Un Tossico è Un Santo Che Non Ce L'ha Fatta

di N92
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Incontro ***
Capitolo 2: *** Verifica ***
Capitolo 3: *** Contatto ***
Capitolo 4: *** Loto ***
Capitolo 5: *** Prigione ***
Capitolo 6: *** Scontro ***
Capitolo 7: *** Pianto ***



Capitolo 1
*** Incontro ***


Capitolo 1

Incontro

 

 

Los Angeles, 17.33 P.M.

 

Natan sedeva in maniera scomposta su un vecchio divano rosso, la testa rivolta al soffitto. Era madido di sudore e la maglietta grigia che indossava disegnava chiazze scure sotto le ascelle e nell'incavo dei pettorali. Ansimava leggermente, e gli occhi erano persi nel vuoto, ma l'eccitazione era enorme e cresceva nell'attesa che la droga che si era sparato in vena facesse effetto. Era così la droga: paradiso e inferno assieme, estasi ed oblio, consapevolezza ed ignoranza. Sorrise un poco contemplando il vecchio disegno geometrico disegnato sul muro che lentamente cominciava a cambiare forma.

Si ritrovò a pensare a quanto fosse strano essere un tossico: quando si è “fatti” tutto intorno cambia, persino dei vecchi disegni scoloriti. L'unica cosa che non riesce più a cambiare, e che anzi diventa sempre più schifosamente uguale, è se stessi. E da lì ci si ritrova a pensare solo alla droga, sempre e solo alla droga.

Un tossico è un santo che non ce l'ha fatta”. Questo pensiero lo fece sbellicare e rischiò di farlo cadere dal divano. Si resse a malapena sul bracciolo e con uno sforzo enorme (in quella situazione era enorme) ritornò nella posizione scomoda di prima. D'altronde le posizioni scomode sembravano far parte della sua vita.

Fanculo”. L'avrebbe voluto dire a voce alta se ce l'avesse fatta ad articolare la parola. Le cose dette sfogano molto di più di quelle pensate.

Levò lo sguardo alla finestra completamente spalancata. Si intravedevano gli edifici adiacenti, con le loro vetrate, e balconi, e piante, e tante altre noiosissime cose che tappezzavano quel noiosissimo panorama. Quando aveva comprato l'appartamento aveva pensato che prenderlo al decimo piano gli avrebbe regalato una vista mozzafiato sulla città. Era vero, ma nella concezione visiva di una persona normale. Ad un tossico non piace la “normalità normale”, perché per lui la normalità è un'altra cosa. Per lui è un disegno cangiante, o un palazzo che diventa improvvisamente e senza una ragione precisa un grosso serpente con le squame e tutto il resto. Come in quel film sui maghi che aveva visto qualche anno fa.

Natan lo vedeva il serpente, e questo magico fatto gli procurò un'altra potente scarica di risa, che minacciò ancora di farlo cadere. Si tenne di nuovo al bracciolo e subito tornò ad osservare il serpente. Gli piacevano i serpenti, perché erano come la droga: velenosi e bellissimi.

Questa volta però non vide né animali, né edifici. La finestra era coperta completamente di una luce bianco candido.

Se ce l'avesse fatta si sarebbe grattato la testa, ma più la droga faceva effetto, più lui si sentiva immobilizzato. Questo era un fastidioso effetto collaterale.

Ah, ma dai! Veramente? Hey, stronza! Ridammi il serpente! Voglio il serpente! Questa luce è una merda”. Si stava veramente sfastidiando di non riuscire a parlare, e allora aveva provato a comunicare il suo disappunto col pensiero. D'altronde è questo il bello di essere un tossico no? Puoi rivolgerti ad una finestra come se fosse una cosa normale.

Natan sbuffò perché il suo divertimento era finito.

Fanculo” imprecò fra sé mentre girava lo sguardo per tornare ad osservare il soffitto mutevole.

«Non dovresti disprezzare ciò da cui sei stato generato» lo ammonì una voce.

Natan si girò nella direzione da cui la voce era provenuta, e si rese conto di quanto i suoi sensi fossero rallentati, perché ci aveva messo molto a compiere il gesto. Stranamente, si trovò a constatare nonostante la sua pessima condizione, non era allarmato come avrebbe dovuto aspettarsi da una situazione così anomala. Del fatto che era solo nell'appartamento non aveva dubbi. Se ci fosse stata una donna non sarebbe di certo rimasto lì a fissare i serpenti... cioè gli edifici. Diamine se non era così!

Il problema era la droga: quante volte gli aveva fatto vedere o sentire cose che non erano reali? Forse era per questo che si sentiva così tranquillo.

Anche perché, se ci fosse davvero qualcuno, non riuscirei neanche fargli ciao ciao con la mano”. Ancora una risata, ma questa volta solo nella mente. Era il massimo che poteva fare adesso.

«Il fatto che non sia reale per gli altri, non vuol dire che non possa esserlo per te».

Natan era sicuro che la voce provenisse dalla finestra.

Aspetta un minuto” si ordinò, “da quando la luce del sole è così forte? Sembra la porta per il parad...”

«Lo è, in un certo senso» lo interruppe la voce, «o almeno nella concezione che voi umani avete di paradiso».

Da tutta quella luce che ormai abbagliava l'intera stanza, cominciò ad uscire qualcosa. Natan ebbe un sussulto, o meglio la sua mente, e se avesse avuto ancora il controllo del corpo, sicuramente avrebbe espresso anche lui tutto il suo stupore. Quello che ne uscì fu invece una non-reazione, come se ad assistere a quell'evento misterioso fosse stata una bambola.

Gli occhi di Natan però funzionavano bene, e poterono osservare ciò che si palesò da tutto quell'intenso bagliore: la figura di un uomo. Il suo viso era giovane e la pelle candida, come quella di un bimbo. Effettivamente era difficile dagli un'età, perché c'era un innaturale sensazione di anzianità, con linee dure e ben delineate, che si mischiava però con una morbidezza e dolcezza che erano appunto sottolineate dalla pelle. Un connubio strano, rifletté Natan. Gli occhi erano azzurri e i capelli castano chiaro. L'individuo indossava una tunica bianca, divisa sulla vita da una fascia gialla, con due drappi che cadevano dai fianchi fino ai piedi. Era scalzo, e fu proprio questo che permise a Natan di rendersi conto che stava levitando. L'essere usciva lentamente, come se il tempo stesso avesse rallentato il suo scorrere per poter ammirare anche lui tutto quello splendore. Natan era ipnotizzato da quella figura, con quelle linee così perfette. Notò però qualcosa che cominciava ad essere visibile dietro alle spalle dell'uomo.

NON DIRMI CHE...”. Il cuore ebbe un sussulto così forte che pensò che sarebbe potuto venirgli un infarto. Dietro all'essere comparvero due grandi ali bianche, sfumate qua e là di tutti i colori. Brillavano anch'esse e il riflesso che emettevano colorava degli stessi infiniti colori tutta la stanza. A Natan ricordarono la palla lucente che si vedeva nelle discoteche degli anni '80.

Porca di quella...è un angelo?”

«Si, mio giovane umano. Ma tu chiamami Gabriel».

 

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Capitolo 2
*** Verifica ***


Capitolo 2

Verifica

 

 

Los Angeles, 17.43 P.M.

 

 

L'angelo, galleggiando a mezz'aria, manteneva lo sguardo fisso su Natan. La luce bianca proveniente dalla finestra era scemata un poco, ma rimaneva comunque molto intensa; così intensa da sembrare liquida. Se qualcuno avesse chiesto a Natan di descrivere a parole o disegnare o dipingere quell'immagine stupefacente, non sarebbe stato in grado neanche di avvicinarsi alla bellezza di cui era testimone. Gli occhi di Gabriel scintillavano ritmicamente, come le luci sugli alberi di natale. Ma non erano solo quelli, anche le colorazioni delle ali seguivano lo stesso principio, facendo accendere l'angelo a cadenze regolari.

Natan non poter fare a meno di essere rapito da quegli occhi, e per la prima volta dopo molto tempo ebbe la sensazione di non essere giudicato. Nello sguardo dell'angelo non c'era giudizio o discriminazione, ma soltanto pace e tranquillità. O almeno era ciò che lui percepiva.

Un pensiero gli attraversò la mente con una logica così limpida che fù percosso ancora dalle risa, che però gli uscirono strozzate.

Questa poi! Un fottuto angelo è proprio quello che mi ci voleva. Devo proprio essere messo male cazzo”. Stavolta non riusciva a trattenersi dal ridere ma non riuscendo ad aprire bene la bocca, più che risate sembravano strani versi di un qualche animale.

Natan non era mai stato un uomo religioso anzi, quello a cui credeva era all'antitesi. Per lui ciò che predicavano gli uomini di chiesa la domenica erano tutte stronzate. Ci andava soltanto perché era costretto dai suoi genitori, e quando ne aveva avuto l'opportunità si era defilato senza pensarci due volte. Credeva piuttosto all'uomo di potere, perché se avevi il potere nessuno poteva decidere del tuo fato. Sua madre era stata una donna religiosa, e guarda che fine aveva fatto. Suo padre era stato anche lui un uomo religioso, e guarda che fine aveva fatto. La fede non era proprio in cima alla lista delle cose su cui Natan faceva affidamento.

D'un tratto l'angelo cominciò anche lui a ridere. Rideva sempre più, prima cautamente, poi più forte, ma non emetteva suoni gutturali come quelli suoi. La sua risata era musicale e il volto era incredibilmente simmetrico, con due file di denti bianco candido perfettamente dritti. Natan non aveva mai visto qualcuno ridere in maniera così bella.

Ridevano tutti e due e all'uomo venne il dubbio se l'angelo rideva con lui o di lui.

Allora smise di ridere, ma Gabriel invece continuava ad esprimere il suo divertimento, sempre con gli occhi fissi su di lui.

Natan cominciò ad infastidirsi, poi ad arrabbiarsi proprio, ma l'angelo non la smetteva di ridere. Quelle risa meravigliose gli entrarono poco a poco nella testa, aumentando di volume.

Ora erano fortissime, e Natan avrebbe voluto alzare le mani per coprirsi le orecchie.

Droga di merda!”. Ora il suono era insopportabile, ma ancora l'angelo continuava imperterrito. Natan era allo stremo, in procinto di scoppiare. Non riusciva a pensare a nulla, a decidere nulla. Era una tortura, e l'intensità di quella splendida risata non accennava a diminuire.

Il cuore pompava all'impazzata provocandogli il fiatone e il sudore ora gli aveva bagnato gran parte della maglietta.

Natan allora chiuse gli occhi e si abbandonò completamente.

Dio ti prego fallo smettere! Ti prego, ti prego. Dio fallo smettere! Smettila! Smettila!” «SMETTILAA!». Si ritrovò ad udire quella sua stessa ultima supplica perché la risata era scomparsa. L'aveva urlata più forte di quanto avesse mai fatto in vita sua.

Riaprì gli occhi frastornato, col sudore che gli gocciolava sulle tempie e sulle guance, e vide che l'angelo era tornato a fissarlo con la stessa pacatezza di prima.

Con un'aggressività animalesca si mosse verso la prima cosa che si trovò a portata di mano, non accorgendosi neanche come fosse stato possibile dato che fino a poco fa era completamente incapace di muoversi. Vide la siringa con cui si era iniettato la droga poco prima. La afferrò e la scagliò con tutta la forza che aveva in corpo verso l'angelo. La siringa volò scompostamente dritta verso l'essere. Gabriel l'afferrò con una facilità disarmante. Natan sgranò gli occhi incredulo di quanto aveva visto: l'angelo si trovava a circa due metri e mezzo da lui, e ciò nonostante l'aveva afferrata come niente fosse.

Natan si alzò come un fulmine dal divano e inciampò col piede su uno spigolo cadendo per terra violentemente. Strisciò il più lontano possibile dall'angelo, fino ad arrivare con le spalle al muro. Era terrorizzato e confuso. Riusci ad articolare qualcosa, fra un ansimo e l'altro: «Che cazzo sta succedendo! Cosa sei tu? Cosa vuoi da me? Come... come sei entrato?».

L'angelo posò con calma la siringa sul divano e si avvicinò un poco a Natan. Ora non levitava più. L'uomo cerco di arretrare ancora ma era già addosso al muro.

«Sei stato tu a chiamarmi Natan» rispose, «sono qui solo per te.»

«Io non ho chiamato proprio ness...» Natan si bloccò, perché la sua mente aveva decifrato qualcosa: l'angelo! L'angelo aveva afferrato la siringa?

Questo può voler dire solo che...”. Deglutì. Gli occhi erano sgranati al massimo possibile.

«Esatto» lo intercettò Gabriel. L'azzurro del suo sguardo pareva brillare ancora di più.

«Io sono reale.»

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Capitolo 3
*** Contatto ***


Capitolo 3

Contatto

 

 

Los Angeles, 17.50 P.M.

 

 

Gabriel si avvicinò ancora un po' a Natan. Erano dei passi leggeri e sicuri i suoi, misurati in ogni parte, e regalavano all'angelo delle movenze che l'uomo giudicò quasi meccaniche.

Natan non sapeva cosa pensare. Tutta quella situazione era a dir poco assurda. Che la droga avesse fatto così tanto effetto da averlo trasportato in una nuova dimensione allucinatoria più profonda? Effettivamente poteva muoversi e parlare, cosa che di solito questo tipo di sostanze precludeva. Però la quantità che si era sparato in vena era la stessa di sempre, presa nello stesso posto dallo stesso venditore. Tanto più che ormai la oltre quinquennale esperienza nel settore aveva fatto di lui un esperto, e non aveva riscontrato nulla di strano.

Come faccio a verificare se questo stronzo è veramente reale come dice oppure no?”. Gabriel intanto era arrivano a un metro e mezzo da lui. Natan aveva ancora il cuore in gola. L'esperienza di poco fa era stata la più terribile della sua vita. Vide che l'angelo stava per dire qualcosa e quasi senza accorgersene già aveva le mani premute violentemente sulle orecchie.

Gabriel continuò la sua danza leggiadra ancora un poco e poi si arrestò. Erano ad un metro di distanza l'uno dall'altro. Dal suo volto si delineò un sorriso così dolce che prese Natan in contropiede. Quello poteva essere il sorriso che una mamma riserva al suo bambino appena nato. Una purezza alimentata dagli impulsi luminosi che pervadevano ciclicamente la sua figura. Gabriel alzò lentamente il braccio destro. Natan ne seguì il movimento e notò che la mano dell'angelo stava indicando qualcosa. Allora alzò lo sguardo e capì immediatamente a cosa si riferisse.

Il soffitto. I forme geometriche che erano disegnate non si muovevano di un millimetro. L'uomo continuò ad osservarle diligentemente ma nessuna singola parte di quelle figure mutò la sua forma. Abbassò le mani ai fianchi che caderono a peso morto e si sistemarono sul pavimento.

«Non può essere. Tu non... tu non puoi essere reale. Non puoi essere vero».

Gabriel, mantenendo quell'espressione angelica si abbassò fin sulle ginocchia. Natan poté ammirare meglio le sue ali. Rimase talmente tanto folgorato da quella vista che non reagì minimamente al cambio di posizione dell'angelo.

«La concezione che voi umani avete di “reale” è piuttosto strana, amico mio». Le sue iridi, viste da così vicino, parevano veramente luci di natale. «Sostenete che è reale solo ciò che può essere visto o misurato. Parlate di realtà in base a voi stessi, ma anche in modo oggettivo. Se c'è esiste, se non c'è non esiste. Questa concezione delle cose è però sbagliata, ed è ciò che vi impedisce di vedere la verità».

Che cazzo sta dicendo questo qui? Ora si mette a fare discorsi filosofici?”.

«Per esempio», proseguì Gabriel, «tu puoi vedermi qui, adesso, e quindi per te io dovrei essere reale. Tuttavia tutti ti hanno detto che gli angeli non esistono, che sono solo il frutto di fantasia. Allora, a chi vuoi dar retta, a te stesso o agli altri?»

«Beh, non mi pare che nessuno abbia mai avuto una prova vera che indica che gli angeli esistano. Nessuno è mai andato in tv con un video, una foto, o qualsiasi altra cosa dicendo: “ hey, guardate chi è venuto a trovarmi?”.

Ma che fai, gli dai pure corda?”, si rimproverò fra sé.

Gabriel ridacchiò un poco, e quella fu la prima volta che a Natan sembrò una reazione più umana che...angelica?

«Quindi negheresti te stesso perché pensi che quello che dicono gli altri sia più vero?». Natan ci pensò un poco.

«No, non volevo dire questo...»

«Ascolta Natan, “reale” è solo una parola. Non dar retta a tutti quegli studiosi, scienziati che affermano che una cosa non esiste solo perché le loro macchine, o le loro formule matematiche non riescono a rilevarla. Tutto esiste. Tutto è sempre esistito, e tutto esisterà sempre». L'angelo tese allora la mano verso l'uomo. Natan istintivamente fece per afferrarla, ma poi si ritrasse. Il suo cuore aveva un po' rallentato la sua attività, e il sudore gli appiccicava la maglietta. Tergiversò un poco, fino a che l'angelo non riprese a parlare.

«Lo so a cosa stai pensando Natan. Lo so perché ti posso leggere nella mente. Sento la parte di te che vorrebbe afferrare la mia mano. Sento però anche la domanda che ti gira nella testa. Non ti sei convinto del tutto e pensi che se afferrassi la mia mano, forse sarebbe la prova che sei totalmente impazzito». Gabriel cominciò a spostare la mano verso quella dell'uomo.

«Rifletti su ciò che ti ho detto del termine “reale”. Reale non è tutto ciò che provoca una conseguenza? La scena che ti sei immaginato quella volta che hai organizzato la serata con quella ragazza, al liceo. Ti ricordi? Avevi preparato tutto per bene, e avevi sognato di baciarla sul belvedere, allo scoccare della mezzanotte. Le sensazioni che hai provato, nonostante era solo “fantasia”, non le hai provate realmente? Il fatto che io ti stia parlando, a prescindere da che tu pensi che non sia reale, non lo rende reale comunque? Non provoca sentimenti? Non solleva domande? Non andrà a far parte del tuo essere?» .

La mano dell'angelo ora era vicinissima a quella di Natan, e l'uomo la guardava avanzare inesorabile. Il conflitto che aveva dentro lo immobilizzava, e lo rendeva incapace di prendere una decisione.

«Alla fine Natan, è solo una questione di fiducia. Solo fiducia».

Le due mani si toccarono, poi si afferrarono. Natan quasi non se ne rese conto di quanto era frastornato, ma quello che avvertì fu invece un'immensa energia e una sensazione di pace che mai aveva provato in vita sua. Si sentì esplodere in tutto il suo essere e avrebbe voluto urlare, ma tutto ciò che usci dal suo corpo fu un pianto copioso.

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Capitolo 4
*** Loto ***


Capitolo 4

 

Loto

 

 

“Los Angeles”, 17.56 P.M.

 

 

Se un osservatore esterno avesse potuto testimoniare ciò che stava avvenendo, avrebbe giurato che la mano dell'angelo e quella dell'uomo fossero rimaste unite solo per pochi secondi.

Quello che visse Natan sembrò però durare molto di più.

Si ritrovò catapultato in piedi nel mezzo di un campo di luce bianca che lo avvolgeva fino alla vita. Nell'aria c'era un profumo che non aveva mai sentito prima: era in mix di odori diversi in realtà, e ad ogni inspirazione gli pareva di assaporarne uno nuovo. Spostando lo sguardo qua e là gli si parò di fronte qualcosa che non aveva mai visto prima. La bocca si aprì lentamente in un sospiro di meraviglia.

Tutto intorno, fin dove l'occhio poteva arrivare, c'erano milioni, miliardi di fiori. Uscivano dalla coltre biancastra formando un manto regolare ricco di colori di tutte le tonalità. A Natan gli ricordarono le ali di Gabriel, ma questi non pulsavano come quelle dell'angelo, bensì erano sempre accesi, come se una qualche sorta di energia li animasse dall'interno. Nel cielo c'erano nuvole degli stessi colori su uno sfondo anch'esso bianco. Un fatto strano, notò, era che le nuvole non si mischiavano fra di loro quando venivano a contatto, piuttosto si toccavano e dolcemente scivolavano via. Tornando ad osservare il campo gli cadde l'occhio su un fiore proprio davanti a sé. Era di un azzurro acceso, molto simile al colore del mare.

Si certo, come se l'avessi mai visto veramente il mare”. Natan era originario del Colorado e tutto quello che aveva visto, lo aveva visto in tv. Si era trasferito soltanto da poco a Los Angeles, e tutto il tempo libero a disposizione lo aveva speso unicamente alla ricerca di spacciatori affidabili.

Esaminò meglio il fiore. Quella luce innaturale lo rendeva quasi artificiale.

Ci pensò su per qualche istante mentre continuava la sua analisi.

Ma certo! Questi sono fiori di loto!”. Li aveva riconosciuti perché una volta un'amica di sua madre, devota a qualche santo indiano o cinese (Natan non si ricordava), gli aveva regalato un incensiere che aveva proprio la forma di un fiore di loto. Nonostante la madre di Natan fosse cristiana, teneva molto a quell'oggetto, e amava utilizzarlo per profumare la casa.

Provò ad afferrare il gambo e quando immerse la mano nella luce ebbe quasi un sussulto: era una sensazione strana perché al tatto sembrava solida, ma la mano scorreva come se avesse una consistenza gassosa.

Natan sollevò un sopracciglio e sorrise al fatto curioso. Alzò lo sguardo di nuovo verso quel paesaggio alieno e vide che qualcosa stava lentamente cadendo poco lontano da lui. Aveva una traiettoria strana e l'uomo constatò che continuando così sarebbe caduta nei suoi pressi. Brillava debolmente e quando fu abbastanza vicina da poterla vedere bene capì che si trattava di una piccola sfera. Aveva lo stesso identico colore del bel fiore azzurro. Natan la osservò avvicinarsi, fino a che non fù esattamente di fronte a lui. Unì le mani a conca ed intercettò la sfera che si adagiò dolcemente sulla pelle. Aveva un diametro di circa quattro centimetri, ed era decisamente pesante per essere così piccola.

Quella tonalità così intensa catturava la mente di Natan, e ad ogni istante in più che l'uomo la contemplava, la meraviglia dentro di lui aumentava.

Non si fece domande, non avanzò nessun tipo di argomentazioni sul perché tutto questo, o di cosa era quel posto o qual'era il motivo per cui si trovava lì. Si accorse che stava trattenendo il fiato e si infastidì quando dovette per forza espirare per continuare il ciclo di respirazione. Questo lo distraeva dalla sua missione di osservazione. Non avrebbe voluto fare altro, non avrebbe voluto vedere niente e nessuno tranne l'oggetto che aveva fra le mani.

All'improvviso la sfera iniziò ad illuminarsi maggiormente e in tutte le sue parti comparvero delle venature. Natan si allarmò e fu percorso da un brivido.

«Cosa... succede? no...no ti prego, no...». Le fratture si allargarono e divennero più spesse. Natan cominciò a piagnucolare a mugolare, scuotendo la testa.

La luce dall'oggetto aumentò ancora, ma le venature si vedevano comunque chiaramente. Natan iniziò a singhiozzare per la disperazione.

«No, non romperti, non puoi, tu.. no, non puoi». Il corpo tremava e scattava al sussultare dei singhiozzi, e non c'era niente che Natan potesse fare per salvare il suo tesoro. Cercò in tutti i modi di controllarsi perché se si fosse mosso ancora così violentemente la sfera sarebbe potuta rompersi del tutto. Avrebbe voluto grattarsi, ferirsi per la disperazione, prendere a pugni qualcosa, gridare fino a sfinirsi, ma quello che fece in realtà fu sgranare gli occhi incredulo. Cominciò a ridere, ma ancora stava piangendo e quello che ne uscì fu una faccia a metà delle due.

«Ma questo è un... fiore!». L'esclamazione gli uscì un po' impastata e contorta, ma la gioia era immensa nel vedere che quella magnifica sfera si stava in realtà schiudendo. Si aprì delicatamente riversando i petali all'esterno. Natan ne contò diciotto in tutto. Al centro era rimasta una luce azzurra più debole, di intensità uguale a quella degli altri fiori.

«Un loto! È un fiore di loto!». Il Fiore occupava tutta l'ampiezza della conca, ma era molto leggero. Probabilmente era stata tutta quella luce a renderlo pesante, e sicuramente era anche il combustibile che il fiore aveva usato per schiudersi.

Natan stava ancora piangendo e ogni tanto tirava su col naso.

É stupendo! Stupefacente!”

«Si lo è». L'uomo si voltò alla sua destra e vide Gabriel. L'angelo aveva ripreso a levitare, con i piedi immediatamente sopra il manto di fiori. Aveva ancora quell'espressione di pace e tranquillità in volto.

«Sei sempre stato qui?»

Gabriel annuì.

Natan tornò ad osservare il fiore.

«Ti piace vero?» gli chiese l'angelo.

«Si, da impazzire». La gioia che aveva provato nell'assistere a quel mistico evento era stata ancora più forte di quando si era fatto per la prima volta. Una gioia così incontenibile, così potente che aveva catturato corpo e mente e li aveva uniti indissolubilmente. Un tutt'uno nell'estasi. Gabriel sorrise dolcemente.

«Dove siamo? Cos'è questo posto?» gli chiese Natan.

L'angelo allargò le braccia lentamente, continuando a sorridere.

«Questo posto, amico mio, sei TU».

 

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Capitolo 5
*** Prigione ***


Capitolo 5

Prigione

 

 

“Los Angeles”, 17.56 P.M.

 

 

Gabriel fece un mezzo giro e si andò a posizionare davanti a Natan. L'uomo intanto aveva ripreso a squadrare il loto ammirandone ogni dettaglio. Passarono alcuni momenti in cui l'angelo non conferì parola, ma attese pazientemente.

«Che cosa vorrebbe dire che sono io? Cosa... cosa vuol dire tutto questo? Si può sapere che vuoi da me?». Natan esordì bruscamente, come se si fosse svegliato all'improvviso da un sonno. Stava lentamente cambiando umore, e anche il tono della voce si faceva pian piano quello di prima. Gabriel annuì leggermente. L'assuefazione che il loto gli aveva procurato stava terminando, e l'uomo lo adagiò nella luce insieme agli altri. Il fiore galleggiò un poco, poi si bloccò di colpo, come se si fosse ancorato a terra.

«Tu dici che sono stato io a chiamarti» continuò Natan guardando l'angelo negli occhi, «ma io non ho chiamato proprio nessuno, benché meno un... angelo». L'ultima parola la pronunciò con sarcasmo. «Dici che ti ha mandato Dio? Bene, allora fa una cosa, digli che può tranquillamente tornare a farsi gli affari suoi invece di immischiarsi nei miei. E dato che ci sei, digli dove cazzo era andato a finire quando i miei avevano bisogno di Lui. Chiedigli perché non poteva scendere dalla sua fottuta nuvoletta ed aiutare due brave persone che non avevano mai fatto del male a nessuno. Chiedigli tutto questo, se vuoi proprio aiutarmi».

L'angelo rimase in silenzio, facendo irritare Natan, poi distolse lo sguardo dall'uomo puntandolo alle sue spalle. Indagò un poco con gli occhi osservando il paesaggio.

Ma ha capito cosa gli ho detto?” si chiese Natan fra sé. Ancora faceva fatica a credere a ciò che stava vivendo, e non era più riuscito ad elaborare nulla perché era successo tutto troppo velocemente. Quel fiore... lo aveva drogato? Lo aveva ipnotizzato? Era tutto così improbabile ed impossibile che quasi gli veniva da ridere.

Facciamo un passo indietro. Mi sono ritrovato questo qua all'improvviso. È entrato non si sa come dalla mia finestra e cazzo, ha fatto pure una bella entrata ad effetto! Poi la risata, ed il fatto che ho potuto muovermi nonostante fossi fatto fino al midollo. Tutto mi fa pensare che mi stia inventando tutto. Eppure ho sentito il tocco della sua mano. L'ho sentito! Sto impazzendo? Se solo potessi avere delle risposte...”

«Le risposte sono tutte intorno a te Natan.»

Giusto, può leggermi nella mente. Fottutissimo ficcanaso!”

«Ti prego, seguimi». Gabriel cominciò a spostarsi transitando accanto all'uomo. Emanava un profumo molto delicato che Natan non aveva mai sentito prima.

«Ah e ti ringrazio dei complimenti». Natan lo vide sorridere e digrignò i denti. Sulle prime non si mosse, poi vide l'angelo che allontanandosi gli faceva un cenno. Sbuffò e cominciò a seguirlo.

Passò qualche minuto in cui nessuno proferì parola, e Natan poté godersi la bellezza di quello strano posto. Mai nella sua vita aveva visto così tanto bianco e così tanti fiori. Per non parlare di nuvole colorate che non si mischiavano fra loro.

Sembra uno scenario di Final Fantasy”.

«È vero!» concordò Gabriel, «mi ricordo quando Lui decise di ispirare le menti dei creatori. Era molto eccitato e non vedeva l'ora di vedere cosa quelle persone ne avrebbero fatto di tutto quel meraviglioso potenziale.»

«Con Lui intendi... Dio?»

Gabriel sorrise e annuì con un unico cenno del capo.

Natan alzò un sopracciglio e dopo qualche attimo di esitazione aprì la bocca per dire qualcosa, ma poi ci ripensò.

«Non avere paura Natan, chiedimelo pure» lo incitò Gabriel. Si trovava poco davanti ma con la lettura della mente aveva ovviamente intercettato la domanda che Natan aveva intenzione di porgli.

«Puoi smetterla di farti i fatti miei per favore?» gli chiese stizzito.

«Non posso evitarlo. Non è un qualcosa che posso accendere e spegnere, o che posso ignorare. Sono stato creato per fare questo, come tu sei stato creato per fare altro. Ognuno di noi fa ciò per cui è nato, e da questa realtà non possiamo esimerci. Potresti pensare che sia una sorta di tirannia o di brutale imposizione.»

«In effetti potrebbe sembrarlo.»

«Ricordati che tutto è funzionale nell'esistenza delle cose. Tutto serve e tutto ha uno scopo. Perché se qualcosa non avesse uno scopo, quale sarebbe il senso della sua esistenza? Io sono stato fatto per uno scopo, e quello che posso fare è adempiere a ciò per cui sono stato creato nel miglior modo possibile. Siamo arrivati.»

Natan seguì con gli occhi il punto dove Gabriel stava guardando.

«Cristo santo! E questo che cavolo sarebbe?». Davanti all'uomo c'era una voragine. Era larga circa un metro per un metro e inghiottiva letteralmente il bianco risucchiandolo in profondità. Sporgendosi non si riusciva a vedere nulla di cosa c'era all'interno né quanto fosse profonda. I fiori che si trovavano vicino al bordo sembravano scoloriti, come se avessero perso vitalità. Altri, in procinto di essere catturati, erano di un colore ancora più pallido. Ma la cosa che più impressionava Natan era il grande fiore di loto che si trovava al centro. Veniva fuori da quella bocca di circa una spanna e il suo colore era come il resto di ciò che lo circondava: nero. Brillava, come facevano gli altri fiori, tuttavia c'era qualcosa di sbagliato, di non armonico, di disperato, di perso.

Natan girò lo sguardo verso l'angelo in cerca di spiegazione e vide che Gabriel aveva cambiato espressione. Ora non era più sorridente e il volto, sebbene comunque con una certa armonia, disegnava un'espressione seriosa.

Poi l'angelo cominciò a parlare: «Ti ho accennato prima che qui ci troviamo dentro di te. Natan qui non ci troviamo dentro di te in senso fisico, ma in senso metafisico. Qui siamo dentro la tua anima.»

Natan aggrottò la fronte, poi dopo qualche attimo si mise a ridacchiare in maniera sarcastica.

Gabriel non fece una piega e continuò il proprio discorso.

«Questo è l'interno della tua anima e ciò che è rappresentato qui è l'infinito bagaglio di esperienze, sentimenti ed emozioni che essa ha vissuto nel corso delle migliaia di reincarnazioni. Le nuvole hanno il compito di fare da ponte con l'esterno e sintetizzare tutto quello che entra a far parte del vissuto, come se fossero una sorta di ciò che voi chiamate diario. La piccola sfera blu che hai visto cadere era l'esperienza che tu, come anima, hai fatto nel vedere il vero te stesso.»

Natan continuava a ridacchiare. Questo era troppo, anche per un tossico normalmente affetto da allucinazioni.

«I colori indicano le emozioni e i sentimenti, e naturalmente le esperienze che hanno avuto quel tipo di lascito. Ad esempio il blu indica tutto ciò che suscita meraviglia. Il nero invece perdita e disperazione.»

«E io dovrei credere a una cosa del genere?»

«Non importa se ci credi oppure no, questo non toglierà veridicità a ciò che ti dico. Ma se vuoi, se ne avrai il coraggio, potrai verificare tu stesso.»

Gabriel indicò con lo sguardo il fiore nero. Natan fece istintivamente un passo indietro. Guardando quell'orribile buca si ritrovò a rabbrividire. Capì che per niente al mondo avrebbe anche solo toccato quel fiore. Il solo guardarlo gli faceva venire i conati di vomito. Tornò su Gabriel per scacciare la sensazione.

«Ascolta, perché non ce ne andiamo da qui? Lasciamo perdere questo posto e torniamo a Los Angeles», provò a suggerire.

«Mi dispiace Natan, ma non ho il potere di fare nulla in questo luogo» affermò l'angelo.

«Che cosa? Ma ma se sei stato tu a portarci qui» protestò Natan.

Gabriel scosse la testa. «No Natan, in realtà sei stato tu.»

«Stronzate! Tu mi hai preso la mano, se non fosse stato per te a quest'ora starei tranquillamente a casa sul mio divano». Natan puntò il dito contro l'angelo, poi si girò per un momento verso il fiore con preoccupazione, come se avesse paura che in qualche modo il loto potesse attaccarlo. Si sentiva sempre più a disagio in sua presenza e ciò lo metteva in agitazione.

«Un angelo è solo un aiuto. Il mio scopo è aiutare le anime nel loro viaggio. Quando le nostre mani si sono toccate, io ho fatto solo da tramite, ma sei stato tu, o per meglio dire, la tua anima a creare il passaggio.»

«Me ne frego! Voglio tornare a casa hai capito? Apri questo portale maledizione!». Natan cominciava ad avere paura, e il respiro a farsi più rapido.

«Te l'ho detto, non posso. Puoi farlo solo tu. Solo l'anima può entrare in se stessa e solo lei può uscirne. Io non avevo accesso a questo posto se non insieme a te.»

«ME NE SBATTO IL CAZZO DI CHI PUÒ FARE COSA! TU SEI VENUTO DA ME E MI HAI SCONVOLTO L'ESISTENZA, TU SEI ENTRATO DA QUELLA CAZZO DI FINESTRA. L'HAI FATTO TU IL CASINO!». Natan stava urlando, si mise le mani nei capelli e cominciò ad camminare nervosamente. Dall'alto cadde una sfera di color rosso sangue, ma l'uomo neanche se ne accorse tanto era furioso ed impaurito.

L'angelo assorbì quella rabbia senza fare una piega e rispose con la consueta calma.

«C'è un motivo se la tua anima ti ha portato qui, se tu ti sei portato qui. Mi dispiace Natan, ma se non riuscirai a trovare una soluzione, rimarremo bloccati qui. Per sempre.»

Quelle parole, pronunciate con quella tranquillità così fuori luogo fecero perdere definitivamente la testa a Natan, che con un ghigno animale si avventò sull'angelo.

 

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Capitolo 6
*** Scontro ***


Capitolo 6

Scontro

 

 

“Los Angeles”, 17.56 P.M.

 

 

 

Nel giro di qualche passo l'uomo si trovò a pochissima distanza da Gabriel e cominciò a caricare il pungo destro. Aveva la faccia deformata dalla furia e gli occhi erano sgranati e rabbiosi. L'angelo invece se ne stava immobile nella sua perfetta compostezza, le braccia comodamente lungo i fianchi e la faccia serena. Non accennò neanche una qualche sorta di mossa difensiva. L'unica cosa che fece fu fissare Natan e la sua furia omicida venirgli incontro. L'uomo iniziò una torsione col busto per calibrare il colpo mortale: dato che l'angelo era staccato da terra di almeno settanta centimetri non sarebbe sicuramente arrivato a prenderlo in faccia, ma con un gancio ben assestato avrebbe potuto colpirlo alla bocca dello stomaco. Non era la prima volta che Natan menava le mani. Dopo la morte dei genitori si dovette trasferire dalla sua città natale, Fort Collins, a Denver, dove risiedevano i nonni materni. All'epoca aveva quindici anni, e dato che non era mai stato un ragazzo sociale, il rapporto con i genitori era per lui un punto di riferimento imprescindibile. Le giornate più belle le aveva passate a pesca col padre, o in giro per la città aiutando la madre con le sue necessità. Il trasferimento a Denver fu traumatico, e lo trascinò ancor di più verso l'isolamento. I rapporti con i coetanei erano difficili, e venuti a sapere della disgrazia che lo aveva colpito pochi mesi prima, alcuni di loro non mancavano di prenderlo in giro ed umiliarlo. Da lì ovviamente le volte che c'era scappata la rissa c'erano state, ma Natan non combatteva per sé stesso. Scattava se venivano insultati i suoi genitori, e quando succedeva diventava una furia. “Le brutte abitudini sono le più dure da cambiare”, gli diceva sempre il padre, mentre tentava per l'ennesima volta di smettere di fumare.

Con un ultimo decisivo passo rilasciò il pungo. Non gli importava che Gabriel non stesse tentando di difendersi, né i danni che avrebbe potuto procurargli. L'angelo si sarebbe vendicato? Lo avrebbe fatto impazzire con la sua perfetta, precisa, assordante risata? Per quello che gli importava avrebbe potuto anche chiamare Dio stesso, per farlo bruciare, disintegrarlo, folgorarlo, o abbassargli i pantaloni e prenderlo a sculacciate per l'eternità.

Il braccio si mosse veloce proprio in direzione del busto dell'angelo, e Gabriel ancora non si muoveva. Natan aveva messo tutto il peso del corpo per aumentare la potenza del colpo, e sembrava che esso sarebbe andato a segno. All'improvviso l'uomo avvertì una scarica elettrica pervaderlo, e di colpo il braccio arrestò il movimento senza che lui gli avesse dato l'ordine. La mano chiusa era a mezz'aria fra il suo corpo e quello di Gabriel. Sembrava che Natan si fosse messo in posa come un supereroe.

Ma che diavolo...”. Digrignando i denti tentò di riprendere il controllo, cercando di spingere il braccio verso il bersaglio, ma il corpo non ne volle sapere di collaborare. Era come se qualcuno lo stesse manovrando come una marionetta. Quella strana elettricità lo stava ancora attraversando, ma non gli procurava dolore, anzi, era piacevole sentirla scorrere nel corpo.

Bastardo, sei tu a farmi questo? Ecco perché non ti sei mosso, vero?”. Era chiaro che la scossa lo immobilizzava, ed era chiaro che era stato l'angelo a stregarlo. Natan stava tremando per lo sforzo immane, tuttavia non mollò, e continuò il braccio di ferro contro quella forza immobilizzate.

Non era mai stato un uomo particolarmente vigoroso, e la droga sicuramente aveva intralciato l'espressione della sua forza fisica, infatti ben presto si sentì senza energia. Gabriel osservava lo sforzo di Natan con neutralità attendendo che l'uomo si esaurisse.

Nel preciso momento in cui la mente dell'uomo si concentrò sulla sfinitezza del corpo e lasciò andare la rabbia, la scossa sparì. Natan avvertì che il fisico tornava a rispondergli, ma si sentì a pezzi, incapace di muovere un muscolo. Si gettò a peso morto a terra, ma invece di sbattere malamente al suolo, la coltre bianca lo sostenne, sollevandolo e accudendolo. Era incredibilmente comoda e soffice.

Gabriel si avvicinò.

«Stai bene?», gli chiese. Natan non gli rispose. Era furioso, ma troppo stanco per manifestarlo.

«Che cosa mi hai fatto?» parlava con un filo di voce.

«Non ti ho fatto niente...». L'uomo cominciò a ridere scompostamente. Gli costava fatica persino quello, ma la cosa lo faceva veramente divertire.

«Fammi indovinare, sono sempre io vero? A fare tutto? Sempre io a fare questo, quello... sempre io a rovinarmi da solo.»

«Te l'ho detto, siamo dentro la tua anima. Tutto quello che succede qui è per tua azione». L'angelo con una mossa repentina mutò posizione e si mise a levitare in orizzontale, e i due si ritrovarono ancora faccia a faccia. La lunga chioma quasi sfiorava le guance di Natan. Nei pulsanti occhi di Gabriel non c'era nessun tipo di astio o rabbia per l'aggressione che aveva quasi subito, e con la consueta calma riprese a parlare: «Come ti ho appena spiegato, ognuno di noi ha uno scopo. Non è lo scopo di un'anima aggredire un angelo, non è per questo che è siete stati creati». Fece una pausa, e leggendo il pensiero che stava formulando Natan riprese: «Così come non è quello di un angelo aggredire un'anima.»

«Mi vuoi far credere che non sei stato tu a immobilizzarmi come un salame?», chiese l'uomo con sarcasmo. L'angelo scosse la testa.

«Se la tua anima, quindi tu stesso, non può aggredirmi, chi pensi che sia stato a bloccarti?» Natan inclinò un poco la testa, poi annuì lentamente.

«Io stesso.»

«Esatto» asserì Gabriel, «tu stesso, nell'essenza del tuo essere, non hai fatto altro che rispondere ad una legge divina della creazione. Da una parte volevi colpirmi, dall'altra la tua anima tentava di impedirlo, e dato che non puoi ovviamente avere la meglio su te stesso, il risultato è stato una via di mezzo, cioè l'immobilità. La risultante di due forze con la stessa intensità.»

«Ho combattuto contro me stesso.»

«Si». Gabriel sorrise e gli tese la mano. Natan la osservò con disappunto.

«Non ci casco un'altra volta.»

«Non preoccuparti. Te l'ho detto no? Non possiamo andare da nessuna parte.»

«Ma che bello...». Natan afferrò la mano dell'angelo e in un batter d'occhio si ritrovò in piedi. Si stupì della facilità con cui l'angelo lo aveva tirato su. Barcollò un po' prima di trovare l'equilibrio. Era veramente esausto.

«Ascolta Natan, come ti ho già detto io non ho potere in questo luogo. Non posso modificare né toccare nulla. È come se fossi un intruso.»

«Ah! Ecco perché stai continuando fastidiosamente a volare davanti ai miei occhi! E io che pensavo che fossi solo un po' pigro». Gabriel rise.

«Beh potresti farlo anche tu, se volessi...», Natan aggrottò le sopracciglia.

«Cos...»

«Ad ogni modo» lo interruppe l'angelo, «hai già capito che l'anima ti parla vero? Quella reazione che hai avuto prima, vedendo il loto nero. L'anima ti ha indicato che quella era la via, la cosa giusta da fare. Tu sapevi già come uscire da qui». L'uomo si incupì in volto e rimase in silenzio.

«Natan, lo so che è difficile, sento perfettamente ciò che hai dentro, ma quella è l'unica possibilità di uscire da qui.»

«Per te è facile» ribatté Natan, «non sei tu che devi affrontarlo. Tu non ce li avrai neanche questi problemi. Tu sei un angelo, sei perfetto! tu...tu voli Cristo Santo! Hai le ali che si accendono come neon!»

«Credimi se ti dico che tu, anzi, che voi avete e siete molto di più di ciò che io potrò mai essere». Era una piccolissima nota di rammarico quella che aveva avvertito Natan in quell'affermazione, o era stata solo la sua immaginazione? Perché si sa, i tossici in quanto ad immaginazione non li batte nessuno!

«Non capisco, cosa intendi?» gli chiese. Gabriel spostò lo sguardo all'orizzonte verso quello sterminato manto di fiori.

«Voi siete in tutto e per tutto stati creati ad immagine e somiglianza di Dio. Questo lo avrai sentito un milione di volte». Natan annuì.

«Questo vuol dire la vostra matrice creativa è Dio stesso. Voi venite, siete, e tornerete in Dio. Per noi angeli è diverso, la nostra matrice non viene da Dio stesso, ma dalla sua energia creativa. Noi non abbiamo un'anima, non siamo Dio.»

«D'accordo, ma questo cosa c'entra? Io sono comunque un umano e tu sei comunque un angelo». Gabriel tornò a guardare Natan.

«Il Cristo non era un uomo? Eppure diresti che lo era? Il Buddha nacque e visse come un uomo, ma pensi che lo fosse? Si, lo erano in un certo senso, ma non nel modo in cui la maggior parte di voi pensa». Natan non capiva cosa volesse intendere l'angelo, ma la sua attenzione era sempre più scarsa, perché ogni momento che passava la sensazione di dover affrontare il loto cresceva. La sola idea gli faceva venire i brividi, ma l'angelo aveva ragione, e ora avvertiva chiaramente quella forza interna che lo spingeva allo scontro.

«Non lo erano?» gli domandò con fatica per cercare di guadagnare tempo.

«Loro erano uomini solo all'apparenza. Dentro di loro dimorava la consapevolezza di essere qualcos'altro, perché di fatto loro erano qualcos'altro. È ora Natan». L'uomo cominciò ad avere di nuovo quella sensazione di non controllo e subito dopo la stessa carica elettrica di prima lo pervase. Cominciò ad urlare, cercando di fare resistenza, ma la forza che aveva non bastò per impedirgli di avvicinarsi alla voragine.

«No, no, ti prego!». Non ce la faceva più a resistere, e stava per cedere, quando si sentì una mano sulla spalla sinistra. Si girò e vide il meraviglioso viso dell'angelo. Gli stava sorridendo.

«Ce la puoi fare Natan.»

«Che cosa devo fare?»

«Lascia essere ciò che deve essere». A quelle parole l'uomo lasciò completamente la pressione che stava esercitando e il corpo lo trasportò violentemente verso il fiore. La sua luce sembrava la raffigurazione dell'oblio e la promessa di un dolore eterno. La mano destra afferrò il loto e se lo portò alla faccia. Con un inspirazione lunga e secca Natan ne inalò l'odore.

 

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Capitolo 7
*** Pianto ***


Capitolo 7

Pianto

 

 

“Los Angeles”, 17.57 P.M.

 

 

 

L'inalazione dell'aroma causò a Natan una paralisi pressoché istantanea. L'irrigidimento non gli consentiva di fare alcun tipo di movimento, né di invertire quella pericolosa situazione di impotenza. L'uomo cominciò a sentirsi la mente leggermente annebbiata. Tutto questo gli ricordava sinistramente la sua amata droga, ma stavolta non accondiscendeva all'effetto con la consueta calma. Lo sguardo si era bloccato fisso alla voragine, e la paura che lo attanagliava lo avrebbe paralizzato anche senza l'azione del loto. Natan non avrebbe mai potuto neanche concepire qualcosa di così nero, di così maligno. L'oscurità che scaturiva dalla buca non inghiottiva solo i fiori, o il bianco di quella coltre meravigliosa, ma sembrava anche cibarsi dei sentimenti, delle emozioni, della vita stessa.

La mente continuava a consumarsi privando all'uomo lucidità e brillantezza. Lentamente perse i sensi e cadde in trance. In quel momento, come un abile predatore fa durante la caccia, il loto, ancora avvolto nella mano dell'uomo, iniziò a mutare la sua forma. I petali si allungarono a dismisura e presero la forma di tentacoli, alcuni cominciando ad avvolgere la vittima come il ragno con la mosca, altri invece muovendosi per ricollegarsi all'oscurità della voragine.

Natan venne sollevato, girato a testa in giù, e lentamente potato a quella specie di bocca famelica. Gabriel assistette immobile al macabro banchetto, consapevole che l'uomo aveva la forza necessaria per superare ciò che gli sarebbe accaduto.

«Non te lo dimenticare Natan. Tu sei superiore», sussurrò vedendo la sagoma dell'uomo sparire nelle tenebre.

 

...

 

Natan aprì gli occhi su una strana penombra. Era sdraiato su qualcosa di soffice, anche se non tanto quanto il bianco avvolgente del manto di loti.

Dove diavolo...” cominciò a chiedersi fra sé, ma quando gli balenò in mente cosa era successo poco prima emise un grido di terrore. Si toccò scompostamente in tutto il corpo assicurandosi che quegli orrendi tentacoli non gli fossero rimasti avvinghiati. L'ultima cosa che ricordava prima di svenire era un intreccio di fili neri che serravano la presa sul suo corpo.

Emise un forte sospiro di sollievo, si mise a sedere e cominciò a guardarsi intorno. Era finito in quella che gli sembrava essere una grotta. Giudicò che doveva essere larga circa cinque metri per cinque. Abbassò lo sguardo a terra, toccando con le mani il pavimento. C'erano loti dappertutto, e poggiavano su un suolo giallastro che ricordava vagamente quello candido di poco prima. Tuttavia questo era alto all'incirca dieci centimetri, ed appariva sfibrato, come se fosse invecchiato ed avesse perso energia. Natan tentò allora di prendere in mano un fiore. Era di un verde pallidissimo molto simile al grigio, e al tocco della mano dell'uomo si sgretolò all'istante.

Natan aggrottò le sopracciglia, e tentò di afferrarne un altro, ma anch'esso si polverizzò al minimo contatto.

Si alzò in piedi. L'aria era opprimente e sapeva di chiuso, come se quella grotta non vedeva luce e aria pulita da un pezzo. In più, c'era una sensazione di... rabbia, frustrazione, e non si sentiva nulla, nessun suono, sembrava di essere dentro una vecchia, logora, sala di registrazione vecchio stile, ma con un tocco di macabro.

«Angelo! Hey, angelo, ci sei?» cominciò a chiamare Natan. Nessuna risposta.

«Gabriel!» ritentò. Niente. Natan scosse la testa.

«Lascia essere ciò che deve essere Natan», cominciò a canzonare l'uomo, «non preoccupati se verrai stordito, legato e inghiottito, è la vita. Ah, al diavolo!»

Natan iniziò ad esaminare la grotta. Le pareti erano irregolari e sembravano rocciose, ma ad un'analisi più attenta l'uomo intuì che non lo erano. Erano qualcos'altro che non conosceva. Si accorse di essere teso e di far fatica a respirare perché l'oppressione di quel luogo era davvero forte.

Mulinando lo sguardo in aria non vide che altra “roccia”. Quella sembrava una grotta chiusa.

Ma allora come può esserci luce?” si chiese alzando un sopracciglio. Decise di non pensarci, consapevole che quella non era la cosa più strana successa in giornata.

Si avvicinò alle pareti e toccò il materiale. Era di un grigio molto scuro, quasi nero. Appena la mano entrò in contatto l'uomo ebbe un sussulto. Ritrasse la mano come se ce l'avesse avuta in mezzo al fuoco, ed ebbe una strana sensazione. Poggiò di nuovo la mano al muro e stavolta ce la lasciò. Dopo qualche secondo cominciò ad avere la necessità di muoversi. Con l'altra mano si passò lungo tutto il corpo cercando di trovare l'origine di qualcosa che come comprese subito dopo un'origine non ce l'aveva.

«Sto toccando...me stesso?». Quello era ciò che provava. Era come se stesse toccando qualcosa dentro di lui che non aveva mai pensato che potesse esserci. Qualcosa di diverso dal corpo fisico, ma ugualmente reale. Non era una sensazione di fastidio, ma neanche così meravigliosa. Staccò la mano e cominciò a vagliare tutto il perimetro della grotta.

Non so che posto sia questo, ma dev'esserci per forza un'uscita. Magari la luce viene proprio da là. Ma tu guarda che situazione!”. Natan ansimava leggermente e si rese conto man mano che passava il tempo che la sensazione di oppressione e di rabbia che c'era nell'aria stava aumentando, e non solo, credeva anche di sentirsi più stanco.

«Non so perché, ma devo andar via il più presto da qui». Cominciò allora ad analizzare le pareti più velocemente, ed un senso di urgenza prese ad attanagliarlo. Ad un certo punto trovò un'insenatura che giudicò larga grosso modo sessanta centimetri e senza pensarci due volte ci entrò. La spaccatura era talmente stretta che lo costrinse a strisciare al suo ridosso. Procedeva lentamente e con fatica, aveva il fiatone per lo sforzo e la stanchezza gli mordeva le membra. Un passo alla volta, un ansimo alla volta, dopo po' l'insenatura si apri su un stanzone. Appena Natan riuscì a liberarsi si gettò a terra sfinito. Sentiva forte l'urgenza di continuare, ma era veramente stremato dalla fatica e decise di prendersi una piccola pausa. Riusciva ad udire benissimo il battito del suo cuore, il rumore dell'affanno, il suono delle pulsazioni delle vene che gli passavano sulle tempie. Aveva lo sguardo rivolto al soffitto e gli occhi chiusi quando gli sembrò di udire un lamento, un singhiozzare poco distante che lo fece subito tirare su. Tese l'orecchio per cercare di sentire meglio, ma poi si diede dello stupido realizzando che lì era completamente silenzioso. Non carpì niente. Pensò di esserselo inventato e fece per tornare a sdraiarsi quando il pianto di propagò di nuovo. Proveniva da poco lontano da lui e Natan puntò lo sguardo fisso davanti. Vide una flebile luce sbucare da quello che poteva essere un angolo distante circa dieci metri. Un altro singhiozzo, e la luce cresceva d'intensità illuminando l'area circostante. Natan ebbe la conferma che si trattava di un angolo e rimase esterrefatto quando vide una piccola sagoma sbucare fuori. Giudicò che poteva avere l'altezza di un bambino, ma non aveva lineamenti di nessun tipo, o almeno l'uomo non li percepiva da quella distanza. L'unica caratteristica che lo contraddistingueva era la potente luce che irradiava. In effetti sembrava fatto di luce, un bambino fatto di sola luce.

Si alzò in piedi in fretta e furia cominciando a gesticolare.

«Hey tu! Hey, mi vedi? Sono qui!» cominciò ad urlargli. C'era qualcuno in quel luogo desolato e lui era felicissimo! La sagoma ebbe un sussulto e a Natan gli parve che l'incontro lo avesse colto di sorpresa.

Fissò la sagoma, e la sagoma fissò lui, ma poi cominciò ad indietreggiare.

«No aspetta, dove vai? Ti prego non andartene!» cominciò a supplicarlo Natan. La sagoma sussultò ancora più forte, cacciò un urlo di terrore e scappò via.

 

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