suo cuore mancare qualche battito, e il suo corpo sentire la mancanza della vicinanza dell’altro.

 
- Mi dispiace… io… io… devo andare. – Disse lo sconosciuto.

E così come era venuto, lascio la sala in grande fretta, come se avesse avuto il diavolo alle calcagna. Sesshomaru, si ritrovò nuovamente solo al centro di quella enorme pista da ballo con le persone che lo guardavano, anche loro stupite dal repentino svolgersi degli eventi. Mentre lui, non riusciva a muovere nemmeno un passo, talmente era stato repentino il cambiamento di umore dello sconosciuto.

La serata si concluse un’ora dopo, e Sesshomaru tornò a casa con uno strana sensazione che gli attanagliava il petto.

L’osservatore Sesshomaru, si voltò verso la Kitsune con un interrogativo nella mente, lo stesso che per un lungo periodo della sua vita aveva fatto parte dei suoi pensieri.

 
- Tu sai chi è quello sconosciuto non è vero? – Domandò Sesshomaru.

- Certo, io so molte cose.  – Rispose lo spirito.

- Allora mostramelo, mostrami chi era. – Lo incalzò Sesshomaru
.

D’improvviso si ritrovarono fuori da quell’ edificio, e proprio lì all’angolo di quella struttura, vi era quel ragazzo, che fino a poco prima aveva ballato con lui al centro della pista da ballo. Portava ancora la maschera, aveva il fiatone e si guardava intorno con circospezione, ma le strade intorno a lui erano deserte. Nel momento in cui fu certo di questo, si tolse la maschera.

Quello che si presentò davanti agli occhi di Sesshomaru, fu qualcosa che lo fece rimanere a bocca aperta e avvertì il suo cuore fermarsi per qualche istante. I suoi occhi sembravano non volere accettare ciò che stavano vedendo.

 
- Non è possibile. Non… non può essere lui, non può…- Disse sconvolto Sesshomaru balbettando.

- Invece lo è, lui è sempre stato vicino a te, e tu egoisticamente non te ne sei mai accorto. – Disse lo spirito.

- Inuyasha. – Quel nome uscì quasi disperatamente dalle sue labbra, e una mano si allungò verso il ragazzo, pur essendo consapevole che non avrebbe mai potuto sfiorarlo, poi conscio di questo, Sesshomaru la lasciò ricadere al suo fianco. – Ora vorrei poterlo aver trattato meglio di come faccio di solito, eppure, lui… non se né mai lamentato. –
 
- Inuyasha è un ragazzo povero, che si contenta di poco, e sembra essersi accontentato di stare a pochi passi di distanza da te senza mai fare nulla per avvicinarti, da quella notte, ha sempre solo atteso te, nessun altro e tu non te ne sei mai accorto, troppo preso dai tuoi affari. –

- Perdonami Inuyasha. – Disse Sesshomaru con le lacrime che solcavano il suo viso.

Inuyasha in quel momento, scomparve dalla sua vista correndo via, mentre  pronunciava quelle parole, e fu quasi come se l’altro stesse scappando da lui, e si sentì più male di quanto avesse mai potuto ammettere.
 
- Non abbiamo quasi più tempo. – Disse lo spirito. – Dobbiamo fare presto. –

In un batter d’occhio Sesshomaru rivide sé stesso, qualche anno più avanti, dopo quella notte in cui c’era stato quel ballo, in cui non aveva più rivisto quello sconosciuto. E davanti ai suoi occhi si riproduceva un altro spezzato della sua vita, in cui questa si era incupita dalla ricerca di qualcosa che, da quella fatidica notte non era più riuscito a trovare.

Si trovava nel salotto della casa in cui viveva insieme a suo padre. Accanto a lui sedeva una fanciulla dai capelli corvini i quali, non le superavano le spalle, i suoi occhi erano del colore della nocciola. Da quegli stessi occhi sgorgavano fiumi di lacrime, che sembravano deturpare quel bel viso.

 
- Non importa. – Diceva lei. -Non importa a voi. Un’ altra ha preso il mio posto, e, se vi vorrà il bene che vi ho voluto io, non ho alcun motivo di lamentarmi. –

- Chi altra ha preso il vostro posto? – Domandò lui, non capendo quelle parole.

- Un’altra vestita di oro. –

- Tsk. È questo che pensate di me? – Domandò lui. – Se fossi stato povero forse non avrei potuto darvi tutto ciò che avete ora, ma io povero non lo sono mai stato, e ora voi osate accusarmi di questo? –

- No, non è questo, non eravate così quando ci siamo conosciuti. – Ribatté dolcemente la fanciulla. -La verità è che voi avete paura del mondo e di tutto ciò che vi circonda, vi siete rifugiato tra le braccia del dio denaro che vi ha assorbito dentro di lui. –

- E con questo? Sono diventato soltanto più accorto. I miei sentimenti nei vostri confronti non sono per nulla mutati. – La ragazza scrollò il capo.

- Sono forse cambiato? – Aggiunse Sesshomaru, quasi più per avere conferma che per altro.

- La nostra promessa risale a molto tempo fa. Ce la siamo scambiata quando entrambe eravamo contenti soltanto di stare insieme. Quando vi ho conosciuto non ho visto l’uomo ricco, perché credevo che voi foste diverso da tutti gli altri ma, mi sbagliavo. Siete cambiato in questi pochi anni dalla nostra conoscenza. Eravate un altro uomo allora. –

- Ero soltanto un ragazzo. E poco più che ventenne. – Ribatté lui con impazienza.

- Non è così! – Rispose la fanciulla. – La vostra coscienza vi dice che non eravate ciò che siete adesso. Ma io lo so. Quello che ci prometteva la felicità quando eravamo un solo cuore, oggi che ne abbiamo due è fonte solo di dolori. Non posso dirvi quante volte io ci abbia pensato.  Ma ora mi sento in dovere di restituirvi la vostra parola. –

- Ma io non ve l’ho mai reclamata indietro. - 

- A parole mai. –

- E in quale modo dunque? –

- Mutando in tutto, nel carattere, nelle abitudini, nelle aspirazioni, in ogni cosa che mi faceva apprezzare il mio affetto per voi. Se tra di noi non ci fosse stato nulla… - Soggiunse a quel punto la ragazza in modo dolce ma allo stesso tempo anche con fermezza. - … ditemi, ora lo cerchereste quell’affetto?  Io credo di no. –

Suo mal grado, egli si arrese all’evidenza di quelle parole, accorgendosi in quel momento quanto potessero essere vere. Ma decise comunque di farsi forza:
 
- Non lo pensate veramente. –

- Come se potessi pensare altrimenti. – Ribatté lei. – Solo i Kami  sanno quanto lo vorrei! Ma questa è  una verità che mio malgrado ho dovuto riconoscere io stessa, e so bene quanto sia forte e irresistibile. Ma se voi foste libero oggi o domani, come posso credere che voi scegliereste una ragazza senza dote, voi che siete diventato avido e che valutate tutto a peso di guadagno? E se mai per un solo istante voleste tradire il principio che vi governa, fino ad arrivare al punto di sposarla, forse il giorno dopo vi tormenterete perché vi siete pentito della vostra scelta? Ne sono consapevole, e quindi vi restituisco la parola con tutto il mio cuore, per l’amore di quello che eravate.-

Il ragazzo fece per rispondere, ma lei non glielo permise e proseguì alzandosi e voltandogli le spalle.
 
- Forse la memoria di ciò che siete stato un tempo me lo fa quasi sperare, forse ne soffrirete. Però credo che non sarà opprimente, e scaccerete subito ogni ricordo di ciò che siamo stati come se lo aveste solo sognato. Tuttavia, io vi auguro di essere felice della vita che vi siete scelto. –

Lo lasciò solo in quella stanza e si separarono. Ma il Sesshomaru che stava osservando, sapeva che c’era anche un altro motivo del suo mutamento, e a volte era difficile da comprendere persino per lui.
 
- Spirito. – Disse Sesshomaru, voltandosi a guardare la Kitsune. – Non voglio vedere altro, portami a casa: Perché ti diverti a torturarmi? –

- Un’altra sola ombra e poi potrai tornare a casa. –

- No, no, no basta! Non voglio vedere altro. Non mostrarmi altro! – Si rifiutò Sesshomaru.

Ma lo spirito non si fece intimorire dal suo atteggiamento, e stringendolo tra le braccia, lo costrinse a guardare ancora.

Si trovarono altrove e la scena era mutata: era una stanza non molto grande né bella, ma comoda ed accogliente. Vicino al fuoco vi era una donna seduta su una sedia a dondolo, stava sferruzzando a maglia, con un sorriso raggiante stampato sul volto. La casa era racchiusa nel silenzio più totale. Era la stessa che Sesshomaru aveva visto discutere con l’altro sé stesso nella casa di suo padre. Lo spirito lo fece avvicinare ancora di più alla ragazza, e notò che il suo ventre era rigonfio e allora capì il motivo della sua felicità, alla fine era stata lei a trovare la sua oasi di pace e serenità, mentre lui la stava ancora cercando, ma ormai da diverso tempo; si era rassegnato  a trovare quello sconosciuto che aveva ballato con lui il giorno della vigilia di molto tempo prima, chi mai avrebbe potuto pensare che la risposta a tutti i suoi tormenti, era proprio vicino a lui e che non se ne era mai accorto. Tuttavia, osservando quella ragazza così felice non poteva che esserlo per lei e per ciò che aveva trovato.

Ma ecco che si sentì bussare alla porta, e la ragazza un po’ a fatica andò alla porta. Un uomo dai lunghi capelli corvini, raccolti in una treccia e dagli occhi blu,  si rivelò alla donna, aveva una culla di legno di fianco a sé. Lo sguardo della ragazza ricadde su quell’oggetto.

 
- Tesoro mio, che cos’è? – Disse lei indicandolo.

- È la culla per il figlio che verrà. Questo è il mio regalo per questo Natale. – Gli disse lui facendogli un gran sorriso.

- Oh Bankotsu, sono così felice che tu ti prenda cura di noi. -  Disse lei portandosi le mani al ventre.

Bankotsu, prese la culla e la portò all’interno della casa, accompagnato da una lei sorridente. Quando furono dentro casa la ragazza gli rivolse un suo sorriso, ancora più radioso di prima.
 
- Kagome, io vi amo tutti e due, è mio dovere pensare al vostro bene. – Disse Bankotsu prima di posare un casto bacio sulle sue labbra. Poi come se fosse stato colto da un fulmine, proseguì: - Tesoro. – Le disse continuando a sorriderle. – Oggi ho incontrato un vecchio amico. –

- Chi? - Chiese incuriosita lei.

- Indovina! –

- Come vuoi che faccia? … Oh! Ma certo. – Aggiunse ridendo come il marito. – Hai incontrato Sesshomaru non è vero? –

- Hai fatto centro tesoro. Sono passato da lui perché avevo bisogno di rivedere alcune carte per la mia attività, e ci ho parlato per un po’. Mi ha detto che il suo socio è sul punto di morte, e lui sembra che se ne stia in quello studio tutto solo con le sue scartoffie. Credo che ormai sia solo al mondo e solamente il suo segretario sembra sopportarlo. –

- Spirito! – Esclamò Sesshomaru con un filo di voce. – Portami via da qui! –

- Come ti ho già detto. – Rispose lo spirito. – Queste sono solo ombre, non sanno che siamo qui anche noi. –

Si voltò verso lo spirito, e non poté fare a ameno di notare che la Kitsune, lo guardava con un volto strano nel quale si confondevano i visi che gli erano apparsi fino ad allora.
 
- Lasciami! Riportami a casa  e non mi importunare più! –

Sesshomaru gli si scagliò conto, volandogli alla gola, come se si fosse potuto anche solo immaginare di poter strangolare uno spirito. Ma la Kitsune non smise di avere quel suo volto sereno e non oppose resistenza dalla sua morsa, fu  in quel momento che si accorse che la sua luce era ancora più intensa, e Sesshomaru pensò che fosse quella la causa del suo turbamento verso quei ricordi. In un gesto fulmineo, gli fu sopra con tutto il suo corpo, sperando che così sarebbe riuscito a spegnerla.

Dopo pochi istanti non sentì più nulla provenire da sotto di lui, ma la luce ancora non sembrava voler spegnersi, così lo coprì ancora di più con il suo corpo, fino a che tutto in un attimo finì e quella luce si spense.

Improvvisamente, si sentì privo di forze e avvertiva i suoi occhi essere pesanti come macigni. Si ritrovò nuovamente nella sua stanza, ed era ancora accasciato al suolo quando successe. Rialzandosi da terra, si diresse verso il letto e si rifugiò nuovamente sotto le coperte ancora calde, raggomitolandosi sotto di esse prima di cadere in un sonno profondo.






Angolo Autrice
Eccoci col secondo capitolo, so di essere dannatamente in ritardo con questa storia, ma penso che chi ama il Natale, saprà apprezzare comunque questa storia. penso che alla fine in mezzo ci sia finita anche un po' di cenerentola, ma credo che quell'evento abbia dato un tocco in più a tutto il resto, diciamo che è anche la parte che mi è piaciuta di più ;)
Come sempre spero che vi sia piaciuto anche questo capitolo.
Alla prossima ;)

 
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4005389