Anything for Martin

di Musical
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Il surreale silenzio delle strade bagnate di Gotham veniva interrotto dai rumori ritmici di una figura che si muoveva nell’ombra, illuminata solo dalle luci flebili dei lampioni. La figura sapeva benissimo che nessuno l’avrebbe mai toccata, perché sarebbero stati guai per chiunque osava torcerle un singolo capello.
Fu con sicurezza, ereditata dalla figura paterna, che la figura aprì la porta ed entrò nella costruzione. Una musica ad alto volume l’accolse, e la figura si fece strada tra la folla urlante. Con estrema disinvoltura, come se fosse il padrone di casa — attitudine ereditata da un’altra figura familiare, si diresse verso un tavolo in particolare, dove erano sedute due donne che si scambiavano sguardi languidi e risate filtranti.
La sagoma stava per compiere gli ultimi passi, quando una mano gli afferrò la spalla e la trascinò due passi indietro.
“Hey, tu” — gli disse un uomo alle sue spalle, stropicciando la preziosa camicia di seta, la figura era già pronta a tirare fuori il pugnale che gli era stato regalato anni prima — “non è posto per quelli te, ragazzino.”
Il ragazzo, che aveva poco più di vent’anni, afferrò la mano di quell’uomo e, con agile mossa, lo stese su un tavolino lì vicino, posizionando il pugnale sotto la giugulare, impedendogli così di fare mosse azzardate. Consapevole d’avere la situazione in pugno, sorrise, dimostrando che quello era un posto adatto a quelli come lui.
“Tesoro,” disse una delle due donne, attirata dal rumore dei bicchieri rovesciati a terra, alzandosi dalla sedia mentre si ravvivava i folti capelli rossi, “abbiamo visite.”
“Quale onore ricevere il pulcino di casa?” rispose l’altra, saltando giù dal tavolino con una risata, prendendo la sua fidata mazza da baseball. "Aww! Ma guardalo! Assomiglia tanto al suo papà!”
“Il sorriso, però, non è suo. Cosa possiamo fare per te, Martin?”
“Prima, però, dovresti lasciare andare George. È così difficile trovare degli ottimi buttafuori, oggigiorno.”
Senza troppi problemi, Martin lasciò andare l’uomo e salutò Ivy e Harley, domandando loro di poter parlare in un luogo più appartato.
Le due donne si guardarono per qualche istante negli occhi, Martin vide chiaramente il sorriso di Harley espandersi mentre Ivy faceva un profondo respiro ed accettava la sconfitta con un sorriso colmo d’amore.
“Seguici, pulcino!” gli disse Harley saltando sul posto mentre prendeva una determinata decisione. Martin la seguì e, dietro di lui, Ivy chiudeva la fila, non prima d’aver dato una lezione al buttafuori. In fondo, non aveva fatto bene il suo lavoro.


“Dicci tutto, qui nessuno ci potrà disturbare.”
Martin diede un’occhiata intorno guardingo: Harley Quinn, pur essendosi seduta su una poltrona di pelle, non aveva ancora posato la mazza da baseball, mentre Poison Ivy era ancora dietro di lui, con le spalle appoggiate alla porta.
Il ragazzo, completamente a suo agio, si voltò indietro per dare un’occhiata ovvia ad Ivy; quest'ultima decise di spostarsi da un’altra parte, vicino ad Harley.
“Ti manda Pengy?”
“Non che mi dispiaccia, tu mi piaci, pulcino. Solo che con Zsasz è più divertente!”
Martin fece un cenno negativo con la testa, poi iniziò a parlare. Harley, conoscendo personalmente il linguaggio dei segni, l’aveva insegnato tempo prima ad Ivy, ed entrambe poterono ascoltare quello che Martin aveva da dire.
“Mi serve il vostro aiuto per creare la trappola perfetta.”
“Vuoi fare la tua prima rapina in banca? AAAAAHHHHHHH!!! CI STO!”
Martin scosse nuovamente la testa, riprendendo parlare. Disse che non era nessuna rapina in banca, ma era una… Faccenda personale, molto personale.
“Di che tipo?” domandò Ivy.
A Martin bastò fare con le mani due semplici gesti, e le due donne capirono al volo.
“Oh, sì, ci sarà da ridere!”
“Cosa ci guadagnamo?”
“L’espressione furiosa di papà Pinguino sicuramente!” Harley si mise a ridere. “Ci sarà da divertirsi!”
Martin assicurò che Oswald non avrebbe sospettato nulla, sarebbe risultato lui il solo ed unico artefice della trappola e, se tutto fosse andato per il verso giusto, Ivy e Harley sarebbero state ricompensate profumatamente.
“Un piccolo anticipo?”
Il ragazzo prese dalla tasca una busta e la lanciò ad Harley, che la prese al volo e guardò dentro, per poi richiuderla immediatamente e correre ad abbracciare Martin, scoccandogli anche un sonoro bacio sulla guancia.
“Consideralo fatto, pulcino della casa!”


Il giorno della vigilia di Natale era abbastanza tranquillo, i criminali non erano soliti architettare rapine, assassini, visite alla Centrale di Polizia in quel periodo dell’anno, erano tutti un po’ più buoni. Infatti, si poteva vedere ladri professionisti come Selina Kyle rubare del cibo e del denaro per dare una mano agli orfanelli, famigerati criminali come Harvey Dent aiutare i ragazzi ad uscire di prigione — se lo faceva tramite la conoscenza della legge oppure tramite le minacce di morte, poi, dipendeva dalla sua preziosa moneta — pericolosi scienziati come Victor Fries utilizzare i propri congegni per creare piste di ghiaccio o neve immediata, sorridendo flebilmente alla probabile famiglia che avrebbe potuto avere con sua moglie, ed esperti assassini come Victor Zsasz che entravano nelle case dei loro obiettivi per augurare loro l’ultimo buon natale della loro vita, promettendo loro di tornare una volta terminate le feste.
Per Oswald non era diverso. Il Natale, l’inverno in generale, lo metteva di buon umore, decidendo d’uccidere i diversi malcapitati con colpi secchi e precisi, senz’alcuna tortura.
Aveva da poco terminato l’esecuzione di uno sprovveduto, seduto in limousine, si stava dirigendo verso un ristorante, dove aveva un appuntamento importante.
La limousine si fermò e Pinguino scese, aspettando che qualcuno gli aprisse la porta del ristorante e venisse accolto dal proprietario.
“Buongiorno, Signore. Il suo ospite la sta aspettando.” l’uomo fece un piccolo inchino e indicò una ragazza. “Se vuole, può lasciare il soprabito alla nostra Amanda.”
Dopodiché, Oswald seguì l’uomo fino ad un tavolo rotondo, posto in un angolo appartato, dove un ragazzo sulla ventina d’anni lo stava aspettando con gli occhi colmi di gioia e amore. Oswald compì ancora qualche passo ed aprì le braccia, accogliendo il ragazzo in un abbraccio paterno. L’uomo sentì l’occhio sano pizzicargli per le lacrime che stava trattenendo, ma si diede un contegno, e pose fine all’abbraccio.
“Sei cresciuto così tanto,” notò mordendosi il labbro per non farlo tremare, studiando la figura davanti a sé.
Martin alzò gli occhi, sbuffando rassegnato, ma sorrise ugualmente, rispondendogli con pochi gesti della mano.
“Oh, lo so, Martin. Lo so.” si mise a ridere, tirando poi su col naso. “Ma non posso farci niente. Dopo dieci anni di forzata separazione, e senz’alcun contatto, anche i tuoi cinque mesi trascorsi in Europa sono tanti.”
Martin lo abbracciò ancora una volta, con più forza questa volta, e Oswald ricevette il messaggio: anche se fossero stati lontani, sarebbero sempre stati insieme. L’uomo strinse le spalle di suo figlio, fece un profondo respiro e s’allontanò definitivamente, con un sorriso diabolicamente complice e orgoglioso.
“Adesso, però, mi devo raccontare tutto. E, mi raccomando, non tralasciare alcun dettaglio.”
Martin annuì con vigore, e il pranzo poté cominciare.


L’Europa era bellissima, a detta di Martin, i musei erano meravigliosi, ricchi di favolose opere d’arte, ma era negli archivi che si nascondeva il vero tesoro di ciascun museo. Oswald prestò molta attenzione a ciò che gli stava raccontando Martin, pur sapendo che non avrebbe mai abbandonato Gotham, ma ascoltare Martin era come trovarsi lì, per le strade di Parigi, Londra, Praga, Venezia… Con Martin e il suo attento spirito d’osservazione, non era necessario viaggiare per conoscere il mondo al di fuori della sua città.
“Allora” — Oswald prese un bicchiere di vino rosso e l’alzò, pronto per un brindisi — “al tuo ritorno. In tempo per festeggiare Natale insieme.”
In quel momento, l’atmosfera sembrò cambiare, l’aria si fece rarefatta, come se il Dott. Freeze avesse deciso in quel momento di fare irruzione per un qualsiasi motivo. Oswald diede un’occhiata a destra e sinistra per accertarsi che tutto era tranquillo e, una volta appurato ciò, tornò a studiare Martin, il quale aveva assunto un’espressione contrita.
“Cos’è successo, Martin? Chi ha osato far DEL MALE A MIO FIGLIO?!”
Il resto dei commensali si voltarono verso la figura di Pinguino, ma a lui non importava. Nessuno doveva permettersi di toccare suo figlio!
Il viso di Martin s’allarmò, e subito il ragazzo gli prese le mani e fece numerosi cenni di diniego con la testa, tentando in tutti i modi di calmare Oswald.
“Martin, si può sapere quello che è successo? Se non mi spieghi immediatamente quello che è successo in Europa, giuro sulla tomba di tua nonna e tuo nonno che —”
La veloce risposta di Martin pose una brusca fine al discorso di Oswald, il quale s’ammutolì, ripeté a mente quello che aveva detto Martin, e poi aprì bocca, gli occhi sbarrati a dimostrare il suo stupore.
“P-puoi ripetere?”
Il ragazzo prese un enorme respiro e mosse le mani ancora una volta, con un po’ più di calma.
Vorrei invitare la mia ragazza per le feste.
Martin non ebbe il coraggio di guardare suo padre negli occhi, mentre Oswald non riusciva a reagire. Suo figlio stava per portare in casa una nuova persona, per lui importante, per farle conoscere colui che l’aveva cresciuto? Il cuore di Oswald iniziò a riprodurre alla perfezione il rumore di una mitragliatrice, la bocca completamente asciutta, le mani cominciarono a sudare… Sapeva, questa ragazza, chi aveva cresciuto Martin? Chi era davvero?
“M… Martin, i-io…”
Lo sguardo implorante di Martin lo fece desistere dal continuare; cosa non si fa per amore dei propri figli, si disse mentalmente Oswald, mentre cominciava a prepararsi psicologicamente nel vedere la reazione orripilata di questa ragazza, quel terrore misto a disgusto.
“Va bene.” accettò con un flebile sorriso. “Non vedo l’ora di conoscerla.”
Appurato che era d’accordo di trascorrere le feste natalizie con questa nuova persona che, Oswald ne era convinto, se piaceva a Martin sarebbe piaciuta anche a lui, Oswald credeva che si poteva ricominciare a trascorrere una bella serata, ricordando i bei momenti ed escogitando anche qualche piccola tortura per chi aveva osato alzare troppo la voce. Invece, sembrava che era solo l’inizio e l’espressione di Martin si fece ancora più preoccupata.
“D’accordo, adesso basta! Mi stai facendo preoccupare sul serio!”
Vedendo come Oswald stava perdendo la pazienza, Martin decise di raccontargli tutto.
Evelyn era così contenta di poter trascorrere un Natale con una vera famiglia. Mi ha detto più volte quanto invidiava la mia situazione, con due genitori amorevoli che mi vogliono bene e che mi hanno sempre sostenuto. Non sono riuscito a dirle che in famiglia siamo solo noi due. Non è un problema! Noi due siamo sempre una famiglia! Ma —” il ragazzo smise di parlare, portandosi le mani tra i capelli, rendendosi conto solo in quel momento in quale guaio aveva messo il padre.
“Non hai voluto rovinare le sue aspettative.” finì la frase per lui Oswald, annuendo comprensivo, nonostante la situazione gli stava lacerando il petto. “Martin, ragazzo mio, forse non sono la persona adatta per dirti una cosa del genere, l’ho scoperto a mie spese. In una qualsiasi relazione, se vuoi bene a quella persona, devi essere sempre sincero.”
I riccioli castani di Martin si mossero appena mentre il ragazzo annuiva, poi rialzò la testa e riprese a parlare.
Mi dispiace. Mi ha raccontato la sua infanzia. Un padre alcolista, una madre assente, e altre cose brutte. Non ce l’ho fatta.
Oswald sorrise, allungando un braccio per stringere la mano a suo figlio, tentando di rassicurarlo, in qualche modo. “Non ti preoccupare. Troveremo una soluzione. Sono o non sono Oswald Chesterfield Cobblepot, il Pinguino, che riesce sempre a cavarsela in qualsiasi situazione?”
Il tentativo d’alleggerire l’atmosfera andò a buon fine, Martin sorrise mentre ricambiò la stretta di mano. Se l’animo del ragazzo s’era rasserenato, quello di Oswald cominciò ad agitarsi ed andare nella malinconia.
Perché, per quanto il suo cuore non desiderava altro che quella persona, al suo fianco, con cui dividere il resto della propria vita, a fargli male era l’idea d’avere una famiglia in cui Lui non ne faceva parte.
Ma era un prezzo che Oswald sarebbe stato disposto a pagare, pur di vedere felice Martin.
“Chiederò a Victor di collaborare per qualche giorno.”
Martin, però, alzò la mano, fermando i suoi ragionamenti, per tirare poi fuori dalla tasca un taccuino; l’aprì e mostrò un foglio su cui c’era una frase scritta con la calligrafia di Martin… Strano, da quando conosceva il linguaggio dei segni, Martin l’aveva sempre preferito al taccuino.
Non ti preoccupare,” c’era scritto, “ho un piano.
Oswald tornò a guardare suo figlio, cominciando a temere cos’avesse in mente.
“Non mi piace quando mi tieni all’oscuro di certe cose.”
Lo so, solo… Fidati di me.
E fu in quel momento che Oswald Chesterfield Cobblepot cominciò a non essere tranquillo.


Il più delle volte, Oswald preferiva dormire nell’appartamento che si trovava sopra all’Iceberg Lounge, per una questione d’efficienza e di logistica, e perché non desiderava rimettere piede in un luogo così pieno di ricordi che, come rovi, cominciavano ad aggrovigliarsi intorno al suo cuore, stringendolo sempre di più fino a farlo gemere, fino a farlo urlare, fino a farlo sanguinare.
La Villa Van Dahl era rimasta chiusa per anni per questo, perciò fu un po’ restio a scendere dalla limousine, ma qualche preghiera di Martin era servita per fargli compiere almeno i primi passi fino all’ingresso. Oswald riprese a fare un po’ di resistenza nell’entrare, temendo che la polvere e la mancata manutenzione avessero rovinato irrimediabilmente ciò che ricordava, ma la mano di Martin lo guidò dentro, facendolo entrare in una villa che non sembrava abbandonata, anzi: non c’era odore di muffa o polvere, le tende erano state pulite, i cristalli dei lampadari lucidati alla perfezione, il camino era acceso, il parquet tirato a lucido, c’era persino un albero di Natale finemente decorato con tanti altri addobbi natalizi sparsi per la casa… Era… Era come se —
“Vado sempre avanti, mai indietro. Posso volare come fermarmi, sono paziente, spregevole e immune a qualsiasi delle tue armi. Chi sono?”
La bocca di Oswald sussurrò la risposta, mentre il cuore aveva accelerato il proprio battito.
“Il tempo.”
Con passi cadenzati, Edward s’avvicinò ad Oswald, fin’a trovarsi al suo fianco. Oswald l’osservò con la coda dell’occhio che stava ammirando gli interni della casa completamente messi a nuovo.
“Non è opera tua, vero, Ed?”
Edward si portò la mano al petto, mentre il viso gli si contorceva in una smorfia di sdegno.
“Mio Dio, Oswald, davvero mi vedi con così poco senso estetico? Magari i primi tempi,” concesse con un’alzata di spalle, “ma col tempo sono decisamente migliorato!”
“Dipende dai punti di vista.” non potè fare a meno di stuzzicarlo, nascondendo un sorriso e una veloce occhiata all’outfit che l’altro indossava: sempre appariscente, sempre pronto per i riflettori, sempre verde… In una parola, straordinario!
Edward si mise a ridere, con immensa gioia di Oswald, facendo volteggiare un bastone d’oro, che catturò la sua attenzione.
“Quello è nuovo, non ce l’avevi l’ultima volta che ci siamo visti.”
“Ti piace?” Edward fece qualche piroetta, passandosi il bastone da una mano all’altra come se stesse facendo qualche esercizio di ginnastica ritmica. “Avevo in mente questo progetto sin da quando ero ad Arkham, e adesso posso finalmente utilizzarlo. Posso realizzartene uno, ovviamente con qualche modifica, magari un ombrello invece che un bastone da passeggio.”
Oswald alzò una mano per fermare sul nascere i progetti di Edward.
“Sto bene così.” gli disse, prima d'accorgersi che l’entusiasmo stava svanendo negli occhi di Edward, così tentò di rimediare in qualche modo. “Ma se dovessi cambiare idea, non esiterò a chiamarti.”
A Edward tornò il sorriso, e un vecchio quanto antico calore si sparse nel petto di Oswald.
Martin, all’insaputa degli altri due, sorrideva soddisfatto alla scena che aveva di fronte; con un leggero picchiettare allo stipite della porta, fu costretto a rompere quell’idilliaca riunione per cominciarne una più seria. Appena Oswald e Edward si girarono nella sua direzione, Martin indicò il salotto, facendo capire che desiderava parlare lì con le due persone a lui più vicine.
Una volta che tutti e tre erano comodi, Martin prese a parlare, raccontò loro come aveva trascorso gli ultimi cinque mesi in Europa, delle numerose opere d’arte che potevano essere rubate e, proprio mentre tentava un furto al museo D’Orsay, incontrò la ragazza con cui si stava frequentando ma che era divenuta importante in poco tempo, Evelyn Crawford. Gli occhi gli brillavano dall'emozione e, sebbene avesse già sentito la storia, Oswald non poteva che essere fiero di suo figlio: se Evelyn era quella giusta, Martin non doveva far altro che seguire il proprio cuore. Anche se cominciava ad avere un brutto presentimento.
Qui entrate in gioco voi,” li indicò, riprendendo a spiegare, “aiutatemi a farle vivere l’esperienza di festeggiare Natale con una vera famiglia per qualche giorno, vi prego.
Dopo qualche minuto di silenziosa tensione, Edward prese la parola.
“Le probabilità che questo rapporto possa funzionare, dopo solo cinque mesi di frequentazione, raggiungono il dieci per cento al massimo. Potresti pentirti d’aver fatto entrare così tanto questa ragazza nella tua vita.”
Martin s’impietrì di colpo, sbiancando all’istante ma, prima che potesse rispondere, Oswald intervenne in sua difesa.
“Può essere quella giusta, invece. Anzi, ne sono più che certo!”
“Oswald, non puoi dare speranza se non l’hai mai incontrata. Sei sicuro che questa ragazza abbia buone intenzioni?”
“Dubiti dell’istinto di Martin?”
“Certo che no! Ma deve sapere a cosa potrebbe andare incontro.”
“Martin è un Cobblepot. Il nostro istinto non sbaglia mai.”
Trascorsero alcuni secondi in cui Oswald ed Edward si fissarono, inizialmente combattendo una sorta di battaglia mentale, dove il primo che avrebbe abbassato lo sguardo avrebbe perso; poi, le parole di Oswald centrarono entrambi i bersagli, e due dei criminali più temuti di Gotham si ritrovarono ad arrossire. Martin pensò che quello era il momento giusto per parlare, dopo aver un secondo bussato sul tavolo, attirando l’attenzione d’entrambi.
Potreste fare finta che, nell’ultimo anno da quando siete usciti di prigione, abbiamo vissuto come una famiglia?” Probabilmente non era il momento adatto, pensò il ragazzo il secondo successivo, perché Oswald divenne cadaverico, mentre Edward si trasformò in una statua.
“È uno scherzo, vero Martin?”
“Non puoi dire sul serio.”
Invece sì. Insomma, è uno dei vostri vanti conoscere cose l’uno dell’altro che nessun altro sa. Non pensate che, se Evelyn chiedesse qualcosa, sarebbe perfetto rispondere mostrando quanto siete in sintonia?
Altri momenti di silenzio seguirono la domanda del ragazzo, il quale si vide costretto a tirare fuori un colpo basso.
Siete partner.
“Soci”, corresse immediatamente Edward, e Oswald avvertì il proprio cuore incrinarsi. Chiuse un secondo gli occhi per prendere un profondo respiro, doveva rimanere calmo il più possibile, per il bene di tutti.
“Martin.” riaprì gli occhi e notò che Martin lo stava guardando con gli occhi pieni di lacrime, come una preda consapevole della propria dipartita e gli fece ancora più male il cuore. “Anche se il tuo ragionamento è valido, non significa che possiamo far finta di-di essere… Insomma, già sapere che tuo padre è il Pinguino non dev'essere stato facile, ma sapere che anche il tuo secondo padre è l’Enigmista… Non sarebbe un po’ troppo da sopportare?”
“Cosa vorresti dire con questo?”
“Intendo dire, Edward, che non è detto che la ragazza accetti di buon cuore avere, non uno, ma ben due suoceri criminali.”
“Può accettare te come il Pinguino, ma non può accettare me come l’Enigmista?”
“Non intendo questo, lo sai benissimo, Ed, però —”
“Allora non ci saranno problemi.” Edward si rivolse a Martin, non dando la possibilità a Oswald d’intervenire. “Accetto!”
Martin sorrise, annuendo con gioia, anche se era già pronto ad intervenire per sedare gli animi. D’altra parte, Oswald rimase senza parole per qualche istante, l’idea che Edward avesse accettato di far finta d’essere una coppia gli riscaldava il cuore e lo terrorizzava allo stesso momento. Vedere quanto ci tenesse a Martin, tanto da essere disposto ad essere legato per qualche giorno alla Villa, era qualcosa che lo rincuorava: qualsiasi cosa fosse successa a lui, sapere che Martin aveva un’altra persona su cui poter contare era meraviglioso. Tuttavia, l’idea di trascorrere dei giorni, in compagnia di Ed, facendo finta d’aver creato una famiglia con lui, non lo rendeva entusiasta.
“Ed.” lo chiamò, questa volta con più calma, lanciando un’occhiata supplichevole a Martin. Il ragazzo sembrò capire e s’alzò dalla poltrona, lasciandoli soli. “Sei sicuro?”
Edward, a capo chino, sussurrò poche parole che presero in contropiede Oswald.
“Avevi sempre detto che non avresti nascosto la tua natura.”
Oswald s’avvicinò impercettibilmente al suo migliore amico.
“E mai lo farò!”
Edward si voltò verso Oswald, la mandibola serrata e gli occhi pieni di repulsione alla sola idea di dover rinunciare a sé stesso, non dopo tutto quello che gli era costato.
“Beh, neanch’io voglio nascondere quello che sono!”
Oswald chiuse gli occhi e prese un profondo respiro, poggiando delicatamente una mano sulla spalla di Edward.
“Non ti chiederei mai di farlo! Io…” senza rendersene conto, Oswald strinse leggermente la presa, non accorgendosi della veloce occhiata che Edward lanciò alla sua mano, sapeva solo che non poteva raccontare degli anni trascorsi a desiderarlo avere al suo fianco come suo pari. “Ed, ho paura di come possa reagire questa ragazza conoscendomi. Voglio solo che Martin sia felice, e non me lo perdonerei se dovesse trovarsi col cuore spezzato a causa mia! Tu no?”
E fu quando Oswald alzò gli occhi lucidi che notò lo sguardo di Edward addolcirsi.
“Anch’io lo voglio felice, ma sono certo che quella ragazza non si scandalizzerà se Martin ha come padre il Re di Gotham, anzi…” sorrise complice, contando mentalmente qualche secondo per creare la giusta suspense. “Dovrà temere di fare qualcosa di sbagliato se vorrà rimanere in vita.” s’avvicinò al viso di Oswald, sussurrando con un sorriso diabolico ad illuminargli il viso. “Sono disponibile ad aiutarti, se fosse necessario.”
Oswald si ritrovò a sorridere, chinò la testa e scosse la testa, Ed era splendidamente incorreggibile, in grado di ricordargli perché, nonostante gli anni trascorsi, provasse ancora qualcosa per lui.
“Ovviamente,” Edward s’allontanò appena, la voce perse quel tono diabolico, ma gli occhi rimasero allegri all’idea di compiere una qualche vendetta, “spero che non accada nulla. Un giovane amore merita d’essere vissuto.”
Oswald tornò a guardarlo, incredulo. “Non sei stato tu a dire che le probabilità, che un rapporto di cinque mesi continui nel tempo, sono basse?”
Edward inclinò la testa, facendo spallucce.
“La sua reazione è stata meravigliosa, sarò felice d’aiutarlo a convincere questa ragazza che lui è il ragazzo perfetto!” guardò fuori dalla finestra, immaginando i vari scenari, le varie possibilità, i perfetti tranelli per dimostrare che Martin era un ragazzo d’oro, ma valutare anche se quella ragazza era giusta per Martin.
“Ed?”
“Mh?”
“Non l’hai fatto apposta a dire quella cosa, vero?”
“Quale cosa?” domandò con un sorriso fintamente innocente.
“Ed.”
“Volevo vedere come reagiva.”
“Non… Martin vuole che ci mostriamo una coppia di fronte a questa ragazza, sei” — si schiarì la voce, non sapendo come porre la domanda ad Edward… Che cosa doveva chiedere, poi? Edward aveva già accettato, evidentemente l’idea gli stava bene, e la cosa lo terrorizzava.
Insomma, Martin s’era spiegato bene, non c’era alcun motivo di rivangare quello che già era stato precisato. Perché, poi, doveva essere agitato? Non c’era niente di cui agitarsi, Oswald aveva trascorso ben dieci anni a fare i conti con i suoi sentimenti per Edward, era giunto alla conclusione che non poteva sopprimerli, tantomeno forzarli sul destinatario nella speranza d’esser ricambiato, un giorno, no, c’avrebbe convissuto finché il corpo avrebbe resistito, come un male lento e incurabile che lo si poteva solo accettare. Eppure, l’idea di vivere quei pochi giorni nella sua fantasia più intima lo terrorizzava, convinto che non sarebbe stato capace di resistere, convinto che avrebbe scambiato la finzione con la realtà, mettendo in gioco una parte del suo cuore troppo delicata.
Edward interruppe il flusso dei suoi pensieri, togliendo una mano dalla gamba di Oswald che, immerso nei suoi pensieri, non s’era accorto del gesto.
“Siamo sempre stati bravi a mentire alla gente, questa volta non sarà diverso.”
Ed ecco la stillata più dolorosa, quella che non sarebbe mai cambiata: la consapevolezza che, per quanto ci sperava, Edward avrebbe solo mentito, solo fatto finta d’essere follemente innamorato di Oswald, e quel ch’era peggio era che Oswald l’avrebbe accettato. Avrebbe fatto qualunque cosa per Edward.
“Abbiamo un accordo?” domandò allungando una mano.
Edward la guardò per qualche istante, poi la strinse forte.
“È un accordo.”
Oswald intuì che la situazione non sarebbe finita bene.
“Chiamiamo Martin?”
Per niente.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


La mattina del giorno dopo, Edward, appoggiato al suo bastone, osservava attentamente il ritratto di Elijah Van Dahl; erano trascorsi molti anni da quando aveva giocato quel macabro scherzo ad Oswald, dovuto al desiderio di vendetta. Accanto al ritratto, c’era la statua che Oswald aveva fatto realizzare in ricordo di sua madre, quando era diventato Sindaco di Gotham.

Il claudicante passo di Oswald, insieme al ticchettare del suo ombrello, si sentirono sempre più vicini, facendo tornare Edward al presente; con la coda dell’occhio, vide Oswald avvicinarsi a lui, per fermarsi al cospetto dei suoi genitori. Con movenze calcolate, Edward poggiò la mano sinistra in bella vista.

“È da molto che non vado a far loro visita.”

“Sei stato impegnato, capiranno.”

Oswald sbuffò divertito, inclinando la testa verso il basso. “M’ero ripromesso che, una volta fossi uscito dal penitenziario, sarei andato da loro, e invece sono andato alla ricerca del caro e buon vecchio Detective Gordon.”

La risata che seguì quella confessione avvolse il cuore di Edward e cominciò a stringere, come se fosse costituita da sottili fili di ferro che potevano recidere qualsiasi organo umano, se posta la giusta dose di forza.

“Jim Gordon ci ha tolto dieci anni di vita. È comprensibile e, se i tuoi genitori fossero ancora vivi, sono sicuro che capirebbero.”

Edward si voltò in quell’istante, ritrovandosi riflesso nel monocolo del suo amico, e quei fili serrarono ancor di più la loro morsa, portando Edward a prendere una grande quantità d’aria.

Oswald allungò una mano e gli prese la spalla, stringendola, ed Edward s’aggrappò a quel gesto come se fosse un’ancora.

“M’accompagneresti a porgere loro un saluto?”

Edward annuì leggermente. Avevano una mattina per parlare e organizzarsi.

Insieme, entrarono nella limousine e il viaggio fu silenzioso. Edward mise la mano sinistra sul proprio ginocchio. Nessuno dei due voleva rompere il silenzio che s’era venuto a creare, solo l’autista osò romperlo un paio di volte, prima per avvertire che erano arrivati di fronte al loro fioraio di fiducia e poi quando erano giunti finalmente a destinazione.

Edward fu il primo a scendere, facendo il giro della vettura per aprire la portiera ad Oswald, sostituendo così l’autista. Sapeva che quella mansione non era di sua competenza, ma gli piaceva l’idea di farlo. Oswald rimase ancora qualche secondo in macchina ad osservarlo, gli occhi spalancati e le labbra dischiuse.

“Vogliamo andare?” gli chiese porgendogli la mano sinistra, che Oswald decise di non afferrare e di scendere da solo dalla macchina.

Edward ritrasse la mano, le labbra serrate furono l’unico indizio della punta di stizza nata da quel rifiuto. Oltre a ciò, rimase lo stesso, diede un paio di minuti ad Oswald di solitudine con i suoi genitori, impegnò quel lasso di tempo a prendere i fiori che avevano comprato.

Il cimitero sembrava ancora più freddo e abbandonato con la leggera nebbia mattutina che l’avvolgeva, lo scricchiolare delle foglie secche sotto i suoi passi boicottarono il suo tentativo d’essere silenzioso, si fermò pochi passi lontano da Oswald, notando che si stava asciugando gli occhi con un gesto furtivo.

Oswald prese un profondo respiro e si voltò indietro, guardando Edward negli occhi; si rivolse poi nuovamente alle tombe e, con un triste sorriso, annunciò.

“È arrivato anche Ed.”

Quello fu l’invito silenzioso per avvicinarsi, Edward si diresse verso le tombe. In religioso silenzio, s’inginocchiò per posare i gigli bianchi su entrambe le tombe, non resistendo alla tentazione di sussurrare un saluto.

“Buongiorno, Signora Kapelput. Buongiorno, Signor Van Dahl.”

Un saluto che ormai gli usciva naturale, l’aveva sempre fatto, da quando aveva promesso ad Oswald d’occuparsi della tomba della Signora Kapelput mentre il figlio era rinchiuso ad Arkham. Edward avvertì lo sguardo di Oswald su di lui, e si girò per affrontarlo.

“Qualcosa non va?”

Il volto di Oswald era pallido come i petali dei gigli, gli occhi ancora arrossati per il precedente pianto. La sua bocca si aprì senza che uscisse alcuna parola. Vedendo che non riusciva a dire niente, distolse gli occhi da Edward, concentrandosi su qualche particolare alla sua sinistra.

Edward, però, sentì il bisogno d’attirare nuovamente la sua attenzione, così lo richiamò.

“Oswald?”

Oswald si girò verso Ed, la sua bocca si aprì di nuovo, ma ancora una volta non disse nulla, limitandosi a fissarlo con una strana luce negli occhi.

“Preferisci sederti?”

Oswald annuì. Sotto lo sguardo vigile di Edward, s’avvicinò a una delle panche di marmo lì vicino e vi si sedette. Edward lo seguì, replicando i suoi movimenti con meticolosa e calcolata calma, pronto per qualsiasi reazione. Tuttavia, vedendo che Oswald non voleva parlare, Edward pensò di farlo concentrare su altro.

“Quando verrà la ragazza di Martin?”

“Domani. Martin è andato a prenderla.”

La cosa sembrava strana, senza logica, agli occhi di Edward e, studiando le espressioni di Oswald, immaginò immediatamente ad una nuova tomba al fianco della Signora Kapelput e del Signor Van Dahl, e una brutta sensazione lo avvolse.

“Stanno bene?” s’apprestò a chiedere, infatti, con una prontezza nei movimenti e un senso d’inquietudine che gli colorò la voce.

Inspiegabilmente, Oswald lo guardò con la sua stessa espressione, gli occhi sbarrati tempestati dalla paura.

“Perché, è successo qualcosa?”

“Non che io sappia. È successo qualcosa di brutto?”

“Certo che no!”

Edward lasciò andare un sospiro di sollievo, non s’era reso conto d’aver trattenuto il fiato fin’a quel momento, cominciando a ridere, seguito poco dopo da Oswald.

“Diavolo! Chi l’avrebbe mai immaginato che mi sarei trovato, alla veneranda età di quarantasei anni, famigerato Re di Gotham, a preoccuparmi per un figlio.”

Edward puntò lo sguardo all’orizzonte, la nebbia stava lasciando posto ad una giornata nuvolosa.

“È questo il bello del destino, non sai mai quello che ha in serbo per te!”

La nota allegra della sua voce non gli fece notare l’ombra che attraversò lo sguardo di Oswald, il quale, dopo qualche secondo, sussurrò poche parole.

“Per poi strapparti via tutto.”

Edward si voltò, trovando Oswald col capo chino, gli occhi che fissavano il vuoto. Immediatamente, la mente di Edward corse a quando erano usciti dopo dieci anni di prigionia; Oswald aveva dovuto faticare a rimettere le mani sull’Iceberg Lounge, per non parlare dei problemi con la legge che aveva dovuto affrontare per poter adottare legalmente Martin, senza rischiare che qualcuno glielo potesse portare via un’altra volta. Oppure i traffici a cui partecipava che erano di solito compromessi dalla presenza di Batman. Per quest’ultimo problema, però, Oswald non doveva preoccuparsi più di tanto.

“Se ti stai preoccupando per Batman, sappi che non sarà un nostro problema, per ora.”

La bocca di Oswald si aprì, ma non disse nulla, malgrado il suo viso esprimesse curiosità.

Edward si sentì abbastanza generoso e si lasciò sfuggire qualche piccolo dettaglio, giusto per farlo incuriosire ulteriormente. “Infatti, credo che stia ancora cercando di risolvere il mio nuovo indovinello. Ho fatto in modo che fosse abbastanza difficile, così da dargli abbastanza filo da torcere mentre noi saremo liberi d’incontrare la ragazza di Martin.”

Le sopracciglia di Oswald s’aggrottarono. “Sei serio?”

“Dannatamente serio”, gli strizzò l’occhio con fare civettuolo.

“E quando l’avresti fatto?”

“Ieri sera, poco dopo essere tornato a casa”, fece spallucce, facendo finta che tutto ciò che aveva progettato e realizzato la sera prima fosse una sciocchezza. “E non è l’unica cosa che ho fatto.”

Gli occhi di Oswald si allargarono allarmati, tanto che l’uomo gli afferrò il ginocchio.

“Cos’altro hai fatto?”

Edward si beò di quel calore, di quella sensazione d’essere un passo avanti a tutti, s’avvicinò un po’ ad Oswald e con fare complice gli rispose: “Lo vedrai.”

Oswald lo guardò nervosamente, stringendo un po’ di più la presa.

“Dai, puoi fidarti di me”, gli disse Edward.

La mano di Oswald scivolò lentamente dalla gamba fino alla mano sinistra, gliela afferrò, ma senza guardarla. I suoi occhi brillavano con un sentimento che Edward aveva paura di decifrare.

“Lo sai che sei l’unico di cui mi fido davvero, Ed. Promettimi solo che non ti caccerai nei guai. Non potrei sopportarlo.”

“Non mi metterò nei guai, e semmai dovesse succedere, ci sarai sempre tu ad aiutarmi. Ho ragione?”

Oswald non replicò, inizialmente. Si guardò i piedi, poi decise di rispondere: “A cosa servono gli amici?”

Sollevato, Edward cambiò argomento.

“Dunque, hai qualche piano per ingannare la ragazza di Martin?”

Oswald alzò lo sguardo, prima di sorridere complice.

“Sempre, Ed. Ho un piano per tutto.”

“Perfetto, perché questo mio piano sarebbe un totale fallimento se tu non ne avessi uno.”

Oswald inclinò la testa, quell’aria di preoccupazione era completamente scomparsa e il suo sorriso s’ampliò.

“Adesso devi davvero dirmi qual è questo tuo piano, Ed.”

Edward ebbe abbastanza audacia da posare un dito sulla punta del naso di Oswald, sorridendo come se fosse già Natale. “Il mio piano a sorpresa.”

Dopo un attimo d’incredulità, Oswald scoppiò a ridere, e lo stesso fece Edward.

“Proprio come ai vecchi tempi, eh Ed?” gli disse, dando qualche altro colpo di risata.

“Vuoi che ti dica del mio fantastico piano che riguarda il nostro matrimonio di dieci anni fa?”

La risata gli morì in gola, il volto divenne cinereo per poi assumere un colorito rosato, soprattutto sulla punta delle orecchie, Edward lo trovò adorabile, e dovette sopprimere l’impulso d’avvicinarsi per mordergliene una.

“Matrimonio? Cosa... Di cosa stai parlando, Ed?”

“Di quella volta che mi hai chiesto di sposarti, dieci anni fa, in una di quelle notti mentre fuggivamo dal nostro amato detective Gordon.”

“Davvero?”

“Proprio così.”

Oswald sorrise, dalla luce nei suoi occhi si capiva che cominciava a piacergli questo piccolo gioco e, di ciò, Edward ne era fiero.

“Credo che sia tu a non ricordarti molto bene quel momento, mio vecchio amico. Sei stato tu a chiedermi di sposarti”, gli disse, infatti, pungolandogli il petto.

“Volevo farlo, ma eri sempre distratto.”

La presa alla sua mano s’indebolì, Edward notò che Oswald aveva smesso di respirare per qualche secondo. “Da cosa?”

Per quanto la sua confessione s’avvicinasse alla realtà, Edward non lo diede a vedere, decise invece di giocare.

“Dal tuo desiderio di riprendere il controllo e dai tuoi tentativi di essere di nuovo il re di Gotham.”

Non è proprio vero, sai? Non avevi mai trovato il coraggio di farlo.

Oswald rimase senza parole, gli occhi gli tornarono lucidi. Con un sorriso che Edward non era abituato a vedere sul volto di Oswald, quest’ultimo prese a parlare.

“Ok, fammi capire bene… Tu volevi chiedermi di sposarti, ma io ero troppo impegnato a riprendere il controllo di Gotham. Quindi non me l’hai mai chiesto e, alla fine, sono stato io a chiedertelo?”

Edward distolse lo sguardo, accavallando una gamba per smorzare una punta di fastidio che cominciava a prudergli dietro il collo, ma non lasciò andare la mano di Oswald.

“Sì, questa era l’idea generale.”

Oswald ridacchiò, guardando il punto che Edward stava osservando.

“Immagino che possa funzionare.”

Edward non poté far altro che annuire, iniziando a sfregare lentamente il pollice contro quello di Oswald. Anche se la mano di Oswald era protetta dal guanto, l’idea di poter sentire la consistenza della sua pelle lo stava uccidendo lentamente. Con calma, Edward portò la mano di Oswald vicino alle labbra, assicurandosi d’aver la sua completa attenzione. Se Oswald si fosse ritratto o avesse obiettato, Edward era pronto a ribattere che era tutto programmato per convincere la fidanzata di Martin. Dovevano essere pronti a mostrare un’intimità matrimoniale di ben dieci anni, quei piccoli gesti dovevano risultare la normalità.

“Sono sicuro che la ragazza ci cascherà senza il minimo problema”, sussurrò prima di posare definitivamente le labbra sul dorso della mano di Oswald.

Oswald rimase come rapito dal gesto, le sue gote si sono arrossate, le labbra leggermente dischiuse. Si guardò per qualche secondo intorno, quando i suoi occhi vennero catturati dalla mano sinistra di Edward, notando un particolare a cui prima non aveva fatto caso, s’avvicinò abbastanza da poterlo vedere meglio, ed Edward non riuscì a contenere un sorriso consapevole, nascondendosi dietro le loro mani intrecciate.

“È un anello quello, Ed?”

Dato che finalmente Oswald se n’era accorto, Edward poté abbassare le mani, notando come il suo amico seguì con lo sguardo il gioiello che indossava: una fascia dorata con uno smeraldo incastonato.

“Direi di sì”, disse con un sorriso fintamente colpevole, stringendosi nelle spalle.

Oswald non seppe più dove guardare, se Ed, le loro mani intrecciate, l’anello che indossava Ed, le sue labbra, le loro mani intrecciate.

“Ma… Insomma… Come-do-dove… Tu —”

“Ieri sera, insieme ad altri progetti che ho cominciato, o portato a termine, mi son domandato ‘Qual è il metodo migliore per dimostrare che due persone sono sposate?’ ed ecco la risposta!” si mosse entusiasta sulla panchina, non riuscendo a contenere l’euforia invase lo spazio personale di Oswald. “Non ti devi preoccupare, ne ho preso uno anche per te.”

E l’espressione di Oswald non fece altro che aumentare il vortice di emozioni che stava provando Edward, era come versare del combustibile su un incendio, facendolo divampare, semplicemente devastante e assolutamente eccitante.

“D-davvero?”

Con un gesto teatrale, Edward posò il suo inseparabile bastone sul proprio grembo e tirò fuori dalla tasca una scatolina di velluto blu, facendola volteggiare un po’ prima di fermarsi.

Voleva aprirla, ma trovò qualche fatica perché Oswald gli stava stringendo la mano. Avrebbe potuto aprire la scatolina avendo a disposizione anche una sola mano, ma la reazione che stava avendo Oswald era troppo deliziosa. In petto gli rimbombò una risata mentre s’avvicinava ad Oswald, facendogli l’occhiolino con fare complice.

“Devi lasciarmi, però, la mano, se vuoi vederlo.”

Oswald non riusciva a trovare le parole, s’allontanò con movenze agitate da Edward, rischiando di far cadere a terra il monocolo; sorrideva senza riuscire a guardarlo in volto, mormorando frasi di scuse, di quanto fosse stato sciocco da parte sua tenergli la mano, che non ne aveva alcuna intenzione… Tutte frasi che punsero come spine.

Appena Edward aprì la scatola, un anello dalla fascia dorata, con un’ametista al centro, fece la sua scomparsa, ed Oswald cominciò a mordersi il labbro.

“Ti sorrido davanti, ma ho un pugnale dietro la schiena. Sono affabile, ma solo per attrarti nella mia trappola. Cosa sono?”

A quelle parole, l’espressione di Oswald passò da uno stato di commozione, ad uno di realizzazione, per finire poi in un’altra emozione che Edward non riuscì a decifrare, ma che aveva già visto sul volto di Oswald, tanti anni prima, al molo, poco prima che un colpo di pistola venisse sparato, e un corpo ferito allo stomaco cadesse in fin di vita nel mare.

“Cosa?”

Fu con voce strozzata che Oswald sussurrò quella domanda, così Edward gliela ripeté senza problemi, con più calma, senza domandarsi del motivo dietro quel cambio d’umore nel suo amico.

“Ti sorrido davanti, ma ho un pugnale dietro la schiena. Sono affabile, ma solo per attrarti nella mia trappola. Cosa sono?”

Oswald abbassò lo sguardo, cominciando a pensare alla soluzione e più s’avvicinava alla soluzione, più il suo volto diventava cupo, e più quello di Edward s’illuminava. Era trascorso molto tempo dall’ultima volta che qualcuno aveva impiegato del vero tempo per risolvere i suoi indovinelli.

“Sei l’inganno.”

La voce di Oswald era diventata come atona, lo sguardo s’era raffreddato, la mano gli scivolò via, ma Edward gli prestò poca attenzione. Oswald aveva indovinato! Aveva indovinato ancora una volta uno dei suoi indovinelli!!!

“Vuoi farmi l’onore d’ingannare questa giovane donna con me, così da far felice Martin?”

Il sorriso di Oswald non era raggiante come sempre, era più contenuto, ma annuì lo stesso, facendo spallucce, provando a buttare l’intera situazione sullo scherzo.

“Potrei mai rinunciare?”

Edward si mise a ridere, prendendo l’anello e sfilando poi il guanto di Oswald. Con grande soddisfazione, l’anello entrò all’anulare di Oswald senz’alcuna fatica; Edward non riuscì a contenere un commento espresso con una dolcezza che riservava a pochissimi.

“Ti calza alla perfezione”, esalò un sospiro di commozione ed immediatamente si rilassò, osservando adorante l’anello.

Anche Oswald osservò l’anello, sorrise appena alle loro mani intrecciate, tirò appena su col naso, per poi grattarselo. Lanciò uno sguardo al cielo, poi si rivolse nuovamente ad Edward.

“Hai fame?”

“Muoio di fame.”

Al sorriso genuino di Edward rispose un cenno affermativo da parte di Oswald, che sfregò una mano contro il ginocchio di Edward.

“Andiamo, allora.”


Una volta scesi dalla limousine, entrarono in un ristorante italiano, uno di quelli rimasti sempre fedeli ad Oswald. Appena il padrone si rese conto dei suoi due nuovi ospiti, riservò loro il suo tavolo migliore, illuminato da una luce soffusa, situato al lato opposto dell’entrata, cosicché se ci fossero state visite indesiderate da parte della GCPD o di Batman, Oswald poteva tranquillamente fuggire senza farsi notare.

Il cameriere versò nei loro bicchieri un buon vino rosso, Edward notò subito che era il preferito di Oswald. Colto dal momento, alzò il proprio calice, pronto per fare un brindisi.

“A noi.”

Oswald ripeté i suoi gesti, alzando elegantemente il bicchiere per farlo tintinnare contro quello di Edward.

“Sono felice d’avere un amico così leale, uno che è pronto a rischiare così tanto per me.”

Gli si formò un nodo in gola, nell’udire quelle parole, il tono specialmente, sembrava come se Oswald stesse parlando con qualcuno che poteva essere una minaccia. Per farti passare la sensazione, Edward diede un colpo di tosse e bevve un sorso di vino, trovandolo immediatamente delizioso. Il suo sapore era delizioso, forte e speziato, e subito lo associò ad Oswald.

Il cameriere portò poco dopo gli antipasti, senza attendere i loro ordini, conoscevano benissimo come comportarsi con il loro Capo, ed ormai sapevano quali piatti erano i suoi preferiti.

“Mmm”, al primo boccone su un paio di manicaretti Edward ebbe l’istinto lontano di portarsi una mano davanti la bocca per fermarsi, ma pensò che non c’erano problemi a riguardo: era insieme a Oswald, l’aglio non era presente nel suo piatto, non mangiava così bene da molti anni… Inoltre, vedere gli anelli insieme in due mani diverse regalava un senso d’orgoglio che Edward non aveva mai provato, erano semplicemente perfetti.

“Ti piace?”

“Uhm— Ad Arkham, sai, non si mangiano simili cose.”

“Dieci anni trascorsi lì dentro non saranno stati facili.”

In parte, Oswald non aveva tutti i torti, ma potersi sfogare contro Jeremiah Valeska faceva passare i brutti momenti ad Edward, quando era rinchiuso.

“Ci sono stati momenti difficili, e momenti divertenti.”

Oswald, dopo averlo osservato, tornò a mangiare. Edward sentì l’urgenza di dire qualcosa, cercò quindi un pretesto per parlare, uno qualsiasi, finché i suoi occhi non si posarono su un volantino attaccato sulla bacheca del ristorante che invitava ad una serata particolare all’Iceberg Lounge.

“Allora, come vanno gli affari, Signor Nygma-Cobblepot?”

Oswald smise di tagliare la bistecca, alzò gli occhi in un’espressione interdetta, le labbra appena incurvate verso l’alto.

“È un cognome orribile, Ed.”

La sensazione strana scomparve, Edward infatti si sentì più sollevato, il fatto che Oswald l’avesse chiamato Ed significava nessun problema. Scrollò appena le spalle nel mentre pensò a controbattere.

“Preferisci Cobblepot-Nygma, allora?”

Oswald sbuffò divertito, posando con fare esausto le posate, alzando gli occhi al cielo. Edward seguì passo dopo passo le sue movenze, trovandolo semplicemente affascinante, ancora di più quando Oswald si leccò e morse il labbro inferiore, non riuscendo a staccare gli occhi da quella porzione di pelle, mordendosi lui stesso il labbro.

“E Cobblepot-Nygma sia.” si mise a ridere, non riuscendo a trattenersi, poi ci pensò un po’ ed aggiunse, riprendendo a mangiare. “Gli affari vanno bene, grazie. Sento, però che mi manca qualcosa, il pezzo forte per rendere perfetto il locale.”

“So che anni fa avevi un pezzo da collezione, uno dei migliori che ci fossero in circolazione.”

Oswald gli lanciò un’occhiata languida, portandosi alle labbra un boccone.

“Vero, era un meraviglioso pezzo… Ma penso che sia meglio averlo come marito, piuttosto che apprezzarlo solo quando mi trovo al lavoro. In casa si può rimanere soli.”

Edward trattenne il respiro quando Oswald mise in bocca la forchetta, fu costretto ad ingoiare, ma passò subito al contrattacco. Gli prese una mano, appoggiandola sul tavolo, ed iniziò ad accarezzare con lenta calma il palmo della mano, mentre si sistemò meglio sulla sedia, così da trovarsi più comodo.

“Anche fuori si può rimanere soli, la gente attorno tende a scomparire in particolari situazioni, anzi potrebbero aiutare a creare la giusta atmosfera.”

Lo sguardo di Oswald divenne interdetto, mentre la pigmentazione del suo viso assumeva una colorazione più rosata, accorgendosi solo in quel momento che Edward gli stava accarezzando anche la caviglia con un piede. Contrariamente a quanto s’aspettava Edward, Oswald si schiarì la voce, sfilando la mano dalla sua presa e riprendendo a parlare di questioni a suo avviso più importanti.

“Dobbiamo mettere a punto qualche altro dettaglio per la storia, con quella ragazza.”

“Tipo cosa? Non l’abbiamo già fatto?”

“Direi che mettersi d’accordo solo su come ci siamo fatti la proposta mi sembra poco, Ed.”

Edward ci ragionò un attimo.
Di solito, quando una nuova persona entrava in una famiglia, domandare in che modo i genitori avevano fatto la proposta era la cosa più frequente, era un modo per capire e conoscere in che tipo di famiglia si stava entrando, se in una romantica, una tendente allo scherzo, oppure una che decideva improvvisamente, senza programmare. Edward avrebbe programmato tutto, fin nei minimi particolari, per far risultare tutto perfetto: avrebbe comprato i giusti anelli con un significato particolare dietro, avrebbe preparato la cena perfetta, che sarebbe stata consumata tra un buon bicchiere di vino pregiato e tante risate… A fine serata, seduti sul divano, si sarebbe inginocchiato ed avrebbe tirato fuori l’anello alla fine di un indovinello, attendendo la risposta affermativa della persona fortunata.

Cominciò a sentire freddo.

“Quale sarebbe il problema?”

“Ti piacerebbe se le raccontassi di quando ho ucciso la tua amata Isabel?”

Il tono sarcastico usato da Oswald non aiutò a rispondere a quella domanda, no, non voleva che si raccontasse quella situazione, per quanto avesse contribuito a farlo rinascere come L’Enigmista. Edward prese un grande respiro, chiuse gli occhi e cominciò a parlare lentamente. Avrebbe voluto dire che poco gli importava ormai, che era nel passato, che non c’era bisogno di rivangare determinate cose, bastava semplicemente raccontare qualche aneddoto divertente, spiritoso, e basta.

“Era Isabella”, lo corresse, invece, riaprendo gli occhi per fissarlo intensamente.

No, non era questo quello che voleva dire! Edward provò a muovere una mano, ma quella rimase ferma, stretta in un pugno che lui non aveva chiuso. Avvertì distintamente che stava perdendo il controllo, i fili del suo corpo stavano lentamente diventando sempre più lenti e deboli. Iniziò a vedersi come se fosse uno spettatore, costretto ad assistere ad una scena che non aveva ideato. Provò ad urlare il nome di Oswald, ma dalla bocca di quel corpo uscirono tutt’altre parole, ben più fredde di quelle che voleva pronunciare.

“Il suo nome era Isabella.”

Edward cominciò ad avvertire un calore propagarsi nella sua mano, provò ad alzarla, ma ancora non ci riusciva. Allora, tentò di spostare gli occhi verso la mano, e si rese conto che poteva di nuovo farlo. Il suo pugno era ancora stretto, ma era avvolto dalla mano di Oswald. Spostò nuovamente lo sguardo verso l’alto, ed Oswald lo stava guardando implorante.

“Sono abbastanza sicuro di avere un’idea su cosa dovremmo fare. Vuoi ascoltarmi, Ed?”

Edward comandò alla sua testa di fare un cenno affermativo e alla bocca di esprimere a parole la risposta. Solo la testa collaborò.

Oswald non distolse lo sguardo e strinse ancora di più la mano, provando a sciogliere il pugno di Edward per intrecciare le loro dita. Edward provò a contribuire.

“Probabilmente sa chi siamo, quindi sarebbe inutile negarlo o nasconderlo. Tuttavia, non credo che potrebbe accettare che ci siamo fatti del male a vicenda, quindi suppongo che sia meglio evitare di dirle esattamente tutto. Non lo credi anche tu, Edward?”

Sì, avrebbe voluto rispondere, solo momenti belli, di quelli che avevano trascorso insieme, come quando avevano ucciso Leonard, oppure la campagna per far diventare Oswald il nuovo sindaco di Gotham, oppure i momenti trascorsi mentre costruiva, solo lui, il sottomarino, mentre Oswald pensava a fargli piacevolmente perdere le staffe.

“La storia di come abbiamo ucciso Leonard, ad esempio possiamo raccontargliela, no? Anzi, sarà proprio la prima cosa che le diremo, così capirà che non deve scherzare con il nostro ragazzo.”

Edward trovò divertente l’immagine, e la sua bocca s’aprì in un sorriso divertito, accolto da un Oswald che osservò con una commossa soddisfazione Edward che stava riprendendo il controllo del proprio corpo.

“Abbiamo entrambi le nostre colpe”, riuscì finalmente a dire.

Oswald annuì, ben consapevole a cosa si stesse riferendo Edward.

“Ma siamo andati avanti.”

Edward riuscì a ricambiare la stretta di mano, intrecciando le dita con quelle di Oswald, il calore s’era nuovamente propagato per tutto il suo corpo.

“Io… Mi sei mancato, Os.”

Edward abbozzò un sorriso e, come aveva predetto, anche se per ragioni diverse, rimasero solo loro nel ristorante. Tutto il resto era passato in secondo piano quando gli occhi di Oswald cominciarono a lacrimare.

“Anche tu mi sei mancato.”

“Ma siamo liberi.”

Oswald annuì, stringendogli la mano.

“Proprio così, e… Edward?”

Oswald attese qualche secondo, prima di continuare, come se stesse cercando qualcosa dentro gli occhi di Edward. Sembrò trovarla, difatti riprese a parlare.

“Sappi che, costi quel che costi, non permetterò che un altro nostro arresto avvenga nello stesso momento. Non lo permetterò mai più.”

Edward dovette costringersi ad ingoiare quel groppo in gola che gli si era formato, si concesse però il lusso d’alzarsi da tavola e raggiungere Oswald, che lo guardò con gli occhi sbarrati e la bocca dischiusa.

“Cos’è successo?”

In pochi secondi, le braccia di Edward circondarono Oswald, stringendolo a sé come non aveva mai osato fare. Avvertì le mani di Oswald poggiarsi sulla sua schiena e gli venne da sorridere, nonostante gli occhi umidi.

“Grazie.”

Oswald annuì contro il petto di Edward, per poi sciogliere l’abbraccio. Nel momento in cui alzò lo sguardo si mise a ridere, asciugandosi qualche lacrima che evidentemente gli era scesa.

“Perché stai piangendo?”

“Non sto piangendo”, si tolse il monocolo per asciugarsi meglio l’occhio. “Tu, piuttosto, stai piangendo.”

“Sai che le lacrime prodotte durante pianti emozionali presentano una composizione chimica diversa dagli altri tipi di lacrime?”

“Non mi dire.”

Edward annuì, mordendosi il labbro inferiore per contenere il sorriso per aver rilasciato una piccola chicca di conoscenza.

“Contengono, infatti, un quantitativo significativamente più alto di ormoni prolattina, ormoni adrenocorticotropo, leu-encefalina, potassio e manganese.”

Oswald si mise a ridere, scuotendo leggermente la testa, poi rialzò lo sguardo verso Edward e gli fece una domanda, con lo stesso sguardo di qualcuno che osservava una creatura meravigliosa.

“Cosa farei senza di te, Ed?”

Dopo aver pagato il conto, i due s’alzarono, Edward aiutò Oswald con la sedia e gli offrì il braccio, cosa che Oswald gradì molto. Uscirono dal ristorante per raggiungere la limousine. Rimasero in silenzio per tutto il viaggio, solo il rumore della pioggia faceva loro compagnia. Edward venne accompagnato in uno dei suoi nascondigli segreti, con la promessa che sarebbe tornato a villa Van Dahl la sera stessa: Oswald gli aveva offerto una stanza degli ospiti per dormire, così entrambi sarebbero stati pronti per accogliere la nuova ragazza di Martin.

Per tutto il tempo, Edward provò a dare una risposta alla domanda retorica di Oswald, senza successo. Gli scenari potevano essere vari, dai più rosei ai più macabri, se non si fossero conosciuti. Ma di una cosa Edward ne era certo.

Senza Oswald, sarebbe stato perso.

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Qualcuno bussò alla porta del suo ufficio; a giudicare dal lieve tocco, Oswald poté indovinare che la nipote di Olga, che aveva cominciato a lavorare per lui da pochi mesi, era la responsabile.

“Puoi entrare, Ania.” ordinò, approfittando di quel momento di distrazione per stropicciarsi gli occhi, erano ore che Oswald non distoglieva lo sguardo dalle scartoffie per mandare avanti l’Iceberg Lounge.

“Il Signor Nygma è arrivato. La sta aspettando nel salotto.”

Oswald lanciò una rapida occhiata all’orologio a pendolo, poi sistemò i documenti dentro un cassetto, pronto per andare ad accogliere il nuovo ospite.

“Prepara qualcosa di sostanzioso e delizioso. Conoscendolo, non avrà cenato.”

Scese le scale, Oswald lo trovò seduto al divano, intento a leggere il Gotham Gazette. Forse, era il modo elegante con cui Edward aveva accavallato le lunghe gambe, o forse le luci del lampadario che creavano un gioco di luci ed ombre sul suo volto, l’unica cosa di cui Oswald era certo era che avrebbe stretto qualsiasi patto col diavolo in persona se ciò significava avere quella visione tutti i giorni.

Edward si voltò, ed un sorriso raggiante gli illuminò il viso.

“L’ultima visita alla Sede ha dato i suoi frutti!”

Oswald, per nascondere un sorriso, chinò la testa, mentre s’avviava a far compagnia ad Edward; aveva letto quella pagina di giornale.

“Si avverte, infatti, come le loro parole sul tuo conto siano sincere”, gli rivolse un sorriso malizioso.

“L’ultimo articolo che avevano scritto su di me non era stato molto carino”, ripose il giornale sul tavolino, togliendosi poi i guanti per mostrare apertamente l’anello che indossava. Oswald non distolse lo sguardo dal gioiello. Per quanto fosse una farsa, ancora non si capacitava di quello che l’anello di Ed, e il suo, rappresentavano. Il simbolo di una vita trascorsa insieme.

“Però,” Edward interruppe i suoi pensieri, “li ho trovati preparati, come se sapessero già quello che volevo da loro.”

“Magari qualcuno della G.C.P.D. li ha avvertiti di stare attenti.”

Edward si perse un attimo nei suoi pensieri, ragionando, portandosi una mano sotto il mento, mentre Oswald rimase immobile e composto, con lo sguardo fisso su Edward, nonostante il naso cominciava a prudergli.

“No, c’è qualcun altro dietro”, cominciò a mordicchiarsi l’unghia. “La GCPD avrebbe fatto subito irruzione, per non parlare di Batman.”

Oswald, da grande sostenitore delle cause di Edward, gli sorrise e poggiò rassicurante una mano sul ginocchio.

“Vedrai che troverai chi c’è dietro a tutto questo. Non è altro che un puzzle, no? Risolverai anche questo, come tutti gli altri.”

Edward si voltò verso Oswald, e non poté trattenere un sorriso.

“Ed io sono un maestro dei puzzle.”

“Direi il migliore.”

Edward scoppiò in una risata e batté le mani entusiasta, beandosi di quel complimento.

“Oh, Oswald,” s’appoggiò allo schienale, volgendo la completa attenzione all’altro, “così però mi vizi. E avere un marito viziato non è mai qualcosa di cui bisogna andare fieri.”

Oswald sbatté le ciglia un paio di volte, non aspettandosi una tale insinuazione. Impiegò qualche istante per ricordarsi che quell’atteggiamento era dovuto alla farsa, che sarebbe iniziata il giorno successivo. Evidentemente Ed voleva fare un po’ di pratica, cercando di risultare il più naturale possibile – i dieci anni trascorsi ad Arkham l’avevano reso bravo a mentire, a quanto sembrava. Ma se Ed voleva fare pratica, Oswald non poteva tirarsi indietro. Un po’ per orgoglio e un po’ per vedere una qualche reazione, Oswald sentì il forte desiderio di dover rilanciare, aumentando la posta in gioco.
Così, si sistemò meglio, ricambiando lo sguardo provocatorio di Edward con un sorriso appena accennato che voleva essere innocente, ma che faceva trasparire tutta la malizia contenuta.

“Può venire Batman, Gordon con la G.C.P.D. al completo, la Corte dei Gufi, persino Bane… Per quel che mi riguarda, se hanno qualcosa da dire, non devono fare altro che tenerla per sé, se tengono alla loro vita. Solo io posso decidere quanto viziare mio marito.”

Edward sorrise e provò a frenarsi dal contorcere il corpo per la gioia, si limitò a posare la mano su quella di Oswald.

“Sarebbe sublimemente affascinante vederti all’opera, mentre fai valere le tue ragioni.”

“Vorrà dire che riserverò un posto esclusivo, in prima fila, solo per mio marito, la prossima volta.”

Oswald si stava abituando all’idea di rivolgersi a Ed come ‘mio marito’, era intimo, era personale, era esclusivo. Le parole scivolavano così bene nella sua bocca ed avevano un suono divino alle sue orecchie, sembravano esser state create apposta per parlare di Edward. Quanto sarebbe stato bello poter minacciare Gotham di non torcere un capello a Ed perché erano sposati – per quanto Oswald non si tirava mai indietro dal proteggere Edward se la situazione lo richiedeva, però avrebbe avuto la soddisfazione di vedere le reazioni degli altri, nel sapere che aveva sposato l’uomo migliore al mondo. Un piccolo sorriso, più sincero del precedente, gli increspò le labbra: sarebbe stato meraviglioso.

Il soggetto dei suoi pensieri si limitò a rispondere con un contenuto sorriso, dedicando l'attenzione poi alle loro mani intrecciate.

“Continuiamo così, e la fidanzata di Martin crederà che siamo davvero sposati.”

Il mondo leggermente roseo che Oswald si stava immaginando divenne tetro all’istante, le farfalle allo stomaco si trasformarono in calabroni che lo punsero ovunque, trasformando quel sorriso in un’espressione risentita. Per un secondo, aveva dimenticato che tutto quello che sarebbe avvenuto di lì a poco era frutto di una farsa, la più crudele di tutte. Annuì risoluto, senza guardare negli occhi Edward.

“Certo. In fondo, siamo bravi a fingere.”

Edward sembrò cogliere qualcosa in quella frase che Oswald aveva pronunciato con troppo veleno, ma non fece in tempo a dire qualcosa che Ania li avvisò che la cena era pronta sul tavolo.

“Non hai già mangiato?” domandò Edward, ancora interdetto.

Oswald s’alzò dal divano, lisciando le pieghe inesistenti della giacca. Doveva fare buon viso a cattivo gioco, come sempre.

“Certo. Ma si può dire lo stesso di te?”

Quegli occhi nocciola andarono ad osservare il centrino all’uncinetto che decorava il tavolino, dimostrando che Edward era stato colto in flagrante. Il ghiaccio che s’era formato intorno al suo cuore pochi istanti prima si sciolse in un sorriso intenerito.

“Coraggio, mio vecchio amico. Lasciati viziare un po’.”

Edward balzò dal divano e, come quella mattina, offrì il braccio ad Oswald, che accettò volentieri, e si diressero verso la sala da pranzo. Il tavolo di mogano era stato velocemente apparecchiato, Ania s’era data da fare per avere un buon risultato nonostante il poco preavviso. Oswald doveva dirsi soddisfatto, Olga sarebbe stata orgogliosa di sua nipote.

“Grazie, Ania.”

La ragazza, imbarazzata perché non sapeva come comportarsi, rivolse prima uno sguardo ad entrambi, poi arrossì mentre eseguiva un goffo inchino. “Se desiderate altro, chiamatemi.”

Infine lasciò la sala a passo veloce.

“Se non l’avessi chiamata Ania, avrei pensato che qualcuno aveva ringiovanito Olga.”

Oswald lasciò andare qualche colpo di risata, prima di portare la forchetta in bocca. “Le assomiglia, infatti, anche se è ancora un po’ inesperta. Specialmente in cucina. Ma sono fiducioso, impara in fretta.”

“Magari, durante questi giorni, posso insegnarle qualche ricetta che cucinava tua madre.”

Oswald abbassò la forchetta e strabuzzò gli occhi, esterrefatto, non aspettandosi una simile proposta. Avrebbe dato qualsiasi cosa per assaporare ancora una volta il gulasch che la madre gli preparava, e che Ed era riuscito a replicare quasi alla perfezione. Chiuse gli occhi ed annuì energicamente, come un bambino a cui era stato promesso il più bel regalo al mondo.

“Sarebbe magnifico”, si morse il labbro inferiore per nascondere il tremore. Nonostante ciò, non demorse dal mostrare il sorriso che gli stava nascendo, mentre gli occhi divennero umidi di lacrime. Se la situazione fosse stata reale, si sarebbe alzato per baciare Ed con tutta la forza e la gratitudine possibile.

Edward, davanti alla sua reazione, sorrise di rimando, abbassando però lo sguardo, cominciò a giocare un po’ con il cibo, spostandolo di qua e di là all’interno del piatto.

“Non ti devi preoccupare, ho espressamente chiesto ad Ania di non farti trovare alcun pezzo di cipolla, all’interno del piatto.”

Edward sbuffò divertito, guardandolo poi di sottecchi. “Ti ricordi ancora.”

Anche se non era una domanda, ma una semplice affermazione, Oswald non riuscì a trattenersi, si sentì in dovere di rispondere. Come poteva dimenticare ogni singola particolarità e stranezza dell’uomo che aveva di fronte, dettagli che lo rendevano magnifico ed insofferente al tempo stesso. Neanche il lavaggio al cervello di quel folle di Strange gli avrebbe fatto dimenticare le singolari abitudini di Edward.

“Potrei mai dimenticare? In fondo, sarai mio marito per i prossimi giorni, mi sembra normale conoscere le tue abitudini.” prese un’altra forchettata ed assaporò con gusto la carne, che si sciolse all’interno della sua bocca come se fosse burro per quanto tenera, mentre la salsa si sposava perfettamente con le verdure. Davvero un ottimo piatto, pensò, mentre un innocente mugolio d’apprezzamento gli sfuggì dalle labbra.

Peccato per Oswald che tenne gli occhi chiusi, mentre si godeva il boccone, altrimenti avrebbe visto Edward irrigidirsi per pochi istanti, stringere la forchetta talmente forte da fargli sbiancare le nocche, schiarirsi la voce con un moderato colpo di tosse.

“A proposito di questo…” Edward prese un sorso d’acqua, giusto per creare la giusta suspense per il suo pubblico. “Ho preso in esame la questione di dove sarebbe l’ideale per me andare a dormire, in questi giorni, e probabilmente la mia vecchia camera —”

“Ed.” Oswald lo interruppe risoluto e determinato, posando una mano sul braccio. “Se vogliamo fingere per Martin, dobbiamo farlo fino in fondo. Dormiremo nella stessa camera.”

Avevano condiviso diverse notti a dormire nel letto di Ed, strappandosi le coperte a vicenda, ritrovarsi con un gomito infilzato alla bocca dello stomaco, svegliarsi a causa delle molle che cigolavano anche per il più piccolo movimento. Sorrise al ricordo. Aveva sempre provato nostalgia per quegli istanti, tristi da un lato, ma preziosi dall’altro. Momenti in cui un velo d’innocenza ed inesperienza copriva ed avvolgeva entrambi, ancora all’oscuro di quello che sarebbe successo dopo, ma certi che quella loro amicizia sarebbe durata per molto tempo. Di tutte le cose che Oswald rimpiangeva, godersi meglio quei giorni nell’appartamento di Ed era nella lista.

Il silenzio, dopo la sua frase, era sceso, Oswald se ne rese conto solo in quel momento; alzò lo sguardo e vide Edward che fissava il piatto. Immediatamente, una gelida paura l’avvolse e si ritrovò a rettificare. Sapeva ormai che non aveva speranze, ma non voleva rovinare l’amicizia che li aveva riuniti, dopo tutto quello che avevano passato.

“O-ovviamente, se ti senti più a tuo agio tornare nella tua vecchia camera, chiedo ad Ania di prepararla.”

Edward scosse piano la testa, accennando un sorriso. “Ti stavo per chiedere di dormire nella stessa camera. Sai, per —” s’aggiustò gli occhiali per guardare poi il fondo della sala, lanciando solo una veloce occhiata scrutatrice verso Oswald, “mantenere meglio le apparenze.”

Oswald sbatté le palpebre un paio di volte, rimanendo a bocca aperta: Edward stava per chiedergli di condividere la camera? Nonostante fosse stato il primo ad optare per quella scelta, Oswald non s’aspettava che anche Edward fosse della stessa opinione. Avendo trascorso dieci anni chiuso in una camera singola, con le urla dei pazienti dell’Asylum come unico rumore di sottofondo, probabilmente non era stato facile. Oswald era riuscito a trarre qualche vantaggio dalla sua immeritata carcerazione, ma Arkham… Non condannava Ed per desiderare una presenza amica al suo fianco. Chiuse la bocca e scrollò le spalle, tornando a sorridere mentre alzò le mani.

“Allora è deciso!” afferrò i bracci della sedia. “Chiedo ai miei uomini di prendere la tua roba.”

Prima che s’alzasse dalla sedia, Edward lo fermò.

“Oh, per quello non sarà necessario”, dopo uno sguardo interrogativo che Oswald gli rivolse, decise di spiegarsi meglio. “Ho lasciato la borsa all’ingresso.”

“Allora Ania avrà già sistemato tutto.”

Si scambiarono un sorriso, prima di riprendere a mangiare. Calò nuovamente il silenzio ma questa volta, Oswald notò, era meno pesante. La mente andò a correre verso quello che avrebbe trascorso nei giorni successivi. Con uno sbuffo divertito, pensò a quanto sua madre sarebbe stata felice, magari insieme ad Elijah: il loro meraviglioso nipote che portava a casa la propria fidanzata per farla conoscere, il loro amato figlio pronto a tornare l’uomo importante che era… Magari, avrebbe invitato per davvero anche Edward in queste feste familiari, per condividere un momento spensierato, per farlo conoscere ai suoi genitori, per sentirsi completamente in famiglia. Era certo, Gertrude avrebbe cominciato a mettere Edward alla prova, con domande e relative minacce, Elijah sarebbe stato più un tipo da mettere in mostra le doti di suo figlio, facendo intuire ad Edward che sarebbe stato un vero peccato non continuare a coltivare un’amicizia come la loro, e forse Edward avrebbe stupito tutti con la sua conoscenza e i suoi indovinelli, magari avrebbe anche detto qualcosa… No, forse era meglio non correre troppo con la fantasia, sempre allettante e tentatrice, pronta a far innamorare tutti e tirar fuori il pugnale della realtà quando uno meno se l’aspettava.

“Ho dato ordine a tutti, Ania compresa, di seguire ogni tua direttiva come se fosse la mia.”

Edward annuì, dal sorriso che gli rivolse sembrò grato per la considerazione, spostò poi lo sguardo verso una sedia vuota e, dopo qualche secondo, fece un leggero cenno d’assenso per osservare poi Oswald, dimenticandosi completamente del cibo che aveva lasciato nel piatto. All’inizio, Oswald non ci fece caso, anzi, provò soddisfazione nell’essere ammirato, si sistemò meglio sulla sedia, portò con più garbo la forchetta alla bocca, diede leggeri sorsi al vino; mano a mano che il tempo passava però, ed Edward non smetteva di fissarlo, Oswald cominciò a sentirsi a disagio, iniziò a trovarsi brutto, orrendo, orribile, provò a pulirsi le mani e la bocca, ma più ripeteva quei gesti, più si sentiva male. Perché Ed continuava a guardarlo? C’era qualcosa che non andava? Non riusciva a capacitarsi che il suo migliore amico era diventato un essere mostruoso, grosso, flaccido? Immediatamente, Oswald posò la forchetta con tanta enfasi da far tintinnare la posata.

“Non finisci di mangiare?” gli domandò Edward con un sorriso sornione sul volto, infastidendo Oswald.

“Non sono un fenomeno da circo, Ed.”

“Certo che no. Però —” s’alzò e si diresse verso Oswald, appoggiandosi al tavolo a braccia conserte, “dovrai mostrare che puoi mangiare senza problemi mentre vieni osservato da tuo marito come se fossi il dessert.” alzò l’indice per puntualizzare un concetto, mentre sorrideva sornione. “Senza battere ciglio.”

Oswald prese un profondo respiro, alzando un sopracciglio infastidito. “Credi che non ne sia capace?”

Edward lanciò un’occhiata al piatto dietro di sé, quello che Oswald aveva lasciato mezzo pieno; tornò poi a guardare Oswald. “L’hai dimostrato te.”

Le narici di Oswald s’allargarono, mentre gli occhi lanciavano fiamme e fulmini. Se Edward desiderava così tanto guardare mentre lui mangiava, bene, l’avrebbe accontentato. Con un impeto di rabbia, afferrò il piatto e riprese a mangiare voracemente e senza ritegno, non staccando mai gli occhi da Edward.

L’altro uomo rimase con la bocca dischiusa, un paio di volte ingoiò rumorosamente, ma rimase lì, immobile, ad osservare la sua bocca. Oswald notò come, di tanto in tanto, Edward stringeva i polsi quando apriva le labbra per chiuderle intorno alla forchetta. Non si vergognò affatto, anzi, cominciava a divertirsi, e non si lasciò sfuggire l’occasione di mettere in chiaro il proprio stato d’animo, sorridendo strafottente.

“In realtà, sembra che sia mio marito che non riesce ad osservarmi mentre mangio. Cosa c’è, Eddie, non abbiamo mai consumato il nostro amore?”

Rise alla propria battuta, immaginare di fare certe cose con Ed era… Buffo, per quanto innamorato fosse… Se tentava di non sognare spesso un bacio, immaginare loro due nudi nello stesso letto era oltre ogni limite.
Per questo la reazione di Edward lo colse impreparato: infatti, con un gesto fulmineo, Ed gli s’avvicinò, poggiando entrambe le braccia sui braccioli della sedia, rimanendo a pochi centimetri di distanza dal suo viso, con solo la forchetta in mezzo a loro, respirando quasi la sua stessa aria. Oswald aderì completamente allo schienale, trovando quella vicinanza troppo invasiva, poche volte s’erano trovati in una situazione del genere, e lui aveva sempre optato per un innocente abbraccio. Il cuore cominciò a martellare talmente forte dentro al petto, che Oswald si sentì come tremare. Non osava abbassare lo sguardo, lo mantenne fisso negli occhi di Edward. Provò a protestare, ma Edward lo anticipò.

In realtà, non siamo mai stati capaci di mantenerci distanti, troppo il…” sospirò, chinando il capo, ed Oswald sentì il proprio cuore stringersi in una morsa. “Desiderio di rimediare a degli errori del passato. Di mostrare chi dei due è il migliore e riesce ad avere la meglio sull’altro.”

Il sussurro con cui Edward aveva terminato la frase stava per convincere Oswald a lasciar andare forchetta e piatto per abbracciare quel bellissimo uomo che aveva di fronte, nonostante l’attimo di panico che aveva avuto pochi istanti prima. Le parole di Ed erano schiette da sembrare reali, vere, tanto che Oswald era intenzionato a crederci; infatti, non faceva alcuna fatica ad immaginarsi la scena di loro due, nudi, che finivano per fare l’amore solo dopo aver superato una miriade di sfide. Ridacchiò al pensiero, mentre posò sul proprio grembo il piatto per prendere il mento di Ed e sollevargli il volto.

“E fammi indovinare,” alzò un sopracciglio furbo, mentre gli occhi gli brillavano all’idea di pregustare una piccola vittoria, seppur immaginaria. “Sono sempre io ad aver la meglio su di te, mh?”

Edward sorrise complice, come se anche a lui non risultasse difficile immaginare la scena; o, forse, era l’immaginazione di Oswald a fargli vedere cose che non c’erano.

“Potrebbe essere il contrario.”

Oswald abbassò la forchetta, desideroso di guidare Edward verso le proprie labbra.

“Vero… Solo se ho voglia di farti vincere.”

Edward sbuffò divertito, mentre una bassa risata rimbombò nel petto di Oswald. Edward s’avvicinò ancora un po’ e cominciò a sussurrare con un sorriso cospiratorio.

“Siamo pronti per affrontare la ragazza di Martin, domani.”

Oswald avvertì freddo intorno a sé, come se Victor Fries fosse entrato in casa sua. Per un secondo, s’era dimenticato che tutto quello che sarebbe avvenuto era una farsa. Abbassò lo sguardo, cercando qualcosa su cui concentrarsi per non pensare al proprio stato d’animo. Una parte di lui bramava a tutti i costi quello che gli toccava di diritto, un’altra invece sapeva che non poteva prendersi qualcosa che non sarebbe mai stato suo, specialmente se si trattava di Edward. Oswald zittì quel suo lato egoista ed annuì, sorridendo malinconico.

“Solo un paio di giorni, poi sarai libero di tornare a casa.”

Il volto di Edward s’allontanò come scottato, riprese una posizione eretta ed aggiustò gli occhiali, tornando rigido e meticoloso, voltando le spalle ad Oswald.

“Certo. Riprendere le attività e i vari progetti…”

Oswald annuì ancora, in maniera più solenne questa volta, comprensivo che Edward aveva sospeso i propri programmi per aiutare Martin. Di ciò, gliene era profondamente grato.

“Credo che sia giunto il momento di coricarsi,” riprese il piatto per posarlo sul tavolo, s’alzò dalla sedia ed afferrò il bastone. “Vieni oppure —”

“Preferisco rimanere ancora un po’ sveglio. Sempre se non ti dispiaccia.”

Oswald mantenne il sorriso che non sentiva affatto vero, in parte felice che Edward avesse deciso di non andare a dormire subito.

“Ma certo! Da questo momento in poi, fa’ come se fossi a casa!”

Edward non rispose ed Oswald non insistette. Un pesante silenzio avvolse entrambi, solo il ticchettio del bastone di Oswald lo interrompeva. Una volta giunto alla porta, Oswald si voltò indietro, notando che Edward non aveva mosso un muscolo, ancora gli dava le spalle. Il cuore gli si strinse in una morsa, mentre con la mano stringeva il manico per sopportare il dolore; per un momento, Oswald volle dire qualcosa, qualsiasi cosa per togliere Ed da quello stato d’animo. Così, lo chiamò.

Edward si voltò, un leggero sorriso ad increspare di nuovo il suo volto, ma senza raggiungere gli occhi.

“Ci vediamo domani mattina,” gli disse. “Buona notte, Oswald.”

Evidentemente, non aveva davvero sonno, per questo Oswald lasciò correre.

“Notte, Ed. A domani.”

Ancora una volta, aveva scelto di non insistere per amore di Edward.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Col mento appoggiato sulle mani, Edward non smetteva di fissare Oswald mentre dormiva placidamente. Tenere sotto controllo i suoi respiri era un’abitudine che Edward aveva preso e non aveva mai dimenticato. Come non aveva mai dimenticato ogni sua singola peculiarità. Ogni singola lentiggine, ogni movimento volontario e non, ogni sfumatura dei suoi occhi…

Quando avresti intenzione di dirmelo?

Neanche la voce di quell’ombra gli fece distogliere lo sguardo dal vero Oswald.

Non puoi ignorarmi! Avevamo un patto, Ed! Adesso devi rispettarlo!” l’ombra puntò il dito, urlando e sbraitando come avrebbe fatto il vero Oswald, la rabbia gli illuminava l’unico occhio sano, l’altro… Quello continuava ancora a sanguinare copiosamente. Più Oswald s’infuriava, più quell’occhio sputava sangue.

Edward prese un profondo respiro. Stava mantenendo la promessa! Solo… Aveva bisogno di tempo per mettere tutti i tasselli al proprio posto, ed aspettare il momento giusto per far azionare il meccanismo.

Ci sono voluti solo dieci anni per farti accettare quello che provi per Ozzie, mi sembra normale aspettare altri dieci anni per progettare il miglior modo per confessarglielo”, L’Enigmista alzò teatralmente gli occhi al cielo, sospirando pesantemente. “Sarà una luuunga attesa.

Edward si voltò alla sua destra per lanciar loro un’occhiata risentita, se quei due non l’avevano ancora notato, lui stava già lasciando dei segnali a dir poco inequivocabili.

Oh, sì, certo”, l’ombra di Oswald annuì, fingendo stupore, “perché parlarmi di quanto possa essere erotico il mio modo di mangiare è decisamente un modo per dirmi che sei innamorato di me!

Potevi tentare con la pallottola dentro al muffin!

Quella era decisamente migliore!

Edward premette le mani contro gli occhi, desiderando disperatamente d’esser lasciato solo. Non voleva sentire ancora quelle voci, perché non smettevano se non prendeva quelle pillole da quando era evaso da Arkham e in quel momento stava in compagnia di Oswald?

Siamo qui per ricordarti di mantenere quella promessa, idiota.

E la mia sola presenza non basta a farci scomparire! Sai quello che devi fare, Ed! FALLO!

O forse hai paura che ti possa rifiutare, sai…” L’Enigmista fece una smorfia di dolore, lanciando un’occhiata al vero Oswald. “Potrebbe essere troppo tardi, ormai… D’altronde…” inspirò profondamente, accavallando le gambe. “Sono passati solo dieci anni, quasi dodici, contando la prima volta che ti ha detto che ci amava.

L’ombra di Oswald puntò il dito verso l’Enigmista, sorridente. “Ecco, questo potrebbe farmi veramente molto arrabbiare, perché mi hai quasi ucciso, ho perso un occhio per te, e poi —

“Smettetela”, Edward sussurrò disperato, stringendosi alcune ciocche di capelli, cominciando a dondolare sulla sedia canticchiando una canzone per non sentire più quelle voci.

Smettere cosa, Ed? Di dire la verità? Tu hai paura di essere rifiutato!

O di ricevere una pallottola… Magari dritta al cuore.

No! Lui… Edward non aveva paura, lui… Aveva solo bisogno di tempo… Lui doveva, doveva —

Devi ammettere che hai paura di lui, questa volta, Eddie caro!

E come credi possa amare qualcuno che ha così tanta paura d’affrontarmi?! Al mio fianco voglio una persona coraggiosa, Ed, non un pusillanime come te!

Edward s’alzò di scatto, volendo dimostrare ad Oswald che non era un vigliacco, ma che meritava un posto al fianco di Pinguino. A grandi falcate raggiunse il letto a baldacchino di Oswald, si chinò sull’amico, pronto a dimostrare di non essere un completo codardo, ma il suo battito cardiaco era troppo accelerato, i suoi respiri erano corti; per calmarsi, Edward fece quello che sapeva fare meglio: passò a controllare le mani di Oswald, notando come le unghie erano incrostate di sangue, mentre si sentiva un leggero odore di ferro. Avvicinò una mano al proprio volto e respirò profondamente, inebriandosi di quell’odore, immaginando come Oswald avesse ucciso la sua ultima vittima. Una bassa risata lo colse, beandosi della visione che la sua mente aveva creato, un Pinguino che infilzava il malcapitato con la lama nascosta nel suo bastone con una furia tale da sporcarsi volto e vestiti. Tanto pericoloso quanto peccaminoso.

Spostò lo sguardo verso il viso di Oswald, completamente pulito; come d’abitudine, prese a contare le lentiggini, scandagliando ogni singola porzione di pelle per verificare che non ce ne fossero di nuove. Edward osservò attentamente la cicatrice che adornava il volto del suo migliore amico, mentre il ricordo delle urla di dolore squarciavano il logico silenzio della sua mente, sovrastando gli spari e le granate.

Con il suo occhio critico, iniziò a verificare ancora una volta che la ferita fosse guarita per bene, senza lasciare segni di infezioni. Dalle poche lettere che i due erano riusciti a scambiarsi in quei dieci anni, Edward aveva saputo che gli altri carcerati e le guardie di Blackgate avevano provato a colpirlo all’occhio destro ma, a giudicare dal fatto che la ferita era esattamente come l’ultima volta che l’aveva vista, Edward poteva ancora tirare un sospiro di sollievo.

S’avvicinò un poco, notando sette capelli bianchi alle tempie, insieme a qualche piccola ruga che adornava gli occhi di Oswald, dandogli un’aria ancor più regale.

Portò due dita all’altezza della giugulare, cominciando a contare. La mano però circondò il collo di Oswald, trovandosi perfettamente a proprio agio in quella posizione, stringendo un collo possente come quello di Oswald.

Quale meravigliosa sensazione avere Oswald, il temibile Pinguino, alla propria mercé, poteva fare qualsiasi cosa, poteva distruggerlo, massacrarlo, sopraffarlo, ucciderlo anche. S’avvicinò ancora un po’.

L’altra mano si posò sulla guancia di Oswald, assaggiandone la consistenza; Edward strofinò il pollice contro lo zigomo, mentre si inumidì le labbra. Il profumo di Oswald era inebriante, lo chiamava e lo invogliava a farsi avanti. Si chinò fino ad avere le labbra di Oswald a pochi millimetri di distanza, quando si fermò: perché baciarlo così, al buio, quando poteva mostrare a Gotham intera ciò che provava? Aggiungere questo particolare al suo piano originale era una cosa a cui doveva pensare prima, ma non c’era niente di male nel perfezionare il suo piano, e creare uno spettacolo che avrebbe attirato le attenzioni di tutta Gotham era qualcosa che Edward, alias L’Enigmista, sapeva far meglio.


Si sentiva strano, come se qualcosa stesse fuori posto, ma non sapeva cosa. Quando Oswald prese coscienza, le sue palpebre erano ancora chiuse, prendendosi il tempo per capire cosa non andava e agire di conseguenza.

Il primo pensiero fu quello di un infiltrato che era entrato in casa sua per ucciderlo. Se fosse stato veramente così, Oswald non avrebbe esitato ad afferrare la pistola sotto il cuscino per piantare una pallottola nel cranio dell’idiota. Peccato solo che doveva sfruttare l’effetto sorpresa, altrimenti si sarebbe messo a ridere e con aria superba gli avrebbe detto due paroline.
Un’altra idea che ebbe fu Ania, ma venne subito scartata perché era una ragazza che non si soffermava ad osservare il padrone, era ligia al dovere e non si lasciava distrarre dalle frivolezze o dai pettegolezzi, esattamente come la nonna.
L’ultima opzione era Victor, evidentemente qualcuno l’aveva pagato per vederlo morto e il sicario, in memoria dei bei vecchi tempi e di come Oswald l’abbia sempre trattato con rispetto, gli stava concedendo il lusso d’essere ucciso da vivo.

Tuttavia, la sensazione che stava provando Oswald era diversa da quella che si provava prima di morire, così aprì di scatto gli occhi, non aspettandosi d’essere accolto da due occhi nocciola contornati da un paio di occhiali e un sorriso sornione che adornava quel viso. Il cuore di Oswald mancò qualche battito, se per lo spavento o la situazione non seppe dirlo e non volle soffermarsi a domandarselo.

“Buongiorno, dormiglione”, gli sussurrò Edward lindo e pinto, pieno d’energia e pronto per quella nuova giornata. “E buon Natale.”

Oswald boccheggiò come in cerca d’aria nel tentativo di trovare le parole giuste da dire, voleva allontanarsi, appoggiarsi alla testata del letto, ma il peso delle braccia di Edward lo bloccavano psicologicamente, impedendogli di muoversi.
E se da una parte questo atteggiamento lo faceva imbestialire, dall’altra lo trovava divertente e stuzzicante.

“Ed…” ricambiò il sussurro, cominciando ad essere a proprio agio.

“Pronto per questo lieto giorno?” gli domandò Edward, poggiando il mento sulla mano, e il gomito all’altezza dello stomaco di Oswald.

La leggera pressione provocò una risata ad Oswald, che cominciò ad alzarsi leggermente per riprendersi il comando del gioco.

“Se non ti conoscessi bene, Ed, direi che non vedi l’ora che cominci la farsa d’essere sposato col sottoscritto.”

Lo sguardo di Edward divenne cupo per un leggero istante, cosa che non sfuggì ad Oswald, giustificandolo come una manifestazione del suo desiderio di finire tutto il prima possibile.
Pensiero che venne fermato dal dito di Edward che premette appena contro il suo naso.

“In realtà, è solo per vederti perdere le staffe perché Martin è arrivato e…” Edward alzò gli occhi, creando quella suspense che amava tanto. “La nostra ospite è di sotto, in attesa di conoscerti. È davvero una brava ragazza.”

Oswald si mise immediatamente seduto, leggendo tra le righe il messaggio di Edward.

“Ti sei permesso di conoscerla prima di me?!”

Il sorriso di quel bastardo s’allargò mentre inclinava la testa di lato. “È gentile e carina, direi perfetta per Martin.”

Oswald inspirò profondamente, cominciando a disfarsi delle coperte per rendersi presentabile, doveva sbrigarsi, non voleva far attendere un’ospite così importante.

“Sono fortunato a non essere davvero sposato con te, sarei diventato vedovo il giorno dopo.”

Con la coda dell’occhio, vide Edward chinare il capo, e qualcosa gli si mosse dentro, facendogli aggiungere in tono superbo.

“Almeno, spero tu mi dia un valido motivo per non ammazzarti all’istante.”

Edward non rispose, probabilmente per il suo orgoglio ancora ferito, così Oswald si voltò verso l’armadio, aspettandosi di trovare il solito completo che Ania gli preparava per la giornata. Al posto dello smoking, però, trovò un completo con la giacca piena di piume viola che richiamavano il foulard e i gemelli. Non era suo, non aveva mai avuto un completo simile.

“Posso ritenermi ancora in vita?” gli domandò Edward, approfittando del suo momentaneo silenzio dovuto allo stupore.

Oswald tornò a guardare Edward, chiedendogli spiegazioni a riguardo. Edward s’alzò dal letto e lo raggiunse, prendendogli le spalle per farlo tornare ad osservare il completo. Cominciò a parlare come sempre era abituato, abbassando la voce mano a mano che portava avanti il discorso.

“Pinguino dev’esser al massimo della forma per conoscere la compagna di suo figlio. Io non l’ho veramente conosciuta, l’ho solo incontrata mentre stavo tornando col vestito, e ho rimandato le presentazioni a quando saresti stato pronto. Di là, in bagno, c’è una vasca piena d’acqua e schiuma”, terminò con un bacio dietro l’orecchio di Oswald, massaggiandogli le spalle. Oswald chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dalla sensazione delle mani di Edward contro la stoffa leggera del pigiama.

“Lo sai che il viola ti risalta gli occhi?”

“Direi che per il momento puoi considerarti ancora vivo”, si girò fulmineo verso Edward, posizionando un dito minaccioso tra di loro. “Ma guai a te se farai di nuovo una cosa del genere, Ed.”

Edward sbuffò divertito, baciandogli l’impronta digitale. “Sarà fatto.”

Dopodiché, lo lasciò libero d’andarsi a preparare, aiutandolo con il completo, tornando in un’atmosfera domestica che avevano perso in passato, ma che non avevano mai del tutto dimenticato.


Edward scese un paio di scalini prima di voltarsi e porgere una mano ad Oswald.
“Sei pronto?”

Oswald osservò prima la mano e poi l’uomo che lo stava attendendo per scendere. Vestito di tutto punto, con una giacca verde smeraldo dai ricami dorati sui polsi, lo smeraldo incastonato sulla cravatta, e quel leggero trucco sugli occhi che lo rendeva eccentrico e stravagante, ma dannatamente pericoloso e perfetto.

“Qualcosa non va?”

Oswald negò con un cenno della testa, afferrando la mano con un sorriso che gli illuminava gli occhi, scendendo il primo scalino.
“Andiamo a conoscere la ragazza di nostro figlio.”
Un momento di silenzio avvolse i due, sorridendo complici per quella loro piccola bugia, ma che per Oswald nascondeva un segreto ben più grande.

La mano salì lungo il braccio di Edward, fermandosi all’altezza del gomito, un gesto che lo portò ad essere vicinissimo al suo amico, scendendo insieme uno scalino alla volta. Ad Edward sembrò non importare, assecondò docile e mansueto il ritmo di Oswald, come solo un bravo marito avrebbe fatto.

Insieme, i due si diressero nel salotto, dove Martin parlava animatamente con una ragazza dai capelli castani che volgeva le spalle ai due.

Edward ed Oswald si strinsero ancora di più, cercando forza e sostegno nell’altro, pronti ad iniziare quella messa in scena solo per il bene di Martin.

Edward si schiarì la gola con un colpo di tosse, interrompendo il discorso dei giovani, mentre Oswald prese la parola.

“Spero ci voglia scusare per l’immenso ritardo con cui ti accogliamo nella nostra umile dimora. Spero che Martin ti abbia fatto fare almeno il giro della casa.”

Martin s’alzò dalla poltrona, sorridendo gioioso, mentre porse la mano alla ragazza per farla alzare e condurla davanti ai due uomini per presentarle la sua famiglia.

“Oh, non vi preoccupate, Martin mi stava raccontando qualche vostro aneddoto.”

“Spero solo cose divertenti”, s’intromise Edward con un sorriso, lanciando un’occhiata al ragazzo.

“Come la volta che abbiamo ucciso Leonard?”

“Adoro raccontare quella storia. Oppure quella in cui hai buttato giù da un palazzo Fish Mooney per diventare Re di Gotham?”

Oswald alzò lo sguardo al cielo, sorridendo al ricordo.

“O della volta in cui abbiamo ucciso Mr Penn e la sua orribile bambola?”

“Ancora non capisco il motivo per cui hai assunto un lunatico del genere.”

“Lo stesso motivo per cui sono sposato con te, caro.”

I due si misero a ridere, dimenticando momentaneamente Martin e la ragazza che li osservavano pazienti.

“Oh, avete ragione, che maleducati che siamo”, Oswald porse la mano alla ragazza, guardandola negli occhi. “Sono Oswald Chesterfield Cobblepot, noto come Pinguino. È un onore fare la tua conoscenza, …?”

La ragazza afferrò la mano in una stretta decisa, “Evelyn. Evelyn Crawford.”

Oswald annuì, notando il tatuaggio che si vedeva sotto la manica trasparente della camicia nera della ragazza. Davvero singolare.

Evelyn sembrò notare lo sguardo di Oswald ed abbassò un secondo lo sguardo, prima di puntarlo fiera e combattiva di nuovo su Oswald. L’uomo sorrise per quell’atteggiamento, denotava una forte personalità, perfetta per stare insieme al suo Martin.
“Mi sono fatta questo tatuaggio quando sono scappata di casa. Significa molto per me.”

Oswald alzò la mano, in un delicato gesto di voler parlare.
“Mia cara, ho un occhio biomeccanico, ho avuto a che fare con uomini e donne di ghiaccio, di fuoco, amanti delle piante, in fissa col fare di Gotham un circo, per non parlare di quelli fissati con i pipistrelli… Una ragazza con un tatuaggio che le prende tutto il braccio e la spalla è la cosa più normale che Gotham possa vedere.”

“E se lo dice l’ex Sindaco della città devi credergli”, s’intromise Edward, riprendendo le luci di scena. Oswald alzò gli occhi al cielo, mai una volta che voleva essere lasciato in disparte, il buon vecchio Ed.

“Lui,” disse indicandolo, “è l’esempio lampante di quanto le persone di Gotham possano essere strane.”

Edward fece un passo per raggiungerlo, inclinando la testa e sorridendo come solo lui sapeva fare.
“Così, però, mi fai arrossire.”

Oswald fece spallucce, ricambiando lo sguardo che gli stava rivolgendo Edward.
“Ho detto solo la verità.”

L’attenzione di Edward si spostò sulla ragazza, studiandola per qualche istante; raddrizzò poi la schiena e si schiarì la voce, pronto per destreggiarsi nel suo spettacolo per testare le conoscenze della ragazza.

“Posso essere difficile, posso essere facile. Mi hai di fronte, ti do da pensare. Cerchi una soluzione alla parola che cerchi. Cosa sono?”

Oswald notò quanto le movenze di Edward s’erano fatte più sicure e teatrali per distrarre la sua vittima, diventando simile a un serpente a sonagli, quanto avrebbe desiderato vederlo effettivamente all’opera con qualche povero malcapitato.

Evelyn ci pensò un po’, osservò Edward che continuava a sorriderle in trepida attesa.
“Sei l’indovinello.”

Edward batté le mani entusiasta, stringendo la mano alla ragazza, complimentandosi con la sua intelligenza, rendendola ignara di quello che l’avrebbe aspettata nelle prossime ore.

Mentre i due cominciarono a dirigersi nella sala da pranzo, dove Ania aveva servito il brunch, Oswald venne raggiunto da Martin che gli chiese cosa ne pensava di Evelyn. Oswald sorrise e passò un braccio intorno alla vita di suo figlio, dandogli una scrollata.

“È perfetta per te.”

L’importante, per lui, era che Martin fosse felice.


Non era difficile tener viva una conversazione a tavola, specialmente se a dirigerla erano Oswald ed Edward, che fecero il possibile ed oltre per conquistare i favori della nuova arrivata, raccontandole storie divertenti di battaglie contro la G.C.P.D. e Jim Gordon, le altre gang e i cattivi più famosi di Gotham, un po’ per farla desistere sul commettere errori nei confronti di Martin, un po’ per non toccare argomenti più spinosi che entrambi avrebbero preferito non affrontare.
Ma questo Evelyn non poteva saperlo.

“Quindi, vi siete sposati durante la ricostruzione di Gotham?”

I due uomini sorrisero maligni, erano preparati su quest’argomento.

“In realtà, Evelyn,” cominciò Oswald, “è stato dopo la ricostruzione di Gotham, una di quelle notti in cui l’adorabile Jim Gordon voleva mettere il naso in affari che non lo riguardavano.”

“L’avete deciso insieme, mentre correvate?”

“Beh, è stato Oswald a proporsi.”

“Davvero?”

Oswald annuì, notando lo sguardo colpito di Martin.

“Se avessi aspettato il qui presente Edward Nygma, staremo ancora sull’organizzare la cena a lume di candela.”

Edward gli lanciò un’occhiata risentita, ma Oswald lo ignorò.

“Non eri tu quello indaffarato per riprenderti Gotham?”

“Vero, ma non ti sei mai fatto avanti, quindi… Ho preso la palla al balzo.”

“E come gliel’avresti chiesto?”

“Vuoi sposarmi, Ed?”
“Sposami!”

I due si guardarono un secondo, cercando di mettersi d’accordo sulla versione da dare, poi tornarono a rivolgersi ad Evelyn, rispondendo ancora una volta in contemporanea.

“Sposami!”
“Vuoi sposarmi, Ed?”

Evelyn spostò lo sguardo da una parte all’altra, cercando di capire come fossero veramente andate le cose.

Oswald prese un bel respiro per mantenere la calma, non voleva mandare tutto all’aria solo per una stupidissima frase; perciò, decise di giocarsela al meglio con le carte che aveva in mano.

“Diciamo che gliel’ho ripetuto due volte, la prima volta Edward non m’ha sentito perché era troppo impegnato a —”

“Ad attivare il computer, che avrebbe acceso il sonar, il quale avrebbe innescato una serie di micro esplosioni per tutta Gotham così da distrarre Jimbo e la G.C.P.D. e lasciarci il tempo necessario per fuggire.”

Oswald annuì, indicando il suo finto marito che aveva un debole per complicarsi la vita con tutti quei meccanismi.

“E la seconda volta che gliel’ho chiesto, lui ha detto sì.”

“E poi, sono trascorsi dieci anni, senza potervi sentire. Immagino non sarà stato facile.”

I due uomini s’irrigidirono, cercandosi un momento con lo sguardo, mentre Martin abbassò il capo.

Sotto il tavolo, Edward trovò la mano di Oswald e gliela strinse, cosa che Oswald ricambiò senza ragionarci sopra.

“Beh,” cominciò a parlare, “non è mai facile quando sai che tuo figlio e… E tuo marito, sono lontani da te e tu non puoi far nulla per proteggerli, se non rimanere lì dentro e non escogitare alcun piano di fuga.”

Martin alzò la testa ed Edward prese a guardarlo incredulo. Già, altrimenti per quale motivo sarebbe stato buono, al suo posto, senza provare a far qualcosa per liberarsi da quella prigione?

Martin cominciò a parlare, iniziando ad arrabbiarsi.
Sono capace a difendermi, me l’hai insegnato tu!

“Lo so perfettamente, Martin, e sono orgoglioso di ciò che saresti in grado di fare. Ma non ho mai voluto testare le promesse che mi dicevano a Blackgate. Amo te ed Edward più di qualsiasi altra cosa al mondo, non mi sarei mai perdonato se vi fosse successo qualcosa per colpa mia”, sorrise con gli occhi lucidi, ricordando a quanto desiderava sgozzare tutti dentro Blackgate.
“D’altronde l’ho sempre saputo, il mio cuore è la mia più grande debolezza.”

“Ma anche la tua forza”, sussurrò Edward, non sapendo neanche lui se credeva ad una cosa del genere.

Oswald lo guardò, desiderando avvicinarlo a sé e baciarlo, ma si limitò ad annuire. Un uomo che non aveva niente da perdere era forse un uomo libero, ma un uomo che aveva qualcuno, per cui combattere e resistere, aveva uno scopo per andare avanti.

“Anche a te hanno fatto pressioni del genere, Edward?”

I due tornarono a guardare la ragazza, ed Edward si sistemò meglio sulla sedia, irrigidendosi, come se avesse qualcosa che non voleva dire, qualcosa che preferiva tener nascosto e Oswald non lo biasimò. Si trattava dell’Arkham Asylum, quel che succedeva lì dentro era inumano, le minacce che aveva ricevuto a Blackgate erano niente in confronto a quello che poteva succedere in quel manicomio.

Edward si leccò le labbra, pronto a parlare, quando qualcuno suonò alla porta, cogliendo i presenti di sorpresa.

“Aspettiamo qualcuno?” domandò Oswald, iniziando ad allarmarsi.

“Non che io sappia”, gli rispose Edward, leggendogli negli occhi la stessa decisione che aveva preso lui.

Dovevano armarsi.

Tuttavia, Ania fu più veloce ed andò ad aprire, ascoltando in ritardo l’ordine dei due padroni di casa di non aprire la porta.

“Yuhuuuuu!!! È qui la festa?”

"Ehilà, Pengy!”

“Boss?”

“Siamo venuti a festeggiare il Natale col nostro pulcino preferito! Dov’è?”

E sentire le voci di Ivy, Harley e Victor fu un incubo per Oswald.
Forse, sarebbe stato meglio se qualcuno avesse preso di mira la casa per un qualunque attentato.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


“Yuhuuuu~ C’è nessuno?~ Sei sicuro che non siano usciti, Vic?”

L’assassino annuì, prendendo con nonchalance la strada verso la sala dove si tenevano le riunioni, come se si trovasse a casa sua, seguito da Ivy e Harley.

“Ehyyy~ Ozzie~ Eddie~ Su, non fate i timidi~ Sappiamo che siete in casa~”

Oswald si guardò intorno, sentendo i passi degli invitati indesiderati avvicinarsi. Strinse il manico del bastone con talmente tanta forza da far sbiancare le nocche. L’aveva ripetuto tante volte: non voleva che gli altri entrassero in casa sua senza il suo permesso, eppure tutti continuavano a fare quello che volevano, senza ascoltarlo.

I passi concitati di Harley si stopparono alla porta e il sorriso della giovane donna s’allargò ancor di più!

“Eccovi qua~ Oh! Allora era vero quello che si vocifera a Gotham! Il pulcino di casa Cobblepot è tornato!!!” iniziò a correre, pronta ad avvolgere Martin tra le sue braccia e stritolarlo con tutta la forza che possedeva.
Victor aveva varcato la soglia in completa tranquillità, facendo un cenno della testa al suo vecchio Boss, prima di dirigersi verso il suo posto preferito, vicino al camino, facendo l’occhiolino ad Ania, la quale si diresse in cucina.
Anche Ivy era rimasta in piedi, appoggiata allo stipite della porta, salutando con la mano Evelyn. Era carina. Appena fosse stato possibile, avrebbe dato il suo benestare a Martin.

Per amor di Martin, e della sua fidanzata, Oswald non aveva intenzione di fare una scenata. Tentò di calmarsi chiudendo gli occhi e prendendo un profondo respiro, contando fino a dieci. Arrivato a sette, la risata di Harley, che si stava presentando ad Evelyn, gli provocò un tic all’occhio sinistro, e Oswald non poté trattenere lo sguardo di fuoco che lanciò ai tre intrusi.

“Ivy, Harley… Victor…” stirò le labbra in un falso sorriso. “Avete idea di cosa significhi la frase: ‘Non entrate in casa mia senza permesso’?”

Harley si mise a ridere e, toltasi la giacca per appenderla su una statua, andò ad abbracciare il collo di Oswald, scoccandogli un sonoro bacio sulla guancia.
“Tanto lo sappiamo che adori queste nostre improvvisate, Papà Pengy~”

Oswald non riuscì a trasmettere il rossore che gli stava colorando le gote e, nello sforzo di mantenere un certo contegno, provò a scacciare la ragazza.
“No, assolutamente! È una cosa che Victor vi ha detto, giusto?”

Oswald rivolse gli occhi a Victor, respirando adirato, pronto a scatenare la sua furia, incurante della presenza di Evelyn. Se sapeva che lui era il famigerato Pinguino, non doveva meravigliarsi di assistere ad uno dei suoi scatti d’ira.
Nonostante lo sguardo omicida che Oswald gli stava lanciando, Zsasz prese il frullato che Ania gli stava offrendo e guardò Oswald con un’espressione innocente e fintamente sorpresa… Il bastardo!

Mentre i tre nuovi arrivati si stavano facendo conoscere, Oswald poteva vedere chiaramente negli occhi dei due ragazzi i loro stati d’animo: Martin si sentiva a casa, mentre Evelyn aveva l’espressione accigliata, molto probabilmente era turbata dall’ingresso di tre supercriminali. Oswald non poteva permettersi che un simile imprevisto potesse allontanarla dal suo Martin!
L’uomo sbuffò e sbatté il bastone sul pavimento, attirando l’attenzione di tutti.

“Ora, se ci volete scusare—” lanciò un’occhiata ai tre ospiti indesiderati, “abbiamo una questione privata di cui trattare. E voi non siete i benvenuti!”

Un’ombra gli appoggiò le mani sulle spalle, facendolo saltare sul posto.
“Come siamo tirati, Ozzie!” Ivy si mise a ridere, massaggiandogli le spalle. “Vuoi che ti preparo una tisana?”

Harley, che s’era seduta sulle gambe di Edward, rispose per tutti.
“Anche a me, anche a me! Con doppia dose di zucchero!”

Ivy sorrise e, scombinando i capelli della sua ragazza, si diresse in cucina. Oswald s’accasciò sulla sedia, con l’espressione imbronciata, sfregandosi la fronte per alleviare il mal di testa appena nato.

“Ma sì, certo, fate come se foste a casa vostra! Non avete un minimo di rispetto per chi si è preso cura di voi nei momenti di difficoltà. Darò ordine di spararvi a vista, la prossima volta che entrate in casa mia.”

Evelyn, che aveva già aggrottato lo sguardo per qualcosa che non le tornava, iniziò a guardare confusa Oswald, Edward ed infine Martin.
“Non vivete insieme, nella stessa casa?”

Oswald s’irrigidì all’istante. Si morse la lingua mentre tentava di non far trapelare il proprio disagio. Un brivido di terrore gli percorse la schiena mentre ascoltava la risposta di Harley.

“Ozzie si è sempre fatto vanto di questa casa, ti ha già raccontato di come l’ha avuta? Oh! Devi proprio sentirla! Perché non gliela racconti, Ozzie?”

Gli occhi di Evelyn si posarono su di lui, così innocenti, tanto curiosi di sapere. Il cuore di Oswald si ritrovò a battere furiosamente mentre lanciava una veloce occhiata al suo Martin, chiedendogli scusa. Per colpa sua e della sua lingua, quella ragazza avrebbe lasciato suo figlio, scoprendo che avevano messo in scena una finzione.
“I-in realtà, Evelyn—”

“Mio marito ed io preferiamo vivere separati”, Edward non fece caso all’occhiata stupita di Harley, ai colpi di tosse di Victor e al rumore di alcune posate che cadevano a terra, in cucina. “Siamo ancora… Guardinghi per quello che ci è successo dieci anni fa. Vivere tutti i giorni nella stessa casa comporterebbe un rischio maggiore di essere arrestati in contemporanea.”

Evelyn annuì, giocando con le dita di Martin.
“In certe situazioni, la prudenza non è mai troppa.”

Edward si trovò d’accordo e, ignorando ancora gli occhi azzurri di Harley, si voltò verso Oswald, riprendendo a parlare.
“Ogni tanto trascorriamo le giornate insieme, ma non più di qualche giorno.”

Con un’alzata di sopracciglia, Edward provò a chiedere il benestare di Oswald. Secondo lui, era una scusa abbastanza credibile per tirarsi fuori dal pasticcio che aveva combinato Harley. Era pronto a tutto, per ogni problema aveva la risposta giusta. L’unica cosa di cui non disponeva ancora era l’approvazione di Oswald, dato che, nel prepararsi, non avevano toccato tutti gli argomenti.
Tuttavia, era più che certo che Oswald sarebbe stato d’accordo e, dimostrando la sua bravura nel capovolgere la situazione per tornare in vantaggio, avrebbe colto quel piccolo aiuto.

Oswald si perse negli occhi di Edward, dimenticandosi di non essere solo. Lo stomaco gli s’aggrovigliò mentre tratteneva ogni slancio d’affetto. Abbassò lo sguardo per individuare la mano di Ed, che prese, portandola vicino alle labbra. Vi posò sopra un leggero bacio. Prese ad accarezzarla, senza rendersi conto che la stava ammirando con immensa devozione, impegnato a notare come le vene erano diventate più pronunciate. Sfiorò le nocche con il pollice, assaporando l’effetto che il toccare quella pelle gli stava dando. Improvvisamente, un nodo gli si formò in gola, ripensando a tutto il tempo trascorso in prigione senza poter guardare Ed, parlare e discutere con lui, sentire la sua voce mentre raccontava uno dei suoi insopportabili e adorabili indovinelli, bearsi della sua risata che aveva il potere di metterlo di buon umore… Senza poterlo sfiorare, toccare, abbracciare. Tirò su col naso.

“O-Oswald?”

Oswald alzò gli occhi lucidi, rendendosi conto di come Edward lo stesse guardando, con il fiato sospeso e le labbra dischiuse. Non poté che sorridere, intenerito dalla speranza che magari, seppur in minima parte, anche Edward potesse aver provato la stessa rabbia d’esser stato privato del suo miglior amico.

Tornò a guardare Evelyn, mostrando con orgoglio quelle lacrime che si erano formate. Seppur fosse finta la situazione, Oswald non poteva negare che era ancora innamorato di Edward, anzi. Era da considerare un vanto a dimostrare che, nonostante gli anni, nonostante la lontananza, non erano riusciti ad eliminargli quel segreto così gelosamente custodito.

“Questa casa è effettivamente mia. Apparteneva a mio padre, prima che morisse. Se la G.C.P.D. dovesse arrestare me e mio marito contemporaneamente, facendoci rivivere la lontananza l’uno dall’altro, non me lo perdonerei mai.”

Evelyn annuì ma non poté aggiungere altro, perché gli altri presenti fecero sentire la loro presenza. Oswald si ricordò di loro e, immediatamente, sentì la testa leggera e la vista annebbiarsi.

“Marito del Boss?”

“Vi siete sposati senza invitarci?! Hai sentito tesoro?”

“E quando sarebbe successo?”

Oswald strinse istintivamente la mano di Ed con talmente tanta forza da stritolargliela. Non solo doveva mentire a quella ragazza, per il bene del figlio, adesso doveva mentire anche a tre criminali che non avevano idea del piano.

“Non devo mettere i cartelli per tutto quello che faccio”, provò a darsi un contegno, iniziando a contare mentalmente.

Ivy posò sul tavolo il vassoio, aiutata da Ania, lanciando ad Oswald un’occhiata scettica.
“Non metteresti i cartelli per aver sposato Ed? Tu?!”
Oswald la intimò con lo sguardo di non continuare quel discorso, se ci teneva alla propria vita, ma Ivy lo ignorò bellamente. “Conoscendoti, avresti indetto una festa all’Iceberg, tanto per cominciare.”

Oswald respirò profondamente, le labbra forzarono un sorriso. Non aveva alcuna voglia di star a disquisire circa i suoi probabili atteggiamenti se avesse davvero sposato Edward. Peccato che nessuno sembrava aver colto il suo messaggio, tutt’altro. Avevano interpretato il silenzio di Oswald come un motivo per continuare a parlare.

“Avresti invitato tutta Gotham.”

“Persino la G.C.P.D.”

“Ora non esagerate!”

“Bevande gratis per tutti e zero sentenze di morte.”

“Il tuo umore sarebbe stato euforico per molto tempo.”

Oswald alzò stizzito una mano, zittendo i tre.
“Non vi è mai venuto in mente, per puro caso, che volevo mantenere una certa segretezza?”
Si voltò verso Victor ed Ivy.
“Gotham ancora era in fase di ricostruzione, e poi con Jim alle calcagne?”

Nominare Gordon riportò alla mente della maggior parte dei presenti momenti non proprio facili. Edward fu il primo a spezzare il pesante silenzio che s’era venuto a creare, ancora senza parole per quello che aveva appena appreso.

“Avresti fatto davvero tutto questo… Per me?”

Oswald tornò a guardarlo, avvertendo il proprio cuore mancare un battito per il tono che Edward aveva usato: così incerto, così delicato, così… Speranzoso?
Oswald arrossì nel sentire i suoi battiti accelerati contro il petto, iniziò a temere che tutti i presenti potessero sentirli. Dopo un attimo che sembrava infinito, in cui aveva perso la facoltà di parlare, Oswald strinse la mano di Edward, guardando con occhi lucidi il suo finto marito, ma il vero padrone del suo cuore.

“Se avessi avuto la possibilità, avrei fatto molto di più.”

E se da una parte, per i presenti, la frase assumeva il significato di incolpare il momento sbagliato per un matrimonio, dall’altra parte, per Oswald, la frase aveva tutt’altro significato: se davvero lui ed Edward si fossero sposati, non avrebbe mai smesso smesso di festeggiare, neanche un giorno, toccando il cielo con un dito ogni volta che si svegliava accanto a suo marito.

Avvertì uno spasmo alla mano di Edward, quella che stava stringendo, probabilmente era un piccolo segnale per indicargli di non andare oltre, di non oltrepassare il limite, di attenersi al piano… Così, Oswald chinò il capo, chiuse gli occhi e sospirò, tornando a concentrarsi sulla farsa che lui ed Edward avevano progettato per il bene di Martin, non rendendosi conto dello sguardo che gli stava rivolgendo Edward.

“Ma non si può certo pensare a tutti i vari se e ma, dico bene?” rivolse un sorriso ad Evelyn, ricevendo un cenno affermativo da parte della ragazza.

Oswald tornò a parlare serenamente, gestendo perfettamente la situazione, tenendo a bada tutti i vari ospiti, come un perfetto padrone di casa.

Edward, dal canto suo, non riusciva a distogliere gli occhi da Oswald, continuando ad osservarlo, studiando ogni sua caratteristica facciale, i suoi occhi brillare, la cicatrice sul viso che faceva bella mostra di sé, messa ancor più in evidenza dal trucco, le sue labbra che sorridevano e si muovevano con tanta maestria, pronunciando parole che non giungevano alla mente di Edward, ma che continuavano a ripetere l’ultima frase che gli avevano rivolto. Cosa volevano dire? Era un dettaglio in più al loro piano? Davvero Oswald sarebbe stato felice di sposarlo? Perché? Perché avrebbe dovuto? Dopo che s’era ferito all’occhio, aveva affermato che erano come fratelli… Perché Oswald sarebbe stato felice di sposarlo?

Harley colse lo sguardo quasi assente di Edward, concentrato su Oswald, e con uno sguardo malizioso, riprese il discorso che Oswald aveva lasciato cadere, rivolgendosi alla nuova ragazza.

“Ozzie ed Eddie, in realtà, vogliono solo mostrare quanto sono potenti e pericolosi… In realtà, è solo apparenza, sono due teneroni. Ozzie sotto quella corazza è una mamma chioccia, Eddie sotto quell’intelletto è un romanticone. Avresti dovuto vederlo, ad Arkham aveva iniziato a parlare di quanto fosse innamorato di Oswald e di quanto avrebbe dato per poter tornare da lui. Ora capisco perché!”

Il cuore di Oswald perse un battito, contro il suo volere, mentre s’immaginava un Edward imprigionato in un manicomio che urlava certe cose… Il suo cuore non smetteva di sperare che quello detto da Harley fosse vero, perché… Perché avrebbe cambiato tutto… Avrebbe dato un senso a tutto, gli avrebbe dato la possibilità di prendersi l’unico uomo che aveva davvero amato, gli avrebbe donato il biglietto della felicità…

Harley non fece caso allo sguardo minaccioso di Edward, preferì piuttosto scambiarsi un’occhiata d’intesa con Ivy. L’altra ragazza capì al volo.

“Vogliamo parlare di quando Oswald parlava ad Edward versione ghiacciolo? Dio, avresti dovuto sentire i discorsi che faceva”, fece finta di star per vomitare.

Oswald si voltò verso Ivy, la sua espressione mutò nel giro di poco e gli occhi si riempirono di fiamme. Come si permetteva Ivy di parlare di certe cose del passato, per giunta di fronte a Ed?! Le aveva anche caldamente intimato di non dire certe cose ad anima viva! E adesso faceva una simile stupidaggine?!

Fu però Zsasz a dare il colpo di grazia, mentre giocherellava con la cannuccia.

“Perché voi non l’avete mai visto quando parlava alla bombetta del nostro green boy.”

“Va bene!” Oswald batté entrambe le mani sulle ginocchia, lanciando occhiate di fuoco a Zsasz e Ivy con un sorriso tirato, mentre Edward stava progettando un piano per sbarazzarsi di Harley. “Direi che questa rimpatriata è durata anche fin troppo.”

“Però, è bello”, la voce di Evelyn si fece notare, e i due tornarono a guardare la ragazza.

“Immagino che sia quello che ognuno di noi vorrebbe”, Evelyn prese la mano di Martin, guardandolo con occhi sognanti, ricambiata dal ragazzo. “Trovare qualcuno che continui a pensare a noi, nonostante la lontananza.”

Il volto di Oswald si addolcì nel vedere quello scambio di sguardi tra suo figlio e la ragazza… Sapeva riconoscere gli occhi di una persona innamorata e, se doveva sopportare qualche battuta da parte di alcuni idioti, allora avrebbe resistito. Solo per questa volta.

“Suppongo che tu abbia ragione, ragazza mia”, le concesse con un sorriso, innamorandosi dello sguardo con cui Martin era guardato da Evelyn; completamente ignaro d’esser stato, minuti prima, l’oggetto di uno sguardo altrettanto intenso.

“Bene, per questo, meritiamo tutti un brindisi!~”

Tutti i presenti alzarono il calice, non sapendo l’obiettivo di Harley.

“A tutte le coppie! A quelle che si sono incontrate da poco! A quelle che si sono trovate! E a quelle che ancora non sono ufficialmente nate!”

Oswald notò che Harley stava rivolgendo uno sguardo a lui e ad Edward, ma soprattutto a lui, calcando le ultime parole, ed Oswald si sentì mancare. Che Harley avesse capito il loro gioco e adesso voleva divertirsi a torturarlo?!


“Ed è così che Ivy mi ha chiesto di uscire!”

La risata di Harley inondò la sala da pranzo, mentre Edward continuava a pensare ad un modo per renderle la vita impossibile. Senza contare chi gli stava parlando da tempo e non sembrava non avere alcuna intenzione di fermarsi.

Tu prova a toccare quella ragazza e sarà l’occasione giusta per liberarmi di te.

Per non parlare che non ti vorrò più parlare per il resto della tua miserabile vita, Ed!

Edward si massaggiò le tempie per alleviare il mal di testa. Lui non voleva far davvero del male ad Harley, voleva semplicemente ricordarle di non dire certe cose ad Oswald.

Dovresti piuttosto ringraziarla che non abbia raccontato delle droghe”, l’Enigmista sospirò, appoggiando la testa sulla spalla del vero Oswald, come un gatto che era alla ricerca di coccole. “Belli i tempi in cui Oswald ci cantava quella bellissima canzone… Come faceva, Ozzie?

Edward iniziò a sudare freddo, mentre il cuore gli martellava nelle orecchie e un paio di note gli rimbombavano in testa, quando l’allucinazione di Oswald iniziò a cantare, in maniera sensuale, sfiorandogli il mento, la mandibola, soffiandogli contro l’orecchio quelle parole, con voce roca e sensuale, in grado di fargli venire la pelle d’oca.

And I wake up—

Tutti puntarono gli occhi su di lui appena si sentì lo stridio di una sedia, tornata ad essere vuota non appena Edward si assentò per dirigersi in cucina. Non aveva alzato lo sguardo dal pavimento per non vedere quelle ombre che non smettevano di tormentarlo.

Edward chiese ad Ania di rimanere un attimo da solo, appoggiando entrambe le mani sul piano cottura per avere un sostegno. Iniziò a respirare profondamente, chiudendo gli occhi, cercando di zittire quei due.

Lo sai benissimo qual è il modo per farci stare zitti, Eddie-caro!

Più fai così, più mi dimostri che non sei alla mia altezza! Io non sarei mai scappato, avrei affrontato il problema, e ne sarei uscito vincitore!

Ma Eddie-caro non è come noi, Ozzie!” il volto dell’Enigmista si deformò in un sorriso diabolico, guardando con fare superiore Edward. “È solo un codardo, che non ha mai avuto il coraggio di affrontare le proprie emozioni. Eppure, dovresti saperlo, Eddie-caro, è pura fisica. Più un gas è sottoposto ad una forte pressione, più pericolosa sarà l’esplosione.

Edward serrò i denti e chiuse gli occhi, lui non era un codardo! Stava cercando di fare tutto al meglio!

E pensare che ti avevo detto che dovevi imparare a seguire più il tuo cuore che la tua testa. Dici di amarmi e non mi dai neanche ascolto?!

Edward strinse il bordo del piano cottura, mentre un groppo gli salì in gola, lui stava facendo il possibile per seguire il suo cuore, perché Oswald non lo capiva?!

Una mano si posò rassicurante sulla sua spalla, cogliendo Edward di sorpresa. L’uomo si voltò di scatto, pronto a sopprimere tutto, quando vide un occhio blu biomeccanico e un altro verde guardarlo pieni di preoccupazione.
Alla loro vista, Edward riprese a respirare più tranquillamente, ritrovando un po’ di calma.

“Oswald…”

“È successo qualcosa? Vuoi che Ivy, Harley a Victor vadano via?”

Edward abbozzò un sorriso, mentre vedeva quelle due ombre scomparire dalla sua visione periferica.

“No, va tutto bene. Solo un po’ di… Ansia da prestazione.”

Oswald sbuffò divertito, tornando a guardare poi Edward con un’espressione furba in volto. Perché lo stava guardando in quel modo?

“Ed, ti vesti con una giacca verde scintillante, ti diverti a torturare la gente anche con i tuoi indovinelli… Questo è come se fosse mettere in scena uno dei tuoi spettacoli, no?”

Edward chinò leggermente il capo per nascondere quel sorriso che gli stava illuminando il viso. Prima di notare una celere nuvola oscurare gli occhi di Oswald.

“Oppure, preferisci smettere di—”

“Oswald!”

Edward si ritrovò ad appoggiare entrambe le mani sulle spalle di Oswald, senza distogliere lo sguardo serio e concentrato. Improvvisamente, si sentì colmo di fiducia, insieme ad Oswald sarebbe riuscito a fare qualunque cosa.

“Ho fatto una promessa a Martin. E non ho alcuna intenzione di tirarmi indietro. Insieme abbiamo accettato, e insieme andiamo avanti.”

Edward si rese conto della luce che aveva preso a brillare negli occhi di Oswald, e il suo cuore iniziò a battere furiosamente contro il petto, mosso dall’orgoglio di quella luce che aveva fatto nascere negli occhi di Oswald. Gli strinse le spalle per fargli intendere che non l’avrebbe lasciato da solo a portare avanti quel piano, anche perché aveva dei motivi personali che lo portavano a non rinunciare.

Si sentì avvolgere i gomiti dalle mani di Oswald, presenti ma non soffocanti, e gli occhi di Oswald gli rivolsero uno sguardo altrettanto pieno di determinazione.

“Insieme.”

Al quale Edward non sapeva dire di no. Oswald era sempre stato una forza della natura dal quale era difficile non essere travolto. Oswald era sinonimo di pericolo, battaglie, divertimento, prove da superare… Tutte cose a cui Edward non avrebbe mai rinunciato, neanche se avesse dovuto trascorrere la vita intera rinchiuso ad Arkham.

Harley aveva ragione: in preda alle droghe che aveva fatto uso ad Arkham, Edward aveva più volte decantato la sua ossessione per Oswald, promettendo che un giorno sarebbe scappato da quel manicomio per tornare da lui perché…

Avrebbe ben presto avuto un infarto se avesse continuato a guardare Oswald. Ma almeno il mal di testa era scomparso.

“Insieme, Oswald.”

E, in un attimo, Edward si ritrovò tra le braccia di Oswald, oppure Oswald si ritrovò tra le sue braccia. Edward avvertì il calore del corpo di Oswald inondare il suo, così come non poté fare a meno di respirare la colonia a cui Oswald non rinunciava mai. Riuscì anche a sentire il cuore di Oswald battere contro il proprio petto, quasi all’unisono con il suo.

“E-Ed… Dovremo andare… Ho paura a lasciare Martin e quella ragazza in balia di quei tre.”

Edward sorrise, sciogliendo l’abbraccio. Iniziò a sentire freddo, non appena lasciò andare Oswald, e la testa riprese a fargli male.


Edward ed Oswald iniziarono a tornare nella sala da pranzo, quando Harley li fermò con un con un urletto eccitato.

“FERMI LÌ!!! OMMIODDIO, QUANTO SIETE TENERI~”

Oswald ed Edward si scambiarono un’occhiata, trovando nell’altro la conferma che stavano cercando: nessuno dei due sapeva di cosa stava parlando Harley. Per loro fortuna, Ivy intervenne, con un sorriso malizioso.

“Le tradizioni bisogna rispettarle, Pengy!”

Un’altra volta, Edward ed Oswald si scambiarono un’occhiata, scambiandosi il seguente messaggio. Edward voleva dire che non era coinvolto nella frase di Ivy, quindi poteva ritenersi al di fuori del discorso. Oswald, invece, voleva far intendere che, seppur Ivy s’era rivolta solo ed esclusivamente a lui, lui non aveva la minima idea di cosa stesse parlando la ragazza.

Nel momento in cui Oswald stava per dare voce a questo dubbio, Martin gli suggerì di guardare in alto. Fu così che Oswald alzò lo sguardo, assumendo un colorito cadaverico alla vista di ciò che quelle due arpie stavano accennando.

Le avrebbe uccise, tutte e due!!! Le avrebbe fatte fuori!!! Avrebbe poi pagato Hugo Strange per farle resuscitare!!! Così da poterle uccidere un’altra volta!!! E così via fino alla fine dei suoi giorni!!! E anche dopo la morte!!! Come osavano prendersi gioco così di lui!!! Solo per ridere delle sue ferite non ancora rimarginate!!!

Edward, seguendo l’esempio di Oswald, dopo aver visto il cenno di Harley, guardò in alto e il cervello gli andò come in corto circuito. Cercò di raccogliere tutte le nozioni che aveva appreso nel tempo, per tornare a funzionare.

Viscun album, pianta legnosa delle lorantacee, alta di norma cinquanta centimetri, comune nell’Eurasia e nell’Africa boreale. È una emiparassita che vegeta su numerose specie legnose, particolarmente rosacee, salicacee, aceracee, pinacee; è molto ramoso, con foglie opposte, coriacee, persistenti, fiori piccoli, gialli e bacche globose, tonde, bianche con mesocarpo vischioso. È, in forma concentrata, potenzialmente fatale e le persone possono ammalarsi gravemente se mangiano le bacche. Gli estratti concentrati causano un’intossicazione importante, che può manifestarsi con diplopia, midriasi, ipotensione, confusione mentale, allucinazioni, convulsioni. Nonostante ciò, è largamente diffusa la tradizione di appendere nelle case un ramoscello di vischio, in segno di augurio, in occasione del periodo natalizio.

Proprio come quello che pendeva sulle loro teste.

Avrebbe dovuto baciare… Oswald?

Non avevano pensato alla possibilità di doversi baciare, ancor di più davanti ad un pubblico. Andava bene per il suo piano, ma come l’avrebbe giustificato con Oswald?

Dall’altra parte, Oswald cominciò a trovare scuse, non aveva alcuna intenzione di dar spettacolo, dimostrando a tutti che avevano mentito e, soprattutto, che Edward lo trovava disgustoso.

“Non vedo perché dovremmo baciarci quando ce lo chiedete. Non siamo animali da spettacolo.”

“Perché è la tradizione. Chiunque si trovi sotto il vischio deve baciarsi.”

“A meno che non si voglia attrarre una buona dose di sfortuna. In quel caso, fai pure, Ozzie…”

Oswald stava per esplodere, era sul punto di dare forfait, di dire la verità su tutto. Gli sarebbe dispiaciuto per Martin, ma soffrire così per far divertire due ragazze? No! Non poteva permettere una cosa del genere!!!

Edward lo stava osservando, sentendosi punto nell’orgoglio per cotanta ritrosia da parte di Oswald nel baciarlo. Cos’era successo? Era arrivato troppo tardi? Oswald aveva davvero smesso di amarlo? No! Non poteva permetterlo!!! Doveva rimediare!!!

“NON HO ALCUNA INTENZIONE DI—”

Quella frase non raggiunse mai una fine, perché due labbra si posarono disperate, desiderose, affamate di poter saggiare la consistenza delle labbra di Oswald, così bramate da anni… Avrebbe distrutto qualsiasi cosa pur di rimanere così, pur di rimanere a studiare e ad assaporare le labbra di Oswald. Così delicate, morbide, piene… Meravigliose, quanto era stato stupido a non farlo prima… Ad aspettare dieci anni… Dieci stupidi anni… Persi… Avrebbe potuto baciare, mordere, strappare, succhiare, leccare ogni singolo giorno quelle labbra… E invece aveva aspettato… Tuttavia, nonostante il piccolo rimorso che stava provando, Edward non poté che impazzire di gioia per questo piccolo contatto… E chissà cosa sarebbe successo se fossero andati oltre ad un semplice e casto bacio sulle labbra… Chissà come sarebbe stato stringere e toccare il corpo di Oswald… Chissà come sarebbe staolto prendere quel collo con le sue mani e vedere quanto bene s’incastravano, sapendo che non si sarebbe spezzato… Chissà come sarebbe stato modellare il meraviglioso e possente corpo di Oswald…

Oswald rimase impietrito per alcuni secondi, catturando a rallentatore quello che era appena successo. Il volto di Edward era vicinissimo al suo, le mani di Edward erano posate delicatamente sul suo volto, le labbra di Edward erano poggiate sulle sue… Tutto il suo mondo era stato oscurato da Edward… Non doveva concedersi un simile vantaggio… Ricambiare il bacio significherebbe mostrare che non aveva mai smesso di provare quei sentimenti per Edward… Ma per un attimo, un attimo solo, il suo cuore batté troppo forte per farlo accorgere di quello che stava facendo, così Oswald si concesse di chiudere gli occhi e trasgredire la sua regola, ricambiando delicatamente quel gesto… Appena appena, quel tanto che bastava per non dare l’impressione di essere stato costretto, ma talmente poco che gli fece male il petto per non dare libero sfogo a quello che provava… A maggior ragione sapendo che Edward stava facendo questo solo per scena… Eppure, lo stava baciando con talmente tanto trasporto che si domandò a chi Edward stesse pensando in quel momento… E si ritrovò ad esserne geloso…

Tutti i presenti rimasero senza parole nel vedere due dei più temibili criminali di Gotham baciarsi con così tanto trasporto. C’era chi pensava che era ora, c’era chi era emozionato e c’era chi stava mandando un messaggio molesto ad Alvarez.

Edward si allontanò lentamente da Oswald, leccandosi le labbra per assaporare ancora la sensazione di Oswald sulla propria bocca, e sbuffò divertito, non riuscendo a trattenere un sorriso a pochi centimetri dal suo volto. Mente e cuore, in una delle rare volte, si trovarono d’accordo: aveva fatto la cosa giusta. Doveva giocare bene le sue carte, studiare le varie reazioni di Oswald e mostrargli allo stesso tempo quello che provava da anni.

Oswald aprì lentamente gli occhi, trovandosi senza parole… Era una delle rare volte in cui non sapeva cosa provare. Combattuto tra il desiderio di voler riprendere il bacio, la vergogna di trovarsi di fronte ad un pubblico, la frustrazione di poter avere questo solo per merito di una farsa… L’amara consapevolezza che, se fosse dipeso totalmente da Edward, non si sarebbero mai baciati… E questo faceva più male della sua gamba malandata.


Ivy, Harley e Victor erano andati via da circa un’ora, chi con la scusa che aveva un appuntamento con Selina e chi doveva andare ad infastidire Alvarez.

Martin ed Evelyn erano seduti sul divano, accoccolati davanti al fuoco, mentre Oswald li osservava da lontano, al capezzale della porta.

Lui ed Edward erano lì, molti anni prima, poco dopo che Ed aveva rischiato di soffocare per mano di Butch. Con un sospiro, l’uomo pensò a quanto tempo era trascorso da quel giorno, quanti avvenimenti s’erano succeduti nella sua vita. A quel tempo, non avrebbe mai pensato di diventare un genio del crimine con famiglia.

Oswald avvertì dei passi avvicinarsi silenziosi. Chiuse gli occhi, tornando malauguratamente al pensiero di quel bacio che s’erano scambiati. Strinse i pugni sul bastone, cacciando via quel ricordo.

“Stanno bene insieme, cromaticamente parlando.”

Oswald sbuffò divertito, continuando a guardare la giovane coppia.

“È l’intensità del loro affetto che li fa essere perfetti.”

Oswald si rese conto d’avere gli occhi di Edward puntati su di sé.

“Dici che è il caso di lasciarli soli?”

Oswald annuì, prima di schiarirsi la voce, attirando così l’attenzione dei due giovani innamorati.

“Noi ci ritiriamo. Lasciamo momentaneamente la notte a voi giovani.”

Evelyn sorrise, alzandosi per stringere la mano ad Oswald.

“È stato un piacere fare la vostra conoscenza.”

Oswald le sorrise, stringendole la mano.

“Io spero che ti sia trovata bene, ragazza mia. Nonostante qualche piccola distrazione.”

Evelyn sorrise, stringendo poi la mano ad Edward.

Martin abbracciò Oswald, augurandogli una buona notte.

“Buonanotte.”

Una volta salutati i ragazzi, Edward offrì il braccio ad Oswald ed insieme salirono le scale.

“È andata piuttosto bene.”

Oswald annuì, cercando di non pensare di dover trascorrere la notte insieme ad Edward, non dopo quel bacio che si sono scambiati.

Una volta entrati in camera, e chiusa la porta, i due tornarono ad essere due normalissimi amici. Oswald cominciò a slacciarsi la giacca, mentre Edward gli volgeva le spalle, quasi appoggiando la fronte sulla porta. C’era un particolare di quella giornata a cui non era ancora riuscito a dare una risposta. E lui odiava quando ciò accadeva.

“Dovevo immaginarlo che avevano iniziato a ricattarti con Martin, per non farti evadere da Blackgate.”

Le dita di Oswald si bloccarono: con tutto quello che avevano dovuto fare e sopportare, Edward pensava davvero a quel dettaglio?

D’altra parte, vedendo che non riceveva alcuna risposta, Edward continuò a parlare, rilevando il dubbio che lo stava divorando.

“Come hanno fatto a capire che Martin era ancora vivo? Ho fatto il possibile per far combaciare la versione di Victor e la realtà, così che non avessi problemi a riportarlo qui, a Gotham, un giorno. Non potevano capire che Chester Nashton era in realtà —”

“Ormai non ha più importanza, Ed. Appartiene al passato.”

Oswald alzò una mano nel tentativo di zittirlo, non voleva che Edward arrivasse a capire la verità.

Tuttavia Edward interpretò quella frase come un desiderio di non voler ascoltare misere scuse, ma lui non doveva scusarsi di nulla, aveva fatto il possibile per nascondere la vera identità di Martin, trasferendolo lontano da Gotham. Doveva assolutamente dire che lui non era coinvolto in quella faccenda, che aveva sempre mantenuto il segreto e se lo sarebbe portato fin dentro la tomba se fosse stato necessario.

“Non ho rivelato a nessuno la sua vera identità, Oswald.”

Oswald si voltò indietro, instaurando un contatto visivo con Edward, vedendo come gli occhi di Edward lo stavano implorando di credergli. Oh, sapeva bene che Edward non aveva parlato, era sempre stato l’unico di cui si poteva fidare. Infatti, a Blackgate nessuno aveva fatto il nome di Martin, ben consapevoli che Oswald aveva ucciso il bambino a sangue freddo per non avere più alcun legame emotivo e non essere una facile preda. Tuttavia, sapevano perfettamente che Oswald aveva mantenuto un solo legame emotivo con una persona, la stessa persona con cui stava per condividere il letto.
La sola idea di sapere che Edward sarebbe stato sottoposto all’infernale macchina di Strange gli aveva fatto mantenere la calma per ben dieci anni. Ma questo era meglio non rivelarlo ad Ed. Perciò sorrise ed annuì.

“Lo so.”

E questo era uno dei tantissimi, innumerevoli motivi per cui aveva sempre fatto il possibile per proteggere l’uomo che amava. Anche a costo di buttare all’aria cinquant’anni della sua vita.


Edward si accomodò dentro il letto, mentre Oswald gli volgeva le spalle. L’atmosfera era cambiata, era diventata più elettrica, pronta ad esplodere in qualsiasi momento. Edward si ritrovò a sentire il proprio cuore rimbombare nelle orecchie, mentre le ombre ricominciavano a espandersi, riprendendo a torturarlo con le loro battute.

“B-buonanotte…Oswald…”

Oswald non rispose, il suo petto s’alzava e s’abbassava con calma, probabilmente s’era già addormentato.

Edward voltò la testa per vedere la schiena del suo migliore amico. Avevano trascorso innumerevoli notti a riposare nello stesso letto, nel suo appartamento, quando Edward era troppo stanco dal lavoro ed Oswald lo obbligava a qualche ora di riposo. Edward si ritrovò a sorridere, pensando anche a tutte quelle notti trascorse, negli ultimi dieci anni, ad Arkham, a quanto avrebbe voluto potersi beare del calore di Oswald.

Desideroso di provare ancora una volta quella sensazione di calma, Edward si accostò alla schiena di Oswald, chiudendo gli occhi. Gli cinse la vita, mentre affondava il naso tra i suoi capelli. Non riusciva a smettere di pensare al bacio che s’erano scambiati sotto il vischio, continuando a rivivere quel momento ancora e ancora, domandandosi cosa accadrebbe se l’avesse baciato nuovamente. Domandandosi che sapore aveva la sua pelle. Domandandosi quali suoni avrebbe fatto Oswald se avesse osato di più.

“Oswald…”

Restando all’oscuro del fatto che Oswald in realtà era sveglio, incapace di chiudere gli occhi e di far calmare i battiti del proprio cuore.

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