Fieri sentio

di Bethan__
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II. ***
Capitolo 3: *** III. ***
Capitolo 4: *** IV. ***
Capitolo 5: *** V. ***
Capitolo 6: *** VI. ***
Capitolo 7: *** VII. ***
Capitolo 8: *** VIII. ***
Capitolo 9: *** IX. ***
Capitolo 10: *** X. ***
Capitolo 11: *** XI. ***
Capitolo 12: *** XII. ***
Capitolo 13: *** XIII. ***
Capitolo 14: *** XIV. ***
Capitolo 15: *** XV. ***
Capitolo 16: *** XVI. ***
Capitolo 17: *** XVII. ***
Capitolo 18: *** XVIII. ***
Capitolo 19: *** Epilogo. ***
Capitolo 20: *** 12 Anni Dopo. ***



Capitolo 1
*** I. ***


Fieri sentio

I.


Il lago nero rifletteva la luce della luna in modo placido e stranamente tranquillo: nessuno sembrava agitarsi sotto l’acqua scura. Probabilmente dipendeva dal fatto che fosse mezzanotte passata e che tutti fossero a dormire già da un bel po’, umani e non.
Bronwen quella sera aveva però bellamente ignorato quelle stesse regole che aveva passato una vita a seguire, aveva finto di andare a letto e poi era sgusciata via senza far rumore, portandosi come unica compagnia un asciugamano su cui sedersi, la sua bacchetta e il libro che le aveva prestato Charlie Atkin.
Non aveva preso precauzioni, non aveva chiesto a nessuno di coprirla e non aveva idea di come avrebbe fatto a tornare nel suo dormitorio senza che Gazza o uno dei fantasmi la vedessero.
Non ce l’aveva mica un mantello dell’invisibilità, lei.
In quel momento, comunque, non le importava più di tanto.
La luce della bacchetta illuminava fiocamente le pagine del libro che era intenta a leggere, la leggera brezza autunnale le accarezzava pigramente il viso e ogni tanto riusciva a sentire il verso di qualche cicala in lontananza.
Aveva scelto quella postazione perché erano ormai giorni che nel castello sentiva un’inspiegabile sensazione di soffocamento, ovunque andasse.
Poteva avere a che fare con la discussione che aveva avuto con quell’imbecille di Sirius Black e dei suoi amici, ma si rifiutava di pensare che potessero esercitare una simile influenza su di lei.
No, riflettè: inutile negarlo, era furiosa.
Per quanto fossero insopportabilmente egocentrici e menefreghisti, avevano ragione su di lei.
Era una persona insignificante alla quale piaceva nascondersi dietro la finta soddisfazione di osservare le regole, di rispettare il dovere, di tenersi alla larga da guai e complicazioni di ogni genere.
La infastidiva il modo in cui si ponevano nei confronti della scuola, non sopportava la loro mancanza di serietà né il modo in cui si prendevano gioco di chi invece ci teneva ad una buona condotta.
Erano degli sbruffoni, su questo non avrebbe mai cambiato idea, ma avevano ragione.
Se n’era accorta dalle occhiate stanche che si erano scambiate le sue compagne di stanza quando, dopo l’ennesima discussione, era tornata alla torre dei Grifondoro per raccontare loro l’accaduto con toni furenti.
Nelle loro espressioni aveva letto perplessità: era chiaro che per loro niente di quello che facevano fosse poi tanto grave, un po’ come per il resto della scuola.
Non si arrabbiavano se James Potter in biblioteca sottraeva loro i libri solo per il gusto di interromperle.
Non erano infastidite dal tono di voce superiore e oltremodo irritante che Sirius Black aveva ogni volta che apriva bocca.
Peter Minus e Remus Lupin prendevano parte a praticamente qualunque sfortunato episodio “divertente” finisse poi per spedirli tutti e quattro in punizione, eppure tutti li trovavano eccezionali.
L’intera scuola li definiva piacevoli e divertenti, aveva parlato con persone che si sarebbero fatte mettere volentieri in punizione dalla McGranitt se avesse significato prendere parte ad una delle loro “avventure”, come tutti chiamavano le loro bravate.
Così aveva ufficialmente deciso di lasciar perdere.
Si era arresa al fatto che fosse lei quella fuori luogo, non loro.
Non aveva più aperto bocca per lamentarsi di qualcosa, improvvisamente disgustata dalla natura polemica e battagliera che da sempre l’aveva caratterizzata.
Se n’erano accorti quasi tutti ma evidentemente la cosa non dispiacque a molti, perché non si ritrovò a dare spiegazioni a nessuno.
Non era sicura di come sarebbero andate le cose, ma per il momento sentiva solo un’inspiegabile tristezza.
Non aveva mai dubitato delle sue capacità o di essere nel giusto, ma quella scuola era riusciva a far crollare ogni sua certezza su come fosse percepita dagli altri.
Si sentiva umiliata e imbarazzata per tutte le volte che aveva discusso con quegli idioti, prendendosela per le cose più insignificanti.
Per tutte le volte che aveva fatto notte fonda per finire compiti che il giorno dopo erano stati a malapena considerati.
Per l’importanza che aveva dato all’essere sempre ligia alle regole.
Si chiedeva con vergogna quanto ridicola fosse sempre sembrata agli occhi dei suoi amici e degli altri studenti.
Voleva cambiare, essere diversa, ma non aveva idea di come cominciare.
Un fruscio interruppe i suoi pensieri non troppo felici e, di riflesso, chiuse il libro con un tonfo sordo.
“Nox”, sussurrò, rimanendo con la sola luce della luna ad illuminare il prato circostante.
Alla sua destra, una macchia scura si avvicinava trotterellando.
La ragazza socchiuse gli occhi nella speranza di mettere a fuoco qualcosa di amichevole e non una bizzarra creatura scappata dalla Foresta Proibita.
Con suo grande sollievo, si accorse che si trattava di un cane.
Beh, fuori dalla norma sicuramente viste le dimensioni, ma pur sempre un cane.
Vedendola, rallentò il passo, fino a fermarsi ad osservarla.
“Mi hai fatto prendere un colpo”, sospirò lei, riappoggiando la bacchetta sull’asciugamano.
Vedendo che l’animale non si schiodava di lì, si mosse leggermente, a disagio.
“Beh, che hai da guardare? Siamo in due a essere nel posto sbagliato. Che ci fai qui? Non ci sono cani al castello.”
Si sentiva mediamente pazza a conversare amabilmente con un animale, ma non poteva negare che fosse sollevata.
Il cane si lasciò andare ad un leggero latrato che lei, totalmente arresa al seme della follia, interpretò come una risata.
Perciò gli sorrise.
“Visto che ti diverti così tanto, potresti almeno venire qui a farmi compagnia”, lo invitò, picchiettando sul posto vuoto accanto a lei.
L’asciugamano gli sembrò probabilmente abbastanza soffice e invitante da avvicinarsi e acciambellarsi di fianco alla ragazza, senza però smettere un attimo di guardarla.
Lei prese ad accarezzarlo con dolcezza, cosa che sembrò apprezzare.
“Probabilmente sei l’unico essere vivente che non sia felice di starmi lontano, in questi giorni”, riflettè piano Bronwen, sentendo di dover dire qualcosa sotto quello sguardo grigio e inquisitorio.
“Ho recentemente scoperto di essere una persona noiosa e insignificante, non so come funzioni nel mondo dei cani ma ti assicuro che nel mio la cosa non mi diverte troppo.”
L’animale sbuffò leggermente, le sembrò quasi di vederlo alzare gli occhi al cielo.
Bronwen, che ci aveva preso gusto ad esternare il proprio stato d’animo, continuò imperterrita.
“Mi è stato detto che mi ritengo superiore a tutti in questa scuola, ma come faccio a spiegare che è esattamente l’opposto? Mi sento a disagio perché non riesco ad integrarmi, mi sono sempre reputata solo una studentessa seria, niente di più. Non sono mai stata tanto arrogante da credermi migliore di qualcuno, figuriamoci se litigo con quei quattro idioti perché li ritengo inferiori o qualche sciocchezza simile. Oh, scusa”, mormorò la ragazza in risposta ad un colpetto che il cane le aveva dato con il muso, infastidito dal fatto che avesse smesso di grattargli la testa.
Bronwen sospirò, ricominciando ad accarezzarlo.
“Mi sono sempre preoccupata così tanto di raggiungere i miei obiettivi che non mi sono mai accorta di come le persone mi percepissero. E, ti dirò, mi percepiscono come una fastidiosa e petulante palla al piede. Come ti dicevo, non molto divertente.”
L’animale mugolò, alzandosi e appoggiando le zampe sulle gambe della ragazza.
Bronwen gli sorrise ancora, sollevando il braccio parecchio in alto per affondare nuovamente le dita nel pelo scuro e morbido.
“Grazie del sostegno, ma ti assicuro che hanno ragione. Ero solo troppo cieca per accorgermene. Però non sono cattiva, sai? Voglio dire, non ho mai fatto del male a qualcuno. E’ già qualcosa. Beh, tranne la volta in cui ho tirato un’enciclopedia di seicento pagine in faccia a Bill Belcher di Tassorosso. Non la piantava di provare a baciarmi con la forza, un’esperienza agghiacciante.”
Un altro latrato, più profondo e prolungato del precedente.
La ragazza si strinse nelle spalle, come a giustificarsi.
“Meno male che a te sono simpatica, forse dovrei solo cambiare giro di amicizie. Probabilmente la piovra gigante o gli Avvincini mi troverebbero di ottima compagnia, che ne dici?”.
Il cane, inaspettatamente, si avvicinò e le leccò una guancia.
Bronwen scoppiò a ridere, asciugandosi con il dorso della mano e ricambiando grattandogli il sottomento.
“E’ davvero un peccato non poterti portare al castello con me, sai?”, riflettè, guardandolo raggomitolarsi nuovamente, standole però in braccio.
Sentì un altro latrato, più basso e gutturale, ma non riuscì ad interpretarlo.
Era così grande e pesante che le gambe le si intorpidirono dopo pochi minuti, ma continuò comunque ad accarezzarlo e a parlargli con dolcezza, raccontando del più e del meno con assoluta naturalezza.
Si accorse che non parlava con qualcuno da tanto tempo ed era piacevole avere un ascoltatore silenzioso e amichevole.
Notò che aveva chiuso gli occhi e sperò vivamente che non si addormentasse, o non sarebbe mai riuscita a spostarlo.
“Probabilmente non ti rivedrò più una volta che sarai tornato nella Foresta, ma che ne diresti se ti dessi un nome?”, gli domandò sovrappensiero.
Il cane sollevò la testa e si voltò a guardarla, la lingua penzoloni.
Sembrava in attesa.
Bronwen ricambiò lo sguardo, pensierosa.
“Vediamo, sei grosso. E scuro. Ma non posso darti un nome che suoni minaccioso, visto che sei mansueto quanto un volpino.”
L’animale sembrò offendersi, perché scoprì immediatamente i canini ed emise un ringhio sommesso.
La ragazza sorrise, niente affatto intimidita.
“Oh, andiamo, guarda che era un complimento. E poi i volpini sono insopportabili, ti assicuro che preferisco te.”
Questo sembrò calmarlo, anche se lo sguardo rimase circospetto.
Bronwen cercò di farsi perdonare grattandogli nuovamente la testa e capì che il gesto fu di suo gradimento da come aveva immediatamente socchiuso gli occhi e appiattito le lunghe orecchie.
“Che ne pensi di Blackie? Troppo scontato?”, propose.
L’animale sbuffò, con evidente scetticismo.
“D’accordo, non c’è bisogno di fare il drammatico. Come ti sembra Asterion? E’ una stella della costellazione Cani da Caccia, si trova poco prima dell’Orsa Maggiore. Un po’ ce l’hai l’aria da cane da caccia.”
Sembrò molto più contento della seconda scelta e manifestò la sua approvazione frustando ripetutamente l’aria con la coda.
Poi si rimise in piedi, senza smettere di scodinzolare, e abbaiò un paio di volte.
La ragazza sgranò gli occhi.
“Shhh, sei impazzito? Gazza farà mettere in punizione a vita me e scuoierà vivo te se ci fai beccare!”.
L’animale mugolò, come a darle ragione, e si passò una zampa sul muso a mo’ di scuse.
Bronwen si alzò per pulirsi la divisa dall’erba, poi si chinò a raccogliere asciugamano, libro e bacchetta.
“Devo proprio tornare al castello, è tardi e domani ho Trasfigurazione alle prime due ore. Non credo tu sappia cosa sia, ma ti assicuro che la McGranitt rende il tutto molto meno divertente di quanto sarebbe altrimenti”, borbottò intenta a ripiegare l’asciugamano e ad infilarselo sotto al braccio.
Il cane le mostrò una fila di denti con fare niente affatto minaccioso: sembrava quasi un ghigno divertito.
La ragazza non dovette neanche chinarsi per accarezzarlo un’ultima volta.
“E’ stato un piacere conoscerti, Asterion. Cerca di tornare da dove sei venuto senza farti vedere dal guardiacaccia, d’accordo?”.
L’animale emise un piccolo sbuffo, poi le diede un paio di colpetti affettuosi sulla mano e si voltò, allontanandosi di fretta nella stessa direzione da cui era arrivato.

Bronwen si avviò verso il castello con passo spedito, arresa all’idea di dover fare il giro lungo: l’ufficio di Gazza era troppo vicino ai bagni e alle aule perché potesse sperare di passarci davanti senza dare nell’occhio.
Quindi si diresse verso il cortile, rientrò e attraversò velocemente un infinito corridoio che terminò facendola sbucare davanti alla torre di Divinazione.
Proprio mentre stava per proseguire, a pochi passi dal ritratto della Signora Grassa, si fermò.
Una figura scura appoggiata pigramente al muro di Infermeria la osservava con braccia incrociate e un sorriso beffardo.
Bronwen abbassò la bacchetta, sua unica fonte di luce, e sospirò sonoramente.
Prima che potesse lasciarsi andare ad un qualsiasi tipo di commento, il ragazzo la anticipò con il suo solito tono canzonatorio.
“Ma guarda un po’ chi ha deciso di ribellarsi al sistema e girare di notte per i corridoi. Sicura che non sia la nostra cattiva influenza, Layton?”.
“Sirius, levati dai piedi, non è proprio il momento”, mormorò lei, decisa a tornarsene a letto il prima possibile.
Lo sguardo del ragazzo vagò per qualche secondo sull’asciugamano e il libro che lei teneva tra le mani.
“E’ proprio da te”, commentò, lasciandosi andare ad un sorriso.
Cosa?”, sussurrò lei, seccata, facendo del suo meglio per non svegliare i quadri.
“Infrangere le regole per andartene a leggere un libro da qualche parte. Sei assurda.”
Bronwen si morse l’interno delle guance, ricordandosi che stava disperatamente cercando di evitare un qualunque tipo di confronto con lui e il suo maledetto gruppetto di idioti avventurieri.
“Buonanotte, Sirius”, fu la sua risposta lapidaria.
Gli passò davanti senza degnarlo di uno sguardo ma lo sentì ridacchiare, cosa che la irritò precisamente a morte.
Prima che potesse pensare di mandare al diavolo i suoi buoni propositi e voltarsi giusto il tempo di mostrargli uno specifico dito, vide un cerchio di luce ballare sul muro alla sua sinistra.
Il respiro le si bloccò in gola.
“Chi c’è? Vi ho sentiti! Potter, giuro che se sei di nuovo fuori dal letto a quest’ora di notte non ci sarà parola del preside che riuscirà a risparmiarti una punizione con me!”, la voce di Gazza tuonò nel corridoio buio, infastidendo e svegliando più di un quadro.
“Nox!”, sussurrò la ragazza per la seconda volta quella sera, la voce carica di panico.
Si guardò freneticamente intorno ma non ebbe il tempo di pensare a dove nascondersi, perché Sirius la afferrò per la manica della divisa e tornò indietro, trascinandola velocemente nel piccolo spazio che intercorreva tra Infermeria e torre di Divinazione.
Si chiese vagamente come facesse a non farli sbattere entrambi contro più di un muro, visto che si stavano muovendo nel buio più assoluto.
Si rese conto che entrarono nella torre di astronomia solo grazie alle ampie finestre che lasciavano entrare la luce della luna piena, la stessa che aveva osservato riflettersi sul lago qualche ora prima.
“Fermati un attimo!”, sussurrò, tirando via il braccio e fermandosi a riprendere fiato.
Il ragazzo si appoggiò alla ringhiera, anche se non sembrava minimamente affaticato dalla corsa.
“Visto che divertimento ti perdi?”, domandò con un po’ di fiatone e lo stesso sorriso beffardo di poco prima.
Che faccia tosta.
“Non so quale sia la tua idea di divertimento ma ti assicuro che la mia non prevede il principio d’infarto”, rispose la ragazza passandosi una mano sulla fronte fredda e sudata.
“Quante storie. Gazza non lo ammette ma in realtà ci adora, senza di noi si annoierebbe a morte.”
“Mi sembrava strano che non avessi ancora esternato il tuo solito egocentrismo. Che ci fai in giro a quest’ora? Avete un’altra delle vostre bravate in programma?”.
Sirius la scrutò, divertito, poi si strinse nelle spalle.
“In realtà sono di ritorno, ci siamo divertiti abbastanza per stanotte.”
“E i tuoi fedeli compagni dove sono? Non mi dirai che ti hanno abbandonato.”
“Attenta, Bronwen, potrei iniziare a credere che ti preoccupi per me.”
La ragazza alzò gli occhi al cielo, divertita da quell’ipotesi assurda.
“L’unica cosa che mi preoccupa, al momento, è tornare nel mio dormitorio. Quindi…”.
Lui la guardava, in attesa, le braccia nuovamente incrociate e un sopracciglio inarcato.
“Non potresti farmi strada?”, sbottò, infastidita dal dovergli chiedere un favore.
“Tra un minuto, Gazza starà ancora pattugliando i corridoi. La mia compagnia non è abbastanza piacevole da trattenerti?”.
“Se la memoria non mi inganna qualche giorno fa mi hai definita, con toni di voce piuttosto alti, un’arrogante presuntuosa. Quindi fossi in te ci darei un taglio.”
Parlò con più rancore di quanto avrebbe voluto far trapelare ma era stanca, irritabile e spaventata.
Era stata una pessima idea, che diavolo le era saltato in mente?
Se Gazza l’avesse sorpresa sarebbe stata la fine, non osava immaginare come l’avrebbe punita.
Il silenzio di Sirius la convinse ad alzare lo sguardo, cercando il suo, fisso sul pavimento.
Decise di non proseguire oltre con la conversazione e nessuno dei due parlò per un tempo che le sembrò fastidiosamente lungo.
Stava per staccarsi dal muro a cui si era appoggiata e chiedergli nuovamente di darle una mano a trovare la strada per evitare che si spiaccicasse su qualche parete di mattoni o rotolasse giù per le scale, ma quando lo guardò di nuovo notò un dettaglio allarmante.
“Sirius, il braccio!”, esclamò, sorpresa, avvicinandosi per riflesso.
Lui seguì il suo sguardo e aggrottò le sopracciglia, notando la macchia cremisi che gli stava bagnando la manica della camicia immacolata.
La sollevò con cautela, notando il taglio che James aveva provato a richiudere qualche ora prima.
Evidentemente non aveva funzionato poi così bene.
“Cos’è successo?”, si sentì domandare da una Bronwen preoccupata ma pur sempre esitante.
“Niente di grave. Dovresti vedere gli altri”, sorrise il ragazzo, cercando di ignorare il fastidioso bruciore della ferita.
Si chiese come stesse Remus, se gli avesse fatto troppo male.
“Non è divertente”, mormorò lei, cercando disperatamente di ricordarsi un incantesimo utile.
“Ormai credo di aver appurato che io e te abbiamo un’idea molto diversa di divertimento, giusto?”.
Ma Bronwen non lo ascoltava.
Recuperò la bacchetta dal tavolo in legno su cui aveva deposto tutto quello che si era portata dietro, e gliela appoggiò dolcemente sull’avambraccio.
“Epismendo”, disse con decisione, guardando la ferita smettere di sanguinare all’istante e rimarginarsi il giusto da sembrare vecchia di qualche giorno.
Il ragazzo increspò le labbra, preso alla sprovvista.
Si calò nuovamente la manica della camicia e le rivolse uno sguardo incerto, quasi imbarazzato.
“Grazie”, disse come se pronunciare quella sola parola gli costasse tutto il suo orgoglio.
Lei annuì, altrettanto a disagio.
“Beh, possiamo andare, Gazza si sarà tolto dai piedi”, annunciò il ragazzo, volenteroso quanto lei di mettere fine a quel silenzio imbarazzante.
Bronwen raccolse le sue cose e lo seguì fuori dalla torre, ritrovandosi nuovamente nell’oscurità più totale, poiché non accesero le bacchette per non rischiare che un quadro li notasse.
Per fortuna, senza che dovesse chiederglielo, Sirius le strinse nuovamente la manica della divisa per guidarla attraverso il corridoio silenzioso, fino all’ingresso della torre di Grifondoro.
“Sei soddisfatta della tua primissima trasgressione?”, sussurrò il ragazzo, più vicino di quanto si aspettasse.
Bronwen sbuffò, irritata: sembrava davvero che quell’idiota amasse fare conversazione nei momenti meno opportuni.
“Sì, è stata l’esperienza più esaltante della mia vita. Compreso il salvarti dal dissanguamento”, mormorò con pesante sarcasmo.
Non poteva vederlo, ma lui sorrise.
“Io sarò egocentrico, ma tu sei un po’ troppo melodrammatica.”
“E sulle note del tuo ennesimo complimento, ti auguro una buonanotte”, borbottò la ragazza.
La Signora Grassa sbadigliò, aprendo gli occhi.
“Vi pare questa l’ora di rientrare? Accidenti, stavo dormendo così bene. Parola d’ordine?”, brontolò, la voce impastata dal sonno.
La ragazza le rivolse un sorriso di scuse.
“Zuppa di nocciole.”
Il quadro si spostò senza far rumore e Bronwen si lasciò andare ad un sospiro di sollievo.
Entrarono entrambi, trovando la Sala Comune deserta e il fuoco del camino ormai praticamente spento.
La ragazza si diresse spedita verso il suo dormitorio, sentendo di colpo tutta la stanchezza della giornata.
“Buonanotte, avventuriera”, furono le ultime parole che sentì prima di richiudersi la porta alle spalle.


 

Questa è una storia che ho iniziato a scrivere con la precisa speranza di realizzare uno stralcio sensato e il più possibile veritiero delle vite dei Malandrini. Nessuno di loro ha avuto vita facile (o lunga abbastanza da diventarlo) ma Sirius Black ha dovuto passare anni di agonia e solitudine chiuso in una cella con la consapevolezza che tutti lo ritenessero un omicida psicopatico, perciò questa storia è per lui. Ho voluto regalargli un po' di felicità, un po' di fiducia.
Non scriverò altro perchè trovo che i messaggi degli autori a fine capitolo rovinino un po' la magia della storia, perciò ci rivediamo alla fine. Spero davvero che vi piaccia e che vi prendiate qualche secondo per farmi sapere cosa ne pensate dei miei vaneggiamenti. 

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Capitolo 2
*** II. ***


Fieri sentio

II.

 

In aula risuonò l’ennesimo Scribblifors, incantesimo di Trasfigurazione che avrebbe dovuto trasformare il calice di ogni studente in una penna d’oca.
C’erano riusciti quasi tutti, compresa una Bronwen decisamente fuori forma per quella mattina.
Cornelia Vane, che sedeva al banco di fianco al suo, richiamò la sua attenzione con un sussurro.
“Ehi, ma che ti prende? Non riesci nemmeno a tenere gli occhi aperti!”.
La ragazza nascose la bocca con una mano, sbadigliando.
“Ho dormito male”, tagliò corto, per niente intenzionata a raccontare a qualcuno della notte precedente.
Sentì l’inconfondibile risata bassa e roca di Sirius Black, seduto dietro di lei, ma lo ignorò bellamente e si concentrò sui suoi appunti.
“Oh, bene, finalmente avete finito tutti! Direi di passare alla teoria”, la McGranitt pareva sollevata.
Si sedette alla cattedra e iniziò a sfogliare il libro di testo, l’espressione austera come al solito.
“Chi mi sa dire quali elementi influenzano la trasformazione?”, domandò.
Due o tre Corvonero alzarono la mano, i Grifondoro sembravano decisamente meno propensi a rispondere.
“Signor Potter?”.
Bronwen lo sentì sbuffare, due file più dietro.
“Beh, il peso corporeo”, fu la sua risposta.
“Sono certa che si ricorderà anche gli altri quattro fattori.”
Il ragazzo si strinse nelle spalle.
“Mi sento sempre in colpa a deluderla, professoressa.”
L’intera classe scoppiò a ridere, Bronwen alzò gli occhi al cielo e anche la McGranitt non sembrava essere molto divertita.
“Signor Lupin”, chiamò stancamente.
La ragazza notò che lui, invece, aveva alzato la mano.
“La ferocia, il potere della bacchetta, la concentrazione, e una quinta variabile che ci è ancora sconosciuta.”
“Molto bene. Quali sono i quattro rami della nostra materia, signorina Macdonald?”.
Mary ci pensò su per qualche secondo.
“La Trasformazione, l’Evanescenza, l’Evocazione, la Detrasfigurazione.”
“Signorina Layton, mi faccia un esempio per ogni settore.”
Bronwen, che era nuovamente sul punto di addormentarsi, sussultò appena.
“La pietrificazione, l’incantesimo Evanesco, per l’Evanescenza basta far comparire qualcosa… e l’incanto Reparifarge.”
“Che è esattamente quello che servirebbe al signor Jorkins”, commentò la professoressa, facendo nuovamente ridere tutti.
“Dieci punti a Grifondoro.”
Passò poi a spiegare, con tono di voce insopportabilmente monotono, le Cinque Principali Eccezioni alla Legge di Gamp sulla Trasfigurazione degli Elementi.
Finalmente, alla conclusione della seconda ora di agonia, gli studenti si alzarono in fretta e raccolsero libri e borse.
“Voglio un rotolo di pergamena di descrizioni dettagliate sulle restrizioni della materia, con particolare attenzione al ramo della Trasformazione Magica. Li consegnerete alla lezione di lunedì e non ci saranno scuse che reggano questa volta”, dichiarò la professoressa soffermandosi a guardare James e Sirius, lo sguardo severo dietro gli occhiali sottili.
Gli studenti uscirono in fretta dall’aula, lasciandosi andare subito a lamenti e sonori sospiri.
Bronwen stava meditando di passare le ore di pausa (il professore di Incantesimi era assente) a dormire, ma sapeva che poi non si sarebbe alzata in tempo per il pranzo e avrebbe sprecato un intero pomeriggio.
Charlie Atkin, Corvonero, la affiancò in corridoio, rivolgendole un gran sorriso.
“Ti va di andare ai Tre Manici di Scopa domani? Non bevo una Burrobirra da secoli”, propose, il tono allegro come sempre.
La ragazza ci pensò su.
“Domani c’è il Quidditch”, rispose, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
E in effetti lo era.
“Lo so, intendevo dopo la partita. Ti conosco.”
“Oh, allora si può fare.”
Le sorrise nuovamente.
Sembrava essere tra quelli più lieti del suo cambiamento, anche se l’aveva sentita sbraitare sui Malandrini più volte e non le aveva mai rivolto uno sguardo annoiato o infastidito.
Era uno dei ragazzi più gentili e carini della scuola, si era trovata bene con lui da quando, al secondo anno, l’aveva aiutata a scrivere una ricerca infinita per Storia della Magia.
Successivamente lei si era offerta di dargli una mano con Babbanologia, materia per la quale il ragazzo provava un’inspiegabile interesse.
Bronwen era figlia di Babbani e come tale era cresciuta, quindi gli aveva parlato con piacere del suo mondo e da quel momento erano diventati ottimi amici, con tutta l’invidia di buona parte della popolazione femminile del castello.
“Io e alcuni amici andiamo in cortile, ti unisci a noi?”, la sua voce gentile la riportò alla realtà.
“Sarà meglio che mi trascini in biblioteca a iniziare quella stupida ricerca, sono piena di compiti per la settimana prossima e mi hai appena privato dell’intenso pomeriggio di studio che avevo in programma per domani”, sospirò lei.
Charlie rise, divertito.
“Non credere di farmi sentire in colpa!”.
Si separarono alla fine del corridoio e lei lo salutò con la mano prima di entrare nella silenziosa biblioteca, stranamente piena di studenti piegati sui libri.
Pregò di trovare un tavolo libero e quando lo avvistò, precisamente in fondo alla sala, affrettò il passo per evitare che qualcuno la precedesse.
Quando, superati gli enormi scaffali, riuscì a scorgere la figura seduta di fianco all’unica sedia libera, increspò le labbra ma si disse che sarebbe potuta andare peggio.
Si sedette cercando di fare il meno rumore possibile e appoggiò borsa e libri sul bel tavolo di legno lucido.
Remus sollevò lo sguardo dalla sua pergamena e accennò un sorriso cortese.
“Hai sentito anche tu il panico da ricerca di Trasfigurazione?”, sussurrò.
Sembrava insolitamente provato: le occhiaie erano scure e pesanti, il volto pallido, lo sguardo spento.
Bronwen ricambiò stancamente il sorriso, aprendo con poca convinzione il pesante volume che usavano al sesto anno.
“Panico è dire poco, non ho la più pallida idea di come cominciare”, rispose, afflitta.
Lui indicò una pagina del suo libro, il capitolo sugli Animagi e il Ministero della Magia.
“Inizia da qui, poi soffermati sulla trasfigurazione umana generale e sulle Eccezioni alla Legge di Gamp”, le consigliò.
Bronwen aprì il suo libro alla stessa pagina e, dopo una rapida occhiata, annuì.
Lui le sorrise una seconda volta prima di ricominciare a scrivere, la grafia fitta ma ordinata.
La ragazza si ricordò del motivo per il quale lo trovasse il meno spiacevole del gruppo.
Non lo aveva mai visto essere sgarbato con qualcuno, i suoi voti erano ottimi e ricordava di averlo visto rimbeccare James e Sirius più di una volta a proposito del loro comportamento con Severus Piton di Serpeverde.
Inoltre, beh, era un Prefetto.
Certo, anche lui prendeva parte a scherzi e conseguenti punizioni, ma non era irritante e saccente quanto gli altri tre.
Era l’unico con cui ogni tanto scambiava qualche parola e infatti, non sapendo bene come, quella mattina finirono per collaborare per tutta la durata delle ore di pausa, concludendo le loro ricerche in contemporanea e con ottimi risultati.
La ragazza scoprì con piacere e sorpresa che andavano davvero d’accordo e, quando le propose di andare a pranzo insieme, non rifiutò.
Finse di non vedere le occhiate sconvolte delle sue amiche (e di chiunque la conoscesse) quando entrarono insieme in Sala Grande e si fermarono a parlare amichevolmente per qualche minuto prima di raggiungere i rispettivi amici e sedersi a tavola.
Veronica Redfern lasciò a metà il suo pasticcio di verdure e piantò gli occhi azzurri in quelli castani di una Bronwen già rassegnata all’inevitabile.
“Che diavolo era quello che ho appena visto?”.
“Non saprei. Cosa hai visto?”, la ragazza finse nonchalance e cominciò a mangiare come se niente fosse.
“Ti ho vista conversare amabilmente con Remus Lupin. Hai intenzione di spiegarmi?”.
“Beh, ci siamo incontrati per caso in biblioteca e abbiamo fatto insieme la ricerca della McGranitt. Tutto qua.”
Veronica inarcò un sopracciglio.
“Oh, certo. Tutto qua. E poi cosa? Ti troverò dietro un cespuglio a darti da fare con James Potter?”.
Bronwen si bloccò con la forchetta a mezz’aria, voltandosi a guardare l’amica.
“Credo di aver appena vomitato nella mia stessa bocca”, dichiarò.
“Mi stai davvero dicendo che sei diventata amica di un Malandrino? Tu?”, la ragazza non aveva intenzione di demordere.
“Non sono diventata sua amica, abbiamo solo fatto due chiacchiere. Il tuo pasticcio si sta freddando.”
“E pretendi anche che ti creda?”.
“Perché non dovresti?”.
“Perché Sirius Black ti sta fissando da quando sei entrata, ecco perché!”.
Bronwen si girò istintivamente verso la fine del tavolo e, alla sua sinistra, incrociò uno sguardo tanto familiare quanto impertinente.
“Che vuoi?”, gli mimò con le labbra, visibilmente irritata.
Lui si lasciò andare ad una piccola risata, poi, con naturalezza innata, prese parte alla conversazione di alcuni suoi compagni.
La ragazza sbuffò, ricominciando a mangiare.
“Forse è più probabile che dietro il cespuglio…”.
“Ronnie, finisci quella frase e ti trasformo in un merlo.”

Quel pomeriggio, dopo pranzo, Bronwen si ricordò con piacere di essere libera fino alle quattro poiché Divinazione non figurava tra le materie che aveva scelto.
Quindi si trascinò in cortile per godersi il sole tiepido tipicamente autunnale che illuminava il prato circostante e la fontana in marmo bianco.
Si sistemò su una delle panche in pietra scolpite al di sotto del porticato e, contenta, allungò le gambe.
Aveva con sé i libri di Pozioni e quello di Astronomia, giusto per non sentirsi in colpa, ma aveva ben poca intenzione di aprirli.
Da lontano, vide Charlie e il suo gruppo di amici che si dirigevano verso l’aula di Aritmanzia e gli fece un cenno con la mano.
Lui le sorrise, poi sparì in corridoio.
L’aria era così profumata e il calore del sole così piacevole che sentì gli occhi farsi pesanti.
Si disse che poteva concedersi una mezz’ora di riposo, poi avrebbe ripassato le ultime materie della giornata.
Lasciò quindi cadere i libri sull’erba soffice e sbadigliò, chiudendo gli occhi e ripensando vagamente ai nomi degli astri che aveva inserito nella sua mappa stellare.
Non seppe dire se fosse mai riuscita ad addormentarsi o se fosse stata svegliata solo pochi minuti dopo, ma un suono esageratamente forte e vicino la spaventò al punto da farla sobbalzare sulla panchina, i battiti del cuore pericolosamente accelerati.
Quasi le venne un infarto alla vista del cane scuro e imponente che la fissava scodinzolando, gli occhi furbi e limpidi.
“E’ la seconda volta che quasi mi fai fuori per lo spavento, non potresti tentare un approccio più rassicurante?”, lo rimproverò portandosi una mano al petto.
Lui non sembrava particolarmente dispiaciuto a giudicare da come continuasse a guardarla, quasi divertito.
Bronwen, con un sospiro, affondò le dita nel pelo morbido e folto.
“Sono molto contenta di rivederti ma dovresti davvero smetterla di gironzolare fuori dal castello, se Gazza ti vede finirai nei guai”, mormorò dolcemente.
Il cane le diede un altro dei suoi colpetti affettuosi, come a dirle di smetterla di preoccuparsi di simili sciocchezze.
“Ieri notte non mi hanno scoperta per miracolo, non credo avrò presto il coraggio di trasgredire ancora le regole. Se ti venisse in mente di tornare a cercarmi, la parola d’ordine di Grifondoro…”.
“Bronwen Layton!”.
La ragazza sollevò la testa di scatto, nel panico.
“Oh, no”, brontolò alla vista delle ultime due persone al mondo che avrebbe voluto vedere in quel momento.
Ma guarda, cosa ci fai qui tutta sola?”, le sorrise James Potter con la sua solita faccia da schiaffi.
Remus le fece invece un cenno amichevole ma lo sguardo gli cadde quasi subito sul cane che era salito sulla panca e aveva appoggiato l’enorme testa sulle gambe della ragazza.
Alla vista dei due nuovi arrivati, sbuffò sonoramente.
“Perché non siete a Divinazione?”, domandò lei.
“Naturalmente perché non ne avevamo voglia. Chi è il tuo amico?”.
Le parve di sentire una nota canzonatoria nella sua voce, come se stesse trattenendo a stento le risate.
Il cane sollevò la testa, sembrava infastidito.
“Non ditelo a Gazza”, pregò la ragazza, guardando Remus.
Lui accennò un sorriso gentile.
“Non lo faremo. Dove lo hai trovato?”.
Bronwen tossì, imbarazzata.
“Oh, è sbucato dal nulla. Credo venga dalla Foresta Proibita ma non è pericoloso, anzi, sembra quasi sempre capire quello che dico.”
“Come un essere umano?”, sghignazzò James, guadagnandosi un ringhio gutturale in risposta.
La ragazza gli rivolse uno sguardo sarcastico.
“Ma guarda, riesci a infastidire anche gli animali. Chi l’avrebbe detto.”
Lui scosse la testa, divertito.
“E così ti piace, eh?”.
“Certo che mi piace, è un cane. Di conseguenza non possiede l’abilità innata di irritarmi a morte come fai tu, James.”
Remus si strinse nelle spalle, allegro.
“Non posso darle torto.”
Il cane saltò giù dalla panca e ricominciò a scodinzolare, guadagnandosi un’occhiata scettica da parte di James.
“Magari dovresti restare così, lei ti preferirebbe di sicuro.”
Bronwen aggrottò le sopracciglia, confusa.
“Cosa?”.
Il cane prese di nuovo a ringhiare e, per la prima volta, le sembrò arrabbiato sul serio.
Il ragazzo sollevò entrambe le mani in segno di resa.
“Va bene, va bene. Vado a vedere dove si è cacciato Peter, tu vieni?”, chiese rivolgendosi all’amico.
Lui si sedette accanto a Bronwen, lasciando cadere la borsa sull’erba.
“Ti raggiungo”, rispose.
“Come vuoi. Ci vediamo, Bron!”.
“Non chiamarmi così!”, sbottò la ragazza, guardandolo allontanarsi scosso dall’enesima risata.
Remus, che stava accarezzando distrattamente l’animale, mascherò a stento un sorriso.
“Sai, in realtà ti trova simpatica, ma non lo ammetterebbe mai.”
“Anche io lo troverei simpatico se non aprisse più bocca per il resto della sua vita”, rispose lei, acida.
Restarono in silenzio per qualche minuto, godendosi la tranquillità del cortile vuoto e soleggiato.
Poi la ragazza sollevò lo sguardo, incerta, le dita che percorrevano pigramente il dorso del cane.
“Scusa se mi permetto, ma… ti senti bene? Sembri molto stanco”, azzardò.
Il ragazzo incrociò il suo sguardo: sembrava tranquillo.
“Sì, è solo che ieri notte sono rimasto sveglio a finire quella mappa per Astronomia. Ho sentito che anche tu hai dormito poco.”
“Sì, immaginavo”, borbottò lei a mezza voce, facendolo ridere.
“Da quello che mi ha detto, sei stata gentile con lui.”
Bronwen increspò le labbra, sentendo tornare quel familiare sentimento di vergogna.
Erano così abituati a vederla urlare e arrabbiarsi che un comportamento normale li scioccava.
“Remus…”, iniziò, non sapendo bene cosa dire, ma lui la fermò sollevando una mano.
Aveva colto perfettamente il tono dispiaciuto.
“Ti capisco, sai. Anche a me darebbe fastidio un gruppo come il nostro, se non ne facessi parte. Se a volte ti facciamo arrabbiare non significa che tu sia una persona noiosa o arrogante. E ti assicuro che lo pensa anche Sirius.”
“Invece ha ragione. Non sta a me decidere come dovrebbero comportarsi gli altri, solo perché io farei diversamente non significa che siate voi quelli a essere sbagliati.”
Il ragazzo le sorrise con dolcezza.
“Questo vale anche per noi e per tutti gli altri. Io ti ho sempre trovata una persona cordiale, forse facilmente irritabile ma credi esista qualcuno che James e Sirius non sarebbero in grado di far arrabbiare?”.
Finalmente Bronwen riuscì a ridere, sinceramente divertita e appena più sollevata.
“Se può valere qualcosa, sei sempre stato quello che mi dispiaceva di meno”, lo informò, l’ombra di un sorriso ancora sulle labbra.
Lui ricambiò, gentile.
“Per fortuna.”

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Capitolo 3
*** III. ***


Fieri sentio

III.

 

“Tirala! Tira quella maledetta pluffa, Liam!”.
Prima ancora che potesse anche solo provare a seguire quel consiglio, urlato in contemporanea da più o meno un centinaio di studenti, un bolide riuscì a disarcionarlo violentemente.
Fallo!”, strillò Bronwen, che aveva visto chiaramente il battitore di Serpeverde indirizzare il bolide verso il ragazzo.
Si udirono diversi fischi e urla, ma l’arbitro non fischiò e la partita seguitò nel suo disastroso proseguimento.
Grifondoro era sotto di trenta punti e mancava troppo poco alla fine, era quasi impossibile che ce la facessero.
James riuscì a guadagnare altri dieci punti con un tiro eccezionale (e sfacciatamente fortunato), ma Marlene McKinnon ebbe la brillante idea di afferrare la coda della scopa di Elodie Hewett, guadagnandosi un fischio per fallo.
“Maledizione!”, piagnucolò Bronwen.
“Non possiamo perdere, la prossima è con Tassorosso!”, mugolò Veronica al suo fianco, le guance dipinte con strisce rosse e dorate.
La folla esplose in un boato quando James segnò una seconda volta, evitando per un filo lo scontro con un cacciatore di Serpeverde particolarmente propenso alle collisioni. 
Per una curiosa coincidenza, si trattava del fratello minore di Sirius Black.
Bronwen trattenne il respiro e afferrò di riflesso la manica della divisa dell’amica quando vide il loro Cercatore, Jeremy Quigg, scendere in picchiata verso un punto indefinito del campo, al di là degli anelli.
Scomparve per qualche secondo, poi riemerse con il braccio sollevato e un sorriso trionfante dipinto sul viso.
“Quigg conquista il boccino d’oro, centocinquanta punti a Grifondoro che vince!”, strillò il commentatore, la cui voce venne coperta quasi all’istante dalle urla degli studenti sugli spalti.
Come succedeva sempre, tutti si lasciarono andare ad abbracci e risate, compresa Bronwen che dalla gioia si fiondò su Charlie e gli circondò il collo con le braccia.
“Abbiamo vinto, è un miracolo!”, strillò, facendolo ridere di gusto.
Ormai era abituato alle sue reazioni post-Quidditch, per fortuna quel giorno gli era toccata la migliore: quando Grifondoro perdeva, diventava inconsolabile.
“Sei sempre dell’umore per la nostra Burrobirra?”, le chiese con un sorriso.
“Offro io!”, rispose lei, raggiante.

Quel sabato, il villaggio di Hogsmeade era affollato come non mai.
Molti degli studenti, dopo la partita, si erano riversati nei vari pub e negozi di High Street, chi per festeggiare e chi per consolarsi.
Dopo una breve sosta a Mielandia dove si rifornirono rispettivamente di Mosche al Caramello e Rospi alla Menta, Charlie e Bronwen si rintanarono ne I Tre Manici di Scopa.
L’aria era piacevolmente calda e profumata, come sempre, i tavoli in legno pieni di studenti, maghi e streghe.
Trovarono posto allo stesso tavolo dove erano seduti dei Serpeverde che sembravano particolarmente abbattuti.
“Flynn, dai, vi rifarete con Corvonero!”, esordì la ragazza, cercando di incoraggiare l’unico del gruppo di cui conosceva il nome.
Lui la guardò, atterrito.
“Ehi!”, protestò Charlie, facendola ridere.
“Sto solo cercando di tenere alto il morale! Vi va dell’Acquaviola?”.
“D’accordo”, sospirò Flynn.
Bronwen ne ordinò quattro calici, più due boccali di Burrobirra calda per sé e il suo amico.
“Ti sta piacendo quel libro che ti ho prestato?”, le chiese il ragazzo.
“Lo sai già di avere ottimi gusti, piantala di fare il finto modesto.”
“Non posso farci niente, è nella mia natura.”
“A proposito della tua natura, come va con quella Iris di Tassorosso?”.
Lo vide arrossire e cercare di nasconderlo prendendo un sorso dal suo boccale.
Poi si schiarì la voce.
“Bene, è simpatica.”
Lei inarcò un sopracciglio.
Simpatica? Guarda che vi ho visti, fuori dall’aula di Incantesimi.”
Quasi gli andò di traverso la Burrobirra per la sorpresa.
“Ma che fai, mi spii?”, protestò, indignato.
“Ero in ritardo per Rune, non ti agitare tanto! E comunque, per la cronaca, siete molto carini. Disgustosi, ma carini.”
Charlie alzò gli occhi al cielo, il rossore sulle guance ancora ben evidente.
“Grazie. Il tuo gelido cuore è rivolto a qualcuno, invece?”.
Lei ammiccò.
“No, resto di pietra. Non riuscirai ad accoppiarmi con quel tuo amico, William o come si chiama.”
“Wilfred, e sono convinto che andreste d’accordo.”
“Charlie, ha passato l’intera ora di Pozioni a ridacchiare per i nomi degli ingredienti. Che considerazione hai di me?”.
Il ragazzo si strinse nelle spalle.
“E’ solo che mi piacerebbe vederti con qualcuno, sei eccezionale e non lo sa nessuno.”
Lei si aprì in un gran sorriso, lusingata.
Riusciva sempre a dire la cosa giusta.
“Grazie. Ma non mi serve…”.
Lo so che non ti serve un ragazzo per sentirti realizzata e che non devi dimostrare niente a nessuno. Dico solo che potresti provare a guardarti intorno.”
“Vuoi sapere cosa vedo, guardandomi intorno? Una massa di…”.
Si bloccò, l’espressione a metà tra il sorpreso e il nauseato.
In fondo al locale, a un tavolo diviso a metà tra Grifondoro e Tassorosso, Sirius Black era intento a scambiarsi vistose effusioni con una ragazza dai capelli lunghi e biondi che gli si era seduta sulle ginocchia.
Forse sarebbe stato più corretto dire che era come se si stessero mangiando la faccia a vicenda.
James gli stava seduto di fianco e conversava amabilmente con una Lily Evans visibilmente annoiata, Remus e Peter chiacchieravano con dei Tassorosso: sembravano parecchio divertiti.
Charlie seguì il suo sguardo e sollevò le sopracciglia.
“Beh, non si può dire che non abbia successo con le ragazze”, commentò.
“Non ha un minimo di decenza”, bofonchiò lei.
“La decenza è inutile se una come Alice Grimm è disposta…”.
“Ti prego, non finire la frase o mi verrà voglia di prendere a schiaffi anche te.”
Lui scoppiò a ridere, decidendo saggiamente di seguire il consiglio.

Restarono a chiacchierare per la seguente mezz’ora, poi decisero di avviarsi verso il castello poiché si stava facendo buio ed era quasi ora di cena.
Quella sera faceva particolarmente freddo, perciò fu un sollievo rientrare a Hogwarts: i camini erano già tutti accesi e i tavoli della Sala Grande apparecchiati con la massima precisione, come ogni sera.
Gli studenti di ritorno da Hogsmeade, tutti ormai di ottimo umore, si unirono a quelli che erano rimasti al castello e che erano già quasi tutti seduti ai rispettivi tavoli.
Bronwen scorse Flynn al tavolo dei Serpeverde, le stava sorridendo e le fece un gesto con la mano che interpretò come un ringraziamento per l’Acquaviola e il resto.
Lo salutò con la mano, ricambiando il sorriso, e si lasciò stancamente cadere al suo posto.
Charlie era già sparito, l’aveva salutata con veloce bacio sulla guancia ed era corso verso il tavolo dei Tassorosso: probabilmente voleva scambiare due chiacchiere con Iris prima che cominciassero a mangiare. 
Bronwen sbadigliò, cercando di individuare Veronica o Cornelia nella folla di studenti che stava entrando in Sala, ma non ci riuscì.
Fu piacevolmente sorpresa quando Remus Lupin prese posto esattamente davanti a lei, rivolgendole uno dei suoi sorrisi gentili.
“Grande partita, eh?”.
Lei si mise a sedere più dritta, ricambiando il sorriso.
“Eccezionale! Senza James e Jeremy non ce l’avremmo fatta, sono stati fantastici.”
“Allora c’è qualcosa che faccio che non ti irrita a morte”, esordì il diretto interessato, lasciandosi cadere pigramente accanto all’amico.
Aveva dipinto sul viso quel suo tipico, insopportabile sorrisetto presuntuoso.
Bronwen vide distrattamente Lily Evans, seduta due posti più in là e dal suo lato, alzare gli occhi al cielo.
Tuttavia, quella sera il suo umore era tanto ottimo da non farle venire voglia di rivolgergli una delle sue solite risposte taglienti.
“Già, qualcosa c’è”, replicò quindi con un sorriso tranquillo.
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, preso in contropiede.
“Cos’è quel tono gentile? Mi dà i brividi.”
“Hai giocato troppo bene perché possa arrabbiarmi con te, oggi.”
“Oh. Da domani però mi aspetto meno cordialità, altrimenti potremmo cominciare ad andare d’accordo e non mi sembra il caso.”
“Adesso cerchiamo di non esagerare con la fantasia.”
James sorrise, soddisfatto.
Come aveva previsto, gli ultimi membri del gruppo si unirono presto ai loro amici.
Notò che Peter aveva le guance arrossate e gli occhi un po’ lucidi, stava per chiedergli se si sentisse bene quando Sirius richiamò la sua attenzione con un fischio.
“Guarda che non sono un cane”, lo informò, seccata.
Per qualche motivo, James scoppiò a ridere e anche Remus sembrò trattenersi a stento.
Lui li ignorò nel modo più totale, scoccandole un gran sorriso.
“Come mai non sei venuta a salutarci, al villaggio? Tu e il tuo ragazzo potevate sedervi con noi.”
Bronwen gli rivolse uno sguardo carico di scetticismo.
“Sei impazzito?”.
Lui non si scompose.
“Beh, hai detto o no a Remus che non siamo noi quelli a essere sbagliati? Ne ho dedotto che le ostilità fossero cessate.”
“Io non sono ostile, solo occasionalmente e ragionevolmente infastidita.”
“Ad ogni modo, potevi salutarci.”
“Sta sbagliando tutto”, brontolò James in un sussurro, in modo che solo gli altri due potessero sentirlo.
Remus sospirò pesantemente.
“Non volevamo disturbare né vomitare, sembravi piuttosto impegnato”, mentì lei.
Naturalmente non le era passato neanche per l’anticamera del cervello di salutarli, ma le sembrò opportuno rinfacciargli la sua totale mancanza di pudore.
Il ragazzo fece per rispondere ma fu interrotto dall’arrivo di Veronica e Cornelia, che presero posto di fianco alla loro amica cadendo come pesi morti.
“Scusa, stavamo finendo quella maledetta ricerca per la McGranitt. Quando si mangia? Muoio di fame”, disse Ronnie a mo’ di saluto, scostandosi i capelli castani dalle spalle.
Il suo sguardo si posò poi sugli interlocutori di Bronwen, che le sorrisero amabilmente.
Tutti tranne uno.
“Oh, ciao. Scusate”, mormorò, troppo sconvolta per dire altro.
Si presentarono entrambe, Cornelia sembrava essere decisamente più a suo agio nonostante la sorpresa iniziale.
Finalmente i piatti e i vassoi si riempirono di cibo e gli studenti iniziarono a mangiare, in un assordante rumore di posate e bicchieri.
Bronwen si accorse che Peter era rimasto zitto da quando si erano seduti, perciò cercò di fare conversazione nella speranza che non si sentisse messo in disparte.
Scoprì che gli piaceva leggere ma i loro gusti non coincidevano granchè, perciò fu sollevata quando Veronica gli chiese dello smistamento: si ricordava che fosse un Testurbante.
La cena proseguì rumorosa finchè la Sala iniziò lentamente a svuotarsi, tra studenti che si dirigevano stancamente in biblioteca e quelli che tornavano ai rispettivi dormitori.
Brownen proseguì verso la torre di Grifondoro insieme a quasi tutti i suoi compagni, sorbendosi le chiacchiere di Cornelia e Veronica che avevano preso fin troppo in simpatia Remus e James.
Entrati in una Sala Comune più disordinata del solito tra sciarpe e tazze di tè vuote lasciate in giro, la ragazza praticamente si fiondò verso la sua postazione preferita: il divano di velluto rosso di fronte al camino.
Si sentiva stanchissima, era stata una giornata lunga e fin troppo densa di adrenalina.
“Accio romanzo”, mormorò in uno sbadiglio, sollevando appena la bacchetta.
Il libro di Charlie, che aveva lasciato sul suo letto, svolazzò pigramente verso di lei e la ragazza lo afferrò, decisa a concedersi una rilassante lettura prima di sprofondare sotto le coperte.
“Non ho ancora iniziato a studiare il capitolo di Rune, dimmi che lo hai finito e domani mi aiuterai”, la pregò Cornelia, seduta accanto a lei, con il suo solito tono gentile.
“Quello sulle iscrizioni in Futhark ritrovate tra i Carpazi e in Lapponia?”.
“Precisamente.”
“D’accordo, se tu mi dai una mano con Storia della Magia. Non riesco proprio a finire un capitolo senza cadere in un sonno profondo e privo di sogni”, dichiarò teatralmente Brownen, facendo ridere l’amica.
“Affare fatto. Mi è concesso farti domande sui nostri interlocutori a cena?”.
La ragazza sospirò.
“Sono strani, tanto per cambiare. E’ come se improvvisamente volessero andare d’accordo con me. Però sono contenta di aver conosciuto meglio Remus, ti somiglia molto.”
Cornelia accennò un sorriso, apparentemente lusingata.
“Ah sì? In cosa?”, chiese troppo in fretta.
“Beh, siete entrambi estremamente cortesi e intelligenti. Tu non sei mai finita in punizione in vita tua ma, insomma, ho sentito che gli opposti si attraggono.”
“Chi attrae cosa?”, intervenne Veronica, comparsa dal nulla.
“Discutevamo di un possibile integramento di Cornelia nei Malandrini”, ridacchiò Brownen.
“Attraverso Remus, suppongo.”
Scaltra come al solito.
Cornelia arrossì in modo tanto evidente da far ridere entrambe le ragazze, che passarono la seguente mezz’ora a stuzzicarla.
C’era una bella atmosfera, tra il calore del camino e il chiacchiericcio sommesso degli studenti: alcuni erano seduti sulle poltrone, altri sul tappeto, un paio erano alle scrivanie in legno per finire di studiare chissà quale materia.
Quando le sue amiche le augurarono la buonanotte e sparirono oltre la porta del
dormitorio femminile, Brownen si disse che avrebbe letto un paio di capitoli e poi le avrebbe seguite.
Si sistemò meglio sul divano, appoggiando la testa allo schienale e chiudendo gli occhi per qualche secondo, piacevolmente riscaldata dal fuoco scoppiettante del camino.
Era a metà tra il sonno e la veglia quando anche l’ultimo studente si ritirò nel proprio dormitorio, sentì appena qualcuno posarle una coperta sulle gambe prima che la testa le ricadesse di lato e si arrendesse ad addormentarsi su quel divano.
Come era già successo, le sembrarono passati pochi secondi quando dei rumori la svegliarono improvvisamente.
La Sala Comune era vuota, il fuoco spento, perciò dovette guardarsi confusamente intorno per qualche secondo prima di capire che le urla che sentiva provenissero dal corridoio.

 

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Capitolo 4
*** IV. ***


Fieri sentio

IV.

 

Ancora frastornata, spostò la coperta e si alzò dal divano, dirigendosi verso l’ingresso.
Scostò il quadro della Signora Grassa che naturalmente era sveglia e si stava lamentando del fracasso, insieme alla maggioranza dei ritratti in corridoio.
Brownen non ebbe il tempo di chiedere ai responsabili che diavolo stesse succedendo perché capì subito che i toni della discussione erano piuttosto seri.
Tuttavia, il ragazzo che non riuscì subito a riconoscere, la vide e perciò lasciò a metà la frase che stava rivolgendo con tono disgustato a Sirius Black.
Lui si voltò e la ragazza fu sorpresa alla vista del suo viso contratto dalla rabbia e rigato di lacrime.
“Brownen, vattene”, le ordinò con voce brusca.
Lei era troppo interdetta per dargli ascolto, per cui fece un passo avanti.
“Vieni dentro”, gli intimò d’istinto.
“Un’altra Sanguemarcio, tanto per cambiare”, le parole echeggiarono gelide e arroganti nel corridoio vuoto.
Brownen sentì un tuffo al cuore: non si sentiva chiamare in quel modo da quando, uno o due anni prima, alcuni amici di Severus Piton le avevano rivolto quelle parole a seguito dell’aiuto che aveva offerto a un Corvonero del secondo anno.
Ricordava con chiarezza di averlo trovato a piangere in biblioteca, successivamente le aveva raccontato di come lo avessero preso in giro per la sua famiglia in modo che tutti i suoi compagni sentissero.
Da quando Voldemort aveva iniziato la sua ascesa al potere, Silente era sempre stato aperto e franco con gli studenti: quella scuola era un luogo sicuro e tutti avrebbero dovuto impegnarsi per proseguire le loro vite nel modo più normale possibile, a prescindere da tutto.
Era implicito che intendesse sottolineare che sarebbero serviti studenti forti e preparati per affrontare la pericolosa situazione che si stava venendo a creare.
A Hogwarts, per la maggior parte del tempo, non si parlava di Voldemort o dei suoi seguaci.
Quasi tutti cercavano di accontentare Silente ed era innegabile che fare finta di niente fosse molto più semplice e confortante.
Tuttavia, alcuni studenti avevano iniziato a mostrare una preoccupante passione verso le Arti Oscure e il mago che tanto le predicava, promettendo potere e gloria a chiunque si fosse schierato tra le sue fila.
Improvvisamente, la ragazza si ritrovò a fissare due occhi scuri stranamente familiari.
Ma certo.
Regulus Black, quarto anno, Serpeverde.
Come aveva fatto a non riconoscerlo?
Vide Sirius voltarsi di scatto verso suo fratello, i pugni contratti.
“Ti ho detto di non usare quella parola!”, esplose.
“Potrei praticarla, sai. La maledizione senza perdono, su di lei. Nostra madre mi ha insegnato come si fa, l’ho vista farlo.”
“Provaci”, sibilò lui a denti stretti.
“Perché, avresti il coraggio di reagire? Di farmi del male? No, non lo faresti. Non ci somigli abbastanza.”
Brownen fece qualche altro passo avanti, affiancando Sirius, gli occhi fissi su suo fratello.
“Ma che diavolo stai dicendo? Ti rendi almeno conto di quello che sta succedendo là fuori?”, boccheggiò, sbalordita.
Lui le rivolse uno sguardo a metà tra l’annoiato e lo sprezzante.
“Loro verranno e quelli come te saranno i primi a essere fatti fuori. Finalmente faremo pulizia.”
“Quando verranno, noi combatteremo”, rispose lei, gelida.
Regulus si lasciò andare ad una risata di scherno.
“Siete davvero un branco di idioti arroganti se pensate di avere una speranza contro di lui.”
Lei era calma, controllata: non l’avrebbe certo intimidita un ragazzino con la lingua lunga.
“Voldemort non vincerà, non finchè saremo pronti a ribellarci.”
“Non sei degna di pronunciare quel nome!”, sbottò lui, sollevando improvvisamente la bacchetta.
Sirius le si parò subito davanti, facendo la stessa cosa.
La ragazza posò una mano sulla sua, facendogli abbassare il braccio.
“Adesso basta. Torna nel tuo dormitorio o andrò a chiamare Silente, contrariamente alle tue ottuse convinzioni è ancora lui quello che può sbatterti fuori”, sibilò, il cuore che le batteva furiosamente nel petto.
Il ragazzo emise un soffio, guardandola con disprezzo.
“Quando saranno pronti, sarai la prima che verrò a cercare.”
Sirius fece per scagliarsi su di lui ma Brownen lo trattenne una seconda volta, mormorandogli appena di stare calmo.
Regulus si allontanò senza fretta, sparendo oltre il corridoio fiocamente illuminato dalle torce.
Brownen si accorse di stare trattenendo il fiato solo quando lo lasciò andare in un profondo sospiro.
“Entra”, ordinò al ragazzo, dirigendosi spedita al di là della Signora Grassa, che aveva lasciato convenientemente aperta.
Lui la seguì senza dire una parola e, una volta dentro, si lasciò cadere sul divano della sala comune.
Brownen fece la stessa cosa, accorgendosi che le mani le tremavano appena.
“Sirius?”, lo chiamò piano, preoccupata dalla sua espressione vuota.
Lo sguardo furioso che le rivolse la sorprese non poco.
“Che diavolo ci facevi lì fuori? Come ti è venuto in mente di provocarlo così? Non stava scherzando, avrebbe potuto… non sarei mai riuscito a impedirglielo…”, le parole gli morirono in gola e prese a scuotere la testa, passandosi una mano tra i capelli scuri.
Lei increspò le labbra.
“Non è successo niente.”
“Tu non capisci. Non è un ragazzino esaltato, è davvero un suo seguace. Avrebbe potuto farti del male, adesso sa chi sei e non scherzava quando ha detto che verrà a cercarti! Ma perché sei venuta là fuori?”.
“Vi ho sentiti urlare”, sussurrò lei, sempre più stordita.
“Dal tuo maledetto dormitorio?”.
“Mi ero addormentata sul… ma insomma, è totalmente irrilevante! Vuoi dirmi cosa è successo o no?”.
“Non è successo proprio un bel niente, ti consiglio di non ficcare il naso nelle mie faccende familiari perché ti assicuro che non troveresti niente di piacevole.”
La ragazza tacque, indispettita da quel tono brusco.
Restarono in silenzio per un po’, finchè si sentì tanto ridicola da arrossire.
“Stando così le cose, direi che posso tornare nel mio maledetto dormitorio. A domani”, lo salutò frettolosamente ma con tono lapidario.
Il suo fastidio raggiunse picchi estremi quando non le permise di alzarsi, afferrandole il braccio e trattenendola bruscamente sul divano.
“Non te ne andare. Mi dispiace.”
La ragazza capì che era sincero e suo malgrado sospirò.
“Non ero lì per intromettermi, davvero. Sembravi così sconvolto che volevo solo tornassi dentro, non lo avevo neanche capito che fosse tuo fratello.”
Lui inspirò profondamente dalle narici.
“Brownen, piantala di giustificarti. Non hai fatto niente di male.”
“E tu piantala di essere tanto gentile, inizi a imbarazzarmi”, replicò la ragazza con pesante sarcasmo.
Riuscì finalmente a strappargli un piccolo sorriso.
“Scusa.”
“Ti conosco da sei anni e mai avrei pensato di sentirti pronunciare quella parola.”
“Mi conosci meno di quanto credi”, rispose lui, più tranquillo.
Sembrava addirittura rilassato.
“Beh, non ce la metti proprio tutta per farti conoscere da qualcuno che non siano i tre moschettieri”.
“Chi?”.
Brownen scoppiò inaspettatamente a ridere, scuotendo la testa.
“Lascia perdere.”
Lui la scrutò per qualche secondo, poi si appoggiò allo schienale del divano e fissò lo sguardo sul soffitto.
“So che te lo ha già detto Remus, ma mi dispiace per quella volta. Ho detto cose che non penso davvero.”
“Ah, non scusarti. Avevi ragione.”
Era la seconda volta che Sirius glielo sentiva dire ed era la seconda volta che ciò gli provocava un fastidio indicibile.
“Non avevo ragione. Come faresti a essere una persona insignificante? Mi detesti e sei comunque rimasta a discutere con qualcuno che ti ha puntato contro una bacchetta, solo perché eri preoccupata!”.
“Io non ti detesto. Non capisci che è questo a farmi male? Siete tutti convinti che sia una questione personale, che provi una sorta di odio ingiustificato nei vostri confronti! Non è così, smettetela di farmi sentire in colpa solo perché non acclamo le vostre imprese insieme al resto della scuola. Credi che non lo preferirei? Credi che mi piaccia essere quella noiosa, quella arrogante? Se ultimamente ci parliamo civilmente non è perché mi sto sforzando, semplicemente non sono una pazza isterica come pensate voi.”
Il ragazzo non aveva idea di come rispondere a quello sfogo, soprattutto perché si era accorto degli occhi pieni di lacrime di frustrazione che la ragazza stava cercando di nascondere.
Di nuovo, rimasero in silenzio finchè Sirius raccolse abbastanza coraggio da avvicinarsi e poggiarle una mano sulla spalla perché lo guardasse.
“Vuoi sapere cosa penso?”.
Lei non rispose, rifiutandosi di sollevare lo sguardo dal tappeto.
“Penso, e non sono l’unico, che tu sia brillante. Ti impegni in tutto quello che fai, hai sempre aiutato chi ne aveva bisogno, sei intelligente e anche insopportabilmente coraggiosa. Ricordo quando al terzo anno quell’idiota di Liam si è perso nella Foresta Proibita e sei andata a cercarlo perché non finisse nei guai con la McGranitt. Ti sei messa a conversare amabilmente con i Centauri mentre lui quasi se la faceva addosso.”
La ragazza accennò un sorriso.
“Come fai a ricordartelo?”.
“Non potevo non prestare attenzione all’unica studentessa che non riuscissimo a divertire.”
“Ebbene, credo sia giunto il momento di confessarti che qualche volta ho riso anch’io.”
Lui aggrottò le sopracciglia.
“Impossibile.”
“Quando avete incantato i capelli di Gazza e sono rimasti di un verde brillante per una settimana, secondo anno. Quando avete messo Sapone di Uova di Rana nel bagnoschiuma di Elodie Hewett e lei non se n’è mai accorta, quarto anno. Oh, e quei Vermi Sibilanti che Isaac Willikins ha trovato nel letto l’anno scorso? Geniali.”
Il ragazzo era rimasto a bocca aperta, l’ombra di un sorriso sulle labbra.
Brownen si strinse nelle spalle.
“Come dicevo, non sono disumana quanto credete.”
“Certo che no. Ti chiediamo scusa per avertelo fatto pensare.”
“Vi chiedo scusa anch’io.”
Lui si aprì in un sorriso beffardo.
“Lo ripeteresti a James?”.
“Cerchiamo di non esagerare”, mormorò lei con una finta smorfia di disgusto, facendolo ridere.
Di nuovo calò il silenzio, sebbene più tranquillo del precedente.
La ragazza osservò distrattamente i fogli di pergamena che qualcuno aveva lasciato su una delle scrivanie, erano disordinati e macchiati d’inchiostro.
Non seppe dire perché, ma provò l’impulso di dirgli che anche lei lo trovava una persona brillante.
Ricordava benissimo le poche volte in cui era arrivato preparato a lezione e aveva preso il massimo dei voti agli esami del quarto anno.
Una volta aveva sentito la McGranitt dire al professore di Incantesimi quanto trovasse frustrante avere uno studente tanto intelligente quanto disinteressato.
Una volta o due in biblioteca aveva intravisto Remus adottare un’infinita dose di pazienza e dedicarsi all’aiutare l’amico a studiare, più di una volta gli aveva sbattuto il pesante volume di Storia della Magia in testa ma Sirius aveva sempre risposto con una risata roca e divertita.
Le tornò in mente la sua espressione di poco prima, il volto arrabbiato e rigato di lacrime.
Gli lanciò una breve occhiata, non abbastanza veloce da evitare il suo ormai familiare sguardo scuro.
Sembrava in attesa e lei non riuscì più a trattenersi, detestava le cose lasciate a metà.
“Stai bene?”, gli chiese nel modo più delicato possibile.
Lui tacque per qualche secondo, poi non riuscì più a trattenersi.
Non ne capì esattamente il motivo ma iniziò a raccontarle della sua famiglia, di suo fratello, di come si fosse sentito in trappola e di come fosse disgustato all’idea che probabilmente si sarebbero ritrovati in mezzo a una guerra, ad ammazzarsi l’uno con l’altro.
Forse non voleva restare solo, forse semplicemente non voleva che lei andasse a letto, ma la travolse con un fiume in piena di parole che la ragazza ascoltò senza battere ciglio, annuendo e cercando di mascherare incredulità e rabbia nell’ascoltare un racconto tanto incredibile.
Le disse che si sentiva in colpa, schifosamente in colpa per aver lasciato che i suoi parenti facessero il lavaggio del cervello a suo fratello minore.
Avrebbe dovuto proteggerlo, avrebbe dovuto spiegargli come stavano le cose, avrebbe dovuto portarlo via, ma era troppo tardi e poco prima glielo aveva confermato quando gli aveva urlato che avrebbe preferito vederlo morto piuttosto che chiamarlo ancora suo fratello.
Le parole dei suoi genitori avevano smesso di ferirlo da un bel po’, in particolare da quando era riuscito finalmente ad andarsene da quella casa, ma non si era mai arreso all’abbandonare suo fratello.
Le cose però erano cambiate, le sue convinzioni erano troppo ferree perché potesse convincerlo a passare dalla sua parte.
Aveva paura, era terrorizzato all’idea di quello che stava succedendo, ogni volta che sentiva pronunciare il nome di Voldemort provava una rabbia cieca e viscerale.
Eppure non sapeva se avrebbe avuto il coraggio di puntare la bacchetta contro la sua famiglia, per questo si sentiva debole e lui detestava sentirsi debole, perché gli avevano ripetuto per troppo tempo di essere un fallimento.
Perciò le spiegò che aveva bisogno di essere qualcosa di diverso, almeno a Hogwarts, dove aveva trovato persone che sembravano volergli bene per quello che era e non per chi si aspettavano che fosse.
A scuola si sentiva tranquillo, più leggero, nonostante la sensazione di nausea che lo consumava da dentro non sparisse quasi mai, soprattutto quando incontrava Regulus e i suoi maledetti amici in giro per i corridoi.
Erano dei ragazzini e si erano tutti convinti a prendere parte ad un gioco troppo pericoloso, stando dalla parte sbagliata e senza neanche rendersene conto.
Non si era accorto di aver ricominciato a piangere per la frustrazione e l’impotenza che lo tormentavano ogni minuto di ogni giorno.
Si passò freneticamente la manica della divisa sul viso, profondamente irritato.
Lei, che aveva ascoltato tutto sentendosi sempre più mortificata e arrabbiata, non riuscì a fare a meno di abbracciarlo con slancio.
La cosa scioccò entrambi a giudicare da come il ragazzo fosse rimasto immobile, colto alla sprovvista.
Ma Brownen non lo lasciò andare, anzi, lo strinse più forte.
Superata la sorpresa inziale, anche lui ricambiò la stretta, scoprendo di averne bisogno e faticando a ricordare l’ultima volta che qualcuno lo aveva abbracciato in quel modo.
Forse era stato James, la prima notte che aveva dormito nella sua camera, il giorno in cui i suoi genitori lo avevano accolto come se fosse stato il loro secondo figlio.
La ragazza sciolse l’abbraccio e gli strinse una mano.
All’improvviso si rese conto di quanto sarebbe stato difficile, qualche settimana prima, immaginare che uno degli studenti più ammirati e irritanti della scuola si portasse un tale peso sulle spalle.
Era semplice dimenticarsi di Voldemort a Hogwarts, ma era quasi certa che dopo quella notte il pensiero di ciò che stava accadendo fuori dalle rassicuranti mura della scuola l’avrebbe tormentata a lungo.
Sirius tirò su col naso e incrociò il suo sguardo, non sapendo cosa dire.
Lei prese un respiro profondo, nella speranza di riuscire a controllare la voce.
“Non dirò che mi dispiace, sarebbe inutile. Ti dirò invece che sei un figlio di cui qualunque genitore con un minimo di cervello andrebbe fiero. Vorrei poterti assicurare che prima o poi tuo fratello cambierà idea, ma…”, le parole le morirono in gola.
Si sentiva totalmente incapace di dirgli qualunque cosa potesse consolarlo a proposito della sua famiglia.
Lui accennò un piccolo sorriso.
Quando riprese a parlare, mormorando quelle che sicuramente erano parole rassicuranti, si rese conto che non stava ascoltando.
La conosceva da anni, l’aveva sempre vista in aula o nella sala comune, eppure si rese improvvisamente conto di averla sempre guardata senza mai vederla, senza mai capire.
In quel momento, mentre gli stringeva la mano, fece caso a più cose.
Al fatto che fosse chiaramente imbarazzata ma continuasse comunque a guardarlo negli occhi, ad esempio.
Era ferma, determinata, e per la prima volta gli sembrò anche indiscutibilmente quanto fastidiosamente attraente.
Credeva che si sarebbe pentito dell’impeto che lo aveva portato a raccontarle improvvisamente i dettagli della sua disastrosa vita familiare, ma il senso di sollievo lo sorprese alla bocca dello stomaco e prese il posto della nausea che aveva provato fino a pochi minuti prima.
Si sentiva meglio, stanco forse, ma tranquillo.
E non gli capitava da settimane.
“Non riesco a capire se mi guardi così perché hai sonno o se quello che sto dicendo ti sta annoiando a morte.”
Il ragazzo si schiarì la voce.
“No, scusami. Pensavo solo… insomma, è tardi e ti ho scaricato addosso la storia della mia vita e mi dispiace.”
Lei alzò gli occhi al cielo, lasciandogli la mano e accennando un sorriso.
Sirius si scoprì contrariato da quel gesto.
“Quanto sei accondiscendente stasera, potrei iniziare ad abituarmici.”
“Non sto scherzando.”
“Lo so, e ti pregherei di non essere ridicolo.”
“Finalmente un appellativo familiare, iniziavo a sentirmi a disagio.”
Bronwen sorrise nuovamente.
“Non credere che inizierai a farmi pena o qualcosa del genere, resti sempre la seconda persona più irritante di questa scuola.”
Lui ricambiò, sporgendosi appena verso di lei.
“Esattamente quello che volevo sentirmi dire.”
La ragazza sollevò un dito.
“Ma se dovessi averne bisogno, e non dico che sia probabile visto che il sostegno non ti manca, vienimi a cercare. Ovviamente non siamo magicamente diventati migliori amici, dico solo che se potessi esserti di aiuto… se incontrassi di nuovo tuo fratello e volessi parlare con qualcuno che non siano i ragazzi…”.
“Bronwen.”
“Cosa?”, replicò lei, a disagio per il discorso impreciso che aveva faticato a comporre.
Sirius sfoderò un mezzo sorriso divertito.
“Adesso lo so. Grazie.”

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Capitolo 5
*** V. ***


Fieri sentio

V.

 

Bronwen fu svegliata da un vago brusio e sentì distintamente il ritratto all’ingresso aprirsi e chiudersi un paio di volte, segno inconfutabile che fosse mattina e che i suoi compagni si stessero probabilmente avviando a fare colazione.
Per la prima volta da quando era a Hogwarts aveva così sonno che considerò l’idea di saltare un pasto pur di dormire una mezz’ora in più.
Non la insospettirono le voci, né il fatto che potesse misteriosamente sentire la Signora Grassa dare il buongiorno agli studenti fin dal suo letto, in dormitorio.
Allungò un braccio per cercare il piumone, ma si rese conto di non essere neanche sdraiata.
Era seduta.
Riaprì piano gli occhi, infastidita dalla luce del sole, e quasi le prese un infarto.
Era ancora su quel divano, ancora in sala comune.
Si mise a sedere più dritta ed ebbe giusto il tempo di incrociare lo sguardo di una Veronica in piedi davanti a lei prima che lei la investisse in pieno col suo solito tono di voce troppo squillante.
“Ma sei impazzita? Che diavolo ti dice il cervello? Cornelia si è svegliata e il tuo letto era intatto, così si è fatta prendere dal panico e ha avuto la bella idea di svegliarmi strillando che eri sparita e che sicuramente ti era successo qualcosa! Mi precipito fuori dal dormitorio, pronta a fiondarmi dalla McGranitt, e cosa vedo?”.
La ragazza si massaggiò stancamente la fronte.
“Cosa vedi?”, chiese, la voce ancora impastata dal sonno.
“Vedo te, addormentata come se niente fosse, per di più addosso a Sirius Black! Vuoi darmela una spiegazione o devo continuare con l’isteria?”.
A quelle parole Bronwen si svegliò completamente, voltandosi di scatto ma trovando il posto accanto a lei vuoto.
“E’ già andato a fare colazione, mi ha detto di non svegliarti. Che maledetta faccia tosta!”.
“Non è… lui… gli stavo dormendo addosso?”, boccheggiò la ragazza.
Veronica sbuffò, impaziente.
“Sarebbe più corretto dire che dormivate l’uno addosso all’altra. Ti degneresti di spiegarmi?”.
Bronwen si schiarì la voce, improvvisamente roca.
“Non è successo…”.
“Non dirmi che non è successo niente perché stavolta giuro che non me la bevo.”
“Ti spiego a colazione, muoio di fame.”
Detto ciò, si alzò di scatto dal divano e si fiondò oltre il buco del ritratto, per poi scendere le scale il più velocemente possibile, seguita a ruota da una Veronica straordinariamente atletica.
Durante il breve tragitto sperava di farsi venire in mente qualcosa di intelligente da dirle ma, quando si ritrovarono sedute al tavolo già pieno di studenti, si rese conto di essere in alto mare.
Prese a imburrare una fetta di pane tostato con la massima calma, ignorando gli sguardi che alcune ragazze della sua Casa le stavano lanciando.
Cornelia stava parlando animatamente con Marlene McKinnon e Lily Evans, la guardò per qualche secondo prima di capire che fosse in imbarazzo e decidere saggiamente di rimandare le domande a un momento meno pubblico.
Veronica, però, non sembrava dello stesso avviso.
“Sto aspettando”, chiarì, versandosi del succo d’arancia.
La ragazza sospirò.
“Sai che volevo leggere quel libro prima di andare a dormire, no? Ecco, mi sono addormentata sul divano.”
“E lui ha casualmente deciso di farti compagnia?”.
Bronwen le fece segno di abbassare la voce, poi si sporse in modo che solo l’amica potesse sentirla.
“Mi sono svegliata e l’ho sentito litigare con qualcuno, stavano urlando e sono uscita a dirgli di piantarla. Mi è sembrato molto arrabbiato, quindi sono rimasta a cercare di calmarlo e abbiamo finito per addormentarci. Tutto qua.”
Non le sembrava il caso di raccontarle di Regulus, della sua famiglia, di quello che stava succedendo davvero.
Veronica aveva una madre Babbana ed era sempre stata sensibile al discorso Voldemort-barra-Mangiamorte.
Inoltre, quello che Sirius aveva condiviso con lei era qualcosa di estremamente privato, non si sarebbe mai sognata di andarlo a sbandierare in giro, anche se stava parlando con una delle sue migliori amiche.
Veronica aggrottò le sopracciglia.
“Con chi stava litigando?”.
“Non lo conosco, forse uno di Corvonero.”
“Deve essere quell’idiota di Bill Hawkins, non l’ho mai sopportato. Beh, allora sei solo rimasta a parlargli?”.
“Esattamente cosa pensavi che fosse successo?”.
La ragazza si ritrasse, tranquilla, finendo il suo porridge.
“Oh, nulla che tu sia pronta a prendere in considerazione.”
“E questo cosa vorrebbe dire?”.
“Che se non finisci quel toast arriveremo tardi a Rune.”
Bronwen sospirò, ricominciando a mangiare.
Sollevò discretamente lo sguardo quando sentì la risata sguaiata di James Potter, pochi posti più in là, intento ad attirare l’attenzione di Lily Evans.
Lei, stranamente, gli stava rivolgendo un sorriso paziente.
Remus sedeva di fronte, sembrava assonnato a giudicare da come continuasse a mescolare meccanicamente il suo caffè mentre Peter gli stava raccontando non si sa che cosa.
Cercò di convincersi a non farlo ma non riuscì ad evitare di incrociare uno sguardo grigio e preoccupato, fisso su di lei.
Non riuscì a decifrare la sua espressione, né se la sentì di sorridergli, quindi riportò la sua attenzione alla marmellata di pesche.

La lezione di Rune Antiche fu straordinariamente noiosa.
Si erano esercitati nella classificazione di numeri già altre volte ma Bronwen era così stanca da aver confuso il 7 con il 14, cosa che irritò profondamente la professoressa Babbling.
Il suo umore peggiorò quando si ricordò che Pozioni, materia per la quale era straordinariamente poco portata, avrebbe occupato le successive due ore.
Per lo meno il professor Lumacorno poteva dirsi una persona quantomeno piacevole, nonostante fosse uno dei maghi più tracotanti che la ragazza avesse mai incontrato.
Era piuttosto alto, grasso, con piccoli occhi verdi e capelli argentati.
Quel giorno la scritta che occupava metà lavagna recitava “Distillato della Morte Vivente” e la procedura era così lunga e difficile che metà degli studenti si scambiò sguardi perplessi quanto esitanti.
“Questa è una pozione soporifera estremamente potente, per cui non posso intimidirvi come al solito dicendovi che assaggerete quello che preparerete. Non è una pozione semplice, perciò vi permetterò di lavorare a coppie. Avete due ore di tempo, dateci dentro”, li spronò il professore, arricciandosi i lunghi baffi bianchi e lasciandosi cadere sulla sua sedia, dietro la cattedra.
Si levò subito un brusio nervoso, mentre gli studenti si lanciavano da una parte all’altra dell’aula per raggiungere i compagni più dotati e affidarsi a loro.
Bronwen sapeva che Cornelia faceva parte di quel ridicolo Lumaclub, ma quando la cercò tra i Grifondoro si accorse con disappunto che Veronica l’aveva già presa a braccetto, rivolgendole un sorriso di scuse.
“La mia media è più bassa della tua”, le mimò con le labbra.
Bronwen strinse le labbra, sapendo che era un’argomentazione più che valida.
Stava per farsi coraggio e dirigersi verso Remus, ancora solo davanti al suo calderone, ma qualcuno le mise una mano sulla spalla in modo che si voltasse.
Sirius Black le rivolse un sorriso a labbra chiuse: reggeva tra le braccia un becker, un cilindro graduato e una provetta.
“Non esiste al mondo”, rispose lei, voltandosi nuovamente a cercare Remus.
Sbuffò, vedendolo già al lavoro con Peter.
“Credo tu non abbia molta scelta”, sentenziò il ragazzo, poggiando la sua roba sul tavolo con infinita nonchalance.
“Non posso prendere un’altra insufficienza, Sirius!”, brontolò lei, affranta.
Lui aggrottò le sopracciglia.
“Ehi, guarda che vado forte in Pozioni!”.
“E come mai la tua media è uno schifo?”.
“Perché non ho voglia di impegnarmi, è diverso dal non esserne capace. Oggi farò il bravo, promesso.”
La ragazza alzò gli occhi al cielo, arresa.
Preparò il suo materiale e iniziò a sminuzzare il fagiolo sopoforoso, mentre Sirius aggiungeva acqua e sale marino africano al suo becker, mettendolo poi da parte facendo molta attenzione a non scuoterlo.
Aspettarono cinque minuti prima di versarla nel calderone di Bronwen e aggiungere dieci gocce di essenza di assenzio.
“Adesso versane altre dieci”, disse il ragazzo, cambiando leggermente l’angolazione del calderone.
Pochi minuti dopo, la loro pozione era di un bel color amaranto, segno che se la stavano cavando bene.
“Lo hai detto a Veronica?”, le chiese Sirius dopo un po’, mentre mescolava in senso orario il liquido che stava pian piano diventando lilla.
Bronwen sollevò lo sguardo dalle radici di valeriana che stava tagliando.
Capì che le aveva viste parlare a colazione.
“Certo che no, non lo farei mai.”
Lui smise di mescolare, pulendosi le mani sulla divisa.
Ne era praticamente certo, ma qualcosa nel suo cervello ostinato lo aveva costretto a chiederglielo comunque.
Che idiota.
La ragazza aggiunse la radice in polvere di asfodelo al calderone e gli fece segno di cederle il posto, cominciando a mescolare dieci volte in senso orario e otto in senso antiorario.
“Scusa se te l’ho chiesto, ero sicuro che non avresti…”.
“Non scusarti, hai fatto una domanda più che lecita. Dopo tutto non mi conosci quasi per niente”, replicò tranquillamente lei, mettendo da parte l’asta di agitazione con cui stava mescolando: la pozione doveva stabilizzarsi per circa due minuti e mezzo.
Sirius fu infastidito da quella precisazione: non era poi così veritiera, anche se lei naturalmente non ne aveva idea.
La cosa lo seccava infinitamente, non aveva la minima intenzione di continuare a girarle intorno sottoforma di cucciolo troppo cresciuto, anche se non gli dispiacevano affatto i toni dolci con cui gli parlava in quei momenti.
All’inizio gli era sembrata interessante, ma niente di eccezionale.
Poi aveva iniziato a parlarne con Remus sempre più spesso, finchè anche James e Peter si erano immischiati e tutti e tre avevano inevitabilmente deciso che si era preso una cotta per la Grifondoro più conflittuale che avessero mai incontrato.
Aveva smentito con veemenza: lui non era più tipo da quel genere di cose, l’esperienza più simile a una relazione che avesse mai avuto, il terzo anno, gli era bastata.
In seguito era diventato molto più cinico, decidendo che i suoi amici erano l’unica cosa per la quale valesse la pena di investire tempo, energia e affetto.
Non gli era rimasto abbastanza da dare per considerare l’idea di farsi piacere una ragazza, si sentiva sempre più stanco e consumato dalla consapevolezza di non essere in grado di relazionarsi seriamente con le persone: superato il Malandrino, restava qualcosa di ben più insignificante e deludente.
Ma poi la guardava ridere con Remus, sdraiarsi sul prato a prendere il sole con le sue amiche, fare il tifo alle partite, e capitava sempre più spesso che non riuscisse a toglierle gli occhi di dosso.
Aveva da sempre scambiato la sua determinazione per arroganza, facendoglielo pesare, ma si era reso conto che non avrebbe potuto commettere sbaglio più grande.
E va bene, forse gli piaceva, però non sarebbe stato neanche lontanamente concepibile uno scenario in cui lei potesse ricambiare quell’interesse.
Ma Sirius era sempre stato un ragazzo testardo, perciò si convinse (con infinito sollievo di James, che non aveva mai sopportato l’indecisione) a fare un tentativo.
Poi però la notte prima aveva incrociato suo fratello e si era ricordato del disastro che era la sua vita.
Lei era arrivata e, assurdamente, aveva scelto di aiutarlo: si era schierata dalla sua parte senza neanche pensarci, senza battere ciglio.
Lo aveva ascoltato ed era rimasta a fargli compagnia fino all’alba, quando era crollata sulla sua spalla.
Non se l’era sentita di lasciarla lì e francamente neanche avrebbe voluto, perciò le aveva messo un braccio intorno alle spalle e aveva poggiato la guancia sulla sua testa, stanco ma con il cuore più leggero.
In quel momento, guardandola mentre scrutava con aria preoccupata l’intruglio che avevano preparato, decise di volersi concedere una speranza.
“Esci con me”, esordì con fermezza.
Lei si voltò, l’espressione così scioccata che faticò a trattenere le risate.
Cosa?”.
“Ho detto, esci con me.”
“Ti sei bevuto il cervello?”.
“Non lo escludo.”
Bronwen cercò sul suo viso un qualunque indizio che svelasse un’ipotetica presa in giro, ma vi scorse solo tranquillità.
Sentì che stava arrossendo, tanto l’aveva presa alla sprovvista.
Charlie avrebbe adorato essere presente in quel momento, non avrebbe mai smesso di ricordarle la scena.
“Hai perso la ragione”, decise, risoluta.
Si rifiutava di credere che fosse serio.
Lui accennò un sorriso, perfettamente a suo agio.
“E’ possibile, ma mi piace pensare di poterla recuperare prima o poi.”
“Sirius, sei impazzito?”.
“Ultimamente pronunci spesso il mio nome.”
La ragazza boccheggiò, imbarazzata.
“Come altro dovrei chiamarti?”.
Lui scrollò le spalle.
“Beh, di solito vari da idiota a imbecille.”
“Questo perché di solito sei un idiota e un imbecille.”
“Stai forse insinuando che in realtà non ti dispiaccio?”.
“Ma insomma, che cos’è questa improvvisa voglia di fare conversazione?”, sbottò lei, voltandosi nuovamente verso il calderone e tirandoci dentro un piccolo pezzo di radice di valeriana.
Lo sentì ridere alle sue spalle, basso e roco come sempre.

Veronica e Cornelia reagirono con preoccupante serenità alla notizia che Sirius fosse improvvisamente interessato alla loro migliore amica.
Bronwen era ancora incredula e diffidente, non aveva nessuna intenzione di bersi quella storia, ma loro sembravano assolutamente tranquille, come se prima o poi una notizia del genere se la fossero aspettata.
Quando chiese spiegazioni, Veronica si strinse nelle spalle.
“Ma non ci arrivi?”.
“Sinceramente no, vorresti illuminarmi?”.
“Sei l’unica a essere diversa.”
“Diversa da cosa?”.
“Dal resto della scuola! Siete sempre stati in conflitto perché non ti sei mai fatta problemi a sbattergli in faccia il fatto che ti dessero fastidio, credi ci siano abituati? Senza contare che hanno sempre avuto un numero di ammiratrici notevole.”
La ragazza fece una smorfia.
“Non rifilarmi la storia del Malandrino interessato alla tizia con cui ha sempre litigato perché è l’unica a non morirgli dietro, mi rifiuto di essere un tale clichè.”
Veronica ridacchiò.
“No, non è per quello. E’ perché si è reso conto di non aver mai capito niente di te, e adesso si sente un imbecille. Lo sfido a trovare qualcuna capace di tenergli testa e che sia allo stesso tempo intelligente, caparbia, determinata e bella quanto te.”
Bronwen si aprì in un gran sorriso: era molto raro che si facessero dei complimenti, la loro era un’amicizia caratterizzata da un affetto implicito ma non per questo meno sincero.
Cornelia, al contrario, era sempre stata una da abbracci e parole gentili.
“Mi sopravvaluti, e dubito fortemente che lo faccia anche lui. Non mi conosce affatto”, proseguì testardamente la ragazza, che in quanto ad autostima non si era mai particolarmente distinta.
Veronica sbuffò.
“Beh, anche se fosse? Vuole farlo adesso, mi sembra una motivazione abbastanza valida per portarti fuori.”
“Ma io non so come si facciano queste cose, non esco con qualcuno dall’anno scorso!”.
Cornelia sorrise, scostandosi una ciocca di capelli biondi dalla spalla.
“Allora il problema non è che non ne hai voglia, giusto?”, indagò.
Bronwen tacque.
A essere sinceri, dopo la conversazione che avevano avuto la notte prima, il pensiero di dover passare del tempo con lui non la disgustava come probabilmente sarebbe successo solo qualche giorno prima.
Eppure non riusciva a figurarselo un appuntamento con Sirius Black, sapeva benissimo che aveva visitato più dormitori femminili lui che qualunque altro ragazzo della scuola.
Come facesse a superare gli incantesimi di protezione era un segreto che probabilmente conoscevano solo i suoi amici.
Veronica accartocciò la carta viola e dorata che avvolgeva una delle cioccorane che stava masticando, poi scrollò le spalle.
“Certo che ne ha voglia, solo che non ci ha mai pensato davvero.”
“Una settimana fa ti avrei risposto che non avrei mai neanche preso in considerazione un’idea tanto ridicola”, mormorò la ragazza, allungandosi per prendere un Rospo alla Menta dal mucchio di dolciumi che Cornelia aveva comprato a Mielandia e messo gentilmente a disposizione delle sue amiche.
“E adesso?”.
Sobbalzarono tutte e tre, Veronica quasi si strozzò con la sua terza cioccorana e Bronwen dovette passarle tempestivamente una bottiglia di Burrobirra.
Poi si voltò per fulminarlo.
“Ma che fai, origli le conversazioni degli altri?”, lo accusò con le guance in fiamme per l’imbarazzo e l’irritazione.
Lui le rivolse un mezzo sorriso divertito.
Aveva i capelli in disordine come al solito, la borsa gli pendeva dalla spalla destra e il nodo della cravatta era visibilmente allentato.
Eppure riusciva comunque a sembrare un modello di una di quelle riviste che piacevano tanto alla madre di Veronica, come se quell’aria trasandata fosse frutto di ore di preparazione.
“Sei tu che parli a voce troppo alta.”
Remus, qualche passo dietro di lui, alzò gli occhi al cielo.
“Ci arrivi da solo o devo formalmente invitarti a levarti dai piedi?”.
Il ragazzo si sporse per guardare sul divano, poi si voltò verso Cornelia e le sorrise amichevolmente.
“Posso?”, domandò, educato.
“Certo”, rispose lei.
Prese un paio di Scarafaggi a Grappolo e, con espressione soddisfatta, si rivolse nuovamente a Bronwen.
“Hogsmeade, sabato?”.
“Non mi pare di averti detto di sì”, sottolineò lei.
“Questo sarebbe il momento ideale per farlo.”
“Ma non eri tu quello sufficientemente impegnato con Alice Grimm ai Tre Manici di Scopa, qualche giorno fa?”.
Veronica e Cornelia si scambiarono uno sguardo divertito, lui esitò per qualche secondo prima di grattarsi una guancia, evidentemente imbarazzato.
“Oh, beh, quella è più una cosa…”.
“Indecente?”, suggerì la ragazza.
“Fisica.”
Veronica si mise una mano sulla bocca per soffocare le risate, Remus si lasciò stancamente cadere sulla poltrona accanto al divano, dal lato di Cornelia.
Lei gli sorrise, allungandogli del Fildimenta che il ragazzo accettò con riconoscenza.
Bronwen si schiarì la voce, a disagio.
“Beh, continua a intrattenerti fisicamente con chi ti pare perché non mi va proprio di entrare a far parte del tuo harem.”
Sirius alzò gli occhi al cielo, appoggiandosi allo schienale del divano con le mani e sporgendosi verso di lei.
“Non hai capito niente di come sono fatto”, disse, il tono di voce basso e tranquillo.
“Sei tu a esserti scelto una certa reputazione”, rispose lei, niente affatto intimidita.
“Non sono colpevole degli stereotipi che avete deciso di cucirmi addosso.”
Bronwen non rispose, limitandosi a sostenere il suo sguardo.
In effetti aveva ragione, non aveva senso incolparlo di essere un disgustoso approfittatore senza avere la certezza che le sue compagne d’avventura non si fossero sempre dichiarate totalmente d’accordo con i suoi modi di fare.
Certo, Angela Bennett di Corvonero aveva pianto per giorni e aveva sparso la voce di come le avesse chiesto di diventare la sua ragazza per poi farsi trovare dietro un cespuglio con una Serpeverde del quinto anno, ma tutto sommato nessuno aveva le prove che avesse raccontato la verità.
Di cuori ne aveva infranti a volontà, ma possibile che fosse davvero sempre stata colpa sua?
Insomma, perdere uno come lui doveva essere una bella batosta da mandare giù, delle bugie dettate dal rancore sarebbero state comprensibili.
Quale ragazza non si è mai sentita ferita nell’orgoglio dopo essere stata rifiutata?
“Bronwen, vorrei davvero che mi concedessi una possibilità. Sono meno rivoltante di quello che credi”, il suo tono di voce inaspettatamente dolce la destabilizzò.
“Confermo”, intervenne Remus, un sorriso stanco dipinto sul volto pallido.
La ragazza sospirò pesantemente, voltandosi e appoggiandosi allo schienale soffice del divano.
“E va bene, adesso però levati di torno.”

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Capitolo 6
*** VI. ***


Fieri sentio

VI.

 

Difesa contro le Arti Oscure era probabilmente l’unica materia per la quale tutti gli studenti della scuola provassero un istintivo interesse.
Essendo ormai al sesto anno, la professoressa Behzadi (così come la McGranitt e il professor Vitious) stava cercando di prepararli sugli Incantesimi Non Verbali, i quali richiedevano una spaventosa capacità di concentrazione e disciplina mentale.
Il vantaggio del loro uso consisteva nel fatto che un ipotetico avversario non avrebbe avuto idea del tipo di magia che avrebbe dovuto affrontare, perdendo così almeno un secondo o due di vantaggio.
La settimana prima quasi tutti avevano imparato a utilizzare l’incantesimo Incendio per accendere delle candele, senza pronunciare una parola.
Quel giorno, invece, si stavano esercitando con il Sortilegio Scudo.
La professoressa li aveva divisi in coppie in modo che potessero fare pratica con l’incantesimo di disarmo quanto con quello che aveva introdotto quel pomeriggio.
Nell’aula risuonavano diversi Expelliarmus mentre l’altra metà degli studenti pronunciava un muto Protego nella loro mente, seguiti da diversi Accio sconsolati per recuperare le bacchette che, inevitabilmente, continuavano a volare da una parte all’altra dell’aula.
Remus e Cornelia erano stati gli unici in grado di creare la barriera circolare bianco pallido che il resto della classe si era inutilmente esercitata a produrre, con immensa soddisfazione della professoressa che decise di non assegnare loro compiti di alcun tipo.
Agli altri ordinò di allenarsi a dovere, perché non avevano tempo e nelle settimane successive sarebbe stato tempo di introdurre argomenti spinosi quali Dissennatori e Inferius.
Bronwen si trascinò pigramente su per le scale, verso l’aula di Trasfigurazione, seguita dal resto dei Grifondoro.
Non riusciva a credere di essere nuovamente indietro con i compiti: doveva scrivere un tema per Storia della Magia, una relazione lunga cinquanta centimetri di pergamena sulla pozione Felix Felicis, disegnare accuratamente una Tentacula Velenosa e descriverne le caratteristiche per Erbologia, senza contare che doveva anche assolutamente esercitarsi con gli Incantesimi Non Verbali.
La professoressa McGranitt li aspettava in piedi accanto alla porta, impaziente: i Corvonero erano già arrivati, probabilmente avevano avuto l’ora precedente libera.
Quel giorno impararono (o almeno ci provarono) a praticare un Incantesimo di tipo Offensivo, il cui scopo era quello di far apparire dalla bacchetta uno stormo di uccelli che attaccasse l’avversario.
“Il contatto visivo è fondamentale, ricordatevi che questo incantesimo può essere usato anche per distrarre pericolose creature volanti quali Chimere e Grifoni, dandovi il tempo necessario per fuggire”, spiegava la McGranitt, passeggiando tra i banchi con sguardo rassegnato.
Charlie riuscì a stento a far comparire una piuma gialla, l’unico uccello di Veronica si posò sulla sua spalla con aria annoiata e persino Remus stava avendo qualche problema.
Una ragazza di Corvonero si abbandonò sul banco con aria rassegnata: dalla sua bacchetta non erano usciti che sbuffi di penne colorate.
“Avis”, mormorò stancamente Bronwen per quella che le sembrò la millesima volta.
“Signorina McKinnon, muova quella bacchetta in modo più deciso, per l’amor del cielo! No, non così!”, sbottò la McGranitt, avvicinandosi con passo spedito al banco di Marlene.
Per fortuna la campanella segnò la fine delle lezioni anche per quel venerdì, se non si contava l’ora di Astronomia delle otto e mezza.
Bronwen stava infilando i suoi libri nella borsa a tracolla quando sentì la professoressa urlare agli studenti già in corridoio di esercitarsi in vista della prossima lezione, perché “Avrebbe deciso chi bocciare agli esami entro le vacanze di Natale”.
La ragazza si trascinò fuori dall’aula, atterrita: era stanca morta ma doveva assolutamente mettersi in pari con i compiti prima di Astronomia, visto che non avrebbe potuto sfruttare a pieno il weekend.
Decise di saltare la cena e sbadigliò, dirigendosi in biblioteca insieme a pochi altri studenti visibilmente provati.
Si lasciò cadere a uno dei primi tavoli liberi e tirò fuori il libro di Pozioni insieme a piuma, inchiostro e pergamena.
Iniziò a trascrivere l’etimologia latina del nome della Felix Felicis, elencandone poi gli ingredienti e descrivendone accuratamente proprietà e proibizioni.
Pensò distrattamente a quanta gliene sarebbe servita per affrontare il resto dell’anno scolastico se già nei primi tre mesi era stata tentata più volte dall’abbandonare tutte le lezioni e tornare a Londra dai suoi genitori, dove avrebbe inseguito la rosea prospettiva di diventare una mendicante.
Ridacchiò tra sé, concludendo il suo tema con un’attenta analisi delle motivazioni per cui il Ministero della Magia riteneva che la pozione dovesse rientrare tra i Preparati Illegali.
Arrotolò con cura la pergamena e tirò fuori quella di Erbologia, al centro della quale il suo imbarazzante disegno aveva chiaramente bisogno di essere migliorato.
Visto che ci teneva a prendere almeno un Oltre Ogni Previsione per migliorare il più possibile la sua media prima delle vacanze, cercò di ricopiare fedelmente la pianta osservandone con attenzione la fotografia nel capitolo che la riguardava.
Quando si convinse di aver ottenuto un risultato più o meno decente scarabocchiò al lato tutte le proprietà di cui aveva parlato la Profesoressa Sprite, arrotolando poi anche quella pergamena.
Si guardò intorno e, resasi conto di essere l’unica rimasta in biblioteca, mise velocemente via i libri e aspettò pazientemente che le scale fossero nella posizione giusta per scendere verso la Sala Grande.
Sospirò di sollievo quando vide che c’erano altri studenti ritardatari seduti ai tavoli delle rispettive Case, ormai quasi vuoti.
Si fiondò a quello dei Grifondoro e lasciò cadere la borsa per terra, servendosi una porzione abbondante di patate e salsicce.
Aveva così fame che non si rese conto del fatto che Charlie la stesse chiamando dal tavolo dei Corvonero, sbracciandosi.
Si accorse di lui solo quando si lasciò cadere accanto a lei, approfittando del fatto che fossero in pochi a occupare il tavolo.
“Oh, ciao!”, lo salutò la ragazza con la bocca piena, facendolo ridere.
“Dove sei stata? La cena è iniziata quasi due ore fa!”.
“In biblioteca, avevo una marea di compiti e visto che i miei incantesimi sono uno schifo ho pensato di portarmi avanti almeno con la teoria”, rispose in fretta lei, versandosi un calice di Succo di Zucca.
Charlie sospirò, prendendo una mela dal cesto di frutta alla sua sinistra.
“Anche io sono indietro con i compiti, Aritmanzia si è rivelata una pessima scelta.”
“Ma se hai il massimo dei voti in tutte le materie!”.
“Già, ma la McGranitt mi boccerà comunque se non riesco a far svolazzare qualche canarino.”
Risero entrambi e Bronwen, che aveva finito di mangiare a una velocità straordinaria, si appoggiò allo schienale della sedia.
“Sono talmente stanca che salterei Astronomia se non fosse la mia materia preferita”, mormorò, facendosi scappare un altro sbadiglio.
Lui si passò una mano tra i capelli castani, scompigliandoli appena, pensieroso.
“Questo mi ricorda che ho una mappa da finire. Con chi siete di turno stasera?”.
“Tassorosso. Vuoi che saluti Iris da parte tua?”.
Charlie le rivolse un’occhiata torva, facendola ridere di nuovo.
“Stavo scherzando, non essere così permaloso.”
“Invece di scherzare, dammi una mano con la relazione di Babbanologia.”
“Argomento?”.
“La storia della tecnologia, o qualcosa del genere. Dovremmo parlare di parlofoni e strani aggeggi chiamati telesitori…”.
“Vuoi dire telefoni e televisori?”.
Capisci perché devi aiutarmi?”.
La ragazza sorrise.
“Non capisco proprio come faccia Raptor a non bocciarti ogni anno.”
“Grazie alla Grifondoro più solidale che conosco”, rispose lui strizzandole l’occhio.
Risero nuovamente e lei gli diede uno spintone giocoso quando si alzarono per uscire dalla Sala Grande.
Si intrattennero un po’ in corridoio, come facevano sempre: visto che gli orari di Grifondoro e Corvonero non concidevano quasi mai, avevano davvero poche occasioni per fare due chiacchiere.
“Senti, Charlie…”, lo interruppe la ragazza a un certo punto.
Lui aspettò che continuasse, lasciando a metà il racconto della partita a scacchi che aveva giocato con Bill Belcher qualche ora prima.
“Ci pensi mai a quello che sta succedendo?”.
Bronwen vide chiaramente la sua espressione farsi seria, era evidente che non si aspettasse una domanda del genere.
Ma non si pentì di avergliela posta, sapeva di potergli parlare di qualunque cosa.
“Certo che ci penso. Quelli del primo anno sono terrorizzati dai Serpeverde, a causa di Piton e di quegli altri idioti ci vanno di mezzo anche gli studenti che non c’entrano niente. Flynn mi ha raccontato che li evitano nei corridoi.”
Lei sospirò, arrabbiata.
“Vorrei che Silente facesse qualcosa.”
“Silente ha già abbastanza a cui pensare.”
“Ma ci stiamo dividendo ed è pericoloso, non capisci?”.
“Sì, lo capisco. Piacerebbe anche a me che li buttassero fuori, ma essere degli imbecilli esaltati non è ancora una motivazione valida.”
Bronwen ripensò alle parole di Regulus, a come i suoi occhi fossero pieni di odio e cattiveria.
“Cosa pensi che succederà?”, chiese in un sussurro.
Charlie evitò il suo sguardo, sembrava più pallido del solito.
“Ci sarà una guerra”, rispose, risoluto.
Lei annuì lentamente.
Certo che ci sarebbe stata una guerra, non si era illusa neanche per un momento che sarebbero potuti uscirne senza combattere.
Eppure si chiese se fossero pronti, se fuori da Hogwarts sarebbero riusciti a difendersi.
“Sei preoccupata?”, si sentì chiedere.
Accennò un sorriso amaro.
“Io e la mia famiglia saremo tra i primi che verranno a cercare e non so neanche se sarò in grado di proteggerli.”
Il ragazzo si chinò su di lei, sollevandole con delicatezza il viso.
“Verrete a stare da noi.”
“Non ci penso neanche a esporvi a un pericolo simile”, rispose lei con decisione.
La sua era una famiglia di Purosangue, proprio come quella dei Black: tutti a scuola lo sapevano.
“Non dire sciocchezze, Bronwen. E non azzardarti a sparire una volta fuori di qui, o non ci sarà Mangiamorte che mi impedirà di venirti a cercare per prenderti a calci.”
La ragazza sentì gli occhi riempirsi di lacrime.
Sapeva che era serio, sapeva che non l’avrebbe lasciata sola, eppure sentirgli dire che lui e la sua famiglia sarebbero stati disposti a rischiare la vita pur di proteggerli la commosse profondamente.
Tutti avrebbero dovuto darsi una mano, quando il tempo sarebbe arrivato.
Gli sorrise debolmente e lo abbracciò, stringendolo forte.
“Grazie”, mormorò.
“Non essere ridicola”, rispose lui, sciogliendo l’abbraccio per darle un leggero bacio sulla fronte.
“Che ne dici se domenica mattina iniziamo quella relazione di Babbanologia? Così puoi anche scrivere il mio tema per Storia della Magia.”
Charlie scoppiò a ridere, fingendosi indignato e asciugandole distrattamente una lacrima.
“Ma che faccia tosta!”.
Ti prego, non me ne importa proprio un accidente delle Guerre tra Giganti!”.
“D’accordo, pigrona. Ma perché domenica e non domani? Non ci sono partite.”
Bronwen tossicchiò, per poi schiarirsi la voce con finta noncuranza.
“Ho una cosa da fare.”
Lui la scrutò, perplesso.
“Una cosa?”.
“Ho una specie di uscita a Hogsmeade, niente di importante, è solo…”.
“Hai un appuntamento?”.
“Non lo definirei esattamente…”.
“E come lo definiresti?”.
Sussultarono entrambi, voltandosi e ritrovandosi davanti un Sirius Black appoggiato al muro con le braccia incrociate e le sopracciglia inarcate.
Charlie guardò nuovamente la sua amica, visibilmente scioccato.
“Stai scherzando?”.
Lei sospirò.
“Non è niente di serio, davvero.”
Sirius continuava a fissare la borsa della ragazza, appesa alla spalla del suo amico.
“Fingerò di non averti sentita. Muoviti, tra dieci minuti inizia Astronomia”, la avvisò staccandosi dal muro, in attesa.
Bronwen, che si era completamente dimenticata della lezione, si riprese in fretta la borsa e si alzò sulle punte per dare un bacio sulla guancia all’amico, che la guardò come a dirle “Non pensare di cavartela così”.
“Ci vediamo domenica!”, lo salutò con un sorriso tirato, prima di voltarsi e avviarsi con passo spedito verso le scale in fondo al corridoio, seguita da Sirius.
Niente di serio?”, la accusò lui.
“Beh, non mi sembra che convoleremo a nozze la settimana prossima”, rispose lei, salendo velocemente i gradini di pietra.
Lo sentì ridere, come se avesse recuperato all’istante il buonumore.
“Quando cambierai idea, sappi che non ci penso proprio a concederti l’onore!”.

Il giorno successivo era un sabato di fine Novembre in piena regola: il cielo era coperto da nuvoloni scuri e soffiava un vento gelido.
Bronwen dormì fino a tardi, perdendosi la colazione, ma Veronica fu tanto gentile da portarle dei toast con burro e marmellata in sala comune, dove si era rannicchiata sul divano nella speranza di sfruttare il camino acceso per scaldarsi.
Non c’era quasi nessuno, molti studenti erano in biblioteca o a seguire gli allenamenti di Quidditch, nonostante facesse davvero troppo freddo.
Bronwen era immersa in una lettura dettagliata del nuovo capitolo di Astronomia, quello sulle galassie nane, quando sentì il ritratto all’ingresso aprirsi.
Pensando fosse Cornelia di ritorno dalla biblioteca, si voltò, ma scorse una massa di capelli ramati notoriamente conosciuta.
Lily Evans si avvicinò al camino acceso, tremante, per poi sedersi sul divano e sfregarsi energicamente le braccia.
Bronwen cercò di farle più spazio, guadagnandosi un sorriso gentile.
Si gela là fuori, non so come mi sia venuto in mente di andare agli allenamenti.”
“Complimenti per il coraggio”, rispose la ragazza, lanciando un’occhiata al cielo scuro visibile dalla finestra.
Lily fu scossa da un altro brivido.
Si chiese se fosse il caso di dirle che James le aveva raccontato dell’appuntamento con Sirius, con il mero obiettivo di strapparne uno anche a lei, ma poi preferì di no.
Certo, si conoscevano, ogni tanto facevano due chiacchiere, ma non avevano mai avuto molta confidenza.
Comunque, a dirla tutta, le sembrava più che adatta per uscire uno come lui: aveva ascoltato e assistito più volte ai loro litigi, come praticamente tutti i Grifondoro, ma le acque sembravano essersi calmate e l’aveva sempre ritenuta una studentessa caparbia e intelligente, tanto da essere sorpresa dal fatto che non l’avessero scelta come Prefetto.
“Come vanno gli allenamenti? Dici che batteremo Tassorosso?”, si sentì chiedere.
Si schiarì la voce, annuendo con vigore.
“Assolutamente, se riescono a convincere Marlene a smetterla con i falli.”
Bronwen ridacchiò.
“Abbiamo comunque un ottimo Cercatore.”
“Già, ancora non mi capacito dell’ultima partita. Stavi studiando Astronomia?”.
La ragazza sorrise.
“Sì, la lezione di ieri notte è stata talmente interessante che non vedevo l’ora.”
Lily ricambiò il sorriso.
“Sai che non è proprio il mio forte? Me la cavo meglio in Pozioni e Incantesimi, con le stelle e i pianeti non ci so proprio fare.”
“Questo mi ricorda che non mi sono ancora esercitata abbastanza. Dici che se parlassi di costellazioni la McGranitt chiuderebbe un occhio sulla mia imminente bocciatura?”.
Risero entrambe, facendo voltare un paio di studenti timidi del primo anno, intenti a studiare ai tavoli.
Restarono a chiacchierare ancora un po’, finchè James e gli altri rientrarono dagli allenamenti fradici dalla testa ai piedi: aveva iniziato a piovere.
Cominciarono ad asciugarsi le divise, chi accanto al camino, chi pronunciando un incantesimo che portava alla fuoriuscita di aria calda dalla punta della bacchetta.
Peter Minus passò un asciugamano al suo amico, poi si lasciò cadere su una poltrona e ricominciò a leggere un libro dalla copertina rilegata.
La sala comune divenne gremita, perciò Bronwen rinunciò completamente all’idea di finire il capitolo di Astronomia e andò incontro a Veronica, che stava parlando con Mary Macdonald dall’altra parte della stanza.
“Hai letto il Profeta oggi?”, la salutò la sua amica.
Aveva un tono stranamente spento.
“No, lo sai che non sono abbonata. Qualcosa di interessante?”.
Le due ragazze si scambiarono un’occhiata nervosa, quasi afflitta.
“Sono spariti cinque Babbani e un Auror è stato trovato morto”, sussurrò Mary, in modo da non attirare l’attenzione.
Bronwen sentì l’aria sparirle dai polmoni.
Cinque Babbani?”, mormorò, agghiacciata.
“I Giganti stanno dalla loro parte. La settimana scorsa hanno decimato una famiglia di Goblin, vicino Nottingham.”
Veronica stava tremando, perciò Bronwen le strinse una mano cercando di ignorare l’improvvisa nausea che le stringeva la bocca dello stomaco.
“Silente starà sicuramente facendo qualcosa”, disse con un tono che voleva suonare rassicurante, ma aveva la bocca secca.
“E’ lui che gli ha rifiutato il posto come insegnante di Difesa contro le Arti Oscure, no? Sa cosa fare, starà lavorando con il Ministero per…”.
“Ma cosa faremo una volta fuori di qui?”, chiese Veronica, la voce strozzata.
“Combatteremo”, rispose Bronwen, risoluta.
Gli occhi di Mary si riempirono di lacrime e prese a scuotere la testa, facendo ondeggiare i capelli ricci.
“I miei genitori vogliono che torni a casa”, sussurrò Veronica.
“No, sarebbe troppo pericoloso lasciare Hogwarts.”
“Ma loro sono lì, da soli!”.
“Tua madre è una strega e sa come difendersi, pensa a chi…”, ma Mary si interruppe bruscamente, lanciando uno sguardo colpevole a Bronwen.
Calò un silenzio pesante, Veronica strinse più forte la mano della sua amica che provò ad accennare un sorriso.
“Va tutto bene. Andrà bene. Cerchiamo di pensare ad altro, è sabato! Certo, il tempo è uno schifo ma…”, stava disperatamente cercando di sprigionare un po’ di positività, ma le riusciva difficile con il vento che ululava fuori dalle finestre della torre.
Per fortuna Veronica scoppiò in una piccola risata, dandole una spinta giocosa.
“Già, è sabato. A che ora è il tuo appuntamento?”.
Mary sollevò le sopracciglia.
“Allora è vero? Esci con Sirius Black?”.
“Sì”, rispose stancamente la ragazza, arresa.
“Quando ho sentito Marlene parlarne a cena non volevo crederci!”.
“Non voglio crederci nemmeno io.”
“Sei pazza? Stai vivendo il sogno di una straordinaria quantità di ragazze e di buona parte dei ragazzi di questa scuola!”.
Risero tutte e tre.
Per quanto assurdo, era vero: la popolarità dei Malandrini non si limitava alle cerchie di sole studentesse.
Ricordava distintamente un Corvonero del quarto anno che si era preso una considerevole cotta per James, ma naturalmente i loro gusti non coincidevano.
Però lui era stato gentile, non lo aveva respinto con aria indignata come avrebbe potuto fare qualcun altro: ne avevano parlato con tranquillità, lontani da orecchie indiscrete, e la cosa era finita lì.
Mentre scendeva con le sue amiche in Sala Grande per pranzare, pensò distrattamente a quanto poco sforzo gli sarebbe bastato per diventare un ragazzo piacevole.
Qualche scherzo in meno, un minimo di impegno scolastico…
Ultimamente si dava meno arie, probabilmente per attirare l’attenzione di Lily Evans, che l’anno prima lo aveva rifiutato con toni neanche tanto amichevoli.
Sembrava però che si stessero avvicinando visto e considerato che fosse persino andata a vedere gli allenamenti con quel tempo pessimo.
A tavola trovarono Cornelia, già intenta a spazzolarsi una bella porzione di pollo e spinaci.
Disse che si era intrattenuta in biblioteca per ripassare Rune e che Remus le aveva dato una mano in cambio di qualche suggerimento per Storia della Magia.
“Credevo dovessi aiutare me”, rispose Bronwen con finta noncuranza, allungandosi per prendere una porzione di insalata e uova sode.
“Posso aiutare più di una persona”, sorrise Cornelia con allegria.
“Quando mai Rune ti ha messa così di buonumore?”, la punzecchiò Veronica.
Lei scrollò le spalle e ricominciò a mangiare, le guance leggermente più rosate.

 

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Capitolo 7
*** VII. ***


Fieri sentio

VII.

 

Sirius venne a prenderla subito dopo pranzo, sbucando all’improvviso nella sala comune dopo essere sparito per tutta la mattinata.
Bronwen abbandonò la speranza che si fosse dimenticato dell’uscita o che avesse cambiato idea, si infilò il suo mantello e lo seguì fuori dal buco del ritratto, facendo un cenno con la mano alle sue amiche che le risposero con sorrisi incoraggianti.
Quando fece per scendere le scale che portavano all’ingresso, si sentì afferrare un braccio e si voltò, confusa.
“Dove vai?”, le chiese, divertito, iniziando a trascinarla nella direzione opposta.
“All’uscita?”, rispose la ragazza, perplessa.
“Non possiamo passare di lì.”
“Perché? Avete dato fuoco a qualcosa?”.
Il ragazzo ridacchiò, fermandosi a metà corridoio, tra le scale che portavano alla Torre di Grifondoro e quelle che conducevano all’atrio.
“No, ma sono in punizione e non posso andare a Hogsmeade per due settimane. Se Gazza mi vede, chiamerà la McGranitt.”
Lei aggrottò le sopracciglia, guardandolo avvicinarsi alla statua della Strega Orba con la bacchetta sollevata.
“Ma allora come…”.
“Dissendium”, mormorò il ragazzo, sfiorando la gobba della strega con la punta della bacchetta.
Bronwen sospirò, per niente sorpresa: avrebbe dovuto immaginarlo.
Chi poteva conoscere un passaggio segreto per arrivare a Hogsmeade se non lui?
Lo seguì in quello che doveva essere un corridoio sotterraneo, umido e buio, oltre che incredibilmente lungo.
Lui camminava tranquillo, la bacchetta a fargli luce, come se avesse fatto quella strada chissà quante altre volte.
“Come lo hai trovato?”, chiese lei, la voce che rimbombava contro le pareti di pietra.
Il ragazzo esitò, poi si voltò per rivolgerle un breve sorriso.
“Con una mappa.”
“Hai una mappa dei passaggi segreti di Hogwarts?”.
“Qualcosa del genere. Siamo arrivati, sali per prima.”
Bronwen si guardò intorno, rendendosi conto che si trovavano in una specie di deposito.
C’erano scatoloni impolverati e confezioni di cartone ammassate per terra, al centro della stanza una rampa di scale che conduceva a una botola.
La ragazza si arrampicò sulle scale in legno, cercando di non starnutire per i granelli di polvere che volteggiavano nell’aria, e spostò con attenzione la botola.
Sentì Sirius sussurrare “Nox” sotto di lei, ma era troppo sconvolta dallo spettacolo che le si presentò davanti agli occhi per prestargli attenzione.
Era Mielandia, senza ombra di dubbio, piena di maghi, streghe e qualche studente che si era avventurato fuori dalla scuola nonostante il freddo pungente.
Si trascinò sul pavimento cercando di non dare nell’occhio e si alzò, pulendosi il mantello e guardandosi intorno con aria meravigliata.
Un passaggio segreto che conduceva dritto alla cantina di Mielandia, geniale.
“Andiamo?”, la voce di Sirius la riportò alla realtà e annuì, dando un’ultima occhiata a una confezione di Mosche al Caramello prima di seguirlo fuori.
“Hai preferenze?”, le chiese, gli occhi leggermente socchiusi a causa del vento.
“La sala da tè di Madama Piediburro.”
Sirius fece per dire qualcosa, l’espressione contrariata, ma cambiò idea e, fingendo noncuranza, le fece segno di precederlo.
Bronwen scoppiò a ridere, divertita.
“Sto scherzando! I Tre Manici di Scopa vanno benissimo.”
Lui alzò gli occhi al cielo e la seguì, gli orli dei mantelli di entrambi frustati dal vento gelido.
Passarono davanti a svariati negozi e Bronwen pensò distrattamente che più tardi avrebbe potuto comprare una piuma nuova, la sua era quasi completamente consumata.
Entrarono nel pub, pieno come durante ogni weekend, e si sedettero a un tavolo accanto alla finestra.
Ordinarono una Burrobirra e dell’Idromele, quando Madama Rosmerta portò le loro ordinazioni si intrattenne qualche minuto per salutare Sirius e chiedergli come mai fosse in giro senza James.
“E’ rimasto al castello, ma mi ha detto di salutarti”, sorrise lui.
La donna alzò gli occhi al cielo.
“Il solito adulatore”, ridacchiò prima di allontanarsi con il vassoio vuoto tra le mani.
Bronwen lo stava osservando con quella che si sarebbe sentita di definire curiosità.
Le sembrava diverso quel giorno, non c’era traccia delle sue battute taglienti o dell’egocentrismo che di solito lo accompagnavano ovunque.
Sembrava totalmente rilassato, aveva un’aria decisamente insolita.
Si chiese se avesse più incrociato Regulus nei corridoi.
“Raccontami qualcosa”, le disse, preferendo non farle notare che lo stesse fissando con insistenza.
Lei poggiò il suo Idromele sul tavolo.
“Tipo cosa?”.
“Com’è la tua famiglia?”.
Sembrava sinceramente interessato, perciò la ragazza accennò un sorriso.
“Ah, sono fantastici. Mia madre è un’artista, le piace dipingere, mio padre ha una libreria. Sono praticamente cresciuta tra libri e quadri, la mia stanza ne era piena. Ma perché stai ridendo?”, pronunciò l’ultima frase con tono contrariato.
Lui scosse la testa, cercando di ricomporsi.
“No, scusami. E’ solo che… se vedessi di cosa è piena la mia camera… riesco già a immaginare la tua faccia indignata!”.
Bronwen inarcò un sopracciglio.
“Qualcosa mi dice che non voglio saperlo.”
“Probabile. Beh, quindi quadri e libri eh? Questo ti piace?”.
“Piacere è riduttivo. Se vedessi le creazioni di mia madre capiresti, è come… vivere nell’arte. Qui me ne dimentico, ma ogni volta che torno a casa ricordo quanto mi renda felice l’essere in parte Babbana. I miei hanno sempre pensato che avrei preferito la magia, ma non è così.”
Lui le rivolse un sorriso.
Pensò a come anche sua madre si vantasse di essere un’esperta in tutto ciò che riguardava l’arte, la storia dei maghi, la musica.
Lo aveva obbligato a prendere lezioni di pianoforte per anni, quando lui e Regulus erano piccoli aveva fatto in modo che una vecchia strega autoritaria di cui neanche ricordava il nome li tenesse inchiodati a tavola per ore, finchè non avessero imparato quelle che lei definiva “buone maniere”.
Suo padre aveva sempre preteso da entrambi un comportamento dignitoso, che si addicesse al loro cognome, che sottolineasse la loro superiorità con freddezza e autorità.
Un Black doveva essere riconoscibile dai modi di fare, dalle cerchie a cui si avvicinava, dalle compagnie che sceglieva di frequentare, dalla fedeltà alla famiglia più che a ogni altra cosa.
Fin dal suo sesto compleanno Sirius si era sentito ripetere quelle parole per un tempo che ancora gli sembrava infinito, quando tutto ciò che gli interessava era correre in giardino e giocare con gli altri bambini era stato obbligato a tenere a mente di dover diventare un uomo degno del cognome che era stato tanto fortunato da possedere.
Era ancora disposto a diventare tutto quello che la sua famiglia si aspettava che fosse fino allo “sventurato giorno”, come amava definirlo sua madre, in cui aveva conosciuto James Potter sull’Espresso per Hogwarts.
Era stato lui a dirgli per la prima volta di non usare la parola sanguemarcio.
Era stato lui a spiegargli con pazienza, perché aveva capito che il suo non fosse un odio volontario, che non c’erano differenze tra maghi e Babbani.
Che nessuno era al di sopra dell’altro e che era giusto che tutti fossero amici di tutti.
“Mi piacerebbe sapere cosa si prova, a vivere normalmente”, riflettè piano, lo sguardo fisso sul tavolo.
“Beh, non è tutto così bello. Cucinare e riordinare senza la magia non è un gran divertimento”, rispose lei, scrollando le spalle.
“Già, ma almeno…”, Sirius decise di non finire la frase, prendendo un ultimo sorso di Burrobirra e lasciando il boccale vuoto sul tavolo.
Bronwen increspò le labbra.
“Non ne valgono la pena”, gli disse semplicemente.
Lui sorrise di nuovo, ma era un sorriso che si spense prima di raggiungere gli occhi.
“Sì, lo so.”
“Adesso raccontami qualcosa tu.”

Non avrebbe mai pensato che qualcosa l’avrebbe sconvolta più di un appuntamento con Sirius Black, eppure fu assolutamente scioccata dal fatto che si fosse trovata bene.
Insomma, le era piaciuto parlare e ancora di più ascoltarlo: aveva una marea di interessi, gli piacevano le moto, l’Astronomia, il Quidditch, aveva persino una basilare conoscenza del calcio Babbano.
Quando avevano fatto una passeggiata, nonostante il freddo, non c’era stato neanche un momento di silenzio imbarazzante.
Gli aveva chiesto di Alice Grimm con malcelata curiosità e lui le aveva spiegato come stessero davvero le cose.
Non aveva mai fatto mistero del fatto che non volesse nulla di serio, con nessuna delle ragazze con cui si intratteneva.
Quasi tutte non avevano problemi ad adattarsi, ma qualcuna si era convinta di poterlo magicamente convincere a desiderare qualcosa di più, forse una relazione, e non l’avevano mai presa troppo bene quando aveva cordialmente declinato.
“Non uscivi con quella Corvonero, al terzo anno? Vuoi dirmi che non sei più stato con una ragazza, da allora?”, gli aveva chiesto.
Lui si era stretto nelle spalle, le mani affondate nelle tasche.
Insomma, era stato con altre ragazze, aveva precisato facendola ridere, ma non aveva più voluto relazioni o frequentazioni che non fossero occasionali.
Bronwen non gli chiese il motivo, ma fu sollevata nell’apprendere che non avesse mai volutamente ferito una delle tante ragazze che si erano aggirate per la scuola con il cuore spezzato.
Sirius le chiese di Charlie con apparente noncuranza, lei gli raccontò di come fosse nata la loro amicizia e di quanto gli volesse bene.
Quando tornarono al castello, per lo stesso passaggio da cui erano arrivati, si intrattennero per un po’ nel corridoio deserto.
Bronwen aveva guance e naso rossi dal freddo, lui sembrava assolutamente a suo agio a giudicare da come aveva arrotolato le maniche della divisa, lasciando scoperti gli avambracci.
“Posso chiederti una cosa?”.
“Questa è già una domanda.”
 Lui alzò gli occhi al cielo, la guardò ridere ma la sua espressione era indecifrabile.
“C’è qualcosa che ti preoccupa?”.
Il sorriso della ragazza si spense, lasciando il posto a un cipiglio.
“Niente che non preoccupi anche il resto della scuola”, rispose piano.
“Non è stata colpa mia, vero? Con tutti quei discorsi su mio fratello e…”. 
Assolutamente no. Solo… penso ai miei genitori. A cosa faremo quando saremo fuori di qui e non ci sarà Silente a difenderci. A come sia potuta nascere una situazione del genere, insomma, perché non riesco a capacitarmene. Sai che quelli di Serpeverde sono sempre più isolati? Che alcuni Corvonero non parlano con quelli come me o Veronica? La scuola si sta dividendo.”
Sirius la osservò con attenzione mentre gesticolava, frustrata, evitando il suo sguardo.
Si rese conto che era molto più in ansia di quanto volesse ammettere, che stava pensando a troppe cose tutte insieme e che non aveva modo di tranquillizzarla, perché condivideva ogni sua paura.
Fece qualche passo in avanti, piegandosi su di lei perché smettesse di parlare e lo guardasse negli occhi.
“Ti dirò una cosa, ma non può saperlo nessuno.”
Bronwen si interruppe, riprendendo fiato.
Annuì, invitandolo a continuare.
“Abbiamo ascoltato Silente, più volte. Suppongo lo sappia ma ha sempre fatto finta di niente. Lui… ha parlato di un’organizzazione.”
“Vuoi dire una resistenza?”, sussurrò la ragazza.
“Esatto. Credo esista già, collabora con il Ministero, ma se la situazione non migliora so che è disposto a reclutare chiunque abbia intenzione di combattere. Questo è quello che farò fuori di qui.”
Lei si appoggiò al muro, sentendo improvvisamente le gambe deboli.
Aveva assolutamente senso e l’idea che Silente avesse già un piano in atto la confortava non poco, perciò non riusciva proprio ad interpretare il senso di panico che si stava impadronendo di lei.
“E’ una cosa talmente più grande di noi…”, mormorò, disgustata dal suo tono di voce instabile.
Si sentiva una codarda.
Sirius le scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, lasciando indugiare la mano sulla sua guancia, sfiorandola appena per qualche secondo.
“Certo che lo è. Ma c’è poco da fare, e io so di voler partecipare. Dare un contributo.”
“Ma tu sarai in grado di farlo. Guarda me, credi che riuscirei a ostacolare questa follia?”.
Il ragazzo accennò un sorriso.
“Io sarò in grado di farlo? Ho paura quanto te, Bronwen. E non sono intelligente neanche la metà di quanto lo sia tu.”
Lei sbuffò.
“Sta’ zitto, se volessi saresti tra i migliori della classe.”
“Ma guarda, l’ombra di un complimento. Sono sconvolto.”
Riuscì a farle accennare una risata e si disse soddisfatto.
“Sai, avevi ragione. Sei meno rivoltante di quanto credessi.”
Due complimenti? Adesso devo sedermi.”
“Meno male che ogni tanto ricominci a fare l’imbecille, altrimenti sarebbe impossibile riconoscerti.”
Sirius sollevò le sopracciglia, fingendo un’ingenuità che non lo aveva mai caratterizzato.
“Non credo di aver capito.”
Lei lo guardò, scettica.
“Vuoi proprio farmelo dire, vero?”.
Il ragazzo scrollò le spalle, facendole alzare gli occhi al cielo per l’ennesima volta.
“Beh, non è stato male. Quando non dici cose stupide non mi viene voglia di infilarti un calzino in bocca. E fatti bastare questi complimenti, perché non ne sentirai altri per un periodo estremamente lungo.”
Sirius si aprì in un gran sorriso.
“Mi bastano.”

Fu una cosa graduale, quasi non se ne accorse.
Cominciò con quella giornata e continuò una sera in sala comune, studiando Astronomia, quando le svelò i nomi delle sue cugine e lei reagì con meraviglia, dilungandosi in una spiegazione appassionata sulle stelle e sulle costellazioni che li avevano ispirati.
Proseguì quando, qualche settimana dopo, lo vide consolare uno studente del primo anno terribilmente spaventato dal Barone Sanguinario.
Qualcosa succedeva anche ogni volta che la salutava, ammiccando, o si sedeva accanto a lei in biblioteca, posto che aveva iniziato a frequentare sempre più spesso.
Ma la conferma definitiva la ebbe quando si sedette accanto a lei durante una lezione di Storia della Magia e le sfiorò involontariamente una mano: si sentì come percorsa da una scarica elettrica e non riuscì a guardarlo in faccia per il resto della giornata.
Veronica e Cornelia erano al settimo cielo, il resto delle ragazze della scuola un po’ meno.
Aveva incrociato Angela Bennett in corridoio e, quando l’aveva salutata, il suo silenzio l’aveva gelata.
Non che la cosa la preoccupasse, ma si sentiva talmente a disagio e strana perché, insomma, era assolutamente inconcepibile che Sirius Black le piacesse.
Non era in grado neanche di formulare un pensiero simile, ogni volta che lo vedeva ridere con i suoi amici e cominciava a rifletterci si costringeva a fare altro per distrarsi, con immenso disappunto delle sue amiche.
Ma lui non sembrava avere fretta, appariva quasi divertito dal suo improvviso imbarazzo.
Aveva mantenuto quell’aria rilassata e seria che tanto l’aveva sorpresa, era ancora quasi sempre in punizione ma aveva smesso di fare lo sbruffone esaltato con gli altri studenti.
James era quello più scioccato da quel radicale cambiamento, lo guardava quasi sempre con aria imbronciata.
Remus e Peter, egualmente sorpresi, sembravano aver accettato più di buon grado quell’improvvisa tranquillità.

Bronwen stava tornando da un’intensa sessione di studio con Charlie, che si era intrattenuto con lei in biblioteca fino a tardi.
Avevano avuto a stento il tempo di cenare, poi si erano precipitati a cercare almeno di dimezzare l’infinita quantità di compiti con cui i professori li avevano sommersi in vista delle vacanze di Natale.
Erano riusciti a riemergere dai libri solo qualche ora più tardi, alle undici passate, e si erano decisi a tornare ai rispettivi dormitori tra sbadigli e occhiaie ormai marcate.
La ragazza era appena arrivata al corridoio del terzo piano e riuscì a stento a schivare l’inchiostro che Pix si stava divertendo a far gocciolare in testa agli studenti, quando sentì una voce tagliente quanto familiare chiamarla.
Si voltò, scorgendo un gruppo di quattro ragazzi che la guardavano con le braccia incrociate.
Uno non lo conosceva.
“Sentivo una certa puzza, in effetti.”
Regulus le si avvicinò con un sorriso strano, quasi eccitato.
“Stammi alla larga”, rispose lei, voltandosi per proseguire verso la Torre di Grifondoro.
“Impedimenta”, mormorò il ragazzo sconosciuto, facendola scivolare per terra all’istante.
I pesanti libri che aveva tra le braccia si sparsero sul pavimento e lei cercò di mettersi a sedere, irritata.
“Va bene. Che vuoi?”, lo sfidò incrociando il suo sguardo.
Si erano avvicinati e lui si era inginocchiato perché fossero alla stessa altezza.
Non aveva smesso di sorridere.
“Non te lo avevo già detto? Fare pulizia.”
Lei sbuffò.
“Hai intenzione di piantarla con questa sceneggiata?”.
“Oh-oh, oh-oh”, cantilenò Pix, svolazzando su di loro.
Regulus la guardò con un’espressione quasi compassionevole prima di afferrarle un braccio e sollevarle la manica della divisa.
“Silencio”, le sorrise il ragazzo di cui non riusciva in alcun modo a ricordare il nome.
Diffindo”, mormorò dolcemente Regulus, sfiorandole l’avambraccio con la bacchetta.
Bronwen spalancò la bocca in un grido muto quando sentì la pelle del braccio lacerarsi.
Spinse via il ragazzo con forza e cercò di rimettersi in piedi, appoggiandosi al muro, ma le gambe continuavano a tremarle e sentiva il sangue scivolarle copiosamente sul dorso della mano, gli occhi pieni di lacrime.
Si maledisse per aver lasciato la bacchetta in dormitorio.
Regulus si spostò dietro di lei, inginocchiandosi nuovamente e trattenendola per i capelli, tirandoli fino a farle male.
Mulciber lasciò scorrere con dolcezza la bacchetta lungo la sua guancia e Bronwen sentiva un dolore ovunque la sfiorasse, solamente in seguito le avrebbero detto dei lividi violacei che le aveva procurato.
Prese a respirare affannosamente, chiedendosi disperatamente come avrebbe fatto a raggiungere la sua Torre o almeno la parte di corridoio gremita di ritratti che avrebbero potuto avvertire un professore.
Guardò in alto, ma Pix non c’era più e lei non riusciva a urlare, le lacrime le offuscavano la vista.
Sentiva dolore, certo, ma era per lo più spaventata.
Mai avrebbe immaginato che degli studenti l’avrebbero aggredita, non aveva preso sul serio nessuna delle loro fantasticherie a proposito di Voldemort e in quel momento temeva seriamente che le avrebbero fatto qualcosa di irreparabile, che nessuno l’avrebbe trovata in tempo.
Lo sconosciuto le procurò un brutto taglio sul mento prima di alzarsi con un’espressione soddisfatta, proprio quando lei stava ricominciando a recuperare la voce.
“Sei quasi più carina, così”, sorrise, guardandola con il capo inclinato.
“Stammi bene”, salutò Regulus, strizzandole l’occhio.
Le rivolse un’ultima occhiata serena prima di voltarsi a scendere le scale di pietra, seguito dai suoi amici.
Severus rimase qualche secondo a guardarla piangere e cercare di rialzarsi, il braccio ormai in condizioni pietose e il viso rigato di lacrime.
Poi raggiunse gli altri e sparì al piano di sotto, lasciandola da sola tra libri sparsi e sangue inevitabilmente colato sul pavimento.
Bronwen si schiarì la gola più volte prima di avviarsi con estrema lentezza, reggendosi al muro, lungo le scale della Torre di Grifondoro.
Ci mise dieci minuti interi ad arrivare in cima, i tagli le bruciavano e i lividi le pulsavano dolorosamente.
La Signora Grassa, che stava sonnecchiando, si svegliò di colpo quando la vide.
“Oh, cielo! Qualcuno vada a chiamare Silente, subito! Gazza!”, strillò, aprendosi immediatamente e svegliando tutti i quadri presenti in corridoio.
Bronwen entrò a fatica nella sala comune e si aggrappò alla prima persona che vide, la più vicina al buco del ritratto, che si voltò di scatto quando le afferrò il braccio.
“James…”, tossì, la voce bassa e roca.
“Ma che diav… Bronwen!”, esclamò lui, scioccato, cercando di sorreggerla.
La ragazza sentì un improvviso silenzio rotto soltanto dall’urlo strozzato di Veronica prima di chiudere gli occhi, sfinita.

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Capitolo 8
*** VIII. ***


Fieri sentio

VIII.

 

Quando li riaprì, le parve di essersi svegliata dopo una riposante nottata senza sogni.
Le lenzuola candide e profumate le erano tuttavia poco familiari e le ci volle qualche minuto per capire di trovarsi in Infermeria.
Cercò di sollevare con cautela il braccio destro e si accorse che non le faceva affatto male: il taglio sembrava già vecchio di settimane.
La testa, però, le doleva terribilmente.
Si tastò con prudenza guance e collo, non avvertendo il minimo fastidio, e sospirò di sollievo.
Solo quando voltò la testa di lato si accorse di Sirius, seduto accanto al suo letto con la testa abbandonata in avanti.
Fu invasa all'istante da un senso di angoscia.
Cosa gli avrebbe raccontato?
Non voleva che sapesse la verità, avrebbe trovato qualche stupido modo per sentirsi in colpa e tormentarsi più di quanto non facesse già, o peggio, di farla pagare a suo fratello.
Cercò di farsi leva con le braccia per mettersi a sedere ma si sentiva troppo debole, quindi lasciò perdere con un sospiro infastidito.
Sirius riaprì gli occhi di scatto e si sporse verso di lei, ansioso.
“Come stai? Ti fa ancora male? Chiamo Madama…”.
Sto bene. Dammi una mano, voglio sedermi”, lo interruppe la ragazza con un piccolo sorriso.
Lui si abbassò perché gli passasse uno braccio intorno alle spalle e l’aiutò a sollevarsi con la massima attenzione, sistemandole il cuscino dietro la schiena.
Bronwen fece una piccola smorfia, contrariata dal fatto che un gesto tanto semplice l’avesse affaticata.
Sirius la guardava con apprensione, era vibisibilmente pallido e i capelli gli ricadevano sugli occhi più in disordine del solito.
“Sto bene”, gli ripetè, accennando un sorriso che voleva essere rassicurante.
“Ci hai spaventati a morte. James ha sfiorato l’infarto, le tue amiche erano sconvolte. Non hanno dormito per tutta la notte e neanche Remus ha chiuso occhio. Dimmi che diavolo ti è successo.”
Ma non ebbe il tempo di rispondergli, perché la porta dell’Infermeria si spalancò ed entrò Silente, seguito da Madama Chips.
“Signorina Layton, sono felice di vedere che sembra stare meglio”, la salutò con cordialità, il tono di voce tranquillo ma l’espressione estremamente seria.
La veste viola scuro decorata con ricami dorati scintillava al sole.
“Sì, signore. Grazie”, rispose lei, terribilmente in imbarazzo.
Il Preside l’aveva sempre messa in soggezione.
“Crede di riuscire a raccontarci chi è stato?”.
Bronwen si schiarì la voce, abbassando lo sguardo.
“Non me lo ricordo.”
Cosa?”, sbottò Sirius, guadagnandosi un’occhiataccia da Madama Chips.
“Non se lo ricorda?”, le chiese Silente con tranquillità.
Quando incrociò il suo sguardo ebbe la conferma che ovviamente non sarebbe riuscita a dargliela a bere, ma sembrava comunque accettare di buon grado la sua scelta di tacere.
Era anche abbastanza convinta che sapesse già tutto, forse per una volta Pix aveva fatto la spia alla persona giusta.
Scosse lentamente la testa, sostenendo il suo sguardo, e lo vide annuire impercettibilmente.
“E’ sicura?”.
“Sì, signore.”
Silente si sistemò gli occhiali a mezzaluna sul naso.
Non sembrava sorpreso, era come se quella conversazione fosse andata esattamente come aveva immaginato.
“Molto bene. Le auguro una pronta guarigione, quando vorrà sarò nel mio ufficio.”
Lo interpretò come un invito a parlargli appena si fosse sentita pronta.
Le parve anche di cogliere l’ombra di una strizzata d’occhio e fu felice di non vederlo preoccupato: finchè lui manteneva il sangue freddo, si sarebbe sentita al sicuro.
Era comunque certa che avesse già preso i provvedimenti necessari.
“Grazie”, ripetè, guardandolo allontanarsi verso l’uscita.
Madama Chips le passò un bicchiere con una sostanza biancastra dal vago profumo di vaniglia.
“Bevilo tutto, ti rimetterà in forze”, le intimò sbrigativa.
“Poi posso andarmene?”.
“Non se ne parla neanche! Devi restare qui almeno un’altra notte, il professor Silente se n’è caldamente raccomandato!”.
Bronwen sospirò, vuotando il bicchiere e scoprendo che il liquido aveva un piacevole sapore di menta.
Madama Chips le poggiò una mano sulla fronte, aggrottando leggermente le sopracciglia.
Il mal di testa sparì e fu sostituito da una gradevole sensazione di fresco.
“Signor Black, vada a fare colazione. Lei non è esonerato dalle lezioni”, lo informò, rivolgendogli un’occhiata torva.
 “Posso saltare la colazione”, rispose lui senza scomporsi.
Madama Chips sospirò, infastidita, ma non disse altro.
Prese il bicchiere dalle mani della ragazza e si allontanò dal letto per andare ad occuparsi di altri due studenti con il raffreddore che si erano appena svegliati.
“Dovresti mangiare qualcosa”, riflettè Bronwen, non osando guardarlo.
Lo sentì sbuffare.
“E tu dovresti piantarla di prendermi per un idiota.”
“Beh, a volte…”.
“Non sto scherzando, Bronwen.”
Quando incrociò il suo sguardo, si rese conto di averlo visto poche volte tanto serio.
“Vorrei solo che mi dicessi la verità”, mormorò.
Le dispiaceva vederlo in apprensione e provò l’improvviso impulso di abbracciarlo, stringerlo forte e accarezzargli quei capelli disordinati.
“E io vorrei che non ti torturassi così”, rispose senza pensarci.
L’espressione di Sirius si addolcì.
La ragazza prese nota del fatto che non fosse per niente bravo a nascondere quello che provava, era come un libro aperto.
“Sei confinata in infermeria e ti preoccupi di cosa penso io. Sei assurda.”
“E’ proprio da me”, sorrise lei, evocando la conversazione che avevano avuto quella notte in corridoio, prima che la salvasse dalla furia di Gazza.
Sirius la osservò per qualche secondo, poi si allungò appena e le prese una mano, stringendogliela come aveva fatto lei a seguito del racconto della sua disastrosa vita familiare.
Bronwen non riuscì a reggere oltre il suo sguardo e lo abbassò, fissandolo sulle loro mani.
Stava meditando di raccogliere abbastanza coraggio per intrecciare le dita con le sue, ma prima che potesse anche solo provarci la porta dell’infermeria si spalancò una seconda volta e una folla di persone si accalcò immediatamente attorno al suo letto.
Sirius le lasciò la mano, ritraendosi sulla sua sedia.
“Oh, Bronwen! Come stai? Ti fa male? Posso abbracciarti?”, Veronica era isterica, aveva i capelli arruffati e vistose occhiaie violacee.
La ragazza le sorrise, spalancando le braccia.
La strinsero a turno: Cornelia doveva aver pianto perché aveva gli occhi arrossati, Charlie era pallido quanto Nick-quasi-senza-testa, Mary e Marlene sembravano sconvolte.
Remus e James non la abbracciarono, ma si dissero ugualmente felici di vedere che stava meglio.
Avevano facce stanche ma si capiva che il sollievo era sincero.
Lily Evans le disse di essersi spaventata da morire e le strinse calorosamente una mano.
“C’è un sacco di altra gente che vuole venire a trovarti ma la McGranitt ha detto che è meglio passare dopo le lezioni e di lasciarti riposare”, la informò Veronica, che si era seduta sulla sponda del letto e le stava accarezzando delicatamente i capelli.
“Era furibonda quando ha saputo, ti manda i suoi migliori auguri”, aggiunse Cornelia.
Bronwen sorrise.
“Ringraziatela per me.”
“Silente è arrivato di corsa, sai, quasi subito dopo di te. Non lo avevo mai visto perdere la calma.”
“Già, ha cercato di mascherarlo ma si vedeva che era arrabbiato.”
Restarono a chiacchierare con lei per qualche altro minuto e Bronwen apprezzò profondamente il fatto che nessuno le avesse fatto domande.
Quando Madama Chips arrivò a cacciarli via se ne andarono protestando a mezza voce e promettendole che sarebbero tornati quel pomeriggio, portandole dei regali.
Aveva dovuto stringere Charlie per un bel po’ prima che si calmasse, era ancora sconvolto e si sentiva assurdamente in colpa per non averla accompagnata al suo dormitorio la sera precedente.
James le aveva appoggiato una mano sulla spalla, stringendola appena, e con un sorriso incoraggiante l’aveva esortata a guarire il prima possibile, o non avrebbe più avuto nessuno con cui litigare.
Remus si era arrischiato ad abbracciarla brevemente prima di andarsene, promettendole che le avrebbe portato qualche bel libro da leggere.
Sirius se ne andò per ultimo, senza dire niente, limitandosi a lanciarle un’occhiata preoccupata.

Passò la giornata a sonnecchiare e a osservare pigramente il modo in cui il sole modificava le ombre degli oggetti nella stanza man mano che si avvicinava la sera.
Chiacchierò anche con i suoi compagni di camera, un Tassorosso dell’ultimo anno e una Serpeverde del quinto: si erano entrambi ammalati assitendo agli allenamenti di Quidditch sotto la pioggia.
Madama Chips pattugliava regolarmente l’Infermeria, controllando che tutto fosse in ordine.
Le fece bere la stessa sostanza al gusto di menta altre due volte, che oltre a farla sentire meglio le provocava anche un piacevole senso di sonnolenza e tranquillità.
Riflettè a lungo e decise che non avrebbe fatto il nome di Regulus, o di Severus.
Chiunque le avrebbe dato dell’incosciente ostinata, ma lei sapeva che Silente avrebbe capito ed era l’unica cosa di cui le importava.
Erano pur sempre studenti, e voleva che rimanessero al sicuro in quella scuola piuttosto che farli espellere e saperli catapultati in una situazione dieci volte più pericolosa e più grande di loro.
Non era successo niente di troppo grave, in fondo, e una minuscola parte del suo cervello desiderava addirittura parlare con loro.
Ricordava nitidamente tutte le prese in giro e gli incantesimi che Severus aveva sopportato nel corso degli anni, le era sempre dispiaciuto e ogni tanto aveva provato a scambiarci qualche parola.
Le aveva spesso risposto con un tono diffidente che le aveva spezzato il cuore, ma non era mai stato sgarbato.
Probabilmente si era semplicemente attaccato all’unico gruppo di studenti che non lo avesse escluso, forse non gli importava quali fossero gli ideali che predicavano.
Sì, decise, gli avrebbe parlato.
Era molto meno sicura di quello che avrebbe fatto con Regulus, non lo conosceva quasi per niente ed era stato davvero crudele, ma chi non lo sarebbe diventato con una famiglia del genere?
Beh, d’accordo, suo fratello era diverso, ma non tutti possiedono la capacità o il desiderio di ribellarsi all’educazione dei propri genitori.
Sospirò, frustrata.
Avrebbe dato tutto per poter cambiare le cose, per vederli riappacificarsi, perché Voldemort e i suoi seguaci sparissero magicamente nel nulla.
Non desiderava altro che la prospettiva di un futuro sereno, invece tutto quello che vedeva e sapeva avrebbe visto per un bel po’ era buio e decisamente poco promettente.
Finalmente i suoi numerosi visitatori tornarono a farle compagnia e a distrarla da quei pensieri cupi.
Remus e Cornelia le avevano portato libri e riviste da leggere, Veronica le consegnò buona parte della sua razione di cioccorane, Charlie fece scaturire un grazioso mazzo di orchidee dalla sua bacchetta e glielo sistemò sul tavolino di legno accanto al letto.
“Ragazzi, resterò qui solo un’altra notte”, rise Bronwen, allungandosi per prendere il biglietto di pronta guarigione che le stava porgendo Lily.
Era davvero molto carino, le lettere brillavano e fluttuavano cambiando colore di continuo sullo sfondo arancione e la ragazza notò che era firmato anche da James, Remus e Peter.
Li ringraziò tutti, arrossendo per l’imbarazzo.
Sirius, che si era seduto sulla sponda del letto, la guardava con un’espressione indecifrabile e James dovette scompigliargli i capelli e mormorargli di smetterla di tenere il muso, perché ormai non c’era più da preoccuparsi.
Non riuscirono a restare tanto perché tra la fine delle lezioni e l’ora di cena intercorreva davvero poco tempo e quasi tutti erano indietro con i compiti.
Bronwen li tranquillizzò, esortandoli ad andare: l’avrebbero comunque dimessa il giorno dopo.
La abbracciarono di nuovo, Charlie fu ancora quello che la tenne stretta più a lungo.
“Grazie ancora, davvero, di tutto”, sorrise la ragazza guardandoli andare via ma i suoi ringraziamenti furono soffocati da diversi “Sta’ zitta” e “Ci vediamo domani” affettuosi.
Naturalmente Sirius non si alzò neanche, deciso com’era a restare finchè Madama Chips non l’avesse mandato via a calci.
“Hai intenzione di smetterla di saltare i pasti?”, gli chiese, segretamente compiaciuta dal fatto che fosse ancora seduto sul bordo del letto.
“James mi porterà qualcosa in sala comune”, la informò con tono tranquillo.
Lei alzò gli occhi al cielo.
“Smettila di preoccuparti per me, sto bene. Non c’è bisogno che resti.”
“Ce la fai a stare zitta e a lasciarmi fare quello che voglio, per una volta?”.
Bronwen tacque, resistendo all’impulso di spingerlo giù dal letto.
Ma Sirius le rivolse un sorriso divertito, frugandosi nelle tasche dei pantaloni e tirandone fuori un piccolo pacchetto informe di carta argentata.
Glielo porse con aria soddisfatta.
“Cos’è?”, chiese lei iniziando ad aprirlo.
Lui non rispose, aspettando pazientemente.
Bronwen si illuminò alla vista di diversi pezzi di cioccolata tagliati in modo grossolano ma ordinatamente impilati.
“Sempre meno rivoltante”, lo informò, addentandone uno con infinita soddisfazione.
Lui scoppiò a ridere, scuotendo la testa.
“Ma è all’arancia! Dove l’hai presa?”.
“Ho fatto un salto nelle cucine del castello, agli elfi sono simpatico. E’ la tua preferita o sbaglio?”.
La ragazza lo fissava, incredula.
“Come lo sai?”.
“Lo hai detto tu, no? La settimana scorsa, quando discutevi con Remus di dolci. Devo dire che sapete essere imbarazzanti se vi ci mettete.”
Bronwen non rispose, troppo sconvolta dal fatto che si fosse ricordato un dettaglio tanto insignificante e si fosse dato anche tanto disturbo per una cosa simile.
Non sapeva se sentirsi più lusingata o imbarazzata, ma il cuore prese a batterle più forte e sentì distintamente un calore improvviso salirle fino alle guance.
Lui sospirò.
“Sempre quell’espressione scioccata ogni volta che faccio qualcosa che non sia procurarmi una tripla punizione con Gazza.”
Bronwen si mise a sedere più dritta, sporgendosi appena verso di lui.
“Non sono scioccata da quello!”.
“E allora da cosa? Non riesci a credere che sia capace di essere gentile?”.
“Sono solo sconcertata dal fatto che tu mi abbia prestato attenzione!”, sbottò lei, resistendo alla voglia di spingerlo giù dal letto per davvero.
Sirius aggrottò le sopracciglia.
“E perché una cosa del genere dovrebbe sconvolgerti? Pensavo fosse chiaro.”
“Cosa?”.
“Che mi piaci.”
La ragazza sentì lo stomaco fare una capriola a quelle parole.
Presa totalmente in contropiede non riuscì a trovare qualcosa di intelligente da dire, ma non voleva che interpretasse di nuovo il suo silenzio nel modo sbagliato.
Perciò prese un respiro profondo e si sporse per abbracciarlo con delicatezza, poggiandogli la testa sulla spalla.
Forse era un modo infantile di reagire ma aveva represso quell’impulso troppe volte e sentiva davvero di aver bisogno di un suo abbraccio dopo tutto il sostegno e l’attenzione che aveva mostrato nei suoi confronti.
Sirius la strinse piano, per paura di farle male, ma fu immensamente sollevato da quel gesto.
La ragazza sentì improvvisamente il peso di quello che era successo cascarle addosso e schiacciarla fino a toglierle il respiro.
Per l’ennesima volta si ricordò di quello che stava succedendo fuori da Hogwarts e la consapevolezza del fatto che quel veleno fosse penetrato anche all’interno del castello la fece star male tanto da provocarle un forte senso di nausea.
Strinse il ragazzo più forte, nascondendo il viso nella sua camicia profumata, consapevole del fatto che avesse iniziato a piangere.
Lui capì e faticò a reprimere l’impulso di fiondarsi nella sala comune di Serpeverde, perché era sicuro si trovassero lì, a farsi dire prima e a prendere a calci poi chiunque avesse partecipato all'aggressione.
Voleva andare da Silente e dirgli di fare qualcosa prima che prendesse a pugni qualunque imbecille facesse riferimento ai Mangiamorte nei corridoi.
Non che non avesse dei sospetti, ma si rifiutava anche solo di considerare l’idea che suo fratello c’entrasse qualcosa: farlo avrebbe voluto dire sbarrare per sempre qualunque spiraglio di una possibile riconciliazione.
Le accarezzò lentamente i capelli, sentendosi schifosamente impotente, e quando sciolse l’abbraccio e gli sorrise nonostante avesse il volto rigato di lacrime, capì che non avrebbe più permesso che le succedesse qualcosa.
Né a lei, né alla sua famiglia.
Voleva disperatamente proteggerla, quasi quanto aveva voluto proteggere suo fratello, probabilmente per illudersi di essere effettivamente capace di concludere qualcosa di buono.
I suoi genitori non potevano davvero aver avuto ragione ogni volta che lo avevano definito una vergogna, un fallimento, un traditore.
“Sirius?”.
Lui abbassò lo sguardo, sentendo gli occhi pizzicargli fastidiosamente.
Trasalì quando gli accarezzò delicatamente i capelli, facendoci scorrere le dita sottili che tremavano appena.
“Smettila di tormentarti”, disse con un tono a metà tra il dolce e l’autoritario.
“Non mi sto tormentando”, rispose lui testardamente.
“Invece sì, lo fai di continuo. Non mi piace vederti così.”
“E com’è che ti piace vedermi?”, le chiese con una improvvisa punta di malizia, il familiare sorriso insolente dipinto sulle labbra.
Lei gli diede una spinta scherzosa, trattenendo a stento un sorriso di rimando.

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Capitolo 9
*** IX. ***


Fieri sentio

IX.

 

Il Natale era alle porte e la trepidazione al castello era palpabile.
Armature e corridoi erano decorati con luci e ghirlande, almeno dodici diversi alberi di Natale splendevano nella Sala Grande e gli studenti avevano addobbato le proprie sale comuni anche se quasi nessuno sarebbe rimasto per le vacanze.
Bronwen adorava le decorazioni stregate che iniziavano ad intonare canti natalizi ogni volta che qualcuno si trovava nei paraggi, e ancor di più le piacevano gli abeti abbaglianti e colorati che riuscivano a rendere le ultime lezioni del trimestre un po’ meno deprimenti.
Era riuscita a sollevare la sua media, il professor Lumacorno si era detto soddisfatto del suo lavoro e finalmente le riuscivano anche gli incantesimi Non Verbali che tanto l’avevano tormentata.
L’unica materia che ancora le dava problemi era Storia della Magia, ma Charlie aveva già promesso di darle una mano.
Cornelia e Veronica erano al settimo cielo, non vedevano l’ora di tornare a casa e trascorrere del tempo con le loro famiglie.
Bronwen era felice quanto preoccupata di raggiungere i suoi genitori, ormai una sensazione costante di ansia la accompagnava in ogni momento della giornata.
Da quando era stata aggredita i suoi amici non le avevano più permesso di girare da sola per i corridoi, persino James una volta l’aveva accompagnata in biblioteca con la scusa di battibeccare a proposito di qualcosa.
La ragazza aveva notato di non riuscire più a sentirsi tranquilla come prima, la notte faticava ad addormentarsi e spesso faceva degli incubi che la facevano arrivare al mattino stanca e nervosa.
Naturalmente non ne faceva parola con nessuno, sperava che le vacanze di Natale e il tornare a casa contribuissero a calmarla.
Alla fine era andata da Silente unicamente per chiarire il motivo del suo silenzio, anche se sapeva benissimo che lui già lo conosceva.
Sperava anche che le dicesse qualcosa che potesse rasserenarla, a proposito della situazione generale, ma non aveva colto niente di comprensibile.
Aveva accennato qualcosa a proposito del fatto che il coraggio e la solidarietà prima o poi avrebbero dovuto escludersi, le aveva fatto un discorso sull’importanza del perseverare e dopo averla confusa più di qualunque lezione del Professor Rüf avesse mai fatto, le aveva augurato buone vacanze porgendole un pacchetto di Gelatine Tuttigusti+1.
La sera prima della vigilia Bronwen era in ritardo per la cena perché naturalmente aveva rimandato fino all’ultimo momento il compito ingrato di preparare il suo baule.
Era una cosa che aveva sempre detestato fare, era molto disordinata e con sua madre, perfetta e organizzata in qualunque cosa, era una guerra continua.
Quando si disse soddisfatta dei vestiti piegati e incastrati tra qualche libro, uscì dal dormitorio mormorando tra sé che avrebbe continuato dopo cena.
La sala comune sarebbe stata deserta se non fosse stato per una coppia di studenti del primo anno seduti sul divano a parlare fitto fitto, e Sirius Black, che la aspettava a braccia incrociate appoggiato al muro.
“Hai intenzione di muoverti? Muoio di fame”, la rimbeccò con finto tono irritato.
Lei gli scoccò un sorriso, raggiungendolo senza fretta.
“Mi pareva di ricordare che non avessi problemi a saltare i pasti.”
“Impertinente”, bofonchiò lui a mezza voce, uscendo dal buco del ritratto e sforzandosi di non unirsi alle risate di lei.
Il loro era diventato un rapporto strano.
Bronwen era ormai rassegnata al fatto che lui le piacesse, ma Sirius era diventato come incredibilmente cauto nei suoi confronti.
Niente a che vedere con la sua sicurezza iniziale, di quando l’aveva invitata ad uscire.
Avrebbe mentito se non avesse ammesso a se stessa e alle amiche che quel comportamento l’aveva delusa, non riusciva nemmeno a capire se fosse disinteresse visto che le girava intorno di continuo.
Si tormentava continuando a pensare a come le avesse stretto la mano in Infermeria, a come si fossero abbracciati dopo che le aveva espressamente detto di piacergli.
Possibile che avesse cambiato idea?
Persino Veronica era basita da quel comportamento, dava praticamente per scontato che l’avesse già baciata e fossero addirittura andati oltre.
Bronwen aveva alzato gli occhi al cielo, ricordandole che non tutte erano propense a farsi beccare a fare certe cose dietro un cespuglio come le era notoriamente successo l’anno prima.
Cornelia aveva riso così tanto che le era andato il Succo di Zucca di traverso.
Continuava a pensare di aver fatto qualcosa di sbagliato e proprio mentre iniziava a chiedersi se fosse il caso di confrontarlo, andò a sbattergli contro.
Si era improvvisamente fermato, girandosi verso di lei.
“Ma che fai?”, ridacchiò il ragazzo scostandosi i capelli scuri e disordinati dagli occhi.
Erano all’ingresso della Sala Grande, dalla quale provenivano i soliti rumori di piatti e posate misti al chiacchiericcio allegro degli studenti.
Bronwen fece per entrare ma lui le tirò una manica della divisa, trattenendola fuori.
Sospirò, voltandosi a guardarlo.
Perché non poteva mai dirle espressamente di voler parlare invece di fermarla, tirarla o bloccarla?
“Cosa c’è?”, chiese, impaziente, lo stomaco contratto per la fame.
“Sai che non ci penso proprio a non vederti per due settimane, vero?”.
Bronwen sentì lo stomaco contrarsi per un motivo tutto nuovo e provò allo stesso tempo una punta di fastidio per come riuscisse a lasciarla senza parole tanto facilmente.
Lui le sorrise con dolcezza, soddisfatto del suo silenzio sbigottito.
“I genitori di James abitano a un’ora da Londra, ci sarà anche Remus. Peter sta a Brighton. Mi sembra scontato dirlo, ma vorrei che venissi a trovarci. Potremmo anche venire noi ma credo che sarebbe imbarazzante, per te voglio dire, dopo tutto è più facile quando non si hanno genitori a cui dare spiegazioni.”
“Io, a casa di James?”.
Sirius aggrottò le sopracciglia.
“Non mi dirai che credi ancora che ti odi? E poi non verresti per lui, perciò non farti problemi.”
“Non verrei neanche per te, se è per questo. Però mi piacerebbe vedere Remus e credo anche che i miei genitori non avrebbero problemi a conoscerlo, tu che ne pensi?”, replicò lei con una punta di acidità.
Era stanca, stanca che credesse di averla ai suoi piedi qualunque cosa facesse, stanca che desse per scontato il fatto che sarebbe corsa ovunque fosse stato lui.
Non aveva la minima intenzione di dargliela vinta, anche se aveva passato gli ultimi due giorni a pensare a cosa regalargli per Natale.
Sirius sembrò sinceramente confuso.
“Qual è il problema?”, chiese, colto alla sprovvista.
Lei incrociò le braccia.
“Non c’è nessun problema.”
“Preferisco la chiarezza al sarcasmo, sai?”.
“Ma pensa, siamo in due”, sbottò lei e si voltò per entrare in Sala Grande.
Sirius la bloccò una seconda volta ma la ragazza riuscì e tirare via il braccio e raggiunse con noncuranza il tavolo dei Grifondoro.
Charlie, seduto da esterno a quello dei Corvonero, la salutò con un gran sorriso.
Bronwen si sedette tra Cornelia e Marlene, che le fecero subito spazio, e iniziò a riempirsi il piatto con arrosto e patate.
Con la coda dell’occhio vide Sirius sedersi accanto a Jeremy Quigg, l’aria risentita.
James gli chiese qualcosa ma lui non gli rispose, preferendo concentrarsi sulle sue patate al forno.
Remus ridacchiò.

L’Espresso di Hogwarts sbuffava vapore correndo per le belle campagne inglesi, visibili dal finestrino.
La mattinata era fredda quanto soleggiata e gli studenti chiacchieravano spensierati nei loro scomparimenti, felici all’idea delle due settimane di vacanze che li aspettavano.
Bronwen stava leggendo, Charlie le aveva prestato un altro dei suoi libri.
Lui era in un altro scompartimento, aveva preferito fare il viaggio con i suoi amici e una certa studentessa di Tassorosso che non avrebbe visto per il resto delle vacanze.
Veronica e Cornelia avevano deciso di giocare a scacchi, Lily Evans leggeva il Profeta, James e Sirius discutevano animatamente del primo scherzo dell’anno che avrebbero fatto a Gazza.
Molti studenti portavano i mantelli ma altri avevano scelto i vestiti Babbani, chi per abitudine e chi per evitare il noioso rito di cambio dei vestiti prima di scendere dal treno: faceva davvero freddo.
Bronwen si era messa un maglione a trecce rosso scuro e dei jeans chiari che una volta erano appartenuti a sua madre.
Lily aveva scelto pantaloni neri e un pullover verde oliva che metteva incredibilmente in risalto i suoi capelli rossi.
Erano le uniche due nel loro scompartimento a non indossare la divisa scolastica.
James continuava a lanciarle occhiate palesi, nella speranza che sollevasse lo sguardo dal giornale e gli rivolgesse la parola, cosa che non sembrava sarebbe avvenuta tanto presto.
Sirius cercava di camuffare molto di più le occhiate dirette a Bronwen, che non era mai stata tanto indifferente nei suoi confronti.
Era turbato e aveva tutta l’intenzione di parlare con lei prima di scendere, o sapeva che non l’avrebbe più rivista fino al ritorno a scuola.
La strega del carrello si fermò davanti alla porta scorrevole lasciata a metà, affacciandosi nello scompartimento.
“Qualcosa dal carrello, cari?”.
Veronica interruppe la sua partita per rifornirsi di Cioccorane, tutti gli altri fecero scorta di Calderotti, Zuccotti di Zucca, Bacchette di liquirizia e Cioccoli Giganti.
“Dio, sono davvero la cosa migliore del mondo”, gemette Bronwen, assaporando il sapore al caramello di un Calderotto.
“Dissento”, commentò Veronica, la bocca impastata di cioccolato.
Lily mise finalmente giù il giornale e accettò lo Zuccotto che le stava porgendo uno speranzoso quanto spettinato James.
Era straordinario come i capelli di quel ragazzo non fossero mai a posto.
“Avete comprato dei regali?”, chiese Cornelia, mentre il suo alfiere faceva brutalmente fuori il cavallo della sua avversaria.
“Io ho lavorato un maglione per mia madre e preso degli Zenzerotti per papà”, rispose Lily con la bocca piena.
“Praticamente ho svaligiato Mielandia, i miei genitori impazziscono per i dolci magici. Loro li chiamano così”, sorrise Bronwen.
Aveva pensato anche di prendere dei libri, ma in casa ne avevano fin troppi.
Veronica non rispose, concentrata com’era sulla partita, e Sirius seguì il suo esempio, guardando distrattamente fuori dal finestrino.
James si spettinò ancora di più i capelli già irrimediabilmente in disordine e sorrise, rivolgendosi per lo più a Lily.
“Anche io ho preso un maglione per mia madre. Ho anche comprato la piuma più costosa di Scrivenshaft!”.
La ragazza inarcò un sopracciglio.
“Magnifico, proprio un regalo sentito”, commentò.
James non parve cogliere l’ironia e le rivolse un altro sorriso splendente.
Bronwen distolse lo sguardo per non ridere e incrociò gli occhi grigi di Sirius, che non aveva ancora fiatato.
La ragazza sospirò.
La sera prima aveva mandato un gufo ai suoi genitori e li aveva pregati di comprare una cassetta vuota, che aveva intenzione di riempire con alcune delle sue canzoni preferite.
Non avrebbe lasciato che un’arrabbiatura momentanea oscurasse l’intenzione di fargli un regalo di Natale, anche perché ci aveva pensato per giorni ed era giunta alla conclusione che niente lo avrebbe scioccato più della musica Babbana.
Visto che continuava a fissarla con un’insopportabile espressione abbattuta, accennò un sorriso a labbra chiuse e si alzò, facendogli segno di seguirla in corridoio.
Nessuno fece domande ma sentì chiaramente lo sguardo di Veronica perforarle la schiena.
Chiusa la porta dello scompartimento lui si appoggiò alla parete, le mani in tasca.
Fece per dire qualcosa ma la ragazza lo fermò, sollevando un indice.
“Mi dispiace. Ero arrabbiata per un motivo stupido e me la sono presa con te.”
Era vero, dopo tutto.
Non aveva senso fargli pesare uno sbaglio inesistente, magari era stato poco chiaro e aveva deciso di tirarsi indietro ma poteva davvero fargliene una colpa?
Non si considerava poi questa grande conquista, soprattutto in base agli standard a cui era certa fosse abituato.
“Conoscendomi, ho sicuramente fatto qualcosa per dartene motivo.”
Bronwen ridacchiò nervosamente, scuotendo la testa.
“No, sul serio, non hai fatto niente.”
Poiché continuava a guardarla senza dire una parola, come in attesa, iniziò a sentirsi a disagio.
Dondolò sui talloni un paio di volte, incerta.
“Sono solo irritabile per tutto quello che sta succedendo, sul serio. Torniamo dentro, d’accordo?”, disse in fretta, senza guardarlo, allungando una mano per riaprire la porta dello scompartimento.
Lui gliela abbassò, perentorio.
“Non sei una bugiarda brava quanto credi, sai?”, commentò a mezza voce.
Bronwen sospirò, esasperata.
“Sirius, è stato un comportamento infantile. Ti ho chiesto scusa. Mi lasci?”.
“Dimmi che verrai.”
Lei aggrottò le sopracciglia, mettendoci qualche secondo a capire che si stesse riferendo alla casa di James.
“D'accordo, verrò a trovarvi, sta’ tranquillo!”.
Cercò di tirare via il braccio ma fu completamente inutile.
Irritata, sollevò il viso per guardarlo e fu sorpresa di trovarlo tanto serio.
Era quasi sicura che si stesse divertendo a tormentarla con la sua solita testardaggine e basta.
“No”, mormorò, allentando la presa e scrutandola con attenzione.
“Dimmi che verrai a trovare me.”
C’era qualcosa nel suo tono di voce basso e nel modo in cui la stava guardando che la fece arrossire all’istante, con suo profondo imbarazzo.
“Verrò a trovarti. Va bene?”, sbottò.
La sconvolsero la velocità e la delicatezza con cui le prese il viso tra le mani, avvicinandosi fino a sfiorarle il naso con il suo, la testa leggermente inclinata.
“Verrai per me. Non per Remus o qualcun altro. E’ corretto?”, la voce era un sussurro appena udibile.
La ragazza non riuscì a rispondere subito, aveva la bocca troppo asciutta.
Cercò inutilmente di schiarirsi la gola.
“Sì”, riuscì a pronunciare con un filo di voce.
Lui accennò un sorriso, avvicinandosi e baciandole con delicatezza un angolo della bocca, sfiorandole appena le labbra.
“Molto bene, vedo che ci siamo chiariti”, affermò lasciandola andare e rivolgendole un’occhiata a metà tra il divertito e il soddisfatto, rientrando poi nello scompartimento come se niente fosse.
Bronwen dovette aspettare per diversi minuti che i battiti le diminuissero e che il rossore le svanisse dalle guance prima di poterlo seguire.

King’s Cross era affollatissima, i binari pullulavano di persone che erano andate a prendere amici e parenti in occasione della vigilia.
Bronwen si fece largo tra la folla trascinando il suo baule per correre incontro alla madre e farsi soffocare nel suo abbraccio familiare.
Si accorse che aveva sentito la sua mancanza ed era assolutamente euforica all’idea di passare due settimane lontana dal castello, dalle lezioni e da tutto il resto.
“Oh, Bronwen, sei così bella! E sei diventata più alta o sbaglio? I capelli sono cresciuti, questo è certo. Ma vieni, dammi il baule, papà ci aspetta in macchina!”, la signora Layton aveva fretta come al solito e la ragazza dovette fermarla, ridendo, prima che si fiondasse verso l’uscita della stazione.
“Aspetta un attimo, voglio salutare le ragazze!”.
Lei si illuminò, guardandosi intorno.
Naturalmente conosceva le loro famiglie, erano persino andati a cena a casa di Cornelia una volta o due.
Bronwen scorse le sue amiche a pochi passi da lei e trascinò sua madre per la manica del cappotto rosso in modo che non si perdessero di vista.
Mentre la signora Layton salutava calorosamente i loro genitori, le si avvicinarono stringendosi nei cappotti.
Vivevano entrambe fuori città ma era praticamente scontato che avrebbero trovato il modo di farsi visita a vicenda.
“Cerca di non cacciarti nei guai e tienici aggiornate in queste due settimane. Mi sono spiegata? Su tutto”, Veronica sorrise in modo eloquente.
“Immaginavo ti saresti fatta strane idee”, sospirò la ragazza, rassegnata.
“Meno male che lo immaginavi, dopo essere tornata dal corridoio con dieci minuti di ritardo e le guance in fiamme.”
Cornelia ridacchiò, sollevando la sciarpa grigia perché le coprisse bocca e naso.
Bronwen non sapeva cosa rispondere ma per fortuna non ebbe bisogno di pensarci perché qualcuno le arrivò alle spalle ad abbracciarla tanto forte da sollevarla di peso.
Si voltò, trovandosi naso a naso con Charlie che si abbassò per soffocarla una seconda volta.
“Che cos’è tutto questo affetto?”, gli chiese divertita quando finalmente la lasciò andare.
“Beh, abito a Liverpool, non credo avremo occasione di vederci prima della fine delle vacanze. Mi mancherai!”, le sorrise.
I suoi genitori lo aspettavano qualche passo più indietro, quando la riconobbero la salutarono sollevando le mani e lei ricambiò, felice di averli rivisti.
“Mi mancherai anche tu. Quando vi deciderete a comprare un telefono?”.
“Ah, non credo succederà tanto presto. Devo andare, ci aspettano quattro ore di viaggio e vorremmo arrivare in tempo per far visita alla zia Linda!”.
Si chinò per darle un frettoloso bacio sulla guancia, fece un cenno a Veronica e Cornelia e tornò dai suoi genitori, con i quali sparì quasi subito tra la folla.
Bronwen sorrise: era sempre così felice di tornare a casa.
Le aveva spesso raccontato di avere un rapporto straordinario con i suoi genitori e a lei faceva piacere vederlo tanto rilassato, se lo meritava.
Anche Veronica scappò con suo padre, sarebbero dovuti arrivare a Portsmouth.
La signora Layton continuava a chiacchierare tranquillamente con i genitori di Cornelia, dimenticandosi come sempre di avere fretta.
Bronwen stava per dirle di sbrigarsi ma non osò parlare quando vide Sirius e Remus avvicinarsi a fatica, facendosi largo tra la calca.
Era davvero insolito vederli senza divisa ma stavano sorprendentemente bene con i vestiti normali.
Remus la abbracciò, rivolgendole un gran sorriso.
“James dice che verrai a trovarci!”.
Ma Cornelia catturò quasi subito la sua attenzione e le si avvicinò timidamente, chiedendole qualcosa che non riuscì a sentire.
Sirius fece un passo avanti, il familiare mezzo sorriso a illuminargli il volto perennemente abbronzato.
Ebbe appena il tempo di notare quanto gli stesse bene quella giacca di pelle prima che le porgesse un foglietto ripiegato.
“Qui c’è l’indirizzo di James.”
Lo prese, sfiorandogli appena la mano.
“Quella è tua madre?”, le chiese, guardando oltre la sua schiena.
Bronwen si voltò per un secondo, annuendo con un sorriso.
“Esatto. Si è già dimenticata che papà ci sta aspettando.”
“Non mi avevi detto che fosse così bella.”
“Vuoi chiedere di uscire anche a lei?”.
Il ragazzo rise, scuotendo la testa.
Non osò dirlo ad alta voce ma era quasi certo che fosse gelosa, e non solo in quel momento.
Ogni volta che lo vedeva parlare con una ragazza in sala comune o in aula gli lanciava delle occhiate visibilmente contrariate che cercava poi maldestramente di camuffare.
Non sembrava gradire il modo in cui gli sfioravano il braccio mentre sorridevano o gli sguardi maliziosi che gli dedicavano prima di dirigersi in bagno, invitandolo tacitamente a seguirle.
Sapeva benissimo che non era né il luogo né il momento adatto, ma avrebbe tanto voluto afferrarla per le braccia e baciarla davanti a tutti, per metterla finalmente a tacere.
Gli ci era voluto un po’ per capirlo, ma alla fine ci era arrivato: voleva trasparenza, voleva che le dimostrasse di piacergli.
E lo avrebbe fatto più che volentieri se non fosse stato maledettamente insicuro di ogni gesto, in sua presenza.
Lo metteva in soggezione, temeva sempre di infastidirla o di affrettare troppo le cose.
Così, dopo quello che le era successo, si era fatto bastare tutte le volte che era riuscito a starle vicino, che fossero soli o in compagnia di altri non gli importava.
Ma continuava a sentirsi irrimediabilmente frustrato ogni volta che erano seduti sullo stesso divano in sala comune e non poteva abbracciarla, intrecciare le dita nei suoi capelli troppo mossi, inspirare quel suo perenne buon odore.
Un po’ lo divertiva il fatto che non ne avesse idea, ma il diverimento era stato presto sostituito da una misteriosa sensazione di calore e impazienza quando aveva capito che lei voleva di più.
“Bronwen, dobbiamo andare, è tardi!”, la voce della signora Layton era straordinariamente simile a quella della figlia.
“Beh, ragazzi, ci vediamo presto. Cornelia, ti telefono domani!”, li salutò frettolosamente la ragazza, abbracciandoli a turno nel modo più rapido possibile.
Per evitare che sua madre si avvicinasse e facesse domande sui due nuovi arrivati, Bronwen la raggiunse in un baleno e, riafferrato il suo baule, iniziò a spingerla verso l’uscita salutando con la mano e un gran sorriso i genitori di Cornelia.
Suo padre, stretto nel suo familiare cappotto blu scuro, era appoggiato alla macchina, le braccia incrociate e un sorriso rassegnato.
Notò che aveva i capelli leggermente più brizzolati.
“Non ho sperato neanche per un attimo che vi sbrigaste!”, esordì, allegro, abbracciando la figlia con affetto.
“Mi sei mancato, papà”, disse lei, ricambiando il sorriso.
“Spero ti sia mancata anche la mia cucina, vedrai che cena ti aspetta.”
La aiutò a caricare il baule nel bagagliaio e salirono tutti sulla Mustang rossa e mediamente ammaccata.
La signora Layton si sistemò sul sedile posteriore, scostandosi i capelli biondo cenere dagli occhi.
“Allora, chi erano quei giovanotti con cui stavate parlando?”.
Bronwen soffocò un’imprecazione.

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Capitolo 10
*** X. ***


Fieri sentio

X.

 

Camera sua era sempre la stessa e fu invasa da un sollievo istantaneo appena ci mise piede: la confortava il fatto che la sua scrivania fosse disordinata come l’aveva lasciata, che la libreria fosse piena zeppa di libri meticolosamente sistemati per autore, che le stampe dei suoi pittori e musicisti preferiti fossero ancora appese sul letto dal piumone color lavanda.
Tirò fuori i suoi vestiti dal baule e li sistemò nel cassettone in legno chiaro.
Il libro di Charlie era già sulla scrivania, insieme alla cassetta che aveva chiesto ai suoi genitori.
Con un piccolo sorriso, si lasciò cadere sulla morbida sedia girevole e se la rigirò tra le mani per un po’, cercando di decidere quali canzoni vi avrebbe registrato.
Si ricordò del foglietto che le aveva dato Sirius e lo tirò fuori dalla tasca, aprendolo.
L’indirizzo era scarabocchiato in una grafia disordinata ma riuscì a distinguere le parole “Swindon” e “Godric’s Hollow”, perciò calcolò mentalmente che le ci sarebbe voluta più o meno un’ora di autobus per raggiungere il villaggio.
Alzò gli occhi al cielo quando si accorse che Sirius aveva stregato il foglio affinchè l’indirizzo scomparisse dopo qualche secondo per alternarsi con la scritta “Sbrigati.”
Poiché mancava ancora un po’ prima che la cena fosse pronta, iniziò a stilare una lista di canzoni che credeva gli sarebbero piaciute.
Dopo un’ora passata a rovistare tra le proprie cassette e quelle di suo padre, scelse alcune canzoni seguendo l'istinto e altre perché semplicemente erano tra le sue preferite.
Finalmente, dopo cancellature e sospiri irritati, riuscì a compilare una lista definitiva.

AC/DC – Back in black
AC/DC – Highway to hell
Black Sabbath – Paranoid
Cat Stevens – Wild World
David Bowie – Rebel rebel
Fleetwood Mac – Landslide
Genesis – Dusk
Gladys Knight & The Pips – Midnight train to Georgia
Pink Floyd – Shine on you crazy diamond
The Beatles – Blackbird
The Eagles – Hotel California
The Rolling Stones – Wild horses

Sorrise, soddisfatta e la abbandonò sulla scrivania quando sentì sua madre chiamarla dal piano di sotto, annunciando che la cena era pronta.
Scese in cucina di corsa, saltando l’ultimo gradino delle scale ricoperte di moquette, e alla vista della tavola imbandita si rese conto di avere davvero una gran fame.
Suo padre aveva preparato la sua famosa zuppa di cipolle, delle deliziose bistecche ai ferri ben cotte, patate al forno cosparse di burro e rosmarino e un’imponente ciotola di insalata che troneggiava al centro del tavolo, coperto da una tovaglia candida.
Mangiarono chiacchierando come a solito, le chiesero della scuola e Bronwen raccontò con entusiasmo delle ultime lezioni di Astronomia e Incantesimi.
Non le passò neanche per l’anticamera del cervello di raccontare loro dell’aggressione subita, visto che evidentemente Silente era stato tanto gentile da non fiatare.
“Che mi dici di Veronica e Cornelia? Se la cavano bene?”, le chiese suo padre, servendosi una seconda porzione di insalata.
“Certo, alla grande, soprattutto Cornelia. Lumacorno non fa che elogiarla, credo che lei e Lily Evans siano le sue preferite”, rispose la ragazza, scrollando le spalle.
“Sono sicura che il professor Lumacorno abbia un’ottima considerazione anche di te”, intervenne sua madre.
“Ah, non ci giurerei, Pozioni non è proprio la mia materia preferita. Ma sono comunque riuscita a strappargli un Oltre Ogni Previsione, quindi non mi lamento.”
“E Charlie? Come sta?”.
“Bene, ovviamente ha il massimo dei voti in tutto. Vi saluta tanto.”
Bronwen deglutì a fatica un pezzo di bistecca e bevve un sorso d’acqua, la bocca improvvisamente secca.
Si era ricordata della conversazione che avevano avuto a proposito di quello che stava succedendo e sentì una stretta allo stomaco guardando i suoi genitori scambiarsi sguardi felici e orgogliosi, godendosi una normale cena di famiglia.
Lavarono i piatti e misero in ordine la cucina tutti insieme, per poi spostarsi in soggiorno, dove il camino di mattoni era acceso e illuminava le tre calze rosse appese poco più sopra.
Parlarono ancora un po’ della scuola, poi la signora Layton si alzò per preparare il caffè al marito e tornò dalla cucina con un vassoio di budini al cioccolato.
Bronwen mangiò il suo raggomitolata nella sua poltrona preferita, guardando suo padre sorseggiare il caffè dalla sua tazza arancione e la madre leggere distrattamente una rivista di arte italiana.
Era totalmente assorta nei suoi pensieri, lo sguardo fisso sulle ombre proiettate dal fuoco del camino sul tappeto rosso scuro, quando si sentì chiamare.
“Non credi che dovresti andare a letto? Sembri stanca”, osservò suo padre, la fronte leggermente aggrottata.
Come a confermare le sue parole, Bronwen sbadigliò sonoramente, coprendosi la bocca con il dorso della mano.
“Sì, meglio che vada. Buonanotte”, li salutò sorridente, alzandosi dalla poltrona e baciandoli entrambi sulla guancia.
“’Notte, tesoro”, rispose sua madre, seguendola con lo sguardo mentre andava in cucina a posare il suo piatto di budino.
Si trascinò pigramente al piano di sopra e si infilò il suo imbarazzante ma affezionato pigiama natalizio ricco di stampe di abeti, pacchetti, bastoncini di zucchero e renne.
Legò i capelli in uno chignon disordinato e andò a lavarsi i denti, chiedendosi distrattamente cosa stessero facendo le sue amiche.
Probabilmente Veronica era ancora a casa di sua zia, intenta a giocare con i suoi esasperanti e numerosi cugini.
Forse Cornelia era già a letto, impegnata nella lettura di un libro o nella scrittura di un biglietto di auguri per Remus.
Si disse che il giorno dopo le avrebbe passato l’indirizzo di James, così, tanto per sicurezza: forse finalmente la situazione si sarebbe smossa.
Spense la luce del bagno e tornò in camera sua, chiuse la porta e si lasciò cadere tra le morbide e familiari lenzuola profumate che tanto le erano mancate.
Si ricordò della cassetta che avrebbe dovuto preparare il giorno dopo e fu sorpresa dalla contentezza che le provocò quel pensiero.
Non vedeva l’ora di dargliela, di vederlo sorridere.
Chissà quanto dovevano renderlo triste le festività, probabilmente cercava di nasconderlo ma era sicura che si chiedesse cosa stesse facendo la sua famiglia.
Allontanò quel pensiero seduta stante, sentendo la rabbia montare.
Chiuse gli occhi, sospirando profondamente, e si addormentò quasi subito.
Quella fu la prima notte in cui sognò Sirius Black. 

La mattina di Natale era fredda e cupa, le case dei vicini sembravano quasi nascoste dalla nebbia opaca che aveva invaso le strade di Londra.
Bronwen si alzò, nonostante tutto, di ottimo umore.
L’entusiasmo che le provocava la sua festività preferita non l’aveva mai abbandonata da quando era piccola, aveva sempre adorato tutto di quella giornata e sapeva anche esattamente come si sarebbe svolta.
Quando scese in soggiorno, canticchiando allegramente e con i regali per i suoi genitori nascosti dietro la schiena, fu sollevata dal non trovarli.
Nascose in fretta i pacchi di dolci nelle loro calze e sorrise, come al solito, del fatto che i suoi regali erano sparsi per terra, davanti al camino.
Raggiunse i suoi genitori in cucina, dove stavano facendo una colazione abbondante in vista del cenone per il quale si sarebbero presto messi a cucinare.
Si accomodò accanto a sua madre, che le servì una generosa quantità di uova e prosciutto.
“Che programmi abbiamo?”, chiese la ragazza, versandosi del succo di arancia.
“Ceniamo dai nonni, ci sarà anche tua zia”, le rispose suo padre, intento a leggere il giornale.
Bronwen si illuminò.
“Magnifico! Solo… non ho pensato di prendere dei regali per loro”, dichiarò, desolata.
“Ci abbiamo già pensato noi, diremo che sono da parte di tutti.”
“Quanto siete previdenti.”
“Ci si abitua, con te”, la prese in giro sua madre, facendole alzare gli occhi al cielo.
Cercò di mantenere un certo contegno mentre finiva in fretta di mangiare, entusiasta all’idea di correre a scartare i suoi regali.
Quando finalmente la tavola fu sparecchiata, uscì dalla cucina con una certa nonchalance ma sentì chiaramente i suoi genitori soffocare delle risate.
Aprì i pacchetti colorati seduta a gambe incrociate sul tappeto, sorridendo sempre di più ad ogni regalo.
I suoi le avevano preso un maglione a coste grigio chiaro dall’aria molto comoda, Veronica le aveva spedito un barattolo della famosa marmellata di pesche di sua nonna, Cornelia aveva confezionato dei biscotti alla cannella in un grazioso pacchetto decorato a mano.
Ridacchiò alla vista del regalo di Charlie: una palla di neve magica, al cui interno due bambini si riscaldavano attorno al fuoco mentre uno finiva di costruire un pupazzo di neve dall’aria allegra.
Si accorse che i fiocchi continuavano a cadere incessantemente sui tre abeti che facevano da sfondo, ma la neve non si accumulava per terra e il fuoco restava acceso.
I suoi genitori la raggiunsero, dando un’occhiata ai pacchetti scartati.
“Sono davvero belli!”, commentò sua madre.
Bronwen sorrise, facendole segno di dare un’occhiata alle loro calze.
Come sempre, la loro fu una gioia incontenibile alla vista delle numerose confezioni di dolci che aveva comprato da Mielandia.
Essendo già tarda mattinata, Bronwen non riuscì a svignarsela al piano di sopra per iniziare a registrare la cassetta di Sirius poiché la obbligarono a dare una mano in cucina visto che i nonni avevano chiesto a loro di preparare il primo.
Ancora in pigiama, quindi, si occupò di organizzare gli ingredienti per il ripieno del tacchino: prugne secche, castagne lessate, salsiccia e marsala.
Una volta pronti, li passò a suo padre perché svolgesse l’ingrato compito di infilare le mani all’interno del tacchino mentre la mamma rivestiva una teglia di scalogno, rosmarino, salvia, olio e fette di mele.
Bronwen si lavò frettolosamente le mani, lanciando un’occhiata all’orologio e soffocando un gemito: era tardissimo e non si era ancora fatta neanche una doccia.
“Tesoro, andresti a comprare le mince pies alla pasticceria di Marylebone road? Non ho proprio avuto il tempo di prepararle e sai che sono le preferite di tuo nonno”, la voce di sua madre la distrasse dai calcoli che stava facendo su quanto tempo le restasse, visto che aveva deciso di recarsi da James l’indomani.
“Oh. Sì, d’accordo”, rispose slacciandosi il grembiule, ormai rassegnata all’idea di dover rimandare a quando sarebbero stati di ritorno dalla cena.
“Vado a fare una doccia, poi esco.”
Senza attendere una risposta, salì rapidamente al piano di sopra e si chiuse in bagno.
Sotto il getto dell’acqua calda e immersa nel profumo rassicurante del suo shampoo al miele, si chiese se sarebbe stato prudente uscire senza bacchetta.
Si rispose immediatamente di no, dandosi della stupida.
Londra era strana, ci aveva fatto caso subito: l’aria era diversa, troppo densa, ogni tanto le sembrava addirittura di scorgere dei lampi in lontananza.
E faceva davvero insolitamente freddo.
Non aveva dubbi sul fatto che in giro ci fossero dei Mangiamorte, d’altra parte si sentiva sempre più spesso di Babbani scomparsi o morti in circostanze misteriose.
Sapeva che la famiglia di maghi più vicina a loro abitava a tre fermate di autobus di distanza, perciò la atterriva l’idea che la responsabilità di proteggere i suoi genitori ricadesse interamente su di lei.
Si sentiva nervosa all’idea di lasciarli da soli per mezza giornata, il tempo che avrebbe passato da Sirius, ma allo stesso tempo la prospettiva di non uscire di casa (e non vederlo) per due intere settimane la soffocava.
Con un sospiro frustrato si avvolse nel suo accappatoio bianco, tamponandosi i capelli bagnati con un asciugamano mentre tornava in camera sua.
Mezz’ora dopo, vestita con più strati del solito e con la bacchetta infilata in una tasca interna del cappotto, uscì e si diresse a passo svelto verso la fermata dell’autobus.
Da Westminster ci volevano circa venti minuti per arrivare a Marylebone e Bronwen passò l’intero tragitto sulle spine, scrutando dubbiosamente il cielo plumbeo dal finestrino.
Strinse la bacchetta più di una volta, da quando in fila in pasticceria un uomo dall’aria burbera incrociò il suo sguardo a quando, sulla strada del ritorno, una donna dai lunghi capelli scuri le rivolse un sorriso strano.
Tirò un sospiro di sollievo appena si richiuse la porta di casa alle spalle, serrando gli occhi per un attimo prima di sfilarsi le scarpe e portare la scatola di dolci in cucina, dove sua madre stava attentamente controllando il tacchino ormai quasi cotto.
Era impegnata a mangiucchiare qualche avanzo della colazione quando suo padre la chiamò dal soggiorno, avvisandola che la volevano al telefono.
Bronwen aggrottò le sopracciglia e si pulì le mani dalle briciole di toast, uscì dalla cucina e raggiunse il padre, che le stava tendendo la cornetta con un’espressione divertita.
La prese e gli fece segno di allontanarsi, guadagnandosi un’occhiata contrariata.
“Pronto?”.
“E così ho già conosciuto tuo padre, non ti sembra un passo affrettato?”.
La ragazza sentì uno strano calore invaderle il viso al suono di quella voce roca fin troppo familiare.
“Ma… come…”.
“Oh, i genitori di James hanno uno di questi cosi, li usano per parlare con i loro amici Babbani. Ho pregato Cornelia di darmi il tuo numero, spero non ti dispiaccia.”
Bronwen inspirò profondamente, appoggiandosi al muro.
“No, non mi dispiace”, ammise, scoprendo che era molto più semplice dire quello che pensava davvero quando non ce l’aveva davanti.
“Ottimo”, rispose lui.
Capì dal suo tono di voce che stava sorridendo.
“Stiamo preparando la cena, sono riuscito a scappare per cinque minuti. James è ancora immerso in un tacchino fino ai gomiti, Remus sta preparando una crostata.”
Bronwen non riuscì a trattenere una risata: avrebbe tanto voluto assistere.
“E la tua mansione quale sarebbe?”.
“Stare fermo, essere bello, le solite cose. Se fossi qui alzeresti gli occhi al cielo con un sospiro spazientito, lo so.”
La ragazza sorrise.
“La tua perspicacia mi stupisce.”
“Ancora insisti nel sottovalutarmi. Ricevuto qualche regalo degno di nota?”.
Glieli elencò con gioia, descrivendo con particolare cura quello di Charlie, cosa che sembrò infastidirlo appena.
Quando gli fece la stessa domanda, fu sorpresa dal suo tono emozionato nell’annunciarle che suo zio gli aveva regalato una motocicletta.
E non una qualsiasi, puntualizzò, ma la più potente che avesse mai provato.
“E’ una Triumph Bonneville T 120 del 1959, l’oggetto più straordinario sul quale abbia mai posato gli occhi!”.
“Ma guarda, e io che credevo fosse lo specchio”, lo prese in giro, nascondendo la felicità nel sapere che un membro della sua famiglia si fosse ricordato di lui.
“Veramente simpatica.”
Le disse anche che i genitori di James avevano regalato a entrambi un libro sul Quidditch e in particolare su tutte le squadre dell’Irlanda e dell’Inghilterra.
“Dovrai assolutamente prestarmelo”, sorrise la ragazza.
“Ma certo. Adesso devo andare, mi stanno chiamando. A quanto pare non resistono più di dieci minuti senza il sottoscritto.”
Bronwen alzò gli occhi al cielo, ignorando la sensazione di delusione che l’aveva invasa al pensiero di doverlo già salutare.
“D’accordo, va’ pure. Spero passiate una bella serata, non mangiare fino a fare indigestione come fai al castello.”
“Ehi, è successo solo tre volte in sei anni!”, protestò il ragazzo, facendola ridere.
Seguì un breve silenzio, come se stesse esitando.
“Buon Natale, Bronwen.”
Lei annuì, come se potesse vederla, e si aprì in un sorriso.
“Anche a te, Sirius. Sono contenta di sapere che stai bene”, disse con sincerità.
“Starò meglio quando verrai qui. A domani, non perdere l’autobus”, rispose lui, di nuovo si accorse che stava sorridendo.
“Ma come fai a sapere…”.
Naturalmente aveva già riattaccato.
Mise giù la cornetta con un sospiro frustrato e ignorò lo sguardo denso di interrogativi che il padre le stava rivolgendo: era spuntato dalla cucina con una velocità sorprendente.
“Non ti dirò niente”, chiarì, superandolo per salire al piano di sopra e prepararsi per la cena.
“Questo mi dice già molto!”, le urlò dietro lui tra le risate.

Fu una serata straordinaria, sotto tutti i punti di vista.
Erano mesi che non si sentiva felice e tranquilla come lo era stata a tavola con la sua numerosa famiglia, che come al solito si era superata tra cena e decorazioni.
Sua zia le fece infinite domande su Hogwarts e si concentrò con una certa insistenza nel chiederle di incantesimi dimagranti o che rendessero la pelle liscia e totalmente priva di rughe.
Bronwen rispose con una risata, pensando a come sarebbe stato assistere a lezioni del genere con il professor Vitious.
Come ogni anno, dopo aver lavato le stoviglie della cena , si sedettero tutti in salotto ad ascoltare i vinili preferiti della nonna, che di tanto in tanto raccontava qualche aneddoto sulla sua giovinezza e su come avesse conosciuto il nonno, che le aveva dedicato molte delle sue canzoni preferite.
Bronwen preparò quantità industriali di cioccolata calda e sospirò, contenta, scorgendo la neve cadere dalla piccola finestra che dava sul cortile ben curato.
Sorrise quando suo padre si alzò e si diresse spedito verso il giradischi, borbottando che era ora di mettere qualcosa di più moderno prima che si addormentassero tutti.
La nonna gli rivolse un’occhiata di rimprovero ma Bronwen la vide battere il tempo con un piede quando partì The Wonder of You di Elvis Preasley.
Non rifiutò l’invito a ballare del nonno e presto tutti seguirono il loro esempio e si alzarono proprio mentre le ultime note della canzone sfumavano per lasciar iniziare Don’t Go Breaking My Heart.
Bronwen rise di gusto tra le braccia di sua zia, che continuava ad andare assolutamente fuori tempo ma con un’energia sorprendente che la faceva trotterellare da una parte all’altra della stanza e al tempo stesso a urlare le parole della canzone.
Era noto a tutti che avesse una passione per Elton John.
Quando tutti tornarono nuovamente ai propri posti, tra fiatone e sorrisi, la ragazza si rese conto di essersi completamente dimenticata di Regulus, di Voldemort, di Hogwarts, e si sentì come se il loro mondo fosse lontano anni luce dal suo.
Trovò straordinario illudersi di essere come tutti gli altri, anche se solo per qualche ora.
Mai come in quel momento Bronwen pregò che nulla cambiasse, che la sua famiglia fosse sempre felice e pronta a ballare ascoltando vecchi vinili, la sera di Natale.

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Capitolo 11
*** XI. ***


Fieri sentio

XI.

 

L’autobus era mezzo vuoto e sobbalzava a ogni buca che l’autista continuava a prendere con sorprendente noncuranza mentre canticchiava a bocca chiusa qualunque canzone l’autoradio trasmettesse.
Bronwen non riuscì a sopprimere l’ennesimo sbadiglio mentre guardava fuori dal finestrino, la testa abbandonata sul sedile e la mano destra pigramente stretta attorno alla bacchetta nascosta ancora una volta nel cappotto.
La signora seduta dietro di lei stava ancora parlando al telefono con quello che doveva essere suo nipote, ormai aveva perso il conto delle volte in cui gli aveva raccomandato di coprirsi bene perché il meteo prevedeva intense nevicate a Birmingham.
Anche quella mattina faceva molto freddo, ma qualche pallido raggio di sole ogni tanto faceva mostra di sé in mezzo al cielo plumbeo.
Bronwen era partita da casa alle nove e mezza ed erano ormai quasi le undici, traffico permettendo sarebbe arrivata presto.
I suoi genitori erano stati piuttosto sorpresi di vederla prepararsi per andare a trovare degli amici, in parte perché si era alzata presto (mica lo sapevano che aveva fatto le quattro per quella stupida cassetta) ma soprattutto perché durante le vacanze era molto raro che si allontanasse tanto da casa.
Solitamente preferiva passare il tempo a leggere o a passeggiare per Londra, una volta o due erano andati da Veronica e Cornelia ma era molto più comune che fossero loro ad andare a trovarla.
L’autobus si fermò e l’autista annunciò che quella era l’ultima fermata, perciò Bronwen si alzò e attese che la signora dietro di lei avanzasse prima di seguire gli altri passeggeri giù dal veicolo.
“Scusi, quali sono gli orari degli autobus di ritorno per Londra?”, si ricordò di chiedere all’autista, un piede ancora sull’ultimo gradino.
“Fascia?”.
“Pomeridiana.”
“Tre e un quarto, cinque e venti, sei e mezza”, la informò con aria annoiata.
Lei sorrise.
“Grazie, arrivederci!”.
Saltò giù dall’autobus, sistemandosi lo zaino di stoffa sulle spalle e sollevando la spessa sciarpa color senape in modo che le coprisse la bocca.
Prima che potesse lasciarsi cadere nello sconforto più totale in seguito alla realizzazione di non avere idea di dove si trovasse la casa di James, la raggiunse una voce familiare e fin troppo vicina.
Finalmente, stavo per morire assiderato!”.
Bronwen si voltò e si ritrovò davanti un Sirius imbaccuccato da capo a piedi, con le guance rosse e dallo sguardo accusatorio.
“Ma come facevi a sapere…”.
“Non lo sapevo, per questo sono qui dalle otto. Immaginavo saresti venuta di mattina ma ero ormai arreso all’idea di trasformarmi in un ghiacciolo.”
“In qualche modo avrei trovato la casa, non c’era bisogno…”.
“Già, me lo sono ripetuto almeno quindici volte nelle ultime tre ore.”
Lo disse però con tono divertito e non riuscì a nascondere un sorriso.
Lei ebbe appena il tempo di notare che riuscisse a essere bello anche con del nevischio tra i capelli che fuoriuscivano dal cappellino grigio, prima che le facesse segno di seguirlo.
“Cos’hai lì?”, le chiese, indicando la busta colorata che teneva in mano.
“Una sciocchezza per i genitori di James, non mi sembrava carino presentarmi a mani vuote.”
Sirius increspò le labbra.
“Accidenti, adesso non mi lasceranno più in pace.”
“Cosa?”.
“Non solo sei la prima ragazza che porto a casa, sei anche straordinariamente gentile. Mi tormenteranno in eterno.”
Bronwen sorrise, non riuscendo a nascondere una certa soddisfazione nell’avere un primato del genere.
La prima ragazza che avesse mai portato a casa.
“Ora sì che sono nervosa.”
“Oh, non esserlo, è molto facile piacere ai Potter. Basta fare esattamente il contrario di quello che fa la mia famiglia”, ridacchiò lui ma Bronwen colse chiaramente una nota di amarezza nella sua voce.
Istintivamente, gli prese la mano e cercò di distrarlo chiacchierando della cena della sera precedente.
Svoltarono in una stradina sui cui lati si alternavano casette dalle facciate color pastello e negozi di vario genere, ma non c’erano molte persone ad animare i marciapiedi.
Gli stivali di entrambi affondavano nella neve ormai mista a fango e Bronwen, che iniziava a perdere sensibilità al viso a causa del vento tagliente, pregò che la casa non distasse ancora molto.
Per fortuna, il ragazzo gliela indicò qualche minuto dopo con la stessa espressione di sollievo.
Era un edificio di pietra a due piani dall’aria confortevole, circondato da un muretto che nascondeva un piccolo giardino spoglio che però contava numerose siepi.
Sirius spinse il minuscolo cancello di ferro e lo tenne aperto perché Bronwen entrasse nel cortile, poi lo richiuse con un rumore sordo.
La porta di casa si spalancò e sulla soglia comparve una donna non più molto giovane ma con le guance colorate e gli occhi vispi.
Indossava un grembiule a fiori e si stava asciugando le mani con un panno.
“Oh, finalmente! Sbrigatevi, si gela!”, gesticolò freneticamente, facendo segno ad entrambi di entrare in casa.
Appena richiuse la porta, Sirius sospirò di sollievo e si tolse il cappellino, scompigliandosi i capelli scuri e umidi.
Bronwen non ebbe il tempo di presentarsi perché la donna la soffocò in un abbraccio affettuoso.
“Che piacere conoscerti, Bronwen! Spero che l’arrosto ti piaccia perché ne ho preparato a quintali e… oh, ma togliti quel cappotto! Su, cara, dai a me…”, le intimò frettolosamente.
Lei sorrise, porgendoglielo e sfilandosi anche la sciarpa.
“Grazie, anche per me è un piacere conoscerla. Ho portato…”.
“Oh, non c’è bisogno di togliersi gli stivali, te li asciugo in un attimo!”, la interruppe, tirando fuori la bacchetta da una tasca del grembiule e muovendola appena in direzione delle scarpe.
“Molto meglio, non ti pare?”, le chiese allegramente.
Continuava a squadrarla e a sorridere ma Bronwen non si sentì a disagio, si vedeva che fosse sinceramente felice che una sconosciuta le fosse piombata in casa il giorno dopo Natale.
Sirius se ne stava appoggiato al muro, le braccia incrociate come al solito e un sorriso beffardo sul viso, come se avesse già previsto l’intera scena.
“Avrei portato…”, tentò una seconda volta la ragazza, ma fu nuovamente interrotta dalla donna che chiamò a gran voce suo marito mentre la guidava in soggiorno con fare materno.
Li raggiunse un uomo magro e dalle ginocchia nodose, decisamente più anziano di lei, dai capelli grigi ormai radi.
Era piuttosto minuto, il suo sguardo era però vivace quanto quello della moglie anche se più serio.
Le strinse la mano con un sorriso cortese, dicendole di chiamarsi Fleamont.
“Euphemia, Bronwen vi ha portato un regalo”, intervenne Sirius, portando l’attenzione della donna alla busta ancora tra le mani della ragazza.
Lei gliela porse con un sorriso imbarazzato.
“Oh, che pensiero gentile, ma non avresti dovuto! Caro, guarda, candele profumate!”.
Bronwen ripetè almeno cinque volte che era una sciocchezza e che lo aveva fatto con piacere, ma guardandosi intorno si rese conto di quanto quel regalo sfigurasse in una casa del genere.
Non ci voleva grande spirito di osservazione per constatare che l’arredamento fosse costoso oltre che di buon gusto e all’improvviso si sentì una stupida per non aver pensato di portare qualcosa di più sofisticato.
Sirius parve accorgersi del suo imbarazzo perché le circondò le spalle con un braccio e, con infinita noncuranza, annunciò che sarebbero saliti al piano di sopra.
Euphemia raccomandò ad entrambi di scendere in tempo per il pranzo e rivolse al ragazzo uno sguardo talmente carico di ammonizioni che Bronwen arrossì.
“Lo sapevo che ti saresti preoccupata troppo”, mormorò Sirius mentre salivano le scale in legno.
“E’ stato un regalo così stupido, potevi dirmelo che se la passano bene! Ho fatto una figura…”.
“Splendida. Ora smettila di dire sciocchezze e ammira la mia camera”.
Sembrava sinceramente emozionato quando spalancò la porta di legno che dava in quella doveva essere la stanza di James.
C’erano due letti, uno singolo e uno a una piazza e mezza, entrambi coperti dallo stesso piumone rosso scuro.
Dietro la porta era appesa una divisa da Quidditch, i muri erano tappezzati da poster dei Chudley Cannons e in particolare del famoso battitore Joey Jenkins.
Bronwen li studiò con interesse, il sorriso sempre più largo: anche lei tifava per quella squadra, nonostante il suo sogno più segreto fosse di poter giocare, un giorno, nelle Holyhead Harpies.
Scorse anche qualche articolo di giornale su squadre europee come la norvegese Karasjok Kites, la tedesca Heidelberg Harriers e la bulgara Vratsa Vultures.
Bronwen continuò a passeggiare per la camera, cercando di individuare ciò che non era di James.
Passò davanti al grosso armadio in legno e si fermò davanti alla scrivania in disordine, scorgendo con un sorriso riviste su motociclette e musicisti, una lampada, diversi libri e quaderni scarabocchiati.
“Sai, da come parlavi mi sarei aspettata qualcosa di più sconvolgente”, commentò la ragazza, lanciando un’occhiata alla chitarra acustica poggiata alla parete nell’angolo della stanza.
Sirius, che l’aveva osservata per tutto il tempo con aria divertita, si aprì in un gran sorriso.
“Non mi sembrava il caso di appendere i miei poster, soprattutto perché continuano a far impazzire mia madre. Li ho attaccati con un incantesimo di Adesione Permanente.”
“E i tuoi poster precisamente cosa raffigurerebbero?”.
Il ragazzo scrollò le spalle.
“Ragazze, motociclette. Oh, c’era anche qualche stendardo di Grifondoro, la prima volta che mio padre li ha visti è diventato bianco come Sir Nicholas.”
Bronwen non riuscì a trattenere una risata divertita, scuotendo la testa: era proprio da lui.
Le si avvicinò senza smettere di sorridere, sembrava stranamente teso.
Non poteva certo dirle che gli faceva un certo effetto vederla lì, fuori dalle mura di Hogwarts, in camera del suo migliore amico.
La certezza di piacerle, irrimediabilmente confermata dal fatto che si fosse fatta un’ora di autobus per raggiungerlo, lo rendeva felice quanto nervoso.
Era talmente strano che fosse davvero lì.
“Dove sono James e Remus?”, chiese lei, riportandolo alla realtà.
“Gli ho detto di togliersi dai piedi per un po’, torneranno per pranzo.”
La cosa sembrò sollevarla: avrebbe potuto dargli il suo regalo con più discrezione.
Si sfilò lo zaino dalla spalla e lo poggiò sul pavimento ricoperto da una moquette verde oliva, inginocchiandosi e iniziando a frugare tra le mille cose che si era portata dietro.
Sirius si sedette per terra, le braccia pigramente poggiate sulle ginocchia piegate.
La ragazza, che finalmente era riuscita a tirare fuori il pacchetto che stava cercando, provò un fastidio indicibile nel constatare che anche seduto sul pavimento, con jeans sbiaditi e un semplice maglione nero, sembrasse un modello uscito dall’ultimo numero di una qualsiasi rivista di moda.
Si schiarì la voce e gli porse il suo regalo, sedendosi poi a gambe incrociate e portandosi nervosamente ciocche di capelli dietro le orecchie.
“Cos’è?”, chiese lui, sporgendosi appena per prendere il pacchetto.
“Un’altra sciocchezza.”
Sirius strappò la carta senza tanti complimenti e si bloccò per qualche secondo alla vista della cassetta accuratamente confezionata.
La girò, leggendo con espressione indecifrabile i titoli scritti sul retro in una bella grafia ordinata.
Bronwen si schiarì nuovamente la voce.
“Non so se ascolti la nostra musica, probabilmente sì, sono solo alcune canzoni che pensavo potessero piacerti. Ho anche aggiunto alcune delle mie preferite ma non so quanto potranno…”.
“L’hai fatta tu? Per me?”.
“Beh, è Natale per tutti, no?”.
Il ragazzo si aprì in un mezzo sorriso genuino.
“Sul serio? L’hai davvero fatta per me?”.
“Sì, l’ho fatta per te. Non per Remus o qualcun altro”, lo prese in giro lei, facendolo ridere.
Poi cacciò nuovamente la mano nello zaino, tirando fuori il walkman che suo padre le aveva regalato un paio di anni prima, e glielo porse.
“Te lo presto, ma ti tocca riportarmelo. Ci tengo molto”, lo avvisò.
Sirius era leggermente arrossito, tanto era stato inaspettato quel regalo, ma fu lieto del fatto che non sarebbe sembrato un completo idiota quando le avrebbe dato il suo.
Prese il walkman con delicatezza e si alzò, poggiandolo sulla scrivania insieme alla cassetta.
Poi aprì uno dei cassetti in legno e tirò fuori uno spesso rotolo di pergamena sigillato da un nastro rosso.
“Però non ridere”, la ammonì lasciandosi cadere nuovamente sul pavimento, un po’ più vicino.
Bronwen prese il rotolo che le stava porgendo e gli lanciò uno sguardo a metà tra il divertito e l’imbarazzato.
Non aveva pensato neanche per un attimo che le avrebbe fatto un regalo, l’aveva colta totalmente di sorpresa.
Sfilò con delicatezza il nastro rosso e aprì la pergamena trattenendo il respiro.
Era una mappa, una mappa celeste di diverse costellazioni.
La prima era quella di Orione, comprendeva quelle del Cane Maggiore e di quello Minore.
La ragazza percorse con i polpastrelli l’intera pergamena, indugiando sulle stelle più familiari.
Riconobbe la costellazione di Andromeda con il suo Quadrato di Pegaso e quella dell’Idra, con la sua stella più luminosa: Alphard, il nome di suo zio.
Notò con una stretta al cuore la costellazione del Leone, dove Regulus brillava a intermittenza.
In effetti la pergamena era interamente stregata perchè il disegno, straordinariamente accurato, fosse animato: tutte le costellazioni erano circondate da un bagliore argenteo, in particolar modo le singole stelle, ed erano unite da tratti sottili appena visibili e molto eleganti.
“Astronomia è la tua materia preferita e so che ti piacciono i nomi caratteristici della mia famiglia. Insomma, io li detesto, ma sarebbe stato stupido disegnarti solo la costellazione con il mio, anche perché…”.
“L’hai disegnata tu?”, mormorò la ragazza, sconvolta.
Sirius si grattò una guancia.
“In realtà l’ho solo ricopiata, Remus mi ha aiutato a trovare dei libri in biblioteca… non ti piace? Credevo solo fosse un’idea originale, non ho avuto il tempo di cercare…”.
Bronwen lo guardò arrancare cercando di trovare quante più scuse plausibili gli fosse possibile ma si accorse che non lo stava ascoltando.
Si era preso un disturbo del genere solo perché gli aveva fatto presente il suo interesse per l’Astronomia una volta o due, così aveva deciso di disegnarle una mappa magica che contenesse gli elementi celesti collegati alla sua famiglia.
Nonostante fossero le persone che più odiava al mondo, si era preso la briga di includerle nel suo regalo perché fosse più speciale.
Sentì un piacevole calore invaderle il viso e mise da parte la pergamena, avvicinandosi a lui che ancora insisteva nel farfugliare sciocchezze, lo sguardo fisso sulla moquette verde scuro.
Gli voltò il viso con una decisione che sorprese entrambi e lo baciò, un po’ per zittirlo e un po’ perché le sembrò la cosa più naturale del mondo.
Una parte del suo cervello urlava e schiamazzava, dandole dell’idiota e ricordandole quanto assurdo fosse quello che stava facendo, ma il resto del suo corpo sembrava essere, in fin dei conti, fortemente in disaccordo.
Sirius, superato lo shock iniziale, le afferrò il volto e la baciò in un modo che l’avrebbe fatta arrossire ogni volta che avrebbe ripensato a quel momento.
Fu la prima a staccarsi ma la stretta ferrea di lui le impedì di allontanarsi troppo: voleva godersi la sua espressione imbarazzata, le guance arrossate.
“Allora deduco che il regalo ti piaccia”, le sorrise.
Bronwen riuscì a ridere, imbarazzata.
“Il regalo”, sottolineò con fermezza, “Mi piace davvero molto.”

Furono delle vacanze particolari, che si conclusero troppo presto.
Bronwen ripensò spesso al pomeriggio passato a casa dei Potter, ai dettagli di cui sperava nessuno si fosse accorto, come ad esempio il modo in cui Sirius aveva continuato a guardarla, soprattutto a tavola, mentre rispondeva cordialmente alle domande dei genitori di James.
Era quasi sicura che Remus ci avesse fatto caso, perché le aveva rivolto più di una volta dei sorrisi ambigui.
Lei non aveva ancora deciso come si sentisse di preciso, ma appena erano rimasti di nuovo soli gli aveva espressamente detto di non essere particolarmente brava in quelle cose e mentre faticava a trovare le parole giuste, Sirius le aveva sorriso e l’aveva interrotta, dicendole che non erano obbligati a dare un nome alla cosa.
“Va bene così”, erano state le sue parole.
E le andava davvero bene così, anche perché quando l’aveva riaccompagnata alla fermata dell’autobus l’aveva nuovamente baciato d’istinto, come se il suo corpo avesse deciso di non riuscire più a fare altrimenti.
Nei giorni successivi non le riuscì molto bene di nascondere ai suoi genitori l’esistenza di Sirius Black, perché andò a farle visita più volte e si fermò spesso a pranzo o a cena.
Gli aveva accennato il fatto che la preoccupasse lasciare i genitori da soli troppo a lungo, così aveva deciso che sarebbe stato lui ad andare a trovarla in modo che fosse più tranquilla (e anche per evitare James e Remus, che da quando avevano saputo del bacio non gli avevano dato un attimo di tregua).
Così passarono molto tempo insieme, passeggiando per Londra e parlando di qualsiasi cosa.
Bronwen fu sorpresa dalla quantità di cose che si dissero, era come se una volta cominciato un discorso non riuscissero più a fermarsi.
Trascorsero un intero pomeriggio in camera sua e, dopo aver finito di rispondere alle lettere di Charlie e Veronica, aveva risposto alle sue domande interessate su autori e scrittori le cui opere si dividevano tra la sua libreria straripante di volumi e i muri bianco latte della stanza.
Sirius, steso sul letto della ragazza, aveva ascoltato con un sorriso a labbra chiuse le storie di Shakespeare, Wilde, Dickens, Van Gogh, Monet e Klimt.
C’era una passione tale negli occhi e nella voce di Bronwen mentre parlava di loro che gli venne voglia di studiare e imparare tutto quello che gli stava spiegando, perché gli sembrò l’argomento più interessante e magico del mondo.
Quando era lui a parlare di sé, e non accaddeva spesso, gli argomenti erano solitamente meno spensierati.
Tuttavia a Bronwen piaceva molto starlo a sentire, tanto che aveva insistito perché le insegnasse qualcosa sulle motociclette delle quali era tanto appassionato.
Una volta tornati a scuola fu esilarante assistere alle reazioni degli studenti, ma ancor più a quelle degli insegnanti: la McGranitt sembrava non riuscire a credere ai propri occhi, Vitious fu visibilmente sconvolto dal vederli ridere insieme in corridoio.
Veronica e Cornelia erano raggianti, Charlie si mostrò un po’ meno entusiasta degli altri ma alla fine si fece convincere dal fatto di non aver mai visto la sua migliore amica sorridere come quando era con Sirius Black.
Naturalmente la voce si diffuse a macchia d’olio in tutta la scuola e più di una ragazza sembrava provare un inspiegabile risentimento nei confronti di Bronwen, che tutto sommato non poteva certo biasimarle.
Avrebbe voluto dire loro che era stato un caso, che non avevano niente da invidiarle e lei non era migliore di nessuna di loro, ma si limitava a ignorare pazientemente i loro sguardi rancorosi.
In contrasto, ci fu un avvicinamento con il resto dei Malandrini e anche con Lily Evans, che sembrava sinceramente contenta per entrambi.
Presto però furono altri gli avvenimenti di cui gli studenti iniziarono a preoccuparsi.
Erano sempre di più i genitori che ritiravano i figli dalla scuola, generando un panico che si diffondeva di famiglia in famiglia.
Verso la metà del secondo semestre, il Ministro della Magia Harold Minchum dichiarò ufficialmente che sospettava che alcuni Mangiamorte fossero infiltrati nel Ministero e occupassero posizioni strategiche, che stava facendo tutto ciò che era in suo potere per identificarli ma che la cosa si stava rivelando più complicata del previsto.
Silente non era quasi mai a scuola, neanche i professori avevano idea di dove andasse.
A volte mancava per una o due settimane e gli studenti non sapevano come interpretare quelle assenze.
Le sparizioni e gli omicidi continuavano, ogni volta che a colazione i gufi arrivavano con il giornale l’intera Sala Grande tratteneva il respiro.
I Malandrini facevano scherzi sempre più di rado e solo per tentare di sollevare gli animi, soprattutto agli studenti più piccoli.
Quasi tutti presero esempio da loro e, come guidati da un tacito accordo, studenti di tutte le case iniziarono a prendersi cura di quelli del primo e secondo anno.
Quando non dovevano allenarsi e c’era bel tempo, i membri delle squadre di Quidditch organizzavano delle lezioni in giardino per chi volesse imparare a volare meglio o a giocare.
Tutti quelli con un minimo di esperienza potevano dare una mano e Bronwen, che ogni tanto si era esercitata nel campo, si unì ai Grifondoro.
I Prefetti si misero a disposizione di qualunque studente avesse bisogno di una mano con lo studio e i professori osservavano quella tacita organizzazione a debita distanza, cercando di non far notare la loro commozione, anche se Bronwen poteva giurare di aver visto la McGranitt con gli occhi lucidi una o due volte.
Anche loro cercavano di fare la loro parte, assegnando meno compiti e provando a rendere le lezioni meno stressanti.
Bronwen stava iniziando a ritrovare un briciolo di serenità, che però fu prontamente spazzato via dalla notizia che Veronica le diede una sera in sala comune.
La fissò per qualche secondo, certa di aver capito male.
“Che significa te ne vai?”, mormorò, sentendo il calore sparirle dal corpo.
“I miei genitori vogliono che restiamo uniti. Forse ci trasferiremo, non lo so.”
“Ma… il castello è sicuro, non sai cosa c’è là fuori…”, boccheggiò la ragazza.
“Preferisco stare con loro piuttosto che svegliarmi ogni mattina con il terrore di leggere i loro nomi sul Profeta.”
Bronwen tacque, stravolta da quelle parole: non osava darle torto e il senso di colpa la travolse con violenza.
Veronica sembrò accorgersene perché si sporse subito per prenderle le mani, con uno sguardo che voleva essere rassicurante.
“Sta’ tranquilla, Bronwen, non succederà niente ai tuoi. Non sei certo l’unica che non tornerà a casa, e so che gli Auror stanno facendo del loro meglio per proteggere i Babbani. E’ solo che io non sono abbastanza coraggiosa, preferisco scappare.”
“Ronnie, non dire così”, sussurrò la ragazza con voce spezzata.
Nessuno parlò per un tempo che sembrò infinito.
Cornelia aveva lo sguardo perso nel fuoco del camino da diversi minuti, le amiche la conoscevano abbastanza da sapere che si sentiva in colpa per avere una famiglia Purosangue, più o meno come Charlie, anche se entrambi sapevano che sarebbero comunque stati considerati dei traditori a causa delle loro amicizie Babbane.
Bronwen si massaggiò la fronte, combattendo l’impulso di scoppiare a piangere come una bambina.
“Quando?”, domandò.
“Domani mattina”, rispose Veronica, evitando il suo sguardo.
Bronwen annuì.
“Bene”, fu tutto quello che riuscì a dire.
Si alzarono poco dopo, quando la sala comune era ancora mezza piena ed era decisamente troppo presto per andare a letto.
Si cambiarono in silenzio e poi, senza dirsi niente, si infilarono tutte e tre nel letto di Veronica, tenendosi l’una stretta all’altra, non osando formulare il pensiero che forse quella sarebbe stata l’ultima volta in cui sarebbero state insieme.

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Capitolo 12
*** XII. ***


Fieri sentio

XII.

 

Ci furono molte partenze, il giorno dopo.
Dopo la colazione gli studenti trovarono numerosi genitori nell’Ingresso del castello, tutti con i bauli dei figli tra le mani e gli sguardi mortificati mentre li guardavano salutare i propri amici.
Furono in tanti a trattenersi per salutare chi se ne andava, come sempre, poco importava se si conoscessero o no: un altro tacito accordo per darsi sostegno.
Quasi tutti gli studenti di Grifondoro del sesto anno erano presenti per salutare Veronica e i Malandrini, con i quali aveva iniziato a passare più tempo, le avevano portato un biglietto di buona fortuna che James le aveva consigliato di leggere una volta in viaggio perché non avrebbero retto la vista delle sue lacrime di commozione.
Riuscì a farla ridere e quando si abbracciarono le disse qualcosa all’orecchio che non sentì nessun altro.
Charlie la tenne stretta e le sfregò vigorosamente la schiena, ordinandole di farsi sentire perché loro non avrebbero certo smesso di scriverle.
Cornelia e Bronwen la abbracciarono in contemporanea e a lungo, scosse da singhiozzi silenziosi.
“Tenetevi fuori dai guai”, sorrise Veronica quando la lasciarono andare, gli occhi azzurri arrossati.
“Non ci contare”, le rispose Bronwen dandole una spinta scherzosa.
Cornelia sorrise, porgendole una fotografia che avevano scattato il terzo anno: erano inginocchiate nel cortile del castello e stavano ridendo perché Veronica era fradicia, visto che si era appena buttata nel lago per una scommessa persa con un ragazzo di Serpeverde.
La ragazza prese la foto con un gran sorriso.
“Ci vediamo presto, d’accordo?”, le salutò con la mano, non avendo il coraggio di abbracciarle nuovamente perché sapeva che altrimenti non sarebbe riuscita ad andarsene.
Anche i suoi genitori salutarono i ragazzi prima di metterle un braccio attorno alle spalle e guidarla verso l’uscita.
Veronica si voltò un’ultima volta verso i suoi amici, le guance rigate di lacrime che brillavano al sole.
Non sorrideva più.
Bronwen sentì qualcuno abbracciarla ma non si girò, non distolse lo sguardo dalla sua migliore amica fin quando la vide sparire nel cortile insieme agli altri studenti in partenza.
“Starà bene, vi rivedrete presto”, le mormorò Sirius all’orecchio, gli occhi fissi sulle famiglie che sparivano oltre il cancello della scuola.
La ragazza non rispose, rifiutandosi di seguire gli altri Grifondoro che si stavano avviando verso l’aula di Trasfigurazione.
“Andiamo al lago?”, le propose lui, come se riuscisse a leggerle nel pensiero.
Bronwen annuì e finalmente si voltò, scorgendo il resto dei Malandrini, Charlie e Cornelia che erano rimasti ad aspettarla.
Notò che Remus e la sua amica si tenevano per mano, cosa che le fece accennare un sorriso.
“Ci vediamo più tardi”, disse, cercando inutilmente di schiarirsi la voce roca.
“Sicura di non voler venire a lezione? Ti distrarrebbe”, azzardò Cornelia.
“No, davvero. Però giuro che non salto Incantesimi.”
“Non fatevi beccare dietro un cespuglio”, sorrise James, facendoli ridere tutti.
Bronwen fece elegantemente mostra del suo medio e lui rispose con un occhiolino prima di avviarsi con gli altri verso l’aula della McGranitt.
Charlie si avvicinò e le baciò delicatamente la fronte, come faceva sempre quando era triste, poi seguì gli altri dopo averle lanciato uno sguardo preoccupato.
Decise che quella sera gli avrebbe parlato, sapeva che non passavano del tempo insieme da un po’ e le mancavano molto le loro chiacchierate in corridoio.
C’erano diversi studenti sul prato e Sirius la guidò verso un punto lontano dalla sponda del lago, ormai la conosceva abbastanza da sapere che quando era giù di morale preferiva stare lontana da chiunque potesse rivolgerle la parola.
Si sedette sull’erba tiepida, le gambe divaricate, e la tirò per la manica della divisa in modo che ci si sedesse in mezzo e potesse abbracciarla.
A Bronwen piaceva quel suo lato e sapeva che non erano in tanti a conoscerlo.
Non si trattava del fatto che gli piacesse il contatto fisico, perché quella era una cosa fin troppo risaputa, ma nei mesi che avevano passato insieme aveva imparato a distinguere alcuni gesti dagli altri.
Era come se volesse assicurarsi di stringerla in modo che non andasse in pezzi, per sottolineare il fatto che sarebbe sempre stato lì a proteggerla.
E anche lei aveva imparato a capire quando lui aveva bisogno dello stesso sostegno: erano state diverse le notti passate nel suo dormitorio in cui aveva fatto scorrere le dita tra i suoi capelli disordinati, tenendolo stretto sotto le coperte.
“A cosa pensi?”, gli chiese, la schiena appoggiata al suo petto e lo sguardo fisso sul lago che brillava al sole.
Lui le poggiò il mento sulla spalla.
“A te. Come ti senti?”.
“Stanca. E stupida.”
“Perfetto, niente di nuovo allora. Deliri come al solito.”
Bronwen sospirò.
“Sono seria.”
“Anch’io, non a caso mi chiamo Sirius.”
La ragazza non riuscì a trattenere una risata e si voltò per colpirgli un braccio.
“La pianti di fare l’idiota?”.
“Impossibile, è un’abitudine”, sorrise lui.
Bronwen si fece nuovamente seria.
“Mi sento in colpa a essere qui. Dovrei tornare a casa, proteggere i miei genitori.”
“Sai che non vorrebbero che lasciassi la scuola.”
“E’ davvero importante? Siamo in guerra, potrebbero essere uccisi in qualsiasi momento mentre io me ne sto al sicuro in qualche aula o in sala comune a studiare come se fuori non stesse succedendo niente.”
Sirius non rispose.
Naturalmente la preoccupazione per la propria famiglia era per lui un sentimento assolutamente insolito, ma aveva conosciuto i genitori di Bronwen e non poteva fare a meno di condividere il suo nervosismo.
Non si erano mai dimostrati infastiditi dalle sue intrusioni in casa loro durante le vacanze di Natale, anzi, avevano sempre preparato il tè e lo avevano fatto sentire il benvenuto senza mai essere invadenti.
Aveva risposto con gioia alle domande sui suoi interessi e si era dimostrato altrettanto curioso di conoscere i loro.
La signora Layton aveva preso quasi subito a chiamarlo “caro” e suo marito, dopo il loro terzo incontro, aveva sostituito il suo nome con “figliolo”, facendogli provare una piacevole sensazione di calore che fino a quel momento era riuscito a ritrovare solo in casa Potter.
La sola idea che potesse succedere qualcosa a due persone tanto gentili a causa di una guerra con la quale non c’entravano nulla, bastava a disgustarlo.
“Non voglio lasciare Hogwarts, non voglio lasciare te. Qui mi sento al sicuro e non sono pronta ad andarmene, ma se non dovessi trovare un modo per proteggerli dovrò farlo.”
Sirius annuì lentamente, pensieroso.
“Verrei con te, lo sai, vero?”.
Lei si voltò una seconda volta, lo sguardo più serio e glaciale che mai.
“Tu non ti muovi di qui.”
“Sembra quasi che tu ci creda davvero.”
“Sirius, non credere che ti permetterò…”.
“Non mi serve il tuo permesso.”
Bronwen sospirò pesantemente.
“Odio quando fai così.”
“Un piccolo prezzo da pagare per assicurarmi che non ti faccia ammazzare.”
“Mi commuove la fiducia che nutri nelle mie capacità.”
Sirius le baciò la fronte, ignorando la sua espressione infastidita.
“Mi fido di te. Ma non chiedermi di lasciarti sola.”
 Lei rimase in silenzio per un po’, non sapendo cosa rispondere.
Sapeva che se i ruoli fossero stati invertiti non ci avrebbe pensato due volte a seguirlo ma non poteva non pensare che lei non valesse la pena di un gesto simile.
Lo sguardo le cadde su Alice Grimm, sdraiata al sole con le sue amiche e sorridente come sempre, i capelli chiari sparsi sull’erba.
“Dovresti presentarti ai provini di Quidditch, sai? Come Cacciatrice. A James piace come voli”, la sua voce interruppe i pensieri che già avevano iniziato a serpeggiarle nella mente.
“Non sono abbastanza agile”, rispose distrattamente, senza distogliere lo sguardo da un punto ben preciso del prato.
“Sciocchezze, sei brava quanto Marlene. Scommetto che però faresti meno falli di lei”, sorrise il ragazzo, che poi aggrottò le sopracciglia al silenzio pensieroso di Bronwen.
Non ebbe il tempo di chiederle a cosa stesse pensando perché sfuggì alla sua stretta e si voltò per guardarlo, l’espressione seria.
“Perché io?”, domandò.
Sirius era ancora confuso.
“Te l’ho detto, voli bene.”
“No, voglio dire perché io. Perché hai scelto me?”.
“Cosa?”.
“Insomma, non ti interessava avere una relazione, o sbaglio? Ma avresti potuto scegliere chiunque. Non sono certo tra le più carine della scuola o tra quelle con cui sei stato. Avevi Alice Grimm, Angela Bennett e chissà quante altre ragazze che ancora ti fanno il filo. Perché io?”.
Sirius sbattè le palpebre un paio di volte, preso totalmente in contropiede.
Lo turbò profondamente il fatto che fosse seria, trovava assurdo che non riuscisse a vedere quanto fosse ovvio che non avrebbe mai potuto scegliere qualcuno di diverso da lei.
Lo sapeva, lo sentiva, eppure non aveva idea di come spiegarglielo a parole.
“Potrei farti la stessa domanda”, rispose, risoluto.
Lei sbuffò.
“Ti prego, sai che non è la stessa cosa. Tu sei, beh, tu.”
“E allora?”.
E allora potresti avere di meglio, potresti avere tutto! Hai appena detto che mi seguiresti fuori di qui pur di non lasciarmi sola e lo trovo assurdo, io non…”.
“Non ne vali la pena?”, la interruppe freddamente.
Bronwen si strinse nelle spalle.
“E’ solo che non capisco.”
Lui prese un respiro profondo, chiudendo gli occhi per un attimo.
Poi li riaprì, lo sguardo serio.
“Ogni volta che ti chiederai una sciocchezza del genere, pensaci. Pensa a come rido alle tue stupide battute, alle notti che abbiamo passato insieme, ai pomeriggi con i tuoi genitori. A quello che ti ho raccontato. Pensaci e dimmi se riusciresti a immaginare qualcun altro al tuo posto.”
Bronwen non ebbe neanche bisogno di rifletterci.
“No”, rispose con sincerità.
“Bene, neanche io. E comunque, tanto per la cronaca, io ti trovo bellissima. Chiuso l’argomento.”
Lei accennò un sorriso ancora poco convinto.
“Anche tu non sei male.”
Sirius la abbracciò nuovamente, ignorando la battuta.
Ormai ci aveva fatto l’abitudine ma detestava vederla dubitare di sé, perché era una delle persone più forti e determinate che avesse mai conosciuto.
Avrebbe tanto voluto che fosse sicura del loro rapporto come lo era della sua preparazione scolastica o delle tattiche di Quidditch delle quali continuava a borbottare con James.
Lo turbava il fatto che una persona come lei non riuscisse ad apprezzarsi, soprattutto perché tra i due era sicuramente lui quello a non meritarsela.
C’erano tante cose che non le aveva raccontato perché aveva il terrore che ricominciasse a essere il ragazzo che tanto la infastidiva, quello che  guardava seccata ogni volta che si incrociavano in sala comune.
Ma il sorriso che gli rivolse una volta sciolto l’abbraccio, lo tranquillizzò come sempre.
Gli venne da ridere ripensando a tutte le volte in cui si erano sentiti strani a stare insieme, felici, ma strani.
Eppure era bastata qualche settimana per abituarsi l’uno all’altra e tutto sembrava essere così naturale che nessuno dei due avvertiva più il minimo imbarazzo o disagio.
“Credi davvero che dovrei presentarmi ai provini?”, chiese la ragazza.
“Puoi scommetterci.”
“Perché non provi anche tu? Ti starebbe bene quella divisa.”
Sirius si aprì in un mezzo sorriso.
“Il Quidditch non fa per me. E comunque, non credo esista qualcosa che possa starmi male.”
Lei si avvicinò per baciarlo.
“Dobbiamo proprio fare qualcosa per questa modestia.”

Il professor Lumacorno era particolarmente allegro quel pomeriggio, nonostante il tempo uggioso e deprimente quasi quanto i risultati che la maggior parte degli alunni stava ottenendo nella preparazione della pozione assegnata.
L’Antidoto per i Veleni Rari che ribolliva nei calderoni aveva delle colorazioni che variavano dal viola scuro al marrone fango, con enorme preoccupazione di chi aveva una media già abbastanza bassa.
Mentre incideva i pungiglioni di Billywig con un coltello in acciaio, Bronwen pensò che probabilmente il composto verde acido del calderone di Dorcas Meadowes fosse dovuto ad uno strano quanto impercettibile movimento della bacchetta di Avery, in piedi a pochi passi da lei.
“Solo otto pungiglioni, Bronwen. Ne hai incisi nove”, le sorrise Lily Evans dal banco di fronte al suo.
Lei abbassò lo sguardo e sbuffò, mettendone uno da parte.
“Visto? Se fosse per me la gente morirebbe.”
Lily scoppiò a ridere, causando l’immediato sguardo interessato di James che per sbaglio fece cadere nel suo calderone qualche seme di fuoco in più a giudicare da come la sua pozione prese a scoppiettare.
Lei gli rivolse uno sguardo esasperato, rivolgendo poi nuovamente l’attenzione al proprio calderone.
“Dovresti proprio dargli una possibilità”, disse Bronwen con finta noncuranza.
“Cosa sentono le mie orecchie? Tu che consigli a qualcuno di uscire con James Potter?”, Lily era sconcertata.
“Beh, l’anno scorso non avrei consigliato neanche a Elodie Hewett di uscire con Sirius Black, e guarda com’è finita.”
Risero entrambe, guadagnandosi un’occhiata irritata da più di un Serpeverde.
“Può darsi che gli dica di sì, prima o poi”, ammise Lily, lo sguardo sugli ingredienti che tagliuzzava.
Bronwen sollevò le sopracciglia.
“Non ci posso…”.
“Se glielo dici giuro che spiffero alla McGranitt che passi due notti su tre nel dormitorio maschile.”
La ragazza sorrise.
“Non gli darei mai questa soddisfazione, è giusto che fatichi fino alla fine.”
Lily ricambiò il sorriso, divertita.
“Eppure basterebbe così poco. E’ intelligente, a volte stranamente piacevole, l’ho visto essere gentile con più di un ragazzino. Cosa gli costerebbe non fare l’imbecille?”.
“Il suo ego”, rispose tranquillamente Bronwen lasciando cadere nel suo calderone il corno di Graforno.
Lily sospirò, irritata.
“Giuro che nessuno ha messo alla prova la mia pazienza più di lui in questi sei anni.”
“Credo che la McGranitt sarebbe d’accordo.”
Finirono le loro pozioni quasi nello stesso momento, aggiungendo i Banfelli e i cinque petali di Dittamo.
La pozione di Lily era di un azzurro intenso, perfetto, quella di Bronwen sembrava appena più scura.
Erano in anticipo rispetto agli altri e Lumacorno era ancora intento a leggere una vecchia pergamena seduto alla cattedra.
“Posso farti una domanda indiscreta?”.
Bronwen, che stava ripulendo il suo banco dagli ingredienti avanzati e da quelli frantumati, sollevò lo sguardo.
“Certo”, rispose, incuriosita.
Lily si schiarì la gola ma parlò a voce sorprendentemente bassa.
“E’ stato facile con Sirius? Voglio dire, dimenticarti…”.
“Che per sei anni abbia costantemente desiderato di spaccargli la faccia?”.
“Non avrei saputo dirlo meglio.”
Bronwen sorrise, lanciando un’occhiata al diretto interessato che stava animatamente discutendo con Remus: evidentemente la sua pozione aveva qualcosa che non andava.
“No, non lo è stato per niente. Ma c’erano molti aspetti di lui che non conoscevo e hanno fatto la differenza.”
“Immagino l’abbiano fatta davvero. L’hai cambiato, sai? Lo hanno notato tutti. E’ un’altra persona.”
Bronwen scosse la testa.
“No, non l’ho cambiato. E’ sempre stato molto più dell’idiota che vedevamo girare per i corridoi, e sono quasi convinta che valga lo stesso per James.”
“Già, forse. Se solo…”.
“Non fosse la persona più irritante della scuola? Sarebbe l’ideale. Ma non credere che Sirius non occupi più la seconda posizione nella scala delle persone più moleste del castello, è solo meno attivo del solito.”
Lily si aprì in un gran sorriso, sembrava sollevata.
“Sì, per forza. Ma gli piaci davvero.”
“Così dice, anche se continuo a trovarlo assurdo.”
“Non dire sciocchezze, è talmente ovvio. E poi me lo ha detto chiaramente.”
Bronwen inarcò le sopracciglia, sorpresa.
“Davvero? Voi vi parlate?”.
“Sì, tendenzialmente mi irrita meno di James. Ogni tanto chiacchieriamo, per lo più cerca di convincermi a uscire con il suo amico ma è quasi sempre costretto ad arrendersi entro i primi cinque minuti.”
Lumacorno aveva iniziato a girare tra i banchi, scrutando nei vari calderoni e dando pacche sulle spalle ai suoi prediletti, ignorando e storcendo il naso con chiunque non fosse all’altezza del suo stupido club.
“Devo ammettere che non lo avrei mai immaginato”, Bronwen sorrise all’idea di due persone all’apparenza tanto diverse che condividevano conversazioni amichevoli.
E così le aveva parlato di lei.
Stava per chiederle qualche informazione in più ma Lily la interruppe, stringendosi nelle spalle.
“Già, abbiamo fatto amicizia quando stava con Marlene.”
Il sorriso di Bronwen si spense.
Naturalmente sarebbe stato impossibile ricordarsi di tutte le ragazze che aveva avuto, fino a poco tempo prima neanche le sarebbe importato, eppure quella notizia la infastidì.
“Oh. Avevano una relazione?”, chiese, fingendo noncuranza.
Lily rise, scuotendo la testa.
“Non so se definirla relazione, più che altro andavano a letto insieme. La cosa è andata avanti per un bel… oh, Bronwen, scusami! Non faccio mai attenzione a queste cose, è ovvio che ti dia fastidio”, si era accorta dello sguardo della ragazza e il suo tono aveva subito sfiorato il mortificato.
“No, nessun fastidio, davvero. Marlene è bellissima.”
“Gran bel lavoro come sempre, Evans, tra un po’ mi sostituirai alla cattedra”, il vocione allegro del professor Lumacorno le interruppe e la ragazza gli sorrise con poca convinzione, ringraziandolo.
“Bella pozione anche la tua Layton, la prossima volta però aggiungi meno polvere di Banfelli.”
Lei annuì, ricambiando il sorriso che le aveva rivolto.
Sirius e Remus le fecero un segno di approvazione con il pollice, facendola ridere.
“Bronwen, ti prego, dimmi che non sei arrabbiata.”
“Ma certo che no, Lily. Dovrei avercela con mezza scuola secondo te?”, le rispose con un tono più piccato di quanto avrebbe voluto.
La ragazza si avvicinò, gli occhi verdi le brillavano di determinazione.
“Ti assicuro che Sirius parla di te come se fossi la miglior cosa che gli sia mai capitata.” 
“Vorrei solo capire cosa ci trova di così eccezionale in me. Potrebbe avere…”.
“Non gli interessa quello che potrebbe avere, lui vuole te. Persino io che ti conosco meno di altri capisco il perché. Spero che prima o poi riesca a vederlo anche tu.”
Bronwen accennò un sorriso.
“Grazie. Sei…”.
“E così le due nate Babbane hanno fatto amicizia. Cercate di non stare troppo vicine, l’aula è piccola e la puzza si sente”, la interruppe Mulciber, un ghigno sprezzante dipinto sul faccione roseo.
Lily fece una smorfia.
“La sento anch’io una certa puzza, i Purosangue non ti hanno mai informato dell’esistenza del sapone?”.
L’espressione divertita sparì dal viso del ragazzo, la cui mano si avvicinò alla tasca della divisa.
“Provaci”, gli sorrise Bronwen con la bacchetta già pronta e tenuta accuratamente bassa, in modo che nessuno vedesse.
Lui digrignò i denti.
“Sporca…”.
“Ehi ma che cos’è questa mania della pulizia?”, la voce squillante di James lo fece sussultare: si ricordava fin troppo bene i suoi Schiantesimi.
Mulciber si voltò, lo sguardo ostile e le labbra strette.
Sirius, un braccio intorno alle spalle dell’amico, si aprì in un gran sorriso.
“Eppure non mi pare che tu e quegli idioti dei tuoi amici vi siate mai preoccupati di lavarvi. A te risulta, James?”.
Lui finse di pensarci.
“No. Ma potremmo sempre rimediare noi, a meno che non si tolga subito dai piedi.”
Mulciber li incenerì con lo sguardo.
“Prima o poi…”.
“Ce ne pentiremo”, sbadigliò James.
“E ce la farai pagare”, recitò pigramente Sirius.
Il ragazzo sbuffò dalle narici e si voltò di scatto per raggiungere i suoi compagni fuori dall’aula, tra le risate del gruppo.
Lily interruppe sul nascere il saluto raggiante che il suo spasimante stava per rivolgerle, sollevando un indice.
“Zitto. No, non esco con te neanche oggi, ma se eviti di proferire parola molesta per la prossima mezz’ora, possiamo andare a pranzo insieme.”
James si illuminò.
“Magnifico, sarò mansueto come Minnie quando mangia i suoi zenzerotti.”
Bronwen non riuscì a trattenere una risata: quel soprannome per la McGranitt era la cosa più bella che avessero mai coniato.
“Smettila di incoraggiarlo”, Sirius le passò un braccio intorno alla vita e lei lo abbracciò con un sorriso, godendosi la sensazione morbida del suo maglione sulla guancia.
“E tu smettila con queste smancerie”, lo rimbeccò James, guadagnandosi un pugno scherzoso ma non tanto leggero sulle costole.
Bronwen si accorse che alcuni studenti erano ancora in aula e scorse Severus Piton, per una volta solo, che finiva di mettere via le sue cose.
Si staccò da Sirius e finse un sorriso.
“Ragazzi, avviatevi in Sala Grande. Arrivo tra un attimo.”
Lily aggrottò le sopracciglia.
“Ti aspettiamo, non è un problema.”
“La aspetto io, se volete potete andare”, intervenne Sirius.
Bronwen scosse la testa.
“Vorrei stare sola cinque minuti. Davvero, vi raggiungo subito, datemi solo un momento.”
La guardarono per qualche secondo, confusi, poi si decisero ad avviarsi senza di lei.
La ragazza finì di riordinare il suo banco e infilò il libro di Pozioni nello zaino, seguendo prontamente il ragazzo pallido e magro che uscì dall’aula con passo pesante.

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Capitolo 13
*** XIII. ***


Fieri sentio

XIII.

 

“Severus!”, lo chiamò una volta fuori.
La sua reazione la sorprese: si voltò di scatto, la bacchetta alta, gli occhi straordinariamente attenti.
Bronwen fece un passo indietro, sforzandosi di sorridere.
“Scusa, non volevo spaventarti. Speravo di parlarti un attimo.”
“Perché?”.
La voce era sottile e flebile come al solito, ma abbassò la bacchetta e la ragazza riuscì ad avvicinarsi.
Per fortuna il corridoio era vuoto, probabilmente erano gli unici a non essere a pranzo.
“Volevo solo dirti, insomma, che non ce l’ho con te. Sono convinta che ti sia solo trovato la compagnia sbagliata, se volessi parlare o avessi bisogno di cambiare giro…”.
La sua risata sprezzante la interruppe bruscamente.
“L’arroganza di quelli come te non ha limite. Credi che me ne importi qualcosa se ce l’hai con me o no?”.
“Immagino di no, ma forse ogni tanto aiuterebbe sentirti dire qualcosa di gentile. So che ti hanno trattato ingiustamente, volevo solo…”.
“Tu non sai niente. Non mi interessa quanto nobile credi di essere, risparmiati il discorso amichevole.”
Bronwen sentì l’irritazione crescere a dismisura ma si trattenne dal rispondergli come avrebbe voluto.
“Bene. Speravo potessimo venirci incontro, ma a quanto pare hanno ragione gli altri.”
Severus le rivolse uno sguardo che per un attimo le parve ferito, ma poi riconobbe l’espressione disgustata che lo contraddistingueva.
“Credi davvero di conoscerli, vero? Credi che siano migliori, superiori. Ti sorprenderebbe quello che potrei raccontarti su quel maiale del tuo ragazzo.”
Bronwen sentì il respiro spezzarlesi in gola: non aveva previsto che la conversazione avrebbe preso quella piega.
Sapeva naturalmente, sapeva quanto lo avessero tormentato.
Eppure non conosceva i dettagli e una parte di lei era terrorizzata all’idea di scoprirli, come se potessero spazzare via tutto quello che aveva costruito con Sirius.
“Sai perché è stato sospeso per più di un mese, l’anno scorso? No, scommetto di no. Una come te, se lo scoprisse, non riuscirebbe più a guardarlo.”
Bronwen era mortificata.
“Severus, posso immaginare quanto siano stati orribili con te. E mi dispiace. Se potessi fare qualcosa…”.
“E’ troppo tardi. Ho scelto la mia strada, non mi importa quanto la riteniate sbagliata.”
Non seppe cosa rispondergli e sentì gli occhi inumidirsi di lacrime.
Il ragazzo si sistemò meglio lo zaino sulle spalle.
“Ad ogni modo, ho trovato l’idea dell’aggressione un atto estremamente vile.”
“Suppongo sia stata un’idea di Regulus”, mormorò la ragazza.
“E’ un ragazzino viziato, ma sa quel che fa. Stagli alla larga.”
Lei annuì, tirando su col naso.
“Se mai dovessi cambiare idea…”, cominciò, ma quando sollevò lo sguardo notò con delusione che Severus si era già avviato nella direzione opposta.
Addolorata, si rese conto che quel suo disprezzo era una scelta che era stato costretto a fare.
Era convinta che sarebbe stato possibile salvarlo dalle decisioni sbagliate se solo qualcuno fosse intervenuto prima.
Si ricordò di tutti i motivi per cui aveva sempre odiato i Malandrini e la sensazione la spaventò al punto che decise di saltare il pranzo e rifugiarsi nella sala comune deserta, dove non c’era neanche il fuoco acceso.
Sirius la trovò addormentata e capì subito che qualcosa non andava, a giudicare dalle guance e dal naso arrossato: era chiaro che avesse pianto.
Immaginò che fosse perché le mancava Veronica e visto che in sala comune c’era davvero troppo chiasso, si chinò per prenderla in braccio e portarla nel dormitorio maschile.
Si svegliò appena la poggiò sul suo letto e lui le sorrise, chinandosi per baciarle la fronte.
“Dormi, non preoccuparti. Torno di sotto.”
Bronwen si mise a sedere, afferrandolo per una manica.
Quel gesto le venne automatico e quasi la rincuorò: sentiva ancora il bisogno di averlo vicino, non era ancora cambiato nulla.
Sirius si sedette sulla sponda del letto e le rivolse un altro sorriso, a labbra chiuse.
“Vuoi parlarne?”, le chiese.
La ragazza lo guardò per qualche secondo, senza rispondere, cercando nel suo sguardo qualcosa che potesse irritarla o metterla in guardia.
Ma non ci trovò altro che sincera preoccupazione e, di nuovo, si sentì sollevata.
Gli prese il volto tra le mani, accarezzandogli delicatamente le guance.
“Se ti faccio una domanda, mi rispondi con sincerità?”.
Sirius, confuso da quell’atteggiamento, annuì.
“Ti dispiace di alcuni comportamenti che tu e James avete avuto in questi anni?”
Lui sentì qualcosa trafiggergli lo stomaco: stava accadendo? Si era stancata? Si era resa conto che c’erano dei motivi per tutte le litigate, le discussioni, le incomprensioni che avevano avuto?
Il gelo lo invase quando incontrò il suo sguardo angosciato.
“A volte non siamo stati solo arroganti, siamo stati cattivi. Lo so. Lo capisco se pensi di non riuscire a superarlo, ma…”.
Bronwen lo soffocò in un abbraccio, gli occhi serrati e il cuore più leggero.
Lui, nuovamente confuso, ricambiò la stretta e sentì la scheggia di ghiaccio allo stomaco allentarsi lentamente.
“Avevo bisogno di saperlo. Ho parlato con Severus e…”.
Sirius la lasciò andare all’istante, come se si fosse scottato.
Le rivolse uno sguardo a metà tra lo spaventato e l’incredulo.
Cosa hai fatto?”.
“Avevo bisogno di parlargli. Credevo di poterlo aiutare, ma non ha voluto saperne niente”, rispose lei, calma.
“Certo che non ha voluto saperne niente, se la fa con i Mangiamorte!”.
Bronwen increspò le labbra.
“Lo so. Non lo giustifico in alcun modo. Ma gli avete fatto del male e lo sai, perciò ho scelto comunque di fare un tentativo.”
Sirius si passò nervosamente una mano tra i capelli.
Non capiva il motivo della sua cieca irritazione, bastava il nome di Piton a fargli perdere le staffe.
E la cosa peggiore era che sapeva benissimo che Bronwen avesse ragione a proposito di quanto lo avessero tormentato.
Eppure lo infastidiva da impazzire che gli si fosse avvicinata, che avessero parlato, che persino avesse pianto per lui.
In più, aveva il terrore che potesse raccontarle nello specifico tutte le cattiverie che gli aveva detto, degli scherzi, degli Incantesimi e… dell’incidente della Stamberga Strillante.
Una sensazione di nausea lo percorse al pensiero dello sguardo che Bronwen gli avrebbe rivolto se avesse saputo.
Sarebbe stata disgustata, si sarebbe vergognata di averlo creduto una persona migliore, lo avrebbe lasciato all’istante.
Sapeva che prima o poi gliene avrebbe parlato, perché la cosa iniziava a logorarlo, ma in quel momento aveva solo bisogno che lo guardasse come faceva sempre, in quel modo che lo faceva sentire tranquillo e tanto, tanto fortunato.
Più di quanto meritasse.
“Sirius, ce l’hai con me?”, si sentì chiedere.
Scosse la testa, sconfitto.
“Certo che no. Come potrei? Fai sempre la cosa giusta.”
Bronwen accennò un sorriso.
“Però sembri arrabbiato.”
“Basta che tu mi faccia un favore.”
“Qualunque cosa che non includa il picchiare qualcuno. A meno che non sia Elodie.”
Sirius accennò un sorriso che non gli raggiunse gli occhi.
“Cerca di restarmi vicino il più a lungo possibile. So che prima o poi ti stancherai e troverai qualcuno di migliore, ma dammi ancora un po’ di tempo.”
Bronwen gli si avvicinò per circondargli il collo con le braccia e baciargli castamente una guancia.
“Io credo in te, Sirius. Ti prego di fare la stessa cosa”, mormorò prima di abbracciarlo nuovamente, stringendolo forte.
“Non vado da nessuna parte.”
Sirius la circondò con le braccia, affondando il viso nei suoi capelli profumati.
Come sempre, gli bastò.

“Liam, devi darti una mossa. Rallenti proprio nella traiettoria ideale di un bolide e non possiamo continuare a sperare che Marlene e Benjy ti evitino un naso spaccato.”
Il ragazzo fece il segno dell’okay con il pollice e si allontanò da James, sfrecciando dall’altra parte del campo sulla sua Nimbus 1700.
Bronwen gli passò accanto, la stretta sulla pluffa salda, dirigendosi spedita verso Dorcas Meadowes.
Con una finta estremamente rapida riuscì a dirottarla verso sinistra, segnando il suo terzo goal dell’allenamento.
Dorcas si aprì in un gran sorriso e Benjy Fenwick le fece l’occhiolino, più o meno il quinto da quando si erano presentati negli spogliatoi.
“Fantastico, Bronwen. Jeremy, invece di fissare Angela Bennett ti consiglio di renderti utile!”, James gli passò davanti schioccandogli le dita a pochi centimetri dalla faccia, riportando l’attenzione del ragazzo al boccino che non aveva ancora catturato.
Sembrò localizzarlo nell’area di punteggio, perché vi si lanciò con determinazione e tutti lo fissarono, ma alzarono presto gli occhi al cielo al suono della sua ennesima imprecazione.
“D’accordo, lavoriamo sui passaggi. Liam, ci sei?”.
Il ragazzo annuì, stringendo saldamente il manico della sua scopa.
“Bene. Io, tu, Bronwen, io, Bronwen. Pronti?”.
Non aspettò neanche che rispondessero: si lanciò dalla metà di campo opposta verso la zona laterale, entrambi i Cacciatori lo seguivano tenendosi a distanza, come aveva sempre detto loro di fare.
Liam riuscì per un pelo ad afferrare la pluffa che gli venne lanciata, Bronwen spinse per superarlo e si voltò appena, agguantando la palla con la mano sinistra.
Salì di quota, dirigendosi verso gli anelli, e lanciò la pluffa a James.
Lui la prese con la sua consueta grazia, come se non gli costasse il minimo sforzo.
Le fece segno di superarlo e Bronwen si appiattì sulla scopa per cercare di oltrepassarlo e al contempo prepararsi a riacchiappare la pluffa e segnare.
Gliela tirò a pochissimi metri dagli anelli e la ragazza dovette usare entrambe le mani per afferrarla, perdendo l’equilibrio per un attimo ma recuperandolo in tempo per tirare verso un anello a caso.
Dorcas parò per un pelo con il pugno destro, facendola imprecare.
“Non importa, sei stata grande”, le sorrise James, avvicinandosi per darle una pacca sulla spalla.
“Avrei segnato se me l’avessi tirata prima”, brontolò lei ancora con il fiatone.
“Possibile, ma mi sarei divertito di meno. Ehi, Jer, ce l’hai fatta!”.
Si voltarono tutti verso Jeremy, che stringeva tra le mani il boccino d’oro con un sorriso trionfante.
“Abbiamo finito per oggi?”, domandò Marlene, massaggiandosi una spalla: probabilmente si era inarcata troppo per battere un bolide.
“Sì, credevo fossimo messi peggio. Il prossimo allenamento è venerdì, per chi fa tardi venti giri di campo in più”, rispose James, lanciando un’occhiata eloquente a Benjy che fece finta di niente.
Smontarono dalle scope e Bronwen si avvicinò a Liam per dargli un pugno scherzoso, colpendolo sul braccio.
“Cos’è quella faccia? Sei stato bravissimo, veloce e preciso”, gli sorrise
Il ragazzo le rivolse uno sguardo incerto.
“Faccio errori talmente stupidi”, sospirò.
“Capita a tutti, la settimana scorsa ho quasi tirato la pluffa in faccia a James.”
“E vuoi farmi credere che sia stato un incidente?”.
Scoppiarono entrambi a ridere e Liam ricambiò il pugno scherzoso.
“Grazie.”
“Non c’è di…”.
“Questa divisa ti sta così bene che sarebbe un peccato toglierla, ma sono disposto a sacrificarmi”, la interruppe Benjy, mettendole un braccio intorno alle spalle.
Liam alzò gli occhi al cielo, entrando negli spogliatoi per cambiarsi.
La ragazza sospirò, esasperata.
“Vorrei proprio sapere cosa ti aspetti che risponda. Sì, ti prego, portami dietro quel cespuglio?”.
Lui scoppiò a ridere e la seguì negli spogliatoi, scompigliandosi i capelli neri in un vano tentativo di imitare James.
Era un ragazzo attraente e decisamente popolare anche tra le ragazze dell’ultimo anno, nonostante fosse del quinto.
Bronwen, suo malgrado, gli sorrise.
Non l’aveva lasciata in pace un attimo ma era impossibile arrabbiarsi con lui, era evidente che scherzasse e dopotutto le stava anche simpatico.
Si trovava bene anche con il resto della squadra e soprattutto con Liam, che era molto più gentile di quanto si sarebbe aspettata.
James si rivelò essere meno irritante sul campo ed era felice di starlo a sentire, stava imparando molte cose ed era lusingata dal fatto che un giocatore bravo come lui avesse deciso di volerla in squadra.
Tornarono insieme in sala comune e si lasciarono cadere sul divano già occupato da Remus e Peter, Cornelia era seduta sul tappeto e stava diligentemente scrivendo il tema di Astronomia sulle atmosfere dei pianeti.
“Com’è andato l’allenamento?”, chiese Remus, chiudendo il libro che stava leggendo.
“Non male, possiamo battere Corvonero.”
Peter sorrise, guardando James con mesta ammirazione.
“Quindi vincerai il Campionato?”.
“Il piano è quello.”
“Il tuo piano è anche di giocare nella Coppa del Mondo”, intervenne Bronwen, sciogliendosi i capelli che aveva legato per allenarsi.
Le ricaddero sulle spalle gonfi e più mossi del solito.
“Ma quello non è un piano, è una certezza. Lily, verrai a vedermi quando giocherò alla Coppa del Mondo?”.
La diretta interessata, seduta su una poltrona e impegnata a conversare con Mary e Marlene, si limitò ad alzare gli occhi al cielo.
“Non capisco proprio dove sbaglio”, brontolò James, affranto.
Remus gli diede una pacca sulla spalla.
“Già, è davvero un mistero.”
“Eppure non sono brutto. Bronwen, mi trovi brutto?”.
“No, ti trovo solo fastidioso”, rispose lei con uno sbadiglio.
Sarebbe stato assurdo negare che fosse uno dei ragazzi più affascinanti della scuola, soprattutto perché ne era perfettamente consapevole.
“Hai appena ammesso di trovarmi irresistibilmente attraente, Bron?”.
“Ti ho detto di non chiamarmi così!”.
“Non ti sento negare.”
Remus ridacchiò, alzandosi dal divano.
“Devo riportare questo in biblioteca, mi accompagnate?”.
“Vengo io”, rispose Bronwen e prima di alzarsi colpì James dietro la nuca, guadagnandosi un elegante dito medio.
Uscirono dalla sala comune e scesero le scale della torre in silenzio.
Bronwen aveva notato che Remus era nuovamente pallido e stanco, senza contare che aveva un taglio sul collo che cercava di nascondere tirando su il colletto della camicia bianca.
Era quasi sicura di essere riuscita a fare due più due visto il sorprendentemente regolare calendario di sparizioni dell’intero gruppo, inoltre aveva sentito più di una volta i suoi amici chiamarlo con un soprannome strano che avesse a che fare con la luna.
Tuttavia non voleva essere invadente , quindi evitò di fargli domande.
“Dov’è Sirius?”, domandò mentre salivano le scale del terzo piano.
“In punizione con Gazza per aver tinto la sua gatta di giallo, sembra che Pix gli abbia dato una mano.”
Bronwen sospirò.
“Sei anni che organizzate scherzi e ancora vi fate beccare.”
Remus ridacchiò e aprì la porta della biblioteca, aspettando che la ragazza entrasse prima di richiuderla silenziosamente.
Si avvicinò a Madama Pince e le porse il pesante volume rilegato che aveva finito di leggere, ringraziandola in sussurro gentile.
Lei fece un gesto sbrigativo e prese il libro, voltandosi per sistemarlo in uno degli scaffali alle sue spalle.
La biblioteca era quasi vuota, Bronwen scorse solo Charlie e Iris seduti a un tavolo in fondo e riconobbe anche un paio di Serpeverde dietro di loro.
Seguì Remus fuori, in corridoio, e si stiracchiò: le spalle le facevano un gran male.
“James ci va giù pesante con gli allenamenti?”, si sentì chiedere.
“Abbastanza, ma è meglio così. Spero non abbia sbagliato ad ammettermi in squadra, potrei rivelarmi un disastro.”
Il ragazzo le diede una piccola spinta con la spalla, sorridendo.
“Non si è mai sbagliato.”
Mentre tornavano in sala comune incrociarono Pix, con il quale si complimentarono per lo scherzo fatto a Gazza, risparmiandosi così i pezzetti di carta igienica bagnata che stava tirando su chiunque passeggiasse nei corridoi.
“Remus, come va con Cornelia?”, domandò la ragazza mentre risalivano le scale della torre di Grifondoro.
Lui arrossì all’istante, concentrandosi sugli scalini di marmo per evitare di guardarla.
“Va bene. Cioè, cosa vuoi dire?”.
Bronwen sorrise.
“Cercate di darvi una mossa.”
“Ehi, tu ci hai messo sei anni!”.
“Sì ma vedi Cornelia, a differenza del mio ragazzo, non ti causerebbe un esaurimento nervoso al giorno.”
Remus si fermò, rivolgendole un gran sorriso.
“Il tuo ragazzo?”.
La ragazza lo guardò, accigliata.
“Non ci si definisce così quando…?”.
“Si fa coppia fissa?”.
“Beh, credevo fosse scontato ormai. Non lo è?”, chiese, allarmata.
Remus ridacchiò.
“Sta’ tranquilla, è solo che non ve l’ho mai sentito dire. Da quando gli hai detto di non voler dare un nome alla cosa…”.
“Già, ma è passato del tempo. Però è vero che continuiamo a non definirci in alcun modo, che cosa stupida.”
“Non è stupida, anzi. Vuol dire che non ne avete bisogno.”
Bronwen accennò un sorriso
“Continui a essere il mio preferito.”
Lui la guardò in un modo strano, quasi preoccupato.
“Quindi credi davvero che potrei meritarmi una come Cornelia?”.
Ormai erano giunti al ritratto della Signora Grassa, che li ascoltava interessati.
La ragazza aggrottò le sopracciglia, indignata.
Certo che sì, non hai proprio niente di sbagliato!”.
Remus sospirò, frustrato.
Però non disse quello che avrebbe voluto, perché non era il momento adatto e tutti i ritratti del corridoio stavano ascoltando.
Bronwen gli mise una mano sulla spalla, lo sguardo serio.
“Sei una delle persone migliori che conosca, Rem. E le piaci davvero molto, perciò muoviti.”
La abbracciò d’istinto, più o meno per la quarta volta da quando avevano fatto amicizia.
Non era un tipo molto fisico, perciò Bronwen fu insieme sorpresa e lusingata da quel gesto.
“Cercate di non far ingelosire il ragazzo Black, o dovrò consolarlo io”, cantilenò la Signora Grassa, facendoli ridere.
Quando rientrarono in sala comune la trovarono più affollata di prima, nonostante fossero le dieci di sera.
Sirius era tornato dalla punizione e stava al centro della stanza insieme a James, Mary, Liam, Peter, Lily, Cornelia e Marlene, tutti impegnati a giocare con un piccolo gruppo di studenti del primo anno in pigiama.
Succedeva spesso che i più piccoli non riuscissero a dormire, avessero gli incubi o semplicemente paura di restare nei dormitori.
Quindi, quando tornavano di sotto, si cercava in qualche modo di tranquillizzarli raccontando storie divertenti o improvvisando giochi.
Cornelia teneva sulle gambe una bambina con il caschetto e le stava leggendo una storia dal libro di fiabe di Beda il Bardo.
Di fianco sedeva Lily, le braccia intorno ai gemelli Acey, biondissimi e concentrati sulla voce gentile di Cornelia.
Gli altri continuavano a saltellare in giro per evitare delle caselle invisibili fatte di lava, come aveva suggerito James.
Una ragazzina perse l’equilibrio e Sirius la afferrò al volo, facendole segno di salirgli sulla schiena.
Lei fu ben felice di accettare e rise, divertita, quando lui iniziò a saltare piegando esageratamente le gambe.
Marlene e Peter erano inseguiti da un gruppo di tre ragazzini straordinariamente agili che presto riuscirono ad afferrarli per la vita, facendoli cadere sul divano e buttandosi su entrambi per ostacolare una qualsiasi rivincita.
Bronwen e Remus si scambiarono un sorriso e raggiunsero i loro amici.
Sirius salutò la ragazza con un profondo inchino, che risultò nella presentazione di una Charlotte sempre più divertita e dalle guance arrossate.
“Dici che adesso ce la fai a evitare la lava?”.
“Certo, ma se sto per cadere posso spingere James?”.
Devi spingere James.”  
La ragazzina sorrise, scendendo con un saltello e ributtandosi nella mischia al seguito di James e Marlene.
Sirius si stiracchiò, emettendo un lamento teatrale.
“Sto diventando troppo vecchio per queste cose”, mormorò avvicinandosi con le braccia spalancate e un’espressione supplichevole.
La ragazza si alzò sulle punte per abbracciarlo con un sorriso rassegnato.
“Stai diventando anche troppo viziato”, finse di rimproverarlo accarezzandogli delicatamente i capelli.
“Provaci tu a essere un Black e a non essere viziato”, si difese lui.
Bronwen gli prese il viso tra le mani e lo attiro a sé per baciarlo con tanto trasporto che sentirono James tossire teatralmente.
Sirius si scostò, l’espressione a metà tra il compiaciuto e l’impaziente.
“Layton, insomma, davanti ai bambini?”, si finse indignato.
Lei si strinse nelle spalle.
“E’ più forte di me, non riesco a resisterti. Così affascinante, così intelligente…”.
“Credi davvero che quel tono falso mi ecciti?”.
Bronwen scoppiò a ridere, attirandolo nuovamente a sé per dargli un bacio sulla guancia.
Restarono ancora un po’ in sala comune a giocare con gli altri, poi decisero di andare a letto.
Lo facevano spesso, piaceva ad entrambi approfittare del dormitorio maschile ancora vuoto, che fosse per parlare o fare altro.
Remus, da bravo amico, faceva sempre il possibile per far tardare gli altri e il resto dei Malandrini finiva con l’andare a dormire alle due, per poi fare regolarmente tardi alla prima lezione del giorno successivo.
Augurarono la buonanotte a tutti e Sirius si abbassò per baciare Charlotte sulla guancia, facendole l’occhiolino e assicurandole che era ancora lei la sua preferita.
Poi prese Bronwen per mano e la guidò su per la scala che conduceva al dormitorio.

Dopo si era messa uno dei suoi pigiami, come al solito, li trovava più morbidi e comodi dei suoi.
Ovviamente erano troppo grandi ma non le importava granchè.
Se ne stavano distesi l’uno accanto all’altra, lei stava facendo scorrere le dita tra i suoi capelli neri con estrema lentezza, massaggiando appena.
Sirius teneva gli occhi chiusi ma era sveglio, aveva un braccio attorno alla schiena di lei e non ricordava di essersi mai sentito così in pace.
Non esisteva la sua famiglia, non esisteva l’odio, non esisteva Voldemort, persino i tuoni e la pioggia che infuriavano al di fuori del castello sembravano provenire da molto lontano.
Bronwen gli baciò una tempia e lui aprì gli occhi, sorridendole appena mentre la stringeva più forte.
“Quante ragazze sono state in questo letto?”, chiese lei in un sussurro.
“Sei l’unica.”
“Eri tu ad andare da loro?”.
Lo sentì sospirare.
“No, gli incantesimi protettivi sono impossibili da superare.”
“E dove…?”.
Sirius si voltò e abbassò il viso per guardarla, sorrideva.
“Oh, in giro. Ci sono i bagni, le aule vuote, il cortile, tutti posti che hai sempre voluto evitare perché sei una fifona.”
“Dove andavi con Marlene?”, chiese Bronwen, ignorando la battuta.
Lui sospirò una seconda volta, punto sul vivo.
“E’ importante?”.
La ragazza tacque e un lampo illuminò la stanza, per cui si strinse più forte a lui e serrò gli occhi.
Sirius le premette la testa sul suo petto e le coprì l’altro orecchio con dolcezza, aspettando che il rombo del tuono si affievolisse.
“No”, mormorò la ragazza quando il rumore meno minaccioso della pioggia fu di nuovo l’unico.
“Aspetto con impazienza il giorno in cui ti metterai in quella testa dura che non c’entri niente con loro. Che il tuo posto è diverso.”
“Non ti capirò mai”, sospirò lei.
“Maghi e streghe più potenti di te hanno tentato”, la prese in giro riuscendo a farla ridere.
Poi le baciò la fronte e Bronwen chiuse gli occhi, girandosi dal suo lato per abbracciarlo completamente.
Erano le quattro del mattino ma sembrava fossero passati solo cinque minuti quando la porta del dormitorio si spalancò e Cornelia corse dentro, il volto rigato di lacrime e le mani tremanti.
“Bronwen, dove sei? Bronwen! Svegliati!”.
James emise un grugnito.
“Ma che diavolo?”, mugugnò Sirius strofinandosi gli occhi.
Cornelia si avvicinò a fatica al letto nel buio della stanza e prese a tastare le lenzuola per cercare la sua amica.
“Bronwen, alzati!”, continuò a ripetere cercando di scuoterla.
La ragazza si svegliò di colpo, spaventata, e si mise a sedere cercando di capire chi la stesse chiamando.
“Cornelia? Che succede?”.
Ma lei non riuscì a rispondere, la voce soffocata da singhiozzi disperati che le gelarono il sangue.
Il terrore la invase quando vide la McGranitt ferma sulla soglia del dormitorio, il volto pallido e non arrabbiato come avrebbe dovuto averlo nel trovare una studentessa in un letto del dormitorio maschile.
“Professoressa?”, sentì la voce soffocata di Remus dall’altro lato della stanza.
“Cornelia, parlami”, supplicò Bronwen.
Sirius, accanto a lei, era di colpo sveglissimo e teso quanto gli altri.
La ragazza si ricompose a fatica, cercando la mano dell’amica sulle lenzuola disordinate.
“Hanno trovato la famiglia di Veronica. Non ci sono sopravvissuti.”
Poi ricominciò a piangere.

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Capitolo 14
*** XIV. ***


Fieri sentio

XIV.

 

Finire il sesto anno si rivelò eccezionalmente strano.
I professori furono indulgenti con gli esami finali e nessuno ebbe particolari problemi a superarli, ma nel castello l’aria era irrimediabilmente cambiata.
Bronwen trascorse l’estate a Londra, rifiutandosi di lasciare i suoi genitori anche solo per un giorno.
Litigarono spesso, non sembravano rendersi conto di come stessero realmente le cose ma quando li minacciò di abbandonare la scuola se non avessero accettato l’offerta dei genitori di Charlie di trasferirsi da loro, dovettero cedere.
Cornelia partì per la Francia, dove avrebbe terminato gli studi, e Bronwen non ci pensò neanche a provare a trattenerla: preferiva saperla lontana e al sicuro piuttosto che vicina e in pericolo.
Remus era della stessa idea, nonostante fosse ovvio che gli dispiacesse molto.
Tra le numerose volte in cui andò a trovare Bronwen, arrivò infine quella in cui decise di confidarsi sulla sua vera natura.
Erano stesi sull’erba calda e soffice di Hyde Park, James e Sirius erano andati a comprare del tè freddo.
Lei lo aveva ascoltato senza battere ciglio, poi lo aveva abbracciato e gli aveva espressamente detto che per lei non sarebbe cambiato niente.
Remus apprezzò e ne fu sollevato, ma si rese anche conto di non essere riuscito a smuoverla quanto avrebbe voluto.
Neanche quando le raccontarono finalmente di essere Animagi illegali sortirono l’effetto sperato.
Certo, fu sorpresa e ricordò con un mezzo sorriso gli incontri con il cane scuro e gigantesco che si era quindi rivelato essere sempre stato il suo ragazzo, ma niente di più.
Da quando aveva saputo di Veronica, qualcosa in lei si era spento.
I suoi voti erano rimasti perfetti, non si era mai lasciata andare e aveva persino giocato nella partita finale del Campionato di Quidditch, contribuendo alla schiacciante vittoria del Grifondoro.
Eppure era diversa, non era più pungente e allegra come prima.
A scuola se ne accorsero tutti e la McGranitt, preoccupata dal sempre più evidente cambiamento riscontrato negli studenti, propose addirittura a Silente di fare qualcosa per migliorare la situazione.
Lui, che mancava sempre di più dal castello, diede disposizioni per modificare il programma dell’ultimo anno: c’era bisogno che gli studenti imparassero a combattere e a difendersi.
Le ore di Difesa contro le Arti Oscure furono raddoppiate, la teoria era sempre più ridotta a favore della pratica, erano estremamente rari i casi in cui agli studenti venivano assegnati dei capitoli da studiare.
Ad esempio fu fatta un’eccezione per le Maledizioni senza Perdono, una delle peggiori forme di Magia Oscura.
La professoressa Behzadi fu estremamente chiara: non andava fatta pratica di nessun genere sull’argomento, solamente agli Auror era permesso di utilizzarle.
Bronwen non litigava più con James e Sirius non riusciva quasi mai a farla ridere, se ne stava sempre in biblioteca china sui libri o a leggere nel dormitorio femminile.
Remus e Charlie erano gli unici che riuscivano a passare più tempo con lei, principalmente perché se ne stavano in silenzio a farle compagnia mentre studiava, a volte si sedevano a leggere con lei.
Spesso era aggressiva, aveva degli scatti d’ira talmente forti che coinvolgevano chiunque avesse davanti, che fosse un professore o un amico.
Sirius faceva del suo meglio per starle vicino ma finivano quasi sempre col litigare, lui si sentiva ferito ed era stanco di essere allontanato ogni volta che cercava di aiutarla, lei non sopportava l'idea che nessuno potesse capire quello che stesse provando.
Era strano per tutti vederla in giro senza Veronica e Cornelia, erano state inseparabili per anni e improvvisamente si era ritrovata più sola e spaventata che mai, ma nonostante ciò non riusciva più ad aprirsi con nessuno dei suoi amici.
La certezza matematica che nessuno potesse capire come si sentisse l’aveva portata ad allontanare chiunque provasse ad avvicinarsi, Sirius e Lily in particolare.
Era assolutamente consapevole di averli trattati male ma per quanto in colpa si sentisse, non riusciva a chiedere scusa perché farlo avrebbe implicato cambiare, tornare magicamente la persona che era prima che la sua migliore amica morisse.
Perciò preferiva isolarsi, anche se lo sguardo ferito di Sirius la distruggeva e aveva il terrore che decidesse di lasciarla.
L’unica cosa che ancora riusciva a fare era impegnarsi nelle lezioni, la volontà di imparare in fretta più cose possibili era la sola cosa che riusciva a farla andare avanti.
Non vedeva l’ora di combattere, non aveva più paura o esitazioni, non trovava più stupide giustificazioni per gli studenti che tanto elogiavano i Mangiamorte.
Se riusciva a evitare di finire in punizione tutti i giorni era anche grazie a James che, diventato Caposcuola, la copriva ogni volta che la trovava a litigare con Mulciber o Avery.

Quel pomeriggio, dopo la lezione di Incantesimi, si era rintanata in cortile a leggere un volume preso in prestito dalla biblioteca.
Trattava in particolare dell’Incanto Patronus, una delle prossime lezioni che avrebbe tenuto il professor Vitious, sempre su ordine di Silente.
Con una smorfia, si rese conto che avrebbe avuto ben pochi ricordi felici su cui fare leva per evocare il proprio protettore.
Stava distrattamente pensando a quale forma avrebbe potuto assumere il suo patronus, lo sguardo fisso sull’erba mossa dal vento freddo, quando sentì Lily chiamarla da lontano.
Si voltò e aggrottò le sopracciglia nel vederla correre verso di lei, sembrava scossa.
“Che succede?”, chiese quando la raggiunse.
“Sirius… dalla McGranitt… non siamo riusciti a coprirlo”, la ragazza pronunciò parole sconnesse nel tentativo di riprendere fiato, i capelli rosso scuro disordinati per la corsa.
“Incredibile che abbia ancora voglia di fare scherzi”, commentò Bronwen, mettendo via il libro e alzandosi dalla panchina di marmo su cui si era seduta per leggere.
Non ha fatto uno scherzo, si è battuto!”, sbottò Lily.
Con chi?”, scattò la ragazza, improvvisamente spaventata all’idea che gli avessero teso un’imboscata o qualcosa del genere.
“Regulus. E’ messo male e sembra che vogliano sospendere entrambi, Silente non c’è ma aveva chiarito che non sarebbero più state tollerate… ma dove stai andando?”.
Bronwen non rispose, aveva iniziato a correre verso il castello abbandonando la borsa sul prato.
Raggiunse il corridoio del primo piano e si lanciò a destra delle scale, senza badare a Charlie che l’aveva salutata uscendo dall’aula di Aritmanzia.
Entrò nello studio della McGranitt senza bussare, il fiatone le impedì di spiccicare parola ma la scena che si trovò davanti le avrebbe comunque fatto morire la voce in gola.
Sirius aveva il volto tumefatto, gli sanguinavano le mani e la divisa strappata mostrava altri tagli sulle braccia.
Regulus sedeva dalla parte opposta della stanza, Madama Chips gli stava esaminando le ferite che gli ricoprivano il viso: era messo quasi peggio del fratello.
La McGranitt e il professor Lumacorno stavano discutendo animatamente del da farsi, il professor Vitious stava controllando le bacchette di entrambi per risalire agli incantesimi che avevano utilizzato.
“Signorina Layton, come le viene in mente di entrare nel mio ufficio in questo modo?”, abbaiò la McGranitt, il cui nervosismo non aveva proprio niente a che fare con il fatto che la ragazza non avesse bussato.
Il professor Lumacorno emise uno sbuffo impaziente.
“Minerva, concentrati su quello che sto dicendo. Sirius Black ha sempre dato problemi, alla scuola quando alla sua famiglia, perciò ribadisco che a essere sospeso debba essere solo lui!”.
“Con tutto il rispetto, Horace, almeno i miei studenti non simpatizzano per il Signore Oscuro!”.
“Oh, smettetela!”, sbottò Bronwen, gli occhi le si erano riempiti di lacrime appena aveva incrociato lo sguardo di Sirius, che la guardava privo di espressione.
“Layton, fuori”, tagliò corto la McGranitt, ma la ragazza le si avvicinò a grandi passi.
“Professoressa, la prego, mi ascolti! Non può sospenderlo, là fuori c’è una guerra e lo esporrebbe a un pericolo troppo grande! Il professor Silente era d’accordo con me, lui sa che è l’unico motivo per cui non vi ho mai detto chi mi ha aggredita in corridoio. Non è la mossa giusta allontanare gli studenti dal castello, e lo dico sapendo che Regulus Black partirebbe anche domani per unirsi a Voldemort!”.
“Come… come osa…”, farfugliò il professor Lumacorno, improvvisamente pallido.
“Signorina Layton, le accuse che sta muovendo…”.
“Oh, andiamo. Tutti sappiamo da che parte stanno lui e i suoi amici. Non è Sirius il problema, per favore, non lo allontani. Non mi rimane nessun altro”, mormorò Bronwen, improvvisamente presa dal panico e con il volto rigato di lacrime.
La McGranitt strinse le labbra, come faceva sempre quando era estremamente combattuta tra emotività e disciplina.
“Posso rimetterli subito a nuovo”, intervenne Madama Chips, con tacito sostegno.
“Non hanno usato incantesimi particolarmente pericolosi”, aggiunse il professor Vitious, sistemandosi gli occhiali sul naso.
“Minerva, non possiamo lasciare che…”, iniziò Lumacorno, ma fu bruscamente interrotto.
“Verrete puniti entrambi, severamente. Niente Hogsmeade per due mesi, vi voglio rispettivamente nel mio ufficio e in quello del professor Lumacorno ogni sabato pomeriggio, quando tornerà Silente sarete ricevuti anche da lui e deciderà il da farsi.  Adesso fuori di qui.”
Nessuno osò fiatare.
Bronwen le rivolse uno sguardo colmo di gratitudine e seguì gli altri fuori, asciugandosi il viso con mani tremanti.
Lumacorno le rivolse un’occhiata rabbiosa, come se si sentisse tradito, poi proseguì a passi veloci e pesanti verso le scale che portavano al sesto piano, dove si trovava il suo gigantesco ufficio.
La ragazza passò il quarto d’ora successivo fuori dall’infermeria, ad aspettare che Madama Chips si prendesse cura di Sirius e di suo fratello.
Cercò di calmarsi, dandosi della stupida per aver avuto una reazione tanto esagerata, ma si rese conto che l’idea di essere allontanata da Sirius le aveva gelato lo stomaco.
Vederlo pieno di lividi, con la divisa sporca di sangue, era stato traumatico.
Si ricordò di come avessero litigato per l’ennesima volta la sera prima e le venne nuovamente da piangere al pensiero di tutte le volte in cui l’aveva bruscamente distanziato, rintanandosi nel suo dolore.
Quando uscì dall’infermeria non era più sporco di sangue e i lividi erano meno visibili, ma ci sarebbe voluta qualche ora perché il gonfiore diminuisse.
“Come stai?”, chiese, avvicinandosi.
“Bene”, fu la risposta secca e fredda che ricevette.
Bronwen tacque e abbassò lo sguardo, non osando replicare.
Lui la superò con una smorfia di dolore: le gambe gli facevano un gran male.
Poi, giunto a metà corridoio, si voltò a guardarla.
“Non vieni?”.

Erano nuovamente in cortile, Bronwen non trovò la sua borsa da nessuna parte e sperò che l’avesse recuperata Lily.
Si era tolta il mantello e lo aveva piegato per posizionarlo tra la schiena di Sirius e lo schienale della panchina su cui erano seduti.
Non era riuscita a dire nulla, ogni frase che le veniva in mente sembrava stupida e inutile, era come se fossero due sconosciuti seduti vicini per puro caso: neanche si erano guardati.
“Mi mancava”, Sirius interruppe quel silenzio teso, lo sguardo fisso davanti a sé e la voce più roca del solito.
“Cosa?”, chiese lei voltandosi verso di lui.
“Vederti prendere le mie difese, come quando ci tenevi.”
Quelle parole le spezzarono il cuore.
“Non ho mai smesso di tenere a te”, rispose con voce flebile, provando una profonda vergogna.
Finalmente la guardò, l’espressione scettica.
“Hai uno strano modo di dimostrarlo.”
Bronwen attirò le ginocchia al petto, respirando profondamente.
“Lasciami e basta se è lì che vuoi arrivare, sarebbe meglio di questa tortura.”
Sirius accennò una risata amara e scosse la testa, sarcastico.
“Sì, eh? Forse dovrei, visto che da me ti aspetti sempre il peggio. Io di te non ho mai dubitato e guarda com’è finita.”
“Te l’ho sempre detto che avresti potuto avere di meglio.”
Il ragazzo strinse le labbra.
“Non ho mai voluto di meglio. Ma non ti riconosco più e sono troppo stanco per continuare a fare tentativi inutili.”
Bronwen non riuscì a reggere oltre il suo sguardo e si voltò dall’altra parte, sconvolta dal dolore che le provocava l’idea di perderlo.
Allo stesso tempo, però, voleva davvero che trovasse pace con qualcuno di meno tormentato di lei.
Qualcuno che potesse trattarlo come meritava, senza aggredirlo ogni volta che cercava di essere gentile.
“Mi dispiace”, fu l’unica cosa che riuscì a dire, la voce si incrinò senza che potesse nasconderlo.
Sperò che se ne andasse senza dire altro, che la lasciasse da sola, che per una volta facesse quello che si aspettava.
Invece le prese una mano perché si girasse nuovamente a guardarlo, l’espressione meno dura ma lo sguardo serio.
“Non sei l’unica ad aver perso Veronica, sai”, disse.
Al suono di quel nome Bronwen sentì un conato salirle dallo stomaco, si portò una mano alla bocca e serrò gli occhi per qualche secondo.
Sirius le strinse la mano più forte.
“Io non l’ho persa. E’ morta, l’hanno uccisa”, replicò aspramente, riaprendo gli occhi.
“E sei convinta di essere l’unica a capire cosa si prova, come se a noi non importasse. Sai quante volte ho parlato con lei, per cercare di capire se saresti mai uscita con me? No, è ovvio che non te lo abbia detto. Sai che l’anno scorso ha aiutato James a passare l’esame di Trasfigurazione? No, naturalmente. Io non la conoscevo bene quanto te, ma se vuoi puoi parlarmi di lei. Ti starò ad ascoltare sempre, non importa di quanto tempo avrai bisogno. Però smettila di escluderci tutti.”
La ragazza iniziò a piangere senza neanche rendersene conto, sopraffatta da un insieme di emozioni.
Provava rabbia, frustrazione, vergogna, tristezza, e non sapeva come gestire il tutto.
“Non ce la faccio, non sono pronta. Mi rendo conto di avervi allontanati, ma non riesco a essere come prima”, mormorò, tentando di asciugarsi freneticamente le guance.
Sirius le afferrò entrambe le mani e le tenne giù, cercando il suo sguardo.
“Non ti sto chiedendo di riprenderti da un giorno all’altro. Ti sto chiedendo di permettermi di aiutarti.”
Lei tacque per qualche secondo, nella speranza di raccogliere il coraggio e le parole giuste.
“Lasciami, Sirius. Trova qualcuno di meno egoista che possa darti quello che meriti.”
Il ragazzo aggrottò le sopracciglia.
“Non dire stronzate simili con un tono tanto serio.”
Bronwen sbuffò e tirò su col naso, le guance arrossate.
“Sono seria.”
Lui le lasciò le mani.
“E’ straordinaria la tua abilità nell’avere sempre convinzioni sbagliate.”
“Ma non capisci che sto solo cercando la migliore soluzione possibile per te?”.
Sirius sbuffò, irritato.
Lo innervosiva oltre ogni immaginazione che il suo primo istinto non fosse di aprirsi, di volerlo vicino, di chiedergli sostegno.
Gli spezzava il cuore il fatto che fosse convinta di non poterlo più rendere felice, che si fosse totalmente arresa alla sua tristezza.
“Non ti lascio, Bronwen. Puoi dire quello che ti pare, trovare le scuse che preferisci, io non ti lascio.”
Lei scosse la testa, arresa.
Perché devi essere sempre così testardo?”, mormorò, indispettita e al tempo stesso sollevata.
Essere guardata come prima che il loro rapporto si raffreddasse, in quel modo gentile e sicuro, le fece provare una piacevole sensazione di calore.
Sirius sospirò, sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
“Perché ti amo, naturalmente.”

Così, pian piano, le cose riaquistarono un proprio equilibrio.
Bronwen smise di piangere da sola, quando stava male non si vergognava più ad andare da Charlie o da Lily.
Cornelia le scriveva ogni settimana, immancabilmente, e anche i suoi genitori le mandavano lettere divertenti nella speranza di tirarla su.
Le raccontavano di quanto fosse fantastico vivere con gli Atkin, descrissero con ammirazione e infiniti dettagli il loro giardino di rose e il modo straordinario in cui preparavano i pasti.
Bronwen era stata dai genitori di Charlie per qualche giorno al quarto anno e si ricordava molto bene la loro splendida e gigantesca villa bianca.
Remus e Peter studiavano quasi sempre con lei, Sirius se ne stava seduto in silenzio a guardarli senza disturbare ma nonostante ciò la sua media era notevolmente migliorata, cosa che rese la McGranitt tanto sconvolta quanto felice.
La vera novità che però aveva scioccato l’intero castello era che James e Lily avessero iniziato a uscire insieme.
Lui era cambiato radicalmente, come se non fosse mai stato uno spaccone arrogante e immaturo: non prendeva più in giro nessuno, studiava, qualche volta trasgrediva ancora le regole ma era decisamente diverso, più adulto.
Bronwen lo prendeva sempre in giro dicendogli che finalmente riusciva a trovarlo irresistibilmente attraente e lui sorrideva, consapevole del fatto che un po’ fosse vero.
Era molto più piacevole passare del tempo con lui, non solo sul campo da Quidditch ma anche in sala comune e persino a lezione.
Lily, gentile e cordiale come era sempre stata, faceva del suo meglio per fare compagnia a Bronwen, così che non dovesse per forza passare tutto il suo tempo con i ragazzi.
Anche Dorcas, Mary e Marlene cercavano di coinvolgerla nelle loro conversazioni; persino studenti con cui aveva a stento parlato in quegli anni si dimostrarono solidali e gentili nei suoi confronti.
Liam, Flynn, Benjy, erano solo alcuni di quelli che ogni tanto le si sedevano accanto in Sala Grande o in biblioteca.
Era profondamente commossa dalla solidarietà che tutti le avevano dimostrato e si era impegnata il doppio per ringraziarli, cercando di assomigliare nuovamente alla persona che era prima che la sua migliore amica venisse uccisa.
Non che ci fosse ancora pienamente riuscita, ma finalmente c’era stato un cambiamento che le aveva permesso di ricucire il suo rapporto con gli altri, e soprattutto con Sirius.
Riuscì nuovamente a essergli di supporto quando pensava alla sua famiglia e allo stesso tempo ad aprirsi, a parlargli.
Scoprì che il duello con Regulus era scaturito dai soliti commenti infelici del fratello a proposito dei figli di Babbani: era ormai chiaro come il sole che non si sarebbero mai riappacificati e la cosa le dispiaceva, ma allo stesso tempo era sollevata dal fatto che Sirius non dovesse più avere a che fare con chi lo faceva star male.
Lui le disse che suo zio gli aveva lasciato oro sufficiente a comprarsi una casa a Londra, cosa che pensava di fare subito dopo la fine della scuola: i Potter erano fantastici, ma non voleva più dipendere da loro.
Così aveva passato intere giornate a descriverle quanto sarebbe stato fantastico per loro vivere così poco distanti: immaginava già di rafforzare il rapporto con suo padre, magari di dare una mano nella sua libreria, e di passare pomeriggi a bere tè con sua madre perché potessero conoscersi meglio.
Bronwen lo stava a sentire con un sorriso, non potendo fare a meno di abbandonarsi a quelle fantasie.
Quando ascoltava i suoi progetti riusciva a immaginare un futuro senza guerre e privo di omicidi, un futuro fatto di luce e tranquillità che potesse permettere a tutti di imboccare la strada scelta.
Entrambi avevano deciso di studiare per diventare Auror, idea condivisa dalla maggioranza dei loro amici.
Bronwen si stava impegnando per tenersi occupata il più possibile tra studio, allenamenti e attività di supporto tra studenti.
Suo malgrado, aveva capito di essere ormai irrimediabilmente quanto profondamente innamorata di Sirius Black, ed era grata a qualunque divinità avesse fatto in modo che non l’avesse abbandonata nei suoi momenti peggiori.

Charlie si era steso sull’erba, poggiandole la testa sulle gambe.
Entrambi erano immersi in uno studio profondo, rispettivamente di Incantesimi e Difesa contro le Arti Oscure.
Bronwen faticava a tenere gli occhi aperti, la notte prima lei e Lily erano rimaste sveglie fino alle cinque del mattino in sala comune ad aspettare che i ragazzi tornassero: c’era stata la luna piena.
Peter era quasi sempre quello messo meglio, essendo la sua forma di Animagus quella di un topo era molto più difficile che rimediasse più di qualche livido.
Sirius era stato il secondo a tornare, avvisando Lily che James era rimasto con Remus alla Stamberga Strillante: lei si era fiondata fuori dal buco del ritratto, farfugliando che avrebbe pensato a entrambi.
Bronwen non riusciva ad abituarsi a vedere Sirius ricoperto di tagli e lividi, ogni volta si riprometteva di mantenere il sangue freddo ma le mani le tremavano sempre quando cercava di disinfettargli una ferita e lui sussultava dal dolore.
“Quale credi che sia il mio patronus?”, domandò, chiudendo il libro di Incantesimi con un tonfo sordo.
Era tra i pochi studenti che non erano ancora riusciti a evocare il proprio, ogni volta che si concentrava le tornava irrimediabilmente in mente Veronica e tutti i suo ricordi felici venivano come sommersi da una nebbia scura e soffocante.
Charlie aveva evocato un cavallo appena alla seconda lezione, suscitando la sua profonda invidia.
I patroni dei malandrini corrispondevano alle loro forme di Animagus, ma la vera rivelazione fu che quello di Lily si rivelò essere una cerva.
Se ne vergognò così tanto che evitò James per due giorni buoni, visto che non la smetteva di stuzzicarla.
“Non saprei. Una cavalletta, un salmone. No, aspetta, un cinghiale!”.
“Davvero simpatico.”
Lui le rivolse un sorriso divertito, mettendo da parte il suo libro.
“Forse un gatto ti si addirrebbe.”
Bronwen fece una smorfia.
“Non mi piacciono i gatti. E poi non sono all’altezza di avere lo stesso patronus della McGranitt.”
“Stai rendendo la cosa un po’ troppo profonda, non ti pare?”.
Lei fece una pausa, incerta.
Ignorò quell’affermazione e guardò l’amico negli occhi, seria.
“Quale credi che sarebbe stato quello di Veronica?”.
Charlie serrò la mascella, aveva sviluppato quel riflesso automatico ogni volta che veniva nominata.
Ci pensò per qualche secondo, poi sospirò.
“Una volpe, indubbiamente.”
Bronwen annuì, lo sguardo triste.
“Già, ci ho pensato anch’io. Una volpe, o una lince.”
“Cornelia avrebbe avuto un cigno.”
“Hai ragione. Sarebbe stato tutto così… normale.”
Charlie si mise a sedere e la abbracciò, sollevato dal fatto che finalmente gli permettesse di farlo.
Restarono in cortile fino all’ora di cena, quando iniziò a fare troppo freddo raccolsero i loro libri e rientrarono al castello.
In corridoio incontrarono Lily e Marlene, che si fermarono a parlare con aria allegra, finchè li interruppe l’arrivo tempestivo e molto poco promettente della McGranitt.
“Signorina Layton, signor Atkin, il preside vuole vedervi subito”, annunciò con una certa urgenza.
Bronwen impallidì di colpo, così tanto che Charlie le strinse prontamente una mano per tranquillizzarla.
“Che succede?”, domandò, cercando di mantenere un’apparenza calma.
“Non mi è dato dirvelo. Per favore, precedetemi nell’ufficio del professor Silente.”
“Va tutto bene”, sussurrò il ragazzo all’orecchio dell’amica, guidandola verso le scale in fondo al corridoio.
Ma Bronwen aveva iniziato a tremare e sentì chiaramente le parole che la professoressa rivolse a Lily e Marlene quando pensò che fossero abbastanza lontani da non sentire.
“Sarà meglio che avvisiate il signor Black.”

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Capitolo 15
*** XV. ***


Fieri sentio

XV.

 

L’ufficio di Silente era pieno di oggetti bizzarri, ordinatamente disposti tra mensole e scrivania.
Il cappello parlante era posato su una sedia e i numerosi ritratti che gremivano le pareti della stanza erano svegli e vigili, anche se fingevano indifferenza.
Bronwen, seduta insieme a Charlie davanti alla scrivania del preside, riconobbe distrattamente Armando Dippet e Dexter Fortebraccio, che la scrutavano con mesta preoccupazione.
La McGranitt li aveva raggiunti un paio di minuti dopo e ora la sentiva lì, in piedi dietro le loro sedie, tesa.
Silente si aggiustò gli occhiali sottili sul lungo naso adunco e incrociò le mani con aria visibilmente preoccupata.
“Signorina Layton, sono a conoscenza della sofferenza che le ha recato la perdita della signorina Redfern. Vorrei prima di tutto esprimere la mia vicinanza a tutti i dolori provati da voi studenti”, esordì con voce bassa e pacata, gli occhi azzurri meno vispi del solito.
“Grazie”, rispose lei cercando di non scomporsi, sempre più pallida.
“E’ fondamentale che vi assicuri di essere costantemente al lavoro per cercare di proteggere maghi e Babbani, per porre rimedio a questa tragica situazione. Con il dovuto supporto, s’intende”, continuò, lanciando un’occhiata alla McGranitt.
“Non ne abbiamo mai dubitato”, mormorò la ragazza, sempre più nervosa.
Silente annuì con lentezza.
“Temo di dovervi dare una notizia che potrebbe sconvolgervi, perciò devo chiedervi di controllarvi. I vostri genitori sono vivi.”
Entrambi i ragazzi sussultarono, sorpresi.
Charlie sentì il respiro spezzarglisi in gola.
“Cos’è successo?”, domandò con urgenza.
“Un gruppo di Mangiamorte ha fatto visita alla famiglia Layton. Naturalmente non hanno trovato nessuno in casa, ma ci hanno messo poco per rintracciarli. E’ stata una fortuna che fossero ospiti della sua famiglia, signor Atkin.”
Bronwen prese a respirare affannosamente.
“Signore, cosa vuol dire che…? Sono stati a casa mia?”.
Silente sospirò.
“Temo anche che, presi dalla collera, le abbiano dato fuoco.”
Cosa?”.
“Casa sua non esiste più, signorina Layton. Mi dispiace infinitamente.”
Bronwen si portò una mano sulla bocca, incredula.
Quelle parole non avevano alcun senso, era impossibile che fosse successa una cosa tanto assurda.
“Ha detto che ci hanno messo poco a rintracciarli”, intervenne Charlie, la voce tremante.
“Precisamente. Hanno raggiunto la sua abitazione, c’è stato un duello.”
“Non è possibile”, commento Bronwen, accennando un sorriso.
“Ci sta prendendo in giro, vero? La prego, mi dica che è uno scherzo. La prego.”
Silente si sporse verso entrambi, lo sguardo carico di comprensione.
Chissà quante brutte notizie era stato costretto a dare negli ultimi tempi, sembrava sfinito.
“La famiglia Atkin è riuscita a mettere in salvo i suoi genitori, sono stati tutti trasferiti in una località segreta scrupolosamente sorvegliata da Auror addestrati.”
“E il resto dei miei parenti? La mia casa? Io non capisco quello che sta dicendo, devo tornare subito a Londra…”, Bronwen si era alzata e aveva preso a camminare per l’ufficio, scrollandosi di dosso le mani che la McGranitt aveva provato ad appoggiarle sulle spalle.
“Il Minisero è dovuto intervenire repentinamente per assicurarsi che fossero fuori pericolo”, rispose Silente, pacato.
“Sono stati trasferiti con i miei genitori?”.
“Suppongo sia stato ritenuto più opportuno l’utilizzo di un Incantesimo di Memoria.”
Bronwen si bloccò al centro della stanza, la bocca spalancata.
Li hanno obliviati?”.
Charlie fece per intervenire ma la porta dell’ufficio si aprì e Sirius fece capolino, l’espressione preoccupata.
“Professoressa, mi ha fatto chiamare?”, domandò entrando, lo sguardo fisso su Bronwen che, invece, si era coperta il viso con le mani e stava cercando di respirare profondamente.
“Venga, signor Black. Albus, ho pensato…”.
“Hai pensato bene come sempre, Minerva. E’ giusto che il signor Black sappia.”
Sirius non li ascoltava, raggiunse Charlie che stava cercando di tranquillizzare l’amica, visibilmente agitata e incapace di articolare un discorso sensato.
“Che diavolo succede?”, sussurrò, tentando di toglierle le mani dal viso.
“Niente di buono”, mormorò Charlie.
Non ebbero il tempo di dirsi altro perché la McGranitt, su richiesta di Silente, accompagnò Bronwen e l’amico fuori dall’ufficio, in modo che il preside potesse parlare da solo con Sirius.
Intimò a entrambi di restare calmi: non era successo niente di irreparabile, sarebbe potuta andare molto peggio.
Spiegò che non sarebbe stato permesso a nessuno dei due di comunicare con i propri parenti, ma che Silente li avrebbe tenuti costantemente aggiornati sulla situazione e che si era offerto di recapitare qualsiasi tipo di messaggio a entrambe le parti.
Restò con loro per qualche minuto, poi si scusò e disse che doveva tornare nel suo ufficio perché aveva certe faccende urgenti da sbrigare, gufi da inviare.
Incoraggiò entrambi a farsi forza e trattenne la mano sulla spalla di Bronwen per qualche secondo in più, poi si voltò e si incamminò lungo il corridoio, l’orlo del mantello svolazzò con grazia fino a quando svoltò l’angolo.
Charlie e Bronwen non si dissero niente, continuarono solo a tenersi per mano.
Entrambi erano ancora persi nei propri pensieri quando dall’ufficio di Silente iniziarono a provenire delle urla e, le parve, anche il rumore di oggetti che andavano in pezzi.
Seguì una calma piatta che durò circa cinque minuti, poi Sirius uscì dalla stanza come una furia e, senza degnarli di uno sguardo, iniziò a marciare verso la fine del corridoio.
Bronwen si risvegliò dalla trance in cui sembrava essere caduta e, preoccupata, gli corse dietro, seguita a ruota da Charlie.
“Sirius, cosa ti ha detto Silente? Dove stai andando?”, gli chiese, cercando di stargli al passo visto che non accennava a fermarsi.
Lui non rispose, continuando a camminare velocemente, l’espressione livida.
“Sirius!”, la ragazza lo chiamò una seconda volta, cercando il suo sguardo.
“A prendere a pugni mio fratello così tanto, così forte, che stavolta dovranno espellermi davvero”, fu l’aspra risposta che ricevette.
Bronwen si rese conto che si stavano dirigendo verso il sotterraneo di Serpeverde e lo afferrò per una manica della divisa, spingendolo contro il muro e trattenendolo, per quanto la sua stazza minuta glielo permettesse.
“Parla con me. Che c’entra tuo fratello?”, domandò perentoria.
Sentiva il fiatone di Charlie, fermo a pochi passi di distanza e confuso quanto lei.
Sirius, per la rabbia, diede un pugno al muro del corridoio ed emise un sibilo impaziente: non voleva aspettare, voleva trovarlo e fargli male.
Era la prima volta che provava una collera così cieca, la cosa più straordinaria era che quel sentimento non lo spaventò per niente.
Ogni fibra del suo corpo desiderava stringere le mani attorno al collo di suo fratello, non riusciva a immaginare sensazione più soddisfacente.
Bronwen gli afferrò la mano, ancora stretta a pugno, e la strinse forte.
“Parla con me”, ripetè, il tono di voce pacato.
Finalmente trovò il coraggio di guardarla e il senso di colpa lo investì all’istante quando vide quegli occhi grandi e limpidi che tanto gli piacevano, che ogni volta riuscivano a tranquillizzarlo.
Lanciò un’occhiata anche a Charlie che, pallido, era a sua volta in attesa di spiegazioni.
“Ha parlato di te alla mia famiglia, a mia cugina. E’ lei che ha guidato i Mangiamorte a casa tua, in cerca dei tuoi genitori. Non so quali parole usare per scusarmi con voi, ci penserò dopo averlo fatto a pezzi”, mormorò a denti stretti, cercando di sfuggire alla presa della ragazza che però lo trattenne nuovamente al muro.
“Tu non farai a pezzi proprio nessuno, resta qui e calmati”, gli intimò, cercando di mandare giù quello che le era appena stato rivelato.
“Non riesco a credere che abbia osato fare una cosa del genere. Spostati, Bronwen, dico sul serio. Voglio fargli male, voglio usare la maledizione Cruciatus.”
“No che non vuoi.”
Sì che voglio.”
La ragazza gli afferrò il viso e fece in modo che la guardasse.
“Non ti permetterò di metterti al suo livello, tu sei migliore.”
“Non m’importa. La mia famiglia è tra le cose da cui mi sono sempre ripromesso di tenerti al sicuro. Cosa sarebbe successo se i tuoi genitori fossero stati lì? Come avrei fatto a convivere con l’idea che mio fratello ti avrebbe causato un dolore simile? Non faccio che ripetermi che Veronica dovrà essere la tua unica perdita, non faccio che pensare a come assicurarmene. Non hai idea di quanto sia arrabbiato, sul serio, lasciami andare.”
Bronwen guardò il ragazzo che le stava davanti, l’espressione furiosa e lo sguardo che evitava il suo come ogni volta che temeva di stare per piangere.
Pensò a quanto fosse cresciuto in quegli ultimi due anni e si commosse all’idea di essere stata parte integrante di quel cambiamento.
Gli accarezzò una guancia con un sorriso riconoscente che lo spiazzò visibilmente, ma sollevò un indice per zittire sul nascere la domanda che stava per rivolgerle.
“I miei genitori e quelli di Charlie stanno bene. Non m’importa del resto e non m’importa se il resto della mia famiglia potrebbe non ricordarsi mai più di me, perché saranno vivi e nessuno farà loro del male. Siamo in guerra, Sirius, dobbiamo farci bastare le piccole cose. Adesso puoi andare a prendere a pugni tuo fratello e farti espellere, oppure puoi restare con me e abbracciarmi perché ne ho davvero un gran bisogno e non mi va proprio di chiederlo a James.”
Charlie accennò un sorriso e si passò una mano tra i capelli, respirando a fondo.
La furia di Sirius diminuì di intensità come un incendio improvvisamente domato da una pioggia estiva fresca quanto fulminea.
Fu invaso da una sensazione di pace istantanea e si rese conto che tutto quello di cui aveva bisogno era lì che lo teneva bloccato contro il muro, guardandolo con un sorriso rassicurante.
Regulus gli sembrò di colpo assolutamente irrilevante, un puntino lontano e privo di valore a cui non avrebbe concesso il potere di influenzare la sua vita e di offuscare quello che si era impegnato a diventare.
La abbracciò con fermezza, avvolgendola e tenendola stretta nella speranza di allontanare qualsiasi forma di negatività o sofferenza.
Non avrebbe mai smesso di fare l’impossibile per proteggerla.
“Non credo di aver mai desiderato tanto una bottiglia di Whisky Incendiario”, commentò Charlie, sfinito, facendo ridere entrambi.
“Sono quasi sicuro che James ne abbia ancora una sotto il letto, dopo cena vado a recuperartela”, ammiccò Sirius, staccandosi da Bronwen e mettendogli una mano sulla spalla.
“Magnifico. Ci vediamo in Sala Grande”, sorrise il ragazzo dandogli una pacca affettuosa sulla schiena.
Bronwen spalancò le braccia e lui accolse l’invito: si tennero stretti per qualche secondo, erano entrambi decisamente più sollevati.
Il ragazzo la lasciò andare e le scompigliò appena i capelli, poi li precedette lungo il corridoio deserto, scomparendo giù dalle scale.
Sirius si voltò, prese con delicatezza il viso della ragazza tra le mani e si abbassò per baciarla con casta dolcezza, ancora incerto su cosa avesse fatto per meritarsi una persona simile.
Bronwen gli sorrise, sistemandogli una ciocca di capelli dietro l’orecchio destro.
“Grazie per essere restato.”
Lui scosse la testa e la baciò di nuovo, non avendo idea di come esprimere a parole la gratidudine e la commozione che provava ogni volta che si rendeva conto di essere amato in modo tanto puro e disinteressato, non avendo altre certezze al di fuori dei suoi amici e della straordinaria sensazione di calore che gli invadeva il corpo ogni volta che, grazie a lei, riusciva a essere una persona migliore.

Nessuno tornò a casa per Natale, principalmente per farsi compagnia gli uni con gli altri.
Bronwen passò le vacanze al castello per la prima volta in assoluto e la trovò un’esperienza deliziosa: il giorno della vigilia lo passarono mangiando dolci e raccontandosi storie, la mattina di Natale si godettero un’eccellente colazione e passarono la giornata a ciondolare per il castello, la neve ormai aveva sommerso completamente il cortile e il lago nero era ghiacciato.
Di sera si riunirono in sala comune e si sedettero sul tappeto davanti al camino per scambiarsi gli ultimi regali e chiacchierare.
Lily era seduta di fianco a James, che le teneva un braccio attorno alle spalle, e stava ridendo di qualcosa che aveva detto Peter.
Marlene stava ascoltando con attenzione Remus, il quale si stava dilungando in un’appassionata spiegazione di un capitolo estremamente noioso di Storia della Magia che nessuno aveva ancora studiato.
Bronwen sedeva in mezzo alle gambe di Sirius, nella sua posizione preferita, e recuperò presto una confezione vuota di Gelatine Tuttigusti+1 per lanciarla a Remus, facendo ridere tutti.
“Ti sembra davvero il caso di parlare di scuola?”, lo rimbeccò con un sorriso, schivando la scatoletta che le venne prontamente tirata di rimando.
“Ha ragione, dovremmo discutere di qualcosa di più stimolante”, concordò James con un ghigno che non prometteva niente di buono.
Lily gli lanciò uno sguardo di ammonizione.
“Tipo cosa?”, chiese Peter, che pendeva dalle sue labbra come al solito.
“Beh, mi viene in mente un episodio alquanto singolare del quarto anno.”
“Questo sì che restringe il campo”, commentò Sirius, sarcastico.
“La cosa interessante è che ti riguarda in prima persona, amico mio”, gongolò James.
Bronwen sollevò le sopracciglia, interessata.
Marlene, inavvertitamente, scoppiò a ridere.
“Non mi dirai che intendi… la festa dopo la partita con Corvonero?”.
Remus mise giù la sua bottiglia di Burrobirra e sollevò un indice, serio.
Non osare.”
“Precisamente, Marlene, vedo che godi di buona memoria. D’altra parte, solo in pochi hanno avuto il privilegio di assistere a un tale coinvolgimento”, rispose James, tranquillo.
Bronwen si voltò a guardare Sirius con espressione interrogativa quando lui le coprì entrambe le orecchie e si sporse verso l’amico per sibilare qualcosa.
Lily aggrottò le sopracciglia.
“Ricordo quella festa, siete stati in punizione una settimana per aver riempito mezza sala comune con bottiglie di Whisky Incendiario”, commentò.
“Bottiglie che furono la causa scatenante di un avvenimento senza pari”, ridacchiò James, beccandosi una gomitata scherzosa da Marlene, che non riusciva a trattenere le risate.
Bronwen si liberò a fatica dalle mani di Sirius e gli bloccò i polsi, cercando di sporgersi verso James.
“Insomma, cosa ha fatto?”, chiese, spazientita.
“Piantala di tenerci sulle spine”, rincarò la dose Lily.
“Bron, hai presente la scena ai Tre Manici di Scopa? Quella con il tuo ragazzo e Alice Grimm?”.
Ti uccido”, soffiò Sirius.
“Sì, la ricordo. Con un certo senso di nausea”, rispose la ragazza, ignorandolo.
Peter ridacchiò.
“Ottimo. Adesso immaginati più o meno la stessa cosa, con Remus al posto di Alice.”
Calò un silenzio tombale, nessuno osò fiatare.
Il diretto interessato era arrossito e stava di nuovo bevendo la sua Burrobirra, fingendo noncuranza.
Quando la mise giù, emise un grosso sospiro.
“Beh, eravamo ubriachi. O meglio, sono l’unico dei due a poter usare la scusa dell’alcol visto che Sirius non disdegna la compagnia maschile”, commentò come se niente fosse.
Se possibile, calò un silenzio ancora più pesante, interrotto solo dallo scoppiettio del fuoco nel camino.
Sirius si passò una mano sul viso, imprecando a voce bassa.
In che senso?”, chiese Bronwen, sempre più sconvolta.
Remus spalancò la bocca, improvvisamente preso dal panico.
“Non ti ha mai detto…?”.
No”, sottolineò Sirius, incenerendolo con lo sguardo.
“Ma insomma, credevo…”.
“Oh-oh”, mormorò James, zittito da una gomitata per niente leggera di Lily.
Bronwen si voltò a guardare il suo ragazzo, che sollevò prontamente un indice.
“Non è come credi, non mi piacciono i ragazzi”, si difese.
“Gli piacciono anche i ragazzi”, sorrise James, che si beccò un pizzicotto sulla gamba anche da parte di Marlene.
Bronwen sospirò di sollievo, lanciandogli un’occhiataccia.
“Per un momento ho pensato di essere sempre stata una sorta di finto rimpiazzo.”
“Non… ti importa? Non sei arrabbiata?”, domandò Sirius, colto alla sprovvista.
Lei si sporse per dargli un bacio sulle labbra, sorridendo.
“Perché dovrei? Ma se ti becco a letto con Remus vi uccido entrambi.”
Scoppiarono tutti a ridere e il ragazzo la baciò di nuovo, sollevato.
Pensò che non vedesse l’ora di darle il suo regalo.
“Non posso prometterti niente”, ammiccò Remus, più rilassato ma ancora rosso in viso.
“Allora erano vere quelle voci su te e Jeremy Quigg”, osservò Marlene, divertita.
“Già. Aveva una cotta per me l’anno scorso, non me la sono sentito di deluderlo”, rispose Sirius.
“Sbruffone”, commentò James, guadagnandosi un occhiolino.
Bronwen si voltò a guardare Sirius per l’ennesima volta, sforzandosi di mantenere un’espressione seria.
“Visto che siamo in tema di confessioni, la tua capita proprio a pennello.”
Lui la scrutò, diffidente.
“Cioè?”.
“Hai mai sentito parlare di ménage à trois?”.
A Lily andò di traverso il succo di zucca che stava bevendo e James, confuso, dovette passarle un tovagliolo.
Sirius non si scompose.
“Mi offende che tu pensi che non vi abbia già preso parte”, rispose, tranquillo.
Lei scrollò le spalle.
“Mi offende che tu pensi che non sia lo stesso per me.”
“Non dire sciocchezze.”
“Mai stata più seria.”
Sirius socchiuse gli occhi.
“Bene, ci sto. Facciamolo”, finse di assecondarla.
“Ottimo. Lo dirò a Benjy Fenwick, mi è sempre piaciuto immaginarlo…”.
Non riuscì a finire la frase perché il ragazzo iniziò a farle il solletico, ponendo fine a quella che giudicò una recita fin troppo realistica.
Sorrisero più o meno tutti a quella scena, tranne James che sembrava ancora non aver afferrato l'argomento della conversazione.
Restarono in sala comune fino a tarda ora a giocare a Obbligo o Verità, le cui regole furono spiegate da Lily e Bronwen, le uniche due a conoscerle.
James dovette ammettere di essersi chiuso nello sgabuzzino delle scope con Elodie Hewett il terzo anno (Marlene finse di vomitare nel camino), Peter fu costretto a confessare di aver pianto quando Bill Belcher gli aveva rubato il suo diario, Sirius e Remus furono incitati più o meno da tutti a baciarsi.
Fu una cosa estremamente breve, ma nessuno avrebbe più dimenticato quella scena e le risate che seguirono.
Come di consueto, Bronwen salì nel dormitorio dei ragazzi visto che il suo ormai era praticamente vuoto.
James rimase con Lily in sala comune, Remus disse che aveva voglia di restare un po’ a leggere e Marlene riuscì a trattenere Peter iniziando un discorso estremamente dettagliato sul Quidditch.
La ragazza sapeva che erano quasi tutte scuse per lasciarli soli, un po' per amicizia e un po' perchè, a detta di James, sapevano essere considerevolmente rumorosi.
Sirius, per tutta risposta, gli tirò un cuscino in faccia, sentenziando che la sua era solo invidia.
Una volta di sopra, Bronwen gli circondò il collo con le braccia per baciarlo ma lui si scostò dopo pochi secondi, con un sorriso.
“Aspetta un attimo”, le disse.
Lei aggrottò le sopracciglia.
“Inizi già a rifiutarmi? Davvero preferisci Remus?”.
“Non smetterai mai di rinfacciarmi questa storia, vero?”.
“Ormai dovresti conoscermi.”
Sirius le scoccò un’occhiata arresa e si diresse verso il suo letto dove, sorpreso, trovò un pacchetto chiuso da un nastro rosso.
Bronwen lo seguì e si lasciò cadere sul morbido piumone con un gran sorriso.
“Scusa ma non sono riuscita a trovare un’idea migliore quest’anno. Giuro che mi rifarò, ti prego non lasciarmi per il primo che passa.”
Lui si sedette e le afferrò il mento con un sorriso esasperato, per poi baciarla come faceva sempre quando voleva metterla a tacere e sapeva di esserne capace.
Con gentilezza, le prese le mani che aveva già intrecciato nei suoi capelli e gliele mise giù, scostandosi una seconda volta e ridendo del suo sguardo contrariato.
“Non fare quella faccia”, le sorrise, iniziando a scartare il suo regalo.
Era una scatola piena di biscotti alla cannella, rigorosamente a forma di cane.
O meglio, intuì che fossero a forma di cane a causa di quella che doveva per forza essere una coda.
“Sono… interessanti”, commentò, divertito.
“Dove li hai presi?”.
Lei incrociò le braccia, indispettita.
Li ho fatti io.”
Sirius si aprì in un gran sorriso.
“Davvero?”.
“Già. Naturalmente gli elfi non avevano stampi a forma di cane ma, insomma, ci abbiamo provato. E' stato un lavoro di squadra. Sono meglio di quello che sembrano, giuro.”
Ed era vero, erano eccezionali.
Pensò che nessuno avesse mai cucinato qualcosa esclusivamente per lui, i suoi genitori non avevano mai dato importanza a cose del genere.
L’attenzione, l’amore e l’impegno che Bronwen metteva nel dimostrargli il suo affetto erano tra le cose che più apprezzava al mondo.
Avrebbe potuto regalargli un vecchio quaderno usato e si sarebbe comunque sentito la persona più fortunata e speciale sulla faccia del pianeta.
“Grazie”, disse, mettendo da parte la scatola e sporgendosi per baciarle la fronte.
Lei scosse la testa.
“Sul serio, mi dispiace. Avrei voluto prenderti qualcosa di bello ma Hogsmeade non è più fornita come una volta e con tutto quello che è successo… non ho davvero avuto il tempo di inventarmi un regalo migliore. Però ti amo.”
Sirius sospirò, tirò fuori una busta da sotto il suo cuscino e gliela passò con espressione indecifrabile.
Si chiese se sarebbe mai riuscito a convincerla di quanto fosse innamorato, di quanto ogni suo gesto, parola, pensiero, significassero per lui.
“Cos’è?”, domandò lei.
“Il mio regalo. Spero te lo faccia capire.”
“Capire cosa?”.
Sirius accennò un sorriso gentile.

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Capitolo 16
*** XVI. ***


Fieri sentio

XVI.

 

Si resero conto di essere cresciuti davvero quando un giorno di primavera Frank e Alice tornarono a Hogwarts per rivedere compagni e professori, ma soprattutto per annunciare che presto si sarebbero sposati.
Se ne resero conto anche quando Silente iniziò a contattare privatamente diversi studenti per informarli dell’esistenza dell’Ordine della Fenice, in modo che potessero decidere se prendere parte o meno alla resistenza contro Voldemort e i suoi sostenitori.
Tutti i Malandrini accettarono senza esitazioni, così come Bronwen, Lily, Marlene, Dorcas, Benjy e Charlie.
L’ultimo anno si distinse sicuramente dagli altri per le lezioni serie e, spesso, pericolose.
Gli studenti impararono nuovi incantesimi per attaccare e difendersi, a preparare pozioni e antidoti efficaci, a distinguere le piante utili da quelle fatali, a utilizzare l’incanto Patronus per difendersi da Dissennatori e occasionali Lethifold.
Remus era l’unico ad avere un Patronus non corporeo, per ovvi motivi, e nessuno si rivelò essere particolarmente sorpreso dal fatto che quello di Bronwen fosse un gigantesco cane nero.
Quando l’aveva visto per la prima volta, in aula, Sirius era scoppiato in una risata gioiosa e l’aveva baciata davanti a tutti, senza che nessuno ne capisse il motivo.
Al di fuori di Hogwarts, invece, la realtà si rivelò in tutta la sua macabra crudezza.
I Mangiamorte si lasciavano dietro scie di omicidi, torture e sparizioni, era impossibile capire chi fossero gli infiltrati al Ministero e le voci che molti fossero costretti ad agire sotto l’effetto della maledizione Imperius iniziavano a scoraggiare sempre più maghi e streghe.
L’Ordine, con base ufficiale in una vecchia villa protetta dall’Incanto Fidelius, era costantemente al lavoro per proteggere il mondo magico quanto quello Babbano.
In realtà, ogni volta che c’era da fare una riunione, si cercava di cambiare casa: era una strategia ideata dall’Auror Alastor Moody, il quale riteneva troppo imprudente il riunirsi sempre nello stesso posto.
Era uno dei leader principali della ribellione insieme a Silente e a suo fratello Aberforth, ma non era l’unico membro del Ministero a far parte dell’Ordine: c’erano anche Elphias Doge e Frank con l’ormai moglie Alice, entrambi divenuti Auror eccezionali.
Le missioni venivano distribuite tra i vari membri e comprendevano l’anticipazione delle mosse del nemico, la protezione dei Babbani, l’utilizzo tempestivo di Incantesimi di Memoria di massa, la raccolta di informazioni, violenti duelli, la prevenzione di attacchi futuri e, nelle occasioni peggiori, la pulizia dei luoghi in cui giungevano troppo tardi.
Se c’erano corpi la prassi consisteva nel garantire alle vittime una sepoltura dignitosa, altrimenti si cercava semplicemente di scoprire cosa fosse successo e perché.
E poi ovviamente c’erano le cure da riservare ai feriti, amici o sconosciuti che fossero.
I membri dell’Ordine comunicavano attraverso i rispettivi Patronus, un’idea che ebbe Silente per proteggere i messaggi scambiati.
Le persone iniziarono a temere anche solo di pronunciare il nome di Voldemort, che divenne noto come Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, o Tu-Sai-Chi.
Quell’appellativo non veniva usato praticamente da nessuno dei componenti della ribellione, solo Peter Minus, Dedalus Lux e Sturgis Podmore non pronunciavano il suo nome.
Anche la McGranitt e Rubeus Hagrid erano esitanti, il più delle volte camuffavano il loro timore utilizzando l’appellativo di Signore Oscuro, ma nessuno poteva fargliene una colpa.
Vennero a sapere che per assicurarsi che il suo esercito rimanesse numeroso,  Voldemort si assicurava che i Mangiamorte conoscessero pochissimi dei loro compagni.
Bartemius Crouch e il Ministro Minchum continuavano a lavorare senza sosta per sbatterli ad Azkaban, ma la situazione era drammatica.
Severus Piton faceva ufficialmente parte della schiera dei Mangiamorte più fedeli insieme a Regulus Black, Evan Rosier, Avery, Mulciber, Wilkes, Bellatrix Lestrange e suo marito Rodolphus.
Voldemort tentò di recrutare sia Lily che James, dichiarandosi disposto a soprassedere sul loro status di Mezzosangue e Traditore, ma entrambi rifiutarono e lo affrontarono personalmente, riuscendo miracolosamente ad avere la meglio.
Moody reagì a quella storia con rabbia inaudita, urlò che erano stati dei maledetti incoscienti per una buona mezz’ora e Silente dovette calmarlo con ingenti quantità di whisky incendiario.
Tutti i membri dell’Ordine furono visibilmente sconvolti da quel racconto, la paranoia e la paura di una possibile vendetta aleggiò tra loro per ben due settimane prima che le cose tornassero lentamente alla normalità.
Bronwen si era trasferita nella casa che Sirius era riuscito a comprare con i soldi che gli aveva lasciato suo zio.
Entrambi si tenevano in contatto con i genitori di lei grazie a Silente, stessa cosa faceva Charlie, che viveva con Edgar Bones e Benjy Fenwick in un appartamento appena fuori città.
A volte litigavano, principalmente per tutte le cose che Bronwen lasciava in giro o per le stupidaggini che Sirius e James decidevano di mettere in atto, come la sera in cui erano usciti con quella maledetta motocicletta e non solo erano stati visti da Babbani, ma erano anche stati inseguiti da ben tre Mangiamorte.
Il più delle volte, però, quando non erano impegnati in missioni pericolose e potenzialmente mortali, cercavano di passare più tempo normale possibile insieme.
Guardavano film, ascoltavano musica, cucinavano con la radio accesa, una sola volta avevano rischiato più del solito e avevano passato mezza giornata in spiaggia, su insistenza di Sirius, che poi si era beccato un’altra delle sfuriate di Alastor.
Avevano trovato un fragile equilibrio che rischiava di disintegrarsi ogni giorno: la guerra aveva cambiato la vita di tutti, la paura era un’ombra che gravava sulle loro spalle ogni minuto di ogni momento.
Sirius non riusciva quasi mai a dormire la notte, entrambi tenevano le bacchette sotto il cuscino e Bronwen si svegliava poco prima dell’alba in modo da restare vigile e permettergli di riposare un po’.
Andavano spesso a trovare i Potter insieme a Lily e James, erano a pranzo da loro praticamente ogni domenica ed erano sempre visite serene e piacevoli.

Quel pomeriggio, però, furono i loro amici a sorprenderli con una visita del tutto inaspettata: di solito avvisavano prima di passare.
Sirius era di umore indecifrabile, se ne stava seduto in poltrona con uno sguardo accusatorio fisso sull’amico che, al contrario, sembrava felice come una pasqua.
Lily era più nervosa, lo si intuiva da come continuasse a sbattere ritmicamente il piede sul tappeto.
Bronwen mise giù la sua tazza di tè, sempre più irritata da quel silenzio indefinito: da quando erano arrivati non avevano pronunciato che frasi di circostanza.
“Avete intenzione di dirci che sta succedendo?”, sbottò dopo diversi minuti, al limite della pazienza.
Lily si scostò una ciocca di capelli dalla spalla e rivolse uno sguardo irritato a James, come a invitarlo a parlare per primo.
Lui si strinse nelle spalle con un gran sorriso.
“E’ arrabbiata con me”, dichiarò.
Sembrava tutt’altro che preoccupato.
E ha ragione”, puntualizzò Sirius, incenerendolo con lo sguardo.
“Che ha fatto adesso?”, chiese Bronwen all’amica, già rassegnata.
Lily inspirò profondamente.
“Mi ha chiesto di sposarlo”, pronunciò le parole così velocemente che Bronwen non riuscì a capire subito cosa avesse detto.
Quando fu certa di aver elaborato correttamente quella frase, la ragazza sbattè le palpebre un paio di volte.
“Di sposarlo?”, domandò più divertita che sorpresa.
“Già.”
“Sì ma non è arrabbiata per questo”, sottolineò James.
“Per cosa allora? Glielo hai chiesto regalandole un manico di scopa invece che un anello?”, sorrise Bronwen.
Lui le fece l’occhiolino.
“Devo amettere che il tuo umorismo sta migliorando. No, Bron, è arrabbiata perché ha detto di sì.”
Ha detto di sì?”, la ragazza si aprì in un gran sorriso, riuscendo a stento a trattenere l’impulso di saltare in piedi e mettersi a battere le mani.
“Devo essere impazzita”, mormorò Lily in tono lugubre.
“E’ lui a essere un maledetto squilibrato”, commentò Sirius.
“Oh, piantala di essere così negativo!”, rispose James alzando gli occhi al cielo.
“Ma è una cosa straordinaria! Visto che non sappiamo se ci faranno fuori entro il mese prossimo, perché aspettare?”.
Precisamente Bronwen, grazie di essere molto più acuta e perspicace del tuo ragazzo!”.
Lily lo incenerì con lo sguardo.
“Sta’ zitto, James. Sto valutando di trasfigurarti in una lattina.”
“Qual è il problema?”, chiese Bronwen, rivolgendosi a Sirius.
Lui fece una smorfia.
“Il problema è che siamo in guerra. Non è il momento adatto per pensare a cose del genere!”.
“Ha solo paura che ora ti aspetti che anche lui te lo chieda.”
James!”, ruggì il ragazzo, arrossendo per la rabbia e l’imbarazzo.
Lei sorrise e liquidò la faccenda con una battuta, pur decisa a tormentarlo per un po’ appena se ne fossero andati.
Mentre erano in cucina a preparare un vassoio con le fette del dolce che avevano portato in occasione della lieta notizia, Lily le chiese timidamente se la ritenesse una sciocca per aver accettato di fare una cosa tanto seria e avventata.
Bronwen scosse la testa, seria.
“Ti ama davvero tanto, Lily. E anche tu lo ami. Storci pure il naso ma sappiamo entrambe che da quando si è calmato, James Potter è diventato il sogno di qualunque ragazza esistente sul pianeta.”
Lei sorrise, gli occhi verdi improvvisamente più brillanti.
“Non posso negarlo. E’ solo che… non avrei mai pensato che proprio io…”.
“Avresti ceduto alla folle valanga di avvenimenti impulsivi che comporta l’amore? Beh, era scritto in partenza. Stiamo pur sempre parlando di un Malandrino.”
“Credi che saremo felici?”.
Bronwen non riuscì a non abbracciarla.
La strinse forte nella speranza di rassicurarla, di farle capire che si meritava di tenersi stretta quella felicità che avrebbe potuto alleviare almeno un po’ l’angoscia con cui si erano abituati a convivere.
“Sarete felici, Lily. Questa guerra finirà, noi andremo finalmente avanti, tu avrai tanti bambini che inizieranno a chiamarmi zia e Sirius sarà terrorizzato all’idea di essere invecchiato troppo presto.”
Riuscì a farla ridere.
Prima che potesse portare il vassoio in soggiorno, Lily la fermò mettendole una mano sulla spalla.
“Sai, Sirius ha già accettato di fargli da testimone. Non è che… insomma, ti farebbe piacere?”. 

Rimasero a cena, su insistenza di Bronwen.
Avevano bisogno di quei momenti, di stare insieme e ridere come se fosse la cosa più normale del mondo.
Ne avevano bisogno per non impazzire.
Sirius, come sempre, era sfinito.
Quando se n’erano andati si era subito messo a letto e lei, prima di raggiungerlo, si era fermata a osservare per un po’ le foto appese in soggiorno, il suo ultimo regalo di Natale.
Alcune le avevano scattate con la fotocamera di suo padre, a casa sua, nella sua camera e in cortile.
Lui le chiamava “fotografie fisse da Babbani”, facendola ridere ogni volta.
Le altre, molte di più, erano magiche e li ritraevano a Hogwarts insieme ai loro amici, a Londra, dai Potter.
Una delle sue preferite era stata scattata in sala comune, una sera invernale in cui si erano tutti riuniti vicino al fuoco come sempre: l’aveva fatta Liam.
Ce n’era una in cui Charlie la abbracciava in riva al lago, un’altra con Remus e Cornelia che sorridevano in corridoio tenendosi per mano.
Quando gliele aveva date, Sirius si era detto dispiaciuto di non essere riuscito a recuperarne una con Veronica: aveva scritto a Cornelia per farsela mandare ma lei gli aveva risposto in ritardo e dicendogli che non aveva idea di dove fossero le sue foto.
Tutte quelle che Bronwen aveva custodito gelosamente in un cassetto della sua scrivania erano ovviamente andate distrutte.
Ripensò a quando lui, Remus, Lily e Charlie si erano offerti di accompagnarla a vedere cosa fosse rimasto della casa in cui era nata e cresciuta.
Aveva preferito andare da sola e James aveva insitito per prestarle il suo mantello dell’invisibilità, per garantirle protezione.
L’abitazione era ancora in piedi, ma a stento.
Al posto di porte e finestre c’erano enormi varchi provocati da incantesimi esplosi con violenza, i muri erano completamente scrostati, le stanze praticamente carbonizzate.
Non riuscì a recuperare niente, né un quadro di sua madre né uno dei libri di suo padre.
Dopo essersi seduta sull’uscio e aver pianto, sconvolta, era tornata da Sirius e aveva restituito il mantello a James senza dire una parola, poi era andata a dormire senza cenare.
Sfiorò con le dita una foto di lei sdraiata a leggere sul suo letto e sospirò.
Quel regalo l’aveva commossa, Sirius era stato così felice di darglielo che si era vergognata molto dei suoi stupidi biscotti.
Li avevano finiti insieme, sul letto di James che odiava le briciole più di qualunque altra cosa.
Quando lo raggiunse in camera da letto non si stupì di trovarlo sveglio: la aspettava sempre.
Si infilò sotto le coperte ma rimase seduta, la schiena poggiata alla testiera del letto, guardandolo con un sorriso furbo.
“Cosa?”, le chiese il ragazzo, ricambiando per riflesso.
“Pensavo che mi piacerebbe saper dipingere”, rispose lei.
Non disse che avrebbe pagato oro per essere capace di disegnare lui, di ritrarre ogni sua singola espressione, i suoi tratti delicati e di una bellezza fuori dal comune.
Una bellezza così peculiare da fargli collezionare ogni volta, nel tragitto supermercato-casa, almeno cinque sguardi di donne adulte.
“E’ meno difficile di quello che sembra.”
“Anch’io parlerei così se fossi brava in tutto.”
Sirius sbuffò una risata e le mise un braccio attorno alle spalle perché si appoggiasse a lui.
“Non sono bravo in tutto. E va bene, forse so dipingere, suonare il pianoforte, sono bello e carismatico, ma…”, Bronwen gli pizzicò una gamba per zittirlo, ridendo.
“Non siamo tutti cresciuti in una famiglia aristocratica, sai?”.
“E meno male”, ridacchiò lui dandole un bacio sulla fronte.
Rimasero in silenzio per un po’, poi Bronwen sollevò la testa per guardarlo.
“Ho ripensato a quello che ci hanno detto James e Lily.”
Mascherò a stento un sorriso quando lo sentì irrigidirsi.
“E?”, le domandò.
“E sono molto felice per loro. Lily mi ha chiesto di farle da testimone.”
“Lo so. James dice che gli ha domandato se ti avrebbe fatto piacere più o meno cinquanta volte.”
La ragazza sorrise, felice.
“Non vedo l’ora.”
Sirius sospirò, massaggiandosi la fronte con aria sfiancata.
Chissà quanto ci aveva rimuginato su.
“Ascolta, non è che non ci abbia pensato…”, iniziò ma lei gli coprì prontamente la bocca con una mano.
“Ho detto che sono molto felice per loro ma non vuol dire che vorrei la stessa cosa. Come non la vuoi tu.”
Sirius le scostò la mano, le sopracciglia aggrottate.
“Non vorresti sposarmi?”, chiese, indignato.
“Sei matto? Chi ce la fa a sopportarti per il resto della vita?”.
“Forse dovrei chiedere a Marlene.”
La ragazza alzò gli occhi al cielo, ignorando quel sorriso impertinente che non era cambiato di una virgola.
“Cercavo solo di dire che hai ragione tu. Non è il momento per pensarci.”
“Sì ma non vuol dire che prima o poi non possa esserlo.”
Bronwen sorrise.
“Sirius Black che vuole sistemarsi? Credevo fosse più probabile che James giocasse alla Coppa del Mondo.”
Lui ricambiò il sorriso.
“Che posso dire? Mi hai rovinato.”

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Capitolo 17
*** XVII. ***


Fieri sentio

XVII.

 

Era l’autunno del 1979 quando finalmente ebbe luogo il matrimonio.
L’organizzazione della cerimonia semplice e privata era iniziata da molto prima, ma la perdita di alcuni membri dell’Ordine aveva rallentato le cose.
Bronwen rimase traumatizzata dal ritrovamento del corpo mutilato di Benjy, lo stesso sorridente quanto sfrontato Benjy che ad Hogwarts l’aveva fatta ridere innumerevoli volte negli spogliatoi, tra un allenamento e l’altro.
Seguirono Dorcas e Marlene, la prima uccisa personalmente da Voldemort, la seconda assassinata insieme a tutta la sua famiglia.
Furono tutti assolutamente stravolti dalla notizia.
Lily era corsa a vomitare appena Silente aveva pronunciato i loro nomi con aria grave, Sirius si era lasciato cadere sul divano, si era coperto il viso ed era scoppiato in un pianto così disperato che James aveva dovuto accompagnarlo fuori.
Bronwen non credeva di avere ancora lacrime sufficienti per piangere altre persone, ma quel giorno si ritrovò scossa da violenti singhiozzi che neanche l’abbraccio di Remus riuscì a contenere.
Non avrebbe dimenticato gli occhi pieni di lacrime della McGranitt, la disperazione di Hagrid, il terrore di Peter, la tacita rassegnazione di Frank e Alice.
Nessuno aveva più voglia di andare avanti e Moody concesse tre giorni di lutto per piangere i caduti e prendersi una pausa.
Prima di congedarli, Silente aveva ricordato a tutti perché continuassero a insistere nonostante la notevole posizione di svantaggio.
Era una guerra e stavano perdendo, forse nessuno sarebbe sopravvissuto, ma definì il bene come un qualcosa di fine a se stesso che era giusto continuare a difendere fino alla fine.
Senza di loro molte più persone sarebbero morte.
Senza di loro il Ministero non avrebbe avuto il sostegno necessario per restare in piedi.
Senza di loro centinaia di bambini sarebbero stati dispersi o brutalmente assassinati.
Hagrid aveva coraggiosamente tirato su col naso e aveva dichiarato che sarebbe rimasto al fianco di Silente fino alla fine.
Stessa cosa fecero tutti gli altri.
Fu Lily a convincere James a non annullare il matrimonio, sostenendo che dovessero sfruttare ogni briciolo di felicità rimasta perché non avevano idea di quando tutto sarebbe finito.
Euphemia e Fleamont Potter parteciparono con gioia alla cerimonia, stessa cosa non si potè dire della sorella di Lily, Petunia, e di suo marito Vernon.
Lei aveva liquidato la faccenda con un sorriso amaro, sapeva già che non sarebbero venuti.
James, invece, l’aveva presa malissimo: aveva urlato per ore, furibondo, sbraitando che avevano oltrepassato il limite con quell’odio ingiustificato, che sapevano benissimo come Lily rischiasse la vita ogni giorno e che era inaccettabile rifiutarsi di partecipare al matrimonio a causa dei loro pregiudizi ignoranti e infondati.
Fu comunque una cerimonia incantevole e sentita, i voti che pronunciarono commossero tutti i pochi presenti e la piccola festa che seguì riuscì ad allontanare per qualche ora l’angoscia e il dolore dai loro cuori.
Sia Lily che James erano bellissimi, brillavano di una luce speciale che era impossibile non notare.
Lei aveva i capelli raccolti in una splendida treccia dalla quale spuntavano rametti di lavanda e indossava un vestito bianco latte estremamente semplice con ricami in pizzo al posto delle spalline.
James non rinunciò alla sua chioma disordinata ma il completo che aveva scelto con i suoi amici non lasciava spazio a qualcosa di diverso dall’approvazione di tutti i presenti: non era mai stato tanto attraente.
Nessuno avrebbe dimenticato il suo sguardo, gli occhi pieni di lacrime dal momento esatto in cui si erano posati su Lily.
Bronwen non riuscì a fare a meno di sperare che un giorno anche lei potesse essere tanto felice e radiosa.
Guardando Sirius mentre rideva con i suoi amici, tutti eccezionalmente in completo da cerimonia, le era venuto in mente un pomeriggio estivo di due anni prima, quando erano rimasti seduti sui gradini di casa Potter a parlare per ore.
Quando un paio di ragazzi erano passati e avevano salutato Sirius con la mano, urlandogli che pensavano preferisse le Babbane, lui si era voltato verso di lei con un sorriso luminoso e aveva risposto che chiunque l’avesse conosciuta non avrebbe mai più potuto preferire qualcun altro.

Poche settimane dopo la cerimonia, quando Lily annunciò di essere incinta, Bronwen e il resto dell’Ordine non riuscirono a contenere la gioia, l’euforia che disseminò la notizia.
Lei mise subito in chiaro di non voler essere esonerata da nessuna missione e James provò a farla ragionare ma Lily Evans era sempre stata più testarda e determinata di quanto potessero immaginare, sebbene al tempo stesso dotata di una bontà e di una comprensione rare.
Lei e Bronwen passarono molto tempo insieme, soprattutto a seguito della partenza di Charlie, che decise di raggiungere i propri genitori.
Pianse per la vergogna quando lo comunicò ai membri dell’Ordine, ma nessuno gli fece pesare quella decisione: decidere di stare con la propria famiglia non poteva e non doveva diventare una colpa.
Abbracciò Bronwen per diversi minuti, scusandosi infinite volte, ma lei lo ringraziò dal più profondo del cuore per aver deciso di mettersi in salvo, per aver scelto di evitarle il peso di svegliarsi ogni giorno con il terrore di ricevere la notizia della sua morte.
Gli promise che si sarebbero rivisti presto, ne era assolutamente convinta.
Tutti quegli addii, negli anni, l’avevano sfinita.
Aveva perso diversi chili, quel po’ di colorito che la caratterizzava, ma non era certo la sola ad aver cambiato aspetto.
Lei e Lily passavano molto tempo a bere tè bollente e a parlare, l’unica cosa che permetteva a entrambe di mantenere una certa lucidità e un’apparenza di normalità. 

Era una mattina plumbea e fresca quando Bronwen si svegliò e trovò il posto accanto a sé vuoto.
Rimase immobile, nella speranza di sentire qualche rumore provenire dalla cucina o dal bagno, ma sapeva che sarebbe stato troppo improbabile.
Si mise a sedere e sentì il panico minacciare di travolgerla, perciò chiuse gli occhi e prese dei respiri profondi per diversi minuti prima di alzarsi, vestirsi, recuperare la propria bacchetta e smaterializzarsi per andare a casa di James e Lily.
Vivevano a Godric’s Hollow, nella casa dei genitori di lui, che purtroppo erano deceduti a pochi giorni di distanza l’uno dall’altra a causa del vaiolo di drago.
James non l’aveva ancora superata e le dispiacque da impazzire disturbarli così, di punto in bianco, ma non avrebbe davvero saputo da chi altri andare.
Li trovò in cucina che facevano colazione e, sebbene fossero sorpresi di vederla, la invitarono subito a sedersi cercando di mascherare una velata preoccupazione.
Bronwen rimase in piedi, una mano poggiata al muro e lo sguardo spaventato.
“Sirius non c’è”, pronunciò quelle parole con voce tremante.
Lily lasciò cadere la forchetta, che urtò rumorosamente il piatto pieno di uova e prosciutto.
“Cosa vuol dire che non c’è?”, domandò, gli occhi grandi.
James abbassò lo sguardo, silenzioso.
“Che mi sono svegliata e non era in casa. Non ha lasciato messaggi ma non c’era niente fuori posto, ho controllato ogni stanza prima di venire qui, non credo… non possono essere venuti… vero?”.
“No, naturalmente no. Non avrebbe senso, neanche possono vederla la vostra casa. Siediti”, le intimò la ragazza, pallida, scostando una sedia.
Bronwen accettò l’invito perché le gambe stavano per cederle e si passò una mano tra i capelli, nervosa.
“Ma allora dov’è? Perché non torna? Perché non mi ha detto che sarebbe uscito?”.
Lily si voltò a guardare James, che stava ancora osservando il suo porridge con un certo interesse.
La ragazza strinse le labbra, sentendo l’irritazione crescere a seguito di quella nuova consapevolezza.
Lui sapeva.
“Dille dov’è”, gli ordinò, facendolo sussultare.
Bronwen si voltò a guardarlo di scatto, pallida.
Lo sai?”, sbottò, a metà tra il sollevato e l’arrabbiato.
“Non posso”, rispose lui, mortificato.
“James!”, esplose Lily, incredula.
“L’ho promesso a Silente e Moody.”
Bronwen boccheggiò, sentendo distintamente il sangue gelarlesi nelle vene.
Silente e Moody.
“Vuoi dire che è in missione?”, osò chiedere con voce strozzata.
James annuì, incapace di sostenere il suo sguardo.
“Senza dire niente a nessuno? Perché?”, chiese Lily, sconvolta.
Il silenzio che seguì fu agghiacciante.
“Perché è qualcosa di segreto. E pericoloso”, mormorò Bronwen muovendo appena le labbra.
“Quanto pericoloso? James, guardami. Quanto?”.
Lui sollevò finalmente lo sguardo, mortificato.
“E’ la stessa che avevano assegnato a Dorcas. Si è offerto volontario.”
Lily non riuscì a trattenere un gemito, Bronwen rimase senza fiato, come se non avesse più aria nei polmoni.

A pomeriggio inoltrato erano quasi tutti riuniti nella vecchia e malconcia villa scelta da Silente come base principale per le emergenze.
Moody era nervoso e continuava a misurare l’ingresso da un estremo all’altro con grandi passi, ogni tanto grugniva qualcosa che nessuno riusciva a capire.
Silente se ne stava seduto in cucina con la McGranitt e suo fratello, le tazze di tutti e tre erano ormai vuote ma nessuno osava muoversi.
Bronwen era seduta in soggiorno assieme a Lily, James, Remus e Peter.
Non si era mai sentita tanto arrabbiata e ferita in vita sua.
Sirius era tornato poche ore prima, in condizioni talmente raccapriccianti che Silente corse il rischio di chiedere al Ministero di inviare un guaritore il prima possibile.
Prima di andarsene, l’uomo aveva dichiarato di aver fatto del suo meglio ma che le ferite erano state procurate da incantesimi troppo potenti perché potessero guarire nell’immediato.
Bronwen si era dovuta trattenere molto per non riversare la sua frustrazione su James, con il quale sembravano avercela tutti.
In fondo non era colpa sua, lo aveva detto anche a Lily.
Avevano passato la bellezza di un’ora e un quarto in totale silenzio quando le teste di tutti si sollevarono all’unisono.
Bronwen si voltò di scatto a lo vide fermo sulla soglia del soggiorno, il viso ancora tumefatto, i vestiti strappati.
Guardava solo lei.
La ragazza si alzò dalla poltrona in cui era sprofondata e lo raggiunse a grandi passi, sotto gli occhi di tutti.
Sirius provò a dire qualcosa, forse a pronunciare il suo nome, ma non ne ebbe l’occasione visto il violento schiaffo che gli colpì una guancia.
Si sentì un respiro spezzato, forse quello di Peter.
Remus si accomodò meglio sul divano, sollevato: se non l’avesse fatto lei, ci avrebbe pensato di persona.
“Come hai potuto farmi una cosa del genere?”, sbottò la ragazza, gli occhi pieni di lacrime.
“Cercavo di proteggerti”, rispose lui con semplicità.
James fece una smorfia, dandogli mentalmente dell’imbecille.
“Tu saresti stata al sicuro. Lo sai che è la mia priorità assoluta, te l’ho sempre detto.”
Bronwen desiderò schiaffeggiarlo ancora, era così arrabbiata da non riuscire neanche a sentire il sollievo per il fatto che fosse ancora vivo.
“Cosa sarebbe successo se non fossi tornato? Come si sarebbe sentito James, sapendo di aver dovuto contribuire alla tua stupida missione suicida? Cosa sarebbe rimasto di me?”.
Sirius non osò replicare.
Sapeva, naturalmente, di aver sbagliato.
Ma lo avrebbe rifatto altre infinite volte, niente gli interessava più del tenerla al sicuro, per quanto paradossalmente egoista potesse sembrare.
“Sai qual è il problema? Che non t’importa un accidente di come mi sono sentita. Di come mi sentirei se lo rifacessi!”.
“No”, ammise finalmente lui.
“Hai ragione. Finchè sei al sicuro, finchè sei viva, puoi anche odiarmi.”
“Mentre tu vai a farti ammazzare come se niente fosse?”, sbraitò lei, sconvolta da quello che le stava dicendo.
Lily avrebbe voluto più di ogni altra cosa intromettersi e prenderlo a calci, più o meno come tutti i presenti.
“Ci vuole di meglio per ammazzarmi”, fu la risposta di scherno che ricevette.
Lei tacque, non essendo più sicura di riconoscere la persona che le stava davanti.
Quel pensiero la spaventò al punto che dovette sedersi sul divano, accanto a Remus, per riprendere fiato.
Le girava la testa.
“Sono qui, sto bene. Mi dispiace. L’ho fatto perché ti amo e voglio proteggerti, cosa c’è di così sbagliato?”, sbottò Sirius, seguendola.
Lei sollevò lo sguardo.
“Tu pensi che questo sia amore? Fregandotene dei miei sentimenti, di quello che penso, credi di amarmi?”.
“Sì, Bronwen, credo proprio di amarti visto che mi sono quasi fatto ammazzare solo per assicurarmi che non ci mandassero te in missione!”.
La ragazza si alzò, riservandogli uno sguardo gelido.
“Allora non lo voglio questo amore. Non voglio mai più rivivere quello che ho vissuto oggi.”
James si passò una mano sul viso, afflitto.
Aveva sperato fino all’ultimo che quell’idiota del suo amico non la portasse a dire qualcosa del genere, ma la verità era che l’aveva immaginato.
“Non dire sciocchezze”, mormorò Sirius, che aveva perso di colpo tutta la sua sicurezza.
“Vado a casa”, rispose la ragazza con freddezza, dirigendosi a passo spedito verso la porta.
Per la prima volta, decise che avrebbe camminato fino al loro appartamento.
Per la prima volta, non salutò nessuno.
Sirius non capì bene quello che stava succedendo, ma non la seguì: le avrebbe dato del tempo per calmarsi, si disse che era solo arrabbiata.
Che le sarebbe passata.
James provò a dire qualcosa ma fu interrotto da Lily, che si alzò prontamente per seguire la sua amica.


Nessuno avrebbe mai pensato, un giorno, di vedere James Potter cambiare pannolini e canticchiare filastrocche in rima.
Eppure le sue giornate erano ormai quasi completamente piene di giochi, favole, risate e un amore troppo difficile da descrivere a parole.
Lily era grata per i loro momenti più privati, quelli in cui la guerra non infuriava al di fuori della loro casa e Voldemort non esisteva.
Quando erano con Harry era molto più facile pensare che tutti fossero felici quanto loro, che i loro amici fossero ancora tutti vivi, era assurdamente semplice dimenticarsi di come Silente li avesse spaventati a morte quando aveva fatto intendere che, per qualche insensato motivo, Harry era in serio pericolo e occorreva che si nascondessero, che nascondessero la loro casa e le loro vite.
Non avevano insistito per conoscere i dettagli, si fidavano ciecamente di Silente e di tutti gli altri membri dell’Ordine.
Avevano instistito tanto perché fosse Sirius il loro Custode Segreto, ma lui sosteneva che una scelta del genere fosse troppo scontata e alla fine si convinsero della cosa, scegliendo piuttosto di affidarsi a Peter senza però dirlo a nessuno-
Harry era un bambino minuto ma non per questo poco energico, non gli piaceva dormire e amava chiunque fosse disposto a giocare con lui o a raccontargli storie.
Adorava sia Remus che Sirius (Peter era andato a trovarlo una sola volta, pochi giorni dopo la sua nascita) ma Bronwen era decisamente la sua preferita.
Ogni volta che la vedeva alzava in aria i piccoli pugni e sorrideva, impaziente di essere preso in braccio.
In quei momenti, Lily poteva finalmente concedersi un attimo di pausa e si lasciava cadere su una delle sedie in cucina mentre James cominciava a preparare il tè.
Quando Bronwen lo metteva giù o smetteva di prestargli attenzione anche solo per un minuto, il bambino cominciava a innervosirsi e a tirarle testardamente i capelli, cosa che faceva ridere tutti.
Quella sera avevano organizzato una cena per festeggiare una recente vittoria su un gruppo di Mangiamorte: pochi giorni prima li avevano anticipati riuscendo a mettere in salvo una famiglia di Babbani per un soffio.
Bronwen aveva rimediato un paio di tagli sulla guancia e qualche livido, Remus era stato sbattuto con violenza contro una parete e lamentava ancora un dolore alla spalla destra, Hagrid sembrava l’unico a non aver riportato danni.
Invitarono anche lui, ma disse che Silente gli aveva già assegnato qualcosa da fare.
Era una persona davvero genuina e non c’era qualcuno a cui dispiacesse la sua compagnia, nonostate la stazza imponente era eccezionalmente gentile e affabile.
Lily, con l’aiuto di Bronwen, aveva cucinato quantità di cibo sufficiente a sfamare un esercito, Remus aveva portato una torta gigantesca (perché altrimenti che razza di festeggiamenti sarebbero stati?) e Sirius, naturalmente, si era occupato del brandy.
Bronwen passò tutta la serata cercando di ignorarlo e fallendo miseramente come fece notare James che, più o meno a metà cena, la informò sottovoce che aveva contato già ben ventidue occhiate malcelate.
La situazione che si era creata tra loro era la cosa più forzata e insopportabile che si potesse immaginare, non c’era nessuno che non vedesse l’ora che si riappacificassero.
Dopo la famosa “Giornata esplicativa della stupidità di Sirius Black”, come avevano deciso di battezzarla James e Lily, avevano litigato molto.
Lei gli aveva ripetuto infinite volte che non avrebbe mai più accettato un comportamento simile e se non ne capiva il motivo, se neanche fosse capace di immaginare come l’avesse fatta sentire, non c’era alcuna ragione per cui dovessero continuare a stare insieme.
Lui era rimasto scioccato dal fatto che fosse seria.
Nella sua testa non aveva fatto altro che proteggerla e il fatto che volesse lasciarlo per questo lo aveva mandato semplicemente fuori di testa.
Le disse cose brutte, cose che non pensava davvero.
Poi, da bravo idiota immaturo, decise di non rivolgerle più la parola.
Continuarono a vivere nella stessa casa per motivi di sicurezza anche se lei andava spesso a dormire da James e Lily, non si scambiarono che frasi di circostanza per molto tempo.
Alla nascita di Harry erano entrambi presenti, Sirius si commosse profondamente quando James lo nominò ufficialmente padrino del piccolo.
Lei ne fu immensamente felice e desiderò con tutta se stessa di abbracciarlo, ma ormai si era quasi convinta del fatto che semplicemente non la volesse più.
Se la sua testardaggine era più forte della voglia di risolvere le cose, c’era ben poco che potesse fare.
Quando lo disse a James, lui sbuffò con fare divertito e le rispose che non aveva idea dei livelli a cui potesse arrivare l’orgoglio di Sirius Black.
Bronwen si accorse più di una volta di come la guardasse quando giocava con Harry o parlava con Remus e Lily.
L’unico che non teneva d’occhio era James, il solo che non avesse preso apertamente le parti della ragazza: tutti gli altri non si erano fatti problemi a dirgli di essere stato un imbecille.
Ogni tanto le sfiorava la mano, la urtava appena con un braccio, faceva in modo di seguirla in cucina o al piano di sopra con fare totalmente casuale.
Eppure non aveva il coraggio di affrontare di petto la questione: anche lui aveva paura che ormai le cose fossero cambiate e che non lo volesse più, era quasi convinto di aver fatto uno sbaglio a cui non potesse più rimediare.
Buona parte di lui era ancora convinta di non aver fatto niente di male, di aver agito solo per proteggerla, ma una minuscola porzione del suo cervello si era resa conto di averla terrorizzata e in quel clima era davvero l’ultima strada che avrebbe dovuto scegliere di imboccare.
Probabilmente era così ossessionato dall’idea di tenerla al sicuro perché non era mai riuscito a proteggere se stesso o suo fratello dalla dura e insensata educazione dei loro genitori.
Una breve lettera della madre lo aveva informato, qualche settimana prima, del decesso di suo padre.
Non era riuscito a provare niente a seguito di quella notizia, James e Remus lo avevano accompagnato in una lunga passeggiata ma non ci fu bisogno di alcun supporto morale.
Di suo padre, come di sua madre, avrebbe ricordato solo parole piene d’odio, sguardi delusi, discorsi che incitavano alla violenza e al disprezzo, gli schiaffi e l’occasionale fibbia di una cintura di cuoio.
Improvvisamente sopraffatto da quei pensieri e incapace di reggere oltre la visione di una Bronwen raggiante mentre giocava con Harry seduta sul tappeto insieme a Lily, si era scusato ed era uscito per andare a sedersi sui gradini di casa, nella speranza di prendere un po’ d’aria.
Aveva rubato una delle sigarette dalla scorta segreta di James, che se ne concedeva un paio solo quando era estremamente nervoso e mai senza beccarsi una lavata di capo da Lily.
La luce che proveniva dalla finestra del soggiorno illuminava appena l’erba rada ma profumata del giardino, riusciva a sentire le voci e le risate dei suoi amici, cosa che gli diede un’istantanea sensazione di tranquillità.
“Adesso fumi?”, la sua voce lo sorprese alle spalle, tanto che per riflesso buttò subito il mozzicone di sigaretta e lo schiacciò con un piede.
Non ebbe il tempo di voltarsi perché Bronwen gli si sedette di fianco, rivolgendogli un finto sguardo severo come ogni volta che voleva prenderlo in giro.
“A volte”, rispose, sconcertato dal fatto che l’avesse seguito fuori e gli stesse rivolgendo la parola all’improvviso, dopo tutto quello che aveva combinato.
Lei sollevò le sopracciglia.
“Beh, piantala subito. Non permetterò né ai Mangiamorte né alla nicotina di farti fuori, perciò arrangiati.”
Sirius non replicò subito, si prese del tempo per scrutarla.
Gli mancava talmente tanto.
“Bronwen…”.
Lei lo mise a tacere sollevando un indice, seria.
“Zitto e ascolta. Mi hai ferita molto, Sirius. Non hai tenuto conto di quello che provo, hai messo in secondo piano i miei sentimenti per far prevalere i tuoi, poi hai smesso di parlarmi e mi hai portata a credere che il tuo orgoglio fosse più importante di me, di noi.”
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli, afflitto.
“Hai ragione, su tutto. Mi dispiace da impazzire, è solo che mi sono sempre ripromesso di tenerti alla larga da qualsiasi tipo di sofferenza. Ma tu sei una persona, non un soprammobile che devo proteggere dagli urti. Me ne rendo conto.”
Lei accennò un piccolo sorriso.
“Già, sono una persona. E che ti piaccia o no, questa è anche la mia guerra. Se io andassi in missione senza dirti niente, se rischiassi la vita solo per proteggerti, se coinvolgessi anche i tuoi amici, come ti sentiresti?”.
“Spaventato, arrabbiato. Ferito”, mormorò lui.
“Ottimo. E se poi, irritata dalla tua reazione, smettessi di parlarti e ti facessi credere di non volerti più?”.
Hai creduto questo?”.
“Non hai lasciato molto spazio all’interpretazione.”
Lui sbuffò, irritato.
“E’ assurdo che tu abbia pensato una cosa del genere. Sono stato stupido, infantile, ma non esiste circostanza che potrebbe farmi smettere di amarti. Ficcatelo in quella testa dura.”
“Senti un po’ chi parla di testa dura”, sorrise la ragazza.
Sirius scosse lentamente la testa, triste.
Non riusciva a credere di essersi comportato in quel modo, né al fatto di averla portata a pensare sciocchezze simili.
“Capisco che tu non voglia sapermi in pericolo, ma non ti rendi conto che per me è lo stesso. Sarei impazzita se ti fosse successo qualcosa. Non sai cosa voglia dire aspettare che torni, pensando sempre al peggio ogni volta che qualcosa non va secondo i piani.”
“Quando non ci sei tu è lo stesso.”
“Allora cosa preferisci fare? Mollare questa storia e trasferirti con me in una tranquilla casa di campagna, o continuare a combattere?”.
Lui le rivolse uno sguardo quasi offeso.
“Sai che non mollerei mai!”.
“Neanch’io. Per Veronica, per Benjy, per Marlene, per Dorcas, per i miei genitori. Non puoi impedirmi di vendicarli, Sirius.”
Il ragazzo non riuscì più a resistere e la abbracciò, stringendola forte.
Lei nasconse il viso nel suo maglione, circondandogli la vita con le braccia.
“Non succederà più. Non andrò da nessuna parte”, sussurrò il ragazzo.
“Sarà meglio. Perché ti amo e quando questa storia sarà finita voglio vederti diventare il miglior padrino del mondo.”
Lui sorrise, raggiante, e si staccò il giusto per guardarla.
“Farò del mio meglio, gli insegnerò gli incantesimi migliori.”
“Niente che abbia a che vedere con i vostri scherzi, voglio sperare.”
“Oh, solo uno o due. James mi ha già dato il permesso.”
“Questo perché James è privo di qualsiasi forma di buonsenso.”
Sorrisero entrambi e lei lo baciò sulle labbra, poi sulle guance, sul naso, sulla fronte, fino a farlo ridere.
Era un suono che le era mancato immensamente.
Quando si alzarono per rientrare in casa, chiamati a gran voce da Lily che stava servendo la torta, la fermò un attimo prima che potesse aprire la porta.
“Che c’è?”, domandò la ragazza.
Lui prese un paio di respiri profondi prima di aprirsi in un mezzo sorriso emozionato.
“Quando questa guerra sarà finita, mi sposerai?”.
Bronwen rimase pietrificata per qualche secondo, poi sbattè le palpebre un paio di volte e ricambiò il sorriso, gli occhi pieni di lacrime.
“Naturalmente.”

 

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Capitolo 18
*** XVIII. ***


Fieri sentio

XVIII.

 

“Siamo in minoranza, è un dato di fatto.”
“Non per questo dobbiamo perderci d’animo”, replicò Silente, pacato.
Alastor fece una smorfia disgustata.
Certamente. Dico solo che non c’è speranza.”
“Si pensava la stessa cosa quando c’era Grindelwald”, commentò aspramente la McGranitt.
“Grindelwald era un imbecille arrogante, Voldemort è un imbecille arrogante con un considerevole fan club.”
“Suvvia, Alastor, credi davvero che non ne usciremo in qualche modo?”.
“Quello che credo io, Albus, non ha alcuna importanza. I numeri parlano da soli.”
“Ci deve essere qualcosa che possiamo fare”, mormorò Lily, lanciando uno sguardo ad Alice che però si strinse tristemente nelle spalle.
“La verità è che il Ministero ha le mani legate. Dicono ci siano Auror controllati dalla maledizione Imperius”, commentò Frank.
James diede un calcio a una sedia per l’irritazione.
Erano settimane che non riuscivano a concludere niente, non avevano nuove informazioni o testimoni da interrogare e non erano riusciti ad affrontare neanche un Mangiamorte.
Era come se le cose fossero cambiate, gli attacchi non sembravano più casuali ma ben mirati e si avvicinavano sempre di più ai singoli membri dell’Ordine.
Era come se i Mangiamorte stessero cercando qualcosa, o qualcuno.
Naturalmente tutte le loro case erano protette e nascoste, ma era come se loro sapessero.
Bronwen iniziava a pensare all’assurda possibilità che ci fosse qualcuno che passasse loro informazioni importanti, ne aveva fatto parola solo con Lily ma, com’era prevedibile, le aveva risposto che nessuno avrebbe mai potuto tradire Silente o gli altri componenti dell'Ordine.
Aveva pensato di chiedere anche l’opinione di Sirius ma lui era già troppo inquieto di suo, oltretutto credeva ciecamente nella lealtà degli altri e Bronwen iniziava a vergognarsi anche solo per aver formulato un pensiero del genere.
La riunione di quel giorno fu sciolta con toni piuttosto affranti, l’unico la cui positività sembrava non essersi scalfita era Silente ma quasi tutti iniziavano a sospettare che si mostrasse tanto ottimista solo per rassicurarli.
Bronwen sorrise, divertita, guardando James chiedere a Frank consigli su come insegnare a Harry a volare su un manico di scopa.
Lei e Sirius gliene avevano regalato uno per il suo primo compleanno e da quel momento James era stato ossessionato dall’idea di renderlo un formidabile giocatore di Quidditch, meglio ancora se Cercatore.
Frank non riuscì a trattenere una risata e gli rispose che le uniche cose a cui suo figlio sembrava essere interessato erano cibo e costruzioni colorate.
Alice aveva partorito Neville un giorno prima della nascita di Harry e nessuno l’aveva mai vista felice e serena come lo era stata nel corso di quell’anno.
Tutti provavano un tacito rispetto nei confronti dei Paciock, tanto erano famosi, ma loro ebbero il privilegio di conoscerli come persone e non solo come popolari Auror del Ministero.
Alice aveva una personalità più spigliata del marito, per quanto fosse comunque riservata e cercasse sempre di mantenere un certo decoro.
A Hogwarts era sempre stata goffa e timida, solamente il quinto anno e la conoscenza più approfondita con Frank erano riusciti a farle acquisire un senso di maggiore sicurezza.
Lui era un mago di poche parole e allo stesso tempo dotato di un’intelligenza acuta: Moody gli chiedeva sempre cosa pensasse dei piani che organizzava, si faceva aiutare nella consultazione di piantine di edifici e quartieri, non c’era nessuno che non gli avesse chiesto un consiglio almeno una volta.
Lily e Alice erano solite scambiarsi molte dritte sull’educazione infantile e ogni tanto Bronwen le osservava con un sorriso, chiedendosi distrattamente se lei sarebbe mai diventata madre, se per lei potesse mai essere adatto un ruolo del genere.
Per Sirius era molto più facile, lui aveva sempre avuto una sorta di talento innato che gli permetteva di piacere alle persone, adulti o bambini che fossero.
Sapeva adattarsi a ogni situazione: era carismatico ma sempre disponibile al divertimento, gli riusciva di essere affascinante e al tempo stesso autorevole, naturalmente mai noioso.
Aveva sviluppato anche la straordinaria capacità di inventarsi storie avvincenti che raccontava a Harry con toni così coinvolti che lui smetteva all’istante di fare i capricci per starlo a sentire mentre riportava le avventure di maghi che si erano dati alla pirateria o di streghe a cui piaceva esplorare foreste proibite e piene di insidie.
Era chiaro come il sole che le favole Babbane raccontate da lei o da Lily non reggessero il confronto.
Bronwen aveva notato come gli brillassero gli occhi ogni volta che andava a trovare Harry e lo faceva giocare tenendolo sulle ginocchia, mentre James sollevava la bacchetta e ne faceva uscire figure argentate per divertirlo.
Lei e Lily li guardavano con la stessa espressione intenerita, tanto che Remus si ritrovava a brontolare che il caffè dovesse sempre prepararselo da solo.
Se se ne stava in disparte troppo a lungo, Harry insisteva per scendere dalle gambe di Sirius e gattonava verso di lui, solitamente sprofondato in una poltrona.
Allora Remus metteva via la sua tazza e si abbassava per prenderlo in braccio, lanciando un’occhiataccia a James che liberava la figura di un grosso lupo dalla sua bacchetta, una delle figure preferite di Harry.
Bronwen pensò che non se la stessero cavando male, tutto considerato, e che fossero davvero una bella famiglia: ognuno di loro faceva irrimediabilmente parte della sua vita e non riusciva a immaginarsi un futuro in cui non fossero tutti insieme, felici.
Non vedeva l’ora di essere presente quando Harry sarebbe cresciuto e avrebbe iniziato a frequentare Hogwarts, con due genitori del genere si sarebbe sicuramente rivelato un mago eccezionale.
Si immaginò che sarebbe passato a trovarli durante le vacanze e avrebbero organizzato pranzi natalizi infiniti, invitando anche i suoi genitori, Charlie, Cornelia, possibilmente Hagrid se avesse accettato di allontanarsi dal castello, magari anche Frank e Alice.

Dopo la riunione lei e Sirius tornarono a casa e accesero il camino: l’Inghilterra a fine Ottobre era già fredda abbastanza da permettere di godersi serate accompagnate da un fuoco scoppiettante e qualche bevanda calda.
Lei si lasciò cadere sul divano e si allungò per prendere il libro che aveva lasciato sul tavolino, accendendo con un pigro movimento della bacchetta qualche candela profumata che aveva tanto insistito per comprare.
Sua madre ne aveva sempre distribuite in ogni stanza, a sentirla creavano un’atmosfera piacevole e accogliente, ora che aveva una casa sua non se la sentiva di darle torto.
La pergamena che Sirius le aveva regalato anni prima era appesa sul camino e a lei piaceva molto, a volte, sedersi e osservare le linee argentate che univano graziosamente tutte le costellazioni che aveva disegnato.
La tranquillizzava.
Sirius, dopo aver insistito per diversi minuti perché gli facesse compagnia, era salito al piano di sopra per farsi un bagno.
Quando la raggiunse nuovamente aveva addosso un paio di pantaloni della tuta grigia che aveva comprato diverse settimane prima, e il maglione che gli aveva regalato lei per il suo compleanno.
Con un gesto distratto della mano ravvivò il fuoco del camino e si sedette sul divano, per poi stendersi e appoggiare la testa sulle ginocchia della ragazza, incurante del fatto che fosse impegnata a leggere.
Lei mise da parte il libro e gli sorrise, affondando subito una mano nei capelli mossi e morbidi.
Sirius chiuse gli occhi per un po’, lasciandola fare con aria soddisfatta, poi li riaprì.
“Sei ancora dell’idea di sposarmi?”, domandò, cauto.
Bronwen si strinse nelle spalle.
“Se non mi fanno fuori prima, non mi dispiacerebbe.”
“Non sei divertente.”
“Certo che lo sono. Perché me lo hai chiesto? Vuoi tirarti indietro o hai deciso di preferire Remus?”.
Lui alzò gli occhi al cielo.
“Piantala con questa storia, ho già chiarito che Remus non potrà essere altro che un amante occasionale. Ci vedremo di nascosto mentre tu… ehi!”, si scostò di scatto quando gli pizzicò una coscia.
“Quindi solo tu sei autorizzata a fare battute?”, protestò massaggiandosi la gamba.
Lei si aprì in un gran sorriso e si chinò per baciargli la punta del naso.
“No, come ti viene in mente? Sono solo l’unica autorizzata a tenermi Remus come amante.”
Sirius si mise a sedere e la incenerì con lo sguardo.
“Detesto essere ripetitivo ma non sei divertente”, commentò facendo schioccare la lingua.
Bronwen scoppiò a ridere e gli scostò una ciocca di capelli dalla fronte.
Lui si fece nuovamente serio.
Assunse un’espressione che la ragazza conosceva bene, sguardo basso e fronte aggrottata volevano dire sono turbato ma non so se parlarne.
“Dai, sputa il rospo”, lo esortò dandogli una piccola spinta con la spalla.
Lui sospirò.
“Stavo solo pensando che… insomma, quando saremo sposati… dovresti tenere il tuo cognome.”
Bronwen sollevò le sopracciglia.
“Oh. Il motivo?”.
Sirius si schiarì la voce, quasi imbarazzato.
“Ecco, il mio non ti si addice. Sei troppo pulita per essere una Black. Non voglio che quel nome sporchi anche te.”
Dopo aver ascoltato una spiegazione tanto ridicola, la ragazza ebbe l’impulso di ridere ma riuscì a trattenersi e gli sollevò il viso.
“Prima di tutto, tu non sei sporco. Secondo, non me ne importa proprio un bel niente della tua famiglia. Io sono orgogliosa di poter dire di essere innamorata di Sirius Black e del fatto che lui abbia scelto, ancora non capisco perché, proprio me. Potrò dire di aver sposato una persona straordinaria e mi vanterò del suo cognome, perciò fossi in te mi metterei l’anima in pace.”
Sirius non riuscì a trattenere un sorriso a metà tra l’arreso e il sollevato.
La avvicinò a sé per baciarla come faceva un tempo per farla arrossire, ogni volta era come se fossero ancora ad Hogwarts, come se fossero passati soli pochi attimi da quel giorno in cui si erano scambiati i regali di Natale a casa di James.
C’erano mattine in cui apriva gli occhi e credeva di trovarsi ancora nel dormitorio condiviso con i ragazzi, quasi sentiva l’impazienza di scendere in Sala Grande a fare colazione per vederla ridere con le sue amiche.
Mentre le sfilava la felpa, con una certa urgenza, Bronwen si rese conto di quanto quell’impazienza riuscisse ancora a lusingarla.

Era buio quando lo sentì scuoterla appena.
Si mise a sedere di scatto, recuperando istintivamente la bacchetta da sotto il cuscino, e lo guardò con occhi ansiosi.
“Che succede?”, chiese, agitata.
Lui le accarezzò una guancia, piegandosi per baciarle la fronte.
Si era alzato, era vestito.
“Niente, sta’ tranquilla. Volevo solo avvisarti che faccio un salto da Peter e da James, Remus l’ho appena sentito.”
Bronwen lasciò cadere la bacchetta con un sospiro di sollievo.
Poi si voltò a guardare la sveglia posizionata sul comodino di legno e aggrottò le sopracciglia.
“Sirius, ti rendi conto di che ore sono?”.
“Sì, ma devo andare.”
“Per quale motivo?”.
Il ragazzo si sedette sulla sponda del letto e abbassò lo sguardo, imbarazzato.
“E’ solo che… ho un brutto presentimento. So che è una sciocchezza ma non ho chiuso occhio e ho bisogno di sapere che stanno tutti bene.”
Lei gli prese una mano, portandosela alle labbra per baciarne il dorso.
“Sai che va tutto bene. Ci andremo domani mattina, torna a letto”, mormorò dolcemente.
Sirius sospirò, scuotendo la testa.
“Ci metto cinque minuti, davvero. Cerca di capire.”
Bronwen gli lasciò la mano e sorrise a labbra chiuse.
“Capisco. Vuoi che venga con te?”.
“No, torna a dormire. Scusa se ti ho svegliata.”
“Grazie per averlo fatto.”
Lui le sorrise e si allungò per darle un rapido bacio prima di alzarsi e recuperare la sua bacchetta, infilandosela nella tasca dei jeans.
“Torno subito”, ammiccò.
“Dì a James che sto ancora aspettando che mi paghi per quella scommessa persa una settimana fa.”
“Ci proverò, ma continua a sostenere che tu lo abbia imbrogliato.”
“E tu a chi credi?”.
“A nessuno dei due, siete uno peggio dell’altro.”
Bronwen rise, sollevando una mano per salutarlo.
Lo chiamò poco dopo averlo visto sparire oltre la soglia della camera da letto.
“Cosa?”, chiese il ragazzo, facendo capolino.
“Fa’ presto”, rispose lei.
Sirius le sorrise.
La ragazza si rimise a letto con uno sbadiglio e chiuse gli occhi.
Quasi si pentì di avergli raccontato tutte quelle storie Babbane su Halloween, prima di andare a letto: dovevano averlo inquietato più di quanto avesse voluto ammettere.

Tutto quello che seguì fu estremamente rapido e confuso.
Le sembrava fossero passati solo pochi minuti quando il mattino successivo qualcuno la svegliò nuovamente, scuotendola però con violenza.
Scattò a sedere una seconda volta ma non ebbe il tempo di afferrare la bacchetta perché Remus le bloccò le braccia con una forza che non credeva potesse possedere.
Lo sapevi? Oh, ma certo che lo sapevi! Come avete potuto?”, urlò, il volto rigato di lacrime.
Bronwen, sconvolta, si divincolò.
“Mi stai facendo male, Remus!”.
“Erano anche tuoi amici! Sei stata la sua testimone!”.
La ragazza impallidì.
Cosa?”, mormorò, gli occhi già pieni di lacrime.
“Sono morti. Lily e James sono morti. Dammi un motivo per non farti fuori qui e adesso”, esplose il ragazzo, puntandole la bacchetta alla gola.
Bronwen faticò a respirare, era come se l’aria non riuscisse più a raggiungerle i polmoni.
Le lacrime le offuscarono la vista e presto le bagnarono le guance.
Scoppiò in un pianto così disperato e sincero che Remus le lasciò andare i polsi, senza però abbassare la bacchetta, e la guardò coprirsi il volto continuando a singhiozzare.
“Lo aveva detto… se lo sentiva…”, balbettò con voce roca, scuotendo freneticamente la testa.
Chi?”, domandò lui, lo sguardo furibondo.
Bronwen si scoprì il viso di scatto.
Sirius! Si è alzato dicendo di avere un brutto presentimento e… ma dov’è?”.
Remus scoppiò in una risata di scherno.
“Un brutto presentimento. Adesso gli omicidi si chiamano così?”.
Cosa? E perché continui a puntarmi contro questo affare?”, strillò la ragazza, cercando di allontanargli la mano e di alzarsi dal letto.
Lui la tenne nuovamente giù, deciso, e le premette la punta della bacchetta sulla gola.
“Apri la bocca”, ordinò, tirando fuori dalla tasca dei pantaloni una minuscola boccetta di vetro.
“Remus, ma che diavolo ti prende?”, protestò lei e si divincolò quando le afferrò il mento per costringerla a bere qualunque cosa ci fosse in quella fiala.
Il liquido trasparente le andò di traverso e prese a tossire.
Gli spinse via la mano, pulendosi la bocca con la manica del pigiama.
“Chi ha ucciso James e Lily?”, si sentì chiedere.
“Che accidenti vuoi che ne sappia? Stai dicendo che sospetti di me?.
“Dov’è Sirius?”, domandò ancora lui, come se non l’avesse sentita.
“E’ quello che vorrei sapere anch’io, se la smettessi di puntarmi contro la bacchetta forse potrei capire anch’io quello che sta succedendo!”.
Finalmente la lasciò andare e abbassò la bacchetta, lasciandosi cadere sul letto e prendendosi la testa tra le mani.
“E così non lo sapevi neanche tu”, mormorò, la voce appena udibile.
Cosa non sapevo?”.
“E’ stato lui. Li ha traditi.”
Bronwen si asciugò furiosamente le lacrime che le avevano bagnato il viso e cercò di scostarsi i capelli arruffati dalla fronte, certa di non aver capito bene.
“Potresti ripetere?”, lo invitò.
Lui sollevò il viso per guardarla, aveva ricominciato a piangere.
“Sirius li ha venduti a Voldemort, nessun altro avrebbe potuto farlo. E’ come se li avesse uccisi lui.”
La ragazza, scioccata da quelle parole tanto insensate, cercò a fatica di reprimere l’istinto di prenderlo a schiaffi.
“Dimmi che stai scherzando.”
“Non sto scherzando. C’è stata un’esplosione, sono morti dei Babbani e Peter, che è corso sul posto…”, la voce gli morì in gola.
Bronwen si passò una mano sulla fronte, sconvolta dall’assurdità della situazione.
“Quindi mi stai dicendo che Sirius ha venduto il suo migliore amico e la sua famiglia a Voldemort. Poi, non contento, ha anche fatto fuori dei Babbani e… Peter?”.
“Peter è riuscito a trovarlo, per questo lo ha fatto fuori. I Babbani sono stati un danno collaterale. E’ andata così”, replicò lui con freddezza ma anche con meno convinzione.
Era sulla difensiva, ovviamente era sulla difensiva.
Uno dei suoi migliori amici e sua moglie erano stati assassinati, un altro era stato accusato del loro omicidio e di quello di altri innocenti.
Non era riuscito ad essere razionale neanche per un minuto da quando il Patronus di Silente lo aveva svegliato.
Bronwen era scesa dal letto e aveva iniziato a passeggiare per la stanza.
Tenere sotto controllo il dolore e la disperazione che aveva provato pochi attimi prima, apprendendo della morte di James e Lily, era assolutamente necessario per pensare razionalmente.
“Ragiona con me, Remus. Ha combattuto per tutta la sua vita contro discriminazioni e ingiustizie, si è ribellato alla sua famiglia, ha tagliato i ponti con suo fratello. Conosci l’odio nel suo sguardo ogni volta che si nomina un Mangiamorte.”
“Io so solo che Silente non mentirebbe mai su una questione del genere. Sospettava da tempo che ci fosse un traditore, lo hanno visto ridere. Non parlerebbe se non avesse le prove di quello che afferma.”
“Stiamo parlando di Sirius. Il tuo migliore amico, il migliore amico di James, il padrino di Harry! Io gli affiderei la mia vita e quella di chiunque altro, so che tu faresti lo stesso. Non puoi credere a questa storia!”.
Remus si passò una mano sul viso, stremato.
Voleva credere alla sua innocenza, lo voleva disperatamente, ma in quel frangente non era in grado di sentire qualcosa che non fosse pura disperazione mista a una scottante delusione.
Un profondo senso di tradimento.
Bronwen si bloccò al centro della stanza e si voltò a guardarlo, lo sguardo improvvisamente guardingo.
“Hai detto che Peter si è precipitato sul posto ed è morto.”
Non era una domanda.
Il ragazzo si limitò ad annuire.
“Il corpo è stato trovato?”.
“No, non credo. Silente ha parlato di resti… non credo sia rimasto altro…”.
“Ma hanno trovato i corpi di tutti i Babbani rimasti uccisi nell’esplosione?”.
Remus ammutolì.
Bronwen ricominciò a camminare, misurando la camera da letto a grandi passi.
“Sono mesi che Peter non viene a una delle riunioni dell’Ordine, è passato più di un anno dall’ultima volta che ha fatto visita a James e Lily. E proprio oggi decide di precipitarsi alla ricerca di Sirius? Dopo, casualmente, sparisce nel nulla?”.
“No, aspetta…”.
No che non aspetto. Non sappiamo chi fosse il Custode Segreto di James e Lily, non lo sa nessuno. Ma io so che non era Sirius, anche se non ha voluto dirmi altro. Sono quasi sicura che non sia tu, quindi devono aver deciso... senza dirci niene...”.
“Non è possibile, Peter non farebbe mai una cosa del genere”, mormorò Remus, lo sguardo perso nel vuoto.
E Sirius invece sì?”, sbottò la ragazza, sentendo gli occhi iniziare nuovamente a bruciarle.
Lui non riuscì a rispondere.
Si prese nuovamente la testa tra le mani, nel disperato tenativo di riordinare i pensieri.
Una minuscola parte del suo cervello gli ricordò quanto fossero diversi Sirius e Peter, di come Peter fosse sempre vissuto nell’ombra di entrambi.
Provava per loro un’ammirazione quasi malsana, non aveva mai dimostrato di avere particolarmente carattere o spirito d’iniziativa, persino durante le poche missioni a cui aveva preso parte non si era mai esposto.
Sirius era sempre stato in prima linea per combattere e difendere i suoi ideali, ideali di uguaglianza e giustizia.
Aveva sempre avuto un tasso di sopportazione estremamente basso per tutto ciò che fosse ingiusto, sapeva che aveva fatto del loro gruppo e di Bronwen la sua nuova famiglia, in sostituzione alla più deludente realtà che riguardava la sua.
Sirius era immaturo, testardo, a volte gli riusciva ancora di essere un insopportabile sbruffone spericolato, ma non era un traditore.
Sarebbe morto per Bronwen, figurarsi per James e Lily.
Per Harry.
“Senti, Remus, non ho davvero la forza né la voglia di stare qui a convincerti del fatto che il tuo migliore amico non abbia fatto fuori Lily e James. In questo momento sarà distrutto dal dolore e devo trovarlo, devo proteggerlo da chi lo sta accusando, devo…”.
“Non puoi. Lo hanno portato via”, mormorò fiocamente il ragazzo, impallidendo.
Nella foga, se n’era completamente dimenticato.
“Non è una novità che quelli del Ministero siano degli imbecilli, adesso vado lì e…”.
“Bronwen”, la voce di Remus era strozzata, ma non cercò di schiarirsi la gola.
Si era appena convinto della naturale, lampante innocenza del suo migliore amico, e non c’era niente che potesse fare per salvarlo da ciò che era stato deciso seduta stante.
“Erano in venti, lo hanno portato ad Azkaban. Non gli faranno nessun processo, Crouch lo ha già giudicato colpevole.”
La ragazza non sentì le gambe cedere, quindi non capì come avesse fatto a trovarsi improvvisamente inginocchiata sulla moquette color panna.
Remus non provò neanche a sorreggerla, le labbra gli tremavano visibilmente e il volto non era mai stato tanto pallido.
“No. No. Dov’è Silente? Dov’è Moody? Chiamali tutti, chiama Frank e Alice. Perché sei ancora seduto lì? Remus, cosa aspetti?”, la ragazza iniziò a strillare senza neanche accorgersene.
Provò a rimettersi in piedi reggendosi al materasso ma la testa le girava e aveva un forte senso di nausea.

Non arrivò nessuno.
Remus non la lasciò sola un secondo e non smise di provare a contattare il resto dell’Ordine per intere ore, era pomeriggio inoltrato quando capì che non c’era davvero più niente da fare.
Bronwen perse completamente anche l’ultimo barlume di lucidità, non aveva fatto che urlare e piangere per il resto della notte, la disperazione l’aveva sopraffatta tanto che il ragazzo faticò a riconoscerla.
Non aveva le forze per consolarla, qualcosa dentro di lui si era irrimediabilmente spezzato: era come se gli avessero squarciato il petto e avessero tirato fuori tutto quello che c’era dentro.
Si sentiva vuoto, perso, solo.
Era così stravolto che ancora non aveva iniziato a tormentarsi per aver permesso che prendessero Sirius, per non aver ciecamente creduto in lui come aveva fatto Bronwen.
Non aveva neanche l’energia necessaria per chiedere a Silente come stesse Harry, né riuscì a informare la ragazza del fatto che almeno lui fosse vivo.
Erano quasi le quattro del pomeriggio quando si alzò dal letto e la raggiunse nell’angolo della stanza in cui si era rannicchiata, scossa dai violenti singhiozzi che non avevano smesso di farla sussultare neanche per un minuto.
Sembrava davvero che non ci fosse altra soluzione al di fuori del San Mungo.

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Capitolo 19
*** Epilogo. ***


Fieri sentio

Epilogo.

 

Il negozio di fiori era stata un’idea di sua madre.
Quando aveva deciso di non voler avere più niente a che fare con la magia, si era messa alla ricerca di un lavoro semplice e piacevole che potesse permetterle di pagare le bollette.
Suo padre gestiva ancora la sua vecchia libreria e lei gli dava volentieri una mano quando non era troppo occupata.
Non era sposata, anche se tutti quelli che la conoscevano, occasionali frequentatori compresi, si rifiutavano di credere che fosse davvero una scelta personale.
Naturalmente il suo piano di dissociarsi completamente da tutto ciò che fosse magico veniva bruscamente interrotto a intervalli regolari dall’arrivo di gufi o dalle visite dei suoi vecchi compagni di scuola, uno dei quali era addirittura diventato professore a Hogwarts e continuava a supplicarla di andarlo presto a trovare.
Conservava ancora le lettere che aveva ricevuto da Silente quella che le sembrava un’infinità di anni prima, anche lui aveva spesso espresso il desiderio di rivederla ed era persino andato a trovarla in ospedale un paio di volte.
Cercava di non pensare a come si fosse resa ridicola implorandolo di portarla ad Azkaban, di parlare con Crouch, in ultimo anche di farla arrestare.
Ogni supplica le era solo valsa una settimana in più al San Mungo.
Cornelia lavorava lì, al primo piano, nel reparto Ferite da Creature Magiche.
Erano insieme quando si era diffusa la voce che i Paciock fossero stati portati nell’ala dedicata ai pazienti di lungadegenza, cosa che aveva scioccato entrambe.
Bronwen apprese con sofferenza estrema quello che Bellatrix Lestrange, la Mangiamorte che aveva distrutto casa sua diversi anni prima, aveva inflitto ai suoi amici Frank e Alice: la devastazione che Voldemort e i suoi seguaci avevano portato nelle loro vite era qualcosa che difficilmente sarebbero riusciti a superare.
Charlie si era guadagnato un posto al Ministero, Livello Due, Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia.
Da quando si era ristabilita (così tutti amavano riferirsi al momento in cui aveva smesso di urlare di portarla da “quell’imbecille privo di qualsiasi senso di giustizia che aveva ancora un posto al Ministero solo perché gli idioti sono più facili da controllare” di Crouch) l’aveva pregata di prepararsi al meglio per sostenere gli allenamenti speciali riservati a chi voleva diventare Auror.
Bronwen aveva ignorato totalmente quella proposta, limitandosi a rispondere che era davvero felice di sapere che avesse trovato un lavoro tanto importante, e Charlie aveva capito.
Remus aveva vissuto con lei per diverso tempo prima di trovarsi un appartamento suo e successivamente essere assunto come professore di Difesa Contro le Arti Oscure.
Nessuno dei due, o degli altri, osò più nominare quello che sarebbe dovuto diventare suo marito appena la guerra fosse finita.
Ma lei, come gli altri, ce l’aveva ben presente quel nome, anche se non aveva avuto più la forza di pronunciarlo ad alta voce.
Sirius Black era stato nei suoi pensieri ogni minuto di ogni giorno negli ultimi dodici anni, era stato nei pensieri di tutti, anche se all’apparenza i suoi amici erano andati avanti con le loro vite.
Cornelia aveva sposato un mago conosciuto a Parigi che era stato ben felice di trasferirsi in Inghilterra per lei, Charlie frequentava una strega del suo stesso Ufficio, Remus sosteneva invece di essere troppo vecchio e malandato per poter dare a una donna qualcosa che avesse alcun valore (opinione con la quale nessuno era neanche in minima parte d’accordo) e Bronwen non aveva mai voluto neanche sentir parlare di relazioni.
Ogni tanto incontrava qualcuno di apparentemente interessante, ci usciva, poi si accorgeva di essere stanca e annoiata, di conseguenza la storia si concludeva lì.
Nessuno osò mai farle notare che tutti i ragazzi con cui sceglieva di intrattenersi avevano qualcosa di fortemente familiare al quale probabilmente si aggrappava senza neanche rendersene conto.

Quella sera di inizio Agosto era tornata a casa prima del solito: c’era un forte temporale e pioveva a dirotto, perciò con ogni probabilità non sarebbero stati molti i clienti in cerca di fiori.
Naturalmente riuscì a bagnarsi nonostante fosse uscita con l’ombrello, perciò si concesse una doccia bollente prima di sprofondare sul divano, spegnere la luce e accendere la televisione.
Era talmente stanca che decise di rimandare all’indomani tutto quello che le restava da fare, ovvero riordinare la casa, telefonare a sua zia per ricordarle di prenotare quel volo per Brighton e rispondere alla lettera ricevuta da Remus qualche giorno prima.
Le aveva raccontato di come non vedesse l’ora di vedere Harry a scuola, confidandole quanto lo facesse soffrire l’idea che il ragazzo non avrebbe avuto idea del fatto che se le cose fossero andate diversamente lui sarebbe stato praticamente suo zio.
A Bronwen non era mai stato concesso di vederlo.
Dopo essere stata dimessa dal San Mungo aveva insistito per incontrarlo e prendersi cura di lui ma la McGranitt, che pure andava spesso a trovarla, le aveva tristemente spiegato che Silente aveva deciso di farlo crescere dai suoi unici parenti.
Era assurdo che il figlio di James e Lily fosse stato affidato non solo a una famiglia di Babbani, ma proprio alla stessa famiglia che aveva rifiutato persino di presenziare al matrimonio dei suoi genitori.
James ne sarebbe stato disgustato, Bronwen sapeva che avrebbe preferito di gran lunga che a suo figlio ci avessero pensato lei e Remus.
Sapeva anche che avrebbe affidato la vita di Harry e di chiunque altro a Sirius, suo fratello.
Bronwen si strinse le ginocchia al petto per impedire a un dolore lancinante fin troppo familiare  di invaderle il petto e farla sentire come se le si stesse lentamente squarciando.
Quanto le mancavano.
Quanto le mancava l’idea che si era fatta sulla vita che avrebbe avuto dopo la guerra.
Lanciò uno sguardo alla mappa appesa sopra al camino, i bagliori argentei delle costellazioni brillavano ancora con la stessa intensità di tanti anni prima.
Chiuse gli occhi per non vedere altro, troppo assonnata per trascinarsi al piano di sopra, in quella che una volta era stata la loro camera da letto.

Non seppe decidere se fu il suono della pioggia scrosciante a svegliarla, principalmente perché le sembrava di aver sentito un rumore forte ma non abbastanza da essere un tuono.
Si mise a sedere con una smorfia: la schiena le faceva un gran male, la tv era ancora accesa, era mezzanotte passata.
Ebbe solo il tempo di sbadigliare prima di sentire nuovamente un rumore sordo alla porta, come se qualcosa ci stesse ripetutamente andando a sbattere contro.
Si irrigidì e per la prima volta in anni ebbe voglia di stringere la sua bacchetta, chiusa in un cassetto al piano di sopra dove l’aveva lasciata moltissimo tempo prima.
Si alzò prendendo un respiro profondo: quali erano le possibilità che un ladro stesse praticamente bussando?
Si strinse nel suo cardigan troppo lungo e aprì la porta con cautela, tenendosi a una distanza rassicurante dal porta ombrelli contenente una mazza da baseball che Charlie le aveva scherzosamente regalato quando gli aveva detto di voler rinunciare alla magia.
Bronwen socchiuse gli occhi perché la pioggia le bagnò subito il viso a causa del vento, ma fuori non sembrava esserci nessuno.
Qualcosa di simile a una macchia sfocata sfrecciò dentro il suo salotto talmente velocemente che non ebbe il tempo di capire cosa fosse.
L’idea assurda e spaventosa che i Mangiamorte fossero tornati le balenò in testa per un centesimo di secondo ma si disse subito che Silente l’avrebbe certamente avvertita.
Lasciò la porta socchiusa e si voltò, tesa e con una mano già sulla mazza da baseball, desiderando ancora una volta la sua bacchetta.
Sul pavimento di legno chiaro c’erano impronte fangose che macchiarono anche il tappeto e che le mozzarono il respiro.
Non erano impronte umane.
La televisione bastava appena a illuminare la stanza ma lei scorse comunque la figura alta e gocciolante appoggiata alla parete di fianco alla porta della cucina.
Chiuse la porta spingendola con la schiena e strinse convulsamente la maniglia per avere un sostegno: le gambe sembrarono improvvisamente rifiutarsi di sorreggerla.
Era davvero lui.



 

Bene, siamo (finalmente, diranno magari alcuni di voi) giunti alla fine di questa storia. Grazie a chi l'ha letta, commentata, seguita silenziosamente, grazie anche a chi ha letto solo qualche sporadico capitolo. Questo era il mio piccolo omaggio ai Malandrini, a Lily e soprattutto a Sirius. Non so se ci sarà un seguito, ne dubito, potrei al massimo pubblicare qualche stralcio di quello che immagino possa essere successo negli anni successivi. Vedremo. Intanto vi rinnovo i miei ringraziamenti, alla prossima.

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Capitolo 20
*** 12 Anni Dopo. ***


Fieri sentio

12 Anni Dopo

 

Il rumore della pioggia scomparve insieme a quello del vento con una rapidità sorprendente. Bronwen riusciva solo a distinguere, e non senza fatica, il martellare incessante del suo cuore e il suono del suo respiro affannoso. Aveva ancora la mano serrata intorno alla maniglia della porta di casa, era quasi certa che sarebbe crollata per terra subito dopo averla lasciata ma le dita le facevano male e prima o poi avrebbe comunque dovuto schiodarsi. Lui era ancora appoggiato al muro e lei non capiva perché continuasse a guardarla in quel modo, tenendosi a distanza, senza dire una parola. Aveva il terrore di sbattere le palpebre, come se la figura smagrita che stava sgocciolando sulla moquette chiara potesse scomparire alla minima distrazione.
“Sei tu”, le riuscì di mormorare. Sentiva la bocca improvvisamente piena di sabbia. Finalmente lui si trasformò in una presenza materiale, una proiezione della sua mente non si sarebbe certo potuta muovere verso di lei. Tremava, probabilmente per il fatto di essere bagnato da capo a piedi, e anche lei si sentiva vagamente scossa da qualche fremito. Si fermò a poca distanza, togliendole il fiato.
La luce intermittente della televisione bastava a illuminare un volto mortalmente pallido, troppo magro, scavato. Le vesti erano logore e strappate, nonostante i capelli fossero bagnati era impossibile non notare che fossero incrostati di sporcizia.
“Ti prego, non piangere”, furono le prime parole che le rivolse. La voce era appena un sussurro ma non aveva perso quel timbro roco che l’aveva caratterizzata fin da quando scappava per i corridoi insieme ai suoi amici, urlando a Gazza di correre più veloce.
Bronwen lo guardò, confusa, per poi accorgersi con un tocco leggero della mano di avere le guance bagnate. Le asciugò con poca convinzione, distrattamente, riusciva a malapena a percepire un vago bruciore agli occhi e un doloroso nodo alla gola. Lui parve per un attimo voler fare un altro passo verso di lei, le sembrò di vederlo sollevare un braccio ma ci ripensò così in fretta da farle credere di esserselo immaginato. Ebbe la forza di chiedersi se fosse spaventato, se non si fidasse di lei. Se si fosse pentito di essere lì.
“Ho poco tempo ma dovevo venire. Dovevo dirtelo almeno una volta, ho aspettato così tanto tempo, dovevo…”, le parole sembrarono morirgli in gola. Continuava a tenere un tono estremamente basso, come se si fosse dimenticato cosa volesse dire avere una conversazione.
“Non sono stato io”, mormorò infine, la voe incrinata nonostante avesse provato a schiarirla.
Bronwen sbattè le palpebre un paio di volte, paralizzata dalla sorpresa. Era dunque venuto per quello? Dopo tutti quegli anni, andare da lei solo per specificare… solo per sottolineare
“Cosa?”, si ritrovò a chiedere, sconvolta. Lasciò finalmente andare la maniglia, fiduciosa nella capacità delle sue gambe di sorreggerla. Le parve di vedere il suo sguardo attraversato da un lampo di dolore, per un attimo sembrò ancora più pallido di quanto non fosse già.
“Mi dispiace. Puoi non credermi, hai ogni ragione. Lo avevo immaginato. Ma dovevo dirtelo ad alta voce, almeno una volta. Dovevo vederti”.
Bronwen si sentì sopraffatta dalla rabbia, un sentimento che la disorientò per diversi secondi prima che trovasse la forza di deglutire e ricordarsi di dover parlare. Di poterlo finalmente fare.
“Avevi immaginato che cosa?”, mormorò, fremente di collera. Lui, ancora scosso dai brividi, si portò debolmente una mano al viso per scostarsi i capelli scuri dagli occhi.
“Hai tutte le ragioni per credere a loro”, rispose, nella voce un’inflessione amara che non riuscì a nascondere. Bonwen sentì lo squarcio che aveva tentato così faticosamente di ricucire in quegli anni riaprirsi con una forza che le tolse il fiato. Sentì nuovamente quel dolore orrendamente familiare e lo sentì nella sua interezza, come se la ferita fosse fresca, come se non avesse ancora neanche smesso di sanguinare.
“Tutto questo tempo, tu hai pensato… come hai potuto pensarlo?”, boccheggiò, stravolta. Lui fece per dire qualcosa, l’espressione vagamente interdetta, ma venne interrotto.
Certo che non sei stato tu. Io ero… fin dal primo momento, fin da quando Remus mi ha svegliata nel cuore della notte… sei venuto qui per questo? Per tutti questi anni hai pensato che io abbia ascoltato, che mi sia fidata di loro?”, la voce le era improvvisamente diventata leggermente stridula.
In quel momento sentì con chiarezza le lacrime bruciarle sulle guance. La sconvolse il dolore che le provocò il sapere di non esserci riuscita. A cosa erano valsi il tempo passato assieme, tutto quell’amore, se non era stata in grado di essergli di conforto in quegli anni? A cosa era servito quello che avevano avuto se si era dovuto dare la pena di piombare lì solo per specificare qualcosa di tanto ridicolo, di tanto ovvio?
“Hai creduto a me?”, le chiese, la voce malferma. Nuovamente cercò di sollevare il braccio per sfiorarle il viso, asciugarlo, ma non ci riuscì.
“Ho supplicato Silente di aiutarmi per così tanto tempo che non credevo mi avrebbero mai più permesso di lasciare il San Mungo. Volevo essere arrestata, mi sarei fatta uccidere se solo fosse servito a provare che eri innocente. Ti avrei affidato la mia vita, come puoi aver pensato che io… come puoi…”, dovette interrompersi perché i singhiozzi iniziarono a scuoterle il petto con violenza. Si accasciò sul pavimento, la schiena appoggiata alla porta di casa e le ginocchia prontamente tirate al petto. Lui si inginocchiò davanti a lei, non osando toccarla, non osando neanche avvicinarsi più del dovuto.
“Ti prego, non piangere”, ripetè con una nota di disperazione nella voce.
“Ho dovuto. Dovevo pensare di avere una ragione, un giorno. L’idea che tu non mi avresti creduto era insopportabile ma mi ci sono aggrappato per avere un motivo, per restare lucido. Non sarebbe valso a niente se non avessi saputo di dover venire qui, di doverti dire almeno una volta come stavano le cose. Quel giornale non è stato che l’ultimo incentivo, ti prego… ho dovuto sperare che non mi credessi per convincermi a venire qui, per esporti a un pericolo così grande solo per dirti la verità…”.
Era difficile a dirsi, dato che era bagnato da capo a piedi, ma anche lui aveva iniziato a piangere. Vederla soffrire gli spezzava il cuore, era stato così terrorizzato dalla reazione che avrebbe potuto avere nel rivederlo che non aveva neanche pensato bene a che discorso formulare. Sapeva solo di aver sperato tanto, con tutte le sue forze, di sentirla pronunciare quelle parole. Per tutti quegli anni si era tormentato fin quasi alla follia, era stato consumato dal lutto ma soprattutto dal dolore di averla lasciata sola e dall’idea che potesse non credergli. Una parte di lui non aveva avuto alcun dubbio al riguardo, ma se avesse osato convincersi di non doverle per forza parlare per convincerla della sua innocenza, non avrebbe trovato la forza di tornare in quella casa. Non si sarebbe perdonato di averla esposta a un rischio tanto grande.
Bronwen si scostò i capelli appiccicati al viso a causa delle lacrime, cercando di regolarizzare il respiro e riordinare i pensieri.
“Non ho mai dubitato di te. Sarei morta piuttosto che dubitare di te. Ho desiderato morire”, sussurrò con voce spezzata. Era la prima volta che riusciva ad ammetterlo: neanche con Charlie o Cornelia era mai riuscita a condividere quel pensiero, nonostante fosse quasi certa che l’avessero immaginato.
Lui si sentì attraversato da una fitta dolorosa più o meno all’altezza dello stomaco. Stupidamente, egoisticamente, non voleva sapere. Non era sicuro di essere forte abbastanza da sapere cosa avesse provato durante quegli anni, non era certo di riuscire ad ascoltarla. Il senso di colpa gli gravava addosso come una scure.
Si rimise in piedi, a fatica, senza preoccuparsi di passarsi una mano sul viso per nascondere le lacrime. Lanciò uno sguardo nervoso alla finestra, chiedendosi da quanto tempo fosse lì. Non aveva neanche controllato di non essere stato seguito.
“Che stai facendo?”, la voce di Bronwen salì di un’ottava, lo guardava dal pavimento con occhi grandi.
“Devo andare”, disse lui, a fatica. Si sentiva debole, affamato, doveva trovare un luogo asciutto dove trascorrere la notte. Non poteva permettersi di restare un minuto di più, lei sarebbe stata in pericolo. Doveva farsi bastare i pochi attimi che avevano avuto, la sensazione di calore provata quando gli aveva detto di aver creduto in lui, sempre. La prima dopo così tanto tempo.
“No”, rispose Bronwen, asciutta, cercando maldestramente di camuffare il panico che la colse al pensiero di vederlo nuovamente andare via. Lui distolse a fatica lo sguardo e fece per aprire la porta ma, con una rapidità e una forza che sorprese entrambi, Bronwen lo tirò per la veste logora fino a farlo inginocchiare nuovamente per terra. Le tremavano le mani. “Non osare, non provarci nemmeno!”, sbottò, ricominciando a piangere e lottando disperatamente per sporgersi verso di lui, per abbracciarlo.
“Bronwen, ti prego. No. Non toccarmi, ti sporchi”, mormorò lui, il viso contratto in una smorfia di dolore che servì solo a farla lottare con più determinazione. Quando riuscì a circondarlo con le braccia fu nuovamente scossa da singhiozzi silenziosi. Lui non riuscì a impedirsi di stringerla a sua volta, impiegando nell’atto quasi la totalità della poca forza che gli restava. Aveva dimenticato cosa volesse dire, abbracciare qualcuno.
“Devo andare”, ripetè, angosciato. Lei si allontanò il giusto per guardarlo negli occhi, riconoscendo con sollievo la familiarità del suo sguardo grigio.
“Puoi scegliere di restare qui o portarmi con te”, scandì piano.
“Non posso esporti a un pericolo del genere”, mormorò lui.
Bronwen gli prese il viso tra le mani con delicatezza, per paura di fargli male, e di nuovo lui cercò di tirarsi indietro. Puzzava, lo sapeva. Si vergognava del fatto che dovesse vederlo in quello stato, non voleva che gli stesse così vicino. Ma quanto gli era mancato quel tocco, il suo calore. Per quante notti l’aveva sognato.
“Preferirei morire che lasciarti andare un’altra volta”, fece lei, in un tono che non ammetteva repliche. E infatti, non ce ne furono.


Trovò strano il fatto che non usasse la magia ma non fece domande. Aveva aspettato che gli preparasse un bagno, poi l’aveva guardata scendere al piano di sotto per mettere insieme qualcosa da mangiare. Le mani non le tremavano più, la sensazione di spossatezza era stata sostituita da un elevato tasso di adrenalina. Mentre riscaldava gli avanzi del giorno prima, passò velocemente in rassegna le opzioni a disposizione. Scrivere a Silente, mettersi in contatto con Remus? No, si disse, l’avrebbero di sicuro cercata loro appena avessero letto il Profeta del giorno dopo. Quella notte, solo per quella notte, avrebbe finto di non dover affrontare le conseguenze della sua decisione. Non le importava cosa sarebbe successo, se restare con lui fino alla fine avesse significato essere sbattuta ad Azkaban, tanto meglio. Non si poteva comunque dire che in quegli avesse condotto una vita soddisfacente.
Quando la raggiunse in cucina aveva un aspetto decisamente migliore. I capelli erano più corti e puliti, la barba sparita, le unghie non più incrostate di sporcizia. I vestiti che gli aveva fatto trovare sul letto, però, gli stavano talmente larghi da sembrare più grandi di almeno due taglie. Avrebbe voluto dirle quanto gli avesse riempito il cuore notare che avesse tenuto molte delle sue cose. In bagno c’era ancora il profumo che Lily gli aveva regalato per il suo compleanno, in camera da letto aveva ritrovato le riviste di motociclette che un tempo aveva amato collezionare, nell’armadio c’erano ancora tutti i suoi vestiti. Sembrava impossibile che fossero passati più di dieci anni, la casa era quasi totalmente identica a come l’aveva lasciata. Un po’ gli fece male constatare che fosse sola, che probabilmente l’avrebbe aspettato per sempre, sacrificando la possibilità di essere felice con qualcuno. Tuttavia ne fu allo stesso tempo sollevato.
La osservò trafficare con i fornelli e riempire i diversi piatti che aveva ordinatamente disposto sulla tavola.
“Mangia quello che vuoi. Ho preparato il tè, so che è tardi ma magari ti andava. Per scaldarti”, disse piano, facendogli segno di sedersi.
Prese posto con cautela, allungandosi per accettare il pezzo di pane che gli stava porgendo. Non era più abituato al cibo, riuscì a mandare giù quantità minime di ciò che gli aveva preparato. Il tè gli fece bene, si era ricordata come lo preferisse: con latte, senza zucchero.
“Di chi sono questi?”, chiese, alludendo ai vestiti.
“Di Remus. Per un po’ abbiamo vissuto insieme, ne ha lasciato qualcuno”, rispose lei, stringendo appena le dita attorno alla sua tazza. Non riusciva a fare a meno di guardarlo, avrebbe voluto abbracciarlo ancora, sfiorargli il viso, baciarlo. Ma non sapeva, non sapeva se per lui fosse rimasto tutto com’era allora. Non sapeva se dopo tutto quello che aveva passato potesse ancora desiderarla, volerla al suo fianco. Volere chiunque. Aveva così tanto da dirgli, da chiedergli, ma non aveva il coraggio di esporsi. Si costrinse alla cautela, alla pazienza. Si sarebbe adattata: di qualsiasi cosa avesse avuto bisogno, lei lo sarebbe stata. Un’amica, una confidente, solo un posto in cui stare, in cui nascondersi. Non le importava, avrebbe fatto male ma nulla era più fondamentale del tenerlo al sicuro. Figurarsi i suoi sentimenti.
“State insieme?”, chiese lui. Sarebbe stato ovvio, sarebbe stato naturale. Non se la sarebbe presa, non aveva il diritto di prendersela. Ignorò la piccola scheggia di ghiaccio che già minacciava di attraversargli il petto.
Bronwen abbassò lo sguardo. “Non dire sciocchezze”, rispose, più aspra di quanto avrebbe voluto.
Lui tacque per qualche secondo, poi si schiarì la voce.
“Sai, l’ho visto”.
“Chi?”.
“Harry”.
Bronwen sollevò di scatto lo sguardo, improvvisamente presa dall’ansia.
“Cosa? Quando? E se ti riconoscesse, se lo dicesse a qualcuno?”.
“Va tutto bene. Ha solo visto di sfuggita un cane un po’ troppo grosso”, cercò di sorriderle con poca convinzione, sperando che ricambiasse.
Lei si limitò a sospirare, ritraendosi sulla sedia.
“Non mi hanno mai permesso di vederlo. Come… com’è?”, domandò con voce malferma.
“Identico a suo padre”.
Bronwen distolse nuovamente lo sguardo appena sentì gli occhi riempirsi di lacrime. Quanto avrebbe voluto che le cose fossero andate diversamente, che fossero potuti diventare la famiglia che avevano immaginato di essere un giorno. In quegli anni si era concessa così poche volte di pensare a loro, eppure sia lei che Remus non avevano mai smesso di sentirne la mancanza. Quasi non lo sentì alzarsi per raggiungerla al di là del tavolo, inginocchiandosi perché lo guardasse. Lei azzardò un sorriso poco convinto, scostandogli con delicatezza i capelli dalla fronte. Le mani le tremavano di nuovo.
“Sarebbe così fiero di te. Sono sicura che in questo momento ti stia guardando con quella sua insopportabile aria orgogliosa, come ogni volta che combinavate qualcosa che io e Lily non avremmo dovuto scoprire”.
Lui ricambiò il sorriso, gli occhi appena velati di lacrime.
“Sarei stato un buon padrino, avrei fatto del mio meglio. Spero lo sapesse”.
“Certo che lo sapeva. Ti avrebbe affidato la vita, eri suo fratello”.


Per quanto avesse insistito, non riuscì a impedirgli di aiutarla a lavare i piatti. Era ormai notte fonda e sarebbe stato molto più semplice recuperare la sua bacchetta dal cassetto in cui l’aveva abbandonata diversi anni prima, eppure non lo fece. Si lasciò travolgere dalla sensazione di familiarità e di straordinaria normalità che sprigionò quel momento così strano, così intimo. Lui in piedi accanto a lei, intento ad asciugare le stoviglie della cena. Così avevano vissuto già una volta, il ricordo si fece vivido al punto da farle male. Era quella la normalità che avrebbero dovuto avere alla fine della guerra, la stessa che avevano già sperimentato durante la resistenza. Serate passate a leggere, litigi per il disordine, i dolci di Lily, camino e candele profumate, discussioni per qualcosa di stupido che quasi sicuramente aveva ideato James, la radio accesa, una giornata passata in spiaggia come quella che aveva fatto tanto infuriare Alastor Moody. Il ricordo della serata passata a casa dei Potter, con Harry che sgambettava felice sul tappeto del soggiorno, le spezzò il cuore per l’ennesima volta.

Quando si alzarono per rientrare in casa, chiamati a gran voce da Lily che stava servendo la torta, la fermò un attimo prima che potesse aprire la porta.
“Che c’è?”, domandò la ragazza.
Lui prese un paio di respiri profondi prima di aprirsi in un mezzo sorriso emozionato.
“Quando questa guerra sarà finita, mi sposerai?”.
Bronwen rimase pietrificata per qualche secondo, poi sbattè le palpebre un paio di volte e ricambiò il sorriso, gli occhi pieni di lacrime.
“Naturalmente.”


Il bicchiere le sfuggì dalle mani e si ruppe nel lavandino, il rumore la fece sussultare.
“Scusa”, disse automaticamente, affrettandosi a raccogliere i pezzi di vetro. Si tagliò il palmo della mano destra ma sentì a stento il bruciore, si accorse del sangue solo quando lui le prese il polso con delicatezza.
“Lasciali”, fece lui con tono morbido, alludendo ai pezzi del bicchiere. Bronwen obbedì e subito si voltò per cercare un canovaccio ma sentì qualcosa sfiorarle la mano. “Epismendo”, mormorò Sirius, per poi riporre la bacchetta nella tasca posteriore dei pantaloni. La ferita si rimarginò all’istante, sembrando già vecchia di un paio di giorni.
“Grazie”, fece lei, sopprimendo a stento un altro ricordo. Aveva usato quello stesso incantesimo su di lui, tanto tempo prima, una notte di luna piena.
“Stai tremando”.
Bronwen sentì un nodo doloroso serrarle la gola ma raccolse tutta la forza necessaria per non ricominciare a piangere.
“Scusa”, ripetè a fatica. Lui, che non le aveva ancora lasciato andare il polso, lo accarezzò delicatamente con il pollice.
“Se vuoi che me ne vada, ti prego, dimmelo”, mormorò.
Bronwen tirò via la mano più bruscamente di quanto avrebbe voluto.
“Perché continui a ripetere di volertene andare?”.
Smettila, mi fa male, avrebbe voluto aggiungere.
“Sei nervosa, non mi guardi. Non hai neanche pronunciato il mio nome. Voglio solo che tu stia bene”, c’era una nota di amarezza nel tono di lui.
Lei sollevò lo sguardo per incontrare il suo, il viso contratto in un’espressione afflitta. Se solo immaginassi cos’ha significato vivere senza di te. Se solo sapessi quanto è stato difficile impedirmi di andare in pezzi.
“Non voglio fare niente che possa turbarti. Ho paura di dire la cosa sbagliata, di toccarti, di farti stare male. Non voglio fare domande, non voglio farti pressioni, non… sono dodici anni che non pronuncio il tuo nome perché non ce la faccio. Ogni volta è come se mi si squarciasse il petto”, si stupì di quanto fosse risultato faticoso pronunciare quelle parole.
Era tanto tempo che non diceva a qualcuno come si sentisse, l’ultima volta Charlie ne era rimasto così turbato che si era ripromessa di tacere e basta. Remus era l’unico al quale, di tanto in tanto, si concedesse di scrivere una o due frasi a proposito del suo stato d’animo.
Lui increspò le labbra per un attimo, indeciso, poi le prese delicatamente il viso tra le mani per baciarla con casta dolcezza. Ricordava poche altre occasioni in cui gli era sembrata fragile e spaventata allo stesso modo. L’ultima cosa che voleva era che si preoccupasse per lui: era lì, era tornato, era riuscito a scappare. Avrebbe rimesso tutto a posto, l’avrebbe protetta, avrebbe protetto Harry, avrebbe scovato lui. Non le avrebbe permesso di angosciarsi un minuto di più, la sofferenza che le aveva causato in quegli anni era stata abbastanza.
Gli scaldò il cuore il modo in cui ricambiò il bacio, sporgendosi il più possibile verso di lui, circondandogli il collo con le braccia, le guance nuovamente umide. Si allontanò con l’intenzione di asciugargliele ma lei gli prese le mani, tenendole giù.
“Non sentirti in obbligo. È passato tanto tempo, capirò se non è più lo stesso. Non è la condizione necessaria per restare qui”, disse, gli occhi grandi e limpidi.
Lui non riuscì a risparmiarsi una piccola risata incredula: era assurdo quanto poco fosse cambiata.
“È ancora straordinaria la tua abilità nell’avere sempre convinzioni sbagliate”, disse, liberando una mano per portarle una parte di capelli dietro l’orecchio sinistro.


Il buio della camera da letto le rendeva impossibile metterlo a fuoco, ragion per cui fu facile fingere che non se ne fosse mai andato. La voce era più profonda e lui era più alto, più magro, ma il resto era eccezionalmente familiare. Aveva ancora lo stesso modo di abbracciarla, di passarle un braccio attorno la schiena per accarezzarle distrattamente i capelli mentre l’ascoltava parlare. E anche lei si scoprì a nascondere il viso nello stesso punto, nell’incavo tra il collo e la spalla di lui. Nonostante il buio, si vergognò di come avesse dovuto vederla. Dimagrita al punto da sembrare malata, capelli in disordine, spenti e crespi, già leggermente striati di bianco.
Dopo una ferrea insistenza, le permise di mettersi a sedere con la schiena appoggiata alla testiera del letto perché potesse tenerlo stretto, lasciando scorrere le dita tra i capelli scuri e disordinati come aveva già fatto tante volte. Prima a scuola, quando il dolore dei litigi con suo fratello bastavano ancora a tenerlo sveglio la notte, poi in quello stesso letto, quando l’angoscia della guerra non gli permetteva di chiudere occhio fino all’alba.
Parlarono a lungo e sottovoce, si dissero tante cose ma tutte rivestite di una superficialità spensierata. Ci sarebbe stato tempo per esplorare il resto, per condividere il dolore.
“Hai rinunciato alla magia”, osservò lui, incapace di trattenersi oltre.
Bronwen si strinse appena nelle spalle.
“Ho rinunciato a molte cose. La magia non era poi così indispensabile”.
“Sarà stato contento tuo padre, hai lasciato che riordinasse tutti quegli scaffali da solo?”. “Non posso credere di dovermi già difendere da quel tono accusatorio”.
“È davvero con me che vuoi parlare di difenderti dai toni accusatori altrui?”.
Per un istante le si spezzò il respiro.
“Sirius, non cominciare”.
Lui accennò un sorriso. Quanto gli sembrava più bello il suo nome ogni volta che lo pronunciava lei. Quella sensazione, negli anni, non era mai cambiata.
Il silenzio che seguì era calmo, pregno di tranquillità. Il respiro leggero e regolare gli fece pensare che si fosse addormentata, ma la scoprì ancora sveglia quando ricominciò ad accarezzargli i capelli. Lui le strinse appena una mano, gli occhi chiusi. Era la prima volta dopo tanto, tantissimo tempo, che si sentiva così in pace. Sarebbe durata poco, il giorno dopo avrebbero dovuto affrontare la realtà, le persone. Avrebbe dovuto metterla al corrente dei fatti, lo sapeva. Eppure era grato per quella notte, fosse stata l’ultima a essergli concessa. Non avrebbe desiderato niente di diverso, non sarebbe potuto esistere niente di migliore.
“Dovresti riposare”, gli disse in un sussurro.
“Voglio avere ancora un po’ di tempo”. Non voglio che arrivi domani.
Bronwen gli accarezzò una guancia, sfiorandola con delicatezza.
“Lui è ancora vivo, non è vero?”, chiese con voce più ferma possibile. Il solo ricordo la faceva fremere di rabbia, tutti i tentativi che lei e Remus avevano fatto in quegli anni non avevano portato a nulla. Non aveva mai osato chiedere a Silente, il quale era sembrato fin troppo incline a crede alla versione del Ministero. Dovette controllarsi per tenere a bada l’odio viscerale che le scatenò l’improvviso pensiero di Crouch.
Sirius sollevò appena la testa per guardarla, riuscendo a malapena a metterla a fuoco. “Non devi preoccupartene”, sentenziò nel modo più autoritario possibile.
“E tu non devi osare sobbarcarti questa storia da solo”.
“Bronwen, se ti succedesse qualcosa, se anche solo ti sfiorasse…”.
“Quello che ha fatto Peter va oltre me, lo sai benissimo”, tagliò corto lei.
Sirius sospirò. È davvero ancora identica.
“Possiamo non parlarne adesso?”.
“Certo, ma non pensare che lascerò perdere”.
Lui le appoggiò nuovamente la testa in grembo, gli occhi chiusi, la mano ancora nella sua. E come potrei?


 

Sorpresa! Non so se c'è ancora chi si ricorda di questa storia ma, dopo tutto questo tempo, mi è sembrato giusto darle una conclusione più definitiva. Spero che a qualcun* possa far piacere. Un abbraccio a distanza e alla prossima.

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