What has hands but can not clap?

di Musical
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Gotham era cambiata in quei dieci anni in cui era stato rinchiuso ad Arkham, eppure era sempre la stessa, se la si osservava sotto una determinata angolazione. Non ci volle molto per riprendere in mano il controllo ed essere nuovamente L’Enigmista. Diamine! Era da molto tempo che non si sentiva più padrone del proprio destino, doveva ringraziare il suo misterioso benefattore, che aveva escogitato un piano di fuga perfetto quasi quanto i suoi.
Osservare il profilo della città, sotto il cielo notturno, respirando a pieni polmoni quell’aria umida e piena di smog, gli regalava una sensazione di libertà ed euforia che Edward non riusciva a trattenere una risata che rasentava l’isteria. Era libero, finalmente libero! Dopo dieci lunghissimi anni!
Meravigliosa sensazione, non è vero?
Edward non aveva avuto bisogno di voltarsi per capire come l’intruso si fosse intrufolato nell’appartamento, quell’ombra l’aveva sempre seguito, e sempre l’avrebbe fatto. Annuì soltanto, non volendo interrompere i rumori della città ovattati, ed intimò all’altro di fare lo stesso.
Quando Gotham era diventata Terra di Nessuno, Edward aveva provato a fuggire costruendo un sottomarino, con molte difficoltà era riuscito nell’impresa, ma al molo Nyssa l’aveva messo fuori gioco, rubandogli la sua unica via di fuga. Per sei mesi era riuscito a fuggire dalle manette di Jim Gordon, ma alla fine venne catturato e messo ad Arkham. Dieci anni persi, ma Edward non aveva mai smesso di ideare piani di vendetta, indovinelli e possibili rapine, ed avrebbe dimostrato ancora una volta a Gotham chi era L’Enigmista, e tutti si sarebbero inginocchiati al suo cospetto, di fronte al suo intelletto.
A cominciare dagli altri criminali di Gotham. Infatti, Edward aveva ricevuto un invito personale in cui c’era scritto che il giorno successivo si sarebbe dovuto presentare all’Iceberg Lounge. L’altro Edward, una volta letto l’invito, andò in visibilio, l’aveva pregato di prendere il comando, d’indossare il suo abito migliore, di usare finalmente il bastone che avevano programmato ed ideato dieci anni prima, durante i sei mesi di fuga.
“Direi che su una cosa concordiamo”, Edward alzò gli occhi e si voltò indietro, conscio che Lui era lì, in attesa.
Infatti, con le dita che tamburellavano l’una contro l’altra per contenere l’eccitazione, il volto dell’altro Edward fuoriuscì dall’ombra, deformato da un sorriso a labbra strette.
Sono curioso di sapere cosa”, gli disse, iniziando ad avvicinarsi.
“Non possiamo andare con il nostro vecchio vestito.”
Ehm, il tuo vecchio vestito, io quella cosa non l’avrei mai indossata.
“Cosa cambierebbe?”
Niente, sottolineerebbe solo chi dei due ha buon gusto”, l’altro Edward continuava a sorridere divertito, accavallando una gamba, dopo che s’era seduto al lato opposto della finestra.
Edward cominciò a ragionare, aveva bisogno di qualcosa che attirava l’attenzione e facesse capire a tutti che era l’ospite d’onore. Magari una nuova giacca con tanti punti interrogativi, una spilla attaccata alla cravatta, degli occhiali con le lenti colorate potevano dare un tocco di classe al vestito che aveva usato per il suo trionfale ritorno.
La cosa si fa eccitante!
Edward, infatti, non riusciva a contenere un sorrisetto divertito, ma non capire il motivo era un effetto collaterale; continuava a domandarsi cosa c’era che non riusciva a cogliere, qualcosa di cui non aveva tenuto conto, ma tutti i calcoli erano giusti, non c’era alcun errore nel processo.
La ragazza della brace deve scappare prima che io arrivi. Il mio gruppo sanguigno non contiene né una A né una B. Chi sono?
Era da quando avevano ricevuto l’invito che l’altro Edward continuava a ripetere quell’indovinello, i suoi passi ticchettavano come i secondi di un orologio. Tuttavia, Edward aveva altro per la testa.
L’Iceberg Lounge era un locale rinominato per tutta Gotham, famosa era la storia del suo proprietario. Non si conosceva Gotham se non si conosceva la storia del Pinguino. Edward aveva avuto modo di leggere notizie sul conto di Oswald Chesterfield Cobblepot sui giornali, come quando era diventato Sindaco di Gotham, ma poi fu costretto a rinunciare al titolo perché era venuto fuori che il suo braccio destro aveva comprato i voti dei cittadini.
Anche lui era stato rinchiuso per dieci anni, al penitenziario Blackgate, ed era uscito pochi giorni prima di Edward, in maniera legale. Una volta uscito, aveva ripreso in mano la sua vecchia e onesta attività, apportando numerose migliorie al locale che, a detta dei giornalisti, avevano consolidato il nome del suo padrone.
Edward, per quanto avesse desiderato entrarvi per dare un’occhiata, non aveva mai avuto l’occasione giusta, ma il destino sembrava avergli regalato una possibilità.
Domani è il grande giorno! Magari, avremo modo di conoscere il nostro benefattore, e non solo.
Fu con la risata euforica dell’altro Edward che Edward cominciò a perfezionare il suo bastone, la luce del suo studio fu l’unica a rimanere accesa per tutto il palazzo, illuminando le strade buie di Gotham. Mancavano meno di ventiquattr’ore, e c’era tanto lavoro da fare.


Le luci blu e viola dei neon riflettevano sulla superficie dorata di un bastone, il buttafuori guardò strano quell’oggetto, prima che il suo sguardo si posasse sul proprietario, i cui dettagli del suo abbigliamento rifrangevano le luci.
“Splendida serata, vero?”
Edward sorrise divertito alla propria battuta, prima di fare un passo verso l’entrata, ma venne fermato dal buttafuori che gli chiese l’invito. Quella era una serata riservata a pochi, e molti ospiti abituali del Lounge volevano intrufolarsi.
Edward batté il palmo della mano sulla fronte, fingendo sorpresa.
“Oh cielo, che sbadato! Se non avessi il collo, mi perderei anche la testa, uno di questi giorni.”
Dal nulla, Edward fece uscire il biglietto per consegnarlo al buttafuori. L’uomo gli diede una veloce occhiata, adocchiando qualche particolare, poi mise in una tasca interna della giacca l’invito ed aprì la porta, sotto il tono seccato e contrariato degli altri.
“Buona serata, signor Nygma.”
Edward fece qualche piroetta col suo bastone, prima di ringraziare l’uomo con un filtrante sorriso ed entrare, trovandosi accolto da un’aria fresca e una rilassante musica blues in sottofondo. Alla sua sinistra un lunghissimo bancone con dietro di sé innumerevoli bottiglie di pregiate bevande alcoliche, a destra c’erano diversi tavoli di ferro battuto neri, con eleganti sedie. Ma era al centro il pezzo forte, ciò che rendeva quel posto l’Iceberg Lounge: un enorme blocco di ghiaccio immerso in una piscina di ghiaccio, dove cinque pinguini si divertivano a scivolare o tuffarsi nell’acqua. Le cameriere indossavano calze a rete, un bustino nero, un colletto bianco e un triangolino di cartone nero sul naso, mentre i barmen indossavano una divisa molto eleganti, nere con la camicia bianca, e sempre lo stesso dettaglio sul naso.
Davvero niente male.
Edward si diresse verso il bar, muovendosi sinuoso a ritmo di musica, seguendo la dolce e scandita musica del pianoforte e della batteria, ai quali s’aggiungeva anche qualche irriverente nota di chitarra elettrica. Si domandò per quale motivo non fosse mai entrato lì dentro.
“Buonasera,” disse una barman, “cosa posso prepararle?”
“Un Midori Sour, grazie.”
La donna annuì e s’apprestò a preparare il cocktail, offendo ad Edward la possibilità di guardarsi ancora più attorno. La sala era quasi completamente vuota, eccezion fatta per i pinguini e le poche cameriere che chiacchieravano al bancone. Fece l’ingresso nella sua visione una di loro che ritornava con un vassoio pieno di bicchieri vuoti, facendogli dedurre che quella non era l’unica stanza presente nell’Iceberg Lounge.
La barman gli diede il cocktail, ponendo un biglietto tra il calice e il sottobicchiere. Edward lo prese e con tutta calma lo lesse, c’era scritto con un’elegante calligrafia ‘Il Signor Edward Nygma è pregato di dirigersi nel piano inferiore. Il suo cocktail verrà portato a destinazione da una cameriera.
Peccato, si disse Edward, ancora doveva abituarsi a questa visione. Con riluttanza, l’uomo s’alzò e si diresse verso la porta da dove era uscita quella cameriera, tuttavia una sua collega, che l’aveva notato, lo fermò per guidarlo verso l’entrata dedicata agli ospiti, ed Edward si trovò nel piano inferiore dell’Iceberg: la musica al piano di sopra non arrivava — stanza insonorizzata, dedusse, mentre l’altro Edward iniziò ad elencare i vari motivi eccitanti per cui quella stanza doveva essere insonorizzata — al centro una grande teca di vetro illuminata di blu attraverso il quale si poteva vedere la parte inferiore dell’iceberg e qualche pinguino che nuotava. Gli ospiti chiacchieravano animatamente, con i loro cocktail in mano, che non degnarono di uno sguardo il nuovo arrivato, colpendo inconsapevolmente il suo orgoglio. Edward conosceva alcuni di loro, e fu con un moto di gioia che vide una giovane donna, con i capelli biondi raccolti in due code, che gli corse incontro ad abbracciarlo, scoccandogli poi un sonoro bacio sulla guancia.
“Ero certa che saresti venuto, Eddie!”
Edward sorrise leggermente. “Potevo mancare ad una festa in mio onore?”
La donna si mise a ridere.
“Ringraziami, è stata una mia idea. Dopo la tua ultima apparizione, qui non abbiamo smesso di parlare di te, meritavi una cosa simile, e meritavi di fare la conoscenza ufficiale di tutti noi! Beh, escludendo il mio Pudding, Cat e me.”
“Lo apprezzo molto, Harleen.”
Harley, adesso”, lo corresse la donna, notando come gli altri invitati si stessero dirigendo verso la stessa direzione.
“Dove stanno andando?”
“Dove stiamo per andare pure noi. Ozzie avrà saputo del tuo arrivo.”
Detto questo, Harley andò a saltellare dal suo adorato Pudding, che aveva iniziato a farsi chiamare il Joker o, come lo conosceva Edward, Jeremiah Valeska. Edward non nutriva una grande simpatia per lui, i dieci anni trascorsi insieme ad Arkham avevano consolidato questo sentimento. Diversi erano i sentimenti che provava per la Dottoressa Quinzel, conosciuta durante un incontro, prima che venisse assegnata a Valeska. I suoi capelli biondi gli ricordavano quelli di Isabella, prima che se li tingesse per assomigliare a Kristen, e il suo lavoro l’aveva aiutato un po’ a comprendere meglio l’altro Edward. Così facendo, s’era guadagnata la stima d’entrambi.
La stanza in cui Edward entrò era asettica e odorava di ipoclorito di sodio, con un tavolo circolare al centro e numerose sedute, tutti i presenti presero posto, lasciando Edward uno delle ultime sedie libere. Alchè, si mise seduto tra due uomini, che conosceva bene di fama, Jonathan Crane, lo Spaventapasseri, e Jervis Tetch, il Cappellaio Matto. Li studiò con la coda dell’occhio.
Jonathan non era più un ragazzino al quale il padre aveva somministrato una dose spropositata di un rudimentale vaccino, a base di adrenalina, per combattere la paura. Jervis, invece, sembrava rimasto lo stesso di quello che aveva visto sui giornali, con i suoi abiti dell’Ottocento, pieno di pizzi, notò che stava facendo dondolare un orologio da taschino, ed Edward pensò bene di non guardarlo ulteriormente, sapeva gli effetti devastanti che Jim aveva avuto, la prima volta che aveva avuto a che fare con Tetch, e non aveva idea di cosa Tetch era in grado di fare dopo anni. Preferì osservare gli altri presenti, notando che era presente anche Selina Kyle, ancora debitrice di una contusione alla testa dovuta ad una barra di ferro, usata dalla ragazza per metterlo fuori combattimento.
Dopo un primo chiacchiericcio tra i vari ospiti, e diverse occhiate rivolte ad Edward, un uomo che s’era seduto opposto a lui s’alzò, e tutti s’acquietarono, prestando la loro completa attenzione, cosa che fece anche Ed, sentendo in sottofondo le risatine dell’altro Edward. Mormorava ancora quell’indovinello.
La ragazza di cenere deve scappare prima che io arrivi. Il mio gruppo sanguigno non contiene né una A né una B. Chi sono?
“Vi ringrazio per essere giunti numerosi, vecchi amici. È un piacere, per me, ospitarvi nella mia umile attività.”
L’uomo, che s’era palesato in maniera sottintesa come Oswald Cobblepot, lanciò un’occhiata intensa e melliflua a tutti i presenti; sembrava tenesse tutti in pugno pur non puntando arma alcuna, emanava una sicurezza che Edward faticava ancora a costruire, anche dopo decenni.
Infatti, hai ancora bisogno di me perché arranchi in certe situazioni.
Il Signor Pinguino batté leggermente una mano sul tavolo, indicando poi di fronte a sé proprio Edward, regalandogli un sorriso a labbra strette, e l’uomo si sentì messo sotto la luce di riflettori indesiderati.
“Ma veniamo al motivo per cui siamo riuniti tutti qui, questa sera. Un nuovo elemento s’è aggiunto a noi, s’è fatto notare ed ha affrontato Batman, cosa che ci accomuna tutti. Edward Nygma, vuoi dire qualcosa?”
Tutti si voltarono verso Edward, e Pinguino smorzò una risata, in attesa, ma ci ripensò e si chinò un poco sul tavolo, sempre col sorriso sulle labbra, che da cordiale stava diventando sempre più predatorio.
“O preferisci che ti chiami L’Enigmista?”
Non era così che aveva immaginato la sua presentazione, era tutto sbagliato: il discorso d’apertura, la stanza asettica, quell’odore a tratti insopportabile, gli sguardi derisori degli altri presenti, come se fosse tornato alla GCPD e tutti lo consideravano strano, fastidioso, pazzo. Era come se fosse risorto l’agente Doherty e, sotto mentite spoglie, si stesse vendicando.
Qualcosa scattò dentro Edward, qualcosa che l’ex scienziato forense aveva imparato a conoscere da tempo: in suo soccorso giunse una voce amica, che sussurrò e gli rassicurò che c’avrebbe pensato Lui. Un sorriso da stregatto illuminò il volto di Edward, che si tolse teatralmente la bombetta per lanciarla sul tavolo, andando a finire proprio davanti a Pinguino, nel suo petto rimbombò una grave risata.
Che lo show abbia inizio!” disse l’altro Edward prima di parlare di fronte a tutti.
“Cosa ti appartiene, ma altri lo usano più di te?”
Edward si guardò attorno, studiando il suo pubblico, c’era chi era completamente disinteressato e chi invece si stava divertendo a vedere la scena. Solo Harley rientrava in questa categoria.

Che pubblico difficile.
Edward, con movenze sinuose, salì sul tavolo e cominciò a camminarci sopra, sicuro d’aver attirato l’attenzione della maggioranza.
“Allora, nessuno vuole provare a risolvere il mio indovinello? Mh? Qualche volontario?”
Pinguino, dopo un secondo di silenzio, provò a riprendere possesso della situazione.
“È… È un indovinello quello che hai appena detto?”
Edward annuì piano, poi s’inchinò per trovarsi alla stessa altezza di Pinguino.
“Cosa ti appartiene, ma gli altri lo usano più di te?”
“La risposta esatta è il tuo nome. Troppo facile indovinare, per il mio acume”, disse una voce alle loro spalle. Edward si voltò in fretta alla ricerca della fonte, e vide Tetch che lo stava guardando, in attesa.
Il suo sorriso s’allargò, si rialzò in fretta e prese a camminare sul tavolo verso la direzione di Jervis, dimenticandosi completamente del Pinguino.
“La risposta è esatta, ed è un bene, altrimenti sarei stato costretto a uccidervi tutti quanti”, fece spallucce e strinse le labbra in un sorriso, facendo parlare il suo pubblico e smuovere qualche sedia, finalmente tutti avevano lo sguardo puntato su di lui.
“Questo è pazzo!” disse un uomo dalle iridi bianche seduto tra Pinguino e il Signor Freeze. “Tu osa solo provarci, spilungone, e non farai una bella fine.”
Edward non s’impressionò, fece una piroetta e alla gola dell’uomo puntò il puntale del proprio bastone, dal quale uscì una lama di dieci centimetri.
“Che fortuna, abbiamo un volontario per il prossimo gioco.”
Prima che potesse parlare, Pinguino intervenne nuovamente, posando una mano sul suo bastone.
“Che cosa vuoi?”
Edward ritirò il bastone dalla gola di quell’uomo, facendo scomparire la lama.
“Quello che voglio, il povero ce l’ha e al ricco non serve, e se lo mangi muori.”
L’occhio vero di Pinguino si rimpicciolì, mentre qualche ruga cominciava a formarsi tra le sopracciglia. Qualcuno stava perdendo la pazienza.
“Ti pregherei di non usare più indovinelli, non ho tempo da perdere anche con te.”
“Possiamo finirla, adesso?” s’intromise Selina, che aveva tutta l’aria di volersi trovare altrove. “L’abbiamo conosciuto, no? Adesso possiamo tornare a fare quello che facciamo di solito.”
“Miss Kyle ha ragione”, parlò il Signor Freeze.
“Insomma, Pengy, vogliamo dare inizio alla festa, oppure ci vuoi trattenere qui ancora per molto?”
Pinguino lanciò un’occhiata di rimprovero ad una giovane donna dai capelli rossi che stava giocando con una piantina.
“Non finché non avremo scoperto quali sono i piani del Signor Nygma.”
“Il mio nome.”
Pinguino tornò a guardarlo, sorpreso.
“Prego?”
Edward, nonostante l’idea di una festa imminente lo stesse allettando, sentì il bisogno impellente di sentire il suo vero nome.
Non eri mai stato così attento ad un simile particolare”, notò Edward, che si trovava dietro Pinguino, osservando l’altro Edward incredulo.
L’altro Edward lo guardò intensamente, ricominciando a sorridere.
Pensa a risolvere l’indovinello che ho preparato apposta per te.
Pinguino si voltò indietro, pensando ci fosse qualcosa dietro di lui ma, vedendo che non c’era niente, però, tornò a guardare Edward e riprese a parlare.
“Voglio sapere cosa vuoi, e come lo otterrai.”
“E io voglio che venga usato il mio vero nome.”
“Oh, e va bene! L’Enigmista, sei contento adesso? Possiamo andare ora?”
L’Enigmista sorrise in parte, e guardò negli occhi Selina, puntandole l’impugnatura del proprio bastone.
“Ti ringrazio, ma questo non ti fa saldare il debito che hai con me.”
Selina alzò gli occhi al cielo e mosse una mano come per scacciare un insetto fastidioso. “Sì, va bene, come vuoi.”
Detto ciò, la giovane s’alzò, pronta per uscire dalla stanza, seguita piano piano dagli altri presenti, nonostante i richiami di Pinguino di rimanere lì perché non aveva ancora finito.
“Dai, Ozzie, rilassati. È una festa, dopotutto”, provò a rincuorarlo Harley, prima d’andare da Valeska.
Pinguino rimase fermo al suo posto ancora un po’, l’unico che ancora gli faceva compagnia era L’Enigmista il quale, tuttavia, stava scendendo dal tavolo e, nella mente, stava per lasciare il comando ad Edward.
“Non hai ancora detto quali sono le tue intenzioni. Cosa vuoi da Gotham?”
L’Enigmista girò appena la testa, guardando per un’ultima volta quell’uomo. Il monocolo ingrandiva l’occhio di Pinguino danneggiato da anni, erano nate leggende su come si fosse procurata quella cicatrice che gli adornava il viso pallido, costellato di lentiggini. L’Enigmista stirò per l’ultima volta le labbra.
“Il povero ce l’ha e al ricco non serve.”
Scese dal tavolo con un piccolo salto aggraziato, non si scompose affatto, ed Edward ritornò a destreggiarsi in quella festa.
Non ebbe modo di parlare nuovamente con il Signor Pinguino, piuttosto fece la conoscenza di quella donna dai capelli rossi, amica della Signorina Kyle e della Dottoressa Quinzel; aveva un debole per le piante, ed Edward si ritrovò a scambiare diverse curiosità con la giovane donna riguardo piante esotiche ed innesti davvero interessanti.
C’era una donna, poi, che discuteva animatamente con il Signor Fries, Edward aveva provato a presentarsi a loro, soprattutto al Signor Fries, di cui aveva studiato i progetti e alcuni studi, anni prima, ma fu Tetch ad avvicinarsi, sorridente.
“Hai dato filo da torcere all’uomo con l’ombrello. Complimenti, hai usato solo un indovinello.”
Edward respirò profondamente, il parlare di una seconda personalità non era la cosa migliore da fare in un simile incontro, magari Tetch lo sapeva, dato che era stato per un certo periodo rinchiuso ad Arkham, tuttavia Edward non volle rischiare, così scrollò le spalle.
“Mi sono semplicemente divertito un po’, tutto qui.”
Sono lieto di sapere che ti sia piaciuto lo spettacolo.
Edward lanciò un’occhiata alla sua destra, l’Enigmista era seduto sul bancone del bar, giocando con un ombrellino di carta verde.
E ancora manca la ciliegina sulla torta!” si mise a ridere, succhiando languido una ciliegia candita.
Cosa intendi?
L’Enigmista non smetteva di sorridere, negli occhi brillava una luce che Edward giurò di non avergli mai visto. “La ragazza della brace deve scappare prima che io arrivi. Il mio gruppo sanguigno non contiene né una A né una B. Chi sono?
Tetch, ignaro della conversazione privata che Edward stava avendo, continuava a far dondolare il suo amato orologio, mentre parlava, lanciò un’occhiata ad Edward, studiando un secondo il suo interlocutore.
“Occhio a scegliere con chi giocare. Potresti farti molto male.”
Edward annuì leggermente, riprendendo a bere il suo Midori Sour, quando s’avvicinò loro una terza figura.
“Ecco il mio amico più fidato, colui che mai mi ha abbandonato.”
Il giovane Crane fece un cenno con la testa per salutarli, finendo di bere poi il suo cocktail.
Edward alzò il calice. “Ho avuto modo di studiare il progetto che tuo padre aveva in mente.”
Jonathan annuì, guardando di sfuggita il nuovo arrivato.
“Mio padre ha dato un grande contributo con le sue ricerche.”
“Semplicemente affascinante. A nessuno sarebbe venuto in mente d’estrarre le ghiandole surrenali per ricavare un siero contro la paura.”
Le labbra di Jonathan s’incurvarono appena verso l’alto.
“Buon proseguimento di serata. Benvenuto.”
Edward non riuscì a comprendere come mai il suo apprezzamento venne smorzato in quel modo, quando il viso di Jervis assunse un’espressione triste.
“È già ora di andare, amico mio? Non aspetti neanche il mio bacio d’addio?”
Senz’aspettare una risposta da parte di Crane, Jervis gli diede due baci sulla guancia, prima di sorridergli.
“Che la notte ti sia serena, e non ti rechi alcuna pena.”
Jonathan non rispose, si voltò e prese la via per l’uscita, lasciando soli i due uomini.
Davvero un tipo particolare.
Edward annuì, e così passò la serata, tra chiacchiere con gli altri invitati, riuscì finalmente a parlare anche con il Dottor Fries, affascinato dall’evoluzione della sua tecnologia, s’era ripromesso che avrebbe dato un’occhiata ai suoi progetti per trarre ispirazione per il suo nuovo bastone, ghiacciare qualche poliziotto poteva essere un ottimo diversivo. Ebbe modo di scambiare qualche chiacchiera con la donna di fuoco, Bridgit, rimanendo affascinato dalla mutazione. Non ebbe particolari intoppi durante la serata da parte dell’altro Edward. Quando stava per rincasare, andò a dare un ultimo saluto ad Harley, seduta su un divanetto a bere champagne con Valeska.
“Vai via di già?”
“Ho un progetto in mente, non voglio assolutamente perdere tempo.”
Harley s’alzò dal divanetto ed circondò il collo di Edward con entrambe le braccia, scoccandogli un sonoro bacio sulla guancia.
“Salutami anche l’Enigmista”, gli sussurrò all’orecchio, liberandolo dall’abbraccio prima di fargli l’occhiolino.
Dille che è sempre un piacere vederla.
Edward chiuse un secondo gli occhi ed annuì. “Ricambia i tuoi saluti”.
Per correttezza, Edward si diede un’occhiata intorno per scovare il proprietario del locale ma, quando lo trovò, vide che era impegnato in una conversazione con un uomo vestito di pelle nera, senza capelli.
“Non m’interessa! Quel Batman non deve venir a sapere che sono coinvolto nella transazione. Elimina qualsiasi testimonianza.”
“Certo che, però, uccidere Francesco… Davvero un bel peccato, Boss.”
“Ti pago, forse, per salvare vite?”
Dopo qualche istante di silenzio, l’uomo alzò le mani. “Sei tu il Boss.”
Pinguino sospirò esausto, battendo l’ombrello contro il pavimento una volta.
“Grazie per avermelo ricordato, Victor. Ora, se non ti dispiace, preferirei rimanere un attimo da solo.”
“Ehm, temo che non sia possibile, Boss.”
“E perché mai?”
L’uomo alzò la mano per indicare dietro di sé, puntando il pollice contro Edward. A quel gesto, Pinguino piegò leggermente il busto alla sua sinistra per vedere chi c’era dietro Victor e, appena vide Edward, sbuffò.
“Oggi non è giornata. Cosa c’è? Un altro indovinello per concludere alla grande questa meravigliosa giornata?”
Edward avvertì il tono sarcastico usato da Pinguino, così si schiarì la gola e fece un passo in avanti, sotto gli sguardi sconcertati degli altri due.
“Graziosa serata, con qualche miglioria potrebbe diventare perfetta.”
Il suo onesto commento venne accolto da una risatina — due, se si contava anche quella dell’Enigmista — e da un sorriso tiratissimo.
“Davvero?”
“Sì, beh. A cominciare dalla musica, le prime due ore sono state accettabili, ma poi —”
“Terrò conto del tuo prezioso suggerimento.”
Edward si sentì improvvisamente leggero, con un sorriso si rimise la bombetta, non prima di lasciare un regalo al padrone di casa, qualcosa che non dava spesso e volentieri.
“Niente.”
“Cosa?”
“La risposta al precedente indovinello. Il povero ce l’ha e al ricco non serve. Niente.”
La bocca aperta di Pinguino si chiuse poco dopo, annuendo freneticamente.
“Già, certo, l’indovinello…” inclinò appena la testa. “Lieto di saperlo. Ora sono molto più sollevato, devi credermi.”
Edward rimase qualche secondo immobile, in attesa di qualche altro commento, o domanda, da parte del Signor Pinguino, ma non avvenne nulla, e calò un silenzio che solo Zsasz non trovava pesante.
Se permetti, ci penso io…
Edward non fece in tempo ad opporsi, L’Enigmista prese il controllo immediatamente.
“Lo sa che i maschi dei pinguini imperatore tengono in equilibrio l’uovo sulle loro zampe, per tenerlo al caldo?”
L’Enigmista si nutrì affamato dello sguardo omicida che gli stava lanciando Pinguino, era musica per le sue orecchie, miele per il suo palato, seta per le sue mani.
“Buona serata.”


“Ti sembrava proprio il caso?”
L’Enigmista stava seduto tranquillo sulla poltrona, aggiustandosi i polsini della giacca.
Dovresti ringraziarmi.
Edward camminava avanti e indietro, scribacchiando di tanto in tanto diversi appunti per il suo nuovo progetto, non riusciva a stare completamente concentrato, diamine! Cosa gli sfuggiva?
“Ringraziarti? Semmai, dovrei liberarmi di te.”
Ehm… Devo dirti il numero esatto dei tentativi da te effettuati?
Edward lanciò la matita sul tavolo, per andarsi poi a sedere ai piedi del letto. Si stropicciò gli occhi, pregando che quell’ombra smettesse di perseguitarlo.
Hai risolto il mio indovinello?
“Cosa c’entra con tutto il resto?”
Magari, se lo risolvessi, potrei scomparire per davvero.
Edward s’alzò dal letto, andando a guardare fuori dalla finestra, il proprio riflesso ritraeva una sua versione più ambiziosa e sicura di sé.
“Devo dirti il numero esatto delle volte che l’hai detto?”
Il suo riflesso si mise a ridere. “Non provare ad imitarmi,” gli disse, “non ti riesce bene”.
Edward pensò all’indovinello che il suo alter ego gli aveva lasciato; non era la prima volta che doveva risolvere uno.
“La ragazza di brace…”
Edward si diresse verso la sua libreria per cercare qualche spunto, sotto lo sguardo eccitato dell’altro Edward.
Enigmista.
“Ti sei affezionato al nome?”
L’altro Edward, o meglio, Enigmista, scrollò le spalle, a dimostrare disinteresse.
Devo dire che non mi dispiace.
Edward chiuse un libro che trattava di culture indigene, non c’era alcuna ragazza che aveva a che fare con la brace, o la cenere, a meno che…
“Cenerentola… Non è brace, è cenere, e la ragazza della brace è Cenerentola… La fiaba dice che deve andare via prima dello scoccare della mezzanotte… Lei sente le campane suonare la mezzanotte e scappa… Ma il tuo gruppo sanguigno non contiene né una A né una B… Quindi uno zero, e dato che abbiamo due alleli che determinano il nostro genotipo, vuol dire un doppio zero.”
Cosa avevano in comune delle campane con un doppio zero?
“Le campane hanno suonato per via dell’orologio… Solo gli orologi che non sono anglosassoni segnano la mezzanotte con un doppio zero…”
L’Enigmista lo guardava con il viso appoggiato elegantemente sulla mano sinistra, il polsino della giacca era appena sceso, lasciando intravedere il polso.
Sei sicuro?
Edward notò il piccolo dettaglio del polsino, di solito Lui non lasciava intravedere parti del suo corpo.
Ebbe l’istinto d’alzare il braccio sinistro e slacciò il bottone del polsino, abbassandolo poi leggermente.
Bingo.
Edward iniziò ad avere un accenno di tachicardia, mentre il respiro divenne trafelato, come se avesse corso, la sua visione periferica cominciava ad annebbiarsi, quello che vide all’interno del suo polso fu abbastanza.
“Oh… Oh cielo, oh cielo… Oh cielo…”
La ragazza della brace deve scappare prima che io arrivi. Il mio gruppo sanguigno non contiene né una A né una B. Chi sono?
Un timer che segnava un doppio zero, il suo timer che segnava un doppio zero! E lui non s’era reso conto dell’accaduto, non gli aveva prestato alcuna attenzione.
L’Enigmista sorrideva divertito, la scena che gli si presentava di fronte era davvero troppo comica, ma fece finta di preoccuparsi, giusto per punzecchiare ancora un po’ Edward.
Le tue abilità mentali si sono un po’ indebolite, col tempo… Anni fa avresti impiegato due ore al massimo per risolvere uno dei miei indovinelli.


La serata era finalmente terminata, tutti eran tornati a casa, e lui poteva finalmente rilassarsi… Nella Magione Van Dahl, Oswald poté finalmente prendere respiro. Era stata dura riprendere la quotidianità dopo dieci anni di prigionia al penitenziario Blackgate, e non per quello che riguardava i suoi ufficiosi, e poco legali, affari — quelli non aveva mai smesso di gestirli, neanche all’interno di Blackgate — no, il problema era costituito dagli affari ufficiali, aver a che fare in modo pulito con la burocrazia non era semplice; dimostrarsi un cittadino onesto, degno di fiducia era un lavoro impegnativo, soprattutto quando sapeva che esistevano metodi più veloci e soddisfacenti.
Oswald entrò nella vasca, ne aveva davvero bisogno, un calice di vino rosso e tanta, tantissima schiuma.
Trovare degli ottimi barman, quella mattina, non era stata una passeggiata… Andare a controllare di persona l’andamento di un trasferimento nel pomeriggio poteva essere semplice, se dopo non avesse saputo che Batman era sulle tracce del contrabbandiere con cui Oswald s’era messo in contatto… Indire una riunione straordinaria con tutti i suoi collaboratori era stato di vitale importanza… E per finire, la festa che aveva organizzato, dietro preghiere e compensi da parte di Harley e Jeremiah, per il nuovo arrivato, che nuovo non era, ma s’era fatto una certa nominata… Quella era stata la ciliegina sulla torta…
Ma sembrò che qualcuno avesse scagliato una maledizione su Oswald quel giorno, perché la sorpresa più grande ed inaspettata arrivò quella sera, mentre Oswald si stava godendo un bel bagno caldo.
Mentre si stava insaponando il braccio sinistro, guardò per pura routine il polso, abituato com’era a vedere diversi numeri che scorrevano inesorabilmente, ma fu con orrore, gioia, sorpresa, rabbia, stupore e panico che vide due cifre ferme sul polso.
Un doppio zero.
Oswald non riuscì a fermare le lacrime che cominciarono a formarsi, riuscì a tapparsi la bocca per sopprimere un urlo liberatorio. L’aveva incontrata! L’aveva finalmente incontrata! Oddio! Ma perché non s’era accorto prima? Perché non aveva guardato il polso ogni tanto, come faceva ogni santissimo giorno?! Perché era dovuto capitare in un giorno in cui era indaffarato! Chi era? Chi diavolo era?! Il suo cuore non avrebbe retto un simile stress, se lo sentiva martellare furioso contro il petto, come a ricordargli della mancanza che aveva appena commesso!!! Oddio! Oswald l’aveva promesso alla sua amata madre che avrebbe sempre fatto caso al suo timer, perché non voleva perdere l’occasione d’incontrare la sua anima gemella! Ma l’aveva persa!!! Come un imbecille!!! Oddio! Oddio! Oddio!! Oddio!!! ODDIO!!!

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Oswald Cobblepot s’era svegliato, doveva essere pronto per tante riunioni che aveva in tutta la mattina.

Controllando l’ora, vide che mancavano pochi minuti alle nove. Stranamente, dopo essersi lavato e vestito, Oswald non si fermò al tavolo dove numerose leccornie lo attendevano. In mente aveva una sola meta.

Una macchina nera era già pronta per lui.

“All’Iceberg”, ordinò all’autista. “Immediatamente”.

La macchina partì a tutta velocità, ma per Oswald andava troppo lenta. I palazzi di Gotham si susseguivano con troppa tranquillità, al contrario del suo cuore, il quale batteva con foga. Quella notte Oswald non aveva dormito bene, s’era girato e rigirato tra le lenzuola come un adolescente, immaginando chi fosse la sua anima gemella. Temendo d’aver combinato un disastro. Doveva assicurarsi che non fosse successo l’irreparabile. Non se lo sarebbe mai perdonato, altrimenti.

Appena la macchina si fermò davanti al suo locale, Oswald scese immediatamente ed entrò in tutta fretta, senza degnare gli altri di uno sguardo. Nemmeno Zsasz, che si stava avvicinando con aria sardonica per salutarlo.

“Hola, Boss!”

A malincuore, Oswald dovette fermare la sua corsa: se Zsasz s’era avvicinato, probabilmente c’era una buona motivazione dietro.

“Cosa c’è?”

Zsasz cominciò ad osservarlo meglio; fu con un sorriso, che gli evidenziò appena le rughe ai lati della bocca, che rispose:

“Il pacco arriverà nel pomeriggio.”

“Ti sei occupato dei testimoni?”

“Appena torneranno con il carico.”

Oswald annuì, soddisfatto. Non amava disfarsi di ottimi collaboratori, ma li aveva sentiti parlare di una trappola a suo danno. Chiunque osava tradire la sua fiducia era un uomo morto.

Oswald guardò Zsasz per un momento.

“Tienimi aggiornato. Voglio essere presente quando ciò avverrà.”

Zsasz annuì ma, invece d’andare via, rimase lì a fissarlo negli occhi. Più il contatto visivo continuava e più Oswald sentiva il naturale bisogno di avvampare dalla rabbia. Con un tirato sorriso a labbra strette, riuscì a domandargli.

“C’è altro?”

“No, Boss.”

“Allora è il caso che tu mi faccia passare.”

Pur sapendo che i suoi toni minacciosi erano inutili con Zsasz, Oswald li utilizzò lo stesso. Appoggiato al suo ombrello, drizzò la schiena e alzò leggermente la testa per poterlo guardare dall’alto in basso, dimostrando che stava facendo sul serio.

Zsasz, senza commentare, fece un sorrisetto e si scostò, permettendo ad Oswald di passare.

“Vederla, per la prima volta, provar paura è strano, Boss.”

Il commento ebbe l’effetto di fermare Oswald nel bel mezzo della sua camminata, di fargli stringere con forza il manico dell’ombrello e di mordersi le labbra. L’uomo sapeva che tutto ciò che voleva Zsasz era provocarlo. Contò fino a dieci, respirando profondamente. Deciso a mantenere la calma, Oswald riprese a camminare, sbattendo con più forza l’ombrello sul pavimento per mostrare il proprio disappunto.

“Mi devo occupare di faccende più serie, adesso. Non mi disturbare!”

“Certo Boss.”

La risposta di Zsasz sembrò tanto falsa, ma ad Oswald bastò. Una volta giunto in ufficio, Oswald alzò la cornetta del telefono e chiamò la sua segretaria.

Boss?

“Agatha, annulla tutti i miei appuntamenti per oggi.”

Devo dire loro qualcosa in particolare?

“Solo che ho avuto un impegno improvviso.”

Altro?

Le dita tamburellavano sulla scrivania, mentre Oswald si mordicchiò il labbro, indeciso sul da farsi. Le urla della sua prima cotta gli rimbombavano ancora nelle orecchie, dopo essere rotolato giù per le scale. Ricordava ancora la soddisfazione che aveva provato nel vederlo agonizzante, in fondo se lo meritava, ma l’idea d’aver fatto del male alla sua anima gemella inconsapevolmente lo stava logorando.

Boss?

Oswald rinvenne dai suoi pensieri, deciso ad andare avanti.

“Sì, devi fare una cosa per me, Agatha”.

Mi dica”.

“Fammi una lista di tutte le persone che ho incontrato ieri.”

Oswald cominciò a sentire i tasti del computer, Agatha aveva cominciato a lavorare. L’efficienza di quella ragazza era straordinaria. Pensò con un sorriso di doverle dare un piccolo aumento, così per premiarla.

Tutti i Suoi incontri?

“Ogni. Singolo. Incontro. Ne ho bisogno, Agatha, è...”

Diede un’occhiata al suo polso, rimanendo fisso sul doppio zero che era lì presente da meno di ventiquattro ore. Se avesse avuto l’altra mano disponibile, avrebbe accarezzato quei due numeri.

“Ho dimenticato una cosa, e non potrò continuare a lavorare senza.”

Ci penserò io, Boss.

“Grazie.”

Chiusa la chiamata, si prese qualche secondo per sfregarsi gli occhi. Aveva bisogno di un altro caffè il prima possibile. Quanto poteva essere stato stupido a non accorgersi d’aver incontrato la sua anima gemella?

Quante volte aveva immaginato questo momento. Era sempre stato un tipo sentimentale, l’aveva sempre considerato un vanto tenere alla famiglia. Aveva sempre protetto sua madre, tranne nel momento in cui ne aveva più bisogno, maledetta Tabitha. Aveva vendicato suo padre, prendendosi la vita di quella strega e di quei due viziati. E aveva protetto Martin con tutto sé stesso, come un padre doveva fare, come suo padre aveva fatto quando Grace l’aveva accusato d’essere un serial killer. Oswald s’era sempre immaginato d’essere un amante romantico, pronto a ricoprire di regali e attenzioni la sua anima gemella. Quand’era ragazzo, s’immaginava addirittura di portare la sua metà nella zona più bella di Gotham, senza farsi vedere dalle guardie, ammirare l’alba mano nella mano e promettersi di non lasciare mai il fianco dell’altro. Così come s’era immaginato essere pronto a qualunque cosa pur di difendere la sua anima gemella.

E invece, eccolo lì a sperare di non aver combinato alcun disastro. Il giorno prima, infatti, durante un incontro per affari illeciti, era scoppiata una piccola sparatoria, irrisoria se considerava la battaglia che aveva avuto contro Bane a fianco di Gordon, Bullock e poche altre persone. Ma aveva ucciso delle persone e la sola idea che una di loro poteva essere la sua anima gemella era troppo. Questa era qualche vendetta di tutti quei bastardi che aveva ucciso nella sua vita.

Qualcuno bussò alla porta, e Oswald pregò che non fosse Zsasz.

“Avanti”, disse, sapendo già che era Agatha. Era forse l’unica che non era stata minacciata d’aspettare il suo permesso prima d’entrare nel suo ufficio.

La segretaria, infatti, dopo un leggero inchino gli consegnò un plico di fogli.

“Ecco, Boss. Ci sono tutte le riunioni che ha avuto ieri.”

Oswald prese il plico, lanciandogli una rapida occhiata, annuì e lo posò sul tavolo.

“Devo fissare un incontro con la Dottoressa Queen?”

“Non è necessario”, Oswald chiuse immediatamente la questione. Se Harley, o qualcun altro il cui silenzio non poteva essere comprato, avesse saputo che aveva trovato la sua anima gemella, sarebbero stati guai, e lui sarebbe stato alla mercé di tutti.

“Puoi andare, Agatha. Se ho bisogno di qualcosa ti faccio sapere.”

La segretaria annuì e lasciò l’ufficio. Oswald si aggiustò sulla sedia, tornando a guardare il plico. Con un po’ d’esitazione e le dita tremanti, cominciò a leggere il plico, vedendo i volti di persone che aveva avuto già modo d’incontrare in passato, persone che aveva visto solo il giorno prima per la prima volta, e persone la cui vita era terminata per mano sua, o dei suoi uomini.

D’istinto, Oswald prese il telefono e digitò un numero. Aspettò che dall’altra parte rispondesse e, non appena premette il tasto verde, cominciò a parlare risoluto.

“Ho un altro lavoro per te, Zsasz.”

Di cosa si tratta?

“Ho bisogno che tu scopra se le persone uccise ieri avevano già incontrato la loro anima gemella.”

La risatina di Zsasz non aiutò i suoi nervi a rimanere calmi.

Forse questo è un lavoro più da Detective. Sicuro che non devo chiedere a Gordon o a Batman di controllare?

“Abbiamo un accordo, Victor. Non mi interessa come svolgerai il lavoro, fatti aiutare dal tuo caro Alvarez, tortura gli informatori, fai quello che più ti pare e piace. Ho bisogno di sapere quello che ti ho chiesto nel più breve tempo possibile.”

Probabilmente s’era lasciato sfuggire qualcosa di troppo, se ne rese conto troppo tardi quando Zsasz riprese a parlare.

Va bene, Boss. Ma non credo che abbia ucciso la tua anima gemella.

“Vai. Subito!”

Ok!

Poté immaginare il sorrisino di scherno sul volto di Zsasz mentre chiudeva la chiamata. Pensò poi che, tra tutti, probabilmente Zsasz era l’unico di cui non doveva sospettare un tradimento. Nonostante Victor lo chiamasse ancora ‘Boss’, poteva essere considerato un alleato nel gestire la malavita di Gotham, quello che dava meno problemi, almeno.

Come Zsasz aveva indovinato i suoi pensieri, Oswald non seppe spiegarlo, ma questa era una delle sue tante stranezze che Oswald non si spiegava ma che accettava ugualmente.

Nonostante quanto detto da Victor, non riusciva a togliersi quel timore. Poche volte era successo che una delle due anime gemelle uccidesse inconsapevolmente l’altra, e la devastazione che seguiva la realizzazione era sempre troppa da sopportare.

Ripensò a quando, da bambino, la madre gli raccontava la storia dietro il conto alla rovescia che tutte le persone avevano, fin dalla nascita, tatuato sul polso. Un conto alla rovescia che terminava quando s’incontrava la propria metà. Gertrude era solita raccontargli di come il suo timer aveva scoccato il doppio zero quando aveva incontrato suo padre, un ragazzo elegante e gentile, di buone maniere, un vero gentiluomo.

La madre gli raccontava con così tanta passione che Oswald desiderava incontrare la sua anima gemella il prima possibile. La sua prima cotta era stato quel ragazzo che aveva spinto giù per le scale, dopo che gli era stato urlato che nessuno avrebbe amato uno come Oswald. A malincuore, c’era stato poi Jim Gordon, una fissa iniziata quando lui era ancora il portaombrelli di Fish e che aveva fatto ogni tanto ritorno, come un viandante che cercava riparo sempre sotto lo stesso ponte dissestato, solo perché lo conosceva come le proprie tasche.

Lo stato malinconico venne interrotto da un bussare della porta e, senza attendere la risposta di Oswald, Agatha s’affacciò, con un’espressione colpevole e mortificata.

“Mi scusi, Boss, per interromperla.”

Oswald sospirò, provando a cacciare via il malumore.

“Cos’è successo, Agatha?”

“Ho cercato di trattenerla, ma —”

Una risata femminile interruppe la segretaria e due iene entrarono nell’ufficio di Oswald, prendendo posto sul divano in pelle.

Oswald strinse i braccioli della sua poltrona, non era il caso di parlare con Harley.

Ahimè, la ragazza entrò, masticando rumorosamente una gomma.

“Heilà! Come sta il mio uccellino preferito? Qualche postumo dalla sbornia?” gli fece l’occhiolino, sedendosi davanti a lui.

Oswald fece un leggero cenno alla segretaria di tornare alla sua postazione, si sarebbe occupato lui dell’intrusa improvvisa, cominciando con l’accoglierla con uno sguardo glaciale.

“Harley”, scandì bene il nome, pronto per farle una ramanzina. “Quante volte ti ho detto di non portare le tue iene qui da me?!”

“Ma sono carinissime, non le vedi?” la ragazza si voltò, osservando con occhi innamorati i suoi due cuccioli che avevano cominciato a sbranare un cuscino, cosa che anche Oswald notò.

“Sì, certo, adorabili… Cosa sei venuta a fare? Non lo vedi che sto lavorando!”

“Oh, anch’io!” disse innocentemente mentre prendeva una penna e la posava in equilibrio tra il labbro superiore e il naso.

La confessione di Harley fece insospettire Oswald, già pronto a difendersi.

“Cosa intendi dire?”

Harley, da sola, poteva essere anche una brava ragazza, ma l’amore per Jeremiah poteva farla diventare imprevedibile e pericolosa.

“Niente di particolare. M’annoiavo e sono venuta qui per vedere come stai.”

Oswald osservò meglio la ragazza, provando a leggere quali erano le sue vere intenzioni.

“Ci siamo visti ieri, Harley.”

La ragazza allungò le gambe per stiracchiarsi, per poi accavallarle. “Proprio per questo sono qui”, gli rivelò, appoggiandosi sulla scrivania per guardare Oswald con aria cospiratrice. “La sbornia non è mai una bella cosa.”

Oswald si mise a ridere, sfidando la ragazza. “La mia salute è qualcosa che non ti riguarda, Harley. E poi, se chiami quei due bicchieri che ho bevuto ‘sbornia’, fai capire che non frequenti questi posti da tanto tempo.”

Harley, a discapito d’essere ripresa, sorrise ed inclinò la testa. “Mi hanno detto che le tue feste erano uno sballo. Le migliori in assoluto.”

“È stato così?”

“Decisamente”, dichiarò melliflua. “Così com’è stato divertente quando ti sei dovuto confrontare col nuovo arrivato.”

D’accordo: Oswald s’aspettava tutto, tranne che parlare con Harley di quell’individuo.

“È solo uno che vuole attirare l’attenzione di Gordon e Batman. Un po’ come tutti voi.”

“Non vuoi mettere fuori gioco anche tu il Cavaliere Oscuro?”

“Finché quel Pipistrello e Gordon stanno lontani dai miei affari, non li considero una minaccia e, in caso contrario, sarò ben lieto d’accoglierli.”

Gli occhi di Harley s’illuminarono di una luce diabolica.

“Eddie può essere pericoloso. Lo sai chi aveva incastrato Gordon per metterlo in gattabuia?”

Oswald non poteva dimenticarlo. Ricordava ancora il senso di soddisfazione nel sapere che Jim era rinchiuso dentro Blackgate, dopo il grande favore che gli aveva fatto per coprirgli l’omicidio di Theo Galavan. S’era sempre domandato chi fosse stato il diavolo che era riuscito a farlo rinchiudere.

La frase di Harley gli fece realizzare chi fosse il responsabile. E il suo viso mutò espressione: lentamente, voltò lo sguardo sbalordito verso la ragazza, che sorrideva sotto i baffi. Un diavolo in verde, vestito in maniera troppo vistosa, con un imbarazzante hobby per gli indovinelli era riuscito a mettere scacco matto Gordon?

Lui?!

Harley annuì, alzandosi per andare sul divano ed accarezzare la testa di una sua iena.

Com’era possibile? Non c’erano alcune prove che fosse stato Gordon ad uccidere Galavan, aveva pensato personalmente a far ripulire la scena del delitto, in modo da far credere tutti che fosse stato lui il colpevole.

“Selina deve averti mangiato la lingua”, si mise a ridere Harley. “Pengy, grande oratore, è rimasto senza parole. Bisogna chiamare Gotham Gazette!"

Stupore a parte, Oswald cominciò a pensare. Poteva essere un buon alleato? Poteva essere un’ottima pedina per tenere occupati sia Jim che Batman?

“Quando il mio pulcino preferito rimane in silenzio, la situazione comincia a divertirsi. Hai qualcosa in mente?”

Oswald sorrise malefico per poi alzarsi dalla poltrona. Si diresse verso Harley, notando qualcosa dei segni violacei e rossi sui polsi della ragazza.

“Penso che non sono interessato. Invece, potrebbe essere perfetto per te. Da quello che ho visto ieri sera, è uno a cui piace disseminare caos.”

"Naaah, Eddie non è come il mio Pudding.”

“Per un attimo pensavo che volessi sostituirlo a Jeremiah, sai, divertirti con lui.”

Harley si mise a ridere, scuotendo la testa, con le due code che tintinnavano da una parte all’altra.

“Eddie è divertente, ma è solo un amico. E poi, si veste troppo di verde.”

Oswald abbassò lo sguardo, ringraziando gli spiriti dei suoi genitori che Ivy non fosse presente ad ascoltare la loro conversazione.

“Beh, è un peccato che non ti piaccia il verde”, disse, sperando che la ragazza capisse. Oswald notò le gote di Harley farsi leggermente rosate, mentre gli occhi cominciarono a brillarle.

“Che intendi dire?”

Nonostante fosse contrario, aveva promesso ad Ivy di non dire la verità ad Harley, così doveva mantenere il segreto. Ma non poteva sopportare l’idea di vedere una ragazza come Harley maltrattata, e cercava in tutti i modi di farle capire il segreto di Ivy, senza dirglielo apertamente. Tutta per colpa del suo animo romantico.

Per sviare l’attenzione su un altro aspetto del loro discorso, Oswald indirizzò la punta dell’ombrello verso i polsi di Harley, lì dove c’erano dei lividi.

“Intendo dire che sta esagerando.”

Harley abbassò lo sguardo, rivolgendosi verso i suoi polsi, e si mise a ridere con una punta d’amarezza.

“Sai com’è fatto il mio Pudding.”

“Certo, che lo so, è più folle del gemello. Per questo spero che prima o poi tu possa —”

Oswald venne interrotto dalle risate genuine di Harley, che saltò giù dal divano e s’avvicinò ad Oswald.

“Non voglio rovinare il rapporto che ho con il mio Pudding. E poi Eddie ha già la sua anima gemella.”

“Che —”

Harley gli scoccò un sonoro bacio sulla guancia paffuta, per poi pizzicargliela giocosamente.

“Ma è sempre bello vedere mamma chioccia che si preoccupa per i suoi pulcini.”

Non trascorse nemmeno un minuto prima che Oswald esplodesse dalla rabbia, cominciando a strepitare e a maledire il giorno in cui non aveva deciso di lasciarsi Gotham alle spalle, dieci anni prima, il tutto condito con le risate della ragazza. Il delizioso siparietto venne interrotto, però, dal bussare della porta. Era nuovamente Agatha.

“Boss. Domando scusa. C’è stato un inconveniente al molo.”

La frase attirò l’attenzione dei due. Harley sgranò leggermente gli occhi, mentre il sorriso divenne più plastico. Oswald, invece, se prima era infastidito dalle illazioni di Harley, in quel momento cominciò a lanciare sguardi taglienti.

“Che tipo d’inconveniente?”

La segretaria si torturò un secondo le mani, cominciando a temere la reazione di Pinguino. Il suo atteggiamento, però, non aiutò a dissipare la crescente irritazione del suo datore di lavoro.

“AGATHA!”

Quell’urlo risvegliò la ragazza, che sussultò appena.

“Sì, Nate ha detto che Francesco e gli altri non si sono presentati. Quando si stava avvicinando al molo, ha visto che c’era la GCPD sul posto. C’era anche il Detective Gordon.”

Oswald inalò profondamente. Avere la GCPD tra i piedi era la normalità. Avere Gordon alle calcagna poteva essere un problema. Avere il Pipistrello che lo seguiva come un’ombra era una spina nel fianco. Riaprì gli occhi risoluto, si diresse verso la scrivania e prese il cappello e il monocolo, esortò con un’occhiata Harley ad andare via, portandosi dietro le sue due iene, e si diresse verso l’uscita, dove Zsasz lo stava già aspettando fuori dalla macchina.

Una volta entrato, la macchina si diresse a gran velocità verso il molo. Questa non ci voleva, pensò: se la GCPD e Batman avevano trovato il suo carico, rischiava di perdere dei clienti che poi avrebbero scelto altri fornitori.

“Hai scoperto se avevano incontrato la loro anima gemella?”

“No, Boss.”

La situazione non migliorò.

“E che avresti fatto, tutto questo tempo?”

Zsasz scrollò le spalle, completamente indifferente alla crescente irritazione di Oswald.

“Lucidavo la pistola.”

“Tu — tu ha-hai perso tempo a lucidare una pistola, invece di —”

“La tua anima gemella non era uno di loro.”

Oswald non aveva idea se ridere o urlare dalla disperazione.

“E come faresti a saperlo, di grazia?” sbatté un paio di volte le ciglia, fingendo un’innocenza che non provava in quel momento.

Zsasz continuava a guardare fuori dal finestrino. “Quando hai ucciso l’ultimo uomo, avevi le maniche della camicia arrotolate, per paura che si sporcasse. Il tuo timer doveva ancora azzerarsi. Quindi, nessun problema, Boss. La tua anima gemella è sana e salva.”

Oswald tirò un sospiro di sollievo che non pensava di star trattenendo; un problema in meno. Anche se questo contrattempo della consegna non ci voleva. Chi diavolo aveva cantato alla GCPD?

La macchina si fermò a pochi metri dal nastro giallo della squadra omicidi. Oswald aggrottò le sopracciglia, domandandosi cos’era andato storto durante la consegna. E, soprattutto, doveva rimediare al disastro economico in cui era appena caduto: avrebbe dovuto escogitare un piano per riprendersi quello che era suo.

Scese dall’auto, notando immediatamente due cadaveri, le cui teste erano schiacciate da un container. Oswald vide la figura di Gordon che parlava con Bullock. Per quanto la voglia di dirigersi dai due fosse tanta, Oswald ragionò che era meglio non farsi vedere, non per il momento, sarebbe stato il primo indiziato, conoscendo entrambi.

Inoltre, appena si voltò per dire qualcosa a Zsasz, fece caso ad un ragazzino che lo stava fissando impaziente. Aveva le mani bene in vista, davanti al petto, e teneva qualcosa, troppo sottile per essere una pistola. Gli fece un cenno sbrigativo con la testa, e il ragazzo gli s’avvicinò.

“Ho una cosa per Lei, Mr. Penguin.”

Oswald adocchiò un foglio di carta tra le mani; lanciò un’occhiata a Zsasz — che colse il messaggio, pronto ad intervenire — e prese il foglio di carta, spiegazzato. Con la coda dell’occhio notò il ragazzo andarsene.

Con estrema calma l’aprì, trovandovi all’interno non una minaccia di morte, o la richiesta di un qualche riscatto… Nemmeno delle indicazioni per riavere indietro il proprio carico. Niente di tutto questo, solo un indovinello, scritto con una penna verde e una calligrafia asimmetrica e disordinata.

Appartengo alla Terra, ma non sono fatto di terra. Troverai in me settemila molecole d’acqua, ma non appartengo né al cielo né al mare. Cosa sono?

“Cosa sarebbe?” gli chiese Zsasz, sbirciando il contenuto del biglietto.

“Una presa in giro.” Oswald accartocciò il foglio, respirando profondamente dal naso. Più ci pensava e più l’ira divampava. “Evidentemente, qui a Gotham, qualcuno non ha ben chiaro il concetto che non deve intromettersi nei miei affari.”

Zsasz lo guardò impassibile, solo un leggero sorriso pieno di consapevolezza e trepidazione gli increspò le labbra, mentre attendeva nuovi ordini.

“Victor.”

Oswald fissò Zsasz negli occhi, freddo, glaciale, con una punta di veleno nello sguardo che non attendeva altro che essere liberata come il più elegante e letale tra gli uccelli.

“Trovami Edward Nygma. Cercalo in ogni suo nascondiglio, in ogni casa dei suoi alleati. Voglio sapere dove si nasconde. E, una volta che l’avrai scovato, portalo da me.”

L’assassino sorrise, pronto per partire alla caccia dell’Enigmista.

“Vivo”, specificò Oswald. “Voglio essere io a privarlo del suo respiro.”

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Cinque minuti prima che la sveglia suonasse, Edward aprì gli occhi e li rivolse al soffitto. Prese un profondo respiro, concentrandosi sul riempire i polmoni d’aria, prima d’espirare lentamente.
“Quand’è successo?” domandò ad alta voce, sapendo che non era solo.

L’ombra era appoggiata alla parete, a braccia conserte, elegantemente vestita di un verde appariscente.
Puoi immaginare, l’altro ieri il timer era ancora in funzione.

Edward si mise seduto mentre si sfregava il viso, pensando a tutte le persone che aveva incontrato durante il party. Oh cielo, poteva essere chiunque!
“Com’è potuto capitare?” mormorò contro i palmi delle mani.

Semplice, ieri sera i vostri sguardi si sono incontrati, in mezzo a tutta quella folla, e badabim! Badabum! Il timer è scoccato! Ora ti resta solo capire chi è!
l’Enigmista s’aggiustò gli occhiali, sfoderando un sorriso strafottente.
In bocca al lupo!

“Tu lo sai chi è”, Edward gli puntò un dito contro.

L’Enigmista alzò gli occhi al cielo, aprì le braccia e fece una mezza giravolta; sembrava esasperato quando tornò a guardare Edward.
Certo che lo so! Credi che sarei così tranquillo se non lo sapessi?!

“Beh, allora dimmelo!”

L’ombra sorrise malevola e negò con la testa, iniziando a sfregarsi le mani.
E perdermi tutto il divertimento? Oh, Eddie… Sai benissimo che non è questo il nostro modo di giocare.

Edward non poté far altro che lanciargli un’occhiata di risentimento. Detestava essere tenuto all’oscuro di qualcosa, così come mal sopportava essere la pedina di qualcuno.

Voglio ricordarti che io non sono ‘qualcuno’. E poi —” l’Enigmista inclinò la testa da una parte all’altra, come se stesse scandendo i secondi che trascorrevano inesorabilmente — “puoi saziare finalmente la tua sete di conoscenza. Puoi incontrare la persona che il fato ha scelto per te. Puoi scoprire chi è quella persona che è veramente capace di vederci entrambi. Non sei curioso di conoscere la sua identità?

Edward rimase in silenzio per qualche istante, cominciando a pensare.
Fin da bambino, aveva sempre amato i puzzle, col tempo s’erano aggiunti gli scacchi, il cubo di Rubik, il sudoku, la matematica, gli indovinelli… Per fuggire dalla furia del padre, qualsiasi gioco mentale era apprezzato. Ma il puzzle più difficile, al quale non era riuscito ancora a dare una risposta, si trovava sul polso.
L’aveva studiato, le prime volte aveva anche provato ingenuamente a fare qualche domanda ai suoi genitori, pentendosene poco dopo. L’unica figura, che sembrava disposta ad aiutarlo, era la stessa ombra che in quel momento lo stava tentando a fare un altro dei loro giochi.
Edward non credeva nelle favole, in cui due persone erano destinate fin dal principio a stare insieme; eppure…
Eppure, non riusciva a zittire quella voce, quel desiderio e quella speranza che, da qualche parte, c’era qualcuno che poteva capirlo, poteva apprezzarlo, poteva vedere in lui quello che nessun altro era riuscito a scorgere prima…
L’uomo tornò a guardare l’ombra, la quale faceva fatica a contenere l’euforia, conoscendo già la risposta.
“Cosa devo fare?”

L’Enigmista batté le mani ed emise un grido di soddisfatta vittoria, avvicinandosi al letto con passi spediti; si chinò su Edward, sfoderando un sorriso predatorio.
A Nord e a Sud mi trovo, del pennuto imperatore io sono il covo. Cosa sono?

Edward abbassò lo sguardo per pochi secondi, giusto il tempo per risolvere l’indovinello. Ovviamente, il modo migliore per scoprire degli indizi era tornare sul luogo del delitto. Sospirò, alzandosi dal letto, con in mente un obiettivo: l’Iceberg Lounge.


Il locale appariva diverso, di giorno. Illuminati dalla luce che entrava dalle finestre, gli interni sembravano più confortevoli, familiari.

Edward si guardò intorno, notando come le divise dei dipendenti erano cambiate, meno provocanti e più eleganti. Anche la clientela era diversa, vi erano alcuni poliziotti della G.C.P.D., persone dall’aspetto ordinario… Tra questi, solo colui che Edward aveva identificato come il braccio destro di Mr Penguin spiccava, mentre lucidava la pistola, probabilmente si trovava lì per tenere d’occhio la situazione.
Prese posto su uno sgabello, lanciando qualche occhiata in giro per capire cosa doveva cercare. Nell’attesa d’individuare qualcosa, ordinò un frullato di kiwi. Fu mentre attendeva il frullato che sentì una conversazione interessante, due tavoli dietro di lui.

“Quando arriverà la consegna?”
“Tra un’ora.”
“Non vedo l’ora, così possiamo far vedere a quel bastardo che non può comandarci come più gli pare e piace!”

Edward sentì un verso strozzato, poi le tre voci presero a sussurrare. Le uniche parole che riuscì a cogliere furono “pazienti” e “trappola”.
Potrebbe essere la nostra occasione.
Trattenne l’istinto di lanciare un’occhiataccia alla sua destra, dove sapeva che l’Enigmista si sfregava il mento con fare pensieroso. No, lui si trovava all’Iceberg Lounge per trovare indizi riguardo la sua probabile anima gemella, non per interferire con i piani di un suo presunto collega, per giunta di Mr Penguin.
Puoi dimostrargli che facciamo sul serio, e che farebbe bene a non sottovalutarci.
Edward prese del tempo per riflettere…
L’idea d’essere considerato il miglior criminale in circolazione si fece strada nella sua mente, quando sentì una suoneria anni ‘80. Si voltò per vedere Zsasz rispondere al cellulare, mentre riponeva la pistola e s’avviava al piano superiore. Lanciò un’occhiata anche al tavolo dove i tre uomini continuavano a confabulare più tranquilli, ora che Zsasz s’era allontanato.

Quando i tre uomini s’alzarono dal tavolo, Edward prese a parlare, sorridendo come solo l’Enigmista avrebbe fatto.
“Perchè fermarsi a una semplice lezione a discapito del vostro capo, quando potreste fare di meglio?”

I tre uomini si fermarono e gli puntarono le pistole, facendo scattare la sicura.

Rise sornione e si girò, accavallando le gambe mentre si metteva comodo sullo sgabello. Era piuttosto sereno, in verità; si sentiva sé stesso, senza alcuna interferenza da parte di ombre maniache, eppure fiducioso, certo d’avere la situazione sotto controllo.

“Chi sei?”
“Cosa vuoi?”

Edward non si fece intimorire dalla loro ostilità. Peccato solo che non l’avevano riconosciuto.
“Mia moglie è molto temuta e il mio muovermi lento di certo non aiuta. Perciò divento matto, se mi tieni in scacco. Chi sono?”

“Di certo sei l’Enigmista.”

Annuì, fremendo dalla voglia di rispondere al proprio indovinello. “Vi arrendete?”

“Non abbiamo tempo da perdere con certi giochetti, abbiamo cose ben più importanti da fare.”
“Quindi levati dalle palle, prima che il locale venga imbrattato dal tuo cervello.”

Edward rise e, in un elegante gesto, scese dallo sgabello, avvicinandosi al gruppo con passi ben calcolati.

“Oh, lo so bene che avete da fare. Il vostro capo potrebbe essere orgoglioso della vostra dedizione alla causa”, respirò a denti stretti, facendo una smorfia scontenta.
“Peccato che non s’aspetti un vostro tradimento. Sarebbe alquanto scortese non avvisarlo, ora che ho avuto la conferma del vostro piccolo, minuscolo e, lasciatemelo dire, disastroso piano.”

Cominciò a domandarsi di cosa stesse parlando, perché stesse bluffando in quel modo, cosa c’entrasse tutto questo con la ricerca della sua anima gemella. Si rese conto che non erano questi i piani, e che si stava mettendo in un guaio enorme se osava ficcare il naso negli affari di Mr Penguin. Gli vennero puntate un paio di pistole. Iniziò a respirare affannosamente, il cuore cominciò a battergli forte contro il petto mentre con gli occhi cercava una possibile via di fuga. Fu in quel momento che Edward sentì ancora una volta la voce rassicurante e divertita dell’Enigmista, garantendogli che avrebbe continuato Lui il lavoro. Edward chiuse gli occhi, inspirando profondamente.

L’Enigmista sorrise sprezzante, riaprendo di scatto gli occhi ed alzando le mani in un teatrale e finto gesto d’arrendevolezza.
“Adesso che ho la vostra attenzione, possiamo parlare d’affari, no?”
Si mise a ridere, abbassando le braccia.
“Questa città è abbastanza grande, non credete? Vorrei avere un pezzetto della torta anch’io. Il vostro amatissimo Capo non è stato molto d’accordo, così… Perché non prendermi parte del suo regno, mh? Prenderlo e spartirlo con voi sarebbe un’ottima idea per iniziare.”

“E chi ti dice che vogliamo fare affari con te?”

L’Enigmista fissò quella povera mente che cercava di trovare un pretesto per ucciderlo. Si domandò perché certi individui volessero giocare a fare i professionisti, quando non avevano la stoffa, non erano dei geni come lui.

“Per favore, se non foste interessati, avreste già premuto il grilletto”, s’inumidì le labbra. “Con il mio intelletto potreste non solo distruggere il regno di Pinguino, ma diventare più potenti e temibili di lui.”

“E tu, in cambio, ne vorresti una parte?”

Musica per le sue orecchie, l’Enigmista si compiacque di come stava riuscendo a vendere della semplice aria. Aprì leggermente le braccia, mostrando che non era interessato al potere o a creare un mini regno.
“Desidero solo un piccolo spazio per riaprire la mia Riddle Factory, in memoria di quella che avevo nei Narrows, niente di più.”

I tre uomini si guardarono un momento, poi s’allontanarono appena per confabulare tra di loro.

L’Enigmista mise le mani davanti, fissando un punto di fronte a sé; desiderava ardentemente poter saltare dall’euforia, ma qualsiasi gesto avventato avrebbe messo in discussione la sua finta lealtà. Non poté però trattenere un ghigno soddisfatto.

I tre si voltarono, guardandolo, poi uno di loro gli fece un cenno con la testa, avviandosi fuori.

L’Enigmista cominciò a seguirli sfoderando la sua solita sicurezza, quando dovette fermarsi in mezzo alla strada.

Uno dei tre, quello che gli aveva fatto precedentemente il cenno con la testa, gli puntò di nuovo la pistola, mirando alla fronte.

“Scusa, amico. Sai, non vogliamo scoprire che ci stai fregando.”
“Non amiamo gli imbroglioni”, gli disse un altro, soffiandogli minaccioso.

“Oh, ma vi posso assicurare che sono dalla vostra parte.”

I due uomini si misero a ridere, contagiando l’Enigmista. Uno di loro gli poggiò una mano pesante sulla spalla, stringendo la presa.
“Chiamala una semplice precauzione, spilungone.”

L’Enigmista non fece in tempo a domandarsi dove fosse finito il terzo uomo: un dolore alla testa lo fece cadere a terra, e tutto il mondo divenne buio e silenzioso.


Cos’era duro, doloroso e che impiegava un po’ di tempo prima di tornare come prima?

Ridendo per la domanda alquanto equivoca, l’Enigmista desiderò portarsi una mano dietro la nuca per tastare il punto dolente, sicuro che sarebbe nato un bel bernoccolo, l’ennesimo, suo malgrado… Era mai possibile che tutti lo picchiavano sulla testa? Ahimè, sentì i polsi legati a delle manette. Era coinvolta anche qualcuno della G.C.P.D.? Oh, pensò l’Enigmista, sarebbe stato meraviglioso rivedere il vecchio Jimbo insieme a quell’esemplare, ancora vivo, di Neanderthal, conosciuto meglio come Bullock…

Finalmente, decise d’aprire gli occhi, vedendo che si trovava nel retro di un furgone, notò con piacere che i piedi non erano legati; con un sorriso l’Enigmista concluse che quei tre erano dei veri e propri incompetenti. Poteva Pinguino affidare certi compiti a gente del genere?
Un po’ a fatica, l’Enigmista prese una forcina che teneva sempre dietro i pantaloni e cominciò a lavorare con la serratura. I polsi gli dolevano, ma era un prezzo che era disposto a pagare.

Fuori si sentirono delle voci che si stavano avvicinando, l’Enigmista prese a lavorare più velocemente, nella speranza di liberarsi prima che qualcuno aprisse la portiera. Sentì un click, ma fu la portiera ad aprirsi, rivelando due uomini, uno con cui aveva già colloquiato all’Iceberg Lounge, l’altro con un cappello di una squadra di baseball.

“Oh, la spia s’è svegliata finalmente.”

L’Enigmista sorrise nonostante la situazione sfavorevole, felice che non c’era Edward al posto suo: si sarebbe agitato, in una simile situazione, e per entrambi non sarebbe finita bene.

“Occupati di lui, mentre io torno ad aiutare gli altri.”
L’uomo con cui non aveva parlato all’Iceberg gli afferrò l’avambraccio, trascinandolo fuori.
“Cammina, spilungone!” gli disse puntandogli una pistola.

L’Enigmista prese a camminare, osservandosi intorno. Una gru era ancora in funzione, trasportando alcuni container dalla nave a terra. Opposti alla gru, cinque uomini stavano terminando di mettere su un furgone delle casse di legno. Nessun controllo, neanche un segno di Batman, Pinguino aveva organizzato bene la transazione, se non fosse stato per quelli che volevano pugnalarlo alle spalle. Mentre l’Enigmista pensava ciò e tentava di liberarsi dalle manette, venne guidato alla fine del molo.

“Vediamo se riesci ad indovinare chi farà presto compagnia ai pesci.”

I garriti dei gabbiani coprirono il leggero rumore delle manette che si aprivano, ma l’Enigmista era alla disperata ricerca di un diversivo. Agire senza un piano premeditato non era una sua specialità. Guardò il fiume sotto di lui, quando la sua brillante mente ebbe un’idea geniale…

Una folata di vento fu il segnale per l’Enigmista di compiere quel salto, mentre l’uomo, distratto dal tenere il cappello, s’accorse troppo tardi di quello che stava succedendo. L’Enigmista venne accolto dalle acque gelide del fiume, mentre sentì degli spari ovattati, evidentemente l’uomo stava sparando. Adesso che era libero, l’Enigmista cominciò a nuotare, doveva recuperare il furgone prima che quelli potessero mettere in atto il piano contro Pinguino. Il freddo gli pungeva le membra, tanto da fargli ricordare quando Edward aveva deciso di farsi congelare dal Dottor Freeze. Ovattati dal rumore dell’acqua c’erano delle voci che urlavano concitate, probabilmente erano gli uomini che lo stavano cercando.
In mezzo all’acqua maleodorante e sporca, l’Enigmista notò una scaletta di ferro alla sua destra, s’avvicinò a grandi bracciate e salì, sentendo come quei soggetti erano impegnati a sbrigare l’operazione il prima possibile, prima dell’arrivo di qualcuno.

“Eccolo!”

L’Enigmista divenne il bersaglio delle loro pistole, si nascose dietro un container, ma sapeva che doveva andare via da lì il prima possibile, altrimenti sarebbe diventato un reticolato umano. Maledì Edward per non aver capito un accidente. L’Enigmista diede una veloce occhiata intorno a sé, la gru attirò la sua attenzione, ma doveva fare un po’ di strada per raggiungerla, considerando i proiettili di quelli che lo volevano uccidere. Doveva trovare un diversivo, e al più presto!

Un rombo lo fece voltare alla sua sinistra e vide il furgone carico di scatole venirgli incontro a gran velocità. Ancora una volta, maledì Edward per non aver preso il bastone, sarebbe stato utile in quel momento. Il cuore cominciò a battere violentemente contro il petto, ma l’Enigmista doveva occuparsi d’altro, contare i secondi giusti per spostarsi all’ultimo momento. Ogni secondo era necessario, un calcolo sbagliato non era accettabile, l’Enigmista contò fino a cinque e con un salto schivò il furgone, il quale andò a sbattere dopo pochi metri, facendo perdere i sensi al conducente.

L’Enigmista ne approfittò immediatamente, tirò fuori il conducente e cominciò a guidare, disinteressandosi di passare sopra il corpo con le ruote del furgone, si concentrò ad evitare i proiettili che gli stavano sparando. Da una parte pensò d’andare via, lasciandoli senza carico per subire l’ira di Pinguino, tuttavia un inconscio prurito al polso lo fece desistere, costringendolo a maledire anche sé stesso!

Virò a destra, sorprendendo gli altri uomini che continuarono a sparargli contro fino all’ultimo, prima di spostarsi per non essere investiti. L’Enigmista si diresse verso la gru, pronto a disfarsi della maggior parte di quegli uomini. Una volta fermato il furgone, l’Enigmista cominciò a salire sulla gru, ben consapevole d’essere un facile bersaglio. I proiettili lo sfioravano, un freddo dolore gli attraversò il braccio, ma non ci badò.

Giunto in cabina, l’Enigmista osservò per pochissimi istanti le manopole e i pulsanti, decretando che non c’era niente di più facile per una brillante mente come la sua. Azionò il motore e iniziò a muovere le due leve, trovandosi faccia al fiume, con il carico penzolante. D’accordo, ora era davvero pronto!
Riprese ad armeggiare la gru, mirando gli uomini, divertendosi per il senso d’onnipotenza che stava provando. Era come giocare col braccio meccanico per prendere un peluches, o giocare con delle formiche, pronto ad ostacolare loro il cammino. Li stava guidando con la gru per bloccarli in un vicolo cieco.
“Ambarabà ciccì coccò, chi cadrà oggi dal comò?”

L’Enigmista stava cercando il pulsante per rilasciare il carico, ma le sirene in lontananza attirarono la sua attenzione.
“Accipigna!”
Nella fretta di scendere dalla gru, premette accidentalmente un pulsante rosso, che si rivelò essere quello giusto: mentre scendeva e riprendeva il furgone, l’Enigmista sentì delle urla e un tonfo metallico; non ebbe tempo d’ammirare il suo operato, si limitò a lasciare un suo biglietto da visita, così da prendersi il merito, accese il motore e scappò con la refurtiva.

Mentre guidava, tentò di recuperare il cellulare, quegli idioti non avevano neanche pensato di perquisirlo… Che incompetenti! Nel farlo, però, si rese conto d’essere ferito alla spalla. Maledizione, era costretto a fare una sosta, prima di mettere al sicuro il furgone.

Il telefono prese a squillare.

Eddie, tesoro! Non è da te svegliarti così tardi”, la frase terminò con una risata.

“Se è per questo, Eddie è tornato a dormire.”
L’Enigmista dovette aspettare qualche secondo prima di ricevere una risposta.

Tesoro, era da tanto che non sentivo la tua voce, cos’è successo?

“Ho un affare per te, solo per te, Harley. Ci stai?”
Poté immaginare la sua espressione imbronciata, mentre inspirò per il dolore alla spalla.

Fatti controllare da Doc, mi raccomando.

“Stavo pensando di farlo, saranno contenti di rivedermi.”
Sentì Harley sbuffare divertita.

Va bene, cosa vuoi?

Quanto adorava questa ragazza!
“Cos’è bianco, nero e viola?”

La risata grassa di Harley ebbe l’effetto di contagiarlo.
Ozzie è un tipo che non vede di buon occhio le novità. È più… Tradizionale, sotto questo punto di vista.

“Ed è per questo che ho intenzione di fargli vedere le migliorie che può apportare all’interno del suo Iceberg Lounge, ma ho bisogno che qualcuno lo tenga impegnato.”

Quanto?

“La metà, è un bel gruzzoletto!”

L’Enigmista sentì Harley pensarci un po’ su, per poi schioccare la lingua.
Le mie iene sentono la mancanza di Ozzie.

Prima che Harley potesse ricordargli d’andare a far visita a Lee, l’Enigmista chiuse la chiamata, aveva ancora molto da fare.


Edward venne svegliato da un dolore lancinante alla spalla, se la toccò e la trovò fasciata.

“Cos’è successo?”

Oh, niente che la tua adorata Lee non sapesse curare.
L’Enigmista osservava con attenzione Edward, seduto elegantemente sul davanzale della finestra; sembrava come in attesa di qualcosa.

“Lee mi ha curato?”

Dopo una cospicua somma di denaro, in cambio del suo silenzio, cosicché non parlasse col suo maritino adorato… Sì. Devo ammetterlo, nonostante il nostro passato, ancora tiene al sottoscritto.

Edward s’annotò mentalmente di chiamare Lee e ringraziarla.

“Cos’hai fatto? Io —” Edward provò ad alzarsi dal letto, cominciando a rendersi conto che si trovava in uno dei suoi rifugi, quello di cui s’era liberato appena evaso da Arkham perché era il più conosciuto dalla G.C.P.D. — “Ricordo che mi trovavo all’Iceberg Lounge e…”

Rilassati! Vedrai che presto ti sarà tutto più chiaro… Voglio sperare…

“Perché mi trovo qui?! Avevo dato via questo posto!”

L’Enigmista sospirò esasperato, mentre alzava lo sguardo al soffitto e faceva cadere letteralmente le braccia lungo i fianchi.
Sarà più difficile del previsto…” Edward gli lanciò un’occhiata offesa e risentita, ma l’Enigmista non ci badò, piuttosto saltò giù dal davanzale e prese ad avvicinarsi ad Edward, unendo le mani di fronte al petto, inspirando profondamente.
Ora, magari la cosa ti sembrerà troppo complicato, ma sappiamo benissimo il perché. Ho un piano. E questo piano può portarci un enorme beneficio!

“E cosa c’entra il tuo piano con questo?” mise tantissima enfasi nell’ultima parola, alzando il braccio sinistro per rimarcare il fatto che lui aveva un timer che era terminato, eppure ancora non sapeva l’identità della sua anima gemella.

L’Enigmista sorrise intenerito, indovinando i turbamenti della sua controparte.
Quello —” indicò il polso di Edward — “è solo un innocuo puntino, rispetto al progetto che ho in mente. Niente di cui preoccuparsi,” scrollò le spalle come se la cosa non fosse anche un suo problema.

A quell’affermazione, Edward venne colto da un impeto di rabbia, s’alzò dal letto e cominciò ad urlare.
“Tu mi hai mentito!”

Cosa posso farci, Eddie? Sono parte del tuo subconscio, dico solo la verità, sei tu che travisi le mie parole.

“Avevi detto che sarei dovuto andare all’Iceberg Lounge per trovare questa persona!”

L’Enigmista stava per controbattere, ma appena aprì la bocca ci ripensò e scelse di contrattaccare in un altro modo.
Veramente, quello non l’ho specificato, l’hai dedotto te, ma hai sempre mostrato di non brillare d’intelligenza. Non ti resta che fidarti di me.

“Come mi sono fidato di te con Isabella? O con Lee?”

Gli occhi dell’Enigmista s’allargarono, mostrandosi offesi per l’ingratitudine che stava ricevendo. L’ombra si portò una mano al cuore e finse dolore.
Così ferisci i miei sentimenti, Eddie. Quante altre volte devo ripeterlo? Se tu desideravi essere ucciso dalla cugina della tua amata rossa, beh, io preferivo vivere. E con Lee sai benissimo che non sarebbe funzionata: è in gamba, ma non è mai riuscita a vederci per quello che io e te siamo veramente. Ma sarebbe il caso che riprendiamo quest’interessantissima conversazione un’altra volta. Poni attenzione, piuttosto, a chi sta per arrivare.

Automaticamente, Edward si voltò verso la porta d’ingresso, ricordando come, un decennio prima, la polizia avesse fatto irruzione per arrestarlo e rinchiuderlo ad Arkham.
“Di cosa stai parl—”

Venne interrotto da un bussare alla porta, seguito dal silenzio. Edward ragionò che Jim era solito bussare ed urlare in seguito la sua tipica frase, ‘G.C.P.D.’, quindi le opzioni che rimanevano erano due: Jim era troppo impegnato per occuparsi di lui ed aveva mandato una nuova recluta, ancora inesperta – e qui il suo orgoglio cominciò a reclamare vendetta, perché lui non era un inetto criminale, per cui bastava una misera recluta per metterlo fuori gioco! Oppure, opzione due: la proprietaria s’era accorta che era riuscito ad entrare ed era venuta per cacciarlo.

Alla porta rimbombarono altri tre colpi, un po’ più impazienti questa volta, seguendo un ritmo diverso dal precedente. Dedusse che fuori c’erano almeno due persone e ne ebbe la conferma quando sentì un chiacchiericcio indistinguibile dall’altra parte. Edward, non avendo altra scelta, s’avviò ad aprire la porta, maledicendo l’altro Edward per non avergli suggerito di portare con sé il bastone e per averlo messo nei guai, qualsiasi essi siano stati.

Appena aprì la porta, venne accolto da una pistola puntata contro di lui.

“Sembra che non sia il tuo giorno fortunato, fagiolino.”

Edward spostò lo sguardo per vedere oltre la pistola due occhi neri che lo scrutavano divertiti. Lo riconobbe immediatamente, il braccio destro di—

“Bene, bene, bene. Edward Nygma, giusto? O preferisci che ti chiami Enigmista?” una risata canzonatoria a labbra strette attirò l’attenzione di Edward, dove due occhi verdi contornati dal mascara lo stavano fissando con una furia travestita da galanteria.
“Immagino non ci sia bisogno di dire per quale motivo io sia qui.”

Edward tornò a guardare la pistola, alla quale se ne aggiunse una seconda. Cominciando ad avvertire il proprio battito cardiaco accelerato, i respiri corti, la vista periferica offuscata e le sue estremità tremare, Edward si chiese cos’aveva combinato l’altro Edward per far infuriare il Signor Pinguino.

“Oh cielo…”

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Edward ed Oswald si studiarono, uno in preda ad una crisi e l’altro completamente a suo agio. D’altronde, Oswald sapeva d’avere quell’effetto sulle persone, anche su quelli che dichiaravano d’essere geni del crimine. Il Signor Nygma, a suo parere, non faceva alcuna eccezione.
Ridendo dell’uomo che aveva di fronte, con gli occhi spalancati e la mano che teneva saldamente la porta, come fosse un’ancora, Oswald fece finta di ricordarsi della presenza di Zsasz; aprì la bocca mormorando un “Oh” da manuale, per poi voltarsi un secondo per indicare il suo braccio destro.

“Non fare caso a lui. Possiamo entrare, vero?”

Edward boccheggiò un paio di volte, riposizionando meglio gli occhiali con la mano tremolante; intuì dal tono che quella del Signor Cobblepot non era una domanda, bensì un’imposizione e lui, che non aveva la benché minima idea di cosa fosse successo in quelle ore in cui l’altro Edward aveva preso il controllo, ma aveva un brutto presentimento, fece un passo indietro ed abbassò la testa, maledicendo quell’ombra che lo perseguitava e che continuava a metterlo nei guai.
Dopo un’occhiata alla sua sinistra, Edward domandò mentalmente che cosa fosse accaduto durante la propria assenza, ma l’Enigmista, appoggiato al tavolo, si limitò a sorridere malignamente, incrociando le braccia ed indicando con la testa il loro inaspettato ospite, come ad invitarlo ad ascoltare quello che aveva da dire.

Oswald diede un’occhiata intorno, era una stanza che faceva da cucina, salotto e camera da letto. Per quanto potesse trovare l’idea discutibile, l’assenza di oggetti personali gli suggerì un importante indizio che avrebbe facilitato la ricerca di parte del suo carico.

“Bel posto,” disse, fingendo ammirazione, “davvero accogliente”.

Edward aprì la bocca per rispondere, trovare una soluzione, qualunque cosa pur di non far alterare ulteriormente il Re di Gotham, tuttavia la risata dell’Enigmista gli perforò la mente, facendogli dimenticare quelle poche parole che stava per pronunciare.

Approfittando del silenzio che il Signor Nygma non era desideroso rompere, Oswald prese parola, trovandosi completamente a proprio agio in quella situazione, cosa che non si poteva di certo dire del proprietario.

“Ora che abbiamo fatto le dovute presentazioni, come due gentiluomini, possiamo passare agli affari.”

Edward sembrò riprendere coscienza di sé e di ciò che gli stava attorno. “Affari?”

Oswald proruppe in una finta risata, dondolando la testa per qualche secondo, prima d’appoggiarsi più del dovuto sul suo bastone. “Ma certo. Prego, Signor Nygma—” allungò una mano per indicare una sedia lì vicino, “prenda posto”.

Le dita di Edward si sfregarono nervosamente, tuttavia l’uomo non poteva sottrarsi ad una simile richiesta del Pinguino, nonostante si trovassero nel suo appartamento. Si sedette su una sedia che Zsasz aveva preso per portarla in mezzo alla stanza. Edward si guardò intorno, alla ricerca di una possibile scappatoia ma, ovunque volgesse lo sguardo, l’ombra dell’Enigmista appariva sorridente, come a volergli indicare che non esisteva alcuna via di fuga.

Oswald si sentì ancor più potente e in pieno controllo della situazione. Cominciò a domandarsi come abbia fatto un uomo del genere, come il Signor Nygma, a mettere i bastoni tra le ruote a Batman.

“Beh, è davvero una bella storia.” cominciò a dire, avanzando lentamente verso la sedia e poi prendere a camminare intorno ad Edward, sempre molto pacatamente, studiando ogni sua piccola azione. “Questa mattina dovevo concludere un affare. Un affare molto importante e, per questo, assolutamente segreto. In particolar modo per il Commissario Gordon e Batman, non vorrei certo trascorrere altri dieci anni a Blackgate. Ma qui inizia la parte interessante. Stamattina ricevo una chiamata, in cui mi viene detto che c’è stato un problema. Qualcuno è arrivato prima di me e, guarda caso, mi fanno vedere che nel luogo d’incontro ci sono dei cadaveri con la testa schiacciata da un container. Davvero un lavoro originale.”

Edward tenne la testa bassa per tutto il tempo, non era abituato ad agire senza un preciso piano; l’ombra alla sua sinistra cominciò a ridere sempre più forte, quasi a non dare la possibilità ad Edward di ascoltare quello che Pinguino gli stava dicendo. Cominciò a capire cos’era successo durante quelle ore in cui non era cosciente, poteva indovinare senza ombra di dubbio chi fosse il vero responsabile di tutto quello che stava subendo, e la cosa non gli piacque.

“Sfortunatamente—” Oswald continuò a parlare, ignaro della discussione interiore che Edward stava avendo con la sua metà, “una parte di quello che dovevo ricevere stamane è andata perduta. E la cosa, per quanto fastidiosa, mi potrebbe lasciar anche indifferente, se l’altra parte, la maggior parte, non fosse stata sequestrata dalla G.C.P.D.”

La G.C.P.D. non ha notato la mancanza di alcune scatole? Uh, che peccato, il nostro amato Jimbo sta perdendo colpi. Dobbiamo avvertire Lee.

Edward lanciò un’occhiata piena di rimprovero alla sua sinistra, intimando l’ombra a fare silenzio e non interferire; se non fosse stato per il suo brillante piano, non si sarebbe trovato in una situazione del genere.

Oswald iniziò a spazientirsi di quel silenzio prolungato, gli venne il dubbio che il Signor Nygma non parlasse per dimostrare di poterlo mettere in ginocchio, come avevano provato a fare gli altri, nessuno escluso. Sembrava un gioco a cui tutti volevano partecipare, disfarsi di Pinguino una volta per tutte, ma quello che nessuno riusciva a capire era che lui rappresentava Gotham: in ogni vicolo della città scorreva il suo sangue, i fumi acidi prodotti dalle industrie erano il suo respiro, le sparatorie segnavano la sua sentenza di morte. Se queste persone volevano disfarsi di lui, dovevano distruggere Gotham, e Oswald non si sarebbe tirato indietro nel proteggere la sua città una seconda volta.

In un impeto di rabbia, e di voler dimostrare che lui non sarebbe mai caduto nella trappola di un esaltato come l’Enigmista, Oswald estrasse dal bastone il pugnale e lo posizionò alla gola di Edward, pronto a recidergliela all’istante, desideroso di vedere il terrore negli occhi di quell’uomo. Giurò sull’anima della sua amata madre, ormai scomparsa, che si sarebbe sbarazzato dell’Enigmista se non avesse parlato all’istante.

“Dove sono le altre?!”

Edward, nel sentire la lama fredda contro la giugulare, avvertì un brivido lungo la schiena. Gli venne spontaneo inclinare leggermente la testa per mettere più in mostra il collo, mentre alzava lo sguardo per sfidare Pinguino. In qualche modo, in qualche maniera, non si sentì soggiogato dal comportamento di Pinguino, bensì si beò della sensazione d’essere finalmente preso in considerazione, dopo anni trascorsi ad essere trattato come un povero pazzo fissato con gli indovinelli.

Questo sì che è interessante.

Edward non immaginava che quell’ombra potesse rimanere stupefatta, sorpresa, da qualcosa… O forse era il suo pensiero, che l’Enigmista aveva esternato solo perché frutto del suo subconscio?
Sentì una risatina rimbombare dentro la sua mente, seguita dalla voce costantemente eccitata di quella figura che sorrideva con denti affilati.

Permettimi d’intervenire. Da qui in poi, posso condurre io il gioco.

“Vuoi stare zitto!” Edward pose fine al suo silenzio con quel sussurro minaccioso, non rendendosi conto di pronunciare quelle parole mentre stava guardando Oswald negli occhi.

Oswald respirò profondamente, allargando le narici ed impugnando meglio il pugnale, premendo l’arma contro la gola di quell’idiota.

“Parole inusuali per uno che sta per morire.”

Edward stirò le labbra in un sorriso, sentendo un fastidioso dolore alla giugulare, eppure fu come se si sentisse vivo per la prima volta, la risata dell’altro Edward divenne la sua, lo sguardo calcolatore rimase tale. Si sentiva libero; si sentiva completo.

“Mi ucciderebbe sul serio, Mr Penguin?”

Oswald, suo malgrado, si ritrovò anche lui a stirare le labbra in un sorriso, prendendo seriamente in considerazione se far fuori quel bastardo oppure continuare a divertirsi ancora un po’. Ormai sapeva riconoscere chi era rimasto senza alcun asso nella manica, eppure nessuno aveva mai sorriso, piuttosto si disperava, facendo appello alla sua clemenza.
Quale uomo sano di mente avrebbe continuato a giocare dopo esser stato messo all’angolo?

“Dipende da quello che saprò. Forse, se mi dicessi dove sono le mie scorte, potrei prendere in considerazione l’idea di lasciarti in vita.”
Socchiuse gli occhi col sorriso sulle labbra, non avrebbe mai mantenuto una simile promessa. Attese qualche secondo, lanciando un’occhiata a Zsasz per fargli capire di tenersi pronto con la pistola.

Ad Edward sfuggì una piccola risata, conscio di non sapere nulla riguardo quelle scatole, pur essendo ufficialmente il responsabile.
“Se vengo moltiplicato per qualsiasi altro numero, la risposta sarà sempre la stessa. Che numero sono?”

Oswald alzò un sopracciglio, quell’uomo aveva appena ricevuto una sentenza di morte e l’unica cosa a cui pensava erano degli stupidi indovinelli?
“Come, prego?”
Un tic nervoso iniziò a fargli tremare l’occhio, cominciava seriamente a perdere la pazienza.

Edward sbuffò divertito e sorrise, pronto a riguadagnare terreno. Aveva sopravvalutato il suo avversario. Evidentemente, il famoso Oswald Cobblepot non era un vero genio del crimine.
“Ti arrendi?”

Tutto si svolse in pochi istanti: Oswald, accecato dall’ira, tolse il pugnale dalla gola di Edward e lo colpì con forza al viso, facendolo cadere a terra. Come osava prendersi gioco di lui? Prese la pistola, pronto a piantargli una pallottola in testa. Al diavolo le scorte che quell’idiota aveva nascosto, si sarebbe procurato altro materiale.

Edward, a terra, s’aggiustò gli occhiali, trovando in un momento il suo fedele bastone. Lo prese, lo puntò verso Pinguino e premette un pulsante, facendo uscire dall’estremità inferiore una miscela a base gas OC, con aggiunta di acido formico e acido acetico… Una piccola precauzione per quando le cose potevano andare male.

Le urla di Oswald si propagarono per tutto l’appartamento, mentre portava le mani al viso per sfregarsi insistentemente gli occhi.

Edward approfittò del momento per scappare, sentendo a distanza l’ordine di Cobblepot.
“Prendilo Victor! Uccidilo!”
Perfetto, si disse mentre scendeva le scale stringendo i denti, adesso doveva fare i conti anche con l’ira di Pinguino, oltre che la G.C.P.D. e Batman, visto quello che la sua controparte aveva combinato.
Non riusciva, però, a smettere di sorridere. L’adrenalina e l’euforia lo stavano divorando, e lui non voleva smettere di provare quella sensazione. Qualcuno glielo fece notare.

Ammettilo, Eddie, avevi bisogno di uno stimolo.

Per zittire quel pensiero, Edward si distrasse e cadde a terra, venendo raggiunto da Zsasz. L’assassino professionista caricò la pistola e la puntò alla schiena di Edward, il quale si voltò velocemente per cercare un punto d’incontro con Zsasz. Chiunque sapeva che quell’uomo non aveva mai mancato un bersaglio… A meno che non aveva qualcosa di meglio.

“Fermo! Aspetta… Aspetta…” alzò le mani in segno di resa, reggendo sempre il bastone.

“Arma molto particolare,” Zsasz fece un cenno al bastone, continuando a tenere la mira, “ma poco pratica”.

Edward sorrise, a discapito di tutto. “Solo per chi non ha un cervello finissimo come il mio.”

Victor fece spallucce, ignorando quello che poteva essere considerato un insulto alla sua intelligenza, quando qualcosa attirò la sua attenzione ed abbassò leggermente la pistola.

“Il tuo timer ha finito il suo countdown.”

Edward voltò la sua attenzione al polso sinistro, dove c’era in bella mostra il suo timer; tornò poi a guardare, con rimprovero, Victor: perché lo stava facendo notare? Non aveva mai sentito storie di persone sfuggite dall'ira di Pinguino, solo perché sul loro polso era segnato il doppio zero.

“E con questo?”

Zsasz lo guardò serafico, sparando poi un colpo troppo vicino ad Edward; però, con grande stupore di quest’ultimo, Zsasz ripose tranquillamente la pistola.

“Consideralo un regalo di benvenuto”, gli disse, poi fece l’occhiolino e girò i tacchi, lasciando Edward lì, in mezzo alla strada, con il cuore che pompava celermente sangue, il fiato corto e la guancia strisciata dal proiettile.


Avere più di un nascondiglio era sempre un’ottima soluzione, si disse Edward mentre metteva la sicurezza alla porta. Accese la radio, l’unico oggetto che poteva tenerlo aggiornato sul mondo al di fuori di quella stanza. Gli era stata utile, in passato.

Tornare, dopo undici anni, in biblioteca risultava strano… Era qui che aveva deciso di farsi rispettare, prendere qualsiasi cosa voleva senza preoccuparsi di Gordon… Se Gotham aveva deciso di farlo rimanere lì, contro la sua volontà, allora tanto valeva non guardare più in faccia nessuno e fare quello che più desiderava. E lui desiderava essere preso sul serio, essere considerato il migliore in tutto. Amava quella sensazione di trovarsi in bilico tra l’essere catturato e l’essere libero, gli stimolava il cervello a trovare nuove soluzioni, nuovi stratagemmi. Peccato che, ricordò, l’ultima volta che s’era rifugiato in biblioteca non era andata nel modo in cui aveva previsto.

Quel giorno, di ben undici anni prima, Edward non era stato in grado di mettere a punto il suo piano di fuga. Aveva indirizzato Jimbo e gli altri trogloditi della G.C.P.D. al suo nascondiglio, ma la notizia esclusiva dell’arresto del noto Re di Gotham, ex-sindaco, Oswald Cobblepot, l’aveva scombussolato, rendendolo un facile bersaglio per la polizia.

Magari è proprio per questo che ho agito, mh? Non si meritava una lezione? In fondo, ce lo doveva.

Edward s’appoggiò alla finestra, osservando il paesaggio uggioso della città.
“Ancora non capisco perché tendermi una trappola, dicendo che dovevo andare lì per trovare la mia anima gemella. Se avessi voluto farla pagare a Pinguino per quello che ha fatto ad entrambi, avrei acconsentito senza problemi”.

L’Enigmista, seduto su una poltrona, alzò esasperato gli occhi al cielo, appellandosi alla sua, già poca, pazienza.
Quale sarebbe stato il divertimento?

Edward stava per rispondere, quando la radio smise di trasmettere una canzone per far parlare una speaker.

Interrompiamo la programmazione radiotelevisiva per riportare una notizia. Questa mattina, due corpi sono stati trovati morti al molo di Gotham. Purtroppo, la loro testa, schiacciata da un container, rende irriconoscibile il riconoscimento. Il Commissario Gordon ritiene che entrambi facessero parte di una gang. Faremo ascoltare l’intervista che ci ha rilasciato.

Edward corse verso la radio ed alzò il volume, ascoltando attentamente le parole di Jimbo.

Abbiamo prove certe che il responsabile voleva attirare l’attenzione del capo della gang. È stato lasciato un enigma, su cui i nostri agenti stanno attualmente lavorando.

Edward sorrise, orgoglioso del proprio operato.


Non sappiamo ancora con chi l’Enigmista abbia un conto in sospeso, ma quel che è certo è che questo qualcuno è abituato a ricevere merce contraffatta via fiume. Sotto richiesta della G.C.P.D., il Sindaco sta firmando la liberatoria per avere agenti specializzati nell’individuare merce contraffatta. Così da non avere più problemi.

Un bicchiere colmo di vino venne scagliato contro la parete, rompendosi in mille pezzi, mentre il vino colava.

Oswald fissò con rabbia la macchia rossa, immaginando che il vino fosse il sangue del responsabile.

Aveva ancora gli occhi gonfi e lacrimanti, mentre la pelle intorno bruciava e prudeva ancora.

Quel maledetto! Per colpa sua, Oswald aveva saltato l’affare! I capi delle gang, che ancora non avevano abbassato il capo ad Oswald, avevano preso piede, e lui doveva patteggiare per avere pieno controllo di Gotham. Le armi erano ciò di cui necessitavano quelle gang, e Oswald aveva delle ottime conoscenze…
Se non fosse stato per quel maledetto…!

Oswald prese un profondo respiro, spense la televisione e prese a guardare le fiamme danzare dentro il camino. Cominciò a pensare alle suppliche che l’Enigmista avrebbe tirato fuori per risparmiarlo, eppure…
Nel momento in cui l’aveva minacciato, quell’uomo aveva preso potere, aveva assunto un’aria pericolosa, ed Oswald avrebbe speso volentieri tutta la giornata a giocare per avere la meglio sull’altro.

Sorrise maligno, accarezzandosi il mento… Nonostante fosse furioso con Zsasz per non averlo ucciso, Oswald colse l’occasione al volo per giocare un po’.

“AGATHA!”

Il rumore di tacchi s’avvicinò ad Oswald, fino a fermarsi, in attesa di ordini.

“Lancia un ordine a tutti. A chiunque mi porti la testa dell’Enigmista darò dieci mila dollari e un buon avvocato, nel caso il caro e vecchio buon Jim, insieme a Batman, vogliano giocare a fare i poliziotti.”

Agatha fece un piccolo inchino ed andò via, lasciando Oswald in completa solitudine. Nel vedere i riflessi infuocati sul manico del suo bastone, Oswald iniziò a piangere. Senza alcun motivo, solo tanta rabbia. Com’era sempre accaduto nella sua vita, quando riceveva una buona notizia, questa sfumava via velocemente per lasciare posto a problemi ed imprevisti, pronti a dimostrargli che lui era solo, che non poteva mai essere felice.

Gli occhi cominciarono a prudergli, ma Oswald era più concentrato ad osservare il suo timer.

L’uomo s’accarezzò il polso col pollice, domandando alla sua anima gemella di pazientare ancora un po’, ché appena avrebbe messo fine alla vita dell’Enigmista avrebbe pensato a cercarlo.

Posò le labbra sul timer, in un tenero e reverenziale bacio, sperando che la sua anima gemella, ovunque fosse, avrebbe ricevuto il messaggio.


Edward prese a sfregare il polso su cui era segnato il suo timer, provando un senso di sicurezza.

Ormai sapeva che non era solo, e la cosa lo confortò. Sapeva quando aveva incontrato la sua anima gemella, tutt’era capire chi fosse. A meno che…

Ti prego —” l’Enigmista si portò le mani in volto, sembrava disperato e sull’orlo di una crisi isterica. “Dimmi che non stai pensando a quello che stai pensando.

Ma certo! Come aveva fatto ad essere così cieco?! Tutto tornava! Anche se, beh… Era strano che fosse un uomo la sua anima gemella. Magari significava semplicemente avere qualcuno con cui confidarsi, considerare come un amico, no? Non doveva fare le stesse cose che avrebbe dovuto fare con una donna, no?

Chi è che ha gli occhi, ma non riesce a vedere?

Edward si sfiorò la guancia segnata dal proiettile… Che strano ed inusuale modo per conoscersi.

… Credo che dovrò intervenire un’altra volta.

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