How Heroes wait for Santa Claus

di jinkoria
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** #1. Putting up decorations – “Wow… that’s… a lot of lights.” ***
Capitolo 2: *** #2: Doing Secret Santa – “Just tell me who got me.” ***
Capitolo 3: *** #3. Making Christmas Treats – “Stop eating all of the cookies!” ***
Capitolo 4: *** #4. Building Snowmen – “What happened to his head?!” ***
Capitolo 5: *** #5. Hot cocoa and warm hands – “Your hands are so warm…” ***
Capitolo 6: *** #6. Helping them put on snow gear – “It’s not that hard.” ***
Capitolo 7: *** #7. Sitting by the fire – “This is nice, being here with you.” ***
Capitolo 8: *** #8: The sound of snow crunching – “Wait, listen to the snow…” ***
Capitolo 9: *** #9. Snowball fights – “I’m going to get you back for that!” ***
Capitolo 10: *** #10. Warm soup after being in the cold – “Jesus, you’re freezing!” ***
Capitolo 11: *** #11. Big hugs from family – “It’s been too long!” ***
Capitolo 12: *** #12. Trying to get a family photo – “Okay, everybody squeeze in!” ***
Capitolo 13: *** #13. Icicles – “Don’t stand directly beneath them!” ***
Capitolo 14: *** #14. Getting anxious for Christmas – “I wonder if they’ll like what I got…” ***
Capitolo 15: *** #15. Buying last minute gifts – “I’m not going anywhere!” ***
Capitolo 16: *** #16. Tucking them in – “Just go to sleep.” ***
Capitolo 17: *** #17. Getting snowed in – “There’s at least five feet of snow out there.” ***
Capitolo 18: *** #18. Cuddling with them – “You’re like my own personal furnace.” ***
Capitolo 19: *** #19. Telling family stories – “Oh! You’re gonna love this story!” ***
Capitolo 20: *** #20. Ugly sweater contest – “Ugh, that is horrible! You win!” ***
Capitolo 21: *** #21. Kissing under a mistletoe – “You know what that means, right?” ***
Capitolo 22: *** #22. Sitting by the heater to warm up – “My feet are so cold, I hate winter.” ***
Capitolo 23: *** #23. Watching Christmas movies – “We’re watching my favorite movie!” ***
Capitolo 24: *** #24. Sneaking a gift – “I just wanted to get a sneak peek?” ***
Capitolo 25: *** #25. Christmas morning – “Now only another 365 days before the next one…” ***



Capitolo 1
*** #1. Putting up decorations – “Wow… that’s… a lot of lights.” ***


Per un pelo, iniziamo bene! 🤣
Dopo un anno torno su questa sezione, stesso tema diversa storia! In questo caso, d'apertura, mi metto un attimo a fare delle precisazioni:
 Contesto: canon, tutti sono eroi, nessuno escluso. AFO è stato sconfitto, lo scontro Endeavor vs Noumu è avvenuto ma la LoV non è mai esistita. Enji e Rei hanno divorziato (i figli vivono con lei), Bakugou e Midoriya sono già una coppia così come Tenko e Touya (più o meno + entrambi sono andati all'U.A. insieme) ed Enji e Keigo praticamente a un passo dalle nozze, Todoroki e Kaminari ancora no. C'è solo amore e Natale.
 I prompt vengono da qua, che penso seguirò passo passo e non scombinerò l'ordine a mia discrezione come l'anno scorso (in quel caso mi era servito per dare una costruzione cronologica mirata del rapporto tra Bakugou e Midoriya, anche perché erano stati scritti su misura per una challenge natalizia sui bakudeku; qui è sempre dicembre che avanza regolarmente e la storia è unica ma i capitoli a oggi, nella mia testolina, nascono per essere collegati tra loro nell'ambientazione e universo ma prettamente autoconclusivi). Inoltre questi prompt hanno sempre una traccia + citazione ma non è detto che la seconda sia usata come frase all'interno della fanfiction, bensì riproposta come concetto o situazione.

 C'è uno spoiler per chi non segue il manga (volume 30, da circa il capitolo 290 in poi) né cartaceo italiano né online. Trattasi di una canon divergence o what if: tutti buoni che dir si voglia, quindi cambia tutto in modo sostanziale ma il ruolo di questo personaggio, Touya, è comunque spoiler se seguite solo l'anime. Qualora riuscissi nell'impresa giornaliera anche quest'anno pur dubitandone nei prompt in cui comparirà le prime volte (se non solo la prima, dipende dagli sviluppi) farò delle premesse per “spiegarlo” e introdurlo.
 Volevo fosse il sequel di quella dell'anno scorso ma volevo anche inserire la TouyaTenko e la TodoKami, quindi avrei dovuto fare troppe modifiche e causare incongruenze con la raccolta precedente che non mi andava di creare, per questo il titolo è molto simile.
Non penso di avere altro da aggiungere! La lunghezza dei capitoli varia in base a diversi fattori (ispirazione da prompt, tempo a disposizione durante la giornata etc), l'intento è sempre di compagnia a voi e svago quotidiano (circa) per me anche se si tratterà di un paio di paginette per volta, prendetela con leggerezza perché è così che la storia, le situazioni e le relazioni verranno sviluppate e l'OOC eventuale conseguente sarà il risultato di questa (meritata) rilassatezza dei personaggi! 
Mi auguro non ci siano (troppi) errori di distrazione o battitura, controllerò meglio appena posso!
Detto ciò, grazie per passare di qui, spero buona lettura e, se riesco, a domani 
❤️💚


 

 

How Heroes wait for Santa Claus


 

-1: Putting up decorations – “Wow… that’s… a lot of lights.”


 

Era il terzo anno, per Keigo, in casa Todoroki. Quella nuova, insomma. Che il Number One aveva scelto appositamente per lui – per loro –, una villetta in una zona pacifica della città, modesta per quelli che potevano essere i criteri del compagno più grande. Aveva persino lasciato carta bianca all’eroe alato per l’arredamento, salvo un piano – uno intero – che Endeavor aveva tenuto in uno stile elegante e antico; per Keigo era stata una sorpresa incredibile, abituato a non fermarsi mai davvero da nessuna parte e limitandosi a occupare il minor spazio possibile ovunque si trovasse, perciò tutte quelle camere a sua totale disposizione lo avevano preso in contropiede, specie considerando la dolce connotazione del regalo che aveva avuto quel gesto.

Sebbene Enji, questo, non lo avesse mai esplicitato.

A guardarla da fuori e persino viverla da dentro, sembrava sempre troppo ampia… a dicembre, con i preparativi natalizi, forse un po’ di più.

«Non deconcentrarti, Keigo».

La voce seria e profonda, con una vena di rimprovero volutamente esplicita, arrivò dal basso rispetto alla posizione del ragazzo, ora svolazzante sul tetto della dimora; tra le braccia, affagottato come un neonato, teneva un groviglio all’apparenza interminabile di luci natalizie, dal quale un filo nero penzolante spariva al di sotto della grondaia e trovava fine tra le mani di un impaziente Enji, pronto a inserirla nella presa a muro.

Era il terzo anno da che si erano trasferiti che Hawks si ritrovava così, a usare il proprio quirk come tuttofare per contribuire alla decorazione di casa Todoroki-Takami – si dimenticava sempre di quest’aggiunta, o forse doveva ancora abituarsi alla sensazione di leggerezza data non dalle sue piume ma dalla persona al suo fianco, che condivideva la targhetta del citofono con lui.

Cotto e ammorbidito come una pera lasciata a bollire, non rifiutava mai l’evidente sfruttamento. Che poi avrebbe potuto usare le sue fiamme per raggiungerlo, il caro Endeavor, ma per qualche ragione preferiva lasciarlo agitarsi da una spola all’altra delle tegole dietro sue direttive; era meglio, a suo dire, perché dal giardino aveva una visuale più completa ed efficiente della disposizione.

Keigo aveva imparato a far spallucce, trovando in realtà divertente la concentrazione con cui l’altro si poneva nell’impresa, non lamentandosi mai di venir sballottato in quella continua modifica delle luminarie. Non aveva ricordi in merito, certo di non aver mai fatto nulla del genere, giusto in agenzia gli era capitato di vedere i colleghi abbellire gli uffici ma non aveva preso personalmente parte alla cosa; troppo familiare, caloroso, trovava in fretta scuse per defilarsi senza prendere parte all’attività.

In effetti, lo aveva mai detto a Enji? Non che sospettasse fosse la ragione dietro tanta maniacale attenzione, anzi, il Number Two sapeva essa celarsi dall’altra parte della strada, oltre il cancello del vicino di casa più gioviale e gentile che avrebbe mai potuto sperare di avere e col quale Enji aveva deciso di entrare in competizione ogni anno – il precedente si era ritrovato sconfitto al cospetto di un enorme Babbo Natale dai connotati inconfondibili, persino l’Oh oh oh proveniente dal suo interno ricordava più una certa eroica risata di quella tipica dell’omone in abito rosso.

Enji, ovviamente, l’aveva presa sul personale.

Non era comunque riuscito a piazzare un sé di quindici metri in giardino. Perciò aveva deciso di tempestare qualsiasi superficie disponibile e adatta all’intento di luci natalizie, prevalentemente bianche e rosse, mentre i cespugli e gli alberi che emergevano in giardino erano stati circondati di intermittenti e sfavillanti lampadine blu e verdi, ogni finestra e porta esterna aveva ghirlande e vischio ad adornarle e persino le considerevoli decorazioni interne erano ben visibili da fuori.

A quella frenetica, a senso unico, corsa per il dominio natalizio del quartiere, solitamente era la neve a porre fine e, al contempo, rimedio: pur essendo ben coperto, pronto a volare attorno a casa propria, le ali di Keigo dovevano comunque rimanere scoperte e libere di muoversi, dunque Enji non aspettava nemmeno il ragazzo si lamentasse di persona del freddo per invitarlo a scendere e rientrare. La prima volta Keigo se ne era interamente dispiaciuto, convinto il compagno avrebbe continuato senza di lui quell’attività che aveva scoperto, in barba ai suoi difensivi tentativi di evitarlo, adorare in particolar modo; Enji invece lo seguiva subito, ravvivando il fuoco nel camino e adagiandogli accanto per caso una coperta mentre, altrettanto per coincidenza, annunciava di volere qualcosa di caldo da bere, domandandogli vago se gli andasse a sua volta.

Quel giorno c’era un cielo piuttosto terso, sfumando dal rosso ai primi cenni blu della sera, di nevicata neanche la minaccia lontana a dispetto della sera prima, che aveva lasciato bianco e scivoloso il giardino. Keigo era dunque pronto a passare l’intera serata a battere le ali nel perimetro di casa, si accorse però solo al sentire il filo tendere tra le sue mani di aver finito la risma di lucine a sua disposizione.

«Endevaa-san?» cinguettò distratto, gli occhi rivolti in alto, quasi aspettasse il primo fiocco di neve «Devo comprare altre luci?».

La mancata risposta lo spinse a sporgersi oltre il tetto spiovente, individuando subito la figura imponente e pensierosa del Number One, lo sguardo rivolto verso di lui.

Sbatté le palpebre confuso, corrugò la fronte e di conseguenza lo richiamò «Enji-san?».

«Vieni giù».

Non se lo fece ripetere due volte, ancora perplesso ma più curioso di quella svolta silenziosa, più contemplativa di quanto fatto che meditabonda sul procedere con ulteriori modifiche – questo più che dirlo l’espressione dell’eroe di fuoco lo sperava lo stomaco di Hawks, considerata l’ora e l’aria via via più gelida col calar del buio.

Una volta con i piedi per terra fece per domandare ancora cosa gli servisse, o non andasse, quando le mani di Enji furono sulle sue spalle e su esse esercitarono una pressione leggera ma sufficiente per spostarlo davanti a sé, ignorando del tutto quanto, adesso, lo avesse destabilizzato senza riuscire a capirne le intenzioni.

Keigo si diede giocosamente dello stupido per essersi imbarazzato al sentire il volto di Enji vicino al suo – aveva piegato parecchio le ginocchia per essere quasi alla sua stessa altezza, un po’ per forza di cose, o forse di proposito, aveva finito per addossargli il petto sulla schiena, non da fargli male ma abbastanza da percepirlo come un solletico gentile e non fastidioso sulle piume.

La vicinanza aumentò, come se non bastasse, quando l’uomo allungò le braccia ai lati della sua testa, per poi portargli davanti agli occhi entrambe le mani.

«Enji-san che stai-».

«Guarda bene davanti a te».

Il Number Two rinunciò a dire altro, il respiro fin troppo caldo dell’altro gli batteva sul collo e la mandibola e reputò, trovandosi ancora all’aperto, fosse meglio ascoltarlo e concentrarsi su altro. Dunque riportò l’attenzione degli occhi dorati di fronte a sé, dove le dita di Endeavor formavano una cornice per fornirgli la prospettiva migliore, capì, della facciata di casa, la quale si illuminò di colpo.

«Che ne dici?».

«Dico, Endevaa-san» che aveva esagerato, certamente, ed era allucinante al limite del letterale la quantità spropositata di luci, sia fisse che intermittenti, a seconda della posizione, disposte in ogni angolo possibile dell’abitazione. Dal tetto ai corrimano delle scale d’ingresso, tutto era circondato da accecanti, eppure con un sottofondo di calorosa soddisfazione, luci rosse e oro. Era troppo, davvero. Avrebbe dovuto dirglielo. Non fosse stato per il sorriso, che Enji non poteva vedere per bene da dietro, che era lontano dal divertimento; nella risata che sentiva voler sfogare dal cuore, al distinguere un’imbarazzante doppia T brillare sulle tegole di casa, Keigo percepiva solo uno struggente senso di appartenenza, felicità e affetto.

Ecco perché non disse che aveva esagerato, portando le mani sui polsi dell’uomo al suo fianco per indurlo a stringergliele intorno alle spalle – ed Enji lo assecondò, non senza inarcare il sopracciglio ancora integro e ben visibile, stavolta al suo turno di rimanere perplesso. Salvo poi ghignare appena di rimando quando la frase si concluse.

«Che l’anno prossimo compriamo altre luci».




 


Non ho fiducia nell'essere riuscita a farlo intendere perché ho cominciato male con questi prompt 🤣 ma il vicino di casa degli EndHawks è proprio All Might! Solo che lui non compete proprio, ha solo uno spirito natalizio molto... espansivo!

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Capitolo 2
*** #2: Doing Secret Santa – “Just tell me who got me.” ***


Bonsoir~
Innanzitutto... devo sistemare l'intro della storia LOL per la fretta data dal rotto della cuffia (tanto per cambiare) ne ho abbozzata una un po' a caso. 
Sul capitolo dico solo che i bimbetti protagonisti stanno già insieme, tutto post AFO sconfitto (ovviamente qui, nella fanfic, mica davvero). Fate conto quindi sono al dicembre del loro terzo anno, 17-18 anni circa, e Shinsou fa (FINALMENTE) parte della sezione degli eroi (questo lo specifico per due motivi: 1. si sarebbe creata una situazione di disparità nel contesto - capirete leggendo - 2. nella s5 è stato annunciato sarebbe successo, essendo il terzo anno c'è dunque per forza!).
Invidio chi con questi prompt riuscirebbe a scrivere pagine e pagine skhfks- MA COMUNQUE. Non ho da aggiungere... niente, quest'anno vorrei provare a usare di più il rating utilizzato. Chissà. 
😊
Buona lettura, si spera a domani
 💚❤️


 

 

-2: Doing Secret Santa – “Just tell me who got me.”


 

Midoriya, solitamente, non si sarebbe detto poi così dispiaciuto nel ritrovarsi costretto contro il materasso del suo letto in dormitorio, con entrambi i polsi stretti nella mano di un Bakugou più che irritato a sovrastarlo. Sia perché faceva non poco freddo, con i riscaldamenti che non volevano saperne di collaborare proprio adesso che l’autunno iniziava a farsi davvero pungente – dunque trovava quasi confortevole il calore che… beh – sia perché, sebbene vivessero nella stessa struttura quasi tutto l’anno, tra tirocinio e studio era diventato davvero poco il tempo a disposizione da godersi tra loro.

Sapeva per Katsuki fosse lo stesso, attento a ogni gesto l’altro non mancasse di dedicargli quando erano vicini, camuffando come casuale quel qualcosa ancora così speciale, privato ma non pudico, come una stretta di mano di soppiatto durante un allenamento in palestra insieme agli altri, lenta e intima che spariva dietro i fianchi vicini.

Era certo, Izuku, questa continua ricerca desiderata non sarebbe mai cambiata per nessuno dei due. Ecco perché, vedendoselo piombare in camera col fiato corto e gli occhi fuori dalle orbite – insomma, pensava fosse per… guardarlo meglio? Oh, se Katsuki avesse sentito quel pensiero lo avrebbe fatto esplodere lì tra gli infissi – aveva creduto fosse una mera questione di voglia di stare insieme. E quando lo aveva spinto rapidamente sul letto non era riuscito a trattenere un verso acuto, incredibilmente alto, più spaventato che diversamente emozionato, ma conosceva il compagno da pressoché tutta la vita, non sarebbe stato poi così strano un tale impeto.

Capì, Midoriya, l’intento della visita fosse tutt’altro nel momento in cui lo sguardo definitivamente indemoniato del suo ragazzo lo trapassò da parte a parte: poteva dirsi sicuro lo avrebbe piantato sul serio contro il cuscino se avesse potuto.

«K-Kacchan?» balbettò, la voce stridula e distorta dalla smorfia tirata spacciata per sorriso «C-che ti serve?».

Squittì quando venne tirato su di colpo, a un palmo dal naso dall’altro.

Per un attimo, minuscolo, infinitesimale, osservandolo dritto negli occhi, pensò fosse indeciso tra l’azzannargli il mento o baciarlo per recuperare i giorni persi.

La risposta di Bakugou, ancora, smentì le sue aspettative.

«Dimmelo».

Le orecchie di Midoriya, per qualche ragione, si fecero incandescenti all’istante.

«C-cosa… cosa vuoi che ti dica?».

Katsuki, di contro, si avvicinò ancor di più, tanto che i nasi di entrambi si spremettero verso l’alto.

«So che sei tu».

«Sai che- scusa, che?».

L’effetto delle iridi rubino assottigliarsi a una vicinanza oramai inesistente fu terrificante.

«Il bastardo che si occupa delle combinazioni del Secret Santa».

Midoriya riuscì in qualche modo a corrugare la fronte, colto alla sprovvista dall’affermazione, ci impiegò un secondo per capire a cosa si stesse riferendo e poi, collegata l’impazienza del compagno alla situazione corrente spalancò gradualmente la bocca in una o di comprensione.

L’idea era partita dai rappresentanti di classe, ancora riproposti Iida e Yaoyorozu e, di comune accordo, tutta la 3-A aveva accettato di partecipare al cosiddetto Babbo Natale Segreto per ravvivare un po’ lo spirito natalizio, fintanto che la permanenza al dormitorio proseguiva prima del rientro a casa per il Capodanno.

Inconsapevole dell’iniziativa, Midoriya aveva già provveduto alla maggior parte dei regali per ciascun compagno, dunque era stato nominato Aiutante di Babbo Natale: il suo compito era quello di fornire suggerimenti a chiunque avesse avuto bisogno di dritte per il regalo della persona destinataria, determinata da un’estrazione casuale e di cui solo lui avrebbe potuto conoscere ogni combinazione.

Ciò includeva, ovviamente, a chi sarebbe toccato regalare qualcosa a Bakugou – la cui vittima designata era l’ignaro Aoyama. Tuttavia non gli aveva ancora chiesto alcun consiglio, d’altronde ne era sorpreso solo in parte, consapevole di quanto sviluppata fosse la capacità analitica e di osservazione del ragazzo, perciò era alquanto probabile avesse già le idee piuttosto chiare sul da farsi.

In effetti, era ben più strana la richiesta che gli aveva posto in realtà.

«E vuoi… sapere chi è il tuo Secret Santa?».

«È quello che ho detto!».

No, a dire il vero non hai detto niente…

Midoriya provò a tirarsi un po’ indietro, cominciava a faticare davvero a mantenere a fuoco persino il paio di occhi puntato nei suoi, Bakugou dovette però fraintendere il tentativo come una mossa di fuga per eludere alla domanda e lo trattenne doppiamente. A quel punto, Izuku tirò indietro la testa, pronto a sentire le orecchie otturarsi per la pressione.

La voce gli uscì strozzata per forza di cose, quando rispose: «Se te lo dico poi si perde il senso del-» si fermò di colpo, raddrizzandosi, di nuovo appiccicato «Perché lo vuoi sapere?».

Poté giurare di aver sentito Katsuki vibrare e, data la posizione, si ritrovò lui stesso ad assecondare quella scossa di eruzione incombente.

«Perché» iniziò quello a denti stretti, un sopracciglio pizzicato dagli spasmi e il sorriso nervoso di una pazienza difficilmente mantenuta «devo forse ricordarti l’ultima volta che lo stronzo a metà mi ha fatto un regalo-».

A Izuku non servì altro, il cervello immagazzinò in fretta l’informazione e la tradusse in un’esplosione di calore su tutto il viso – e non solo, rischiò; vivido e stridente come la risata delle iene, lo sghignazzare cospiratorio di Kaminari, Sero e Mina era ancora fresco ai suoi timpani, a distanza di mesi, mentre osservavano un Todoroki porgere ingenuamente un regalo a Katsuki per il suo compleanno. Né al festeggiato né a Midoriya erano sfuggite le occhiatine maliziose e cariche di attesa che i tre farabutti avevano rivolto a entrambi, specie quando Mina incitò Bakugou a scartare il regalo davanti a tutti, aggiungendo: ci sono già le pile.

La voce di Katsuki interruppe la memoria.

«…oi. Oi, mi hai-».

«Tsuyu-chan!».

Lo urlò talmente forte che tutti e due trasalirono, persino Katsuki sgranò gli occhi e, quasi avesse attivato il quirk accidentalmente, sia lui che Izuku si allontanarono l’uno dall’altro in fretta e allo stesso tempo, pizzicati dallo sgomento e dall’imbarazzo crescente – Katsuki ci mise qualche istante a capire il perché di quella reazione.

Schioccò la lingua, cercando di dissimulare e nascondere i lobi arrossati, già in piedi.

«Tsk, ci voleva tanto?!».

Midoriya, che si era portato le mani al viso sia per la vergogna che per la realizzazione di aver vuotato comunque il sacco, alla fine, iniziò a borbottare frasi sconnesse e in rapida successione, accovacciato su se stesso a gambe strette. Anche Bakugou disse qualcosa, che identificò come un versaccio rivolto alla rana, sentì i suoi passi procedere verso la porta quando si fermarono; ne seguì un silenzio che spinse Izuku ad aprire leggermente indice e medio di una mano per sbirciarlo, l’iride smeraldina divorata man mano dalla pupilla profonda nell’individuare il profilo del volto altrettanto colorito di Bakugou.

«Ci vediamo dopo» mormorò, abbastanza chiaro affinché Izuku lo capisse e rispondesse con un trascinato e alto mh affermativo, dopodiché lasciò la camera dell’erede di One For All.

Rimasto solo, Midoriya ringraziò di essere riuscito a padroneggiare il quirk anni addietro: sarebbe stato altrimenti difficile spiegare la causa di una nuova, adolescenziale ed emotiva perdita di controllo.

 

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Capitolo 3
*** #3. Making Christmas Treats – “Stop eating all of the cookies!” ***


Bonsoir, il capitolo doveva essere un po' diverso e con diversi soggetti, totalmente, ma non me la sentivo granché quindi ho cambiato ^^
Contesto: ai Touya e Tenko di questa storia dico ho scelto di dar loro una personalità sia mista tra quella di loro da piccoli e quella di loro da villain. Con splendido suggerimento/hc della mia dolce metà, entrambi sono andati all'U.A., Touya nella sezione di supporto (chi si occupa di gadget e tutto insomma) e Tenko nella sezione degli eroi. Canonicamente Touya ha 24 anni e Tenko 21, quindi non hanno frequentato le stesse classi ma, conosciuti a scuola, sono rimasti in un rapporto tale da diventare coinquilini quando anche Tenko si è diplomato pur non stando insieme: qui considerate ne abbia 26 circa Touya e 23 Tenko.
L'umore è una nota di demerito oggi, spero comunque il capitolo sia di compagnia, è la prima volta che scrivo di loro due ma non vedevo l'ora di provarci. Touya ha i capelli prevalentemente rossi ma iniziano già a tendere al bianco, Tenko invece li ha neri. È un capitolo soft ma serviva per introdurli un minimo in queste vesti – che sono un po' bisticcine perché nella serie (e nell'adorabile Smash!) vengono praticamente ritratti da Horikoshi come una coppia sposata (cit). Quindi si provocano, fanno i capricci... ci vuole pazienza...

Grazie come sempre per passare di qui e/o seguire la storia, buona lettura e, si spera, a domani 💚❤️
P.S. potrebbe esserci (ma spero di no) un'incongruenza da qualche parte circa le età perché ricordavo avessero la stessa, invece Touya è più grande. Stasera non riesco ma in caso domani controllerò!


 

 

-3: Making Christmas Treats – “Stop eating all of the cookies!”


 

«Se non posi quel joypad» iniziò Touya, la voce di una calma invidiabile, quasi atona nella sua apparente impassibilità «e non vieni ad aiutarmi a preparare i biscotti che tu hai proposto di fare…» e si voltò, indicando la console attaccata alla televisione, dove un personaggio camminava imperterrito, diretto a chissà che meta «verso l’impasto nella fessura del lettore».

Tenko, seduto in terra a gambe incrociate e il famoso joypad su di esse, interruppe il frenetico pigiare sui tasti di colpo, le spalle irrigidite sotto la pacata minaccia; ben consapevole di quanto odio e promessa, in realtà, celasse l’avvertimento.

Lo guardò dabbasso, gli occhi cerulei inespressivi e leggermente assottigliati non tradivano alcuna emozione, semmai una punta di sfida ad animare la pupilla sottile.

Provaci, a contraddirmi.

Preferì non rischiare.

«Ho detto che volevo dei biscotti…» borbottò a bassa voce, un po’ biascicando, come se rispondergli richiedesse un certo sforzo – complice il fatto si stesse alzando, perché era davvero meglio non obiettare, oltre a non averne le energie; il joypad abbandonato sul tappeto «non ho mai detto di volerli preparare insieme a te».

L’altro ignorò spudoratamente quell’ultima frecciatina, il mento appena sollevato mentre lo osservava di sottecchi – l’avidità di quell’attenzione ricordò a Tenko i primi tentativi di guida, si sentì quasi posto a esame – estrarre il gioco e riporlo nella sua custodia, infine posarlo insieme agli altri nella vetrinetta accanto. Il tutto nel più assoluto silenzio.

Capitava spesso, tra loro.

«Beh?» fece poi Tenko, nascondendo le mani nelle tasche della felpa, in attesa di qualsiasi cosa il coinquilino potesse dirgli; per contro, Touya si limitò a modificare giusto un po’ i propri occhi, spostandoli lentamente verso l’alto in un gesto di pura esasperazione ma non enfatizzato a sufficienza. Il che, se possibile, irritò Tenko più di quanto non avrebbe fatto ostentandolo. Capì inoltre di non dover far nulla se non seguirlo quando Touya si girò per tornare da dov’era venuto: la cucina.

Il disastro che si ritrovò davanti riuscì tuttavia ad annichilire ogni briciola di malcontento, persino il fastidio di aver dovuto salvare il gioco in un punto per niente favorevole e con delle statistiche vitali alquanto misere. Era fregato, in sostanza, sarebbe praticamente morto al prossimo riavvio se non avesse avuto la fortuna di beccare una qualsiasi cesta di bonus e oggetti di cura, eppure dentro di sé pensò che neppure un boss fortissimo comparso dal nulla e all’improvviso avrebbe potuto metterlo più in difficoltà dello stato in cui riversava la cucina.

«Sarai anche intelligente con quegli aggeggi che crei» si lagnò Tenko, avvilito ed esausto alla sola vista «ma sei sempre un disastro ai fornelli».

«Le fiamme non sono il mio forte».

«Neanche la sac-à-poche…» infierì, gettando un’occhiata al sacchetto triangolare abbandonato malamente sulla penisola, anche per glissare sul fatto di aver apprezzato il sarcasmo. Si domandò invece se già non l’avesse caricata con la glassa dei biscotti – esattamente quelli che gli aveva chiesto, a giudicare dalle formine natalizie che intravedeva da una scatola messa a lato. Gli piaceva lamentarsi di ogni singola cosa, quotidianamente, senza lasciarsene sfuggire una, soprattutto se di mezzo c’era Tenko con qualche sua strana iniziativa o richiesta, eppure ecco che si era dato sul serio da fare per accontentarlo comunque. Come sempre. In effetti, notò, una ciotola conteneva già il bianco composto decorativo e un panetto avvolto in una pellicola trasparente era pronto sul bancone, con accanto un mattarello pronto all’uso.

Gli venne perciò spontaneo domandare, sinceramente confuso «Cos’è che dovrei fare?».

«Coi biscotti? Tu niente».

La tentazione di togliersi i dispositivi di contenimento del quirk fu forte, già pregustando la sensazione di quel volto irritante frantumarsi al suo tocco. Ci aveva anche provato, una volta, un po’ brillo insieme a Touya stesso la sera del diploma di quest’ultimo, senza però liberare davvero il suo potere; Touya, come fosse la cosa più ovvia e naturale del mondo, in tutta risposta gli aveva morso il palmo aperto.

Il desiderio di cedere crebbe nel momento in cui si ritrovò in mano uno strofinaccio, che finì in fretta stritolato nel pugno di Tenko.

«Stai scherzando».

Touya non si curò affatto della nota violenza nelle parole del ragazzo, intento a srotolare il panetto «Assolutamente no» confermò infatti, la voce incolore, non fosse per quella nota di sottile godimento che Tenko ormai aveva imparato benissimo a riconoscere. Quasi gli venne da chiedersi se non avesse causato tutto quel disordine di proposito, lui che non amava poi così tanto sporcarsi le mani e che adesso, invece, lo stava definitivamente ignorando per stendere l’impasto col mattarello.

In ogni caso, Tenko capì non avesse altro da aggiungere né da lamentarsi, d’altronde non si sarebbe lamentato o tirato indietro se glielo avesse chiesto con più gentilezza ma ci aveva comunque guadagnato dei biscotti dalla forma stupida e dal profumo speziato e dolce già piuttosto invitante. A tal proposito si accorse l’aroma fosse più intenso proprio lì, dove la confusione era data da una serie di ciotole sovrapposte malamente e sporche di rimasugli di gusci di uova e burro avanzato.

Gettò uno sguardo rapido a Touya, che intanto aveva indossato una fascetta per tirare indietro i ciuffi dalla fronte – gliel’aveva regalata Tenko l’anno prima, completamente nera e decorata con fiamme azzurre, all’inizio quasi come una ripicca per i guanti orribili che Touya gli aveva comprato; aveva preferito trattenersi dal fare alcun tipo di battuta nel vedere come l’altro, con sua grande sorpresa, l’avesse apprezzata per davvero, liquidando la scelta con un Hai troppi capelli e colori, in testa.

Appurato il maggiore dei Todoroki fosse preso dallo stendere l’impasto col mattarello, Tenko si lasciò guidare da olfatto e curiosità verso una ciotola in particolare, posizionata poco più in là rispetto alle altre e, constatò, appena coperta da un panno. Solo allora, avvicinatosi, riuscì a scorgere oltre il bordo del recipiente quello che aveva tutta l’aria di essere un biscottino a forma di stella.

La mano fu più rapida di qualsiasi pensiero, già protesa verso il dolce dal profumo fin troppo buono per credere davvero fosse stato Touya a prepararlo, e persino il palato, una volta addentato la prima punta del biscotto, si ritrovò in conteso tra la bontà di quanto assaggiato e l’idea che dietro ci fosse quell’apatico tendente al dispotico del suo ex compagno di scuola. Pensiero che non fu comunque sufficiente a distrarlo dalla degustazione, il resto del biscotto finito in fretta e le dita pronte a estrarne un altro.

«Oi».

Come prima davanti alla console, ogni movimento di Tenko fu stroncato di colpo dal tono lapidario alle sue spalle – l’odore delle mandorle parve persino intensificarsi.

«Sì?».

Il braccio di Touya arrivò lesto a sottrargli il dolce dalle mani, Tenko si girò a sua volta per seguirne l’allontanarsi.

«Ti avevo detto di pulire la cucina, non ripulire i biscotti».

«Biscotti che hai fatto per me».

Si fissarono negli occhi, senza batter ciglio, il biscotto a mezz’aria tra loro, aspettando una qualsiasi mossa reciproca.

Alla fine il primo a muoversi fu Touya, che portò il biscotto alle labbra gradualmente piegate in un ghigno sadico e vittorioso, soddisfatto al punto da coinvolgere lo sguardo di solito annoiato quando, al gesto, coincise l’espressione indignata prima e irritata poi di Tenko.

«Oh» finse stupore, masticando «Non me ne sono accorto. Lo volevi?».

«Sei un gran figlio di-» iniziò il ringhio di Tenko, interrotto dal passo in avanti che Touya fece, imprevisto e che non gli diede il tempo di retrocedere senza rischiare di sbilanciarsi.

Gli ricordò pericolosamente la sera del diploma, solo che non era la sua mano la vittima designata al morso.

«Se ti comporti bene» soffiò quello, il pomo d’Adamo che si sollevava al boccone appena deglutito «ti lascio gli altri».

Tenko non provò nemmeno a obiettare, salvo un leggero tremolio nervoso, liberò comunque un verso frustrato ed esasperato insieme e riacchiappò lo strofinaccio che Touya gli stava porgendo, in precedenza abbandonato per appropriarsi dei dolci, infine si voltò e cominciò a pulire per davvero e così Touya tornò all’impasto.

Odiò ogni singolo centimetro dell’espressione tronfia dell’altro, ancor di più odiò l’essersi accorto che il profumo più buono provenisse da Touya stesso.




 

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Capitolo 4
*** #4. Building Snowmen – “What happened to his head?!” ***


Bonsoir~
Oggi non penso di avere molto da dire se non che, p
er quanto riguarda i pupetti protagonisti, è vero che stanno insieme da un po' ma tenendo conto dei caratteri e del fatto che i giapponesi non siano proprio onesti e diretti con i sentimenti... è venuto fuori questo! Quanto al prompt e all'uso della frase... beh XD Si collega un pochino al prompt del giorno 2 alla fine, ma pochissimo!
L'umore è ancora nì e di conseguenza mi ci sono messa più tardi di ieri, confido vada meglio nei prossimi giorni.
Grazie come sempre di aver letto/seguire la storia, buona lettura e spero a domani 
💚❤️ 


 

 

-4: Building Snowmen – “What happened to his head?!” 


 

In un miracoloso, inusuale e, soprattutto, non richiesto slancio di bontà, Aizawa aveva deciso di lasciare la classe libera per l’ultima mezz’ora della giornata; probabilmente sentiva solo troppo freddo per continuare, il tipico e ormai distintivo sacco a pelo imbottito con cui era solito andarsene in giro non era più sufficiente, specie col problema dei riscaldamenti in tilt che non era ancora stato risolto.

Tutti si erano alzati in piedi in un corale urlo allegro e trionfante, riponendo i propri oggetti personali negli zaini e apprestandosi a indossare sciarpe e guanti per fiondarsi all’esterno, dove la neve aveva da poco dato una tregua al terreno già di per sé carico di bianco.

Tutti eccetto Bakugou, rimasto seduto con le mani in tasca e i denti digrignati per il gelo a suo dire – in mente, non poteva di certo sbandierarlo ogni volta – insostenibile, secondo solo al fastidio causato dagli schiamazzi dei compagni intorno a lui, particolarmente invogliato ad attardarsi appena udito l’accenno a pupazzi di neve. Kirishima stesso gli si era avvicinato, il sorriso aguzzo e le palpebre strizzate per ostentare un entusiasmo da cui mai, per nessunissima ragione, si sarebbe fatto coinvolgere.

Fuori, al freddo, con la neve? A toccarla di proposito, più volte, per costruire degli spaventapasseri per yeti? Neanche se sua madre, per convincerlo, lo avesse minacciato di distruggere la sua collezione di vinili.

Difatti aspettò qualche minuto, il tempo di far uscire la marmaglia e rimanere in pace con se stesso, coprirsi al meglio delle possibilità concesse da sciarpa e giacca invernale della divisa e poi, con dovuta rapidità, fuggire verso il dormitorio.

Una volta pronto, senza guardarsi indietro, si avviò verso la porta.

«Kacchan».

Schiaffeggiò quella parte interiore che provò soddisfazione nel sentire la voce di Izuku chiamarlo, allegra senza alcun apparente motivo, e tuttavia non si oppose neanche poi così tanto a quel formicolio piacevole quando, nel voltarsi verso la fonte del richiamo, incontrò due grandi e dolcemente familiari occhi verdi. Lo sguardo ricadde in automatico sugli zigomi arrossati dal freddo – forse non solo –, sui quali le lentiggini svettavano come gocce di cioccolato su glassa alla ciliegia.

Che cazzo ho, fame?

L’espressione confusa sul volto di Midoriya gli suggerì di aver evidentemente esternato sul proprio cosa gli stesse passando per la testa, pensieri di una sfumatura ai limiti dell’adorante che aveva deciso di non contrastare – non troppo, almeno quando erano soli – nel momento in cui aveva accettato ogni cosa, fra loro, fino a pochi mesi prima negata.

Da questo a scambiare la faccia del suo ragazzo – argh – per una cheesecake umana ce ne voleva, di impegno. Specie quando Izuku pareva captare la natura di quei momenti di stasi, fermo a guardarlo senza nulla dire, e fu ancora peggio quando allungò la mano per tirar meglio su la sciarpa dell’altro sulle guance infreddolite, così naturale da rabbrividire per tutt’altre ragioni – e le guance di Izuku prendere fuoco.

Cercò di non abbaiare quando chiese «Che c’è?».

Il compagno sorrise appena, in un modo che sapeva di colpevole e speranzoso insieme «Vieni a fare un pupazzo di neve?».

«Ah?! Col ca-».

«Con me».

Il problema era quanto sembrasse più speranzoso che colpevole, il maledetto.

All’improvviso pensò di chiamare Mitsuki e dirle di distruggere la sua collezione di vinili.

 

«Vediamo di farla finita in fretta» sbraitò a tutti e a nessuno in particolare, i denti che battevano e le mani aperte, fasciate dai guanti in lana, smosse da spasmi di freddo e nervosismo insieme – perché andava bene tutto, ma come poteva aver ceduto così facilmente? In effetti, perché non stava scappando verso la sua stanza, a rifugiarsi sotto tre strati di piumoni?

«Kacchan, mi aiuti con la prima palla?».

«Ah!» urlò, così forte che persino Aizawa, che si era rintanato nella cucina della scuola, si affacciò da una finestra per dirgli di stare calmo «Eccolo il fottuto perché!».

Izuku squittì per lo spavento, stralunato provò a chiedere «C-cosa?!».

Tuttavia Katsuki lo ignorò, allontanandosi da lui di qualche metro, infine indicò in sua direzione con fin estrema enfasi.

«Inizia ad appallottolare la neve verso di me, io faccio lo stesso da questa parte!».

Mancò poco Midoriya scattasse sull’attenti, si limitò a rispondere un balbettato assenso ad alta voce e si piegò infine per accumulare la neve man mano che avanzava verso Bakugou, il quale a sua volta – a un ritmo ben più spedito, mentre imprecava contro il gelido manto bianco tra le sue mani e se stesso, probabilmente – avanzava verso l’amico d’infanzia. Ci volle perciò poco perché il primo tondeggiante strato, che costituiva il corpo del pupazzo, fosse pronto.

Midoriya guardava ammirato la sfera bianca, intanto Katsuki ansimava come avesse corso la maratona di una vita; Izuku cercò persino di complimentarsi con il compagno per l’incredibile efficienza e rapidità ma quello era già tornato alla sua postazione, stavolta giusto un po’ più vicino per la parte intermedia del busto, e altrettanto ripeterono l’azione per la terza volta, uno accanto all’altro per accumulare e plasmare insieme l’ultima palla più piccola, ossia la testa del pupazzo.

Con attenzione impilarono un pezzo alla volta, Izuku con alla mano già i rametti e sassolini per decorare il tanto desiderato pupazzo di neve che continuava a guardare fin troppo contento, inspiegabilmente per i gusti di Katsuki, che non sentiva più le mani se non per la fastidiosissima sensazione di bagnato lasciata dalla neve e, addirittura, era pure riuscito a sudare per la foga che aveva impiegato nell’impresa.

«Stammi a sentire» iniziò, le spalle tremolanti e una vena sulla tempia che si gonfiava «questa è l’ultima vol-».

Se possibile, per qualche motivo che con le palpebre calate non identificò nell’immediato, l’orribile bagnato gli si premette maggiormente su un palmo, piano piano la pressione trasformò però l’umido in calore, il che lo portò a spalancare gli occhi.

Lì dove iniziava a nascere un confortante tepore, la mano di Midoriya si era stretta sulla sua, tirandolo appena per allontanarlo e mostrargli, con quella libera, il risultato finale del loro lavoro. Non lo stava neanche guardando, non per tutto il tempo almeno, alternava le iridi luminose ed emozionate tra il pupazzo e il volto di Bakugou, che si era come resettato di colpo, ogni briciola di nervosismo scomparsa per lasciare spazio a una spiazzata rilassatezza con un minimo di stupore. Ogni cosa annichilita sotto il peso di qualcosa di ben più interessante, formulata con l’animo pacato di chi ha trovato la massima espressione dell’essere appagati in un’epifania.

Nel caso di Katsuki era l’immagine di sé con le mani, ricoperte di neve, spalmate sulle guance di Izuku per spremergliele con forza, tirarselo contro e baciarlo fino a farlo svenire come compenso per quella tortura da ipotermia.

Non si aspettava ne uscisse così contento, che diamine.

Sembrava quasi inutile il senso di fatica residuo, anzi, ormai dimenticato, assopito sotto un ben più chiassoso pizzicore alla bocca dello stomaco, un dolce languore, neanche si fosse appena svegliato dalla più rilassante delle pennichelle. E così, senza far altro, iniziò a ricambiare la stretta, persino il freddo un lontano ricordo, l’angolo della bocca che iniziava a sciogliersi verso l’alto…

«Bakugou atten-!».

Fu come il fulmine che sembra precedere il tuono: la voce allarmata di Kirishima arrivò troppo tardi, decisamente rispetto al colpo, inarrestabile, si abbatté sull’ultima palla di neve, deformandone l’aspetto.

Izuku era trasalito, saltando indietro per istinto, nel farlo aveva però tirato Katsuki con sé, il quale si era di conseguenza beccato in pieno metà del bolide gelido che qualcuno, dall’altra parte del cortile della scuola, aveva pensato bene di lanciare in sua direzione.

Nell’aria, l’invito sottovoce, rivolto a qualcuno di non specificato, di correre il più lontano possibile.

Bakugou parve aver capito comunque di chi si trattasse, tanto che sfiatò una pesante nuvoletta di condensa, mentre gli occhi brillavano come micce pronte a farlo detonare «Kaminari…».

«Cosa?! Come hai fatto a capire che-».

A nulla servì il tentativo di Midoriya di trattenerlo – a sua volta un po’ internamente a lutto per la devastante fine della creatura nevosa – che Bakugou era già di fronte al compagno, sospeso a mezz’aria poiché aveva usato il proprio quirk per scattare verso la preda.

«Che cazzo avete fatto…» la mano precedentemente unita a quella di Izuku, dunque la più calda, sollevata in alto scoppiettava sempre di più, incombendo su Kaminari e Kirishima, troppo vicino all’altro per salvarsi «alla testa del mio pupazzo?!».

Alla fine della giornata, Aizawa era strisciato fino all’ingresso della scuola per richiamare i tre coinvolti nell’esplosione, col risultato di avere, come punizione, l’incarico di spalare la neve da tutto il cortile della scuola.

La sera, al dormitorio, Izuku si ritrovò Katsuki alla porta della sua camera; stavolta, avrebbe constato più in là senza fiato, il Secret Santa non c’entrava nulla.



 


Uccido le ipotesi: non hanno fatto niente se non 🍋 come Katsuki avrebbe voluto per “compensare” lo stress da contatto prolungato con la neve... data la tragedia, ci stava XD e Izuku ci era rimasto male la prima volta d'altronde...

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Capitolo 5
*** #5. Hot cocoa and warm hands – “Your hands are so warm…” ***


Bonsoir, torniamo su questi lidi e in realtà doveva essere questo il primo capitolo di approccio alla coppia ma vabbe'– mi capitano sempre loro tra i fornelli, chissà se è un buon segno 
Questo come l'anno scorso le ricette ci sono state gentilmente fornite da GialloZafferano!

Se avete visto la quinta stagione dell'anime, il passato di Tenko ha subito a sua volta una modifica ma, fondamentalmente, ha rapporti molto spenti con la famiglia, dalla quale si è allontanato per sua scelta. Stavolta, oltretutto, è stato trovato dalla persona giusta. In ogni caso la storia ha toni leggeri e positivi quindi nulla di cui preoccuparsi, eccetto menzioni alla cosa per renderla chiara nel what if non ci saranno così tanti approfondimenti (...credo, non troppo oscuri quanto meno?? Del resto in A Christmas Carol o ne Il Grinch c'è sempre un po' di pesantezza e quindi,,, è che amo l'hurt/comfort...). Ah, mi ero scordata di specificarlo ma ovviamente Touya non ha i segni didastrosi delle fiamme addosso. Il nomignolo che usa per Tenko invece l'ho letto in una fanfic su Ao3 e l'ho amato. E per il resto, è il prompt che richiamava dolcezza, non è colpa mia! Mi sa è pure il capitolo più lungo finora XD
Grazie per passare di qui, buona lettura e, come al solito, si spera a domani 
💚❤️ 


 

 

-5: Hot cocoa and warm hands– “Your hands are so warm...” 


 

Tirare il naso fuori dalle coperte, in balia della poco promettente temperatura esterna, rendeva la levata mattutina sempre più complicata, per Tenko; non dormiva, restava però a letto quanto più riuscisse, raggomitolato su se stesso per conservare la maggior quantità di calore possibile, con le braccia incrociate al petto e le mani nascoste sotto l’incavo delle ascelle per mantenerle quantomeno tiepide, già fin troppo screpolate e cosparse di piccoli tagli sulle nocche. Solo i capelli emergevano dal piumone, giusto un po’ la fronte quando azzardava ad alzare la testa per sbirciare a che punto fosse la luce fuori.

Il buio prolungato suggeriva una giornata di pioggia e, a giudicare dai tuoni che sentiva di tanto in tanto in lontananza, forse un temporale in piena regola. Fortuna che era domenica e nessun impegno lo avrebbe forzato a uscire dalla sua nicchia confortevole e protettiva – una piccola, intensa e traballante parte di sé ricordava quanto anni prima delle coperte sotto cui nascondersi sembravano tutto ciò che avrebbe mai potuto avere per proteggersi.

Un bussare svogliato impattò contro la porta della sua camera un paio di volte, aperta senza aspettare davvero una risposta, figurarsi il permesso. Anche se, doveva riconoscerglielo, Touya non era mai entrato del tutto in stanza proprio perché non era mai stato invitato a farlo, quasi a sottolineare implicitamente quanto rispettasse il fatto che quel luogo era di Tenko e basta.

Meno degno di gratitudine era il modo insopportabile in cui aveva preso a chiamarlo da qualche mese, ossia da quando aveva beccato Tenko a giocare con Eri con il suo accessoriato castello come favore ad Aizawa.

«Principessa, ce la fai ad alzarti?».

«Solo se ti lasci prendere a calci».

«Lo prendo come un no».

Un’altra cosa, minuscola, per cui doveva dar merito al coinquilino era che sì, sempre in una misura divertita – a senso unico, Tenko non ci trovava niente da ridere e prima o poi lo avrebbe preso a schiaffi davvero –, mostrava però sincera discrezione in quelle domande: sapeva quanto, certe volte, alzarsi poteva risultargli più difficile del normale e, altre, non lo faceva affatto. Che gli avesse risposto a tono era un buon segno, complice la scelta di dar leggerezza al contesto da parte di Touya stesso.

In realtà non era male come giornata, faceva solo troppo freddo per disfarsi delle coperte di sua spontanea volontà, aveva già deciso di aspettare l’urgenza al bagno come unico motivo valido per anche solo mettersi a sedere.

Non si era accorto che l’altro fosse sparito, la porta lasciata socchiusa, fin quando non fece effettivamente ritorno con due tazze tra le mani – lo attirò il rumore della ceramica che doveva aver colpito l’infisso, a giudicare dall’imprecazione a mezzo tono che il più grande si era lasciato sfuggire. Eppure non fu tanto quello ad attirare la sua attenzione, al punto da indurlo a rigirarsi nelle coperte il giusto per guardare in sua direzione, quanto un intenso profumo di menta e cioccolato bianco.

Touya rimase dov’era, sollevando la tazza che Tenko identificò come la propria in una domanda sottintesa e alla quale rispose solo con un cenno affermativo del capo, suo malgrado sorpreso, le papille gustative deliziate dall’aspettativa.

Il maggiore dei Todoroki non attese oltre, ciabattando fino al letto mentre l’altro si metteva lentamente a sedere – tentò comunque di non scoprirsi troppo ma non si curò della coperta che scivolava del tutto dalle sue spalle quando allungò le braccia per afferrare la tazza con entrambe le mani: il calore della cioccolata al suo interno irradiava il recipiente e Tenko, senza accorgersene, sospirò di sollievo al mero contatto, lo stesso aspetto fumante della bevanda calda aveva un che di confortevole e rasserenante.

Vi soffiò sopra un paio di volte, il viso già accaldato.

«Ricordo che la panna non ti piace quindi non l’ho messa, ma se vuoi ce n’è ancora un po’».

Si interruppe a un passo dal primo, esitante sorso e solo in quel momento si accorse Touya fosse rimasto in piedi, la tazza sollevata al viso ma ancora intoccata, constatò, a giudicare dal perfetto stato della panna che emergeva dal bordo della sua tazza.

Tenko pensò, per assurdo, stesse aspettando di proposito, come se fosse pronto a cedergli quella stessa dalla propria porzione.

Sbatté le palpebre, un po’ stordito da tutti quei dettagli di accortezze a cui non era abituato – nonostante l’altro non fosse nuovo a curarsi così tanto di lui, per qualche ragione che non riusciva a spiegarsi – e scosse il capo, confermando «Non mi piace» per poi aggiungere in fretta, accortosi Touya lo avesse interpretato come il punto al discorso e stesse per uscire «Non ti siedi?».

Vedendo lo stupore atipico sul volto del più grande si maledì per non essersi bruciato prima la lingua, cercò però di dissimulare l’imbarazzo per la richiesta ancor più insolita avvicinandosi alla tazza.

«Non-» iniziò, fin troppo acuto per sembrare naturale, quindi diede un colpo di tosse ed evitò in ogni modo di guardarlo negli occhi «N-non che mi aspettassi lo avresti fatto, era tanto per dire».

«In realtà, stavo andando a prendere una sedia» chiosò Touya a quel punto, l’espressione tornata impassibile, salvo il suo stesso sguardo rivolto a un punto imprecisato del soffitto, anche se Tenko non avrebbe comunque potuto vederlo «dato che qui non ne hai e inizia a farmi male la schiena a stare in piedi».

«Cosa sei, un vecchio?».

«Sì. E tu sarai il bastone della mia vecchiaia, ecco perché ti tengo qui».

Un bastone mezzo rotto pensò Tenko tra sé, tuttavia non esternò il pensiero. Invece, sorprendendo forse più se stesso che l’altro, di nuovo, non aggiunse altro bensì si limitò a fargli silenziosamente posto sul letto.

Al contrario di poco prima, stavolta Touya non mancò di schioccare la lingua, così Tenko sollevò il viso per istinto attirato dal suono secco; se ne pentì nell’istante in cui notò il mezzo ghigno sornione e la voglia di cancellarglielo quasi prevalse su quella di assaggiare la cioccolata, che fortunatamente scottava ancora.

«Ma davvero».

Shimura iniziava a snervarsi, cominciava persino a sentire tanto di quel caldo da avere il bisogno di scrollarsi un po’ di più le coperte di dosso, deciso a maledirlo e rimangiarsi la proposta, Touya fu però più veloce e, mormorando un ironico con permesso, prese di fatto posto accanto a lui. Stavolta fu l’odore di caffè misto a cioccolato a solleticargli le narici, sebbene la bevanda fosse sommersa da un generoso strato di panna – si domandò se non gli sarebbe rimasto almeno uno sbuffo bianco all’angolo della bocca, scacciò però in fretta quell’interrogativo insolito e problematico.

Senza aggiungere nulla, entrambi iniziarono a bere la rispettiva cioccolata, Tenko riuscì a malapena a trattenere un verso soddisfatto e sinceramente goduto al primo sorso, oltre alla riconfermata rilassatezza come conseguenza di quel calore dolce e avvolgente, così com’era l’atmosfera sebbene l’assoluto silenzio tra loro, interrotto giusto dal deglutire occasionale. Per questo, senza malignità o derisione, si sentì di dire: «Ti piace proprio fare queste cose».

L’altro rispose senza guardarlo «Finché sono facili» poi diede un piccolo sorso e aggiunse, più ironico «E perché altrimenti moriremmo di fame».

Tenko ignorò il commento e scrollò le spalle, troppo coinvolto dalla fresca dolcezza della cioccolata per rispondergli per le rime al colto sottinteso.

Così continuarono, senza dir nulla se non qualche battuta di tanto in tanto, consumando le rispettive bevande; una volta finito entrambi, Touya si alzò e fece cenno a Tenko di passargli la sua tazza. La afferrò, di fatto, si fermò però a mezz’aria, il manico già impugnato ma il bordo ancora sorretto da Tenko, forse perché vedeva troppo instabile la presa dell’altro e non era certo fosse già il caso di lasciarla andare.

«Che c’è?» chiese, visibilmente confuso e un po’ scocciato – ricominciava già a sentir freddo.

Touya tirò più deciso la tazza verso di sé, per far capire al più giovane potesse lasciarla e dunque non si oppose, si aspettava di vederlo di conseguenza uscire e portarle in cucina ma la confusione si accentuò quando gliele vide poggiare entrambe sul comodino e tornare a sedere sul letto. Sussultò non poco quando le mani del ragazzo presero gentilmente le sue nei propri palmi, osservandole con attenzione; Shimura ringraziò di aver finito di bere in precedenza o si sarebbe di certo affogato, colto di sorpresa dal gesto dal quale cercò a malapena di ritrarsi per la vergogna improvvisa.

A malapena perché, era di certo complice il quirk instabile, le mani di Touya erano ben più calde della tazza tenuta fino a pochi secondi prima. Tuttavia non gli piacque il silenzio, in questo caso fin troppo pesante per i suoi gusti, forse perché aveva capito Todoroki stesse guardando le ferite diffuse sulle nocche e lo faceva sentire in difetto.

Rovinato.

Un po’ maligno, gli saltò alla mente il pensiero che non indossava i dispositivi di contenimento del quirk e se avesse chiuso le dita e rilasciato il potere…

Perciò domandò, smettendo di ritrarsi, con una risata bassa e amara: «Non ti preoccupi?».

Touya continuava a non guardarlo ma rispose senza esitare un attimo, con contraddistinta naturalezza, tale da spiazzare Tenko un’altra volta «Perché dovrei?».

Il più giovane aprì la bocca per rispondere, le parole suggerite da un ricordo vivido, familiare, preferì però stringere le labbra e rimandare giù qualsiasi risposta gli sembrasse ovvia – per Touya evidentemente no. O così voleva fargli credere.

Di non avere paura di lui.

Aveva iniziato a passargli leggero i pollici sulle ferite già chiuse, con tanta di quella cura che Shimura sentì il principio di una fitta insostenibile da qualche parte, incastrata nello sterno, soprattutto quando Touya, vedendolo rabbrividire, sollevò gli occhi cristallini a cercare i suoi «Ti dà fastidio?».

Fu fin troppo naturale dire di no.

«No, sono solo… davvero calde».

Touya spalancò gli occhi, in un modo ben più visibile, e Tenko stranamente non provò vergogna o alcun desiderio di mordersi la lingua, sentiva invece di cominciare davvero a rilassarsi sotto quel contraddittoriamente spaventoso senso di sicurezza e protezione che aveva iniziato a provare da quando il ragazzo era entrato in camera.

Quest’ultimo riabbassò lo sguardo, il sorriso stavolta sarcastico in maniera ben più marcata mentre interrompeva i gesti e allentava la presa sulle sue mani.

«Ti confondi con il calore che ti è rimasto dalla tazza».

«No, sei tu Touya» rimarcò Shimura, trattenendolo senza pensarci – fu però attento a non esercitare pressione con tutte le dita «Anche prima, quando ti sei seduto, ho sentito subito più cal… do… No» asserì, bianco in volto al notare il mutare graduale nel viso di Touya man mano che la consapevolezza del doppio senso si faceva chiara, sicché allontanò le mani di colpo, quasi l’altro avesse attivato le sue fiamme per bruciarlo per davvero «Non intendevo- lo sai cosa intendevo!».

«Sì, sì» cantilenò l’altro in risposta, gli angoli della bocca all’insù più di quanto Tenko gli avesse mai visto fare, era però maggiore la voglia di disintegrarlo e tornare a rintanarsi sotto le le coperte e dovette esplicitarlo in modo piuttosto colorito perché il più grande, mentre recuperava le tazze e si avviava verso la porta, disse qualcosa come È con quella bocca che hai bevuto la mia cioccolata?.

Così odiosamente, stupidamente divertito, Tenko poté giurare di averlo sentito sghignazzare per davvero in risposta al suo urlo rauco e frustrato, intervallato con qualche ulteriore epiteto.

La cosa peggiore era che, pur del tutto scoperto ormai, la sensazione sulla pelle era rimasta rovente.

Il collo completamente rosso confermò che non si trattasse solo delle mani.






 

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Capitolo 6
*** #6. Helping them put on snow gear – “It’s not that hard.” ***


Bonsoir, dire che con questo capitolo ho faticato è un eufemismo enorme :') Ecco perché la trattazione del prompt è in sé è brevissima, mi ha mandata in tilt più di quanto pensassi e volevo sbarazzarmene quanto prima, ho proprio tagliato corto, mi dispiace, per quieto vivere della mia sanità mentale ho deciso che si andrà "avanti" qualche prompt più  in là... quindi ho messo (1) nel titolo-  anche se finalmente abbiamo introdotto tutte le coppie principali 🥳 è stato comunque un incubo per me che di roba da neve non so né capisco un accidenti, mi sono affidata a google come non mai e potrei comunque aver scritto castronerie... Anche in questo caso è la prima volta che tratto questa ship, soprattutto un personaggio non l'ho mai davvero trattato perciò la scelta stessa del pov è sperimentale, spero però abbia reso un minimo! L'IC è una forte incognita, più che altro l'ho pensato sulla misura di determinate fanart che mi hanno fatto invaghire tantissimo del duo!... e ci sono molte porte che vengono bussate in questa raccolta XD e quindi niente, mi fermo qua, il Saikebon di consolazione mi aspetta.
Grazie per passare di qui, buona lettura e, come al solito, si spera a domani 
💚❤️ 


 

 

-6: Helping them put on a snow gear – “It’s not that hard.” 


 

Quando ricevette il messaggio di invito, Kaminari dovette controllare più e più volte mittente e contenuto – soprattutto il primo, perché non era mai successo che Todoroki gli scrivesse, figurarsi per proporgli di unirsi a lui e altri compagni di scuola in una scampagnata sulla neve. Il che, molto probabilmente, si sarebbe tradotto in un pomeriggio a sciare.

In teoria, Shouto aveva solo fatto parte di un passaparola, per qualche ragione incaricato di comunicare di persona a Denki luogo e ora d’incontro per poi muoversi tutti insieme verso le piste, sebbene avessero un gruppo di classe apposito per queste comunicazioni; era nato per quelle ufficiali, in realtà, ma le conversazioni viravano sempre tu ben altri argomenti. Volendo avrebbero anche potuto mettersi d’accordo in sala comune, in effetti il perché un messaggio privato non era chiaro ma del resto non ci pensò neppure così tanto, Kaminari, tanto meno a confermare la sua presenza.

Le mani gli tremavano più del necessario per l’eccitazione che, si disse, era dovuta al mero divertimento che la mente anticipava avrebbe vissuto di lì a qualche giorno. Non c’entrava assolutamente l’euforia che aveva iniziato a provare da un po’ di tempo ogni qual volta Todoroki gli fosse vicino, il battito irregolare e il senso di impaccio e goffaggine qualsiasi cosa facesse, incapace di passare anche solo una risma di fogli per quell’assurdo senso di imbarazzo provato. Non che avesse un’accezione negativa, tutt’altro, Denki si sentiva quasi bene pur essendo in balia di un’ondata di disastroso coinvolgimento emotivo, inspiegabile solo in parte.

Si presentava però un problema, del quale si ricordò solo una volta confermato l’invio della risposta a Shouto – un messaggio con fin troppo trasporto, pieno di emoji e sticker entusiasti e di assenso – e cioè la fatica indicibile in cui incappava ogni qual volta ci fosse una giornata sciistica in programma. Di solito si lasciava aiutare dal padre, gli era capitato di chiedere persino a Kirishima l’anno prima, essendo andati insieme a sciare per le vacanze di inizio anno. L’amico gli aveva addirittura spiegato come fare e non era poi così complicato, solo che era passato tanto di quel tempo da non ricordare più le direttive e si sentiva stupido al pensiero di domandarglielo un’altra volta – Kirishima non si sarebbe di certo lamentato, anzi, sicuramente avrebbe apprezzato la sincerità nella sua richiesta, Kaminari preferiva però non avvicinarsi neppure alla camera dell’altro perché era alquanto probabile Mina fosse nei paraggi e con lei Sero.

Poteva già sentire lo sghignazzo acuto dei due traditori, o magari era la stessa tuta da neve dentro l’armadio a prenderlo in giro dal suo oscuro antro.

Complice quest’ultimo pensiero, trasalì non poco quando sentì bussare alla porta.

Per un attimo di pura idiozia pensò di non aprire perché il pericolo che dietro ci fossero proprio le iene che aveva per amici non andava sottovalutato. Per sua sfortuna la porta si aprì comunque da sola senza il suo intervento: quando intravide una ciocca rossa temette sul serio fosse Kirishima con Ashido e Sero al seguito, tuttavia bastò la luce giusta per distinguere la differente tonalità fiammeggiante che aveva imparato a riconoscere con fin troppa facilità negli ultimi mesi.

Il cuore gli era precedentemente corso in gola per lo spavento, adesso poteva sentirlo galoppare a un nuovo ritmo e che con quel tipo di agitazione non aveva nulla a che vedere.

«T-Todoroki!» constatò a voce alta, troppo alta, sorridendo con una forzatura sapeva essere palese, ma decise di concentrarsi su un ente di disagio alla volta «Che ci fai qui?».

L’altro ragazzo sbucò del tutto dall’ingresso, fece un cenno del capo di saluto e lo guardò – dritto negli occhi, quel giovane pregno di trasparenza dalla splendida eterocromia non voleva saperne di dargli tregua neppure in una zona neutrale come la sua stanza – dunque disse: «Scusa se sono entrato senza permesso, ti ho sentito parlare» e Kaminari dovette trattenersi dal chiedergli cosa avesse sentito, facendo tra sé un elenco mentale di tutte le sciocchezze che avrebbe potuto aver sparato nei secondi antecedenti il suo arrivo «E pensavo non ti fossi accorto che avevo bussato».

Era colpa delle iene, voleva davvero dirglielo, poi però si ricordò non sarebbe stato il caso spiegare il perché di quella peculiare scelta di parole associate a due dei loro compagni.

«Assolutamente» continuò a sorridere, tiratissimo «Ti serviva qualcosa?».

Shouto annuì in risposta, sollevando il telefono in modo tale da farglielo vedere, diede poi un leggero movimento di polso per sottolineare l’attenzione andasse rivolta all’apparecchio.

«Ti ho mandato un messaggio, ho visto che hai visualizzato ma non avevi ancora risposto, quindi volevo sapere se per caso non ti avesse dato fastidio in qualche modo. Se fosse, ti chiedo sinceramente scusa».

«Cosa?» gli domandò l’aspirante eroe dell’elettricità, stavolta l’agitazione convertita nella confusione più assoluta. «Non è possibile, ho risposto poco fa-» disse poi, prendendo a sua volta il proprio smartphone per mostrare all’altro quanto dichiarato, perciò aprì la chat – solo loro – e solo allora si accorse del mancato segnale di consegna confermata del messaggio.

Ma sul serio?!

«Ah… scusa, ti avevo risposto» spiegò mogio, sconfitto dalla tecnologia, voltando lo schermo per fargli vedere la replica di fatto inviata, sommersa da emoji e sticker, a riprova delle proprie parole, al che Shouto disse qualcosa a bassa voce in assenso, quando Kaminari si ricordò di ciò che aveva sentito da lui poco prima «Non ti devi scusare! Non mi hai dato alcun fastidio, anzi, puoi scrivermi quando vuoi!».

Che cosa diavolo sto dicendo!

«Cioè- se tu avessi, che so, qualcosa di cui parlare?!».

Si portò entrambe le mani al viso, imprecando contro se stesso a voce alta ma arrivò comunque sommessa all’esterno. Non che gli importasse, ormai aveva detto troppe sciocchezze, come se la gaffe del telefono non fosse stata sufficiente.

All For One, annichiliscimi ora, ti supplico.

«Davvero?».

Il tono stupito di Shouto – per quanto quell’inflessione potesse passare come tale tanto era leggera e appena percettibile, ma Kaminari iniziava ad abituarsi anche a quello – fu come un mazzo di campanelle angeliche, tintinnanti la sua salvezza; Denki stesso rimase spiazzato da quella domanda, non si aspettava affatto quella reazione, come se gli facesse piacere, sul serio, la prospettiva di conversare con lui.

Nonostante l’ultima uscita del ragazzo potesse risultare giusto un po’ offensiva, non intenzionalmente di certo, Shouto doveva aver fortunatamente afferrato il senso di quell’imbarazzante proposta.

«Davvero?» rispose Denki con lo stesso tono, più come se stesse indagando per avere conferma di quanto sentito «Cioè, sì! Quando vuoi, di qualsiasi cosa!».

Qualcuno mi faccia tacere...

A peggiorare la situazione fu il sorriso così dolce di cui Shouto lo graziò, sincero e genuino, persino con una punta luminosa nello sguardo, come se fosse felice di quel progresso.

Ma perché avrebbe dovuto sperare in dei progressi con lui? Negli anni non erano mai stati particolarmente vicini, avevano collaborato e conversato il minimo indispensabile quando la situazione lo aveva richiesto, certo era che poi qualcosa fosse cambiato per Denki in un momento ben definito, drastico e di netto, ma pensare potesse mai avvicinarsi al reciproco era pura utopia.

«Quindi verrai a sciare?».

La domanda annichilì l’entusiasmo crescente di Kaminari, di nuovo memore del motivo di quella visita e la causa del malinteso. Gli parve di risentire le risate della tuta.

«Sì… devo solo» disse senza pensare «ricordarmi come mettere quella dannata tenuta da neve».

Shouto sbatté le palpebre e con pericolosa innocenza chiese «Posso aiutarti io se vuoi».

Kaminari scosse la testa, come per scacciare qualcosa «Potresti ripetere un attimo cosa…?».

«Ti aiuto a mettere l’attrezzatura da sci, non è così difficile».

In quel momento, nella testa di Denki, comparve uno scenario mistico.

Di lui in piedi in mezzo alla sua camera, la tuta da sci infilata il giusto, Shouto di fronte che lo aiutava a richiuderla e a indossare tutto il resto.

«Denki?».

E lo chiamava per nome, anche.

«Ti senti male? Devo chiamare Recovery Girl?».

In effetti Kaminari era certo stesse per venirgli un infarto che se la stava semplicemente prendendo troppo comoda prima di scatenarsi, sentiva quasi la fisiologica necessità di rannicchiarsi contro il pavimento in posizione fetale e non muoversi per almeno un buon quarto d’ora.

E così, Todoroki chiamò davvero la dottoressa, la quale ebbe la gentilezza di risparmiare Kaminari, dopo averlo esaminato e distinto le sue reazioni ogni qual volta Shouto riemergesse in infermeria per sapere come stesse, di esprimere la diagnosi davanti al compagno.



 

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Capitolo 7
*** #7. Sitting by the fire – “This is nice, being here with you.” ***


Bonsoir, la prima settimana si chiude per com'è iniziata, l'umoraccio fedele costante. Scrivendo la sera tardi non me ne rendo conto ma praticamente 1/3 della raccolta è andata, che stranezza considerando gli scivoloni per arrivarci
Mi rendo conto ci siano tre Todoroki in questa raccolta ma per amore di non cadere in troppe ripetizioni nel chiamarli, a seconda del capitolo tutti il cognome verrà utilizzato, quindi anche se a questo si associa più facilmente Shouto ricordate i protagonisti di ciascun prompt per non confondervi. Brevina ma intensa, penso in realtà questi i ritmi migliori per i capitoli ma alla fine viene da sé.
Grazie per passare di qui, buona lettura e, come al solito, si spera a domani
 
💚❤️ 


 

 

-7: Sitting by the fire – “This is nice, being here with you.” 


 

«Lo sai, è divertente vedere l’eroe di fuoco per eccellenza ravvivare il caminetto come una persona qualsiasi».

Ancor più divertente fu l’occhiata che il Number Two ricevette in risposta, tutt’altro che gradito il commento rivolto ma non poteva farne a meno: nella sua quotidianità con Endeavor era pressoché immancabile quel senso dell’umorismo che il compagno definiva sciocco con rimprovero, in realtà Hawks sapeva però non vi fosse alcuna punta di cattiveria o reale fastidio nelle sue parole. Enji non mancava mai di notare, infatti, quando Keigo riprendeva a far battute dopo un periodo grigio nel quale si inseriva senza intromettersi, facendogli capire di esserci pur rimanendo in silenzio.

Insomma, le sciocchezze dell’eroe volante erano come il naso umido per un gatto, il segno di un’ottima salute – spirituale, perlopiù.

Gli piaceva la leggera illuminazione data dalle lucine calde del grande albero di Natale al loro fianco, gli stessi addobbi rilucevano per riflesso; Keigo si guardò le braccia nude tempestate di intermittenti sprazzi dorati, si accorse così di aver del tutto perso quel principio di pelle d’oca che aveva sentito un attimo prima, coperto solo da un paio di plaid pesanti che Enji aveva rimediato dall’armadio apposito e i vestiti già abbandonati nella cesta dei panni sporchi – a suo dire, tanto dopo sarebbero andati a farsi il bagno. Il Number Two gli aveva ironicamente domandato come sarebbe arrivato al piano superiore con le chiappe scoperte e doloranti, certo di metterlo in imbarazzo e di beccarsi qualche rimprovero borbottato con tanto di fiamme sul volto per coprire la vergogna, invece Endeavor gli aveva risposto sinceramente e senza batter ciglio, l’attenzione tutta rivolta agli abiti che andava piegando, che avrebbe potuto portarne cento e più di lui – cioè, della sua taglia – fino al bagno.

Keigo non si era perso il mezzo ghigno sotto i baffi – che stavano iniziando a ricrescere – nato sul viso del più grande una volta constatato di essere riuscito a rigirargli la sua stessa trappola, come confermato dalla faccia arrossata dell’altro e di sicuro non per la precedente attività davanti al camino.

Gli piaceva anche quello, sebbene adorasse l’accortezza incontaminata, mossa d’impaccio dietro l’essere disabituato dal prendersi cura di qualcun altro di quell’uomo così grande e grosso, in egual misura amava il modo naturale e spontaneo in cui crescessero le loro interazioni di quel tipo, più da coppia e meno da conviventi con qualche sentimento nei dintorni.

Todoroki ripose l’attizzatoio col quale pungolava la legna al suo gancio, sollevò un sopracciglio e guardò ancora l’altro, serio ma un sottinteso nelle parole.

«Se usassi le mie fiamme rischierei di rovinare il tappeto, che hai già macchiato».

Keigo si portò una mano alla bocca, le ali rimpicciolite vibrarono di ostentato stupore e così la voce uscì forzatamente sconvolta «Endevaa-san… hai davvero fatto un’allusione sconcia solo per non darmela vinta?».

Endeavor sollevò gli occhi al cielo, una mano sul viso per evidenziare la propria esasperazione, tuttavia non disse nulla di più in merito e gli si avvicinò: stavolta le ali di Keigo frusciarono più intensamente quando entrambe le mani dell’eroe di fuoco furono sulle sue spalle, sistemandogli meglio le coperte addosso.

«Senti ancora freddo?».

Hawks sfarfallò rapido le ciglia, gli occhi da rapace larghi e luminosi, oro liquido riflesso nel cielo gelido d’inverno che era lo sguardo del suo compagno.

Sapeva più che bene quanto la temperatura corporea dell’uomo fosse elevata, d’inverno non necessitavano affatto di utilizzare i riscaldamenti nonostante la casa ne avesse in ogni dove poiché, a dire di Endeavor, sarebbe potuto succedere rimanesse fuori la notte e non voleva rischiare di lasciarlo al freddo. Cosa che non capitava con la sua presenza, invece, difatti Keigo non mancava mai di dormire pressoché del tutto avviluppato al corpo caldo e perfetto per serate più fredde – e non solo.

Non era perciò necessario fare uso del camino, o meglio, per apparente logica non lo sarebbe stato, non fosse che era stato espresso desiderio di Keigo averlo, sia perché dava tutta un’altra estetica al soggiorno sia perché da piccolo aveva sempre desiderato provarlo, avere in casa una fonte di luce e calore così viva e naturale come il fuoco animoso nel focolare. Un conforto e una compagnia di cui aveva sentito la mancanza.

E così era stato.

Sciolse le labbra in un sorriso morbido, che coinvolse gli occhi stavolta appena socchiusi, rilassato, mentre portava le mani sui polsi dell’altro e le conduceva alle proprie guance, beandosi del calore gentile dei palmi mentre vi si sfregava contro. A ogni respiro poteva sentire il profumo pungente della legna piano piano arsa, se ne beò sereno e appagato, cullato dalla delicatezza dell’unica persona con la quale avrebbe mai voluto condividere quel momento. Tutti gli anni, per tutta la vita, magari, se glielo avesse concesso.

Infine sporse il viso, il naso all’insù, in attesa.

Aveva chiuso del tutto le palpebre quindi poté solo sentire sulla pelle lo sbuffo del compagno.

«Sei un falco viziato».

«Mi hai chiesto tu se sentissi freddo, pensavo fosse un modo per introdurre una proposta sconcia».

«Lo sai che non uso mezzi termini».

Stavolta il tono si fece più basso, così vicino che Hawks fu certo di essere ora del tutto ricoperto di pelle d’oca; un brivido lungo la schiena lo scosse in maniera ben visibile quando realizzò di essere ancora completamente nudo, quindi era probabile Enji si fosse già accorto dei movimenti che denotavano una sorta di disagio verso la posizione a gambe incrociate.

Sentì sulla bocca la smorfia soddisfatta del Number One, che era riuscito ad approfondire il contatto senza neanche provarci, trovando le labbra di Keigo già schiuse e appena tremule, l’aspettativa a scandire i battiti scalpitanti e in sincronia con lo scoppiettio delle fiamme.

Il tappeto spesso e soffice accolse perfettamente le piccole ali del ragazzo, accompagnate dalla mano grande di Endeavor per non stropicciarle – Keigo sapeva essere una scusa per carezzargliele, nonostante gli avesse detto non avesse bisogno di pretesti; una carezza prolungata tra due piume vicine all’attaccatura alla schiena gli strappò un ansimo sfumato in mugolio, divorato da un altro bacio più lento e umido.

Lo schiocco prodotto quando si separarono fece insorgere in Hawks l’urgenza di inarcarsi in avanti, le cosce già a circondare i fianchi dell’altro. Si sforzò ad aprire gli occhi quando si accorse dell’immobilità sopra di sé, vagamente preoccupato – più per le sue condizioni abbandonate al proprio destino che altro, ma andava controllato comunque.

Fece quasi male l’amore inciso nelle pupille fisse su di lui, ampie quasi con avidità di cogliere ogni minimo dettaglio della persona di fronte, custodita e protetta tra le braccia.

«Enji-san?».

Hawks tremò ancora, per qualche ragione sentì gli occhi pungere e bruciare. Forse, si disse, era colpa della troppa luce del camino. Magari la ghirlanda appesa sulla mensola in marmo aveva iniziato a prendere fuoco mentre non guardavano.

«Keigo».

Avrebbe dovuto dirgli di spegnerlo, pensò, mentre si accovacciava contro il petto di Endeavor, accettando e aggrappandosi a ogni tocco cauto, gentile e intimo l’altro gli stesse donando.

«È bello,» mormorò quello al suo orecchio «essere qui con te».

Avrebbe anche dovuto dirgli di non finire più i pasti con i cioccolatini al liquore perché poi era questo quello che succedeva.

Trovarsi fragile, perso, amato e innamorato a sua volta in quella nicchia che si era costruito, in una casa enorme, troppo per due persone ma non abbastanza per quello che erano l’un l’altro. Col camino, che non serviva davvero ma lo aveva voluto Keigo con tutto il cuore, un albero di Natale enorme e le decorazioni pacchiane scelte da lui, perché quello stesso cuore era il dono lasciato sotto l’albero.

Ogni anno.







 

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Capitolo 8
*** #8: The sound of snow crunching – “Wait, listen to the snow…” ***


Bonsoir~
Allora... non ho capito che caspita si aspettassero con questo prompt, se fosse tipo oh no una frana, quindi diamoci alla libera interpretazione anche oggi, sebbene sia venuto su brevino! Con questi due ci sto prendendo troppo gusto, mannaggia a me. 
Spero che la lettura sia di compagnia, grazie del passaggio, a domani! 
💚❤️ 


 

 

-8: The sound of snow crunching – “Wait, listen to the snow...” 


 

Tenko stava cercando di capire cosa fosse andato così tanto storto, quel giorno, per essersi fatto convincere da quel maledetto del suo amico a uscire nel bel mezzo di un glaciale pomeriggio di dicembre.

«Per prendere una boccata d’aria fresca» ricordò quest’ultimo davanti a sé, quasi a leggergli nel pensiero.

«È questo che dirai all’obitorio quando ti chiameranno a identificare il cadavere che ti sei lasciato dietro nella tua fottuta passeggiata da ipotermia?».

La risata di Touya arrivò forte e improvvisa, un unico colpo secco ma di chiaro divertimento, come un fuoco d’artificio inaspettato in una serata qualsiasi e senza alcuna ricorrenza – al limite tra il fastidioso, l’irritante e il meraviglioso perché, beh, bello era bello.

Il fuoco d’artificio.

Si grattò i palmi con le unghie, le mani rinfoderate nel giaccone pesante e nascoste da qualsiasi eventuale rimprovero o invito a smetterla l’altro avrebbe potuto rivolgergli; era un metodo per dissimulare l’imbarazzo senza starci troppo a pensare. Funzionava?

Assolutamente no. Se non fosse stato per i paraorecchie gliele avrebbero viste dallo spazio, rosse da far invidia al miglior vestito di Babbo Natale.

Perché mi sono svegliato?

Era tutta colpa di Touya, ovviamente. Lui e la sua maledetta temperatura corporea da sole umano, non si rendeva conto di quanto terribile fosse per lui andare in giro con il buio già calato, vestito a strati e ancora non abbastanza da scaldarsi davvero. Gli aveva pure proposto, il disgraziato, di tenerlo per mano se proprio voleva e Tenko, per tutta risposta, gli aveva assestato il miglior calcio negli stinchi di cui fosse capace, specie data la scarsa mobilità per le ossa totalmente congelate. La soddisfazione del dolore sul viso di Todoroki, se non altro, aveva dato un po’ di calore alla sua giornata.

Come se non bastasse aveva anche nevicato parecchio, la notte prima e così durante quella giornata stessa, i marciapiedi erano ricoperti di neve alta a sufficienza da far sì le scarpe lasciassero ben definiti solchi sul manto bianco, che pareva scricchiolare come legno fragile sotto i passi. Doveva riconoscere però questo particolare suono non gli desse alcun fastidio, anzi, così ritmico e soffuso aveva un che di rilassante. Ringraziò il suo buon senso per avergli fatto indossare due paia di calze pesanti e scarponi da scii – non che lui andasse a sciare, fosse pazzo. In realtà era pure certo non fossero suoi ma di Touya, che quelle attività da spezza collo invece pareva adorarle molto, forse aveva persino menzionato le scampagnate in montagna coi fratelli. Non che a Tenko fosse mai importato nulla e non capiva per quale ragione si ostinasse a raccontargli quei dettagli di vita e della sua famiglia. Quasi a fargli credere gli importasse li sapesse, renderlo partecipe di quadretti nei quali non era comunque inserito né avrebbe voluto inserirsi mai.

Persino come spettatore dei racconti di Touya si sentiva fuori posto.

Tenko gli guardò la schiena ampia, i ciuffi rossi che sbucavano da un berretto bianco a fantasie natalizie più scure; l’intenzione a detta di Touya era non far notare troppo le ciocche di capelli che andavano perdendo colore.

Shimura gli aveva detto sinceramente, una volta, non ci fosse niente di male o strano nei suoi capelli, che un po’ di bianco toccava a tutti prima o poi. Touya, per contro, gli aveva detto che non vedeva niente di male o strano nella sua pelle così sensibile e secca – altro motivo per cui mal sopportava le basse temperature. Così aveva capito, Tenko, e gli aveva chiesto scusa con un filo di voce. Non lo aveva detto per mortificarlo, Touya non se l’era presa, ma aveva capito. In un certo senso, aveva provato sollievo in quel senso di accomunamento che aveva trovato, seppure in quello che entrambi consideravano un personale difetto fisico.

«Ehi» lo chiamò Todoroki, fermandosi davanti un’insegna e ridestandolo da quel ricordo «Ci fermiamo a bere qualcosa?».

Il più giovane guardò la vetrina di quella che aveva tutta l’aria di essere una caffetteria: all’interno poteva vedere i clienti gustarsi sfiziose cioccolate calde, la panna e cioccolato liquido decoravano la superficie densa e fumante della bevanda.

Senza pensarci, disse «Preferisco quella che mi hai fatto tu».

Il silenzio che seguì dall’altra parte lo portò a voltarsi, sul viso un’espressione interrogativa, quando incrociò gli occhi di Touya che non avrebbe saputo definire altro che inteneriti.

Di nuovo distolse lo sguardo, tirando fuori una mano dal giaccone per sistemare meglio la grossa sciarpa di lana fino al naso, nella speranza il rossore sulle guance si confondesse con quello causato dal freddo.

«C-che c’è? Se vuoi entrare, possiamo farlo comunque».

Quello scosse la testa, l’ombra di un sorriso tiepido e morbido sul volto, che riuscì a percepire a malapena sotto l’illuminazione esterna al negozio e le lucine colorate attorno all’ampia vetrata, eppure risultò comunque così speciale che Tenko odiò l’aver pensato Touya fosse bello, davvero molto, e nemmeno per la prima volta; una delle poche di cui iniziava a essere sul serio consapevole.

Singhiozzò quando la mano calda, tanto da farlo sospirare internamente per il sollievo di quel contatto, afferrò la sua ancora aggrappata alla sciarpa, trascinandola verso il basso e poi farla sparire, stretta nella sua, nella tasca imbottita e rivestita da soffice lana. Senza nulla dire, poi, giusto sogghignando un po’ più divertito al suo indirizzo, si voltò verso la direzione opposta, dalla quale erano venuti.

«Cosa stai-».

«Torniamo a casa».

Tenko provò a ritrarre la mano, allo stesso tempo ingoiò quell’indefinito senso di completezza che cercava di contrastarlo nella sua stessa volontà, semmai incitandolo a ricambiare «E hai intenzione di farlo così?!».

«A-hah».

«Come un maledetto cliché natalizio?!».

Touya lo guardò da sopra la spalla, ancora davanti a lui – più perché il marciapiede affollato impediva di camminare sempre l’uno accanto all’altro «Quindi stai dicendo che lo trovi romantico?».

In ogni caso, non ritrovarsi direttamente al suo fianco, così vulnerabile alla vista, fu di sicuro un sollievo e alleato nel non fargli vedere oltre le tonalità assunte dal suo incarnato di solito piuttosto pallido.

«Fammi togliere i dispositivi di contenimento e vedrai cos’è che trovo romantico».

«Neh, Tenko».

«Che c’è?!».

Fu il modo in cui cambiò la presa, in quella tasca ampia ma fin troppo stretta per loro: la lentezza gentile e non invasiva con cui le dita di Touya carezzavano quelle di Tenko per invitarle ad aprirsi e permettere loro di inserirsi, i polpastrelli che scivolavano piano sulle falangi e poi si richiudevano sul dorso; ogni cosa di quel gesto acquietò di colpo qualsiasi impeto aggressivo di Tenko, tentato però di disfarsi del paraorecchie che gli ricordava perfido quanto veloce gli stesse battendo il cuore.

«Ascolta la neve e basta».

Quanto traditrici fossero state le sue stesse dita per aver assecondato ogni movimento senza osare opporsi.

Tuttavia, per una rara e sorprendente volta, Tenko fece come gli aveva consigliato. I passi pesavano sulla neve, lasciavano l’evidenza di essere stati lì. Per questo decise di continuare il resto del tragitto a guardare le orme di Touya formarsi davanti alle sue e con quelle ricoprirle, quasi per capriccio.

 

 

 

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Capitolo 9
*** #9. Snowball fights – “I’m going to get you back for that!” ***


Bonsoir! Intenso attimo non è vero di nostalgia perché questo tipo di prompt qua mi era capitato anche l'anno scorso, sempre tra i primi! Un po' mi manca quell'atmosfera lì XD Oggi però tornano i biscottini di allora, con qualcosina di diverso... credo.
Posso dire che la mia passione per le manine è alimentata da Horikoshi.
Oltre all'eccezionale doppio pov :D ho tolto (1) dal titoletto di qualche capitolo fa perché praticamente i prompt sono comunque collegati tra loro, specie se delle stesse ship, perché ci sono riferimenti e richiami quindi non aveva senso ??? È anche venuto più... gaio e sentimentale che dinamico ma l'abbiamo capito, i prompt li uso tanto per dire ma nuovi approcci portano grandi impacci e soprattutto impicci narrativi e di caratterizzazione-
Buona lettura, grazie come sempre, a domani! 
💚❤️ 


 

 

-9: Snowball fights – “I’m going to get you back for that!” 


 

Stancante.

Era semplicemente stancante camminare sulla neve. Era stancante stare al freddo, indossare più e più capi per non sentire muscoli e ossa dolere come dopo la più pesante e intensa delle sessioni di allenamento, era stancante persino pensare a quanto stancante fosse vivere l’inverno per chi come faceva del calore – e sudore – la forza del proprio potere.

«’Fanculo dicembre» borbottò Katsuki tra i denti, guardandosi intorno mentre teneva, perché costretto, una sfera bianca e gelida sul palmo ricoperto dallo spesso guanto, il braccio teso e sempre pronto al lancio.

«Kacchan!» lo rimbeccò Izuku in un sibilo, acquattato al suo fianco e con lo stesso colpo in attesa di schiantarsi contro la potenziale vittima, l’indice della mano libera invece era sulle labbra in segno di far silenzio «Ci scopriranno se parli troppo forte!» sottolineò infatti, poi parve ripensarci e aggiunse «E comunque dicembre è il mese del Natale, dei regali, della fami-».

«Tsk».

L’erede di One For All sbatté le palpebre, interdetto.

«Mi hai- mi hai fatto tsk?!».

«Ora chi è che sta alzando la voce?».

Continuava a essere stancante, ritrovarsi obbligato a nascondersi tra gli alberi del cortile della scuola, avere le labbra secche e minaccianti di spaccarsi da un momento all’altro, ma lo era giusto un po’ meno se a subire quella tortura meteorologica c’era Midoriya con sé. In particolar modo se riusciva nella difficile impresa di farlo innervosire e assumere quell’espressione lì, con le guance gonfie e il broncio lucido di burrocacao perché lui, al contrario suo, cercava di mantenere la bocca idratata anche se si rivelava pressoché inutile, a certe temperature.

Era così stupidamente adorabile, tutto intento a borbottare – perché ci teneva non li scoprissero – quanto fosse assurdo venire rimproverato da Bakugou Katsuki sui propri toni, e ne scimmiottò il nome così convinto di poterlo in qualche modo pungolare che, in effetti sì, un po’ la fedele vena sulla tempia si fece viva ma non prevalse sulla coscienza dell’aspirante eroe esplosivo.

«Oi» lo chiamò, voltando il busto verso di lui «Deku».

Il brusio sconclusionato del ragazzo cessò al sentire quel nome, ormai associato unicamente al proprio status da hero, accantonato da Katsuki stesso nella vita di tutti i giorni.

Lo afferrò per le guance con la mano libera, facendolo squittire per la sorpresa, forse preoccupato avrebbe potuto usare la palla di neve contro lui, invece poté giurare di averlo sentito fischiare quando gli stampò il proprio ghigno sulle labbra dal sapore stucchevole e così poco da Izuku, ma se lo fece andar bene. Netto e secco, giusto un paio di secondi di pressione, dopodiché tornò a voltarsi verso l’ampio cortile che si intravedeva oltre il tronco che li nascondeva – alcuni dei compagni giocavano senza alcuna tattica, semplicemente lanciando quanti più colpi possibili, molti dei quali senza neppure andare a segno; chi in preda al panico e chi per puro divertimento, Bakugou cercava di tenere sotto controllo chiunque, gli occhi in cerca di Kaminari e Kirishima.

L’espressione concentrata si sciolse appena, il sorriso sornione mai andato via davvero, i denti si scoprirono nell’allargarsi di soddisfazione quando sentì la fronte di Izuku contro la schiena e le sue dita stringersi su un lembo del proprio cappotto.

Disse qualcosa su quello stesso punto, al riparo dagli occhi rossi.

Katsuki lo sentì perfettamente ma finse di no.

«Sei stanco, nerd?».

A quel punto Midoriya alzò a malapena la voce, la presa sul cappotto più forte e la fronte gli diede due colpetti, quasi a simulare delle piccole testate, per poi tornare a piantarsi un po’ più giù delle scapole e sfregarvi piano piano contro.

«Sei sleale…».

Bakugou strinse le labbra, stavolta, perché sentiva l’urgenza di mettersi a ridere ad alta voce.

Confermato gli altri non si fossero accorti di loro, lasciò sgusciare la mano libera indietro, dove quella di Izuku arpionava il soprabito e cercò di districarla – non dovette faticare molto, quello si oppose appena, il minimo indispensabile per sembrare risentito ma il ghigno di Katsuki si amplificò, se possibile, quando la presa cedette e assecondò quella nuova proposta dal suo palmo.

Era stancante, stare al freddo, in mezzo alla neve, ma era molto più divertente e interessante con Izuku intorno, che si trasformava in una stufa ambulante con poco; Bakugou ignorava quel calore provenisse in buona parte anche da se stesso.

Lo colse troppo tardi, con la coda dell’occhio, a una velocità fulminea, tale per cui cercare di spostarsi ormai era impossibile.

Avrebbe potuto usare le proprie esplosioni, rifletté, ma entrambe le mani erano occupate.

Fottuto romanticismo adolescenziale.

La sensazione sul viso fu orrenda, agghiacciante in ogni accezione concepita del termine: la palla di neve che si era schianta contro la sua guancia fece proprio male, come uno schiaffo imprevisto e in pieno volto, non risparmiando neanche un centimetro di pelle a disposizione.

Midoriya era rimasto illeso, nascosto com’era dietro di lui, tuttavia non mancò di guardarlo con occhi pieni di terrore nel percepirlo tremare con tutto il corpo.

«K-Kacchan…?» fece cauto, la voce acuta e zoppicante per l’ansia della bomba era certo stesse per esplodere «Ti sei fatto male…?».

«Male?» domandò quello in risposta, il tono tetro e gutturale come un demone evaso dagli inferi, mentre Izuku sussultava per lo spavento tanto era teso «Non mi ha fatto male» continuò, lasciando definitivamente la mano del ragazzo per impiegarla, insieme all’altra, nel compattare una palla di neve dalle dimensioni sorprendenti e pericolose insieme.

«Non quanto questa la farà a te» proseguì in un crescendo che sfociò in un urlo graffiante verso e proprio «Kaminari, tu e le tue palle di neve del cazzo!».

Midoriya lo guardò confuso, sconcertato dalla facilità con cui stesse sollevando un cumulo di neve da far invidia al corpo del pupazzo costruito pochi giorni prima – annichilito sempre dallo stesso compagno di classe, il quale doveva evidentemente aver preso gusto nel farsi saltare in aria da un inferocito Bakugou.

Neanche ci provò a trattenerlo, consapevole di quanto fosse inevitabile l’eruzione di pura isteria e vendetta.

Kaminari-kun… pensò Izuku tra sé, ignorando le palle di neve che avevano iniziato a piovergli addosso una volta che la sfuriata di Katsuki aveva rivelato la loro posizione, percepì sfocati Kirishima e Mina accanirsi su di sé con l’ausilio di un Ojirou che pareva più mortificato che battagliero nei suoi confronti. Specie dopo avergli visto quel sorriso stanco di chi non ha più le energie per opporsi alla propria sorte.

Corri più veloce che puoi.

 

E Kaminari corse, in effetti, praticamente circumnavigò l’edifico dell’U.A. per allontanarsi il più possibile da Bakugou, le cui urla disumane miste a esplosioni – le stava di certo usando per spostarsi più in fretta, come diamine facesse vista la gelida palla di cannone che si portava appresso era un mistero sul quale non cercò di indagare – si avvicinavano rapidamente.

Arrivato al cancello sul retro della scuola, ansimante e sfinito, si guardò intorno con ansia alla disperata ricerca di una scappatoia o luogo in cui nascondersi.

Se l’era cercata, ma non era mica il caso di restarci secco per questo.

«Kaminari…» fu il ringhio alle sue spalle, fin troppo vicino «Dove diavolo sei finito…».

Non c’era via d’uscita, non riusciva a pensare tanta era la pressione della presenza opprimente e malvagia di Bakugou dietro di sé.

Era sul punto di lasciarsi cadere in ginocchio, rassegnato alla morte lenta e dolorosa a cui l’altro lo avrebbe sottoposto, quando per poco non strillò con tutto il fiato residuo che gli era rimasto nei polmoni non appena sentì qualcuno afferrarlo e poi tirarlo per il gomito, la paura tale che non riuscì a opporvisi.

«Ti prego non farmi del male!» gracchiò ancora, le braccia a coprirsi il volto «Almeno non colpirmi in faccia! Io l’ho fatto ma non volevo! Miravo… miravo al tuo ca-».

«Denki».

L’uso del nome proprio, il tono calmo e gentile che lo accompagnò, fu sufficiente perché il ragazzo dal quirk elettrico spalancasse le palpebre e riabbassasse le braccia.

«Todoroki!» esclamò dunque con sollievo, una lacrima di commozione all’angolo dell’occhio «Mi hai salvato!».

Si accorse davvero solo in quel momento, più rilassato grazie all’alleato improbabile ma salvifico, di ritrovarsi tra un cespuglio innevato e il muro del recinto. Non era tanto sicuro, in realtà a pensarci Bakugou avrebbe potuto tranquillamente cercare lì, nel posto più ovvio, poteva però considerarsi fortunato perché la punizione era stata rinviata di qualche minuto. Oltretutto, sebbene fosse congelato dalla testa ai piedi in quella posizione, davanti a sé c’era l’espressione tranquilla e rassicurante di Shouto, che aveva preso possesso del nuovo ritmo cardiaco del provato Kaminari.

«Ho sentito le urla di Bakugou, ho pensato di aiutarti».

Sarebbe morto felice, almeno.

«Sei un eroe» disse con trasporto, salvo poi vergognarsi dell’ovvietà e ridere nervoso «Cioè! Sarai un ottimo eroe… un giorno!».

Per un istante pensò sarebbe stato splendido se Bakugou lo avesse ucciso in quel momento, ritornò sui suoi passi quando vide le labbra di Todoroki piegarsi piano all’insù e gli occhi ingentilirsi a loro volta. Quasi gli avesse fatto piacere quel commento.

«Grazie» rispose sincero difatti.

Kaminari restò sorpreso e gli ci volle qualche secondo per riassestarsi, rilasciare un sospiro profondo mentre fuori dal nascondiglio Katsuki continuava la sua ricerca, infine rispondere.

«Certo che solo tu puoi apprezzare le mie banalità».

Cercò di non far notare il filo di imbarazzo che legava quelle parole, abbassando lo sguardo per non incontrare quello fin troppo trasparente e diretto di Shouto. Ripensandoci temette il commento gli fosse uscito in modo fin troppo offensivo, ma non ebbe il tempo di preoccuparsene che ottenne risposta.

«Essere un bravo eroe non è così facile» asserì «Proprio per questo, a volte, si può smettere di credere di riuscirci» e concluse, il sorriso chiaro nella voce «Perciò grazie per crederlo e per avermelo detto. Penso lo stesso di te, Denki».

Oh, no. Kaminari se lo sentì fin dentro le ossa, il terribile animarsi di una conferma non davvero necessaria e nonostante questo comunque emersa, che premeva per uscirgli dal petto con la stessa violenza del cuore in corsa e ben più veloce di quando stava scappando dalle grinfie di Bakugou – aveva smesso di sentirlo, tra l’altro, che avesse desistito? Ma non era importante, non riusciva a pensare a nulla di diverso da quanto sentito, dal volto splendido e fiducioso di Shouto e il suo sguardo genuino tutto dedicato a lui, senza filtri o ansie di dire la cosa sbagliata.

Kaminari sentiva avrebbe dovuto avere un freno, invece. L’impellente necessità di esprimersi, di tirar fuori di getto ciò che custodiva da mesi, trascinato dall’impeto del momento.

Schiuse le labbra, il volto rosso come non mai.

«Denki… penso dovremmo tornare da Recovery Girl, mi sembri stare di nuovo male».

Sto di sicuro per morire, hai ragione.

La situazione peggiorò quando Todoroki si spostò al suo fianco, offrendogli il braccio sinistro, lì dove il potere del fuoco si sprigionava.

«Puoi stringerlo se senti freddo, starò attento a non bruciarti».

Bakugou pregò tra sé, in un atipico silenzio tombale mentre annuiva all’altro, le proprie braccia che scivolavano intorno a quello di Shouto e subito il calore effettivo arrivò, lenitivo per ogni gelo provato.

«Va meglio?».

Annuendo ancora, col viso affondato contro la fonte di sollievo e, paradossalmente, agitazione insieme, concluse la preghiera – non del tutto sincero e neanche era così necessario, poiché poco importava Todoroki stesse rilasciando a malapena il suo quirk; Denki si sentiva andare a fuoco in ogni caso.

Fammi saltare in aria.






 


1. invidio profondamente chiunque riesca a lavorare come si deve con la caratterizzazione di Shouto, posso leggerne e amarlo in fanart shippose ma inciampo continuamente con lui a scriverlo :')
2. la cosa del braccio viene da una fanart bellissima, con Kaminari e quell'insulso essere di Mineta che si spiaggia sul lato sinistro di Shouto perché sente freddo çç

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Capitolo 10
*** #10. Warm soup after being in the cold – “Jesus, you’re freezing!” ***


Bonsoir, ormai questi sono “la coppia della cucina” a dire della mia dolce metà e quindi cedo sotto il peso di questa maledizione-
...che posso dire, il dolce a uno e il salato all'altro. I piani erano altri (di nuovo) ma con loro mi viene più semplice... (/.\) sarà l'hurt/comfort-

Touya è canonicamente cagionevole di salute;
 La ricetta della diabolica zuppa: https://www.buonissimo.it/lericette/zuppa-giapponese-274771 - l'ho praticamente seguita passo passo (fino a un certo punto perché anche meno) per mantenerla più presente possibile nel prompt almeno oggi argh, se mi ricordo domani sistemo col collegamento diretto l'html!
 Il suono del timer è tratto da storie quotidianamente vere
Buona lettura e grazie del passaggio, a domani (che aggiornerò presto per forza di cose perché la sera non ci sarò... aiuto
💚❤️ 


 

 

-10: Warm soup after being in the cold – “Jesus, you’re freezing!” 


 

Shimura fissava le alghe affogare nel brodo vegetale, tirate a fondo dagli spaghetti; era come guardare un video di lotta tra calamari giganti e capodogli, la meglio chiaramente avuta dallo spaghetto avviluppato alla fogliolina già ammosciata – nonostante non fosse passato neanche un minuto, ma tanto era Touya che avrebbe dovuto mangiarla quindi perché curarsene. Aveva messo il timer dei tre minuti solo per essere certo di non prendere fuoco, mica per non rovinare il pasto di quel maledetto che aveva deciso di ammalarsi nel bel mezzo del suo giorno libero.

Così imparava a fare il gradasso su quanto facesse bene l’aria fresca di dicembre. Il dito medio pregno di soddisfazione che Tenko gli aveva rivolto nel leggere la temperatura sul termometro era valso qualsiasi torturante passeggiata l’altro lo avesse costretto a subire.

Che la cifra effettiva lo avesse preoccupato non era importante, da degno Todoroki che aveva ereditato il potere del fuoco del padre era più che normale fosse vicino a determinate soglie.

L’improvvisa serie di cinguettii accompagnati dal suono dolce di un’arpa segnarono la fine della cottura: il timer di Tenko, gentilmente scelto da Touya stesso quell’unica volta in cui era riuscito a coinvolgerlo nella preparazione di qualcosa di cui neppure ricordava, troppo traumatica come esperienza, si era però scordato di ridare un senso di normalità alla sveglia.

Scolò dunque le alghe, il coltello per affettarle già pronto accanto al piano cottura.

Per poco non si tagliò quando un colpo di tosse deciso e pesante lo fece saltare in aria per lo spavento: l’appartamento era in un insolito silenzio, piuttosto tipico il contrario, ogni angolo della dimora era ammantato di rumori quando Touya vi camminava in giro, fosse anche solo il mero sfogliare un libro mentre passeggiava da una parte all’altra del corridoio – a suo dire si concentrava meglio con i muscoli attivi, raro persino lo trovasse a leggere a letto. Lì semmai era dove, la sera, prendeva la propria Switch per infastidire Tenko sulla sua isola di Animal Crossing e rubargli i fiori.

Finito con le alghe la stessa sorte toccò al cavolo, che aveva scelto con una casuale rassegna di trentaquattro minuti, beccandosi persino gli improperi delle altre clienti dietro di lui perché pendolava davanti ai rifornimenti della verdura come un ostacolo molesto.

Non per chissà che ragione, ma doveva pur curarlo quell’idiota. Anche se era probabile gli spaghetti, ricordò, avrebbero fatto alla sua ugola quanto messo in atto in precedenza sulle povere alghe ora del tutto sminuzzate, o al tofu che avrebbe aggiunto poi; andò un attimo nel panico, un minimo, quando si domandò se ci fosse o meno, salvo poi ricordarsi in maniera alquanto sfocata della beota espressione di Todoroki, in mano un sacchetto del supermercato e l’esclamazione di trionfo seguente sull’aver approfittato di una qualche offerta per far scorta. Ricordava anche di avergli domandato che diavolo ci avrebbe fatto con tutto quel tofu, dato che Shimura non lo gradiva particolarmente.

Touya gli aveva risposto «Un giorno potresti farmi una zuppa».

La mano di Tenko si fermò a mezz’aria, intenta a recuperare la cipolla dal suo scomparto, fulminato da quella memoria e il suo collegamento tanto assurdo quanto tempestivo.

Maledetto manipolatore, borbottò tra sé, recuperando il resto degli ingredienti che servivano.

 

Era atipico per lui tanto quanto lo era per Touya ritrovarsi a bussare alla porta dell’altro per entrarvi a tutti gli effetti. Neanche avrebbe saputo dire in che modo era riuscito nell’atto effettivo del bussare quando aveva scelto un vassoio troppo grande per la zuppa, ora fumante, senza rischiare di minarne l’equilibrio e rovesciarla per intero.

«Touya, sto entrando» si annunciò, spingendo la porta con la spalla – l’altro l’aveva lasciata socchiusa apposta, per inciso dietro ordine di Tenko stesso, il quale aveva posto la drammatica quanto improbabile eventualità di morire nel letto perché Tenko, nel tempo impiegato per aprire la porta, sarebbe arrivato troppo tardi.

Visto? Si era rivelato comodo. Per lui di sicuro.

Avanzò piano, la camera in penombra ma illuminata dalla lampada sul comò, la luce calda pareva alleggerire l’aria chiusa e malaticcia della stanza e di Touya stesso, spesso preda di una non indifferente irascibilità nei momenti di debilitazione. Quello non glielo aveva mai detto personalmente, invece era stato Natsuo a rivelarglielo, la prima volta in cui il fratello maggiore era stato male e si era comportato in modo brusco e sgarbato nei confronti di Tenko, del tutto preso alla sprovvista e che aveva a sua volta reagito con rabbia – non tanto ai gesti di Touya quanto per riflesso condizionato a quel tipo di comportamento.

Odiava stare male, Touya, a causa del fisico fragile a duro sforzo sotto il potere instabile ereditato dal padre, ragion per cui per anni non gli aveva rivolto parola, serbando rancore nei suoi riguardi. Le cose erano migliorate nel corso degli ultimi cinque anni, ossia il periodo in cui aveva iniziato la convivenza con Shimura.

Gli aveva chiesto scusa più volte del necessario, a dire di Tenko, ma Touya sapeva e il ragazzo aveva iniziato a credere – temere – ogni sua premura sorta da quel momento fosse come una sorta di ammenda da parte del più grande, non sentita.

«Non credevo lo avresti fatto davvero».

La voce di Touya, rauca a causa del raffreddore, lo sorprese e interruppe il rimembrare.

Cercò di darsi un tono irritato, guardandolo mettersi a sedere «Questo o ti avrei trovato morto sul serio».

Le dita del ragazzo ebbero uno spasmo, impercettibile, ma Tenko lo distinse piuttosto chiaramente e fu sufficiente affinché si pentisse di aver fatto del sarcasmo sulla sua condizione fisica, sebbene l’intenzione fosse di alleggerire l’atmosfera.

Darle una parvenza di normalità.

In ogni caso, Touya non si arrabbiò. Non vistosamente. Allungò invece le mani per afferrare il vassoio, ringraziò a bassa voce e non disse altro; Shimura non se la prese, pronto all’evenienza, rimase però lì vicino in attesa finisse, così da portar via le stoviglie – pericolosamente in bilico c’era anche il bicchiere d’acqua, annesso alla ciotola con la zuppa affinché potesse prendere le medicine una volta mangiato.

I capelli bianchi parevano aumentare.

Touya finì piano ma fino all’ultimo cucchiaio, senza lasciare una goccia o verdura sminuzzata, ringraziando ancora Tenko per il pasto, «Molto più buono di quello quanto avresti mai pensato» aggiunse anche, così a tradimento da impedirgli di nascondere il rossore, rivelato ancor di più dai borbottati e imbarazzati insulti rivolti in risposta.

Quando, di nuovo, Touya allungò le braccia col vassoio stavolta fu per restituirlo: Tenko lo accompagnò con attenzione, il pericolo di rovesciare tutto in terra ancora presente e, nel farlo, sentì a contatto con i polpastrelli la pelle fredda del ragazzo, tanto da ritrarsi di scatto come scottato da un’intensa fiamma, per paradossale che fosse.

Ignorò le proteste di Todoroki quando gli strappò in modo più violento il vassoio, il bicchiere vi ricadde sopra tintinnando contro la zuppiera ma non se ne curò, posandolo in fretta in terra per afferrargli le mani.

«Touya, stai congelando!» gli uscì più come una domanda che una constatazione, sinceramente sconvolto e incredulo, più convinto il problema fosse suo e dei propri recettori che non la giusta sensazione restituita dal contatto.

Il modo in cui Touya voltò la testa, l’espressione contrita, quasi mortificata, gli diede conferma dell’assurdità.

Persino la replica arrivò come una sconfitta ammessa a fatica «Non riesco a scaldarmi».

«Tu?!».

Tenko si pentì subito dopo di averlo detto, nell’istante in cui Todoroki ritrasse le mani e le portò dietro la schiena; continuava a non guardarlo ma Tenko sapeva di averlo ferito, non era riuscito a controllare lo stupore e adesso poteva rivedere lo sforzo con cui l’altro, nell’invitarlo ad andarsene, si stesse trattenendo dall’urlare. Forse fu proprio per attutire l’impulso di alzare la voce che si rigirò rapido verso l’altra parte, rimettendosi disteso e tirando la coperta fin sopra le orecchie.

«Grazie per la zuppa, puoi andare».

«Touya-».

«Puoi andare».

Shimura sussultò al tono duro, così diverso da quello a cui si era abituato, familiare, non suo. Al contrario da quanto si sarebbe aspettato da se stesso, però, glissò del tutto su quanto intimato, semmai si lasciò contagiare dall’irritazione e preso dall’impeto si mosse dall’altra parte del letto, scostando la trapunta.

Fu il turno di Touya di spalancare gli occhi per il gesto imprevisto, specie quando Tenko aveva già iniziato a scivolare meglio al centro del materasso.

«Che cosa diamine credi di-»

«Fai silenzio».

Quello non gradì affatto la nota perentoria nelle sue parole, non ebbe comunque la possibilità di ribellarsi o cacciarlo via perché le mani di Tenko tornarono a stringere le sue, portandosele al petto e stritolandole in una sorta di scomodo abbraccio.

«Che… perché stai…?».

«Senti ancora freddo?».

Eccolo, pensò Tenko, puntando gli occhi in quelli di Touya, in quello sguardo lucido per la febbre, largo di stupore, quello a cui era abituato, affezionato. E che avrebbe protetto, a costo di qualsiasi vergogna o euforia cardiaca ciò avesse portato. Notò quanto contrastasse il gelo delle mani del ragazzo con il calore incontenibile che sembrava provenire dal di sotto delle coperte; intuì la frustrazione del non riuscire a riscaldarsi derivasse anche dall’impegno immesso nel provarci, fallendo a causa dell’influenza.

Touya chinò il volto, la frangia rossa frastagliata di bianco a coprire lo sguardo chiaro.

Poi, in un sussurro, rispose «Sì…».

Tenko sorrise leggero, assecondando il desiderio di allungare la mano e spingerlo verso di sé per accoglierlo nell’incavo del collo, lì dove il respiro rovente di Touya solleticava la pelle come confortevoli fiamme di un camino.

Fin troppo naturale per vergognarsene, certo di avere comunque le orecchie andare a fuoco sotto i mossi ciuffi corvini, ben consapevole di quanto fatto e nonostante ciò non se ne curò, le mani di Touya ancora custodite sul petto anche se questo avrebbe fatto sì sentisse il proprio battito – Tenko poté sentirlo dalla stretta sui polsi dell’altro, armonizzare il ritmo del suo, fondersi per correre insieme.

Le palpebre iniziarono a farsi pesanti, schiuse appena quando una ciocca rossa, allo sfregare il naso contro il suo collo, gli stuzzicò il naso.

«Non lasciarmi moccio addosso» cercò di essere serio, tradito dalla voce biascicata per il sonno incombente «Altrimenti poi tocca a te prenderti cura di me».

Le labbra di Touya si mossero contro il pomo d’Adamo, arricciate nel primo sorriso che Shimura non riuscì a vedere ma lo percepì per intero nel solletico che si lasciò dietro.

Ormai addormentato, non sentì la replica sommessa.

«Anche quando penserai di non volerlo».







 


Non sono sicura si capisca (spero di sì sigh) ma alla fine Touya fa il verso a se stesso, che non voleva essere aiutato in alcun modo (non è una questione di orgoglio ma sincera frustrazione per essere cagionevole, avendo ereditato la costituzione debole di Rei, per questo qui lo segno come gelido quando sta male avendo Rei il quirk del ghiaccio); l'insistenza di Tenko non gli ha dato fastidio, anzi, gli ha fatto capire di quanto solo si sentisse e bisogno avesse di quello. ^^

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Capitolo 11
*** #11. Big hugs from family – “It’s been too long!” ***


Bonsoir! Oggi vado di super fretta çç qundi note minuscole in cui mi limito a dire che era qui che dovevano esserci i TouyaTenko ma alla fine sono tornata sui due ancora meno approfonditi del caso!
Shouto è canonicamente alto 176 cm, Denki 168 + qui è tutto concentrato in dicembre ma fate conto sempre sono al terzo anno!
In Giappone l'uso del nome proprio è indice di forte intimità, dunque di norma si usa rivolgersi agli altri (specie se sconosciuti o più anziani) con il cognome seguito da un onorifico, questo lo spiego ora per chi non lo sapesse per rendere chiaro quanto segue
Grazie per seguire la raccolta! Buona lettura e a domani! 
💚❤️ 


 

 

-11: Big hugs from family — “It’s been too long!”


 

«Shouto!».

L’urlo entusiasta di Fuyumi nel vederlo davanti la porta di casa fu seguito da un abbraccio stretto e sentito al fratello minore; Shouto si ritrovò a sbattere le palpebre, l’espressione tra la sorpresa e l’indifferenza più assoluta, quasi fosse ormai abituato a simili attacchi. Le diede una pacca leggera sulla schiena a mo’ di ricambio del gesto, col risultato che la ragazza, se possibile, lo strinse ancor più forte.

Quando si allontanò un poco dal più giovane, lo squadrò per bene da capo a piedi «Quanto sei diventato alto? Devo mettermi sempre più sulle punte per abbracciarti!».

Shouto scrollò le spalle, guardando in alto quasi a voler cercare di individuare la propria altezza in base a quanto vicino risultasse al soffitto «In realtà non credo sia cambiato poi granché…» disse perciò, dopodiché parve ricordarsi di qualcosa.

Fuyumi lo vide farsi un poco da parte, rivelando la figura appena più minuta di un ragazzo mai visto prima con al seguito un borsone; di certo non poteva essere Bakugou. In effetti era stata informata dal fratello di portare con sé un ospite, subito aveva dato per scontato si trattasse di lui o Midoriya, non si sarebbe mai aspettata un viso sconosciuto così all’improvviso, non dopo tre anni in cui la compagnia abituale si era al massimo estesa al figlio minore dei Tenya.

Fu piacevolmente sorprendente, invece, scoprire un volto del tutto nuovo, altrettanto attivo e vivace, a giudicare dal sorriso allegro ma velato da un forte imbarazzo, smascherato dalle guance arrossate e la mano a scompigliare i capelli dorati con agitazione.

«Fuyumi, lui è Denki» lo presentò Shouto facendo peggiorare, se possibile, il rossore sul viso dell’altro, intento a balbettare qualcosa di rimando sul fatto del non poter presentare qualcuno col solo nome proprio, protesta a cui il compagno replicò con un Ah, giusto casuale e conseguente scimmiottare del nuovo arrivato al seguito: “Ah, giusto” un corno!

Il tutto sotto gli occhi di Fuyumi che divoravano il botta e risposta iniziato dai due, assottigliati poi insieme alla comparsa di un sorriso saputo all’osservare le espressioni sui volti di entrambi. Anche se poteva essere abbastanza certa Shouto non se ne fosse accorto.

Batté le mani, bonaria «Dai, dai! Se per te va bene, Kaminari Denki,» disse, rivolta al ragazzo «posso chiamarti Denki-kun? Sentiti libero di chiamarmi Fuyumi!».

Il riscoperto Denki raggiunse la tonalità dei capelli a sinistra di Shouto, tuttavia non obiettò oltre, annuì invece con vigore e uno zoppicante verso di assenso per Fuyumi-san. Infine li invitò a entrare, i due studenti tolsero le scarpe all’ingresso e quando l’ospite appena introdotto chiese dove fosse il bagno – perché era uscito di corsa per non farla aspettare, le avrebbe spiegato il fratello in un secondo momento – al compagno, Fuyumi rispose per lui.

«Il bagno per gli ospiti è qui al piano terra, la prima porta lungo il corridoio a destra!» gli indicò, il giovane la ringraziò e fece per superarla, diretto al servizio, quando lei lo richiamò.

«Denki-kun, visto siamo tutti Todoroki qui» iniziò, parlando piano con la mano davanti la bocca per non farsi vedere da Shouto, già in cucina a preparare il tè «non pensi sarebbe meno confusionario se chiamassi Shouto per nome?».

Adorò il modo in cui le spalle di Kaminari si tesero, quasi sprimacciandolo verso l’alto come un cuscino morbido, un po’ internamente rammaricata di averlo fatto scappare ancor più imbarazzato verso il bagno.

Era però riuscita a strappargli Forse hai ragione, per niente convinto e magari era semplice cortesia rivolta alla padrona di casa; avrebbe aspettato per capire se il suggerimento sarebbe stato accolto sul serio o meno.

«Tifo per te, Denki-kun!».

«Nee-san, con chi stai parlando?».

Fuyumi saltò in piedi sul posto, prima di girarsi verso il fratello «S-Shouto, hai già finito col tè?».

Quello scosse la testa – per fortuna, qualora avesse sentito qualcosa, se n’era già dimenticato «Volevo chiederti se ci fosse qualche dolcetto, altrimenti posso andarli a comprare».

Oh, mugolò tra sé la più grande, lo sguardo intenerito mentre gli carezzava la guancia leggermente rosata «La mamma ha fatto scorta proprio per queste evenienze!».

La tenerezza aumentò al vedere il sorriso timido ma contento nascere spontaneo sull’espressione rasserenata di Shouto, a occhio disabituato in apparenza normale e tipico nel suo comportamento, Fuyumi aveva però imparato a riconoscere impercettibili cambiamenti nella sua voce e gesti, le piccole rughe espressive sul volto che si abbinavano alla perfezione, pensò, con gli occhi scattanti di Denki, le gote a fuoco e i leggeri ma rapidi saltelli sul posto per l’agitazione malamente nascosta.

«Vieni» incoraggiò ancora il fratello, sentendo lo sciacquone venir tirato; meglio non far venire un colpo al povero Kaminari nell’averli tutti e due lì «ti aiuto col tè».

 

«Se vi serve qualcosa, io sono giù in salotto!».

Entrambi i ragazzi ringraziarono Fuyumi, sparita subito dopo dietro la porta della camera di Shouto.

Ovviamente, Kaminari entrò subito nel panico. Tanto per cominciare non gli era per niente chiaro il motivo per il quale Todoroki – come poteva chiamarlo per nome così all’improvviso, era troppo presto! – gli aveva proposto di tornare a casa con lui quel weekend. Ancor meno chiaro era a se stesso perché diamine avesse accettato, specie sapendo che il giorno dopo sarebbero stati raggiunti dagli altri membri della famiglia. Fortunatamente la madre non era nei paraggi, almeno, sarebbe stato così vergognoso per lui conoscerla.

Non per chissà che ragione, sapeva Todoroki volesse magari solo presentarlo alla sua famiglia come nuovo amico e possibile individuo che si sarebbero ritrovati tra capo e collo di tanto in tanto. Una formalità per non relegarlo in eterno al ruolo di estraneo, null’altro.

È tutto nella mia testa, ripeté tra sé, le mani strette sulle ginocchia che parevano congelate nella posizione standard da seduto, composto in una maniera mai appartenuta alla sua persona, abituato a stravaccarsi sulla prima superficie soffice – ma il letto? La camera di Shouto era tradizionale, il futon era probabilmente arrotolato da qualche parte, tutto così pulito e ordinato e l’unico sgargiante e scombinato pareva proprio lui, col suo borsone giallo fluo ricoperto.

Aspetta, il letto. Dormirò qui.

«Denki?».

«Aaaah» gli scappò più forte del previsto, ormai convinto l’altro avrebbe taciuto fino al termine del fine settimana, cercò però di salvare il salvabile «...ccidenti che bella casa… che- che c’è?».

Shouto sembrò non aver preso male la sua reazione, forse era la volta buona che riusciva a rimediare davvero a una propria gaffe senza troppi danni collaterali; lo vide incrociare le dita e rivolgervi lo sguardo, suo malgrado Kaminari dovette riconoscervi, con orrore, l’ombra del nervosismo.

Alla fine, aveva rovinato tutto? Aveva fatto qualcosa, senza rendersene conto, per offenderlo? Mentre era andato in bagno aveva mica parlato con la sorella? Aveva offeso la sorella?!

«Mi dispiace, penso di averti messo a disagio invitandoti qui».

Denki faticò a non lasciar cadere la mascella in terra, del tutto spiazzato da quell’uscita che mai avrebbe previsto. Il fatto che Shouto si stesse scusando indicava comunque di aver lasciato trasparire quello stesso disagio per cui aveva confessato rammarico, seppure non fosse neppure un briciolo vicino a quello che l’altro avrebbe mai potuto immaginare.

Preso dall’impeto, parlò a voce alta «No!» e quasi esitò quando Todoroki tornò a guardarlo, gli occhi azzurro e grigio sgranati per lo stupore dell’esordio, ma proseguì «Sono- sono contento! Dico davvero!».

Aveva cercato di essere convincente, non sapendo bene cos’altro aggiungere, e sperò bastasse ma la domanda con cui il compagno rincarò smentì l’illusione «Allora perché sei così teso? È perché ti ho detto che sarebbe venuto anche mio padre, domani?».

In realtà si era pressoché dimenticato dell’arrivo di Endeavor – e di sicuro Hawks al seguito – e forse in seguito avrebbe dovuto prestare la giusta attenzione al dettaglio, tuttavia scosse con forza il capo perché, perlomeno in quel momento, era certo di cosa lo stesse agitando «No, davvero, sono… mi ha fatto terribilmente piacere il tuo invito, solo-».

Non dirlo, cretino.

«Mi sembra molto strano che…».

Chiudi quella cloaca spara-stronzate finché sei in tempo!

«Non capisco perché tu abbia invitato me! Me e non- Bakugou o Midoriya o il rappresentante! O… » fai silenzio, stai zit- «forse loro non potevano?».

Ecco, vuotato il sacco, adesso come minimo avrebbe meritato di venir sbattuto fuori, al vento, sotto la tormenta che le previsioni del tempo avevano supposto dirigersi verso di loro. Se lo sarebbe meritato, specie per la vigliaccheria che lo aveva indotto a chiudere gli occhi, sigillati, più dei pugni coi quali avrebbe fatto meglio a colpirsi alla prima occasione disponibile.

Sapeva Todoroki non fosse esattamente un tipo da sfuriate – era troppo abituato a Kirishima e Bakugou – ma non avrebbe mai immaginato di sentirlo così calmo nel rispondergli.

«Mi dispiace se ti ho fatto pensare di averti invitato come sostituzione di qualcun altro» il compagno provò a parlare per dirgli di non scusarsi oltre, Shouto però sollevò la mano in segno di lasciarlo continuare, così fece «So che può sembrarti strano perché non abbiamo mai parlato molto, ma negli ultimi tempi, quest’ultimo anno in particolare, pensavo ci fossimo avvicinati un po’ di più…».

Kaminari giurò di aver sentito tanto di quel male al petto che se nessuno, oltre lui, se ne fosse accorto sarebbe morto d’infarto lì, tra le braccia del ragazzo per cui, inutile girarci intorno, era-

«Ho spiegato a Midoriya di volerti invitare – anche a Bakugou ma credo abbia bloccato i miei messaggi».

«Todoroki, davvero, non-».

«Se però non è lo stesso per te, ti chiedo scusa per averti fatto venire fin qui. Puoi tornare indietro in qualsiasi momento, dirò a mia sorella che-».

Oh santo cielo.

Probabilmente lo aveva stordito con quell’ammontare di parole in fila che mai avrebbe pensato sarebbe stato in grado di sciorinare tanto rapidamente, nonostante il tono pacato e per nulla invasivo, tutto pur di esprimere una costernazione non necessaria. Ecco perché Denki non ci pensò affatto, si mosse quanto più in fretta possibile per non permettere all’altro di aggiungere niente a quanto già detto, fin troppo, afferrandolo per le spalle e tirandolo contro di sé.

Si sarebbe quasi messo a piangere per la bontà del profumo di Todoroki, al quale adesso stava aggrappato, le braccia al collo per parlare chiaro al suo orecchio e, allo stesso tempo, nascondere il rossore impazzito tanto quanto si sentiva lui stesso.

«Den-».

«Mi piace da morire» tu, mi piaci tu «la tua compagnia! Penso- penso anch’io, credevo di averlo notato solo io, questo- questo miglioramento tra noi, ma sono incredibilmente felice di essere qui perché lo hai voluto tu!» continuò, le orecchie che iniziarono a fischiare incontrollate quando disse in un fil di voce, in totale contrasto col tono alto e concitato fino a quel momento «S- Shouto».

Se Kaminari avesse potuto, se la sua vergogna gli avesse fosse concesso di farlo, avrebbe non solo sentito Todoroki, così stretto tra le sue braccia, sussultare per la sorpresa ma, soprattutto, allargare gli occhi per l’emozione di un non detto incastrato lì, tra due battiti scalmanati che Denki confondeva per errore esclusivamente col proprio. Specie perché, quando Shouto iniziò ad avvolgerlo a sua volta per i fianchi, premendo appena il naso contro la sua spalla un sottile Anch’io – sono felice di averti qui e che lo voglia anche tu – temette sul serio di star per impazzire, il battito misto al fischio.

Un po’ di quel fischio, probabilmente, era dato da Fuyumi al piano di sotto, con un vassoio pieno di biscottini e due tazze di tè pronte per loro, sorrideva soddisfatta.



 

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Capitolo 12
*** #12. Trying to get a family photo – “Okay, everybody squeeze in!” ***


Bonsoir! Stasera grande mix, spero non sia troppo confusionario ma era necessario XD Ho cercato di dare un senso di "tappe" narrative ??? però non vorrei sembrasse solo tutto un grandissimo- casotto? Però è una roba familiare quindi è a tema COFF. Ci saranno altri prompt più misti ma non tutti con questa interazioni così attive e dirette, ecco- capitolo dal ritmo ballerino insomma! Sperimentale, in mia difesa non avevo programmato niente e li ho lasciati fare... i monelli. Anche stavolta il prompt è un mero pretesto ma questo universo mi sta piacendo troppo ç___ç diciamo però che è come se chiudesse la parte uno e aprisse la parte due! Infatti è il primo e sicuramente unico che sfonda le 2000 parole aiut-
La prima metà della raccolta è andata!
🎉🎉 :D Non ci credo mai, mi sembrava strana la settimana ma da domani siamo già nella seconda metà! Tutto perché odio non spuntare le caselline quotidiane della raccolta AHAHAHAH *piange*
Enji e Rei hanno divorziato ma non si sa il cognome di quest'ultima, quindi per ragioni non spiegate il campanello resta Todoroki per entrambi; sono rimasti in buoni-ma-a-disagio rapporti (la questione di forte stress di Touya e Shouto e conseguenze negative è rimasta invariata in tal senso, solo con risvolti meno drastici del canon)
Touya e Keigo non si sopportano, si tollerano e, per conseguenze familiari, interagiscono tipo nemici-sopportati parenti acquisiti insomma, è più un percular prendersi in giro perenne che altro
Grazie come sempre per seguire la raccolta, buona lettura e a domani! 
💚❤️ 


 

 

-12: Trying to get a family photo — “Okay, everyone squeeze in!”


 

Sulla porta di casa Todoroki – non la sua, sottolineò inutilmente dispettosa una voce dentro di sé – svettava una bellissima ghirlanda rotonda, classica, un fiocco rosso al centro della parte superiore i cui nastri scivolavano fino al cuore vuoto della decorazione.

«Neh, Endevaa-san».

Un bel colore, il fiocco.

«Sei a tanto così dal fare un altro buco in quella ghirlanda, se continui a guardarla in quel modo».

Enji corrugò la fronte, punto sul vivo si girò alla sua destra, abbassando non indifferentemente lo sguardo per incontrare gli occhi scintillanti e fin troppo irridenti del compagno; non poco crucciato nel vederlo sorridere con soddisfazione per averlo colto sul fatto, gli sorse spontaneo il bisogno di afferrargli il naso tra pollice e indice e smettere di tirare solo dopo il quinto urlo di supplicata pietà.

Lo ignorò, scrollando un poco le spalle come per sgranchirsi da chissà che fatica e in seguito ricomporsi, tornando a guardare davanti a sé.

«Mi sembrava ci fosse qualcosa di storto».

Una fiamma gli scappò dal mento quando sentì lo sbuffo mal soffocato di una risata al suo fianco.

«Certo» accondiscese poi l’eroe alato, asciugandosi una lacrima dall’occhio – cosa diavolo ci fosse di così divertente non voleva nemmeno provare a chiederglielo o non sarebbe stato solo l’accenno di un baffo infuocato a sfuggirgli «Allora, se hai finito il tuo meticoloso e di certo determinante sopralluogo, cosa ne dici di suonare al campanello?».

L’espressione sul viso del Number One tremò, qualsiasi nervo si rifiutava di non smuoversi al solo pensiero.

Ogni anno, da tre anni, quando aveva deciso di pacifico accordo con la moglie di separarsi e lasciare i figli a vivere con lei, arrivava alla vigilia del giorno di visita agitato in positivo, preparandosi al meglio, pensando a cosa dire e cosa no per non disturbare la quiete di nessuno di loro ed era la ragione di quello stesso tentennamento: ogni anno temeva non fosse quello che la sua famiglia davvero desiderava. Come se non bastasse, quella volta si sarebbe presentato anche Touya che, di norma, evitava le riunioni se a presenziare sapeva esserci anche il padre. Probabilmente perché, come anticipato da Fuyumi nel suo invito a presentarsi bene, aveva intenzione di scattare una foto di famiglia.

La mano di Keigo si intrufolò nell’incavo tra il suo braccio e il fianco, stringendolo con forza, un po’ per scherzo un – bel – po’ per incoraggiarlo; stavolta il sorriso era molto più limpido e gentile.

«Dai, premi quel campanello e imbarchiamoci in questo pomeriggio in famiglia, prometto anche di aiutarti a vincere nei giochi da tavola sottobanco» ammiccò, in un modo fin troppo lascivo per essere adeguato al porticato della casa della sua ex moglie e dei suoi figli, ma ciò che fece letteralmente trasalire l’eroe di fuoco fu la poderosa pacca piumata che gli si abbatté sulla natica, accompagnata da un deplorevole «bel biscottone».

Esplose con l’impeto di un’eruzione vulcanica, a pieni polmoni l’urlo che avrebbero sentito in ogni dove del Giappone «Keigo!».

«Che c’è?» sorrise ancora il lestofante, l’ala colpevole del crimine agitata furbescamente sotto il naso tanto da solleticarglielo con le piume; per fortuna Enji aveva abbastanza lucidità da non schiaffargliela via, la tentazione di appenderlo su uno degli alberi del giardino era però molto forte, specie quando il più giovane aggiunse, con un’espressione di innocenza più falsa che mai «Oh, preferivi lo facessi così?».

Nel dirlo, la mano che aveva precedentemente trovato una confortevole nicchia contro il braccio del compagno era adesso sollevata ad altezza del suo viso, le dita fasciate dal guanto caldo si piegavano in avanti beffarde, il tutto sotto gli occhi sempre più assassini di Endeavor.

Poi, l’orrore che non riuscì a impedire, frastornato dalla prima pacca, nel vedere quella stessa mano caricarsi indietro e scendere a una velocità impressionante, le dita larghe per coprire quanta più superficie possibile.

Neppure lo scatto della porta d’ingresso che veniva aperta – dall’interno – fu sufficiente per censurare lo schiocco.

«Chi cazzo è che fa questo casino davanti casa mi…».

Enji non credeva avrebbe mai potuto associare a se stesso un simile aggettivo eppure raggelò in pieno, pietrificato sul posto, le braccia protese in avanti per fermare il gesto oramai consumatosi di Takami, la cui mano era rimasta saldamente ancorata alla natica già in precedenza malmenata.

Tutto sotto lo sguardo apatico ma macchiato di una tragica vena di sconcerto, gli occhi speculari a quelli di Endeavor, scivolati lì dove coincideva il reato, del suo primogenito.

«…».

«…».

«Touya!» esordì Hawks, spezzando il silenzio, il saluto accompagnato dalla mano peccaminosa di nuovo in alto e sventolata «Sentivo odore di affumicatura, non dovresti essere in tavola per l’antipasto?».

Enji si ripromise a casa lo avrebbe strozzato.

«Takami» rispose quello incolore, lo sguardo che aveva seguito inorridito il movimento, forse per paura l’altro avesse intenzione di toccarlo «Anch’io mi stavo giusto chiedendo perché il forno fosse ancora vuoto, ti sei fatto attendere».

L’eroe alato sorrise smagliante «Toccava all’ospite portare la cena? Non pensavo fossi così disorganizzato!».

«Keigo» si inserì la voce di Enji, che aveva approfittato di quel primo scambio per annichilire ogni traccia di vergogna dal suo essere; l’altro lo guardò come chi era stato interrotto nel proprio gioco, comprese però la sua serietà e, con un sospiro, lasciò stare.

Touya lo aveva ignorato fino a quel momento, quando disse con un cenno in sua direzione «Endeavor».

L’uomo ricambiò «Non mi aspettavo di trovarti già qui».

«Non sarei venuto» rispose secco, parve però pentirsene, o così diede l’impressione a Keigo vedendolo correggersi dopo aver notato l’incupirsi impercettibile del padre «Ho avuto l’influenza e Tenko non era convinto fosse il caso uscire di casa» spiegò, dunque si spostò «C’è anche lui. Ora, se avete finito, entrate».

Si allontanò, lasciandoli lì, ancora sul portico.

Hawks lo seguì con sguardo annoiato, la bocca storta pronta a un commento che tuttavia preferì risparmiarsi, attirato dal silenzio dell’altro al suo fianco, a sua volta fissando il punto in cui Touya era sparito con marcata tristezza.

Prese un profondo respiro, dopodiché riassunse la tipica espressione gioviale, batté le mani sulle guance per darsi carica e, stavolta con calma e vicinanza, si strinse di nuovo al Number One, il quale assecondò quasi con sollievo e lo ringraziò circondandogli le spalle.

«Forza,» disse Keigo, il primo passo coordinato all’altro «andiamo a stracciare i tuoi figli a Monopoli».

 

«Quindi? Che gli hai detto?».

Touya detestò il tono nella voce di Tenko, più simile a una madre intenta a interrogare il figlio, con le mani sui fianchi mentre lo fissava dall’alto della sua posizione, in piedi rispetto a quella del più grande che era supino sul letto della sua vecchia camera.

«Assolutamente niente» replicò disinteressato. Era vero, d’altronde.

«Non vuoi approfittarne per dirgli altro?».

Portò un braccio sugli occhi e rispose con stanchezza «Sono venuto per fare una foto, non per chiacchierare».

Il materasso si piegò sotto il peso di Tenko, sedutosi accanto a lui – Touya avvertì subito la sua schiena a contatto col proprio fianco, sebbene separate dagli strati spessi dei loro maglioni.

Sussultò quando le dita di Shimura gli sfiorarono le ciocche sulla fronte per scostarle, il palmo premuto su di essa.

«Come ti senti?».

A quel punto Touya abbassò piano il braccio, dapprima lo calò giusto per liberare gli occhi dall’oscurità forzata e incontrare quelli del ragazzo, rimanendo a coprire l’altra metà del volto, poi lo scostò del tutto, afferrando la mano di Tenko per stringerla nella sua; nessuno dei due lo trovò strano, né ci furono reazioni imbarazzate o di disagio: i giorni del malessere di Touya avevano fatto sì si avvicinassero, la prima volta in assoluto in cui in periodo di malattia non si era isolato e Tenko non aveva rispettato quella scelta per scansarne l’aggressività, dormendo vicini. Per questo non c’era stato tentennamento neppure quando avevano accordato entrambi, per quella sera, non fosse necessario recuperare un futon a parte per Shimura.

«Meglio» rispose sincero dopo qualche secondo, l’animo quieto nonostante fino a pochi attimi prima fosse tutt’altro, perché rivedere il padre dopo tanto di quel tempo e in una maniera così imprevista aveva reso più complicato prepararsi all’incontro.

Tenko annuì «È meglio se scendiamo, tua sorella ha detto che per la foto aspettavamo Shouto e il suo fidanzato tornassero con tua madre e Natsuo dalla stazione».

Le sopracciglia di Touya si avvicinarono nella smorfia «Non credo sia il suo fidanzato».

«Allora sono due amici che amano stare molto vicini».

L’espressione serena del maggiore cambiò, la bocca piegata in un sorriso ferino mentre sollevava le loro mani ancora unite «Come me e te?».

Provò a paragonare a qualcosa la soddisfazione provata nel ritrovato rossore sgargiante sulle guance di Tenko, che cercò di allentare la presa per allontanarsi sotto la risata di Touya, non tanto per il divertimento quanto per la rilassatezza del contesto; era certo sarebbe stato un inferno, così come era sicuro Tenko lo avesse seguito non per tenerlo d’occhio – non solo, perlomeno – qualora fosse stato male senza dire nulla a nessuno, bensì per sostenerlo in quel momento delicato in cui sì, in realtà voleva parlare con Endeavor – con suo padre, si corresse. E voleva che Tenko ci fosse. Forse non sarebbe riuscito a dirgli nulla, sapere però di non avere dentro quell’irrequietezza che ogni anno l’aveva trattenuto dall’unirsi ai suoi fratelli, rivedere la madre, tornare nella seconda casa in cui era stato per poco, era già tanto. Cambiava davvero, davvero molto.

Inoltre, il pensiero di lasciarlo solo nel loro appartamento, anche per una sola notte, gli aveva fatto stringere il cuore al punto che se non si fosse proposto Tenko lo avrebbe comunque trascinato con sé.

«Ehi» lo chiamò piano, assecondando l’interrogativo venisse dimenticato per proporne un altro «Ci facciamo una foto?».

Tenko seguì il cambio di rotta, il viso di nuovo pallido come di consueto «Hai già l’agenda piena per quello».

«Non ricordo».

«La foto di famiglia per cui mi hai trascinato dall’altra parte della città».

«In che modo questo mi impedisce di averne una con te?».

Adorò ogni più piccolo movimento nel viso esasperato di Tenko, come sollevò appena il mento per alzarlo e roteare gli occhi al cielo, pizzicandogli il dorso della mano con l’unghia del pollice. Poi, per chissà quale ragione, propose: «Se quando torneremo a casa nostra sarò ancora dello stesso avviso, allora faremo una foto».

Stavolta Touya lo guardò con sincero stupore, incuriosito chiese «Perché non qui?».

Tenko guardò la porta della camera e infine si alzò, districando la presa, sotto la perplessità del più grande. Fece qualche passo più in là, poi, quando la maniglia di quella stessa porta si piegò, rispose.

«Perché questa non è casa nostra».

L’entrata di Fuyumi, che annunciò l’arrivo della madre e i fratelli, fu salvifica per Touya, per niente sicuro di cosa quell’emozione stritolante lo avrebbe spinto a dire – o fare.

 

L’abbraccio di Natsuo fu massacrante, Touya riscoprì di avere ossa di cui ignorava l’esistenza tanto scricchiolarono sotto la presa ferrea del fratello minore, così alto e massiccio rispetto a lui nonostante fosse il terzogenito. Anche lui non ebbe grande trasporto nell’approcciarsi al padre, tuttavia vide un principio di imbarazzo nel volto di entrambi quando Enji gli diede una pacca e Natsuo la accolse annuendo e ricambiando il saluto, tutti e due impacciati e disabituati a quel tipo di contatto. O almeno, così era abituato Touya, che in effetti aveva scelto di non assistere a nessun progresso passato fosse probabilmente avvenuto.

Fuyumi era da sempre stata ben disposta nei suoi confronti, Shouto invece manteneva il solito distacco ma dovuto prettamente all’indole, non c’era rancore o insofferenza nei suoi gesti – Tenko gli diede una gomitata sul fianco, indicandogli eloquente il sorriso leggero ma rapido formatosi sul volto del fratello quando il ragazzo di nome Denki gli arrivò a fianco, non poco intimorito dalla presenza di Endeavor. Provarono comune pietà per lui quando Hawks si avvicinò e disse qualcosa che dalla loro distanza non riuscirono a cogliere, bastò però osservare l’esplosione di vergogna sul ragazzo per farsi un’idea.

Una mano si posò gentile sulla schiena di Touya.

«Touya» lo chiamò Rei, le labbra in una piega dolce quando incontrò il volto del figlio prima e quello di Tenko poi «Vieni, ci siamo tutti adesso».

Questo annuì, poi guardò l’altro al suo fianco, il quale annuì per incoraggiarlo.

Touya si voltò verso la sua famiglia, Fuyumi suggeriva a tutti le disposizioni e la vide insistere con Hawks e Denki di sistemarsi anche loro nonostante le proteste sull’essere fuori posto dato il senso del contesto; la ragazza sembrò chiaramente ignorarli, invece li spostò di persona uno accanto a Enji e l’altro accanto a Shouto.

«Guarda che se non ti sbrighi viene a prenderti lei stessa».

Si girò di nuovo verso Tenko, le iridi che correvano su ogni angolo di quel viso che ormai da anni vedeva ogni giorno, parte totale della sua quotidianità. Pensò a quanto gli aveva detto in camera poco prima, guardò ancora il gruppo già disposto al centro del salotto mentre Fuyumi trafficava con l’autoscatto della macchina fotografica – ne aveva tirata fuori una professionale per l’occasione – e dunque ancora, senza nulla aggiungere, si rivolse verso Tenko e, afferrato per il polso, lo trascinò con sé.

«Che stai facendo?!» protestò quello nell’immediato, la voce acuta per la sorpresa e forse un pizzico di panico man mano che avanzavano «ti ho detto-».

Touya non lo lasciò finire, piazzandosi accanto a Natsuo circondò la schiena di Tenko col braccio per ancorarlo a sé.

Fuyumi annuì soddisfatta al gruppo e premette il bottone di scatto, affrettandosi per raggiungere la madre al centro.

«Touya-».

«Lo so cosa hai detto. Che faremo una foto a casa nostra» amò il suono di quella parola e il brivido che, grazie alla presa, riuscì a sentire lungo la schiena di Tenko «Ma questa è una foto di famiglia» continuò serio, sentendo gli occhi dell’altro pungere sulla pelle «Non posso lasciarti in disparte».

Tenko smise di protestare. Per un attimo, Touya quasi temette di averlo fatto arrabbiare davvero; sospirò internamente di sollievo nel sentirlo adagiarsi meglio contro di lui, afferrandogli la mano che aveva posato sul suo fianco, incapace di staccarsene.

Del resto, Fuyumi aveva raccomandato di stringersi per entrare nell’inquadratura.

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** #13. Icicles – “Don’t stand directly beneath them!” ***


Bonsoir, ho odiato tutto di questo prompt, che fino alle 21.45 ero indecisa se mollare e lasciare il vuoto per oggi - per davvero - o meno, ho avuto salvifico soccorso da dolce metà e sissina e boh, in qualche modo eccoci qua. Dovrebbe essere l'ultimo così atroce, per me, mi ha proprio stressata LOL.
Chiedo in anticipo scusa ad Aizawa-sensei, sei stato per loro quello che il prompt è stato per me. Non c'ho capito niente ma quando ho deciso che era la sua fine ho gioito comunque.

 L'ambientazione è quella delle simulazioni nella prima stagione, per far intendere, che se non mi sbaglio aveva vari set e in base a essi cambiavano clima e circostanza (nave, città...). Altrimenti chiamiamola licensa poetica. In questo stesso edificio non è mai stato attuato nessun attacco, non esistendo i Cattivi, lo scenario del capitolo 285 si è comunque verificato ma sempre con AFO come protagonista e non Shigaraki; il riferimento è dovuto a questo
Grazie per il passaggio, buona lettura e a domani 
💚❤️ 


 

 

-13:  Icicles — “Don’t stand directly beneath them!


 

Bakugou schioccò la lingua così forte che Midoriya si chiese, tra il serio e il faceto, se non si fosse persino fatto male: tanta l’indignazione mista a voglia di far saltare in aria ogni parte di quel maledetto angolo di simulazione nel quale Aizawa aveva deciso di trascinarli.

Per un attimo, Katsuki aveva addirittura sperato di trovare un ambiente quantomeno non umido, caldo se gli fosse andata bene, invece il professore eternamente avvolto nel suo sacco a pelo – imbottito, il dannato bastardo – aveva scelto di piazzarli in un contesto innevato, si poteva dire in mezzo a una tormenta vera e propria, circondati da cumuli di neve che complicavano il passaggio a piedi e riducevano l’efficacia delle sue esplosioni tanto era il freddo, per cui anche il costume invernale faticava a scaldarlo a sufficienza.

«Tsk» fece di nuovo rivolto al nulla, urtando involontariamente Kaminari al suo fianco; l’essere diretto colpevole non gli impedì di incenerirlo con lo sguardo nell’istante in cui il ragazzo aveva iniziato a protestare, il quale si affrettò a fuggire lontano da lui, accanto a Todoroki. Tra l’altro, era stato proprio l’aspirante eroe dal quirk elettrico la causa diretta del loro ritrovarsi in quella condizione: Aizawa aveva dato delle indicazioni precise all’intera classe, dividendoli a gruppi e fornendo loro una mappa con tre possibili esiti. Uno tra questi conduceva al luogo in cui risiedevano più civili, identificabili con dei pupazzi vestiti di rosso per individuarli con facilità sotto possibili macerie o altre condizioni causate dal clima incontrollato; un altro portava a una via senza esito, il massimo delle possibilità era girare in tondo fino alla fine della simulazione; un altro ancora conduceva nel punto più disastrato della simulazione, che avrebbe potuto condurre ugualmente a dei civili dispersi.

Parte del compito era migliorare la fiducia reciproca tra i compagni di squadra e aumentare l’affinità e collaborazione tra loro; ogni gruppo partiva qualche minuto dopo l’altro per far sì non ci si seguisse a vicenda facendo squadra con più persone.

Ovviamente, Bakugou e Todoroki si erano subito posti su due idee diverse, l’intervento di Midoriya non aveva fatto altro che peggiorare la situazione col suo analitico e frenetico parlottare tra, sviscerando qualsiasi aspetto della questione per scegliere a chi dei due dar man forte, fin quando Kaminari non si era stufato e, senza preamboli, si era gettato a capofitto in una direzione specifica.

A giudicare dal devasto circostante, era stata imboccata la terza opzione, dove adesso si trovavano a girovagare alla ricerca di un minimo segnale rosso.

«Beh, dai!» urlò Midoriya nel tentativo di sovrastare il forte vento, un sorriso incoraggiante tenuto su a fatica per il freddo «Poteva andarci peggio!».

«Ah?!» Bakugou si voltò verso di lui con tono ben più alto – Izuku ringraziò non ci fossero davvero montagne a rischio di valanga nei dintorni, nonostante ciò non riuscì a trattenersi dal guardarsi intorno in cerca di brutte sorprese. Per fortuna, la cosa peggiore che potesse capitargli al momento era alimentare la furia del suo ragazzo «E con che concetto di peggio lo stai dicendo?!».

Todoroki si inserì, anche ad alta voce per farsi sentire «Bakugou, non credo sia il caso scaldarsi tanto».

Se si fosse girato, avrebbe visto Midoriya schiaffarsi entrambe le mani sul viso, coprendo del tutto gli occhi, quasi non volesse vedere la scena che era sicuro si sarebbe presentata da lì a breve.

«Scaldarmi?» iniziò, l’espressione terrificante mentre il primo spasmo allo zigomo faceva la sua comparsa «Scaldarmi?! Magari potessi scaldarmi! Ho il culo di ghiaccio! Non guardarlo!» sbraitò infine verso Shouto stesso, che si era sporto per controllare quanto detto dal compagno, non cogliendo l’isterico sarcasmo.

Con le braccia incrociate e strette al petto nel tentativo di scaldarsi, anche Kaminari si avvicinò agli altri tre, a testa bassa e con voce mesta «È colpa mia, mi sono innervosito vedendovi discutere su dove andare che mi sono lasciato trascinare dall’impeto e non ho riflettuto, mi dispiace…».

Shouto lo afferrò per le spalle e lo attirò a sé, stringendolo sul lato dove iniziò a sprigionare un po’ di calore per dargli sollievo; Denki lo guardò rammaricato, non doveva essere semplice mantenere una temperatura alta ma comunque moderata per non scottarlo in una circostanza come quella, cercò persino di allontanarsi con un sorriso poco convincente «Non c’è bisogno che lo fai, se proprio devi sforzarti è meglio aiuti Bakugou, almeno può usare il suo quirk».

Il ragazzo però gli impedì il movimento e scosse piano la testa, indicando poi con un cenno del capo in direzione degli altri due, parzialmente al riparo dal vento dietro la colonna di un sottopassaggio, una delle poche cose ancora integre nei dintorni: Katsuki continuava a urlare qualche bestemmia al vento mentre le mani erano mantenute a coppa su quelle di Izuku senza però toccarle. Fu allora che Kaminari si accorse delle piccole esplosioni sui palmi del primo e capì, dal modo in cui Midoriya sorrideva verso l’altro, essere un modo per scaldarlo senza fargli male col suo potere.

«Va già meglio. Grazie, Kacchan».

Quello borbottò, il viso incassato nel colletto alto del costume «Non è comodo come quella stufa ambulante bicolore».

Izuku negò «Non ho bisogno di più di questo».

Denki non riuscì ovviamente a sentire quanto detto, percepì giusto un mezzo insulto rivolto a Midoriya su quanto fosse imbarazzante; avrebbe provato comunque molta più invidia per quella complicità e intimità così sincera ed evidente, se non si fosse ritrovato avvolto in quel mezzo abbraccio.

«Se la cava bene anche così, si lamenta perché è il suo modo di combattere la temperatura» proseguì Todoroki, ignaro di quell’egoistica riflessione. Dopodiché si mossero, in sincrono e senza dividersi, verso di loro.

Fu a quel punto, ormai giunti al medesimo sottopassaggio qualche metro più in là rispetto agli altri due compagni, che Shouto si accorse dapprima con l’udito, stuzzicato da un tintinnio difficile da localizzare, e poi con la vista, sollevando la testa attirato dal suono di quelli che scoprì essere stalattiti di ghiaccio, in caduta libera proprio sopra di loro. Dunque fece per sollevare il braccio dominante il potere del fuoco, sgranando gli occhi nel rendersi conto questo fosse ancorato a Kaminari, il quale non si era accorto del pericolo, e non sarebbe riuscito a districarsi in tempo per usare le fiamme neppur volendo; persino spingerlo in quella posizione, a quel punto, non sarebbe stato sufficiente.

Rapido agì d’istinto, spostò comunque il ragazzo quanto possibile per allontanarlo dalla traiettoria diretta delle lame di ghiaccio, infine lo sovrastò col proprio corpo nel tentativo di proteggerlo, stringendogli le braccia attorno e serrando le palpebre in attesa dell’impatto.

L’esplosione generata da Bakugou arrivò assordante alle orecchie di entrambi i ragazzi, fu tuttavia salvifica nello spazzare via del tutto le stalattiti.

Todoroki riaprì gli occhi lentamente, allo stesso tempo allentò la presa su Denki senza però scioglierla del tutto, guardando sorpreso in direzione dell’amico mentre Midoriya correva verso di loro e domandava se stessero bene.

«Bakugou…».

«Tsk» fece di nuovo l’altro in risposta e girò in fretta il viso da un’altra parte «Se hai intenzione di perderti in fottuti gesti eroici del cazzo utili a un bel niente, fallo lontano dalla mia vista!».

Shouto fece per rispondergli e ringraziarlo, quando Kaminari ancora tra le sue braccia si agitò per allontanarsi quanto bastasse per guardarlo in pieno volto e afferrargli le spalle per scuoterlo appena, l’espressione mista tra la rabbia e il panico.

«Cosa diamine ti è saltato in mente?!».

Il ragazzo aprì bocca, certo di avere una risposta pronta, si ritrovò però con sua sorpresa a non sapere cosa rispondere. Perciò disse, quasi sovrappensiero ma con sincerità «Non ci ho pensato molto…» e poi, come se quella vaghezza stessa avesse risolto il dubbio, si girò verso con tanto d’occhi, illuminato «Bakugou».

«Che diavolo vuoi?».

«Forse ti ho capito».

Katsuki lo guardò confuso di primo acchito, un’espressione quasi sconcertata tanto era la perplessità, tuttavia gli bastarono pochi secondi – nei quali Todoroki era tornato a voltarsi verso Kaminari, intento a chiedergli scusa e, forse senza farci davvero caso, carezzargli la schiena per tranquillizzarlo – per capire.

«Stupido stronzo a metà…» disse piano tra sé, quando si ritrovò Izuku di nuovo accanto.

«Cosa voleva dire?».

Bakugou lo guardò, gli occhi luminosi come smeraldi erano tormentati dalle ciocche ricadute sulla fronte e ricoperte di neve a causa della tormenta. Allungò poi una mano verso di lui, premendogliela sul petto, e quando il giovane gli domandò se si sentisse male schioccò ancora la lingua, gli mise bruscamente un braccio sopra le spalle e se lo tirò dietro, diretto di nuovo in strada.

«Che cazzo ne so, piuttosto muoviamoci ad andarcene di qui, sia trovando quei maledetti fantocci o tornando indietro a mani vuote, non me ne frega un emerito- voi due là dietro, muovete il culo!».

Izuku si lamentò di non riuscire a respirare per la forte stretta, Katsuki lo ignorava bellamente per imprecare in direzione di Shouto e Denki, il quale aveva iniziato a rispondergli per le rime nonostante lo avesse comunque ringraziato a oltranza per aver salvato lui e Todoroki – in realtà lo aveva ringraziato specialmente per aver protetto quest’ultimo.

Rafforzando la morsa mortale sul collo di Midoriya, promise a se stesso di sabotare qualsiasi pasto di Aizawa-sensei da quel momento in avanti. Al diavolo lui e le sue maledette simulazioni.



 

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Capitolo 14
*** #14. Getting anxious for Christmas – “I wonder if they’ll like what I got…” ***


 Bonsoir, stasera tutto più easy soprattutto per il mio cervellino - meno per i miei occhi che ho stancato a morte oggi, poveretti.
Prima questo capitolo era doppio, avendo però notato che c'è una coppia più numericamente penalizzata in termini di capitoli, senza volerlo, glielo dedico tutto! :D
Comunque ho avuto un po' d'ansietta nel mentre e non ci ho capito più molto, spero di non essermi ingarbugliata e che tenga compagnia comunque. Sono arrivata di nuovo alle 2000 parole, questo fa capire quanto davvero non c'abbia capito niente.
Grazie per il passaggio, buona lettura e a domani 
💚❤️ 


 

 

-14:  Getting anxious for Christmas – “I wonder if they’ll like what I got…”

 

Keigo era rimasto a osservare il compagno da almeno quaranta minuti – il tempo che gli aveva suggerito una ricetta online per la cottura della sua amata torta, già infornata. In effetti, gli era parso di sentire il timer e sarebbe pure tornato indietro, in cucina, non fosse stato per l’ineguagliabile spettacolo pressoché esilarante del quale il Number One, come ogni anno, era protagonista.

Sul grande, tondo tappeto posto al di sotto dell’immenso albero di Natale, una distesa di regali perfettamente impacchettati di varie forme e dimensioni; in piedi, davanti suddetto tripudio di carta decorativa e coccarde, Enji fissava con cipiglio pensieroso e per niente convinto il risultato del suo operato – per alcuni l’indecisione era stata tale da chiedere consiglio più di cinque volte per regalo a Keigo stesso, il quale aveva persino avuto la tentazione di far volare via dalla finestra la metà degli stessi con un accidentale e disastroso colpo d’ali. Solo che poi aveva visto il principio di contentezza sul volto dell’uomo per cui era grato ogni giorno di essere sopravvissuto a fin troppe cose, tutto per arrivare a quei momenti, non avrebbe di certo potuto sabotarlo in quel modo.

Tra l’altro, c’era qualcosa di così adorabile nell’insolito panico che traspariva da ogni poro, liberato sotto forma di sbuffi di fumo dalle spalle, alla stregua dei primi segni di esalazioni vulcaniche.

Come se non bastasse erano ore il massimo che gli aveva sentito dire era stato un mmm perplesso.

A quel punto, mosso da misericordia – e un sinistro odore di bruciato che non era certo provenisse dal forno – decise di far capolino dal suo nascondiglio, ossia appena sull’uscio della sala, a pochi passi da lui, tuttavia il Number One non sembrava essersene minimamente accorto, troppo concentrato su chissà quale elucubrazione tormentata per farci davvero caso.

Lo raggiunse così in un paio di colpi d’ala, giusto per far rumore e farsi sentire, visto quanto era immerso nelle sue riflessioni e non voleva di certo innescarne l’esplosione per uno spavento.

«Enji-san».

«Mmm».

«Sei diventato una mucca? È così che rispondi alla mia richiesta di due ore fa di passarmi il latte per il mio dolce?».

L’uomo annuì, la mano a reggere il mento e l’altro braccio stretto al busto, mormorando qualcosa di simile a un Hai ragione, è proprio così, segno di non aver colto neanche di una virgola il significato della domanda ironica dell’eroe alato.

Keigo non se la prese affatto, rilasciò semmai un forte sospiro, sicuro ormai si fosse giocato l’attenzione di Endeavor. La situazione era comunque talmente atipica, sebbene poteva iniziare a considerarla una ricorrenza vera e propria del periodo natalizio, da suscitare in lui tutt’al più un sincero divertimento.

Non poteva però lasciarlo così, imbambolato davanti a un albero che al suo fianco sembrava quasi di una dimensione comune quando, in realtà, era almeno tre volte oltre le taglie comuni.

Gli si fece ancor più vicino e, una volta al suo fianco, si sporse in avanti, oltre il petto ampio e l’intreccio di arti della sua posa meditabonda, per sbirciarlo dal basso – non che gli servisse chinarsi ulteriormente per quello, avrebbe potuto evitare di farlo considerando la differenza d’altezza tra loro.

Scacciò il suo stesso divagare e gli sventolò una mano proprio sotto al mento, con tanto di yu-huh molesto e acuto, con quel tono civettuolo sapeva l’altro odiasse a morte e per cui, spesso, ricorreva a delle punizioni per far sì Hawks la smettesse; a suo dire, se comunque doveva starnazzare tanto valeva farlo in un modo, e in conseguenza ad attività specifiche, lo soddisfacesse – che poi finisse ad accontentarlo e viziarlo più di quanto non intrattenesse davvero se stesso come improvvisato carceriere era un altro conto.

Il pensiero lo ispirò «Enji-san, vorrei fare sesso con solo i guanti da forno addosso» dopodiché aggiunse, già che c’era e valeva tentare la sorte «E voglio sia tu stavolta a dirmi che sono stato un biscotto cattivo».

Quello annuì, di nuovo «Già» e Keigo stava per perdere le speranze, salvo poi vederlo riprendere un minimo coscienza con la realtà e guardarlo con il solito sopracciglio alzato, un misto tra curiosità e biasimo «Sui regali per i miei figli?».

Il ragazzo lo guardo con tanto d’occhi, sbatté rapido le palpebre un paio di volte finché le guance non gli si gonfiarono per l’eccesso di ilarità emersa di colpo, un tentativo di trattenere le risate che durò poco perché scoppiò, forte e ai limiti delle lacrime. Asciugandosene una col dorso dell’indice, domandò «È di quello che ti preoccupi?».

Enji, il quale aveva fissato stavolta piuttosto vigile quello schiamazzo brioso da lui scatenato, gli lanciò un’occhiata storta, tornando però serio, si poteva dire quasi preoccupato, il mucchio di doni infiocchettati a puntino sotto l’albero; Takami a quel punto si ricompose, compreso il dilemma dell’altro fosse il medesimo, forse peggiorato in termini di struggimento poiché quell’anno, dopo tanti dall’ultima volta, aveva rivisto Touya e Fuyumi gli aveva riferito a Natale sarebbe stato presente.

Gli si avvicinò di più, pungolandogli il braccio col dito «Neh, è di questo che ti preoccupi?» ripeté, senza ombra di scherzo o presa in giro.

Vide il petto di Todoroki gonfiarsi e poi rilasciare a fatica il respiro trattenuto; detestò la vena di tristezza distinta nella sua voce ma si limitò a poggiare la testa su quello stesso braccio, in ascolto.

«Sapevo cosa prendere a Fuyumi».

Hawks annuì contro di lui, dell’affettuoso divertimento nelle parole nonostante l’espressione impassibile «Lo sapevamo tutti, ha disseminato indizi espliciti da quando è iniziato l’autunno».

Esultò tra sé, come fosse una piccola vittoria, nel vedere l’ombra di un sorriso averla vinta su almeno un angolo della bocca dell’eroe di fuoco, che proseguì «Anche per Natsuo non è stato difficile».

«Perché ha copiato spudoratamente la tattica di Fuyumi, quelle scarpe mi hanno rincorso nei miei incubi peggiori per giorni».

Enji annuì, la piega all’insù resistente, solo un po’ traballante «Shouto è stato più difficile».

«Ed è per questo che le scarpe che mi rincorrevano avevano la tua voce a pormi a ripetizione sempre la stessa, disperata, richiesta di consiglio».

Il pizzico sulla guancia arrivò inaspettato e terribilmente doloroso, il Number One fissò impietoso il suo battergli la mano sul gomito in segno di resa.

«Volevo alleggerire la tensione! E comunque sai che è vero, dormiamo nello stesso letto, cosa pensavi mi togliesse il sonno?».

«Keigo».

«Scusa, scusa» disse con sincerità, indicando poi la presa mortale sul suo volto «Ti dispiace?».

Era certo si sarebbe ritrovato con una guancia da far invidia ad Heidi persino il giorno dopo. In ogni caso, la priorità l’aveva quell’uomo grande e grosso, così apparentemente indistruttibile da lasciare sempre in Keigo una sensazione di insolita bellezza nel riconoscerne l’umanità in quei momenti, la fragilità di chi aveva imparato a essere un eroe ma aveva dimenticato cosa significasse comportarsi da genitore.

Afferrò la stessa mano con la quale era stato in precedenza pizzicato, tenendola sospesa col palmo rivolto verso l’alto; vi scrisse sopra il proprio nome con il polpastrello dell’indice, sotto lo sguardo perplesso di Enji che ci mise un po’ a capirlo.

L’eroe alato riprese, tranquillo, come se non stesse intrattenendosi in quel modo o non fosse un’azione di un qualsiasi peso «Hai trovato ben più di un regalo per Shouto».

«Sì, ma-».

«A dire il vero, considerando come non riesca più a passare l’aspirapolvere sul tappeto che avevamo messo qui, direi che hai trovato ben più di regalo per tutti i tuoi figli».

Il Number One non rispose, l’aria ancora cupa; non era convinto, Keigo non rinunciò e, mentre riprendeva a parlare, alleggerì la pressione sulla pelle dell’altro, era certo così sarebbe stato più simile a del solletico che a un’incisione invisibile e forse Todoroki avrebbe potuto interpretarlo come un dispetto – il ragazzo sapeva però, lo conosceva fin troppo bene così com’era viceversa, difatti lo sentì rilassarsi notevolmente a quel cambio d’intensità, seppure il volto mantenesse il cipiglio cupo.

«Enji-san,» iniziò, la voce bassa, in armonia con quel contatto delicato «pensi davvero i tuoi figli vogliano passare il Natale con te per i regali?».

Un’ala andò silenziosa a circondare le spalle larghe appena lo sentì tornare a irrigidirsi, teso e rammaricato, un forte nella coscienza che però non trovò espressione con le parole, troppo pesante e doloroso.

«In realtà, non credo proprio lo vogliano».

Keigo richiamò alcune delle piume lasciate al caldo in una cesta, poiché in casa non ne necessitava, in questo modo l’ala crebbe e riuscì a stringerlo maggiormente.

«Non credi lo vogliano o pensi sia giusto così?».

Si sentì un po’ in colpa per il modo distinto in cui percepì il suo sussulto, sapeva la stessa domanda lo avrebbe ferito ma era importante non lasciar cadere il discorso adesso, trascinandoselo magari fino al giorno di Natale e lì rischiare di riversarlo in un’atmosfera familiare di cui non si sentiva degno – lo sapeva, Keigo, era stato facile da leggere tutto il tempo, durante le compere; ogni acquisto scelto con cura e consapevolezza, l’indecisione dettata solo dalla paura di sbagliare ancora, persino nelle piccole cose.

«Enji-san, i tuoi figli hanno scelto di avere una foto con te. Persino lo stron-» si censurò quando il più grande lo incenerì sul posto con le iridi incandescenti, perciò si corresse «Touya si è fatto vivo, no? Certo, non è stato un gran simpaticone, mi ha dato della cena e-».

«Keigo…».

«Scusa, il punto è» interruppe le carezze sul palmo per stendervi sopra il proprio, decisamente più piccolo, e la differenza lo fece sorridere leggero più di qualsiasi sua piuma, di cuore «Ci stanno provando loro come ci stai provando tu. Non era scritto da nessuna parte sarebbe stato facile o veloce, no? È giusto» trattenne con le proprie dita il tentativo di scivolare via della mano del compagno, facendole scivolare e stringere con forza con le sue, testardo e di sostegno «Ma non sta scritto da nessuna parte tu debba tormentarti per tutta la vita».

Sbirciò verso l’alto, un sorriso incoraggiante e allegro, un po’ forzato perché non era certo di essere riuscito nell’impresa e imbattersi ancora nel dispiacere visibile dell’uomo che amava, e al quale doveva tutta la serenità dei suoi giorni, gli pesava sul petto per riflesso; sospirò internamente, rincuorato, nell’incontrare il volto ancora triste ma più rilassato di Enji, il calore del suo sguardo parve persino intensificarsi quando a esso si accompagnò la sensazione del palmo sulla guancia in precedenza pizzicata.

Keigo accettò la carezza, inclinò il capo e vi si strofinò contro.

«Ogni volta è come farmi riprendere da un bambino».

Il ragazzo ne rise «Sicuramente dal tuo punto di vista da lassù è così che ti sembro».

«No» si oppose serio l’eroe di fuoco, tuttavia non indurì il tono, semmai si scaldò ancora, sciogliendosi nelle parole che Takami sentì colargli sul cuore come cioccolato fuso «Sei un uomo splendido, Keigo. A volte temo troppo».

«Aw, sciocco biscottone, semmai sono su misura per te» scherzò quello in risposta, a Enji non sfuggì comunque la spruzzata rossa d’imbarazzo che cercò di nascondere. Gliela lasciò passare, però, poiché il naso fu attirato da un odore pungente e sgradevole.

«C’è qualcosa che brucia?».

Sulla faccia del Number Two si susseguirono, in rapida successione: confusione, consapevolezza, panico, interrotta dal colpo d’ali che l’altro diede per balzare in avanti e volare in fretta verso la cucina. Da lì Enji, rimasto fermo in sala, lo sentì urlare disperato.

«La torta!».

Troppo impegnato a piangere sul dolce carbonizzato, Hawks perse la risata rara e genuina del compagno.

 

«A proposito, Endevaa-san» esordì dal nulla Keigo, scostando le coperte e pronto a rannicchiarsi contro Enji, il cui braccio era già sollevato per accoglierlo «ero con te quindi so quali regali corrispondano a chi… il mio dov’è?».

L’uomo sistemò meglio la coperta su entrambi, dopodiché afferrò il libro lasciato in sospeso sul comò mentre il ragazzo si sistemava nella posizione più comoda su di sé, gli occhi curiosi puntati addosso.

Todoroki lo guardò e, senza nulla dire, si sporse e gli baciò la fronte scoperta; il giovane fece una battuta sconcia, di nuovo per celare la vergogna – erano occasioni irripetibili, quelle, in cui Endeavor si concedeva poche volte, semmai fingeva di ripudiarle con tutto se stesso per poi colpirlo a tradimento, per forza non riuscisse ad abituarvisi.

Difatti, sotto le chiacchiere sconclusionate di Keigo, sorridendo sotto i baffi Enji mormorò.

«Chi lo sa».

Il ricordo delle dita del compagno strette sulle sue e il sollievo nel constatare di aver preso le misure giuste.

 




 
Niente da fare, per me Enji, una volta acquisita intimità con Keigo, lo vizia sia a parole che a fatti (e viceversa, d'altronde)!

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Capitolo 15
*** #15. Buying last minute gifts – “I’m not going anywhere!” ***


Bonsoir! È vero che i prompt sono tendenzialmente autoconclusivi ma il filo alla fine è diventato quello e ne è uscita fuori una mezza... trama? KSHKH non era la mia intenzione ma eccoci qua! Questo capitolo è un po' la faccia dell'altra medaglia, ecco.
Sì, sto accuratamente evitando di specificare in che consistano i regali e ho aggirato così l'ostacolo. :D
Grazie per il passaggio, buona lettura e a domani 
💚❤️ 


 

 

-15:  Buying last minute gifts – “I’m not going anywhere!”

 

Tenko avrebbe tanto voluto avere un quirk dalla notevole gittata, così da poter disintegrare il proprio coinquilino anche a distanza senza doverlo necessariamente toccare; doveva comunque ammettere di poter unire l’utile al dilettevole con le sue attuali capacità e, mentre attivava il potere distruttivo, strangolarlo.

Purtroppo la galera non rientrava nei suoi piani di fine anno, ragion per cui si limitò a fissare veramente ma veramente male il ragazzo ora stravaccato sul divano del loro salotto, in mano la Switch turchese di Tenko.

«Stai cercando di rubare di nuovo qualcosa dalla mia isola?».

Touya non lo guardò nemmeno, occhi e dita incollati alla console «L’ho mai fatto?» chiese incolore, per poi aggiungere quasi con offesa «Non esiste solo Animal Crossing».

«Intendi dire non esiste gioco che non sia Animal Crossing in cui non muori, e solo perché non è possibile farlo».

Continuò a non ricevere grandi attenzioni visive, riuscì però a beccarsi un’occhiataccia come risposta, perché era innegabile fosse negato con i giochi in cui c’era la possibilità di rimanerci secchi ed era altrettanto vero, per questo, non giocasse ad altro. Il perché stesse usando la sua Switch e non la propria non ebbe voglia di chiederglielo, si stava già perdendo fin troppo il punto.

«E quando hai intenzione di andare a comprare i regali per la tua famiglia?».

Ciò che sentì provenire dall’altro fu quanto di più simile a un grugnito dal duplice fastidio: per la sua insistenza, e dunque perenne interruzione, e per l’aver riportato il discorso a galla. Non era difatti la prima volta in cui si faceva menzione dell’argomento, anzi, durante il weekend a casa Todoroki non aveva potuto fare a meno di notare i fratelli di mezzo, Natsuo e Fuyumi, esordire con frasi ricche di riferimenti alquanto ovvi in merito a determinati oggetti; Tenko ne ignorava brand ed estetica ma erano stati chiari a sufficienza da farglielo capire in ogni caso per sommi capi.

Gli era venuto spontaneo domandare a Touya, la sera stessa, cosa avrebbe preso ai suoi fratelli e genitori e la risposta era stata il nulla, in senso lato. Non aveva idee? Ne dubitava fortemente, poteva dire qualsiasi cosa di quel maledetto indisponente che aveva preso possesso di più di metà divano ma non che avesse carenze di fantasia.

Se anche non avesse avuto indizi, Shimura ne era convinto, avrebbe trovato il regalo perfetto per ognuno di loro. Così era stato per gli anni passati, d’altronde, sebbene non avesse mai consegnato di persona i pacchetti ma aveva fatto sì giungessero a casa loro – dove vivevano tutti tranne uno – tramite corriere espresso.

Il primo anno lo aveva trovato strano ma non atipico, aveva supposto non potesse recarsi di persona per un qualsiasi motivo. Anche il secondo, nulla di così bislacco. Il terzo aveva cominciato a insospettirsi e, arrivati al sesto, Tenko aveva l’assoluta certezza e conferma l’altro stesse evitando di proposito il ritorno a casa per le feste; a dire di Fuyumi, era stato un miracolo l’essersi presentato per la foto pur essendo consapevole della presenza di suo padre.

In quel dettaglio, Tenko ci aveva visto il tentativo di un primo, esitante ma voluto passo.

Così, adesso, si era deciso a contribuire nella spinta che sapeva servirgli per tornare a casa. Non solo come luogo.

Senza nulla dire, si avvicinò quanto bastava per afferrare la console e sfilargliela dalle mani, ignorando ogni verso di protesta ed epiteto al suo indirizzo; ora che l’aveva tra le mani, guardò cosa quello stesse combinando nella sua partita, dunque sollevò un sopracciglio per la perplessità.

«Cosa stai facendo con tutti questi fiori?».

Touya aveva incrociato le braccia e voltato il capo dall’altra parte, gli occhi socchiusi per ostentare noia e disinteresse, al contempo scrollò le spalle e borbottò qualcosa a bassa voce, fin troppo perché lo capisse.

Non era quello l’importante. Spense la console – ebbe comunque la premura di assicurarsi i dati non andassero persi, perché avrebbe controllato in un secondo momento e meglio l’operato del coinquilino – e portò una mano al fianco, l’altra in alto con l’apparecchio elettronico «Prendi il cappotto, non è ancora tardi».

Da come si girò in fretta a fissarlo, Shimura capì rimanesse dello stesso ostile avviso. Si aspettava qualche protesta animosa, con sua sorpresa invece ricevette un’altra replica annoiata, stavolta però sbuffata con evidente fastidio e un tono che voleva essere categorico.

«Non ne ho voglia».

Tenko sollevò gli occhi al cielo, già stanco ancor prima di cominciare. E dire il primo a non avere voglia di muoversi di casa, tanto meno in un freddo pomeriggio invernale, era lui. Soprattutto ricordava di come si fosse ammalato in fretta il più grande dopo l’ultima passeggiata, se però non avessero bighellonato a vuoto forse sarebbero riusciti a tornare a casa in fretta. Dunque, deciso si diresse verso l’armadio a muro dei soprabiti all’ingresso, sentendo le iridi glaciali di Touya seguire ogni suo passo e, afferrato il suo cappotto, gli arrivò forte e chiaro «Non pensarci neanche».

«Non devo pensarci perché è già deciso» asserì, il tono della constatazione ovvia, dopodiché lanciò l’indumento dritto in faccia all’altro, il quale stavolta imprecò sonoramente al suo indirizzo «Forza, muoviti».

Touya scansò di scatto il cappotto, quanto mai innervosito, tanto che Shimura si domandò per un brevissimo istante se non avesse esagerato. Era stato però efficace, dovette riconoscerlo, e sapeva essere anche l’unico modo, in certi momenti, col quale poteva prenderlo e far sì lo assecondasse, o quantomeno ascoltasse il minimo sufficiente per provare a convincerlo.

Ciononostante non gli piacque la rabbia nella sua voce «Cosa non ti è chiaro di quello che ho detto?». Tuttavia fu Todoroki stesso a calmarsi quando lo vide sussultare, in una maniera contenuta ma pur sempre visibile da quella vicinanza.

«Perché ti stai comportando così?».

Il più giovane si massaggiò il braccio, cercò però di mantenere l’espressione decisa «Perché quest’anno non stai solo evitando di consegnare i pacchi personalmente, ti rifiuti del tutto di comprarli».

«C’è qualcosa di male nel non voler fare acquisti? Il Natale non è il pensiero che conta, la famiglia e quelle stronzate lì?».

Oh, quanto gli sarebbe stato comodo poterlo incenerire sul posto col solo sguardo.

Inspirò a fondo, la mente doveva rimanere sgombra da qualsiasi urto personale, sapeva quanto detto da Touya fosse dettato dal malumore, a sua volta causato da quella rapida, e obbligata, presa di coscienza; poteva glissare quanto voleva sulla questione, rimaneva invariato il cuore del problema venutosi a creare.

«Lo è» rispose, in un filo di voce – perché lui non aveva mai potuto godersi niente del genere, neanche nella parvenza di una convenzione sociale, decine le chiamate di sua madre che aveva deciso di ignorare poiché non vi era invito al quale avrebbe dato esito positivo. Non c’era pensiero che contasse, per Tenko, in una casa dalla quale era stato necessario qualcuno lo salvasse, strappandolo da braccia la cui stretta non era amorevole. Non c’era famiglia, da tanto di quel tempo da aver quasi dimenticato l’accezione di quella parola così calda, morbida come un abbraccio, semplice eppure incomprensibile.

Il concetto più vicino a famiglia che conoscesse viveva nella persona di fronte a sé. Si era accorto di avere persino un margine di miglioramento in tal senso, quei giorni a casa Todoroki.

Touya dovette accorgersi della nota dolente, lo sguardo più mesto, solo un principio di furia ma, probabilmente, verso se stesso.

«Tenko-».

«Non sei obbligato a comprare un regalo a nessuno per avere il diritto di presentarti a casa tua» riprese, una goccia di tristezza intinta nella convinzione «Non sei obbligato a comprare un regalo a tuo padre se senti di non volerlo fare» vide l’altro irrigidirsi, colpito in pieno «E neanche lui si aspetta niente da te – sai cosa intendo» specificò infine, stroncando sul nascere il sarcasmo con cui l’altro era pronto a rispondere.

«Quindi non sono costretto a uscire?».

«Se significa che comunque ti presenterai a Natale dai tuoi, allora no, non sei costretto».

Rimasero a guardarsi senza nulla dire, Shimura in attesa, il proprio giubbotto già indossato nel mezzo del discorso, quello del più grande ancora abbandonato sul lato del divano.

Pochi secondi dopo Touya disse, grattandosi il collo a disagio «Non credevo fossi un tipo così insistente». Infine si voltò, recuperò il cappotto e si mise in piedi per indossarlo.

Tenko sbuffò, intanto iniziò ad abbottonarsi «Non mi piaci quando fai l’idiota».

Finirono di sistemarsi – il più piccolo aveva lasciato il pigiama sotto il jeans, sia per avere più strati e calore addosso sia perché, tornati a casa, si sarebbe tolto nell’immediato ogni cosa per rimettersi comodo; Touya recuperò le chiavi della macchina, a quel punto però disse «Non c’è bisogno venga anche tu, tanto te ne accorgeresti se dovessi tornare a mani vuote».

I mossi capelli corvini ondeggiarono sotto il gesto di diniego del ragazzo, già davanti la porta di casa e «Ne approfitto per comprarmi un gioco nuovo» fu la semplice risposta, quasi sovrappensiero, come se avesse pensato all’eventuale compera solo in quel momento. Poi, accortosi dello sguardo dell’altro su di sé, domandò confuso «Che c’è?».

«Mi chiedevo quand’è che ti piaccio».

Tenko spalancò gli occhi per lo stupore, colto alla sprovvista; lo aveva sorpreso la mancata replica alla sua affermazione, tuttavia era anche passato qualche minuto e pensava davvero il discorso fosse caduto lì, come del resto doveva essere. Non riuscì però a celare il rossore in conseguenza alla domanda indiretta, né poté negare il cuore avesse preso a battere così forte perché il fatto che il discorso fosse stato effettivamente ripreso e in quel modo lo aveva reso felice.

Non poteva dargliela vinta così, d’altronde.

Scrollò il cappuccio del cappotto, giusto per fingere di star ancora aggiustando la sua tenuta, gongolò persino tra sé per il modo in cui Touya continuava a guardarlo, un po’ divertito perché doveva aver capito stesse perdendo tempo di proposito e un po’ tormentato perché voleva davvero saperlo. Forse non si spiegava come fosse possibile piacergli, o era curioso di sapere secondo quale criterio invece Tenko lo apprezzasse.

Fece scattare la porta, dunque la aprì; guardandolo da sopra la propria spalla, col cuore a mille nonostante cercò di mantenersi tranquillo, sentenziò.

«Te lo dico a Natale».

Tanto, aveva comunque un regalo da dargli.

 

 

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Capitolo 16
*** #16. Tucking them in – “Just go to sleep.” ***


Bonsoir! Allora, tucking in non l'avevo mai letto o sentito, traducendolo è venuto fuori sia il rimboccare le coperte: essendo prompt natalizi suppongo si presumesse l'ipotetica presenza di bambini? Quindi insomma, l'ho rivisitato così. Inizialmente doveva esserci pure un'altra coppia, però non mi piace molto, com'era all'inizio nelle mie intenzioni, spezzare completamente la narrazione e passare da un contesto all'altro, di conseguenza- questo è :D Oggi l'imprevisto del giorno è stato il mio cervello che non sapeva mettere in fila una frase che fosse una per aprire il capitolo e la prossima volta cedo a Era una notte buia e tempestosa. YAY.
Grazie come sempre per la lettura, si spera a domani! 
💚❤️ 


 

 

-16:  Tucking them in – “Just go to sleep.”

 

Da che ne avesse memoria, Shouto non ricordava di aver mai avuto particolari problemi nell’addormentarsi, tanto meno durante nottate scombussolate da forti venti, pioggia e tuoni; quella sera, per qualche ragione, ogni fulmine che illuminava la stanza a giorno era motivo di sobbalzi, la mano che tirava la coperta sempre più su fino a coprirsi persino la fronte in attesa del rombo successivo.

Non era niente, lo sapeva, solo tanto rumore intervallato dal sottofondo persistente della pioggia che picchiettava contro i vetri e sulle mattonelle del balcone di camera sua.

Andava tutto bene, anche quando la luce del lume sulla scrivania, riacceso dopo pochi attimi dall’inizio del temporale, lampeggiava sotto la minaccia di un blackout. D’altronde, pure si fosse spento non sarebbe stato un problema, avrebbe potuto usare le proprie fiamme per illuminare la stanza e magari scaldarsi; era abituato al freddo e poteva dire di non soffrirne ma il suo lato destro non era molto d’aiuto nelle notti d’inverno.

Il telefono al suo fianco vibrò, dunque lo afferrò e constatò con interiore sollievo fossero delle notifiche provenienti dal gruppo della 3-A: Kirishima era ancora sveglio e aveva chiesto in generale se ci fosse qualcuno sveglio, a ciò avevano replicato Sero e persino Tsuyu, entrambi in maniera sbrigativa ma lamentandosi del caos esterno; seguirono Ashido e Iida, la prima proponendo a chiunque fosse sveglio di fare un pigiama party e il rappresentante che, in maiuscolo, scoraggiava l’iniziativa. Tra questi vi fu un botta e risposta fatto di emoticon piene di linguacce scherzose da parte di Mina ed esasperate ma imperterrite ammonizioni da parte di Iida.

Il rapido susseguirsi di messaggi fu interrotto da quello di Bakugou, anch’esso in maiuscolo, tanto da poterlo sentire urlare persino attraverso il testo scritto, minacciando tutti di farli detonare camera per camera se non avessero smesso di fargli suonare il telefono in continuazione a quell’ora, intasando per altro la conversazione.

Ashido gli chiese se anche Midoriya si fosse svegliato a causa del suo telefono – di Bakugou – in preda alla vibrazione e questo smise definitivamente di rispondere.

Todoroki, che non si era unito alla conversazione bensì era rimasto come silenzioso spettatore, spalancò gli occhi al notare la comparsa di Kaminari tra i nominativi online, a sua volta domandando cosa ci facessero tutti svegli; a giudicare dalle faccine da lui utilizzate, il temporale non doveva avergli dato fastidio, quanto più le notifiche dei suoi compagni.

Di nuovo, Shouto sentì il petto alleggerirsi un poco alla sola consapevolezza di Denki sveglio, a poche stanze da lui, difatti aveva iniziato a replicare ai messaggi degli altri, per la disperazione di Iida, l’odio di Katsuki e il divertimento di Kirishima e Ashido.

Un pensiero si affacciò, piccolo e luminoso come una speranzosa possibilità: si voltò verso la porta chiusa della propria camera, le dita dei piedi si arricciarono per una sorta di fermento in crescita, simile al formicolio di un arto troppo a lungo immobile.

Così, senza neanche rendersene conto, aveva già indossato le ciabatte, diretto verso una meta ben precisa, il telefono ancora in mano per accertarsi fosse ancora sveglio e non rischiare di disturbarlo qualora si fosse riaddormentato.

Arrivato davanti la stanza designata, sollevò il braccio con le nocche rivolte alla superficie della porta, la targhetta col nome identificativo in bella mostra, tuttavia esitò. Non era sicuro del perché si fosse ritrovato lì quando avrebbe potuto chiedere asilo al vicino di dormitorio, forse la ragione era da cercare in pochi giorni addietro, di ritorno a casa Todoroki dove aveva già trascorso la notte con Kaminari. Poteva essere una pura questione di abitudine.

Senza pensarci oltre, bussò un paio di volte ma senza troppo vigore, non volendo rischiare di disturbare gli altri compagni.

Il senso gravoso sul petto parve alleggerirsi ancora, notevolmente, quando la serratura scattò e in pochi attimi gli si presentò la figura sfatta di Denki: i capelli più in disordine che mai, un bordo della maglietta del pigiama incastrato al di sotto dell’elastico dei pantaloni e persino i calzini riuscivano a sembrare disordinati, uno dei due in particolare si era arrotolato fino a scoprire parzialmente il tallone.

Il tutto accompagnato dalla crescente espressione sconvolta di Kaminari, il quale dovette realizzare con un secondo più tardi di avere davanti a sé Todoroki, difatti cercò goffo e frettoloso di darsi una sistemata sebbene per quest’ultimo non fosse un problema. Del resto era lui a essersi presentato in piena notte, senza preavviso o domandare per telefono se potesse raggiungerlo. In effetti, iniziò a covare il dubbio di averlo disturbato.

«Scusa, ho visto che eri sveglio e ho pensato di raggiungerti» spiegò, il volto non fece una piega ma dal tono si percepì fosse un po’ rammaricato.

Kaminari batté le palpebre, smise di lottare con la maglia per darle una parvenza presentabile e chiarì «Nessun problema! Come mai sei venuto fin qui?».

Shouto si rese conto solo una volta posto dinanzi alla domanda di non avere una risposta. Di nuovo, come mai era arrivato fin lì?

Rispose con sincerità «Non saprei, io…» si interruppe però quando intravide un fulmine dalla finestra in fondo alla stanza, dietro il ragazzo; si irrigidì senza rendersene conto, strizzando un occhio, pronto al tuono.

Trasalì appena quando le dita di Denki, fredde ma non abbastanza da essere fastidiose, si avvolsero con gentilezza attorno alle sue. Todoroki volse lo guardo prima alla presa, poi lo sollevò in fretta verso il viso dell’altro, sentendosi scaldare fin dentro le ossa dallo sguardo dolce come il miele e il sorriso comprensivo a lui dedicato.

Fu talmente rassicurante che non si oppose quando il compagno lo tirò verso di sé, abbastanza da fargli superare del tutto la soglia d’ingresso per richiudere la porta alle loro spalle, dopodiché si lasciò guidare ben oltre, all’interno della stanza al buio – eppure non sembrava completamente oscura, persino senza l’ausilio dei lampi all’esterno – fino a raggiungere il letto.

Denki fu il primo a salirvi sopra, si spostò fino al muro per fargli posto e infine tenne sollevata la coperta in un implicito invito al quale, ancora, Shouto non si fece pregare per accettarlo, chiedendo comunque il permesso per l’intrusione – Kaminari ne rise ma non se ne sentì offeso, consapevole non vi fosse alcun cenno di presa in giro o cattiveria in quel suono che era stato invece un calmante, lenendo il brivido al percepire l’ennesimo fulmine con la coda dell’occhio.

«Vieni qui» insistette l’altro poiché Shouto era rimasto comunque sul bordo del materasso, non sapendo bene quanto e come potersi muovere in uno spazio non suo. Il ragazzo lo incitò invece a farsi avanti e scendere giusto un po’ più in basso, in modo da ritrovarsi col volto contro il suo petto.

Le braccia di Denki arrivarono con lentezza a circondargli il collo, Todoroki le avvertì grazie al calore irradiatosi particolarmente in quello stesso punto, ovunque arrivasse quel tocco protettivo e rassicurante insieme, così come lo era il veloce battito che sentiva forte contro l’orecchio mentre a sua volta circondava i fianchi del compagno con entrambe le braccia, affondando maggiormente in quella sensazione confortevole.

Sussultò suo malgrado all’ennesimo tuono, di conseguenza Kaminari lo strinse più forte, passando delicato i polpastrelli contro le ciocche sulla nuca.

Dopo pochi attimi di silenzio, Denki provò a chiedere, la voce bassa per non scombinare la quiete guadagnata «Non ti piacciono i temporali?».

Todoroki ci pensò, incerto «Non proprio, penso sia la prima volta non mi… convinca».

Poteva sentire la schiena di Kaminari per la risata sommessa «Non ti convince».

Per qualche ragione gli sembrò di sentire il sangue affluire rapido alle guance.

«Non sono spaventato, in qualche modo però mi sento in ansia».

«È un brutto temporale» convenne Denki, sia divertito che comprensivo «Però non ti devi preoccupare, To… Shouto».

Il ragazzo sollevò appena il capo per guardarlo, confuso e incuriosito al tempo stesso da quell’affermazione; nel farlo strofinò la punta del naso contro il mento di Kaminari, nel quale percepì la schiena vibrare, colta da un brivido, probabilmente doveva averlo solleticato. Tuttavia, in un angolo lontano della mente di Shouto, se avesse allungato il collo giusto un po’ di più avrebbe potuto toccare quello stesso punto con le labbra.

Restò perplesso dal suo stesso pensiero, dunque tornò a dedicare la propria attenzione a Denki – ne vide le guance imporporarsi sotto i suoi occhi, rivelate da un fulmine lontano e dal quale, per fortuna, non scaturì alcun rumore se non soffuso e a malapena percepito.

«Io…» proseguì perciò «C-controllo l’elettricità, il mio nome…».

Le dita avevano iniziato a giocare con le sue ciocche bicolore in modo più agitato, nervoso. Todoroki non ne comprese la causa ma posò comunque la mano contro la schiena dell’altro e iniziò a muoverlo su e giù.

Forse fu troppo imprevisto, perché Kaminari emise un suono strano in risposta a quella premura, che si prolungò in Shouto stesso, abbastanza destabilizzante da bloccarne il movimento per qualche secondo.

Quasi con preoccupazione, ignorando qualsiasi bizzarra e sconosciuta sensazione stesse iniziando a far capolino, lo richiamò «Denki?».

«Volevo dire!» parlò a voce più alta l’altro, salvo poi riabbassarla in un farfuglio sconnesso e imbarazzato «Che non devi preoccuparti dei fulmini, per… l’elettricità e tutte quelle cose lì… insomma pensa che sono- pensa a-».

«Te?».

Lo disse spontaneamente, con naturalezza, perché era la chiara conclusione di quella frase e perché, in effetti, poteva essere un ottimo modo per distrarsi. Era vero, del resto, fosse stato proprio Kaminari dal quale aveva cercato riparo quella notte.

Per un attimo temette di averlo offeso in qualche modo quando sentì la presa intorno a sé diventare quasi soffocante, ipotizzò si trattasse di una vendetta, invece Denki si limitò a sfruttarlo per nascondere il volto e dire qualcosa direttamente sui suoi capelli.

Il ragazzo dal doppio quirk lo distinse a malapena, ma fu abbastanza da far sì il cuore inciampasse in uno dei suoi veloci passi.

«Proviamo a dormire e basta!» concluse Denki, la posizione invariata, giusto un minimo mosse il braccio per sistemare meglio il piumone per coprire meglio entrambi.

Shouto annuì contro di lui e chiuse gli occhi con lentezza, allo stesso ritmo della comparsa di un sorriso timido.

Qualsiasi tempesta impazzasse fuori svanì di colpo, annichilito sotto la splendida e rasserenante nenia del cuore al suo fianco.

Addormentati entrambi, non si accorsero dell’ultimo messaggio ricevuto nel gruppo della classe, inviato da Ashido; poiché Todoroki aveva interrotto il suo leggere la conversazione nello stesso istante in cui Kaminari aveva smesso di rispondere, rivolse loro la stessa domanda posta in precedenza a Bakugou, stavolta seguita da tre emoji ammiccanti.

Infine, l’urlo in maiuscolo di Iida che invitava a dormire ognuno nelle proprie camere.






 


Il nome giapponese di Kaminari Denki contiene i caratteri di elettricità e tuono. Ecco perché. Poverino, ci ha provato XD

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Capitolo 17
*** #17. Getting snowed in – “There’s at least five feet of snow out there.” ***


Bonsoir, perché mezzogiorno è passato! Oggi super veloce e presto perché tornerò a casa per la tarda serata e non sarei maaai riuscita in un'ora e un quarto a scrivere... niente AHAHAHAH quindi eccomi qua! Non c'è molto da dire, si può considerare il seguito di quella di ieri??? Questa cosa della neve che rende le cose difficili considerando certi quirk sembra una grandissima sciocchezza ma ci adattiamo e mai più prompt americani :D variare diventa complicato a questo punto MA mancano gli ultimi otto giorni ed è fatta quindi teniamo duro :D
Rip Aizawa-sensei fino a ora ma mi servivano degli escamotage altrimenti EHEHEHEH

 Five feet dovrebbero equivalere a circa poco più di un metro e mezzo
Grazie come sempre per la lettura, si spera a domani! 
💚❤️ 


 

 

-17:  Getting snowed in – “There’s at least five feet of snow out there.”

 

I ragazzi della 3-A emisero insieme un verso di sentito stupore, tutti gli sguardi rivolti all’immagine restituita dalle ampie vetrate del dormitorio: l’infinita nonché alta distesa di neve davanti a loro pareva invalicabile, persino per chi, grazie al proprio quirk, avrebbe potuto farsi strada in essa semplicemente sciogliendola. Todoroki era di fatti già pronto a prestarsi nell’atto di liberare la via ai compagni, quando Iida lo fermò.

«Aizawa-sensei è rimasto bloccato in strada a causa della neve e non riuscirà a raggiungerci prima di qualche ora» chiosò ad alta voce per farsi sentire dai compagni, sistemandosi gli occhiali sul ponte del naso «Perciò la lezione di oggi è annullata!».

Nessuno sentì le sue proteste in merito al comportamento immaturo da parte dei presenti, impegnati a esultare e gioire del giorno di vacanza.

«Possiamo comunque uscire in giardino?» domandò Mina con entusiasmo, già vestita di tutto punto per le fredde temperature, mancavano solo gli stivali che teneva sollevati con entrambe le mani all’altezza del volto.

Il palmo del rappresentante di classe si abbatté senza pietà sulla testa della ragazza, la quale liberò un lamento acuto e prolungato e di cui Tenya non si curò «Non ho intenzione di venirvi a ripescare sotto tutta quella neve! Non muovetevi di qui!».

Ashido non era stata l’unica a fomentarsi alla prospettiva di una giornata a rotolare in quella massa bianca e gelida, riproponendo magari una battaglia a palle di neve e improvvisarsi protettori dei propri pupazzi; come quella stessa distesa, lascito evidente della turbolente nottata trascorsa, Iida non sciolse la posa dura e perentoria, rimarcò piuttosto chiaramente e più volte di essere irremovibile – inoltre mostrò a tutti il proprio telefono, sul quale lampeggiava un messaggio di Aizawa che negava loro qualsivoglia movimento all’esterno, viceversa i lestofanti disobbedienti avrebbero subito una punizione non meglio specificata.

Gli animi si spensero in fretta, perciò, la maggior parte dei ragazzi si diresse alla sala comune per guardare qualcosa alla televisione, altri ripiegarono nelle stanze.

L’unico apparentemente soddisfatto di quella salvifica proibizione fu Bakugou, il quale sapeva, per spirito competitivo, avrebbe finito col cedere all’insistenza dei compagni qualora lo avessero invitato a unirsi a loro sul campo. Di conseguenza era alquanto contento di riuscire a risparmiarsi la tediosa passeggiata su un terreno peraltro traditore, sicuro avrebbe finito col ritrovarsi per metà incastrato a causa dei suoi passi pesanti.

Per la stessa espressione tronfia, in bella vista su ogni centimetro della propria faccia, si beccò non poche occhiatacce dai delusi amici.

«E adesso?» domandò Midoriya alle sue spalle «Che facciamo?».

Katsuki si girò il giusto per riuscire a guardarlo e lo trovò intento a spingere gli indici l’uno contro l’altro come se stesse aspettando qualcosa di specifico; il giovane dal quirk esplosivo doveva ancora imparare a fare i conti con quei moti insopprimibili di tenerezza dall’altro causati, passavano i giorni, i mesi, e non riusciva a farsene una ragione. Portò persino una mano al petto per stringere la maglietta al centro, spiegazzandola del tutto mentre voltava di scatto il viso dall’altra parte per negare all’amico d’infanzia di scorgere anche solo un minimo la propria smorfia. Dunque, in questa posizione e con un tono di ostentato fastidio per celare la vergogna dell’immortale e riscoperto punto debole, chiese a sua volta «Cos’è che vuoi fare?».

Izuku si illuminò, per fortuna Katsuki non riuscì a vederlo ma poté comunque percepirlo dallo squittio sommesso ed eccitato che sentì arrivare dalla sua sinistra, di conseguenza fu la tonalità con cui giunse la risposta «Ti va di guardare con me i video sulle migliori imprese di All Might? Cioè, sono tutte migliori, perché è fantastico, era, ma lo è ancora, lo è sempre stato e sempre lo sarà, no? Ti va? Non li guardo da un sacco di tempo, tra tirocinio e allenamenti e lezioni, ho cercato di vederne qualcuno ieri notte ma mi hai interrotto per, sì insomma-».

La mano di Katsuki impattò con uno schiocco secco sulla bocca fin troppo lesta e vivace del compagno, allo stesso tempo si voltò di scatto verso qualsiasi direzione in cerca di qualche possibile nemico da stanare – Ashido e Kirishima fra tutti, ancora non aveva smesso di mandare insulti nelle loro chat private dopo le insinuazioni della sera prima. Non importava affatto non fossero lontane dalla realtà.

Si avvicinò con fare tra il minaccioso e il cospiratorio, un dito sollevato tra i loro visi per indicare di far silenzio «Andiamo in camera mia, i riscaldamenti funzionano meglio».

Midoriya annuì con fin troppo trasporto, tanto da far sì il braccio di Katsuki stesso seguisse i movimenti frenetici del suo capo dall’alto al basso, perciò lo lasciò andare, rinfoderando le mani nelle tasche della pesante giacca invernale.

Già diretto verso il corridoio che portava alle camere, si vide superare da un lampo verde, il quale si fermò sul posto coi pugni chiusi e sollevati al petto mentre saltellava sul posto «Vado a prendere l’hard disk!».

Katsuki rimase un attimo fermo a osservarlo correre via.

Il pensiero di una tonda, morbida coda di coniglio a far capolino proprio , doverosamente indossata dalla figura svanita in fretta davanti ai suoi occhi; l’unico che ci concesse prima di riprendere a camminare.

Del resto, Kirishima gli aveva passato molti link.

 

Shouto era rimasto a guardare fuori dalla finestra della propria camera, poiché al pianterreno era impossibile riuscire a vedere qualcosa per bene; la quiete del paesaggio innevato si rifletté sul suo animo, lui che aveva sempre adorato la neve, paradossalmente era nel gelo più intenso che aveva trovato calore e conforto per gran parte della sua vita.

«Neh, se uscissimo dal retro?».

Kaminari si era mosso con lentezza, forse sperava di riuscire a coglierlo di sorpresa, tanto da imbronciarsi quando non ottenne alcuna reazione particolare dall’altro se non un cenno del capo in diniego.

«Iida ci scoprirebbe e Aizawa-sensei ci metterebbe in punizione».

Entrambi rabbrividirono non per il freddo, bensì per la paura alla sola prospettiva di subire chissà cosa quell’uomo avesse già macchinato.

Il ragazzo dal quirk elettrico però non si lasciò sconfiggere da quel timore «Per questo ho detto di andare sul retro! E poi siamo in due, non daremmo nell’occhio. Tu poi hai il fuoco, se dovessimo scivolare o rimanere incastrati potresti usarlo».

Todoroki non era molto convinto, si sporse un po’ per osservare meglio la neve al di sotto e, sebbene potesse effettivamente contare su un quirk molto conveniente per la circostanza, era pur vero non fosse un metodo così sicuro su cui contare. C’era però l’espressione brillante di Kaminari davanti a lui, talmente certo avesse senso quanto proposto da non riuscire a dirgli davvero di no in definitiva.

«Magari dieci minuti…».

Sperò nessuno avesse sentito l’esultare di Denki, accorgendosi solo allora di come l’altro fosse già parzialmente preparato per l’uscita.

Shouto sospirò tra sé, ancor meno convinto di prima sperò di non pentirsi di quella scelta.

 

«Che caspita di freddo!» squittì Kaminari, le mani passate in fretta sulle braccia per scaldarsi.

Todoroki le afferrò nella sua destra, alzando un poco la temperatura corporea mentre con l’altra teneva ancora aperta la finestra dalla quale erano sgattaiolati «Forse è meglio tornare indietro».

Il compagno era già con i piedi sulla neve, che scricchiolò sonoramente al di sotto dei primi esitanti passi, più per paura di perdere l’equilibrio che di affondare, di conseguenza si tirò dietro l’altro «Assicurati per bene non scatti la serratura e vieni qui!».

Shouto annuì, posizionò un tocchetto di legno fregato al camino della sala comune in modo da impedire alla finestra di richiudersi per un colpo di vento o semplice pressione del meccanismo automatico.

Rimettersi in piedi per bene non fu faticoso per lui, abituato a quelle condizioni in quanto spesso erano state il campo di allenamento suo favorito negli anni addietro. Diverso fu per Denki, del quale teneva saldamente la mano per impedirgli di cadere o ritirarlo verso di sé quando la neve pareva ammorbidirsi troppo e aprirsi sotto la camminata.

Tutto sommato riuscirono a trovare un certo equilibrio, non si allontanarono neanche troppo dall’edificio, il tanto che bastava per muoversi un po’ sullo spesso strato di neve.

Kaminari sbuffò una nuvoletta di condensa, l’espressione soddisfatta che rivolse poi al ragazzo al suo fianco «Allora? Va meglio, eh?».

All’espressione confusa dell’altro aggiunse subito «Stanotte ci hai messo un po’ a rilassarti, prima invece ti ho visto molto più a tuo agio circondato dalla neve, sembravi beato e in pace» spiegò, stava guardando avanti, verso il recinto del dormitorio, ossia fin dove il manto bianco si estendeva alla loro visuale «Ho pensato potessi farti bene uscire un po’, il cielo è comunque sereno, fa solo… maledettamente freddo».

Shouto pensò di non sentire affatto freddo, neppure sul lato destro, lì dove l’abitudine aveva fatto sì le temperature basse non sortissero alcun disagio poiché al medesimo livello; per assurdo gli parve invece di provare la stessa sensazione data dal fuoco sul lato sinistro, come se il potere ereditato dal padre avesse deciso di ammantare ogni lato di sé, dominante su tutto il resto.

Guardò il viso del compagno, che lo aveva osservato con un’attenzione della quale non si era accorto, neppure pensava lui stesso di essere decifrabile, tante le volte in cui gli era stato detto l’esatto contrario e la difficoltà che spesso aveva avuto nel farsi capire da chiunque impattasse prima con l’aspetto di per sé indifferente.

Era lui a stringere per dare calore, tuttavia come la notte prima sentì di star ricevendo protezione più di quanto non stesse dando sollievo dal freddo.

«Grazie, Denki».

Stavolta quello si voltò a guardarlo, uno spiraglio di sorpresa subito passata in secondo piano sotto un sorriso allegro e soffice insieme. Ammiccò a suo indirizzo, più giocoso «Dovere!», dopodiché provò ad avanzare senza il supporto del compagno, a falcate fin troppo decise e ampie perché la caduta non fosse inevitabile, talmente di peso da creare davvero un solco non poco profondo sotto di sé.

Shouto lo raggiunse con passi affrettati ma cauti, per evitare di capitombolargli addosso e ritrovarsi entrambi in balia della neve.

«Ti sei fatto male?» chiese, un po’ di agitazione nella voce mentre offriva in fretta le mani per aiutarlo a rialzarsi.

Denki accettò di buon grado, per metà affossato nella neve; dal silenzio preoccupante del ragazzo aveva temuto davvero potesse essersi fatto male in qualche modo, bastarono però pochi attimi perché la stretta di Kaminari si fece più forte del necessario, così all’improvviso che Todoroki non riuscì a opporsi e si ritrovò al suo fianco, immerso nella neve.

Si mise a sedere in un paio di tentativi, ostacolato dalla situazione in cui era stato trascinato, per poi guardare con palese shock il ragazzo ancora steso «Denki ma che stai-».

La risata dell’aspirante eroe lo investì insieme ai primi fiocchi che, a dispetto di quanto detto in precedenza, iniziarono a scendere dal cielo con lentezza.

«Scu-scusa» balbettò Kaminari, le guance rosse per lo scoppio di ilarità che faticava a controllare «È che avevi una faccia, se non mi fossi dimenticato il telefono dentro ti avrei fatto una foto per mostrartela!».

Shouto non riusciva ancora a capacitarsi di quanto successo, era talmente sconvolto dalla rapida imprevedibilità con cui si erano svolti gli eventi da faticare davvero a metabolizzare l’accaduto. L’unica cosa certa era la risata di Denki, le piccole lacrime agli occhi comparse per quell’eccesso di divertimento, il modo in cui stringeva le braccia alla vita per contenersi.

La neve si era infilata anche al di sotto dei vestiti, in un modo fastidioso persino per lui, specie quando il freddo iniziò in fretta a sostituirsi con la sensazione di bagnato e umido contro la pelle. Todoroki, però, non diede peso a nulla di tutto questo.

Le risate di Kaminari cessarono nel momento in cui, piano e con cautela, vide l’altro sporgersi su di lui, sorreggendosi con le mani ai lati del suo viso ancora accaldato del compagno; il colore si intensificò nell’istante in cui, senza riflettere molto sul perché, guidato dalla semplice spontaneità, il ragazzo dal doppio quirk aveva iniziato lentamente a chinarsi. Ebbe giusto un attimo di esitazione, arrivato così vicino al volto di Denki, le orecchie parevano ribollire della risposta a quel gesto che ancora lucidamente non era in grado di darsi e fu sul punto di ritrarsi, sorpreso da se stesso, quando la mano fasciata dai guanti inumiditi si posò sulla sua guancia.

L’attenzione fu concentrata sugli occhi lucidi e le sottili sopracciglia di Kaminari, corrugate e tremolanti così come il labbro inferiore, a tratti stretto tra i denti.

Pochi secondi dopo, Shouto sentì quello stesso tremore contro le proprie labbra, una sensazione tiepida e screpolata su di esse nel momento in cui colmò la distanza col volto di Denki e, nella leggera pressione esercitata, invitò la bocca dell’altro a schiudersi.

Era probabile il giorno dopo sarebbero stati male entrambi, Kaminari di sicuro, e che Aizawa li avrebbe di conseguenza puniti per questo ma non aveva importanza. Non importava l’umido della neve, i vestiti sempre più bagnati e i capelli sempre più ricoperti di fiocchi bianchi.

C’era una risata rimasta nel cuore a coprire tutto il resto.




 




 


Se non avete mai letto Yukidoke no Koi secondo me questo è il momento giusto per farlo (^^)/
CHI L'AVREBBE MAI DETTO, EH.
Non io, il doppio pov è venuto via a caso.
I bakudeku avranno il loro momento ma loro sono già navigati, questi due me li stavo trascinando col rischio di non arrivare al dunque prima di un determinato capitolo e non può essere mica rivelatorio per tutti.
:D 

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Capitolo 18
*** #18. Cuddling with them – “You’re like my own personal furnace.” ***


Bonsoir!
Sate sate sate, manca ufficialmente l'ultima settimana! Da un lato YAY dall'altro UGH, di già Natale, questo countdown scribacchino mi si è ritorto contro XD
Considerando il prompt ho detto dai, non c'è due senza tre - in realtà mi sa sto privilegiando senza rendermene conto perché i colori della mia gaytabella per la raccolta si stanno mischiando tutti e insomma, s'evolve come la vita 'sto calendario eroico dell'avvento e magari avete pure letto eroico con una t di mezzo. EEEEE niente, comunque doveva starci qualcun altro qua ma sarebbe stato un ribadire il già detto per certi loschi individui e quindi...
:D no davvero ormai penso di star navigando nel ripetitivo ma è la tragedia di chi scrive (più o meno come si deve) una volta all'anno e poi si perde sigh. Vedo anche degli errorini di battitura che mi sfuggono qua e là ma non ho il tempo di ritornarci, scusate çç
In ogni caso grazie come sempre per la lettura, si spera a domani 
💚❤️ 


 

 

-18:  Cuddling with them – “You’re like my own personal furnace.”

 

La punizione di Aizawa non era stata ancora comunicata, tuttavia sia Kaminari che Todoroki sapevano perfettamente fosse solo una mera questione di tempo; era probabile il sensei stesse ponderando sul da farsi, magari indeciso se essere accondiscendente perché erano tornati in dormitorio illesi – circa, giusto un po’ fradici e col naso di uno dei due piuttosto gocciolante – o andarci giù pesane per questione di principio poiché gli avevano disobbedito nonostante il divieto.

«Certo che Iida avrebbe potuto tenerselo per sé, per stavolta…» borbottò Denki, raggomitolato nel suo fagotto di coperte e plaid mentre lanciava nel cestino l’ennesimo fazzoletto impiastricciato «Alla fine è andato tutto bene!».

Shouto gliene offrì un altro dalla confezione, osservò le dita dell’altro afferrare un bordo di carta e tirarlo per estrarre del tutto il fazzoletto e avvicinarlo al volto, quasi ipnotizzato da quel meccanismo così normale e meccanico, infine soffiò «Però sei caduto».

Il ragazzo rimase fermo col pezzo di carta tenuto sul naso, interrotto nel dare sollievo alle narici otturate, il viso gradualmente paonazzo quando la testa gli suggerì la correzione al plurale perché erano caduti, sebbene nel caso del compagno fosse stata colpa sua per averlo tirato. Quanto seguito, però, non lo avrebbe mai previsto, così come non si sarebbe mai immaginato di tornare indietro, colti in flagrante dal rappresentante di classe e tuttavia neppure i richiami esagitati di Iida avevano destato in loro – perlomeno in Denki – alcuna reazione, col corpo fuori dalla neve ma col pensiero ancora là, avvolti dal manto bianco quasi come una protezione da tutto il resto, per nascondere un gesto internamente desiderato ma nel quale non avrebbe mai potuto immaginare di poter sul serio sperare.

Soffiò più forte di prima e facendo molto rumore di proposito, come se bastasse quello per affossare la vergogna emersa. Specie perché né lui né Todoroki, dopo quel momento, avevano più fatto parola sull’accaduto, limitandosi a tornare indietro nelle loro camere – solo che Kaminari aveva ritenuto troppo strano il dividersi così, senza nulla dirsi, perciò si era ritrovato a stringere la manica del cappotto di Shouto, ancora indosso e umido, con un’espressione ai limiti del cucciolo bastonato perché non era riuscito a esprimersi altrimenti.

E quello, d’altro canto, non si era fatto pregare.

Si erano separati solo per lavarsi – in tutti diversi, perché il bagno sarebbe stato occupato soltant da loro altrimenti –, dopodiché, cambiati dalla testa ai piedi, si erano accomodati nella sua stanza, Kaminari sopra il letto dopo aver tirato fuori un’altra coperta dall’armadio, immergendosi in quella personale nicchia di calore e riparo dal circostante; Todoroki gli aveva portato una tazza di latte caldo per aiutarlo a trovare sollievo dal freddo, che pareva non volerne sapere di dargli tregua. Da un lato era la scusa perfetta per non uscire da lì, dall’altro la pelle intorno alle narici iniziava a bruciargli ed era già stanco di tremare come una foglia.

Dalla sua, il giovane dal doppio quirk era rimasto leggermente in disparte, seduto sulla sedia della scrivania di Kaminari, in mano appunto la scatola di fazzoletti porta di tanto in tanto al compagno.

Denki trovava internamente stupido quel silenzio, intervallato solo da quel principio molesto di raffreddore, nonostante ciò era pur vero non avesse idea di cosa dire: aveva fatto sì Shouto non esitasse, tra la neve, quando lo aveva visto rendersi conto delle proprie azioni e, per istinto, lo aveva trattenuto e assecondato. E come avrebbe potuto fare altrimenti, con quell’occasione così unica e surreale da assumere l’illusoria connotazione del sogno alla propria coscienza, pressoché intimorito dalla possibilità fosse tutto un inganno e nulla più.

Adesso, ad affacciarsi come una sgradita insinuazione, c’era la paura fosse stato solo il momento causato dall’atmosfera innevata, il trasporto reciproco sfociato in una vicinanza inaspettata.

Strinse le labbra, rigirando la tazza tra le mani, il sapore di un cucchiaino di zucchero di troppo appena percepito col naso otturato, gli occhi tentati di incontrare quelli dell’altro ma la preoccupazione prevalse su qualsiasi tentativo.

Inspirò a fondo, poi disse, la voce un filo sottile e facile a spezzarsi «Mi dispiace per prima».

La sedia girevole scricchiolò appena, segno Todoroki si fosse mosso un po’, forse per lo stupore di quell’esordio «Per me non è stato un problema, sei tu quello che sta ancora tremando».

Rafforzò la presa sulla tazza «Non intendevo la caduta. Cioè, mi dispiace anche per quello, ti sei ricoperto di neve per uno scherzo stupido».

Shouto scosse il capo, anche se Kaminari non lo vide.

Sembrava davvero non capire, o magari stava solo cercando di dissimulare e far cadere l’evento nel dimenticatoio, glissare sull’incidente avvenuto per caso e non tornarci oltre sopra; il petto di Denki iniziò ad alzarsi e abbassarsi più in fretta alla sola prospettiva. Sapeva l’altro non fosse il tipo da ferirlo, che non lo avrebbe mai fatto di proposito, forse era proprio quell’assenza di intenzione a lasciar cadere nel non detto.

Fece per aprire bocca, senza sapere ancora cosa dire, quando la mano di Todoroki entrò nel suo campo visivo, oltre il bordo del piumone tirato fin troppa la testa, per poi posarglisi sulla fronte.

Gli sarebbe venuto un infarto, quello poco ma sicuro.

«Non mi sembra tu abbia la febbre» disse Shouto con assoluta tranquillità, lo vide anche toccare la propria per un confronto ma gli parve più confuso e poco convinto.

Non tanto quanto Kaminari, di questo era certo, con la testa che minacciava di iniziare a girare per il caos che vi orbitava attorno, specie quanto sentì il compagno dire «Proviamo così» seguito dall’avvicinarsi al letto e salirvi sopra.

Di primo acchito, forse scioccamente, Denki pensò volesse solo star più comodo o riscaldare il materasso col suo peso per lui. Per un po’ lo seguì persino con lo sguardo in modo diretto, perplesso, volendo capire dove intendesse andare a parare con quei movimenti alquanto acrobatici, avanzando sulle ginocchia fino a ritrovarsi tra il muro e il corpo di Kaminari.

Senza essersene neppure accorto si ritrovò quanto prima con la schiena appoggiata al petto di Todoroki, le cui gambe circondavano le proprie tenute incrociate per mantenerle rintanate nelle coperte, in aggiunta le braccia stesse del ragazzo lo avevano circondato, unendo le mani sul davanti per stringerlo.

Kaminari sentì immediatamente il calore del quirk di fuoco pure attraverso i pesanti e comunque non sufficienti strati, gli occhi spalancati, preso in contropiede, fin troppo piacevolmente per poter replicare in qualsiasi modo non fosse quello.

Spontaneo, di getto, sentito; l’unica cosa giusta, era convinto, da dire in quel momento, con il volto talmente in fiamme da sospettare lui stesso non avesse sul serio della febbre ma calciò quel pensiero in un angolo silenzioso della sua mente.

Chiuse con forza le dita sulla trapunta, tirandosela maggiormente addosso come a volercisi nascondere più di quanto già non fosse, il tono delicato e sottile come vetro nell’ammettere «Shouto, tu mi… piaci… davvero un sacco».

Si sarebbe dato uno scappellotto per lo sgambetto verbale dato dalla vergogna e l’ansia, pur convinto di quanto detto. Al contempo si diede dello sciocco per aver panicato su un’ipotetica distanza mai esistita, in qualsiasi modo l’altro avesse inteso quei gesti lui ne avrebbe accettato ogni sfumatura senza pentirsene.

Il sorriso fu perfettamente distinguibile nella voce di Shouto, immaginò la bocca arcuata appena in una mezza luna, gli occhi socchiusi con gentilezza; le parole ne uscirono addolcite di conseguenza, calde e avvolgenti più delle coperte, del latte zuccherato che aveva preparato per lui «Anche tu, Denki» disse, Kaminari lo sentì appoggiarsi contro la sua nuca, infine gli fece il verso «Davvero un sacco».

Ommioddio sciorinò tra sé tutto d’un fiato, intanto il mento gli si era raggrinzito nel tentativo di trattenersi dal fare qualsiasi verso strano per l’emozione.

Non ne fu certo perché ogni suono alle sue spalle gli arrivava ovattato, ebbe però l’impressione di aver sentito uno sbuffo di risata, breve e a malapena percettibile, seguito dalla più chiara sensazione della testa di Shouto che si strofinava meglio contro di lui, pianissimo – non fosse stata per la pressione percepita non se ne sarebbe neppure accorto.

Credo di star per morire.

Kaminari cercò di posizionarsi meglio, provò a districare un braccio dal suo fagotto ma riuscì a far emergere giusto le dita di una mano e se lo fece bastare; arpionò dapprima il pollice dell’altro, quello più facile da raggiungere, Todoroki parve però capirne l’intenzione e addentrò un po’ quella stessa mano nelle coperte, giusto per far sì potesse ricambiare la stretta senza scoprirlo.

La testa era sovraffollata da fin troppi pensieri e informazioni, sembrava così assurdo che temeva addirittura di chiudere gli occhi e ritrovarsi da solo, sotto le coperte di un giorno qualsiasi. Invece era proprio come sembrava, constatò dopo aver strizzato con coraggio le palpebre e spalancate l’attimo dopo, sempre sullo stesso letto ma in due.

Sto definitivamente per morire, continuò a pensare l’aspirante eroe dal quirk elettrico, il sorriso ampio ma ancora tremolante mentre a sua volta si spingeva di più contro l’altro.

«Va meglio?» domandò Todoroki dopo un po’, i polpastrelli sfregarono sul dorso della mano del compagno «Senti ancora freddo?».

Kaminari cercò di voltarsi per guardarlo, incontrando però l’orlo del piumone, giusto una ciocca rossa sporgeva a sufficienza da essere intravista, per contro mugolò con soddisfazione senza neanche rendersene conto «È come stare davanti a una stufa».

Shouto replicò con confusione, interpretando la frase come di scomodità per quell’intreccio stretto e, forse, rigido in cui stavano, perciò Denki si affrettò a spiegare il malinteso poiché aveva iniziato ad allontanarsi per liberarlo.

Così rimasero per diverso tempo, tanto da non rendersi conto del buio ormai calato all’esterno.

Piano piano finirono per stendersi del tutto sul materasso, la stessa nella quale si erano addormentati la notte prima: viso contro viso, la punta del naso dell’uno che sfregava su quella dell’altro, maggiore l’impaccio una volta mossi da assoluta consapevolezza.

Kaminari, di quel giorno, non ricordò altro che baci dati sotto le coperte una sera di un gelido autunno ormai prossimo al lasciare spazio all’inverno.

 

Più tardi, ovviamente, il gruppo della 3-A si animò con un più corale, ironico e concitato insieme di battute e auguri – intervallato dagli insulti di Bakugou, ancora una volta disturbato dall’attività messaggistica, e i richiami di Iida, il quale si era unito all’entusiasmo senza capirne il perché e tuttavia non mancando di ricordare la minaccia incombente sui due trasgressori.

L’indomani la fuga sulla neve avrebbe avuto il sapore della tortura, mossa dalla punizione di Aizawa-sensei; per adesso potevano godersi il sentore del latte caldo più dolce mai assaggiato.




 


Eeee come si dice... touchdown? 
:D
No cioè scherzi a parte siamo al 18, abbiamo scherzato, qua andava chiuso il cerchio. Anche perché i paperi arancioverde sono felici nel nido, quelli rossoro pure, mancavano loro due e gli altri disgraziati che già si son fatti fin troppa vacanza. Quindi che si fa? 
Si aspetta. Con una tazza di latte sdegnoso, esattamente. Ah non ho usato letteralmente "furnace" perché... gne, non mi piaceva, già abbiamo avuto gli endhawks a fare cosacce davanti al camino, non passiamo ai forni e atteniamoci alle stufe. Devo dire altro? Non lo so, è possibile, ma non me lo ricordo!

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Capitolo 19
*** #19. Telling family stories – “Oh! You’re gonna love this story!” ***


Bonsoir, oggi sono k.o. quindi non mi dilungo, dico solo che sì ho di nuovo favorito lo sproloquio per snobbare il prompt (però concedetemelo, a chi caspita potevo appiopparlo senza sfociare nel dramma, visti i precedenti? Ve lo dico io: NESSUNO) il cambio di pov si capisce da quanto spazio c'è tra una parte e l'altra c'è un parallelismo voluto, chissà se si nota. Non ho voluto esagerare con questa cosa però, mi stava sfuggendo di mano com'è sfuggita nel capitolo...
È più rapido e chiacchiericcio? Probabilmente sì, era l'intenzione, chissà se ha avuto senso. Btw, la situazione continua in quello di domani, si spera! :D

 Oyaji è un modo per rivolgersi anche al proprio padre: nel manga è così che Shouto si rivolge a Endeavor, sarebbe tipo "il mio vecchio" e quindi "ehi vecchio"... si capirà leggendo-
Grazie per il passaggio, come sempre buona lettura 
💚❤️ 


 

 

-19:  Telling family stories – “Oh! You’re gonna love this story!”

 

L’agitazione di Touya era tale che fu persino tentato di masticare la sciarpa, sollevata fin sotto il naso arrossato e leggermente umido a causa del freddo, per cercare di stemperarla.

Monocorde, giusto con una nota seccata, si rivolse a chi gli stava accanto senza però girarsi «Ricordami perché siamo qui».

Altrettanto impassibile giunse la risposta, in questo caso appena percettibile l’inflessione stanca, come se stesse ripetendosi per l’ennesima volta «Il fidanzato di tuo padre ci ha invitato a cena».

Touya sollevò gli occhi al cielo con esasperazione, le palpebre tremarono dando al gesto un aspetto lugubre e inquietante; stava per dirgli Nella mia famiglia sono tutti fidanzati tranne noi, per te? salvo poi interrompersi realizzato il pericolo dietro quella sciocchezza, perciò batté mentalmente in ritirata su quel fronte – per ora.

«Sì,» fece grave, la pazienza un cristallo già crepato sul bordo tondeggiante di un tavolo «e perché diamine abbiamo accettato?».

Lo sbuffo di Tenko generò una considerevole nuvoletta di condensa, tanto era stato fragoroso, fin troppo per i suoi gusti, con quell’insopportabile, palese intenzione di farglielo pesare quanto più possibile.

«Perché,» riprese con lo stesso tono il più giovane «fra meno di una settimana è Natale ed è stato deciso fosse meglio farvi avere un incontro ravvicinato prima della cena».

«Deciso da chi?».

«Da me e Takami-san, ovviamente».

Appuntò nel suo interiore taccuino delle vendette quella rimarcata prova a favore del titolo di Nemico Numero Uno, già in precedenza appioppato a suddetto fidanzato.

«Quindi hai fatto comunella con il pennuto stronzo e mi hai trascinato qua con l’inganno».

Tenko lo fissò con innocenza e sincera confusione «Quale inganno? Ti ho detto andiamo a pranzo dai Todoroki domenica e mi hai risposto di sì».

«Non erano i Todoroki che pensavo io! E poi in questa casa ce n’è uno solo».

L’occhiata che gli rivolse l’altro a quell’affermazione gli suggerì fosse il caso di aggiungere anche il coinquilino su quella lista mentale di ripercussioni da accreditare, giusto per essere certo di non dimenticare nessun torto subito, a costo di farne un tratto della propria personalità e marchiarselo addosso.

Tirò indietro il collo e sbatté le palpebre, allucinato da quel garbuglio di pensieri.

Tutta colpa di quel campanello dalla doppia T, delle decorazioni che avevano visto illuminarsi dall’inizio della strada – più di mezzo chilometro addietro: il tetto di quella villa era piuttosto alto e le tegole erano state ricoperte di sfavillanti lucine, tranquillamente passabili per sistemi luminosi di avvicinamento aereo.

Una gomitata arrivò impietosa sul suo fianco, alla quale Touya rispose con un interrogativo nello sguardo, annegato nell’odio provocato dalla fitta immeritata; Tenko ignorò ogni goccia di risentimento, inscalfibile, dunque disse «Smettila di cazzeggiare per perdere tempo e premi quel maledetto campanello».

L’indignazione con cui si difese sembrò falsa persino a se stesso «Io non sto affatto-».

La porta scattò senza che nessuno dei due avesse di fatto suonato, un sinistro ohohoh accompagnò l’apertura e delle piume color vinaccia comparvero da dietro lo spesso legno chiaro all’ingresso.

«Bene bene» disse la voce dall’altra parte, canzonatoria «Chi è adesso a far casino davanti alla casa di chi?».

Lo sbeffeggio palese nella domanda retorica Touya lo percepì come il rumore più molesto a cui gli fosse mai stato costretto l’ascolto, certo al di sotto della sciarpa vi fosse la vena sul collo già prossima a gonfiarsi, la mascella serrata mentre con i denti iniziava a mordicchiare la lana per tacere.

«Takami-san» lo salutò Tenko, educato e rigido nella formalità «Grazie dell’invito».

L’eroe alato cambiò del tutto atteggiamento quando dedicò all’altro ragazzo la propria attenzione «Shimura-kun, grazie a te per essere venuto! Prego, accomodati pure» lo invitò gioviale, facendosi da parte e rafforzò l’intento con le braccia protese verso l’interno della casa. Subito dopo, in falsetto, parlò a Touya «Che sbadato, scusa, non ti avevo visto sotto tutta quella stronzaggine! Prego, accomodati anche tu!».

Adesso lo ammazzo pensò quello, le mani strette nelle tasche mentre la sciarpa iniziava ad apparire smossa persino dall’esterno Alla prima occasione in cui rimaniamo soli lo spingo nel camino e lo faccio passare per un clamoroso incidente domestico.

«Touya».

Il richiamo di Tenko lo ridestò dalla pianificazione omicida, addirittura ebbe la sensazione di iniziare a rasserenarsi quando incontrò il viso serio dell’altro e tuttavia gli occhi rossi rimandavano una certa gentilezza e comprensione.

«Lo so che ti costa, se non te la senti ce ne torniamo a casa» promise infatti, dovette però aggiungere in fretta non appena notò la bocca del più grande aprirsi, probabilmente per confermare già da ora di voler fare dietro front «Dopo averci provato, però».

Le spalle di Touya si abbassarono, sconfitto. Accettò però di buon grado la mano offerta dal ragazzo, nascosta nella tasca del cappotto di quest’ultimo in un gesto rapido ma intimo, naturale.

E che sarà mai, si disse tra sé il primogenito dei Todoroki, un paio d’ore e sarò fuori di qui.

 

«Ricordami perché sono qui».

Gli occhi di Hawks ruotarono così tanto da far sparire le iridi quando giunsero nel punto più alto.

Continuò a rimestare l’insalata mentre sentiva gli occhi del compagno trafiggergli piuma dopo piuma, le braccia incrociate e il piede che batteva nervoso sul povero pavimento.

«Io e il fidanzato di tuo figlio-».

«Non sono fidanzati».

L’eroe alato interruppe di colpo la sua attività solo per voltarsi a guardarlo, il sopracciglio folto arcuato e l’espressione che pareva urlare un Ma fai sul serio?.

Enji rimase in silenzio un unico secondo, il registro vocale stavolta sinceramente sorpreso quando riprese «Sono fidanzati?».

Keigo tornò a concentrarsi sulla cena «Non ancora, ma è questione di tempo».

«Come puoi dirlo?».

Ah, come sei ingenuo, biscottone mio.

Gli avrebbe picchiettato il naso con l’indice e tante moine al seguito, se non avesse avuto la certezza gli sarebbe stato staccato via con un morso netto.

Tenne per sé quel desiderio proibito, rispondendo con fare giulivo «Tuo figlio non scherza ma anche tu devi avere un po’ di cenere in quella testolona, Enji-san, se davvero non hai notato nulla».

L’uomo si incupì un poco «Non ho ancora imparato a osservarlo come si deve…».

Takami si sarebbe strappato una piuma da solo, se non avesse avuto le mani sporche per le varie preparazioni per il pranzo e sì l’intento sarebbe stato punirsi per non aver dosato di nuovo le parole in un campo tanto minato, non era però devoto – o masochista – al punto da insozzarsi deliberatamente per ammenda.

Posò gli utensili da cucina e si girò verso l’altro con un sorriso più incoraggiante e positivo «Vedi, ti sei risposto da solo alla domanda di prima».

Il Number One continuò a non sembrare troppo convinto «Non saprei neanche come intavolare una conversazione con Touya, figurarsi capire se sta col suo compagno di scuola».

Keigo si ripulì al meglio che poté sul grembiule che aveva indossato per limitare i danni da impasto, in modo da potersi avvicinare e afferrare il volto del più grande senza sporcarlo troppo.

«Sai quanto chiacchierone io sia- fammi finire» lo riprese al notare l’espressione fin troppo concorde di Enji con quanto detto, poi continuò «Tra una cosa e l’altra si inizierà a parlare con naturalezza, vedrai. Tipo, hai aneddoti familiari divertenti da raccontare?».

La smorfia che si ritrovò di fronte bastò come risposta.

«Ok, potevo pensarci prima… no, no, no, via quel muso lungo!» rimbeccò di nuovo, rafforzando la presa sulle sue guance tanto da spremerle e far sporgere le labbra: vi stampò sopra un bacio rapido e poi lo guardò deciso negli occhi «Ce la faremo, intesi? Abbiamo sconfitto nemici più complicati!».

Quelle parole parvero sortire l’effetto sperato perché tutto del Number One si rilassò, dall’espressione dapprima alquanto crucciata, ora invece più distesa, quasi coinvolta in un sorriso tiepido e accennato, alla postura rigida che si era fatta visibilmente più sciolta. Sollevò poi il braccio e portò un dito al viso del compagno, sotto lo sguardo perplesso di Hawks, tirando via qualcosa col dorso della falange.

«Avevi un po’ di salsa».

Keigo sbatté le palpebre, dopodiché sorrise più ferino, facendo scivolare lentamente le braccia attorno al collo taurino «Endevaa-san, hai sprecato l’occasione di leccarla via dal tuo dito in modo seducente».

Si aspettò un rifiuto, persino di venir spinto via per la vergogna – non scaturita dal pudore, bensì causata dall’idiozia in cui l’eroe alato ogni tanto decideva di nuotare libero e spregiudicato – e l’indignazione, magari borbottando qualcosa sulla presenza del figlio nella stanza accanto, invece rimase esterrefatto quando Endeavor eseguì davvero quanto detto, con lentezza e osservandolo per tutto il tempo a occhi socchiusi.

«…è la volta buona che mi farai urlare la ricetta dei biscotti al cioccolato bianco?».

Morì quando l’uomo soffiò «Dopo, se non litighi con mio figlio per tutto il pranzo».

La bocca di Takami si spalancò, precipitata verso il basso, accompagnata da uno stato di shock e scontentezza palese sull’intera faccia.

«Per tutto tutto il pranzo?».

«Tutto tutto il pranzo».

Qualsiasi protesta fu spedita in fondo alla gola, silenziata per un fine più grande e importante, soprattutto se messo a confronto con la sua personale diatriba con quel bisbetico loro ospite.

Che sarà mai.

 

In effetti Hawks chiacchierava davvero un sacco: non un solo attimo di silenzio era stato capace di calare sulla tavola, il tintinnio stesso delle posate e il masticare o bere quanto servito dai padroni di casa pareva solo un inutile e pressoché inesistente sottofondo.

Internamente, Enji non poteva non dirsi grato al giovane al suo fianco per star sul serio tentando di animare un pranzo altrimenti passivo per tutti i presenti, persino Tenko cercava di replicare il più possibile alle affermazioni del Number Two, non senza una spiccata dose di imbarazzo – non gli era chiaro perché arrossisse così facilmente, aveva sempre pensato fosse un tipo alquanto silenzioso e posato, si ricordò però delle parole di Fuyumi risalenti alla giornata della foto, quando aveva detto al padre di non essere troppo intimidatorio, o cercare almeno di non essere chissà quanto se stesso nel modo di fare in apparenza austero, davanti al ragazzo.

Sospettava la ragione fosse insita nei suoi trascorsi familiari. Avvilito pensò fosse quello, forse, il motivo per cui andava tanto d’accordo con Touya.

«…Shimura-kun».

Enji fu trascinato fuori dal proprio pensiero dal modo che osò definire bislacco con cui chiamò il ragazzo di fronte a sé, tanto da attirare del tutto l’attenzione dell’eroe di fuoco per capire dove l’altro avesse intenzione di andare a parare. Allo stesso tempo non gli sfuggì Touya assottigliare lo sguardo in direzione dell’eroe alato mentre sul volto del giovane accanto a lui si susseguiva una serie di emozioni: la più evidente proruppe alla fine della metabolizzazione di quanto sentito, con le guance che si gonfiarono e tradirono il principio di una risata fuoriuscita come piccola pernacchia, trattenuta a fatica.

Cosa si era perso?

Keigo dovette accorgersi dell’occhiata assassina ormai palese di Touya, perché trasformò la tipica piega della bocca in un ghignò vero e proprio, appoggiando il mento sulle dita intrecciate e inclinò appena il collo, come un rapace che sonda la preda.

Intanto il suo primogenito aveva sciolto la propria forchetta tra le mani.

«Devo forse ricordarti che sono più grande di te, tacchino da modellismo?».

Keigo si portò una mano al petto, la preoccupazione ostentata «Touya-kun, sei sicuro che queste continue associazioni al cibo non siano indice di un cannibalismo latente sempre più prossimo a sfogarsi?».

Le posate a disposizione dall’altra parte della tavolata stavano per altro finendo, sciolte sotto l’irritazione di Touya, la cui bocca era distorta sì da un sorriso ma scosso da uno spasmo poco promettente; stava cercando di trattenersi ma era chiaro fosse al limite.

«Non tentarmi, sono già rammaricato di aver perso l’occasione di chiuderti nel forno la scorsa volta».

«Si può sapere cosa sta succedendo?».

Entrambi si zittirono, voltandosi a guardarlo – Touya si voltò giusto un attimo verso Tenko per dirgli qualcosa, probabile si trattasse di un invito a smetterla di sghignazzare sotto i baffi per chissà cosa si fosse perso, ancora, in quei pochi minuti.

Il primo a parlare fu Keigo «Stavo solo raccontando a Shimura-kun delle foto che ho visto l’altro giorno, quando eravamo tutti insieme, del piccolo Touya».

Enji non aveva più capacità espressive, talmente le aveva sfruttate in quella confusione da non capire più che faccia avesse in quel momento.

«E?».

«E» si intromise il figlio anticipando Takami «ha iniziato a raccontare aneddoti familiari di cui nemmeno io, che li ho vissuti, potevo saperne nulla».

«Tua madre mi adora e facciamo splendide conversazioni» disse con innocenza Keigo «Anche su quanto andassi di corpo da bambino – per inciso, mi spiace sia stato così difficile riuscirci, per te».

«Sei un gran figlio di-».

Il maggiore dei Todoroki presenti fissò la scena senza parole, il botta e risposta divertito da parte del compagno e un po’ meno da Touya andò avanti per quelle che parvero molte più delle ore programmate per il tempo da passare insieme.

A un certo punto fu Tenko a sedare il ragazzo al suo fianco, una volta finito di trattenersi dal ridere; Enji osservò lo scambio basso e personale con altrettanto stupore, sebbene la conversazione con Hawks in precedenza avrebbe dovuto fargli accogliere quella consapevolezza in una maniera più blanda sortì invece l’effetto contrario, come di realizzazione fulminante di qualcosa sempre posto sotto il suo sguardo ma mai guardata con attenzione.

Si sentì tirare dalla manica del maglione; Keigo lo guardava con una mano sollevata all’altezza della bocca, come se non volesse far leggere il labiale a chi gli stava di fronte.

Il Number One parlò con una nota di rimprovero nella voce «Avrei capito non tutto tutto il pranzo, ma non ti sei trattenuto per niente».

Quello schioccò la lingua un paio di volte, negando col capo «Guarda in tavola, Enji-san».

L’uomo corrugò la fronte ma seguì quella direttiva e si sorprese nel constatare tutti, persino lui, avevano terminato il proprio pasto. Certo, delle posate ci avevano rimesso, ma il pranzo era di fatto da considerarsi concluso, nell’atto pratico del mangiare perlomeno.

Tornò a guardare il compagno, un po’ alleggerito e divertito nonostante tutto «In qualche modo sento che mi hai fregato».

Keigo fece spallucce, poi sollevò le dita in segno di vittoria e sorrise smagliante.

«E ti dirò di più».

«Mh?».

«Ho convinto il tuo figlio malvagio a prolungare la sua visita» annunciò con trasporto «Per la rivincita ai giochi da tavola!».

Enji fece per rispondere, tuttavia fu interrotto da Touya stesso.

«Oyaji» lo chiamò quello infatti, quasi biascicando; una parola non utilizzata da tanto e trascinata fuori a fatica. Teneva già dei piatti in mano, si accorse Endeavor «Vi aiutiamo a mettere in ordine, così facciamo prima».

Non aspettò una replica, si limitò a tornare indietro, dove Tenko lo aspettava con altre stoviglie da passargli.

Un pizzico sul fianco lo ridestò «Hai visto? Si è rotto il ghiaccio!».

L’eroe di fuoco era ancora sconvolto, un barlume di lucidità lo indusse a domandare ancora «Sul serio, si può sapere cosa hai raccontato?».

Keigo chiuse gli occhi, l’espressione sapputa, poi ne riaprì solo uno e sollevò il braccio, in un modo fin troppo familiare per il Number One, che però non ebbe la forza di opporsi o reagire.

«Ho solo» iniziò il giovane, la mano aperta verso la sua meta prediletta «raccontato qualche storiella divertente».

La pacca sulla natica, in mezzo a tutto quel caos nato e risolto sotto il suo sguardo senza davvero rendersene conto, fu quasi confortante. E, internamente, sentì persino di dovergliela concedere.

 

 

Ho pensato a mille stupidaggini da dire ma mi sembrava tutto così fhkshfs considerando la famiglia Todoroki, quindi... ecco questo :D
Che sghif :D

 

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Capitolo 20
*** #20. Ugly sweater contest – “Ugh, that is horrible! You win!” ***


Bonsoir, ormai siamo agli sgoccioli! Io stessa lo sono, che ho alle spalle meno di quattro ore di sonno e sto crollando XD oltre al fatto che non ho chiaramente più l'età per cimentarmi in imprese del genere, sono al punto in cui lotto tra il cancello tutto così non devo più aggiornare quotidianamente e il non posso saltare nemmeno un giorno perché mi darebbe troppo fastidio LOL mi picchierò quanto prima. Eeee niente, boh? Qui la carne cuoce, il tempo stringe e al cenone non ci si può arrivare a mani vuote *wink wink*
Sto davvero battendo la fiacca e sono le ultime tirate, speriamo di non cadere male nei prossimi giorni kshfkshf
Grazie per la lettura, a domani 
💚❤️ 


 

 

-20:  Ugly sweater contest – “Ugh, that is horrible! You win!”

 

Era già la seconda occasione, nell’arco di due giorni, in cui Touya riprometteva a se stesso avrebbe terminato l’anno con a carico l’omicidio del pappagallo da compagnia di suo padre. La stessa idea si era presentata invitante in Tenko, poteva vederlo nel suo sguardo basso per la vergogna, le labbra strette per il disagio misto a voglia di dar sfoggio a tutto il suo arsenale di parolacce mai davvero sfruttate appieno; la faccia così rossa da fare quasi da compensazione per le sue ciocche sbiancate.

A condire il tutto c’era la risata incontrollata di Hawks, l’espressione sconvolta del genitore e Fuyumi e Natsuo che non sapevano bene cosa dire – anche se pure loro avevano l’espressione contorta nella stessa trattenuta a malapena ilarità, il tradimento era pressoché dietro l’angolo.

Maledetti loro e maledetto lui stesso per essersi fatto convincere a partecipare a una cosa del genere.

La tragedia aveva posto radici nella sua giornata fin dalla sera prima quando, ancora a casa di Enji – con sua immensa sorpresa dovette ammettere, specie perché si era persino divertito – il momento dei saluti era stato interrotto dalla telefonata della sorella, la quale aveva così scoperto essere solita chiamare il padre ogni giorno a quell’ora per parlare un po’ e darsi la buonanotte: saputo della presenza di Touya, Fuyumi non ci aveva messo mezzo secondo a estendergli un invito, ossia ritrovarsi sempre lì, com’erano già accordati lei e il Number One, anche il giorno dopo per l’organizzata gara di maglioni natalizi brutti.

Altra cosa che Touya aveva scoperto in quell’istante, un’abitudine presa da quando la famiglia si era separata. Stupefacente fu sapere pure Natsuo vi partecipasse, gli era difatti sembrato meno restio a relazionarsi al padre, sempre con un certo impacciato ma senza alcun sentimento particolarmente negativo alle spalle.

Aveva guardato Tenko, lì sulla porta pronti ad andarsene, e il ragazzo pareva più indeciso di lui sul da farsi, forse non molto convinto di voler partecipare a una deliberata esibizione umiliante, però doveva aver fatto trasparire, Touya, un po’ di quella curiosità mischiata a desiderio di conoscere una parte della vita della sua famiglia dalla quale si era tirato fuori di sua spontanea volontà. Era una tentazione e Tenko, ne era sicuro, aveva acconsentito soltanto per lui.

Il problema si era posto l’indomani mattina stesso poiché nessuno dei due possedeva un maglione brutto ma erano in compenso dotati di un fortissimo spirito di competizione, di conseguenza si rifiutavano di perdere in una gara così apparentemente facile – di maglioni brutti ne esistevano tanti, d’altronde. Perciò aveva imboccato la via dello shopping con fin troppa convinzione di avere la vittoria in tasca, sbattendo con una realtà piuttosto diversa e scoraggiante: i maglioni davvero brutti parevano spariti dal mercato, e sì che mancavano ormai pochi giorni a Natale ma non avrebbero mai immaginato una simile ondata di sadismo o cattivo gusto tutta di colpo.

Non si erano comunque dati per vinti, girato in lungo e in largo ogni angolo della città, qualsiasi negozio, fino a quando non trovarono l’unica possibile alternativa. Si erano guardati negli occhi, entrambi poi puntati sul capo del peccato, infine si erano diretti alla cassa e avevano diviso l’indecente cifra. Persino il sacchetto era stato tenuto da tutti e due, un manico ciascuno, almeno fin quando non si erano accorti dello sguardo stranito dei passanti e si erano affrettati a tornare a casa, forse temendo avessero scorto il contenuto dall’alto.

Adesso, dunque, si ritrovavano per la seconda volta a casa di Enji, con indosso il maglione in questione.

Entrambi, contemporaneamente, perché era uno di quei maglioni di proposito enormi, affinché ci si riuscisse a entrare in due. Touya e Tenko non ci avevano riflettuto molto, era stata davvero l’unica alternativa valida e di conseguenza non avevano esitato nell’acquisto, tuttavia non si erano accorti di come la grande pesca al centro del maglione, decorata con un cappellino natalizio che lampeggiava, pareva aprirsi ed emettere suoni al minimo movimento.

Se ne erano accorti dopo averlo indossato, avanzando verso il centro del salotto.

Keigo aggravava indicibilmente lo stato d’animo dei due ragazzi, piombati nell’imbarazzo più totale, come se non bastasse persino Fuyumi era scoppiata dopo aver lottato tanto contro le risate; l’unico a resistere pareva Natsuo, nonostante gli spasmi alle spalle fossero talmente forti da far sospettare l’esserci un terremoto in corso.

«Anche tu…» sibilò Touya in un ringhio basso in direzione del fratello.

Natsuo rispose a fatica, senza fiato già così «È… è il suono che fa…».

«È vero?» si intromise Takami, la voce fin troppo alta per i suoi gusti «Non è stupendo? Non avrei saputo fare di meglio!».

Touya dovette ammettere con frustrazione, stavolta, avesse ragione: il maglione dell’eroe alato richiamava un tacchino entusiasta di finire in forno – il primogenito dei Todoroki sospettò se lo fosse cucito da solo per il puro gusto di sfidarlo –, che peraltro svettava sul maglione di Endeavor, chiaro gemello di quello del suo compagno: un enorme, aperto forno con due occhietti tutt’altro che allineati e che ammiccavano con entusiasmo, invogliando a entrare.

Faceva schifo, indubbiamente, specie perché era sicuro vi fosse un sotto testo sessuale di cui non voleva approfondimenti, il loro maglione però parlava o emetteva dei rantoli dall’inferno, era così terrificante e stridulo da non riuscire a capire nemmeno se stesse dicendo davvero qualcosa o fossero solo i versi straziati di qualche animale.

Natsuo aveva un maglione normalissimo, marrone e a pois più scuri, a suo dire doveva rappresentare un biscotto – anche lì Hawks aveva riso ma Enji gli aveva dato una sberla e si era dato un contegno.

Touya avrebbe giurato di aver visto il padre arrossire ma era sparito talmente in fretta in sala da non aver avuto modo di accertarsene. D’altro canto era stato distratto da Fuyumi e la sua richiesta di attenzioni per il proprio maglione, con una renna sullo stomaco e su due zampe mentre due palline rosse svettavano in alto, sul petto.

Erano brutti ma almeno non parlavano.

Le dita fredde di Tenko lo fecero trasalire; se ne era quasi dimenticato ma erano in effetti appiccicati, entrambi coperti, al di sotto del maglione, da una maglia leggera di cotone.

Picchiettava con le nocche contro le sue e fu sufficiente affinché Touya realizzasse quanto sottile fosse stavolta lo strato di tessuto che separava la pelle dell’uno da quella dell’altro, tanto che si ritrovò ad avvicinarsi di più, non troppo inconsciamente, per impattare del tutto contro di lui e sentirne il calore filtrato a malapena dalla maglia ma abbastanza da mandargli il cervello in tilt.

Stavolta Tenko afferrò un suo dito, strattonandolo per bene e così lo guardò, intento a mordersi il labbro, le guance rosse come mele succose e pronte a essere assaporate – il formicolio che sentì allo stomaco al pensiero di mordere il viso del ragazzo al suo fianco gli suggerì non fosse un segnale di appetito; di sicuro lo stomaco pareva vuoto, ogni cosa soverchiata da quella consapevolezza eccessiva, per altro di una vicinanza neanche così inusuale ma, per qualche motivo, forse per l’espressione di Shimura, c’era qualcosa di molto più intimo e condiviso.

Oltre all’orribile maglione, ovviamente.

Senza pensarci, protetti alla vista degli altri dal maglione, afferrò la mano di Tenko con delicatezza. Non intrecciò le dita, si limitò ad afferrarne il polso, risalendo lungo il dorso con i polpastrelli dal tocco leggero e amò sentirlo rabbrividire – si chiese se non avesse la pelle d’oca, là sotto, tra loro, detestò non saperlo ma si concesse di indugiare lì dove era possibile percepire chiaro e forte il battito del cuore impazzito di Tenko, così concentrato a martoriare il labbro inferiore tra i denti e a guardarlo di sottecchi con un interrogativo nelle iridi scarlatte.

Touya ringraziò di avere la lucidità sufficiente da rendersi conto di trovarsi in mezzo alla stanza, sotto l’attenzione della sua famiglia e dell’essere umano più insopportabile del pianeta, perché quando scese di nuovo verso il palmo del più giovane e lo avvertì sudato pensò a ben altro contesto, con un’intensità tale da sconvolgere persino se stesso.

Provò a muoversi, per fare cosa non gli era chiaro, quando la pesca natalizia strillò di nuovo, facendo calare il silenzio tra tutti i presenti.

Keigo, Fuyumi e Natsuo ripresero definitivamente a ridere senza controllo, Enji invece aveva una mano sul volto e Touya non si sarebbe stupito di scoprire fosse un tentativo per non rivelare il suo stesso divertimento.

«Touya?» pigolò Tenko al suo fianco, impercettibile, ma così vicino al suo orecchio da sentirlo eccome «Che stai facendo?».

Cosa sto facendo? si ripeté quello tra sé, gli occhi socchiusi che, dall’osservare quelli del più giovane, scivolarono verso le labbra ora libere dallo sfogo nervoso.

Sentì Tenko richiamarlo con più fervore, quasi allarmato; non capì perché fin quando non si ritrovò con la spalla del tutto premuta contro la sua.

Si era sporto senza accorgersene.

Corrugò la fronte, distanziandosi tanto da lasciare un po’ di vuoto tra loro, per ignorare i propri pensieri e, soprattutto, lo sguardo indecifrabile di Shimura – o forse chiaro fin troppo ma non di una chiarezza che avrebbe potuto comprendere in quel momento, per qualche ragione d’un tratto esitante su quelle che, sebbene sempre camuffate nello scherzo, aveva siglato come certezze.

Ora, invece, pareva non averne più poi così tante.

«Bene» esordì Hawks l’istante dopo, battendo le mani tra loro «Direi che abbiamo la nostra coppia di vincitori! A voi andrà la fetta di tiramisù più buona».

Natsuo lo fissò perplesso «Come fai a sapere quale sia la più buona?».

L’eroe alato ci pensò, sollevando gli occhi in alto come se cercasse nel soffitto la risposta, dopodiché torno a rivolgersi al ragazzo e, sorridendo, disse «Non ne ho idea! Ma direi che possiamo andare di là e scoprirlo» infine si girò verso i due sotto il medesimo indumento «Voi potete venire anche così, non c’è bisogno vi togliate l’arma della vittoria».

Quelli non dissero nulla, si guardarono pochi secondi, giusto per vedere quale fosse l’opinione dell’altro in proposito; nessuno dei due aveva voglia o intenzione di andare a cambiarsi, dunque si mossero semplicemente all’unisono nella stessa direzione degli altri.

A Touya non piacque il silenzio e la tensione che aveva fatto sì calasse con la sua iniziativa. Pensò a cosa dire per stemperare, a dare sfoggio a tutto il proprio sarcasmo, ma la verità era che si era ritrovato impantanato nelle sue stesse paranoie emerse e non sapeva come uscirne.

Sussultò vistosamente – per fortuna erano tutti davanti a loro, dunque nessuno se ne accorse – quando la mano di Tenko riafferrò la sua con forza, parve quasi intenzionato a piantarlo lì, indietro, tuttavia l’intenzione della presa non si rivelò di trattenimento bensì, comprese dall’espressione sul suo viso, era il modo di Shimura per chiedergli se fosse tutto a posto.

Touya lo guardò, accennò un ghigno e disse «Ti aggrappi a me perché hai paura di inciampare di nuovo in uno dei tappeti del pennuto?».

Il giovane eroe tirò indietro il collo, strabuzzando gli occhi «Scusami? Non sono io quello che è scivolato all’ingresso perché-».

Meglio pensò tra sé il più grande, sollevato da quella reazione Molto meglio.

Tutto il resto, dalla denominazione ormai piuttosto chiara e specifica, decise di accantonarlo.

Per quanto, doveva ancora capirlo.





 

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Capitolo 21
*** #21. Kissing under a mistletoe – “You know what that means, right?” ***


Bonsoir, non giriamoci intorno:
:D 
🍋
Gli assenti torneranno domani! 
Grazie del passaggio, buona lettura 
💚❤️ 


 

 

-21:  Kissing under a mistletoe – “You know what that means, right?”

 

La situazione poteva dirsi non del tutto disastrata, questo era stato l’illusorio pensiero di Touya quando alla porta si era presentato un presunto salvatore: Shouto, insieme a quello che Tenko gli aveva suggerito ancora una volta essere il suo fidanzato. Stavolta non ebbe da ridire o sospettare nemmeno lui, visto il modo in cui stavano davvero appiccicati, soprattutto non facevano nulla per dissimulare o non darlo a vedere – Fuyumi aveva afferrato per le mani quello ricordava chiamarsi Kaminari, gli occhi chiusi dal sorriso gioioso e la voce alta per esprimere chissà che congratulazioni, alquanto ammiccanti per di più.

Non del tutto disastrata perché l’attenzione si era concentrata, per l’appunto, sui due nuovi arrivati; persino Natsuo aveva dato una strana ma gioviale stretta di mano al compagno del fratello, del quale pareva ricordarsi da quell’unica volta che si erano visti, a casa della madre in occasione della foto. Non gli era parso si fossero parlati in quell’occasione ma era probabile fosse successo mentre rifiutava qualsiasi tipo di interazione col padre, chiuso in camera con Tenko, che aveva definito per la prima volta e con un’accezione quasi possessiva la casa in cui vivevano loro, l’unica in cui dover far ritorno davvero.

Fu proprio quest’ultimo a richiamarlo, imbambolato com’era rimasto a osservare distrattamente gli altri presenti «Hai visto?».

Touya inarcò un sopracciglio, dapprima confuso, poi capì dall’espressione tronfia dell’altro e sollevò gli occhi al cielo con ostentata teatralità «Sì, ho visto».

«E?».

«E avevi ragione» concesse in uno sbuffo esasperato, tuttavia lo sguardo non poté che ricadere ancora una volta sul minore dei Todoroki, il viso così in apparenza statico ravvivato invece da un sorriso morbido e caloroso che mai ricordava avesse rivolto a nessuno, perlomeno non come adesso stava facendo in direzione dell’altro.

Vide con la coda dell’occhio, più in basso e tra loro, le mani muoversi veloci e le dita intrecciarsi seppure in una posizione un po’ scomoda, palmo contro palmo.

Si domandò se Tenko, lì davanti a tutti, avrebbe accettato la propria allo stesso modo.

«Che guardate?».

Per poco non toccò il soffitto tanto fu lo spavento, si portò una mano al petto per assicurarsi di avere ancora un cuore funzionante mentre l’altra era aggrappata alla spalla di Shimura, la manica stritolata sotto la presa ferrea.

Chiuse gli occhi, il respiro affannato, poi si girò con lentezza «Neanche i dodo hanno avuto tutto questo desiderio di estinzione come te, Takami».

L’eroe alato sfarfallò le ciglia con innocenza, le braccia dietro la schiena e un sorriso perplesso «Volevo solo sapere cosa steste guardando così interessati…» disse dunque, sporgendosi oltre il corpo del quasi assassinato giovane davanti a lui, le iridi dorate catturarono così l’immagine di Shouto e Kaminari che parlavano tra loro, le facce serene e contente mentre si raccontavano chissà cosa; una o deformò la bocca di Keigo, il quale tornò dritto per fissare il primogenito dei Todoroki con uno sguardo alquanto eloquente «Ah, ho capito».

Tenko fece a sua volta per parlare, probabilmente per domandare cosa avesse capito di preciso, non gli era sfuggita l’occhiata quasi complice con Touya d’altronde, tuttavia fu interrotto dal Number Two stesso «Shimura-kun, ti dispiace venire a darmi una mano?».

Il ragazzo si sorprese della richiesta, cercò di nuovo un contatto visivo con l’altro ma per qualche ragione gli fu negato; se Touya si fosse girato a guardarlo avrebbe colto la sfumatura smarrita e delusa, silenziosa e rapida, soffermatasi sul suo volto. Riuscì solo a sentirlo rispondere affermativamente e Hawks ringraziarlo, poi il loro ciabattare che andava allontanandosi: solo allora si girò, i due già spariti in chissà quale stanza.

Qualcuno picchiettò contro la sua spalla, per fortuna stavolta sempre lo stesso suono di passi aveva anticipato la presenza in avvicinamento.

«Touya-nii» lo chiamò Natsuo «Fuyumi mi ha chiesto di dirti che ti aspetta in cucina per aiutarla con la cena».

Il maggiore sospirò, gettò un’altra occhiata dietro sé, infine annuì e si diresse dalla sorella.

L’altro lo fermò «Tutto ok?».

Touya rimase immobile sul posto, esitante; aprì la bocca, liberò un respiro, lo trattenne. A quel punto decise di voltarsi, in apparenza impassibile «C’è qualcuno che ti piace, Natsuo?».

L’interrogativo notò averlo imbarazzato, a giudicare dal lieve rossore comparso in fretta sulle guance piene e per un attimo pensò di rimangiarsi tutto e dire di star scherzando, perché quella domanda implicava una potenziale ritorsione che in quel momento non aveva voglia di accogliere.

Natsuo fu sincero e discreto, invece, quando rispose piano «Sì».

Pensò a cosa rispondere, da un lato la voglia di dire Anche per me, dall’altra il pentimento di aver dato spiraglio a quel tarlo.

Si limitò a sorridergli appena, allungando il braccio per scompigliargli i capelli – rise quando si accorse di doverlo sollevare, essendo il fratello più alto di lui; quello accolse il gesto affettuoso, era sempre stato ben disposto e aperto nei confronti di Touya, accettava qualsiasi cosa dal fratello maggiore, adorante. Per questo sapeva di averlo ferito non poco con il suo distacco, ignorando le chiamate e gli inviti, rispondendo solo di tanto in tanto ai messaggi.

«Scusami» disse perciò, di cuore, la mano si fermò ma rimase nella sua posizione, anche quando ottenne uno sguardo dubbioso in risposta «Vieni anche tu di là? Ti insegno qualcosa da presentare a questa persona».

Da come l’altro reagì ebbe la sensazione fosse prossimo ad abbracciarlo, nonostante ciò si contenne e concentrò il piacere della proposta nell’espressione entusiasta «La tua cioccolata calda?».

Touya sbuffò con divertimento «Anche quella».

In effetti, ricordò, era il suo piatto forte.

 

Hawks lo raggiunse dopo diversi minuti, di Tenko nemmeno l’ombra.

Touya lo fissò storto, tra la perplessità su dove potesse aver mollato il suo coinquilino e la minaccia qualora avesse combinato qualche sciocchezza delle sue, conscio quanto Tenko sapesse essere mordace nei suoi confronti ma impacciato e a disagio con gli sconosciuti.

Non che Takami lo fosse particolarmente, avevano avuto altre occasioni di incontrarsi oltre che nell’ultimo anno, tuttavia sapeva quanto Shimura non fosse sereno in ambienti non suoi e lontano da lui avrebbe potuto ritrovarsi più ansioso e in difficoltà.

La contentezza mista a soddisfazione evidente sul volto dell’eroe alato fu una mina pestata con piene intenzioni, per Touya; desiderava sollevare il piede ed esplodere ma premeva di più la risposta. Del perché di quella faccia avrebbe potuto chiedere in un secondo momento, sempre se lo fosse ricordato poi – di sicuro non gli sarebbe passato di mente se davvero avesse avuto a che fare con l’altro.

Sentendo la preoccupazione crescere, fece per chiedere «Dov’è Tenko?» tuttavia fu interrotto da un gesto brusco e veloce del Number Two, fin troppo rapido perché potesse evitarlo: vide le braccia dell’eroe alato sollevarsi, qualcosa stretto fra esse e poi piombare sulla sua testa.

Dalla sensazione capì trattarsi di un cerchietto.

«Ma che cazzo…?».

«Shimura-kun» lo sovrastò Keigo con voce particolarmente alta, a sufficienza da destare nuovamente la voglia di ucciderlo nell’altro ma arrivò prima il nome del ragazzo e ne catturò del tutto l’attenzione – dal modo in cui si tese, pensò Hawks tra sé con divertimento, non si sarebbe stupito di vedere delle orecchie canine sbucare al posto di quelle umane, in ascolto «è in camera tua. Potresti chiamarlo? Fra poco è ora di cena».

Touya lo fissò con sospetto «Perché non è sceso con te?».

Sollevò la mano per togliersi qualsiasi diavoleria gli avesse piantato sui capelli, rimase sorpreso quando Takami lo trattenne «Non togliertelo, non ti guardare neanche allo specchio».

«Che diamine mi hai-».

«Pensi seriamente farei qualcosa per rovinare la giornata a te e dunque a tuo padre?».

La domanda, con quanto inteso, lo spiazzò. Si ritrovò però a rilassare le spalle, sicuro che no, seppure Hawks non aveva mai esitato nel prenderlo in giro o tormentarlo alla minima occasione era altrettanto sicuro non avrebbe mai fatto nulla di troppo grave a suo danno e che avrebbe comportato il rischio di andarsene.

Non mancò comunque di guardarlo male quando, già superati i primi scalini per salire in stanza, lo sentì dire con tono troppo giulivo e stupido per i suoi gusti «Non vi aspettiamo! Anzi, se vi attardate mangerò la tua parte».

Alzò un dito medio al suo indirizzo, continuò a salire senza altro dire.

Tacchino di merda.

 

Lo sorprese trovare la porta della camera chiusa, non gli venne però istintivo bussare, tra l’incuriosito e il turbato.

«Tenko?» chiamò con cautela, aprendo lentamente e sbirciando con attenzione verso l’interno della camera.

Non poteva vedersi, vero, ma era certo di aver aperto la bocca senza rendersene conto, preso in contropiede dall’immagine che gli si presentava dinanzi – a giudicare dall’espressione dell’altro, gemella alla sua, ricollegò entrambe le reazioni al modo di fare più bizzarro che mai di Hawks e non seppe se iniziare a maledirlo mentalmente, scendere a picchiarlo di persona o andare a fondo alla questione per capire.

Sulla testa di Tenko vi era un cerchietto rosso, evidente sulla chioma corvina, alla cui sommità era attaccato un bastoncino.

Attaccato a esso, sporto in avanti abbastanza da penzolare giusto un po’ oltre la fronte, del vischio.

Touya sollevò la mano, la consapevolezza già certa dentro di sé e ciononostante volle comunque accertarsene: borbottò a bassa voce un pennuto di merda, incredulo, quando riconobbe la stessa decorazione sopra la propria testa.

«Pennuto di merda» disse Tenko, e forse fu la cosa più sorprendente in quell’occasione, tanto che Touya pensò di esserselo sognato, frastornato dalla situazione.

Il volto di Shimura era dello stesso colore del cerchietto, notò. Non c’era ironia nell’imprecazione, gli occhi correvano da un lato all’altro della stanza e la mano si muoveva rapida e veloce sul braccio, le dita vi si arricciavano sopra con nervosismo.

Oh mio dio, pensò il più grande, facendo un passo in avanti, poi un altro ancora.

Tenko, che era scattato in piedi da che era seduto sul letto, indietreggiò fino a toccare di nuovo il materasso.

«Tenko».

Quello iniziò a farfugliare «Senti, non ne sapevo niente, mi ha detto di mettere questo-» e sollevò il braccio per sfilarlo, salvo poi ritirare la mano come scottata dal contatto con l’oggetto «Non sapevo, non avevo visto-».

Touya si era avvicinato ancora, un paio di passi e sarebbe stato lì, di fronte a lui.

C’era una parte di sé che avrebbe voluto farsi una bella corsa, scendere al piano di sotto e spennare quanto mai seriamente il maledetto padrone di casa che aveva architettato quello stratagemma ridicolo per incastrarlo. Viveva, però, ed era tremendamente rumorosa, anche un’altra parte, emozionata ed esaltata nel petto di Touya, così assordante da non poter far altro che ascoltare i suoi suggerimenti.

Come l’altro, tuttavia verso Shimura, allungò la mano piano, andando a posarla sul volto febbricitante; offrì uno sguardo dispiaciuto e rassicurante insieme al ragazzo quando questo scattò col viso a fissarlo, spaventato come un animale braccato.

«Tenko» disse piano, il tocco trasformato in carezza e ringraziò qualsiasi divinità esistente quando lo sentì davvero rilassarsi contro di sé, sebbene l’agitazione fosse ancora presente – ed era la stessa nel suo cuore, stomaco, nelle orecchie otturate per la pressione al solo vedere quanto lucidi fossero gli occhi di chi aveva di fronte. Si mosse ancora ed era lì, davanti a lui, a un respiro.

Uno dei cerchietti, si accorse, aveva anche un campanellino perché tintinnò quando inclinò un poco il viso.

«Tenko» lo chiamò ancora, con più dolcezza di quanto avrebbe mai creduto poter avere, perché voleva lo guardasse dritto negli occhi; tinse appena di sarcasmo il proprio tono, giusto per alleggerire l’atmosfera, renderla più loro «Sai quanto siamo sfortunati».

Shimura non parve gradire la piega presa, probabilmente la associò al contesto nel modo più sbagliato possibile perché provò ad allontanarsi «Ti sembra il momento per dirlo?».

Touya gli prese la mano con l’altra libera e poggiò la fronte sulla sua.

«Direi proprio di sì» soffiò, perché era davvero vicino e temeva un tono normale lo avrebbe spaventato ancor di più «So che porta male».

Il più giovane scosse la testa, l’esasperazione evidente nell’urgenza con cui chiese «Che cosa?».

«Non baciarsi sotto il vischio».

Stavolta lo guardò. Oh, eccome se lo guardò.

«Non scherzare su una cosa del genere».

La voce aveva avuto un sussulto, ogni parola detta contro le labbra dell’altro, quasi a contatto.

«Non ho mai scherzato su questo» rispose Touya, come in trance, tuttavia mantenne serio e deciso il registro vocale scelto «Non con te».

Shimura lo guardò, le pupille dilatate, agitate all’interno dell’iride scarlatta.

Touya non interruppe il contatto visivo, semmai rimase lì, immobile, per cercare un rifiuto definitivo e onesto sul quale, se trovato, non si sarebbe mai imposto.

Fu indescrivibile il sollievo che provò quando non ne vide neppure l’ombra, semmai Tenko lasciò le palpebre calare, la fiducia trasmessa nella mano posata sulla sua, l’altra che andava a stringersi sul bordo del maglione e la sentì tirare, quasi, quando non esitò oltre e colmò quel centimetro ridicolo eppure di troppo che sembrava così insormontabile.

Lo inghiottì, come divorò il mugolio sorpreso che Tenko lasciò andare quando sentì la lingua di Touya carezzargli il labbro inferiore per provare a osare di più, spostando in fretta le mani dalla loro posizione per andare a stringerle sui capelli rossi e bianchi, tirando come se l’intenzione fosse quella di allontanarlo e, allo stesso tempo, spingendo per assecondare la pressione dell’altro su di sé.

Touya odiò il tintinnio del campanello sopra le loro teste e avrebbe voluto strappare via da lì quei maledetti cerchietti, c’era però anche un senso di gratitudine a fatica ammessa, sommessa da schiocchi e suoni umidi che faticava ad associare a qualcuno di preciso, amalgamati tra loro in un unico sconclusionato bacio. C’era la forza delle dita ancorata con ansia, mai andata via, come se l’altro potesse allontanarsi o ritrarsi, pentirsene, e il respiro sempre più corto che impediva di ragionare e sentire altro non fossero i loro stessi ansimi.

«Tu…» annaspò Tenko in un raro istante di separazione «Sono sempre stato…» provò a dire, interrotto di continuo dalla foga del ragazzo «…di te».

Touya capì, anche se aveva divorato la parte più importante, perché era sua, e la mandò giù come deglutì tutto il resto e «Anch’io» rispose e basta, riprendendo come prima perché l’incredulità nello sguardo di Tenko gli fece venir voglia di stringerlo per tutte le ore a venire, per fargli capire quanto stupido fosse stato a credere anche solo per un attimo ci fosse la possibilità di un rifiuto.

Anche se aveva avuto lo stesso timore fino a poco prima.
 

Distante, mentre scivolavano sul letto dietro di loro, la voce cantilenante di Hawks che prometteva di non lasciargli nulla da mangiare.

 

 







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Capitolo 22
*** #22. Sitting by the heater to warm up – “My feet are so cold, I hate winter.” ***


Bonsoir, innanzitutto non poteva capitarmi tipologia di prompt più lontana dal mio essere, w l'inverno e il freddo glaciale. Mi sono anche accorta di essere andata molto sui Todoroki e poco sui bakudeku in corso d'opera, in mia difesa l'anno scorso ho dato abbondantemente e quest'anno ho inserito pairing che mi tentano troppo ogni giorno ed ecco perché loro, come gli endhawks alla fine, li ho solo menzionati qua e là XD mi piacerebbe riuscire a fare qualcosa di più grazioso nel corso del 2022, tutto per loro; ormai lascio andar così! È il bello e il brutto del giorno per giorno, se non assecondo ciò che mi viene più facile aggiorno alle 23.55 per pietà misericordiosa! Ho pure notato che è proprio il mood della raccolta a essere cambiato andando avanti, molto diverso da come lo avevo immaginato, i capitoli sono sì autoconclusivi ma mi sembra mooolto più... uniforme??? NON SO, però sì insomma... that's it :D Avevo detto una cosa e ne è venuta fuori un'altra, devo dire pure però che l'anno scorso i prompt mi sembravano molto più diversi, qui invece ogni 3x2 c'è questo o quello che muore di freddo e/o si vuole scaldare .____. mi sto stancando pure io a scrivere sempre dello stesso tema fskhsh. Quindi- insomma, sì. Uno spaccato per chiudere del tutto il cerchio di questo capitolo aperto ieri e concluso, in termini di definizione, oggi! Nel prossimo però giuro tornano Katsuki e Izuku e i todokami. Nel senso, è vero, mi servono proprio. 
Grazie del passaggio, buona lettura e a domani, ormai sono le ultime battute! 
💚❤️ 


 

 

-22:  Sitting by the heather to warm up – “My feet are so cold, I hate winter.”

 

Tenko fissò astioso il calendario, lo scorrere dei giorni troppo lento.

«Odio l’inverno» borbottò sentitamente, le mani incassate sotto le ascelle; era in piedi davanti alla stufa, nel tentativo di far scaldare le gambe, rigide come blocchi di ghiaccio.

Fulminò Touya con lo sguardo quando lo sentì ridacchiare, la voce canzonatoria «È appena iniziato, temo ti toccherà resistere come si deve».

Il più giovane si voltò di nuovo dall’altra parte, preferì guardare il muro anziché lasciarsi sbeffeggiare così spudoratamente dal suo…

Da quello. Che di certo non aveva capito quanto seria fosse la sua ostilità verso la temperatura bassa ai limiti del crudele, tanto da vedere nuvolette di condensa davanti a sé a ogni respiro, complice anche la forte nevicata degli ultimi giorni che non voleva saperne di stemperare o calmarsi neppure un po’.

Ancora, l’altro lo chiamò con tono più alto, seduto sul divano col braccio sulla spalliera «Se vieni qui ti scaldo personalmente».

Le orecchie di Tenko arsero come erba secca stuzzicata da un semplice, innocuo fiammifero acceso, rabbrividendo come se lo avessero spinto, per contro, dentro una cella frigorifera.

«Ti ho già detto di non fare lo spiritoso su certe cose» mugugnò, tra l’imbarazzato e l’offeso, perché non gli era ancora chiaro quanto poter prendere sul serio il coinquilino e quanto invece dovesse continuare a mantenersi a distanza di sicurezza.

Distanza che la voce stavolta quasi rammaricata di Touya contribuì ad accorciare, colpa del tono da cucciolo bastonato «Dicevo davvero, sai che posso aiutarti in questo» disse perciò, salvo poi ripensarci «Anche se poco, siccome non è molto sicuro… Forse è meglio ti prenda un’altra coperta».

Fece per alzarsi, intenzionato ad andare in camera per raccattare il proprio piumone, quando Tenko lo anticipò nel piombargli addosso a peso morto, tanto da affondare il gomito nel suo stomaco; uggiolò di dolore, il fiato mozzato per il colpo a tradimento, tuttavia non poté fare a meno di spalancare gli occhi nel rendersi conto come l’altro gli si fosse raggomitolato contro, il viso appoggiato al suo petto e le mani incastrate tra loro per scaldarle al meglio.

«Che stai-».

«Hai paura, che le mie mani siano così vicine a te?».

La domanda spiazzò Todoroki, il quale si accorse di come le dita dell’altro, tutte e dieci, stessero carezzandogli il fianco; guardava avanti, dove la tv era accesa su un anime di cui non aveva visto mai una puntata perché non era riuscito a convincerlo a guardarlo insieme, Touya, eppure adesso pareva così interessato.

Socchiuse gli occhi, portando la propria mano - quella dapprima posata sulla spalliera, il cui braccio circondava il più piccolo – sul viso di Tenko, lì dove le ciocche corvine coprivano le orecchie e le tirò appena, giusto per scoprire la pelle arrossata e rovente sotto i polpastrelli, persino per lui già di per sé alquanto caldo: in risposta, quello gli si strinse di più contro.

«No» replicò, sincero, le falangi immerse nei capelli morbidi; aveva capito il perché della domanda, cosa sottintendesse.

Hai paura del mio potere instabile?

Lo era anche il suo, d’altronde. Uno dei motivi per cui Touya se lo era preso tanto a cuore, anni addietro, quel ragazzino a cui non era rimasto nessuno se non se stesso. Lo aveva scelto, Tenko spesso lo riprendeva su questo, come se fosse un cane portato via dal canile, eppure non aveva mai pensato di essere stato il salvatore nelle loro vite, bensì il salvato. Ogni giorno, per qualche motivo, non poteva far a meno di pensare a quanto la sua esistenza stesse prendendo pieghe piano piano più distese, uniformi, meno difficili da dispiegare, perché c’era l’altro con sé a incitarlo a fare un passo indietro.

Anche l’altra mano raggiunse il volto del ragazzo, ne afferrò il mento tra dito e pollice e lo sollevò per guardarlo negli occhi.

«Ti serve qualcosa?» ironizzò Shimura, sebbene non trasparisse davvero ironia nelle sue parole calme e sussurrate.

L’angolo della bocca di Touya si sollevò appena verso l’alto, poi si chinò e lo baciò, sorridendo in maniera più sentita quando percepì la presa sulla sua maglietta farsi forte al punto da tirare e stropicciarla, non era però un gesto da interpretare come richiesta a fermarsi perché fu Tenko stesso a inclinare il collo e schiudere le labbra per dargli maggiore possibilità di azione.

«Ci hai già preso gusto?».

Quello gli morse il labbro per ripicca e lo uccise «Fin troppo».

«Non dirlo come se ti avessero appena estratto un dente del giudizio».

Tenko si allontanò ma il giusto per nascondere il volto nell’incavo del suo collo, godendo internamente del brivido scatenato all’altro poiché aveva il naso talmente freddo che, quando lo toccò nel posizionarsi, non poté rimanerne indifferente – forse anche perché non si aspettava il contatto, che si ripeté quando Touya si allungò appena per recuperare il plaid alle sue spalle, lasciato sul divano per le pennichelle pomeridiane, e coprirlo al meglio.

Non era la prima volta che si ritrovavano così, lo pensarono entrambi, rimasti in silenzio a seguire il resto dell’episodio e commentandolo di tanto in tanto persino, specie perché Tenko non aveva chiaro cosa stesse succedendo e pertanto faceva domande e osservazioni molto più spesso.

Touya adorò ogni secondo di quel momento, gli esplose qualcosa nel petto quando l’altro gli chiese se potessero continuare a guardare quella stessa serie, di cui era prevista una maratona per la giornata, perché tutto quell’interesse, la curiosità, la voglia di parlarne, era solo per prolungare il momento. Seppure non servissero scuse, per quanto lo riguardava Tenko avrebbe potuto anche addormentarsi mentre imprecava ancora contro il freddo, di cui pareva allo stesso tempo dimentico, complice la temperatura che Touya stava mantenendo affinché si scaldasse persino dove non riusciva a toccarlo personalmente; averlo lì, in quell’abbraccio da loro eppure diverso, con quel di più raggiunto per uno scherzo e che aveva cambiato davvero poco al loro rapporto – che si baciassero, per dirne una – , era quanto di più bello e prezioso potesse avere e in cui avrebbe mai potuto sperare.

Strofinando la faccia contro il suo petto, Tenko mormorò «Sei davvero meglio di una stufa».

Tu sei meglio di qualsiasi cosa.

«Touya».

«Mh?».

«Mi andrebbe della cioccolata».

Todoroki parlò con divertimento «Sei sicuro vuoi mi alzi? Fa ancora freddo».

Di nuovo, pensò di morire quando quello sollevò la testa il giusto per guardarlo dabbasso, le iridi illuminate dalla richiesta – più pretesa, in realtà, ma non gli pesò. Difatti si alzò subito dopo, aiutandolo a infagottarsi al meglio nel plaid, poi andò a recuperare la stufetta per posizionarla lì davanti intanto che stava di là, dall’altra parte della grande sala.

Quando tornò, in mano le fumanti tazze con la bevanda, entrambi ebbero una sensazione di già vissuto; non lo condivisero tra loro ma erano certi fosse anche l’altro avesse riportato a galla il medesimo ricordo.

Touya si rimise a posto, stavolta però Shimura sollevò la coperta e la estese all’altro, grande abbastanza da coprirgli in parte le gambe e il gesto lo intenerì fin troppo – non ne aveva bisogno, le uniche volte in cui aveva sofferto il freddo erano quelle legate a uno stato di salute non proprio ottimale, tuttavia fu tenerezza tutto ciò che riuscì a provare a quel gesto così semplice eppure affettuoso, una premura con sottintesa voglia di avvicinarsi ancora.

Per un attimo, mentre l’altro aveva iniziato a fargli il riepilogo di quanto perso durante l’episodio, Touya pensò a quanto fortunato fosse stato a innamorarsi proprio di Tenko.

Quando questo lo chiamò, il più grande trasalì, per un attimo temette di aver parlato ad alta voce. Non che già non glielo avesse detto, la sera prima, in un modo sconclusionato e in risposta a una altrettanto confusa dichiarazione, però c’era comunque stato quel momento.

Diede un colpo di tosse per ricomporsi, dunque chiese «Che c’è?».

Lo vide giocherellare con la tazza, osservarne il liquido azzurrino, dato dalla menta, ballarvi all’interno grazie ai movimenti oscillatori, infine rispondergli con tono assorto ma con una nota quasi soddisfatta nella voce «Ieri ho visto che Natsuo aveva preparato della cioccolata calda» spiegò «Mi ha detto glielo hai insegnato tu».

Touya corrugò la fronte con perplessità e parlò con cautela, lento, fiutando il pericolo dietro l’angolo «E…?».

Stavolta lo sentì completamente, il modo in cui Tenko stava sorridendo, seppure continuasse a non guardarlo.

All’improvviso, memore della conversazione col fratello, intuì dove volesse andare a parare, cosa le parole a seguire sottintendessero.

«Mi ha anche detto che gli hai insegnato a farla per la persona che gli piace».

Per un intenso momento Touya desiderò poter cancellare quell’aneddoto rivelatore dalla memoria del suo ragazzo, perché implicava un’ammissione, nonostante già ammessa, ribadita con un tranello dall’apparenza fin troppo innocente.

Fu però la felicità con cui Tenko lo disse, capito lui stesso quanto tutto ciò successo negli anni, non solo negli ultimi giorni, fosse frutto di quanto coltivato tra loro da sempre, che gli impedì di vergognarsi davvero di essere stato scoperto così, tradito da un suo raro gesto di spirito fraterno.

Sfilò la tazza dalle mani del ragazzo, il quale sollevò il viso in direzione della stessa per istinto.

Touya baciò quel volto ricoperto stupidamente d’amore e a sua volta si lasciò inondare dall’altro per tanto di quel tempo da non riuscire a quantificarlo.

La stufa era stata spenta da un pezzo, non più necessaria; sul tavolo di fronte al divano due tazze di cioccolata calda lasciata a metà e che non sarebbero riusciti a finire prima si freddasse.






 

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Capitolo 23
*** #23. Watching Christmas movies – “We’re watching my favorite movie!” ***


Bonsoir, mmetto la mia sconfitta mentale XD Mancano gli ultimi due capitoli dopo questo, cercherò di scriverli presto per questioni di tempistiche! Quindi oggi è in teoria l'ultimo giorno in cui faccio così tardi- E niente, questi prompt mi stanno sfinendo AHAHAHAH
È brevino apposta, nel senso, non volevo parlare del film e non volevo dire ancora le stesse cose, se i film si vedessero in corsa magari ma bisogna star seduti ed è tutta la raccolta che hanno le chiappette sul divano, quindi ecco questo! Non so manco se ha senso MA OK.
I bakudeku ancora di sfondo, me tapina, in mia difesa ho ansia da prestazione con loro, ma per davvero, quindi- quindi boh AHAHAH non mi odiate-
Grazie per il passaggio, buona lettura! 
💚❤️ 


 

 

-23:  Watching Christmas movies – “We’re watching my favorite movie!”

 

La faccia entusiasta di Kaminari nel proporre di vedere Il Grinch, quella sera in sala comune insieme agli altri, aveva reso difficile dirgli di no. A dire il vero, Shouto non aveva neppure pensato a farlo: non aveva mai visto quel film, al sentirne il titolo si era ritrovato a domandare genuinamente chi o cosa fosse, ed era stato motivo per l’altro di accendersi ancor di più, se possibile, sconvolto su quella mancanza e insistendo su quanto fosse doveroso da parte loro rimediare.

La maggior parte della classe di era defilata, non avendo alcuna intenzione di gustarsi la pellicola e sacrificare così il loro tempo libero, altri si erano ritirati per i preparativi del giorno dopo, dedicato al Secret Santa e volevano portarsi avanti almeno su alcune pietanze – Katsuki aveva cercato di aggregarsi al gruppo della cucina ma era stato trattenuto sia da Kaminari che da Todoroki per direttive del ragazzo, come se non bastasse Midoriya gli si era piazzato davanti domandando cosa stesse facendo, già pronto sul divano con un evidente e prenotato posto accanto a sé.

Adesso erano così, con Todoroki e Kaminari seduti quasi in terra su un grande pouf, il secondo tra le gambe del primo e appoggiato a lui – avevano scoperto entrambi di gradire particolarmente quella posizione – e Katsuki e Izuku al centro, sul divano più grande.

Fu Denki, col telecomando in mano, ad avviare il film.

Durante la visione, di tanto in tanto lanciava delle occhiate dabbasso a Shouto, per capire se fosse interessato o annoiato da quanto stavano guardando; si ritrovò a sorridere con particolare tenerezza quando si accorse di come fosse preso, gli occhi ogni tanto spalancati davanti alle meraviglie natalizie dell’ambientazione, la stravaganza delle case e dei costumi e la particolarità delle sembianze del Grinch stesso.

«Ti piace?» gli domandò a bassa voce, zittito in fretta da uno shhh violentissimo di Katsuki, il quale era passato dall’essere il meno invogliato a vederlo al diventare il più insopportabile degli spettatori – Kaminari si era premurato di nascondersi per bene, col corpo di Shouto a fargli da scudo, prima di dedicargli una linguaccia sentita a palpebre serrate.

Todoroki gli rispose in un filo di voce, senza battere ciglio quando un popcorn gli venne lanciato in testa come esortazione a non parlare oltre «Penso di capire Cindy Chi Lou» disse «Anche se non ho mai avuto una concezione specifica del Natale, non credo di poter parlare di un cambiamento di percezione negativo, però» un altro popcorn, stavolta sullo zigomo, tanto che Denki si sporse per dire a Bakugou di smetterla ma si accorse quello fosse intento a fare tutt’altro, con Izuku poggiato a lui con estrema rilassatezza, tanto da farlo ritirare con vergogna quasi si fosse intromesso nella loro intimità.

Ma allora chi diamine era stato?

Si ricompose e chiese ancora, assimilato con qualche secondo di ritardo quanto detto «Quindi è in positivo?».

Shouto ci pensò, mentre il ragazzo portava le mani sulle braccia che lo circondavano per giocherellare distrattamente con il maglione.

«Penso di essere stato un po’ più il Grinch, fino a qualche anno fa» iniziò dunque «Non c’è mai stato questo clima festoso e unito nella mia famiglia e avevo iniziato ad avere un po’ il rifiuto di quel periodo dell’anno» ancora una pausa «Mi sentivo fuori posto con il mondo, troppo luminoso e allegro per cose che non riuscivo a capire».

Kaminari si sollevò meglio per avere gli occhi all’altezza dei suoi, un’espressione rammaricata in volto di cui Todoroki capì dopo essere la causa e sentì di doversene dispiacere, tuttavia preferì procedere in un modo più caloroso e non dire altro potesse far sentire in colpa l’altro per la domanda – o la proposta: gli scostò una ciocca bionda dal viso, sorridendogli con gentilezza «Ora è in positivo» confermò quanto chiesto in precedenza, lanciò uno sguardo dietro di loro in modo eloquente e altrettanto sottolineò tornando a focalizzare le iridi sulla faccia di quella persona diventata per lui così cara «Perché questa visione stessa del Natale mi è stata regalata» concluse, salvo poi ricordarsi qualcosa «Ah, però ci sono ancora cose che non capisco nelle ricorrenze».

L’altro aspirante eroe fece una strana espressione, corrugò la fronte e strinse le labbra, gli zigomi si sollevarono facendo sì gli occhi si socchiudessero, infine gli gettò le braccia al collo, così all’improvviso da rischiare di farlo cascare dall’altra parte del pouf – per fortuna Shouto riuscì a mantenerli entrambi in equilibrio, seppure preso alla sprovvista dal gesto, quando quello disse «Tutto quello che non capisci, te lo spiego, ti insegno tutto sul Natale e l’anno prossimo-».

«L’anno prossimo?».

Non sarebbero stati insieme, non a scuola, l’anno successivo. La domanda gli era sorta spontanea, non intendeva alludere nulla di che, si accorse però di come potesse risultare equivoca in qualche modo, solo non ne comprese la misura.

Kaminari si allontanò un po’ da lui per guardarlo meglio, le guance un po’ arrossate «Tu non… pensi che non ci vedremo finita la scuola, vero?».

Shouto sbatté le palpebre, rispose con sincerità «Pensavo di imitare Touya-nii e Shimura-san, a dire il vero, ma se vuoi tornare qui…».

«Aspetta» lo bloccò confuso il ragazzo, intanto in sottofondo il Grinch aveva iniziato a costruire la sua slitta per sabotare il Natale; avrebbe giurato di aver sentito gli altri due dietro cantare la canzone della scena in questione ma non poté accertarsene «Imitarli, nel senso, la questione dei coinquilini?».

Il giovane dal doppio quirk annuì, anche se a sua volta la voce si macchiò di incertezza «Volevo proportelo dopo, pensavo stessi parlando di questo».

La confusione crebbe nel momento in cui Denki, non prima di essersi passato entrambe le mani sul volto più volte, quasi a cancellare quello che vi era rimasto impresso sopra, schiantò la fronte contro il suo petto e vi diede un paio di colpetti leggeri ma esasperati sopra.

«Ed è così che mi chiedi una cosa del genere…» mormorò, ogni parte di sé in fiamme, conteso tra la stanchezza emotiva e una contentezza indefinibile.

Ci mise qualche secondo per risollevarsi, afferrarlo per le guance e dirgli, naso contro naso «Non ti farò passare neanche un Natale senza di me».

«Non capisco se approvi o se mi stai minacciando».

«Entrambe le cose».

Shouto annuì, poi socchiuse gli occhi e sorrise, intanto Denki si era rimesso nella sua posizione una volta assicuratosi di dirgli ne avrebbero parlato meglio dopo.

Una volta superata la scena delle malefatte per sabotare il Natale dei Non So Chi, Todoroki rimase sorpreso dalla riscoperta del cuore del Grinch; il modo in cui il battere forte e vivo del cuore, scaldato dall’alba e dall’amore che iniziava ad accompagnarne lo scalpitare sconosciuto e quasi doloroso, aveva fatto sì rivalutasse totalmente una ricorrenza per tutta la vita odiata. Era bastato lo sguardo ingenuo e innocente di una bambina, priva di qualsiasi giudizio o astio immotivato nei suoi confronti solo perché diverso, solo e sfortunato.

Shouto rivide nel vecchio abbandono del Grinch un po’ del suo tentativo di andare avanti a qualsiasi costo, nessuna intenzione di legarsi a qualcuno, ripudiano la necessità di affetto e vicinanza; guardò Midoriya, il quale si stava soffiando il naso commosso, accanto Bakugou che gli passava i fazzoletti con un’espressione in apparenza scocciata ma sotto sotto si vedeva fosse altrettanto preso e coinvolto dalla scena.

Guardò Kaminari, ancora, nello stesso stato e pensò: ecco la sua Cindy. Le persone che avevano scelto di scalare la montagna gelida del suo tormento e, chi in un modo chi in un altro, vi si erano intrufolate per trascinarlo fuori, lo avevano accettato e capito e, a qualsiasi costo, negli anni insieme, si era rifiutati di lasciarlo indietro.

Non c’era mai stato il Natale per Shouto, era una novità. Nella stessa ricostruzione, lenta e graduale della sua famiglia, c’era sorpresa e incognita, ci si muoveva tutti a piccoli passi cauti perché era un terreno ancora pericolante ma sul quale era possibile camminare perché aggrappati l’uno all’altro; Shouto poteva dire di avere la fortuna di un sostegno invidiabile, di quegli amici preziosi e un compagno che era diventato il primo raggio di sole all’alba su una distesa di fredda neve.

 

Quando il film finì, Izuku era ancora intento a piagnucolare e Katsuki a borbottare qualcosa, una tirata su col naso sfuggì anche a lui però – forse perché il Grinch era più vicino di quanto si pensasse persino a lui stesso.

Kaminari si voltò di nuovo verso di lui, il volto sorridente mentre chiedeva come ultima conferma «Allora, ti è piaciuto?».

Todoroki ricambiò, osservando anche gli altri ragazzi di ritorno e quelli che, nel frattempo, si erano uniti durante la visione – da qui i potenziali lanciatori di popcorn, chi fosse l’effettivo artefice dovevano ancora capirlo – e rispose, col cuore leggero, il profumo di biscotti nell’aria e le luci di Natale che venivano riaccese, spente in precedenza per non disturbare col riflesso delle loro intermittenze la televisione.

«Più di quanto avrei sperato».






 

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Capitolo 24
*** #24. Sneaking a gift – “I just wanted to get a sneak peek?” ***


Bonsoir, prima del solito ma neanche così tanto. Domani in teoria dovrei riuscire a far tutto prima del primo ?? pomeriggio, con l'ultimissimo capitolo.
Dunque, quali sono i regali? Non ho creatività, ci ho pure pensato parecchio per menzionare lo stretto indispensabile, l'unico che ho chiaro mi è venuto in mente dieci giorni fa col prompt dei regali dell'ultimo minuto LOL La questione dello sneak peek, cioè dare una sbirciatina, non l'ho concretizzata per la tipologia di regalo, quindi l'ho resa come curiosità/rischio spoiler?

Il sorteggio menzionato all'inizio è quello che si vede nella s5, i regali ammucchiati e a ognuno dei quali corrisponde un filo, di conseguenza i ragazzi prendono a caso, non sanno a quale corrisponda cosa; ricordo che Midoriya non ha partecipato al Secret Santa perché aveva già comprato i regali per tutti, oltre al fatto che c'è anche Shinsou in classe quindi ora i membri sono 21 - è stato un escamotage per farli quadrare? Nì, me ne sono ricordata dopo considerando il periodo aka terzo anno *wink wink*
Grazie del passaggio, buona lettura e buona vigilia 
💚❤️ 


 

 

-24:  Sneaking a gift – “I just wanted to get a sneak peek?”

 

Il Secret Santa si era risolto generalmente in un ulteriore sorteggio col filo, ormai divenuto un’abitudine: Midoriya si era occupato di collegarli a ciascun partecipante, sapendo a chi corrispondesse quale dono e, per fortuna e con sollievo generale, non c’erano state lamentele – non particolarmente sentite o rilevanti, quantomeno. Persino Bakugou aveva apprezzato davvero il regalo di Aoyama, o così era sembrato, poiché aveva subito messo indosso la grande coperta con maniche la cui fantasia richiamava, per colori, quelli tipici del suo costume da eroe, oltre a essere interamente cosparsa di stelline qua e là.

A suo dire, faceva troppo freddo e se Aizawa-sensei poteva andare in giro comodo e caldo tutto l’anno non c’era ragione perché lo stesso non valesse per lui, che aveva regalato al tizio dello zucchero un minipimer accessoriato – o qualcosa del genere, Izuku non aveva la minima idea di quale fosse la funzione dell’utensile da cucina, in realtà; all’inizio aveva pure pensato ad altro e Katsuki doveva averlo capito dalla vergogna traditrice con cui era corso via.

Così gli altri compagni: a Shouto era stato regalato un volume raro dedicato alle imprese di All Might da Ochako, la quale aveva chiesto aiuto a Midoriya non avendo idea di cosa proporre. In realtà il ragazzo stesso si era ritrovato un po’ in difficoltà, poiché i gusti dell’amico erano sempre rimasti abbastanza anonimi, complice il carattere di per sé riservato. A sua volta, Todoroki aveva avuto Tokoyami come destinatario del proprio regalo e, probabilmente aiutato da Hawks, gli aveva comprato quello che aveva tutta l’aria di essere uno scalda-becco.

Fu chiaro lo zampino del mentore dell’altro proprio per l’assurdità dell’oggetto. In ogni caso, il giovane dalla testa di volatile cercò di camuffare la propria perplessità sotto un ringraziamento altrettanto incerto, persino indossando la sottospecie di cuffietta che scoprì essere addirittura traspirante. D’altronde, non poteva mica soffocarlo.

Kaminari aveva avuto più fortuna, in un certo senso, capitando assegnato a Kirishima, al quale aveva regalato un set di bande elastiche per allenarsi in camera quando non aveva alternative migliori, mentre aveva ricevuto da Momo una serie di manuali a tema elettrico – a quanto pare era convinta l’istupidimento del giovane, negli anni sempre più controllato, poteva venir del tutto annichilito con un po’ di conoscenza in più sulla materia in questione.

Midoriya aveva sudato freddo nel vedere la scatola destinata a Denki, poiché le dimensioni della propria a lui rivolta – si trattava però di un casco, data la sua dichiarata intenzione di acquistare una moto dopo l’accademia – erano pressoché simili, un po’ in colpa per aver sospirato di sollievo al rischio smentito davanti alla delusione cocente del compagno.

Ed era stato così a ogni regalo, perché non tutti erano andati da lui per domandare aiuto o suggerimenti mentre Izuku aveva già provveduto a ciascuno di loro, dunque il rischio di aver preso le stesse cose era alto, o così credeva: avrebbe lasciato i regali ai propri destinatari la sera di Natale stessa, pertanto aveva vissuto il momento dello scambio con una certa ansia.

«Midoriya-kun» fu Iida a chiamarlo, come gli altri vestito da Babbo Natale con però l’aggiunta di una bianchissima barba finta «Sei pronto a ricevere il tuo regalo?».

L’erede di One For All restò sorpreso «Il mio regalo?».

«Certo» annuì il rappresentante di classe «Pensavi saresti rimasto fuori solo perché hai giocato d’anticipo?».

«Beh, sì-».

«Assolutamente no!» urlò subito l’altro, dando un colpo netto sulla testa riccioluta col dorso della mano.

Izuku portò le proprie sul punto leso, un occhio chiuso per il dolore e la voce acuta, dovuta anche allo spavento, quando replicò allo stesso modo «No?!».

«No!» confermò ancora Iida «Pensavi ti avremmo lasciato a bocca asciutta?».

Avrebbe voluto rispondere di sì, nel senso, non sarebbe stato giusto per la circostanza dal momento che tutti sarebbero stati costretti a ricambiarlo, non solo a una persona ma a due a testa, sia lui che il destinatario del Secret Santa. Non ci aveva neppure pensato, aspettava solo di poter consegnare i propri ma solo dopo aver dato la precedenza al gioco organizzato.

Se avesse avuto uno specchio davanti, al sapere di non essere stato escluso nonostante le sue aspettative, avrebbe visto gli occhi verdi brillare come smeraldi; non era importante ricevere un regalo, era l’essere stato pensato comunque ad averlo avvolto in quella solida e confortevole scoperta.

«Non lo avremmo mai dimenticato» continuò il rappresentante, ignaro dei pensieri del compagno e caro amico «Ma non avremmo potuto farlo nemmeno volendo, visto quanto Bakugou-kun ci abbia ricordato ogni giorno di-».

Izuku uscì dalla trance commossa al sentire il cognome «Scusa Iida-kun, puoi ripetere?».

«Dicevo che Bakugou-kun ci sta dietro da settimane – voglio dire, capisco la necessità di organizzazione per questa cosa, ma-».

«Oi, puffo occhialuto».

Iida sobbalzò, sia per la chiara, implicita minaccia nel richiamo sia per l’accostamento «P-puffo occhialuto?!».

Midoriya non capì lo scambio, portato avanti sottovoce tra Tenya e Katsuki, arrivato da chissà quanto ma, pareva, in tempo per sventare qualsiasi possibile spoiler del regalo a cui, gli sembrava aver capito, tutti avessero partecipato e del quale però era il giovane dal quirk esplosivo ad avere organizzato.

Un insieme di curiosità sempre più forte e calore indescrivibile smosse il petto di Izuku, rimasto in disparte a osservare i due interagire tra loro, Bakugou con un’espressione poco promettente mentre Iida chiedeva scusa e, finito il dibattito, si era voltato per salutarlo e con una scusa infine allontanato.

Sentì l’altro schioccare la lingua, avanzando verso di lui nella sua coperta ancora indosso, le mani affondate nella grande tasca al centro.

«Dannata bocca larga».

Qualcosa si aggrappò al bordo della coperta pesante e tirò leggermente, per attirarne l’attenzione: Katsuki si voltò e incontrò il viso di Izuku, piuttosto vicino, rosso e, si vedeva eccome, impaziente di esprimere felicità.

«Kacchan».

Un sopracciglio biondo ebbe uno spasmo sotto la pressione di quello sguardo emozionato e ricco di aspettativa, dunque si girò dall’altra parte, i denti digrignati per trattenerne tra le dritte fila la vergogna.

«Che c’è?».

Izuku tirò ancora la coperta, forse convinto servisse a farlo voltare di nuovo verso di sé.

Col cazzo che ti guardo con quella faccia da Bambi.

«Hai organizzato un regalo per me?».

La mandibola scricchiolò pericolosamente «E con ques… Ti giuro, Deku, se continui a tirare…».

A quel punto, in effetti, l’altro lasciò la presa e Katsuki si illuse per un miracoloso attimo lo avesse ascoltato, invece aveva solo risparmiato la povera coperta per avviluppare entrambe le braccia a quello più alla sua portata del compagno, quasi costretto a uscire la mano dalla tasca per assecondare il movimento.

Come se non bastasse, Midoriya decise di spremervi contro la faccia e soffocare su quel punto un mugolio pregno di contentezza, lo capiva anche dal modo in cui sfregava le ginocchia tra loro, come se si stesse trattenendo dal saltare ma fosse troppo agitato per riuscire a rimanere fermo.

Per qualche ragione ebbe persino il timore – per modo di dire, mica si preoccupava di questo – stesse piangendo. Per questo, e solo per questo, con una lentezza quasi meccanica iniziò a girare il collo in direzione dell’altro, anche se per prima cosa ne incontrò il cappellino natalizio e forte fu la tentazione di azzannare il paffuto ponpon alla sua sommità.

Izuku non si mosse, si limitò a stringere ancora, dandogli quasi una ginocchiata leggera nella frenesia dei movimenti, quando pigolò, la pienezza nel cuore impressa in ciascuna lettera «Grazie».

Katsuki lo osservò, poi disse a bassa voce «Neanche sai cos’è».

Quello scosse il capo, solleticando il punto su cui poggiava «Non è quello l’importante».

Sei tu pensò Midoriya tra sé, e tutto il resto.

Era la premura, il pensiero, l’organizzazione, persino quell’ultimo atto di accortezza per assicurarsi non scoprisse nulla, sebbene adesso fosse alquanto intenzionato a provare a spingere giusto un po’ per convincerlo a dargli almeno un piccolo indizio sull’identità del regalo in questione.

Ma, davvero, non era ciò che aveva fatto sì il senso di appartenenza si facesse così intenso da risultare quasi difficile tollerarlo, aggrappatosi al suo ragazzo per affetto e, al contempo, necessità di supporto perché le gambe tremavano soprattutto per il sovraccarico di gioia inaspettata a quanto scoperto per caso.

Se non lo avesse saputo, come avrebbe reagito il giorno dopo? Non ne sarebbe uscito indenne, probabilmente avrebbe pianto più di quanto sentisse l’urgenza di fare adesso, nonostante decise comunque di trattenersi perché non era ancora il momento.

«Grazie» ripeté, e Katsuki disse qualcosa, dopo qualche secondo di silenzio, che non capì.

Glielo avrebbe chiesto poi, pur consapevole di avere poche possibilità di ottenere risposta. Cercò persino di barattare una piccola anteprima del proprio regalo in cambio, salvo ripensarci lui stesso, perché era convinto adesso non avrebbe retto il confronto con quella sorpresa eppure voleva tenersi caro fino all’ultimo l’attimo condiviso dell’aprire i regali che aveva pensato per Katsuki e gli altri.

Del resto, doveva solo aspettare qualche ora in più.






 

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Capitolo 25
*** #25. Christmas morning – “Now only another 365 days before the next one…” ***


Bonsoir per l'ultima giornata ^^ Ho fatto tardino per natalosi motivi- innanzitutto, Buon Natale! 
Ho unito tutti in quest'ultimo capitolo, circa, chi più chi meno, dato che mi sa non era ancora mai successo. Essendo morning ho circoscritto la parte a quello, senza addentrarmi troppo nel merito della giornata. 
Quiiiiiindi che dire, ho faticato molto più di quanto pensassi, non nego il mio entusiasmo sia svanito già diversi capitoli fa ma ho pur sempre un blocco che non se ne va e già il non aver mollato e cancellato tutto come ho desiderato fare fino a ieri e desidererò per i giorni a venire è più che qualcosa! Mi ha dato anche modo di avviarmi su certi pairing, che non è poco!
La situazione di Tenko va, più o meno, solo con la madre; tutto il resto della famiglia è escluso, quindi ho menzionato solo lei!
Con i regali, come ho detto, sono rimasta piuttosto vaga perché non mi veniva niente di davvero carino, così su due piedi, perciò vi lascio a... libera interpretazione? Gomen. Poteva andare decine di volte meglio, dovrò anche correggere gli errori sfuggiti prima o poi, per adesso limitiamoci a salutarci qui!
Grazie per aver seguito la raccolta, spero abbia intrattenuto tutto sommato. Buona lettura e buone feste 
❤️💚 


 

 

-25:  Christmas morning – “Now only another 365 days before the next one…”

 

Midoriya e Kaminari provarono un comune e reciprocamente solidale senso di imbarazzo, un livello di confusione pressoché nebuloso; Bakugou, accanto al primo, aveva ormai una tipica espressione per quando era in visita dai Todoroki, sempre, ai limiti del costipato.

Già dalla sera prima erano stati invitati da Shouto a passare la mattina di Natale insieme alla sua famiglia, dato che i tre ragazzi sarebbero tornati a casa solo per la fine dell’anno. Così, accompagnati in auto da Aizawa, erano arrivati in perfetto orario davanti alla dimora dalle decorazioni natalizie per eccellenza, raggiunti poco dopo dalla madre del compagno, Fuyumi e Natsuo al seguito.

Persino Toshinori si era mostrato, uscendo dalla casa proprio di fronte a quella dell’attuale Number One, il che spiegò come mai Aizawa non fosse ancora andato via dopo averli piantati lì.

«Abbiamo una cena con gli insegnanti» spiegò loro Yagi con un sorriso, il collega più giovane accanto che guardava da un’altra parte, probabilmente annoiato al solo pensiero di dover sorbire Mic e tutti gli altri ubriachi e urlanti «Purtroppo ho dovuto rifiutare l’invito di Takami-kun a unirmi a voi».

Guardò i ragazzi, augurò loro buon Natale e consegnò dei pacchetti a ciascuno, un po’ raffazzonati perché non pensava li avrebbe ritrovati davanti casa e sperava riuscisse a farsi aiutare nell’impacchettare da Shota, il quale aveva invece tra sé gioito – per quanto potesse gioia fosse qualcosa di accostabile all’uomo – di essere risparmiato lo stancante, tutt’altro che intenzionato a eseguire al meglio, compito. D’altronde aveva già dato in abbondanza con i regali per Eri.

Prima di andarsene, il vecchio All Might guardò Shouto, lo sguardo gentile come la voce quando disse «Hai già avuto il tuo regalo?».

Il ragazzo pensò parlasse di quello di Midoriya – che sì, aveva già spacchettato la sera prima – dunque annuì. A quel punto l’eroe fece una strana espressione, come se non si spiegasse la reazione o, addirittura, quasi aspettasse qualcos’altro. Che si fosse perso qualcosa, nel biglietto di auguri dell’amico?

Qualsiasi frase stesse per aggiungere, Toshinori fu interrotto da un colpo di clacson dato da un congedatosi in precedenza Aizawa, già seduto al caldo in auto, mentre quella di Touya iniziava a comparire e fermarsi poco dietro la loro, sulla strada principale.

Gli improperi che ne seguirono furono forti a sufficienza da far uscire di casa Endeavor stesso, le fiamme serpeggianti intorno a lui, indosso un grembiule con sopra la stampa di un pulcino appena uscito dall’uovo e un frammento di guscio sulla testolina a mo’ di cappellino, urlando a chiunque stesse facendo tutto quel baccano di andarsene dalla sua proprietà.

La risata impazzita di Keigo, corso dietro il compagno, al notare il silenzio pesante calato dopo quella rivelazione riecheggiarono per tutto il quartiere.

 

Kaminari era stato di nuovo rapito da Fuyumi, la quale aveva anche tirato con sé Tenko, che era rimasto con il proprio cappotto in mano perché nella calca di ospiti nella cabina dei soprabiti si era lasciato chiudere fuori – troppo a disagio per domandare di riaprirla, fin quando non fu Re stessa a sfilarglielo, passandogli accanto con finta noncuranza e ammiccando bonaria al suo indirizzo.

Per qualche ragione inspiegabile sentì il telefono, pieno di chiamate perse, farsi più pesante nella tasca dei pantaloni.

Un punzecchiare molesto e rapido tra le scapole lo fece sia rabbrividire che irritare, dunque si voltò altrettanto veloce, già certo di ritrovarsi davanti la faccia stupida e tronfia del suo ragazzo: Touya stava di fatto ghignando, in un modo che incitava al regalargli un mal rovescio proprio sul mento e le guance, una mano alternata all’altra, tuttavia non gli fu concesso il tempo di caricare il braccio per la punizione che quello lo anticipò.

«Hai sentito tua madre?».

Tenko si strinse nelle spalle, incassandovi la testa come una tartaruga in fuga da qualsiasi cosa potesse giungere minacciosa dall’esterno «Mi ha chiamato ma non ho risposto».

L’altro annuì, poi gli pizzicò una guancia ma senza fargli male «Se ti richiama e vuoi risponderle dimmelo, saliamo di sopra».

Il più giovane gli offrì un piccolo sorriso confortato a quella proposta, più rilassato sebbene stesse sentendo in quello stesso momento il telefono vibrare; cercò di scherzare «Non c’entra con la tua intenzione di far venire un infarto a tuo padre nel beccarci a fare cose nel suo letto, vero?».

Touya spalancò gli occhi, sorpreso «Non hai idea di quanto sia tentato» confessò, fintamente afflitto, dopodiché si avvicinò di più all’altro e abbassò fino al sussurro il tono delle parole successive «Ma non è qui che voglio fare cose con te». Una pausa, giusto per bearsi dello sguardo altrettanto stupito e al contempo appagato da quella risposta, almeno finché il maggiore dei Todoroki non ci tenne a specificare «La prima volta, poi possiamo tornare a traumatizzare il mio vecchio per la prossima ricorrenza».

Ricevette a sua volta un pizzico, tuttavia in quello di Shimura c’era piena intenzione di lasciargli il solco delle proprie dita su entrambe le guance.

 

Enji si richiuse la porta della cucina alle spalle con una fretta fin troppo sospetta, non sfuggita agli occhi da rapace di Keigo, che ironizzò «Ormai è il nostro covo per tramare alle spalle della tua progenie», salvo poi lanciargli un’occhiata alquanto confusa e quasi preoccupata quando non ottenne alcuna replica, perciò provò a rincarare la dose «È successo qualcosa, biscottone?».

L’uomo tacque, non reagì neppure al nomignolo e bastò tanto per far sì il giovane alato iniziasse a percepire l’ondata di panico schiantarglisi addosso, venne però risparmiato in tempo quando la voce grave del più grande interruppe il silenzio «Ho sentito Touya dire al suo ragazzo-».

«Ah, allora l’hai capito che tuo figlio ci sco… scusa, non guardarmi così, continua».

Todoroki non poté fare a meno di lasciar andare una nota di vergogna quando proseguì «Per quanto la tua affermazione sia… in tema, con quello che ho sentito…».

Le sopracciglia folte di Hawks scattarono verso l’alto tra l’incredulità e il disgusto «Fammi capire, tuo figlio ha parlato di accoppiarsi nel nostro salotto?».

«…».

«…in camera nostra?».

«…non è quello il punto».

«No, infatti, deliziami, intanto non ti offendere se cerco su internet come affumicare la carne umana, ti ascolto comunque».

«Ha parlato di tornare» disse infine l’eroe di fuoco, tutto d’un fiato, tanto da sfiatare del fumo come se si fosse trattenuto fino a quel momento dal respirare per davvero «Per le prossime ricorrenze».

Keigo, che aveva già afferrato il telefono per la sua ricerca, risollevò lo sguardo e lo puntò sul viso del compagno, la cui espressione bassa tradiva una contentezza spaventosa da esprimere e Takami sapeva non si sentisse neppure degno di provarla, tanto meno esternarla e goderne appieno.

Ripose il telefono nella tasca del grembiule – con la stessa orribile stampa di quello con cui Endeavor aveva aperto agli ospiti, per inciso, regalo di coppia di cui non aveva potuto fare a meno, in un acquisto dell’ultimo secondo al centro commerciale – e sollevò le braccia al cielo per esultare. Non mancò comunque di aggiungere una nota sarcastica al commento «Quindi avremo il salmone norvegese in tavola più spesso? Faccio posto al fosforo e all’Omega-3».

Il Number One sollevò gli occhi al cielo ma non lo corresse, suo malgrado apprezzò anche quel modo in cui l’altro voleva sinceramente mostrargli supporto, conscio di quanto ancora si tormentasse e, sebbene i giorni passati avessero dato tutti esiti positivi, in generale, non riusciva già a credere ci fosse una concreta speranza di migliorare quel rapporto.

«Dunque» riprese poi Keigo «Per quanto riguarda il regalo di Shouto-».

Enji lo raggiunse in una falcata, l’ampia mano sulla bocca dell’altro e l’espressione esterrefatta «Cosa ti salta in mente!».

Il più giovane mosse gli occhi da una parte all’altra della stanza, sollevando le spalle in un muto – per forza di cose – interrogativo.

«Non voglio rischiare si scopra qualcosa prima della consegna».

L’eroe alato dovette aiutarsi con entrambe le mani per riuscire a stringere interamente il polso dell’uomo di fronte a sé e abbassarglielo per poter parlare «Se proprio dobbiamo parlare in termini pratici, è più pericoloso vada in bagno e lo becchi nel box doccia dove l’hai nascosto e non perché io ho menzionato il regalo di tuo figlio».

«Quale dei tanti?».

L’urlo sincronizzato che sfuggì ai padroni di casa non lasciò scampo al nuovo arrivato stesso, spaventatosi di riflesso.

«Maledetto…» ansimò Hawks, tenendosi la mano sul petto «Scarto da salumeria…».

«Touya» si intromise il padre di quest’ultimo, giusto per evitare inutili disguidi – e, soprattutto, capire cosa e quanto quello avesse sentito «Che ci fai qui?».

Il ragazzo lanciò un’occhiata sospetta entrambi, lo sguardo assottigliato e ricco di sospetto, perciò sollevò l’indice per indicare prima l’uno e poi l’altro con evidente accusa nel tono «Volevo prendere da bere… Di che regalo stavate parlando?».

Keigo chiuse la bocca, le labbra ritirate e del tutto nascoste, dunque il primogenito fissò il padre.

Non cedere, Endevaa-san!

«Oiaji?».

Oh no, non lo ha insultato… cioè, è un bene, ovviamente, anche perché lo avrei ucci… rimproverato, ma non- non!

Enji cedette dopo un altro paio di richiami.

Tutti videro Touya correre in bagno, le ipotesi tra i presenti furono svariate – Bakugou suggerì molto finemente si stesse magari solo cagando addosso – , tuttavia nessuna di queste trovò una solidità nella reazione imprevista del giovane: la risata più sguaiata, quasi folle, che gli avessero mai sentito fare in vita sua.

 

«Touya-nii…» lo richiamò Fuyumi per riprenderlo «Non è stato molto carino da parte tua…».

Il fratello maggiore non la guardò, l’attenzione tutta rivolta alla scena proposta davanti a loro: Shouto stava di fatto scartando il regalo che il padre aveva comprato appositamente per lui.

Una delle figure più rare, inestimabili e costose di All Might.

Il motivo della crisi emotiva di Touya non era stato il regalo in sé quanto più la narrazione che sapeva esserci dietro, esilarante il solo immaginare Endeavor, austero e ostile al precedente Number One per antonomasia si era di proposito mostrato ospitale nei confronti del vicino, addirittura offrendogli tè e pasticcini per domandargli un favore.

Reperire quel gadget che Shouto da piccolo aveva desiderato tanto e che, ai tempi, gli aveva rifiutato categoricamente.

«E non è stato un bel gesto?» domandò Tenko al suo fianco, a bassa voce, mentre osservava a sua volta la contentezza palese negli occhi bicolore del minore dei Todoroki, spalancati e luminosi tanto da rendere espressivo il viso di per sé statico, con la figure ancora inscatolata e tenuta alta, con Midoriya e Bakugou al suo fianco che sfiatavano emozione da ogni poro – il secondo un po’ meno, era più intento a imprecare contro quel vecchiaccio di un caminetto per aver avuto una simile fortuna di vicinato.

Ovviamente, per Endeavor era stata una tortura subire la compagnia di Toshinori per non uno ma più incontri, giusto per mettersi d’accordo e aggiornarsi sui movimenti dell’oggetto in questione e reperito da un vecchio deposito personale di All Might nel quale conservava almeno una copia di tutti gli oggetti dedicati alla sua figura.

La faccia sorpresa del figlio era comunque valsa la pena, gli incubi derivati da quegli incontri ravvicinati non avrebbero avuto alcuna importanza.

Touya osservò il padre, il modo in cui stesse cercando di sembrare composto nello spiegare le funzioni dei gadget associati alla figure a Shouto, che lo ascoltava davvero, ogni tanto voltandosi verso Kaminari per fargli vedere meglio il regalo; Natsuo e Fuyumi parlottavano con Hawks, il quale stava probabilmente raccontando loro il compromesso morale del Number One per portare a termine l’impresa, a giudicare da come risero allo stesso modo, persino Rei sembrò sinceramente stupita ma contenta al tempo stesso.

Infine si voltò e rispose all’altro, abbozzando un mezzo ghigno «Ha appena iniziato».

Gli occhi di Shimura balzarono dal viso di Touya alla scena davanti a loro, con anche il resto dei presenti che avevano iniziato a scartare il proprio regalo – Midoriya strillò quando gli amici gli consegnarono i biglietti per un viaggio in America, dapprima confuso, poi lesse l’itinerario da Bakugou scritto e consegnato e comprese si trattasse del percorso analogo a quello di All Might, aiutati da Yagi stesso, per ripercorrerne i passi.

«Ovviamente» sottolineò Katsuki, appoggiando il gomito sulla spalla del suo ragazzo e facendogli vedere il numero esatto di biglietti che gli aveva porto «Non ci vai mica da solo».

Tenko sorrise con delicatezza, appena accennato, quando il giovane dai capelli ricci saltò al collo del compagno mentre questo si lamentava e gli urlava di staccarsi, forse ignaro di starlo trattenendo per i fianchi con entrambe le braccia. Rivide in quel momento, seppure in una forma più contenuta, se stesso quando Touya gli aveva chiesto, anni addietro, di dividere un appartamento con lui – il che aveva scoperto essere lo stesso piano futuro di Shouto e Denki, chiacchierando con quest’ultimo, ormai alleati nell’essere gli esterni alla famiglia che più volte si erano ritrovati a far fronte comune dai Todoroki.

La vibrazione del telefono all’interno della tasca del pantalone lo distolse dalla memoria e dal contesto attuale, portandolo a volgere l’attenzione in basso; vi infilò la mano all’interno, stringendo lo smartphone tra le dita, spiò con la coda dell’occhio Touya e vide la medesima espressione riflessa sul suo volto, perso nel ricordo.

Serrò le labbra, la mano aveva preso a tremare un poco. Gli ci volle qualche secondo pieno per decidersi a dire, in un mormorio incerto «Vorrei provare a rispondere».

Touya si voltò immediatamente verso di lui, gli occhi non lasciavano trapelare alcun timore, si limitò a prendergli quella stessa mano nella sua, estraendo da sé il telefono per porgerglielo.

«Preferisci il giardino?».

Il più giovane scosse la testa «Se saliamo di sopra magari tuo padre penserà staremo facendo certe cose».

L’altro aprì la bocca, sghignazzò piano per non farsi sentire dagli altri, infine lo tirò con sé verso le scale «Non tentarmi».

Tenko si lasciò guidare, docile e fiducioso, mentre metteva in sospeso la chiamata sperando non smettesse di squillare una volta salito.

Con leggerezza, sentendo le voci esaltate di chi apriva i regali dietro lui, risate e insulti non meglio identificati, rafforzò la stretta e disse tra sé «Magari l’anno prossimo».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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