Parole tra i ghiacci

di Najara
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Carezza ***
Capitolo 2: *** Caminetto ***
Capitolo 3: *** Slitta ***
Capitolo 4: *** Incantesimo ***
Capitolo 5: *** Vischio ***
Capitolo 6: *** Freddo ***
Capitolo 7: *** Libri ***
Capitolo 8: *** Biscotti ***
Capitolo 9: *** Bollente ***
Capitolo 10: *** Fiocchi ***
Capitolo 11: *** Bacio ***
Capitolo 12: *** Guanto ***
Capitolo 13: *** Brina ***
Capitolo 14: *** Sorriso ***
Capitolo 15: *** Sci ***
Capitolo 16: *** Cioccolata ***
Capitolo 17: *** Cottage ***
Capitolo 18: *** Camino ***
Capitolo 19: *** Sorpresa ***
Capitolo 20: *** Calza ***
Capitolo 21: *** Famiglia ***



Capitolo 1
*** Carezza ***


Carezza
 
L’aurora boreale brillava sulla sua testa solo poche ore prima, solo poche ore prima sorrideva mentre attendeva i risultati della sonda, ora invece c’era solo il freddo.
Le avevano insegnato come sopravvivere nel luogo tra i più ostili del pianeta, forse battuto solo dall’interno di un vulcano, le avevano raccontato di come fosse facile perdersi, di come il freddo potesse diventare letale. Ora lo sapeva. Ora che stava morendo avrebbe voluto poter dire: sì, avevate ragione, è letale, ma no, non è come addormentarsi. No, la lotta che provava dentro di lei, l’intero suo mondo che le ruggiva in testa mentre il suo corpo si arrendeva non era addormentarsi, era morire.
Morire.
Provò a rialzarsi, ma i suoi muscoli non reagirono, la sua mente urlò di terrore, mentre il suo corpo rimaneva immobile, pacato, calmo. Il contrasto, quasi poetico, non la consolò. Aveva una vita davanti: era la più giovane ricercatrice del suo istituto. Un mondo di promesse davanti a lei e stava morendo.
Avrebbe pianto se le fosse stato possibile. C’erano tante cose che voleva fare, tante persone che voleva incontrare…
I suoi pensieri iniziarono a perdere consistenza, un nuovo sussulto di terrore le riportò un po’ di lucidità. Provò ad aprire gli occhi, ma non ci riuscì. Il vento fischiava nelle sue orecchie, mentre la neve si fiondava con violenza sul suo viso. La tempesta infuriava, poi ci fu solo calma.
Eccola, riuscì a pensare lei: la morte. La sua morte.
Ed era dolce… pensò, come una carezza.

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Capitolo 2
*** Caminetto ***


Caminetto
 
Vi era un rumore. Qualcosa che una parte di lei riconosceva e che al contempo non riusciva a comprendere. La testa le pesava terribilmente, ma era al caldo: era in un nero limbo, caldo, morbido e accogliente.
Morte. La sua mente sobbalzò estraendola con forza dal suo buio sogno e assieme alla mente anche il corpo reagì. Spalancò gli occhi, per un secondo il poterlo fare, il semplice sentire il suo corpo reagire, la portò alle lacrime e provò sincera gioia nel sentirle mentre calde rigavano il suo volto: era viva.
Poi, finalmente, i suoi occhi diedero un senso al rumore, era coricata su un pavimento in legno, davanti a lei, in un caminetto, un allegro fuoco scoppiettava, non appena lo vide il rumore ebbe senso e lei percepì anche l’odore della resina nell’aria. Mentre pian piano le consapevolezze la raggiungevano notò di essere nuda e strinse le coperte contro il corpo, mentre i suoi occhi ruotavano alla ricerca di qualcosa di familiare. Perché non si trovava nell’infermeria della base? O in un lettino d’ospedale? Dov’erano tutti?
Il caminetto ignorava i suoi turbamenti e lei, dopo essersi guardata attorno inutilmente, tornò a posare lo sguardo sulle fiamme. Pochi istanti e i suoi occhi si fecero pesanti. Aveva sonno, ma era al sicuro? Il fuoco caldo e gioioso sembrò risponderle. Si rilassò tra le coperte e chiuse gli occhi, addormentandosi.
Una figura si avvicinò, lanciò un rapido sguardo alla sagoma addormentata e annuì, aggiungendo poi un pezzo di legno all’allegro caminetto.

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Capitolo 3
*** Slitta ***


Slitta
 
Quando si svegliò la seconda volta, il suo corpo era stanco, ma non si sentiva più esausta. Aprì gli occhi e si guardò di nuovo attorno, da un’ampia finestra entrava la luce del giorno con il biancore tipico della neve. Nel caminetto il fuoco spandeva il suo calore. Una porta si aprì e lei si tirò a sedere, stringendo contro di sé le coperte.
“Buongiorno.” Pronunciò una voce. Sbatté le palpebre, sorpresa, davanti a lei vi era una donna, non doveva essere molto più grande, occhi nocciola, capelli neri raccolti in una treccia. Come poteva essere? Chiese una parte del suo cervello.
“Come ti senti?” Domandò la donna, mentre posava a terra della legna e si toglieva la giacca.
“Bene.” Si ritrovò a dire, la sua voce era roca e lei provò a schiarirla. “Come mi hai salvata?” Chiese.
“Con la slitta.” Certo, una slitta per la neve.
“Oh… Grazie.” Si ricordò di dire, quella donna le aveva salvato la vita, dopo tutto.
La ragazza sminuì agitando la mano e sorridendole. Aveva un bel sorriso, si ritrovò a pensare. Era un sorriso giusto, come quel posto era giusto, come la sensazione delle coperte calde e il fuoco allegro, tutto così giusto eppure…
“Dovrai mangiare, devi recuperare le forze.” Interruppe i suoi pensieri la donna e alla menzione del cibo lei sentì il profumo che si espandeva nell’aria, dandole un’immediata acquolina.  “I tuoi abiti sono lì.” Le indicò una pila ordinata.
“Grazie.” Mormorò.
Una slitta… come poteva esserci lì una slitta?

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Capitolo 4
*** Incantesimo ***


Incantesimo
 
Il cibo era delizioso, caldo e saporito, le riempì la bocca di note ormai lontane, un ricordo cercò di affiorare nella sua mente: quei sapori parlavano d’infanzia …
“Ti senti meglio?” Chiese la donna, interrompendo il filo dei suoi pensieri e riportandola al presente.
“Sì.” Affermò ed incontrò gli occhi scuri della donna che la guardava, vi era qualcosa di profondo in essi. “Mi chiamo Sarah.” Si presentò, rendendosi conto di non averlo ancora fatto.
“Sarah Wilson.” Confermò la donna e sorrise nel vedere il suo sguardo sorpreso.
“Oh!” Rise, colpendo la targhetta che aveva sul petto: ogni scienziato aveva il nome scritto sugli indumenti.
“Puoi chiamarmi Anguta.” Quel nome solleticò la sua memoria, dove lo aveva già sentito? “È un nome Inuit.” La aiutò la donna, quasi leggendole nella mente, ed ecco che improvvisamente i tratti della donna ebbero senso. Era strano come ogni cosa arrivasse al suo cervello con un po’ di lentezza, come se i suoi sensi fossero lenti nel comunicare al suo cervello le informazioni.
“Sei stanca, il passaggio è sempre… complicato.”
“Passaggio?” Chiese e Anguta annuì, poi le sorrise di nuovo. “Dimmi, cosa facevi tra i ghiacci?”
I suoi occhi si illuminarono, mentre pensava alla sua ricerca e, in poco tempo, era completamente assorbita nella narrazione. La donna la guardava, sembrava assorbire ogni sua parola, i penetranti occhi scuri concentrati su di lei, sorrideva, annuiva, chiedeva. E, per quanto tutto ciò fosse assolutamente impossibile, lei si perse in quegli occhi scuri e nel loro incantesimo.

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Capitolo 5
*** Vischio ***


Vischio
 
“Ho sempre sognato di esplorare e questo lavoro…” Sarah si fermò, i suoi occhi notarono qualcosa appeso alla parete. Anguta ruotò lo sguardo e vide cosa l’avesse distratta. “Il vischio non cresce qua.” Si ritrovò a dire. “Nulla cresce qua, se non…”
“Ho pensato che ti sarebbe piaciuto.” Commentò la donna. “Ricordi?”
Sarah scosse la testa, non voleva ricordare, eppure la sua mente traditrice la portò a quel giorno, non così tanti anni prima. Stava per partire, stava per andare lì dove aveva sempre desiderato: un mondo intero la aspettava eppure quel giorno quel futuro aveva vacillato.
“Sarah, aspetta!” Si era voltata, un sorriso sulle labbra nel sentirsi richiamata. Avevano lavorato e studiato assieme in quel laboratorio per tre anni, crescendo una a fianco all’altra. “Non puoi andartene senza il mio regalo!” Esclamò la ragazza dai lucenti capelli biondi, raccolti in uno chignon, gli occhi verdi che brillavano. Erano state in competizione per quel posto, eppure non vi era mai stato, tra di loro, altro che supporto e amicizia. “Certo che farti partire quando manca così poco a Natale è una vera crudeltà.” Commentò la donna, consegnandole un piccolo pacchetto dalla carta rossa e oro. “Su, aprilo.” La incitò ancora la ragazza e lei si rigirò il pacco tra le mani consapevole che non avrebbe potuto portare nulla che non fosse stato già stato controllato.
“Non ho nulla in cambio…” Si ritrovò a dire.
“Aprilo!” Insistette.
Lei scartò il regalo e si ritrovò ad osservare un piccolo ramoscello di vischio.

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Capitolo 6
*** Freddo ***


Freddo
 
“Perché?” Domandò Sarah ad Anguta. Una lacrima che scivolava lungo il suo viso. “Ora sono qui, quella scelta è nel passato.”
“Non così tanto nel passato.” Le fece notare la donna, facendo un piccolo cenno verso il ramoscello di vischio che ora Sarah stringeva tra le mani. Il ricordò tornò potente alla sua mente.
“So che non puoi portare nulla di fisico con te.” Dichiarò la donna. “Ma c’è una cosa che è da tanto tempo che volevo fare.” Si era fatta vicina, ora Sarah poteva vedere la risolutezza nei suoi occhi, mista a qualcosa…
“Beth…” Provò a dire, ma la ragazza le stava sfiorando il volto con la mano, accarezzando il suo profilo con gli occhi e con le dita.
“Lo so, è troppo tardi, ma lo è davvero?” Domandò e poi chiuse gli occhi e posò le labbra sulle sue. Appena un bacio, eppure il mondo di Sarah vacillò, il suo destino vacillò, il suo futuro si confuse, mentre lei avvolgeva le braccia attorno al corpo di Beth e la baciava, come aveva desiderato per così tanto tempo senza neanche saperlo.
“No!” protestò, alzandosi. Il caminetto ora sembrava solo un lontano ricordo ed era, forse, solo quello? Chiese una parte della sua mente, ma lei non ascoltò. Camminando afferrò la giacca e spalancò la porta. Davanti a lei vi era solo un mare di freddo ghiaccio.
Freddo, ecco cosa aveva provato quando aveva lasciato il letto di Beth, quella mattina. E Beth? Doveva essersi svegliata nello stesso freddo.

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Capitolo 7
*** Libri ***


Libri
 
Quando si voltò di nuovo verso la casa Anguta era appoggiata allo stipite della porta.
“Chi sei tu?” Chiese, sentiva che la sua attenzione stava di nuovo sfuggendo.
“Anguta.” Rispose la donna, vi era della dolcezza nel suo tono e lei vi si perse. Rabbrividì e ricordò il calore del caminetto.
“Rientriamo?” Chiese e la donna annuì, aprendole la porta. All’interno nulla sembrava mutato, il calore era avvolgente, il fuoco bruciava allegro anche se lei non ricordava l’ultima volta in cui Anguta aveva aggiunto della legna. Il vischio era sparito e lei provò un moto di sollievo, ora però i suoi occhi passarono sugli oggetti che la circondavano: erano famigliari adesso, non così alieni come quando si era svegliata la prima volta. Era come se si fossero adattati a lei. Scosse la testa, divertita dal pensiero assurdo.
“Preparo del tè?” Chiese la donna mentre già si affaccendava. Sarah annuì, mentre passava lentamente le mani sugli oggetti esposti nella casa. Ricordava quel soprammobile, ne aveva visto uno uguale a casa di sua nonna, ma quello era rotto. Lei lo aveva rotto. Sorrise.
Una piccola libreria era sistemata in un angolo e lei si avvicinò, inclinò la testa, incuriosita dagli strani caratteri che componevano i titoli, come mai non riusciva a leggerli?
“Possibilità.” Disse allora Anguta, ma lei era distratta, estrasse un libro e lo aprì, era vuoto, lo chiuse, lo ripose e sobbalzò nel rendersi conto di poterne leggere il titolo: Amore. Erano dunque questo? Possibilità non vissute stampate in libri?

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Capitolo 8
*** Biscotti ***


Biscotti
 
“Il tè è pronto.” La chiamò Anguta, lei lasciò la libreria con un senso di sollievo e si sedette di nuovo al tavolo. Accanto alla tazza di tè vi era un piatto di biscotti. Sarah ne prese uno, il suo naso li aveva riconosciuti più in fretta dei suoi occhi: erano i biscotti che faceva sua nonna. Sorrise mentre mordeva con gioia quel piccolo ricordo e, improvvisamente, la sua mente fu altrove.
“Nonna!” Urlò, le gambe ancora troppo corte per poter correre veloce quanto il suo cuore desiderava. La donna anziana si fece avanti nella neve che stava spalando e aprì le braccia accogliendo la nipote con gioia.
“Quando siete arrivate?” Domandò, togliendo dagli occhi di Sarah i capelli che nella corsa le erano ricaduti sul volto.
“Adesso!” Urlò la bambina e la donna rise.
“No…” Mormorò Sarah. “Non quel giorno…” Ma gli occhi di Anguta erano su di lei, il sapore del biscotto sulla sua lingua, così dolce, così fragrante…
Ora era immersa nella neve, nascosta in quello che era un igloo da esploratrice e stava per scoprire come salvare tutti gli orsi polari del mondo quando sua madre uscì dalla casa della nonna. Era arrabbiata e lei rimase immobile. Suo padre apparve poco dopo.
“Non andartene!” Implorava, piangeva, ma sua madre era sorda ai richiami. Quella era stata l’ultima volta che aveva visto la donna. Due braccia sicure e calde l’avevano estratta dalla neve.
“Va tutto bene.” Aveva detto sua nonna e poi le aveva dato un biscotto.

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Capitolo 9
*** Bollente ***


Bollente
 
Il tè le bruciò la gola scacciando il ricordo, scacciando la sensazione che, per quanto si sforzasse, non ricordava più il volto di sua madre.
“Non è mai tornata.” Mormorò. “Ho fatto tutto quello che avevamo detto: sono diventata una scienziata, ho compiuto questo viaggio, ma lei non è mai tornata. Pensavo che, se l'avessi resa fiera, se avesse capito che ero chi lei aveva sempre desiderato io fossi, sarebbe tornata.” L’ammissione scivolò dalle sue labbra con il sapore della verità; eppure, lei ne fu sorpresa. “Non ho mai…” Guardò il tè che aveva bevuto chiedendosi se lì dentro non ci fosse qualcosa di strano, ma non era tutta la situazione estremamente strana? Da dove uscivano quei ricordi, da dove usciva quel pensiero? Sua madre: non pensava a lei da anni!
“Mia madre mi ha lasciato quando avevo sette anni.” Ricordò. “Eravamo andati da mia nonna per le vacanze di Natale.” Ruotò la testa notando l’alberello in un angolo. “Non ci penso da tanto tempo.”
“Era importante per te?” Lei rise alla domanda.
“Una madre è sempre importante per un bambino piccolo!”
“Ho chiesto se era importante per te.” Rispose la donna. Lei fece ruotare il tè nella tazza. Ricordava i lunghi momenti passati a giocare con lei, le risate, la sua calda mano sulla guancia…
“Sì.” Ammise. “Voglio bene a mio padre, ma lui non...” Scosse la testa. “Mia madre voleva essere libera e io non sono diversa.” La verità le bruciò la lingua più del tè bollente.

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Capitolo 10
*** Fiocchi ***


Fiocchi
 
“Era una donna indipendente, forte.” Suo padre non aveva mai detto che del bene della donna che aveva abbandonato entrambi.
“E tu sei diventata una donna forte e indipendente.” Confermò Anguta, la sua voce era profonda, quasi quanto i suoi occhi, quand’è che era diventata così?
“Sì, sono fiera di quello che ho fatto, di quello che sono diventata.” Assicurò, cercando di convincere più sé stessa che la donna difronte a lei.
“Eppure sei qua…” Mormorò l’inuit. Lei alzò la testa per guardarla, sapeva che vi era un rimpianto, un rimpianto dagli occhi color primavera.
“Ehi! Cosa ci fai qua?” Suo padre l’abbracciò, felice di vederla, malgrado la sorpresa.
È successa una cosa.” Ammise e il volto dell’uomo si corrucciò, leggendo, probabilmente, in lei, il turbamento. Le indicò una sedia e poi si sedette a sua volta, aspettando, era sempre stato paziente. “Beth…” Iniziò lei.
“Oh.” Disse solo lui, poi strinse le labbra tirandosi indietro contro lo schienale della sedia. “Sapevo che poteva succedere.” Le disse poi.
“Non so…” Scosse la testa. “Avevo un destino scritto e ora…” Guardò suo padre, ma l’uomo aveva voltato la testa a fissare una delle foto sul caminetto: sua madre i capelli rosso fuoco e l’aria sicura. “Papà?” Chiamò lei, voleva che le dicesse cosa fare, ma l’uomo scosse la testa.
“Devi decidere da sola. Non devi avere rimpianti.” Si alzò, lanciò un’occhiata fuori dalla finestra e aggiunse: “Presto nevicherà.”
Quando se ne andò nevicava, non aveva risposte e fu inutile cercarle nei fiocchi.

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Capitolo 11
*** Bacio ***


Bacio
 
Ora guardava fuori dalla finestra, la neve cadeva, i fiocchi, tutti unici e perfetti, si posavano delicati.
“Ho preso una decisione, alla fine.” Ed era stata la decisione giusta, qualsiasi cosa ci fosse tra lei e Beth non poteva essere più importante del lavoro di anni, di quella occasione, di quella missione. “Lei avrebbe fatto la stessa scelta a parti invertite.”
“E allora perché sembra che tu sia bloccata? Perché la tua mente continua a riportarti lì, a quella scelta?” Anguta non si era mossa eppure sembrava occupare l’intera stanza, forse l’intero mondo pieno di fiocchi e neve.
“Non lo so.” Mormorò eppure una parte di lei lo sapeva.
La mano di Beth scorreva tra le sue spalle, quasi timida, eppure erano nude e avevano fatto l’amore, solo pochi minuti prima.
“Stai bene?” Le chiese e lei si voltò a guardarla. Non aveva più detto niente, aveva lasciato che la passione le avvolgesse, si era lasciata spogliare, amare, ma ora era silenziosa e immobile nel letto.
“Sì.” Rispose. “Sì.” Mentì.
Una parte di lei conosceva la risposta.
“Non deve cambiare niente.” Le assicurò la giovane, mentre la sua mano continuava ad accarezzarle la pelle. “Non cambierà niente.” E le sorrise, ma i suoi occhi rimasero opachi, mentre le labbra si arcuavano in una triste parodia del suo solito sorriso. Lei le annuì e la donna la baciò di nuovo, con trasporto, quasi a volersi imprimere nella mente il ricordo.
Si portò le mani alle labbra e ricordò quel dolce bacio.

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Capitolo 12
*** Guanto ***


Guanto
 
Non era l’essere partita, non era l’aver scelto il lavoro, quella missione, cos’era allora?
“Non le ho detto addio, come mia madre non mi ha detto addio.” Ammise alla fine, la neve sembrò esitare sospesa per un istante, poi le nuvole si diradarono e lei poté vedere il cielo azzurro.
“Questo il peso che ti trattiene.” E le parole di Anguta non formavano una domanda, ma erano una semplice affermazione.
“Mi trattiene dove?” Chiese lei, ricordando altre parole della donna.
“Non dove…” La corresse la donna. “Non è mai stato questione di spazio, tu sei sempre lì, aggrappata alla vita e abbracciata alla morte.”
Le parole della donna per quanto dette con dolcezza la fecero rabbrividire. Per un istante, per un singolo brevissimo momento la neve fu su di lei, il suo corpo tornò ad essere freddo e immobile, la morte le accarezzava la testa mentre la vita le stringeva le mani.
“No!” Si oppose e si ritrovò in ginocchio mentre tornava a sentire il rumore del fuoco e il calore perfetto che era emanato da esso.
“Devi decidere.” Anguta ora era vicino a lei, immensa e irraggiungibile, un essere incomprensibile per la sua mente umana e al contempo così familiare.
Ricordò il letto freddo, Beth addormentata e lei che la guardava, era così vicina, così lontana… Ricordò mentre nel suo igloo guardava sua madre andarsene, così vicina, così lontana…
Una sola parola e avrebbe potuto cambiare il suo passato. Ma era tardi.
“No.” Mormorò stringendo il pugno nel guanto.

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Capitolo 13
*** Brina ***


Brina
 
Quel semplice gesto la scaraventò di nuovo nel suo corpo, nella sua realtà, non vi era più la casa accogliente, non vi era più il fuoco allegro, l’odore della resina, i biscotti di sua nonna, Anguta. Vi era solo più lei e il freddo, lei e la brina che la ricopriva, che la immobilizzava nel gelo. Quanto tempo era passato? Quanto tempo era rimasta esanime? Istanti, minuti, ore? Avrebbe dovuto essere morta? Poteva ancora morire?
Doveva muoversi. Facendo violenza contro tutto ciò che le urlava di starsene lì, ferma ad aspettare. Perché alla fine, cosa aveva fatto nel suo igloo molti anni prima? Era stata zitta, non aveva fatto nulla. E con Beth? Perché non aveva posato una mano sulla spalla nuda della donna addormentata, perché non le aveva detto che quella notte era stata tutto per lei, ma che doveva partire lo stesso?
Perché lottare ora quando non vi erano speranze?
Ma lei lottò, aprì gli occhi chiusi dal ghiaccio, puntò la mano nella neve che la avvolgeva e si alzò in piedi. La tempesta infuriava ancora attorno a lei, era ancora persa, era ancora solo un puntino nel nulla ghiacciato. Ma non avrebbe lasciato perdere.
Lentamente iniziò a camminare, muoversi era l’unica cosa a cui poteva pensare, non vi erano ripari, non vi erano alternative, doveva muoversi e continuare a farlo fino a quando non sarebbe morta o qualcuno non l’avrebbe trovata. E mentre camminava, spezzando la crosta di neve, anche nel suo cuore veniva spazzata la brina.

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Capitolo 14
*** Sorriso ***


Sorriso
 
Pensò a sua madre, ricordò le ore in cui la donna aveva letto per lei, i sorrisi mentre le accarezzava il volto, i pranzi e le cene, i baci della buona notte. Ma ricordò anche gli scatti d’ira, la rabbia esplosiva che ogni tanto la portava a rompere un piatto, ricordò suo padre che si metteva in mezzo, accogliendo la rabbia con pacatezza, pur di non spaventare lei, pur di proteggerla e ricordò la donna che alla fine piangeva e la guardava… era andata via molto tempo prima di quel giorno di Natale, era andata via non perché era ambiziosa e loro un peso, ma perché voleva proteggerli.
Continuò a camminare e ricordò il sorriso di Beth, la sua gioia sincera nel sapere che era stata presa per la spedizione, il suo supporto… e quel bacio, quel bacio che parlava di addio, senza ricorrere a parole. Ricordò quella notte, ricordò il letto freddo e in un lampo di consapevolezza ricordò il respiro della donna, troppo rapido per essere addormentato. E allora comprese: l’aveva lasciata andare via, senza imporle un addio che l’avrebbe trattenuta, un addio che non sarebbe stata capace di dare.
Mentre la consapevolezza la lasciava senza fiato vide una luce tra le folate di vento e neve. Si fermò, incredula, mentre due sagome correvano verso di lei. Erano reali? O erano frutto della sua mente stanca? Crollò sulle ginocchia, ma due braccia la sorressero e dietro agli occhiali protettivi lei vide riflesso nei loro occhi un sorriso.

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Capitolo 15
*** Sci ***


Sci
 
La neve cadeva copiosa, era meravigliosa, così bianca, così calma e ogni fiocco unico e perfetto. Dagli occhi le scese una lacrima, le succedeva spesso quei giorni di emozionarsi per le cose più banali, come quando aveva pianto per la gentilezza con cui le era stato porto un bicchiere d’acqua.
“Hai mai pensato che gli sci non sono altro che una metafora della coppia?” L’uomo con la sua voce gentile e il forte accento russo la distolse dalla sua contemplazione.
“Come?” Chiese, notando che il suo collega, seduto sulla sedia fissava il paio di sci con cui era arrivato e che aveva posato contro la parete dell’infermeria che la ospitava da almeno una settimana.
“Sono due, puoi usarne anche solo uno, ma la tua vita è misera.” Rise e lei annuì, ricordando la fatica di avanzare con un solo sci nella neve. “Se sono in sincronia tutto va che è una meraviglia, ma se uno decide di andarsene a destra o l’altro a sinistra sei finito.”
“Mmm.” Disse soltanto. Boris Ivanov era sposato da dieci anni e amava sua moglie alla follia, avevano cinque figli.
“Io ho trovato il mio sci, la perfetta compagna delle più folli discese e delle più dure salite. Tu, mia piccola Sarah Wilson?” Quando lei lo guardò lui sorrise. “Ho sentito spesso mormorare un nome, mentre vegliavo sul tuo sonno. Una certa Beth…” Lei arrossì e l’uomo rise di nuovo. “Non a tutti Anguta da una seconda possibilità, battiti per il tuo perfetto sci.”

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Capitolo 16
*** Cioccolata ***


Cioccolata
 
“Cos’hai detto?”  Chiese lei, sorpresa nel sentire quel nome.
“Le esperienze di morte possono darci una nuova prospettiva, se Beth è importante…”
“No, no, il nome!” Boris la guardò sorpreso dalla sua improvvisa agitazione.
“Anguta?” Provò alzando un sopracciglio.
“Come sai questo nome?” Insistette lei, il cuore che batteva veloce.
“Al campo Inuit ci hanno raccontato di questa loro divinità: Anguta, uno psicopompo che guida le anime tra il mondo dei vivi e quello dei morti.”
Sarah sentì un brivido correrle lungo la schiena. Era possibile?
“Io…” Balbettò. Doveva essere pallida, perché Boris si alzò e le posò la mano sulla fronte, ma non era la febbre che l’aveva tenuta a letto in quei giorni ad essersi ripresentata, era il ricordo, preciso di quello che aveva… visto? Immaginato?
“Non volevo turbarti.” Affermò allora l’uomo guardandola preoccupato, poi si alzò e si affaccendò accanto ad un fornellino, aprì qualche bustina e poco dopo l’aroma della cioccolata riempiva l’aria.
“Mia nonna diceva sempre: non c’è nessun spavento che la cioccolata non possa scacciare! O forse era Harry Potter… non importa.” Le passò la cioccolata e lei ne bevve un sorso. Era dolce, calda, cremosa e scacciò il freddo.
“Potrei aver avuto un’allucinazione, fuori, nella tempesta?” Chiese, cercando di aggrapparsi alla parte di lei che era la scienziata.
“Oppure hai avuto quella che si chiama un’esperienza di premorte. In ogni caso sei qui e sei al sicuro.”
“Una seconda possibilità.” Mormorò e sorriso, mentre il suo cuore si scaldava sorseggiò la cioccolata.

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Capitolo 17
*** Cottage ***


Cottage
 
Entrò nel piccolo cottage e chiuse in fretta la porta dietro di sé. L’aria calda della casa la avvolse e lei si tolse il cappellino, la sciarpa e la giacca, poi sfilò le scarpe e si avvicinò al fuoco tendendo le mani gelate dalla breve passeggiata mattutina. Amava quel posto, amava l’essere lontana dal mondo e dall’indaffarata città, amava i profumi, il silenzio, e, a volte, ne amava anche il freddo pungente. Forse però, solo perché adorava poi sistemarsi accanto al fuoco e leggere uno dei suoi libri preferiti.
Si mise su del tè, poi lanciò uno sguardo al computer accanto al quale, altrettanto silenzioso vi era il suo cellulare. Veniva al cottage per disintossicarsi anche dal lavoro oltre che dalla frenesia, eppure la tentazione era sempre forte, il dubbio che potesse essere successo qualcosa di importante, qualcosa che avrebbe dovuto sapere. Scacciò dalla mente quel pensiero e preparò la tazza.
Lesse numerose pagine, affondando nella storia come le succedeva sempre con un libro che amava, poi dovette alzarsi per aggiungere un pezzo di legno nel fuoco e, lasciò cadere il libro, dalle pagine volò fuori qualcosa. Perplessa sollevò il libro e poi raccolse quella che sembrava un’istantanea. Ricordava di aver posseduto una macchina fotografica che le faceva quando era al… si interruppe. Nella foto vi era lei, occhi verdi, capelli biondi, esattamente come adesso, solo più giovane e accanto, occhi nocciola e sguardo corrucciato che la guardava c’era… Sarah.
Assieme a Beth trattenne il respiro anche il cottage.

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Capitolo 18
*** Camino ***


Camino
 
Rimase un lungo istante a fissare la foto, aveva cercato di mettere da parte quei sentimenti. Si era rifiutata di sentirsi abbandonata, Sarah era lì dove doveva essere. Eppure, una parte di lei soffriva e non perché Sarah non le aveva detto addio, ma perché lei non aveva avuto il coraggio di dirle quello che provava. Avrebbe aspettato, avrebbe aspettato con gioia. Quanto era patetico? Una sola notte assieme e sarebbe stata disposta ad aspettarla per i cinque anni della missione. Ovviamente non aveva potuto, ovviamente era rimasta in silenzio mentre l’aveva sentita andare via quella mattina non importava quanto fosse freddo il letto una volta che Sarah lo aveva lasciato, non importava quanto fosse freddo il suo cuore. L’aveva lasciata andare perché l’amava, per quanto sdolcinato e stupido questo apparisse. Ed era così sciocco che l’amasse proprio da quel giorno, dal giorno ripreso in quell’istantanea, quando Sarah l’aveva accompagnata ad una festa e mentre gli altri bevevano e ballavano, lei le aveva detto che il mondo era un posto meraviglioso.
Se solo fosse stata più coraggiosa… ma aveva aspettato, non aveva agito mentre studiavano assieme, non aveva detto niente mentre si preparavano per la selezione e aveva taciuto quando Sarah era stata presa per il progetto. Ma alla fine non aveva più resistito e, troppo tardi, le aveva regalato del vischio e l’aveva baciata. Era stato tutto perfetto, per una notte.
Beth si girò e lanciò la foto nel fuoco lasciando che si consumasse e uscisse dal camino.

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Capitolo 19
*** Sorpresa ***


Sorpresa
 
Si pentì di aver bruciato la foto nell’istante stesso in cui lo fece. Chiuse gli occhi e sospirò, erano passati anni, aveva avuto altre relazioni, una avrebbe anche potuto essere importante se lei non fosse stata così irraggiungibile. Doveva andare oltre e, bruciare quella foto, non era stato che un gesto infantile di qualcuno che, a quanto pare, non era ancora pronto.
Si preparò pranzo e poi si vestì per una seconda passeggiata, ora che il sole era alto nel cielo avrebbe fatto meno freddo e lei avrebbe potuto scattare qualche foto, magari, se fosse stata fortunata, avrebbe sorpreso di nuovo il vecchio cervo al laghetto.
Il paesaggio era meraviglioso, il sole era caldo, sulla sua schiena, mentre lei osservava un paio di caprioli brucare l’erba rimasta protetta dalla neve grazie alla folta fronda di un abete. Dopo aver scattato qualche foto, mentre il sole iniziava la sua rapida discesa e l’aria a irrigidirsi tornò al cottage.
Con uno sguardo notò che dal camino usciva ancora del fumo, per fortuna il fuoco non si era spento, malgrado la sua passeggiata fosse stata più lunga del solito.
Aprì la porta, sfilò la giacca e il cuore le saltò in gola per la sorpresa, fece un passo indietro, mentre sbatteva gli occhi, quasi a volersi assicurare che funzionassero.
“Ciao.” Disse la donna in piedi davanti alla stufa, così reale da essere impossibile da negare. Aliena in quel luogo eppure così familiare.
“Sarah?” Chiese. La giovane era cambiata, il viso era più affilato, gli occhi più stanchi, ma il sorriso era sempre lo stesso, anche se vi era titubanza in esso in quel momento.
“Tua sorella mi ha detto che eri al vecchio cottage e…”
“Dovresti essere… la missione…” Sapeva che stava balbettando, scosse la testa.
“Sono tornata.” Spiegò con semplicità la ragazza. “C’è stata una tempesta, mi sono persa e per qualche ragione ho avuto una seconda possibilità.”
“E sei qua.” Fece notare. Cosa ci faceva lì? Non aveva senso, da nessun punto di vista. Vi era la missione e se anche si fosse interrotta per qualsiasi ragione, erano passati anni e tra loro non…
“Hai lasciato la porta aperta, ho aspettato un po’ fuori, ma poi ho pensato che il fuoco si stava spegnendo e mi è sembrato più sensato entrare.”
“Sarah.” Non era quello che voleva sentire. “Perché sei qua?”
“Avrei dovuto dirti addio.” No, anche questo era sbagliato, non aveva mai voluto che lei provasse rimpianto. Scegliere quello che era stato il suo sogno per anni era stata la cosa giusta.
“Non ce n’era bisogno.” Ci tenne a precisare.
“Lo so, l’ho capito. Ma…” La donna scosse la testa e si corresse. “Avrei dovuto dirti che è stato importante per me. Che tu sei importante per me. E lo so che non ho nessun diritto, ma…” La donna ora era vicina, troppo. Beth la afferrò per la felpa e la attirò a sé.
Il suo cuore riprese a battere troppo velocemente, ma questa volta non per la sorpresa.

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Capitolo 20
*** Calza ***


Calza
 
Con delicatezza passò le dita lungo il viso di Beth, non si sentiva più così emotiva come la prima settimana dopo essere stata salvata dalla tempesta di neve, eppure non riuscì a non provare un impeto di profonda emozione nel poter fare un gesto così semplice.
“Stai bene?” Domandò la donna, rannicchiata contro di lei. Sembrava volerla trattenere ancora, dopo che avevano fatto l’amore, come se temesse che sparisse, di nuovo.
“Sì.” Dichiarò ed era vero, sorrise. “I tuoi piedi sono freddi.”
“Avresti dovuto lasciarmi tenere le calze.” Puntualizzò lei, facendola ridere. Beth non aveva mai chiesto scusa per ciò che era, l’amava per quello. Sorrise al pensiero.
“Sono sempre stata innamorata di te.” Ammise ad alta voce e la donna sbatté le palpebre sorpresa.
“Cosa ti è successo nella tempesta?” Chiese, ma se il tono conteneva un po’ di ironia, era chiara l’emozione nei suoi occhi.
“Sono quasi morta.” Spiegò, continuando a tracciare con le dita il profilo della giovane. “Ho avuto un’esperienza… mistica? O forse solo un’allucinazione, un sogno vivido, chiamalo come vuoi, ma ho capito che potevo smetterla di punirmi. Mia madre se n’è andata per salvarci da sé stessa, non perché io portassi su di me la sua colpa. Ora sono libera e la prima cosa che dovevo fare era venire da te.” Beth si spinse avanti e la baciò come a suggellare quelle sue parole. “Certo… non immaginavo i tuoi piedi fossero così freddi!”
“Ah sì? Ti sei appena guadagnata una caccia alla calza!”

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Capitolo 21
*** Famiglia ***


Famiglia
 
Era quasi Natale, l’albero era addobbato, la neve era caduta e le lucine decoravano ogni superficie disponibile della casa. Suo padre era in cucina, cercando disperatamente di non bruciare qualcosa prima di pranzo, sua nonna, invece, stava cantando una canzone alla nuova arrivata nella famiglia.
“Mamma?” Chiamò una voce e lei riportò l’attenzione sul bambino.
“Dimmi?” Disse.
“Possiamo costruire un igloo?” Lei accarezzò la testa bionda del bambino e annuì, scatenando una serie di urletti felici dal bambino di tre anni che corse da Beth.
“Mamma ha detto sì!”
“Sì a cosa?” Chiese Beth, prendendo in braccio il bambino e cercando di calmarlo, per impedire che svegliasse la piccola tra le braccia della nonna.
“A fare l’igloo! Come gli Inuit!” Spiegò, con occhi che brillavano di eccitazione.
“Dopo pranzo, ora a lavarsi le mani.” Lo incitò Beth.
Lo sguardo di Sarah intanto sfuggì verso la foto sul caminetto, con sua madre. L’aveva abbandonata in un giorno così simile a questo…
Beth la avvolse tra le braccia e lei si rilassò.
“Sei una mamma fantastica.” Mormorò, posandole un bacio sulla guancia.
“A volte mi chiedo se sarei stata capace di capire senza quella tempesta, se non fossi quasi morta…”
“Sei qua, ora, e sì avresti capito, prima o poi, che sono e sarò sempre l’unica donna per te, l’assoluto amore della tua vita.” Sarah rise e sentì evaporare la paura, mentre provava un impeto di affetto per la donna che amava e per quello che assieme avevano costruito: una famiglia.

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