Io l'amore non so che cos'è

di Carme93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non fratelli ***
Capitolo 2: *** Tentativi di convivenza ***
Capitolo 3: *** Fine di stagione ***



Capitolo 1
*** Non fratelli ***


[Prompt1: condividere i vestiti]
 
Capitolo primo
 
 
Non fratelli
 
 
Si passò una mano sul volto stanco e sfogliò il vocabolario trattenendo a stento uno sbadiglio. Forse era la stanchezza, ma quella versione di Virgilio lo stava veramente mettendo in difficoltà. Si stiracchiò e lanciò un’occhiata alla sveglia sul comodino: mancavano una decina di minuti alla mezzanotte. Doveva concludere o il giorno dopo avrebbe avuto l’aspetto di uno zombie. Certo, Giulia l’avrebbe trovato divertente, in quanto adorava quel genere di film, ma lui no.
Ebbe la tentazione di scriverle, ma subito gli sovvenne che avevano discusso solo qualche ora prima: non accadeva facilmente, tanto che le volte che litigavano si potevano contare su una mano. Si era organizzata per uscire con alcune compagne di classe e avrebbe voluto che lui l’accompagnasse ben sapendo che non ci fosse alcuna possibilità: aveva troppi compiti, non avrebbe avuto il permesso e suo padre era di turno quella notte quindi non poteva nemmeno lasciare solo il fratellino.
Giulia, di solito, era molto paziente con lui e non lo costringeva mai a fare qualcosa che proprio non voleva, eppure, per qualche motivo, quel pomeriggio si era impuntata e avevano finito per discutere.
Sospirò e riprese in mano la penna ben deciso a completare i compiti velocemente: in fondo gli mancavano solo due versi e non avrebbe dovuto preoccuparsi di ripetere la letteratura, perché quasi sicuramente sarebbe stato interrogato in greco.
Si costrinse a concentrarsi e concluse nel giro di un quarto d’ora. Proprio mentre stava sistemando lo zaino per il giorno dopo, squillò il cellulare facendolo sobbalzare. Quando non lo usava lo teneva in corridoio, così corse a rispondere prima che svegliasse il fratello. Con il cuore in gola – suo padre non chiamava quando era al lavoro e a quell’ora non potevano essere un call center – costatò che era Giulia e ciò lo innervosì non poco: perché lo chiamava? Non poteva sapere che era sveglio e di solito gli scriveva su WhatsApp.
«Pronto» sbuffò non riuscendo a mantenere il tono basso e aspettandosi uno dei suoi stupidi scherzi.
«Criii».
Il suo nome risuonò acuto, ma la voce era strana, non quella consueta dell’amica.
«Che c’è?» le chiese nuovamente preoccupato.
«Mi vieni a prendere?».
Ancora una volta il tono era strascicato e sembrava quasi stesse masticando le parole prima di buttarle fuori. La domanda stessa, però, fu sufficiente per lasciar perplesso il ragazzo.
«Cosa? Dove dovrei venire a prenderti?».
«Vieni, Cri».
Alla fine comprese: «Hai bevuto?».
«Mi gira la testa e fa freddo, vieni?» ripeté la ragazza, leggermente più lucida.
«Va bene».
Quelle due parole gli uscirono di bocca con una semplicità allucinante, di cui, sicuramente, si sarebbe pentito.
La chiamata s’interruppe.
«Chi era?».
«Giulia» rispose atono senza nemmeno voltarsi verso il fratello, Marco.
Cristiano Negri è un ragazzo di diciotto anni, compiuti da poco, solitamente assennato e responsabile, ma quella sera il suo cervello gli rimandava soltanto l’immagine della sua migliore amica da sola di notte, ubriaca, fuori da un locale frequentato da ragazzi ubriachi quanto e più di lei. Un incubo!
«Devo andare a prenderla».
«E come?» chiese sorpreso Marco.
«Con la macchina» rispose come se fosse ovvio. Il ragazzino sgranò gli occhi e fece per replicare, ma Cristiano lo zittì. «È importante, non posso lasciarla sola. Torno subito, ok? Stai solo per un poco?».
«Certo» replicò.
Cristiano annuì distrattamente, s’impossessò delle chiavi nello svuotasche all’ingresso e prese il primo giubbotto che gli capitò tra le mani. Scese velocemente le scale e raggiunse la macchina del padre parcheggiata di fronte all’edificio. Con il cuore in gola al pensiero di Giulia e quello che le sarebbe potuto accadere, impiegò cinque minuti ad avviare correttamente la macchina e altri dieci a uscire dal parcheggio.
Per fortuna, per strada non c’era quasi nessuno, così raggiunse la zona del locale senza troppe difficoltà. A un certo punto, scorse un posto di blocco e la piena consapevolezza di quello che stava facendo lo colpì in pieno. Preso dal panico, decise di svoltare alla prima possibilità, in modo da non rischiare di essere fermato. Nel farlo allungò una mano verso il cruscotto e si assicurò che vi fosse il suo foglio rosa. Suo padre aveva deciso che l’avrebbero tenuto in macchina, così che non vi fosse il rischio che gli venisse l’idea di guidare con qualche amico sconsiderato. Se suo padre avesse saputo che aveva preso la loro macchina da solo, l’avrebbe ucciso.
Ormai, però, l’aveva combinata grossa e non gli restava che recuperare Giulia e tornarsene a casa.
Parcheggiò in una traversa vicino al locale e andò a cercarla a piedi. Rispetto ad altre zone della città, quella era più caotica: la musica a volume medio alto risuonava lungo la via principale e vi erano crocchi agitati di ragazzi visibilmente brilli. Si fece largo alla ricerca dell’amica, provò anche a chiamarla ma rispose la segreteria telefonica.
Cristiano, sempre più inquieto, si pizzicò sperando che fosse solo un incubo e di essersi addormentato sul canto dell’Eneide, ma costatò a malincuore di essere veramente sveglio. Così si spinse fino al locale, laddove vi era ancora più confusione. Si chiese se dovesse cercarla anche all’interno, ma si costrinse a riflettere: al telefono la musica si sentiva, ma non troppo forte, quindi Giulia doveva trovarsi all’esterno e a una certa distanza.
A forza di spintoni riuscì a superare la folla radunata all’ingresso e a procedere lungo il marciapiede fino in fondo alla discesa. Qui la situazione era leggermente più calma, perché vi erano delle pizzerie e dei bar, i cui proprietari avevano chiarito di non voler disturbi da parte degli avventori del pub, specialmente nel fine settimana.
Fu qui che scorse l’amica, abbandonata su una panchina di pietra e intenta a osservare il cielo. Colto da una furia improvvisa, le si avvicinò.
«Sei impazzita?» sbottò a voce più alta di quanto avrebbe voluto.
Giulia gli rivolse uno sguardo vacuo e ridacchiò: «Hai visto che bel cielo stellato?».
Cristiano si morse il labbro inferiore pur di non rispondere a sproposito e si sedette sul bordo della panchina. «Stai bene?».
«Sì» rispose lei ridacchiando ancora.
«Sei ubriaca» l’accusò.
«Un pochino… Vieni vicino a me… guarda le stelle…».
A malincuore Cristiano non riuscì a trattenere un sorrisetto: era sempre la solita Giulia. Sospirò e le sussurrò: «Andiamo a casa?».
«E guardiamo insieme le stelle?».
«No, andiamo a letto» replicò Cristiano aiutandola ad alzarsi.
«Sei cattivo» si lagnò lei, appoggiandosi a lui.
Aspetta che lo sappiano i nostri genitori e poi vediamo chi è cattivo, pensò terrorizzato Cristiano.
Dopo qualche passo, il ragazzo decise di fare il giro lungo, conscio che non sarebbe riuscito a sorreggere l’amica in mezzo alla confusione. A un certo punto, però, Giulia si divincolò e si piegò di lato per vomitare. In un primo momento Cristiano si tirò indietro, ma poi si costrinse a tenerle la testa come gli aveva insegnato il padre quando stava male il fratellino.
Alle fine tirò fuori un fazzoletto dalla tasca e glielo porse perché si pulisse la bocca.
«Dove andiamo?» chiese lei, leggermente più lucida, attaccandosi nuovamente al suo braccio.
«A casa» rispose pazientemente Cristiano che, in quella situazione, aveva deciso di mettere da parte la propria rabbia.
Giulia rimase in silenzio finché non giunsero alla macchina e il ragazzo l’aiutò a sedersi dal lato del guidatore e le allacciò la cintura di sicurezza.
«Facciamooo qualcosaaa» gli strillò all’orecchio appena sedette accanto a lei.
Una zaffata di alcool lo colpì in pieno e s’irrigidì. Cristiano odiava quella puzza, perché gli ricordava il periodo successivo all’abbandono della madre: suo padre disperato beveva spesso dopo il lavoro e quando tornava a casa aveva proprio quel tanfo addosso.
Strinse la mano intorno alla chiave e spinse leggermente l’amica. «Smettila» sibilò.
«Daaai, non essere noiosooo… Le mie amiche dicono…».
«Non m’interessa» sbottò alzando la voce e tacitandola: Giulia non era abituata a vederlo arrabbiato.
Prese un bel respiro e inserì la chiave nel quadro. Giulia non era in sé, per questo si comportava in quel modo e lui, da buon amico, doveva aver pazienza. Mise in moto e procedette ancora più lentamente rispetto all’andata, perfettamente consapevole della responsabilità che si era assunto permettendo a un’altra persona di salire in macchina con lui; anche se la sua coscienza protestava ignorata da più di un’ora: dietro le sue azioni di quella notte, vi era solo avventatezza, altro che responsabilità.
Fortunatamente, giunsero a casa senza nessun impedimento. Giulia si era calmata ed era in dormiveglia. Cristiano la scosse, la guidò fino all’ingresso e poi lungo le scale. Giulia improvvisamente ebbe uno scoppio di risa che coinvolse anche Cristiano, che dovette tappare la sua bocca e quella dell’amica per non svegliare l’intero palazzo e soprattutto la sua vicina impicciona che sembrava aver come scopo nella vita seguire tutte le mosse di Cristiano e riferirle a suo padre. E non per scherzo! Non che a suo padre piacesse, anzi la trovava profondamente snervante e indiscreta, ma in questo caso Cristiano sapeva di non avere scuse.
Con il cuore in gola, raggiunse il proprio appartamento e spinse dentro Giulia bruscamente. Solo allora tirò un sospiro di sollievo.
«Siete tornati!» strillò Marco che si era sdraiato sul divano per attenderli.
«Perché non sei andato a letto?» replicò Cristiano accorgendosi di star tremando e di essere molto stanco.
«Ero preoccupato» rispose Marco come se fosse ovvio. «Che cos’ha Giulia?».
«Ha bevuto» borbottò Cristiano accompagnando l’amica nella propria stanza, seguito da Marco.
Giulia si stravaccò sul letto mezz’addormentata e Marco si pose accanto a lei scrutandola con occhio critico.
Cristiano recuperò il cellulare e cercò su Google il modo migliore per curare una sbornia, sentendosi in colpa a lasciarla in quelle condizioni – sebbene una parte più cattiva di lui gli suggerisse di spostarla sul divano e fregarsene. Si passò una mano tra i capelli e sospirò: era arrabbiato, ma le voleva anche troppo bene.
Lesse velocemente alcune pagine e, conscio di non poter fare molto, andò a prendere dell’acqua in cucina, poi la svegliò e l’aiutò a bere. In seguito, l’accompagnò in bagno e le sciacquò il viso nonostante le sue rimostranze.
«Ora andiamo a dormire» la rassicurò.
Ritornando in camera, però, si rese conto che il giubbotto dell’amica era umido – in tarda serata aveva piovigginato – e che si era anche macchiata i jeans quando aveva dato di stomaco. Prese un pigiama pulito dal cassetto, ma completamente incerto su come comportarsi: anche se era la sua migliore amica, quasi una sorella, era comunque una donna. Nervoso la scosse e la svegliò, in quanto si stava riassopendo.
«Dai, cambiati, per favore».
Lei mugugnò qualcosa, ma sembrò capire, così Cristiano la lasciò sola con la scusa di accompagnare Marco a letto. Quando tornò in camera Giulia aveva indossato il suo pigiama e già dormiva.
Faceva un certo effetto vederla in quel modo. Le si avvicinò, la spostò leggermente in modo che potesse appoggiare la testa sul cuscino e fece molta fatica per coprirla. Allora le si sedette accanto e sorrise: era così dolce nel pigiama troppo grande, sembrava più piccola e innocente.
Trovò il coraggio di accarezzarle una guancia, sicuro che non se la sarebbe presa, ma in quel momento uno strano rumore, basso e continuo, riempì la stanza. Impiegò qualche minuto a rendersi conto che era la vibrazione del cellulare di Giulia, fino a quel momento conservato nella sua borsetta. Lo prese e vide che aveva una decina di chiamate perse dalla madre e altrettanti messaggi.
«Sei proprio una pazza irresponsabile» sbottò rivolto a Giulia che, però, continuò a dormire tranquillamente.
Facendo ricorso a tutto il suo coraggio, richiamò la madre della sua migliore amica, nonché sua ex insegnante. La conversazione fu complessa e imbarazzante, ma alla fine la donna si tranquillizzò, poiché si fidava di Cristiano. Il ragazzo si sentì in colpa ripensando a quello che aveva fatto quella sera e come la stessa professoressa Marchetti non sarebbe stata contenta nello scoprire che aveva guidato la macchina da solo e su lunga distanza. Era stata una fortuna che non l’avessero arrestato!
Deglutì e, dopo aver riposto il cellulare, si sdraiò accanto all’amica. Nonostante la terribile serata e la rabbia che provava nei suoi confronti, Cristiano non poté fare a meno di addormentarsi pensando che Giulia non sarebbe mai stata una sorella per lui. 

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Capitolo 2
*** Tentativi di convivenza ***


[Prompt2: vivere insieme]

Capitolo secondo
 
 
 
Tentativi di convivenza
 
 
 
«Cristiano».
Il ragazzo, intento a squadrarsi nello specchio del bagno, sospirò e raggiunse il padre, che guardava distrattamente la televisione nel salottino annesso alla cucina.
«Sì?» chiese incerto. Era agitato, ma allo stesso tempo non vedeva l’ora che arrivasse Giulia.
Suo padre, Capitano dei Carabinieri e uomo quanto mai autorevole, spense la tv e rivolse la sua attenzione al figlio maggiore. «Ho accettato di ospitare Giulia, ma non vuol dire che le regole di questa casa cambino. È chiaro?».
Avrebbe dovuto scommettere che l’aveva chiamato per quello. «Sì» rispose semplicemente. Cristiano sapeva che, nonostante fossero trascorsi più di tre mesi, suo padre non aveva dimenticato il fatto che lui aveva preso la macchina in piena notte e aveva guidato senza patente in barba alla legge. E no, non era colpa solo della vicina impicciona – la quale sembrava soffrire d’insonnia e aveva percepito rumori ‘molesti’, ma – e stupidamente non l’aveva messo in conto ˗ suo padre, tornando dal turno di notte, aveva trovato Giulia nel letto del figlio e naturalmente aveva preteso delle spiegazioni: Cristiano, tra un balbettio e l’altro, non era riuscito a mentirgli. E probabilmente la sua sincerità l’aveva salvato, perché aveva colto di sorpresa il padre, che aveva commentato di non aver mai sentito di un ragazzo che ammette chiaramente di aver commesso una mancanza di quella portata.
«Non ho intenzione di scegliere i tuoi amici», continuò suo padre serio, «ma Giulia è molto vivace, anche troppo a volte, e non voglio che ti trascini».
«Ragiono con la mia testa» borbottò Cristiano, contento che Marco stesse giocando nella sua camera.
«Lo spero bene» replicò suo padre, poi sospirò. «Lo so che sei un bravo ragazzo, ma a volte le ragazze hanno un effetto strano su di noi».
«In che senso?» chiese sorpreso Cristiano.
Suo padre gli rivolse uno sguardo impaziente. «Vieni qui».
Cristiano era inquieto per la piega che stava prendendo la conversazione, più che altro perché non riusciva proprio a comprenderla; comunque obbedì e sedette sul divano accanto al padre.
«Cristiano, le donne non… sono volubili… sei troppo piccolo per lasciarti ingannare…».
«Ingannare da cosa?» lo interruppe confuso.
«Senti, le donne prendono e se ne vanno quando si annoiano…».
«Che stai dicendo?» mormorò Cristiano. Stava parlando di sua madre?
Suo padre sbuffò e disse: «Cristiano, l’amore è spesso un’illusione e non voglio che tu butti il tuo futuro solo per seguirlo».
«Io non sono innamorato» esclamò sconvolto.
Suo padre lo fissò scettico.
«Non sono innamorato!» sbottò alzando leggermente la voce. «Giulia è la mia migliore amica».
«Come vuoi tu» concesse suo padre. «Ma comportatevi bene».
Cristiano annuì, ma mantenne gli occhi fissi sulle mani in grembo. «Tu non credi più nell’amore, vero?» mormorò dopo qualche minuto. Eppure l’amore doveva essere bello, anche se sua madre li aveva abbandonati.
Suo padre aprì la bocca per rispondere, ma in quel momento suonarono al citofono. Cristiano gli rivolse uno sguardo dispiaciuto e andò ad aprire.
Abbracciò Giulia appena la vide, ma sciolse quasi subito l’abbraccio memore delle parole del padre. Ma gli amici si abbracciavano, no? Salutò Chiara Marchetti, sua ex professoressa delle medie e madre dell’amica, Ferrari, altro professore e attuale compagno della donna, e i gemellini di cinque anni, nati dall’unione dei due.
Giulia era leggermente seccata, ma almeno era più calma rispetto a qualche giorno prima. Ferrari doveva partecipare a un concorso di musica, i gemelli e la Marchetti l’avrebbero accompagnato. Giulia aveva il debito in filosofia e, se fosse partita, non sarebbe tornata in tempo per l’esame; ma la madre non si fidava di lasciarla sola per questo aveva chiesto al padre di Cristiano di ospitarla. Giulia non ne era stata felice, in quanto si riteneva abbastanza grande da poter star da sola per due settimane.
Gli ospiti si accomodarono nel salottino e Cristiano, con Marco ˗ che appena aveva sentito il campanello li aveva raggiunti ˗ alle calcagna, portò la borsa di Giulia nella sua stanza dove avrebbe dormito – Cristiano gliel’aveva ceduta volentieri, anche se avrebbe dovuto dormire sul divano.
Discussero del più e del meno: dell’estate ormai agli sgoccioli, del nuovo anno scolastico e quindi degli esami di Stato che i ragazzi avrebbero dovuto affrontare, del caldo rovente che non sembrava voler dar tregua e del concorso di Ferrari.
Il padre di Cristiano si sentì in dovere di chiarire le regole fondamentali – naturalmente furono dieci minuti molto imbarazzanti per il ragazzo ˗ e la signora Marchetti fu subito d’accordo raccomandando alla figlia di comportarsi bene, irritandola.
Finalmente Ferrari e la Marchetti si congedarono; il padre di Cristiano, invece, si preparò per andare al lavoro e poi rivolse loro ulteriori raccomandazioni. Rimasti soli, i ragazzi si rintanarono in camera di Cristiano.
«Vostro padre è noiosissimo» sbuffò seccata Giulia buttandosi sul letto.
Cristiano si strinse nelle spalle e sedette alla sedia della scrivania, Marco, invece, prese posto accanto alla ragazza.
«Sì» borbottò il ragazzino. «Ha già iniziato a rompere perché quest’anno sarò in prima media e vuole che io studi di più».
«Che palle» commentò Giulia solidale. «Anche mia madre fa così e io avrò gli esami quest’anno».
«Dovresti pensare prima al colmare il debito».
Giulia gli lanciò un cuscino addosso.
«Ehi» si lamentò il ragazzo, spostandosi appena in tempo e salvando la lampada per un pelo. «Per piacere, hai sentito mio padre!».
 
La mattina dopo Cristiano si alzò per primo desideroso di preparare la colazione per tutti. La sera prima erano andati a letto tardi, perché si erano intrattenuti con vari giochi di società e si erano divertiti. Suo padre era rientrato un paio di ore prima e ora dormiva, perciò tentò di non fare rumore.
Dopo aver preparato latte e thè, chiamo Marco e Giulia.
«Buongiorno» trillò la ragazza.
«Shhh» la zittì Cristiano.
«Papà dorme» mormorò Marco fissandola con tanto d’occhi.
Giulia roteò gli occhi e si sedette. «Possiamo andare a mare?».
«Certo, ho già indossato il costume» replicò Cristiano. «Hai portato la tua bici?».
«Sì, l’ho lasciata giù, come mi hai detto. Però è assurdo che non possiamo andare in macchina! Tuo padre è proprio…».
Cristiano le tappò la bocca con una mano e le rivolse uno sguardo supplichevole. «Sei impazzita?».
Marco scoppiò a ridere.
Giulia si riempì la bocca di biscotti e gli rivolse una smorfia.
Cristiano si passò una mano tra i capelli e sospirò: non aveva intenzione di rivangare quella storia con suo padre in casa.
«Comunque non può farlo» sussurrò Giulia. «Sei maggiorenne, non ti può sequestrare il foglio rosa e impedire di fare l’esame della patente. È un abuso di potere!».
Il ragazzo non replicò: era pur sempre suo padre e lui aveva commesso un reato. Conosceva abbastanza suo padre da sapere quanto si fosse vergognato di lui e soprattutto di aver dovuto chiudere gli occhi di fronte a un simile sfregio della legge. Inoltre, era sicuro che non gli avrebbe restituito quel foglio rosa prima dell’anno nuovo, quindi sarebbe scaduto. Non l’avrebbe dissuaso dal cambiare la sua punizione, poiché era conscio di meritarselo, ma l’avrebbe pregato almeno di pagare la tassa per il rinnovo in modo da non dover rifare l’esame di teoria.
«Dai, ci divertiremo» sorrise Giulia, avendo compreso di aver toccato un tasto delicato.
Cristiano sorrise a sua volta, anche se leggermente preoccupato dall’idea di divertimento che aveva l’amica.
 
 
*
 
 
«Aaaaah, laaargooo».
Cristiano si spostò appena in tempo, ma fu investito in pieno dall’acqua sollevatasi al tuffo di Giulia.
Marco, su uno scoglio, rise e l’additò agli amici; meno contenti furono gli altri bagnanti che borbottarono infastiditi e qualcuno si lamentò apertamente. Cristiano andò sott’acqua, lasciando che l’amica se la sbrigasse da sola. Era codardo? Forse, ma dopotutto lei non aveva bisogno di qualcuno che la difendesse.
Fece il morto in acqua e si godé la sensazione dell’acqua sul corpo e quel senso di rilassamento che dava solo il mare, finché Giulia non gli piombò direttamente addosso ridendo come una matta.
Cristiano finì sott’acqua e riemerse sputacchiando. «Scema!».
Lei rise più forte.
«Non posso permettermi di farti annoiare».
«Ma io ero tranquillo!».
«Appunto» replicò lei con un enorme sorriso.
Per tutta risposta Cristiano la schizzò, ma fu una pessima idea perché lei rispose a tono e coinvolse Marco e i suoi amici.
«Non vale» sbottò battendo in ritirata e rifugiandosi sotto l’ombrellone.
«In guerra e in amore tutto è lecito» ribatté Giulia raggiungendolo.
«Non è il nostro caso» ribatté il ragazzo, che, però, rimase perplesso di fronte alla strana espressione assunta dall’amica. Fu solo un attimo, perché Giulia tornò nuovamente a sorridere e prese il pallone.
«Vieni? O fai il permaloso?».
«Sono offeso» decretò. Lei alzò gli occhi al cielo e tornò in acqua, acclamata da tutti i bambini. Cristiano recuperò il cellulare e scattò qualche foto all’amica e al fratellino, poi si mise a leggere approfittando di quel miracoloso momento di calma. Prima che Giulia si trasferisse da loro, aveva iniziato a leggere Ragazzi di vita di Pasolini, richiesta esplicita dalla sua insegnante di italiano, ma non era riuscito ad andare oltre il secondo capitolo sia perché aveva difficoltà con il dialetto romanesco sia perché era impossibile con Giulia e Marco tra i piedi.
La pace durò più a lungo del solito per sua fortuna, in quanto avrebbe anche dovuto scrivere una relazione su quel romanzo e si era ridotto all’ultimo.
«Ho fame!» gridò a un certo punto Marco schizzandolo.
Cristiano sbuffò e si chiese perché non potesse prendere il panino da solo. Eppure la borsa era a pochi centimetri!
«Anch’io ho fame! Nutrimi!» strillò Giulia sedendosi accanto al più piccolo in attesa.
Erano un caso perso!
Cristiano chiuse il libro, conscio che fossero già stati fin troppo clementi, e prese i panini che aveva preparato quella mattina. Suo padre sarebbe rientrato solo nel pomeriggio, quindi avevano pensato di trattenersi di più a mare.
Mangiarono ridendo e scherzando e Cristiano si chiese più volte perché la vita non potesse essere sempre così semplice.
Fu un problema trattenere Marco sotto l’ombrellone, in modo che trascorresse almeno un’oretta dopo aver mangiato. E ne nacque una discussione su quanto fosse il tempo giusto per digerire. Conversazione che Cristiano trovò profondamente snervante e inutile. Alla fine Giulia, probabilmente mossa a pietà, li invitò a cantare con lei, usando Youtube come Karaoke.  
Cristiano non amava cantare e si sdraiò accanto a loro, chiudendo leggermente gli occhi preso da una sonnolenza piacevole e si lasciò guidare dalla bella e curata voce di Giulia e da quella infantile e un po’ sguaiata di Marco. A un certo punto fu sicuro di essersi addormentato, perché dubitava che suo padre si sarebbe mai aggiunto al coro e si sarebbe messo a ballare sulla spiaggia.
«Sveglia!».
Si sedette di soprassalto, impiegando qualche secondo a capire che Marco gli aveva appena svuotato un secchiello d’acqua sul viso.
«Questa me la paghi!» strillò, lanciando un’occhiataccia a Giulia che, complice, se la rideva. Si alzò e inseguì Marco per la spiaggia, ma non era facile prenderlo: era una scheggia e, grazie al calcio, era molto più allenato di lui. Alla fine Marco tornò sotto l’ombrellone e si nascose dietro Giulia.
«Tregua» strillò il ragazzino.
«E va bene» assentì Cristiano che si era bruciato i piedi, correndo sulla sabbia calda.
«Facciamoci un selfie!» trillò Giulia mettendosi in mezzo ai due fratelli e abbracciandoli. Cristiano scattò la foto, ma lo costrinsero a ripeterla più volte.
«Potete tornare in acqua» concesse esasperato, forse l’avrebbero lasciato leggere un altro po’.
«Tu vieni con noi».
«No, dai, Giulia, devo finire di leggere».
«Non essere noioso. Sono io quella che ha l’esame fra una settimana e non mi sto preoccupando, no?».
«Se non ti conoscessi, sarebbe inquietante».
«Ma va là. È la seconda volta che la prof mi lascia filosofia. Odio troppo questa materia, ma chi cavolo l’ha inventata?».
«Potrei risponderti che la filosofia è nata con la civiltà».
Giulia roteò gli occhi e gli fece la linguaccia.
«Il pensiero occidentale!» trillò Cristiano avvicinandosi, lei si allontanò di scatto. «Socrate… Platone… Aristotele…».
«Mostro!» lo zittì Giulia coprendosi le mani con le orecchie. «Io raggiungo Marco. Te l’ho detto che preferisco lui a te?».
Cristiano ridacchiò e tornò al suo romanzo. Soltanto quando concluse il capitolo, si decise a raggiungerli e fu costretto a farsi perdonare dall’amica, che quando si parlava di filosofia diventava intrattabile.
«Ti perdono solo se stasera lavi tu i piatti».
Cristiano assentì all’istante e poi l’abbracciò. «Ma senti» gli chiese con fare innocente dopo un po’, «ma se dovessi iscrivermi a Filosofia, tu come reagiresti?».
Giulia lo fissò per un secondo poi tentò di spingergli la testa sott’acqua nonostante le sue proteste.
«Ehi!» si lamentò quando lei lo lasciò andare.
«Ti basta come risposta?».
«Sì» sbuffò, incupendosi per un attimo. Non aveva ben idea di quale percorso intraprendere dopo la maturità e ciò lo seccava molto. Il padre stranamente non gli aveva ancora messo fretta né, in generale, aveva affrontato l’argomento. O forse non doveva sorprendersi così tanto: suo padre aveva storto il naso quando aveva affermato di volersi iscrivere al liceo classico, ma non gliel’aveva impedito e si era limitato a consigliargli di scegliere la sezione con il potenziamento di matematica, caso mai avesse cambiato idea.
«Lo so che lo fai apposta, eh» gli disse all’improvviso Giulia.
Cristiano sorrise leggermente, in effetti l’aveva detto solo per farle dispetto: a differenza di Giulia studiava filosofia con interesse, ma non era tra le sue materie preferite.
«Tanto lo sappiamo tutti che ti iscriverai a Lettere Classiche».
Il ragazzo la fissò interdetto: non l’aveva mai detto, perché ne era così sicura? «È ancora presto per parlarne» borbottò allontanandosi con la scusa di richiamare Marco, che stava infastidendo il cagnolino di una signora.
L’acqua quel giorno era abbastanza calda, per fortuna, e rimasero a mollo per quasi un’ora; quando Cristiano si avvide di avere la pelle delle dita grinzose decise che era il momento di uscire. Naturalmente fu difficile convincere Marco e Giulia, che a volte era peggio del più piccolo.
Cristiano dovette chiamarli più volte, anche perché l’ora di rientrare si stava avvicinando. Alla fine Marco e Giulia tornarono a casa ancora completamente bagnati, ma nessuno se ne preoccupò: era quello il bello dell’estate!
Condividere il bagno non era semplice: ormai per Cristiano era fonte di esaurimento il momento della doccia dopo il mare, perché Marco e Giulia correvano per casa in costume, bagnando dappertutto. Insomma perché doveva essere sempre lui quello responsabile?
«Beh, fate quello che volte, ma poi asciugate» sbottò esasperato, chiudendosi nel bagno del padre per avere un momento tutto per lui. Eppure avrebbe voluto tanto che Giulia rimanesse sempre lì con loro!
 
 
*
 
 
«Sono contenta di essere nata nell’era moderna» sbuffò Giulia.
«Dovresti definire ‘era moderna’, perché per alcuni storici noi viviamo nel post-moderno».
Giulia gli lanciò un’occhiataccia e gli tirò il manuale di filosofia addosso.
«Ehi!» si lamentò Cristiano, mentre il libro si schiantava contro il bracciolo del divano e rimbalzava sul pavimento.
Marco, intento fino a quel momento a guardare i cartoni animati, li fissò per un attimo poi tornò alla sua occupazione. «Fratellone, smettila d’infastidire Giulia».
«Ecco, ascolta tuo fratello».
Cristiano borbottò: «Vi siete alleati contro di me, non è giusto».
«Sì, che è giusto» ribatté Marco. «Giulia ha un buon odore, è carina, divertente, simpatica…».
«Ma perché io puzzo?» replicò interdetto Cristiano.
Giulia ghignò e si rilassò sulla spalliera della sedia fissandolo. «No, ma ti mancano tutte le altre qualità elencate da Marco».
«Ah, sì? Allora, sapete che vi dico? Io vado a farmi un giro in bici e voi vi arrangiate e preparate anche la cena».
«No!» urlò Giulia saltando giù dalla sedia.
«Invece sì».
«No, stai qui con noi. Marco, aiutami».
Giulia stava trattenendo il ragazzo dalle gambe, Marco, divertito, la raggiunse subito e la imitò.
«Smettetela, finirò per cadere!» disse Cristiano. I due, però, non lo lasciarono. «Ragazzi…». Finì a sedere sul tappeto e gli altri due ne approfittarono buttandosi addosso.
«Voglio la parmigiana per cena» disse Marco.
«Se mi rompi il braccio, te la puoi scordare».
«Quindi ce la prepari?» chiese Giulia innocentemente.
«Se levi il tuo gomito dal mio stomaco, sì» gemette Cristiano. «Però, voi mi aiutate».
Giulia e Marco assentirono e si spostarono in modo che si potesse rialzare.
«Allora, da dove iniziamo?» chiese Giulia con un enorme sorriso.
«Dal finire Kant» replicò Cristiano.
«Ma sei proprio un mastino!» sbottò Giulia incupendosi.
«Divertitevi» ridacchiò Marco tornando a stravaccarsi sul divano.
«Il liceo arriverà anche per te» minacciò Giulia. A Cristiano ricordò fra Cristoforo mentre minacciava Don Rodrigo, ma tenne il pensiero per sé.
 
«Ti odio» dichiarò Giulia un’ora dopo.
«Anch’io e anche Kant, sono sicuro che si stia rigirando nella tomba in questo momento e stia decidendo se venire a vendicarsi».
«Che venga» ribatté a tono Giulia. «Così gli dico cosa penso di lui».
Cristiano alzò gli occhi al cielo e si chiese come sarebbe potuto andare a finire un simile scontro. «Dobbiamo lavarci le mani prima».
Ritornati in cucina, il ragazzo si rese conto che i suoi aiutanti avevano più voglia di divertirsi che d’impegnarsi. Marco tirò fuori quasi tutto il contenuto di un armadietto prima che riuscisse a fermarlo.
«Si può sapere a che serve questa roba?».
«Io non conosco la ricetta». Mise su un sorriso quasi angelico, che, se non l’avesse conosciuto, probabilmente ci sarebbe anche scaccato.
Un tonfo fece sobbalzare i due fratelli, che si voltarono verso Giulia.
«Tranquilli, volevo solo provare se la latta della pelata rotola bene sul tavolo».
Cristiano si sbatté una mano in faccia e minacciò Marco di non provare nemmeno a imitarla. «Come ti sopporta tua madre?».
«Di solito quando faccio così mi caccia dalla cucina» rispose Giulia. «Se vuoi…».
«No, col cavolo. Fa’ pure, basta che non colpisci il vetro della porta del balcone».
Giulia s’imbronciò, così Cristiano le lanciò una melanzana.
«Ehi!».
«Togli la buccia» replicò semplicemente.
Impiegarono almeno mezz’ora per metterle in salamoia, anche perché Giulia aveva di suo un basso grado di attenzione per ciò che non la interessava, ma con Marco che saltellava da un lato all’altro era ancora peggio.
Compiuta quest’operazione, Cristiano diede a Marco il compito di tagliare la provola in fettine sottili e di calcolare il tempo necessario per far bollire l’uovo bollito; mentre lui affettò la cipolla e poi chiese a Giulia di rosolarla a fuoco lento, ma dovette intervenire perché si distrasse con il cellulare.  Le lanciò un’occhiataccia e si occupò del sugo personalmente.
Probabilmente era stata una pessima idea coinvolgerli, quando Giulia decise che avrebbero preparato anche una ciambella al cacao: Marco entusiasta prese un pacco di farina aperto, ma gli sfuggì di mano.
«Scusa, fratellone».
Giulia rise, Cristiano con una smorfia si fissò i piedi completamente bianchi.
Comunque, a parte quest’incidente e le dosi prese a caso – a suo parere, ma i due negarono sempre ˗, preparare un dolce sembrò divertirli non poco.
Cristiano frisse le fette di melanzane, mentre Giulia e Marco completavano il loro capolavoro svuotando, letteralmente, la confezione di cacao.
Tutti e tre insieme composero la parmigiana, ma quando fu il momento di rimettere tutto in ordine, naturalmente, Cristiano si ritrovò da solo.
«E ti pareva» borbottò.
 
 
*
 
 
«Non rullare!» strillò Giulia.
«Non ho rullato» replicò Cristiano recuperando una nuova pallina dall’apposito vassoio, la batté sul bordo del biliardino con gesto studiato e la lanciò al centro del campo.
«Sì che l’hai fatto» s’intestardì la ragazza. «Quel punto non vale».
«Ehi!» protestò Cristiano impedendole di cambiare il punteggio.
«Non ha rullato» intervenne Marco.
«Tu dovresti essere dalla mia parte» si lamentò Giulia.
Cristiano roteò gli occhi. «Il punto è nostro!».
«Dai, è l’ultima pallina!» disse Marco.
I ragazzi ripresero a giocare animatamente, specialmente Giulia che imprecava ogni due secondi.
«Goal!» urlò quest’ultima dopo aver spedito la pallina nella porta dei due fratelli. «Vittoria!».
«Basta, ci rinuncio» sbottò Cristiano, anche perché non sopportava gli occhi addosso di bambini e ragazzi che assistevano alla partita. In più, per essere alla fine di agosto, faceva ancora caldo almeno in quel punto della via Marina, forse perché era più affollato.
«No, dai, voglio giocare ancora».
«Tieni» disse Cristiano mettendo in mano al fratello una manciata di monete. «Gioca con i tuoi amici. Io e Giulia andiamo in spiaggia. Non ti muovere da qui senza avvertire».
Marco tutto contento scappò dai suoi amici.
«Da quand’è che decidi per me?» lo punzecchiò Giulia.
«Pensavo volessi farmi compagnia».
«Veramente preferivo giocare al biliardino».
«Veramente?» chiese a malincuore voltandosi verso di lei.
Giulia scoppiò a ridere. «Certo che no» disse e lo tirò verso la spiaggia.
Cristiano sorrise: adorava quelle sere d’estate, dove tutto sembrava diverso e incantevole.
Raggiunsero la battigia e iniziarono a giocare a chi lanciava pietre più lontano. Giulia era molto competitiva e voleva vincere anche in quei giochi che, in fondo, erano solo passatempi; Cristiano, al contrario, si sentiva appagato anche al solo sentire la sua risata mescolarsi al mare che s’infrangeva sugli scogli.
«Stasera sei peggio del solito» lo provocò Giulia.
«È che non ti voglio stracciare».
«Sì, vabbè» replicò Giulia.
«Stasera il cielo è pieno di stelle».
La ragazza alzò gli occhi e annuì. «È bello» convenne.
Cristiano si sdraiò sulla sabbia, ignorando i borbottii dell’amica sul fatto che si sarebbero riempiti di sabbia. La ragazza allora sospirò e alla fine lo imitò.
«Almeno sai che stelle sono?».
«No» rispose il ragazzo. «Non ho mai studiato Astronomia».
«Lo dico che il classico è inutile».
«Perché tu l’hai fatto?».
«No».
«E allora perché il classico sarebbe inutile?».
«Lascia stare» sbuffò Giulia.
Cristiano non aveva alcuna intenzione di discutere con lei – quel discorso l’avevano affrontato un’infinità di volte ˗, avvicinò la testa a quella dell’amica e s’inebriò al profumo dei suoi capelli.
 
 
*
 
 
Un nuovo tuono scosse l’edificio.
«Non è giusto!» sbottò Giulia. «Non può piovere alla fine delle vacanze!».
«Dovrebbe piovere all’inizio della scuola» disse Marco.
«Esatto. E con tanto di allerta meteo».
Cristiano sbuffò, ma non commentò. Personalmente adorava l’estate, ma apprezzava anche l’odore della pioggia e i temporali estivi di solito erano un modo di prendere il fiato dal caldo torrido.
Però quel temporale li aveva costretti a casa tutto il giorno e Giulia cominciava a diventare intrattabile.
«Ci guardiamo un film?» propose. «O facciamo qualche gioco da tavola?».
«Li abbiamo fatti tutti i giochi da tavola» disse lei imbronciata.
«Possiamo riprendere a ripassare filosofia, se vuoi» disse Cristiano, ma se ne pentì subito quando gli altri due cominciarono a bersagliarlo con i cuscini del divano. «Va bene, va bene, pace. Stavo scherzando!».
«Per punizione, preparerai i popcorn per tutti. E il film lo scegliamo io e Marco».
«I popcorn a quest’ora?».
«Sì, sì, sì» iniziò a saltellare il ragazzino.
«Che male c’è?» replicò Giulia che si era impadronita del telecomando.
«Abbiamo appena cenato».
«E quindi?» insisté Giulia. «Se andassi al cinema, non li prenderesti?».
«Sì, ma…».
«E allora muoviti!».
Cristiano alzò gli occhi al cielo, ma si decise a obbedire, dopotutto sapeva che la filosofia era un tasto da non toccare con l’amica.
In meno di mezz’ora i tre ragazzi erano seduti sul divano con un’enorme scodella di popcorn davanti.
«Allora, che film avete scelto?» chiese Cristiano.
«Conan vs Lupin» rispose eccitato Marco.
«Chiudo la luce» trillò Giulia, prima di tornare a sedersi.
Marco avviò il film.
Cristiano si rilassò sul divano e cercò di concentrarsi sul cartone, mentre un forte acquazzone si abbatteva sulla città. Pensò per un attimo a suo padre e sperò che si trovasse tranquillamente in ufficio, magari stava guardando fuori dalla finestra e pensava a loro. Lanciò un’occhiata a Giulia e una fitta di nostalgia gli strinse lo stomaco: ormai il tempo era gli sgoccioli, nei prossimi giorni Ferrari e la Marchetti sarebbero rientrati e quella specie di sogno sarebbe finito. Sospirò e cercò di godersi il momento.

Angolo autrice:
Ciao a tutti! 

Il titolo della raccolta (naturalmente mi sono dimenticata di specificarlo nel capitolo precedente) è una citazione ("L'arome secco sé" di Lorenzo Baglioni). 

 

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Capitolo 3
*** Fine di stagione ***


[Prompt3: fare la spesa insieme]
Capitolo terzo
 



 
Fine di stagione
 
 


«È bello andare al liceo?» chiese Marco abbracciando il poggiatesta del sedile.
«Non dovresti stare seduto in quel modo» borbottò Cristiano. «L’autista ci rimprovererà».
«Il liceo è una scuola» replicò Giulia stiracchiandosi, poi si rivolse a Cristiano. «Rilassati, il nostro autista ne ha viste di tutti i colori… ormai non si scompone più…».
Cristiano scosse il capo rassegnato. Non riuscì ad arrabbiarsi perché era troppo teso per l’amica e non comprendeva proprio come lei, invece, potesse essere così tranquilla: doveva sostenere un esame di recupero! In teoria avrebbero potuto bocciarla e, quindi, non ammetterla al quinto anno. No, sul serio, come poteva essere rilassata, sorridente, contenta? Al posto suo, lui sarebbe stata in preda alla disperazione. Eppure sembrava che stessero andando a una scampagnata!
«Quindi non è bello» sbuffò Marco.
«Diciamo che è meglio delle elementari e delle medie… insomma, sei grande… capito?».
Il ragazzino annuì.
Cristiano si disse che suo fratello e Giulia avessero lo stesso carattere. Il che non era un bene.
«Ma perché hai scelto una scuola così lontana? Quella di Cri è vicinissima».
«Il solito fortunato» replicò la ragazza facendo la linguaccia al suo migliore amico.
«Che colpa ne ho io?».
Giulia lo ignorò, come se non meritasse una risposta o fosse sempre colpa sua a prescindere – la seconda era l’opzione più probabile ˗ e si rivolse a Marco: «È assurdo, lo so, ma l’unico liceo musicale della provincia non si trova in città ma in un paesino! Poi mia madre mi chiede come mi sia fatta lasciare filosofia… chi lo sa!».
«Non credo che te l’abbiano lasciata perché viaggi» borbottò Cristiano, ma si beccò una gomitata nel fianco.
L’autobus si fermò e i ragazzi scesero senza fretta, guardandosi intorno.
«Ci abbiamo messo un’eternità» si lamentò Marco. «Io non studierò al liceo musicale».
«Ma se devi fare ancora la prima media!» lo rimbeccò Giulia.
«Comunque dicono che alcuni licei in città abbiano fatto richiesta per poter inserire l’indirizzo nei loro piani di studio» disse Cristiano. «Tra tre anni, magari si saranno attivati in questo senso… ma comunque, da quando ti piace suonare?».
«Io non voglio studiare» replicò il ragazzino. «Giulia non studia per niente, tu tutto il giorno!».
Cristiano si passò una mano sul volto, scegliendo di non commentare; invece Giulia sbottò: «Ehi! Non dire queste cose davanti a mia madre! E comunque, perché tu lo sappia, mi esercito per ore ogni giorno con il pianoforte o l’oboe… in caso contrario non potrei andare al Conservatorio».
«Ecco perché non studi le altre materie» borbottò Cristiano evitando per un pelo un calcio nello stinco.
Giulia alzò gli occhi al cielo con fare melodrammatico. «Per fortuna c’è Daniele, almeno lui mi capisce».
Cristiano si trattenne dal farle notare che nemmeno sette anni prima, lei aveva fatto di tutto per allontanare Daniele Ferrari da sua madre. E per i primi tempi del loro fidanzamento ufficiale gli aveva fatto molti dispetti. Dopotutto l’aveva sopportata, perciò era normale che alla fine legassero. Probabilmente la musica aveva aiutato moltissimo. Era una cosa solo loro, persino la professoressa Marchetti non riusciva a seguire il marito e la figlia quando si trattava di musica.
Quando raggiunsero la scuola, però, il ragazzo non riuscì a tenere a freno la lingua: «Beh, in quanto a eleganza non fate un baffo a noi del classico».
«Ma per favore! Siete solo degli snob» replicò Giulia senza nemmeno voltarsi.
«Quanto ci vuole a fare l’esame?» chiese Marco.
«È un’interrogazione, come in classe» gli spiegò Cristiano. «Dipende quanti sono a doverlo sostenere».
«Se è per questo, sono solo io» disse Giulia. «Non ci metteremo molto, Marco. In men che non si dica saremo di nuovo al centro a festeggiare».
«Come fai a essere così tranquilla?» chiese infine Cristiano.
Giulia sbuffò e gli sorrise. «Perché la prof non voleva nemmeno lasciarmela, era disperata. Oh, eccola ve la presento!».
I due fratelli la seguivano mentre quasi correva verso una donna di mezz’età intenta a chiacchierare con dei colleghi.
«Prof! Le sono mancata?» urlò Giulia facendo voltare tutti.
Marco rise e le andò dietro; Cristiano era incerto: cominciava a pensare che al classico fossero veramente troppo formali. O era Giulia che non aveva freni? Comunque l’insegnante di filosofia non sembrò seccata, ma la salutò.
Tutti alla fine imparavano ad amare l’esuberanza di Giulia, non poté fare a meno di pensare. Poi si riscosse: per fortuna lei non poteva leggergli la mente!
Giulia lo tirò per un braccio e lo presentò come il suo migliore amico. Quella parola gli causò una strana stretta allo stomaco. Che avesse esagerato a colazione?
La professoressa li condusse in un’aula vuota, dove poco dopo gli raggiunse anche un collega, tanto per fare da testimone.
«Hai studiato, vero, Giulia?» chiese la donna, sembrava quasi spaventata dalla risposta.
«Certo, prof» replicò lei con tranquillità. «Mi ha aiutato Cristiano. Lui va al classico e ha nove in filosofia».
«Ah, bene» commentò la donna sorridendogli.
Cristiano sarebbe voluto scomparire.
Dopodiché, per fortuna, si dedicarono all’esame. Giulia rispose abbastanza bene a tutte le domande – Cristiano lo sapeva che era intelligente ˗, e non insultò Kant – ormai era diventato un intercalare nei suoi discorsi maledire il povero filosofo. Cristiano fu orgoglioso di lei.
Stranamente la professoressa aveva assunto un’aria indispettita man mano che procedeva l’interrogazione. Alla fine disse: «Va bene, abbiamo finito». Il suo collega si dileguò subito.
«Prof, ce lo dà un passaggio così non aspettiamo l’autobus. Fa un caldo».
Cristiano la guardò con tanto d’occhi: aveva una faccia da schiaffi! La prof però sembrava contrariata ora, se fosse stato in lei si sarebbe preoccupato di questo, no?
«No» rispose la donna.
«Ma prof l’autobus non arriverà mai!».
«La solita melodrammatica» ribatté la donna. «Comunque no. Ti ricordo che sono venuta solo per te oggi!».
«Le faremo compagnia, così non si annoia durante il viaggio» sorrise Giulia.
«Ma lo sai, vero, che, se avessi aperto il libro almeno una volta l’anno scorso, non ci troveremmo qui oggi io e te?».
«Sì e le prometto che quest’anno studierò di più».
«Per forza, hai gli esami» borbottò la donna.
«Le voglio bene, prof».
La donna roteò gli occhi. «Io no, me ne sarei andata in spieggia stamattina con mio marito e i miei figli» poi si rivolse ai due ragazzi. «Ma siccome capisco le pene che deve aver passato questo povero ragazzo per farti entrare qualcosa di filosofia in testa, vi darò un passaggio. Devo fare un paio di cose prima, aspettatemi all’ingresso».
«Ma sono tutti così i tuoi professori?» chiese Cristiano quando furono all’ingresso.
«No… però il professore di composizione è un gran figo».
«Sì, lo so, sono anni che me lo ripeti» borbottò Cristiano infastidito. «Comunque tua madre non sa che fai così con i professori vero?».
«Certo che no. E non lo faccio con tutti».
Cristiano assunse un’aria scettica.
La professoressa non ci mise molto e il viaggio di ritorno fu più breve.
Trascorsero il resto della mattina passeggiando per il centro nonostante il caldo e poi pranzarono con un enorme coppa di gelato.
Nel pomeriggio decisero di andare a fare la spesa tutti insieme.
«È necessario?» chiese lamentoso Marco.
«Certo, sono due giorni che rimandiamo» replicò Cristiano.
«In più i miei tornano domani, è voglio mostrarli che sono una persona responsabile e che avrebbero potuto anche lasciarmi da sola… Capisci?».
Marco annuì solennemente, mentre Cristiano roteò gli occhi. «Solo perché fai la spesa?».
«Certo! Ti sembra poco?».
Il ragazzo non rispose e prese un carrello inoltrandosi all’interno del supermercato. Se non fosse stato veramente necessario, sicuramente non ci sarebbe andato con quei due: tenere a bada Giulia e Marco non sarebbe stato facile.
«Vediamo chi percorre più velocemente la corsia?».
«Sì» rispose subito il ragazzino. «Chi comincia?».
«Nessuno dei due» sbottò Cristiano. Forse sarebbe stato meno pericoloso e meno costoso ordinare una pizza! «Comportatevi bene!» li ammonì-
«Sei più noioso di papà!».
«Sei più noioso di mia madre!».
Cristiano lanciò a entrambi un’occhiataccia e si dedicò allo scaffale della pasta. «E non vi allontanate» aggiunse appena in tempo, accorgendosi, con la coda dell’occhio, dei loro silenziosi movimenti.
«Uffa, ma non possiamo fare nulla!» si lamentò Giulia.
«Se mi aiutaste, faremmo prima no? Dobbiamo passare anche da casa tua no? Non faremo in tempo».
«Bene!» sbottò Giulia e prese diversi pacchi di pasta tra le braccia.
«Ma che fai?» borbottò Cristiano.
Alcuni spaghetti caddero a terra.
«Che cosa state facendo?» li richiamò un’addetta.
Cristiano avrebbe voluto sparire per l’imbarazzo, Marco scoppiò a ridere, Giulia rispose tranquillamente: «La spesa, no?». Poi svuotò le braccia nel carrello facendo un gran fracasso e un pacco di pennette finì sul pavimento.
«Vedete che qua pulisco io».
«E meno male, chi…».
«Ci scusi» disse Cristiano tirando via Giulia e raccogliendo le confezioni cadute. «State fermi, immobili e zitti».
I due protestarono.
«Se collaborate, ce ne andiamo» mormorò.
Cristiano decise di prendere soltanto ciò che era più necessario, poi li trascinò fuori.
«La signora ci guardava ancora male».
«È un problema suo, le verranno delle rughe bruttissime» commentò Giulia.
Marco rise.
Cristiano lasciò perdere e presero un autobus per andare a casa della ragazza.
Qui Marco corse in camera dell’amica per scegliere alcuni dei suoi dvd; Cristiano aiutò Giulia a sistemare la spesa, che consisteva soprattutto in pasta.
All’improvviso le loro mani si sfiorarono e Cristiano la guardò dritta negli occhi; per un attimo Giulia sembrò seria.
«Allora siete pronti?».
Marco interruppe quel contatto e i due amici si affrettarono a concludere.

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