Contro Ogni Ragionevole Previsione 2 - Oltre Ogni Aspettativa

di crazyfred
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36 ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37 ***
Capitolo 38: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***



 
Piccola premessa...se siete in pari con la mia storia c'è il rischio che abbiate perso l'ultimo capitolo della prima parte, perché ho pubblicato questo capitolo immediatamente, come una sorta di regalo di Natale per i miei aficionados. Perciò, per essere totalmente sicuri, controllate prima di aver letto il Capitolo 22 della prima parte. In caso contrario bando alle ciance e ... BUONA LETTURA!!!


 
Capitolo 1

 
Per farsi perdonare della disavventura a cui l'aveva costretta - farsi 1 ora e mezza di autobus al posto di 40 comodissimi minuti in auto da Roma a Grottaferrata, Maya era stata costretta da Lavinia ad uscire con lei e alcuni amici di venerdì sera per un giro di pizze e Coca Cola in sala giochi e a seguire una partita di bowling. Sì, tipica serata da ... dodicenni, ma era sempre meglio di quella volta che era stata invitata alla serata giochi di società. E poi non doveva destare sospetti: l'arrampicata sugli specchi del sabato precedente le era bastata. Fortuna che Alex aveva i figli con sé quel week end e non avrebbero potuto vedersi, almeno non avrebbe dovuto accampare scuse, anche perché sentiva di essere totalmente fuori allenamento sul fronte bugie e temeva di essere sgamata.
"Maya! La smetti con quel cellulare? Qui staremmo tentando di giocare"
Sì alzò dalla panchina sul fondo della pista, assicurandosi che lo smartphone restasse ben nascosto nei meandri della sua borsa, e andò ad inforcare una palla di resina.
"Vediamo che sai fare barunissa" la sfidò Salvo, il fidanzato di una delle coinquiline di sua sorella, Giusy, con il suo forte accento siciliano che 15 anni nella capitale non avevano ancora mitigato. A quasi quarant'anni i due stavano preparando le nozze ma, a causa della famiglia super tradizionale di lui - tradizionale non era la parola che Maya avrebbe usato - vivevano ancora in case separate per paura di incursioni e improvvisate di questo o quel cugino che si inventavano viaggi di lavoro nella capitale.
Non c'era bisogno di dover usare molta immaginazione per capire perché la chiamasse barunissa … era un po' come quando Andrea "Chuck Bass" la chiamava principessa, ma con una piccola punta di risentimento sociale che non faceva mai male per dare un po' di pepe alla competizione.
"Eddai Salvo non fare lo stronzo!" lo rimproverarono all'unisono la sua ragazza e Lavinia.
"Non ti preoccupare, Giusy … ci pensa la barunissa a rimettere al suo posto Salvuzzo tuo"
Maya prese una leggera rincorsa, effettuò il lancio e … frame. La palla era finita fuori senza nemmeno sfiorare un birillo.
"Chi è che dovevi rimettere a posto tu, eh?"
"Mi stavo solo scaldando … sono quasi vent'anni che non gioco a bowling, dammi tempo"
Maya tornò a prendere una palla per il secondo lancio. Soppesò la migliore e, dopo un lungo respiro e uno sguardo attento e concentrato sul bersaglio, la fece scivolare sulla pista con un movimento deciso ma fluido. 10/10.
Le urla di incoraggiamento di sua sorella e lo sguardo impietrito di Salvo furono la migliore ricompensa. Le sue labbra si inarcarono in un sorriso furbo e compiaciuto e portò la mano con cui aveva effettuato il lancio vicino alla bocca, per soffiare sulle unghie e strofinarle sulla maglia in segno di sfida e superiorità.
"Seeeh vabbeh, ma così non vale!!!"
"Lavi non ci avevi detto mica che tua sorella era così brava"
"Beh non pensavo lo fosse" si giustificò la donna "non più almeno"
Quello che Lavinia aveva omesso con i suoi amici, erano stati gli anni di militanza al Brunswick all'Acqua Acetosa, la sala bowling dove tutti i ragazzini festeggiavano i compleanni ai tempi delle medie o dove puntualmente si finiva il venerdì pomeriggio dopo scuola e, mentre Lavinia era la piccola lady di casa, tutta scuola di danza e tutù rosa, Maya attraversava una fase da maschiaccio e seguiva suo fratello e i suoi amici ovunque.
"Chiamatemi quando è di nuovo il mio turno" dichiarò, fingendo supponenza e tornando a sedere alle sedioline, tornando a dedicarsi al cellulare. Leggere i messaggi di Alex che alle 21.30 di un venerdì sera era già pieno delle paturnie adolescenziali di suo figlio e che neanche la presenza della sua beniamina riusciva risollevargli la serata era tanto divertente quanto dolce, soprattutto perché ogni lamentela si concludeva con un Vorrei essere lì con te. Mmm non proprio lì ma hai capito.
Ma non si poteva, non era giusto escludere tutto il resto e lo sapevano entrambi.
"Con chi messaggi?" domandò Lavinia andando a sedere al suo fianco.
"Con nessuno" si affrettò a rispondere Maya, bloccando il telefono: anche glielo avesse strappato dalle mani, il codice di sblocco non lo conosceva. 
"E se non è nessuno perché metti via il cellulare allora?"
"Perché esiste ancora una cosa chiamata privacy" cercò di troncare sul nascere la questione, ma doveva trovare una scusa plausibile più in fretta possibile perché non aveva intenzione di mettere da parte il telefono e sicuramente sua sorella sarebbe tornata alla carica.
"Privacy? Sei mia sorella, la tua privacy è la mia privacy."
"Bella invenzione del cazzo … e comunque no, è una mia collega, Alice, non la conosci … questioni di cuore"
"Una collega eh? Certo che Testaccio ti ha proprio cambiata, mi dicevi sempre che odiavi tutti a lavoro … tranne il fioraio"
"Chi?"
"Alex … l'uomo con il peggior gusto per i regali nella storia dei regali"
"Ancora con questa storia? E basta sei pesante" Maya cerco di trattenere sia le risate per la battuta improbabile, sia il suo risentimento per quell'offesa: sua sorella era ancora ferma alla sua indecisione riguardo ad Alex ed era importante che ci rimanesse.
"Dai Lavi ora tocca a te" Giusy salvò Maya che letteralmente era finita spalle al muro chiamando sua sorella sulla pista. La ragazza tirò un sospiro di sollievo, tornando sulla chat di Whatsapp
 
Volevo solo informarti che per ragioni di sicurezza
da oggi in poi sei ribattezzato Alice sul mio cellulare XD :-*

 
 
La domenica, Alex fu invitato a pranzo dai suoi genitori. Con tutte le cose che la separazione aveva stravolto in negativo nella sua vita, i fine settimana erano invece migliorati, permettendogli di ritrovare la sua famiglia.
Che tra i Bonelli e Claudia non scorresse buon sangue era pressoché evidente a tutti: si sopportavano solo per i bambini e perché Alex li voleva nella loro vita; ma Claudia cercava sempre di evitare il più possibile di sedersi a tavola con loro nella villetta alla Garbatella: il più delle volte, la domenica, si invitavano a vicenda a prendere un caffè dopo pranzo o meglio ancora Claudia suggeriva ad Alex di portare con sé il padre allo stadio, così da risparmiarsi l'incombenza di doverlo ricevere. Non era raro, del resto, che Cesare dirottasse la conversazione su temi di attualità e politica e, manco a dirlo, le loro schede elettorali non esprimevano mai opinioni condivise.
Ora Alex, invece, non rifiutava mai un invito di sua madre e, per farli contenti, portava i nipoti allo stadio con sé ogni volta che poteva, che tanto Edoardo il calcio non se lo filava neanche di striscio. Maria, se qualcuno le avesse chiesto, avrebbe detto che sì, era triste per la separazione del figlio, ma segretamente era contenta di vedere la famiglia riunita almeno una volta a settimana e poter preparare i loro piatti preferiti; Cesare, manco a dirlo, sembrava avesse fatto tredici al Totocalcio.
"Chi vuole ancora un po' di pasta?" domandò la donna, in piedi al centro della tavolata, pronta a partire con il secondo giro.
I maggiori dei suoi nipoti le passarono i piatti senza troppi complimenti ed era questo genere di collaborazione che più le piaceva.
"Nonna sei mitica!" la elogiò Daniele.
"I tuoi gnocchi dovrebbero ricevere un premio" rincarò la dose l'altro.
"Ditelo a vostro nonno …"
"Ma che vuoi da me? Lo sai che ho avuto un infarto e non posso esagerare con il mangiare"
"Ma è domenica!"
Ad Alex quei battibecchi, sempre uguali da oltre quarant'anni, non stancavano mai. Ovviamente Maria sapeva che il marito doveva stare attento, ma era profondamente convinta che la buona cucina avesse un effetto curativo e nessuno poteva toglierle dalla testa che i suoi manicaretti fosse cento volte meglio di verdure bollite e petto di pollo ai ferri.
"E tu Edoardo?" continuò la donna.
"No grazie nonna non mi va"
"Come cresci se non mangi?"
"Ah no' questo deve fa il modello, non può ingrassare" lo presero in giro i cugini "Sennò come ci entra in quei bei vestiti comprati a via del Corso"
"Basta!" li rimproverò Cesare. Valerio e Daniele erano buoni e cari, ma quando facevano i bulletti con il cugino li avrebbe presi per i capelli. Alex invece li faceva fare, ridendo sotto i baffi: forse sbagliava, ma era dell'opinione che quelle schermaglie tra ragazzini, finché erano così leggere ed innocenti come quelle dei nipoti, non potevano che far bene ad Edoardo, che negli ambienti in che frequentava aveva finito per montarsi un po' la testa, complice anche la madre che lo viziava. E poteva persino giurare di averlo visto cambiare positivamente da quando, dopo la separazione, frequentavano con maggiore assiduità la casetta bianca alla Garbatella.
"Ah, Alex" si intromise Anna, rivolgendosi al fratello, mentre sparecchiava i piatti di chi aveva finito con il primo "c'è una cosa che ti devo raccontare. Credo di aver visto un tuo sosia, qualche giorno fa …"
"Ah sì? Dove?"
"Dalle parti di Ottaviano, stavo attraversando la strada e su un'auto è passato uno identico a te. Ma era buio e io le auto non le distinguo neanche di giorno" ironizzò la donna.
"Beh è possibile che fossi io …" rispose, senza neanche pensarci troppo "sai com'è, ci abito da quelle parti. Quand'è stato?"
"Lunedì sera, ero appena uscita da un corso di aggiornamento … ma no, di sicuro non potevi essere tu. La persona che ho visto era in dolce compagnia"
Alex sorrise, cercando di minimizzare. Ovviamente era lui, non c'era alcun dubbio. Lui e Maya stavano andando a cena e a causa di una deviazione lungo la strada Alex si era trovato a passare vicino alla stazione della metro. E il modo in cui Anna si era fermata su quella frase e la maniera in cui lo stava guardando, gli dicevano che lo aveva capito pure lei. Avrebbe potuto negare, dire che le stava solo dando un passaggio, ma rischiava di passare per bugiardo: avevano riso per tutto il viaggio del clacson suonato dall'auto dietro di loro quando Alex, per rubare un bacio a Maya, non aveva visto il verde scattare, fermo al semaforo. Probabilmente era proprio allora che sua sorella li aveva visti.
"Ragazzi" disse ai nipoti "andate a vedere se è iniziata la partita. Edo vai con loro che tu sai le credenziali della pay tv!"
"Non mi interessa il calcio" decretò il ragazzo, comprendendo che la situazione stava prendendo una piega che forse non gli sarebbe piaciuta ma che voleva sentire con le sue orecchie.
"Edoardo vai con loro" rimbeccò il padre "non mi far alzare la voce. Giulia, piccola, vai pure tu che Dedo ti fa vedere Dora l'Esploratrice sul cellulare!"
"Siiiì"
"Ma che palle …" borbottò il biondino, aiutando la sorella a scendere dalla pila di cuscini che le avevano sistemato sulla sedia e tendendole la mano per andare al piano di sopra.
"Che succede?" domandò Cesare, lo sguardo torvo "perché ho la sensazione che stiamo per rovinarci la domenica?"
"Perché Anna non sa cosa sia farsi i fatti suoi, per dirla educatamente. E tu" continuò rivolgendosi alla sorella "non ti vergogni nemmeno un po' a parlarne di fronte ai miei figli?"
"Ah adesso sono io il problema?! Tu non hai perso tempo ad andare in giro con la tua amante e la colpa è mia?! Ma roba da matti!"
"Amante? Come amante?" domandò Maria, chiudendo la porta della cucina: il volume delle voci dei suoi figli era aumentato e proprio come Alessandro si preoccupava di proteggere i nipoti da quelle chiacchiere.
"Ah perché non ve lo ha detto che vi ha pure portato la mantenuta in casa? Altro che affittuaria …"
"Ma tu ancora credi alle cazzate che ti racconta Claudia?" Alessandro capì immediatamente chi era la fonte di tutte quelle bugie.
"E non è finita q
ua!" continuò Anna, dritta per la sua strada, senza incrociare mai gli occhi dei genitori, ma tenendo i suoi, severi e neri come la pece per la rabbia, sul fratello "non una donnina qualsiasi, no! La sua segretaria … come la chiami tu? Ah sì … assistente! Chissà da quanto tempo le mettevi le corna, povera Claudia. Sai che ti dico, ha fatto bene ad andarsene di casa visto che la lasciavi sempre sola con la scusa del lavoro e invece ti divertivi con quella lì"
"Annare' ma sei matta a dì certe cose di tuo fratello?!" quasi la pregò sua madre, la voce sommessa e implorante di chi vorrebbe che quelle parole appena sentite fossero solo un bruttissimo sogno da cui svegliarsi presto "e poi così je fai venì n'altra volta n'infarto a tu padre!"
"Parla per te per cortesia" rimbeccò Cesare verso la moglie.
"E te pareva … tu non ci riesci proprio a non difenderlo, ve'?" sbottò Anna, astiosa: era sempre stata un po' gelosa, ma Alex non riusciva a credere che la cosa potesse protrarsi, e peggiorare, in età adulta.
"Ma non ti vergogni manco un po'?" le disse suo padre "dopo quello ch'avemo fatto pe' te. T'abbiamo cresciuto i figli, t'abbiamo messo un tetto sopra la testa. Così ce ripaghi? Pe' noi siete uguali, hai capito? UGUALI!"
Cesare era uomo di pochissime parole, ma quando parlava, erano pesanti come macigni. Erano arrivate dritte al cuore di tutti visto come erano state in grado di ammutolire la stanza. Non stava rinfacciando nulla a sua figlia: avrebbe rifatto tutto daccapo, tutti i sacrifici e tutte le decisioni prese dopo notti insonni e gastriti per l'ansia e le preoccupazioni. Ma non tollerava che sua figlia credesse che Alex fosse trattato diversamente.
"E tu?" si rivolse al figlio, imperscrutabile "Che ce devi dì?"
"E che ve devo dì?" esordì Alex "Che non sono il mostro che dice sta cretina. Che questa ragazza ha un nome, si chiama Maya e, sì, lavora per me da cinque anni, ma non c'è stato nulla tra di noi prima di chiudere con Claudia. Nulla, neanche uno sguardo."
Parlare così apertamente gli stava facendo male. Era come un povero affamato che deve ammettere la sua indigenza per giustificare il furto in un supermercato. Provava vergogna e sporcizia all'idea di dover giustificare la cosa più bella che aveva in quel momento: per sé stesso, che non aveva fatto nulla di male, e per Maya, che non aveva colpe se non di essersi affidata ad una persona tanto incasinata. Si sentiva come se la stesse tradendo.
"È una bravissima ragazza e poco ma sicuro non è la mia mantenuta. Lavora e con il suo stipendio paga l'affitto, quell'affitto che a quanto mi risulta spetterebbe a mamma e papà ma riscuoti tu per mettere da parte i soldi per l'università dei tuoi figli …"
"Quei soldi sono nostri e decidiamo noi come usarli" chiarì Cesare perentorio.
Voleva che Daniele e Valerio, pur senza un nucleo familiare solido, senza un padre, e con una madre che da sola avrebbe faticato ad arrivare alla fine del mese, potessero avere le stesse possibilità di Edoardo, almeno sulla carta, perché l'intelligenza e l'intraprendenza di certo non mancavano.
"Ma io non ho nulla in contrario papà e sai benissimo che per i ragazzi ci sono sempre anche io" Era già andato via di casa quando Anna si era scoperta incinta, ma nonostante fosse lontano si era dato da fare, nel limite delle sue possibilità dell'epoca, per Valerio prima e per Daniele poi, e li considerava quasi come figli suoi. Era già andato via di casa quando Anna si era scoperta incinta, ma nonostante fosse lontano si era dato da fare, nel limite delle sue possibilità dell'epoca, per Valerio prima e per Daniele poi e li considerava quasi come figli suoi. "Mi chiedo solo se le faccia davvero così schifo che Maya sia in affitto a Testaccio visto che i soldi non li rifiuta. Perché Maya non ci metterebbe niente a trovare un'altra casa se proprio ad Anna dà così fastidio"
Era una provocazione che era certo sua sorella e nessun altro avrebbe raccolto perché lo avevano stato colpito nel privato in modo molto, troppo meschino. Ma dentro di sé sorrise al pensiero che Maya probabilmente si sarebbe buttata in ginocchio piuttosto che lasciare quella casa. E dire che neanche la voleva visitare.
"Papaaaaà! Nunnoooo!" la voce squillante di Giulia si faceva più alta man mano che, cantilenando, la bambina scendeva le scale. Tutti si ricomposero. Anna dal canto suo, ne approfittò per uscire dalla piccola porta finestra sul cortile posteriore della casa a fumare una sigaretta.
La piccolina aprì la porta e sbucò lentamente con il suo visino timoroso.
"È inissiata la partita nunno!"
Aveva quel modo strano di chiamarlo, quella O così stretta da sembrare quasi una U e che stringeva il cuore di Cesare ogni volta, senza un particolare motivo.
"Allora dobbiamo andare subito a vederla. Come cantiamo? ROMA ROMA ROMA" cantò l'uomo, non particolarmente intonato, prendendo la nipote in braccio e uscendo dalla stanza.
"Core de sta città" continuò la piccola.
Brava cocca de nonno!!! Sei proprio una lupacchiotta!!! Unico grande amore …"
Alex rimase solo con la madre, ancora chiaramente stordita da quanto era successo. Se ne stava di spalle, a sistemare in un vassoio le fette di arrosto e le patate al forno che nessuno probabilmente avrebbe toccato.
"Ah ma' …"
"Alessa’ per favore, eh, non è il momento"
"No ma', è proprio questo il momento. Almeno tu dimmi qualcosa"
Alex si era sempre confrontato con sua madre. Suo padre era più tipo da frasi ad effetto, uno di quelli che sta fermo e zitto a rimuginare tipo un capo indiano e ti dà il suo responso quando meno te lo aspetti. Ma sua madre no, anche a costo di finire le scorte dei fazzoletti in casa, lei c'era sempre per parlare e sfogarsi.
"Che voi da me? C'hai 45 anni...nun te posso mica impara' a campa'! Sei felice?" gli domandò, ma in quel tono tutto particolare di chi non voleva sapere la risposta "e allora non devi rendere conto a nessuno tranne che a te stesso"
Alex non sapeva come interpretare le parole di sua madre, decisamente più ermetica del solito. L'unica volta in cui, in vita sua, era stata tanto criptica era stato all'annuncio delle nozze con Claudia. Forse era solo un pizzico di gelosia materna tutta italiana, pensò teneramente Alex: magari si era immaginata di poter tornare ad avere suo figlio tutto per sé adesso, e invece neanche un paio di mesi dopo ecco che compariva una nuova donna. Che fosse scettica alla fine era anche comprensibile, ma avrebbe preferito lo dicesse senza tanti giri di parole.
Però su una cosa era d'accordo: se una cosa ci rende felici, non deve avere senso per nessun'altro, tranne che per noi stessi. E stare con Maya lo rendeva immensamente felice, libero da schemi e sovrastrutture.
"Me lo fai un favore però Alessa'?" riprese la donna, di nuovo con quel tono di preghiera, guardando fuori dalla finestra: Anna, con la sigaretta fumante tra le dita, parlava nervosamente al telefono. "Chiarisci con tua sorella, non fare che te ne vai da qui arrabbiato con lei e poi non vi parlate più" "Mi dispiace ma', l'ha fatta troppo grossa. Ho bisogno di farmi passare l'arrabbiatura prima" si chinò a baciarle la fronte, sperando capisse.


 

Eccoci qua! Ben trovati! 
Ripartiamo subito e ripartiamo con il botto proprio. Non credo servano troppe spiegazioni dopo questo capitolo, mi sembra evidente che la strada si fa in salita praticamente sin da subito per questi due poveri protagonisti. Per chi invece non mi conoscesse e volesse andare a ritroso QUI potete trovare la storia dall'inizio.
Detto questo, mi prendo una pausa che dovrebbe durare per tutte le vacanze di Natale e forse anche un po' oltre. Nel frattempo potete venire a trovarmi sulla mia pagina Facebook o anche semplicemente nei messaggi se vi va di parlare un po' della storia, a me fa sempre tanto piacere interagire con i lettori. A presto e ci vediamo ad anno nuovo!!!
Fred ^_^

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***





 
Capitolo 2
 
 
Claudia accolse Alessandro in casa, sorpresa.
“E tu che ci fai qui?” 
Generalmente quando i ragazzi tornavano a casa da lei dopo il weekend lasciava ad Edoardo l’incombenza di occuparsi della sorella e dei borsoni.
“Ho bisogno di parlare con mio figlio con calma” le disse, distaccato, entrando.
“Che è successo?”
L’uomo la guardò accigliato, infastidito da quella sua capacità non solo di far finta di nulla, ma anche di fingersi apprensiva. Era come se, di punto in bianco, quel lato premuroso ed apprensivo di lei si fosse trasformato in un difetto, in una mera recita.
“Tu ringrazia solo che non siamo soli e ho una buona capacità di autocontrollo” si limitò a risponderle, seguendo suo figlio al piano di sopra.
Prima a casa dei suoi, poi in auto con la bambina, non c’era stato un secondo di privacy per affrontare l’argomento Maya con suo figlio come avrebbe meritato, con calma e tatto. Edoardo non era stupido, nonostante i cugini lo prendessero in giro in continuazione, aveva compreso la situazione disastrata della sua famiglia prima ancora che i suoi genitori gli dicessero una sola parola. Quel bel discorsetto preparato, fatto a quattr’occhi alla vigilia dell’Epifania era stato per lui una conferma pressoché inutile.
Quando il padre chiuse la porta della sua stanza e accese la radio a tutto volume, facendo scegliere a lui tra la musica più rumorosa che avesse (per quanto ne sapeva Alessandro, Claudia avrebbe potuto mettersi dietro alla porta ad origliare, ormai si aspettava di tutto da lei), sbuffò, seccato dell’ennesima sceneggiata da padre modello che empatizzava con il figlio depresso. Lui non era depresso, si diceva, era solo stufo di quella situazione, dei weekend alternati e di quel finto equilibrio tra i suoi genitori che nascondeva guerra e cattiveria.
“Con Giulia voglio aspettare ancora un po’” esordì il padre sedendosi sul suo letto; Edoardo invece stava sulla sedia girevole della scrivania, ondeggiando distrattamente mentre giocava con il cubo di Rubic preso meccanicamente da una mensola della libreria “ma tu sei grande”
“Senti pà, io direi che è un po’ tardi per recitare la parte del padre attento” sbottò.
“Non è come dici tu” o come più probabilmente lo imbeccava sua madre “io faccio l’impossibile per essere presente …”
“Sì certo, come no…fino a che non hai una call da New York o questo o quell’evento esclusivo a cui non puoi mancare. È sempre stato così ma ora improvvisamente ti è venuta tutta questa voglia di fare l’amicone …coscienza sporca?”
Alessandro aveva già ammesso di non essere stato un padre particolarmente presente, ma nessuno, tanto meno Edoardo, avrebbe dovuto mettere in discussione l’amore che provava per i suoi figli. Se fosse servito, ci avrebbe lavorato fino alla fine dei suoi giorni per dimostrarlo.
“Lasciami parlare, per favore. Devo spiegarti quello che è successo oggi”
“Ma che vuoi spiegare, pà? Zia Anna t’ha beccato con l’amante e adesso ti rode il culo”
“Moderiamo il linguaggio, intanto” lo riprese Alessandro “e non è la mia amante”
“Come vuoi chiamarla … fidanzatina? Eh papà? C’hai pure tu 15 anni?”
Aveva detto a Valerio e Daniele che secondo lui il padre s’era rincretinito da quando aveva lasciato casa, che ora se ne andava pure in giro a scopare come un puttaniere qualsiasi, ma i suoi cugini erano stati categorici: tu almeno ce l’hai un padre, gli avevano detto, strozzandogli in gola ogni tentativo di protesta. Non che mancasse loro quello che non avevano mai avuto o conosciuto, ma zio Alex era uno apposto, di quelli che ti stanno a sentire se c’è un problema e che una soluzione la trovano sempre, ci fosse voluto anche un anno. Ecco, uno così, come padre, a loro non sarebbe dispiaciuto; certo, lavorava, ma lo stesso faceva la loro madre, se avessero voluto un pensionato c’era già nonno Cesare.
“No. È una persona con cui sto uscendo, per il momento non c’è bisogno che tu sappia altro di lei, né tantomeno che tu la conosca. Che tu ci creda o no avrei voluto davvero dirtelo io prima che tu potessi venire a saperlo da qualcun altro, ma senza fretta, se e quando le cose fossero state più stabili … per tutti”
La cosa che più lo aveva mandato in bestia era aver perso il controllo di una cosa così importante per lui. Era sicuro di quello che provava per Maya ed era determinato a farla funzionare, ma quei dubbi che Maya gli aveva presentato, per quanto lui li rifuggisse, erano legittimi e insieme li dovevano combattere ogni giorno. Rendere i figli partecipi di quella battaglia era l’ultima cosa che voleva per dei ragazzini che avevano a malapena superato la separazione dei genitori.
“Hai lasciato mamma per lei?” gli domandò il ragazzo a bruciapelo.
“Assolutamente no. Quello che è successo tra me e mamma è stata una cosa improvvisa ma inevitabile, Maya non c’entra niente”
“Dopo 20 anni ci hai messo 2 mesi per sostituirla però”
“La questione non è così riduttiva”
“E com’è? Avevi promesso di parlare da adulti”
Sì, glielo aveva promesso settimane prima: era l’unico modo per conquistare la sua fiducia. Ora però Alessandro si rendeva conto di quanto fosse difficile: avrebbe volentieri ridotto tutto ad un quando sarai più grande capirai, però Edoardo ormai era grande abbastanza da capire. Ma cosa dirgli? Che aveva smesso di amare sua madre ben prima dell’estate precedente, quando lei li aveva mollati in piene vacanze? Oppure che Maya gli era stato vicino nei giorni in cui era rimasto solo?
“Le relazioni sentimentali sono complicate, Edo, non esistono regole o tempi prestabiliti. Magari presto lo scoprirai anche tu”
Più onestamente di così, sinceramente, non sapeva come dirglielo. Non aggiunse altro: gli fece promettere, un po’ controvoglia, di pensarci su e, soprattutto di pensare con la sua testa, senza farsi influenzare da nessuno; sapeva bene quanto Claudia fosse legata al loro primogenito e quanta confidenza avesse con lui: volendo, lo avrebbe convinto di qualunque cosa.
 
A sera, dopo il lavoro, Alex e Maya avevano preso l’abitudine di salire sul terrazzo a bere un drink e mangiare qualche salatino, godendo delle giornate che si allungavano e delle temperature che diventavano di giorno in giorno più gradevoli.
“Non ho avuto ancora modo di dirti quanto mi piace come hai sistemato casa”
“Beh, a tua discolpa non è che abbiamo avuto molte occasioni per fare conversazione vera e propria da quando la sera vieni a stare qui” ammise Maya, ammiccante, porgendogli un bicchiere di prosecco “comunque grazie, sono contenta che ti piaccia”.
Ad Alex bastava aprire leggermente un braccio per farla finire contro il suo petto, quasi spalmata. Quel cantuccio caldo ed accogliente, dove poteva sentirgli la giugulare pulsare e il suo profumo circondarla, era diventato il suo posto preferito. La sua fronte schiacciata sulla guancia dell’uomo, la mano sul suo torace e sarebbe rimasta così, immobile, per ore, i loro respiri placidi che ormai andavano all’unisono.
“Possiamo fare un giro tra i mercatini dell’usato se ti va” le disse, ancora sghignazzando all’insinuazione della giovane “sono sicuro che qualche pezzo vintage non ci starebbe male. Un giradischi, qualche lampada …”
“Magari anche qualcosa per qui sopra. 
Conosco un tizio che fa mobili riciclando dei bancali, ci starebbero benissimo qui”
Maya aveva grandi progetti per quel terrazzo. Non appena la bella stagione glielo avesse concesso, lo avrebbe trasformato in un salottino con tanto di zona bar e lampadine in stile bohème. Fino a quel momento si erano dovuti accontentare di un vecchio tavolino da picnic e di due sdraio che aveva trovato nello scantinato. 
Alex la ascoltava estasiato: era innamorata di quel posto e glielo leggeva negli occhi. Parlava come se fosse determinata a restarci a lungo, come se quella casa fosse sua al 100% e questo lo rendeva felice perché condivideva finalmente con qualcuno l’amore, che molti definivano irrazionale, per quella casa e quel quartiere. Ma questo gli fece pensare che era ora che Maya sapesse delle ultime novità di casa Bonelli.
Si fece serio all’improvviso. Maya, notando il suo irrigidimento, gli domandò cosa non andasse.
"Cosa?!" domandò incredula ed esterrefatta, quando Alessandro confessò che la sua famiglia aveva scoperto di loro grazie a sua sorella. 
"Ti giuro, quando l'ha fatto non ci potevo credere. Pensavo di aver superato da un pezzo la fase delle ripicche adolescenziali. Mamma Alex fuma!" quell'ultima frase, detta con voce nasale ed in falsetto fece ridere Maya, spazzando via l'apprensione del momento.
Non conosceva Anna, ma lui le aveva accennato qualcosa di lei: un racconto che la ritraeva sola, insoddisfatta ed invidiosa, non proprio la più affabile delle donne. A quel punto, sperava di poter rimandare quell’incontro sublime il più possibile.
"E i tuoi?" domandò.
"Mia madre ha detto che ormai ho una certa età e non può dirmi cosa devo fare, che se non ho imparato finora a campare di certo non può insegnarmelo più lei. Ma non ha pianto, il che è decisamente un miglioramento… mio padre invece si è fatto risentire per alcune cose dette da Anna, ma su di noi non ha detto una parola” chiarì “Ad un certo punto è entrata Giulia nella stanza e se l'è portato via. Poi non ne abbiamo più parlato”
L’arrivo della piccola, secondo Alessandro, era stato provvidenziale: senza Giulia, probabilmente, sarebbero volate parole ben più pesanti e non solo quelle.
Maya stava ad osservarlo, per provare a capire come si sentisse. Aveva messo via il bicchiere mezzo vuoto sul cornicione del terrazzo e osservava l’orizzonte: probabilmente non c’era nulla che attirasse davvero la sua attenzione, era solo un modo per tentare di chiuderla lì. Indubbiamente era deluso da come erano andate le cose, ma la colpa non era di nessuno, se non forse di sua sorella che avrebbe potuto parlarne con lui in privato prima di sbattere in piazza i suoi fatti. Ma evidentemente era sua precisa intenzione far scoppiare quella bomba.
“Non è giusto che tu debba litigare con la tua famiglia per colpa mia però” esclamò Maya, ed Alex la vide andare a sedere ad una delle sdraio mestamente.
“Non li voglio sentire questi discorsi!” Alex la seguì, inginocchiandosi davanti a lei; Maya aveva lo sguardo perso nel vuoto, rabbuiato, e così, poggiando le mani sulle sue gambe, l’uomo provò a scuoterla leggermente “hai capito? Tu fai parte della mia vita che a loro piaccia o meno e se ti offendono io non ci metto niente a mettermi contro di loro”
“Anna mi ha offesa?” domandò, dopo aver mandato giù un lungo sorso di vino.
"Non ci pensare" le disse Alessandro, sistemandole i capelli dietro l'orecchio e posandole un bacio sul collo “l'ho rimessa subito al suo posto, stai tranquilla”
Era sicuro che per un po’ sarebbe stata al suo posto a leccarsi le ferite e lo stesso avrebbe fatto anche Claudia, dopo la conversazione che aveva avuto con Edoardo.
“E adesso che succede?”
“In che senso?”
“Dobbiamo uscire allo scoperto?”
In realtà non si poteva dire che stessero vivendo una relazione clandestina. Al di fuori della redazione, vivevano la loro vita in maniera del tutto normale e naturale, andando in giro, passeggiando, non tirandosi indietro quando si trattava di dimostrare affetto o attenzioni in pubblico: del resto, era stato proprio per quello che Anna li aveva visti. Semplicemente Maya non sentiva il bisogno di coinvolgere gente in quella cosa che era appena nata tra loro.
“No, se non vuoi” la tranquillizzò l’uomo, capendo cosa intendesse “non abbiamo bisogno di mettere manifesti. Se capita ok, ma è un altro paio di maniche”
Maya annuì, posandogli un bacio sulla guancia, grata. Ma ad Alex quel bacio sulla guancia non poteva bastare; poggiò il calice, che la ragazza teneva ancora tra le mani, sul tavolino da pic-nic e la fece alzare; quando finalmente le fu di fronte accolse il suo viso tra le mani e iniziò a venerare come si deve le sue labbra. Il sorriso che percepiva aprirsi sulla bocca di Maya tra un bacio e l’altro, il calore della sua pelle e il sapore zuccherino del suo rossetto erano il perfetto antidoto ad ogni malumore.
“Ad una persona però voglio dirlo” chiarì Maya, staccandosi da quel bacio a malincuore “a mia sorella non posso nasconderlo”
Lavinia aveva scherzato spesso con Maya e Olivia a proposito di Alex, ma questo non le impediva di essere scettica e preoccupata dalla relazione che si profilava per sua sorella con un uomo separato e con figli. Nasconderle Alex avrebbe significato darle ragione.
“È un problema?”
“Assolutamente no … è tua sorella, non stiamo parlando di un passante a caso per strada”
Anche lui avrebbe voluto poterne parlare a sua sorella con tranquillità, come avrebbe fatto Maya, magari seduti davanti ad un aperitivo, senza rinfacciarsi storie risalenti a venti anni prima.


 

Ciao a tutti e ben ritrovati dopo la pausa natalizia! Spero abbiate passato buone vacanze e che la situazione Covid non sia brutta da voi!
In questo capitolo, Alex affronta le conseguenze della lite con sua sorella con suo figlio Edoardo, che ha capito ovviamente quello a cui la zia alludeva. Purtroppo la situazione tra padre e figlio è sempre scricchiolante e il fatto che abbia alle spalle una madre che lo imbecca - come nei peggiori divorzi - non aiuta.
Poi passiamo ai piccioncini che devono affrontare la questione cercando di bilanciare la loro voglia di privacy con la vita pubblica. Riusciranno nel loro intento? Tanto per cominciare, ci saranno a breve le prime presentazioni ufficiali...in bocca a lupo a loro ahahah!!!
A presto, la vostra
Fred ^_^

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***






Capitolo 3

 
Arrivato a casa di Maya, Alex parcheggiò la moto nelle strisce preposte ma un camion dei traslochi stava scaricando alcuni mobili e per poco due operai non gli andavano addosso con un divano.
"Attenzione!"
Fuori dal portone aperto, pacchi vuoti, involucri di plastica e protezioni di polistirolo suggerivano che il trasloco stava avvenendo proprio nella loro scala. Sperava solo che si sarebbero sbrigati presto: loro stavano all'ultimo piano, ma trapani e martelli hanno una capacità pazzesca di superare anche tre piani con il loro rumore.
Mentre gli addetti del trasloco si avvicinavano, Alex se ne stava ad aspettare l'ascensore.
"Voglio sperare che non vogliate usarlo come montacarichi...ha 50 anni questo ascensore, non è abituato. E il regolamento condominiale parla chiaro…"
"Non si preoccupi" disse un uomo che scendeva le scale in fretta per tranquillizzarlo "fanno le scale, siamo al primo piano. Ma...Alessandro? Alessandro Bonelli?!Sei proprio tu?"
"Paolo?!” esclamò Alex, sorpreso “Mio Dio ma quanto tempo è passato?!"
I due, ancora increduli, si abbracciarono. Paolo Bianchi, interno 2, era nato e cresciuto in quella palazzina come Alex, e durante la loro infanzia erano stati praticamente inseparabili. Quasi due fratelli. Alessandro era il più grande dei due, eppure nel condominio e in giro per il quartiere tutti li conoscevano come Sandrino e Paolone, o almeno finché la pubertà non colpì entrambi e Sandrino arrivò al metro e novanta in meno di 3 anni e Paolone, pur non superando il metro e ottanta, mise su un fisico invidiabile diventando giocatore di pallavolo. Poi la vita ha fatto quello che sa fare meglio e senza volerlo i due presero strade diverse, perdendosi di vista.
"Che ci fai qua ai Cocci*? Dalle ultime notizie sapevo che t'eri sistemato bene, pacchetto completo… casa in centro, famiglia bene, scòle private …"
Alessandro era una mezza celebrità tra gli allora ragazzi del quartiere. Anche se in molti erano riusciti a sfuggire al degrado della Testaccio degli anni ‘90 grazie alla scuola, all'università e al posto fisso, Alessandro era per tutti quello che ce l'aveva fatta un po’ di più. Gli altri al massimo erano impiegati alle poste o in altri uffici, qualcuno insegnava a scuola o faceva l'infermiere. Lui invece era tutta un'altra storia …
"Eeeeeh, storia lunga per raccontarla su un pianerottolo … a farla breve la mia compagna abita su, al 10. Invece papà tuo abita ancora qui ora che ci penso…"
Ai loro tempi, la storia della famiglia di Paolo la conoscevano tutti: la mamma era mancata che lui era ancora alle elementari, pochi mesi prima della prima comunione. Non c'era una persona nel quartiere, in quelle settimane, che non piangesse parlando di quella storia tristissima. E tutti facevano a gara per coccolare quel bambino rimasto orfano e con il padre che si spaccava la schiena come netturbino tutte le notti per non fargli mancare nulla; la madre di Alex, manco a dirlo, da buona vicina, era in prima fila.
"Non più, è venuto a mancare l'estate scorsa … non stava bene da un po'"
"Oddio mi dispiace, non l'ho saputo" gli disse, sinceramente dispiaciuto, poggiandogli una mano sulla spalla. Probabilmente i suoi lo avevano saputo, del resto erano rimasti in contatto con diversi amici nel quartiere, ma con quello che era successo a lui, avranno preferito ometterlo o semplicemente lui non lo aveva recepito.
"Ho fatto qualche lavoro per ammodernare e ora ci stiamo trasferendo con mia moglie. La casa è mia adesso e noi invece eravamo in affitto quindi ne abbiamo approfittato"
"Avete fatto bene!"
Nel frattempo dal terzo piano qualcuno borbottava per l'ascensore occupato a pianterreno dai due.
"Va beh dai, fammi andare …”
“Ci risentiamo, eh! Dobbiamo organizzare una serata con le signore" suggerì Paolo, suggellando la promessa con una stretta di mano.
"Assolutamente sì... "
Alex non sapeva spiegare la gioia che gli aveva provocato quell'incontro così totalmente casuale. Era come se all'improvviso fosse stato catapultato indietro agli anni '90, alle corse sul Ciao sempre mezzo rotto, ai jeans a vita alta e alle giacche con la pelliccetta di finta pecora e alle prime serate techno in discoteca. Non con la nostalgia di chi tornerebbe a quei giorni, ma con la soddisfazione di chi ricompone un puzzle rotto in mille pezzi: quei giorni lì aveva vissuti appieno ma, per qualche motivo, crescendo li aveva messi parte, quasi rinnegandoli.
 
 
Era strano trovarsi da solo in casa, ai fornelli di quella cucina, eppure si sentiva perfettamente a suo agio. Casa sua che non era più sua ma che sentiva sua... praticamente una sorta di Inception degna del miglior film di Nolan.
Maya era rimasta a sistemare alcune scartoffie in ufficio e aveva fatto scivolare le chiavi di casa nella tasca della sua giacca, nel guardaroba, cosicché lui potesse entrare in autonomia e iniziare a preparare la cena. Era una serata importante: Maya aveva deciso di parlare di loro a sua sorella, ma non voleva farlo da sola e così l'aveva invitata per una tranquilla cenetta a tre approfittando del giorno di riposo dal reparto per fare le presentazioni ufficiali.
Niente di troppo formale o impegnativo. Un tagliere, qualche bruschetta e uno sformato di verdure che Alessandro si era offerto di cucinare, il cui segreto era essere buono, non necessariamente bello.
Mentre pelava le patate bollenti, Alex sentì girare la chiave nella serratura.
"Non credevo fossi già a casa" sentì esclamare da una voce femminile che, per ovvi motivi, non poteva essere quella di Maya e si stava attardando in corridoio, probabilmente per togliere la giacca. 
Era Lavinia, naturalmente. "Meglio così" continuò la donna "significa che non dovrò fare come al solito tutto io da so-"
Entrando nella zona giorno dall'ingresso arrotolando le maniche del maglioncino, era rimasta di sasso nel vedere Alex ai fornelli. No, non per i fornelli, proprio per Alex. Sua sorella le aveva semplicemente detto che voleva parlare di una cosa, senza anticipare nulla. Anche l’uomo rimase per un secondo interdetto, più che altro perché non aveva messo in conto di doverla affrontare da solo.
"E tu come sei entrata?"
"Do-doppie chiavi…" balbettò, imbarazzata "Maya me le ha date per sicurezza. Lei … cioè tu?"
Si corresse, ricordando il loro primo ed unico incontro.
"Sono la cosa di cui tua sorella ti doveva parlare, ma sei chiaramente in anticipo"
"Ah"
Per un attimo, a Lavinia tornò in mente il giorno in cui Maya le aveva dato buca per andare dalla madre. Se quel giorno Ruggero avesse insistito ancora con lei per portare alla sorella un pezzo di torta rustica e il dolce, 
entrando in casa con le seconde chiavi senza citofonare, come d’abitudine, probabilmente si sarebbe imbattuta in una visione a dir poco imbarazzante. Rabbrividì al pensiero.
 
"E così tu e mia sorella state insieme, eh?" esordì Lavinia, avvicinandosi all'isola.
Impacciata, certo, ma tutto sommato tranquilla, il tono pacato; Alex, però, era pronto a tutto. "Alla fine ha ceduto…”
"È stata una sua decisione. Tua sorella non è una a cui si possa imporre nulla"
Voleva essere assolutamente trasparente su questo punto, così come lo era stato con i suoi riguardo alla posizione di Maya: non l’aveva costretta a fare nulla che non volesse. Sembrava che tutti si divertissero a dipingerli come delle persone orribili e viziose, solo per la differenza di età, per il loro rapporto di lavoro e perché lui era stato sposato. Una massa di preconcetti che parlavano più degli altri che di loro due.
"Su questo hai ragione" ammise Lavinia.
Sua sorella non era affatto tipa da fare qualcosa perché qualcuno glielo aveva consigliato. Anzi, di solito, succedeva proprio l'esatto contrario.
"E ... da quanto va avanti questa storia?”
"Due settimane, giorno più giorno meno" rispose Alex, impassibile.
Si aspettava quel terzo grado ed era felice che stesse accadendo in quel momento e non davanti a Maya: era sicuro che la ragazza non lo avrebbe accolto favorevolmente e l'avrebbe solo indisposta nei confronti della sorella, rovinando la serata.
"Vivi qui con lei?”
Alex si era girato un istante per controllare le verdure nella padella, invitando Lavinia a prendere il rosé che era in frigo e a riempire due bicchieri. La donna accettò molto volentieri: quella conversazione era difficile anche per lei; del resto, Alessandro era un estraneo, di lui sapeva solo quello che le raccontava Maya, che però lo guardava con gli occhi dell’amore.
“Del resto è casa tua, no?" continuò.
"Dei miei genitori” precisò lui “e comunque no, non vivo qui. È ancora troppo presto. E poi i miei figli stanno con me ogni due weekend."
Era bello stare insieme fuori dal lavoro, cenare, dormire e fare colazione insieme prima di passare di nuovo 8 ore come due colleghi, distanti e impersonali, ma non poteva imporre né a Maya, né ai suoi figli una famiglia allargata dall'oggi al domani. Bisognava arrivarci per gradi, senza correre o forzare la mano. Il momento giusto sarebbe arrivato da solo, con naturalezza e lo avrebbero capito tutti insieme senza troppi sforzi.
"Eee a tal proposito...la tua situazione...come dire...il tuo stato civile?"
"Sono separato, se non si era capito" accettava qualche domanda, era lì apposta, ma quello spulciare morboso iniziava quasi ad innervosirlo … vai al punto, avrebbe voluto dirle.
"Sì intendevo dire... è una cosa permanente?"
"Non avrei coinvolto tua sorella in una relazione se non fosse così e non ne fossi assolutamente sicuro" sbottò lui.
"Alex... posso chiamarti Alex?"
"Devi"
"Beh Alex scusami eh ma io non ti conosco" Lavinia aveva colto il suo disappunto, ma lui doveva capire anche il suo punto di vista "So di te quello che mi ha raccontato Maya che è uguale a 1000 altre storie che ho sentito iniziare così e andare a finire male. Quindi permettimi di essere protettiva nei confronti di mia sorella e di avere qualche perplessità"
Alex sorrise vedendo Lavinia scolare il suo calice tutto d’un fiato. Al di là dell'imbarazzo e della tensione che poteva aver creato tra i due quella situazione, non poteva che fargli piacere sapere che Maya aveva nella sua famiglia qualcuno che teneva a lei quanto ci teneva lui. Forse era scontato, ma lo rincuorava la certezza che non ci fosse una Anna Bonelli in tutte le famiglie.
"Posso essere schietta?!" l'uomo annuì, ridendo sotto i baffi: non avere peli sulla lingua doveva essere una peculiarità di famiglia.
"Maya non ha mai avuto una relazione seria. O almeno non abbastanza da fare le presentazioni ufficiali invitandomi a cena"
In passato, Lavinia un paio di ragazzi li aveva conosciuti, ma solo perché erano persone che anche lei conosceva da una vita oppure perché si usciva in gruppo, tutti insieme, in serate informali e sua sorella, prima di andare, se ne usciva con ci viene a prendere uno con cui sto uscendo. Neanche il nome, semplicemente uno.
"Questo allora dovrebbe tranquillizzarti"
"E invece no” lo contraddisse, le mani sul piano dell’isola, una che impugnava il calice vuoto e l’altra che tamburellava ritmicamente ma decisa, quasi aggressiva “mi dice solo che lei a te ci tiene, e tanto, ma che ne so io se questo vale anche per te…"
"Per Maya era importante dirtelo per bene e se è importante per lei lo è anche per me. So che sono solo parole e spero che con il tempo potrai ricrederti ... voglio solo che tu sappia che per me lei è la barra che mi tiene dritto quando tutto va storto"
Dirle quelle parole gli costò una fatica immane. Difficilmente Alex riusciva ad aprirsi con gli estranei ma quella serata non era un gioco e Lavinia non stava scherzando. Capiva le sue paure e doveva cercare di fugarle al meglio delle sue possibilità.
Dal canto suo, Lavinia non avrebbe mai dato una tale definizione di sua sorella; Maya era una casinista rispetto a lei, una fracassona, una combinaguai: che per qualcuno fosse fonte di un tale senso di pace era una novità assoluta. Ed era certa che fosse così perché riusciva a leggere quella serenità di cui parlava negli occhi - bellissimi peraltro - di Alex. Non erano parole di cortesia, dette per impressionarla: ci credeva davvero.
"Sono contenta per voi, veramente, ma questo non significa che non ti terrò d'occhio, Alex. Falla soffrire” dichiarò, e il sorriso limpido si mutò in un’espressione severa e in un dito puntato contro “e una colonscopia ti sembrerà una piacevole alternativa alle pene che ti farò passare"
Alex deglutì sonoramente, al solo pensiero “Messaggio ricevuto”
Il citofono segnalò l’arrivo di Maya ed Alex si fece avanti per andare ad aprire. L’ultima cosa che entrambi volevano, era che a Maya venisse un infarto sentendo la voce della sorella.
“Ce l’ho fatta!” esclamò la giovane, entrando in casa e chiudendo la porta che Alex aveva lasciato aperta per lei “lo so che ho fatto tardi, ma sono passata al forno per prendere il pane alle noci e come al solito Tommaso ti riempie di chiacchiere e ti fa comprare mezzo negozio!”
Alex e Lavinia, ai fornelli, aspettavano in silenzio che Maya si accorgesse del cappotto della sorella maggiore sull’attaccapanni. Tempo un paio di secondi la ragazza iniziò ad inveire contro la sorella, entrando nella zona giorno come un uragano. “Ma che ci fai qui? Ti avevo detto di venire alle 8 e mezza e sono a malapena le 7!” “Perché ti conosco … so che se ti lascio fare da sola o mangiamo alle 10, o finiamo per mangiare da asporto con la casa che puzza di bruciato” “Mi sta offendendo?” domandò ad Alex, perplessa, indicandogli la sorella. “Ah io non voglio saperne niente, queste sono cose vostre” esclamò, divertito, alzando le mani.

 

*a Testaccio c'è una collina chiamata "Monte dei Cocci" da cui il quartiere prende il nome.

Eccoci ad un nuovo appuntamento! Ero indecisa se darvi tutta la conversazione tra Alex e la sua nuova "cognatina", ma alla fine mi sono detta che vi avrei lasciato un capitolo troppo corto, quindi va bene così, mi sento generosa. Che ne dite delle parole di Lavinia, ve le aspettavate? Secondo voi, è strata troppo severa? Ditemi cosa ne pensate nei commenti, mi raccomando, vi voglio belli carichi e per niente vergognosi XD
Poi cos'altro..ah sì, Alessandro incontra un vecchio amico. Chissà che non diventi un buon sostituto al buzzurro avvocato che ormai è uscito dai radar.
Vi aspetto alla prossima,
Fred ^_^

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***






Capitolo 4



Il ghiaccio era stato rotto, le presentazioni non c’era più stato bisogno di farle e la serata passò tranquilla, proprio come Maya aveva sperato.
Era andata così bene che non riusciva a smettere di parlarne neanche quando oramai sua sorella era andata via e i due si erano spostati in camera da letto, dove era opinione di Alex che avrebbero avuto di meglio di fare.
“È andata bene tutto sommato, no?!” domandò, allungandosi di fianco ad Alex, appoggiata con i gomiti sul suo torace, le gambe ciondolanti in aria. L’uomo, con Maya seminuda al suo fianco, il seno contro il suo torace, aveva altri pensieri per la testa e due settimane di certo non erano state un tempo sufficiente per averne abbastanza.
“Ancora?!” esclamò lui, scocciato e divertito allo stesso tempo, portando le mani sul volto teatralmente “Dai che è andata bene, te l’ho già detto!”
Non le avrebbe detto di cosa avevano parlato lui e Lavinia quando lei non c’era, la sorella si era limitata a dirle che era arrivata da poco e che avevano fatto giusto le presentazioni e aperto il vino per un brindisi e lui era stato al gioco: non perché volesse nasconderle alcunché, ma alla c’era nulla di cui Maya dovesse preoccuparsi. Lavinia voleva proteggere Maya tanto quanto lui e di certo Alex non glielo avrebbe impedito.
“Ti piace mia sorella?”
“Mi piaci tu” dichiarò Alex con un bacio leggero, tentandola battendo fugacemente con la lingua sul suo labbro superiore.
“Sai cosa voglio dire” insistette lei, sospirando con gli occhi al cielo.
“Su una cosa però vi somigliate tantissimo”
“Cosa?”
“Avete la stessa franchezza” le disse, provocante, facendo scivolare la mano sul suo fondoschiena “deve essere genetica”
“Non credo sia genetica” rispose ancora Maya, non lasciandosi vincere da quel tocco, le farfalle nello stomaco “… è più un meccanismo di difesa. Quando hai un padre che ti fa credere che siete ricchi e in realtà vivete in un castello di debiti impari a dire le cose come stanno”
D’improvviso si era fatta seria, ed Alex con lei.
“Non deve essere stato facile” commentò l’uomo, tirando via dal viso quella ciocca impertinente che gli nascondeva i suoi grandi occhi. Alla luce calda dell’abat-jour erano ancora più scuri, cioccolato fondente extra della migliore qualità.
“Eppure ci sono cascata anche io …”
Lui la guardava perplesso, cercando di capire cosa volesse dire.
“Lo chiamavo il metodo Parioli” spiegò Maya, sorridendo amaramente “bugie e storielle inventate per vivere al di sopra delle mie possibilità, fondamentalmente scroccando … cene, abiti, serate in discoteca, vacanze … solo che non sempre era possibile e quando dovevo pagare io erano dolori per il mio conto in banca. Ecco perché ho dovuto cambiare casa.”
Non sapeva dire perché le fosse venuto in mente di dirglielo proprio in quel momento, forse perché in vino veritas e quello che aveva scelto per la cena era davvero buono e aveva sortito il suo effetto, forse perché non voleva la pietà di Alex di fronte alla storia della sua famiglia che non era solo una storia di sfortuna ma soprattutto di responsabilità. O forse, più semplicemente, perché tra loro andava così: si fidavano e riuscivano ad aprirsi e a parlare di tutto senza sentirsi giudicati, ed era una sensazione liberatoria bellissima.
“E cosa è cambiato?”
“Tu mi hai fatto vedere che da una situazione brutta e complicata si può prendere in mano la propria vita e rimetterla in sesto”
“Io?” Maya annuì.
“Senza di te non ce l’avrei mai fatta” confessò Alex, poggiandole un bacio sulla spalla “ecco perché non mi piace quando ti sottovaluti. È qualche giorno che ci penso…”
Maya alzò un sopracciglio, il volto dubbioso e incuriosito.
"A proposito del reportage…" esordì Alessandro, risalendo il profilo della schiena della giovane con il dorso della mano, lievemente.
Un po' per i brividi che le stava provocando, un po' per l'argomento, Maya scattò "Oddio, Alex, ancora!!!"
"Fammi parlare … voglio proporti un compromesso. Prometto che se rifiuterai anche questo allora mi metto l'anima in pace” dichiarò, una mano sul cuore e l’altra in aria, mimando un giuramento “ma non prima che tu abbia sentito quello che ho da dirti"
Maya allora, prendendo un grosso respiro, si alzò per prendere dal paravento in rattan la maglia del pigiama.
“Che fai?” le domandò Alex, ridacchiando, vedendo Maya che legava i capelli in una piccola crocchia scompigliata.
“Dobbiamo parlare di lavoro, ci vuole un abbigliamento più consono” rispose, seriosa; agli occhi dell’uomo era assolutamente adorabile.
Tornando sul letto, si mise a sedere con le gambe incrociate, giocando a mantenere un atteggiamento professionale, ma Alex la attirò a sé, schiena a schiena, braccandola nel suo abbraccio.
“Allora, pensavo … gli articoli … li firmo io, ma li scriviamo insieme”
Maya ci pensò su per qualche secondo, il che per Alex era già un successo, probabilmente era un'ipotesi che non aveva considerato ed era riuscito a spiazzarla.
“Non è fattibile” decretò infine la ragazza.
“Perché no?”
“Come perché? Tu hai uno stile riconoscibilissimo, saprebbero che non è scritto di tuo pugno”
“Naah…sono anni che scrivo solo editoriali, un articolo vero e proprio è tutta un'altra cosa. E poi se lo scriviamo a quattro mani il mio stile verrebbe fuori comunque”
“Ma io non so neanche da dove si comincia”
“E io che ci sto a fare?! Non ti fidi di me?”
“Nnnnn non lo so...” rispose, sarcastica.
“Certo che sei antipatica …” sogghignando, Alex la portò sotto di sé “... non mi sembri tanto diffidente quando facciamo l'amore”
“Ma perché quello non me lo devi insegnare, lo so fare. Anzi” precisò, sensuale, buttando uno sguardo provocatorio in basso, giocando con la molla dei boxer di Alex “lo so fare bene”
L’uomo sentì immediatamente l’intimo andargli stretto.
 
 
Dopo quanto era successo a casa dei suoi, Alex si era ben guardato dall’incontrare sua sorella. Aveva bisogno di smaltire la collera nei suoi confronti, cercando di limitare quanto più possibile le visite alla Garbatella. Ecco perché, approfittando del sabato lavorativo della sorella, dei ragazzi impegnati tra amici, ragazze e sport, aveva invitato i genitori a pranzo in centro per festeggiare il compleanno della madre, chiedendo a Claudia di poter tenere la piccola per qualche ora. Nonostante non fosse il suo turno quel weekend, Alessandro era certo che la sua ex moglie avrebbe approfittato volentieri di qualche ora libera.
Dopo il pranzo al ristorante, Alessandro invitò i genitori a prendere un caffè nel suo appartamentino, sul bel terrazzino con vista sul Vaticano.
“Io non lo so come fai a stare in un albergo con tutti gli appartamenti che ci sono a Roma!” protestò Maria.
Dietro quella frase, l’uomo leggeva due diverse interpretazioni: da un lato, il disappunto perché il figlio aveva dovuto lasciare l’appartamento di Prati a Claudia e, dall’altro, il disagio nel sapere che nella loro vecchia casa, che chiaramente suo figlio visitava abitualmente, c’era una persona che lei non conosceva.
“Mamma, innanzitutto non è un albergo ma un residence” le fece notare Alex “e poi qui sto più che bene. Ho tutto quello che mi serve, non mi devo preoccupare di pulizie e lavanderia perché pensano a tutto loro e soprattutto sono vicino ai ragazzi”
Giulia, seduta vicino a lui, si aprì ad un sorriso smagliante ascoltando le parole del padre. Lui, notandolo si curvò verso di lei con una smorfietta simpatica e, in un gesto di complicità, padre e figlia strofinarono i loro nasi l’uno contro l’altro, finché Alex non schioccò un bacio sul nasino alla francese della sua bambina. Non c’era cosa che più lo aveva impensierito nei mesi precedenti dell’idea che Giulia ed Edoardo potessero risentire negativamente della separazione, del vedersi meno di frequente che vivendo sotto lo stesso tetto. In realtà, paradossalmente, la qualità del tempo che passavano insieme era notevolmente migliorata, nonostante fosse ridotto a poche ore alla settimana.
“Ma sì Marì, guarda che c’ha ragione” intervenne Cesare “tu parli da donna, ma per noi uomini mica è facile occuparci di una casa da soli”
“Essere uomini non è una scusa Cesare, delle manine sante e benedette per fare i servizi le avete pure voi!”
“Ma che c’entra? Alessandro è un manager, c’ha un giornale da mannà avanti, deve incontrare gente importante, mica può pensare a pavimenti, piatti e panni tutto il giorno come te”
“Seh seh sempre in piedi cascate voi uomini”
“E molla ‘mpo Marì! A settant’anni stai ancora a fa’ la femminista”
“Perché c’è una data di scadenza?”
Padre e figlio si scambiarono uno sguardo complice, e di nascosto da sua moglie, con la mano, Cesare fece cenno ad Alessandro di lasciarla parlare e blaterare, che prima o poi si sarebbero scaricate le batterie anche a lei: quella era stata la sua tecnica di sopravvivenza per quasi 50 anni.
“Ma poi sta povera stellina nun ce po’ tené niente in camera sua, un giocattolino, dei disegni appesi al muro. Me pare na camera d’ospedale”
“Con il letto in memory e la vista su S. Pietro, eddaje ma’!” reclamò Alex.
Non era la prima volta che i genitori andavano a trovarlo, ma sperava che le perplessità della prima ora si fossero dissipate.
“A parte che abbiamo preso una cesta per i giocattoli e comunque neanche a casa della mamma le è permesso appendere nulla alle pareti, quindi non è una novità per lei”
Maria fece spallucce, ma non era da biasimare, Alex lo sapeva bene; con quei terremoti di Daniele e Valerio in casa e i ricordi della sua gioventù, sua madre aveva un immaginario ben diverso di infanzia: ancora si ricordava di quella volta che, a forza di giocare all’Uomo Ragno in casa, Daniele aveva staccato un’anta dell’armadio in camera da letto, oppure le orme del pallone sporco sulle pareti bianche nella casa a Testaccio che Cesare non faceva mai in tempo a coprire con la vernice.
“Fai vedere a nonna!” disse allora Alessandro, rivolgendosi a sua figlia.
La piccola prese per mano la nonna e, rientrando in casa, la portò nella cameretta che condivideva con il fratello. La stanza non era grande, c’era solo lo spazio per due letti singoli, due lampade a muro sopra ciascun letto, una piccola scrivania da un lato e un armadio non molto grande dall’altro. Tra i due lettini, un mobile comodino e una finestra con affaccio sulla piazzetta sottostante. Rispetto alla loro casa, era decisamente una soluzione di ripiego, ma ci dormivano un paio di notti ogni due settimane ed era più che sufficiente.
La bimba aprì la cesta e per mostrare i giochi che aveva comprato appositamente per quando stava con il papà, i peluche che teneva con sé per dormire e naturalmente tutto il necessario per disegnare e colorare. Li tirò fuori uno ad uno, chiamandoli per nome e aspettando che ogni volta i nonni mostrassero un minimo di apprezzamento. Alex rise, soddisfatto: era come se Giulia fosse in missione per dimostrare ai nonni che il papà se la stava cavando alla grande.
“Sei tranquilla ora?”
Maria annuì “Però lo sarei di più se ti sistemassi in una casa normale, capiscimi. C’abbiamo quella bella casa …”
“Eccallà!” esclamò Cesare, guardandola minaccioso mentre, seduto sul pavimento, la nipotina gli mostrava tutti gli accessori di Cicciobello Bua.
“Tempo al tempo mamma. Chi lo sa…tra un po’ magari ci vado davvero”
Maria gli posò un paio di colpi leggerissimi sul torace, uscendo dalla stanza della bambina accompagnata dal figlio e Alex avrebbe giurato di scorgere un sorriso soddisfatto. Più che dalla relazione del figlio, era contrariata da quella situazione poco chiara, non definitiva. Ma non era colpa di nessuno se non di Anna che aveva fatto quella scenata inutile: senza il suo intervento, Alex avrebbe dato la notizia ai genitori solo quando sarebbe stato certo e di sicuro sua madre non avrebbe fatto storie. Ora ne era sicuro: con il tempo, quell’angustia le sarebbe passata.
“Questo è Olaf di Frozen …” continuò Giulia. Come ogni Bonelli degno di quel nome, anche Cesare era tenuto completamente in pugno dalla nipotina “questa è My Little Pony Principessa e qui ci stanno tutti i disegni! Nunno apri!”
La piccola gli passò una cartellina con elastico molto voluminosa, si vedeva che la piccola amava tanto disegnare. Cesare la aprì maldestramente, facendo cadere un paio di fogli a terra. In uno aveva solo colorato dei disegni già preparati, ma nell’altro c’era un disegno a mano libera della bambina.
Nel disegno, con una grafia da adulto, elegante e un po’ rotonda, molto femminile, c’erano scritti in stampatello i nomi: Giulia, papà, Maya. L’uomo aveva sentito quel nome solo una volta, ma era sicuro che non poteva essere una coincidenza: non era di certo un nome diffuso e poi nel disegno compariva di fianco a suo figlio.
“Giulia?!”
“Sì nunno?”
“Chi è questa signorina? La tua maestra?” domandò.
“No, è Maya”
“E chi è Maya?” incalzò l’uomo.
“La mia amica grande!”
“Ed è anche una amica di papà?”
“Sì" rispose, genuina "Lei ha detto che lavora dove lavora pure papà e un giorno io ci sono andata allo studio di papà e ho fatto la nanna e poi ho fatto questo disegno con lei.”
“Sembra proprio brava questa ragazza …”
Giulia fece sì con la testa vistosamente, facendo quasi rimbalzare le lunghe trecce che le aveva fatto la madre.
“E poi … e poi abbiamo fatto anche merenda insieme e papà ci ha portato a casa”
“Ha portato a casa anche Maya?”
“Sì perché papà gli ha rotto la macchina” disse, ridendo.
Cesare non sapeva come prendere questo racconto della bambina: poteva essere una versione che le avevano dato di quello che aveva visto, o l’interpretazione innocente di una bambina di cinque anni. Oppure era la verità e non c’era di niente di più.
“E com’è Maya?”
“È bella … e papà ride sempre con lei”
Papà ride sempre con lei… quelle cinque semplici parole riecheggiarono nella testa di Cesare per tutta la giornata, fino a che non andò a dormire, ancora rimuginandoci su.
 
“Ehiii!!! Sono appena tornata a casa, e sono stanchissima. Non puoi capire la tensione ogni volta che Lavinia apriva bocca … avevo sempre il terrore che si facesse uscire qualcosa su di noi. Ma per fortuna è stata brava, dai. Te che fai? Ne hai ancora per molto con i tuoi?”
Maya mandò un messaggio vocale ad Alex mentre si toglieva di dosso i vestiti e li gettava nella cesta dei panni sporchi. Una settimana dopo, approfittando del weekend di Alex con i suoi figli, era andata a trovare sua madre, estasiata di vedere le sue figlie uscire fuori dalla routine del sabato, potendo organizzare un bel pranzo della domenica tradizionale, con tovaglia ricamata e porcellane del servizio buono. Bianca, la cagnolina di Matilde, stava facendo la muta, come ogni primavera, e immancabilmente depositava i suoi peli sui vestiti degli umani. Sembrava proprio andarci pazza. A questo giro, era toccato al suo maglioncino verde petrolio.
Alex, però, non le rispondeva: o era ancora impegnato, o era già per strada. Così, mentre aspettava, si mise tranquilla sul divano a lavorare sul primo articolo; dopo aver messo insieme tutte le informazioni necessarie, ora stavano iniziando a scrivere, ma non era così facile: aveva provato a copiare lo stile di Alex o quello di altri giornalisti della rivista, ma finiva per scrivere e cancellare ogni frase almeno cinque o sei volte prima di esserne vagamente contenta, non sentendo naturale e spontaneo quello che scriveva. Avesse avuto Alex vicino si sarebbe sentita più sicura.
Tutt’a un tratto, il campanello dell’appartamento suonò. Era un doppio tono rapido, tipico di Alex. 

“Hai lasciato le chiavi a casa, eh?” dopo la cena insieme, Lavinia aveva deciso di dare le seconde chiavi a chi, secondo lei, ne aveva più bisogno. Probabilmente, aveva trovato aperto il portoncino all’ingresso e si era accorto di non avere le chiavi solo una volta arrivato al piano.
Maya aprì, senza neanche sincerarsi dallo spioncino di chi si trattasse ma presto dovette pentirsene. Un uomo sulla settantina, non molto alto, tozzo, con i capelli bianchi, vestito in maniera molto semplice, stava alla porta, atteggiamento dimesso.
“Mi scusi … lei chi è?”
“La signorina Alberici?”
“Sì …”
“Salve, sono Cesare Bonelli, il papà di Alessandro.”


 

E anche oggi ce l'ho fatta a pubblicare. Temevo a questo giro di non riuscire ad essere puntuale.
Allora, alla fine tutto bene quel che finisce bene con Lavinia, che sembra voglia provare a fidasi di Alex. Alessandro, dal canto suo, sprona sempre di più Maya ad uscire dalla sua zona di comfort lavorativa, riconoscendone le capacità. Lei è titubante, ma alla fine, complice anche il momento di intimità, cede. 
Alessandro è ancora alle prese con la sua famiglia ma forse mammina non era così ostile alla relazione con Maya, chissà...Cesare invece, quello che era sempre l'uomo di poche parole, ci spiazza tutti (me compresa) presentandosi a casa di Maya. E ora? Che succederà?
Alla prossima, 
Fred ^_^

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***




 
Capitolo 5


 
Appena l’uomo le aveva rivelato il suo nome, nonostante fisicamente fossero agli antipodi – Alex doveva aver preso tutta la sua bellezza dalla madre – Maya riconobbe istantaneamente gli occhi verdi in cui le riusciva così tanto facile perdersi.
“Ero passato dalla signora Rossi per una piccola riparazione e allora mi sono detto: perché non conoscere la mia inquilina?!”
Era impacciato, ma gioviale; l’accento forte, come di chi è abituato a parlare in romanesco e deve ricordarsi a forza di parlare in italiano per non sfigurare.
“Non mi fa entrare?”
“Assolutamente … prego!”
Maya non sapeva cosa fare, come comportarsi. Entrambi sapevano perché era lì – alla riparazione a casa della Betti non ci aveva creduto neanche per un attimo – entrambi sapevano chi Maya fosse per Alex, ma l’aveva presa talmente in contropiede che non riusciva a pensare ad un modo per affrontare il celeberrimo elefante nella stanza.
A rompere il ghiaccio, però, ci pensò Cesare.
“Maya … un nome che non si sente tutti i giorni …”
“Dicono che a Roma Nord non ci sia una famiglia senza almeno una ragazza con un nome preso dall’antica Roma”
Maya provò a fare dell’ironia, ma in realtà non ci stava andando molto lontano: oltre a sua sorella Lavinia, aveva perso il conto di quante Olimpia, Flavia, Flaminia o Lucrezia aveva conosciuto. Non era sicura però di aver avuto tanto successo, tanto che l'uomo la guardava perplesso.
"O forse semplicemente mia madre era un’appassionata di mitologia e Maia era un’antica dea della primavera”
“Molto bello … le sta bene” disse Cesare, gentile.
Al di là di quello che lasciava trasparire esternamente, lo pensava davvero. Era ancora presto per giudicare, ma quella ragazza che aveva di fronte, gli restituiva un’immagine fresca, pulita, proprio come la primavera a cui il suo nome rimandava.
“E comunque anche il mio nome viene dall’antica Roma” precisò “eppure io sono di Roma Sud”
Maya sorrise, sinceramente, perché aveva lo stesso mondo di rispondere caustico quasi a bruciapelo di Alex. Lui diceva che tra loro era lei la più mordace, ma la verità era che si trattava di una lotta all’ultima ribattuta tra di loro, e si divertivano un mondo.
A pensarci bene, però, si sentì mortificata; con quel sottolineare che anche a Roma Sud usavano i nomi romani forse non aveva gradito il suo riferimento a Roma Nord, quasi a voler dire: non siete mica più romani di noi. Forse una volta lo avrebbe pensato, di sicuro c'erano persone tra le sue vecchie conoscenze che ne erano convinte, ma lei non più.
Il cellulare di Maya squillò. “Chiedo scusa” si congedò educatamente, appartandosi un attimo in corridoio. Alex le diceva che Edoardo era appena uscito con gli amici e stava solo aspettando che Claudia tornasse a casa per portarle la bambina e poi sarebbe andato da lei.
 
So che hai la bambina,
ma TUO PADRE si è presentato qui.
Muovi il culo appena puoi.
 
Alle prese con sua figlia, Alex lesse quel messaggio solo mentre era in ascensore nella casa di Prati, dove aveva appena riaccompagnato Giulia da Claudia. Dovette fermarsi sul pianerottolo del piano terra, per rileggerlo ed essere sicuro di aver capito bene. Che cazzo ci faceva suo padre a Testaccio? Lui era quello che aveva sempre detto: teniamo la casa ma ci pensate voi che io c’ho da fa! E ora, dopo due settimane dalla scenata di Anna, si era presentato da Maya.
Certo, la casa non c’entrava nulla, era palese, ma anche solo il pensiero che suo padre, Cesare Bonelli, l’uomo più imperscrutabile sulla faccia della Terra, avesse preso l’iniziativa e si fosse presentato alla porta di Maya gli mandava in pappa il cervello. Corse verso l’auto parcheggiata lungo il viale e sperò che il traffico fosse clemente. 

Quando Maya tornò nella zona giorno, trovò Cesare che si muoveva lungo la stanza, guardandosi intorno leggermente spaesato, le mani nelle tasche dei pantaloni.
“Era da tanto che non entravo qui” si giustificò “avevano appena abbattuto la parete del tinello. Arrivava qui, più o meno …”
Con la mano toccò lo schienale del divano per indicarle la fine della stanza originale e continuò spedito a rimodellare nell’aria, idealmente, pareti che non esistevano più, mobili buttati via e ricordi di una vita passata.
Lo sguardo era lo stesso di Alex, ogni secondo che passava diventava sempre più evidente, e nei suoi occhi, mentre le raccontava della casa, la stessa luce vagamente disincantata e la stessa vivacità nascosta da un atteggiamento serafico . Anche per lui, evidentemente, evocava un bel periodo.
“E quel mobile?” domandò Maya, indicando la credenza in legno della cucina che l’aveva fatta innamorare della casa “è originale?”
“Era della nonna di mia moglie, è qui da quando ci siamo sposati. Si può dire che sa tutto della nostra famiglia”
Dietro quelle parole, più di quanto nessuno dei due osasse dire. Maya annuì, comprendendo l’allusione dell’uomo.
“E così lei lavora per mio figlio?”
“Da cinque anni ormai”
“E di cosa si occupa esattamente?”
“Di un po’ di tutto, della sua agenda, della sua corrispondenza e anche un po’ di contabilità. Si può dire che in redazione nessuno arriva ad Alex senza prima passare da me”
“Una specie di braccio destro...”
“Già …”
“…o di angelo custode”
Maya non poteva saperlo, ma Cesare era proprio così che la vedeva: un angelo custode arrivato dal cielo per salvare suo figlio dalle grinfie di quell’arpia della sua ex nuora. Era invece proprio così che avrebbe voluto che fosse la sua nuora ideale: bella era bella, c’era poco da fare, gambe chilometriche e seno prosperoso che non riusciva a nascondere neanche con gli abiti comodi da casa che indossava, un viso di una bellezza insolita ma che riusciva ad emanare dolcezza e grinta tutt’insieme, impertinente ma non permalosa; qualcuna che riuscisse a voler bene a suo figlio senza tarpargli le ali, dandogli lo zucchero ma anche il pepe, quello sì il vero sale dell’amore.
Maya lo invitò a togliere la giacca e a mettersi comodo, che gli avrebbe preparato un caffè. 
“Grazie, ma oggi ne ho già presi un paio … non posso esagerare”
“Un gingerino allora?”
“A quello non dico di no, grazie … siamo quasi ad ora aperitivo, no?”
“Eh, tale padre tale figlio allora” esclamò Maya, ironica.
“Prego?!”
Maya si trovò a raccontargli, senza entrare nei dettagli, di quella volta che per puro caso si era trovata ad avere dei gingerini in frigo e ad offrirne uno ad Alex.
“E da allora cerco di non farli mancare mai nel mio frigo … ormai è diventata una inner joke … ehm, una specie di battuta tra noi”
Senza accorgersene, avevano superato l’ostacolo senza doverlo nemmeno affrontare. Lui era soddisfatto dalla persona che aveva davanti, quasi folgorato sulla via di Damasco da quell’incontro più o meno improvviso; lei più rilassata nel vederlo a suo agio.
E fu così che, entrando con le sue chiavi, Alex li trovò: seduti sul divano, a parlare di una delle tante alessandrate che, durante l’adolescenza del figlio, avevano fatto venire a Cesare i capelli bianchi, a suo dire, uno alla volta.
“Papà!” esclamò Alex, per attirare la loro attenzione “che ci fai qua?”
“Mah … niente. Lo dicevo alla signorina Maya prima. Mi ha chiamato la signora Rossi qualche giorno fa per controllare una cosetta alla caldaia. Porella … vedova, senza figli, un nipote lontano … e così ne ho approfittato a venire oggi che è domenica ed è più tranquillo.”
“E che mamma è andata a trovare zia Mirella, si capisce …” aggiunse il figlio, riservandogli un’occhiataccia di biasimo per quell’arrampicata sugli specchi.
Non era andato a pranzo dai genitori con i figli proprio per quel motivo e suo padre aveva trovato il modo di districarsi da moglie e cognata per fare quella mezza bravata.
“A tal proposito è meglio che vada”
“Eh … e certo…” rincarò la dose Alex, ancora basito.
“È stato un piacere conoscerla, signorina Maya” disse l’uomo, tendendole la mano per salutarla, fermo sull’uscio di casa.
Maya la strinse calorosamente e senza pensarci due volte. Alex rimase alle sue spalle, di guardia, ma mantenendosi a debita distanza. Era assurdo, ma suo padre era riuscito a farlo sentire come un ragazzino beccato con la fidanzatina a pomiciare in camera da letto o sotto il balcone della vicina spiona.
“La prego, mi dia del tu”
“E allora fallo anche tu e chiamami Cesare … sai, Maya” riprese, guardando suo figlio con uno sguardo ed un sorriso da marpione “Alessandro è nato con la camicia. Lo sai cosa significa?” Maya annuì. “Beh … lo sapevo che prima o poi questa diceria si sarebbe avverata anche in amore. Passate una buona serata!”
Cesare chiuse la porta alle sue spalle. I due, rimasti soli, si guardarono senza dire una parola, seri e confusi per un istante che sembrava non passare mai, congelato nel tempo. Alla fine, entrambi scoppiarono a ridere, tirando un sospiro di sollievo, la tensione che finalmente stava scendendo. Maya ancora imbarazzata da quella assurda situazione nascose il viso tra le mani e Alex corse ad abbracciarla, baciandole le tempie, bollenti come avesse la febbre.
 
 
“Che significa che non ci sei a Pasqua?”
“Mamma, parliamo la stessa lingua, cosa significa in Italiano: non mi contate per il pranzo di Pasqua che vado fuori con degli amici?”
“Ma abbiamo sempre pranzato assieme a Pasqua! Quest’anno riesce a tornare anche Lollo!”
Maya sospirò, esausta, ovviamente l’apprensione di sua madre era tutta rivolta al figliol prodigo, Lorenzo, che tornava da Londra: della sua assenza interessava fino ad un certo punto.
“Ma sti cazzi di Lollo, mamma, manco fosse il principe William, seriamente …”
“Perché tu e tua sorella trattate sempre così male vostro fratello?”
“Noi non lo trattiamo male … ma ti risulta che a lui freghi tanto di noi?! Siamo sempre noi a doverlo chiamare!”
“Va beh ma lui ha il suo lavoro e poi c’è il fuso orario”
Il fuso orario … un ora indietro. Maya alzò gli occhi al cielo; voleva bene a sua madre ma quando si trattava di Lorenzo non conosceva imparzialità: forse perché era praticamente la copia del padre e lei cercava di compensare con lui la sua assenza e coccolarlo come poteva. E forse era anche quello il motivo per cui Lorenzo si teneva a distanza il più possibile.
Maya chiuse la telefonata poggiando il telefono sul tavolino e sbirciando l’orario sulla schermata di blocco, come faceva sempre quando aspettava Alex. L’uomo era partito per Milano per alcuni impegni ma non c’era stato bisogno della sua presenza così, per un paio di giorni aveva lavorato da remoto, in tranquillità. Quel venerdì pomeriggio, seduta ai tavolini di un bar in piazzetta a rione Monti, aspettava che Alex arrivasse a Termini con il treno. Avrebbero passato la serata assieme e, nel frattempo, prendeva un caffè con Olivia.
“Dicevamo…”
“Che ti vedo bene, molto più tranquilla, rilassata…” dichiarò l’amica, scrollando la cenere in eccesso dalla sigaretta che stava fumando.
“Uh … si vede” ironizzò Maya, poggiando la tazzina sul piattino e tirando la testa all’indietro, prendendo un grosso respiro.
La primavera era finalmente arrivata a Roma e il gelsomino si arrampicava sulle pareti dell’edificio dov’era il bar e sul parapetto del pergolato che affacciava sulla piazzetta. I turisti e i giovani del quartiere tornavano finalmente a sedere sugli scalini della fontana, abbandonando le giacche e sfoggiando le prime maniche corte là dove il sole si affacciava, caldo e generoso, tra un palazzo e l’altro.
“Ad esclusione della deliziosa e delirante conversazione con la principessa Torlonia, si intende” chiarì Olivia ed entrambe risero “tipo...da quando siamo arrivate non hai ancora acceso la sigaretta”
“Perché non fumo più”
“Non fumi più?! E da quando? La Maya Alberici che conosco io non berrebbe un sorso di caffè senza accendere una sigaretta! Questa è una notizia sconvolgente!”
Maya fece un piccolo schiocco con la bocca, sorridendo sorniona e facendo l'occhiolino in segno di compiacimento. Era orgogliosa di essere riuscita ad abbandonare quella brutta abitudine: aveva cominciato al liceo perché lo facevano tutti e non essere da meno, poi era diventata una questione di stile – in posa con quella sigaretta in mano si sentiva più raffinata e più vissuta, aiutando quel tono di superiorità che teneva con le persone attorno a lei. Alla fine, si era accorta che da un po’ non le dava più soddisfazione.
“E come fai?”
“Mi sono data ai dolci...nel senso che li mangio e li cucino, anche”
Tutto merito della Betti, sua nonna d’adozione nel palazzo, dai e dai l’aveva convinta ad andarla a trovare nei ritagli di tempo e a imparare qualche piccola ricetta – specialmente da quando aveva scoperto che stava con Sandrino suo - e ora aveva in repertorio ciambelle di ogni tipo, muffin e cheesecake.
“Pure! E che altro c'è? In questo mese e mezzo che non ci siamo viste ti hanno clonato e sostituita con una gemella perfetta o cosa?” domandò Olivia meravigliata ma divertita, ma Maya fu costretta a troncare la conversazione di nuovo per rispondere al telefono. Ad Olivia non passò inosservato che gli occhi dell’amica si illuminarono e quasi letteralmente scattò dalla sedia nel momento in cui il telefono iniziò a squillare.
“Pronto? … Ah sei già arrivato?! … guarda sono in piazzetta de’ Monti con Olivia, ma vieni pure qui. Sì...sì sono sicura. A tra poco”
“E quindi vai fuori a Pasqua … ed io che volevo proporti una gita fuori porta con me e Max e un altro paio di amici suoi a Pasquetta”
“Volevate appiopparmi un altro single in cerca?!” indagò perplessa e contrariata Maya, aggrottando le sopracciglia. Olivia era troppo intelligente, pensò Maya, per perseverare dopo la loro ultima conversazione a casa sua.
“Certo che no, abbiamo capito l’antifona. E credo l’abbia capita pure Eugenio”
L’aveva capita decisamente: dopo un paio di tentativi andati a vuoto su Facebook non si era fatto più sentire.
“E comunque vado un paio di giorni al mare, non so dove però, non ho prenotato io”
“Con questa nuova fantomatica comitiva di amici …”
“Perché fantomatica?”
“Perché sei uscita dai radar, Maya … ma completamente!!!” decretò Olivia, annoiata dai voli pindarici dell’amica “Non ti fai sentire, sui social non posti nulla se non qualche canzone indie romantica di dubbio gusto, il che è tutto dire, e se chiedo a tua sorella fa la vaga”
“Ma perché devi sempre mettere in mezzo mia sorella? Vuoi sapere qualcosa? Chiedi a me!”
“Benissimo: questa comitiva, di grazia?”
“Benissimo” iniziò Maya, ma la voce divenne immediatamente incerta “... appunto …”
Aveva deciso che non avrebbero fatto annunci ufficiali, niente manifesti aveva detto Alex, ma era Olivia, si conoscevano da quando erano bambine, non doveva avere paura come se stesse rubando la loro intimità.
“… non è proprio una comitiva” continuò “si tratta di un amico solo”
“Lo immaginavo”
“E comunque non è proprio un amico”
Non sapeva come definirlo: ragazzo, faceva liceale, fidanzato era troppo ufficiale, partner era più da azienda, compagno dava l’idea di una relazione già duratura. Forse la definizione migliore, fino a quel momento, per loro che non ne volevano una, l’aveva trovata la Betti: era il suo innamorato. Maya lo trovava assolutamente perfetto, c’era tutto: il batticuore del vedersi, il languore della distanza, le aspettative e le insicurezze dei primi passi insieme.
“Immaginavo pure quello …"
“Tu dovevi fare l’investigatrice privata o la poliziotta” la prese in giro Maya “sei sprecata come broker” 
"E scommetto che al telefono era il signor Comitiva di amici, vero?” domandò Alice, ridacchiando ammiccante.
Maya annuì, un sorriso furbo a fior di labbra, finalmente disinvolta, nonostante tutto. Era bello avere una persona a cui non c’era bisogno di spiegare tutto per filo e per segno.
“E sentiamo” continuò Olivia “l'amico in questione è alto, morettone, due spalle grosse così, le mani grandi, gli occhi verdi come un lago di montagna. In poche parole quel frescone assoluto del tuo capo?”
“Sì, sono io”
Alex stava in piedi di fianco al tavolino con il suo immancabile completo scuro senza cravatta, il fazzoletto nel taschino e un Omega vintage al polso. Era appena sceso dal treno e sembrava uscito da un salone di sartoria.
“Ma che si fa così? Spuntare alle spalle della gente e farle fare figure di merda!"
Olivia, sguaiata, si lamentò teatralmente, come al suo solito. Ma Maya ed Alex non stettero a sentirla: avevano due giorni senza vedersi da recuperare e, da quando lui le aveva detto di essere salito sul Frecciarossa, per entrambi era stata una lunga e snervante attesa.
Maya si alzò dal tavolino “Ciao” sussurrò, gli occhi brillanti, cogliendosi, imbarazzata, a leccarsi le labbra impercettibilmente; alzandosi, le cadde un foulard di cotone che, accaldata, aveva sciolto e poggiato frettolosamente sulle gambe. Alex si chinò a raccoglierlo e lo passò attorno al collo della ragazza, tirandola a sé.
“Ciao” rispose lui, la voce roca.
La giovane poggiò le mani sul suo torace e lui, cingendole le spalle la strinse a sé per concludere le 48 ore di lontananza in quel bacio di velluto, caldo e morbido, tanto agognato.
“Mio Dio, siete belli e sexy da fare schifo pure quando vi dite ciao. Io sono indignata. Non si può. Siete illegali!”
Terminarono quel bacio solo perché la battuta di Olivia li aveva fatti ridere e non era giusto lasciarla lì a fare da reggi moccolo. Salutandolo, Olivia suggerì ad Alex di prendere una sedia da un tavolino vuoto a fianco per unirsi a loro.
“Sono venuto in taxi, sta aspettando con le valigie dietro l’angolo”
“Allora andiamo … dammi solo un minuto per salutare Olivia” disse Maya, radunando in fretta le sue cose.
“Ma no, stai tranquilla. Voi ragazze non vi vedete da un po’ … io intanto vado a casa a poggiare le valigie e a farmi una doccia, mi raggiungi lì. Volevo solo salutarti … mi sei mancata” le sorrise teneramente, accarezzandole la guancia con un tocco leggero e fugace ma che era bastato ad imporporarle il viso.

“Confermo” proclamò Olivia, seriamente, quando Alex se n’era andato.
“Cosa?”
“La Maya che conoscevo io è stata sostituita … tu chi sei? Che ne hai fatto della mia amica?!”
“Dai Olli!!!”
“Ma guardati!!! Sei diventata una sottona …”
Maya si lasciò andare ad un sospiro timido e rapito, tornando a sedere.
“Lo ami?”
“Stiamo insieme da poco più di un mese, non ho avuto neanche il tempo di ragionarci su … sto con lui e sto bene, come non sono mai stata con nessuno, non c’è da sapere altro”
Era quello che più contava: tra di loro erano attenti e premurosi, ma senza ostentazione e senza farselo pesare, rimanendo liberi di fare come meglio credevano. Erano in una relazione esclusiva, lui c’era per lei – solo per lei – e lei per lui, eppure nessuno dei due si era mai sentito così libero: liberi dalle paure, dalle insicurezze, dalle gabbie costruite o dentro cui ci si ritrova imbrigliati con una relazione sbagliata o che si trascina a forza. E forse era davvero amore, ma non avevano bisogno di dirselo: se lo dimostravano ogni giorno.
 

Eccomi eccomi!!! Ce l'ho fatta, seppur con un paio di giorni di ritardo....
E così Maya ha fatto l'imbarazzante conoscenza del suocero e Alex di Olivia, ma alla fine tutto bene quel che finisce bene e i due sembrano andare a gonfie vele, dimostrandosi sempre più naturali e tranquilli anche con "l'esterno". Ma è tutto troppo tranquillo, non vi pare? Ma qui mi taccio.
Alla prossima,
Fred ^_^

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***






Capitolo 6

 
 
 
Erano arrivate le tanto agogniate vacanze di Pasqua ed Alex stava preparando la valigia per il viaggio. Sarebbero andati in moto e quando aveva portato a Maya il piccolo bagaglio che poi avrebbe montato sul lato del moto, la ragazza era rimasta perplessa, chiedendosi come avrebbe fatto entrare tutto in quella che sembrava piuttosto una valigetta porta computer. Ma in moto il minimalismo è d’obbligo e comunque sarebbero stati fuori Roma poche notti e non li aspettavano location extralusso. Tra i due, al di là dell’euforia per quella prima vacanza insieme, di sicuro il più entusiasta di andare all’avventura era Alessandro: tuttavia, nonostante i viaggi on the road non fossero esattamente nelle sue corde, Maya si fidava di lui e si era lasciata trascinare.
Per poter partire nel pomeriggio ed evitare le code del weekend, i due si erano concessi una giornata di permesso dal lavoro e, mentre controllava di non aver dimenticato nulla, da maniaco del controllo qual era, Alex ricevette un messaggio; la sua ex moglie lo richiamava immediatamente nella casa di Prati: fortuna che, nella sua precisione, non era mai stato di quelli che preparano le loro cose last minute e sperava che quel contrattempo non avrebbe compromesso la tabella di marcia.
“Dov’è?” domandò Alex, entrando come una furia, facendosi largo nel corridoio, con Claudia che lo tratteneva.
“Alex mi raccomando, non esagerare come al tuo solito” lo pregò la donna.
“Non devo esagerare?!” esclamò fermandosi prima di salire le scale per la zona notte “Questo è un altro capolavoro tuo …”
Alex entrò nella camera di Edoardo, chiudendo la porta a chiave dietro di sé, nonostante i tentativi di Claudia di intervenire, trovando suo figlio seduto sul letto, ancora in pigiama; erano le nove del mattino ed Edoardo, con le cuffie alle orecchie ed il joystick in mano, giocava al computer.
“Papà! Che ci fai qui a quest’ora?”
“No, tu che fai qui a quest’ora? Oggi non c’è scuola?”
“L’ho detto a mamma: visto che era l’ultimo giorno prima delle vacanze i rappresentanti hanno deciso di fare assemblea d’istituto e non si fa niente così sono rimasto a casa” spiegò il ragazzo. E quando mai, pensò Alex. “Perché?” chiese il figlio, come se nulla fosse.
“Non sapevo che le assemblee durassero una settimana intera adesso” ribatté Alessandro, irritato dalla noncuranza del figlio che continuava a giocare come se lui non fosse lì nella stanza, intento a rimproverarlo “Eh? Pensavi che non l’avrei scoperto?”
Edoardo però scoppiò in una risata beffarda quando il padre, indispettito dal suo comportamento, spense violentemente il pc direttamente dall’interruttore della ciabatta. In quel momento all’uomo, che non era mai stato un tipo violento, venne voglia di riempirlo di schiaffi.
“Lo trovi divertente? Io per niente…” lo ammonì il padre, chiudendo i pugni così energicamente per reprimere la rabbia che sentiva le unghie conficcarsi nella pelle.
“L’hai scoperto o te l’hanno detto?” domandò il figlio, di rimando.
“Che differenza fa? E comunque cosa credevi che la scuola non ci avrebbe avvertiti?”
“Eh, appunto … te l’ha dovuto dire la scuola con un messaggio … sono giorni che la mattina mi piazzo sotto casa tua invece di andare a scuola ma tu non scendi mica … oh no! Perché sei a dormire da quella lì, ovviamente …”
Era passato del tempo dal giorno in cui aveva detto ad Edoardo di Maya. Non era sceso nei dettagli, era troppo presto, non ce n’era bisogno: voleva solo essere sincero e non nascondergli quello che, suo malgrado, nella loro famiglia era praticamente di dominio pubblico. Lì per lì, il ragazzo non era sembrato esserne particolarmente entusiasta ma non era nemmeno sembrato intento ad ostacolare attivamente la nuova relazione del padre; ora, invece, si era messo a fare sega per controllarlo e, peggio ancora, attirare la sua attenzione come quei bambini che tornano a fare la pipì nel letto quando c’è qualche novità che non gradiscono. Il problema era che quell’estate Edoardo di anni ne avrebbe compiuti 16.
 “Si può sapere che ti succede, eh? Ne vogliamo parlare …?”
Essere aggressivi avrebbe solo peggiorato la situazione: parlare era la soluzione migliore, per quanto gli costasse fatica essere comprensivo e assertivo, mantenendo calma e pazienza.
“Ma de che? De che vuoi parlà? Che ti scopi una che c’ha la metà dei tuoi anni?
” A quel punto Alex avrebbe voluti ribattere, ma pensò che fosse il caso di tacere e lasciare che suo figlio tirasse fuori qualsiasi disagio avesse dentro in quel momento; non sarebbe stata di certo una sua obiezione a fargli cambiare idea. O che fai le passeggiate romantiche come un cojone in centro e ti fai vedere da tutti. Lo sanno pure i miei compagni”
“È questo il problema? Ti stanno prendendo in giro?”
“Ma sai che me ne frega di quello che dicono … io solo una cosa voglio, che pensi a fare il padre invece che andartene a passare le vacanze con quella lì. L’ho visto che stai preparando la moto!”
Lui e Giulia sarebbero rimasti con la madre, come negli accordi, visto che il Natale lo avevano trascorso con il padre e aveva tutta l’aria di essere geloso di quel cambiamento, ma la cosa che più di tutte sorprese Alessandro fu la sua attenzione ai dettagli: lo aveva sempre accusato di stare con il naso sprofondato sullo schermo del telefono o del computer e di non partecipare alle discussioni di famiglia invece si accorgeva di tutto, persino che aveva montato i telai portaborse sulla moto e l’aveva tirata fuori dal loro box auto per farla controllare prima di partire.
“Ascoltami, Edo” esordì, prendendo un grosso respiro per radunare le parole giuste “se vuoi passare più tempo con me basta che lo dici, sei grande abbastanza per decidere e con mamma si trova una soluzione”
Se fosse stato quello il problema, Alex ne sarebbe stato più che contento, significava tanto per sé stesso come padre, ma in fondo era palese che in realtà nella testa del ragazzo c’era solo un gran casino.
“Ma ascoltami bene” proseguì, perentorio “Maya non vi sta togliendo niente”
“Se non ci fosse però tu saresti ancora qui, quindi è inutile che accampi scuse”
“Non è una scusa e sai che ho ragione. Io e tua madre ci saremmo lasciati comunque, ricordati cosa è successo”
“Me lo ricordo … ma mi ricordo anche che qui chi non ha dato una seconda possibilità sei stato tu!” Edoardo si alzò dal letto, e andò a sedere sul davanzale della finestra, guardando fuori in silenzio, accigliato, gli occhi arrossati dal livore. “Adesso fuori dalla mia stanza e non rompermi i coglioni”
“Edoardo!”
“Vattene a fanculo!” urlò il ragazzo “sei solo un egoista del cazzo che pensa di risolvere tutto con qualche frase buonista!”
“Sì … va bene, forse sono un egoista” disse Alessandro, provando a mantenere la calma “non stavo bene e ho deciso di fare qualcosa per me stesso, ma non ho mai fatto nulla di nascosto e lo sai. Mi dispiace se ti ho deluso ma credo che ti avrei deluso di più se avessi continuato a fare finta che andava tutto bene!” “Fuori!”
Alex uscì, abbattuto per non essere riuscito, questa volta, a cavarne niente, neanche una tregua o una promessa di pensare a quello che si erano detti. Era difficile dire se Claudia avesse messo l’ennesima pulce nell’orecchio del figlio o se, invece, il ragazzo avesse fatto tutto da solo, perché a questo giro anche lei sembrava sinceramente preoccupata. Alle sue domande l’uomo rispose con poche parole, minimizzando e accampando scuse a caso, ma lui stesso era ancora frastornato da quanto accaduto in quella stanza.

Quando quel pomeriggio raggiunse Maya a Testaccio, aspettò la ragazza davanti al portone, di fianco alla moto. Il suo sorriso smagliante gli restituì un po’ della luce che quella mattinata burrascosa gli aveva tolto.
“E questa?” domandò Maya, incuriosita dalla moto, una sportiva dallo stile un po’ vintage, che nulla aveva a che vedere con lo scooter con cui l’aveva già scorrazzata in giro per la città.
“Questa è la mia seconda bambina. Moto Guzzi - Maya, Maya - Moto Guzzi” scherzò, fingendo di fare le presentazioni “fai attenzione … è molto delicata e permalosa”
“Io o lei?” domandò la ragazza, pungente.
Alex, distratto dal commento di Maya, si concesse una risata ancora leggermente forzata, ma del resto era ancora troppo inquieto per sciogliersi completamente, la sua testa altrove: nel cuore, il peso delle parole accusatrici che gli aveva rivolto suo figlio e, ancora di più, il senso di colpa per la risposta che lui gli aveva dato. Dopo aver sistemato il bagaglio di Maya sulla fiancata della moto, Alex la attirò a sé con la scusa di aiutarla ad infilare il casco
“Vieni qui …”
La baciò impetuosamente, quasi al punto di farle male, con un furore che Maya non aveva ancora conosciuto, come avesse fame d’aria e da quel bacio dipendesse la sua sopravvivenza. A Maya, in quella foga, scappò un gemito strozzato in gola; sotto il suo tocco, sentiva i muscoli dell’uomo tesi, il viso contratto in una smorfia nonostante il movimento sensuale delle labbra sulle sue.
“Ehi … che c’è?” provò ad indagare, staccandosi, ma Alex iniziò a manovrare con il suo casco, in silenzio, concentrato sulla fibbia. “Alex guardami!” gli ordinò, perentoria, prendendo il suo viso tra le mani “guardami!”
Finalmente, Alessandro incontrò il suo sguardo. Le sorrideva a fatica, amaramente, ma era già tanto che riuscisse a farlo per lei.
“Per la prima volta in vita mia ho voglia di scappare. Voglio solo andare via, staccare da tutto per qualche giorno.”
“Cos’è successo?”
“Edoardo” tagliò corto, lo sguardo basso, andando in sella alla moto, come se il nome di suo figlio fosse sufficiente a spiegare dinamiche ormai trite e ritrite. E in effetti lo era perché l’aveva già avvertita che le cose non erano facili, ma Maya ne era consapevole ed era pronta a portare tutta la pazienza necessaria. Però, per stare così, doveva essere successo qualcosa di nuovo, di più grave. Restò in piedi, davanti a lui, in silenzio, ad aspettare che fosse pronto ad aprirsi. “Mi accusa di averlo messo da parte per te” le disse, quando era chiaro che non avrebbe accettato il suo silenzio: e forse, pensò Alessandro, sfogarsi gli avrebbe fatto benne “il punto è che io so che non è così e non ho intenzione di cambiare di una virgola. E ora mi sento uno stronzo ed un egoista, proprio come dice lui”
Maya lo seguì in sella, facendosi aiutare. Si strinse a lui, alla sua giacca di pelle invecchiata che per la prima volta aveva stretto proprio quando l’aveva portata a visitare casa, lì a Testaccio.
“Io forse non sono la persona più giusta per dare un’opinione” esordì, cautamente. Non voleva che pensasse che volesse pontificare su una situazione che la riguardava indirettamente, ma su cui non poteva avere voce in capitolo. “Penso però che dei genitori felici aiutino anche i figli ad essere felici. Adesso è difficile per lui capirlo, è ovvio, hai lasciato sua madre e ha capito che non tornerai più a casa, però poco a poco sono sicura che lo capirà anche lui.”
Alex non rispose nulla ma Maya non se la prese, capiva perfettamente in che stato fosse e che, in quel momento, aveva solo bisogno di trasmettere tutta la rabbia che aveva dentro all’acceleratore, lasciando che l’aria che fendeva i loro volti, trasformasse il rancore in piacere, il senso di oppressione e claustrofobia in libertà.


 

Eccomi finalmente! Dopo la settimana santa - ops, volevo dire la settimana di Sanremo XD - sono ancora scombussolata e in con la testa altrove ed è stato difficile trovare un momento per pubblicare. Come vedete mi è un po' difficile rispettare l'appuntamento del venerdì ultimamente ma voglio comunque continuare a pubblicare almeno una volta a settimana. A questo giro avrete notato che il capitolo è più corto ma è solo perché il prossimo sarà uno dei miei capitoli preferiti e voglio trattarlo come una piccola bomboniera, lasciandogli una pagina tutta per sé. Non vedo l'ora di farvelo leggere.
Alla prossima, 
Fred ^_^
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Salve a tutti! Oggi, eccezionalmente, il mio saluto lo faccio prima del capitolo per darvi qualche piccola indicazione. In due punti del testo ci saranno delle parole sottolineate. Se vi va, da lì potete andare ad ascoltare due canzoni che ho associato a questo capitolo e alla storia e mi faceva piacere condividere con voi. Spero il capitolo possa piacervi perché è uno di quelli che mi sta più a cuore. Non vi dò appuntamento alla prossima settimana, perché credo che sarò costretta a prendermi una pausa, quindi vi dico a presto e vi lascio alla lettura! Fred ^_^

 


 

Capitolo 7
 

Io me ne sono accorto a Santa Marinella
Io e te siamo un pianeta e una stella

"Santa Marinella" - Fulminacci

 


Alex, da buon motociclista, aveva escluso dal suo percorso le strade a pedaggi e quelle più affollate. Avevano quattro giorni a loro disposizione e nessuno alle calcagna. Usciti da Roma, verso Nord, si diressero in direzione Bracciano per la prima notte vista lago; poi con calma, il giorno dopo, dopo un giro dei paesini attorno al lago, dolcemente scesero tra i boschi prima e le campagne poi, verso la loro meta finale, il mare, in tempo per il tramonto.
Alla fine, con un po’ di sforzo, Alessandro era riuscito nel suo intento: staccare, per qualche giorno, da tutto e da tutti. In quei giorni trascorsi in un piccolo B&B senza pretese in riva al mare, a Santa Marinella, esistevano solo lui, Maya e il rumore delle onde che si infrangevano schiumose sugli scogli e sulla spiaggia.
Era fine aprile, la stagione turistica era appena incominciata e gli alberghi stavano aprendo poco alla volta le loro porte agli sparuti villeggianti del weekend festivo. Per Maya ed Alessandro era un dettaglio di trascurabile: che fossero stati soli o meno, non faceva alcuna differenza, nemmeno ci facevano caso. Erano nella loro bolla perfetta e felice e avrebbero fatto di tutto per non farla scoppiare.
Quei giorni di lontananza avevano fatto bene anche ad Edoardo, che si era dimostrato quantomeno conciliante nella videochiamata di auguri al padre la mattina di Pasqua.
“Papi ho trovato un sacco di uova” la piccola Giulia aveva interrotto la conversazione tra suo fratello e il padre per dare la grande notizia, mostrando orgogliosa il cestino pieno di uova colorate. Claudia – come ogni anno - aveva raggiunto dei cugini che, nella loro villa di campagna, organizzavano la caccia alle uova colorate.
“Bravissima!!!”
“E tu che fai?”
Alessandro, seduto su un lettino in spiaggia, le mostrò il mare, leggermente increspato, e la spiaggia quasi deserta. “Sto prendendo un po’ il sole”
“Uffa pure io voglio venire al mare!!!”
“No amore è ancora un po’ freddino per te … guarda!”
Mise addosso, come una copertina, il telo mare, per convincerla che non fosse così caldo come poteva sembrare. In realtà si stava veramente bene: lui era solo in camicia e pantalone lungo che aveva piegato per poter camminare in mezzo all’acqua, ma qualcosa doveva pure inventarsi per tenerla buona.
“Però … però mi dispiace che sei da solo papà!” esclamò Giulia, il tono così dolce e intristito che ad Alex si strinse il cuore “Non è bello!”
“Non ti preoccupare piccola, non sono da solo” le spiegò, tagliando corto “anzi, mi stanno chiamando. Devo andare.”
“Ciao papà!!!” “Ciao amore mio!”

Gli dispiaceva deludere la sua bambina, lasciandola sola nei giorni di festa. E che lei fosse triste per lui, credendolo solo, peggiorava ulteriormente la situazione. Forse, pensò Alex, era arrivato il momento di parlarle di Maya: non c’era bisogno di chissà quale spiegazione, ma dirle che il suo papà non era solo ed era felice gli sembrava un buon punto di partenza.
Mentre chiudeva la telefonata, Maya gli veniva incontro, tornando dal bar dello stabilimento con due bottigliette d’acqua. Forse era colpa del sole e della luce che il mare rifletteva più brillante, ma con quel semplice vestitino blu che aveva addosso – poco più di un prendisole - e i capelli scompigliati dal vento, le sembrava più bella del solito, luminosa e totalmente libera.
“Com’è andata?” gli domandò, sedendo sul lettino, dietro di lui, poggiando il mento sopra la sua spalla.
Con la scusa della sete, gli aveva lasciato la privacy necessaria per poter parlare con i figli; quando Alessandro gli aveva raccontato di quello che era successo con Edoardo si era mostrata serena, sicura che tutto si sarebbe risolto, ma in realtà nascondeva il timore che i problemi fossero solo all’inizio: se il ragazzo si comportava così senza conoscerla, come avrebbe potuto anche solo avvicinarsi o tendergli la mano per presentarsi?! Non pretendeva nulla da lui, né che le volesse bene, né tantomeno prendere un posto stabile nella sua vita: solo che accettasse la sua relazione con il padre.

“Non male dai, mi ha fatto gli auguri e non mi ha mandato al diavolo” rispose Alex, sorridendo amaramente.
Dopo la litigata si aspettava di essere costretto lui a chiamare suo figlio ed era preparato a vedersi il telefono chiuso in faccia. Forse era stato costretto da sua madre ha chiamare, ma intanto lo aveva fatto: ormai, con suo figlio, Alessandro prendeva tutto quello che veniva.

“Bene dai!!!” si congratulò Maya, battendo una mano ritmicamente sulla coscia dell’uomo “questo piccolo miglioramento merita un festeggiamento, no?! E lascia questo telefono … so che hai resistito già troppo, ma oggi è festa!”
Si alzò e, portandosi di fronte a lui, gli tese una mano.
“Sì, un attimo … è un’email di auguri dal direttore di Downtown Mag”
“Addirittura” lo canzonò.
“Guarda che stai con una persona importante, che credevi?!”
“Uuuh e da quando sei così vanitoso?!”
“Mmmm simpatica” scherzò, con una linguaccia, alzandosi per mostrarle l’email “leggi un po' qua”

Maya prese il telefono dalle mani dell’uomo: il direttore del magazine newyorkese si congratulava per il reportage sul turismo kosher che Roma Glam aveva pubblicato di recente.
“Se mi avessi dato retta a quest’ora queste congratulazioni le avresti ricevute tu, donna di poca fede” esclamò Alex, sornione, abbracciandola teneramente in vita e poggiandole un lungo bacio dolce sulla guancia.

Maya rimase interdetta, nemmeno le carezze dell’uomo riuscivano a ridestarla. Non sapeva come la cosa la facesse sentire: da un lato la sua testa le diceva che il giornalista si era congratulato con il suo collega perché erano dei pari grado, perché Alex era un nome rispettato e stimato nell’editoria internazionale, ma dall’altro il cuore le faceva pressione affinché ammettesse che anche lei avrebbe potuto, volendo, provare a fare qualcosa di diverso e migliorarsi.
“Se solo me lo permettessi …” insistette lui.
“Anche oggi? Quante volte ancora dobbiamo farlo questo discorso? Sono stati dei buoni articoli perché ci hai messo tu lo zampino, anzi, qualcosa di più di uno zampino.”
“Va beh, come non detto … ma un giorno o l’altro ti frego…”
“Non oggi” gli disse, alzando le sopracciglia, provocante “intanto prova a prendermi”

Maya iniziò ad indietreggiare lentamente sulla sabbia dapprima polverosa e asciutta, poi via via sempre più fredda, umida e compatta sulla battigia, invitandolo maliziosamente a raggiungerla, allontanandosi sempre più velocemente, finché Alex non iniziò a rincorrerla e lei fu costretta a scappare, ridendo come una ragazzina, a gambe levate. Quando si era spinta così in là che l’acqua che le arrivava fino alle ginocchia si fermò, le mani che sollevavano leggermente il vestito, ed Alex frenò a poco meno di un metro di distanza.
“Che c’è?” lo sfidò, schizzandogli l’acqua con i piedi “hai paura di poche gocce?”
“No Maya basta dai … no … NO!”

Alex provò, avvicinandosi, a braccare la giovane, ma l’unico risultato fu che, lottando scherzosamente, tra le risate, Maya si buttò di peso, facendo finire entrambi nell’acqua gelata.
“Dio è freddissima!” gridò la ragazza, togliendo i capelli bagnati dagli occhi.
“Che ti avevo detto? Sei completamente pazza!”
In quel momento, ad Alex venne in mente
 una poesia di Bukowski che aveva letto, e lei era proprio come la donna della poesia: tutta matta.

 

Ogni giorno era una donna diversa
Una volta intraprendente, l’altra impacciata.
Una volta esuberante, l’altra timida. Insicura e decisa.
Dolce e arrogante.
Era mille donne lei, ma il profumo era sempre lo stesso.*

 

Alex la strinse a sé, rialzandosi. I loro vestiti, fradici, erano attaccati ai loro corpi: il prendisole di Maya, da camicione largo, si era trasformato in una seconda pelle, aderendo perfettamente alle sue forme scultoree ma generose, che chiedevano solo di essere accarezzate. E quello fece Alex, non sapeva fare altro. Risalì con la mano il suo profilo, dalla coscia fino al seno mentre Maya, con le mani ben ancorate al suo torace, gli sussurrava sulle labbra le parole di una canzone che, in lontananza, lo stabilimento balneare stava mandando con gli altoparlanti.
Con le onde che ritmicamente tornavano a bagnarli e l’imponente castello medievale che si stagliava sulla riva, in fondo alla spiaggia, a fare loro da cornice, Maya e Alessandro continuavano a ballare, improvvisando, quel lento che il deejay aveva trasformato in un pezzo da discoteca. Non importava che ci fosse o meno sulla riva gente che li guardava e storceva il naso perché due adulti si stavano comportando come due ragazzini, perché in quel momento era così che tutti e due si sentivano e andava benissimo.
“Mi hai già fregato Bonelli” dichiarò Maya, prendendogli il volto imperlato tra le mani e baciandolo: il suo sapore così distintivo, caldo ed opulento, misto all’acqua del mare, creava un mix micidiale.
Che la brezza marina, soffiando sulle loro pelli bagnate, li stesse facendo congelare era cosa di poco conto in confronto all’essere l’uno tra le braccia dell’altro senza dover rendere conto a nessuno.

“Ti amo” rispose lui, poggiando la sua fronte su quella della donna.
Non aveva più dubbi, e non aveva paura di ammetterlo, nemmeno il minimo timore che potesse essere troppo presto o che lei avrebbe potuto avere una reazione negativa. In quel momento sentiva il suo centro di gravità spostarsi completamente verso di lei: lui era un pianeta, lei la sua stella. A chi avrebbe dovuto dirlo se non a lei?

Maya a quelle parole sentì il suo cuore spalancarsi completamente, come se fosse aumentato di due taglie, o giù di lì. Lei non era in grado di rispondere a quelle parole come avrebbero meritato e sperava che i fatti potessero parlare per lei. Tuttavia Alex non pretendeva nulla in cambio e le parole che lei aveva pronunciato poco prima non erano passate inascoltate e valevano molto di più di una dichiarazione romantica e mille ti amo sprecati senza convinzione. Quelle parole, così specifiche, erano la conferma che non ci stavano più solo provando, non era più un vedere come va. Erano una coppia, funzionavano, era … amore.


Tornati a casa, il pomeriggio successivo, Alex smontò dalla moto la valigetta con i cambi di Maya, tornando subito in sella dopo aver messo a posto il casco.
“Non sali?” gli fece allora lei, stupita di vederlo pronto per andar via; non ne avevano parlato, ma aveva dato per scontato che sarebbe rimasto con lei “mandiamo a prendere una pizza o un sushi su Glovo”
“Non posso. Ho promesso a Giulia che sarei passata da lei. Voleva a tutti costi recitarmi la poesia di Pasqua dal vivo ... e poi c'è Edoardo ...”
“È giusto” disse, comprensiva.
Del resto, anche se non si sarebbe mai staccata da lui, non era nemmeno giusto detenerne il monopolio a discapito dei suoi figli.
“Non fare quella faccina, però, che mi fai sentire in colpa…”
“Io non faccio nessuna faccina” obiettò, sorridendogli scherzosa con una smorfia “non devi sentirti in colpa perché vedi i tuoi figli”

Se c’era una cosa che non avrebbe mai ostacolato, era proprio il suo rapporto con Giulia ed Edoardo: aveva visto con quanto impegno si era rimboccato le maniche per compensare l’assenza della madre, il pentimento sincero per non essere stato presente nelle loro vite come avrebbero meritato prima che le cose precipitassero.
“Anzi” aggiunse lui “vorrei parlare a Giulia di noi”
“Davvero?”
Maya era sorpresa: non dalla notizia in sé, ma piuttosto che non si sentisse spaventata da quella prospettiva; si erano detti di andare con calma, che non c’era bisogno di mettere in piazza la loro relazione ma di seguire solo l’evolversi naturale degli eventi, eppure dopo solo due mesi sembrava già la decisione giusta.
“Senza forzare la mano … poco alla volta.”
E poi Alex aveva avuto la sensazione che, fin dal primo incontro, ci fosse già un certo feeling tra di loro, il che avrebbe dovuto rendere tutto più facile.
“Non hai paura che sia troppo presto? Che dobbiamo ancora rodarci un po’ …”

Maya voleva bene a Giulia: era la nipotina che avrebbe voluto avere, e forse anche qualcosa di più, e con lei ci stava bene, ma bruciare le tappe solo per stare insieme anche in sua presenza e così rosicchiare qualche ora in più era un rischio troppo grande. Era una bambina intelligente, capace di cogliere sfumature che a volte sfuggono anche agli adulti, e bisognava essere realistici: una nuova separazione l’avrebbe fatta soffrire inutilmente.
“Non so tu” le disse lui allora, accarezzandole il volto con una nocca fino a scendere sul mento, per attirare a sé il suo sguardo “ma io non ho intenzione di andare da nessuna parte”.
Maya si lasciò andare ad un piccolo sospiro furbo e divertito. Nonostante il casco, si avvicinò per posargli un bacio veloce sulle labbra e abbassargli, per dispetto, la visiera del casco.
“Che scemo!”

Rientrando a casa, dopo quei giorni trascorsi insieme, Maya sentì un profondo senso di freddo e di vuoto, ma la casa vecchia con le mura alte e spesse non c’entrava niente. Per la prima volta aveva provato sulla sua pelle cosa significava essere una coppia vera e le era piaciuto da morire, illudendosi che sarebbe durato per sempre. Tornare a Roma, alla loro vita, sapendo di doversi nascondere a lavoro, dividersi per il bene dei figli e talvolta restare separati l’aveva riportata con i piedi per terra, alla promessa di prendere tutto come veniva, senza nomi, senza definizioni e senza proclami. Era proprio vero: Alex l’aveva fregata.


*"L'hai amata, vero?" di Charles Bukowski

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***





Capitolo 8



“Uff! Non vuole proprio smettere questa pioggia”
La pausa pranzo era appena finita, ma era dall’alba che la pioggia scendeva copiosa e cattiva su Roma, assieme a quello che comportava sempre, di conseguenza: più buche sulle strade già martoriate, tombini che saltano, strade allagate, alberi a terra e Tevere da tenere sott’occhio.
Chiusi nello studio, Maya aspettava che Alex firmasse alcuni documenti. L’uomo, tra un foglio e l’altro, buttò un occhio fuori dalla finestra. Effettivamente era una giornata cupa. Più che fine aprile, sembrava essere tornati a novembre. Delle giornate trascorse al mare, non rimaneva che un lontano ricordo.
“Se la riunione si protrae non mi aspettare” le disse, alzandosi dalla scrivania e indossando la giacca che aveva poggiato sullo schienale della poltrona. All’ordine del giorno del consiglio di amministrazione c’era una revisione del bilancio: lui, sempre pieno di idee – sempre dispendiosissime – si scontrava contro il muro alzato puntualmente da Nardi, l’amministratore delegato, l’unico che nessuno in redazione riusciva a chiamare per nome, nemmeno Alex, e dal suo esercito di contabili, in un tiro alla fune lungo, tedioso e sanguinolento, che a volte si protraeva ben oltre i tradizionali orari d’ufficio.
“Non voglio che ti metti in auto con il buio e questa pioggia … perché ridi?” domandò, squadrando Maya che non riusciva a restare seria e alzava gli occhi al cielo.
“Perché sono cinque anni che lavoro per te ma non hai mai fatto tutte queste smancerie”
“Ero uno stronzo, lo so”
“No, eri un capo esigente” rimbeccò lei, caustica, sistemandogli il colletto della camicia che era rimasto sotto il bavero della giacca “ora invece sei un capo che fa favoritismi”
Mentre apriva la porta di vetro opaco, le labbra di Alex si incurvarono in un sorriso ed uno sguardo maliziosi, il massimo che potessero permettersi in pubblico tra quelle mura e farlo passare per mera complicità lavorativa. Alice, di tanto in tanto, riservava loro qualche occhiata sospettosa o qualche commento allusivo, ma niente a cui Maya non fosse abituata o non sapesse gestire. Il resto della redazione taceva, ma non era necessariamente un buon segno: i pettegolezzi peggiori sono sempre quelli che riescono a sfuggire alle orecchie del diretto interessato.
Le due ore successive passarono lente e noiose, tra telefonate e email. Mentre scriveva l’ennesima richiesta di preventivo per una sala conferenze per un meeting, il telefono squillò.
“Ma che è oggi?! Oooh!” esclamò, seccata: era la decima chiamata in sole due ore e non riusciva a completare il lavoro.
“Pronto, ufficio di Alessandro Bonelli”
“Maya?”
Non era sicura al 100% di chi fosse: la voce, sebbene metallica, le suonava familiare, ma il telefono da cui proveniva aveva problemi di ricezione.
“Chi è? Non sento bene … provi a spostarsi”
“Maya sono Cesare … mi senti?”
“Cesare … salve” anche se avevano promesso di darsi del tu, Maya si sentiva ancora a disagio all’idea di essere in confidenza con il padre di Alex ed optò per quel saluto un po’ distaccato.
“Sto chiamando Alex da un po’ … e anche Claudia” disse l’uomo, sconsolato, tirando un grosso respiro.
Ora che lo sentiva bene, il tono era chiaramente afflitto.
“È in sala riunioni” spiegò lei, turbata da quella voce che non era per nulla quella giovale ed energica del Cesare che aveva conosciuto lei, tentando però di rimanere tranquilla: magari era solo un film mentale in una giornata strana “avrà lasciato il telefono in ufficio come al suo solito. Ne avrà per un po’”
“Dovresti andarlo a chiamare, Maya … è successa una cosa”
 
“No Maya, non posso farti entrare”
Lo stagista, impegnato alla macchinetta del caffè che era sul mobile vicino alla porta, vide Maya in procinto di entrare, senza nemmeno bussare, e si precipitò a bloccarla.
“Giovanni se ti dico è una cosa urgente, stai sicuro che è davvero urgente” affermò Maya, perentoria “lavoro qui da prima di te, so benissimo che le riunioni di contabilità sono off-limits”
“Maya, se adesso entri Alex e Nardi mi licenziano”
“Giovanni, se non mi fai entrare prima di subito, Alex prima ti ammazza e solo dopo ti licenzia. Fammi passare!” esclamò, spintonando il ragazzo che era più basso di lei e facilmente affrontabile fisicamente.
Nonostante protestasse ancora, Maya tirò dritta per trovarsi di fronte a quel lungo tavolo della sala riunioni e una decina di persone che la guardavano come se non avessero mai visto un’assistente entrare per una comunicazione urgente. Ma erano contabili, Alex diceva sempre che erano persone grigie e vedevano la vita solo come tanti freddi numeri.
“Alex per favore, dovresti venire un attimo con me”
Alle sue spalle, Giovanni ancora tentava di scusarsi come se Maya fosse lì con un’arma puntata sulle loro tempie.
“Stai zitto Giovanni!” esclamò Maya, risoluta e severa.
Alex la squadrò attentamente: la sua carnagione, già normalmente chiara, in quel momento era ancora più pallida, il respiro affannato e normalmente non si sarebbe mai presa la libertà di rimproverare uno stagista. Doveva essere veramente una cosa davvero seria. Il suo sguardo era indecifrabile, ma di certo non era vivido come poche ore prima. Lo guardava con pena e apprensione, come avesse paura di parlare con lui.
“Dimmi” “È una cosa delicata” chiarì, facendogli cenno di uscire.
In corridoio, Maya fu quasi costretta ad imporgli di sedersi su una delle sedie per visitatori che erano addossate alla parete.
“Che c’è Maya? Non farmi preoccupare”
Lei sedette di fianco a lui, completamente disinteressata a quello che avrebbero potuto pensare se qualcuno fosse passato in quel momento.
“Ha chiamato tuo padre” lentamente, la voce tremante “c’è … c’è stato un incidente”
“Oddio ... chi?”
“Edoardo”
Le sembrò di aver impiegato un’eternità per pronunciare quel nome, perché Alex sembrava non aver recepito immediatamente.
“Alex! Alex!”
“Che cazzo stai dicendo?” domandò l'uomo, alzandosi dalla sedia, come se avesse ricevuto la scossa, e prendendo le distanze da Maya, le mani tra i capelli. Inconsciamente, quell'indietreggiare era come se lo aiutasse a fuggire dalla notizia, nella speranza che non fosse successo davvero.
“Tuo figlio ha avuto un incidente col motorino”
“Co-co-come sta?” aveva una paura matta di sapere la risposta, ma Maya scosse la testa “Non lo so. Tuo padre ha detto che l’hanno portato al Gemelli con l’ambulanza. Lui era appena arrivato”
Quell’informazione bastò ad Alex per tornare letteralmente a respirare. Sentì il sangue tornare ad affluirgli in testa tutto in una volta, procurandogli una vertigine che combatté con tutte le sue forze per camminare dritto e sicuro. Non doveva perdere la testa. Interruppe senza troppi preamboli la riunione e corse verso il suo ufficio, dando ordini a destra e a manca. Per la prima volta, persino Maya riusciva a malapena a stargli dietro. Lui invece era concentrato a non perdere tempo: forse, realisticamente, erano passati sì e no un paio di minuti, forse anche meno, ma aveva la sensazione che il tempo stesse trascorrendo troppo velocemente.
“Prendi un taxi, per favore” gli disse la ragazza entrando in ufficio e chiudendo la porta alle loro spalle “sei troppo agitato” “Non se ne parla, non posso perdere tempo” “Alex per favore stai attento, e fammi sapere”
Ma Alex, comprensibilmente, non stette neanche a sentirla, lasciandola sola in ufficio.
 
Dopo aver chiesto informazioni girando da un reparto all’altro dell’ospedale, rimbalzando come una pallina da ping pong, finalmente era riuscito a mettersi in contatto con i genitori. Cesare e Maria, assieme a Claudia, erano seduti nella sala di attesa di fronte alle sale operatorie. La sua ex moglie, vedendolo arrivare, gli corse incontro, gettandoglisi al collo. Alex per un attimo si irrigidì, ma ricambiò l’abbraccio: probabilmente si sentiva come se l’incidente fosse successo al loro, proprio come lui, inerme ed incapace di mettere a fuoco cosa stava succedendo.
“Allora, che dicono ...” domandò, facendola sedere, strofinandole le mani gelate dallo shock.
“Lo stanno operando ma non so … dicono che ci sono diversi traumi” spiegò Claudia, tra le lacrime “ma io non … non ho capito … troppi paroloni”
Alex la strinse a sé, posandole un bacio sulla fronte. Tra di loro c’era stata troppa acredine, troppo risentimento e accuse reciproche. Ma in quel momento niente di tutto quello doveva più contare. Il bene di Edoardo aveva la precedenza su tutto il resto.
“Com’è successo?”
“È colpa mia … perché … perché oggi aveva tennis e io ho visto che pioveva ma gli ho detto di andare comunque in moto perché mi agito a guidare con la pioggia e il traffico e c’era Giulia da andare a prendere all’asilo e non ce la facevo anche con lui”
“Giulia? Dov’è Giulia” domandò Alex, agitato, rendendosi conto che l’orario di uscita dall’asilo era passato da un pezzo. Sua madre lo tranquillizzò: era con Anna, al salone dove lavorava. Alex annuì, i rapporti con sua sorella erano incrinati, ma non era quello il momento per fare polemiche.
“E non lo so se è colpa di quelle cuffiette di merda che tiene sempre addosso …glielo dico sempre che deve levarle …” riprese Claudia, singhiozzante “se si è distratto con qualcosa, se è stato per la pioggia, non lo so … però è colpa mia, perché potevo obbligarlo ad andare a piedi, o a prendere l’autobus, o potevo fare la madre e accompagnarlo …”
Claudia era un mare di lacrime. Qualche volta l’aveva accusata di occuparsi dei figli come se per lei fosse più un lavoro che un gesto naturale, in maniera asettica, ma non c’erano dubbi che anche lei li amasse profondamente e sentisse quanto lui il senso di responsabilità nei loro confronti. Anche Cesare, che era in perenne stato di guerra fredda nei confronti della sua ex nuora, provò per lei un moto di tenerezza e compassione, poggiandole una mano sulla spalla.
“Andrà tutto bene” le disse, rassicurante. Doveva per forza, non c’era altra alternativa ammissibile.
“Non è colpa tua” la rinfrancò l’ex marito “non abbiamo la sfera di cristallo … la routine ci fa dare tutto per scontato, pensiamo che tutto andrà come al solito. Per quanto ne sappiamo potrebbe essere colpa mia, magari…  le gomme erano lisce e non le ho fatte cambiare.”
Darsi colpe e battersi il petto in quel momento non serviva a niente, non avrebbe cambiato il corso degli eventi. Bisognava solo pregare che tutto andasse bene e si potesse imparare dagli errori fatti.
“I genitori di Edoardo Bonelli?” un uomo in casacca e pantalone verde uscì da una porta secondaria, di fianco all’entrata delle sale operatorie.  Alessandro e Claudia si avvicinarono, apprensivi. Maria rimase seduta, le mani giunte, Cesare, che dopo l'arrivo di suo figlio era rimasto in disparte tutto il tempo, restò in piedi vicino ad una finestra, ascoltandoli da lontano.
“Sono il dottor Porziella” l’uomo, con i capelli brizzolati ma il viso liscio, sembrava essere molto alla mano, non come quei professoroni tutti d’un pezzo che parlano per termini tecnici e danno per scontato che tu lì capisca e ti guardano con sufficienza se fai qualche domanda. “Il ragazzo ha subìto un trauma piuttosto 
violento che ha causato la frattura di diverse costole e ha coinvolto anche i polmoni. Voglio essere sincero: per adesso abbiamo risolto il pneumotorace al polmone sinistro” disse, spiegando di cosa si trattasse “ma bisogna tenere sotto controllo anche il polmone destro che è stato pizzicato tra due costole rotte, ed eventualmente valutare se sarà necessario operare di nuovo”
“Posso chiedere?” si azzardò Claudia.
“Ci mancherebbe signora”
“La testa? In Pronto Soccorso mi avevano detto che c’era un trauma cranico”
“Guardi, adesso il ragazzo sarà spostato in terapia sub-intensiva e sarà monitorato anche quello. Per ora non sembra preoccupare, ma è meglio se ne parlate con il medico che lo prenderà in carico lì.”
“Grazie mille” risposero gli ex coniugi all’unisono.
Mentre Claudia si metteva in contatto con i suoi genitori telefonicamente, Alex andò dai suoi per comunicare il responso del chirurgo.
“Oh sia lodato il cielo!” esclamò Maria. 
“Siano lodati i medici, c’erano loro in sala operatoria” rimbeccò Cesare cinicamente.
“Ora andate a casa, non serve a molto stare qui” li invitò Alessandro, abbracciandoli.
“Non vedo l’ora di stringere la mia pupetta” disse Maria “sarà di sicuro contenta quando le dirò che stasera dorme nel lettone con i nonni”
“No ma’, Claudia vuole restare con Edo stanotte e la bambina la tengo io”
“Ma tu non sai a che ora esci da qui e devi fare il giro di Roma per venire a prenderla, dai che sta bene con noi! Tu vai a casa e riposati”
“Anche voi dovete riposarvi, ci siamo tutti presi un bello spavento”
I suoi genitori ormai avevano una certa età e suo padre i suoi acciacchi, non voleva caricarli di altri impegni. Ma poi c'era anche un'altra questione: da
 sempre, quando aveva qualche problema, Giulia era il suo calmante naturale, con quel buon profumo dolce e anche un po' fruttato di camomilla che lo avvolgeva con la dolcezza dei suoi abbracci innocenti. 
“Voglio tenerla con me” ammise “ne ho proprio bisogno”
“Va beh, allora accompagno mamma a casa e porto la bambina da te” si offrì Cesare.
“No, tranquillo papà, sto pensando ad un’altra soluzione…”
Sua madre, allarmata, aveva intuito immediatamente la sua iniziativa “Non vorrai mica …”
“Giulia conosce Maya, vanno d’amore e d’accordo e sa quello che c’è da sapere. E questo è quanto” decretò, perentorio “adesso, per piacere, andate a casa”
 Quando aveva parlato a sua figlia di una persona speciale che ora faceva parte della sua vita non si era dilungato in troppi dettagli e sembrava che la piccola avesse preso la notizia abbastanza tranquillamente; quella gli sembrava una buona opportunità per aggiungere qualche tassello in più alla storia. Alex, che 
non era affatto dell’umore per sentire obiezioni da parte di nessuno, si congedò, raggiungendo Claudia per andare da Edoardo e parlare con gli altri medici che si stavano occupando di lui.


 



Ciao a tutti! Dopo una piccola pausa, eccomi di ritorno. Ahimé, è solo una toccata e fuga e non so se riuscirò a tornare a pubblicare o interagire con boi con regolarità, ma non mi dimentico certo di nessuno né di questa storia. Ecco perché, con un po' di sacrificio, oggi sto postando questo capitolo. Forse ci rimarrete male, ma ho deciso di saltare la conversazione di Alessandro con la bambina a pié pari, perché in fondo nei piani di Alex c'è un approccio centellinato e non una grande rivelazione.
Invece, come possiamo vedere, la vita tranquilla e abitudinaria della coppietta felice viene scossa da un evento piuttosto traumatico. Questo, per la coppia sarà un vero e proproio test, perché come possiamo vedere, certi equilibri si sono spostati bruscamente e le priorità di ognuno sono cambiate di punto in bianco. Staremo a vedere se saranno in grado superare questa prova. Il primo ostacolo, nel frattempo, sta aspettando Maya...
Alla prossima,

Fred ^_^

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***




Capitolo 9




Era stato strano per Maya ricevere quella telefonata di Alex, al di là dell’averlo sentito ancora comprensibilmente frastornato, ma ci stava: di tutte le richieste che poteva farle, andare a prendere Giulia da sua sorella era l’ultima che avrebbe immaginato. Era una situazione d’emergenza, lei lo sapeva e lui stesso lo aveva ammesso, ma era un incontro di cui avrebbe volentieri fatto a meno.
Prendi la bambina, saluti e vai via, si ripeteva per la strada, mentre cercava un parcheggio.
Entrò nel salone di cui Alex le aveva inviato la posizione. Era piccolo, semplice, due vetrine sotto un porticato, gli arredamenti sul bianco e il nero, con luci fredde e un finto parquet per terra. Il profumo dei prodotti professionali, senza essere troppo invadente, restituiva una sensazione di freschezza e pulito.
“Salve, posso fare qualcosa per lei?”
Una signora di mezza età, vestita di nero come tutto il resto del personale del salone, piccolina, si avvicinò alla consolle della cassa, dove Maya si era fermata ad aspettare. Non conosceva la sorella di Alessandro, ma si aspettava di trovare qualcuno che gli assomigliasse, anche solo vagamente: la donna, più vicina ai 60 che ai 50, di sicuro
 non poteva essere Anna. Da come la donna la stava guardandoo, pensò Maya, certamente si stava chiedendo cosa ci facesse nel suo anonimo negozietto di quartiere una ragazza che sembrava appena uscita da uno shooting di moda, con i capelli raccolti in una coda alta, perfetti nonostante la pioggia, e truccata con uno smokey da manuale.
“Salve, sono l’assistente di Alessandro Bonelli, mi ha mandato a prendere sua figlia Giulia”
“Ah sì certo, la bimba è nel retro con la zia. La chiamo subito!”

Una signora anziana, seduta in una delle poltrone, sotto al casco per fissare il colore, provò a fare conversazione sull’incidente di Edoardo, tanto per confermare che dal parrucchiere le notizie corrono più in fretta che su Twitter ma Maya non era certo in vena di pettegolezzi e dribblò con maestria le sue domande.
“Maya!” Giulia sbucò dal retro del negozio a braccia spalancate, correndo verso la ragazza.
“Ciao piccola!” Maya si inginocchiò per abbracciarla. Era da tantissimo che non la vedeva, e si rese conto che le era mancata; poi c’era una cosa che prima di allora non aveva mai notato: anche se era evidente che Giulia non indossasse lo stesso profumo del padre, c’era una nota di fondo che li accomunava, dolce e ambrata, come i bastoncini di incenso che sua madre bruciava durante le sue esposizioni di tessuti orientali.

“Maya, Dedo è caduto con la moto!”
“Lo so piccola, però adesso sta bene, lo sai?”
“Siiiì! Papà ci ha chiamato!”
Quando Maya parlava con la piccolina era tutto tremendamente semplice, e questo le piaceva da morire, al punto da dimenticare quasi che lì, in piedi davanti a loro, c’era Anna, la sorella di Alessandro.

“Devi essere Anna Bonelli, piacere Maya Alberici” le disse, tendendole la mano.
“Lo so” troncò la donna, fredda, le braccia strette attorno al trench di Giulia. A guardarla bene, era molto somigliante a Cesare e poco ad Alessandro che, ora ne aveva la conferma, doveva aver preso tutto dalla madre. Nonostante le forme un po' burrose e il broncio, davanti a sé Maya aveva una donna sulla quarantina che, tutto sommato, era bella e affascinante; i capelli erano rossicci come dovevano essere quelli del padre da giovane, le lentiggini non venivano di certo coperte dal leggero strato di fondotinta che indossava e poi, naturalmente, c'era il tratto distintivo di quella famiglia: gli occhi grigio verdi. Su di lei però, così seria, perdevano tutta la loro luce e il loro fascino.
“È solo per quello che è successo che non mi sono opposta, ma non pensare che io sia d’accordo con questa pagliacciata”
Le stava dando del tu, ma non era certo per essere in termini amichevoli.
“Non davanti alla bambina, per favore” la pregò Maya, deferente.
“E perché no? Dovrebbe sapere che razza di sfasciafamiglie è la sua
amica grande
Giulia era così orgogliosa di quel legame speciale che, Maya ci scommetteva, la presentava a chiunque come la sua amica grande, persino a sua zia. Con la coda dell’occhio, Maya notò un vassoietto di cioccolatini e caramelle sul bancone della reception: prese un gianduiotto e lo diede a Giulia.
“Piccola vai a sedere lì” le disse dolcemente, indicando le poltroncine della zona d’attesa “fai la brava mentre parlo con la zia ... Io non ho sfasciato niente” provò a giustificarsi Maya, ma Anna la interruppe.
“Hai pure il coraggio di presentarti qui come se niente fosse a prendere mia nipote” rimbeccò la donna “puoi giocare alla famigliola felice quanto vuoi con lui … gli uomini sono tutti uguali, con le ragazzine si sentono giovani e forti. Ma con me non attacca questa recita. Lo sanno tutti come si comportano quelle come te”
“Quelle come me chi esattamente?”
“C’è pure bisogno di dirlo? Una mantenuta, che sta con lui solo per soldi e posizione sociale. Ma non ti illudere … sei solo una seconda scelta”

Maya, senza darlo a vedere, si sentì ferita profondamente da quelle parole; se le avesse dato apertamente della puttana forse avrebbe fatto meno male. Perché, senza saperlo, Anna aveva battuto proprio su quel punto su cui Maya stessa aveva tanto insistito: non essere un rimpiazzo di Claudia.
“Non mi è mai interessato essere la prima” dichiarò Maya, candidamente, sussurrando a denti stretti per non farsi sentire dalla bambina e tentando di mostrarsi superiore, forte della sua altezza con cui torreggiava la donna, nonostante a fatica trattenesse le lacrime “l’importante è piuttosto essere l’ultima”
“Ma ci credi davvero?!” rise sarcastica Anna “Se è questa la strada che ha deciso di prendere mio fratello si stancherà presto … sei solo la prima di una lunga fila di seconde scelte”

Maya, senza aspettare oltre, le strappò dalle mani l’impermeabile di Giulia, aiutò la bambina a rivestirsi e corse via, talmente in fretta da dimenticare l’ombrello nel negozio e dovendo coprire la bimba con il cappuccio mentre andavano in auto; non aveva affatto voglia di tornare lì dentro. Ma in fondo, quella dimenticanza era stata provvidenziale: senza, non avrebbe potuto mascherare con la pioggia le lacrime che adesso non riusciva più a trattenere.
Mentre erano in auto, la piccola, seduta di fianco a lei con la cintura ben allacciata, domandò: “Maya perché zia Anna ti ha detto quelle cose?”
La bambina probabilmente non aveva capito molto di quello che era successo tra lei ed Anna, ma era abbastanza sensibile per cogliere le sfumature negative.
“Perché i grandi quando non capiscono qualcosa si arrabbiano e dicono le cattiverie”
“Tu però vuoi bene a papà, vero?” le domandò.
Alex le aveva raccontato della piccola chiacchierata che aveva fatto con la bambina, di come le aveva detto che le vacanze di Pasqua le aveva passate con un’amica speciale a cui voleva tanto bene e lei gli aveva chiesto, sconcertandolo, se fosse la sua fidanzata. Quella bimba, così perspicace, a questo punto doveva aver capito anche era di lei che suo padre parlava.
“Sì … tanto”
“E allora perché zia non capisce”
“Boh … a volte noi adulti siamo strani, sai?!”
Anche Maya si faceva la stessa domanda di quella bambina di 5 anni: loro stavano insieme, non facevano la guerra a nessuno, eppure sembrava che stessero rubando il pane agli affamati in fila alla Caritas o qualcosa del genere.
“Però mi fai una promessa, Puffetta? Non diciamo niente a papà di questa cosa … è già tanto preoccupato per Edoardo. Ok?”
“Ok” rispose la bambina, facendole tirare un sospiro di sollievo “però tu non piangere più”
“No piccola” le disse Maya, accarezzandole la guancia “non piango”.

Col tempo, sperava, avrebbe dimenticato quello che aveva visto e sentito e magari lei ed Alex avrebbero trovato un modo per far funzionare le cose se la loro relazione avesse preso una piega più solida. A quel pensiero le venne da sorridere: erano passati poco più di due mesi da quella serata speciale, quando piena di dubbi aveva deciso di fare quel passo nel buio, ed ora quei dubbi li vedeva solo come uno spettro lontano.

 

Erano da poco passate le 9 di sera e Maya se ne stava sul divano di casa di Alex, la tv accesa in sottofondo sui cartoni, guardando distrattamente video stupidi su TikTok. Accorgendosi all’improvviso del silenzio nella stanza – quella chiacchierona di Giulia di solito commentava ogni scena dei cartoni che vedeva – si accorse che la piccola, di fianco a lei, si era addormentata; l’immagine della bambina, con la testa appoggiata sul bracciolo del divano, un braccio penzoloni e il pollice ancora nella boccuccia leggermente discusa, la fece sorridere, scaldandole il cuore: era stata una giornata difficile per tutti.
Come meglio poteva, ma alquanto maldestramente, prese la piccola in braccio tentando di non svegliarla, per portarla in camera da letto. Mentre si destreggiava in questa operazione delicata, sentì la porta aprirsi; inconsciamente, si trovò a tirare un sospiro di sollievo: per quanto ripetesse a sé stessa che andava tutto bene, che quelle di Anna erano solo le parole di una stronza invidiosa marcia, sapere che Alex era tornato da lei la faceva stare di nuovo più tranquilla e sicura di sé.
“Ehi…” esclamò Alex, lasciandosi andare ad un flebile sorriso, mentre toglieva la giacca. Si vedeva che era stanchissimo e provato dagli eventi “già dorme?”
“Eh già … non me ne sono neanche accorta, è proprio crollata”
“Lascia a me” le disse, prendendo la piccola tra le braccia “ci penso io”

Alessandro portò Giulia in cameretta, provando a svestirla senza svegliarla, ma era chiaramente impossibile. “Papà” bisbigliò la bambina, lievemente, assonnata.
“Ciao amore mio!”
“Sei tornato!”
“Sì, ora mettiamo il pigiamino”
“No” obiettò la bambina “io voglio giocare con te!”

Ogni tentativo di protesta di Giulia in realtà si infrangeva contro la sua stessa volontà: la bambina, infatti, riusciva a malapena a collaborare con il padre. “Va bene” la assecondò Alessandro, mettendole il pigiama “facciamo che tu sei la principessa Aurora e io sono il principe. L’arcolaio stregato ti ha appena punto … finché non vengo a darti un bacio non puoi svegliarti”
“E quando … vieni a darmi un bacio papà?” domandò, finalmente sotto le coperte, lasciandosi andare ad un grosso sbadiglio.
“Presto, te lo prometto. Ma prima devo sconfiggere il drago”

Alex spense la luce, socchiudendo la porta per non darle fastidio.

“Hai fatto tardi…” gli domandò Maya, aspettandolo fuori dalla porta della cameretta.
Non era una novità, per Maya, vederlo occuparsi della bambina. Ma sentiva tutto cambiato, perché lei era cambiata, il suo ruolo era diverso: anche se la bambina tecnicamente non sapeva nulla, non era più un’estranea che li osservava in disparte, non era più di troppo. Era esattamente dove doveva e voleva essere e, anche se forse era troppo presto, la sua mente iniziò a vagare e a farle immaginare come poteva essere fare famiglia insieme. Sì, aveva davvero pensato a quella parola e non ne era affatto spaventata. La faceva sentire bene, al sicuro, lontana da quelle malelingue del pomeriggio. Alex si avvicinò, cogliendola di sorpresa e ridestandola dai suoi pensieri, prendendola per i fianchi e tirandola a sé, rimanendo per qualche secondo fronte a fronte. Inspirò profondamente quel caldo aroma orientale divenuto per lui, finalmente, profumo di casa. Le era mancata da morire.
“Dopo che abbiamo parlato con i medici ci hanno fatto entrare in terapia intensiva … poi ho avuto bisogno di prendere un po’ d’aria, ho fatto un giro in auto” raccontò, posandole una carezza leggera sulla guancia “scusa, avrei dovuto avvertirti …”
“Non ci pensare, è solo che pensavo saresti tornato prima e avevo preparato la cena anche per te”
“Hai cucinato?” chiese, mentre tornavano nella zona giorno.
“Mm mm” annuì, lo sguardo malandrino “la mia specialità: Big Mac per noi e Chicken Mc Nuggets per Giulia”
Alessandro rise, era bello poter lasciare fuori i problemi anche solo per un minuto ed ormai nemmeno lo stupiva più che quel sollievo fosse Maya ad offrirglielo. Tornò a stringerla a sé, ancora di più se possibile, passando le braccia attorno alle spalle e stampandole un bacio sulle tempie: aveva bisogno che il suo profumo gli si imprimesse addosso per togliere quel forte odore d’ospedale che sentiva addosso.
“Non è colpa mia se ormai faccio a malapena colazione qui e ho il frigo sempre vuoto”
“Non garantisco che l’hamburger del Mac sia ancora commestibile” lo avvisò, mortificata “ma forse una pasta aglio, olio e peperoncino riusciamo a metterla in tavola”
“Ti ringrazio, ma non credo di riuscire a buttare giù nemmeno un po’ di caffè”
“Neanche con la moka?” provò a tentarlo Maya.
“Negativo … sento ancora addosso la puzza di disinfettanti e medicine, fin dentro le narici”
“Dai, adesso me ne vado, ti meriti una lunga doccia in santa pace” gli disse, baciandolo velocemente e andando verso l’attaccapanni all’ingresso.
“La doccia me la faccio … ma tu rimani” replicò lui, persuasivo, trattenendola.
“Stai scherzando?” commentò lei, spaesata “c’è la bambina di là che dorme…”
“Ti ho chiesto solo di restare con me, mica di fare chissà cosa. Mi fai compagnia, parliamo un po’ … se proprio ci tieni posso dormire sul divano e a te lascio il letto. Anche se conoscendo Giulia credo che abbia già intuito qualcosa”
“Temo anche io … è una spugna! Quando parla mi fa paura”
“Perché? Che ha detto? … ah, non ti ho neanche chiesto come è andata con mia sorella …”
“Non è la nostra fan numero uno, proprio come avevi detto tu” Maya non voleva mentirgli, ma nemmeno voleva dargli un peso ulteriore “ma è andato tutto bene, magari non era la circostanza migliore per conoscersi. Oggi è stata una brutta giornata per tutti”

Alex annuì tornando a stringere Maya tra le sue braccia. In quel momento aveva solo voglia di far sparire quelle immagini che, come dei flash, gli tornavano davanti agli occhi: suo figlio in terapia intensiva, tra drenaggi e macchinari il cui bip sembra minacciare sempre al peggio.
Alla fine Maya aveva ceduto: pensava di aver visto il punto più fragile di Alex nei giorni del rientro dalle vacanze estive, quando Claudia era andata via e lui si era trovato a gestire i ragazzi da solo. Ma ora lo vedeva completamente annientato, fiaccato mentalmente ma anche fisicamente e se mesi addietro la rabbia e la delusione lo avevano fatto reagire, adesso non vedeva neanche quello spiraglio. Lui la voleva vicino, e non era così scontato e banale, significava tutto per lei: ergo lei doveva esserci, per lui e per loro stessi. Tutto il resto, le pippe mentali, le spiegazioni da dare, o le accuse dei benpensanti, passava in cavalleria.
“Allora...come sta?” domandò Maya ad Alex che, uscito dal bagno dopo una lunga doccia, controllava sul telefono un messaggio di Claudia che lo aggiornava della situazione. Non erano ancora riusciti a parlare di quello che era successo, Alex non riusciva ancora a mettere a fuoco completamente la situazione e lei aveva capito che bisognava dargli tempo e spazio. Le aveva detto che aveva avuto bisogno di fare un giro in auto dopo l’ospedale: Dio solo sapeva il caos che c’era in quella testa e l’idea che avesse dovuto affrontare tutto da solo faceva star male anche lei.
“Sotto osservazione, che non è male ma non è nemmeno bene” le spiegò, sedendole accanto sul divano.
Lei accavallò le gambe su quelle di lui, accarezzando delicatamente il suo viso provato come fosse un massaggio. Quel contatto, quel modo di fare così fisico, istintivo e naturale, era lenitivo per entrambi.
“C’è mancato tanto così Maya” le disse, mimando tra le dita lo spazio di un paio di centimetri, la voce tremante, lo sguardo perso nel vuoto della stanza, alla penombra della tv accesa sul solito talk politico che blaterava indistintamente a volume basso “tanto così e … non riesco nemmeno a dirlo”
“E allora non dirlo … perché prendersi la pena per qualcosa che non è successo? Ci vorrà tempo ma è giovane, si riprenderà in fretta. Vedrai…"
Voleva esserne sicura per entrambi, ma soprattutto per lui che aveva bisogno di qualcuno che in quel momento gli infondesse la forza e il coraggio che gli mancavano: e così era determinata a credere che in men che non si dica Alex sarebbe tornato di nuovo a borbottare perché Edorardo gli avrebbe risposto male, sarebbe tornato a protestare per la nuova relazione di suo padre o perché avrebbe di nuovo fatto sega a scuola e tutto quello sarebbe stato solo un brutto ricordo.
“Non è finita Maya … ho … ho paura…”

D’istinto, Maya lo attirò a sé, contro il suo petto, finendo allungati sul divano. Senza dire una parola restarono lì intrecciati tutta la notte, i respiri a cullarli finché, esausti, entrambi non si addormentarono.

Al mattino tutto era filato liscio. Maya aveva lasciato l’appartamento prima che la piccola potesse svegliarsi: entrambi avevano concluso che, con tutto quello che era successo il giorno prima (e Maya ci aggiungeva segretamente anche l’incontro con Anna), dover anche sedersi a tavolino con una bambina di quasi 6 anni per spiegarle chi era l’amica speciale di cui il padre le aveva accennato fosse veramente troppo. Portata la Giulia a scuola, Alex si diresse in ospedale prima di andare al lavoro e questa fu la sua routine per i dieci giorni successivi, alternandosi con Claudia di notte quando il ragazzo era ancora in terapia intensiva, finché i medici, finalmente, autorizzarono il ritorno a casa. Tutto era andato bene, alla fine, ma lo spavento era stato davvero grande. E il lungo percorso di riabilitazione, lenta e dolorosa, era appena iniziato: conoscendo il caratterino di Edoardo, per Alex si prospettavano settimane da incubo.

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***






Capitolo 10

 
La promessa tra Alessandro e Paolo di una serata tra amici non era rimasta campata per aria ma, detto fatto, qualche settimana prima dell’incidente di Edoardo i due uomini avevano messo in piedi una cenetta a quattro. Maya, all’inizio, si era dimostrata diffidente: essendo passato poco tempo da quando lei ed Alex avevano iniziato la loro relazione, non era ancora sicura di voler addentrarsi in nuove presentazioni. Una serata tra coppie, nel suo immaginario, era la cosa più conformista che ci potesse essere; a maggior ragione per loro che, per il momento, avevano tutta l’intenzione di non imbrigliarsi in formule o etichette preconfezionate.
Alla fine Alex l’aveva convinta, promettendole che, al primo segno di insofferenza, avrebbero levato le tende senza fare troppi complimenti. Ma non ce n’era stato bisogno: Paolo e sua moglie, Monica, erano due persone estremamente alla mano e, con grande stupore di Maya, avevano molto in comune e le due donne avevano impiegato poco a diventare amiche
, complice anche la stessa età.
Uscito Edoardo dall’ospedale, i due vicini di casa li avevano convinti a passare una serata insieme per festeggiare. Maya non se lo fece ripetere due volte, a causa dell’incidente e della spola di Alex tra lavoro ed ospedale si vedevano sempre troppo poco al di fuori dell'orario di lavoro. 
L'appartamento di Paolo e Monica non era molto grande e i mobili, moderni, erano di poche pretese; tuttavia era ordinato e ben tenuto e, grazie alle candele accese in punti strategici, l’atmosfera era comunque raccolta e accogliente. Maya si stupì di sé stessa: di come non storcesse più il naso di fronte a mensole in finto legno e bomboniere di dubbio gusto esposte nelle vetrinette o davanti alla cucina dalle tinte pastello che faceva molto stile Thun e non c'entrava molto con il resto della casa; ormai aveva imparato a vedere oltre, al contenuto e non al contenitore, alle persone e non a quello che avevano da offrire materialmente.
“Quella lì noi la conosciamo” disse Maya, puntando alla televisione lasciata accesa distrattamente nel salotto “era alla serata per i 10 anni di Roma Glam”. Era la nuova compagna di un produttore, quella che sembrava sua figlia, ed aveva appena annunciato l’arrivo di una bambina per la coppia.
“Ed io che pensavo che i nostri 12 anni di differenza fossero tanti …” commentò Monica, addentando un finger food del piccolo aperitivo che lei e il marito avevano allestito nel soggiorno di casa loro.
“Alla fine sono sempre gli altri però a notare la differenza d’età, per noi non significa nulla" 
considerò Paolo, seduto sul bracciolo della poltrona "come in tutte le coppie alla fine bisogna concentrarsi sulle cose in comune, non sulle differenze”.
Maya ascoltava le parole dell’amico con attenzione, convinta che non ci potesse essere consiglio migliore per loro di cui fare tesoro. Alex stava seduto accanto a lei, ma lo percepiva teso e a tratti distratto. Mentre i due coniugi andarono in cucina per qualche momento, Maya gli strinse la mano, accarezzandone il dorso con il pollice.
“Tutto ok?” domandò, con un sussurro. Alex annuì, ma si vedeva che era poco convinto. La sua testa era sempre ad Edoardo, anche se il peggio era passato.
“Ma insomma” Maya tentò di portare avanti la conversazione, quando i due amici tornarono con la sangria, e di ridestare Alex dal suo torpore “non ci avete raccontato come vi siete conosciuti…”
“Presto detto: siamo colleghi, proprio come voi” disse Paolo.
“Più o meno" lo corresse Monica "per un certo periodo Paolo è stato il mio allenatore … ma all’inizio ci detestavamo!” 
La donna iniziò ad animarsi nel raccontare di come erano iniziate le cose tra di loro
, oltre 10 anni prima, di tutta la fase dell’innamoramento e del corteggiamento.
“Beh avrei voluto vedere voi avere a che fare con il suo caratterino" si difese Paolo "è
 una che vuole sempre avere l’ultima parola.”
“Oooh conosco bene il genere” affermò Alex, accennando a Maya.
“Ehi!” la giovane, per tutta risposta gli tirò uno schiaffetto sul braccio “cosa vorresti insinuare?”
“Chi? Io? Assolutamente niente … è come dici tu: non sei tu a voler avere ragione a tutti i costi, sono gli altri ad avere sempre torto” ù“Ecco, bravo vedo che lo sai” confermò, soddisfatta, strizzando l’occhio ai presenti, in particolare a Monica che, d’accordo con Maya, si alzò per stringerle la mano.
“Potevi parlare in tante lingue Maya, eppure hai scelto quella della verità”
Maya tirò un sospiro di sollievo: quella piccola schermaglia, quel gioco di complicità tra amici, sembrò distrarre Alex dai suoi pensieri. Non voleva essere severa con lui, era giusto e normale che pensasse ad Edoardo, ma rischiava di fissarsi e farsene una malattia: il peggio era passato, non c’era bisogno di tenere la situazione sotto controllo h24.
 
Gli uomini, seduti a tavola, discutevano degli ammodernamenti che erano stati fatti nelle rispettive case d’infanzia, mentre le donne, nella piccola cucina lunga e stretta, preparavano il necessario per servire il dolce.
“Allora, come procedono le cose?”
“Diciamo che la fase luna di miele è finita in modo piuttosto traumatico” ammise Maya, passando all’amica i piattini per la cheesecake.
“Beh ma adesso è tutto passato … potrete tornare ai ritmi di prima … no?!”
“Lo spero di cuore” sospirò Maya, scuotendo la testa, con un filo di voce.
“Che c’è tesoro? È vero che ci conosciamo da molto ma se vuoi puoi sfogarti. Lo sai ci sono passata anche io in una storia quasi come la vostra … la differenza d’età … il lavorare tutto il giorno fianco a fianco …  per non parlare delle malelingue”
A Maya scappò una risata beffarda tenendo lo sguardo fisso e basso sul pavimento. Monica non immaginava nemmeno quando quelle parole le suonassero familiari.
“Tutto bene?”
“Posso chiederti come sono stati i primi tempi con Paolo?”
“Guarda … non è stato facile” ammise la giovane dai folti capelli ricci “all’inizio non avevamo detto niente a nessuno perché ero letteralmente terrorizzata che mi prendessero per una raccomandata o peggio che la società costringesse uno di noi a cambiare squadra”
Era strano ma anche confortante sentirla parlare, perché le loro storie erano molto più speculari di quanto si potesse pensare.
Le raccontò di come, alla fine, l’infortunio che aveva causato la fine per la sua carriera agonistica, era stato provvidenziale per loro come coppia. “Senza quella rottura forse saremmo rimasti nascosti ancora e alla lunga sono sicura che ci saremmo lasciati. Era una situazione snervante”
“E le vostre famiglie? Come hanno preso la vostra relazione?”
“Bene, se escludiamo mio padre che continuava a dare a Paolo del pervertito, ci ha messo un po’ per capire che caratterialmente è anche più giovane di me."
“Se non altro questo problema non ce l’ho … mia madre non sa ancora di me e di Alex ma più di una volta ha dimostrato di apprezzarlo, almeno sul piano fisico”
“Beh, vuoi mettere … perdonami Maya ma è proprio un figone!”
“Tuo marito non è da meno”
I due erano esattamente come ci si immagina due sportivi: anche se entrambi ormai erano passati dal campo alla panchina, sia Monica che Paolo erano slanciati e tonici, come chi fa della sala attrezzi parte della routine giornaliera.
“Ma perché mi chiedevi della famiglia? Qualcuno non è d’accordo?”
“Da dove comincio? Ah sì, se escludiamo per ovvi motivi l’ex moglie che mi accusa di essere una sfasciafamiglie, il figlio geloso, la madre indecifrabile, la sorella che me ne ha dette di tutti i colori … direi che ho ricevuto un gran bel benvenuto” E pensò che doveva anche ringraziare il cielo se grazie a qualche miracolo il padre di Alessandro e Giulia l’avevano presa in simpatia.
“Non farti influenzare da loro, vai per la tua strada”
“Lo vorrei tanto”
“Ma…”
“Ma ultimamente ho troppo tempo per stare sola … non c’è mai” disse, guardando dalla porta del cucinino verso il salotto, dove Alex era sorridente e finalmente disteso mentre scherzava con Paolo “e finisco per pensare che quello che mi detto sua sorella sia vero”
“Lo sai che è un periodo un po’ così, passerà … magari parlane con Alex”
“Assolutamente no!” la interruppe immediatamente Maya, inorridita al solo pensiero di affrontare con Alex quel discorso.
“Perché? Non pensi che voglia sapere se qualcuno ti offende”
“Non voglio dargli un altro dispiacere … e poi lo conosco, le darebbe addosso per difendermi e sarebbe come darle ragione”
L’ultima cosa che Maya voleva era fornire un motivo a sua cognata per provare di essere nel giusto. Lei era convinta di non avere bisogno di protettori, poteva e doveva cavarsela da sola.
 
“Si può?”
Maya bussò alla porta dell’ufficio di Alex. Negli ultimi mesi queste formalità tra loro erano praticamente state abolite, ad esclusione di quando c’erano estranei come quella mattina, con Stefano seduto alla scrivania. L’uomo girandosi squadrò Maya con aria inquisitoria: forse quel si può suonava troppo informale anche in un ufficio come il loro dove nessuno degli impiegati si dava del lei.
“Vieni pure, Maya” Alex, invece, riusciva sempre a mantenere un contegno impeccabile ed era incredibile come ci riuscisse ad essere così freddo e distaccato. La cosa la intrigava ma la spaventava al tempo stesso perché, se nelle prime settimane le sembrava divertente, ora a volte si trovava a chiedersi se quel distacco non fosse solo finzione. Però poi chiudeva la porta dell’ufficio quando erano soli, lo vedeva letteralmente accendere l’interruttore, e le passava ogni angustia.
“Ascolta … c’è un problema con la conferenza che stavamo organizzando”
“Dimmi tutto” disse, pronta ad affrontare qualsiasi fosse il problema che puntualmente Stefano aveva l’incredibile capacità di porre.
“Dobbiamo fare un rescheduling”
“Cosa?”
“Non parli inglese Maya?” domandò il vicedirettore, sarcastico, senza nemmeno voltarsi per rivolgerle lo sguardo.
“Certo che sì, solo che non mi aspettavo dovessimo riprogrammare l’evento” rispose, dimostrando di aver capito.
“È saltato fuori che dobbiamo andare a Parigi la settimana in cui avevamo in programma il meeting e la data della riunione non è negoziabile purtroppo”
Maya capì solo tre parole: Parigi e dobbiamo andare. Tutto il resto era un ronzio di poco conto. Sarebbe andata a Parigi insieme ad Alex! Dopo quelle settimane passate per forza di cose più lontani del solito, un soggiorno nella ville lumière era proprio quello che ci voleva per ritrovare un po’ di intimità e tranquillità, poco importava che fosse un viaggio di lavoro. Il suo cervello non riusciva a processare la notizia, ma dovette imporsi di rimanere composta e concentrata.
“Ma avevamo anche pagato la caparra della location!” esclamò, tornando all’argomento della conversazione.
“Stiamo solo spostando la data, Maya, non possono chiederci la penale …” le fece notare il vicedirettore.
“Non stare a sentire Stefano, Maya, se vogliono trattenere la caparra è giusto, li stiamo avvisando con poco anticipo … comunque direi di rimandare tutto a dopo l’estate. Non è il caso di fare conferenze a Roma da giugno in poi …”
“Vedo cosa posso fare e inizio ad organizzare per Parigi”
“Ecco brava” decretò Stefano con sufficienza, alzandosi e andandosene.
Maya lo seguì con lo sguardo, finché non girò l’angolo e sparì dalla vista e dall’udito.
“Allora, stanze comunicanti al Ritz?” domandò Maya sarcastica, ma non troppo: l’idea di dover fare un viaggio di lavoro nella città più romantica d’Europa le stuzzicava in testa mille stratagemmi per poter restare da soli a fine giornata pur senza dare nell’occhio.
“Come?”
“Scherzo … lo so che con il budget del giornale non possiamo permetterci il Ritz, ma ci saranno alberghi alla nostra portata che possono garantirci intimità con … discrezione, diciamo così …”
“Ah no, amore mio, tu non vieni, mi dispiace”
“Ah no?”
“No … saranno conferenze noiosissime sull’editoria e il marketing, robe soporifere anche per me e vengono Stefano e Nardi, non ho bisogno di nessuno che mi assista”
“A volte mi domando che ce l’hai a fare un’assistente se non la fai viaggiare mai come si vede nei film …” bofonchiò la giovane.
In 5 anni che lavorava con lui era grasso che colava se l’aveva portata con sé un paio di volte, di cui una a Stoccolma in pieno inverno, quando non si poteva mettere il naso fuori dall’albergo per il freddo. Ma ora le cose erano ben diverse, sarebbe stata ben contenta di un viaggio di lavoro in cui rimanere chiusi in stanza tutto il tempo.
“Non siamo nel Diavolo Veste Prada, Maya” puntualizzò lui, pizzicandole fugacemente il naso “e comunque non dobbiamo bruciarci Parigi con un soggiorno lavorativo. Ti prometto che al Ritz ti ci porto davvero e non in camere comunicanti per salvare le apparenze…”
La faceva incazzare doppiamente: che mettesse il lavoro prima di lei e che, allo stesso tempo, riuscisse però anche a risollevarle il morale chiamandola amore mio come se niente fosse, come se fosse la cosa più naturale del mondo e promettendole la luna. Ma a lei quella luna iniziava a starle larga, poteva bastarle anche molto meno, anche solo una gita ad Ariccia la domenica mattina, abbracciati in moto, un panino e una birra. Certo le location esclusive rendevano tutto speciale e memorabile, ma per Maya, in quel momento, era ancora più bello e importante semplicemente viversi.



Carissimi, dopo una pausa lunga una vita, eccomi finalmente di ritorno. Sì lo so sono imperdonabile, ma credetemi ho avuto le mie buone ragioni. Purtroppo sono caduta anche io vittima di questa maledetta pandemia e anche se non in maniera molto grave è stata tosta e lunga da uscirne. Non vi tedierò con questioni personali ulteriorimente. Spero di poter tornare ad essere più costante in futuro ma non prometto nulla.
A presto, 
Fred ^_^

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***





 
 
Capitolo 11




“Allora, come è andata?”
Claudia, alla porta, accolse Edoardo ed Alessandro.
Per praticità, a seguito dell’incidente, aveva sospeso i week end a casa del padre ma, di fatto, si vedevano tutti i giorni. L’uomo aiutava il figlio con la doccia e altre operazioni che, per ragioni d’età, il ragazzo aveva pudore a fare con la madre e, a giorni alterni, approfittando degli appuntamenti nel tardo pomeriggio, dopo il lavoro, lo portava a fare fisioterapia. Ogni giorno che passava, nonostante il dolore fosse ancora forte, e il bustino limitasse molto i suoi movimenti, i miglioramenti erano evidenti. Alex si godeva più che poteva quei momenti che gli stavano donando una nuova complicità con suo figlio, consapevole che presto, complice la guarigione totale, sarebbe tornato ad essere l’adolescente burbero e sfuggevole di sempre.
“Molto bene” decretò Alex soddisfatto “la fisioterapista dice che ormai gli esercizi respiratori può farli a casa da solo, con lei continuerà solo magnetoterapia e posturale”
“Non la voglio fare più la magnetoterapia” lamentò il ragazzo, mentre la madre lo aiutava a levare la giacca “mi sempre fa male quando finisco”
“Ma hai visto anche che il giorno dopo sei fresco come una rosa” gli ricordò il padre mentre Giulia, braccandolo alle gambe, lo obbligava a prenderla in braccio “e non hai più bisogno degli antidolorifici al bisogno. Dagli tempo … ti ricordo che ti sei sfracellato con quel motorino!!!”
“Papà ha ragione, le costole impiegano tempo a risaldarsi … pensa come stavi e guardati ora, anche i lividi stanno sparendo”
I due ex coniugi si scambiarono un cenno d’intesa. Alex era contento di aver raggiunto quella tregua con Claudia; anche se il prezzo lo aveva dovuto pagare, carissimo, il povero Edoardo, quello era, nel suo immaginario, il modo in cui vedeva i rapporti con la donna dopo la separazione: rispettosi e leali, riuscendo a mettere al primo posto le esigenze dei ragazzi prima delle proprie. Aveva sempre creduto che, anche se qualcosa si era rotto, comunque si poteva trovare un nuovo modo di essere famiglia, perché comunque ci si era voluti bene in passato e si era condiviso tanto. Ci riuscivano gli altri, perché non potevano farlo anche loro?!
“Giulietta, adesso scendi che devo aiutare Dedo a fare la doccia”
“Ma lui è grande!”
Nonostante le avessero spiegato la situazione, Giulia faticava a capire il senso di quella novità.
“Poi aiuti anche me allora?” gli domandò con gli stessi occhioni del gatto con gli stivali di Shrek.
“Ma certo piccolina!”
Sistemati i ragazzi al piano di sopra, Alessandro scese nella zona giorno.
“Mmmm che profumino!” esclamò entrando nella cucina, sciogliendo le maniche della camicia che aveva arrotolato per fare il bagnetto a Giulia. Claudia era ai fornelli; da tanto non gli capitava di vederla all’opera, forse addirittura da prima dell’estate.
“Polpette al sugo”
“Serio?” domandò, stupito.
Alex non metteva in dubbio che fosse una buona cuoca, ma si contavano sulle dita di una mano le occasioni in cui aveva fatto le polpette di carne durante gli anni del loro matrimonio: non era mai stata una cosa ufficiale, ma aveva sempre sospettato fosse vegana o qualcosa di simile.
“Piacciono a Edo … bisogna farlo stare su di morale”
“Aaaah … mi pareva strano…”
“E con questo che vuoi dire?” domandò, piccata ma sorridente.
“Niente, niente” scherzò lui, ma lo sapevano benissimo tutti e due che Edoardo era il reuccio di Claudia, tanto quanto per Alessandro Giulia era la sua principessina “va beh, si è fatta una certa, è meglio che vada…”
“Vai da lei?” domandò Claudia.
“Claudia…”
“Tranquillo, ho capito e … come si dice … sono andata avanti, come hai fatto tu” spiegò, gentile “è giusto che passi del tempo anche con lei se ti rende felice”
“Sì” confessò lui “mi rende molto felice. E spero che possa succedere anche a te Claudia, veramente”
Lei gli sorrise, stringendo la mano che Alex aveva poggiato sul piano della cucina.
“Perché non rimani a cena? Sono sicura che … ehm …”
“Maya”
“ecco…Maya non avrà nulla in contrario se ceni con i ragazzi. Specialmente adesso che abbiamo sospeso i weekend alternati”
No, di sicuro Maya non avrebbe avuto nulla in contrario. E questa era la cosa che amava di lei: aveva compreso perfettamente la sua situazione e lo appoggiava sempre, non facendo mai storie. E ora che anche Claudia sembrava aver deposto l’ascia di guerra poteva sperare di convincere anche Edoardo ad accettare quella storia che, ogni giorno, per lui stava diventando sempre più importante.
 
Cesare uscì goffamente dal piccolo spazio tra il mobile del lavandino e il bidet, il viso rosso come un pomodoro per lo sforzo.
“Ecco fatto, adesso vedrai che non perderà più!”
Il bidet aveva avuto la bellissima idea di trasformarsi nelle cascate del Niagara di domenica mattina, inspiegabilmente senza che lei se ne accorgesse, con l’acqua arrivata fino al corridoio … ok che era giorno di pulizie profonde, ma avrebbe preferito che i suoi sanitari non la prendessero tanto alla lettera.
“Grazie mille, mi dispiace averti fatto fare questa sfacchinata”
“Ma che scherzi, cocca?!” le disse, pizzicandole la guancia “che ci sta a fare Cesare tuo se non per queste emergenze”
Quel semplice vezzeggiativo, cocca, la prese completamente alla sprovvista. Avevano fatto le presentazioni da poco, si erano visti una volta sola, ma lui la trattava come si conoscessero da una vita, nondimeno la metteva a suo agio, facendola sentire parte di qualcosa di speciale. E non era un caso: quella parola la riportava indietro ai pomeriggi di tanti anni prima quando, di ritorno dal lavoro, suo padre le riservava il suo ciao piccolè.
“Ma non devi affaticarti troppo…lo so che non sei stato tanto bene”
Cesare scacciò con un gesto plateale quel ricordo, convincendola che erano passati ormai tre anni dall’infarto e lui stava sempre attento.
“Come posso sdebitarmi?” domandò, passandogli un asciugamano pulito.
“In natura…” ammiccò l’uomo.
“Come?” Per un attimo il respiro di Maya si bloccò in gola.
“Di là ho visto dei biscotti fatti in casa o sbaglio?”
Maya scoppiò a ridere, tirando un sospiro di sollievo. Come aveva potuto pensare che facesse sul serio...
“Meno male che stai attento, eh!” lo provocò, lasciandolo solo in bagno a darsi una rinfrescata.
Gli preparò un caffè lungo decaffeinato e un vassoietto di frollini, che Cesare come un bambino pucciò nella tazzina senza troppi complimenti.
“Cocca, ma sono buonissimi!”
“Ecco se potessi dirlo alla Betti la prossima volta che la vedi mi fai un favore”
“Che c’entra la signora Rossi?”
“Divergenze…culinarie” spiegò “lei sostiene che non si possa fare la frolla senza burro … ma per me si sbaglia”
“Va beh … tu magari non la chiamare frolla” ammiccò, addentando l’ennesimo biscottino, che gli ricordava tanto quelli che una volta si compravano nelle scatole di latta.
“Magari se finalmente vi deciderete a venire a casa con Alex ne porti un vassoietto …”
“Cosa?”
“Beh…prima o poi dovrà conoscerti anche il resto della ciurma, no?”
Maya, annuì, educatamente, ma con quello che era successo con Anna, andare in visita a casa Bonelli era proprio l’ultima cosa che voleva fare.
“A proposito, dov’è mio figlio?” Cesare non si aspettava che il figlio lo aiutasse: con i motori era sempre stato più abile che con le tubature, ma trovarlo in casa sarebbe stato il minimo visto che lo aveva chiamato lui.
“Da Edoardo …”
Maya tuttavia non gli avrebbe detto che non lo sapeva con certezza, in realtà. Lo sospettava, più che altro, perché era sempre lì con il pensiero, e perché se per un motivo o per un altro le dava buca, era sempre perché era stato invitato a restare a pranzo o a cena. Perché da un paio giorni, o forse qualcuno in più, i suoi risvegli erano tutti uguali: un letto vuoto, un cuscino schiacciato che profumava di Alex e un post it con scritto ti amo poggiato sul comodino di fianco alla sua rosa.
Cesare non disse nulla, limitandosi ad annuire, la bocca serrata, e a finire la sua tazza di caffè. Era la prima volta che, davanti a lei, Cesare era senza parole. Maya si ricordò dei racconti di Alex su quei grandi silenzi che ti lasciavano sulle spine: anche lei, in quel momento, rimase in silenzio, spiazzata, ad immaginare cosa stesse succedendo in quella testa.


 

Salve a tutti! Lo so vi starete chiedendo che fine avessi fatto...ebbene, virus (ho preso il covid e il mio computer si è infettato), mi hanno hackerato i social e nel frattempo ho dovuto anche preparare un concorso (passato per fortuna) e quindi per un po', oltre quella che era la mia volontà, ho dovuto mettere in standy la mia attività qui su EFP. Ma I'M BACK B*TCHES XD
Le cose tra Maya e Alex vanno a due velocità, lui innamoratissimo e convinto di essere in una relazione sana e stabile, lei piena di dubbi ed incertezze lo vede sempre più assente. Non proprio una situazione idilliaca. In più questa intesa ritrovata con Claudia non promette nulla di buono...speriamo bene.
Alla prossima settimana con un nuovo aggiornamento (spero di ritrovarvi presto nei commenti, anche qualche lettore nuovo che in questo periodo magari ha recuperato la storia, fatevi avanti, non siate timid*!!!)
Un saluto
Fred ^_^

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***





 
 
Capitolo 12



 
Ore 6.50. Quello era l’orario che le lancette fluorescenti dell’orologio sul comodino segnavano. La giornata era iniziata prima che la sveglia potesse decretarne il via con il suo tintinnio. Maya strabuzzò gli occhi, tentando di mettere a fuoco quello che c’era intorno a lei nella stanza, che non era troppo diverso da quello che vedeva di norma; la stanza in penombra e un po’ vuoto e freddo al suo fianco.
Si tirò su, seduta sul letto, senza troppo entusiasmo, per prendere il solito biglietto, che ormai la lasciava del tutto indifferente, poggiato sul comodino, accartocciarlo e buttarlo nella differenziata. Ma il biglietto non c’era.
Poi, poco alla volta, i suoi sensi captarono l’aroma di frutta secca e cacao amaro del caffè che, lentamente, arrivava dalla cucina. Era Alex. Era rimasto a fare colazione e aveva addirittura preparato il caffè con la moka che le aveva regalato.
Maya si catapultò letteralmente fuori dal letto, come a volersi accertare che fosse tutto vero e trattenere quell’evento ormai diventato più unico che raro.
“Buongiorno!”
“Buongiorno!”
Alex stava versando il caffè nelle tazzine, vestito già di tutto punto mentre lei era ancora in camicia da notte. Maya sperava fosse solo una questione di praticità, che non l’avrebbe mollata lì con un caffè pronto lasciato a freddarsi se non si fosse svegliata prima del solito. Le sorrideva, tranquillo; forse doveva smetterla con quei pensieri, la facevano sembrare paranoica.
“Che guardi?” domandò Alex, vedendo Maya scostare una delle tende e scrutare fuori.
“È da un po’ che non ti vedo girare per casa la mattina…mi chiedevo se per caso avessi fatto piovere o provocato qualche altra calamità naturale... di solito prendi e te ne vai come nulla fosse”
Alex ridacchiò “Ci siamo svegliate polemiche stamattina?”
“Polemica?! Non saprei …” contestò, dubbiosa, sedendo allo sgabello dell’isola, avendo cura di accavallare le gambe: sapeva che lo faceva svalvolare. E infatti eccolo: in men che non si dica era seduto al suo fianco, girando il caffè nella tazzina, ma prestando molta più attenzione alle sue gambe nude, che accarezzava con l’altra mano.
È solo che non mi ricordo più com’è fare colazione insieme” chiarì.
“Hai ragione, scusa. Ma lo sai perché …”
“Sì certo. E infatti non è quello il problema. Ma avrei preferito che mi svegliassi per un bacio, anziché essere lasciata così…”
La faceva sentire come un’amante a chiamata, che si incontra quando si può e si lascia senza troppi convenevoli. Come faceva lei con Federico Ultima Spiaggia, e con tutti quelli con cui aveva trascorso solo una notte, solo che allora aveva la situazione sotto controllo e andava bene a tutti e due. Ora no.
“Potevi dirmelo”
Non dovrei “Avevi altro per la testa …”
“Ti prometto che mi farò perdonare, anche perché Edoardo ieri mi ha sollevato da ogni incarico” spiegò “ci ha tenuto a ricordarmi poco educatamente che non ha più 4 anni e non ha bisogno del papà per lavarsi”
“Te l’avevo detto io che sarebbe finita così, che dovevi stare tranquillo…”
Pensava anche, ma non glielo aveva detto, che quel trattarlo come un bambino dell’asilo per compensare le sue assenze degli anni precedenti non avrebbe portato a nulla di buono, e la sua opinione si era dimostrata sibillina. Inoltre la faceva rosicare un botto, ma anche quello lo nascondeva dietro un sorriso di cortesia tiratissimo, che Alex fosse tornato da lei solo ed esclusivamente quando suo figlio non aveva avuto più bisogno: in sintesi, non perché volesse, ma perché non aveva nient’altro da fare.
“Mi ricordi a che ora ho il volo domani?”
“8.50”
“Grandioso” protestò “mi toccherà fare una levataccia per evitare il traffico e arrivare in orario in aeroporto”
“Lo so, ma è l’unico modo per arrivare in tempo per il pranzo di lavoro con quelli di Paris Capitale e non dover fare un pernottamento in più” gli ricordò.
“Sei sempre così previdente …” disse lui, sporgendosi in avanti per baciarla. Alex non sapeva come avrebbe fatto senza di lei e non solo per il lavoro; era riuscita a dargli un equilibrio interiore che forse da solo non sarebbe mai riuscito ad ottenere. Ma quel commento fece storcere il naso a Maya: si sentiva apprezzata, ma come una segretaria più che come una compagna. “Vorrà dire che mi prendo la giornata libera per fare le valigie se non c’è niente di importante”
“Fai pure … così magari stasera la possiamo passare insieme. Cucino io”
“Cucini tu?” domandò, fintamente perplesso.
“Perché mi guardi così? Sì cucino …” Maya preferì sorvolare sul fatto che aveva mandato giù i suoi biscotti senza un commento, come fossero veramente dei frollini industriali dentro le scatole di latta “non brucio niente e non nascondo gli involucri dell’asporto, a dispetto delle accuse infamanti di Lavinia. E lo sai.”
“Ma certo che lo so, e mi sembra una proposta allettante”
“Anche perché qui qualcuno deve farsi perdonare che mi lascia per ben cinque giorni da sola”
“Mi sei più utile qui che a Parigi. Lascio letteralmente la redazione nelle tue mani …”
Utile, lei gli era utile. Maya si alzò per abbracciarlo, sorridendogli. Ma dentro tornava a montarle un senso di insicurezza ed insoddisfazione, di giorno in giorno sempre più grande. Prima era stato solo un bisbiglio, come un pettegolezzo sentito da qualcuno in lontananza, ora era più simile ad un avviso fatto dentro un megafono, un assillo da cui non si sfugge. Sperava che, tornando ad averlo con sé quotidianamente, il dubbio che si era insinuato potesse andare via da solo così come era arrivato.
 
In piedi, Maya inforchettava la pasta bruscamente, quasi aggredendo le povere penne malcapitate nel piatto. Lo stomaco si era chiuso, la pasta era scotta e fredda, ma doveva sfogare l’irritazione per quel ritardo non annunciato o scusato da parte di Alessandro. Era fame nervosa, e infatti quasi le veniva da vomitare ad ogni boccone che mandava giù. Non si sarebbero visti per cinque giorni e le stava dando buca proprio quella sera. Ovviamente.
Il telefono, con la canzone su cui avevano ballato in spiaggia, richiamò la sua attenzione. Con calma posò il piatto e prese un grande respiro, scendendo dai tacchi a spillo che si era ostinata ad indossare fino a quel momento. In nessun modo gli avrebbe dato l’impressione che lo stava aspettando, o che si era messa in ghingheri per lui.
“Alex …”
“Amore” sospirò l’uomo dall’altro capo del telefono.
Maya capì subito che qualsiasi cosa stava per dirle non prometteva nulla di buono. Vedeva la sagoma di un palo avvicinarsi irrimediabilmente contro di lei e non c'era nulla che potesse fare per schivarlo. E poi quell’amore… non riusciva più a sentire le farfalle nello stomaco quando la chiamava così. Era speciale prima, ora semplicemente abitudinario. Lei non ci era mai riuscita ma non importava, sapevano entrambi che nei suoi gesti c’era tutto quello che le parole faticavano ad esprimere. Ora Maya si domandava se per caso quella discrepanza tra loro non fosse provvidenziale o peggio premonitrice.
“Non riesco a venire da te stasera, scusami … proprio non ce la faccio”
“Ma come? Che è successo?
” domandò cercando di restare il più distaccata possibile Non fa niente che non passi per la cena, ormai è tardi e nemmeno ho fame. Ma vieni almeno a dormire qua … o anche solo un’oretta, come ti è più comodo, per salutarci”
“Guarda, con quella presentazione che dovrò fare alla conferenza sono di nuovo in alto mare. Nardi e Stefano hanno voluto rivedere tutto e devo ancora passare dai ragazzi”
“Ma pensavo che …”
“Cosa?”
“No … niente …”
Maya pensava che, con la guarigione di Edoardo che procedeva sempre più spedita, e con il ragazzo che, finalmente, non aveva più bisogno di suo padre, Alex e i suoi figli sarebbero tornati ai loro soliti incontri stabiliti. Era nera, la bile le montava su lasciandole una sensazione terribile di amaro in bocca e vuoto nello stomaco.
“Ora che Claudia mi dà il permesso di vederli tutti i giorni voglio approfittarne, prima che ci ripensi” sogghignò lui.
Magari fatti dare pure il permesso per passare la notte con me…
D’improvviso una vampata di calore risalì dai polmoni fino al collo, costringendola a slacciare la zip del vestito che aveva addosso, asfissiante come fosse stato di lana. Sembrava che qualcuno avesse alzato il riscaldamento di punto in bianco.
“Non c’è problema” replicò, decisa, il tono caustico di chi ributta dentro per giorni e non ne può più “però mi fai un favore: non scomodarti a venire qui quando torni perché io non sarò certo qui ad aspettarti”
“Dai Maya … non incominciamo …”
“No, no, io non comincio niente. Io la finisco proprio qui”
Maya non gli diede neanche il tempo per provare a ribattere. Chiuse il telefono senza pensarci due volte, gli occhi chiusi e totalmente in apnea, lanciandolo a caso per la stanza. Lo sentì fare un paio di tonfi sordi e netti sul pavimento, ma poco le importava sapere se la cover lo avesse protetto o meno. In quel momento era solo concentrata a non urlare o impazzire per un uomo, non ne valeva affatto la pena. Se ne andò in camera da letto e, neanche lei sapeva perché, chiuse la porta a chiave: tolse il tubino quasi lanciandolo sul paravento di fronte alla finestra e si sedette alla toletta per struccarsi. Solo una volta di fronte allo specchio, in slip e reggiseno, si rese conto che il trucco era sbavato dagli occhi, rigandole le guance di nero.
 
Alex entrò nell'appartamento in silenzio, volto scuro e preoccupato. Dal soggiorno arrivava la luce calda di una lampada da terra accesa, ma non c’era nessuno. Un paio di scarpe con il tacco erano state lasciate alla rinfusa in un angolo della cucina, lo smartphone a terra di fianco alla sedia del tavolo da pranzo.
“Maya?!” chiamò. Uno scroscio d’acqua, però, veniva dal bagno.
"Un attimo e arrivo, eh...ho quasi finito" barbugliò Maya, chiaramente in procinto di lavare i denti.
"Eccomi qua” Maya entrò nello stanzone, scalza, con il suo camicione da notte di cotone che, per via delle sue gambe lunghe, era più una maximaglia.
“Perché quella faccia?” domandò con una punta di strafottenza, trovandolo affranto “non sarà mica per prima? Mi dispiace, ho cercato di trattenermi ma…lo sai com'è, è stata una cosa improvvisa, a te succede così spesso…"
Quelle parole sprezzanti, pronunciate facendo il verso alle telefonate che le faceva per darle buca, lo ferirono.
"Hai finito?" domandò Alex, troncando la sceneggiata sopra le righe di Maya mentre toglieva la giacca, poggiandola su una sedia "Hai deciso proprio di farmi incazzare prima di partire?"
"No, povero Alessandro, e chi sono io per farlo arrabbiare prima di un viaggio così estenuante in business class, con champagne e sedili massaggianti…"
Maya continuava il suo giochetto provocatorio, indietreggiando verso la cassettiera del soggiorno, mentre Alex le si avvicinava, così tanto che iniziava a sentire il suo odore arrampicarsi addosso a lei e annebbiarle la vista, come sempre. Ma stavolta avrebbe resistito, anche a quella mano che, dal nulla, iniziò ad accarezzarle il petto risalendo sul collo per poi intrecciarsi nei suoi capelli. Lui di sicuro sentiva il suo battito accelerare, ma doveva rimanere forte.
"Non farlo mai più" le disse, ma quella frase non aveva il tono di una preghiera. Maya odiava quel tono imponente … in realtà lo amava, la faceva andare fuori di testa … odiava solo che conoscesse benissimo il momento adatto per usarlo e il potere che aveva su di lei.
"Dipende…"
"Va bene. Ho capito." Alex fece per baciarla, braccandola allo scrittoio vintage che avevano letteralmente scovato a Porta Portese, ma Maya si divincolò, lesta.
"Cosa hai capito?"
"Che vuoi di più. È comprensibile."
Maya rise, nervosamente "Tu hai capito questo? Cioè secondo te io starei avendo una crisi da … da mantenuta…?!"
Non sapeva se quello che stava dicendo aveva un senso, ma era così che la stava facendo sentire: una mantenuta. Proprio come aveva detto sua sorella Anna. E poco importava che non le lasciasse alcun assegno mensile.
"No, mio caro. A me va bene tutto. Conoscevo la tua situazione quando ci siamo messi insieme e l'ho accettata. Solo che non mi va di essere presa per il culo”
“E quando lo avrei fatto? Sentiamo …”
“Ogni santa volta che prometti anche la cosa più stupida e poi mi fai sentire il ripiego per quando hai 5 minuti liberi."
"Che stai dicendo? Non sei e non sarai mai un ripiego per me … io sto bene solo quando sto con te."
"Eh … ma guarda caso prima di stare insieme eri sempre disponibile, adesso invece i tuoi mi dispiace non ce la faccio si sprecano"
Alex fece spallucce "Non posso farci niente Maya, è la mia vita. E non mi sembra ci sia niente di diverso da quello che facevo prima"
"Anzi...ti dirò di più" rincarò lei la dose "Com'è che non potevi venire, ma ti sei fiondato qui dopo che abbiamo parlato al telefono?"
"Cosa avrei dovuto fare sentiamo? Non mi hai dato scelta con quello che hai detto" Arrancava: era chiaro che la giovane aveva colpito proprio nel segno. Maya lo percepiva e, dentro, ribolliva. "Con la mia famiglia non è facile, lo sai. E su questo non ti ho mai mentito" continuò lui, ora più sicuro di sé, convinto di essere nel giusto "io e Claudia abbiamo dei figli insieme e qualsiasi cosa siamo adesso dobbiamo farla funzionare insieme … Giulia è piccola ed Edoardo sta uscendo adesso da un brutto periodo, non dovrei nemmeno dirtelo … devo stargli vicino. Non puoi chiedermi di imporgli la tua presenza da un giorno all’altro."
"A parte il fatto che Edoardo sa di noi praticamente da subito e Giulia sarà piccola ma non è scema … ma io ti ho mai chiesto questo? Con rispetto parlando … di come gestisci la tua famiglia non me ne frega un cazzo. Ma anche io ho la mia vita! E sai come la passo? Ad aspettare che mi chiami per dirmi se puoi o se non puoi venire. E sai che c’è? Io non posso e non voglio essere a tua disposizione"
Era così che si immaginava qualche mese prima, e paradossalmente ci sperava di trovare un uomo che provvedesse per entrambi e lei potesse trascorrere la giornata in casa a fare la vita da signora, tra centro benessere e golf club, senza preoccuparsi del suo ritorno. Magari passando il tempo ad organizzare vernissage o eventi di beneficienza, tanto per avere un passatempo. Così era cresciuta e così si vedeva.
Ora però stava scoprendo quanta poca dignità ci fosse in un'esistenza in attesa del prossimo diversivo. Voleva di più, sapeva di meritarlo.
"Hai detto di stare bene quando stai con me, giusto?"
"Solo quando sto con te" sottolineò lui.
"Beh, questo diritto ce l'ho anche io. E adesso non mi sento bene. Me lo spieghi che cosa stiamo insieme a fare io e te? Non parliamo più, al di fuori del lavoro ci vediamo qualche ora, così … quando capita. Sì, facciamo bene l’amore … il problema è che però a me quello non basta”
“Come devo fartelo capire che per me non è facile?”
“Ah, per te non è facile. E per me? Devo dare ragione a tuo figlio quando diceva che sei un egoista di merda. Tu non hai idea di cosa significhi la parola insieme. È sempre e solo un me me me. A questo punto è meglio che tu stia da solo”
Era diventata una storia a senso unico e non aveva senso continuarla. Se voleva andare avanti, doveva dimostrarle che c’era dentro completamente, come era fino a poche settimane prima, sia anche andasse tutto bene, sia che ci fossero difficoltà, perché quelle, insieme, si affrontano, ma da soli no. Da soli si rimane solo impantanati.
“Ma che cazzo vuoi da me Maya! Non sono un supereroe e non ho mica la bacchetta magica per poter soddisfare tutto e tutti. Non sono perfetto come te e ti chiedo scusa se non sono alla tua altezza”
Maya rise, ma in realtà dentro aveva il cuore rotto in mille pezzi. Non poteva credere che le avesse detto quelle cose, che, dopo quanto si era aperta con lui, mettesse in dubbio le sue debolezze e le sue fragilità, presentandosi come l’unico martire nella storia. Ridatemi il mio Alex.
“Ma ti senti?” chiese sprezzante “Non ti fai schifo?”
Per qualche secondo, o forse minuto, nessuno dei due lo sapeva con certezza, rimasero in silenzio a guardarsi e studiarsi, severi. Alex si poi gettò verso di lei, baciandola famelico. Le sue mani, sul collo, quasi le toglievano il respiro. “No Alex, così non pensare di risolverla così … ti prego…”
Ma Alex non si fermava e nemmeno Maya, in effetti, lo voleva; dopo un’iniziale riluttanza, si abbandonò completamente a lui, e i loro corpi erano talmente bramosi di ritrovarsi, nudi, che i vestiti finirono a terra prima che potessero raggiungere quasi a tentoni il divano.
Maya era stanca e il cuore si era fatto pesante, ma non le importava: voleva quel dolore, quella piacevole agonia che forse le avrebbe ridato il suo uomo. Lo voleva dentro di sé, e voleva che fosse per sempre: il suo peso sopra di lei, le mani sulla sua pelle e tra le sue gambe, la lingua nella sua bocca e sui suoi seni, il sudore mischiato al suo. Voleva stringerlo sempre di più. Voleva guardare la sua faccia, vedere il piacere che riusciva a provocargli mentre lo sentiva entrare più energico e più a fondo. E non dimenticarlo mai.
Era come una corsa su un’auto dai freni rotti, una droga da prendere per sballarsi e anestetizzare ogni incomprensione. E tra le sue braccia Alex sentiva forte il livore di Maya nonostante la passione. Chiuse gli occhi e affondò il suo viso nell’incavo del collo, per assaporare l’essenza di quella donna così femminile e così audace. Ma il suo profumo la travolse completamente, riportandolo agli inizi, alle prime settimane, e si sentiva di nuovo forte e sicuro, come un ragazzino, pronto a fare follie per lei, a prendere insieme il primo aereo e volare via, lontano dai problemi, come in un film di merda.
La pelle dell’uomo era calda, ma le dita al suo tocco sembravano ghiaccio sulle gambe o sui glutei di Maya. Una strana sensazione di vertigine e di sospensione la invase, come fosse al di fuori di sé e potesse vedersi dall’esterno distesa sul quel divano. La nausea di nuovo la invase, temendo quasi di vomitare. E lì capì: al di là del fiato corto e di tutto il piacere fisico che riusciva a darle, non sentiva niente, niente che non avrebbe potuto provare con chiunque altro trovasse vagamente attraente e ci sapesse fare. Quella sì che era una vera e propria reazione ormonale. L’uomo i cui gemiti rimbombavano nelle sue orecchie e il cui profumo le scendeva fin dentro ai polmoni non era più Alex, era solo il suo capo. Era il suo capo e ci stava solo facendo sesso.
 
"Dove vai?" le domandò Alex, mentre lasciava il divano, raccogliendo i vestiti da terra.
"A fare una doccia" rispose inflessibile "non farti trovare quando esco dal bagno"
Gli lanciò i suoi abiti, lasciandolo di sasso.
"Che significa? Maya, che cazzo significa?"
Alex si alzò in fretta e furia, correndole dietro. Riuscì a fermarla, bloccandola nel corridoio, prima che entrasse nel bagno.
"Non puoi dire sul serio!"
"Perché no?! Questa è casa mia per ora e posso fare quello che voglio. È finita Alex. Te lo ripeto un’ultima volta: non ti preoccupare di venire a trovarmi quando torni. Anzi, fai anche un'altra cosa. Lascia le seconde chiavi sul tavolo prima di andartene"
Lui lasciò la presa, lo sguardo completamente perso nel vuoto.
"Fa male, vero?" domandò lei, sferzante "Questa è la sensazione che provavo ogni volta che mi davi buca. Ora la conosci"
Entrò nel bagno e chiuse la porta a chiave dietro di sé. Senza farsi sentire, si appoggiò alla porta con tutto il peso e si lasciò scivolare a terra, ancora nuda.
Dopo un attimo di smarrimento, le lacrime uscirono da sole, senza controllo, così violente che tra i singhiozzi strozzati per non farsi sentire da lui, a malapena riusciva a respirare.
Era stata la cosa più bella della sua vita, ed aveva dovuto dirgli addio.


 

Ecco, io lo so che adesso nei commenti mi ucciderete ma giuro che i personaggi hanno fatto tutto da soli (come sempre), io c'entro davvero poco. Non aggiungo altro perché so che sarete tutt* sotto shock e quindi se avete qualcosa da dire, chiedere, tirare fuori fatelo pure nei commenti e appena possibile vi risponderò.
A presto, 
Fred ^_^
 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***





 
Capitolo 13

 
Il traffico di Roma è qualcosa che si dimentica facilmente, anche solo andando via dalla città per pochi giorni. Bloccato nel van dai vetri oscurati che aveva trovato ad attenderlo in aeroporto, Alex aspettava impaziente di uscire dal Raccordo Anulare mentre Stefano e Nardi gli parlavano, ma lui sentiva le loro voci come un brusio indistinto. Meccanicamente riusciva anche a rispondergli, ma non aveva la benché minima idea di cosa stessero parlando. Mentalmente era completamente prosciugato. L’adrenalina, che lo aveva tenuto all’erta durante tutto il soggiorno parigino, ora stava crollando, lasciandolo devastato. Non era stato un viaggio negativo, Roma Glam era sulla bocca di tutti e la presentazione sul network che avevano creato con le altre riviste era stata un trionfo, ma la sua testa era rimasta ferma alla sera prima della partenza e tutto il resto, anche il suo discorso, andava con il pilota automatico.
“Ci vediamo lunedì in ufficio” tagliò corto, quando il van si fermò davanti al suo residence per farlo scendere per primo, neanche a dirlo “per prima cosa rivediamo tutto il materiale e così chiudiamo questo capitolo”
Non era sicuro che avere la domenica a disposizione per stare da solo e riposarsi fosse la cosa migliore che potesse capitargli in quel momento. Aveva bisogno di risposte, risposte che era sicuro di non poter ottenere perché l’unica persona che poteva dargliele lo aveva cacciato di casa malamente, senza dargli diritto di replica.
Non aveva fatto altro che pensarci in quei giorni, appena il gran chiasso di numeri, percentuali e fatturati taceva e smetteva di sormontarlo. In alcuni momenti sentiva l’aria mancargli nei polmoni, come fosse in alta montagna. Avrebbe voluto qualcuno – no, non qualcuno, Maya - al suo fianco che gli slacciasse la cravatta, gli sbottonasse la camicia e, sistemato il colletto, gli dicesse che tutto sarebbe andato bene, sorridendogli. Quando lo faceva da solo, di fronte allo specchio di una toilette asettica del centro conferenze, non era per niente la stessa cosa.
Sfilare con il trolley lungo il marmo grigio e lucido nella hall dalle pareti bianche non aveva il sapore di rientro a casa che normalmente si vorrebbe.
“Buonasera signor Bonelli! Bentornato! Fatto buon viaggio?” Il receptionist in giacca e cravatta lo salutò cordiale.
“Buonasera Angelo” ricambiò lui, leggendo il nome dalla targhetta dorata sul bavero della giacca blu scuro del giovane “le chiavi del mio appartamento per favore, le ho lasciate qui prima di partire”
Il receptionist annuì, girandosi al tabellone delle chiavi. “Ecco qua. Ah, signor Bonelli, in appartamento le abbiamo lasciato gli abiti puliti dalla lavanderia e la posta che è arrivata in questi giorni. Serve altro?”
“Potrebbe ordinarmi la cena per favore? Per le 20. Faccia lei, ma qualcosa di mooolto romano. Ne ho abbastanza di zuppe, aglio ovunque e formaggi per dessert”
Il ragazzo, sempre molto formale, si lasciò andare ad un sorriso complice; Alex non gli diede molto retta, prese le chiavi e se ne andò verso gli ascensori. Il suo unico obiettivo era chiudere le persiane, stendersi sul letto e fissare, al buio, il soffitto della camera da letto per le due ore successive.
Entrato in casa, trovò un pacco sulla panca all’ingresso. Non aveva ordinato nulla e non c’erano mittenti. Non era particolarmente pesante e si sentiva che lì dentro qualsiasi cosa ci fosse ballava un po’. Lo poggiò sul tavolo da pranzo e prima di prendere un coltello per aprirlo si versò del whisky dal minibar. Il sapore dell’alcol era troppo forte, ma forse aveva più a che fare con l’ora che con la qualità del distillato. Tornò al pacco, poggiando il bicchiere lì di fianco, sul tavolo; una volta liberatosi dell’imballaggio una coltellata lo colpì in pieno petto: prese un lungo respiro, quasi accasciandosi e ricordandosi che non poteva prendere a pugni nulla in quell’appartamento che era solo in affitto.
Maya gli aveva mandato indietro le sue cose, quelle che per quel poco tempo che erano stati insieme aveva lasciato a casa sua. Un pigiama – il più delle volte gli rubava la maglietta lasciando a lui solo il pantaloncino, un paio di magliette bianche e degli slip, una felpa con la zip, lo spazzolino e il kit per la barba e naturalmente la moka con le due tazzine che lui aveva comprato per fare colazione insieme come piaceva a lui.
Messaggio ricevuto: aveva messo quelle settimane in una scatola e le aveva rispedite al mittente.
Era prevedibile ma fino a quel momento aveva sperato che fosse solo una parentesi; che concedersi qualche giorno di lontananza sarebbe stato utile ad entrambi per ricalibrare testa e cuore e ripartire. Dentro di sé però lo sapeva bene, fin dal primo istante, quando aveva chiuso la porta dietro di sé ed era andato via, che non sarebbe mai successo. Come poteva? Quegli occhi così caldi e accoglienti erano neri come la pece, lo sguardo spento da quella luce che sapeva emanare, pieno solo di odio nei suoi confronti.

In quei giorni aveva pensato e ripensato a quello che era successo, al perché era successo, a come erano stato possibile non capire che stavano prendendo due strade separate. Lei lo aveva accusato di non darle spazio, di mettere sempre davanti gli altri, ma non era stato un periodo facile; forse era vero che aveva riversato tutta l’attenzione su Edoardo ma era comprensibile, e lei questo non poteva capirlo perché non figli non ne ha, e forse stava a lui farle capire perché non poteva darle tutte le attenzioni che reclamava, che in quella relazione non potevano essere davvero solo in due; però era anche vero che lui non si era accorto di quella richiesta e di questo non riusciva a capacitarsene.
Scolò in un solo sorso tutto il restante whisky dal bicchiere, bruciandosi la gola. Nota: prossima volta, on the rocks. Lo deglutì con una smorfia.
Prese il telefono dalla tasca dei pantaloni. Sullo sfondo un selfie che lo aveva obbligato a fare con lei al mare, ancora bagnati, avvolti nell’asciugamano. Non era riuscito a cambiarlo. Lui non si era mai fatto dei selfie prima di Maya, nemmeno per gioco con Giulia. Figurarsi usare una foto personale come sfondo. Forse era stato stupito da parte loro illudersi che la loro relazione potesse essere sempre così, ma non si era mai sentito meglio in vita sua come in quei giorni con lei. Per una persona come lui era da incoscienti credere di poter vivere una storia d’amore come un adolescente … per una persona come lui … imporsi un ruolo e dei limiti era proprio quello che aveva fatto naufragare il matrimonio con Claudia. Che fare, allora? Chiamarla? Non avrebbe risposto. Scriverle? Per dirle esattamente cosa? Non lo sapeva nemmeno lui. Anche perché non era così stupido da credere che un pacchetto di scuse ben apparecchiate sarebbe bastato. La conosceva bene, forse non così bene da evitare quanto era successo, ma abbastanza da capire come avrebbe reagito se si fosse avvicinato.
E questo gli ricordò che in meno di 48 ore avrebbe dovuto affrontarla di nuovo comunque, lavorarci a stretto contatto. Non voleva pensarci, forse la cosa migliore da fare era improvvisare sul momento; magari le cose sarebbero tornate da sole a posto, vedendosi … sì, credici
Mentre se ne stava a sognare ad occhi aperti il loro primo incontro, il telefono gli vibrò tra le mani.
“Claudia?” rispose, massaggiandosi la fronte.
“Ehi ciao! Sei tornato?”
“Sì sono appena rientrato”
“Disturbo?”
“Ehm no, sto disfacendo le valigie. È successo qualcosa?
 il suo pensiero corse immediatamente al figlio Come sta Edoardo?”
“No … niente…tranquillo, Edo sta come un fiore. Solo mi chiedevo se avessi programmi per la serata …”
Il riferimento a Maya era palese, ma certo non poteva dirle cosa era successo; era diventata più comprensiva, ma conoscendola si sarebbe fatta un’impressione sbagliata o peggio si sarebbe creata false speranze.
“Ehm .... no veramente” ma non riuscì a trattenere un grosso respiro di sconforto.
“Che succede? Tutto bene?”
“Sì sì, tutto bene. Sono solo stanco”
“Senti … pensavo … fai una bella doccia e vieni a cena da noi, sono cinque giorni che i bambini non ti vedono, alla fine nemmeno sei passato martedì sera”
“Sì lo so, ma è successo un casino con il lavoro, te l’ho detto” era il meglio che riuscito ad inventare quella sera e dopo che era andato via da casa di Maya aveva avuto bisogno di fare un lungo giro in moto e rientrare che quasi era giorno. “Comunque ti ringrazio ma non ce la faccio, anzi … credo di essermi preso un bel malanno. Il tempo faceva veramente schifo, sembrava novembre!”
“Va beh … domani però pranzi con noi?”
“Non lo so … vediamo” sviò, notando come il suo modo di fare fosse tornato pressante anche se nascosto da modi garbati “dai passami Giulia che la sento abbastanza assillante fin da qua”
“Non ne hai idea”
 
 

Alice!” chiamò Maya, affacciandosi dalla sala relax nell’area dell’ingresso dove la collega se ne stava nel suo angolino, fissa con lo sguardo sullo schermo del computer, il mouse in mano: con molta probabilità stava solo giocando ad un solitario.
“Alice!” Al volume di voce più sostenuto, la receptionist finalmente alzò lo sguardo. “Ti va un caffè?”
Senza farselo ripetere due volte, Alice sistemo all’orecchio l’auricolare bluetooth e lasciò la sua postazione, guardandosi intorno con fare circospetto e comico, come fosse in procinto di compiere un crimine.
“Perché stiamo bevendo il caffè di Alex? Hai istinti suicidi per caso?” domandò, quando vide Maya versare il caffè dalla moka.
“No, semplicemente ho dato per scontato che lo volesse e ora mi trovo con un caffè costosissimo appena fatto che il diretto interessato non vuole” “Guarda che se ti ha accordato un permesso speciale puoi dirmelo eh…” continuò la ragazza ammiccante, ma Maya fece finta di non cogliere le sue insinuazioni.

Naah, è solo la forza dell’abitudine”
Seh, ora si chiama forza dell’abitudine. Certo non poteva dirle che avevano iniziato a smezzare una moka a metà mattinata, prima della riunione di redazione. Così come non poteva certamente spiegarle che quella mattina l’aveva caricata meccanicamente dimenticandosi che non ci sarebbero state più pause caffè insieme. Era stato già un miracolo riuscire a gestire il suo rientro al lavoro senza avere una crisi di nervi: pur con tutta la fatica del mondo entrambi erano sembrati troppo indaffarati per guardarsi in faccia o restare da soli nella stessa stanza; il caso stava facendo loro un favore grosso come una casa e Maya avrebbe volentieri acceso un cero al santo patrono dei segretari perché era ben conscia che quella distanza di sicurezza non poteva durare a lungo.
Mentre le due colleghe prendevano quel caffè, Alice si perdeva nei dettagli del suo prossimo cosplay per una fiera di comics di cui sicuramente Alice le aveva detto il nome ma Maya stava a sentirla troppo distrattamente per ricordarsene, concentrata a trovare le parole giuste per indorare la pillola che stava per darle. “Devo dirti una cosa …” la interruppe. Ma proprio in quel momento, Alex entrò nella sala, imperioso. Alice di scatto si alzò, come fosse un preside e lei la studentessa da espellere. Maya restò dov’era, impassibile, finendo il suo caffè con calma.
“Che c’è?” domandò, poggiando la tazzina sul tavolino.
“Devo parlarti”
“Sono in pausa … tra un quarto d’ora”
“Vieni subito nel mio ufficio, poi per quanto mi riguarda puoi prenderti anche un’ora di pausa”
“Molto bene” decretò Maya, alzandosi e andando verso l’uscita della sala “Alice pensi tu alle tazze per favore?” domandò, sussurrandole un grazie quando la ragazza annuì, mortificata da quella patetica sceneggiata. Con tutta la flemma di questo mondo si diresse verso l’ufficio: sapeva cosa l’aspettava e sarebbe scappata volentieri se non avesse significato dare spettacolo di sé o, peggio, fare davanti ad lui la figura di chi scappa dai problemi.
Alex chiuse la porta del suo ufficio dietro di loro, anche se probabilmente sarebbe servita a poco: quella scenetta in un’area comune avrebbe presto raggiunto l’attenzione di molti, ed era solo per un minimo di decenza non avrebbero trovato una marmaglia di pettegoli ad origliare dietro la porta.
“Allora?” domandò lei, le mani sui fianchi, in piedi di fronte alla scrivania dell’uomo.
“Cos’è quella pagliacciata che ho trovato sulla scrivania?”
“Intendi la mia lettera? Non è una pagliacciata … rimani ancora il mio capo, volevo farti sapere che ho preso la decisione di andarmene e tra qualche giorno le Risorse Umane riceveranno comunicazione formale via PEC”
“Perché?”
“C’è bisogno che ti faccia uno schemino per spiegartelo? Non posso più lavorare per te, non fa bene a nessuno dei due”
“E se io non volessi?”
“Sai che non puoi farlo, a meno che tu non voglia finire in tribunale. Avrai 30 giorni di preavviso, come previsto dalla legge, così puoi trovare un sostituto, e sarò al mio posto fino alla fine, ma non chiedermi di restare. Anzi … ti do un consiglio: nell’inserzione, chiedi una reperibilità h24 per la prossima candidata …”
“Ti chiedo solo di aiutarmi a capire…non mi ero reso conto che forse ti sei sentita messa da parte nell’ultimo periodo, su questo ti do ragione, ma era inevitabile visto che nessuno doveva sapere di noi ufficialmente”
“Ma ci fai? Pensi davvero che fossi scontenta di non essere la tua compagna in pubblico? Sono stata io a chiederti di non fare annunci. IO! E ti svelo una notizia incredibile: lo farei di nuovo, perché non è mai stato quello il problema. Mi hai fatta sentire stimata, ma per quello mi bastava già il contratto di lavoro, non c’era bisogno di stare insieme. Com’è che hai detto tu? Ah sì, utile … non amata”
“La vita non è un perenne weekend a Santa Marinella, Maya”
Maya gli voltò le spalle: non voleva che vedesse quanto quel commento l’avesse ferita. Una coltellata in pieno petto avrebbe fatto meno male probabilmente.
“A me lo dici?!” esclamò, tornando a guardarlo in faccia pur con estrema fatica “Io che per vivere come se la mia vita fosse un film stavo per rimanere senza un quattrino!”
“Fammi finire … il punto è che c’è sempre qualcosa che ci porta via del tempo o imprevisti che ci trattengono”
“Certo che sì, ma quando una persona dice di amarti speri che ti metta sullo stesso piano delle altre persone a cui vuole bene. E non diventi l’ultima ruota del carro, buona per passarci del tempo solo quando non ha altro per la testa”.
In quel momento, Alessandro avrebbe solo voluto avere a disposizione una macchina del tempo per andare indietro e rimangiarsi tutte le stronzate che le aveva detto prima di partire, e tirare due schiaffi al coglione che qualche giorno prima aveva pensato di essere l’unico da compatire, l’unico che stava passando un brutto periodo, senza rendersi conto del peso che lei si portava dentro da giorni. Provava un disgusto viscerale per sé stesso perché, ora se ne rendeva conto, aveva smesso di guardarla davvero. L’aveva data per scontata. La sua comprensione, la sua generosità, tutto era diventato improvvisamente dovuto perché tanto erano insieme.
“Sono stanca …” disse Maya, respirando a fatica, ricacciando in dentro le lacrime “come devo dirtelo Alex? Abbiamo chiuso, è finita”
“Non è finita. Io non voglio chiuderla.”
Le si avvicinò e, lentamente, scostò il ciuffo ribelle di capelli che, come sempre, le finiva davanti agli occhi quando li lasciava sciolti. Un brivido corse lungo la schiena di Maya non appena le dita dell’uomo la sfiorarono impercettibilmente. Chiuse gli occhi: se non poteva vederlo, sperava, non stava succedendo davvero. Lui tornò a sentire quel profumo che gli faceva girare la testa eppure ora faceva malissimo: era diventata inaccessibile. Non giocava a fare la preziosa, era incattivita e stremata ed era tutta per colpa sua. Neanche la castrazione sarebbe stata una penitenza sufficiente ad espiare. Sei un uomo di merda, Bonelli, si disse.
“Ritorna con me … perdonami” soffiò, sottovoce “io ti amo!”
“Smettila per favore …” si allontanò da lui, portandosi vicino ad un finestrone aperto. La leggera brezza di quella giornata al 19esimo piano si trasformava in folate di vento energiche, aiutandola a spazzare dalla testa tutti i pensieri, buoni o cattivi che fossero.
“Vorrei solo che tu capissi quanto ho bisogno di te …” continuò l’uomo, alle sue spalle, poggiando le sue grandi mani sulle braccia e parlandole all’orecchio.
“Adesso basta!”
Alex avrebbe dovuto impedirle di urlare ma non l’avrebbe fatto. Non gli interessava di nient’altro all’infuori di lei, e se era l’unico modo per riuscire a rimettere insieme i cocci, avrebbe accolto volentieri ogni pettegolezzo.
“È questo il punto… tu hai solo bisogno.” sbraitò, voltandosi verso di lui e guardandolo dritto negli occhi; le faceva male ma lui doveva sapere che faceva sul serio. “Ma io non sono un gioco con cui passare il tempo quando ti senti solo o annoiato o … o hai voglia di fare sesso. Non siamo in un film in cui è scritto che i due protagonisti devono finire insieme nonostante tutto a cinque minuti dalla fine. Se mi vuoi davvero … te lo devi guadagnare! Dimostrami che sei ancora l’uomo meraviglioso che mi aveva promesso di lavorarci un passo alla volta, INSIEME, e non lo stronzo per cui tutto era sempre più importante di me. Fino ad allora abbiamo chiuso.”
Forse, pensò Maya, uscendo dalla stanza e correndo in bagno, non c’era altro modo per finire la loro storia. Non poteva esserci calma o tenerezza, perché non ci si può lasciare così come ci si è amati, sarebbe un controsenso. Altrimenti non ci si lascerebbe.
Era stato troppo bello per essere vero aveva pensato, una volta rimasta sola, la sera che lo aveva cacciato di casa. E ora detestava quella frase come detestava lui, perché era stato bellissimo ed era stato tutto tremendamente vero.
 
 
“Maya? Tutto bene?” Alice entrò nel bagno delle signore dopo averla intravista uscire in fretta dall’ufficio di Alex, la testa bassa e le braccia strette contro il torso. A metà tra una crisi di pianto e una di vomito. Quale che fosse, non aveva proprio una bella cera. “Maya?!”
Maya si era chiusa in uno dei due cubicoli; non rispondeva, ma i singhiozzi arrivavano ben distinti.
“Tesoro si può sapere che succede? Non sono qui per farmi i fatti tuoi … ma … ma se vuoi puoi parlarne con me, sfogarti un po’. Sarò una tomba. Lo giuro”
Alice rimase per qualche minuto appoggiata alla porta dello scomparto dove Maya si era infilata, sentendola calmarsi poco alla volta. Quando la sentì aprire la serratura, fece un passo indietro.
“Non c’è bisogno di giurare, Alice” le disse Maya, uscendo “mi fido.”
Era un cadaverino, bianca come un lenzuolo. Si appoggiò di peso sul piano del lavandino, prendendo un fazzoletto dal dispenser e passandolo sotto gli occhi per eliminare il trucco sbavato guardandosi allo specchio. Era un disastro. E la carta era così ruvida che quasi le fece male, lasciandole il contorno occhi arrossato.
“Che succede? Che mi dovevi dire prima?”
“Me ne vado Alice” disse, tirando su col naso e guardando la collega dal riflesso sullo specchio “Ho detto ad Alex che a breve riceverà le mie dimissioni. Più o meno tra un mese avrai una nuova assistente su cui spettegolare”
Maya le rivolse un occhiolino perché Alice fosse sicura che la stava solo prendendo in giro, senza cattiveria. Il tempo dei sospetti e dei bisticci per loro era ormai passato.
“È successo qualche casino per il lavoro? Lo sai che sono dalla tua parte se serve, non ti puoi licenziare così”
“Non è per il lavoro, o almeno non del tutto”
“E allora?”
Maya si guardò un attimo intorno e fuori dalla porta, chiudendo a chiave la porta del bagno per assicurarsi che nessuno entrasse all’improvviso.
“Sto per dirti una cosa … ma prima mi devi giurare che non urli, non saltelli e non te ne esci con nessuno, neanche con i sanpietrini per strada …”
“Parola di coccinella” giurò Alice, prima tenendo in alto la mano come fanno gli scout e poi portandola davanti alla bocca, per frenarsi. A Maya scappò da ridere per quella situazione surreale, nonostante tutto.
“Io ed Alex ci siamo lasciati” sussurrò. Dalla bocca autoimbavagliata di Alice venne fuori un mugugno che suonava tanto come un Cosa? ma Maya tirò avanti per la sua strada “la sera della festa di Roma Glam ci avevi visto bene”
Alice tolse la mano dalla bocca e mimò un urlo muto, finché non fu in grado di imporre a sé stessa di parlare a bassa voce come la collega.
“Io lo sapevo! Raccontami tutto ti prego …”
Long story short … dopo che te ne sei andata siamo andati a fare una passeggiata e poi … beh non te lo devo dire, lo immagini”
Gli occhi di Alice sembravano quelli di una bambina la mattina di Natale, quando scopre sotto l’albero il regalo più desiderato. Ma presto la sua soddisfazione aveva lasciato il posto alla compostezza, notando lo sguardo malinconico di Maya.
“Aspettami qui …” le disse, andando via per un istante.
Maya tirò fuori un lungo respiro. Non era la prima a cui diceva cosa era successo, sua sorella ed Olivia erano già al corrente ma le aveva tenute a distanza, nonostante i loro tentativi di pronto intervento. Non voleva la pietà di nessuno, nessun te l’avevo detto, nessuna storia vera o inventata per farla sentire meno sola nell’universo degli sfigati. Parlare a quattr’occhi con Alice invece le stava dando per la prima volta la dimensione di quanto quello che era successo fosse vero, paradossalmente di più degli schiaffi verbali volati tra lei ed Alex. Ora davvero non si tornava indietro.
Alice tornò con il borsello dei trucchi di Maya e lo esibì con aria furba ed orgogliosa.
“Non dobbiamo dargli a vedere che ti ha fatto male, capito?” 
le disse Alice, strizzando l’occhio. La ragazza iniziò a prendere le salviette struccanti e il correttore per sistemare le sbavature lasciate dal mascara scolato “Però amo sei troppo alta per me, scivola un po’ con il sedere per favore!!!” 
Maya fece come le era stato chiesto, appoggiandosi come poteva con la schiena sul ripiano del lavandino. Alice senza dire una parola prese a sistemarle il trucco e Maya non poté fare a meno di notare quanto perfettamente naturale fosse quel momento tra loro, senza alcun imbarazzo; in passato non le avrebbe mai permesso di invadere così tanto la sua sfera personale. Ma troppa acqua era passata sotto i ponti. E Maya si sentì immediatamente meglio, come fosse una sessione di massaggi in una spa. 
“Possibile che Alice non vuole sapere proprio nient’altro? O è solo psicologia inversa?” ironizzò Maya.
“Sono pettegola ma non così come si dice in giro. Ti sei aperta con me e questo per me vale tanto, più di tutto. Spero solo che non abbia giocato con te, perché gli renderei la vita un inferno qui dentro, te lo giuro”
“Non ti mettere nei guai”
“Non ti preoccupare tu. Se pensa che noi siamo delle bambole …”
“No, tranquilla. Solo visioni diverse, mettiamola così”
“E sono così inconciliabili? Non si può fare proprio niente per rimettere a posto le cose?” domandò, passandole della terra sul viso.
“Tutto dipende da lui … se ci tiene come dice sa cosa deve fare. Altrimenti addio”
“Oh Maya!” la ragazza, i cui occhi si riempirono poco alla volta di lacrime, scoppiò a piangere “se te ne vai come sopravvivo io qui?”
Maya l’abbracciò forte, strofinandole energicamente la schiena. Era tutto troppo assurdo eppure così vero e bello: Alice era riuscita a tirarla su ma ora aveva finito lei col consolare la collega.
“Tanto per cominciare venerdì dopo il lavoro vieni a casa mia … e poi quando sarà il momento si vedrà”


 

Ciao a tutt*! Dopo una settimana di stop (dovevo pubblicare una OS che mi portavo dietro sul pc da troppo) mi faccio perdonare con un capitolone bello lungo. Maya e Alex fanno i conti con quello che è successo e hanno avuto un confronto più che dovuto, anche se non è andato proprio come Alex avrebbe voluto. E Maya prende una decisione drastica ma secondo me inevitabile. Che ne pensate? Ah e abbiamo aggiunto una nuova amizia alla "truppa" di Maya, chi l'avrebbe mai detto.
Spero di sentire la vostra opinione a riguardo e rinnovo l'appuntamento alla settimana prossima, o giù di lì. A presto, 
Fred ^_^
 

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Carissim*, forse non lo sapete ma oggi, 13 Luglio, per me e per questa storia è un giorno molto speciale. Eh sì perché, proprio un anno fa, vedeva la luce qui su EFP il prologo di Contro Ogni Ragionevole Previsione. Quanta strada da allora!!! Tanti auguri ad Alex e Maya, a me e anche a voi che la leggete e tifate per i protagonisti.
Per festeggiare l'occasione speciale ho deciso di pubblicare in anticipo questa settimana e, a fine capitolo, troverete una sorpresa.






 
Capitolo 14

 


Ad esclusione del bowling, era da un po’ che Maya non usciva in comitiva con amici tutti suoi, come ai vecchi tempi. E quella parentesi sentimentale di un paio di mesi non c’entrava nulla. C’entrava il suo nuovo stile di vita, il doversi costruire da zero una compagnia tutta nuova che riuscisse a sopportarla ben oltre un aperitivo o un caffè al volo. E ora come ora aveva proprio bisogno di una serata fuori in cui pensare solo a divertirsi. Aveva saputo da Monica, qualche tempo prima, che un conoscente del marito suonava in un nuovo club a San Paolo ogni venerdì e, siccome ogni lasciata è persa, aveva lanciato l’amo, proponendole una serata tra ragazze.
Quando la risposta affermativa era arrivata senza battere ciglio, Maya ne fu sorpresa: era convinta che, per solidarietà coniugale, Monica avrebbe preso le distanze da lei per parteggiare per Alessandro. Ma quella non era una guerra per Monica, non c’erano parti da prendere, e potevano essere amici anche vedendosi separatamente. E così a lei e Monica si erano aggregate anche Lavinia, Olivia e Alice.
Nonostante fossero riuscite a mettersi in lista, il contatto di Monica aveva raccomandato di vestire bene perché, testuali parole, non c’è dress code ma la security all’ingresso rompe il cazzo comunque; perciò, vestitino nero a fiori, giacchino di pelle, stivaletto e borsetta a tracolla, Maya aspettò il via libera con il fiato sospeso, mentre all’ingresso controllavano la prenotazione, sperando che la sua mise fosse sufficientemente adatta. Vuoi perché rispettavano i loro canoni, vuoi perché mentre erano in fila Marco, il conoscente di Monica, era passato a salutarle alla fine del soundcheck, vennero fatte passare ed accompagnate al tavolo.
Il club, che aveva preso il posto di un locale precedente, aveva il profumo di pelle nuova delle poltrone, appena scartate dagli imballaggi, ma l’aspetto un po’ stropicciato e vissuto di un locale pieno di nuove idee e ma con già tante storie alle spalle da raccontare ai clienti.
Le luci erano strategicamente soffuse in tutta la sala, ma non tanto per dare intimità agli ospiti durante la cena, quanto per concentrare l’attenzione alle maggiori attrazioni del locale: da una parte il palco, dove musica live si alternava ai piatti su cui il dj faceva ancora girare dischi in vinile; dall’altra il bar, un muraglione di quasi cinque metri di bottiglie in fila come soldatini e un bancone lungo quanto l’area check in a Fiumicino.
Quando il cameriere versò loro il vino che avevano ordinato, Maya si schiarì la voce per attirare l’attenzione delle amiche.
“Vorrei dire due parole …”
“Oddio come sei solenne Maya, non ci far preoccupare” esclamò Monica, impensierita.
Maya annunciò di aver rassegnato le dimissioni dal lavoro, seria ma serena, pronta per qualsiasi novità la vita le avrebbe messo davanti. “E ora permettetemi un brindisi alle persone stupende sedute a questo tavolo. A quelle che ci sono da sempre, a quelle sono entrate nella mia vita da poco” disse, alzando il calice e rivolgendosi alla sorella e a Monica, sedute alla sua sinistra e poi alla sua destra, verso Olivia e Alice “a quelle che sono rimaste nonostante tutto e a quelle che hanno avuto la pazienza di aspettarmi.” La voce era leggermente rotta dalla commozione che inevitabilmente, scandendo quelle parole, si era accumulata. Quando aveva lasciato i Parioli aveva prospettato una vita solitaria, con sua sorella come unica persona che, per pietà, la trascinava con sé per farla svagare un po’. “Siete speciali e se questa sera non sono chiusa in casa tutta sola ma sono qui a fare serata, sentendomi libera e forte ...”
“Dai Maya lo sappiamo che vuoi dirlo … daje!” la spronò Olivia.
“Sì voglio dirlo e lo dico … e pure figa … beh è tutto merito vostro, che mi avete insegnato non solo il valore dell’amicizia, quella vera, ma anche del rispetto e soprattutto della dignità. Vi voglio bene!”
“UN BRINDISI ALLA PIU’ FREGNA DI TUTTE E CHE È PURE FRESCA SINGLE!!!” urlò Olivia, alzandosi in piedi con il bicchiere di vino in mano. Le ragazze batterono chi le mani, chi i piedi sotto al tavolo; Alice, finalmente a suo agio dopo un inizio un po’ sulle sue in mezzo a persone che non conosceva, si lasciò andare ad un ululato liberatorio. Da un tavolo dall’altro lato della sala, una comitiva di uomini fece loro eco, in segno di approvazione.
“Olivia smettila, ci guardano tutti!!!” le fece notare Lavinia, imbarazzata, coprendosi il volto con la mano.
“Voglio ben sperare … morto un papa se ne deve fare un altro…” decretò la ragazza, tornando a sedere.
“Maya ha bisogno di stare da sola per un po’ adesso” le ricordò la maggiore delle sorelle Alberici.
“Intanto Maya ha bisogno di una fila di pretendenti
 ribatté Olivia poi può farne quello che vuole. Gli voglio vedere scoppiare il fegato per la rosicata a quello lì … e tu non lo curerai …”
“Ragazze … sono qui eh!” fece notare loro Maya, ma invano: le due, ormai, erano partite per la tangente.
“Ma figurati … quello deve solo sperare che non me lo ritrovo sulle strisce pedonali, perché invece di frenare … ACCELERO!”
“Ma che vuoi fare tu che neanche hai l’auto?!” ricordò Maya a sua sorella, sbalordita e divertita insieme.
“Me la compro a posta, guarda! Solo per la soddisfazione di poterlo tirare sotto.”
Le ragazze si quietarono un po’ appena vennero serviti loro i taglieri con l’antipasto. Nel frattempo la band dal vivo aveva iniziato con i suoi pezzi revival anni 50 e Alice, da amante del vintage, era lanciatissima nel cantare insieme al solista “Only You” di Elvis.
“Non ti ho detto niente prima” disse Lavinia, costretta dal volume alto della musica a parlare all’orecchio di sua sorella “ma sei sicura di voler lasciare il lavoro? Non mi sembra un buon momento e poi dove lo trovi un posto così…”
“E cosa dovrei fare, scusa? Non riesco a guardarlo più in faccia … nemmeno il suo nome riesco a pronunciare. E non è che lo vedo una volta a settimana, ci lavoro fianco a fianco 8 ore al giorno, a volte di più.”
“Non so … magari ti fai spostare da qualche altra parte. E se non dovessi trovare niente a livello?”
“Semplicemente non è fattibile … e non pretendo di trovare un lavoro uguale … so bene che dovrò adattarmi all’inizio. Ma l’affitto non è molto caro e la liquidazione dovrebbe bastare per un po’… magari trovo qualcosa in centro e risparmio sull’auto. Ho un po’ di esperienza nell’organizzazione di eventi, nel frattempo anche la PR non è male come opzione. Poi chiamo mamma e Ruggero, vediamo se qualche loro conoscenza ha bisogno di una segretaria. Qualcosa verrà fuori di sicuro, siamo a Roma”
“Vorrei solo che ci riflettessi bene, che non debba pentirtene. Il lavoro è un’altra cosa…”
“No, non ti preoccupare … e poi è proprio per questo che devo andare via, perché ho confuso il lavoro con l’amore. Però per questa sera basta pesantezze e brutti ricordi. Divertiamoci, domani è un altro giorno …”
 
La serata proseguì in spensieratezza, senza che l’ombra dei ricordi si posasse sulle ragazze, impegnate a scatenarsi sulla pista, appena i lenti anni ’50 lasciarono, dopo cena, posto al twist anni ’60 e alla disco anni ’70. Ma questa verve ritrovata aveva bisogno di continui pit stop al bancone del bar.
“Un Long Island, per favore” urlò Maya al barman, al di sopra della musica, tirando su i capelli in una coda di cavallo alta per lasciare il collo completamente scoperto: aperte le danze, la temperatura nel locale era aumentata di parecchio. 
“La rottura deve stata bruttina se ci devi andare giù così pesante …”
Maya si voltò verso una voce maschile alla sua destra. Un ragazzo moro, non molto alto ma così palestrato da sembrare quasi un quadrato, la chioma scolpita dal gel e la barba curata al millimetro. Non poteva credere che in giro ci fossero ancora uomini che trovassero elegante la combinazione doccia abbronzante, camicia nera di una taglia in meno per mettere in risalto i muscoli e slacciata sul davanti per mostrare una collana con piastrina. Già nei primi anni 2000 sarebbe stato considerato boro e la moda era impietosa in quegli anni, figurarsi adesso.
“Prego?” domandò Maya, perplessa. Ok che avevano alzato un po’ il gomito, ma se avesse conosciuto un gorilla del genere di sicuro se ne sarebbe ricordata.
“Scusa eh, ma prima non ho potuto fare a meno di sentire la tua amica ...”
“Ah ok … no lasciala stare quella, le piace farmi fare figure di merda …”
“Allora non sei davvero fresca single?”
“Sì lo sono, ma non c’è né da piangere né da festeggiare” Su questo punto era inamovibile: voleva solo andare avanti e concentrarsi su sé stessa.
Il barman poggiò il drink davanti a Maya sul bancone, chiedendole il numero del tavolo per mettere in conto il cocktail, ma subito il tizio poggiò sulla mano del cameriere una banconota da 10 euro “e il resto di mancia”
“No no, non se ne parla … senta, metta sul conto del tavolo 6 per favore”
L’uomo insistette ancora e Maya gli fece notare, tentando di mantenere la calma, che nemmeno conosceva il suo nome.
“Manuel, molto piacere. E tu sei Maya giusto? … ho sentito una tua amica chiamarti mentre ballavamo … eravamo vicini”
“Molto piacere Manuel, ma cos’è … una specie di scommessa con i tuoi compagni di tavolo per rimorchiarmi? Perché non è affatto divertente, anzi ti fa sembrare uno stalker”
Sembrava tipo alla mano e anche un po’ imbranatello ma quell’odore un po’ acidulo del suo profumo misto all’aroma tabaccoso della sigaretta elettronica la nauseavano e non glielo facevano piacere per niente; sperava di sbagliarsi, ma quei modi gentili stridevano troppo su quel corpo costruito e tirato a lucido.
“No, no tranquilla” esclamò, lasciandosi andare ad una risata bonaria ma troppo fragorosa per i suoi gusti “non ho bisogno di una scommessa per provare a farmi avanti … bella come sei. Comunque, davvero, ti posso offrire qualcos’altro?”
“No, grazie. Sono single, non senza soldi”
“Eh va beh dai, Maya, era per rompere un po’ il ghiaccio. Non è carino che una bella ragazza come te se ne stia sola a fare serata …”
Che fosse così ostinato non la seccava più di tanto, aveva avuto a che fare con gente più assillante, ma le dava fastidio che ripetesse il suo nome ad ogni frase, come se volesse convincere le persone intorno e lei stessa che si conoscevano; allora prese il suo drink, facendo ben attenzione a nasconderlo tra le mani - la prudenza non era mai troppa - e fece per andarsene.
“Dove vai?” le domandò, bloccandola per il braccio “Dai … chiacchieriamo un po’”
“Non sono sola a fare serata … ci sono le mie amiche e mi stanno aspettando” rispose, categorica, accennando al tavolo.
L’uomo l’attirò a sé e i modi gentili che fino ad un secondo prima l’avevano fatta sentire al sicuro erano spariti, confermando la sensazione di fastidio e volgarità che Maya aveva provato su lì per lì, quando si era fatto avanti al bancone, sebbene avesse tentato di non darle peso perché aveva imparato che le persone non si giudicano dall’aspetto esteriore.
“Beh ma a meno che il tuo ex non fosse in realtà una ex io pensavo ad un tipo di serata che non puoi fare con delle amiche”
“Aaaah … capisco. Mi dispiace Manuel, ma per quel genere di serata preferisco rivolgermi a qualcuno di più fidato.”
Con uno strattone, Maya si divincolò, raccogliendo la borsetta che le era scivolata dalla spalla e caduta a terra nella concitazione. A dire il vero fu sorpresa che il tipo avesse lasciato andare la presa così facilmente ma presto si rese conto del perché: qualcuno, forse il ragazzo del bar, aveva chiamato la security perché tornando verso il tavolo vide uno buttafuori andare in direzione opposta alla sua, verso il bancone.
“Maya! Vieni a ballare YMCA!” le urlò Olivia dalla pista, sudatissima. “Finisco il drink e arrivo!” C’era un’altra cosa che stranì Maya, di quello spiacevole incontro. Il ragazzo non era stato così insistente o invadente, non più di altri che, 
in passato, aveva dovuto mandare a pascolare ben più energicamente o facendosi aiutare . Per quanto facesse finta di niente sentiva ancora la sua traccia sul corpo, come una specie di imprinting. Nella sua testa gli odori, gli sguardi, il tocco, la voce – tutto insomma – era ancora misurato con un metro di giudizio che andava da 0 ad Alessandro. Perché il suo cuore batteva ancora per il suo Alessandro. Ma il punto era che non sapeva più se il suo Alessandro fosse vero, oppure una parentesi, seppur bellissima, una fase transitoria nella vita incasinata del suo capo.
Mandò giù il cocktail tutto d’un fiato, per affogare quei pensieri e mitigare l’arsura e si fiondò al centro della sala dove le amiche l’aspettavano.
A fine serata Olivia accompagnò tutte a Testaccio con la sua auto: Maya e Monica sarebbero tornate a casa, Alice avrebbe ripreso la sua macchina e lei avrebbe accompagnato Lavinia a casa, come d’abitudine.
“Tesò siamo arrivate. Devi scenne, non è che puoi dormire in macchina mia” la scosse Olivia.
Maya, mentre tutte le altre erano ormai fuori dall’auto per i saluti, dormiva beatamente sul sedile posteriore della Mini, con la testa appoggiata al finestrino.
“Siamo già arrivate?” mugugnò.
“Certo che siamo già arrivate…ci vogliono 10 minuti con la macchina”
“Ah … ok”
“Tutto bene?” le domandò Lavinia, allarmata dopo che, per scendere, Maya aveva dato una testata al soffitto. Lei e le macchine a tre porte non erano esattamente amiche: alta, con gambe e collo lunghi, faticava sempre a prendere le misure. Brilla poi …
“Sì, tranquille, sto na favola. C’ho solo sonno…”
“Magari se non urlassi …” la rimproverò la sorella.
“Ma chi urla?!” rimbeccò Maya “mi rimbomba tutto in testa … prossima volta tavolo lontano dalle casse!”
Le altre si guardarono tra di loro in apprensione, visto che era l’unica del gruppo ad essere in quello stato.
“Sei sicura di star bene Maya, vuoi che salga con te a casa?” suggerì Monica.
“No no, come ve lo devo dire, sto beni- A DEFICIENTE! …” mentre attraversava la strada, non si accorse che un motorino stava passando. I ragazzi a bordo, per avvertirla, suonarono il clacson “AHO! MA CHE TE SONI?!!!”
“Maya basta! Ti senti solo tu … ma che si può sapere che hai bevuto? Ragazze eravamo d’accordo: oltre al vino della cena, solo un giro di amari! Non abbiamo più vent’anni”
Lavinia, la più grande e più responsabile del gruppo, prese Maya sottobraccio, non perché non riuscisse a camminare, ma per tenerla a bada vicino a sé.
“Ma che rompipalle” borbottò la sorella minore “sulla pista faceva caldo e solo preso un Long Island … e credo due Hiroshima”
“Credi. Ma sei scema? Hai mischiato almeno sei tipi di alcolici diversi … praticamente il tuo fegato se ne starà in vacanza per almeno un paio di settimane dopo aver smaltito quella roba roba”
“Uuuuh sempre esagerata tu…”
“Ah io sarei l’esagerata? Tu giochi a fare l’alcolista per una notte e io esagero! Vai pure Olivia, rimango qui con sta cretina stanotte, sennò non sto tranquilla”
“Ehi, tu … cosa…non ho mica più 15 anni!”
“Evidentemente sì se non sai controllarti nel bere!”
“Ma guarda che sto benissimo!”
“Si vede … una favola proprio”
Le due sorelle entrarono nel portone grazie a Monica ma, un po’ per il buio della lampadina fulminata sulle scale, un po’ per Maya che era alticcia, sole davanti alla porta di casa non riuscivano a trovare le chiavi. Una si lamentava per il casino e l’altra sembrava avere il pozzo di San Patrizio al posto della borsetta e quasi ci si tuffava dentro con la torcia del telefono.
“Ma dove cazzo sono?”
“Shhhh! Sono quasi le due…lo vuoi capire che devi fare piano?”
“Shhh lo fai a tua sorella”
“Maya” bisbigliò Lavinia, sospirando “io sono tua sorella”
“Ah già...”

“Signorine Alberici!”
La Betti, in vestaglia rosa di ciniglia e pantofole, stava sull’uscio del portoncino del suo appartamento, i grandi occhiali inforcati e i capelli bianchi ancora perfettamente composti nonostante l’ora tarda. Le due, colte di sorpresa, sobbalzarono come se fossero state sorprese a forzare la serratura dell’appartamento di qualcun altro.
“Mio Dio signora, l’abbiamo svegliata? Sono mortificata per il casino … non riusciamo a trovare le chiavi” si scusò Lavinia, frastornata.
“Tadàaa!” Maya, in tutto questo, tirò fuori, soddisfatta dalla scoperta, le chiavi che in tutto quel tempo erano rimaste nel taschino della giacca di pelle. Le inserì nella toppa e aprì il portoncino.
“Quando rientriamo ti ammazzo” sussurrò Lavinia.
“Ma va cara, alla mia età si dorme così poco … e così quando è finito lo sceneggiato mi sono messa a fare i cornetti per la colazione. Ve ne ho preparato un sacchetto. Pensavo di portarvelo domani mattina, ma visto che ci siamo …”
Forse il pacchetto lo aveva dietro la porta perché non appena le ragazze la ringraziarono, alla dolce nonnina bastò entrare in casa per non più di 5 secondi. Sorrideva sbarazzina, come se di anni non ne avesse 80, e i suoi occhi azzurri con lei; le piaceva fare dolci, ma ancor di più distribuirli e vedere le espressioni di stupore e ghiottoneria di chi li riceveva.
“Ce n’è uno al cioccolato bianco, ho messo uno stecchino per riconoscerlo” spiegò “era il gusto preferito del tuo innamorato quando era piccolo. Chissà se se ne ricorda…domani mattina glielo fai assaggiare tu a Sandrino”
“Temo non verrà più qui Sandrino, Betti …” mormorò Maya, mesta, mentre Lavinia provava a troncare la conversazione ringraziando e tirando la sorella per la giacca “non finché ci sarò io almeno” Dove non erano arrivati i rimproveri di sua sorella, era arrivata la Betti nominando Alessandro.
“Oh … mi dispiace …” esclamò la donna, le mani dietro la schiena, dondolando leggermente sulle punte; aveva un certo che di militare, forse essere la moglie di un carabiniere le aveva forgiato anche le movenze “ma che è successo? Tu e Sandrino siete due cari ragazzi e si vedeva che vi volevate bene …”
“Sai Betti” rispose Maya, gli occhi fissi sul pavimento, la voce incerta “mi dispiace deluderti, ma Sandrino è cresciuto … e deve prendersi la responsabilità di ciò che fa … e ciò che non fa”
“Io sono di un’altra epoca, che vuoi che ne capisca delle cose di voi giovani di oggi” risolse l’anziana signora, avviandosi verso la sua porta, leggermente incurvata “ma certo, voi ragazze di oggi fate bene a farvi valere. Noi non avevamo la vostra stessa libertà. Buona notte ragazze” aggiunse, prima di chiudere la porta alle sue spalle “fate bei sogni!”
Rientrate in casa, Maya sfilò il giacchino di pelle buttandolo sul bracciolo del divano e lei ci si tuffò subito dopo.
“Ti faccio una tisana allo zenzero” disse Lavinia, accedendo il bollitore e frugando tra i cassetti “è l’ideale per smaltire una sbronza: rimani idratata ed eviti la nausea”
“Lavi …” la chiamò sua sorella.
“Dimmi … non ti senti bene?”
Lavinia lasciò le tazze e corse da sua sorella, che non rispondeva. Se ne stava seduta sul divano, di spalle alla cucina, la testa reclinata all’indietro, lo sguardo perso in un punto indefinito del soffitto. Lentamente, girò il viso verso sua sorella: una lacrima, solitaria, le rigava il viso. 
“Lo so che in questo momento potrei straparlare perché sono ubriaca, e che non ha senso perché io … io lo detesto … ma … ma mi manca …”
“Lo so, piccola, lo so”
Lavinia le sistemò i capelli e le accarezzò la guancia, dolcemente, per asciugare la traccia umida che la lacrima aveva lasciato. Vedere sua sorella così, esposta e fragile come non l’aveva mai vista prima, le faceva tanta tenerezza. Era quasi una bambina. Si era spesso domandata se avrebbe mai visto così la sua sorellina, lei che sembrava avere il cuore di pietra, ma ora le faceva solo rabbia perché era successo per colpa di un pezzo di merda che non aveva avuto per lei lo stesso rispetto che lei aveva per lui. Avrebbe voluto incontrarlo di persona e vomitargli addosso tutto lo schifo che provava nei suoi confronti in quel momento.
“Passerà?”
“Solo tu lo puoi sapere”
Farla passare era una decisione che spettava solo al suo cuore, non di certo alla sua testa. Neanche tutte le sue forze o la sua volontà sarebbero bastate se il cuore le avesse detto di continuare ad amarlo, e Lavinia sperava davvero che non fosse così.

 
 

Seatina sole donne per Maya. Quella che doveva essere un'occasione per svagarsi in qualche misura prendersi cura ra di sé stessa e coccolarsi è stata una serata alquanto movimentata e complicata. Sul finale poi...portate pazienza, vi prometto che arriveranno tempi migliori.

Ma passiamo alla sorpresa, perché ogni promessa è debito: forse non lo sapete, ma per dare vita a questi personaggi ho preso "in prestito" dei volti più o meno noti del cinema e della tv. Beh, oggi vi voglio presentare alcuni di loro. Ho usato qualche accorgimento per renderli meno reali, ma alcuni di loro scommetto che saranno ancora molto riconoscibili. Mi farebbe piacere sapere se vi ritrovate con la scelta.  

i Bonelli


gli Alberici (e acquisiti)


gli altri (amici, ex mogli XD)


Ovviamente all'appello manca qualcuno, come per esempio i figli di Anna e altri colleghi di redazione, ma solo perché sono personaggi minori.
Bene dopo questo festeggiamento speciale, rinnovo il mio grazie a quanti stanno seguendo la storia, a qelli che hanno inizato a recensire, a quelli che vorranno farlo ancora e anche ai lettori silenziosi. Vi do appuntamento alla prossima settimana, 
Fred ^_^

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***





 
Capitolo 15

 




Percorrendo le strade movimentate di Roma all’ora di chiusura degli uffici è facile rimanere bloccati nel traffico di via Cristoforo Colombo. Quello che deve essere un veloce spostamento di 10 minuti verso la Garbatella su una strada a scorrimento veloce, si trasforma in un esodo di dimensioni bibliche, sperando sempre che non ci siano imprevisti come incidenti o, perché no, incendi … che a Roma sia mai a farsi mancare qualcosa in repertorio. E quel pomeriggio ad Alessandro era andata proprio male: ambulanza – ambulanza! – ribaltata, palo sulla carreggiata e traffico totalmente paralizzato. O forse non gli era andata poi così male: certo era fermo nel traffico, qualche fenomeno continuava imperterrito a suonare il clacson come se la cosa potesse in qualche modo contribuire a risolvere la situazione, qualcun altro ne approfittava per scendere dall’auto e fumarsi una sigaretta manco fosse il 14 di agosto sulla A1 direzione mare, ma in lontananza in mezzo ai pini il sole stava iniziando a calare timidamente. Con tutto quello che era successo nella sua vita negli ultimi tempi non si era mai fermato un attimo a rendersi conto che le giornate si stavano allungando, preludio della bella stagione.
Una stazione radio locale accesa totalmente a caso per cercare di capire cosa stesse succedendo aveva messo un pezzo di Venditti – fantasia portami via – e gli venne voglia di prendere la moto e partire, andare via e lasciare quella Roma capoccia che tanto amava ma che in quel momento sentiva stretta, claustrofobica. E su quella moto ci si vedeva con una persona che, in quel momento, di certo non sarebbe salita in sella con lui.
E si stupì di sé stesso. Nei colloqui, durante i test attitudinali, da ragazzo, quando gli chiedevano di descrivere sé stesso, c’erano almeno due aggettivi che avrebbe usato: cinico e pragmatico. Ci si riconosceva perfettamente ed aveva continuato a credere che fosse così fino a quel momento.

 

…Certi amori non finiscono

Fanno dei giri immensi e poi ritornano…

 

Così cantava la voce di Antonello alla radio e così sperava che fosse anche per lui. Per la prima volta nella sua vita, pregava per una seconda possibilità. Che l’amore potesse finire senza sentirsi in colpa e accettandolo con dignità, come professava orgoglioso fino a poco tempo prima, ora gli sembrava un’enorme cazzata. Il suo amore per Maya non era finito manco per cazzo. Non poteva.

Quando finalmente la municipale li convogliò su una strada secondaria la sua testa si era riempita di ricordi che facevano sembrare anni quei due mesi passati insieme e si sentì piccolo piccolo, perché flash della sua memoria gli restituivano segnali che avrebbe dovuto notare – sguardi bassi o espressioni imbronciate presto dissipate perché lui, per lei, veniva sempre prima di tutto; e lui non era stato in grado di fare lo stesso con lei.
Con quello spirito non sarebbe stato di grande compagnia al compleanno di Daniele, ma del resto difficilmente il nipote avrebbe preteso che fosse suo zio l’anima della festa: il dj set del locale dove sarebbero andati per la serata era pagato per farlo.

“Già qua?” domandò ad Edoardo, che era già arrivato a casa dei nonni e gli aveva aperto la porta, facendo scendere Giulia, nel suo vestitino azzurro, dalle sue braccia: come sempre quando non lo vedeva per qualche giorno, gli era letteralmente saltata addosso. Claudia aveva insistito per accompagnare personalmente i figli per poter fare di persona gli auguri a quello che, testuali parole, sentiva ancora essere suo nipote.
“Sì, mamma è di sopra con zia” rispose Edoardo; il ragazzo non era ancora al 100% fisicamente, e per concedere il suo sì per la festa, Claudia aveva fatto promettere ad Alessandro di assicurarsi che il ragazzo non si sarebbe buttato nella mischia a ballare. Si spostarono in salotto, dove il festeggiato era con suo fratello, per fargli gli auguri e dargli il regalo.
“Dove sono tutti gli altri?” indagò.
“Nunno è in giardino” spiegò Giulia, tornando a sedere al tavolo da pranzo dove aveva sparpagliato pennarelli e fogli da disegno.
“Sì, quando siamo arrivati improvvisamente si è ricordato di dover innaffiare la siepe” concluse Edoardo, alzando gli occhi al cielo ma con un leggero sorrisetto.
Che non scorresse buon sangue tra suo padre e la sua ex moglie era storia nota, in famiglia ci ridevano tutti su da una vita: inutile dire che con la separazione le cose non erano certo migliorate. Alessandro lasciava correre, per fortuna le occasioni in cui i due si vedevano erano ridotte all’osso. Però avrebbe voluto andare in cucina a vederlo vestito di tutto punto con il tubo per innaffiare tra le mani, rischiando di bagnarsi pur di non avere contatti con la sua ex nuora, ma sapeva che difficilmente avrebbe trattenuto le risate e suo padre non gliel’avrebbe mai perdonato. Così, da bravo zio, prese il biglietto dalla tasca interna del completo e con fare losco, mentre abbracciava il nipote, glielo passò tra le mani. Non era più un bambino, certe cose a suo parere andavano fatte con discrezione, senza troppe smancerie, specialmente tra uomini.

“No vabbeh zì, ma veramente?” domandò Daniele stupito di fronte al biglietto che nascondeva il regalo dello zio.
Alessandro lo aveva iscritto alla scuola guida per prendere la patente e avrebbe sostenuto tutte le spese. Lo aveva fatto con Valerio, era giusto farlo anche con lui.
“Nonno sta invecchiando” gli disse all’orecchio, sghignazzando “sono più tranquillo se guidate voi al posto suo”
“Sto vecchio ce sente benissimo” rivelò Cesare, burbero, le braccia conserte e appoggiato allo stipite della porta del salotto “sfottete sfottete voi, ma si nun ce stavo io a mannà avanti la baracca voglio vedere te come c’annavi all’università e a te e tu fratello chi ve puliva er culo”
“Io starei attento a non dire queste cose di fronte a mamma, papà!”
“Daje zì che figata! Grazie mille!” Daniele non riusciva a distogliere l’attenzione dal suo regalo.
“Però adesso ci manca una cosa” intervenne Valerio, il maggiore. Lo zio lo guardò perplesso. “La macchina. Quando Daniele avrà la patente saremo in 4 con una macchina sola … ahia!”
Cesare aveva appena mollato uno scappellotto sulla nuca del nipote “Ma guarda sto ingrato … è questa l’educazione che t’ho insegnato?”
Ma Alessandro scoppiò a ridere “Intanto c'è la patente che può sempre essere utile, poi ci occupiamo pure di quella questione …”
Conoscendoli, un modello da battaglia, di seconda mano, sarebbe andato più che bene. I nipoti, alla fine, erano dei bravi ragazzi, un po’ grossolani, ma di certo non erano maleducati. Sapevano come farsi voler bene e sapevano dimostrare gratitudine, una cosa rara tra i ragazzi.
Mentre il festeggiato, assieme al fratello e allo zio, provava a convincere il nonno a cedere ad un selfie di famiglia, Anna e Claudia entrarono in salotto. Claudia indossava un abito blu a pois a bianchi. Suo marito lo avrebbe riconosciuto anche a 10 km di distanza: era uno dei suoi brand preferiti, ne aveva l’armadio pieno, ma Alessandro lo odiava; Claudia aveva tanti difetti, ma non si poteva dire che non fosse una bellissima donna eppure spesso si costringeva in abiti rimasti negli anni ’80 che la facevano sembrare più Tata Lucia che una donna dell’alta borghesia capitolina. Sua sorella invece era fasciata in un elegante abitino di pizzo nero, truccata di tutto punto e la chioma ramata che le cadeva morbida sulle spalle: la mamma sull’orlo di una crisi di nervi era sparita; al suo posto, la bellissima ventenne che faceva girare la testa a mezza Roma, solo con qualche anno in più.
“Io vado … vi lascio ai festeggiamenti” tagliò corto Claudia, in evidente impaccio di fronte all’ex suocero che, impettito, aveva proprio l’aria di avrebbe voluto solo accompagnarla alla porta senza troppi complimenti.
“Ma proprio non vuoi venire con noi?” insistette Anna “Guarda che non ci mettiamo nulla ad aggiungere un posto!”
“Dai mamma!!!” la piccolina, che di tutto quello che succedeva tra gli adulti aveva solo una vaghissima comprensione, si fece prendere dall’entusiasmo.
“No amore, non sta bene, la mamma te lo ha spiegato …” le disse allora la madre, inginocchiandosi davanti a lei, comprensiva, ma lanciando uno sguardo verso il marito. Della serie: è tutta colpa tua. Ma Alex era fermo nelle sue decisioni: rapporti amichevoli per bene dei figli, ma per giocare all’allegra famiglia allargata era ancora troppo presto. Specialmente Giulia, doveva capire che le cose erano cambiate e il cambiamento sarebbe stato definitivo.
“Giovanotto” aggiunse Claudia, schioccando un bacio sulla guancia di Daniele “di nuovo tanti auguri!”
“Grazie … zia!” la ringraziò il ragazzo, accennando all’orologio che aveva al polso e aveva appena ricevuto in regalo dalla donna e al contempo guardando lo zio, titubante. Tutti sapevano, del resto, che era anche a causa della zia se tra Alessandro e Anna c’erano delle frizioni; Alex con un piccolo cenno del capo lo tranquillizzò: non era sua intenzione di imporre alcunché a nessuno, ma si aspettava che in una famiglia si facesse fronte comune ed Anna, invece, non lo stava facendo.
Daniele, dopo che Claudia se n’era andata, mostrò il regalo dello zio a sua madre; la donna ringraziò il fratello “Davvero Ale, non dovevi”
“E perché no? Non l’ho fatto per te. L’ho fatto per mio nipote” chiarì l’uomo, freddando immediatamente ogni tentativo di sviolinata, caustico “e poi ho una reputazione da zio figo da mantenere.”
I due ragazzi, all’occhiolino dello zio, risero complici. Se il rapporto con la sorella non era mai stato idilliaco, i nipoti non dovevano entrarci. Sua sorella però lo invitò, con un cenno, a seguirla al piano di sopra con una scusa.
“Vedi che con te fare le persone gentili non serve a niente? Perché devi fare lo stronzo?” lo accusò.
Alex rise nervosamente: era pazzesco come sua sorella fosse capace di ribaltare tutto a suo favore, passando per vittima; ma decise di prendere un lungo respiro e non prendersela più di tanto: era una serata di festa e poi in quel momento lui c’aveva certi cazzi nella sua vita che lei nemmeno poteva immaginare e non voleva aggiungerne altri.
“È per farti provare la tua medicina di tanto in tanto Anna” si limitò a farle notare “così ti rendi conto di che sapore cattivo abbia”
“Eddai Alessà … non c’avete più 10 anni” lo rimproverò sua madre, uscendo dal bagno, anche lei tutta imbellettata per l’occasione; salendo le scale, Cesare tirò uno scapaccione sulla nuca del figlio. I due fratelli, presi dalla loro conversazione, non lo avevano neanche sentito salire le scale.
“Ohi pà! Ma che c’hai oggi co’ sta mano pesante?!”
Cesare, con uno sguardo a cui mancava solo la parola, fece intendere al figlio che sua madre aveva ragione e non doveva protestare, proprio come quando alle medie portò a casa la sua prima insufficienza. Quello sguardo e la ramanzina di sua madre erano stati così difficili da reggere che, per il piccolo Sandrino quella restò la sua unica insufficienza. “Viè n’po’ con me, me devi aiutà a sistemà la cravatta”
I due uomini andarono in camera da letto e Cesare passò una cravatta, l’unica che aveva, quella delle occasioni speciali, al figlio; Alessandro aveva provato a portarlo dal suo sarto, ma si era dovuto accontentare di regalargli qualche camicia di fattura migliore. La risposta del padre era sempre la stessa: dove ce devo da annà?! Non aveva tutti i torti del resto.
“Senti …” esordì, mentre il figlio gli alzava il colletto della camicia e passava la cravatta attorno al collo “oggi passi che è una festa di famiglia, ma quand’è che porti a casa Maya? Un sabato … che tua sorella è tutto il giorno fuori per lavoro. Sono sicuro che tu madre si innamora così” affermò, con uno schiocco di dita “e poi vedi come convince pure tu sorella, sai com’è mamma …”
“Non credo che sarà possibile”
“Perché no? Guarda che co’ Maya c’ho già parlato e secondo me è d’accordo pure lei anche se quella pe’ te dice pure che gli asini volano”
“E quando c’avresti parlato scusa?”
“Il giorno che m’hai chiamato per la perdita al bagno …”
Maya non gli aveva dato nessuna risposta, ma Cesare sapeva che la ragazza difficilmente lo avrebbe contraddetto. Sentiva che tra loro era nata una complicità che non avrebbe tradito.
Quell’ultima frase del padre fece male ad Alessandro come una stilettata. Non per quello che aveva detto, nemmeno tanto per come l’aveva detto, ma perché nei suoi occhi leggeva tutto un lunghissimo sermone moraleggiante che Savonarola spostati…
“Sono cambiate un po’ di cose da allora, pa’!”
“Sarebbe a dire?” domandò, scrutandolo di sottecchi, gli occhi serrati e le mani sui fianchi.
“Ci siamo lasciati” spiegò, conciso.
Un ghigno di disapprovazione e quasi disgusto si stampò sul volto di Cesare che, battendo le mani sulle gambe si voltò di spalle al figlio, esclamando semplicemente un sonoro “Eccallà!”
“Ah pà!”
“Ch’hai combinato?” nervosamente, l’uomo prese ad annodare la cravatta da solo, con pessimi risultati. Si accaniva con quel nodo che non voleva uscire come fosse una fune di corda, di quelle da marinaio.
“Non mi trattare come se avessi 15 anni, sono cose mie. E comunque perché dovrebbe essere colpa mia?”
Immediatamente Alessandro si era sentito catapultato nei panni di Edoardo, durante una delle loro conversazioni e capiva tutto l’imbarazzo del figlio. Cesare, dal canto suo, annuì, ma il figlio intuì che c’era ancora qualcosa che voleva dirgli e non riusciva a tenersi dentro, soprattutto perché l’occhiataccia che gli lanciò era tagliente quanto una stilettata.
“Avanti … che c’è, sentiamo…” sbuffò Alessandro.
“Quella poveretta t’è stata vicino quando nun c’avevi nessuno, e pure quando Edoardo è stato male nun s’è mai lamentata, nun t’ha detto na parola manco quando è passato tutto e nun sapeva dove stavi …”
“Che ne sai te? C’hai parlato?”
“Alessa’ c’avrò pure un pacemaker ar core, ma sti ddu occhi me funzionano ancora bene!”
“Sì ok ho fatto lo stronzo …”
“Io lo so di chi è la colpa ma lasciamo perde vah … e mo?”
“E mo non so da dove provare a ricominciare, ha pure presentato le dimissioni”
In silenzio, Cesare gli rivolse uno sguardo che aveva tutta l’aria di un e te pareva.
“Che te devo dì Alessà … mo so cazzi tua! Vedi che devi fare perché una così non è come la metro, non passa ogni 10 minuti. E mo damme na mano co’ sta cravatta per piacere”
Suo padre l’aveva vista solo un paio di volte eppure l’aveva capita meglio di quanto lui avesse fatto in cinque anni o anche solo nei mesi in cui si erano avvicinati. Maya era speciale: aveva una luce dentro, una limpidezza, che è merce rara. Quella limpidezza e quell’onestà le aveva tradotte nella sua vita, regalandogli forse i momenti più belli: non doveva trovare il modo di riprendersela, no, quello non avrebbe mai funzionato; doveva convincerla che quell’uomo che aveva suonato al citofono quella notte di febbraio, quello con cui aveva fatto il bagno nel mare gelato di aprile non era solo un miraggio. Che era vero ed era lui.



 



Salve a tutti!!! Oggi capitolo breve perché con questo caldo è impossibile stare al computer e come saprà chiunque ha un po' di familiarità con questo sito, pubblicare dal telefono non è praticamente possibile.
Dopo un capitolo più mayacentrico, oggi vediamo cosa combina Alessandro, alle prese con la sua famiglia e con le solite dinamiche. Povero Cesare, suo figlio gli ha proprio rovinato la giornata ahahahah, forse voleva bene a Maya più di Alessandro.
Chiedo scusa se non sto rispondendo alle recensioni, spero che nei prossimi giorni il caldo si attenui e io possa tornare a passare più tempo su EFP. A presto!

Fred ^_^

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***





 
Capitolo 16

 

 

“Va beh…ce lo faremo bastare…venerdì invece? Idee per l’home page?”
Il venerdì era il giorno di maggior traffico per riviste online come la loro. Tutta Roma e dintorni si riversava sul loro sito per organizzare il weekend e bisognava essere il più possibile sul pezzo. Dare ciò che il pubblico vuole, facendolo coincidere con quello che vogliono vendere gli sponsor. Era per questo che nella riunione programmatica della settimana successiva, ognuna delle teste si lanciava nella difesa della propria sezione, presentando il proprio cavallo di battaglia.
“C’è il pezzo sulla chirurgia plastica che ti avevo fatto vedere” si fece avanti un uomo sulla quarantina, non molto alto e nemmeno particolarmente bello ma che credeva profondamente di esserlo, con il suo look trasandato da bello e dannato.
“No, argomento superinflazionato … e poi di venerdì? Giacomo, dai! Come se non lavorassi qui da 8 anni … tutt’al più come taglio basso, ma rivoltatelo come un calzino perché è anonimo, piatto. Altro?”

“Possiamo proseguire con la serie sul Giappone a Roma” si fece avanti la caposervizi della sezione Turismo “Dopo l’Hanami all’Orto Botanico c’è il Giardino dell’Istituto di Cultura Giapponese.”
“Già usato per un photoshoot di moda dell’anno scorso. Forza ragazzi, idee … idee!”

“La prima del Rigoletto a Villa Borghese?” azzardò Elena, sezione Cultura “c’è Grigolo nel cast”.
Bruna, taglio Pixie spettinato e leggeri colpi di rasoio ai lati, Elena voleva assolutamente essere presa sul serio e la sua bellezza – perché davvero era molto bella – per lei rappresentava un problema. E così finiva per costringersi in completi di taglio maschile. Un vestito non ha genere, ripeteva sempre alle colleghe che le suggerivano un cambio di look.
“Oooh, questo è il
glam” disse Alessandro, mimando le virgolette su glam “che ci porta click. Lo vedete che se vi spremete le meningi ce la fate?! Avete già parlato con l’entourage del cantante?”
“Sì ma preferiscono lavorare con noi questa estate perché ora …”
“Assolutamente no, devono iniziare a capire che si lavora con noi quando lo vogliamo noi. I tempi in cui eravamo accomodanti sono finiti … chi vuoi che legga dei progetti di un cantante lirico il 10 di luglio in spiaggia a Ostia o Fregene?! E noi promuoviamo l’Opera di Roma, mica l’Arena di Verona. Ah … adesso che mi viene in mente, Stefano” disse Alessandro, cambiando argomento “quel pezzo sulle parlamentari … buonissimo, nulla da ridire, ma lasciamocelo in caldo per il prossimo autunno visto che ci saranno delle elezioni suppletive…siamo a ridosso dell’estate, datemi pezzi leggeri, che la gente abbia voglia di leggere da un tablet o dal telefono”
“Ci sarà una serata a porte chiuse per l’inaugurazione della mostra di Lachapelle al Galleria d’Arte Contemporanea” subentrò Elena “solo che c’è un problema.”
“Sarebbe?”
“Arturo è in malattia, operato d’appendicite. Ne avrà per una decina di giorni”
“Non hai nessuno da mandare al posto suo?”
“Non in redazione, Marina è appena rientrata dalla maternità, non posso mandarla ad un evento serale … e poi comunque si occupa di libri, Mattia è un topo di internet, dove vuoi che vada ad un evento per gente della Roma bene?! Non sono neanche sicura abbia una giacca elegante, ma un freelance si trova”
“Un freelance per un articolo del genere? In bocca al lupo se ne trovi uno che accetti di essere pagato quanto vogliamo noi”
“La mia compagna insegna all’Università Americana, qualche tesista che vuole fare esperienza me lo trova di sicuro”
“Per piacere non facciamo brutte figure. L’ultima volta che abbiamo avuto questa idea geniale alla fine ci mancava solo la mia firma sull’articolo.” Fosse stato per lui, Alessandro avrebbe mandato qualcuno della sezione Eventi, ma quelli della sezione Cultura era particolarmente suscettibili e in competizione con gli altri settori della rivista che è sempre meglio non svegliare can che dorme.
“Senti, io la stessa sera sarei a coprire Villa Borghese e significa che non andiamo …” protestò la donna, contrariata: Alessandro sapeva essere veramente granitico nelle sue convinzioni “e ti faccio solo un nome: Gianmaria Ludovisi. La mostra la organizza lui, tutta la
meglio gioventù di Roma sarà presente”
“Gianmaria Ludovisi hai detto?” 

A quel nome, ad Alex si alzarono le antenne; aveva già sentito quel nome e batteva ritmicamente sul tavolo con la penna che aveva tra le mani per tentare di recuperarlo da qualche cassetto della memoria. Poi, finalmente … eureka!
“Giovanni per favore, fai venire qui Maya!” ordinò allo stagista che, in fondo alla stanza, stava seduto in un angolino di fianco al tavolo da buffet.
Da quando era successo il fattaccio, in modo o nell’altro i due comunicavano sempre per interposta persona. Quando Alex era costretto, solo in ufficio, ad interagire con lei direttamente, faceva sempre una fatica immane. Quando la ragazza entrò Alex si sorprese istintivamente ad irrigidirsi, persino ad ergersi sulla sedia, impettito, quasi come fosse un capobranco in procinto di mostrarsi quale maschio alfa alla sua femmina. Il paragone che la sua mente aveva fatto lo raccapricciava, perché si sentiva più un cucciolo indifeso che tentava inutilmente di ruggire ma fuori suonava più o meno come un miagolio.
Patetico!

“Dimmi Alex” disse Maya entrando, con grande nonchalance.
Tutto il suo tormento interiore, lei non sembrava averlo. Alessandro invidiava come, dopo la sfuriata in ufficio, fosse riuscita ad andare avanti come se nulla fosse; e se invece era tutta finzione, la invidiava doppiamente.
“Maya tu conosci Gianmaria Ludovisi?” le domandò, mentre la giovane restava in piedi di fianco a lui, impassibile.
“Dai Alex chi non lo conosce qui Roma” lo interruppe Elena “già solo il suo cognome …”
“Riformulo la domanda: conosci personalmente Gianmaria Ludovisi?”
“Abbastanza”
Ma lui la verità la sapeva bene: gliel’aveva raccontata una sera, a cena, quando seduti a tavola Alex le aveva domandato che fine avessero fatto i suoi quadri;
abbastanza era soltanto un modo modesto per dire che erano stati compagni di scuola ed era lui il responsabile della sua piccola collezione d’arte privata quando viveva ai Parioli.
“Abbiamo la nostra inviata”
“Come prego? Cosa significa inviata?” “COSA? SE STAI SCHERZANDO ALESSANDRO NON È DIVERTENTE” le due donne lo sovrastarono all’unisono con le loro domande.
“C’è una mostra in centro, Maya, ma il nostro esperto d’arte è in malattia e vorrei che lo sostituissi tu”
“Con tutto il rispetto Alex, ma dai un pezzo in mano ad una totale inesperta”
“Disse quella che voleva assegnare l’articolo ad uno studente a caso … e comunque Maya non è inesperta” “Che significa?” 
Alex sentì lo sguardo di Maya puntato su di sé e si sentì raggelare: gli occhi di Maya, anche se non osò incrociarli, erano di sicuro neri come la pece. Se avesse parlato degli articoli che aveva scritto, esponendola davanti a tutti senza il suo permesso, non gliel’avrebbe perdonato mai. Non doveva più fare un passo falso con lei.

“Che è in questa redazione da 5 anni, lavorando al fianco di tutti noi in maniera attenta e discreta e imparando molto più di quanto gliene diamo merito, e mi ci metto anche io. Mi sembra giusto offrirle questa opportunità. In più conosce il curatore della mostra e probabilmente anche tutti gli invitati, il che è un bel vantaggio”
“Si va beh”
Elena raccolse le sue cose dal tavolo indignata e fece per andare via. Era evidente che la sua stizza non era dovuta alla ragazza in sé ma ai due conti che la sua testa aveva elaborato in fretta.
“Maya farà l’articolo e tu le darai tutti le dritte del caso…se esci da quella porta prima della fine della riunione scordati l’homepage”

Alex sapeva tirare le corde come un burattinaio esperto. Si contavano sulle dita di una mano le volte in cui, in un anno, la sezione cultura otteneva la sezione principale della pagina iniziale del sito. Peggio capitava solo la sezione food di Lisa. E, tra le due, la competizione era serrata. Sempre e solo cinema, tv e jet set. Toglierle il suo piccolo momento di rivalsa, Alex lo sapeva bene, era un ricatto migliore delle minacce di licenziamento. La donna, con la coda tra le gambe, tornò a sedere, ma dentro ribolliva.
Maya, in tutto questo, stette in silenzio, come se la conversazione tra Elena e Alessandro non la riguardasse in prima persona. Era stata presa totalmente in contropiede: spalle al muro, non sapeva come uscirne. In primis, non si aspettava una notizia del genere: più e più volte Alex l’aveva spronata a scrivere e c’era persino riuscito con il reportage che avevano scritto insieme, ma pensava ormai che fosse un capitolo chiuso, specialmente dopo la loro rottura e con le dimissioni sulla sua scrivania; in secundis, non poteva credere che le avesse fatto una piazzata simile, davanti a mezza redazione, con tutti i pettegolezzi che avrebbe generato rendendole quegli ultimi giorni in ufficio un inferno.

Se ne andò dall’ufficio quando ormai la decisione era presa e lei non aveva avuto la forza di controbattere. Al ritorno di Alex in ufficio, però, a mente fredda e con le idee chiare, si fiondò da lui, chiudendo la porta alle sue spalle.
“Cos’era quella carnevalata?” sbraitò, sporgendosi sulla scrivania dell’uomo facendo forza sulle braccia. Era livida.
“Non è stata affatto una carnevalata”
“Prima non ho detto niente perché l’ultima cosa di cui il giornale ha bisogno è che tu perda credibilità di fronte ai tuoi collaboratori… ma non mi sembra di aver accettato la proposta”
Alex si alzò dalla poltrona e fece il giro della scrivania per portarsi di fronte a lei, la sua espressione comprensiva.
“Sai che l’ultima cosa che voglio è fare il capo cattivo con te Maya, non mi pare di averlo mai fatto e non comincerò di certo adesso, ma non ho mai detto che c’erano alternative. Non è una proposta, è un lavoro che ti è stato assegnato. Fino a prova contraria lavori ancora per me”
Senza rendersene conto, la vicinanza tra di loro si era fatta davvero esigua, ma a nessuno dei due dava fastidio. Purtroppo, pensò Maya.
“Sei un bastardo” sputò, seccata, guardandolo dritto negli occhi.
Fu costretta però a distogliere ben presto lo sguardo, voltandosi: i suoi occhi verdi, in quella mattina di sole, sembravano quasi azzurri. Azzurri come il mare di Santa Marinella la mattina di Pasqua, lucenti come gli occhi che la guardavano mentre le diceva ti amo. E le faceva male sostenerli: ma lui non doveva saperlo.
“Perché?” le chiese.
“Perché c’erano modi e modi. Invece mi hai fatto una piazzata di fronte a tutti… per poco non mi sputtanavi con la storia degli articoli e ora tutti penseranno quello che non devono pensare”
“Non è più un tuo problema: non stiamo più insieme e poi tu tra un po’ te ne vai …”
“È per questo, vero? Cos’è, una specie di vendetta?” domandò, sarcastica. Era uno stronzo egoista, e per il lavoro non guardava in faccia a nessuno, ma non poteva credere che potesse veramente arrivare a tanto.
“Non è come credi” sussurrò, deluso che potesse pensarlo capace di una cosa simile … era però comprensibile, dopo che si era comportato in quel modo con lei “non mi sta bene che te ne vada ma non posso costringerti a restare. È giusto però che tu abbia la possibilità di aprire i tuoi orizzonti ben oltre quello che hai fatto qui. Perché sai che puoi farlo … perché te lo meriti”

Alex azzardò allora una mossa: poggiò le sue mani lievemente sulla vita della giovane, approfittando della vicinanza e che, di spalle, sicuramente aveva la guardia abbassata. Maya, con sua enorme sorpresa, non fece una piega. Quel contatto, sebbene inaspettato, era mancato anche a lei.
“Non così però”
“Non mi avresti mai dato il permesso, e non dirmi di no”
Non poteva dirglielo: aveva ragione, ormai la conosceva fin troppo bene.
“E va bene, lo faccio” dichiarò, finalmente tornando a guardarlo in faccia; in fondo, avere sul curriculum un articolo scritto per Roma Glam, non importava quanto breve o insulso, poteva sempre fare comodo. “Ma perché l’ho deciso io, non perché mi hai obbligato tu”
Alex annuì, sorridendo soddisfatto. Mentre Maya lasciava il suo ufficio, l’uomo si lasciò andare ad una battuta, sottovoce “Te l’ho detto che ti avrei fregato prima o poi …”


Il pomeriggio Maya lo aveva passato con Elena la quale, incazzata per essere stata costretta ad abbozzare alle richieste – o per meglio dire gli ordini – di Alessandro, aveva trattato Maya con scontrosità e disprezzo; la giovane aveva provato in tutti modi a farle capire che era stata vittima di quell’imboscata di Bonelli, proprio come lei, ma invano. Ormai era stata schedata come una raccomandata e nulla avrebbe fatto cambiare idea alla giornalista. Grazie Alex.
A fine giornata, dopo essere passata a fare la spesa, aveva solo voglia di mettersi in tuta e fare HIIT, così da spazzare con la fatica dell’allenamento tutto quello che era successo e sfogare la sua rabbia nello sforzo fisico. Perdere fiato, sudare e farsi una lunga doccia le sembrava un ottimo piano per mandare via gli influssi negativi di quella giornata. Ma quando aveva caricato l’ascensore con la spesa, non avrebbe nemmeno lontanamente potuto immaginare cosa, o forse era meglio dire chi, avrebbe trovato sul pianerottolo di casa sua ad aspettarla.
"Signor Bonelli!" esclamò Maya, stupita di trovarselo di fronte appena uscita dall’ascensore.
Non sapeva come chiamarlo, ora, e di getto le venne più spontaneo tornare alle buone maniere e alla formalità di due estranei. Non gli avrebbe chiesto come aveva fatto ad entrare: se lo conosceva anche solo un po’ aveva sfruttato la sua conoscenza con gli altri inquilini del palazzo - con molta probabilità la Betti – e poteva figurarselo benissimo, appostato alla finestra di uno degli appartamenti, a sbirciare il suo ritorno.
"Signor Bonelli?!” proruppe l’uomo, bonariamente “oh, Maya, so' Cesare, che so' ste formalità?"
"Senta" disse, sbuffando, mentre tentava di aprire la porta di casa, ma più per il peso delle borse della spesa che per la seccatura di dover avere a che fare con il padre di Alex "se è venuto per dirmi che rivuole casa, sappia che non ho intenzione di muovermi da qui, pago regolarmente e il contratto non è scaduto, non mi può cacciare"
"Aridaje co' sto lei … e poi non sono qui per la casa. Che dici se mi fai entrare e parliamo un po'?! Non ti mangio, promesso" disse, mani in alto e sguardo innocente "e non ho microfoni addosso, sono qui di mia spontanea iniziativa"
Cesare aveva intuito perfettamente la ritrosia di Maya e l'unico modo per farla rilassare era presentarsi così com'era senza troppe smancerie o salamelecchi, parlando onestamente. Lui non era suo figlio, per fortuna, e Maya doveva sapere che lui era dalla sua parte; che questo avrebbe aiutato anche quel cretino patentato di Alessandro, era un altro paio di maniche.
Maya non disse niente: si limitò solo ad un cenno del capo e ad un sorrisetto sghembo. Era incredibile come gli uomini di quella famiglia, oltre alle loro entrate ad effetto, riuscissero sempre, in qualche modo, a fregarla. Cesare, grato per la fiducia che le stava accordando, la aiutò con le borse della spesa, mentre a lei lasciava il fusto del detersivo e la confezione dell'acqua.
C'era poco da fare, suo figlio l'aveva adocchiata bene. Era bella come la gioventù è bella, ma anche di più: la pelle bianchissima non aveva neanche una piccola imperfezione, i capelli, cresciuti dall’ultima volta che l’aveva vista, le cadevano morbidi sulle spalle con delle piccole onde naturali e poi c’erano le sue gambe lunghe che facevano il resto; eppure in quel momento la vedeva sfiorita, malinconica. E per quanto poteva avere avuto solo una giornata storta a lavoro, lui sapeva comunque a chi dare la colpa.
"Come stai cocca? Ti vedo un po' sbattuta" notò, entrando in casa e poggiando tutto a terra.
Maya poteva negarlo quanto voleva, ma che la chiamasse cocca era un pugno in pieno sterno la lasciava senza fiato ogni volta: suonava di casa. Era così personale per loro che si conoscevano così superficialmente, eppure non avrebbe voluto che la chiamasse in nessun altro modo.
"Tu che dici?" ribatté, riuscendo finalmente a dargli di nuovo del tu. Effettivamente Cesare non poteva pretendere che sprizzasse gioia da tutti i pori. Ma già solo che non l’avesse mandato via lo rincuorava e gli dava speranza.
Maya gli preparò un caffè, e mentre lui lo sorseggiava, ancora bollente, sistemava in frigo le cose più urgenti, al resto avrebbe pensato dopo.
"Allora, non giriamoci intorno che io non ci so fare co’ ste cose…" disse l'uomo, poggiando la tazzina e battendo la mano sul piano del tavolo dove l'aveva fatto accomodare, come ad invitare la giovane a sedergli accanto; Maya ubbidì, come una ragazzina che stava per ricevere una strigliata dal padre.
Nei modi era troppo uguale ad Alex, non poteva non volergli bene. E poi lui l'aveva accolta letteralmente a braccia aperte quando l'istinto gli avrebbe dovuto dire invece di scappare da quella situazione poco ortodossa.
"Almeno te me lo dici ch’è successo?"
Maya fece spallucce, passando la lingua tra i denti a bocca chiusa, come faceva sempre quando era nervosa.
"Cosa vuoi che ti dica … non ha funzionato, si vede che doveva andare così…"
Non era fatalista, non era niente in particolare, si era semplicemente arresa al corso degli eventi, nonostante certe volte quella vita a due - o meglio, la vita a due con Alex - le mancasse da morire.
"Senti, un po' te conosco e lo vedo che sei come me. Ora fai l'orgogliosa, ma si vede che te vuoi bene a mio figlio. O sbaglio?"
La guardava con gli occhi con cui si guarda una figlia e quello sguardo destabilizzava Maya, che non era più abituata a tanta sincerità e tanto affetto. Si girò verso la finestra, la mano a torturare una ciocca di capelli malcapitata. Abbassò lo sguardo e scosse la testa: no, non sbagliava
"Vedi…e lui vole bene a te" infierì Cesare.
A Maya scappò una risata amara, quasi un singulto.
"Forse lui mi vuole bene...ma non me lo deve solo dire. È questo il punto."
“Ma come fa a dimostrartelo se trova un muro di fronte?!”
Maya prese un grosso respiro, indispettita. Si alzò e tornò a sistemare la spesa in cucina: aveva bisogno di distrarsi per non rischiare di dire a Cesare cose di cui, alla fine, avrebbe potuto pentirsi. Però di una cosa era sicura: non c’era nessun muro da parte sua, solo una porta chiusa con la chiave nascosta da quale parte. Alex doveva solo trovare quella benedetta chiave ed entrare, ma purtroppo non poteva dargli alcun indizio perché in quel momento non sapeva nemmeno lei dove fosse.
“Alessandro m’ha detto che non vuoi più lavorà co’ lui …”
“Come potrei?” domandò la giovane, appoggiandosi al bancone dell’isola “Sono la sua assistente e non comunichiamo più, è diventata una situazione ridicola francamente. Credo che allontanarci a questo punto possa farci solo bene”
Lasciare il lavoro avrebbe permesso loro di ritrovarsi o li avrebbe allontanati per sempre, ma per Maya a quel punto non faceva differenza, pur ammettendo di preferire la prima ipotesi. Quel piccolo assaggio di vita insieme, che all’orizzonte aveva iniziato a mostrarle come avrebbe potuto essere una vita in famiglia, con i figli di lui e persino con un suocero come Cesare, era stato dolce e amaro al tempo stesso. Ma ora le importava molto di più uscire da quella tortura stagnante per entrambi.
“Lo capisco” affermò Cesare, alzandosi per andare via. Maya lo seguì verso l’ingresso. “Io lo so che sono cose vostre e nun me dovrei impiccià, anzi se mio figlio viene a sapere che so’ stato qui m’ammazza”
“Certo non lo verrà a sapere da me, stai tranquillo…” rispose Maya, ammiccante e complice.
Cesare sorrise, placido. Lui ci sperava davvero che le cose potessero risolversi; aveva preso in simpatia quella ragazza in men che non si dica, senza sapersi spiegare il perché, o forse sì.
“Na cosa però te la voglio dì” le confidò l’uomo, “la sera che ci siamo conosciuti m’avete ricordato tanto me e mia moglie … e io e Maria sono quasi 50 anni che se volemo bene”
Quello che lo aveva riportato indietro nel tempo era stata la limpidezza che i due riuscivano a far trasparire. Anna aveva descritto la situazione in cui Alessandro si era cacciato quasi fosse torbida ed illecita, ed invece aveva trovato due ragazzi – ai suoi occhi il suo Alessandro sarebbe rimasto sempre il suo ragazzo – per bene, persino impacciati di fronte a lui, che vivevano il bene che si volevano in maniera spontanea e genuina, che gli aveva ricordato i primi tempi del suo matrimonio, proprio tra quelle mura. Ma del resto, se Maya aveva conquistato la fiducia e la simpatia di Giulia, non poteva essere diversamente.
Sulla porta, mentre l’uomo usciva sul pianerottolo, Maya gli riservò uno sguardo malinconico, nonostante sul suo volto si fosse aperto, a fatica, un sorriso leggero.
“Mi dispiace per come sono andate le cose, Cesare, ma se ti va un caffè, la macchinetta è sempre pronta per te… o un gingerino magari, basta un colpo di telefono” gli disse, facendogli l’occhiolino e accennando, per la prima volta, ad una risatina; ormai, quella del gingerino, era diventata anche una battutina loro. Non se lo sapeva spiegare, ma erano bastate un paio di volte per trovare quasi un padre in quell’uomo e non lo voleva perdere.
“Diciamo allora che di tanto in tanto ci potrebbe essere qualche guasto da sistemare, che dici? Sennò poi pure mia moglie diventa gelosa … ciao bella!”
L’uomo se ne andò, scendendo le scale, lentamente, con fare mesto, come avesse detto addio all’amico di una vita, ma non così scoraggiato come era arrivato: certo la situazione era complessa, ma era più grigia che nera e forse, chissà, col tempo si sarebbe risolto tutto. E, se non fosse successo, almeno aveva guadagnato una inquilina affezionata che non gli avrebbe rifiutato una tazza di caffè ed un saluto.



 



Ciao a tutti! Questo capitolo per me è un'incognita, lascio a voi giudicarlo. A volte mi sembra non succeda un granché quando lo rileggo, altre mi pare una bomba. Una cosa è certa: i Bonelli sanno come fare le imboscate a Maya. Vi mando un saluto grande e vi ringrazio per le recensioni e le visualizzazioni, anche se questo mi sembra un periodo un po' "morto"..è colpa del caldo e dell'estare immagino. A presto, 
Fred ^_^

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***







 
Capitolo 17

 

 

“Chi è?” domandò Claudia, alla figura di spalle nel videocitofono.
“Sono io, scusa” disse Alessandro, sorridendo e mettendosi a favore della telecamera “fai scendere i ragazzi, li aspetto qui sotto.”
“Non sono ancora pronti. Dai sali …”
“Chi non muore si rivede!” esclamò Claudia, ricevendolo in casa e dando un veloce bacio sulla guancia, ricambiato con gentilezza dall’uomo.
“I ragazzi?”
“Di sopra, Edo è ancora sotto la doccia”
“Insomma siamo tornati alle vecchie cattive abitudini” commentò l’uomo, scuotendo la testa ma in realtà felice che suo figlio fosse ormai praticamente ristabilito.
Claudia rise con lui della sua osservazione “…e Giulia sta finendo un lavoretto per l’asilo” proseguì “così potete godervi il week end tranquilli.”
“Grazie”
“Ma vieni di là, ti offro qualcosa. Quand’è stata l’ultima volta che sei venuto qui? Tre settimane?”
Sì: due settimane e cinque giorni per essere precisi. Due settimane e cinque giorni da quando era tornato da Parigi e la sua vita era finita di nuovo sotto sopra, ma a questo giro non aveva nessuno da incolpare se non sé stesso.
“Più o meno, ma ho avuto un sacco di casini al lavoro” tentò di giustificarsi.
“E non solo lì, a quanto ne so” commentò Claudia, facendo accomodare Alessandro in salotto e andando in cucina a prendere da bere, in totale distensione.
“E comunque ci siamo visti il giorno del compleanno di Daniele”
“Va beh ma quello non conta, è stata una toccata e fuga” disse Claudia, ammiccando con complicità. Ad Alex quella ritrovata armonia sembrava un sogno, un traguardo raggiunto dopo mesi di tira e molla: un’oasi di calma in piena turbolenza. Sapeva che, in fondo, la sua ex moglie era una donna di buon senso e sarebbe arrivata da sola alla conclusione più ovvia, cioè che farsi la guerra, non solo non portava da nessuna parte, ma avrebbe fatto male più ai loro figli che a loro.
“Toglimi una curiosità” le disse, mettendosi comodo sul divano “ma da quando in qua sei diventata amicona con mia sorella? È inutile che fai finta di nulla … lo so che è lei l’uccellino che spiffera tutto.”
“Sei troppo severo con lei. Voleva solo aiutarci a salvare il nostro matrimonio”
“Però c’è un detto che dice tra moglie e marito non mettere il dito … soprattutto in fase di separazione aggiungo io.”
La donna si avvicinò a lui sorridendo spensierata, portando in un vassoio dei salatini, delle olive e due calici di prosecco.
“Non è un po’ presto per bere?”
“Sono le sei, siamo perfettamente in orario per l’aperitivo” considerò, porgendogliene uno “e poi bisogna brindare”
“A cosa?” domandò.
“Ho trovato un lavoro”
“Oooh, finalmente una bella notizia!”
Non lo diceva solo perché non avrebbe più dovuto versare l’assegno di mantenimento anche a lei; l’aveva sempre spronata a fare qualcosa per realizzare sé stessa, anche se lei insisteva nel ripetere che come madre si sentiva pienamente realizzata.
“È uno studio di architettura. Mi occuperei di interni. Lo sai, è una cosa che mi è sempre piaciuta. Certo all’inizio sarà più un lavoro da dipendente che da creativa, ma mi danno la possibilità di lavorare principalmente da casa, il che è perfetto per i ragazzi”
“Benissimo, sono contento per te, veramente …”
“E se me lo permetti …” continuò Claudia, esitante, squadrando il marito dubbiosa “…brinderei anche a te, che sei tornato single”
“Non c’è niente da festeggiare, Claudia” decretò Alessandro, buttando giù il vino tutto d’un fiato, con una smorfia di irritazione mentre il vino scendeva giù per la gola secco e frizzante “non so cosa ti abbia detto quella simpaticona di Anna, ma di sicuro non è come crede lei”
“E com’è? Perché ti dico come sembra da fuori: che tu hai avuto un brutto periodo e lei alla prima difficoltà ti ha mollato. Per carità, eh, io non giudico, meglio così, almeno hai capito di che pasta è fatta …”
“E se invece ti dicessi che la colpa è mia?” Alessandro si pentì immediatamente di aver detto quei pensieri ad alta voce, del resto non era solo la sua vita di cui stavano parlando, ma anche di quella di Maya.
“Come sarebbe colpa tua?”
“Se permetti preferirei tenere certe cose per me” avevano trovato un punto d’incontro, ma questo non significava che erano diventati amiconi o che lei fosse la sua confidente, nonostante i venti anni insieme, di tanto in tanto, si facessero ancora sentire nella dimestichezza che, inevitabilmente, avevano ancora nello stare l’uno di fianco all’altro.
“Però io continuo a credere che non tutti i mali vengano per nuocere, persino l’incidente di Edoardo … lo so che è brutto da dire, ma non puoi negare che ci abbia aiutato. È da tanto che non stiamo così bene insieme io e te” dichiarò, avvicinandosi. Alex si irrigidì, e completamente preso alla sprovvista non riuscì ad alzarsi né a tirarsi indietro sul divano, letteralmente messo all’angolo, tra lo schienale e il bracciolo.
“Claudia, io …”
“Shhh” sussurrò la donna, ormai a pochi centimetri dal suo volto. Ma quando azzerò la distanza tra loro, trovò le labbra dell’ex marito fredde e rigide come quelle di una statua al punto che, anche per lei, andare oltre sembrò non solo impossibile, ma anche inopportuno ed imbarazzante. Alex si alzò dal divano, pulendo con il dorso della mano le labbra, istintivamente, andando verso l’ingresso.
“Dì ai ragazzi che li aspetto di sotto” le ordinò, fermo e rabbioso.
“Aspetta” lo richiamò la donna, irrequieta, maltrattando le proprie dita intrecciate “parliamone.”
“Ma di cosa vuoi parlare ancora? De che?” disse Alex, tornando al centro del grande salone; se l’uomo avesse avuto bisogno di una prova che per la sua ex moglie non sentiva più niente, l’aveva avuta in quel momento.
“Io … io pensavo che …” balbettò lei.
“Claudia …” il tono di Alex era patetico e monocorde, come di fronte a qualcuno di cui si ha compassione “… te l’ho già detto, io non ti amo più, discorso chiuso. Che senso ha continuare così? Ti rendi solo ridicola. Non so come ti sia potuto venire in mente …”
“Ti amo ancora” confessò Claudia, mettendosi in piedi e andando verso di lui. La voce era suadente, lo sguardo ora più sicuro puntava dritto verso di lui, vigoroso ed appassionato “in queste settimane in cui ci siamo riavvicinati ho trovato la finalmente la risposta a quella domanda che mi avevi fatto prima di andartene di casa. Io amo tutto di te … il tuo essere combattivo e risoluto, la tua intraprendenza…”
Sembrava la descrizione di un uomo di affari, non di un marito o di un amante, né tanto meno del padre dei suoi figli; ma ad Alex non importava, anzi continuava a fargli pena: purtroppo per lei, pur distorto che fosse, non ricambiava più quel sentimento.
“Io lo so che è assurdo, che in questi mesi ci siamo fatti male, ma è più forte di me …” continuò, sistemandogli il colletto della camicia; ma Alex si scostò: davanti ai suoi occhi, l’immagine di Maya che compiva gli stessi gesti, teneri e attenti, di nascosto, nel suo ufficio, prima di andare in riunione. “Ho fatto un grande errore ad andarmene senza parlarne con te. Adesso l’ho capito veramente, ma forse possiamo avere una seconda possibilità, se solo tu volessi, possiamo essere ancora una famiglia, insieme a Giulia ed Edoardo… sono pronta anche a perdonare la sbandata … in fondo, ora che ti sei tolto quel prurito … in un certo senso siamo pari”
“Sbandata? Prurito? Ma come parli? E tu che cazzo ne sai di cosa è stata Maya per me?”
“Dai Alex, non potevi fare sul serio con quella lì”
“Innanzi tutto, qualunque cosa sia successa tra me e lei non cambia le cose tra noi. E poi bada a come parli. Quella lì…come la chiami tu…ha una dignità e una sensibilità che nemmeno ti immagini. Mai una volta che abbia detto una cattiveria nei tuoi confronti e tu invece sei subito pronta a sputare veleno. Non sei cambiata per niente Claudia …”
“Perché avrei dovuto cambiare scusa? Per te che sei in piena crisi di mezza età e hai bisogno di sollazzarti e sentirti giovane?!”
“Ma piantala … mi conosci e sai che non sono quel genere di uomo”
“No, non ti conosco più”
“Ah pure! E nonostante questo insisti ancora … non so se mi fai più pena o più schifo”
“Avete finito? Noi siamo pronti” Edoardo stava impalato sull’uscio del soggiorno, con i borsoni ai piedi e sua sorella in braccio.
“Stai attento, sai che non dovresti ancora sforzarti troppo con i pesi” lo riprese sua madre, facendo finta di niente.
“Ciao papà!”
“Ciao Puffetta!” Alessandro si fiondò, sorridente, a prendere la piccola dalle braccia di Edoardo, ma il suo sguardo tradiva una profonda inquietudine. “Scusaci, non succederà più” sussurrò al figlio.
Il ragazzo non rispose nulla: si limitò a salutare con una mezza parola sua madre e ad uscire di casa.
 
“Giulia entra in macchina, papà deve fare due chiacchiere con Dedo”
“Va bene”
Alessandro chiuse la portiera posteriore della sua berlina e si voltò verso il maggiore dei suoi figli, che sembrava tutt’altro che entusiasta al prospetto di quella conversazione.
“Che c’è?” domandò lagnoso il ragazzo, buttando i borsoni nel portabagagli e richiudendo il portellone poco delicatamente.
“Scusa … non so quanto avete visto prima tu e Giulia, ma ti giuro che è avvilente per me dover ripetere sempre l’ovvio a tua madre”
“Lo so, anche con me certe volte sa essere proprio fastidiosa…ma non dirle che te l’ho detto”
Not a word” disse Alessandro, soddisfatto che per una volta suo figlio riuscisse a dargli ragione, ma senza darlo troppo a vedere.
“Le cose sarebbero più facili per tutti se si riuscisse ad andare avanti” commentò il ragazzo, di punto in bianco “vi siete lasciati, non è riuscita a convincerti a tornare insieme? Amen! Basta! Mi chiedo a volte se di anni ne abbia quattro invece che quaranta, Giulia sembra più matura di lei a volte”
Il padre gli posò una mano sulla fronte, come per controllare che non avesse la febbre, ridacchiando “Ti senti bene, sì?”
“Dai andiamo …!” la chiuse lì Edoardo, alzando gli occhi al cielo ed entrando in auto con il padre che rideva sotto i baffi.
Fermi ad un semaforo, mentre andavano verso casa dei nonni, Alessandro notò, buttando uno sguardo alla sua bambina dallo specchietto retrovisore, che Giulia, sempre vivace e chiacchierona, ora se ne stava in silenzio, seduta sul suo rialzino, e il nasino pressato sul vetro del finestrino, musona e vagamente malinconica.
“Che c’è Puffetta? Non mi racconti niente?” domandò, ma la bimba fece spallucce, continuando a tenere lo sguardo fisso sulla strada. Di solito non doveva tirarle fuori alcunché, era sempre lei che, entusiasta anche delle più piccole cose, ma soprattutto di ritrovare il suo papà, lo tempestava di domande e faceva il resoconto di tutto il tempo che avevano passato separati. Doveva esserci qualcosa che non andava.
“Sarà per prima, papà …” suggerì Edoardo, a bassa voce “un po’ di gelato e passa tutto, vero Giuls?”
“Non mi piace Giuls!” esclamò la bambina, rivolgendo una linguaccia al fratello che rideva, seduto di fianco al padre, rispondendole, per dispetto, con delle smorfie.
“Allora andiamo a prendere il gelato, che dici?” domandò il padre alla piccola “Dedo ha ragione, lo possiamo mangiare dopo cena, tanto ormai è caldo abbastanza.”
“Mm mm” si limitò a rispondere la piccola. Alessandro pensò che Edoardo aveva ragione: probabilmente aveva visto e sentito i genitori litigare come non succedeva da un po’ e questo l’aveva messa di cattivo umore.
La scelta dei gusti del gelato da portare a cena dai nonni per dessert non era servita a risollevare il morale della piccola, neanche la bacchetta di wafer al cioccolato che le aveva regalato il gelataio. Per non arrabbiarsi mentre era alla guida, memore dell’incidente nel parcheggio della redazione, Alessandro non disse nulla, ma prima di arrivare dai genitori, camminando sul marciapiede, l’uomo non seppe resistere.
 “Giulia … insomma si può sapere che c’è, papino? Non mi far preoccupare …” le disse, deciso ma comprensivo “... è perché hai visto papà e mamma litigare, piccola? Mamma e papà hanno qualche problemino e può succedere che si mettano a litigare ogni tanto, ma tu non c’entri niente”
“Lo so, Maya me lo ha spiegato”
“Cosa piccola?” domandò, la voce che faticava a venire fuori, per colpa del nome che la bambina aveva pronunciato.
“Che i grandi si dicono le cattiverie quando non si capiscono”
“Sì, piccola … è così purtroppo”
Era stato ingeneroso con Maya, accusandola di non capirlo perché lei non era madre; eppure era stata vicina a Giulia più di una volta, dimostrando di avere con lei un rapporto speciale. Sei un emerito coglione, Alessandro. Un emerito coglione.
“Però tu non fai piangere mamma, vero papà?”
“No amore, è la tua mamma e per questo io le vorrò sempre comunque bene, solo in maniera diversa … perché dovrei farla piangere?”
“Niente…” rispose la bimba, mesta.
“Giulia!” si impuntò Alessandro: gli stava nascondendo qualcosa e non andava bene, l’istinto gli diceva che non c’era niente di buono.
“Io l’ho promesso a Maya”
“Cosa?”
“Di non dire niente”
“Ma io sono il tuo papà, tra me e te non ci devono essere segreti”
“Ma Maya …” protestò Giulia.
“A Maya lo spiego io, non ti preoccupare”
“È che … zia Anna ha detto delle cose a Maya e Maya si è messa a piangere”
“Quando?”
“Il giorno che Dedo è caduto con la moto e mi è venuta a prendere”
“Puffetta lo sai vero che non è una cosa bella quella che mi stai raccontando?!” le disse, inginocchiandosi di fronte a lei “Magari non hai capito quello che zia ha detto Maya e a te è sembrata una brutta parola”
“Io ho capito benissimo papà!” protestò la bambina, ferma nelle sue posizioni. In quel suo modo di fare, così caparbio e precoce, ci si riconosceva tutto.
Se non fosse stata una situazione seria, si sarebbe fatto una gran risata sotto i baffi e l’avrebbe abbracciata. Si limitò ad accarezzarle il viso, che però stava comodamente in tutta la sua mano.
“Hai ragione, amore mio, scusa … e tu ti ricordi cosa ha detto zia a Maya?”
La bambina ci pensò su per un attimo, arricciando le labbra per la concentrazione “Che è una rompi-, una rompifamiglia!”
Ad Alessandro mancò il respiro per un attimo che gli sembrò lunghissimo, come se qualcuno gli avesse tirato un pugno allo stomaco. Primo, perché chissà per quanto tempo era stato ad ascoltare lui e la madre parlare per aver fatto quella associazione alquanto improbabile, lontana e contorta; secondo, perché Giulia era troppo piccola per dire bugie e, per quanto potesse fraintendere delle situazioni tra adulti, difficilmente poteva sbagliarsi su una cosa simile. Con fare deciso, Alessandro prese la bambina in braccio e, a passo svelto, si diresse verso la casa dei genitori. Sentiva gli occhi di Edoardo puntati su di lui, ma provò ad ignorali, continuando a camminare a testa alta, dritto per la sua strada.
“C’è tua madre?” domandò, appena Daniele aprì la porta, entrando come una furia. Il ragazzo riuscì a stento a rispondere che era in cucina, che lo zio aveva già superato. Alex sentì alle sue spalle Edoardo parlottare con il cugino che gli chiedeva cosa fosse successo, ma lui ormai era già in cucina, dove sua sorella stava passando in rivista la credenza con un taccuino e una penna tra le mani.
“Anna, dobbiamo parlare” sparò, di botto, facendo girare tutti i presenti che a malapena si erano accorti del suo arrivo.
“Prima santa cosa si saluta, eh” rimbrottò suo padre, guardandolo torvo sotto gli occhiali da lettura e il giornale aperto sul tavolo “… l’educazione …”
Ma Alessandro in quel momento delle buone maniere non se ne faceva nulla: doveva levarsi quel dubbio che come un tarlo gli stava rosicchiando testa, stomaco e fegato.
“Ciao nunno!” esclamò provvidenzialmente Giulia, dopo che il padre l’aveva messa a terra, come se fosse consapevole di dover togliere suo padre dall’impiccio del nonno brontolone, presentandogli la vaschetta del gelato come fosse uno scrigno prezioso.
“Ciao cocchina bella de nonno … e che m’hai portato?”
“Abbiamo preso il gelato, ha detto papà che lo mangiamo insieme dopo cena!”
“Ma certo che lo mangiamo dopo cena, ma adesso dallo a nonna ”
“Nonnaaa!”
​“Eccomi amore bello … vieni in braccio a nonna tua che mi aiuti a m
ettere il gelato nel freezer che io non ci arrivo”
“Guarda Ale, devo andare a prendere alcune cose al supermercato prima che chiude, è urgente, parliamo dopo, ok?”
“No, mi dispiace … ci mettiamo poco, te lo assicuro”
Anna incrociò lo sguardo dei genitori i quali, perplessi quanto lei, fecero spallucce.
“Senti che vuole tuo fratello” la consigliò sua madre “tanto non è poi così urgente, mal che va ce poi anna’ pure domani”
“E va beh…dimmi”
“Di sopra” disse, telegrafico, invitandola ad uscire dalla cucina con un cenno del capo, fermo. Cesare e Maria si scambiarono uno sguardo impensierito ed insieme squadrarono il loro primogenito, ma da lui, imperscrutabile, non riuscirono ad ottenere alcuna risposta alle loro preoccupazioni.
“Ciao zì!” lo salutò il maggiore dei nipoti, incrociandolo sulle scale “esco con degli amici, passate una buona serata”
Alessandro gli sorrise a labbra serrate, e sperava davvero che potesse essere una buona serata, ma ne dubitava fortemente.
“Allora, si può sapere che c’è?” domandò la sorella, una volta entrati nella sua stanza da letto. Era arredata con poco, con mobili in truciolato bianco della grande distribuzione, e anche se lei la teneva pulita, ordinata e aveva disposto tutto come se fosse pronta per uno shooting di un volantino pubblicitario, i graffi e i segni di usura tradivano la fattura economica. Alessandro chiuse la porta dietro di sé, mentre la sorella stava appoggiata alla cassettiera con le braccia conserte, irritata da tutto quel mistero e dall’umore evidentemente pessimo del fratello.
“Giulia mi ha detto una cosa” esordì Alessandro, restandole a debita distanza “e non mi è piaciuta per niente”
“Su di me?” domandò Anna, stupita. Suo fratello annuì. “E cosa può mai averti detto su di me?” ridacchiò nervosamente “Ci vediamo così poco …”
“Mi ha detto che il giorno dell’incidente di Edoardo non sei stata molto carina con Maya … al punto da farla piangere. È vero?”
“Cosa?!” Anna sembrava esterrefatta, ma nei suoi occhi, dietro lo stupore, Alex riusciva a leggere un pizzico di paura, propria di chi viene scoperto con le mani nel sacco.
“Hai veramente fatto piangere Maya?”
“Io? Ma no dai, Giulia è piccola, ingigantisce le cose…” provò a difendersi la donna “ci ha viste parlare, magari abbiamo alzato la voce per via dei phon, sai com’è, e ha capito male”
“Non mentire Anna” la freddò l’uomo, inflessibile “Giulia è piccola, non scema! E tu sei sua zia, perché dovrebbe dirmi una cosa così grave nei tuoi confronti…non me ne frega un cazzo che sei mia sorella, se è vero non rispondo di me stesso”
“Ma scusa, poi cosa te ne importa più, ormai è storia passata, no?!”
Il suo tono, trionfale, con un sorriso come a dire lo vedi che avevo ragione io, non tentava minimamente di nascondere il suo compiacimento per una storia che aveva sempre osteggiato.
“Non svicolare, Anna, non è questo il punto”
“Io le ho detto solo la verità” ammise, finalmente “non è un problema mio se ti sei scelto una mignottella sensibile”
“Non ti permettere” sbraitò, fiondandosi di fronte alla sorella, puntandole l’indice contro “Tu devi solo sciacquarti la bocca quando parli di lei hai capito?”
Il suo cuore e la sua testa avevano sperato fino all’ultimo che fosse un abbaglio di Giulia, per quanto si fidasse ciecamente dalla sua bambina, o quantomeno che ci fosse una spiegazione razionale a quello che la bambina aveva sentito. A questo punto, non faticava nemmeno ad immaginare che sfasciafamiglie fosse l’offesa minore che la sorella aveva riservato a Maya.
“Perché l’hai fatto?” continuò, avvilito “Cosa ti ha fatto per meritare quel trattamento?”
“Non te ne rendi conto perché hai perso completamente la testa appresso a quella, ma dovresti ringraziarmi. Non ho fatto altro che proteggerti …”
“Proteggermi? Ma tu sei completamente fuori di testa …”
Di punto in bianco, nel vivo della discussione Cesare entrò nella stanza della figlia, attirato dalle urla del figlio. “Ragazzi ma che succede?” proruppe Cesare, affannato per aver salito le scale a due a due, in ansia.
“Papà per piacere stanne fuori, è una cosa tra me e mia … sorella” disse Alessandro, sputando quell’ultima parola.
“Eh no, eh. Questa è casa mia e voi siete i miei figli e fate morire di crepacuore vostra madre e pure a me quando fate così”
“Va tutto bene papà, stai tranquillo” lo rassicurò Anna, remissiva “fai come dice Ale”
L’uomo e il figlio si scambiarono uno sguardo grave, ma Alex provò a suo modo, pur nel nervosismo, a rincuorare il padre. Cesare annuì, chiudendo la porta alle sue spalle.
 “Se pensavi che sarei stata a guardare mentre coprivi di ridicolo te e pure noi che siamo la tua famiglia ti sbagliavi di grosso. Io non sono come mamma e papà che hanno sempre alla bocca il povero Alessandro. Povero un cazzo! Tutte le fortune hai avuto dalla vita, e intanto in casa con loro nella casetta di periferia ci sto io! Avevi la famiglia perfetta e ti sei permesso pure di sputarci sopra andandotene con la prima che si mette a novanta per spennarti e da bravo pollo neanche te ne accorgi”
“Ingrata schifosa che non sei altro … dovresti baciare la terra dove camminano quei due poveretti che neanche si stanno godendo la pensione per stare appresso a te e ai tuoi figli. E poi che cazzo ne sai di me, della mia famiglia o di Maya … sei gelosa di me? Non lo capisco ma lo accetto … ma mettere in mezzo lei è veramente di una bassezza e di uno squallore che mi fa schifo anche solo starti vicino”
“E che mi fai adesso? Mi cacci di casa? Qui non siamo nel tuo giornale, non comandi tu…”
“Se potessi altro che cacciarti di casa … continuerò a sostenere i tuoi figli perché tra loro e i miei non c’è differenza, ma tu con me hai chiuso. Non voglio più vederti, Anna, mai più …”
“Alessandro …?!” la donna fece per trattenerlo per un braccio mentre usciva dalla stanza, il tono di voce sottomesso “ti prego”
“Adesso mi preghi?! Adesso è tardi! Maya l’ho persa per colpa mia, ma tu sei riuscita a sporcare la cosa più bella che avevo solo per gelosia e ripicca. Dovresti andare a sotterrarti anziché pregarmi”
Alessandro si stacco dalla presa della sorella e in men che non si dica richiamò i figli all’ordine e se ne andò, senza una spiegazione, lasciando i genitori con un palmo di naso e la promessa che li avrebbe chiamati l’indomani, o quando gli fosse passata la rabbia che aveva addosso. A Giulia, che protestava per il gelato che le era stato promesso, chiese, una volta tanto, di fare silenzio.
“Non ti preoccupare” sentì bisbigliare Edoardo, seduto ora di fianco alla sorella nel sedile posteriore, nell’orecchio della bambina “ci penso io”.
 
“Ma insomma” esclamò Cesare, appena sua figlia ricomparve in cucina “se pò sape’ ch’è successo? Tu fratello è andato via come n’assatanato!”
Senza dire niente, Anna prese di nuovo il taccuino e continuò quello che aveva lasciato in sospeso poco prima. Maria, da parte sua, notò immediatamente gli occhi e il naso arrossati e gonfi.
“Niente” minimizzò, tirando su con il naso e grattandolo con manica della maglietta che indossava “la signorina che sta in affitto a Testaccio pensava di diventare la nuova signora Bonelli, ma le cose sono andate in modo diverso … se solo mio fratello si rendesse conto di quanto è stato fortunato a perdere quella sgualdrina”
“Lassa perde tuo fratello, c’ha ragione a dire che saresti da prendere a schiaffi certe volte …” commentò la madre, scuotendo la testa.
“Cos’è che sarei …?”
“Piantala, e fila a fare la spesa, hai già fatto troppi danni per oggi.”
Anna radunò le borse riutilizzabili per la spesa dal piccolo ripostiglio in cucina e uscì dalla stanza con aria strafottente e irrispettosa. Cesare, che non ne poteva più dell’arroganza con cui la figlia riempiva ogni stanza in cui entrava, si alzò dal tavolo per andarle dietro.
“Adesso te ne vai a fare la spesa, e fai prendere un po’ di aria a quel cervello” sbottò, afferrandola energicamente per la manica del giacchino di jeans che aveva appena indossato “magari fai anche un bella passeggiata prima di rientrare … e te fai un bel esamino di coscienza …che qua nun c’avemo fretta de cenà che c’hai fatto passà la fame a tutti”
“Incredibile … ti sei lasciato abbindolare pure te … almeno Alessandro è ancora giovane, tu invece …”
Cesare alzò una mano in aria e sua figlia scattò, per paura di un ceffone, ma il padre, più lesto di lei, la girò verso lo specchio del mobile dell’ingresso “Ma guardati … guarda che faccia da vipera che t’è venuta … ma come te sei ridotta figlia mia?! Dovresti ringraziare il Signore che quella ragazza non gli ha raccontato tutte le porcherie e le bugie che di sicuro le hai detto davanti e pure dietro e invece continui imperterrita. E adesso fuori dai piedi prima che perdo quel po’ di educazione verso le donne che m’ha dato tu nonno …”
Mentre sua figlia, uscendo, sbatteva il portoncino d’ingresso, Cesare tornava in cucina, il passo pesante e trascinato di chi porta un peso sulle spalle e nel cuore e non può raccontarlo a nessuno. Nonostante la richiesta dei figli era rimasto in ascolto, nascosto nel bagno, e ora quasi se ne pentiva. Di certo non avrebbe raccontato a sua moglie quel poco che aveva sentito e le avrebbe risparmiato l’umiliazione di una figlia che non aveva tratto niente dai loro insegnamenti, le avrebbe taciuto che tutto il buon esempio e i loro sacrifici non erano serviti a niente. Sua figlia non era stata fortunata in amore, ma a che pro ostacolare la felicità degli altri?
Si sedette al tavolo, affaticato “Ch’hai fatto Ce’? Te senti bene” domandò Maria, apprensiva ma scrutandolo a distanza.
“Sono solo stanco …”
Accese la tv, nella speranza che il rumore di chiacchiere inutili lo aiutasse ad abbassare il trambusto dei pensieri che ora affollavano la sua testa.
 
Con pizza e gelati da asporto, Edoardo aveva salvato la loro serata e la reputazione del padre di fronte alla sua sorellina. Dopo cena, la piccolina di casa era scappata in cameretta a giocare, padre e figlio invece sparecchiavano la tavola. Pur innervosito da tutta la spiacevole situazione con la sorella, all’uomo non era passata affatto inosservata l’attenzione e la premura che Edoardo stava dimostrando nei confronti suoi e di Giulia. Non veniva fuori dal nulla, questo era certo, perché dopo l’incidente i rapporti tra loro avevano subìto una notevole distensione, ma non al punto di mostrarsi servizievole e comprensivo sul piano personale.
“Sei strano oggi” commentò Alessandro, mentre il figlio gli passava piatti e bicchieri da mettere dentro la lavastoviglie “che hai?”
Sì aveva assistito al litigio del padre con la madre e poi, in qualche misura, a quello con la zia, ma Alessandro era convinto che ci fosse dell’altro.
“Vi siete lasciati?” domandò a bruciapelo Edoardo, con somma sorpresa del padre “Tu e la tua … ragazza, intendo”
Alessandro non poté fare altro che annuire, provando ad ironizzare “… immagino tu sia contento ora”
Non era un mistero per nessuno, tantomeno per lui, che Edoardo disapprovasse la relazione con Maya. Alessandro non ne era contento, ma non poteva imporre al figlio di cambiare la sua opinione. Per il tempo che era durata, aveva sperato di riuscire a fargli cambiare idea.
“La verità? Pensavo che lo sarei stato” rispose il ragazzo, onestamente “ma avevi ragione … mi sa che dovevo solo passarci anche io”
Quella dichiarazione del figlio, che in pratica ammetteva di essere dispiaciuto per il padre e, implicitamente, si scusava per quello che aveva detto in precedenza, erano la prima bella notizia di un lungo pomeriggio negativo.
“Fermo fermo fermo!” esclamò di punto in bianco Alessandro, chiudendo lo sportello dell’elettrodomestico per avviare il lavaggio “mi sta dicendo che …?” 
Con tutte quelle informazioni da assorbire, ci era mancato poco che perdesse la più importante. Alessandro squadrò per un attimo il suo primogenito: nonostante i tentativi di rimanere indifferente, il suo viso tradiva un sorriso imbarazzato e uno sguardo vispo. Il padre passò un braccio attorno alle spalle del figlio, con entusiasmo ma facendo ancora istintivamente attenzione. Forse era un caso, ma nelle ultime settimane, dopo l’intervento, era cresciuto un bel po’, arrivando quasi al metro e ottanta.
“Dai papà non incominciare con ste smancerie! Già sto facendo una fatica bestiale a tenerlo nascosto a mamma altrimenti quella sguinzaglia i servizi segreti…”
L’uomo alzò le mani, liberandolo dalla sua stretta “Per carità, che non si dica che mi metto in mezzo alla prima storia di mio figlio”
“Storia … papà … è solo una ragazza della scuola che mi piace e … e ci stiamo sentendo, tutto qua …”
“Avevo ragione, eh?”
Il ragazzo, a testa bassa, annuì. I sentimenti sanno essere imprevedibili, di questo Alessandro ne era sicuro; così potenti da essere in grado di cambiare le persone, oppure di far aprire gli occhi, facendo ritrovare loro la strada: lui era così che si sentiva, come uno che per anni, accecato dall’avidità e dalla fama, si era dimenticato di chi fosse e da dove venisse e ora, pur conoscendo la strada, sbandava ancora, perché i suoi occhi dovevano tornare ad abituarsi alla luce che Maya aveva riportato nella sua vita.


 
Salve salvino, gente! Oggi vi lascio un capitolo più corposo del solito perché la prossima settimana sarò via e non potrò avere il pc con me. Proverò a recuperare le risposte alle recensioni e, se vorrete commentare, di sicuro leggerò quello che vorrete scrivermi. 
In questo capitolo ne sono successe di cose, Claudia ha provato per l'ennesima volta, senza riuscirci, a riprendersi il marito e si scoprono diversi altarini che portano Alessandro a riflettere su quanto Maya sia, non solo importante nella sua vita, ma anche una persona limpida e corretta, che lo ha sempre rispettato senza mai chiedere nulla in cambio se non lo stesso trattamento per sé stessa (che mi sembra i minimo in effetti all'interno di una relazione). Vedremo ora come cambierà l'atteggiamento di Alex nei suoi confronti.
A presto e buon Ferragosto,

Fred ^_^

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


 
 
 
 
 
 Capitolo 18
 
 
 
 
 
Quel lunedì pomeriggio, arrendendosi a parcheggiare l’auto lontana da casa dopo due giri dell’isolato senza alcun successo nel trovare anche solo un buco per la sua piccola Smart, Maya si arrese all’evidenza che le tirate di Lavinia sul riscaldamento globale e i cambiamenti climatici erano qualcosa più di parole da uccellaccio del malaugurio. Quel fine maggio aveva tutta l’aria di un novembre inoltrato, con il cielo plumbeo, pioggia battente per tutto il giorno e temperature che invitavano più a salire sul Terminillo che a scendere in spiaggia a Fregene. Perché tanto, in quell’estate che si avvicinava, non poteva più fare affidamento né sul barchino di 25 metri di Tommaso a Ponza – che poi lei neanche lo conosceva bene sto Tommaso, ma si accodava – né tanto meno sulla comitiva estiva che, bene o male, un cilindro dal coniglio lo tirava sempre: Hvar e Ibiza per sbocciare, Formentera e Porto Ercole per chiudere in eleganza.
Per quanto la riguardava, con la prospettiva di passare un’estate da disoccupata, era grasso che colava se avesse potuto prendere il sole sul terrazzino, fare qualche bagno in piscina da sua madre e farsi ospitare da Olivia a Cortina quando a Cortina ci sono solo orde di ricchi romani in età pensionabile.
Finalmente arrivata davanti al palazzo, impegnata a tenere a bada il suo ombrellino pieghevole senza farlo rompere, si accorse all’ultimo momento della figura maschile che cercava di ripararsi, abbastanza invano, sotto la pensilina del portone. Era Alex.
“Che ci fai qua?” gli domandò, distaccata, tirando fuori le chiavi dalla borsa. L’ultima cosa che voleva, in quel pomeriggio piovoso, era dover ripetere ancora e ancora l’ovvio sul loro rapporto. Il sussulto che sentiva dentro ogni volta che lo vedeva cedeva presto il posto a quello che era successo, ricordandole che oltre l’uomo che l’aveva fatta sentire come mai prima, c’era anche quello che le aveva spezzato il cuore e doveva stare all’erta. “Se sei venuto qui per …” “Ehi! Tranquilla” mise le mani avanti, le palpebre che sbattevano velocemente per le gocce di pioggia che cadevano dalla tettoia del portone “sto aspettando Paolo per una birra, ma a quanto pare lui e Monica sono bloccati nel traffico”
“Lasciamo stare…con questa pioggia è un casino, 50 minuti per tornare dall’Eur oggi, di solito ce ne metto 20…ma sei fradicio!”  Era più forte di lei: forse erano i cinque anni lavoro fianco a fianco – sapeva che non era così ma ci sperava – forse, più probabilmente, era ancora sotto tutta Trenitalia per lui, ma aveva un constante istinto di protezione nei suoi confronti, e non lo sopportava. Perché lui l’aveva ferita e lei non doveva dargli a vedere né che le avesse fatto male, proprio come aveva detto Alice, né che ci tenesse ancora. Alessandro, invece, da parte sua si stupiva ancora di quanta naturalezza riuscisse a dimostrare, nonostante tutto, nei suoi confronti, in un modo in cui lui non era minimamente in grado. Si sentiva un pivellino che ha a che fare con la prima cotta e questa è ben più esperta di lui. Tremava come una foglia - e non era la pioggia fredda che gli aveva bagnato tutti i vestiti – ed era solo per miracolo che lei non se ne rendesse conto.
“Sì … è che … ho avuto la brillante idea di prendere la moto e ho beccato il diluvio in pieno a metà strada, pensavo fosse una cosa passeggera” Maya dovette frenarsi dal ridergli in faccia, ma un risolino non riuscì proprio ad evitarlo. Aprì finalmente il portone e una volta dentro, fece sgocciolare l’ombrello come poteva sullo zerbino mentre aspettava l’ascensore. Alex, la seguì a ruota per starsene finalmente all’asciutto, togliendo di dosso il bomber blu di cotone che aveva addosso, completamente zuppo.
Entrando in ascensore, Maya notò che Alex se ne stava impalato sul pianerottolo.
“Che fai ancora lì? Dai vieni!” “Aspetto qui Paolo, tranquilla. E poi pensavo che…”
“Senti … sarò stronza ma non così stronza, non te la faccio prendere una polmonite. Vieni su con me che ti asciughi”
Alex alla fine, nonostante i dubbi e la riluttanza, non poté dire di no ad un asciugamano e all’asciugatrice, ma nessuno dei due aveva fatto i conti con quegli interminabili 40 secondi passati insieme nell’ascensore piccolo e stretto a distanza più che ravvicinata. A conti fatti, era peggio che passare la giornata di lavoro a stretto contatto, ma ben separati da un muro e le interazioni limitate all’osso.
“Io devo chiederti scusa” esordì Alessandro, dopo aver rimuginato se fosse o meno il caso di tirare fuori l’argomento. Erano passati due giorni da quando aveva litigato con sua sorella e la rabbia non era ancora sfumata a sufficienza, tuttavia era riuscito a mettere meglio a fuoco la situazione vista dagli occhi di Maya, e anche solo immaginando come potesse essersi sentita lei, lui sentiva mancargli l’aria. E lei, invece, gli aveva taciuto tutto. “Mi avevi detto che non eri qui per questo” lo bloccò subito. “Non ero qui per questo ma già che ci siamo …” L’ascensore però ebbe un tempismo migliore del suo, permettendo a Maya di sgattaiolare fuori e darsi da fare per aiutarlo a rimettersi in ordine, sparendo tra bagno e camera da letto.
Era strano mettere di nuovo piede tra quelle mura. Dicono che gli uomini siano diretti e semplici, che vanno dritti al punto e non si perdono in lunghi monologhi interiori e riflessioni profonde, ma lui non era come tutti gli altri e lo sapeva; ma non come lo vedevano gli uomini d’affari con cui concludeva contratti o i suoi dipendenti per i quali era un faro. No, lui era riflessivo e contorto, e la sua mente andava dappertutto nei ricordi man mano che i suoi occhi vagavano nella stanza. Tutto gli ricordava le settimane che avevano passato lì insieme: la cucina dove aveva sperato di convincere Lavinia che le sue intenzioni erano buone, il divano, dove avevano fatto l’amore per l’ultima volta e si era illuso di aver sistemato tutto, la tv dove lei lo aveva convinto a guardare programmi trash tanto per spegnere il cervello e farsi due risate e persino, sul frigo, la cartolina che aveva comprato a Santa Marinella, nell’unico negozietto di souvenir aperto ad aprile. La tentazione di andare lì e girarla, per vedere se aveva tenuto anche la frase che lui aveva scritto per lei era tanta, ma era terrorizzato dalla prospettiva di trovarla scarabocchiata e cancellata.
La più bella dichiarazione d’amore al mondo è: ti ci devo portare, così aveva scritto. Forse quella era stata l’unica promessa che era riuscito a mantenere.
“Dammi i vestiti bagnati che li metto in asciugatrice” disse Maya, entrando nella zona giorno e porgendogli l’asciugamano “ti ho preso anche la maglietta dei …” Le parole le si strozzarono in gola e il cuore prese a galoppare mentre Alessandro toglieva la camicia, con quel suo solito vizio di farlo come se fosse una maglia. Ma sei cretina Maya? Perché non l’hai spedito direttamente in bagno! “… The Clash” “Che c’è?” domandò l’uomo, prendendo l’asciugamano “ti dà fastidio vedermi a petto nudo?”
Ma certo che sei un coglione, pensò; in questo era identico a tutti gli uomini, che prima fanno o dicono, e poi pensano a quello che hanno fatto o detto. Come gli era venuto in mente di dire una cosa del genere, dopo essersi fatto persino scrupolo ad accettare un giro di asciugatrice per i vestiti bagnati, non lo sapeva nemmeno lui.
“Certo che no” rispose piccata Maya, impassibile “lo faccio per te, così non prendi freddo. E comunque non credere, non hai niente di meglio degli altri”
Non era vero che non aveva niente di meglio degli altri. Era stata con ragazzi più giovani, sportivi e palestrati di lui, ma gli anni in più davano al corpo di Alex qualcosa che gli altri potevano scordarsi per il momento: quella sensazione di protezione e forza controllata che provava ogni volta che si trovava tra le sue braccia o le sue mani la sfioravano. E così non riusciva a staccare gli occhi dai suoi pettorali, da quella cicatrice sul braccio sinistro che le piaceva accarezzargli, dalle spalle larghe – eredità del nuoto da ragazzo – che aveva ribattezzato il suo armadio, né tantomeno quelle linee che andavano verso l’inguine e si intravedevano dai pantaloni. Ed era solo per miracolo che i suoi occhi si erano tenuti lontani da quelli dell’uomo, altrimenti sarebbero stati dolori. Se si fosse lasciata guidare dal suo istinto, probabilmente avrebbe perso ogni inibizione e si sarebbe lanciata sul tavolo tra quelle braccia e accarezzata da quelle mani, ma era meglio per tutti se quella fosse rimasta una fantasia, per bollente e allettante che fosse.
“La cartolina non me l’hai mandata indietro però…” provò ad ironizzare Alessandro, per rompere il ghiaccio dopo quella caduta di stile. Dalla padella alla brace. “Quella era mia, l’ho pagata io” tagliò corto lei “e poi è una bella foto, i colori si abbinano alla stanza. Non significa nulla”
Di tutte le cose che poteva dirgli per troncare ogni sua velleità, quella era la peggiore. Che ci credesse o meno, a lui aveva fatto male sentirla. Che ci credesse o meno, a lei era costata una fatica immane pronunciarla.
“Devo togliere anche i pantaloni, sono zuppi anche quelli, però è meglio …” spiegò lui, indicando il corridoio. Allontanarsi dalla sua vista per un po’ era l’unica strategia che gli veniva in mente “…è meglio che vada tu in bagno…sì”
Maya gli restituì i vestiti che le aveva dato e l’odore terroso e pungente della pioggia misto al profumo da uomo di cui erano impregnati e che l’aveva avvolta e sconvolta si allontanò con lui, lasciandola sola nella zona giorno. Sperò con tutta sé stessa che Alex non avesse intravisto le sue guance imporporarsi perché lei sentiva la sua temperatura corporea salire senza controllo e aveva caldo come quando d’inverno il riscaldamento centralizzato infuoca casa. Andò verso il frigo per aprire il vano del freezer: non le serviva nulla, aveva solo bisogno di raffreddare il cervello.
 
“Ho fatto partire io l’asciugatrice” disse Alex, tornando nella zona giorno. Il telo doccia che Maya gli aveva dato lo aveva avvolto in vita e se ne stava ancora a petto nudo, spavaldo. Se stava provando a buttarla in caciara girando mezzo nudo per casa sua e confonderla … beh ci stava riuscendo divinamente. Provando a concentrare lo sguardo altrove, Maya si accorse che, effettivamente, nel trambusto e nell’impaccio di quel momento, la maglietta che gli aveva dato l’aveva lasciata sul divano. Recuperato un minimo di lucidità la ragazza si accorse di avere un lato del viso ghiacciato a causa del gelo che arrivava dal freezer e lo chiuse all’istante, tentando di non scomporsi troppo. “Ci vorranno una decina di minuti” decretò l’uomo, indossando la maglietta, impassibile. “O-ok…u-un tè, u-un caffè …?” Maya smettila di parlare a monosillabi, si rimproverò, non hai 15 anni, non è Christian Gray e l’hai visto nudo altre volte. Eccheccazzo tutte a me però! “Hai ancora qualche capsula di ginseng?” le domandò Alessandro, sedendo al bancone della cucina; Maya annuì.
“Niente biscotti?” chiese, aprendo la biscottiera sul piano del bancone e trovandola vuota, dopo che Maya gli aveva passato la tazza. “No” rispose, di spalle, vaga, mentre caricava la macchinetta per sé “non ho molta voglia di fare dolci ultimamente” “Peccato … erano così buoni. Sei davvero brava” “Grazie…” Maya voleva a tutti i costi credere che davvero fosse così fuori allenamento nelle dinamiche di una vita di coppia da dare per scontato quei piccoli complimenti quotidiani che invece possono svoltare una giornata difficile, che ti fanno sentire l’attenzione e la presenza della persona che ami. Ma che glielo stesse dicendo in quel momento di certo non aiutava la causa: le montò su un senso di rabbia, perché era più probabile che, in realtà, stesse solo cercando di impressionarla per guadagnare punti.
“Senti … prima ti ha salvata l’ascensore, ma c’è una cosa che devo dirti” continuò Alessandro “io … io devo chiederti scusa” le disse, ma Maya alzò gli occhi al cielo. “Pensi che basti?!” esclamò, girandosi. Lo avrebbe riaccolto nella sua vita in men che non si dica, ma al contempo non tollerava quelle scene da cane bastonato. “Lo so perfettamente che non basta” affermò l’uomo, mostrandosi il più tranquillo e trasparente possibile “ma spero possa essere un inizio. E poi la lista di scuse è davvero lunga …” “Ah sì?!” Alex annuì timidamente “ti devo chiedere scusa per le cazzate che ho detto e fatto nelle ultime settimane, per averti imposto un incarico che non volevi” “Lavoro ancora per te, purtroppo o per fortuna, e su quello non ti devi scusare. Lì ho esagerato io” “Ma c’è modo e modo. E sono stato uno stronzo come mai prima d’ora … almeno con te. A proposito, domani è il grande giorno! Agitata?”
L’indomani, Maya avrebbe fatto il grande debutto come inviata di Roma Glam alla mostra d’arte contemporanea. Ma non era nervosa per l’incarico in sé, a quello avrebbe pensato a tempo debito: prima di tutto, avrebbe dovuto affrontare la serata nella Galleria alla presenza di tutti quelli che l’avevano scaricata senza troppi complimenti.
“Mmmm sì un po’, più che altro sono mesi che non uso il metodo Parioli ed è l’unica cosa che potrebbe evitarmi di andare fuori di testa prima che la serata sia finita” “Se vuoi un consiglio, un bel bicchiere di champagne prima di gettarsi nella mischia è quello che ci vuole…ma niente metodo Parioli: la Maya che conosco io quei quattro figli di papà se li mangia in un boccone solo.”
Alex si alzò per andare a posare la tazzina nel lavandino, vicino a dove se ne stava Maya, in piedi. La Maya che conosceva lui, la Maya che amava lui, aveva rimesso in piedi la sua vita partendo dall’onestà prima di tutto con sé stessa, ed era anche per quello che l’aveva sbattuto fuori di casa, e certo non doveva fare affidamento su qualche storiella infiocchettata su una vita che non era la sua per tenere a bada quei galletti di Roma Nord. Aveva dismesso i panni eccessivi della ragazza dei quartieri bene e ora poteva indossare anche sneakers e jeans senza perdere un briciolo della sua classe e dell'eleganza che non venivano dalla nobiltà di sangue ma da quella d’animo. “Quando sei te stessa sei molto più forte di quello che credi” disse, standole pericolosamente vicino, guardandola dritto negli occhi. Raccogliendo tutto il coraggio di cui era munito, Alessandro avvicinò la sua mano al volto di Maya la quale, pietrificata e forse arresa, si abbandonò a quel tocco, chiudendo gli occhi: forse per fingere che non stesse accadendo, forse per marcarlo a fuoco nei suoi ricordi.
Il segnale acustico della lavasciuga arrivò a salvare Maya dal passo falso che era pronta a compiere ma di cui, ne era sicura, si sarebbe pentita. Erano ancora impressi nella sua memoria quei risvegli in un letto vuoto e freddo per metà, le cene in cui le aveva dato buca, le scuse e le accuse. Non bastavano un bel discorsetto o una recita da eroe romantico a guarire quella ferita che le aveva provocato, né a ridarle la fiducia sufficiente a credere che sarebbe stato diverso. Avrebbe ceduto perché l’uomo di cui si era innamorata le mancava da morire, ma non poteva giurare che quello davanti a lei fosse quell’uomo.
“Tempismo perfetto” decretò Alessandro, controllando il telefono dopo che aveva rimesso addosso i suoi vestiti “Paolo è appena rientrato” “Perfetto” Maya non voleva essere maleducata e liquidarlo in fretta e furia, ma era meglio per entrambi se Alex avesse varcato quella porta che stava aprendo per lui “allora ti auguro una buona serata!” “Aspetta … c’è … c’è un’altra cosa di cui vorrei parlare” disse lui, chiudendo la porta e mettendosi di fronte a lei “volevo scusarmi per non aver capito che macigno ti portavi dentro” “Di cosa stai parlando?” “Ho saputo della discussione che hai avuto con mia sorella” “Come?” Solo due persone sapevano cosa era successo quel pomeriggio e una era sicuro che non si sarebbe mai lasciata sfuggire una cosa del genere; sull’altra, confidava nella memoria confusa dei suoi 5 anni. “Non importa come … l’importante è che io l’abbia saputo. Dovrebbe essere lei a scusarsi con te, ma nel frattempo accetta le mie scuse, per non aver potuto difenderti quando ne avresti avuto bisogno. Perché non mi hai detto niente?” “Avevi altri pensieri per la testa, non volevo darti un’altra preoccupazione. E poi avresti dato di matto mettendoti contro di lei” “Tanto l’ho fatto comunque” “Ecco appunto, ma così di fatto le hai dato ragione” “Ragione? Maya, tu non sei mai stata una sfasciafamiglie …” “No, ma le hai dimostrato che avevo bisogno di un … protettore, per così dire. E poi non ha risparmiato nemmeno te e non volevo coinvolgerti in una cosa di cui mi sono sentita responsabile. Se non fosse stato per me Anna quelle cose non le avrebbe mai dette.” “Non è colpa tua, non lo pensare neanche per scherzo! Anna ha i suoi …demoni e spesso dice cose orribili. Credimi, qualsiasi cosa abbia detto, l’avrebbe detta anche se non fossi stata tu o se non ci fosse stata nessun’altra donna. È cattiva e pagherà per la sua cattiveria gratuita…” Maya annuì, ma non riusciva a concepire come due fratelli potessero arrivare ad odiarsi a tal punto e a farsi tanto male; non che si sentisse incline a perdonare quello che Anna le aveva detto, come l’aveva trattata e come non avesse il minimo rispetto della situazione in cui l’aveva fatto, in piena emergenza e davanti a Giulia: ma se aveva imparato un minimo a conoscere la famiglia Bonelli attraverso Alex e suo padre, quella frizione avrebbe lasciato parecchie ferite e questo le metteva tanta tristezza addosso.
“Allora io vado. Ci vediamo domani … e grazie ancora” concluse Alessandro, fermandosi sull’uscio. “Ma figurati, per così poco” “No, non è poco. Non so quante altre persone mi avrebbero accolto dopo quello che è successo. E poi è stato bello chiacchierare così, non succedeva da un po’” “Già…” concordò Maya, sorridendogli sommessamente. Se c’era una cosa che le mancava più di tutte, anche di più del contatto fisico, erano quei loro scambi a viso aperto, senza paura di fraintendersi o di ferirsi.
Alex a quel punto avrebbe voluto baciarla, anche solo sfiorarle la guancia, per capire se qualcosa tra loro potesse essere recuperato, per provare a sé stesso di essere sulla strada giusta, ma non lo fece, Maya non gliene diede il tempo. Si ritrasse in fretta, un “ciao Alex” sussurrato mentre chiudeva la porta. Non lo aveva perdonato: ne doveva fare di strada per dimostrare di essere l’uomo che meritava.
 
“Adesso però me lo puoi dire quello che è successo lassù”
Con lassù, naturalmente, Paolo intendeva l’appartamento di Maya. Quando aveva mandato il messaggio all’amico per fargli sapere che era tornato a casa, tutto si sarebbe aspettato, meno che vederlo scendere dall’ultimo piano, come sarebbe stato normale fino a poche settimane prima, ma certo non dopo quanto era successo. Che poi, oggettivamente, non lo sapeva nemmeno, di preciso, cosa era successo, Alex gli aveva detto che lui era stato un coglione, che si erano lasciati male e che lui ci avrebbe voluto riprovare ma lei era nera e non vedeva vie d’uscita. Ecco perché per poco non gli era preso un coccolone quando, alla richiesta di spiegazioni, Alessandro gli aveva candidamente detto “Ero da Maya, ti spiego dopo, ora ho solo bisogno di una birra”.
Seduti sulle panche di legno del pub, davanti a loro una pinta di Guinness ciascuno e due panini, la musica di una cover band in fondo alla stanza, le luci bassi, e Paolo non avrebbe aspettato un secondo di più.
“Mah niente…” tentò di minimizzare Alex, dopo aver buttato giù un lungo sorso della sua stout “ti stavo aspettando sotto la tettoia dell’ingresso, lei è arrivata e mi ha visto fradicio per la pioggia così mi ha fatto salire per asciugare i vestiti. Tutto qui.” “Tutto qui? Avrebbe potuto lasciarti marcire sotto la pioggia e invece ti ha fatto asciugare i vestiti con il phon” “Non con il phon” lo corresse Alessandro con nonchalance “con l’asciugatrice” “Aspetta un attimo …” Paolo aveva gli occhi sgranati per l’incredulità, con il panino tra le mani e il formaggio fuso che colava rovinosamente sul piatto “cioè tu mi stai dicendo che sei rimasto in mutande davanti a Maya in casa sua?” “Ovviamente no…mi ha dato un telo e una maglietta per coprirmi” “Aiutami a dire me cojoni, Alex!” esclamò l’uomo, tra il serio e il faceto.
Non gli disse che per qualche secondo era rimasto a petto nudo, o avrebbe peggiorato la sua posizione. Maya era sempre stata una ragazza d’oro, superiore ad ogni cattiveria e ripicca e lui non ci vedeva, per quanto avrebbe voluto, niente di strano in quella gentilezza che gli aveva fatto.
“Non significa niente” tagliò corto Alessandro. “Lascialo decidere a me se non significa niente. E dimmi, cosa avete fatto dopo?” L’uomo gli raccontò del ginseng e delle scuse, aggiornandolo di quello che era successo con Anna. “E lei?” “Lei è una santa” ammise e lo pensava realmente. Un’altra al suo posto avrebbe fatto finire il mondo, avrebbe sputtanato Anna senza pensarci due volte e avrebbe giocato la carta della vittima; non Maya: Maya voleva solo che lui continuasse ad essere tranquillo per far fronte all’incidente di suo figlio facendo lei un passo indietro. “E io non me la sono meritata” concluse. “Insomma secondo te avete chiuso così?! Perché a me non pare proprio …” Paolo era sempre stato un ragazzo buono, di quelli che il bicchiere non lo vede mezzo pieno, bensì pieno a 3/4, e riusciva a trovare il lato positivo anche nei momenti più difficili. “Beh fai te… una che ti dice: dimostrami che non sei lo stronzo per cui tutto era sempre più importante di me. Fino ad allora abbiamo chiuso tu come la prendi?” Alex tra i due era sempre stato il più concreto: per lui la buona sorte si crea, non è nascosta da qualche parte pronta per essere scovata; sui sentimenti, però, era sempre stato fatalista, convinto che non si possono influenzare come un contratto pubblicitario o un ingaggio di un artista. “E tu saresti un giornalista? Perdonami Alex ma mi sembra che tu abbia grossi problemi di comprensione testuale. Non concentrarti su abbiamo chiuso, prima ti ha detto esattamente cosa devi fare. Questa non è una porta lasciata aperta, è proprio un portone” lo incitò Paolo; voleva tanto che fosse così, ma ci sperava davvero poco. Lui, pensò Alex, gli occhi di Maya, neri come la pece, non li aveva impressi nella memoria pronti a venire fuori come dei flash quando meno se l’aspettava, quando provava a prendere l’iniziativa, come quando le aveva accarezzato la guancia quel pomeriggio. “Tu dici?” “Ma sarai un idiota?! Scusa eh ma ora capisco perché sei rimasto bloccato per anni in un matrimonio senza amore …” commentò l’amico tra un boccone e l’altro del panino “ascolta, non pretendo di capire le donne perché sono gli esseri più indecifrabili sulla faccia della Terra, e quindi magari sbaglio, ma io ho visto come ti guardava Maya e credimi, c’è solo da buttarsi ai piedi di una donna così. Se lei ti ha detto quella cosa è perché ti ama ancora … sta a te dimostrarglielo” “È che mi sento un cretino … io non mi sono reso conto che lei si sentiva data per scontata. E ora non so come fare per convincerla che se mi dà un’altra possibilità non succederà più” Per tutto il tempo che aveva passato con lei, quel pomeriggio, aveva avuto addosso la spiacevole sensazione di essere giudicato per quello che non era stato in grado di fare e voleva disperatamente provare di essere l’uomo che lei aveva fatto entrare nella sua vita, a cui aveva confidato le paure e le debolezze, a cui aveva mostrato la parte più intima di sé.
“Ci vorrà tempo, dovrai riconquistare la sua fiducia e non è facile. È come quando a pallavolo sei sul due pari e rimane solo il tie-break” spiegò, usando il linguaggio sportivo in cui più si trovava a suo agio “hai solo 15 punti per vincere e devi giocare le tue carte al meglio se non vuoi perdere. Ci vuole concentrazione e soprattutto pazienza.” Alessandro si lasciò andare ad un sorriso: abituato com’era ad ottenere tutto quello che voleva, era innaturale per lui l’idea che il duro lavoro avrebbe potuto, per una volta, non ripagare i suoi sforzi. Ma voleva fidarsi di Paolo e voleva fidarsi di quella sensazione di casa e familiarità che aveva ritrovato parlando con Maya; tra loro, come era stato all’inizio, bisognava ricominciare dalla parola.



 
Salve a tutti!!! Lo so che sono in ritardo con le pubblicazioni e non sto compiendo il mio dovere di recensire o rispondere ai vostri commenti, ma in questo momento mi sto concentrando a finire la storia a tutti i costi (ci sono quasi!!!) e poi, una volta terminata, mi riprenderò scambi e pubblicazioni. Purtroppo una storia come questa, così complessa e corale mi porta via tanto tempo nella scrittura e non riesco più a fare entrambe le cose contemporaneamente. Spero comprenderete. Quindi ho deciso di lasciarvi questo capitolo e prendermi tutto il tempo necessario per finire di scrivere. Quando tornerò alla pubblicazione, saprete che avrò terminato ^_^
A presto! 
Fred ^_^

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


 
 
 
 
 
 Capitolo 19




 
“Allora, come sto? Troppo glamour e poco business, vero?”
Maya aveva impiegato giorni di fronte allo specchio e Olivia in video chiamata per scegliere il look adatto e la scelta era caduta su un abito blazer color avorio che non era proprio dell’ultimissima collezione ma faceva ancora la sua porca figura. I capelli, che ormai superavano la linea delle spalle, ricadevano in morbide onde, creando un contrasto forte e netto tra il loro color cioccolato e il candore della stoffa. Ai piedi, dei semplici sandali nude dal tacco quadrato, per sopravvivere ad una lunga serata in piedi.
“Assolutamente no, sei perfetta. Però potevi anche farmi salire e farmi vedere casa, siamo più che in anticipo sorellina” le disse Lorenzo, facendola salire in auto. Suo fratello era tornato da Londra e Maya lo aveva precettato per farsi accompagnare alla mostra: con tutti quegli sciacalli pronti a metterle i bastoni tra le ruote appena avrebbe messo piede in galleria, era meglio portarsi un bodyguard. Grazie alla conoscenza con l’organizzatore della serata, era riuscita a farlo inserire nella lista, anche se lei aveva solo un accredito stampa.
“Magari un’altra volta, non posso rischiare di fare tardi. È troppo importante … stasera deve andare tutto liscio come l’olio” disse, apprensiva, mentre si immettevano sul Lungotevere, direzione nord. Si era fatta trovare fuori dal cancello del palazzo, pronta dalle 6 del pomeriggio ed impaziente.
Forse era la pelle dei sedili, forse il profumatore, ma c’era qualcosa in quell’auto che suo fratello aveva noleggiato che le stava dando la nausea. O forse era solo tesa per la serata; abbassò il finestrino e provò a distrarsi un po’.
“E poi mi risulta che resterai per un po’ a questo giro” aggiunse, sorniona “abbiamo tutto il tempo”
“Certo che alla Principessa Torlonia non puoi dire niente che già mette i manifesti …”
“Ti dico solo una cosa: mancava la fumata bianca e sarebbe sembrata l’elezione del nuovo papa” scherzò “ma non te la prendere con lei, Lollo, è solo felice di riaverti a casa”
“Lo so, lo so…è solo che non c’è niente di definitivo. Non vorrei si facesse delle illusioni. Sto solo facendo una consulenza nella sede di Roma per qualche mese e hanno mandato me per pura comodità, visto che sono italiano.”
“Ma mi ha detto mamma che c’è anche possibilità di una promozione e restare”
“Sì, ma è solo una possibilità…te piuttosto…è un bel cambiamento questa cosa che stai facendo stasera. Un lampo nel buio del panorama lavorativo italiano, queste cose me le aspetto all’estero, non qui”
Lorenzo era il classico expat, di quelli che vedeva sempre col bicchiere mezzo vuoto – se non del tutto vuoto – ciò che riguarda l’Italia. Tutto era più bello, più pulito, più giusto e più facile in quel di Londra, omettendo però che tra affitto, bollette e costo della vita in generale, il suo stipendio lo teneva a galla da single e neanche aveva l’auto per sportarsi autonomamente. Lui diceva che era perché abitava in un quartiere chic e non ci avrebbe rinunciato e che quei comfort si pagano e Maya sospirava quando lo diceva, perché le sembrava di rivedere sé stessa qualche mese prima.
“Ho un buon capo” tagliò corto, sperando che sua madre, nel tentativo di trovarle raccomandazioni, non avesse spettegolato sulla sua decisione di lasciare il lavoro; tanto col cavolo che lei avrebbe lasciato Roma. Quando Matilde aveva saputo delle dimissioni aveva dato di matto, ma Maya non la biasimava: se avesse deciso di lasciare Roma Glam solo per avere nuovi stimoli, come le aveva detto, si sarebbe presa a schiaffi da sola., ma sua madre non poteva e non doveva sapere la vera ragione.
 
“Tutto sto casino per una mostra d’arte contemporanea?” domandò Lorenzo perplesso, notando la fila all’ingresso della galleria che aspettava il controllo della lista e loro che, sfoderato l’accredito stampa di Maya, tentavano di farsi largo tra la folla “da quando a Roma ci sono tutti questi intenditori?”
“Non è mica per la mostra…mi pare ovvio. È il primo evento della stagione estiva”
“Che cosa provinciale…” commentò il ragazzo, con sufficienza.
“Come se a Londra non ci fossero eventi simili dove i socialite fanno a cazzotti per essere in lista... Ti devo ricordare del Summer Party della Serpentine Gallery per cui avevamo venduto l’anima al diavolo quando sono venuta a trovarti l’ultima volta?”
“E io ti devo ricordare chi abbiamo incrociato a quella festa? Kate Moss, Naomi Campbell, Tommy Hilfiger, le nipoti della regina … qua se va bene ci sarà qualche partecipante del Grande Fratello” “
A parte che Naomi Campbell l’hai vista solo tu quella sera, ma comunque tutto questo trash io non lo vedo …” lei stessa era stata una socialite a suo modo, fino a poco tempo prima, ma nessuno del suo giro, per quanto cafoni, si era mai abbassato a certe frequentazioni “e comunque in quanto a principi qui a Roma siamo ben forniti”
“Maya!”
I due fratelli si voltarono alla voce che richiamava l’attenzione della piccola di casa Alberici. Parli del diavolo…
“Gian Giacomo Maria detto Gianmaria dei principi Ludovisi!” esclamò Maya, spalancando le braccia per ricevere l’abbraccio e due baci sulle guance da parte dell’uomo.
“Cosa vedono i miei occhi?! I fratelli Alberici! In nome del Papa Re, questa non è di certo un’immagine che si vede spesso ultimamente nei posti di Roma che contano!!!”
Gianmaria 
– Giangi solo per i più intimi– era uno spilungone di 33 anni, capelli così curati al punto da sembrare scolpiti, i baffi con un leggero accenno di barba che non aveva nulla di lasciato al caso e l’abbigliamento ricercato ma eccentrico: giacca di taglio vagamente regency, cravatta dalla fantasia floreale, mocassino con le nappine indossato senza calzette e la catenina di un orologio da taschino che faceva bella mostra di sé attaccata ad uno dei bottoni del gilet doppiopetto; camminava impettito e spavaldo, come si conviene ad un dandy che vive qui e ora e non ha altra aspirazione se non l’ostentazione di sé e della propria libertà.
“Ci piace farci desiderare” rispose Maya, facendo l’occhiolino “la nostra presenza qui dà l’idea della portata dell’evento”
“Beh, di certo questa sera la mia mostra avrà un’opera d’arte in più”
“Sei sempre un gentiluomo, Giangi, Roma Nord non ti merita” lo ringraziò Maya, deferente e arrossendo un po’.
“Ma guarda che mi riferivo a tuo fratello, mica a te …” la punzecchiò l’uomo, sorridendo sornione verso l’amica e rivolgendo uno sguardo languido ma scherzoso verso Lorenzo, il quale non si scompose: conosceva bene i suoi modi sfrontati e senza peli sulla lingua. Da piccolo Gianmaria  frequentava casa Alberici assieme alla nonna, compagna di burraco di Matilde; pur essendo coetaneo di Lorenzo, si era trovato a condividere i banchi del liceo con Maya: non aveva mai avuto problemi ad accettare la sua sessualità ma questa non andava propriamente d’accordo con la cattolicissima scuola in cui era iscritto ed essere semplicemente sé stesso gli era costato un paio di bocciature per cattiva condotta prima che i genitori capissero che era una battaglia contro i mulini a vento ed era il caso di fargli cambiare aria.
L'amico si premurò di far saltare loro la fila, facendoli entrare assieme a lui. All’ingresso, un’hostess consegnò loro una brochure informativa, ma soprattutto i pass per l’open bar. I saloni dell’edificio in pieno centro storico avevano i soffitti alti e le pareti immacolate, e le opere dell’artista americano a cui era dedicata la serata riuscivano a brillare di luce propria, senza bisogno di illuminazioni particolari. Ma dei quadri, agli avventori che erano già entrati, importava poco o nulla: impegnati in amabile conversazione in piccoli gruppetti sparsi per le sale, avevano trasformato la brochure in un’ottima alternativa ai ventagli, sempre che le loro mani non fossero già indaffarate con bollicine e finger food gourmet. Sul soppalco in fondo alla sala, infatti, Maya aveva scorto dei camerieri in piena attività al buffet. Da qualche parte, forse in una delle salette più defilate, un dj set dalle atmosfere tropicali, che si abbinava perfettamente ai colori sgargianti delle opere esposte. Più che ad una mostra di arte contemporanea, sembrava di essere all’Eden a Ponte Milvio ad orario aperitivo.
“Ragazzi vi va da bere?” domandò Lorenzo, slacciando il colletto della sua camicia coreana “Io già sento caldo…”
“Per me champagne” rispose Maya, senza pensarci due volte, ricordando il consiglio di Alex: aveva intravisto tra la folla un paio di suoi conoscenti ed era stato abbastanza per sentire l’istinto di anestetizzarsi con un po’ alcool.
“Comunque prima scherzavo” riprese Gianmaria, quando Lorenzo era ormai già sulle scale, direzione bar “sei talmente figa stasera che potresti mettere in dubbio la mia omosessualità”
“Adesso non esageriamo…io e te siamo usciti insieme pochissimo perché se non c’è una serata al Muccassassina neanche esci di casa”
“No tesoro, quella era una scusa…te continuavi a portarti dietro quel fascistello di Andrea! Non sapevo più come fartelo capire!”
“Bastava dirmelo”
Non si era mai interessata di politica, destra e sinistra sono praticamente la stessa cosa quando frequenti circoli esclusivi e al ristorante il conto non scende mai sotto i 2 zeri.
“Mi avresti ascoltato?”
Maya sospirò. No, forse la Maya di allora non avrebbe accettato consigli nemmeno da sé stessa, figurarsi ascoltare le opinioni degli altri.
“Ad ogni modo sei un sogno” continuò l’uomo, dandole una leggera spallata complice “se non sapessi con assoluta certezza che il diretto interessato non è in lista questa sera, direi che quello che hai addosso è proprio un revenge dress
“Di cosa stai parlando?”
“Tesoro, non mi togliere l’unico stereotipo gay di cui amo fregiarmi … lo sanno pure le controsoffittature di questo palazzo che sei stata con l’editore più bono di Roma, ma che hai rispedito al mittente pure le mutande via DHL è una mia esclusiva”
Lo guardò sconvolta e quasi terrorizzata da quella risposta: che sapesse ci poteva stare, del resto La Stronza di sicuro aveva divulgato la notizia tra le sue conoscenze e le chiacchiere avevano fatto il resto, così come poteva essere bastata una cena elegante o una passeggiata in centro per essere visti, ma che sapesse del pacco che aveva mandato ad Alex con tutte le sue cose era francamente al limite dello stalking.
“Mi fai paura” esclamò, costernata, con una mano sul petto.
“Tranquilla, non userei mai queste informazioni contro di te … a patto che mi prometti che non ci perdiamo più di vista”
“Molto volentieri!”
Suo fratello arrivò con la flûte di champagne e Gianmaria si congedò per salutare alcuni ospiti
“Vai vai” disse Maya, ridendo maliziosa “ma prima o poi dovrai dirmelo come fai a sapere del corriere!”
“Quale corriere?” domandò Lorenzo.
“No comment. Dai, diamo un’occhiata alla mostra…”
A metà tra la fotografia e il quadro, le opere sembravano voler trasportare il Rinascimento nella contemporaneità attraverso uno stile pop e artificioso, portando a galla – recitava la brochure - le paure, le ossessioni e i desideri della società.
“La teologia visiva della Sistina di Michelangelo lascia il posto ad una dissacrante Las Vegas che affonda” leggeva Maya ad alta voce mentre suo fratello contemplava i ritratti “e il Venere e Marte di Botticelli, con la sua serafica perfezione, è ribaltato completamente per raccontare il caos e la violenza subìti dal continente africano”.
“Sarà … ma per me è così kitsch!” commentò Lorenzo, di fronte all’ennesimo ritratto surreale, con Cristo inserito in una periferia americana, dai colori forti e artificiali.
“Solo all’apparenza” lo corresse Maya “in fondo sta criticando la nostra società usando i suoi stessi mezzi: la superficialità, lo sperpero, l’esteriorità …”
“Principessa non ti facevo così profonda …”
Andrea, detto Chuck Bass, se ne stava in piedi con una flûte in mano e la sua bella addormentata Aurora – non perché fosse bella come la principessa Disney, ma perché era fondamentalmente una svampita, un cliché sulle bionde ambulante – avvinghiata ad un fianco, tipo bradipo. La ragazza, in un abito da cocktail rosa confetto, stucchevole anche nel guardaroba di Barbie, teneva la mano sinistra appoggiata sul bavero della giacca di Andrea, nel tentativo per niente discreto di sbattere in faccia a Maya il suo anello di fidanzamento nuovo di zecca: dopo anni di tira e molla finalmente era arrivato il trilogy tanto agognato, enorme come il loro ego e pacchiano come i loro modi. Maya però non pensò neanche per un secondo di dare ad Aurora la soddisfazione di aver notato il gioiello, o di farle le congratulazioni.
“Ed io non ti facevo così intellettuale da partecipare a una mostra di Lachapelle” controbatté lei invece, con un’aria di sfida e superiorità.
“Oh sai com’è … open bar, dj set, gente che piace … non si può mancare”
“Certo che no”
Conoscendo un minimo Giangi, di certo non era stato lui ad inserirlo in lista: un invito, pagando lautamente gli sponsor della serata, Andrea non aveva mai avuto problemi ad ottenerlo.
“Come stai Maya?” le domandò Aurora, schioccandole due baci falsissimi sulle guance, poggiando la mano sinistra sulla sua spalla. Maya, dentro, gongolava: era sicura che se avesse finto ancora un po’ di non notare l’anello, la ragazza se lo sarebbe levato dal dito e glielo avrebbe sbattuto in faccia. “Benissimo, grazie!”
“Ed è persino tornato da Londra Lorenzo Alberici!” esclamò Andrea, salutando il fratello di Maya che però dimostrava – per la felicità di sua sorella – di non filarselo di pezza. Lorenzo aveva tanti difetti, era scappato da Roma per vivere la sua vita nella City dove giocava con i soldi degli altri visto che di suoi non ne aveva, ma almeno la sua spocchia era giustificata dal mazzo che si era fatto. Andrea, invece, non aveva mai dovuto lottare per nulla. Il 90% della popolazione mondiale avrebbe venduto l’anima al diavolo per poter avere le sue opportunità e spaccare il mondo, e invece la sua unica preoccupazione erano le cene con gli amici, il tavolo nella discoteca di grido e le vacanze là dove vanno tutti per far vedere che c’è pure lui.
“Stasera è toccato a te fare da lacchè alla principessa?” continuò “Pensavo che tua sorella ed Olivia fossero ormai in simbiosi”
Un'altra persona probabilmente usato parole più discrete, ma un’espressione ingentilita avrebbe ripulito troppo il pensiero che aveva nella testa e non gli interessava sforzarsi più di tanto a nasconderlo: cafona ripulita leccapiedi disperata che ancora si porta appresso quella morta de fame e mo je fa pure l’elemosina. Per quelli come Andrea, non saper distinguere un Dom Perignon del 2006 da uno del 2010 equivaleva a comprare uno spumante economico a caso all’Eurospin; alla povera Olivia, che aveva sempre dimostrato un atteggiamento da sti gran cazzi nei confronti del lusso e dell’ostentazione, pur stando benissimo economicamente, aveva fatto passare una vita d’inferno da quando al quarto ginnasio avevano iniziato a frequentare la stessa comitiva. Uscirne indenne, senza una crisi di nervi e senza trasformarsi in una serial killer, dava l’idea di che tempra avesse in realtà quell’anima santa di Olivia.
“E invece vedi com’è strano il mondo” rispose Maya, piccata “ci sono persone che vanno alle feste di famiglia mettendo al secondo posto i party esclusivi, mica come te … stai troppo avanti per noi”
“Ma…raccontaci un po’…com’è che non ti si vede più dalle nostre parti?” indagò Aurora, sviando dalla frecciatina della ragazza. Maya sapeva benissimo che non era una gran cima e non era cattiveria, la sua: lei veramente viveva in un paradiso tutto suo di selfie e illuminanti della Dior e probabilmente nemmeno si era resa conto che l’avevano messa da parte di proposito in tutti quei mesi, così come era caduta dal pero quando l’avevano esclusa dalla vacanza in comitiva.
“Beh … la rivista per cui lavoro si sta espandendo verso l’estero e sono sempre in giro col mio capo… Parigi, New York … e quando vedi Piccadilly Circus e place Vendôme, piazza Euclide e Ponte Milvio diventano così poco attraenti”
Andrea rispose con un sorriso tirato, di cortesia, indispettito dalla risposta pronta di Maya. Probabilmente non si aspettava di trovarla sulla cresta dell’onda, forse sperava che sarebbe tornata da loro strisciando nella speranza di elemosinare briciole della loro attenzione … mi conoscete così poco.
“Eh già … sei talmente impegnata che nemmeno hai tempo di fare shopping. Sbaglio o quello è un Guess di due anni fa?”
Quella domanda non scandalizzò particolarmente Maya; sapeva bene come funzionavano quelle cose, lei per prima per anni aveva passato serate intere a spettegolare e a sparare a zero su chiunque le capitasse a tiro. Semplicemente, ora che era lei l’argomento di conversazione, si rendeva conto di quanto facesse male.
Mah … sì … può essere” cercò di minimizzare “è una serata in piedi e ho preferito non rischiare che nella mischia qualcuno rovinasse un abito nuovo di zecca con vino o salsa rosa, sai come vanno queste cose”
“Si capisce …”
Maya, sorseggiando il suo champagne, si morse idealmente la lingua: non sapeva nemmeno lei perché stava inventando tutte quelle balle, montando su scusa su scusa come ai vecchi tempi. Solo stare di fronte a quei due aveva iniziato a sentire improvvisamente caldo e se ne accorgeva da sola che stava diventando smaniosa, andando sulla difensiva. Anche a suo fratello, che con Maya si sentiva il minimo sindacale, quelle risposte suonarono strane: della vita di sua sorella sapeva quel po’ che c’era da sapere e che Maya voleva che sapesse, ma di viaggi all’estero per lavoro non ne aveva mai sentito parlare. Aveva notato però quell’atteggiamento tipico di quando diceva bugie e voleva risultare credibile, come da bambina: le gambe incrociate, le mani strette attorno alla borsetta e il mento all’insù; gli altri ci cascavano sempre, ma lui no … del resto, era stato lui ad insegnarle. Non gli restava che spalleggiarla, qualunque fosse il motivo: gli Alberici restano uniti, era l’unica fondamentale regola del loro fight club familiare.
“E quindi sei qui per lavoro stasera?” ribatté Andrea, ringalluzzito dalla falla trovata dalla sua fidanzata, accennando al piccolo tesserino che penzolava dalla pochette di Maya con la scritta Press Pass “Certo che per una rivista così internazionale, passare da Place Vendôme a Piazza Borghese mi sembra alquanto un declassamento”
L’uomo, compiaciuto di sé, non riusciva a nascondere un sorriso pungente. Aveva sempre visto in Alessandro Bonelli il suo modello di riferimento e non riusciva a perdonare Maya per non aver mai creato un’occasione d’incontro, lui che tante volte l’aveva inserita nei giri giusti di feste e serate: l’amicizia, del resto, per quelli come lui, era solo una catena infinita di do ut des
In quel momento, per la prima volta, Maya si sentì scoperta, incapace di controbattere, senza più scuse: era davvero lì per lavoro, non le sarebbe mai passato per la mente di andare a quella serata altrimenti. E perché avrebbe dovuto? Non c’era nulla più che la legava a quell’ambiente e a quelle persone, non aveva più bisogno di loro. E se fosse stata incuriosita dalla mostra, avrebbe pagato il biglietto come i comuni mortali e ci sarebbe andata in un giorno normale. Non si vergognava di essere lì per quello, ma perché, al contrario, fino a qualche secondo prima si era rifugiato in quel castello di carte che era stata la sua rovina.
In quel momento, provvidenzialmente, nella sua testa riecheggiarono le parole di Alex: niente metodo Parioli … quando sei te stessa sei molto più forte di quello che credi. Lui credeva in lei, lei un po’ meno, invece: ma doveva valere davvero qualcosa se l’aveva spinta in quella fossa dei leoni, non poteva essere così stronzo da mandarla in quella bolgia solo per il gusto di vederla affossarsi e fallire. Il problema era che, da sola, lei non aveva mai fatto nulla per provare a sé stessa, men che meno agli altri, che valeva qualcosa di più di un bel corpo e un faccino interessante. C’era sempre stato qualcuno, più o meno evidente, a guardarle le spalle: Lavinia, Olivia, Alex, quella sera anche Lorenzo. E nella sua testa, in quei frangenti in cui aveva bisogno di reagire rapidamente, iniziò a fare capolino l’idea che per liberarsi davvero di quella zavorra che era il suo passato, l’unico modo era occuparsene da sola, senza cavalieri senza macchia e senza paura che prendessero le sue difese: toccava a lei essere paladina di sé stessa.
Si ricordò di come si era sentita la sera del gala, oppure quando il primo articolo scritto con Alex era stato pubblicato e quanto si era sentita forte ad accorgersi che poteva essere qualcosa in più che una ragazza nell’ombra. Ora più che mai, era arrivato il momento di uscire allo scoperto.
“Andrea non dire così” disse Aurora “lo sai cosa ha passato la povera Maya. Deve fare quel può per rimanere a galla…”
Era difficile dire se ci credesse davvero o se la stesse solo deridendo: conoscendola, probabilmente, nell’insostenibile leggerezza del suo essere ci credeva veramente, ma mai dire mai.
“Fare quel che posso si chiama lavorare, Aurora. E lo facciamo in tanti, sai? Non tutti aspirano a fare la matrona dell’alta società che si tiene le corna in silenzio pur di avere un anello dito e una villa all’Olgiata. Io non più, almeno. E vi dirò un’altra cosa: la facciata di casa mia avrà anche l’intonaco che cade a pezzi, nel vialetto d’ingresso salterà pure una mattonella a settimana e devo stare attenta a non caricare troppo l’ascensore altrimenti si blocca al terzo piano. Ah dimenticavo, mi accontento pure di restare a casa con le amiche per cena e quando andiamo a ballare cerchiamo le serate più economiche. Però in compenso ho una deliziosa vicina di casa che mi prepara i cornetti per colazione e degli amici che non stanno con me per il mio cognome o per il mio conto in banca, ma perché abbiamo qualcosa da dirci che non siano pettegolezzi o cattiverie e non passiamo il tempo sui social ad esibire uscite in cui si fa finta di divertirsi. Passate una buona serata!”
Maya girò i tacchi e improvvisamente si sentì leggera come una piuma, una sensazione che non provava da quando aveva chiuso dietro di sé la porta del piccolo appartamento dei Parioli. Ora sì che finalmente poteva dire di aver chiuso un capitolo.
“Dio Maya non ti sembra di aver esagerato?” le chiese Lorenzo, ancora sconvolto.
“E perché? Loro hanno avuto un po’ di delicatezza nei miei confronti quando ho avuto i miei problemi? Non mi risulta … non ci hanno messo niente a scaricarmi Lollo, niente.”
“Sì ma …”
“Ma?”
“Quella cosa sulle corna … Aurora non se la meritava”
“Se va beh ciao core!” esclamò Giangi, intrufolandosi tra fratello e sorella dal nulla “amo, quella c’ha 'n palco de corna da fare invidia a n’alce. Lo sa benissimo eppure se le tiene … se vuoi te faccio pure la lista”
“Lascia perdere, non sono cose che mi riguardano … e non riguarderebbero neppure voi, vipere!”
“Vipere?” ribatté Giangi, indignato “dire la verità può far male ma non è mai essere vipere. E se lo è, sinceramente, sticazzi …”
I due amici scoppiarono a ridere, complici, dandosi un cinque davanti a Lorenzo che li guardava con disapprovazione mista ad un pizzico di ironia perché i due, oggettivamente, insieme erano due bei personaggi.
“Ora” disse il curatore della mostra tornando serio e aggiustando il gilet “se ti dicessi che posso darti lo scoop che ti svolta la carriera e farà baciare ad Alessandro Bonelli la terra dove cammini per il resto dei tuoi giorni …?!”
“Di più di quanto non faccia già?” domandò sarcastica, strizzando l’occhio all’amico “vai spara!”
Giangi prese Maya per mano, separandola da suo fratello 
e, facendosi largo tra la folla, la portò di fronte al pezzo forte della collezione in mostra dove, ad aspettarli, c’era l’artista in carne ed ossa, pronto ad un’amabile conversazione con l’inviata di Roma Glam.




 

Ciao a tutti!!! Spero di esservi mancata...beh non proprio io personalmente, ma almeno la mia storia e i miei personaggi. Lo so sono stata via parecchio ma come ho detto volevo dedicarmi al finale. Ora, che praticamente manca solo l'epilogo mi sento abbastanza tranquilla da poter tornare qui ogni senttimana a farvi compagnia. Spero tornerete numerosi e mi lascerete un saluto e un'opinione tra le recensioni. Con calma, prometto di rispondere a tutti!
A presto, 
Fred ^_^

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


 
 
 
 
 
 Capitolo 20


 


La sedia dell’ufficio su cui Maya sedeva tutti i giorni per 8 ore sembrava scottare. Aveva inviato l’articolo ad Elena quella mattina alle 6, e solo perché il suo cellulare le aveva segnalato la deadline a 5 minuti dallo scadere, dopo una notte insonne passata a leggerlo e rileggerlo, a correggere fino all’ultima virgola. In quei momenti, quando anche un segno della punteggiatura le faceva venire dubbi, le avrebbe tanto fatto comodo avere un Alessandro Bonelli al suo fianco che la rassicurasse, che le dicesse che andava bene così o che i suoi erano dubbi infondati.
Ma quello non era più il momento di cercare appoggi: lo sapeva Alessandro che l’aveva scelta per andare alla serata e lo sapeva lei che aveva dovuto scrivere l’articolo. Non era stato facile gestire la serata, e non certo per le vecchie conoscenze: quelle le aveva sistemate in quattro e quattr’otto ed era andata avanti; Giangi le aveva fatto incontrare, prendendola alla sprovvista, nientepopodimeno che David Lachapelle in persona, conversandoci amabilmente e condividendo drink e canapé. L’esperienza più assurda e incredibile della sua vita.
Si era ritrovata ad aprire Word sul pc e a chiedersi, di fronte a quella pagina bianca e alle dita che sfioravano la tastiera, cosa ricordava di quella serata in cui aveva preso pochi appunti sul luogo e di cui aveva messo insieme poche memorie a caldo appena tornata a casa. Prima di scrivere anche solo una frase pensò a cosa voleva raccontare, non solo della serata ma anche di sé come … beh qualsiasi cosa fosse in quel momento. Non era una blogger, non era un’esperta d’arte, né tantomeno una giornalista. Sapeva solo che quel mondo di cui stava per raccontare l’ennesima serata mondana, nascosta dietro un pretesto culturale, lei lo aveva vissuto e ora lo osservava con uno sguardo compassato e critico, e poi che doveva raccontare anche della mostra, nella speranza che a qualcuno dei lettori venisse l’idea di andare a vederla di persona.
Non era affatto sicura del lavoro svolto, era convinta che sarebbe stata licenziata prima ancora che scadesse il termine delle sue dimissioni e come se non bastasse proprio quella stessa mattina c’erano due ragazzi seduti nel salottino all’ingresso, in attesa di entrare a colloquio da Alex per prendere il suo posto. Non aveva cambiato idea, pensava ancora che fosse la soluzione migliore per entrambi: semplicemente, a due settimane dal giorno x, ora iniziava a diventare tutto più reale.
“Maya fai entrare il primo candidato” la voce metallica di Alex le comunicò in vivavoce.
La giovane, andando all’ingresso, diede con un cenno del capo il lasciapassare ad una ragazza in un’improbabile gonna lunga a quadri, t-shirt e scarpette di tela. “Qualche consiglio?” le domandò, ansiosa. “No” rispose Maya, telegrafica.
Non voleva essere stronza, ma quella mattina non era in vena di convenevoli e generosità, voleva solo sapere di che morte doveva morire per mano di Elena prima e di Alessandro poi.
“Sono i papabili nuovi te?” le domandò Alice, entrando nell’anticamera dello studio Alex dopo pochi minuti dall’inizio del primo colloquio, per portare della posta indirizzata al direttore.
“Mm mm”
“E come ti sembrano?”
“Mah” rispose Maya, scettica “se questo è il meglio che hanno saputo trovare alle Risorse Umane non siete messi benissimo”
“Perché?”
“No, Alice, ti prego, non dirmi che non l’hai vista! Non dobbiamo essere tutti Bella Hadid, ma un minimo di bella presenza dovrebbe essere d’obbligo nella redazione di un giornale che si chiama Roma Glam, anche se fai l’assistente. Mi auguro per lei che abbia un curriculum pazzesco perché di glam non ha niente”
“Lui invece?” chiese Alice, sbirciando verso l’ingresso dove un biondino in completo blu e cravatta rossa aspettava il suo turno.
“Mah… è vestito bene ma sembra un ragazzino appena uscito dal liceo, chissà se ha almeno la patente…”
“Ma che dici?!”
In quel momento la porta dell’ufficio si aprì, Alex strinse la mano alla ragazzotta con la coperta da pic nic al posto della gonna, e Alice si dileguò, per la fortuna di Maya, prima che il capo potesse rimproverarle. Non che ad Alice importasse più di tanto fare una buona impressione dopo quando era successo tra lui e Maya, ma ci teneva a conservare il suo posto proprio per quello: per rompere i maroni alla direzione dall’interno.
 
“Alessandro?”
Elena, la caposervizi della sezione cultura, entrò nell’anticamera con fare minaccioso fermandosi davanti alla sua scrivania. Nel silenzio dell’anticamera, il ticchettio di un tacco che batteva ritmicamente, stizzito, sul pavimento, rimbombava ostile.
“Sta tenendo un colloquio” le disse Maya “se vuoi gli dico che sei passata e oppure ti chiamo quando si libera”
“No non c’è bisogno … aspetto qui. Tanto devo parlare anche con te” le disse, tirando fuori da un portadocumenti un paio di fogli e sbattendoli repentinamente sulla sua scrivania “cos’è sta roba?”
Non c’era bisogno di indovinare né di leggere il contenuto di quei fogli stampati per capire che si trattava del suo articolo. Che sarebbe stato un fallimento lo aveva messo in conto; non solo, aveva avvertito Alessandro di non essere all’altezza da prima di subito, appena l’uomo aveva fatto cenno a quell’idea malsana. Ma essere trattata come avesse commesso un crimine contro l’umanità anche no.
“Una cosa ti avevo detto di fare” le intimò Elena, severa “limitarti a seguire il prompt e attenerti alla brochure che ti sarebbe stata consegnata alla mostra. Troppo difficile?”
“No” rispose con un filo di voce, mortificata, la testa bassa.
“E allora perché non l’hai fatto?”
“Perché … perché io …”            
Maya in testa aveva la risposta pronta, precisa, perfetta. Ma le parole semplicemente in quel momento non riuscivano ad uscire. Lei non era mai stata una che si faceva problemi a rispondere o ad imporre il proprio pensiero, ma in quel momento invece si stava mettendo soggezione di una donna che in due settimane non avrebbe più rivisto e senza un particolare motivo. Avrebbe potuto dirle che il canovaccio che le aveva dato era limitante, che non le andava di scrivere una roba da tipo fill in the blanks come fosse un esercizio preso dal libro di inglese delle scuole medie, perché sebbene fosse una signora nessuno alla prima esperienza, lei una voce e una testa ce le aveva e sapeva farle funzionare benissimo. Poi che l’articolo fosse scritto male ci stava, anzi era la prima a non dubitarne, ma non poteva credere che fosse peggio di quel bollettino di guerra che Elena le aveva proposto di compilare. Eppure tutto questo non riusciva a tirarlo fuori a parole e voce.
“Te lo dico io … perché pensi di poterla passare liscia tanto hai le spalle coperte”
“C’è qualche problema?” Alex aprì la porta del suo studio, congedando il biondino di Eton, come lo aveva immediatamente apostrofato Maya. “Appunto” sussurrò Elena, ma Maya la sentì forte e chiaro “c’è che ho un articolo impubblicabile” gracchiò, passandogli i fogli “roba inventata …”
“Roba inventata? Ma non è vero!” inveì Maya, scattando in piedi; fino a quel momento era stata in silenzio, impaurita di dire la cosa sbagliata e remissiva di fronte a due superiori, anche se ancora per poco.
“Come me la chiami una descrizione di Lachapelle come se fosse il tuo vicino di casa? Pavoneggiandoti di aver avuto con lui un’amabile conversazione, oltretutto ...”
“Prima di tutto non mi sono assolutamente pavoneggiata” Si era sentita fortunata, questo sì, perché mai in vita sua avrebbe pensato di poter conoscere un artista di quel calibro, e forse lo aveva trasmesso involontariamente nel pezzo, ma pavoneggiarsi è un’altra cosa e non è quello che aveva fatto. “Secondo, ci ho parlato veramente, l’hai detto tu che conosco Ludovisi” precisò, rivolgendosi ad Alessandro “e ci ha presentati lui. Il fotografo dell’evento ci ha anche scattato una foto, puoi cercarla se non ci credi.”
“Ci credo, Maya, tranquilla e ci crede anche Elena” la rassicurò Alessandro, fulminando la collega con lo sguardo “adesso tu chiami il fotografo e ti fai mandare le foto dell’evento e fai una prima cernita, e io torno dentro e do un’occhiata all’articolo”
“Ed io?” domandò Elena.
“Tu nel frattempo te ne vai a prendere una camomilla perché non è questo il modo in cui trattiamo i colleghi in questa redazione”
Nella testa di Alex, in realtà camomilla suonava più come Maalox, ma non poteva dirlo ad alta voce. Elena girò i tacchi con l’aria di chi avrebbe voluto obiettare che Maya non era una sua collega ma era consapevole che un commento simile le sarebbe potuto costare il posto.
Dopo una ventina di minuti Alex chiamò Maya all’appello dall’interfono, il tono indecifrabile “Chiama anche Elena e venite qui, subito”
Maya prese un respiro a pieni polmoni, sperando di riuscire a mantenere la calma; quando entrarono, Alex era seduto alla scrivania, impassibile, serio e professionale, i fogli dell’articolo meticolosamente sistemati di fronte a lui. Maya, curiosa di conoscere il responso, iniziò a sbirciare discretamente come una scolaretta e notò diverse correzioni; non si era mai interessata più di tanto a quell’aspetto del lavoro di Alex, e se non fosse stato un articolo scritto da lei, si sarebbe messa a ridere: in un flashback, le sembrò di essere tornata a scuola, con la prof di italiano che segnava tutti gli errori sul lato del foglio protocollo.
“Non rispetta la consegna, Maya, Elena ha ragione…” decretò Alex, le mani giunte sul tavolo di cristallo, imperturbabile.
“Io però ve lo avevo detto che …” Maya partì immediatamente sulla difensiva
“… ma questo non significa che non sia un buon articolo” concluse il direttore, accennando con gli vagamente ad un sorriso che solo Maya avrebbe potuto cogliere “anzi, è più che buono. Ti dirò di più, Maya, era da tempo che cercavo qualcosa del genere per ravvivare la sezione Arte. Certo bisogna un po’ limare la forma, ma niente a cui non si possa rimediare”
Maya abbassò lo sguardo, presa in contropiede dalle parole di Alex, ma soprattutto dall’orgoglio che i suoi occhi verdi e la sua voce calda e sicura trasmettevano. Era quasi sicura che non fosse solo lei a vederli e la reazione di Elena, di fianco a lei, non si era fatta attendere.
“Limare la forma…” ripeté la donna, acida, sbuffando con gli occhi al cielo “eh certo …”
“Problemi, Elena?” Non la guardava. Aveva lo sguardo fisso sul pc davanti a lui. Maya non riusciva a capire se fosse impegnato veramente o lo facesse per non dare importanza alla caposervizi della sezione Cultura.
“No, nessuno”
“Se hai qualcosa da dire dilla, qui siamo tutti adulti e vaccinati”
“Come vuoi … sono anni che giornalisti professionisti ed esperti del settore si fanno il mazzo e non sei mai contento” disse la donna, mantenendo un contegno decoroso e distaccato, ma nello sguardo non riusciva a nascondere la collera “ora invece trovi magicamente la soluzione ai nostri problemi con una ragazza alle prime armi?! Lo so io perché…”
“E se lo sai perché non ci rendi partecipi allora, forza! Non sono un dittatore, puoi dire quello che pensi”
“Perché…perché…perché Maya l’hai voluta tu a tutti i costi per l’articolo e ora non vuoi fare la figura di quello che ha torto. Come se non lo sapessi che rivolterai quell’articolo come un calzino e sarà magicamente perfetto per andare online”
No, era palese che non era quello che intendeva, che nella sua testa la risposta suonava più come perché te la porti a letto o qualcosa del genere e sia Maya che Alessandro lo sapevano; lui si era spinto volutamente così in là con la collaboratrice per vedere se avesse il fegato di dirglielo in faccia, ma prevedibilmente Elena teneva più al suo posto che a dire quello che pensava.
“Ascoltami bene Elena, se ho scelto Maya è perché ritengo che abbia tutte le credenziali per poter fare bene e me ne ha dato conferma. Non è perfetto? Non siamo al Boston Globe e mi risulta che quando sei arrivata qui mettevo la penna anche sui tuoi articoli, quindi un po’ più di umiltà e tolleranza verso chi il mestiere vuole impararlo sarebbe apprezzata. Altrimenti te l’ho già detto, quella è la porta …”
Alessandro era stufo di quel covo di vipere che era diventata la redazione: aveva combattuto per avere i migliori a lavorare per lui e aveva messo in conto di dover gestire diversi galli nel suo pollaio, ma la misura era diventata colma. Non sapeva dire se aveva avuto questa epifania perché avevano messo Maya in mezzo o meno, ma non gli interessava scoprilo: da quel momento in poi si sarebbe fatto come diceva lui.
“Ma l’hai detto pure tu che non rispetta la consegna. Non possiamo mandare online quella roba”
Quella roba, come la chiami te, sta provando ad uscire dagli schemi, parla come il pubblico che ci legge e a me serve questo. È la premessa che vi faccio ogni santa riunione e Maya sembra averla capita senza aver bisogno di dirle nulla. E sarai tu ad aiutarla, non io.”
“Benissimo” concluse la donna, fredda; poi si girò leggermente verso Maya ma senza davvero rivolgerle lo sguardo “allora ti aspetto tra mezzora da me … così proviamo a dare un senso a questo articolo”.
Maya fino a quel momento era rimasta in silenzio, assistendo impotente allo scontro tra i due: le sembrava che più che un litigio professionale a causa sua, fosse in realtà più un gioco di potere, una sottoposta che si ribella all’autorità del capo e lei fosse solo, si fa per dire, la vittima sacrificale. La sua città non era Parigi, il suo quartiere non era Belleville ma Maya Alberici era comunque diventata come Benjamin Malaussène, il protagonista degli unici romanzi che aveva letto veramente di gusto da ragazza: capro espiatorio di professione.
“Mi dispiace…” le disse Alessandro, appena vide Elena uscire dall’anticamera e girare l’angolo.
“Per cosa?”
“Averti messa in mezzo con Elena, aver permesso che dicesse quelle cose … fa l’acida perché le ho negato uno spazio per la sua compagna sul nostro giornale, ma è veramente brava e puoi imparare tanto da lei”
Maya però scrollò le spalle, stranamente serena. “È la punta dell’iceberg di ciò che pensano tutti di me qui … tutti tranne Alice probabilmente. Perciò stai tranquillo. Quando ho accettato di fare questa cosa avevo messo in conto ogni eventuale frecciatina o insinuazione”
Non le faceva di certo piacere sapere che la consideravano una raccomandata, ma la spronava ancora di più a dimostrare il suo valore, mettendo alla prova prima di tutto sé stessa.
“Dimmi solo una cosa” continuò “pensi davvero quello che hai detto su quello che ho scritto?”
“Perché non dovrei?!”
“No … è solo che … temevo che lo dicessi solo per … riconquistare punti”
Alex scosse la testa, incredulo che potesse veramente temere che non riconoscesse il suo valore. “Mi piace molto in modo in cui sei riuscita a fondere la critica alle opere con il racconto della serata mondana”
E poi, più di ogni altra cosa, era intenerito da quella dolcezza e da quella fragilità che di tanto in tanto venivano fuori; si sentiva un privilegiato: quel lato di Maya, riusciva a venire fuori solo davanti a lui.
“Ascolta … ho fatto e detto delle cazzate” le disse, alzandosi dalla poltrona e portandosi di fronte a lei “ma quelle non cambiano di una virgola quello che penso di te e del talento che hai. Capito?”
“Ti ringrazio”
“Questo non significa che il lavoro fosse perfetto: sia chiaro” precisò, riconsegnandole l’articolo con le correzioni “ma per essere il tuo primo articolo scritto da sola ed essendoti avventurata tanto oltre il richiesto …”
“Scusa, non avrei dovuto”
“No, va bene, magari avvertimi la prossima volta”
“Non c’è pericolo … uscito questo benedetto articolo è finita. Io starò qui solo per altre due settimane” puntualizzò e Alex avrebbe volentieri fatto a meno di quel promemoria: due settimane e per continuare a vederla avrebbe dovuto inventare scuse e pretesti e lui era terribile in quelle cose, peggio di suo padre che si era inventato delle riparazioni a casa della vicina per conoscere Maya.
“A proposito, i colloqui?” continuò Maya “come sono andati? Se posso permettermi …”
“Puoi, puoi. Voglio prendermi ancora qualche giorno per pensarci, ma penso che con il ragazzo si possa lavorare bene … quando mi sarò rassegnato a dover ricominciare tutto daccapo” commentò Alessandro, goffamente, grattandosi la fronte.
Maya sorrise a stento, tesa, in imbarazzo: non avrebbe mai dovuto chiedere ma quando era con Alessandro quel muro che aveva provato a ricostruire tra loro si sgretolava miseramente, soprattutto quando i loro occhi si incrociavano e si ricordava dei giorni in cui le aveva fatto battere il cuore. C’era solo un problema: Alessandro, quel cuore, glielo aveva anche ferito e la cicatrice di tanto in tanto le faceva ancora male.
“Devo andare” rispose telegrafica “mi sta aspettando Elena”.




 

Salve a tutti! Non ho molto da dire su questo capitolo, se non che Maya qui fa uno step ulteriore nella sua carriera e mi sembra che tutto sommato sia andata bene. Certo quello è un covo di vipere ma dimostra che il potenziale per fare bene non manca affatto, anzi.
Per dovere di cronaca David La Chapelle è un artista fotografico realmente esistente e Benjamin Malaussène che ho citato in questo capitolo è il protagonista di una saga di libri francesi, scritti da Daniel Pennac, che mi è molto cara ed è per questo che li ho inseriti. Maya alle prese con la scrittura è un po' me qui, mi rivedo molto nelle sue insicurezze fino alla minima virgola.
Ringrazio chi continua a leggere la storia e chi ha voluto e vorrà continuare a lasciare anche solo un commentino e vi dò appuntamento alla prossima settimana, à bientot
Fred ^_^

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


 
 
 
 
 
 Capitolo 21




 
Dopo pranzo, il fotografo della serata a cui Maya aveva partecipato per la rivista aveva inviato le foto: un centinaio di scatti tutti uguali di gente con un bicchiere in mano, in posa di fronte all’obiettivo o fintamente intenti nella conversazione, tanto per darsi un tono impegnato. Nella galleria che avrebbe correlato l’articolo ne sarebbero finite una ventina, non di più. Tolte un paio che ritraevano l’artista davanti alle sue opere, una insieme al curatore della mostra e al direttore della galleria, bisognava decidere chi – più che cosa – avrebbe meritato di essere citato. Quando c’è un evento a Roma, Maya lo sapeva bene, era facile che si trasformasse in un grande circo – per non dire un freak show: dal politico al calciatore, dall’attore teatrale dal nome importante ma semisconosciuto alle reginette di Tik Tok e Instagram, non mancava nessuno; tolti questi, restavano più o meno le solite facce dei prezzemolini dei salotti romani, matrone dai grandi blasoni o lacchè in cerca di collocazione. A lei il compito di fare una prima cernita da sottoporre ad Alessandro.
“Che fai?” Alice aveva questa capacità incredibile di sbucare fuori dal nulla come un folletto dispettoso, facendo sussultare Maya, concentrata nel suo lavoro.
“Scelgo le foto per l’articolo che ho scritto …” 
“Uh! Posso vedere?”
“Accomodati" le disse Maya, palesemente annoiata "sono venti minuti che sfoglio le foto e non riesco a decidermi …”
La ragazza si accomodò sul bracciolo della sedia girevole di Maya, scorrendo con il mouse le foto facendo molta attenzione.
“Comunque questa cosa che Alex ti ha fatto scrivere un articolo è troppo carina! Si vede che ci tiene proprio …”
Maya la guardò di sottecchi, perché questo cambio di schieramento le suonava nuovo; in effetti, però, quando le aveva raccontato della rottura, la prima cosa che Alice aveva chiesto era se fosse davvero così irrimediabile. E forse non lo era, ma Maya aveva bisogno di sicurezze ben maggiori di quelle che aveva cercato la prima volta.  
“Ma sei venuta qui per passare il tempo o a farti i fatti miei?”
“Tutt’e due … pomeriggio morto. Fammi compagnia altrimenti inizio a parlare da sola e chiamano il CIM”
“Va bene” l’assecondò, divertita “ma abbassa il volume, non ti chiami Olivia”
“Tesò” disse la collega, imitando il tono di voce e l’inflessione della loro nuova amica in comune “chi va con lo zoppo impara a zoppicare”
Maya cercò di trattenere la sua risata per non attirare l’attenzione, tirandole una gomitata, ma fu un’impresa titanica. Lei era sicuramente una delle poche cose che le sarebbero mancate di quel posto.
 
A fine giornata, Alex stava controllando dei report sul traffico del loro sito che gli aveva mandato il webmaster e non c’era cosa che più odiava. Così come la parte amministrativa, non lo faceva per piacere eppure negli anni questo aspetto del suo lavoro aveva finito per soverchiarlo più di quanto volesse o ammettesse, ma gli toccava assolvere anche a quelle noiosissime incombenze. Mentre leggeva l’ennesimo grafico, il computer gli notificò l’arrivo di una mail dalla posta elettronica di Maya. Erano le foto che le aveva chiesto.
Per curiosità e staccare un po’ il cervello, aprì immediatamente la cartella con le foto. Ovviamente erano le solite carrellate di foto più o meno tutte uguali che si avevano ad eventi del genere, niente di trascendentale. Tuttavia c’era una foto che colpi la sua attenzione: Gianmaria Ludovisi era con Maya. Lei, manco a dirlo, era assolutamente un sogno. Non che ci fosse bisogno di rimarcarlo, la vedeva tutti i giorni e tutti i giorni gli faceva girare la testa. Ma in quella foto semplicissima, in posa davanti ad un obiettivo qualunque, senza particolari pretese, fasciata da un semplice abitino bianco, veniva fuori tutta la complessità della sua anima: semplice e sofisticata, elegante e sensuale. I suoi sensi risvegliarono il ricordo del contatto, delle lunghe notti insieme, dei baci e delle carezze. Quasi poteva sentire sotto i suoi polpastrelli la seta di quelle gambe, lunghe e bianchissime, che sembravano chilometriche sotto il vestito cortissimo; sulle labbra il velluto delle sue labbra dolci, dal naso fino alla testa il profumo che tanto amava e che era così lontano ora che a volte gli sembrava un’allucinazione olfattiva.
Gli riusciva fin troppo facile immaginarsi benissimo in mezzo a tutta quella gente mano nella mano con lei, presentarsi come il suo compagno ai vecchi amici che non vedevano l’ora di spalare merda su di lei ed era stato tentato fino all’ultimo di andarci davvero, riuscire ad entrare anche se non in lista non era un problema per lui ma doveva essere la serata di Maya, in cui avere la possibilità di capire che quella era la sua strada. E infatti vedeva il suo volto e si inorgogliva: era sicura di sé, forte, libera di poter guardare dall’alto in basso le persone senza paura di venire scoperta a mentire.
Il problema era che di fianco a lei, con un braccio attorno alla sua vita, c’era un altro ragazzo. Altissimo, biondissimo, gli occhi non riusciva a vederli bene ma probabilmente erano azzurrissimi … una specie di dio Thor meno palestrato e più vestito, con un bel completo di sartoria inglese. Non c’era niente da poter leggere in più in quello scatto, niente che facesse intuire che fosse qualcuno importante per lei, ma la mente – quella piccola bastarda che lavora col favore delle tenebre quando siamo già scombussolati di nostro e la vita ci rema contro – non ci mette niente ad organizzare un castello di fantasie o incubi.
E siccome il cuore sa essere l’alleato numero uno della mente quando c’è da fare qualche danno, ad Alessandro venne la brillante idea di chiamare Maya nel suo ufficio.
“Aehm senti …” ormai la cazzata era fatta e bisognava trovare un modo per porvi rimedio senza sembrare un disperato o peggio uno stalker … pensa, Alex, pensa “stavo controllando le foto che mi hai mandato e ce n’è una in cui mancano le didascalie con i nomi. Due persone le riconosco ma la terza no …”
“Ah sì? Fammi vedere …”
Alex girò lo schermo del computer perché potesse vedere la foto.
“Oddio c’è un errore, non ho selezionato questa foto, devo averla inserita per sbaglio!” si scusò; ad Alessandro sembrava sinceramente mortificata, più per la gaffe che per la foto in sé. Tuttavia questo non riuscì a tranquillizzarlo totalmente e sentiva il bisogno di sapere comunque, curioso come una comare di paese.
“Va beh, non è una foto da buttare, alla fine potremmo metterla comunque … la nostra inviata con Gianmaria Ludovisi, curatore della mostra” recitò “e …”
“… e il proprietario della t-shirt dei The Clash” completò la frase Maya, sarcastica.
“Come?”
“Quello è Lorenzo, Alex, mio fratello”
Maya avrebbe giurato di aver sentito un sospiro o comunque un verso di sollievo da parte di Alex. Alex era … geloso. Questa era una novità assoluta. Lo conosceva come una persona estremamente sicura di sé che mai e poi mai si sarebbe messo in competizione con altri uomini, ritenendosi superiore. Ed ora invece era dubbioso e preoccupato di … perderla. Non l’aveva fatto apposta, aveva davvero messo la foto per sbaglio nella cartella inviata ad Alex, eppure era contenta dell’effetto sorbito: in un certo senso era proprio quello che voleva da lui, che non la desse mai per scontata. Non era sufficiente ma era un inizio.
“Ah ok” ridacchiò imbarazzato.
Vuoi perché i due non erano particolarmente legati, a differenza di Maya e Lavinia, vuoi perché non c’era mai stata veramente l’occasione, Alex non aveva idea di che faccia avesse Lorenzo; ora che lo sapeva, poi, si dava da solo dello stupido per non averlo intuito: innanzitutto c’era il vestito, che ad un occhio attento come il suo, aveva dato già un grosso indizio: di sicuro era stato confezionato a Londra, a Saville Row, e poi era come se qualcuno avesse fuso insieme pezzi dei volti di Maya e Lavinia sul corpo di un uomo.
“Sì, è tornato da poco a Roma … anche lui conosce Giangi e non lo vedeva da tanto così mi ha accompagnato alla serata”
“Non c’è bisogno che mi dai alcuna spiegazione …”
“Comunque preferirei non pubblicassi quella foto. Ce la siamo fatta scattare in simpatia, come ricordo della serata”
“Certo che no, non ti preoccupare” le disse, gentile.
Maya lo ringraziò e fece per andarsene quando Alessandro, mentre tornava al suo lavoro riprese: “Eri bella quella sera, ma tu sei bella sempre …”
Maya incassò quel colpo, dritto al cuore, con estrema difficoltà. Quella voce dolce e calda che la riportava indietro di pochi mesi che però sembravano un’eternità e ringraziò il cielo di essere di spalle e non di non averlo guardato negli occhi mentre lo diceva. E se ne tornò a sedere alla sua scrivania come se nulla fosse, e quasi le dispiacque fare la figura della stronza, ma non era ancora pronta tornare a fidarsi di lui.


Un paio di mattine dopo, Maya si recò al lavoro di buon’ora, con una strana leggerezza addosso. Avrebbe presto salutato RomaGlam, non aveva ancora trovato un’alternativa, però questo non la demoralizzava. Nonostante l’incertezza per il futuro, liberarsi di quell’ambiente tossico, di parole pronunciate alle spalle, sgambetti continui, pettegolezzi e cattiverie, era una conquista più che una perdita. Le dispiaceva lasciare Alice da sola, ma ora che si erano trovate come amiche anche al di fuori della redazione, vedersi non sarebbe stato un problema. Quanto ad Alex … beh la distanza sarebbe stata la prova del nove per entrambi.
Nel frattempo l’articolo era stato pubblicato e si era tolta anche quel peso. Nessuno aveva gridato allo scandalo, né i proprietari della galleria, né i portavoce dell’artista, né alcuna celebrità nominata nell’articolo. Le opzioni erano due: o l’articolo era piaciuto, oppure era passato totalmente inosservato e lei propendeva di più per la seconda opzione.
“Ciao Alice!” salutò, passando davanti alla reception, borsa e mug di caffè alla mano. L’entusiasmo per la chiusura di quel rapporto di lavoro non era sufficiente levarle il sonno che puntualmente la primavera le metteva addosso. E così andava avanti ad americani ed espressi finché non le fosse venuta la tachicardia: ne era consapevole ed era un rischio che era disposta a correre.
“Ah Maya!” l’amica richiamò la sua attenzione. Appena Maya si voltò, Alice con un colpetto del capo indicò l’angolo della hall con le poltrone, dove il biondino dei colloqui se ne stava seduto, tutto teso: sembrava un manichino dei grandi magazzini, una specie di installazione artistica iperrealista. “È tutto tuo …” ammiccò Alice.
“Non incominciare … se ha 25 anni è già tanto!” commentò Maya a bassa voce.
“Va beh ma i toy boy vanno di moda. E poi sarebbe un bel cambiamento rispetto al precedente”
Maya scosse la testa “Tu non stai bene …” Alice era fatta così: caustica, impertinente, volubile. Ed era impossibile non volerle bene così com’era.
“Scusa … tu sei il ragazzo dell’altro giorno, dei colloqui … giusto?” domandò, avvicinandosi.
Il biondino scattò sull’attenti, sistemando la giacca del suo completo blu e la cravatta prima di stringere la mano a Maya. “Fabio Marino, molto piacere”
“Io sono Maya, l’assistente di Alessandro Bonelli … o almeno per i prossimi 10 giorni ancora … poi tocca a te”
“A quanto pare …” balbettò il ragazzo, intimorito.
“Allora … nei prossimi giorni dovrò istruirti un po’, così che non ti venga un collasso il primo giorno che resterai da solo. Vieni con me …”
Il ragazzo, già apprensivo di suo, finì con allarmarsi ulteriormente.
Maya, lanciata un’occhiata complice ad Alice, lo portò con sé alla sua postazione, nell’anticamera dello studio di Alex, iniziando a dargli qualche dritta.
Long story short: questo posto è una specie di Vietnam, ma Alessandro vuole che le relazioni tra il personale siano smart, peace and love, volemose bene e quindi ci chiamiamo tutti per nome”
“Anche il capo?”
“Soprattutto lui. Anzi, lui preferisce Alex. Sarà strano le prime volte, ma ci farai l’abitudine. Ah, non chiamarlo mai capo, lo detesta. Lo lascia fare solo ad Alice di tanto in tanto anche se non so perché. L’unico che chiamiamo per cognome qui è Nardi, l’amministratore delegato, è antipaticissimo ma avrai pochissimo a che fare con lui quindi non ti preoccupare”
Nel frattempo, mentre continuava a parlargli degli orari e degli impegni di una giornata tipo, Maya avviava il pc dello studio, posizionava sulla scrivania i giornali e la bottiglia d’acqua minerale, come tutte le mattine; passati in cucina, mise la moca sul fornello “Questa miscela è personale, non deve usarla nessuno al di fuori di Alex. Qui lo sanno tutti, ma te lo dico in caso arrivasse qualcun altro dopo di te”
“Ricevuto. Ma il dottor Bone- cioè volevo dire Alex non è ancora arrivato e già prepariamo il caffè?!”
“Un paio di minuti e dovrebbe essere qui” disse Maya, controllando sul suo orologio da polso “è una persona estremamente abitudinaria. Preoccupati quando cambia la sua routine, piuttosto …”
Maya si lasciò andare ad un sorriso, ripensando alle parole che aveva appena detto, che il ragazzo non avrebbe mai potuto scambiare per tensione o malinconia. Ma a lei venne in mente il settembre precedente, quando era tornato così profondamente cambiato dalle vacanze che alla fine si era portato appresso anche lei nella sua rivoluzione. E poi, naturalmente, dopo l’incidente del figlio era diventato l’ombra di sé stesso, e anche lì a farne le spese era stata lei. Decisamente quel consiglio che aveva dato a Fabio in quel momento le avrebbe fatto comodo darlo a sé stessa un po’ di tempo prima.
“Sembri conoscerlo molto bene”
Maya, colta sul vivo, si tirò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, imbarazzata. Si sentiva sciocca, perché lui non poteva sapere assolutamente nulla di lei ed Alex “È solo che ho lavorato per lui per 5 anni …”
Mentre la moca borbottava, sentì la voce di Alice pronunciare il suo quotidiano buongiorno capo che annunciava l’arrivo di Alex in redazione. Maya, soddisfatta di aver potuto dare quel colpo d’occhio al nuovo arrivato, cronometrando quasi al centesimo l’arrivo di Alessandro, scrollò immodestamente le spalle. Non aveva nulla contro quel ragazzo ma le dava un po’ di gusto stuzzicarlo, far tornare a galla la Maya un po’ sborona di un tempo.
“Portagli tu il caffè” disse a Fabio “così ti fai vedere. Niente zucchero”
 
Alessandro non era particolarmente di buon umore, non aveva dormito bene quella notte e non sapeva spiegarsene il motivo. Forse erano i primi giorni di caldo, forse aveva fatto qualche brutto sogno di cui non si ricordava, ma dopo aver dormito un paio d’ore, aveva passato il resto della notte a rigirarsi nel letto tentando invano di riaddormentarsi. Alla fine si era alzato, quando il camion della spazzatura aveva iniziato a fare il giro del quartiere e dal divano aveva acceso la tv sulla BBC World.
In piedi alla sua scrivania, iniziò a sfogliare i quotidiani che Maya gli lasciava maniacalmente ben disposti sul tavolo, come d’abitudine. La solita politica vuota e sciatta, qualche caso di cronaca, l’economia che non riusciva a venir fuori dal buco nero, il solito anestetico del calcio che funzionava come i giochi negli anfiteatri romani: così potevano riassumersi i giornali, che leggeva perché faceva parte della sua routine, ma non avevano nulla di nuovo da raccontare.
Mentre indugiava su un articolo che raccontava la mostra di La Chapelle per capire come se ne erano occupate le altre testate, sentì bussare sulla porta a vetro dello studio mentre nell’aria si spargeva l’inconfondibile aroma di caffè.
“Vieni pure Maya” disse, senza staccare lo sguardo dalla pagina “devi proprio leggerlo questo capolavoro … neanche si sono sforzati di cambiare le parole della brochure che vi hanno dato alla mostra …”
“Ehm … non sono Maya”
Alex alzò la testa di scatto: di fronte a lui c’era il ragazzo dei colloqui, quello che con molto poco entusiasmo aveva scelto per sostituire Maya. Si era completamente dimenticato che era iniziato il conto alla rovescia, che Maya avrebbe lasciato Roma Glam a breve.
“Ah … Fa-fabio, giusto?” domandò, spulciando tra i cassetti della sua memoria per il nome “avevo dimenticato che sarebbe stato oggi il primo giorno, altrimenti sarei venuto prima per le presentazioni”
“Non si preoccupi … cioè … volevo dire … non ti preoccupare, Alice e Maya si sono prese cura di me”
“Non ne dubito” ammiccò, sornione, pensando a quella piccola associazione a delinquere che erano quelle due quando si univano. Maya dava la colpa ad Alice, ma la verità era che se una aveva l’iniziativa, l’altra, divertita, la lasciava sempre fare o le dava man forte.
“Vedo anzi che ti hanno messo subito a lavoro” disse Alex, accennando alla tazzina di caffè.
“Come? Ah sì!” esclamò il giovane, sussultando, molto goffamente e con le mani tremolanti, posando la tazzina sul tavolo evitando per miracolo di rovesciare il caffè sulla tastiera del pc. Ok, era il suo primo giorno di lavoro ed Alex era comprensivo della tensione e l’emotività … ma gli stava passando una tazzina di caffè, non aveva al telefono Mario Testino o Valentino Garavani, tanto per fare due nomi …
“Comunque segui bene quello che ti farà vedere Maya, perché poi dalla prossima settimana sarai da solo…”
“È quello che mi ha detto anche lei: oggi prendiamo le misure e da domani lavoro sul campo. Ma non ti preoccupare” dichiarò, distendendosi di fronte ad un Alex molto più alla mano rispetto al colloquio “imparo in fretta”
“Molto bene … ora per favore falla venire qui che devo parlarle …”
 
“Mi hai fatto chiamare?” disse Maya entrando in ufficio senza aspettare sulla soglia. Ormai era così proiettata al di fuori di quella redazione che non le importava più delle regole base. E ad Alessandro non interessava più che le rispettasse.
"Non lo strapazzare troppo quel poveretto … è già abbastanza emotivo di suo, non infierire”
“Beh tu lo hai scelto …”
La verità era che si era dovuto adattare: aveva scartato già altre proposte dalle risorse umane e non era rimasto molto tempo per cercare altro personale e non voleva gravare sopra alle spalle di Alice dandole doppio lavoro; era palese che nessuno avrebbe sostituito Maya, avevano abbattuto ogni barriera e non si tornava indietro, e chiunque avrebbe preso il suo posto non sarebbe stato mai abbastanza. Ma doveva lasciarla andare, non poteva trattenerla in un lavoro che oggettivamente le tarpava le ali, anche se lei non lo avrebbe ammesso.
“Leggi questo articolo e dimmi se quello che hai scritto tu non è migliore”
Più che un articolo era un mezzo trafiletto che grazie ad una foto e ad un titolone fingeva di avere più importanza di quanto non ne emergesse dal contenuto. In effetti, modestia a parte, il suo era molto meglio.
“E cosa vorresti dire con questo?”
“Che programmi hai …” tentennò “per quando non lavorerai più qui? Hai già trovato qualcosa?”
“Ci sono delle proposte in ballo, sto aspettando che mi chiamino per i colloqui”            
No, non era vero, non aveva trovato ancora nulla, ma non poteva farglielo sapere: conoscendolo avrebbe cercato un’alternativa per convincerla restare o avrebbe fatto telefonate per trovarle un posto e non voleva la sua elemosina o il solito giochetto da supereroe che impressiona la ragazza in difficoltà. “Bene, sono contento”
No, non lo era per niente, e forse quella notte insonne era stata un’avvisaglia inconscia della sua testa di fronte alla loro separazione imminente. Certo restava sempre l’inquilina della casa dei suoi, ma non era la stessa cosa: trovare una scusa per passare da lei sarebbe stato tremendamente difficile.
“Promettimi solo una cosa” continuò “non smettere di scrivere. Sei brava, veramente. Hai un talento naturale per la cronaca mondana. Tutti pensano che sia come scrivere gossip o dei trafiletti prestampati ma per renderla interessante ci vuole ben altro … è un filo sottilissimo su cui camminare … e tu lo sai fare”
“Merito del maestro che mi ha insegnato, io non ho fatto niente”
“E questo come me lo spieghi?”
Alex tolse il cellulare dalla consolle sulla scrivania e gli fece vedere un registro delle chiamate.
“Cos’è?”
“Non riconosci il nome dell’ultima telefonata?”
“Ludovisi. Quel Ludovisi?”
“Quel Ludovisi” annuì Alex vistosamente e compiaciuto di averla presa in contropiede “mi ha telefonato ieri sera per farmi i complimenti per l’articolo”
Come avesse avuto il numero di Alex Maya non poteva nemmeno immaginarlo, ma era Giangi: vietato farsi domande.
“Ma Giangi è un carissimo amico, non conta…” minimizzò, convinta che fosse una spintarella come lo era stato averle presentato l’artista la sera della mostra.
“Non ho finito” la interruppe “mi ha chiamato anche per dirmi che LaChapelle vuole rilasciare un’intervista ad un giornale italiano e sarebbe interessato a lavorare con noi perché gli hai fatto una buona impressione.”
“Non io …”
“No, tranquilla. Lo farò io ovviamente. E poi tu te ne vai … non sono più articoli che ti riguardano, no?”
Alex si morse la lingua: nella sua testa doveva essere una battuta sagace, sarcastica, ma aveva finito per sembrare uno stronzo acido che voleva liberarsi di una collaboratrice traditrice il prima possibile. Il solito coglione …
“No, non lo sono più. Ma non lo avrei preteso neanche se avessi continuato a lavorare qui. Io non sono una giornalista, non è il mio lavoro”
“Ti prego non mi fraintendere, non intendevo sminuirti. Penso veramente che sei brava, dovresti farlo diventare il tuo lavoro … promettimi almeno che ci penserai. Sarei lieto di poter mettere una buona parola con dei colleghi se necessario”
Per la prima volta dopo diverso tempo, Maya tornava a sentire quella sensazione piacevole di fiducia e confidenza. Era dal loro weekend a Santa Marinella che non si sentiva così: come allora la stava fregando, e lei lo stava facendo fare. Non era solo questione di parole, ma il modo in cui le stava pronunciando stava ribaltando la situazione: c’era tutta la sua dolcezza, quella fragilità che aveva imparato a conoscere stando con lui fuori da quelle mura. Finalmente, per la prima volta da settimane, lo stronzo era sparito. E se in riva al mare tutto questo non l’aveva spaventava, anzi sentiva di voler fortemente continuare a provare quella sensazione di benessere, ora la temeva: come poteva tornare a fidarsi, credere che tutto potesse tornare come prima e che non l’avrebbe delusa di nuovo?!
Dal canto suo, Alex cercava in tutti i modi di far trasparire l’onestà dietro il suo pensiero e le sue parole e sperava che quel luccichio negli occhi caldi di Maya fosse un lasciapassare, un segno che forse poteva osare di più. In quel momento, così vicino dal perderla, era come riemergere da un’immersione, prendendo aria a pieni polmoni dopo una lunga apnea.
“Maya!” una voce li richiamò entrambi alla realtà. Fabio, appoggiato allo stipite della porta, timoroso di fare o dire qualcosa di sbagliato “Perdonami ma sta squillando il telefono e non vorrei fare danni”
“Forse … forse è meglio se…” accennò Maya, farfugliando imbarazzata e indicando la sua postazione.
“Sì, vai pure” rispose, con un tono di voce più acuto del solito, scattando come una molla verso la sua scrivania, altrettanto disorientato dallo scoppio improvviso di quella bolla in cui erano rimasti intrappolati inconsapevolmente.
“Perdonami, non volevo disturbare” le sussurrò Fabio,
 mortificato, mentre lei passava la telefonata ad Alex in ufficio.
“Non ti preoccupare, siamo qui per lavorare del resto”
In fin dei conti, quella affermazione era più per sé stessa che per il nuovo arrivato. Quella telefonata, d’altra parte, l’aveva salvata provvidenzialmente da qualcosa di molto pericoloso che, per quanto potesse desiderarla, non era affatto sicura fosse la cosa giusta.
 
A fine giornata, Maya e Fabio prepararono il plico di articoli che Alex voleva, come d’abitudine, portare a casa e leggere stampati. Quando Fabio venne a scoprire questa strana consuetudine, convinto che Roma Glam fosse una rivista online, rimase interdetto.
“Scoprirai che Alex ha tante piccole manie e contraddizioni” commentò Maya, pungente, mentre riordinava i fogli che Fabio le passava “ti abituerai a tutte”
“E se non dovessi?”
“Beh le risorse umane dovrebbero mettersi di nuovo a lavoro, suppongo. Non è un lavoro per tutti, Fabio, non lo nego. A volte bisogna buttare giù bocconi amari, fare buon viso a cattivo gioco visto che in molti qui dentro non ci considerano propriamente parte del gruppo … ma alla fine ci sono anche tante soddisfazioni se si sa cogliere l’opportunità. Eventi, viaggi, contatti con persone importanti … e tenendo gli occhi aperti si impara tanto anche rimanendo un passo indietro rispetto agli altri, ma solo in apparenza”
Parlandone ad alta voce si rendeva conto di che avventura pazzesca erano stati quei 5 anni, quante cose aveva imparato senza nemmeno rendersene conto e quanto lei stessa fosse cambiata, maturata persino, grazie a quel lavoro. E in un certo senso Alex aveva ragione: quello che avrebbe portato via con sé da quell’esperienza non doveva disperderlo accontentandosi del primo lavoro che capitava, solo per la necessità di pagare un affitto. Forse era arrivato il momento di iniziare a pretendere di più e di meglio per sé stessa: non per chissà qualche diritto di nascita, non per il suo cognome o la sua provenienza, ma semplicemente per le sue capacità e il merito.
“Ragazzi io andrei” esclamò Alex, uscendo dal suo ufficio con la sua cartella a tracolla. Fabio, goffamente, si precipitò a prendergli la giacca nel guardaroba mentre Maya gli porgeva il menabò.
“Ti ringrazio, ma non c’era bisogno. Da lunedì sarai il mio assistente, non il mio valletto” disse, ma con un sorriso affabile per cercare di non mettere ulteriormente in difficoltà il ragazzo, ancora visibilmente impacciato nonostante fossero arrivati alla fine del suo primo giorno di lavoro. “A tal proposito … so che te lo dico con poco preavviso, ma è venuto fuori poco fa … venerdì devo andare a Berlino, avrei bisogno che venissi con me. Se non ricordo male parli anche tedesco, no?”
“Sono madrelingua in effetti, mia madre è tedesca”
Ora che conosceva questo dettaglio di lui, Maya capiva perché dal primo secondo la sua mente la rimandava a Tutti Insieme Appassionatamente e ai figli del Barone Von Trapp; dovette trattenersi dal ridere sguaiatamente a l’immagine di quel ragazzo biondo e mingherlino vestito alla marinara con tanto di calzoncini e calzettoni bianchi che ora il suo cervello non smetteva di proiettarle davanti agli occhi.
“Allora è perfetto, verrai con me. Maya … aiutalo tu con tutte le prenotazioni, vi ho lasciato una nota sulla scrivania con la schedule del viaggio”
“Ma sei sicuro, Alex?” non poté evitare di chiedergli la ragazza, soprattutto perché vedeva il novellino in difficoltà. Glielo leggeva negli occhi: era terrorizzato all’idea di affrontare quel viaggio così presto, ma non riusciva a dirglielo. “Forse è ancora prestino. E poi a Parigi sei andato da solo…”
Non aveva tirato in ballo Parigi a caso. Voleva colpire nel segno e sembrava esserci riuscita perché vide Alex freddarsi davanti ai suoi occhi e tentare di dissimularlo malamente. Lei gli era più utile a Roma, lui dopo neanche una settimana di pratica lo se lo portava a Berlino. Era invidiosa? No, si era semplicemente rinnovata in lei la delusione per quello che era successo tra loro e per l’uomo che si era rivelato.
“A Parigi c’era Nardi con me e comunque eravamo ospiti e ci avevano assegnato un assistente locale. Stavolta è tutto diverso” si giustificò “e poi vado da solo. Tu che dici Fabio, pensi davvero che sia presto per te viaggiare con me?”
“N-no … è… è solo che magari per un viaggio di lavoro avresti bisogno di qualcuno con più … più esperienza diciamo.”
“Peccato che quella persona chiuderà il suo rapporto con noi proprio venerdì e io non torno prima di martedì, quindi come si dice: via il dente, via il dolore”
Alle orecchie di un estraneo come poteva esserlo Fabio, quella frase suonava totalmente riferita al battesimo di fuoco che si stava via via profilando per il povero novellino, ma il veloce scambio di sguardi tra Alex e Maya suggeriva che ci fosse qualcosa più: il dolore che Alex voleva esorcizzare, mandare via, era – e lo sapevano entrambi – quello per la loro separazione. Non ci dobbiamo perdere se non vuoi urlava una vocina vicina al cuore di Maya; un po’ più su, dentro la sua testa, una seconda le ricordava di tenere i piedi saldamente ancorati a terra invece che partire per i suoi castelli in aria.
“Beh allora se la metti così, non credo ci sia altra scelta.”
“No infatti, per nessuno di noi due. Dai che sarà una bella esperienza. Mi dispiace Maya”
“E di cosa? Hai perfettamente ragione, il mio contratto si chiude venerdì.”
“No … voglio dire … mi dispiace non esserci per salutarci”
“Meglio così, non mi sono mai piaciuti gli addii”


 

Oggi capitolo lungo ma mi sono resa conto che era necessario vista la lunga pausa, spero abbiate gradito.
Un saluto a chi legge la storia, a chi la commenta, a chi non la commenta (mi piacerebbe sentire anche la vostra voce) e un appuntamento alla prossima settimana, come sempre tra giovedì e venerdì a meno di cambiamenti dell'ultimo minuto. A presto,

Fred ^_^
 

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


 
 
 
 
 
 Capitolo 22


 


“Le fragole con la pannaaaa? Mamma non vuole!”
“È un nostro segreto” bisbigliò Alessandro, portando l’indice davanti alla bocca e facendo l’occhiolino alla sua bambina che, golosona e giocherellona stendeva le braccia verso la coppetta che le porgeva il padre “noi alla mamma non lo dobbiamo dire per forza”
Claudia era dovuta andare ad una cena di lavoro e aveva chiesto all’ex marito di prendersi cura dei figli per una sera. Dopo l’ultima figuraccia rimediata, ormai i rapporti con Alessandro erano diventati freddi e distaccati, ma più del tipo tengo la mia coda di paglia tra le gambe che prima o poi te la farò pagare, dammi tempo di riorganizzarmi. O forse, sperava lui, alla fine persino ai suoi neuroni era arrivata la notifica che ad Alex di lei non interessava più nulla.
“Allora io vado!” Edoardo, vestito con un paio di jeans, una semplice camicia bianca e un paio di oxford ai piedi, si faceva notare di più per la valanga di profumo che emanava che per il suo look.
“Ti si è rotta la boccetta di profumo addosso?” indagò Alessandro, anche per provare a farlo rilassare un po’: aveva dato buca a suo padre e sua sorella per uscire con la ragazza con cui si stava sentendo da un po’ e si vedeva da un miglio che era teso come una corda di violino.
“Così non mi aiuti però” protestò il ragazzo, notando dal riflesso dello specchio all’ingresso un ghigno divertito del padre.
“Non è colpa mia se è così forte. Scommetto che se tra mezz’ora venissi a cercarti, riuscirei a ritrovarti senza problemi seguendo la scia … ma chi ha avuto la brillante idea di questo profumo?”
“Me l’ha regalato mamma per l’onomastico” Ovviamente … tutto girava attorno a lei e ai suoi gusti. “La prossima volta che stiamo insieme andiamo a scegliere qualcosa di più giovanile, che questo sembra una roba da impiegato di banca”
Entrambi risero a quel commento improbabile ma che rendeva perfettamente l’idea. Edoardo prese allora il giacchino di jeans nero e le chiavi della minicar dalla mensola dell’ingresso.
“Ehi!” lo ammonì suo padre, raggiungendolo, improvvisamente serio “non mi far pentire di averti preso la macchinetta!”
Dopo un tira e molla con Claudia, alla fine aveva ceduto a quell’acquisto: di sicuro era molto più sicura di un motorino, ma se fosse stato per lui, Edoardo sarebbe rimasto a piedi e con i mezzi pubblici almeno fino alla fine dell’estate, magari anche oltre.
“È una macchina in tutto e per tutto, quindi occhio alla strada e non fare cretinate”
“Non ci tengo a finire di nuovo sotto i ferri, tranquillo”
“Ah tieni” disse il padre, mettendogli tra le mani una banconota “fai rifornimento e offri tu, ma niente alcolici che devi guidare”
“Signorsì signo- PAPÀ!”
“Che c’è?”
“Che è sta roba?” domandò, cercando di non attirare l’attenzione della sorella modulando il volume della voce, comunque scandalizzato, tenendo tra le mani un piccolo involucro quadrato che aveva trovato in mezzo ai soldi.
“Veramente non lo sai?”
“Oddio certo che lo so, ma…”
“Niente ma, io non ci tengo a diventare nonno tra 9 mesi” a dire il vero era un’eventualità che Alessandro avrebbe preferito evitare per almeno altri 15 anni “quindi meglio prevenire”
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo “Papà stiamo solo andando a mangiare una pizza e a farci un giro”
“Va beh tanto hanno una lunga scadenza, prima o poi ti servirà … e non fare quella faccia, dovresti ringraziare che non hai un padre bacchettone”
Il fatto era che Edoardo non sapeva se essere più sconvolto dalla situazione in sé e per sé, dal fatto che suo padre avesse dei preservativi in giro per casa o che, novità assoluta, riuscissero ad avere un rapporto così diretto. Questo cambiamento ancora li scombussolava entrambi e tra i due il più eccitato sembrava Alex, naturalmente, ma con il tempo le cose sarebbero state sempre più facili.
“Farò finta che non abbiamo mai avuto questa conversazione” tagliò corto il ragazzo, sistemando banconota e preservativo nel portafogli.
“Non fate troppo tardi. Domani avete comunque scuola e io non ti giustifico…” disse Alessandro, tornando a tavola.
“Così va meglio, buona serata!”
“Divertiti! ... Allora puffetta, ti sono piaciute le fragole?” domandò alla piccolina di casa, mentre il maggiore chiudeva la porta d’ingresso dietro di sé.
Giulia, con ancora della panna sulle labbra, annuì vistosamente. Il padre allora, con un fazzoletto, le pulì le labbra.
“Dov’è andato Dedo, papà?”
“È uscito con un’amica”
“Un’amica speciale come Maya?”
“Aspetta un momento… e tu che ne sai che Maya era la mia amica?”
Alex sospettava da un po’ che la piccola, intelligente com’era, avesse capito quale fosse la situazione tra lui e Maya, ma fino a quel momento non era mai stata tanto diretta. Forse anche lei ne aveva le scatole piene di tutti quelle allusioni e le cose dette partendo da lontano.
“Io sono un’intelligentona … lo dice sempre nunno”
Questo era poco ma sicuro: forse perché non aveva coetanei in famiglia, aveva sempre preso esempio dai più grandi, bruciando le tappe. A 10 mesi era già in piedi a fare i primi passetti, così come le prime parole erano arrivate prima del previsto. Avrebbero dovuto capirlo che le sue sinapsi erano particolarmente sviluppate.
“Allora papà? Dedo ha la fidansata come te?”
Se gli avessero inflitto una coltellata, probabilmente Alex avrebbe sentito meno dolore, perché non c’era più stato modo di dire a Giulia di Maya, né chiaramente aveva accennato della loro rottura, ma forse era il caso di farlo in quel momento.
“Più o meno. Solo che papà non ce l’ha più”
“Noo?”
“No piccolina. Papà è stato uno stupido e l’ha fatta arrabbiare”
“E perché?”
Mentre masticava anche lui un boccone di fragole con la panna, fece cenno alla bambina di andare a sedere sulle sue gambe; la piccola non se lo fece ripetere due volte e gli si arrampicò quasi addosso, come un piccolo koala.
“Perché vedi, quando due persone si vogliono bene devono prendersi cura l’uno dell’altro, bisogna passare del tempo insieme”
“Come facciamo noi?”
“Sì esatto … solo che papà ad un certo punto ha smesso di farlo. E ora lei non vuole più passare il tempo con me”
“E se chiedi scusa?”
“Non è così facile tra i grandi …”
“Lo so"
“Ah sì?”
La piccola annuì “Me lo ha detto Maya … però se lo sa anche lei forse ti perdona …”
“Tu dici?”
“Maya è buona e ti vuole bene papà”
“Speriamo” sospirò Alex, accarezzando la fronte della sua bambina “… purtroppo adesso non la vedrò più come prima, tra qualche giorno non lavoreremo più insieme”
La piccola ci pensò un po’ su “Forse, forse puoi fargli un regalo! Come quando tu mi prendi il gelato quando sono triste …”
Alessandro se la sarebbe mangiata di baci quando faceva così, perché sembrava un’adulta intrappolata in un corpicino di una bambina dell’asilo e che tentava di esprimersi come meglio poteva; divertito, stette al gioco “E cosa dovrei regalarle?”
“Aspetta qua …”
La bambina si sciolse dall’abbraccio del padre e corse verso la cameretta. Alessandro, tra l’ilarità e il surrealismo della scena che aveva appena vissuto – non poteva credere di star ricevendo consigli in amore dalla sua bimba di cinque anni – si alzò da tavola prendendo i piatti per avviare la lavastoviglie, ma prima che potesse farla partire, Giulia era già di ritorno, le guance rossissime, la maglietta stropicciata e i capelli tutti in disordine.
“E dove sei stata, a fare i 100 metri per caso?”
“La cartellina era caduta sotto al letto! Tieni” disse al padre, porgendogli un foglio “puoi dargli questo!”
Era il disegno che aveva fatto il pomeriggio che avevano passato insieme in ufficio, quando aveva chiesto a Maya di badare alla piccola mentre lui era in riunione. “Vuoi davvero che lo do a Maya?”
“Sì, così se non ci vediamo più non si dimentica di noi” disse, togliendo una ciocca da davanti ai suoi occhi.
“Oh amore mio!” Alessandro prese la bambina in braccio e la strinse forte a sé, baciandole le guanciotte arrossate tra le risate cristalline per il solletico che la barba ispida del padre le provocava “nessuno potrebbe mai dimenticarsi di te”
 
Quel giovedì, Maya aveva ottenuto di poter andare via prima. Tutto era stato predisposto per il viaggio e Fabio era stato praticamente tutto il giorno francobollato ad Alex per i briefing di circostanza. Non ne era gelosa: era naturale, era giusto così. In fin dei conti, nonostante la goffaggine fosse ancora tutta lì, Alex con lui ci aveva visto bene: era tremendamente organizzato e meticoloso e questo lo aiutava a imparare rapidamente. L’indomani lui e Alex sarebbero partiti e, al loro ritorno, sarebbe toccata ad Alice l’incombenza di vegliare sui suoi primi giorni in solitaria. Compito che, conoscendola, non le sarebbe affatto pesato. Tutt’altro.
Ma il punto era un altro: Maya, non se lo nascondeva, aveva un odio viscerale per gli addii. Forse le veniva da quello che era successo a suo padre, forse perché non era mai stata abituata, da bambina, ad avere a che fare con le cose tristi e difficili, ad affrontare le persone in momenti di difficoltà, o peggio ancora di malinconia. Già stava male all’idea di dover salutare Alice per l’ultima volta, nonostante sapessero entrambe che si sarebbero viste fuori dagli uffici quello stesso weekend.
Perciò, con uno sguardo vigile sulla porta a vetri opaca che a separava la sua postazione dall’ufficio di Alex, approfittando di una lunga telefonata di lavoro, all’orario prestabilito se la diede a gambe senza dire nulla. E se lui l’avesse odiata per questo, sarebbe stato legittimo e lei se lo sarebbe meritato, ma in quel frangente le sembrava un epilogo migliore di un saluto senza sapere cosa dirsi o peggio senza dirsi ciò che si prova.
Sbrigate alcune pratiche burocratiche in amministrazione scese nei garage. Mentre entrava in auto, sentì una voce cupa esclamare, sollevata “Speravo di trovarti ancora qui!”
Alex, in affanno per averla evidentemente rincorsa, si era appoggiato alla carrozzeria.
“Tutto ok?” domandò lei, uscendo dall’auto “Ti avevo detto che sarei andata via prima oggi”
“Sì ma pensavo che…”
“Sono dovuta passare in amministrazione a firmare delle carte per domani, tu eri al telefono e non potevo fare tardi … ho un impegno” Non c’era nessun impegno, ma non poteva certo dirgli che non riusciva a salutarlo. Provò a tagliare corto e tornare a sedere in macchina, ma Alex la bloccò, ancora.
“È che … in realtà … c’è una cosa che dovevo darti”
Le porse un foglio piegato in quattro che aveva estratto dal taschino interno dell’abito e Maya, seduta nella sua Smart, lo guardò prima di aprirlo, scettica. Con un cenno del capo Alex la spronò ad andare avanti “È un regalo da parte di Giulia … ieri sera è stata da me e mi ha chiesto di dartelo”
Maya alzò lo sguardo verso l’uomo, di sasso. “Non ci credo … l’hai seriamente messa in mezzo ad una cosa che riguarda solo me e te?!”
“Pensi questo?” chiese lui, severo e urtato “Pensi davvero che ricorrerei a mia figlia per farti pietà o qualsiasi cosa tu pensi io stia cercando di fare?” Alex era consapevole di quanto Maya fosse guardinga nei suoi riguardi, lo capiva e lo rispettava in un certo senso, ma credeva che lei avesse un minimo di considerazione in più nei suoi confronti “Lo sai che non lo farei mai”
Sì, Maya lo sapeva e si vergognava per averlo anche solo pensato, figurarsi averlo detto ad alta voce. Avesse potuto, si sarebbe schiaffeggiata in quel momento.
“Scusami, hai ragione”
“Giulia ha capito di noi senza che nessuno le dicesse nulla”
“È un’intelligentona … come suo nonno” azzardò Maya, provando a smorzare i toni nella speranza che le perdonasse quell’uscita infelice. Alex sorrise timidamente, annuendo: oltre all’intelligenza, c’era anche una certa dose di curiosità e di invadenza che aveva ereditato dal nonno. Maya si sentì sollevata, sembrava esserci passato su.
“Ti vuole bene” concluse “e quando ha saputo che non lavorerai più per me mi ha detto di darti questo disegno, tutto qui”
Ora le mani della giovane tremavano, ma doveva aprire il foglio e vedere. Doveva farlo per Giulia, che l’aveva pensata, per Alex che aveva corso a perdifiato per raggiungerla e anche per sé stessa, che doveva trovare la forza di affrontare i suoi fantasmi e magari provare a lasciare quel capitolo della sua vita alle spalle e andare avanti. Quando vide il disegno dovette usare tutte le forze che aveva per non iniziare a singhiozzare come una bambina. Portò una mano tremante davanti alla bocca e con l’altra strinse il foglio con cautela, evitando di stropicciarlo con le dita che non volevano saperne di restare calme. Ricordava come fosse stato ieri il giorno in cui la bambina lo aveva fatto e tutta la sua confusione di fronte a quella verità che Giulia le aveva sbattuto in faccia nella maniera più semplice ed innocente possibile; di nuovo quella verità le si parava davanti, era così facile vista con gli occhi di una bambina, così banale quasi, da far male: papà con te ride sempre, le aveva detto e lei lo sapeva che era ancora così, che poteva ancora essere così tra di loro. E poi c’era quell’idea matta che aveva accarezzato la sera dell’incidente di Edoardo, quando aveva portato la piccola a casa di Alex e lo avevano aspettato guardando la tv finché Giulia non si era addormentata: l’idea che, in qualche modo, si poteva costruire qualcosa che assomigliasse vagamente ad una famiglia, per quanto il suo ruolo le concedesse.
“Sai cosa mi ha detto?”
“Cosa?”
“Che non vuole che la dimentichi …”
“E come potrei …?!”
“È quello che le ho detto anche io”
“Dille che sai dove abito e che se vuole, ogni tanto, può anche venire a trovarmi, le faccio trovare il pain au chocolat che le avevo portato quando stava male” Sapevano tutti e due che non sarebbe mai successo, che era troppo complicato con Claudia di mezzo e tutta la loro situazione, ma era bello dare speranza ad una bambina che non aveva nessuna colpa se non quella di vivere in mezzo a degli adulti che avevano combinato solo casini di cui lei non era minimamente responsabile. Forse Alex nemmeno glielo avrebbe mai detto, si sarebbe inventato quasi certamente un’altra scusa per non illudere o ferire la piccolina ma in quel momento aggrapparsi a quella fantasia faceva bene a entrambi. Dovevano solo salutarsi ma sembrava più una condanna a morte.
“Devo andare” troncò, mettendosi a sedere ed allacciando la cintura, prima che la conversazione li portasse di nuovo dove si erano spinti a casa sua, quel pomeriggio di pioggia.
“Un’ultima cosa e giuro che non ti faccio perdere altro tempo” Alex si accucciò di fronte a lei, prendendole la mano; era stato un movimento così veloce e fluido che Maya non aveva avuto modo di rendersene conto. Lei stava tremando e nonostante la giornata calda la sua mano era un ghiacciolo: stretta da quella di lui, si sentì sollevata nell’incontrare quel tepore familiare. Con il pollice, lui le accarezzava teneramente il dorso della mano e gli occhi di entrambi non riuscivano a staccarsi da quel gesto tanto semplice in teoria quanto complicato nei fatti. Forse era meglio così, forse era un bene non riuscirsi a guardare negli occhi davvero: entrambi erano consci che, se i loro sguardi si fossero incontrati, sarebbe successo qualcosa di irreparabile. No, non una riconciliazione: semplicemente si sarebbero guardati dentro e non solo il bene, ma anche tutto il male e tutte incomprensioni sarebbero potuti venire a galla. Era meglio restare così, sospesi in quel limbo indefinito di sensi di colpa e illusioni.
“Buona fortuna … mi mancherai”
Maya non era sicura di aver sentito quell’ultima parte della frase. Forse lui l’aveva detta in un sussurro prima di rialzarsi, forse aveva sperato di sentirla e la sua immaginazione aveva fatto il resto. Lei gli aveva augurato buon viaggio per l’indomani e aveva chiuso la portiera.
Mentre andava via, muovendosi nel traffico della capitale con la sua auto tutto sembrava avere una luce diversa: era sempre Roma, le macchine avrebbero continuato ad incolonnarsi lungo le arterie principali all’ora di punta, i gabbiani avrebbero continuato a risalire il Tevere dal mare per trovare il cibo e il tramonto avrebbe continuato ad avere quel mix di colori caldi che tolgono il fiato; il mondo avrebbe continuato a girare esattamente come prima eppure non riusciva a togliersi dalla testa – e soprattutto dal cuore – che, chiudendo quel capitolo, lei non sarebbe stata più la stessa: aveva lasciato indietro un pezzo di sé.


 

E così c'è stato l'addio tra i due. Ma siamo sicuri che sarà definitivo, Maya non mi sembra tanto convinta, Alex ancor meno. Staremo a vedere.
Alla prossima,
Fred 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


 
 
 
 
 
 Capitolo 23


 


Quando era morto suo marito, Matilde aveva passato i mesi successivi a capire: il primo mese che suo marito era morto per davvero, il secondo che li aveva lasciati davvero in un mare di debiti, il terzo come era stato possibile non accorgersi di nulla e il quarto come fare per uscire da quella situazione. Al quinto, finalmente, era tornata a respirare di nuovo di giorno e a dormire senza tranquillanti di notte. 
Si era chiesta se amasse ancora quell’uomo di cui era rimasta vedova, ma presto era arrivata alla conclusione che la domanda dovesse essere un’altra: chi era l’uomo che lei amava? Perché lo amava ancora, c’era poco da fare: era il padre dei suoi figli, erano stati sposati per 25 anni e di lui conservava solo ricordi bellissimi. Era stato tutto quello che una donna può desiderare: un compagno leale, un amico inseparabile, un marito fedele, un amante appassionato. Non c’era mai in casa loro una giornata che si chiudesse con il broncio o un problema a cui non trovasse una soluzione con il sorriso. Ecco perché quando a casa si erano presentati i creditori e le banche avevano esposto la situazione finanziaria a Matilde era crollato il mondo addosso. Fatta l’unica cosa possibile, non erano poi così poveri: se prima 
però poteva permettersi di comprare borse e scarpe solo perché le aveva viste in una vetrina e le erano piaciute, di punto in bianco si era ritrovata a dover fare i conti per pagare l’affitto e mantenere non uno ma tre figli all’università e quei pochi soldi rimasti dalla vendita dei loro beni non sarebbero bastati per più di un anno con le spese che aveva. Lavinia era una ragazza giudiziosa, Andrea uno studente brillante ed entrambi riuscivano ad ottenere borse di studi e sgravi ma Maya, lei era una scheggia impazzita e nessuno riusciva a rimproverarla perché era la piccolina di casa e perché era quella più legata al padre. 
E il problema, a quel punto, era diventato doppio: oltre a dover trovare un lavoro per mantenersi, Matilde in vita sua non aveva mai lavorato; o almeno non nella maniera in cui intendono il lavoro le persone che tutte le mattine si alzano alle sei per timbrare un cartellino. Lei organizzava eventi benefici e le riusciva benissimo a detta di tutti, se c’era da raccogliere fondi preti e associazioni di volontariato di tutta Roma bussavano alla sua porta o le telefonavano come fosse una PR di un locale, cosa di cui andava particolarmente fiera. Senza arte né parte se non i suoi studi di moda mai messi in pratica e con dei figli ancora non totalmente indipendenti, bisognava trovare qualcosa da fare e per cui fossero disposti a pagarla. Sarebbe stata disposta anche ad andare dall’altra parte di Roma a fare le pulizie in qualche centro commerciale se fosse stato necessario, il problema era che nemmeno per pulire i gabinetti era qualificata.
Il destino, per fortuna, aveva deciso che si era accanito già abbastanza su di lei e grazie a una serie fortuita e fortunata di eventi Matilde si era ritrovata ad incontrare Ruggero durante uno degli eventi di beneficenza che organizzava ancora per salvare le apparenze, proprio nel giardino di quella che di lì a poco sarebbe diventata casa sua e lui l’aveva presentata ad una costumista: in un colpo solo aveva trovato, senza saperlo, un nuovo compagno e un impiego.
Tutto quello che aveva, comunque, lo aveva dovuto sudare e così i suoi figli, a cui nessuno aveva regalato nulla: ecco perché non aveva ben digerito la decisione di sua figlia di lasciare di punto in bianco un lavoro sulla carta perfetto e che sembrava aver persino imparato ad amare negli ultimi tempi.
Maya non gliene faceva una colpa, visto che non conosceva i reali motivi dietro a quel cambiamento, ma comunque preferiva avere con sé un diversivo durante i pellegrinaggi dalla principessa Torlonia, qualcuno che potesse attirare su di sé l’attenzione e sarebbe stato oggetto di conversazione. Quel pomeriggio Maya, nella fattispecie, si era fatta accompagnare da Monica, in mancanza di sua sorella e della sua migliore amica: chi meglio di una nuova conoscenza; e neanche a dirlo Monica era stata presa subito in simpatia da Ruggero ... prende sempre tutti subito in simpatia, lui ... che l’aveva prontamente portata a fare il giro della casa. Naturalmente Monica, che di case nobiliari di campagna non ne aveva mai viste, non sapeva dove volgere lo sguardo tanti erano i dettagli che non voleva perdere e si sperticava in complimenti.
“Ha una casa bellissima signor conte”
“Tutto merito di Matilde, quando l’ho conosciuta era ridotta maluccio, a me bastavano una camera da letto, il bagno e la cucina”
“Quella era l’unica stanza ad essere presentabile” precisò Matilde, guardando il compagno con aria divertita. Da quando aveva divorziato e i figli avevano lasciato il nido, Ruggero ci si era messo d’impegno a trasformare il casale in una specie di museo automobilistico con modellini, cimeli e ricordi delle sue partecipazioni alla Mille Miglia con la sua Alfa del ’31; c’era voluta tutta la pazienza e la buona volontà di Matilde per ridare a quel posto un aspetto di casa.
“Ma ti prego, Monica, chiamami Ruggero e dammi del tu, in famiglia siamo repubblicani da quando c’era ancora il re” Non era propriamente vero, era estremamente orgoglioso del suo lignaggio e del suo albero genealogico di condottieri, ministri, cardinali e beati, Maya lo sapeva bene, ma sapeva anche mettere le persone a loro agio. Ruggero le fece strada verso l’angolo del giardino che preferiva, più della piscina, che aveva fatto costruire solo per fare contenti i nipotini in visita: era un piccolo boschetto su una collinetta, con un vialetto brecciato e, riparata dagli occhi indiscreti, un grande voliera.
“Maya fammi capire” esclamò Monica “c’è la piscina con tanto di spogliatoi, una dependance che sembra più un palazzo, 8 camere da letto solo in questo edificio, un bosco privato ... e tu non ti trasferisci qui d’estate?! Sono scandalizzata … cioè boh io mi accontenterei pure di una canadese in giardino, non disturberei … neanche mi notereste”
Tutti scoppiarono in una risata sonora e sincera. Nel frattempo, mentre Ruggero e la giovane andavano in esplorazione, Maya e sua madre salirono nel terrazzo del primo piano, approfittando dell’ombra e della frescura del pergolato in quella giornata di caldo intensa, la prima della stagione. Anche Bianca, la cagnolina di Matilde, se ne stava sdraiata nella sua cesta all’ombra dei glicini in fiore. Le donne aprirono le scatole con gli inviti che Maya aveva ritirato dalla tipografia prima di andare a Grottaferrata. Bisognava imbustare i cartoncini stampati e scrivere a mano, in bella grafia neanche a dirlo, gli indirizzi degli invitati. Per Matilde quello che si stava avvicinando era l’evento più importante della sua estate: una mostra di tessuti che si sarebbe conclusa con un’asta di beneficenza. Il suo lavoro di ricerca le aveva permesso di riconoscere l’arte dietro ad ogni singolo pezzo di tessuto e, ora che poteva, da brava mecenate, sponsorizzava i migliori creativi, una sorta di ringraziamento per essere riuscita, proprio grazie a quel mondo, a rimanere a galla.
“Sono contenta che tu abbia fatto pulizia tra i tuoi amici … dico sul serio, Maya”
“Io per prima, credimi”
Matilde credeva fermamente nel lasciare liberi i suoi figli di fare le loro scelte, ma questo non significava che approvasse o ignorasse la tossicità di alcune compagnie. Ci sperava sempre che un giorno Maya avrebbe aperto gli occhi, e finalmente quel giorno era arrivato…meglio tardi che mai. “E Monica sembra proprio una persona a posto! Una sola cosa ti chiedo” aggiunse la donna “basta che tu ed Olivia non vi perdete, vi conoscete da quando eravate bambine, e mi dispiacerebbe … poi la madre è sempre stata una cara amica. L’unica che non è scappata quando eravamo in difficoltà, lo sai…”
“Lo so … e infatti Olivia mi ha già chiesto di mettere in lista tutta la famiglia, porta anche Max”
“Finalmente lo conosciamo … era anche ora! Piuttosto tua sorella … non è che ci nasconde qualcosa, o qualcuno …?”
“Ma che dici mamma?!” la rimproverò Maya. Non le piaceva quando faceva la pettegola, né con lei né tanto meno con Lavinia.
“Non si fa vedere da una vita, dice sempre che non ha neanche il tempo di farmi un colpo di telefono”
“Mamma ti ricordo che Lavinia lavora in un ospedale pubblico italiano, è già troppo se ogni tanto riesce ad uscire dal reparto e a tornare a casa per una doccia. Non c’è nessuno … stai tranquilla”
“Eppure non sono convinta … una madre le sente certe cose …”
Maya non poteva esserne completamente certa, ma sentì lo sguardo di sua madre soffermarsi su di lei più del dovuto. Che fosse una frecciatina? Si fidava al 100% di Lavinia, e conosceva fin troppo bene sua madre da sapere che alla minima notizia una sua reazione, di qualsiasi tipo, non gliel’avrebbe risparmiata nessuno, ma come aveva fatto a capire che c’era qualcosa che le aveva nascosto restava un mistero. A quelle stronzate sull’istinto materno e sul sesto senso lei non ci credeva, no: forse le erano arrivate voci, gli stessi uccellini che avevano cantato con Giangi potevano aver spifferato anche con Matilde, non era poi così irreale come prospettiva visto il circolo piuttosto chiuso di conoscenze. O forse la sua mente si stava facendo un film tutto suo tanto per cambiare e sua madre aveva buttato una frase a caso parlando della sorella: sì, di sicuro era così, del resto lei a Roma ci metteva piede, si poteva dire, una volta ogni morte di papa e delle vecchie amicizie le erano rimasti più che altro gli indirizzi scritti nella sua agenda a cui mandare auguri e inviti un paio di volte l’anno.
“Eccomi eccomi!!!” la voce di Monica arrivò a loro mentre ancora la giovane stava salendo le scale in fretta per raggiungerle “avevo promesso che avrei dato una mano ed invece mi sono dileguata. Ma quando Maya mi aveva detto andiamo a casa del compagno di mia madre non mi aveva mica avvertito che questa è una reggia!”
“Non ti preoccupare, siamo ancora in alto mare” spiegò Maya. Sì, perché ad ogni nome sulla lista, Matilde chiedeva a sua figlia aggiornamenti sulla persona in questione, segnando tutto accuratamente sul suo taccuino: era fondamentale per non fare brutte figure.
“E poi sei ospite” decretò Ruggero, uscendo sul terrazzo con una bevanda fresca e qualche stuzzichino da sgranocchiare. Lui era così, pensò Maya, gli bastava potersi mettere ai fornelli e far da mangiare per essere felice: sarebbe andato d’accordo con Cesare … mio Dio Maya, ma a cosa vai a pensare?!
“Wow! Conoscete davvero così tante persone?” domandò Monica, prendendo un plico di inviti già pronti per apporre i francobolli.
“Conoscere è una parola grossa” spiegò Matilde “l’importante è che abbiano un portafogli bello pieno per poter partecipare ad un’asta. E più ne invitiamo, più abbiamo la possibilità di avere dei buoni ricavi. Visto che mia figlia si è rifiutata di farci pubblicità…”
“Ma come te lo devo dire?!” si inalberò Maya “Roma Glam si occupa solo degli eventi che si tengono a Roma, e Capalbio nemmeno è nel Lazio! E poi nemmeno ci lavoro più lì …”
“Non tocchiamo questo tasto, io ancora non ho capito cosa ti è saltato in mente … tu lo hai capito Monica?”
“Ehm…veramente io…”
“Non mettere in mezzo Monica!” si affrettò Maya ad intervenire “Dopo 5 anni avevo bisogno di cambiare aria …”
“Ma se fino ad un mese fa eri entusiasta come non ti avevo mai vista?! Di punto in bianco …”
“Sono lunatica e permalosa, lo sai…”
“Eh lo so…dì la verità, è successo qualcosa con il tuo capo?”
Maya buttò giù un intero bicchiere della rinomatissima sangria analcolica di Ruggero pur di rinfrescarsi ed evitare che potesse vedere le sue guance diventare rosse come il fuoco. “Ma che vai a pensare…”
“Ti conosco Maya, un’espressione o anche due fuori posto e ti ha messo alla porta. Come se non ti conoscessi”
Ah, intendeva quello … cessato allarme. “Assolutamente no. È come ti ho detto: avevo bisogno di cambiare. Bonelli era un ottimo datore di lavoro ma l’ambiente era tossico, non ce la facevo più” Non era del tutto una bugia ed era il meglio che poteva inventare per chiudere la discussione, l’ennesima, con sua madre. “Comunque se ti fa stare tranquilla nelle prossime settimane ho diversi colloqui, non me ne sto con le mani in mano …”
Finalmente qualcosa si stava muovendo: tornare a fare la semplice segretaria avendo accarezzato la scrittura non era proprio il massimo, ma l’affitto non si pagava da solo. E poi forse quella era stata una bella avventura che tale doveva rimanere: lei forse un po’ di talento e di passione li aveva ma restava il fatto che Alessandro l’aveva aiutata perché non aveva la minima credenziale.
“E comunque io Roma Glam lo leggo e si parla anche di Sanremo, che mi risulta essere in Liguria…una scusa si può trovare sempre”
“Va beh mamma ma non ti starai mica paragonando al Festival…”
Le due continuarono il battibecco tra un indirizzo e l’altro, tra una busta da lettere e l’altra, sotto lo sguardo divertito di Monica e quello spazientito di Ruggero.
A fine pomeriggio, le due ragazze salutarono Matilde e Ruggero per tornare a Roma, e Matilde fece promettere a Monica di andare anche lei a Capalbio per la mostra visto che era stata così gentile da darle una mano.
Salite in auto, mentre aspettavano che il cancello si aprisse, Monica portò una mano alla fronte dopo aver rovistato in borsa “Dio mio Maya, che sbadata, ho lasciato il telefono … dove ho la testa?! Arrivo subito …”
Monica tornò con il fiatone, chiudendo attentamente la borsa prima di gettarla ai suoi piedi in auto.
“Preso tutto adesso?”
“Affermativo”
“La testa pure? No perché non faccio più marcia indietro, ho fretta di tornare a casa e andare a fare una corsetta prima che faccia buio”
“Tu che vai a correre … questa è una novità”
“Lo faccio sempre quando torno dal pellegrinaggio, vuoi per i manicaretti di Ruggero, vuoi per le chiacchiere di mia madre ma devo smaltire …”
Non lo ammetteva, ma quella tappa obbligata era diventata col tempo una piacevole sosta dalla quotidianità e dal caos cittadini. E poi era davvero felice per sua madre, per come le cose erano andate per il verso giusto per lei, che avesse avuto una seconda chance, e lo stesso valeva per Ruggero che era una bravissima persona a cui era facile volere bene. Fare la melodrammatica però era parte del divertimento ormai.
“Senti” esordì l’amica, arrancando, una volta arrivate a casa “una di queste sere Alex verrà a cena …”
“Monica, quante volte ti ho detto che non devi farti problemi?” la interruppe Maya “È un amico di Paolo, avete tutto il diritto di invitarlo da voi, non dovete pensare a me. Siamo adulti e vaccinati…”
“Sì lo so, ma avvertirti mi fa stare più tranquilla. Adesso che nemmeno più vi vedete al lavoro ritrovarselo per caso davanti al portone poteva essere un problema”
“Non lo sarà, stai tranquilla. Anzi, se dovessi incontrarlo potrebbe essere un test…”
“Un test?”
“Cose mie … lascia stare”
Era facile non pensarlo durante il giorno, cercando lavoro, aiutando sua madre, pulendo casa a fondo, ma vederlo – e non era sicuro che sarebbe successo – poteva aiutarla a schiarirsi le idee su quale fosse la situazione nel suo cuore. Ma chi prendi in giro? Lo sai benissimo qual è la situazione.
Salutata l’amica, salì con l’ascensore all’ultimo piano. Mentre infilava la chiave nella serratura, sentì la porta della vicina aprirsi e una voce squillante e familiare richiamò la sua attenzione.
“Mayaaa!!!”
“Giulia?! ... che ... che ci fai qui?” domandò, inginocchiandosi per abbracciarla. In quel momento in cui la teneva tra le braccia, che sentiva quel suo dolce profumo di infanzia che sapeva leggermente anche di Alex si era resa conto che le era mancato tantissimo avere a che fare con quella bimba. Non era mai stata una persona particolarmente materna, con i nipoti di Ruggero era più la zia ribelle che faceva casini ed era complice delle marachelle. Con Giulia era tutto diverso. Solo con Giulia. E che fosse figlia di Alessandro, ne era sicura, non c’entrava proprio nulla. Tra loro era scattata semplicemente, fin da subito, una chimica speciale. 
“Sono venuta a scegliere la torta per il mio compleanno”
“Ah sì?”
Maya per un attimo ebbe un flash dell’anno prima, quando Alex le aveva chiesto un parere per il regalo per sua figlia e lei era rimasta completamente spiazzata visto che non era pratica di bambini, né degli ultimi film Disney e perché di solito a quelle cose ci pensava una madre, non l’assistente personale. Col senno di poi… 
“Eh sì” Cesare, col suo sorriso affabile e schietto si avvicinò alle due uscendo dall’appartamento di fianco “un giorno con il padre abbiamo ricordato dei compleanni da piccolo e da allora non ha fatto altro che chiederci la stessa torta. E così eccoci qua dalla signora Rossi che si è gentilmente prestata. Ciao cocca!” come sempre, l’uomo completò il saluto strizzandole una guancia velocemente e facendole l'occhiolino.
“Cesare …”
“Come stai?”
Non stava male, e questo era importante, era stata ben peggio, ma bene era una parola grossa e lei non si sentiva bene. “…sto. Né più, né meno”
“E tu che ci fai qui Maya?” chiese la bimba, sbirciando nella porta che la giovane aveva a malapena aperto. 
“Io ci abito, Puffetta. Anzi … lo sai che qui una volta ci abitava anche il tuo papà quando era piccolo? E anche nonno Cesare”
“Davvero???”
“Eh sì … un sacco di anni fa ormai pupetta, quando nonno era ancora giovane e i capelli erano ancora rossi” disse l’uomo, con la sua caratteristica risata corposa e bonaria.
“E perché ora ci stai te?”
“Perché avevo bisogno di una casa e tuo papà mi ha detto che questa era vuota e ci potevo venire se mi fosse piaciuta”
“Te l’ha regalata?”
“Noooo” intervenne Cesare, chinandosi a prendere la sua nipotina in braccio per liberare Maya dal suo abbraccio “è come quando andiamo al mare d’estate. Noi paghiamo l’ombrellone e ci possiamo stare tutto il giorno, ma non è nostro. E così è per Maya: la casa è mia, ma lei mi dà una specie di paghetta ogni mese. Capito adesso?”
“Più o meno …”
“Cesare” una voce femminile richiamò l’attenzione dell’uomo dall’appartamento della Betti, facendo irrigidire l’uomo d’improvviso “con chi stai parla..ndo?”
All’uscio della porta si avvicinò una donna di media statura e che la sua età – sulla settantina, facendo due calcoli – se la portava divinamente, con la permanente mossa sui capelli corti, striati di un grigio studiato che si sposava perfettamente con quelli naturalmente bianchi che la vecchiaia le aveva dato, opera sicuramente di una figlia che sarà stata pure una stronza ma nel suo lavoro sapeva il fatto suo, e vestita con abitino a fiori rossi e bianchi che forse era un po’ demodé, ma che le stava bene e faceva risaltare la bellissima carnagione olivastra che Maya riconosceva essere la stessa di Alex. Era sua madre, la signora Bonelli. Non c’era ombra di dubbio: era praticamente la sua copia, ad esclusione degli occhi, eredità paterna.
Maria sapeva che andare dalla signora Rossi si sarebbe rivelata una pessima idea. Per un attimo, arrivando sotto casa e notando che le persiane del loro vecchio appartamento erano completamente chiuse aveva tirato un sospiro di sollievo e aveva totalmente dimenticato, per tutto il tempo che erano stati a casa della loro vecchia vicina, che all’uscita avrebbe rischiato di incontrare la loro inquilina. Aveva detto a suo marito di andare da solo con la bambina, ma la signora Rossi aveva tanto insistito per rivederla e così anche Giulia e lei alla sua nipotina non sapeva proprio dire di no. Ma avrebbe dovuto aspettarsi che sarebbe successo, solo che aveva abbassato la guardia e ora non sentiva la forza di reagire come aveva programmato a casa, davanti allo specchio, prima di uscire.
Maya, dal canto suo, avrebbe voluto sprofondare. Quando aveva conosciuto Cesare aveva pensato a come sarebbe stato l’incontro con la madre di Alex. Da quel po’ che lui si era lasciato sfuggire era molto più legato a lei che al padre e Maya sapeva che incontrarla sarebbe stata la prova del fuoco da superare: conoscerla in quel momento sembrava uno scherzo assurdo del destino. Lei ed Alex non avevano mai parlato troppo delle rispettive famiglie ma questo non le aveva impedito di crearsi un’immagine tutta sua di come fosse la famiglia Bonelli. E ora che aveva davanti a sé la signora Maria, le sembrava non essersi allontanata troppo dalla realtà. Chissà cosa sapeva o cosa semplicemente aveva intuito di lei e suo figlio, si domandava, e soprattutto chissà cosa pensava di lei? In fondo, ne era consapevole, ai suoi occhi doveva sembrare una ragazzina viziata come ce ne sono tante a Roma Nord che cercano il riccone di turno per fare le signore. Lei stessa, probabilmente, lo avrebbe pensato. E, in fondo, non era proprio quello il suo piano per il futuro, fino a qualche mese prima?
“Maria, ti presento la signorina Alberici, la nostra inquilina” disse Cesare, molto – troppo – più formale del solito, con quell’italiano forzatamente pulito e il forte accento romano di borgata che non riusciva proprio a nascondere con cui si era presentato alla sua porta qualche mese prima. All’epoca l’aveva messa in soggezione, ma adesso che lo conosceva meglio era solo adorabilmente goffo e impacciato. Maya tese la mano, impacciata, e la donna la strinse, cordiale ma restando sulle sue.
“Com’è che conosci già la signorina?” domandò, senza troppi formalismi, a differenza di suo marito.
“Ci ha presentati la signora Rossi, te ricordi quella volta che so’ venuto per il bagno? Beh il guasto era a casa nostra veramente…” improvvisò Cesare, come meglio poteva, leggermente più a suo agio ora che poteva vuotare il sacco. Non era proprio la verità, ma ci si avvicinava molto.
“Facciamo che ce credo” sussurrò la donna tra i denti, ma a Maya quella frase non passò inosservata. Ecco da chi ha preso il carattere Stronza 2, pensò Maya, non si mette affatto bene.
Ma in realtà Maria lo diceva perché conosceva il marito fin troppo bene: dietro i suoi silenzi indecifrabili, quel modo pacato di osservare gli eventi senza commentarli, si nascondeva un impiccione di prima categoria, che aveva bisogno di toccare con mano tutto ciò che riteneva riguardarlo – e di solito riteneva che molte cose lo riguardassero. Poi poteva anche starsene in silenzio a rimuginare, ma l’importante era sapere.
“Maya?”
“Sì, piccola?”
“Posso entrare?” le domandò Giulia con quegli occhioni a cui non si può negare alcunché.
“Ma sì cer-”
“Giulia dobbiamo andare a casa! E poi la signorina avrà di sicuro da fare” la frenò la nonna, mentre la bambina, senza nemmeno aspettare la risposta di Maya si era già portata nell’ingresso dell’appartamento, da brava piccola ribelle qual era.
“Non è una signorina, nonna!!! È Maya, una mia amica! Ha visto la mia cameretta ed è pure venuta a casa di papà … Maya posso vedere la tua cameretta?”
“Sì che puoi, ma devi chiedere il permesso a nonno e nonna. Forse loro hanno fretta”
“Viene mamma a prenderti tra un po’ Giulia, non possiamo fare tardi” spiegò Maria. Quelle poche parole e lo sguardo che brevemente le rivolse Cesare, fecero capire a Maya il problema. I rapporti tra i Bonelli e Claudia non erano idilliaci, Maya lo aveva intuito ben prima che Alex entrasse nella sua vita ben oltre l’orario di lavoro, se poi avesse saputo di questa escursione sarebbe stati peggio e loro non volevano problemi, era comprensibile.
“Cinque minuti!” si lagnò Giulia “Poi ci parlo io con mamma” Sembrava così matura che, certe volte, se non fosse stata uno scricciolo che faticava ancora a pronunciare bene tutte le parole, quasi ci si dimenticava dei suoi 5 anni.
“Va beh dai!” Cesare prese il controllo della situazione “Cinque minuti passano in fretta e mamma tua non è mai puntuale”
La piccola non se lo fece ripetere due volte, entrando in casa senza sapere precisamente dove andare.
“Wow c’è così tanta luce” esclamò, con il naso all’insù, quando Maya aprì le persiane “e il tetto è così alto”
"Non volevi vedere la mia camera?” chiese allora la giovane. La piccola annuì. “Vieni con me” tese la mano alla bambina che la strinse subito, diligente ed insieme andarono nella stanza da letto.
“Beh, che te ne pare? Te la tratta come na bomboniera sta casa, vè?!” commentò Cesare verso sua moglie con una punta d’orgoglio. Suo figlio aveva fatto un casino ma lui continuava a fare il tifo per loro e non si faceva problemi a nasconderlo.
“Ma che stai a dì, ah Cè? E che stamo a fa noi qui? Questa e Alessandro si sono lasciati? Perché ti intrometti …e poi incoraggiare così la bambina, non va bene per niente”
“Non la chiamare questa, me pari Anna, la fai sembra na donnaccia”
“E non lo è?”
“È una ragazza d’oro. E prima che te metti a difenderlo sta a sentire a Cesare tuo … tu fijo a sto giro ha fatto na cazzata de dimensioni bibliche. E lo sa. La bambina è affezionata a una persona che le vuole veramente bene. Quanno je ricapita de rivederla, famoje sto regalo …”
Maria abbozzò, un po’ perché tanto era evidente che né suo marito, né tantomeno sua nipote avrebbero schiodato da lì e lei di fare la figura della cafona sostenuta non ne aveva intenzione, un po’ perché, era scattata la scintilla della curiosità anche in lei a quel punto. Alessandro non ne aveva parlato molto, dopo che la sorella lo aveva esposto pubblicamente, ma non era per vergogna, era come se volesse proteggere e tenere per sé qualcosa di bello, prezioso e fragile e il fatto che persino Cesare, il perennemente polemico Cesare, non facesse altro che spendere belle parole per lei, al punto da mettersi contro Anna che era sempre stata la luce dei suoi occhi, doveva pur significare qualcosa. E non poteva credere a quello che le diceva sua figlia, che quella ragazza era stata capace di ammaliare suo figlio e pure suo marito. Alessandro era intelligente e quadrato; quanto a suo marito, era diffidente e soprattutto troppo verace per poter cadere nelle lusinghe di una maga Circe qualunque. Se le ricordava ancora le occhiatacce e i commenti dopo la prima visita di Claudia a casa loro, quando sembrava un agnellino gentile e mansueto e, alla prima opportunità le sussurrò in un orecchio “questa me puzza”. E non si sbagliava: tempo di celebrare le nozze e i suoceri erano poco in da frequentare e loro erano sempre troppo impegnati per andare a trovarli. Lei alla fine trovava sempre il modo di giustificarli, anche davanti al marito: erano giovani, belli, stavano bene economicamente, Alessandro stava costruendo una carriera, di certo non potevano perdere tempo dietro a loro in un quartiere desolato e dalla cattiva reputazione tra la gente che conta. Era la donna che suo figlio aveva scelto per passare la vita insieme e doveva rispettare la sua scelta: non doveva piacere a loro.
E Maria dietro alle scelte di suo figlio aveva faticato a starci negli ultimi tempi: il divorzio all’improvviso, una nuova donna dopo pochi mesi e poi neanche un paio di mesi e di nuovo una rottura; continuava a volergli e bene e a rispettarlo, ma nessuno doveva pretendere da lei trovasse tutto normale, era una donna di altri tempi lei.
Senza nemmeno rendersene conto, si era ritrovata davanti alla cucina, davanti alla credenza di sua nonna; lì di fianco, su un frigo all’americana anni ’50 faceva bella mostra la vita della ragazza: qualche post it, un magnete con una citazione dal Piccolo Principe, una polaroid e una cartolina con un castello sul mare al tramonto. Maria sorrise: pensava che le cartoline nemmeno fossero più in vendita, cimelio del suo mondo, non di quello dei ragazzi di oggi. Ma fu un’altra cosa ad attirare la sua attenzione: un disegno infantile, tenuto su da una calamita a forma di cuore, con una bambina dai capelli biondi e due adulti: Alessandro, Giulia e Maya.
Era una vecchia romanticona, aveva visto troppe telenovele e si commuoveva troppo facilmente, suo marito glielo diceva sempre.
“E lì sopra che c’è?” sentì la vocina della sua nipotina alle sue spalle.
“C’è il terrazzo … papà tuo ci giocava sempre a pallone là sopra” disse Cesare. E il viale dei ricordi si aprì di fronte a Maria: quel monello mingherlino, un caschetto castano che cresceva sempre troppo in fretta, le ginocchia sempre sbucciate, che gli sporcava sempre le lenzuola che metteva ad asciugare o rischiava di ammazzare qualcuno ogni volta che il pallone cadeva di sotto. Quella volta che l’inquilino del secondo piano glielo aveva bucato aveva provato una lieve soddisfazione, doveva ammetterlo: aveva sorriso chiusa in bagno, si era ricomposta, ed era scesa a dirgliene quattro a quel buzzurro del vicino perché come si permetteva, era solo un regazzino.
A Cesare gli occhi lucidi di sua moglie non passarono inosservati. “Che c’è ?” domandò, affettuoso, abbracciandola, appena Maya e Giulia salirono in terrazza. La chiamava così quando si erano conosciuti, che entrambi erano poco più che bambini, ma non erano più ragazzini e quel vezzeggiativo era rimasto per i momenti di tenerezza come quello.
“Niente Cè … ma c’avevi ragione te … la tiene proprio come na bomboniera sta casetta…”
“Che t’avevo detto? Devi stare a sentire Cesarone tuo…” e Cesare le stampò un bacio sulle labbra, ma sua moglie, pur ridendo, lo scacciò imbarazzata e timorosa che la ragazza e sua nipote tornassero da un momento all’altro. Cesare rise di gusto, sornione, consapevole che tutto quel parlare di case in realtà nascondeva ben altro.
“Finito!” decretò Giulia, soddisfatta, mentre scendeva per le scale mano nella mano con Maya che stava attenta a che non cadesse. Erano così belle da vedere insieme che a Cesare non sembrò affatto inopportuno pensare che avrebbe preferito che Maya fosse la mamma di Giulia. Sarebbe stato tutto più semplice, pure in quel momento in cui lei e suo figlio non stavano insieme. E anche Maria iniziava a vedere quella sconosciuta con occhi diversi, di fronte alle attenzioni che dava a quella bambina senza sforzarsi, senza affannarsi a dimostrare qualcosa che non esisteva.
“È proprio ora di andare adesso … grazie per la pazienza signorina” disse a Maya, gentile.
“Ma si figuri, per così poco … mi scuso io per questo fuori programma”
“Pendiamo tutti dalle labbra di Giulia in questa stanza, mi pare di capire … in famiglia noi ce ne siamo fatti una ragione” Maya si lasciò andare ad un sorriso rilassato, di fronte a quella donna che non era più così rigida come l’aveva vista poco prima. “Andiamo pupetta?!”
“Aspetta no’!” esclamò la piccola, puntando il dito oltre le spalle della nonna, verso il frigo “Quello è il mio disegno!”
“Eh sì” Maya arrossì. Era un regalo della bimba, non c’era nulla di male, ma restava per lei qualcosa di tremendamente intimo e personale, qualcosa a cui era legata profondamente.
“Lo hai tenuto?”
Maya si chinò davanti a lei e la bimba le cinse le spalle con un braccio. “Perché non avrei dovuto, era un regalo, no?”
La bimba sorrise, soddisfatta. Poi, con fare discreto, portò una mano all’orecchio di Maya e sussurrò “Io lo so che hai litigato con papà e non gli vuoi bene più però a me mi vuoi sempre bene, vero?”
“Certo piccola … e comunque non è vero che non voglio più bene al tuo papà” Lo aveva detto davvero. Davanti a Cesare e Maria. Davanti ai genitori di Alex e sua figlia. Mai come in quel momento, sentì il giudizio divino su di lei. Che poi si trattava di Cesare e Maria Bonelli, ma era più o meno la stessa cosa. Terra apriti e inghiottimi ora, ti prego, grazie. No, ok Maya, rimani razionale. Lo hai solo detto ad una bambina di 5 anni per non farla dispiacere. Che poi non significava nulla. Perché a volte non si va più d’accordo, e si decide di non stare più insieme, ma il bene resta intatto, per quello che c’è stato e perché, in fondo, per lei lui era stato importante: le aveva fatto scoprire la parte migliore di sé.
“E allora se gli vuoi ancora bene ci puoi venire alla mia festa di compleanno a casa di papà la prossima settimana?”
“Giulia!” la riprese Maria.
“Perché no? È la mia festa e posso invitare chi voglio. Mamma non c’è!”
Maya incrociò lo sguardo dei due ospiti ed entrambi erano stati presi alla sprovvista dalla bambina quanto lei e si aspettavano che lei reagisse nell’unico modo possibile. “Mi dispiace Giulia, ma la settimana prossima non posso proprio, vado con la mia mamma fuori Roma per qualche giorno” Certo quell’evento di sua madre si stava rivelando provvidenziale, ma non era una balla. Vedendo che la bambina c’era rimasta male, le accarezzò il visino tirandole su il mento con un dito “Grazie lo stesso Puffetta, sei una brava bambina. La mia bimba preferita … la mia amica”
“Come lei?” domandò, indicando la foto sul frigo; Maya scosse la testa “Lei è mia sorella” spiegò.
“È bella!” commentò Giulia “sembra una principessa delle favole”
“Le farà di sicuro piacere saperlo. E comunque” continuò Maya “se proprio vuoi saperlo, tu sei la mia amica del cuore, è diverso”
Giulia si buttò al suo collo “Ti voglio bene Maya”
“Anch’io Puffetta. Tanto”
A malincuore, Maria e Cesare riuscirono a fatica a staccare la bimba da quell’abbraccio e portarla fuori dall’appartamento e giù per le scale, e Giulia ancora si sbracciava per salutarla, fino a che, cambiando rampa, non poté più vederla.



 

Alloraaa...oggi un capitolo un po' diverso,dove abbiamo sbirciato anche nella vita di Matilde, la mamma di Maya. Per me è importante conoscerla per capire anche qualcosa di più di Maya. E poi c'è l'incontro che non ti aspetti...più che un incontro direi un agguato. Direi che è andata piuttosto bene,  non vi pare? E poi anche qui mi sono presa una pausa per conoscere Maria, la mamma di Alessandro. Lei è un personaggio che io stessa, nel crearlo, ho avuto molta difficoltà: è un personaggio molto enigmatico e complesso. Spero sia arrivato a voi come merita.
Piccolo sondaggio: se riesco, da qui a Natale vorrei pubblicare un paio di volte a settimana, perché vorrei provare a lasciarci lo spazio per qualcosa...una sorpresa che non voglio anticiparvi ancora, tutto dipende da quanto tempo avrò a disposizione per scriverla. Fatemi sapere se siete d'accordo o se magari un capitolo a settimana è più che sufficiente. Vi aspetto nei commenti, fatemi sapere - ovviamente fatemi sapere anche se la storia vi sta piacendo!!!
Alla prossima,
Fred ^_^
 

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


 
 
 
 
 
 Capitolo 24

 

Mentre ai piedi della rocca di Capalbio, nel cortile interno del palazzo nobiliare scelto per la mostra, furgoni e camion si avvicendavano, con gli operai affaccendati a scaricare le casse con le bobine di tessuto, i manichini, le teche e tutto il necessario per l’illuminazione, Maya e sua madre facevano il giro dei saloni assieme alla curatrice della mostra per un’ultima occhiata sulla distribuzione e l’organizzazione delle varie stanze.
“E visto che è il salone più grande, pensavo di riunire qui le stoffe degli espositori italiani, dividendoli per regione” disse la donna quarantina, un caschetto biondo fragola, pelle diafana e l’aspetto di chi quella mattina sarebbe rimasta tranquillamente a casa a dormire. Avanguardia pura, pensò Maya tra sé e sé. Non era un’esperta, ma si aspettava qualcosa di più che un’esposizione per Stati e regioni. Non era la solita collaboratrice di sua madre, che se ne era andata a fare un viaggio in India … e si vedeva.
“Senta, glielo devo proprio dire, non ci siamo proprio” sbuffò Matilde.
“Cosa c’è che non va?” domando la donna con il suo accento toscano marcato.
“Tutto non va!” sbottò sua madre, generalmente sempre profondamente zen ed educata con i suoi collaboratori.
Andiamo bene ... per qualche miracolo si era levata dalla testa Roma Glam e il viaggio lo avevano passato tranquillamente, senza bisogno di telefonate a Ruggero che facesse da tranquillante a distanza.
“Qui ci sono stoffe tra le più belle e colorate del mondo e lei mi fa una divisione geopolitica, ma stiamo scherzando? Io la pago per essere creativa ed impressionare i potenziali acquirenti, non per fare un compitino che potevo fare tranquillamente da sola senza spendere un euro!”
La ragazza, sentendo la paternale che sua madre stava rivolgendo alla curatrice, si allontanò per andare a sghignazzare lontano, davanti ad una finestra del palazzo che, dal punto più alto della collina, dominava la campagna e, in lontananza, grazie alla bella giornata di sole, permetteva di scorgere una piccola laguna e, oltre un piccolo lembo di terra, il mar Tirreno.
“Maya!” sua madre la richiamò all’attenzione “hai tu il campionario, vero?”
“Ehm … sì certo” Ricompostasi, prese un raccoglitore ad anelli spesso, di quelli da archivio, e lo porse alla madre che, con fare fosco e autoritario, guardò la figlia disperata e la curatrice minacciosa, portandosi su un tavolo di legno antico al centro della stanza e aprendo e sfogliando il fascicolo come fosse un libro sacro, maneggiando i piccoli ritagli di stoffa con grande cura e devozione.
“Maya! Gli occhiali per favore … ecco vede! Possiamo lavorare sui disegni, sui colori, sulle trame dei tessuti, ma la prego niente bandierine che siamo tutti sotto lo stesso cielo!”
La donna, mortificata e forse anche scocciata, perché sperava forse di cavarsela con la minima impresa, tirò fuori il tablet dalla borsa e iniziò insieme alla madre a rivedere tutta la mostra dal principio.
Nel frattempo, per non starsene con le mani in mano, che allo stato attuale delle cose sua madre avrebbe potuto anche mangiarla viva vedendola impegnata a rigirarsi i pollici, Maya si mise a controllare che tutte le stoffe fossero giunte a destinazione e poi passò a quello che le riusciva meglio: le pubbliche relazioni; passò in rivista la stampa accreditata e controllò per l’ennesima volta la lista degli invitati che stavano rispondendo agli inviti e di giorno in giorno si faceva più numerosa, in modo da poter chiudere l’ordine con il catering. Ci sarebbero stati sempre quei soliti due, tre nomi che si presentano senza confermare, bisognava essere pronti a dar da mangiare e bere a tutti.
Mentre telefonava all’agriturismo dove erano ospiti con la madre per far mandare il pranzo, la voce di sua sorella riecheggiò dall’atrio del palazzo, vuoto dopo che gli operai erano andati in pausa. “C’è nessuno? … Sono arrivati i rinforzi!”
Maya chiuse la telefonata prima che potessero risponderle dall’altro capo per andare incontro alla sorella.
“Mamma?! Maya?!”
“Eccomi cosa!!! Dammi un attimo, non siamo nel tuo appartamentino universitario!!!”
Maya però, quando aveva sentito la voce della sorella, non si aspettava di certo di trovare quell’immagine che ora aveva di fronte a sé. Lavinia, quella Lavinia, sua sorella, stava salendo lo scalone interno di rappresentanza mano nella mano con un ragazzo, o per meglio dire un uomo, probabilmente suo coetaneo. Si poteva dire che la mano gliela stesse stritolando a quel poveretto, segno evidente che fosse nervosa per quello che sarebbe successo da quel momento in poi.
“Ciao!” la salutò, con voce stridula.
“Ciao!” ricambiò Maya, rendendosi conto di non riuscire a staccare gli occhi dal ragazzo. Non era molto alto, ma era anche vero che lei e sua sorella partivano da una base fuori dalla media, quindi il tipo superava l’1.80 tranquillamente. Un taglio di capelli da ragazzo per bene, la barba folta e curata ma senza troppi sforzi, indossava una camicia bianca con le maniche ripiegate e dei pantaloni cachi opera di sicuro di sua sorella che pensava che tutti i radical chic in trasferta vestissero così. Un tipo mediterraneo ma non palestrato, che di sicuro, conoscendo Lavinia, allenava più la mente dei muscoli. “Hai portato veramente i rinforzi…”
“Eh già”
“Ci conosciamo?”
“Aehm…lui è Philippos”
“Philippos?”
“È greco”
“Ah quindi non parla italiano…”
“Sì certo che lo parla, lavora in ospedale come me”
“E perché allora non lo lasci parlare?" domandò Maya, pungente "Stai facendo tutto tu …”
Lavinia arrossì, imbarazzata. Philippos, testa bassa, sorrise timidamente, stringendo Lavinia tra le braccia.
“Non farci caso, Philippos, non sono così stronza normalmente, solo con mia sorella” decretò Maya, strizzando l’occhio all’uomo e tendendogli la mano “piacere di conoscerti!”
“Piacere mio. Maya, giusto?”
Philippos aveva una bella voce calda e rassicurante, aiutata anche dalla pronuncia lenta di chi parla la lingua ma vuole essere sicuro di non sbagliare nulla, ma con quel tocco di simpatia dato da un 
curioso accento straniero.
“E così siete colleghi?”
“Eh già …”
“Come ci sei finito qui in Italia? Non è il primo Paese a cui normalmente si pensa parlando di eccellenze sanitarie…”
Quell’affermazione di Maya mise la coppia a proprio agio e l’uomo iniziò a raccontare per sommi capi come lui era arrivato in Italia anni addietro fino a quando, sei mesi prima, si era trasferito a Roma.
“E quando è successo … il miracolo?”
“Eeeehi!” protestò Lavinia.
“Perché non è così? Alla tua età si può chiamare solo così!” rispose Maya, facendo l’occhiolino.
“Un mesetto fa circa. Siamo andati a visitare il Colosseo di sera e all’uscita mi sono dichiarato”
“Ooooh che cosa romantica…fammi l’insulina ti prego, non ci sono abituata a tutta questa dolcezza!”

Che bugiarda! Dovrei ricordarti…oddio scusa!” Lavinia si bloccò immediatamente, portando la mano davanti alla bocca, sconvolta e mortificata per quello a cui aveva appena alluso; Maya dal canto suo si lasciò andare ad un sorriso amaro: annuì, cercando di non scomporsi più di tanto.
“No, no hai ragione. Ho avuto anch’io i miei momenti da sottona…Philippos, ci vuoi scusare un momento? Ho bisogno di scambiare due parole con mia sorella.”
“Ma certo”
Maya prese sua sorella sottobraccio, incamminandosi verso l’uscita. “Ah un consiglio, se vuoi puoi fare un giro per le sale, ma evita l’ultima in fondo, c’è una gorgone inviperita”
Fuori dal palazzo, nel cortile, Maya andò a sedere sul bordo dell’antico pozzo. “Stai attenta” l’avvertì la sorella maggiore.
“È chiuso, tranquilla …”
“Non fumi più, quindi non siamo venuti qui fuori per quello” Lavinia era smaniosa: per Philippos lasciato da solo con la madre ad un passo e per quello che aveva da dirle Maya, che aveva tutta l’aria di una sentenza. “Avanti, dimmi che c’è, non ti piace?”
Maya fece una smorfia di dissenso, scrollando le spalle “Perché non dovrebbe piacermi?! Non lo conosco ancora. E così…un mesetto, eh? Potevi dirmelo …”
“Sì lo so. Mi dispiace, Maya, avrei voluto dirtelo, te lo giuro, e anche Phil voleva ma tu … tu ti eri appena lasciata con Alex, eri a pezzi e … boh io ho pensato che non fosse il momento adatto, non potevo importi la mia felicità così”
Maya fece forza sulle braccia e con un piccolo balzo scese dal pozzo, ritrovandosi faccia a faccia con sua sorella, prendendole le mani e stringendole forte. “Sei mia sorella, Lavi, la tua felicità è la mia felicità”
“Davvero?”
​“Certo che sì!” le piaceva 
da matti punzecchiare sua sorella, farla innervosire, prenderla in giro, ma dovevano passare sul suo cadavere prima di farle del male ed era naturalmente la sua prima sostenitrice. Lavinia non lo sapeva, ma quando il padre era morto, aveva seriamente pensato di lasciare l’università e iniziare a lavorare come modella per permettere a lei di continuare i suoi studi in medicina senza gravare sulle tasche di sua madre, ma la Maya di allora era troppo immatura e compromessi e rinunce non erano cose che conosceva ed accettava di buon grado. Il tutto restò solo una buonissima intenzione tra sé e sé, ma conoscendola Lavinia stessa glielo avrebbe impedito.
“Però c’è una cosa”
“Dimmi” la spronò Lavinia, apprensiva.
“Devi assolutamente aiutarmi a trovare un soprannome o un diminutivo decente perché io non ce la faccio a chiamarlo Philippos. Con tutto il rispetto, non si può sentire! È orribile!”
Lavinia scoppiò a ridere, alzando gli occhi verso il piano nobile, come se temesse che il ragazzo fosse affacciato ad una delle finestre e annuì, furbescamente “E non hai ancora sentito il cognome!!!”


“Tanti auguri a te! Tanti auguri a te! Tanti auguri a Giulia! Tanti auguri a te!”
Mentre tutti battevano le mani la piccola soffiò sulle sei candeline rosa sulla torta dei suoi desideri. Era semplice, classica, con i ciuffetti di panna e le roselline d’ostia. Niente a che vedere con quel
he le aveva fatto la simpatica vecchina era col cioccolato, Giulia era stata inflessibile: non c’erano mousse o ganache o robe pretenziose che la bambina nemmeno riusciva a pronunciarela ordinata dalla mamma per la festa con gli amichetti che doveva servire più a far invidia alle altre mamme che a compiacere la bambina. E poi quella c.
“Non ci posso credere, la mia pupetta ha giù 6 anni, sembra ieri che stava nella sua culletta”
“Non mi ci far pensare mamma!” sospirò Alessandro. Era la sua bambina e lo sarebbe sempre stata, ma era inevitabile constatare che stava diventando sempre più grande con i suoi gusti nel vestire – aveva scelto personalmente il vestitino rosso di quella sera, contro il volere di sua madre
 i suoi discorsi, ma soprattutto, e questo Alessandro faceva fatica ad ammetterlo, il fatto che poco alla volta, ma sempre di un po’ di più, aveva meno bisogno del suo papà. Non aveva avuto nemmeno bisogno di mettersi in piedi sulla sedia per spegnere le candeline. Anche gli abbracci, sempre bellissimi, non erano più quelli di una volta e ogni volta che ne riceveva uno cercava di goderne al massimo.
Riuniti attorno al tavolo della sala nell'appartamentino del residence, Alessandro aveva organizzato una cena con Edoardo e i suoi, una cosa intima, durante il weekend in cui poteva vedere i ragazzi. Da quando Claudia aveva tentato il tutto e per tutto con quel bacio venuto fuori un po’ dal nulla, i rapporti tra gli ex coniugi si erano raffreddati e Claudia, manco a dirlo, era diventata difficile, per usare un eufemismo: gli orari e i giorni stabiliti erano rispettati alla lettera e per ottenere degli strappi bisognava sudare sette camicie.
Di tutto questo, per fortuna, Giulia era in gran parte ignara, e si godeva quello che una bambina della sua età poteva percepire: doppia festa, doppio regalo, doppia torta.
“E con questa dove pensi di andare, signorina?” domandò Cesare alla nipote, non appena aprì lo scatolone enorme che era stato in bella mostra dal giorno prima nell’appartamento ed era costato tanta fatica alla bimba resistere alla tentazione di aprirlo in anticipo. Era una bici nuova, finalmente senza ruote di supporto o più semplicemente da grandi, come l’aveva definita lei.
“C’è sempre Villa Borghese” spiegò Alex “con queste belle giornate possiamo fare delle lunghe passeggiate in bici io e Giulietta”
“E poi la posso portare al mare dai nonni!”
“Dove?” domandò Cesare geloso e sospettoso.
“I genitori di Claudia tornano in Italia a luglio quest’anno e prendono una casa al mare per stare con i ragazzi”
“Col cavolo che vado un mese a Nettuno con quelli!” sentenziò Edoardo, categorico “i miei amici stanno tutti a Fregene”
“Ma perché dobbiamo sempre fare i discorsi a doppio? … quelli, come li chiami tu, sono i tuoi nonni. E poi lo sai, Nettuno a luglio, campeggio ad agosto, è l’unico modo”
Alessandro era contentissimo che suo figlio si fosse avvicinato ai cugini e, pur non rinunciano agli amici snob di scuola e ai fighetti del tennis, riusciva ora a godersi del tempo con la comitiva più sempliciotta e alla mano di Valerio e Daniele; quando gli aveva detto del campeggio gli era stato chiaro prima ancora che potesse dire sì che avrebbe dovuto combattere per convincere la madre di suo figlio che non si sarebbe preso nessuna malattia e non sarebbe stato rapito dagli alieni.
Il ragazzo sbuffò, ma sapeva anche lui che il campeggio in Salento con i cugini era stato accettato dalla madre solo a condizione che passasse l’intero mese di luglio dai nonni.
“Ma c’ha ragione Edoardo… quei due manco li conosce: si presentano un paio di volte l’anno e pretendono pure di avere l’esclusiva!”
“Ah Ce’! E fatti un po’ li fatti tua…!” lo rimproverò la moglie, mentre tagliava la torta “piuttosto dai i regali alla bambina”
“I regali?” domandarono stupiti sia Alessandro che Giulia. “Mamma le avete fatto già la torta, non c’era bisogno”
“E che è un regalo la torta?!” esclamò la donna, distribuendo le porzioni.
“S’è mai visto che dei nonni non fanno un regalo come si deve alla nipote? Non s’è mai visto…” rincarò la dose Cesare, porgendo una bustina alla bambina “però nonna e nonno sono due testoni e non lo sanno cosa ti piace allora con i soldi che ci sono qua dentro ti compri lo zaino per andare a scuola a settembre. Va bene?”
“Anche quello delle principesse?”
“Quello che vuoi”
La bambina prese la busta e la portò, correndo dal padre, ancora impegnato a radunare la carta regalo che Giulia aveva fatto in mille pezzi quando aveva scartato il pacco con la bici. “Hai sentito papà?”
“Certo, amore. Come si dice ai nonni?”
“Grazie nonna! Grazie nunno!” esclamò, con un sorrisone enorme, mandando loro dei baci con le manine.
“E poi c’è quest’altro, ma non è nostro…”
“E di chi è?”
È 
di una persona speciale che hai invitato ma non è potuta venire”
“Maaayaaaa?”
“Ha detto che ci teneva tanto e ti manda tanti tanti auguri!”
“Papà vieni a vedereeee!!!”
Alessandro restò senza fiato, immobile, scorrendo con lo sguardo da suo padre e sua madre che, con totale nonchalance continuavano in quello che stavano facendo, come se quel nome non significasse nulla o peggio, fosse la cosa più normale del mondo. Che suo padre fosse ancora in contatto con Maya lo stupiva certo, ma fino ad un certo punto. Era sua madre che lo sorprendeva … e poi cosa voleva dire una persona che hai invitato? Ma perché in questa casa sono sempre l’ultimo a sapere le cose?
“Cos’è questa storia?” domandò.
“Ma niente … abbiamo incontrato Maya quando siamo andati dalla signora Rossi a chiederle di fare la torta alla bambina, tu lo sai com’è Giulia che si fa prendere dall’entusiasmo …”
“E c’eri pure te?”
“Che n’se po’?” ribatté Maria, fintamente indignata.
“E chi dice il contrario? Solo che a volte mi pare che ci sia un complotto contro di me” A Cesare scappò una risata grassa e bonaria, ma trattenuta veramente a fatica per rispetto del figlio.
“Papà vieni!” lo richiamò di nuovo la bambina, salvando la nonna in calcio d’angolo e frenando il padre da un terzo grado al contrario. L’uomo accorse, tentando di mascherare un disagio misto ad emozione. Qualunque cosa fosse successa, Maya aveva pensato a Giulia e questo non poteva lasciarlo indifferente – non che ci fosse qualcosa che riguardasse Maya che lo lasciasse indifferente, ma Maya e Giulia per lui erano una combinazione micidiale, detta molto semplicemente.
“Che cosa c’è scritto?” domandò la piccola, al padre, porgendogli il bigliettino che accompagnava il pacco regalo. Giulia era già in grado di leggere piccole e semplici parole, ma solo in stampatello. Maya invece aveva scritto in corsivo, ma Alex di certo non gliene faceva una colpa.
“Alla mia amica del cuore, perché possa sfornare tanti capolavori. Buon compleanno, Maya” lesse Alessandro tutto d’un fiato per paura di emozionarsi come un cretino e tradirsi di fronte a tutta la sua famiglia.
“Chissà che cos’è?” si chiese la bambina, il cui sorriso andava da un orecchio all’altro e le illuminava tutto il viso. Se nei piani di Maya c’era di farle una sorpresa c’era riuscita a pieno. Era un peccato che non potesse vederla, pensò.
“Girati di qua, pupetta” sentì dire a sua madre, e solo in quel momento Alex si accorse che era con il telefono in mano. Dio Santo, sto vivendo in una simulazione…
“I COLORI DI FROZEN, PAPAAAAÀ!!!!” urlò Giulia, tirando fuori una valigetta rigida azzurra e i personaggi del film di animazione in bella mostra. Non mancava nulla: un album da colorare, i pastelli, i colori a cera e i pennarelli, persino gli acquerelli e un pennello. “È una figataaaa!!!”
“Giulia!” la rimproverò, d’istinto, ma quasi gli dispiacque frenare l’entusiasmo della bambina che era anche il suo. Non solo era un bel regalo, ma quel regalo sapeva dire molte cose anche della persona che lo aveva mandato: che teneva alla bambina, che non lo aveva fatto tanto per farlo, che la conosceva abbastanza da sapere i suoi gusti e che aveva lasciato da parte ogni dissapore e delusione perché Giulia in quella storia, la loro storia, non c’entrava nulla.
“Che stai facendo?” domandò alla bimba che senza dire altro chiuse la valigetta per andare sul terrazzo.
“Vado a colorare l’album”
“Va bene … niente acquerelli che ti sporchi però. Edo le dai un’occhiata per favore”
“Oook…” disse il ragazzo, prendendo il suo pezzo di torta e un altro piattino per la sorella e trasferendosi all’esterno con lei.
Anche Cesare allora prese il suo bicchiere di spumante e raggiunse i nipoti sul balcone, lasciando mamma e figlio da soli. Sì, era ufficiale, c’era un complotto contro di lui e suo padre ora persino solo con la madre lo lasciava, per sottoporlo ad un interrogatorio a regola d’arte. “Senti se mi devi dire qualcosa fallo subito, lo vedo che ti stai trattenendo ma’”
“Te ricordi che t’ho detto quando ho saputo che stavi con quella ragazza?”
“Che ormai sono grande e grosso e non puoi insegnarmi a campare?”
La madre annuì “Solo che mo te la devo proprio dire na cosa Alessà...”
“Dimmi, lo sai che mi puoi dire tutto tu, sei l’unica persona a cui lo permetto” in realtà lo avrebbe permesso anche a Maya ma non era quello il punto.
“È vero che c’hai la tua bella età ma questo non significa che sei libero di fare quello che ti pare”
“Ah no?”
La madre scosse il capo “Non m’importa se vuoi impegnarti o meno, ma se decidi de vedé altre donne ti devi ricordà sempre che ci sono due persone a cui rendere conto. Ma non perché hanno bisogno di una matrigna” proseguì, prima che suo figlio le muovesse la minima opposizione "ma perché loro sono parte della tua vita e una persona che sta con te deve sapere che sta anche con loro in un certo senso, deve accettare la loro presenza e tutto ciò che comporta”
Alessandro avrebbe obiettato che lui non era interessato a flirt fugaci o a condividere il letto con qualcuna solo per una notte o anche meno, a lui interessava solo una donna e nei suoi confronti aveva intenzioni serissime, ma aveva capito cosa intendesse sua madre in realtà. “Non imporrei ai miei figli nessuno che non voglia stare con loro … e nemmeno ci starei con qualcuno che non sia disposto ad accettarli”
“Quella ragazza … Maya … mi è sembrata tanto affezionata a Giulia…”
“Lo è, e Giulia è affezionata a lei”
“L’ho visto”
“Cosa stai cercando di dirmi, mamma?”
“Nulla, solo non riesco a capire che cosa è andato storto. Perché sembra davvero perfetta, al contrario di quello che diceva tua sorella”
“Anna è una stronza…eeeh poche storie, è così” tagliò corto, accorgendosi che la madre era in procinto di controbattere “le auguro di cambiare per il suo bene ma dubito che a 40 anni possa fare molto” Maria si ammutolì. I suoi figli erano sempre stati cane e gatto, fin da piccoli, quando condividevano la stessa stanza e ognuno rosicchiava lo spazio dell’altro, al punto che Cesare era stato costretto a dover montare una libreria per dividere la camera in due. E le cose avevano solo finito per peggiorare con l’età, i caratteri e le vite troppo diverse per capirsi e conciliarsi.
“Per quanto riguarda Maya non è perfetta ma nessuno lo è, io in primis” spiegò Alessandro “lei però ce la mette tutta in tutto quello che fa, sono io che non sono riuscito a fare altrettanto. Tu hai ragione, una buona compagna deve accettare la presenza di Giulia ed Edoardo, ma penso che abbia altrettanto diritto a non sentirsi messa da parte. Cosa che io invece ho fatto”
Maya gli aveva detto che aveva bisogno di tempo per mettersi alle spalle Claudia e il loro matrimonio e solo in quel momento capiva cosa intendesse: era entrato in quella relazione con le stesse vecchie, cattive abitudini, con la stessa attitudine che aveva fatto naufragare il suo primo matrimonio. Certo, non era stata solo la sua negligenza la ragione della separazione, ma di sicuro una delle concause.
“E che vuoi fare ora?” domandò sua madre. Era da mesi che quella domanda aleggiava nell’aria e lui la schivava come si fa in un percorso ad ostacoli. La buona volontà c’era, ma nel concreto non aveva la minima idea di come convincerla – perché di questo si trattava – che era ancora la persona che le aveva suonato al citofono in piena notte per dichiararsi. Anzi, per convincerla che, grazie a lei, era persino diventato una persona migliore.
“Giulia!” chiamò sua figlia, sperando di eludere così la domanda della madre. La piccola di casa, le labbra arricciate e la fronte aggrottata, era concentratissima sul suo nuovo album da colorare sul tavolo del terrazzo e non era minimamente intenzionata a dare retta a suo padre. “Puffetta!!!” chiamò più forte, portandosi sulla porta finestra.
“Sì papà?” Giulia alzò finalmente la testa dal foglio, sistemando elegantemente dietro le orecchie una ciocca che le era andata davanti agli occhi.
“Ascolta … bisogna che ringraziamo Maya per questo regalo. Non ti pare?” le disse, accovacciandosi davanti a lei. Gli piaceva guardarla dritta negli occhi e perdersi in quegli specchi d’acqua cristallina, limpidi e puri come erano quelli della madre quando l’aveva conosciuta, prima che gli interessi e la routine li portassero a percorrere due strade non separate, nemmeno opposte: proprio parallele, destinate a non incontrarsi mai.
“E come facciamo? La chiamiamo?”
“Io avevo in mente un’altra idea, ma devi lasciare fare a papà. Ti fidi?”
La bambina annuì vistosamente, sorridendogli fiduciosa e stampandogli sulla guancia un bacio di incoraggiamento.


 

E così, Lavinia si è sistemata, ma non poteva far parte di questa ciurma se non c'era qualcosa di srano XD.
Ad Alex, i genitori e Maya hanno fatto una bella imboscata e Maria ne ha approfittato per fare un discorsetto al figlio. La pensate come lei oppure credete che Alex debba poter decidere indipendentemente dai figli? E secondo voi, quindi, cosa farà Alex per ringraziare Maya? Scrivetelo nelle recensioni.
Nel frattempo vi do appuntamento a venerdì con il prossimo capitolo. Alla prossima,
Fred ^_^

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


 
 
 
 
 
 Capitolo 25


 
 
L’evento, complice l’ondata di caldo anomalo, aveva ingranato molto a rilento. Nonostante ci fosse stata una buona risposta agli inviti, in pochi si era presentati all’orario prestabilito. Questo a discapito di Maya, Lavinia e Ruggero che avevano dovuto sopportare gli attacchi di panico di Matilde che camminava ansiosa per le sale del palazzo e si affacciava alle finestre per sbirciare verso l’entrata ogni 2 minuti.
Nemmeno Lorenzo, il suo cocco, accorso riluttante in soccorso, era riuscito a tenerla ferma finché i partecipanti non erano diventati un numero dignitoso per i suoi standard.
“Lo sapevo che dovevo aspettare il ritorno di Serenella dall’India” continuava a ripetere. Serenella era la sua curatrice di fiducia, organizzavano insieme quell’evento ormai da 5 anni e Matilde non faceva un passo senza aver prima sentito la sua opinione.
Alla fine, calato il sole e rinfrescata leggermente l’aria, gli ospiti avevano cominciato ad arrivare, prima a coppie sparute, poi in un via vai sostenuto e quasi frenetico lungo la scalinata, complice anche l’orario propizio per un aperitivo in una location da favola. Calmate le acque, anche Maya poté iniziare a godersi un po’ la serata, complici l’illuminazione calde ed avvolgenti e la musica etnica che trasportava un po’ in tutto il mondo facendoti sempre sentire straordinariamente a casa.
“Ti ho portato un drink, almeno ti disseti” disse Lavinia, porgendole una coppetta da cocktail con una bevanda rossastra.
“Dimmi che è alcolico”
“Affermativo, non ti lascerei mai passare una serata con mamma completamente sobria. Però” l’avvertì “alle bevande per te ci penso io” Ma poteva stare tranquilla, dopo l’ultima sbronza, Maya non era intenzionata a perdere ancora la dignità; soprattutto in pubblico. Lei stava all’ingresso dell’esposizione, subito dopo la scalinata, ad accogliere gli ospiti ma non le dispiaceva: era una posizione perfetta per osservare tutto e tutti, spettegolare e tenere sotto controllo la situazione.
“Ah eccoti Maya!” esclamò sua madre, uscendo sul ballatoio “mi raccomando, tutto come abbiamo detto … e non bere davanti agli ospiti!!!”
“Mamma, se volevi delle hostess serie te le facevi mandare da un’agenzia, non arruolavi le tue figlie”
Si era fissata con il tocco familiare e personale, ma allo stesso tempo continuava con il suo atteggiamento da freulein Rottermeier che poco si addiceva all’immagine da santona chic con il lungo caftano, una collana di gemme naturali e l’immancabile stola su una spalla. Non rispose alla provocazione di Maya, attirata invece da una coppia che saliva le scale
“Oh guarda Ruggero!” esclamò, la voce salita di un paio di ottave “ci sono anche i tuoi amici, il Vanni e Simonetta”
“Al massimo saranno i tuoi di amici…” disse Ruggero, sottovoce.
“Ma se me li hai presentati te?”
“No cara, io ti ho detto che eravamo compagni di giochi da bambino, l’amicizia è un’altra cosa…carissimi!!!” Era bastata un’occhiataccia di Matilde per trasformare Ruggero nel perfetto gentiluomo d’altri tempi con baciamano da manuale e dizione impostata.
Mentre distribuiva brochure, Maya sentì la donna che era con sua madre, domandare della curatrice della mostra.
“Ma quindi non l’ha organizzata Serenella?”
“Bellina quella…” sua madre aveva quel brutto vizio di prendere espressioni toscane ogni volta che attraversava il confine “adesso che ha finalizzato il divorzio ed è arrivato l’assegno fa tutta l’illuminata, quando fino all’altro ieri aveva il coltello tra i denti per spartirsi quei quattro ruderi di proprietà del marito e la chincaglieria che c’era dentro. Adesso se n’è andata pure in India. Dio Santo, già me la vedo al ritorno attaccare il pippone… e i profumi dell’India, i colori dell’India …ti sei messa un sari, ti sei fatta un pallino in fronte e stai da un mese in un albergo a 15 stelle. Come se non la conoscessimo…per cortesia” Era proprio il caso di dire che se l’era legata al dito e Serenella – non che ne avesse bisogno, molto probabilmente – non avrebbe più organizzato una mostra in un raggio che andava dall’Argentario fino al Cilento.
Nel frattempo, anche Paolo e Monica erano arrivati. Si vedeva che, rispetto agli altri invitati, non erano nel proprio elemento, ma Maya voleva ringraziare Monica del suo aiuto e anche della sua amicizia, nonostante la rottura con Alessandro e sua madre non si era opposta.
“Ce ne avete messo di tempo!” protestò, scherzosamente, salutandoli.
“Sì scusaci, c’era traffico in autostrada e non poteva certo presentarci in shorts e maglietta”
“Vi avrei sfidato, solo che poi avremmo dato lavoro ulteriore a Lavinia che avrebbe dovuto rianimare mia madre” ironizzò, accennando verso la donna che nel frattempo era passata a conversare con Allegra Radicati di San Martino, una delle cariatidi, come sua madre e Ruggero chiamavano le nobildonne campagnole di loro conoscenza, tutte cani, vigne, roseti e mostre come massima espressione di socialità.
“Ti devo ringraziare, Maya” disse l’amica “senza di te chissà quando mi avrebbe portato in vacanza in un agriturismo in Toscana questo buzzurro. Il massimo della vacanza country è stata una settimana ad Anversa degli Abruzzi in mezzo alle pecore a fare il formaggio!” “La signora però omette la gita a cavallo e il rafting”
“Il massimo dello chic proprio…” commentò Maya, sarcastica. Non erano ancora entrati perfettamente in confidenza, si conoscevano ancora da poco, ma il loro modo di essere pane al pane, vino al vino la faceva sentire sempre a suo agio, accolta come un’amica di sempre. Erano diversi eppure così vicini. “Allora ragazzi fatevi un giro … ci dovrebbe essere anche Olivia da qualche parte, in fondo a quella porta trovate l’open bar e il buffet e mi raccomando non lasciatemi troppo sola”
“Oh ma tra un po’ arriva anche …ahia!” tentò di urlare Paolo, ma sua moglie lo bloccò con una mano davanti alla bocca dopo che lei stessa gli aveva tirato una gomitata sul fianco. “
Sì arriva anche l’ora di cenare, ma non dobbiamo fare sempre la figura dei morti di fame, Paolo … non è che devono saperlo per forza tutti che siamo di Roma Sud, eh!” disse Monica, ma Maya aveva la sensazione che ci fosse altro; che non era quello che Paolo intendeva era più che ovvio, altrimenti il pestone non sarebbe arrivato. Ma chi doveva arrivare? Mentre se lo chiedeva, Maya scorse una figura familiare nell'atrio, tra la folla. Oh no! Non ti prego! Dimmi che è solo suggestione, me lo sto immaginando e non l’ha fatto davvero. Io l’ammazzo.

 
Maya corse all’interno come una pazza in mezzo agli invitati, per cercare sua sorella. A lei, che era una specie di carabiniera, e a Lorenzo, era stato affidato il compito più gravoso: accertarsi che le stoffe non esposte sotto teca rimanessero al loro posto e nessuno le macchiasse con drink e fingerfood.
Con lei, ovviamente, c’era la sua ombra di quei giorni, Philippos. Maya non era ancora riuscita a trovargli un soprannome decente e per ora era semplicemente Phil, che faceva tanto rocker inglese anni ’80.
“Lavi per favore devi sostituirmi un attimo all’ingresso”
“Hai bevuto ancora? Maya non è possibile che devi già andare in bagno …”
“No macché bagno…è che …”
“È che?”
“C’è Alex!”
“Che significa che c’è Alex?! Chi l’ha invitato? Avevi detto che non avresti mandato nemmeno l’invito stampa al giornale”
“Certo che no, ma ti pare…no, penso sia stata Monica…ha sentito mamma lamentarsi. Adesso che la prendo …”
“Sfoghiamo la rabbia un po’ alla volta per piacere. Se è qua non puoi nasconderti per tutta la sera, dai, fai la persona matura.”
Sì, Lavinia aveva ragione. Era grande ormai e non doveva scappare. Perché poi? Era Alessandro. Ok, era un botto di tempo che non lo rivedeva e aveva paura di scoprire che non era cambiato niente. Ma c’erano state situazioni ben peggiori da gestire e ne era sempre uscita indenne; perché stavolta avrebbe dovuto essere diverso? Non lo vedi da un mese Maya, ecco perché.
Doveva fare solo un grosso respiro e rimanere concentrata, possibilmente evitando di intrattenersi troppo a lungo con lui, tanto lei aveva da fare; era elementare, sulla carta. Ma a conti fatti, si stava portando dietro sua sorella per riceverlo, come una quindicenne.
“Se fa il coglione, lo uccido, gliel’avevo promesso e lo faccio” borbottò Lavinia “avrei già dovuto farlo tempo fa, ma oggi non mi ferma neanche il diavolo, come s’è permesso di venire fin qua?”
“Che stai dicendo, che gli avevi promesso?”
“Roba mia” tagliò corto “lascia perdere”.
Uscite sul ballatoio, lui stava ancora nell’atrio, ai piedi della scalinata, fermo a parlare con uno dei tanti habitué dei salotti romani di cui non ricordava il nome. Era vero come era stato vero fino a qualche settimana prima, proprio come lei lo ricordava; il suo viso era baciato da una leggera abbronzatura, forse era tornato ad allenarsi all’aperto, come faceva ogni anno con l’arrivo della bella stagione. Era in abito blu scuro, minimal, senza cravatta, ma cucito su di lui come un guanto, assolutamente perfetto. Il modo in cui stava fermo sul primo scalino, in procinto di salire, ma trattenuto dal suo interlocutore, una mano nella tasca e l’altra coinvolta ad ampi gesti nella conversazione, lo faceva sembrare un personaggio di un’opera di Michelangelo. Addirittura Michelangelo … vai a darti una rinfrescata, Maya, fai schifo.
“Ma è il tuo capo?” Matilde, dal nulla, sbucò alle spalle delle sue figlie nel momento esatto in cui Alessandro si stava congedando dal tizio che lo aveva bloccato in fondo alle scale fino a quel momento.
“Ex, mamma … ex” precisò Lavinia per conto di sua sorella, pronunciando la parola ex con enfasi, col chiaro intento di ricordare a Maya che doveva rimanere tale.
“Alla fine c’è riuscita ad invitarlo…che brava, Monica”
“Adesso complotti anche alle mie spalle?” domandò, indignata.
“Complotto di che? È la mia serata e la sua è una rivista importante. Scusa tanto se cerco di ottenere visibilità per una giusta causa” Già. Talvolta le risultava difficile ricordare chi sapeva e chi no, perché l’universo ci si era messo così d’impegno a far ad allineare stelle e pianeti contro di lei che aveva l’impressione che ormai fosse un segreto di Pulcinella. “Vorrei fare un commento …” disse sua madre, indugiando con lo sguardo sull’uomo mentre saliva le scale come se fosse un tortino di cioccolato dal cuore morbido. Dire che se lo stava mangiando con gli occhi era riduttivo: lo stava spogliando molto lentamente, un indumento per volta. Se solo sapesse …
“Astieniti” la pregò Maya, telegrafica.
“Dico solo che Pippolo, di là, sarà pure greco, ma il dio dell’Olimpo è appena arrivato”
“Mamma!” si indignò Lavinia “si chiama Philippos!”
“Philippos, Pippolo…è uguale, quante storie” decretò la donna “non è colpa mia se te lo sei trovato greco e con un nome impronunciabile!” Ma a Matilde delle proteste della maggiore delle sue figlie, in quel momento, importava meno di zero. “Me lo ricordavo bello ma non così bello … il divorzio gli dona”
“Mamma mi fai il piacere di stare zitta, lascia fare a me”
Maya provò a ricomporsi, ritornando alla sua postazione e, mentre Alex si avvicinava, prese un lungo respiro.


 
Probabilmente mi ucciderete ora perché ho lasciato in sospeso l'arrivo di Alex ma non potevo fare altrimenti. Sono sicura che dopo questo "cliffhanger" sarete felici che ho deciso di aggiungere una pubblicazione infrasettimanale. Ovviamente non poteva essere altrimenti, Alex è davvero andato da Maya; eppure non Giulia, come qualcuno aveva ipotizzato. Quei due hanno bisogno di stare un po' da soli (si fa per dire, vista la folla).
Vi do appuntamento a martedì e vi ringrazio perché finalmente state uscendo un po' dal guscio (visto che non vi mangio?! XD) e siete più numerosi nei commenti. Alla prossima,
Fred ^_^
 

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


 
 
 
 
 
 Capitolo 26


 
 
Aveva fatto finta di nulla, trovandosi letteralmente bloccato da un politico di terz’ordine che si credeva un grande statista, ma l’aveva notata immediatamente, nonostante la luce del giorno stesse calando e le fiaccole illuminavano malamente la galleria che si affacciava sull’atrio interno del palazzo e girava tutta intorno al primo piano. Era con sua sorella e, a naso, con sua madre, e le tre parlottavano animatamente guardando, con scarsi risultati per quanto riguardava la discrezione, verso di lui. Sì, anche lei si era accorta di lui. Forse Monica si era messa una mano sulla coscienza e l’aveva avvertita del suo arrivo, ma a giudicare da come, salendo le scale, Lavinia lo guardava in cagnesco, decisamente non era stato così. Ma lui era lì con le migliori intenzioni, per fare esattamente quello che gli era stato chiesto: parlare dell’evento nel suo giornale; che poi questo avrebbe aiutato nel tentativo, l’ennesimo, di fare colpo su Maya, era un piccolo, minuscolo dettaglio.
Era un mese che non la vedeva e sembrava fosse passato un anno. Avvicinandosi, dovette rimanere concentrato nel ricordare come si respirava. Ora solo si rendeva conto che le era mancata da morire. Molto di più di quanto la sua mente avesse processato fino a quel momento…quelle erano solo chiacchiere al confronto della sensazione di trovarsela finalmente davanti. Tutto era straordinariamente di più: la luce che nonostante il crepuscolo irradiava dai suoi occhi, il suo sorriso a quelli a cui dava il benvenuto, la sua bellezza e la sua avvenenza che riportarono immediatamente a galla, come dei flash, le notti passate assieme, le sue labbra sulla pelle nuda di lei, le loro mani intrecciate. Improvvisamente la brezza della sera era come fuoco … o forse il fuoco gli veniva da dentro. Ricomponiti Alex …
“Buonasera!” la salutò, trovandosi finalmente faccia a faccia. Comportarsi come nulla fosse era l’unica strategia che gli veniva in mente in quel momento, tanto era sicuro che ci avrebbe pensato lei per tutti e due a metterlo sotto torchio. Anche perché era veramente difficile formulare pensieri di senso compiuto. Era sicuro che avesse messo i tacchi perché riusciva a guardarla perfettamente negli occhi e le era grato perché almeno poteva concentrarsi su quelli e distogliere lo sguardo dallo scollo a cuore del top che, generosamente, risaltava le sue curve procaci. In tutta quella situazione, doveva aggiungere gli occhi di Lavinia vagamente omicidi che sentiva puntati addosso.
"Buonasera!” rispose lei, con la stessa semplicità e una punta di distacco" “E così ti hai invitato Monica, o sbaglio?” Era irritata dalla sua presenza e non faceva nulla per nasconderlo con quel tono piccato e acido. 
“Tecnicamente l’invito me lo ha mandato la signora Matilde Caetani e come si dice: ambasciator non porta pena” rimbeccò, mostrandole l’invito che la moglie del suo amico gli aveva fatto avere una sera a cena e, mentre diceva quelle parole, a Maya si aprì un leggero sorriso furbo, con quella fossetta sopra il labbro superiore che lo faceva impazzire e gli faceva venire ancora più voglia di strapparle baci, uno dopo l’altro, come di chi ha compreso l’antifona e sta al gioco; ma tra loro era sempre stato così, un botta e risposta continuo e vediamo chi la spunta. “Scherzi a parte” continuò Alessandro, provando a distrarsi “è per questo che non ho fatto confermare da Fabio. Non sapevo se questa … chiamiamola improvvisata … ti avrebbe fatto piacere, l’ho detto anche a Monica e sono stato indeciso fino a ieri sera praticamente”
“Se mi garantisci che sei qui solo ed esclusivamente per lavoro sei più che benvenuto” lo avvertì lei.
“A dire il vero” chiarì lui “sono venuto anche per ringraziarti. Da parte mia e da parte di Giulia, che a quest’ora probabilmente avrà già colorato tutto l’album”
Maya, che per un attimo era rimasta col fiato sospeso non osando immaginare nemmeno quello che stava per dirle, si lasciò andare ad un sospiro di sollievo. “Oh quello … è stata una sciocchezza”
“Niente affatto. Hai dimostrato di pensare a lei anche se non c’eri. E questo vale tanto” Avrebbe potuto confessarle che era stata una grossa lezione anche per sé stesso, ma in quel momento il suo cervello era come il Grande Raccordo Anulare all’ora di punta, troppe informazioni tutte insieme difficili da coordinare; tuttavia c’era qualcosa nel suo modo di porsi nei suoi confronti che gli fece sospettare che lei lo avesse intuito.
Maya lo ragguagliò sulla mostra e sul rinfresco il più in fretta possibile; Alex pensò che ovviamente la sua presenza lì non le fosse gradita ma la realtà era un’altra: la ragazza sperava solo di poter tornare a respirare e ragionare più lucidamente il prima possibile. In ogni caso, la giovane non aveva fatto i conti con la sua famiglia che ad Alex continuava a non passare inosservata. In particolare quella che, ora ne era più che sicuro, era sua madre. Per quanto potesse sbirciare solo con la coda dell’occhio, vedendola più da vicino, esattamente come era stato per Lavinia si accorse che nonostante la somiglianza non fosse immediata i modi e la classe innati erano i medesimi.
“Converrai che prima forse è il caso di fare qualche presentazione” le suggerì, malizioso e beffardo, con un cenno del capo quasi impercettibile verso le due donne che stavano per nulla velatamente di vedetta “ho paura che qualcuno ti porterà il broncio a vita ed io passerò la serata con almeno un’ombra in più”
Maya alzò gli occhi al cielo: quella piccola smorfia riportò Alex quasi ad una vita passata, a quando lei si permetteva di mostrargli il suo mondo, quella Maya che era inaccessibile ai più dietro alla maschera glamour. Era bello che per qualche secondo fosse ancora possibile, anche solo per sbaglio, tornare ad avervi accesso. Riusciva a capire benissimo cosa passava in quella testolina e gli faceva una tenerezza assurda … quelle mille donne racchiuse in un solo corpo che lui amava, indistintamente … in un altro momento l’avrebbe fatta la pazzia, oh eccome se l’avrebbe fatta, avrebbe preso quel viso tra le sue mani, l’avrebbe avvicinata a sé e l’avrebbe baciata a lungo, al diavolo tutti … ma doveva resistere alla tentazione: non lì, non loro, non così.
 
Anche Maya aveva continuato a tenere d’occhio sua madre cercando di fare finta di niente e la donna era rimasta con sua sorella lì dove l’aveva lasciata in attesa di un suo segnale, segnale che lei non era minimamente intenzionata a dare se non fosse stato per Alex, in particolar modo perché a Lavinia non era ancora passata per la storia della loro rottura: era una ragazza a modo e non avrebbe mai rovinato la serata della madre, ma il modo per asfaltarlo con stile lo avrebbe trovato comunque e voleva evitarlo. Anche perché, alla fine della fiera, era stata lei a mollare lui … no Maya, non provare ad addossarti la colpa, ricordati di quello che lui ha fatto e soprattutto NON ha fatto. Era incredibile comunque: in qualche modo quando c’era di mezzo la sua famiglia si riusciva sempre a fare un cinema anche delle situazioni più formali.
“Mamma!” la chiamò, rassegnata “devo presentarti una persona”
La donna non se lo fece ripetere due volte. Ora che Alex la vedeva da vicino, le sensazioni erano tutte confermate: era una donna dalla bellezza sofisticata, ma non altezzosa, di quelle da tenere lontano per la puzza sotto il naso. Gli restituiva un senso di accoglienza e affettuosità, con un pizzico di eccentricità e lui difficilmente sbagliava nel leggere le persone. A differenza della maggiore delle sue figlie si stava dimostrando fin troppo entusiasta per quell’incontro, manco fosse al Quirinale ricevuta da Mattarella in persona, eppure al bel mondo e ai nomi importanti doveva essere abituata, bastava guardarsi intorno.
“Alessandro Bonelli, editore e direttore creativo di Roma Glam. Alessandro lei è Matilde Caetani, organizzatrice della mostra e mia madre”
“Madre? Avrei detto sorella” commentò Alessandro, deferente “EnchantéChe razza di ruffiano, pensò Maya.
“Lei è molto gentile, ma ho superato gli -anta da un bel po’, a differenza di Maya e ho due figli più grandi di lei. Lavinia è la maggiore, ma mi pare che vi conosciate già, vero?” Matilde sapeva che la figlia maggiore aveva conosciuto Bonelli ai tempi del trasloco e aveva sempre rinfacciato a Maya che con lei questo incontro non era mai avvenuto.
“Lavinia…” salutò l’uomo, prudente e discreto. L’ultima cosa che voleva era far scoppiare quella evidente bomba ad orologeria; ma Lavinia non si scompose, rispondendo al saluto con un sorriso tiratissimo che sembrava più un ghigno. Stranita dal comportamento delle figlie, con il dubbio che le stessero nascondendo qualcosa, Matilde intervenne personalmente per rompere il ghiaccio.
“Mia figlia sosteneva che la sua rivista non si occupa di eventi fuori Roma e non valeva la pena invitarla. Eppure eccola qui … proprio come per Sanremo”
Eccola lì, pensò Maya, pronta a tirare l’intero arco anziché una semplice freccia e quell’occhiataccia che le aveva riservato parlava da sé.
“Sua figlia ha ragione, ma sa anche che in estate proviamo a sperimentare con nuovi format. E visto che d’estate Roma si svuota, ho pensato che siamo noi a dover andare dove vanno i romani. E vedo che qui ce ne sono tanti”
“La crème de la crème” garantì la donna “certo non posso garantire che il numero di neuroni presenti sia lo stesso degli invitati, ma immagino che ai suoi lettori interessi poco”
“Ci intendiamo perfettamente”
Alessandro notò nella donna tutto la fierezza per aver fatto centro con lui: Maya gli aveva accennato come lo ritenesse uno degli uomini più in vista di Roma, e la sua presenza lì non faceva che dare lustro alla serata. Morale della favola: era diventato un trofeo. Matilde invitò sua figlia minore ad accompagnarlo a fare il giro della mostra “Maya fai da Cicerone al signor Bonelli, qui ti sostituisce Lorenzo” d’improvviso, anche il figlio prediletto era passato in secondo piano. Tutta quella situazione aveva assunto una vena comica: per Matilde, Maya lo sapeva bene, in quel momento esisteva solo Alessandro Bonelli, da esibire come un modello della mostra di fronte alle vecchie amiche del bridge e alle altre dame di carità che era grasso che colava quando riuscivano ad ottenere un trafiletto sul Tempo o quando si vantavano di aver avuto uno spazio su Vanity Fair e le trovavi dietro un campioncino di profumo, nelle ultime pagine che nessuno legge. Alessandro scorse ancora disagio ed esitazione nel volto della giovane alla richiesta della madre e così risolse di intervenire personalmente. Anche se rimanere solo con lei era una delle non troppo velate speranze per la serata, non l’avrebbe mai messa in situazioni sgradevoli o in cui non voleva essere.
“Mi perdoni signora, ma credo che qui in mezzo sia lei la migliore guida possibile, non trova? È o non è lei la mente dietro a tutto questo”
“Infatti” incalzò Lavinia, che per la prima volta da quando si erano incontrati quella sera sembrava essere in accordo con l’uomo, anche se di sicuro per motivazioni opposte alle sue “e non solo la mente, nell’ultima settimana ha lavorato come un mulo per mettere in piedi tutto”
“Ora … un mulo … non esageriamo. Ma solo se per lei sono una compagnia sufficientemente adatta”
“La migliore possibile. E poi non dimentichi che ho un articolo da scrivere, ho tanto da chiederle”
“Allora la accompagno molto volentieri” confessò, lusingata e affascinata da quell’uomo così attraente e adulatore. Sì, la stava ossequiando più del dovuto e non ci provava nemmeno a fingere che non fosse così ma a lei stava bene se serviva a far schiattare di invidia le sue ospiti. “Però mi deve chiamare Matilde e ci dobbiamo dare del tu, questo lei mi sa tanto di suocera al primo incontro”
Maya, che aveva avuto la brillante idea di bere un sorso d’acqua da una bottiglietta proprio in quel momento, per poco non fece una doccia a tutti i presenti. “Tutto bene, cara?”
“Sì sì” rassicurò sua madre, dopo qualche colpo di tosse. Con Alex si scambiarono uno sguardo fugace che, per quanto lo riguardava, non lasciava dubbi ad interpretazioni: hai fatto una cazzata a venire qui, mia madre si sta mettendo in testa strane idee, guarda la mostra e vai via il prima possibile. Il messaggio, urlato senza dire una parola, era stato recepito forte e chiaro.
 
“Come ti senti?” Lavinia domandò a sua sorella una volta che Matilde e Alessandro le avevano lasciate sole. Gli invitati erano ormai pressocché tutti arrivati, qualcuno stava persino iniziando ad andare via, e Lavinia aveva costretto Philippos a dare il cambio a Maya all’ingresso, il tempo per una boccata d’aria in santa pace in un corridoio vuoto a piano terra. Non avrebbe fatto danni.
“Dici che al bar me lo fanno un Long Island?” Erano sedute su una vecchissima cassapanca di legno intarsiata.
“Maya…rispondi…”
“E io ti ho risposto” sottolineò “volevo una serata tranquilla e mi sono ritrovata con mia madre che scorta per la mostra quello che non sa essere il suo ex genero e se continua così conoscendola a fine serata proverà a combinare qualcosa tra me e lui. Ho bisogno di tanto alcool”
Provava a buttarla in caciara e a fare dell’ironia perché c’era seriamente di che andare a rinchiudersi nei sotterranei del castello e assicurarsi che buttassero via la chiave, ma Lavinia era determinata ad accertarsi che stesse bene “Che effetto ti ha fatto rivederlo?”
Maya, dal canto suo, non le avrebbe detto che, nonostante tutto, era lo stesso che le faceva quando si rivedevano dopo che era stato via per lavoro o aveva passato il weekend con i figli: sollievo, benessere, completezza e pure un pizzico di eccitazione. “Non saresti contenta se te lo dicessi” ammise, tuttavia: una volta le riusciva così tremendamente facile dire bugie, ora non sarebbe più stata in grado neanche su Whatsapp, via messaggio. Soprattutto se si trattava di sua sorella.
“Una persona di mia conoscenza” le disse Lavinia, strizzando l’occhio e facendo l’eco a quello che lei le aveva detto qualche giorno prima “mi ha detto che siccome sono sua sorella lei è felice se io sono felice. E lo stesso vale per me … in questi mesi non lo sei stata, diciamocelo.” L’immagine della sua sorellina in lacrime, seppur sbronza, sul divano di casa, che le confessava quanto le mancasse l’uomo che diceva di amarla era difficile da cancellare. Ed era proprio quell’immagine che le si era ripresentata quella sera rivedendolo, lei non poteva farsela passare tanto facilmente. Ma Maya e la sua felicità venivano prima di tutto “Questo non significa che se ci fosse un ritorno di fiamma non starei come un segugio pronta ad evirare il signorino se necessario” precisò, puntandole un dito contro con fare sinistro.
“Ora ti riconosco” sogghignò Maya, poggiando la testa sulla spalla di sua sorella “comunque non ti preoccupare, anche se la tentazione è forte non ho intenzione di ubriacarmi e paccarmelo in qualche angolo nascosto del castello. Una cosa è rendersi conto che ci sto ancora sotto, un’altra è riprendere da dove ci siamo lasciati e per quello bisogna lavorarci ancora un bel po’”
E fare le cose per bene nella sua testa significava andare fare veramente un passo per volta, lavorando su di sé giorno per giorno come si erano promessi ma non erano mai riusciti a fare veramente.
 
Alla fine Maya aveva ceduto all’alcool. Niente di pesante, un rosato toscano fresco e profumato, adatto a tenere alto il morale senza conseguenze indecorose. Mentre girava il vino nel calice, addossata ad una parete del corridoio – non osava staccarsi per paura che il bianco della parete non le avesse impolverato la mise nera - Alessandro sbucò dalla porta alla sua sinistra, solo.
“Allora, mia madre ti ha rilasciato?” Cazzo Maya, adesso richiami pure la sua attenzione? Ma sarai deficiente!
“Solo perché è arrivato tipo un monsignore o qualcosa del genere …” rispose Alessandro, ridacchiando e scuotendo un po’ la testa, avvinandosi.
“Meglio così, ti ha trattenuto fin troppo”
“Beh ci siamo soffermati su diversi pezzi e poi mi ha presentato ad alcuni ospiti. E a tuo fratello naturalmente” aggiunse “finalmente ho conosciuto il proprietario della tshirt che mi hai prestato tante volte … ah, e anche il tuo patrigno, il famoso Ruggero” Pure!…Qualcun altro?! Avanti il prossimo …
“Non è proprio il mio patrigno, lo sai. L’ho conosciuto che avevo 23 anni” Però su una cosa poteva dargli ragione: era la cosa più vicina ad una figura paterna che avessero lei e i suoi fratelli e non andavano semplicemente d’accordo: negli anni avevano, lo ammetteva, imparato proprio a volersi bene. “Come ti è sembrato?” Maya finiscila o i buoni propositi si andranno a farsi fottere.
“Perfetto per tua madre, per quanto ho potuto vedere. Di gran classe, ma stravagante al punto giusto da renderlo simpatico, anziché patetico”
“Non avrei saputo descriverli meglio”
“Ho anche rimediato un invito, sai?”
“Cioè?”
“Ha scoperto che sono un amante di auto e moto d’epoca e mi hai invitato a vedere la sua collezione. Ti lascio immaginare tua madre”
“Non penserai di accettare, spero …”
“L’invito di Ruggero? Lo accetto molto volentieri”
“Alex …”
“Non ti metterò in imbarazzo, ho quasi 46 anni e mia madre mi ha insegnato le buone maniere a suon di ciabattate da bambino. Educazione testaccina.” Maya non poté fare a meno di ridere. Se voleva farle perdere il filo del discorso buttandola sul ridere ci stava riuscendo benissimo, ma doveva resistere, doveva tornare seria. Non poteva immaginare però che la situazione per l’uomo non era tanto migliore: appena la ragazza sorrise fu costretto ad inventarsi qualcosa, a far finta che gli fosse vibrato il cellulare in tasca o qualcosa del genere … cazzo, di nuovo la fossetta no! … Alex non hai più gli ormoni da quindicenne in circolo!
“Non è quello. Mi…mi fido” farfugliò lei “è solo che tu non conosci mia madre, se le dai la mano si prende ben più di un braccio"
“Di cosa hai paura?” “Io … io…”
“Ragazzi!” Monica e Paolo uscirono sotto braccio dal salone principale. Paolo con il suo solito entusiasmo energico e sempliciotto e Monica aprendosi in un sorriso a trentadue denti vedendo i suoi amici insieme. Era chiaramente quello il suo intento, ma non ci sperava di trovarli a parlare da soli senza bisogno di una spintarella.
“Ahò Maya, fai i complimenti a tua madre per la serata!”
“Piaciuta la mostra?” domandò Maya a Paolo.
“Interessante …”
“Non c’ha capito niente” decretò Alex.
“Nooo chi l’ha detto?!” esclamò l’amico, sulla difensiva “è solo che … cioè per me è strano che delle stoffe possano interessare a tal punto da finire in un museo. Boh io ho fatto Scienze Motorie, nun so’ raffinato come tutta sta gente che pare vestita di stracci ma parla tutto sofisticato” Su una cosa Paolo aveva ragione: il look capalbiese era sempre lo stesso, di generazione in generazione, dalle nonne alle nipoti: total white o al massimo color sacco, abiti o completi lunghi e comodi e broncio immancabile che fa tanto sinistra intellettuale. Sia Maya che Alex ne conoscevano a bizzeffe di soggetti del genere, in tutte le loro declinazioni più o meno radical, più o meno chi.
“Ma cosa vuoi capirne tu, che è grasso che cola se distingui il cotone dal sintetico” replicò Monica, infervorata “sono pezzi unici, lavorazioni artigianali con tecniche particolarissime e a volte antichissime”
“Bravissima!” si complimentò Alex “e la maggior parte sono anche piccole realtà locali che di certo non hanno possibilità di farsi conoscere ai grandi nomi della moda e del cinema. E la madre di Maya fa proprio questo, dà loro una grossa visibilità. E in più fa beneficenza, che non guasta mai”
Era in quelle occasioni che Alex la faceva incazzare da morire. Perché quando era nel suo elemento, nel lavoro, non aveva rivali nell’impacchettare una storia. Mr Bonelli, come a volte lo chiamava il vicedirettore Stefano, era l’uomo perfetto: abile negli affari, penna sopraffina, ruffiano al punto giusto quando si trattava di corteggiare inserzionisti e personalità per ottenere quel che voleva. Ed era proprio per quello che lei si incazzava, perché aveva il terrore che non fosse Alex, bensì Mr Bonelli quello che l’aveva corteggiata e fatta capitolare. Però Mr Bonelli era un capitalista: conquistava, usava e buttava ed Alex non lo aveva fatto con lei. E la sua testa girava di fronte a quel rompicapo.
“Si direbbe quasi che l’hai messa in piedi tu la mostra, Alex” scherzò Monica.
“Oh no” rise lui “è che ho avuto una guida d’eccezione che mi ha spiegato tutto per bene”
“Ti ho visto prima lì dentro e mi stava venendo quasi voglia di dirle ah signò, pe’ poco nun diventavate parenti
“Paolo non sei divertente!” lo rimproverò sua moglie.
“Vabbeh ma mo che ho detto? Stanno qui tutti e due e non mi sembra si stiano scannando”
“Vai a prendere qualcosa da bere piuttosto che fa caldissimo … te non senti caldo Maya?”
“Ti accompagno” disse Alessandro al suo amico, prontamente, constatando quanto Maya fosse in difficoltà in quel momento. Si era come irrigidita ma allo stesso tempo smaniava con il calice che, a causa del caldo e del sudore, si era opacizzato con le impronte.
“Maya prendiamo qualcosa anche per te?” domandò Paolo.
“Dell’acqua andrà benissimo, grazie” Avrebbe preferito qualcosa di forte, ma aveva già buttato le bollicine al momento dell’inaugurazione formale e quel bicchiere di rosé a stomaco vuoto e, anche se reggeva abbastanza bene l’alcool, era meglio non esagerare se voleva mantenere un minimo di lucidità. I suoi limiti li conosceva e in quella situazione sul filo del rasoio era meglio non avvicinarcisi neanche per sbaglio.
“Allora …” la incalzò Monica, appena i due uomini si erano allontanati, prendendola sottobraccio.
“Allora ti rendi conto cosa hai fatto?” la rimproverò a bassa voce, slacciando la presa “L’hai fatto venire qui e nemmeno mi hai avvertita, neanche 5 minuti prima, hai aspettato che lo vedessi con i miei occhi”
“Ok forse ho sbagliato ma non avresti mai permesso che venisse e tua madre sembrava tenerci davvero!”
“Seee…mia madre…non la mettere in mezzo! Lo sappiamo perché gli hai fatto avere un invito di straforo. Tanto a te che te frega, la scema che ha dovuto gestire tutto so’ io, mica tu”
“E ha funzionato?” ma Maya tacque, guardandola in cagnesco.
“Monica, sono buona e cara e generalmente non amo la violenza. Ma dammi solo un buon motivo per cui non dovrei sbatterti fuori a calci nel sedere dopo quello che hai fatto”
“Ahoo ma che mi stai a imbruttire? A me?”
“Sono serissima, l’hai fatta sporca”
“Eddai Maya, seriamente, adesso ti stai accollando! Lui sta lavorando e non mi risulta che ci stia provando, se non vuoi averci a che fare lo eviti e basta e comunque se proprio vuoi sto buon motivo … perché sono in dolce attesa e di solito le donne in dolce attesa si trattano bene”
Maya sorrise e la mandò a quel paese con un gesto plateale “Dai non fare la scema, ok provare a farsi perdonare ma così è da disperati”
“Non era mia intenzione, sono davvero incinta”
Maya, presa alla sprovvista si tirò indietro per osservarla meglio, soffermandosi sulla pancia, ma non era né più né meno la pancia piatta e tonica di una ex atleta che si teneva in forma. Si accorse, però, di una pallina d’argento che pendeva dal suo collo. “Davvero?” domandò, ancora incredula. Monica annuì solamente, sorridendo commossa e con gli occhi che le brillavano. Anche la pelle, ora che lo sapeva, le sembrava persino più luminosa e tonica. Maya si lasciò andare ad un gridolino che sembrava quasi uno squittio, ancorandosi al collo dell’amica in un abbraccio. “Oddio ma è bellissimo!!! Da quando lo sai? E Paolo? Ma era in programma?”
“Piano piano, Maya, una cosa per volta!” esclamò l’amica, staccandosi dalla presa leggermente sopraffatta dall’amica che non ricordava così impulsiva ed energica nelle sue esternazioni. “Sì ovviamente Paolo lo sa ed è contentissimo”
“Mi sorprende che sia riuscito a tenerselo per sé”
“Per forza ... è sotto minaccia. Gli ho detto che se lo diceva a qualcuno senza il mio permesso non lo avrei portato alla prima ecografia” Le due ridacchiarono complici. “Comunque lo so da poco, un paio di settimane, ma ho avuto la conferma dopo che siamo state da tua madre … e sì era un po’ che ci stavamo provando, non dico che avevo perso le speranze ma stavo quasi iniziando a preoccuparmi”
“No vabbeh sono troppo contenta, davvero, e scusami per quello che ho detto prima. È l’esaurimento…”
“No, ok, un po’ me lo meritavo, ma voi siete due testoni e prima lo capirete e meglio è”
“Non è facile, mi ha chiesto di fidarmi una volta e guarda come è andata … non so se ce la faccio a fidarmi ancora, nonostante tutto il bene che gli voglio”
Mentre parlava però i due uomini si facevano largo tra la folla con dell’acqua e qualche finger food. Monica chiese a Maya di non fare parola della gravidanza ancora per un po’ e i due coniugi, dopo aver scambiato qualche parola tranquilla con gli amici, se ne andarono, lasciandoli soli.
“Senti” esordì Maya, in fretta “per quello che ho detto prima…ci puoi andare da mia madre, ovviamente.” Dopo la sparata con Monica aveva capito di aver esagerato anche con lui. Certo, non era una situazione ortodossa, ma lei l’aveva causata tanto quanto lui e doveva imparare a conviverci. Avevano la stessa cerchia di conoscenze e non poteva, né doveva, impedirgli di vivere la sua vita perché lei non era in grado di far pace con il suo cervello. “È che la vedo più entusiasta del dovuto e la cosa non mi piace per niente” spiegò.
“Pensi abbia capito?”
Scosse la testa “Peggio…penso che si sia messa qualcosa in testa e non vorrei scoprirlo”
“Però chi non rischia non ottiene nulla, no?” Già, come diceva sempre suo padre solo a chi non fa nulla non accade nulla. Anche se suo padre non era esattamente il migliore dei pulpiti. “A proposito di rischiare” continuò Alessandro “non per farmi gli affari tuoi ma come va il lavoro?”
“Bene dai, ho fatto dei colloqui e sto aspettando la risposta” rispose, fiera. Non voleva dargli a vedere che la situazione non era delle migliori. Era vero che aveva fatto dei colloqui, e questi erano andati anche bene ma purtroppo si era scelta un brutto periodo per cambiare lavoro; d’estate infatti le assunzioni si contano col contagocce. Probabilmente nessuno l’avrebbe contattata prima di fine agosto o settembre.
“E stai facendo quello che ti ho detto?”
“Continuare a scrivere?”
“Sì”
“Sto leggendo in realtà, adesso ho più tempo libero di quanto ne vorrei, nonostante mia madre mi abbia tenuta occupata negli ultimi giorni. La lettura aiuta la scrittura, no? Me lo dicevi sempre”
“Sì certo” Quando avevano scritto insieme i reportage per Roma Glam le aveva creato un elenco sul pc con una serie di libri che secondo lui avrebbe dovuto leggere, qualcuno glielo aveva anche scaricato in formato Kindle così lo aveva sul cellulare e non aveva scuse per non leggere.
“Perché tutte queste domande?”
“No niente…”
No niente un corno, Bonelli, parla chiaro, lo vedo che stai pensando a qualcosa” Perché tutta sta confidenza, sei rincretinita di botto? Sì, lo sapeva bene che era capace di intuire quello che gli passava nella mente, era questo che li rendeva un team affiatato a lavoro e una coppia praticamente perfetta nella vita. Cosa fosse andato storto, nel frattempo, era una lunga lista di cazzate per cui lui stava ancora pagando dazio, e chissà fino a quando.
“È che … pensavo … come ho detto a tua madre d’estate introduciamo idee nuove da sperimentare, nuove rubriche, nuovi format … e io avrei pensato a te, ecco. Quando torni a Roma fissa un appuntamento con Alice”
“No Alex, non ricominciamo, per favore” tagliò corto Maya, finalmente allontanandosi da lì come avrebbe già dovuto fare, considerò, da un pezzo.
Ma Alex la bloccò: ok fare i melodrammatici ma doveva avere senso e, in quel momento, non ne aveva. “È lavoro Maya” mise in chiaro “almeno senti cosa ho da dirti, se poi non ti sta bene la strada per uscire dagli uffici la conosci.”
“E di cosa si tratta? Non puoi dirmelo qui, ora?”
“Una persona che conosco una sera mi ha detto di godermi la serata anziché pensare sempre al lavoro e da allora tengo fede a quell’impegno” chiosò, sornione.
Il suo solito tono imponente e suadente, con quel pizzico di strafottenza di chi sapeva come ottenere quello che voleva e sapeva che lo avrebbe ottenuto. Si sentiva letteralmente una marionetta tra le sue mani quando lo usava, ma doveva essere forte. Sei un bastardo Bonelli.
“Posso dire una cosa? Una sola. Prometto. E poi mi taccio. Anzi, se vuoi me ne vado pure”
“Avanti, sentiamo” lo incalzò Maya, arrendevole. Sarà stato il caldo, saranno state le montagne russe che il suo povero cuore e il malcapitato cervello avevano dovuto subire quella sera, ma era sfinita; a quel punto, purché se ne andasse, avrebbe accettato qualsiasi cosa.
“Sei bellissima stasera … no ok, tu sei bella sempre, chi voglio prendere in giro, però c’è qualcosa di speciale stasera” disse lui, tutto d’un fiato, prima che lei potesse fermarlo, prima che il suo raziocinio potesse fargli cambiare idea. Lo pensava dal primo momento che aveva messo piede in quel palazzo e non c’era stato un momento più adatto di quello per dirglielo: con le padelle di cera che stavano andando ad esaurimento, gli ospiti che stavano lasciando la location e la musica che tornava a prendere il posto del chiacchiericcio di fondo.
Maya sentì il respiro mancarle e un pugno stringerle cuore e stomaco. Era da tanto che non si sentiva così, che non la faceva sentire così. Un’altra parola ed era pronta a mandare a puttane la promessa fatta a Lavinia, senza nemmeno bisogno dell’aiuto degli alcolici. Era quello giusto, ma era arrivato nella sua vita al momento sbagliato e faceva male da morire. “Sarà la luce delle fiaccole, non mi vedi bene” provò a difendersi, girando il volto da un’altra parte, evitando il suo sguardo ma era allo stremo delle forze e la penombra non impediva ad Alex di notare il rossore che imporporava sue guance e impreziosiva la sua pelle di porcellana.
“No Maya” nella testa di Alessandro quel nome suonava più come amore “è qualcosa che viene da dentro ed è una cosa che non ci crederai ma ho sentito anche nella tua famiglia. Si vede che il bel mondo è casa vostra, ma voi siete una spanna sopra a tutta questa gente”
“Forse perché per noi è una parentesi anziché l’unica ragione di vita” nonostante il pericolo sembrasse momentaneamente scampato, Maya aveva il terrore che tornasse di nuovo alla carica con quella disarmante semplicità che riusciva a sopraffarla ogni volta. Così prese a camminare, con lui al suo fianco, verso uno dei corridoi che portava al camminamento sulle mura del paese, dove le luci artificiali dell’illuminazione rendeva tutto giallo.
“Mia sorella a quasi quarant’anni vive ancora in un appartamento con altri inquilini, come ai tempi dell’università” confessò, con una semplicità che ricordava ma a cui non era più abituata “mia madre e Ruggero vivono nel loro buen retiro di Grottaferrata e il massimo della mondanità per loro sono le cene con gli amici ma detestano Roma e le sue feste, mio fratello ha le sue amicizie ma per il resto vive per la finanza” “E tu?” “E io … io non vedo l’ora di tornare a casa, togliere i tacchi e salire in shorts e maglietta su in terrazzo con un bicchiere di vino e addormentarmi lì al fresco della sera” Nei loro aperitivi in terrazza, con la primavera alle porte, fantasticavano delle calde notti d’estate, quando il sole a Roma scioglie anche le pietre. Quel terrazzo di Testaccio era già pronto ad accoglierli dopo il tramonto, con quel poco che per loro, innamorati, era tutto ciò che serviva: un futon, qualche candela alla citronella, dei tramezzini e due birre. Bastava poco per essere felici ma lei non era stato in grado di dirgli quanto fosse importante per lei e lui non aveva fatto mai seguire i fatti alle belle parole. Incerto, Alex portò le sue dita tra le onde dei suoi capelli color cioccolato, giocandoci con gentilezza e prudenza, attento ad ogni minima reazione di rifiuto.
“Ho sbagliato tutto Maya” sussurrò “e non so cosa fare per farti capire che ora lo so e che sono pronto a dimostrarti che stavolta sarà diverso se mi vorrai ancora”
“Meno male che doveva essere solo una cosa …” scherzò lei, persa in quel profumo che tornava a farsi vicino e familiare “la verità Alex è che ho bisogno di tempo. Io non sapevo come si stava in una relazione, mi hai chiesto di fidarmi e l’ho fatto, totalmente. E sappiamo come è andata. Non è facile buttarsi di nuovo.”
“Non è più un no, però, o me lo sto sognando?!” Forse era un caso, forse no, ma erano le stesse parole che aveva usato quando era tornato indietro dopo la loro passeggiata insieme nel centro di Roma. Forse era il segno che aspettava, anche se immaginava qualcosa di più concreto: ora lo sentiva, stava tornando da lei.
“No, non stai sognando. Dammi tempo Alex, ti chiedo solo quello”
“Tutto il tempo di cui hai bisogno” le disse, prendendola per mano e portando le sue labbra sul dorso.
 
Un colpo di tosse, alle loro spalle, troncò quel momento di beatitudine. Era Olivia, che non si era vista per tutta la sera e si era palesata nel momento meno opportuno. “Scusate” balbettò, impacciata e mortificata “Maya, ti sta cercando tua madre”
“Ok … vengo”
“Allora io vado” tagliò corto Alex, tirandosi indietro e muovendo verso l’uscita “prometti che ci vediamo in ufficio? Ci conto!”
“Ci penso…” fu solamente capace di rispondere Maya.
“Il bianco è intramontabile ma penso che un tocco di colore ci voglia…” commentò Olivia, mentre tornavano nei saloni dell’esposizione.
“Come prego?”
Olivia bloccò l’amica, guardandola con lo sguardo di chi ne sapeva una più del diavolo. “Dico, per le tue nozze…perché te quello lì te lo sposi, lo sai vero?” domandò, poggiando un braccio sulla spalla dell’amica.
Maya si lasciò andare ad una risata sommessa, quasi un soffio, a capo basso, arrossendo e mordendosi il labbro. “Temo proprio di sì”
E niente …. pur provandoci con tutte le sue forze, doveva arrendersi all’evidenza: era rimasto tutto com’era, nel suo cuore non solo non era cambiato nulla, ma anzi sentiva che, rivedendolo, era come se tutto fosse persino tornato in ordine. Avrebbe volentieri urlato un grosso vaffanculo a lui e a sé stessa, ma cosa potevano farci, in fondo?! Si erano fregati con le loro mani fin da quel pranzo a base di sushi e non si era più tornati indietro. Era dell’opinione che distanza sarebbe stata la cartina di tornasole per testare i propri sentimenti, separandoli per sempre o facendoli ritrovare. E anche se ci sperava, la paura di soffrire di nuovo la portava razionalmente a pregare che quello che stava succedendo in quel momento non fosse vero.
Persino quella straordinaria confidenza, quella naturale capacità di scherzare tra di loro si era fatta strada prepotente ed impertinente per poter tornare a galla: senza particolari sforzi il puzzle si stava ricomponendo e, che avesse paura o meno, ne era tremendamente felice.



 

Eccoci qua gente, un piccolo ENORME passo per questi due testoni che non riuscivano finora a trovare un punto d'incontro. Ora, invece, è finalmente tutta un'altra storia. Che dite, Maya andrà a sentire la proposta di Alex adesso o vorrà tenere lavoro e vita privata separate? E che ne pensate delle parole di Olivia, non sarà un po' presto per parlare di abiti nuziali?
Comunque in una giornata di belle notizie si aggiunge anche il lieto evento di Monica e Paolo, non ci siamo fatti mancare proprio nulla in questo capitolo. 

Piccolo avviso: il prossimo capitolo arriverà tra venerdì e sabato, tutto dipenderà dagli impegni di lavoro. A presto!
Fred ^_^
 

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


 
 
 
 
 
 Capitolo 27


 
 
 
Al Circolo Canottieri Roma Alessandro aveva iniziato ad andare subito dopo il rientro in Italia, grazie a Claudia e ai suoi genitori che erano soci storici e lo avevano in un certo senso patrocinato. Non che fosse interessato minimamente alla canoa, ma era uno di quei posti che urlava classe dirigente a pieni polmoni, con mobili in radica e poltrone Frau, piscina e campi da tennis sul Lungotevere e uno con le sue ambizioni non poteva non farne parte: da che mondo è mondo gli affari passano anche da un terreno in terra rossa e i migliori accordi vengono siglati con un brindisi ad un tavolo del circolo alla fine dell’incontro. Tuttavia uno come lui, con un cognome così ordinario e senza genitori impiegati in un ministero o in qualche stanza dei bottoni, difficilmente poteva presentarsi in un posto del genere e semplicemente dire salve, vorrei diventare socio. Con una moglie borghese, invece, le porte si aprivano in una maniera straordinariamente veloce. Il suo portafogli poi aveva fatto il resto, inclusa la Gold Card per il trattamento migliore – un giovane manager dalle grandi prospettive pretende solo il meglio – e la possibilità di muoversi come voleva, quando voleva e con chi voleva, a discapito delle regole ferree sugli ingressi.
“Non pensavo te la cavassi così bene a tennis!” esclamò, asciugando il sudore con l’asciugamano – messo a disposizione dal circolo, ovviamente. Quando Alessandro non frequentava il circolo per business, generalmente preferiva la piscina, la sala attrezzi o la sauna per rilassarsi; tuttavia, con la giusta compagnia, una partitella di tennis non si disdegnava mai. Si era fatto accompagnare da Paolo che lo aveva appena battuto – o meglio stracciato 5 a 2.
“Dovresti saperlo che noi sportivi sentiamo forte il senso di competizione in qualsiasi sport” decretò l’amico e Alessandro non poté che dargli ragione, avrebbe dovuto prevederlo “e comunque il tennis è arrivato anche a Roma Sud, non viviamo nelle caverne” Paolo omise che per l’occasione Monica lo aveva costretto a prendere un completo da tennis nuovo di zecca per non sfigurare in mezzo a tutti quei signorotti del centro.
Alex sorrise sotto i baffi mentre riponevano le racchette nelle custodie e si preparavano a lasciare il campo e andare a cambiarsi, in tempo per l’apertura del buffet al ristorante del circolo.
“Scusa se mi faccio i fatti tuoi, eh, ma ho sto pensiero da quando siamo arrivati” disse Paolo, mentre percorrevano il viale alberato che li portava verso gli spogliatoi “ma non hai paura di incontrare tua moglie?”
A due passi dal centro, il circolo era un’oasi intima ed accogliente, lontana dalla confusione e dagli eccessi della mondanità nonostante le solite facce e lo snobismo di alcuni suoi membri: andando negli orari giusti, Alex riusciva a ritagliarsi i suoi spazi e a non essere costretto a fare conversazione con vecchie conoscenze dei suoi suoceri o peggio ad incrociare la sua ex signora moglie.
“Nah, se la conosco bene d’estate viene solo per l’aquagym alle 9 di mattina 3 volte a settimana. E non è tipa da sconvolgere la sua routine. E anche se fosse chi se ne frega, mica ha l’esclusiva sulla location …” concluse, tenendo per sé che la tessera di Claudia l’aveva pagata di tasca propria negli ultimi 16 anni, quindi al massimo, se c’era una persona aveva la prerogativa sul posto tra loro due, quella persona era proprio lui.
Se Alex aveva fatto bene i calcoli per evitare Claudia, altrettanto non si poteva dire per una sua vecchia conoscenza. “Direttore carissimo!” alle loro spalle, la voce inconfondibilmente sguaiata e boriosa dell’avvocato De Stefanis. In quei mesi trascorsi da quella cena infausta ovviamente si erano rivisti, ma sempre in situazioni lavorative che non avevano lasciato spazio a un exploit dei suoi. Ora, invece, era proprio il caso di dire che aveva campo aperto.
“Avvocato!” esclamò Alessandro, tentando di restare impassibile e non dare il minimo cenno di fastidio nel vederlo; del resto, ormai, gli era del tutto indifferente, sperava solo di poter sbrigare quella pratica in breve tempo. “Cosa ci fai da queste parti?” domandò, stringendogli la mano come si farebbe con un estraneo o un cliente.
“La concorrenza mi ha eletto Segretario del Consiglio Direttivo, siamo venuti a presentarci e a parlare di alcuni progetti”
La concorrenza era il Circolo Canottieri Lazio, con cui ogni anno, proprio come nel calcio, sul Tevere si disputava un derby all’ultima vogata. Manco a dirlo, il circolo di Francesco non toccava palla, o remo, da tre anni ed erano assetati di rivincita.
“Ah, congratulazioni allora” si complimentò Alessandro “pensavo che alla fine ti fossi arreso e avessi capito da quale parte stare”
“Come le ho già detto molte volte, direttore, la Lazio è una fede, uno stile di vita, non si lascia solo perché le cose non vanno bene”
Contento tu, pensò Alessandro disinteressato.
“Ma allora, è tanto che non ci vediamo fuori dal lavoro … che racconti a Franceschino tuo?”
A differenza di Alessandro, Francesco si stava comportando – come sempre del resto – come nulla fosse. Alessandro faceva fatica a capire se si trattasse di una sorta di meccanismo di autodifesa, di autoconvincimento che per il vecchio compagno di università contasse ancora qualcosa oltre il suo lavoro di legale per la rivista, oppure se quello che gli aveva detto e il modo in cui aveva chiuso la loro amicizia ventennale per lui non contava un cazzo e tirava avanti per la sua strada.
“Ancora perso per la tua segretaria … come si chiamava … Malia, Magda …?!”
“Maya, si chiama, Maya … e non è la mia segretaria”
“Oddio scusami, sono stato indelicato … sei pure in compagnia…” disse, allusivo, come se quello che Maya per lui fosse solo un affaire da sottacere, Ma per Alex privato e segreto erano due cose ben diverse: non parlarne pubblicamente non era mai stata una scelta dettata dalla vergogna o dallo scandalo. “Non mi presenti?” domandò De Stefanis.
“Paolo Bianchi” si presentò da solo l’amico, immediatamente, stringendo la mano dell’avvocato “io e Alex ci conosciamo da una vita, siamo cresciuti insieme a Testaccio”
Alex studiò l’amico per un istante e vide che era perfettamente in controllo della situazione; sapeva precisamente cosa fare, citando Testaccio e rimarcando la vecchia data della loro amicizia. Francesco conosceva chiunque avesse qualche soldo e un minimo di importanza a Roma e forse al suo occhio Paolo aveva tutta l’aria di un pesce fuor d’acqua, la stessa che aveva Nicola durante le loro rimpatriate. Alex non ci faceva caso a quelle cose, ma uno come De Stefanis che viveva la sua vita come un parassita, costantemente nella speranza di sfruttare la luce riflessa di qualcun altro, a partire dalla carriera del padre, doveva aver capito che non era uno di loro. Ma Paolo, da furbo ragazzo di borgata, aveva giocato una carta migliore: lui era lì perché Alessandro, suo amico, lo aveva voluto lì, e quella era una credenziale sufficiente. 1-0 per Bianchi, palla al centro.
“Ma ho saputo che un altro genere congratulazioni è d’obbligo” Alessandro provò a sviare il discorso, attirando l’attenzione di Francesco; ricordava fin troppo bene quanto sapesse essere vendicativo ed era pur sempre un avvocato: la retorica e le invettive erano il suo pane quotidiano. Se avesse voluto, avrebbe incenerito e umiliato Paolo in un secondo e stava a lui evitarlo. “Non è così … papà?”
Un paio di settimane prima era comparsa sui social una foto in bianco e nero di Francesco che abbracciava una ragazza di un’età verosimilmente compresa tra i 18 e 25 anni, la quale sfoggiava un pancino arrotondato sotto una vestaglia trasparente. Alla fine era successo proprio quello che Alessandro aveva previsto: che per un incidente di percorso, per salvare la sua reputazione, sarebbe stato costretto a mettere la testa a posto. Se fosse stato immaturo come lui avrebbe gongolato di fronte a quella notizia, perché fino a poco tempo prima gli raccomandava di spassarsela e di trattare le donne come un piacere temporaneo, come se fossero oggetti, da cambiare appena ci si stufa.
“Che ti devo dire direttore … me so fregato co' le mani mia. Ti ricordi quando dicevo che te’nculano sempre con le SmartBox? Beh … le amiche je vanno a regala’ la Smart Box Notte Romantica per il compleanno, solo che nel pacchetto se so’ scordate i preservativi” spiegò, con la sua solita becera ironia che però non a lui non faceva più ridere “Ora m’aspettano come minimo 18 anni di mansioni usuranti, per altro non retribuite. C’è margine per una vertenza sindacale?” E lasciò andare ad una delle sue risate rozze e sfacciate, che non ricordava essere così sgradevoli. “Scherzi a parte, direttore” provò a recuperare, notando lo sguardo di disapprovazione di Alessandro, dandosi un tono “hai davanti a te un uomo nuovo. È una profonda lezione di coraggio”
Sì, lo era, ci voleva proprio coraggio ad accogliere una vita completamente dipendente da te, soprattutto in questi tempi bui e completamente folli. Alex si augurava, per quella creatura, che il suo vecchio amico lo capisse, ma non ci sperava troppo.
Degli uomini in cima alla gradinata che portava alla casina del circolo richiamarono l’avvocato, impedendogli di continuare la conversazione per la gioia di Alessandro e Paolo che poterono finalmente andare a fare un’agognata doccia e a proseguire la loro giornata tra amici.
“Aveva ragione il tuo amico…” esordì Paolo mentre sedevano al tavolo dopo essersi serviti al buffet.
“Non stare a sentirlo quello” troncò in fretta Alessandro “oggi non mi capacito di come abbiamo fatto ad essere amici per oltre vent’anni. Dovevo capirlo quando l’ho scelto come testimone di nozze che il mio matrimonio con Claudia non partiva con le migliori premesse”
Battute a parte, erano quanto di più diverso ci fosse sulla carta. Ma ad Alex di venticinque anni prima, uscito dal quartiere, catapultato tra la gente che contava e con sogni di gloria difficili da realizzare solo con le proprie forze, concentrato sul suo obiettivo di diventare qualcuno nell’editoria, poco interessava della gente che aveva intorno, purché soddisfacesse i suoi bisogni. E Francesco, con la villa all’Olgiata e lo studio da ereditare vicino a Villa Borghese era l’amico perfetto così come Claudia era la moglie ideale per il suo cursus honorum. Sprezzante e calcolatore per alcuni, a lui compiaceva di definirsi machiavellico. Per fortuna, però, si era svegliato, anche se con almeno una decina di anni di ritardo.
“Sì, ok, però sulla cosa della paternità aveva ragione. Cazzo se ci vuole coraggio…”
“A chi lo dici” confermò Alessandro, versando ad entrambi del vino. Poi, si fermò un’istante mentre riponeva la bottiglia nel cestello del ghiaccio: una lampadina si accese. “Mi devi dire qualcosa, Paole’?” domandò, guardandolo inquisitorio.
“Monica m’ammazza se te lo dico, non abbiamo ancora fatto la prima ecografia … oh cazzo!”
Alessandro rise sotto i baffi alla gaffe del compagno che, con la mano davanti alla bocca, aveva tutta l’aria di chi avrebbe volentieri ripreso quelle parole appena dette con le mani e rimetterle al loro posto, nella sua bocca. Prese allora il bicchiere e lo alzò in aria. “E tu infatti non mi hai detto niente, me lo direte quando vi sentirete pronti. Alla salute ragazzi!” proclamò, strizzando l’occhio, sagace.
“Grazie!” rispose l’amico, seguendolo nel veloce brindisi e buttando giù il vino in un sorso solo “avevo bisogno proprio di sputare questo rospone”
“Dai, sfogati, ti vedo nervosetto …”
“Non mi fraintendere, era da tanto che lo volevo … che lo volevamo, ma c’era sempre qualcosa che ci faceva rimandare e quando è arrivato il momento non arrivava” iniziò “ora però detto tra me e te me la sto facendo letteralmente addosso”
“Perché?”
“Come perché Alessa’? Le donne … loro sono fortunate, hanno 9 mesi per prepararsi, li sentono crescere, i calcetti … ma a noi un bel giorno di punto in bianco ce li mettono in braccio e buona fortuna, quando fino a poco prima tutto ciò che vediamo è un pancione e un video dell’ecografia.”
In pochissime parole Paolo aveva descritto esattamente come Alessandro aveva vissuto l’arrivo di Edoardo. Tutto preso dalla sua carriera, aveva ceduto alla richiesta di Claudia pigramente, convinto che ci sarebbe voluto più di qualche tentativo per avere un test positivo. In più quella gravidanza aveva cambiato Claudia. D’improvviso tutti i bei progetti di carriera non le interessavano più: date le dimissioni nello studio dove lavorava, era determinata a diventare madre e a fare di quello la sua principale vocazione. Ad Alex sembrò strano ma non obiettò visto che aveva accettato che lui continuasse a lavorare per Vi Menn: questo però significava dover fare la spola tra Oslo e Roma, dove Claudia aveva voluto a tutti i costi trascorrere la gravidanza, vicino alla sua famiglia, e così quel bambino gli era sembrato reale solo quando lo aveva tenuto per la prima volta tra le sue braccia.
“Lo so, ma sono sicuro che te la caverai alla grandissima” lo incoraggiò.
“Come fai a dirlo? Mamma è morta che ero un bambino, papà lavorava di notte e dormiva di giorno … sono cresciuto da solo, non ho esattamente dei modelli a cui ispirarmi”
“Innanzitutto, lascia perdere i modelli che i ragazzini di oggi non hanno proprio niente a che fare con noi. Giulia è molto più sgamata di me alla sua età, figuriamoci delle nostre compagne di scuola” disse Alessandro, ridacchiando orgoglioso. Al di là di quel linguaggio da ultra della curva sud che ogni tanto le veniva fuori a causa di cugini troppo più grandi e molto più irruenti di lei, era una bambina estremamente sveglia e precoce per la sua età, le maestre dell’asilo lo dicevano sempre che la scuola materna le stava stretta ed era impaziente di vedere cosa avrebbe combinato alle elementari. “E poi non è vero che sei cresciuto da solo” continuò “casa nostra e casa Rossi erano sempre aperte per te. Se proprio vuoi ispirarti a qualcuno, mia madre e la signora Elisabetta sono modelli perfetti”
“E tuo padre?”
“No, lui no, è un impiccione complottista di prima categoria”
“Complottista?” domandò Paolo, perplesso ma divertito.
​“Non nel senso che crede alle teorie complottiste, nel senso 
che i complotti  li fa. Ti ho detto che si è organizzato con Maya per far avere un regalo di compleanno a mia figlia? E l’ha fatta pure conoscere a mamma, ti rendi conto?” Paolo scoppiò a ridere, incredulo, eppure quella cosa era così da Cesare. Solo lui avrebbe potuto fare una cosa simile. “Lui dice che è stato un caso, ma non porti mia madre dalla signora Elisabetta sapendo che Maya abita lì di fianco”
“A proposito di Maya…” lo interruppe Paolo “non mi hai raccontato niente di Capalbio. Dopo che ce ne siamo andati tu sei rimasto …”
“Non cambiare argomento … stavamo parlando della tua imminente paternità” Alex cercava di evitare quel fosso in cui Paolo lo stava costringendo.
“Non è poi così imminente, abbiamo i prossimi 9 mesi per parlarne e tu manco dovresti sapere nulla ancora, quindi passiamo a cose più urgenti. Allora, com’è andata?”
Già, com’era andata? Se lo era chiesto anche lui durante il viaggio di ritorno quella notte e la conclusione che era riuscito a darsi, la più semplice e quella che soprattutto gli avrebbe risparmiato notti insonni e bruciori di stomaco era che tutto sommato era andata bene. Era partito senza sapere cosa aspettarsi da quella serata, consapevole che c’erano miriadi di possibilità da contemplare tra un calcio ai testicoli e una notte d’amore in una camera d’albergo e non poteva scartarne nessuna. Lui, che era un cervellotico calcolatore, aveva pensato a lungo a cosa dire durante il viaggio, ma una volta arrivato lì aveva dimenticato tutto, aveva dimenticato persino cosa ci era andato a fare lì: era per Giulia? Per impressionare Maya facendo quel favore a sua madre? O solo ed esclusivamente per sé stesso? Alla fine si era messo a condurre lui il gioco e lei nemmeno se ne era accorta, convinta di star guidando quella ideale partita, c’aveva flirtato ed era stato bello perché non era stata solo seduzione fisica, ma molto di più. Aveva ritrovato Maya nel suo lato più bello, quello dove era possibile parlarsi a cuore aperto senza neanche rendersene conto, quello del dirsi le cose timidamente ed un attimo dopo ridere di quello stesso impaccio. C’era mancato veramente poco che non cedesse ma forse era stato meglio per tutti e due, perché Maya non era ancora pronta e avrebbero fatto lo stesso errore di quando tutta quella storia era iniziata.
“Bene” concluse, conciso.
“Bene? Che me rappresenta bene? Bene non mi vuole più mettere le mani addosso per evirarmi quando mi vede o bene mi ha messo le mani addosso per...” si interruppe un attimo per guardarsi intorno – erano pur sempre in un club estremamente chic “… va beh m’hai capito, famo i signori”
“Nessuna delle due” disse Alex, scuotendo la testa e vergognandosi di essere arrossito come una scolaretta per quell’insinuazione “bene che m’ha lasciato un portone aperto, avevi ragione tu”
“Ooooh ci sei arrivato finalmente” Paolo spalancò le braccia, vittorioso ed estenuato “lo vedi che quei due neuroni con la laurea se ti ci metti d’impegno funzionano ancora come a noi comuni mortali?!”
“Solo che ha detto di avere bisogno di tempo”
“Stronzate!” commentò Paolo lapidario, mentre iniziava a lavorare sul suo piatto con coltello e forchetta “Cioè … non è una stronzata quella che ti ha detto, lei ci crede davvero, ma è una cazzata dettata dalla paura e sta a te convincerla del contrario. Altrimenti campa cavallo che l’erba cresce”
“E che dovrei fare, sentiamo?”
“Riconquistala, ma non come hai fatto finora, come un cane bastonato che implora perdono e riga dritto. Adesso devi ricordarle quanto era bello stare insieme, falle capire che le mancano le cose che facevate insieme, roba così…”
“Ti dovrei affidare una rubrica per cuori infranti, Paole’, sei incredibile … il dottor Stranamore , l’allenatore dei cuori
“Per carità, con Monica in piena tempesta ormonale mi manca solo quello” dichiarò, scoppiando a ridere insieme al suo amico.
Paolo però aveva ragione, quella sera a Capalbio si erano ritrovati precisamente perché avevano ricordato quei giorni, i sogni e i piani per la bella stagione che non erano stati in grado di realizzare. Tutto era andato distrutto perché la vita si era infranta su di loro come un’onda su un castello di sabbia e ma l’idea, la sostanza e la voglia di ricostruire c’era in entrambi, bisognava solo trovare il coraggio di ricominciare.

 
Spero possiate perdonare il leggero ritardo nella pubblicazione, ma con il lavoro non ero nemmeno sicura di riuscirci. Ad ogni modo questo capitolo è più leggero: ritroviamo una vecchia conoscenza e vediamo che fine ha fatto rispetto all'ultima volta che lo avevamo visto. Chi la fa l'aspetti è il caso di dire...
Poi abbiamo un momento tra uomini che serve a chiarire meglio le idee ad Alessandro che, si spera, ora avrà le idee più chiare. Ma anche Paolo aveva decisamente bisogno di un incoraggiamento. Io li trovo tanto carini insieme come amici, molto meglio di quel grezzone dell'avvocato, non trovate?
Appuntamento a martedì prossimo,
Fred ^_^

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


 
 
 
 
 
 Capitolo 28



 
A Roma, d’estate, non c’è tanta scelta: il caldo arriva, implacabile e non puoi fare niente se non subirlo. L’unica alternativa è barricarsi in casa con l’aria condizionata, ma arriverà sempre quel momento in cui dovrai mettere la testa fuori e affrontare l’afa. E quindi è meglio armarsi di coraggio e vivere il meglio che la città sa offrire nelle serate in cui la calura scende e le mura, roventi di giorno, iniziano a disperdere il calore accumulato. Al calar del sole ci si veste leggeri e si esce, ci si siede ad un tavolino e si sta fuori in qualche piazza con una bevanda tutta ghiaccio tra le mani finché la stanchezza non ha la meglio.
In passato per Maya avrebbe significato passare di dehors in dehors nei locali più alla moda di Ponte Milvio e zone limitrofe, tra alcol, musica e pettegolezzi stantii che si ripetevano sera dopo sera, sempre uguali. Ma quell’estate per Maya era tutta da reinventare: quartiere nuovo, amicizie nuove. Viveva a Testaccio e non aveva ancora sperimentato tutti i locali della zona e dei quartieri vicino e certo nella sua situazione attuale era meglio non strafare ma ad una cosa non avrebbe rinunciato: una serata di cinema all’aperto tra amiche.
In piazza San Cosimato, a Trastevere, nel cuore del quartiere più romano di Roma – checché ne dicesse Alex – ma lontano dagli itinerari turistici, ogni estate si riversavano gli amanti del cinema per serate all’insegna del buon cinema e della cultura, con tanto di incontri con star e registi, nostrani ed internazionali. Ne aveva sempre sentito parlare in redazione da quelli della sezione Cinema, inviati regolarmente a raccontare le serate e ad intervistarne i protagonisti. Lei però non ci era mai stata: troppo lontana dai suoi standard l’idea di stare seduti per terra o al massimo su sedie da campeggio portate da casa vicino a sconosciuti sudati, rumorosi e, se girava male, pure maleodoranti.
Ma quella Maya era stata messa in un cassetto di cui era stata buttata via la chiave e quella nuova aveva deciso di abbandonare ogni pregiudizio e provare ad abbattere ogni fobia che ancora le era rimasta.
Ogni angolo della piazza era esaurito: Maya aveva sentito dire da qualcuno dell’organizzazione che le sedie previste avevano iniziato ad essere occupate due ore prima della proiezione e quindi chi arrivava all’ultimo minuto aveva tirato fuori teli da mare, cartoni, qualcun’altro si era accontentato dello zaino e poi decine di sedie portate via dal balcone o dalla cucina di casa. Qualcuno addirittura approfittava dell’attesa per cenare, l’odore di vassoi pieni pizza aleggiava nella piazza, anche le bottiglie di birra venivano stappate con strumenti di fortuna. C’erano i locals, i trasteverini, qualche turista, e pure qualche romano in trasferta, che pur di assistere a quello spettacolo sotto al cielo stellato ha attraversato la città, lei stessa ne aveva riconosciuti un paio. Era pur sempre cinema d’essai e andare a Trastevere, così come al Pigneto, era una di quelle cose che venivano considerate come uno scambio culturale e facevano intellettuale per quelli di Roma Nord.
Faceva caldo a San Cosimato quella sera, ma era un caldo diverso: era il calore del rione che, come ogni anno, si trasformava in un salotto a cielo aperto e accoglieva fisicamente chiunque, anche solo di passaggio, volesse farsi rapire dal cinema anche solo per cinque minuti.
Anche Maya, Olivia ed Alice erano rimaste senza sedia ma Alice, da anni frequentatrice dell’evento, non si era fatta trovare impreparata. Dalla sua tote bag aveva tirato fuori una coperta da pic nic, degli snack e un thermos con il tè freddo. Non sarebbero bastati per tutta la sera, ma era il gesto che contava. Maya e Olivia, due novelline della serata, era rimaste senza parole.
“È tutto bellissimo qui, possibile che non ci sia mai venuto in mente di venirci prima d’ora?” domandò Olivia a Maya “devo venire con Max alla prossima proiezione, sono sicura che per una volta riuscirei a non farlo brontolare”
L’amica le ricordò che la ragione principale per cui non conoscevano l’esistenza di quelle serate di cinema all’aperto era molto semplice: avevano una compagnia di merda, la cui massima aspirazione culturale erano gli after party del Festival del Cinema. “E comunque” riprese Maya “che ce frega di quella gente lì, io sono venuta per stare con le mie amiche, sono andata avanti e sto benissimo”
“Bravissima, così si fa” la applaudì Alice “changing subject, abbiamo preso una bella tintarella, eh Maya, alla fine ce l’hai fatta a farti prendere l’ombrellone in spiaggia a Capalbio da tua madre”
Prima di partire, andava blaterando che l’unico modo che sua madre aveva per convincerla ad andare a darle una mano con la mostra per una settimana intera, mentre i suoi fratelli sarebbero tornati a Roma dopo l’inaugurazione, era un ombrellone in prima fila all’Ultima Spiaggia per abbronzarsi almeno un po’; tuttavia con il suo pallore nobiliare congenito, come lo chiamava sua nonna, l’abbronzatura si traduceva in un vago rossore e lentiggini sul naso e sulle guance, ma rispetto al colorito da statuina di porcellana di Capodimonte, era un notevole miglioramento.
“Oh senti!” protestò Maya, senza impegnarsi troppo a nascondere un sorriso ironico “sarò anche meno stronza e più proletaria, ma se c’è una cosa che non è cambiata è che Maya Alberici non lavora per la gloria e in qualche modo mi dovevano ripagare. Mi sono fatta una settimana intera con la principessa Torlonia, non so se mi spiego”
“Seh … bonanotte…”
“Che c’è?” contestò Maya.
“Adesso si chiama abbronzatura … c’è un altro motivo per cui la nostra amica sembra il ritratto della salute” suggerì Olivia, allusiva.
“E sarebbe a dire?” domandò Alice, ovviamente incuriosita da quella pulce che Olivia le aveva messo nell’orecchio.
“Perché non glielo dici tu, Maya?!”
“Non c’è proprio niente da dire…”
“Seh… ciao core! Se non era per me la signorina Alberici qui presente si sarebbe paccata il tuo capo senza tanti complimenti addossata alle mura della rocca di Capalbio”
“Veramente?” Alice chiuse immediatamente il telefono che aveva tra le mani e lo ripose nella borsa, prestando la sua totale attenzione a quell’argomento di conversazione.
“Non è vero! Stavamo semplicemente parlando” minimizzò Maya, pur in evidente difficoltà.
​“Sì, con lui che ti fa il baciamano e tu che mi dici quella cosa
, come no …”
“Beh quello a casa mia non si chiama paccare” liquidò la questione Maya “Alex è un signore, e mi rispetta”
“Ok ma cosa ti ha detto, Olivia, non puoi gettare la pietra e nascondere la mano così!!!” protestò Alice, che sembrava in piena trance agonista o impegnata a vedere il finale di una serie tv, in attesa del lieto fine tra i protagonisti.
“Che se lo sposa, ecco cosa mi ha detto” chiosò Olivia, orgogliosissima di quello scoop. Che Maya fosse a disagio, spalle al muro, 1 contro 2, alle due amiche non importava minimamente in quel momento. Loro avevano preso la loro missione di shipper, consapevoli o meno della cosa, in maniera tremendamente seria, e poco importava che fino ad una settimana prima se avessero visto Alex a piedi per strada lo avrebbero tirato sotto molto volentieri.
“Ma quella era una cosa detta così per dire, va vista nel contesto …”
“Ah si? E quale contesto ti fa pensare alle nozze se non uno estremamente romantico?” rimbeccò l’amica di sempre.
“Sembrate Elizabeth Bennet e Mr Darcy, Maya, che cosa bellissima!” squittì l’ex collega, rapita dalla storia che le stavano raccontando e dai film che stava girando nella sua mente “i miei Albelli ci stanno riprovando!!!”
“I tuoi che?” chiese Olivia.
“I suoi niente … non ti azzardare a ripetere un’altra volta quella parola” la minacciò la diretta interessata. Non l’aveva mai incoraggiata, ma nemmeno attivamente osteggiata nell’usare quel soprannome atroce, ma aveva sperato che fosse caduto nel dimenticatoio. Mai riporre troppa fiducia nella sanità mentale e nella serietà di Alice in quei frangenti.
“E quindi adesso che succede?” domandò la ragazza.
“Assolutamente niente” rispose Maya, lapidaria “gli ho chiesto di darmi del tempo …”
“Per farci che?”
“Per fidarmi di nuovo di lui principalmente. Mi ha fatto troppo male”
“Per quanto mi riguarda quando succede una cosa del genere puoi aspettare anche 10 anni e avere sempre il terrore di non poterti fidare ancora. Tu puoi solo provarci e scoprire se hai fatto bene o meno, perché non si manifesterà mai magicamente un cartello che ti dice BUTTATI CHE È MORBIDO” “Olivia ha ragione, Maya. E poi la vita è una, le cose belle non cadono dal cielo, te le devi prendere da sola. E se pensi che Alex sia una di queste, vai!”
Maya avrebbe voluto rispondere che forse l’attrazione che provava per lui era solo per via dei ricordi belli che aveva di lui e dei loro giorni insieme, perché per quanto breve la loro relazione era stata una delle esperienze più assurde e incredibili della sua vita. Non si era mai sentita così, prima di allora. Ma proprio in quel momento le luci si spensero nella piazza e la proiezione cominciò, facendo calare il silenzio sulla folla.
 
Il film era stato piacevole tutto sommato, era una pellicola messicana del 2001 ma niente di troppo impegnativo, una sorta di storia adolescenziale on the road, di quelle dove tutto è sesso droga e rock and roll fin quando si scopre che questi non ce la fanno a nascondere o lenire totalmente il dolore e i drammi che ci si porta dentro. Oh almeno quello era stato l’argomento di conversazione tra Olivia e Alice mentre andavano a prendere l’auto di Olivia in un parcheggio privato della zona. Sì perché Maya era stata tutta la sera a pensare a quello che le sue amiche le avevano detto a proposito di Alex e del tornare a fidarsi. Da un lato aveva senso il loro ragionamento, dall’altro perché rischiare di farsi male ancora, magari irrimediabilmente? Chi glielo faceva fare? Beh sì, c’era una cosa chiamata batticuore e un’altra chiamata “stare bene quando si sta insieme”, ma valeva davvero la pena rischiare? Magari poteva provare ad iscriversi ad una palestra, oppure andare ad uno di quegli eventi per single tipo degustazioni o robe simili, conoscere qualcuno e scoprire che Alex era solo un’ossessione perché avevano chiuso male e troppo in fretta un flirt fugace. Ma alla fine era arrivata alla conclusione che ogni lasciata è persa e lei magari faceva parte di quel numero esiguo di persone a cui dice culo nella vita, lui ha davvero capito cosa aveva sbagliato con lei e tutto sarebbe andato per il verso giusto. Troppi pensieri, ho bisogno di un’aspirina!!!
“Comunque Olli, davvero, prendo la metro al Colosseo, non c’è bisogno che vieni fino a Piazza Bologna” protestò Alice mentre salivano in auto, ma andare con i mezzi di notte da sole era qualcosa di inconcepibile per Olivia e Maya, che faticavano persino a prenderli di giorno. L’idea di starsene nei corridoi della metro di notte, silenziosi e vuoti, metteva loro addosso un senso d’ansia e innescava un certo spirito di sopravvivenza. E poi Nomentano è praticamente di strada, aveva tagliato corto Olivia. No, comunque la si guardava non lo era per niente da Rione Monti, ma glielo aveva detto in un modo che sembrava quasi una minaccia e ad Alice non restò che ringraziarla per la gentilezza.
“Tornando a quello che mi hai detto prima che iniziasse il film…” esordì Maya, in auto, prendendo coraggio “mi sa che mi puoi aiutare”
“Di cosa stavamo parlan-...Alex?” domandò Alice, stupita “io posso aiutarti con Alex?” Nella voce della ragazza c’era un misto tra confusione ed eccitazione, come se non credesse alle sue orecchie, ma allo stesso tempo fosse qualcosa in cui sperava da tanto.
“Sì perché se prima Olivia mi avesse fatto finire anziché iniziare con le sue teorie bacate”
“Non erano teorie bacate” rimbottò la giovane donna, ferma all’uscita dell’autorimessa, in attesa che passassero un paio d’auto e avesse la strada libera “ma va beh … vai avanti”
“Beh insomma vi avrei detto che lui in realtà mi ha invitata ad andare in ufficio da lui per parlare di lavoro. Vuole farmi una proposta”
“Che genere di proposta?” chiese Alice, sporgendosi dal sedile posteriore per essere nel vivo della conversazione tra le due amiche.  
“Non ne ho idea, non ha voluto anticiparmi nulla”
“E tu ora vuoi accettare?” Olivia aveva un tono naturalmente impetuoso nel parlare che spesso la gente scambiava per maleducazione e prepotenza, ma quella volta anche Maya, che ci era abituata, si era sentita minacciata da quello che aveva tutta l’aria di rimprovero.
“No Olli, voglio solo sentire cosa ha da dirmi”
“Non mi piace questa cosa Maya, mi dispiace” ammise, severa “Non eri tu quella che diceva di aver fatto una cazzata e che non bisogna mischiare il lavoro con l’amore? Io ti supporto con Alex, perché vi ho visti insieme”
“Li hai visti insieme? Dio che invidia!”
“Vi ho visti insieme” continuò Olivia, come se Alice non avesse detto nulla e ad interromperla fosse stata solo una mosca fastidiosa “e penso che avete ancora qualcosa, anzi no … avete ancora tanto, da dire. Ma ognuno deve andare per la sua strada. Già la vostra non è una situazione ortodossa, lavorare insieme significa non staccare mai nel bene, ma anche nel male”
“Parli come se le cose si fossero già sistemate, ma non è così. Io voglio solo ascoltare la sua proposta, capire se mi può interessare e poi valuterò anche tenendo conto di quello che hai detto, perché non credere che non ci abbia pensato.”
Olivia aveva ragione su tutta la linea riguardo al lavoro, e non poteva dire di non averci pensato lei stessa. Durante il viaggio in treno dalla Toscana si era messa le cuffie e calato gli occhiali da sole apposta per pensare a tutto quello che era successo, come non aveva potuto fare in quei giorni con la madre sempre intorno, sempre accelerata. E quando era arrivata alla proposta di Alessandro, oltre a mille ipotesi su cosa potesse essere, si era anche chiesta se fosse il caso o meno anche solo di rimettere piede in quel posto; ci aveva guadagnato in salute a stare lontana da quel covo di vipere un solo mese, ma non era quello il punto: potevano ancora lavorare insieme? Erano stati bravi a rimanere professionali, finché era durata e anche dopo, ma allo stesso tempo sapeva che non erano mai stati bravi a mettere i paletti, che duravano il tempo di dirsi vabbè ma che ce frega. In più Alex era straordinariamente bravo a prendersi un braccio quando qualcuno offriva una mano e, se lo conosceva un po’ – e sapeva di conoscerlo ben più di un po’ – avrebbe fatto di tutto per rosicchiare del tempo da quello che lei gli aveva chiesto per provare a rimettere le cose a posto.
“E sarà anche un’occasione per sondare meglio le sue intenzioni. L’atmosfera soffusa, i drink … di certo non è stata una serata normale” concesse e prova ne era stato il mal di testa del mattino successivo. “Perciò Alice, per favore. Ho bisogno che mi fissi un appuntamento con Alex.”
“Non ti preoccupare, lascia fare a me. Con Fabio ci parlo io”
In realtà, le aveva chiesto un appuntamento, non l’udienza dal papa, ma per Alice non c’era differenza. Nel suo sguardo, alla luce dei lampioni che scorrevano per strada, l’entusiasmo di star organizzando un incontro cruciale che aveva tutta l’aria di poter cambiare le sorti del mondo. Beh, di sicuro, aveva il potenziale di cambiare la vita di Maya, ancora una volta.
 
 
Il giorno dopo l’uscita tra amiche Alice aveva chiamato Maya nel pomeriggio per dirle che Alex l’avrebbe ricevuta esattamente una settimana dopo, di venerdì. Poi era arrivata una seconda chiamata, il giorno seguente, e l’appuntamento era stato anticipato al martedì (stando ad Alice, Alex era andato su tutte le furie con Fabio perché non era riuscito a trovare un buco prima e lei aveva aiutato il ragazzo a rivedere tutta l’agenda per far saltare fuori uno spazio inesistente): da quel momento Maya era stata sul punto di annullare quell’appuntamento almeno una volta al giorno, pensando ad una scusa plausibile per defilarsi. La macchina che non parte improvvisamente – no, ci sono i mezzi pubblici – un virus intestinale, una storta – sì, e poi quello come minimo ti si presenta a casa in stile crocerossino per accertarsi che stai bene… purtroppo fare la codarda non serviva a nulla, bisognava armarsi di coraggio e affrontare la realtà: e cioè che in un modo o nell’altro quell’uomo riusciva clamorosamente a fare sempre parte della sua vita e lei non riusciva ad escluderlo – non che si sforzasse, in fin dei conti.
La sera prima dell’incontro, mentre era in terrazza a raccogliere il bucato le arrivò un suo messaggio. L’ultimo, ancora lì, nella chat che non aveva avuto il coraggio di aprire da allora, gliel’aveva mandato la mattina del loro ultimo giorno, mentre lui preparava le valigie, lei era al lavoro e si illudeva davvero che avrebbero passato una bella serata insieme prima della sua partenza. Se fosse stata più vicina al parapetto probabilmente il telefono avrebbe fatto un volo di cinque piani: le era preso un colpo nel leggere il nome, anche se avrebbe dovuto aspettarsela una cosa del genere da lui. Come al solito non brillava di fantasia o poesia, era un semplice ci vediamo domani, senza faccine, senza punti esclamativi, ma il fatto che ci stesse pensando, che stesse pensando a lei in quel momento, riportò Maya indietro di 7 mesi all’incirca, quando su quel terrazzo stava guardando i fuochi d’artificio per il capodanno. Certo quando si dice le coincidenze. E allora i dubbi la assalirono di nuovo: come si sarebbe dovuta presentare? Il guardaroba non c’entrava, per quello andava col pilota automatico, ma era tutto il contorno ad essere nebuloso. C’era già stata in quello studio, ogni giorno negli ultimi 5 anni, conosceva a menadito ogni angolo di quella redazione, poteva quasi andare in giro ad occhi chiusi che non avrebbe sbattuto a nessun muro e nessun vetro ma aveva scelto di abbandonare la barca volontariamente e questo, sebbene quello fosse un covo di vipere in cui, a esclusione di Alice, nessuno aveva pianto le sue dimissioni, di sicuro era stato oggetto di conversazione vista l’avventura editoriale appena prima di lasciare la rivista. E poi c’era stata la scappatella a Capalbio da parte di Alessandro e di sicuro la parentela non sarà passata inosservata ai più svegli. No, ok, basta. Io non ci vado …
Ma come un tarlo un pensiero continuava a tormentarla: lui aveva avuto un’idea per lei e in cambio non pretendeva nulla, se non l’ascolto. E lei lo sapeva fin troppo bene che le sue idee funzionavano sempre, immancabilmente, e poteva essere un’opportunità da cogliere al volo. E così, senza rispondere a quel messaggio perché, sì, lei era una fifona, aveva riposto i panni da stirare nell’armadio della cameretta vuota e se ne andò a dormire, o almeno provandoci, combattendo contro il suo cervello che, invece di andare in stand by per farle affrontare quella giornata serenamente, le riproponeva dei flash del suo primo colloquio con Alessandro. 
Già … il loro primo incontro, quasi 6 anni prima. Se lo ricordava bene quel giorno e le veniva quasi da ridere ripensandoci. Perché oggi Maya, a quella giovane adulta, dal corpo di donna ma dalla testa poco più che adolescente nonostante la laurea fresca di stampa, avrebbe tirato due schiaffi e le avrebbe detto cresci cretina! Quell’aria di superiorità con cui andava in giro ce l’aveva addosso anche quella mattina quando si era presentata al desk di Roma Glam per la prima volta, come se fosse lei a fare un favore a loro e non il contrario. E poi la vecchia receptionist l’aveva fatta accomodare nello studio di Alessandro, dove non c’era ancora la scrivania di cristallo e alle finestre invece c’erano delle orribili veneziane. Lui era arrivato in fretta da una riunione, in ritardo e scazzato, e a pensarci col senno di poi probabilmente aveva affrontato Nardi, perché solo con lui Alessandro poteva uscire distrutto da una riunione, e l’aveva ridimensionata in men che non si dica.
“Curriculum ineccepibile ma se vuole lavorare qui testa bassa e trottare, non siamo qui per fare sfilate di moda e selfie degli outfit” l’aveva freddata immediatamente per essersi vestita come fossero alla Fashion Week, nonostante fosse convinta che lui neanche l’avesse degnata di uno sguardo entrando nello studio.
“Non ci crederà ma in quanto donna sono anche multitasking” gli aveva risposto, indispettita –
nessuno doveva dire una parola sul suo outfit. Nessuno. - “io su questi tacchi a spillo ci so anche correre” Quel commento acido e irrisorio le sarebbe costato il posto, ma non le fregava più di tanto: anche se a lei lavorare serviva a discapito dell’immagine patinata che offriva al di fuori, avrebbe preferito fare la fame piuttosto che stare in un posto dove non la apprezzavano. Eppure, incredibilmente, quel suo più grande difetto, la sua lingua lunga, quel posto da assistente personale glielo aveva fatto guadagnare: il sorriso sotto i baffi di Alessandro a quella sua stilettata, che per orgoglio e compostezza aveva tentato di nascondere dietro un pugno corso davanti alle labbra, poteva vederlo davanti ai suoi occhi come fosse accaduto ieri. Anche lui, proprio come lei, era un altro uomo: capelli leggermente più lunghi, la barba completamente rasata, ma nella sua memoria era più maturo – e per maturo intendeva vecchio - di quanto non fosse in realtà; quando a casa le avevano chiesto com’era, lei aveva risposto che era un bell’uomo scrollando le spalle, nulla di più, nulla di appetibile. Gli occhi non le erano passati inosservati, né tantomeno le mani, ma lei aveva 25 anni e nella sua testa un uomo di 40, per di più sposato e con figli, era praticamente un pensionato, totalmente fuori dal suo raggio di azione. Ah, ingenua…
 
“Fa più caldo del solito, qui, vé?” domandò Maya ad Alice, appoggiata al desk della reception. Non era caldo, semplicemente non era freddo come era di solito d’estate in quegli uffici, tanto da essere costretta ad avere sempre un blazer o una giacchina addosso anche a luglio.
“Nuova politica aziendale. Abbiamo avuto la svolta green” dichiarò Alice, alzando gli occhi al cielo “indovina chi dobbiamo ringraziare?”
“Elena o Lisa?”
“Elena, quella simpaticona. La compagna si è trasferita in Svezia e lei è entrata nella sua Greta Thunberg Era … e Alex le è andato appresso ovviamente … du palle! Cioè non che non dobbiamo fare attenzione, ma ha fatto persino togliere i vecchi distributori automatici e ha dichiarato guerra alla plastica”
“Meno male che ho la mia borraccia in borsa, allora” ironizzò Maya.
“No, meno male che a fine mese si trasferisce a Stoccolma anche lei e ci sarà una stronza in meno in questo posto”
“Deo gratias!”
Forse i pianeti si stavano allineando per far sì che quel ritorno non fosse poi una cattiva idea.
“Ecco a te” disse, passando a Maya un cartellino con la scritta visitatore da appendere al collo.
“Seriamente? C’è davvero bisogno?”
“Maya, non faccio io le regole … e lo sai com’è Alex …” Sì, lo sapeva, una guardia svizzera fuori dalle mura vaticane, per il quale non valevano solo le regole, ma pure tutta quella zona grigia di contorno che di solito è lasciata alla libera interpretazione del singolo con lui era o bianca o nera. Con Alex non esistevano secondo me. Sì era sì, no era no. Puro e semplice, in teoria, ma cozzava con la mentalità dei colleghi che erano abituati a Roma e alla sua gestione alla carlona.
“Va beh” si arrese, prendendo il badge ma senza metterlo al collo, poggiandolo sulla giacca carta da zucchero in pandant con i pantaloni che aveva scelto in previsione di temperature polari. Ora, invece, sperava che il suo deodorante avrebbe salvato la camicetta bianca con le maniche a palloncino dalla traspirazione eccessiva. Alice nel frattempo, era al telefono con Fabio per comunicare ad Alex il suo arrivo. “Ok … va benissimo, grazie” rispose, chiudendo la telefonata, ma con una voce più acuta del solito. Maya guardò l’amica di sottecchi: si era persino aggiustata i capelli dietro l’orecchio con fare imbarazzato e civettuolo mentre parlava. “Fabio ha detto di aspettare qui, Alex e Stefano ancora sono in videoconferenza con Tokyo … che c’è?”
“Mi è venuto un dubbio … spero di sbagliarmi”
“A proposito di cosa?” A proposito del fatto che, probabilmente, ad Alice piaceva l’assistente di Alessandro, un ragazzino appena uscito dall’università. No comment.
“Lasciamo stare, per ora. Oggi non è il caso, ma io e te dobbiamo fare un discorsetto”
“Sono qui, non ho niente da nascondere … io” la provocò Alice, facendole l’occhiolino. Voleva bene a Maya e proprio per questo non le aveva mai perdonato di aver ammesso di Alex solo a cose concluse.
“Accomodati pure, io ho alcune cose da sbrigare” le disse Alice, professionale, vedendo entrare il corriere con alcuni pacchi.
Maya si accomodò nel salottino dell’angolo d’attesa. Pur trovandosi in una zona interna dell’edificio, Alex aveva disposto che si ricreasse una illuminazione naturale, le sedute erano comode e pratiche, ma nelle forme strizzavano l’occhio al design, perché quel posto doveva gridare innovazione e al passo coi tempi da tutti i pori. Davanti a lei, sul tavolino, facevano bella mostra dei numeri più che esclusivi di Roma Glam, una delle tante manie di Alessandro. La rivista, infatti, era esclusivamente online e gli abbonati ne ricevevano, oltre ai contenuti esclusivi sul sito, una versione in pdf scaricabile. Ma gli ospiti che aspettavano di essere ricevuti dovevano toccare con mano quello che la rivista aveva realizzato nei suoi 10 anni di esistenza. In diversi – in realtà sempre i soliti – storcevano il naso a questi modi un po’ romantici e compassati di gestire le public relations da parte di Alessandro, ma con lui alla fine parlavano fatti e numeri e tutti dovevano abbassare la testa.
In uno di quei giornali, pensò, sfogliandone distrattamente uno a caso, c’era anche il suo nome. E forse sarebbe stato in qualcuno di più se, come al solito, non si fosse fatta prendere dalla paura.
“Ah … sei arrivata” una voce maschile richiamò la sua attenzione, ma non era Alessandro. Era Stefano, il vicedirettore. Completo blu, camicia bianca senza cravatta con un bottone di troppo sbottonato. Di primo acchito a Maya venne da pensare che le sembrava più vecchio di quanto ricordasse: i capelli erano quasi totalmente bianchi e la stempiatura si era fatta più pronunciata; del resto, quando vedi una persona tutti i giorni per anni, fai fatica a notare i cambiamenti, dopo quasi due mesi invece è come se un velo cadesse dagli occhi.
L’uomo, qualunque cosa il direttore avesse in mente, era stato avvertito del suo arrivo e di quello che aveva in mente per lei. Ma da quella breve frase era chiaro che disapprovava l’iniziativa del capo. Cominciamo bene …
“Aspetta che divento azionista, poi vediamo se la mia opinione qua dentro conta ancora come il due di coppe a briscola quando comanda bastoni” commentò, sprezzante. Ma cos’era? In un mese o poco più che se ne era andata era andato tutto in malora? Uno non può distrarsi un attimo che cambia tutto? Cos’era questa storia degli azionisti?
“La tua opinione è un’opinione, tu sei libero di darle voce, io sono libero di decidere se seguirla o meno” lo riprese Alessandro, alle loro spalle, appoggiato alla parete del corridoio che portava al suo ufficio. “Buongiorno, Maya. Ben arrivata”
Era serio, le braccia conserte e uno sguardo scuro nei confronti del suo vice. “Vieni pure” le disse, facendo cenno di seguirla. Quando il suo sguardo si posò su di lei, Maya sentì le sue guance avvampare. Il suo umore era cambiato totalmente: forse lo vedeva solo lei, anzi ne era quasi sicura, ma percepiva il dispiacere nel vedere che le brutte abitudini di quel posto non erano cambiate nonostante i suoi sforzi.
“Ma perché te lo tieni? Possibile che non ci sia nessuno meglio di lui per fare il vicedirettore?” eccallà, quel maledetto vizio di dire esattamente quello che pensava così come le veniva in mente di fronte ad Alessandro, senza mezzi termini. Non era una novità, lo aveva sempre fatto, fin dal colloquio e talvolta si tratteneva solo perché lui a fulminava con lo sguardo o la riprendeva con semplice Maya! assestato come alla maniera giusta, facendole raggelare il sangue. “Scusa, parlo sempre troppo ad alta voce”
“No tranquilla … tu puoi …” le disse, sorridendo pacatamente “che ti devo dire, perché essendo un giornalista vecchia scuola ha tanti contro ma pure dei pro pesantissimi. Sa cosa significa scrivere, come scrivere e cercare le notizie che contano, sia per noi che per i nostri lettori. E poi perché se non puoi batterli unisciti a loro, più o meno … è qui da troppo tempo, conosce troppo bene le nostre dinamiche ed estrometterlo darebbe vantaggio alla concorrenza che farebbe carte false per averlo”
“Ma nel frattempo ha sempre quest’aria polemica” disse Maya, sedendo ad una delle sedie di fronte alla scrivania.
“No, non sempre. Non gli va giù di non avere potere decisionale, ma non lo avrebbe da nessun’altra parte, quindi non gli conviene nemmeno andarsene” Però provava fargli le scarpe ogni tre per due, quello non poteva negarlo, nonostante Alessandro non fosse tipo da farsi mettere i piedi in testa da nessuno.
Dietro di loro, Fabio stava fermo alla porta, con un braccio sospeso per aria, titubante se bussare o meno. Alla fine, si schiarì la voce timidamente. Maya sussultò, non si era accorta di lui; l’idea che il ragazzo li avesse visti in una conversazione così alla mano quando, nella settimana di apprendistato, i rapporti con Alessandro erano a dir poco glaciali la metteva a disagio: chissà cosa frullava nella sua testa, sotto quella chioma biondo platino.
“Posso portare qualcosa?”
“Maya?”
“Un bicchiere d’acqua andrà benissimo …” erano poco meno di 60 secondi che era entrata nell’ufficio di Alessandro e già aveva la salivazione azzerata. Non sapeva quanto si sarebbe protratto quel colloquio, ma le premesse non erano particolarmente incoraggianti.
“Un bicchiere d’acqua? Ma non se ne parla … cos’era quella bevanda che ordinavi sempre d’estate? Una crema di caffè?”
“Ehm no, caffè con ghiaccio e latte di mandorla. Lo fanno al bar qui di fronte” disse, imbarazzata. Era un piccolo vizio che si concedeva in pausa caffè, con il barista che saliva apposta per lei in redazione anziché scendere a prenderselo di persona e il resto della redazione che la guardava in cagnesco. Le costava un po’ di più, ma le piaceva farli rosicare e prendersi una piccola rivincita. L’ultima cosa che avrebbe mai immaginato era che lui ricordasse una cosa del genere, in un momento in cui per lui non rappresentava nulla e il loro rapporto era esclusivamente professionale.
“Ecco sì, me ne era venuta voglia ma non sapevo dove lo prendessi. Ne ordini due Fabio, grazie.”
Mentre il ragazzo, in disparte nell’anticamera, chiamava il bar con fare irrequieto – doveva essere così di carattere, perché non era possibile andare nel panico per un ordine al bar, Alex invitò Maya a sedere su una delle poltrone della piccola area lounge dell’ufficio. Lei declinò: si contavano sulle dita di una mano le volte che si era seduta lì, sempre con grande imbarazzo; il salottino di design, con una pianta d’orchidea sempre nuova sul tavolo perché non c’era un singolo impiegato che avesse il pollice verde a sufficienza per tenerla in vita dopo la fioritura, era il luogo dove sedevano gli ospiti importanti, quelli con cui stringere le mani e firmare contratti, non per le ex assistenti-barra-ex fidanzate a cui fare proposte di lavoro.
“Lì ci siede gente importante” disse, ma non era solo per quello e lo sapevano tutti e due.
“Tu sei importante Maya, non diciamo eresie” Alex, così non aiuti, però, e che cazzo!  
“Ah sì, e come lo spieghiamo se qualcuno dovesse entrare?”
“Spiegare cosa? Che stiamo seduti uno di fronte all’altro parlando di lavoro? Certo che detto tra noi ti fai certe pippe a volte…”
Maya non poté fare a meno di ridere perché era vero: faceva la tenace e coraggiosa per le cose importanti e poi andava nel panico per le cazzate. “Se solo non fossi l’ultima a sapere le cose mi farei meno film mentali” decretò critica, ma sorridendogli beffarda. Con lei Alessandro faticava a capire dove finiva la serietà e dove iniziava il gioco e quel dilemma continuo, quel perenne contrasto lo mandavano fuori di testa e lo ammaliavano allo stesso tempo. Lo sapevano entrambi perché lei avrebbe preferito la sedia, ma erano adulti e non così disperati da non riuscire a tenere le mani a posto.
Maya avrebbe dovuto sapere, del resto, che Alessandro si trasformava 
quando lavorava, diventando completamente un’altra persona: poker face da manuale e il lavoro diventava, d’improvviso, la sua unica ragione di vita. Come poteva pensare che le sarebbe saltato addosso su un divano in quel momento se, quando si erano appena messi insieme, riusciva a far credere a chiunque che quasi non la degnasse di uno sguardo quando era in modalità ufficio, al punto che a volte ci cascava pure lei? In realtà aveva terrore di rispondere a quella sua stessa domanda retorica, perché quel piccolo bastardello del suo cervello le suggeriva che in realtà era lei a sperarci, a fantasticarci su, come un’adolescente in piena fase 365 Days.
Lei, non lui. Lui era impegnato, dopo che Fabio ebbe portato quei favolosi caffè freddi, a discutere di report sull’engagement, traffico internet, visualizzazioni, target, tutte robe di cui lei capiva poco e le interessava ancora meno, ma comprendeva il suo punto di vista: oltre che la sua creatura e la sua passione, Roma Glam era un lavoro, un investimento e la fonte di guadagno che faceva portare a casa uno stipendio a non meno di 50 persone tra giornalisti, fotografi, collaboratori esterni e personale tecnico e amministrativo.
“Quindi fammi capire” lo fermò di fronte all’ennesimo grafico che le mostrava dallo schermo del pc sulla scrivania “mi stai dicendo che state perdendo pubblico”
“Solo nella fascia più giovane. Ma lo scemo sono io: ho un figlio di quasi 16 anni e due nipoti da poco maggiorenni, come ho fatto a non pensarci prima? Hanno una soglia dell’attenzione di 1 minuto scarso, come possiamo pretendere che loro stiano lì a leggere i nostri articoli”
“E quindi?”
“Bisogna puntare tutto sui social con loro”
“Ma Roma Glam è già sui social”
“Non abbastanza e non in maniera fruibile”
Un post o una foto con un link potevano andare bene fino a qualche anno fa, ma con il boom di Tik Tok, reel e storie da 20 secondi o giù di lì c’era un solo imperativo per Alex: cambiare strategia di comunicazione.
“E quindi cosa vuoi da me? Vuoi per caso farmi fare l’influencer? Hello guys!” cantilenò Maya ridacchiando, lasciandosi andare sullo schienale della sua sedia, più rilassata.
“Se avessi voluto un’influencer per raccattare followers e collaborazioni mi bastava pescare nel mazzo tra quelle che ci contattano quotidianamente e quasi pagherebbero per lavorare con noi” dichiarò Alessandro, alzandosi dalla scrivania per poggiare i bicchieri di caffè ormai vuoti sul vassoio che il ragazzo del bar aveva lasciato sul tavolo del salottino. Maya provò una sensazione di benessere piacevole, un senso di appartenenza in quel posto e in quella situazione, a discutere di lavoro con un editore importante della città e per un attimo le sfiorò l’idea, non completamente nuova ma ancora così strana per lei, che forse quella era davvero la strada per lei. Forse il bel mondo a cui per lungo tempo aveva sperato di far parte lei era destinata a raccontarlo, non necessariamente a viverlo. “Ma lo sai che qui lavoriamo con il pensiero laterale” continuò l’uomo tornando a sedere “Voglio una squadra che faccia ricerca e metta nero su bianco. Lo sai, noi le mode non le seguiamo, le creiamo.”
“E perché pensi io sia la persona più adatta?” domandò Maya, cercando di metterlo alla prova. Ok buttarsi, come aveva detto Olivia, ma quanto meno gettare qualcosa prima per vedere quanto è alto il precipizio non ha mai fatto male a nessuno.
“Hai ancora bisogno che te lo spieghi? Dopo il reportage su Roma? Dopo l’articolo della mostra?”
“Senza di te e le tue spintarelle non ce l’avrei mai fatta” Maya scosse la testa, ma Alessandro non era dello stesso avviso: l’idea sulla Roma ebraica era stata completamente sua, e l’articolo sulla mostra lo aveva scritto uscendo fuori tema: era tutta farina del suo sacco e si ostinava a non volerlo riconoscere. “Tu hai un talento, Maya. Si chiama meritocrazia”
In quel momento l’interfono squillo. “Dimmi Fabio”
“C’è Raissa” disse in vivavoce l’assistente al di là della porta di vetro.
“Tempismo perfetto. Falla passare … a proposito di meritocrazia…”
Tempo di togliere il dito dal bottone dell’interfono e la giornalista del reparto Eventi entrò nell’ufficio. Alta, lunghi capelli corvini, occhi vagamente a mandorla, Maya aveva sentito dire una volta che, a dispetto del suo cognome italianissimo, quei tratti somatici inconsueti fossero un’eredità materna, una ex modella russa.
Dall’aspetto giovanile, pulito e curato, era difficile darle un’età precisa: poteva avere anche 35 o 36 anni, ma non ne dimostrava più di 25 o 26. Aveva iniziato a lavorare a Roma Glam pochi mesi dopo il suo arrivo e si era fatta strada poco alla volta, con pazienza e facendo il jolly da un reparto all’altro alla bisogna, stando al suo posto e senza mai sgomitare come facevano invece molti effettivi piazzati meglio di lei, finché non aveva trovato un posto definitivo. O almeno quello era il giudizio aveva sentito esprimere da Alessandro in diverse occasioni; con lei era sempre stata corretta, ma per lei ed Alice era grasso che cola se qualcuno ella redazione rivolgeva loro anche solo un saluto e bastava veramente poco per fare loro una buona impressione. Quando aveva accompagnato Alex al gala del Festival del Cinema lei l’aveva aiutata a dare risalto alla stilista del suo abito: forse, anzi quasi certamente sperava di ottenere in cambio una buona parola con il capo, ma non era scontato con lo facesse. Finito il red carpet erano tornate ciascuna al proprio posto, ma Maya non lo aveva dimenticato.
“Raissa è la nuova content manager di Roma Pop
Roma che?” domandò Maya, ma si morse immediatamente la lingua: quell’uscita era troppo informale per il contesto in cui si trovava e davanti a Raissa che era un’estranea totale. “Prego?” si corresse.
Roma Pop, un nuovo progetto editoriale che stiamo creando e lanciando.”
Alex aprì sul browser il link diretto all’Home Page del sito di Roma Glam e cliccò su un banner poco più in basso del Menù le mostrò la pagina di Roma Pop.
“In realtà il sito è solo una landing page che rimanda a Youtube, Facebook, Instagram e Tik Tok, perché si tratta di una realtà 100% social dove i contenuti multimediali e gli articoli sono progettati per essere fruiti direttamente come Instant Articles” prese a spiegare Raissa, mentre Alessandro girava lo schermo del suo computer per mostrarle la pagina del sito dove, oltre ad un'introduzione generale del progetto e ai loghi dei vari social fissi, scorrevano immagini e video stock accattivanti, in pieno stile social, di ragazzi e ragazze giovanissimi.
“Voglio che diventi il nuovo punto di riferimento per la fascia tra i 18 e i 34 anni” spiegò l’uomo.
“GenZ e Millennials in pratica” specificò Raissa “ma al contrario di altre piattaforme noi ci asteniamo da affiliazioni politiche o da schieramenti di qualsiasi tipo”
“Esatto. Bisogna raccontare tutta Roma, non più solo quella glamour: il lato pop del glam e il lato glam del pop”
“Ok, tutto bellissimo e vi faccio i complimenti perché è un’idea fantastica” Maya frenò l’entusiasmo dei due che sembravano partiti in quarta “ma io in tutto questo? Glielo hai detto a Raissa che vuoi che lavori con lei?”
“E secondo te che ci sto a fare qui? Certo che lo so e non vedo quale sia il problema … non facciamo giornalismo convenzionale, cerchiamo gente che abbia voglia di raccontare Roma alla nostra generazione usando la nostra lingua, niente formalità”
“Roma Pop è un progetto indipendente che risponde solo a me e a nessun altro. Persino le riunioni editoriali sono separate dal resto del giornale. Siamo in un periodo di prova iniziale ma l’obiettivo è di arrivare all’indipendenza totale: sito, redazione. Se Roma Glam è Adamo, Roma Pop è Eva”
Seh e tu sei il Padre Eterno, anche meno Alessa’, pensò Maya tra sé e sé. “Capisco …”
“Ci siamo dati un periodo di rodaggio di un anno per vedere se funzioniamo”
“Io non vedo perché non dovrebbe” chiosò Raissa, infervorata, ma Alessandro, che quando si trattava di business perdeva ogni capacità di provare emozioni oltre una certa soglia, continuò dritto per la sua strada
“Grazie, Raissa. Per adesso è tutto.” Dopo che la donna aveva lasciato l’ufficio Alex si fece serio, intrecciando le mani sul tavolo come faceva sempre quando discuteva di cose importantissime, soldi generalmente. “Quello che voglio offrirti al momento è un contratto a tempo determinato fino a Settembre. Lo so che non sembra molto ma penso che per te potrebbe essere una soluzione ideale: provi questa cosa, vedi se ti piace e nel frattempo puoi continuare a guardarti intorno e se esce fuori qualcosa dai colloqui che hai fatto ci puoi sempre lasciare, nessun rancore. In caso contrario, rinnoveremo il contratto”
“Oppure sarete voi ad accorgervi che non sono tagliata per fare questo lavoro”
“A quello non ci credo neanche se lo vedo, Maya, stanne certa”
Era un’offerta troppo allettante: una redazione praticamente indipendente che le lasciava carta bianca e che pretendeva da lei nient’altro che scrivere nello stesso modo in cui parlava, raccontare il suo mondo, la sua musica, i luoghi da visitare che piacevano a lei e dove ritrovarsi con gli amici per una bevuta o una cena in tranquillità, senza penne rosse e blu di correzione, magari senza neanche doversi preoccupare di aver scritto troppo o troppo poco perché tutto sarebbe passato tramite contenuti multimediali. E non avrebbe avuto a che fare con Stefano che l’avrebbe buttata fuori a calci nel sedere o gente come Lisa ed Elena buone solo a farla sentire una miracolata raccomandata. Tutto troppo bello per essere vero.
“Non ti vedo convinta …”
“Dov’è l’inghippo? Uno stipendio da fame? Dovrò fare il lavoro di 10 persone?”
“Perché pensi che voglia fregarti? Te poi … secondo te voglio fregare … te?”
E pure lui aveva ragione: stava facendo di tutto, questo doveva dargliene merito, per riconquistarla, per dimostrarle che era la persona che aveva fatto entrare nella sua vita e a cui aveva dato fiducia, in poche parole per tornare insieme. Ma Maya aveva imparato a sue spese a diffidare di quando le cose vanno troppo bene. Era successo con la sua famiglia, con la sua bolla ai Parioli, e in ultimo con Alessandro. Mettere le mani avanti, magari con un bel guanto da cucina per evitare scottature, era il minimo che potesse fare.
“Posso prendermi del tempo per decidere?” non era lei ad aver cercato quel lavoro: era una proposta e doveva vagliarla; se non altro lo doveva ad Olivia. Il suo cuore le diceva di accettare, quando le sarebbe ricapitata una proposta simile, soprattutto dopo i passaggi a vuoto degli ultimi colloqui, ma la sua testa aveva attivato le sirene d’allarme. Statevi zitte, avrebbe urlato volentieri.
“Mi piacerebbe che iniziassi a lavorare il prima possibile, naturalmente. Ma prenditi il tempo che vuoi, solo…” disse, aprendosi in un sorriso sghembo e sornione “… possibilmente prima delle ferie”.


 
Ciao a tutti!!! Chiedo scusa innanzitutto perché nell'ultimo capitolo avevo promesso che avrei aggiornato la settimana scorsa, di martedì, ma il lavoro e poi un weekend fuori porta me lo hanno impedito. Ma oggi è comunque martedì, suppongo vada bene lo stesso. Per farmi perdonare vi ho lasciato un capitolo più lungo del solito, sono certa vi abbia fatto piacere. Non commento tutto perché ci vorrebbe un angolo dell'autore più lungo del capitolo stesso, ma sicuramente c'è tanta carne al fuoco, dalla serata tra amiche al ritorno a Roma Glam passando per il ricordo del primissimo incontro tra Maya e Alex. Ora Maya cosa farà? Accetterà a proposta di Alex o darà ragione ad Olivia e gli starà lontana professionalmente?! Per saperlo alla prossima....verosimilmente venerdì ma non prometto nulla. Alla prossima,
Fred

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 ***


 
 
 
 
 Capitolo 29

 


“Buondì Ali!”
“Ciao tesò, scappa in ufficio prima che un corpo contundente ti prenda in pieno stamattina…”
In quel momento, la voce di Lisa riecheggiava tra i corridoi semideserti di una Roma Glam già in modalità vacanza. D’estate, del resto, la redazione di un giornale non può chiudere e i dipendenti non possono far altro che fare a turno; chi restava, manco a dirlo, si sobbarcava anche il lavoro degli assenti e l’esaurimento nervoso, accumulato già durante tutto il resto dell’anno, arrivava a livelli siderali.
“No perché a questi … se i dipendenti poi vengono lasciati liberi, ecco il risultato” blaterava la donna, sulla soglia dell’area relax. Dalla sua posizione Maya non vedeva chi ci fosse dentro e quindi sembrava che stesse parlando da sola come una matta. “Andate a lavorare, a fa finta di fa qualcosa, perché se ne sono accorti tutti che la baracca la mando avanti da sola…fate na fotocopia, portate un caffè, inventateve qualcosa …”
A Maya venne il dubbio che fosse tardi e il suo orologio si fosse fermato, la sveglia fosse settata male ma buttando l’occhio sulla tv della sala d’attesa, il canale all news dava esattamente l’orario del suo cellulare: non era in orario, era comodamente in anticipo. La giovane si girò così all’amica alla reception, domandandole a gesti cosa avesse la caposervizi della sezione food.
“Non ci fare caso” tagliò corto Alice, sottovoce, dando un paio di colpetti con l’indice sulle tempie “quella ultimamente non ci sta col cervello …”
Ma Lisa aveva smesso di parlare e quest’ultima frase l’aveva sentita fin troppo bene.
“Devo portare a Fabio le cartucce per la stampante”
“E io devo andare a finire un pezzo, ci vediamo in pausa pranzo”
A testa bassa le due amiche sgattaiolarono via dall’ingresso prendendo strade diverse, l’una verso l’ufficio del capo, l’altra verso il suo nuovo posto di lavoro.
Alla fine, manco a dirlo, Maya aveva accettato l’offerta di Alessandro. Era più per fare la sostenuta e prendersi un pomeriggio per darsi coraggio che per una vera indecisione che Maya non aveva detto immediatamente sì. Aveva firmato il contratto il venerdì e il lunedì successivo si era già seduta alla sua nuova scrivania. In realtà era un grande tavolo che dividevano in sei in una stanza che affacciava su una strada laterale e tutto il giorno l’unica visuale era il palazzo di fronte ma tutto era nuovo e surreale e le sembrava quasi di essere in un film.
“Buongiorno a tutti!” esclamò, entrando e chiudendo la porta dietro di sé.
“Sta ancora strillando l’esaurita pazza?” le domandò Raissa.
“Affermativo”
“Io fino a una settimana fa ci restavo pure male, non lo nego. Dicevo forse sto sbagliando io, forse dovevamo iniziare più in punta di piedi … adesso ho capito proprio che è una cosa che non riguarda me, ma altre cose sue. Si faccia il sangue amaro lei, perché io ho da fare”
A quanto pareva, l’esaurimento nervoso di Lisa, stando ai report di Alice e a quello che diceva Raissa, era iniziato quando Alex, per far partire Roma Pop, aveva chiesto alla sezione food di sbaraccare da quello stanzone troppo grande per sole 3 persone e trasferirsi, per il momento, in una stanzetta più piccola che era il vecchio studio di Nardi prima che l’amministrazione si trasferisse al piano inferiore. Alex aveva garantito che si trattava di una soluzione tampone, che se le cose fossero andate bene Roma Pop avrebbe avuto una sede separata, ma Lisa – appoggiata da Stefano, neanche a dirlo – doveva rompere i coglioni per il semplice gusto di farlo.
Non ti curar di loro ma guarda e passa … e già che ci sei prendi un caffettino. Maya sto ancora aspettando i tuoi biscotti”
“Micol dammi tregua, è una settimana che lavoro qui, devo ancora abituarmi ai ritmi e la sera fa troppo caldo per accendere il forno”
“Ci dovevi pensare prima quando mi hai detto che ti piace fare dolci” le disse la ragazza, facendole l’occhiolino mentre addentava una brioche presa da un vassoio sul piccolo angolo bar che avevano allestito.
Compagnia peggio assortita non poteva esserci sulla carta: una pariolina pentita, una giornalista per metà russa e per metà italiana, Micol e Dario, alle prime armi come lei, ma a differenza sua freschi freschi di laurea, Giovanni lo stagista che aveva finito lo stage e si era guadagnato la promozione e Tanjir, videomaker bengalese di Centocelle che si occupava di tutta la parte multimediale e che Alessandro, tramite suo nipote Valerio, aveva scovato in un negozietto di fotografia sommerso di filmini di prima comunione e servizi fotografici premaman ed era arrivato quasi al punto di essere disposto a pagare per fare qualcosa di diverso. Eppure insieme si trovavano alla grande perché nessuno di loro aveva manie di grandezza, si sentiva arrivato o voleva dimostrare di essere meglio degli altri.  “Il bello di un webzine vero è che tutti i contenuti trovano spazio” le aveva detto Raissa il primo giorno “e sui social è solo questione di hashtag e timeline, non c’è bisogno di sgomitare per avere lo spazio migliore”
Una volta Maya aveva letto una frase: scegli il lavoro che ami e non lavorerai mai, neanche per un giorno in tutta la tua vita; forse era di Confucio, forse no, e non sapeva dire se fosse vero, fino a quel momento le era sempre sembrata una cazzata perché il lavoro è lavoro e le rogne ci sono sempre, ma in quella prima settimana di lavoro ci era andata davvero molto vicina. Il loro ufficio, la loro piccola redazione privata o PRP come l’aveva ribattezzata Dario, dalle 9 fino alle 17 era un work in progress continuo, un tram tram infernale, peggio della strada per il mare il 15 di Agosto. Eppure non le pesava: il romanesco di Tanjir, la battuta sarcastica sempre pronta di Micol, Dario perennemente un passo davanti a tutti in fatto di trend e Raissa e Giovanni perfetti collanti. Lei non sapeva dire ancora quale fosse il suo posto in quella ciurma, ma qualunque fosse sentiva di starci bene. Per la prima volta in questioni di lavoro, non solo non era più solo lei quella che doveva ascoltare le idee altrui, ma chi stava a sentirla non aveva più l’aria di farlo per carità e con condiscendenza. Persino Raissa, che era a capo delle operazioni e la più navigata nell’ambito editoriale e giornalistico, era alle prime armi in fatto di gestione di un gruppo e preferiva di gran lunga coordinare che comandare. Il risultato era che ognuno poteva dire la sua liberamente e le decisioni venivano prese insieme, democraticamente. L’unico che aveva diritto di veto era Alex, naturalmente, passando in rivista la loro attività una volta al giorno, dopo pranzo. Quello era il momento più difficile della giornata; quando uscivano dalla PRP per andare in gruppo nella sala riunioni ed incontrare il capo, era come percorrere il miglio verde: in apnea, ripensando a tutte le decisioni prese fino a quel momento, riconsiderandole fino al momento in cui non si apriva bocca al suo cospetto.
Tutti trattavano Alessandro con eccessiva deferenza, nonostante lui fosse con loro estremamente cordiale e comprensivo. La parola d’ordine era ascolto, lo ripeteva fino alla nausea, perché anche lui, sulle nuove generazioni aveva tutto da imparare. L’unica a cui quella presenza ingombrate e incombente sembrava non fare alcun effetto era, manco a dirlo, Maya. Cercava come poteva di non far vedere che, in un modo o nell’altro, sapeva esattamente come prenderlo, come rispondere alle sue richieste e persino anticiparle, ma al terzo meeting era evidente che tra loro c’era un rapporto diverso. E così aveva messo in chiaro i suoi trascorsi: non quelli privati naturalmente, ma aveva voluto specificare che era stata l’assistente del capo. Con sua somma sorpresa, invece che guardarla con sdegno Micol e Dario, i più giovani della truppa, la guardavano con ammirazione, perché secondo loro era riuscita a fare carriera. Giovanni
, vista la fine che di solito fanno gli stagisti, era troppo contento di aver avuto il contratto per protestare su una cosa del genere. E poi c’era Tanjir che salomonicamente aveva decretato: “Vabbè, a me m’ha raccomandato il nipote”
Raissa era stata ancora più esplicita: “Guarda che lo so benissimo che gli articoli sulla Roma Kosher li hai scritti tu…l’ho capito quando ti hanno pubblicato il pezzo sulla mostra di Lachapelle, lo stile è riconoscibile per chi ha un po’ di attenzione”
Maya era rimasta interdetta da quella cosa, ma la content manager l’aveva subito rassicurata: era dalla sua parte e dalla parte della meritocrazia che aveva premiato anche lei, contro le gerarchie che le teste di Roma Glam si ostinavano a portare avanti. “Sei brava, hai una dote per la scrittura, e Alex lo sappiamo è bravo a scovare talenti. Che tu abbia fatto l’assistente prima non cambia niente.”
Da un lato le faceva piacere sapere che la sua responsabile aveva apprezzato quello che aveva scritto ed era stata discreta, evitando di fare domande sul perché e sul come quegli articoli erano nati, ma al contempo si domandava in quanti in quella redazione erano arrivati a quella conclusione ma senza lo stesso tatto e la stessa discrezione. “Fregatene, fai la tronista” aveva chiosato Alice durante una pausa pranzo, quando Maya le aveva espresso le sue perplessità “hai la possibilità di dimostrare a quelle teste di minchia di Stefano e soprattutto di Elena chi ha torto e chi ha ragione.”
Mentre tutti questi pensieri passavano nella sua testa, tutti insieme e tutti di fretta, la pagina di testo che aveva davanti restava ferma all’elenco che aveva fatto il pomeriggio precedente, senza alcun aggiornamento.
“Che fai?” le domandò Tanjir arrivandole alle spalle e accomodandosi alla postazione affianco, liberata da Dario che era in pausa sigaretta. Non si era nemmeno accorta che erano già le 10.30.
“La prossima settimana ci occuperemo dei romani di prima e seconda generazione, quelli nati qui da genitori stranieri o arrivati da bambini e sto cercando locali che propongono musica etnica a Roma Sud che vogliano farsi conoscere. Il problema è che io non sono mai andata più in là del Pigneto … magari puoi aiutarmi”
“Mmmm in realtà non è che ascoltiamo musica etnica, eh. A me piace la trap, zì!” Maya lo squadrò confusa da quel linguaggio. “No ok, niente zì, non sto a parlare con gli amici in piazzetta, Comunque posso chiedere a n’amico mio de Torpigna che c’ha na band, magari me dà qualche dritta”
“Magari, mi faresti un favore … intanto comincio col giro di telefonate a questi locali che ho già in lista. E naturalmente sei prenotato per venire con me a filmare le serate questo weekend”
Lei non si intendeva molto di musica ma non erano delle recensioni che le aveva chiesto Raissa: doveva semplicemente trovare qualche posto particolare da mostrare, dove valesse la pena andare nel weekend tra i 18 e i 35 anni e non sei necessariamente un fighettino del centro o dei quartieri più in a nord della città e puoi permetterti di passare i weekend estivi sul litorale o su qualche isola del Mediterraneo.
Tanjir fece un saluto militare per rispondere affermativamente e Maya, prendendo un grosso respiro di incoraggiamento, prese il telefono per contattare alcuni PR che forse avrebbero potuto indirizzarla: aveva ancora tre ore all’incirca per elaborare una lista di locali che facevano al caso suo e presentarla in riunione. In caso contrario ci sarebbe stato piano B: un soggetto assegnato da Raissa, ma l’ultima cosa che voleva era non dimostrarsi all’altezza di quel posto; nessuno nel gruppo le faceva pesare la sua presenza, ma lei sentiva il peso della sua posizione gravarle sulle spalle, costringendola a lavorare più duramente degli altri per dimostrare di meritare quel lavoro.
 
Quel venerdì pomeriggio, il suo primo venerdì da content creator di Roma Glam, o meglio Roma Pop – faceva ancora fatica ad assorbire quella novità, pur facendone parte, Maya e gli altri si preparavano all’ultima riunione settimanale. Alla fine Tanjir aveva tirato fuori il cilindro dal cappello e aveva proposto un paio di locali che avevano accettato davvero di buon grado di collaborare con lei e, insieme agli altri tre che aveva trovato lei, era riuscita a portare a termine il progetto per presentarlo. Quella prima settimana era passata a prendere le misure: Raissa le aveva chiesto di pubblicare un video di presentazione su di sé e della sua Roma e il risultato, un piccolo viaggio da Nord a Sud, dai Parioli all’ottavo colle, Monte Testaccio, era stato un successo insperato e un’occasione per tirare le somme sulla strada fatta nell’ultimo anno. A stento ormai scorgeva la vecchia Maya, guardandosi allo specchio, e andava benissimo così
Mentre controllava gli ultimi dettagli per presentazione del concept, Alessandro entrò in sala riunioni come una furia, scatenato contro il povero Fabio che, mortificato, lo seguiva a testa bassa. A Maya non pareva vero di vederlo così infuriato, era una vita che non le capitava e quasi stentava a riconoscerlo.
“Che succede?” azzardò Raissa, guardinga: sulla sala era calato un silenzio tombale e tutti erano freddati sulle proprie poltrone, lo sguardo fisso su cellulari, pc e tablet e lontano dal capo imbufalito.
“Succede che uno dei più grandi fotografi del mondo chiama - e già questo di per sé è un evento per la nostra piccola rivista” Maya avrebbe obiettato sul piccola ma sapeva che era solo un bluff per far sentire ancora più in colpa il nuovo assistente “per dire che è disponibile per un servizio di 24 scatti per il mese di Settembre e lui non lo dice a nessuno. Otto giorni dopo quel povero cristo che ovviamente non ha avuto notizie mi chiama e lui se ne esce con Ah sì deve essermi passato di mente
“Mi dispiace …” mormorò il ragazzo, pentito manco avesse investito un animale per strada.
“Forse non ti rendi conto della quantità giornaliera di curriculum che le risorse umane ricevono ogni giorno di giovani di brillanti e 100 volte più competenti che vorrebbero essere al tuo posto e a cui le cose non passano di mente.”
Non era giusto e soprattutto non era da Alex parlare a quel modo con un suo collaboratore: di cazzate ne aveva fatte pure lei nel suo primo anno, continuamente, ma Alex non si era mai comportato così; certo esigente era esigente, e pure intransigente per deadline e consegne, ma trattare come carta straccia dei dipendenti non era mai capitato. Maya aveva intuito immediatamente che c’era qualcosa che non andava, ma non doveva prendersela col povero Fabio. Avvicinò la sua sedia al tavolo rumorosamente per attirare l’attenzione dell’uomo, fulminandolo con lo sguardo appena i suoi occhi grigio verdi incrociarono i suoi. L’ultima cosa che vide, e di cui si compiacque, fu Alex che deglutiva e risistemava la cravatta, schiarendo la voce. Colpito e affondato.
A fine riunione, mentre tutti uscivano dalla sala, Alex approfittò della distrazione degli altri partecipanti per avvicinare Maya che si era attardata al suo posto per rovistare nella borsa. Non c’erano dei posti assegnati, ma Maya continuava a sedere nel posto del tavolo più lontano da lui, quasi defilata, come se volesse nascondersi: se la conosceva un po’ lo faceva perché era l’ultima arrivata e soprattutto perché tentava in tutti i modi di non dare nell’occhio interagendo con lui. Le aveva ripetuto e sperava anche dimostrato di essere in grado di scindere lavoro e vita privata, ma lei continuava ad essere diffidente e vagamente monomaniaca: un po’, pensò Alex, questo lo aveva preso da lui che di manie di aveva più di una e lei aveva dovuto imparare a conviverci da assistente prima e compagna poi. Ora, credeva Alex, era arrivato il suo turno di portare pazienza. “Come è andata questa prima settimana?”
A quella domanda, Maya era saltata leggermente sulla sedia, finché non si era resa conto che erano rimasti da soli nella stanza e anche Fabio, nei cui confronti Alex si era comportato come un agnellino per tutto il resto della riunione, era andato via.
“Bene, dai, non mi posso proprio lamentare” disse, chiudendo la borsa e alzandosi “siamo un bel gruppo e sto prendendo dimestichezza con il lavoro” “Mi è piaciuto il concept per il servizio”
“L’idea del fil rouge tra i servizi di settimana in settimana è di Dario, noi la seguiamo a ruota”
“Quella di mostrare anche il viaggio in metro però è tua.”
Quella non era un’idea, ma un colpo di fortuna gigantesco che aveva sfruttato, ma preferì tenerlo per sé e prendersi i complimenti. I cinque locali che aveva scelto e selezionato erano facilmente raggiungibili con i mezzi e mostrare quanto fosse facile raggiungerli filmando anche il percorso in metro sembrava la cosa più ovvia da fare. Evidentemente non era così.
“Anzi, visto il tuo vlog di presentazione potrebbe essere il tuo marchio di fabbrica” le propose, affabile.
“Ci penserò … tu però pensa al tuo marchio di fabbrica”
“Sarebbe a dire?” domandò, sedendo a braccia conserte sul piano del tavolo, lo sguardo suadente.
“Non sei stato carino con Fabio … con me non sei mai arrivato a tanto, neanche quando sei tornato dalle vacanze lo scorso settembre. Sembravi Stefano o Elena …”
“Hai ragione, gli chiederò scusa. Sto avendo una brutta giornata” ammise, sbuffando snervato.
“Lo immaginavo, per fortuna è venerdì” gli sorrise, mentre lui le teneva aperta la porta per uscire dalla sala.Ogni volta che si lasciava andare ed interagiva con lui le sembrava giusto e strano allo stesso tempo, ma Olivia aveva ragione, doveva buttarsi perché dentro di sé lo voleva e tergiversare avrebbe solo peggiorato le cose.
Dal canto suo Alessandro ringraziò tutti i santi del calendario che non lo stesse respingendo dopo la figuraccia rimediata, al contrario sembrava disponibile e comprensiva nei suoi confronti: era proprio vero che avevano cambiato marcia e quasi non gli pareva vero al punto che si sentì autorizzato ad osare di più. “A proposito … hai impegni per il weekend?” indagò, provando a nascondere il timore di essere respinto malamente.
“Purtroppo … o per fortuna … sì” rispose lei, e ad Alex sembrava quasi rammaricata “io e Tanjir andiamo nei locali con cui mi sono accordata per il servizio a fare qualche ripresa”
“Già…adesso lavori, un po’ è colpa mia” scherzò, facendole l’occhiolino.
“Perché? Avevi qualcosa in mente?”
“No, niente di particolare, magari si poteva …”
“Alex?” dal fondo del corridoio sbucò Fabio, ancora mortificato per la magagna provocata e impaurito all’idea di infastidire di nuovo Alessandro.
“Dimmi pure Fabio” disse Alex, stavolta ben disposto.
“C’è al telefono l’avvocato Gabrielli, dice che è urgente”
“Va bene, dille che arrivo subito” sbuffò, seccato. Quel cognome non era nuovo a Maya: era il matrimonialista che aveva curato gli interessi di Alessandro in fase di separazione e a giudicare dal nervosismo dell’uomo e della sua espressione seccata a sentire quel nome, ci dovevano essere nuvole all’orizzonte o anche peggio. “Bene, mi sa che mi sono ufficialmente giocato il weekend”
“Tutto ok?” domandò, apprensiva. Non stava a lei indagare, ma non poteva far finta che non si fosse accorta di nulla.
“Insomma … magari ti spiego in un altro momento” tagliò corto lui, mentre Fabio erano tornato ad incalzarlo. Mentre andavano in direzione opposta, ognuno nei propri uffici, Maya si trovò a mandarsi a quel paese da sola mentre non riusciva a smettere di pensare a quella che sembrava una proposta di uscire da parte di Alex. Lei gli aveva chiesto tempo, lui glielo stava concedendo, ma questo non significava trattarsi come estranei finché magicamente non fosse cambiato qualcosa in lei; anche lei, se davvero lo voleva, doveva fare un passo verso di lui. E lo voleva: alla fine era arrivata a quella conclusione inevitabile. Mentre lasciava l’ufficio, a fine giornata, si trovò a mandargli il primo messaggio dopo mesi:
 
Magari possiamo recuperare la prossima settimana…
anche perché c’è mia madre che scalpita per averti suo ospite,
da quando sono tornata a lavorare per te poi …

 

Il mese dei figli in vacanza con la madre e i nonni materni era finito con qualche giorno in anticipo rispetto agli accordi. Claudia e i suoi genitori erano dovuti andare ad un matrimonio al nord nel weekend e i ragazzi, manco a dirlo, non ne avevano voluto sapere nulla. Cose del genere erano delle piccole grandi soddisfazioni per Alex, come togliere un sassolino fastidioso dalla scarpa; soprattutto quando, andando a prenderli, era stato accolto calorosamente ed erano saliti in macchina senza fare troppe storie o lunghi saluti strappalacrime ai nonni e alla madre. Non voleva essere stronzo, non avrebbe mai impedito ai suoi figli di stare con la madre, ma i rapporti con Claudia erano diventati così freddi e distaccati che gli sembrava di essere più affettuoso con i suoi colleghi che con lei.
C’era un unico problema: quel weekend era stato invitato a casa di Ruggero e Matilde. I due, gentilissimi, non avevano battuto ciglio quando aveva detto che aveva i figli con sé, ma significava dover cominciare daccapo con i discorsi e, Dio non volesse, con le paternali. Con Edoardo i rapporti erano notevolmente migliorati, da diventare quasi amichevoli, ma non c’era più Maya tra loro a fare da terzo incomodo ed era difficile prevedere la sua reazione. Non poteva però nascondergli più nulla.
“Ascolta Edo” esordì, attento e pacato, continuando a guidare “ho ricevuto un invito per un pranzo domani e mi chiedevo se ti andasse di venire, porto anche Giulia”
“Un invito?”
“Sì, è una persona che ho conosciuto ad un evento, mi deve mostrare delle auto d’epoca. Sta a Grottaferrata, ha pure la piscina …”
“Andiamo a fare il bagno in piscina?” gridò Giulia dal sedile posteriore, sganciando la cintura e portandosi al centro della poltroncina, e sbucando con il nasino arricciato tra i due sedili anteriori.
“Torna immediatamente a sedere signorina!” la riprese il padre, fermo “comunque sì, la signora che ci ha invitato ha detto di portare il costume” La bambina, ridacchiando per la marachella che le avevano fatto passare liscia, tornò a sedere composta al suo posto con la cintura.
“Posso anche non venire?” domandò Edoardo.
“Non c’è problema, te l’ho chiesto apposta”
“Non si sa mai…a volte voi genitori siete strani. Mamma me lo chiede sempre ma poi fa finire il mondo se dico di no” ma quella è tua madre che è scema, considerò Alex, ma pensò bene di non tradurre quel pensiero in parole. Una volta a casa, prese un attimo in disparte il ragazzo, con la scusa di farsi aiutare da lui per alcune faccende in camera da letto mentre Giulia faceva merenda.
“Che c’è?” domandò seccato. Edoardo sentiva aria di predicozzo e non capiva da dove venisse fuori.
“C’è una cosa che ti devo dire” esordì il padre, socchiudendo la porta della sua camera da letto.
“Se è per te e mamma guarda che so già tutto”
“Ma porca di quella miseria, mai che mi desse ascolto quella!” inveì l’uomo “le ho detto che ne avremmo parlato con calma dopo le vacanze … scusa…” Si rese conto di aver esagerato. A differenza di Claudia, lui non cercava in alcun modo di mettere i figli contro la madre, indipendentemente da quello che provava – o piuttosto non provava più – nei suoi confronti.
“Non ti preoccupare pa’, va bene così”
“Sappi che mi sto impegnando perché voi ci sia il minor disagio possibile. È solo una questione burocratica tra noi adulti … o almeno spero” Il ragazzo annuì, senza alcun commento, guardando fuori dalla finestra. La fine del matrimonio tra i suoi era, comprensibilmente, un argomento molto delicato per lui e non si poteva pretendere che, anche se l’aveva ormai accettata, ne fosse entusiasta. “Comunque non era di quello che ti volevo parlare. C’è un’altra novità … e riguarda in parte anche quel pranzo a cui vado domani”
Ad Alessandro era sembrato giusto essere aperto e sincero con Edoardo, soprattutto per come erano andate le cose l’ultima volta, non voleva dargli l’impressione di fare alcunché di nascosto, specialmente da lui che era grande abbastanza da intuire e capire. Inoltre non c’era niente di male e nascondere poteva dare l’impressione contraria. Tuttavia si chiedeva se fosse proprio quello il momento giusto, ma ormai era fatta, non poteva tirarsi indietro.
“Lo dico prima a te perché sei grande e le cose non le devo spiegare per …metafore, mettiamola così”
“Pà, Giulia ha superato il tempo delle metafore da un pezzo”
“Vabbeh, me lo fai avere un momento padre/figli
o in santa pace o no?” protestò l’uomo, ridacchiando imbarazzato. Cresciuto con un padre fintamente burbero e taciturno come Cesare, a cui non scappava nulla ma teneva tutto dentro, non era facile per lui essere così espansivo, figurarsi se si trattava di parlare di questioni sentimentali con il proprio figlio di quasi 16 anni: non era faticoso, di più, era innaturale; fosse stato il contrario sarebbe di certo stato più facile.
“Okay, okay … sentiamo”
“Io e Maya … sì insomma io e Maya ci stiamo riprovando…domani andiamo a pranzo da sua madre”
“Già alle presentazioni state? Non avete perso tempo …” commentò sarcastico Edoardo.
“Oddio no! Non è come credi, è una storia lunga e assurda. Non .. non stiamo insieme, ma diciamo che ora più questione di quando che di
“Sei tu l’adulto tra noi due, puoi fare quello che vuoi, non mi devi chiedere il permesso” disse laconico il ragazzo “ma grazie per avermelo detto”
“Io…non voglio che ti senti escluso, tutto qui. Tu e Giulia siete la cosa più preziosa per me, su questo non si discute. Ma anche Maya è importante”
Questa volta Alessandro voleva davvero che funzionasse, per tutti: non aveva intenzione di fare gli stessi errori e mettere da parte nessuno, né i suoi figli, né Maya.



 

Eccomi, con qualche giorno di ritardo ma ce l'ho fatta. E così, prevedibilmente Maya è tornata a lavorare a Roma Glam, o meglio a Roma Pop, e questa volta sembra aver trovato un ambiente più alla mano e in cui si trova molto meglio. Speriamo che la presenza di Alex non sia un problema. Dal lato privato le cose sembrano andare sulla strada giusta ... ma forse è un tantino presto per cantare vittoria. Adesso che andranno da Matilde, chissà che succede....

Nei miei sogni avrei voluti terminare la storia per Natale, ma ahimè credo che non sarà possibile...pazienza, è andata come è andata. Lavorando al pc, stare davanti ad uno schermo anche per scrivere e pubblicare mi pesa più del solito. Continuerò con la solita pubblicazione ma, per chi avesse voglia di leggere qualcosa di natalizio, durante queste feste pubblicherò qualcosa su un altro fandom (chi mi segue da prima di questa originale può immaginare). Per tutti gli aggiornamenti potete seguire la mia pagina FACEBOOK. A presto,

Freddie ^_^

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 ***


 
 
 
 
 Capitolo 30

 


Maya si era messa ad aspettare Alex sotto la pensilina del portone. Era una bellissima giornata di luglio, calda ma ventilata a sufficienza per non svenire sotto il sole rovente, una bella anomalia per la routine romana. Si erano accordati via Whatsapp, perché lui andasse a prenderla, senza troppi problemi: non riusciva ancora a credere che le cose stessero tornando alla normalità così in fretta tra loro, dopo mesi di niente, eppure era tutto così giusto.
La berlina grigia sfilò davanti al cancello, fermandosi con le quattro frecce nel primo passo carrabile e Maya si avvicinò, sorridendo sì, ma tentando di contenere quelle farfalle allo stomaco che iniziava a sentire: mentre si truccava, quella mattina, aveva giurato solennemente che non si sarebbe comportata come un’adolescente. Alex abbassò il finestrino mentre toglieva la sicura per farla salire in auto. Maya indossava un abitino a fantasia floreale e dai colori caldi che sul suo incarnato di porcellana stava d’incanto. I capelli, lasciati sciolti, vagamente mossi, erano tenuti dagli occhiali da sole usati come frontino; c’era solo un problema, notò Alex: l’orlo dell’abito era ben sopra il ginocchio e trovarsela seduta di fianco sarebbe stata una bella sfida.
“Vuoi mettere dietro quella?” domandò, accennando alla borsa frigo anche aveva con sé.
“Sì grazie” Aveva insistito, o meglio litigato, con Ruggero perché le permettesse di preparare un dolce e così aveva sperimentato per la prima volta un semifreddo. Non era molto bello da vedere, si era dannata l’anima per foderare lo stampo e stava per mandare tutto in malora, ma la crema era troppo buona – e il suo orgoglio troppo più forte – per gettare la spugna.
“Mayaaaa!” mentre saliva in auto la salutò Giulia, seduta sul sedile posteriore, sorridendole dallo specchietto retrovisore. Non si aspettava che ci fosse anche la bambina: quel saluto la fece sussultare.
“E tu che ci fai qui?” Maya aveva saputo da Alice che i ragazzi erano con la madre e i nonni a Nettuno per tutto il mese di luglio, ed era ancora il 27.
“Lei è la nostra … assicurazione” spiegò Alex, ammiccando sornione. Con la bambina nei paraggi, Alex avrebbe avuto pochissimi margini per prendersi libertà ma d’altra parte quella giornata da sua madre stava assumendo sempre più i contorni di un pranzo di famiglia; lei era conscia che Alex avrebbe fatto di tutto per bruciare le tappe, per farla cedere e in un certo senso le andava pure bene, era un gioco di seduzione e provocazione che la intrigava e le stava piacendo giocare. “Claudia e i genitori avevano un matrimonio e così sono andato a prenderli prima” spiegò lui, tornando serio mentre metteva in moto “Ruggero ha detto che non c’era problema se avessi portato anche Giulia”
“Ci mancherebbe altro”
“Ci ha fatto portare anche i costumi da bagno” Ovviamente
“Veramente no, ma ne ho sempre uno di scorta a casa della mia mamma” la rassicurò 
“…ma…non manca qualcuno?”
“Dedo è rimasto a casa con la fidanzata” puntualizzò la bambina.
“Giulia non chiamarlo Dedo, ormai è grande” la riprese il padre.
“Naaah non stare a sentire papà, mio fratello è più grande di me e la mia mamma lo chiama ancora Lollo. E quindi Dedo ha la fidanzatina, eh?” domandò Maya curiosa. Grandioso, pensò, pure i mocciosi si fidanzavano prima di me ora … Maya tu proprio non puoi parlare, guarda in che casino stai.
La bimba annuì, ridacchiando. “Si chiama Mavi! Ciao amooo! Cioè … tipo … fighissimo, ti giuro” disse la bambina, con la testa inclinata e le labbra a culo di gallina, evidentemente intenta ad imitare e perculare la ragazza del fratello.
“Giuliaaa! Ma chi sei? Che ne hai fatto della mia bambina carina e coccolosa? E soprattutto chi hai frequentato al mare per avere questa linguetta biforcuta?” la riprese il padre. Era sempre stata una bambina precoce ma ultimamente non riusciva a starle dietro: per quell’ironia, poi, era decisamente troppo presto; ma non per lei: no, per lui, che non voleva arrendersi a lasciare andare la sua Puffetta.
“Mavi hai detto? Mavi come diminutivo di Maria Vittoria? Dio Santo!” esclamò Maya, tra lo sconvolto, lo schifato e il divertito “Piccoli radical chic crescono” Non riuscì proprio a trattenersi e poco le importava che seduta dietro di lei ci fosse una bambina che apprendeva e assorbiva tutto come una spugna.
“Dai Maya non ti ci mettere pure tu! Perché dici così?”
“Oh senti! È come se la vedessi davanti a me in questo momento: friulane o Birkenstock ai piedi, borsa di tela, casa piena di libri che pare la Feltrinelli, ascolta solo musica classica o al massimo dischi in vinile di cantautori morti, cucina bio e/o km 0, villa in campagna, papà dottore e mamma pittrice…o viceversa, non fa differenza”
“Mamma ginecologa, papà musicista … ma come fai?”
“Alex, io con questa gente ci sono cresciuta, mi basta il codice fiscale per fare l’identikit”
“E comunque anche io ascolto musica in vinile”
“L’ultima volta che ho controllato non mi pareva avessi 15 anni tu” decretò, sorridendo sarcastica.
Alessandro non poté fare a meno di ridere, amava da impazzire che Maya non avesse peli sulla lingua e la cosa più bella era che non c’era ipocrisia in lei, non aveva problemi a ripetere quelle cose in faccia se necessario. “Speriamo che con mio figlio impari ad apprezzare il consumismo allora”
“Spero per lui … nel frattempo ce lo godiamo noi …” mentre costeggiavano le Mura Aureliane per prendere l’Appia, Maya alzò il volume dell’impianto stereo della tecnologicissima auto tedesca di Alessandro e calando gli occhiali da sole, abbandonandosi ai tormentoni dell’estate da Roma fino a destinazione e sporgendosi verso Giulia con la mano a pugno, immaginando di avere tra le mani un microfono. Ci provò un paio di volte anche con Alessandro, ma senza grande successo. Lui si limitava a portare il ritmo con la testa: in fatto di musica, era una zappa, una campana, insomma non ci provava nemmeno a cantare perché un corvo sapeva essere più intonato di lui. Ma non riusciva a nascondere la sua felicità perché anche se non c’era nulla di ufficiale, anche se in quel momento erano solo Alessandro Bonelli e Maya Alberici, due colleghi di lavoro, tutto assomigliava sempre di più, clamorosamente, a quello che per sé e Maya aveva sempre immaginato e sperato.
 
“Ah quindi proprio 
tu parlavi male della ragazza di mio figlio che ha l'appartamento in centro e la villa in campagna?” ironizzò Alex parcheggiando l’auto nello spiazzo davanti alla villa di Ruggero che Matilde, uscendo loro incontro, gli aveva indicato. Ok, le premesse perché Ruggero vivesse in un casale da sogno c’erano tutte: nobile, viticoltore e amante delle auto d’epoca, di certo non poteva vivere in un tugurio malandato su un colle arido e bruciato dal sole. Al contrario, il casale era ben tenuto nonostante i segni del tempo. Alex riconosceva la cura femminile di Matilde e il rispetto di Ruggero per la storia della propria famiglia.
“Ruggero non è mio padre, qui io sono ospite quanto te” spiegò Maya “e poi dal di fuori sembra sempre essere molto di più di quanto non sia”
Maya conosceva la realtà dei fatti: a dispetto dell’esteriorità, Ruggero e sua madre vivevano in modo estremamente spartano, senza aiuti domestici al di fuori di un giardiniere e una domestica che aiutava nelle pulizie una volta a settimana e quando, durante le vacanze, la casa tornava a vivere con figli e nipoti. L’azienda agricola avrebbe fruttato molto di più se avessero convertito il casale in struttura ricettiva, anziché tenere la maggior parte delle stanze vuote e chiuse durante l’anno, ma i due preferivano la privacy al profitto e soprattutto Ruggero non riusciva ad accettare l’idea di svendere la storia della sua famiglia a sposi e turisti.  
“Ospite di riguardo di sicuro” la incalzò “e poi c’è sempre tua madre”
“Questo sì … non mi ricordo se ti ho mai detto come l’ho ribattezzata”
“Ci avrei giurato che non ti eri fatta scappare l’occasione … ma me lo dici in un altro momento” la scoraggiò, accennando a sua figlia sul retro. Visto come pendeva dalle labbra di Maya l’ultima cosa di cui avevano bisogno era che captasse un nomignolo non gradito e lo ripetesse alla prima occasione utile.
“Oh! Ok, hai ragione” disse Maya, mordendosi la lingua preparandosi ad uscire.
“Alessandro! Maya!” Naturalmente, Matilde non aveva perso l’occasione per correre ad abbracciare Alessandro prima ancora che sua figlia. Come darle torto, pensò la giovane, visto che si era presentato come un perfetto tipo da spiaggia con bermuda chino blu e classica polo bianca, con il mocassino da barca d’ordinanza che lo facevano sembrare appena approdato con un 30 metri a Capri per una passeggiata in centro e un aperitivo in piazzetta. Sebbene Matilde blaterasse sempre di non badare a certi dettagli, quando li notava faceva sicuramente la differenza, sua figlia glielo leggeva negli occhi.
“Signora!”
“Ancora con questo signora, Alessandro, per favore! Matilde va benissimo”
L’uomo si lasciò andare ad un timido sorriso, abbassando il capo mentre stringeva la mano della padrona di casa: lo sapeva benissimo che poteva darle del tu e usare il nome di battesimo, ma aveva capito che era necessario, nella situazione in cui si trovavano, fare il ruffiano più del solito “Ruggero!”

Di solito, quando si trattava di pranzi o cene, Ruggero si rintanava nel suo regno, la cucina, e non c’era verso di tirarlo fuori prima che le pietanze non fossero pronte per andare a tavola. Nel vederlo lì, ad accogliere gli ospiti, in doppiopetto e fazzoletto nel taschino, Maya intravedeva lo zampino di sua madre e pregava che non ci fossero altre stravaganze ad attenderli.
“E tu devi essere Giulia…” esclamò Matilde, chinandosi verso la bambina. Giulia annuì, stringendo la mano della donna incerta, come le aveva raccomandato di fare suo padre, quella
mattina, mentre la aiutava a prepararsi. La piccola sembrava essersi coordinata con il padre con uno smanicato a righe bianche e blu e il colletto a cuore. “Tu sei la mamma di Maya?”
“Sì e tu sei una bimba bellissima, te l’hanno mai detto?” La bimba non rispose, si limitò a ciondolare, imbarazzata, e guardando altrove arrossendo. Maya non conosceva questo suo lato introverso, ma intuiva che fosse semplicemente dovuto alla situazione nuova e alla presenza di estranei.
“Giulia dai il regalo alla signora” la spronò il padre.
“Anche un regalo? Ma non dovevate!”
“Mia madre mi ha insegnato che non si va a mani vuote a casa di nessuno. È solo un pensierino …” Una scatola, elegantemente confezionata, di macarons dai fornitori romani dell’ambasciata di Francia e una bottiglia di vino da dessert abbinato. Alla faccia del pensierino …
“Un Vendemmia Tardiva! Intenditore …” commentò l’uomo, compiaciuto, rigirando la bottiglia tra le mani.
“Si fa quel che si può” scrollò le spalle Alessandro. A casa sua, da bambino, i vini si distinguevano in bianco per il pesce, rosso per la carne e spumante per il dolce: tutto il resto, lo aveva dovuto imparare da autodidatta, come parte del suo addestramento per stare in quel mondo fatto di cene d’affari e conversazioni di contorno che, in teoria non c’entrano niente, ma aiutano ad imbonire il cliente e a chiudere i contratti più in fretta e a proprio vantaggio.
“Allora prima di pranzo scendiamo giù in cantina e mi aiuti a scegliere qualcosa di speciale da bere”
“Molto volentieri”
“Prima però, vieni con me che ti faccio vedere le mie signorine …” con una pacca sulla spalla, senza badare alla sua compagna né a Maya, Ruggero trascinò Alex verso le vecchie scuderie che aveva adibito a garage. Quelle che lui chiamava signorine erano un’Alfa Romeo rossa da corsa con cui aveva partecipato alla Mille Miglia e una Maserati spider degli anni ’50 che gli era valsa la Coppa d’Oro al concorso per auto d’epoca a Villa d’Este, sul lago di Como.
“Niente…quando si tratta di automobili non capisce più niente” protestò Matilde, rientrando in casa contrariata: non c’era cosa che la urtava di più che non avere il controllo della situazione. In questo, forse, Maya ci si riconosceva.
“Mamma dai, sono uomini, di cosa vuoi che parlino? Lasciali fare” la riprese sua figlia, prendendo per mano Giulia e seguendo in casa la donna.
“Ma potevano andarci dopo pranzo!”
“Dopo pranzo…mamma è mezzogiorno, vuoi mangiare ad orario d’ospedale? Stai calma … piuttosto, com’è che Ruggero non è ai fornelli?”
“È già tutto pronto, questa giornata vuole godersela pure lui, si è anticipato. E poi ho pensato sarebbe stato carino pranzare in giardino, quindi è tutto sfizioso e pratico. Anzi, vieni con me che sistemiamo le ultime cose e mettiamo il tuo dolce in freezer”
Mentre attraversavano il salotto, Giulia si guardava intorno spaesata. “Che c’è Puffetta? Qualcosa non va?”
La bambina fece cenno a Maya di chinarsi verso di lei per poterle parlare all’orecchio. “Mi avevi detto che c’era un cane…”
“Hai ragione! Mamma, dov’è Bianca?”
“È nella cuccia” rispose Matilde, già in cucina “lo sai quanto è vivace e non sapevo se la bambina avesse paura”
“Esci da quella finestra” disse Maya a Giulia, indicando una porta finestra che dava sul retro della casa “la cuccia è lì, io ti raggiungo subito, vado a poggiare la borsa”
Il timore di Matilde era talmente infondato che tra Bianca e Giulia era stato amore a prima vista. Per essere una bambina che gli animali, a causa di una madre iperprotettiva e ansiosa, li vedeva solo in tv, si era comportata benissimo con la cagnetta e questa, di conseguenza, aveva capito in breve tempo di potersi fidare. Riuscire a staccare la bambina dalla cagnolina almeno per il pranzo era stata un’impresa, alla fine Ruggero era riuscito a trovare un giusto compromesso; aveva portato la cesta di Bianca ai piedi del tavolo, di fianco alla bambina. Giulia si era spontaneamente seduta tra Maya ed Alex, i quali ringraziavano per questa decisione. Ingenuamente, Maya aveva creduto di poter nascondere quello che c’era - o non c’era ma quasi c’era – tra lei ed Alessandro: da un lato davano l’aria di essere una coppia affiatata, dall’altro una famigliola felice; lo sguardo di sua madre era eloquente, le avrebbe riservato un terzo grado dei suoi, forse prima ancora che la giornata finisse. Scema io che ho pensato di passare una giornata con lui da mia madre
A quell’atmosfera familiare contribuiva anche Alessandro, tremendamente a suo agio con Ruggero. Aveva dovuto ricredersi, alla fine, sull’uomo: proprio come aveva detto Maya, nonostante il titolo di famiglia e le passioni da gentiluomo benestante, era una persona straordinariamente genuina e frugale, che apprezzava le cose semplici: tutto ciò che aveva – i quadri, l’antiquariato, il pezzo raro di argenteria o ceramica – non era per lui un’ostentazione di lusso o ricchezza, ma parti di famiglia che avevano una storia e un significato, auto comprese.
“Era tutto squisito, Ruggero” si complimentò Alessandro, poggiando il tovagliolo sul tavolo per alzarsi e andare a mettere il costumino a Giulia che stava diventando troppo insistente. “Va bene! Adesso ci andiamo a cambiare però rimani a giocare a bordo piscina, senza fare il bagno perché hai appena finito di mangiare” le sussurrò, all’orecchio, fermo e deciso. La bambina gli prese il volto tra le mani, provando ad arruffianarselo con i suoi modi dolci ma questa volta non funzionarono “Non ci provare, ruffianella!” le rispose, sorridendo furbescamente. Giulia, colta con le mani nel sacco rannicchiò la testa nell’incavo del collo di suo padre, mogia. Maya, che aveva assistito a tutta la scena, si trovò ad invidiare una bambina di sei anni … intenditrice…sei inopportuna Maya, evita!
“Non mi definisco un cuoco, ma cucinare mi diverte, specialmente per gli altri” minimizzò Ruggero, alzandosi anche lui da tavola per accompagnare Alex alla piccola casetta accanto alla piscina che avevano adattato a spogliatoio.
“Ah beh se cucini così e non ti definisci cuoco …” lo punzecchiò Alessandro, incredulo.
“Ma dobbiamo fare i complimenti anche alla nostra Maya” sviò il discorso Matilde, tenendo lo sguardo fisso sull’ospite “il suo semifreddo era eccezionale” Mancavano solo dei cartelli luminosi per rendere più evidente l’intento della donna: Maya avrebbe voluto sotterrarsi. Alex, tuttavia, restava impassibile e riusciva a mantenere discrezione e nonchalance come nessuno.
“Voci sulle sue capacità in pasticceria mi erano arrivate” confermò, tornando sui suoi passi “ma non avevo mai avuto il piacere” che gran bugiardo! “Sei molto brava, Maya, davvero”
“Grazie”
 
“Bagnata così non ci sali nella mia auto” intimò Alex a Maya appena riemersa dall’acqua dopo l’ennesimo tuffo. Matilde si era allontanata per una telefonata che, a suo dire, non poteva proprio tagliare corto e Ruggero era disperso da qualche parte nel parco per la passeggiatina di Bianca: che avessero intuito o meno, se Maya conosceva un minimo sua madre di sicuro si era messa in testa di sistemarla con Alessandro e quello era un modo per far andare le cose secondo i suoi piani. Una volta, ai tempi del liceo, Lavinia aveva soprannominato la madre Mrs Bennet, ma lei era troppo piccola per capire il riferimento: ora, invece, era chiaro come il sole.
“Finora sei stato così rilassato … non rovinare tutto!” protestò lei, schizzandogli dell’acqua. La giovane andò a sedere a bordo piscina di fianco ad Alex che, da lì, poteva controllare Giulia addormentata beatamente sotto l’ombrellone, crollata dopo neanche 20 minuti di tuffi e giochi in acqua.
“Questa giornata in campagna ci voleva proprio" commentò l'uomo "poi questo posto è meglio di un relais”
“Sì, io per tanto tempo l’ho sottovalutato”
“O forse lo davi per scontato. Quando diamo per scontate le cose è un po’ come disprezzarle. Io l’ho imparato a mie spese” Maya annuì, cogliendo a pieno il sottinteso “Comunque hai ragione, le ultime settimane sono state un vero ciclone. E non è finita qui”
“Mi dispiace…se posso fare qualcosa…”
Alex scosse il capo “Più stai lontana in questo caso e meglio è” Maya lo guardò, interdetta dal suo sorriso sarcastico. In lei si insinuò il sospetto che in quel malessere c’entrasse sua moglie. “Ho chiesto a Claudia il divorzio” chiosò … eccallà … “i sei mesi di rito sono decorsi e per quanto mi riguarda non c’è motivo di continuare oltre”
Cosa dire? Che le dispiaceva? Ovvio che non le dispiaceva per nulla, ma nemmeno poteva dire che fosse contenta, anche se lo era: per lui che si stava liberando di una zavorra enorme e pure per sé stessa, perché non c’era più niente che lo legasse a quella donna. Certo c’erano i figli, ma Edoardo era ad un passo dalla maggiore età e con Giulia avevano un rapporto splendido.
“Claudia ti sta creando problemi?”
“De Stefanis è un coglione, ma una cosa giusta me l’ha consigliata quando ci siamo sposati: fare la separazione dei beni, altrimenti a quest’ora dovremmo dividere a metà pure i mobili.”
“Però?”
“Però anni fa ho commesso una leggerezza che sto ancora pagando” Alex passò a raccontarle degli inizi di Roma Glam, prima che del suo arrivo, quando la sua ambizione e la sua inesperienza lo portarono a fare il passo più lungo della gamba. “I migliori giornalisti, le migliori attrezzature, la location più esclusiva … queste cose si pagano e le entrate non compensavano le uscite” Le spiegò che il padre di Claudia si era offerto di ricapitalizzare l’azienda, acquistando delle azioni. “Io ero tranquillo, sarebbe rimasto tutto in famiglia…figurati, mio suocero prima di partire per le Canarie ha persino ceduto le sue quote a Claudia, quindi di fatto a me che avevo la sua delega e così non mi è mai venuto in mente di riacquistarle o farmele cedere” Il solito vecchio Alessandro, insomma, sicuro di sé e della sua posizione, anche troppo.
Maya non cadeva totalmente dalle nuvole: da assistente curava molti dei suoi affari, dalle piccole cose quotidiane ai documenti del CdA, ma non le era mai venuto in mente di informarsi nel dettaglio dell’assetto societario, nemmeno quando lei ed Alex stavano insieme, aveva sempre dato per scontato che, in quanto moglie, Claudia avesse una compartecipazione nella società.
“Quindi ora che succede?”
“Succede che non ho più la sua delega, l’ha passata a Stefano già dopo la separazione e quello non vedeva l’ora”
I conti, ora, per Maya, tornavano precisamente: il suo atteggiamento dispotico e quelle frecciatine al suo ritorno avevano finalmente un senso.
“Ma quello sarebbe il minimo. Dopo che le ho chiesto il divorzio mi ha comunicato di aver messo in vendita le sue azioni sapendo benissimo che non posso permettermi di acquistarle in questo momento”
Maya non sapeva molto di economia e management, ma Alessandro lo conosceva bene e capiva che per essere così nervoso, collerico quasi, la situazione era grave. Iniziò a pensare ai peggiori scenari possibili.
“Temi possa comprarle qualche concorrente? O peggio Stefano? E di che quota parliamo?” domandò a raffica, agitata “Non può essere più del 50%”
“No tranquilla, è il 30% e comunque non credo che il mio vice abbia il capitale necessario, ma è il concetto, capisci? Oggi sono libero di decidere cosa è meglio per la mia azienda, chi assumere …” aggiunse, sorridendole. Maya sospirò, timidamente. “Domani … non lo so” concluse lui.
“Saresti ancora in maggioranza”
“Sì ma mi sentirei comunque imbrigliato”
Maya lo sapeva fin troppo bene, Alessandro non era abituato a lavorare in team: faceva finta, ma l’ultima parola era sempre la sua; persino quando si vantava di aver trovato un’ottima collaboratrice in Maya, restavano comunque in una situazione di dipendenza. Lui, di fatto, non era dipendente da nessuno da anni.
“Non sarà molto … e forse non se ne farà niente, ma posso parlare con Lorenzo”
“Tuo fratello?”
Maya annuì “Lavora nella finanza per una società della City, di sicuro ti può dare qualche dritta. Provare non costa nulla”
“Alla fine vedi, nonostante tutto, sono fortunato”
“Ah sì?”
Alex, lentamente e delicatamente, fece scivolare il palmo della sua mano sul dorso della mano di lei, che fino a quel momento e per tutto il tempo aveva sfiorato la sua. Probabilmente era stato solo un caso, ma era stato difficile mantenere la concentrazione con quel tocco che continuava a dargli la scossa.
“Sì, perché nei momenti bui so che sei al mio fianco. C’eri quando Claudia se n’è andata, se non ci fossi stata tu forse non avrei preso il coraggio e non me ne sarei mai andato di casa, mi sarei ripreso quel matrimonio ormai arenato da un pezzo … e ora sei qui, ad ascoltare le paturnie di un vecchio brontolone”
“Non sei un brontolone!” lo scosse, con una piccola spintarella sul braccio.
“Ah…speravo dicessi non sei vecchio” ironizzò allora lui, strizzando l’occhio. Maya rise, portando la testa all’indietro e frizionando i capelli bagnati lungo la sua schiena nuda e bagnata. Era una visione assoluta e non poterla toccare, non poter posare le labbra su quella pelle setosa, iniziava ad essere una punizione durissima, un supplizio di Tantalo in versione XXI secolo. “Voglio che tu sappia che la stessa cosa vale per me: ti supporterò e ci sarò sempre, in qualunque modo mi vorrai nella tua vita...”
“Alex, io…”
“…una relazione con una persona che ti ama da impazzire, anche se complicata e incasinata, o qualsiasi altra cosa riterrai meglio per te. Purché ti renda felice.”
In quel momento, quella pulce antipatica e disgustosa che si era fatta strada nella testa della ragazza quando aveva incontrato Anna - e quella l’aveva definita una seconda scelta - sembrava completamente sparita. Si sentiva importante e speciale come era stato nei loro primi giorni, quando appena potevano ritagliavano un momento per loro in ufficio, di nascosto, oppure quando, nelle sere in cui lui aveva i figli con sé, Prati e Testaccio sembravano distanti quanto Roma e Sidney. Non c’era più la paura di perdersi, il sospetto di essere un gioco passeggero o il timore che quell’insistenza fosse solo frutto del suo rifiuto.
Se a Capalbio aveva avuto voglia di ricominciare, ora sentiva che poteva davvero farlo, che se si fosse buttata avrebbe trovato quantomeno una piscina: pericolosa se si cade male, certo, ma almeno non era una superficie dura.
“Che c’è? Perché mi guardi così?” i suoi occhi erano lucidi e brillanti, razionalmente Alex avrebbe pensato ad un’irritazione per l’acqua della piscina o ad un fastidio per il sole che batteva contro di loro, aggressivo.
“Oh, fanculo …”
Scuotendo la testa, Maya si ritrovò a spingersi contro l’uomo, prendendogli il volto tra le mani e pressando le labbra contro le sue, smaniosa di ritrovarle dopo mesi. Alex si trovò piacevolmente spiazzato: ci aveva messo qualche secondo a reagire e rispondere a quel bacio, non perché non lo volesse, anzi, era da tanto che lo desiderava, pure troppo, ma era così abituato a dover tenere una rispettosa distanza di sicurezza che non era sicuro stesse accadendo davvero. Le sue labbra erano esattamente come le ricordava, turgide e vellutate, gentili nonostante l’impazienza di ritrovarsi fosse lampante e con quel sapore pungente del cloro della piscina tra di loro che rendeva tutto più invitante. Entrambi lo volevano da troppo e arrendendosi all’inevitabile avevano aperto una diga che era ormai arrivata al limite da settimane.
“Cosa … cosa significa?” domandò lui, trafelato, staccandosi controvoglia con una lucidità che nemmeno sapeva di avere per accertarsi che non ci fossero occhi indiscreti a rovinare quel momento.
“Direi … un incoraggiamento…siamo sulla strada giusta”
Alex fece un piccolo saltello per tornare in acqua, portandosi di fronte a Maya. Delicatamente, divaricò le gambe della ragazza per avvicinarsi il più possibile. Al suo tocco, poté sentirne fremere la pelle setosa delle gambe. I riflessi del sole sull’acqua della piscina e la luce del giorno che iniziava la sua lenta discesa avevano donato al suo candore una leggera sfumatura rossastra e le guance e il naso erano punteggiati di un sottile strato di lentiggini che le conferivano un’aria di sofisticata innocenza, giusto perché lui non era già cotto a puntino e sul punto di andare a finire in manicomio per lei. Pensa che c’è tua figlia, pensa che c’è tua figlia…ma che te frega, quella è più contenta di te se fate pace! Anche il grillo parlante nella sua testa, in quel momento, sembrava soffrire di un disturbo bipolare.
“Cosa stai facendo?” domandò Maya, trattenendo il respiro.
“Potrei averne ancora un po’ … di incoraggiamento?!” sussurrò, poggiando la fronte sul viso di lei, quasi implorante ma con un sorriso malizioso che rivelava meglio le sue intenzioni. Forse era per il cloro della piscina, forse aveva semplicemente cambiato fragranza, ma da così vicino gli sembrava di poter respirare le mille sfaccettature di cui si era innamorato: un attimo complessa, quello dopo decisa, poi semplice e dolce, un altro vellutata e voluttuosa, un altro ancora frizzante e sbarazzina. Ora che l’aveva riassaporata, non riusciva a farne a meno.
“Che scemo” soffiò lei, allacciando le sue braccia al suo collo. Ritrovarsi nelle braccia dell’altro, guardarsi negli occhi e baciarsi fugacemente valeva di più di mille dichiarazioni. Lo sapevano entrambi che era solo un passo avanti, ma ci sarebbe stato tempo per tanto altro, ci sarebbe stato tempo per tutto.
Non riuscivano a smettere di guardarsi e sorridersi e baciarsi...forse sarebbe stato più prudente levarsi da lì e nascondersi nello spogliatoio ma quell’acqua fresca era un sollievo per i loro corpi bollenti e l’unica vera assicurazione che avrebbe impedito loro di andare oltre, verso qualcosa che entrambi volevano ma non andava sciupato in uno spogliatoio o in un misero bagno, di fretta.
Alex si concesse di chiudere gli occhi mentre inclinava leggermente la testa, assaporando a fondo quei petali di rosa che sentiva contro le sue labbra mentre la lingua stuzzicava dolcemente quella di Maya. Quando le labbra della ragazza si schiusero completamente sentì le sue mani spostarsi dalle spalle al suo torace e poi sulla sua schiena per abbracciarlo più stretto mentre le gambe si intrecciavano al suo bacino. Si erano mancati, da morire, ma nessuno dei due aveva il coraggio di dirlo a parole. A che pro? I loro corpi e le loro bocche parlavano per loro.
“Papà?!” la vocina di Giulia arrivava da dietro il parasole, fortunatamente abbassato strategicamente.
“Uhm … vado io …” sussurrò Maya, divincolandosi in fretta per permettere ad Alex di ricomporsi: non era passato inosservato che quel bacio aveva reso Alex moolto felice.
“Puffetta! Ti sei svegliata!”
“Dov’è papà?”
“Nello spogliatoio, è andato a prepararsi, è ora di tornare a casa…”
“Di già?” Maya annuì. Anche se avrebbe voluto che quel pomeriggio non finisse mai, era giusto chiuderla lì, prima che potesse diventare pericoloso per tutti e due. Potevano riprendere da dove avevano lasciato, ma Alex aveva davanti a sé un mese intero da passare con i figli, le ferie, la villeggiatura e Maya non voleva ricominciare con una relazione a singhiozzo, con il freno a mano tirato. Erano adulti, vaccinati, qualche settimana in più d’attesa non avrebbe mandato nessuno autocombustione…o almeno lo sperava.
“Eccomi Puffetta … ben svegliata!”
“Andiamo a casa papà?”
“Sì…ma non prima che Maya abbia asciugato i capelli. Tu così in auto non ci sali …”
“Non ti preoccupare, non torno a Roma con voi”
“Ah no…?”
“No, voglio dare una mano a mia madre a sistemare, oggi non sono stata per niente d’aiuto”
“Come vuoi …”
Mentre tornavano verso la casa, Giulia corse incontro a Bianca che giocava con Ruggero a raccogliere una pallina, lasciandoli provvidenzialmente soli.
“Sei sicura che va tutto bene? Ho fatto qualco-” domandò Alex, sottovoce, preoccupato di essere andato oltre. “Non hai fatto nulla che non volessi anche io” Maya si fermò un attimo, di fronte a lui, prima di essere troppo a portata di orecchie indiscrete “Va tutto bene. Anzi, benissimo” sorrise, serena e sincera. “Sabato prossimo parto, lo sai. Mi piacerebbe vederti ancora fuori dal lavoro…” “Mi stai chiedendo di uscire?” “Se così si può dire … sempre se ti va” “Sì, si mi va”
Alex le sfiorò impercettibilmente la mano, ammiccando prima di tornare da Matilde e Ruggero per i saluti. Andava tutto bene.



 
Non credo che questo capitolo abbia bisogno di grandi spiegazioni, e quindi vi lascio così, augurandovi un buon Natale e magari, se volete farmi un bel regalo, lasciate un bel commento (credo che questo capitolo lo meriti tutto). Per quanto il mio personale regalo ai miei lettori arriverà tra qualche giorno, devo capire solo quando avrò tempo...come sempre per ogni aggiornamento potete passare sulla mia pagina facebook
Con Alex e Maya a questo punto credo che ci rivedremo la prossima settimana, sicuramente prima della fine dell'anno. A presto,
Fred ^_^

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 ***


 
 
 
 
 Capitolo 31

 
 
“Maya! Maya!” la voce di sua madre arrivava ovattata da dietro la porta e oltre il lenzuolo. Non era abituata a dormire in campagna, in luoghi isolati dove la sera, dopo il tramonto, gli unici rumori sono i cani portati a passeggio e il frinire delle cicale. Ma con il caldo di quei giorni, era davvero un’oasi di pace e sollievo rispetto a Roma, dove l’unica salvezza era il condizionatore.
“Mmmm”
“Alzati dai, sono le 10 e mezza”
Per la prima volta, nemmeno l’arredamento d’antiquariato e i quadri alle pareti le avevano impedito di prendere sonno; tra le mura antiche e spesse, la casa circondata da alberi secolari che garantivano ombra gran parte del giorno, la casa era talmente fresca che l’ultima volta che il suo corpo aveva preteso di ricaricare le batterie con un sonno così profondo che non faceva da aprile, o giù di lì.
In un altro momento avrebbe protestato, era pur sempre domenica mattina, ma purtroppo era stata lei stessa, la sera prima, a chiedere a sua madre di tirarla giù dal letto se avesse dormito oltre le 10. Con il nuovo lavoro la domenica non era più un giorno in cui riposarsi e onorare la festa: bisognava controllare la posta elettronica, revisionare per la duecentesima volta tutto il materiale per il lunedì – era già pronto, ma la sua insicurezza aveva la meglio – e poi, naturalmente, la prima cosa che la sua mente fece appena aperti gli occhi fu di controllare il telefono. Quello aveva la precedenza: dopo il bacio … il limone, Maya, quello era proprio un limone … del pomeriggio precedente, non poteva essere diversamente.
“Scendo subito” disse, tirandosi su, i capelli tutti scompigliati e gli occhi impastati. Si stiracchiò per bene approfittando dell’ampio letto matrimoniale e si sporse verso il comodino per prendere il telefono. “Ugh! Bonanotte Maya” l’iPhone era rimasto acceso per tutta la notte e la batteria era quasi a terra, ma le bastò a sufficienza per leggere ciò che le interessava.
 
Buongiorno! Giornata al mare in famiglia, prevedo mal di testa a fine giornata
Arrivati. Mi correggo, mal di stomaco …  mia madre ha già tirato fuori panini e frittata.
Tu che fai? Salutami tua madre e Ruggero.
 
Buongiorno! Scusa mi sono svegliata tardissimo. Colazione e poi lavoro un po’.
Li saluto solo se tu mi saluti tuo padre. 😉
p.s. telefono scarico
 
“Ben svegliata! Dormito bene?” Era incredibile come, anche di domenica mattina, Ruggero fosse di così ottimo umore, a lei a fatica riusciva la mattina di Natale, e solo dopo una bella cioccolata calda.
Gli occhiali da lettura calati sulla punta del naso, leggeva il suo quotidiano con ancora davanti il suo caffè d’orzo, in maglietta e pantaloncini del pigiama. Anche per lui, quella domenica era iniziata a rilento. Maya allontanò la tazza da sé, quell’odore di caffè bruciato non era esattamente quello che ci voleva di prima – si fa per dire – mattina.
“Ti va un ovetto per colazione? Ti tira su!” le disse, notando che ancora sbadigliava, la testa pesante appoggiata sul tavolo.
“E a pranzo topi morti? No grazie, mi basta il solito…” Il solito era un caffè e delle fette biscottate con della marmellata. “Ma faccio da sola, grazie” si affrettò a dire, visto che Ruggero era scattato come un cameriere “il tempo di svegliarmi”.
Sua madre entrò nella stanza con Bianca che la seguiva, fedele e scattante. “Via Bianca, non ora” la scacciò Maya, mentre la cagnolina elemosinava qualsiasi cosa ci fosse sulla tavola, come se i suoi padroni non la trattassero come una reginetta con il miglior cibo a misura per lei.
“Sei già vestita?” le domandò Maya.
“Sono uscita per prendere il giornale…”
“Ah già…”
Mentre Maya si sversava il caffè nella tazza – dalla moka, Alessandro ne sarebbe molto fiero – 
alle sue spalle, Matilde e Ruggero parlottavano tra di loro dei pappagallini e della voliera nel giardino in maniera indecifrabile. Ruggero sembrava protestare, ma alla fine Matilde l’ebbe vinta e madre e figlia si ritrovarono sole nella stanza. Ecce terzo grado, ha aspettato pure troppo!
“Che mi dici di Alessandro…” ah così proprio de botto, senza girarci intorno, complimenti ma’  
“Alessandro?”
“Sì Alessandro, Maya, il signor Bonelli, il tuo capo … la persona che abbiamo avuto ieri a pranzo e con cui mi sei sembrata davvero in sintonia”
.“Mmm che vuoi che ti dica, è davvero una bella persona” minimizzò.
“L’oculista dice che per la mia età ho una vista invidiabile, lo vedo anch’io che è un gran bell’uomo. In costume da bagno poi …”
“Mamma!” protestò Maya. Matilde era una donna raffinata e di gran classe, ma non aveva peli sulla lingua. In questo, glielo concedeva, erano identiche. Per carità, aveva ragione, quando era uscito dallo spogliatoio con i suoi boxer scuri le era montata una vampata di calore neanche fosse in menopausa, ricordandosi la settordicesima ragione per cui le mancava.
“Ma io intendevo un’altra cosa…”
“È esattamente l’uomo che hai conosciuto: affabile, alla mano, simpatico e gentile”
“Mah”
“Che c’è?”
“Conosco quello sguardo” la sfidò, lo sguardo inquisitore “e mi aspettavo qualcosa di più”
“Che sguardo? Lo sapevo che ti eri messa qualcosa in testa e non dovevo venire qui mentre c’era lui …”
“Non dovevi o non volevi perché sapevi che me ne sarei accorta?” la provocò “Sei cambiata troppo negli ultimi tempi, Maya, e non me la sono mai bevuta che un trasloco fosse l’unica ragione. Sono tua madre, ti conosco…”
“Se pensi che sia cambiata per un uomo ti sbagli di grosso” Di questo era sicura: il cambiamento era avvenuto per sé stessa e per nessun altro. Si era vista allo specchio, si era guardata dentro e non si piaceva più, né si riconosceva.
“Non mi mettere in bocca cose che non ho detto” la riprese “dico solo che avere una persona come lui nella tua vita al di fuori della sfera professionale può averti aiutata ad aprire gli occhi, tutto qui” Maya restò in silenzio. Sua madre aveva colto nel segno: Alessandro aveva catalizzato il cambiamento o quantomeno una riflessione su chi fosse la persona che era diventata, facendole capire che non è necessario andare avanti per inerzia, anche perché la vita, prima o poi, il conto lo presenta ed è meglio correre ai ripari prima che sia troppo salato.
“Provi qualcosa per lui?” Seconda domanda a bruciapelo della mattinata e non aveva ancora finito di spalmare la confettura sulla prima fetta biscottata. Maya tirò un profondo sospiro di resa, ma anche di sollievo: era stufa di mentire.
“Immagino di sì”
“Immagini?”
“Non lo so cosa provo, ma è forte e anche se ho provato a farmela passare non ci riesco” lo disse tutto d’un fiato, prima che ci ripensasse. Ormai è fatta, non si torna più indietro.
“Io credo che tu lo sappia benissimo cosa provi, ma non voglia ammetterlo per qualche stupida ragione che ti passa per la testa. Per papà, forse?”
“Che c’entra papà?”
“Papà c’entra sempre con te”
Sua madre aveva ragione: suo padre era stata la ferita più grande della sua vita, una ferita che non si era mai rimarginata del tutto, un po’ come quelle crosticine che continuiamo a grattare e continuano, anche poco, a sanguinare. Lui aveva tradito la sua fiducia - e non solo la sua, aveva nascosto un mondo di bugie dietro una facciata di serenità e perfezione: ma lui era morto, non c’era modo per riparare, per parlarsi e spiegarsi. Da allora, Maya non riusciva a fidarsi di nessuno se non di sé stessa; talvolta, nemmeno quello.
“Sta per divorziare, ha due figli e 15 anni più di me. Niente depone a nostro favore”
“Ti ama?” Maya annuì “E ti rispetta?”
Era difficile dirlo, dopo quello che era successo, ma sembrava aver compreso i suoi errori e poco alla volta le stava dimostrando di meritarsi una seconda possibilità, non con le parole ma con i fatti. “Direi di sì” era ancora titubante, ma volle rispondere affermativamente.
“E allora non devi sapere altro …”
Matilde si alzò dalla sedia e, posatole un velocissimo bacio sulla testa, se ne andò canticchiando un motivetto, soddisfatta di quella conversazione. Che stronza, pensò Maya, ridendo tra sé e sé, rannicchiandosi sulla sedia e tirando indietro i capelli. Per la prima volta da mesi le stava montando su la tentazione di fumare, ma tolti i sigari che Ruggero teneva più o meno da collezione, sapeva che in quella casa non avrebbe trovato nulla per soddisfarla e le sue unghie caddero vittima della sua agitazione. Tacci sua … sua madre aveva sganciato qualche frase ad effetto e se n’era andata tutta felice a fare le faccende sicura di aver fatto centro e che ben presto avrebbe avuto un altro genero – e che genero – da presentare alle cariatidi sue amiche. Il tutto a sue spese. Maya era frastornata, invidiava a sua madre il senso pratico e risolutezza che probabilmente le venivano dal lutto e dal doversi rimboccare le maniche per mandare avanti la baracca. Forse, pensò, era il caso di iniziare a non farsi troppi problemi e autosabotarsi: proprio come per il lavoro, con le paturnie e le pippe mentali quello che voleva non sarebbe di certo caduto miracolosamente dal cielo.
 
 
Era la prima volta in una decina d’anni che Alex non metteva piede ad Ostia in alta stagione. Vuoi perché, con la casa al Circeo, appena aveva un weekend libero scappava lì anche solo per un tuffo al mare, vuoi perché Claudia detestava l’idea di andare in uno stabilimento balneare che avesse più di tre file di ombrelloni; e ad Ostia non solo gli stabilimenti avevano una dozzina di file, ma se ti cade qualcosa a terra stai sicuro che non fai a tempo a chinarti per raccoglierla che è già stata sepolta nella sabbia per il via vai di gente.
Eppure era la spiaggia della sua infanzia, delle infinite code per strada dentro la 127 di suo padre carica all’inverosimile per una giornata intera al mare, delle biglie e dei racchettoni, avrebbe dovuto tornarci con piacere: invece c’era stato un periodo della sua vita, un lungo periodo, in cui tutto quello che lo legava alla sua gioventù e alla sua famiglia doveva restare chiuso in un cassetto come un ricordo superato e fastidioso. D’inverno, per una passeggiata sul pontile, quando non c’era nessuno ci poteva pure stare, ma d’estate era meglio spostarsi dove chi ti doveva vedere poteva vederti, possibilmente in una spiaggia immacolata ed esclusiva, non di certo ad Ostia Lido. Una vita molto triste, se qualcuno glielo avesse chiesto ora: molto meglio un ombrellone attaccato a quello del vicino, due lettini e una sdraio per 8 persone – tanto i ragazzi sono sempre in acqua – patatine, una Peroni gelata e tante risate.
“Ah zì, ti stai rammollendo!!!” mentre Alessandro usciva dall’acqua, suo nipote lo sfotteva.
“Ah Valè, te c’hai vent’anni, sei un bestione di 1.90, se ti tiro su un’altra volta mi esce un’ernia!”
“Buuu!!!” lo fischiarono Daniele ed Edoardo, complici.
“Ah sì? Puffetta, tu che dici? Andiamo ad affogare tuo fratello e i tuoi cugini?” Giulia, nel suo costumino intero rosa, li aveva guardati fare i tuffi dalla riva, dove una bimba della sua età l’aveva coinvolta a giocare sulla sabbia. Ora però, all’idea di essere partecipe dei giochi dei grandi, lasciò tutto e corse in braccio al padre
“Sìììì!!!” Fatta sedere la bambina sulle sue spalle, Alessandro corse controcorrente con fare minaccioso verso i ragazzi, spruzzandoli di acqua con delle grosse bracciate. Uno alla volta, li gettò di peso in acqua, tra le loro risate e le grida, da riva, di Maria, naturalmente finite inascoltate.
“Peggio dei ragazzini sei!” Maria rimproverò suo figlio una volta tornato sotto l’ombrellone, coprendo la bambina con il poncho mare della Sirenetta di cui Giulia andava orgogliosissima.
​“Ah Marì, na volta che stamo tutti insieme, lasciali divertisse in santa pace!” la riprese Cesare, seduto sulla sdraio. Lui, con i capelli rossi e la carnagione chiara, il sole lo poteva prendere solo in quel modo: all’ombra e per farlo alzare dal suo tronetto c
’era un unico modo: i gavettoni; Valerio e Daniele se ne inventavano una nuova ogni anno per non farsi scoprire, a dispetto delle perquisizioni della loro camera da letto e delle borse prima di uscire di casa.
“E se succede qualcosa?” domandò Maria, apprensiva.
“Ma che vuoi che succede che l’acqua arriva sì e no al metro e cinquanta davanti agli scogli?!”
Alessandro e i ragazzi risero ma non troppo apertamente, per evitare gli scappellotti della nonna. Mentre i più giovani si spostarono al bar del lido a giocare a biliardino – e probabilmente a rimorchiare qualche ragazza adocchiata in acqua, a giudicare dalla velocità con cui lasciarono l’ombrellone – e Giulia mangiava qualche spicchio di frutta portata da casa, Alex buttò uno sguardo al cellulare. Aveva mandato due messaggi a Maya che non avevano ricevuto ancora risposta. Gli aveva detto che andava tutto benissimo e si erano anche sentiti ed augurati velocemente la buonanotte la sera prima, ma quella mattina non ancora una parola. È domenica, cretino, magari sta dormendo di più. E infatti, finalmente, alle 10.32 aveva risposto:
 
Buongiorno! Scusa mi sono svegliata tardissimo. Colazione e poi lavoro un po’.
Li saluto solo se tu mi saluti tuo padre. 😉
p.s. telefono scarico
 
Gli aveva mandato pure un emoji, segno che era di buon umore al punto da condividerlo con lui. O almeno così sembrava funzionare tra i giovani. Non che si sentisse decrepito, ma a volte sentiva di essersi perso troppo negli anni, di non essere stato al passo, nonostante il suo giornale seguisse, o meglio creasse i trend e le mode. Ma col cavolo che avrebbe salutato suo padre per lei: l’ultima cosa di cui aveva bisogno era un Cesare Bonelli su di giri per tutto il giorno per quel ritorno di fiamma per il quale probabilmente era persino più felice di lui.
 
Mi dispiace ma per le sue coronarie è meglio se non te lo saluto.
Ti mando un … incoraggiamento 😉 😘
 
“Ti senti ancora con quella ragazza?” Persino Anna, rediviva, aveva accettato di buon grado l’invito per quella giornata al mare in famiglia. Suo fratello era rimasto sempre al suo fianco, a suo modo, persino quando lei aveva superato ogni limite e nonostante quello che si erano detti.
“Perché me lo chiedi?”
“Così…per come sorridi allo schermo del telefono mi pari un adolescente alla prima cotta”
“Fatti i cazzi tuoi, Anna. Tu piuttosto, quando te la rifai una vita? Sarebbe pure ora…”
Le loro schermaglie, invece, erano rimaste identiche. Forse era semplicemente il loro modo di comunicare, non ne conoscevano un altro, e dovevano arrendersi al fatto che l’affetto che provavano l’un l’altro non erano capaci di esprimerlo in altro modo. E poi dalla sua Anna si portava dietro il suo orgoglio ferito e la consapevolezza di essere nel torto ma non riuscire né ad ammetterlo né a chiedere scusa: quando Alessandro aveva avviato le procedure per il divorzio, Claudia poco alla volta, ogni volta con una scusa diversa, aveva smesso poco alla volta di ronzarle intorno e la donna aveva iniziato a capire che forse aveva riposto la sua fiducia e la sua buonafede verso la persona sbagliata. Era stata una bella doccia fredda, ma come spesso accadeva nella sua vita avrebbe dovuto prevederlo e soprattutto avrebbe dovuto fidarsi della sua famiglia. Ora si sentiva estremamente in colpa.
“Io? Con quei due come faccio?” domandò con Giulia che, finito il suo spuntino, andò a chiederle di pettinare i capelli. Si sedettero al lettino e la donna iniziò a strecciare delicatamente i capelli della bambina, impiastricciati di salsedine.
“Valerio e Daniele sono grandi ormai, e tu sei ancora giovane” esclamò suo fratello “non è che devi espiare chissà quale colpa con la clausura e la castità. Esci, incontra qualcuno…magari perdi un po’ di acidume”
“Cafone”
“St-” Alex avrebbe voluto controbattere, ma già aveva parlato abbastanza davanti a Giulia che era tipo un megafono quando ci si metteva d’impegno, nonostante sembrasse non prestare attenzione a quello che gli adulti facevano o dicevano.
“Ma insomma, c’avete vent’anni pe’ gamba e ancora ve beccate come du regazzini?!” li riprese Maria. Lo aveva fatto per abitudine, come una sorta di riflesso incondizionato, ma in realtà dentro ballava la conga per quei figli che senza troppo clamore erano tornati quelli di un tempo, seppure nascondendosi dietro le solite baruffe.
“Insomma non c’hai raccontato niente di ieri” esordì suo padre, riemergendo dalle pagine della sua Settimana Enigmistica.
“Di ieri? Che ne sai?” domandò Alex, allarmato. Con un sorriso marpione, Cesare indicò la nipotina con un cenno del capo. Te pareva… “Un pranzo tra amici, niente di che”
Nel frattempo, Edoardo era tornato sotto l’ombrellone, allungandosi sul lettino dove era seduta la nonna, gli auricolari indossati e il telefono tra le mani. Difficile dire se stesse davvero ascoltando musica o fosse un modo per non essere disturbato.
“Ah, niente di che… e perché Giulia mi ha detto che ha conosciuto la mamma di Maya?” lo provocò Cesare. Alessandro notò sua madre all’erta e con la coda dell’occhio vide pure sua sorella che rideva sotto i baffi, con la soddisfazione della pecora nera della famiglia che vede il figlio perfetto finalmente rimproverato. Sei la luce dei miei occhi Giulietta ma te la taglierei quella linguetta, tacci tua…
“Perché ho conosciuto la signora e il suo compagno ad una mostra e mi hanno invitato. E prima che me lo chiedi … anche se forse già lo sai, c’era anche Maya. Ma non vi mettete in mente strane idee” li ammonì; ovviamente quelle strane idee, legittimamente, se le sarebbero messe in testa comunque, ma almeno avrebbe frenato le loro domande, almeno per un po’. “Soprattutto tu” concluse, indicando il padre.
Cesare alzò le mani in alto, indignato. “Io? Ma quando mai? Io me sono sempre fatto i fatti miei…”
“Quanto fai il drammatico, Cè … lo sanno tutti che sei n’impiccione de prima categoria”
“Povero me, pure questo me devo sentì dire”
“Dai papà, è meglio che non insisti…sennò poi scopriamo gli altarini” gli sussurrò, ridacchiando, portandosi alle sue spalle. Suo padre si ricompose, a disagio, sulla sdraio: le sue scappatelle a Testaccio per conoscere Maya prima di tutti era meglio che restassero tra loro.
Edoardo, quando la conversazione era ormai virata sui programmi per il Ferragosto, si alzò e suo padre lo vide confabulare con Giulia, prenderla per mano e andare insieme verso il bagnasciuga. Alex seguì con lo sguardo suo figlio, meravigliato; la differenza d’età tra i due si faceva sentire ogni giorno di più e, anche se di tanto in tanto il ragazzo diventava il fratellone attento e protettivo che aveva immaginato per la bambina, generalmente il loro legame era ridotto alla semplice convivenza. Mentre giocavano insieme con la sabbia e le formine, i due iniziarono a parlare. Edoardo faceva domande e la bambina, continuando in quello che stava facendo, rispondeva. Alessandro, incuriosito e insospettito, andò verso di loro.
“Uffa Dedo!” sbraitò la bambina “Perché non lo chiedi a papà? Io che ne so?!”
“Cos’è che mi devi chiedere Edo?”
“Niente” tagliò corto il ragazzo, alzandosi e tornando verso gli ombrelloni, lo sguardo basso, ma Alex fu più lesto di lui e, fermo, lo bloccò.
“No, non funziona così…io faccio una domanda e tu rispondi. Io non ti nascondo più niente, non vedo perché devi farlo tu”
“Mi ha chiesto se Maya è bella e simpatica”
“Zitta tu, spiona!”
“E c’era bisogno di tutta sta manfrina? Ovvio che io sono di parte e magari non sono obiettivo, ma sì è simpatica”
“E bella”
“Molto” rispose e si accorse di essersi inconsapevolmente aperto in un sorriso.
“Come mamma?”
“Non c’entra niente con mamma, se ti può essere d’aiuto”
Si sentiva a disagio a mettere a confronto le due donne, ma voleva far capire a suo figlio che non era un rimpiazzo o la sua versione giovanile in un momento di crisi di mezza età. Capitava a molti altri padri, ma lui sentiva che quello che stava succedendo a lui era ben diverso: è vero, si sentiva ringiovanito, ma quel sentimento era maturo, consapevole.
“A dire il vero, io a Giulia avevo chiesto anche un’altra cosa” prese coraggio il ragazzo “per questo si è arrabbiata. Le ho chiesto se vi ha visti baciarvi” “Ah beh, questo cambia le cose”
“Avevi detto che non mi avresti più nascosto nulla, no?” Sì gli aveva promesso che sarebbe stato sincero e aperto con lui, ma non così. C’erano dei limiti che voleva mantenere e che riguardavano il rispetto che doveva a Maya, visto che lei stava provando di nuovo a dargli fiducia.
“Posso trincerarmi dietro un no comment?” Edoardo era sveglio, avrebbe capito, doveva capire che si può essere aperti e sinceri senza per forza dover scendere nei particolari. Saperlo, del resto, non avrebbe aggiunto nulla a quella che era la realtà delle cose che non gli aveva nascosto.
Il ragazzino acconsentì, serrando le labbra in un sorriso forzato. Era una situazione nuova e anomala per tutti, Alex glielo riconosceva, ed era un percorso fatto di compromessi e talvolta anche di scontri; l’importante però era farlo, proprio come in quel momento, tutti insieme.

 
Salve a tutti! Come promesso, ecco per voi un capitolo di fine anno. So che questa atmosfera estiva è poco natalizia, ma alla fine con questo riscaldamento globale il Natale sta diventando sempre più simile a quello australiano in quanto a temperature, ahinoi. Oggi scopriamo le conseguenze di quanto avvenuta nella giornata in campagna, da una parte e dall'altra. Era inevitabile che lasciasse strascichi, però se non altro tra i due le cose sembrano filare lisci...è già tanto conoscendoli.
Vi mando i miei auguri di trascorrere un S.Silvestro sereno e un buon inizio anno. Alla prossima,
Fred ^_^

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 ***


 
 
 
 
 Capitolo 32

 
 
“Maya questi biscotti sono buonissimi” si complimentò Micol.
“Grazie” “Ma questi non sono i tuoi” disse Alice, sussurrando all’orecchio dell’amica “tu non ci metti il burro”.
“Ti devi fare i cazzi tuoi” le rispose Maya, sorridendo con noncuranza “la ricetta è la stessa”
Ok, no, non erano i suoi biscotti. Ma erano identici e spiccicati al suo palato, checché ne dicessero la Betti e Alice, e alla vista; magari la glassatura era più lucida e precisa, ma cosa potevano saperne Micol e gli altri dell’ufficio che i suoi dolci non li avevano mai assaggiati.
“Sembrano veramente i pasticcini che ti danno nelle pasticcerie viennesi” si complimentò Dario. Maya arrossì, con finta modestia.
“Sei senza vergogna” rincarò la dose Alice, affondando di nuovo la mano nel vassoio.
“Però mangi”
“Perché sono buoni!”
A sua discolpa, aveva avuto un weekend lungo e complicato e la Betti era cascata davvero a fagiolo con la raccolta fondi per la parrocchia. Lei aveva fatto una buona azione e in cambio c’aveva guadagnato un vassoio di frollini viennesi golosissimi e quando era arrivata in ufficio non aveva saputo ammettere che non fossero i suoi. Alla fine erano tutti contenti e soddisfatti. Avrebbe portato un dolce suo, prima o poi, lo aveva promesso e lo avrebbe fatto.
“Maya scusa” Fabio entrò, col fiatone. Sembra essere sempre sull’orlo di una crisi di nervi: si chiedeva se fosse davvero la persona più adatta per quel lavoro. “Oh ciao! Ci sei pure tu qui?” esclamò, vedendo Alice e distraendosi completamente.
“Sì, Maya ha portato dei dolcetti e mi ha chiesto di passare” Maya li guardava di sottecchi, forse era il caso di approfondire l’argomento con Alice.
“Ah … oddio mica è il tuo compleanno, onomastico…si festeggia qualcosa?”
“Calma Fabio!” lo frenò “nulla di tutto questo. Qui a Roma Pop ognuno porta qualcosa per la pausa caffè, a turno…favorisci! Non ti offro il caffè perché ti vedo già troppo a carico a pallettoni”
“Ah ah infatti, solo quello mi manca…” ridacchiò, in imbarazzo. “Che mi dovevi dire?”
“Ah sì, giusto …” Mortificato, il ragazzo confessò che Alex gli aveva chiesto di cercare delle foto in archivio ma aveva fatto un casino con le password e non riusciva più ad entrare. Che impiastro! Maya, stupita che lo chiedesse a lei che con i computer ci sapeva lavorare, ma di certo non era un’esperta, gli ricordo che avevano un tecnico. “È in ferie” spiegò lui, avvilito “allora ho pensato che magari sapessi come fare”
Maya si massaggiò la fronte, sconfortata per quel grattacapo. “Hai fretta? Perché adesso facciamo una piccola riunione e poi vengo a dare un’occhiata”
“No, va benissimo. Grazie mille! Mi hai salvato la vita” E il posto di lavoro.
Il ragazzo uscì dall’ufficio e Maya non poté fare a meno di notare lo sguardo trasognato di Alice.
“Ali, tutto ok?” la richiamò, schioccando le dita davanti al suo volto, facendola sobbalzare.
“Uh? Sì sì…stavo pensando… sì, cioè, è un bel ragazzo Fabio, ve’?”
Maya squadrò l’amica quasi schifata. “Fai sul serio?” 
L’aveva sempre trovata originale, fuori dagli schemi ed era sicura che se mai avesse avuto un compagno sarebbe stato un tipo eccentrico e un po’ fuori di testa come lei, ma questo era troppo anche per lei. E poi era un ragazzino.
“A parte che ha 26 anni, solo 4 anni in meno di me” le fece notare l’amica, quando Maya espresse le sue perplessità “e poi tu fai la morale a me? A te piace uno di 15 anni più grande!”
Alice sembrava proprio presa e lui, incredibilmente ma non troppo – Alice era molto carina e simpatica, era facile restare colpiti da lei – la ricambiava. Si stavano frequentando, non c’era nulla di concreto, ma lui l’aveva invitata a passare le vacanze in Germania da alcuni cugini, sulle Alpi Bavaresi.
“Ma no, figurati l’età è un numero. È che lo vedo così immaturo per te”
“Sì lo so che di primo acchito lo vedi un po’ così…non gli daresti due lire … invece è un bravo ragazzo, sensibile, allegro, energico”
“E poi ti ha strappato dalla Riviera Romagnola per l’estate. Credevo che ci avessi messo le radici lì. Certo non pensavo saresti finita a fare Heidi su monti…”
“Maya!” la sgridò Alice, tirandole un colpetto sul braccio tra le risate. Maya rispose con una linguaccia spiritosa.
Raissa riportò ben presto tutti all’ordine e chiuse la pausa caffè.
“Senti in pausa pranzo ci vediamo?” le chiese Alice “Dobbiamo ancora discutere cosa portare a casa di Monica e del marito”
“Va bene. Ora vai”
Il gruppo Whatsapp che avevano creato con sua sorella e le altre amiche era in fermento. Monica, con la scusa di organizzare una serata per vedersi prima delle ferie, le aveva invitate tutte a cena a casa sua. Le altre pensavano fosse gentile ma erano rimaste spiazzate che volesse fare una cena in casa in pieno agosto anziché andare fuori da qualche parte, ma Maya sapeva cosa c’era dietro: finalmente lei e Paolo si erano decisi ad annunciare la gravidanza e preferivano farlo nel privato della propria casa attirare l’attenzione in un luogo pubblico. Avevano già organizzato una cena per gli amici di Paolo, Alex compreso e per fortuna lei lo sapeva già da un pezzo, altrimenti lui le avrebbe rovinato la sorpresa senza troppi complimenti. Diventeremo zii, le aveva scritto per messaggio, dopo la cena, e se non fosse stato per quel plurale buttato lì così inatteso eppure così gradito, gli avrebbe staccato la testa per non essere stato in grado di tenere il segreto. Nella testa di lui era tornato ad esserci un noi, forse non aveva mai smesso di pensarlo e ora quel pensiero non le dispiaceva e non proiettava più di fronte ai suoi occhi il ricordo di un letto vuoto per metà al mattino. Non che lo avesse dimenticato, ma le parole dell’ultimo weekend e quel bacio – che bacio! – avevano spazzato via l’amarezza e il livore.

“Maya!” Raissa, la riportò con i piedi per terra “è pronto il tuo pezzo per venerdì?”
“Assolutamente sì” affermò, soddisfatta, tornando alla sua postazione “oggi pomeriggio registro il voice over con Tanjir”
“Ok perfetto, perché ho bisogno che giovedì mi copri un evento all’ex Lanificio” Salti mortali per la cena da Monica. Check.
“Dove?”
“Pietralata” le suggerì Giovanni.
Se il Pigneto era la capitale romana degli hipster, Pietralata ne stava diventando la succursale: decisamente fuori dal suo raggio d’azione.
“C’è una performance artist che si esibisce e dovresti intervistarla. Te la sei cavata così bene con Lachapelle che mi sembra giusto ci vada tu”
Per un attimo Maya si sentì spiazzata: non sapeva se essere lusingata dal commento di Raissa o spaventata per l’aspettativa che ora, di sicuro, lei e gli altri ragazzi avevano nei suoi confronti. Il formato dei servizi – i video, il linguaggio diretto e asciutto – erano per fortuna la sua salvezza. Raissa le girò un foglio con tutti i dettagli “Madame Decadent” lesse ad alta voce e appuntando sul tablet di chiamare Giangi per qualche informazione o dritta.
Performance!” chiosò Micol, scopiazzando l’imitatrice della tv. Tutti scoppiarono a ridere e anche Maya si distese un po’.
 
 
“Direi che qui abbiamo finito”
“Affermativo, penso di aver ripreso tutto”
Mentre Tanjir riponeva la sua attrezzatura nelle custodie, Maya dava un ultimo sguardo in giro, per controllare che non avesse perso nulla da appuntare. Erano arrivati nel pomeriggio per una video intervista con l’artista e, man mano che la venue si riempiva di avventori, avevano iniziato a fare qualche ripresa della location nel pieno dell’evento.
A breve la performance sarebbe iniziata e al piano di sopra dell’edificio il ristorante e la discoteca in terrazza si stavano riempiendo, ma lei continuava a guardare l’orologio. Non poteva assolutamente tardare alla cena da Monica: aveva avvertito del ritardo, ma ci doveva essere, lo aveva promesso.
“Posso offrire un drink alla principessa?” Maya si voltò, pronta a mandare a quel paese chiunque stesse usando quel soprannome che detestava.
“Giangi! Stava per arrivarti una pizza, lo sai?” Aveva dimenticato che era bravissimo a camuffare voce e accento.
“Valeva la pena correre il rischio”
“Che ci fai qui?”
“Quando mi hai chiamato ho pensato che non potevo perdermi questa serata”
Si era talmente immedesimato nell’atmosfera della serata che avrebbe potuto mimetizzarsi con le pareti del locale ed il resto dell’edificio. Il suo stile sofisticato si era adeguato alla stagione e poteva passare tranquillamente per un hipster di zona, con una semplice camicia bianca con le maniche arrotolate e le bretelle. Da quelle parti, assolutamente vietato acchittarsi.
“Che mi dici di questa Madame Decadent?” le domandò.
“Mah…ho provato a venire qui spoglia di pregiudizi, abbiamo parlato di un sacco di cose importanti, profonde …”
“Insomma, il più classico sono io, non sei tu
“Esatto”
Avrebbe fatto il suo lavoro, raccontato al meglio e con rispetto l’artista e la sua arte, ma non faceva proprio per lei.
“Dai, andiamo a prendere da bere, qui su c’è la terrazza del momento a quanto mi è stato riferito”
“Grazie Giangi, davvero, ma mi aspettano a cena e arriverò già in ritardo”
“Oh Maya!” Tanjir, che era rimasto defilato, si intromise tra loro, pressante “non puoi capire chi c’è! Vieni con me”
“No dai, Tanjir, te l’ho detto che vado di fretta”
“Lo so, ma ti giuro che ti rubo solo due secondi…”
Il ragazzo la trascinò via suo malgrado, senza che Maya potesse ribattere, lasciando Gianmaria con un palmo di mano.
“Bella zì!”
“Noooo Tanji!!! Ciao zì” Tanjir, piccoletto e paffutello salutò questo vichingo di un 1.90, spalle larghe e capelli alle spalle biondissimi ma ancora fondamentalmente un ragazzino. A volte Maya dimenticava che, in effetti, lei e Raissa erano le veterane del gruppo e gli altri, Tanjir incluso, avevano poco meno una decina di anni in meno. La cosa più strana era che quel ragazzo aveva un’aria stranamente familiare che non sapeva spiegarsi.
“Che ce fai qua?” chiese quel giovane Thor romanesco.
“Roba de lavoro, m’hai fatto svoltà, zì!”
“Daje, so’ contento!”
“E te, che ce fai da ste parti?”
“Il fratello della ragazza de mi cugino c’ha messo in lista ed entriamo a metà prezzo” spiegò il vichingo “vuoi mette”
I due iniziarono a parlare del più e del meno, dei fatti loro e di altri ragazzi alle loro spalle che, alla penombra del locale, Maya faticava a mettere a fuoco. Si schiarì a gola: “Tanji…io”
“Oddio sì scusa, che scemo. Valè ti presento una mia collega, Maya Alberici”
“Maya Alberici? Di Roma Glam?”
“Zì t’ho detto che è na collega!” lo riprese Tanjir “Maya lui è Valerio Bonelli, è il nipote di …”
“Alex”
“E quello è suo figlio…ma ci pensi? Na roba assurda!”
A Maya si gelò il sangue nelle vene. Avrebbe voluto scappare ma i suoi muscoli si erano bloccati così come il suo cervello che non riusciva ad elaborare quell’informazione. Sembrava muoversi per inerzia. Strinse le mani del vichingo e di suo fratello, un morettone mediterraneo leggermente più piccolo che, ora che riusciva a vederlo meglio, sembrava Alex ma con 20 anni di meno, gli stessi occhioni da cucciolo, gli stessi occhi verdi e la carnagione olivastra; il suo sguardo però era fisso sul biondino, alto più o meno come lei, che si teneva in disparte.
“Edo! Non saluti?” gli domandò quello che aveva intuito essere il maggiore dei cugini, con la stessa espressione furba e sornione che aveva visto in Alex quando si divertiva a stuzzicarla. Che stronzi sti Bonelli!
Il ragazzo lo guardò in cagnesco ma obbedì, avvicinandosi. “Piacere!” disse, tendendo la mano come se qualcuno gli stesse puntando una pistola in testa.
“Ciao!” rispose Maya, provando a restare distaccata ma naturale al tempo stesso: in un certo senso, la presenza di Tanjir si stava rivelando provvidenziale, perché di sicuro Edoardo non aveva interesse a diffondere un dettaglio così personale come la quasi parentela e lei men che meno.
Era passato parecchio tempo da quando Maya lo aveva visto l’ultima volta: più o meno un anno e mezzo prima, ad un party di Natale della rivista. L’ultimo Natale, con la separazione di Alex in corso, l’uomo si era presentato al party da solo e quando era stata nella casa di Prati il ragazzo era in montagna con i nonni; lei lo aveva visto in qualche foto che Alex le aveva mostrato di sfuggita sul telefono e sapeva benissimo che non era più il ragazzino con l’apparecchio che se ne stava in disparte e non salutava nessuno, ormai era alto come lei se non di più, ma in carne ed ossa era tutta un’altra cosa. A vederlo di fianco ai cugini, era chiaro come il sole che dei Bonelli quel ragazzo aveva pochissimo, era la copia spiccicata di sua madre: biondissimo, gli occhi di ghiaccio, gli zigomi pronunciati e lo sguardo severo, di quelli che sembrano costantemente imbronciati.
Da come si sentiva guardata, Maya intuì che i due ragazzi più grandi sapevano dei trascorsi tra lei e il loro zio e che le stavano provando tutte a mettere a disagio non tanto lei, quanto quel povero ragazzino. Allo stesso tempo la guardavano e si guardavano tra loro, sogghignando. E a lei, anziché montare disgusto o rabbia, venne da ridere: il suo cervello, che era bacato – Lavinia diceva che era caduta dal seggiolone da piccola, le aveva proiettato davanti agli occhi la scena di lei che racconta ad Alex l’incontro e persino quella dei nipoti che lo prendono in giro, o si complimentano, dipende dai punti di vista, per la scelta. Tu non sei normale, Maya, è arrivato il momento di farti vedere da uno bravo comunque.
Edoardo invece, proprio come lei, aveva tutta l’aria di voler essere altrove, sperando di chiudere quell’incontro al più presto possibile.
“Ehm … scusate” disse Maya, prendendo l’iniziativa “io devo proprio andare. Mi aspettano ad una cena e prima volevo salutare un amico”
Si allontanò guardandosi intorno e sperando che Giangi non fosse già andato su, al Rooftop Bar. Lo trovò in un angolo della sala dove dei neon fulminanti e una musica techno anni ’90 annunciava l’inizio della performance: era con altra gente ma in quel momento le importava poco.
“Ehi Giangì!”
“Ch’è successo, tesò, ti vedo sconvolta” le disse, mentre Maya intrecciava il suo braccio a quello di lui, tentando di mimetizzarsi e fingendo interesse verso la ragazza dai capelli blu che, quasi in trance, mischiava live painting, body painting e danza.
“No, non puoi capire chi ho incontrato…preferirei scordarlo”
“Non mi dire, il tuo ex trombamico? Com’è che si chiamava … ah sì, Federico … Ultimaspiaggia
“Ma no, non lui! Che vai a pensare…” Era una vita che nemmeno ci pensava a quel ragazzo e non sapeva nemmeno che fine avesse fatto, non che le interessasse oltretutto. “C’è il figlio di Alex”
“Chi?”
“Dai non fare finta di non aver capito!”
“No amo, n’hai capito, stavo cercando di elaborare l’informazione”
“Elabora in fretta che non c’ho tempo”
“Vié co’me, c’ho bisogno di zuccheri pe’ parlare di ste cose!”
L’amico la trascinò al bar e ordinò un Daiquiri alla fragola mentre Maya gli raccontava quello che era successo.
“Ma perché tutte a te succedono ste cose assurde?” domandò, bevendo dalla cannuccia un sorso del suo cocktail “Sembri la protagonista di una commedia romantica. Oh! Adoro! Io sono l’amico gay!”
“Smettila, parliamo di cose serie”
“Va beh era un dato de fatto… comunque che ci fa qua? Puzzerà ancora di latte, già va in discoteca? Ah, sti figli di papà…” Da che pulpito…
Maya lo riprese, ricordandogli che non era affatto quello il punto, ma il fatto che era il figlio dell’uomo con cui stava uscendo – inutile nasconderlo perché tanto sicuro la notizia era arrivata alle sue orecchie – e lei non aveva saputo cosa dirgli.
“Ma perché cosa volevi dirgli? Ciao, ti dispiace se mi faccio tuo padre?”
“Giangi!”
“Sono cose vostre, non dovete chiedere il permesso. È lui che si deve mettere l’anima in pace”
“Sì, ok, ma sapere che non mi ucciderebbe nel sonno se ne avesse la possibilità mi farebbe stare più tranquilla”
Era un’iperbole che l’amico avrebbe capito, ma non ci andava troppo lontano. L’opinione di figli per Alex era fondamentale: poteva fingere che non fosse così, poteva blaterare che avrebbe combattuto per loro come coppia e avrebbe convinto i figli ad accettarla, ma la disapprovazione del ragazzo sarebbe rimasta un ostacolo, sempre.
Mentre discuteva con Gianmaria, Maya notò con la coda dell’occhio un ragazzo biondo avvicinarsi. Edoardo. Anche se a fatica, il ragazzo abbozzava un sorriso, seppur impacciato.
 
Nonostante la freddezza e il distacco con cui si erano salutati, Edoardo volle sforzarsi di scorgere quella sincerità e quella gentilezza che, oltre suo padre, ormai praticamente tutti dicevano di vedere in lei. E per togliersi il dubbio doveva raccogliere tutto il coraggio che aveva e affrontarla faccia a faccia, lontano dai cugini importuni e gli estranei impiccioni.
Le luci del bar confermavano che non era brutta, tutt’altro: le gomitate di Daniele avevano provato che se solo avessero avuto qualche anno di più suo padre avrebbe avuto concorrenza in famiglia; e poi sembrava tutto, meno che l’arrivista arrampicatrice sociale di cui sua madre blaterava. Lui non la ricordava, onestamente, le feste di Natale con i colleghi del padre erano una condanna annuale a cui avrebbe fatto volentieri a meno di partecipare e di certo non badava agli invitati quando era lì; e così quando diventava argomento di conversazione con suo padre oppure la sentiva nominare da sua madre - la quale, di contro, si sfogava al telefono con la zia, con le amiche o persino con lui, di tanto in tanto - nel suo immaginario c’era una ragazzina, magari pure un po’ volgarotta, di quelle dal trucco pesante e il filler alle labbra. Guardandola bene non l’avrebbe catalogata come una bellezza acqua e sapone, ma era una tipa tranquilla, pulita, il trucco ben fatto e i capelli stirati in una coda di cavallo. Sembrava una di quelle ragazze di buona famiglia che frequentavano i campi da tennis del circolo, oppure una delle ragazze della sua scuola ma con qualche anno in più. Riconosceva che il suo era un pensiero tremendamente superficiale, ed era facile addossare tutta la colpa a sua madre, alla scuola e alle sue amicizie, ma la verità era che aveva sempre avuto una scelta e nel tempo lui aveva fatto puntualmente quella sbagliata. Invece che mettere al primo posto la serenità della sua famiglia, pur in un modo diverso di essere famiglia, aveva messo al primo posto sé stesso e il suo egoismo, nonostante fosse chiaro pure a lui che in quel modo non potevano andare avanti.
“Scusa...ti posso parlare un attimo?”
“Ce..certo” balbettò Maya, incredula, il cuore che sembrava volerle uscire dal petto. Giangi le posò un bacio sulla guancia e si congedò, con la scusa di tornare a vedere la performer.
“Io … cioè mio padre mi ha detto della novità, si insomma di voi” disse, in evidente imbarazzo. Ma cosa dire in questi casi: buona fortuna?! In bocca al lupo?
Maya lo capiva: in fin dei conti era pur sempre il padre che stava con un’altra. Quando sua madre le aveva presentato Ruggero le circostanze erano ben diverse, suo padre era morto e sapeva bene l’eredità che aveva lasciato a sua madre. Eppure ci aveva messo un po’ per accettarlo, forse ci stava riuscendo davvero solo ora, dopo anni.
“Al di là di tutto sono…sì insomma sono contento per voi”
“Ah sì?” disse la giovane, incredula, grattandosi nervosamente la nuca “beh è solo un inizio, non ci siamo ancora, per così dire”
“Cioè non è che sia proprio contento a dirla tutta” fosse stato per lui avrebbe preferito che suo padre avesse aspettato ancora, ma ora aveva capito che la serenità di suo padre era un guadagno per tutti, lo aveva sperimentato su di sé “però per papà è importante e quindi penso di poter fare uno sforzo”
“Mi fa piacere sentirtelo dire, davvero” annuì la giovane, la voce che si rompeva suo malgrado ma allo stesso tempo si era aperta in un sorriso brillante e solare, di chi si è tolto un peso “è importante anche per me, e ci tengo davvero che possa funzionare. Per tutti.”
Era una relazione difficile, affollata, dove non sarebbero mai stati davvero solo loro due e Maya aveva dovuto farci i conti fin dall’inizio. Forse, a dispetto di quello che pensava e dichiarava, non lo aveva accettato davvero: Giulia sì, era la sua mascotte, le voleva un bene dell’anima e non aveva faticato a volerle bene ma con Edoardo era stata tutta un’altra faccenda. Nella sua testa aveva sempre sperato che fosse un problema che il tempo avrebbe risolto da solo, ma se voleva stare con Alex, ora era chiaro che Edoardo era un problema anche suo e perché l’accettasse doveva lavorarci su anche lei.
Ora però si sentiva completamente libera. Era un’approvazione insperata, che non avrebbe mai pensato di ottenere così facilmente. Era consapevole che il ragazzo non fosse il suo fan più accanito e che di certo lo stava facendo per il padre e non per lei e avrebbero dovuto lavorare per costruire un rapporto, ma era un inizio a dir poco insperato.
Fuori dal locale, mentre aspettava un taxi, rincontrò Tanjir.
“Assurdo conoscere la famiglia del capo, vero?” esordì Tanjir “cioè non diresti mai che hanno un milionario in famiglia, no?” Maya annuì. Ovviamente, per fortuna, Tanjir non aveva capito nulla, a differenza di Valerio e Daniele. “Allora, dov’è che hai sta cena che t’accompagno?”
“No no, vado a casa, la cena è da una mia vicina…ma prendo un taxi, stai tranquillo”
“Sei sicura?”
Era sicurissima: aveva bisogno di gettarsi sul sedile posteriore di un’auto e non sentire nessuno che le parlasse. Aveva bisogno di assorbire quanto successo e processarlo perché fino a quel momento era stata un’esperienza dell’altro mondo. E non era finita lì: il giorno seguente, dopo il lavoro, lei ed Alex sarebbero usciti insieme.
 
Era passata da un pezzo la mezzanotte quando Edoardo rientrò a casa. No, non a casa. A casa di suo padre. Quella che suo padre definiva casa; che poi era un appartamento di un residence: di lusso, glielo concedeva, sempre un residence restava.
Suo padre diceva che per lui, con il suo lavoro, era più pratico che avere una casa da gestire, con una governante, le riunioni condominiali, i pagamenti e le scadenze varie, ma lui lo detestava. In più, era a due passi da casa sua, quella vera. E iniziava a capire i suoi, davvero, capiva la situazione del divorzio e quello che implicava, ma si sentiva grande abbastanza, ormai, per esserne esentato.
E questo non significava che non volesse passare del tempo con suo padre, tutt’altro. Incredibilmente, negli ultimi tempi, si poteva quasi dire che preferiva passare più tempo con lui che con la madre, ma a sera andare in quell’appartamentino anziché dormire nel suo letto gli sembrava francamente ridicolo. Ma immaginava di dover essere grato che fosse ancora una situazione accettabile rispetto a quella che probabilmente si sarebbe prospettata a breve: condividere il tetto con suo padre e la sua compagna. Giulia l’adorava e lui la invidiava, perché farsela andare bene senza tante storie, senza un perché, avrebbe reso tutto più facile.
Stava pensando a quello quando, inserendo la card per aprire la serratura si accorse che la luce era ancora accesa nella camera da letto di suo padre. Si potevano dire tante cose di suo padre, ma non che fosse autoritario: aveva i suoi momenti di paranoia, le sue regole, ma era pur sempre un genitore e non si poteva fargliene una colpa.
Era perfettamente inutile provare a sgattaiolare in cameretta e così preferì affrontare il ritardo di petto, negoziando con lui la strigliata meno severa possibile.
“’sera!”
“Eh…buonanotte!” lo redarguì sarcastico suo padre, con il pc sulle gambe e gli occhiali inforcati.
“E sti occhiali?” gli domandò Edoardo, provando ad eludere la questione ritardo.
“Sono da riposo, li uso sempre quando sto al pc fino a tardi…non sviare!” colpito e affondato “hai visto che ore sono?”
“Sì lo so, ma ci siamo fermati a fare benzina e a prendere qualcosa da mangiare prima di rientrare. Ma poi ero con Valerio e Daniele, di che ti preoccupi?”
“Sono tuoi cugini, mica due angeli del paradiso. E anche se così fosse non ci siete solo voi per strada”
Alex non gli mandava messaggi e non faceva chiamate finché non era assolutamente necessario perché sapeva che i ragazzini sanno ritorcere contro ogni minima ingerenza dei genitori, ma questo non significava che riuscisse a chiudere occhio o a respirare tranquillamente quando sapeva che suo figlio era in giro. L’incidente, poi, aveva inasprito le sue ansie.
“E il telefono non si usa? O erano tutti scarichi?” Una sola cosa gli chiedeva: un messaggio all’arrivo e prima di ripartire.
“No, hai ragione, mi sono dimenticato”
“Cartellino giallo, Edo, uomo avvisato mezzo salvato”
“Ok” bofonchiò, gli occhi al cielo.
Ad Alessandro quelle reazioni scomposte lasciavano totalmente indifferente oramai: erano padre e figlio ed era il naturale corso delle cose che non lo stesse a sentire; e poi era zucchero a confronto dei loro trascorsi.
“Va beh” disse Edoardo, scocciato “adesso che so’ rientrato poi pure dormire tranquillo”
“Devo smaltire l’ansia, raccontami un po’ della serata. Manco mi hai detto dove siete stati…”
“Mah, un po’ così, in giro…” Era evidente, per Alex, che stesse divagando per evitare di dire la verità.
“Edo!”
“Il fratello di Mavi c’ha messo in lista per una serata al Lanificio, ma niente di che…c’era un’artista che si esibiva, un dj a mettere musica, le solite cose”
Cazzo! Di mille locali a Roma, proprio in quello dove avevano mandato Maya a fare un servizio. “Ah, e com’è stato?” indagò, evasivo. Del resto, i due erano andati prima dello spettacolo, quante possibilità c'erano che si fossero incrociati, siamo seri.
“Le solite robe un po’ hipster che piacciono a Jordi” Jordi. Alessandro faticò a restare serio: non per il nome in sé ma per la parodia di Maya di qualche giorno prima.
“Immagino … abbiamo mandato anche noi una troupe per fare un servizio”
“Lo so…”
“Come lo sai?” Oh merda!
“Li abbiamo incontrati appena arrivati, loro stavano andando via. Il cameraman è amico di Valerio, dovresti saperlo” Edoardo lo guardava giudicante, come se provasse a capire per quanto ancora avrebbe evitato l'argomento. Un'elefante nella stanza, come lo definiscono gli inglesi, e si ostinava a non volerlo affrontare. Meno male che sei tu l'adulto tra i due, vergognati Alex!
“Sì…sì certo”
“E c’era pure l’amica tua” Alla fine si era fatto coraggio e lo aveva tirato fuori lui stesso.
“Edo, ascolta…”
“Non attaccare con i pipponi, te prego, è quasi l’una e voglio andare a dormire. Ci siamo stretti la mano e le ho detto che va bene così”
“Co-così? Così cosa?” balbettò il padre, incredulo.
“Le cose tra voi. Sì insomma, che non farò casini stavolta…”
“Le hai detto davvero così?”
“Oh senti, il significato era quello!”
“E lei?”
“Lei è a posto”
“Che significa a posto?”
“Pa’ basta, è tardi c’ho sonno!”
Per rientrare tardi non hai sonno vero?! “Va beh, vai a dormire, va” disse Alex, guardandolo in tralice. Questa gliel’avrebbe abbonata perché tutto si aspettava da suo figlio meno che un’iniziativa, figurarsi un moto di compassione e magnanimità nei confronti di una ragazza che, pur senza conoscere, aveva fortemente osteggiato.


 
Insomma hai conosciuto mio figlio…
 
Voi Bonelli avete questa capacità straordinaria di tendermi agguati…comunque dovevi essere proprio un cucciolo da ragazzo
 
???
 
Tuo nipote…è identico a te. Se fosse lui più grande o io più piccola ci avrei fatto un pensierino
 
😲
 
Scherzo! O no, chissà 😏
 
Torniamo a discorsi seri. Che mi dici? Di Edoardo, intendo
 
Ne possiamo parlare domani?
È tardi sono stanca e non voglio parlarne così
 
Ok…
 
Ehi! Va tutto bene. Un incoraggiamento😏😘

 

Mi scuso per il ritardo, ma tra lavoro e poi influenza non ho avuto molto tempo da ritagliarmi. Capitolo di transizione, con una piccola sorpresa nel finale, non c'è granché da dire se non che le cose sembrano in discesa. Ma lo saranno davvero? Lo vedremo presto. A presto,
Fred ^_^
 

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Capitolo 33
*** Capitolo 33 ***


 
 
 
 
 Capitolo 33

 
 

 

Tornare a messaggiare con Alex era stato un grosso passo per Maya, capitato un po’ per caso ma il coraggio che ci aveva messo l’aveva premiata: la divertiva e le piaceva provare ad immaginare le espressioni di lui mentre leggeva i suoi messaggi, le sue paturnie e i suoi dubbi di fronte alle emoticon e a quei tre punti che lasciava in sospeso per indispettirlo. Non ci fosse stata la questione di Edoardo, probabilmente la sera prima sarebbe rimasta a messaggiare fino a tardi, o forse presto, fino all’alba, ma quell’incontro aveva bisogno di assorbirlo prima di poterlo raccontare al più diretto interessato. E di certo non tramite un telefono. 
“Culturali” disse Alice, sedendo alla postazione di Micol, di fianco a lei. Maya non si era nemmeno accorta che la collega si era alzata per fare posto alla sua amica.
“Eh?”
“Poli culturali … è la parola che ti manca per andare avanti, ma da quando sono entrata che fissi lo schermo con lo sguardo nel vuoto” stava finendo di scrivere l’intro per il servizio registrato il giorno prima alla discoteca e il ricordo aveva preso il sopravvento. Ancora stentava a crederci.
“Ah oddio” farfugliò imbarazzata, finendo di digitare la frase “ero sovrappensiero”
“Robe brutte o robe belle?”
“Veramente non lo so nemmeno io” chiosò, lasciandosi andare ad un sorrisetto impacciato ed esitante. Tornò al computer.
“Allora si tratta di”
“Shhhh!”
“Di questioni cuore” calcò la frase Alice “quando non si capisce più niente è per forza roba di cuore”

La ragazza era serissima, sorseggiando dalla borraccia in vetro la sua acqua aromatizzata. “Puoi dirlo forte…ma che ci fai qui?”
“Pausa, tanto c’è la nuova stagista a fare pratica al posto mio”

Ad agosto, approfittando del periodo morto, Alice poteva finalmente staccarsi dalla sua postazione per un meritato periodo di vacanze, sostituita dallo stagista (anche se schiavetto rendeva meglio l’idea) di turno.
“Non mi chiedere altro, non è il caso qui.”
“Ma era così per dire, non mi stavo impicciando dei fatti tuoi. Dovresti conoscermi”
“Tranquilla, sono io che vado in paranoia per nulla …”
“Se hai bisogno di sfogarti sono qui” disse Alice, picchiettando con le dita sul cellulare dell’amica, posato sulla scrivania “per quanto non so quanto possano essere utili i miei consigli visto che secondo qualcuno mi vedo con Peter di Heidi …”
“Eddai ancora!!! Era una battuta!” Conoscendola, era grasso che colava se non era un nerd tutto video giochi e serie tv fantasy che parla solo per citazioni. Questo prospetto faceva sembrare Fabio un principe azzurro, a confronto.

“Stasera ci vediamo, per un appuntamento” confessò Maya, fingendo di tornare al lavoro sul pc. Alice le strinse il braccio più del dovuto e Maya pensò che probabilmente doveva pure ringraziare il cielo se non averla urlato.
“Ahia!”
“E scusa! Ma me lo dici così, adesso? Ti ricordo che siamo state a cena insieme ieri sera … scusate, robe nostre” La ragazza fu costretta a ricomporsi notando che nello stanzone era calato il silenzio e tutti la fissavano.
“Ti pare che mi mettevo a parlare dei fatti miei la sera che Monica ha annunciato di aspettare un bambino?” Era la sua festa, la sua serata, non era carino attirare l’attenzione su di sé. Alice mugugnò, non era soddisfatta ma la risposta di Maya era inoppugnabile.
“E non sei sicura?” domandò allora, a bassa voce.
“Oh no, sono sicurissima è che … lui parte e io resto a Roma”
“Di che hai paura? Quello le corna non te le mette, tranquilla” Le due risero tra loro, complici-
“Ma vattene! No…ho paura che poi gli correrei dietro come una sottona”
“Su quello non c’è pericolo…sei già una sottona!” esclamò la giovane, facendole l’occhiolino e controllando il suo orologio “Uh! Si è fatto tardi, meglio se torno in reception”

Eccola Alice: prima lanciava la pietra, e poi nascondeva la mano, ma Maya non l’avrebbe cambiata con nessuna al mondo. Sì, in effetti era una gran sottona, lo riconosceva pure lei, faticava ad ammetterlo solo perché, fino a poco meno di un anno prima lei non era così. Fino a poco meno di un anno prima, a dire il vero, lei non era molte cose, ma le piaceva decisamente di più questa versione attuale di sé. E non poteva nasconderselo: il grosso del lavoro lo aveva fatto da sé, ma Alex era stato un catalizzatore, la miccia che aveva fatto innescato tutto, che le aveva mostrato che non si deve rimanere per forza impantanati in un sistema che, seppure di comodo, non dà piena soddisfazione e non ci fa rendere al meglio. Era arriva alla conclusione, dunque, che doveva solo seguire l’onda, quello che il suo cuore e il suo istinto avrebbero giudicato meglio per sé.

Poco dopo che era tornata tranquillamente al lavoro, il telefono di Maya si illuminò. Era suo fratello.

Se c’è una cosa che non sopporto degli italiani è che tutti vanno in vacanza ad Agosto

 

Prego?

 

Oggi salto la pausa pranzo a causa del tuo capo, perché sennò poi lui va in vacanza

 

Maya rise a quel messaggio. Se solo Lorenzo avesse saputo … e nemmeno minimamente sospettava, quando tutti attorno a lui invece sapevano; ma era un uomo, non poteva fargliene una colpa, loro arrivano sempre in ritardo di fronte alle novità. Lo liquidò ricordandogli che il suo capo aveva dei figli e una ex moglie e non aveva tanta scelta. E così facendo lo ricordò anche a sé stessa. Far parte della vita di lui significava far parte della vita di altre persone, ma la consolava che la stessa cosa valeva per tutte le altre coppie: non si è mai davvero soli in una relazione.
Neanche il tempo di chiudere con il fratello che Raissa riemerse da dietro lo schermo del suo pc.
“Ragazzi breaking news!” esclamò; pochi secondi e a tutti venne notificata un’email sulla posta elettronica. La solita riunione giornaliera, questa volta ancora più cruciale perché l’ultima prima delle vacanze del capo, era saltata.

“E ora?” domandò Micol, spaesata. Tutta la redazione di Roma Pop era visibilmente alterata, era il primo vero contrattempo che si presentava da quando avevano aperto i battenti ed era evidente che non erano abituati a lavorare sotto pressione. Tre settimane senza il boss che si aprivano senza una linea editoriale approvata, per loro che erano alle prime armi, erano un bel salto nel vuoto.
“E ora niente, tutto quello che dovevamo dire in riunione glielo mandiamo per iscritto…pdf, power point, quelle cose lì” spiegò Raissa, provando a mantenere la calma ma evidentemente scocciata dal contrattempo. Comprensibile, si trattava di lavoro in più. “Se non altro ci fa la grazia di rendersi disponibile nei giorni di ferie per eventuali problemi”
“Tu come fai a rimanere così calma?” le domandò Dario “Alex ci ha lasciati nella merda per tre settimane” In effetti, Maya non era minimamente preoccupata. Il messaggio di suo fratello le aveva fatto intuire il cambio di programma, ma non era quello.
“Io con Alex ci ho lavorato per 5 anni e stai tranquillo che non ci lascia nella merda. Il nostro lavoro è il suo lavoro, ci tiene anche più di noi”
“Mah…sarà…”

Forse nella vita privata aveva commesso errori e scivoloni, ma lo conosceva troppo bene e sapeva che Roma Glam – e ora anche Roma Pop – erano per lui come dei figli e non aveva dubbi che i suoi figli venivano prima di tutto.

 

“No, no, dai Francesco così mi uccidi”
Alessandro era appena rientrato a casa dopo una giornata di lavoro nevrotica, l’ultima per fortuna e poi avrebbe avuto 3 settimane di ferie, quella sera l’avrebbe passata con Maya e l’avvocato De Stefanis lo stava convocando d’urgenza nel suo ufficio. Le aveva sempre odiate quelle giornate in cui il suo lavoro esulava dal giornalismo ed era tutto riunioni, ma quel giorno ancora di più: perché era il 9 di agosto, perché c’erano le valigie aperte sul letto ancora vuote, perché per quanto avesse l’aria condizionata, girare per Roma in auto con quel solleone era una tortura.

“Ahò se non vuoi venì fai pure, eh, ma stiamo salvando il culo alla tua azienda, mica alla mia, a me che me frega”
In questo aveva ragione. Lorenzo Alberici era stato una benedizione e come al solito, proprio come quando lavorava con lui, Maya non solo ci aveva visto lungo ma aveva anticipato i suoi bisogni. La società londinese per cui lavorava era interessata a comprare le quote di Claudia, ma bisognava convincerla e non era sicuro che, per quanto allettante, una proposta da parte sua potesse essere accettata. Non c’era tempo da perdere; una quota societaria di Roma Glam era un boccone prelibato, inutile nasconderselo: bisognava preparare una strategia e battere sul tempo qualsiasi altro possibile acquirente.
“Va bene, va bene hai ragione” disse, massaggiandosi le tempie “faccio una telefonata e arrivo”

Quella telefonata, però, Alessandro fu costretto a farla direttamente dall’auto, in vivavoce.
“Alex!” la voce di Maya era squillante. Se la immaginava in pantaloncini e maglietta, con un turbante in testa, fresca e profumata per la doccia appena fatta dopo il lavoro e nonostante questo che gira per casa a piedi nudi, quasi certamente buttandosi sul divano o sul letto per parlare al telefono. “Maya…ti stai preparando?” Erano solo le sei ma sapeva che partiva in largo anticipo per i preparativi quando doveva uscire. Quando stavano insieme una sola cosa gli aveva chiesto: niente uscite improvvisate, non si esce mai di casa sfatti.
“Ovviamente. Oggi era anche il giorno della maschera ai capelli” la voce era cristallina, spensierata “senti devi solo dirmi se posso mettere la gonna o no, magari mi vieni a prendere in moto e non è il caso…”
Il pensiero di rompere quel buon umore lo faceva sentire di merda. Pensava all’ultima volta che era successo, alle conseguenze che c’erano state e non voleva si ripetesse di nuovo. Perché stavolta era tutto diverso: ora capiva, ora voleva metterla al primo posto.

“Ascolta Maya” Alex sentiva la sua stessa voce tremare, e più si concentrava sul silenzio all’altro capo del telefono, più lui non riusciva ad essere sereno “c’è…c’è un problema”
“Non possiamo più uscire” Non era una domanda, non glielo stava chiedendo. Lo aveva dato per scontato e quel suo tono severo e sommesso gli restituiva come un pugno tutta la sua delusione.
“No, no Maya non ho detto questo.”
“Alex non mi prendere per il culo. Lo hai già fatto una volta” Era fredda, distaccata. Se una voce può emanare luce, la sua si era appena spenta. Gli faceva male perché sapeva che la colpa era solo e soltanto sua.
“No, te lo giuro. Ho una riunione di lavoro, poi … poi ti spiego se vuoi. Ma ci vediamo. Fosse anche all’una di notte. Anche se significa che domani parto senza aver dormito questa notte. Giuro”
“Non fare il melodrammatico, non ti si addice. Non ci possiamo vedere, non è la fine del mondo” decretò lei “significa che non doveva andare così”
“Adesso tu non fare la fatalista però. È un cazzo di contrattempo, una rottura di coglioni colossale ma voglio vederti” Alex prese un grosso respiro “Senti, facciamo così: saltiamo l’aperitivo e vediamoci direttamente a cena per le nove a … a Largo Agnesi, hai presente?”
Maya fece un lungo sospiro. Lo sentiva, era sul punto di cedere e di troncare lì la conversazione, ma per qualche miracolo non lo fece. “Sì, sì ho presente. Alex?”
“Dimmi”
“Non mi lasciare lì” era categorica, poteva vederla: in piedi, i pugni serrati, lo sguardo grave.
“Non lo farò. Fidati”

 

Fidarsi. Doveva fidarsi. Se lo ripeteva da quando aveva ricevuto la telefonata ma una voce nella sua testa le diceva che stava facendo una cazzata, che la stava ferendo di nuovo e stavolta era stata lei a dargli il permesso di farlo, cadendo con tutte le scarpe nelle sue lusinghe e nei suoi giochetti. Non cambierà mai, le ripeteva quella voce nella testa. Quella terribile sensazione di déjà vu le aveva stretto un nodo alla gola mentre ci parlava al telefono e non voleva saperne di andarsene. Lei però all’appuntamento c’era andata, un po’ per speranza, un po’ per dimostrargli di essere migliore di lui ed era arrivata con un quarto d’ora d’anticipo perché, in qualche modo, sentiva di potersi fidare. In fondo, provava ad incoraggiarsi, ad uno come lui per darle buca bastava il telefono, non l’avrebbe di certo portata su una terrazza di fronte al Colosseo, con le luci calde dei monumenti che si mischiano agli ultimi bagliori del cielo. E controllava il telefono, mordendosi le labbra, ma si accorgeva che non era passato nemmeno un minuto e con i denti se la prendeva nervosamente con le pellicine intorno alle unghie, povere malcapitate. Affacciata a quella terrazza, con lo sguardo perso, no sapeva nemmeno lei cosa guardare: fondamentalmente, era impegnata a non scovare coppie tra la folla, innamorati che passeggiano mano nella mano, o abbracciati per dei selfie o semplicemente perché erano nel posto più bello del mondo, erano innamorati ed era giusto così. E non rosicava per loro, ma per il palo che era sicura di stare per prendere, perché lì da sola non si poteva nemmeno permettere di far scendere le lacrime o avrebbe attirato l’attenzione.
Erano le 21.15, lo aveva aspettato pure troppo, e non gliene fregava nulla che erano Roma, che era il primo venerdì di ferie per la maggior parte delle persone e che persino i mezzi pubblici sembravano presi d’assalto come durante il giubileo. Non ci sarebbero dovuti arrivare nemmeno a quella situazione. Adesso me ne vado. Non ne vale la pena. Faceva caldo, le cicale frinivano come fosse ancora pieno pomeriggio, il trucco lo sentiva appiccicoso addosso e non poteva nemmeno toccarlo, i capelli che ormai sulle spalle, il bracciale, la collana, tutto le dava fastidio. Voleva tornare a casa e riempire la vasca di acqua gelata. Frega cazzi di una congestione. E mentre girava i tacchi e si avviava verso la fermata dell’autobus, un clacson di una moto suonò, ripetutamente.
“Maya! Maya!”

Era come se la sua anima, fino a quel momento altrove, tornasse nel suo corpo. È qua! Ce l’ha fatta! Ha mantenuto la promessa!
“Dove vai?”
“Credevo non venissi più”
“Ho fatto … 16 minuti di ritardo, ma non hai idea del traffico. E volevo chiamarti ma guarda…” Tirò fuori il telefonino da un vano anteriore e … beh, era anche difficile chiamarlo ancora telefonino. “Mi è scivolato dalla tasca e l’ho pestato con le ruote dell’auto mentre la rientravo in garage”

Maya portò una mano davanti alla bocca per evitare di ridere, ma anche di piangere. L’adrenalina che scorreva nel suo corpo stava crollando di botto, e si sentiva sollevata, felice, stanca. Tutto insieme. Sentiva che se fosse sopravvissuta a quella serata sarebbe campata altri 100 anni.
“Che c’è?”
“C’è che sei un coglione!” esclamò, aggrappandosi al suo collo di getto ed Alex fu colto così di sorpresa, ancora con il casco addosso, che per poco non perse l’equilibrio sullo scooter.
“Scusami…” le sussurrò, stringendola a sé. Era lì, aveva mantenuto la parola e le aveva dimostrato che poteva fidarsi: non importava altro. E poi, pensò Maya, in quell’angolo di Roma, abbracciati di fronte al Colosseo, forse si poteva perdonare tutto.

“Adesso però puoi levarlo il casco. Non vorrai andare a cena così”
Alex sistemò la moto in uno dei parcheggi appositi e chiuse il casco nel bauletto, sistemandosi i capelli allo specchietto. Che pavone! Era vestito semplicemente: una camicia bianca con le maniche ripiegate e un pantalone navy, insomma niente di troppo impegnativo eppure di grande fascino. Anche con poco, sapeva come piacere.
Le tese mano, ma non per invitarla ad andare con lui, ma formale, come si fa per stringerla ad una conoscenza lontana. Maya lo guardò perplessa, scuotendo la testa leggermente.
“Stasera abbiamo iniziato col piede sbagliato, lo so. Forse, è meglio se ripartiamo da zero”
“Non capisco…”
“Mi chiamo Alessandro Bonelli, ho 45 anni”
“… ancora per poco”
“sono separato”
“… ancora per poco, spero” commentò Maya, facendogli l’occhiolino. Alex sorrise, lo sperava anche lui.
“Ho due figli, mi piace ascoltare la musica in vinile, soprattutto quella degli ’70 e non sono un grande amante del cinema, preferisco i libri”

Le piaceva quel gioco: provare a resettare tutto il brutto, le incertezze e le diffidenze. C’erano solo loro, con le loro verità e tutto quello che avevano da offrire e da scoprire, un libro aperto. Gli strinse la mano.
“Piacere Alessandro, io sono Maya Alberici, ho 31 anni, sono single”
“…ancora per poco” sogghignò lui, facendo eco alle risposte di lei; Maya tirò avanti ma sulle sue labbra si aprì un sorriso complice, scrollando le spalle.
“Ascolto un po’ di tutto, l’importante è che mi faccia ballare e purtroppo non mi piace tanto leggere, ma mi piace il cinema, starei giorni a guardare le commedie francesi”
“Non è vero che ascolti solo musica che ti fa ballare”
“Ognuno ha i suoi
guilty pleasure…”
“Ok…ma Tommaso Paradiso…”
“Disse colui che ascolta solo musica vecchia come lui. Andiamo che ho fame”
Maya intrecciò una mano a quella di lui e si fece guidare nella notte romana. Ora non doveva avere paura di guardare le altre coppiette, ora era come loro.

 

Nessuno dei due aveva assolutamente aspettative per la serata. Maya, dal canto suo, non era nemmeno sicura che ci sarebbe stata una serata fino a poco prima. Volevano solo stare insieme, dove o come non importava. Tuttavia, Alessandro aveva il gusto per le cose belle e particolari; a due passi dal Colosseo, aveva riservato un tavolo in una cornice unica: elegante, ma non troppo, informale ma senza scadere nel turistico, l’anfiteatro Flavio e i Fori sullo sfondo.
Quella sera, però, per Alessandro nessuno scenario sarebbe stato in grado di rubare la scena alla donna che aveva di fianco a sé a tavola. Non aveva occhi che per lei, non c’era che lei. Più che il suo aspetto fisico – i suoi occhi gli sembravano più grandi e caldi del solito e quel top di raso ciliegia scendeva morbido come una carezza sull’incarnato candido – era la sua essenza ad attrarlo come una calamita. Quella cazzata che aveva fatto poco prima, quel presentarsi di nuovo, da zero, era servita a sbloccare qualcosa in entrambi, ma soprattutto in lei; per la prima volta, come non succedeva da mesi, era come se quel famoso portone si fosse finalmente spalancato e riuscisse di nuovo vedere dentro di lei, la ragazza che a pochi eletti era dato di conoscere.
“Sono stato da De Stefanis, questo pomeriggio, per questo ho fatto tardi” le spiegò, appena rimasti soli, dopo che il cameriere aveva portato le bevande.
“Avrei dovuto capirlo” commentò Maya, bagnando appena le labbra con lo Chardonnay che aveva nel bicchiere –
lesson learnt “se ci sono rogne, c’è sempre lui di mezzo”
Alex annuì, ridacchiando: non poteva esistere una descrizione migliore. “È per la storia delle quote di Claudia. Ho incontrato tuo fratello oggi…”
“L’ho saputo”
“Ah sì?”
Maya aggrottò la fronte, perplessa: era tanto bono,
sì proprio bono, quanto a volte era tonto. “Sai com’è…è mio fratello…ogni tanto capita di parlare…”
“…è stata una lunga giornata” si scusò, scuotendo la testa.
“Ehi! Guarda che scherzavo!” lo scosse, prendendogli la mano, d’istinto.

Era così strano tornare a quei gesti senza neanche pensarci, rendendosene conto solo dopo averli fatti, eppure era così giusto. Erano passati mesi eppure non sembrava passata neanche un’ora, come se qualcuno avesse semplicemente premuto il tasto pausa sul telecomando e ora si fosse ricordato finalmente di premere play.
“Ma continua…”
“Sì insomma, alla società di tuo fratello sono disposti a comprare la quota di Claudia e mi permetterebbero di rientrarne completamente in possesso in 5 anni. Per me sarebbe l’ideale” “La società?” Alex annuì.
“Scusa…so che Lorenzo lavora nella finanza, ma le mie conoscenze a riguardo si fermano lì, non ci capisco nulla”
“E invece era proprio quello di cui avevo bisogno. Però ora arriva il difficile, far accettare a Claudia la proposta”
“Pensi che sarebbe così stronza … oddio scusa”
“No no, tranquilla, stronza è la parola giusta. La verità è che non lo so, siamo stati insieme per vent’anni e ho smesso di conoscerla da un pezzo. Ma non voglio annoiarti con questi discorsi, è la nostra serata e lei non deve rovinarcela”
“Guarda che non hai bisogno di fare il ruffiano con me” disse Maya, tirando una ciocca dietro all’orecchio. Stava arrossendo. Se non ci fosse stata altra gente – e doveva imporsi di ricordarlo – l’avrebbe baciata lì, di scatto e con passione, prendendole il viso tra le mani, come lei aveva fatto con lui in piscina. 
“Che c’è?” gli domandò.
“Cosa…?!” Alessandro non capiva; Maya accennò all’altra mano, quella libera dalla sua presa.
“Sei nervoso” Senza nemmeno accorgersene, stava stringendo il tovagliolo e se non fosse stato di stoffa probabilmente lo avrebbe stritolato.
“No, per nulla. Ma vorrei fare una cosa…” confessò lui, guardandola dritto negli occhi e sperando che capisse. Lei gli diede il permesso, intrecciando la mano a quella di Alessandro, le labbra piegate in un sorriso obliquo, malizioso “Puoi”.

Alex si avvicinò lentamente, dando un ultimo sguardo circospetto intorno: nessuno era interessato a loro … perché avrebbero dovuto, cretino?! La fronte dell’uomo si portò su quella della ragazza e per qualche secondo i due rimasero fermi così, a ritrovare una dimensione intima che forse nemmeno un bacio poteva dare. Quando Maya era pronta per accogliere le labbra di Alex sulle sue, l’uomo scese invece sulla spalla scoperta e fu lì che posò un bacio. Un brivido le percorse tutta la schiena, facendola drizzare sulla sedia di scatto. I loro occhi si incrociarono, provocanti, pieni di desiderio, prima di staccarsi all’arrivo delle loro portate: sarebbe stata una serata difficile.
“Adesso però me lo dici com’è andata con mio figlio ieri sera?” indagò lui, tornando serio e mitigando i bollenti spiriti. Ecco: se c’era una cosa che mandava Maya in bestia, era quella sua capacità innata di switchare da un mood all’altro come se nulla fosse, dal seduttore romantico e un po’ maldestro all’imprenditore perfettamente in controllo in un nano secondo.
“Ma…niente di che” minimizzò Maya, affondando la forchetta nel flan che aveva davanti; tuttavia non poteva scappare gli aveva promesso che ne avrebbero parlato “è stato molto gentile. Devo essere sincera, la brutta figura l’ho fatta io”
“Perché?”
“Eeh... perché quando ci hanno presentati ho tagliato corto, un po’ perché c’era altra gente, un po’ perché non sapevo che dire e mi sono dileguata. È stato lui a rincorrermi per parlare”

Edoardo? Mio figlio? Alex aveva gli occhi sgranati, non poteva credere alle sue parole. Aveva sperato a lungo che suo figlio potesse mettere la testa a posto, sebbene fosse perfettamente consapevole di pretendere troppo, a volte, da un ragazzino della sua età; ma che fosse in grado di farlo così, in piena autonomia, lo lasciava senza parole. “E cosa ti ha detto?” domandò, ricordandosi di respirare. Non che non lo sapesse, ma voleva avere conferma che la versione che suo figlio gli aveva dato fosse la stessa.
“Che non è proprio contento … ma è normale non gliene faccio una colpa … ma anche che farà uno sforzo perché ha capito che per te è importante”
“Ha detto proprio così?”
Maya sorrise teneramente, annuendo “Guarda che lo stai crescendo bene, considerando quello che avete passato. È un bravo ragazzo. Io non sarei mai stata capace. Alla sua età poi…” 
No, decisamente. Aveva levato le tende a 31 anni suonati appena se l’era trovato davanti, figurarsi a parti inverse in piena adolescenza.
“Se solo ci fossi stato di più ci saremmo evitati un sacco di casini” Le parole di incoraggiamento di Maya passarono completamente inosservate: le apprezzava, ovviamente, raramente Claudia gli aveva detto che era un buon padre, ma un tarlo nella sua testa continuava ad insistere sulle sue assenze, sulle sue mancanze, sulle lunghe giornate passate fuori casa e lontano dai figli per via del lavoro. Inoltre, adesso aveva la certezza di quello che prima era solo un sospetto, a chiudere quel matrimonio prima si sarebbero risparmiati anni di fughe lavorative, silenzi e indifferenza.
“Mi fai il favore di non darti colpe che non hai” lo bloccò Maya, quasi intransigente “tu hai cercato di fare la cosa giusta, per la tua famiglia e per i tuoi figli, è naturale. Solo che a volte quello che noi crediamo essere giusto non lo è affatto e ci incasina ancora di più. Ma va bene, sbagliando si impara.” Lei lo aveva fatto, aveva imparato dai suoi errori; ed era curiosa di sapere se suo padre, alla fine, lo aveva imparato, ma non c’era modo di saperlo e questo le faceva una rabbia assurda. “Nessuno è perfetto, no?!” continuò, distogliendosi da quei pensieri.
“No, infatti.”
“Ora però mi dovresti fare un altro favore” disse, sagace.
“Tutto quello che vuoi” non era un modo di dire, lo sapevano entrambi.
“Assaggia questo tortino e dimmi se non è la cosa più buona che tu abbia mai assaggiato” disse, prendendogli la forchetta tra le mani e porzionando lo sformatino che aveva scelto.
“Maya...” la riprese lui ridacchiando, con ancora il boccone in bocca, mentre il sapore dolce e amaro dello zafferano esplodeva sulle sue papille gustative “guarda che non c’era bisogno di fare tutta questa manfrina per una forchettata di pasta”

 

Maya si avvicinò alla moto, prendendo il casco che Alex aveva portato per lei. Prima però lo appoggiò per un attimo sulla manopola dell’acceleratore, mentre lui saliva in sella. Le sembrò di vivere una forte sensazione di déjà-vu. Qualche mese prima l’aveva riaccompagnata a casa dopo una passeggiata in giro per Roma e, proprio come allora, bisognava decidere cosa fare. A questo giro, tuttavia, Maya aveva le idee ben chiare.
“Sono stata benissimo”
“Davvero?”
Maya lo avrebbe preso per il colletto della camicia e spinto di peso contro il muraglione alle loro spalle, all’istante. I suoi occhi, quegli occhi da cucciolo timido ed indifeso che facevano cadere le sue di difese erano lì, pronti a farla vacillare.
“Davvero” confermò, sforzandosi di restare composta.
“Nonostante il ritardo?” indagò lui.
“Nonostante il ritardo. Però …” Gli occhi di lui, scuri nella notte, si fecero inquisitivi e preoccupati “…quando mi porti a casa non posso farti salire, mi dispiace” spiegò; sorrideva, ma era nervosa, non ci voleva molto a capirlo: le dita della mano irrequiete che tracciavano linee ideali sul sellino della moto e gli occhi che non riuscivano a guardare Alex troppo a lungo.

“È giusto” decretò Alex “hai bisogno di tempo”
Era deluso? Un po’, ma continuava a ripetersi di portare pazienza perché lei era lì, con lui, erano tornati a prendersi per mano, erano tornati i baci e soprattutto erano tornati loro con la loro familiarità, non c’era nessuna fretta per quanto l’elettricità si facesse sempre più vibrante e palpabile tra di loro. Per lei, però, avrebbe atteso tutto il tempo che le avrebbe chiesto.

“No…no non è questo. Fosse per me …” disse Maya, lasciandosi scappare un risolino malizioso che sembrò quasi un invito, al quale l’uomo rispose avvolgendole la vita in un abbraccio che la fece distrarre: proprio per quello non era una buona idea proseguire la serata. “… però adesso tu te ne vai per quanto? Tre settimane?”
“Mm mm” le rispose Alessandro, umettando le sue labbra con la lingua. Per quanto fosse stato impercettibile, a Maya quel piccolo gesto non passò inosservato: la stava stuzzicando anche se, sulla carta, continuava ad essere impeccabile e rispettoso; si ritrovò, per tutta risposta, a mordersi le labbra. Lo voleva, tantissimo, ma non doveva rovinare tutto.
“Se adesso io ti faccio salire poi le prossime tre settimane sarebbero più difficili di quanto non lo saranno già” ammise, raccogliendo le forze necessarie per guardarlo dritto negli occhi “ti ricordo che sarai via anche il giorno del tuo compleanno”
“Hai ragione…ma almeno tu sarai impegnata al lavoro, avrai la mente occupata. Pensa a me … senza nulla da fare per tutto il giorno”
“Non è vero, avrai i tuoi figli. Puffetta sono sicura ti terrà impegnato”
“Sì ma non è la stessa cosa…e poi la sera…”
“Smettila” lo rimproverò, scherzosa, tirandogli una leggera pacca sul petto. Ma lui prese coraggio e, stringendola ancora di più, le rubò un bacio mentre le labbra di lei erano ancora aperte in un sorriso.
“Tu ringrazia solo che non ho ancora fatto le valigie e se domani mattina non sono sotto casa dei miei all’orario stabilito da mio padre, quello mi uccide. Devo pure andare a comprare un telefono nuovo” Entrambi risero, Alex e la sua auto avevano un rapporto decisamente complicato con i parcheggi e la fretta.
“Porti anche i tuoi con te?”
“Sì, se lo meritano anche loro di staccare per un po’”
“Se è per Cesare allora accetto volentieri questo sacrificio”

Era bello che tra di loro le cose sembrassero filare lisce come l’olio, come se non fosse successo nulla: non che se ne lamentasse, ma Alessandro aveva una strana sensazione addosso di irrisolto e di non poterla lasciare senza aver messo nero su bianco quello provava…glielo avrai detto dieci volte almeno, sei paranoico.
“Mi hai cambiato Maya, ma non a parole, come si sente dire spesso” disse, accarezzandole il viso, alla luce calda di un lampione nascosto tra gli alberi del giardinetto vicino. In lontananza degli stranieri ubriachi facevano schiamazzi ma per loro era un solo un ronzio lontano e ovattato. “Stare lontano da te mi ha fatto capire chi voglio essere, come voglio essere. Voglio prendermi cura delle persone che amo, perché loro lo fanno con me, voglio essere presente nelle loro vite, perché la loro presenza rende la vita degna di essere vissuta…e tu sei una di quelle persone”
Nonostante quelle mani grandi le corressero dalle guance fin dietro la nuca, Maya non provava più il caldo fastidioso del tardo pomeriggio. Era un calore diverso, piacevole, benvenuto. “Io non c’entro niente, se sei cambiato lo devi solo a te stesso, è stata una decisione tua e non solo perché io ti ho posto una condizione. Così come io oggi non sono così solo perché ti sarei piaciuta di più”
“No ... no hai ragione. Però io sono stato uno stronzo egoista, avevi tutto il diritto di avercela con me, ma non volevo ferirti, te lo giuro … e non voglio giustificarmi adesso ma forse non ero ancora davvero pronto per una relazione e ti ho trascinato in qualcosa che ha fatto male ad entrambi”
“Ora lo so”
“Mi perdoni?”
“L’ho già fatto, Alex, o non ti avrei mai permesso di prenderti certe libertà. Sono pur sempre Maya Alberici” decretò, sorniona, strizzando l’occhio “Adesso portami a casa … e senza dire una parola altrimenti non ti lascio partire” gli disse, indossando il caso.
“Agli ordini” rispose Alex, mettendo in moto. Avrebbe voluto che parlasse, che non lo lasciasse partire più, ma lei era meglio di così, non si sarebbe mai messa tra lui e i suoi figli.

“Ah Alex” gli disse, una volta partiti “non provare a fare marcia indietro e suonare al citofono nel cuore della notte perché questa volta non ti apro”

 

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Capitolo 34
*** Capitolo 34 ***


 
 
 
 
 Capitolo 34


 
Il Ferragosto è la festa più inutile che la civiltà italiana possa aver inventato nella sua storia, forse seconda solo a Pasquetta e a Capodanno, feste buone solo per chi va al liceo e si vuole staccare dai genitori oppure è talmente disperato da dover dimostrare a tutti di avere una vita sociale, rigorosamente via social. A questa conclusione Maya era arrivata in maniera sofferta quell’estate, guardando gli altri andare in vacanza mentre lei restava in redazione e, nel giorno della festività, non aveva avuto altra scelta se non passare la giornata con gli amici e sua sorella: tutti.schifosamente.accoppiati.
Fosse stato per lei, sarebbe volentieri rimasta a casa, a dormire fino a mezzogiorno e guardare la tv fino a sera mangiando solo gelato che tanto, ancora per qualche settimana, nessuno l’avrebbe dovuta vedere né in costume né tantomeno nuda. E poi il gelato è il migliore riempitivo per i vuoti affettivi; il suo, tanto per la cronaca, era alto 1,90 per 80 chili circa e aveva pure nome e cognome: Alessandro Bonelli. Ci voleva una vaschetta di gelato extralarge.
Lavinia non ne aveva voluto sapere – “tu non sei mai stata dipendente da un uomo e non inizierai oggi” le aveva detto, ma aveva anche ribadito: “Non ti lascio da sola mentre tutti gli altri si divertono” e a quel punto la risposta della sorella minore non si era fatta certo attendere: “E chi ti garantisce che io mi diverta assieme agli altri?”. Lavinia era innamorata e, purtroppo per lei o per fortuna, non coglieva né certe sottigliezze né certe rimostranze e così l’aveva trascinata tra boschi, cascate e aree picnic, tra confusione e puzza di carne arrosto assieme alla sua comitiva.
Maya avrebbe volentieri cercato un piano B, ma quale? Sua madre: negativo, c’erano i nipotini di Ruggero e l’ultima cosa che voleva fare era finire a fare l’animatrice del miniclub. Alice? Men che meno, era andata a fare la contadinella in alpeggio. Paolo e Monica? Manco a pensarci: lei in quei giorni era decisamente acida e intrattabile, lo riconosceva, e non se la sentiva di scoppiare la loro bolla di felicità, attenti com’erano solo a ciò che Monica poteva o non poteva mangiare, a dove metteva i piedi e agli integratori di acido folico.
Maya si era dovuta accontentare – per modo di dire - di trascinarsi dietro Olivia e Max, che per qualche miracolo avevano anticipato la loro vacanza in Sardegna rispetto agli altri anni ed erano tornati giusto in tempo per farle da spalla in quella giornata da Grey’s Anatomy va in montagna.
“Maya lascia un po’ quel telefonino!” la rimproverò sua sorella, quando stavano sistemando il tavolo e lei andata invece a spaparanzarsi sul plaid sul prato a guardare le foto che, una dopo l’altra, erano arrivate in fretta quando avevano finalmente raggiunto l’area picnic alla fine del bosco e la connessione era tornata attiva “Vieni a darci una mano prima che voli via tutto” Avevano scelto la giornata ideale per accendere la brace e mangiare all’aria aperta: dopo giorni di caldo asfissiante, il vento stava soffiando in maniera prepotente e piatti e bicchieri avevano bisogno di essere fermati con le posate.
Forse sua sorella aveva ragione: c’era vita oltre Alex. Anche lui, prima di salutarsi, le aveva chiesto di divertirsi, vedere gente e svagarsi, come avrebbe fatto anche lui in quei giorni. Tuttavia, senza dire una parola, la giovane fece una linguaccia alla sorella maggiore e continuò con quello che stava facendo: non riusciva a resistere a quel selfie che le era arrivato sul telefono, con Giulia con un caschetto nero addosso che era il doppio di lei e doveva tenere con le mani per non coprire gli occhi. Erano in Abruzzo, nel paese di origine dei nonni materni di Alessandro e lì, tra le montagne, l’uomo aveva portato la figlia per la prima volta a cavallo, immolandosi anche lui per la causa; in un messaggio le aveva assicurato che per salire in groppa ci aveva messo 5 minuti interi, rendendosi uno spettacolo indecoroso, ma francamente Maya faticava a crederci.
“Non potevate stare insieme oggi?” Olivia arrivò alle sue spalle, senza che lei se ne accorgesse, prendendola in contropiede, e si mise a sedere al suo fianco.
“L’ho già detto a mia sorella” ribatté perentoria visto che era già stata su quell’argomento mentre erano in auto “lui ha dei figli e una famiglia ed è giusto che passi del tempo pure con loro. Non posso imporre loro la mia presenza così, come se nulla fosse.”
Erano ancora in una fase di rodaggio, dovevano prendere le misure per ogni cosa che facevano. Entrambi erano consapevoli che nel loro rapporto non sarebbero mai stati davvero in due e questo rendeva tutto più difficile e bisognava andarci davvero con i piedi di piombo, nonostante qualcuno sostenesse il contrario. Ma avere i piedi di piombo, del resto, non significare stare del tutto fermi.
“Guarda che non succede nulla se lo chiami” le disse l’amica, tirandole un colpetto sulla spalla “così la chiudiamo qui e ti puoi dedicare a noi. Per una volta che stiamo insieme!”
In effetti con il nuovo lavoro si vedevano molto meno ed era il caso di approfittarne. “Scusa” sospirò “me lo hanno detto che sono troppo sottona ma non lo so come si fanno queste cose, ho sempre paura di fare troppo o troppo poco”
“Sì lo sei, e senza ritorno” la prese in giro l’amica, fintamente indignata ma ridendo sotto i baffi “ma non penso proprio che ad Alex dispiaccia visto che ha fatto il matto per riconquistarti”
“Dici?”
“Dico, dico”
Tutto era più facile quando erano da soli, non c’era nulla che le facesse montare dubbi o che le facesse pensare di star esagerando. Persino abbracciarlo dopo che l’aveva fatta incazzare da morire per il ritardo era sembrata la cosa più giusta e alla fine lo era stata. E ora non sapeva spiegarsi il perché di quei dubbi. Era perché gli mancava? Certo, ma non poteva stare così di merda ogni volta che non lo vedeva, non lo accettava e se lo proibiva categoricamente. Voleva trovare un equilibrio, soprattutto perché quando stavano insieme non era così, riusciva a staccare … e se … beh così aveva tutto più senso.
“Olli…”
“Dimmi”
“Mi sa che è successo”
“Oddio, che?” domandò l’amica preoccupata “sei incinta pure tu?”
“Ma va! E di chi…dello Spirito Santo? Qua è da mesi che non si batte chiodo. No Olli … mi sa che mi sto innamorando”
“Ti stai innamorando? Seh … ciao core…” Olivia portò gli occhi al cielo, avvilita “Lavinia ti aiuto io!”
“Aspetta” Maya la fermò per un braccio “che significa?”  
“Non te lo devo dire io di certo” precisò l’amica, mentre si alzava dal plaid per aiutare gli amici ad apparecchiare la tavola.
 
“Dai papà ancora un altro giro!”
“Giuls sono animali non giostre” le ricordò Edoardo che li aveva preceduti all’arrivo ed era sceso dalla sella molto agilmente, da cavallerizzo provetto “anche loro devono riposare”
Alessandro invece affidò la bambina, che aveva portato in groppa assieme a lui, tra le braccia del fratello maggiore e si fece aiutare dall’istruttore che aveva guidato il gruppo lungo l’escursione per scendere. Maya non ci aveva creduto che era una schiappa e forse era meglio così, aveva tutto il tempo di migliorare prima che lo vedesse con i suoi occhi.
“Sei stata bravissima” la guida incoraggiò la piccola “ora come premio tu meriti un bel piatto di pasta e Forest la sua biada”
“Ecco vedi” confermò Alessandro “i nonni ci aspettano al ristorante e dobbiamo anche fare in fretta, altrimenti per la fame nonno mangia pure il tavolo”
La piccola rise alla battuta del padre e dopo aver salutato il cavallo si incamminò saltellando, mano nella mano con il fratello maggiore, verso l’uscita del maneggio e verso il ristorante della struttura dove, sotto un pergolato, i nonni li aspettavano. Maria con la fotocamera del telefono non aveva perso un secondo del loro rientro a cavallo.
Una volta a tavola, il telefono di Alex squillò, ma per una volta nella sua vita non fu contrariato da un’interruzione ad ore pasti. A capotavola, Cesare borbottava qualcosa a proposito dell’educazione dei figli se quello era l’esempio che il padre gli dava.
“Ehi! Finalmente…” rispose.
“Scusa ero nel mezzo del nulla, il telefono non prendeva”
“Non ti preoccupare, stavo scherzando, anche noi eravamo abbastanza sperduti questa mattina. Volevo fare una videochiamata ma la connessione fuori dal paese è pessima. Sono riuscito a mandare quella foto per miracolo”
“Vi siete divertiti, almeno?”
“Giulia” sussurrò, porgendo il telefono alla figlia “dì a Maya se si è piaciuto andare a cavallo?”
“MAYAAA?”
Ecco, se non voleva farlo sapere a nessuno, lei aveva ufficialmente appeso i manifesti. Non si faceva problemi, ormai era cosa nota e accettata più o meno da tutti in famiglia, ma un po’ di privacy era sempre cosa gradita. Scemo io che ho risposto qui a tavola. Alex, per quanto facesse finta di non vederlo, sentiva lo sguardo e soprattutto il sorriso di suo padre fisso su di lui. Nel frattempo la piccola di casa, nel pieno dell’entusiasmo e contenta di sentire la sua amica grande, continuava ad urlare tutta la sua gioia. Maya, all’altro capo del telefono, perse l’uso dell’orecchio sinistro.
“Ce l’hai un caricabatterie?” gli domandò Maya, quando Alex riuscì a riappropriarsi dello smart phone.
“Perché?” domandò lui, alzandosi per uscire dalla sala. A questo giro non riuscì proprio ad evitare lo sguardo di suo padre il quale, compiaciuto, senza dire una parola ma con un gesto eloquente gli fece capire che avrebbe avuto scampo.
“Per ricaricarti questa sera…ti starà sfinendo quell’uragano”
“Non puoi neanche immaginare quanto … tu, invece, come stai?”
“No comment, altrimenti mi arriva una scarpata da mia sorella. Ti dico solo che mio cognato ha scambiato ferragosto per la Pasqua ortodossa” spiegò, sussurrando al telefono con la mano davanti alla bocca per non farle leggere neanche il labiale. Philippos si era messo in testa di farsi conoscere cucinando un menù total greek: agnello arrosto, souvlaki, moussakà, baklava e altre 5 o 6 portate di cui non ricordava il nome ma che per digerire come minimo ci voleva una bella lavanda gastrica a fine giornata.
Alex rise e Maya, nell’immaginarlo, con quegli occhi verdi brillanti e il suo sorriso pacioso, ebbe un forte attacco di nostalgia. Fosse stata automunita si sarebbe alzata e lo avrebbe raggiunto dovunque fosse, sì pure con la sua piccola Smart, tra autostrada, montagne e tutto il resto.
“Guarda che anche qui non ce la passiamo meglio, è da quando sono uscito di casa che l’aria puzza di arrosticini. Domani una bella corsetta e passa tutto!”Maya però gli ricordò che lei avrebbe dovuto lavorare il giorno successivo “È vero…a proposito, in redazione vi siete organizzati per il giorno di ferie?”
Alex, ogni anno, dava la possibilità di avere un weekend lungo a tutti quelli che, a causa della turnazione ferie, restavano in redazione durante la settimana di ferragosto. Maya, essendo l’unica ufficialmente ancora scoppiata, aveva lasciato che gli altri si accaparrassero i giorni migliori, per lei non faceva differenza. “Sì certo, a me tocca il prossimo weekend”
“Farai qualcosa?”
“Mi hanno invitata Paolo e Monica a passare un week end con loro, ma non so se ci vado”
“Perché no?”
“Ma perché loro sono in due, aspettano un bambino, non mi va di fare la reggimoccolo come sto facendo oggi”
“Ma se ti hanno invitata loro?!” le ricordò “Sono due persone adulte e responsabili, non ti farebbero mai sentire di troppo”
“A parlare ora sono i tuoi sensi di colpa però…” Maya pensò un attimo a quello che aveva appena detto e si rese conto di aver detto una cazzata. Non doveva neanche pensarlo, non era giusto. “Scusa” sospirò, sommessa.
“Ma no tranquilla, è che mi dispiace se resti a Roma da sola. Dicono farà pure parecchio caldo …”
“Va beh, dai, ci penso…però tu sbrigati a tornare”
“Ci puoi contare”
 
Se mai Alessandro avesse dubitato che sua figlia aveva preso tutto il suo caratterino dal nonno, la conferma gli era arrivata una volta tornato al tavolo dopo aver salutato Maya. Apparentemente disinteressanti, ognuno era impegnato a passarsi il tagliere con i salumi e formaggi che nel frattempo avevano portato a tavola e la tipica pizza bianca locale, calda e croccante, appena tirata fuori dal forno; ma suo padre buttava ripetutamente lo sguardo verso di lui e Giulia sembrava intenzionata prendere parola da un momento all’altro, appena riempito lo stomaco e calmata la fame.
Alessandro, con tutta la flemma del mondo, riempì il suo piatto e attese di capire chi dei due avrebbe alla fine fatto la prima mossa.
Gli altri due commensali, Edoardo e sua madre, non sembravano condividere il loro entusiasmo, ma non erano nemmeno contrariati, il che era decisamente un successo. Che approvassero o si fossero semplicemente arresi, non faceva molta differenza per lui.
“Papà” ecco, questa non me l’aspettavo.
“Dimmi amore mio”
“Ma tu e Maya avete fatto pace?” Alessandro buttò un occhio, per pura curiosità, sul padre: faceva finta di nulla, come se la domanda non lo tangesse minimamente, ma era seduto al suo posto troppo rigidamente; escluso un colpo della strega di cui non aveva fatto parola – e se suo padre stava male si poteva stare sicuri che lo sapevano da una sponda all’altra del Tevere – era in evidente tensione per l’ascolto.
“Più o meno”
“Che significa più o meno?” intervenne Cesare, versandosi del vino, come se parlasse tra sé e sé “uno o litiga o non litiga, o fa pace o non fa pace, che so’ ste vie di mezzo? Marì…er monno s’è capovolto!”

Ma che ne vuoi capire tu delle cose di oggi che ti sei sposato 50 anni fa e hai avuto solo a me. Alessà non stare a sentire tuo padre”
“Ah perché lo capisci tu…”
Alessandro alzò gli occhi al cielo, già pieno di quella sceneggiata, e tirò avanti tornando a spiegare la questione a sua figlia. Edoardo, invece, ridacchiava tra un boccone e l’altro: Alex fu felice di notare come si era molto avvicinato al nonno in quella settimana di vacanza. Nonostante tutto, Cesare aveva molto da insegnare ai suoi figli.
“Ti ricordi quando hai rotto la bambola di Asia? 
Che lei non voleva più giocare con te?” 
Asia era la figlia di una cugina di Claudia, ma le due donne erano cresciute come sorelle e i loro figli avevano fatto altrettanto, vedendosi appena potevano e passando i pomeriggi a giocare insieme. Ad Alessandro faceva piacere che la piccola potesse avere una coetanea in famiglia visto che da parte sua c’erano solo maschi e parecchio più grandi di lei, ma digeriva sempre poco volentieri che Claudia tirasse troppo l’acqua al suo mulino e restava poco tempo per la sua famiglia.
“Beh lo stesso è successo tra me e Maya”
“Vacci piano con le metafore, papà …Ahia!” Uno scappellotto leggendario di Cesare, assestato con un colpo sordo sulla nuca, era arrivato per la prima volta anche su quella di Edoardo; in realtà non facevano male, ma il rumore era tremendo.
“Questo vi insegnano alla scuola cattolica? Scemi i tuoi che per farti pensare alle zozzerie pagano pure …”
“Ma io e Asia abbiamo fatto pace, io le ho regalato la bambola nuova”
“Sì ma ti ricordi che all’inizio per un po’ non voleva prestartela? Nemmeno quando hai chiesto scusa e promesso di non farlo più. Ecco, Maya ha bisogno ancora di un po’ di tempo…”
“E speriamo che si convinca presto” decretò Cesare.
“Tu intanto mi devi ancora spiegare tutta sta confidenza…” si intromise Maria, accorgendosi che il marito dimostrava un favore troppo marcato per una ragazza che, alla fine, doveva conoscere superficialmente.
“Ehm…allora Edoa’, non ci avete ancora raccontato nulla della gita di stamattina…”

 

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Capitolo 35
*** Capitolo 35 ***


 
 
 
 
 Capitolo 35


 


Alla fine Maya aveva accettato l’invito di Paolo e Monica. Per convincimento o sfinimento poco importava, aveva prenotato un treno e sperava di trovare un taxi per arrivare dalla stazione fino alla struttura dove gli amici l’aspettavano, perché un autobus e poi andare in giro con la valigia era una cosa che non aveva fatto negli anni dell’università e non avrebbe iniziato a 31 anni. Non voleva disturbare Paolo: era già troppo che si era preso la briga di trovarle un posto dove dormire in Toscana subito dopo Ferragosto e lui e sua moglie già si erano offerti di tenerla con sé come una specie di ruota di scorta che arrangiarsi per il viaggio e non essere d’intralcio era il minimo che potesse fare.
Il giorno della partenza, un venerdì, aveva chiesto di uscire prima e guadagnare qualche ora in più per poter viaggiare e non arrivare troppo tardi a destinazione. Quella settimana aveva lavorato come un mulo e si era portata avanti in modo da lasciare qualche servizio da postare, oltre che nel week end come già faceva, anche per lunedì e martedì, quando sarebbe stata di rientro. Se c’era una cosa che aveva imparato dal lavoro fianco a fianco con Alex era anticipare le mosse di coloro che ti sono attorno e non dare mai modo a nessuno di parlare male di te. Nella PRP andavano tutti d’amore e d’accordo, ma se presto – come credeva e sperava – le cose sarebbero cambiate nella sua vita privata, doveva essere certa che il clima di partenza fosse il meno ostile possibile.
“Maya posso parlarti un attimo?” Micol, seduta di fianco a lei, parlava a bassa voce e con fare circospetto. Era da quando erano arrivate quella mattina al lavoro che la vedeva nervosa, e ora che ci pensava, era strana da qualche giorno. 
“Dimmi” rispose la giovane imitando il comportamento della collega, ma più perché insospettita dal suo strano atteggiamento che per una reale motivazione.
“È…è meglio se usciamo un attimo … vado farmi un tiro!” dichiarò ad alta voce, alzandosi dalla sua postazione “porto Maya con me”
Andarono verso le scale interne che, ai piani alti come il loro, non usava nessuno e non c’era timore che potessero essere neanche minimamente sorprese. Una volta seduta a terra, la ragazza tirò fuori la sua IQOS ed iniziò ad aspirare nervosamente.
“Si può sapere che succede?” domandò Maya, cercando di non dare a vedere che quella sigaretta elettronica le stava dando un fastidio bestiale. Lei era stata fumatrice ma le IQOS puzzano di fogna, a voler essere generosi...
“Un paio di giorni fa ero alla toilette e lo sai che l’ufficio del vicedirettore è lì vicino … io non volevo origliare però…”
“Però?” Le orecchie di Maya si drizzarono come quelle di un cane da caccia.
“È che…magari non è niente, magari non c’ho capito niente io, ma m’è venuta paura per il lavoro. Ci sto bene e qua e non vorrei andarmene. E quando mi ricapita…”
“Ti capisco, è normale, ma si può sapere cosa hai sentito?”
“Sì…boh…cioè…mo manco mi ricordo bene, ma mi sa che Stefano ha detto qualcosa di una società inglese che vuole comprare le azioni. È una brutta cosa, vé? Finiremo in mezzo ad una strada? Io non sapevo con chi parlarne e poi ho pensato che tu hai lavorato con il capo, magari ne sai più di me”
“Stai tranquilla, hai fatto benissimo a venire da me, la prima regola d’oro in questo posto è che anche i muri hanno le orecchie e ti puoi fidare di pochissime persone”
“E tu sei una di queste?” la stuzzicò la ragazza.
“Mmmm sicuramente più di altre” rispose lei, ridacchiando. Del resto, quando Alex l’aveva assunta come assistente le avevano fatto firmare un accordo di non divulgazione: tutti i segreti aziendali lei se li sarebbe letteralmente portati nella tomba.“Ha detto altro Stefano?”
“Testuale: noi non possiamo competere, ma non so a chi fosse noi…immagino Roma Glame meno male che non se lo ricordava .
“Capito. Guarda, non posso entrare nei dettagli ma devi stare tranquilla perché qua nessuno perderà il posto”
“Ma tu sai qualcosa?”
“No comment, adesso torniamo al lavoro perché altrimenti gli altri si insospettiscono” Per fortuna, Micol non era tipa da voler indagare di più, si faceva bastare anche le spiegazioni più elementari.
“Ma tu sei sicura sicura?”
“Sicura sicura” la rassicurò “dai andiamo”
 
“Eccì!” Mentre rientravano, Raissa tirò sul col naso, cercando un nuovo pacchetto di fazzoletti nella borsa. Erano giorni che andava avanti così “Salute!” esclamarono tutti in coro.
“Ma insomma ancora non passa questo raffreddore?!” domandò Maya stupita.
“Mi sento uno straccio, veramente” confessò la donna che aveva un naso rosso come un peperone e gli occhi lucidi “Ho un addio al nubilato questo weekend e io sono la testimone della sposa, abbiamo passato mesi ad organizzarlo, mi rifiuto di stare male”
“Certo che anche tu, ammalarti ad agosto, ce ne vuole d’impegno” la riprese Dario.
“È l’aria condizionata”
“Ma quale aria condizionata che qua famo la colla!” esclamò Tanjir, riemergendo dalla sua consolle per il videomaking “chissà dove sei andata a ballare e con chi ti sei strusciata. Non lo sai che si prendono le malattie?”
Raissa chiuse la discussione con un dito medio, ma non era arrabbiata: il tono di Tanjir, con un accento bengalese palesemente finto, era palesemente canzonatorio.
“Maya se hai finito puoi andare a casa” disse la donna, cambiando argomento.
“Ma…è già l’una? Uh, fantastico! Le valigie sono pronte ma così posso prendermela con calma per andare a Termini” Tra la ferrovia e lo scambio tra linea A e B per lei era ancora un labirinto in cui faticava a districarsi. Con la valigia poi, era una piccola impresa muoversi per le scale, sperando che almeno quelle mobili fossero funzionanti.
 
La prima e unica volta di Maya in un campeggio era stata terrificante. Aveva diciassette anni, il prof di educazione fisica aveva ideato quella gita alternativa perché, secondo lui, i figli di papà della scuola privata dovevano conoscere un po’ cosa significa fare sacrifici. Per tutti, alla fine della fiera, era stata un’esperienza a metà tra Isola dei Famosi e Temptation Island. Da quella gita, Maya aveva portato a casa con sé un’ustione col fornellino, mal di pancia da rifiuto fino a che fosse troppo tardi di usare i servizi igienici, mal di schiena e sonno da letto a castello che un loculo è più largo e comodo e naturalmente punture di insetti grossi come elicotteri.
Da allora, per fortuna, erano passati diversi anni … 14, ma non lo diciamo in giro … e la vecchia idea di campeggio si era nel frattempo, e per fortuna, evoluta: comfort, lusso, design. Quello dove era stata invitata, infatti, al suo ingresso aveva orgogliosamente esposto un cartello con la scritta glamping, senza paura di rivaleggiare con hotel di lusso. Campeggio ok, ma nel ventunesimo secolo e nella civiltà … adesso si ragiona, per fortuna Paolo ha un po’ di buon senso.
Pagato il tassista – la sua idea di scendere dal treno leggermente più lontano ma in una cittadina più grande aveva pagato, Maya si incamminò con il trolley verso la struttura centrale del campeggio, un vecchio casale in pietra ristrutturato, in mezzo agli ulivi, mentre provava a contattare gli amici, ma né Paolo né Monica sembravano essere reperibili, né tramite Whatsapp, né chiamandoli. Calma Maya! Magari sono solo in giro e non prende!
“Salve! Sono Maya Alberici, ci dovrebbe essere una prenotazione a mio nome” disse alla ragazza che l’accoglieva alla reception.
“Benvenuta signora Alberici! Sì, le abbiamo riservato la nostra Romantic Tent”
“Romantic?”
“Oh non si preoccupi…è solo perché è una doppia e ha una bella vista”
“Okaaay. Senta, mi potrebbe fare un favore? Ci sono due amici qui nel camping ma non riesco a contattarli, i signori Bianchi. Se passano per la reception può avvertirli che sono arrivata?”
“Vediamo…uhm mi dispiace ma qui non risulta nessuna prenotazione a nome Bianchi” tranquilla, non ti agitare, ci deve essere una spiegazione … magari ha prenotato Monica.
“Ricci, forse?”
“Mmmm ... nemmeno”
“Strano, mi hanno invitato loro a venire qui”
“Magari sono in un’altra struttura della zona. È pieno di campeggi qui e in questo periodo siamo tutti al completo, è stata fortunata a trovare la stanza libera con così poco anticipo”
“Capito… va beh, proverò a mettermi in contatto più tardi” rispose Maya, rassegnandosi ma con quella sensazione addosso che qualcosa non quadrava.
Sbrigato il check in e data qualche informazione sui servizi offerti, la receptionist affidò Maya ad un ragazzo dello staff che l’accompagnò alla sua tenda. Era piccola, quasi una microcasa a due piani, ma con un grazioso giardino su un promontorio affacciato sul mare poco distante, con due sdraio per godersi il sole e il panorama. La vista era a dir poco meravigliosa e il sole alto del pomeriggio faceva brillare il paesaggio tutto intorno. Il cielo e il mare, azzurri, si confondevano all’orizzonte.
Sotto il piccolo patio c’erano un tavolino e due sgabelli di legno, all’interno un’isoletta con il piano cottura, un bagno compatto ma con tutti i comfort e delle scale che portavano alla camera da letto. Era tutto minimal e con materiali di recupero: i colori naturali del legno e della natura circostante restituivano un gran senso di pace. 
Mentre si sistemava aveva provato a rintracciare ancora Paolo e Monica, ma senza successo. La cosa iniziava a non avere senso: l’avevano invitata a passare il weekend con loro, non aveva intenzione di rimanere chiusa in quella casetta o peggio ancora di fare la figura della zitella in vacanza. Mise un po’ di musica sul telefono, almeno per avere un po’ di compagnia e rompere il silenzio.
“Signora Alberici?” una voce maschile la chiamò dal piano inferiore “Signora?”
“Sì? Chi è?” Maya si affretto a stoppare la musica.
“Room Service” Alzò gli occhi al cielo: tra gli amici desaparecidos e questo, il weekend non iniziava con le migliori premesse.
“Ci deve essere un errore” disse, scendendo le scale “non ho ordinato nu…”
SURPRISE!!!” 
A Maya si strozzarono le parole in gola. Alex!!! Lui, tranquillo, sorridente, se ne stava sulle scale d’ingresso del patio, in un controluce che lo faceva sembrare quasi una figura angelica... seh…un diavolo tentatore… Con tutta la confusione dei pensieri che aveva in testa in quel momento, un singulto fu l’unica cosa che venne fuori. Si avvicinò e lui entrò nella piccola zona giorno, camicia di lino stropicciata, pantaloncini e uno zaino sulle spalle. Maya poggiò lentamente le mani sulle sue braccia e poi sul torace, ancora incredula. Lo tocchi, non è un fantasma, stai tranquilla. Sì ma è qui, in carne …e che carne…e ossa. Cazzo! CAZZO!!!
“Che…che ci fai qui?”
“Mi mancavi troppo…e così ho ritagliato un po’ di tempo per stare da soli”
Di nuovo tutto ciò che uscì dalla bocca di Maya fu un sospiro incredulo.
“Eee…maaa… Paolo e Monica?”
“Dei bravissimi complici, a giudicare dalla tua sorpresa”
“Sei completamente pazzo”
“Di te? Assolutamente”
Non vale così! Io mi sciolgo! L’ultima cosa che Maya riuscì a fare razionalmente fu arpionarglisi alle spalle con le braccia e a sorridergli sulle labbra. Nella foga di quel bacio agognato da due settimane, Maya volle aiutarlo a togliere lo zaino di dosso, ma solo in quel momento si accorse che le sue braccia non erano su di lei.
“Che hai?” domandò, confusa. Alex allora le mostrò una rosa rossa che aveva nascosto fino a quel momento alle sue spalle, confezionata per bene con del verde, un nastro rosso e un piccolo cuoricino d’argento intrecciato nel fiocchetto.
“È vera” spiegò, timidamente “così tua sorella non si lamenta che faccio solo regali da vetrinetta della nonna”
“È bellissima” sussurrò, ridacchiando … sti cazzi di mia sorella ora, sinceramente …. assorbendone il profumo dolce e speziato allo stesso tempo, dolce come il miele e pungente come il muschio bagnato. Lo ringraziò, stampando un lungo bacio sulle sue labbra. Aveva pensato a lungo a cosa sarebbe successo quando si sarebbero rivisti, a cosa avrebbero fatto, come avrebbero rotto il ghiaccio. Ma ora le veniva da ridere: come poteva avere anche solo pensato che, tra di loro, ci fosse ancora bisogno di rompere il ghiaccio. È fatta, Maya, non si torna più indietro. Gli sei mancata e ti è mancato ed è così che si recupera.
“Ho paura che con questo caldo non durerà a lungo”
“Vorrà dire che le farò una foto prima che appassisca” risolse, poggiandola sulla piccola isola al centro della stanza.
“Forse ti conviene farla subito” le disse, prendendo il cellulare dalla tasca dei pantaloni “saremo impegnati in questo weekend”
“Cosa hai in mente?” domandò, trepidante, mettendo via lo smart phone. Fare quella foto era l’ultima cosa che le interessava. I suoi occhi, liquidi come il cioccolato fondente, lo invitavano a concretizzare ciò che entrambi aspettavano da troppo. Risoluto e disinvolto, la afferrò in vita portandola sul piano dell’isola al centro della stanza.
“Tu che dici…” sussurrò, la voce calda e sensuale ad un millimetro dalle sue labbra. Quel profumo di menta fresco ma non invadente arrivò fin dentro al suo cervello. Era come in una vertigine, non riusciva ad aggrapparsi alla realtà. Le mani dell’uomo corsero sulle gambe lunghe e tornite di lei e in tutte le lingue Alessandro ringraziava la preferenza di Maya verso abitini e gonne e non dover fare i conti con cerniere lampo e inutili bottoni, perché le sue mani, impazienti, già tremavano al tocco della sua pelle bollente. Infilò un dito nello slip, risalendo sul fianco, senza andare oltre, ma giocherellando con il pizzo e la pelle per provocarla; presto, le labbra di Maya, morbide ed invitanti, scesero sul suo collo, mentre le mani, che fino a quel momento erano affondate tra i suoi capelli, si spostarono sul primo bottone della camicia, per farsi spazio.
Aveva organizzato tutto lui, era lì con lei, la toccava, la baciava, e quasi non gli sembrava vero. Avrebbe potuto chiederle un pizzicotto … magari una cosa per volta, che dici Alessà!
Bottone dopo bottone, bacio dopo bacio, quella camicia di lino aveva trovato la via verso il pavimento. Alessandro, in un breve momento di lucidità, si rese conto che non era proprio una buona idea restare lì, con la tenda aperta, nonostante il piccolo chalet fosse defilato rispetto agli altri.
“Aspetta…” ansimò, imponendo ad entrambi di rifiatare un attimo “forse, forse è meglio se andiamo su”
Maya però aveva un’idea migliore. Scese dal piano della cucina e fece qualche passo verso il bagno, slacciando la cinta dello chemisier azzurro “fa caldo, abbiamo viaggiato … perché non iniziamo con una doccia?!” Alex era rimasto imbambolato, come un cretino, ma era comprensibile: girandosi di spalle, lo chemisier andò via lentamente, scendendo provocante e sensuale dalle spalle fino a terra. Sotto, solo gli slip.
“Di-dico…” concordò Alex, balbettando “dico che è un’ottima idea” E finalmente si decise a chiudere quella stramaledetta tenda da sguardi indiscreti.



 

Eccomi di ritorno. Vi chiedo scusa per il ritardo ma tra il lavoro e altre cose, diventa sempre più difficile stare al PC nei ritagli di tempo. Questo capitolo non ha bisogno di troppe spiegazioni, credo, ma solo di un commento: E FINALMENTE!!!! XD 
Ce ne hanno messo di tempo ma alla fine si sono decisi. Non è finita qui, avremo ancora qualche capitolo in cui i due piccioncini ritrovati ci terranno compagnia, ma direi che il grosso ormai ce lo siamo lasciati alle spalle. Vi invito a commentare e a dirmi se per voi è troppo sdolcinata o meno come situazione e vi aspetto alla prossima, sperando di riuscire ad aggiornare prima di quanto abbia fatto per questo capitolo.
Fred ^_^

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Capitolo 36
*** Capitolo 36 ***


 
 
 
 
 Capitolo 36


 


Le cicale di quel caldo pomeriggio toscano avevano lasciato il posto ai luccichii sparuti delle lucciole tra gli ulivi del parco. Qualche uccello notturno cantava indisturbato e nelle tende vicine il chiacchiericcio degli ospiti segnalava che era l’ora della cena era passata da un po’. Alex e Maya accaldati, nudi, i capelli arruffati, non ne volevano sapere di lasciare quel letto. Non c’era bisogno di dirsi nulla; le gambe intrecciate, le mani che giocavano a rincorrersi, le labbra che di tanto in tanto riaffermavano un concetto fondamentale: si erano ritrovati per non lasciarsi più.
“Certo che potevi dirmelo, eh, non ti avrei mica detto di no. Farmi credere che non ci saremmo visti per 3 settimane è stata una bella carognata” lo rimproverò Maya, fintamente indignata.
“Scusa” disse Alex, posandole un bacio sulla spalla, divertito “ma fino alla sera che siamo usciti non ero così sicuro che avresti gradito. E poi non sapevo se avrei trovato nulla, è pur sempre agosto”
“Mi stava bene anche una catapecchia sperduta nel nulla eh…”
“Adesso non esageriamo…Maya Alberici che si accontenta di un tugurio, ma neanche se fosse l’ultima opzione rimasta. E non dire di no perché poi ti cresce il naso come Pinocchio” aggiunse, sogghignando e baciandole la punta del naso.
Lei rise, il viso imporporato dal caldo e dall’emozione. Era facile dire che fosse bellissima in quel momento, ma per Alex era molto di più, andava ben oltre la bellezza fisica. C’era una luce in lei, che solo chi ha trovato la felicità può emanare: sapere che in qualche modo ne fosse lui il fautore lo faceva sentire un privilegiato. E Maya, incrociando lo sguardo del suo uomo, sentiva di poter toccare il cielo con un dito. Il mio uomo. MIO. Se è un sogno non svegliatemi. Si girò, a pancia a terra sul letto, sentendosi stupida all’idea di essere arrossita per un bacio sul naso e uno sguardo dopo aver passato le ultime ore avvinghiati e senza neanche un lembo di stoffa a dividerli.
 “Ad un certo punto dovremmo alzarci da qui” suggerì Alex, soffiando leggermente sul profilo della giovane, scendendo a posare un bacio sulle fossette di Venere, poco al di sopra della leggerissima linea d’abbronzatura sul fondoschiena.
“Non prima di lunedì mattina, grazie” ironizzò lei, giocando a fare la gnorri.
Alex ridacchiò tornando a sdraiarsi dall’altra parte del letto e massaggiandosi la fronte “Non so se ce la faccio a tenere i tuoi ritmi…ho una certa età” 
Maya si girò per prenderlo in giro ma si bloccò: aveva gli occhi chiusi, forse leggermente aperti per sbirciare, e sorrideva, appagato, come si sorride nei giorni più belli, quelli pieni di soddisfazione in cui nulla può scalfire la felicità. E per la prima volta in tutta la sua vita, quelle parole che non era mai riuscita a pronunciare quasi urlavano nella sua testa per uscire. Erano nitide, chiare, giuste. Non c’era nessun’altra alternativa né sinonimo. “Mi hai fregato di nuovo, Bonelli” gli disse, pacata.
Alex aprì gli occhi: era nuda di fronte a lui, come lo era stata nelle ultime ore, bella come una scultura di Canova, ma non più fragile o timorosa di rivelare quella parte di lei più segreta, oltre l’armatura. Ormai Maya era abituata a vivere senza la corazza e ci stava bene senza finzioni. Le scostò i capelli dal viso e lei gli dedicò un sorriso dolce e meraviglioso, senza alcuna timidezza o rossore. Le sue insicurezze, le sue fragilità e i suoi difetti li aveva abbracciati e ne aveva fatto la sua forza. 
“Ti amo” disse, senza battere ciglio. Era tremendamente sicura di sé. Anche Alessandro si tirò su, guardandola come se avesse visto un fantasma. No, come una visione celestiale. Lei si mise allora a sedere su di lui, prendendo l’iniziativa con un coraggio che non sapeva nemmeno di avere e quelle due semplici paroline le avevano istillato. Portò le braccia attorno alle sue spalle e lo strinse a sé.
“In questi mesi ho avuto paura…avevo il terrore di darti di nuovo fiducia” confessò, guardandolo dritto negli occhi.
“E adesso? Non ne hai più?”
“Da morire” disse ridendo, con una smorfia “ma ho anche tante altre cose”
“Tipo?”
“Tipo il cuore che mi salta nel petto quando ti vedo e scoppia quando mi baci” e non ti dico quando facciamo l’amore “e poi la voglia matta di vedere la faccia di tuo padre felice come una Pasqua quando gli diremo di noi … perché lo sai che sarà così…”
Sì lo sapeva, e sapeva che pure Giulia sarebbe stata al settimo cielo. E anche Edoardo ora aveva deposto le armi. Se c’era un momento perfetto per loro, beh era proprio quello.
“E poi ricordati una cosa” continuò, prendendogli il volto tra le mani “per quanta paura possa avere, non sarà mai quanto l’amore che provo per te”
E lo baciò. Avevano passato il pomeriggio a baciarsi, ogni centimetro dei loro corpi era stato tracciato dalle loro labbra, ma quella nuova consapevolezza dei loro sentimenti aveva reso tutto diverso. Era come scoprirsi di nuovo, per l’ennesima volta. Ed ogni volta era sempre più bello e più vero. 
“Però io avrei un’obiezione da fare” ribatté Alessandro, riprendendo fiato e tirando i capelli di Maya dietro le spalle, percorrendo con le sue mani il suo profilo. Se c’era qualcosa a cui Maya avrebbe faticato ad abituarsi, erano proprio le mani di Alex e al tremito che le provocavano quando si posavano su di lei. Quel piccolo gesto provocatore era la garanzia che nulla di ciò che avrebbe detto era da prendere sul serio. “Anch’io ti amo … e non pensavo che nella mia vita avrei mai amato così. Però…”
“Però?” domandò lei, aggrottando le sopracciglia.
“Però questo non mi convincerà a restare a letto cinque minuti di più…” disse, portandola repentinamente sotto di sé “tutto questo amore mi ha messo fame!”
 
La cosa più bella del mar Tirreno è che, se hai un affaccio fronte mare, il sole non verrà mai a svegliarti al mattino. I risvegli sono graduali, piacevoli. Magari con l’odore di caffè che lentamente sale dal piano inferiore come una coccola. Alex aprì lentamente gli occhi riemergendo dal cuscino e dal lenzuolo che non ricordava di avere addosso quando si era addormentato. Maya…
Stese il braccio verso l’altro lato del letto, la vista ancora appannata dal sonno per mettere bene a fuoco, ma era evidente, al tatto, che si era alzata. Sceso al piano di sotto, la trovò seduta su uno degli scalini dell’ingresso, una mug tra le mani. 
“Sei qua…” la giovane si girò nel sentire la sua voce. Aveva i capelli scarmigliati e il viso, leggermente arrossato da quel weekend di mare, era puntellato di lentiggini leggere. Forse era poco oggettivo, ma per lui era bella da togliere il fiato.
“Avevo voglia di caffè” spiegò, mostrando la tazza.
“Ugh…e questo me lo chiami caffè? Non te lo sei levata il vizio dell’americano” si lamentò, esagerando di proposito, sedendo di fianco a lei.
“Quando il gatto non c’è…”
“Ti ho sentita un po’ agitata stanotte…” le disse, sistemandole i capelli dietro le orecchie per avere una scusa per poggiare un bacio sul suo collo. Come se avessi bisogno di una scusa.
“Scusa, dev’essere stato un brutto sogno”
“Così brutto che ti ha fatta alzare alle così presto in vacanza? Sono a malapena le 7” Maya annuì. “Ti va di parlarne?”
“Ho sognato…” esitò, come se pronunciare quelle parole fosse doloroso oltre che difficile, stringendo la tazza come se avesse bisogno di riscaldarsi e guardando il caffè come se in quel fondo nero potesse trovare le parole “…mio padre” 
Alex, allora
 si portò sullo scalino più alto aiutandosi con le braccia, sedendo dietro Maya per poterla prendere tra le braccia, senza dire una parola. Senza dire una parola, lei accolse quella stretta. Non faceva freddo, l’aria era frizzantina ma gradevole, ma quell’abbraccio le faceva bene al cuore.
“Era a casa” continuò.
“A Testaccio?” Maya fece sì con la testa.
“Mi ha detto … che … era contento per me e come mi sono sistemata” raccontò, la voce tremolante.
“Sono sicuro che dovunque sia è davvero orgoglioso di te”
“Ti ho mai parlato di lui?

“Molto vagamente” Era capitato a volte di raccontargli brevi episodi della sua infanzia ma molto en passant, e se la conversazione prendeva una via più seria, Maya trovava sempre il modo di sviare e cambiare argomento. Alex aveva capito che l’argomento era off limits e stava solo a lei decidere se, come e quando parlarne.
Luigi Alberici aveva due passioni nella sua vita: i libri e i cavalli. Ma in Italia né con la cultura, né tantomeno con i cavalli si può vivere facilmente e così, come tutti i romani con un gruzzoletto di famiglia, si era buttato sul mattone; ma suo padre era un buono e a patti con la politica e il malaffare non ci scendeva. L’attività non rendeva e, poiché la passione l'equitazione si era trasformato in vizietto per le scommesse, i debiti aumentavano, eppure aveva sempre fatto in modo che la sua famiglia non si accorgesse di nulla. Il medico aveva detto che aveva trascurato il cuore, ma Maya era convinta che tenersi tutto dentro, alla lunga, l’avesse ucciso.
“E così quando è morto abbiamo avuto la sorpresa”
“Maya, tuo padre era molto più di un debito, per quanto grande fosse. Hai di sicuro dei bellissimi ricordi”
“Sì, non lo nego … ma non si tratta di quello” Non era di certo il danno materiale il problema: lei, sua madre e i suoi fratelli si erano rimboccati le maniche e se l’erano cavata. Però avrebbero potuto farlo tutti insieme anche prima. “È che ha rotto qualcosa”
“Dentro di te”
Aveva mentito loro e aveva tenuto nascosto dei problemi che non erano solo suoi, ma erano di tutti loro, la sua famiglia. “Lui l’avrà fatto per … boh, orgoglio? Perché non lo so mica se è stato amore o senso di protezione. So solo che io ho smesso di fidarmi della gente, persino della mia stessa famiglia. Mi bastavo da sola … tutto il resto doveva servire ad uno scopo, doveva essermi utile. L’unica cosa che mi ha lasciato è stata l’idea che esiste una sola vita, un solo mondo giusto, quello con i soldi ovviamente, e per viverci bisognava essere qualcosa che non ero…non del tutto almeno” 
Invidiava sua madre, pur se inconsciamente, per essere riuscita a fuggire da quel fantasma e a fidarsi di Ruggero così ciecamente dopo quello che era successo. “Io non ne sono stata più capace. In tutti vedevo lui, mi chiedevo se nascondessero qualcosa e se potessi fidarmi e alla fine trovavo sempre la scusa per non farlo. Ad un certo punto era diventato più facile usarle le persone che apprezzarle e legarmi”
Diceva di avere una comitiva di amici, ma era solo gente con cui fare serata ed entrare nei locali in; blaterava sempre di avere come obiettivo il matrimonio, ma quello che cercava era solo un buon affare celato da un’unione coniugale.
“Allora devo considerarmi un miracolato?!”
“Abbastanza” sorrise Maya, amaramente, aggrappandosi al suo braccio come un koala farebbe con un albero, poggiando la testa su quella cicatrice che la mandava fuori di testa come poche cose … un giorno o l’altro si sarebbe fatta raccontare la sua storia “scherzi a parte, sono talmente un casino che a volte sono io a non capacitarmi di cosa ti sia innamorato”
“C’è anche bisogno di chiederlo?” domandò lui, sorpreso, facendo in modo che si voltasse. “Innanzitutto guardati, perché sei bellissima. Amo quella pieghetta sopra il labbro superiore che hai quando sorridi…ecco sì, proprio quella” le disse, sfiorando le sue labbra con un dito mentre si aprivano in un sorriso timido e il suo sguardo si illuminava “potrei dirti che amo il tuo collo lungo o le tue gambe ma sembrerei solo interessato al tuo aspetto fisico e non è così”
“Ah beh” ironizzò Maya “vorrei ben vedere!”
“Conoscevo la mia assistente leale, discreta, ma mi sono innamorato del tuo essere…non so come dire…sempre e comunque te stessa, oltre la facciata. Io ti ho messo in situazioni difficili ma non ti sei mai scomposta, non le hai mai usate a tuo favore. E poi amo la passione che metti quando prendi a cuore qualcuno o qualcosa…per essere una persona che aveva un ostacolo emotivo, direi che te la cavi piuttosto bene”
“Ho imparato dal migliore”
“Non ci giurerei”
“Giuro io per te…è vero, ne hai fatte di cazzate e sei stato uno stronzo a volte, ma sei tornato sui tuoi passi e questo non è da tutti. E poi cerchi sempre di fare la cosa giusta, il che non significa necessariamente fare contenti tutti, ma stare bene qui” spiegò la giovane, mettendo la mano sul petto dell’uomo all’altezza del cuore “e se ti chiedi perché ti amo, beh è anche per questo”
“Anche?”
Maya annuì “anche per me la lista è lunga … dalle cose più superflue a quelle più profonde”
“Sarei curioso di conoscere quelle più superflue”
“Dovreste saperle già” dichiarò, poggiando la mug sulle scale “credo di essere stata abbastanza… com’è che dicono in inglese…vocal …in queste notti”
Maya avvicinò il suo viso a quello di Alex, portando le labbra alle sue e invitandolo a dispiegarle con un colpetto sfacciato della lingua.
“Mi eri mancata da morire” soffiò Alessandro, arpionando con foga le mani tra i lunghi capelli, mentre quelle della ragazza erano già sotto la sua tshirt; ma quel bacio era destinato a non proseguire oltre: il telefonino aveva infatti altri piani ed Alessandro non poteva sottrarsi, nonostante le proteste di Maya.
“Ringrazia che è il tuo compleanno o quel coso lo avrei già buttato giù per il dirupo” decretò lei, alzandosi dalle scalette sbuffando e andando nella piccola cucina.
“Credimi lo avrei fatto di persona … pronto? … Ciao Puffetta! … Grazie!...”
 
Quando, allo scoccare della mezzanotte, la sera prima, era salita in camera con una bottiglia di spumante dal frigobar e due bicchieri per festeggiare, Alessandro era rimasto stupito. “Ti sei ricordata?!” aveva esclamato. Perché non avrei dovuto? Non c’era però da biasimarlo: da quando lavorava per lui era la prima volta che gli faceva gli auguri, ma di solito erano in vacanza e l’ordine di non disturbarlo, a meno che non fosse lui a farsi vivo, era tassativo. Poi, a dirla tutta, lei era così … faticava persino a trovare un solo aggettivo per descrivere la Maya di 12 mesi prima … che interrompere le sue vacanze per un messaggio di buon compleanno per il capo era fuori discussione, non ci si sprecava.
Quasi avrebbe voluto chiedergli scusa ma non ce n’era stato tempo, perché Alex disse una cosa l’aveva lasciata senza parole: “Se un anno fa mi avessero detto che sarei stato così felice, io non ci avrei creduto”
Lo aveva detto con tutta la semplicità del mondo, scostandole i capelli dalla nuca e poggiandole un bacio sulla spalla nuda, prima di stappare la bottiglia; ricordava come fosse ieri il giorno in cui si erano rivisti, dopo le vacanze, e quelli successivi: intrattabile, a tratti dispotico e chiuso in sé stesso come mai lo aveva visto prima. Al di là di quello che era successo tra di loro, era diventato un’altra persona: i suoi occhi erano limpidi, sereni, il suo viso alleggerito dal peso di una vita in cui non si riconosceva e che lo aveva inglobato come un bozzolo con una crisalide. Stava compiendo un anno in più ma ne dimostrava paradossalmente diversi in meno, nonostante le rughette, qualche capello grigio che si nascondeva bene in mezzo agli altri e gli occhiali che giurava essere da riposo. Ed il cuore a Maya batteva forte nel vederlo così, felice con poco e non solo quando era da solo con lei, ma anche al telefono con la sua famiglia, come quella mattina.
 
Chiusa la telefonata, Alex rientrò nella tenda, dove Maya era tornata già da un po' per lasciargli un po' di spazio e privacy con la sua famiglia, come se loro potessero vederla da una semplice telefonata.
“Ho chiamato il room service, ho pensato che per cambiare potremmo farci portare la colazione anziché fare da noi. È un giorno speciale, ci vuole qualcosa di speciale” decretò Maya, energica e propositiva.
“Mi sembra un’ottima idea” Alex la guardava incantato, ancora come se non credesse che quella fortuna fosse capitata a lui. Era brutto da dire forse ma erano attenzioni che era abituato a dare ma poco a ricevere; abbiamo una certa età, finiva col giustificarsi, con il lavoro e i figli non abbiamo un attimo per noi, ma il lavoro, i figli e l’età erano ancora lì e quell’attimo era spuntato, neanche troppo magicamente: se il cuore vuole, può funzionare. “Che c’è?”
“Mi sento fortunato”
“Per un cappuccino e una torta fatta in casa?!”
“Ovviamente no…e lo sai”
Essere insieme era il più grande colpo di fortuna che potesse essergli capitato, perché per quanto potesse aver fatto o non fatto per convincerla a tornare insieme tutto dipendeva da lei; ma non era quello ... averla vicino, in qualsiasi modo lei avesse voluto, anche solo come amica e confidente, era l’unica cosa che importava, per quanto difficile se lo sarebbe fatto bastare: averla al suo fianco in quei mesi era l’unica ragione che lo aveva tenuto sano di mente e con gli occhi bene aperti. Senza, era facile ricadere negli stessi errori, facendosi andare bene l’opzione che avrebbe recato il minor scandalo; del resto, agli occhi degli altri, lui era quello che non sbagliava mai, il vincente, il perfetto.
“Hai presente questa cicatrice?” le disse, alzando la manica della tshirt.
“Come no?! Che rimanga tra noi …” disse Maya, ironica “ci sbavo sopra dalla prima volta che l’ho vista”
“Sei tutta matta!!!” esclamò l’uomo, ridacchiando, mentre stringeva la giovane a sé, posandole un bacio tra i capelli profumati “Beh insomma puoi considerarlo l’ultimo sgarro della mia vita prima … prima che arrivassi tu a ricordarmi che non si vive solo per gli altri ma anche per sé stessi”
“Cosa?” Passò a raccontarle della cotta clamorosa che si era preso per una ragazza del liceo, Silvia, dai lunghi capelli neri e mossi e gli occhi azzurri.
“Adesso divento gelosa” lo prese in giro Maya, sedendo sullo sgabello dell’isola.
“Non devi preoccuparti…innanzitutto ora è sposata e con un figlio per quanto ne so e poi era più una fissazione che un sentimento vero: più lei non mi filava e più io mi intestardivo. Solo che la stronzetta si era decisa a darmi una chance giusto la notte prima dell’orale della maturità”
Si era dato da fare per impressionarla, con le poche risorse che aveva, i risparmi del lavoretto dal carrozziere, e i consigli degli amici del quartiere. “Hai presente la Passeggiata del Gelsomino, vicino al Vaticano? Beh quando andavo io al liceo era ancora una ferrovia dismessa, per accedere bisognava scavalcare dei cancelli e delle inferriate nella vecchia stazione e mi sono fatto questa per tenerle aperto il passaggio”
Certo aveva fatto colpo, ma dopo era dovuto andare in ospedale a mettere i punti, con suo padre che, alle 5 del mattino, se ne stava affacciato alla finestra ad aspettarlo visto che non c’erano i cellulari ed il giorno dopo c’era mancato pochissimo che l’orale fosse un disastro, avendo dormito sì e no un paio d’ore. “Ancora mi ricordo il ...chiamamolo broncio di mio padre e la delusione stampata in faccia a mia madre finché non sono usciti i quadri con i risultati. Forse sono stato estremo, ma allora ho giurato a me stesso che non li avrei mai più delusi con tutti i sacrifici che facevano per me, non sarei mai più uscito dai binari, soprattutto per amore ... non poteva valerne la pena. Ma mi sbagliavo, certe volte ne vale la pena”
“Ah sì?”
“Mm mm. Con te per esempio ne vale sempre la pena” dichiarò, prendendole il mento tra pollice e indice e avvicinandola a sé quel tanto che bastava per ridurre la loro esigua distanza e baciarla. Era come tornare a casa, ogni volta che le loro labbra si incontravano, una gradevole sensazione di tepore e sicurezza li circondava. “Ascolta” disse lui, guardandola negli occhi.
“Ahia!” esclamò Maya “sento puzza di brutte notizie”
“Ma nooo…volevo solo dirti che mia madre sta organizzando una cena per il mio compleanno per questa sera”
“Appunto, ho capito”
“Cosa hai capito? Sentiamo…” scherzò lui, appoggiandosi al piano della cucina, le braccia conserte e un sorriso beffardo stampato sulle labbra.
“Che devo chiedere al cameriere se può portarci una candelina da mettere sul ciambellone perché poi quando torniamo a Roma ci dobbiamo salutare. Ma va bene così, non c’è problema” E davvero non c’era problema, non lo diceva solo per farlo stare tranquillo. Sapeva che ci sarebbe voluto del tempo ma era certa che ci anche loro sarebbero stati insieme nei giorni importanti, nelle feste di famiglia. Non era più questione di se, ma solo di quando.
“Mamma vuole che vieni anche tu” sorrise, soddisfatto.
“Co-cosa?” Maya strabuzzò gli occhi ed era sicura di avere un’espressione da pesce lesso, ma poco le importava. Non era affatto sicuro di aver capito bene, forse aveva esagerato con lo spumante ed era ancora un po’ alticcia e aveva le allucinazioni uditive oppure era colpa degli incubi notturni. “Testuale: porta pure Maya stasera
Sapeva che sua madre sapeva, glielo aveva detto e non poteva pretendere da lui che la loro fuga romantica fosse completamente segreta: era pur sempre un padre e doveva restare reperibile, per quanto anche a lui sarebbe piaciuto tanto scappare da tutto e da tutti per qualche giorno. Ma aveva giurato di averlo detto solo a lei e che gli altri sapevano che c’era un urgente meeting di lavoro al Nord, che si doveva fidare.
E lo avrebbe fatto, perché tra Alessandro e sua madre c’era un rapporto speciale, profondo ma non morboso e lei non ne era gelosa: a naso, le sembrava molto simile a quello tra lei e suo padre e non lo avrebbe mai ostacolato: solo il cielo sapeva cosa avrebbe dato lei per poter avere solo 5 minuti ancora con suo padre, per un suo sorriso o per sentire 
per davvero quelle parole che aveva solo sognato uscire dalla sua bocca … non era neanche sicura di ricordare più il suono e il colore della sua voce e le faceva malissimo.
“Allora, ci vieni?”
“Dove?” domandò Maya, ancora frastornata.
“Ma come dove?!” sorrise Alex, bonario “Dai miei, con me”
“Solo noi?”
Alex intuì dove Maya stava andando a parare “Beh sì, solo noi … e Giulia. Edoardo è in vacanza con i cugini e mia sorella pare abbia una serata con delle amiche, al massimo la incrociamo di passaggio”
“Va bene”
“Sì?”
“Sì certo” confermò, serena “se è vero che tuo padre non sa nulla, non vedo l’ora di vedere la sua faccia”
Maya si portò dietro di lui, allungandosi quasi sulla sua schiena e stringendosi a lui. Per la prima volta, dal venerdì, iniziavano entrambi a realizzare e razionalizzare quanto era accaduto tra loro: sarebbe stato facile e forse anche riduttivo dire che stavano vivendo qualcosa di magico e speciale, che ritrovarsi era la cosa più bella che potesse capitare. Erano stretti in un abbraccio, ma nessuno dei due si era forse mai sentito così libero, non solo di poter essere sé stessi completamente, ma anche di vivere quella relazione totalmente, senza ostacoli; non era solo più un concentrarsi su sé stessi e sul presente, giorno per giorno, ora erano pronti ad aprirsi al mondo, insieme, e proiettarsi insieme verso il futuro. Non era necessario progettare ma entrambi riuscivano benissimo ad immaginarsi un futuro in cui c’era anche l’altro.




 

Devo essere onesta con voi, oltre al lavoro c'è un altro motivo per cui pubblicare sta diventato un parto ultimamente: manca pochissimo alla fine di questa storia (uno o due capitoli a seconda di come dividerò le prossime parti) e francamente mi intristisce l'idea di essere davvero al capolinea. Sono contenta che i protagonisti stiano finalmente vivendo il loro happy ending ma è la fine di un'era. Anyway, bando alla tristezza: questo capitolo è un po' una ricompensa per chi voleva un po' più di spazio per Alex e Maya nello scorso capitolo. So che forse la "sorpresa" è stata troppo veloce ed era giusto soffermarsi su di loro nel dopo, ma con i loro tempi...si erano appena ritrovati, era giusto concedere un po' di privacy, no? XD
Abbiamo scoperto anche qualcosa di più del loro passato e delle loro fragilità, ormai credo non ci sa più nulla di nascosto tra loro e sono pronti a viversi pienamente. E questa volta anche agli occhi del mondo circostante. A presto, 
Freddie ^_^

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Capitolo 37
*** Capitolo 37 ***


 
 
 
 
 Capitolo 37


 



“Che è successo?”
Maya aprì la porta dell’appartamento ad una Lavinia con il fiatone che, avendo trovato l’ascensore occupato, non aveva perso tempo ad aspettare e s’era fatta 5 rampe di scale a piedi. “Entra …”
“Mi dici che è successo? Stai male? Sei ferita?” Era in fila alle casse al supermercato, dopo aver finito il suo turno in reparto e si era trovata con un messaggio di sua sorella che recitava: SE NON SEI AL LAVORO VIENI SUBITO. È UN’EMERGENZA.
Non se l’era fatto ripetere due volte e da Trionfale aveva fatto correre Philippos, che l’aspettava nel parcheggio del market, verso Testaccio a tutto gas, incurante del traffico, dei vigili appostati e di possibili autovelox. Sua sorella invece era tranquilla, i capelli umidi che le gocciolavano sulle spalle, pantaloncini, top bianco e infradito, con una leggera abbronzatura sulla pelle che la facevano sembrare il ritratto della salute. La prese per mano e, senza dire nulla, la portò in camera sua, facendola sedere sul letto, davanti all’armadio con le ante spalancate. “Aiutami! Non ho un cazzo da mettermi!”
“Sei seria? Mi hai fatto venire fino a qui come una pazza, con Phil che aspetta di sotto in divieto di sosta e la macchina accesa perché non sapevi cosa mettere? Ho persino lasciato i surgelati alla cassa perché non potevo passare a casa!”
“Ma sei scema? Perché ti fai prendere da queste ansie ingiustificate?”
“Ingiustificate? Maya! Ti ho chiamata per sapere cosa stava succedendo e non mi rispondevi…”
“Per forza ero sotto la doccia… ma ti pare che se stavo veramente male chiamavo te e non il 118? Tu stai fuori… e comunque ti avevo mandato un messaggio” Lavinia controllò il suo telefono e si rese conto che aveva 
accidentalmente spento i dati mobili.
“Dì a Phil di andare via, ti pago io un taxi dopo, dai!”
“Ma quindi si può sapere che è successo?” Mentre faceva la domanda e riattivava i dati sul cellulare furtivamente, Maya avviò una videochiamata sul gruppo Whatsapp delle amiche.
“Una chiamata di gruppo? Maya che succede?” esordì Olivia, entrando nella call. Lavinia guardò la sorella con un’occhiataccia eloquente, della serie che ti avevo detto?!
“Fermati Olli, ci farai venire il mal di mare!”
“Scusate ma sto andando a sistemarmi!!!”
“Toh! Guarda chi si vede … la stronzetta!” esclamò Maya, sarcastica, alla seconda arrivata “dove ti sei andata a nascondere per non farti raggiungere?”
Una risata leggermente cavallina risuonava dall’apparecchio: era Monica. “Siamo al mare dai miei per qualche giorno”
“Capito la bastarda?!” Maya, a quella domanda retorica, mostrò lo schermo del telefono a sua sorella, confermando che era davvero Monica l’interlocutrice.
“Scusa” disse Lavinia, confusa “ma non eravate insieme in Toscana in campeggio?”
Anche Olivia, da casa sua, fece eco a questa obiezione. “Eh, lo credevo anche io” spiegò Maya.
“E invece?”
“E invece…” ripeté, sorridendo sorniona.
No way!”
You better believe it!
Qualche secondo di silenzio e un gioco di sguardi complici bastò alle due sorelle per intendersi e riempire la stanza di urla acute e gioiose, quasi uno squittio ad ultrasuoni mentre si abbracciavano e saltellavano estasiate per la stanza mentre anche dal telefono arrivavano applausi e cori da stadio.
“Non ci credo!" "Ce l’avete fatta!”
“In certi momenti non ci credo nemmeno io…” ammise Maya, ricomponendosi con un sorriso di quelli che non vanno via facilmente ancora stampato sul suo volto.
“Tutto merito mio e della mia spintarella, che se aspettavano un altro po’…” precisò Monica.
“Non è vero! Guarda che prima che lui partisse per le vacanze siamo usciti insieme … ed era praticamente cosa fatta, stavo solo aspettando che tornasse per…” Maya lasciò la frase in sospeso, ammiccante.
“Beh, in effetti la faccia di una che ha passato il week end a farsi una sana scopata dopo l’altra ce l’hai tutta”
“Olivia!!!” la rimproverò Lavinia.
“Eddai Lavì, se escludiamo quello in viaggio non ci sono bambini e siamo tra di noi, non fare la puritana! Guardala, è proprio il ritratto della salute!”
Maya arrossì però era vero, si sentiva bene totalmente: di testa, di cuore e anche di fisico.
“Sono così contenta per voi, ve lo meritate!” esclamò Monica “e poi così sarete degli zietti perfetti per il bambino per quando nascerà”
“O bambina” decretò Lavinia “il mondo ha bisogno di più donne che può”
“Guarda te se devi metterti a fare i tuoi comizi pure in questo momento” la rimproverò Maya “adesso però ragazze mi dovete aiutare, c’è un’emergenza in corso e io sono nel panico più totale. Alex mi passa a prendere tra un’ora e mezza e io non so cosa mettere”
“Maya Alberici che non sa cosa mettere? Questa sì che è nuova” decretò Olivia, ironica “Lavi, misurale la febbre per cortesia”
“Beh dipende qual è il mood della serata” iniziò a ragionare sua sorella in maniera razionale, mentre Maya poggiava il telefono sulla toeletta tra il letto e la finestra, in modo da avere un’inquadratura larga “… appuntamento galante, festeggiamento, serata tranquilla…”
“È il suo compleanno oggi, no?” domandò Monica.
“Beh allora è un festeggiamento, ci vuole qualcosa di speciale. Non avevi un tubino nero con lo scollo a cuore. Elegante, raffinato e con la mercanzia esposta il giusto. Ti ha detto dove ti porta?”
“Eh” sospirò Maya “qui casca l’asino. Andiamo a cena dai suoi…” “COSAAAA?” le amiche e sua sorella in coro iniziarono ad accavallare i loro commenti.
“Già a questo punto, Maya? Ma non stai correndo troppo?” “Certo che tu passi proprio da un estremo all’altro”
Se ci pensava, razionalmente, era proprio così. Prima ci aveva messo una vita a decidersi se fosse il caso di buttarsi e fidarsi di nuovo e ora, dopo neanche 3 giorni, andava a casa dei suoceri … come suona strana questa parola, va beh per ora chiamarli “i suoi genitori” è più che sufficiente. Vista dall’esterno, condivideva a pieno le impressioni delle altre ragazze; ma così faceva un tantino male, perché sapevano com’era la sua situazione, quella di Alex e la fatica che avevano fatto per trovare un equilibrio, un equilibrio che comprendeva anche le rispettive famiglie. La loro non era una situazione ortodossa, non lo sarebbe mai stata e non si poteva pretendere che le tempistiche fossero le stesse di tutte le altre coppie. Che poi, per dovere di cronaca, ogni relazione ha i suoi tempi!
“Adesso basta!” tuonò in quel marasma, ferma “In questo momento non sono felice, di più. E non mi rovinerete questa felicità. Io questa sera voglio festeggiare il compleanno del mio compagno assieme alla sua famiglia, che a voi sembri opportuno o meno per me è totalmente irrilevante. Ora, se volete aiutarmi a fare una bella figura continuiamo questa cosa che ho voluto condividere con voi perché siete mie amiche, altrimenti chiudo tutto e me la vedo da sola, qualcosa mi inventerò” Fuori, per le strade di Roma, ci saranno stati 30 gradi o giù di lì, ma in quella stanza l’atmosfera era polare. “Sarà una cazzata? Non lo so, forse, ma ci vogliamo provare insieme”
“Perdonaci, hai ragione” esordì Lavinia, accarezzando la schiena di sua sorella e facendola sedere accanto a lei sul letto.
“Scusa Maya, hai ragione” la seguì a ruota Monica “io più di tutte so cosa stai passando, non mi sarei dovuta mai permettere di giudicare”
“Daje Maya, spacca tutto! Sei la mejo!” decretò Olivia “e scusaci!”
Tornando serene e composte, insieme le ragazze passarono in rivista tutto l’armadio di Maya. Erano arrivate alla conclusione che non dovesse sfoggiare nulla eccessivamente elegante, non doveva sembrare una snob o una ricreduta; da evitare anche i toni troppo scuri, abiti lunghi o scollature sulla schiena: doveva essere curata naturalmente, ma restare sé stessa.
“Oltretutto ti conoscono già, non c’è nemmeno l’ostacolo della prima impressione, no?!” le domandò Olivia e Maya annuì.
“L’importante è che non ti fai venire l’ansia da prestazione” le ricordò Monica. Come se questo avrebbe dovuto tranquillizzarla: l’idea di essere seduta a tavola con Alex e Giulia di fronte a Maria – Cesare era l’ultimo dei suoi problemi e il primo dei suoi sostenitori – la terrorizzava.
“Eh! E ti pare facile?”
“Devi essere prima di tutto a tuo agio che te stessa e pensare solo a passare una bella serata, tanto che fai colpo o meno con i suoi Alex non cambia idea”
Quelle parole, pur così banali, suonavano come la più grande rivelazione. No, non lo avrebbe fatto. Quel pensiero fu sufficiente a metterla di buon umore e a farle ritrovare sicurezza in sé stessa e soprattutto in quel sentimento che lei ed Alex condividevano.
Alla fine aveva optato per tinte neutre, dai toni leggeri e romantici, sia per i vestiti - dei pantaloni lunghi e morbidi e un top bianco leggermente lavorato, sia per il trucco. Un piccolo vezzo e un tocco di colore nel carré di Hermès di nonna Alberici, quello delle occasioni buone, ad impreziosire la cinta del pantalone. Portami fortuna, nonnina. Ogni dettaglio era stato deciso, senza tralasciare neanche un particolare: capelli, scarpe, accessori, persino la pochette era stata scelta con cura. La madre di Alex non avrebbe avuto nulla da ridire.
“Ora manca solo una cosa” aggiunse Monica.
“Cosa? Abbiamo preparato tutto!” esclamò Maya, cadendo dalle nuvole.
“Vai a mani vuote?”
“Oddio … no raga non posso presentarmi senza niente. Aiuto! Che faccio?” PANICO. TERRORE. CATASTROFE. ROVINA. Quando Alex era andato con lei da sua madre aveva portato dei pensierini sia per Matilde che per Ruggero, nonostante quel pranzo non significasse nulla se non una giornata in compagnia di amici e aveva tenuto a specificare che era un’abitudine che gli aveva insegnato sua madre. E lei non aveva pensato a nulla, talmente di fretta erano andate le cose da quella mattina.
“Chiama un fioraio e fatti preparare un bouquet e manda Alex a prendere un vino, che lui si intende di queste cose” suggerì Monica.
“Sono d’accordo” si intromise Lavinia, ridacchiando “anche perché i fiori non sono proprio cosa sua...”
“E qui ti sbagli…poi ti racconto però. Adesso devo chiudere ragazze perché devo chiamare Alex”
“Noooo” protestarono le amiche al telefono.
“Lavi fai partire tu una videochiamata, voglio vedere la nostra piccioncina al telefono!!!” esclamò Olivia.

 
Alex entrò dalla porta lasciata aperta in punta di piedi, emozionato come se fosse la prima volta che ci mettesse piede e come se non fosse stata lei stessa a chiedergli di salire. 
“Maya?”
Dalla camera da letto, la ragazza lo invitava a raggiungerlo.
“Eccoti!” esclamò, sorridente, vedendolo entrare nella stanza. Era in piedi davanti allo specchio, intenta ad indossare gli orecchini.
“Sei bellissima, ma questo già lo sai” le disse e, avvicinandosi alle spalle, scostò i capelli per poggiare un bacio sul collo profumato “hai cambiato profumo?” le domandò, notando una nota più fresca rispetto a quello che gli era più familiare.
“Non ti piace?”
“Al contrario, ti rispecchia di più”
Maya non era più la ragazza che fingeva di essere una donna vissuta, una femme fatale altezzosa e snob; certo non era la classica ragazza della porta accanto, ma era sincera, senza fronzoli, senza paura di mostrarsi anche nelle sue debolezze: quella fragranza, frizzante e vivace come lei, ma anche dolce e sofisticata, la rappresentava totalmente.
Maya si impose di frenare il brivido che le era sceso lungo la schiena a quel tocco sul collo e al tocco delle sue mani sui fianchi. Altrimenti non ne usciamo …
“Mi aiuti con questo?” gli disse, passandogli una catenina che aveva sulla toeletta.
“Ma è il ciondolo che ti ho regalato io?”
“Che domande …”
Maya non aveva perso tempo: i fiori, prevedibilmente, erano presto appassiti a causa del caldo e non aveva potuto portarli a casa con sé, ma appena tornata aveva adattato il cuoricino d’argento in una catenina con altri ciondoli. Ad Alex scappò un risolino divertito ma anche imbarazzato mentre con le sue grandi dita non riusciva ad armeggiare con la chiusura: in un baleno tornò a quel tardo pomeriggio di ottobre, in una situazione molto simile a quella eppure così diversa. Non c’era più il timore di sfiorarsi, non c’era nemmeno il disagio di trovarsi da soli in una stanza in una situazione tanto intima; quella confusione di mente e cuore ora però aveva un nome bellissimo: amore.
“Sei perfetta” commentò “e comunque solo a te poteva venire in mente di usare un foulard come cinta”
“Lo hai notato?”
Alex annuì, compiaciuto di aver colpito nel segno: forse era solo deformazione professionale, ma gli piaceva non essere uno di quegli uomini che non si accorgono nemmeno se la loro donna è andata dal parrucchiere.
“Direi che non manca nulla. Possiamo andare…abbiamo un po’ di giri da fare, no?”
“Aspetta, manca ancora cosa” disse Maya, staccandosi da lui per prendere la pochette che aveva scelto e lasciato alla rinfusa sul letto e riversando dentro, meccanicamente, quello che era nella borsa con cui aveva viaggiato. Alex si stupì che fosse capace di far entrare tutto in una pochette. Misteri di donna. Alla fine, prese il cellulare dal comò e rovistò per un po’ finché non ebbe trovato quello che cercava.
“Premessa” esordì, portando al petto il telefono come per nascondere qualcosa “ho organizzato questa cosa convinta che non saremmo stati insieme per il tuo compleanno e avevo ancora qualche giorno”
“Si può sapere che c’è?”
“Tadà!” esclamò, mostrandogli lo schermo del telefono. C’era una foto di un giradischi vintage, di quelli a valigetta che si usavano negli anni ’60; suo padre ne aveva uno identico quando lui era un bambino, diceva che era stato il primo acquisto che si era concesso appena aveva iniziato a lavorare. Non lo vedeva dal 1980 o giù di lì, quando a casa era arrivato un mobile stereo avveniristico e full optional, con radio, mangianastri e addirittura equalizzatore oltre al piatto per i dischi.
“Cos’è?” chiese, confuso e preso alla sprovvista.
“È il tuo regalo di compleanno, tontolone!” lo prese in giro, picchiettando sulla sua testa con un pugno “Visto che ti piacciono i dischi in vinile ho pensato di prendere un giradischi per ascoltarli insieme quando … quando sei qui”
“Davvero?” Maya annuì, orgogliosa si aver fatto centro e averlo colto di sorpresa.
“Beh, questo è un modello nuovo di zecca, con tanto di porta USB e bluetooth ma il design è vintage e il colore sta bene con il resto dell’arredamento. Non ti piace?”
“Ma no, che vai a pensare. È assolutamente perfetto. È solo che … che sono stupito…non so se hai tirato ad indovinare, ma ne avevamo uno praticamente identico”
“Anche io ho i miei complici, sai…” lo stuzzicò, facendo l’occhiolino “mi dispiace solo che non sia arrivato in tempo”
“Ma stai scherzando?! Abbiamo tutto il tempo che vogliamo, non c’è fretta…”
Con niente, Maya riusciva a mandargli in pappa il cervello. Non per il regalo in sé e per sé, anche se dimostrava di tenere a lui e di prendere sul serio i suoi interessi, ma perché voleva condividere con lui anche passioni che magari non capiva appieno o non le piacevano. Perché è questo che le coppie fanno: si incontrano a metà strada e proseguono insieme il loro cammino.
Prima di uscire, Maya fermò Alex sull’uscio della porta. “Fermo! Hai dimenticato una cosa…”
Alex non capì, non aveva nulla con sé quando era entrato, ad esclusioni delle chiavi dell’auto che erano nella tasca posteriore dei pantaloni.
Maya allora, con un sorrisetto furbo e ammiccante, agitò un mazzo di chiavi per aria come fosse una campanellina.
“Hai dimenticato queste. Ti serviranno d’ora in avanti”
Erano le chiavi di casa, di quella casa. Le labbra di Alex si aprirono ad un sorriso sghembo, soddisfatto e impertinente di chi già prefigurava e pregustava il tempo che avrebbero passato lì, insieme.
“Lo sai che non posso per qualche giorno, vero?” domando, tornando serio e prendendo le chiavi tra le mani.
“Certo che sì, ma ho fatto il pieno nel weekend” commentò Maya, sorniona “credo di avere ancora qualche giorno di autonomia prima di andare in riserva”
“Un modo per stare insieme lo troviamo” promise l’uomo “e poi Giulia ti adora, lo sai”
Maya, soddisfatta, strizzò l’occhio e incamminandosi verso il pianerottolo “Allora vedi che quelle chiavi possono sempre tornare utili?”



 

Eccomi,lo so s, come al solito sono in un ritardo pazzesco. Perdonatemi ma come vi ho detto, oltre alla difficoltà di stare al computer nei momenti liberi ora che ci sto già tutto il giorno, si è aggiunta anche la malinconia di una storia che non vorrei finisse. Siamo arrivati al penultimo capitolo: ancora un ultimo passo e metteremo la parola fine ad una storia che ci ha fatto compagnia a lungo. Ormai non c'è granché da dire, se non goderci la felicità dei due innamorati.
A presto, 
Freddie ^_^
 

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Capitolo 38
*** Epilogo ***


 
 
 
 
Epilogo

 

Le giornate si stavano accorciando ormai. Era la prima cosa che notò Maya mentre lei e Alex erano in auto, direzione Garbatella; o forse è più corretto dire che si era obbligata a cercare un diversivo per non pensare a quello che stava per accadere. Perché non si era tirata indietro all'invito della mamma di Alex, ma questo non significava che non se la stesse facendo addosso. E che Alex fosse al suo fianco, tenendo una mano sul volante mentre con 'altra le stringeva le sue, non l'aiutava affatto. Aveva sempre odiato l'autunno, la notte che arriva prima, le piogge, il vento, le giacche: generalmente tutto questo le metteva addosso una grande malinconia, ma non a questo giro. Se ci pensava ora, invece, le veniva in mente la moto di Alex e i colori caldi e saturi che l'autunno dei paesaggi che scorrevano attorno a loro, ai sapori delle piccole osterie fuori porta dove si sarebbero fermati di passaggio a chiedere se c'era posto per due e ai profumi che nell'aria si fanno più forti: le caldarroste, l'olio nuovo, il vino novello, la terra bagnata dall'umidità del mattino. Ti conoscono già, non c'è nemmeno l'ostacolo della prima impressione, quella sentenza di Olivia era tornata con prepotenza a disturbarla: del resto, neanche Olivia probabilmente ci credeva a quello che aveva detto. Maya aveva visto Maria di sfuggita e gli incontri con Cesare si contavano sulle dita di una mano, sebbene tra di loro fosse scattata da subito una certa affinità. E poi c'era Giulia che, se la conosceva abbastanza, c'era di che preoccuparsi: quella bambina aveva la straordinaria capacità di mettere gli adulti attorno a lei con le spalle al muro e in situazioni compromettenti.
"Sei nervosa".
Non era una domanda. Alessandro l'aveva vista pensierosa e silenziosa per tutto il tragitto, cosa rara per Maya, ma l'aveva lasciata stare, magari aveva bisogno di un po' di silenzio prima di entrare nel caos di casa Bonelli - aveva fatto bene pure a lui quel po' di pace. Una volta arrivati, però, mentre cercavano parcheggio nelle strade vicine, non poté proprio più tacere.
"Un po'" ammise la giovane; non aveva mai avuto bisogno di fingere con lui e non avrebbe iniziato in quel momento. Anche lui, come sua sorella e le sue amiche, le ricordò che conosceva già tutti. "Lo so, ma adesso è tutto diverso"
"Come? Scusa ma non riesco a capire..."
Perché sei un uomo, per te è tutto più semplice. E perché è la tua famiglia. Quelle parole però, nonostante le avesse pensate, non gliele avrebbe dette. "Perché se prima mi vedevano come un'intrusa, una creatura non meglio identificata, adesso ho una bella etichetta addosso e si creeranno delle aspettative. E non ci vuole niente per deluderle"
"E tu deludile pure" tagliò corto Alessandro, facendole l'occhiolino.
"Cosa?!!! Tu stai fuori..."
"Dico sul serio...tu non hai bisogno di impressionarli, perché devi andare bene solo e soltanto a me" la incoraggiò "e direi che mi vai benissimo"
"Devo andare bene anche ai tuoi figli però..."
Aveva ragione, come anche sua madre gli aveva detto del resto: non sarebbero mai stati soli. Ma se non ci fosse stata neanche la più remota speranza che Maya avrebbe potuto fare breccia nel cuore dei suoi figli, probabilmente nemmeno ci avrebbe provato.
"Per il 50% è cosa fatta, per l'altro 50 direi che siamo sulla strada giusta"
"A proposito di strada giusta" lo imbeccò Maya "guarda, laggiù c'è un posto libero, parcheggia lì"

“Mi sento la Befana!” esclamò Maya, a bassa voce, mentre Alex le lasciava il cancelletto della villetta aperto. Se c’era una certezza nella vita di Alex, era la serratura di quel cancello sempre rotto – dai suoi nipoti, manco a dirlo.
“Amore sei bellissima, che stai dicendo?”
“Mica per il look! Sono carica di regali!”
“Ma se sei stata tu a dirmi che non potevi venire a mani vuote?!”
Maya si voltò, lanciandogli un’occhiataccia. Sapeva di non dover dire altro e si offrì per prendere i pacchetti e lasciarle solo i fiori. Suonò alla porta e lì, in piedi, in attesa, Maya corse a intrecciare la mano alla sua. Non disse niente, ma gli occhi e quella stretta più energica del solito parlavano per lei. Alex poteva aggiungere una nuova lei tra quelle che aveva conosciuto e di cui finiva irrimediabilmente per innamorarsi: questa gli sembrava minuscola, così timida ed impacciata, e tentava invano di entrare in un’armatura più grande di lei, che la facesse sembrare più alta e sicura; però era anche felice e orgogliosa di ciò che erano diventati e di ciò che era diventata lei, e non avrebbe indietreggiato di un passo. Dentro casa, gli acuti di Giulia che aveva capito chi era alla porta e la voce di suo padre che, come da copione, andava ad aprire: non c’era nemmeno bisogno di pianificare alcunché, riuscivano ad essere straordinariamente e adorabilmente prevedibili.
“Ecco il festeggia-” tentò di esclamare Cesare, aprendo la porta, ma le parole gli morirono in gola.
Maya se l’era immaginato proprio così quel momento, ci aveva sperato proprio che fosse così, con Cesare tutto sarebbe stato più facile; se al posto suo ci fosse stata Maria, o peggio Anna, con o senza Alessandro al suo fianco probabilmente se la sarebbe data a gambe. Non si sentiva così forte, a discapito di tutta la buona volontà che ci metteva.
“E tu? E voi … che ci fate qui…”
“Insieme” completò la frase per lui Alex.
“Ma veramente?”
Entrambi annuirono, sorridendo soddisfatti per la sorpresa riuscita, ma anche commossi perché a quel tenerone di Cesare gli occhi erano diventati lucidi in men che non si dica.
“È il tuo compleanno ma me sa che il regalo l’hai fatto tu a me, vé?”
“L’ho fatto un po’ ad entrambi, direi” confermò suo figlio.
Cesare però non era uno che lasciava trasparire le sue emozioni troppo a lungo: una pacca sul braccio del figlio, una strofinata agli occhi ed era ora di ricomporsi.
“E mo chi glielo dice a tu madre che ha una persona in più a cena?”
“Mamma sa tutto, non preoccuparti … secondo te me la mettevo contro con un oltraggio simile?”
“Eh certo, perché in questa casa sono sempre l'ultimo a sapere le cose, ovviamente" rimbrottò, fintamente burbero.
"Ma quando mai, pa'?" Lo sapevano entrambi che era solo una scenetta, una scaramuccia per alleggerire l’atmosfera e ci si buttarono a capofitto molto volentieri.
"Ve possino … dai entrate!”
A Maya la casa sembrava molto più piccola di quanto i due piani della villetta dessero a vedere dal di fuori, ma forse solo perché era arredata come una casa di famiglia, con tanti mobili e tanti ricordi che affollano le pareti e ogni superficie orizzontale: però era calda – ci voleva poco a dire il vero con quelle temperature – e soprattutto accogliente. Ce li vedeva proprio i genitori di Alex a vivere lì, sua madre ai fornelli, suo padre davanti alla tv a vedere il calcio, i ragazzi a fare su e giù per le scale rumorosamente con il nonno che li riprende. E immaginò persino Giulia disegnare, seduta al tavolo della cucina che si intravedeva dall’ingresso. Giulia però in quel momento era lì con loro, volata quasi letteralmente di punto in bianco tra le braccia del padre con degli urletti talmente acuti che era un miracolo fossero ancora nella sfera dell’udibile e non degli ultrasuoni.
“Che avete portato? Non è mica Natale…” le disse Cesare, raccogliendo le buste che Alessandro fu costretto a poggiare a terra per prendere in braccio sua figlia.
“Oh è giusto una cosetta, dicono sia buona educazione presentarsi dai suoceri con un dono” spiegò “i biscotti te li faccio più in là, adesso è ancora troppo caldo per accendere il forno”
Fino ad un’oretta prima si era detta che era ancora presto chiamarli suoceri ma la sua lingua la pensava diversamente, evidentemente, a dimostrazione del fatto che era una persona complicata e non aveva mai completamente il controllo di ciò che faceva. Cesare non rise di gusto, accennò un sorriso controllato, ma i suoi occhi erano stracolmi di gioia. Le posò un pizzicotto sulla guancia “Che gioia che m’hai dato, cocca!”
"Adesso non ti montare la testa però, Cesare..."
"Ciao Maya!" quella squillante vocina familiare richiamò l'attenzione della ragazza.
"Ciao piccola!"
"Beh...piccola...insomma..." commentò Alex con una smorfia di finta stanchezza.
"Ma davvero! Sei diventata proprio una spilungona, Puffetta! È pure passato a trovarti il topolino dei denti o sbaglio?"
La bambina rise, orgogliosa, mostrando vistosamente una finestrella tra gli incisivi inferiori. Era da più di un mese che non la vedeva e oltre ad una bella abbronzatura e ai capelli più biondi che sole e mare le avevano regalato, aveva messo su diversi centimetri che nemmeno abbarbicata in braccio al padre come l'edera riusciva a camuffare; persino nei lineamenti era ormai più signorinella che bambina.
"Sei venuta anche tu alla festa di papà?" chiese, restando ancorata alle spalle del padre.
"Sì" sospirò Maya, impacciata.
"Ma quindi ora avete fatto pace?"
"Eh già"
"Davvero davvero?" Maya annuì. “Come me e Asia?”
“Chi?”
“Eeeh…poi ti spiego, storia lunga”
Era difficile trovare una spiegazione al bene che voleva per quella bambina, bene che non aveva mai provato per nessun altro essere umano minore di anni 18 e più basso di 1 metro e 50. I bambini per lei erano generalmente, quando andava bene, delle simpatiche canaglie con cui giocare, oppure, se andava male, degli scassacazzi con una caterva di domande o discorsi senza senso. E Giulia era tutte queste cose: faceva domande, era una peste, a volte si perdeva nei suoi pensieri da bambina di 6 anni eppure non le dava fastidio. Forse era perché in fondo ci si rivedeva in quella bimbetta furba o forse perché a volte ci sono dei legami che funzionano senza un perché, che fanno click e non ci si può fare troppe domande. Era successo così anche con Alex, il suo cuore aveva fatto click. Alex bisbigliò qualcosa all'orecchio di Giulia che ridacchiò coprendo la bocca con la manina, gli occhietti furbi che le brillavano.
"Che state complottando voi due?" domandò Maya, fintamente indispettita.
"Le ho chiesto se voleva vedere una cosa..."
"Cos-" Maya non fece in tempo a finire la domanda che si ritrovò le labbra di Alex sulle sue. E fu subito il fuoco, che le divampò nel petto fino a imporporarle le guance. Aveva gli occhi chiusi ma se si fosse girata verso lo specchio che aveva intravisto alle sue spalle, all'ingresso, era sicura che avrebbe visto il suo viso rosso come un peperone. Lo sentiva bollente come la brace.
"Soddisfatti?" chiese, quando riuscì a staccarsi da Alex con una leggera spinta. Imbarazzata, portò le mani sulle labbra, concentrandosi su quel duo brigante, anziché su Cesare che era lì, a pochi centimetri da loro.
"Molto, vero Puffetta?" rispose Alessandro, orgoglioso di quella piccola malefatta. Giulia annuì, ridendo teneramente.

Era difficile da credere anche per lui, ma quella sera Alessandro si sentiva euforico. Era come assemblare un puzzle da 5000 pezzi dopo mesi di tentativi; la sua vita era stata così: tanti aspetti diversi che tra di loro non avevano mai legato, il suo passato e il suo presente che non erano mai riusciti a combaciare nonostante tutti i suoi sforzi. E non si trattava solo di Maya: non sapeva se le cose sarebbero andate sempre così; nella vita, lo aveva imparato, non si può dare mai nulla per scontato, non era detto che quei pezzi insieme avrebbero retto per sempre, ma ora sapeva cosa voleva, sapeva come doveva essere quel puzzle e avrebbe rimesso insieme i pezzi ogni qual volta ce ne sarebbe stato bisogno. Certo avere al suo fianco qualcuno che avesse la stessa visione di quel puzzle rendeva tutto più facile.
“Adesso però scendi Giulia che pesi…e guarda nel sacchetto con i fiorellini che ha nonno, c’è una cosa per te”
“Per me? Ma è il tuo compleanno!!!”
“Dillo a Maya”
“Sai Giulia, tua nonna è stata così gentile da invitarmi oggi ed era giusto ringraziarla dell’invito con un dono.”
“E io che c’entro?”
“Come che c’entri? Sono o non sono la tua amica grande? Le amiche si fanno i regali!”
Alex vide Maya sgranare gli occhi per incuriosirla e la bambina, senza chiedere altro, sciolse l’abbraccio e scese dalle braccia del padre per correre a prendere il pacchetto dalle mani del nonno. Durante il loro soggiorno toscano, il sabato sera, avevano scovato un mercatino artigianale nel borgo vicino al campeggio, tra i vicoli in pietra, le luci aranciate delle viuzze e i tavolini addossati alle pareti delle case: la stessa persona che aveva tirato fuori dalla loro tenda a forza, alla fine era stata la stessa che si fermava ad ogni stand, a chiedergli di darle un buon motivo per non comprare ogni chincaglieria che trovava. L’unica cosa su cui non era riuscito a trovare una ragione valida era stato quel braccialetto in argento, con tre stelle marine di tre grandezze diverse. “È perfetto per Giulia” gli aveva detto: la stella più grande, quella azzurra, era lui; poi c’era Edoardo, la mediana, bianca, e Giulia, la piccolina, in rosso. Era in qualche modo la sintesi della loro estate: erano cambiate tante cose, erano anche più complicate, ma alla fine l’avevano passata insieme ed erano stati felici.
“Ti piace?” domandò Alex a sua figlia, chinandosi di fianco a lei.
“Sì”
“E come si dice?”
“Grazie!” La piccola stampò un bacio sulle guance di Maya e Alex sentiva il suo cuore sull’orlo dell’esplosione: non poteva andare meglio di così. Mancava solo una cosa.
“E mamma?” domandò a suo padre, confuso. Era stata lei a volere Maya a cena, lui ci sperava ma non l’avrebbe imposta, lo capiva da sé che per il resto della ciurma poteva essere davvero troppo presto: ora invece non si faceva trovare. Aveva imparato a non fare domande con le donne, ma questo era un po’ troppo.
“Eccomi eccomi!” si sentì la voce della donna provenire dal piano di sopra, mentre Cesare le faceva il verso mimando un’improbabile Maria alle prese col trucco. “Scusate” si affannò a rispondere, scendendo le scale in fredda con il picchiettio dei tacchi sul legno delle scale “so andata a damme na rinfrescatina, fa così caldo davanti ai fornelli.”
Quella data Alex se la sarebbe segnata sul calendario: sua madre s’era messa in ghingheri. Niente di troppo appariscente, ma di solito era una lotta tra lei e Anna per convincerla a comprare un vestitino nuovo o a mettere un filo di trucco per andare a messa la domenica, proprio come tra lui e suo padre. E invece aveva messo un vestitino carta da zucchero, dei sandali e aveva spruzzato qualche goccia di profumo, quello buono, non la solita acqua profumata che durava il tempo di uscire di casa. Era come se temesse di sfigurare. Chissà che idea s’è fatta di Maya quando l’ha conosciuta, eppure m’era sembrata tutta contenta…vai a capire…
“Alessà bello de mamma, viè qua, tanti auguri!” esclamò, abbracciando suo figlio, schioccando due sonori baci sulle sue guance. “E c’è pure Maya, benvenuta! Sono contenta che sei venuta, mi fa proprio piacere”
“Il piacere è mio, signora”
“Signora?! Chi io? Per carità, voi frequentate gli ambienti chic, non io …”
Però in tiro ti ci sei messa, ma’ No Alex si rifiutava categoricamente di capirle le sue donne, da quella di 70 anni a quella di 6, passando per quella di 31. C’era di che finire al manicomio a stargli appresso.
“Madonna mia che belli sti fiori, hai visto Cè…tu non me li regali mai!”
In effetti Maya aveva scelto bene e insieme al fioraio avevano messo su una bellissima composizione, estiva e colorata senza essere troppo eccessiva, in cui però Alex riconosceva solo i girasoli e le rose. Gli altri fiori, di cui aveva sentito pronunciare il nome da Maya mentre erano in negozio, suonavano più come formule magiche o parole segrete alle sue orecchie profane.
“Dici sempre che so’ un buzzurro, che te sei rassegnata” brontolò Cesare “mo che vuoi da me?”
“Ecco vedi Maya, ringrazia che Alessandro ha preso tutto da me …”
“Ah su questo non posso ribattere, se assomigliava a me non ti toccava mica un fidanzato così bello. Oddio … com’è che si dice oggi? Fidanzato, compagno…me devo aggiornà”
Nella mente di Alex riecheggiò un aneddoto che Maya gli aveva raccontato mesi prima. La signora Rossi, l’adorabile vecchietta vicina di casa a Testaccio, lo aveva ribattezzato il suo innamorato. Lei era talmente divertita da quel modo così compassato eppure così carino di chiamarlo che glielo aveva raccontato alla prima occasione, ma ad Alex quell’espressione scaldava il cuore, oggi come allora. Sì, sarebbe bello chiamarsi sempre così, gli innamorati, non c’è migliore etichetta.
“Giulia, hai visto che bei fiori mi ha regalato Maya?!” domandò la donna alla nipotina, che però concordò molto distrattamente, impegnata com’era ad allacciare il braccialetto, orgogliosamente da sola.
“Perché non mi aiuti a mettere i fiori in un vaso, Giulia?” le propose Maria “poi ti aiuto io ad allacciare il braccialetto”
“No è mio, devo fare da sola!” Erano ormai passati i tempi in cui, nei litigi con Edoardo, gli ricordava che aveva solo cinque anni ed era ancora piccola. Ora era tutto un sono grande qui e un sono grande là, per Alex non c’era trauma peggiore.
“Giulia!” la riprese il padre.
“Occhei! Ma il braccialetto lo metto da sola”
“Per carità…e chi lo tocca!”
La donna, entrando in cucina, invitò Maya e gli altri ad andare nel giardino dietro casa, perché aveva apparecchiato lì per la cena. In realtà quello che Maria aveva chiamato giardino era poco meno di un patio, uno spiazzetto sotto una tettoia addossata alla casa che affacciava su un giardino comune a tutte le case del vicinato e delimitato da dei vasi di sempreverdi. La tavola di plastica era apparecchiata in maniera molto semplice, ma non mancava nulla, a Maya non passò inosservata la tovaglia buona, di lino con l’orlo a giorno, di quelle che le nonne esibivano per il corredo e i piatti di sicuro tirati fuori dalla credenza del salotto. A lei sarebbe bastata una cena in piedi o al massimo delle tovagliette all’americana, ma Maria, così come con il vestito, aveva fatto le cose per bene: forse pensava di doverla impressionare, che Maya avesse bisogno del meglio, ma qualunque fosse la ragione, Maya ne rimase colpita e onorata: con poco, aveva dimostrato molta più dignità di persone che avevano molto di più da esibire.

“Ancora nervosa?” le domandò Alex, abbracciandola alle spalle in un attimo in cui erano rimasti soli in giardino, poggiandole un bacio sulla guancia.
Maya accarezzo quelle braccia scoperte che la stringevano, sorridendo dolcemente.
“Un po’ meno. Sono troppo carini! E poi guarda cosa ha fatto tua mamma, il servizio buono, la tovaglia ricamata …”
“È un buon segno, fidati. L’ultima volta che quel servizio è uscito dal mobile è stato per il trasloco”
“Non vorrei che pensasse che sono una snob che vive nel lusso”
“Ma no! Che vai a pensare…”
Lo avesse pensato, di questo Alex era sicuro, quell’invito non sarebbe arrivato così presto e così facilmente, e di certo suo padre avrebbe impedito a sua madre di sforzarsi troppo, proprio come faceva quando c’era Claudia.
“Maya!” chiamò Maria dalla finestrella della cucina che affacciava sul patio “i fiori li lascio in casa…non vorrei ci dessero fastidio sul tavolo”
“Ma si figuri signora” rispose Maya, voltandosi e sciogliendo la presa con Alex.
“Ancora signora? Mi chiamo Maria, è un nome facile, no?”
“Va bene Maria”
“Ah Marì...” intervenne Cesare, uscendo in giardino con la nipotina “meglio si ce metti qualcos’altro su sta tavola. Che s’è fatta na certa e abbiamo fame, vero cocchetta di nonno? Ma prendete posto su, che fate lì impalati … mamma ha fatto na cosa che te piace un sacco”
“Ecco qua…” disse Maria, portando orgogliosamente in tavola una pirofila.
“Mamma ,i pomodori al riso!!! È una vita che non li mangio”
“Alla romana, con le patate” precisò la donna, fiera di aver fatto centro. Era il piatto per eccellenza delle sue estati quando ancora viveva con i suoi, prima degli aperitivi, prima delle cene eleganti e dei circoli esclusivi, quando invece di vestirsi su misura dal sarto, i jeans erano strappati e slavati e le scarpette sempre sporche per le corse. “Maya spero ti piacciano”
“Sì..sì certo” Maya si vergognava ad ammettere che nel ricettario di sua nonna i pomodori al riso alla romana non c’erano, perché sua nonna un ricettario nemmeno ce l’aveva e la cucina di Ruggero, pur ottima, tendeva ad essere sempre piuttosto gourmet.
“Non ti preoccupare, cocca, che Maria non ti lascia senza mangiare se non ti piace qualcosa … ha passato tutto il pomeriggio ai fornelli, in cucina ce ne sono di cose da mangiare”
“Una cosa alla volta Ce’, e che diamine…passami il piatto, cara”
Mentre passava il suo piatto per avere la sua porzione, però, Maya si lasciò abbracciare da quel profumo. No, non quello dei manicaretti di Maria, non solo almeno: dal profumo di casa e di famiglia che aleggiava nell’aria. Respirò a pieni polmoni e lasciò che la riempisse. Non importavano le differenze, le età, le generazioni, le esperienze passate: contava solo quello che tutti erano disposti a dare per venirsi incontro e costruire qualcosa di bello insieme. Per la prima volta, l’ennesima prima volta della sua vita, Maya si rese conto di essere finalmente circondata – e non solo a quella tavola - da persone che, nonostante tutto, erano determinate quanto lei a fare famiglia.



 


Sono riuscita ad essere in ritardo anche con l'epilogo. Incredibile! Vi chiedo umilmente scusa ma ero convintissima di aver già pubblicato e da un pezzo. E invece...
Comunque siamo arrivati davvero alla fine, stavolta. Non si torna più indietro. Mata e Alex hanno avuto il loro lieto fine consapevoli che non è una fine ma solo l'inizio i un percorso in cui entrmabi dovranno lavorare sodo, giorno dopo giorno. Ma la base di partenza sembra davvero solida.
Non so se questo sarà un punto definitivo o meno per questi personaggi, è probabile che in futuro potrei riprenderli e raccontare qualche piccolo episodio per vedere come va tra loro e con la loro ciurma di familiari e amici.
Un grazie speciale va a tutt* voi che avete seguito la storia e avete avuto con me tantissima pazienza, soprattutto in quest'ultimo periodo in cui sono stata molto altalenante nella pubblicazione. Io vi saluto qui e spero vorrete passare anche voi a salutarmi nelle recensioni e a dirmi cosa ve n'è parso di questa storia, qual è stato il vostro momento preferito, quale delle due parti vi è piaciuta di più e, perché no, anche se qualcosa non vi è piaciuto.
Grazie ancora e arrivederci
Fred

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