Un matrimonio da sogno (o quasi)

di Koa__
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** L'invito ***
Capitolo 2: *** Il matrimonio ***
Capitolo 3: *** La disfatta (o forse no?) ***



Capitolo 1
*** L'invito ***


 

Note: Non è da me scrivere note introduttive, ma in questo caso sono doverose. Ho inserito l’avvertimento OOC non perché sia davvero convinta che Draco e Harry lo siano, al contrario mi sono impegnata per tenere IC tutti i personaggi. Tuttavia, ci sono scene o situazioni che potrebbero far storcere il naso a qualcuno, quindi siete avvisati. Si tratta comunque di una storia comica, quindi prendetela per quello che è.



 

 



 

Un matrimonio da sogno (o quasi)







 

L’invito




 

Quando ricevettero l'invito, era un piovoso pomeriggio di novembre e Draco Malfoy sorseggiava della cioccolata da una finissima tazza di porcellana, rimuginando tra sospiri e sguardi vacui su quanto triste fosse l’autunno. A suo modo di vedere niente di buono succedeva mai in giornate come quelle e il fatto che Harry Potter non fosse lì con lui era la prima buona ragione del suo cattivo umore. Il suo star bevendo cioccolata invece di farsi un bicchierino di Whisky Incendiario, sebbene fossero soltanto le cinque, rendeva perfettamente lo stato di apatia nel quale versava. Se quell'idiota di un eroe gli avesse dato buca di nuovo, avrebbe raccattato Pansy e l’avrebbe portata a bere in un qualche locale babbano e, per Merlino, quella sarebbe stata la volta buona che si ubriacava fino a svenire. Lo stupido Potter era al lavoro e con ogni probabilità ci sarebbe rimasto per ancora un’ora abbondante, se erano fortunati. In effetti Draco non lo sapeva per certo, perché gli auror non avevano orari fissi. Harry usciva di casa la mattina alle otto, ma non era mai sicuro che sarebbe tornato la sera alle cinque. E infatti erano due giorni che rincasava oltre le nove e il fatto che avesse per le mani un caso complicato, a suo modo di vedere non era una giustificazione sufficiente.
«Dannato eroe» sibilò fra i denti. Era sempre colpa di quella sua patetica indole al sacrificio, la quale unita alla propensione al dover mettere sempre le cose a posto per il bene della comunità magica, era una combo micidiale di buonismo. Harry Potter era immancabilmente gentile, questo era il suo problema più grande e Draco era praticamente certo che la maggior parte dei suoi colleghi ne approfittasse, affibbiandogli i casi più difficili da risolvere. Il suo essere un mago straordinariamente potente e il riuscire comunque a sbrigarsela in poco tempo, non alleggeriva le colpe di quell’idiota del capo auror o di quei nullafacenti dei suoi colleghi. Ci penserà Harry, dicevano quei maledetti. Dal canto proprio, Malfoy oltre a cullare il segreto desiderio di cruciarli tutti dal primo all’ultimo si ritrovava in apprensione ogni dannatissima sera. Oh sì, era praticamente ovvio che se avesse mancato di nuovo la cena lo avrebbe riportato a casa per i capelli. Altroché uscita con Pansy, avrebbe…


 

Un bussare leggero al vetro della finestra attirò la sua attenzione. Bingley stava sul davanzale, bagnato fino alle zampe e lo guardava come a volergli intimare di sbrigarsi a farlo entrare. Lui e Harry avevano comprato uno stupendo gufo bruno quando erano andati a vivere insieme, due anni prima. Avere un animale magico era stato un passaggio fondamentale nella complessa, e spesso difficile, evoluzione del loro rapporto e li aveva decretati agli occhi di tutti ufficialmente una famiglia. Il fatto che non fossero sposati, per il mondo magico non sembrava essere rilevante. Dando un’occhiata all’orologio che teneva infilato nel taschino del panciotto, sopra al quale spuntava una maestosa “M” del simbolo di famiglia, Draco convenne che doveva essere il solito messaggio di scuse nel quale gli avrebbe detto di non aspettarlo alzato. Tuttavia quando spalancò i vetri notò che era una lettera tempestata di francobolli, che con il mondo della magia poco avevano a che vedere. Era posta babbana quella che Bingley ora gli porgeva con un certo fiero orgoglio nello sguardo. Aveva volato sotto la pioggia per chissà quanto e pareva molto soddisfatto di esserci riuscito senza far infradiciare eccessivamente la busta, a cui Malfoy comunque diede un'asciugatura veloce usando la bacchetta. A giudicare da un lieve strappo sul lato sinistro, Bingley doveva averla portata via sotto gli occhi interdetti del mittente. Non che fosse insolito: quando si aveva a che fare con i babbani le comunicazioni erano sempre un problema. Ogni volta succedeva che si spaventavano o irritavano. Era assurdo che avessero da ridire, specie perché Bingley era un gran bel gufo: lo aveva detto a Harry sin dal giorno in cui lo aveva intravisto, appollaiato su un trespolo dell’emporio di Eelyop. Potter, al contrario, credeva che le civette fossero molto più intelligenti e si era impuntato per fargliene comprare una bianca che tanto gli ricordava la compianta Edvige. Draco non era sicuro di come fosse riuscito a convincerlo, ma probabilmente il magnifico sesso che avevano fatto appena rientrati, doveva averci avuto un qualcosa a che fare. Sorrise al ricordo intanto che rovistava nella credenza alla ricerca di un paio di biscottini gufici, che appoggiò sul davanzale. Lo sguardo gli cadde poi su quella strana busta che sbucava dal becco e, incuriosito, la prese tra le mani.
«Per il signor Harry Potter» lesse con voce sottile, soppesando il contenuto e rendendosi conto che non doveva esserci più di un foglio là dentro. «N. 23, Diagon Alley, Londra. Mittente… Du-Dudley Dursley?» Draco strabuzzò gli occhi, focalizzandosi sul nome che appariva in chiare lettere sulla carta bianca, tra quelli che erano almeno sei francobolli. Non era una calligrafia elegante, era invece piuttosto incerta e anche rozza, con un qualche vezzo eccessivo nei ghirigori della lettera: y, che la rendevano addirittura ridicola. Era chiaro che il cugino di Harry si fosse impegnato non poco per scrivere decentemente, ma considerando il tipo non si stupiva che non ci fosse riuscito. Draco non aveva mai incontrato gli zii di Potter, li aveva visti in una foto babbana e di loro sapeva quanto gli era stato raccontato. A dirla tutta, tanto bastava a che avesse dichiarato di non voler mai averci niente a che fare. Per quanto avessero smesso di trattarlo peggio di un elfo domestico, ma soltanto perché non abitava più con loro, era chiaro che lo tollerassero a stento. Ancora odiavano la magia, al punto che non sopportavano neppure di sentirla nominare, ma perlomeno Potter non si prendeva la briga di andarli a trovare. Inviava loro un gufo di auguri a Natale e zia Petunia ricambiava con un indelicato: “A te e famiglia” al quale Vernon non mancava di aggiungere una postilla, dove gli ricordava puntualmente di non mandargli più quell'orribile animale, ma di spedire le lettere come ogni rispettabile cittadino inglese. Cosa che ovviamente il suddetto non faceva mai, ma perché in fondo si divertiva a indispettire quei babbani. Nel leggere quel messaggio, il Natale precedente, Draco aveva sollevato un sopracciglio e senza scomporsi aveva mormorato un sarcastico: “Sempre così gentili” a cui Harry aveva replicato con uno sbuffo stizzito. Nel sedersi nuovamente a tavola mentre si decideva a finire quella cioccolata ormai tiepida, si domandò cosa volesse quella gente dal suo eroico ragazzo. Poi però il suddetto si materializzò direttamente dall'ufficio e a quel punto decise di non pensarci più.


 

La lettera rimase sul tavolo della cucina sino al mattino successivo. Quando vi entrò, ancora in vestaglia e pantofole, Malfoy scoprì Harry a fissarla come se tentasse di capirci qualcosa.
«Se non la apri non lo saprai mai, Potter» aveva sibilato, stringendo meglio il nodo della vestaglia di seta, prima di versarsi una tazza di caffè.
«È che non capisco cosa possa volere da me.»
«Mh» arricciò il naso Draco, aggiungendo anche della crema di latte. In effetti ci aveva riflettuto sopra un pochino, ma non era riuscito a darsi una spiegazione sensata «pensi sia successo qualcosa?»
«Dubito» negò, scuotendo il capo «ho un telefono apposta per le emergenze. Io e Dudley ogni tanto ci sentiamo e so che lo userebbe per dirmi se qualcosa non va, è così che fanno i babbani. Le lettere vengono spedite per altre ragioni e…»

«Per la barba di Merlino, Potter, apri quella dannata lettera o lo faccio io!» esclamò, irritato, posando a forza la tazza sul tavolo al punto che alcune gocce di caffè schizzarono ovunque, macchiando la tovaglia. Neppure si scompose e, agitando la bacchetta, fece sparire lo sporco prima di recuperare i suoi biscotti preferiti che aveva scordato in credenza.
«Oh e va bene» lo sentì borbottare mentre strappava la lettera da un lato e ne tirava fuori un cartoncino quadrato, il quale venne spiegato davanti ai suoi occhi. Draco avrebbe saputo descrivere le sue reazioni nel dettaglio e non perché di suo fosse un asso in legilimanzia, ma perché Harry Potter non mancava mai di essere maldestramente onesto. Tutto quel che provava glielo si leggeva direttamente in faccia, senza che ci si dovesse sforzare a riguardo. Prima ci fu l’agitazione e un velo di tensione che gli faceva tremare impercettibilmente le dita, quindi i suoi grandi occhi verdi si erano spalancati.
«Oh, cazzo!» aveva esclamato, fissando ancora il foglio come se non riuscisse a credere a quello che aveva appena letto.
«Anche tu sei stupito dal fatto che tuo cugino sappia scrivere, vero?» domandò un Draco caustico, addentando un biscotto al cioccolato. «Ti capisco, non me lo aspettavo nemmeno io» concluse, nascondendo forzatamente un sorrisino mellifluo dietro la sua solita faccia da schiaffi.
«No, è che Dudley si sposa.»
«Cosa?» domandò, sputando caffè sulla superficie del tavolo.
«Te lo giuro, Malfoy. Leggi qui» gli rispose, mettendogli quello che sembrava proprio un invito, direttamente sotto al naso. In effetti lo era, si disse osservandolo intanto che masticava un altro biscotto.
«Dudley Dursley e Melissa Penton sono felici di annunciare il loro matrimonio, che si terrà il 30 aprile alle 11.30 presso la Cattedrale di Guildford. Siete cordialmente invitati a partecipare» lesse con voce atona, subito prima di notare che, in fondo, c’era un’aggiunta scritta con una calligrafia differente. «Per Harry Potter: niente bacchette o magie, niente stranezze e non indossare una di quelle palandrane ridicole come quello stramboide con la barba. Vogliamo un abito normale o non ti facciamo entrare in chiesa. Noi siamo gente rispettabile. Beh, non ci vanno leggeri, questo è certo» commentò lasciando cadere il foglio che si adagiò sopra al tavolo come una foglia secca, sporcandosi di caffè.
«Lo zio Vernon odia la magia» bofonchiò il suddetto, tuffandosi sul porridge che se ne stava ancora intatto nella ciotola. Draco lo sapeva, Potter lo ripeteva ogni dannata volta che parlava di loro. Gli aveva raccontato persino di come, da ragazzo, gli avessero proibito non soltanto di fare i compiti e studiare, ma anche di parlare di Hogwarts durante l’estate. Quando ci pensava ricordava al contempo di quel se stesso bambino che si vantava con i propri genitori dei successi ottenuti durante l’anno scolastico e, per un istante, aveva pena di quell’orfano cresciuto con babbani che lo opprimevano. Harry non gli aveva mai fatto pena, il loro rapporto non era basato su quello e se lo fosse stato era probabile che non sarebbero neppure mai andati a vivere insieme. Potter aveva passato tutta l’infanzia a subire su di sé sguardi di persone che provavano pietà per la sua condizione, non avrebbe sopportato di sentire addosso sentimenti di quel genere dalla persona con la quale stava. E tanto meno non da parte di uno che aveva detto di odiarlo per la maggior parte della sua vita. Eppure non sempre era facile non sentirsi a disagio, specie quando i pensieri attraversavano anni di guerre reciproche.
«Quindi ci andrai?» chiese, riscuotendosi dal torpore. I Dursley risvegliavano ogni volta pensieri negativi e nonostante Potter sembrasse infischiarsene, sapeva che in fondo non era poi così indifferente. Era probabile che un lato di lui fosse turbato all’idea di partecipare a quelle nozze.
«Ci andremo, vorrai dire» replicò Harry, indicando il punto in cui diceva che l’invito era esteso anche a un “Più uno”. Che strano… a lui quella parte era sfuggita. Draco strabuzzò gli occhi, preso in contropiede. Aveva capito bene? Stava forse suggerendo che ci andasse anche lui? Draco Malfoy a un matrimonio babbano? Non che non ci avesse mai avuto qualcosa a che fare, in fondo grazie alle imprese che dirigeva e che un tempo erano state di suo padre, intratteneva quotidianamente rapporti d’affari con persone non magiche, ma non si era mai spinto oltre con le confidenze e di certo non ci sarebbe uscito a cena.
«Scordatelo!» negò con fare categorico, trangugiando tutto il caffè e alzandosi dalla sedia così in fretta, che questa strisciò rumorosamente sul pavimento «non esiste che io venga con te al matrimonio di tuo cugino.»
«E dovrei andarci da solo?» ribatté con l’aria stupita di chi sembra non concepire neppure l’idea. In effetti la sua richiesta non era poi così assurda, tutti sapevano che stavano insieme ed erano andati come coppia ufficiale anche al matrimonio di Weasley e della Granger; per quale motivo questo avrebbe dovuto essere diverso? Tecnicamente non lo era, era più che altro lo sposo e la sua famiglia a dargli fastidio.
«Sanno che sto con una persona» riprese lui «se mi presento senza nessuno penseranno che ci siamo lasciati e darò loro l’ennesima occasione per prendermi in giro.»
«Beh, tanto per cominciare» borbottò Draco, facendo roteare la mano a mezz’aria con un gesto plateale «immagina il loro stupore quando ti presenterai con un uomo al braccio, invece che con una donna. E poi quei tipi odiano quelli come noi, per quale motivo dovrei sedermi alla loro tavola e brindare facendo finta che non mi detestino? Anzi no, che dico, che non ci detestino perché nel pacchetto: “Odio i maghi” ci siamo dentro tutti e due» concluse, indicando entrambi con fare spiccio.
«Tu hai odiato i babbani per gran parte della tua vita e hai detestato anche me a dire il vero, eppure eccoci qui.»
«Beh, quello è diverso» replicò Draco, imporporandosi sulle guance e dandosela a gambe. Non amava quando quei discorsi venivano fuori e, da buon Serpeverde, preferiva sempre evitare lo scontro anche quando era quasi certo di poter vincere, come in questo caso.
«In cosa lo sarebbe, scusa?»
«Io non ho mai fatto finta di esserti amico, Potter» gli fece presente e la verità era talmente ovvia, che Harry stesso si ritrovò ad annuire e ad arricciare le labbra, sconfitto. Draco decise di infierire e affondare la lama del coltello che teneva metaforicamente in mano, ancora di più nella piaga appena aperta: «Non ti ho mai chiesto di sederti alla mia tavola, fingendo di essere il tuo migliore amico. In questo è diverso. Quindi se vuoi accettare, ci andrai da solo perché io non ho nessuna intenzione di venire con te.» Intanto che usciva dalla cucina percorrendo il corridoio che l'avrebbe portato in camera da letto, a Draco era sembrato di sentirlo borbottare un qualcosa che poteva anche essere: «Questo lo vedremo» che lo fece irritare ancora di più. Non ci sarebbe andato, e questo era quanto.


 

Malfoy non era sicuro che la presenza degli amici di Harry nel loro soggiorno non avesse qualcosa a che fare con i tentativi, sino a quel momento patetici, di convincerlo ad andare alle nozze del cugino. Erano passati due giorni da quella discussione e da allora non ne avevano più parlato, eppure era chiaro che la questione non fosse stata ancora messa da parte. A un certo punto però la rabbia aveva lasciato spazio al divertimento, era sempre un po’ comico notare i tentativi impacciati di Potter di convincerlo a fare qualcosa. Prima aveva provato a estorcerglielo col sesso e Draco lo aveva stanato tipo un secondo dopo che erano venuti. Poi gli aveva preparato la colazione e si era anche preso un giorno libero dal lavoro per poter stare con lui. Di fronte a tanta gentilezza, Malfoy aveva però sfoderato tutta il suo più algido rigore, non degnandolo neppure di uno sguardo. Quella sorta di guerra fredda non sarebbe andata avanti per molto, entrambi sapevano quello che stava succedendo e facevano finta di niente. Non poteva dire di non esserne un pochino compiaciuto, in un certo senso era divertente. Era un po’ come se lo stesse corteggiando di nuovo, come i primi tempi della loro relazione quando si vedevano in segreto e lo facevano nella vecchia casa dei Black. Quando aveva dichiarato di voler invitare a cena Ron ed Hermione per quella sera, Draco aveva annuito senza scomporsi mettendosi subito ai fornelli. Cucinare gli piaceva, lo aveva scoperto vivendo da solo e poi Potter era assolutamente negato per qualsiasi attività non comprendesse il fare incantesimi o lo scopare, quindi preferiva essere lui quello che metteva il cibo in tavola, altrimenti avrebbero finito con il mangiare panini tutte le sere. E aveva anche fatto un ottimo lavoro, pensò osservando l’ottimo pezzo di carne che aveva appena finito di servire agli ospiti. Ora, Draco sedeva rigidamente al tavolo da pranzo, teneva gli occhi fissi sullo stufato che stava tagliando in piccoli pezzi notando la maniera perfetta con la quale il sugo della carne copriva interamente le patate. Di fronte a lui, Harry faceva la stessa identica cosa senza parlare né accennare a voler sollevare lo sguardo. Solitamente le loro serate erano famose per essere eleganti e divertenti e, laddove alla parte dell'eleganza spettava ovviamente a lui, in quella del divertimento quello stupido eroe non se la cavava affatto male. E poi, Draco con gli anni aveva anche imparato a essere amico dei suoi amici, quindi non era raro che si ritrovassero a ridere e scherzare tutti insieme. Quella sera però una strana tensione aleggiava nell’aria e non un fiato era volato dal momento in cui Ron ed Hermione erano entrati dalla porta con un vassoio colmo di dolcetti, Harry e Draco parevano starsi sfidando al gioco del silenzio. 
 

«C'è qualcosa che non va?» chiese la Granger andando direttamente al punto. Conoscendola aveva imparato che non era quel genere di persona che è solita girare attorno alle cose senza affrontarle di petto, presumeva fosse una di quelle caratteristiche che non abbandonano mai un vero Grifondoro, perché in un certo senso Harry era come lei. Ron, dall'altra parte del tavolo, aveva smesso di ingozzarsi di patate e ora, forchetta alla mano, passava lo sguardo da lui a Harry come se tentasse di capirci qualcosa. Non si stupiva che lei avesse fatto caso alla tensione mentre suo marito fosse rimasto a testa china sul piatto tutto il tempo, era piuttosto probabile che non si fosse reso conto neppure che nessuno aveva parlato. Per Merlino, quei due potevano anche essere diversi come il giorno e la notte, ma si completavano alla perfezione.
«Non gliel'hai detto?» intervenne Draco con voce sottile, intanto che un sopracciglio schizzava in alto. Si versò del vino e poi ne offrì anche a Hermione, dato che aveva il bicchiere vuoto e lei accettò con un sorriso tirato. 
«Non c'è stato il tempo» fece spallucce Harry, sorridendo falsamente in sua direzione. Oh, che bastardo! Ora faceva pure il finto tonto?
«Ehm, dirci cosa?» replicò Hermione, appoggiando entrambe le posate sul piatto come se volesse attendere ulteriori informazioni, prima di decidere se era il caso di proseguire o meno con la cena.
«Il cugino di Harry si sposa.»
«Miseriaccia!» esclamò Weasley, lasciando cadere la forchetta. «Questa non me l’aspettavo.»
«Tanto per cominciare non ci vedo niente di strano, ma a parte questo, il punto sarebbe?» intervenne invece la Granger con vocetta acuta, aveva ripreso le forchette e aveva iniziato a tagliare la propria fetta di carne. Forse la questione non la interessava o magari la considerava di poco conto.
«Che io non ci voglio andare e lui vuole obbligarmi.» Era piuttosto certo di star reagendo in maniera esagerata, ma era diventata una questione di principio. Neanche gliene importava del matrimonio, era piuttosto sicuro che sarebbe riuscito a sopportare quei babbani per una giornata. Forse voleva soltanto fare un po’ il capriccioso, ecco tutto. Era quel lato del suo carattere che il tempo non aveva smorzato. Era cambiato sotto molti punti di vista, ma c’erano occasioni nelle quali un po’ si divertiva a far impazzire Harry. Se lo voleva davvero, allora avrebbe dovuto pregarlo e sì, forse aveva già cambiato idea a riguardo, ma non importava. In fondo lo sapeva di aver perso su tutta la linea nell’esatto momento in cui aveva capito di essersi innamorato dello stupido eroe del mondo magico, quel giorno aveva compreso che in nome di quegli occhi verdi avrebbe fatto qualunque cosa.
«Ti odio, Potter» sibilò facendo però fatica a trattenere un ghigno divertito «avrei dovuto farti fuori anni fa.»
«Oh, andiamo che sarà mai? Stai facendo come al solito.»
«Non capisco di che parli» fece spallucce lui, riprendendo a mangiare come se non stessero discutendo davanti ad altra gente.
«Mi riferisco a quando fai i capricci perché vuoi che ti preghi e io finisco puntualmente per farti contento, ecco di cosa sto parlando» concluse, rimarcando il concetto stringendo i pugni sul tavolo prima di rivolgersi ai suoi due più cari amici. «E voi due non intervenite? Ho ragione io oppure no?»
«Beh, Harry» mormorò Hermione, subito però interrotta dal marito.
«Scusa, amico e qui lo dico e qui lo nego, ma Malfoy non ha tutti i torti» bofonchiò intanto che riprendeva a ingurgitare patate. Le cose andavano di bene in meglio, aveva chiamato quei due per avere supporto morale e invece gli davano contro. Era forse quella la perfezione? Probabilmente no, ma gli si avvicinava parecchio.
«Harry, sul serio, non capisco per quale motivo tu ci voglia andare. Sono gli stessi parenti che ti mettevano le sbarre alle finestre. Te lo ricordi, vero?» proseguì Ron. «Quando al secondo anno siamo venuti a prenderti con l’auto volante? Ti hanno fatto vivere per undici anni in un sottoscala e dopo di allora sei stato promosso al primo piano solo perché avevano paura che gli scagliassi contro un maleficio, sei sicuro davvero di voler festeggiare con loro una cosa tanto speciale come un matrimonio?»
«In effetti…» annuì Hermione, soppesando le parole intanto che guardava Weasley con un certo compiacimento misto a stupore. Di tanto in tanto, Draco aveva la sensazione che lei si sorprendesse ancora di quanto lui potesse essere acuto, dopo che aveva espresso un concetto quasi intelligente. Non poteva dire di non capirla, lui per primo ancora si stupiva quando dava ragione a un Weasley.
«Sì, d’accordo!» esclamò Harry interrompendola. «Non dico che non sia vero, ma le cose negli ultimi anni con Dudley sono migliorate. Non possiamo dire di essere migliori amici, ma ogni tanto ci sentiamo e non è poi così male come credete. Lui è da molto tempo che mi parla di questa ragazza e mi dice che vuole farmela conoscere, cioè non sapevo che fosse una storia così seria e per questo ero sorpreso. E poi lui sa di Mr… puzza sotto il naso, lì» aggiunse, indicandolo mentre Draco assumeva un'espressione sconvolta da perfetta regina del dramma. Lui era che cosa? Per Salazar, questa gliel’avrebbe pagata cara.
«Qualche mese fa gli ho detto di essere bisessuale» riprese Harry «non se lo aspettava ed è rimasto tipo cinque minuti a fissare il vuoto, ma alla fine mi ha salutato con un abbraccio. So che gli dispiacerebbe troppo se non ci andassi, nonostante tutto sono pur sempre la mia famiglia.» Draco non poteva dire di non capirlo, era lo stesso motivo per il quale ancora voleva bene a suo padre e per cui lo andava a trovare di tanto in tanto. Lucius, oltre ad averlo spinto a diventare un Mangiamorte per riportare onore alla famiglia, non aveva mai approvato la sua relazione con Potter né il fatto che fosse gay, ma nonostante ciò non riusciva a odiarlo. Tutto quel discorso aveva un senso, si disse intanto che Harry riprendeva a parlare: «Anche se già so che ci sarà zia Marge, la quale non mancherà di farmi notare come sono cresciuto male. E zio Vernon, quando capirà quello che sta succedendo, cercherà di costringermi a dire che io e Malfoy siamo amici, o che è il mio sponsor, o il mio spacciatore, o chessò io. Lo so perché ha passato anni a dire ai vicini che frequentavo una scuola per ragazzi molto indisciplinati e…»
«Oh, e va bene!» sbottò Draco, interrompendolo. Aveva lasciato cadere le posate, le quali tintinnarono sul piatto spezzando il teso silenzio che si era creato. «Per Salazar, ci vengo. Basta che la smetti di essere così… così tenero. Ti odio ancora di più quando lo sei, quindi taci.»
«Oh, grazie, grazie» gli disse, alzandosi di scatto dalla sedia e aggirando il tavolo in tutta fretta prima di regalargli un bacio sulla bocca. Dannazione, era un idiota.




 

*

 




A gennaio, Draco aveva trascinato il disordinato e malvestito Harry “Fottutissimo” Potter dal sarto magico personale dei Malfoy. Il signor Enrico, italiano di origine, aveva un piccolo negozio vicino a Piccadilly, una parlantina veloce e mani altrettanto rapide, ma soprattutto era un abile artigiano. Gli avevano ordinato due abiti da cerimonia nuovi di zecca, con camicie e scarpe in coordinato, facendo presente che sarebbero serviti per un matrimonio babbano e che non avrebbero voluto dare troppo nell'occhio. Enrico aveva realizzato due meravigliosi completi scuri sullo stile dei non magici, uno nero per lo spettinato e uno blu scuro che, senza false modestie, su di lui era una favola. Gli erano costati una fortuna, ma ne era valsa la pena si disse in quel tiepido mattino di aprile non appena lo sguardo gli cadde sul fisico tonico di Harry Potter. Si stavano entrambi vestendo e il suo ragazzo molto, molto figo se ne stava in pantaloni e camicia bianca al centro della loro camera da letto. Non portava ancora la cravatta e con quei bottoni slacciati sul petto doveva ammettere che era davvero sexy. Da quando si era fatto crescere la barba, poi, aveva quel qualcosa di selvaggio nelle espressioni che gli faceva perdere la testa. Gliel’avrebbe strappata volentieri, quella stupida camicia, se non lo avesse messo in punizione per tutta la faccenda del matrimonio del cugino babbano. Perché quello era ovviamente il cosiddetto “Giorno X”, lo stesso che aveva segnato sul suo calendario magico come: la tortura infinita. Almeno non pioveva, pensò guardando fuori dalla finestra e notando il sole filtrare attraverso i vetri. Avevano fatto colazione presto, non appena il gufo aveva portato loro la consueta copia della Gazzetta del Profeta. Draco aveva iniziato a prepararsi appena dopo la doccia senza ciondolare in vestaglia come faceva spesso la domenica, perché sarebbero dovuti andare dagli Weasley a farsi prestare l'auto. Anche quella era una delle imposizioni degli zii di Harry, assieme a quella ridicola pretesa del presenziare senza bacchetta. Ma se, per amore del suddetto eroe, aveva accettato di indossare abiti consoni ai babbani (perché, diciamocelo, era uno schianto!) e di arrivare in chiesa in macchina, per non fare sfigurare i suddetti zii davanti a tutti i loro amici, non avrebbe mai permesso a nessuno di togliergli la bacchetta.


«Non la lascerò a casa» aveva sibilato, infilandola nella tasca interna della giacca, sputando un sorriso quando aveva notato Harry ammiccare in sua direzione intanto che faceva la stessa identica cosa. Al solito non soltanto non si mostrava un grande fan delle regole che gli venivano imposte, ma non dava neppure segno di pentimento.
«Da quando Hagrid mi disse che ero un mago, non sono andato in giro un solo giorno senza» gli fece presente come se, da sola, quella fosse una spiegazione sufficiente. Lo era, soprattutto considerando quanto aveva amato l’idea di avere dei poteri magici, visto che da allora avrebbe potuto frequentare una scuola lontana dai suoi zii e dal suo odioso cugino. Ovviamente però Draco non poteva permettere che avesse l'ultima parola: «Non è vero, ti si è rotta e hai usato la mia per mesi» gli ricordò, salace.
«E mi piaceva pure. Certo, la mia è tutta un'altra cosa...»
«Se adesso fai una battuta a sfondo sessuale, Potter, il veto si estende a un mese» lo interruppe, infilando anche la giacca sopra a un elegante panciotto, dove aveva già sistemato l'orologio a cipolla. Si sarebbe portato anche il bastone da passeggio perché era impensabile andare a una cerimonia senza portarsene uno, ma avrebbe lasciato a casa il mantello, si disse facendolo volare nuovamente nell’armadio. Sembrava facesse davvero troppo caldo per averlo addosso tutto il giorno.
«Tu hai messo un veto?» replicò, senza capire, recuperando ciò che gli restava del completo da sopra al letto «e su che cosa?»
«Su ogni parte del mio corpo, per una settimana» lo informò, facendo spallucce. Non gliel’aveva detto? Ah, poco male: lo avrebbe saputo ora. «Hai voluto obbligare l'erede di una delle più antiche e nobili famiglie magiche d'Inghilterra ad andare al matrimonio di un rozzo babbano? Ebbene questo è il prezzo, caro il mio adorabile straccione. Niente culo! Ma neanche lontanamente proprio e neppure sesso orale, manuale o qualunque altra porcheria ti venga in mente. D'ora in poi lo vedrai solo nei sogni.»
«Uh, sei spietato, Malfoy» sogghignò in risposta, osservandolo di sbieco con fare malizioso e divertito. Come? Non era arrabbiato? Neanche un'ombra di malcontento? Nessun: sei uno stronzo? Niente: avrei dovuto farti fuori quando ne avevo l’occasione? Insomma un po’ si era aspettato una bella lite d’altri tempi, con cazzotti e insulti e invece Potter adesso sorrideva pure.
«Nessuna obiezione?» gli chiese infatti «ti ho blindato il pisello e tu te ne freghi?»
«No che non lo faccio» replicò, aggiustandosi gli occhiali sul naso prima di allacciarsi la cravatta. Male. Anzi malissimo al punto che era dovuto intervenire lui prima che iniziasse a somigliare a uno spaventapasseri.
«Mi dispiace non poter più fare l’amore con te per sette giorni» aveva mormorato Harry. «Vorrà dire che ci rifaremo quando il tuo veto finirà e ora vogliamo andare? Temo che se indugiamo ancora non arriveremo mai in tempo» disse porgendogli il braccio per la smaterializzazione congiunta. Non era davvero sicuro di aver vinto quello scontro, in effetti lo conosceva abbastanza da sapere che tutta quell’apparente indifferenza poteva anche nascondere la consapevolezza che non aveva intenzioni serie. Ma Draco le aveva, quindi niente sesso. E non importava che Potter avesse un culo da favola e che, stretto in quell'abito, gli facesse girare la testa. Lui avrebbe resistito, perché il divieto lo aveva imposto lui. Quando gli prese il braccio un lampo di sfida gli accese lo sguardo, era come se volesse fargli capire che non sarebbe riuscito a metterlo nel sacco. Un istante più tardi, la Tana si apriva in tutta la sua magnificenza (beh, più o meno) davanti ai loro occhi. 


 

C'era stata una sorta di tregua con gli Weasley dopo la guerra. Draco non credeva che avessero del tutto accettato la sua presenza nella vita di Harry, soprattutto alcuni membri della famiglia, nonostante fossero passati anni. Era pur sempre un ex Mangiamorte e oltretutto era quello che aveva rubato il suddetto eroe alla dolce Ginny. Che quella ragazza non avesse nulla di dolce e che tecnicamente i due si fossero lasciati prima che Potter si rendesse conto di essere bisessuale e di provare attrazione per lui, sembrava non importare proprio. E se parlava in questo modo non era per via della gelosia nei confronti di quella rossa e dell’amicizia che ora legava i due, no davvero, era semplicemente la verità. Il signor Weasley era stato uno degli ultimi a convincersi che Draco Malfoy non sarebbe scomparso tanto rapidamente dalle loro vite. Spesso però lo guardava di sottecchi, come se si aspettasse un pugnale nella schiena da un momento all’altro. Di tanto in tanto, però, riusciva anche a salutarlo e ad accennare persino un sorriso. Che fosse spinto dalla moglie, sempre desiderosa di far star bene Harry, Draco non ne aveva alcun dubbio. Si sentiva sempre molto maturo ogni volta che si tratteneva dal fare battute sarcastiche a riguardo; anche in quel momento, per esempio, gliene venivano in mente almeno una dozzina. Tanto per dirne una, con che diavolo era vestito quell’uomo? Possibile che, con tutti i figli ormai fuori di casa e indipendenti, non potessero permettersi degli abiti nuovi? Indossava un maglione di un marrone indefinito, chiaramente fatto ai ferri e usato da almeno vent’anni, su un paio di pantaloni color cachi rattoppati mentre lei, strizzata in un abito violetto a pois gialli, aveva un grembiule stretto in vita. Come li vide, Draco si profuse nei consueti saluti. Un tempo forse erano forse stati su fronti opposti, ma Malfoy aveva ricevuto un’educazione ben precisa. Per la barba di Merlino, era un signore e intendeva rimarcare il concetto ogni volta che incrociava qualcuno che per Potter era particolarmente speciale. Giusto per far loro capire che non era un maleducato.
«Buongiorno, signor Weasley» disse, puntando il bastone da passeggio sul terreno morbido. «Signora Weasley» annuì, questa volta facendo un lieve inchino alla donna che era comparsa sulla soglia di casa, con le mani sporche di farina che aveva ripulito frettolosamente sul grembiule.
«Draco, Harry» disse lei, venendo loro incontro a braccia aperte. Baciò entrambi sulle guance e poi li strinse in un abbraccio materno. «Per mille folletti, siete stupendi! Farete sfigurare quei babbani, questo è certo, non è vero Arthur?»
«Ehm, certamente, Molly» mormorò invece lui, grattandosi la nuca intanto che porgeva a Harry le chiavi dell’auto. Lui ovviamente sapeva guidare, non lo aveva ritenuto un passaggio necessario della sua formazione, ma un’estate dopo il diploma aveva dichiarato di annoiarsi e aveva aggiunto che, quando era bambino, aveva sempre sognato di guidare una di quelle trappole di ferro. E quindi si era iscritto a una scuola guida babbana e in pochi mesi aveva preso la patente. Della quale non se n’era fatto niente, ma questa era un’altra storia. Draco era certo che il pensiero di far fruttare tutte le sue conoscenze a riguardo lo riempisse di un qualche tipo orgoglio. Nell’osservare la macchina parcheggiata nel vialetto antistante a quella che un tempo avrebbe definito una catapecchia piuttosto spaziosa, si rese conto che forse avrebbero dovuto trasfigurarla  [1] in una più lussuosa, per non fare una pessima figura con i babbani. La vecchia Ford Anglia del signor Weasley non era certamente il sogno di un bambino e tanto meno sarebbero stati credibili scendendo da un simile catorcio. Indossavano abiti di sartoria, per Merlino, avrebbero potuto aspirare a qualcosa di più lussuoso.
«Sarà meglio andare» mormorò Harry salendo in macchina intanto che Malfoy lo raggiungeva sul sedile del passeggero, non prima di aver chinato il capo in direzione dei coniugi Weasley a mo’ di saluto. Quindi partirono alla volta del Surrey.




 

Continua 



 

[1]Non sono certa che si possano trasfigurare le automobili babbane in questo modo, non so nemmeno a quanti maghi possa in effetti capitare una cosa del genere, ma ho pensato che se un topo può venire trasfigurato in un calice e se Peter Minus può diventare un topo, allora una macchina può essere trasfigurata in una simile.

Note: Premesso che i due bicchieri di vino e l’amaretto a fine pasto mi hanno stesa, non so come io abbia fatto a pubblicare oggi questo primo capitolo, ma eccoci qui. Anzitutto auguro a tutti voi un Buon Natale. 

Questa storia per me rappresenta un vero e proprio banco di prova in questo fandom, per capire se riesco a scrivere qualcosa di diverso rispetto alle storie che ho prodotto sino adesso. Pur essendoci tracce di introspezione, la storia avrà un’impronta comica, a tratti demenziale. Soprattutto nel secondo capitolo. E non è un terreno che batto di solito, ma volevo capire se ho possibilità di riuscire a combinare qualcosa qui oppure se è meglio lasciar perdere. La storia comunque la finirò, anche se non dovessero arrivare recensioni. Il secondo capitolo è quasi concluso (e saranno tre in totale).

Ringrazio VigilanzaCostante che ha letto il primo capitolo, probabilmente senza il suo parere non avrei mai pensato di pubblicare questa storia.
Un grazie a tutte le persone che sono arrivate sino a qui.
Koa

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Capitolo 2
*** Il matrimonio ***


Il matrimonio





 

Considerato che Potter aveva ottenuto un Eccezionale ai M.A.G.O. trasfigurando un tavolo della sala comune in un pulcino, [1] facendolo poi sparire nel nulla con un incanto di evanescenza e il tutto prima di farsi diventare i capelli di un acceso rosso fiammante, mentre lui aveva ottenuto un più semplice: oltre ogni previsione, avevano tacitamente stabilito che sarebbe toccato a lui dover trasfigurare la vecchia Ford Anglia del signor Weasley in una fiammante Spider nuova di zecca. Draco aveva già visto una di quelle macchine senza tettuccio, bastava camminare per le strade di Londra per imbattersi in decine simili a quella. Aveva sempre pensato che i babbani fossero strani a girare con auto simili, però fu costretto ad ammettere che, per quanto non avessero alcuna utilità per un mago, i sedili erano comodi e lo sfrecciare per le campagne inglesi col vento tra i capelli e il sole che baciava la sua pelle lattea, era addirittura inebriante. Quando arrivarono alla cattedrale di Guilford era forse più spettinato di Potter, i cui capelli per altro erano in uno stato pietoso, ma non riuscì a non compiacersi nel notare sino a che punto avessero attirato l’attenzione. Conoscendo quel mezzo scappato di casa del suo ragazzo era quasi sicuro che avesse rallentato di proposito in prossimità della chiesa, proprio per farsi vedere da tutti. Nello svoltare a destra in un posteggio, poi, aveva anche notato un mezzo sorriso di sfida sul suo volto. La maggior parte di quei babbani si era voltata in direzione della bellissima Spider sfrecciata davanti ai loro nasi, constatando soltanto in un secondo momento che alla guida c’era lo scapestrato nipote di Vernon e Petunia.
«Ci stanno guardando tutti» notò Harry chiudendo la portiera e guardandosi attorno senza farsi troppo notare. Era teso, Draco riconobbe subito l’irrigidimento delle spalle e i pugni stretti lungo i fianchi.
«Ovviamente lo stanno facendo, Potter, l’ultima volta che ti hanno visto eri vestito di stracci mentre ora sei uno schianto in giacca e cravatta su una macchina stupenda.»
«E hai dimenticato il biondino con la faccia schifata che mi sta accanto; anche tu non sei malaccio, Malfoy» gli sorrise sardonico, da dietro i suoi occhialetti tondi, avvicinandosi a passo lento e cadenzato in direzione della chiesa.
«Secondo me pensano che sono il tuo benefattore.»
«A questo proposito» intervenne Harry, intrecciando le loro dita insieme. Draco lo guardò sorpreso, facendo saettare i suoi sottili occhi grigi sino alle mani unite. Erano fermi accanto all’auto e avevano ancora puntati addosso gli sguardi incuriositi delle persone che affollavano il sagrato in attesa degli sposi, aveva pensato che non volesse farsi vedere mano nella mano con lui. Eppure, Potter aveva sempre un po’ lo strano potere di prenderlo in contropiede. Lo aveva fatto quando l’aveva baciato per la prima volta, lo avrebbe fatto sempre pensò addolcendo lo sguardo senza volerlo davvero fare. Certe volte gli era inevitabile amarlo così tanto. Lo era persino in quel momento intanto che lo guardava come se stesse per domandargli di fare qualcosa di terribile.
«So che è una richiesta assurda, ma potresti non chiamarmi per cognome almeno oggi?»
«Sì, è proprio una pretesa ridicola» replicò furbescamente, trattenendo a malapena un sorriso «in fondo ci conosciamo da appena dodici anni, Potter.»
«Dai, sono serio» brontolò lui intanto che Draco spazzava via quel broncio con un bacio leggero «potrebbero pensare che sei uno sconosciuto che ho portato soltanto per far loro un dispetto o, peggio, credere che sei un escort. Ne hai tutta l’aria in effetti» borbottò fra sé, prima di sgranare gli occhi: era come se si fosse reso conto soltanto allora di quello che aveva detto. «Oddio non ti sto dando della puttana, sia chiaro, è che non mi va che pensino che sei un…»
«Ho capito» lo interruppe, colto da una leggerissima punta di esasperazione «lo so che non mi stavi dando dell’escort. Ti conosco troppo bene e, oltre al fatto che sei gentile con chi pensi lo meriti, so perfettamente come ti comporti quando vuoi insultare qualcuno.» Draco lo vide rilassare le spalle in maniera impercettibile e il viso distendersi in un’espressione più serena, era sempre un po’ orgoglioso del suo riuscire a tranquillizzarlo.
«Credevo avresti detto una cosa tipo: “Sono la tua puttana”, sai per stemperare la tensione» scherzò a quel punto e Draco si ritrovò ad alzare gli occhi al cielo. Ma chi diavolo aveva sposato? No, un momento. Cosa? O qualcuno gli aveva lanciato un incantesimo confundus, oppure tutta quella faccenda dei Dursley gli stava dando alla testa. Tanto per cominciare non erano sposati e neppure ne avevano mai parlato, ed era probabile che non lo avrebbero neanche mai fatto. Neppure lo voleva, pensò intanto che un sudore freddo gli correva giù lungo la schiena. Non lo voleva?

«Piantala con questa storia delle puttane» si riprese concentrandosi su quello di cui stavano discutendo «non sono l’escort di nessuno, tanto meno il tuo. Quindi ora sorridi, metti un piede avanti all’altro e non sbavarmi sulle scarpe, che sono costose.»
«Ehi!»
«E ti prometto che ti chiamerò per nome, Potter» lo interruppe, arricciando le labbra così da trattenere una risatina, fermando anche il passo dopo che entrambi avevano ripreso a camminare avvicinandosi al ciglio della strada.
«E io invece ti giuro che mi tratterrò dal chiamarti: Mangiamorte bastardo, però non posso promettere di non sbavare.» Draco lasciò andare una risata di cuore, gettando indietro la testa. Intanto che Harry lo baciava, questa volta prendendosi il proprio tempo per accarezzargli la schiena, si rese conto che in fondo non era poi così male questo matrimonio babbano.

 

Il sagrato era affollato di persone, mancava più di un quarto d’ora all’inizio della cerimonia e gli invitati stavano arrivando alla spicciolata. Potter aveva dichiarato di non conoscere neppure la metà delle persone che vedeva, aggiungendo che zia Petunia non aveva parenti in vita oltre lui e che la maggior parte di coloro che ora lo fissavano appartenevano alla famiglia di zio Vernon. Oltre a loro c’erano alcuni degli amici di Dudley e naturalmente i conoscenti e i parenti della sposa, quella Melissa nonsoché. Non appena arrivarono in cima alla breve scalinata, Harry gli indicò zia Marge con un cenno impercettibile del capo e Malfoy si prese il proprio tempo per studiare il nemico in tutta tranquillità. La puntò un po’ come fanno i cani quando sentono un odore e iniziano ad annusare il terreno circostante in cerca di una traccia. Draco odiava quella donna tanto quanto amava Harry Potter. E poco importava che un tempo le avrebbe stretto la mano, dandole assolutamente ragione quando dava a San Potter del sangue sporco. Ora non soltanto aveva abbandonato certe idee, ma gli occhi piccoli di quella donna, che già saettavano in loro direzione osservandoli con disapprovazione, gli facevano venire la nausea. Marge era una donna dal viso rotondo e rubizzo, aveva dei capelli rossicci schiacciati da un cappello giallo dalla tesa esageratamente larga, che riprendeva il colore dell’abito. Teneva una borsetta di perline, probabilmente dell’età della pietra a giudicare da quanto era consumata, stretta tra due grosse mani. In seguito, Draco scoprì che la suddetta borsetta era piena zeppa di biscotti per cani, ma sulle prime le sue attenzioni volarono stranamente in direzione dei piedi. Aveva fissato con un certo disgusto i collant bianchi e le scarpe da taglialegna che calzava, tuttavia non fu a quelle che dedicò le proprie attenzioni. Seduto ai piedi di Marge c’era un cane, era uno di quelli dal muso schiacciato e l’aria rabbiosa che di solito avrebbe trovato carini. Quello, adesso, lo stava fissando come se fosse fatto interamente di crocchette. Forse lui avrebbe sbavato davvero sulle sue scarpe, pensò, ricordandosi di issare qualche barriera che lo tenesse lontano. Ad ogni modo, al suo fianco c'era zio Vernon, altrettanto rubizzo e con un viso rotondo del tutto simile a quello di Marge. Gli untuosi capelli erano pettinati da un lato e le punte si arricciavano in ridicoli boccoli. Portava un abito scuro piuttosto dozzinale con un grande papillon sul collo taurino, le labbra erano tese in un ghigno e gli occhi piccoli e sospettosi lo fissavano con odio. Poco lontano c’era invece sua moglie, rigida nella postura e tirata in viso come se fosse disgustata dal mondo intero. Come aveva avuto modo di notare dalle fotografie, Petunia non somigliava affatto a Harry, che aveva invece preso tutta la bellezza delicata di sua madre Lily e ben poco del volto cavallino di sua zia. Indossava un abito rosa con un grande colletto bianco, un cinturone stretto in vita dello stesso colore che la facevano somigliare a un padre pellegrino. Aveva anche un cappellino rosa con una veletta che le cadeva sopra agli occhi e fu grazie a essi che si rese conto che, contrariamente al marito, non sembrava esserci odio in lei. Osservava entrambi come se avesse appena visto un nargillo e si fosse resa conto che quella squinternata di Lunatica Lovegood non era poi così fuori di testa come tutti avevano sempre pensato. Ad ogni modo fu Dudley il primo a venir loro incontro. E lì dovette ammettere che era stato quasi doloroso sforzarsi di non ridere. Per quanto ai suoi occhi suonasse tutto un po’ triste e patetico, finora non aveva visto dei veri e propri attentati alla moda. Ma quando notò l'abito azzurrino che portava il cugino di Harry, ebbe quasi un colpo al cuore. Oltre al fatto che stonava col colore della sua pelle, facendolo sembrare verdognolo in viso, aveva abbinato l’azzurro a una camicia rosa che aveva degli orribili ricami d’oro. Era un’accozzaglia di colori senza senso, messi insieme a caso da un qualcuno che era chiaramente più cieco di Potter senza occhiali.
«Ehi, Harry!»
«Big D» lo salutò questi, stringendo la mano del cugino che azzardò poi un abbraccio impacciato.
«E lui è quel Drago là che mi dicevi?»
«Draco» specificò parlando esageratamente lento, scandendo una a una le lettere come se avesse davanti un nonnetto duro d’orecchi. «Con la c.» C di “Che cazzo ci faccio qui?” avrebbe voluto aggiungere. Tuttavia era rimasto zitto, mordendosi a forza l'interno delle guance mentre porgeva la mano a Dudley in un gesto di cortesia. Perfetto! Le aveva pure sudaticce e fredde. Per Merlino, sembrava bava di lumache carnivore, quella che gli era rimasta appiccicata alle dita. Ma che schifo era? Se era fortunato era solo un impasto di gel e sudore, se era sfortunato… Beh, non ci voleva pensare, si disse intanto che le ripuliva molto velocemente sul vestito di Potter, fingendo una carezza appena accennata alla schiena. Visto? Era un gentiluomo, non faceva battute velenose e allo stesso tempo riusciva a destreggiarsi in una situazione spinosa. Era un grande, cazzo!
«Big D, lui è Draco Malfoy» lo presentò Harry «era un mio compagno di scuola e ora è il mio fidanzato.»
«Oh» annì quel babbano «quindi anche tu sei un...»
«Esattamente» lo interruppe, quasi gli stesse facendo la gentilezza di non farglielo dire. In effetti sarebbe stato divertente vedere quel Vernon agitarsi tanto, ma di nuovo, l'amore per Harry lo tratteneva dal comportarsi male. «Te la direi anche quella parola con la “M”, ma tuo padre ci ha proibito di nominarla.»
«Big D, sai lui è l'erede di una delle più antiche famiglie d'Inghilterra» se ne uscì Potter a quel punto e nella sua voce c’era, del tutto incomprensibilmente, una lieve nota di orgoglio. Orgoglio? Ma da quando il signor “Ho salvato il mondo il magico da un pazzo, ma sono troppo modesto per pensare che sia merito mio e ora sto insieme a uno di cui comunque odio ancora la famiglia”, era orgoglioso del blasone dei Malfoy? Ah, su questa doveva indagare di sicuro. Non ebbe però il tempo di pensarci ancora, perché d’improvviso Harry gli stritolò la mano, che aveva appena recuperato dal proprio culo. Oh, ma tu guarda dov’era finita… Accidentalmente era scesa sin lì, ma non aveva idea di come fosse successo, eh. Cioè era scivolata per sbaglio. Che era colpa sua? Certo che si ricordava di aver imposto delle regole, ma ora che ci pensava valevano per lo spettinato, non per lui. Lui poteva toccare tutto quel che gli pareva, dovunque lo volesse.
«Sono dei nobili, sai?» aggiunse quindi, pizzicando il dorso della sua mano e strappandogli un gemito di dolore.
«Wow, Harry!» esclamò Dudley, estasiato. Tuttavia tanta meraviglia durò molto poco perché zio Vernon si era avvicinato e aveva preso Harry per un braccio, strattonandolo con forza.
«Che diavolo significa questa pagliacciata, ragazzo?» sibilò «chi è questo tizio?»
«Draco Malfoy, mio zio Vernon» replicò Harry, glaciale, liberandosi immediatamente da quella presa salda. «Zio, questo è il mio fidanzato Draco. Viviamo insieme già da due anni e no, non è una pagliacciata.»
«L’avevo detto io» intervenne zia Marge a voce ben alta, probabilmente in modo tale da farsi sentire da tutti quanti «cattivo sangue non mente mai. Colpa della madre: il sangue cattivo porta i figli a degenerazioni come questa» concluse, dopodiché voltò sui suoi piccoli tacchi ed entrò direttamente in chiesa. Draco si annotò mentalmente di lanciarle l’incantesimo della pastoia, quella meritava di saltellare sino a sera.

 

Non era stato divertente. Al contrario aveva percepito una morsa allo stomaco tutt’altro che piacevole. Era corso subito a stringere il braccio di Harry, il quale era teso e rigido e aveva la bocca era serrata in una morsa. Era arrabbiato, ma probabilmente un tempo avrebbe reagito diversamente da come invece stava facendo adesso. Una volta si sarebbe scagliato contro quella donna come se avesse avuto davanti un nemico mortale, pronto a ristabilire l’onore perduto. Era un Grifondoro dopotutto e loro dovevano sempre difendere qualcuno da ignominie varie, era questione di principio. Se poi queste ti toccavano in prima persona, allora i suddetti Grifondoro diventavano delle vere e proprie furie. Un tempo, però, Potter era molto più oppresso dall’ambiente che lo circondava, oltre che gravato dalla parte di Lord Voldemort finita accidentalmente dentro di lui. Non c’erano stati soltanto i Dudley, a impensierire quell’Harry adolescente. C’erano state le calunnie della stampa, le dicerie dei compagni e il peso del dover essere l’eroe di cui il mondo aveva bisogno. E sì, c’era stato anche lui. Dall’altra parte della barricata, a infierire su ogni ipotetico errore del suo odiato nemico. Ripensarci faceva male anche adesso, eppure Draco non ci si tormentò. Erano passati anni da allora e in quel momento l’uomo che tanto amava, e che in un certo senso gli aveva cambiato la vita, aveva bisogno della sua presenza. Erano state troppe le volte in cui aveva fatto affidamento su di lui, adesso era suo il dovere di essere la colonna portante della coppia. A quella stronza vestita di giallo avrebbe pensato in un secondo momento.
«Andiamo» lo invitò, con voce dolce, procedendo verso la chiesa. Ancora avevano gli occhi di tutti addosso e forse, per la prima volta da che erano arrivati, qualcosa gliene importava.
«Harry?» La voce di zia Petunia fermò il loro incedere lento ed elegante, Potter si era come sgonfiato da tutta quell’ira che gli aveva arrossato le guance; quando si sentì chiamare si voltò appena e sorrise timidamente. Malfoy aveva già notato in passato come il parlare della sorella di sua madre fosse, in un certo senso, diverso rispetto alla maniera in cui gli raccontava di zio Vernon. Non poteva giurare che le volesse sinceramente bene, ma forse non la odiava come aveva fatto un tempo.
«Mi ricordo di lei» se ne uscì, squadrandolo dalla testa ai piedi «un giorno che siamo venuti a prendere Harry alla stazione: capelli bianchi come suo padre. Difficile dimenticare persone del genere.»
«Draco Malfoy, signora» annuì, esibendosi in un perfetto baciamano che ebbe chiaramente il potere di stupirla. E che cazzo, sua madre gli aveva rotto le balle per tutta la vita con questa faccenda dell’educazione. Vuoi che non riusciva a impressionare una babbana qualunque?
«È vero quello che dicevi prima? Che è un nobile?» domandò, e li guardava con un certa dose di diffidenza. Era come se stesse sondando il terreno alla ricerca di una qualche falla, oppure che stesse considerando l’idea di fidarsi di loro. Forse era troppo presto per questo, ma almeno non aveva avuto atteggiamenti omofobi e stavano intrattenendo una conversazione civile.
«I Malfoy sono una delle famiglie più antiche d’Inghilterra, quindi sì, sono di stirpe nobile, signora. Mentre la famiglia di mia madre, quella dei Black, è altrettanto blasonata. Ma da dopo la guerra tutto questo conta relativamente, nessuno parla più di sangue puro.»
«Black come Sirius Black?» chiese Petunia, ignorando l'ultima parte della frase.

«Sì, era un mio parente» annuì Draco «soltanto che non ho mai avuto modo di conoscerlo, è morto prima che la guerra finisse e che noi due iniziassimo questa relazione.»
«Capisco» mormorò lei, intanto che Harry affondava le unghie nel braccio di Malfoy, come in un invito a sbrigarsi. A Potter non piaceva quando si parlava del suo padrino, ancora meno lo era il pensiero di fare discorsi del genere con sua zia Petunia.
«Scusaci, vorremmo prendere posto.» E detto questo si incamminarono all’interno della chiesa.

 

Aveva appena pestato il piede a quella Marge del cavolo, del tutto accidentalmente il che era ovvio, per poi scusarsi con un sorriso falso come l'oro dei Leprecauni, quando si ricordò della faccenda della nobilità e allora non riuscì davvero a trattenersi.
«Cos’è tutto questo interesse per la mia famiglia? Se non sbaglio hai maledetto i miei antenati sino al capostipite e ora mi sfoggi ai tuoi zii in questo modo? Potrei sentirmi offeso, lo sai?»
«Tanto per cominciare, non ho maledetto proprio nessuno» gli disse, cedendogli il passo e suggerendogli di prendere posto su quella che sembrava più uno strumento di tortura che una panca. Invito che accettò proprio malgrado, perché era sicuramente più saggio levarsi dalla navata principale che rimanere lì impalati. Portandosi il bastone sotto al braccio, si sedette accanto a una signora d’una certa età, strizzata in un tailleur fucsia che lo guardò come se avesse qualcosa in faccia di davvero molto brutto. Fu quasi tentato di chiederglielo, ma fu tanto sfacciato da salutarla con un lieve cenno del capo a cui lei aveva replicato sollevando il naso e voltando la testa dall'altra parte. Ma quelli c'erano nati così stronzi e maleducati o era un trattamento speciale solo per loro? Non c'era uno solo di quei tizi che li avesse salutati o che avesse sorriso quando i reciproci occhi si erano incontrati: tutti quanti li guardavano dall'alto in basso, come se avessero a che fare con dei vermi. Più o meno quello che Draco aveva sempre fatto nella vita con chiunque non avesse il sangue puro dei maghi. Era un po’ come se il destino fosse uno stronzo, che però è anche saggio e ti vuole insegnare qualcosa: in fin dei conti stava assaggiando la propria stessa medicina ed era amara come il veleno.
«So come avere a che fare con loro e uscirne illeso» riprese Harry, sussurrando intanto che si accomodava al suo fianco «una volta feci credere loro che Sirius fosse davvero un assassino, solo perché mi lasciassero in pace. Ora ho calcato un tantino la mano con quella storia della nobiltà perché sono sensibili all’argomento, potrebbero addirittura considerare la tua presenza qui come un qualcosa di non del tutto negativo. Credimi, questa sarebbe già un’enorme vittoria.»
«Sarà, ma ti avverto che mio padre lo verrà a sapere» borbottò Malfoy, stringendo il bastone con entrambe le mani e puntandolo a terra, intanto che si agitava come un forsennato su se stesso, in un tentativo di trovare una posizione comoda. Quelle panche erano davvero armi di tortura.
«Questa frase non mi spaventava quando avevo undici anni, figuriamoci se ci riesce adesso» replicò un Potter particolarmente sarcastico, sorridendogli con fare sfrontato. Draco dovette mordersi a forza le labbra per non ridere. Adorava provocarlo in quel modo. «E stai fermo una buona volta!»
«Questa cosa è scomoda» si lamentò invece lui, scivolando verso il bordo come se quello potesse servire a qualcosa. Perfetto, ora gli faceva male persino la schiena.
«Ma piantala, ti sei seduto su cose più molto dure di…» Qualunque cosa stesse per aggiungere, però, fu interrotta dall’arrivo della sposa. Draco notò con la coda dell’occhio come tutti si stessero affrettando a sedersi, oltre il modo impacciato col quale quel confetto ambulante dello sposo aveva preso posto accanto a un allucinato prete. Questo sembrava esser stato appena schiantato, aveva i capelli sparati in aria, gli occhi fuori dalle orbite e anche le vesti che indossava erano stropicciate e malmesse. Forse anche lui si stava domandando chi gliel'avesse fatto fare di sposare gente del genere, oppure era rimasto abbagliato dalle scarpe bianche Dudley. Già, erano proprio bianche e non sapeva davvero come avesse fatto a non notarle prima. Scarpe bianche, abito azzurro e la camicia rosa a sbuffi. Con la madre dello sposo che gli pettinava i capelli di continuo e lo chiamava: “Diddino”. E lui, ultimo discendente di una nobile famiglia di maghi, doveva assistere a quello spettacolo patetico? Per Merlino com’era caduto in basso... Draco alzò gli occhi al cielo quando una strana musica, proveniente da un organo, iniziò a suonare e sulla soglia del portone apparve la sposa in tutta la sua scintillante bellezza. Petunia e Vernon si affrettarono soltanto allora a sedersi in prima fila mentre la stronza, cioè voleva dire zia Marge, aveva occupato un’intera panca tutta per lei e per quel botolo bavoso che si portava appresso. E poi, beh, poi la sposa iniziò a incedere lungo la navata e gli occhi di tutti le furono addosso.

 

Draco detestava l’idea che quella Melody (no, un momento… come si chiamava?) fosse una bella ragazza, avrebbe dovuto avere la faccia ricoperta di pustole e lui avrebbe potuto fare tutte le battutacce che voleva senza sentirsi uno stronzo totale. E invece era carina, con una lunga chioma di capelli biondi, un corpo minuto e un visino pulito che gli fece chiedere cosa ci facesse una ragazza tanto graziosa assieme a un uomo delle caverne come Dudley. L’accompagnava un signore decisamente più anziano, dalla pancia prominente e due baffoni da campionato del mondo di ubriaconi, il quale indossava una giacca nera e un cravattino sopra a un kilt scozzese.
«Ma che accidenti si è messa addosso, il centrino di sua nonna?» sibilò Draco all’orecchio di un Potter, che si mordeva le labbra per non scoppiare a ridere. Si riferivano ovviamente all’abito di lei, perché quella Melissa era anche carina, ma l’avevano conciata come una poveraccia. Era certo che quel vestito fosse di almeno un paio di secoli prima, interamente di pizzo, aveva lunghe maniche che arrivavano sino ai polsi e uno scollo che praticamente la soffocava, dato che le saliva su sino alla gola. Draco ne sapeva qualcosa di abiti da sposa babbani perché Pansy comprava riviste tutte le settimane. Diceva che si era resa conto che quei non magici avevano un gran gusto per la moda. E quando andava a trovarla o l’andava a prendere prima di uscire a bere qualcosa, si sedeva sul suo divano e sfogliava qualcuno di quei settimanali. C’erano abiti di pizzo stupefacenti addosso a modelle altrettanto meravigliose, quindi era certo che anche dei babbani potessero cavare fuori qualcosa di stupendo da una cosa come il pizzo, quello della sposa era però stantio e scialbo, suonava decisamente di stravecchio. Anzi, tutto quanto era scialbo a quel matrimonio: gli sposi, gli invitati… era tutto troppo triste perché potesse piacergli. Ciò fece fu mordersi la lingua a forza, ingoiando il desiderio di smaterializzarsi da lì prima di subito.


 

Allora, il punto era più o meno questo: le due famiglie si odiavano. E no, questo non faceva degli sposi due amanti sfortunati come nell’opera teatrale di quel Shakespeare non so che. Draco lo sapeva perché una certa signora Twist gliel’aveva sussurrato all'orecchio, intanto che le dava il braccio accompagnandola sino al ristorante dove si sarebbe tenuto il ricevimento. La signora Twist era la vicina di casa della nonna di Melissa ed era una maganò, lui lo sapeva perché quella donnetta vispa aveva subito riconosciuto il famoso Harry Potter dalla saetta che aveva sulla fronte. Con lei si era quasi trovato bene al punto che si era offerto di porgerle il braccio. Ciò che si era ritrovato ad ascoltare era una sequela di pettegolezzi senza fine (e spesso senza capo né coda), che divennero interessanti soltanto quando iniziò a raccontargli del fatto che la madre di Melissa e Petunia si fossero dichiarate guerra a vicenda. La sposa era scozzese di origine, nonostante vivesse nel Surrey da qualche tempo, gran parte dei suoi parenti erano di Glasgow. I Penton avevano insistito per un matrimonio tradizionale scozzese, i genitori di Dudley invece avevano ritenuto quel rito come un qualcosa di tribale e poco all’altezza del loro Diddino. Si erano impuntati furiosamente per avere una cerimonia in chiesa, che loro consideravano di tutto rispetto. Soltanto dopo che Vernon si era offerto di pagare il ricevimento, gli abiti, i fiori e persino il viaggio di nozze, per altro indebitandosi fino al collo, gli altri avevano mollato il colpo. Questo però non aveva affatto calmato le acque, che ora parevano più tese che mai. Draco si ritrovò a dispiacersi intanto che la signora Twist si prodigava a spiegargli i punti fondamentali di un vero matrimonio scozzese. In effetti sarebbe stato molto più suggestivo, lui ad esempio avrebbe apprezzato quella cosa della coppia piena di Whiskey da cui la sposa avrebbe dovuto bere. [2]
«Parola mia, figliolo, quelle due prima di sera si prenderanno a borsettate» aveva proseguito la signora Twist, aggiustandosi al meglio il cappellino violetto sopra la testa. «Sembra che quella Petunia non volesse che i ragazzi indossassero il kilt. E pare che lei e Mary Ann, la madre di Melissa, si siano insultate in più di un’occasione» sussurrò, ancora, stringendo con incredibile forza il braccio di Draco.
«Oh, per Merlino, è sconvolgente!» replicò Malfoy, calcando forse un tantino la mano sul tono della voce fintamente scandalizzato, mentre Harry al suo fianco alzava gli occhi al cielo.
«Non sono affatto stupito» considerò Potter subito dopo «zia Petunia è molto tradizionale su queste cose.»

«Chiama le cose col loro nome, ragazzo» tuonò l’anziana, severa «quella si chiama ottusità e parola mia, qui succederà il finimondo ancora prima che servano gli antipasti.» Forse la signora Twist aveva doti di preveggenza, come una sorta di Cooman solo meno sciroccata, perché il finimondo fu esattamente ciò che accadde ancora prima che arrivassero al primo piatto. 

 

Harry e Draco erano stati fatti sedere a un tavolo pieno di panciuti omoni tutti imparentati con la sposa. Era difficile non distinguere gli invitati dell’uno e dell’altro, perché le donne parevano avere un diavolo per capello mentre gli uomini portavano tutti il gonnellino. Quelli che sedevano al loro tavolo avevano anche la bandiera della Scozia cucita sulla giacca. Il fatto che fossero finiti lì era il chiaro segno che fossero stati i Dudley a fare i posti per il pranzo: Potter aveva detto che probabilmente volevano tenerli lontani dagli amici di zio Vernon. Forse avevano paura che una qualche strana magia uscisse loro dalla bacchetta o altre sciocchezze del genere, come se fossero stati due maghi di sei anni incapaci di controllarsi. Inaspettatamente però si ritrovò a ringraziarli, quei tizi erano un po’ triviali e quel Trevor che gli sedeva accanto non ci andava giù leggero con le pacche sulla schiena, però erano senz’altro più tollerabili di zia Marge.
«Mangia, ragazzo, che sei più magro di un chiodo» aveva tuonato Trevor, riempiendogli il piatto di salsicce. Sì, il menù non era neanche lontanamente raffinato. C’erano vagonate di patate, cucinate in tutte le maniere possibili e immaginabili, e salsicce al sugo in ogni dove. Almeno erano… beh, non esattamente buone, ma discrete. Una delle cose che più apprezzava era il fatto che l’acqua fosse stata abolita dal loro tavolo, in pratica c’era solo Whiskey che per altro veniva mandato giù come burrobirra. Il che voleva dire che se lui e Potter si erano contenuti, Trevor e i suoi compari al secondo antipasto erano già tutti quanti fuori come un balcone. Malfoy avrebbe anche potuto tollerare tutto quello, ma ormai la lista di ciò che lo irritava a morte stava diventando penosamente lunga. Non era soltanto perché erano dei babbani stupidi, non solo perché erano ineleganti, sciatti o perché nessuno di loro avrebbe saputo intrattenere una conversazione decente neanche pagandoli, era per tutto insieme. Oh, ma se sino ad allora era stato convinto di aver visto il peggio del peggio, a un certo punto dovette ricredersi. Niente sarebbe mai stato più irritante di quella dannata, fottutissima cornamusa. E Draco l’amava anche, la Scozia eh. Era proprio quel matrimonio a essere irritante e soprattutto lo era quel tizio, che forse era un mago oscuro venuto lì per torturarlo, con un kilt e un berretto sopra la testa che girava per i tavoli e suonava quella specie di sacca che aveva un suono terribile. E quando si fermava al loro tavolo, quei tipi si alzavano in piedi e iniziavano a cantare. E prima c’era stato l’inno scozzese, poi la ballata di quel John non so cosa e poi ancora la canzone che le loro madri cantavano quando erano piccoli, a cui era seguito un pianto a dirotto unanime che, grazie a Salazar, a un certo punto era finito 3 soltanto perché il cornamusaro se ne era andato a un altro tavolo. Ma se Harry, il bastardo responsabile di tutto quello, rideva, Draco invece si sentiva morire ogni volta che veniva stritolato dal possente braccio del suo vicino.
«Sto arrivando al limite, te lo dico» sibilò, mandando giù a forza l’ennesima porzione di patate. «Quella dannata cornamusa adesso gliela ficco dove dico io.»

«Porta pazienza» sussurrò Potter, baciandogli la guancia «tra un po’ è tutto finito.»
«Harry, non siamo nemmeno al primo. Qui sono già tutti ubriachi e… Oh, per tutti i folletti, che diavolo sta succedendo?» Malfoy non era riuscito a non spalancare la bocca quando aveva visto una donna agghindata in un abito rosa perlato, alzarsi in piedi e svuotare un bicchiere in faccia a zia Petunia. Era stato allora che il silenzio era calato su quel ristorante, persino il torturatore armato di cornamusa aveva smesso di suonare. Tutti gli invitati ora stavano in religioso silenzio, osservando la figura di Petunia Dursley, alzarsi da dov’era rimasta seduta e rendere il cosiddetto pan per focaccia. Un bicchiere pieno zeppo di vino si rovesciò sulla testa della signora Mary Ann Penton, madre di Melissa Penton in Dursley. Allora, esplose quello che la signora Twist aveva definito come un vero e proprio finimondo. Draco Malfoy, seduto accanto a uno sconvolto Harry Potter, guardava divertito quella tragicommedia dipanarsi davanti ai suoi occhi grigi. Oh, ora sì, che iniziava davvero a divertirsi.

 





Continua



 

[1]Non so assolutamente cosa serva per avere un Eccezionale ai M.A.G.O., ma so che più l’oggetto da trasfigurare è grande, maggiore deve essere la potenza del mago nell’ottenere un risultato ottimo. 
[2]Matrimonio scozzese: Matrimonio scozzese, 10 cose da sapere - Panorama Sposi


Note: Eccovi il secondo (di tre, non so se l’ho detto) capitolo di questa storia un po’ folle. Premetto che io amo al scozia e gli scozzesi e amo anche le cornamuse, ma in questo momento Draco odierebbe anche sua madre ve lo garantisco!

Scriverla mi sta divertendo davvero tanto e il prossimo capitolo sarà il delirio totale. So che alcune cose potranno essere considerate OOC, come Harry che non replica alle provocazioni di Marge o a quelle di Vernon, ma ho considerato che ora lui ha una stabilità mentale che quando aveva sedici anni non possedeva. La chiave di molte delle reazioni che ha sono il frutto non soltanto dell’horcrux di Voldemort, ma anche di una sorta di sete di giustizia costante che non è mai riuscito a ottenere. Nessuno gli credeva tranne i suoi amici più stretti, e Silente, tutti lo hanno sempre accusato di qualcosa (di essere l’erede di Serpeverde, di raccontare bugie, eccetera) ed è arrivato persino a essere diffamato sulla Gazzetta del Profeta, insomma questo metterebbe a dura prova chiunque. Ora Harry è un uomo molto diverso, ho considerato questo mentre scrivevo quella scena. Tenete conto però che ci sarà un altro momento con zia Marge nel prossimo capitolo, una sorta di riscatto.

Volevo ringraziare tutte le persone che hanno letto e recensito il primo capitolo, siete molti più di quanto non mi aspettassi.
Koa

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Capitolo 3
*** La disfatta (o forse no?) ***


La disfatta (o forse no?)




 


A un certo punto del ricevimento, Draco Malfoy venne investito dall’agghiacciante consapevolezza di esser stato sfiorato per un solo millimetro da una ciotola colma di purè, la quale aveva drasticamente rischiato di finirgli il testa. L’esser scampato era, a suo modo di vedere, un vero e proprio miracolo. In fin dei conti quella non era niente di più che una guerra, solo che non c’erano bacchette o incantesimi a sferzare l’aria, ma piatti che volavano senza alcuna grazia da una parte all’altra del salone, rimasugli di cibo che finivano dappertutto e signore urlanti ovunque volgesse lo sguardo. Gli attriti tra le due famiglie erano così accesi, che era bastato che la madre dello sposo e quella della sposa si rovesciassero addosso il contenuto dei rispettivi bicchieri, per dare inizio a una battaglia a suon di piatti in testa e salsa in faccia. Potter in un insensato slancio di generosità, per altro pateticamente tipico del suo carattere, aveva attraversato la sala ristorante a passo di marcia cercando di separare Petunia da Mary Ann Penton. Le due, però, avevano continuato a darsele di santa ragione e sembrava non avessero alcuna intenzione di smettere. Erano andate ben oltre le famigerate borsettate previste dalla signora Twist, ora si stavano tirando per i capelli. Zio Vernon naturalmente non ci aveva pensato minimamente a starsene in disparte e a propria volta litigava col padre della sposa mentre, Dudley e Melissa, se ne stavano seduti immobili a fissare il caos esploso attorno a loro come se non credessero davvero ai rispettivi occhi. Il cugino di Harry non gli aveva mai dato l’impressione di essere troppo intelligente, ma in quei frangenti gli sembrò più scemo del solito con quella bocca aperta e lo sguardo vacuo di chi ha bisogno che le cose gliene spieghino per bene perché non ce la fa davvero ad arrivarci da solo. Ebbe invece un moto di compassione per la sposa, c’erano degli schizzi di vino che le avevano macchiato di rosso l’abito e aveva tracce di purè tra i capelli. Fu alla sua salute che brindò ingurgitando il secondo bicchiere di Whiskey, prima di alzarsi dalla sedia dov’era rimasto seduto per tutto quel tempo. L’intenzione era raccattare lo stupido eroe e andarsene, ma anche smaterializzarsi e mollarlo lì non era poi una cattiva idea. Era semplicemente ridicolo che avesse pensato davvero di poter sopportare tutto quello. Era evidente che il matrimonio fosse rovinato, perché era impossibile che le due famiglie riuscissero a convivere serenamente e di certo non avrebbero iniziato a farlo proprio mentre si lanciavano addosso stoviglie e insulti di varia natura, tutti per altro molto coloriti. E non aveva nessuna intenzione di rischiare di rovinare l’abito di sartoria con della becera e volgare salsa al pomodoro. Stava quasi per raggiungere lo spettinato con tutta l’intenzione di trascinarlo via per un braccio, quando notò di sfuggita la signora Twist e istintivamente i suoi passi si bloccarono. In tutta la sua vita, Draco non aveva incontrato molti maghinò: il solo che avesse conosciuto era Gazza, a scuola. Non che fosse un ottimo rappresentante della categoria, sia chiaro. Un tempo lo aveva persino insultato e ancora oggi, nonostante tutto, non se ne pentiva perché era un insopportabile idiota. Aveva sempre guardato quella gente dall’alto in basso alla stessa maniera di come aveva per anni trattato i babbani: come se il fatto di avere la magia lo rendesse ovviamente superiore. Quando la guerra era finita e aveva smesso di essere un Mangiamorte, aveva iniziato a rendersi conto di come dovesse essere la vita di simili individui e si era ritrovato a provare pietà per loro. Come doveva essere nascere senza alcun potere in una famiglia di maghi? In quei frangenti, mentre un piatto di antipasti gli volava sopra la testa e si sfracellava a terra sotto gli occhi interdetti dei camerieri del ristorante, che chiaramente stavano segnando tutto ciò che quei pazzi stavano rompendo, si domandò se la signora Twist avesse dei fratelli o delle sorelle e se quelli, contrariamente a lei, fossero dotati di poteri magici. Per un istante gli venne voglia di sapere di più su quella donna, il che era ridicolo se si considerava dove si trovava e che una voce nella sua testa gli urlava di scappare a gambe levate. Probabilmente sarebbe stato più saggio prendere la porta e andarsene, ma Draco Malfoy aveva smesso di fare scelte sensate nell’istante esatto in cui si era reso conto di amare Harry Potter.
«Ti sconsiglio di rimanere lì in piedi, ragazzo» aveva detto lei, senza alzare gli occhi dal piatto. La signora Twist se ne stava seduta in maniera composta e pacificamente tagliuzzava una patata, mettendone in bocca un pezzettino alla volta non prima di averlo intinto per bene in una salsina bianca. Pareva del tutto incurante di quello che le stava accadendo attorno, quasi già sapesse come sarebbe andata a finire e trovasse l’affannarsi di chi vorticava per la sala correndo alla più non posso dietro al proprio figlio o al proprio marito, piuttosto ridicolo. In effetti lo era, si rese conto notando come Harry stesso fosse stato braccato da uno scozzese alto più di due metri, palesemente ubriaco, che aveva iniziato a urlargli in faccia. Per non parlare poi di quelli che erano saltati in piedi sui tavoli e che avevano iniziato a cantare a squarciagola; quelli erano addirittura incomprensibili.
«Siedi qui accanto a me, giovanotto» disse di nuovo la signora Twist, alzando di poco il volto così tanto da indicargli con un cenno la sedia vuota accanto a lei. Non sorrideva e Draco si era convinto che non lo facesse davvero mai, aveva un viso arcigno accentuato da quel naso adunco, dalle labbra sottili e il mento affilato. Malfoy si ritrovò a obbedirle senza neppure battere ciglio, lasciandosi cadere al suo fianco e rilasciando un pesante sospiro che in effetti parlava al posto suo.
«Potrei pensare che abbia doti di preveggenza, signora, considerato che il finimondo è esattamente quel che è accaduto.»
«Non essere sciocco» borbottò lei, chiedendogli gentilmente di allungare in sua direzione una brocca piena di vino. Draco lo fece, versando un po’ di rosso nel suo bicchiere e lei si bagnò le labbra con un paio di sorsi, prima di dedicarsi nuovamente al cibo che aveva davanti. Questa volta attaccò un pezzo di carne che mangiò avidamente.
«Non serve di certo la magia per sapere che la famiglia di Melissa e quella dei Dursley si odiano. Certo però se avessi una bacchetta come quella che ti spunta dalla giacca, giovanotto, è sicuro che lancerei una qualche fattura a quella specie di limone ambulante che si accompagna a quell’antipatico cagnetto.» Neppure quella volta sollevò lo sguardo da dove lo teneva ancorato, a Malfoy comunque non servì che specificasse di chi si trattava o che indicasse apertamente con la punta di un dito. Le era bastato accennare col capo al donnone che, un paio di tavoli più in giù, rifilava salsicce al proprio cane facendolo di soppiatto, forse nella speranza di non farsi vedere da nessuno. Zia Marge, naturalmente e chi altri?
«Sai, mia sorella gemella è andata a Hogwarts, così come mio fratello più grande e mi hanno raccontato di certe fatture che ti riempiono la faccia di pustole, beh, a mio parere quell’arpia se ne merita di peggiori.»
«Sono perfettamente d'accordo» mormorò Draco, stirando un sorriso mellifluo. A riguardo comunque aveva già cambiato idea. Non era più propenso a usare l’incantesimo della pastoia, invece una bella fattura orcovolante che le avrebbe riempito la faccia di mostriciattoli, non sarebbe stata affatto male.
«Ma temo non ci sia permesso fare incantesimi sui babbani, non di questo tipo almeno e il mio fidanzato è un auror e mi sbatterebbe in galera se solo ci provassi. Per non parlare dei guai che passerebbe lui se il ministero lo venisse a sapere.» Sì, era questa la versione ufficiale o comunque la frase con la quale tentava di convincere se stesso di non voler cruciare l’intera famiglia di Harry, così da farli tacere una volta per tutte. Che poi non era neppure una scusa così assurda. In fondo era pur sempre un ex Mangiamorte e se avesse cominciato a torturare babbani, probabilmente la gente avrebbe pensato che non era cambiato affatto rispetto al passato e che il povero eroe di guerra era stato raggirato per tutto quel tempo. Il mondo dei maghi era pieno di pettegoli e malelingue, questo era certo e la loro relazione all’inizio non era stata ben vista dalla maggior parte di coloro che al ministero non avevano mancato di parlare alle spalle di Harry e Draco. Non che gliene fosse mai fregato qualcosa, s’intende, ma ad ogni modo non poteva sfoderare la bacchetta. Era sicuro però che volesse pietrificare chiunque in quella sala più di qualsiasi altra cosa al mondo. Anche per questo aveva deciso di andarsene, meglio la fuga che una litigata seria con Potter. Da quella non si sarebbe di certo salvato e non voleva rischiare di deluderlo: c’erano cose peggiori della prigione e gli occhi verdi di Harry Potter pieni di delusione lo avrebbero perseguitato in eterno.
«È un bravo ragazzo» disse d’improvviso la signora Twist, guardandolo con una punta di dolcezza «e ti ama davvero molto.»
«Lo so» annuì Draco e nel mentre non era riuscito a non far volare gli occhi su di lui. Stava ancora discutendo con quell’omone ed era una scena piuttosto comica, perché quel tizio barcollava vistosamente e gli puntava contro un dito come se lo stesse minacciando. Non capiva quello che si stavano dicendo perché il chiasso era davvero troppo elevato, ma era probabile che Potter stesse tentando di convincerlo a sedersi a bere un bel bicchierone d’acqua e questi non ne volesse sapere. Stupido eroe, pensò stirando un sorrisino.
«E da quel che vedo, anche tu lo ami con altrettanta intensità.»
«Tzé, con altrettanta intensità» sputò, quasi ridendo. «Perché crede che sia venuto qui oggi? Per quante persone pensa farei una cosa del genere?» le domandò quindi. Forse era stato più brusco di quanto non volesse, ma le espressioni della signora Twist non davano segno che si fosse risentita. Ancora lei lo fissava dritto negli occhi e questa volta non riuscì a non distinguere un baluginio di dolcezza su quel viso solitamente severo. Si sentì quasi imbarazzato, come se non riuscisse ad affrontare la maniera indagatrice e quasi malinconica con cui lei lo stava fissando. Quindi decise di deviare gli occhi altrove, preferendo fissare il vaso di fiori che fungeva da centrotavola. Rimase un paio di istanti a guardare le calle sistemate per bene una accanto all’altra, ma a un certo punto le parole gli uscirono dalla bocca e basta, come se confessarsi con quella donnetta fosse la cosa più naturale del mondo: «Non potevo permettere che affrontasse da solo la sua famiglia, perciò sono qui. Harry è cresciuto con i suoi zii ed è vero che ha ricucito il rapporto con suo cugino negli ultimi anni, ma i Dursley a mio modo di vedere restano persone orribili. Quando viveva con loro facevano e dicevano cose che un bambino non dovrebbe subire.»
«Non fatico a crederlo» borbottò quella donna, riprendendo serenamente a mangiare «quella sottospecie di limone marcio, laggiù… Marge mi pare si chiami ed è la sorella di Vernon. Ad ogni modo le ho sentito dire delle vere e proprie amenità. Non c’è bisogno di sapere che Harry Potter è un eroe o di conoscere la sua storia tragica, per rendersi conto di quanto è gentile. Un ragazzo tanto buono non merita che una tizia con la puzza sotto al naso, le cui mani odorano di cacca di cane gli dica contro certe cose. No, davvero.»
«Cos’ha detto?» si azzardò a chiedere Malfoy. Forse la risposta non la voleva davvero sapere ed era meglio non indagare, ma le parole gli scivolarono ugualmente fuori dalla bocca.
«Non ripeterò nessuna di quelle amenità, giovanotto, sono una signora per bene, io» concluse a voce un po’ più alta del normale come se volesse farsi sentire. Draco non credeva ci fosse riuscita, c’era troppo caos là dentro tra gente che urlava e quella dannata cornamusa che per altro aveva ripreso pure a suonare.
«Ah, glielo dirò a Mary Ann comunque. “Con chi accidenti ti sei imparentata, mia cara?” Proprio così le dirò. “Ti sei presa in casa gente omofoba e senza cuore” aggiungerò poi, perché è questo che sono.» E detto questo, la signora Twist riprese a mangiare la propria patata, ignorandolo come se non fosse davvero più seduto accanto a lei.

 


Harry Potter era chiaramente stato messo alle strette, Malfoy si ritrovò ad annotare mentalmente di ricordarselo perché non era il tipo di cosa che si vedeva tutti i giorni. Peccato non avesse portato con sé una macchina fotografica magica, perché vederlo schiacciato contro a un muro da uno scozzese grande e grosso che lo minacciava con una bottiglia vuota di Whiskey, era quasi divertente. Per attimo o due rimase appoggiato al muro, poco lontano da dove stava Harry e, a braccia conserte, lo guardava con aria furba. Lui, lo notò che Draco già stava sogghignando per il divertimento. Con le labbra lo vide mimare un: “Aiuto” pure un tantino disperato. Gli occhiali gli erano scivolati sul naso, il cravattino era storto mentre la giacca era stropicciata. Lo scozzese, facendo subito caso al suo tentativo di fuga, mollò a terra la bottiglia e lo strinse per il collo. Ecco, quello non gli piacque granché. Lui era il solo a poter mettere al muro Harry Potter, era ora che quell’energumeno lo sapesse.
«Ti serve una mano?» chiese, beffardo. Per fortuna quel mezzo gigante non sembrava averlo sentito, era troppo impegnato ad alitare in faccia a Potter insulti irripetibili col suo marcato accento scozzese per dar retta a lui.
«Ti prego» lo sentì supplicare, intanto che questi stringeva il suo collo con una discreta forza. Per Salazar, avanti di quel passo lo avrebbe ucciso e, beh, nonostante lo avesse trascinato in mezzo a quel delirio ancora lo amava quindi non poteva proprio permetterlo. Draco sospirò, intanto che arricciava il naso alla ricerca di un modo per liberarsi del problema. Non poteva usare la magia: c’erano troppi babbani presenti e se quelli del ministero avessero saputo che avevano davvero lanciato un incantesimo su un innocente, Potter sarebbe finito nei guai. Quindi iniziò a vagliare l’ipotesi di usare la forza, ma il problema era che Draco non era mai stato un tipo fisico, non nel senso brutale del termine. Se si parlava di cazzi allora lo era eccome, ma quando c’erano in ballo risse e cose del genere, senz’altro il suo ragazzo era il più adatto a prendere a cazzotti qualcuno. Tutti quegli allenamenti da auror lo avevano portato ad avere un bel paio di braccia muscolose e pugni duri come pietre. E poi quel tale col kilt era alto almeno quindici centimetri più di lui e con la sua mole fisica lo avrebbe schiacciato così come Hagrid avrebbe fatto se si fosse seduto su un insetto stecco; insomma non avrebbe fatto una bella fine. Il che voleva dire che avrebbe dovuto usare l’astuzia, perfetto: la sua specialità. Allungò il proprio bastone in direzione di quell’uomo, picchiettando la sua spalla con un paio di colpetti. Questi si voltò di scatto, mollando la presa sul collo di Potter e iniziò a guardarlo con aria confusa.
«Signore, ho bisogno del suo aiuto» disse con voce fintamente allarmata, facendo cenno all’energumeno di avvicinarsi. Lo vide barcollare verso di lui e per un attimo ebbe il timore che gli finisse addosso. Quando gli fu sufficientemente vicino, e abbastanza stabile, dovette alzarsi appena sulle punte dei piedi per arrivare al suo viso e quando ci riuscì abbassò la voce di modo che potesse sentirlo soltanto lui.
«Quella donna laggiù, quella vestita di giallo, la vede? Beh, l’ho sentita insultare la Scozia poco fa e dire che in quel paese ci sono usanze tribali e stupide. Ho pensato che un patriota come lei dovesse saperlo, sa io sono scozzese da parte di madre e non posso proprio sentire simili amenità sulla mia nobile patria. Amo troppo la nostra bella bandiera per vederla insultata in quella maniera e…» Ma non fu necessario che aggiungesse altro, l’uomo gli mise una mano sulla spalla come a volerlo rassicurare di chissà che cosa e marciò a passo risoluto verso un’ignara zia Marge, la quale venne praticamente investita da un fiume di urla senza senso da un momento all’altro. Con una mossa sola aveva preso i famigerati due piccioni con una fava, aveva salvato il culo dell’eroe del mondo magico e si era vendicato, beh almeno in parte, di zia Marge.
«Stai bene, Harry?» chiese subito, accorrendo verso di lui pur senza troppa fretta. Grazie a Merlino sembrava tutto a posto: si era rimesso in piedi, sistemato gli occhiali sopra al naso e aveva cominciato a massaggiarsi il collo dolorante.

«Mh» lo sentì mugugnare intanto che riprendeva fiato.
«Si può sapere che gli hai fatto per farlo arrabbiare così? Non dirmi che hai insultato anche tu la Scozia come tua zia Marge?»
«Zia Marge ha insultato che cosa?» replicò Harry confuso «è questo che gli hai detto per farlo correre verso di lei come una furia?»
«Ah, non lo so se lo ha fatto davvero» replicò Draco facendo spallucce. Lo aveva fatto? E chi lo sapeva! «Offende te da tutta la vita, non mi sembra così assurdo che abbia detto qualcosa del genere anche sui nostri amici col gonnellino e il bicchierino facile.» Potter lo guardò come se volesse rimproverarlo per aver scatenato l’ira dello scozzese ubriaco contro una persona che non era davvero colpevole, non di quello almeno, al tempo stesso però i suoi occhi brillavano di un qualcosa che non sembrava essere tanto del divertimento, quanto della sincera ammirazione.
«Ammetto comunque che è stata una mossa astuta, Draco, sei sicuro di non essere anche un po’ un Corvonero?» No, un momento… Lui era che cosa? Si scandalizzò, portandosi una mano al petto come se stesse per svenire. Fermi tutti. Non poteva avergli dato davvero del Corvonero, giusto? Lui? Draco Malfoy? Il Serpeverde più Serpeverde di tutti? A parte che quando era stato smistato al primo anno, il cappello parlante ci aveva impiegato due secondi netti per dichiarare “Serpeverde” come sua casa di appartenenza. E poi, andiamo, quelli di Corvonero se non erano dei secchioni irriducibili erano più strambi della Cooman, insomma era gente che passava i pomeriggi a indovinare la parola d’ordine da un batacchio arrogante, e lui avrebbe dovuto essere uno così? Quelli non erano del tutto a posto col cervello, se n’era sempre detto sicuro.
«Ti faccio presente, Grifondoro dei miei calzari, che noi Serpeverde siamo astuti: è una caratteristica della nostra casata. Chiedi al tuo amico cappello parlante, se non ho ragione» aggiunse infine, serrando la presa sul bastone che teneva con una mano intanto che con l’altra gesticolava apertamente. Aveva voglia di darglielo sulla testa e farlo tacere per sempre, o di chiamare di nuovo quel tizio e farlo pestare ancora un pochino. Se lo sarebbe meritato in effetti, soprattutto perché era sicuro che Harry lo avesse detto soltanto per stuzzicarlo. E, bah, in effetti iniziava sempre così tra loro. Qualche insulto blando, una o due frecciatine a effetto e poi lo facevano come ricci contro il tavolo della cucina. A ben vedere, quel luccichio nei suoi occhi forse non era semplice ammirazione, probabilmente voleva ben altro. D’altronde il suo ragazzo era sempre stato un po’ triviale nei modi di fare, la sua idea di preliminari le prime volte comprendeva una scazzottata che Draco finiva ovviamente per perdere. Non che essere schiacciati sotto il corpo tonico di un uomo corrispondesse esattamente alla sua idea di “Perdere”, eh. Quel giorno non sembrava poi tanto diverso dal solito, la differenza riguardava la questione del veto, solo che nessuno di loro ne aveva più parlato. Poteva rischiare di fingere di dimenticarsene e semplicemente fare come se non fosse mai accaduto nulla? Magari Potter se n’era scordato lui stesso e sarebbe finita che quella fugace scopatina che avrebbero fatto una volta tornati a casa… no un momento, altro che fugace, quella sana e lunga scopata che avrebbero fatto una volta entrati nella loro camera da letto, sarebbe stato il premio per aver tollerato tutti quei babbani e non averne ucciso nemmeno uno. Al pensiero sorrise, salvo poi rendersi conto di dove si trovava: doveva evitare di pensare a certe cose o lo sciattone spettinato se ne sarebbe accorto. E non poteva davvero fare la figura di quello che proibisce qualcosa e poi non rispetta le proprie leggi. Quindi riprese la sua consueta espressione disgustata e incazzata col mondo e sputò le solite parole acide.
«Senza un minimo di intelligenza e furbizia non riusciremmo mai a raggiungere gli obiettivi che ci poniamo. Nel caso specifico del salvarti il culo, beh, non potevo prenderlo a pugni né tantomeno schiantarlo, quindi ho optato per deviare le sue attenzioni… E comunque tua zia non mi piace affatto e neppure a te, San Potter!»
«Già, non è esattamente la mia persona preferita al mondo» borbottò lui portando gli occhi sulla suddetta Marge. Su quel fronte, la situazione era cambiata all’improvviso: l’uomo scozzese che fino a un attimo prima sembrava una montagna insormontabile d’un tratto era crollato a terra svenuto. Probabilmente era in coma etilico o qualcosa di simile, analizzò notando che comunque respirava ancora. E il già citato limone marcio stava pure sogghignando in maniera maligna, intanto che il suo delizioso cagnolino si era affrettato a correre verso il viso di quel poveraccio, prendendo a leccargli avidamente la faccia.
«Sembra che le sia andata bene» ammise Draco, intanto che Marge si guardava attorno e individuava in loro gli oggetti principali del suo odio. Aveva assottigliato gli occhi e serrato le labbra, il naso le si era arricciato come se avesse d’improvviso sentito un cattivo odore. Forse era l’olezzo della sua anima putrescente, pensò con odio. Quello di cui poteva dirsi sicuro, era che aveva una gran voglia di dirgliene quattro.

 

Draco non era mai stato propenso a difendere le ingiustizie, in una coppia era sufficiente un bravo ragazzo alla volta e il suo, di eroe, valeva per almeno cento Grifondoro. In tutta la sua vita non si era mai sentito in dovere di mettere a posto le cose, di dare voce a chi non ne aveva così come di sanare i problemi altrui. Poi la guerra era finita, Voldemort era caduto assieme a tutti i suoi valori e Malfoy aveva cominciato lentamente a riconsiderare se stesso e soprattutto le proprie convinzioni. Era un po’ come la faccenda dei maghinò o del rendersi conto che l’avere dei poteri non ti rendeva migliore di qualcuno, col tempo aveva iniziato a provare pena per certe persone. E dalla pena era passato alla compassione e, di tanto in tanto, al desiderio di aiutare. Aveva iniziato con sua madre, che durante il processo era come caduta in una sorta di tristezza inconsolabile, dandole una mano come poteva. Con lei però era stato piuttosto facile, oltre che naturale perché era sua madre e ovviamente l’amava. Quando però aveva cominciato a provare lo stesso sentimento anche per Harry Potter, aveva capito di essere cambiato, almeno in minima parte. D’improvviso si ricordò di tutte le storie che gli aveva raccontato, molte delle quali riguardavano la sua infanzia. Sapeva bene di quella faccenda avvenuta prima dell’inizio del terzo anno, quando aveva usato della magia involontaria su sua zia, gonfiandola come una mongolfiera. Si ricordò delle parole della signora Twist, la quale aveva definito quella donna come un’omofoba dalla cui bocca non usciva altro che veleno e allora un forte senso di giustizia gli divampò dentro al petto come un incendio. No, Draco Malfoy non era un Grifondoro e non lo sarebbe neanche mai stato. Il suo carattere spigoloso e sarcastico non era mutato tutto ad un tratto, però amava abbastanza Harry Potter da non sopportare chiunque lo trattasse male e se c’era una cosa che sapeva fare era essere fedele a chi amava davvero. Fu per questa ragione che, stretto il bastone sotto al braccio, marciò in direzione di zia Marge. Le si parò davanti notando quanto lei poco si fosse aspettata così tanta determinazione da parte di un qualcuno che in fondo non conosceva. Aveva sgranato appena gli occhi, riprendendo però immediatamente un certo contegno. Dalla propria, Draco non aveva soltanto tutta la leggendaria stronzaggine di famiglia, ma anche una discreta altezza con la quale si ritrovò a fronteggiarla. Lei, in tutta risposta, aveva fatto schizzare un sopracciglio verso l’alto mentre sollevava di poco il viso. C’era derisione tra le sue espressioni, le labbra le si erano tese in un ghigno malvagio e gli occhi sottili saltellavano tra lui ed Harry.
«Qualcosa da ridire?» gli chiese, quasi sfidandolo.
«Oh, sono molte le cose che vorrei dirle, signora.»
«Tu» replicò invece lei, categorica, voltandosi verso Harry e schioccando le dita in sua direzione come se stesse chiamando un cane. Draco si ritrovò molto più che infastidito, quasi schiumava di rabbia. Non soltanto si era permessa di ignorare un Malfoy, ma neppure chiamava suo nipote per nome, trattandolo peggio di come faceva avrebbe fatto con uno sconosciuto e ora che ci faceva caso neanche lo guardava mai negli occhi. Aveva soltanto agitato una mano e, da come aveva parlato, era chiaro che non nutrisse alcun rispetto.
«Di’ al tuo… amico di non scocciarmi.»
«Il mio nome, signora, è Draco Malfoy» le aveva fatto presente, carico di una grazia strabordante non soltanto di sarcasmo, ma anche di quel disgusto verso il prossimo, che solitamente era un’arma micidiale. «E inoltre, gradirei che si rivolgesse a mio marito chiamandolo per nome.» Mio… Per Salazar, l’aveva detto! Cazzo, cazzo e ancora cazzo. Calmo, pensò, stai calmo! Non sudare e non innervosirti neanche. Magari Harry non lo aveva sentito, non che avesse davvero il coraggio di voltarsi verso di lui per rendersene conto. Decise per la nonchalance, che alla fine era quello che gli veniva meglio.
«Ma-marito?» balbettò Marge; era chiaro che quello non se lo fosse aspettato, perché faceva vagare gli occhi dall’uno all’altro, come se volesse accertarsi di aver sentito bene.
«Esatto!» tuonò con una punta di cattiveria mescolata a determinazione. «Ed è inoltre un uomo gentile e premuroso, è meravigliosamente dolce, simpatico e, non che gliene freghi qualcosa, anche uno straordinario amante.»
«E questo dovrebbe farmi cambiare opinione su voi altri?» replicò lei, ripulendosi il viso con un tovagliolo. Quando si trattava di insultare tutto lo sbigottimento se ne andava via come per magia, eh. Sta stronza… «Siete due deviati e anche due poveracci, ah, ma lo avevo detto io a Petunia di non invitarti e invece Dudley ci teneva così tanto. Chissà poi perché… Scommetto che gli abiti che indossate o la lussuosa macchina che guidate li avete rubati. Vernon mi ha detto che suo nipote è una specie di criminale, non che mi sia mai aspettata qualcosa dal figlio di un nullafacente come quel Potter e di una poco di buono come sua madre.» Al suo fianco, Harry aveva serrato i pugni in due morse strette e Draco non era del tutto sicuro che la sua magia non sarebbe esplosa di lì a poco. Il solo motivo per cui quella Marge non si stava di nuovo gonfiando era perché Potter era un mago adulto e ben allenato a gestire i propri poteri e a incanalare la rabbia nella giusta direzione. Questo, però, non gli aveva impedito di fare un passo in avanti come se facesse fatica a stare fermo. Lui, senza neppure voltarsi a guardarlo, ma percependo unicamente la sua magia vibrare così come il suo corpo, aveva in tutta fretta stretto una mano nella propria, intrecciando le loro dita le une alle altre. Harry non aveva parlato, ma la sola ragione per cui non lo aveva fatto era perché Malfoy lo aveva preceduto.
«Giusto perché lei lo sappia, signora, sono di stirpe nobile e dirigo le imprese di famiglia. Ogni anno guadagno onestamente più di quanto lei possa mettere insieme in una vita intera mentre Harry, oltre a un bel lavoro al ministero ottimamente pagato, ha anche un sacco di soldi che i suoi genitori (che no: non erano nullafacenti) gli hanno lasciato in eredità. Non che le ricchezze contino più della bontà dell’animo di una persona, ma dato che lei insinua e accusa, allora non ho potuto fare a meno di trattenermi.»
«E io dovrei credere a un f…»
«Adesso basta!» intervenne Harry; la sua voce era pacata ma la maniera vigorosa con la quale stava stringendo la sua mano, indicava che non era per nulla tranquillo. Oltretutto, la fermezza che trasudava da ogni poro della pelle lasciava intendere quanto determinato fosse. «Ho tollerato per anni i tuoi modi di fare, ma adesso è ora che tu la smetta. I miei genitori erano persone perbene e hanno dato la vita per me. Non sono mai stati delinquenti o nullafacenti e io non sono mai andato a Saint Bruto, ma in una scuola per ragazzi e ragazze particolarmente dotati. Quello che dovresti chiederti, è se zio Vernon ti ha mai detto la verità su di me. Per fortuna non sarò presente quando gli domanderai spiegazioni, dato che sono più costretto ad avere a che fare con te. Andiamo?» concluse, rivolgendosi direttamente a Draco che annuì senza proferire parole. Si erano già voltati e avevano fatto pochi passi, quando non riuscì a trattenersi dal guardare indietro. Le espressioni che aveva trovato sul viso di zia Marge erano molto diverse da come se le era aspettate. Non sembrava stupita, non imbarazzata né pentita e non stava fissando entrambi in maniera beota come aveva sperato facesse, neppure aveva un’aria commossa e dispiaciuta. Aveva semplicemente ripreso il proprio normale atteggiamento, alzando un sopracciglio come se avesse appena sentito un mare di sciocchezze e fissando entrambi con aria disgustata. Fu allora che una consapevolezza attraversò d’improvviso la mente di Malfoy e che si rese conto del fatto che non sarebbe stato granché diverso da zia Marge, se Harry Potter non si fosse innamorato di lui. Se non lo avesse conosciuto come era riuscito a fare da dopo la fine della guerra non sarebbe mai diventato chi era adesso. Un uomo con un passato oscuro e tanti, troppi errori commessi, ma al tempo stesso un qualcuno disposto ad ammettere i propri limiti e ad andare avanti costruendo qualcosa di nuovo e di bello. Come sarebbe finito senza di lui? Sarebbe cambiato o sarebbe rimasto il Mangiamorte di un tempo? E guardando Harry Potter avrebbe avuto quello stesso disprezzo che ora zia Marge mostrava con tanta spavalderia? Forse sì, pensò. Magari in un certo senso il suo eroe lo aveva salvato. Nel capirlo, intanto che riprendeva a camminare, il fiato gli mancò e, istintivamente, aumentò la stretta sulla sua mano.


Harry volle fermarsi a salutare un paio di persone prima di andarsene. La prima fu la signora Twist, che questa volta stava azzannando una bella salsiccia e che baciò entrambi sulle guance prima di far promettere loro che la settimana successiva sarebbero passati su da lei a prendere un tè. Quindi fu la volta di Dudley e della sposa, i quali si erano appartati nel giardino sul retro del ristorante e che parevano quasi arresi. Uscendo, Harry e Draco avevano visto chiaramente Petunia e Mary Ann con gli abiti sporchi e in disordine, lanciarsi addosso resti di cibo, così come aveva notato Vernon prendersi a panciate con il padre della sposa. La sala era un disastro, chi aveva smesso di gridare si era seduto di nuovo, altri erano invece usciti in giardino a fumare o semplicemente a prendere un po’ d’aria. Il resto era collassato qua e là perché troppo sbronzo anche solo per capire che accidenti fosse successo. Nessuno però sembrava avere più voglia di festeggiare ed era quasi sicuro che qualcuno se ne fosse già andato. Per la prima volta da quando lo aveva conosciuto, Malfoy ebbe pietà di Dudley Dursley. Era un idiota ed era vestito come un uovo di Pasqua andato a male, ma nessuno meritava che il proprio matrimonio venisse rovinato in quella maniera dalla propria stessa famiglia. Quando gli strinse la mano, si disse immensamente dispiaciuto di com’erano andate le cose e promise a entrambi che lui e Harry li avrebbero presto invitati a cena così da poterne finire almeno una in tutta tranquillità. Dopo di allora Potter aveva iniziato a guardarlo con un sorrisino compiaciuto, che era probabile se ne fosse rimasto lì per tutta la mezzora che ci avevano messo per filarsela, ma del quale si rese conto soltanto dopo che era montato a bordo dell’auto. Che aveva da ridere tanto? Non doveva essere perché i capelli biondi gli si erano macchiati di sugo intanto che attraversavano il salone e sicuramente non perché aveva ancora schizzi di purè sulla guancia sinistra. Draco comprese il perché quando i suoi occhi verdi si addolcirono all’improvviso, ma certo: adesso era tutto più chiaro, era perché aveva compiuto un gesto disgustosamente buono.
«Non guardarmi in quel modo, Potter e guida» sibilò, acido, tirando fuori la bacchetta e dandosi una pulita. «Grazie a Merlino questa giornata assurda è finita» borbottò di nuovo, facendo però caso al fatto che lui ancora non aveva acceso il motore. Ancora lo fissava e aveva le mani sul volante e gli angoli della labbra curvati verso l’alto.
«Che c’è? Ho qualcosa in faccia?» chiese, guardandosi nello specchietto, ma senza trovare nulla fuori posto. Era uno schianto come al solito, a parte le occhiaie che gli arrivavano sino ai piedi e che lo stress gli aveva fatto venire. Harry non rispose nemmeno allora, ma perché era sempre più propenso ad agire che parlare quando c’era troppo che voleva esprimere. Nonostante tutto era ancora un balbettante e bavoso idiota che si sbrodolava col tè quando qualcuno gli faceva un complimento. Quindi non parlò, lo baciò e basta. Con quell’ardore così tipico di lui, che portò Draco a stringerlo per la vita e ad attirarlo a sé con impeto intanto che affondava la lingua nella sua bocca. Ecco perché lo amava, si ricordò. Perché lo sorprendeva e lo baciava come se fosse il solo uomo sulla terra a essere degno d’essere baciato. E forse a un certo punto Draco doveva avergli infilato una mano tra i capelli, spettinandoli più di quanto già non fossero. E altrettanto probabilmente lo aveva fatto perché in fondo quel suo disordine un po’ caotico e un po’ sexy faceva impazzire i suoi ormoni.
«E questo per che cos’era?»
«Anch’io ti voglio sposare, Malfoy» gli rispose, scompigliando adesso i suoi capelli sino ad allora perfettamente pettinati e ingellati, causandogli così facendo un moto di disgusto e fastidio.
«Ti sei rimbecillito?» replicò, acido, tirandosi indietro e accomodandosi meglio sul sedile «non te l’ho chiesto, Potter, volevo solo zittire quella scema di tua zia e a quanto pare ci sono riuscito. Tu hai usato il blasone della mia famiglia, come se te ne fosse mai importato qualcosa e io ho questo. Non farne un dramma.»
«D’accordo, come vuoi. In effetti è vero, era soltanto un espediente per far tacere zia Marge. Hai ragione» concluse Harry, facendo spallucce e infilando le chiavi prima di far rombare il motore della Spider, che poi era una Ford Anglia e non sapeva perché ci stesse pensando in quel momento né per quale motivo le sue mani tremassero o perché fosse sembrato così tanto brusco. Non voleva essere sgarbato né tantomeno ferirlo ed era praticamente sicuro che ci fosse rimasto male, almeno a giudicare la maniera con la quale si era zittito. Durante tutto il viaggio fino alla casa degli Weasley erano infatti rimasti in silenzio, con la sola radio a suonare qualche canzone babbana che in fin dei conti non era poi così spiacevole. Una volta giunti alla Tana si erano defilati abbastanza in fretta, rifiutando un invito a bere il tè di Molly e sostenendo che nonostante se ne fossero andati via prima, erano molto stanchi. Harry aveva accennato al fatto che il matrimonio era finito in un completo disastro e a quel punto l’interesse del signor Weasley si era tanto acceso, che aveva iniziato a tempestarlo di domande e non permettere loro di smaterializzarsi. A quanto pareva, voleva sapere se tutti i matrimoni babbani finissero in quel modo. Non che a Potter fosse andato davvero di rispondergli, aveva borbottato qualcosa sul fatto che le due famiglie non si sopportavano e che perlopiù per i babbani i matrimoni erano molto simili a quelli dei maghi. E poco altro, Draco aveva finito un mezzo svenimento per potersela filare. Quindi entrambi si congedarono. 

 

Era stata una giornata lunga e faticosa e quella mezza discussione avvenuta in auto ora pesava tra loro come un macigno. Non ne avevano realmente mai parlato, neppure dopo esser tornati a casa. Una volta lì avevano pensato soltanto a farsi entrambi un bel bagno caldo e a bersi una tazza di tè fumante. Harry aveva passato un buon quarto d’ora chino sullo scrittoio e poi aveva inviato un gufo a Hermione, probabilmente per raccontarle quello che era accaduto e poi lo aveva visto sonnecchiare sul divano. Fu verso l’ora di cena che successe. Draco se ne stava in cucina, si era convinto che un po’ di brodo fosse l’ideale quella sera, a pranzo non avevano mangiato granché, ma avevano bevuto molto ed entrambi avevano bisogno di mettere qualcosa di caldo nello stomaco. Si era rifiutato categoricamente di avallare il pensiero di star parlando come la signora Weasley e a prova di ciò, non aveva incantato le stoviglie come invece faceva sempre lei, ma aveva iniziato a tagliuzzare verdure armato di coltellino. Non seppe di preciso come successe e ancor meno era certo del perché fosse accaduta una cosa del genere. Sapeva solo che stava pelando una carota quando si era accorto che quel silenzio proprio non lo sopportava più. E allora aveva sbottato.
«E va bene!» esclamò, facendo sussultare Harry il quale se ne stava seduto al tavolo a leggere la gazzetta che Bingley aveva portato quel mattino. La carota che aveva tra le mani cadde a terra, rotolando lontana. «Ci ho pensato, d’accordo?»
«A cosa?» chiese lui in risposta, assottigliando lo sguardo con fare indagatore. Oddio, ma perché ci stava insieme se era così lento a capire?
«Sveglia, Potter, al matrimonio. Di che abbiamo discusso prima in auto? Di me e te che ci sposiamo. Sì, ho detto a tua zia Marge che siamo sposati e ultimamente non ho fatto che chiedermi come sarebbe se noi due… Cioè, non so nemmeno se possiamo farlo! Non ho mai visto matrimoni gay tra i maghi. Però ci ho pensato perché lo desidero e ti devo anche dire anche che quella storia del veto… non ero serio, volevo solo stuzzicarti e farti arrabbiare. Perché mi hai fatto passare una giornata infernale, Potter, tra babbani stupidi, con i tuoi zii che ci insultavano e tutti che ci guardavano come se avessimo due teste ciascuno. Dovevi patire un pochino, ti pare che non te la faccio pagare per qualche ora?» Draco ansimava, ma per una volta non era a causa del sesso. Aveva il fiato corto, le guance gli si erano arrossate e per una volta non era colpa dell’alcol che aveva in corpo. Era un po’ imbarazzato e anche spaventato, tremò quando vide la Gazzetta del Profeta depositarsi in un soffio leggero sul tavolo da pranzo e sussultò nell’attimo in cui sentì il rumore della sedia che strideva. Dovevano proprio metterci dei feltrini là sotto, pensò assurdamente intanto che Harry Potter gli si avvicinava a passo lento. Non c’era furbizia in lui né malizia o un qualche senso di vittoria, non sarebbe stato da lui sbattergli in faccia che aveva ragione. Almeno non adesso, non su una questione così seria. Lo abbracciò soltanto perché, di nuovo, il suo ragazzo ancora non era bravo con le parole. E quando lo baciò, e poi lo strinse, Malfoy si rese conto che c’era qualcosa di diverso nel modo in cui lo faceva. Era dolce e appassionato come al solito, ma più consapevole. Come se un’energia diversa ora scorresse tra loro.
«Tu lo sapevi già, non è vero?» gli chiese dopo aver appoggiato la testa sulla sua spalla. Non stavano davvero ballando, ma Harry aveva acceso la radio prima e in un paio di occasioni Draco si era persino ritrovato ad agitare il sedere a destra e a sinistra. Ora andava una musica lenta, niente di pomposo o antico, soltanto una melodia dolce e delicata, così come il tocco delle mani forti di Harry che lo stringevano per la vita.
«Cosa? Che sei un coglione? Lo so dal giorno in cui ti ho conosciuto, Malfoy.»
«No, intendevo del: “Niente sesso per una settimana”. Lo sapevi che non ci credevo neppure io?»
«Ma ovviamente, così come sapevo che avresti trovato un modo per aggirare le regole a tuo vantaggio, è tipico tuo fare così. Lo hai sempre fatto e comunque non ci sapresti stare una settimana senza sesso, questo è praticamente certo.» Forse in un altro momento avrebbe ribattuto che voleva davvero sfidarlo, sottolineando che non fosse affatto vero (pur sapendo di star mentendo) e unicamente per dargli contro. Ed era possibile che sarebbero finiti davvero a non farlo per giorni, salvo poi stuzzicarsi e morirsi dietro per altrettanti, finendo con lo scoparsi contro il tavolo della cucina. Sarebbe andata così, perché fare in modo che Harry Potter avesse torto era una specie di missione che aveva accettato nell’attimo stesso in cui, a undici anni, non aveva accettato la sua gentilissima offerta di essergli amico. Ma quella sera era diversa, lo erano i baci che si davano e la forza delle intenzioni che esprimevano. E allora Draco Malfoy sorrise e basta, accentuando la stretta che aveva su di lui. Forse stavano davvero ballando a ritmo di quella canzone, non lo sapeva. Sapeva solo di voler cedere a tutto, soprattutto a se stesso.
«Cosa facciamo adesso?» domandò, sollevando di poco il viso. Non stava più parlando del sesso e Harry lo sapeva.
«Vorrei dirti che in realtà ho comprato un anello sei mesi fa che mi porto dietro praticamente ovunque e che da allora provo a chiederti di sposarmi, senza però riuscirci mai. Sarebbe molto romantico e penso anche di averlo visto in un film, ma la realtà è che non è così. Non ho comprato nessun anello, però so che l’idea di sposarti mi piace e che quando hai detto a zia Marge che ero tuo marito ho sentito che era giusto così. Non è una vera proposta, ma se tu vuoi allora noi possiamo farlo davvero.»
«Certo che lo voglio, Potter» replicò Draco, baciandolo dolcemente sulle labbra. «E puoi invitare tuo cugino al matrimonio, ma i tuoi zii non li voglio nemmeno vedere e…»
«Stai zitto, Malfoy» replicò Harry spingendolo verso la camera da letto intanto che lo baciava e spogliava alla velocità della luce.

 

Fu incredibile pensare a com’era finita quella giornata. L’aveva cominciata col pensiero di andare a morire di noia a un matrimonio babbano e invece era finito in mezzo a una rissa, stordito da una cornamusa e a bere Whiskey in un angolo. Quell’imposizione, alla quale ovviamente non aveva mai creduto, di non fare sesso per almeno una settimana era finita del tutto prevedibilmente con lui e Potter che lo avevano fatto come animali. E ora, intanto che guardava il soffitto stringendo la sua mano con in viso l’espressione più schifosamente soddisfatta che ci fosse, si rese conto che era davvero felice e che non si sarebbe mosso di lì per niente al mondo. Almeno fino a quando un pensiero gli attraversò la mente, a quel punto Draco balzò immediatamente a sedere.
«Oh, cazzo!» esclamò.
«Che hai, Malfoy? Ti sei ricordato di qualche altra cosa che vuoi proibirmi? O magari vuoi farmela pagare per uno sgarro che ti ho fatto sette anni fa.»
«Non dire stronzate, Potter» gli rispose, scacciando quell’assurdità con una bonaria pacca sulla spalla «non abbiamo portato a tuo cugino il regalo di nozze. Avevo comprato una costosissima zuccheriera d’argento e l’ho lasciata in soggiorno; come ho fatto a dimenticarlo?»
«Beh, non è tanto grave» lo rassicurò, facendo per alzarsi a propria volta «possiamo ancora spedirgliela con un biglietto di scuse. Dudley non è mai stato uno che si formalizza troppo.»
«Vuoi scherzare, Potter?» replicò Draco, spingendolo contro al materasso e salendogli sopra a cavalcioni «io quella me la tengo: sarà il mio regalo per il matrimonio di tuo cugino.»
«Gli ospiti non hanno diritto ai regali» lo redarguì lui, con un’occhiataccia. «A parte le bomboniere, che tra l’altro nella rissa sono andate tutte distrutte.»
«Io me lo merito eccome, un regalo!» esclamò, bloccandogli ora i polsi sopra la testa. «Gli invitati che non uccidono nessuno nonostante vogliano farlo sì, Potter, si meritano un bel regalo per l’infinita pazienza. A tuo cugino prenderò dell’altro e ora taci stai zitto e datti da fare, è passato abbastanza tempo e io ho voglia di rifarlo» concluse, facendo sparire gli occhiali come prima cosa e poi iniziando a baciarlo con ardore. 

 

No, la zuccheriera non la regalarono mai a Dudley e Melissa, ma si preoccuparono di metterla nella vetrina del salotto in bella vista. Draco però rifilò loro un servizio da tè per due persone di Walburga Black, che sua madre gli aveva mollato in casa e che lui francamente odiava. Era un’orribile paccottiglia rosa con altrettanto brutte decorazioni d’oro ed era piuttosto fuori moda, oltre che disgustosa a vedersi. Lui però aveva scritto a Dudley che si trattava invece di un servizio di porcellana del seicento appartenuto alla regina d’Inghilterra in persona e che era stato un regalo che, la suddetta regina, aveva fatto a nonna Malfoy. Non poteva esserci balla più grande naturalmente e non si stupì non soltanto del fatto che i Dursley al completo ci avessero creduto, ma che tutta Little Whinging nel giro di un paio di giorni avesse saputo che il figlio di Petunia aveva in casa un cimelio tanto prezioso. Era altrettanto ovvio che nessuno in famiglia avesse avuto il coraggio di far notare che si trattava di un regalo da parte del marito di Harry Potter, il nobile e ricchissimo Draco Malfoy. Vernon ancora seguitava ad alimentare la credenza che suo nipote fosse uno scapestrato senza un quattrino, sottolineando che il biondo che lo accompagnava era soltanto un amico. Nessuno, tra lui ed Harry Potter, se n’era davvero stupito. Si sorpresero invece del fatto che, da allora, Petunia fosse diventata molto più malleabile rispetto a suo marito. E per ringraziarla di non averli insultati troppo da quel momento in avanti, un giorno, Draco avrebbe probabilmente inviato un altro costoso regalo alla famiglia Dursley. Magari poteva sbarazzarsi di un qualche candelabro della sua trisavola che prendeva polvere al maniero, probabilmente spacciandolo per il famoso candelabro di Napoleone, ma quella era un’altra storia.

 

 

Fine
 


 

Note: Nessun Corvonero è stato maltrattato mentre scrivevo questa storia e oltretutto io sono Corvonero e il descrivere la mia favolosa casa come una congrega di pazzi è stato un po’ come pugnalarmi da sola. Inoltre, sorry/not sorry per zia Marge, non sono affatto pentita della tirata di Draco ed Harry. 

Questa storia è già finita, so che è stata breve, ma il fatto di essere arrivata alla fine per me è un traguardo enorme considerato che non scrivo mai commedie. Un grazie a tutte le persone che hanno letto sino a qui, a chi ha inserito la storia nelle liste di Efp e a chi ha recensito.
Koa
 

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