Dangerous - Extra

di _Misaki_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Extra 1 - Second Chance ***
Capitolo 2: *** Extra 2 - A Fresh New Start ***
Capitolo 3: *** Extra 3 - Blooming ***



Capitolo 1
*** Extra 1 - Second Chance ***


DANGEROUS
- Extra 1 -

Second Chance
 
 
 
 
Seoul.
8 anni prima della cattura di Ray.
 
Taeoh, appena ventitreenne, stava attraversando l’atrio di un alto grattacielo di vetro in cerca dei tabelloni dei risultati del test. Poche settimane prima aveva sostenuto l’esame per entrare a far parte della più prestigiosa agenzia privata di agenti segreti di Seoul, capitanata dalla misteriosa L, una donna di cui nessuno conosceva né il nome, né tantomeno il volto. Era il terzo anno di fila che ritentava e si era ripromesso che sarebbe stato anche l’ultimo. Partecipare all’esame aveva un certo costo, così come i corsi propedeutici organizzati dall’associazione, e la sua famiglia non navigava certo nell’oro. Aveva dovuto arrangiarsi da solo per imparare qualcosa sulle arti marziali che non fossero quel paio di mosse apprese alle lezioni di Taekwondo di quando era bambino. In più aveva già dato ai genitori il dispiacere di non aver continuato gli studi in università dopo il liceo, perciò si era ripromesso che, se avesse fallito di nuovo, avrebbe cercato un lavoro. Uno qualsiasi, da persona normale.
«Taeoh!» Si sentì chiamare. Era Daeju, un ragazzo un paio di anni più giovane di lui che aveva conosciuto l’anno prima durante l’esame e con il quale aveva stretto amicizia. «Hai già visto i risultati?»
«Non ancora, sto cercando di avvicinarmi al tabellone ma c’è una folla assurda!»
«Ho paura! E se non lo abbiamo passato?»
«Non lo so, non ci voglio pensare.»
«Guarda, vanno avanti!»
Alcuni dei partecipanti, dopo aver visto i risultati, stavano finalmente liberando il passaggio, così Taeoh e Daeju riuscirono a farsi largo tra la folla e arrivarono ai piedi del tabellone.
Taeoh fece scorrere gli occhi dall’alto verso il basso, percependo una dose di ansia che non credeva di aver mai provato prima in vita sua. Al primo posto in classifica c’era un certo Minho, che aveva superato l’esame con il punteggio massimo. Taeoh non poteva decisamente aspirare a tanto, ma sperò almeno di scorgere il proprio nome tra l’elenco delle venticinque reclute di quell’anno. Tra i promossi c’erano anche molte ragazze, alcune con nomi stranieri, come una certa Lizzy, che era arrivata diciassettesima. Taeoh finì di scorrere tutti e venticinque i nomi, ma, con sua grande delusione, tra i promossi non trovò né il proprio, né quello di Daeju.
«Non ci siamo, vero?» chiese quest’ultimo, che, molto meno coraggioso dell’amico, non aveva osato guardare.
«No, non ci siamo.» la voce del ragazzo lasciava trasparire una certa tristezza. Daeju trovò la forza di alzare gli occhi e di controllare almeno tra i nomi dei bocciati in che posizione si fosse collocato. La prima cosa che vide fu il nome di Taeoh, lì, al ventiseiesimo posto, subito sotto la linea nera in grassetto che divideva i promossi dai bocciati, con solo tre punti di scarto dall’ultimo selezionato. Se il destino era stato crudele, l’associazione lo era stata ancora di più pubblicando l’intera classifica. Il proprio nome, invece, si trovava più in basso, al trentaduesimo posto.
«Hyung[1], mi dispiace!» esclamò, terribilmente dispiaciuto per l’amico.
«Di che ti dispiaci?» Taeoh cercò di non farsi vedere triste e forzò un sorriso.
«Io posso riprovare l’anno prossimo, ma tu? Per così poco, poi.»
«Io per l’anno prossimo sarò già un uomo in carriera e avrò un sacco di soldi!» cercò di sdrammatizzare Taeoh. Non era il tipo da piangersi addosso, non in presenza degli altri, perlomeno.
«Ma, hyung! Sei sicuro che sia tutto a posto?»
«Mai stato meglio. Coraggio, Daeju, andiamo a premiarci con una bella bevuta! Abbiamo fatto del nostro meglio!»
«E-e va bene. Se lo dici tu.»
 
 
 
***
 
 
 
Qualche ora dopo, i due si trovavano in un bar nel quartiere dell’associazione e avevano già accumulato diverse bottiglie di shoju vuote sul tavolo. Come loro, anche molti altri partecipanti avevano avuto la stessa idea. Non conoscevano nessuno di nome, ma erano sicuri di averli incrociati almeno una volta al test scritto o a quello pratico. Se non altro ciò li faceva sentire meno soli. Daeju si era già ripreso e rideva e scherzava su qualsiasi cosa. Taeoh, al contrario, aveva un muso lungo che lasciava trasparire chiaramente tutta la sua delusone, ma si sforzava di tanto in tanto di sorridere per non pesare sulle spalle dell’amico.
A un certo punto, un uomo sulla trentina vestito interamente di nero, con un cappellino da baseball in testa e una mascherina a coprirgli il viso, si avvicinò al tavolo e richiamò la loro attenzione.
«Buonasera, ragazzi. Avete partecipato al test dell’associazione di L?»
«Sì, come più o meno chiunque qui.» sospirò Taeoh.
«Cos’è quel muso lungo? Come ti sei classificato?»
«Vuole ridere? Ventiseiesimo, per soli tre punti! Se non è sfortuna questa…» si era ripromesso di trattenersi, ma quell’uomo sconosciuto lo stava letteralmente istigando a lamentarsi.
«Non dispiacerti, è un ottimo risultato! Sai, non c’è mica solo l’associazione di L a questo mondo.»
«E che altro c’è, allora?» a parte il Servizio Nazionale di Intelligence coreana non gli risultava ci fosse altro, e se non era riuscito ad accedere a un’agenzia privata figuriamoci al settore pubblico. Mica poteva permettersi di spendere altri soldi e anni per studiare e sostenere i severissimi esami per entrare nelle forze dell’ordine. E poi, non era mai stato bravo a studiare.
«Beh, per esempio, potresti provare a sostenere il test d’ingresso per la mia nuova agenzia.» L’uomo passò a Taeoh il proprio biglietto da visita. Sul dorso c’era scritto il nome Ray Jung in caratteri occidentali, seguito da un numero di telefono e un indirizzo di Seoul.
«E quando sarebbe questo test? Non posso aspettare un altro anno.»
«Non dovrai aspettare molto, è domani stesso.»
«Domani?» gli occhi del ragazzo si illuminarono. Forse non tutto era venuto per nuocere, il destino gli aveva appena riservato un’altra occasione.
«Sì, domani pomeriggio alle quattro. All’indirizzo che trovi sul biglietto da visita.»
«Ci sarò!»
«Ti aspetto! Anzi, vi aspetto entrambi.»
«Grazie!» Taeoh si alzò e si inchinò educatamente per salutare il generoso uomo che gli aveva appena ridato un barlume di speranza.
«Taoeh! Hai sentito?» esclamò Daeju.
«Sì! È tutto vero? Dimmi che non sto sognando!»
«È tutto vero! Abbiamo un’altra chance!»
«Evvai! Brindiamo alla fortuna!»
«No, aspetta, dobbiamo essere in forma domani, forse non dovremmo bere.»
«Hai ragione, non dobbiamo bere. Andiamo subito a letto! Ci vediamo domani mattina per allenarci prima della prova!»
«Agli ordini, Hyung
 
 
 
 
 
***
 
 
 
 
Seoul, 15:45 PM
 
Il giorno seguente, Taeoh e Daeju si presentarono all’indirizzo segnato sul biglietto da visita che aveva dato loro quell’uomo misterioso di nome Ray. Si trattava di una palestra di arti marziali un po’ scalcagnata in una viuzza secondaria di Seoul. Neanche a dirlo, tra i presenti c’erano più o meno tutti i partecipanti dell’esame per l’agenzia di L che avevano ricevuto un esito negativo il giorno precedente.
«Taeoh, ma che hai fatto ai capelli?» esclamò Daeju allarmato, notando una bella testa rasata al posto del ciuffo tinto di castano che era solito portare l’amico.
«Ehm, ecco, diciamo che mio padre non l’ha presa troppo bene la bocciatura di ieri.»
«E ti ha ridotto così?»
«Già, chiamala punizione.»
«Non ci posso credere, che peccato!»
«Ricresceranno, ma quando usciamo da qui ricordami di passare a comprare un cappello per nasconderli, è imbarazzante andare in giro così.»
«Ci credo!»
Allo scoccare delle quattro in punto, Ray fece la propria apparizione in palestra, zittendo con la sua sola presenza chiunque fosse intento a chiacchierare, Taeoh e Daeju compresi.
«Buongiorno, ragazzi e ragazze. Come vi ho già accennato, l’esame che state per sostenere è per accedere a una nuovissima agenzia di investigazioni e spionaggio che aprirò io stesso e che spero in un paio di anni diventerà persino migliore di quella di L!» anche questa volta era interamente vestito di nero, ma non aveva nulla a coprirgli il capo. Il suo aspetto era piuttosto giovanile, ma lo sguardo era severo e di stazza superava abbondantemente il metro e ottanta. «Per accelerare un tantino il procedimento, non ci sarà nessun test scritto. Vi chiedo solo di registrarvi attraverso i moduli che troverete a questo banco. Una volta raccolti i vostri dati, creerò la scaletta per un torneo. I cinque vincitori saranno i fortunati.»
Alle sue parole qualche partecipante sbuffò qualcosa sul fatto che fosse poco professionale e decise di abbandonare il campo. Taeoh e Daeju si guardarono negli occhi. Anche a loro non convinceva più di tanto la situazione, ma l’opportunità era troppo ghiotta per non lasciarsi tentare. Ad essere onesto, Daeju, da bravo fifone qual era, sarebbe voluto scappare a gambe levate vista la mole di concorrenti col fisico da body builder o, peggio ancora, con la faccia da criminale, presenti all’appello, ma la determinazione negli occhi del suo amico gli impedì di deluderlo rinunciando. Così i due si misero in fila al banchetto indicato da Ray e registrarono i propri dati.
 
 
 
 
***
 
 
 
Diverse ore dopo, si era ancora ben lontani dalla fine. Taeoh e Daeju avevano vinto il primo scontro, ma erano ancora in attesa di poter procedere con il girone successivo. Molti partecipanti se ne erano già andati, stanchi dell’attesa, e di fare una pausa per cena non si era minimamente accennato, ma nulla avrebbe fermato Taeoh e la sua voglia di arrivare tra i primi cinque e prendersi quel posto che tanto desiderava.
Verso le dieci di sera, finalmente, i partecipanti erano stati ridotti a una quindicina e mancavano gli ultimi tre turni di incontri. Forse ce l’avrebbero fatta a finire prima che fosse notte fonda.
«Ehi, hai visto quello lì che paura?» chiese Daeju, riferendosi a uno dei due partecipanti in quel momento coinvolto in uno scontro.
«Chi, il tizio bassino tinto di biondo?»
«Sì, finora li ha massacrati tutti di botte! Per me anche questo finisce in ospedale!»
«State parlando di Dawon?» si intromise una voce alle loro spalle. I due si girarono per scorgere un tizio baffuto dagli occhi sottili rivolgere loro uno sguardo beffardo.
«Chi?» chiese Taeoh.
«Yang Dawon, il tizio biondo.»
«Ah, si chiama così?»
«Sì, siamo dello stesso anno. Era in una scuola vicino alla mia e già dalle medie aveva una pessima reputazione. Una volta ha pestato un gruppo di bulletti della mia classe perché ci stavano provando con la sua ragazza. Uno di loro è rimasto zoppo.»
«Che!?» esclamò Daeju. «Spero proprio non mi capiti come avversario!»
«Eppure dal fisico non lo avrei mai detto.» puntualizzò Taeoh.
«Pensalo, ma non dirlo, se ti sente sei nei guai.»
«Comunque, tu saresti?»
«Mi chiamo Jiho.»
«Piacere, io sono Taeoh e lui è Daeju.»
«Piacere!» disse anche Daeju.
«Quanti anni hai? Io ventitré e lui ventuno.»
«Ah, allora siamo quasi coetanei, ne faccio ventiquattro tra un paio di mesi.»
«Davvero?» chiese perplesso Taeoh.
«Sì, perché?»
«Niente, è solo che… pensavo avessi più di trent’anni.»
«Come ti permetti!?»
«Scusa, saranno i baffi…»
«Cos’hai contro i miei baffi?! E poi parli proprio tu che sembri un teppistello da quattro soldi con quella testa pelata che ti ritrovi!»
«Avanti i prossimi partecipanti! Song MinJoon! Lee Taeoh!» li interruppe la voce tuonante di Ray. L’avversario di Dawon era finito a terra con qualche dente rotto, trascinato lontano dal ring dai suoi amici, mentre il demone biondo aveva lasciato il campo ai prossimi partecipanti, sputando per terra sprezzante appena sceso dal ring.
«Mi dispiace ma è il mio turno, devo andare.» Taeoh ignorò l’insulto del ragazzo appena conosciuto e si affrettò a presentarsi all’appello. Nessuno gli avrebbe portato via questa opportunità, nemmeno quel teppista di Dawon se mai se lo fosse ritrovato davanti.
 
 
 
 
***
 
 
 
Tre settimane dopo.
 
«Avanti, branco di smidollati! Non mi sembra di avervi dato il permesso di sedervi a riprendere fiato!» urlò Ray ai cinque malcapitati. Alla fine, il torneo aveva decretato cinque vincitori, che erano entrati a pieno titolo nella sua squadra: un teppista di strada; un baffuto che dimostrava il doppio dei suoi anni; un tizio rasato dall’aspetto spaventoso ma dal cuore tenero; uno smidollato che aveva il solo vantaggio di essere alto quanto una pertica e, per finire, un idiota completo, per di più rumoroso quanto una scimmia urlante.
«Sì, boss.» esclamò Taeoh, rimettendosi subito in piedi, tra le occhiate di disapprovazione dei colleghi, ma lo sguardo giudicante di Ray costrinse anche tutti gli altri ad alzarsi.
«Stiamo tutti lavorando duramente per aprire questa agenzia, non solo voi. Vi sembra che io stia facendo pause? Perché a me non sembra! Yang Dawon, Jung Jiho, Lee Taeoh, Park Daeju, Bang Minki! Ricominciate subito ad allenarvi! Non c’è tempo da sprecare! Dormirete quando sarete morti!»
Volenti o nolenti, i cinque dovettero seguire le istruzioni del loro nuovo insegnante e capo, impegnandosi in un allenamento che proseguì fino a notte fonda, quando i cinque, sudati e malconci, si concessero finalmente una doccia e un po’ di riposo.
«Ragazzi, io vado a prendermi qualcosa da mangiare al 7-eleven[2] qui in fondo alla via. Volete qualcosa?» chiese Daeju.
«Vengo con te!» esclamò Taeoh. A quel punto Dawon si avvicinò ai due a pugni stretti, come se volesse dare inizio a una rissa. Aveva due occhiaie nere molto marcate sotto agli occhi, cosa che lo rendeva ancora più spaventoso.
«Q-qualcosa non va?» provò a interpellarlo timidamente Daeju.
«Vengo anch’io. Non ne posso più di questa stupida palestra.» Dawon sorrise. Forse in fondo non era poi così cattivo come sembrava. «Jiho, Minki, ci siete anche voi? Se venite offro da bere a tutti!»
«Sììììì! Ci sono, hyung! Evviva! Festa!!!» si mise a urlare Minki, un po’ troppo su di giri.
«Ok, ok.» si unì anche Jiho.
I cinque ragazzi si recarono al 7-Eleven, presero diverse lattine di birra e del cibo pronto e ingurgitarono tutto quello che non avevano potuto mangiare durante il giorno a causa di Ray. A stomaco pieno e un po’ brilli, iniziarono improvvisamente a fare discorsi filosofici su come si sentivano finalmente ripagati dei loro sforzi grazie a questa opportunità e che non vedevano l’ora di iniziare a lavorare sul serio come spie. Già si immaginavano come sarebbe stato esaltante inseguire e arrestare i criminali, viaggiare in posti meravigliosi e alloggiare in hotel di lusso. Sempre che non avessero visto troppi film e che la vita da agente fosse ben diversa.
Dall’inizio di quella nuova avventura, il tempo trascorso insieme era servito anche a farli conoscere meglio e a renderli una squadra unita e coesa. Di Dawon si era scoperto che non fosse poi un teppista a tutti gli effetti, aveva solo un passato da bullo delle scuole, ma in fin dei conti non era altro che un ragazzo in cerca di realizzazione personale. Al di là delle sue abilità nelle arti marziali, aveva anche un talento a dir poco inaspettato: sapeva suonare il pianoforte. Dopotutto, chi lo avrebbe mai detto che uno scapestrato del genere venisse da una famiglia benestante e che avesse litigato con i genitori per non prendere in carico l’azienda di famiglia e partecipare alle selezioni prima di L e poi di Ray. Lo avevano praticamente cacciato di casa, ma lui non si era dato per vinto e aveva dimostrato loro che poteva farcela anche da solo.
Jiho, invece, sembrava avere due soli obiettivi nella vita: mantenere in salute la sua peluria facciale e conquistare donne. Giovani, mature, non gli importava, non faceva che vantare le sue conquiste e sfruttare ogni occasione possibile per andare a far festa in qualche night club. Spesso i ragazzi si chiedevano se non raccontasse solo bugie, perché sembrava impossibile che fosse un conquistatore seriale con quella faccia. Tra i cinque era anche quello più cinico e, si potrebbe dire, stronzo. Ci si poteva anche schierare con lui, ma era impossibile prevedere se ti avrebbe voltato le spalle pur di lasciare che Ray punisse te al posto suo. Della sua famiglia non parlava molto, era come se a loro non importasse molto di quel che faceva e viceversa.
Taeoh, dopo la serata in cui era stato pesantemente sgridato per non aver passato l’esame, non aveva avuto grandi occasioni di riconciliarsi con il padre. Già dal matrimonio di sua sorella maggiore, avvenuto un anno prima, aveva iniziato a percepire che qualcosa non andava e, proprio appena aveva iniziato a lavorare per Ray, i genitori avevano deciso di separarsi, perciò in casa c’era un clima molto teso e lui preferiva di gran lunga passare le giornate alla palestra di Ray anziché rincasare. Quando quest’ultimo aveva affittato un appartamento in cui sarebbero tutti andati a vivere, lui la trovò un’ottima soluzione. Forse al momento i suoi genitori non capivano, erano sempre irritati e non vedevano l’opportunità di buon occhio, ma quando l’associazione si sarebbe allargata e avrebbero finalmente incominciato a operare, sicuramente sarebbero stati fieri di lui.
Daeju non si era fatto molti problemi. Il padre era un uomo violento e aveva lasciato lui e i suoi due fratelli maggiori quando erano ancora erano piccoli, ma la madre li aveva sempre supportati in tutto, desiderio di diventare un agente e punire i mezzi criminali come suo padre compreso. In più si divertiva molto in compagnia di Taeoh, perciò anche lui si era trasferito di buon grado nel nuovo appartamento. La sua indole quieta lo aveva fatto appassionare all’informatica e si era messo a studicchiare qualcosa con il benestare di Ray. La presenza di un hacker nel gruppo non avrebbe certo guastato.
Infine, Minki sembrava solo un ragazzino scapestrato. Aveva lasciato la campagna per scoprire la vita della città si era iscritto all’università. I suoi genitori non sospettavano minimamente di cosa stesse facendo, anche se, a dire il vero, sembrava un po’ tonto, perciò non sarebbe stato così difficile capire che l’università era solo una scusa e che in realtà non la stava frequentando. Nessuno però aveva idea di quanto avrebbe portato avanti questa farsa.
«Ehi, fermo!» esclamò Dawon, vedendo che Minki, completamente ubriaco, si era messo a correre per strada e a urlare alle macchine. «Qualcuno vada a riprenderlo! Quello scemo si fa investire!»
«Ma lasciamolo investire quell’idiota.» rispose Jiho, intento a scambiarsi messaggi con qualche ragazza conosciuta sulle chat di incontri.
«Aish[3]! Certo che sei proprio stronzo!» non riuscì a trattenersi Taeoh. Il ragazzo si alzò e andò a recuperare Minki prima che si mettesse ad attraversare l’incrocio con il semaforo rosso.
«Non è compito mio salvare i deficienti. Comunque, è meglio rientrare. Domani ci aspetta un’altra giornata da incubo.»
«Già, Ray è davvero esigente.» si lamentò Daeju.
«Ma quando la aprirà questa benedetta agenzia? Ormai sono due settimane che facciamo solo allenamenti e di paga non se ne parla.» chiese Taeoh.
«Boh, spero presto perché a casa dai miei non ci posso mica tornare dopo il casino che ho fatto.» aggiunse Dawon.
 
 
 
 
***
 
 
8 anni dopo.
 
Dal giorno in cui si era venuta a formare la bizzarra squadra di Ray erano passati otto lunghi anni e più o meno nulla era andato come previsto. Mese dopo mese, l’uomo aveva racimolato seguaci in ogni dove, ma di mettere in piedi un’agenzia di servizi segreti non se ne era più parlato. Probabilmente ci aveva provato, ma, vista la concorrenza, aveva miseramente fallito e ora il suo business somigliava molto più a una mafia che a un ente per la sicurezza internazionale. Soldi sporchi, giri loschi e un sacco di odio nei confronti di L. Il perché poi, nessuno se lo sapeva spiegare. Giusto quella sera, mentre era comodamente seduto sul divano a guardare la televisione, Ray aveva fatto una sfuriata e aveva ordinato loro di uccidere le agenti di L che avevano incontrato all’asta di quadri, come se gli avessero fatto qualcosa di male. Dawon aveva raccontato che Ray una volta lavorava per L ed era stato cacciato per cattiva condotta. Chissà che diamine aveva combinato, se era vero, poi. Nessuno aveva idea di dove avesse raccolto quelle informazioni.
Quella sera, Taeoh non riusciva proprio a prendere sonno. A breve sarebbe dovuto partire per Cancún per uccidere delle persone che non gli avevano fatto proprio niente. Non ne poteva più di quella vita e non riusciva a capire se anche per gli altri fosse lo stesso o se per loro andasse bene continuare a vivere in quel modo. Persino Daeju, che credeva di conoscere così bene, non sembrava fregarsene molto. Forse lui non si rendeva conto di che tipo di lavoro fosse perché non lavorava spesso sul campo, se ne stava quasi sempre dietro lo schermo del suo computer. Taeoh, invece, già da tempo sentiva di essere rimasto incastrato in quella situazione. Quando se ne era reso conto era già troppo tardi e non aveva idea di come mandare a monte tutto e ricominciare daccapo. Per un attimo pensò che sarebbe stato quasi auspicabile che L leggesse i file nascosti in quella SD e che venisse ad arrestarli una volta per tutte, ma era abbastanza sicuro che non sarebbe successo e tantomeno Ray lo avrebbe lasciato in vita se gli avesse detto esplicitamente che voleva mollare. Anno dopo anno, quell’uomo non aveva fatto altro che incattivirsi e diventare sempre più avaro.
Taeoh si rigirò nel letto e sospirò rumorosamente. Era stanco di agire contro i propri ideali, di dover essere forte e di sentirsi solo. In momenti come quello avrebbe tanto voluto che qualcuno lo prendesse per mano e lo portasse furi da lì, lontano da una vita che gli era sempre stata stretta.
 
[1] Hyung è un termine coreano che può essere utilizzato da un ragazzo più piccolo per riferirsi a un ragazzo più grande con cui è in confidenza. Lett. “fratello maggiore”
[2] 7-Eleven: Catena di minimarket molto diffusa in Asia
[3] Aish: imprecazione.





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Eccomiii! I due extra promessi sono diventati tre nella stesura XD mi sa che questa storia non vuole proprio finire!
A presto!

Misa

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Capitolo 2
*** Extra 2 - A Fresh New Start ***


DANGEROUS
- Extra 2 -

A Fresh New Start

 
 
 
 
Seoul. 7 anni prima della cattura di Ray.
 
«Coraggio, ragazze! Ancora dieci minuti e poi passiamo al defaticamento.» esclamò Jenny, notando le espressioni stravolte delle sue allieve. Era già diverso tempo che lavorava come insegnante per l’associazione di L e sapeva distinguere facilmente una recluta che aveva potenziale da una che non ne aveva. La classe femminile di quell’anno sembrava promettere bene e c’era una ragazza in particolare che stava superando ogni sua aspettativa. Si chiamava Iris, aveva diciannove anni e, insieme alle sue compagne di corso, aveva passato le selezioni tenutesi pochi mesi prima, classificandosi tredicesima. Già, né prima, né ultima, ma proprio in mezzo alla classifica. Un risultato apparentemente nella media considerando le imprese straordinarie di Minho l’anno precedente, ma incredibilmente buono per essere solo il primo tentativo. Da quando avevano iniziato gli allenamenti, Iris non aveva smesso di stupirla. Era l’unica che nonostante il carico volutamente eccessivo imposto loro da Jenny all’inizio non si era mai lamentata. Qualsiasi esercizio le assegnasse, lei lo portava a termine con precisione e in silenzio. I dolori muscolari sembrava non sentirli e ogni giorno era pronta e scattante come se non si fosse ammazzata di lavoro fino a una decina di ore prima. A un certo punto le era venuto persino il dubbio che non fosse umana, ma pian piano aveva capito che la stanchezza e il dolore li sentiva esattamente come le altre allieve, con la differenza che aveva una volontà e una resistenza davvero fuori dal comune.
«Ottimo! Per oggi abbiamo finito. Ci vediamo lunedì.» concluse la lezione Jenny, dopo aver torturato le sue allieve con l’ultima serie di squat e un defaticamento tutt’altro che semplice.
Le ragazze la salutarono a loro volta e corsero nei bagni a farsi la doccia. Finalmente era arrivato il fine settimana, due giorni di pausa a dir poco desiderati. Se durante la settimana tutti gli allievi dovevano sottostare alle regole del dormitorio e rientrare alle dieci in punto, prima che chiudessero i cancelli, nel weekend potevano persino tornare a casa dalle loro famiglie.
«Uff! Sono troppo stanca.» si lamentò Wendy, prendendo l’accappatoio dalla sacca che aveva lasciato negli armadietti dei bagni della palestra prima dell’allenamento. Anche lei come Iris si era classificata tra le reclute di quell’anno. Era arrivata terzultima, ma tutto sommato non le era andata tanto male visto che era solo la seconda volta che provava ad accedere. Fortunatamente i concorrenti super specializzati non erano molti quell’anno, perciò era stato un po’ più semplice degli esami precedenti, ma poi le era toccata proprio Jenny come istruttrice, la più severa di tutte. Ogni maledettissimo giorno arrivava a sera che non si sentiva più le gambe; ogni settimana c’era il controllo del peso e lei non dimagriva facilmente. Ok, sì, le piaceva anche mangiare forse. Però comunque era un ritmo frenetico che le faceva invidiare molto la vita delle sue compagne di superiori che frequentavano l’università e non perdevano occasione di partecipare a feste, sbronzarsi e organizzare cene di gruppo.
«Oggi è stato bello intenso.» le rispose Iris, asciugandosi un po’ di sudore dalla fronte con l’asciugamano della palestra. Al contrario di Wendy, Iris era un lupo solitario. Non amava il caos, le feste troppo affollate ed era più il tipo che preferiva avere pochi amici ma buoni anziché frequentare persone popolari. Per lei lavorare sodo e seguire la dieta non erano un problema, purché fosse convinta di ciò che stava facendo. In caso contrario, anche solo cinque minuti in una data situazione le sarebbero pesati quanto un macigno. Insomma, avrebbe potuto definirsi un’idealista.
«Senti, io la butto lì.» riprese Wendy. «Oggi c’è il compleanno di Jimin, mi ha invitata in discoteca e poi mi fermo a dormire da lei. Mi fai compagnia?»
«Mi dispiace, ho già un impegno stasera…» si giustificò Iris, forse in maniera un po’ troppo diretta. Se proprio doveva essere sincera, era sollevata dal fatto di non poter andare. Per come era fatta, se fosse stata libera si sarebbe sentita in dovere di accettare, ma se c’era una cosa che proprio non le piaceva era la discoteca. In più era abbastanza sicura di non andare molto a genio a Jimin e la cosa era reciproca. L’aveva già incontrata un paio di volte, era una cara amica di Wendy, ma trovava il suo atteggiamento a dir poco superficiale, sempre a parlar male dei non presenti e a sperperare ogni risparmio in capi e accessori all’ultima moda. Per quanto si sforzasse di sorridere, le sembrava impossibile inserirsi in modo sano nelle loro conversazioni e probabilmente Jimin aveva percepito che Iris la pensava molto diversamente da lei, forse per questo motivo le era entrata in antipatia. Questa teoria era solo una supposizione, ma Iris non era mai riuscita a ignorare quel sottile senso di ostilità nei suoi confronti e le frecciatine che Jimin le lanciava ogni volta che aveva provato a esprimere la propria opinione.
«Ecco, mi lasci sempre da sola! Si può sapere che hai da fare?»
«Ho appuntamento con un’amica.»
«E io non sono un’amica?»
«Che c’entra? Anche tu vai da Jimin, non sei sola.»
«Ma lo sai che con lei mi sento a disagio!»
«Perché?» Iris non riusciva a capacitarsi del fatto che ci si potesse sentire a disagio con una persona e tuttavia continuare a frequentarla assiduamente. Soprattutto perché Wendy le sembrava avere interessi molto più simili a quelli di Jimin che non ai propri, perciò non capiva a cosa servisse la sua presenza alla festa.
«Insomma, lo sai che lei sembra molto più… sì, ecco, insomma… adulta di noi. Di sicuro porta il fidanzato e così io rimango sola.»
«Ah…» e così era la presenza del nuovo fidanzato di Jimin il problema. «Ma non c’è qualcun altro che conosci?»
«Sì, ci sono altre amiche, ma se anche loro mi dicono che si sono fidanzate? Almeno se vieni anche tu siamo in due.»
Il senso di altruismo di Iris cercò di imporsi su di lei e la ragazza dovette usare tutte le proprie forze per respingerlo. Quella sera aveva appuntamento con la sua migliore amica dopo due settimane che non la vedeva, non avrebbe rinunciato per nulla al mondo a quel faticosamente guadagnato momento di tranquillità.
«Ma no, dai. Non è detto. E poi non credo ti giudicherebbero male solo perché sei single, no? Non tutte almeno.» Iris non aveva idea di chi fossero le altre amiche di Wendy, ma le sembrava assurdo che potessero prendersi gioco di lei per una cosa simile.
«Ecco, lo sapevo, non vieni perché odi Jimin!»
«Che c’entra Jimin adesso?»
«Guarda che non sono scema…» Wendy prese l’asciugamano e troncò il discorso, andandosene verso le docce. Iris si lasciò scappare un sospiro spazientito e la lasciò perdere. Perché doveva sempre essere così infantile? Se non altro quel fine settimana sarebbe tornata a casa e non l’avrebbe rincontrata fino a lunedì. E dire che c’erano momenti in cui si trovava così a suo agio con Wendy. Poi ogni tanto lei aveva questi sfoghi inspiegabili che duravano due o tre giorni, dopo i quali tornava tutto come prima, ma nel frattempo era un supplizio conviverci, soprattutto perché erano compagne di stanza.
 
 
***
 
 
Seoul, 19:30
 
Un’ora e mezza dopo, Iris stava correndo al ristorante giapponese vicino all’associazione dove aveva appuntamento con May. Era già in ritardo di almeno un quarto d’ora, aveva giusto fatto in tempo a passare a ritirare il proprio cellulare, che durante la settimana era confiscato, e a mandarle un messaggio per avvertirla. Voltato l’angolo, la vide in piedi accanto alla porta del ristorante e si sbracciò, affrettandosi nella sua direzione.
«May!» esclamò. «Scusa il ritardo.»
«Tranquilla, ho visto il messaggio. Ti ho scritto di fare con calma.»
Iris prese il cellulare dalla borsa e cercò il messaggio di May. Era rimasto sommerso tra le notifiche più o meno inutili che le erano arrivate durante la settimana e che non aveva fatto in tempo a eliminare.
«È vero, non l’avevo visto.»
«Fa niente. Vogliamo entrare?»
«Andiamo.»
Iris e May presero posto a un tavolo da due affacciato sulla vetrata del ristornate. Era un posto dall’atmosfera molto rilassante, dai fini interni in legno e con vista su una strada piuttosto frequentata, illuminata dalle insegne degli altri ristornati della zona. Le due ordinarono un piatto fumante di ramen per scaldarsi dal clima gelido di quella serata. Era dicembre inoltrato.
«Allora, come procedono gli allenamenti?» chiese May, per poi soffiare sugli spaghetti appena estratti dal brodo fumante.
«Sono duri, ma stanno andando bene.» rispose Iris. «A dire il vero non dovrei mangiare il ramen, ma spero Jenny non se ne accorga. Se domani e dopodomani continuo con la dieta dovrei arrivare pronta al controllo del peso.»
«Ma perché siete a dieta? Mi sembrate già magre.»
«Non è per dimagrire, ma dobbiamo seguire un certo regime alimentare, un po’ come gli atleti.»
«Ah, già. Me l’avevi detto.»
Iris addentò un bel boccone di cibo e lo masticò avidamente, gustandone il sapore leggermente speziato come se non mangiasse da una vita.
«Tu? Tutto bene a scuola?» Iris si era diplomata a febbraio di quell’anno, aveva seguito i corsi propedeutici dell’associazione e sostenuto l’esame di ammissione a settembre, mentre a May mancava poco più di un anno per terminare gli studi.
«Sì, tutto ok. Come al solito non facciamo nulla di interessante, ma le ore di studio sono folli. L’unica gioia sono le lezioni pomeridiane di Taekwondo
«Immagino! Volevo chiederti se eri ancora decisa a tentare il test alla fine delle superiori, ma mi sembra di capire che ti stai già dando da fare.» Iris sorrise all’amica.
«Già! Non vedo l’ora!»
«Pensa, per quando arriverai io probabilmente sarò già un’agente in servizio! E dopo i tuoi allenamenti magari diventeremo colleghe!»
«Sarebbe bellissimo!»
«Già! Immagina, tra qualche anno anzi che fare tutti i giorni la stessa identica vita, partiremo ogni volta per una meta diversa, incontreremo gente nuova e arresteremo i cattivi!»
«Mettiamocela tutta!»
 
Finito di cenare e di sognare a occhi aperti, le due amiche lasciarono il ristornate e andarono a prendere la metro per tornare a casa. In Corea, come in Europa, le loro famiglie avevano trovato alloggio nello stesso condominio; perciò stavano andando entrambe nella stessa direzione.
Era già buio pesto e l’aria era gelida. Come ogni venerdì sera, la stazione metro era abbastanza affollata. C’erano gli ultimi pendolari che tornavano dal lavoro e i primi gruppi di amici che uscivano per trascorrere la serata in qualche locale. Improvvisamente si sentì una donna urlare. Tutti si voltarono e videro un uomo vestito di nero fuggire con quella che sicuramente era la borsa della signora. La Corea del Sud aveva la fama di essere un paese piuttosto sicuro, la criminalità era contenuta, ma a quanto pareva qualche episodio sporadico poteva comunque verificarsi.
«È un ladro! Fermatelo!»
La povera signora, in completo da lavoro e scarpe col tacco, non poté che arrendersi e chiedere l’aiuto di chi le stava intorno, ma la folla aveva tutta l’aria di essere spaesata e si guardava intorno senza muovere un dito.
L’uomo in nero continuò la sua corsa spintonando a destra e a manca e sfrecciò a pochi passi da Iris e May. La polizia era lontana e il loro passaggio era rallentato dalla folla di persone in coda per entrare nella metro.
Le due ragazzine si scambiarono uno sguardo d’intesa e iniziarono a rincorrerlo; sarebbe stato un ottimo esercizio. Si divisero in modo da bloccarlo all’uscita, Iris era arrivata davanti a lui, mentre May sbarrava la strada alle sue spalle.
«Ehi, ragazzine, spostatevi se non volete farvi del male.»
«Male? Non credo proprio.» rispose Iris, avvicinandosi al ladro.
L’uomo estrasse dalla tasca un pugnale e lo puntò contro di lei, pensando che si sarebbe fatta da parte, ma la ragazzina, per nulla intimorita, lo disarmò con un calcio ben assestato, mentre May, avvicinandosi da dietro, gli diede un colpo secco alla nuca, facendogli perdere i sensi, il tutto sotto agli occhi attoniti e un po’ impauriti dei presenti.
Le due amiche recuperarono la borsa e poco dopo furono raggiunte dalla polizia.
«Che è successo qui?» chiese uno dei due poliziotti che si erano lanciati all’inseguimento, notando che l’umo in nero era steso a terra a pancia in giù.
«Ecco la borsa della signora. Il ladro è solo svenuto.» spiegò Iris.
«Come svenuto? Siete state voi?» il poliziotto non riusciva a credere che due ragazzine dalla corporatura così minuta e apparentemente indifese avessero stecchito un uomo molto più alto di loro con un solo colpo.
«Sì, ma non si preoccupi, sta bene. Siamo esperte di arti marziali!» disse May.
Il poliziotto la guardò con aria scettica e controllò le funzioni vitali dell’uomo steso a terra, appurando che fosse ancora vivo.
«Grazie per la collaborazione.» disse, prendendo dalle mani di Iris.
Le due ragazzine salutarono con un inchino e si allontanarono in direzione della banchina per poi saltare al volo sulla metro che stava per ripartire. Il poliziotto non poté che rimanere a fissarle con aria confusa. Ancora non poteva credere ai suoi occhi.
 
 
***
 
 
 Seoul, 3 anni prima della cattura di Ray
 
Era una soleggiata mattina di metà Aprile. May aveva concluso i suoi allenamenti ed era diventata agente a tutti gli effetti solo un paio di settimane prima. Era appena entrata nell’associazione e stava sorseggiando un latte macchiato davanti alle macchinette in attesa di scoprire il proprio destino. Di lì a poco L avrebbe dovuto convocarla insieme alle altre ragazze per comunicare le nuove formazioni. Chissà chi sarebbero stati i suoi primi compagni di avventura.
«May!» la chiamò un ragazzo, avvicinandosi.
«Ciao, Shion!»
«È arrivato il grande giorno?»
«Così pare, sono un po’ nervosa.»
«Immagino. È tutto normale, vedrai che andrà bene. Ho sentito che L vuole riformare da zero diverse squadre.»
«Davvero? Perché?»
«Alcune agenti hanno lasciato il servizio e le loro squadre sono rimaste sottodimensionate.»
«Oh, tu sai già se resterai coi tuoi primi compagni?»
«Sì, siamo tutti piuttosto giovani, quindi ci hanno riconfermato la nostra formazione. Però ormai è raro che ci mandino in missione tutti insieme, Kibeom sta continuando con la specialistica in fisioterapia.»
«Quel ragazzo è davvero una risorsa inesauribile!»
«Già, lui e Minho sono sorprendenti.»
«Ciao May!» esclamò Iris, andandole incontro dopo aver varcato la soglia dell’associazione. «Scusa il ritardo. Sono tornata ieri notte e stamattina non riuscivo ad alzarmi! Oh, Shion.» disse poi, notando il ragazzo «Che ci fai qui? Hanno convocato anche te?»
«Sì, la nostra riunione è appena terminata, hanno riconfermato la nostra formazione.»
«Ottimo! Giusto ieri ho sentito al telefono Kibeom, era un po’ preoccupato.»
«Ragazze, L vi attende nel suo ufficio.» disse SolHee. Era entrata all’associazione nello stesso anno di May e stava completando la sua formazione da insegnante.
«Andiamo subito.» rispose May.
 
Le due ragazze salirono ai piani alti e trovarono la porta dell’ufficio aperta. La segretaria di L fece cenno loro di entrare. Nella stanza erano state disposte quattro sedie, di cui solo una era già occupata da una ragazza binda dall’aspetto incantevole. Iris e May presero posto vicino a lei.
Passarono ancora una decina di minuti, ma dell’ultima ragazza nemmeno l’ombra.
«L’hai già chiamata?» chiese L alla segretaria.
«Sì, ma non risponde al telefono.»
«Oh, allora non ci resta che cominciare senza di lei.»
«Ci sono! Eccomi, scusate il ritardo!» esclamò Wendy, varcando la soglia e correndo a prendere posto sull’ultima sedia rimasta.
«Alla buon’ora… un attimo di più e ti avrei licenziata.» la rimproverò L. In realtà non l’avrebbe licenziata affatto, ma non poteva lasciar passare così la questione.
«Mi scusi, è che sa, ieri sera sono tornata a notte fonda dalla missione… e sono solo le dieci…»
«Basta chiacchiere, non sei l’unica.»
«Scusi.»
«Comunque, come ben sapete, quest’anno diverse agenti si sono ritirate e, in particolare, due squadre sono rimaste scoperte.» L fece una pausa drammatica «Perciò ho deciso che voi quattro formerete una nuova squadra. Wendy, Iris e May, so che vi conoscete già. Colgo l’occasione per presentarvi la ragazza alla vostra sinistra, Lizzy.»
«Piacere.» disse lei.
Le altre ricambiarono il saluto.
«È in servizio da un anno in più di voi, Iris e Wendy, e tutte e tre le sue colleghe si sono ritirate. È stata in missione con le punte della nostra agenzia; perciò, ho deciso di assegnarle il ruolo di leader di questa nuova squadra.»
«Grazie per la fiducia.» rispose Lizzy in modo molto professionale, attirando su di sé gli sguardi ammirati delle altre tre ragazze.
«Iris e Wendy. Anche la vostra squadra ha perso due componenti. Siete in servizio da un paio d’anni ormai, perciò siete autonome, ma ancora fresche e potete imparare molto. Spero collaborerete a dovere con Lizzy e che sappiate compeltarvi le une con le altre.»
Le due annuirono.
«Infine, May, so che hai una buona intesa con Iris, quindi ti ho scelta come quarto e ultimo elemento di questa squadra.»
May non riuscì a trattenere un sorriso. Era solo all’inizio e lei e la sua migliore amica erano già diventate colleghe.
«Ottimo! Possiamo andare a fare colazione?»
«Wendy!» la rimproverò L. «C’è dell’altro. Ho fatto preparare per voi un appartamento nei nuovi palazzi lungo il viale. Ho già in programma per voi molte missioni di gruppo, sarà più facile spostarsi se partirete tutte insieme.»
«Perfetto!» esclamò Lizzy, contenta di disfarsi del suo vecchio appartamento in affitto a circa un’ora di distanza dall’associazione.
«Per questa settimana occupatevi del trasferimento. Lunedì partirete per la vostra prima missione come squadra e per May anche prima missione come agente a tutti gli effetti. Vi farò avere i dettagli a tempo debito. Ora potete andare.»
Le quattro ragazze si alzarono dalle sedie, salutarono con un inchino e lasciarono l’ufficio di L. Era solo l’inizio di una nuova avventura.
La segretaria chiuse la porta e L attirò la sua attenzione con un paio di colpetti di tosse.
«Mi dica.»
«Hai già ordinato la pizza per pranzo?»
«Certamente. Doppio formaggio con bordi alti.»
«Ottimo, sei sempre la migliore!»
 
 
***
 
 
2 giorni dopo la riunione
 
«Com’è che non hanno ancora attivato l’ascensore?» protestò Lizzy, salendo faticosamente al ventesimo piano del palazzo in cui da quella settimana in poi avrebbe alloggiato con la sua nuova squadra.
«Il proprietario ha detto che dovrebbe entrare in funzione da domani.»
«Era così necessario farci venire oggi a vedere l’appartamento, allora?» chiese Wendy in tono stizzito. Non sopportava di far fatica per niente.
«Hanno iniziato a portare i mobili con le gru. Il trasloco costa, vogliono che gli diciamo dove metterli senza che siano costretti a tornare domani.» spiegò Iris.
«Sì, grazie, ma loro salgono con la gru, perché cavolo noi dobbiamo fare tutta questa fatica?»
«Dai, rispetto agli allenamenti di Jenny è nulla, pensa al panorama una volta che saremo arrivate in cima.»
Wendy assestò uno schiaffo sul sedere di Iris, che si trovava un paio di gradini sopra di lei.
«Ahi!» protestò la ragazza.
«Così impari a dire sciocchezze! E a metterti quei pantaloni attillati! Su chi devi fare colpo? Sono io che ho un appuntamento, non tu, e arriverò tutta pezzata di questo passo!»
«Devo aspettare di avere un appuntamento per mettere i miei pantaloni “attillati” che guarda caso sono anche i più comodi? Fatti una doccia prima di andare anziché schiaffeggiarmi!»
«Ragazze, non litigate, se cominciamo così chissà quando andiamo in missione.» le ammonì May.
«Infatti ogni missione è così!» risposero Iris e Wendy all’unisono.
«Andiamo bene… ma che futuro roseo ho davanti a me!» esclamò in tono sarcastico Lizzy.
 
Dopo una lunga scarpinata, le colleghe arrivarono finalmente in cima. L’appartamento era meraviglioso: dalla porta si accedeva a un piccolo atrio in cui riporre le scarpe e i cappotti. Da lì in poi, il pavimento in parquet era rialzato. Appena entrati c’era un ampio salotto in cui avevano già posizionato il divano, un tavolino basso e la televisione. Sulla sinistra c’erano tre porte, una della cucina, una camera con bagno privato e l’ultima di un piccolo ripostiglio. Sulla destra, invece, c’erano tre stanze un po’ più piccole, che sarebbero diventate le camere di ognuna delle ragazze, oltre a un altro bagno.
«Wow! Guarda che meraviglia da quassù!» Esclamò May, affacciandosi dalla finestra della cucina e guardando di sotto. Gli alberi del viale sembravano così piccoli e le macchine che sfrecciavano per strada erano solo dei puntini.
«Ho sempre sognato di vivere così in alto!» la raggiunse Iris.
«Ragazze, questo era l’ultimo.» disse uno degli uomini che si occupavano dei traslochi dopo aver sistemato l’armadio nella camera più grande. «Se non ci sono modifiche da fare, questo è tutto.»
«Fermi! Certo che ci sono modifiche!» esclamò Lizzy. «Tanto per cominciare, il mio letto lo voglio centrato, perpendicolare rispetto alla finestra. E l’armadio va davanti al letto.»
«Ok, provvediamo a spostare.»
«Ehi, un momento, chi l’ha detto che questa è camera tua?» obiettò Wendy.
«Sono o non sono la leader? Ovvio che la più grande è la mia.»
«Allora io voglio quella vicino al bagno! Visto che sono la seconda più grande mi spetta il ruolo di vice.»
Iris e May erano troppo impegnate a gironzolare per casa e ad ammirare tutto come fossero due bambine davanti a chissà quale meraviglia per interessarsi dei litigi delle colleghe, così Wendy ottenne facilmente la camera che desiderava. Nel giro di un’ora, l’appartamento era pronto. L’indomani avrebbero potuto cominciare a trasferire tutti i loro vestiti e i loro effetti personali, cosa che sarebbe stata decisamente più semplice grazie all’ascensore.
«Perfetto, le stanze ce le siamo divise, le chiavi ce le abbiamo, non ci resta che scendere.» osservò Lizzy.
«Un’altra scarpinata! Arriverò sfiancata all’appuntamento!» ribadì Wendy, giusto per rendere chiaro il concetto che quel giorno si sarebbe vista con un ragazzo. Finalmente almeno una delle tre abboccò all’amo e iniziò a farle domande.
«Sei fidanzata?» le chiese Lizzy.
«Non proprio, ho conosciuto un ragazzo che lavora allo Starbucks qui vicino e oggi è il nostro primo appuntamento.»
«Oh, buona fortuna!»
«E tu invece?»
«Io sono anni che non credo più nell’amore. Non mi interessa di cercarmi un fidanzato.»
«Quindi sei single?»
«Sì.»
«Anche Iris e May sono sigle.» puntualizzò Wendy in un moto di orgoglio, per una volta si sentiva la ragazza più desiderabile del gruppo.
«Davvero?» chiese Lizzy.
«Sì, non mi interessa l’amore, sono già abbastanza impegnata così.» affermò Iris.
«C’è qualche motivo in particolare?» le chiese Lizzy.
«No, non direi… semplicemente non ho mai incontrato nessuno che mi interessasse abbastanza.»
«Inutile parlare con lei.» disse Wendy «Avrà anche un bel culo ma ha le fette di salame sugli occhi.»
«La finisci con questa storia?»
Per qualche motivo a Wendy non andavano a genio né gli allenamenti extra a cui si sottoponeva Iris da fedele amante del fitness, né il fatto che non l’avesse mai vista esplicitamente innamorata o anche solo un minimo interessata a qualcuno da quando la conosceva, anche se sapeva che una cotta c’era stata in passato.
«E tu, May?» chiese Lizzy.
«Io semplicemente non ho ancora incontrato la persona giusta.»
«Ci sta, sei così giovane, hai ancora un sacco di tempo.»
«Bene ragazze, vi saluto che sono di corsa. Ci vediamo domani.» tagliò corto Wendy dopo che furono arrivate al piano terra. Il suo appuntamento la stava aspettando.


_______________________


Et voilà, il secondo extra! Sarebbe dovuta finire qui, ma le ragazze hanno prepotentemente insistito per raccontarsi un po' di più in un terzo extra! E tempo potrebbe emergere dell'altro XD
Spero di avervi tenuto compagnia e strappato qualche risata!
Alla prossima :)

Misa

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Capitolo 3
*** Extra 3 - Blooming ***


DANGEROUS
- Extra 3 -
 
Blooming
 
 
 
 
Seoul. Venerdì.
Il giorno prima della festa di inaugurazione della casa e del trasferimento definitivo.
 
La casa era stata arredata e tutto il necessario era stato traslocato dai vecchi appartamenti delle ragazze a quelli nuovi. Per Iris e Wendy non sarebbe cambiato molto visto che erano state compagne di stanza al dormitorio e poi anche coinquiline durante i primi due anni di servizio. Per May sarebbe stata la prima esperienza in un appartamento condiviso con la nuova squadra dopo due durissimi anni passati negli a dir poco minimalisti dormitori dell’associazione. Per Lizzy sarebbe stato un bel salto di qualità passare da una mezza catapecchia a un palazzo nuovo di zecca, per non parlare delle libertà che avrebbe potuto prendersi in quanto leader dopo tre anni passati ad essere la più piccola del gruppo.
Quel pomeriggio Iris aveva deciso di portare al nuovo appartamento ancora un paio di cose, tra cui la valigia con cui sarebbe partita in missione il lunedì successivo. Una volta arrivata aveva preso il velocissimo ascensore di ultima generazione e, arrivata al pianerottolo, aveva inserito il codice sul display[1], pronta a entrare in quell’appartamento nuovo di zecca e ad assaporare l’aria di una nuova avventura.
La serratura scattò emettendo un breve segnale acustico digitale. Iris aprì la porta e lasciò le scarpe nell’atrio, sollevò la valigia per non rovinare il parquet in legno ed entrò nel salotto. Neanche un secondo dopo posò di nuovo a terra la valigia e osservò con un certo fastidio una bottiglia di vino rosso aperta sul tavolino del soggiorno, due bicchieri mezzi vuoti e un piattino pieno di briciole.
«Ma che…» si lasciò sfuggire. Chi poteva essere stato a fare festa per inaugurare casa quando non si erano ancora definitivamente trasferite lì? Andò verso le camere di destra. Non c’era nulla fuori posto. In cucina c’erano un paio di piatti sporchi, ma nulla di più. L’ultima stanza da controllare era quella di Lizzy.
Si avvicinò un po’ titubante e trovò la porta socchiusa.
«È permesso?» chiese, spingendola appena.
Un urlo le perforò i timpani.
«Oddio, scusa Lizzy.» esclamò confusa. Aveva appena visto qualcosa che non avrebbe mai voluto vedere. La mossa più sensata sarebbe stata chiudere la porta e andarsene, ma stupidamente rimase ferma sull’uscio ed esclamò «Che ci fai qui?» con aria palesemente sconvolta.
«È camera mia!»
«Intendevo, nuda a letto con un tizio nel nostro appartamento!»
«Ehm, ciao» salutò l’uomo da sotto le lenzuola.
«Vuoi unirti a noi?» chiese Lizzy con nonchalance.
«Che? No! Voglio dire…» imbarazzata come non mai, Iris si impappinò sulle sue stesse parole e richiuse la porta. «Torno un’altra volta a portare le mie cose.» disse a voce alta, in modo che Lizzy capisse che se ne stava andando. Senza nemmeno più ricordarsi di portare in camera la valigia, si infilò le scarpe e lasciò l’appartamento.
 
Rientrata nella sua vecchia casa, Iris ritrovò Wendy nello stesso punto in cui l’aveva lasciata: seduta sul divano con una vaschetta di gelato in mano e la TV accesa su un film della Marvel a cercare di consolarsi dal suo appuntamento fallito col ragazzo di Starbuck.
«Rieccomi. Va meglio?»
«No che non va meglio!» sbraitò Wendy.
«Uff, ma si può sapere che ti ha fatto?»
«Sembrava andato tutto bene! Invece ieri sera mi ha scritto che ero troppo diversa da come mi aveva immaginata su Tinder e che non sono il suo tipo e che non mi vuole più vedere! Ti sembra che abbia senso una cosa del genere!?»
«Ok, ok, non alzare la voce. No che non ha senso, ma sono sicura che troverai presto un ragazzo migliore. Questo mi sembra uno scemo.» tentò di consolarla.
«Che cazzo ne sai tu? L’unica persona di cui tu ti sia mai innamorata era gay!»
«Va bene, allora resta a piangerti addosso. Bel modo di merda di cominciare a lavorare con una nuova squadra.» Iris se ne tornò da dove era venuta e uscì di nuovo di casa.
Questa volta Wendy aveva davvero esagerato. Anni prima, quando erano appena diventate compagne di squadra e la convivenza forzata le aveva costrette alla cooperazione, si erano pian piano conosciute meglio e una sera si erano scambiate alcuni segreti. In quell’occasione, Iris le aveva confessato che durante gli anni di training si era presa una bella cotta per Kibeom, un ragazzo di un paio d’anni più grande di lei, che fin dall’inizio era stato molto gentile nei suoi confronti. Peccato che un anno dopo Kibeom le avesse confessato di aver appena iniziato una relazione semi segreta col suo compagno di squadra Haru. A quel punto Iris da un lato aveva tirato un sospiro di sollievo nel pensare che non aveva mai avuto il coraggio di dichiararglisi, almeno in questo modo aveva evitato di rovinare la splendida amicizia che li legava. Dall’altro, però, le era stato praticamente impossibile trovare un ragazzo che superasse il suo standard. Non aveva più avuto occhi per nessun’altro, nemmeno per lo splendido, affascinante, seducente, integerrimo Minho che tutte adoravano. Wendy sapeva la fatica che aveva fatto Iris a sopprimere i propri sentimenti in nome dell’amicizia e della riconoscenza nei confronti di Kibeom e per questo Iris mal tollerava le battute della collega sul fatto che non mostrasse il ben che minimo interesse nei confronti del sesso opposto.
 
 
 
***
 
 
Quello stesso pomeriggio May era alla festa di fine corso organizzata da Jenny, l’insegnante che per due anni l’aveva allenata con fatica e passione fino a farla diplomare come agente, la stessa che aveva allenato anche Iris e Wendy due anni prima. Tra tutte le insegnanti che avesse mai avuto era decisamente quella che le aveva lasciato di più, non solo a livello di abilità e conoscenze, ma anche umanamente. Era stata prima di tutto un’insegnante di vita, che, con pazienza e dedizione, giorno dopo giorno le aveva mostrato il significato della fatica, del duro lavoro e di quanto fosse bello lottare per ciò in cui si crede e veder ricompensati i propri sforzi.
Per dare finalmente un taglio a quei duri anni di diete e privazioni, Jenny aveva organizzato un party di addio con le sue allieve in una pizzeria della zona e avrebbe offerto loro tutto quello che riuscivano a mangiare, a patto che si sarebbero rimesse in carreggiata a partire dal giorno successivo.
«Allora, ragazze, come vi sentite? Alcune di voi già da lunedì cominceranno una nuova vita!» esclamo Jenny, al tavolo con le sue allieve.
«Già.» rispose May «Lunedì parto per la mia prima vera missione! Sono emozionata, però sapere che ci sarà anche Iris mi tranquillizza.»
«L ci teneva molto che fossi in squadra con lei, dice che da sole avete potenziale, ma in coppia ancora di più.»
«Davvero?»
«Sì, è normale quando c’è un legame stretto tra due persone. Si viene a creare un’intesa molto forte, a volte non c’è nemmeno bisogno di parole per intendersi e capisci che contro un ipotetico avversario questo è un gran vantaggio.»
Le allieve guardarono stupite Jenny per l’ennesima lezione che aveva appena impartito loro.
«È sempre per lo stesso motivo che le squadre spesso vivono nello stesso appartamento almeno in fase iniziale. Condividere gli stessi spazi serve a conoscersi meglio e a creare questa intesa. Si capisce subito chi è la leader e chi invece preferisce seguire una guida. A volte capita anche che delle personalità toppo forti si scontrino tra loro e in quel caso il gruppo è da rifare.»
«Ah…» annuì May. A dire il vero ancora si chiedeva come facesse a stare in piedi la collaborazione tra Iris e Wendy. Era un continuo roller-coaster di emozioni. Per una settimana c’era un’intesa pazzesca, poi il giorno dopo Wendy si metteva a punzecchiare e fare i dispetti, oppure si chiudeva nel silenzio e Iris ci restava male. Iris si era sempre lamentata di questo aspetto della collega, però sembrava far parte del suo carattere e non c’era modo di cambiarla. Col tempo aveva iniziato a farci il callo e a sentirsi meno coinvolta emotivamente. Quando erano ancora delle allieve c’erano giorni in cui se la prendeva molto più sul personale.
«Jenny, per caso sa nulla di Lizzy? È stata anche lei sua allieva?» provò a chiederle May. Era proprio curiosa di saperne di più sulla sua futura compagna di squadra.
Jenny ci pensò per un attimo, ma non le venne in mente nulla.
«Lizzy è la ragazza bionda che era in squadra con le tre agenti leggendarie che si sono ritirate quest’anno, giusto?»
«Erano leggendarie?» chiese una delle altre ex allieve.
«Sì, una di loro era la donna più ambita dell’associazione quando ho iniziato a lavorare qui. E anche le altre due ragazze erano molto belle. Tre anni fa la loro leader è andata in pensione e hanno accolto nella loro squadra Lizzy. Anche lei ha una bella fila di spasimanti!»
«Incredibile! Erano praticamente la squadra di Shion al femminile![2]»
«Sì, ed erano anche molto brave. Le chiamavano la squadra “occhi di gatto”, come l’anime giapponese. Poi hanno raggiunto la loro età, una si è ritirata definitivamente, l’altra ho sentito che per un po’ insegnerà, mentre la più giovane si è sposata e vuole mettere su famiglia.»
«E Lizzy?»
«Di Lizzy purtroppo non so quasi nulla. Non è stata mia allieva.»
«Capisco, sarà tutto una novità da domani.»
«Vedrai, lavorerai duramente, ma ti divertirai anche.»
 
 
Seoul. Sabato.
Giorno del trasferimento e della festa di inaugurazione.
 
Quel pomeriggio, le ragazze avevano portato nel nuovo appartamento le ultime cose. Appena varcata la soglia, Iris si era guardata intorno con aria circospetta, ma della bravata di Lizzy non era rimata traccia in salotto e lei sembrava essere tornata di nuovo quella donna indipendente e soddisfatta del proprio status di single. Anche Wendy sembrava essersi ripresa dal suo appuntamento finito male e canticchiava felice, appendendo qua e là palloncini per gli ospiti che sarebbero venuti a far visita loro quella sera, nello specifico un paio di amiche di Lizzy, una ex compagna di allenamenti di Iris e Wendy; più Shion e Kibeom.
«Ragazze, chi ha bevuto del vino?» chiese tutto a un tratto May, che era stata incaricata di pulire la cucina.
Wendy corse a vedere.
«Qualcuno ha già festeggiato senza di noi? Sei stata tu, Iris?»
«No, perché avrei dovuto?»
«Non lo so, in effetti non ha senso.»
«Sono stata io.» intervenne Lizzy con nonchalance.
«Ah.» Wendy non poté obiettare nulla non essendo in confidenza con la nuova compagna di squadra «E con chi, se posso?» i due bicchieri sporchi di vino avevano attivato il suo radar investigativo e sapeva che la bionda le stava nascondendo qualcosa riguardo alla propria situazione sentimentale.
«Con un amico.»
«Vino rosso… con un amico? Sicura?»
Iris sapeva tutta la verità, ma si stava sforzando di mantenere il segreto.
«Scopamico.» rispose decisa Lizzy, attirando su di sé gli sguardi confusi di Wendy e May «Ok, che c’è di male? Pensavo che Iris ve l’avesse già detto visto che ci ha visti ieri pomeriggio.»
Iris tossicchiò nervosamente, rimanendo a fissare il pavimento. Sperava che non l’avrebbero interpellata.
«Beh, ma non eri single?» ricominciò Wendy.
«Lo sono, è solo un amico. Uno dei tanti.»
«Ok, ok, quindi a te piacciono queste relazioni moderne. No, io sono per le relazioni tradizionali, cerco qualcuno di serio. Per questo sono ancora single, non perché non trovi nessuno, sia chiaro.» si giustificò Wendy.
«Va bene.» Lizzy fece spallucce «Non ti giudicherò per questo.»
«Mi stai prendendo in giro?» Wendy aveva sviluppato un grande complesso di inferiorità a causa della sua amica Jimin, felicemente fidanzata con lo stesso ragazzo da più di due anni e che già sognava il matrimonio.
«Niente affatto, non vedo proprio perché tu debba essere così ossessionata dal trovare un fidanzato, goditi la vita…»
«Ok, però hai festeggiato senza chiederci il permesso e hai portato qui uno sconosciuto!»
«Nulla vi vieta di fare lo stesso se volete…»
Wendy rimase a bocca aperta. Non sapeva più come ribattere.
«Dai ragazze, fra un po’ arrivano gli ospiti, rimettiamoci al lavoro.» provò a cambiare discorso Iris.
«Tu!» la additò Wendy «Tu sapevi tutto e non l’hai fermata!»
«Che avrei dovuto fare per fermarla, scusa?» Iris guardò la collega con aria confusa.
«E in tutto questo io ero l’unica a soffrire per amore! Fatevela da sole questa festa!» Wendy corse in camera propria e si chiuse dentro.
«Ma che ha?» chiese May.
«L’ha lasciata il tipo di Starbuck.» rispose Iris.
«Ahhh…» esclamarono all’unisono May e Lizzy.
 
Per l’ora di cena arrivarono gli ospiti, entusiasti di accedere a uno di questi nuovi appartamenti la cui costruzione aveva da tempo incuriosito un po’ tutto il vicinato vista l’estetica particolarmente ricercata.
«Che panorama meraviglioso da quassù!» esclamò Kibeom, affacciandosi alla finestra della cucina.
«È bellissimo, vero?» disse Iris, compiaciuta del fatto di poter vivere in un posto così. Le era sempre piaciuto il paesaggio notturno della città visto dall’alto.
Nel frattempo, Shion conversava con May sul divano.
«Allora lunedì partirai per la tua prima missione da agente a tutti gli effetti.»
«Già! Sono a dir poco emozionata!»
«Vedrai che andrà tutto bene.» Shion si guardò intorno per un attimo. «Ma non dovreste avere una quarta componente? Dov’è?»
«Wendy? Ehm… non stava molto bene, è rimasta in camera.»
«Oh, mi dispiace.»
«Ragazze! E ragazzi, è pronto da mangiare!» Iris arrivò in salotto con due vassoi pieni di stuzzichini.
«E da bere!» Lizzy era pronta a stappare una costosa bottiglia di spumante comprata appositamente per festeggiare.
«Io voglio le pizzette!» come nulla fosse, Wendy riemerse dalla stanza e afferrò un piatto di carta pronta a riempirlo di leccornie.
«Ma tu non stavi soffrendo?» la punzecchiò Lizzy.
«No, mi stavo solo truccando per stasera.» sviò Wendy.
«Ho idea che sarà una dura collaborazione…» sussurrò Shion nell’orecchio a May.
«Giuro che non è sempre così.» rispose lei.
Lizzy stappò lo spumante e fece volare il tappo dritto, dritto contro il lampadario.
«Ops…»
«No, no, no!!!» Iris e Kibeom, che avevano lasciato gli stuzzichini sul tavolo, corsero con le presine a cercare di non far bagnare il parquet con lo spumante che fuoriusciva schiumante dalla bottiglia. Con la solita nonchalance, Lizzy afferrò uno dei bicchieri e cominciò a riempirlo.
«Vedi di distruggere la casa!» sbraitò Wendy.
«Ma che vuoi? Il lampadario è intatto.»
«Altrimenti tu non saresti viva!»
Sarebbe stata una convivenza difficile, molto difficile.
 
 
***
 
 
Phuket, Thailandia. Martedì.
Terzo giorno di missione.
 
Per la loro prima missione con la nuova squadra, le ragazze erano state inviate a Phuket, in Thailandia, ad acciuffare un latitante coreano che dopo aver guadagnato attraverso frodi e fondi illeciti stava facendo la bella vita tra i locali più loschi dello splendido paese tropicale. E per l’appunto le ragazze si trovavano nei camerini di uno di quei locali, pronte a entrare in azione.
«Dai Iris, vuoi uscire da quel bagno?» insistette Wendy, tirando la porta per la maniglia nel tentativo di aprirla, ma la ragazza la tratteneva dall’altro lato.
«Mi vergogno!»
«Smettila, dobbiamo andare!»
«Non voglio!»
«Aspetta, ci penso io…» Lizzy si avvicinò con fare diplomatico e materno per risolvere la questione «Iris, cara, apri la porta, vediamo che si può fare.»
Iris aprì timidamente la porta, rivelando l’imbarazzante outfit di quella sera.
«Tesoro, ma sei divina! Qual è il problema?»
«È tutto un problema!» si lamentò Iris, indicando il proprio costume, se così si poteva definire: un succinto top bianco e un paio di pantaloncini a culotte dello stesso colore, il tutto accompagnato da autoreggenti e tacchi vertiginosi con tanto di plateau. Colpo di grazia? Delle imbarazzanti alucce da angelo indossate come fossero uno zainetto.
«Se intendi che a me sta meglio ti do ragione, ma siamo state estratte noi due come lap-dancer stasera, quindi fai la brava e andiamo che di sicuro quel mascalzone verrà a infilarci i soldi nelle mutandine e le nostre colleghe lo cattureranno e lo stecchiranno al suolo.»
Era incredibile come Lizzy si trovasse a proprio agio nel ruolo. Era come se l’avesse sempre fatto.
Riluttante come non mai, Iris si convinse a uscire dal bagno. In due anni di servizio le era capitato qualche volta di indossare abiti provocanti, ma mai di ridursi a una mezza spogliarellista e decisamente non ce l’aveva nel sangue come vocazione.
«E va bene, eccomi.»
«Via quel faccino imbronciato! Devi sembrare almeno un po’ sexy, andiamo!»
Lizzy e Iris si confusero tra le altre spogliarelliste e uscirono sul palco, mentre Wendy e May raggiunsero l’interno del locale in abiti da normali civili in villeggiatura. Per sembrare più credibili, Iris e Lizzy avevano riprovato la coreografia per tutto il pomeriggio, ma se c’era una cosa che a Lizzy stava uscendo alla perfezione era aggiungere un tocco sexy in più del tutto personale. Era davvero incredibile nel ricreare l’atmosfera. Neanche a dirlo, le bastarono pochi minuti per attrarre una folla di uomini, tra i quali proprio il loro soggetto.
«Ehi, bambolina? Che ne dici di proseguire la serata nel mio privé?» disse l’uomo, infilandole delle banconote nei pantaloncini.
«Perché no, tesoro.» Lizzy si calò verso di lui, mettendo bene in mostra il suo prosperoso decolleté e facendolo cadere definitivamente nella trappola. Vecchio bavoso brizzolato, non hai scampo. Pensò dentro di sé. Scese dal palco, si avvinghiò al suo braccio e lo seguì nel privé. Le altre ragazze intercettarono il tutto: May e Wendy lasciarono la propria postazione ai tavoli per seguire la collega e lo stesso fece Iris, scendendo dal palco.
«Scusate, scusate…» diceva, facendosi largo tra gli spettatori perplessi. Uno di quelli più bassi si beccò anche un’alata in faccia e sputò una piuma, facendo un’espressione contrariata.
Giusto il tempo di permettere al soggetto di accomodarsi e abbassare la guardia che le tre complici di Lizzy fecero irruzione nel privé.
«Ciao ragazze.» le salutò Lizzy, gettando per terra le ali e afferrando la pistola che le lanciò Wendy.
«Ehi, che sta succedendo?» chiese perplesso l’uomo.
«Succede che sei in arresto, tesoro, cosa credevi?»
L’uomo si alzò di scatto dal divanetto e impugnò la sua pistola, ma da dietro Wendy fece partire un colpo che gli sfiorò la mano, disarmandolo.
«Ah, ah, ah… non si gioca con le armi. Sono pericolose.»
«Puttane!» in un ultimo tentativo disperato, l’uomo tentò la fuga spintonando Lizzy, ma le altre tre ragazze gli si pararono davanti. Provò a colpire con un pugno Iris, che si trovava al centro, ma il colpo fu schivato senza problemi e restituito proprio sul naso, che l’uomo fu costretto a tenersi tra le mani per il dolore.
Senza aspettare che il criminale si riprendesse, Iris si portò alle sue spalle e gli tirò un calcio dietro alle ginocchia, facendolo cadere rovinosamente a terra. A quel punto intervenne May, che lo ammanettò senza pietà.
«Lasciatemi! Lasciatemi!» continuava a dimenarsi l’uomo.
«Rumorosetto il tipo…» commentò Lizzy, avvicinandosi alle colleghe. «May.» ordinò poi, facendo un cenno con la testa. La ragazza più piccola annuì e lo colpì dietro alla nuca con il manico della pistola, facendogli perdere i sensi.
«Così va meglio.»
Nel frattempo, il proprietario del locale aveva sentito lo sparo di poco prima si era affacciato alla stanza del privé.
«Non si preoccupi.» gli disse Wendy in inglese, sperando che il proprietario capisse. «Siamo agenti. A breve la polizia verrà a incarcerarlo e lo faremo rimpatriare.»
Sentendo la parola polizia, il proprietario del locale annuì sommessamente e tornò ai propri affari, probabilmente anche quel posto non era poi così a norma.
 
Dopo aver consegnato il malvivente a chi di dovere, le ragazze erano tornate in hotel e si stavano godendo l’ultima cena in Thailandia prima di rientrare a Seoul il giorno successivo.
«Allora, May, come ti senti? Hai completato la tua prima missione.» le chiese Lizzy.
«È tutto così… davvero come l’avevo immaginato! Insomma, abbiamo appena consegnato alla giustizia un malvivente e stasera ci faremo un giro per le strade di Phuket. È incredibile. Voglio dire, è incredibilmente figo!»
Le altre ragazze risero con affetto all’affermazione della più piccola.
«Sai vero che non sarà sempre così?» le fece notare Wendy «Ci sono anche volte in cui ci si fa male.»
«Lo sa, lo sa, ma non distruggerle l’entusiasmo.» disse Iris.
«Comunque, Lizzy» ricominciò May «Sei davvero un genio della seduzione! Quanto ci hai messo ad attirarlo nella trappola? Dieci minuti?»
«Sì, diciamo che questo è in po’ il mio talento. Sai, in questo lavoro certamente la seduzione non è tutto, ma, se posso permettermi, spesso è un’arma potentissima. Voglio dire, ti risparmia un sacco di tempo e fatica. Immagina ad aver fatto inutilmente irruzione: sarebbe fuggito e lo avremmo dovuto rincorrere tra i civili. Sarebbe stato un disastro! Creare l’illusione di un po’ di intimità ha i suoi bei vantaggi… e poi sono tutte prede così facili.» Lizzy si lasciò sfuggire una risata divertita.
«In effetti…»
«Allora, ragazze, chi prende il dolce?» interruppe Wendy.
«Tutte! Però poi usciamo a camminare.»
«Come vuoi, Iris. Sei sempre la solita.»
 
 
***
 
 
Seoul, 19:30
Sette anni dopo.
 
«Uff, ma quanto traffico c’è oggi?» si lamentò Wendy, seduta tra Iris e May sul sedile posteriore di un taxi. Lo avevano preso all’aeroporto di Incheon per tornare a casa dall’ennesima missione.
«Non lo so, oggi si muore di caldo.» le rispose Lizzy.
«Ma stai zitta. Sei nel posto del passeggero con l’aria condizionata e ti lamenti anche? Che dovremmo dire noi qua dietro?» si sporse in avanti.
«Ragazze…» le ammonì Iris «dai, non mettetevi a litigare, sono stanca, voglio dormire.»
Wendy le lanciò uno sguardo contrariato e sbuffò, tornando con la schiena appoggiata allo schienale.
Dopo almeno un quarto d’ora, l’edificio in cui si trovava il loro appartamento diventò finalmente visibile qualche metro più avanti, dall’altra parte della strada.
«Scendiamo qui.» disse Lizzy, facendo accostare il tassista e pagandogli la somma dovuta.
Le ragazze scesero dal taxi, recuperarono gli zaini dal baule e si incamminarono verso il primo semaforo munito di strisce pedonali. Quando scattò il verde, attraversarono l’ampio viale alberato, ma dovettero improvvisamente fermarsi prima del marciapiede per non farsi investire da due biciclette che sfrecciavano a tutta velocità.
«Questa volta è stata davvero tosta.» disse May, riferendosi alla missione.
Le ragazze erano state spedite in fretta e furia a New York, dove avevano affiancato gli agenti locali nella ricerca di una banda di criminali internazionali. Erano andate in soccorso degli americani a missione già avviata ed era stato problematico fare il proprio lavoro con dei colleghi così supponenti e poco collaborativi. Le informazioni lacunose ricevute le avevano costrette a mandare avanti in privato una buona parte delle indagini, cosa che aveva implicato il rinunciare a dormire la notte pur di poter indagare decentemente e recuperare le informazioni omesse dagli americani. Di giorno, infatti, toccava seguire inutilmente i colleghi nei loro raid impulsivi nei posti più disparai e nei loro inseguimenti senza successo per la metropoli. Una vera scocciatura.
Quando la banda era stata finalmente fermata, gli americani avevano deciso di trattenerla per una serie di controlli anziché rispedire in patria il coreano del gruppo scortato dalle agenti di L come era stato pattuito inizialmente. Così, il giorno stesso dell’arresto, Lizzy, Wendy, Iris e May erano state imbarcate sul primo aereo disponibile e avevano fatto ritorno a casa. Stravolte e insoddisfatte.
«Gli americani sono davvero tra i meno collaborativi…» si lamentò Iris.
«Che vorresti dire?» intervenne Wendy, di fatto nata da genitori americani.
«Niente, parlavo nello specifico degli agenti della missione.»
«Così va meglio.»
Dopo il ritorno da New York, L aveva promesso alle agenti, da tempo impegnate senza sosta in missioni sul suolo coreano e all’estero, una vacanza di una settimana.
Tuttavia, era bastato giusto il tempo mettere piede in casa e sedersi sul divano che il capo le aveva fatte richiamare dalla sua segretaria per chiedere loro di sopperire alla mancanza di agenti disponibili per una missione improvvisa.
«E così stasera si va a Gangnam…» disse tra sé e sé Iris, guardandosi allo specchio nel vestito da sera lilla che aveva appena indossato. «Uff, che faccia stravolta.» Applicò un po’ di trucco sugli occhi, si guardò di nuovo allo specchio e uscì dalla stanza. Se non altro sarebbe stata una cosa veloce, giusto una serata e nulla più.
«Ragazze, ci sono. Voi siete pronte?»
Lizzy aveva già un piede fuori dalla porta e stava intimando a Wendy di lasciar perdere il cibo e spicciarsi. Salutarono May, che invece sarebbe andata all’associazione a compilare il report dell’ultimo incarico, e partirono per quella che, ancora non sapevano, sarebbe stata la missione che avrebbe cambiato loro la vita per sempre.




Fine
 
[1] In Corea del Sud la maggior parte delle case e degli appartamenti moderni non ha una serratura classica con chiave ma un display sul quale digitare il codice di accesso all’abitazione.
[2] Nella storia principale si racconta che la squadra composta da Shion, Kibeom, Minho, Haru e Jinki è composta dai ragazzi più belli e più ambiti dell’intera associazione. In particolare, Minho è il più famoso tra le ragazze, alla stregua di una celebrità, mentre la maggior parte dei dipendenti di L e L stessa non sanno dell’orientamento sessuale di Kibeom e Haru.



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Ed eccoci giunti alla fine anche del terzo e ultimo extra. :' 
Finalmente ho potuto raccontare per bene il passato dei nostri protagonisti, rivelare chi sono, le loro ferite emotive e le loro motivazioni che li spingono a fare ciò che fanno nella serie principale.
Che dire... questa volta potrebbe davvero essere la fine e un po' già mi mancano!
Però non escludo che torneranno a farmi visita a mi chiederanno di raccontare ancora un pezzo delle loro vite! Dopotutto un po' sono curiosa di sapere perché Lizzy ha deciso di darsi alle relazioni occasionali XD 
O magari potrebbe anche essere qualcosa sul loro futuro dopo la serie principale!
Insomma, la mia fantasia non smette mai di lavorare, quindi credo proprio che ci rivedremo!

Grazie a tutti voi che siete arrivati fin qui <3
A presto!

Misa

 

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