Di tenebra e d'amore

di eddiefrancesco
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 Capitolo ***
Capitolo 2: *** 2 Capitolo ***
Capitolo 3: *** 3 Capitolo ***
Capitolo 4: *** 4 Capitolo ***
Capitolo 5: *** 5 Capitolo ***
Capitolo 6: *** 6 Capitolo ***
Capitolo 7: *** 7 Capitolo ***
Capitolo 8: *** 9 Capitolo ***
Capitolo 9: *** 8 Capitolo ***
Capitolo 10: *** 10 Capitolo ***
Capitolo 11: *** 11 Capitolo ***
Capitolo 12: *** 12 Capitolo ***
Capitolo 13: *** 13 Capitolo ***
Capitolo 14: *** 14 Capitolo ***
Capitolo 15: *** 15 Capitolo ***
Capitolo 16: *** 16 Capitolo ***
Capitolo 17: *** 17 Capitolo ***
Capitolo 18: *** 18 Capitolo ***
Capitolo 19: *** 19 Capitolo ***
Capitolo 20: *** 20 Capitolo ***
Capitolo 21: *** 21 Capitolo ***
Capitolo 22: *** 22 Capitolo ***
Capitolo 23: *** 23 Capitolo ***
Capitolo 24: *** 24 Capitolo ***
Capitolo 25: *** 25 Capitolo ***
Capitolo 26: *** 26 Capitolo ***
Capitolo 27: *** 27 Capitolo ***
Capitolo 28: *** 28 Capitolo ***
Capitolo 29: *** 29 Capitolo ***
Capitolo 30: *** 30 Capitolo ***
Capitolo 31: *** 31 Capitolo ***
Capitolo 32: *** 32 Capitolo ***
Capitolo 33: *** 33 Capitolo ***
Capitolo 34: *** 34 Capitolo ***
Capitolo 35: *** 35 Capitolo ***
Capitolo 36: *** 36 Capitolo ***
Capitolo 37: *** 37 Capitolo ***
Capitolo 38: *** 38 Capitolo ***
Capitolo 39: *** 39 Capitolo ***
Capitolo 40: *** 40 Capitolo ***
Capitolo 41: *** 41 Capitolo ***
Capitolo 42: *** 42 Capitolo ***
Capitolo 43: *** 43 Capitolo ***
Capitolo 44: *** 44 Capitolo ***
Capitolo 45: *** 45 Capitolo ***
Capitolo 46: *** 46 Capitolo ***
Capitolo 47: *** 47 Capitolo ***
Capitolo 48: *** 48 Capitolo ***
Capitolo 49: *** 49 Capitolo ***
Capitolo 50: *** 50 Capitolo ***
Capitolo 51: *** 51 Capitolo ***
Capitolo 52: *** 52 Capitolo ***
Capitolo 53: *** 53 Capitolo ***
Capitolo 54: *** 54 Capitolo ***
Capitolo 55: *** 55 Capitolo ***
Capitolo 56: *** 56 Capitolo ***
Capitolo 57: *** 57 Capitolo ***
Capitolo 58: *** 58 Capitolo ***
Capitolo 59: *** 59 Capitolo ***
Capitolo 60: *** 60 Capitolo ***



Capitolo 1
*** 1 Capitolo ***


Londra, autunno 1896 La donna che si presentò al 42 di Old Gloucester Street in quel freddo pomeriggio d'inizio autunno, era minuta e dall'aspetto severo. Westley, il maggiordomo di casa Moran, storse il naso e cercò di mascherare la disapprovazione, notando che pur essendo abbigliata come un'istitutrice, con una mantella scura che le arrivava fino alle ginocchia dissimulando le forme e un cappellino senza fronzoli, alcuni bottoni del mantello erano slacciati e teneva i guanti in mano anziché indosso, quasi volesse farsi beffe del freddo che era calato su Londra a fine settembre. Era accaldata, come se avesse corso o fosse in preda a una forte emozione, perché la sua carnagione chiara era ravvivata da un intenso colore rosato. Ovviamente Westley era stato informato di quell'arrivo da Lord Moran e, con la consueta efficienza per cui era rinomato, aveva già provveduto ad avvisare l'intera servitù. Al piano di sopra, a pochi passi dalla stanza dei bambini, era stato preparato l'appartamento che l'avrebbe ospitata e, proprio in quel momento, una delle domeniche stava finendo di preparare la camera da letto. Dall'altra parte della casa, invece, Lady Moran stava fissando con sguardo assente il giardino sul retro, con la fronte appoggiata al vetro appannato di una finestra. Mentre Westley faceva strada alla nuova arrivata, Lord Michael Moran, cogliendo un movimento della mano della moglie, alzò gli occhi dal quotidiano a cui fingeva di essere molto interessato per poi tornare immediatamente alle pagine del giornale come se nulla fosse. Non che fosse stata chiesta la sua opinione a riguardo, ma Westley pensava che fosse un azzardo o, peggio, uno sbaglio, da parte del suo padrone mettersi in casa un'istitutrice straniera. Certo, era di moda nei circoli dell'alta società londinese, ma per lui che aveva alle spalle quasi cinquant'anni di onorato servizio si trattava di una cosa inconcepibile. I francesi, era risaputo, erano individui subdoli e lascivi, e Westley non si capacitava che Lord Moran avesse ceduto alle insistenze della madre affinché affidasse l'educazione delle sue figlie a una donna di quella razza. La francese, che era alta poco più di una ragazzina, non poteva certo incutere timore ai più, ma lui sapeva per esperienza, perché di domestici gliene erano passati davanti davvero tanti, che se a prima vista poteva sembrare mite e indifesa, quegli occhi scuri e profondi come due pozzi e quelle labbra rosate ma dal tratto risoluto nascondevano in realtà un'indole ribelle. «È arrivata Miss Chagny, milord» annunciò entrando nel salottino cinese, la stanza preferita della famiglia. «Bene, Westley, falla accomodare.» Odyle si era avvicinata con timore quasi reverenziale a quella grande casa di arenaria grigia, resa ancor più cupa dai fumi del carbone che annerivano le statue e le colonnine della facciata. Anche il batacchio sul portone le aveva dato un'idea di trascuratezza, come se non fosse usato molto spesso. Seguendo le istruzioni che aveva scritto su un pezzo di carta, aveva attraversato St. James Park, vicino alla stanza in cui aveva preso alloggio per prendere l'omnibus che da Charing Cross fermava in Russel Square, a poca distanza dalla casa dei Moran, eppure si sentiva come se avesse corso trafelata per le vie di quella città sconosciuta, tanto le batteva forte il cuore. Possibile che avesse tanta paura? Il maggiordomo dall'aspetto impeccabile e severo l'aveva squadrata da capo a piedi come se fosse stata un fagotto di cenci abbandonati davanti alla porta. Odyle aveva notato che gli occhi dell'anziano domestico si erano posati con disappunto sul mantello slacciato e sulle mani senza guanti. Errore imperdonabile da parte sua aver ceduto al caldo che l'agitazione le aveva fatto provare, si rese conto. Sospirò abbandonando mantella e cappellino nelle mani dell'uomo e si lasciò condurre attraverso una teoria di stanze, più o meno grandi e scarsamente illuminate. Dovette fare attenzione a non inciampare fino a quando i suoi occhi non si furono abituati alla penombra, perché pesanti tendaggi di broccato scuro impedivano alla luce di penetrare nella casa. Poi il maggiordomo le tagliò bruscamente la strada fermandosi dinanzi una porta. Erano arrivati. Odyle degluti', consapevole che quello era l'inizio della sua avventura. Sarebbe riuscita a sostenere quella parte? Pensò al suo amico Claude e alla fiducia che aveva cercato di istillarle fino a quando non si erano salutati alla Gare du Nord. Poi raddrizzo' le spalle ed entrò nel salottino a testa alta. Aveva la sensazione di essere un'imbrogliona e di essersi appropriata di una vita che non era la sua, ma non aveva alternative, a meno che non decidesse di optare per un'esistenza fatta di stenti. «Miss Chagny, suppongo?» le chiese l'uomo di bell'aspetto che probabilmente fino a quel momento era rimasto seduto in poltrona a leggere il giornale per ingannare l'attesa. «Sono Michael Moran.» Era alto e bruno e non doveva avere neppure quarant'anni, ma i cerchi scuri intorno agli occhi le suggerivano che poteva aver sofferto e che, forse, soffriva ancora. «Odyle Chagny, molto lieta» si presentò afferrando la mano che le porgeva, stringendola con fermezza. Lord Moran le fece cenno di accomodarsi sulla poltrona di fronte alla sua ma, voltandosi, Odyle si accorse che non erano soli e scocco' all'uomo un'occhiata interrogativa. Una figura tremante e pallida si era rifugiata accanto a una finestra, come se volesse nascondersi, per la timidezza, dietro una delle grandi tende scure. Era decisamente ossuta e la carnagione era così pallida e trasparente che in alcuni punti si vedevano le vene. Indossava un vestito accollato color castagna, e visto che anche quella camera era poco illuminata, tutto il suo corpo si confondeva con la penombra, dando l'impressione che le mani e il viso fluttuassero nell'aria. «Ah... si, le presento mia moglie, Miss Chagny, Lady Emma Moran» le spiegò secco, quasi fosse infastidito da quella presenza. «Ti prego, Emma, siediti» disse rivolto alla moglie in tono spazientito. Odyle avvertì un'istintiva simpatia per quel viso scarno e triste, e sorrise alla donna come avrebbe fatto a un bimbo spaurito, accennando una riverenza. «Lady Emma.» Osservò la padrona di casa prendere posto sulla poltrona più distante e sedersi sul bordo, come per essere pronta a scappare via. Teneva le mani giunte in grembo e le torceva giocherellando nervosamente con le dita e le unghie. Non portava belletto, e Odyle pensò che quel pallore quasi spettrale potesse derivare da una lunga malattia che l'aveva costretta in casa per molto tempo. L'abito, severo e con i bottoni rigorosamente allacciati, ingabbiava la parte superiore del suo corpo mentre la gonna ampia faceva scomparire del tutto le gambe, confondendo ogni forma. Accorgendosi di aver fissato la donna con un'intensità che rasentava la maleducazione, Odyle abbassò gli occhi con pudore, ma poi tornò a sbirciare quello che aveva attorno. La pendola di fianco al camino segnava le cinque passate, notò, augurandosi che le offrissero una tazza di tè.

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Capitolo 2
*** 2 Capitolo ***


Non essendosi mai trovata in una situazione analoga, Odyle non sapeva che cosa fare o dire e sembrava che nessuno dei due personaggi che aveva di fronte avesse intenzione di toglierla dall'imbarazzo. Sui mobili erano disposte diverse statuette di porcellana e altri ninnoli leziosi. «Ebbene, Miss Chagny... mademoiselle...» esordi' Lord Moran. «Oh, chiamatemi pure Odyle... Oppure Miss... insomma, come vi è più comodo. Le formalità mi intimidiscono un po'...» Si stropiccio' le mani. «Mi aspettavo che Londra fosse molto più fredda. Tutti mi dicevano che qui il tempo è inclemente, e invece... Quando mia nonna mi parlava di Londra immaginavo una città molto diversa... Ma è passato tanto tempo.» Si accorse che Lord Moran la stava fissando, stupito e affascinato al tempo stesso. Lo aveva interrotto e l'aveva sommerso di parole. Le succedeva sempre quando era nervosa. Bastava poco perché iniziasse a parlare a vanvera perdendo il filo del discorso. «Chiedo perdono; mia sorella mi sgridava sempre perché parlavo troppo...» «Troverete questa casa piuttosto silenziosa, Miss Odyle. Io e mia moglie... meditiamo molto. Il trambusto della società moderna è sconvolgente e così preferiamo riposare quando siamo a casa» replicò Lord Moran. La lancetta lunga della pentola vicina al camino raggiunse la metà del quadrante, facendo scattare il meccanismo e battendo la mezz'ora. Come se qualche congegno fosse scattato anche dentro di lei, Lady Moran si alzò, continuando a tenere le mani giunte in grembo. «Gradite del te?» le domandò senza guardarla mentre, con un gesto automatico, tirava il cordone per chiamare la servitù. Il marito la guardò con palese irritazione. «Diteci, Miss Odyle, avete già lavorato con bambini dell'età delle nostre figlie? Ernestine ha sette anni e Agnese nove. Forse i metodi d'educazione sono diversi nel vostro paese?» «In verità non saprei... cioè, non credo che siano tanto diversi. Si insegnano le buone maniere, la bella calligrafia, qualche nozione di letteratura e tutte le altre materie necessarie ad avere una certa formazione culturale.» Sospirò, notando lo sguardo severo cui veniva sottoposta. «Ovviamente, si lascia loro anche lo spazio per giocare. Magari potrei portarle al parco, qualche volta, per farle correre e divertirsi.» «Correre?» domandò lady Emma, come riemergendo dalla nebbia. «Fa bene alla salute e al fisico» le assicurò Odyle con un sorriso. «Però potrebbero cadere o ammalarsi» osservò Lord Moran, accigliato. «Oh, io non mi preoccuperei tanto! I bambini si sbucciano le ginocchia, ogni tanto, ma non si fanno nulla di serio. E a mio parere, inoltre, è meglio che si abituino a provare un po' di dolore, vedete, perché così saranno in grado di affrontare meglio la vita» assicurò ad entrambi, per poi essere zittita dall'arrivo del maggiordomo. «Westley, milady vorrebbe che venisse servito il tè.» gli disse Lord Moran. Il vecchio Westley puntò sulla giovane il suo sguardo stizzito. Un ricciolo ribelle era sfuggito all'acconciatura e ora le pendeva su una guancia. Odyle si affretto' a nasconderlo dietro l'orecchio e diede un colpetto di tosse per l'imbarazzo. «Ah, Westley...» lo richiamò il padrone prima che il maggiordomo richiudesse la porta dietro di sé. «Dite a Lucy di far scendere le bambine, dopo che avremo preso il tè.» Lord Moran si schiari' la gola prima di riprendere il discorso. «Bene, Miss Chagny, sia chiaro che non approvo alcuna sperimentazione educativa per quanto riguarda le mie figlie e desidero che mi consultiate prima di affrontare qualunque argomento. Sono solo delle bambine, e non voglio che abbiano strani grilli per la testa. Devono conoscere quel tanto che basterà a fare di loro delle fanciulle educate e rispettose dei genitori e della loro futura famiglia.» «Cero» annuì Odyle, chiedendosi che cosa fosse una sperimentazione educativa. Secondo lei, maschi e femmine dovevano avere lo stesso grado di istruzione e non vedeva in che modo apprendere una lingua straniera o conoscere la storia potesse dar luogo a comportamenti ribelli o inadeguati. Comunque, non volendo contraddire il datore di lavoro, preferì rimanere in silenzio. Lord Moran osservò quella bizzarra giovane cercando di valutarla. Era strano, ma il salotto gli sembrava più animato e caldo da quando Miss Odyle Chagny vi aveva messo piede. Fino a poco prima quella stanza, con il mobilio scuro e le suppellettili antiche che piacevano tanto a sua moglie, gli era parsa fredda, e la luce che proveniva da un unica finestra le cui tende non fossero state accostate, aveva avuto una dominante di colore verde azzurrato. Adesso che lei era lì, e senza che avesse dovuto dire o fare alcunché, aveva la sensazione che il colletto inamidato della camicia gli stringesse troppo la gola e che dal camino si sprigionassero insopportabili vampate di calore. Anche Miss Chagny doveva avvertirlo, perché le sue guance erano rosee e gli occhi scuri erano accesi di una luce febbricitante. Il ricciolo ribelle che aveva sistemato dietro l'orecchio nel vano tentativo di mantenere una sorta di impeccabilita', le dava un'aria sbarazzina. «Parlate molto bene la nostra lingua, Miss Chagny, e non si avverte alcuna inflessione. Come mai parlate in modo così fluente?» «Mia nonna, milord... la madre di mia madre, era originaria di Brighton e parlava quasi sempre in inglese, anche con il marito. Era una donna straordinaria e con lei comunicavo sempre nella sua lingua. Mi è sempre...» Lui la interruppe. «Capisco... E quanti anni avete?» «Ventitré compiuti, signore» rispose con prontezza Odyle. «Avete... avete mai lavorato con delle bambine?» volle sapere Lady Moran, dando per la prima volta segno della sua presenza. Quell'intrusione infastidi' Michael, anche se sapeva che la moglie aveva diritto quanto lui di porre domande. La giovane donna parve tentennare per un istante. «Oh, si, milady... per qualche tempo ho insegnato in una piccola scuola. Non vedo l'ora di conoscere le vostre bambine... sono certa che andremo subito d'accordo.» «E saprete farvi rispettare» puntualizzo' Michael. Forse parlava in modo troppo duro, ma non era così che si doveva comportare un padre di famiglia? Aveva cercato di scambiare uno sguardo di intesa con Emma, per avere la conferma che stava agendo nel modo più appropriato, ma lei aveva abbassato di nuovo gli occhi sulle proprie mani, in quel modo irritante che aveva di estraniarsi dal resto del mondo e di chiuderlo fuori. Era come se sua moglie si assentasse e lasciasse il suo corpo a memoria di sé, mentre lei e il suo spirito decidevano di migrare altrove. Un'abitudine irritante, visto che così facendo lasciava tutto sulle sue spalle, il quale contrariamente a ciò che aveva creduto sarebbe stato il suo destino da adulto, non sapeva assolutamente che cosa fare. Consumarono il tè in un silenzio cupo e imbarazzato, rotto solo dal tintinnare delle tazze di porcellana contro i piattini. Quelle persone erano fredde, decise Odyle dopo aver studiato i coniugi Moran. Lady Moran sembrava del tutto disinteressata alla conversazione e si era trincerata dietro chissà quale muro di pensieri, mentre Lord Moran le pareva ostile per partito preso, come se avesse deciso di redarguirla per farle comprendere subito chi comandava lì dentro. Un gran trambusto per le scale la fece trasalire, tanto che il cucchiaino le cadde di mano, finendo sul tappeto. Lo scalpiccio e le grida le fecero pensare che si trattasse di una frotta di bambini indiavolati, che nel corridoio di fianco al salottino una cameriera faceva del suo meglio per tranquillizzare, anche se con scarso successo. Quando Westley aprì la porta, il salotto fu invaso da quelle voci giovani e squillanti. «Milord, Miss Agnese e Miss Ernestine» annunciò con solennità il maggiordomo.

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Capitolo 3
*** 3 Capitolo ***


Le due ragazzine si precipitarono attraverso l'uscio sgomitando e tirandosi l'un l'altra per le vestine. La più piccola afferrò con ferocia una ciocca di capelli della sorella, che strillo' senza ritegno e si vendico' strizzandole con violenza il naso, e tirandolo come se volesse strapparglielo via. Nel giro di pochi secondi, stavano rotolando sul tappeto, lottando come monelli di strada. Lord Moran e la moglie le guardavano inorriditi. Forse non erano avvezzi a scene di quel tipo e probabilmente era la prima volta che capitava loro di vedere che le figlie potevano essere preda di passioni forti e sentimenti violenti. «Bambine!» Odyle sentì la propria voce risuonare nella stanza con una forza insperata. Non aveva avuto intenzione di urlare, ma il suo tono sorti' l'effetto sperato, richiamando l'attenzione delle due pestifere ragazzine. «Pensavo che mi sarebbero state presentate due signorine, non un paio di scimmiette da circo...» disse, cercando poi di assumere un tono più gioviale e scherzoso quando colse l'occhiataccia che Lord Moran le lanciò nel sentirla usare quell'appellativo. «Ovviamente, è soltanto un modo di dire... francese!» si affretto' a chiarire. «Agnese, vergognati! Ti pare questo l'esempio da dare a tua sorella?» Lord Moran redargui' la figlia maggiore tirandole l'orecchio. «E tu, Ernestine, non ti sembra di aver esagerato?» Ernestine si alzò con aria contrita, congiungendo le manine in grembo e rimanendo davanti al padre con lo sguardo fisso sul pavimento. «Quante volte vi ho detto che non dovete fare rumore? A me e alla mamma non piace essere disturbati. Dovete stare buone e in silenzio, almeno quando siete con noi.» A Odyle non sembrava che quello potesse essere un buon sistema educativo, né che in futuro avrebbe avuto qualche presa su quelle creature, ma preferì rimanere in silenzio. Così, dopo qualche minuto di imbarazzante ramanzina, fece la conoscenza delle signorine Agnese ed Ernestine, rispettivamente di nove e sette anni. Agnese era una bambina alta e magrolina, con il viso affilato, simile a quello della madre. Doveva essersi offesa per essere stata redarguita dal padre di fronte a una perfetta sconosciuta, anche se probabilmente era in grado di riconoscere il proprio errore. Ernestine, più piccola e paffuta, sembrava aver già scordato l'episodio e le sorrise passandosi l'indice sotto il naso. «Non hai il fazzoletto?» le domandò Lord Moran, severo. Lo sguardo truce del padre ebbe l'effetto di far tremolare il labbro inferiore della bambina. «No, papà, l'ho dimenticato di sopra» rispose la piccola. «Ecco, prendi il mio» Odyle si chino' e offrì il proprio fazzoletto alla bambina. «È pulito.» le assicurò vedendola indecisa. A un cenno del capo da parte del padre, la piccola accettò. «Siete la nostra nuova bambinaia?» domandò cautamente Ernestine. Anche Odyle aspetto' un cenno di assenso da parte di Lord Moran. E quando arrivò rispose: «Si». Dalla parte opposta della città, mentre Miss Odyle Chagny cercava di impressionare favorevolmente i suoi nuovi datori di lavoro, Lord Tristan Brisbane usciva dall'abitazione del dottor Oswald, con il quale aveva ritenuto di diversi consultare a causa di una lettera che aveva ricevuto quella mattina. Paul Oswald era suo amico dai tempi di Oxford, dove avevano condiviso la passione per le scienze e le tecnologie dell'era moderna. Di famiglia alto borghese, aveva orgogliosamente portato a termine i suoi studi nel campo della medicina, diventando poi uno dei medici più in vista di tutta Londra, mentre Tristan, cui la famiglia di nobile lignaggio aveva concesso di studiare purché, finita l'università, si facesse carico del patrimonio avito, si era permesso di indulgere in sperimentazioni tecnologiche, che erano rimaste la sua segreta passione. Si era attardato più del previsto a casa di Oswald, che considerava il suo più caro amico, ed era per questo che si affrettava verso il club, dove aveva un appuntamento. Senza di lui, a Mr. Andrews sarebbe toccato attendere fuori dalla porta, essendo White's un circolo esclusivo cui solo i Pari del Regno potevano iscriversi e dove a nessun altro era concesso di entrare senza l'invito specifico di uno dei membri. Aveva preferito dargli appuntamento lì piuttosto che a casa sua, perché sapeva che avrebbe potuto approfittare di uno dei salotti privati e avrebbe potuto contare sulla discrezione dei gestori. Le strade di Londra erano ancora affollate, nonostante l'ora tarda, e si avvertiva l'odore intenso dei fumi del carbone che uscivano dalle stufe delle case annerendo la città. Per fortuna anche Mr. Andrews era in ritardo, perché riuscì a precederlo al club nonostante fossero quasi le sei di sera. Tristan borbotto' un saluto al cameriere e, passando per il grande salone comune, si fece accompagnare in una delle salette private. Immagino' gli sguardi curiosi dei gentiluomini presenti, pochi a dire il vero, e si sforzo' di rispondere ai loro falsi sorrisi con cordiali cenni del capo. «Grazie, Wilkins. Sto aspettando un tale Mr. Andrews» disse al cameriere. «Portatemi del brandy con due bicchieri, per cortesia.» Tristan sbuffo' lasciandosi sprofondare in una poltrona con l'intento di rilassarsi. Se non avesse fatto troppo tardi, medito', avrebbe potuto concedersi un viaggio in metropolitana, prima di andare a casa. Da Paddington a King's Cross, su quei piccoli treni che viaggiavano al di sotto del tessuto urbano e che tanto lo affascinavano. Si versò un bicchiere di brandy e constato' che l'atmosfera di White's era abbastanza piacevole da consentirgli di rilassarsi e da permettere ai suoi pensieri di fluire in libertà. Lui però avrebbe preferito non pensare. Tra non molto avrebbe compiuto trentotto anni... Non si sentiva vecchio, ma era stanco. Gli ultimi tredici anni l'avevano provato nel fisico e nella psiche, e non poteva fare a meno di chiedersi per quanto si sarebbe prolungata quell'agonia. Le notizie che gli erano giunte da Blackborough non erano affatto rassicuranti...I domestici mordevano il freno e il maggiordomo stentava a mantenere la situazione sotto controllo. Avrebbe dovuto recarvisi al più presto. Si passò una mano tra i capelli chiari, e si stropiccio' il volto. «Buonasera, milord.» Andrews era arrivato a porre fine al flusso dei suoi pensieri. «Andrews... Prego, accomodatevi.» L'uomo, un giovane sulla trentina vestito in modo austero, come un impiegato di banca, posò a terra la valigetta che aveva con sé e si sfilò gli occhiali per strofinare le lenti con un fazzoletto. «Brandy?» gli domandò Tristan. «Grazie, milord...» Christian Andrews era piuttosto intimidito e si guardava attorno prendendo nota di ogni caratteristica di quel posto. L'indomani mattina si sarebbe potuto vantare con i colleghi di essere stato ammesso nel più esclusivo club dell'aristocrazia inglese e voleva ricordarne ogni particolare. Sua Signoria, seduto di fronte a lui, faceva roteare il liquido ambrato nel bicchiere e lo guardava con aria indolente. Quello era il ritratto di un uomo che nella vita non aveva mai dovuto lavorare e si era adagiato sulla ricchezza dei suoi avi come un bambino nella propria culla, si disse. Il suo viso era segnato dall'età e da alcune piccole cicatrici su una guancia, ma doveva ammettere che aveva un certo fascino. Gli occhi chiari erano intelligenti e vispi, mentre le spalle, benché possenti, erano incurvate e lo facevano sembrare un po' goffo. Lord Tristan Brisbane, in ogni caso, dovette ammettere Andrews seppure con riluttanza, era dotato del fascino aristocratico nei cui confronti i borghesi come lui ostentavano tanto disprezzo, ma che invece, segretamente, invidiavano e ammiravano. «Me l'avete portato?» domandò Tristan. «Sì, signore.» Andrews sollevò la valigetta e se l'appoggio' sulle ginocchia. «Come vi avrà detto Mr. Oswald, è un autentico gioiello... Ho dovuto contrattare molto con il precedente proprietario per averlo» concluse aprendo il lungo astuccio che aveva portato con sé.

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Capitolo 4
*** 4 Capitolo ***


Tristan trattenne il fiato. Davanti a lui c'era una lunga bacchetta di legno scuro che doveva essere stata lucidata di recente. Con le estremità in ottone e una specie di nappa in cima, sembrava in tutto e per tutto un bastone da passeggio. «Che meraviglia!» Non riuscì a trattenere il proprio entusiasmo, pur sapendo che probabilmente quell' esclamazione avrebbe fatto salire il prezzo dell'oggetto. «Come vi ho detto, è un vero gioiello, sir. Sapete meglio di me quanto siano rari cimeli come questi. Sono stati concepiti come scherzi e si fatica molto a trovarne sul mercato...» «Ma è... ?» «Guardate voi stesso!» Afferrò il bastone sollevandolo dalla stoffa scarlatta della custodia. «In apparenza è solo un comunissimo bastone da passeggio, ma... » Ne svito' l'estremità inferiore. Lo sguardo di Lord Brisbane era colmo di una meraviglia che fino a quel momento Andrews aveva visto soltanto nei bambini. «Vedete?» Protese il bastone verso di lui, senza però cederglielo. Sapeva bene come allettare i clienti. Più fosse riuscito a far crescere l'aspettativa di Sua Signoria, più soldi avrebbe potuto ricavare dalla vendita. «La lente si trova qui in fondo e viene protetta dalla punta di ottone, che all'occorrenza si può svitare.» Finalmente Mr. Andrews decise di affidare il cannocchiale alle mani di Tristan, che lo accolse con la reverenza che avrebbe riservato a una reliquia. Le due punte di ottone si svitavano consentendone l'uso e le incisioni sulle ghiere di metallo non erano neppure troppo rovinate. «È talmente ben conservato che sembra nuovo... Quando avete detto che è stato fabbricato?» Andrews si irrigidi', irritato all'idea che la sua parola venisse messa in dubbio. «Mi hanno assicurato che la fabbricazione risale alla fine del XVll secolo e la fattura è italiana.» Tristan soppeso' il bastone tra le mani. Era davvero un divertente prodigio. Certo, non sarebbe servito molto ai suoi esperimenti dal momento che veniva da un'epoca lontana nella quale ancora non si era raggiunta la perfezione nella precisione delle lenti e nella costruzione dei meccanismi, ma sarebbe stato un oggetto in più da annoverare nella sua collezione di antichità tecnologiche. «Bene, Mr. Andrews...» Dalla tasca interna della giacca estrasse un involto di note bancarie. Scarabocchio' una cifra e passò il foglio all'uomo che gli stava di fronte. Non era elegante parlare di denaro e preferiva che la transazione avvenisse in quel modo. «È abbastanza?» Andrews cercò di trattenersi dal deglutire. Probabilmente, la cifra che gli aveva proposto era più alta delle sue migliori aspettative, ma per Tristan non aveva importanza. Non voleva discussioni e una trattativa sul prezzo con un uomo che non apparteneva neppure al suo ceto sociale sarebbe stata alquanto sconveniente. «Accetto» si affretto' a confermare Andrews, riprendendo colore. «Bene.» Afferrò la nota di banca e se la infilò in tasca senza indugio. «Possiamo brindare, dunque» suggerì Tristan, per il quale quell'incontro aveva già perso interesse. Non vedeva l'ora di poter congedare il suo ospite e scappare a casa per esaminare l'acquisto. «Lo porterete a Blackborough, nella vostra tenuta?» domandò Andrews che, intanto, si era appoggiato allo schienale della poltrona, rilassato. «Sapete, non so cosa darei per visitare casa vostra... Ho sentito dire che avete una specie di osservatorio. Per molti, le vostre passioni sono strane e anche l'edificio...» Si accorse subito di aver fatto un passo falso. Quei pettegolezzi non solo non interessavano a Lord Brisbane ma, con tutta probabilità, avevano l'effetto di infastidirlo. «Sono solo chiacchiere sciocche e senza senso» sbotto' infatti Sua Signoria balzando in piedi. «Non ci invito mai nessuno perché Blackborough è un palazzo vecchio e mal conservato... E questo indispettisce alcune delle peggiori malelingue londinesi. Quanto alle leggende... be', sono per l'appunto, soltanto leggende.» Si schiari' la gola e poi gli porse la mano. «Vi ringrazio ancora, Mr. Andrews. Se dovesse capitarvi tra le mani qualche altro oggetto interessante, non esitate a contattarmi. Vi saluto.» Tristan aspetto' che l'uomo se ne fosse andato lasciandolo solo, poi iniziò a passeggiare su e giù per il salottino. Doveva attendere qualche minuto, prima di tornare ad attraversare la sala comune e avviarsi verso casa, altrimenti avrebbe rischiato di far nascere dei pettegolezzi sull'importanza di quell'incontro. Le chiacchiere di Andrews lo avevano messo di cattivo umore. Possibile che non riuscisse a tacitare le malelingue? Blackborough, dopotutto, era un posto incantevole e gli sarebbe piaciuto molto invitarvi delle persone e dare dei ricevimenti. O meglio, l'avrebbe desiderato se fosse stato una persona diversa, o se le cose, nella sua vita, si fossero svolte in modo differente. Tristan non aveva un temperamento mondano e preferiva di gran lunga passare le giornate da solo, immerso negli studi, piuttosto che trascorrere il tempo a discorrere di faccende inutili come faceva la maggior parte dei suoi conoscenti. Si considerava un vecchio burbero e introverso che non riusciva ad apprezzare neppure la compagnia delle belle donne senza sentirsi in imbarazzo. Sì, era stato sposato, ma a quell'epoca non aveva neppure trent'anni e tutto gli sembrava diverso. Tutto gli era parso possibile. Purtroppo, riflette' tra sé e sé mentre regolava l'orologio sulla mensola del camino, sincronizzandolo con il proprio che teneva in tasca, la vita non gli aveva risparmiato dolori e pesanti fardelli da sopportare. Mancavano tre minuti alle sette. A casa, Mrs. Manfred, la sua governante, avrebbe iniziato a domandarsi dove si fosse cacciato e per che ora avrebbe potuto servigli la cena. Povera Mrs. Manfred, aveva così tanta pazienza con lui! Ormai si era abituata ai suoi orari stravaganti e alla sua vita sregolata. Lord David Hannerly e Sir Timothy Drummor si stavano scambiando le solite conferenze dopo aver trascorso la nottata alla bisca di Canton Kitty, tenutaria di uno dei più rinomati bordelli di Londra, nel quartiere cinese, dei Docks. Sir Timothy si accese un sigaro e tirò con gusto. «Davvero, mio caro, guarda chi si vede, non è Lord Brisbane, quello?» Fece un rapido cenno con il capo, indicando l'uomo alto e dalla corporatura robusta che stava attraversando la sala. «Mi sembra proprio lui, caro Drummor, ma che cos'ha in mano?» «Sembra una specie di astuccio, anche se è piuttosto lungo. Ah, povero Brisbane! Dicono che sia un po'...» E Sir Timothy si picchietto' la tempia con l'indice, ammiccando. «Matto, dici? Oh, be', ne avrebbe ben donde, il poveretto!» ribatte' Lord Hannerly. «Già... Pare che sia così da quando sua moglie è morta, alcuni anni fa. Ma ammetterai che gia prima non era di grande compagnia.» «Certo, con quel peso da sopportare... E comunque, non si disse che le circostanze erano, come dire, "un po' troppo misteriose"?» domandò ancora Hannerly. Sir Timothy si guardò intorno con aria furtiva, poi si sporse verso l'amico. «So che ci sono stati dei pettegolezzi sulla morte di Christina Brisbane. I domestici di Lord Brisbane hanno sempre giurato che il loro padrone non c'entrava nulla, ma alcuni sostengono che possa addirittura essere stato lui a ucciderla!» «Davvero? Non posso crederci... E perché mai l'avrebbe fatto?» domandò Lord David, ingolosito da quel pettegolezzo, seppur non più tanto fresco. «Chissà... forse aveva scoperto che la donna aveva un amante, oppure perché... sai...» Lord Timothy ripeté ancora quel gesto che gli piaceva tanto e si picchietto' la tempia con l'indice. «Anche gli altri membri della famiglia non dovevano essere tanto a posto. Lo zio si era riempito la tenuta di animali stravaganti che faceva arrivare da diverse parti del mondo. Canguri, scimmie, persino una giraffa...non si faceva mancare nulla! Il fratello di Tristan, invece, pare amasse arrampicarsi sugli alberi e piombare sulle persone che gli capitavano a tiro, spaventandole a morte... Per sua sfortuna, uno di quei salti gli riuscì male...» Sir Timothy si lisciò i folti baffi con soddisfazione, vedendo che Lord Hannerly pendeva dalle sue labbra. «E poi c'era una cugina, una certa Miss Annabelle, mi pare, che sembra sia svanita nel nulla dopo che i suoi genitori la sorpresero... be', in atteggiamenti inequivocabilmente intimi con un paio di giovani domestiche...» Quando arrivò a casa, Tristan era di pessimo umore. Tra tutte le persone che avrebbe potuto incontrare da White's, doveva proprio imbattersi in Timothy Drummor, uno degli uomini più pettegoli di Londra, e in quel perdigiorno di David Hannerly, pensò stizzito. Chissà che risate si erano fatti alle sue spalle! Ma in fondo, a lui che cosa importava? Perché doveva dare tanto peso a ciò che gli altri avrebbero detto o anche solo pensato di lui? Salì i tre gradini che lo separavano dalla porta di casa, nella rinomata Russell Square. L'edificio apparteneva alla sua famiglia da tempo immemorabile, ma lui, non appena l'aveva ereditato, vi aveva apportato significativi cambiamenti. Innanzitutto, la facciata era stata pulita con cura. La caligine dei fumi londinesi era stata grattata via da solerti spazzacamini che si erano impegnati a riportare il marmo al suo antico splendore. E poi... Con orgoglio, premette il pulsante di fianco alla porta. Dall'interno provenne un suono attutito, come di una campanella che veniva agitata in lontananza. Tristan dovette pazientare per pochi istanti, poi un giovane in livrea gli aprì la porta. «Buona sera, milord.» «Buona sera, Witfield. Ehm... come andiamo?» Cercava sempre di essere cordiale con i domestici, era una specie di esercizio di autodisciplina che si era imposto per riuscire a scambiare almeno quattro chiacchiere con qualcuno giorno per giorno. «Benissimo, milord, grazie. Avete trascorso un piacevole pomeriggio?» «Si, grazie, Witfield.» Gli consegnò il cappello e il soprabito, ma non l'astuccio che preferì portare con sé al piano superiore. Fece qualche passo verso le scale, poi si fermò di colpo. «Che cosa significa?» tuonò voltandosi di scatto verso il giovane lacchè, mentre puntava il dito su un candelabro acceso che era stato appoggiato sul tavolino di fronte alla specchiera dell'ingresso. «Vostra... Vostra Signoria... è che Mrs. Manfred ha detto...» «Sciocchi antiquati che non siete altro!» sbotto' ancora soffiando sulle candele. Immediatamente, un acre odore di cera fusa si diffuse nella sala. «Non dovete fare altro...» Si avvicinò al muro e cercò il pulsante. «... che muovere questa piccola leva.» Accese l'interruttore e l'atrio si illumino' di un bagliore giallastro. «Ecco qua!» Sbuffo'. «Era proprio il caso di averne paura?» «No, milord... È che Mrs. Manfred dice...» «Dico che non mi piacciono queste diavolerie della vostra scienza, Lord Brisbane» intervenne una signora anziana, emersa da una delle porte sul fondo della sala. Aveva i capelli grigi, raccolti in un'acconciatura severa, e indossava un vestito verde scuro che doveva essere stato fuori moda già una decina d'anni prima. «Non mi piace pensare che ci siano delle scariche di fuoco che corrono dentro le pareti ogni volta che tocco uno di quegli aggeggi, milord. La mia povera sorellina, che Dio l'abbia in gloria, è morta in un incendio, rammentate? E io non voglio fare la stessa fine perché magari uno dei vostri apparecchi non funziona bene» spiegò con risolutezza Mrs Manfred. «Sono una donna semplice, milord, lasciate che faccia a modo mio... almeno quando non siete in casa.» Tristan sbuffo' e si passo una mano tra i capelli. «E va bene, Margaret, ma solo quando non ci sono» accondiscese abbozzando un sorriso. Quando imbocco' le scale, Mrs. Manfred lo seguì con gli occhi, riservandogli uno sguardo affettuoso e velato di amarezza. Sebbene fosse cresciuto ormai, e nutrisse idee tanto diverse dalle sue sulla vita, Lord Tristan Brisbane per lei sarebbe sempre rimasto l'affascinante sognatore che era stato da ragazzino e, per quanto avesse potuto, avrebbe continuato a vegliare su di lui.

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Capitolo 5
*** 5 Capitolo ***


Tristan fece scorrere la mano lungo la parete e spostò verso l'alto l'interruttore, accendendo la luce. Mrs. Manfred proprio non voleva arrendersi al progresso, pensò scuotendo il capo. Ma, in fondo, quella donna aveva ormai passato la sessantina e apparteneva, in tutto e per tutto, a un'altra epoca, nella quale automobili ed elettricità erano ritenute assurde diavolerie. Considerò l'eventualità di cambiare d'abito per la cena. Immaginava che non sarebbe trascorso molto tempo prima che qualche domestico, mandato dalla solerte governante, arrivasse ad avvertirlo che il cibo era in tavola, ma forse si sarebbe potuto concedere un po' di tempo. Posò sul letto l'astuccio che aveva portato con sé e lo aprì osservandolo, ancora una volta, il bastone affusolato che aveva appena acquistato. Lanciò un'occhiata verso la finestra: non era ancora troppo buio per fare una prova. Sollevò il cannocchiale e ne svito' le estremità, liberando la lente, quindi spalanco' la finestra e subito si sentì pungere dall'aria frizzante di quella serata autunnale. Alzò il cannocchiale e vi appoggiò l'occhio. La lente aveva qualche graffio ma, considerata l'età dello strumento, l'immagine che si otteneva era eccellente. La penombra della sera non lo aiutava di certo a indovinare con chiarezza i contorni delle cose, tuttavia... Ah! Vedeva degli alberi... E delle case... E quella era certamente una finestra aperta! A quale casa appartenesse, viste le premesse, non gli era possibile stabilirlo. Un attimo! Una donna si era appena affacciata e si sporgeva come se cercasse qualcosa. I graffi sulla lente non gli permettevano di vedere con chiarezza il suo viso, tuttavia riusciva a distinguere i movimenti e gli parve che fosse in preda a una grande angoscia. Si copriva il volto con le mani e poi batteva i pugni sul davanzale, come chi è incapace di trattenere la rabbia e la disperazione. Tristan ne rimase affascinato. Poco dopo la sconosciuta rientrò e lui si sentì un poco deluso che il suo spettacolo privato fosse già finito. Dopo qualche istante, però, eccola di nuovo alla finestra... vestita in modo diverso. Tristan arrossi' e abbassò il cannocchiale: la ragazza si era tolta il vestito ed era rimasta in sottoveste e mutandoni. Ma la curiosità, senz'altro mista a un impeto di lussuria, lo indusse a rialzare il cannocchiale, per sbirciare ciò che sarebbe successo. Trasali' e si lasciò sfuggire un grido soffocato. La giovane era salita in piedi sul davanzale e sembrava intenzionata a buttarsi di sotto così com'era, mezza nuda! Che cosa poteva fare? Non riusciva a distinguere la casa e non avrebbe certo fatto in tempo a correre fin lì per avvisare qualcuno. Mettersi a gridare era fuori questione, e non solo perché era troppo distante... Sarebbe stato un atteggiamento sconveniente e avrebbe dovuto spiegare perché mai stesse spiando il circondario con un cannocchiale! Con il cuore in gola, si lasciò vincere dalla curiosità e continuò a guardare. La donna si piegò leggermente sulle ginocchia, tese le braccia in avanti e spicco' un salto afferrando il ramo di un albero poco al di sotto della finestra, prima di sparire tra le foglie ingiallite. Tristan la perse di vista per qualche istante, mentre sembrava compiere una specie di ispezione tra il fogliame. Poi la intravide salire di nuovo verso la cima, darsi una spinta vigorosa e tornare sul davanzale; a quel punto la sconosciuta rientrò e richiuse in fretta la finestra, tirando persino le tende. Il tutto era durato non più di un paio di minuti. Tristan si considerava un uomo di scienze e di certo non credeva alle baggianate che in quegli anni si erano diffuse sullo spiritismo, né prestava ascolto alle storie di fantasmi, possessioni e altri fenomeni"paranormali" di vario genere. Ma mentre tornava ad abbassare il cannocchiale e lo osservava per un po', per la prima volta si trovò a riflettere seriamente sulla possibilità che uno strumento scientifico potesse produrre, per qualche miracolo, una visione irreale, come una specie di caleidoscopio. Un'altra possibilità, che però si rifiutava anche solo di prendere in esame, era di poter essere impazzito. Odyle chiuse la porta della propria camera e vi si appoggiò con le spalle, sbuffando. Finalmente avrebbe avuto un po' di tempo per sé e si sarebbe potuta togliere quel busto infernale che la stava facendo impazzire. Fece qualche passo fino allo specchio e contrasse il viso in una smorfia notando i segni che le stecche le avevano impresso nella carne. Quello non era un indumento, pensò, era uno strumento di tortura. Si allaccio' in fretta la camicetta e sollevò la borsa, per appoggiarla poi sul letto. Ma dov'erano finiti? Frugo' disperatamente, senza riuscire a scovare i suoi preziosi occhiali da vista. Accidenti, doveva ricordarsi di essere molto più ordinata, proprio come si addiceva a una vera istitutrice, rammento' a se stessa rovesciando tutto il contenuto della borsetta sul letto. «Finalmente!» esulto' un istante dopo, vedendo spuntate una delle stanghette da sotto il borsellino. Quella stanza non doveva essere stata usata per lungo tempo, perché l'odore di chiuso le faceva mancare il fiato. Scosto' le tende e spalanco' la finestra per cambiare l'aria. In quei giorni, Londra era percorsa da una brezza frizzante, sicuro preludio di un rigido inverno. Si allento' lo chignon, preferendo un'acconciatura un po' più morbida, e lasciò che qualche ricciolo le sfuggisse sulle spalle e intorno al viso. Era pronta a disfare i bagagli, si disse. Non aveva potuto portare molto con sé, solo quello che Claude era riuscito a raccogliere e impacchettare senza che nessuno se ne accorgesse. Pochi indumenti, piuttosto scialbi, a dire il vero, ma aveva pensato che un'apparenza dimessa l'avrebbe aiutata a passare inosservata, e un completo da uomo, accompagnato da un biglietto. "Per le emergenze." Odyle incurvo' le labbra in un sorriso. In caso di fuga, quei comodi pantaloni sarebbero stati l'ideale. Claude... Le mancava moltissimo. «Il mio caro, dolce, unico amico...» mormorò mentre la voce le si incrinava e le lacrime le offuscavano la vista. Durante il viaggio, sulla nave, non aveva mai pianto. Aveva continuato a farsi forza e a ripetersi che tutto sarebbe andato per il meglio, ma ora che era effettivamente finita e che aveva di fronte a sé quella che sarebbe stata la sua nuova vita, un senso di disperazione si impadroniva della sua anima al pensiero di ciò che aveva perduto. Le sue speranze, i suoi amici, la sua arte... Aprì il grande baule scuro che i lacchè avevano provveduto a portarle in camera e ne estrasse alcuni libri (una grammatica latina, un trattato di anatomia e Corinne, il romanzo di Madame de Stael) e diversi rotoli di fogli, poi iniziò a togliere i vestiti. Non ne aveva molti e avrebbe dovuto fare qualche spesa, sempre che il suo stipendio e il poco denaro che Claude era riuscito a racimolare per lei fossero stati abbastanza. Dispose sul letto alcune fotografie e si soffermo' a guardarle con un nodo in gola. La sconvolgente bellezza bionda che occhieggiava ammiccante dalla prima era sua sorella, la sua adorata Miriam. La seconda ritraeva un paio di trapezisti, un uomo e una donna, che volteggiavano nell'aria; e l'ultima fotografia raffigurava lei stessa con un grembiule da lavoro un po' consumato, accanto ad un ragazzo dai capelli più chiari che si appoggiava a un bastone. Entrambi sorridevano felici, spensierati. Infilando di nuovo la mano nel baule, Odyle sentì qualcosa di più duro sotto le dita. Sembrava una tavoletta di legno. "Non era possibile..." Delicatamente sollevò l'involto cui era attaccata la tavoletta e l'appoggio' a terra. Lo straccio che la avvolgeva era sporco di colore e aveva insudiciato anche alcune camicette che gli erano finite vicino. Poco male, si disse Odyle. L'importante era che Claude fosse riuscito a salvarla... Con infinita cautela, iniziò a svolgere la benda bianca, fino a rivelare del tutto una scultura in argilla.

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Capitolo 6
*** 6 Capitolo ***


Con il cuore in gola, Odyle osservò la piccola scultura. Non si era neppure rovinata con il viaggio, grazie a quell'imballaggio sicuro. Si trattava di due figure, un uomo e una donna avvinghiati l'uno all'altra con forza quasi disperata. Nudi e appassionati. Quello era il bozzetto che le sarebbe dovuto servire da studio per un'opera ben più grande, ma purtroppo, pensò con rammarico, non le sarebbe mai stato possibile realizzarla. «No, Odyle» si redargui' scostandosi una ciocca di capelli dagli occhi. «Non perdere le speranze. Forse un giorno...» Chi voleva prendere in giro? Non avrebbe più potuto tornare in Francia e riprendere i suoi studi, non finché Victor... Victor! Odyle si sedette per terra e appoggiò la schiena alla sponda del letto, prendendosi il volto tra le mani. Ricordava la prima volta che aveva messo piede in classe, alla famosa Accademia Colarossi di Parigi. Fino ad allora, e aveva poco più di sedici anni, aveva sempre vissuto fuori città, con i genitori e la sua adorata sorella Miriam, l'unica di tutta la famiglia che la capiva. Era stata lei, dall'alto dei suoi venticinque anni, a convincere Monsieur Latuvielle a permettere a quella sua strana figlia minore di andare a studiare in città, dove aveva superato il concorso di ammissione all'importante accademia di belle arti. Odyle, aveva suggerito Miriam ai genitori, sarebbe stata il fiore all'occhiello della famiglia, e con un po' di fortuna sarebbe potuta diventare persino molto ricca. Odyle aveva dato l'esame in segreto, con l'aiuto di Miriam. Per tutta l'adolescenza aveva continuato a leggere e approfondire le poche nozioni che le venivano impartite alla scuola del paese, e la sorella l'aveva aiutata prestandole denaro e comprandole lei stessa alcuni libri, i quaderni e il primo blocco da disegno che aveva riempito in pochi giorni, girando per le strade e fermandosi a scarabocchiare tutto quello che le passava davanti. La sua matita e i suoi occhi avevano iniziato a soffermarsi sui movimenti e sui corpi delle persone, cogliendo la forza segreta, il vigore del movimento, la passione per la vita. Poi, con la creta, Odyle aveva cercato di rappresentare quelle sue idee a tutto tondo, plasmando la materia con le sue mani. Ricordava un pomeriggio in cui aveva modellato nella cera il volto e le spalle della sorella, mentre lei suonava il pianoforte. In quell'occasione non era stata tanto la somiglianza a stupire e affascinare Miriam, quando piuttosto l'espressione del volto che Odyle era riuscita a cogliere. Arrivata a Parigi, il frastuono e il fermento della grande città l'avevano intimorita e affascinata al tempo stesso. Suo padre e sua madre l'avevano messa in guardia contro i pericoli di quella metropoli tentatrice e le avevano chiesto di evitare i contatti con i compagni di corso e gli uomini in genere. Ma lei, che non era mai stata molto ubbidiente, ma che non era neppure un'ingenua, aveva iniziato a partecipare con passione alle lezioni e ai dibattiti dell'accademia. Purtroppo alle donne erano ancora interdetti alcuni corsi, come quello di anatomia, che le sarebbe stato molto utile per capire i movimenti e le proporzioni del corpo, ed era stato proprio durante una accalorata petizione sostenuta insieme a un gruppetto di compagne, che aveva conosciuto Claude. Claude Evory era un ragazzo di buona famiglia, il minore di quattro fratelli maschi, ed era sempre stato trattato con una certa benevola condiscendenza dai genitori sia perché era il più piccolo, sia per via di una leggera menomazione a una gamba che lo costringeva a camminare aiutandosi con un bastone. Per il resto, era un giovanotto brillante e gioviale, con i capelli chiari e il sorriso allegro, e un artista molto dotato cui non era passata inosservata la passione che quella ragazzina di campagna metteva nel suo lavoro. Lui la aveva aiutata a studiare anche materie che le erano state proibite, mettendo a disposizione il proprio corpo, senza vergogna, e portandola a conoscere i saltimbanchi del Circo che frequentava da un po' di tempo in compagnia di altri studenti dell'accademia. Odyle era rimasta affascinata dal colorato e luccicante mondo circense e aveva iniziato a studiare i movimenti e le espressioni degli artisti impegnati nei loro volteggi. Per capire meglio lo sforzo muscolare che dovevano compiere durante le evoluzioni, aveva preso lezioni da loro, arrivando perfino a lanciarsi in un numero di trapezio, sotto lo sguardo intimorito ed estasiato di Claude, che aveva insistito per scattarle qualche fotografia. Era lei la donna della foto dei trapezisti, che in abito sorprendentemente succinto, sembrava danzare nell'aria con il solo sostegno delle corde del trapezio. Per tutti erano diventati i fidanzatini dell'accademia, ma lei considerava Claude come un fratello minore, il suo cucciolo da proteggere, nonostante lui ripetesse di non averne alcun bisogno. Quando Miriam era morta, era stato lui a tenerla stretta tra le braccia, mentre lei singhiozzava con il cuore straziato. Qualche tempo dopo la tragedia, era stato un inverno assai rigido, e Miriam si era buscata una polmonite che l'aveva portata alla tomba in poche settimane, i signori Latuvielle le avevano fatto visita nel sottotetto di Montmartre che condivideva con altre studentesse come lei. Suo padre aveva storto il naso scrutando la stanza spoglia e polverosa nella quale la figlia viveva, in compagnia di qualche gatto randagio che andava e veniva dalla finestra aperta sui tetti di Parigi. «Non sei ancora stanca di questa vita da zingara, tesoro?» Le aveva domandato sua madre portandosi il fazzoletto alla bocca, quasi temesse di contrarre una terribile malattia. «Come potrei mai stancarmi di questa vita, mamma cara?» Aveva risposto lei, guardandosi in giro sorridente in mezzo a quello che amava definire il suo caos creativo. Allora non aveva capito che la visita di suo padre non era stata di semplice cortesia... Finché Miriam era stata in vita, Monsieur Latuvielle aveva lasciato che Odyle facesse quello che voleva, pensando che sarebbe bastato sistemare la maggiore delle sue figlie con un matrimonio vantaggioso per provvedere alla famiglia. Ma ora che Miriam era morta, quel compito spettava a Odyle. Anche sua madre ne sarebbe stata contenta. Quella figlia scapestrata era una vergogna da tenere segreta, quasi che il suo amore per l'arte fosse imputabile a qualche strana forma di follia. Se ne era resa conto quando, alla fine del primo anno di scuola, aveva visto spuntare i volti rigidi dei suoi in mezzo alla folla di studenti, critici e semplici appassionati d'arte che gremiva il salone espositivo degli allievi. Sua madre le aveva scoccato un'occhiata gelida, squadrandola da capo a piedi. Doveva essersi accorta che non indossava il bustino che, come altre compagne, aborriva per la costrizione cui forzava il corpo. «Questo è Victor Rouel, cara, voleva tanto conoscerti.» Un paio di occhi grigi e freddi l'avevano squadrata da sotto le sopracciglia nere e folte. «Mademoiselle Latuvielle, ho sentito tanto parlare di voi.» «Davvero? Non riesco proprio a immaginare come mai.» La voce di quell'uomo le aveva fatto correre un brivido freddo lungo la spina dorsale. «Monsieur Rouel è il padrone di un'importante fabbrica di tessuti, Odyle, cerca di trattarlo bene» le aveva sussurrato sua madre. «Non capisco. Dovrei trattarlo bene perché è il proprietario di una fabbrica?» Non aveva mai perso occasione di mettere sua madre in difficoltà: era un essere così diverso da lei. «Ovviamente, no... È anche un amico di tuo padre.» «Davvero?» Odyle aveva storto il naso e poi, con una scusa, si era allontanata da loro per cercare Claude e le altre amiche. Durante tutto il pomeriggio, però, ogni volta che si guardava alle spalle, aveva colto su di sé lo sguardo glaciale e altero di quell'uomo.

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Capitolo 7
*** 7 Capitolo ***


«Hai fatto conquiste, Odyle!» le aveva sussurrato Marie, sua vicina di stanza alla pensione per signorine in cui alloggiava. «Spero proprio di no, quel tipo mi dà i brividi.» «E perché? Mi pare piuttosto gradevole d'aspetto... magari potrei fargli il ritratto.» «Magari sarebbe meglio evitarlo.» «Di nuovo il tuo sesto senso?» le aveva domandato Claude, che si era avvicinato a loro appoggiandosi al bastone. «Tesoro, sei molto pallido, ti senti bene? Ti stancherai tantissimo a stare tutto il pomeriggio in piedi.» Era sempre premurosa nei confronti di Claude. «Sto bene... Comunque, questa volta, credo che tu abbia ragione. Quel tipo non mi piace. Ha uno sguardo... feroce.» Più tardi, Odyle era stata invitata con altri compagni a salire sul palco e aveva ricevuto una menzione d'onore per una scultura che le era costata molta fatica e molte notti insonni. Raffigurava il corpo di una donna nuda che lottava per liberarsi dal bozzolo di marmo in cui era rinchiusa, e nell'espressione contorta dallo sforzo si poteva comunque individuare la rassomiglianza con l'autrice. I capelli la avvolgevano coprendola appena e la fronte corrucciata lasciava intravedere un paio di occhi fieri e furiosi. Subito dopo, Victor Rouel era tornato ad avvicinarsi a lei. «Siete davvero selvaggia come la vostra scultura, mademoiselle? Mi piacerebbe scoprirlo.» Aveva sporto una mano verso di lei, togliendole una ciocca di capelli dal viso. Odyle era rimasta pietrificata dall'intimità di quel gesto, mentre un senso di nausea aveva iniziato a montarle nello stomaco. «Posso venire a vedere i vostri lavori, qualche volta?» Monsieur Rouel era stato molto cortese con lei, tuttavia, c'era qualcosa nel suo modo di muoversi e di guardarla che le diceva di non fidarsi. E non aveva torto. La terza volta che se l'era trovato davanti all'uscita dell'accademia, nel giro di una sola settimana, non era riuscita a trattenersi dal rispondergli male. «Siete davvero strana se preferite la compagnia di quello storpio alla mia!» era sbottato lui con un sorriso crudele, afferrandola per un braccio. «Come osate parlare di Claude in questo modo? Non sapete niente di lui! Non sapete niente di me! Monsieur, vi chiedo, una volta e per tutte, di lasciarmi in pace. Non sono interessata a voi in alcun modo. Continuate la vostra vita e io continuerò la mia. Buona giornata.» Lui, per tutta risposta, si era messo a ridere. «Siete proprio una sciocca...» L'aveva lasciata andare. «E siete una donna selvatica e senza freni... proprio come piace a me. Io vi domero', Odyle Latuvielle. Sarete mia, fosse l'ultima cosa al mondo che farò» aveva mormorato quando lei si era allontanata. In realtà, Odyle ancora non riusciva a capire il motivo di tutto quell'accanimento da parte di Monsieur Rouel. Poteva solo pensare che fosse uno di quegli uomini che amavano le sfide impossibili. Ben presto, tuttavia, si era accorta di essere al centro di una congiura. Sia suo padre sia sua madre avevano iniziato a insistere affinché frequentasse Victor, arrivando persino a combinarle una visita alla sua fabbrica, alle porte di Parigi. Probabilmente, con quella mossa, avevano sperato di farle vedere il molesto pretendente sotto una luce diversa, quella del potere e del prestigio. Era ovvio che non la conoscevano affatto. Subito si era sentita girare la testa in quell'enorme capannone semibuio. Il caldo era insopportabile e i lavoratori sembravano fantasmi dai volti scarni e pallidi. Aveva visto persino una donna crollare a terra esausta ed essere risvegliata con un calcio dal soprintendente. «Mi sento male...» aveva mormorato barcollando. La vista le si era annebbiata, vedeva delle figure confuse e macabre che le danzavano intorno. L'odore dell'olio surriscaldato degli ingranaggi e i fumi delle macchine le avevano fatto salire la nausea. Sua madre le aveva dato una gomitata nel fianco cercando di sostenerla, ma non c'era stato nulla da fare: aveva vomitato la colazione sul pavimento. Victor l'aveva afferrata per la vita e sollevandola tra le braccia l'aveva portata nel suo ufficio, dove le aveva offerto dell'acqua per rinfrescarsi. Odyle era stremata e non ricordava di essersi mai sentita male come in quel momento. Probabilmente era stata colpa del corsetto cui sua madre l'aveva costretta a sottomettersi almeno per quel giorno. I suoi genitori erano rimasti in piedi, con lo sguardo severo, vicino alla porta, mentre Victor si inginocchiava premuroso ai piedi del divano su cui l'aveva fatta distendere. «Mademoiselle Latuvielle, vi sentite bene?» «Io...» Forse era stata colpa di quell'unico bicchiere d'assenzio che aveva bevuto la sera prima con Claude e gli altri, aveva pensato. «Odyle... desidero sposarvi. Sono innamorato di voi. Ditemi di sì.» Lei aveva sgranato gli occhi, incredula. Possibile che stesse approfittando dello stato di prostrazione in cui si trovava per farle una proposta di matrimonio? «Oh, santo cielo, Odyle!» era intervenuta sua madre con un sorriso gaio e rossa in viso. «Oddio, ma è meraviglioso! Hai sentito cara? Monsieur Rouel desidera sposarti!» «Io no.» Era riuscita a riacquistare le forze e aveva tentato di rimettersi in piedi. «È solo molto scossa, Monsieur, non temete. Vi garantisco che il suo è un sì» si era affrettato a dire suo padre, posando una mano sulla spalla di Victor. «Voi non garantite proprio un bel niente!» aveva urlato lei. Victor, allora, le aveva lanciato uno sguardo pieno di rabbia e l'aveva colpita in pieno volto con uno schiaffo. «Non devi parlare a tuo padre in questo modo» aveva sibilato poi. I suoi genitori, esterrefatti, erano rimasti in silenzio. E Odyle si era ritrovata fidanzata. Le avevano detto che Victor era stato tanto buono da acconsentire a farle finire almeno quell'anno d'accademia. Poi si sarebbero sposati e lei avrebbe lasciato gli studi. Qualche settimana dopo, Odyle aveva trovato il coraggio di confidare tutto a Claude e si era rifugiata tra le sue braccia piangendo. Per calmarla, lui l'aveva esortata a lavorare. Era già molto tardi, ma alla luce delle lampade a olio e delle candele dello studio avrebbe potuto continuare la scultura degli amanti che stava plasmando con la creta. Senza esitazione, entrambi si erano spogliati fino a rimanere con la sola biancheria addosso. In quel modo, Odyle poteva studiare i movimenti dei loro corpi e la posizione della sua statua. Era stato proprio allora che un rumore secco alla porta li aveva fatti trasalire. «Sei una donnaccia!» aveva sentito gridare. Era Victor. «Che cosa diavolo vuoi da me?» aveva urlato lei per tutta risposta mentre Claude le metteva una coperta sulle spalle. «Non posso neppure pensare a quello che stavi facendo con questo... con questo mostro!» Claude, allora, si era scagliato contro di lui. «Dovete lasciarla in pace, mi avete capito?» aveva urlato afferrando Victor per il bavero. «Lei non vi ama. Vi detesta. Volete proprio rovinarle la vita? Chi di noi due sarebbe il mostro allora?» Victor a quel punto gli aveva dato uno spintone, mandandolo a ruzzolone sul pavimento senza troppo sforzo. «Claude!» Odyle si era chinata sull'amico. «Ti odio, Victor. Non ti sposerò mai! Mai, hai capito? Vattene!» Quando era tornata allo studio, il giorno dopo, vi aveva trovato una gran confusione. Alcuni pezzi di marmo che aveva comprato erano stati sbriciolati a martellate e i suoi bozzetti erano sul pavimento, ridotti in mille pezzi. E lei avrebbe dovuto consegnare alcuni di quei lavori di lì a pochi giorni. Era andata a spiegare la sua situazione alla commissione dell'accademia, ma quando aveva accennato a quella specie di persecuzione di cui era vittima, i professori l'avevano guardata con aria incredula. Alcuni giorni dopo aveva sentito qualcuno dei compagni mormorare che forse quei bozzetti era stata lei stessa a distruggerli, perché non era riuscita a fare nulla che fosse all'altezza della fama che si era creata e non aveva voluto sfigurare.

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Capitolo 8
*** 9 Capitolo ***


Di tenebra e d'amore 9 Capitolo Mai sarebbe riuscita a immaginare la terribile realtà a cui era stata condannata. Di notte, spesso rimaneva sveglia per ore ad ascoltare le grida e i lamenti agghiaccianti degli ammalati. Di giorno, cercava di estraniarsi fino a volare via dal proprio corpo, per non pensare a quello che le facevano... «Odyle!» si era sentita chiamare un giorno. Si era voltata di scatto verso quella voce familiare e amica. Non era Rouel, bensì Claude, che si era avvicinato a lei appoggiandosi sul suo bastone. Si era gettata tra le sue braccia. Piccola, fragile, enormemente dimagrita nei pochi giorni in cui era stata rinchiusa lì dentro e, per protesta, si era rifiutata di mangiare. Claude l'aveva tenuta stretta accarezzandole i capelli e tempestandole la nuca di baci. «Odyle, tesoro... che cosa ti hanno fatto?» La voce gli tremava on gola. «Perdonami, non sono riuscito a venire prima. Ho tentato tutti i giorni, ma non mi facevano entrare... Solo oggi... devo essere riuscito a intenerire una suora! Ascoltami bene, Odyle.» Le aveva sollevato il mento verso di sé, per guardarla negli occhi. Quegli occhi che aveva sempre visto pieni di calore ed energia, quel giorno gli erano apparsi tristi e vuoti. «Non so se mi faranno entrare ancora qui dentro, quindi devi ascoltarmi adesso... Rouel non ti lascerà andare finché non l'avrà avuta vinta e i tuoi genitori hanno le mani legate. Tuo padre ha ricevuto ingenti somme di denaro in prestito da quell'uomo e spera che tu lo sposi per legarsi a lui in modo definitivo.» Le bacio' la guancia, rigata da una lacrima. «Victor Rouel è un uomo terribile, tesoro, credimi. Ho fatto delle ricerche... Una delle sue ultime amanti è stata ritrovata nella Senna. Era incinta ed è stata uccisa... Ovviamente non si può provare che sia stato lui, ma molti dicono che voleva liberarsene e che lei era diventata molto insistente.» Odyle aveva nascosto il viso contro il petto dell'amico. «Devi scappare, Odyle, hai capito?» «Claude, ma ti rendi conto di dove mi trovo? Come faccio a fuggire, secondo te?» «Ebbene, mia cara, l'unica cosa che puoi fare è... acconsentire a sposarlo.» «Cosa?» «Ssst! Non gridare, calmati. È l'unica cosa che puoi fare per uscire da questo inferno. Non potrà sposarti subito, sulla porta dell'ospedale, Odyle! Dovrà lasciarti un po' di tempo per riprenderti. E per allora io avrò organizzato tutto.» Odyle lo aveva guardato negli occhi con un bagliore di rinnovata speranza. «Un'amica di mia zia, una certa Lady Cartwridge, di Londra, tra un paio di settimane farà ritorno in Inghilterra. È una donna formidabile, piena di energie e di larghe vedute. Le ho accennato della tua storia e lei mi ha fatto capire che sarebbe lieta di aiutarti. Dice che potresti nasconderti facendo l'istitutrice. A Londra, lei ha due nipotine dell'età giusta per iniziare a studiare.» «Londra? Ma...» «Tua nonna era inglese, giusto?» «Sì... è vero, e la lingua non dovrebbe essere un problema... ma dovrei lasciare tutto... l'accademia, la scultura... te.» «Non sarebbe per sempre, solo per qualche tempo, finché non si saranno calmate le acque e Victor non si sarà dato per vinto. E poi, tu e io rimarremo in contatto, non preoccuparti. Tramite mia zia, spediro' delle lettere a lady Cartwridge e lei le consegnerà a te, così sarai sempre informata della situazione. Lascia fare a me.» Il giorno dopo, con il cuore pesante e freddo come un macigno, aveva detto a Victor che l'avrebbe sposato. Dimessa dall'ospedale, non le era stato neanche consentito di tornare nella sua stanza alla pensione. I suoi genitori l'avevano tenuta sotto sorveglianza, come due gendarmi, osservando ogni sua mossa.Il matrimonio avrebbe dovuto essere celebrato entro un mese. Per fortuna, dopo una decina di giorni durante i quali aveva cercato di frenare la lingua e gli impulsi ribelli, le era stato concesso un pomeriggio di spese con la sua amica Marie. Dopo aver vagato senza meta per gli Champs Elysses, Odyle aveva salutato calorosamente l'altra fanciulla adducendo come scusa un impegno inderogabile e si era diretta verso la torre. Ai piedi della monumentale costruzione in ferro, prodigio della Nuova Era ideato da Monsieur Eiffel, Odyle si era confusa tra la folla e aveva intrapreso la salita. Claude l'aspettava in cima, dove avrebbe dato un ultimo saluto alla sua Parigi prima di correre in stazione a prendere il treno per Calais, luogo in cui la attendeva Lady Cartwridge e dove si sarebbe imbarcata su una nave con il nome e i documenti di Odyle Chagny, istitutrice. Iniziava a fare freddo e si era alzato il vento. Forse avrebbe dovuto mettersi uno scialle sulle spalle. Non fece in tempo ad alzarsi in piedi che vide una delle ante della finestra sbattere contro la parete, mentre il vento sollevava alcuni dei fogli che aveva appoggiato sulla scrivania. La foto di Miriam si sollevò per aria, come trasportata magicamente da quella brezza, e fu risucchiata fuori dalla finestra. Un grido soffocato uscì dalla gola di Odyle. Quella foto era tutto ciò che le rimaneva della sorella e non poteva perderla in quel modo. Corse alla finestra, aggrappandosi con disperazione al davanzale, e guardò per strada, per cercare di capire se fosse volata quattro piani più sotto. Niente. Non riusciva a scorgerla. Batte' i pugni sul davanzale, incapace di contenere la rabbia e con una gran voglia di lasciarsi andare a qualche imprecazione. Poi si trattenne e si coprì il volto con le mani. Non doveva lasciarsi andare alla disperazione, si disse, passandosi una mano tra i capelli e guardando ancora. Eccola! Il viso di sua sorella occhieggiava beffardo poco sotto di lei, incastrato tra alcuni rami di un albero. «Accidenti!» mormorò tra i denti. C'era una sola cosa che avrebbe potuto fare. Rientrò in camera e si scosto' dalla finestra, iniziando a slacciarsi il vestito. Con una gonna lunga avrebbe di sicuro perso l'equilibrio all'istante, inciampando nella crinolina, ma in sottoveste, con indosso solo i mutandoni che portava sotto il vestito, sarebbe stato come avere la calzamaglia, e avrebbe potuto saltare con maggiore libertà. In quella tenuta assolutamente indecente, tornò ad affacciarsi alla finestra. Quindi, senza troppo sforzo, salì sul davanzale. Il salto non era dei più difficili, ma non sapeva come sarebbe stato il punto d'arrivo e se quei rami avrebbero retto il suo peso. Prese la mira e si molleggio' sulle gambe tendendo le braccia in avanti. Poi si tuffo'. Con il cuore in gola, si afferrò a un grosso ramo che scricchiolo' senza spezzarsi. Per fortuna, l'autunno non aveva ancora fatto cadere le foglie di quella pianta che riuscivano a nasconderla perfettamente. Vide la foto di Miriam sopra di lei, e alzandosi in punta di piedi, riuscì ad afferrarla e se la infilò nella camicetta. Poi, senza pensarci troppo, visto che c'era sempre la possibilità che qualcuno la scoprisse, tornò sul ramo più alto e di lì balzo' sul davanzale. Si infilò in camera sua con il cuore che le batteva così forte che sembrava volerle saltare fuori dal petto, chiuse la finestra e tiro le tende. Poi si accascio' a terra sbuffando. Per fortuna, "nessuno" l'aveva vista. La donna giaceva accanto a lui, distesa sul fianco. Incorniciato dai lunghi capelli scuri cui i bagliori del fuoco donavano riflessi color mogano, il suo corpo nudo e sinuoso era un irresistibile invito alla lussuria. Tristan non riusciva a distogliere gli occhi da lei, dalla sua pelle levigata, dai suoi fianchi perfetti, dalla spalla che si spostava impercettibilmente al delicato ritmo del respiro. Degluti' e, con cautela, allungò la mano per toccarla. Un calore insostenibile gli infiammo' i lombi non appena posò le dita su quella pelle tiepida e vellutata. La donna si voltò verso di lui, invitante, il viso ancora avvolto nell'ombra, e Tristan si sentì confortato da quell'anonimato. Gli offrì i seni e lui affondò il capo nel seducente incavo, stringendo, baciando le morbide rotondità. Desiderava possedere quella donna più di qualsiasi altra cosa al mondo. Sentiva l'irresistibile urgenza di accarezzarla più intimamente. Sentiva che una volta fatto, e questo pensiero lo stupì, tutta la sua esistenza avrebbe trovato un significato. Senza emettere un suono, la donna divarico' le gambe, invitandolo a possederla, a usare il suo corpo senza ritegno e senza remore. E Tristan la prese, affondando in lei con disperazione. Quando si svegliò, all'alba, con la camicia da notte inumidita dal sudore di quella passione immaginaria, si sentì invadere da un misto di sollievo e delusione. Non aveva compiuto quell'orrendo peccato e nessuno, a parte lui, avrebbe mai saputo di quei pensieri libidinosi, ma neppure aveva fatto davvero l'amore con quella seducente donna senza volto. Si asciugo' la fronte con il dorso della mano e spinse indietro una ciocca di capelli. In fondo, stava solo cercando di ingannare se stesso per lenire i propri sensi di colpa. La donna del sogno non era affatto una sconosciuta: per tutta la durata di quel amplesso immaginario, lui aveva sempre saputo che si trattava della ragazza che aveva visto alla finestra. Non si era sbagliata sull'effetto che quella ragazza straniera avrebbe avuto su suo figlio e la sua famiglia. Lady Angelina Cartwridge tornò a posare la tazza di caffè sul piattino e studiò il volto del suo caro Michael. Gli occhi del figlio sembravano più vispi dell'ultima volta che l'aveva incontrato e le guance avevano ripreso un po' di colore. Un nuovo elemento in casa, e così diverso da ciò cui i Moran erano abituati, era quello che ci voleva per scuotere un po' tutta la famiglia, e in particolare suo figlio e la moglie, che da circa un anno e mezzo erano caduti in una sorta di distante apatia. Era stata la stessa Odyle, con la sua innata vivacità e le sue idee moderne, che le aveva fatto venire in mente quella soluzione. Michael ed Emma avevano sofferto molto, e Lady Angelina si rimproverava di non averli saputi aiutare. Quando suo figlio e la moglie si erano chiusi in loro stessi, allontanandosi sempre più, lei aveva preferito fuggire per un lungo viaggio cercando di dimenticare. E ora poteva soltanto sperare che non fosse troppo tardi per rimettere le cose a posto. Si sistemo' l'abito, spazzando via con la mano un paio di immaginarie briciole dal grembo. «Michael, tesoro, hai un'ottima cera.» «Grazie, madre. Le giornata sono ancora calde e ho ripreso a passeggiare.» Lady Angelina assenti' con un cenno del capo e gli sorrise. «E come vi sembra la nuova istitutrice, se la cava bene? Che cosa ne pensa Emma?» «Emma? Be', non ne ho idea... Suppongo che le piaccia, per quanto riesca a dimostrare entusiasmo per qualcosa o qualcuno» le risposte, quasi seccato.

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Capitolo 9
*** 8 Capitolo ***


«Comunque a me è sempre sembrata una mezza matta» aveva sentito dire lungo i corridoi dell'accademia. Una scavezzacollo... una ragazza senza inibizioni... Quei commenti si erano diffusi un po' dappertutto. Victor, intanto, sembrava essersi allontanato da lei, forse definitivamente. Odyle aveva cercato di lasciarsi alle spalle tutta quella brutta storia, tornando alla vita di sempre. Finché lei e gli altri allievi non avevano iniziato a prepararsi per la grande esposizione di fine anno. Aveva ripreso a lavorare alla scultura degli amanti, ma non era mai soddisfatta dei risultati. Vi lavorava anche di notte, facendo e rifacendo bozzetti sempre nuovi che portava in classe come modello della statua in marmo che si accingeva a scolpire; persino Claude deplorava tutto quell'accanimento. Si presentava in classe con occhiaie spaventose, i vestiti arruffati, i capelli spettinati e le unghie ancora sporche di creta. Molte delle sue amiche avevano iniziato a prendere le distanze da quella ragazza resa irascibile dalla stanchezza e dal tormento della creazione. Come se non fosse abbastanza, aveva iniziato a lamentarsi che qualcuno ce l'aveva con lei e che, un giorno dopo l'altro, metteva mano al suo lavoro per rovinarlo. L'espressione del viso non era mai quella cui aveva lavorato il giorno prima; la posizione di un dito era diversa; la schiena dell'uomo non avrebbe dovuto essere cosi inarcata... «Calmati, Odyle!» le aveva sibilato Claude all'orecchio, un giorno, prendendola in disparte. «Neanche tu mi credi? Oh, Claude, qualcuno sta cercando di sabotare il mio lavoro! Te lo giuro.» «Io... Odyle, io voglio crederti, ma com'è possibile che qualcuno penetri nell'atelier senza essere visto?» «Io non lo so... ma sono certa che ieri il braccio del mio amante era spostato di una buona spanna e la spalla non era così piegata. Ho studiato i movimenti con mille disegni, lo sai! «Pensi che sia opera di Rouel?» «Sono passati due mesi... e poi, no, non credo che sarebbe in grado di scolpire il marmo...» aveva concluso scuotendo la testa, sconcertata. «Già... Cerca di stare calma, però.» Alla fine, dopo mille lamentele, era riuscita a farsi assegnare una sala privata, nella quale lavorava da sola e dove gli altri compagni non potevano entrare. Il giorno in cui la commissione dell'accademia avrebbe scelto i lavori più meritevoli di essere presentati al Salon della fine del 1895, gli allievi erano stati convocati tutti insieme per ricevere il giudizio dei professori. La notte prima Odyle non era riuscita a chiudere occhio per l'agitazione. Sebbene la scultura non fosse venuta esattamente come l'aveva ideata, non poteva dire di aver fatto un brutto lavoro e sperava comunque che sarebbe stata scelta. Era entrata nella grande aula di scultura, dove tutte le opere degli allievi erano state occultate da lunghi teli bianchi e, una alla volta, venivano scoperte per poter essere commentate dai loro autori e ricevere il giudizio. «Latuvielle.» L'avevano chiamata accanto ai professori perché scoprisse lei stessa la sua statua. Aveva tirato il lenzuolo facendolo ricadere a terra e aveva cercato di trattenere il grido di orrore che le era salito alle labbra. Quella sotto il telo non era... non poteva essere opera sua. La posizione dei corpi era simile, in tutto e per tutto, ma mancava la plasticità del movimento, e i volti inespressivi non potevano essere assolutamente quelli che aveva scolpito con tanta cura, fino a farsi quasi sanguinare le dita. «Chi è stato!?» aveva gridato scagliandosi contro i professori per poi voltarsi furiosa verso i compagni. «Come diavolo avete fatto?» «Mademoiselle, cercate di calmarvi!» Claude aveva tentato di raggiungerla, ma quella Odyle disperata era troppo forte perché riuscisse a trattenerla, e lui era ruzzolato a terra storcendosi la gamba e urlando per il dolore. Lei non era riuscita a fermarsi, la collera e la stanchezza avevano preso il sopravvento e, con gli occhi iniettati di sangue, aveva afferrato uno scalpello da un banco vicino. Le ragazze presenti si erano messe a urlare cercando di raggiungere l'uscita. Gli uomini, benché titubanti, avevano cercato di accerchiarla. Lei si era voltata verso la statua e aveva iniziato a colpirla forte con l'arnese, facendo schizzare il marmo in mille schegge polverose. Allora erano riusciti a immobilizzarla e, mentre continuava a urlare e dimenarsi, l'avevano portata via. La finestra della camera aveva le sbarre e il letto, unico arredo tra quelle quattro pareti bianche, era di ferro. Si era risvegliata lì dopo alcune ore, smaltito l'effetto della morfina che le era stata iniettata a forza. I suoi genitori si erano limitati a guardarla dalla porta, mentre lei cercava di alzarsi dal letto e scoprire di avere polsi e caviglie legati. Era stato orribile sentirsi inerme e immobilizzata su quel materasso duro. Gli occhi le si erano riempiti di lacrime amare. Poi suo padre e sua madre si erano fatti da parte e Victor era comparso sull'uscio, con quello che le era sembrato uno sguardo di trionfo. Con un cenno del capo, aveva congedato i signori Latuvielle e si era avvicinato al letto di Odyle a passo deciso. Senza dire una parola, si era chinato su di lei e l'aveva baciata. Odyle aveva cercato di sottrarsi a quelle labbra viscide, ma lui le aveva tenuto fermo il capo, finché non aveva deciso di averne abbastanza. Ricordava ancora il sapore della sua lingua che cercava di insinuarsi nella sua bocca a forza. Con quel gesto, aveva voluto farle capire con chiarezza chi era il più forte tra loro. Almeno in quel momento. «Non puoi più essere tanto baldanzosa, qui dentro, mia cara» le aveva sussurrato in un orecchio. «Hai visto dove ti ha portata la tua arte? Ne valeva la pena?» «Perché sei qui, Victor? Non ti avevo detto di lasciarmi in pace?» Lui le aveva sorriso e aveva preso posto sulla sedia accanto a lei. «Pensavo che, visti gli ultimi sviluppi, avresti potuto cambiare idea.» «A che proposito?» «Sul matrimonio, ovviamente.» «Perché io, Victor? Perché vuoi proprio me con tutte le donne che potresti avere?» «Io... penso di essere innamorato di te, Odyle. Non ti basta? Non vedi fin dove mi ha spinto l'amore per te? Quanto ho faticato in tutti questi mesi per tenerti d'occhio... per trovare qualcuno che rifacesse le tue sculture, che si arrischiasse a mettere mano ai tuoi bozzetti...» La vista le si era offuscata del tutto e due lacrime le erano scivolate lungo le guance, fino a bagnarle il collo. «Grazie...» aveva mormorato. «Come?» «Non sono pazza. Avevo iniziato a dubitare di me stessa... ma non sono pazza.» «No, ma tutti credono che tu lo sia. E all'accademia non potrai più tornare, dopo quella scenata. Anzi, potresti dover rimanere qui a lungo... per guarire.» «Dove mi trovo?» «A Montdevergues, all'ospedale psichiatrico.» Lei lo aveva guardato con gli occhi sbarrati. «No...» «Posso farti uscire, Odyle... Basta che tu mi dica di sì.» Per tutta risposta, con le ultime forze che le erano rimaste dopo quella tremenda giornata, Odyle gli aveva sputato in faccia. Lui non si era scomposto, si era tolto di tasca il fazzoletto e si era asciugato il mento. «Non ha importanza. Tornerò domani.» Odyle aveva chiesto più volte di vedere Claude, ma nessuno sembrava volerle dare retta. Aveva supplicato i dottori e le suore che prestavano il loro aiuto all'ospedale, strepitando e piangendo di fronte alle loro risposte condiscendenti e vaghe. Poi si era imposta di calmarsi. Finché si fosse ostinata a urlare nessuno l'avrebbe creduta sana di mente. Doveva essere più furba di loro, più scaltra di Victor, e rimanere calma e tranquilla. Rouel andava a trovarla con regolarità ogni giorno, più o meno alla stessa ora e le faceva sempre la stessa domanda. Era passata quasi una settimana e Odyle era stanca anche solo di dovergli dare retta. Rimaneva accanto alla finestra, con lo sguardo perso nel vuoto, senza neppure voltarsi a guardarlo.

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Capitolo 10
*** 10 Capitolo ***


Potrete domandarglielo voi stessa quando tornerà» proseguì Michael. «Dunque non è vittima di uno dei suoi terribili attacchi di emicrania?» «No, per fortuna. Miss Odyle ha chiesto il permesso di portare Agnese ed Ernestine al parco» spiegò alla madre. «E stranamente, anche Emma si è lasciata convincere a seguirle. Spero che poi non se ne debba pentire dovendo rimanere a letto per giorni con un altro dei suoi mal di capo.» «Sono sicura che non le farà alcun male e mi fa piacere che tu abbia acconsentito a lasciarle andare. Le bambine erano così pallide l'ultima volta che le ho viste. L'aria aperta, finché il tempo non peggiora, non può che giovare alla loro costituzione.» Michael annuì e finì il caffè. «E voi, cara mamma, raccontatemi... Rimpiangete di più l'Italia, la Francia o la Spagna?» «Oh, Michael, non penso che si possono paragonare nazioni così diverse... La Toscana era davvero magnifica, ma anche Parigi, e Milano... ecco, Milano, con quella meravigliosa cattedrale, non può mancare nell'itinerario di un Grand Tour!» Sentirono bussare alla porta, e subito dopo il vecchio Westley fece capolino nel salotto. «Lady Moran, le signorine e l'istitutrice sono tornate, signore.» «Benissimo, Westley. Dite loro che Lady Cartwridge e io le attendiamo in salotto.» «Milord... anche l'istitutrice?» Michael lanciò un'occhiata alla madre e fu quest'ultima a parlare. «Oh, ti prego, Michael, mi piacerebbe poter salutare anche Miss Chagny.» Dopo una decina di minuti, Lady Emma e Odyle, accompagnate da due più tranquille ma evidentemente esultanti Agnese ed Ernestine, fecero il loro ingresso. «Venite ad abbracciarmi bambine!» esclamò Lady Angelina alzandosi dalla poltrona. «Nonna! Nonna!» gridò Ernestine non appena la vide, guadagnandosi subito un'occhiata da parte della sorella. «Siamo andate a passeggio nel parco e abbiamo anche mangiato dei dolci!» «Contegno, Erny! Lo sai che non si addice a una signorina urlare in questo modo» la redargui' Agnese. Odyle sorrise rassicurante alla piccola. «Penso che per questa volta non sia tanto grave. Del resto si sa, la nonna è sempre la nonna...» Ernestine si sentì libera di gettarsi tra le braccia di Lady Angelina, seguita da una più composta Agnese. «Sei diventata proprio una bella signorina, Agnese. Fatti guardare.» La bambina si pavoneggio' di fronte alla nonna, facendo una piroetta. Anche Emma si avvicinò a Lady Cartwridge e la bacio' sulle guance. «Sono contenta che siate venuta a farci visita, mamma. Abbiamo sentito molto la vostra mancanza in tutti questi mesi.» Quel commento sorprese l'anziana gentildonna. Di solito la nuora rispondeva a monosillabi e solo se le veniva rivolta la parola. «Anch'io sono felice di essere tornata, Emma, e non vedevo l'ora di riabbracciare tutti voi.» Lanciò uno sguardo all'istitutrice, che era rimasta composta accanto alla porta, poi le sorrise con calore. «Odyle, non vieni a salutarmi?» La ragazza rispose al sorriso, sorpresa ma grata di essere trattata con la stessa familiarità che Lady Angelina le aveva riservato durante il viaggio. Era davvero contenta della situazione: erano passate due settimane da quando aveva iniziato a lavorare presso i Moran, e tutto sembrava andare per il meglio. Grazie agli insegnamenti della sua cara nonna, la lingua non era stata un ostacolo. Già durante la traversata sulla nave, stando a stretto contatto con Lady Angelina, la sua mente si era adattata alla perfezione al cambiamento, richiamando alla memoria tutto ciò che aveva imparato da bambina. Quanto al lavoro, se da principio aveva temuto che le figlie dei Moran sarebbero state ingovernabili, se ne era presto ricreduta. Le sembrava che Agnese ed Ernestine l'avessero accolta, anzi, con un certo sollievo, come se da tempo aspettassero un punto di riferimento. In vita sua Odyle non aveva mai pensato a se stessa come a una figura solida, anzi, si era considerata impulsiva, impaziente e a volte irascibile. Eppure quei tratti del suo carattere, di fronte alle figlie dei Moran, avevano ceduto il passo alla pazienza e alla tenerezza, come se lo spirito della sua cara sorella le stesse indicando una nuova strada da percorrere. E non era soltanto la necessità di nascondersi dai suoi genitori e da Victor che la spingeva a essere diversa, lo era davvero. Ogni mattina, quando la cameriera la aiutava ad allacciarsi l'opprimente corsetto e le calava sulla testa le pesanti gonne inamidate, era come se si lasciasse intrappolare nel ruolo che doveva rappresentare. Ma il suo spirito ribelle non rimaneva sempre sopito dentro di lei. Spesso, soprattutto quando notava l'atteggiamento pungente di Lord Moran nei confronti della moglie, la rabbia le gonfiava il petto e doveva mordersi la lingua e stringere i pugni tanto da conficcarsi le unghie nei palmi per ricordare a se stessa che doveva tacere. Proprio Lady Moran, Odyle aveva capito qualche giorno dopo il suo arrivo, sarebbe stata la sua grande impresa. Quella donna timida e pallidissima le ispirava una grande tenerezza, suscitando in lei il desiderio di esserle amica. Aveva iniziato a studiare le sue abitudini e i modi di fare, per poi avvicinarsi a lei con piccoli gesti gentili. Ed Emma, a poco a poco, aveva iniziato a fidarsi, tanto che quel giorno, per la prima volta, aveva accettato di accompagnare lei e le bambine a Hyde Park. Durante la passeggiata aveva parlato poco, ma le bambine erano sembrate felicissime della presenza e avevano fatto di tutto per attirare la sua attenzione. «Bene, ora che ci siete tutti, è il momento di farvi la mia proposta» annunciò Lady Angelina raddrizzando le spalle. Odyle fece per ritirarsi in disparte, indietreggiando di un paio di passi. «No, Odyle, rimani anche tu» la esorto' la donna. «Non so se ci siete già stati, ma io muoio dalla voglia di andare all'Empire o all'Alhambra Theatre a vedere il cinematografo.» «Madre...» intervenne Michael. «Oh, Michael, ti assicuro che è uno spettacolo straordinario. Ci sono andata una volta mentre ero a Parigi, e penso che Agnese ed Ernestine si divertirebbero moltissimo. Tu ci verresti, Emma?» «Io... non...» Emma si guardò in giro, intimorita, per poi puntare uno sguardo interrogativo su Odyle. Michael sbuffo' offeso per essere stato surclassato dall'istitutrice come punto di riferimento. «Ebbene, Miss Odyle, voi che cosa ne pensate?» le domandò quasi in tono di sfida. «Siete francese, avete già avuto modo di assistere a qualcuno di questi spettacoli?» Odyle si schiari' la voce e fece un respiro profondo. «Veramente no, milord, non ho mai avuto questo piacere, tuttavia ne ho sentito parlare come dei prodigi dell'era moderna. Per la verità, ho sempre desiderato di poterne vedere uno, anche se non saprei dirvi se sia uno spettacolo decoroso.» «Ma certo che è decoroso!» sbotto' Lady Angelina. «Pensi forse che tua madre potrebbe assistere a spettacoli men che decenti, Michael? Ci è stata anche la mia amica Lady Smithson... e Sally Preston... Insomma, io non ho certo bisogno del tuo permesso per andarci, ma pensavo che vi sarebbe piaciuto farmi compagnia.» «Oh, papà, andiamo!» esclamò Ernestine aggrappandosi alla giacca del padre. «Anch'io voglio vedere il cinofrogo!» «Cinetorafo, Ernestine!» la corresse Agnese con l'atteggiamento tronfio di un vecchio saggio. Esasperato, Lord Moran puntò gli occhi su Odyle: che si prendesse lei quella responsabilità, pensò, visto che il resto della famiglia sembrava darle retta. «Ebbene, Miss Chagny, credo che dovreste accompagnare voi mia madre, visto che ci tiene così tanto, così poi ci direte se lo ritenete uno spettacolo adatto a tutta la famiglia.» Leicester Square non era mai stata tanto affollata come da quando l'Alhambra Theatre of Variety aveva ceduto la sua sala alle immagini animate di Paul Acres, o all'animatografo di Robert Paul. Al rivale Empire, dall'altra parte della piazza, negli stessi giorni, Mr. Trewey proiettava i filmati dei fratelli Lumière, considerati i pionieri di quella invenzione prodigiosa. Tristan vi si era recato il giorno prima, e con meraviglia, aveva assistito all'arrivo di un treno, all'uscita di un gruppo di operai da una fabbrica, alle evoluzioni di una famiglia di artisti circensi e altro ancora. Si avvicinò all'ingresso dell'Alhambra Theatre, una grossa costruzione in stile moresco che nulla aveva a che fare con il resto degli edifici della piazza. Archi a sesto acuto e finestrelle decorate con arabeschi in rilievo occhieggiavano ammiccanti ai futuri spettatori in coda per entrare. Poi fu sospinto verso la sala da un gruppo di signore vocianti, troppo impazienti per attendere il loro turno. All'interno, dopo aver inforcato gli occhiali che gli consentivano di vedere bene anche da lontano, si guardò intorno con un senso di meraviglia: l'Alhambra era un teatro che favoleggiava di paesi caldi e lontani come il Marocco o l'Algeria. Laddove solitamente c'era il palcoscenico, per quell'occasione era stato tirato un telone chiaro, sul quale venivano proiettate le immagini. Alcuni spettatori avevano deciso di prendere posto sulle poltrone, ma la maggior parte si aggirava per la sala commentando ad alta voce lo spettacolo. Tristan cercò di concentrarsi sulle immagini che prendevano forma sul telo. Erano per lo più scene di vita quotidiana: gente a passeggio, bambini che giocavano, c'erano persino dei cani. Tutti guardavano quelle banalità con occhi sgranati e colmi di meraviglia, consapevoli che ciò cui stavano assistendo era la riproduzione in movimento di eventi occorsi chissà quanto tempo prima. Quello era il miracolo. Con il naso per aria, Tristan seguì il fascio di luce che dallo schermo si rimpiccioliva stringendosi verso la camera di proiezione e pensò che forse avrebbe acquistato un lasciapassare per ammirare il funzionamento del marchingegno. Sempre intento a seguire la luce, mosse qualche passo nella penombra. «Ahi!» La collisione era avvenuta in una delle zone più buie della sala e non riusciva a vedere con chiarezza la persona che aveva investito. A giudicare dalla voce, però, doveva essere una donna. La ragazza era caduta a terra, ed era rimasta carponi sul pavimento. «Perdonatemi, signorina, non avevo intenzione di...» «State fermo, per carità!» gli intimo' la ragazza. «Mi avete fatto cadere gli occhiali e non riesco a trovarli, con questa oscurità!» Le tremava la voce e sembrava stesse cercando di contenere la rabbia. «Lasciate che vi aiuti...» Un rumore sospetto sotto la scarpa lo fece sobbalzare: era vetro che veniva schiacciato e si frantumava. «No!» gridò lei, spingendolo di lato per fargli scostare i piedi, sotto cui rinvenne i resti di una delle sue lenti. «Oddio! Guardate che cosa avete fatto! Come farò, adesso?» Per fortuna la fitta penombra della sala nascondeva l'imbarazzante rossore che scaldava le guance di Tristan, che era costernato per l'accaduto ma anche infastidito dall'attenzione che quella ragazza stava attirando su di loro. L'aiuto a rialzarsi, sollevandola per un gomito. «Vi prego di controllarvi, signorina. Vi porgo ancora le mie scuse... ma non occorre che alziate la voce.» Lei si divincolo'. «Certo, signore. Il pasticcio però l'avete combinato e io delle vostre scuse non so che farmene!» «Fatemi vedere...» Le tolse di mano gli occhiali per esaminarli. Una delle lenti era ancora intatta, mentre l'altra si era frantumata e solo una grossa scheggia era rimasta attaccata alla montatura. Tristan si tolse di tasca il fazzoletto ed estrasse con cura il frammento acuminato. «Ecco fatto...» «Ma bravo! Che bella soluzione!» sbotto' lei con sarcasmo. «Che succede, Odyle?» Una donna più anziana si era avvicinata a loro, facendosi largo tra i curiosi che commentavano l'accaduto. «Oh, milady, quest'uomo mi ha urtata facendo cadere a terra i miei occhiali, e poi li ha calpestati rompendo una delle lenti!» spiegò con rabbia la giovane. Tristan non sapeva che cosa dire. «Suvvia, signore, non facciamo di un granello di sabbia una montagna...» Avrebbe potuto offrirsi di ripagare gli occhiali, ma non voleva sottoporre la giovane all'affronto di dover accettare del denaro da un perfetto sconosciuto in un luogo pubblico. «Siete Lord Brisbane, non è vero?» gli domandò la donna anziana. «Sì» rispose lui, confuso, strizzando gli occhi per vedere meglio. La gentildonna si sporse verso di lui, rendendogli più facile identificare i lineamenti del suo volto. «Sono Lady Angelina Cartwridge, forse non siamo mai stati presentati, ma ho sentito parlare di voi.» «Lady Cartwridge...» Tristan era imbarazzato. «Molto lieto. Che faccenda incresciosa, come posso rimediare?» Lady Cartwridge sembrò non dargli retta. «Odyle cara, questo è Lord Brisbane. Sono certa che Sua Signoria non intendeva arrecarti alcun danno. Lord Brisbane, Miss Odyle Chagny, l'istitutrice delle mie nipotine nonché una mia cara amica.» «Miss Chagny.» «Lord Brisbane.» Si allontanarono mentre un uomo dall'aria distinta bofonchiava all'orecchio del suo vicino: «Non mi ero sbagliato, è proprio Lord Brisbane. Pensavo che a questo punto dell'anno si fosse già ritirato in campagna.» «A Blackborough? Scherzate? Quel posto è così sinistro che non ha neppure il coraggio di invitarci nessuno...»

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Capitolo 11
*** 11 Capitolo ***


Lady Angelina era riuscita a zittire momentaneamente Odyle, ma lei era ancora su tutte le furie. I suoi preziosi occhiali erano andati in frantumi e, come se non bastasse, l'idea di aver fatto una scenata, e a un nobiluomo per giunta, la faceva sentire a disagio. «Vi prego di scusarmi, Lord Brisbane, non intendevo comportarmi come ho fatto» disse con finta spavalderia. L'uomo borbotto' ancora un paio di scuse, poi parve recuperare l'atteggiamento di superiore distacco che era proprio del suo ceto. «Lasciate che vi accompagni a casa, così potrete riavervi da questa brutta esperienza.» «Oh, no! Siamo appena arrivate» esclamò Odyle. «Siamo scappate quasi di nascosto da casa di mio figlio per provare il brivido della perdizione di un posto come questo» sussurro' Lady Angelina, ammiccante. Le chiacchiere dei due sconosciuti, di cui non era riuscito ad afferrare più che poche parole, avevano irritato Tristan. Non era la prima volta che gli capitava di sentir mormorare a bassa voce il nome della sua tenuta e di cogliere vaghi riferimenti a Blackborough come a un posto misterioso, e questo non gli garbava per nulla perché avrebbe potuto essere l'inizio di un nuovo pettegolezzo sul conto suo e della sua famiglia. Doveva assolutamente cercare un modo per porre rimedio a quella incresciosa situazione, decise. Intanto avevano raggiunto una delle tende che oscuravano le uscite verso il foyer, e Lady Angelina l'aveva scostata un poco, consentendo alla luce di illuminare i loro volti. Tristan si ritrovò a trattenere il fiato. La giovane che accompagnava Lady Cartwridge era di una bellezza antica e sconvolgente. La carnagione chiarissima del viso era appena soffusa di un lieve rossore e gli occhi scuri e intelligenti erano contornati dalle ciglia più lunghe e folte che lui avesse mai visto; per non parlare dei suoi capelli, neri e lucidi, cui la luce del sole donava riflessi rossastri. A parte l'innegabile bellezza, tuttavia, c'era qualcos'altro in lei che lo colpiva, un senso di familiarità che non riusciva ad afferrare. «Non vi preoccupate per gli occhiali di Odyle» intervenne Lady Angelina interrompendo il flusso delle sue riflessioni, «Penserò io a farli aggiustare. Ci vorrà un po' di tempo, ma sono certa che non sarà un'impresa difficile.» «Mi sento in colpa.» Tristan sorrise gentilmente alla giovane. Odyle sentì scemare tutta la sua rabbia. Ora che lo vedeva in volto non riusciva più a tenergli il broncio. Lord Tristan Brisbane non possedeva il piglio altezzoso che immaginava tutti i nobili dovessero avere. Era alto e di corporatura imponente, tuttavia nel suo sguardo c'era un che di gentile e vulnerabile. Aveva una cicatrice sotto l'occhio sinistro e un'altra un po' più profonda sulla guancia che non lo rendevano affatto sgradevole; anzi, sul suo volto, diventavano caratteristiche interessanti. «Non dovete... Voglio dire... » Tutto a un tratto si sentiva imbarazzante. «Ormai il danno è fatto, ma sono solo occhiali e si possono riparare. Torniamo a goderci lo spettacolo, in Francia non sono mai riuscita a vedere niente di simile.» «Siete francese, Miss Chagny? Me lo domandavo, in effetti, sentendo il vostro accento. Davvero non avete mai visto il cinematografo laggiù? Dicono che venga proprio da Parigi!» «Non tutta la Francia e Parigi, sir... Io ho vissuto quasi tutta la mia vita in una piccola città e lì non è mai arrivato.» «Certo...» Lord Brisbane abbassò lo sguardo, intimidito. «Non volevo...» Lady Angelina, che per tutta la durata di quella stentata conversazione se ne era rimasta in disparte con un sorriso sornione, si decise a intervenire. «Che ne dite di farci da cicerone, Lord Brisbane? Il vostro interesse per la scienza è leggendario e sono sicura che ci potreste spiegare molto di quello che vediamo, sostituendo la nostra sciocca meraviglia con una più ravveduta consapevolezza.» Li aveva tratti di impaccio e Lord Brisbane parve di nuovo a proprio agio. «Ne sarei molto lieto, se solo mi garantite che le mie chiacchiere non vi annoieranno.» Accenno' un inchino compito e offrì a entrambe il braccio per poterle scortare. Odyle fatico' qualche minuto prima che i suoi occhi si abituassero di nuovo all'oscurità della sala, ma al braccio di quell'uomo imponente si sentiva al sicuro ed era una sensazione inaspettatamente piacevole. In tutta la sua vita non aveva mai cercato di farsi scudo di nessuno, sentendosi anzi piuttosto infastidita dagli atteggiamenti protettivi che alcuni uomini avevano cercato di adottare con lei. Ma Lord Brisbane non sembrava neppure consapevole della propria forza e la mascolinità che emanava da lui era mitigata dalla timidezza che gli faceva abbassare lo sguardo e tremare la voce. Lord Brisbane iniziò a spiegare loro il funzionamento della macchina di proiezione che, così gli avevano detto il giorno prima all'Empire, consisteva nel trascinamento di una pellicola dinanzi a un otturatore da cui usciva a intermittenza un fascio di luce bianca che proiettava sul telone del teatro le immagini, una alla volta. «Il principio è quasi lo stesso della fotografia, sapete? Solo che le immagini sono tante e, accostate l'una all'altra, creano l'illusione del movimento.» «È davvero incredibile che si riesca a registrare in questo modo la realtà.» Una donna piuttosto corpulenta si avvicinò a loro, sbirciando e strizzando gli occhi nella penombra. «Angelina? Sei proprio tu?» «Penelope? Oh, mia cara, anche tu qui! La curiosità è proprio donna!» esclamò Lady Cartwridge abbandonando il braccio di Lord Brisbane per raggiungere l'amica. «Angie, mia cara, dovrei proprio chiederti un parere, non è che puoi dedicarmi cinque minuti?» Lady Cartwridge lanciò un'occhiata alle proprie spalle. «Non temete, milady, Miss Odyle e io vi aspetteremo qui» le assicurò immediatamente Lord Brisbane. «Intanto cogliero' l'occasione per annoiare un po' la vostra amica.» A un cenno del capo da parte di Odyle, Lady Angelina si sentì libera di andare. «Non mi annoiate affatto, milord» spiegò Odyle con un filo di voce. «Queste novità mi appassionano.» «Davvero?» «Si. Trovo incredibile quello che l'uomo riesce a fare. Penso che un giorno, magari neppure troppo lontano, riuscirà ad arrivare anche sulla luna.» Tristan era stupefatto. Tutte le donne che aveva conosciuto, compresa Christina, non avevano mai degnato della minima attenzione un argomento simile. «Siete una donna davvero molto particolare...» Doveva ammettere di sentirsi stranamente a proprio agio con quella ragazza, ma forse era solo grazie al buio della sala. «Strana, quindi?» gli domandò lei. «No, la stranezza implica una connotazione negativa... e in voi non vedo alcunché di... » Stava per dire "meno che perfetto", ma ci ripenso'. «... negativo» ripeté. Passeggiava al buio, al fianco di un uomo che era poco più che uno sconosciuto per lei, eppure aveva l'impressione che avrebbe potuto rivelargli tutto di sé e che lui l'avrebbe capita e tenuta al sicuro, pensò Odyle. Era, ovviamente, una sciocca illusione, con tutta probabilità dettata dall'atmosfera irreale dell'oscurità. Intorno a loro non c'erano che ombre e contorni di figure, e davvero pareva che fossero gli unici al mondo. «Tutto questo mi fa venire in mente l'allegoria della realtà descritta da Platone nella Repubblica» commento' quasi sovrappensiero Odyle. Noto' che Lord Brisbane si era voltato e la guardava incuriosito. «Platone descrive un gruppo di uomini che sin da bambini sono stati incatenati sul fondo di una caverna e che possono vedere solo la parete davanti a loro; quando, alle loro spalle, viene acceso un fuoco davanti al quale vengono fatte danzare delle figure, loro vedono la silhouette che queste proiettano sulla parete.» Si accorse che Brisbane la seguiva con attenzione, e proseguì. «Queste ombre, secondo Platone, sono per gli uomini incatenati nella caverna l'unica realtà conosciuta e di conseguenza vengono scambiate per il mondo reale.» «Non finite mai di stupirmi. E che cosa vorrebbe dire Platone con questa storiella?» le domandò. «Be', voleva sottolineare l'apparente contrasto tra la conoscenza sensibile, ossia la realtà quale essa ci appare, e la conoscenza intelligente, cioè la vita nella dinamicità del suo divenire.» «In poche parole, ciò che vediamo spesso non corrisponde alla realtà delle cose» commento' lui. «Più che altro penso volesse esortarci a cercare di approfondire le nostre conoscenze del mondo e a non fermarci alla superficie delle cose» spiegò Odyle. Quella ragazza era davvero incredibili, pensò Tristan mentre, passeggiando, arrivarono a una zona più oscura, in fondo alla sala. La sensazione del seno di lei che gli sfiorava leggermente il torace gli provocava un forte turbamento e dentro di sé ringraziò il cielo che il buio celasse la reazione decisamente sconveniente del suo corpo traditore. Era incorreggibile. Da qualche settimana a quella parte non faceva altro che pensare al sesso, e di notte lo sognava. Ma non gli era mai successo di essere così turbato in un luogo pubblico, con tutte quelle persone attorno! «È davvero strano che una donna sappia parlare di questi argomenti» disse in fretta, cercando di pensare ad altro. «Strano ha una connotazione negativa» gli fece il verso lei, parafrasando ciò che gli aveva sentito dire poco prima. «Siete uno di quegli uomini che non credono che una donna possa capire ciò che legge?» Non c'era durezza nella sua voce, solo una vaga nota divertita. Tristan, però, non riusciva a pensare a una risposta. Ovviamente, non era così, ma... Qualcuno, passando accanto a loro, urto' contro Odyle sospingendogliela addosso. La ragazza inciampo' e Tristan, d'istinto, la attirò a se per sostenerla, stringendola al petto. Seguirono alcuni istanti di completo smarrimento. I loro occhi si erano abituati alla penombra e ora poteva vedere con chiarezza lo sguardo stupito e allarmato di lei. In quella posizione, non doveva esserle sfuggito il motivo del suo imbarazzo e Tristan non sapeva che cosa dire. «Odyle... io...» balbetto', scordando che un vero gentiluomo non si sarebbe mai permesso di chiamare per nome una giovane conosciuta da poco. Gli occhi scuri della ragazza lo fissarono per qualche istante. Poi lei sollevò una mano e gli accarezzo' con delicatezza la guancia, laddove lui si sarebbe aspettato uno schiaffo. Quindi si staccò velocemente da lui e, senza una parola, scappò via. Odyle salutò in fretta Lady Cartwridge, dopo aver trascorso un buon quarto d'ora insieme a lei in carrozza senza quasi fiatare. La nobildonna si era accorta che qualcosa aveva turbato la sua giovane amica, ma durante la traversata della Manica aveva imparato a conoscere Odyle e sapeva che, nonostante le forti passioni che la infiammavano, era una giovane riservata. Forse stava ripensando all'esperienza del cinematografo, si era detta, oppure... Lady Angelina ricordava l'espressione risoluta e turbata al tempo stesso con cui la sua giovane protetta aveva guardato la costa francese che si allontanava. Allora si era chiesta se avesse fatto la cosa giusta offrendosi di portarla con sé. Dopotutto Odyle, oltre a essere francese, era stata abituata a un genere di vita molto diverso da quello che l'aspettava in Inghilterra. E poi c'era la questione della lingua. Perché, aveva pensato Lady Cartwridge, aggrottando la fronte nell'attimo stesso in cui se ne era resa conto, fino a quel momento avevano sempre parlato in francese. Poi Odyle aveva guardato ancora l'orizzonte, ma nella direzione verso cui erano dirette, e con un sorriso aveva iniziato a parlare in un inglese perfetto, quasi senza ombra di accento. E Lady Angelina aveva capito che si era calata nella parte. «Odyle, aspetta!» Aveva quasi scordato la lettera che era stata recapitata a casa sua quella mattina, ma sapeva che il suo arrivo sarebbe stato salutato con gioia.

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Capitolo 12
*** 12 Capitolo ***


Odyle tornò sui propri passi, con uno sguardo interrogativo. «Avvicinati un po'... ecco. » L'anziana gentildonna le porse la busta che aveva tenuto in tasca per tutto il giorno. «Oh... grazie. Grazie, Lady Cartwridge.» Per un istante, le era tremata la voce, ma poi si era ripresa e, dopo essersi messa in tasca la lettera, si era chinata per baciare la mano della sua benefattrice. La donna però l'aveva attirata a sé e le aveva stampato due calorosi baci sulle guance. «Ora và, sono sicura che le mie nipoti avranno sentito la tua mancanza.» Odyle era rientrata in casa corroborata da una nuova energia. Si sarebbe presto dimenticata dello strano episodio con Lord Brisbane, si disse. Ora doveva soltanto trovare un po' di tempo da dedicare alle parole di Claude. Westley la accolse con la solita aria altezzosa. «Bentornata, Miss Chagny» la salutò, compito. «Grazie, Westley» rispose lei tentando di imitare la cantilena. Dopo avergli porto il mantello, che aveva insistito per togliersi da sola, passò davanti al maggiordomo con una smorfia di disapprovazione identica a quella che lui stava facendo mentre la osservava sparire lungo il corridoio. Forse si sarebbe potuta rifugiare per una mezz'ora in biblioteca con la scusa di cercare dei brani da leggere alle bambine, riflette' Odyle. Una volta lì era certa che nessuno l'avrebbe disturbata visto che era l'unica stanza della casa a rimanere invariabilmente deserta. Passando accanto al salottino cinese, notò che la porta era aperta e non seppe resistere all'impulso di sbirciare all'interno. Lady Moran era da sola e, come sempre, era in piedi accanto alla finestra che si affacciava sul giardino. Teneva in mano una tazza di tè e tremava visibilmente. Odyle si sentì sommergere da un'ondata di compassione per quella donna così fragile e tanto diversa da lei. Non poté resistere all'impulso di bussare. «Milady...» Lady Emma si voltò verso di lei. Aveva gli occhi pieni di lacrime e lo sguardo smarrito. «Si...?» «Scusate, forse non dovrei permettermi... ma mi domandavo se potevo chiedervi un consiglio.» La lettera di Claude avrebbe potuto aspettare un po', si disse, e le bambine erano al piano di sopra a giocare. E quella era un'ottima occasione per cercare di capire quella strana creatura. «Accomodatevi...» Lady Emma si limitò a farle un cenno del capo, poi prese posto sulla poltrona e rimase in silenzio. Odyle si schiari' la gola, cercando freneticamente qualcosa da dire. «Ebbene... non è molto che sono arrivata a Londra e ... mi chiedevo...» Lady Emma l'ascolto' in assoluto silenzio. «Insomma, vorrei farmi confezionare qualche vestito...» Come scusa poteva andare, sì. «Sapreste darmi dei consigli... o magari aiutarmi a trovare una sarta?» Sospirò, sperando di non aver infranto qualche regola dell'etichetta arrischiandosi a toccare quell'argomento con la sua padrona. Lady Emma non parve affatto turbata dalla sua richiesta. Rimase impassibile, come Odyle era ormai abituata a vederla. «Una sarta? Forse...» «Si?» «Forse potrei accompagnarvi dalla mia... anche se è molto tempo che non ci vado.» «La vostra?» Odyle non credeva che avrebbe potuto servirsi della stessa modista di Lady Moran, ma dal momento che la sua era solo una scusa, non si lasciò sfuggire l'opportunità. «Se è molto tempo che non andate a farvi confezionare un abito, allora potremmo andarci insieme. Che ve ne pare? Non fa ancora troppo freddo e al mattino il sole è caldo.» Lady Emma abbassò lo sguardo sulle proprie mani, indecisa. «Non saprei...» «Sono sicura che potreste sorprendere vostro marito con un bel abito nuovo. Aveva colpito nel segno. Emma alzò gli occhi e la fissò, impaurita. «Michael...?» Degluti'.«Non penso che lo noterebbe...» Scosse lievemente il capo. «E forse ne sarebbe infastidito.» Odyle la guardò aggrottando la fronte. Aveva notato il comportamento distante dei due coniugi e, fino a quel momento, l'aveva imputato alla vita ordinaria che conducevano, ma ora iniziava a pensare che ci fosse dell'altro. «Oh, io non credo...» Furono interrotte dal rumore prodotto da due paia di piedini che scalpitavano nel corridoio. «Miss Odyle! Miss Odyle!» Gridò Ernestine entrando e gettandosi in grembo all'istitutrice. Odyle notò che Lady Emma aveva sussultato. «Bon jour, Mademoiselle» la salutò compita Agnese, raggiungendola. «Oh, bon jour à vous, ma petite amie. Comment ca va?» «Tres bien. Avevate promesso che ci avreste raggiunte non appena foste tornata» aggiunse la bambina tornando all'inglese. «Avete ragione, Agnese, ma prima volevo passare in biblioteca a scegliere un libro su cui fare esercizio.» «Un libro? Ma sarà noioso!» si lamento' Ernestine sbattendo più volte la testa sulle sue ginocchia. «Oui, tres ennuyeux!» sentenzio' seria Agnese scuotendo il capo. «Anche se si trattasse di una bella storia? Sono sicura che riuscirò a trovare un romanzo abbastanza avventuroso da appassionarvi!» A quel punto fu Lady Emma a intervenire, benché con una certa timidezza. «Un romanzo? Miss Chagny, siete sicura che sia un genere di lettura che può far loro del bene?» «Altroché!» rispose Odyle scattando in piedi. «Avanti, piccole investigatrici, ora andiamo in biblioteca e cerchiamo di trovare qualcosa di adatto. Vediamo chi di voi due sarà più brava a trovare un titolo interessante. Volete venire con noi, milady?» Emma la guardò, spaesata. L'alternativa era rimanersene con le mani in mano a fissare la stanza o, tutt'al più, il giardino per il resto del pomeriggio. «Va bene» acconsentì. La biblioteca di casa Moran non era molto vasta. Occupava una piccola stanza e, come aveva considerato Odyle poco prima, era uno dei locali meno frequentati dell'abitazione, tanto che spesso la servitù si scordava di accendervi il fuoco. «Per fortuna oggi è una giornata di sole» commento' Odyle rabbrividendo mentre scostava le tende. «Se apriamo le finestre, forse riusciremo a scaldarci un po'.» «Io voglio andare a giocare di sopra!» si lamento' Ernestine. «Anche questo è un bel gioco, vedrete. Siamo degli esploratori che devono trovare dei tesori perduti.» «Ma i libri sono sempre stati qui...» protesto' Agnese arricciando il nasino. «È vero... però sono chiusi. Vedi, Agnese, ogni libro è... diciamo... magico.» «Davvero?» Ernestine le si era avvicinata con lo sguardo sognante. «Sì. Dentro ogni volume si nasconde un mondo intero, con personaggi e storie fantastiche. Basta solo aver voglia di ascoltarli e... puff... ci si trova immerso in un'altra realtà.» Le bambine, a quel punto, sembravano molto eccitate all'idea di tuffarsi in altri mondi grazie alla lettura e presero a frugare tra gli scaffali alla ricerca di qualcosa che potesse fare al caso loro. Dopo mezz'ora di infruttuose ricerche, tuttavia, Odyle e le due bimbe si guardarono, rattristate. «Non ci sono mondi qui dentro, Miss Chagny!» si lamento' Ernestine mettendo il broncio. «Solo carta stampata e parole incompatibili.» In effetti, sugli scaffali di legno che rivestivano le pareti della stanza erano raccolti esclusivamente volumi che contenevano saggi di argomento legale ed economico che poco potevano interessare a quelle giovani lettrice. Odyle sbuffo' cercando di non perdersi d'animo e si tolse una ciocca di capelli dal viso. «Vorrà dire che chiederemo il permesso di comprarne qualcuno...» disse, risoluta. Lanciò un'occhiata a Emma, che aveva visto passeggiare su e giù per la stanza torcendosi le mani, senza toccare neppure un libro. «Che ne dite, milady, potremo permetterci una visita in qualche libreria?» le domandò. Emma era confusa. Un ricordo dolce e terribile l'aveva aggredita non appena era entrata in quella stanza e non voleva lasciarla in pace. Forse... Non rispose subito all'istitutrice ma, avvicinandosi a uno scaffale, alzò il braccio nel tentativo di afferrare un volume. Niente, il ripiano era troppo alto.

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Capitolo 13
*** 13 Capitolo ***


Lady Emma si guardò in giro e prese la sedia vicino alla scrivania, accostandola alla parete. «Milady, volete che chiami qualcuno... oppure, se preferite, potrei farlo io...» sentì dire da Miss Chagny. Emma alzò una mano, intimando a Odyle di lasciarla fare, quindi raccolse la gonna, alzandola da terra di una buona spanna così che si intravidero gli scarponcini e le caviglie. Poi salì sulla sedia sotto gli occhi esterrefatti delle figlie, che la guardavano come se stesse facendo una capriola all'indietro sospesa a una fune, e raggiunto il ripiano estrasse un pesante volume rilegato in pelle che tese a Odyle. Il libro era un grosso tomo scuro dalle pagine ingiallite. «L'avvento dell'era commerciale. Londra e le spezie dell'Oriente» lesse sul frontespizio la giovane istitutrice. Proprio non capiva come avrebbe potuto esserle utile... ma, quando tornò ad alzare gli occhi, si accorse che Lady Emma le aveva passato quel tomo solo per avere le mani libere di frugare in fondo allo scaffale, da dove aveva estratto un libricino più piccolo e molto rovinato che ora teneva tra le mani con la cura con cui avrebbe sostenuto un nido di uccellini. «Aspettate, datelo a me, così vi aiuto a scendere.» Le porse una mano, ma Emma non volle cederle il libro, preferendo stringerlo al petto mentre, lasciata andare la gonna, si afferrava allo schienale della sedia per non perdere l'equilibrio. «Cos'è mamma, cos'è?» Agnese le ballava intorno, con gli occhi brillanti per l'euforia. Una madre tanto intrepida da salire in piedi su di una sedia per cercare un tesoro segreto nei meandri della libreria, quella sì che era stata una scoperta! Lady Emma osservò per qualche istante la copertina logora. Odyle guardò la sua padrona, incredula. Quella donna aveva appena compiuto un gesto sensazionale: aveva custodito quel tesoro per chissà quanto tempo e, in quel momento, aveva deciso di condividerlo con le sue figlie e con lei. Prese il volume che ora Emma le porgeva. «Il giro del mondo in ottanta giorni, di Jules Verne!» esclamò. Conosceva bene quel romanzo: da bambina, lo aveva letto e riletto molte volte. «Come...?» Aprì il libro e sul foglio di guardia trovò un appunto scritto a mano, in calligrafia incerta e un po' infantile. "Questo libro appartiene a Emma Sullivan. 1879", lesse. Era un cimelio dell'infanzia di Lady Emma e, dalle pagine piene di orecchie e sottolineature, sembrava che anche lei l'avesse molto apprezzato. «Possiamo leggerlo?» le domandò Odyle, consapevole che il loro addentrarsi in quella lettura avrebbe potuto turbare la gentildonna, per la quale quel libro era stato evidentemente un oggetto molto personale. «Possiamo, mammina?» le fece eco Ernestine. Emma guardò il volto della figlia più piccola, che era un po' sporco di polvere. Le accarezzo' quasi distrattamente la guancia. «Sì...» Dopo essersi spolverata le mani sul vestito, aver rassettato il grembiule di Agnese e tolto con un fazzoletto la macchia di polvere sulla guancia di Ernestine, Odyle si accinse a lasciare la biblioteca. «Credete davvero che leggere quella storia farà loro del bene?» le domandò Lady Emma, che le aveva posato una mano sul braccio per richiamare la sua attenzione. Le bambine l'avevano già preceduta al piano di sopra e Odyle guardò la padrona, che abbassò gli occhi. «Che cosa temete esattamente, milady? I libri non fanno certo del male. La cultura è una cosa buona, anche se impartita a delle ragazzine.» Emma la guardò e abbozzo' un sorriso. «Quando ero giovane, leggere era il mio passatempo preferito ed ero arrivata al punto di scambiare alcuni dei miei ninnoli con dei romanzi che le mie amiche avevano e io no.» Scosse il capo tristemente. «Poi mia nonna lo scoprì e si infurio' con me perché diceva che se avessi continuato a leggere mi sarei rovinata la vista e il cervello e non avrei mai trovato marito.» «Ma non è stato così» la rassicuro' Odyle. «Perché ho smesso di leggere» le spiegò Emma. «Fui mandata in un collegio e ne uscii solo l'anno in cui feci il mio debutto in società. Poco dopo conobbi Michael e ci sposammo.» «E da allora non avete più letto nulla?» «Solo ciò che era approvato dalla scuola. Tutti i miei romanzi furono buttati via.» «A parte Il giro del mondo...» «Si... Era abbastanza piccolo perché riuscissi a tenermelo nascosto addosso» spiegò Emma con riluttanza, come se stesse rivelando un inconfessabile segreto. «Penso di essermelo tenuto nella fodera dei vestiti per mesi, prima di fidarmi a nasconderlo da qualche parte.» Era incredibile, pensò Odyle scrutando negli occhi chiari della donna. Sotto quell'aria torpida e assente si celava una donna che, se anche non aveva avuto coraggio di ribellarsi apertamente a ciò che le avevano imposto, tuttavia, a modo suo, ci aveva provato. Era come scoprire delle braci sotto la cenere di un vecchio focolare. «Lady Emma, quelli sulla lettura sono vecchi preconcetti ormai superati. Oggigiorno, tutte le signorine di buona famiglia leggono.» «Avete ragione, ma non riesco a pensare di sfogliare un libro senza sentirmi una cospiratrice.» Impulsivamente Odyle le accarezzo' la guancia. «Milady, il piacere della lettura è simile a quello del gioco... è un'evasione dalla realtà; e nel gioco si può essere chi si vuole, anche dei cospiratori. In fondo, non è poi così male avere un segreto, e questo in particolare è talmente innocente...» Gli occhi di Emma parvero traboccare di speranza quando tornò a guardarla.«Grazie.» Poco dopo avevano raggiunto le bambine nella nursery e, a turno, avevano letto le pagine del romanzo ritrovato, soffermandosi ad analizzare la trama e i personaggi. Nei giorni successivi, Odyle si sarebbe procurata un atlante e un libro di geografia per studiare i progressi di Phileas Fogg e approfondire con Agnese ed Ernestine gli usi e i costumi dei paesi che avrebbero attraversato. Finalmente, prima di andare a letto, Odyle riuscì a trovare un po' di tempo da dedicare alla sua lettera. Dopo essersi spazzolata a lungo i capelli e averli legati in una lunga treccia, osservò la missiva alla luce della lampada ad olio che ardeva sulla sua scrivania. La busta non era indirizzata a lei, bensì a Lady Cartwridge, ma entrambe sapevano che la lettera che conteneva era per lei, dal momento che l'indirizzo era stato vergato con inchiostro rosso, segnale che lei e Claude avevano convenuto come marca di riconoscimento della loro corrispondenza. Odyle strappò in fretta il bordo della busta. Mia cara amica, non è passato molto tempo da quando te ne sei andata, eppure già mi manchi terribilmente. Parigi sembra più vuota e lugubre senza di te... Avrei voluto darti mie notizie prima, ma non ero sicuro che fossi giunta a destinazione. Inoltre, una terribile tosse mi ha costretto ad allontanarmi dalla città quasi subito dopo la tua partenza, e a riparare a Nizza, a casa di alcuni parenti, dove il clima è più mite e salubre. Niente tuttavia ha distolto il mio pensiero da te, e cosi, non appena ho potuto, sono tornato in città dove mi sono recato in visita dai tuoi genitori fingendo di cercare tue notizie. Tua madre e tuo padre sembrano molto abbattuti per via della tua fuga, quasi increduli, ma il personaggio che mi ha stupito maggiormente è il nostro R. (non credo che tu abbia potuto dimenticarlo) che sembra non darsi pace. Che il diavolo se lo porti, quel demonio! Non so che cosa gli abbia preso. Me lo trovavo intorno quasi tutti i giorni in accademia, nei locali, persino al circo! Degli amici mi hanno detto che ha preso a frequentare alcune famiglie circensi di provincia, nella speranza di trovarti nascosta presso di loro. Non so cosa si aspetti... magari di vederti sbucare da una vasca piena d'acqua con la coda da sirena! Dovrai rimanere a Londra ancora per un po', tesoro mio, e avere pazienza. Spero che tu abbia trovato molte cose di tuo gradimento nel baule... e spero che i tuoi impegni non ti facciano abbandonare le antiche passioni. Sarebbe un vero peccato. Con tutto il mio affetto, Claude. Odyle si era stretta al petto la lettera e non aveva potuto impedire a un singhiozzo di sfuggirle dalle labbra. All'incirca una settimana dopo, Emma stava in piedi, immobile, davanti al grande specchio della sua stanza. Chi era quella donna pallida e con gli occhi cerchiati che la fissava da quella superficie riflettente? Quando vi faceva caso, stentava a riconoscersi, lei che da ragazzina era stata spesso tormentata da pizzicotti sulle guance e sulle braccia paffute! Come aveva fatto a ridursi così? Leopold... era stato a causa di Leopold che era diventata quel involucro vuoto che si aggirava per le stanze senza una meta. Ma non doveva pensarci, si disse. Non doveva pensarci, o gli occhi le si sarebbero riempiti di lacrime e avrebbe finito per impazzire di dolore. «Emma?» Michael, entrando nella stanza, l'aveva colta di sorpresa, facendola trasalire. «Emma, che cosa ci fai lì mezza nuda?» Non aveva potuto fare a meno di notare che si era tolta i vestiti e stava osservando il suo riflesso coperta dalla sola sottoveste. «Perché sei entrato?» «Perché ti sei spogliata?» «Volevo cambiarmi per la cena» rispose secca lei, sporgendosi verso il vestito che aveva appoggiato sul letto. «Sono solo le tre del pomeriggio.» «Davvero?» Lo guardò, smarrita. «Volevi dirmi qualcosa? Perché sei entrato in camera mia con tutta quella urgenza?» Michael la squadro' da capo a piedi, prima di rispondere. «Volevo avvertirti che stasera ho un impegno e uscirò subito dopo cena.» «Capisco...» Gli voltò di nuovo le spalle e si chino' per sollevare l'abito nel quale era entrata. Michael si avvicinò e rimase in piedi dietro di lei, osservandola attraverso lo specchio, il fiato corto e una luce torbida negli occhi. «Emma...» La mano del marito si posò sul suo ventre in una carezza. Emma chiuse gli occhi e sentì le labbra di lui scivolarle sul collo e percorrerle le spalle, mentre le sue mani si chiudevano con delicata fermezza sul seno. La desiderava... L'avrebbe fatta distendere sul materasso, avrebbe tirato le tende e chiuso a chiave la porta per prenderla ancora, come aveva fatto tante volte molto tempo prima. Prima che nascessero Agnese, Ernestine e Leopold... «No!» gridò respingendolo con tutte le proprie forze. «Vattene! Vattene! Vattene!» urlò tempestando di pugni il suo torace. Lui si allontanò di scatto e le permise di infilarsi il vestito mentre si passava una mano tra i capelli e cercava di placare il desiderio che l'aveva assalito. «Non sono un bruto e non prendo le donne contro la loro volontà» le disse, contenendo a stento la rabbia. «Ma tu sei mia moglie e non puoi comportarti cosi!» Tornò da lei e le afferrò il mento con una mano, obbligandola a guardarsi ancora nello specchio. «Lo vedi cosa sei diventata? Vedi come hai fatto diventare me?» Lo sguardo di Emma percorse la superficie dello specchio fino a posarsi sul riflesso del marito. Anche lui aveva gli occhi cerchiati e le guance scavate, notò. «Anch'io provo dolore, Emma! Anche io ho dei sentimenti. Come te!» «Non è vero!» piagnucolo' lei cercando di liberarsi. «Tu hai continuato a vivere... io invece sono morta!» Il riflesso di Michael aveva uno sguardo feroce. «Non è vero, non sei tu a essere morta!» La fece girare verso di sé, la guardò per un lungo istante negli occhi e poi la spinse con violenza sul letto, uscendo dalla stanza e lasciandola sola. Odyle era rimasta nel corridoio, senza sapere bene che cosa fare. Aveva sentito le grida provenire dalla stanza di Lady Emma, dove si stava recando, ed era rimasta a metà del tragitto con il libro tra le mani, incerta sul da farsi. Non appena aveva sentito la porta che si apriva, si era nascosta in una delle nicchie che ospitavano degli orrendi busti di marmo e aveva visto Lord Moran passarle davanti con un'espressione furiosa sul volto. Possibile che quell'uomo non riuscisse a lasciare in pace la moglie? Perché la torturava? Si era convinta che Lord Michael facesse parte della congiura che si era serrata attorno alla povera Lady Emma, imprigionando il suo suo spirito dentro una vita e un ruolo troppo stretti per lei. Non appena lo vide scendere le scale, trovò il coraggio di avvicinarsi alla porta. Era socchiusa, e dal pertugio riusciva a vedere i piccoli piedi della sua padrona che sporgevano dal letto e sobbalzavano per i singhiozzi. In silenzio senza far rumore, appoggiò a terra il volume che aveva acquistato quella mattina e lo spinse oltre la soglia.

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Capitolo 14
*** 14 Capitolo ***


Al piano di sotto, Michael stava strappando con ferocia il proprio cappello e il soprabito dalle mani di Johnatan Cage, il primo lacchè, che lo guardava intimorito. Westley, intanto, si era avvicinato ai due, pronto a salutare il padrone che usciva. «Dite a milady che starò fuori anche a cena» ringhio' calandosi in testa il cappello. «E che non so se tornerò a dormire.» Si pentì subito di quella frase, ben sapendo quanto ai domestici piacesse spettegolare dei propri padroni. Alcuni vigorosi colpi alla porta d'ingresso lo indussero a fermarsi di colpo. Lui e Johnatan Cage si scambiarono uno sguardo stupito mentre Westley, che non smetteva mai la sua maschera di alterigia, si avvicinava all'uscio per aprire. «Buon giorno... il mio nome è Tristan Brisbane. Risiede qui una certa Miss Odyle Chagny?» Michael trasali'. Di tutte le persone che avrebbe potuto trovarsi di fronte, Lord Brisbane era l'ultima che si sarebbe aspettato! Quanto tempo era passato dall'ultima volta in cui si erano visti? Ricordava alla perfezione quella terribile notte... e il litigio che ne era seguito. Michael fece un passo verso la porta, comparendo alle spalle del maggiordomo. «Brisbane» disse secco. Tristan fece un passo indietro, sbalordito. «Mich... Lord Moran» si corresse immediatamente. «Non pensavo che foste in casa...» «Qual buon vento, Brisbane?» gli domandò il padrone di casa senza tanti convenevoli, per poi accorgersi che Westley se ne stava ancora lì di fronte a lui, impalato. «Volete entrare? Gradite un bicchiere di sherry? Oppure del brandy.» Tristan Brisbane parve impacciato e abbassò gli occhi sulle proprie scarpe un paio di volte prima di rispondere: «Io... Sì... grazie...» Tristan fece un passo ed entrò nell'atrio. «Stavate uscendo?» Solo in quel momento, infatti, aveva notato il cappello e il soprabito che Michael si era infilato in fretta e furia, allacciandosi scompostamente alcuni bottoni. «Io... no... cioè sì. Lo farò più tardi, non vi preoccupate. Accomodatevi. Desideravate vedere Mademoiselle Chagny?» Si rivolse al maggiordomo. «Vi prego, fate chiamare Mademoiselle e chiedetele di raggiungerci non appena le sarà possibile.» Michael fece strada a Tristan verso il salotto e ordinò che venisse servito loro del brandy. Poi si sedettero in poltrona, l'uno di fronte all'altro e attesero che il cameriere li lasciasse soli con la bottiglia di liquore e i bicchieri sul tavolino. Si studiarono con circospezione per un po', ma sembrava che nessuno dei due avesse il coraggio di aprire bocca. «Ebbene...» iniziò Tristan. «Non...» attacco' contemporaneamente Michael. Entrambi rimasero in silenzio. «Non ti ho più visto allo Stelo d'oro... non ci sei più venuto» disse Lord Moran, passando al tu ora che erano rimasti soli. «Te l'avevo detto che intendevo tirarmene fuori, Michael. Stavo perdendo il senso della realtà... il controllo della mia vita.» «E hai pensato bene di abbandonare gli amici» lo rimprovero' Moran spostando lo sguardo sul liquido ambrato che faceva roteare nel proprio bicchiere. «Sono gli amici che hanno abbandonato me. Insieme, avremmo potuto aiutarci, se solo tu avessi voluto» ribatte' Tristan. Michael scosse il capo e guardò con rabbia Brisbane. «Tu forse hai potuto ricominciare, ma io no. Ogni cosa della mia vita mi lega al passato.» I suoi occhi corsero al ritratto fotografico della moglie, appoggiato sulla mensola del camino. Tristan lo guardò, severo. «Vuoi dire che ancora...» Michael si passò una mano tra i capelli scuri. «Una volta pensavo che capissi, Tristan. Ora non lo so più.» Tristan si sporse verso l'amico. «No infatti, probabilmente non capisco... e neppure tu. Col tempo le cose si trasformano, Michael, e le scuse che accampi per frequentare quel posto non sono più valide. È passato troppo tempo.» Lo fissò per un lungo istante con disapprovazione. «Stavi andando là!» disse secco, alla fine. «Smettila!» sbotto' Michael, scattando in piedi. «La tua opinione non mi interessa. Non hai il diritto di farmi la predica, è chiaro?» Appoggiò entrambe le mani sulla mensola del camino e chino' il capo. «Tua moglie è morta... e mi dispiace sinceramente. Ma io ho perso la carne della mia carne... mio figlio.» Anche Tristan si alzò in piedi. «Stai perdendo molto di più, Michael.» Gli mise una mano sulla spalla. «Stai perdendo te stesso, e probabilmente, la tua famiglia.» Michael si voltò di scatto, allontanandolo con una mano. «La mia famiglia non è affar tuo!» ringhio' a pochi centimetri dalla faccia dell'amico. «Sei diventato un bigotto? Proprio non capisci, vero? È solo là che riesco a sentirmi me stesso... è solo là che ho la sensazione di ritrovare una parte di me.» «Quella notte non ti ha proprio fatto capire niente, dunque?» Tristan posò il bicchiere, che non aveva toccato. «È stato un incidente.» «Un incidente che si sarebbe potuto evitare se tu e Brady foste stati in voi. Ricordatelo.» Sentirono bussare lievemente alla porta ed entrambi si zittirono all'istante. «Avanti» disse Lord Moran. Odyle Chagny comparve sulla soglia. Sembrava sorpresa di vedere Lord Brisbane almeno quanto lo era stato Michael. «Buona sera... Miss Chagny...» Michael notò l'imbarazzo dell'amico e guardò di sottecchi la sua dipendente. Anche Odyle sembrava disorientata: le sue guance si erano lievemente arrossate e lo sguardo era subito corso alle mani non appena Brisbane si era voltato per accoglierla. Michael avvertì una fitta allo stomaco e si sentì pervadere da un rinnovato astio nei confronti di Tristan. «Vi conoscete, dunque?» «Si, Lord Brisbane e io siamo stati presentati da Lady Cartwridge, la settimana scorsa, al cinematografo» lo informò l'istitutrice. Tristan annuì. «E io sono stato tanto sbadato da farle cadere gli occhiali e romperli.» Abbozzo' un sorriso costernato. «Scusate, milord...» Sulla porta era comparso Westley. «Dite pure, Westley.» «La cuoca vorrebbe che il menù di stasera venisse approvato, prima di procedere... ma temo che milady si senta poco bene.» Si schiari' la voce, imbarazzato. Lord Moran si stropiccio' il viso con una mano. «Ci penso io. Lord Brisbane, volete scusarmi per qualche minuto?» «Non c'è problema, fate pure.» Non appena furono soli, Lord Brisbane si sistemo' gli occhiali sul naso e osservò la ragazza di fronte a lui. Era ancora stupito dalla bellezza e dalla perfezione dei lineamenti di quel viso. Gli faceva venire in mente una delle statue classiche che aveva visto al British Museum. Si schiari' la voce, prima di parlare. «Vi starete domandando il motivo per cui sono venuto a cercarvi fin qui.» «Siete venuto per me, milord? Pensavo aveste fatto visita a Lord Moran» replicò lei aggrottando la fronte. «Invece, siete venuto per me» concluse, sentendosi mancare il fiato per il modo in cui lui la stava guardando. «Volevo fare ammenda» spiegò Lord Brisbane con semplicità, frugando nella tasca della giacca. «Ecco.» Le porse un pacchetto stretto da un laccio marrone scuro. «Non posso accettare...» Era confusa, e non capiva perché mai quell'uomo avesse voluto farle un regalo. Di più, quel gesto la infastidiva, ricordandole l'insistenza di Victor nei suoi confronti, anche se a dire il vero in fondo al cuore ne era lusingata. «Non fraintendete, Mademoiselle Odyle, non vi è nulla di sconveniente... Apritelo, vi prego.» Gli occhi chiari dell'uomo tradivano un'inequivocabile sincerità e Odyle non poté che cedere alla richiesta. Per prima cosa, aprì la busta unita al pacchetto. Dentro c'era un biglietto scritto con una calligrafia netta e sicura. Diceva: Le più umili scuse per la mia goffaggine. Tristan Brisbane. L'astuccio custodiva un paio di lenti unite da un elegante montatura dorata. Odyle era senza parole. «Sono...» «Provateli, avanti» la esorto' lui. Odyle li indossò. Le lenti erano identiche a quelle che lui aveva rotto. «Come avete fatto?» Contento di poter svelare il trucco a cui aveva fatto ricorso, Lord Brisbane si frugo' nella tasca della giacca e le mostrò una scheggia della lente che aveva mandato in frantumi. «Ho solo sperato che entrambi i vostri occhi necessitassero della stessa gradazione...» «Sono perfetti, ma come avete fatto a procurarveli, in così breve tempo?» «Ho degli amici che si occupano di oculistica. Da Elliott Brothers, in St. Martin Lane... ma forse non conoscete ancora bene la città» spiegò. Odyle si tolse gli occhiali e li osservò. «Ve li ripaghero', ovviamente.» «No, vi prego: sono un regalo.» Abbassò ancora lo sguardo, imbarazzato. «E volevo anche scusarmi per il mio comportamento... inadeguato.» Odyle lo osservò per qualche istante e lo vide arrossire fino alla radice dei capelli. Ricordava alla perfezione l'episodio cui Lord Brisbane si riferiva e lei stessa era stata tormentata per diversi giorni da quel ricordo. Eppure, in quel momento, tutta l'importanza che lui dava all'accaduto le sembrò ridicola. Senza preavviso, rovescio' la testa all'indietro e si mise a ridere di cuore. Oltre a essere di un'indubbia bellezza, quella ragazza non smetteva di sorprenderlo, considerò Brisbane. Ora se ne stava a meno di un metro da lui e praticamente gli rideva in faccia, incurante delle sue preoccupazioni. Eppure... eppure la sua risata cristallina e sincera lo fece sentire meglio e gli permise di considerare quella faccenda, cui non aveva fatto altro che pensare con rammarico, da una diversa prospettiva. Studiò la curva del collo lungo e bianco di Odyle Chagny e si trovò a fantasticare ancora sulle sue labbra rosee. «Vi prendete gioco di me?» le domandò con un guizzo di ironia. «Non avete pietà per un povero vecchio che è venuto solo a implorare il vostro perdono?» «Non cercate di intenerirmi con queste moine, milord. Voi non siete affatto vecchio.» Lo guardò con aria maliziosa, abbozzando un sorriso. «Pensavo...» Tristan si mosse con la consueta goffaggine, urtando la mensola del camino con un gomito e facendo cadere una delle fotografie. Entrambi, senza pensarci, si chinarono per raccoglierla, afferrando la cornice e trovandosi a un palmo di naso l'uno dall'altra. Lui la guardò negli occhi e pensò che si sarebbe potuto tuffare in quei pozzi profondi e neri, perdendosi dentro di essi per l'eternità. Sentì il cuore accelerare e il fiato venirgli meno nel petto. Di nuovo, quella terribile sensazione che lo faceva sentire tanto a disagio si stava impadronendo del suo corpo... ordinandogli di agire in modo del tutto inappropriato. Si accorse di aver posato la mano su quella di lei, ma chissà perché non riusciva a spostarla. «Scusate...» disse infine sforzandosi di farlo. Anche Odyle non era rimasta indifferente a quel contatto. All'improvviso le era parso che il vestito le fosse diventato troppo stretto e che l'aria stentasse a entrarle nei polmoni. Era stato lo sguardo di lui a colpirla maggiormente. I suoi occhi blu scuro, dopo un primo momento, avevano assunto un'espressione triste e distante. Si alzò, con la fotografia tra le mani, e fece mezzo passo verso il camino per posarla di nuovo sulla mensola insieme a tutte le altre. Poi di colpo si fermò, fissando l'immagine che vi era riprodotta. Lord Brisbane e il resto della stanza, per un istante, scomparvero. Senza dubbio, la donna ritratta era Lady Emma, che nella foto, nonostante l'aria austera che si usava assumere in quei ritratti, sembrava molto felice. Accanto a lei due bambine, Agnese ed Ernestine come dovevano essere state tre o quattro anni prima, e un bambino che all'epoca doveva aver avuto all'incirca sei anni. E del quale Odyle non aveva mai sentito parlare. Avvertì un nodo alla gola. Non aveva mai fatto caso a tutte quelle fotografia e se ne rimprovero'. Di solito, era una buona osservatrice. Ma si era completamente estraniata dalla situazione, Lord Brisbane era appena dietro di lei e si sarebbe accorto che qualcosa non andava se non si fosse voltata di nuovo. Quel contatto gli aveva fatto perdere del tutto la ragione?, si stava chiedendo in quel preciso istante Tristan. E perché ogni volta che vedeva o sfiorava quella ragazza il suo corpo impazziva? In sua presenza si comportava come se fosse sotto l'effetto di una droga... Sembrava che il mondo scomparisse, o meglio si concentrasse in un'unica persona, quella strana Odyle Chagny che a stento conosceva ma da cui si sentiva attratto come da una calamita. Ora, per esempio, anche se sapeva benissimo di comportarsi in modo dissennato, non poteva fare a meno di fissarla inebetito mentre raccoglieva la cornice e la rimetteva al suo posto. Odyle rimase voltata, continuando a dargli le spalle, forse a disagio per lo strano modo in cui si stava comportando, e lui non riusciva a distogliere gli occhi dalla sua nuca... dai suoi capelli lunghi e neri che tentavano di ribellarsi alla crocchia, sfuggendo in qualche ricciolo lungo il collo. Se solo avesse potuto possedere uno di quei riccioli... Si accorse appena in tempo di aver inconsapevolmente proteso la mano verso di lei, come per fargli una carezza. Che cosa gli era preso? Doveva essere ammattito! «Ebbene...» La voce di Michael, sulla soglia, lo fece trasalire e anche Odyle si voltò di scatto. Tristan notò lo sguardo truce dell'amico, cui probabilmente non era sfuggito il suo strano comportamento. «Scusatemi ancora. Ci sono sempre mille faccende cui provvedere.» Michael si rivolse a Odyle. «Non temete, Mademoiselle, la cena è assicurata anche stasera.» La bella bocca di Odyle si irrigidi' in una linea severa. «Spero che per l'ora di cena vostra moglie si sentirà meglio» disse in tono sprezzante mentre serrava i pugni e accennava un passo in avanti. Michael abbassò lo sguardo, costernato. «Sono sicuro di sì» farfuglio' arrossendo. «E voi, Lord Brisbane... volete...?» «Oh, no, vi ringrazio. Mi attendono a casa per cena. Anzi, sarà meglio che mi affretti. Mademoiselle, spero di avere occasione di incontrarci ancora.» Accenno' un inchino. «Lord Brisbane, ancora grazie per la bellissima sorpresa» replicò lei. Gli occhi di Lord Moran corsero dall'uno all'altra. Poi storse il naso.«Vi accompagno alla porta» disse rivolto a Tristan. Odyle osservò i due uomini che uscivano dalla stanza e il suo sguardo si soffermo' in particolar modo sulle spalle di Lord Brisbane, che seguì fino a quando non scomparve in direzione dell'anticamera. Era davvero un tipo singolare, decise. Probabilmente era quella sua aria strana ad attrarla e metterla un poco sottosopra ogni volta che lo incontrava. Tornò a voltarsi verso la fotografia che era caduta dalla mensola e la rigiro' tra le mani, facendo scattare la piccola leva sul retro che teneva chiusa la cornice. Poi ne estrasse il cartoncino su cui era comparsa l'immagine, osservandolo da vicino. Le stesse facce. Lady Emma e i tre bambini. Voltò la fotografia. Dietro vi era scritta una data, 1894, e in fondo c'erano quattro nomi: Emma, Agnese, Leopold ed Ernestine. Leopold... Odyle infilò di nuovo il cartoncino nella cornice e la richiuse con cura. Quindi, dopo averla riposta sulla mensola del camino, decise di andare a controllare se Lady Emma si sentiva meglio. «Michael, dovresti smetterla di frequentare lo Stelo d'oro.» Tristan rivolse uno sguardo cupo a Lord Moran. «Ti credi proprio un sant'uomo, non è vero?» ribatte' Michael. Odyle si fermò dietro una colonna non appena sentì la voce aspra di Lord Moran. «Ti prego, Michael, vieni da me... ne parleremo...» gli stava dicendo Lord Brisbane, abbassando la voce pur mantenendo un tono risoluto. Moran lo afferrò per la giacca. «Forse, se non fosse stato per te, avrei già risolto i miei problemi da un pezzo!» I due erano soli nell'atrio. Probabilmente Westley era impegnato in altre faccende, in quel momento. «Che cosa diavolo stai dicendo, Moran?» invei' Brisbane, sembrando più alto di una spanna. L'altro rimase in silenzio, forse intimorito dallo sguardo feroce del suo ospite. «Vattene, Tristan. Non sei il benvenuto in casa mia. Non ti voglio più vedere... E non provare a gironzolare attorno alle mie dipendenti... non voglio scandali in casa mia!» Per tutta risposta, Tristan gli puntò entrambe le mani sul petto e lo spinse indietro di un passo. «Non permetterti mai più di insinuare ancora delle assurdità simili. Lei lasciala fuori dalle nostre questioni.» Odyle si appiatti' contro la parete e scivolo' via, verso il giardino. Era turbata dalla conversazione che involontariamente aveva origliato. Era chiaro che i due si conoscevano piuttosto bene e che, almeno un tempo, erano stati in rapporti amichevoli, vista la familiarità con cui si davano del tu. Ma poi, cos'era successo? «Guardate un po' come vi siete ridotta, Miss Ernestine... Avanti, laggiù c'è una fontana, correte a lavarvi le mani.» Odyle sorrise alla bimba e le raddrizzo' il cappellino. Aveva ottenuto il permesso di portare Ernestine ed Agnese a Hyde Park, approfittando di una delle ultime giornate di sole di ottobre. Le aveva guardate correre e giocare, infagottate nelle calde mantelle di lana, contenta che avessero l'opportunità di esprimersi e sfogarsi all'aria aperta. Dapprincipio Agnese si era rifiutata di muoversi, ostinandosi a rimanere seduta accanto a lei su di una panchina. Correre non si addiceva a una signorina, aveva detto. Poi però aveva visto la sorellina divertirsi nel prato, e non potendo resistere oltre alla noia di rimanere seduta con le mani in grembo, l'aveva raggiunta. Avevano giocato a rimpiattino, finché Ernestine non era scivolata in una pozzanghera, inzaccherandosi di fango il vestitino. «Santo cielo, Miss Odyle, cosa dirà papà?» Agnese scosse il capo osservando la sorellina sporgersi verso il getto d'acqua della fontanella per sciacquarsi le mani. Odyle si strinse nelle spalle. «Dirà che sarà meglio che Ernestine si cambi prima di cena, suppongo.» Ernestine indugiava accanto alla fontana, con le manine nell'acqua. «Ernestine, prenderete freddo.» Odyle si sedette accanto alla bambina e, tratto un fazzoletto immacolato dalla borsetta, le asciugo' il viso e le mani. «Vi siete fatta male, cadendo?» la piccola scosse il capo. «No... Stavo pensando... Credete che Mr. Fogg arriverà in tempo per vincere la scommessa? Sarebbe bello se fosse così, però ha già perso tanto tempo. Possiamo leggere un altro capitolo stasera?» Odyle rise di cuore. «Certo! E voi che siete coraggiosa come il nostro Mr. Fogg non vi siete neppure spaventata cadendo. Brava!» Spolvero' la veste alla bambina e la prese per mano. «Ora facciamo una passeggiata. Voglio farvi vedere alcune piante e insegnarvi un poco di botanica. Poi raccoglieremo delle foglie e le faremo seccare tra le pagine di un libro per farne dei quadretti.» A poco a poco, Odyle si stava adattando alla nuova vita, così diversa da quella che aveva condotto in Francia. Il tempo sembrava scorrere più lentamente e le giornate si stendevano di fronte a lei come un placido cammino su di una strada piana. A volte si sorprendeva di se stessa per la calma con cui riusciva ad affrontare ogni situazione. Era davvero lei che si comportava con comprensiva gentilezza con le due bambine che le erano state affidate? Era proprio lei che, in punta di piedi, con una discrezione che non l'aveva mai contraddistinta, cercava di consolare Lady Moran? Se solo qualche mese prima qualcuno le avesse fatto dono di uno specchio in cui vedere il futuro, avrebbe stentato a credere di poter essere così tranquilla, serena e giudiziosa.

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Capitolo 15
*** 15 Capitolo ***


Se all'inizio aveva imputato quella improvvisa calma, quella specie di assennatezza, alla paura di essere rintracciata da Victor Rouel, ora Odyle, era convinta di aver scoperto altri aspetti del proprio carattere. Anche se, doveva ammettere, spesso faticava a ricordarsi di essere solo un'umile istitutrice e arrivava quasi al punto di affrontare la situazione di petto, come era stata solita fare in precedenza. La scultura e le chiacchierate con Claude erano le cose che le mancavano di più, ma in cuor suo non si era rassegnata a rinunciarvi per sempre. Forse un giorno avrebbe avuto la possibilità di scolpire anche lì a Londra, di aprire un suo atelier, e magari avrebbe potuto riabbracciare il suo amico. Intanto, non usciva mai senza un blocco da disegno e alcune matite con cui potersi esercitare. Quel pomeriggio, per esempio, la luce del sole era forte e limpida e i raggi si infilavano attraverso gli alberi come lance di luce. Avrebbe desiderato dipingere... Agnese ed Ernestine erano un'ottima scusa: come tutte le signorine di buona famiglia, dovevano acquistare una serie di abilità che, in teoria, avevano lo scopo di metterle in risalto rispetto alle loro coetanee. Per quel giorno, tuttavia, si sarebbe limitata a sedere su una panchina e a tratteggiare in chiaroscuro ciò che catturava la sua attenzione, decise. Frugo' nella borsetta e ne estrasse l'astuccio dei nuovi occhiali. Le lenti erano ancora immacolate, e se avesse continuato ad averne cura, cosa che un tempo le sarebbe stata piuttosto difficile, ma che da quando era diventata un'istitutrice le riusciva facile come bere un bicchiere d'acqua, si sarebbero mantenute come nuove per un pezzo. Ogni volta che apriva quell'astuccio non poteva fare a meno di pensare a Lord Brisbane... Lord Tristan Brisbane, che glieli aveva regalati. Aveva sentito raccontare parecchi aneddoti sulla nobiltà inglese e, fatta eccezione per Lady Angelina, che a detta di tutti era una gentildonna alquanto eccentrica, si era aspettata freddezza e arroganza. Lord Brisbane, con il suo regalo, l'aveva spiazzata. Era un uomo strano e affascinante, pensò Odyle tracciando distrattamente dei segni sul foglio. E i suoi occhi blu erano così espressivi e profondi... Spesso gli occhi chiari facevano apparire freddo lo sguardo di una persona, invece nello sguardo di Tristan Brisbane si intuiva una specie di calore sopito, come se dietro la calma apparente si dibattesse un animale in gabbia. Guardò il foglio, sul quale erano comparsi occhi e sopracciglia dall'aria cupa e vagamente assorta. Di solito disegnava solo ciò che poteva vedere; aveva bisogno di avere davanti a sé un modello... ma in fin dei conti nella sua mente l'immagine di Tristan, era particolarmente vivida. E lei stava sprecando il suo tempo, quando invece avrebbe dovuto catturare con la matita il visetto allegro di Ernestine. Ernestine... Agnese! Era come se entrambe le bambine si fossero volatilizzate , fuggendo chissà dove per giocare o, magari, per farle uno scherzo. Odyle lasciò cadere l'album da disegno, raccolse la stoffa rigida della gonna e corse a cercarle, chiamandole a gran voce. Oddio, questa proprio non doveva capitarle! Dopo tante pressioni era finalmente riuscita a convincere Lord Moran dei vantaggi che derivavano dal trascorrere del tempo all'aria aperta... ed ecco che le sue figlie le sparivano da sotto il naso! Si avventuro' nel folto di un boschetto e prese a camminare a passo svelto, cercando di non incespicare nel vestito. I tronchi degli alberi erano sottili ma fitti e la costringevano a continui cambi di direzione. «Ecco, ferme lì... siete proprio bellissime» sentì dire da una voce maschile. Poi udì le risate sommesse delle bambine. Agnese ed Ernestine erano state avvicinate da un uomo! Trafelata, Odyle iniziò a correre nella direzione da cui provenivano le voci. Aveva sentito parlare di uomini privi di scrupoli che cercavano di molestare ragazzine di tutte le età e che, alle volte, prediligevano quelle molto giovani. Sentì un nodo alla gola e cercò di non fare caso alla fitta di nausea che le chiudeva lo stomaco. Finalmente raggiunse lo spiazzo al di là degli alberi dove un individuo, di spalle, era chino in avanti e sembrava armeggiare con qualcosa. I suoi pantaloni, pensò Odyle con orrore. Le bambine erano di fronte a lui e lo guardavano con innocente perplessità. «Tenete giù le mani da quelle bambine, maniaque!» gridò Odyle scagliandosi addosso allo sconosciuto e iniziando a tempestarlo di pugni. «Acc... ehi, smettetela!» L'uomo si era girato verso di lei e l'aveva bloccata afferrandola per i polsi. «Vous n'avez pas honte!» ringhio' Odyle in francese, continuano a dimenarsi senza tuttavia riuscire a sciogliersi dalla stretta. «Mademoiselle Odyle...» Un brivido caldo le attraversò la schiena facendola trasalire. Solo allora alzò gli occhi e guardò in faccia l'aggressore. «Trist... Lord Brisbane!» Odyle si voltò verso le sue protette che la fissavano stupite e imbarazzate. «Cosa pensavate che stessi facendo?» le domandò lui con uno strano bagliore negli occhi. Si stava prendendo gioco di lei? Si chiese Odyle. «Io credevo... be', ero molto preoccupata...» si schiari' la voce e si rese conto di essere ancora stretta al petto di Brisbane. «Ehm... permettete?» Tristan lasciò subito la presa e si gratto' il capo, abbassando lo sguardo, intimidito. Bastava un attimo perché tutta la sua spavalderia si dissolvesse come neve al sole. Che creatura straordinaria, si trovò a pensare Odyle aggiustandosi la solita ciocca di capelli che proprio non voleva saperne di rimanere al suo posto nello chignon. Poi si voltò verso le bambine. «Voi due! Come vi è saltato in mente di allontanarvi? Non vi avevo detto di rimanere lì di fronte a me?» Lo spavento che aveva preso le stava facendo alzare la voce e si accorse che il mento di Ernestine iniziava a tremare pericolosamente, annunciando un'imminente pioggia di lacrime. «Santo cielo, meno male che vi ho ritrovate... e che eravate qui con Lord Brisbane e non con qualcun altro!» «Lord Brisbane ci faceva un ritratto» spiegò Agnese, altezzosa. «E poi, dovreste essere voi a starci dietro!» «No, mon bijoux... non sono un carretto al traino e vi devo insegnare la disciplina oltre alle normali materie di studio» ribatte' Odyle. Si accorse che Tristan la osservava discutere con aria sorniona. «Trovate che sia spiritosa, signore?» gli disse, piccata. «Proprio non vi capisco.» Sì, era permalosa. Quello era il suo "unico" difetto. O quasi. «Siete bella anche quando vi arrabbiate, l'avevo già notato al cinematografo» replicò lui con aria innocente. Odyle rimase in silenzio, lusingata e al tempo stesso imbarazzata da quel complimento. Gliel'aveva rivolto proprio di fronte alle bambine, si rese conto. Decisamente, il tempismo non era il suo forte. Solo allora si accorse del macchinario che Lord Brisbane aveva tra le mani. Era stato su quello che si era chinato poco prima, quando lei lo aveva aggredito alle spalle. «È una macchina fotografica?» gli domandò. Ne aveva viste a Parigi, e lo stesso Claude ne aveva posseduta una con cui le aveva scattato delle foto, come quella sul trapezio che lei custodiva gelosamente nel suo baule. «Ehm... sì...» All'improvviso Tristan sembrava infastidito dalla sua presenza o, forse, dalla sua curiosità. «Non ci fate più il ritratto?» domandò Ernestine, euforica. «Oh, si che ve lo faccio... prego signorine, rimettetevi in posa.» Lord Brisbane aprì una specie di sportellino sulla parte superiore della macchina. «Che meraviglia, bambine. Su, state ferme!» esclamò Odyle. «E voi non vi fate ritrarre, Miss Chagny?» le domandò Ernestine. Odyle si volse verso Tristan, il quale però sembrava molto indaffarato a preparare la macchina. «Se non vi dispiace, Miss Chagny, vorrei catturare la vostra immagine da sola...» gli sentì dire senza che alzasse gli occhi da quello che stava osservando all'interno di quel piccolo prodigio della tecnica. Lei annuì in silenzio.

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Capitolo 16
*** 16 Capitolo ***


«Ogni volta che ci incontriamo state studiando qualche marchingegno, Lord Brisbane. Ammettetelo, siete un inventore!» volle lodarlo Odyle. «Non posso fregiarmi di un tale titolo, anche se mi piacerebbe. Vedete, Miss Chagny, studio molto le scoperte altrui... ma non ho mai inventato qualcosa di mio. Diciamo che mi piace sperimentare.» Sembrava di nuovo a suo agio e dai gesti si capiva che era padrone di quella tecnica. «Posso...» Odyle si sporse un po' verso di lui, quasi con timidezza. La fotografia l'aveva sempre affascinata, anche se non riusciva a capire come con un semplice gesto si potesse catturare la realtà. Aveva sbirciato diverse volte i fotografi intenti a preparare quella specie di magia che si consumava in un lampo e un po' di fumo, quasi fosse un effetto da palcoscenico, e sapeva che le lenti riproducevano, capovolta, la porzione di realtà idealmente inghiottita dalla macchina. «Volete vedere, Miss Odyle?» Lord Brisbane valuto' per un istante la giovane istitutrice, poi probabilmente decise che era animata dalla curiosità più sincera, perché le porse l'apparecchio. «Coraggio, guardate.» Timorosa, Odyle gli si avvicinò e Lord Brisbane la circondo' con le braccia mettendole il mirino della macchina fotografica davanti agli occhi. La sensazione che Tristan aveva era quella di essere tornato bambino, la notte della vigilia di Natale, quando attendeva con trepidazione di scartare i regali. Un'emozione calda e galvanizzante gli scaldava il petto e lo faceva sentire euforico come gli era accaduto ben poche volte nella sua vita. In quello stato sarebbe potuto partire alla conquista del mondo senza alcun timore... Invece, doveva imporsi di tenere i piedi ben saldi per terra. Quella giovane donna, di qualunque genere fosse l'attrazione che provava per lei, era praticamente una sconosciuta e quelle due bambine che gli avevano chiesto di essere fotografate, erano le figlie di Michael, con il quale aveva cercato di non avere più contatti fino a quando il destino, una settimana prima, non glielo aveva posto di nuovo di fronte. «Ma è dritta!» Odyle si voltò di scatto, ritrovandosi a meno di una spanna da lui. Tristan, richiamato bruscamente alla realtà, la guardò con aria interrogativa. «Che cosa?» Trovandosi così vicina a lui, e avvolta dalle sue braccia, Odyle gli rispose con un certo imbarazzo. «L'immagine che si vede qui dentro... È dritta. Come avete fatto?» «Ah, quello...» Tristan, per il quale quella prossimità era più eccitante che imbarazzante, si sentì lusingato dall'osservazione. Considerava l'accorgimento che aveva apportato all'apparecchio una banalità squisitamente funzionale. «Non ho mai visto una macchina fotografica che mostrasse l'immagine dritta nel mirino, milord. So che è per via del modo in cui la luce penetra nell'obiettivo e colpisce la lastra, che la si vede capovolta.» Lo sguardo di Tristan era a dir poco trionfante. Era sbalordito dalle conoscenze di quella giovane e, allo stesso tempo, si sentiva scaldare il cuore all'idea di aver trovato qualcuno che si interessasse, con qualche cognizione, di quella che era la sua passione. «Avete ragione, Miss Chagny, ma vedete, secondo me vedere l'immagine capovolta era piuttosto scomodo, cosi, per motivi di studio, ho introdotto nell'apparecchio un piccolo specchio che la capovolge e che si alza quando scatto la fotografia, per consentire alla luce di impressionare la pellicola. Tutto qui.» «È geniale!» esclamò lei tornando a fissare i volti delle due bambine che le apparivano nel riquadro del mirino. «Voi dite? Non saprei...» Tristan si gratto' dietro l'orecchio, abbozzando un timido sorriso. «E ora che cosa state sperimentando, Lord Brisbane?» «Io... be', mi sono chiesto se non fosse possibile arrivare a creare fotografica che riproducessero fedelmente i colori. Ci stiamo provando in molti, sapete? È un po' come una gara.» «Sono certa che vincerete voi. Siete un genio!» Odyle fece un passo indietro e lo invitò a riprendere il controllo del suo strumento. «Sarò orgogliosa di avere un ritratto fatto da voi.» Qualche minuto più tardi trasali', ricordando di aver lasciato il suo blocco da disegno sulla panchina. «Oh, santo cielo, i miei disegni!» esclamò premendosi le mani sulle guance. Tristan, che aveva appena terminato di fare il ritratto fotografico e stava richiudendo lo sportellino della macchina, la guardò stralunato. «Disegni?» Ma lei stava già correndo verso il boschetto, tenendosi una mano sul cappellino per evitare che volasse via. «Vi prego, state con le bambine fino al mio ritorno!» Gli gridò prima di sparire tra gli alberi. Tristan si voltò verso Agnese ed Ernestine, per le quali tutto quel trambusto non sembrava significare nulla di particolare. La paffuta Ernestine si strinse nelle spalle. «Fa sempre così» disse, come per rincuorarlo. La sorella maggiore, allora, la prese per mano e si avvicinò a Tristan con aria risoluta. «Potete aiutarci a raggiungerla, signore?» A disagio, soprattutto per l'enorme dislivello tra le loro altezze, Tristan porse una mano alla piccola Agnese. Ma lei lo rimprovero', piccata: «Sono troppo grande per essere presa per mano quando passeggio, signore» Anziché sentirsi punto sul vivo dalle sue parole, Tristan si ritrovò a sorridere, pensando che nel giro di qualche anno quella ragazzina avrebbe invece agognato di essere presa per mano da un innamorato. Ma ci sarebbe voluto ancora un po' di tempo! Il sentiero cui giunsero dopo aver attraversato il boschetto era deserto. Di Mademoiselle Odyle Chagny non sembrava esserci alcuna traccia. Possibile che ogni volta che si incontravano quella ragazza sentisse il bisogno di scappare via da lui come se fosse portatore di qualche terribile malattia?, si domando' Tristan. Tuttavia non poteva aver abbandonato le bambine, anche se conosceva la persona cui le aveva affidate, pensò stringendo al petto la pesante macchina fotografica e facendo ancora qualche passo in avanti. Davanti a lui c'era solo una panchina, sulla quale era ancora appoggiato un blocco da disegno che la brezza stava scompaginando; per terra c'erano due matite e un pezzo di carboncino, e alcuni fogli svolazzavano nell'erba trasportati dal vento. Tristan corse a prenderli. Miss Chagny sembrava avere una buona mano ed era stata piuttosto brava nel cogliere, con pochi tratti di carboncino, l'espressione imbronciata della piccola Agnese, ma di chi erano gli occhi e le sopracciglia scure dell'altro disegno, che sembrava essere stato lasciato a metà? All'improvviso Tristan sentì un tuffo al cuore. Non poteva essere... Michael? Una fitta di gelosia gli si insinuo' nel petto, tormentandolo per qualche istante. Era uno sciocco. Non poteva sapere con certezza se quello era il ritratto di Michael Moran, ma se anche lo fosse stato, non avrebbe significato nulla. Probabilmente Odyle si stava esercitando nel disegno prendendo spunto dalle persone che frequentava ogni giorno. I Moran, per l'appunto. «Guardate, signore.» Agnese stava puntando il dito alla loro sinistra, verso il Serpentine, il lago artificiale di Hyde Park. Una figuretta vestita di scuro sembrava saltellare verso l'acqua in precario equilibrio su alcuni massi. Un folto gruppetto di persone la osservava esterrefatto. Odyle! «Odyle!» Il grido gli sfuggì dalle labbra mentre correva verso di lei, dimentico delle bambine e dell'attrezzatura fotografica che portava appesa al collo. Miss Chagny, però, non sembrava essersi accorta di lui, concentrata com'era a tenere sollevate le gonne e a non perdere l'equilibrio. Ma che cosa diavolo stava facendo? A una prima occhiata gli parve che stesse affogando, ma poi vide qualcosa che annaspava nell'acqua. Tristan cercò ancora una volta di attirare la sua attenzione chiamandola per nome. Niente. Odyle si era tolta il mantello e armeggiava con i bottoni del vestito. Cosa intendeva fare? Nella mente di Tristan, fu come se qualcuno avesse fatto scattare una serratura.

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Capitolo 17
*** 17 Capitolo ***


Quell'immagine di donna che si arrampicava sulle rocce e si toglieva i vestiti, incurante degli sguardi altrui, gli riportò alla mente un altro ricordo... Guardò i capelli di Odyle, che fluttuavano mossi dal vento dopo che si era tolta il cappellino. Poi la giovane istitutrice tese le braccia e spicco' il salto. Non era possibile ma... Sì! Era proprio la ragazza della finestra! L'acqua gelida le tolse il fiato. La sottoveste e i mutandoni le si appiccicarono addosso, zuppi d'acqua, rendendole più difficile nuotare, ma si sforzo' di allungare le braccia e muovere i piedi nella direzione in cui l'aveva visto. Il bambino era là, poco distante da lei, ormai. Non cercava nemmeno più di mantenersi a galla. Probabilmente aveva perso i sensi. Fa' che non sia morto, mio Dio, fa' che non sia morto!, continuo' a ripetersi a ogni bracciata. Aveva appena raggiunto la panchina sulla quale aveva dimenticato il blocco da disegno quando aveva sentito le grida. Si era guardata attorno e aveva intravisto la piccola figura che annaspava disperata nell'acqua. Allora, la sua mente aveva smesso di pensare ed era corsa verso il lago. Sulla riva c'erano due donne che gesticolavano come forsennate senza sapere cosa fare, così si era arrampicata su alcune rocce, sperando di riuscire a sporgersi abbastanza per afferrare il bambino, ma lui era lontano dalla riva e non le era rimasto altro da fare che togliersi tutto quello che poteva per raggiungerlo con maggiore agilità. Ora sentiva l'acqua ghiacciata stringerle il cuore e opprimerle i polmoni, e quei pochi metri le sembravano una distanza infinita. Finalmente, con le dita sfiorò il ciuffo di capelli chiari del piccolo e, subito dopo, riuscì ad afferrargli un braccio e a tirarlo verso di sé, sollevandogli la testa fuori dall'acqua. Solo allora, voltandosi verso la riva, notò Tristan Brisbane e le bambine che la fissavano a bocca aperta. Il suo modo d'agire l'aveva in parte tradita e di certo non si aspettava che Brisbane apprezzasse la sua presenza di spirito. Piuttosto, ne sarebbe rimasto scandalizzato. Forse avrebbe dovuto attendere l'arrivo di un poliziotto, come tutti gli altri, ma non era da lei rimanere a guardare mentre un essere umano si trovava in difficoltà. Con la mano libera, si aggrappo' a un arbusto e si sollevò fuori dal lago, grondante d'acqua. Poi, fatto qualche passo, adagio' il bambino per terra e crollò al suo fianco. Subito la piccola folla di curiosi li circondo', vociando. «Richard! Richard!» La donna anziana che poco prima si stava sbracciando sulla riva si fece largo tra le persone e cadde in ginocchio vicino al piccolo. «Il mio Richard, oddio! Il mio piccolo Richard!» Quando Odyle aprì gli occhi, vide Tristan accanto al corpo del bambino, intento a muovergli su e giù le braccia e a massaggiargli il torace. Al suo fianco c'erano la donna dall'aria sconvolta e due ragazze più giovani dall'espressione cupa. Tutti scoppiarono in un'esclamazione di sollevata sorpresa quando il bimbo diede qualche colpo di tosse e aprì gli occhi. «Vi sentite bene, signorina?» le domandò il poliziotto che, nel frattempo, era giunto sulla scena dell'incidente. «Io... sì, abbastanza, sono solo un po' infreddolita.» Odyle si guardò attorno. Malauguratamente, anche l'abito che aveva avuto cura di togliersi era scivolato nell'acqua, infradiciandosi. Venite, vi riaccompagno a casa.» Tristan le rivolse un sorriso luminoso e le tese la mano. «Agnese... Ernestine?» «Siamo qui, Miss Odyle.» Le due bambine erano sedute sull'erba appena dietro di lei. Ernestine stringeva al petto il suo blocco da disegno, mentre Agnese, a capo chino, sembrava molto impegnata a strappare i ciuffi d'erba. «Andiamo, allora.» Fece per alzarsi, ma barcollo' sotto il peso degli indumenti fradici. «Vi aiuto.» Tristan le passò una mano intorno alla vita l'aiuto ad alzarsi. «Appoggiatevi pure a me, Miss Odyle.» Lei lo guardò, incantata. «Vi bagnero'...» «Non fa niente. È il minimo che possa fare per una donna coraggiosa come voi.» Odyle abbassò gli occhi senza sapere cosa dire, limitandosi a crogiolarsi nella sensazione che provava appoggiandosi al petto caldo e rassicurante di Lord Brisbane. Si stavano già allontanando quando la donna anziana corse verso di loro.«Aspettate! Aspettate!» «Si?» «Oh, cara signorina! Oh, santo cielo! Oh, mamma mia. Oh, come posso ringraziarvi?» esclamò la donna, concitata, afferrandole entrambe le mani. «Sono Lady Montgomery. Oh, non potrò mai ripagarvi a sufficienza per quello che avete fatto! Mio nipote sarebbe morto se non foste stata tanto coraggiosa!» Odyle rabbrividi' visibilmente, ma scosse il capo. «Non mi dovete nulla, credetemi.» «Ma voi state tremando di freddo! Aspettate. La nostra carrozza non è lontano da qui, lasciate che vi accompagni a casa.» Odyle non sapeva proprio come avrebbe fatto a presentarsi in quello stato ai Moran e già prevedeva lo sguardo di riprovazione con cui Westley l'avrebbe accolta. «Come sono ridotta...» borbotto' tra sé guardandosi la sottogonna inzaccherata di fango. «Chissà cosa diranno mamma e papà!» esclamò Agnese scuotendo il capo e imitando lo sguardo di rimprovero che le era spesso stato rivolto dal padre quando si sporcava. «Miss Chagny è la nostra istitutrice» riferì Ernestine. «Siete un'istitutrice?» domandò Lady Montgomery. «Oh, cielo! Allora non potete assolutamente presentarvi a casa in questo stato. Venite da me, vi farò preparare un bagno caldo e offriro' una bella merenda a queste due signorine.» Tristan rivolse a Odyle uno sguardo interrogativo. Forse quella era la soluzione migliore, dopo tutto. «Va bene... Vi ringrazio molto, Lady Montgomery» accettò Odyle. «Zia!» Una delle fanciulle che Odyle aveva notato al fianco di Lady Montgomery poco prima, quella vestita in maniera più elegante, li aveva raggiunti. «Non mi sembra davvero una buona idea e poi dobbiamo pensare a cosa fare di Bessie!» Si voltò verso l'altra giovane, evidentemente una cameriera, che teneva in braccio il piccolo Richard, avvolto nella sua mantella. «Perdonatemi, Miss Cecilia!» piagnucolo' la poverina. «Che perdono vuoi meritarti, stupida? Mio fratello è quasi morto per colpa tua. Sarà già tanto se il nonno non ti farà arrestare!» «Ma... ero andata a prendervi lo scialle che avevate scordato sulla panchina e...» «Sta' zitta! Hai anche il coraggio di replicare? Che sfacciata!» «Avanti, tesoro mio, andiamo a casa. Ci penseremo dopo...» Lady Montgomery fece un gesto con la mano, troppo sollevata per voler tornare con il pensiero al terribile momento che aveva appena passato. In carrozza, Lady Montgomery, cui lo spavento non aveva fatto venir meno la parlantina, si affretto' a informarli che Cecilia e il piccolo Richard erano i suoi pronipoti. John Montgomery, figlio del suo compianto fratello, era morto, e ora toccava a lei e a suo padre prendersi cura dei ragazzi. Lady Montgomery era una donna piuttosto frivola e con un'evidente passione per la tavola; non si era mai sposata e, nel profondo della sua anima, era rimasta una ragazzina all'alba del suo debutto in società. Suo padre, l'arzillo Lord Montgomery, aveva deciso di radunare ciò che rimaneva della famiglia sotto un unico tetto, tuttavia la convivenza, come lei stessa ammetteva, talvolta non era molto semplice. Stando a ciò che affermava la figlia, oltre a essere diventato un po' duro di orecchio, con l'avanzare degli anni Lord Montgomery aveva sviluppato delle curiose eccentricità, come un'anormale fissazione per l'alimentazione (aveva praticamente abolito la carne dalla sua dieta) e sull'esercizio fisico (si svegliava all'alba per fare lunghe passeggiate all'aria aperta). Insomma, gli mancava di sicuro qualche rotella! Cecilia non sembrava molto contenta dell'intrusione di Odyle e del resto della combriccola nella routine della sua giornata e la osservava con malcelato astio visto che la coraggiosa nuova arrivata le aveva rubato la scena. Richard, invece, si era addormentato tra le braccia di Bessie, la cameriera che era stata additata come responsabile dell'incidente. «Devo chiamarvi Miss o Mademoiselle?» le domandò Lady Montgomery. Odyle le sorrise da dietro un ricciolo bagnato. «Non ho preferenze, davvero.» «E voi, Lord Brisbane, come mai conoscete Mademoiselle?» intervenne Cecilia con aria intrigante. «Sono un amico della famiglia Moran.» «Davvero?» esclamò Ernestine, seduta sulle sue ginocchia. «Conosco abbastanza bene Lord Moran, anche se queste due fanciulle non mi avevano mai visto prima d'oggi.» «Capisco... tuttavia conoscevate anche l'istitutrice» replicò Miss Cecilia, accennando a Odyle come se non fosse neppure presente. «Lord Brisbane e io ci siamo incontrati al cinematografo, dove avevo accompagnato Lady Cartwridge, la madre di Lord Moran» si affretto' a concludere Odyle prima che quella ficcanaso cercasse di fare altre insinuazioni. Era quasi pentita di aver accettato l'invito di Lady Montgomery. Forse avrebbe dovuto gettarsi addosso il mantello cercando di coprire la sottoveste bagnata per passare l'ispezione di Westley, pensò. «Lady Cartwridge? Quella eccentrica signora che viaggia per il mondo? Devo averla incontrata, qualche volta...» Lady Montgomery scosse il capo. Non riusciva a ricordare né dove né quando fosse accaduto. Stava diventando vecchia, riflette' con un pizzico di rammarico, dopodiché il suo pensiero volò altrove. Lord e Lady Montgomery, rispettivamente padre e figlia, abitavano a Mayfair, in una bella ed elegante palazzina di marmo rosato. «Jarvis, fate chiamare mio padre!» disse Lady Montgomery con urgenza al maggiordomo prima ancora di entrare in casa. L'uomo, tutto impettito, mosse un passo per allontanarsi, ma lei lo richiamò. «Jarvis, che cosa state facendo? Prendete i nostri mantelli prima!» «Si, milady.» «Jarvis! Dite alla cuoca di preparare il tè e... Aspettate un attimo! Ordinate a Maggie di preparare una tinozza con l'acqua calda...» Finalmente, il maggiordomo riuscì ad allontanarsi dalla sua padrona, ripetendosi mentalmente tutto quello che doveva fare. «Oh, santo cielo, accomodatevi!» Lady Montgomery si guardò intorno, spaesata. «I domestici al giorno d'oggi sono davvero impossibili... dove si sarà cacciato Jarvis, adesso?» «Milady» intervenne Odyle, «L'avete appena mandato in cucina...» «Ah, già! Ma prima avrebbe almeno potuto mandare uno dei lacchè ad aiutarci... devo proprio dirgli tutto?» «Cara zia» intervenne Cecilia avvicinandosi all'anziana signora e dandole un bacio sulla guancia, «Soltanto io vi capisco, non è vero?» «Oh, tu sei tanto dolce, mia piccola, cara Cecilia» replicò la donna, con l'aria affranta di chi non riesce a trovare conforto. «Milady...» suggerì a quel punto Tristan. «È meglio che facciate portare vostro nipote al piano di sopra per torgliergli i vestiti bagnati e farlo riposare un po'.» «Avete ragione, Lord Brisbane.» La gentildonna tirò la corda della campanella e un lacchè si affretto' a raggiungerla dopo pochi secondi. «George, portate mio nipote al piano superiore e accompagnate Mademoiselle Chagny da Sarah, che si occuperà di lei.» «Ma zia, Sarah è la mia cameriera personale...» protesto' Cecilia. «E allora, cara? Non vedi che Miss Chagny è tutta bagnata? Sarah la aiuterà a levarsi quegli abiti e a indossare uno dei tuoi. Se non sbaglio, dovreste avere più o meno la stessa taglia di mia nipote, signorina.» Cecilia fremeva dalla rabbia, ma di fronte alla zia cercò di trattenersi. Evidentemente non trovava giusto che una persona di rango inferiore, malgrado le circostanze eccezionali, si permettesse di indossare un suo vestito. «Accompagnero' io Miss Chagny al piano superiore, zia. Così dirò a Sarah quale abito darle. Quella sciocca potrebbe farle mettere il mio vestito da sera nuovo!» Odyle abbassò lo sguardo, costernata per quella dichiarazione, e lesse un chiaro disappunto anche sul volto di Tristan Brisbane. Lady Montgomery, invece, non parve farci caso. «Fa' come vuoi, Cecilia, intanto io accompagno i nostri ospiti dal tuo bisnonno...» Fece cenno a Tristan e alle bambine di seguirla in salotto. «Speriamo che non mi faccia fare brutte figure» bofonchio' come parlando a sé stessa, ma a voce abbastanza alta da essere sentita. «Questo vi starebbe proprio bene, signorina!» esclamò Sarah, una ragazzina ben piazzata e dai capelli rossi, portandole un abito di un morbido velluto blu. «Quel vestito mi serve per domani, Sarah!» sbotto' Miss Cecilia. «Ma dove hai la testa?» «Allora quello verde?» «No, quello è l'abito da passeggio che preferisco.» A ogni suggerimento di Sarah, Cecilia opponeva un'obiezione. Un vestito era troppo elegante, l'altro era troppo scollato; l'uno era quello che preferiva e l'altro non era indicato...«Miss Cecilia, se preferite possa anche fare senza... Oppure, una delle vostre domeniche potrebbe avere la mia taglia e prestarmi una divisa» intervenne Odyle, a disagio per tutta quella pantomima. «Oh, no, no, no! Mia zia vuole che vi dia un abito e io ve lo devo dare. Cosa penserebbe di me?» Sbuffo' infastidita. «Troveremo qualcosa che possa fare al caso vostro. Sarah!» «Sì, signorina?» «Mi è venuto in mente... perché non guardi dentro il baule dove ho riposto il vecchio guardaroba?» «L'abito era di un colore rosso cupo, con una scollatura piuttosto generosa che lasciava intravedere le spalle. Sebbene appartenesse al corredo che Cecilia aveva indossato l'anno precedente, la differenza della linea si notava pochissimo. Odyle era appena un po' più piccola e minuta di Miss Cecilia e Sarah si ingegno' per stringerle l'abito in vita con alcuni spilli. «Ci avete proprio un bel figurino, Miss Chagny. Ci avete un vitino talmente sottile che pure l'abito di Miss Cecilia vi sta largo!» si complimento' con lei la gioviale cameriera. Attraverso lo specchio, Odyle vide Cecilia mordersi il labbro inferiore per trattenere la rabbia. Sarah le aveva frizionato i capelli con un asciugamano e i suoi riccioli erano quasi asciutti. «Ora li pettiniamo in modo più morbido» le disse la cameriera. «Avete dei bellissimi capelli, ma con tutti questi ricci non credo sia facile tenerli sotto controllo in uno chignon.» Con l'aiuto di alcune forcine, le risistemo' l'acconciatura lasciando che i boccoli le ricadessero in parte sulla schiena. «Perfetto!» esclamò Cecilia aprendo la porta. «Andiamo, Miss Chagny, i vostri amici e mia zia ci attendono.» Odyle la raggiunse, ringraziando la cameriera.

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Capitolo 18
*** 18 Capitolo ***


«A proposito, Sarah...» Cecilia si voltò portandosi l'indice alle labbra e assumendo un'aria pensosa. «Mercoledì prossimo ho assolutamente bisogno di te, quindi dovrai rinunciare al tuo giorno libero. Mi dispiace.» Il sorriso della cameriera si inclino'. «Ma, Miss Cecilia, è il compleanno di mia madre...» protesto'. «Andrai a trovarla un altro giorno, Sarah, cosa vuoi che importi?» Cecilia si strinse nelle spalle e uscì dalla porta. «Mi spiace» le sussurro' Odyle, costernata per la cattiveria con cui Cecilia si era vendicata della gentilezza che Sarah aveva dimostrato all'indesiderata ospite. Non vedeva l'ora di raggiungere gli altri in salotto. Provava un'antipatia istintiva per Cecilia Montgomery e il suo sesto senso raramente si era sbagliato nel giudicare le persone. Quella donna aveva qualcosa di truce nello sguardo, anche se, a comando, i suoi occhi grigi sapevano assumere un'espressione più dolce. Sul pianerottolo incontrarono Bessie. «Il signorino Richard sta riposando, Miss Cecilia. Ha ripreso colore e sta bene.» «Pensi di passarla liscia solo perché lui se l'è cavata? Aspetta che lo dica al nonno!» «Miss Cecilia, non vi rendete conto che la ragazza è già sconvolta? Vostro fratello sta bene e Bessie ha imparato la lezione.» Odyle non era riuscita a trattenersi. Le ingiustizie le avevano sempre dato fastidio e quella ragazza viziata era una vera tiranna. Per tutta risposta, Cecilia alzò le spalle.«Dispensate ordini e consigli proprio come una vera istitutrice. Come siete saggia, Miss Chagny!» la scherni'. «Andiamo, o mio nonno e quel vecchio del vostro amico potrebbero addormentarsi sul divano!» Odyle si irrigidi' all'istante, fermandosi su un gradino. «Lord Brisbane non è affatto vecchio!» Cecilia si voltò di scatto verso di lei e la fissò socchiudendo leggermente gli occhi. «Oh, capisco...» mormorò con un sorrisetto maligno. Tristan, nel frattempo, assisteva a una conversazione ai limiti del verosimile che vedeva protagonisti Lord Montgomery e sua figlia. «Papà» scandi' la donna con voce altisonante non appena lo ebbero raggiunto in salotto, «questi sono Lord Brisbane e le signorine Agnese ed Ernestine Moran.» Lady Montgomery si chino' sul vecchio minuto e dall'aria dimessa seduto in poltrona con un giornale ripiegato sulle ginocchia a mo' di coperta. «Moran!» ripeté. Il vecchio guardò la figlia con i suoi occhietti chiari, contrasse la bocca in un'espressione di malcelato disgusto e sospirò, rassegnato. «Ebbene, mia cara?» «Lord Brisbane!» gli urlò lei, ancor più vicina all'orecchio. Il vecchio chiuse gli occhi, visibilmente infastidito. «Cosa, mia cara? Speravo vi foste persi nel parco...» Lady Montgomery scoppiò in una risata chioccia e si voltò verso Tristan e le bambine che, intimorite dal formidabile vecchio, si erano nascoste dietro di lui. «Caro papà... Scherza sempre quando non capisce bene quello di cui si sta parlando. Bene, non c'è bisogno che gli raccontiamo dell'incidente di Richard, visto che è finito tutto per il meglio...» Il vecchio fissò gli occhi su Tristan Brisbane. «Ho sete, Mary Jane, vammi a prendere dell'acqua.» «Papà! Quante fissazioni! Te la faccio portare dalla cameriera.» «Va' tu, almeno fai un po' d'esercizio. Conduci una vita troppo sedentaria. E scommetto che prima di andare al parco ti sei ingozzata di pasticcini.» Il tono di Lord Montgomery non era affatto scherzoso. La donna sbuffo' e, passando accanto a Tristan, fece spallucce e si picchietto' la tempia con un dito. «Che vi dicevo, milord? Poverino... gli manca qualche venerdì, ma per il resto è un vecchietto adorabile.» Non appena Lady Montgomery si fu richiusa la porta alle spalle, suo padre scattò in piedi e regolo' la pendola sul camino dopo aver estratto il proprio orologio dal taschino del panciotto. «Dunque, raccontatemi velocemente quello che è successo, Lord Brisbane.» Tristan osservò l'ometto, stupito da quella rapida trasformazione. «Vostro nipote... o meglio il vostro bisnipote, è caduto nel Serpentine. Una mia amica, l'istitutrice di queste bambine, si è gettata in acqua e l'ha tratto in salvo. Ora sta bene.» Lord Montgomery annuì un paio di volte, pensieroso. «Quelle due sono proprio inaffidabili» commento'. Quindi riprese posto in poltrona. «Accomodatevi, prego. Ho sentito parlare di voi, Lord Brisbane, e non sempre in termini educati, temo.» Tristan diede qualche colpo di tosse, imbarazzato. «Scusate, ho l'abitudine di parlare con franchezza, e visto che ora mi considerano un vecchio rimbambito, mi viene perdonato tutto.» Lord Montgomery gli strizzo' l'occhio e lo invitò a prendere posto davanti a sé, sorrise alle bimbe e disse loro di sedere sul divano. «Non presto attenzioni ai pettegolezzi, comunque. In quel senso, si può davvero dire che sia diventato sordo... Mia figlia e mia nipote, invece, non sembrano vivere d'altro.» Tristan capiva. Sfidando la solitudine, quell'uomo aveva preferito isolarsi piuttosto che dar retta a un costume di famiglia che disapprovava. «A dire il vero, ho anche sentito parlare di voi come uomo di scienza, non solo per i tristi episodi della vostra vita» aggiunse l'anziano gentiluomo. «Ehm... ne sono felice, Lord Montgomery.» Tristan abbassò gli occhi sulle proprie mani. Lady Montgomery tornò in salotto. «Tra poco Claire ci servirà il tè» annunciò gioviale. «Il mio bicchiere d'acqua!» tuonò il vecchio. «Oh, papà, me ne sono dimenticata, ma non appena arriverà Claire...» «A volte dubito che tu possa essere mia figlia...» bofonchio' il vecchio scuotendo la testa. Lady Mary Jane Montgomery sorrise indulgente e prese posto accanto al padre, su un'altra poltrona. «Mentre aspettiamo la vostra graziosa amica, Lord Brisbane, ditemi, sono vere le storie che ho sentito raccontare sulla vostra tenuta di campagna?» Era andata dritta al punto senza alcun preambolo. «Le chiacchiere hanno iniziato a circolare alcuni anni fa e mi ci sono arrovellata da sempre!» «Pensate come deve aver vissuto vacuamente, visto che aveva in testa solo voi senza neppure conoscervi!» la canzono' Lord Montgomery rivolto a Tristan. «Caro papà, che sciocchezze! Allora, Lord Brisbane?» incalzo' la signora. «Be'...» Tristan si sentì in trappola: non poteva certo essere scortese ed eludere la domanda. «... se alludete a ciò che si dice dei fantasmi, direi che non ne ho mai visto uno!» «Ma i fantasmi sono trasparenti, Lord Brisbane!» chioccio' ancora Lady Montgomery. «Perché, ne hai mai incontrati?» la rimbecco' il padre. «Certo! Alle sedute spiritiche organizzate da Lady Wigmore, grazie alla sua medium!» Lord Montgomery alzò gli occhi al cielo. «Capite perché non sono mai riuscito a disfarmene?» Tristan trattenne a stento una risata. Quell'uomo pragmatico gli piaceva molto ed era divertente vedere come lui e la figlia si ostinassero a parlare senza ascoltarsi. «Non credo che a Blackborough ci siano fantasmi, milady. È solo una vecchia casa di campagna dove i mobili e i pavimenti, ogni tanto scricchiolano a causa dell'umidità.» Lady Montgomery sospirò di delusione, poi si voltò verso la porta perché qualcuno aveva bussato. Tristan fu grato di quella interruzione. Miss Cecilia e Odyle entrarono in salotto, seguite da una cameriera con un gran vassoio. Tristan fissò Odyle. L'abito, inadatto al pomeriggio e forse anche alla stagione, le stava d'incanto. Era meno severo di quelli che indossava di solito, e di un rosso cupo che faceva risaltare la sua carnagione chiara come l'avorio. La scollatura era velata da un fisciu' trasparente che lasciava indovinare un piccolo e sensuale neo tra i seni. Cercò di distogliere lo sguardo, temendo che il suo corpo lo tradisse un'altra volta. «Ah, ecco la nostra ospite d'onore, l'intrepida Miss Chagny!» Lady Montgomery corse ad abbracciarla. «Come siete bella, mia cara. Brava Cecilia, quest'abito le dona molto. Mia nipote è adorabile, non trovate? Papà, questa è Odyle Chagny! Venite, prendiamo il tè, se no si fredda.»

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Capitolo 19
*** 19 Capitolo ***


«Ci dicevate di Blackborough, Lord Brisbane? Bambine, volete qualche biscotto? Avanti, Cecilia, aiutami, tesoro. Voi venite dalla Francia, non è vero, Miss Chagny?» proseguì Lady Montgomery. Odyle guardò Tristan, intimorita da quel fiume di parole, e lui le rivolse un sorriso di intesa. «Non urlare, Mary Jane, o farai diventare sordi anche loro.» sbotto' Lord Montgomery con una certa cognizione di causa. Cecilia servì compitamente il tè e prese posto un po' troppo vicino a uno stupito Tristan Brisbane. «Ditemi» gli chiese con un sorriso accattivante. «Cosa c'è in quella scatola che avete appoggiato sul tavolino nell'ingresso? È un regalo prezioso?» Tristan cercò di non ridere. «Non si tratta di una scatola, bensì di una macchina fotografica. Di quelle con cui si fanno i ritratti. Mi diletto in esperimenti scientifici... tanto per passare il tempo.» «Ai miei tempi» intervenne Lady Montgomery, «non c'erano certe diavolerie che distraevano i giovanotti dal fare la corte alle belle ragazze, non è vero, papà?» esclamò divertita all'indirizzo del padre, mettendogli energicamente una mano sulla spalla e scuotendolo per bene. «Qualche distrazione, nel tuo caso, devono pur averla avuta...» commento' Lord Montgomery, indispettito e senza alcun tatto nei confronti della figlia non maritata. Lei non sembrò farci caso. «La mia è una storia alquanto triste, lo sai... Oh, quanto ho pianto!» «Comunque, avrei voluto che dei marchingegni avessero distratto anche me dal fare la corte a certe fanciulle!» sbotto' Lord Montgomery. «Si dovrebbe inventare una macchina che spieghi le conseguenze delle proprie scelte prima che vengano fatte, non trovate, Lord Brisbane?» «Che sciocchezze, papà!» Cecilia interruppe quel battibecco e appoggiò languidamente la mano su quella di Tristan. «Allora siete una specie di artista... Quanto mi piacerebbe farmi fotografare da voi...» Batte' le ciglia un paio di volte e si inumidi' le labbra con la lingua con atteggiamento provocante. Odyle, che osservava la scena da una poltrona poco distante, serro' la mascella. «Oh, non sarebbe meraviglioso che faceste il ritratto alla mia Cecilia?» intervenne Lady Montgomery. «Io... ehm... davvero...» balbetto' Tristan, azzardandosi ad abbassare gli occhi sulla mano che la ragazza teneva ancora sulla sua, in modo confidenziale. Più tardi, quando si furono assicurati che il piccolo Richard si era ripreso e aveva consumato la sua cena senza problemi, Odyle, Brisbane e le due bambine salutarono la stravagante famiglia Montgomery e presero una carrozza a nolo che li riaccompagnasse a casa. «Si è fatto buio» sospirò Odyle, in ansia. «Speriamo che i Moran non si stiano preoccupando.» «Già...» Tristan chino' il capo. Aveva pensato di mandare un biglietto a Michael per avvertirlo, ma dopo la discussione che avevano avuto gliene era mancato il coraggio. Osservò il capo della piccola Ernestine, appoggiato al suo petto. La bambina doveva essere molto stanca e si era addormentata. Agnese, invece, rimaneva seduta in disparte, con lo sguardo perso fuori dal finestrino. Anche Odyle, seduta accanto a lui, era intenta a osservare la strada e questo gli diede la possibilità di studiarla con attenzione, di ammirarne il profilo perfetto e il collo lungo e sinuoso. Sembrava uscita dall'illustrazione di un libro di fiabe o... da un sogno. Tristan ricordò la notte in cui si era svegliato fradicio di sudore dopo aver sognato di fare l'amore con lei. Avrebbe dovuto vergognarsene, invece, in quel momento più che mai, si trovò a desiderare che quel sogno diventasse reale. La mano inguantata di Odyle era abbandonata accanto al sedile. Forse era esausta per la giornata che aveva dovuto affrontare. Tristan appoggiò il dorso della propria mano accanto a quella di lei, e il movimento oscillante della carrozza li fece sfiorare impercettibilmente. Quando ormai pensava di essersi perso nella meravigliosa sensazione che quel contatto suscitava in lui, fu distratto da alcuni singhiozzi soffocati. Agnese, seduta davanti a lui con il viso ancora rivolto al finestrino, stava piangendo. «Che cosa vi succede, Miss Agnese, vi sentite male?» Odyle si sporse verso la bambina, che si gettò tra le sue braccia. «Oh, Miss Odyle, il piccolo Richard... e il mio fratellino!» Il pianto era sommesso ed Ernestine, che russava forte, non si svegliò. «Leopold...» «Leopold?» Odyle ricordò il nome del bambino: era lo stesso che aveva letto sul retro della fotografia in salotto. Il figlio che i Moran avevano perso. Guardò Tristan con aria interrogativa. Lui, imbarazzato, annuì. «Leopold era il secondogenito di Michael... Moran» le spiegò. «È morto di polmonite un paio di anni fa.» Guardò la bambina che continuava a singhiozzare. «È stata Agnese la prima a rendersi conto che il fratellino era spirato durante la notte.» Agnese piangeva, il visetto nascosto contro il petto di Odyle, coprendosi le orecchie con le mani. Probabilmente, l'aver visto il piccolo Richard privo di sensi, sulla riva del lago, le aveva fatto tornare in mente quei brutti ricordi. In quel momento Odyle capì cosa doveva essere successo ai Moran, quale doveva essere il motivo per cui si erano allontanati l'uno dall'altro. Povera Lady Emma, quanto dolore teneva chiuso nel cuore! Tristan vide scendere una grossa lacrima lungo la guancia della ragazza. Nonostante la fastidiosa pioggerellina che infine cadeva su Londra dopo tanti giorni di bel tempo, Lady Emma insistette per uscire proprio quella mattina per far visita alla sarta. Odyle aveva notato il colore più acceso delle guance della gentildonna e le sembrava che anche il suo umore fosse migliorato. Che fosse merito della rinnovata passione per la lettura?, si domando'. In gran segreto e in pochi giorni, Lady Emma aveva letteralmente divorato il romanzo che Odyle le aveva regalato, la storia della sua sfortunata omonima, Madame Bovary, che tanto aveva scandalizzato il mondo. Quella di farle leggere un libro che all'epoca della pubblicazione aveva rischiato di essere censurato era stata una decisione azzardata, era vero, ma Odyle era sicura dell'effetto che avrebbe sortito sulla sua padrona. E l'esperimento era riuscito alla perfezione. Era successo la sera precedente: Emma si era affacciata alla porta della propria camera da letto, fermando Odyle prima che andasse a coricarsi. Aveva i capelli sciolti sulle spalle e le guance arrossate, come se fosse accaldata, tanto che lei, per un attimo, si era domandata se si sentisse male. «Odyle!» le aveva sussurrato sporgendosi verso di lei e afferrandole la mano. «Volevo... volevo ringraziarvi per il libro... L'ho appena finito. È... meraviglioso... così triste... così passionale! Mi domando se sia davvero possibile provare sentimenti tanto intensi, una passione così intensa e totale...» Odyle aveva sorriso e le aveva stretto la mano. «Sono davvero contenta che vi sia piaciuto.» «Un giorno, forse, potremo andare insieme a comprarne altri, che ne dite?» le aveva domandato Lady Emma, con gli occhi che brillavano. «Domani?» «Domani?» «Si! Ricordate? Devo ancora portarvi dalla mia sarta. È la scusa perfetta, non trovate?» E così aveva insistito per fare, malgrado il tempo poco propizio, tanto era galvanizzata dall'idea di quella che considerava una specie di marachella. La pioggia si era fatta più insistente quando arrivarono all'atelier di Madame Hermione, la sarta che Lady Emma, in St. James Street. Charles, il vetturino, le scorto' fino all'ingresso sotto un enorme ombrello, anche se non poté impedire che gli schizzi d'acqua sporca inzaccherassero le gonne della sua padrona. «Prima il dovere...» le sussurro' Emma precedendola nel salone. Furono accolte da un'attempata Madame Hermione, che si mostrò felicemente sorpresa di rivedere la sua vecchia cliente. «Lady Moran, è un vero piascerre servirvi ancorra!» esclamò la sarta, ostentando una studiata quanto falsa cadenza francese.

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Capitolo 20
*** 20 Capitolo ***


Odyle storse il naso, e non sfuggì la nota di rimprovero che la donna aveva usato nel rivolgersi a Lady Moran. Evidentemente la modista ignorava che Emma aveva disertato non solo il suo atelier ma tutti quelli della città. «In che cosa posso esservi utile?» «La mia amica avrebbe bisogno di farsi confezionare qualche abito, dei cappellini, alcune paia di guanti e cose di questo genere.» Madame Hermione spostò lo sguardo sulla ragazza in piedi accanto a Lady Moran e che, sulla soglia del negozio, non le era sembrata più di una cameriera. «Milady?» Sembrava sul punto di obiettare che c'erano negozi più congeniali del suo alle esigenze delle domestiche, ma poi ebbe timore di offendere la nobildonna. «Io... non credo che le fogge che vengono proposte nel mio atelier siano adatte...» «Oh, che peccato... Pensate, ero certa che Mademoiselle Chagny, che è francese come voi, avrebbe molto apprezzato il vostro gusto.» Odyle notò che la sarta si irrigidiva nell'apprendere quella notizia. Temeva forse che avrebbe iniziato a parlare in francese? Riflette' per qualche secondo sulla possibilità di metterla in imbarazzo, ma alla fine decise di sorriderle con aria affidabile. «Sono comunque molto felisce di fare la conoscensa di una mia conterranea» rispose, imitando lo stesso accento di Madame Hermione e sforzandosi di non cedere all'ilarità. Emma sgrano' gli occhi e si morse le labbra per non scoppiare a ridere, mentre Madama Hermione rispondeva estasiata al sorriso. «Oh... in realtà credo che riuscirremo a trovare qualcosa per voi. Aspettate, vi mostro qualche figurrino.» In un batter d'occhio, Odyle si ritrovò misurata da capo a piedi da due solerti inservienti mentre stoffe e modelli venivano fatti sfilare dinanzi ai suoi occhi. «Lady Emma, davvero, non credo che abiti del genere mi si addicono...» protesto' Odyle con un filo di voce quando le fecero provare un abito di velluto blu scuro con orlo, polsini e corpetto ricamati e impreziositi da una fettuccia gialla. «Sciocchezze...» la blandi'Emma. «E poi, c'è una cosa che volevo proporvi...» Lisciando la morbida stoffa dell'abito, Odyle la guardò imbarazzata. «Vorrei che Michael vi permettesse di diventare la mia dama di compagnia, così potremmo passare più tempo insieme! Non voglio privare le bambine della vostra presenza, si intende, ma potreste fare entrambe le cose!» Odyle non sapeva che cosa dire. Lady Emma le piaceva molto, e di certo tenerle compagnia non sarebbe stato un peso, d'altra parte era appena riuscita a procurarsi della creta e aveva ricominciato a lavorare al bozzetto degli amanti, che ancora non la soddisfaceva. Acconsentire a quella richiesta avrebbe rubato molto tempo alla scultura. «Non saprei...» Gli occhi di Emma si rattristarono all'istante e le sue belle labbra si incurvarono verso il basso. Non poteva darle una simile delusione, decise Odyle. Quella donna aveva perso un figlio e aveva un marito che si comportava come se non esistesse. Doveva aiutarla! «Ne sarei felice, milady» disse con un sorriso. «Oh, ma è stupendo! Non vedo l'ora. Non vedo l'ora!» Ci mancò poco che si mettesse a saltellare battendo le mani. Madame Hermione non lasciò loro il tempo di rimuginare e presto furono sommerse da una miriade di guanti, scarpe e cappellini. Grazie al cielo, pensò Odyle, la moda di quegli anni era molto più semplice di quella di un tempo e gli abiti con le molteplici sottogonne in crinolina erano stati sostituiti da vestiti più sobri e semplici, spesso divisi in due parti, che le donne, volendo, potevano togliere e mettere da sole. L'unico elemento che davvero la infastidiva era il bustino, che stritolava le ossa e toglieva il fiato. Per sua fortuna, Odyle godeva di una vita molto sottile e spesso, quando evitava di indossarlo, passava inosservata. «Ma dico io, allora siete proprio voi!» esclamò una voce gioiosa alle sue spalle. Odyle si voltò, ritrovandosi di fronte a Lady Montgomery e alla nipote. «Passavamo per strada e ho detto: Ma quella è Miss Odyle! Quella graziosa Mademoiselle che ha salvato il nostro piccolo Richard! Mia nipote, povera cara, non vi aveva riconosciuta, sapete? Continuava a dire che non le sembravate voi. E invece siete proprio voi, Mademoiselle!» «Lady Montgomery, Miss Cecilia» le salutò Odyle con una riverenza. «Permettete che vi presenti Lady Emma Moran, per la quale lavoro.» «Lady Moran? Oh, allora conoscete la cara Lady Cartwridge, quella strana nobildonna che si interessa di cultura! Oh, ma che piacere. Chissà cosa ne direbbe il mio caro papà, sono sicura che andrebbero molto d'accordo. Che stravaganti, non trovate?» Lady Emma abbozzo' un sorriso. Cecilia si fece avanti per presentarsi da sola. «Lady Moran, ho già conosciuto le vostre adorabili bambine. Che avventura abbiamo avuto al parco. Per fortuna Miss Odyle si è sentita di lasciarle da sole per correre da mio fratello. Devo dire che sono delle bambine molto coraggiose.» Emma, che era all'oscuro di tutto, lanciò un'occhiata interrogativa a Odyle. La ragazza si schiari' la gola, imbarazzata. «Devo ancora restituirvi l'abito che mi avete prestato, Miss Cecilia. Siete stata molto gentile.» «Non disturbatevi, Mademoiselle Chagny. Mi è stato insegnato a essere generosa con le persone meno fortunate di me. E poi è un abito dall'anno passato. Ve lo regalo.» Odyle cercò di nascondere l'imbarazzo. «Siete venute a fare qualche spesa?» domandò. «Oh, no... siamo entrate solo per farci vedere. Noi ci serviamo da Madame Armandine... Sapete, è molto esclusiva e accetta solo un certo numero di clienti... capite?» Madama Hermione, poco distante, finse di non sentire ma arriccio' il naso, stizzita. «Se avete finito, potremmo andare da Gunter's a bere una cioccolata calda, che ve ne pare?» Emma guardò spaurita in direzione di Odyle. La ragazza sapeva bene che quella visita alla sartoria non era che il preludio al piacere che la sua padrona pregustava sin dalla sera prima: gli acquisti in libreria. «Lady Moran, devo ricordarvi che dobbiamo assolutamente passare in farmacia...» le suggerì a un tratto. «In... farmacia? Già... ma dove ho la testa! Grazie, Miss Chagny, sarei davvero persa senza di voi.» Emma abbozzo' un timido sorriso di sollievo. «Mi rincresce moltissimo, Lady Montgomery. Soffro di terribili emicranie e ho terminato il laudano.» «Oh, che disdetta! Vero, Cecilia? Ci avrebbe fatto molto piacere trascorrere qualche momento con voi, e Miss Odyle avrebbe potuto parlarci un po' del suo amico, Lord Brisbane» disse strizzando l'occhio alla ragazza. Odyle serro' la mascella, indispettita da quelle velate insinuazioni. Lady Emma tuttavia non sembrò farci caso. «Perché non venite a trovarci, nei prossimi giorni?» domandò alle due gentildonne per pura cortesia. «Stiamo al 42 di Old Gloucester Street.» «Oh, certo, Lady Moran, volentieri» rispose Lady Montgomery. Cecilia abbozzo' un inchino e seguì la prozia fuori dal negozio, senza aggiungere altro. Di lì a poco, anche Emma e Odyle salutarono Madame Hermione, dopo averle lasciato l'incarico di far recapitare i loro acquisti a casa. Sgattaiolarono fuori dal negozio e si rifugiarono sotto un portico. Non c'era ragione di nascondere a Charles Dawson, il cocchiere, la loro meta, tuttavia Emma insistette e Odile si trovò ad apprezzare il formicolio di eccitazione che quella scappatella le faceva avvertire alla bocca dello stomaco. Celate dietro la falda di un ombrello oscuro, camminarono rasente i muri e svoltarono l'angolo, dirigendosi verso Hatchards, al 187 di Piccadilly. Erano euforiche come due bambine e non riuscivano a smettere di ridere. «Ci stiamo bagnando tutte, lo sapete, vero, Lady Moran?» «Lady Moran, Lady Moran... Odyle, perché non mi chiamate semplicemente Emma? Ho tanto bisogno di un'amica, e ogni volta che mi chiamate Lady Moran mi sento addosso almeno cinquant'anni di più!» disse la gentildonna prendendola sotto braccio e stringendosi a lei per non bagnarsi.

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Capitolo 21
*** 21 Capitolo ***


«Dite... davvero, milady? Non vi sembra... sconveniente?» «Facciamo così: quando saremo in pubblico continueremo a chiamarci con i rispettivi titoli, ma in privato saremo delle semplici amiche!» La guardò negli occhi, speranzosa. Odyle tentenno' per qualche istante. «E... d'accordo, Emma...» capitolo'. Non ebbe neppure il tempo di pronunciare quelle parole che la donna l'abbraccio' con calore. «Davvero non sapete che cosa significhi per me avere un'amica come voi, Odyle. Sento che ci potremo raccontare tutto!» Non appena la lasciò, Odyle barcollo' all'indietro di qualche passo. Nessuna delle due si era accorta della persona che era appena scesa dai gradini della farmacia, di fianco a loro, e l'impatto fu inevitabile. L'uomo perse il cappello, e il pacchetto che teneva in mano finì a terra, aprendosi. «Fate attenzione!» Il duro tono di voce di Lord Brisbane la fece trasalire. Odyle si voltò di scatto. «Scusatemi tanto!» «Mademoiselle Chagny!» Emma li osservò, sorpresa. «Siete in città da meno di due mesi, ma pare che conosciate più gente di me...» commento' a bassa voce. Odyle però, non la udì, persa com'era negli occhi blu di Tristan Brisbane. «Sembra che non possiate fare a meno di cascarmi tra le braccia, Miss Chagny. Mi sento come una calamita.» Commento' lui con una nota di ironia nella voce. «Sono davvero imperdonabile.» Odyle si voltò brevemente verso la sua compagna. «Conoscete già Lady Moran, la moglie di Lord Michael?» «Lady Moran?» Tristan spostò lo sguardo sulla donna al fianco di Odyle. Dunque era quella la moglie di Michael. Doveva ammettere che si trattava di una donna di una certa bellezza, anche se il tempo e il dolore sembravano aver lasciato sul suo viso delle tracce indelebili. «È un vero piacere conoscervi, milady.» Nel trambusto delle presentazioni, Odyle si accorse che si erano scordati del pacchetto di Lord Brisbane, che giaceva ancora sul marciapiede. Alcune boccette di vetro piuttosto spesso che contenevano un liquido chiaro, ed erano rimaste miracolosamente intatte, erano scivolate fuori dalla carta marrone insieme a un astuccio di legno intarsiato. Odyle si chino' per raccogliere gli oggetti, ma Tristan la precedette. «Lasciate fare a me!» esclamò, inginocchiandosi a sua volta e raccogliendo tutto in fretta e furia. «Non disturbatevi, faccio da solo.» Lei ebbe l'impressione che i suoi modi si fossero raffreddati di colpo, e infatti lui le salutò senza troppe cerimonie e si affretto' ad allontanarsi prima che avessero il tempo di chiedergli alcunché. Una volta tornate a casa, avevano avuto cura di nascondere i libri sotto il mantello e si erano rifugiate in fretta in biblioteca, inseguite da Lucy, la cameriera personale di Lady Emma, che chiedeva con insistenza alla sua padrona di lasciare che la aiutasse a togliersi il soprabito. «È stata una giornata davvero meravigliosa, Odyle. Grazie. Grazie ancora!» Gli occhi di Emma brillavano di gioia mentre nascondeva i volumi appena comprati nello scaffale alto della biblioteca. «Emma! Che cosa ci fai in piedi lassù?» Uno sbalordito Lord Moran le guardava dalla soglia. «Io... niente, Michael, te l'assicuro!» Barcollo' visibilmente e Odyle accorse a sostenerla e aiutarla a scendere. «Grazie.» «Non mi stupisco che le bambine abbiano certi atteggiamenti se anche la loro madre si comporta come se fosse la scimmia di uno zoo!» «Milord!» sbotto' Odyle, risentita. Emma non aveva fatto niente di male e non vedeva la ragione per cui lui dovesse trattarla in modo così sgarbato. «Che cosa volete, Mademoiselle?» l'apostrofo' lui con aria di sfida. «Avete qualcosa da rimproverarmi? Vi ricordo che siete un'educatrice e che le vostre allieve vi attendono al piano superiore.» Odyle si irrigidi', stizzita. «Compermesso, milord...» Accenno' una riverenza e lasciò la stanza. «Perché sei stato tanto scortese anche con Odyle?» «Odyle? È diventata la tua migliore amica?» «No... è che io... Vorrei che diventasse la mia dama di compagnia. Mi piace chiacchierare con lei, mi fa sentire meno... sola.» Michael serro' la mascella, indispettito. Aveva notato lo strano legame che da qualche giorno sembrava essersi formato tra le due donne, e si era convinto che la francese stesse cercando di entrare nelle grazie di Emma per approfittare di lei e trarne un qualche profitto economico. Anche se, a dire il vero, non gli sembrava il tipo... «Quella ragazza non mi ha mai convinto del tutto» disse ad alta voce, ripensando al tono severo con cui si era rivolta a lui qualche settimana prima, in presenza di Lord Brisbane, «e adesso te ne viene fuori con questa storia della dama di compagnia. Quella è una bella furbetta, lasciatelo dire! Spero che non ti abbia già convinta a regalarle qualcuno dei tuoi gioielli!» Emma si avvinghio' con ferocia allo schienale della sedia. «Come puoi parlare così di lei? Che cosa ti ha fatto?» Mormorò tra i denti. Michael sollevò l'angolo della bocca in un sorriso cinico. «Non ti sei mai accalorata così tanto per difendere qualcuno dei nostri figli, Emma.» Si fermò, strizzando gli occhi in due fessure. «Magari ti fossi data tanta pena con Leopold...» La frase rimase sospesa a mezz'aria, feroce e pesante come un macigno. Emma si sentì mancare il fiato. Sapeva che, anche se quella accusa non le era mai stata mossa in modo formale, il marito l'aveva sempre avuta sulle labbra e nella mente. «Ecco la verità, finalmente! Ecco ciò che pensi!» Fece un passo avanti, fermandosi a pochi centimetri da lui. Michael la fissò, gelido, senza dire una parola. Lei tremava dalla rabbia. «Come osi anche solo pensare che sia stata colpa di una mia disattenzione?» Alzò una mano, pronta a colpirlo in pieno viso, ma lui la trattenne, ripiegandole il polso all'indietro con una ferocia di cui non si sarebbe creduto capace. «Non l'hai ucciso, questo è vero. Ma sei sempre stata una madre assente! Sempre immersa nei tuoi pensieri, sempre distante. Troppo impegnata a presenziare in società e a farti bella per curarti di lui. Del mio bambino!» Emma chino' il capo mentre le lacrime le rigavano le guance. «Era anche il mio bambino...» singhiozzo'. «Non ti sei nemmeno accorta che stava male, che aveva preso freddo e che avrebbe dovuto riposare!» «Il dottore aveva detto che si sarebbe sentito meglio...» protesto' debolmente lei, come per scusarsi. «Ma non sarebbe dovuto uscire! Non con tutta quella neve!» «Voleva giocare!» gridò lei. «Non voglio più sentire una parola.» Michael la lasciò andare ed Emma uscì dalla stanza, piangendo e massaggiandosi il polso. Rimasto solo in biblioteca, Michael sedette in poltrona e si prese il capo tra le mani. Si odiava per averle parlato con tanta durezza. Sapeva bene che la moglie non aveva immaginato le conseguenze di tanta permissivita' e che a Leopold era sempre stato difficile negare qualcosa. Era stato un bambino dolce e bellissimo... E a lui mancava così tanto. Ma c'era dell'altro che lo infastidiva... e lo sapeva. Emma aveva trovato un'alleata, una persona con cui comunicare; uno spunto per iniziare a rimettere in sesto la propria esistenza. Fino a qualche mese prima erano stati come due zattere alla deriva, distanti e incapaci di comunicare, ma quella condizione li aveva in qualche modo accomunati. L'idea che lei potesse smettere di soffrire mentre lui ancora non riusciva a darsi pace era inconcepibile e offensiva. Sentì il sapore di una lacrima inumidirgli le labbra. Odyle aveva raggiunto Agnese ed Ernestine, tuttavia non riusciva a concentrarsi su quello che doveva insegnare loro. Si era richiusa la porta della nursery alle spalle, ma se tendeva l'orecchio le sembrava di sentire le voci dei Moran in lontananza. Come poteva Lord Moran essere così crudele con la moglie?, si chiese. Perché sembrava infastidito da ogni cosa che le dava una piccola gioia? Le bambine confabulavano in un angolo della stanza, sdraiate sul grande atlante che aveva scovato per loro in biblioteca. Segnavano con il dito il percorso fatto fino a quel momento dal loro eroe di carta e traevano le debite considerazioni sulla sua vicenda. Lei avrebbe dovuto parlare loro della geografia di quei posti, eppure le parole erano come paralizzate nella sua mente. «Vado a chiedere a Mary di portarci il tè con i biscotti, va bene?» domandò loro in preda all'agitazione. Non riusciva a darsi pace per la discussione che si stava consumando dall'altra parte della casa, e aveva bisogno di una scusa per allontanarsi. Non sta bene origliare, si rimprovero' affacciandosi alla balaustra delle scale. Dalla porta della biblioteca, tuttavia, non proveniva più alcun rumore. Invece, ora che si faceva caso, i singhiozzi sembravano giungere, ancora una volta, dalla stanza di Lady Emma. Quell'idiota l'ha fatta piangere di nuovo!, si ritrovò a pensare Odyle senza troppo rispetto per il suo datore di lavoro. Strinse i pugni, nella speranza di frenare la rabbia. Dopo qualche minuto passato a fissare l'atrio vuoto, sentì una porta che si apriva. Si ritirò nella penombra per non essere vista, complimentandosi con se stessa per aver indossato, anche quel giorno un abito scuro. Ripenso' ai vestiti che Lady Emma aveva insistito per comprarle, erano molto diversi dal completo scuro e severo che indossava di solito e riflettevano di più il suo temperamento solare. Il flusso dei suoi pensieri si interruppe quando sentì dei passi. Vide Lord Moran attraversare l'atrio e chiamare il lacchè per farsi porgere cappello e soprabito, prima di uscire dalla porta principale. Era sconcertata. Aveva già visto Lord Moran sparire in quel modo e aveva pensato che frequentasse qualche club esclusivo, come White's, per esempio, anche se le sembrava strano che vi si recasse soltanto quando aveva un alterco con la moglie. Con cautela, scese le scale e si infilò nello studio. Che cosa stava cercando? Non lo sapeva e probabilmente era molto stupido da parte sua incaponirsi così tanto. Eppure, c'era spesso qualcosa negli occhi di Lord Moran che non la convinceva, un luccichio strano che la metteva a disagio. Si slaccio' il primo bottone del colletto e fece un respiro profondo, dopodiché iniziò a frugare tra gli scaffali e poi nei cassetti della scrivania. Non trovo' nulla di sospetto. Con tutta probabilità quell'uomo aveva un'amante, si disse. Ecco perché trascurava la moglie e la maltrattava in quel modo. E cosa avrebbe potuto fare, lei? Uscendo nel corridoio, si trovò a faccia a faccia con il maggiordomo. «Ehm, buonasera, Westley...» Colta in flagrante! «Buonasera a voi, Miss Chagny» replicò il maggiordomo. «Posso chiedervi che cosa cercavate nello studio di Lord Moran?» «Oh... io... veramente stavo cercando lui. Sapete dov'è?» Domandò, sperando che la scusa risultasse credibile. «Temo che non sia in casa al momento, signorina.» «Ah... e dov'è andato?» «Miss Chagny, non è affar nostro sapere dove vanno i padroni quando escono da quella porta» la redargui' il maggiordomo. «Comunque, se lo conosco come penso di conoscerlo, farà molto tardi. Non datevi la pena di aspettarlo alzata.» «Davvero?» Il maggiordomo annuì e la lasciò sola, sporgendosi prima a richiudere perfettamente la porta dello studio. Odyle entrò in salotto e si avvicinò alla mensola del camino, scrutando le foto di famiglia. Un ritratto di Emma giovanissima, quello con la madre e i tre bambini che aveva già esaminato, una fotografia del matrimonio dei Moran e quella di Lady Cartwridge, scattata forse in un paese straniero. Poi, Odyle fissò lo sguardo su un cartoncino nascosto dietro tutti gli altri. Lo prese tra le mani. Michael Moran la guardava dalla stampa con un'espressione accigliata. La fotografia non era riuscita molto bene, perché i contorni mancavano di nitidezza e il chiaroscuro sembrava alquanto sbiadito, come se a ritrarlo fosse stato un principiante. Un vago sospetto le si insinuo' nella mente. Girò la cornice e la aprì, come aveva fatto con l'altra. Mentre sollevava il coperchietto, un pezzetto di carta scivolo' sul pavimento. Odyle si chino' a raccogliere. Non era più grande di un biglietto da visita, e c'era un indirizzo scritto a mano: 9, Bull Wharf Lane. Rimase a fissare perplessa il pezzetto di carta. Non le sembrava la scrittura di Lord Moran, eppure quella calligrafia le era familiare. Dove l'aveva già vista? Rimise a posto la fotografia e si affretto' a risalire le scale per tornare in camera sua. Il corridoio era rischiarato dalla luce che proveniva da alcune porte aperte. Percorse quasi di corsa la distanza che la separava dalla sua stanza e vi si chiuse dentro. Con il cuore in gola frugo' nel cassetto della scrivania, svuotandone a terra il contenuto e inginocchiandosi sul pavimento per rovistare tra gli oggetti. Ecco! Aveva ritrovato il biglietto da visita di Lord Tristan. Avvicinò il cartoncino al pezzetto di carta strappata e confronto' le lettere vergate con inchiostro scuro.

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Capitolo 22
*** 22 Capitolo ***


Non c'erano dubbi: anche quella dell'indirizzo era la grafia di Lord Brisbane. Perché tutto quel mistero? Perché Lord Moran teneva un indirizzo nascosto dietro la cornice di un ritratto?, si chiese. Voltò il biglietto da visita. Lord Tristan Brisbane. 18, Russell Square - Londra. Ovviamente, i due indirizzi non coincidevano. Ma che cosa c'era di strano al 9 di Bull Wharf Lane, tanto da spingere Lord Moran a tenere nascosto il biglietto? Scosse il capo e si diede della sciocca. Perché mai quell'indirizzo doveva avere qualcosa a che fare con Lord Moran e le sue uscite notturne? Non aveva motivo di sospettare una cosa simile. Semplicemente, poiché l'aveva trovato nascosto nella cornice, l'aveva collegato alle misteriose scappatelle del suo padrone. Forse leggere troppi romanzi le aveva traviato la mente, si disse. Comunque fosse, quella faccenda solleticava la sua curiosità. Si torse le dita e passeggio' su e giù per la stanza. Poi, all'improvviso, si ricordò delle bambine. Accidenti, le aveva lasciate sole per tutto quel tempo! Come istitutrice era davvero un'inetta! Si infilò entrambi i biglietti in tasca e raggiunse in fretta la nursery, dove rimase di stucco per la scena che si trovò di fronte. Agnese ed Ernestine erano sedute compostamente sulle loro poltrone, come due vere signorine, e attendevano con silenziosa pazienza che Mary, una delle cameriere, finisse di servire loro il tè. «Eccovi qui, Miss Chagny!» l'apostrofo' con fredda cordialità la più grande. «Non vi vedevamo più tornare, così abbiamo pensato di ordinare noi stesse il tè. «Scusatemi, Miss Agnese. Me ne ero scordata... » Chissà cosa pensavano quelle due bimbe di lei? «Zucchero, signorina?» le domandò Mary. «Grazie, un paio di cucchiaini... Ah, Mary...» Le era venuta un'idea. «Volevo fare degli acquisti e mi è stata consigliata Bull Wharf Lane... sapete dove si trova?» La ragazza abbassò gli occhi, intimidita e arrossi'. «Bull Wharf Lane, avete detto?» «Si, mi hanno riferito che ci sono dei bei negozi di tessuti e volevo andarci dopodomani» ripeté risoluta Odyle. Mary raccolse il vassoio vuoto e la raggiunse vicino alla porta. «Temo che vi abbiano fatto uno scherzo, signorina. Bull Wharf Lane è... be', è nell'East End e quello è un quartiere poco raccomandabile. Non andateci.» Tristan Brisbane aveva dato l'indirizzo di una casa di malaffare a Lord Moran? Non le sembrava possibile. Il "suo" Tristan, quell'uomo così dolce e timido, non poteva... Possibile che sotto l'apparenza ingenua e timorosa che tanto le piaceva si nascondesse un libertino? Ci pensò per tutta la sera, e non riuscì neppure a toccare la cena. Nemmeno quando tornò nella sua camera riuscì a darsi pace. Doveva sapere... e avrebbe tanto voluto parlare con Lord Brisbane per chiedergli una spiegazione, tuttavia a quell'ora di notte non poteva certo presentarsi a casa sua. Erano le undici passate, ma sapeva che non sarebbe riuscita a chiudere occhio. Si spazzolo' i capelli e li legò stretti dietro la nuca. Poi si guardò allo specchio. Aveva perso qualche chilo da quando era arrivata in Inghilterra. Faticava ad abituarsi al cibo inglese e continuava a rimpiangere la cucina del suo paese. Se non fosse stato per il bustino che le accentuava le curve, qualcuno avrebbe potuto scambiarla per un ragazzo. Un ragazzo... Le venne un'idea. Frugo' tra i propri abiti finché non trovò il completo da uomo che Claude aveva riposto nel suo baule con il biglietto "Per le emergenze". Probabilmente aveva pensato che un travestimento avrebbe potuto esserle utile se si fosse trovata alle strette e avesse dovuto scappare da Victor Rouel senza dare nell'occhio. Ma anche quella era un'emergenza, dopotutto. Odyle si infilò i pantaloni e la camicia e si calo' sulla testa yn comodo berretto per nascondere i capelli. Anche conciata in quel modo, tuttavia, aveva un aspetto troppo femminile e pulito. Si avvicinò al camino e prese un pezzo di carbone da un piccolo secchiello di latta, se lo rigiro' tra le mani e poi se le strofino' sui pantaloni e sul viso. Ecco, ora aveva l'aspetto di uno scarmigliato monello di strada. Dopo aver infilato il mantello di lana, spense la lampada e aprì la finestra, per salire sul davanzale. Fortunatamente, quella notte Londra era avvolta da uno spesso strato di nebbia e nessuno sarebbe riuscito a vederla. Non appena ebbe raggiunto la strada saltando giù dal ramo più basso dell'albero, si allontanò di corsa per confondersi nelle buie viuzze laterali. Aveva il cuore in gola e la tensione le faceva battere i denti per la paura. Raggiunse una carrozza a nolo, la cui lanterna accesa appesa a un lato aiutava i pochi lampioni a gas a rischiarare la piazza. «Buonasera» saluto' il vetturino. «Cosa vuoi ragazzino?» l'apostrofo' sgarbatamente l'uomo. «Vattene, non ho tempo da perdere coi mocciosi. Sto lavorando.» «E io ho bisogno di voi.» Estrasse una moneta dalla tasca e il conducente si sporse per vedere meglio lo scintillio dell'argento. «Dove devo portarti, ragazzo?» grugni' il vetturino scuotendo un po' le redini per svegliare i cavalli. «Devo andare in Bull Wharf Lane...» «Mi prendi in giro, moccioso? Hai intenzione di cercare rogne dai cinesi?» «Cinesi?» Odyle lo guardò stupita, poi cercò di continuare quella farsa. «E se anche fosse? Voi non impicciatevi. Mi porterete o no?» Il vetturino si guardò attorno, ma non vide altri possibili clienti. «E va bene, ma ti costerà almeno due monete come quella. Non sono posti da andarci di notte.» Odyle annuì, risoluta, e gli allungo' due monete, poi monto' in vettura. Se Bull Wharf Lane era tanto pericolosa, si disse, era improbabile che Lord Moran vi si recasse così spesso, e lei, quasi certamente, stava solo rischiando di cacciarsi nei guai e perdere tempo... Ma non era tanto per Lord Moran che stava andando in quel quartiere, capì all'improvviso. Era per Tristan Brisbane. Doveva capire in che razza di posto aveva mandato il suo amico, o ex amico... Un posto che, probabilmente, frequentava anche lui. La luce dei lampioni a gas, lungi dall'essere rassicurante, disegnava bagliori sinistri sulla pavimentazione e sui muri degli edifici. La maggior parte delle vie, lì a Mayfair, era deserta, ma attraversando Soho e raggiungendo lo Strand, le strade si fecero via via più affollate. «Eccoci arrivati, ragazzo.» La carrozza fermò in una piazzetta. Odyle scese e si avvicinò al vetturino. «Potete indicarmi Bull Wharf Lane?» Il vetturino la guardò, dubbioso. «È là in fondo, appena dopo quel viale, ma non mi fido ad accompagnartici.» «Grazie lo stesso.» Odyle si strinse nel mantello e si avventuro' nella notte. Non era da sola per strada, ma non per questo si sentiva al sicuro. Dai vicoli sentiva prevenire bisbigli sospetti, gemiti soffocati e altri rumori che le facevano accapponare la pelle. La via principale era illuminata da qualche lampione, e la nebbia non faceva altro che riflettere la luce dandole l'impressione di essere immersa in una nuvola. Finalmente riuscì a scorgere alcune finestre illuminate e una porta. Era il 9 di Bull Wharf Lane, e sull'insegna riuscì a leggere: Lo Stelo d'oro. Si rese conto di aver già sentito quel nome. Ma dove? Rimase immobile per qualche istante, frugando nella propria mente. Lo Stelo d'oro... Era il nome che aveva sentito pronunciare a Lord Moran durante la discussione con Lord Brisbane, ma allora non vi aveva fatto caso e non ricordava bene che cosa i due uomini avessero detto in proposito. Una cosa era certa: quella parte della città, l'East End, era diventata il quartiere cinese di Londra, a giudicare dalle persone che la popolavano e dalle scritte sulle insegne. Forte del suo travestimento, Odyle si fece coraggio e spinse la porta d'ingresso. Subito fu assalita da un odore dolciastro e denso che la indusse a portare d'istinto una mano alle narici. Le parve che la nebbia fosse riuscita a penetrare anche all'interno del locale, poi si rese conto che quello che stava respirando era fumo. «Cosa volele, lagazzo?» Un uomo dai tratti e dalla tipica parlata orientale le si era avvicinato e, giudicandola un monello di strada, l'aveva apostrofata senza mezzi termini. «Io... vorrei...» Odyle strizzo' gli occhi e cercò di capire che razza di posto fosse quello. Sui muri c'era una tappezzeria rosso scuro a disegni orientali di fiori e uccelli. Le pareti sembravano fatte di fogli di carta sottili e i mobili erano scuri e bassi. Sebbene non ne avesse mai frequentati, anche a Parigi aveva sentito parlare di locali come quello. Si trovava in una fumeria d'oppio. «Vorrei fumare» disse con risolutezza. «E sto cercando un amico... Moran, Michael Moran.» Si accorse che il cinese la guardava con sospetto, gonfiando le guance mentre valutava la situazione. «Mi ha consigliato lui di venire qua, Mr...» «Wu Xi'an» taglio' corto l'uomo. «Mio lavolo in legola» si affretto' ad assicurarle, forse prendendola per un poliziotto travestito. «Io avele calta di accoldo.» Le voltò le spalle e le fece cenno di seguirlo. «Ne sono certo.» Odyle venne introdotta in una sala molto più grande, arredata in modo simile a quella precedente. Anche qui le pareti erano rivestite da una tappezzeria con lo sfondo rosso, ma i disegni erano molto più complicati e si potevano scorgere delle figure di uomini e donne in tenuta discinta, colti in atteggiamenti amorosi che era sconveniente soffermarsi a guardare. A un primo colpo d'occhio non riuscì a rendersi conto di quanti fossero i corpi che giacevano sdraiati sulle piccole stuoie o seduti con la schiena appoggiata ai muri. Mescolati gli uni agli altri, senza farci troppo caso, c'erano uomini di tutte le età e di diverse estrazioni sociali. Chiunque si potesse permettere di pagare qualche boccata d'oppio aveva libero accesso alla fumeria e ai suoi piaceri. Oltre alla droga, Odyle poteva ben vedere quale fosse l'altra attrattiva del locale: alcune donne, giovani e carine, giravano tra la clientela inebedita indossando abiti orientaleggianti e succinti, e si soffermavano ad accarezzare le teste e i corpi degli avventori offrendosi al loro piacere. Serro' le labbra, cercando di contenere una smorfia di disgusto. In tutto quel caos, dove poteva essere Lord Moran?

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Capitolo 23
*** 23 Capitolo ***


Odyle aveva temuto che potesse avere un'amante o che frequentasse un bordello, ma la scoperta che, invece, si allontanava da casa per stordirsi con l'oppio la turbava forse ancora di più. E, in tutta questa storia, che cosa c'entrava Tristan Brisbane? Sapeva che l'oppio aveva il potere di anestetizzare i dispiaceri della vita, ma dava assuefazione e riduceva in uno stato larvale le persone che ne abusavano, sempre bisognose di una nuova boccata di quella felicità fittizia. «Ehi, bel ragazzino, non vuoi un po' di compagnia, prima di fumare?» Una giovane donna dai capelli rossi e con la carnagione molto chiara le si era avvicinata, gettandole le braccia al collo. Odyle si ritrasse prontamente, sperando che la ragazza non si fosse accorta che, in realtà, non stava parlando con un uomo. «Sto già cercando qualcuno» le rispose tirando fuori dalla gola una voce profonda. «Ah, capisco... Sei di gusti difficili, eh?» La ragazza scosse la lunga treccia che teneva legati i capelli ramati e si allontanò. Wu Xi'an la tirò per la manica. «Vostlo amico laggiù in fondo.» Probabilmente il cinese aveva intuito che il suo era solo un travestimento e, credendo che potesse mettere nei guai il suo locale, aveva pensato di indicarle direttamente Lord Moran per evitare che ficcasse il naso in giro. Odyle annuì e si avviò in quella direzione cercando di non fare caso alle persone sdraiate ai suoi piedi che sospiravano e gemevano con gli occhi persi nel vuoto e le labbra attaccate alle lunghe cannucce delle pipe. Disseminate per il salone c'erano alcuni separe' che avrebbero dovuto garantire un minimo di discrezione a chiunque la richiedesse. In realtà, la luce fioca delle lampade di carta disegnava i contorni dei corpi degli ospiti, spesso in compagnia di una o più ragazze del locale. Odyle passò oltre, sperando di non arrossire. In una nicchia seminascosta nella penombra scorse il volto pallido e sconvolto di Lord Moran, che la fissava in silenzio. «Lord Michael!» Soffoco' il grido nella propria gola e si inginocchio' accanto all'uomo che, nonostante gli occhi aperti, sembrava privo di sensi. Lo scosse lievemente, facendogli cadere la pipa di mano. Lui voltò la testa e abbozzo' un sorriso pieno di tristezza. «Sei il mio angelo?» mormorò. «Sono...» Odyle non sapeva cosa rispondere. Che cosa doveva fare con quell'uomo? Gli appoggiò una mano sul petto e sentì il battito estremamente rallentato del suo cuore. Immediatamente decise che doveva portarlo via di lì. Forse una boccata d'aria fresca l'avrebbe aiutato a riprendersi. Richiamò l'attenzione di una delle ragazze della fumeria e le chiese di portare qualcosa di molto freddo da bere e una brocca d'acqua. Dopo qualche minuto, la giovane tornò con un boccale di birra e una brocca, che Odyle pagò e posò sul tavolino basso, accanto alla pipa. Attese che la ragazza si fosse allontanata e vuoto' la brocca sul volto di Lord Moran. «Diav...!» L'uomo si ridesto', intirizzito e la guardò sorpreso. «Chi siete? Che cosa state facendo?» Si mise a sedere passandosi le mani sulla faccia e cercando di asciugarsi. Poi strizzo' gli occhi. «Miss Chagny?» domandò, titubante. Odyle annuì. «Perdonatemi, milord, temevo che vi sentiste male. Non mi rispondevate e non vi muovevate più...» «Si può sapere che cosa ci fate... in questo posto?» «Io... ero preoccupata per voi... e vi ho seguito» mentì. «Ah...» Per un attimo pensò che si sarebbe arrabbiato. Dopotutto, che diritto aveva lei di interferire con la sua scelta di stordirsi con l'oppio? Moran tuttavia abbozzo' un sorriso. «Grazie...» Odyle ne fu stupita. Michael appoggiò il palmo della mano sulla sua. «Grazie» ripeté. «È da molto tempo che nessuno si preoccupa più per me» mormorò. Lei rispose alla sua carezza. «Penso che vi farebbe bene prendere un po' d'aria.» «Non credo di riuscire a stare in piedi» Michael abbozzo' un sorriso velato. «Appoggiatevi a me. Cercherò di sorreggervi» lo esorto' Odyle con fare pratico. Lord Moran fece come lei gli diceva e le appoggiò un braccio sulle spalle, dopodiché, barcollando, riuscirono a raggiungere la porta, dove il signor Wu Xi'an li scruto' con aria cupa finché Odyle non gli mise dei soldi sul bancone. Solo allora il cinese annuì mestamente e lasciò che uscissero, senza dire una parola. Michael si addosso' al muro del locale e cercò di inspirare profondamente. Sentiva le gambe molli e i piedi gli scivolavano sul pavimento. Odyle cercò di frenare la sua caduta sostenendolo con il proprio corpo. Odyle... il suo angelo era giunto a salvarlo. Con lei di fianco, tutto sarebbe andato bene, lo sapeva. La notte li avvolgeva nascondendo le loro identità e sentiva che con quella giovane donna accanto sarebbe potuto rinascere. La città intorno a lui parve smembrarsi, i contorni che sembravano dissolversi; in un alone di sogno, Michael si trovò nella propria camera da letto. Odyle era ancora accanto a lui e lo stava spogliando, lo accarezzava slacciandogli tutti i bottoni della camicia. La afferrò per la vita e la attirò a sé. Con la speranza che Lord Moran fosse riuscito a non destare troppi sospetti nel lacchè di turno quella notte, Odyle aveva atteso per strada fino a quando non l'aveva visto scomparire oltre la porta dell'abitazione, dopodiché si era arrampicata di nuovo sull'albero ed era tornata in camera. Nessuno aveva notato la sua assenza e, a parte qualche domestico che terminava le sue ultime faccende, il resto della casa era immerso nel sonno. Si era affacciata sul corridoio giusto in tempo per vedere Michael Moran che barcollava verso la sua stanza e, silenziosamente, era corsa ad aiutarlo. Poi, giudicando che non fosse in grado di arrangiarsi da solo e non volendo chiamare né il valletto né il maggiordomo, aveva cercato di metterlo a letto. Lui continuava a farfugliare frasi senza senso mentre Odyle gli sfilava in fretta le scarpe, gli toglieva la giacca e gli slacciava i bottoni della camicia. «Avanti, da bravo, lasciatemi fare...» borbotto'. Non appena gli ebbe sfilato le maniche della camicia, notò i segni che aveva sulle braccia, piccoli ematomi scuri con un puntino bluastro al centro. I segni di numerose iniezioni. Odyle lo guardò con orrore, ma non ebbe il tempo di dirgli nulla perché lui la afferrò per la vita e la attirò bruscamente contro il proprio petto. «Angelo mio... Voi non vi rendete conto...» le ansimo' Lord Michael tra i capelli, cercando di sollevarle il viso. «State fermo!» lo imploro' lei. «Fermo!» Lo schiaffo lo colse in pieno viso, riportandolo bruscamente alla realtà. L'istitutrice era crollata giù dal letto, di fianco a lui, e lo guardava con un misto di terrore e disgusto. All'improvviso, Michael si rese conto di quanto quello che aveva cercato di fare fosse sbagliato. «Perdonatemi!» Riuscì a mettersi seduto e le offrì la mano per rialzarsi. Lei lo ignoro' e si alzò da sola. Indossava una lunga camicia da notte, sotto la quale tuttavia si intravedevano ancora i pantaloni e le scarpe del completo maschile che aveva indossato per recarsi alla fumeria di Wu Xi'an. «Non ero in me, vi prego di scusarmi, Miss Odyle» ripeté, contrito. Lei gli fece un breve cenno di assenso con il capo, poi Michael vide che il suo sguardo si spostava sulle ecchimosi lasciategli dalla siringa. «Morfina...» le spiegò incrociando le braccia sul petto per nasconderle e osservandola con uno sguardo di sfida. «Non potete capire...» «Lord Moran, so quello che avete passato...» «Sapete?» «Sì... La morte di una persona cara è una cosa terribile da affrontare.» Lui la guardò negli occhi e capì che sapeva esattamente di che cosa stava parlando. «Mia sorella Miriam è morta qualche anno fa» continuò Odyle. «Pensavo che sarei impazzita per il dolore. Di tutta la mia famiglia, lei era l'unica persona che sapesse davvero capirmi.» Michael si sentì cullato dalla tenerezza che lesse nel suo sguardo. «La morte di un figlio dev'essere un'esperienza atroce... anche vostra moglie è paralizzata da quell'immenso dolore.»

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Capitolo 24
*** 24 Capitolo ***


«Già... mia moglie...» Michael sospirò. «Mi ha escluso dalla sua vita.» «Vi siete esclusi a vicenda. Come se aveste paura di soffrire se solo osaste parlarvi davvero.» «Ma io...» «Se foste da solo, potreste pensare di abbandonarvi all'oblio e distruggervi con questi succedanei della realtà, ma non è così.» Lo guardò con severità. «Avete altre due figlie, e hanno bisogno di voi. Mi domando come avete potuto ridurvi in questo stato senza pensare a loro!» Michael si prese la testa tra le mani e iniziò a piangere. «All'inizio credevo che fosse un piacere innocuo... e che avrei potuto farne a meno quando avessi voluto. La fumeria era solo una scusa per uscire di casa ed evitare di pensare, dove andavo con... delle persone... degli amici.» Odyle trattenne il fiato. «E... Lord Brisbane... era uno di questi?» «Lord Brisbane?» Michael scruto' attentamente il viso della ragazza e vi lesse una strana apprensione. Era evidente che tra l'istitutrice e il suo vecchio amico era nata per lo meno una simpatia; ne aveva già avuto la prova quando lui si era presentato a casa sua per portarle un nuovo paio di occhiali. Si sentì pungere da uno strano risentimento. «Tristan? Mi ci ha portato lui la prima volta. Ci andava regolarmente... per via della moglie.» Notò che Odyle sgranava gli occhi, esterrefatta, ma decise di proposito di non darle alcuna spiegazione. «Mi disse che non c'era niente di meglio per dimenticare i dispiaceri e sentirsi bene, e io gli credetti.» Scosse il capo. «Non avrei dovuto dargli retta, lo so. Sono stato molto debole... e lui era così insistente... così deciso.» Odyle sospirò, e per un attimo chiuse gli occhi. «Ora però dovete sforzarvi di abbandonare questa pessima abitudine, milord. Dovete essere forte e riavvicinarvi alla vostra famiglia, e per farlo dovete prima di tutto rinunciare all'oppio e anche alla morfina, o vi distruggeranno.» «Non ce la faccio... Non ce la faccio proprio... È troppo forte. Mi sembra di impazzire se non la prendo!» Odyle tornò a inginocchiarsi accanto al letto e gli fece una carezza sulla guancia. «Vi aiuterò io. Ditemi dove tenete la morfina.» Aveva aspettato che Lord Michael si fosse calmato ed era tornata in camera sua, dove si era infilata sotto le coperte, tirandosele fin sopra la testa. Doveva pensare. Doveva riflettere, ma non ci riusciva. Quello che Lord Michael le aveva rivelato l'aveva sconvolta e ferita. Era stato Tristan Brisbane a trascinare la famiglia Moran in quella situazione disperata. Si era aggrappato al suo amico trascinandolo a fondo con sé, senza minimamente curarsi delle conseguenze. E c'era di peggio! Dietro indicazioni di Lord Michael aveva frugato in un cassetto del guardaroba, dove aveva trovato delle piccole fiale di vetro che contenevano la morfina e un astuccio di legno intarsiato che conteneva una siringa. Anche se il disegno sull'astuccio era diverso, la forma e la grandezza lo rendevano praticamente identico a quello che aveva visto quella mattina in mano a Lord Brisbane. Evidentemente anche lui era schiavo di quella droga! E aveva una moglie! Perché quella scoperta le faceva tanto male? Si sentiva tradita perché non le aveva detto nulla di quella parte così importante della sua vita. Ed era piena di rabbia. Ma qual era il vero motivo? Lord Brisbane era una persona simpatica, tuttavia non poteva provare niente di più nei suoi confronti. Appartenevano a due mondi diversi e difficilmente conciliabili... Oh, che cosa stava pensando? Si coprì la testa con il cuscino, come se questo potesse escludere i suoi pensieri. Era delusa, si disse, ecco la verità. Lord Brisbane aveva fatto di tutto per apparirle una persona diversa... un uomo timido e impacciato, un po' chiuso in se stesso, ma al tempo stesso curioso delle novità del mondo e interessato alle altre persone. Ma ora lei non riusciva a vedere altro che il suo egoismo e la sua debolezza. Emma si era rigirata nel letto per tutta la notte, pensando e ripensando a Michael. Non avevano più parlato della possibilità che Odyle diventasse la sua dama di compagnia, ma non aveva perso del tutto le speranze. Era passata quasi una settimana dalla loro discussione. Possibile che suo marito non capisse quanto Odyle fosse diventata importante per lei? Perché voleva negarle un'amica con cui confidarsi e sentirsi a proprio agio? Lasciò che Lucy le pettinasse i lunghi capelli castani e si osservò allo specchio senza dire una parola. La giovane cameriera era abituata ai suoi silenzi e le girava attorno con aria assente, immersa, probabilmente, nei suoi pensieri. «Come sta tua sorella, Lucy?» le chiese a un tratto. La ragazza trasali' e per poco non lasciò cadere la spazzola. «Milady?» «Perdonami, ti domandavo di Kate. Come sta? Ha avuto il bambino?» La sorella di Lucy aveva servito la famiglia Moran per un breve periodo, poi, dopo sposata, aveva preferito lavorare con il marito in un piccolo negozio alla periferia di Londra. «Oh, sta benissimo, milady. Il bambino si chiama John ed è sano e forte. Le somiglia molto» raccontò Lucy, stupida da quell'improvviso interesse. «Lucy, vorrei che mi pettinassi in modo diverso, oggi... Non ti sembra che la mia solita acconciatura sia troppo severa? Vorrei qualcosa di più morbido, che mi addolcisse i tratti del viso.» «Davvero, milady?» Lucy le sciolse i capelli e glieli lasciò liberi sulle spalle. «Volete che vi mostri qualche possibilità?» Poco dopo scese in sala da pranzo animata di nuova energia. Si sentiva stranamente bella e sicura di sé con quella pettinatura che le lasciava ricadere alcuni boccoli ramati sulle spalle e la schiena. Michael era già seduto a tavola e l'aspettava con il Daily Telegraph tra le mani e l'aria assente. Emma notò che era molto pallido e aveva un'aria... stropicciata. Si domando' se per caso non avesse faticato anche lui a prendere sonno ripensando alla discussione che avevano avuto. Tuttavia giudico' meglio non chiedergli niente. «Buon giorno, Emma.» «Buon giorno, Michael» rispose asciutta lei sedendosi, improvvisamente a disagio. Il marito non l'aveva degnata più che di uno sguardo prima di tornare a seppellirsi dietro il suo quotidiano. Emma si servì una tazza di tè, cercando di raccogliere le forze per affrontare il marito. Pochi istanti dopo Westley comparve sulla soglia. «Miss Chagny, milord» annuncio' compito. Per un attimo lo sguardo di Michael le parve smarrito, come quello di un bambino. «Ah... si... prego, Westley, falla accomodare.» Si schiari' la gola. «Ho fatto chiamare io Miss Odyle» spiegò alla moglie. Non appena l'istitutrice apparve sulla soglia, un vago sorriso incurvo' le labbra di Michael. Pura cordialità? «Prego, Odyle, sedetevi» disse alzandosi e scostando per lei una delle sedie. «Grazie, milord» gli rispose la ragazza. «Bene.» Michael tornò al proprio posto, avvicinando quasi impercettibilmente la propria sedia a quella della nuova arrivata. «Mia moglie mi ha detto che desidererebbe promuovervi al ruolo di sua dama di compagnia, sempre che questo non distolga troppo la vostra attenzione dall'educazione delle bambine.» Le versò del tè. «Che ne dite?» Titubante, Odyle accettò la tazza che le veniva offerta, poi spostò lo sguardo su Emma che osservava la scena con la fronte aggrottata. «Ehm... ne sarei lieta...» «Benissimo, allora. Questo pomeriggio potremo ridiscutere il vostro onorario... venite nel mio studio» aggiunse Michael appoggiando la mano su quella di lei per un breve istante. Emma osservò Odyle, che aveva abbassato gli occhi ed era arrossita. Il gesto confidenziale del marito l'aveva lasciata perplessa. Era felice che lui avesse cambiato idea, ma non se ne spiegava il perché. Lei e Odyle avrebbero goduto di più della reciproca compagnia, sarebbero potute uscire insieme, e probabilmente sarebbe anche riuscita a portarla a qualche ricevimento mondano, se l'avesse voluto. Eppure c'era qualcosa che non la convinceva nel quadro che le si profilava dinanzi. Spostò lo sguardo da Michael a Odyle, preoccupata.

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Capitolo 25
*** 25 Capitolo ***


Tristan non aveva avuto tempo di scendere per la colazione, quella mattina. Si era coricato tardi, la notte precedente, ma non era riuscito a chiudere occhio. L'incontro con Odyle lo aveva turbato, soprattutto il fatto che lei avesse visto le boccette con la morfina e la scatola contenente la siringa. L'ultima cosa che avrebbe voluto era mostrarle i suoi punti deboli, e che lei potesse indovinare il suo terribile segreto. L'ansia si era impossessata di lui al punto che non era riuscito a rimanere coricato ad aspettare che il sonno lo cogliesse. Aveva preferito alzarsi e cercare di distrarsi con il lavoro. Era andato nel suo studio e si era dato da fare per accendervi il camino, non volendo che uno dei suoi domestici pagasse per il suo mancato riposo. Quindi aveva messo sul tavolo alcuni dei suoi marchingegni e si era rimboccato le maniche, riuscendo, in quel modo, a tirare fino all'alba. Immagino' Mrs. Manfred che scuoteva la testa con un sorriso rassegnato e comprensivo, mentre una delle sue cameriere sgomberava la tavola intatta. Invece sentì bussare. «Milord, vi ho portato la colazione.» La solerte governante si era affacciata alla porta con un vassoio tra le mani. Si avvicinò di qualche passo. «Lord Tristan!» esclamò guardandolo con aria severa. «Non ditemi che non siete neppure andato a dormire! Avete un viso stanchissimo» lo rimprovero'. «Ecco, una tazza di tè vi aiuterà a rimettervi in sesto. Sedetevi.» Tristan si lasciò condurre fino alla poltrona, dove Mrs. Manfred gli piazzò una tazza di tè bollente tra le mani. «Bevetelo tutto» gli ordinò. «Mrs. Manfred, non sono più un bambino...» protesto' lui. «Oh, io lo so, milord, ma a volte mi domando se voi ne siate consapevole. Bisogna sempre ricordarvi di mangiare, di dormire... insomma, tutto quello che un adulto dovrebbe ben sapere.» Scosse il capo, preoccupata. «Avrete bisogno di una moglie.» Tristan si irrigidi' e si sforzo' di bere il proprio tè per non essere costretto a risponderle. «So che non volete sentirne parlare, milord, ma è quello che penso. Ormai sono passati diversi anni da quando Lady Christina...» «Mrs. Manfred, vi prego... ho davvero molto da fare.» Si era alzato di scatto, tornando a grandi falcate verso la scrivania. «Vi prego di scusarmi.» La governante si allontanò di qualche passo in direzione della porta. «Sono giunte delle lettere da Blackborough... Il guardiano chiede se avete intenzione di far visita alla vostra proprietà, quest'anno... per via delle provviste.» Lui continuò a darle le spalle, rimanendo in silenzio. Sapeva di dover tornare in quel posto, e aveva fatto nuovamente visita a Oswald per chiedergli un aiuto, ma continuava a rimandare e Miss Odyle Chagny era diventata un motivo in più per trattenersi a Londra. Odyle. Avrebbe dato retta ai pettegolezzi su di lui e sulla sua tenuta? No... non voleva che le cose andassero così. «Mrs. Manfred.» La governante, che era sul punto di andarsene, si fermò. «Avete sentito altre voci su Blackborough, ultimamente?» «Milord?» «Avanti, Mrs. Manfred, sappiamo bene tutti e due di cosa sto parlando. Dalla morte di Christina, ma forse ancora prima che lei morisse, ci sono stati dei pettegolezzi su Blackborough e sullo... stato mentale di alcuni componenti della mia famiglia.» «Si, milord. Ebbene.» Margaret Manfred abbassò lo sguardo sulle proprie mani. «La gente si domanda sempre perché siate così schivo e... soprattutto, che cosa ci sia a Blackborough che vi tiene lontano da lì.» Gli si era avvicinata e gli aveva posato una mano sul braccio, quasi volesse trasmettergli tutta la sua forza. «Che ci sia morta mia moglie non è abbastanza?» domandò in tono aspro Tristan. La donna non rispose. «Non ci sono fantasmi a Blackborough» aggiunse lui in tono assente. «Lo so.» Tristan annuì con aria mesta. «Su una cosa, però, hanno ragione...» Un'idea aveva iniziato a farsi largo nella sua mente, un'idea che avrebbe scartato a priori se la prospettiva non l'avesse solleticato tanto. Ma era molto pericoloso... «Sarebbe ora che aprissi quella casa alle persone.» «Ma, milord...» «Basterà assicurarsi che l'ala occidentale sia costantemente sorvegliata e interdetta a tutti. Come una volta.» «Avrete bisogno di abiti nuovi... forse anche di una mantella.» Lord Moran si era seduto alla scrivania di fronte a lei e aveva preso a scribacchiare una nota di banca. «Lord Moran, non c'è né bisogno, davvero...» protesto' debolmente Odyle. «Miss Chagny, il vostro aiuto e i vostri consigli sono quanto di più prezioso abbia in questo momento, accettate un segno della mia gratitudine...» Odyle chino' il capo. «Non più di quanto mi spetti, milord. Ve ne prego. Mi sentirei a disagio.» Michael annuì e lei si sedette accanto al camino. Novembre avanzava impietoso con la sua umidità, e le stanze erano sempre più difficili da riscaldare. Anche lavorare al bozzetto della sua scultura le pesava, in quei giorni. La creta doveva essere bagnata spesso, anche se con l'umidità dell'inverno si seccava più lentamente, ma la pasta con il freddo diventava più dura e a modellarla le faceva male le mani. Senza contare che il tempo che poteva dedicare alla scultura era scarso e i risultati le facevano storcere il naso. Spesso si domandava se non sarebbe stato meglio abbandonare il progetto. Per i suoi amanti aveva bisogno di figure dal vero da studiare, e finché avesse lavorato per i Moran non poteva certo ingaggiare dei modelli. Più di una volta aveva pensato di confidarsi con Lady Cartwridge e chiederle di rivelare ai Moran almeno la sua inclinazione, affinché potesse tornare a esercitare la sua professione di scultrice. Ma sarebbe stata una follia, perché dalle ultime lettere che Claude era riuscito a farle pervenire aveva capito che Victor era ancora sulle sue tracce, e la notizia di una donna scultrice a Londra, e per di più di origine francese, non sarebbe passata inosservata. Il suo malumore tuttavia aveva anche un altro motivo: non aveva più incontrato Lord Brisbane e, malgrado tutto ciò che aveva scoperto su di lui, le loro conversazioni le mancavano molto. Se solo avesse potuto aiutarlo come stava facendo con Lord Moran... Pensò a come avrebbe potuto essere stargli accanto e vivere con lui sotto lo stesso tetto. No, non sarebbe stato come abitare dai Moran, lo sapeva bene Non era mai stata innamorata e le infatuazioni che aveva vissuto fino a quel momento avevano avuto come oggetto principalmente delle opere d'arte. Quella che avvertiva ogni volta che si incontravano, tuttavia, era una sensazione molto simile, che le stringeva lo stomaco. Si sentiva mancare il fiato e il cuore accelerava facendole perdere il controllo delle azioni e delle parole. Ma lui era sposato. «... il fumo e il traffico. Così preferiscono trasferirsi in campagna.» Odyle si rese conto di non aver ascoltato una parola del discorso di Lord Michael. «Scusatemi...» Lui abbozzo' un sorriso triste. «A che cosa stavate pensando?» Come doveva rispondergli? Non poteva certo dirgli che non riusciva a distogliere la mente da Lord Brisbane. Si schiari' la voce. «Perdonatemi, milord, pensavo a ciò che mi avete detto sullo Stelo d'oro e su come ci siete arrivato...» Forse era una buona tattica per saperne un po' di più. Non ne avevano più discusso dalla sera in cui l'aveva seguito fino alla fumeria d'oppio. «Cosa volete sapere, ancora?» sbotto' lui, sulla difensiva. «Vi prego, non arrabbiatevi... È solo che vorrei capire.» Michael mise una mano sul marmo della mensola del camino e vi appoggiò la fronte. «Era un periodo terribile per me, e Tristan era il mio migliore amico, insieme a Brady.» «Brady?» «Non vi ho parlato di lui? Brady Elmers era un amico di Tristan. Credo che non avesse un motivo particolare per frequentare certi posti, era semplicemente curioso. Penso che sia stato Tristan a indicargli la fumeria d'oppio, come, d'altra parte, l'aveva indicata a me. A volte ci incontravamo anche in altri locali poco raccomandabili... ce la spassavamo ogni sera.»

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Capitolo 26
*** 26 Capitolo ***


Michael si interruppe e osservò con attenzione la reazione della ragazza. Odyle aveva voltato la testa verso il camino e rimaneva in silenzio. Michael riusciva a vedere il suo profilo illuminato dai bagliori del fuoco. Cos'era stato a turbarla così tanto? Il fatto che avesse frequentato simili luoghi di perdizione oppure... che ci fosse andato anche Tristan Brisbane? D'istinto si inginocchio' davanti a lei e appoggiò la testa sulle sue ginocchia, come ogni tanto aveva visto fare a Ernestine. La sentì sussultare, ma poi la sua mano gli accarezzo' lieve i capelli e udì la sua voce sussurrargli che tutto sarebbe andato bene. Emma era rimasta in piedi, con l'orecchio appoggiato alla porta. Le sembrava che fosse passata più di un'ora da quando Odyle aveva varcato la porta dello studio di Michael, ed era preoccupata. All'inizio aveva sentito il borbottio della voce di suo marito. La conversazione aveva riguardato il salario di Miss Chagny e la possibilità che si facesse confezionare un guardaroba più decoroso, che le avrebbe permesso di presenziare ad alcuni ricevimenti in qualità di dama di compagnia. Poi, Emma non era riuscita a distinguere più che qualche parola isolata. Suo marito aveva iniziato a parlare sottovoce, quasi sussurrando, e le risposte di Odyle si erano fatte brevi e inintelligibili. Che cosa si erano detti? Qualcosa in tutta quella misteriosa faccenda iniziava a preoccuparla. Innanzitutto, per quale motivo Michael aveva cambiato idea sulla ragazza così repentinamente? L'ultima volta che avevano affrontato l'argomento le era parso ostile all'idea e risoluto a negarle il piacere della compagnia di Odyle. Era arrivato persino a suggerirle che, forse, l'istitutrice stava approfittando di lei e cercava di raggirarla per ottenere favori e gioielli. Fino a quella mattina, Emma avrebbe messo una mano sul fuoco per giurare sull'onestà della ragazza ma poi l'inusuale comportamento di Michael l'aveva indotta a riflettere. Possibile che avesse cambiato idea in modo così improvviso? Qualcosa doveva averlo spinto a farlo... ma cosa? Un vago senso di malessere le strinse lo stomaco e le fece serrare i pugni. Non avrebbe mai voluto nutrire sospetti di quel genere sul conto della ragazza che, fino a quel momento, non le aveva fatto che del bene, tuttavia l'atteggiamento del marito era troppo strano per non destare sospetti. Ovviamente, si trattava solo di congetture, e forse era stato solo l'ultimo libro che aveva letto, proprio grazie a Odyle, a influenzarla... Emma si chino' per sbirciare attraverso il buco della serratura. In salotto e nelle altre stanze al pianterreno le chiavi erano state levate per via delle bambine. Vide il bagliore della fiamma del camino. Odyle seduta sulla poltrona. Michael inginocchiato accanto a lei. Con la testa appoggiata al suo grembo. La mano di Odyle gli accarezzava i capelli e lui teneva gli occhi chiusi. Incredula, Emma si alzò portandosi una mano alla bocca per impedirsi di urlare. Odyle aveva acconsentito a prendersi un pomeriggio di libertà soprattutto nella speranza di riuscire a chiarirsi le idee. I problemi di Lord Michael, la malinconia di Lady Emma e le preoccupazioni che riguardavano Tristan Brisbane le affollavano la mente senza lasciare spazio ad altro e senza darle modo di trovare una soluzione. Era certa che prendere una boccata d'aria fresca l'avrebbe fatta sentire molto meglio. Infilò il vestito blu con sottili righe azzurre che le era stato recapitato il giorno prima, si allaccio' il cappellino e inforco' anche gli occhiali. Solitamente li usava solo per leggere, ma era molto stanca e l'idea di potersi nascondere dietro le lenti le era di conforto. Scese le scale ascoltando il fruscio della gonna nuova. Non aveva mai fatto caso a certe frivolezze, eppure ora non le dispiaceva di avere vestiti alla moda che facessero risaltare il suo viso ancora fresco. Chissà se Lord Brisbane sarebbe rimasto colpito, vedendola? Non doveva lasciare che il suo pensiero indugiasse ancora su quell'uomo, si disse. Non era giusto, visto che era sposato. E poi, uno come lui non meritava tutta quella attenzione, visto ciò che aveva fatto a Lord Michael! Si infilò i guanti quasi con rabbia. «Uscite, Odyle?» Lady Emma le si era parata davanti, sbarrandole la strada. «Sì, vostro marito mi ha concesso un pomeriggio di libertà» Emma la scruto' negli occhi per qualche istante. «Spero che vi facciano piacere tutte queste... concessioni, Odyle.» «Spero di essere all'altezza della situazione, milady, e di meritarmi la vostra fiducia.» «È una speranza che condivido.» L'atteggiamento duro di Emma non passò inosservato a Odyle. Si era abituata a un comportamento più spontaneo e cordiale da parte della sua padrona e ora quelle parole risuonavano singolarmente fastidiose nella sua testa. Si chiuse il mantello sotto il mento e attraverso' la strada con passo energico. Quando era sola, camminava sempre a passo veloce, come se fosse di gran fretta. In realtà, quell'esercizio la aiutava a riflettere. Come avrebbe potuto aiutare Lord Michael a superare la sua dipendenza dall'oppio e dalla morfina? Come avrebbe fatto a riavvicinare lui ed Emma senza intromettersi nel loro rapporto? E come avrebbe potuto togliersi Tristan Brisbane dalla testa se ogni cosa che faceva, o guardava, la riportava a lui? Era molto in collera con se stessa per quella situazione. Se solo ci fosse stato Claude accanto a lei, allora sì che avrebbe potuto ridere di quella snervante fissazione. Ma lui era lontano... Sospirò, sollevando lo sguardo sulla targa che indicava il nome della piazza in cui era sbucata. Russell Square. Oh, no! Involontariamente, i suoi occhi passarono in rassegna i portoni di tutti gli edifici che le stavano di fronte, fino a soffermarsi su quello con il numero diciotto. Si domando' se per caso il suo corpo e i suoi piedi nello specifico non avessero preso in modo autonomo la decisione di portarla fin lì. Scrollo' il capo e si impose di fare marcia indietro. Niente. I piedi rimanevano immobili sul selciato e gli occhi non sembravano avere alcuna intenzione di lasciare la porta. Si avvicinò di qualche passo, come se una forza al di sopra della sua volontà la stesse chiamando. «Miss Chagny?» Odyle si voltò di scatto, per trovarsi faccia a faccia con l'indomito Lord Montgomery, che le sorrideva sardonico da sotto la bombetta. «Buongiorno, milord» lo salutò inchinandosi con modestia «Buongiorno a voi, mia cara. Facevate una passeggiata?» «Oh, io... no... cioè, sì. Insomma, passavo per caso» rispose abbassando il capo nella speranza di nascondere il rossore che le aveva imporporato le guance. L'uomo la squadro' con aria intelligente e sospettosa. «Sapete...» disse in tono casuale, «Lord Brisbane abita proprio in questa piazza.» Senza pensarci, Odyle guardò il portone del numero diciotto e la cosa non sfuggì al vecchio, che però, deliberatamente, non vi fece caso. «Venite. Accompagnatemi a fargli visita.» Avrebbe dovuto inventare una scusa qualsiasi e andarsene prima che fosse troppo tardi. Avrebbe dovuto girare sui tacchi e allontanarsi in fretta. Avrebbe dovuto cercare di evitare Tristan Brisbane e, se le fosse stato possibile dimenticarlo. Avrebbe dovuto. Ma non voleva. «Non vorrei essere di disturbo...» Dopotutto, quella avrebbe potuto essere l'occasione giusta per dare una spiegazione alla vicenda dei Moran, e non da ultimo, pensò con una punta di masochismo, per togliersi definitivamente Lord Brisbane dalla testa. L'avrebbe visto in compagnia della moglie e, una volta di fronte ai fatti, non avrebbe più potuto negare l'evidenza. «Non penso che gli arrecheremo disturbo, anzi. Quell'uomo passa un po' troppo tempo da solo, se volete il mio parere.» La fissò ancora con un certo interesse, come se volesse indovinare ciò che le passava per la testa. "Solo"? «Lady Brisbane sarà di certo una compagnia per lui, non credete?» domandò Odyle, chiedendosi se anche quello di Tristan fosse un matrimonio felice.

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Capitolo 27
*** 27 Capitolo ***


Lord Montgomery rimase in silenzio e la fissò negli occhi con aria severa. Poi fece un passo in avanti, piantandosi sotto di lei e osservarvandola con il naso all'insu'. «Non sapete nulla, ovviamente» sentenzio' alla fine, storcendo il naso. Odyle, intimorita, fu sul punto di fare un passo indietro. «Certo che non lo sapete» sbotto' l'uomo. «Siete arrivata da poco dalla Francia e i pettegolezzi dei salotti londinesi, specie quelli di alcuni anni fa, non possono avervi raggiunta.» «Quali pettegolezzi? Che cosa c'entra Lord Brisbane?» All'improvviso temette che il segreto di Tristan, la sua dipendenza dalla morfina e dall'oppio, fosse stato scoperto. Ma l'abuso di oppio non era un reato e la morfina era di utilizzo piuttosto comune. «Lady Christina è morta alcuni anni fa» le spiegò senza mezzi termini Montgomery. Morta. La moglie di Tristan era morta. E lui, ora, era vedovo. Era una cosa terribile, ma in fondo al cuore si sentiva... sollevata. Che donna orribile era! Lui doveva averne sofferto moltissimo e lei gioiva del fatto che fosse solo. E libero. In quel momento, si sarebbe messa a correre verso il diciotto di Russell Square per stringerlo tra le braccia. «Ci fu uno scandalo» continuò Lord Montgomery. «Le circostanze della morte erano... be', piuttosto bizzarre. Lord Brisbane non poté essere incolpato dell'omicidio perché tutti i suoi domestici furono pronti a giurare che aveva un alibi, ma ciò non bastò a cancellare i dubbi e nemmeno a evitare che le malelingue inventassero dei pettegolezzi.» Odyle si sentì mancare il fiato e si portò istintivamente una mano alla bocca. «E voi credete...?» Le sembrava impossibile che una persona con la sensibilità di Tristan potesse essere un brutale assassino. Eppure... eppure non si sarebbe mai aspettata nemmeno che frequentasse una fumeria di oppio in una delle strade più malfamate della città, né che avesse bisogno di stordirsi con la morfina. «No» rispose secco Lord Montgomery. «Non lo credo affatto.» Scosse il capo. «La famiglia di Lord Brisbane aveva la fama di essere piuttosto eccentrica, ma più che di pazzia si trattava del rifiuto delle normali regole sociali.» Odyle annuì gravemente, anche se il tarlo del dubbio aveva preso a divorarle il cuore. «Lord Montgomery...» Erano giunti davanti ai gradini che salivano fino all'ingresso dell'abitazione di Brisbane. «Com'è morta Lady Christina?» Il vecchio sospirò, l'espressione grave di tristezza. «Senza dubbio è stata assassinata. Lord Tristan sostenne di averla ritrovata in una stanza del suo maniero di campagna, Blackborough, con la gola orrendamente squarciata.» Odyle serro' i pugni immaginando la scena. «Chi può essere stato?» «E chi lo sa? I domestici dissero che doveva essersi trattato di un ladro, ma non era stato rubato niente e non c'erano segni di effrazione sulle porte. I guardiani non avevano visto nessuno. Furono svolte delle indagini anche sui domestici, tuttavia ognuno di loro aveva un alibi. Così l'omicidio rimane irrisolto nonostante i numerosi articoli apparsi sul Daily Telegraph che riportavano con raccapriccianti illustrazioni quella che doveva essere stata la scena.» Lord Montgomery si strinse nelle spalle. «Era sconveniente, ma dopo il caso del treno da Londra a Brighton, dove grazie al giornale fu possibile acciuffare il colpevole, nessuno si oppose.» Lord Montgomery si riferiva a un caso di omicidio occorso nel 1881: un facoltoso uomo d'affari, William Gold, era stato assassinato sul treno Londra - Brighton. Un giornalista del Daily Telegraph si era messo a studiare il caso e aveva affermato di aver scoperto il colpevole. Tuttavia Percy Lefroy, l'uomo che il reporter accusava, nel frattempo era fuggito. Il giornale ottenne e pubblico' una sua fotografia e Lefroy fu in seguito condannato per l'omicidio e giustiziato. Odyle fissò gli occhi sulla porta dipinta di nero e le sembrò che anche la sua mente sprofondasse in una pozza di inchiostro scuro, che le impediva di pensare. Lord Montgomery le strinse forte il braccio. «Lord Brisbane non aveva motivo di uccidere sua moglie, Miss Chagny. Non dovete pensare neppure per un attimo che sia stato lui. Sarebbe ingiusto che vi metteste dalla parte di tutti quei pettegolezzi che, da allora, gli hanno rovinato la vita costringendolo ai limiti della società.» Le sorrise. «Secondo me, è un uomo straordinario. Guardate!» Si sporse verso di lei allungando una mano e premette un pulsante. «Ha fatto installare un campanello elettrico e tolto il batacchio! Lord Brisbane è un uomo molto moderno e non riesco a figurarmelo nei panni di un assassino da romanzo gotico!» Le sorrise, e Odyle non poté fare altro che sorridergli di rimando. Qualche anno prima, Gabriel Lippmann, studioso di fisica, aveva raggiunto risultati sorprendenti studiando un fenomeno di interferenza all'interno dello strato sensibile del mercurio, ma il procedimento era lungo e difficoltoso e Tristan, così come altri appassionati di fotografia, aveva sperato di scoprire un metodo più pratico per ottenere delle immagini a colori. Era chino da più di un'ora, con in mano una grossa lente di ingrandimento, a esaminare i risultati del suo ultimo esperimento. Rifacendosi alle teorie sulla sintesi dei colori del fisico scozzese Maxwell, era riuscito a creare una specie di reticolo di granuli di colore rosso, verde e blu distribuiti su di una lastra di vetro sottilissima che aveva poi spalmato di emulsione fotografica. Aveva appena terminato il procedimento di inversione dell'immagine al negativo e teneva tra le mani un risultato piuttosto sorprendente. Il volto di Odyle Chagny gli sorrideva, costellato da una miriade di puntini rossastri e bianchi; il vestito era costituito da punti fittissimi di nero, blu e violetto, mentre tutto intorno una varietà di macchie gialle e verdi costruivano le sembianze degli alberi e dell'erba. L'effetto dei puntini era fastidioso se osservato con la lente di ingrandimento, ma diventava assolutamente accettabile, almeno come primo risultato, guardando l'immagine a occhio nudo. Stava procedendo nella direzione giusta, si disse, allungando la mano verso la sua terza tazza di caffè. Si sentiva di buon umore da quando aveva preso la decisione di riaprire Blackborough, e ora quel risultato stupefacente... Cercò di farsi coraggio ripetendosi che tutto sarebbe andato per il meglio, che il peggio nella sua vita era di certo passato, e che un giorno, forse, avrebbe potuto essere felice di nuovo. No, sarebbe stato uno sciocco a sperarlo anche solo per un attimo. Le cose non sarebbero state mai più come prima e lui non avrebbe potuto condannare qualcun altro chiedendogli di stargli vicino... I suoi pensieri furono interrotti da alcuni colpi alla porta. «Milord, so che non volete essere disturbato, ma...» Mrs. Manfred entrò nella stanza e ne osservò il disordine con un sorriso disorientato. «... avete visite.» Tristan si voltò di scatto verso la donna. «Come avete detto?» Mrs. Manfred si avvicinò al tavolo da lavoro, dal quale lui la guardava esterrefatto. «Un certo Lord Montgomery è venuto a trovarvi, accompagnato da una signorina.» Oh, no! Tristan chiuse gli occhi per qualche secondo e scrollo' le spalle sbuffando. Lord Montgomery gli piaceva molto ed era stato lui stesso a dirgli di passare a trovarlo quando avesse voluto. Ma non aveva immaginato che si sarebbe fatto accompagnare dalla sua insopportabile nipote. Non aveva altra scelta se non quella di riceverli, ma sperando di scoraggiarli dal trattenersi troppo decise di presentarsi così com'era, con addosso la giacca da camera. «Non preferite cambiarvi, milord?» «Sono perfettamente vestito» ribatte' lui mostrando alla governante che, sotto la giacca, sfoggiava un bel paio di pantaloni e una camicia di tutto rispetto. Mrs. Manfred scosse il capo. Poi lo sguardo le cadde su una fotografia dai colori irreali. Il volto ritratto era quello della ragazza che aveva incontrato nell'atrio.

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Capitolo 28
*** 28 Capitolo ***


In corridoio, Tristan si fermò dinanzi a uno specchio e cercò di sistemarsi alla meglio i capelli. Si soffermo' qualche istante a valutare i lineamenti del suo volto, tirati dalla stanchezza, e si sforzo' di sorridere. Dopotutto, se era vero che non era abituato a ricevere visite, era altrettanto vero che aveva preso la decisione di cambiare e quella era l'occasione perfetta per mettersi alla prova come ospite. Tutta la sua baldanza svani' non appena ebbe aperto la porta del salotto dove Lord Montgomery e la sua accompagnatrice lo stavano aspettando. In piedi vicino alla finestra, con le braccia strette intorno al corpo come per difendersi in un territorio ostile, non c'era Cecilia Montgomery bensì Odyle Chagny. La giovane sembrava a disagio ed era evidentemente turbata. Era scura in volto e le sopracciglia aggrottate non lasciavano presagire niente di buono, notò. Si chiese che cosa potesse averla sconvolta e, soprattutto, come mai fosse andata a trovarlo in compagnia di Lord Montgomery. Quest'ultimo mistero venne svelato non appena ebbe offerto loro il tè. Montgomery, scoprì, aveva incontrato per caso Miss Chagny, che aveva acconsentito ad accompagnarlo. «Ero molto interessato a vedere la vostra casa, Lord Brisbane, sapete?» disse il vecchio rompendo il silenzio imbarazzato che aleggiava nella stanza. «Vi prego, Lord Montgomery, solo Tristan.» «Speravo che avremmo potuto lasciare da parte le formalità, mio caro Tristan. Allora vogliate acconsentire a chiamarmi Alfred.» D'istinto, Tristan fece scivolare lo sguardo su Odyle, ma lei rimase immobile e in silenzio, seduta rigidamente sulla poltrona che le era stata assegnata. «Sono molto stupito dalla modernità delle vostra dimora, Tristan» proseguì Lord Montgomery. «Non mi aspettavo che ci fossero già delle abitazioni dotate di energia elettrica, qui a Londra.» Tristan abbozzo' un sorriso. «Tutto sta nell'avere una centralina di alimentazione non troppo distante. Sono certo che questa tecnologia è destinata a fare progressi. Pensate... magari, un giorno, tutti saranno dotati di energia elettrica, anche le famiglie meno abbienti!» Lord Montgomery scoppiò a ridere. «Siete a dir poco avveniristico, mio caro amico!» Sospirò. «Ci vorrebbe gente ottimista e capace di sognare come voi alla guida del nostro paese.» Guardò Odyle, sempre in silenzio nel suo angolo. «Che ne pensate, ragazza mia?» Odyle si guardò intorno, intimorita. «Penso... penso che ogni paese abbia bisogno di persone concrete che sappiano leggere i reali bisogni del popolo, non di gente che si perde dietro ai propri sogni e che magari, a favore di questi, non si accorge neppure delle sofferenze altrui.» Disse alla fine. Tristan la fissò strabiliato. Cosa intendeva dire? Quella stoccata era riferita a lui? Ma lui non aveva mai avuto intenzione di proporsi per una carica governativa, non avrebbe nemmeno potuto, visto ciò che era successo a sua moglie... Ciò nondimeno, le sue parole l'avevano ferito. Che cosa aveva voluto dire Odyle riferendosi a lui come a una persona che non si accorgeva delle sofferenze altrui? Proprio non capiva perché lo stesso attaccando. Tuttavia, cercò di fare buon viso a cattivo gioco e abbozzo' un sorriso. «Avete ragione, Miss Chagny. Non sono quel che si suol dire una persona concreta, nonostante i miei sforzi per capire e adeguarmi alla modernità.» «Non tutto ciò che è moderno è buono... Prendete Londra, ma anche un'altra città, come Parigi, e guardate com'è stata ridotta dall'inquinamento del carbone. E poi le scoperte della medicina... Spesso i sedativi, come il laudano, risultano fatali e credo che anche altri ritrovati comunemente venduti in farmacia presto si riveleranno dannosi sotto qualche aspetto...» sottolineò lei. «Se non si sperimentasse mai nulla, mia cara Miss Chagny, la scienza non potrebbe progredire e molte malattie rimarrebbero senza una cura» osservò con aria di rimprovero Lord Montgomery. Tristan, invece, non rispose. Aveva la netta sensazione che quell'ultima affermazione di Odyle fosse indirizzata a lui. «Medicinali come la morfina possono risultare molto utili come calmanti. Pensate alle sofferenze di un corpo malato, magari quello di un soldato ferito brutalmente in battaglia: la morfina potrebbe dargli sollievo nel caso in cui il medico fosse costretto, che ne so, ad amputargli un arto» le spiegò. «Non ne dubito, ma purtroppo è un medicinale che viene usato senza controllo e venduto comunemente. Se avete letto Baudelaire, riconoscerete con me i pericoli dell'abuso dell'oppio e di altri sedativi» ribatte' lei in tono brusco. «Credo che una persona possa essere in grado di giudicare se ha bisogno o meno di un medicinale, mia cara» cercò di blandirla Lord Montgomery. «Non se si trova in uno stato di profonda prostrazione mentale, milord. Allora, si affida spesso alla guida di altri individui che possono approfittare della situazione o, semplicemente, non capire quali sono le sue reali necessità.» Aveva risposto a Lord Montgomery, ma i suoi occhi non avevano mai abbandonato quelli di Tristan Brisbane. La conversazione si concentrò su argomenti più frivoli quando una delle cameriere entro' nella stanza con un carrello pieno di leccornie e distribui' tazze di tè agli ospiti e al suo padrone. Qualche minuto più tardi, Mrs. Manfred si affaccio' alla porta scusandosi per l'intrusione. «Lord Montgomery, uno dei vostri lacchè ha appena recapitato questo biglietto.» Gli porse una busta sigillata malamente con una goccia di ceralacca. Lord Montgomery guardò la donna, disorientato, e presa la missiva ne ruppe il sigillo e fece scorrere lo sguardo sul suo contenuto. Tristan vide il suo ospite assumere un'espressione accigliata. «Quella buona a nulla...» mormorò quasi impercettibilmente tra i denti. «Perdonatemi, Tristan» alzò gli occhi sul suo ospite, «Sembra proprio che non possa allontanarmi da casa senza che mia figlia combini qualche guaio.» Tutti e tre si alzarono e si avviarono verso la porta. «Spero che non si tratti di niente di grave» disse Brisbane. «Oh, non credo, ma con lei ogni goccia d'acqua è un potenziale presagio di tempesta e mia nipote... ah... credo che un po' si diverta nel vedere sua zia in difficoltà! È meglio che mi affretti ad andare a controllare che la casa non sia avvolta dalle fiamme.» Tristan soffoco' un sorriso. «Miss Chagny» continuò poi Alfred Montgomery rivolgendosi a Odyle, «Vi accompagno a casa, se lo desiderate.» «No» propose Tristan all'improvviso. Odyle e Montgomery lo guardarono stupiti. «Voglio dire... voi avete fretta, Alfred. Lasciate che sia io ad accompagnare Miss Chagny a casa. E poi» continuò voltandosi verso la ragazza, «C'è ancora una cosa che vorrei mostrarle.» «Allora vi ringrazio, Tristan. Spero di rivedervi presto.» «Ricambiero' la vostra visita, Alfred, non dubitate.» Tristan chiuse la porta del salotto dietro di sé e rimase in silenzio a osservare la schiena di Odyle. Indossava un abito da passeggio blu con delle sottili righe verticali che slanciavano la sua figura. Una lunga fila di bottoncini le disegnavano la linea della schiena e Tristan si ritrovò a chiedersi come sarebbe stato slacciarglieli a uno a uno e infilare una mano sotto la stoffa fino a sfiorarle la pelle. «Che cosa volevate mostrarmi?» domandò Odyle, interrompendo il flusso dei suoi pensieri. Era palesemente a disagio e gli ricordava un animale in gabbia. «Siete arrabbiata con me, ma non ne so il motivo» tagliò corto lui. Odyle fece un respiro profondo. Come poteva riversare su di lui tutte le sue accuse? Come poteva chiedergli di chiarirle tutto ciò che la turbava così tanto? Non ne aveva il diritto, e non aveva abbastanza confidenza con lui. «Non posso essere arrabbiata con voi, milord.» «Milord» ripeté lui sciommiottando il tono duro che lei aveva usato per pronunciare il suo titolo.«È vero. Non siete arrabbiata. Siete furiosa.»

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Capitolo 29
*** 29 Capitolo ***


Odyle guardò sottecchi, Lord Brisbane. «Siamo su due piani molto diversi, milord. Io sono soltanto un'istitutrice che non ha il diritto di rimproverarvi per nessuno dei vostri comportamenti.» «Formalmente, forse. Tuttavia è successo qualcosa... Vi hanno detto qualcosa...» A un tratto fu folgorato da un pensiero tremendo. Lei lo credeva colpevole! Aveva saputo di Christina e credeva che lui... Oddio, non poteva essere vero! «Ci sono stati dei pettegolezzi sul mio conto...» «Lo so, vostra moglie... Non mi avevate detto niente.» «Non sono sposato. Non più.» «Lo siete stato, però. Penso che sia una cosa importante...» Lui la fissò con aria interrogativa. «Ma avete ragione, non sono affari miei e non ho alcun diritto di chiedervi una spiegazione.» «Non è per questo, Odyle...» L'aveva chiamata ancora per nome ed era così struggente e meraviglioso sentirglielo pronunciare. Non riusciva a staccare lo sguardo da lui, dalle sue labbra e dai suoi occhi. Senza rendersene conto fece un passo in avanti. «Avete detto che c'era qualcosa che volevate mostrarmi» disse per interrompere l'incanto di quell'istante. Tristan le porse la mano. «Venite.» Odyle lasciò che intrecciasse le dita alle sue e gli permise di condurla al piano di sopra. Non incontrarono nessuno, nessuno poteva accorgersi di quel contatto così intimo cui però, come ipnotizzata, non riusciva a sottrarsi. Tristan la introdusse in una camera semibuia, con grossi tavoli ricoperti di libri e strani oggetti che non riusciva a definire; gli unici che riconobbe erano dei barattoli di vetro che contenevano liquidi e polveri di varie sfumature. Lui le lasciò la mano per chiudere la porta, poi si avvicinò alla scrivania. «Ecco.» Le porse una fotografia. Un'Odyle composta di strani punti colorati la osservava dalla superficie del cartoncino. In quel modo, Tristan era riuscito a riprodurre il colore e ora avrebbe dovuto solo perfezionare la tecnica. Quella poteva essere una vera rivoluzione nel campo della fotografia! «Quanto al discorso di prima...» Odyle sentì la voce di Tristan alle proprie spalle e una sensazione rassicurante le riscaldo' il ventre. «Non è per questo che ce l'ho con voi» replicò mentre percepiva il calore del suo corpo, vicinissimo. Lo sentì sospirare. Perché? Sollievo? «Ciò non vuol dire che vi giudichi innocente. Dubito che, se ve lo domandassi, mi dareste una versione dei fatti diversa da quella che avete rilasciato alla polizia.» Lui si irrigidi'. «Non pensavo foste il tipo che ama i pettegolezzi» commento' con sarcasmo. Il calore che aveva sentito sulla schiena svani': Tristan si era allontanato. «Infatti non lo sono. Non ho mai detto di credervi colpevole. È che non ci ho ancora riflettuto.» Ribatte' voltandosi verso di lui. «Allora?» «Allora non credo che siate la persona che volete farmi credere...» Tristan aprì la bocca per ribattere ma lei lo zitti'. «Non vi rendete neppure conto di tutto il male che avete fatto?» «Ma di cosa state parlando?» «Ah! Vedete? Ho ragione! Non ve ne importa niente. Non ci avete neppure fatto caso!» «Visto che sono così egoista, vi dispiacerebbe darmi una spiegazione?» «Sto parlando di Lord Moran e di quello che l'avete indotto a fare.» «Michael ha sempre preso da solo le sue decisioni» ribatte' Tristan, seccato e sulla difensiva. «Alcune persone non sono in grado di decidere, in certi momenti della loro vita. Lord Michael aveva perso un figlio. Era vulnerabile.» «E io avevo perso mia moglie!» sbotto' lui con enfasi. «Forse neppure io ero in grado di ragionare in modo lucido!» «Voi non avete figli, siete padrone di fare quello che volete.» Abbassò lo sguardo. «Anche se, personalmente, devo ammettere che mi avete molto delusa, milord. Credo che la morfina sia una terribile e pericolosa debolezza.» «Non faccio uso di morfina.» Odyle lo guardò dritta in volto. «Non sono una stupida, milord.» «E io non vi sto mentendo.» Furiosa, Odyle fece un passo verso la porta, decisa ad andarsene. Era inutile continuare a discutere. Era una sciocca se credeva di poter venire a capo di qualcosa. Tristan le afferrò il braccio prima che riuscisse a raggiungere la maniglia. «Vi prego, Odyle.» Lei gli rivolse uno sguardo pieno di rancore. «Credete che non abbia notato cosa conteneva il vostro pacchetto, ieri pomeriggio? Era morfina. Anche Lord Michael possiede un astuccio da siringa identico a quello.» Tristan la lasciò andare, poi lentamente si slaccio' i polsini e si arrotolo' le maniche della camicia sino ai gomiti. Quindi tese le braccia verso di lei, per mostrargliele. «Vi dimostro che non faccio uso di morfina. Non ho alcun segno sulle braccia. Non più. Controllate.» Odyle gli osservò per qualche istante gli avambracci e le mani. Come doveva essere sentire quelle mani sulla pelle? E se lui, ignorando quelle che potevano essere le sue proteste, l'avesse stretta a sé e baciata? No, Tristan era troppo beneducato per compiere un gesto simile... E se fosse stata lei, invece, a gettarsi tra le sue braccia? Certo, lo detestava per tutto quello che aveva fatto a Lord Michael... Aveva fatto precipitare il suo amico in un abisso e non si era curato di lasciarlo lì a marcire. No. Quell'uomo era pericoloso ed era un bugiardo. «Ci si può iniettare la morfina in qualsiasi parte del corpo, non solo nelle braccia» commento' con amarezza. Tristan lasciò cadere le mani lungo i fianchi. «Sono pronto a spogliarmi davanti a voi per dimostrarvi che non mento, se è questo che volete.» Trattenne il fiato. «Io un po' lo desidero...» Odyle non riusciva quasi a respirare. Era come se il suo cuore fosse diventato un elemento estraneo a lei e premesse per uscirle dal petto. «Offritemi un'altra spiegazione, dunque» gli rispose cercando di non dargli a vedere il suo turbamento. «Non posso. Dovete credermi sulla parola.» Si rimise a posto la camicia. «Volete che creda a tutto senza che mi diciate niente. Come posso farlo? Avete o no indotto Lord Moran a fare uso di oppio?» «Come l'avete scoperto?» «Ho trovato un vostro biglietto sul quale era segnato l'indirizzo di un locale chiamato Lo Stelo d'oro. Così ci sono andata e l'ho trovato lì. Lui, poi, mi ha raccontato tutto.» Tristan scoppiò in una risata amara. «Tutto, eh? Ah, lo immagino!» Scosse il capo. «Michael ha sempre avuto la brutta tendenza a piangersi addosso e a rifiutare di prendersi le sue responsabilità. Gli ho dato io quell'indirizzo, lo ammetto, ma quando è stato il momento gli ho anche detto di venirne fuori e che l'avrei aiutato.» Osservò l'espressione incredula di Odyle. «Immagino che non vi abbia detto niente di James Brady.» «Era l'altro uomo che veniva con voi alla fumeria d'oppio.» Ribatte' lei, fiera di potergli dimostrare che, invece, ne era a conoscenza. «Sì... E vi ha detto che è morto a causa sua?» Gli occhi di Odyle si spalancarono. «No...» «È successo l'ultima sera che mi sono recato alla fumeria. Ero completamente stordito dall'oppio e non mi sono neppure reso conto che James e Michael se ne erano andati. Se solo fossi stato più cosciente, avrei potuto fermarli... Michael, qualche giorno prima, era stato assalito e derubato, ma diceva di aver riconosciuto il suo aggressore e di essere in grado di ritrovarlo. Quella sera, galvanizzati dalla droga, avevano deciso di andare a farsi giustizia da soli. Brady fu ritrovato il giorno dopo, in un vicolo poco distante dallo Stelo d'oro, con un coltello piantato nelle budella.» Odyle si coprì la bocca con le mani. «Ma avete detto che eravate in stato di incoscienza! Come sapete che Lord Moran era coinvolto in quella faccenda?» «Perché il giorno seguente lui mi raccontò com'era andata davvero. Erano stati seguiti e poi, quando la banda aveva preso James, lui era scappato. Ovviamente, dopo qualche tempo, cambiò la sua versione e sostenne di essere stato stordito subito e di non aver lasciato Brady nei guai, ma io so che non è andata così.» Odyle scosse il capo. A chi doveva credere?

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Capitolo 30
*** 30 Capitolo ***


Dopo una breve pausa, Lord Brisbane proseguì il suo racconto: «Quando me lo raccontò, decisi immediatamente che dovevo smetterla con l'oppio'. Stavo perdendo il controllo e se fossi stato in me, quella sera, forse avrei potuto impedire la tragedia.» Lei lo guardò speranzosa. «Cercai di convincere Michael a fare lo stesso e per un po' pensai che mi avesse dato retta, ma poi scoprii che mi mentiva e che si recava alla fumeria di nascosto, anche da solo, e che aveva iniziato a fare uso di morfina per stordirsi ancora di più. Litigammo, e da allora smettemmo di frequentarci.» Si sporse verso di lei e le posò una mano sul braccio. «È la verità, Odyle.» Era ovvio. Lui e Michael erano stati legati dalla frequentazione della fumeria d'oppio; mancando quella, anche la loro amicizia si era dissolta. «Se devo fidarmi di voi, voglio sapere perché ieri avete acquistato quella morfina.» «No» ribatte' Tristan secco. Odyle lo fissò. I suoi occhi erano di un impenetrabile blu scuro e non riusciva a leggervi nulla. «Riaccompagnatemi a casa.» Tremava, ma il freddo che sentiva era dentro di lei anche se all'esterno nevicava e la carrozza sembrava avvolta da una nuvola di piume. Il resto del mondo, oltre il finestrino, era sparito. Era come se non esistesse più nulla al di là dell'abitacolo che sobbalzava, ed era facile immaginare che non esistesse più nessuno a parte loro due, Tristan e Odyle. Odyle osservò l'uomo che le era seduto di fronte, e che guardava fuori dal finestrino, quasi si fosse scordato della sua presenza. Quanti interrogativi, quante domande senza risposta le frullavano ancora nella mente. Tristan, da uomo rassicurante e un po' goffo, si era gradualmente trasformato in un individuo misterioso e indecifrabile. Se le cose che le aveva raccontato erano vere, perché non aveva voluto rivelarle niente a proposito della morfina che lei gli aveva visto comprare in farmacia quel pomeriggio? Se le aveva detto la verità riguardo a ciò che era successo con Lord Moran e James Brady, se si era fidato di lei tanto da rivelarle quella parte così buia della sua vita, perché non poteva dirle il resto? Che cosa le nascondeva ancora? Ma la cosa che la terrorizzava di più era la possibilità che ciò che lui non voleva dirle avesse a che fare con la morte di sua moglie... Il tragitto fu breve, nonostante la neve, e presto la carrozza si fermò davanti alla casa dei Moran. Non avevano scambiato una sola parola da quando avevano lasciato lo studio di Lord Brisbane. Odyle scosto' la coperta che il vetturino le aveva dato per difendersi dal freddo e scivolo' sul sedile per raggiungere lo sportello. La luce di un lampione illuminava il volto di Tristan rendendo i suoi lineamenti ancor più duri e l'espressione più severa. I suoi occhi, però, mostravano una tristezza infinita, un'angoscia inspiegabile che la turbo' profondamente. Le prese la mano e se la portò alle labbra. «Perdonatemi, Odyle...» La fiammella del lampione fece luccicare una lacrima che gli scendeva sulla guancia. Istintivamente, con la mano libera, lei gli fece una carezza e gliela asciugo'. Tristan la guardò per un istante che le parve infinito. Odyle pensò che sarebbe potuta sprofondare in quegli occhi blu come l'oceano e che, in effetti, stava perdendo la ragione. Il suo respiro si era fatto veloce, così come il pulsare del cuore. Un lungo brivido le corse lungo la schiena mentre una sensazione di piacevole calore le inondava il ventre. Poi, tutto a un tratto, un pensiero sconvolgente si fece strada nella sua mente. Lei era sua. Non poteva farci niente. Era alla completa mercé di quell'uomo, che aveva quasi quindici anni più di lei e una montagna di segreti che non voleva raccontare. Era schiava dei suoi occhi e delle sue mani che ora si protendevano verso di lei e la accarezzavano; era soggiogata dalla sua determinazione ad attirarla a sé e avvolgerla in un abbraccio; non aveva più la volontà di opporsi alla sua bocca che la cercava posandosi sui suoi capelli, sulle sue palpebre chiuse, sulle sue guance e, infine, sulle sue labbra umide e dischiuse che non volevano conoscere altro che il suo sapore. «Tristan...» Una sensazione di totale euforia sembrava essersi impadronita di lui togliendogli la ragione. Stava davvero stringendo quella incredibile creatura tra le braccia? E lei stava davvero rispondendo alle sue carezze con una docilità impensabile anche solo mezz'ora prima? Sentiva la morbida delicatezza delle sue labbra premere contro la pelle, sentiva la sua lingua accoglierlo con calore e ribattere con altrettante lussuriose provocazioni. Percepiva la pressione del suo seno contro la stoffa del vestito e gli bastò un lieve tocco per indovinare che, incredibilmente, non indossava il corsetto. Quella scoperta accese ancor più il suo desiderio e gli costò uno sforzo sovrumano resistere alla tentazione di spogliarla lì dov'erano. No, era sbagliato. Si stava facendo coinvolgere quando invece avrebbe dovuto mantenere le distanze. Erano troppo diversi e troppi anni li separavano perché potessero davvero comprendersi. Ma ciò che più importava era che Tristan aveva giurato a se stesso che non si sarebbe innamorato mai più. La scosto' da sé in modo quasi brutale. «Tutto questo è sbagliato, Odyle» le disse con voce roca. «Non può essere. Dovete perdonarmi, è stato un errore, un terribile errore.» Le aprì lo sportello della carrozza e lei scese con un balzo e corse verso la porta senza mai voltarsi indietro. Benché si sentisse imprigionata in una specie di bolla di sapone, Odyle dovette arrendersi e affrontare la cena con i Moran. Le sembrava di osservare se stessa e i suoi padroni mentre volteggiava al di fuori del proprio corpo, come se tutto quello che veniva detto e fatto avvenisse lontano da lei. Lord Michael era di un sorprendente buon umore, chiacchierava e mangiava di gusto, continuando a rivolgersi a Odyle nel tentativo di coinvolgerla nella conversazione. Anche Emma le sembrava strana. Non era meno taciturna del solito, eppure c'era una luce nuova nei suoi occhi. Dava l'impressione di essere più attenta a tutto ciò che accadeva intorno a lei e anche il suo vestito era diverso. Indossava un abito da sera che le lasciava intravedere il collo, mentre fino a quella sera lei l'aveva sempre vista con vestiti assai castigati e severi, allacciati fin sotto la gola. Il marito, come di consueto, non le rivolse mai la parola, tuttavia lei non gli tolse gli occhi di dosso nemmeno per un istante e non perse una parola di ciò che raccontava. Odyle, invece, era completamente tra le nuvole. Ciò che era successo nella carrozza di Tristan l'aveva resa incapace di pensare in modo coerente. «Come avete detto?» Qualcuno le aveva rivolto la parola, ma non era riuscita ad afferrare il senso della frase. «Si presuppone che una dama di compagnia sia un po' più loquace di quanto lo siete voi, Miss Odyle. Il gatto vi ha mangiato la lingua? Oppure il nuovo impegno è troppo gravoso per voi?» le domandò Emma, lanciandole uno sguardo di sfida dall'altra parte del tavolo. «No, milady. Mi dispiace, sono sola un po' stanca.» «Già... e non avete ancora incominciato... A meno che non consideriate andare a zonzo e perdere tempo un'attività che compete al vostro nuovo lavoro.» Emma aveva pronunciato quelle parole in tono leggero, ma Odyle si stupì di sentirgliele proferire. Evidentemente era in collera per qualche motivo e se la stava prendendo con lei. «Emma, sono stato io a dare il pomeriggio di libertà a Miss Chagny» intervenne Lord Moran. «Davvero? Credevo che fosse la "mia" dama di compagnia e che dunque spettasse a me decidere queste cose.» Odyle passò con lo sguardo dall'uno all'altra, incredula e sconcertata. «Vogliate perdonarmi, Lady Moran» disse infine, «domani mattina sarò a vostra completa disposizione.» «Me lo auguro.» Emma lanciò un'occhiata torva al marito. «Sempre che tu non ritenga più giusto chiuderti con lei nello studio e farne la tua segretaria personale.»

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Capitolo 31
*** 31 Capitolo ***


Odyle arrossi' fino alla radice dei capelli, esterrefatta per quello che Lady Emma aveva insinuato. La cena si concluse in un forzato e pesante silenzio. Lord Moran, scuro in volto, si scuso' per allontanarsi e chiudersi nel suo studio mentre Emma e Odyle rimasero sedute per qualche minuto in più, prima di salutarsi con freddezza e raggiungere, separatamente, le proprie stanze. Un paio di giorni dopo, Tristan aveva quasi ultimato i preparativi per la partenza ed era così orgoglioso della propria efficienza che aveva deciso di concedersi un pranzo al Wig & Pen Club con Oswald. Nonostante il suo antico e autorevole titolo, Tristan preferiva il meno prestigioso Wig & Pen, in Fleet Street, al più raffinato White's di St. James, soprattutto per la qualità della clientela. White's era un club esclusivo dove solo i Pari del Regno potevano entrare, mentre il Wig & Pen si concedeva anche a una clientela di sangue meno nobile ma di intelligenza solitamente più vivace, che annoverava parecchi letterati e artisti. Fleet Street era sempre stata una delle mete preferite dei suoi vagabondaggi e quel giorno sentiva l'impellente bisogno di camminare per schiarirsi le idee. Aveva oltrepassato la Ye Olde Cock Tavern, la locanda più antica di tutta la strada, e si era diretto verso l'imponente portone normanno dell'intima e mirabile Temple Church, con le teste grottesche dei suoi mostri di marmo e le effigi dei cavalieri templari. Quindi aveva raggiunto il 229 dello Strand, dove si trovava il Wig & Pen Club, l'unico edificio della zona a essersi salvato dalle fiamme del tragitto incendio del 1666 che aveva raso al suolo praticamente tutta la città. Giunto all'ingresso, però, si era fermato con il piede sul primo gradino. La sua attenzione, infatti, era stata attirata da una scena che si svolgeva poco lontano, nei pressi di Twinings, il famoso negozio di tè, dove due donne dall'aspetto familiare si erano avvicinate alla vetrina. Se la sua vista non lo ingannava, una delle due era Odyle. Cercò di raggiungerle, ma erano già entrate nel negozio. Stava per tornare indietro quando sentì la campanella della porta suonare di nuovo e vide la compagnia di Odyle uscire e raggiungere il marciapiede. Tristan strizzo' gli occhi e mise a fuoco la donna dall'abito conturbante: era Lady Emma Moran. Con la vita strizzata in una redingote verde smeraldo e un improbabile cappellino piumato in testa, che poco si addiceva alla stagione ma che le assicurava gli sguardi incuriositi dei passanti, somigliava molto poco alla donna che aveva incontrato solo qualche giorno prima e che gli era sembrata timida e dimessa. «Buongiorno, Lady Moran» la salutò. Sulle prime, lei non parve riconoscerlo, poi socchiuse le labbra imbellettate in una "o" di sorpresa, sbatte' un paio di volte le ciglia in modo civettuolo e disse: «Lord Brisbane, non è vero? Che sciocchina, da principio non vi avevo riconosciuto.» Gli tese la manina inguantata e lasciò che lui se la portasse alle labbra. «Siete a passeggio per delle commissioni?» le domandò lui con gentilezza, mentre cercava di allungare il collo e sbirciare all'interno del negozio. Riuscì a scorgere la schiena di Odyle, che indossava un abito molto simile a quello che aveva il giorno in cui era andata a trovarlo. La linea della schiena era sottolineata da una sfilza di bottoncini identica a quella che aveva sognato di slacciare. Cercò di non pensare a quello che aveva immaginato di fare con lei subito dopo che le aveva detto, forse in maniera troppo brusca, di scendere dalla carrozza e di considerare ciò che era accaduto solo un terribile errore. Che cosa pensava di lui? Che cosa provava? Tristan era deciso ad attendere che uscisse dal negozio anche solo per poterla vedere un'altra volta. Pur essendo consapevole del fatto che l'attrazione che provava per quella ragazza non gli avrebbe portato che sofferenza e guai, il desiderio di rivederla, di poterle anche solo parlare, era troppo forte perché lo potesse combattere. Le sarebbe stato lontano, questo sì. Aveva deciso che non le avrebbe lasciato intuire più nulla dei suoi sentimenti e in questo modo senza dubbio l'avrebbe protetta, ma, diavolo!, sarebbe stata una punizione troppo crudele impedirsi anche di vederla. «Oh, la giornata era così gradevole che ho deciso di fare una passeggiata ed ho colto l'occasione per sgravare il mio personale da alcune incombenze» gli stava raccontando Lady Moran nel frattempo. «Volevo acquistare qualche pacchetto di Earl Grey's, ma il caldo delle stufe dentro il negozio è insopportabile e c'è così tanta gente che sono dovuta uscire a prendere una boccata d'aria, chiedendo alla mia dama di compagnia di sbrigare la commissione in mia vece.» Lanciò un'occhiata a Odyle, per poi tornare subito a rivolgersi a Tristan. «Ma voi conoscete Miss Chagny, quasi me ne dimenticavo...» All'improvviso i suoi occhi assunsero un'espressione di profonda costernazione, e per un istante Tristan credette che si sarebbe messa a piangere. «Non vi sentite bene, Lady Moran?» le domandò offrendo il braccio. «Oh, no, non è niente. Vi prego...» L'espressione del suo viso però diceva il contrario. «... non preoccupatevi.» Si morse il labbro inferiore come se fosse sulle spine e desiderasse ardentemente chiedergli qualcosa. «Lord Brisbane» disse infine, «Posso... posso chiedervi se conoscete bene Mademoiselle Chagny?» Tristan la osservò, perplesso. «L'ho conosciuta solo un paio di mesi fa, ma mi pare una persona di buon carattere, molto sveglia e intelligente, oltre che molto bella...» Subito pensò che non avrebbe dovuto ammettere di aver notato quell'ultimo dettaglio. «Già...» concordo' Lady Moran con una nota di amarezza. «Sembra che il particolare della sua giovane bellezza non sfugge a nessuno...» mormorò soprappensiero. «Pare che sia riuscita a incantarci tutti. Anche mio marito sembra non poter più fare a meno di lei... » Abbassò lo sguardo sul selciato e si torse le dita.«Ma a volte mi chiedo se sia davvero la persona che dice di essere.» Tristan la guardò sbigottito. Che cosa stava insinuando quella donna? C'era qualcosa che la turbava profondamente, e aveva a che fare con Odyle. La prima volta che le aveva incontrate insieme gli erano sembrate molto affiatate, il loro rapporto sembrava essere improntato più sull'amicizia che su una relazione di lavoro. Che cos'era successo poi? Tornò a guardare Odyle attraverso la vetrina. Stava pagando, ed entro qualche minuto sarebbe uscita per raggiungere la sua padrona. Era mai possibile che Michael avesse delle attenzioni particolari per lei? Ricordò il fervore che Odyle aveva avuto nel difendere il suo amico poche sere prima. Gli era sembrata intenerita dalla situazione di Michael e molto protettiva nei suoi confronti. Ma se avesse frainteso il suo interessamento? L'aveva sentita sciogliersi tra le sue braccia e abbandonarsi alle sue carezze, ma niente, se non l'amor proprio, gli faceva pensare che provasse qualcosa per lui in particolare e non fosse, invece, una ragazza di facili costumi che cercava di approfittare della situazione. Gli sembrò che il cuore gli si indurisse nel petto. Odyle, a tutti gli effetti, nascondeva qualcosa. In lei aveva riconosciuto la ragazza della finestra, una creatura intrepida e scattante che, più che a un'istitutrice, somigliava a un folletto dei boschi o, più realisticamente, alla trapezista di uno spettacolo da circo. «Lord Brisbane!» la voce della giovane istitutrice lo fece quasi trasalire. Odyle li aveva raggiunti con in mano un grosso pacchetto che emanava un intenso profumo di bergamotto. Il suo viso solitamente pallido era soffuso di rossore e il cappellino un po' storto e alcuni riccioli scuri sfuggiti alla severa pettinatura la facevano apparire più sensuale e desiderabile che mai! No, non aveva alcuna difficoltà a immaginare come doveva sentirsi Michael quando le stava vicino. Tutto il giorno, tutti i giorni. Perché sapeva che lui stesso si sentiva cosi negli attimi in cui poteva rimanerle accanto. E non aveva alcuna difficoltà nemmeno a immaginarsela tra le braccia del suo amico... Michael che le stringeva i fianchi... Michael che la accarezzava... Si costrinse ad allontanare quel pensiero dalla mente, altrimenti avrebbe potuto strangolarla lì in mezzo alla strada, a mani nude. «Miss Chagny.» Pronunciò il suo nome con tutta la freddezza di cui era capace. Lei aggrotto' la fronte, dubbiosa. «Non sapevo che foste un tale appassionato di tè da venire di persona da Twinings.» Gli disse quasi per canzonarlo. «Le persone non sono quasi mai quello che sembrano, mia cara. E le loro azioni celano spesso un'intenzione ben diversa da quella che immaginiamo.» Con quella frase, in apparenza criptica, salutò le due donne e tornò impettito verso il club. Tristan era furioso, abbattuto, deluso, incredulo, depresso. Come doveva essersi sentito Cyrano De Bergerac quando aveva ricevuto la trave sulla testa? Dal punto di vista emotivo, con tutta probabilità non molto diversamente da lui. Anche se nel suo caso il dolore era stato fisico e non provocato dalla donna che amava. La donna che amava? Sì, lui, semplicemente, amava. Per qualche strana e complicata alchimia, amava Odyle Chagny e l'idea che lei potesse aver tenuto un comportamento meno che irreprensibile con Michael Moran lo faceva impazzire. "Anche mio marito non sembra poter più fare a meno di lei." Non era stata onesta. Gli aveva mentito. "A volte mi chiedo se sia davvero la persona che dice di essere." Ma lui poteva arrogarsi il diritto di scagliarle addosso la prima pietra? La sera in cui l'aveva riaccompagnata a casa in carrozza si era abbandonato alla passione che provava e lei l'aveva corrisposto, ma poi la paura si era impossessata di lui e l'aveva trattata rudemente, dicendole di dimenticare tutto quando in realtà era l'ultima cosa che voleva accedesse. Non poteva amarla. Gli ostacoli erano troppi. Ma non era il fatto che appartenesse a una classe sociale inferiore a impedirglielo. Che importanza aveva il ceto quando lui stesso era una specie di reietto per quella società di ipocriti bigotti? Il punto non era quello, e lo sapeva perfettamente. L'interrogativo che gli consumava il cuore e il cervello mentre varcava la soglia del Wig & Pen Club riguardava l'onestà di Odyle piuttosto che gli imperativi che gli impedivano di vivere quella storia. Se fosse stato libero di amarla, sarebbe stata lei a prenderlo in giro? Pensò, furibondo. «Tristan!» Udendo una voce chiamarlo, si rese conto che era passato accanto alla nicchia in cui Oswald lo aspettava da una ventina di minuti, e non l'aveva neppure visto. «Paul!» Si voltò verso l'amico e gli fece un cenno col capo. Paul Oswald si accorse subito che c'era qualcosa che preoccupava il suo vecchio amico. Lo conosceva da anni e aveva imparato a comprendere ogni sfumatura del suo carattere. «Qualcosa ti ha turbato?» gli domandò cercando di dissimulare la preoccupazione per ciò che avrebbe potuto riferirgli. Tristan prese posto di fronte a lui e, con un cenno, ordinò del brandy. Oswald strizzo' gli occhi dietro i piccoli occhiali rotondi. «Novità da Blackborough?» Tristan però scosse il capo e lui, dentro di sé, tirò un sospiro di sollievo. «Be', in un certo senso si, ci sono delle novità che riguardano Blackborough» si corresse Tristan. «Volevo appunto parlartene. Ho deciso di riaprire la casa e di invitare una piccola comitiva a passarvi qualche settimana. Che ne pensi? Sei pronto a partire?» concluse sforzandosi di assumere un tono leggero e vagamente sarcastico. Oswald sgrano' gli occhi mentre la tazza di caffè oscillava pericolosamente tra le sue mani. «Ne... ne sei certo?» Abbassò la voce. «Non credi che sia un tantino pericoloso?» Tristan accettò il bicchiere di brandy che gli era stato portato e attese che il cameriere si allontanasse di qualche passo prima di sporgersi verso l'amico. «Circolano troppi pettegolezzi su quella casa. Paul. Tutti si domandano perché, se non ci vado mai, non voglio venderla. Si raccontano storie di fantasmi e altre sciocchezze del genere. Non ne posso più.» «Non credi siano preferibili delle stupide storie di spiriti, cui nessuno con un po' di intelligenza crederebbe, piuttosto che... la verità?» sussurro' Paul. Tristan soppeso' le parole dell'amico, prima di rispondere. «No, nessuna delle due cose, ovviamente. Ho intenzione di invitare poche persone, e di rimanere a Blackborough per non più di tre o quattro settimane.» Paul Oswald scosse il capo. «Aiutami, Paul. Se verrai anche tu, riusciremo a tenerlo a bada. Ne sono sicuro.» Discussero dei dettagli e di ciò che sarebbe occorso per il viaggio e la permanenza al castello. Tristan disse di aver già avvertito i domestici che si occupavano del posto e che, al loro arrivo, lui e i suoi ospiti avrebbero trovato tutto perfettamente in ordine. «E chi altri vorresti portare con te in questa avventura?» Gli domandò Oswald con un sospiro. «Ho mandato una lettera di invito a Lord Montgomery e alla sua famiglia. E poi, pensavo a Lady Cartwridge... è una donna in gamba.» «Certo.» Paul arriccio' il naso. «Non puoi invitarla da sola, però. Perché non lo dici anche a suo figlio e alla moglie? Tu e Michael Moran eravate amici, se non sbaglio.» La smorfia sul volto dell'amico gli disse subito che aveva toccato un tasto dolente. «Tristan? È successo qualcosa con Moran?» «No. Niente. È solo che non voglio avere a che fare con lui. Non siamo più amici da un pezzo. Non ci parliamo neanche più.» Scrollo' le spalle. «Davvero? Allora è quanto meno bizzarro che stia puntando verso di noi con un sorriso radioso stampato in faccia.» Tristan si voltò di scatto verso l'ingresso e si accorse che Paul aveva ragione. «Tristan, vecchio mio!» C'era un che di ironico nello sguardo di Moran e Oswald aggrotto' la fronte. «Michael» si limitò a dire Tristan accennando un saluto con il capo. Moran aveva l'aria di chi ha appena guadagnato un vantaggio e la sua cortesia era palesemente affettata e falsa. «Lord Moran, mi fa piacere rivedervi» si intromise Paul cercando di alleggerire la tensione. «Dottor Oswald.» Michael si tolse il cappello e li guardò come se si aspettasse qualcosa. Paul, imbarazzato, fissò Tristan, senza sapere cosa fare. «Vuoi sederti con noi, Michael?» Lord Moran finse di essere sorpreso da quell'invito e si lanciò una rapida occhiata intorno. «Oh, be', dal momento che la persona che aspetto non è ancora arrivata, non vedo perché no» accettò accomodandosi su una terza poltrona, accanto a Paul. «Allora, Tristan, come vanno i tuoi affari? Collezioni sempre quegli strambi marchingegni?» Rivolse un sorriso complice a Oswald. «Il denaro è la rovina della società moderna, non trovate, dottore? Chi ne ha molto invariabilmente si annoia e deve trovare un modo per buttarlo via.» Oswald si voltò di scatto verso l'amico, in tempo per vederlo arrossire di rabbia.

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Capitolo 32
*** 32 Capitolo ***


«Solo chi è povero di intelletto può pensare che i progressi scientifici siano una perdita di tempo e denaro» riuscì a ribattere Tristan alla provocazione di Lord Moran. Michael aprì bocca per rispondere alla stoccata, ma Tristan fu più veloce nell'affondo. «Non ricordo, Michael... come passi il tuo tempo? Ah, già... frequentando locali con una pessima reputazione.» E sollevò uno degli angoli della bocca in un ghigno crudele. Paul lo guardò con aria severa. Tristan gli aveva parlato della dipendenza dall'oppio di Lord Moran e non trovava appropriato che si prendesse gioco di lui rinfacciandogli quella debolezza. Moran lo fissò inviperito. «Una volta piacevano anche a te» mormorò a denti stretti. «Gradite qualcosa da bere, Lord Moran?» intervenne Oswald. Michael sollevò il palmo della mano destra e scosse il capo. «Faccio il bravo, ancora per un poco...» disse. «Come sta tua moglie?» gli domandò Tristan di punto in bianco. «Emma? Bene, credo. Questa mattina si era messa in testa di fare delle compere per la cucina. È un po' strana, di questi tempi...» osservò, come se riflettesse tra sé e sé. Oswald notò che Tristan inspirava profondamente, poi tratteneva il fiato per qualche istante stringendo i pugni. «E la mia amica... Mademoiselle Odyle?» Percepi' un'inflessione strana, quasi una stonatura, quando l'amico pronunciò quel nome. Anche Lord Moran dovette accorgersene, perché lo fissò per qualche istante prima di rispondere: «Odyle... Mademoiselle Odyle sta bene. Le piace... rendersi utile.» Pronunciò quelle ultime due parole in tono sarcastico, con la deliberata intenzione di infastidire l'amico. Ci fu un rumore secco, provocato dal bicchiere di brandy ormai vuoto, che veniva appoggiato con forza incontrollata sul tavolo. «Come ben sai, la reputazione di una donna è sempre sotto giudizio, Michael» lo ammoni' Tristan. «Mi auguro che Mademoiselle Odyle non sia un'ingenua.» Fu allora che Oswald notò un bagliore accendersi negli occhi di Lord Moran. Qualcosa nelle parole di Tristan gli aveva dato un appiglio, un nuovo vantaggio. «Se continuerà a sfruttare le sue doti, credo proprio che farà molta strada, invece» replicò, infatti Michael, prima di prestare attenzione al biglietto che il cameriere gli porgeva su di un piccolo vassoio d'argento. «Oh, che peccato! La persona che aspettavo è stata trattenuta.» Si alzò e porse la mano a Oswald. «Dottore, è stato un vero piacere incontrarvi.» Oswald annuì e gliela strinse, poi guardò Tristan e capì che stava per fare qualcosa di veramente stupido. «Michael!» lo apostrofo' in tono affettato. «Mi stavo domandando... È molto tempo che la mia casa di campagna è chiusa e sto programmando di trascorrervi qualche settimana, prima di Natale. Perché tu e la tua famiglia non venite? Sarebbe una buona occasione per tornare a conoscerci un po'. Mi piacerebbe invitare anche tua madre.» Michael afferrò la mano che gli veniva porta e strinse un poco gli occhi, come se cercasse di capire cosa aveva in mente Brisbane. Poi le sue labbra si incurvarono in un sorriso sicuro. «Accetto la sfida» mormorò. Emma l'aveva tenuta impegnata tutto il giorno, dopo che erano rientrate a casa. Odyle si era sentita costantemente osservata e sotto esame. Persino quando si era dedicata alle bambine, per discutere con loro di geografia e di storia, aveva visto la sua padrona fare capolino nella nursery, come se volesse accertarsi che si trovasse davvero lì. Da circa una settimana Lady Moran aveva assunto un comportamento piuttosto strano. All'inizio, Odyle ne era stata quasi contenta. Emma aveva preso a curarsi di più, aveva insistito per rifarsi il guardaroba e per chiamare un parrucchiere prestigioso che le tagliasse e acconciasse i capelli secondo l'ultima moda. Nel frattempo, tuttavia, avevano avuto inizio le sue angherie. Sembrava che tutto quello che Odyle faceva la infastidisse, che i compiti che le assegnava non venissero mai svolti in maniera corretta. Ogni scusa era buona per rimproverarla e cercare di umiliarla, sebbene le parlasse sempre in tono gentile. E continuava a cercarla. Ogni volta che si allontanava dalla sua padrona per più di pochi minuti, subito veniva raggiunta da Lucy o da Westley che erano stati incaricati di "vedere" dov'era finita; e ogni volta che Lord Moran diceva di aver bisogno di lei per delle faccende private, Emma sembrava stizzita e moltiplicava e complicava i compiti che Odyle doveva svolgere. Si era persino svegliata durante la notte con l'impressione che Emma avesse sbirciato in camera sua e, in corridoio, trattenendosi a scambiare qualche parola con una Lucy sconvolta dal sonno, aveva scoperto che la padrona di casa non riusciva a chiudere occhio perché milord era uscito senza avvisare nessuno. Era stato allora che Odyle aveva iniziato ad avere dei sospetti. Il giorno seguente si era infilata di nuovo nella camera da letto di Lord Michael e aveva frugato nei cassetti del suo armadio. Le aveva giurato che non usava più la morfina e le aveva dato in custodia sia la siringa sia le boccette di anestetico. Il che, aveva pensato lei, non gli avrebbe impedito di comprarne altre e per questo era andata a controllare. Ma aveva constatato con sollievo che nel cassetto non c'era nulla del genere. Per sua sfortuna, Emma l'aveva colta in fragrante. «Dubito che troverete spunti per le vostre lezioni tra la biancheria di mio marito, Mademoiselle» le aveva detto guardandola con freddezza dalla porta. «A meno che non intendiate avvicinare le mie figlie ad alcuni principi di anatomia.» Odyle avrebbe voluto scomparire. «Perdonatemi, milady. È stato vostro marito a chiedermi di cercargli un oggetto in questi cassetti» aveva mentito senza pudore arrossendo. «Davvero?» Emma aveva strizzato gli occhi. «E di che cosa si tratta? Calzettoni di lana? Oppure una qualche lettera segreta?» Odyle aveva lanciato un'occhiata al cassetto e aveva trovato la sua ancora di salvezza. «Questa lente di ingrandimento!» Sotto lo sguardo severo di Lady Emma, l'aveva richiuso e l'aveva raggiunta alla porta. Quella sera chiese, e le fu concesso, di ritirarsi presto per la notte. Si corico' e spense la luce, ma era troppo stanca per riuscire ad addormentarsi. L'incontro con Lord Brisbane appena fuori da Twinigs l'aveva turbata, lasciandole una sorta di amarezza. Solo il giorno prima, lui l'aveva stretta tra le braccia e l'aveva baciata, mentre quella mattina l'aveva trattata con distacco quasi infastidito. Forse, riflette', ce l'aveva con lei proprio per quel bacio. In effetti, lei avrebbe dovuto resistergli, invece di rispondere con enfasi alle sue carezze. Chissà come doveva giudicarla! Si girò sotto le coperte. Oh... al diavolo Lord Brisbane! Perché a un uomo era concesso di mostrare la propria passione mentre una donna doveva sempre fingere di subire violenza? Sentì una carrozza fermarsi davanti alla casa. Balzo' giù dal letto e corse alla finestra, giusto in tempo per vedere Lord Moran uscire dal portone e salire a bordo. Quella storia non le piaceva affatto... Ma per quel che ne sapeva lei, Michael Moran poteva anche essersi recato al club. Guardò l'orologio sul muro. Quasi l'una di notte. Era troppo tardi per andare da White's o da Wig & Pen. Aprì l'armadio e tirò fuori l'abito da uomo che già una volta aveva indossato. Non era troppo tardi per recarsi allo Stelo d'oro. Bull Wharf Lane era insolitamente poco frequentata, quella sera. Tristan vi era giunto con la propria carrozza, ma aveva detto al suo stalliere di attenderlo sulla strada principale, sotto un lampione, con la speranza che quelle precauzioni gli avrebbero garantito una certa incolumità. Il pensiero di Michael e Odyle lo aveva assalito per tutto il giorno. Era sicuro di trovare il suo amico alla fumeria e quello era il posto migliore per farlo parlare... Se c'era davvero qualcosa tra quei due voleva saperlo subito; e forse l'influsso dell'oppio avrebbe indotto Michael a dirgli tutta la verità senza mezzi termini e frasi sottintese.

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Capitolo 33
*** 33 Capitolo ***


Tristan si strinse il bavero del soprabito sotto la gola e si incammino' verso la porta di ingresso dello Stelo d'oro. Lord Moran le aveva mentito! Aveva finto di non essere più schiavo dell'oppio e l'aveva raggirata come una ragazzina. Odyle era fuori di sé dalla rabbia. Arrivata allo Stelo d'oro, aveva praticamente urlato a Wu Xi'an di portarla immediatamente da Lord Moran. Il cinese si era spaventato nel vederla tanto agitata e l'aveva subito fatta accompagnare nel salone. Sdraiato in un angolo, intento ad aspirare boccate di fumo, c'era Lord Michael. «Vergognatevi!» sbotto' Odyle inginocchiandosi accanto a lui. «Mi avevate detto che vi sareste sforzato, che non sareste più venuto qui!» Lui non si era ancora perso del tutto nell'oblio dell'oppio e abbassò lo sguardo, intimidito per essere stato colto in flagrante. «Perché siete venuto qui?» gli domandò ancora lei strattonandolo per una manica per obbligarlo almeno a mettersi seduto. «Io... perdonatemi, Odyle...» Michael parve cercare una scusa. «Dovevo vedere una persona...» Era chiaro che le stava mentendo. «Forza, rimettetevi in piedi che torniamo a casa!» Lo tirò ancora, ma Lord Moran era troppo pesante per lei e, anziché tirarlo in piedi, fu lei a crollargli addosso perdendo l'equilibrio. Proprio in quel momento arrivò Lord Brisbane. «Tristan...» Michael guardò l'amico, che stava in piedi di fronte a lui con espressione accigliata. «Eccoti qua.» Scoppiò a ridere convulsamente. Inorridita, Odyle guardò il nuovo arrivato. Anche lui le aveva mentito, dunque! Le aveva detto che non frequentava più posti come Lo Stelo d'oro e che aveva vinto la dipendenza dall'oppio. Invece era lì, davanti a lui. E la guardava pieno di disgusto. La coperta che le era stata data per difendersi dal freddo era abbastanza pesante e calda, ma Odyle sentiva le gambe intorpidite per il tempo che aveva trascorso a bordo della carrozza. Erano in viaggio da ore ed era trascorso un bel po' di tempo anche dall'ultima volta che si erano fermati per lasciar riposare i cavalli e rifocillarsi con una tazza di cioccolata calda. Durante la mezz'ora che avevano trascorso alla locanda di posta aveva intravisto Tristan solo un paio di volte, ma non gli si era mai avvicinata. Né lui aveva cercato di accostarsi a lei. Il paesaggio rassicurante della campagna inglese le dava il tempo di riflettere, cosa che le era mancata nei giorni precedenti, quando casa Moran era stata sbalzata da uno stato di tranquilla routine a una frenesia che le aveva fatto ricordare l'atmosfera che si respirava dietro le quinte di un circo prima di uno spettacolo: cameriere e lacchè che correvano su e giù per le scale, fattorini che si presentavano in continuazione alla porta con pacchi e pacchetti di vestiti nuovi per Emma e le bambine, bauli che venivano scovati in soffitta, spolverati e rimessi a nuovo per il viaggio. E poi, finalmente, erano partiti. In tutto quel caos, Odyle non aveva avuto il tempo di pensare a ciò che era accaduto tra lei e Tristan, né aveva potuto riflettere su ciò che aveva visto allo Stelo d'oro. Dopo il suo arrivo alla fumeria d'oppio, Tristan Brisbane non aveva quasi proferito parola. L'aveva aiutata a sollevare da terra un frastornato Michael Moran, e con tutta la fredda gentilezza di cui era stato capace li aveva accompagnati a casa. Certo non avrebbe potuto comportarsi in modo diverso, dal momento che si era visto scoperto. Quante bugie le aveva raccontato! E lei per poco non gli aveva creduto. Probabilmente era un cliente abituale del locale, e forse aveva persino dato appuntamento a Lord Moran, istigandolo a tornare in quel posto quando lei stava facendo di tutto per guarirlo dalla sua dipendenza. Ripenso' al momento in cui, mentre erano soli nello studio di Russell Square, lui si era slacciato la camicia e le aveva mostrato le braccia. Non gli aveva visto segni di punture sugli avambracci sui quali, in seguito e per più di qualche attimo, si era abbandonata a fantasticherie. Ma non doveva più permettere che si prendesse gioco di lei con la sua aria innocente e un po' malinconica. Non si era accorta di essersi appisolata e Lady Cartwridge, che sedeva accanto a lei in carrozza, la stava scuotendo dolcemente. Odyle aprì gli occhi, lo sguardo rivolto al finestrino. Dalla nebbia leggera iniziava a profilarsi la sagoma di un castello. Due filari di pioppi precedevano per un paio di miglia lo spiazzo antistante la casa, dove il convoglio si fermò, giunto alla fine del suo viaggio. Odyle si prese cura di Ernestine e Agnese, assicurandosi che fossero ben coperte prima di scendere a terra. Quindi cercò di raggiungerle allungando le gambe verso il predellino della carrozza. Per quante ore era rimasta in quella spiacevole posizione? Sentiva fitte lancinanti alle gambe e alla schiena. Cercò di fare qualche passo, ma sentì le ginocchia cederle e vide il panorama ondeggiare davanti a sé. Poco prima di cadere per terra, si sentì afferrare e trattenere da un paio di braccia: Tristan, quasi per incanto, si era materializzato al suo fianco e l'aveva sorretta. La tenne contro di sé per qualche secondo, senza dire una parola. Poi, quando fu certo che lei si fosse ripresa, la lasciò andare e si allontanò in fretta gridando ordini agli stallieri. «State bene, mia cara?» Lady Cartwridge si era avvicinata e le aveva posato una mano sul braccio, premurosa. «Poverina, siete molto stanca, non è vero?» Odyle annuì con semplicità. «Volete i miei sali, Miss Chagny? Oh! Uno non può mai stare tranquillo se non viaggia con la sua boccetta di sali, dico bene?» Lady Montgomery iniziò a frugare nella borsetta. «Santi numi, ma dove sono finiti? Betsy! Scommetto che li hai presi tu!» La giovane cameriera accorse al fianco della padrona. «No, milady» si chino' sulla borsetta. «Eccoli, qui.» Odyle, però, non le stava più ascoltando. La sua attenzione ora era rivolta alla casa. Se all'inizio, mentre le carrozze percorrevano il viale d'ingresso, Blackborough le era sembrata la sinistra magione di cui aveva sentito parlare, ora si doveva ricredere. La casa, un edificio di tre piani che risaliva alla metà del Settecento, con ampie vetrate e due grandi ali che si estendevano a est e a ovest del corpo principale, non aveva niente di lugubre e, anzi, doveva sembrare piuttosto accogliente e confortevole durante la bella stagione. Era un peccato che Tristan non vi si recasse quasi mai, anche se non poteva biasimarlo... Il ricordo della moglie assassinata in quel modo orribile doveva essere straziante. Ma allora perché non la vendeva? Si chiese. I suoi occhi vagarono fino alle finestre del terzo piano. Quelle dell'ala occidentale avevano tutte le imposte sbarrate, notò, e l'edera vi si era arrampicata sopra serrandole in una specie di morsa, creando un particolare disegno. «Non credo che ci abbiano ancora presentati...» disse una voce alle sue spalle. Odyle si voltò, trovandosi di fronte a un uomo pallido e stempiato che le sorrideva da dietro un paio di occhialini rotondi. L'uomo le sorrise e le porse la mano con fare amichevole. Poi diede un paio di colpetti di tosse per schiarirsi la voce. «Mi chiamo Paul Oswald. Dottor Paul Oswald, sono un amico di Lord Brisbane. Tristan era di pessimo umore e si rammaricava delle scelte che aveva fatto. Che cosa gli era saltato in mente di invitare quel imbecille di Michael Moran a Blackborough? Aveva sbagliato tutto fin dall'inizio... non avrebbe dovuto portare nessuno di quella squinternata compagnia nella sua casa di campagna. Purtroppo ormai era troppo tardi per recriminare, e dopotutto si sarebbe trattato solo di qualche settimana. Imparti' qualche ordine ai lacchè che si affaccendavano intorno ai bagagli delle varie carrozze, quindi cercò di assumere l'aria gioviale del buon padrone di casa. «Prego... » Notò Lady Moran che indugiava vicino alla carrozza, come se non sapesse dove andare, e le offrì il braccio. «Venite, Lady Emma, lasciate che vi scorti dentro casa.» La donna gli sorrise con gratitudine, anche se i suoi occhi tradivano un certo smarrimento. Guardandosi attorno, Tristan vide Michael che si avvicinava a Odyle e Oswald, già impegnati in una vivace conversazione. Lei sembrava allegra. Sorrideva e rideva di gusto, allacciata al braccio del suo amico dottore come se la conoscesse da una vita. Sentì la rabbia montare dentro di sé. Possibile che trovasse attraente persino Paul Oswald, con gli occhi strizzati dietro le lenti spesse come fondi di bottiglia e i capelli radi? «Paul!» lo chiamò a gran voce con l'intenzione di allontanarlo da lei. Oswald però si avvicinò tenendola sotto braccio. «Hai bisogno di me, Tristan?» gli domandò quando lo ebbero raggiunto. Tristan abbassò gli occhi, a disagio. «Miss Odyle stava cercando di convincermi ad assaggiare alcune specialità della cucina francese...» Le riservo' un sorriso rapito. «Ma io non so se saprò raccogliere il guanto di sfida e avrò il coraggio di infilarmi in bocca una rana o una lumaca!» Lei si mise a ridere, con quella sua risata cristallina e sincera che lui aveva già avuto modo di sentire e che sembrava illuminarla da dentro. «Miss Odyle sa essere una vera ammaliatrice, Paul. Se non starai attento, scommetto che fra meno di due giorni sarai perduto, completamente alla sua mercé.» La frase poteva sembrare una facezia, ma il tono lugubre con cui la pronunciò era chiaramente serio. Odyle gli scocco' un'occhiata in tralice. «Non credetegli, dottore; non ne so ancora il motivo, ma stando a quanto ho capito, a Lord Tristan piace colorire la verità di toni piuttosto irreali» ribatte'. «Certo! Almeno quanto a voi piace sembrare ciò che non siete» l'attacco' lui. Emma, ancora al fianco di Tristan, raddrizzo' le spalle come se avesse ripreso fiducia in sé stessa. «A proposito di ruoli che vi competono, Miss Odyle, se vi siete sgranchita abbastanza le gambe, vi dispiacerebbe occuparvi delle bambine? Dopotutto, siete qui per questo.» Odyle abbassò lo sguardo, imbarazzata, si scuso' e si affretto' verso la carrozza vicino alla quale Lady Cartwridge era china su Agnese ed Ernestine, intenta a raccontare loro chissà quale storia. «Lady Angelina, vi domando scusa per essermi allontanata così a lungo. Bambine, come vi sentite?» Lady Cartwridge annuì e le disse di non preoccuparsi. «Io ho fame» esclamò Ernestine toccandosi il pancino. «Io ho sonno» disse invece Agnese.

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Capitolo 34
*** 34 Capitolo ***


Erano passati un paio di giorni dal loro arrivo e già non ne poteva più di quel posto. Diversamente da tutti gli altri, a Odyle e alle bambine erano state destinate delle stanze nell'ala orientale della casa, da dove si godeva una vista spettacolare del bosco. Ma stare così lontana da Tristan e da tutti gli altri ospiti la faceva sentire sola e isolata, diversa e inferiore agli altri. Ed era vero, cercò di convincersi. Anche se Lord Montgomery, Mr. Oswald, Lord Moran e Lady Cartwridge la trattavano amichevolmente e si intrattenevano spesso a parlare con lei, lei era e rimaneva poco più di una cameriera. Negli ultimi mesi, grazie alla confidenza di Tristan, di Lord Michael e di Emma, forse l'aveva dimenticato. Si domando' per l'ennesima volta che cosa avesse determinato il drastico cambiamento nell'atteggiamento di Lady Emma. Si era chiesta se Lady Moran poteva sospettare che lei intrattenesse una relazione illecita con suo marito ma aveva allontanato subito quel pensiero perché lo trovava a dir poco assurdo. Lord Michael la trattava con gentilezza soltanto perché lo stava aiutando e gli permetteva di confidarsi con lei nei momenti in cui avrebbe sentito il bisogno di prendere della morfina o di stordirsi con l'oppio, ma dopo il chiarimento che avevano avuto la prima sera, quando l'aveva riportato a casa dallo Stelo d'oro, lui l'aveva trattata con rispettoso distacco. Sospirò, inspirando a pieni polmoni l'aria fresca che proveniva dalla finestra aperta. Il profumo degli alberi era corroborante e gradevole, e subito se ne sentì rincuorata. Dopotutto, lei non apparteneva davvero a quel mondo. Non appena ne avesse avuto la possibilità, sarebbe tornata a Parigi e al suo lavoro di scultrice. Tornata alla scrivania, si rimbocco' le maniche per poi immergere le mani nella creta che aveva nascosto nel proprio baule. Agnese ed Ernestine dormivano nella stanza accanto. Da quando erano arrivate, sembrava che non facessero altro. Probabilmente l'aria pulita della campagna le tranquillizzava e le faceva ritemprare. Dalla creta emerse gradualmente un viso dallo sguardo arcigno, con un sopracciglio alzato in modo sdegnoso e il naso arricciato, quasi fosse sul punto di rimproverarle qualcosa. Era quella l'immagine di Tristan che aveva in mente da quando viveva con lui sotto lo stesso tetto. Aveva immaginato in modo diverso quella possibile convivenza... anche se non avrebbe dovuto. Impasto' la creta con vigore fino a renderla una massa informe simile a una palla appiccicosa. Quindi, vista la mancanza di ispirazione, iniziò a modellare delle miniature di animali domestici per quando Agnese ed Ernestine si sarebbero svegliate. Di solito, alle bambine piaceva molto quel gioco. Aveva quasi finito di creare il fattore, quando sentì qualcuno bussare alla porta. Nessuno, fino a quel momento, era andato a cercarla in camera sua. Nessuno aveva richiesto la sua presenza finché non era scesa volontariamente nella sala comune, in compagnia delle figlie dei Moran. «Miss Chagny, vi disturbo?» Una donna sulla sessantina, dall'aspetto energico e con i capelli grigi raccolti in una crocchia severa, si affaccio' alla porta dopo che le ebbe dato il permesso di entrare. «Mrs. Manfred... prego... cioè, scusate... Sono un po' in disordine, ma... ditemi pure.» Non aveva scambiato molte parole con l'anziana governante di Tristan, fino a quel momento, anche se la donna le aveva sorriso con cordialità in ogni occasione. «Oh, non preoccupatevi, Miss Chagny, anzi, vi chiedo scusa per l'intromissione.» Lo sguardo di Mrs. Manfred si posò sull'asse di legno grezzo appoggiato alla scrivania, sulla quale c'erano una sfilza di miniature di creta. «Le avete fatte voi? Sono bellissime.» Si avvicinò per ammirarle da vicino. «Posso?» «La creta è ancora fresca...» l'avverti' Odyle porgendole con delicatezza la figura del fattore. La signora Manfred lo osservo' estasiata. «Siete persino riuscita a dargli un'espressione! E questo viso... mi ricorda qualcuno...» Odyle si irrigidi'. Rapidamente, prese in mano la statuetta del cavallo e cercò di distrarre la donna. «Questa mi sembra quella riuscita meglio, non trovate?» La donna spostò lo sguardo sulla figura dell'animale e annuì. «E io che pensavo che vi annoiaste, tutto il giorno quassù, con la sola compagnia delle bambine. Invece, un artista non è mai solo quando ha a disposizione la propria arte» sentenzio' risoluta. «Ma io... » Stava per ribattere che non era così, che non era affatto un artista, ma il sincero complimento della donna l'aveva scaldata di piacere. «Vi ringrazio» si limitò a rispondere con semplicità. «Perché non fate il ritratto a qualcuno?» domandò Mrs. Manfred. «Sono certa che Lady Moran sarebbe felice di avere, per esempio, il mezzobusto delle sue bambine modellato nella creta.» Odyle non poteva rivelare alla donna i motivi per cui nessuno doveva sapere che era in grado di fare certe cose. «No... io... vi prego, Mrs. Manfred, non suggeritelo a nessuno. È solo un gioco che faccio per le bimbe, tutto qui.» La governante scosse il capo, ma sospirò, dandosi per vinta. «Che ne direste, allora, di un po' di compagnia? Pensavo di proporvi un giro della casa e qualche chiacchiera di fronte ad una tazza di tè mentre i signori sono andati fuori per la loro passeggiata.» Non vedeva il motivo di rifiutare. Agnese ed Ernestine avrebbero dormito almeno per un'altra ora e, se non fosse stato così, avrebbero suonato la campanella per chiamarla. «Accetto molto volentieri.» Aveva anche bisogno di un viso amico. A parte Lady Cartwridge, che però non sembrava avere molto tempo per lei e si dedicava a lunghe e appassionanti chiacchierate con Lord Montgomery, non aveva un solo amico. «Venite.» Mrs. Manfred attese sulla soglia della camera che Odyle si sciacquasse le mani nella bacinella. C'era qualcosa di enigmatico in quella ragazza, riflette', ma a parte questo non poteva negare che le piacesse. Alla bellezza dei tratti del viso si univa un carattere aperto e affabile, oltre a una disponibilità a rendersi utile che aveva dello straordinario. Non appena erano arrivate in cucina, Mademoiselle Odyle aveva fatto amicizia con quella burbera della cuoca e si era offerta di apparecchiare lei stessa la tavola per il tè, sollevando Nancy dall'incombenza. Mrs. Manfred ora capiva perfettamente perché il suo Tristan si fosse invaghito di lei. All'inizio aveva temuto che la ragazza fosse solo un'arrampicatrice sociale, ma conoscendola meglio aveva capito che non era così. «Chiamatemi Margaret, ve ne prego» le disse all'improvviso, sentendo il bisogno di creare una certa intimità con lei. «Margaret?» La ragazza le sorrise. «Allora voi dovete per forza chiamarmi Odyle.» «Come trovate Blackborough, Odyle?» La domanda parve coglierla di sorpresa. «Oh, be'» Odyle giocherello' con il cucchiaino. «A dire il vero, è molto diversa da come me l'aspettavo. Più... allegra.» «Vi aspettavate un'atmosfera da romanzo gotico, tipo il Castello D'Otranto di Walpole, non è vero?» Odyle fu sorpresa da quell'affermazione. Evidentemente anche Mrs. Manfred era un'amante della lettura. «Già... e mi sento una sciocca come Catherine Morland dell'Abbazia di Northanger, se mi passate il paragone!» La governante si limitò ad abbozzare un sorriso e sorseggio' un po' del suo tè. «La nostra Jane Austen considerava ridicole le paure indotte dai romanzi dell'orrore, è vero, e la protagonista immaginava che ogni cosa, anche la più innocente, nascondesse dell'altro...» La cuoca, accanto a loro, lasciò inavvertitamente cadere il mestolo che stava adoperando e le fece sobbalzare. «Vi domando scusa» mormorò chinandosi a raccoglierlo, come turbata da qualcosa. Margaret Manfred le rivolse uno sguardo severo, poi tornò a rivolgersi a Odyle. «Purtroppo tempo fa Blackborough è stato teatro di un terribile ed efferato delitto, come certo saprete.» Odyle annuì con aria grave.

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Capitolo 35
*** 35 Capitolo ***


Mrs. Manfred proseguì il suo dialogo con Odyle riguardo al maniero. «Sono passati diversi anni, ormai, da quella terribile tragedia, e sarebbe ora che la gente la smettesse di considerarlo un posto... maledetto.» Si accorse dell'espressione spaurita della giovane e si affretto' a precisare: «Ovviamente non lo è.» «Mi spiace tanto per Lord Tristan...» mormorò Odyle. «Deve aver sofferto moltissimo.» Mrs. Manfred annuì. «Voleva molto bene alla moglie» disse. «Vedete, Lady Christina e Lord Tristan si conoscevano fin da bambini, e quell'unione sembrò a tutti l'evoluzione naturale del loro rapporto» spiegò in modo piuttosto enigmatico. «Ho sentito dire che Lord Tristan aveva anche un fratello che morì molto giovane...» disse Odyle in tono interrogativo mentre addentava uno dei deliziosi biscotti al burro che la cuoca aveva appena messo sul tavolo. «Oh...» Mrs. Manfred parve esitare per qualche istante. «Si ruppe l'osso del collo cadendo da un albero. Una terribile disgrazia» rispose, secca, considerando chiuso l'argomento. «Una famiglia piuttosto sfortunata, non c'è che dire» commento' Odyle, confusa dal rapido cambiamento di umore della governante. Margaret Manfred la guardò con intensità per qualche istante. «Venite, andiamo a fare una passeggiata in giardino, vi va?» Avvolte nei caldi mantelli scuri, sembravano quasi due suore che passeggiavano nei chiostri di un convento. Intorno a loro fischiava il vento invernale, cui i rami spogli degli alberi non sembravano dare alcuna importanza. «Dovreste vedere com'è bello qui durante la primavera e l'estate» disse Margaret Manfred. «Laggiù c'è il roseto voluto da Lady Christina. Ogni anno le sue rose diventano più belle.» Odyle strizzo' gli occhi guardando nella direzione che la donna le indicava e riuscì a distinguere i monconi delle piante potate per l'inverno. «È un vero peccato che Lord Brisbane non voglia venirci più spesso.» Mrs. Manfred sospirò. «È una casa enorme per un uomo solo... » Fissò il suo sguardo intenso su Odyle, e dopo qualche istante aggiunse quasi in un sussurro: «Dovete essere buona con lui, Miss Odyle. Milord ha sofferto molto. Odyle trasali' e sentì il calore imporporarle improvvisamente le guance. «Sono solo l'istitutrice delle figlie dei Moran, Mrs. Manfred. Ovviamente, devo tutto il mio rispetto a Lord Brisbane» disse in fretta, voltandole le spalle. «Non ha importanza, mia cara» replicò l'altra, posandole una mano sul braccio. «Voi cercate soltanto di essere comprensiva.» Il rumore della ghiaia calpestata dai passi veloci e pesanti di un uomo le indusse a voltarsi verso il viale. Era Baston, il maggiordomo di Blackborough, che si avvicinava loro correndo. «Cosa c'è?» gli domandò Mrs. Manfred. «Si richiede la vostra presenza in casa, signora.» «Arrivo tra un momento...» gli assicurò la donna. Il maggiordomo sembrò sulle spine e chino' il capo, imbarazzato, fissandosi la punta delle scarpe. «Non avete capito» sibilo' poi. «La vostra presenza è richiesta... nell'ala occidentale!» Odyle notò che all'improvviso Mrs. Manfred era impallidita. «Andiamo» rispose la donna. «Scusatemi, Odyle, a più tardi.» E si allontanò a passo svelto seguita da Baston. Odyle la osservò per qualche istante, sconcertata. Poi, rabbrividendo per l'ennesima folata di vento gelido, si strinse nel mantello e alzò lo sguardo verso la casa. L'ala occidentale, stretta dai tralci spogli di edera rampicante, le sembrava avesse assunto di colpo un aspetto sinistro. Indugio' con lo sguardo sulle finestre sbarrate, strizzando gli occhi perplessa. Cosa poteva essersi di tanto importante là sopra, a parte un'infestazione di topi, visto che sembrava una specie di soffitta? Qualcosa si appoggiò pesantemente sulla sua spalla. Odyle sobbalzo' per lo spavento e non riuscì a trattenere un grido. «Odyle!» Lord Michael, alle sue spalle, aveva fatto un passo indietro, ma ora le sorrideva divertito all'idea di averle messo paura. «Perdonatemi» disse in tono canzonatorio. «Non intendevo di certo spaventare il mio angelo.» «Non chiamatemi così, ve ne prego!» ribatte' lei, scostandosi. «Non offendetevi, Odyle, lo dico solo per gratitudine.» Le fece l'accenno di una carezza sul braccio. «Da quella sera... ehm... allo Stelo d'oro... non abbiamo più avuto occasione di parlare. Ci sono stati i preparativi per la partenza e tutto il resto...» «È vero. Mi sono sentita un po' delusa ritrovandovi lì, milord. Avevate promesso...» «Già... ve ne domando scusa. Comunque, ora non ho modo di sfuggire al vostro vigile controllo.» Le sorrise affabilmente. Odyle si torse le dita. «D'altra parte, bisogno riconoscere che siete stato istigato a ritornare in quel posto da Lord Brisbane, con il quale avete detto di avere un appuntamento...» «Davvero?» esclamò lui, sorpreso. »Avevo un appuntamento con Tristan? Non lo ricordo...» Odyle lo guardò stupita. «Non ricordate...? O era una bugia?» gli domandò con fare inquisitorio. «Io... be', Tristan era lì, giusto? Io... davvero, Odyle, non ricordo molto di quella sera, ero... anzi, non ero in me.» Le rivolse uno sguardo triste che la inteneri'. «Cercate di essere garbato con vostra moglie» si limitò a dirgli lei vedendo avvicinarsi un gruppetto di persone, tra le quali spiccava il colore acceso del vestito di Lady Emma. «Miss Chagny!» l'apostrofo' Cecilia Montgomery staccandosi dal fianco della sua prozia. «Non vi si vede spesso in giro. I vostri doveri di istitutrice devono essere piuttosto gravosi.» Sorrise, ammiccante. «D'altra parte, è una cosa che di certo non potrò mai sapere... Siamo così diverse voi e io!» Squadro' da capo a piedi il mantello di lana di Odyle e accarezzo' il collo di zibellino del proprio. «Mi piace essere occupata, non riesco a immaginare quanto mi annoierei sapendo di non essere utile a nessuno» ribatte' Odyle seccata. «Oh!» sbotto' indignata l'altra, incassando il colpo. «È proprio vero» intervenne a quel punto Emma, «Miss Odyle si dà così tanto da fare! Poverina, più di quanto appaia, temo. Credo che non si dia riposo neppure di notte. State attenta, cara... la vostra solerzia potrebbe ritorcervisi contro. Potreste ammalarvi, per esempio.» Odyle arrossi' e, involontariamente, il suo sguardo corse al viso di Lord Michael, che si era fatto di pietra. Non poteva aver ignorato quella ennesima insinuazione. Quanto avrebbe voluto poter rivelare tutto a Emma! La sua amicizia le mancava così tanto e quelle allusioni le facevano male, ma aveva promesso a Lord Michael di mantenere il suo segreto e, a meno che non lui stesso a scioglierla da quel vincolo, non avrebbe cercato di blandire Emma raccontandole della dipendenza del marito. «Io, invece, penso che la signorina Odyle sia di costituzione molto forte, non è vero, mia cara?» le interruppe Lady Montgomery, che come sempre non aveva colto alcuna sfumatura. «Dopo che si è gettata nel lago ghiacciato per salvare il mio Richard non ha sofferto neppure di un leggero raffreddore!» Lady Cartwridge alzò brevemente gli occhi al cielo e fu al fianco di Odyle, pronta a prenderla sotto braccio. «Invece, temo che noi tutte ci prenderemo un bel malanno se indugiamo ancora qua fuori. Torniamo in casa e chiediamo a Mrs. Manfred che ci preparino una tazza di tè bollente, che ne dite, signore?» Il gruppo accolse la proposta di buon grado, e tutti insieme si avviarono verso il portone d'ingresso. Lord Moran, dopo aver lanciato uno sguardo di intesa a Odyle, si avvicinò a Emma e la prese sottobraccio mormorandole qualche complimento. Lei gli si strinse affettuosamente contro, appoggiandogli il capo sulla spalla. Lady Cartwridge, cui non era sfuggito quella sorta di ammiccamento, fece in modo di trattenere Odyle qualche passo più indietro rispetto agli altri. «Volete spiegarmi che cosa sta succedendo tra voi e mio figlio, ragazza mia?» le domandò di punto in bianco, senza darsi la pena di sembrare troppo brusca.

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Capitolo 36
*** 36 Capitolo ***


Odyle scosse il capo e rispose alla nobildonna, senza guardarla negli occhi.«Non c'è assolutamente niente tra Lord Moran e me, Lady Angelina. Ve lo assicuro.» L'anziana gentildonna sospirò, abbattuta. «So che non siete quel tipo di ragazza, Odyle. Vi conosco molto bene.» Le appoggiò le dita sotto il mento e la obbligò a voltarsi verso di lei. «Ma non vi nascondo che sono preoccupata. Michael è mio figlio, e lui e la sua famiglia hanno già passato fin troppi guai.» Gli occhi di Odyle si riempirono di lacrime. «Vorrei tanto potervene parlare, milady, ma ho dato la mia parola d'onore a vostro figlio che non l'avrei fatto.» Un singhiozzo le sfuggì dalle labbra. «Posso dirvi soltanto che sto cercando di aiutarlo...» Detto questo, si divincolo' dal braccio della gentildonna e corse via piangendo. Li aveva tutti contro e non poteva dire niente per discolparsi. Persino Lady Cartwridge, benché non avesse voluto ammetterlo apertamente, aveva suggerito l'ipotesi che potesse avere una relazione illecita con Michael Moran. E pensare che lei invece non faceva che pensare a Tristan! Era davvero una sciocca, si disse mentre piangeva a dirotto, accasciata su una panchina di marmo. Probabilmente anche lui pensava che fosse una sgualdrina! Dopotutto, si era lasciata baciare nella sua carrozza e poi... Si portò le mani al viso cercando di calmarsi e di asciugare le lacrime. Poi lui l'aveva trovata tra le braccia di Lord Moran nel locale di Wu Xi'an! Lord Michael aveva detto di non ricordare di aver avuto un appuntamento con Tristan e, per quanto ne sapeva lei, i due non erano in buoni rapporti. Era davvero improbabile che si fossero dati appuntamento. Quindi Lord Moran era andato da solo alla fumeria d'oppio... senza alcuna istigazione. Ma perché vi era andato Tristan Brisbane? Era stata pronta a condannarlo senza neppure chiedergli una spiegazione. Gli aveva gettato addosso la colpa delle azioni di Lord Michael come se questi non fosse dotato di libero arbitrio. E ora lui la trattava con distacco credendola una donna perduta! Era un disastro. In un sol colpo aveva perso la sua stima, il suo rispetto, la sua amicizia. E per giunta il suo cuore si faceva beffa di lei continuando ad amarlo. Cerco' di ricomporsi. Si frugo' nelle tasche del mantello e, trovò un fazzoletto con cui asciugarsi il viso e soffiarsi il naso. Doveva tornare alla villa. Forse Ernestine si era già svegliata... Forse Agnese aveva bisogno di lei. Raddrizzo' le spalle e cercò di rassettarsi le pieghe del mantello. Poi udì un rumore, un tonfo sordo di qualcosa che sbatteva. Una persiana, pensò, che probabilmente era stata chiusa in maniera brusca. Sollevando lo sguardo, scoprì di trovarsi proprio sotto l'ala occidentale della casa. Tutte le imposte dei primi due piani, erano aperte. Quelle del terzo, invece, come di consueto, erano serrate. Scuotendo il capo, perplessa, si avviò verso l'ingresso. Le piaceva molto l'atteggiamento apparentemente informale con cui si comportava la servitù di Blackborough, riflette'. Gli ospiti erano liberi di andare e venire dalla casa al giardino senza alcuna limitazione, e lacchè e cameriere sembravano materializzarsi solo quando erano necessari. Odyle trovò aperta e incustodita la porta d'ingresso e fu grata di poter sgattaiolare all'interno senza che nessuno si accorgesse che aveva il viso rosso e gonfio di pianto. Voleva salire nella sua camera e sciacquarsi il viso prima di andare a controllare le bambine e fare la sua ricomparsa in salotto per offrire i suoi servigi a Lady Emma. Tenendo premuti i palmi delle mani sul viso, avvertendo un certo sollievo nel sentire la loro freschezza contro le guance bollenti, Odyle si avviò verso lo scalone. Prima che vi arrivasse, tuttavia, sentì la voce di Mrs. Manfred al di là di una porta chiusa. «Era fuori di sé, ma ora si è calmato...» stava dicendo la donna. «Per fortuna ho portato delle scorte di morfina» replicò l'altro interlocutore, che dalla voce doveva essere il dottor Oswald. «Probabilmente è il cambiamento della situazione che lo fa stare male. Di solito è tranquillo, ma forse la presenza di tutti questi estranei che circolano per la casa lo rende inquieto.» Odyle aggrotto' la fronte, preoccupata. Sentì la governante sospirare e aggiungere qualcosa di inintelligibile a bassa voce. «Tristan se la caverà, Mrs. Manfred. Abbiate fiducia» replicò il medico. Odyle si portò una mano alla bocca. Tristan stava male! Aveva un continuo bisogno di morfina e Oswald si stava rallegrando per averne portata una buona scorta! «Tutti i domestici sono stati avvertiti. L'ala occidentale è chiusa, quindi non dovrebbero esserci pericoli» aggiunse Mrs. Manfred. A quel punto fu Paul Oswald a sospirare. «Vorrei tanto che Tristan trovasse il coraggio di confidare tutto a quella ragazza...» «Mademoiselle Chagny?» domandò la governante, con il tono di chi la sapeva lunga. «Mi sembra una brava giovane, ma non so se sarebbe in grado di accettare una situazione simile.» «Tristan... be', penso che possa essere innamorato di lei» Disse semplicemente Oswald. Dall'altra parte della porta, Odyle trasali'. Tristan era innamorato di lei? Oswald doveva sbagliarsi. Tristan stava facendo di tutto per evitarla e la trattava in modo sgarbato da quando era arrivata a Blackborough!Forse per qualche tempo si era sentito attratto da lei, ma niente più. «Non è saggio da parte sua... Si sente ancora in colpa per la morte di Christina e teme di poter fare del male a chiunque gli si avvicini.» «Ma non è così!» protesto' la governante. «La vena di follia che si riscontra nella sua famiglia è come un macigno sulla schiena, Mrs. Manfred. Non possiamo essere noi ad alleviarlo, deve riuscirci da solo.» «Ma non può allontanare tutti. Trova sempre delle scuse per farlo!» «Già, ora si è messo in testa che Odyle Chagny ha una tresca con Michael Moran. Certo, lui è sempre molto gentile con quella ragazza, ma la cosa avrebbe dell'incredibile» aggiunse Paul Oswald. «Sì, è davvero un'assurdità.» convenne Mrs. Manfred. Odyle si sentì rincuorata. Per lo meno, c'era qualcuno che la credeva. E tuttavia, quella piccola soddisfazione era offuscata dalla preoccupazione per Tristan e per quello che gli stava succedendo. Già una volta Lord Montgomery le aveva parlato della presunta follia della famiglia Brisbane, ma aveva accantonato l'argomento dicendole di non prestar fede ai pettegolezzi. Ora, invece, Paul Oswald, che era anche un medico, stava affermando il contrario, supportato da Mrs. Manfred, che era forse la persona più vicina a Tristan. Cosa doveva credere? C'era qualcosa che poteva fare per lui? Oppure doveva averne paura e stargli lontana? E poi, perché sentiva costantemente parlare dell'ala occidentale? Che cosa nascondevano quelle stanze apparentemente deserte? Forse, decise, quella era la prima cosa che avrebbe potuto scoprire. Si allontanò dalla porta in silenzio, cercando di non fare rumore. Tornata ai piedi della scala, si aggrappo' al corrimano, mentre nella sua testa continuavano a frullare mille pensieri, mescolati alle parole che aveva appena sentito. E nel sottofondo della sua anima, le sembrava di udire la voce di Oswald che ripeteva a un ritmo martellante: "Tristan... be', penso che possa essere innamorato di lei." Ma era davvero solo questo che importava? Non era forse un'egoista a pensarlo? Tristan, come aveva già sospettato, aveva bisogno di aiuto, forse ancor più di Lord Michael. Prima tuttavia doveva scoprire che cosa le stesse nascondendo. Quando arrivò al piano dove si trovava la nursery, indugio' qualche istante, socchiuse leggermente la porta e controllo' che le bambine stessero ancora dormendo. Aveva ancora un po' di tempo. Richiuse senza far rumore e si guardò intorno con circospezione, prima di avviarsi a passo svelto verso la scala opposta, quella che conduceva all'altra ala della casa. Il corridoio era buio e tutte le porte erano chiuse. Salì la prima rampa di scale tenendo le spalle quasi rasente il muro. C'era un forte odore di chiuso e di umidità, e quasi le mancava il fiato per l'agitazione. I suoi occhi stentavano ad abituarsi a quella oscurità. Poi, a un tratto, fu come trovarsi davanti a un muro. Vi sbatte' il naso, senza tuttavia farsi troppo male. Sentì qualcosa, o qualcuno, afferrarle un polso, mentre una mano le premeva sulla bocca. L'uomo la trascino' giù dalle scale senza alcun riguardo, riportandola sul ballatoio del piano inferiore. Era Tristan. «Non urlate, sono io!» le sibilo' all'orecchio. Il cuore le batteva all'impazzata nel petto, quasi stentasse a riprendersi dallo spavento. Odyle gli fece cenno di levarle la mano dalla bocca e quando lui obbedi' sbotto' con rabbia: «Che cosa diavolo credevate di fare?» «Lo chiedo a voi. Dove diavolo stavate andando?» replicò Tristan. «Mi annoiavo e volevo vedere il piano di sopra» gli disse semplicemente Odyle distogliendo lo sguardo da lui e sentendosi colpevole. «Non fatelo mai più. Mi avete capito bene?» «Perché?» Tristan le rivolse uno sguardo smarrito. «Perché...» iniziò, esitante. «Perché Blackborough è una vecchia casa e il piano di sopra è un po' pericolante» «Allora perché voi ci siete andato?» gli domandò con aria di sfida Odyle. «Stavo... facendo dei controlli. Ho intenzione di avviare dei lavori di ristrutturazione e sto valutando l'entità dei danni.» Si schiari' la gola, evidentemente imbarazzato. «Dovreste avvertire i vostri ospiti, in tal caso. Forse non era il caso che li portaste qui, se la casa è pericolante.» Cercò di scrutare nei suoi occhi, ma il blu intenso e profondo delle sue iridi non faceva che confonderla. «Forse...» A un tratto Tristan parve accorgersi di qualcosa, mentre la guardava. Aggrotto' la fronte, perplesso. «Non vi sentite bene, Miss Chagny?» le domandò. «Avete gli occhi arrossati... Avete pianto?» La sua mano si fermò a mezz'aria, prima che potesse raggiungere la sua guancia e farle una carezza. «È stato Michael?» le domandò brusco. Lei trasali' e si sentì avvampare. Ecco cosa pensava. Come Emma, come gli altri. «No» si limitò a rispondere. «Lord Moran è sempre gentile con me.» Non voleva dargli spiegazioni, e forse lui non ne avrebbe accettate. Le spalle di Lord Brisbane sembrarono cadere un poco. «Venite, andiamo via.» «Aspettate!» Odyle lo trattenne per un istante, afferrandogli la mano. «Devo assolutamente chiedervelo, milord. Perdonatemi.» Tristan la guardò con aria interrogativa. «Cosa?» «Avevate dato appuntamento a Lord Moran quella sera... allo Stelo d'oro?» «No.» «Allora perché...?» «Dovevo parlargli» rispose lui prima ancora che Odyle finisse di formulare la domanda. «Ma non potevate sapere che si trovava là. Anzi, io vi avevo detto che stava cercando di smettere...» Tristan rise amaramente. «Mia cara, conosco Michael Moran da molto più tempo di voi... e molto meglio, a quanto pare» le disse. «Ciò che dice, di rado corrisponde a ciò che pensa. State molto attenta.» Questa volta le posò davvero la mano sulla guancia e il suo pollice le sfiorò le labbra. «Potrebbe promettervi il mondo...» aggiunse con voce incrinata dall'emozione, «ma non fate l'errore di credergli.»

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Capitolo 37
*** 37 Capitolo ***


Odyle avrebbe voluto urlare che non le importava un bel niente di Lord Moran, ma non ne ebbe la forza. D'altra parte, le parole di Oswald e di Mrs. Manfred le avevano confermato che Tristan era ancora schiavo della morfina, e forse anche dell'oppio, rendendolo, ai suoi occhi, bugiardo almeno quanto Moran. Ma con Lord Michael aveva imparato a trattare, mentre sembrava che, quando c'era di mezzo Tristan, i sentimenti che provava creassero una specie di scudo che la rendeva cieca. «Tristan... spettate!» Istintivamente l'aveva chiamato per nome, come aveva fatto quando erano stati amici. Ma quando lui si voltò, non seppe cosa dire. L'espressione dei suoi occhi era indifesa e disarmante. «Venite, vi mostro una cosa» le disse Tristan. Cecilia sbuco' dall'ombra e si sporse un po' di più dalla balaustra. Quella cui aveva appena assistito era stata proprio una scenetta commovente. A quanto pareva, quella gatta morta dell'istitutrice stava facendo strage di cuori. Neppure il bisnonno si mostrava immune al suo fascino. «Miss Chagny qua... Miss Chagny là... » Neanche fosse stata la donna più bella del mondo! Strinse le labbra in una smorfia. Le avrebbe fatto capire lei quale era il suo posto. Ma ora non doveva farsi sviare dalle sue ricerche. Aveva visto Lord Brisbane avviarsi verso la misteriosa ala del castello cui nessuno degli ospiti era stato destinato e che sembrava essere chiusa da tempo. All'inizio, aveva pensato che necessitasse davvero di lavori di ristrutturazione, ma poi, osservando l'edificio dall'esterno e vedendo che Tristan Brisbane vi si avviava senza alcuna circospezione, le erano sorti dei sospetti. Così aveva atteso che imboccasse le scale e l'aveva seguito, tenendosi a distanza di sicurezza. Al piano di sopra non c'era neppure una candela e tutte le porte delle stanze erano chiuse, impedendo così alla luce del sole di rischiarare il corridoio. Lei però non si era lasciata scoraggiare e aveva atteso, nascosta in una nicchia, che i suoi occhi si abituassero alla penombra. Lord Tristan, invece, le era parso muoversi in totale sicurezza, come se non avesse bisogno degli occhi per orientarsi e sapesse di non poter inciampare in qualche asse pericolante. Giunto all'estremità del corridoio, si era avvicinato a una porta, appoggiandovi la mano. Cecilia aveva cercato di allungare il collo mentre lui socchiudeva l'uscio e veniva investito dalla luce, ma l'asse su cui lei aveva messo il piede aveva scricchiolato facendolo voltare di scatto. Con il cuore in gola, la fanciulla si era rannicchiata nel suo nascondiglio, coprendosi la testa con le mani e pregando che non la scoprisse. Non era successo. Probabilmente Lord Brisbane, abbagliato dalla luce nella stanza, non riusciva più a vedere nel buio. Comunque fosse, aveva richiuso in fretta la porta, tornando a infilare la chiave dietro a un quadro, e si era precipitato di sotto, dove aveva trovato Miss Odyle Chagny. Cecilia era rimasta immobile per un po', prima di avere il coraggio di avvicinarsi alla balaustra e origliare la conversazione tra il padrone di casa e l'istitutrice. Le loro parole avevano confermato i suoi sospetti. Lord Brisbane sembrava avere un debole per quella donna. Ci avrebbe pensato più tardi, decise facendo spallucce. In quel momento, la cosa che più le premeva era scoprire che cosa nascondesse oltre la porta in fondo al corridoio dell'ultimo piano. Si avvicinò con circospezione, un passo dopo l'altro. Questa volta, anche se il legno le scricchiolava sotto i piedi, non aveva motivo di curarsene. A tentoni, appoggiandosi un poco al muro per non andare a sbattere, arrivò alla meta e sollevò la cornice del quadro, scostandolo un poco dal muro. Si sentì le mani piene di polvere, ma decise di non farvi caso. Nell'intelaiatura, trovò una specie di tasca, dentro la quale c'era una chiave. La chiave. La strinse forte tra le mani, tremando, poi la infilò nella serratura e si fermò, tendendo l'orecchio. Dall'altro capo della porta, le era sembrato di percepire un rumore. Si appoggiò alla superficie legno, con il cuore che le martellava in gola. Silenzio. Cecilia cercò di rilassarsi e tornò a posare la mano sulla chiave. Poi, all'improvviso, udì dei passi affrettati e uno schianto. Il legno della porta, per un istante, parve imbarcarsi, respingendola più lontano di un paio di centimetri. Fuori di sé dal terrore, Cecilia lasciò cadere la chiave e scappò lungo il corridoio, con la sola speranza di raggiungere al più presto le scale, il piano inferiore, il salotto e le braccia della prozia! La chiave dondolo' per qualche istante nella serratura, poi cadde a terra con un clangore metallico, vicino alla porta. Tristan sembrava essersi trasformato in una persona diversa, pensò Odyle mentre si lasciava trascinare su per la scala opposta a quella dove l'aveva incontrato. Le pareva che avesse dimenticato il malumore con cui l'aveva aggredita poco prima e che ora fosse preda di una specie di fanciullesca euforia, ma sapendo che la morfina poteva dare sbalzi di umore come quello, si disse che probabilmente la dolcezza di Tristan era soltanto una delle facce di quella terribile medicina. «Eccoci arrivati.» Erano giunti al terzo piano del palazzo e Tristan si era fermato di fronte a una grande porta a due battenti, proprio di fronte alla scala. «Di che cosa si tratta?» gli domandò, rassegnata. «Aspettate e vedrete.» Tristan spalanco' le porte, ma all'interno della stanza era troppo buio perché Odyle potesse vedere. «Entrate.» Quando lei ebbe fatto un passo in avanti, Tristan richiuse la porta alle sue spalle, facendo ricadere la sala nella più totale oscurità. «Non temete» sentì che le sussurrava all'orecchio. «Sono certo che, in cuor vostro, sapete che non potrei mai farvi alcun male.» Era davvero così? Era davvero sicura che Tristan non le avrebbe fatto del male? Lui si allontanò di qualche passo, facendole perdere ogni riferimento spaziale. Poi, all'improvviso, il rumore di una finestra che veniva aperta e di una persiana che sbatteva le fecero voltare di scatto il capo verso sinistra, mentre la stanza veniva rischiarata dalla luce. Odyle si guardò attorno a bocca aperta per la meraviglia. Davanti a lei, proprio in mezzo alla stanza, c'era una specie di rampa cui si accedeva tramite una scala a chiocciola, e in cima c'era un grande cannocchiale puntato dritto contro una specie di cupola chiusa. Tutt'intorno c'erano altri strani marchingegni e tavoli da lavoro ricoperti in parte di polvere. Le pareti della stanza erano rivestite di scaffali, traboccanti di libri, vasi di vetro e provette di diversa grandezza, oltre che di fogli accatastati, calamai abbandonati, e persino alcune tazzine da tè e da caffè. Tristan si schiari' la voce. «È molto tempo che non ci vengo... e non permetto a nessuno di entrarvi, neppure per fare le pulizie, a meno di non poter supervisionare l'operazione» le spiegò. «Un'altra stanza segreta, dunque» replicò lei, quasi sovrappensiero. Subito lo vide irrigidirsi. «Questo è il mio studio... o meglio il mio laboratorio. Ci sono oggetti molto delicati che potrebbero rompersi sotto il tocco inesperto di persone che non sapessero come maneggiarli.» Odyle gli fece un cenno di assenso. Sapeva che sarebbe stato inutile discutere con lui di quell'argomento e non voleva turbarlo. E poi, doveva ammettere che l'aveva stupita mostrandole quel posto. Era come se avesse ricominciato a fidarsi di lei. Ma che garanzia aveva che quello stato di grazia sarebbe durato? «Quello...» esordì, indicando con un dito il grande cannocchiale in mezzo alla sala. «Ah, questo è il mio pezzo da novanta!» Tristan sembrava lusingato che le chiedesse qualche spiegazione. «È un telescopio zenitale» le disse aspettando che fosse lei a chiedergli altro.

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Capitolo 38
*** 38 Capitolo ***


«Zenitale» chiese Odyle. «Sì, il modello originale è del 1834, ma è ancora uno strumento molto valido. Permette di effettuare misurazioni molto precise grazie a un meccanismo che si chiama micrometro, munito di un filo centrale che consente il calcolo della distanza tra due punti, in questo caso stelle, angolarmente vicine tra loro e aventi piccole distanze zenitali. Così possiamo definire la loro distanza e calcolarne la latitudine.» Dovette accorgersi dello sguardo smarrito di Odyle, perché si fermò e abbozzo' un sorriso per poi stringersi nelle spalle. «È semplicemente uno strumento per guardare le stelle più da vicino» disse. Odyle gli sorrise, rinfrancata dal sentirlo parlare in un modo più comprensibile. «Dev'essere affascinante.» «Le giornate sono già molto corte... Volete provarlo, quando sarà buio?» Odyle esitò, guardandosi attorno. «Non saprei... Ernestine e Agnese...» «Stavano giocando con Richard.» La raggiunse. «Ebbene si, mia cara, si sono svegliate e non vi hanno trovata, ma ormai non sembrano più fare molto caso alle vostre assenze. Le avete rese più mature e indipendenti, diciamo così.» Lei abbassò lo sguardo, abbattuta. «Non sono molto brava in questo lavoro» mormorò. Tristan annuì, mesto. «Lo credo anch'io» concordo' in tono grave. Odyle alzò di nuovo lo sguardo. «Come vi permettete?» esclamò, indignata. Lei sola poteva biasimare se stessa, non accettava critiche da nessuno. «Come siete permalosa! Volevo solo darvi ragione» la canzono' lui. «E poi, a questo proposito, c'è un'altra cosa che volevo mostrarvi.» Si allontanò da lei di qualche passo, avvicinandosi a uno dei tavoli lavoro, dove aprì una sorta di astuccio lungo e sottile. «Ecco» disse sollevando un bastone da passeggio. «Forse adesso potrete spiegarmi tutto.» «Milord?» «Milord» ripeté lui facendole il verso. Svito' le estremità del bastone e lo sollevò accostandolo all'occhio. «Visto che vi ho rivelato tante cose di me, oggi, forse ora potreste dirmi qualcosa di voi, Miss Odyle Chagny.» Calco' l'accento nel pronunciare il suo nome. «Io non ho segreti, Lord Tristan» replicò con fermezza Odyle. «Davvero?» Lo vide abbozzare un sorriso sardonico. «Come ben sapete, la mia casa di Londra non è molto distante dall'abitazione dei Moran e, in linea d'aria, alcune finestre sono praticamente di fronte» disse. «Il giorno in cui acquistai questo antico cannocchiale, volli provarlo subito e mi misi a guardare fuori dalla finestra. Fu allora che vidi una donna balzare su un cornicione per non so quale motivo.» Odyle era impallidita. «Poi vi ho incontrata, e quando vi siete gettata nel laghetto per salvare il piccolo Richard vi ho riconosciuta. Chi siete in realtà, Odyle Chagny?» «Io... non potete essere certo che si trattasse di me! Non ho l'abitudine di arrampicarmi sui cornicioni per lanciarmi in mezzo alle fronde di un albero, cosa credete?» replicò sulla difensiva, sbuffando e cercando di spostarsi una ciocca di capelli dal viso. «Davvero? Se vi avessi detto di avervi vista mentre vi lanciavate tra le fronde di un albero, come avete appena ammesso, forse potrei credervi. Ma non l'ho fatto... e naturalmente è così che sono andate le cose.» Odyle lo guardò piena di rabbia per essere caduta in quel tranello, ma lui la incalzo'. «E poi vorrei tanto sapeva come avete fatto a entrare e uscire da casa Moran così tante volte senza che nessuno vi notasse. O volete dire che la sera che vi ho incontrata allo Stelo d'oro, voi e lui eravate usciti insieme e che indossavate dei vestiti da uomo tanto per diletto?» Aveva alzato la voce, chiaramente disturbato da quel ricordo. «Perché dovrei raccontarvi di me e della mia vita quando voi mi nascondete la vostra?» ribatte' Odyle alzando il mento con aria di sfida. «E non ditemi che mostrarmi alcuni aggeggi cui siete affezionato equivale a parlare di voi, di cosa provate, di quello che siete... del perché soffrite!» Lui fece un passo indietro. «Cosa vi è successo, Tristan... cosa c'è nell'ala occidentale?» Lui le voltò le spalle. «Potete fidarvi di me, vi prego. Voglio solo aiutarvi... io...» «No!» La prese per le spalle e la scrollo' con forza. «Promettetemi che non andrete mai lassù! Promettetemi che starete lontana da là, Odyle!» La veemenza con cui aveva pronunciato quelle ultime parole la spavento'. Cerco' di divincolarsi dalla sua presa, ma le braccia di Tristan erano troppo forti per lei. «Lasciatemi... lasciatemi, per favore!» Odyle continuo' a dibattersi e alla fine gli sferrò un calcio sugli stinchi. Tristan emise un gemito di dolore e allento' la presa, ma poi riuscì a raggiungerla, bloccandole la mano sulla maniglia. La obbligò a voltarsi e la strinse contro di sé, premendole la bocca sulle labbra. Lei però gli resistette, irrigidendosi come se fosse stata di marmo. Tristan si scosto' quel tanto da guardarla negli occhi. «Cos'ha lui più di me? Che cosa ti ha promesso che io non posso darti?» Gli occhi di Odyle si riempirono di lacrime e di rancore. «Lui» proruppe con rabbia che non aveva mai provato prima, «Non si comporta come un animale!» Tristan la lasciò all'istante, facendo un passo indietro. Odyle aprì la porta e fece per scappare via, ma si girò un'ultima volta per guardarlo ancora. «Siete pazzo!» gli urlò prima di lasciarlo solo. Tristan si lasciò andare contro la porta chiusa e scivolo' a terra, scosso dai singhiozzi. Che cosa aveva fatto? Malgrado la rabbia, malgrado il timore che lei potesse scoprire la verità, nulla gli dava il diritto di comportarsi come aveva fatto e di trattarla in quel modo! Si sentiva davvero un animale o, come lei gli aveva gridato, un pazzo! Pianse per un po' in silenzio, maledicendo il proprio comportamento. Stava quasi per rialzarsi da terra quando sentì un rumore strano. Era come se qualcuno stesse facendo scorrere lentamente il dito, o qualcos'altro, sulla superficie della porta... Rimase in ascolto. Il rumore era cessato. Si alzò e aprì di scatto la porta. «Odyle!» chiamò nella speranza di trovarsela di fronte. Nel corridoio non c'era nessuno, ma in lontananza sentì un rumore di passi frettolosi attutito dal tappeto. Odyle raggiunse la porta della nursery e cercò di rassettarsi per apparire presentabile alle bambine. Dall'interno non proveniva alcun suono. Spinse la maniglia, ma la porta non si aprì. «Agnese! Ernestine?» Era davvero strano che si fossero chiuse dentro. Forse avevano voluto farle uno scherzo, tuttavia quel comportamento non era da loro. «Richard?» provò alla fine bussando un paio di volte. Dall'interno sentì provenire dei rumori sospetti, come di mobili che venivano spostati. «Bambine, cosa sta succedendo? Fatemi entrare!» Dopo una manciata di secondi, la serratura della porta scattò e il visetto di Richard Montgomery comparve nello spiraglio aperto. «Richard, che cosa state facendo? Non sapete che è pericoloso chiudervi nelle stanze? Potreste perdere la chiave e rimanere bloccati! Si accorse che Agnese ed Ernestine erano dietro di lui. «Allora?» le apostrofo'. «Avevamo paura!» esclamò Ernestine piagnucolando, subito zittita da una gomitata della sorella. «Venite dentro, Miss Odyle!» intervenne Agnese. Visto che Richard non sembrava intenzionato ad aprire la porta più dello spiraglio da cui la stava guardando, Odyle si infilò nella stanza strizzandosi nel pertugio. Subito dopo, il bambino si affretto' a richiudere la porta. La stanza, notò Odyle, era completamente a soqquadro. Il cassettone che originariamente si trovava vicino alla parete era stato trascinato fino alla porta, lasciando dei segni sul pavimento. Il materasso del letto era sotto sopra, come se qualcuno avesse tentato di infilarcisi sotto. Poi Odyle notò il grosso volume abbandonato sul pavimento. Sotto gli sguardi colpevoli dei due ragazzini più grandi e quello terrorizzato di Ernestine, sollevò il volume da terra e ne lesse la costa. «Ann Radcliffe, L'italiano o il confessionale dei penitenti neri» recitò, quindi alzo lo sguardo verso i tre.

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Capitolo 39
*** 39 Capitolo ***


Odyle alzò lo sguardo sui tre bambini. «Ora capisco perché avete tanta paura! Chi vi ha dato questa roba da leggere?» Richard alzò una mano. «Ehm... sono stato io, cioè, l'ha letto mia sorella qualche mese fa e mi ha detto che era molto bello.» Qualcosa le diceva che Cecilia Montgomery aveva cercato deliberatamente di spaventare il fratellino, tuttavia Odyle non disse nulla. «Sarà anche un bel libro, ma non è adatto a dei bambini della vostra età. Infatti vi siete spaventati!» «Invece no!» intervenne Agnese con baldanza. «Il libro ci piaceva!» Si morse le labbra, come se non sapesse se proseguire o meno. «È stato il fantasma a farci paura, Miss Odyle» disse Ernestine tirando su con il naso un paio di volte, prima di infilarsi un dito in una narice. «Era brutto e cattivo.» «Be', non era tanto brutto» la corresse Richard. «Però cattivo lo sembrava davvero.» Odyle si accuccio' davanti ai tre porgendo loro la mano e invitandoli ad avvicinarsi. «Ehi, che cosa vi ho detto riguardo alle bugie?» «Che hanno le braccia corte!» esclamò Ernestine, orgogliosa di ricordare la lezione. «Hanno le gambe corte, sciocca!» la rimbrotto' Agnese. «Ma il fantasma non è una bugia, Miss Odyle. Era vero...» «In carne e ossa!» sottolineò Richard. Odyle sorrise. «Per l'appunto: se era un fantasma, avrebbe come minimo dovuto essere trasparente e fatto d'aria, non trovate?» I tre bambini si scambiarono un'occhiata dubbiosa, poi Ernestine le fece un sorriso. «Forse era solo un domestico molto arrabbiato con noi!» disse. «Perché pensate che ce l'avesse con voi?» domandò Odyle dandole un buffetto sulla guancia. «Perché quando sono uscito in corridoio per cercare qualcuno che ci portasse dell'acqua me lo sono visto venire incontro tutto arrabbiato. Allora sono corso dentro e ho chiuso la porta a chiave, e lui ha cercato di aprire.» Le due bambine annuirono enfaticamente. «Non diceva niente, ma cercava di buttare giù la porta con la forza» spiegò Agnese. «È stato per quello che abbiamo spinto il mobile davanti alla porta e ci siamo nascosti sotto il materasso.» «Perché sotto il letto c'è l'uomo nero!» chiari' Ernestine. Quella storia non le piaceva affatto, pensò Odyle chiudendo a chiave la porta della nursery. I bambini potevano anche inventarsi delle bugie, ma di rado erano in grado di raccontarle così bene... e di sembrare tanto genuinamente spaventati. Per fortuna, dalla sua stanza si poteva accedere a quella delle bimbe tramite una porta comunicante, così avrebbe potuto lasciare chiusa a chiave quella del corridoio, dopo aver insegnato a tutti e tre come si faceva a serrare e aprire il chiavistello interno delle due porte comunicanti. «Scendiamo a vedere se danno la merenda, vi va?» propose, e come immaginava la mozione fu approvata all'unanimità. Scesero in cucina, dove la cuoca li accolse con aria materna e benevola e li rifocillo' con dolci e tramezzini, mentre Mrs. Manfred serviva loro il tè. Poiché non voleva spaventare i bambini mostrando troppo interesse per la loro storia, Odyle aspetto' che avessero ingurgitato più tramezzini di quanti avrebbe potuto mangiarne lei stessa in una settimana, prima di rivolgersi ancora al maschietto. «Richard... mi domandavo... ma che aspetto aveva l'uomo che hai visto?» «Quale uomo?» domandò Mrs. Manfred. «Richard dice di aver visto qualcuno nel corridoio. Lui e le bambine si sono spaventati perché ha cercato di forzare la porta della loro camera.» La governante serro' le labbra. «Margaret? Non vi sentite bene?» le domandò Odyle. «Che aspetto aveva?» domandò ancora la donna, senza guardarla. «All'inizio ho pensato che fosse Lord Brisbane. L'ho anche salutato con la mano» disse Richard. «Era proprio come lui, solo che sembrava tanto tanto arrabbiato. E Lord Brisbane non è mai arrabbiato e cattivo!» Richard scosse la testa e soffio' sulla tazza di tè, dalla quale si levo' una nuvoletta di vapore. «Non è così?» Nonostante l'animata conversazione - specie tra le signore - sui pettegolezzi riguardanti la Stagione e le immancabili lamentele su quanto Londra fosse diventata detestabile e sporca, la cena non fu salutata con particolare entusiasmo da nessuno. Tristan aveva faticato a staccare gli occhi dal piatto anche per rispondere alle insistenti domande che Lord Montgomery gli aveva posto riguardo alla sua vettura, la nuovissima automobile che gli aveva mostrato nel pomeriggio, un altro dei prodigi della fine di quel secolo che Lord Brisbane non si era ancora deciso a trasferire in città, dove sicuramente gli sarebbe stata molto più utile. Lo stesso Paul Oswald non aveva fatto che sospirare, preoccupato, spostando lo sguardo dall'uno all'altro dei commensali e pensando che era una fortuna essere considerato un personaggio di poco conto, perché così poteva estraniarsi da quella situazione surreale senza risultare irrispettoso. Doveva restarsene a tavola come se nulla fosse, con Tristan e gli altri, quando sarebbe stato molto meglio correre di sopra a controllare quello che succedeva, pensò. Invece, dopo il racconto concitato di Mrs. Manfred, erano stati mandati nell'ala ovest due lacchè, in modo che nessuno si insospettisse. Dopo la zuppa fu servito del roast beef in crosta con contorno di patate dolci e crema di funghi, ma pochi vi fecero davvero onore per lusingare la cuoca. Un'altra che se ne stava a dir poco sulle sue era Cecilia Montgomery. Oswald, che l'aveva quasi di fronte, ebbe modo di osservarla di sottecchi: era pallida e aveva uno sguardo spaventato e assente. Teneva la sedia poco discosta da quella della sua prozia, come se avesse l'intenzione di saltarle in braccio da un momento all'altro. Finalmente, dopo il dolce, quella tortura finì, e quando le signore si furono alzate da tavola per lasciare gli uomini a fumare e bere il loro brandy, Tristan si scuso' con Michael Moran e Montgomery, dicendo che c'era una questione urgente di cui si doveva occupare insieme al dottore. Dopodiché invitò Paul a seguirlo. Odyle uscì dalla porta della nursery e indugio' qualche istante con la chiave tra le mani. Aveva faticato a fare addormentare Agnese ed Ernestine, quella sera. Aveva dovuto leggere loro tre fiabe, cercando di aggirare le domande che continuavano a porle su quanto era successo quel pomeriggio. Alla fine decise di chiudere a chiave la porta della propria stanza - le precauzioni non erano mai troppe - e lasciò accostata la porta comunicante tra le due camere. Dopodiché si infilò la chiave nella tasca del vestito e si avvicinò verso le scale, pronta a scendere per offrire un po' di compagnia a Lady Emma, semmai l'avesse voluta, prima di ritirarsi per la notte. Qualcosa, tuttavia, attirò la sua attenzione: la luce di una lampada a olio illuminava lo scalone che conduceva all'ala occidentale... lo scalone proibito. Si avvicinò furtiva, in tempo per scorgere Tristan e Paul Oswald che svoltavano la prima rampa di scale e si dileguavano al piano superiore. Possibile che Tristan dovesse controllare la struttura della sua casa a quell'ora di notte e con il dottor Oswald? Il dottor Oswald. Probabilmente, il medico teneva delle medicine nella valigetta che aveva con sé. Che si trattasse della morfina... per Tristan? Odyle non aveva dimenticato il loro incontro del pomeriggio ed era ancora in collera con lui. Non l'aveva visto per il resto della giornata e aveva cenato insieme alle bambine e a Richard, ma se ripensava al bacio cui l'aveva forzata e a ciò che aveva insinuato - ancora una volta - sull'intesa tra lei e Lord Michael... be', le saliva il sangue alla testa! Si era convinta che fosse stato lui a spaventare i bambini, forse perché era fuori di sé dalla rabbia. Probabilmente in quel momento stava cercando Oswald per farsi dare la sua medicina, e aveva perso il controllo... non poteva essere stato altri che lui in corridoio. E se le cose stavano davvero così... No, non voleva neppure pensarlo... Ma se Tristan soffriva di quei raptus improvvisi, allora poteva essere stato davvero lui a uccidere sua moglie qualche anno prima. Salì piano piano i gradini, pregando di non fare troppo rumore e cercando di camminare sul tappeto in modo da attutire il calpestio delle scarpe. Non aveva con sé la lampada e le scale erano avvolte nelle tenebre. Il lume di Tristan e Oswald era chissà dove, da qualche parte al piano superiore. Si trascino' su per i gradini, fino ad arrivare all'ammezzato. Il battito del suo cuore era l'unico suono che sentiva e temeva fosse così forte che qualcuno avrebbe potuto scoprirla. Se Tristan era fuori di sé come quel pomeriggio, quando si era presentato ai bambini, chissà se Oswald sarebbe stato in grado di fermarlo... E chissà che cosa avrebbe potuto farle! Doveva farsi coraggio, si disse. Se lo amava, doveva scoprire la verità su di lui e aiutarlo. Se lo amava... L'idea che Tristan potesse essere fuori di sé, che avesse un doppio se stesso incontrollato che poteva andarsene in giro a fare del male alle persone, la terrorizzava. Doveva anche tenere in considerazione la possibilità che quando era in quello stato potesse non riconoscere neppure chi gli era più caro... Forse era così che era arrivato a uccidere Lady Christina. Era arrivata all'imboccatura del corridoio. Non c'erano lampade neppure lì, solo una sottile striscia di luce che proveniva da sotto l'ultima porta in fondo al corridoio. E si sentivano delle voci. «Stai fermo!» stava dicendo Paul Oswald. «Non riesco a...» Più tenue, quasi soffocata, risuono' la voce di Tristan. Rumori. Mobili spostati. Forse una sedia che cadeva per terra. «Maledetto!» sibilo' all'improvviso una voce grave e feroce, alla quale fece seguito una risata agghiacciante. «Che cosa mi fai, Paul? Ancora una puntura... Una bella puntura per far star buono il pazzo, eh?» Di nuovo un rumore, come di vetri rotti. «Tristan, per l'amor di Dio!» gridò ancora Oswald. Odyle sentiva il pulsare del sangue nelle orecchie. Aveva l'impressione di non percepire più nulla al di fuori dalla lama di luce sul pavimento, delle voci, del rombo del proprio cuore che sembrava volerle esplodere nel petto. «Me la pagherai!» gridò ancora la voce cupa e feroce. «Devi soffrire come stai facendo soffrire me... da sempre! Te la farò pagare, vedrai...» La voce si ruppe in un guaito, un gemito sommesso. «Io...» aggiunse poi più debolmente, «...So tutto.» Odyle si coprì la bocca con le mani per impedirsi di urlare mentre i singhiozzi la scuotevano senza che potesse farci niente e le lacrime le inondavano le guance e la gola. Aveva riconosciuto la voce, anche se sconvolta e trasfigurata dal rancore e dalla malattia: era quella di Tristan. Non ricordava neppure come avesse fatto a scendere le scale, tanto era impaurita e sconvolta. Aveva raggiunto la porta della sua camera e si era fermata per qualche secondo, guardandosi attorno con circospezione. Poi aveva ruotato la maniglia ed era entrata. Come le sembrava strana e diversa quella stanza, ora, come se ci fosse qualcosa di ipocrita e fittizio nelle tende chiare, nella scrivania severa, nelle lenzuola ordinatamente tirate. Tutto appariva così tranquillo e normale, quando in realtà niente lo era. Ogni sua speranza poteva dirsi svanita. Chiuse la porta a chiave e si rifugiò sotto le coperte, tirandosele fin sulla testa e pregando di addormentarsi presto per non continuare a pensare. Quanto tempo era passato? Un'ora, forse due. Due ore di completa immobilità sul materasso freddo. Poi aveva percepito un rumore. Secco ma attutito. Il chiavistello della porta era scattato e un cigolio sommesso le aveva detto chiaramente che qualcuno stava entrando nella sua camera. Odyle tremo' tra le lenzuola, senza il coraggio di fare capolino da sotto le coperte per controllare che cosa stava accadendo. Sentì dei passi... e poi quella voce. «Non avresti dovuto impicciarti...» Era la stessa voce che aveva sentito poco prima, quella di Tristan. «Mi dici, ora che ne devo fare di te?» Odyle finse di dormire. Forse, si disse, così l'avrebbe lasciata in pace. Si rese conto che lui aveva posato un dito sulla coperta e che aveva preso ad accarezzarla. Lentamente. Partendo dai piedi e salendo fino alla testa. Non con la mano, capì d'un tratto. Qualcosa faceva un rumore strano contro la coperta, e non aveva la stessa consistenza di una mano. Era, piuttosto, un oggetto appuntito. Un coltello! Tristan sollevò delicatamente il lenzuolo con cui Odyle si proteggeva il volto. «Stai dormendo, amore mio?» Odyle lo guardò con gli occhi sbarrati. Era Tristan, lo sapeva, eppure non gli assomigliava affatto. I suoi lineamenti erano sfatti e le guance più pesanti e cadenti. Le spalle sembravano più scarne e deboli, e anche il suo colorito era spettrale. «Volevi prendermi in giro ancora una volta, non è così?» Odyle si rese conto di non riuscire a muoversi, di non poter quasi respirare e, soprattutto, di non essere capace di gridare per chiamare aiuto. La sua bocca si apriva, ma non ne usciva alcun suono. Lui si sedette sul letto e le ordinò di accoccolarsi in grembo. Odyle non voleva, ma era come una marionetta nelle sue mani, non poteva fare a meno di obbedirgli. Sentì la lama fredda del coltello che le scivolava lungo il corpo, come una terribile carezza, per poi fermarsi all'altezza della gola. Le venne in mente Barbablu' e le sue mogli... e poi lo sentì bisbigliare: «Barbablu'...» In quel momento le parve assolutamente plausibile che fosse capace di leggerle nel pensiero. «Dopo Lady Christina... ho sete di altro sangue... e sarà il tuo!» Stranamente, a quel punto Odyle si rilasso'. Sapeva finalmente la verità: lui era pazzo, aveva ucciso sua moglie e, adesso, pretendeva che anche lei salisse sull'altare sacrificale della sua follia. «No!» La porta si aprì di nuovo e... Tristan entrò nella stanza, trafelato. «Lasciala stare!» gridò al se stesso che brandiva il pugnale. Odyle si ritrovò a fissarlo, stupefatta. Tristan la teneva stretta a sé, puntandole un pugnale contro il collo. Ma Tristan era anche davanti a lei, con quello sguardo amorevole e che gli aveva letto tante volte nei profondi occhi blu. Occhi sinceri... «Sono sincero, Odyle... Mi devi credere! Non sono pazzo» le disse tendendole la mano, come se lei avesse potuto alzarsi e, con tutta tranquillità, andare da lui. «È una cosa terribile, è vero... ma non ti farei mai del male!» Odyle lo guardò e si sentì rassicurata. Del resto, come aveva già pensato poco prima, era alla sua mercé e anche volendo non poteva farci niente. Il Tristan dietro di lei sembrò allentare la stretta. Odyle si alzò senza degnarlo di uno sguardo e raggiunse quello che le stava di fronte e le tendeva le braccia. «Odyle...» Odyle! «Odyle! Aiutatemi...» Odyle si svegliò di soprassalto, sudata e con la camicia da notte appiccicata addosso. Non c'era Tristan nella sua stanza, non c'era nessuno. Ma qualcuno bussava alla porta e le era parso di sentire una richiesta di aiuto. «Odyle, sono Michael! Aiutatemi, ve ne prego!» Era davvero la voce di Michael Moran, fuori dalla porta. Ma cosa ci faceva davanti alla sua stanza nel cuore della notte? Riuscì a districarsi dalle pieghe della camicia da notte e delle lenzuola e corse alla porta, aggrappandosi alla maniglia e cercando di aprirla. Non vi riuscì. Solo dopo vari tentativi, ricordò di aver messo il chiavistello. Quando finalmente la porta si aprì, Moran per poco non le cadde addosso. Non riusciva quasi a reggersi in piedi e tremava.

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Capitolo 40
*** 40 Capitolo ***


Odyle guardò Lord Moran tremare visibilmente. «Che cosa succede? Lord Michael, siete ferito?» Lo aiutò a entrare e lo accompagnò fino al letto, dove lui si distese, scosso da continui tremiti. «Io... non lo so... penso... ho bisogno... della morfina...» Odyle si guardò attorno, smarrita. «Ma io non ce l'ho! Lord Michael, sapete bene che non dovete...» Lui cercò di alzarsi in piedi, e dopo un attimo si accascio' a terra stringendole le gambe. «Vi darò tutto quello che volete, Odyle! Vi pagherò, ma datemi la morfina! Ne ho bisogno. La voglio!» La sua voce si ruppe in singhiozzi. Era proprio in un bel guaio. Gli mise una mano sulla fronte. Bruciava. Lord Michael aveva la febbre e sembrava essere preda di un attacco. Come poteva dargli quello che voleva quando si era battuta per aiutarlo a smettere con quella roba? Lui però stava molto male... Del resto, anche se avesse voluto, come avrebbe potuto procurarsi della morfina? Eppure, le venne in mente, un modo forse c'era, anche se era pericoloso e folle, e non sapeva come avrebbe fatto a giustificare la sua richiesta. «Lord Michael, ascoltatemi bene...» Moran borbotto' qualcosa di incomprensibile. «Sentite» riprese Odyle, «Posso procurarvi un po' di morfina, ma dovete darmi il permesso di mettere al corrente di questa faccenda anche un'altra persona.» Lui non rispose. Odyle gli si inginocchio' accanto e gli prese il volto tra le mani. Michael aveva delle occhiaie talmente profonde che non sembrava neppure se stesso. «Mi avete capito?» gli domandò. Lui annuì, chiudendo gli occhi e muovendo il capo in un cenno di assenso. «Mi date il permesso, quindi?» Improvvisamente lui l'abbraccio' e scoppiò a piangere. «Grazie! Grazie, Odyle!» Tremava, piangeva e rideva allo stesso tempo. Odyle cercò di rimettersi in piedi. «Vergognatevi!» sentì esclamare alle proprie spalle. «Siete una svergognata! Una sgualdrina!» Lady Emma, con indosso la camicia da notte e la vestaglia, la stava guardando con disgusto dalla porta. «E proprio nella stanza di fianco a quella delle mie figlie! Sgualdrina!» «Lady Emma!» Odyle si rialzo', ma capì che Michael non sarebbe stato in grado di reggersi da solo. «Lady Emma, vostro marito...» «Ah, non osate dare l'intera colpa a mio marito! Lo avrete pur istigato! Che coraggio. Rivestitevi, svergognata!» continuò a insultarla la donna. Michael cadde a terra di schianto, a faccia in giù. Lady Emma trattenne un grido e gli si inginocchio' accanto. «Michael! Michael! Oddio, cosa gli avete fatto? Michael!» «Milady, è venuto da me perché stava male... non c'è nessun altro motivo...» cercò di spiegare Odyle. La donna la guardò con ferocia. «E allora aiutatelo, cosa aspettate?» Odyle annuì in fretta e si precipitò fuori dalla stanza. C'era soltanto un'altra persona che avrebbe potuto aiutare Lord Moran, e lei sperava che non le avrebbe fatto troppe domande. Corse al piano di sotto e conto' le porte delle stanze che davano sul corridoio. Due... tre... quattro... cinque. Ricordava che a Paul Oswald era stata assegnata una stanza non molto lontano da quella padronale, a cinque porte dall'inizio del corridoio. Pregò di non sbagliarsi e busso' con insistenza. Il dottor Oswald, senza occhiali e con gli occhi gonfi per la stanchezza, la guardò stranito dallo spiraglio della porta. «Miss Chagny... non vi sentite bene?» le domandò confuso. «Non si tratta di me... è Lord Moran... vi prego, dovete aiutarlo!» Oswald arriccio' il naso e strizzo' gli occhi. «Che cos'ha?» Odyle lo fissò per qualche istante senza sapere cosa rispondere. «Ha bisogno di morfina» disse infine. Poco dopo, Odyle e Paul Oswald raggiunsero il piano superiore e la camera della ragazza, dove Lady Emma teneva la testa di Michael in grembo e lo cullava dolcemente ripetendo: «Andrà tutto bene, amore mio... andrà tutto bene...» Lord Moran aveva gli occhi sbarrati e lo sguardo assente, ma continuava a tremare e teneva i denti serrati, come irrigidito dalla rabbia. Odyle osservò Oswald aprire la valigetta ed estrasse una boccetta che conteneva una sostanza trasparente. Quindi monto' una siringa e fece penetrare l'ago nella fiala, aspirandone tutto il liquido. Quando ebbe finito, diede qualche colpetto al corpo della siringa e si accovaccio' accanto a Lord Moran. «Lady Emma, ho bisogno che lo teniate ben fermo. Miss Chagny, voi tirategli su la manica della camicia.» Odyle fece come le era stato detto e arrotolo' la manica della camicia da notte di Michael fin sopra il gomito. Sul suo braccio erano ancora visibili i segni di numerose iniezioni e anche Emma trasali' nel vederli. Odyle cercò di evitare lo sguardo interrogativo della donna. Oswald, apparentemente senza scomporsi, gli inietto' la droga. Michael si quieto' immediatamente. Il tremore cessò e la mascella si rilasso' all'istante. Chiuse gli occhi, e per qualche momento sembrò essersi addormentato. «Aiutatemi a rimetterlo a letto» disse Paul Oswald. Il dottore e Odyle lo sollevarono passandosi le braccia di Michael sopra le spalle; Emma li seguì, guardandoli stralunata. Il corridoio parve a Odyle interminabile. Lord Michael era pesante, e più di una volta lei fu sul punto di perdere l'equilibrio inciampando nella propria camicia da notte. Emma aprì loro la porta della camera da letto e lasciò che Michael venisse adagiato tra le lenzuola. «Non dovrebbe avere bisogno d'altro, per stanotte» spiegò Oswald rivolto a Lady Emma. «Comunque, non può smettere di assumere la morfina di punto in bianco. Non è così che riuscirà a disintossicarsi» aggiunse, come se volesse redarguirla. «È colpa mia, dottore» intervenne Odyle. «Lady Emma non era al corrente di questa... malattia. Lord Michael mi aveva chiesto di non dirle niente per non farla preoccupare...» Guardò Emma, sperando che capisse. «Stavo solo cercando di aiutarlo... Spero che possiate capire... È la verità.» Emma annuì con aria grave e si voltò verso il marito. Oswald mise una mano sul braccio di Odyle e la accompagnò fuori dalla camera. «Vorrei scambiare due parole con voi, signorina...» «Ditemi, dottore.» «Per l'appunto... Io non sono qui nelle vesti di medico, bensì come amico di famiglia, e... Miss Chagny, come sapevate che avevo della morfina con me?» Oswald strizzava gli occhi per metterla meglio a fuoco, ma a Odyle sembrava che volesse, in quel modo, penetrarle nel cervello. «Siete un medico...» rispose. «Ma non sempre viaggio con tutto il mio armamentario di medicine.» «Ehm... io pensavo di sì.» Oswald la guardò ancora con aria severa. «Andate a dormire, Odyle. Sarete molto stanca e, forse, domani, mi darete una spiegazione convincente.» Odyle si avviò mesta verso la propria stanza, sollevata che il dottore avesse potuto aiutare Lord Michael, ma dispiaciuta per aver dovuto rivelare quel segreto e timorosa del colloquio che l'avrebbe attesa l'indomani. Avrebbe dovuto spiegare a Paul Oswald come mai sapeva che lui aveva con sé della morfina. Cosa gli avrebbe risposto se le avesse chiesto se sapeva anche a chi era destinata e perché? Abbattuta, si avvicinò alla porta della propria stanza, ma la mano le si bloccò sulla maniglia. C'era qualcuno, non molto lontano da lì, che cantava sommessamente. Odyle non capiva le parole, tuttavia la nenia le metteva i brividi. Si avvicinò alla tromba delle scale, da dove proveniva il suono. Giù, fermo nell'ammezzato, c'era un uomo che le voltava le spalle e disegnava con il dito sulla condensa della finestra. Le sembrò strano, ma era lui che cantava. Era un uomo biondo e alto e Odyle, per un istante, non ebbe alcun dubbio. «Tristan...» lo chiamò piano. L'uomo si interruppe, fermando il dito sulla superficie di vetro. Odyle si sentì percorrere la schiena da un lungo e terribile brivido. In quell'istante capì. Capì, prima ancora che l'uomo, con estrema lentezza, si girasse verso di lei. Era terribile. I lineamenti erano in tutto e per tutto simile a quelli di Tristan.

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Capitolo 41
*** 41 Capitolo ***


Nonostante la penombra, Odyle avrebbe potuto giurare che si trattasse di Tristan anche se, l'espressione non era la stessa. Non c'era niente di naturale, niente di umano nello sguardo di quell'uomo. Sembrava feroce e inconsapevole di sé come un animale. Odyle lo fissò, paralizzata dalla paura. Era quello l'uomo che i bambini avevano visto nel pomeriggio? Se era così, le piccole Moran dovevano ringraziare la presenza di spirito di Richard, che era fuggito dentro la stanza e aveva sbarrato la porta. L'uomo la guardò attentamente per un lungo istante. Poi, con la lentezza che contraddistingueva tutti i suoi movimenti, scosse il capo in un cenno di diniego. Quindi alzò una mano, come per salutarla, e le mostrò quello che probabilmente intendeva essere un sorriso, ma che sembrava piuttosto un ghigno famelico. Odyle, quasi ipnotizzata, gli rispose, e lui ricominciò a scendere le scale. Odyle ci penso' per tutta la notte, e il mattino seguente, benché avesse dormito pochissimo, si alzò con una certa risolutezza. Benché non potesse esserne certa, si era convinta che l'essere che aveva visto sulle scale non fosse Tristan Brisbane. Se quell' assunto, da una parte, la faceva sentire meglio e poneva almeno una certezza riguardo all'uomo di cui era innamorata, dall'altra lasciava un grande interrogativo: chi era quell'individuo? Si acconcio' con modestia i capelli legandoli in una lunga treccia scura che lasciò scendere sulla schiena ed esorto' le bambine a svegliarsi e a prepararsi per la colazione. Poi tolse il chiavistello alla porta della nursery, che subito si aprì. «Oh!» Odyle sobbalzo', intimorita. C'era Lady Emma davanti a lei, e sembrava turbata. «Odyle...» Era passato un po' di tempo dall'ultima volta che l'aveva chiamata per nome, pensò la giovane, ma si sforzo' di risponderle con naturalezza. «Buongiorno, milady.» Fece un passo indietro e si prodigo' in una riverenza. Lady Emma parve ancor più a disagio. Abbassò gli occhi, costernata, poi le si avvicinò e le mise una mano sul braccio. «Io... devo farvi le mie scuse, Odyle.» Lei alzò lo sguardo, incredula. «Sì» proseguì Emma, «Michael...» «Oh, come sta vostro marito?» Odyle ricordò le pessime condizioni in cui si trovava l'uomo solo qualche ora prima e si sentì un po' in colpa, perché l'incontro con il misterioso individuo sulle scale le aveva praticamente fatto dimenticare ciò che era accaduto a Lord Michael. «Ora sta meglio, vi ringrazio» rispose Emma. «E vi devo ringraziare anche per la prontezza di spirito che avete avuto ieri notte. Non so cosa sarebbe successo, altrimenti.» Si schiari' la voce, incerta su quello che doveva dire. «Mi ero sbagliata sul vostro conto... Vi domando scusa. Michael mi ha raccontato tutto... questa mattina.» «Mi fa piacere» commento' Odyle. «Penso che tra marito e moglie non debbano esserci segreti.» Emma annuì e rimase in silenzio per qualche istante. «Possiamo ancora essere amiche?» E fu proprio come se si fossero ritrovate. Scherzando insieme e parlando del più e del meno, aiutarono Agnese ed Ernestine a vestirsi e pettinarsi, sollevando dall'incarico la cameriera. Le bambine ne furono deliziate. Avere non solo l'istitutrice ma anche la mamma a loro completa disposizione non era cosa da tutti i giorni, e fecero a gara per attirare la sua attenzione con i loro racconti. Ernestine, prima di uscire, pretese anche di essere presa in braccio da Emma, vizio che non avrebbe dovuto avere, visto che ormai aveva quasi otto anni, ma che sua madre parve felicissima di assecondare. «Avanti, il papà ci aspetta di sotto per fare colazione. Poi che ne dite di fare una passeggiata tutti insieme?» propose. «Viene anche Miss Chagny?» domandò Agnese. Emma sorrise a Odyle. «Volete venire?» Ma lei scosse il capo e le mise una mano sulla spalla. «E meglio di no. Devo finire alcuni lavori.» Sarebbe stata l'occasione giusta perché quella famiglia potesse stare un po' insieme senza interferenze da parte di nessuno. Un'ora più tardi salutò i Moran dalla soglia della porta sul retro, quella che conduceva al roseto e al boschetto, e rimase per un po' a guardare le quattro figure infagottate allontanarsi per la strada. Emma e Michael si tenevano per mano, più vicini di quanto li avesse mai visti. C'era stato un po' di imbarazzo tra lei e Michael, quando si erano incontrati per la colazione, ma Emma era riuscita a stemperare l'atmosfera e, con poche parole, aveva risolto la situazione. «Potete dedicarmi cinque minuti del vostro tempo?» Paul Oswald era arrivato alle sue spalle, sorprendendola con lo sguardo perso verso il giardino. Odyle trasse un profondo sospiro. «Naturalmente.» Non avrebbe potuto evitarlo in eterno. Docilmente, lo seguì lungo il corridoio sul retro della casa, fino ad arrivare al sottoscala. Si sentì un po' a disagio per il fatto di dovergli parlare in quel posto, come se fosse una domestica che cercava di nascondersi per evitare i propri doveri. «Allora, volete dirmi che cosa sapete?» le domandò Paul Oswald. «Un giorno ho incontrato Tristan... Lord Brisbane per la strada e ho avuto modo di notare che aveva acquistato dei flaconi di morfina con siringa. Supponendo che ne facesse uso, ho dedotto che voi, in quanto suo medico, dovevate averne portata un po'... per qualche emergenza» gli spiegò in tutta sincerità. Paul Oswald si passo' una mano sulla fronte e scosse il capo. «Ma la morfina non è per Tristan...» «Lo so» replicò lei con semplicità. Oswald la guardò, sconcertato. Probabilmente si era aspettato di dover lottare per convincerla. «Cosa sapete?» «Ieri notte, dopo che ho lasciato la stanza dei Moran per tornare in camera mia, ho visto un uomo per le scale.» «Un lacchè?» «No. All'inizio ho pensato che si trattasse di Lord Brisbane, perché la somiglianza era davvero notevole...» Notò che Oswald deglutiva, evidentemente a disagio, e che le sue labbra perdevano colore. «Ma quando si è voltato... Dottore, so che non poteva trattarsi di Tristan... di Lord Brisbane... Insomma, il suo viso era... la sua espressione... non poteva essere lui!» Paul Oswald le mise le mani sulle spalle e la guardò negli occhi. «La lealtà verso Tristan e la sua famiglia mi impone il silenzio su questo caso, tuttavia dovete credermi se vi dico che con Tristan non vi troverete mai in pericolo. Lui vi...» A Odyle bastò guardarlo negli occhi per leggere quello che voleva dirle. Si scosto', a disagio. «Ora devo proprio andare, credo che Lady Cartwridge mi stia aspettando nel salone.» Turbata, Odyle si avviò a passo deciso verso la sala, dove sapeva che Lady Cartwridge, Lady Montgomery e Miss Cecilia si erano radunate. Non la stavano aspettando, contrariamente a quello che aveva detto a Oswald e, con le bambine fuori a passeggio, avrebbe anche potuto ritirarsi in camera sua a leggere o lavorare. Tuttavia, in quel momento non voleva stare da sola, e non soltanto per il timore di quell'uomo, di quello strano Tristan che con ostinazione cercava di convincersi fosse qualcun altro, ma anche perché non voleva pensare. Era troppo confusa, e preferiva rimandare a un altro momento ogni riflessione su ciò che stava accadendo. Decisa a godersi qualche ora di spensierato buon umore, spinse la porta della sala... e si trovò immersa in un'atmosfera a dir poco tetra. Tutte le tende delle finestre erano state sciolte, impedendo anche alla poca luce di quel mattino di filtrare per rischiarare il mobilio scuro. Intorno al tavolino rotondo accanto alla parete di fondo erano sedute le tre donne, chine su qualcosa che Odyle non riusciva a vedere. «Ecco, non si muove più...» disse Cecilia, sbuffando. «Miss Chagny l'ha disturbato!» Le rivolse uno sguardo d'accusa. «Mia cara, a me pareva che non si muovesse neppure prima» commento' Lady Cartwridge con una nota scettica nella voce. «Oh, si, oh, si, invece» replicò Lady Montgomery. «Non ve ne siete accorta? Prima l'ago era tra la N e la O ora, invece, è sempre lì, ma di un poco più vicino alla O, a mio avviso.»

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Capitolo 42
*** 42 Capitolo ***


Odyle si avvicinò ancora di qualche passo, curiosa di sapere che cosa stesse accadendo. Le tre donne tenevano le mani sul tavolo, puntando le dita su una superficie di piastra a punta che poggiava su un'asse su cui erano incise tutte le lettere dell'alfabeto, in una specie di semicerchio, e le parole: si, no e forse. «Avvicinatevi, Miss Chagny, stiamo facendo un esperimento interessante» le spiegò Lady Angelina, staccando per un attimo una delle mani per farle cenno. «Non fatelo, Angelina, gli spiriti potrebbero arrabbiarsi. Dobbiamo prima chiedere il permesso!» la rimprovero' Lady Montgomery. Lady Angelina rimise a posto la mano. «Oh, be', visto quanto si sono scomodati finora...» commento'. Odyle si avvicinò ancora un po' e si chino' sul tavolo. «Che cos'è?» «Non l'avete mai vista?» domandò secca Cecilia. «È una tavola Oui-ja» le spiegò Lady Montgomery. «È di gran moda, in questo periodo. Tutte le signorine ne posseggono una, ormai. Si gioca chiedendo agli spiriti il nome del proprio innamorato o quello delle amiche, o magari chi sarà il futuro marito. Volete provare anche voi?» «Zia! Ma noi non stiamo giocando!» la rimprovero' Cecilia. «Già...» osservò Lady Cartwridge. «Stiamo cercando di svelare un mistero...» spiegò con pochissima convinzione. «Vogliamo sapere chi è il fantasma che i bambini dicono di aver visto ieri» aggiunse Lady Montgomery. «Però, per adesso, gli spiriti non vogliono rispondere.» Odyle osservò la tavoletta di legno. Non aveva niente di fuori dal comune e le sembrava ridicolo che si sperasse di avere dei contatti con l'aldila' tramite quella roba. Per chiedere cosa, poi? Il nome del proprio innamorato? Era davvero necessario scomodare degli spiriti per conoscere cose tanto frivole? Appoggiò un dito sul legno e lo fece scorrere sulla lettera A, finemente intarsiata. «Aspettate!» gridò Cecilia, con eccitazione mista a paura. La piastra appuntita parve tremare sotto le dita delle tre donne, quindi prese a oscillare e spostarsi, vorticando tra le lettere. «Sei tu a spingerla, Cecilia?» domandò Lady Montgomery. «E come cavolo farei?» sbotto' Cecilia, senza rendersi conto di aver usato un'espressione assai maleducata. «Non senti come si è scaldata?» La piastra continuò a roteare sotto la pressione delle dita delle tre signore, quindi si spostò sulla lettera O. «O» dissero tutte e tre all'unisono. La piastra disegnò un arco verso sinistra, arrivando alla lettera D, poi si spostò ancora verso il fondo dell'alfabeto indicando la Y e successivamente verso il centro, L , e poi ancora verso sinistra, concludendo con la lettera E. «ODYLE» lesse Lady Cartwridge, voltandosi a guardare l'istitutrice. «Cara, a quanto pare, qualcuno vi sta chiamando.» Odyle guardò le tre donne, intimorita. «Vi state prendendo gioco di me?» Cecilia la guardò negli occhi con ferocia, poi scosse il capo e tornò ad abbassare lo sguardo. «Chi sei, spirito?» domandò con solennità ad alta voce. La piastra appuntita riprese a vibrare, poi a vorticare sulla tavola di legno, andando finalmente a fermarsi sulla lettera M. Riprese il suo giro e andò sulla I. Vortico' un paio di volte, R. Poi, I, A e, in fine, di nuovo M. Odyle si premette una mano sulla bocca e fece un passo indietro. «Non è possibile...» «Chi era, cara? La conoscevate?» le domandò Lady Montgomery con morbosa curiosità. «La mia sorella maggiore... è morta circa due anni fa.» Odyle si avvicinò alla tavoletta e ne accarezzo' il legno. «Oh, Miriam, mi manchi davvero tanto. Tantissimo» disse mentre la voce le si rompeva in un singhiozzo. La piastra riprese il suo giro e traccio' con chiarezza: "SO". Poi, ancora, "TU". «Ti manco anch'io?» domandò Odyle. L'ago della piastra si fermò al centro della tavoletta, sul sì. «Miriam» intervenne Lady Cartwridge. «C'è qualche fantasma che si aggira per questo castello?» "NO". Le quattro donne si scambiarono un'occhiata. «Ma così non vale» sbotto' Lady Montgomery.«E adesso cosa chiediamo, se qui non c'è nessun fantasma?» L'ago prese a tremare di nuovo, spostandosi tra le lettere. "ATTENTA", scrisse. Lady Cartwridge spostò nuovamente gli occhi su Odyle, in piedi di fianco a lei. «Miriam, ti riferisci alla nostra Odyle? È lei che deve stare attenta?» "SI". Odyle rabbrividi'. Anche se le faceva piacere avere un contatto con la sorella, ammesso che tutto quello che stava accadendo fosse reale, in fondo ne aveva paura. Il mondo dei morti era qualcosa di tenebroso e incomprensibile per lei, e non aveva mai pensato di potervi penetrare prima del tempo. Eppure Miriam era lì, lo sentiva. Ancora una volta, la sua dolce sorella stava cercando di proteggerla da qualcosa. La porta del salotto si aprì di nuovo, Tristan e Oswald fecero il loro ingresso e salutarono le signore. «Da chi o da che cosa mi devo guardare, Miriam?» domandò in fretta Odyle, temendo che i due nuovi arrivati le avrebbero interrotte. Tristan si avvicinò al tavolino proprio mentre la piastra iniziava a schizzare qua e là sulla tavoletta. «Che cosa intendete...» L'ago si fermò sulla lettera V. Odyle trasali' e spostò lo sguardo su Tristan. «È una tavola Oui-ja» spiegò Oswald a Tristan. «Cosa state domandando, signore?» La piastra si spostò ancora e andò sulla lettera I. Sosto' per qualche istante, poi schizzo' sulla C, tornò indietro e in rapida successione indicò T, O, ed R. Tristan notò l'espressione terrorizzata di Odyle. «Chi è Victor?» domandò. L'ago della piastra segnò la lettera F, poi la I e successivamente le lettere D, A, N, Z, A, T e infine si fermò sulla O. Tutti si voltarono a guardare Odyle, che indietreggiava ancora di qualche passo scuotendo il capo. Tristan la guardò con espressione truce. «È vero?» Odyle non ebbe il tempo di rispondere. L'attenzione di tutti venne ancora catturata dalla piastra che riprendeva a girare per le lettere dell'alfabeto. Scrisse di nuovo: ATTENTA. «A cosa deve stare attenta?» domandò Lady Cartwridge, questa volta coinvolta dalla faccenda. L'ago si spostò molto lentamente, puntando con decisione verso una delle prime lettere dell'alfabeto. La B. Oswald fece un passo in avanti, allungando la mano verso la tavoletta prima che la punta di pietra riuscisse a raggiungere la seconda lettera su cui stava puntando, la E. «Penso che questo gioco sia durato abbastanza, signore...»disse in tono severo, appoggiando con decisione la mano sulla piastra e muovendola con la propria forza verso la parte opposta dell'alfabeto. «Che ne dite di prendere un tè tutti insieme?» Lady Cartwridge lo guardò sospettosa, ma non protesto' e tolse la mano. «Oh, è già l'ora del tè? Molto volentieri, allora...» disse Lady Montgomery. Cecilia invece, fissò Oswald con odio. «Perché ci avete interrotte?» «Finirete per spaventarvi con questi giochi» ribatte' il dottore, severo. Tristan si era tirato in disparte e fissava Odyle, che si era avvicinata a una finestra e gli dava la schiena, guardando il giardino con aria assente. Stava pensando a quel Victor? Si chiese. Ne sentiva la mancanza? Tristan scosse il capo. Non gli era dato di saperlo. Non poteva penetrare nei suoi pensieri, e dopo quello che le aveva fatto, dopo quella brutta scenata nel suo studio, aveva meno diritto che mai di farle delle domande. C'era una cosa, però, che lo preoccupava molto, e riguardava gli ultimi eventi che erano accaduti a Blackborough in quei giorni. I bambini dicevano di aver visto qualcosa, o meglio, qualcuno. Dapprima aveva pensato che volessero fare uno scherzo, che qualcuno avesse riferito loro qualche storia sul castello e si fossero inventati l'apparizione di quello strano fantasma. Poi, però, qualche decina di minuti prima, Paul l'aveva fermato in corridoio e gli aveva detto che anche Odyle - la sua Odyle - l'aveva visto. Quindi il pericolo era reale e incombente, e lui aveva il dovere di avvertirla. Si avvicinò piano piano. Lei non lo sentì arrivare. Era davvero bellissima, anche se vestiva con severa semplicità e si acconciava i capelli senza l'aiuto di una cameriera.

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Capitolo 43
*** 43 Capitolo ***


La sua Odyle era una donna concreta e vitale, che non aveva tempo da perdere in sciocchezze. Avrebbe tanto voluto che lei gli permettesse di entrare nel suo mondo, che gli raccontasse chi era in verità. E chi era Victor? Fissò per qualche istante il punto in cui i capelli di lei si congiungevano al collo, desiderando con ardore di chinarsi su quel punto e rubarle un bacio. Si trattenne e si schiari' la gola, improvvisamente imbarazzato dal brivido di desiderio che gli infiammava i lombi. Odyle lo sentì e si voltò di scatto, trovandosi a pochi centimetri da lui. «Oh!» «Perdonatemi, Odyle...» «Tristan...» Lui si guardò attorno, timoroso che qualcun altro potesse ascoltarli, poi si chino' su di lei. «Ve l'ho già detto, non posso dirvi molto. Ho giurato di mantenere il segreto.» La guardò e intuì che capiva perfettamente. La vide annuire. «Ma c'è una cosa che voglio facciate se doveste rivedere... se mi dovreste rivedere in quello stato.» Era meglio gettare discredito su se stesso piuttosto che farle intuire la verità. «Come...?» Lo guardò, stupita. «Oswald mi ha detto di ieri notte... del vostro incontro per le scale...» «Ah... già... Ma allora...» «Ho già detto che non posso spiegarvi niente» la zitti' lui, «Ma se doveste incontrare nuovamente quel... quell'essere... Odyle, promettetemi che scapperete, che fuggirete il più in fretta possibile da lui, mi avete capito?» Per qualche istante, si limitò a fissarla negli occhi, quindi le diede un buffetto sulla guancia e, per cercare di rassicurarla un poco, abbozzo' un sorriso. Stava per allontanarsi quando lei gli afferrò la mano e lo trattenne. «So che non siete voi, Tristan... Lo so e basta.» Lo lasciò andare e tornò a voltarsi verso la finestra. Tristan chiuse gli occhi. Se lo faceva, riusciva a immaginare che fosse ancora tutto possibile tra loro, che non ci fosse il suo passato a trattenerlo e che non esistesse quel Victor che era appena saltato fuori come un jolly da una manica. «Andiamo.» Paul l'aveva raggiunto e gli aveva messo una mano sulla spalla. «Tra non molto verrà servito il tè e dovremo essere di ritorno» gli sussurro' all'orecchio. Non appena la porta si fu chiusa alle loro spalle, Cecilia sbuffo' sonoramente. «Ah, Miss Odyle, chissà come ci si sente ad avere così tanti spasimanti? Dite un po', ma il vostro Victor non è un tipo geloso? Se vedesse come vi comportate con Lord Brisbane penso che lo sarebbe.» Lady Cartwridge le lanciò un'occhiata preoccupata mentre Lady Montgomery scoppiava in una sonora, ma benevola risata. «Chiudi bene la porta» disse con aria grave Paul, appoggiando la candela sul tavolo e rivolgendosi all'amico che lo seguiva. Nel silenzio, si udì il rumore della chiave che girava nella serratura. «Bene.» Il dottor Oswald appoggiò la valigetta su un tavolino di legno piuttosto malandato e aprì le tende della camera in fondo al corridoio dell'ala occidentale. La stanza era piuttosto spoglia, non c'erano quadri alle pareti, ma solo un tavolo accanto alla finestra e un paio di sedie, poco distante da un'altra piccola porta. Tristan socchiuse gli occhi, infastidito dalla luce. «Non riesco a capire come sia potuto succedere» mormorò tra sé. «Devi aver lasciato la porta aperta. Sei stato davvero incauto, amico mio. Non devi abbassare la guardia, anche se quella ragazza...» «Odyle lasciala fuori, te ne prego.» Paul si zitti' e gli voltò le spalle, nascondendogli la smorfia di disapprovazione che gli si era dipinta sul volto. «Comunque, controlla sempre d'ora in poi, te ne prego.» «Non c'è bisogno che tu me lo dice» ribatte' Tristan con durezza. «Avanti.» Paul aprì la borsa e ne estrasse un astuccio di legno e un flacone di morfina. Sollevò la boccetta e controllo' controluce la purezza del liquido battendoci sopra con un dito, poi preparò la siringa e infilò l'ago nella fiala, aspirando tutto il liquido. «Sono pronto.» Tristan sospirò e percorse stancamente i pochi passi che lo separavano dalla porticina. Sosto' per qualche istante accanto a una delle sedie, quindi si tolse la giacca e la posò sullo schienale. Fissando Paul negli occhi, si slaccio' i polsini della camicia, arrotolandosi le maniche fin sopra i gomiti. Annuì e Paul lo raggiunse. Erano pronti. Tristan gli voltò le spalle e afferrò la maniglia della porta interna che, come sempre, era aperta. Oltre la porta era piuttosto buio, ma Tristan vi entrò con una certa sicurezza. Subito, tuttavia, i suoi piedi inciamparono in qualcosa. «Paul...» mormorò preoccupato. Oswald corse nella stanza attigua e tornò poco dopo con la candela accesa, cercando di rischiarare l'ambiente. La stanza non aveva finestre e, al contrario del piccolo disimpegno che la precedeva, era riccamente arredata con una scrivania, un armadio, una cassapanca, un letto, dei tappeti e dei quadri. C'era persino un camino ma, nonostante il freddo, era spento e non vi era alcuna traccia di brace recente, né degli arnesi che avrebbero potuto servire a ravvivarlo. Ciò che balzava subito all'occhio era l'assoluta mancanza di oggetti. Non c'erano libri, né penna e calamaio, o fogli e qualsiasi altra cosa avrebbe potuto essere presa in mano. Mancava persino il cuscino. Tristan si guardò in giro. Nonostante quelle precauzioni, tutti i quadri erano stati staccati dalle pareti e gettati per terra. Si chino' accanto a una cornice e la sollevò. La tela era stata graffiata rendendo difficile riconoscere il dipinto. Si intuivano dei volti, probabilmente dei ritratti. La famiglia Brisbane. I genitori e due figli. Anche il letto era stato disfatto e lenzuola e coperte erano state gettate a terra, in parte a brandelli. «Tristan...» Tristan sollevò lo sguardo verso Paul, che gli indicò con un cenno l'anta semiaperta dell'armadio. Stancamente, si rialzo' da terra e la raggiunse. Appoggiò una mano lungo il bordo e la tirò verso di sé, strizzando gli occhi nel tentativo di distinguere la forma all'interno dell'armadio. Poi disse: «Bernard... vieni fuori.» «Quello che state per vedere è il mio piccolo gioiello, ne sono molto orgoglioso, quindi dovrete sorridere e mostrarmi un'espressione di ammirato stupore, se non volete offendermi.» la canzono' Tristan infilando una chiave nel grosso lucchetto che chiudeva le porte della rimessa vicino alla casa. Odyle rise, e Tristan pensò che era meraviglioso poterle parlare in quel modo spensierato e constatare che in lei non c'era traccia della tensione che li aveva visti su opposti fronti fino a poco prima. Del resto, Michael era nettamente migliorato e sembrava che lui e Lady Emma si fossero riavvicinati. Si era sbagliato sul conto di Odyle e Michael. Lei era felice di essere testimone del rifiorire di quel rapporto e proprio per questo Tristan - che volesse ammetterlo o no - si sentiva euforico. Sfidando il freddo pungente di quella mattina e le occhiatacce che Oswald gli aveva lanciato durante la colazione, Tristan aveva proposto a Odyle, e a lei soltanto, di fare una passeggiata nei boschi. E lei aveva accettato, nonostante le velenose frecciate che Miss Cecilia Montgomery, come al solito, non le aveva risparmiato. «Oh, volete proprio far morire di gelosia il vostro povero Victor!» aveva esclamato con una risatina chioccia mentre sorseggiava una tazza di tè. Già... Victor. Non poteva certo dire che quella fosse l'unica nuvola nera al suo orizzonte, ma era certo un'assenza ingombrante. Non era ancora riuscito a scoprire nulla su quel fantomatico fidanzato, e si chiedeva se esistesse davvero. Odyle non ne faceva parola, non smentiva, né confermava, lasciando sempre il discorso nel vago. Tristan fece scorrere le due porte che chiudevano il capanno. Dentro era buio e sembrava fare ancora più freddo che all'aria aperta. La invitò a entrare, incoraggiandola con un sorriso. Odyle, timidamente, fece un passo avanti, chiudendosi le braccia intorno al corpo per difendersi dal gelo. Tristan accese la lampada a olio che aveva portato con sé, illuminando lo spazio angusto affollato di oggetti impolverati

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Capitolo 44
*** 44 Capitolo ***


In mezzo a tutti gli altri oggetti, al centro del capanno, c'era un'automobile. Odyle aveva già visto delle vetture a motore, qualcuna le era sfrecciata davanti persino a Parigi, e nonostante sostenesse di essere una persona aperta al cambiamento e alle novità, istintivamente provava una certa diffidenza nei confronti di quelle enormi macchine che si muovevano da sole e trasportavano le persone alla velocità inumana di cinquanta o sessanta chilometri orari! Soprattutto, era l'odore a infastidirla. I gas nauseabondi che emettevano erano talmente insopportabili da farla tossire. Sollevò lo sguardo su Tristan e gli offrì un sorriso stiracchiato e incerto. «Non vi piace» sentenzio' lui, rabbuiandosi un poco. «Sapete cos'è, almeno?» «È un'automobile» rispose Odyle, rigida. «È molto bella, milord... è solo che di solito non mi piace l'odore che fa...» Cerco' di spiegargli senza offendere la sua sensibilità. «Tossisco e divento paonazza quando sento il combustibile che brucia, e il fumo mi fa lacrimare gli occhi.» Invece di incupirsi ancora di più, il volto di Tristan Brisbane si illumino' di un sorriso fiero. «Ma questa non è un'automobile a benzina!» esclamò. «La penso come voi sul rumore e sul fumo fastidioso che i veicoli a petrolio emettono, ed è proprio per questo che seguo con interesse e supporto come posso le ricerche e la sperimentazione volte a creare automobili a energia elettrica.» Batte' una mano sulla vettura. «Questa è uno dei primi esemplari usciti dal laboratorio francese Jeantaud lo scorso anno. Non lo conoscete? Avvicinatevi.» Odyle lo guardò affascinata. Le sembrava che lui diventasse ancora più bello quando si infervorava e le parlava di quelle che erano le sue passioni. Subito, però, ricordo' com'era andata a finire nel suo studio e chino' il capo, intimorita. Tristan, intanto, aveva aperto lo sportello posteriore della vettura. «Qui dietro c'è un accumulatore di energia» spiegò, mostrandole con orgoglio un'enorme scatola metallica che Odyle guardò con sospetto. «Mentre davanti, sotto il telone, c'è il motore, che trasmette il movimento a una corona dentata che si ingrana con i tamburi montali sulle ruote...» E chinandosi verso le ruote anteriori, leggermente più piccole, le indicò una specie di catena. Quando si voltò verso Odyle, tuttavia, notò la sua espressione un po' assente, tipica della persona che non capiva neppure la metà di quello che le veniva detto. Si passò una mano sulla guancia e le sorrise ancora. «Vi sto annoiando, non è vero?» Odyle scoppiò in una genuina risata, ma non disse niente. «Mi state prendendo in giro, Miss Chagny?» Le si avvicinò, guardandola con aria maliziosa. «Ebbene, che cos'è che vi fa tanto ridere? Che un anziano signore come me si interessi di queste cose?» Lei lo guardò, improvvisamente seria. «Non siete affatto un anziano signore...» gli disse sporgendo una mano verso di lui. «È solo che vi siete macchiato... proprio qui.» Odyle gli accarezzo' la guancia con il pollice. «Immagino che abbiate toccato qualche ingranaggio della vostra formidabile vettura e...» Quando lo guardò negli occhi, l'espressione di Tristan la lasciò senza fiato. Lui le afferrò il polso, trattenendola vicina a sé, senza forza ma con determinazione. Odyle sentì che il sangue le affluiva al volto e il calore le fece percepire con fastidio i vestiti sul proprio corpo. L'avrebbe baciata di nuovo? Si chiese. Erano così vicini e lei... lei sapeva che non avrebbe potuto resistergli. Voleva che lui la baciasse, ne aveva bisogno. «Chi è Victor?» le domandò invece Tristan. Fu come una doccia fredda. Odyle sgrano' gli occhi e si sentì piombare in un baratro. Lui la teneva ferma davanti a sé e i suoi occhi cercavano di frugarle nell'anima. «Era solo un gioco sciocco e infantile, milord» rispose con voce tremante. «Non mi direte che, nonostante tutta la tecnologia di cui vi circondate, credete agli spiriti?» Tristan non si fece intimidire da quella risposta. «Credo a quello che vedo, e la vostra reazione è stata... be', diciamo che è stata piuttosto significativa. Conoscete un Victor, ne sono sicuro. Chi è?» «Se anche fosse, non vedo che diritto avete di chiedermelo.» Cercò di allontanarsi, ma ancora una volta lui la trattenne. Odyle sollevò di nuovo gli occhi e lo guardò con rabbia. «Avete intenzione di ripetere la scena della volta scorsa, milord?» lo sfidò. «Io... io...» Tristan la lasciò andare. «Ero solo curioso» Bofonchio' in tono di scusa. «È solo che trovo che trovo affascinante le tavole Oui-ja...» mentì. «Sono convinto che siamo noi, e non gli spiriti, a muovere, magari in modo inconsapevole, la piastra. Forse perché inconsciamente vogliamo comunicare qualche cosa...» Odyle, che aveva raggiunto la porta del capanno, si fermò senza però voltarsi a guardarlo. Sentiva l'aria fredda e densa di nebbia davanti a sé, ma non vedeva quasi nulla. «Ricordate male, milord. Le mie dita non erano sulla piastra quando Cecilia Montgomery stava giocando. Forse voleva solo divertirsi alle mie spalle... Purtroppo sembra essere il suo passatempo preferito.» Sentì la mano di lui posarsi delicatamente, ma con fermezza, sul braccio e accarezzarla. «Perdonatemi per avervelo chiesto. È solo che... » esitò per qualche istante, e Odyle voltò il capo per guardarlo in viso. «Mi importa molto di voi» concluse lui mentre la mano scivolava dal braccio alla vita di Odyle per attirarla verso di sé. Odyle si lasciò guidare all'interno del capanno e premere contro la parete di legno grezzo mentre Tristan si curvava sul suo collo e lo baciava con tenerezza. Era di nuovo perduta. Tutto il suo corpo era in rivolta e domandava di essere liberato dai vestiti per avvinghiarsi a quell'uomo. Nonostante indossassero pesanti indumenti invernali, riusciva a sentire le mani brucianti di Tristan accarezzarle il seno e i fianchi. Domandandosi dove l'avrebbe condotta quello stordimento, si abbandonò a lui senza cercare di lottare. «Voi siete mia...» lo sentì mormorare mentre continuava a tempestarle il volto e il collo di baci. «Mia...» All'improvviso, Odyle si irrigidi'. Anche Victor aveva usato quelle parole. Aveva pensato che Tristan fosse diverso, ma evidentemente anche lui, voleva soltanto possederla e dominarla. Annaspo' in cerca d'aria mentre l'incantesimo del momento si dissolveva nella foschia. Ora si sentiva solo schiacciata, e i movimenti di Tristan le sembravano meccanici e in un certo qual modo distanti. «Tristan!» chiamò in quel momento qualcuno dall'esterno. «Tristan! Dove sei?» Entrambi riconobbero il dottor Oswald. Brisbane si staccò da lei e la guardò, stupito dal suo incomprensibile comportamento. Si era accorto che il suo atteggiamento era mutato e se ne domandava il perché. Ma non c'era tempo per una spiegazione. Paul Oswald lo stava cercando e presto li avrebbe raggiunti. Sporse la testa fuori dal portoncino e vide l'amico che camminava nella nebbia con un espressione risoluta sul volto. «Mi stavo preoccupando, non tornavate più...» lo rimprovero' il medico. Tristan tuttavia indovino' che quello non era il vero motivo per cui Oswald era andato a cercarli. La sera prima aveva chiesto all'amico di tenerlo, per quanto avesse potuto, a una certa distanza da Miss Odyle. Il medico non capiva del tutto le sue ragioni, ma era determinato a non deluderlo, nonostante fosse in grado di riconoscere per quella che era l'espressione truce dipinta sul volto di Brisbane: l'aveva appena disturbato. «È successo qualcosa, Paul?» gli domandò Tristan con aria scettica. Miss Odyle li osservava dalla porta della rimessa, in un cupo silenzio. Era davvero successo qualcosa, si disse Oswald. Le guance di Miss Chagny erano arrossate e i suoi capelli un po' in disordine. Si schiari' la voce e cercò di sorridere. «No... dunque... Mrs. Manfred era un po' preoccupata, perché dice che il tuo trabiccolo non è affidabile, e così sono venuto a cercarti» spiegò accampando la prima scusa che gli veniva in mente. In realtà li aveva seguiti tenendosi a una certa distanza e, non vedendoli sbucare dal capanno a bordo della vettura, dopo una decina di minuti si era fatto avanti. «Mrs. Manfred, eh?» Tristan gli strizzo' l'occhio e lo guardo' divertito. «E va bene...» Lo oltrepasso' e inspiro' a pieni polmoni, chiudendo gli occhi. «Allora facciamo i bravi e torniamo a casa» mormorò. «Quindi non è da molto che lavori qui...» Cecilia passò languidamente l'indice sul corrimano della scala e guardò negli occhi il giovane lacchè. «Ormai è quasi un anno, signorina...» rispose il ragazzo, palesemente a disagio. «George, non è vero?» «Si, signorina.» Il ragazzo la guardò, stupito. Non accadeva spesso - per non dire mai - che qualcuno degli ospiti ricordasse il suo nome o quello di qualunque altro domestico. «Mi pareva, infatti» incalzo' lei con un sorriso seducente, «di aver sentito quella arpia della Manfred chiamarti così...» «Già, probabilmente mi stava rimproverando» replicò George, rassicurato dal tono confidenziale della ragazza. «A volte sono un po' sbadato.» Era proprio per questo che Cecilia aveva puntato su di lui. George era uno tra i domestici più giovani di Blackborough e, almeno lo sembrava, il più sprovveduto. Così, visto che voleva ottenere informazioni su quello che succedeva nell'ala occidentale senza tuttavia esporsi al rischio di tornarvi, aveva deciso di ingraziarselo per scoprire se sapeva qualcosa. «George...» esordì posandogli una mano sul braccio con simulata esitazione. «Questa casa non ti fa venire i brividi, a volte?» Il ragazzo trasali' sotto quella carezza e diventò paonazzo. «Bri... brividi?» balbetto'. «Si... A volte, quando sono a letto, sento dei rumori... e mi sento così sola e spaventata! Di cosa può trattarsi?» «Rumori? Ah... Voi dormite al secondo piano dell'ala occidentale!» Sembrò illuminarsi in volto per un istante, ma poi tacque, rabbuiandosi. «George Obscombe!» strillo' una voce sotto di lui. Mrs. Manfred stava salendo le scale quando aveva sentito Cecilia porre al ragazzo quella domanda. George era il nipote della cuoca, ed era ancora molto giovane e inesperto sia nel lavoro sia nel trattare con i signori. Di certo non si era accorto che quelle di Miss Montgomery erano solo subdole manovre per ottenere chissà quale informazione. Margaret pensò sollevata che per fortuna George era ancora all'oscuro di tutto, ma notò che il ragazzo si irrigidiva nel vederla avvicinarsi, mentre Miss Cecilia assumeva un'aria studiatamente annoiata. «George, credo che abbiano bisogno di te al piano di sotto» gli disse Mrs. Manfred in tono perentorio. «Vai a controllare se la posta è arrivata e, nel caso, consegnala ai signori nel salone.» «Sissignora, subito Mrs. Manfred.» Il giovane lacchè lanciò un'ultima occhiata carica di rammarico alla signorina Montgomery, poi si precipitò giù dalle scale, e per poco, non inciampo' nei propri piedi ruzzolando fino al pian terreno. «Vai piano, George!» lo ammoni' ancora Margaret Manfred, sospirando. «O ti romperai l'osso del collo, un giorno o l'altro.» Cecilia sbuffo'. «Qui è davvero una noia...» commento' senza rivolgersi espressamente alla governante. «Non c'è niente da fare e non si può neanche chiacchierare un po'!» «Potete chiacchierare con gli altri ospiti nel salone, signorina» ribatte' gelida Mrs. Manfred. «E se questa casa vi fa tanta paura, vi sconsiglio di continuare ad andarvene in giro da sola.» Non aveva potuto resistere alla tentazione di rivolgerle quella intimidazione. «Non so che cosa stiate cercando, ma alcune zone di questo palazzo devono ancora essere ristrutturate e rischiereste di farvi male.» «Non pensavo che esistessero delle limitazioni per gli ospiti di Lord Brisbane» replicò secca la fanciulla. «Non ne esistono se non per il loro bene» rispose risoluta Mrs. Manfred. «Venite, vi accompagno dagli altri.» Cecilia si morse il labbro superiore, ma non trovò parole per ribattere. «Speriamo almeno che non si metta a piovere, così potremo fare una passeggiata in giardino!» sbuffo' stizzita. George era corso in cucina dalla zia e, con il fiato corto, aveva domandato se la posta fosse già stata consegnata. «Credo di sì, devi domandarlo a Mr. Baston» gli rispose la cuoca. Senza attendere oltre, il ragazzo si precipitò fuori dalla cucina in cerca del maggiordomo. Se le lettere erano già state consegnate, Baston di sicuro lo stava cercando e, con tutta probabilità, gli avrebbe dato una lavata di capo per il suo ritardo, decurtandogli parte della paga settimanale. Lo raggiunse nell'ingresso, e si sistemo' in fretta l'uniforme. Mr. Baston stava chiudendo la porta proprio in quel momento e teneva un plico di lettere in mano. «Obscombe!» tuonò voltandosi verso di lui. George immagino' di rimpicciolire di fronte all'attempato maggiordomo. «Sono qui, Mr. Baston.» Il maggiordomo lo squadro' con severità da capo a piedi, storcendo il naso. «Và a consegnare la posta ai signori, in salotto» gli ordinò. George emise un sospiro di sollievo e, afferrato il pacchetto che Baston gli porgeva, gli voltò le spalle per allontanarsi. «Obscombe!» ruggi' di nuovo il maggiordomo alle sue spalle. «Si... signore» balbetto' il giovane, tornando a guardarlo. «Sistemati il colletto, prima di entrare» sbuffo' l'altro scuotendo il capo.

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Capitolo 45
*** 45 Capitolo ***


Per fortuna, lungo la strada del ritorno, Oswald era riuscito a ristabilire il buon umore nei suoi compagni. Era certo che tra Tristan e Miss Chagny fosse accaduto qualcosa, ma ora non sembrava più avere importanza. «Credete davvero che quella lumaca elettrica potrebbe vincere qualche gara di velocità anche contro i veicoli a petrolio?» domandò Odyle ridendo, rivolgendosi a Tristan mentre varcavano la soglia della sala. Lui le aveva appena rivelato che la vettura a elettricità raggiungeva a stento i venti chilometri orari, anche se si era detto sicuro delle migliorie che, in futuro, sarebbero certamente state apportate. «Ridete pure, ora che potete! Tra qualche anno le automobili a motore elettrico viaggeranno anche a cento chilometri orari, e allora sì che tutti si accorgeranno che sono molto più convenienti delle altre: l'energia che utilizzano è inesauribile e assolutamente non nocivo!» A quel punto, anche Paul Oswald intervenne. «Già, comunque anche di petrolio ce n'è tanto.» «Ma non è una risorsa inesauribile e bisogna cercarlo, è questo il punto!» Oswald scosse la testa, più per canzonare l'amico che per biasimarlo realmente. Era contento di vederlo così spensierato, anche se dubitava che tutta quell'allegria fosse dovuta all'entusiasmo per la vettura. A quel punto si accorse di non essere soli e salutarono i presenti. Lady Emma corse accanto a Odyle, la prese per mano e la trascino' lontano dagli altri ospiti per parlarle del libro che aveva iniziato la sera prima e che la appassionava moltissimo. Michael depose il mazzo di carte che teneva in mano. «Buon pomeriggio.» Lady Cartwridge si alzò dal tavolo da gioco con un'espressione grave. La gonna del suo vestito fruscio' fino alla rientranza del bovindo, dove Odyle ed Emma si erano rintanate a parlare. Tristan la seguì con gli occhi; Michael gli disse qualcosa ma lui non sentì e si limitò ad annuire meccanicamente. «Ebbene, che cosa ne pensi?» gli domandò Lord Moran tutto ad un tratto. Tristan continuò a fissare Odyle, che gli voltava le spalle. Lady Emma, nel frattempo, si era allontanata di qualche passo e stava chiacchierando con Lady Montgomery. «Tristan?» «Oh, scusa Michael, ero sopra pensiero... Confesso di non aver sentito una parola di ciò che mi hai detto.» Paul Oswald gli lanciò un'occhiataccia: Tristan stava tentando di rivendicare l'antica amicizia con Lord Moran, e ignorarlo decisamente non era la tattica giusta per portare a termine l'impresa. «Stavo parlando della tua automobile: me la faresti provare? Una volta ho guidato un'auto a petrolio, e immagino che non sarà tanto diverso, giusto?» «L'auto?» Non si sarebbe fidato a prestarla a nessuno, ma sarebbe stato scortese negare qualcosa a uno dei suoi ospiti e, peggio ancora, a Michael. «Be', bisognerebbe caricarla per bene, prima... Comunque, d'accordo, te la farò guidare. Vieni.» Lanciò un'ultima occhiata a Odyle, proprio mentre la ragazza stava prendendo delle lettere dalle mani di Lady Cartwridge e se le infilava frettolosamente nelle tasche. La bocca di Tristan si contrasse in una linea severa e il suo buon umore parve scemare all'istante. Era Victor che le aveva scritto, con qualche stratagemma? E Lady Cartwridge? Che cosa sapeva quella donna della sua Odyle?, si chiese. Michael lo trascino' fuori dalla stanza, continuando a parlare dell'automobile e di quanto si sentisse euforico all'idea di provarla. «Miss Odyle...» la chiamò Tristan dalla porta. Lei alzò gli occhi e lo guardò sgomenta, come se fosse stata colta di sorpresa mentre faceva qualcosa di illecito. «Volete venire con noi?» le domandò Tristan in tono secco e più sgarbato di quanto avrebbe voluto. «Oh... no... no, grazie» si affretto' a rispondere lei. «Mi è venuta una terribile emicrania e credo che mi ritirero' in camera mia per un po'.» Si voltò verso gli altri. «Scusatemi» aggiunse, prima di passargli accanto in tutta fretta e imboccare le scale. «Vengo io, al suo posto, se non è di troppo disturbo» propose Lord Montgomery alzandosi dalla propria sedia e barcollando un poco sulle gambe malferme. «Vi accompagno, papà» strillo' sua figlia afferrandolo brutalmente per un braccio e trascinandolo verso la porta. «Potreste cadere!» spiegò. «Il tuo sembra più un cattivo presagio che una gentile premura» borbotto' il vecchio. Tristan aprì il catenaccio della rimessa e fece scorrere la porta di legno fino a rivelare la sua automobile agli occhi estasiati del gruppo. Aveva freddo, e non era dell'umore adatto per una gita. Continuava a domandarsi che cosa ci fosse scritto nella lettera che Odyle aveva ricevuto, che cosa provasse nell'avere notizie dal suo innamorato... perché a quel punto era sicuro che un Victor, dopotutto, esistesse davvero. «È davvero uno strano aggeggio» osservò Michael sedendo al posto di guida. «Michael... sei sicuro... voglio dire, forse dovrei prima mostrarti come funziona...» gli disse Tristan raggiungendolo in gran fretta. «Oh, ma non è necessario. Come ti ho detto, l'ho già fatto una volta!» Spinse l'accensione e l'auto emise un rumore sommesso, poi suonò un paio di volte il clacson. «Toglietevi di mezzo! Arriva il futuro!» esclamò premendo con il piede sul pedale e muovendo la leva che aveva di fronte. L'automobile iniziò a muoversi lentamente in avanti e uscì dal capanno. «Ehi, ma non può andare un po' più veloce?» Oswald si mise a ridere. «Temo che non raggiunga velocità ragguardevole, milord» gli spiegò. Lord Moran gli rispose con un'alzata di spalle e arrivò vicino ai Montgomery. «Avanti, Lady Montgomery, vi porto a fare un giretto!» esclamò. La donna arrossi' fino alla radice dei capelli. «Cosa aspetti, sciocca? Non è una proposta di matrimonio. Sali, su!» la esorto' suo padre. La gentildonna raggiunse Lord Moran e si isso' sul predellino. «Oh, com'è strano stare quassù!» cinguetto' prendendo posto. «Oh, papà, guardatemi! Che emozione! Mi vedete bene?» «Con un vestito di quel colore, credimi, cara, sarebbe difficile il contrario!» esclamò Lord Montgomery mentre raggiungeva il dottor Oswald. «Non sarà pericoloso, vero?» Domandò poi in tono vagamente preoccupato. «Credo di no» rispose Oswald.«Quel trabiccolo va così piano che sarebbe difficile...» In quel momento Lord Moran sterzo' di colpo, per evitare la radice di un albero che sporgeva dal terreno. Le ruote dell'auto curvarono, ma il movimento fece perdere stabilità alla vettura, che si inclino' pericolosamente a sinistra, dalla parte del passeggero, e si rovescio' su un lato. Lady Montgomery lanciò un urlo stridulo e fu sbalzata, gambe all'aria, fuori dalla vettura, mentre Michael le cadeva addosso. Il motore emise un lamento e si spense. «Acciden...» ringhio' Tristan correndo verso i due, seguito da Oswald e Montgomery. «Mary! Mary! Ti sei fatta male?» gracchio' il vecchio gentiluomo con un filo di voce. Lady Montgomery gemette sommessamente. «Ah, il mio polso! Ah, la gamba! Ah, la testa!» «Allora stai bene» sentenzio' Lord Montgomery tirando un sospiro di sollievo. «E voi, Lord Moran, tutto a posto? Ma cos'è successo?» «Sto abbastanza bene, sono solo un po' acciaccato e ferito nell'orgoglio.» Michael si rimise in piedi, spolverando i pantaloni. «Mi spiace, Tristan.» Poi si voltò verso Lord Brisbane, che stava esaminando la vettura. «Rimettiamola in piedi» propose. «Questo aggeggio pesa più di quattrocento chili, Michael» gli spiegò seccato Tristan. «Vado ad avvertire Baston, così manderà qualcuno dei lacchè ad aiutarci.» Furioso, Tristan si avviò verso casa, senza degnare di uno sguardo Lady Montgomery e gli spettatori dell'incidente. Possibile che Michael si dimostrasse sempre così impulsivo e privo di cervello? Sperava solo che la sua vettura non avesse subito danni irreparabili. Avvicinandosi al sentiero che conduceva all'ingresso, sentì altri passi sulla ghiaia. Si voltò e vide Odyle che si allontanava dalla casa in gran velocità; andava così di fretta che non aveva preso nemmeno il mantello. Provò a chiamarla ma lei non lo sentì. Decise di non seguirla: se voleva stare un po' da sola per rimuginare sul suo innamorato, le avrebbe dato tutto il tempo di cui aveva bisogno. Tra l'altro, lui in quel momento aveva ben altro a cui pensare. Entrò in casa e cercò Baston, a cui raccontò l'accaduto. «Vi faccio servire un bicchiere di sherry, milord? Mi sembrate scosso» commento' alla fine il maggiordomo. «Grazie, Baston...» Sentirono il rumore di una porta che sbatteva. Poi dei passi veloci che si avvicinavano. Lady Cartwridge, pallida come un fantasma, corse verso le scale e, senza degnarli di un solo sguardo, si mise a correre saltando i gradini a due a due. «Lady Cartwridge! Che cosa succede?» le domandò Tristan, che aveva notato l'espressione sconvolta della donna. Lei lo guardò, smarrita. «Io... Oh, santo cielo! Oh, povera Odyle» mormorò, e riprese a salire ancor più velocemente. Mr. Baston e Tristan si scambiarono un'occhiata interrogativa, prima che il secondo si lanciasse all'inseguimento della donna, con il cuore in gola. Riuscì a raggiungerla al piano superiore, davanti alla porta della camera di Odyle. «Che cos'è successo, Lady Cartwridge?» l'aveva afferrata per un braccio, fermandola, prima che potesse entrare. «Non posso... Devo andare da Odyle!» Riuscì ad aprire la porta, ma scoprì che la stanza era deserta. In quella piccola camera ordinata dormiva la donna che amava, eppure a Tristan sembrava che ci fosse così poco di lei in quella fredda precisione. Era come se si nascondesse, come se facesse di tutto per non svelargli quella che era la sua vera natura. Lady Cartwridge sollevò un foglio dalla scrivania e lo lesse. «Oh, santo cielo, l'ha saputo!» esclamò la donna coprendosi la bocca con una mano. «Ha saputo cosa? Cosa? Lady Angelina, per favore!» L'espressione di supplica negli occhi di Tristan indusse la gentildonna a cedere. «Ha saputo che Claude è morto...» «Claude?» Tristan sapeva di un certo Victor, ma il nome Claude gli giungeva del tutto nuovo. «E chi sarebbe questo Claude?» «Era... era il suo migliore amico» fece in tempo a dire Lady Cartwridge, prima di scoppiare a piangere. Tristan le prese la lettera dalle mani e la lesse. Non gli fu facile, perché era scritta in francese e lui non ricordava molto di quello che aveva studiato a scuola. - Cara signorina Latuvielle... Latuvielle? Questa sì che era una novità, pensò Tristan, continuando a leggere. - Mi duole moltissimo informarla della prematura scomparsa di mio nipote Claude, cui so che eravate molto affezionata e con il quale siete rimasta in contatto anche dopo la vostra partenza per l'Inghilterra. Il nostro povero Claude si è spento una settimana fa a Sainte Maxime, in casa dei suoi cugini e dopo una lunga malattia che lo aveva reso ancor più debole di quanto non fosse prima. Mi è stato riferito che vi ha ricordato fino all'ultimo istante e che si è premurato di nominarvi anche nelle sue ultime volontà, cui però non è stata ancora data lettura. Allego a questa mia l'ultima lettera che Claude vi stava scrivendo, nella speranza che vorrete conservarla come un caro ricordo. Mademoiselle, i vostri genitori sono molto preoccupati per voi e anche Monsieur Rouel. Quando tornerete a casa? Il segreto che devo portare nel cuore ora è davvero molto pesante e vi prego di volermene alleviare al più presto. Con sincero affetto. Madame Fantine Dupont - Tristan girò il foglio e poi guardò nella busta. Non c'era niente. La lettera di Claude non c'era, probabilmente Odyle l'aveva portata con sé. Lady Cartwridge aveva un'aria contrita e si torceva le mani con fare nervoso passeggiando avanti e indietro per la stanzetta continuando a ripetere: «Oh, santo cielo! Oh, povera cara!» «Lady Angelina!» intervenne Tristan risolutamente. «Per favore, volete spiegarmi che cosa sta succedendo?» La donna lo fissò, interdetta. Le tremavano le labbra ed era diventata pallidissima. «Io... non so che cosa dirvi, milord. Non posso tradire la fiducia della piccola Odyle... mi capite vero? Dev'essere lei stessa... se vuole...» Si coprì il volto con le mani. «Sappiate solo che Odyle è dovuta l scappare dalla Francia, suo malgrado... perché qualcuno la perseguitava. Claude... lui l'aveva aiutata... e... era il solo amico su cui potesse contare! Oh, povera Odyle, non oso pensare a quanto stia soffrendo!» "Tristan la guardò con severità. «E voi come lo sapete, milady?» Ancora una volta la donna si morse le labbra, indecisa. «Ho ricevuto anch'io una lettera da parte di Madame Dupont. Io e la zia di Claude ci siamo conosciute a Parigi e finora abbiamo fatto da tramite per le missive che Claude e Odyle si scambiavano. Lui consegnava le sue lettere alla zia e lei le infilava in una busta, scrivendo il mio indirizzo con l'inchiostro rosso. In questo modo io sapevo che la lettera era per Odyle» spiegò Lady Angelina. Tristan annuì. Aveva sempre creduto di essere il solo ad avere un segreto, invece ora scoprire che anche in quello aveva qualcosa in comune con la sua amata Odyle. Odyle Latuvielle... Doveva trovarla. Sicuramente non era nello stato d'animo adatto per andarsene in giro da sola. E poi l'aveva vista allontanarsi dalla casa senza neppure il mantello. «Non preoccupatevi, Lady Angelina.» Mise le mani sulle spalle della donna e la guardò negli occhi con l'intento di rassicurarla. «Penserò io a lei.» In quel momento la amava più che mai. L'unica cosa che desiderava fare era prenderla tra le braccia e tenerla stretta cercando di alleviare il suo dolore. Decise che le avrebbe detto tutto. Odyle sapeva cosa volesse dire custodire un segreto, doversi nascondere agli altri e fingersi diversi da ciò che si era. Di certo avrebbe capito. E lui avrebbe potuto amarla. Lasciò la stanza e corse a precipizio giù per le scale, andando quasi a scontrarsi con Oswald e gli altri che rientravano dal giardino. «Tristan! Dove diavolo eri finito?» gli domandò Michael mentre lui lo schivava e si precipitava fuori dalla porta. Brisbane lo ignoro', rivolgendosi direttamente al dottore. «Pensaci tu. Io devo uscire» gli disse. Oswald, preoccupato, si limitò a fargli un cenno di assenso. Tristan non attese oltre, e dopo aver preso il mantello che Baston gli tendeva, si affretto' a uscire. Se Michael non gli avesse messo fuori uso l'automobile, forse avrebbe potuto usarla per andare a cercare Odyle... ma poteva sempre prendere uno dei cavalli, e con tutta probabilità l'avrebbe raggiunta più velocemente. Dov'era andata? Si chiese. Visto che non conosceva la tenuta ed era sconvolta, poteva essersi diretta ovunque. Con il cuore in gola, monto' a cavallo e uscì in fretta dalla stalla. Per prima cosa, decise, avrebbe preso il sentiero su cui l'aveva vista allontanarsi. Quello era di certo un inizio. Sprono' lo stallone baio che aveva scelto e si avventuro' tra gli alberi, frugo' in mezzo ai cespugli, tese l'orecchio alla ricerca di rumori, di passi, o di qualsiasi altro suono che potesse indicargli la presenza di Odyle. Nulla. Sembrava che si fosse dissolta nell'aria come una fata dei boschi. Sentì le prime gocce di pioggia bagnargli il viso, e si rese conto che non si era neppure curato di indossare il cappello! Si asciugo' il viso con una mano e, risoluto, chino' il capo per proseguire. Perché non l'aveva fermata subito, quando l'aveva vista a pochi passi da sé? Perché era arrabbiato con lei e non aveva capito nulla della situazione, si rispose. Odyle aveva il cuore a pezzi e lui, invece, era stato tanto egoista da pensare... Era arrivato al capanno di caccia, a più di un paio di miglia dalla casa. Forse Odyle non si era allontanata così tanto, forse lui aveva solo sbagliato strada. Fece voltare il cavallo, riportandolo nella direzione del castello. Si era spostato di qualche metro quando si accorse che i suoi occhi avevano registrato qualcosa di anomalo senza che il cervello se ne rendesse conto. Aveva visto qualcosa di azzurro in un cespuglio e la sua mente aveva interpretato d'istinto: fiore. Ma non era così, non c'erano fiori che sbocciassero d'inverno nel suo bosco, quindi niente di azzurro poteva spuntare da un cespuglio e farne parte. Smonto' da cavallo e tornò indietro di corsa. Qualcosa di azzurro, in effetti, c'era. Era un brandello di stoffa che pendeva da un cespuglio di rovi. Tristan si fece strada in mezzo ai rami, incurante delle spine che gli ferivano i palmi delle mani. E lei era là, a qualche metro dall'intrico di spine, raggomitolata su sé stessa, addormentata o forse svenuta. Tristan pensò che il cuore avrebbe potuto scoppiargli per la tenerezza e l'amore che provava. Avrebbe dato qualunque cosa per averla e renderla felice. Si accovaccio' accanto a lei, notando le lacrime che ancora le rigavano le guance. Doveva aver perso i sensi per la stanchezza, dopo aver pianto a lungo. Le accarezzo' i capelli, scostandole una ciocca dal viso, e la vide battere le palpebre, mentre il sonno la lasciava. «Claude...» la sentì mormorare. «No...» Si era aspettato quel nome. «Odyle, sono Tristan.» «Claude...» Dopo che i suoi occhi l'ebbero messo a fuoco, i singhiozzi tornarono a sconvolgerla. Si premette i pugni chiusi sugli occhi e gli voltò le spalle, come per dirgli di lasciarla sola. Ma Tristan non poteva farlo. La pioggia aveva preso a cadere, fitta e prepotente come una raffica di aghi, e i loro vestiti si stavano inzuppando. Incurante delle sue deboli proteste, Tristan la sollevò tra le braccia e la strinse a sé. «Mia adorata, Odyle...» le sussurro' all'orecchio cercando di calmarla. Lei non rispose, e continuò a tremare e singhiozzare contro la sua spalla. Tristan aveva ormai raggiunto il cavallo quando penso' che non poteva portarla a casa in quello stato senza attirare l'attenzione di tutti. Lady Angelina gli aveva detto che nessuno conosceva il segreto di Odyle, quindi neppure Michael e sua moglie ne erano al corrente. Doveva cercare di calmarla, anche se non sarebbe stato facile. Nella buona e nella cattiva sorte. Non aveva idea del perché gli fosse venuta in mente quella frase, tuttavia era esattamente ciò che provava: voleva starle accanto per sempre, e non soltanto durante i momenti felici della sua esistenza. Senza rendersene conto, la strinse ancor di più contro di sé e si diresse verso il capanno. Per fortuna lasciava sempre la chiave nascosta vicino all'entrata, in modo da potersene servire quando ne aveva bisogno. Aprì la porta e subito arriccio' il naso per l'odore di muffa e chiuso che proveniva dall'interno. Era un riparo costruito rozzamente e spesso il tetto si impregnava di umidità. Per lo meno, pensò, non si sarebbero bagnati fino al midollo e avrebbero potuto aspettare che la pioggia cessasse. Per fortuna, c'era ancora della legna secca con cui alimentare il caminetto e tentare di scaldarsi. Purtroppo il capanno non offriva comodità di alcun tipo. Non c'erano sedie, non c'era un divano, nulla su cui si potessero sedere a parte il pavimento. C'erano solo stracci e un paio di vecchie coperte gettate in un angolo. Tristan sistemo' Odyle su queste e lei non fece alcuno sforzo per fermarlo o aiutarlo. Era come se fosse intontita dal dolore e la sua anima fosse fuggita chissà dove.

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Capitolo 46
*** 46 Capitolo ***


Tristan pensò che, almeno per il momento, era meglio lasciarla in pace. Odyle aveva smesso di piangere e si limitava a fissare il vuoto davanti a sé. Lui si accuccio' accanto al camino e scelse alcuni ceppi asciutti per accendere il fuoco. Lo sapeva fare, grazie al cielo, anche se con tutta quella umidità non sarebbe stata un impresa facile. Si sentiva totalmente impotente per quanto riguardava Odyle, e la consapevolezza di non poterla aiutare in alcun modo lo faceva impazzire. Quindi decise di concentrarsi sul fuoco che doveva accendere. Se non poteva alleviare il suo dolore, quanto meno sarebbe riuscito a non farle patire il freddo. Dopo una decina di minuti, l'oscurità venne rischiarata dal bagliore rossastro di una fiammella. C'è l'aveva fatta! Sistemo' orgoglioso i ceppi nel camino e soffio' piano per ravvivare la fiamma, osservandola poi mentre si ingrossava e attecchiva sugli altri legni. Si struscio' le mani sui pantaloni per pulirle dalle schegge di corteccia e dalla polvere, e si alzò in piedi, voltandosi verso la ragazza. Odyle aveva lasciato il suo giaciglio e si era avvicinata alla finestra; sembrava che stesse guardando il bosco, anche se il vetro era tutto sporco e appannato. La raggiunse e le mise le mani sulle spalle, cercando di attirarla verso di sé. Lei però fece resistenza e si voltò di scatto per guardarlo con ferocia. Solo allora lui si accorse del foglio stropicciato che teneva tra le mani. Doveva essere la lettera di Claude. Scelse di non dirle niente. Sapeva che non c'era una sola parola in tutti i vocabolari del mondo che avrebbe potuto lenire il dolore che provava. Quella era una spina che sarebbe rimasta per sempre in fondo alla sua anima, simile a quella con cui lui aveva imparato a convivere da quando Christina era morta. Allungò una mano e cercò di farle una carezza, ma lei si scosto' e tornò a voltarsi verso la finestra, con le mani premute contro il vetro freddo e sporco. Tristan rimase dietro di lei, senza sapere bene che cosa fare. Dopo qualche secondo, Odyle scattò risoluta verso l'uscio, pronta a scappare via di nuovo. Lui la raggiunse in un attimo, bloccando la porta con un piede mentre le afferrava un polso e la tirava con decisione verso di sé. L'abbraccio', immergendo il volto tra i suoi capelli e inspiro' il profumo della sua pelle. «Perché non capisci che voglio aiutarti?» mormorò. Lei rimase rigida e immobile tra le sue braccia per un lungo istante. «Perché?» fu l'unica cosa che gli chiese con un filo di voce. Tristan sollevò il capo e la guardò negli occhi. Non le rispose, non ce n'era bisogno. Con il pollice le fece una carezza sulla guancia e posò un bacio laddove c'era il segno del passaggio di una lacrima. Odyle chiuse gli occhi e lui la sentì sospirare. Le sfiorò le palpebre con due lievi baci, e lei non si mosse. Allora la strinse a sé, mentre la sua bocca scendeva sul collo accarezzandolo dolcemente con le labbra. Sentì le mani di Odyle iniziare a rispondere a quella carezza, stringendosi a lui. «Odyle...» Tristan alzò il capo e la guardò negli occhi. Il cuore gli batteva disperatamente nel petto mentre gli sembrava che tutto, intorno a loro, scomparisse in una nebbia scura. Avrebbe voluto consolarla in qualche modo, ma non sapeva cosa sarebbe stato giusto dire. Lei gli posò l'indice sulle labbra, rispondendo al suo sguardo, quindi si sollevò in punta di piedi così che le sue labbra riuscissero a raggiungere quelle di lui. Non doveva. Non era lì per quel motivo e non voleva approfittare di una situazione come quella. Lottò contro il desiderio che iniziava a riscaldare ogni fibra del suo corpo, ma non poté fare a meno di stringerla ancora di più a sé, assaporando la sensazione che provava nell'accarezzarle le spalle e scendere con la mano fino alla schiena, dove la spina dorsale si incurvava più dolcemente. Lei rispose, forse in modo inconsapevole, a quell'abbraccio premendosi contro e Tristan pensò che sarebbe potuto impazzire in quell'istante, e forse era già successo. Odyle gli aveva messo le mani sulle spalle e gli accarezzava sensualmente i capelli e il collo, mentre continuava a baciarlo. Se all'inizio le carezze erano state timide e incerte, ora si erano fatte spavalde, quasi feroci, e Tristan le rispose con altrettanta voracità e furia. Senza che nessuno dei due se ne accorgesse,o che a nessuno dei due importasse, persero l'equilibrio e barcollarono per la stanza finché la schiena di Odyle trovò la parete. Tristan avrebbe dovuto smettere. Era il momento di tirarsi indietro e comportarsi come un vero gentiluomo avrebbe fatto. Eppure continuò a premere contro di lei, mentre l'eccitazione prendeva il posto delle sue paure e le sue mani le esploravano il corsetto, dopo che chissà quando e chissà come l'abito si era slacciato. A quel punto fu Odyle ad armeggiare con i bottoni della sua camicia. Di nuovo Tristan, in un ultimo sprazzo di lucidità, pensò che avrebbe dovuto fermarla, che sarebbe bastato spingerla via da sé per salvarla. Ma non ci riuscì. La amava e la desiderava con una disperazione tale da fargli dimenticare tutto il resto. La società, il suo nobile lignaggio vecchio di secoli, le regole dell'etichetta... tutto scompariva di fronte a quella che era la sua dea. Le afferrò un lembo del vestito e lo sollevò. Odyle indossava una sottogonna, oltre alla sottoveste e alla biancheria intima, e Tristan pensò che quella moda era terribilmente scomoda e ingombrante. Ciò nondimeno, riuscì, tra tutta quella stoffa, a trovare le gambe di lei, favolosamente avvolte da un paio di sensuali calze di seta che le arrivavano fino a metà coscia. Sussulto' avvertendo la pelle liscia e levigata sotto le dita e l'emozione gli parve incontenibile e dolorosa al tempo stesso. Odyle lo aveva fissato negli occhi e aveva capito che lui sapeva tutto. Tristan, chissà come, sapeva che Claude era morto, comprendeva il suo dolore perché anche lui doveva aver provato qualcosa di molto simile alla morte della moglie, e la perdonava per quel segreto che non aveva mai voluto rivelargli. Alla confusione di sentimenti che aveva provato prima del suo arrivo - dolore, rabbia, mortificazione, annientamento - si era aggiunta la consapevolezza del suo amore. Si sentiva in preda a una tempesta, dove alle emozioni negative della perdita si mescolavano quelle più gioiose del desiderio e della passione, e si aggrappava a lui come una zattera nell'occhio del ciclone, riconoscendo come unico punto stabile l'amore che gli aveva letto negli occhi. La Francia non le era mai parsa tanto lontana e tutta la vita che aveva vissuto prima le sembrava scomparire nella nebbia del ricordo e del sogno. Aveva davvero sognato di essere una scultrice? Aveva davvero immaginato Victor e tutto il resto? Parigi era così distante da sembrarle irreale. Ora che non c'era più Claude - il suo adorato Claude - ad attendere il suo ritorno, che cosa poteva mai riportarla indietro? Davanti a lei c'era Tristan, e l'amore che provava era una droga inebriante di cui non poteva più fare a meno. Era perfettamente consapevole di ciò che stava facendo. Il dolore per la perdita di Claude non la accecava tanto da renderla incapace di intendere. Tristan era ciò che lei desiderava, e forse la prostrazione emotiva che provava e la consapevolezza che non bisognava mai aspettare per ottenere ciò che si voleva la spingevano ad agire senza inibizioni. Al freddo che aveva sentito quando era stata distesa in mezzo ai cespugli, ora si era sostituito un calore elettrizzante ed eccitato che le faceva percepire tutti i muscoli del corpo. Uno strano e intenso pizzicore le solleticava il ventre e le faceva immaginare tanti raggi di luce che si diramavano dentro di lei illuminando ogni punto dove lui la accarezzava. Non voleva che smettesse. Sentì le mani di Tristan che le sollevavano il vestito e, senza rendersene conto, scosto' un poco le gambe l'una dall'altra. La sensazione delle sue dita sulla pelle nuda della coscia la fece sussultare. Assaporo' quella carezza e desidero' intensamente che si facesse più ardita. Quindi, quasi a incoraggiarlo, gli accarezzo' il petto nudo e si sporse verso di lui per baciarlo. Lo sentì gemere sotto la carezza della sua lingua, così continuò la sua esplorazione. Un brivido di eccitata aspettativa la percorse da capo a piedi soffermandosi languidamente nel suo basso ventre, irradiando un calore umido e pulsante. «Tristan...» ansimo'. Gli occhi di lui erano inebriati dalla passione e offuscati dal desiderio. «Non devo... io...»

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Capitolo 47
*** 47 Capitolo ***


Odyle scosse il capo e di nuovo gli pose un dito sulle labbra. Poi la mano scese sulla spalla di Tristan, gli accarezzo' lo sterno, scivolo' sull'addome per poi incurvarsi sul suo fianco, dove si fermò. Indugio' un istante, poi, con decisione, lo attirò a sé premendo il bacino contro quello di lui e ondeggiando in una carezza provocante e sensuale. Tristan le prese il viso tra le mani, alzandolo verso di sé e baciandola con passione. Lasciò che Tristan la sollevasse da terra e la premesse ancora di più contro la parete di legno. Sentì il turgore di lui spingere con insistenza fino a riuscire a insinuarsi nel suo ventre, fino a riempirla completamente. Allora lui iniziò a danzare, sollevandola in alto. Era una sensazione del tutto nuova e inebriante, che la faceva sentire viva. Tristan continuò a baciarla, sugli occhi, sulla bocca, sul collo, come se non potesse saziarsi di lei. E più andava avanti, più sembrava trovare la forza di spingerla in alto, suscitando quella sensazione travolgente. Odyle si avvinghio' ai suoi fianchi con le gambe, mentre una delle mani cercò e trovò un appiglio in una specie di piolo affisso nel legno, a qualche spanna sopra la sua testa. Non avrebbe voluto che smettesse mai. Finché le forze l'avessero retta, pensò, avrebbe continuato a danzare contro quella parete mentre lui la possedeva. Poi, all'improvviso, fu come se una scintilla si fosse accesa dentro il suo corpo e avesse innescato una miccia, provocando una detonazione. Si morse le labbra, ma non riuscì a trattenere un gemito, mentre si tendeva ancora di più stringendo le dita attorno al piolo. L'esplosione si trasformò in una ondata calda e frizzante che la scosse da capo a piedi. Inarco' la schiena, mentre le labbra di Tristan si soffermavano, roventi, sui suoi seni. Poi il ritmo di quelle spinte sensuali sembrò cambiare. Da dolce e ritmato si fece più intenso, vigoroso, rapido. Odyle sentì Tristan ansimare, percepi' i muscoli delle sue braccia che si tendevano per lo sforzo, sentì la sua fronte che si imperlava di sudore. Tristan si aggrappo' a lei, premendola contro la parete con quella che poteva sembrare incalzante ferocia ma che non era altro che incontrollabile e sfrenato desiderio. Le sua labbra si dischiusero lasciando sgorgare un profondo gemito di soddisfazione mentre i suoi muscoli sembravano rilassarsi e perdere parte della loro forza. «Odyle... Odyle, mia piccola Odyle, mia dolce seduttrice...» Mormorò, il viso nascosto contro il suo petto. Un istante dopo scivolarono a terra, abbracciati, e si avvolsero nelle coperte che odoravano un po' di muffa. Tristan continuò a baciarla, a esplorarla, a spogliarla, con un sorriso fanciullesco e felice sulle labbra. Anche Odyle lo accarezzo'. Non le sembrava vero di averlo tra le braccia. Aveva davvero fatto l'amore con lui? Dopo essersi spogliati del tutto, si distesero accanto alla complice fiamma del fuoco, dove fecero ancora l'amore, con la dolce consapevolezza del sentimento che provavano l'uno per l'altra. Disteso dietro di lei, Tristan osservò la donna che dormiva fra le sue braccia. Nel profondo della sua anima si stava svolgendo una terribile battaglia emotiva: da una parte si sentiva un mostro per aver approfittato del suo dolore ed era terrorizzato dalle conseguenze di ciò che avevano fatto, dall'altra non stava in sé dalla gioia e sentiva che Odyle era tutto ciò che contava. La sentì sospirare e muoversi, per stringersi un po' di più contro di lui. «Tristan...» lo chiamò piano, come se fosse ancora immersa nel sonno. Rimase in silenzio per un lungo istante, poi sospirò. «Il mio vero nome è Odyle Latuvielle... Non sono affatto un'istitutrice, come ho tentato di far credere a tutti... In realtà sono una scultrice.» Lady Cartwridge tamburello' nervosamente contro il vetro della finestra. Fuori era calato il buio e il parco davanti alla villa era scomparso nell'oscurità. Di fronte a suo figlio e agli altri ospiti, riusciva a stento mascherare l'apprensione, e non era riuscita a concentrarsi su nulla per tutto il pomeriggio. Aveva giocato a picchetto con Lord Montgomery, sua figlia Lady Mary Jane e la giovane Cecilia, ma aveva deciso di smettere quando quest'ultima, con la quale aveva fatto coppia, le aveva rivolto uno sguardo inceneritore dopo la terza partita di seguito che avevano perso a causa sua. Ciò di cui non si era accorta era che Emma, dopo aver trascorso il pomeriggio con le figlie e averle accompagnate nella loro stanza a fare un riposino prima di cena, si era resa conto che era successo qualcosa di strano e le lanciava furtive occhiate colme d'ansia. «Qualcosa vi preoccupa, mamma?» le domandò la nuora a un tratto, cogliendola di sorpresa. Lady Cartwridge trasali'. «Oh, santo cielo, cara, mi hai spaventata!» esclamò portandosi una mano al petto. «Non era mia intenzione, perdonatemi. Mi era parso che foste turbata... Ha a che vedere con Odyle?» Lady Cartwridge studiò il volto della nuora, stupita. Dalla morte di Leopold, Emma non aveva mostrato il benché minimo interesse per nulla tranne che per sé stessa, ma in quei pochi mesi, da quando la giovane Odyle aveva iniziato a lavorare in casa sua, era molto cambiata. Lady Angelina si era accorta che tra le due giovani donne era nato un legame, ed Emma glielo aveva confermato riferendosi all'istitutrice con il nome di battesimo e senza nessun titolo formale. Sì, Emma voleva bene a Odyle almeno quanto gliene voleva lei, considerò tra sé. «Ha ricevuto delle pessime notizie, oggi... È corsa fuori e Lord Brisbane è andato a cercarla...» «Oh, povera Odyle!» Lady Emma si portò una mano alla gola. «Tuttavia... non ho visto nessuno consegnarle della posta... com'è possibile?» Lady Angelina abbassò lo sguardo con aria colpevole. «Ehm... vedi Emma, Odyle riceveva le sue lettere tramite me...» Emma aggrotto' la fronte, pensierosa e incuriosita. «Sembra un sotterfugio da romanzo» commento'. «Ehm... già...» Lady Cartwridge si torse le mani. «Era necessario, credimi.» Poi, notando l'espressione sbalordita e preoccupata della nuora, aggiunse: «Oh, no, cara... Odyle non ha fatto niente di male... è solo che... be', c'era una persona che la perseguitava e da cui è stata costretta a fuggire... Non posso dirti altro, perdonami.» Emma soppeso' quella informazione per qualche istante, poi annuì con aria grave. «Victor, suppongo.» Lady Cartwridge fece tanto d'occhi, ma fu Emma a parlare ancora. «Miss Montgomery e la tavola Oui-ja...» spiegò. «Cecilia non ha mancato di sottolineare che quando sul tabellone si è composto quel nome, Odyle ha fatto un salto indietro. La sua non era certo la reazione di un'innamorata felice.» Lady Angelina annuì con tristezza. «Già... quel Victor doveva proprio essere un demonio.» Emma le mise una mano sulla spalla, per confortarla. «Non temete, milady, sono sicura che Lord Brisbane saprà ritrovare la nostra Odyle e ce la riporterà a casa. Abbiamo così bisogno di lei, ormai... » Scocco' un'occhiata in direzione del marito, quietamente seduto accanto al fuoco, intento a leggere il giornale. «Anche Michael è molto cambiato grazie a lei...» Lady Cartwridge la vide sorridere e arrossire un po'. «Sono felice che tra te e mio figlio si sia ristabilita l'armonia. Ho pensato per anni a un modo per aiutarvi...» «E alla fine ci siete riuscita!» Lady Emma le diede un bacio sulla guancia mentre la suocera la guardava perplessa. «Ci avete portato Odyle!» spiegò la giovane. «Oh, mia cara...» Lady Cartwridge sentì le lacrime salirle agli occhi. «Suvvia, mamma, non fate così! Piuttosto, andate a leggere quell'ultima lettera che avete lasciato sul tavolino. Forse reca buone notizie che sapranno sollevarvi il morale!» «Lettera?» Lady Angelina guardò il tavolino accanto alla poltrona dove si era seduta per leggere le tristi notizie riguardanti Claude. Era vero, c'era un'ultima lettera appoggiata sul legno lucido. L'aveva scordata, dopo tutto quel trambusto.

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Capitolo 48
*** 48 Capitolo ***


Lady Cartwridge si avvicinò al tavolo e osservò preoccupata la busta. La grafia dell'indirizzo era la stessa delle altre, apparteneva quindi a Fantine Dupont. Ma cos'altro poteva volerle dire? Con il cuore in gola, Lady Angelina fece scorrere il tagliacarte nella busta. Il cavallo correva a rotta di collo per la strada. La notte aveva inghiottito tutto il paesaggio ma il cavaliere non sembrava farci caso. Avviluppato nel mantello e con il cappuccio ben calato sul capo in modo da celare il volto, continuava a spronare l'animale affinché corresse sempre più veloce. Il cavallo, stanco e sudato per il lungo percorso, emetteva striduli lamenti ogni volta che il frustino o gli speroni gli mordevano le carni. «Sei molto arrabbiato?» Odyle non osava voltarsi verso Tristan per paura di leggere sul suo viso delusione e ira. Erano ancora distesi a terra, avvolti nelle vecchie coperte tra le quali avevano fatto l'amore. Del fuoco non erano rimaste che le braci, ma nella stanza indugiava ancora un intimo calore. Per tutta risposta, lui la bacio' tra le scapole, risalendo fino alla curva del collo. «Dovrei, mia dolce artista?» le domandò. «Sapevo che eri una ragazza speciale sin dalla prima volta che ti ho vista.» Odyle si rannicchio' tra le sue braccia. «Vorrei non dover tornare alla realtà. Vorrei tanto non dover pensare a niente...» La sua voce si era fatta più cupa. «Invece, sarebbe meglio che tornassimo a casa. Gli altri potrebbero preoccuparsi. Lady Cartwridge, poi, era sconvolta.» Tristan la tenne stretta a sé per qualche secondo. «Povera Lady Angelina, è stata così buona con me... È solo che mi sembra tutto così irreale. Tu e io... Claude...» Le sfuggì un singhiozzo e nascose il viso contro il petto di Tristan. «Mia piccola Odyle... Ti confesso che provo una gran vergogna per il mio comportamento... Tu stai soffrendo molto in questo momento e io avrei dovuto comportarmi da gentiluomo anziché approfittarmi di te...» Le accarezzo' i capelli e sentì il cuore di Odyle battere allo stesso ritmo del suo. Immediatamente capì di aver detto una bugia. Non si vergognava affatto di aver fatto l'amore con lei. Anzi, se solo avesse potuto, se non fosse stato così tardi e non avesse saputo che qualcun altro poteva essersi messo sulle loro tracce, l'avrebbe fatto ancora e ancora. «Forse sono stata io ad approfittarmi di te, non ci hai pensato?» gli domandò Odyle a un tratto. Tristan la scosto' un poco da sé e la osservò, perplesso. «Ti stai prendendo gioco di me, ragazzina?» le domandò in tono ironico, abbozzando un sorriso. «Sei un diavoletto tentatore, ecco cosa sei...» Odyle fece scivolare una mano dalla spalla al braccio di Tristan, in una carezza terribilmente sensuale. Poi il sorriso appena abbozzato tornò a spegnersi e sul suo viso comparve un'espressione più seria. «Sin dalla prima volta che mi hai baciata, ho capito che sarei stata perduta e avresti potuto fare di me ciò che volevi.» Lo guardò negli occhi, quegli occhi intensi e chiari nei quali si era già persa così tante volte. Tristan si sollevò su un gomito. I bagliori delle braci mettevano in risalto i suoi lineamenti e Odyle pensò che avrebbe tanto voluto scolpirlo in quel momento. Lui dischiuse appena le labbra per parlare. «Io... ti...» «Oh, mio Dio!» lo interruppe Odyle scattando a sedere mentre la sua testa per poco non andava a sbattere contro quella di lui. «No! Devi assolutamente stare fermo così! Oh, santo cielo, mi servono una matita e un pezzo di carta. Assolutamente!» Lui la guardò perplesso e fece per alzarsi. «No! Devi stare fermo così com'eri. Torna subito giù» Gli ordinò. Tristan vide il corpo flessuoso di Odyle liberarsi dalle coperte. La luce tenue del fuoco le disegnò il perfetto profilo delle gambe e della schiena mentre si piegava sui suoi vestiti e frugava nelle tasche. «Odyle...!» Tristan cercò di richiamarla a sé, ma lei era persa nei propri pensieri. «Ecco!» la sentì esultare dopo che ebbe estratto un pezzetto di carta da una delle tasche. «Ti prego... rimettiti nella posizione di prima e rifai quell'espressione!» «Quale espressione?» le domandò lui. «Be', non questa che hai adesso!» Tristan, sconcertato, la guardò a bocca aperta. «Quella di prima, quando stavo sotto di te... Quella...» Non sapeva come spiegarsi, ma era esattamente quello che mancava alla scultura degli amanti cui stava lavorando da circa un anno. «Ripensa a ciò che stavi facendo... a quello che volevi dirmi, così ti viene di nuovo. Cosa mi stavi dicendo?» Tristan, nel frattempo, si era messo a sedere, avvolgendosi la coperta intorno al corpo. Si schiari' la gola e la fissò. «Si...» mormorò Odyle impugnando la matita e chinando un po' il capo sul foglio. «Ecco...» Tristan si passò una mano tra i capelli. «Io... stavo per chiederti di sposarmi.» Lady Angelina sentì le gambe cederle e, a tentoni, guadagnò la poltrona accanto al tavolino. Dopo aver respirato profondamente, trovò di nuovo il coraggio di sollevare il foglio e controllo' ancora una volta quello che vi era scritto. - Mia cara Lady Cartwridge, scrivo a voi non trovando il coraggio di indirizzare questa mia direttamente a Mademoiselle Odyle. Nella mia precedente lettera vi accennavo al peso che sentivo sul cuore nel dover tacere alla famiglia Latuvielle ciò che sapevo della loro figlia, ma per riguardo alla memoria di mio nipote non mi azzardavo a mettere in discussione la sua decisione di mantenere il segreto. Ahimè, non sono stata capace di mantenere la mia parola e non immaginate quanto profondamente me ne rammarichi. Un paio di giorni fa, recandomi in visita da una cara amica, ho avuto modo di incontrare la povera Madame Latuvielle e, in un impeto di pietà verso la sventurata, che pareva sull'orlo delle lacrime mentre mi parlava della figlia, non ho saputo resistere e le ho raccontato ogni cosa. Sollevata la donna mi ha abbracciata, benedicendomi e giurandomi eterna gratitudine. Non vi nego che al momento mi sono sentita molto sollevata, pensando che non avrei potuto agire in modo migliore e che la signorina Latuvielle, dopotutto, grazie a me, si sarebbe riappacificata con i genitori. Il giorno seguente sono stata invitata a casa della famiglia Latuvielle perché, mi spiegavano nel biglietto, il padre e il fidanzato di Mademoiselle Odyle volevano sentire quelle nuove direttamente dalla mia bocca. Oh, Lady Angelina, solo allora mi sono resa conto di quello che aveva fatto! Monsieur Rouel sembrava trasfigurato dal furore e non mi ha risparmiato la sua ira ricoprendomi di insulti e accusandomi di essere una ruffiana, complice di una pazza furiosa e del suo amante (non dispensando, quindi, neppure il mio defunto nipote dalle ingiurie). L'ho sentito gridare che l'avrebbe ritrovata a tutti i costi e, questa mattina, ho saputo che è partito per Calais, da dove intende imbarcarsi alla volta dell'Inghilterra. L'unica mia speranza è che Mademoiselle Odyle sia scappata lontano e che lui non riesca a trovarla. Temo tuttavia che voi sarete la prima persona da cui quell'individuo cercherà di avere informazioni e voglio mettervi in guardia da lui. Victor Rouel è un uomo molto pericoloso e io stessa, se mi fossi trovata al posto di Mademoiselle Odyle, mi sarei rifugiata all'altro capo del mondo pur di sfuggirgli. Prego soltanto che sia voi sia Mademoiselle Odyle, un giorno, riusciate a perdonarmi. Con sincero rammarico, Fantine Dupont - «Cos'hai detto?» La matita era sfuggita alle dita di Odyle e, con un rumore secco, era finita sul pavimento. «Ti ho chiesto di sposarmi, Odyle... era questa la frase che avevo in mente quando mi hai visto quella "strana espressione"» ripeté Tristan. Odyle raccolse la matita e si alzò in piedi. Nuda di fronte a lui, si ergeva indomita e intrigante come una dea. Ma, come una dea, sapeva essere perversa e implacabile. «Vestiamoci. È tardi. Dobbiamo tornare.» Disse brusca. Raccolse i propri abiti e iniziò a lottare per infilarli. In un attimo, Tristan le fu accanto, per cercare di aiutarla.

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Capitolo 49
*** 49 Capitolo ***


«Faccio da sola!» rifiutò Odyle, scostandosi da Tristan. «Perché fai così? Che cosa ti succede?» le domandò lui senza riuscire a trattenerla. Odyle si voltò di scatto, affrontandolo faccia a faccia. «Io sono una donna libera. E voglio rimanere libera» esclamò. «Non voglio mica legarti a una sedia. Voglio sposarti» ribatte' Tristan. «Perché abbiamo fatto l'amore?» Lo sfidò con lo sguardo. «Lo sai che nel mio ambiente non si dà molto peso a certe cose. Potrei benissimo andare a letto con te una sera, e scegliere un'altra persona il giorno dopo...» «Victor, per esempio?» domandò a bruciapelo Tristan, sentendosi ferito nell'orgoglio. «No. Morirei piuttosto.» fu la risposta altrettanto secca di Odyle. «Allora esiste davvero. Victor è una persona reale.» Tristan iniziò a rivestirsi, senza riuscire a decifrare il tumulto di sentimenti che lo animava. «Quell'affare, la tavola Oui-ja... diceva la verità! Tu e Victor eravate fidanzati, non è vero?» Odyle abbassò gli occhi, intuendo di non aver via di scampo. «In un certo senso... Ma non ho mai acconsentito a sposarlo. La tavola Oui-ja aveva ragione su tutto: devo stare in guardia da Victor.» si difese lei. Strinse in fretta i lacci della camicia e si abbottono' la gonna. La magia del momento si era dissolta, ciò nondimeno, sentiva di amare profondamente Tristan e sapeva di averlo ferito. Meritava almeno una spiegazione, decise. «Victor è un uomo pericoloso. È a causa sua che sono dovuta scappare da Parigi. Diceva di volermi sposare... ma in realtà ciò che brama è possedere le persone per distruggerle, giocando con loro a suo piacimento. Più le cose sono difficili da ottenere, più si accanisce... non so in quale altro modo spiegarlo.» «Non preoccuparti... ho capito.» Ed era vero. Tristan aveva capito il perché della reazione tanto brusca di Odyle alla sua proposta di matrimonio. Temeva che anche lui, come Victor, volesse ingabbiarla e uccidere, in chissà quale modo, la sua libertà. Non era affatto così, ma lei non gli avrebbe creduto, anche se glielo avesse gridato in faccia, lo sapeva bene. In quel momento, Odyle era come un cucciolo spaventato che si era rifugiato in un cantuccio: a nulla sarebbe servito le sue parole. Non era ancora pronta a fidarsi di lui. Doveva prima conquistare la sua fiducia e convincerla del suo amore. Tristan si spolvero' i pantaloni e tornò a guardare Odyle, che era voltata di tre quarti verso il fuoco e stava finendo di allacciarsi i bottoni del giacchino. «Aspetta, ti aiuto...» Tristan le si avvicinò, tendendo le mani verso di lei. «Ce la faccio da sola...» borbotto' Odyle per tutta risposta. «Non sono una ragazzina.» Ma era troppo nervosa per averla vinta su quelle piccole asole, e sbuffo' nervosa. «Credi davvero che possa vederti come una ragazzina dopo quello che è successo tra noi?» le domandò lui accennando un sorriso. Le sollevò il mento con l'indice e la costrinse a guardarlo negli occhi. «Mai, Odyle, non sei mai stata una bambina, per me.» Si chino' verso di lei fino a sfiorarle le labbra con le proprie. «Piuttosto, sei la mia Salome', la dea che mi porterà alla perdizione e alla pazzia.» Lei gli accarezzo' una guancia. «Ora parli come uno sciocco personaggio da romanzo di appendice... Andiamo a casa.» L'uomo si sistemo' il cappello sulla testa e si strinse nel mantello scuro. Si era messo in viaggio quella mattina all'alba e aveva sostato poche volte, solo per cambiare cavallo alle stazioni di posta. Era arrivato a Londra da due soli giorni, ma non aveva trovato ciò che cercava. Per sua fortuna, era riuscito a sapere il nome di quel Brisbane e l'indirizzo della sua tenuta dalle labbra di una cameriera un po' troppo chiacchierona e si era rimesso subito in viaggio. La pioggia lo aveva tormentato per almeno metà giornata e non vedeva l'ora di potersi riscaldare accanto alla fiamma di un caminetto. Probabilmente non sarebbe stato il benvenuto in quella casa, ma il proprietario non gli avrebbe rifiutato ospitalità in quella notte terribile, pensò avvicinandosi alla porta. Busso' tre colpi secchi contro il legno, quindi si tolse il cappello e si stropiccio' la barba incolta e il volto affaticato. Poco dopo il portone si aprì e un giovane in livrea, con i capelli rossi e gli occhi assonnati, lo guardò con aria interrogativa. «Desiderate?» Oswald osservò le lancette della pendola sulla mensola del camino e decise che era abbastanza tardi per fingere di ritirarsi per la notte. Ne aveva abbastanza di quella serata ricca di eventi e sentiva che non avrebbe potuto tollerare un altro attacco isterico come quello cui aveva dovuto far fronte con Lady Cartwridge. Gli era sembrata una signora ammodo, poco incline a lasciarsi andare ai tumulti dello spirito, e tra tutte le illustri ospiti di Tristan, era quella con cui aveva provato maggior diletto a parlare. Quella sera, invece, aveva dovuto fronteggiare una Lady Cartwridge ben diversa. L'anziana gentildonna non aveva voluto svelare ciò che l'aveva turbata, ma era diventata pallida e fredda come il marmo, dopo aver ricevuto la posta. A un tratto aveva emesso un grido sommesso e si era premuta la mano contro la gola, come se facesse fatica a respirare. Lord Michael, suo figlio, era corso con prontezza verso di lei mentre Lady Emma si frugava nelle tasche alla ricerca della sua boccetta di sali. Tutti, da Cecilia a Lord Montgomery, si erano affannati intorno a lei mentre scivolava sul pavimento, annaspando in cerca d'aria. Oswald era riuscito a farsi largo in quel gruppo di forsennati e le aveva slacciato i primi bottoni della giacchetta, consentendole di respirare meglio. Aveva dato ordine a Cecilia e a sua zia di fare aria alla povera Lady Cartwridge con un ventaglio e poi le aveva fatto annusare i sali che Lady Emma gli porgeva con zelo. Dopo aver ripreso i sensi, tuttavia, la donna si era rifiutata di spiegare il proprio comportamento, dichiarando che si era sentita mancare il fiato per l'eccessivo calore della stanza. Oswald, che non ne poteva più di quelle stranezze e aveva sempre guardato con una certa irritazione agli eccessi dell'animo femminile, aveva atteso che la sua paziente si fosse ripresa per cercare di recuperare compostezza e tornare al suo giornale. Ora, però, si era fatto tardi e, nonostante la preoccupazione che nutriva in cuor suo per Tristan e Miss Chagny, decise che non aveva più senso aspettare. «Non vi unite a noi neppure per una partita a whist?» Lady Montgomery lo fermò quando era quasi riuscito a guadagnare la porta. «Ehm... sono piuttosto stanco...» decise di dire. «Mr. Oswald ci troverebbe più interessanti se il nostro colorito fosse itterico... o se fossimo tutti morti...» esclamò Cecilia scoccandogli un'occhiata maliziosa. «Cecilia!» Lady Montgomery si portò una mano alla bocca, mortificata. «Ma è così, non è vero, Mr. Oswald?» continuò la ragazza. «Il dottore preferisce lo studio ai divertimenti, e noi non siamo che un impedimento al suo piacere.» «Credete sia un male che ci siano persone come me, al mondo, Miss Cecilia? Pensateci bene, perché nel caso in cui diceste di sì, la prossima volta che vi verrà un raffreddore potreste anche ritrovarvi con una gamba amputata, se la persona a cui vi affidate non è che più che devota alla sua professione.» Detto questo, Oswald considerò conclusa la discussione e uscì dal salotto. Quella intrigante dalla lingua lunga proprio non ne voleva sapere di lasciarlo in pace, considerò tra sé salendo le scale. Probabilmente quella signorina viziata si annoiava molto in campagna e punzecchiare un umile dottore era diventato il suo passatempo. Si strinse nelle spalle e si fermò qualche istante sul ballatoio del primo piano per pulire le lenti degli occhiali con il fazzoletto. Bene, Cecilia Montgomery non avrebbe trovato terreno fertili con lui. Non si sarebbe più lasciato trascinare in stupidi battibecchi con una ragazzina.

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Capitolo 50
*** 50 Capitolo ***


Oswald, prima di ritirarsi nel salottino privato della sua stanza, dove avrebbe potuto leggere aspettando il ritorno di Tristan, sarebbe salito ancora una volta all'ultimo piano. Cecilia concluse la mano con facilità e conto' i punti. In coppia con il bisnonno era imbattibile, e quella sera Lady Montgomery era particolarmente giù di tono. Dopo aver tirato le somme emise un profondo sospiro. «Basta. Credo proprio di averne abbastanza per stasera» annunciò. «Ti accompagno a letto, mia cara?» le propose la zia. «No, voglio fare una passeggiata per la casa, tanto per svagarmi un po'...» spiegò Cecilia alzandosi da tavola e rassettandosi il vestito. «Magari troverò il dottor Oswald, nascosto in qualche altra stanza. Non credo che volesse davvero andare a dormire... piuttosto, cercava di scappare da noi. Senza Lord Brisbane e Miss Chagny si sente perso e a disagio.» Cecilia si guardò attorno con aria maliziosa. «A proposito, chissà dove sono andati a finire quei due.» Notò che lo sguardo allarmato di Lady Cartwridge si volgeva alla finestra. «Miss Odyle non si sentiva bene» le spiegò Lady Emma raggiungendo la suocera e mettendole una mano sulla spalla. «Vi accompagno a letto, mamma? Dovreste riposare un po' dopo le emozioni di oggi pomeriggio.» «Non credo che riuscirei a dormire, tesoro, sono troppo preoccupata» sbotto' Lady Cartwridge. «E perché sareste preoccupata?» indago' Cecilia. «Ti è mai venuto in mente, mia cara, che le persone potrebbero ritenere i fatti loro delle questioni private?» le domandò il bisnonno mentre rimetteva a posto il mazzo di carte. Cecilia non seppe cosa rispondere. «Oh... Credo che farò quel giro.» Impettita, si diresse verso le scale lasciando il resto del gruppo nel salone. Il dottor Oswald si era sicuramente rintanato in qualche saletta. Forse sarebbe riuscita a trovarlo e magari l'avrebbe scoperto a fare qualcosa di losco. Tanto valeva tentare. Salì in fretta le scale e si diresse verso la porta della camera del medico, dalla quale, però, non proveniva alcun suono. A un tratto avvertì un rumore di passi sopra la sua testa. «Ah... dottorino... siete di nuovo all'ultimo piano!» canticchio' raggiungendo la scala. Dopo aver posato il piede sul primo gradino, tuttavia, Cecilia esitò mentre un brivido le percorreva la schiena. Ricordò la paura che aveva provato la prima volta che era salita lassù e le urla che aveva udito, ma la sensazione che angoscia e sospetto suscitavano in lei non era del tutto spiacevole e così, dopo essersi ripetuta che avrebbe fatto attenzione, iniziò a salire. Imbocco' lo stesso corridoio che aveva seguito la volta prima e si trovò dinanzi alla medesima porta. Dalla stanza, chiusa a chiave, proveniva un borbottio sommesso. Cecilia avvicinò l'orecchio al legno della parete e sentì con maggior chiarezza la voce del dottore che diceva: «Non avete mangiato quasi niente, stasera. Volete ammalarvi?» Per qualche secondo non sentì alcuna risposta, poi udì una specie di grugnito. «Ah... dottore, dottore, vi importerebbe davvero tanto se mi ammalassi? Forse potrebbe farmi qualche salasso... Non vedete l'ora, non è vero? Io lo so che vi piace torturarmi» concluse lo sconosciuto con un lamento sommesso. «Non dovete credere che tutti provino piacere nel provocare dolore alle persone. Il sadismo è una follia... lo sapete bene» replicò Oswald. Cecilia si premette ancora di più contro la parete. La voce arrogante del dottor Oswald le giungeva chiara alle orecchie, ma le parole dell'altro uomo erano quasi inintelligibili. «Io non sono pazzo...» stava dicendo l'uomo. «Tristan ve l'ha fatto credere... È lui!» sibilo'. «Avanti, datemi il braccio. Devo farvi l'iniezione» ordinò Oswald. «No!» gridò l'uomo. «Di solito vi piace... Su, non fate obiezioni» ribatte' il dottore. «Stasera non voglio dormire... voglio pensare! Tic tac... dottore, voglio che il cervello continui a funzionare, e non posso farlo con la pappa che mi ammannite...» Di colpo la voce dell'uomo le parve più vicina, come se avesse raggiunto la parete. «Tic tac, piccolo Paul... voglio pensare al modo in cui mio fratello mi ha trattato, defraudandomi di tutto... voglio pensare a come mi ha portato via la donna che amavo...» «Siete confuso» lo interruppe Paul Oswald. «Non è stato vostro fratello a prendere quella decisione, bensì vostra madre. Quanto a Chri...» «Non dovete nominarla!» grido' l'altro facendo fare un salto indietro a Cecilia. «Non pronunciate il suo nome...» Lo sconosciuto esitò, come se fosse confuso, e tirò su col naso un paio di volte. «C'è un topolino nella parete...» disse poi. «Un piccolo topolino...» «Cosa state dicendo?» gli domandò Oswald. «Avanti, prendete almeno questa pillola... Non ha lo stesso effetto dell'oppio, ma vi farà stare tranquillo...» Ci fu una pausa. «Ecco, bravo...» Dopo pochi minuti, Cecilia sentì i passi di Oswald avvicinarsi alla porta e si allontanò in fretta, nascondendosi in una nicchia del corridoio. Da lì, vide il medico uscire e chiudere la porta. Contrariamente alla volta precedente, tuttavia, notò che non rimetteva la chiave sulla cornice del quadro, ma se la infilava in tasca. Attese qualche istante, prima di avvicinarsi ancora alla parete di legno. Poi, appoggiandovi l'orecchio, sentì distintamente ciò che le sembrava un pianto sommesso. Era terribilmente crudele da parte di Mr. Oswald e Lord Brisbane tenere imprigionata quella persona, pensò. Forse era proprio quello il terribile segreto di Blackborough di cui aveva sentito vociferare a Londra. Già riusciva a immaginare il suo ritratto sulle pagine dei quotidiani. La ragazza che aveva svelato il mistero. Oswald e Brisbane in manette per quell'orrendo crimine! «Ehi! Chi c'è lì dentro? Rispondete!» bisbiglio' piano. Il pianto si interruppe di colpo e Cecilia avvertì un brivido percorrerle la schiena. «Il topolino!» mormorò l'uomo, più vicino alla parete. «Chi siete, per l'amor del cielo?» ripeté lei un po' più forte. «Scostate il quadro, signorina...» disse la voce. Cecilia si voltò verso la cornice e, tentennando un poco, la sollevò dalla parete. Sotto il quadro c'era uno sportello di legno dal quale sporgeva una cordicella. Esitante, Cecilia tirò il cordone verso di sé, aprendo lo spioncino. Al di là di alcune sottili sbarre di ferro c'era un uomo, con il viso sconvolto e gli occhi ancora umidi di lacrime. Cecilia notò la grande somiglianza tra lo sconosciuto e Lord Brisbane. I due avevano gli stessi capelli biondo cenere e gli occhi blu profondi come il mare. Quell'uomo, però, sembrava più anziano e provato dalla stanchezza e dal dolore. «Santo cielo, perché vi tengono rinchiuso qui dentro?» gli domandò. «E chi siete?» L'uomo posò una mano su quella che Cecilia teneva appoggiata alle sbarre. «Vi prego, signorina, aiutatemi!» la imploro' con la voce rotta dalle lacrime. «Il mio nome è Bernard Brisbane, e sono il legittimo Conte di Blackborough.» Tristan riuscì a liberare una mano e a sporgersi verso la porta per battere tre colpi. Odyle, tra le sue braccia, si era addormentata mentre tornavano a casa a cavallo, e non aveva avuto cuore di svegliarla, pensando che doveva essere esausta. Il volto sparuto di George, il più giovane dei suoi lacchè, apparve sulla soglia. «Milord!» esclamò, sorpreso, e spalanco' immediatamente la porta, facendosi da parte. «Non è niente, George, Miss Chagny sta solo dormendo... Facciamo piano» lo avvertì. «Sissignore» obbedi' il giovane. «Tristan!» Dalla sommità delle scale, Paul lo guardava spaventato. «È...» Tristan scosse il capo, sorridendo per rassicurare l'amico. «Non le è successo niente di grave» lo informò quando Paul Oswald lo ebbe raggiunto. «Era esausta e si è addormentata mentre la riportavo a casa.» Paul le toccò la fronte. «Mi domando cosa le sia preso...» «Temo che queste siano questioni private, amico mio» ribatte' Tristan, un po' troppo prontamente, tanto da meritarsi un'occhiata dubbiosa da parte del medico. «Avanti. Portiamola di sopra» sbuffo' Paul.

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Capitolo 51
*** 51 Capitolo ***


«Signore...» George cercò di attirare nuovamente l'attenzione del padrone. «Non ora, George...» lo zitti' Tristan avviandosi verso le scale. «Ma signore, è arrivato... » tentò ancora il lacchè. «Di qualunque cosa si tratti, può aspettare, George» lo interruppe di nuovo Tristan. Il giovane lacchè non parlò più, ma il suo sguardo corse verso il corridoio e il salottino dove il maggiordomo gli aveva detto di far accomodare lo straniero. Oswald aprì la stanza di Miss Chagny e spalanco' la porta per Tristan. «Adagiala sul letto.» «Odyle!» Lady Emma, in vestaglia e camicia da notte, si era affacciata alla porta della camera. «Oh, mio Dio, cosa le è accaduto?» esclamò preoccupata. «Ha soltanto un po' di febbre» la informò il dottor Oswald. «Basterà lasciarla riposare.» Tristan si chino' sulla ragazza e le sfilò le scarpe, poi le sollevò un poco l'orlo del vestito per sfilarle anche le calze. «Cosa state facendo, milord?!» esclamò Emma raggiungendolo e strappandogli dalle mani l'orlo dell'abito. «Io... non volevo farle niente di male, solo metterla a letto...» si scuso' Tristan, che aveva agito d'impulso. «Non è compito vostro. Piuttosto chiamate una delle cameriere... Anzi, lasciate stare, ci penserò io» decise. Tristan si gratto' il capo, intimidito e si accorse che anche Oswald lo guardava con sospetto. «Mentre Lady Emma si prende cura di Miss Chagny, posso scambiare qualche parola con te, Tristan?» Di malavoglia, Brisbane si lasciò accompagnare fuori dalla stanza, mentre Emma seguiva i suoi movimenti con espressione truce prima di chiudere la porta e accingersi a preparare l'amica per la notte. «Mi vuoi spiegare cosa ti è preso?» gli domandò Oswald. «Come?» Tristan finse di essere stupito. «Come? Tristan, non è da te prenderti certe confidenze! Anche se quella ragazza ti piace...» «Insomma, Paul, sono stato fuori tutto il pomeriggio a cercarla. Sono stanco, sconvolto e preoccupato... Non ti basta?» ribatte' lui, stizzito. «E va bene...» esclamò Paul lasciando intendere che, per il momento, si sarebbe accontentato di quella spiegazione, ma che prima o poi sarebbe tornato sull'argomento. «Piuttosto, come sta Bernard?» gli domandò il suo amico. «Ha rifiutato la morfina... Ero da solo e non ho potuto insistere, però mi è sembrato tranquillo stasera» gli spiegò Paul. «Sarà meglio controllare che sia tutto a posto, prima di andare a dormire.» Tristan scosse il capo. «Quando è calmo mi spaventa ancora di più, perché penso che abbia in mente qualcosa.» «Che cosa potrebbe fare? È rinchiuso lassù e nessuno sospetta che sia ancora vivo. In più, da quando - chissà come - è riuscito a uscire, quella sera, terrorizzando i bambini e tutto il resto, non lascio più la chiave nel nascondiglio ma la tengo in tasca.» Batte' un paio di volte la mano sulla giacca. «Già... e dobbiamo anche ritenerci fortunati che sia tornato da solo nella sua stanza dopo essere riuscito a scappare» «Però non dobbiamo neanche sottovalutarlo» ribatte' Paul. «Ricordi come negava di avere la chiave? Abbiamo dovuto spogliarlo completamente per scoprire dove l'aveva nascosta. Probabilmente credeva di potersi organizzare e studiare qualcosa prima di uscire di nuovo e attaccarci di sorpresa.» «Quando si tratta di lui, non sono mai tranquillo. Andiamo» rispose Tristan. Emma finì di slacciare il giacchino di Odyle e le allento' il fiocco che teneva chiusa la camicetta sotto la gola. Mentre cercava di compiere quell'operazione, la ragazza aprì gli occhi. «Tristan...» la sentì sospirare. Emma aggrotto' la fronte. «Sono io, Odyle, sono Emma...» Gli occhi della giovane vagarono per la stanza, come se, di primo acchito, non riconoscesse ciò che le stava attorno. «Sei di nuovo a Blackborough, cara. Sei al sicuro, adesso.» Odyle non parve molto convinta e cercò di mettersi a sedere. «Dov'è Tri... Lord Brisbane?» domandò. «Gli ho chiesto di lasciare la stanza per metterti a letto. Devi riposare. Il dottor Oswald ha detto che hai un po' di febbre.» Emma si sedette sul materasso, accanto a lei, e le fece una carezza. «Cos'è successo, Odyle? Perché sei sparita in quel modo? Ci hai fatti preoccupare molto...» Odyle la guardò con gli occhi sgranati, senza sapere cosa dire. «Ho ricevuto una brutta notizia» disse, alla fine. Abbassò gli occhi e un paio di grosse lacrime le scesero dagli occhi. «Un amico... l'amico più caro che avessi in Francia... è morto un paio di settimane fa.» Scoppiò a piangere e si rifugiò tra le braccia di Lady Emma, che la strinse a sé con affetto. «Cos'è successo, mamma?» Dalla soglia, Agnese le guardava smarrita, accanto a Ernestine e al loro padre. Fu quest'ultimo a parlare. «Odyle, siamo così contenti che siate tornata!» «Vi siete fatta male?» le domandò con ingenuità Ernestine. «Sciocca! I grandi non si fanno male!» la rimbrotto' la sorella maggiore. Odyle sollevò il capo e chiamò entrambe le bambine a sé. «Talvolta, bambine, anche i grandi provano dolore» spiegò loro. «Anche se spesso le loro ferite non si vedono.» «Sono ferite magiche?» chiese Ernestine, interessata. «Non proprio... Sono dentro il cuore e nella testa... non si possono vedere a occhio nudo» spiegò mentre si asciugava gli occhi. «Avanti, bambine... Ora Miss Odyle deve riposare. Vedrete che domani starà meglio» Emma le incoraggiò a uscire. «Michael, per favore, le accompagneresti?» Il marito indugio' qualche istante, fissando Odyle, che si era rifugiata sotto le coperte, sollevando il lenzuolo fino al naso. «Tornerò più tardi» promise prendendo per mano le figlie e scortandole fuori. «Ma Tristan mi dovrà spiegare un paio di cose...» borbotto' tra sé, richiudendo la porta. «Già...» mormorò Emma tornando a osservare prima la nuca di Odyle e poi la sottogonna macchiata di sangue che le aveva sfilato appena prima che si risvegliasse. «Lord Brisbane dovrà spiegarle anche a me un paio di cose.» Bernard sentì la chiave girare nella toppa della porta e tornò a sdraiarsi sul suo giaciglio, fingendo di dormire, come avrebbe dovuto fare se avesse inghiottito la pastiglia che il dottor Oswald gli aveva dato, invece di nasconderla sotto la lingua finché non se ne era andato. Era mai possibile che quella sciocca di Cecilia Montgomery, o come diavolo si chiamava, fosse già tornata con la copia della chiave che le aveva detto di cercare? «Mi sembra che stia dormendo...» sentì sussurrare. Era Oswald. Bernard tenne gli occhi chiusi. Perché diavolo era tornato? «Allora forse non è necessario fargli l'iniezione di morfina» disse il fratello. Ecco perché era lì. Tristan voleva accertarsi che tutto fosse sotto controllo, come sempre, e che lui non avesse vie di scampo. Bernard si impose di rimanere fermo, cercando di regolare il respiro come se stesse davvero dormendo. «Non lo so...» replicò Oswald. «Potrebbe comunque svegliarsi nel cuore della notte e dare in escandescenze. Non vorrei che gli altri lo sentissero.» «Sì, ma non mi piace l'idea di intontirlo anche quando non ce né bisogno. Aspettiamo» ribatte' Tristan, sbuffando. «Come vuoi tu... sempre come vuoi tu» rispose secco il dottore. «Cosa vuoi dire, Paul? Sai bene quanto reputi importante il tuo giudizio!» esclamò l'altro. «Guarda, non è proprio il momento.» «Ah, si? E che momento sarebbe, Tristan?» sibilo' Oswald. «Hai deciso di non dirmi più niente e di trattarmi come uno stupido? Cos'è successo con quella ragazza? Prima mi supplichi di tenerti lontano da lei, poi fai di tutto per contravvenire alle regole che tu stesso ti sei dato! Non ti capisco.» Bernard sussulto', ma per fortuna né Oswald né suo fratello lo notarono. Tristan emise un profondo sospiro. «Paul... ne sono innamorato. Non pensavo neanche che si potessero provare certe emozioni...» disse tutto d'un fiato. Paul Oswald scosse il capo. «Lo sapevo! Ti avevo avvertito di stare attento.» Si passò una mano sul viso. «Cos'hai intenzione di fare?» domandò. «Le ho chiesto di sposarmi...» ammise Tristan a mezza voce. «Tu... cosa?» esclamò Paul, sobbalzando. «Abbassa la voce, per l'amor di Dio!» sibilo' Tristan. «Anzi, sarà meglio che ce ne andiamo... Questo non è il genere di conversazione che vorrei che Bernard ascoltasse.» Paul annuì e lo seguì fuori dalla stanza. Bernard aprì gli occhi e, pochi istanti dopo, un ghigno crudele gli sconvolse i lineamenti. Suo fratello era innamorato! E forse questo gli avrebbe dato ancora l'occasione di fargli sanguinare il cuore. Scattò in piedi e fissò la grata della finestrella. «Cecilia...» «Lei cosa ti ha detto?» Tristan rivolse a Paul uno sguardo abbattuto. «Al momento non ne vuole sapere. Ma sono certo che...» «Sei sicuro di fare la cosa giusta?» lo interruppe Oswald. «Non posso lasciare che la vita mi scorra davanti rimanendo solo a guardare, Paul. Da quando è morta Christina ho sempre pensato che sarebbe stato meglio aspettare e dedicarsi ad altro piuttosto che ai sentimenti, ma ora... Io l'amo. Non posso farci nulla.» Tristan iniziò a scendere le scale, ma Oswald accelerò il passo e gli si paro' dinanzi. «Non è vero che non puoi farci niente, Tristan. Ragiona! Ti rendi conto che la stai esponendo a un pericolo gravissimo? Accidenti... se Bernard trovasse il modo...» «Non può uscire dalle sue stanze. Esistono solo due copie della chiave. Una ce l'hai tu, in questo momento, e l'altra è nelle mani di Mrs. Manfred. Non potrebbe essere più al sicuro.» replicò in fretta Tristan. «Eppure ci è già riuscito. Ha terrorizzato i bambini e ha incontrato Odyle per le scale, non ricordi?» Oswald lo guardò negli occhi, poi scosse la testa. «È stata una stupida leggerezza. Uno di noi due ha fatto cadere la chiave rimettendola al suo posto. Non accadrà più» rispose Tristan. Oswald rimase in silenzio per qualche istante, poi trasse un lungo sospiro. «Non dimenticare che Bernard farebbe qualsiasi cosa pur di farti del male. Incolpa te della perdita del titolo e di tutto il resto... Ricordati cosa ha fatto a Christina, pur sostenendo di amarla.» Tristan gli scocco' un'occhiata in tralice mentre serrava i pugni e costringeva l'amico a spostarsi di lato per farlo passare. «Porterò Odyle via da questa casa e non vi rimetteremo mai più piede, questo è certo.» Paul lo seguì fino alla porta dello studio, la stanza che Tristan preferiva e che spesso usava anche solo per riflettere. L'ingresso però era sbarrato dalla presenza del giovane lacchè che si torceva le mani e si spostava da un piede all'altro, sulle spine. «Cosa c'è, George?» gli domandò Tristan, spazientito. «Signore, è per quella faccenda per cui prima non avevate tempo.» Tristan sbuffo' e si passo' una mano tra i capelli. «Non puoi aspettare domani mattina?» «Ehm... no. Perdonatemi, milord, no. Non credo che possa attendere.» George era tutto rosso in viso, ma cercò di raddrizzare le spalle e di darsi un tono per fare il suo annuncio. «Ebbene?» «C'è un signore che vi attende nello studio giapponese, milord. È arrivato questa sera, poco prima del vostro ritorno» disse il giovane. A quel punto, ebbe tutta l'attenzione di Tristan. «Un uomo?» «Sì... non ho capito cosa voglia... non parla molto bene la nostra lingua» spiegò il giovane George. Gli occhi di Tristan si ridussero a due fessure piene di preoccupazione. «Dice di chiamarsi Victor Rouel» continuò il lacchè. Paul vide che Tristan sobbalzava, sbalordito, ma attese che George si allontanasse prima di chiedergli una spiegazione. «Che cosa succede? Conosci quell'uomo?» domandò. «No. Non ho mai visto Rouel prima d'ora» rispose Tristan in tono lugubre, tornando ad avvicinarsi alle scale. «Ma sai chi è, non è vero?» Era preoccupato: il volto di Tristan era pallido e tirato. L'amico si voltò verso di lui. «Paul, devi scusarmi. È meglio che gli parli da solo.» Gli disse, fermandolo. Si fermò davanti alla porta chiusa dello studio giapponese e tese l'orecchio. Come un soldato in battaglia, avrebbe preferito avere l'occasione di studiare il proprio nemico senza essere visto e tendergli un agguato, ma dalla camera non proveniva alcun rumore. Per qualche istante ebbe la tentazione di chinarsi per sbirciare dal buco della serratura, poi si disse che non aveva senso rischiare di essere colti in quell'atto poco dignitoso da uno dei domestici e che si sarebbe fatto più onore affrontando il nemico di petto, senza indugio. Appoggiò la mano sulla maniglia, ma ancora una volta si fermò. Cosa poteva aspettarsi quel Victor Rouel dopo aver affrontato un viaggio dalla Francia per ritrovare Odyle? Di certo doveva avere compreso l'avversione che la ragazza nutriva nei suoi confronti e non poteva sperare di caricarsela in spalla e riportarla indietro. Lui non l'avrebbe permesso, questo era sicuro. Ma cosa avrebbe potuto dire o fare per aiutarla? Quali pretese poteva avanzare su di lei? Nessuna, almeno per il momento. Odyle aveva detto di non volersi sposare, spiegando ciò che era successo tra loro come una leggerezza... Era indubbio che non fosse così, ma doveva costringerla ad ammetterlo, prima di poter cambiare le cose. Un'idea gli attraversò la mente: dopo tutto, l'arrivo di Rouel poteva non essere un male... Odyle, messa di fronte a quella situazione estrema, si sarebbe sentita costretta a cercare qualcuno che la proteggesse e Tristan era sicuro che, tra lui e Victor Rouel, avrebbe saputo chi scegliere. Che misera vittoria sarebbe stata la sua! Scosse il capo. Non voleva che Odyle decidesse di sposarlo solo perché era costretta a scegliere il male minore! No... Tristan voleva essere amato e voleva che anche lei provasse i suoi stessi sentimenti. Niente di meno. Doveva mandare via Rouel, se possibile prima che Odyle scoprisse del suo arrivo. Solo così avrebbero potuto continuare la loro vita. Animato da tali propositi, Tristan spinse la porta, pronto ad affrontare il rivale. Lo studio giapponese era una stanza arredata in modo essenziale, con mobili scuri, un paio di poltrone e una scrivania. Lungo le pareti, pochi ed essenziali ghirigori in stile giapponese rendevano omaggio al nome del locale. Sulle prime Tristan non vide nessuno, e pensò di aver perso un'occasione: aveva ceduto all'altro l'effetto sorpresa, lasciando a Rouel la possibilità di studiarlo senza essere visto. Sciocchezze, cercò di rassicurarsi. Victor Rouel non aveva idea dei suoi sentimenti che lui provava per Odyle. Per il francese, Tristan non era altro che il ricco proprietario della dimora in cui la ragazza era ospitata. «Buonasera, milord.» Una voce cupa e profonda sembrò emergere dall'ombra. Poi un volto iniziò a disegnarsi accanto alle tende scure e Victor Rouel, completamente vestito di nero, emerse dalle tenebre. Era un uomo sulla trentina, ma il suo volto magro, scavato dalla stanchezza del viaggio, lo faceva sembrava più vecchio. Il che non significava, Tristan ne era sicuro, che avrebbe dovuto temerlo di meno. Ebbe la netta impressione che Rouel avesse scelto con cura il proprio nascondiglio, aspettando nella penombra come una bestia feroce per poter meglio sferrare il proprio attacco. I suoi occhi, scuri e profondi, illuminati dai bagliori provenienti dal camino, avevano un che di sinistro e crudele. «Monsieur Rouel?» domandò, sentendo tremargli la voce. «Oui... Sono Victor Rouel» si presentò l'altro, accennando un inchino. «Voi siete Lord Tristan Brisbane, Conte di Blackborough?» gli domandò con un marcato accento francese. «Che cosa posso fare per voi?» Tristan assunse un'aria volutamente interrogativa, pensando che fosse meglio non scoprire le proprie carte. «Monsieur...» prese a dire l'altro dopo averlo studiato con attenzione. «Temo che stiate ospitando una persona molto... come si dice... dangereuse... pericolosa, sotto il vostro tetto.» Tristan rizzo' le orecchie e spostò il proprio peso da una gamba all'altra, a disagio, ma non disse niente. Rouel chino' lo sguardo a terra e Tristan lo vide trasformarsi. Il bagliore truce nei suoi occhi si tramuto' in una lacrima, ed era tutto pena e costernazione quando tornò a sollevare lo sguardo. «Si tratta della mia promessa sposa, milord... Sono mesi che la sto cercando.» La bocca di Tristan divenne una rigida linea netta. «Dite che è pericolosa, eppure mostrate di tenere a lei... Che storia è questa?» domandò cercando di celare il proprio sarcasmo, consapevole del ruolo che Rouel aveva scelto di interpretare in quel frangente. «Milord, chi vi parla è un uomo innamorato. La mia fidanzata ha bisogno di cure, ma non dispero che il suo stato di salute possa migliorare dopo che sarà tornata al nosocomio da cui è fuggita.» Il sussulto di Tristan indusse Rouel a tradirsi: le sue labbra, per un attimo fugace, si incurvarono in un sorriso vittorioso. Subito l'uomo si ricompose, tornando alla millantata tristezza di poco prima. «Non so dirvi quanto sono stato in pena per Odyle...» «Miss Chagny, dunque.» domandò Tristan, avvicinandosi al camino. «Mademoiselle Latuvielle, a dire il vero» lo corresse Victor. Incurante di quella puntualizzazione, Tristan proseguì. «Non mi pare che la signorina in questione abbia mai dato segni di squilibrio. Siete certo che si tratti della persona che cercate? A mio avviso potreste essere stato mal informato.» Rouel si incupi', avvertendo l'ostilità di Tristan. Si frugo' nella tasca e ne estrasse un plico di lettere. «Ecco. Ho qui le lettere che mandava a Claude Evory... L'uomo che l'aiuto' a scappare. So che è lei.» «Potrebbe anche essere...» replicò Tristan con tranquillità. «Quanto alla pazzia, però... Credo che tutte le persone presenti in questa casa riderebbero delle vostre accuse, Monsieur Rouel. Odyle non è affatto pazza.» Aveva commesso un errore e se ne rese conto non appena quelle parole lasciarono le sue labbra. Aver utilizzato il nome della sua ospite senza alcun appellativo davanti tradiva un'intimità' che non avrebbe dovuto ammettere con Victor Rouel. L'altro finse di non essersene accorto, ma studio' attentamente il volto del suo avversario prima di porgergli un altro foglio. «Posso mostrarvi anche questo documento. È dell'ospedale in cui avevo fatto ricoverare Odyle per curarla... La poverina delirava e mi accusava di terribili nefandezze.» «Davvero?» Gli occhi di Tristan divennero due fessure. «Nefandezze che, ovviamente, non avevate commesso... E per le quali non avete esitato a farla rinchiudere in un ospedale per malati di mente.» Il volto di Rouel si contrasse in una smorfia nello sforzo di celare il disprezzo. «Avevo il benestare dei suoi genitori. Anche loro erano preoccupati» si giustifico'. Tristan sbuffo' e si passo' una mano tra i capelli. «Vorrete scusarmi se mi sento in diritto di dirvi ciò che penso, Monsieur Rouel.» L'altro annuì, a disagio, stringendo in mano i fogli che aveva portato a testimonianza. «Mademoiselle Latuvielle non ne voleva saperne di voi ed è scappata dalla Francia a causa delle misure estreme a cui voi avete fatto ricorso. Se avesse voluto sposarvi, l'avrebbe fatto tempo fa, invece ha preferito addirittura cambiare paese.» Rouel scattò in piedi. «Non vi permetto...» Anche Tristan si alzò, e si avvicinò al suo ospite con fare minaccioso. «Sono io che non vi permetto di fare certe insinuazioni, Monsieur. Non mi interessa cosa dicono le vostre carte. Le regole dell'ospitalità mi impongono di offrirvi riparo per questa notte, tuttavia mi aspetto che domani vorrete lasciare al più presto la mia casa.» Lui stesso si stupì della risolutezza del proprio tono. «Miss Odyle non è prigioniera, qui, e mi pare che sia felice.» A quel punto, Rouel perse del tutto la pazienza. «Ascoltatemi bene, milord» replicò ponendo l'accento sul titolo con tono denigratorio. «Non me ne andrò di qui finché non l'avrò vista, mi avete capito bene? Non ho fatto tutta questa strada per niente. Quando mi avrà ascoltato, credo che cambierà idea.» «Altre minacce, Rouel?» I due uomini si trovavano a pochi centimetri l'uno dall'altro. «Aprite bene le orecchie: non vi permettero' di farle del male.» I loro sguardi rimasero allacciati per un tempo che parve infinito, poi Tristan disse: «Uno dei miei lacchè vi mostrerà la vostra stanza.»

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Capitolo 52
*** 52 Capitolo ***


Odyle si svegliò perché un raggio di luce calda che era riuscito a filtrare attraverso la fessura tra le tende le colpiva una guancia, scaldandole il viso. Aprì gli occhi, coprendoli d'istinto con il dorso di una mano per schermarli da tutto quel chiarore. Doveva essere mattino inoltrato. Affacciandosi alla stanza delle bambine, si rese conto che dovevano essersi già alzate da un pezzo, visto che i lettini erano stati rifatti e le finestre erano già state richiuse dopo il quotidiano ricambio d'aria. Perché non l'avevano svegliata? Si domando'. Non era forse lei che doveva occuparsi di Agnese ed Ernestine? Poi, di colpo, ricordò tutto. La lettera, la morte di Claude... Tristan. Soprattutto Tristan e quello che avevano fatto nel capanno. Odyle si portò entrambe le mani alle guance, brucianti di imbarazzo. Aveva fatto l'amore con un uomo... Con Tristan Brisbane. Gli si era concessa anima e corpo senza vergogna e con una passione di cui non si era mai creduta capace. Peggio ancora, era sicura che se disgraziatamente si fosse trovata di nuovo da sola con lui, non avrebbe resistito a gettargli le braccia al collo e a implorarlo di farlo ancora. Non aveva dunque il benché minimo senso del pudore? Quando pensava a lui le tremavano le gambe e un indefinito languore le sollecitava il ventre, riportandola alle sensazioni che aveva provato sentendo il corpo di Tristan premere contro il suo. No. Non doveva pensarci. Appoggiò la guancia contro il vetro freddo della finestra della nursery, cercando sollievo. Nella sua ultima lettera, Claude le augurava una vita piena e felice. Si rammaricava di non poterle stare accanto e le rivelava che, a modo suo, l'aveva amata. E lei si era gettata tra le braccia di Tristan! Serro' i pugni e si premette ancor di più contro il vetro. Fu allora che lo sentì. D'improvviso, e senza una ragione apparentemente valida, per l'arco di quei brevi secondi sentì il cuore sprofondarle in un abisso. Una voce terribile e familiare stava urlando contro qualcuno. Non fu in grado di riconoscere le parole, ma dalla sua memoria emerse chiaro e affilato come un coltello un nome: Victor Rouel. Odyle si irrigidi', staccandosi di scatto dal vetro della finestra. Non era possibile. Victor Rouel non poteva - non doveva - essere lì. A piedi scalzi, così come si trovava, raggiunse la porta che dava sulle scale e cercò di aprirla. Era chiusa a chiave. Un pensiero orrendo le attraversò la mente prima che la ragione avesse il sopravvento: l'avevano chiusa lì dentro perché non potesse scappare. Non era vero. Era stata lei stessa a chiudere a chiave la porta della nursery diversi giorni prima, per evitare che le bambine subissero una qualche aggressione da parte dello strano uomo che aveva visto sulle scale. Su una cosa però aveva ragione: se Victor era davvero riuscito a trovarla, lei doveva assolutamente scappare prima che la raggiungesse. Chissà che cosa poteva aver raccontato ai Moran... o a Tristan. Subito ricaccio' indietro le lacrime, perché non era quello il momento di pensare all'opinione che Tristan poteva avere di lei. E poi, lui era un uomo intelligente e conosceva la sua storia. Doveva aver fiducia che non si sarebbe lasciato abbindolare dalle parole di Victor. Odyle corse in camera sua e aprì l'armadio, iniziando a tirarne fuori i vestiti alla rinfusa per gettarli sul letto. Ecco gli abiti da ragazzo che aveva indossato per fuggire da Parigi. Benedisse ancora una volta Claude che aveva avuto quella trovata e si affretto' a infilarli. La voce di Victor proveniva dall'atrio, quindi era escluso che lei potesse uscire dalla porta d'ingresso. Quando fu pronta, si affaccio' sul ballatoio e sbircio' al piano di sotto, sperando di scorgerlo. Victor però non c'era. Nell'atrio riuscì a vedere solo le figure di Michael, Emma e Lady Angelina che discutevano animatamente. Non poteva arrischiarsi a scendere dallo scalone, decise. Sarebbe stato comunque più sicuro utilizzare una via alternativa... La finestra! Odyle tornò in camera e spalanco' la portafinestra che si apriva su un piccolo balcone. Accanto a questo, controllo', correva un cornicione stretto e in pessimo stato, ma lungo il quale avrebbe potuto scorrere se avesse fatto attenzione a tenersi ben aderente alla parete. Facendo appello al proprio sangue freddo, si arrampico' sulla ringhiera, e da lì, con cautela, si sporse verso la parete della casa. La sua mente, tuttavia, lungi dall'essere lucida e totalmente concentrata su ciò che stava facendo, era affollata dei volti e delle parole di tutta la gente che stava lasciando. Lady Cartwridge, Emma, Michael, le due bambine... Tristan. Doveva scappare e lasciarseli tutti alle spalle. Ricominciare, ancora una volta, una nuova vita, nella speranza che Victor Rouel non riuscisse a scovarla. Tristan. Procedette a passo incerto lungo il cornicione. Non avrebbe più rivisto il suo sorriso... Il piede le scivolo' e mancò poco che Odyle cadesse di sotto, facendo un volo di tre piani. Raggiunse la grondaia che scendeva fino al secondo piano e decise di utilizzarla per scivolare verso il basso. Le sue mani si aggrapparono al metallo arrugginito. Le mani di Tristan che le accarezzavano il volto e le scostavano una ciocca di capelli dagli occhi... I suoi occhi intensi in cui avrebbe voluto continuare a perdersi... Raggiunto il secondo piano, continuò a camminare lungo il cornicione, fino all'angolo della casa. A pochi metri da lei c'era il tetto della rimessa, dove Tristan teneva la sua automobile. Probabilmente era il punto migliore da cui scendere, perché il deposito sporgeva oltre la casa, creando una specie di riparo. Sfortunatamente non c'era nulla a cui potersi aggrappare per calarsi un po' più in basso e la grondaia non finiva sul tetto del capanno, ma diversi metri prima. Non le rimaneva che affidarsi alla sorte e saltare, nella speranza che il legno del tetto su cui sarebbe caduta non fosse troppo marcio da rompersi sotto il suo peso. Sentì le assi piegarsi sotto di lei e lo schianto secco del legno che si spezzava, ma il tetto sostenne il suo peso e Odyle vi si ritrovò sopra, in ginocchio e con il fiatone. A quel punto non le rimaneva che balzare a terra e iniziare a correre più veloce che poteva verso il bosco, lasciandosi alle Odyle Chagny e tutti i sentimenti che provava. Risoluta, si sdraio' sull'addome e sporse le gambe oltre la superficie del tetto, reggendosi saldamente a una delle assi. Quindi, quando ebbe la certezza di non essere a più di un metro da terra, lasciò la presa e atterro' sul prato. Si voltò in direzione del bosco, chiamando a raccolta le ultime energie e sentendo l'adrenalina scorrerle nelle vene. Ma non riuscì a vedere la radura, perché le mani forti di un uomo la afferrarono scuotendola con violenza. «Dove volevi andare, mon amour?» le domandò Victor sollevandola un po' da terra. Tristan busso' ancora una volta alla porta della camera di Odyle, senza tuttavia ottenere risposta. Aveva passato gran parte della notte nello studio, cercando di lavorare, ma la sua mente non si era lasciata distrarre dal pensiero di Odyle e da quello che sarebbe successo con Victor Rouel. Avrebbe voluto correre da lei all'alba per avvertirla dell'arrivo di quell'uomo, ma aveva resistito alla tentazione, un po' perché, si era detto, Odyle aveva bisogno di riposo, ma soprattutto perché temeva ciò che avrebbe potuto fare se si fosse trovato di nuovo da solo con lei. A mezzogiorno, però, la ragazza non era ancora scesa nella sala comune. Lady Emma aveva svegliato e preparato le figlie con il solo aiuto di una cameriera e, dopo colazione, le aveva lasciate uscire in giardino per approfittare di quelle poche ore di sole. Così Tristan si era trovato di fronte la moglie del suo amico che lo guardava da sotto in su con un'espressione severa. «Odyle era davvero molto provata, ieri notte...» aveva esordito Lady Emma. «Era sconvolta. Mi domando cosa sia successo» aveva concluso fissandolo con aria di accusa.

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Capitolo 53
*** 53 Capitolo ***


Tristan si gratto' il capo, indietreggiando di un passo. «Temo che Miss Odyle, abbia ricevuto una brutta notizia, Lady Emma» aveva risposto alla gentildonna. «Questo lo so» aveva replicato lei senza batter ciglio. «Vorrei solo essere sicura che non le sia accaduto dell'altro...» Ancora quello sguardo gelido. «Quando si è tanto vulnerabili, alcune persone senza scrupoli possono approfittarne...» «Milady?» «Oh, sapete benissimo di cosa parlo!» era sbottata puntandogli l'indice addosso. «Una donna si accorge di... certe cose! Sono certa che Odyle me ne parlerà quando si sarà ripresa e... e se dovessi venire a sapere che le avete fatto del male... be', sarà peggio per voi, milord!» In quel momento, nel salone aveva fatto il suo ingresso Victor Rouel. Emma aveva spostato lo sguardo su di lui, spalancando la bocca con aria interrogativa. «Lady Emma, permettete che vi presenti un nuovo ospite... Monsieur Victor Rouel, da Parigi...» Tristan si era ritrovato a fare le presentazioni e non gli era sfuggita l'espressione sconcertata della gentildonna nel sentire quel nome. Era stato uno sgradevole quarto d'ora. Da soli o a piccoli gruppi, i suoi ospiti - tutti tranne Odyle, per fortuna - li avevano raggiunti nel salone ed avevano reagito alla presentazione di Victor Rouel con una gamma di espressioni degne di una galleria di ritratti satirici. Oswald aveva inarcato un sopracciglio, dubbioso; Michael aveva serrato la mascella, socchiudendo gli occhi in due fessure astiose; Lord Montgomery si era pulito gli occhiali per poi rimetterseli sul naso e osservare il nuovo arrivato come avrebbe fatto con uno strano insetto trovato sul cuscino; Lady Angelina non aveva neppure voluto avvicinarglisi, annuendo e mormorando un saluto per poi nascondersi dietro la nuora; Lady Montgomery si era profusa in uno dei suoi più vacui sorrisi mentre Cecilia, dopo aver riservato al nuovo arrivato un sorriso insolente, si era seduta al pianoforte e aveva iniziato a suonare un motivetto allegro e ritmato. Victor aveva continuato ad aggirarsi nella sala senza parlare e senza essere avvicinato da nessuno, finché non aveva perso la pazienza. «Basta, Brisbane, ditemi dov'è!» Aveva esclamato a voce alta. Cecilia aveva smesso di suonare e tutti si erano voltati verso il francese. Era stato Michael ad avvicinarsi a Rouel con fare minaccioso. «E voi chi sareste, di grazia, per venire qui a dettar legge? Sentiamo!» «Michael, ti prego...» era intervenuta Lady Angelina, afferrandolo per un braccio. «Chi siete voi, Monsieur! Sono venuto da Parigi per vedere la mia fidanzata, Mademoiselle Latuvielle.» «Ma non c'è nessuna signorina Latuvielle, tra noi, mio caro...» era intervenuta Lady Montgomery ostentando un sorriso saputo. «Forse vi hanno dato l'indirizzo sbagliato, povero caro... Comunque, se posso permettermi un appunto, caro signore...» Cecilia l'aveva interrotta. Accortasi dell'aria minacciosa dell'uomo, si era frapposta tra lui e la prozia. «Sta parlando di Miss Odyle, zietta...» «Oh, be', io proprio non capisco!» aveva sbottato l'anziana signora. «Io sì, invece.» Cecilia si era avvicinata a Victor di un paio di passi. «E così, Miriam aveva detto la verità. Siete voi il famoso Victor della tavola Oui-ja...» Lo aveva studiato strizzando leggermente gli occhi e Victor, nonostante la rabbia che nutriva verso tutte quelle persone, si era sentito un po' a disagio. «È la resa dei conti... non credete, Lord Brisbane? Ora si che inizio a divertirmi. Quando scende Miss Chagny? Oh, pardon Monsieur, Mademoiselle Latuvielle, n'est-ce pas?» Victor si era voltato verso Tristan. «Cos'è questa historia di Miriam? Miriam è morta.» Tristan aveva scosso il capo. «Era solo un gioco...» aveva mormorato, come se le sue parole spiegassero ogni cosa. «Miss Odyle sta ancora dormendo. Ha avuto... » Aveva incrociato lo sguardo di Emma. «... una giornata faticosa, ieri.» Spiegò Lord Brisbane. «Comunque, questo non vi dà il diritto di venire in casa d'altri a dare ordini, caro signore.» Michael si era di nuovo fatto avanti. «Pensavo che questa fosse casa di Lord Brisbane» aveva ribattuto Victor. «Ma non temete, non appena Odyle avrà fatto le valige toglieremo il disturbo e non sentirete più parlare di noi.» «Questo è da vedersi!» aveva esclamato Lady Angelina con voce stridula. Aveva paura di quell'uomo, ma non era riuscita a stare zitta. «Odyle ci è molto cara, e se non mi sbaglio, è proprio a causa vostra che se né andata da Parigi!» Spinse il figlio da parte e cercò di ergersi in tutta la sua statura per contrastare l'altro. «Dovrete passare sul mio corpo prima di portarla via da qui contro la sua volontà!» Victor aveva abbozzato un sorriso ironico di fronte a quella minaccia. «Non tentatemi, milady.» «Adesso basta!» Tristan era intervenuto cercando di sedare gli animi. «È chiaro, ormai, che Odyle è molto cara a tutti noi e che vogliamo solo il suo bene.» Aveva puntato gli occhi su Rouel, evitando lo sguardo di Lady Emma e di Michael. «Andrò a chiamarla, così potrete sentire dalle sue labbra che non è disposta a seguirvi. Dopodiché, Monsieur, mi aspetto che lasciate questa casa.» Non era riuscito a raggiungere la porta della sala, che Victor gli era saltato addosso prendendolo alle spalle. «Dove credete di andare? Volete avvertirla in modo che possa scappare, eh?» Gli aveva dato uno spintone, facendolo barcollare nell'atrio. Una delle donne aveva gridato, reagendo all'aggressione, e tutti si erano riversati nell'ingresso, dove erano stati raggiunti da Mrs. Manfred e da un paio di lacchè che avevano immobilizzato Victor Rouel. «Lasciatemi andare! Ve lo ordino!» aveva continuato a urlare il francese. «Imparate a comportarvi come si deve, signore!» L'aveva ammonito Lady Montgomery minacciandolo con l'indice mentre, tutta rossa in viso, si faceva aria con un ventaglio. Si era poi appoggiata a una sedia, adducendo un mancamento. «Milady!» Mrs. Manfred era accorsa in suo aiuto. «Sedetevi, milady.» Anche Emma e Cecilia si erano affaccendate intorno alla donna. «Vi porto dei sali, Lady Montgomery» aveva detto la governante. «Posso accompagnarvi?» le aveva chiesto Cecilia, di punto in bianco. «Tutto questo frastuono mi ha fatto venire il mal di testa. Vi prego...» «Certo, signorina...» E la governante di Tristan si era allontanata con Cecilia al seguito. «Monsieur Rouel, è l'ultima volta che vi avverto. La mia pazienza ha un limite!» aveva sibilato Tristan. Victor aveva aperto la bocca per rispondere, ma poi doveva aver giudicato che fosse meglio per lui stare zitto. Il padrone di casa aveva annuito fissandolo negli occhi e lanciandogli un ultimo - stavolta muto - avvertimento, poi si era avviato verso le scale. Ma Odyle non aveva risposto e Tristan, dopo aver bussato anche una terza volta, si era sentito legittimato a contravvenire all'etichetta e ad entrare anche senza invito. La stanza era vuota. Il letto era disfatto e non c'era traccia di Odyle. L'armadio era stato aperto e molti degli abiti della ragazza erano stati gettati alla rinfusa sul pavimento. Vedendo quella confusione, Tristan si lasciò prendere dal panico. Possibile che fosse stato suo fratello? Poi notò la finestra spalancata e gli tornò alla mente il profilo confuso di una fanciulla semivestita che si arrampicava su un albero. Non perse un istante e corse fuori. Victor aveva sentito Tristan gridare alla servitù di cercare Miss Chagny in giardino e non aveva perso tempo. Consapevole delle abilità della sua fidanzata, si era precipitato fuori ed era corso lungo il perimetro della casa, fino a quando non l'aveva vista, a qualche metro da lui e in abiti da uomo. L'aveva seguita cercando di nascondersi, senza dire niente per paura che la sua voce le facesse perdere l'equilibrio, e aveva atteso che arrivasse a terra sana e salva. «Victor! Che cosa ci fai qui?» gli domandò Odyle cercando di spingerlo lontano da sé. «Sono corso da te non appena ho saputo dov'eri, tesoro. Tu piuttosto, dove avevi intenzione di andare?»

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Capitolo 54
*** 54 Capitolo ***


Odyle guardò il francese con astio. «Da qualsiasi parte, anche all'inferno, se fosse necessario, basta che sia lontano da te!» urlò a Victor. «Oh... Così mi ferisci! Che parole crudeli da dire al fidanzato che non vedi da così tanto tempo!» Le sorrise con espressione maliziosa stringendola a sé. «Bel fidanzato davvero!» esclamò lei puntandogli le mani contro il petto. «Non hai esitato a farmi rinchiudere in un manicomio per indurmi ad accettare la tua proposta.» Odyle riuscì a liberare una mano dalla sua stretta e lo colpì in pieno viso con un pugno. «Il solito maschiaccio!» sbotto' Victor con furia, massaggiandosi la mascella mentre Odyle si reggeva la mano dolorante. «Non sei uno stupido, Victor... Non puoi aver pensato che sarei tornata a casa con te, quindi che cosa vuoi?» Victor la guardò con aria grave. «Lo so.» Lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e la guardò con tristezza. «Fin dal primo momento che ti ho vista, ho pensato che non avrei avuto pace se non ti avessi avuta. Ed è stato così» le spiegò cercando di avvicinarle una mano al viso per farle una carezza. Odyle si tirò indietro. «Eri così piena di vita, di speranze, di passione... E a me mancavano tutte queste cose. Tu sei diventata la mia ragione di vita. Sei diventata la passione che mi brucia l'anima ogni notte e il pensiero di non averti mi dilania.» Odyle lo fissò a braccia conserte. «Molto bravo, Victor. Davvero. Un'interpretazione encomiabile. Posso applaudirti, se vuoi» replicò sarcastica. L'uomo di fronte a lei serro' la mascella con rabbia. «Ti sei mai reso conto, Victor, che desideri tutto ciò che non puoi avere? La tua passione è l'irraggiungibilita', è la caccia in se stessa, e quando anch'io smettessi di resisterti mi annienteresti e passeresti oltre!» «Io voglio sposarti, Odyle! Se avessi voluto usarti l'avrei fatto molto tempo fa. Credi che non sarei riuscito ad averti, in un modo o nell'altro?» «Ah, un vero gentiluomo, non c'è che dire!» esclamò lei. «Si, Odyle. Sono un gentiluomo... e tu sei ciò che di più puro e prezioso possa desiderare...» Questa volta Odyle rimase immobile mentre Victor allungava la mano verso di lei e la sua carezza le scendeva dalla guancia al collo, fermandosi appena un po' più su del seno. Chiuse gli occhi e cercò di trattenere un fremito di disgusto. Poi, con le labbra livide disse: «Non sono più tanto pura.» Victor, davanti a lei, si irrigidi' di colpo. «Cosa diavolo stai dicendo?» Lei gli rivolse uno sguardo traboccante d'odio, quindi incurvo' le labbra in un sorriso. «Voglio che tu lo sappia, Victor, perché ne sei la causa. Per te, così come per tutti gli altri ipocriti del tuo sesso, la verginità è talmente importante che ho preferito rinunciarvi!» Euforica e tremante, non riuscì a trattenere una risata. «Sono rovinata, Victor caro. E, se ti piace pensarlo, la colpa è solo tua!» Victor la prese per le spalle e la scosse forte. Odyle sentì il legno umido della rimessa contro la schiena. Quella sensazione le fece tornare in mente la notte prima e tutto quello che era successo con Tristan nel capanno. Sapeva che ciò che stava dicendo a Victor era, in parte una bugia. Ciò che provava per Tristan e la sua decisione di fare l'amore con lui non aveva niente a che vedere con la proposta di matrimonio di Victor. Eppure, la rabbia e la vaga idea che la notizia avrebbe potuto far desistere Rouel dai suoi propositi l'avevano indotta a parlare. «Che-cosa-diamine-stai-dicendo?» scandi' con chiarezza lui stringendole il mento tra le dita della mano. «Chi è stato?» Urlò lui con rancore. «Non ha alcuna importanza. Sono e rimarrò una donna libera.» rispose Odyle. A quel punto, lui la prese per le spalle e la spinse contro il muro. «Non è vero! Tu verrai con me!» Calò su di lei con furia e le chiuse la bocca con la propria. Subito però si tirò indietro, soffocando un urlo, con il labbro inferiore sanguinante. «Stupida ragazzina!» Alzò il braccio, pronto a colpirla, pieno di rabbia, di dolore, di follia. Ma non riuscì a muoversi. Qualcuno gli aveva afferrato il polso e lo strattonava indietro con forza. Era Tristan Brisbane. «Che diav...!?» Mentre crollava a terra, colpito in pieno viso dal pugno di Lord Brisbane, fece in tempo a vedere l'espressione terrorizzata di Odyle che, tenendo gli occhi fissi sul conte, urlava il suo nome: «Tristan!» Victor sbatte' un paio di volte le palpebre mentre nella bocca sentiva il sapore del sangue e si rendeva conto di non riuscire più a respirare dal naso. Quindi, fissando una nuvola che si spostava veloce nel cielo, perse i sensi. «Tristan!» Odyle gli corse accanto, aggrappandosi a una manica della sua giacca. Lui la fermò con un gesto e si chino' su Victor Rouel. «Và a chiamare Oswald!» «Tristan... io non...» Odyle indugiava, accanto a lui, sconvolta all'idea che avesse sentito ciò che aveva detto a Victor. Tristan si voltò verso di lei, riservandole uno sguardo truce. «Ti ho detto di andare a chiamare Oswald. Oppure preferisci scappare comunque?» Tornò a occuparsi di Rouel, tastandogli la vena del collo per sentire il battito del cuore. «Sei ancora in tempo, se vuoi» aggiunse senza guardarla. Odyle rimase immobile ancora per qualche istante, poi corse in direzione della casa, facilitata dagli indumenti maschili che indossava. Lui rimase accovacciato accanto a Rouel e si stropiccio' il viso con una mano. Era incredibile, ma non provava assolutamente niente. Aveva capito esattamente ciò che Odyle aveva detto a Victor Rouel e avrebbe dovuto sentirsi terribilmente affranto... Lei lo aveva usato. Per tutta la notte non aveva fatto altro che darsi la colpa di ciò che era successo nel capanno, mettendo in discussione il proprio onore di gentiluomo. Ora, invece, immaginava il proprio cuore come una pietra fredda e scura. Non sentiva niente. Niente. Poi, all'improvviso, nel silenzio del suo giardino, con un uomo svenuto ai propri piedi, Tristan sentì una specie di rombo assordante. Un boato che, a rigor di logica, avrebbe dovuto far andare in frantumi i vetri di tutte le finestre di Blackborough. Solo che non successe niente. Quel fragore era l'urlo del suo cuore, spezzato dall'ondata impietosa della consapevolezza. Odyle non lo amava. Odyle l'aveva usato. Una rabbia furiosa parve accecarlo mentre, inconsciamente, le sue dita si stringevano intorno ai fili d'erba del prato e li strappavano dal terreno. Victor Rouel emise un gemito sommesso e riuscì ad aprire un poco gli occhi. Lo fissò per un lungo istante, con la faccia imbrattata del suo stesso sangue e gli occhi di un predatore ferito. Quindi le sue labbra gonfie si sforzarono di incurvarsi in un sorriso malevolo che gli diede l'espressione sinistra di un pazzo. Tristan si limitò a fissarlo, pieno di disgusto. «Ha ingannato anche voi...» riuscì a biascicare Rouel. Da lontano, Oswald vide l'amico inginocchiato accanto al francese. Vide le spalle di Tristan sussultare e il suo braccio spostarsi all'indietro, caricando il pugno prima di calare con ferocia sull'altro. «Santo cielo, non ricordo proprio dove li ho messi!» sbuffo' Mrs. Manfred frugando nei cassetti della propria scrivania. «Dove possono essere?» Dietro di lei, Cecilia era grata che la governante ci stesse mettendo tutto quel tempo, perché ciò le dava la possibilità di guardarsi in giro e di cercare la chiave, come Bernard le aveva chiesto di fare. Già immaginava come i giornali avrebbero parlato di lei e dell'intera storia: il vero Conte di Blackborough salvato da una graziosa e impavida fanciulla! E, cosa più importante, si sarebbe vendicata di quel pallone gonfiato del dottor Oswald e di Tristan Brisbane. La stanza di Mrs. Manfred era piuttosto spaziosa per far parte degli alloggi della servitù, ma a quanto aveva capito Lord Brisbane teneva in grande considerazione quella donna petulante.

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Capitolo 55
*** 55 Capitolo ***


Il mobilio che arredava la stanza di Mrs. Manfred era molto semplice e Cecilia sospettava che la fosse una di quelle donne pie e devote che vivevano nel terrore della religione ed erano talmente bigotte da fasciare le impudiche gambe del tavolo, come si diceva facesse la regina Vittoria. Si strinse nelle spalle e si voltò verso il semplice letto singolo in legno scuro. Sopra di esso c'era un crocifisso e, accanto, una vetrinetta contenente dei mazzi di chiavi appesi a dei ganci. «Ecco!» esclamarono entrambe, Mrs. Manfred ad alta voce, Cecilia solo nella sua mente. «Venite, Miss Cecilia, portiamo i sali a vostra zia» disse la governante mostrandole esultante la boccetta ritrovata. Cecilia annuì e cercò di sorridere mentre la governante raggiungeva la porta. Era la sua ultima occasione... Con il pollice, riuscì a far scivolare uno dei suoi anellini lungo il dito e lo lasciò cadere a terra. Il cerchietto dorato tintinno' sul pavimento e si infilò sotto un mobile. «Oh, santo cielo, Mrs. Manfred, mi si è sfilato un anello!» La donna si fermò sulla soglia, trepidante. «Vostra zia ci aspetta!» «Si, ma il mio anello? Vi dispiace andare avanti mentre lo cerco? Vi prego, non posso perderlo, apparteneva a mia madre.» Abbassò gli occhi costernata, e questo bastò a convincere la governante delle sue buone intenzioni. «Chiudete la porta, quando uscite» le disse Mrs. Manfred, andandosene. Cecilia controllo' che la donna si allontanasse lungo il corridoio e imboccasse le scale, dopodiché si chino' e recuperò il proprio anello. Nella vetrinetta c'erano molti mazzi di chiavi con diverse etichette. Cucina. Cantina. Capanno. Sala dei domestici. Chiavi primo piano. Chiavi secondo piano. Chiavi terzo piano. E poi una sola chiave, lunga e stretta, senza alcuna scritta. Cecilia la prese e se la infilò nella tasca del vestito. Il salotto sembrava diventato una specie di infermiera. Le cameriere andavano e venivano dalla porta lasciata aperta, trasportando pezzuole bagnate e vassoi di tè. Un paio di lacchè avevano sistemato i cuscini del divano in modo che vi si potesse appoggiare la testa e poi avevano acceso il fuoco che, in tutto quel caos, si erano dimenticati di alimentare. Lady Montgomery si era categoricamente rifiutata di fare le scale o di essere portata "di peso" fino alla sua stanza al secondo piano. Tutto quel trambusto era troppo per i suoi nervi delicati, aveva dichiarato, e neppure la prospettiva di ritrovarsi tra le braccia di uno dei giovani lacchè di Lord Brisbane era riuscita a farle cambiare idea. Distesa sul divano, con una mano abbandonata sulla fronte e l'altra studiatamente lasciata penzoloni, come la donzella di un dipinto di Fussli, emetteva lamenti sommessi e annusava i sali di Mrs. Manfred arricciando il naso fino a farsi lacrimare gli occhi. Su di una poltrona, poco distante, era seduto Victor Rouel, che Oswald aveva aiutato a tornare in casa dopo avergli strappato Tristan di dosso. Victor non si lamentava, ma si premeva sul viso uno straccio in cui era stato avvolto del ghiaccio. «Se continuerai ad annusare quei sali ti sanguinera' il naso, mia cara» disse Lord Montgomery ammonendo la figlia. «Oh, padre... Forse è così che ci si sente prima di morire...» Si lamento' ancora Lady Montgomery. «Non lo so, ma se insisterai con le sciocchezze dello spiritismo, un giorno potrei tornare a dirtelo!» esclamò lui. «Avanti, alzati. Non hai più l'età adatta per questi spettacoli.» Lady Montgomery si isso' sul divano, appoggiandosi poi una mano sul petto. Dopo qualche istante riacquisto' le forze e, ignorando completamente la situazione, disse: «È proprio bella come dicono, Parigi, Monsieur Rouel?» Victor scosto' leggermente l'involto freddo dalla faccia, mostrando un occhio gonfio e semichiuso. Valuto' per qualche istante la situazione, nel silenzio generale, poi rispose: «Così pare, ma fa piuttosto freddo in questa stagione.» Soddisfatta, Lady Montgomery fece cenno a Mrs. Manfred di passarle il bicchiere di sherry che aveva appoggiato al tavolino e lo trangugio' tutto d'un fiato. «Non c'è che dire, Mary Jane» esclamò Lord Montgomery guardandola inorridito. «Sei proprio una donna di "spirito".» Lady Cartwridge fece il suo ingresso nel salone reggendosi con fermezza al braccio del figlio. Era pallida, ma il suo sguardo era risoluto. «Monsieur Rouel!» esclamò con voce stridula. «Spero che vorrete andarvene immediatamente dopo quello che è successo.» Victor la guardò con disprezzo, senza dire una parola. «Sono d'accordo con mia madre» convenne Michael stringendo la mano di Lady Angelina, come a volerle infondere nuova forza. «Miss Chagny... o Latuvielle, o qualsiasi sia il suo nome, fa parte della nostra famiglia adesso e non vi permetteremo di portarcela via o di farle del male.» Rivolse uno sguardo dolce a sua madre. «È una ragazza speciale, Monsieur Rouel, non so dirvi in quanti modi ci abbia aiutato... e forse non vi interessa neppure. Comunque, merita di poter essere felice... nel modo che sceglierà. Liberamente.» Victor accenno' ancora un sorriso, ma lo sforzo gli fece tremare le labbra. «Di nuovo...» farfuglio' con le labbra gonfie, «Parlate senza cognizione di causa, Lord Moran... Questa non è casa vostra, e Odyle non è vostra parente. I suoi genitori sono a Parigi e mi hanno chiesto di riportarla a casa.» «Emma, vi prego, non rendete tutto più difficile!» Odyle si aggirava per la stanza riempiendo alla rinfusa una valigia con i suoi vestiti, mentre Lady Emma gliela svuotava allo stesso ritmo, rimettendo tutto al suo posto. «Non te ne devi andare, Odyle! Sarà lui ad andare via, non tu» la imploro' Emma. «Non capite? Victor Rouel non mi lascerà mai in pace. Mi farà rinchiudere in un manicomio! Non c'è niente che lo possa fermare.» «Lady Angelina ci ha spiegato tutto, Odyle... ci ha raccontato chi sei e che cosa ti è successo a Parigi. Non ti devi preoccupare di niente, sei al sicuro con noi.» Odyle la fissò con espressione incredula, poi il labbro inferiore prese a tremarle e scoppiò in lacrime. «Non posso restare... Io... » I singhiozzi aumentarono e Odyle si nascose il volto tra le mani. «È tutto perduto...» Si gettò sul letto e iniziò a piangere. Emma le si sedette accanto e le accarezzo' la schiena, come avrebbe fatto con una delle sue figlie. «Certe cose sono gravi... ma la vita continua, Odyle...» Si fermò, un po' imbarazzata. «Lord Brisbane...» Odyle sussulto' nell'udire quel nome, ma Emma proseguì, «Lord Brisbane ha sbagliato... ti ha fatto del male...» A quel punto, Odyle alzò la testa. «Cosa state dicendo?» «Cara... sono una donna... certe cose...» Emma arrossi' fino alla radice dei capelli. «Certe cose una donna le capisce... specie se quella donna è sposata...» Le accarezzo' i capelli scompigliati. «Ieri notte eri molto vulnerabile e lui...» «No!» Odyle balzo' in piedi. «Lui non mi ha costretta a fare niente...» Emma la guardò con occhi sgranati. «Cara... i tuoi vestiti... c'era del sangue, insomma...» Era un discorso difficile e Lady Moran non si sarebbe mai creduta capace di poterlo affrontare. Toccava delle corde e dei temi che le era stato insegnato evitare perché non era appropriato che una donna sapesse "certe cose". Eppure, con Odyle, poteva parlarle in quel modo, si disse. La sua amica aveva aiutato lei e Michael in più di un'occasione, aveva salvato il loro matrimonio e con pazienza e dolcezza l'aveva riportata alla vita. Cos'erano delle parole in confronto, anche se dovevano menzionare scabrosita' di fronte alle quali una donna avrebbe dovuto per lo meno arrossire se non, addirittura, svenire piena di sgomento? Vedendo che l'amica non rispondeva, Emma inspiro' profondamente e cominciò. «Amica mia... non posso tacere. Avevo già notato il modo in cui Lord Brisbane ti guardava e temo che ieri notte, anche se non era sua intenzione, lui non si sia reso conto di farti del male... Cara, forse ti ha fatto credere delle cose ma...» Scosse la testa. «Ricordati che venite da realtà molto diverse e che la tua posizione...» Odyle si asciugo' le lacrime e cercò di tornare a respirare regolarmente. Doveva farsi forza. «Lui non mi ha fatto del male... Sono stata io a volerlo...» La porta fu aperta con brutalità e Tristan entrò nella stanza senza troppe cerimonie. «Allora sei ancora qui! Pensavo che te ne fossi già andata.» Emma gli rivolse uno sguardo inorridito. Come poteva rivolgersi a Odyle in quel modo, soprattutto dopo averla rovinata per sempre? Lui scocco' un'occhiata severa alla ragazza, poi vide la valigia sul letto. «D'altra parte, è quello che vuoi fare...» Emma lo vide frugarsi nella tasca interna della giacca, dalla quale prese delle monete che lasciò ai piedi di Odyle con brutalità. «Ecco. Così potrai andare dove vuoi e non avrai bisogno di concederti a nessun uomo per sentirti libera!» Lady Moran lanciò un grido indignato e si alzò dal letto. «Come osate parlarle in questo modo? Mascalzone, approfittatore che non siete altro! Vergognatevi!» Odyle alzò una mano, facendole cenno di fermarsi. «Lady Emma... Emma, per favore, potreste lasciarci da soli?» Tremava visibilmente e non era mai stata tanto pallida, ma le labbra erano tirate in una linea risoluta. Cecilia aveva fatto gli scalini a due a due, fuori di sé per l'euforia. La casa era in subbuglio per l'arrivo e le pretese di quel francese e nessuno si era accorto che lei era sparita poco dopo aver aiutato la prozia a riprendersi. In fondo al cuore, Cecilia nascondeva un animo romantico. Fin da quando aveva perso i genitori era stata un'accanita lettrice e aveva prediletto i romani gotici - come quello con cui aveva terrorizzato suo fratello Richard - e d'amore. Aveva letteralmente divorato tutti i libri di Jane Austen, immedesimandosi nelle sue eroine. E fu sentendosi appunto come una di queste che imbocco' il corridoio dell'ultimo piano che conduceva alla fatidica ala ovest. Aveva intravisto Bernard solo per qualche breve istante e non le era sembrato un granché, ma la vaga somiglianza con Tristan Brisbane, che nonostante fosse più vicino ai quaranta che ai trenta era ancora un bell'uomo, le era bastata per mettere in moto il meccanismo della sua immaginazione. Si era immedesimata nell'eroina di inchiostro e carta di uno dei suoi romani preferiti, e si era invaghita dell'idea di un misterioso principe segregato in una torre. Una cosa era certa, Bernard Brisbane era il legittimo erede del titolo di Blackborough e suo fratello minore, Tristan, lo teneva rinchiuso in una specie di soffitta con la connivenza di alcuni domestici e l'aiuto di un medico compiacente che lo stordiva a forza di sedativi. Cecilia aveva il "dovere" di fare qualcosa! Arrivata in fondo al corridoio immerso nell'oscurità, con delicatezza staccò il quadro dalla parete e tirò la cordicella che apriva lo spioncino. Da lì, con il cuore in gola, osservò la piccola stanza attraverso le sbarre. Non riusciva a vedere Lord Bernard da nessuna parte, quindi decise di chiamarlo, piano. Nessuna risposta. I suoi sogni di gloria sembravano sfumare, dissolvendosi come neve al sole. Si appoggiò con entrambe le mani alla finestrella e si issò in punta di piedi premendosi un po' contro le sbarre per vedere meglio. All'improvviso, il volto di Bernard parve materializzarsi davanti a lei, facendole fare un salto indietro per lo spavento. «Cecilia, siete tornata!» esclamò l'uomo. Aveva i capelli arruffati e gli occhi lucidi. Forse, pensò la ragazza, aveva pianto. «State bene, milord?» gli domandò. Bernard si chino' verso una delle sue mani, ancora aggrappate allo spioncino, e Cecilia sentì le sue labbra umide sulle dita. Un brivido le percorse la schiena, ma volle ignorare il disgusto a quel contatto, scambiandolo per ritegno ritrosia. «Cara Cecilia, siete la mia unica amica! Oh... quanto ho sentito la vostra mancanza!» Bernard accenno' un sorriso e lei notò che aveva i denti molto rovinati e radi. Be', forse non sarebbe stato il principe dei suoi sogni... ma quell'uomo aveva bisogno di lei. «Ho trovato la chiave!» disse sentendo un fremito, questa volta di eccitazione, scaldarle il corpo. Bernard parve illuminarsi in volto. «Dolce Cecilia! Sapevo che non mi avreste deluso! Forza, apritemi!» Fu a quel punto che Cecilia ebbe una specie di premonizione. Gli occhi dell'uomo di fronte a lei sembravano febbricitanti più che pieni di lacrime, e c'era un che di sinistro nel modo in cui la fissava. «Avanti!» la esorto' ancora il prigioniero con malcelata rabbia. «Vi prego...» Cecilia si disse che era tutta colpa della propria fantasia. Non doveva aver timore di quell'uomo che, dopotutto, aveva ogni ragione per essere fuori di sé vista la prolungata prigionia. «Da quanto tempo vi tengono rinchiuso qui dentro, Bernard?» gli domandò facendo scattare la serratura della porta. «Che mi hanno confinato in quest'angusta stanzetta? Sono poco più di tre anni... Mi ha obbligato mio fratello, come vi ho già detto.» Cecilia era entrata nella camera e l'uomo si trovava a poco più di un metro da lei, con le braccia che ricadevano abbandonate lungo i fianchi e le spalle un po' cadenti. «Ma sono all'incirca diciotto anni che per il mondo sono solo una scritta su una lapide. Quando Tristan ha convinto mia madre a farmi morire...» Bernard si avvicinò, accennando un sorriso. Il suo volto si era illuminato di gioia e sembrava anche più giovane. Cecilia, che aveva immaginato quella scena più volte, gli corse incontro e si gettò tra le sue braccia. «Siete libero, adesso! Vi ho liberato!» Doveva averlo colto di sorpresa con quella manifestazione d'affetto, perché Bernard non fece assolutamente niente per ricambiare il suo abbraccio. Rimase immobile e impassibile di fronte a lei. Cecilia alzò lo sguardo verso di lui, intimorita dall'idea di averlo offeso, di essersi presa troppa confidenza con quel povero prigioniero. No. Lui la guardava estasiato. Poi, rassicurandola, le prese il viso tra le mani, facendole una carezza. Le sue dita scesero sul collo di Cecilia, che sentì un altro forte brivido percorrerle la spina dorsale. Gli sorrise, e non si mosse finché non capì quello che le stava facendo.

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Capitolo 56
*** 56 Capitolo ***


Le dita di Bernard si erano già chiuse intorno all'esile collo di Cecilia quando lei tentò di divincolarsi. Cercò di graffiarlo e di allontanarlo da sé, ma non riusciva più a respirare. Annaspo', tossendo, mentre il viso le diventava di un colore bluastro. La stanzetta dell'ala ovest sembrò ondeggiare intorno a lei mentre le forze le venivano meno. «Le ho parlato, ma sembra decisa ad andarsene. Quel Victor Rouel le fa molta paura e non mi crede quando le dico che noi la proteggeremo.» Emma finì di spiegare l'accaduto al marito e si rifugiò tra le sue braccia. Si erano chiusi nella loro stanza per scambiarsi le opinioni su quanto era accaduto. «Povera cara, le vuoi davvero bene, non è così?» domandò lui facendo una carezza rassicurante alla moglie. «Odyle è molto più che l'istitutrice delle bambine, Michael. La considero un'amica» gli spiegò lei. «E mi sento impotente e piena di rabbia a causa di questa situazione!» Sbuffo', pensando a Tristan e al guaio che aveva combinato. «Forse è il caso che le parli anch'io... È nella sua stanza?» Domandò Michael. Emma abbassò lo sguardo e le sue guance presero un colore rosato. «È meglio che tu non vada, Michael, c'è Lord Brisbane con lei, in questo momento. Dovevano... parlare.» Michael balzo' in piedi. «L'hai lasciata sola con lui?» Anche le sue guance erano avvampate di rossore. «Lo so, caro, è molto sconveniente... Odyle è una ragazza nubile e Lord Tristan...» Scosse il capo. «Tristan è innamorato di lei» si limitò a dire Michael. Emma lo guardò sgranando gli occhi. «Te ne sei accorto anche tu?» Michael si chino' verso di lei e le bacio' la fronte. «Cara, sono un uomo... non un cieco!» Fece qualche passo verso la finestra e si stropiccio' gli occhi con le dita, cercando di scacciare la stanchezza. «In fondo, credo di averlo sempre saputo... ma volevo... proteggerla, suppongo.» Emma lo guardò con indulgenza. «Non penso che tu ci sia riuscito» disse dopo qualche attimo di silenzio. Michael si voltò di nuovo verso la moglie con aria interrogativa. Emma si sentì a disagio. Un conto era parlare di certe cose con una rappresentante del suo stesso sesso... un altro era cercare di discuterne con il proprio marito! «Pensi che lui potrebbe sposarla, adesso?» si limitò a chiedere. Michael sgrano' gli occhi e divenne talmente paonazzo che Emma credette che potesse mettersi a fischiare come un bollitore per il tè. «Io lo ammazzo!» lo sentì esclamare mentre con un paio di grandi falcate raggiungeva la porta. La spalanco', trovandosi di fronte le proprie figlie che lo guardarono intimorite. «Papà, non vi sentite bene?» gli domandò Agnese accorgendosi di quell'eccessivo rossore. «Papà è solo un po' contrariato, bambine...» spiegò loro Emma. «Cosa c'è?» «Volevamo tornare in camera nostra a prendere i mantelli per uscire a giocare con Richard in giardino, ma la porta della nostra camera e quella di Miss Odyle sono chiuse a chiave.» Emma lanciò un occhiata a Michael, il cui volto era diventato una maschera di rabbia. «Ci penso io» disse alle bambine aprendo il cassettone dove avevo riposto la biancheria. Era lì che teneva la chiave di scorta della camera delle figlie dal giorno dello spiacevole episodio con l'uomo misterioso. Era meglio che Michael stesse lontano dalla nursery e dalla stanza di Odyle dove, sicuramente, stavano ancora discutendo. La serratura scattò con facilità ed Emma aprì la porta, consentendo a Ernestine e Agnese di entrare. «Mamma, Miss Odyle è di là? Sento delle voci...» Commento' Ernestine prendendo gli scarponcini. «Forse si, cara, ma non dobbiamo disturbarla. Venite, su...» Emma accosto' la porta e accompagnò le figlie fino all'ingresso. Odyle abbassò lo sguardo sulle monete che lui le aveva gettato ai piedi e si sentì assalire dalla rabbia. «Non voglio i tuoi soldi. Non ho mai voluto niente da te.» Se non il tuo amore, si limitò a pensare mentre sentiva una fitta di dolore nel cuore. «Ah... già, dimenticavo... Tu sei una donna libera! Libera di vivere come vuoi, di andare dove vuoi, di fare l'amore come e con chi vuoi!» ringhio' lui passando una mano tra i capelli. «Ora non essere volgare!» esclamò lei di rimando. «Io sarei volgare? Odyle... sono io ad aver detto che una cosa intima come il sesso non ha alcun valore e che la verginità può essere spesa senza un briciolo di sentimento, solo per assecondare le proprie bramosie?» le gridò. «Sono io che me ne sono sbarazzato con il primo che mi capitava pur di rendermi indesiderabile agli occhi di Victor Rouel?» Il volto di Tristan era trasfigurato in una maschera di rabbia e sofferenza. «Non intendevo dire ciò che ho detto... » cercò di difendersi senza troppa convinzione Odyle, con un filo di voce. «Forse... ma intanto ieri notte hai detto che le persone come te non prestano molta attenzione al modo in cui avvengono i loro incontri... particolari!» Tristan era fuori di sé e i capelli si ribellavano alla loro abituale piega tendendosi verso l'esterno come serpenti. «Tristan... cerca di ragionare... io e te siamo molto diversi...» continuo' Odyle in tono sommesso. «Perché? Sentiamo! Perché io sono ricco e tu no? Perché c'è Victor Rouel che ti aspetta in salotto?» «Non mi importa che tu abbia una linea genealogica che riempie cinque volumi di un'enciclopedia, Tristan!» Odyle cercò di prendere fiato, ma il cuore le pulsava nelle orecchie. «Io...» Una parte di lei avrebbe voluto correre ad abbracciarlo, stringerlo a sé e dirgli che avrebbe fatto tutto ciò che voleva pur di stargli accanto. L'avrebbe supplicato di perdonarla e di rinnovare la sua proposta di matrimonio. Ma Odyle Latuvielle non avrebbe mai potuto farlo. Non poteva rinunciare ai suoi sogni per diventare una donna sposata. Tristan, come qualsiasi altro uomo, avrebbe preteso decoro, dignità, una famiglia e dei figli. E tutto quello che lei desiderava era fare la scultrice. «Non posso rinunciare a tutto per te. Io... non voglio avere figli e non voglio essere una moglie» gli spiegò. Vide gli occhi del suo amato riempirsi di infelicità, ma si sentì in dovere di tigliergli ogni speranza. Solo così, prima o poi, Tristan avrebbe potuto dimenticarla. «Né Victor... né te, Tristan. Io non voglio nessuno. Se ti ho lasciato intendere il contrario me ne dispiace molto.» Prese fiato e racimolo' tutto il coraggio che le rimaneva. «Spero che la cosa non ti scandalizzi troppo, ma... anche una donna ha dei desideri... Anche una donna può essere preda degli stimoli della carne. A me è successo e non voglio negare di provare una forte attrazione nei tuoi confronti. Ma non c'è nulla di più. Non potrei mai amare niente e nessuno più della mia arte. Mi dispiace.» Spostò lo sguardo verso la finestra, trovando troppo difficile continuare a guardarlo negli occhi. Tristan non capì che stava mentendo; quelle parole lo avevano ferito troppo profondamente e si sentiva più che mai usato e mortificato. «Se le cose stanno così, non posso che augurarti buona fortuna» mormorò a denti stretti. «Spero di ricevere un invito quando esporrai le tue preziose opere.» Odyle si era voltata verso la finestra, così che Tristan non poté vedere le lacrime silenziose che le rigavano le guance. Fece un passo verso di lei e la sua mano non seppe resistere alla tentazione di accarezzare uno dei suoi riccioli scuri che le ricadevano sulla schiena. Odyle trattenne il respiro e chiuse gli occhi. Quando finalmente decise di voltarsi, lui se ne era andato. Non doveva ascoltare altro. Bernard scosto' l'orecchio dalla porta con un sorriso trionfante dipinto in faccia. Si era sbagliato, ma poco importava visto che aveva scoperto il vero oggetto d'amore del fratello. Ripenso' al corpo di Cecilia e a come lo aveva sistemato nello studio di Tristan. In fondo gli era dispiaciuto dover uccidere la fanciulla senza nemmeno divertirsi un po' con lei, ma il tempo a sua disposizione era poco: sapeva che presto la sua fuga sarebbe stata scoperta e doveva agire in fretta se voleva distruggere il suo carceriere. «Tutto quello che hai di più caro, fratellino...» mormorò tra i denti appoggiando la mano sulla maniglia. Aveva sentito la voce del fratello, sconvolto dall'ira, mentre scendeva le scale e si era subito avvicinato alla porta. Conosceva bene quelle stanze, visto che erano quelle assegnate a lui e a Tristan quando erano bambini. E sapendo che una porta interna metteva in comunicazione le due stanze, non aveva esitato a infilarsi nella camera attigua, che aveva trovato aperta. «Non mi accontentero' di niente di meno» mormorò, ripensando agli anni di prigionia che aveva trascorso nel sottotetto dopo che sua madre, certamente istigata da Tristan, aveva preso la decisione di cancellarlo dal mondo. «Sei troppo pericoloso!» gli aveva detto la madre con voce rotta dal pianto. «Non posso permetterti di continuare a fare del male alle persone.» Ma non aveva avuto il coraggio di farlo chiudere in un manicomio. L'onta sarebbe stata troppo grave per la nobile famiglia Brisbane di Blackborough, così fieri di sé. Bernard scosse il capo per scacciare quelle voci dalla testa. Sua madre era morta, ormai, e Tristan, il fratello minore, non aveva esitato a impadronirsi del titolo e dell'eredità. Tristan non aveva fatto niente per lui; si era limitato a tenerlo nascosto, preferendo occuparsi dei suoi libri e dei suoi strani marchingegni, finché non si era sposato. Una smorfia di dolore si dipinse sul volto di Bernard al ricordo del volto angelico di Lady Christina. Non appena l'aveva vista - stava passeggiando nel giardino di Blackborough cogliendo rose con le sue manine delicate - se ne era innamorato perdutamente. L'idea che a Tristan fosse capitata anche quella fortuna lo aveva indispettito al punto che aveva voluto Christina per sé, a ogni costo. Ma lei lo aveva guardato con orrore... Quando lui era entrato nella sua stanza, le belle labbra rosate si erano contratte in una smorfia di disgusto e terrore. Quale uomo avrebbe potuto sopportarlo? Ma il sangue aveva coperto quell'espressione atroce e la morte aveva ridato compostezza e perfezione a quel viso angelico. Tristan non la meritava, ne era sicuro, ora come allora. Sempre pieno di sé, sempre occupato con le sue scoperte, con le sue invenzioni, suo fratello non era riuscito a muovere un dito per salvare la moglie. Dunque meritava di averla persa. Un senso di deja-vu' lo pervase quando spinse la porta interna che collegava la nursery con la stanza adiacente. Margaret Manfred era piuttosto stanca e non sopportava più il trambusto di quella giornata, così decise di ritirarsi per un po' in camera sua, dove avrebbe potuto riposare e magari leggere un poco. Si premuro' di dare ordine a lacchè e cameriere affinché agli ospiti di Lord Brisbane non mancasse nulla e domandò che le portassero una tazza di tè nel suo appartamento, dopodiché entrò in camera sua massaggiandosi le tempie e ripensando allo spettacolo indecoroso cui le era toccato assistere. Quel Victor Rouel non era affatto un gentiluomo ed era assai stupita che Lord Tristan non l'avesse scacciato seduta stante, dopo che questi l'aveva aggredito alle spalle. D'altra parte, l'attuale Lord Brisbane era una persona buona e generosa, e se doveva imputargli un difetto, a parte la cieca fiducia nei progressi della modernità, era quello di essere troppo indulgente con gli altri. Tuttavia, era stata proprio la sua bontà a vincere la diffidenza che Lady Moran aveva nutrito nei suoi confronti e ad appianare i dissapori tra lui e il marito. La governante sospirò e decise di distendersi sul letto. Indubbiamente era stato il medesimo buon cuore a indurre Tristan a mantenere la promessa fatta alla madre in punto di morte e a tenere segreta l'esistenza del fratello, così da non gettare l'onta della follia sulla loro famiglia. Lei stessa, dopo l'uccisione di Lady Christina, non avrebbe esitato a farlo rinchiudere... o a ucciderlo con le proprie mani. Mrs. Manfred aprì e chiuse gli occhi un paio di volte per scacciare la stanchezza. Davanti a lei, il muro e la vetrinetta delle chiavi sparirono e ricomparvero allo stesso ritmo. Improvvisamente, si sentì percorrere da un lungo brivido e avvertì un'intensa sensazione di disagio. La sua mente aveva registrato che qualcosa era fuori posto, anche se non avrebbe saputo spiegare cos'era. Decisa a non dare credito a quella sensazione, probabilmente dovuta alla stanchezza, chiuse le palpebre di nuovo e sospirò lasciando vagare i pensieri. Si domando' cosa volesse Rouel da Miss Chagny e quale fosse la chiave di quel mistero... «La chiave!» Margaret Manfred balzo' in piedi a una velocità che non si addiceva a una donna della sua età e la vista le si annebbio' per qualche istante. A tentoni trovò la vetrinetta, quindi attese che la nebbia si dissolvesse dinanzi ai suoi occhi. La chiave dell'ala occidentale era scomparsa! Si portò una mano alla gola, soffocando un grido d'orrore. Esistevano due copie di quella chiave, e Lord Brisbane le aveva dato l'incarico di custodirne una con la stessa cura con cui avrebbe badato a un bambino. Certa che nessuno si sarebbe azzardato a prenderla dalla sua camera senza permesso - per fugare ogni dubbio, ogni altra chiave presente eccetto quella recava una targhetta - l'aveva lasciata nella vetrinetta. E ora era scomparsa. Si precipitò alla porta, chiedendosi che cosa avrebbe potuto fare. Se una delle chiavi era sparita, tutti gli occupanti di Blackborough erano potenzialmente in pericolo. Corse fino al salone e vi entrò trafelata, attirando su di sé gli sguardi esterrefatti di Lady Montgomery, ancora distesa sul divano, e degli altri ospiti. «È successo qualcosa, Mrs. Manfred?» le domandò il dottor Oswald avvicinandosi. Margaret Manfred abbassò lo sguardo. «Dottore... dovete aiutarmi...» mormorò guardando di sottecchi le altre persone. Lui la prese per un braccio e la accompagnò fuori dalla stanza. «Cos'è successo?» le chiese non appena furono nel corridoio, in tono più brusco. «Oh, dottore, io... siamo tutti in pericolo!» La governante si coprì il volto con le mani. «La chiave è sparita. Io... io non so come sia potuto accadere!» Il dottor Oswald non capì subito di quale chiave si trattasse. Non ricordava che anche Mrs. Manfred fosse in possesso di una copia della chiave che apriva il sottotetto. Poi fu la parola "pericolo" a farlo ragionare... «La chiave... dell'ala ovest?» le domandò in un sussurro. Tra i singhiozzi, Mrs. Manfred riuscì a dire di sì. «Santo cielo ma come...?» Si rese conto che interrogare la donna sarebbe stata una perdita di tempo. «Radunate tutti gli ospiti nell'ingresso... anzi, nel salotto. Cercate di non destare sospetti.» Era già corso su per la prima rampa di scale. «Fate in modo che anche la servitù rimanga unita. Nessuno - ascoltatemi bene - nessuno deve andarsene in giro da solo. Chiaro?» Dopo averla vista annuire, Oswald proseguì verso il primo piano. Per prima cosa doveva parlare con Tristan e avvertirlo di quanto era accaduto. Poi, insieme, sarebbero saliti da Bernard per controllare che fosse tutto a posto. Di primo acchito aveva pensato di andarci da solo, ma si era subito reso conto che sarebbe stato molto stupido da parte sua. Se in qualche modo Bernard era riuscito a mettere le mani sulla chiave, poteva essersi nascosto nel corridoio per tendere un agguato alla prima persona che gli fosse capitata a tiro. Aveva sentito Tristan discutere con Miss Odyle, quando era salito nella sua camera a prendere qualcosa da leggere, e si era reso conto che l'amico, nonostante tutti gli avvertimenti che gli aveva dato, aveva aperto il proprio cuore a quella ragazza e ora ne pagava le conseguenze. Senza bussare, spalanco' la porta della camera della giovane francese, ma la trovò vuota. I vestiti erano sparsi sul letto e tutto in giro per la stanza. Richiuse la porta, senza notare che una delle tende della portafinestra era in parte strappata. Salì al piano superiore con il cuore che gli martellava nelle tempie e gli occhiali che continuavano a scivolargli giù dal naso per via del sudore. «Tristan!» Il suo amico era davanti alla porta del laboratorio, come se stesse per entrarvi. Forse desiderava meditare un po' sull'accaduto, riflette'. «Paul? Cosa succede?» «Non c'è tempo per spiegare...» Oswald prese fiato. «Andiamo... andiamo di sopra! Da Bernard! La chiave...» «Ehi, calmati!» gli impose l'altro annuendo e iniziando a seguirlo. «Ti seguo, non ti preoccupare.» «La copia della chiave che hai dato a Mrs. Manfred è sparita, Tristan! Dobbiamo andare a controllare Bernard... che sia tutto a posto.» Lord Brisbane si fermò su uno scalino, pietrificato. «Sparita?» ripeté. Oswald lo tirò per la manica della giacca. «Andiamo!» Dopo qualche secondo, qualcosa nella mente di Tristan scattò e lo indusse a salire i gradini a due a due. Un solo pensiero gli attraversò la mente: se Bernard si fosse liberato, avrebbe potuto tentare di fare del male a qualcuno... La nausea gli monto' nello stomaco, ma cercò di calmarla respirando con la bocca. Raggiunsero in fretta il corridoio dell'ala occidentale, e non dovettero neppure percorrerlo tutto per avere la conferma di quanto temevano: la porta all'altro capo, quella che chiudeva la stanza segreta di suo fratello Bernard, era spalancata. «E adesso che cosa facciamo, Tristan?» Oswald era in preda al panico. Sapeva che Bernard era potenzialmente molto pericoloso, ma non aveva la minima idea di come avrebbe reagito trovandoselo di fronte in una posizione di svantaggio. Tristan invece ne aveva un'idea piuttosto precisa. Ricordava esattamente il giorno in cui entrato nella stanza di sua moglie Christina e aveva trovato lei che piangeva terrorizzata e chiedeva pietà, mentre Bernard la teneva per i capelli, minacciandola con il coltello. «Voglio prendermi ciò che hai di più caro» gli aveva detto suo fratello. «Una vita, per la mia vita... se necessario...» Tristan chiuse gli occhi. «Cosa potresti avere di più caro che la vita di tua moglie da offrirmi?» A quel punto, Bernard lo aveva guardato negli occhi e la sua spavalderia era vacillata un poco. «Forse non è la cosa più cara che hai? E va bene, fratellino... ti propongo un patto!» «Tristan!» La voce di Paul lo riportò alla realtà. «Dobbiamo fare qualcosa!» Tristan lo guardò sbalordito.

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Capitolo 57
*** 57 Capitolo ***


Un'immagine gli era come esplosa nella mente facendogli accelerare i battiti del cuore. Come allora, Bernard avrebbe cercato di portargli via la cosa cui teneva di più al mondo... Odyle! «Paul!» gridò Tristan d'un tratto voltandosi e correndo verso le scale. «Dove sono tutti gli ospiti?» «Erano giù nel salone. Ho detto a Mrs. Manfred di radunarli lì. Miss Odyle, però, non c'era...» Tristan impallidi'. «Forse è ancora in camera sua, a fare le valige» ipotizzò. «No, sono entrato lì per cercarti. La stanza era vuota» Replicò Paul. Tristan serro' la mascella mentre un terribile presentimento si impadroniva di lui. Doveva pensare. Arrivarono al pian terreno, dove lì attendevano il maggiordomo, i due lacchè più anziani e un paio di cameriere. «Ho mandato la cuoca e i camerieri personali dei vostri ospiti con Mrs. Manfred in giardino, signore» l'avviso' il maggiordomo. Tristan si limitò ad annuire. «Della servitù, dunque, non manca nessuno?» domandò. Il maggiordomo scosse il capo. «No, milord.» «Ascoltatemi bene, ho bisogno del vostro aiuto» disse rivolto ai lacchè. «Nancy e Mary si occuperanno degli ospiti in salone» spiegò. «Thomas e John, di voi, invece, ho bisogno al piano di sopra. Dobbiamo provocare un incendio.» «Che cosa?» Paul lo guardò con gli occhi fuori dalle orbite. «Sei ammattito? Vuoi bruciare Blackborough?» La sua voce risuono' alta e stridula nell'ingresso. Tristan lo afferrò per la giacca. «Sta' zitto, Paul! Vuoi che tutti si accorgano della gravità della situazione?» Il medico riprese il controllo e fece un passo indietro, sistemandosi la giacca mentre Tristan continuava: «Non ho intenzione di distruggere la casa, bensì di simulare un incendio così da avere una scusa per far allontanare tutti.» Oswald annuì. Iniziava a capire il piano dell'amico. «E poi, magari, con l'odore del fumo, Bernard verrà allo scoperto.» «Giusto. John, Thomas, andiamo!» Sotto lo sguardo attonito e preoccupato del dottor Oswald, Tristan e i due lacchè salirono al piano di sopra. «Occupatevi dei camini delle stanze degli ospiti. Spalancate le finestre e fate più fumo che potete!» ordinò loro Tristan lasciandoli sul ballatoio del primo piano. «Io, intanto, controllero' le altre camere. Mi raccomando, state sempre insieme!» I due annuirono e si allontanarono nel corridoio. Tristan si guardo' in giro, con circospezione, poi raggiunse la porta della sua stanza e vi accosto' l'orecchio. Probabilmente Bernard lo stava aspettando da qualche parte. L'odore del fumo non tardo' a raggiungere le narici degli ospiti, in salotto. «Michael!» esclamò Lady Emma avvicinandosi al marito. «Cos'è questo puzzo?» Lord Montgomery si alzò a fatica dalla sua poltrona e raggiunse la finestra, spalancandola. «Si sente anche fuori, e vedo del fumo» disse. «Forse il giardiniere sta bruciando delle foglie» commento' Lady Montgomery. «Dubito che lo farebbe così vicino alla casa, e poi non vedo nessun falò» ribatte' il vecchio senza ombra di sarcasmo. «Ma caro papà, come potete pretendere di vedere ancora bene, alla vostra età?» replicò Lady Montgomery. Lui scrollò le spalle. «Cara, non tutti, con l'età, acquisiscono la facoltà di vedere cose che non esistono, come molto spesso capita a te...» In quel momento Mary, la cameriera, entrò nel salone, trafelata. «Signori!» esclamò richiamando l'attenzione di tutti. «Vi prego di non agitarvi, ma abbiamo un piccolo incendio al piano superiore... I lacchè se ne stanno già occupando, tuttavia, per la vostra sicurezza, è meglio che usciate subito dalla casa.» «Cosa volete dire, Mademoiselle?» Victor Rouel le si paro' davanti. «Dov'è il padrone di casa?» «Ehm...» Mary abbassò lo sguardo e indugio' per un attimo. «Sta aiutando i lacchè al piano superiore!» spiegò. «Vi prego, abbiamo già dato ordine di preparare le carrozze. Sarete condotti alla locanda del villaggio, finché tutto non sarà sistemato.» «Direi che è la soluzione più saggia» intervenne il dottor Oswald. «Vi prego, signori, facciamo come dice Mary.» Lo sguardo di Victor non lasciò la giovane. Per una frazione di secondo aveva letto il dubbio nell'espressione della ragazza e ora era certo che ci fosse qualcosa che non andava e che stesse mentendo. Anche l'atteggiamento del dottor Oswald l'aveva insospettito. Non si era scomposto, anzi, sembrava quasi che fosse già al corrente della cosa. Rimaneva, indubbiamente, l'odore del fumo e Victor trovò del tutto irragionevole l'ipotesi che Lord Brisbane potesse inscenare quella farsa per averli tutti fuori casa. Per quale motivo, poi? «Un incendio!» gridò Lady Montgomery correndo verso la porta. «Presto! Dobbiamo andarcene da qui, dobbiamo uscire immediatamente! Moriremo soffocati come topi! Le fiamme ci bruceranno vivi!» «Mia cara, la porta d'ingresso è a pochi metri da qui» intervenne Lady Cartwridge, prendendo l'altra sotto braccio. «Suvvia, non ci accadrà nulla.» Il maggiordomo consegnò a tutti mantello e soprabito e si scuso' per l'inconveniente, spiegando che due carrozze li avrebbe accompagnati lontano dalla tenuta. Una volta all'esterno, tuttavia, Emma si rese conto che Odyle non era con loro. «Michael!» esclamò stringendo al petto le bambine. Il marito comprese all'istante. «Miss Chagny non è con noi!» gridò a Oswald. Il medico lanciò uno sguardo preoccupato verso la casa. «Me ne occuperò io!» gridò tornando indietro. «No!» Victor Rouel gli sbarro' la strada. «Andrò io a cercare Odyle.» «Conosco questa casa molto meglio di voi, Monsieur» Obietto' Paul Oswald afferrandolo per un braccio. «Non me ne importa niente! Lasciatemi subito!» fu la risposta di Rouel. Si fissarono negli occhi con aria di sfida, e Paul Oswald comprese che Victor non si sarebbe fermato davanti a nulla. Poi, un urlo acuto e stridulo richiamò la loro attenzione. «Cecilia!» Lady Montgomery, pallida come un fantasma, fissava la casa con gli occhi sgranati. «Cecilia è ancora lì dentro! Oh, mio Dio, Cecilia!» Lanciò un altro grido disperato, dopodiché si accascio' tra le braccia del padre, che per poco non cadde sotto il suo peso. Lord Moran corse ad aiutarlo. «Dottore!» Oswald non aveva scelta. Lasciò andare la manica di Victor Rouel e corse a soccorrere la gentildonna. Tristan si era finalmente deciso ad aprire la porta della propria stanza ed era entrato di corsa, sperando di cogliere Bernard di sorpresa. Il suo appartamento però era vuoto e tutto era in ordine, proprio come l'aveva lasciato. Se fosse successo qualcosa a Odyle non se lo sarebbe mai perdonato, pensò. Perché l'aveva lasciata sola? Perché non le aveva almeno detto di raggiungere gli altri? Aveva le mani fredde e sudate e sentiva una specie di morsa allo stomaco. Era terrorizzato. Guardò dappertutto, persino nell'armadio, ma Bernard non si era nascosto neppure lì. A una a una, aprì tutte le stanze degli ospiti e frugo' sotto i letti e nelle cassapanche. Fu inutile. La casa sembrava essere stata inghiottita dal silenzio. Possibile che suo fratello fosse scomparso nel nulla? La camera di Odyle era vuota. Tristan si soffermo' a guardare una fotografia che era finita in mezzo ai suoi vestiti, sul letto e che la raffigurava mentre volteggiava appesa a un trapezio. Aveva un sorriso felice; era libera. Come avrebbe potuto farle capire che desiderava soltanto il suo amore e che non l'avrebbe costretta a rinunciare a nulla di quello che voleva dalla vita? Forse era superfluo anche solo preoccuparsene in quel momento, si rimprovero'. Forse Bernard aveva già agito... No, non doveva pensarci. Non doveva accadere! Dove poteva essersi nascosto suo fratello? La pazzia lo logorava da anni. Lo incolpava della perdita del titolo di Conte di Blackborough e lo odiava... Ancora una volta, Tristan ripenso' con orrore al volto di Christina, alla sua espressione poco prima che il coltello di Bernard le affondasse nella gola.

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Capitolo 58
*** 58 Capitolo ***


Christina lo aveva guardato con immensa, lacerante tristezza, come se in quel momento avesse capito che suo marito non l'aveva mai amata abbastanza, che Tristan l'aveva sposata per accontentare la madre e che non l'avrebbe mai messa al primo posto nella sua vita. «Una vita per una vita, Tristan!» gli aveva gridato Bernard tre anni prima. «Lasciala andare, ti supplico!» gli aveva risposto lui. «Voglio che rinunci a ciò che hai di più caro, Tristan! E cosa potrebbe esserti più caro di tua moglie?» Lui aveva abbassato gli occhi e Bernard aveva capito. «Oh, ma forse mi sbaglio, forse non è la cosa a cui tieni di più, non è vero, fratello?» Christina lo aveva guardato, implorante. Tristan aveva fatto un passo avanti. «Dimmi che cosa vuoi, Bernard! Vuoi il titolo? Inventeremo qualcosa e ti riabilitero'» gli aveva assicurato, sapendo di mentire. «Vuoi dei soldi? Cosa diavolo vuoi?» «Troppo facile, mio caro... So bene che di queste cose ti importa molto poco... Voglio...» L'aveva fissato negli occhi, mentre con la lama del coltello accarezzava la gola di Christina. «Voglio che tu mi dia la tua parola di gentiluomo che rinuncerai per sempre alle tue ricerche, che non aprirai mai più un libro di scienza, che non parteciperai a un convegno e che il tuo nome non comparirà mai su nessun brevetto di qualsiasi tipo. In poche parole, voglio i tuoi sogni, Tristan! Come tu mi hai tolto i miei, io voglio toglierti i tuoi!» Tristan l'aveva fissato a bocca aperta, incredulo di fronte a quella proposta. Bernard non poteva parlare sul serio, si era detto. Lui non avrebbe mai potuto tener fede a quella promessa, non ne sarebbe stato in grado. Senza i suoi sogni, sarebbe stato un uomo morto. Capiva perfettamente come doveva essersi sentita Odyle pensando che, sposandola, lui le chiedesse di rinunciare a tutto ciò per cui aveva lavorato una vita intera. Tre anni prima aveva esitato un istante di troppo, prima di rispondere: «S... Si...» Bernard aveva strizzato un po' gli occhi, poi gli aveva sorriso malignamente. «Mi dispiace, Tristan. Non ti credo. Ci hai messo troppo tempo a rispondere...» Il coltello era affondato nella gola di Christina come in un panetto di burro. Tristan aveva visto il suo sguardo dolente farsi vitreo e inespressivo, mentre le labbra si irrigidivano in una smorfia di dolore e la forza abbandonava le sue membra, facendola scivolare a terra. Aveva urlato. Aveva imprecato contro il fratello e gli si era avventato addosso, incurante del coltello che Bernard teneva ancora tra le mani. Era riuscito a fargli cadere l'arma e lo aveva gettato a terra, montandogli addosso a cavalcioni con l'intenzione di strangolarlo. Ma non ce l'aveva fatta. Bernard era pur sempre suo fratello, e lui... aveva mentito. Christina era morta per causa sua. Christina... Odyle... Tristan corse verso la porta. Perché non ci aveva pensato prima? C'era un solo posto in cui Bernard avrebbe potuto nascondersi per aspettarlo. La camera di Christina. Il primo piano della villa era completamente avvolto dal fumo, tanto che non si riuscivano più a distinguere le finestre. Emma fissava la casa, preoccupata, e non rispondeva alle domande incessanti di Agnese su quanto stava succedendo. Cosa avrebbe potuto dirle, d'altra parte? Avevano fatto accomodare Lady Montgomery sul predellino di una carrozza, visto che rifiutava categoricamente di salire a bordo, dove l'anziana gentildonna sorseggiava del liquore da una fiaschetta. Tutti gli altri passeggiavano nervosi, lanciando furtive occhiate all'abitazione con l'orecchio teso a cogliere qualsiasi suono... Poi, all'improvviso, dalla porta uscì un uomo. Attraverso il fumo non riuscirono a distinguere subito chi era. Era piuttosto alto e sembrava tenere un fagotto pesante tra le braccia. Camminava a fatica e ogni tanto si fermava per sistemarlo meglio. Quando la figura sbuco' dalla coltre di caligine, tutti trattennero il fiato. Victor Rouel, pallido in volto, camminava verso di loro tenendo tra le braccia il corpo inerte di una fanciulla. «Cecilia!» Il francese si fermò e depose a terra la giovane mentre Lord Montgomery li raggiungeva in fretta. «Cecilia, piccola mia!» Nonostante l'età, riuscì a piegarsi sulle ginocchia per accarezzare il viso esangue della nipote. «Dottore!» chiamò implorante. Oswald era già corso verso di loro ed aveva afferrato il polso di Cecilia per controllare il battito. Impercettibilmente, scosse il capo. Lady Montgomery, che aveva trovato la forza di alzarsi dal predellino della carrozza, vacillo' e si mise a tremare, ma una volta tanto neppure un suono le uscì dalle labbra. Agnese si divincolo' dalle braccia della madre e corse da Richard, per abbracciarlo e tenerlo stretto a sé. «Aspettate!» gridò Oswald nel silenzio generale. «Sento il battito del cuore!» Un sospiro di sollievo si levo' da tutti i presenti. «Avanti, Cecilia! Coraggio! Sei una ragazza forte!» Oswald le diede un paio di schiaffetti sulle guance. Non riusciva a distinguere niente in mezzo al fumo che i lacchè avevano provocato. Sia Thomas che John avevano tenuto ben chiuse le camere che avevano scelto per provocare quel falso incendio, ma il fumo era filtrato da sotto le porte e aveva invaso il corridoio. Gli pizzicava negli occhi e nella gola, tuttavia Tristan ignoro' il bruciore e si diresse verso la stanza che fino a tre anni prima era stata di Christina. Si fermò sulla soglia e cercò di cogliere un qualsiasi rumore potesse provenire dall'interno. Niente. Forse si era sbagliato, forse Odyle se ne era già andata di casa... E forse anche Bernard era scappato e non l'avrebbe rivisto mai più. Per una frazione di secondo si sentì sollevato al pensiero: non avrebbe più avuto segreti da nascondere e avrebbe potuto continuare la sua vita. No, non era possibile, si disse subito dopo. Odyle non se ne sarebbe mai andata senza prendere nulla con sé, e quanto a Bernard... Tristan sapeva che non l'avrebbe mai lasciato se prima non avesse ottenuto vendetta. Si fece coraggio, cercando di non pensare allo spettacolo che avrebbe potuto presentarglisi dinanzi agli occhi una volta che avesse aperto la porta, ma la mente continuava a riproporgli il ricordo di Christina e di quel tragico pomeriggio. Solo che al volto della moglie defunta, si rese conto Tristan mentre un rivolo di sudore freddo gli scendeva lungo la schiena, si era sostituito quello di Odyle. Si appoggiò alla maniglia, esitando ancora un istante. Cosa avrebbe fatto se lei fosse morta? Come avrebbe reagito di fronte alla sua gola squarciata? Si rifiutò di dare una risposta a quegli interrogativi ripetendosi con fermezza che Odyle non era morta, non poteva essere morta. Ruoto' il pomello e la porta si aprì senza opporre resistenza. La stanza era rimasta esattamente come Christina l'aveva lasciata, per una forma di rispetto. Tristan sapeva che sotto il cuscino c'era ancora la sua camicia da notte, che sulla mensola della toletta c'erano il suo profumo e i suoi cosmetici, che nell'armadio erano ancora appesi i suoi vestiti. Si era sentito così in colpa per quanto era successo, per quello che aveva fatto, che si era imposto quella specie di rispettosa commemorazione. Ma la stanza, come aveva immaginato, non era vuota. Odyle lo guardava con gli occhi sbarrati per la paura. Era distesa sul letto, con le mani legate dietro la schiena. Era visibilmente pallida e i lunghi capelli neri facevano risaltare ancora di più la sua carnagione chiara perché le ricadevano sciolti lungo il corpo. «Odyle!» grido' facendo un passo verso di lei. Lei scosse il capo, ma Tristan non fece in tempo a reagire. Qualcuno o qualcosa si avvento' su di lui facendolo cadere a terra. Fu Lady Cartwridge ad avere l'idea dei sali. Ricordo' di averne ancora con sé una boccetta e frugo' nella borsa per trovarli, quindi raggiunse Oswald, Montgomery e la povera Cecilia e aprì il flacone passandolo sotto il naso della ragazza. L'odore acre fece arricciare il naso della giovane che poi, pochi istanti dopo, mentre tutti gli altri la guardavano con il fiato sospeso, mosse le palpebre iniziando a riprendere conoscenza. Una volta aperti gli occhi, la fanciulla iniziò ad annaspare e tossire come se ancora i suoi polmoni non riuscissero a incamerare l'aria. «Brava, figliola, va bene così, tossisci!» la esorto' Lady Cartwridge rialzandosi.«Chissà quanto fumo hai respirato!» Cecilia la guardò con espressione stralunata, ma ancora non riusciva a parlare. I suoi occhi erano fissi sul volto di Paul Oswald che, per la prima volta da quando lo conosceva, le stava sorridendo. «Ma quale fumo!» dichiarò Victor Rouel. «C'è qualcosa che non va in questo incendio! La ragazza era in una specie di studio, al terzo piano, dove di fumo non c'era nemmeno un vago sentore.» Puntò l'indice verso Cecilia. «Non vedete i segni che ha intorno al collo? Non sono certo state le esalazioni a farla svenire, bensì qualcuno che ha cercato di... come si dice? Di strangolarla!» Oswald alzò lo sguardo verso di lui e gli impose di tacere. «Ci racconterà tutto non appena sarà in grado di parlare, non è vero, Cecilia?» Le diede un buffetto sulla guancia, dopodiché la sollevò da terra. Cecilia sentì le lacrime pungerle gli occhi mentre un nodo le si formava nella gola, che le doleva per via dell'ematoma. «Ri... Richard» riuscì a sussurrare con fatica. Il bambino trovò il coraggio di sollevare la testa dalla spalla di Agnese e smise di piangere. Cecilia fu sistemata all'interno di una delle carrozze, avvolta in una coperta. Nella penombra, riuscì a sorridere debolmente al fratellino e a sollevare un poco una mano, per chiamarlo vicino a sé. Richard si arrampico' nell'abitacolo e si strinse alla sorella, singhiozzando per il sollievo. «Sarebbe bene che qualcuno la accompagnasse al villaggio» suggerì Michael Moran. «Dottor Oswald, forse vi troverete lo studio di qualche collega dove farla riposare e visitare.» Aveva capito che il medico non avrebbe voluto allontanarsi da Blackborough, ma non vedeva altra soluzione. «Prendete con voi anche gli altri, rimarremo io e il signor Rouel a dare una mano, qui.» Per una volta, Victor si trovò d'accordo. Annuì e aiutò Lady Montgomery a prendere posto sulla carrozza della nipote, poi chiuse il portello. Prima che il convoglio partisse, Cecilia alzò lo sguardo verso di lui. «Grazie...» mormorò. Quando riprese i sensi, Tristan avvertì un forte dolore alla testa. La stanza gli sembrava molto più buia di prima e anche l'odore non era lo stesso. Poi, all'improvviso, una luce abbagliante lo indusse a serrare gli occhi. D'istinto cercò di coprirli con una mano, ma si accorse subito che non poteva farlo: suo fratello lo aveva legato. «B... Bernard!» biascico' sputando un rivolo di sangue. «Maledetto!» Riapri' lentamente le palpebre, cercando di abituarsi alla luce. «Alla buon'ora!» esclamò Bernard. «Sei proprio un dormiglione, fratello... caro mio Conte di Blackborough!» Si sentì afferrare per la giacca e strattonare verso il muro. «Se tu dormi, io non mi diverto, quindi vedi di stare sveglio, capito?» Fu allora che Tristan la vide. Odyle, con indosso una delle camicie da notte di Christina, i capelli ancora sciolti sulle spalle, era in piedi davanti al telescopio, al centro del suo laboratorio. «Non farle del male...» Tristan sentì la propria voce mormorare quelle parole senza senso. «Ti prego, lei non c'entra nulla con quello che è successo tra me e te.» Sapeva che a Bernard non sarebbe importato. Nella sua pazzia, vedeva Odyle solo come un possibile punto debole del fratello. «Mi hai rubato tutto quello che aveva...» esclamò Bernard, declamando quelle parole come un attore drammatico. «E ora esigo di essere ripagato!» Si fermò e si voltò verso Odyle, guardandola perplesso. «Questa bella signorina lo sa chi sono?» domandò. Odyle scosse piano la testa. «Vi ho intravisto... una notte, credo...» Scosse il capo. «Pensavo foste Tristan...» «Tristan?» l'uomo la guardò perplesso. «Ci assomigliamo così tanto?» Odyle non si mosse. Non disse niente. Bernard non se la prese, anzi, scoppiò a ridere. «Chissà che rabbia deve farti questa somiglianza, fratello mio! Chissà cosa dovevi provare guardandoti allo specchio intravedendo il volto dell'uomo che ha ucciso tua moglie!» Odyle trasali'. Vedeva confermati i suoi sospetti, ciò nondimeno ancora non riusciva a capire. «Il vostro caro, integerrimo, Tristan, qui, voleva tanto bene a suo fratello che non ha esitato a portargli via il titolo e ricchezze e a rinchiuderlo in quella squallida soffitta!» Dichiarò Bernard senza lasciare gli occhi di Tristan neppure un attimo. «Perché non vuoi capire che non è andata così?» esclamò Tristan, esasperato. «Tu non eri in grado di ereditare, Bernard! Sei malato! E nostra madre lo sapeva. È stata lei a decidere... io non ne ho saputo niente per molto tempo! Avevo solo sedici anni quando mi dissero che eri morto» spiegò. «Il giorno dal mio diciottesimo compleanno. Cadendo da un albero e rompendomi l'osso del collo! Ah!» esclamò Bernard con sarcasmo. «E tu ci hai creduto! Non ti sei mai fatto delle domande?» «Andavo a scuola, non ero mai a Blackborough e tu... Tu ti sei sempre comportato in modo strano. Anche da bambino avevi il potere di farmi ghiacciare il sangue nelle vene. E poi c'è stata la giovane Penny...» «Penny...» ripeté l'altro, assente. «Te la ricordi, Penny, Bernard?» Tristan fece un cauto passo verso il fratello. «Sta' fermo dove sei!» lo ammoni' quest'ultimo. «Certo che me la ricordo Penny. È stato così... bello!» «È morta, Bernard! Come puoi considerare bello ciò che le hai fatto? L'hai torturata fino a ucciderla, come facevi con gli animali!» «Era solo una stupida cameriera!» si scuso' Bernard. «Era un essere umano!» gridò Tristan. «Tu sei pazzo, Bernard! È stata la storia di Penny a far decidere a nostra madre che sarebbe stato meglio che tu scomparissi.» Si voltò verso Odyle. «Purtroppo, mia madre considerò troppo vergognoso mandare Bernard in un istituto e preferì nascondere questo segreto di famiglia nella soffitta di Blackborough.» «Nell'ala occidentale...» mormorò lei. «Ma... perché?» si azzardo' a chiedere mentre le sue mani dietro la schiena lottavano contro le corde che Bernard aveva usato per legarla. Riusciva a sentire il freddo metallo del telescopio, ma il laccio era troppo stretto e quasi le fermava il sangue. «Perché non ho fatto rinchiudere Bernard quando ho ereditato il titolo di Conte?» Tristan scosse il capo. «Ne sarebbe nato uno scandalo e il nome della mia famiglia sarebbe stato distrutto. E poi... mia madre mi aveva fatto giurare sul suo letto di morte che avrei mantenuto il segreto. Cosa potevo fare, Odyle?» Odyle si rendeva conto del fardello che Tristan aveva dovuto portare sulle spalle per tutti questi anni.

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Capitolo 59
*** 59 Capitolo ***


Forse anche lui avrebbe desiderato essere libero, forse anche Tristan avrebbe voluto scappare come aveva fatto lei, ma la gravità della sua situazione e l'eredità del suo titolo gli erano stati legati come macigni intorno al collo. Il cuore le si riempì d'amore guardandolo: davanti a lei, a pochi passi, c'era l'unico uomo che sarebbe mai stata in grado di amare, incredibilmente vicino e intollerabilmente irraggiungibile. In quell'istante, Odyle si rese conto che, qualunque cosa fosse successa, il corso della sua vita sarebbe cambiato. Mai come in quel momento la realtà intorno le era sembrata tanto vivida. La stanza gelida, illuminata fiocamente dalla tarda bruma del pomeriggio che filtrava attraverso i vetri appannati delle finestre; il rumore che le scarpe di Bernard facevano sulle assi di legno; il fruscio dei rami spogli dell'albero lì vicino. Mai come in quel momento si era sentita tanto attaccata alla vita... e a Tristan. Come aveva potuto pensare di poter vivere senza di lui? Come aveva potuto contemplare l'idea di tornare a scolpire senza averlo vicino? Tutto, senza la sua presenza, le sarebbe parso vuoto, freddo e senza vita, tanto da toglierle la forza che la obbligava a prendere in mano lo scalpello. Lui era la fonte stessa della sua ispirazione. In quell'istante, Odyle si rese conto che il blocco che le aveva impedito di terminare la sua scultura degli amanti, di forgiarla esattamente come desiderava, era dovuto al fatto che fino ad allora lei non aveva mai amato davvero. Era impossibile concepire amore e passione se non li si aveva sperimentati, ma in quella stanza, di fronte all'eventualità della morte o della perdita, Odyle conobbe le profondità oscure e tortuose di quel sentimento: non si trattava soltanto di gioia o di passione, ma anche di coraggio, di compromesso, talvolta di rinuncia, di forza, di malinconia e anche del terrore della perdita. «Vostro fratello non poteva cambiare ciò che qualcun altro vi aveva fatto, signore. È ingiusto che diate la colpa a lui» disse rivolta a Bernard. Tristan scosse il capo. «Non ha importanza, Odyle... Non cercare di farlo ragionare... Non ne è capace...» «Non trattarmi come un bambino!» gridò Bernard avvicinando il coltello all'occhio di Odyle. «Sono tuo fratello maggiore. Fingi almeno di portarmi rispetto quando ti parlo... In fondo, potrebbe essere l'ultima volta...» Sorrise quasi candidamente, ma poi abbassò l'arma sulla gola di Odyle. «No!» «No!» Michael fermò Monsieur Rouel afferrandolo per un braccio. «È pericoloso! Non sappiamo dove siano e alcune parti della casa potrebbero crollare da un momento all'altro.» Victor Rouel si voltò verso di lui lanciandogli un'occhiata colma di disgusto. «Siete davvero uno sciocco, Moran!» esclamò. «Avete visto delle fiamme? Non so perché... ma Brisbane ci sta ingannando!» Gli indicò una delle finestre. «Questo non è un incendio vero, è solo un po' di fumo!» «Ma...» Anche Michael sollevò gli occhi verso le finestre che l'altro gli indicava. «Non trovate strano che molti dei domestici siano rimasti in casa?» ringhio' Rouel strattonando Moran per liberarsi dalla stretta. «Ma perché avrebbe dovuto fare una cosa del genere? Siamo suoi ospiti, e se non ci avesse voluti non ci avrebbe invitati... oppure poteva inventare una scusa e dirci di fare le valige domani.» Era seccato dal tono di Rouel e trovava oltremodo disdicevole che un uomo di levatura sociale inferiore alla sua, un francese per giunta, si rivolgesse a lui con quei modi. «Vi ho già detto che non lo so!» gli urlò l'altro in risposta, incamminandosi a grandi passi verso l'ingresso della casa. «Ma ho tutta l'intenzione di scoprirlo!» Detto questo, aprì la porta principale - dalla quale uscì l'ennesima nuvola di fumo - ed entrò. «No? Mi stai dando degli ordini, Tristan?» Bernard lo guardò, furente. «Posso riconoscere che tu, da stupido babbeo quale sei, non abbia saputo fare altro che seguire quelli che erano gli sciocchi dettami di una vecchia maligna come nostra madre...» «Bada a come parli!» gli intimo' Tristan, offeso. «Ehi, sono pazzo non ricordi?» Bernard fece roteare gli occhi e spalanco' la bocca in una smorfia. «Matto... completamente! E dal momento che pare sia io ad avere il coltello dalla parte del manico» sogghigno', «Immagino di poter dire quello che voglio!» Si strinse contro Odyle. «Dunque, torniamo a noi!» «Ti prego...» Avrebbe dato tutto ciò che aveva per uscire da quella situazione. «Ti prego... gna... gna... gna...» Bernard gli fece il verso mimando la sua disperazione. «Risparmiami le tue suppliche e parliamo di affari!» Non c'erano fiamme, di questo Victor era certo. Ma non vedeva nulla perché il primo piano della casa sembrava immerso nel fumo. Tossi' un paio di volte cercando di espellere l'aria acre dai polmoni e si stropiccio' gli occhi tentando di scorgere qualcosa. Non c'era traccia dei domestici né di Brisbane e tutto sembrava tranquillo. Riuscì a salire le scale e a raggiungere il primo piano. Lì c'era ancora più fumo che a pianterreno e il corridoio sembrava scomparso nella nebbia. A tentoni, Victor fece scorrere la mano sul battente di legno di una porta, fino a trovare la maniglia. Non appena la aprì, fu investito da una nuova ondata di fumo, denso e caldo. Brancolo' nella stanza da letto e lì finalmente, trovò le fiamme: nel camino. La canna fumaria era stata otturata e il fuoco era stato acceso mettendo a bruciare delle foglie ancora umide. La finestra era stata spalancata per creare l'effetto del fumo che usciva dalla casa. Sospetto' che in tutte le stanze del primo piano la scena fosse analoga, ma perché Brisbane si era dato tanta pena per inscenare quel falso incendio? E c'era anche la questione di Cecilia Montgomery e degli strani segni che le aveva visto sulla gola. Se a Odyle fosse successo qualcosa del genere non se lo sarebbe mai perdonato. «Non te lo sei mai perdonato, eh?» Bernard lo guardò sogghignando. «Intendo, quello che è successo con Christina...» Era vero, Tristan si era chiuso al mondo dopo quello che era successo. Forse Bernard l'avrebbe uccisa comunque, giusto per fargli un dispetto, ma lui non era stato in grado di mettersi in gioco. Sentì la testa che gli girava e gli parve che la scena dinanzi ai suoi occhi si confondesse con quella del passato. «Tristan!» Odyle richiamò la sua attenzione mentre Bernard premeva un po' di più il coltello contro la sua gola. «Bernard! Fermati!» gli ordinò suo fratello. «Ti prego, dimmi cosa vuoi per lasciarla andare.» Bernard socchiuse gli occhi e inspiro' profondamente, come se stesse ascoltando una qualche lontana e piacevole sinfonia. «Voglio... Voglio... che rinunci a tutto quello per cui hai lavorato. Alla tua vita come ricercatore, ai tuoi esperimenti, a tutte le scoperte che hai fatto sinora...» Aprì gli occhi e fissò Tristan con risolutezza. «Dammi la tua parola Tristan. Giurami che non ci sarà mai, nei secoli a venire, il tuo nome su un qualsiasi maledetto brevetto o invenzioni, né che comparirà neppure lontanamente su alcun testo se non quelli araldici che riguardano la nostra famiglia.» «No!» gridò Odyle guardandolo in volto. Sapeva cosa Bernard stava cercando di fare, comprendeva perfettamente la richiesta che aveva fatto a Tristan e sapeva quanto sarebbe stato difficile scegliere. E non voleva che lui accettasse quella proposta. Lei stessa aveva lottato tutta la vita per portare avanti il proprio lavoro, per realizzare i suoi sogni e far sì che il proprio nome rimanesse nella storia. Ora Bernard voleva condannare Tristan all'oblio e togliergli ogni speranza di gioia dalla vita. «Non puoi farlo, Tristan!» gridò. «Hai lavorato tanto. Hai fatto così tanti progressi! Non è giusto!» Si rivolse a Bernard. «Chiedetegli qualcos'altro, Bernard, chiedetegli il titolo... Blackborough, qualcos'altro!» «No!» rispose Tristan facendo un passo avanti. Al secondo piano il fumo non si era ancora diffuso, ma non aveva trovato assolutamente nulla. Anche i domestici sembravano essere svaniti. Victor si era preso la testa tra le mani chiedendosi cosa fare, quando a un tratto aveva sentito delle voci. Si era sporto verso la tromba delle scale e si era guardato in giro. Sembravano provenire dal piano superiore. Facendo i gradini a tre a tre, grazie alle sue gambe lunghe e al fisico atletico, aveva raggiunto il mezzanino del terzo piano ed era corso nella direzione da cui gli sembrava che provenissero le voci. Accosto' l'orecchio all'anta doppia di una porta. Senza ombra di dubbio, quella che sentiva era la voce di Odyle. «Non puoi farlo, Tristan! Hai lavorato tanto. Hai fatto così tanti progressi! Non è giusto! Chiedetegli qualcos'altro, Bernard, chiedetegli il titolo... Blackborough, qualcos'altro!» Poi la voce di Lord Brisbane. «No!» Rouel socchiuse la porta. «Che c'è, Tristan? Vuoi aggiungere qualcosa?» A parlare, quella volta, era stato un uomo dall'aspetto emaciato, vestito con abiti logori e fuori moda, incredibilmente somigliante a Tristan Brisbane. Ma la cosa che colpì maggiormente Victor Rouel era che l'uomo teneva un coltello premuto contro la gola di Odyle. D'istinto, si portò la mano alla giacca, sentendosi un poco sollevato nel sentire il calcio della rivoltella che portava sempre con sé. Per il momento, decise, sarebbe stato meglio non tradire la propria presenza e cogliere di sorpresa quel pazzo, ma avrebbe dovuto tenersi pronto ad agire se ce ne fosse stato bisogno. Udì ancora la voce di Brisbane. «Bernard... ti prego, lasciala...» Il suo tono lasciava intuire un forte turbamento e le sue parole sembravano umide di lacrime. Tristan fece un passo avanti, poi, dopo un attimo di esitazione, si inginocchio'. Anche Odyle singhiozzo' e l'uomo accanto a lei, che ancora le teneva il coltello alla gola, si voltò a guardarla con espressione incredula. «Non potete chiedergli questo...» riuscì a dire tra le lacrime lei. «Io... Oh, Tristan, perdonami!» gli gridò. «Sono stata così stupida, così egoista!» L'uomo staccò un poco il coltello dalla sua gola. «Non importa, Odyle...»mormorò Lord Brisbane. Quindi alzò la testa. «Ascoltami bene, Bernard!» L'altro si voltò verso di lui. Era pallido, sconvolto, come se qualcosa l'avesse turbato profondamente, come se le cose non stessero andando come aveva previsto. «Farò come dici tu, Bernard.» Tristan guardò il fratello negli occhi. «Ti do la mia parola di gentiluomo che da questo momento in avanti rinuncero' a tutte le mie ricerche, a tutte le mie scoperte...» Odyle pianse più forte. «Non puoi!» «Posso, Odyle!» la interruppe Tristan. «Ma lo capisci o no che non potrei mai vivere senza di te? Che tu mi voglia oppure no non ha importanza! Non potrei vivere in un mondo dove tu non ci fossi, sapendo che tu non ci sei... Ti amo sopra ogni altra cosa, Odyle. Sei l'aria che respiro, sei la terra su cui cammino... sei la mia vita stessa.» La mano di Victor si chiuse intorno al calcio della pistola. Bernard, invece, rimase immobile a fissare il fratello. La presa intorno alle spalle di Odyle si allento' pian piano e lui fece un passo indietro. «Io... io... non so più...» Odyle teneva il capo chino e piangeva sommessamente. Tristan aveva rinunciato alla sua vita per lei, senza neppure sapere quanto fosse profondo il sentimento che provava per lui. Sentì che le corde intorno ai suoi polsi venivano sciolte. Ancora stordita per quanto era successo, si voltò verso il fratello di Tristan, così incredibilmente somigliante a lui eppure tanto diverso. Ecco, quello era il terribile segreto che Lord Tristan Brisbane aveva dovuto portare sulle spalle per così tanti anni: un fratello pazzo, un titolo che non gli apparteneva di diritto, contro la vita che, invece, avrebbe tanto voluto vivere. Ed ora vi aveva rinunciato per sempre! «Tristan!» gridò il suo nome e corse a inginocchiarsi accanto a lui. Un attimo dopo, lui la strinse a sé. «Oh, mio amore! Mia cara, dolce, piccola Odyle!» le sussurro' all'orecchio. In Tristan albergavano ancora sentimenti contrastanti. Era riuscito a convincere Bernard, e Odyle era salva, ma ancora si stupiva delle fermezze delle proprie parole. Non aveva avuto un attimo di esitazione e aveva gettato al vento una vita di studi... Non poteva rimproverarsi né rammaricarsi per averlo fatto. Lui la amava e non aveva detto una sola parola che non sentisse con ogni fibra del proprio corpo. Odyle gli prese il viso tra le mani, accarezzandogli la fronte, baciandogli gli occhi, il naso, le guance. «Potrai mai perdonarmi?» gli domandò. «Sono stata così egoista, così cieca anche di fronte ai miei desideri!» «Significa che mi ami?» le domandò lui, quasi con stupore. Odyle rise tra le lacrime. «Sciocco! Certo che ti amo! Ti amo... penso dal primo momento in cui ti ho visto e forse anche da prima... perché eri tu il compagno che cercavo da sempre!» Victor non poté tollerare di sentire altro. Bernard osservava la scena con sguardo assente, come se stesse rimuginando su quella che doveva essere la sua prossima mossa. «Fermi!» urlò Rouel entrando nella stanza e puntando la pistola verso Bernard. «Chi siete? Gettate subito quel coltello!» Odyle si portò una mano alla bocca. «Victor! No...» «Cos'è questa storia, Odyle? Non ero un partito abbastanza buono per te?» incalzo' Victor avvicinandosi a lei e a Tristan di qualche passo. «Volevi anche un titolo nobiliare?» «Monsieur Rouel, vi prego, abbassate la pistola» gli disse Tristan tornando ad alzarsi ed aiutando Odyle a fare altrettanto. «Sembra che non sappiate fare altro che pregare, Lord Brisbane, non è un po' strano per un uomo del vostro rango?» gli domandò il francese, acido. «Sta' zitto, Victor!» gli impose Odyle. «Avresti già dovuto andartene. Perché ora non cogli l'occasione?» «Immagino che sia lui, non è così? È lui l'uomo a cui ti sei concessa, non è vero? Ti piace prendermi in giro, giusto? Ti piace vedermi soffrire...» «Non mi è mai piaciuto veder soffrire nessuno, Victor, non sono come te!» gli gridò Odyle in risposta. Victor allora puntò la pistola contro di lei. «Ricordi cosa ti ho detto quando ti ho fatto rinchiudere in quel manicomio? Che solo io avrei potuto salvarti. Eri e sei mia, Odyle, una mia proprietà, e posso disporre di te come voglio!» Improvvisamente, Bernard parve riscuotersi dal proprio torpore. «Voi... eravate... rinchiusa...» mormorò piano. «Non sono mai stata una tua proprietà, Victor! Le persone non si comprano» ribatte' Odyle. Tristan era rimasto in silenzio fino a quel momento, ma a quel punto si paro' davanti a Odyle. «Come fate a essere così egoista, Rouel?» sibilo'. «Come avete potuto essere tanto malvagio e privo di scrupoli? Voi non siete un essere umano!» Victor armo' la pistola e la puntò contro il petto di Tristan. «Voi non potete giudicare...» Lo sparo riempì la stanza del suo boato assordante. Dalla pistola di Rouel scaturì una fiammata e una scia di fumo seguì il proiettile che sfreccio' nell'aria. Solo un istante prima, anche il coltello era stato scagliato, viaggiando a una velocità che lo rese quasi invisibile. Aveva roteato su se stesso un paio di volte prima di colpire Rouel alla spalla, modificando, seppur di poco, la traiettoria della pallottola. Bernard cadde a terra portandosi una mano alla gola. Il proiettile che tanto abilmente era riuscito a deviare dal petto del fratello, lo aveva raggiunto trapassandogli la carotide da parte a parte. «Bernard!» Tristan corse accanto a suo fratello, già immerso in una pozza di sangue. Colpito dal coltello, Rouel aveva lasciato cadere la pistola e si reggeva il braccio dolorante e insanguinato. «Io non mi muoverei, se fossi in te!» gli ordinò Odyle, che aveva raccolto l'arma e gliela teneva puntata contro. Rouel rise. «Non essere ridicola, non sai neanche come si usa!» Odyle abbozzo' un sorriso sarcastico. «Non cercherei di scoprirlo, se fossi in te!» gli rispose lei armando il cane. «Bernard... Bernard... riesci a sentirmi?» Nonostante tutto quello che gli aveva fatto, Tristan si rese conto che non riusciva a odiare quel suo fratello sfortunato. La bocca coperta di sangue di Bernard si contorse in una parvenza di sorriso. «Siamo entrambi...» cercò di dire, «Entrambi... destinati a un ingiusto... e prematuro... oblio...»

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Capitolo 60
*** 60 Capitolo ***


EPILOGO Parigi, estate 1897 Il salone era completamente immerso nel buio, le grandi finestre erano state oscurate con pesanti teli neri affinché neppure il minimo raggio di luce riuscisse a entrare. Gli ospiti avevano raggiunto il centro della sala seguendo una corda rivestita di velluto e bisbigliavano sommessamente l'una all'altra la propria perplessità sul modo eccentrico in cui veniva gestito l'evento. Poi, all'improvviso, si udì una specie di detonazione che fece trasalire le signore. Una nuvola di fumo si alzò e si disperse nella stanza mentre una prima luce si accendeva illuminando il volto levigato e lucente di un angelo che lottava per liberare le proprie ali dal marmo in cui era imprigionato. «La lotta per la libertà» dichiarò una voce maschile e profonda che sembrava provenire da sopra le teste degli astanti. Il corpo dell'angelo era perfettamente scolpito, talmente liscio da sembrare vellutato, mentre le ali lo erano solo in parte, fuse con il blocco di marmo che ancora sembrava imprigionarle. Il volto dell'angelo non poteva definirsi né maschile né femminile, tuttavia i lineamenti, il labbro imbronciato, la fronte corrugata per lo sforzo erano realistici come quelli di un bambino sul punto di fare un capriccio. Mentre il pubblico estasiato si perdeva nella contemplazione dell'angelo, dimentico dell'oscurità da cui continuava a essere avvolto, si sentì un altro assordante scoppio. «La febbre che consuma la carne» tuonò la stessa voce di prima da un altro punto della stanza, mentre si accendeva un altro faretto che rivelava una figura semisdraiata su di una poltrona, languidamente abbandonata, con le braccia scoperte a rivelare un intrico di venature e lo sguardo perso, rivolto verso un punto imprecisato sul soffitto, in un angoscia febbricitante. Un "Oh!" Sorpreso e preoccupato si alzò dalla piccola folla. La statua questa volta non aveva niente di rassicurante, e sembrava mettere a nudo le paure interiori dell'essere umano. Il candore del marmo rendeva ancor più angosciante la vista dell'uomo, il cui corpo era talmente ben scolpito - come osservò qualche signora - che sembrava quasi respirasse. L'una dopo l'altra, altre sei sculture vennero illuminate dai fasci di luce: due bambine che lottavano sul pavimento cercando di strapparsi i capelli; il busto di una donna, presentato di profilo, con la testa abbandonata su una mano e gli occhi fissi sul libro che reggeva nell'altra; un uomo anziano che rideva con il capo rovesciato all'indietro e la bocca spalancata; una ragazza addormentata su un fianco; un gruppo composto da tre elementi femminili che raffigurava una bambina in grembo a una donna la quale, seduta sul pavimento, appoggiava il capo sulle ginocchia di una matrona più anziana; e infine un uomo e una donna che si davano le spalle, appoggiati l'uno all'altra, schiena contro schiena, con le mani intrecciate. Poi la voce annunciò: «Di tenebra e d'amore». Un fascio di luce più forte si accese in fondo alla sala, dove c'era ancora una parete completamente buia. Gli astanti trattennero il fiato contemplando le nudità dell'uomo e della donna, languidamente abbandonati sul pavimento. La figura maschile sovrastava quella femminile di qualche spanna e sembrava contemplare la propria compagna con lo sguardo offuscato dall'ardore della passione. Sotto di lui, la donna accennava a dischiudere le gambe con un silenzioso invito nel sorriso appena abbozzato. Qualcuna delle signore si coprì gli occhi mormorando che era uno scandalo, ma tutti gli altri rimasero in affascinata contemplazione di quella che poteva sembrare un'immagine rubata alla vita privata di un marito e di una moglie. Quando la stanza fu inondata dalla luce del giorno, dopo che Tristan e alcuni amici ebbero scostato i tendoni scuri, tutti applaudirono. «Mi pare che stiano reagendo piuttosto bene, che ne pensate?» domandò in un sussurro Tristan avvicinandosi a un paio di signori ben vestiti che rimanevano discosti dagli altri e osservavano la scena con aria beffarda. «L'impianto scenografico che avete ideato per la mostra è di notevole effetto, Monsieur Brisbane. I miei complimenti» disse il primo uomo emettendo una boccata di fumo. «La vostra signora li ha scioccati» continuò, tornando a tirare qualche boccata dal sigaro. «Ma cosa dici, Auguste? Qui a Parigi non ci sorprendiamo più di nulla. Figuriamoci poi se rimaniamo scioccati!» Rispose il secondo dandogli una gomitata. «Qui, in realtà, siamo ancora più bigotti che a Londra, Monsieur» gli spiegò il secondo uomo. «La gente finge di essere mondana e aperta, ma la verità è che ha paura di tutto. Tuttavia non temete, più recensioni negative riceverà vostra moglie, più saliranno le vendite!» Tristan si gratto' la testa, preoccupato. «Non sono le vendite che mi preoccupano... Odyle non lo fa certo per soldi... Non voglio che ci rimanga male se qualche stupido non dovrebbe comprendere la sua arte. Capite, Jean-Louis?» «Credo di avere uno scudo invincibile contro le delusioni della vita, mio caro...» Tristan non l'aveva sentita, ma Odyle, che l'aveva raggiunto alle spalle, lo abbraccio' senza timori né timidezze. Si era tagliata i capelli e li portava semplicemente raccolti appena dietro la nuca, ma qualche ciocca ribelle le ricadeva ancora sulle guance. Inforcava anche gli occhiali, quel pomeriggio, più per darsi un tono da intellettuale che per un reale bisogno. «Il mio scudo è qui davanti a me, lo vedete, Monsieur Lumière?» dichiarò Odyle sorridendo all'uomo con il sigaro. «Anche se non credo che ne abbiate bisogno, madame, non potreste averne uno migliore.» «Ed è anche un modello infaticabile!» continuò lei ammiccando verso la statua degli amanti. «Davvero?» domandò Auguste rivolto a Tristan. «Be', io almeno ho dovuto soltanto starmene sdraiato per la maggior parte del tempo... mentre temo che a Lord Montgomery, che ha posato per " La risata" non sia andata altrettanto bene...» «Gli è venuto il torcicollo!» confermò Odyle facendo ridere tutti quanti. Un uomo piuttosto anziano si era avvicinato a loro con aria pensierosa, stropicciandosi il mento con una mano, ma esitando a parlare mentre continuava a lanciare occhiate furtive alle statue. «Siete Madame Odyle Brisbane?» domandò infine. Odyle annuì e l'uomo la trasse in disparte offrendole il braccio. «Ah, caro Brisbane, non fidatevi! Il signor Rodin sembra un vecchio satiro, ma ha la fama di aver spezzato più di un cuore qui a Parigi.» Tristan sorrise e scosse il capo. «Quello di Odyle non corre alcun pericolo, Monsieur Jean-Louis, perché ce l'ho in custodia io.» Monsieur Auguste gli batte' una mano sulla spalla. «Avanti, non vorrete farci perdere il rinfresco, vero? Andiamo finché tutte queste persone sono ancora ammaliate dalle sculture di vostra moglie.» «Si sa che l'arte mette una gran fame, e vedrete voi stesso come tra pochi minuti si getteranno sul cibo come cavallette!» gli fece eco Monsieur Jean-Louis. I fratelli Lumière accompagnarono Tristan nella saletta adiacente, dov'era stato organizzato il rinfresco. «Abbiamo fatto qualche esperimento seguendo i vostri suggerimenti con le particelle di fecola di patate, Monsieur Brisbane...» disse Auguste. «Sono davvero molto interessanti e vorremo proporvi di lavorare per noi» continuò Jean-Louis. «Avete brevettato la vostra scoperta?» Tristan prese il bicchiere che uno dei camerieri gli offriva e sorseggio' il suo bordeaux. Poi scosse il capo. «Sono solo un dilettante...» disse. «Speravo che la mia teoria interessasse a qualcuno, ma non voglio prendervi parte.» «Monsieur Brisbane, queste sono scoperte molto importanti» cercò di fargli capire Auguste Lumière. «C'è una specie di lotta contro il tempo tra i veri studiosi per poter dare il proprio nome a questa scoperta.» Tristan sorrise debolmente. «Ho molto ammirato il vostro cinematografo, signori, e so di mettere i risultati dei miei studi nelle mani giuste...» «Proprio non vi capisco, Brisbane!» sbotto' Jean-Louis Lumière. «Già... ma sarebbe una storia troppo lunga e complicata da raccontare.» Tristan si voltò e intravide il volto di Odyle, sorridente e un po' arrossato per la gioia. Era circondata da un gruppo di signori e signore ben vestiti e riceveva i loro complimenti e i loro biglietti da visita. «Sei stata molto silenziosa per tutto il tragitto, amore mio. Qualcosa non va?» All'interno della carrozza che avevano preso a nolo, Tristan si sporse verso la giovane moglie e le rubò un bacio. Subito dopo si incupi'. «Qualcuno ha fatto commenti spiacevoli sulle tue opere?» Domandò. Odyle accenno' un sorriso e gli fece una carezza. «Oh, no... non è così, anche se non posso certo aspettarmi che tutti siano entusiasti del mio lavoro. Non sarebbe normale e non lo vorrei neppure. Che gusto ci sarebbe senza un po' di lotta?» «Allora perché sei così pensierosa?» Lei scosse il capo e tornò a guardare fuori dal finestrino. Non si sentiva ancora pronta per parlargli. Da quando si erano sposati avevano giurato di non avere mai più segreti l'uno per l'altra, tuttavia ciò che Odyle aveva nel cuore non poteva essere rivelato tanto alla leggera. «Mi piacerebbe salire sulla Torre Eiffel» disse di punto in bianco. «Ora?» le chiese lui, stupito. «Non vuoi avere un po' di tempo per prepararti per la cena?» Odyle scrollo' la testa. «Voglio andare sulla Torre Eiffel!» Esclamò, risoluta e sorridente. Si era sentita malinconica non appena aveva messo piede a Parigi. Tristan lo capiva, anche se non poteva comprenderla completamente. Claude non era lì ad aspettare il suo ritorno e la consapevolezza della sua morte le era penetrata nel cuore come una spina. Eppure, nonostante la malinconia, era felice. In un certo senso, sapeva che Claude le sarebbe sempre rimasto accanto e una parte di lei, quella più stravagante e fantasiosa, era convinta che l'avrebbe fatto in un modo alquanto singolare... «Sei sicura di volerti arrampicare fin là in cima?» le domandò Tristan allacciandosi la giacca. «Il vento è ancora piuttosto freddo.» «Per favore...» lo imploro' lei. «Non posso negarti nulla, lo sai!» Dopo le prime rampe di scale, tuttavia, era esausto. «Abbi pietà di un povero vecchio! Non ho più la tua età!» «Sei solo uno scansafatiche! Sono sicura che se ci fosse Lord Montgomery, non riuscirei a stargli dietro!» «Allora dovevi sposare Lord Montgomery...» sbuffo' Tristan appoggiando le mani alle ginocchia mentre cercava di prendere fiato. «Be', lui non me l'ha chiesto!» esclamò lei maliziosa. «Ah... piccola intrigante!» Punto sul vivo, Tristan parve riacquistare vigore e salì l'ultima rampa di scale quasi di corsa. Una volta in cima, afferrò sua moglie prendendola di spalle e si abbassò per darle un bacio sul collo. «Ti presento Parigi!» esclamò lei senza staccare gli occhi dal panorama che si stendeva sotto di loro. «È magnifica...» le mormorò Tristan all'orecchio. «Già...» Un moccioso si avvicinò sfregandosi un dito sotto il naso. «Un soldo per un colombo... portano fortuna, Mademoiselle!» Stretta nell'altra mano teneva la maniglia di una gabbietta di vimini nella quale erano stipati tre colombi sonnacchiosi. «Non mi sembrano molto contenti della loro situazione...» Mormorò Tristan. «Come possono portare fortuna?» Odyle gli sorrise. «Allora forse saranno più contenti se li liberiamo.» Si rivolse al bambino chinandosi un poco verso di lui. «Un soldo ciascuno?» «Si, madame.» Il moccioso dovette notare l'espressione perplessa di Tristan. «Però se li prendete tutti e tre ve li lascio per due.» Odyle guardò furtivamente il marito e gli strizzo' l'occhio. «Non possiamo lasciarci scappare quest'occasione.» «E vi do anche i biglietti e le cordicelle» aggiunse il ragazzino tirando fuori dalla tasca dei pezzi di carta consunta e dei pezzi di spago. «Mi sembra un ottimo affare!» esclamò Odyle. «A cosa servono?» domandò Tristan, sempre più perplesso nel vedere la moglie prendere in consegna la gabbietta. «Si scrivono dei messaggi, o dei desideri, sui pezzi di carta e li si lega a una zampa del colombo. È un'usanza portafortuna, e solo chi troverà il colombo e prenderà il biglietto avrà il diritto di sapere che cosa c'è scritto.» A quel punto Tristan sorrise. «Mi hai convinto. Avanti, scriviamo!» Coprendo il proprio biglietto con una mano per impedire all'altro di vedere, ognuno compilo' il suo messaggio. «Fatto!» disse Odyle. «Fatto!» le fece eco Tristan. Dopo aver ripiegato il foglietto, scelsero due dei colombi e glieli legarono alla zampetta. «Tu» disse Odyle prendendo il terzo tra le mani e facendolo uscire dalla gabbietta. «Puoi andare, sei libero.» Appoggiò l'animale sulla balaustra, ma il piccione si guardò attorno spaesato. «Forse non sanno neppure volare...» si domando' Tristan. «Forse è solo un po' stanco. Dopotutto è stato in quella gabbia molto tempo e probabilmente ha quasi dimenticato come si fa a essere libero.» Il colombo osservò i due compagni nelle mani di Tristan e Odyle. «Sei pronto?» Lui annuì. «Al mio tre, allora...» Inizio' a contare. «Uno... due... Tre!» I due colombi spiccarono il volo insieme seguiti subito dal terzo. «Vedi, aveva solo bisogno che qualcuno gli facesse vedere come si faceva!» esclamò Odyle entusiasta. Tristan la prese fra le braccia. «Cos'hai scritto sul tuo biglietto?» Lei lo guardò corrucciata. «Non puoi saperlo! Solo chi trova il messaggio ha il diritto di leggerlo!» «Altrimenti non si avvera?» «Non ho espresso un desiderio...» disse lei. Lei le bacio' la punta del naso. «Ah, no?» «Diciamo... che è più un consiglio quello che voglio.» «Diventa sempre più misterioso e intrigante... penso che ti dovrò torturare finché non me l'avrai detto.» Iniziò a farle il solletico. «No! Ti prego... basta... smettila, Tristan!» Riuscì a fermargli le mani dietro la schiena e lo immobilizzo' con un bacio. «Ehi, con tutta questa gente intorno? Cosa diranno i rispettabili cittadini di Parigi?» le domandò con un pizzico di ironia Tristan. Odyle gli sorrise con aria maliziosa. «Sono un'artista, non ricordi? Noi artisti viviamo fuori dagli schemi e facciamo cose un po' pazze! È una nostra prerogativa.» «E siete anche dei prestigiatori?» le domandò lui ammiccando a un punto dietro di lei. «Perché?» gli domandò. «Guarda. Uno dei tuoi colombi è tornato. Secondo me è il fannullone.» Non era così: alla zampetta dell'animale c'era attaccato un biglietto. «Oppure è il colombo di qualcun'altro» aggiunse canzonandola. «No» rispose lei, più seria. «Lo riconosco dalla macchia più chiara vicino all'occhio. È il mio.» «Allora è tornato per me» sentenzio' Tristan facendosi avanti e accogliendo l'animale nelle sue mani. «Avanti, piccolo, fammi sapere quale consiglio ha chiesto la mia bella mogliettina...» «Tristan...» Odyle sembrava sulle spine e si guardava attorno come se fosse in cerca di una via di fuga. Tristan sciolse il laccio dalla zampa dell'animale e srotolo' il biglietto. Sopra, a matita, c'era scritto solo: Claude o Miriam? Tristan sollevò lo sguardo su di lei e la scruto' dubbioso. «Claude o Miriam? Cosa significa, Odyle?» «Ecco...» Lei gli si avvicinò e gli prese la mano. «Tesoro, so che avendo una famiglia con un albero genealogico così fitto ci sarebbero senz'altro altri nomi che vorresti usare...» Si premette la mano del marito sul ventre. «Ma ho questa strana sensazione... che in questo modo Claude o Miriam potrebbero ritrovare la strada per venire da me...» Il sorriso di Tristan non poteva essere più luminoso. «Vuoi dire che...?» Odyle annuì. «Scusami se non te l'ho detto prima... Ma volevo aspettare il momento giusto per rivelartelo. Ti prometto che non avrò più segreti!» esclamò scoppiando in lacrime di felicità mentre le braccia di Tristan la avvolgevano. «Non sono arrabbiato... non sono arrabbiato per niente! Come potrei?» Trovò le sue labbra, dolci e salate allo stesso tempo, indefinibili e inafferrabili come era lei. Odyle si scosto' un poco e lo guardò seria negli occhi. «Ora però devi dirmi cos'hai scritto tu sul tuo biglietto!» Lui le diede un buffetto sul naso. «Eh, no! Solo chi trova il colombo lo potrà leggere... Altrimenti il desiderio non si avverrà.» «Allora è un desiderio?» domandò lei. «Si. Quello di avere una moglie meno curiosa!» «Non fare lo spiritoso e dimmi cos'è!» «Cara... l'unico modo che hai di saperlo...» iniziò a dire lui con una strana luce negli occhi. «Siii...» «È quello di fare il tiro al piccione per tutta Parigi!» Lei gli diede una pacca sul braccio. «Dispettoso!» Tristan le fece una carezza. «Scherzavo, ovviamente... Ci sono altri modi in cui potresti guadagnarti questa informazione...» «Davvero?» gli domandò Odyle sentendo un familiare formicolio riscaldarle il ventre. «Sarei disposta a fare davvero qualsiasi cosa per saperlo...» Disse sospirando, languida. Tristan la prese sotto braccio e si avviò verso le scale. «Anche se questo comportasse la necessità di saltare la cena?» Odyle gli strizzo' un occhio, abbozzando un meraviglioso sorriso. -------------------------------------FINE-----------------------------------------------

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