Ora Ti Lascio Andare

di Chiccagraph
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Nothing else matters stay here and be right now ***
Capitolo 2: *** Il destino mescola le carte e noi giochiamo ***
Capitolo 3: *** Cinnamon ***
Capitolo 4: *** Chiacchiere notturne ***
Capitolo 5: *** Il primo sintomo dell’amore è negare che lo sia ***
Capitolo 6: *** I quattro elementi ***



Capitolo 1
*** Nothing else matters stay here and be right now ***


Se è destinato a stare nella tua vita, nulla potrà mai farlo andare via.
Se non lo è, nulla al mondo potrà mai farlo rimanere. 
(Lang Leav)

 

 

Le vertigini erano il primo sintomo. 

La stanza iniziava a girare fino a ridursi in un cono di luce nera. 

Non esisteva più nulla intorno a lui. 

I battiti del cuore gli rimbombavano nelle orecchie. Come un tamburo, coprivano con i loro rintocchi tutti i rumori circostanti. 

Sentiva le mani coperte da una pellicola appiccicosa e il costante tremore era accompagnato da un formicolio che progressivamente si impossessava di ogni arto. 

Era finita. 

La paura della paura era entrata in gioco e il loop dell’ansia era partito. 

Una volta che il viaggio inizia non puoi interromperlo a metà. Seduto sul tuo vagoncino di angoscia devi aspettare che il giro della morte finisca per poter tornare a terra.

«Sergio»

Un suono ovattato. Poteva sentire il rumore, ma le parole non riuscivano a raggiungerlo. 

«Sergio» 

Lo stesso suono, si ripeteva come un mantra intorno a lui. Non poteva rispondere, non riusciva a dire nulla perché il solo parlare lo avrebbe privato del flebile filo d’aria che circolava nei suoi polmoni, soffocandolo a morte. 

«Sergio!» 

Questa volta Raquel prese le sue mani tra le sue, cercando con i suoi occhi quelli dell’uomo. Come risvegliato da un incubo, Sergio, la guardò davvero per la prima volta, le pupille dilatate e le vene sul collo che pulsavano in maniera feroce.

La donna conosceva bene il suo problema, lei stessa ne aveva sofferto per tanto - troppo - tempo; per questo sapeva meglio di chiunque altro che il panico non era altro che un’improvvisa diserzione da sé stessi, un arrendersi al nemico da parte della propria immaginazione. 

Dopo la morte di Andrés gli episodi si erano acuiti. Le immagini del fratello lo perseguitavano costantemente e il fardello ingombrante della sua morte gli attanagliava l’anima con il rimorso.

Si era sacrificato per onorare la memoria del padre. 

Si era sacrificato per il piano. 

Si era sacrificato per lui.

Neanche una volta Sergio aveva pensato che probabilmente si fosse immolato per scampare a un destino ancora più triste: quello di appassire lentamente insieme alla sua malattia. 

Andrés amava la vita vera, senza vincoli, senza limiti. Era un’edonista nato: sadico, senza cuore e dal carisma irresistibile. Non avrebbe permesso alla malattia di impossessarsi del suo corpo e della sua anima. 

O la libertà o la morte, non c’erano altre carte in tavola da poter giocare. E avrebbe scelto lui quale delle due usare. 

Ora che la sua anima vagava indisturbata e libera, il professore viveva di sensi di colpa - un conflitto psichico irrisolto che lo mordeva dall’interno.

E la sua permanenza in questa desolante “terra del rimorso” era accompagnata da continui attacchi di panico, che davano vita a un problema ancora più grande: la paura della paura.

La paura della paura è uno dei peggiori demoni che un uomo deve affrontare. 

Nessuno conosce le carte giuste da giocare per vincere la partita contro il demone dell’attacco di panico, perché è infimo, astuto, si impossessa di tutti i tuoi sensi e all’improvviso sei completamente perso in una bolla di terrore. 

Raquel aveva bisogno di tirare fuori Sergio da questo stato di angoscia e tranquillizzarlo. 

Gli prese il volto tra le mani e guardandolo fisso gli disse: «Sono qui, rilassati» i pollici accarezzavano lievemente la pelle del viso, passando tra i peli della barba e proseguendo il loro movimento circolare fino agli zigomi. «Sono qui. Ripetilo con me».

«S-sei…» il respiro affannoso non gli permetteva di parlare «Sei…», ma il caldo contatto delle mani di Raquel sulla sua pelle e la sua voce melodiosa avevano il potere di rallentare i battiti del suo cuore. Di far tornare la pace.

E pensare che c’era un tempo in cui il suo cuore saltava sempre un battito, quando la donna pronunciava il suo nome. 

«Sono qui. Dillo di nuovo»

«Se-sei… sei qui» riuscì a dire mentre avvolgeva la donna tra le braccia. Allacciò i loro corpi insieme fino a che i loro respiri non si sintonizzarono. «Sei qui. Sei qui. Sei qui.» continuava a ripetere con il viso affondato nella curva del suo collo, avvolto dal suo profumo. 

Con il corpo caldo di Raquel vicino al suo era in grado di estirpare ogni paura, di combattere ogni nemico – anche quando risiedeva all’interno della sua mente. 

Il respiro si era regolarizzato, le mani avevano smesso di tremare e il peso che aveva nel petto si era completamente dissolto nel nulla. Ora, nel silenzio della stanza, poteva sentire i loro cuori battere insieme, rincorrersi nella gabbia toracica, cercando di raggiungersi. 

Una volta, il professore, le aveva detto che gli esseri umani hanno il cuore a sinistra e non al centro del petto per un semplice motivo: quando abbracciano chi amiamo, il battito del loro cuore riempie il loro lato vuoto. Li completa. 

E quel giorno Raquel aveva deciso di essere quel cuore. Aveva scelto di essere il suo complementare.

Aveva accarezzato con una mano la sua corazza, circondato con il suo calore il muro di cemento che aveva costruito intorno al suo cuore e lentamente, mattoncino dopo mattoncino, aveva buttato giù quella barriera e si era creata un proprio posto. Aveva visto da vicino il puzzle che lo componeva e lo aveva rimesso insieme pezzo dopo pezzo, aggiungendo le tesserine mancanti. Perché al mondo non esiste la persona perfetta, ma possiamo trovare qualcuno che conosca bene i nostri difetti e li mischi coi suoi in un incastro perfetto.

Senza trucchi. 

Senza inganni. 

Nessun gioco di illusionismo. 

Sergio non era abituato a tutto questo, ma con Raquel aveva sperimentato la bellezza di creare nuove abitudini. Quando vivi per quasi tutta la vita senza un’identità, vivendo in un buco come un fantasma, ti abitui a non essere nessuno. Un dimenticato. Un morto. 

La presenza di Raquel al suo fianco lo faceva sentire più vivo che mai. Lo aveva tirato fuori dal suo guscio vuoto e, ora, non aveva nessuna intenzione di tornarci. 

La vita con lei era stata un sogno.

Continuarono a tenersi abbracciati, cullandosi in questo lento ballo al centro della stanza. 

«Come ti senti?» Raquel fece un passo all’indietro, separando i loro corpi, lasciando la punta delle loro dita ancora allacciate insieme. 

«Meglio» 

Alle orecchie attente della donna, però, non sfuggì il sospiro sommesso. Era così difficile a volte riuscire ad interpretare i suoi silenzi, capire cosa si nascondesse dietro quelli occhi dolci e al tempo stesso determinati. E per quanto cercasse di tenerlo nascosto Raquel aveva capito che c’era qualcosa che preoccupava l’uomo. 

La rapina era finita, tutto era andato secondo i piani - più o meno. Il professore aveva mantenuto le sue due promesse: riportare a casa Rio e rendere tutti liberi. 

Liberi davvero. Niente più fughe, niente più nascondigli, erano solo loro con le loro nuove identità, e nessuno li avrebbe più cercati. 

Ma a quel prezzo?

La morte di Tokyo e Nairobi bruciava ancora forte, come il primo giorno. Aveva creato un taglio talmente profondo da lasciare esposta la carne viva del suo cuore e non c’era un periodo di tempo predefinito, scaduto il quale avrebbe smesso di far male. Era una ferita fresca, e come tale, avrebbe impiegato molto tempo per cicatrizzarsi. Perché le ferite non si cancellano, rimangono sempre lì; col tempo, la mente per proteggere sé stessa, le cicatrizza e il dolore diminuisce, ma non se ne vanno mai del tutto. 

In quel capannone si erano abbracciati, avevano pianto, gridato, gioito alla loro rinascita. Si erano salutati percorrendo ognuno la propria strada, legati per sempre da quel filo indissolubile che li avrebbe tenuti insieme per sempre.

Se fosse stata una fiaba, avrebbe concluso quest’ultimo capitolo della sua vita e, sfogliando le ultimi pagine di questo enorme volume, avrebbe accarezzato con il dito umido di pianto, le ultime parole della storia. Il loro lieto fine, il loro “e vissero per sempre felici e contenti”.

Ma Sergio non era né felice né contento. 

Cosa lo turbava a questo modo? 

Cosa gli toglieva il sonno la notte?

Il professore aveva calcolato con una precisione meticolosa ogni possibile via di fuga, nel caso in cui il piano originale non avesse seguito il suo naturale decorso. E per questo al piano iniziale si erano aggiunti el plan París, el plan Pulgarcito, el plan AIKIDO… erano tutte appendici dello stesso piano originale. Non avrebbe permesso a niente e nessuno di mettersi in mezzo tra lui e il suo obiettivo. Ogni cosa che aveva fatto in questi ultimi dieci anni era stata fatta per realizzare queste due rapine. Ogni giorno che passava era segnato da un passo in più verso la realizzazione del risultato finale. Aveva studiato ogni parte di quel copione per rendere la sceneggiatura impeccabile e così tutti i fili si erano lentamente legati insieme tessendo la tela perfetta per incastrare al suo interno il suo sogno: onorare la memoria di suo padre. 

Perché lui era figlio di un ladro, fratello di un ladro e a sua volta ladro. E questo non sarebbe mai cambiato. 

C’era stato però un intoppo che non aveva calcolato. Un qualcosa che lo aveva distolto dai suoi binari iniziali e aveva cambiato il suo percorso immischiandosi così profondamente dentro di lui da non permettergli più di slacciare i fili che si erano aggiunti ai suoi, senza sentirsi privato al tempo stesso di una parte di sé stesso.

Questo intoppo aveva un nome e un cognome e una personalità molto ingombrante. 

Alicia Sierra aveva stravolto non solo il suo piano, ma la sua vita. 

Aveva passato mesi e mesi a fuggire, giocando a guardia e ladri con la donna, nascondendo le sue tracce, insabbiando i suoi spostamenti, ingannandola con semplici giochi di illusionismo – come li chiamava lui -, per poi scoprire quanto era dolce lasciarsi catturare.

Alicia era entrata nella sua vita affondando direttamente nella sua pelle, come un proiettile. Aveva lacerato i tessuti senza chiedere nessun permesso. Non era stata una semplice acquazzone estivo, di quelli tipici della spiaggia paradisiaca dove si era nascosto per tutto questo tempo. Alicia era più simile a un uragano e una tempesta. Uno di quelli che ti entra dentro per restarci e poi nulla può essere più come prima. 

Aveva sradicato la sua capanna, buttando giù tutti i muri ed esponendolo ai venti freddi del suo cuore. 

Era passata una settimana da quando erano arrivati i loro nuovi passaporti, eppure continuava a fingere di non averli ancora ricevuti. 

Se non apri la busta e scopri il contenuto puoi fingere che non esista, no? Nasconderli dentro a un cassetto era l’equivalente di nascondere la testa sotto la sabbia, questo lo sapeva bene; prima o poi avrebbe dovuto affrontare la donna, ma ora non era ancora pronto. 

Perché ci vuole coraggio a lasciare andare uno dei fili che tiene insieme il complesso reticolato del tuo cuore. 

Ci vuole coraggio a reciderlo sapendo che difficilmente potrai riannodarli insieme ai tuoi. È un filo sciolto che può decidere di legarsi dove vuole: allacciarsi nuovamente ai tuoi o lasciarsi trasportare via dal vento.

E lui aveva mille ragioni per farlo, per tagliare via quella rosa pericolosa e tornare a prendersi cura del parco incontaminato dei suoi sentimenti. Aveva mille motivi per andarsene. Ed uno solo per restare. Ma quell’unico motivo, cazzo, aveva degli occhi bellissimi.

Non avrebbe mai costretto la donna a rimanere se il suo desiderio fosse stato quello di andarsene, e rimandare la sua partenza gli sembrava la miglior strategia per farle cambiare idea – o per meglio dire, non dover affrontare il problema.

Aveva deciso di giocare in attesa, nessuno scontro, nessuna richiesta diretta. Bisogna attendere la fine della tempesta per godersi la quiete. Dalla panchina dei suoi sentimenti sperava che l’arbitro non avrebbe mai fischiato il cambio prima della comparsa dell’arcobaleno. 

Sergio si aggiustò con l’indice della mano destra gli occhiali, spingendoli in alto verso il ponte del naso. Un tic che aveva fin da bambino. Quel movimento incondizionato lo aiutava a pensare e ora più che mai aveva bisogno di capire cosa fare. 

«Sto bene» ripeté accarezzando con le dita la guancia della donna. «Sto bene». 

Poggiò lievemente le labbra su quelle della donna, suggellando con quel gesto una promessa. Non l’avrebbe fatta più preoccupare per lui.

 

 

Una volta lasciata la stanza, Raquel, rimase da sola al centro del tappeto. Non era più un’ispettrice di polizia, ma il suo istinto non l’aveva abbandonata e sapeva perfettamente che il segreto che così gelosamente Sergio nascondeva era tenuto al sicuro dalle quattro pareti di quella stanza.

Camminò lungo tutto il perimetro della stanza, guardandosi intorno. Ripensava a cosa era cambiato nella vita dell’uomo in questi ultimi giorni. 

Non era l’ebbrezza della libertà che velava i suoi occhi con quella patina opaca. I primi giorni aveva addirittura pensato che tutta questa amarezza dipendesse dalla consapevolezza di dover abbandonare per sempre i suoi vestiti di scena. Raquel non lo avrebbe mai obbligato ad una vita che non voleva, ma il suo patto con lo stato gli imponeva una battuta d’arresto. D’altronde un morto non poteva continuare a rapinare banche.

L’era della resistencia era finita. Quello stesso giorno aveva posato per sempre la sua maschera di Dalí e dismesso i panni del professore. Ora era semplicemente Sergio Marquina, anzi, Jose Luis Romero un ricco e annoiato ereditiere. 

Per gli abitanti del posto viveva insieme a sua moglie Isabel, l’amica Lucia e Victoria. Amava passeggiare sulla spiaggia al tramontare del sole con la piccola Victoria tra le braccia, e rimanere fino a notte fonda nel suo giardino privato con la sola compagnia di un buon libro e di un bicchiere di vino. Nessuno sospettava di nulla. 

Raquel sfogliò con la punta delle dita la copertina rigida dei libri riposti in ordine alfabetico nella libreria. Trascinò via con il dito il filo di polvere che si era depositato tra gli scaffali. 

Nessuna carta era presente sul ripiano della scrivania. 

Nulla sembrava fuori posto.

Eppure, c’era qualcosa che le sfuggiva. Ma cosa? 

Aprì i cassetti della scrivania lasciando scorrere lo sguardo tra i vari oggetti che contenevano. Nulla. Non c’era nulla di fuori dall’ordinario. Chiuse con forza il cassetto centrale lasciando andare un lungo sospiro. 

Quest’uomo era chiuso come il caveau di una banca. 

Scosse la testa appoggiando i gomiti sul ripiano in legno, fissando lo sguardo nella cornice posata accanto alla lampada nell’angolo destro. Non aveva mai notato quella foto prima d’ora. 

La raccolse per esaminarla da vicino, perdendosi con la mente nei ricordi che quello scatto racchiudeva.

Era una foto di lei, Alicia e Victoria. La bambina dormiva pacificamente tra le braccia della mamma mentre lei guardava la donna con uno sguardo sognante. Si trovò ad arrossire al riaffiorare dei sentimenti contrastanti che quell’immagine le provocava. Possibile che dopo tutto questo tempo la sola presenza di Alicia era in grado di scombussolarla così profondamente? 

Improvvisamente capì cosa dovesse cercare.

Aprì nuovamente il cassetto centrale della scrivania e prese tra le mani il libro che Sergio stava leggendo in questi ultimi giorni. Lo poggiò sul ripiano, soffermandosi con lo sguardo sul titolo scritto in rilievo sulla copertina. 

«Ora ti lascio andare» lesse ed alta voce. 

Sfogliò le pagine alla ricerca di un segnalibro. Di un segno del suo passaggio. Niente, il libro era perfetto, l’odore della carta era forte come se non fosse stato ancora mai sfogliato. Lo portò al naso per annusarlo – un vizio che aveva fin da bambina - lasciandosi avvolgere dalle note erbose della carta stampata. 

Il libro era insolitamente pesante per essere un volume così piccolo. Dall’altronde rispecchiava perfettamente il peso dell’argomento trattato. Lasciare andare qualcuno è un processo complicato che non viene naturalmente, perché è difficile lasciare andare le persone che amiamo. Ci si aggrappa all’amore con le unghie e con i denti, anche quando non c’è nessun appiglio che ci tiene su. 

Rigirò un paio di volte il libro tra le mani prima di alzarsi e posarlo nella libreria. Con una mano fece spazio tra i volumi dello scaffale - per posizionarlo correttamente - lo fissò per qualche secondo e poi lo riprese nuovamente tra le mani e questa volta sfilò la carta colorata che ricopriva la copertina. 

Il titolo era stato rimosso e al suo posto, al centro del cartone marrone e spesso della copertina, c’era un taglio rettangolare, della dimensione esatta dell’oggetto che nascondeva al suo interno. Applicò una leggera pressione sul bordo per sollevare un angolo dalla busta bloccata all’interno della tasca e poi la sfilò. 

Mentre tirava fuori il contenuto che nascondeva il libro, sentì la familiare puntura del senso di colpa farsi strada sotto la sua pelle. Stava violando la privacy dell’uomo; qualsiasi cosa tenesse nascosta nella copertina di quel libro doveva avere un grande significato per lui, dal momento che non se ne separava mai.
Continuava a ripetersi che stava invadendo il suo spazio personale per aiutarlo, non per ficcare il naso nelle sue cose. Era certa che svelato quel mistero, finalmente avrebbe compreso il motivo dell’umore mutevole dell’uomo e sarebbe stata in grado di aiutarlo. 

Contò fino a tre, a bassa voce, e poi aprì la busta facendo scivolare il suo contenuto tra le mani. 

Una volta preso tra le mani quasi stentava a crederci. Possibile che lui… no, non poteva credere che la risoluzione di quel complesso enigma fosse sempre stata davanti ai suoi occhi fin dal primo giorno. 

«Oh, Sergio…» disse in un sussurro delicato, stringendo tra le mani i due passaporti.

 



 

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Capitolo 2
*** Il destino mescola le carte e noi giochiamo ***


Come tutte mattine Sergio si era alzato al sorgere del sole, era sceso in spiaggia, attraversando il viale della villa che portava fino al mare, e si era seduto sulla sabbia. Sufficientemente lontano dal bagnasciuga per non bagnarsi e al tempo stesso abbastanza vicino per lasciarsi cullare dal dolce suono delle onde che si infrangevano sulla riva. 
 
Solitamente si buttava a terra e lasciava il suo corpo riscaldarsi insieme alla sabbia, accarezzato dai tiepidi raggi del sole. 
 
Non veniva mai disturbato da nessuno.
 
A quell’ora del mattino si ritiravano i pescatori, con il bottino della notte, pronti per posare le loro barche e poter far finalmente ritorno nelle loro case.
 
Li osservava silenziosamente mentre spingevano le barche sulla sabbia e poi con un semplice cenno del capo si salutavano, scambiandosi la promessa silenziosa di ritrovarsi nuovamente al calar del sole. Tutti i giorni lo stesso ciclo che si ripeteva all’infinito.
 
Come avrebbe voluto avere la pace interiore di quei pescatori. Non avevano altri pensieri se non quelli di portare a casa un secchio pieno di pesce fresco che avrebbero poi venduto o mangiato in compagnia.
 
In questi giorni più che mai aveva bisogno di stare da solo. Non riusciva a gestire la presenza delle due donne, e il più delle volte si sentiva mosso da correnti contrastanti. A volte sospinto in una direzione e a volte in quella opposta. 
 
Al mattino si convinceva che la cosa più giusta sarebbe stata interrompere questa tortura e con essa il prolungarsi di questa estenuate attesa infinita, ma poi gli bastava vederla per un istante per scacciare via quel pensiero e desiderare solo di poter vivere un giorno in più insieme a lei. 
 
La presenza costante di Alicia, di certo, non lo aiutava a prendere una decisione.
 
Raquel lo aveva stuzzicato più volte, alludendo al crescente affetto da parte sua nei confronti della donna, un affetto che lui prontamente aveva smentito. E ora, si sentiva un vile e un vigliacco per averla ingannata per così tanto tempo. Per non averle detto la verità.
Doveva affrontare questo problema, e doveva farlo ora, altrimenti i sensi di colpa lo avrebbero mangiato vivo. 
 
I problemi sono come le onde: c’è la risacca, ma poi… un’altra onda ti colpisce e devi prontamente nuotare verso la superficie per non annegare. E una volta uscito con la testa fuori dall’acqua devi cercare di tenerti a galla, sopravvivere, ma in questi giorni sentiva il suo corpo pesante come piombo. Le sue bugie pesavano come macigni e lo attirava verso il fondo, facendolo sprofondare nelle acque più scure. 
 
Possibile che fosse finito con l’innamorarsi di quella donna? 
 
Era certo dei sentimenti che provava per Raquel, da giorni si continuava a ripetere che lei fosse l’unica, eppure questo calore che sentiva diffondersi nel petto ogni volta che il suo sguardo incontrava quello di Alicia era così simile all’amore.
 
Si può amare due donne contemporaneamente? 
 
Sapeva di non essere solo attratto da lei, era una bellissima donna e non poteva negare che l’averla così vicina aveva fatto nascere in lui determinati desideri, ma il suo pensiero fisso non riguardava solo il sesso. La voleva in una maniera molto più profonda. Non era solo una pulsione fisica a spingerlo verso la rossa, era qualcosa che si muoveva molto più in profondità. Dentro di lui. 
 
Possibile che tutto questo dolore, questo senso di colpa, questa paura fossero tutte facce diverse di un unico sentimento che piano piano affiorava nel suo cuore e si espandeva, intaccando i tessuti, conquistando spazio?
 
Alicia era una di quelle persone che se le dai un dito si prende tutte e due le braccia. Attorno alla vita. E ti si nasconde nel petto. E lui glielo aveva lasciato fare. Quel giorno mentre si nascondevano dalla polizia aveva permesso alla donna di bucare il suo mantello protettivo, gli aveva dato lui stesso le armi per farlo; e nel momento stesso in cui aveva sentito il peso della sua testa poggiarsi sulla sua spalla, si era creato il primo strappo. 
 
Aveva provato a ricucirlo, a coprirlo con una toppa, ma il tessuto ormai portava i segni del suo passaggio e non poteva più tornare ad essere liscio come prima. 
 
Pensava che l’importante fosse richiudere i buchi e in un primo momento non si era preoccupato del modo in cui lo stava facendo; ormai era troppo tardi per tornare indietro. 
 
Alicia si era immischiata nella trama della sua copertura intrecciando i suoi fili con i suoi; per tirarla via avrebbe dovuto strappare di nuovo i punti e riaprire il taglio.
 
Perso nei suoi pensieri non sentì i passi della donna che si avvicinava alle sue spalle. Registrò la sua presenza solo nel momento in cui si lasciò cadere al suo fianco, spostando la sabbia con il suo corpo.
 
«Raquel!» l’accusò con voce tremante, «che diavolo… mi hai spaventato» disse, tirandosi su in una posizione seduta.
 
«Ti ho chiamato, ma eri talmente assorto nei tuoi pensieri che non mi hai sentito» rispose lei.
 
«Oh»
 
Per un attimo rimasero in silenzio a fissarsi, poi il professore distolse lo sguardo, si sfilò gli occhiali e iniziò a strofinarli con la parte finale della sua maglietta di cotone per ripulirli dalla salsedine. Un tic nervoso che aveva fin da bambino.
 
«Ti stavo cercando»
 
«Come mai?» chiese, continuando la pulizia meticolosa delle lenti. Prima un lato e poi l’altro con movimenti precisi e circolari.
 
Raquel infilò una mano nello zaino e tirò fuori il libro che in questi giorni era diventato la naturale prosecuzione del braccio dell’uomo. «Ti sei dimenticato questo» disse, spostando il libro sulle sue gambe.
 
Sergio annaspò alla vista del volume, preso alla sprovvista. Cercò nel suo sguardo un’accusa che non trovò e rimase in un primo momento in silenzio, a corto di parole. 
 
«Raquel…»
 
«No», lo interruppe lei, posandogli una mano sulla coscia, esattamente tre dita sopra il libro. «Va tutto bene».
 
Sergio aggrottò la fronte perplesso. «Tu non capisci» mormorò, fermando il movimento delle sue mani.
 
«Io capisco benissimo» sfilandogli gli occhiali dalle dita li riportò al suo viso e li lasciò scivolare sul ponte del naso, nel loro posto abituale.
 
Sergio rimase in silenzio ad osservarla, studiando i movimenti del corpo della donna. Era rilassata, calma, quasi pacifica. Non c’era rassegnazione nel suo tono di voce, piuttosto consapevolezza. 
 
Quando Tokyo li aveva interrotti, quella notte a Toledo, aveva ruggito come una leonessa, marcando il suo territorio. Ora, invece, si comportava in maniera diversa, come se fosse conscia e al tempo stesso consenziente. Come se ci fosse un tacito accordo in cui gli era permesso di pensare a un’altra donna – o piuttosto essere ossessionato da un’altra donna – perché ne traeva vantaggio lei stessa.  
                                                                                                                                           
Con l’indice e il medio della mano destra spinse gli occhiali all’indietro, anche se erano già perfettamente in posizione, e poi prese coraggio e guardò la donna che non aveva mai smesso di osservarlo con un sorriso rasserenante dipinto sulle labbra. 
 
Gli occhi luminosi di Raquel gli dicevano che poteva andare avanti, che non c’era niente di cui preoccuparsi. Ma come era possibile? Tutto questo era assolutamente assurdo. Impensabile. E poi improvvisamente capì. Tutto si fece più chiaro. Le tessere del puzzle avevano finalmente trovato il giusto incastro.
 
Anche Raquel era attratta da Alicia. 
 
Possibile che non se ne fosse mai reso conto fino ad ora?
 
Anche Raquel la desiderava, proprio come lui. 
 
«E così ci ha fregato a tutti e due» cantilenò con un filo di voce.
 
«Già» rispose la donna, soppesando le parole. «Ci ha fregato entrambi» disse, utilizzando le sue stesse parole, anche se non pensava esattamente di essere stata fregata, quanto piuttosto di essersi lasciata fregare - consapevolmente.
 
Sergio spostò il libro al suo fianco sulla sabbia, piegò le gambe, spingendole contro il petto, e lasciò riposare la testa sulle ginocchia, poggiandosi sulla guancia. 
 
«Da quanto tempo?» 
 
«Credo da sempre» rispose lei sincera. 
 
«E tu? Da quanto tempo?» chiese, rispecchiando la sua posizione. 
 
L’uomo prese tempo prima di rispondere, due grandi respiri per la precisione. Lasciò riempire il suo corpo d’aria. Le molecole di ossigeno correvano nelle sue vene nutrendo ogni singolo organo per poi rincontrarsi nuovamente nel cuore ed essere pompate via. Le sentiva espandersi ovunque: nei polmoni, nelle gambe, nel cuore, nella testa. 
 
Era da giorni che si poneva la stessa domanda, ma ancora non sapeva rispondere con certezza. «A dirti la verità… non lo so»  
 
Accarezzò con l’indice della mano destra la copertina del libro poggiato tra loro, e la sfilò, facendola scorrere verso l’alto. 
 
Alla luce del sole, mentre condivideva il suo piccolo segreto con Raquel, si sentiva più leggero. Come se si fosse tolto un peso dal petto. 
 
«Dovresti dirglielo lo sai, vero?» disse la donna, fissando lo sguardo sui passaporti.
 
«Lo so» rispose lui, pensieroso. «Ma non so se sono pronto ad accettare un suo rifiuto»
 
«E chi ti dice che sarà un rifiuto?»
 
Sergio la guardò con un sopracciglio alzato. Scuotendo leggermente la testa tirò fuori i due passaporti dal libro e li prese tra le mani. «Mi ha detto che noi due non saremmo mai amici» sospirò, «un matrimonio di convenienza» aprì il primo passaporto lasciando scorrere lo sguardo sul nome scritto nella prima pagina. «Figurati se posso dirle che mi sto innamorando di lei»
 
Alzò lo sguardo e lo lasciò vagare all’orizzonte perdendosi nella vastità del mare. 
 
«Si dicono un sacco di cose quando si è sotto shock e non sempre sono vere» lo rimproverò Raquel, delusa dal tono sconfitto della sua voce. L’uomo di cui si era innamorata non era una persona che si arrendeva facilmente. L’uomo di cui si era innamorata aveva giocato una partita a scacchi contro il governo e ne era uscito vincitore. Non mollava mai, per nessun motivo, neanche quando non c’erano più speranze. 
Quest’uomo che aveva davanti, titubante e insicuro, non era il suo Sergio. «Le è crollata la terra sotto i piedi, il suo mondo si è sgretolato e sta ancora cercando di raccogliere i pezzi della sua vita… non puoi biasimarla per quello che ti ha detto»
 
Raquel si spostò su un fianco entrando con il volto nel campo visivo dell’uomo. Aveva bisogno della sua attenzione. «Alicia è una persona difficile, complessa, complicata… è faticoso vivere nella sua pelle dopo tutto quello che le è successo negli ultimi mesi» nascose dietro l’orecchio un filo di capelli che ballava selvaggio nel vento. «Come noi».
 
Intrecciò le dita con le sue, stringendo la presa. «Se vuoi cambiare il tuo destino, cambia il tuo atteggiamento»
 
Sergio annuì, ancora assorto nei suoi pensieri. «Dammi un altro giorno. Un altro ancora. Vorrei poter stare con lei solo un altro giorno»
 
«D’accordo»
 
Raquel tornò seduta al suo fianco, appoggiando la testa sulla sua spalla, esattamente come aveva fatto Alicia quella notte. Non dissero più nulla per la mezz’ora seguente, rimasero ad osservare il cielo limpido del mattino mentre il sole compiva la sua parabola luminosa. 
 
 
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Quando rientrarono in casa la prima cosa che videro fu Alicia seduta sul davanzale della finestra, con le gambe tirate al petto. In una mano teneva una tazza di caffè e nell’altra, poggiata sul ginocchio, una sigaretta accesa. A quest’ora del mattino, con i primi raggi di sole che tingevano la stanza di arancio, sembrava quasi una dea con i capelli sciolti sulla schiena e la pelle colorata d’oro. 
 
Victoria dormiva serenamente nella sua culla; ogni tanto muoveva le manine sorridendo nel sonno e ogni volta che lo faceva affioravano sulle sue guance tonde due leggere fossette. 
 
«Ehi, sei già sveglia?» 
 
Alicia piegò la testa di lato, verso la porta, sorpresa. Li guardò entrambi e poi annuì. «A quanto pare in questa casa non riesce più a dormire nessuno» disse, mentre un sorriso pigro distendeva le sue labbra rosate.
 
Passarono alcuni istanti in cui il silenzio si estese a dismisura. 
 
Raquel si schiarì la gola calamitando su di sé quattro paia di occhi curiosi. «C’è ancora del caffè?»
 
Alicia annuì, mentre si portava la tazzina alle labbra. 
 
La donna si staccò dallo stipite della porta, dove si era fermata insieme a Sergio ad osservare la rossa, prelevò due tazzine dallo scolapiatti e ci versò dentro il caffè rimasto nella moka. Aggiunse due cucchiaini di zucchero di canna nel caffè di Sergio, e una zolletta dietor nel suo.
 
«Tieni» allungò il braccio per consegnare la tazzina all’uomo.
 
Entrambi si misero seduti al tavolo della cucina in silenzio. L’orologio a pendolo sul muro scandiva i secondi con il suo lento e incessante oscillare. 
 
Raquel guardò il suo uomo mentre di sottecchi osservava i movimenti dell’altra donna; poi il libro che aveva posato sul tavolo, accanto alla tazza di caffè caldo. Doveva essere difficile portarsi dietro quel segreto. Trasportarlo di stanza in stanza, toccandolo con attenzione, maneggiandolo con cura, come se fosse fatto di lava bollente. Una mossa sbagliata e l’avrebbe bruciato. 
 
Sciolto quel nodo che teneva i loro fili legati insieme in un equilibrio precario. 
 
Finita la sua tazzina decise che avrebbe regalato a Sergio un po’ di tempo da solo con Alicia, forse, e solo forse, avrebbe trovato il coraggio per dirle la verità. 
 
«Sto andando in città a fare la spesa» disse dirigendosi verso la porta dalla quale solo pochi minuti prima erano entrati. «Vi serve qualcosa?»
 
Guardò Sergio scuotere la testa e poi Alicia che proprio in quel momento scese dalla finestra, distendendo le gambe a terra.
 
Era a piedi nudi e indossava solo una lunga camicia – probabilmente di Sergio - che le copriva le gambe fino a metà coscia. I vestiti nei loro armadi si erano mischiati come i loro sentimenti. 
 
Raquel si perse per un attimo di troppo in quel pensiero. Distratta da quella fantasia ingombrante. 
 
«Raquel» 
 
«Sì…» rispose sbattendo le ciglia, come se risvegliata da un sogno ad occhi aperti.
 
«Ti senti bene?»
 
«Sì…» rispose allungando la parola.
 
La rossa la guardò pensierosa e in quel momento Raquel ebbe paura che potesse leggerle nel pensiero – sarebbe stato davvero imbarazzante -, dopo pochi istanti si girò, dandole le spalle, mentre poggiava la tazza nel lavandino. «Ho bisogno di un nuovo pacco di pannolini e delle sigarette. Ci pensi tu?»
 
«Certo» 
 
Prima di andare via incrociò con lo sguardo quello di Sergio che la guardò consapevole della lotta interna che aveva affrontato alla vista di Alicia con così pochi vestiti addosso. D’altronde anche lui stava combattendo la stessa battaglia. 
 
Scosse la testa nel tentativo di scacciare via quei maledetti pensieri e, dopo aver afferrato lo zaino dalla spalliera della sedia, uscì dalla stanza.
 
Raquel lo aveva lasciato di proposito da solo con la donna, d’altronde era stato lui a chiederglielo, ma ora che erano solo loro due, sentiva nuovamente il panico attanagliargli la gola. Doveva cercare di non pensarci, doveva distrarsi, non poteva permettersi di avere uno dei suoi episodi di fronte a lei; quel mostro era solo nella sua testa, continuava a ripetersi, quel mostro era una sua fantasia. 
 
Cercò nella memoria un pensiero positivo che potesse distrarlo dall’accenno di tremore che sentiva intorpidirgli le mani. 
 
Non stava succedendo nulla.
 
Chiuse gli occhi. Non sta succedendo nulla
 
Alicia si sedette di fronte a lui, posizionandogli un piatto davanti con delle uova strapazzate e del bacon. Sergio teneva gli occhi chiusi, strizzati insieme, e respirava pesantemente. L’uomo si comportava in maniera davvero insolita in questi ultimi giorni. 
 
«È tutto ok?» 
 
Registrò il suono della sua voce contemporaneamente al calore della sua mano che si posava delicatamente sul suo polso. Il battito gli schizzó nel petto. 
 
Al contatto aprì immediatamente gli occhi tirandosi indietro sulla sedia, come se il suo tocco l’avesse scottato.
 
Alicia, sorpresa, socchiuse gli occhi cercando di capire cosa stesse succedendo nella mente dell’uomo. Un minuto prima sorseggiava tranquillamente il suo caffè e quello successivo scattava all’indietro come una molla, come se il solo contatto lo sconvolgesse.
 
Sergio si rese conto di quello che era appena successo e cercò di simulare disinvoltura cercando una scusa per il suo allontanamento improvviso, l’ultima cosa di cui aveva bisogno in questo momento era avere la donna alle calcagna cercando di capire cosa gli stesse succedendo.
 
«Mi sono bruciato» disse, sorridendo forzatamente.
 
Prima Raquel e ora Sergio… cosa diavolo stava succedendo a questi due? pensò Alicia.
 
«Bruciato?» domandò sospettosa. «Con cosa?» 
 
Sergio afferrò la tazzina del caffè portandola alle labbra e lasciò cadere parte del suo contenuto sulla sua gamba. «Caffè» disse puntando con il dito della mano libera la macchia di caffè che si espandeva sul tessuto. «Qui».
 
«Mmh» Alicia lo guardò dubbiosa, mordendo con i denti il labbro inferiore. 
 
No, non farlo.
 
Quel semplice gesto calamitò immediatamente la sua attenzione e ora fissava senza alcuna vergogna le labbra della donna. 
 
Completamente assorto.
 
Rapito. 
 
L’ansia che aveva provato solo pochi minuti fa era solo un ricordo lontano.
 
«Se non ti conoscessi bene direi che mi stai fissando in modo strano» disse a bruciapelo, spostandosi con il bacino all’indietro, appiattendo la schiena sulla spalliera della sedia. «Invadente».
 
Cazzo.
 
In quel momento successe una cosa che non si aspettava: Sergio arrossì. 
 
Il professore, l’uomo che aveva sempre sotto controllo ogni cosa – emozioni comprese - era arrossito. Si era lasciato andare a quell’emozione spontanea, abbassando gli occhi colpevole. 
 
Alicia sorrise incredula, sgranando gli occhi, e si spostò nervosamente sul posto. Non riuscendo a star ferma.
 
«È che, uhm, scusami» scosse impercettibilmente la testa tornando a guardare la donna.
 
Proprio mentre la donna stava per dire qualcosa, Victoria iniziò a piangere richiamando l’attenzione dei due adulti nella stanza. 
 
Alicia si voltò in direzione della culla e poi tornò a guardare l’uomo seduto di fronte a sé. «Credo che abbia fame» mormorò.
 
«Sì, lo credo anch’io» annuì l’uomo prima di allontanare la sedia dal tavolo, strisciandola per terra, e alzarsi. 
 
Alicia era ancora seduta nella stessa posizione, con lo sguardo perso nel vuoto, quando Sergio lasciò la stanza. 
 
 

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Capitolo 3
*** Cinnamon ***


«Stupido!» imprecò ad alta voce.

«Che razza di stupido!» borbottò, tra sé e sé. «Il più grande stupido sulla faccia della terra. Potrei vincere una medaglia per l’uomo più stupido dell’anno» continuò, accompagnando le parole con un gesto stizzito delle mani. 

Non riusciva a credere di essersi lasciato andare in quel modo di fronte alla donna. Un conto era abbassare le difese, un altro era raderle completamente al suolo. 

Cosa gli era venuto in mente? 

Ovviamente non stava pensando. Era questa l’unica spiegazione logica che si era dato. Lui era equilibrato, attento, furbo… come aveva potuto lasciarsi andare in questo modo?

Era arrossito come un ragazzino delle medie, finendo con il confermare quello che la donna gli aveva appena detto. Lui non la stava guardando, no, la stava letteralmente mangiando con gli occhi, e lei se ne era accorta. Dannazione! 
Nel momento in cui i denti avevano preso contatto con il cuscinetto di carne delle sue labbra, aveva smesso di ragionare. Ogni suo pensiero si era concentrato su quell’unica parte del corpo della donna e come le bollicine nello champagne era salito il suo desiderio di scoprire che sapore nascondessero quelle labbra, dalla voglia incontenibile di toccarle, leccarle, morderle. 

Non poteva continuare così. 

Semplicemente non poteva. 

Alicia stava diventando un pericolo e non sapeva più come gestirla senza rischiare di mandare tutto a puttane. 

Raquel gli aveva dato il semaforo verde per parlarle e dirle la verità, non per saltarle addosso. 

O forse aveva avuto la sua approvazione anche per quello?

Era tutta la mattina che si nascondeva nella sua stanza per paura di dover incontrare nuovamente la rossa e stava iniziando a sentirsi ridicolo a restarsene seduto su questa poltrona da ore. 

Era un uomo, che diamine! 

Con uno slancio deciso si alzò e si diresse verso la porta; mise una mano sulla maniglia e osservò per un breve istante la maniglia d’ottone. Era bronzato ai lati e più scuro al centro, nel punto in cui più e più volte era stato accarezzato dal palmo della mano. Il passaggio di una persona era facilmente riconoscibile su di lui. 
Quella discromia indicava alle persone, senza bisogno di parole, cosa dovevano fare, dove dovevano toccarlo e dove dover premere. Magari esistesse una mappa dei punti anche sulle persone. Sarebbe stato più facile capire come gestirle e dove mettere le mani. Un perimetro luminoso che indicasse le zone off limits. Come nei giochi che trovi nelle prime pagine delle parole crociate; magari bastasse unire i punti da 1 a 10 per individuare a colpo d’occhio quali zone è possibile toccare e quali invece sono proibite al tocco di un amico – che era poco più di uno sconosciuto, nel suo caso. 

Nei suoi sogni, Sergio avrebbe voluto far ben altro che accarezzare il corpo di Alicia. Avrebbe voluto sfiorare la sua pelle che immaginava liscia e soda, come questo pomello. Fredda al tatto e calda al suo interno. 
Assaggiare le sue labbra, accarezzare la sua anima e saziare la sua fame di lei. 

Abbassò lo sguardo nuovamente al freddo oggetto di metallo che teneva strettamente all’interno della mano. Devo essere completamente impazzito se inizio a paragonare Alicia a una maniglia. 

Con la testa ancora piena di pensieri, prese un lungo respiro e si decise ad uscire dalla stanza.

 

--

 

Era quasi ora di pranzo quando si decise a scendere le scale che dal piano superiore portavano direttamente nel salone. Nella stanza c’era profumo di pomodoro fresco e basilico. Alicia doveva aver preparato il sugo per il pranzo, mentre lui si decideva a fare la passeggiata della vergogna. 

Percorse la breve distanza che lo portava in cucina e si affacciò allo stipite della porta, appoggiandosi con entrambe le mani sulla cornice in legno. 

La stanza era vuota.

Dove erano finiti tutti?

Nello scolapiatti, appena lavati, c’erano il biberon e il ciuccio della bambina. Sui fornelli spenti la pentola con il sugo e il mestolo poggiato in equilibrio su un manico. 

Si affacciò alla finestra della cucina, quella dove questa mattina era seduta Alicia a sorseggiare il suo caffè, e guardò in basso verso il giardino. Sedute su un telo colorato, nella penombra del ciliegio in fiore, c’erano la rossa e la bambina. Rimase ad osservarle per qualche momento, fantasticando su un sogno che non poteva realizzare, e poi decise di rimboccarsi le maniche e finire di preparare il pranzo.

Riempì la pentola d’acqua e riaccese il fornello del sugo, tenendo premuta la manopola verso il basso - ci voleva sempre un po’ prima che il gas raggiungesse il piano cottura – con uno scoppiettio la fiamma prese vita e girò intorno al piattino di ottone illuminandolo di blu. Una volta acceso il fornello, girò la manopola al contrario impostandola al minimo. 

Buttò la pasta e impostò il timer a calamita attaccato sopra la cappa della cucina. 

Apparecchiò la tavola e una volta che era tutto pronto si asciugò le mani sul grembiule che aveva legato in vita. 

Il pranzo sarebbe stato pronto in un paio di minuti, era arrivato il momento di andare a chiamare la donna. 
Tirò fuori il telefono dalla tasca in cerca di un segno da parte di Raquel. Nessun messaggio. Nessuna chiamata. 

Possibile che non fosse ancora tornata? 

Una volta uscito dalla portafinestra del salone, sulla veranda, notò lo zaino e il cappello di paglia che Raquel indossava questa mattina. 

Ecco dove sei finita. 

Raquel si era fermata in giardino una volta tornata dal paese. Sergio sapeva perfettamente chi avesse catturato la sua attenzione. Si sfilò le scarpe e camminò scalzo nel prato, affondando i piedi nell’erba - una vecchia abitudine che aveva fin da bambino. Gli piaceva camminare a piedi nudi nel prato, sentire l’erba che si abbassava sotto il suo peso e solleticava con il suo movimento la pianta del piede. 

Raquel era seduta sul telo insieme ad Alicia e Victoria, con la schiena appoggiata al tronco dell’albero. In ogni mano teneva un pupazzo che faceva volteggiare nell’aria davanti al volto della bambina. Alicia era seduta di fronte a lei, dando le spalle a casa, con la bambina seduta tra le sue gambe incrociate. Victoria ormai riusciva a tenersi in una posizione seduta se appoggiata con la schiena, ma spesso le capita di perdere l’equilibrio e scivolare di lato; in questo modo, circondata dalle gambe della madre, sarebbe stato impossibile cadere a terra. 

A mano a mano che si avvicinava si accorse che Alicia stava leggendo, anche se da quella posizione non poteva vedere il libro che teneva tra le mani. La sua voce, dolce e melodiosa, però, poteva sentirla perfettamente. 

«Alice chiede al Bianconiglio: “per quanto tempo è per sempre?” e il Bianconiglio risponde: “a volte, solo un secondo”» 

Sergio rimase in disparte a guardare le due donne, ancora ignare della sua presenza. 

«Alice incalza allora di nuovo: “E quanto tempo è un secondo?” al che il Bianconiglio replica: “Quando ami, un’eternità”» Alicia lesse l’ultima frase e poi alzò gli occhi cercando lo sguardo dell’altra donna. Raquel la stava già guardando e quando i loro occhi si incontrarono mosse la testa in avanti, annuendo impercettibilmente. 

Uno straniero non si sarebbe accorto di quel minimo gesto, ma il professore, che guardava la scena da così vicino, si rese subito conto del dialogo silenzioso tra le due donne. 

Aveva un posto in prima fila in quella platea di sentimenti ingarbugliati. 

Ahem! Si schiarì la gola annunciando la sua presenza. 

Alicia piegò la testa di lato, sfiorando con il mento la spalla, per osservare l’uomo alle sue spalle. Raquel, seguendo il suo movimento, alzò anche lei il volto verso l’alto.

Entrambe le donne gli stavano sorridendo. In quel preciso istante si sentiva l’uomo più fortunato del mondo. 

 

--

 

Una volta rientrati in casa si diressero tutti e tre in cucina per pranzare. Sergio era seduto a capotavola, alla sua destra Alicia con Victoria - semi seduta nel suo ovetto con un pupazzo in mano - e alla sua sinistra Raquel. 

Il perfetto ritratto di una famiglia felice. 

E pensare a quanto era stato difficile raggiungere questo clima di pace. 

I primi giorni erano stati parecchio complicati. Gli sbalzi umorali di Alicia erano stati la cosa più difficile da gestire. Era doloroso vederla soffrire in quel modo, ma a nessun dei due era permesso di avvicinarsi più del dovuto. Non sapevano come gestire la donna quando il suo unico modo di chiedere aiuto era chiudersi in sé stessa. 

Le mancava la sua vita, le mancava il suo lavoro, le mancava suo marito. E questa sequenza interminabile di mancanze era difficile da riempire. Non si può pretendere di colmare completamente un vuoto, perché ogni vuoto ha la sua forma e ha bisogno di quella perfetta sagoma per riempirsi. Per colmarlo devi inserire ciò che l’ha causato. Se lo riempi con altro, spalancherà ancora di più le sue fauci. Non si chiude un abisso con l’aria. 

Il vuoto rimane così e continua a inghiottire tutto quello che incontra.

La mancanza, a volte, è più forte della presenza. Non la si può leggere, non la si può toccare, ma solo avvertire. 

Le notti insonni ad allattare la bambina si erano sommate a quelle in cui i suoi pensieri non le lasciavano tregua. La mattina si aggirava per casa come un fantasma, con profondi solchi neri sotto gli occhi - gonfi di pianto - e i capelli legati in un panino scomposto. L’equilibrio delle sue giornate si era rovesciato; le mattine erano diventate ombre pallide e spente della notte. 

Alcune volte lasciava la bambina con Sergio. Era doloroso e al tempo stesso rincuorante per lei vedere l’uomo prendersi cura di sua figlia. Sua madre le aveva detto che non è la carne o il sangue, ma è il cuore che ci rende genitori, ed aveva ragione, perché Sergio era un papà perfetto per la piccola Victoria. Attento, dolce, affettuoso. Come lo sarebbe stato il suo Germán.

Nessuno avrebbe scommesso sulla loro convivenza e invece, con il passare del tempo, avevano trovato il loro equilibrio.

Precario, ma pur sempre un equilibrio.

Il ciclo del dolore richiede del tempo per chiudersi. All’inizio aveva subito una battuta d’arresto e sembrava quasi impossibile superare quello scoglio, e poi, con il tempo, le cose sono iniziate a cambiare.

Non è stato un cambiamento repentino, ma piuttosto un lungo processo di interiorizzazione.

Delle volte basta un graffio e si riaprono tutte le cicatrici. 

Bisogna riuscire a soffocare quello che hai dentro perché il mondo continuerà a girare anche se il tuo cuore si è spento. Non importa se vivi o se stai solo esistendo, la vita è adesso e ogni giorno bisogna correre e non fermarsi, mai, anche quando è difficile, anche quando è faticoso, anche quando il passato ti culla tra le dolci braccia dei ricordi e ti fa desiderare fermarti in quella bolla pacifica. 

Bisogna avere pazienza e sopportare il dolore e i graffi. Le parole delle volte sanno essere più taglienti di un’ascia sulla pelle, ma l’amore sa sanare tutte le ferite. 

In fondo, prima che il Piccolo Principe l’addomesticasse, la volpe l’avrà graffiato qualche volta. Perché l’amore è così, fa un po’ male.

Ed é proprio quell'amore non confessato che aveva seminato i suoi frutti ed era fiorito.

Sergio era seduto al tavolo a guardare le due donne mentre sparecchiavano la tavola e chiacchieravano tra loro. Victoria si divertiva a buttare a terra ogni cosa che le capitasse sotto tiro, alternando gridolini di gioia a strilli per richiamare l’attenzione dei tre adulti nella stanza. 

«Cosa c’è?» chiese Sergio, raccogliendo per la terza volta lo stesso pupazzo da terra.

La bambina cercò con una mano di afferrarlo di nuovo, mentre con l’altra, chiusa in un pugno, si stropicciava gli occhietti.

«Hai sonno, non è vero?» sussurrò alla bambina, e come risposta venne accolto da un sorriso sdentato. 

Allungò le mani per tirarla fuori dall’ovetto e nel momento in cui la bambina capì che l’avrebbe presa in braccio iniziò a scalciare felice con i piedini. 

La tirò su e quando si trovarono con i volti alla stessa altezza, Victoria appoggio le sue manine sulle sue labbra, dandogli dei leggeri colpetti. Sergio la spostò di lato, poggiandola di schiena sul petto, sorreggendola con un braccio in mezzo alle gambe, per evitare che gli afferrasse gli occhiali e li lanciasse in giro per la stanza.

Tirò verso l’alto il gomito, arricciando sul suo corpo la bambina e quando le sue guance paffute raggiunsero l’altezza delle sue labbra le schioccò un bacio rumoroso sulla pelle. «Andiamo a fare le nanne». 

Alicia e Raquel erano talmente prese nei loro discorsi che non si resero conto che Sergio e la bambina avevano lasciato la stanza.

--

«La niña?» Alicia posò il canavaccio con cui stava asciugando i piatti sul piano della cucina e si girò verso il tavolo. «La niña?» ripeté come una cantilena. 

Raquel afferrò il panno bagnato e lo gettò nella cesta dei canavacci da lavare. 

«Starà con Sergio» rispose concisa, continuando a riordinare gli utensili lavati.

Alicia si appoggiò con i fianchi al pianale guardando un punto imprecisato della stanza, pensierosa. «Mmh…» poggiò entrambi i palmi delle mani sul piano dietro di lei e si diede uno slancio in avanti staccando il corpo dal ripiano. 

Senza dire una parola lasciò la stanza alla ricerca dell’uomo e della bambina. 

Raquel sorrise sommessamente pensando a quanto la donna fosse cambiata. O più semplicemente aveva tirato giù la maschera pietra che aveva indossato in questi ultimi mesi, ed era tornata ad essere la ragazza che nei primi anni dell’accademia le aveva fatto battere il cuore. 

 

--

 

«Oh bella ciao, oh bella ciao, oh bella ciao, ciao, ciao»

«Che razza di canzone stai cantando a mia figlia?» chiese Alicia incredula, facendo capolino con la testa nella stanza in penombra.

Sergio le sorrise complice. «Beh, è una ninna nanna» rispose come se fosse la cosa più naturale del mondo.

Alicia entrò nella stanza, lasciando la porta accostata alle sue spalle. «Da quando una canzone partigiana, simbolo della resistenza, è considerata una ninna nanna?» chiese imbronciata, avvicinandosi.

«A Victoria piace» 

Alicia lo guardò scettica, con un cipiglio sul viso. 

Sergio guardò dapprima la donna di fronte a lui e poi tornò a concentrare la sua attenzione sulla bambina che con una manina alzata cercava di afferrargli gli occhiali. «Mio padre me la cantava sempre prima di addormentarmi»

«Ora si capiscono tante cose»

«Che?»

«Niente» disse con un sorriso impertinente.

Sergio si aggiustò gli occhiali e riprese a cantare la seconda strofa della canzone, simulando tranquillità, nonostante il cuore gli battesse forte in gola alla vista di quel sorriso sghembo. 

«Oh, per favore» Alicia si passò una mano sulla fronte spostando la frangia di lato, sospirando esasperata. 

«Cosa?» sussurrò Sergio, per non disturbare la bambina. 

«Perché stai sussurrando?» chiese, sussurrando a sua volta.

«Per non svegliarla»

Alicia scosse la testa e si avvicinò all’uomo, rimanendo alla sua sinistra per osservare più da vicino la bambina. «Sta dormendo davvero!» sussurrò sbalordita.

«Te l’ho detto. A Victoria piace questa canzone»

La donna lo guardò, mentre sorrideva soddisfatto verso la bambina addormentata tra le sue braccia. Da così vicino sentiva il profumo della sua colonia, di quell’odore dolce e muschiato che si era abituata ad avere intorno. Lo guardò timida, abbassando di tanto in tanto lo sguardo, con la paura di essere scoperta ad osservarlo così da vicino.

«Oppure la trova talmente tanto noiosa da preferire dormire piuttosto che sentirti cantare»

«Cállate» 

Ispirò con il naso, cercando invano di trattenere una risata. «Sai Victoria non è ancora in grado di parlar-»

Sergio girò di scatto la testa verso Alicia e si scontrò con il suo viso. Talmente tanto concentrato sulla bambina non si era reso conto di quanto erano vicini. Da questa distanza poteva vedere la distesa di lentiggini disegnate sulla sua pelle - se glielo avessero chiesto avrebbe saputo dirne il numero esatto. I capelli erano raccolti in una coda bassa, appoggiati sparsi sulla spalla. Le labbra coperte da un leggero velo di burro di cacao. Odorava di cannella. Avrebbe voluto succhiarle. 

Nessuno dei due si mosse o disse una parola, entrambi vittime dello stesso incantesimo che sembrava calamitare i loro volti sempre più vicini.

I loro corpi si piegarono in avanti, attratti come i due poli opposti di una calamita. Nessuno dei due aveva fatto la prima mossa, si erano appoggiati nello stesso tempo, insieme. Proprio nel momento in cui le labbra di Sergio rubavano l’ultimo grammo d’aria che le separava da quelle della donna, la bambina si agitò tra le sue braccia. 

Si separarono all’istante, realizzando solo in quel momento quello che stavano facendo. 

Imbarazzato, con lo sguardo fisso a terra, Sergio cullò al petto la piccola che iniziò a piagnucolare.

«Te l’avevo detto» mormorò Alicia, cercando di nascondere l’imbarazzo che aveva colorato le sue guance di rosso. «A mia figlia non piacciono queste canzoni»

Sergio sorrise scuotendo leggermente la testa. «Le piacciono» ribadì «È solo che le piacciono di più le coccole»

«Come alla mamma» 

Sergio smise di ondeggiare la bambina, mentre registrava il significato di quelle parole. Poi allargò le labbra in un sorriso dolce e accarezzò con la mano libera la guancia liscia della bambina. Nel momento in cui alzò gli occhi Alicia non c’era più. 

«Come alla mamma» ripeté pensieroso prima di riprendere a cantare l’ultima strofa della canzone.

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Capitolo 4
*** Chiacchiere notturne ***


Continuava a girarsi e rigirarsi nel letto, chiedendosi in quale lato la notte avesse nascosto il sonno. 
 
Come alla mamma.
 
Tre semplici parole, un mondo. Tre semplici parole in grado di farlo sognare e privarlo al tempo stesso del sonno. Magari la notte portasse consiglio. Invece lascia in dote tante domande e una sola persona come risposte a tutte. 
 
Girò la testa verso il comodino e toccando con la punta del dito lo schermo della sveglia illuminò il display che segnava le 3:10, eppure gli sembrava di essersi steso a letto da un’eternità. 
 
Raquel dormiva beatamente al suo fianco, arricciata di lato, con la schiena rivolta verso di lui e i capelli sciolti sparpagliati sul cuscino. La striminzita camicia da notte abbracciava le sue forme, a loro volta accarezzate dal lenzuolo bianco. 
In questo periodo le temperature minime, durante la notte, toccavano i 23 gradi, e sebbene la donna dormisse per lo più nuda, amava avere almeno una parte del corpo coperta dal lenzuolo. Roba da donne, le aveva risposto la prima volta che aveva provato a chiederle il motivo per cui si ostinava a dormire intrappolata nelle lenzuola con questo caldo.  
Così avvolta nelle lenzuola sembrava che indossasse un abito da sposa, pensò arricciando un angolo delle labbra. Il cuore accelerò di un passo la sua corsa. 
 
Come se fosse consapevole che l’uomo la stesse osservando si girò su sé stessa, allungò una mano passandola sotto al cuscino e appiattì l’altra accanto al viso. Il movimento del petto che si alzava e abbassava a un ritmo lento e cadenzato e i lunghi respiri indicavano che era profondamente addormentata. 
 
Almeno lei riusciva a riposare.
 
Le spostò una ciocca di capelli dal viso, accarezzandole nel processo la guancia con la punta delle dita. Era così bello guardarla dormire. Vedere le sue ciglia tremare dietro le palpebre chiuse gli dava da sempre un senso di pace. In questi due anni di vita insieme Raquel gli aveva regalato qualcosa che non aveva mai avuto in tutta la sua vita, gli aveva donato la serenità. Perché lei era la sua persona, e ovunque si trovasse, se l’aveva al suo fianco, si sentiva completo.  
 
Girò nuovamente la testa verso destra e questa volta osservò la luna, sospesa nel cielo come a una regnatela, faceva capolino tra le tende bianche. I drappi si muovevano sinuosamente, come in una danza, trasportati dal vento, e la luna, sdraiata sto in mezzo alle stelle, illuminava la stanza con i suoi filiformi ricami di luce.  
 
Facendo leva con il gomito sul materasso si tirò su in una posizione seduta, con i piedi a penzoloni dal letto. Raquel alle sue spalle aveva conquistato altro spazio, occupando quasi del tutto il suo posto, nel lato destro del letto. 
 
Sergio poggiò un piede a terra, tastando con la pianta il pavimento alla ricerca delle pantofole; infilò dapprima solo la punta e poi una volta sceso dal letto, fece scivolare completamente il piede al suo interno. 
Un ultimo sguardo alla donna addormentata e poi uscì dalla stanza, chiudendo la porta alle sue spalle.
 
Era abituato a girare per casa a quest’ora della notte. Gli piaceva girare al buio, con la sola luce della luna a guidare i suoi passi. Non era necessario accendere la luce, gli bastava seguire il riflesso perlaceo sulle pareti e sul pavimento per orientarsi. 
 
I suoi passi lo portarono direttamente davanti la porta della stanza di Alicia. Si ritrovò davanti la porta in legno massello ad ascoltare i suoi pensieri ingombranti. Posò la mano sulla maniglia, con il cuore che piano piano aumentava i suoi battiti rimbombandogli nelle vene. Era un desiderio infantile il suo, ma voleva vederla solo un attimo, solo per un breve momento, e poi nel caso in cui la donna fosse stata sveglia avrebbe avuto la scusa di voler controllare la bambina. 
 
Con una lieve pressione abbassò la maniglia e lentamente aprì la porta, che scricchiolando debolmente si allontanò dallo stipite. 
 
Proprio mentre stava per infilare la testa nella stanza per controllare le due rosse dalla casa, un rumore proveniente dal piano di sotto lo fermò. Si raddrizzò immediatamente lasciando la presa sulla maniglia. Si guardò le spalle, sospettoso, ascoltando attentamente i rumori della casa. 
 
Accostò nuovamente la porta e il più silenziosamente possibile raggiunse le scale. Lungo il percorso che lo portava al piano di sotto prese tra le mani una lampada, giusto per non presentarsi a mani vuote di fronte all’intruso che si aggirava indisturbato tra il salone e la cucina. 
 
Il salone era vuoto mentre la cucina era illuminata di una luce blu, fredda, non sufficientemente forte da illuminare completamente la stanza, ma abbastanza per rischiarare l’ambiente dal buio fitto della notte. 
 
Si appiattì sulla parete accanto alla porta e chiuse gli occhi inspirando lentamente, cercando con quel gesto di calmare i nervi e di trovare il coraggio per affrontare il visitatore, con una lampada in mano come arma per intimarlo ad andare via. Diede un ultimo sguardo all’oggetto che teneva tra le mani, chiedendosi se fosse il caso di usarlo come arma e poi lo alzò in aria, con il gomito sospeso nel vuoto lo teneva saldamente dietro la testa, pronto ad utilizzarlo se fosse stato necessario. 
 
Il cuore accelera i battiti e sembra che gli scavi un vuoto nello stomaco. Martella prepotentemente nel petto, talmente forte che può sentirlo rimbombare nelle orecchie, un respiro profondo, un ultimo passo e poi con un salto attraversa la porta.
 
«Joder» 
 
All’urlo seguì il rumore del vetro che si frantumava sul pavimento.
 
«Ma sei impazzito?» gridò Alicia, annaspando tra le parole mentre cercava di riprendere fiato. 
 
Sergio era fermo a pochi passi dalla porta, la lampada ancora in equilibrio dietro la testa e il braccio proteso in avanti pronto a difendersi da un possibile attacco. Non era decisamente questa la scena che si immagina di trovare quando entrò in cucina. 
 
«Oh», disse sorpreso «Io credevo, uhm, io credevo che fosse un ladro.»
 
«Un ladro?» chiese corrugando la fronte.
 
«Sì, beh… a quest’ora della notte» 
 
La donna abbassò le spalle, con una mano sul petto nel tentativo di regolarizzare il respiro, cacciando fuori l’aria che aveva trattenuto per lo spavento. Scosse la testa guardandolo sbalordita. L’uomo era nel suo pigiama a righe, indossava ai piedi un paio di pantofole estive e dietro la testa nascondeva una lampada. 
 
Una lampada? Ma che diavolo… pensò socchiudendo gli occhi per osservarlo meglio. «Perché hai una lampada dietro la testa?»
 
«Oh, ehm, questa?» abbassò il braccio, portando la lampada davanti al suo corpo. 
 
«Sì, questa» 
 
«Ah, ecco…» ridacchiò nervosamente, rendendosi conto dell’assurdità della situazione. La donna lo guardava tra lo scettico e il divertito. «P-per il ladro» borbottò a bassa voce.
 
«Il ladro?» ci mise un secondo di più per capire le sue parole. «Oh, capisco» questa volta non tentò nemmeno di nascondere il tono di scherno nella sua voce. «Con tutte le armi che abbiamo in casa tu decidi di prendere una lampada per difenderti da un ladro?» arricciò le labbra in un broncio carino. «Siamo in una botte di ferro!»
 
Alla vista dell’espressione buffa della donna anche lui si mise a ridere, scuotendo sconsolato la testa. Possibile che doveva essere sempre così impacciato di fronte a lei?
 
Posò nuovamente lo sguardo sulla donna, notando solo ora che Alicia era in piedi, scalza, nella sua camicia da notte. I capelli sciolti le incorniciavano il viso. Una delle spalline le scendeva sulla spalla, scivolando sulla pelle chiara. Il tessuto le stringeva leggermente sul petto, abbracciando le sue nuove forme. Illuminata dal cono di luce lunare sembrava quasi eterea. 
 
Dio com'è bella. Rimase per un attimo a fissarla, imbambolato. Non era preparato a vederla in questo modo e nonostante le sue fantasie più sfrenate, la visione gli mozzava il fiato. 
 
Ai suoi piedi i frammenti di vetro del bicchiere si sparpagliavano in ogni direzione, formando una figura scomposta; spruzzi di latte sul pavimento e sulle gambe del tavolo e delle sedie.
 
Alicia aprì la bocca per parlare, ma sotto lo sguardo invadente dell’uomo non riuscì a formulare nessuna frase. Ingoiò una, due, tre volte… non aveva più niente da mandare giù. Distolse lo sguardo fissando il pavimento, non più in grado di competere in questa gara di sguardi.
 
Sergio appoggiò la lampada sul ripiano della cucina e allungandosi in avanti raggiunse il panno nella vasca del lavandino, per raccogliere le schegge di vetro dal pavimento. Si girò verso la donna e spostò con il piede i frammenti più grandi verso la gamba del tavolo.
 
Alicia fece un passo all’indietro nel momento in cui l’uomo ne fece uno in avanti verso di lei.
 
«Ahi!»
 
«No, ferma» disse Sergio, preoccupato. «Sei scalza e il pavimento è pieno di vetri»
 
Lasciò cadere il panno a terra e si spostò verso la donna. Alicia rimase in silenzio a guardarlo, come pietrificata. Si fermò di fronte a lei e prima che potesse dire qualcosa, fermandolo come al solito con una delle sue battute, la prese in braccio, soffocando il suo urlo di sorpresa nel petto. 
 
Tenendola stretta al petto si spostò per la stanza, camminando verso il tavolo, e una volta raggiunto la lasciò appoggiare sulla superficie in legno. Era incredibilmente leggera, come una bambola.  
 
Alicia lo guardava con gli occhi sgranati e le labbra semi aperte in un’espressione di pura sorpresa.
 
«Ci sono i vetri per terra e tu sei scalza» mormorò con il volto incredibilmente vicino al suo. 
 
Alicia mosse impercettibilmente la testa annuendo.
 
Le braccia di Sergio erano ancora sulla sua vita, tenendola ferma. Il tessuto leggero del pigiama si era arricciato sotto le sue dita lasciando le gambe scoperte. Il diavolo, maledetto tentatore, lo istigava ad abbassare lo sguardo e scoprire i centimetri di pelle esposta, e chi era lui per resistere a un richiamo così forte?
Attratto come dal canto delle sirene, i suoi occhi si posarono esattamente dove il tessuto formava le sue pieghe, appoggiandosi sulle cosce, poco sotto le mutandine. La luce della finestra si infrangeva sulle sue gambe rendendo la pelle perlacea. 
Era così bella e così vicina che gli sembrava quasi impossibile resistere al desiderio di toccarla. 
Sarebbe bastato così poco, doveva solo far scorrere le mani verso il basso e avrebbe sentito il calore della sua pelle tra le dita.  
 
In balia di quel pensiero strinse il tessuto senza rendersene conto, e poi, scivolando le mani verso il basso superò la barriera della stoffa e lasciò scorrere le mani sulla pelle serafica.

Era liscia come la seta e fredda come il marmo.

Ruotò le mani verso l’interno facendo scorrere le dita sull’interno coscia, guadagnandosi un sussulto da parte della donna, e poi le spostò verso l’esterno, abbandonando la pelle, poggiando i palmi sul tavolo. 
 
Alzò lo sguardo e vide il petto di Alicia alzarsi e abbassarsi più velocemente, nella disperata ricerca di regolarizzare il respiro.

Alzarsi.

Abbassarsi.

Una danza di respiri sfalsati.

Lo fissava attentamente, seguendo ogni suo movimento. 
 
Sergio percorse con gli occhi la sua intera figura e quando arrivarono al volto si rese conto del rossore che colorava le guance della donna. 
 
Era uno spettacolo per gli occhi vedere l’ispettrice Sierra arrossire. 
 
Sorridendo compiaciuto cercò il suo sguardo e rimase piacevolmente sorpreso quando si rese conto che gli occhi della donna erano fissi sulle sue labbra. 
 
La conferma che stava aspettando.
 
Si sporse in avanti annullando la distanza che li separava. Mancava così poco per toccarsi, poco più di un dito d’aria, e non c’era niente e nessuno ad interromperli questa volta. Nessuno tranne la sua coscienza.
 
Non così.
 
Non sarebbe stato giusto né per lui né per lei. 
 
Doveva prima parlarle e poi si sarebbe preso la briga di baciarla fino a toglierle il respiro. 
 
Scorrendo il pollice sulla guancia raccolse la goccia di latte che schizzando a contatto con il pavimento era finita sulla sua pelle. Continuò a fare dei cerchi sfiorandola con la punta delle dita, liberando dalla morsa dei denti il labbro inferiore che Alicia aveva iniziato a mordere nel momento in cui l’uomo aveva posato le mani sulle sue cosce nude. E poi, chinandosi in avanti, appoggiò le labbra sulla guancia, a pochi centimetri dalla bocca. 
 
Lasciò un bacio umido sulla pelle e poi, senza staccarle della guancia, le mosse fino al suo orecchio, dove le sussurrò: «Puoi farti male. Devi stare attenta»
 
Il soffio di aria calda che accompagnò le sue parole colpì Alicia sul collo, ma il brivido che innescò corse più in basso scuotendola fin dentro ai lombi.
 
Come per magia l’incantesimo terminò e si ritirò all’indietro cercando lo sguardo della donna. I suoi gesti impacciati indicavano il timore di essersi spinto troppo avanti. Si era lasciato andare seguendo il flusso dei pensieri, senza pensare alle conseguenze delle sue azioni. E queste non tardarono ad arrivare quando i loro sguardi si incontrarono nuovamente; le pupille di Alicia erano talmente tanto dilatate che avevano quasi coperto per intero il colore celeste delle sue iridi.  
 
Fiducioso della buona riuscita delle sue azioni appoggiò la mano destra sulla sua spalla nuda, accarezzandola scese fino a raggiungere la spallina con le dita, per riportarla al suo posto. 
 
La sua mano rimase lì, sulla sua pelle.
 
Il tempo sembrava essersi fermato. Circondati dal rumore del silenzio, nessuno dei due aveva il coraggio di interrompere quel momento. 
 
«Mi dispiace di averti spaventata»
 
Alicia guardò dentro gli occhi dell’uomo e rimase colpita ancora una volta da tutta la dolcezza e l’amore che racchiudevano. Aveva imparato a conoscere nuovi lati del suo carattere di cui, fino all’ultimo giorno da negoziatrice alla rapina alla banca di Spagna, ignorava completamente l’esistenza; ed ora, in questi mesi, aveva scoperto delle nuove sfumature che si erano sommate alle precedenti, e tutte queste sfumature davano colore al quadro generale che componeva l’essenza così particolare e complessa di quest’uomo. 
 
Quella notte a Madrid, mentre si nascondevano dall’esercito, aveva conosciuto il vero Sergio. 
 
Quella notte aveva lasciato entrare uno spiraglio dell’uomo dentro di lei e con il passare del tempo quel piccolo fiotto di luce aveva illuminato il suo cuore. 
 
Con la morte di Germán aveva dimenticato quanta luce c’era nel mondo, fino a quando non gliel’aveva donata di nuovo.
 
«Uhm…» si morse il labbro nervosamente. Le parole si rincorrevano nella sua mente. 
 
In tutti questi mesi di solitudine in cui aveva pensato solo e soltanto a inseguire il professore e la sua banda aveva dimenticato cosa si provasse ad essere circondata dal calore umano. Nella sua folle corsa aveva sepolto ogni sentimento, dalla tristezza all’amore, aveva sepolto ogni emozione sotto una folta coltre di polvere, lasciandole languire al buio. Ma ora, nonostante sia passato tanto tempo dall’ultima volta che era stata toccata in questo modo, poteva riconoscere benissimo la venatura di desiderio che illuminava gli occhi dell’uomo. 
 
Con la morte di Germán credeva che non sarebbe più stata in grado di provare determinate emozioni e invece ora si ritrovava seduta su questo tavolo, fremendo dalla voglia di essere accarezzata nuovamente da quelle mani di cui sentiva ancora la calda impronta sulla pelle. Era da tanto, troppo tempo, che non sentiva quel sentimento svolazzarle nel petto e poi affondare nello stomaco.
 
Questo era un altro regalo del professore, o forse no… questo era un regalo di Sergio, l’uomo che non solo l’aveva salvata dal carcere, le aveva regalato una nuova vita, le aveva costruito una casa in un’isola paradisiaca e si prendeva cura di sua figlia. 
 
Alicia mosse le sue mani e le posò su quelle di Sergio, abbassando lo sguardo. Rimase a fissare le loro mani che si cercavano ed esploravano lentamente. Le dita scorrevano una sull’altra in questo movimento lento e cadenzato. Come se avessero tutto il tempo del mondo per avvicinarsi e scoprirsi.
 
Come la donna, anche Sergio si ritrovò a guardare le loro mani unite insieme. La mano nuda di Alicia aveva un pallido cerchio bianco intorno all’anulare, il professore ci passò sopra con il dito percorrendo i bordi come se ci fosse ancora un anello ad abbellire le dita affusolate.
 
La cicatrice che aveva lasciato bruciava ancora come un metallo ardente. 
 
Il professore fece un passo avanti appoggiando i fianchi al bordo del tavolo, tra le gambe della donna. Sentiva le cosce intorno a lui tremare impercettibilmente. 
 
«Sergio»
 
L’uomo si tese al suono di quelle parole, pronunciate così debolmente. Un sussurro talmente flebile che se non avesse teso bene le orecchie non avrebbe nemmeno sentito. 
Una semplice parola che nascondeva al suo interno una miriade di domande. 
 
Cosa stiamo facendo? Chiuse gli occhi cercando di cancellare dalla mente la folle idea di piegarla all’indietro sul tavolo e infilarsi tra le sue gambe dischiuse.
 
I pantaloni tiravano verso quel desiderio e il fatto che la donna continuava a guardarlo con quelli occhi enormi e adoranti non era certo d’aiuto. 
 
Con un lungo sospiro lasciò andare le mani della donna, che ora riposavano immobili sul piano. 
 
Aveva bisogno di trovare una certa distanza fisica, visto che non poteva allontanarsi emotivamente da lei. 
 
Si allontanò facendo due passi indietro, recuperando l’aria che la sola essenza della donna sembrava avergli rubato dal petto. 
 
Con un gesto istintivo si sistemò gli occhiali, spingendoli verso l’alto. 
 
«Buona notte, Alica» allungò le labbra in un sorriso tenero, cercando in questo modo di tranquillizzare la donna.
 
 Non era successo niente, erano ancora loro e nulla era cambiato. 
 
O quasi. 
 
Dopo che l’uomo lasciò la stanza Alicia rimase seduta sul tavolo chiedendosi cosa fosse successo e cosa significasse quella puntura di rimorso che sentiva camminarle nella pelle.

Era forse il rimpianto di averlo fermato?

Avrebbe dovuto vergognarsi per le sensazioni che aveva provato nel momento in cui la loro pelle era entrata in contatto, eppure l’unica cosa a cui riusciva a pensare era al calore ancora persistente tra le gambe.

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Capitolo 5
*** Il primo sintomo dell’amore è negare che lo sia ***


I raggi di sole si intrufolavano tra le tende della camera da letto, illuminandola con i suoi fasci di luce, accarezzando il viso della donna ancora addormentata.

Infastidita dai raggi caldi, Raquel, sprofondò il viso nel cuscino e stringendo il lenzuolo nei pugni lo tirò verso l’alto, coprendosi il volto, cercando di ripararsi dalla luce.

Spostò un braccio alla sua sinistra scorrendo con il palmo della mano aperta sulle lenzuola al suo fianco.

Le dita scivolarono sulle lenzuola fresche, accarezzandole, alla ricerca del corpo caldo di Sergio; mosse la mano su e giù, un paio di volte, fino a che, sbuffando, le tirò da parte scoprendosi il viso.

Il letto era vuoto. Il cuscino freddo. Le lenzuola sgualcite.

Il tessuto conservava ancora l’odore persistente del suo profumo, anche se la loro freschezza indicava che l’uomo doveva averle lasciate da tempo.

Osservò le lenzuola aggrovigliate, potendo quasi distinguere tra le loro pieghe l’impronta fredda del suo corpo.

Raquel allungò contemporaneamente le braccia e le gambe, stiracchiandosi, inarcando la schiena. Distese ogni singolo arto, mugugnando parole – per lo più suoni - di piacere, e poi sbadigliando si tirò in una posizione seduta per alzarsi.

Allungando un braccio afferrò la vestaglia, appoggiata scompostamente sulla poltrona accanto al letto, e incrociando i lacci la legò stretta in vita. A piedi nudi camminò per la stanza e passando davanti lo specchio si fermò per sistemarsi i capelli in una coda bassa, lasciando i ciuffi della frangia scendere liberi intorno al viso. Le punte si arricciavano leggermente verso l’alto a causa della costante umidità dell’aria.

Canticchiando, tamburellò il contorno occhi con i polpastrelli e arrotolò tra le dita la parte finale della coda, formando un’onda morbida. Dei riflessi dorati si perdevano tra le ciocche castane dei suoi capelli, formando un gioco caldo di colori e sfumature.

Si diresse verso la porta e girandosi solo con la testa di lato diede un’ultima occhiata allo specchio alle sue spalle prima di uscire dalla stanza.

--

La casa era insolitamente tranquilla.

Silenziosa.

A quest’ora Sergio doveva essere già di ritorno dalla sua passeggiata in spiaggia e Alicia in giro per la casa con la bambina ancorata al fianco.

Victoria si svegliava presto la mattina, dormiva poco la notte e aveva un sonno molto leggero: una combo micidiale se vivi con un neonato in casa. Il più delle volte svegliava tutti alle prime ore del mattino, sempre che li avesse lasciati dormire per più di due ore consecutive durante la notte. E servivano a ben poco le parole di Alicia per tranquillizzarla e non farla piangere, quando a separarli c’era solo un muro di pochi centimetri.

Quella mattina però non aveva sentito la bambina, non si era svegliata nel caldo abbraccio di Sergio e cosa più importante non aveva incontrato ancora nessuno aggirarsi per casa.

Di entrambi non c’era neanche l’ombra.

Mentre scendeva le scale, però, si ritrovò di fronte a una scena piuttosto insolita.

Sergio stava rientrando in quel momento dalla spiaggia, camminava guardandosi costantemente intorno come se si stesse nascondendo da qualcosa – o da qualcuno?

Continuava a tirarsi gli occhiali sul naso con il dito indice della mano destra e a muoversi sul posto, come se avesse le pulci, girando la testa a destra e sinistra in maniera compulsiva.

Raquel era abituata agli strani atteggiamenti dell’uomo, ma questo di gran lunga li batteva tutti. Continuò a studiare attentamente le sue azioni, stringendosi tra le dita il labbro inferiore.

Sergio, dandole le spalle, accompagnò la porta con le mani, per evitare che facesse rumore – era da tempo che si riproponeva di oliarla per risolvere il problema del costante scricchiolio delle cerniere. Si sfilò la giacca, appendendola nell’armadio a muro dietro la porta, si scrollò dalle scarpe la sabbia che si era accumulata sulla soletta interna e poi, con un lungo sospirò, appoggiò le spalle alla porta chiusa.

Mmh, sì deve essere sicuramente successo qualcosa, pensò Raquel.

Mentre continuava a studiarlo dalla sua posizione, un filo di vento caldo le accarezzò la pelle delle caviglie, distraendola. Girò la testa alla sua destra, verso il lato opposto della stanza, e proprio mentre l’uomo, ignaro della sua presenza si dirigeva verso il salone, successe una cosa ancora più insolita.

Alicia entrò in casa utilizzando la porta sul retro.

Non era tanto il fatto che fosse entrata dalla porta sul retro, anche se a pensarci bene non l’aveva mai fatto da quando si erano trasferiti sull’isola, quanto piuttosto il fatto che si muovesse in tandem al professore, come se seguissero i passi di una stessa coreografia. Si spostava come se fosse un ladro, camminando lentamente e schivando con maestria qualsiasi oggetto che avrebbe rivelato la sua presenza dentro casa.

Dei grandi occhiali da sole scuri le coprivano metà del volto, lasciandole scoperta solo la bocca, serrata in un’espressione di nervosismo.

Cosa diavolo era successo nelle ultime 12 ore?

Raquel continuava a guardarli con sospetto dalla sua posizione sulle scale, ripensando agli eventi della sera prima. Cercando un dettaglio o un minimo indizio che avesse potuto spiegarle il loro comportamento bizzarro.

Avevano cenato e guardato un film insieme. Alicia era salita nella sua stanza non appena erano finiti i titoli di coda, con la scusa di dover portare Victoria a dormire nel suo lettino, mentre Sergio era rimasto seduto fuori al patio fino a tardi, con il suo solito libro e bicchiere di vino in mano.

Fino a qui tutto bene. E poi cosa?

Possibile che fosse successo qualcosa durante la notte di cui non fosse a conoscenza?

Con una mano sul corrimano scese gli ultimi gradini. Alle sue spalle Alicia temporeggiava guardando la bambina che dormiva tranquillamente tra le sue braccia, e di fronte a lei Sergio continuava a guardarsi intorno, scansionando la stanza, come se ci fossero dei fantasmi.

Quei due non gliela raccontavano giusta.

Ahem! Si schiarì la gola.

Alicia e Sergio si girarono contemporaneamente, colti di sorpresa, rendendosi conto solo in quel momento che erano entrambi agli angoli opposti della stessa stanza.

I loro sguardi si incontrarono per un attimo all’altezza delle spalle di Raquel e poi si allontanarono di nuovo, fissando due punti diversi della stanza.

Alicia continuava ad indossare quei ridicoli occhiali da sole dentro casa, nascondendo dietro le lenti scure i suoi occhi e Sergio continuava a guardarsi intorno, facendo rimbalzare lo sguardo per la stanza come una pallina da ping-pong.

«È tutto ok?» chiese Raquel sospettosa.

Nessuna risposta.

«È successo qualcosa?» ci riprovò.

«No!» risposero contemporaneamente come se li avesse punti una vespa.

«Va tutto bene?»

Le loro voci si sovrapposero ancora una volta.

Sergio cercò di mantenere un tono più tranquillo, distaccato. «È tutto ok» lo aveva mormorato lentamente, scandendo bene le parole.

Diversamente Alicia sembrava ancora lottare con le sue stesse parole, che si rincorrevano tra loro accavallandosi. «Sì! Certo!»

Raquel passò lo sguardo da uno all’altro, per niente convinta delle loro risposte.

Dopo brevi secondi di silenzio Alicia si girò su sé stessa, agganciando con la mano la cesta di giochi della bambina e uscì dalla stessa porta dalla quale era entrata.

Nello stesso momento Sergio afferrò un berretto pronto ad uscire anche lui dalla stanza.

«Sergio» lo chiamò Raquel.

L’uomo la guardò con occhi colpevoli. Il sorriso tirato non era altro che un inutile tentativo di distrarla.

«Sergio» sibilò, quando l’uomo continuava ad evitare il suo sguardo.

Non era mai stato bravo con le parole, specie quando c’erano dei sentimenti coinvolti, e così, balbettando scuse sconnesse e parole senza senso, fece tre passi indietro e uscì anche lui lasciandola da sola.

Raquel continuava a guardarsi intorno senza capire cosa stesse succedendo. Il suo istinto le diceva che doveva essere successo qualcosa, ma al tempo stesso sapeva che non sarebbe servito a nulla rincorrerli per sapere la verità, questa sarebbe arrivata da sola. Tutti i nodi vengono tutti al pettine. Bastava solo avere pazienza e aspettare.

E così, dirigendosi verso la cucina per fare colazione, continuò a pensare a quei due.

«È successo decisamente qualcosa» ripeté ad alta voce a sé stessa, fissando lo sguardo sulla lampada poggiata sul piano della cucina.

--

Verso l’ora di pranzo Alicia si riaffacciò di nuovo dentro casa, arrossata a causa di tutte quelle ore trascorse fuori in giardino, con ancora gli occhiali piantati sul viso.

Raquel era seduta su una sedia in cucina. Una gamba ciondolava nel vuoto mentre l’altra era piegata sotto di lei. Si portò il retro della penna alla bocca, agganciando il tappuccio con i denti.

«Lista di domande» mormorò, tamburellando una mano sul tavolo, mentre contava le caselle del cruciverba.

«Questionario» Alicia rispose alle sue spalle entrando in cucina.

Raquel alzò lo sguardo verso la donna, pensando alla risposta. «Que-stio-na-rio» sillabò la parola mentre riempiva ogni casella con una lettera. «Questionario!» ripeté sbalordita della risposta corretta.

«Come ho detto io»

«Cavolo! Era da dieci minuti che ci pensavo» sbuffò, passandosi una mano sulla fronte.

Alicia alzò le spalle, sorridendo tra i denti, mentre passava alle spalle della donna. «Lo abbiamo sempre saputo che tra le due sono io quella intelligente» disse sorridendo sorniona.

Mise seduta Victoria nel suo ovetto e poi, avvicinandosi al lavandino, aprì il rubinetto lasciando scorrere l’acqua, in attesa che diventasse fresca. Ci passò sotto due dita della mano sinistra, per essere sicura che fosse sufficientemente fredda, mentre con la destra fece scivolare un bicchiere sotto il fiotto dell’acqua riempendolo fino all’orlo.

Lo portò alle labbra e con una lunga sorsata lo bevve tutto d’un fiato.

«E lo dici portando gli occhiali da sole in casa?» disse Raquel, arricciando le labbra.

Alicia strabuzzò gli occhi, lottando per non strozzarsi con l’acqua che proprio in quel momento aveva deciso di bere, e poi, una volta ripreso il respiro, posò il bicchiere vuoto sul lavello, e si girò, appoggiandosi con i fianchi al bancone della cucina sospirando pensierosa. Con il sorriso tirato e un’espressione impertinente.

Entrambe sentirono la porta d’ingresso aprirsi.

Alicia fingendo di essere tranquilla continuava a giocherellare con le mani, affondando le unghie nel palmo della mano, lasciando delle mezze lune impresse sulla carne - tesa come la corda di un violino. Non venire. Ti prego. Ti prego. Ti prego.

Come per magia l’oggetto dei suoi pensieri si materializzò sullo stipite della porta con la stessa espressione da cucciolo smarrito della mattina.

Non appena Victoria vide Sergio iniziò ad agitare le manine e le gambette felicemente. Con un sorriso sdentato ed urletti di gioia cercava di attirare la sua attenzione. Alicia guardò sua figlia, completamente assorta nell’incantesimo di quell’uomo. Non è possibile, riesce ad attrarre anche le bambine di tre mesi.

Non appena l’uomo entrò nella stanza Alicia si voltò di schiena, evitando il suo sguardo, concentrando la sua attenzione sulla bambina che aveva iniziato a tirare un angolo della tovaglia, gettando a terra la pila di tovaglioli posati sul bordo della tavola. Sbuffando rumorosamente, si chinò a terra iniziando a raccogliere i tovaglioli e allungando solo un braccio verso l’alto li riposò sul tavolo, senza mai staccare gli occhi dal pavimento. Sergio inizialmente rimase immobile ad osservarla e poi, vedendo la distesa di carta che colorava le mattonelle, si chinò anche lui a terra per aiutarla.

A carponi raccoglievano la carta dal suolo dandosi le spalle.

«Victoria, no, basta!» urlò Alicia afferrando i tovaglioli appena raccolti, prima che cadessero nuovamente al suolo. La bambina di tutta risposta afferrò la tovaglia dall’altro lato spingendosela addosso. «No!» tornò a ripetere cercando di sfilarle il tessuto dalle mani della bambina prima che lo portasse via tutto.

Sergio si alzò in quel momento da terra, non rendendosi conto della posizione della donna, che di spalle, con i fianchi poggiati sul tavolo, si allungava verso la bambina per toglierle la tovaglia dalle mani.

Il tempo di sorridere per quello che stava succedendo che Alicia si girò su sé stessa, scontrandosi contro il suo petto. Ancora una volta erano bloccati insieme, nello spazio di poche mattonelle, così vicini da sfiorarsi a ogni respiro. La vicinanza dei loro corpi, appoggiati insieme al bordo del tavolo, portò subito alla mente le immagini della notte appena trascorsa.

Ogni fotogramma bruciava vivido nelle loro menti. Una scia di pelle d’oca colorava la pelle delle loro braccia. Il respiro caldo che colpiva ancora una volta i loro volti così vicini. Potevano ancora sentire traccia di quel calore che li avevi avvolti in una nube tossica di desiderio.

Con il respiro attaccato in gola si fissarono per quello che sembrava un’eternità e poi Sergio fece un passo indietro, permettendo alla donna di uscire dalla presa dei loro corpi.

Non appena si allontanarono distolsero lo sguardo, fissando due punti opposti della stanza.

Raquel, che aveva appena assistito alla scena, era certa più che mai che qualcosa fosse successo tra i due, anche se nessuno di loro avrebbe confessato. Neanche sotto tortura.

Sembrava che non fossero più in grado di condividere la stessa aria nella stanza.

«Quattro verticale, nove lettere: l’ansia che disturba la pace»

«Imbarazzo» dissero in coro.

Raquel cercò di trattenersi, guardandoli seria, e poi scoppiò in una risata fragorosa; con entrambi i gomiti poggiati sul tavolo cercava di parlare tra le risate, ma il risultato erano solo lettere aspirate e gridolini acuti.

Alicia e Sergio la guardarono con occhi torvi prima di ritornare a concentrare la loro attenzione sulle fughe delle mattonelle del pavimento.

«Ok, ora basta» disse Raquel, spostando lo sguardo su entrambi. «Alicia togliti quei maledetti occhiali» intimò alla donna «E tu» continuò puntando il dito verso l’uomo. «Tu non credere di farla franca. Cos’hai combinato?»

«Io…» balbettò impreparato. «Io non ha fatto nulla»

Alicia si sfilò gli occhiali, stringendoli tra le mani.

«Seduti» imprecò. «Tutti e due»

Alicia fece un passo alla sua sinistra, mentre Sergio si spostava alla sua destra. Iniziarono a muoversi in sincronia, avanti e indietro, continuando a incontrarsi e scontrarsi a metà strada.

Al terzo passo nella stessa direzione, l’uomo si fermò, spostandosi di lato per farla passare, obbligandola in questo modo a passare nello spazio ristretto, sfiorando ancora una volta il lato incriminato del tavolo. Alicia guardava il pianale del legno come se fosse un predatore mitologico, una mossa sbagliata e le tavole che lo componevano si sarebbero aperte mangiandola con le sue fauci.

Uno sguardo al tavolo e uno a Sergio… tra i due il tavolo sembrava un nemico più facile da domare.

Si spostò di lato, dando le spalle all’uomo, e appiattendosi il più possibile sul legno, passò nello spazio stretto dei loro corpi.

Raquel li osservava attentamente, mentre prendevano posto ai lati opposti del tavolo, cercando di sedersi il più distante possibile, con lo sguardo fisso sul legno.

Si schiarì la gola cercando di attirare i loro sguardi.

Nessuno dei due si mosse.

Non sarebbe stato facile risolvere questa matassa di sentimenti ingarbugliati.

Scuotendo la testa sconsolata si rese conto del riflesso di un raggio di sole sul muro. Corrugò lo fronte, concentrata e seguendo con lo sguardo la traiettoria della luce, raccolse da terra un piccolo frammento di vetro, che si nascondeva dietro le gambe della sua sedia.

Lo portò al viso esaminandolo da vicino.

Sia Alicia che il professore seguirono le sue azioni, puntando a loro volta lo sguardo sul muro e capirono immediatamente cosa stesse producendo quel gioco di luce bianca sulla parete.

Le guance di Alicia si accesero della sfumatura esatta di quella dei suoi capelli.

Tombola!

Raquel appoggiò il frammento di vetro sul tavolo, picchiettando con le unghie sul pianale.

«Ieri notte ad Alicia è caduto un bicchiere» sbottò Sergio, non più in grado di gestire la tensione accumulata.

«Mi è caduto?» Alicia lo guardava incredula.

«Sì, beh… ti è scivolato a terra mentre io-» Sergio muoveva le mani in aria cercando un modo per raccontare quello che era successo la sera prima senza dover confessare ogni cosa.

«Non mi è caduto» lo interruppe Alicia scontrosa, alzando lo sguardo verso l’uomo. «Sei tu che mi hai spaventata»

«S-sì, ma-» rispose passandosi una mano tra i capelli arruffati dalla salsedine. «Io credevo che fossi un ladro»

Alicia aprì la bocca per ribattere, ma non c’era modo che fosse lei a raccontare a Raquel cosa era successo quella notte. È stato un incidente, nulla di più, continuava a ripetersi da tutta la notte. Aprì e richiuse la bocca tre volte e alla fine affondò nella sedia sconfitta.

Raquel li osservava rapita, spostando lo sguardo da uno all’altro, studiando ogni più piccolo dettaglio.

«Mi dispiace» disse Sergio, cercando con lo sguardo gli occhi di Alicia.

Alicia annuì, continuando ad ignorare la sua presenza, fissandosi le mani chiuse a pugno sul tavolo.

Sergio allungò il braccio posando una mano su quelle della donna, cercando di richiamare la sua attenzione.

Non appena le loro mani si toccarono Alicia alzò lo sguardo, perdendosi nelle sfere di cioccolato più dolci che avesse mai visto. Lasciò il calore irradiarsi in ogni poro della sua pelle e poi quando si rese conto del tocco gentile delle sue mani sulle sue, le tirò indietro, perdendo il contatto.

Abbassò lo sguardo e guardandosi le cosce un altro treno di ricordi le attraversò la mente. Poteva sentire ancora la miriade di sensazioni che aveva provato nel momento in cui i loro corpi si erano trovati così vicini. L’esatto istante in cui le loro mani si erano cercate e toccate per la prima volta.

Attraverso il tessuto leggero dei pantaloni di lino, sentiva il ricordo del calore di quelle mani irradiarsi dalla sua pelle. Come se avessero impresso la loro impronta su di lei, bruciandole la carne. Lasciando il segno.

Era troppo.

Troppe sensazioni a fior di pelle che le facevano perdere la lucidità del momento.

Guardando Raquel seduta alla fine del tavolo, provò un forte senso di colpa nel desiderare di afferrare nuovamente quelle mani e riscoprire l’effetto magico che avevano su di lei.

Era il fidanzato della sua amica – forse unica amica – e l’uomo che aveva rincorso, odiato e maledetto negli ultimi nove mesi.

Come poteva avere certi pensieri?

Come poteva anche solo desiderarlo?

Spingendosi con i palmi delle mani sul bordo del tavolo, allontanò la sedia e si alzò in piedi. «Nessun problema» ripeté con le mani alzate, più per convincere sé stessa che le altre due persone nella stanza.

Prese in braccio Victoria e con la scusa di volerla portare in spiaggia uscì dalla stanza.

Raquel e Sergio videro con la coda dell’occhio come la sua coda alta volteggiava nell’aria, seguendo i suoi movimenti affrettati, e poi spariva attraverso la porta.

Era fuggita un’altra volta.

--

Raquel rimase in silenzio in un primo momento, aspettando che fosse l’uomo a parlare per primo.

Sergio continuava a fissarsi i palmi delle mani, come se nel reticolato complesso delle linee che li componevano si nascondessero le risposte a tutte le domande che gli affollavano la mente.

«Sergio» lo chiamò debolmente.

L’uomo distolse lo sguardo dalle sue mani e girò a testa verso la donna.

«Cosa è successo?» chiese nuovamente. «Per davvero dico. Cosa è successo per davvero?»

Sergio si sfilò gli occhiali appoggiandoli sul tavolo e poi si strizzò gli occhi, allungando la pelle all'angolo con i pollici.

«Ieri sera non riuscivo a dormire e mi sono alzato» guardò Raquel chiedendosi se fosse il caso di raccontarle davvero tutto. Magari avrebbe saltato qualche piccola parte; un dettaglio insignificante se paragonato alla platea di sentimenti sommersi che turbinavano nella sua testa e trovavano un posto nel suo cuore. Un’omissione a fin di bene non avrebbe fatto male a nessuno. «Ho sentito un rumore e credevo che ci fosse un ladro in cucina. Così, uhm, ho preso una lampada» disse spostando lo sguardo verso l’oggetto che ancora era poggiato nello stesso punto in cui lo aveva lasciato. «E sono sceso al piano di sotto per controllare»

«Una lampada?» sorrise la donna divertita.

«Sì, una lampada» rispose sorridendo anche lui.

«Ok, e poi?»

Raquel lo guardava con una curiosità genuina.

Sergio dovette ripetersi ancora una volta che la donna conosceva i suoi segreti, mentre una puntura di panico iniziava a scorrergli nelle vene. Era forse paura per aver approfittato della buona fede della donna?

«L’ho spaventata» rispose conciso. «Sono entrato in cucina di soppiatto e l’ho spaventa» afferrò gli occhiali con entrambe le mani per rimetterseli. «Lei aveva una tazza di latte in mano e le è scivolata a terra. Fine della storia.»

Raquel continuava a guardarlo, per nulla convinta che un bicchiere rotto fosse il motivo di tanto imbarazzo. Aveva visto anche lei il rossore che aveva infiammato le guance della rossa non appena aveva posato il pezzo di vetro sul tavolo, ed era più che sicura che c’era qualcos’altro che l’uomo non le stava dicendo.

«E?»

Dannazione, possibile che non le posso nascondere nulla? Si chiese con il cuore che gli martellava nel petto.

«E poi…» inspirò profondamente preparandosi al gran finale. Ingoiò una grande boccata d’aria spingendola dentro i suoi polmoni. Affondò come un sasso nella sua cassa toracica. «Epoil’hopresainbraccioequasibaciata» disse tutto d’un fiato.

«Cosa?» chiese Raquel perplessa. «Non ho capito»

Sergio ripeté la frase, se possibile ancora più velocemente.

«Sergio…» sibilò irritata, massaggiandosi le tempie con entrambe le mani. Quest’uomo mi fa venire il mal di testa.

«L’ho quasi baciata.» sussurrò più lentamente.

«L’hai quasi baciata?» urlò la donna.

«Non urlare!»

«L’hai quasi baciata?» ripeté di nuovo, sussurrandolo tra i denti.

«Sì» annuì consapevole.

Raquel si passò le mani tra i capelli, tirandoli all’indietro. «E cosa ne è stato del: “le racconto tutta la verità?”» sbuffò irritata.

Sergio la guardò sbalordito. «Okay, quindi fammi capire bene…» appoggiò entrambe le mani sul tavolo spingendosi in avanti. «Sei arrabbiata per questo?» chiese picchiettando con l’indice sul tavolo. «Ti ho appena detto che volevo baciarla, e tu sei arrabbiata perché non le ho detto la verità sui passaporti e su quello che provo per lei?»

Raquel rimase a bocca aperta, in un primo momento a corto di parole.

«Sì, maledizione!» imprecò sbattendo i pugni sul tavolo. «Possibile che tu non lo capisca?»

«Capire cosa?»

«Sei un’egoista Sergio e con il tuo egoismo rischi di rovinare ogni cosa» disse alzandosi dalla sedia. «Devi dirle la verità, prima che ti scoppi in faccia. Perché nel momento in cui lo scoprirà non ti crederà mai e la perderai per sempre» spostò lo sguardo sul pezzo di vetro ancora poggiato sul tavolo, accarezzò con il polpastrello il suo lato liscio, attenta a non tagliarsi. «La perderemo per sempre» mormorò.

«Non è che sia così facile, sai?»

«Sei tu che hai deciso di giocare a questo gioco. E sappi che, questo sentimento, più provi a negarlo e più diventa forte. Io lo so bene».

«Raquel» disse Sergio, prima che la donna lasciasse la stanza. «Perché mi stai spingendo a dirle la verità?»

Raquel rimase di spalle alla porta.

«Perché penso che non esista un modello standard di amare. Accettarlo e sperimentarlo è una parte importante di questo viaggio chiamato amore. Con te ho imparato che amare significa comprendere, significa capire, significa ascoltare, significa creare connessioni» inclinò il volto di lato, guardandolo rimanendo voltata di schiena. «Questa tua confusione non ci semplifica la vita. Le relazioni sono un duro lavoro, e quello che vuoi tu richiede un lavora extra. È tutto molto più difficile, molto più complicato. Ma ho deciso di lavorare con te per farlo funzionare» appoggiò una mano sullo stipite della porta, spostando il peso del suo corpo di lato.

«In tutto questo, che cosa ci guadagni?»

«Cosa ci guadagno?» chiese sbalordita che l’uomo non l’avesse ancora capito. «In questo modo vinciamo tutti» disse, abbassando lo sguardo timida, come se avesse appena confessato un grande segreto. «Bisogna lasciare andare il proprio ego e permettersi di essere felice. Perché quando qualcuno che ami è felice, anche se non ha nulla a che fare con te, sei felice lo stesso» sorrise dolcemente alzando gli occhi per incontrare quelli dell’uomo. «E io sono felice lo stesso».

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Capitolo 6
*** I quattro elementi ***


Prima che il sole annegasse del tutto in mare Sergio si incamminò verso la spiaggia. Non era sicuro di trovarla lì, d’altronde erano passate diverse ore da quando era andata via, ma non c’era un altro posto dove non l’avesse già cercata al di fuori della spiaggia. 
 
Alla fine del vialetto, stretto e alberato, si apriva una lingua di sabbia soffice e bianchissima - talmente fina da sembrare borotalco. I colori del mare che solitamente spaziavano dall’azzurro al verde smeraldo, ora erano tinti con una punta d’arancio, mentre il sole baciava con i suoi raggi le sue morbide onde.  
 
A pochi metri dalla riva, seduta su un tronco, c’era Alicia.
 
Buffo che avessero lo stesso posto per rilassarsi. 
 
Sergio pensò in un primo momento di raggiungerla e sedersi al suo fianco, ma aveva paura che la donna sarebbe fuggita via un’altra volta se presa alla sprovvista, ed era stufo di rincorrerla.
 
Era da tutta la vita che giocava a guardie e ladri. 
 
Una volta giunto alle sue spalle si schiarì la gola a voce alta prima di girare intorno al tronco e sedersi al suo fianco, abbastanza vicino ma al tempo stesso sufficientemente lontano per lasciarle il suo spazio. 
 
Alicia si girò verso di lui, visibilmente tesa. 
 
«Ehi, ti stavo cercando» 
 
«A me?» chiese, fingendo disinvoltura. 
 
«Sì» 
 
Sergio rimase in silenzio mentre fissava assorto il suo profilo baciato dai caldi colori del tramonto.
 
«Non in bocca» disse Alicia a Victoria, che in quel momento aveva afferrato una formina ricoperta di sabbia e la stava portando alle labbra. Si piegò in avanti e afferrò il gioco scuotendolo in aria prima di restituirlo alla bambina. Poi si voltò verso l’uomo, sorpresa di trovare i suoi occhi che già la guardavano. «Cosa?» 
 
Sergio le sorrise teneramente. Uno di quei sorrisi che incurvano le labbra e fanno socchiudere gli occhi. «Sei molto brava con lei» 
 
Alicia ridacchiò spostando lo sguardo verso la bambina e sfilandole nuovamente dalla bocca il gioco. «Lo credi davvero? Vediamo se la penserai allo stesso modo quando questa notte non ti farà dormire» disse, guardandolo con la coda dell’occhio. Dal basso verso l’alto.
 
Non è l’unica persona che mi toglie il sonno… pensò, tuffandosi nei suoi occhi chiari, sprofondando ancora una volta nella loro limpidezza. 
 
Si fissavano, alzando e abbassando lo sguardo in attesa che uno dei due facesse la prima mossa. 
 
Sergio aveva bisogno di parlarle, ma come riuscire a gestire tutta questa tensione? Come una scarica elettrica attraversava l’aria tra loro, era così forte che avrebbe potuto accarezzarla. Per cercare di alleggerire l’atmosfera si lasciò andare in una risata rumorosa che in poco tempo contagiò anche Alicia, rilassandola visibilmente. 
 
«Dico davvero. Sei una brava mamma» 
 
«Beh, non credo di poter vincere la medaglia di madre dell’anno, ma cerco di fare del mio meglio»
 
«E ci riesci»
 
In un primo momento lo fissò sbattendo le palpebre, «Grazie» rispose poi, abbassando lo sguardo, mentre un leggero rossore compariva sotto la delicata pioggia di lentiggini che ricopriva come polvere d’oro la sua pelle.
 
Il silenzio imbarazzante che seguì quel semplice complimento era più difficile da gestire del complimento stesso.
 
«Mi dispiace per ieri»
 
«Per l’amor di Dio, per una buona volta, smettila di scusarti» rispose esasperata Alicia. 
 
Sergio la guardò meravigliato. 
 
Perché non ne vuole parlare? 
 
In questi ultimi mesi Sergio aveva imparato a conoscere la donna e sapeva perfettamente che Alicia non si nascondeva dietro semplici frasi di circostanza. Alicia non aveva peli sulla lingua. Alicia voleva la verità, la pretendeva, ad ogni costo, qualunque essa sia. È sempre stato così… e ora perché sfuggiva dagli eventi di ieri sera? 
 
«Io credevo che-» 
 
«Senti» alzò le mani e dividendo i capelli in due parti, spingendo verso l’alto l’elastico, aggiustò la coda. «È stato un incidente, ok? Una debolezza momentanea» scosse la testa ridendo. «Ci siamo lasciati prendere dal momento senza renderci conto di quello che stavamo facendo. E mi dispiace, davvero. Insomma, solitamente non mi comporto in questo modo» disse cercando con lo sguardo quello dell’uomo.
 
Quindi vuoi fingere che sia stata solo la debolezza di un momento? La scrutò corrugando lo sguardo. 
 
«Non voglio che questo» disse, muovendo il braccio tra loro due «possa essere motivo di imbarazzo tra noi. Insomma, abbiamo affrontato cose ben peggiori» abbassò lo sguardò mordendosi le labbra. «Stiamo bene. Non lo avrei mai detto ma… stiamo bene. Non voglio che le cose cambino tra noi» inspirò profondamente tornando con i suoi occhi sul suo volto. «Manca poco e i nostri passaporti arriveranno e poi, uhm, io e Victoria andremo via… possiamo solo, ehm, possiamo solo lasciarci alle spalle quello che è successo e andare avanti?» 
 
Sergio la guardava in silenzio, con uno sguardo imperturbabile. Le sue parole lo avevano colpito come uno schiaffo in pieno viso. 
 
Io e Victoria andremo via
 
Andranno via. 
 
Non sarebbe servito a nulla confessarle i suoi sentimenti, non servirebbe servito a nulla darle del tempo perché Alicia aveva già deciso. Come aveva potuto essere così stupido da pensare che avesse preso in considerazione l’idea di rimanere a vivere con lui e Raquel?
 
Alicia non voleva stare qui, e questo lo aveva reso ben chiaro più di una volta. Se fosse dipeso da lei non avrebbe mai lasciato Madrid per vivere con loro su quest’isola sperduta. 
 
Che cosa mi aspettavo?
 
Aveva ragione lei, era solo un narcisista, impaziente e insicuro. E con il suo cieco egoismo non si era reso conto dei desideri della donna. O meglio, li conosceva, ma aveva deciso di metterli in un angolo sperando che con il tempo sarebbero evaporati. L’aveva attratta con l’inganno, imprigionandola nel suo castello dorato, pur di averla al suo fianco. E ora che la catena di bugie che aveva costruito per legare i loro fili insieme si stava sciogliendo, non sapeva quali fossero i punti da saldare per evitare che si spezzasse del tutto.
 
Gli serviva tempo per elaborare un piano. Ma come fare?
 
Non aveva altra scelta che tenere nascosti i passaporti. Raquel si sarebbe arrabbiata, ma era certo che avrebbe capito, su questo ne era sicuro. 
La donna era affezionata ad Alicia, e sebbene non avesse ancora capito la natura dei sentimenti che nutriva verso la rossa, era certo che l’avrebbe aiutato a mantenere il suo segreto. Soltanto per un altro po’. Il tempo di capire cosa fare e cercare un piano di riserva. 
 
Alicia lo osservava, chiedendosi cosa passasse nella mente dell’uomo. Era così serio, taciturno… come se qualcosa nelle sue parole lo avesse turbato. «Ad ogni modo mi scuso» aggiunse, cogliendolo di sorpresa.
 
Sergio non si aspettava che la donna si sentisse colpevole per quello che era successo. Colpevole e in imbarazzo a giudicare dagli occhi bassi e il sorriso tirato.
 
Non doveva essere così. Non era giusto. Lui era quello che aveva passato il limite, non lei. Certo, Alicia non aveva opposto nessuna resistenza e probabilmente se si fosse spinto fino a baciarla l’avrebbe ricambiato… no, questo non è il punto della situazione. Il punto era che l’aveva cercata per assumersi ogni responsabilità. Per ripulire la lavagna. 
 
Ma ora che sapeva che a breve sarebbe andata via… che senso aveva a continuare a mentirle? 
 
Eppure, era sicuro che i suoi occhi non lo avevano ingannato. La luce che aveva visto brillare nelle sue iridi la notte precedente rifletteva un desiderio profondo e ben radico dentro di lei, sicuramente non frutto della debolezza di un momento
 
Il tremore delle sue mani non lo aveva immaginato. Il modo in cui lo aveva toccato, la deliberata lentezza con cui aveva accarezzato ogni centimetro della pelle delle sue mani non era frutto della sua immaginazione.
 
Era spaventata e lo era anche lui. 
 
Ingoiò le sue parole, e quella verità troppo scomoda da poter essere ascoltata. «Non è colpa di nessuno, infatti, come hai detto tu, non è successo niente» le sorrise amichevolmente, lasciando languire in un angolo della mente la vocina che gli ricordava che stava sbagliando. 
 
Lo sguardo rasserenato che ricevette in cambio, però, gli fece capire che aveva fatto bene a non spingere l’acceleratore su questa questione irrisolta che c’era tra loro. 
 
La massima forma dell’egoismo è l’amore, e lui era pronto a rinunciarci per renderla felice. 
 
Victoria si aggrappò con una delle sue manine al pantalone di Alicia strattonando il tessuto. Piagnucolando, richiamò l’attenzione dei due adulti. 
 
Alicia la sollevò, portandola sulle sue gambe. «Che c’è?» le chiese facendola saltellare sul suo ginocchio. «Hai fame?» di tutta risposta Victoria si buttò in avanti nascondendo il viso nella sua maglietta alla ricerca del seno. 
 
«Oh, qualcuno deve essere proprio affamato» mormorò Sergio.
 
Senza pensarci Alicia si abbassò la spallina della maglietta e spostando il tessuto di lato scoprì il pizzo del reggiseno. Victoria spingeva con le sue manine sul seno sempre più smaniosa. 
 
«Ti dispiace?» 
 
«Cosa?» chiese, con gli occhi puntati fissi sulla mano con cui teneva da parte il tessuto leggero della maglietta.
 
Rendendosi conto che Alicia lo stava guardando, colto in fallo, Sergio alzò lo sguardo, lentamente, soffermandosi con gli occhi su ogni centimetro di pelle fino ad arrivare agli occhi della donna. 
 
Alicia lo scrutava abbozzando un sorriso curioso. Le sopracciglia alzate, nascoste sotto la tenda della frangia. 
 
«Oh, certo» girò la testa di lato per lasciarle il tempo di scostare del tutto il tessuto dal seno e permettere alla bambina di attaccarsi.
 
Non era di certo la prima volta che la vedeva mentre allattava, ma questa volta c’era qualcosa di diverso. Come se il loro condividere questo momento insieme avesse un significato più profondo. Più intimo.
 
Come se li legasse in maniera ancor più profonda, più di quanto non li avesse già legati condividere un’esperienza così intensa - e traumatica - come il parto.
 
Sergio si girò nuovamente verso la donna, che ora osservava assorta nei suoi pensieri la bambina, mentre le accarezzava dolcemente la testa. 
 
«Ha una bella presa» disse, indicando la mano di Victoria che si stringeva intorno al dito della mamma. 
 
«È testarda» affermò ridacchiando, mentre spostava nuovamente la manina che si aggrappava alla sua mano non permettendole di scostare completamente la maglietta, che tornava a richiudersi accanto alla sua bocca. 
 
Dopo diversi tentativi riuscì a liberare la mano esponendo completamente il seno, coperto alla vista dell’uomo dalla testa rotonda e rossiccia di Victoria, e tornò a guardare Sergio che la fissava con una smorfia beffarda.
 
«Che c’è?» chiese «Io non sono testarda»
 
«No?»
 
«Certo che no!» rispose punteggiando con la voce ogni parola. «Stai alludendo che io sia testarda?»
 
Sergio scosse la testa con un sorrisetto sulle labbra.
 
«Non è così. Cancellati dalla faccia quel sorriso scemo» disse, puntandogli il dito contro e roteandolo in aria. «Se proprio ci tieni, posso descrivermi con soli quattro aggettivi».
 
«Sentiamo»
 
«Sono competitiva…» disse alzando il dito indice in aria.
 
«Sì»
 
«Ambiziosa» seguì alla conta il medio.
 
«Intraprendente…» alzò in aria l’anulare, mentre Sergio annuiva assecondandola «Ok, beh, forse cinque aggettivi, ma non è necessario che ti ribadisca quanto io sia intelligente, lo sappiamo già, visto che ti ho battuto» 
 
«Tu non mi hai-»
 
«Oh, sì che ti ho battuto» rispose, parlandogli sopra, mentre le labbra si distendevano in un sorriso malizioso. «Per ben due volte» continuò a parlare pavoneggiandosi.
 
Sergio aggrottò la fronte, tirando le labbra in un broncio carino. 
 
«Sono un milione di altre cose, lo so, ma possiamo terminare questo elenco con…» alzò gli occhi, passandosi una mano sulle labbra, giocherellando con il labbro inferiore, in un’espressione pensierosa. «Astuta» disse, accompagnando la parola con uno schiocco delle labbra, piegando il pollice nel palmo della mano mentre sollevava il mignolo.
 
Sergio le afferrò con una mano la sua, prima che potesse abbassarla, lasciandola penzolare a mezz’aria tra loro «E sfrontata» disse, avvolgendo le dita dell’altra mano intorno al pollice, facendole distendere il palmo della mano. «Mi hai chiesto se mi fossi mai ripreso mentre facevo l’amore durante la nostra prima telefonata»
 
«Sì, giusto» mormorò Alicia arrossendo visibilmente al ricordo. «Faceva parte del mio ruolo da negoziatrice» 
 
«Il tuo ruolo di negoziatrice è quello di scoprire le abitudini sessuali dei criminali?»
 
«No!» rispose, con una smorfia adorabile sul viso dilatando le pupille. «Cercavo solo di prendere il controllo della situazione-»
 
«Che strano, pensavo che ti stessi solo distraendo» 
 
«Sì, anche…» rimase con la bocca aperta sorpresa. «Ricordi cosa ti ho detto?»
 
«Ricordo ogni cosa» disse serio «e tu… volevi semplicemente saperlo» ridacchiò prendendola in giro.
 
Alicia si morse l’angolo della bocca, risucchiando il labbro all’interno. «Ok, volevo semplicemente saperlo… e metterti in difficoltà» disse, arricciando l’angolo delle labbra in un sorriso divertito. «Ci sono riuscita poi?» chiese con una punta di malizia nello sguardo.
 
«A fare cosa?»
 
«Ad aiutarti» 
 
«Ecco, uhm…» borbottò, cercando di guardarla, ma ogni volta che incontrava il suo sorriso malizioso, riabbassava lo sguardo, fissandosi le ginocchia. Si sistemò gli occhiali e il movimento non sfuggì all’occhio attento di Alicia. «Sei sfrontata» ripeté di nuovo, piegando la testa di lato.
 
Alicia scoppio a ridere divertita. 
 
Questa donna riusciva ad avere il controllo della situazione anche quando veniva messa all’angolo. Questo ormai avrebbe dovuto saperlo.
 
Le loro mani erano ancora unite a mezz’aria, quando Sergio lasciò scivolare la sua intorno al polso fino, afferrandolo, e rigirandolo con il palmo verso l’alto, lo poggiò sul suo ginocchio. Una volta appoggiato sulla gamba, liberò la presa dal polso e lasciò scorrere l’indice sul palmo. 
 
«Sapevi che la mano è solcata da linee e segni e per interpretarli correttamente bisogna analizzare le linee della mano sinistra e della mano destra, che si completano reciprocamente» le disse, tenendo lo sguardo fisso sul palmo aperto, mentre disegnava con il dito ogni linea, reale o immaginaria, sulla sua pelle. «Ci sono quattro linee principali e possiamo immaginarle come i quattro elementi»
 
Alicia lo fissava mentre completamente immerso nella lettura della sua mano, lasciava scorrere lentamente le dita sul suo palmo. «Mi fai il solletico» disse, muovendo leggermente la mano. 
 
Sergio alzò la mano, annullando il contatto tra la loro pelle, e sbatté le palpebre. «Questa è la linea della vita, l’elemento Terra, ed è considerata come una radice» percorse il semicerchio della linea della mano che dal polso finiva esattamente a metà tra il pollice e l’indice. «Curva attorno al monte di Venere e s’inoltra alla base del palmo, creando stabilità con le altre linee» staccò la mano dalla sua gamba alzandola in aria. «Questa qui invece, è la linea del cuore. L’acqua» alzò lo sguardo verso Alicia, cercando i suoi occhi. «Questa linea rappresenta un fiume di ricettività che permette alle sensazioni, all’intuizione, all’empatia e alle risposte emotive di fluire dentro la persona. La linea scorre dal taglio della mano sotto il dito mignolo, verso il lato del pollice» posizionò il dito sulla linea percorrendola dal basso verso l’alto. «Quanto più la linea è lunga e profonda, tanto più sono le emozioni a dominare la nostra natura».
 
«Mmh, non si direbbe che io sia così emotiva» disse, guardandolo da sotto le ciglia.
 
«Lo sei. La tua mano non mente» 
 
«E questa?» chiese, indicando lei stessa la linea successiva. 
 
«Beh, questa è una linea molto interessante. È la linea del destino. Il fuoco»
 
«Mi sta leggendo le carte, professore?» la voce cucita con una nota profonda e maliziosa.
 
L’uso del nomignolo e del suo tono di voce vellutato lo colse totalmente impreparato. La guardò ammaliato, perso nel suo sguardo perverso. «Ecco, uhm…» inciampò nelle sue stesse parole balbettando. «Le linee della mano ti dicono chi sei. Non sono dei semplici tarocchi, delle carte estratte dal mazzo. Questi segni si formano insieme a te. Sono te»
 
«D’accordo» sorrise «E cosa dice il mio destino?»
 
Sergio abbassò nuovamente lo sguardo sulla mano, osservando la linea da vicino. «Questa è la linea più variabile. Scorre dalla base del palmo verso l’alto fino alla base del dito medio»
 
Alicia rise e la sua risata soffice lo rassicurò, inviandogli al contempo una vibrazione che lo scosse fin dentro ai lombi.
 
«Perché ridi?»
 
«La mia linea non deve essersi fermata dal momento che ho letteralmente mandato a fanculo il mio destino»
 
Sergio rise insieme a lei tenendo il dito premuto alla base del medio. «Stai nuovamente confondendo la tua mano con dei dozzinali tarocchi. Questa linea non legge il tuo destino, è il tuo destino»
 
«Sì, ok, ho capito» rispose, incurvando le labbra in un broncio.
 
«E questa è l’ultima linea. La linea della Testa. L’aria.» spostò il dito sulla linea che non aveva ancora accarezzato. «Inizia sul bordo della mano sopra il pollice e nel tratto iniziale può essere o meno unita alla linea della Vita» bloccò gli occhi con quelli della donna. «Il suo andamento è la chiave della personalità di un individuo e ci fa capire il modo in cui una persona pensa e comunica» inspirando profondamente, ingoiò il fascio di nervi che si era stretto intorno alla sua gola. «Una linea dritta rivela un pensiero lineare e logico, equilibrato e poco influenzato da sentimenti ed emozioni, mentre una linea curva lascia immaginare una maggiore soggettività, intuizione e individualismo».
 
«Credo di sapere qual è la forma della mia linea» lo guardò con un sorrisetto sulle labbra.
 
«Su questo non si sono dubbi»
 
Sergio passò la mano sotto quella della donna, facendo combaciare le loro dita, aprendo e chiudendo a pugno il palmo della mano con la sua. «La mano si apre e si chiude, si contrae e si espande, e ogni volta sembra di leggervi una presenza e un segreto» sospirò, scuotendo leggermente la testa. «Ci sono pensieri che nascono muti ma poi le mani li sanno dire benissimo»
 
«E che cosa ti dice la mia mano?»
 
Sergio la guardò attentamente. I suoi occhi lo fissavano con uno sguardo così profondo che sapeva invadere i pensieri e andare dritto al cuore.
 
«Che devi lasciarti andare» mormorò. «La vita è come un’altalena che oscilla tra un campo al sole e un temporale. Non puoi rimanere per sempre seduta a dondolarti. Devi lanciarti nel vuoto e cercare il sole, correndo il rischio di incontrare la pioggia».
 
«E cosa succede se inizia a piovere?»
 
«Credo che tu abbia attraversato temporali peggiori»
 
Alicia abbassò lo sguardo alle loro mani unite. Era arrivato il momento di saltare dopo quest’ultimo slancio? Era forse lui il suo riparo? 
 
«Lo credo anch’io» rigirò la mano in quella di Sergio, bloccando le loro dita insieme. Slittò poi con il corpo sul tronco per avvicinarsi, poggiando la testa sulla sua spalla. «Grazie»
 
Sergio annuì, non c’era bisogno di parole per farle capire che per lei ci sarebbe sempre stato, in qualsiasi forma e dimensione avesse voluto. Alicia piegò il volto di lato, infilandolo nell’angolo del suo collo, lasciando un bacio sulla pelle. E mentre Victoria dormiva tra le braccia della donna, lui restò immobile per la successiva mezz’ora per paura di svegliarla. 
 
Riscaldato dal tepore degli ultimi raggi del sole e dei loro corpi vicini, si chiese come facesse il cuore a stare così comodo. 
 
--
 
Rientrarono in casa quando il sole era già tramontato e cielo si era tinto di rosso, come un fiore carnivoro. Victoria sepolta tra le braccia di Sergio, avvolta nel telo che avevano usato per sedersi sulla spiaggia, ed Alicia al suo fianco, camminando con la stessa morbida andatura. 
 
Raquel piegò la testa all’indietro e incontrò lo sguardo sereno di Sergio mentre attraversavano il portico. Camminavano uno accanto all’altro come una piccola famiglia. Erano rilassati, sorridenti, felici. Ed era proprio questa la felicità di cui avevano bisogno. D’altronde, che cos’è la felicità, se non una casa con dentro le persone che ami?
 
Passando dietro di lei, Sergio allungò un braccio e le accarezzò la testa, sfiorando appena alcuni fili di capelli con le dita. Era stato un tocco quasi impercettibile, ma Raquel aveva sentito forte e chiaro il senso di pace che si era depositato dentro di lei quando le sue mani l’avevano sfiorata. 
 
Si alzò dalla poltrona in cui era sprofondata e li seguì in casa. 
 
--
 
Quando rientrò in casa il suo cuore si sciolse nel vedere Alicia seduta a terra con la schiena poggiata al divano e la bambina che si arrampicava tra le sue braccia. 
Era nuovamente rilassata e serena, sui suoi lineamenti delicati non c’era più nessuna traccia della tensione della mattina. Ora sorrideva spensierata alla bambina mentre giocavano insieme. 
 
Affacciandosi solo con la testa in cucina vide Sergio, con il grembiule arrotolato in vita, di spalle alla porta, che tagliava le verdure per la cena. Canticchiava una canzone che non conosceva mentre gettava nella casseruola le verdure tagliate a cubetti. 
 
Raquel osservava entrambi dalla sua posizione, ma questa volta lo spettacolo che l’aveva accolta era ben diverso da quello della mattina. Era tutto così tranquillo. Sereno. 
 
Sorrise guardando Victoria, che guardava ammaliata la sua mamma mentre giocava a sbattere tra loro due formine colorate. Ogni volta che si scontravano emettevano dei suoni accompagnati da luci colorate. Era così bello vederle insieme, mentre si sorridevano felicemente.
 
Si voltò di schiena dirigendosi verso la cucina, da dove Sergio la stava chiamando, e con la coda dell’occhio intercettò la manina di Victoria che afferrava il libro posto sul tavolino tra i divani. Lo agitava in aria ridacchiando e poi lo gettava verso il pavimento.  
 
Si girò di colpo e rimase a guardare la scena che si svolgeva davanti ai suoi occhi a rallentatore. 
 
Il libro dopo aver sbattuto sul bordo del tavolo era scivolato sulla barriera di cuscini che Alicia aveva posizionato per terra per evitare che Victoria potesse farsi male. Durante la sua parabola in aria aveva perso parte della copertina che lo ricopriva. L’altra metà si sfilò nel momento in cui scivolò sui cuscini, cadendo a terra. 
 
Sentiva dei suoni ovattati. La voce di Alicia che sgridava la bambina e che la rimproverava per aver gettato a terra il libro. Poi la guardò mentre si chinava in avanti e lo raccoglieva dal pavimento per riposarlo sul tavolo. 
 
Raquel chiuse gli occhi in quel momento, imprigionando nella sua mente il ricordo di felicità che per brevi istanti aveva riscaldato il suo cuore. 
 
Quando li riaprì Alicia aveva raccolto il libro dal pavimento e teneva tra le mani i due passaporti che erano usciti dalla tasca tagliata nella copertina. 
 
Li rigirò tra le mani, fissandoli incredula. Passò lo sguardo dal libro, aperto sul pavimento, ai due documenti con le loro foto scansionate nella prima pagina. Poi alzò lo sguardo e incontrò gli occhi di Raquel. 
 
Nelle sue pupille dilatate lesse tutte le risposte alle domande che affollavano la sua mente. 
 
 
 
 

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