Battaglia per il Futuro di PattyOnTheRollercoaster (/viewuser.php?uid=63689)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il doppiogioco ***
Capitolo 2: *** Il sospetto di Arya ***
Capitolo 3: *** Due dolorose punizioni ***
Capitolo 4: *** La botola ***
Capitolo 5: *** Lo straniero gentile ***
Capitolo 6: *** Il nuovo cavaliere ***
Capitolo 7: *** L'inizio di un nuovo viaggio ***
Capitolo 8: *** La prigione di Kuasta ***
Capitolo 9: *** Nuove alleanze ***
Capitolo 10: *** Gli Ibridi ***
Capitolo 11: *** Un casto bacio ***
Capitolo 12: *** Prima della guerra ***
Capitolo 13: *** Poco lontano dalla battaglia ***
Capitolo 14: *** Il terremoto ***
Capitolo 15: *** Alla ricerca della profezia ***
Capitolo 16: *** Il té di mezzanotte ***
Capitolo 17: *** La Volta delle Anime ***
Capitolo 18: *** Draghi in rivolta ***
Capitolo 19: *** Stelle cadenti ***
Capitolo 1 *** Il doppiogioco ***
Avviso: questa fic è
la continuazione di L'Ombra del Passato.
Battaglia
per il futuro
Capitolo uno: Il doppiogioco
I soldati
osservavano il drago rosso bisbigliando fra di loro e ogni tanto
lanciavano occhiate sfuggenti alla ragazza seduta dietro al Cavaliere.
Ellen non vi faceva caso, preferiva non sentire quello che dicevano. Si
chiedeva se aveva fatto la scelta giusta ad andare con Murtagh. Castigo
si scrollò leggermente le spalle e lei dovette reggersi al
ragazzo più forte. Sentì il caldo del suo corpo.
Si forse, dopotutto, era stata una buona decisione, si disse.
Giunsero di fronte alle mura della capitale, da dove potevano scorgere
il castello di pietra di Galbatorix. Murtagh si agitò quasi
impercettibilmente sulla sella.
“Sei preoccupato?” chiese Ellen.
“No!” rispose il ragazzo contrariato. “No
è solo … hem, forse non è stata una
buona idea”.
“E’ stata una buonissima idea, invece.
Così abbiamo risolto il problema, no?”. Murtagh
mugugnò qualche parola incomprensibile che la ragazza non
capì. Si diressero, assieme a Castigo, a palazzo. Una volta
lì al drago furono offerti cibo e acqua in abbondanza e,
quando la guardia stava per occuparsi di Murtagh, questi disse:
“Dobbiamo vedere Re Galbatorix”.
“Dovete?” chiese la guardia sospettosa alzando un
sopracciglio e lanciando un’occhiata a Ellen.
“Non preoccuparti. Garantisco io per lei”. Dopo un
attimo di esitazione la guardia cedette e si recò alla Sala
del Trono per annunciare Murtagh ed Ellen. Pochi secondi dopo vennero
chiamati davanti a Galbatorix.
Il pesante portone di legno di quercia intarsiato si aprì
davanti ai due giovani. Ellen sentiva le gambe tremare leggermente ma
decise di non farsi intimidire. Anche Murtagh, anche se non voleva
ammetterlo, era nervoso. Galbatorix era un uomo crudele: e se avesse
fatto del male ad Ellen? Se avesse cercato di scoprire il suo nome e
l’avesse obbligata a giurare nell’antica lingua? Si
sarebbe ridotta come lui. A vivere nella vergogna e nella rassegnazione
di una vita da traditore! Forse la sua era stata una proposta
avventata. Dopotutto Ellen stava bene dove stava. Murtagh non ebbe
tempo di pentirsi ulteriormente, erano appena giunti di fronte al trono.
Galbatorix sedeva con le braccia comodamente poggiate sui braccioli
della sedia. Il suo sguardo penetrante puntato ora su Murtagh, ora
sulla ragazza che lo accompagnava.
“Murtagh” disse con voce flautata, “mi
hai portato la tua sposa”. Non era una domanda. Probabilmente
aveva visto Ellen nei ricordi di Murtagh quando l’aveva
esaminato. “Sei Ellen, non è
così?”.
“Si maestà” disse la ragazza senza osare
alzare il volto.
“Avanti, non essere timida. Fammi vedere il viso di cui il
mio Cavaliere si è tanto invaghito”.
Ellen alzò lentamente il volto e guardò
l’uomo negli occhi. Solo allora lo vide bene. Non era come lo
immaginava. Il suo viso era solare e, nonostante sapeva avesse almeno
cent’anni, non sembrava aver superato i quaranta. Aveva
qualcosa di affascinante, ed Ellen si chiese come mai
quell’uomo suscitava tanta paura in tutti. A vederlo, non
sembrava altro che un uomo. Anzi, un buon uomo, ad essere sinceri.
Galbatorix stirò le labbra in un sorriso. “Capisco
perché Murtagh sia tanto innamorato” disse alla
fine. Si alzò dal torno e andò lentamente verso
Ellen. “Ma ditemi, perché siete qui?”
chiese scoccando uno sguardo a Murtagh.
Ellen deglutì. “In realtà …
io voglio solo restare con Murtagh. E farò tutto il
necessario perché questa guerra finisca, così,
quando ci sarà la pace ...” lasciò la
frase in sospeso.
“Capisco” disse Galbatorix dopo un attimo di pausa.
“Di sicuro sarete stanchi, e affamati. Farò
preparare un banchetto. Andate, vi farò chiamare non appena
sarà tutto pronto” disse con un sorriso
rassicurante.
Alquanto confusi di essere stati congedati così in fretta,
Ellen e Murtagh lasciarono la sala senza dire una parola. Murtagh
condusse Ellen nella sua stanza, una reggia in miniatura. Nonostante
Ellen non avesse mai visto una stanza tanto lussuosa e bella non fece
commenti e, a testa bassa, si sedette su un angolo del grosso letto a
baldacchino.
Murtagh rimase affianco alla porta, le braccia incrociate sul petto.
“Non è stata per nulla una buona idea portarti
qui” disse alla fine.
Ellen alzò di scatto la testa.
“Perché?”.
“Non so cosa voglia fare di te Galbatorix. E’ un
uomo astuto, e potrebbe riuscire a scoprire il tuo nome, come ha fatto
con me. Allora saresti costretta a stare ai suoi ordini”.
“A questo non avevamo pensato” disse Ellen
mordendosi un labbro. “Come si scopre il vero nome di una
persona?”.
“Il nostro vero nome è una parola che ci descrive
perfettamente. Non ha alcun effetto se pronunciata nella lingua
normale, ma in lingua elfica ha il potere di comandarti”.
Ellen rifletté un attimo, poi disse: “E se io mi
comportassi in modo totalmente diverso da quello che sono? Forse
così Galbatoix, per quanto si sforzerà, non
riuscirà a capire il mio nome vero”.
“Potrebbe funzionare” disse Murtagh lentamente.
“Dobbiamo sentire prima che cos’ha in serbo per te
Galbatorix, e poi prenderemo una decisione”.
“D’accordo”. Ellen rimase un
po’ in silenzio. “Mi dispiace solo di essere
scappata così, gli altri saranno preoccupati. Probabilmente
penseranno che sia stata uccisa, o rapita”.
“Tranquilla, riusciremo a contattarli e spiegheremo loro ogni
cosa” la rassicurò Murtagh sedendosi al suo
fianco. Ellen strinse le braccia attorno al suo collo e fece sfiorare
le loro labbra.
Qualcuno bussò alla porta. Murtagh sospirò e si
allontanò da Ellen, dicendo: “Avanti!”.
“Cavaliere, sono venuta a riferirle che Re Galbatorix
vorrebbe che vi sistemaste per il pranzo. Mi ha mandato a portare la
signorina ai bagni”.
Ellan, scoccando un’occhiata preoccupata a Murtagh, si
alzò. Lui la incoraggiò con lo sguardo e la
spinse delicatamente verso la cameriera. La donna, che non poteva avere
più di trent’anni, condusse Ellen fino ad una
grande bagno con una vasca interamente fatta d’oro. La
ragazza fece un lungo bagno che ebbe il potere di farla rilassare
almeno un po’, dato che era tesa come una corda di violino.
Quando ebbe indossato la biancheria e una vestaglia la cameriera, di
nome Annette, le chiese di scegliere un vestito.
La quantità e qualità delle vesti che Ellen si
trovò di fronte era incredibile. Ogni abito era sontuoso e
orlato di pizzi e i colori erano puri e candidi. Nulla a che vedere con
le vesti che aveva indossato fino a quel momento, i vestiti comodi che
usava di solito o le gonne che le aveva dato Islanzadi. Quei vestiti
sembravano complicati e molto scomodi. Ellen non sapeva che
la prima caratteristica della moda era la scomodità.
Scelse, senza pensarci troppo, un abito color crema, ma poi ebbe tutto
il tempo di pentirsi della sua prematura scelta dettata
dall’inesperienza: il vestito era senza spalline e le copriva
il seno con una fascia, ma appena sotto di essa vi era il bustino,
talmente stretto da premerle forte contro le costole e quasi impedirle
di respirare. L’abito finiva con una vaporosa gonna dello
stesso color crema molto chiaro, e si fermava appena in tempo per non
strusciare sul pavimento.
Annette la rifornì di scarpe e bracciali, ed Ellen scelse di
tenere la sua collana, dono dei suoi genitori. La pettinarono e
profumarono, e, quando si guardò allo specchio, quasi non si
riconosceva più: aveva i capelli raccolti in
un’alta crocchia, le guancie eccessivamente rosate e una
linea nera sopra gli occhi.
Quando la condussero verso la sala da pranzo ad aspettarla
c’era Murtagh. Quando il ragazzo la vide sorrise
sommessamente, e le porse il braccio. “Come sei
elegante”.
“Oh smettila. Mi sembra di essere una bambola di
porcellana” sbottò lei.
“Un pochino, in effetti” osservò il
ragazzo. Anche lui indossava abiti neri molto eleganti, ma
probabilmente quelli erano comodi, pensò Ellen con rabbia.
La porta si aprì verso l’interno e si trovarono di
fronte ad una sala enorme dal soffitto altissimo. Al centro troneggiava
un’enorme tavolo di legno e, a capotavola, vi era
già seduto il Re. I due ragazzi lo raggiunsero e presero
posto affianco a lui, uno di fronte all’altro, Murtagh alla
destra del sovrano. Tre camerieri portarono subito la prima portata,
che sarebbe potuta bastare per almeno una decina di persone.
Galbatorix, sorridendo, stappò una bottiglia di vino e li
servì entrambi.
Ellen sorrise in modo civettuolo, prese il bicchiere e si
bagnò appena le labbra con il liquido scuro. Galbatorix
prese la parola: “Siete molto bella Ellen”.
“Vi ringrazio” disse subito lei sorridendo in modo
compiaciuto.
“Prima avete detto che avreste fatto qualsiasi cosa per
portare la pace, non è vero?” chiese il Re
portando alla bocca un pezzo di pane.
“E’ così”.
“Ma fino ad ora siete stata con i Varden, perché
ora questo improvviso cambiamento?”.
“Io ho conosciuto il Cavaliere Eragon, ho viaggiato con lui,
e ho avuto modo di osservarlo bene. Sono anche stata dai Verden, ma
devo ammettere di essere rimasta molto delusa. Eragon di per
sé è ancora immaturo, è più
giovane di me di un anno, e combatte l’Impero solo per degli
schiocchi ideali da contadino. I Varden invece sono disorganizzati, dei
ribelli con l’unico scopo di creare confusione nel regno.
Quando Murtagh è stato … portato via, ovviamente
pensavo fosse morto, ma quando l’ho incontrato di nuovo mi ha
raccontato di lei, del vostro castello e della capitale, e
…” si fermò, in mancanza di parole da
dire.
“Si?” la esortò Galbatorix.
“E ho pensato che, forse, ad essere nel torto fossero i
ribelli. Ho parlato con il loro capo ma, dove credevo ci fosse
ragionevolezza e solide credenze, ho trovato solo arroganza, eccessiva
fierezza e molta, molta disorganizzazione. I Varden sono un gruppo di
guerrieri molto forte, questo è certo. Ma ho paura che se
prenderanno il potere il paese andrà presto in rovina. Non
voglio ciò che ho visto a governare Alagesia”.
Galbatorix meditò sulle sue parole, il mento poggiato sulle
mani e lo sguardo perso nel vuoto. “Solo per questo
motivo?” chiese.
“No … anche per … seguire
Murtagh”. Aveva pensato che era inutile nasconderlo, dunque
lo disse, consapevole del fatto che Galbatorix avrebbe sfruttato la
loro unione. Tuttavia voleva essere credibile, e sapeva che doveva
svelare una parte di verità.
“Quindi il tuo interesse è lui. Sei molto
fortunato Murtagh” disse il Re accennando un sorriso. Ellen
sorrise a sua volta, sperando di sembrare raggiante. Murtagh lo
osservò di sottecchi poi, cercando di stare al gioco,
sorrise leggermente, imbarazzato.
“Ellen, che cosa diresti se ti facessi una
proposta?”.
“Prima vorrei sentire di che cosa tratta”.
“Ma certo. Tornerai da Eragon e dai Varden, e ti terrai in
contatto con me tramite Murtagh, che vi seguirà di nascosto,
per darmi tutte le informazioni su spostamenti, eserciti e truppe
nemiche, e qualsiasi altra cosa sia di rilevante importanza.
Così io potrò avere informazioni utili sul
nemico, mentre tu e Murtagh potrete stare assieme”.
Nonostante dovesse essere un proposta Galbatorix parlò con
tono di comando, duro e preciso.
Ellen fece finta di pensarci. “E cosa dirò ai
Verden sulla mia assenza?”.
“Dirai che eri stata catturata da un soldato durante la
battaglia, che sei stata imprigionata nella prigione di
Uru’baen e che sei riuscita a fuggire. Ti
crederanno”.
“E Murtagh? Cosa vuol dire che ci
seguirà?”.
“Lascerai Castigo qui, e seguirai loro a piedi. Mi riferirai
tutto quello che ti dirà Ellen ogni volta che ti
contatterò” disse il Re rivolto a Murtagh.
“D’accordo”.
In realtà Galbatorix aveva esitato a mandare Ellen in
missione, ancora non poteva sapere il suo nome, ma ad una prima
occhiata le sembrava una ragazza un po’ superficiale, ma
decisa, il che la rendeva perfetta per i suoi piani. Però
era presto per conoscere il suo nome. L’unica cosa di cui era
certo era l’infatuazione di lei per Murtagh, che
probabilmente era ricambiata. Poteva benissimo sfruttare questo fatto,
e aveva deciso di mandare Ellen in missione concedendogli comunque di
vedere Murtagh, così la ragazza avrebbe avuto un motivo
più che valido per provare simpatia per lui.
“Vedrai Ellen, non ti pentirai della tua scelta”
disse Galbatorix prendendo un sorso di vino. “Io e Murtagh,
assieme, riusciremo a risanare questa terra. Alagaesia
rinascerà e diventerà più forte, un
paese giusto dove tutti potranno vivere in pace”. Per un
secondo, Ellen restò affascinata da lui. Il suo
sguardo, il tono della sua voce, i gesti che faceva mentre parlava,
sembrava credere a quello che diceva, ed Ellen, per un momento, vide
quella Alagaesia di cui parlava affiorare nella sua mente, come una
speranza lontana.
Quando il Re li congedò Murtagh ed Ellen si ritirarono nella
stanza di lui e, dopo aver chiuso la porta, il ragazzo tirò
un grosso sospiro di sollievo. “Credi che ci abbia
creduto?” chiese allora Ellen.
“Non lo so, spero di si” rispose Murtagh chiudendo
la porta a chiave. “Devo avvisarti di una cosa. Scegli molto
bene le informazioni che darai a Galbatorix, non devi dirle tutte
nemmeno a me, altrimenti io gliele svelerò tutte, se me lo
ordinerà”.
“D’accordo”. Ellen sospirò e
si gettò sul letto a pancia in su, fissando il soffitto.
“Ti aveva quasi convinto, eh?” chiese Murtagh cupo.
“Cosa? No” disse Ellen sbuffando e facendo una
smorfia. “Era tutto un trucco per convincerlo”.
“Certo, come no”. Murtagh ghignò e si
sdraiò di lato accanto alla ragazza. “Guarda che
è normale. E’ un uomo molto diplomatico, potrebbe
anche convincerti che la guerra è una cosa buona”
disse con la testa appoggiata ad una mano, mentre con l’altra
accarezzava i morbidi capelli di Ellen.
“Hm … forse, ma non mi va di essere stata
… presa in giro in quel modo”. Ellen rimase un
attimo pensierosa. “Oh, cavolo”
esclamò poi ad un tratto.
“Che c’è?” chiese Murtagh.
“Questo vestito è strettissimo” disse la
ragazza trafficando con i laccetti che legavano stretto il bustino.
“Sto soffocando”.
Murtagh si allungò sul letto e cominciò ad
aiutarla. “I nodi sono stretti” osservò.
Rimase lì a litigare con ogni nodo per almeno dieci minuti
abbondanti, ma alla fine il bustino si era leggermente sciolto.
“Sai, potresti toglierti il pensiero, e levarlo del
tutto” osservò Murtagh.
“E’ proprio una buona idea” disse Ellen
sorridendo e prendendo a slacciare la camicia di Murtagh.
Perché Ellen e Murtagh partissero Galbatorix volle aspettare
alcune settimane, altrimenti i Varden si sarebbero insospettiti,
secondo lui. Per circa un mese Ellen fu costretta ad usare modi
sgradevoli con tutti, per non far intuire al Re la sua vera indole.
Conobbe Castigo, il quale la prese quasi subito in simpatia, e
approvò il piano dei due ragazzi. Dopo che fu passato
abbastanza tempo Galbatorix diede loro il permesso di andare.
Ellen si rimise con gioia i vestiti comodi che usava di solito, anche
se aveva finto di apprezzare molto quelli che la servitù le
portava, e che erano tutti regali da parte di Galbatorix stesso.
Presero del cibo a sufficienza per il viaggio e abbandonarono la
capitale, dirigendosi verso le pianure dove si era tenuta
l’ultima battaglia.
“E se Eragon mi chiedesse se ti ho visto? Dopotutto io ti ho
inseguito giù per la collina” osservò
Ellen la sera del primo giorno di viaggio, mentre erano fermi per
cenare.
“Non lo so, digli che un soldato ti ha catturato
prima” disse Murtagh dando un grosso morso ad un tozzo di
pane.
Il viaggio durò altri cinque giorni e, quando furono a
diverse miglia di distanza, Ellen e Murtagh si separarono, per non far
scoprire Murtagh nel caso qualcuno fosse stato messo come guardia
attorno all’accampamento.
“E stai attenta a non farti sfuggire nemmeno una parola,
capito?” chiese Murtagh quando si stavano per separare.
Ellen sbuffò. “Ancora non capisco il
perché di tutta questa segretezza. Se loro sapessero
potrebbero darci una mano”.
“Meno persone sono coinvolte in questo doppiogioco, meglio
è. Anzi, probabilmente non avrei dovuto chiederti nulla di
così rischioso, dovevo sapere che avresti accettato
subito”.
“E sai anche perché” disse Ellen con un
pizzico di astio nella voce. Però decise di non continuare
quell’inutile discussione, non voleva mettersi a discutere
con Murtagh proprio adesso che si erano appena rincontrati. Durante
quelle poche settimane aveva notato quanto Murtagh fosse cambiato, ma
non gli aveva fatto notare nulla per paura di dargli fastidio. Infatti
il ragazzo era diventato più aspro, anche con lei, e
s’innervosiva facilmente. Quando era di malumore
c’era bisogno di un sacco di tempo per farlo ragionare e per
togliergli di dosso quell’umore nero. Non era più
solare come una volta e non sorrideva più molto spesso.
“Sai perché ho accettato di seguirti”
continuò Ellen a testa bassa.
“Si, lo so” disse Murtagh abbracciandola e dandole
un bacio sulla fronte. “Va’, ci vediamo appena hai
un po’ di tempo libero. Attenta a non destare
sospetti. Io mi accamperò qui, è un po’
lontano, ma …”.
“Non importa” lo interruppe Ellen. Con un sorriso
si voltò e cominciò a correre verso
l’accampamento.
Corse a passo moderato per diverso tempo, con l’unico scopo
di stancarsi per non sembrare troppo riposata quando fosse arrivata a
destinazione. In fondo tutti avrebbero creduto che lei fosse appena
fuggita dalle prigioni di Uru’baen.
Quando arrivò era davvero spossata e, per fare
più scena, cadde ai piedi del soldato che stava di guardia.
“Va’ a chiamare Eragon” disse ansimando.
“Chi sei?” chiese il soldato accucciandosi e
cercando di aiutarla. “Comunque il Cavaliere non
c’è, e non posso lasciarti passare senza una
raccomandazione” disse l’uomo.
“Allora va’ a chiamare Arya”
tentò di nuovo Ellen. In quel momento l’unica cosa
a cui pensava era una borraccia colma d’acqua fresca, e non
aveva alcuna voglia di convincere quel soldato semplice a lasciarla
passare. Il soldato fece un fischio in direzione del suo compagno, che
aveva sentito tutto. Quello annuì e corse via,
all’interno dell’accampamento.
In meno di cinque minuti Ellen vide in lontananza Arya correre a
velocità inumana verso di loro. “Ellen!”
esclamò quando fu più vicina. Si
lanciò addosso alla ragazza, scostando la guardia in malo
modo, e la sostenne, dato che era molto stanca. “Ellen come
sei arrivata qui? Vieni nella mia tenda” disse cominciando a
camminare. “Tu!” gridò l’elfa
in direzione di un soldato, “fai portare tanta acqua e cibo
alla mia tenda!”.
Allora, prima di tutto mi
scuso per il ritardo con il quale ho postato. A dir la
verità pensavo di iniziare a postarla poco dopo aver finito
la prima parte, ma proprio in quel momento mi è venuta in
mente una nuova idea, e la sua realizzazione è stata
più lunga e complicata di quanto mi aspettassi.
B'è, spero che questo primo capitolo di Battaglia per il
Futuro vi sia piaciuto. Non so se si nota, ma ho voluto ricreare una
certa analogia con il titolo della prima parte e il titolo della
seconda. Infatti in tutti e due si parla di spazio temporale (se
così si dice), ossia di passato e di futuro.
Così, se nella prima parte abbiamo esitato sul passato dei
nostri personaggi, qui li vedremo affrontare battaglie e cambiamenti
per il loro futuro.
Che altro dire?
Il solito, lasciare una recensione! ^^
Patty.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Il sospetto di Arya ***
Capitolo due: Il sospetto di Arya
Quando
Ellen ebbe mangiato e soprattutto bevuto a volontà, Arya
incominciò a fargli il terzo grado, accompagnata dal sovrano
del Surda Re Orrin, Nasuada e il capo degli Urgali, Nar Garzvogh. La
ragazza raccontò per filo e per segno tutto quello che
avevano accordato di dire con Galbatorix e Murtagh, e sembrava che
tutti avessero creduto alla sua storia.
“Come sei fuggita?” chiese incredulo Re Orrin.
“Credo che stessero per portarmi da Galbatorix ma mentre vi
stavamo andando sono riuscita a liberarmi. Ho preso la mia spada e sono
riuscita a scappare” disse Ellen. “Poi …
sono venuta qui”.
“Le prigioni di Galbatoix sono divenute poco
sicure” osservò Nasuada. Ellen si
guardò le mani con po’ di rimorso.
“O forse sei tu che hai una grande esperienza nelle
evasioni” sussurrò Arya all’orecchio di
Ellen. La ragazza le sorrise debolmente. Erano ore ormai che stavano
lì, e ad un tratto l’elfa disse, alzandosi:
“Io credo che sia meglio che Ellen si riposi. Se volete farle
altre domande potrà rispondere domani”.
“Si, certo” disse Nasuada agitando una mano. Ellen
e Arya si congedarono dai vari sovrani e l’elfa
accompagnò Ellen alla sua tenda.
Quando entrarono l’elfa indicò la piccola branda
nella quale Ellen dormiva prima di fuggire con Murtagh, e disse:
“Puoi dormire lì. Non ho neanche avuto il tempo di
disfare il tuo letto che sei già ritornata” disse
sorridendo.
“Grazie Arya” disse Ellen e, in un impeto di
gratitudine, dovuta non solo alla branda, si lanciò addosso
all’elfa stringendola in un abbraccio. Arya la strinse a sua
volta e dopo la fece sdraiare, rimboccandole le coperte come ad una
bambina.
“Dormi Ellen, che ci aspettano giornate faticose”
sussurrò, ma Ellen non la sentì, era
già addormentata.
“Eragon!”.
“Ellen!” esclamò stupefatto il Cavaliere
saltando giù dal dorso di Saphira e correndole incontro. La
abbracciò forte, per lungo tempo, poi si scostò
da lei, ancora incredulo. “Ma come … cosa ci fai
qui? Credevamo che ti avessero rapita, o peggio!” disse
frettolosamente.
Dietro di lui Saphira si agitò leggermente e
ruggì forte di gioia. Ellen!
E’ bellissimo rivederti.
Anche per me
Saphira. Dovete raccontarmi tutto quello che è successo
mentre non c’ero. Poi, notando che altre due
persone stavano scendendo incerte dalla groppa di Saphira, che si era
gentilmente accucciata a terra per non farli saltare, chiese: Chi sono quelle persone?
Sono i
parenti di Eragon, rispose prontamente la dragonessa.
“Davvero?” chiese stupita Ellen sorridendo.
“E che cosa ci fanno qui?” chiese cercando di
osservarli meglio.
“E’ una storia lunga” rispose il ragazzo.
“Meglio che ci sediamo a mangiare qualcosa, qui siamo tutti
affamati!”.
Così, mentre un buon pasto veniva consumato, Eragon
raccontò di come suo cugino Roran avesse mosso
l’intero villaggio di Carvahall per andare a cercare la sua
fidanzata Katrina, e di come fossero arrivati proprio durante la
Battaglia nelle Pianure Ardenti. Dopodiché, di come fossero
andati fino alla tana dei Ra’zac, e ne avessero ucciso uno
nell’intento di salvare Katrina.
“Uno purtroppo ci è sfuggito, ma sta’
sicura che appena lo ritroveremo lo ucciderò con le mie
stesse mani” disse Eragon, addentando con ferocia del pollo,
come se l’unico colpevole di tutta quella faccenda fosse
l’ormai defunto animale.
Ellen invece raccontò tutto quello che aveva già
detto quando era tornata all’accampamento, ed Eragon
restò molto impressionato dal suo racconto.
Quando ebbero finito di mangiare rimasero a lungo attorno al tavolo a
chiacchierare assieme a Katrina e Roran. Ellen trovava entrambi molto
simpatici, ma soprattutto Roran, però sospettava che Katrina
stesse ancora cercando di riprendersi dalla prigionia.
Infatti così era: la ragazza era rimasta molto turbata dalle
ultime settimane vissute, ma considerato tutto quello che aveva passato
se la cava egregiamente. In più adesso con lei
c’era Roran, e sentiva che non lo avrebbe lasciato mai
più, a qualsiasi costo. Si sentiva protetta, al sicuro, era
certa che nessuno avrebbe mai più potuto ferirla in qualche
modo se era con lui.
Rimasero a parlare fino al tardo pomeriggio, ma ad un tratto Katrina
disse: “Scusate, non è che potrei andare a
rinfrescarmi un po’?”. Si alzò
lentamente dalla sedia e guardò tutti in cerca di
indicazioni su dove andare.
“Ma certo” disse subito Eragon.
“Ti accompagno io” disse Ellen alzandosi. Condusse
Katrina alla sua tenda e poco dopo portò una tinozza che
riempì d’acqua. Diede a Katrina del sapone, un
asciugamano e andò a prenderle uno dei suoi vestiti. La
corporatura di Katrina era diversa dalla sua, perché Ellen
subiva molto sul fisico la sua discendenza elfica, e così
era sottile e longilinea, mentre Katrina era più morbida di
forme. “Provati questo quando avrai finito.” le
disse esitante, “Credo che ti starà, anche se io
sono praticamente uguale ad un ramoscello secco”.
“Grazie mille” disse Katrina prendendo
l’abito e posandolo sulla branda. Ellen stava per uscire,
quando notò che Katrina aveva un taglio su una spalla.
“Katrina, hai per caso qualche ferita?” le chiese
esitante.
“Oh … nulla che non possa guarire in
fretta” disse lei abbassando lo sguardo.
“Non ti preoccupare, ci penso io. Non vedo perché
farti penare tanto” disse Ellen avanzando verso di lei.
“Non preoccuparti, non farà male. Forse sentirai
un po’ di pizzicore” disse posandole le mani sulla
spalla ferita. Pronunciò la formula nell’antica
lingue e in meno di un minuto il taglio era completamente sparito.
“Grazie” disse Katrina toccandosi la spalla appena
guarita.
“Di nulla. Possiamo controllare che non ci sia
altro”. Ellen si avviò verso la porta della tenda
e la chiuse alla bell’e meglio. “Non preoccuparti,
non entrerà nessuno” disse in risposta allo
sguardo incerto di Katrina. La ragazza si tolse il vestito e rimase con
la sottoveste di seta, piuttosto rovinata e sporca. Ellen prese a
curare lentamente, con pazienza, tutte le piccole ferite che aveva
sparse per il corpo, e alcuni ematomi più o meno gravi.
“Ti prego Ellen, non dire a Roran di tutte queste ferite. Non
farebbe altro che preoccuparsi inutilmente, ed è
già così stressato!” disse ad un certo
punto Katrina.
“Non preoccuparti, non dirò nulla” disse
Ellen concentrata. “Comunque hai fatto bene a curarti. Adesso
che sei assieme al tuo fidanzato non vorrai farti vedere tutta
rovinata” disse rivolgendo un sorriso alla ragazza, seduta
sul letto con una gamba stesa a farsi curare. Katrina
arrossì violentemente.
“Non siamo ancora fidanzati, ma vorremmo sposarci presto.
Roran voleva che ci sposassimo non appena avrebbe avuto abbastanza
denaro per costruire una casa e comprare tutto l’occorrente
per vivere assieme, ma ora …” Katrina
lasciò la frase in sospeso.
“Potete ancora sposarvi” osservò Ellen
corrucciando le sopracciglia, lo sguardo ancora posato sulla ferita di
turno.
“Lo vorrei tanto! Ma di sicuro Roran prima vorrà
essere … vorrà essere stabile”.
“E’ impossibile ora come ora essere
stabili” osservò Ellen con voce dura.
“Siamo in guerra, e nessuno sa quanto ci
resteremo”, e lì troncò il discorso.
Alzò lo sguardo verso Katrina, che pareva impegnata in un
conflitto interiore, così continuò:
“E’ solo un’opinione, ma …
forse, potreste anche sposarvi ora”.
“E’ quello che speravo
anch’io!” disse subito Katrina.
“Dovete approfittare dei momenti che avete” disse
Ellen. “Ogni giorno rischiamo di perdere tutto. E’
ora che Roran lo capisca, e si decida a chiedere la tua mano. Sono
sicura che ti ascolterà. Per quanto possano sembrare dei
duri, la maggior parte degli uomini si nascono dietro
all’apparenza” disse Ellen con un ghigno ricordando
i due diversi aspetti di Murtagh, quando erano soli e quando invece
voleva fare impressione su qualcuno.
“Pare che tu te ne intenda” disse Katrina
sorridendo. “Scusami se te lo chiedo, ma … tu ed
Eragon … insomma …”.
“Cosa? No, no, niente del genere. Eragon è mio
grande amico, abbiamo passato assieme molti momenti da quando
è partito con Brom”.
“Oh, scusa, è solo che vi ho visti così
affiatati” bisbigliò Katrina.
Dopo che ebbe finito di guarirle le ferite la lasciò sola, e
tornò da Eragon. Lo trovò assieme a Saphira,
seduti su una piccola collina al limitare dell’accampamento.
Ciao,
disse non appena arrivata.
Ciao. Allora
come va?, chiese Eragon guardandola sedersi affianco a
loro.
Mah, bene. E
voi? Cioè, tralasciando le battaglie e tutte quelle cose
lì.
Non
è che si possano proprio tralasciare,
osservò Saphira.
E’ vero
…
Eragon tossicchiò e guardò Ellen di traverso. Era
da quando l’aveva rivista che si faceva una domanda: doveva
dirle di Murtagh? Lui non sapeva che Ellen lo aveva visto. Per quanto
ne sapeva lui Ellen lo aveva inseguito e poi era stata catturata, ma
non era sicuro che l’avesse visto combattere nelle file
nemiche. Ellen lo guardò con la coda dell’occhio.
“Che c’è?” chiese lei
sospettosa. Non era difficile intuire che il ragazzo nascondeva
qualcosa.
“Perché?” disse allora Eragon facendo
una faccia da finto tonto, che fra l’altro non gli
uscì per niente bene.
“Credi che non abbia capito che c’è
qualcosa di strano? Che devi dirmi?”.
“Strano?”. Ellen lo guardò con un mezzo
sorriso sulla faccia. “Ok, è vero. Ma non
è una cosa … piacevole, in
realtà” biascicò Eragon.
“Oh” disse solo Ellen. “Va bene
… vai. Sono pronta”.
“Lo so che probabilmente non ti va di parlarne ma
… si tratta di Murtagh”. Ellen
s’irrigidì. “Ecco, la buona notizia
è che lui è vivo”.
Ellen sospirò. “Lo so. L’ho
visto” disse, cercando di portare quella conversazione ad un
livello che poteva controllare. Decise d’inventarsi subito
una storia, altrimenti aveva paura che avrebbe detto qualcosa che
l’avrebbe tradita in seguito. “L’ho visto
mentre se ne andava. E poi un soldato mi ha preso. E’ colpa
mia, sono stata una stupida. Pensavo di avere le allucinazioni, o
qualcosa del genere, e non mi sono nemmeno accorta di quello
là che mi si stava avvicinando”. Ellen
abbassò lo sguardo ed Eragon le circondò le
spalle con un braccio.
“Non credo che l’abbia fatto di proposito.
E’ possibile che Galbatorix abbia scoperto il suo vero
nome” la rassicurò.
“Lo so”. Ellen teneva lo sguardo basso. La
tentazione di raccontare ogni cosa era fortissima, ma poi si disse che
forse Murtagh aveva ragione, forse avrebbe solo finito per
ingarbugliare di più quella situazione, che era
già complicata di per sé.
All’improvviso Ellen si alzò e salutò
Eragon, lasciandolo assieme alla dragonessa. Si allontanò
con sguardo risoluto e senza voltarsi s’incamminò
verso l’accampamento.
Secondo te
dov’è andata?, chiese Eragon a
Saphira.
Non ne ho la
minima idea. Non preoccuparti troppo però, non sembra
così triste.
Già. Strano, no?
Murtagh ed Ellen stavano distesi sull’erba affianco al fuoco
che scaldava, lo sguardo rivolto alle stelle. “Oggi Eragon mi
ha detto che eri uno di soldati di Galbatorix” disse la
ragazza.
“E tu cos’hai risposto?” chiese lui
scoccandole un’occhiata di traverso.
“Che lo sapevo già. Perché ti avevo
visto prima di essere catturata”.
“Bene”.
Restarono in silenzio per un po’. Parlare era diventato
difficile, e Murtagh pensava che fosse solo colpa sua. Lo sapeva anche
lui di essere cambiato, era più intransigente, era sempre di
malumore, ma per fortuna Ellen riusciva a rallegrarlo un po’.
Era stato felice durante le settimane passate alla corte di Galbatorix,
ma non erano durate quanto sperava.
Murtagh sospirò, ed Ellen si girò verso di lui.
“Che c’è? Sta andando tutto
perfettamente, nessuno ha sospettato nulla, te lo posso
assicurare”.
“Mi dispiace che sei rimasta coinvolta in questa faccenda.
Ora Galbatorix ti conosce e …”.
“A quanto ho capito mi conosceva anche prima” disse
Ellen con un sorrisetto.
“E’ vero. Mi ha letto nella mente non appena mi
hanno portato da lui, e io non ho saputo resistere. Sembrava
così forte da non potergli resistere. Se mi fossi impegnato
di più …” disse Murtagh con amarezza.
“Non è colpa tua.” lo interruppe subito
Ellen, “Stiamo parlando di Galbatorix, non dovresti
dimenticarlo”. Presa da uno sprazzo di buon umore Ellen si
allungò su Murtagh e lo baciò sulle labbra.
“Però che bello esserci ritrovati, non
è vero?”.
“Ah questo si!” esclamò Murtagh
voltandosi verso di lei. “Sai, non mi stupisce quello che mi
hai raccontato, su Brom e sulla regina Islanzadi che sarebbe tua
madre”.
“Perché?”.
“Perché doveva pur esserci una spiegazione per la
tua forza, la resistenza. Tu riuscivi a parlare con Saphira, e hai
usato una potentissima magia per spezzare la rosa dei nani, ma poi non
ti è successo niente, sei soltanto svenuta. Chiunque altro
che non fosse un elfo sarebbe morto. Tutte queste cose ora si
spiegano” disse Murtagh.
“E’ vero, l’ho pensato anch’io
quando Islanzadi me l’ha detto. Però è
già da un po’ che non sono più
così forte come quando sono stata ad Ellesmera.
Lì era diverso, mi sentivo … hm,
rinvigorita” osservò Ellen. Era vero, da quando
aveva lasciato la città degli elfi tutta la forza che le
sembrava di aver acquistato era svanita nel nulla.
“Non che me ne intenda, ma forse la vicinanza della tua terra
ha agito come … marcia in più, diciamo”
tentò Murtagh.
“Può darsi” mormorò Ellen
pensierosa, guardando altrove.
Murtagh la guardò negli occhi, mentre il suo sguardo era
rivolto da tutt’altra parte. Un calore piacevole lo invase
alla vista dei suoi occhi color della notte, profondi come il cielo.
Senza preavviso prese a baciarla e si distese su di lei, prendendole
una gamba e portandosela al fianco. Ellen, inizialmente presa alla
sprovvista, si riebbe e cominciò a tracciare con le dita dei
disegni immaginari sul petto di Murtagh poi, trovando i lacci della
camicia, li slacciò. Murtagh si tolse velocemente
l’indumento, poi riprese a baciarla con ardore. Con le mani
sfiorò i suoi seni e poi cominciò a slacciarle la
camicetta con movimenti febbrili.
Si chinò su Ellen e la guardò fisso negli occhi.
“Ellen …” mormorò sorridendo
mentre le scostava dal viso una ciocca di capelli corvini.
“Ellen!” esclamò Arya vedendola
rientrare alla tenda ad un’ora così tarda.
“Oh, ciao. Sei ancora sveglia?” chiese la ragazza
con voce innocente sedendosi sulla sua amaca.
“Anche tu sei sveglia. Dove sei stata?” chiese con
fare sospetto.
“Mah … a fare un giro” disse mentre
toglieva gli stivali.
“Nell’accampamento?”.
“Hm …” rispose lei vaga.
“Ma non è un po’ … insomma,
deprimente?” chiese l’elfa.
“Affatto. Vai a farci un giro anche tu. Gli abitanti di
Carvahall sono molto simpatici” disse Ellen con un sorriso.
Si sdraiò, coprendosi e dando le spalle ad Arya.
“Buonanotte” disse.
Leggermente interdetta, Arya se ne andò a dormire. In cuor
suo non credeva che gli abitanti di Carvahall fossero così
simpatici, ma il giorno seguente, mentre si recava da Eragon per dargli
alcune notizie circa l’avanzata dell’ esercito
nemico, si guardò attentamente intorno. Deprimente era
l’aggettivo esatto, si disse guardando le tende.
C’erano uomini feriti che si lamentavano, pochi animali che
infestavano l’aria con il loro odore e il loro richiamo, qua
e là vide qualche guerriero che si esercitava, ma nulla di
questo servì a metterla tanto in allegria quanto lo era
Ellen la scorsa notte. Non
la vedo così da quando Murtagh è stato catturato.
Arya si diresse a passo svelto verso la tenda di Eragon ed entrando
scorse il ragazzo ancora mezzo addormentato che si rigirava nel letto.
Arya sospirò e avanzò nel disordine della tenda,
sorrise leggermente alla vista di un Eragon semi-svenuto e poi
cominciò a scuoterlo. “Eragon”
chiamò dolcemente. Non dava alcun segno di vita, sul serio,
poteva benissimo essere morto. “Eragon”
esclamò con un po’ più di convinzione.
E’
inutile, non lo sveglierebbe nemmeno Galbatorix in persona.
Una voce giunse alla mentre di Arya.
Saphira.
Buongiorno.
Buongiorno a
te. Non preoccuparti, lo sveglio io.
Grazie.
Arya uscì dalla tenda e rimase fuori ad aspettare, in pochi
minuti Eragon uscì, trafelato e con gli occhi ancora gonfi
di sonno. “Ben svegliato” disse Arya.
“Ah, grazie” rispose il ragazzo leggermente
imbarazzato. “Che cosa c’è?”
chiese subito per dissipare l’imbarazzo. Arya che veniva a
parlargli e lui dormiva! E non solo, non si era nemmeno svegliato
quando lei lo aveva chiamato!
“Un infiltrato ci ha informati che Galbatorix
invierà presto altre truppe, dovrebbe essere una notizia
abbastanza sicura”.
“Presto quando?” chiese Eragon.
“Fra una o due settimane. Nasuada lo annuncerà
presto ai soldati … saranno felici di sapere che Galbatorix
contava sull’effetto sorpresa, si sentiranno in
vantaggio” osservò l’elfa sorridendo.
“Ma da quando abbiamo un infiltrato?” chiese il
ragazzo pensandoci su, le mani sui fianchi e le sopracciglia aggrottate.
“Da abbastanza tempo. Non devi dirlo a nessuno
capito?”.
“Certo” la rassicurò Eragon annuendo.
“Ok … ah, sai per caso dov’è
finita Ellen ieri notte?” chiese improvvisamente
l’elfa.
“No, perché?” chiese Eragon facendo
segno di no con il capo.
“No niente, è che è tornata tardissimo,
e ha detto di essere stata assieme alla gente di Carvahall”.
“Impossibile … io ero assieme a Roran e Katrina.
Siamo stati tutta la sera a parlare fuori dalla loro tenda. Non ho
visto Ellen nemmeno una volta”.
“Ah, b’è non importa” disse
Arya pensierosa. “Devo andare Eragon, Nasuada ha bisogno di
me” disse l’elfa salutando e incamminandosi verso
la tenda del Capo dei Varden.
“Si …” disse Eragon distrattamente
facendole un cenno di saluto. Che strano, osservò rivolto a
Saphira.
Forse
è solo andata a fare una passeggiata.
Si, ma allora
perché ha detto ad Arya di essere stata con noi quando non
è vero?
Anche quella sera Ellen uscì furtivamente
dall’accampamento per andare a trovare Murtagh. Era
assolutamente certa che nessuno avesse sospetti su di lei. Dopotutto, a
chi poteva interessare se spariva un paio d’ore?
C’era sempre talmente tanta confusione che nemmeno si
sarebbero accorti che era sparita, pensava fiduciosa.
“Murtagh!” chiamò quando fu arrivata
dalle parti dove sapeva il ragazzo si accampava.
“Murtagh?”.
“Eccomi!” esclamò una voce cupa. Il
ragazzo spuntò da dietro un albero, litigando con un arbusto
che gli aveva imprigionato il piede, poi si parò di fronte
ad Ellen. “Ciao” disse ad alta voce, poi si
avvicinò in fretta e l’abbracciò. Senza
farsi vedere, sussurrò all’orecchio della ragazza:
“Galbatorix ha mandato uno dei Ra’zac a
controllarmi. Non siamo soli”.
Ellen trasalì e si guardò attorno.
“Dov’è?” chiese.
“Non lo so, è andato a mangiare circa venti minuti
fa”.
“Allontaniamoci da qui”.
“D’accordo”. I due cercarono un luogo
dove sedersi e si sistemarono ai piedi di un albero in una piccola
radura. “Devi dirmi qualcosa da riferire a
Galbatorix” disse subito Murtagh. “Adesso
più che mai dobbiamo essere convincenti, ma ricorda di dirmi
solo quello che ritieni necessario. Io sarò costretto a dire
tutto a Galbatoirx, ma se mi racconti ogni cosa, allora sarà
davvero come fare la spia”.
“Quindi ti devo raccontare fatti inutili che sembrano
importanti?” chiese incerta Ellen.
“Esatto … vai”.
“Allora … ad esempio … hm, digli che le
truppe sono poco preparate e abbastanza ostili ad un'altra battaglia,
che Nasuada non è capace di gestire i suoi uomini, e le sue
alleanze con gli altri popoli stanno cedendo”. Aveva detto un
sacco di bugie ovviamente, ma le venne in mente che, se Galbatorix
avesse creduto che il nemico era debole e poco motivato, forse li
avrebbe sottovalutati abbastanza da permettergli di vincere
un’altra battaglia. Però doveva anche essere
veritiera, così continuò: “Digli anche
che però Eragon allena le truppe ogni giorno su ordine di
Nasuada, e che man mano che il tempo passa stanno diventando
più forti e organizzati”.
“Hem … ok, se lo dici tu” disse incerto
Murtagh. Improvvisamente sentirono un fruscìo nella radura.
“Forse è meglio che tu vada, con quel
Ra’zac in giro dobbiamo essere attenti” disse
Murtagh alzandosi e porgendole una mano. Ellen la prese e si
tirò su, e Murtagh la strinse in un abbraccio.
“Ci vediamo” gli disse la ragazza.
“Ok”. Murtagh la liberò ed Ellen si
diresse fuori dal bosco.
Al suo passaggio si sentivano le foglie secche scricchiolare e i
cespugli muoversi. Ad un tratto un suono reso ovattato dalla lontananza
attirò Murtagh. Sentì qualcuno esclamare:
“Ellen! Aspetta!”. Un grido, e poi più
nulla.
Il ragazzo restò per un secondo incerto sul da farsi,
preoccupato. Non sapeva se doveva andare a cercare Ellen a causa di
quel grido, ma forse non le era successo niente, forse era caduta e
basta, e non era il caso di farsi vedere o di rischiare di essere
riconosciuto. Al
diavolo!, pensò. “Ellen!”
urlò con tutto il fiato che aveva in gola.
Qualcosa lo colpì sulla nuca e lui svenne.
Oh Dio che cattiva! Vi lascio con
questo finale così... ambiguo! O.O Ellen che grida, Murtagh
che sviene! E poi, povera Ellen, tutta sicura di non destare sospetti e
invece tutti sospettano di lei! XD B'è, comunque sia, spero
che questo capitolo vi sia piaciuto! ^^
KissyKikka: waaa! Speravo di ritrovarti fedele donnah! XD L'analogia
fra i titoli è addirittura geniale! Me arrossisce per i
complimenti. Comunque, ben presto verrai a conoscenza delle oscure
trame della mia mente, spero che questo capitolo ti sia piaciuto! ^^
Un grazie a chi legge, a chi mette la fic fra Preferite o Seguite, e
poi direi basta. Un saluto a tutti, by
Patty.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Due dolorose punizioni ***
Capitolo tre: Due dolorose
punizioni
Galbatorix
era furioso.
Camminava nella sala e continuava a pensare di essere stato uno
stupido, rimuginava su tutto quello che era accaduto, e si chiese come
diavolo quella ragazzina era riuscita ad ingannare lui. Lui, il Re
Galbatorix! Per fortuna il Ra’zac che aveva mandato a
controllare Murtagh aveva sentito ogni cosa.
Alzò distrattamente lo sguardo sul soldato cui aveva dato
ordine di frustare il ragazzo. Quasi si era dimenticato della loro
presenza, tanto era perso nei suoi pensieri. Il volto di quella ragazza
continuava ad apparigli nella mente, sorridente ed
ingannevole. Si schiarì la voce, alzò
il palmo della mano e disse un basso: “Basta
così”.
Il soldato annuì e si ritirò. Murtagh, con le
braccia alzate verso l’alto e i polsi cinti da corde spesse
che andavano a legarsi ad un grosso anello di ferro appeso al muro,
venne liberato e cadde bocconi sul pavimento. Respirava forte, ogni
ferita che pulsava, e gli sembrava di avere una piastra di metallo
ardente premuta contro la schiena. Restò a terra in
ginocchio, i pensieri rivolti alle ferite brucianti. Galbatorix
avanzò verso di lui con passo lento senza dire nulla, e
quando gli fu di fronte prese a girargli attorno.
“Non ho idea del perché mi sia fidato
tanto” ammise il re, parlando lentamente e strascicando le
parole. “Credevo di averti in pugno, ma evidentemente non era
così. Quella insulsa ragazza mi ha giocato, mi ha fatto
credere di essere testarda e senza cervello”. Galbatorix fece
una pausa continuando a girare attorno a Murtagh.
“Probabilmente gode di rilievo anche fra i ribelli”
disse più a sé stesso che al ragazzo.
Sospirò, poi rivolse lo sguardo al suo prigioniero, che
tremava di rabbia e dolore ai suoi piedi. “Murtagh”
disse Galbatorix nell’antica lingua, pronunciando il suo vero
nome. Il ragazzo fu scosso da un brivido e alzò lo sguardo
verso di lui. “Siccome questa punizione non è
sufficientemente educativa, è mio dovere infliggerne
un’altra. Ogni volta che ne avrai
l’occasione” disse con voce dura,
“combatterai contro Ellen, con l’unico fine di
ucciderla”. Il prigioniero alzò di scatto la
testa, gli occhi sbarrati.
Galbatorix sorrise maligno all’indirizzo di Murtagh, poi si
voltò e uscì dalla stanza buia. Il ragazzo lo
osservava andare via, stupito e arrabbiato. Quando il re fu uscito
rimase un attimo con lo sguardo fisso sulla porta.
Murtagh, disse una voce da giovane uomo nella sua testa. Il
ragazzo chiuse la mente a Castigo, ma lasciò che
l’amico gli alleviasse il dolore bruciante che provava alla
schiena.
Abbassò lo sguardo e una piccola lacrima calda
affiorò ai suoi occhi, scivolò lungo la sua
guancia e cadde a terra, perdendosi fra la pietra fredda.
“Non ci posso credere! Ellen!” esclamò
Arya alzando gli occhi al cielo. “Si può sapere
che cosa ti passava per la testa?!” esclamò.
Nessuno aveva mai visto Arya così arrabbiata. Sembrava che i
ruoli si fossero invertiti, pensò Ellen: Eragon stava zitto
e calmo e si guardava le mani, mentre Arya era furiosa e continuava a
passeggiare per la stanza nervosamente.
Per la centesima volta, Ellen sussurrò: “Mi
dispiace”.
Quando aveva lasciato Murtagh nella radura Eragon l’aveva
raggiunta, e l’aveva accusata di essere una spia,
dopodiché l’aveva presa e portata
all’accampamento, dove Ellen aveva confessato tutto quello
che era successo dal primo incontro con Murtagh alle Pianure Ardenti.
Avevano appena finito di parlare con Nasuada di tutto quello che era
successo, ma lei era stata molto comprensiva. Aveva lasciato andare
Ellen senza infliggerle alcuna punizione, ma con la sola
raccomandazione di non raccontare a nessuno quel che era accaduto.
Ora, nella tenda di Eragon, tutti erano stranamente calmi (tranne
Arya), come se quello che stava accadendo fosse irreale.
“Mi dispiace per quello che è successo, credevo
davvero che fosse la cosa migliore da fare”
ripeté Ellen.
“Ma come fai a crederlo?!” sbraitò Arya
furente ponendosi di fronte a lei.
“Senti, lo so che ho sbagliato!” esclamò
Ellen, che ormai aveva perso la pazienza. “Non
c’è bisogno di continuare a ripeterlo ogni cinque
minuti! Vi ho già detto che mi dispiace, e per quanto tu
possa urlare la situazione non cambierà!”.
Arya rimase senza fiato, poi si voltò e rivolse lo sguardo
astioso altrove. “D’accordo …”
disse. E uscì dalla tenda a passi pesanti. Ellen
sospirò, e guardò di sottecchi Eragon.
“Hai qualcosa da dire? Sei stato zitto tutto il tempo. Ti
prego, dimmi qualcosa” lo implorò. Il silenzio del
ragazzo non faceva altro che provocarle un altro dolore ancora
più acuto, quasi avrebbe preferito che urlasse. Eragon, da
parte sua, non aveva idea di che cosa dire, non sapeva nemmeno se
doveva essere arrabbiato, come Arya, o comprensivo, come Nasuada.
Trovava giusti entrambi i comportamenti.
Ancora una volta, Eragon non rispose, invece fu la voce di Saphira a
raggiungere la ragazza: Certo
il tuo gesto è stato molto affrettato e anche un
po’ da stupidi, ma capisco perché l’hai
fatto, anche se non ho mai provato per nessuno ciò che tu
provi per Murtagh. Però se io ed Eragon fossimo separati mi
sentirei morire, e se lo rincontrassi farei qualsiasi cosa per stargli
vicino.
Ellen sorrise leggermente. Grazie Saphira. La dragonessa per tutta
risposta sbuffò leggermente.
“Comunque” disse Eragon all’improvviso,
“l’importante è che non sia successo
nulla”. Dopo tanto pensare realizzò che non
riusciva ad essere arrabbiato con Ellen. Come Saphira, anche lui capiva
benissimo le ragione del suo gesto, e non la biasimava per quanto aveva
fatto. Anche lui avrebbe fatto lo stesso se si fosse trattato di Arya o
anche di Saphira. Sorrise alla ragazza e la raggiunse, stringendola in
un abbraccio. Ellen ricambiò, felice che Eragon non fosse
arrabbiato con lei.
“Hem … Eragon,” disse poi con voce
insicura.
“Che c’è?” chiese lui
sciogliendo l’abbraccio e guardandola interrogativo.
“Posso restare qui per questa notte? Non mi va di tornare da
Arya, resterà arrabbiata per molto tempo ancora, se la
conosco bene come credo”.
“Ah questo è certo!” esclamò
Eragon sorridendo, “Gli elfi ricordano sempre tutto, come gli
elefanti”.
“Non sarà felice di sapere che l’hai
paragonata ad un elefante” osservò Ellen.
Eragon, lo
rimproverò Saphira, è così che
conquisti una donna? Non credo che il tuo metodo funzionerà,
non conquisteresti nemmeno una femmina di Urgali.
Eragon ed Ellen scoppiarono a ridere, e Saphira si esibì in
uno strano sbuffo.
“Stai ridendo!” esclamò Ellen additando
la dragonessa con un dito, al che Eragon rise più forte.
Quella sera restarono a parlare per diverso tempo, fino a notte fonda,
come non facevano da molto. La mattina dopo Saphira li
svegliò e loro si alzarono leggermente storditi. Si
lavarono, vestirono e prepararono per uscire, diretti allo spiazzo dove
i soldati si allenavano.
“E’ da tanto che non ci battiamo”
osservò Ellen.
“Vuoi vedere quanto sono migliorato?” chiese Eragon
con un ghigno.
“Si, voglio proprio vedere!” esclamò
Ellen ridacchiando. Saphira, che li aveva seguiti in volo, si
accucciò li vicino e appoggiò con eleganza il
muso a terra, alzando una nuvoletta di polvere ogni volta che respirava.
I due si misero in posizione e rimasero a girarsi attorno. Pian piano
una piccola folla di spettatori prese a formarsi accanto a Saphira, che
si guardò attorno accigliata. Un ragazzo che doveva avere si
e no tredici anni sussurrò al suo vicino:
“Scommetto una moneta d’argento che
vincerà il Cavaliere”.
L’amico ci pensò su un po’, osservando
Ellen con sguardo critico, poi disse: “Ho sentito dire che
quella è la figlia di un elfo. Ci sto”. E si
strinsero la mano solennemente.
Hm
… non so se vi disturba, ma qui stanno scommettendo
sull’esito della battaglia.
Che cosa?,
chiese Ellen senza distogliere lo sguardo da Eragon. Chi è che scommette?,
chiese indignata.
Lasciali fare,
disse Eragon sorridendo.
Ellen gettò uno sguardo veloce tra la piccola folla e,
tornando a guardare verso Eragon, si avventò su di lui
fulminea come un gatto. Eragon, aspettandosi da Ellen la consueta
attesa della prima mossa da parte sua, si scansò appena in
tempo, ma rimase disorientato e impugnò meglio
Zar’roc. Senza preavviso si gettò su Ellen e
cercò di colpirla al fianco, ma la ragazza parò
il colpo con forza, tanto che la spada vibrò nelle sue mani
e le fece quasi male. “Sei diventato davvero
più forte” osservò.
“Hai visto?” disse Eragon compiaciuto.
“Non cantare vittoria troppo presto, ci rimarrai male quando
vincerò” disse facendo la finta premurosa.
Ancora, Eragon cercò di colpire Ellen, questa volta alle
gambe e la ragazza per schivare il colpo quasi cadde a terra, ed Eragon
approfittò di quel momento per infliggerle un altro colpo.
Questa volta la ragazza parò e cominciò ad
attaccare Eragon in modo da farlo indietreggiare di parecchio.
Continuarono così per diverso tempo, la folla
s’ingrandiva sempre di più e tifava ora per una
parte, ora per l’altra. Eragon intravide Roran fra le persone
che c’erano lì attorno. Guardò il
cugino un secondo di troppo perché improvvisamente vide la
spada di Ellen arrivargli dritto al viso. Velocemente il ragazzo
schivò la lama e rotolò a terra, cercando di
colpire Ellen alle gambe, ma lei saltò e cercò di
colpire Eragon dall’alto. Il ragazzo parò il colpo
e si alzò, nello stesso momento Ellen fece una complicata
manovra con la spada e, quando le due lame si scontrarono, il risultato
fu di farle volare entrambe dalle mani dell’avversario.
I due giovani rimasero ansanti, a guardarsi a vicenda, poi Eragon
scoppiò in una grossa risata. La folla prese a gridare e ad
applaudire. Accanto a Saphira i due ragazzini che avevano scommesso si
guardarono incerti, e il primo disse: “Ma ora come facciamo?
Chi ha vinto?” chiese all’amico.
“Non lo so …”.
Saphira voltò il muso verso di loro e i due ragazzini la
osservarono senza fiatare, un pizzico di paura in volto. La dragonessa
sbuffò forte, e i due si spaventarono talmente tanto che
corsero via urlando, mentre un vecchio soldato che aveva visto tutta la
scena rideva di gusto osservandoli scappar via.
Quando Eragon ed Ellen scesero dalla piattaforma trovarono Roran a
salutarli. “Ma come Eragon? Ti fai battere da una
ragazza?” chiese con tono giovale.
“Non mi ha completamente battuto!”
protestò il cugino incrociando le braccia al petto.
“Si, ma mi mancava tanto così per farlo”
disse Ellen avvicinando pollice e indice. “Comunque sei
davvero migliorato, sono io che sto peggiorando di giorno in
giorno”.
“Perché?” chiese stupito Eragon. Nel
frattempo si stavano avviando verso la tenda di Roran.
“E’ da quanto siamo partiti da Ellesmera che mi
sento un po’ giù. Secondo Mu … secondo
me è perché Ellesmera riesce a rinvigorirmi. Ti
ricordo com’ero forte quando eravamo
lì?”.
“E’vero” concordò Eragon.
Arrivarono fino alla provvisoria casa di Roran e assieme a Katrina
restarono a parlare fino all’ora di pranzo, finché
la ragazza non si alzò e annunciò:
“E’ meglio che vada a preparare il
pranzo”.
“Ti aiuto” disse Ellen.
“Attenta Katrina” la avvisò
scherzosamente Eragon, “ti brucerà
tutto!”.
“Scemo!” esclamò Ellen dando uno
spintone al ragazzo.
“Ellen adesso facciamo vedere a questi due come si
cucina” disse Katrina entrando in casa. Ellen fece un verso
di sdegno rivolto ai due giovani e la seguì nella tenda.
Iniziarono a cucinare un piatto tipico di Carvahall e, mentre stavano
pelando le patate sedute attorno al tavolo, Ellen chiese a Katrina:
“Allora? Come vanno le cose fra te e Roran?”.
“Oh, bene” disse lei arrossendo. “Mi ha
chiesto di sposarlo”.
“Davvero?” chiese Ellen sorpresa. Lasciò
il coltello sul tavolo e si allungò per abbracciare Katrina:
“Congratulazioni!” quasi urlò.
“Quindi il discorso dell’abbiamo poco tempo ha
funzionato, eh?” chiese ammiccante.
“B’è … in realtà
all’inizio avevo lasciato perdere, e pensavo che ci saremmo
sposati quando avremmo avuto una casa e una fonte di reddito sicura ma,
abbiamo deciso di anticipare il matrimonio. Altrimenti …
correrebbero troppe voci”.
“Come?” chiese Ellen, che non aveva capito cosa
intendeva dire Katrina. “Troppe voci su cosa?”.
“Sono incinta” disse la ragazza con voce candida,
portandosi automaticamente una mano al ventre.
Ellen rimase con un palmo di naso. “Katrina!”
esclamò. “Ma è fantastico!”.
“Si” disse lei sorridendo.
“Hai già pensato al nome da dargli? O da darle!
Chissà se sarà maschio o femmina?”.
Ellen incominciò a parlare raffica e lei e Katrina finirono
di preparare il pranzo in meno di un’ora. Quando era quasi
pronto Ellen uscì a chiamare i due ragazzi e, quando li
raggiunse, vide che stavano parlando fitto fitto di qualcosa.
“Hey voi! State parlando di noi, non è
vero?” chiese scherzosamente Ellen.
“Più o meno” mormorò Eragon
rivolgendo un grosso sorriso a Roran. Ellen si avvicinò a
loro e abbracciò forte Roran.
“Congratulazioni!” disse.
“Grazie” disse il ragazzo, che inizialmente non
aveva capito a che cosa si riferisse.
“Katrina mi ha raccontato” disse poi Ellen.
“E’ meraviglioso!”.
“Oh, grazie” ripeté Roran leggermente
imbarazzato. Tutte quelle notizie sul suo contro che circolavano
libere! Certo, quella era Ellen, la migliore amica di suo cugino, ma se
lo avesse saputo qualcun altro? Che cos’avrebbero pensato
dell’onore della sua futura sposa?
Quel pomeriggio Eragon ed Ellen si fermarono a parlare con Roran e
Katrina, e solo dopo molto tempo se ne andarono. Sulla strada del
ritorno Ellen disse, titubante: “Eragon, non ti andrebbe di
rivedere Murtagh?”.
Eragon ci pensò un poco. “Ma non sarà
rischioso? Non hai detto che c’è un
Ra’zac assieme a lui?”.
“Si, ma io potrei andare a chiamare Murtagh e poi potremmo
incontrarci tutti assieme da un’altra parte. Lontani dal
Ra’zac” propose Ellen.
“Hm … d’accordo. Però il
nostro ultimo incontro non è stato molto felice”
osservò Eragon.
“Ma adesso non ha ricevuto nessun’ordine da parte
di Galbatorix, quindi non dovrebbe succedere nulla. Comunque lo sai che
non lo fa apposta” disse Ellen. “Ha scoperto il suo
nome”.
“Me lo ha detto”. Eragon fece una pausa, poi:
“Mi stava raccontando una storia strana, su sua madre e
Morzan, ma non so perché. Diceva di essere l’erede
legittimo di qualcosa, ma non so dove voleva arrivare. Poi sei arrivata
tu ed è scappato”.
“Potresti chiederglielo ora. Ho deciso, andiamo a
trovarlo!” esclamò Ellen raggiante.
“Adesso?” esclamò Eragon.
“Si, perché no?”. E, prima che il
ragazzo potesse obbiettare, Ellen lo prese per un braccio e
cominciò a trascinarlo lungo tutto l’accampamento,
fino all’uscita. Camminarono fino al luogo dove Murtagh e il
Ra’zac erano accampati, ma non li trovarono.
“Forse si sono spostati, per non lasciare il segno del loro
passaggio” disse Eragon. Cercarono un altro po’ in
giro, ma poi si diedero per vinti e tornarono alla tenda.
Ellen non riusciva a capacitarsi di come Murtagh fosse ad un tratto
sparito, e volle riprendere le ricerche. I giorni passavano, ma di
Murtagh non c’era traccia. L’ansia
cominciò a insidiarsi nel cuore e nella mente di Ellen: non
avrebbe potuto sopportare di perdere Murtagh ancora una volta. Inoltre
poteva essergli successo qualcosa.
Ad una settimana dalla sua scomparsa Saphira si offrì di
accompagnare Ellen a cercarlo, anche se in realtà non
nutriva grandi speranze di trovarlo. Così faremo
più in fretta, disse però alla ragazza.
Stavano volando da circa un’ora, quando
all’improvviso Saphira avvistò un puntolino che si
muoveva veloce a terra. Lo osservò meglio e calò
su di lui. Ellen! Lo
abbiamo trovato!
Dove?!
Eccolo
lì!
Saphira scese a terra, sollevando una grossa nuvola di polvere. Ellen,
senza vedere niente, scese dal suo dorso squamoso e corse verso la
figura che aveva riconosciuto come Murtagh.
“Murtagh!” esclamò sorridendo. Il
ragazzo trasalì, e la guardò sospettoso.
“Murtagh sono io” disse Ellen continuando ad andare
a passo sicuro verso di lui e con ancora il sorriso stampato sul volto.
Per tutta risposta lui si portò lentamente la mano al fianco
ed estrasse la spada dal fodero. “Murtagh cosa
fai?” chiese Ellen, il sorriso ormai svanito dal viso.
“Sono ordini di Galbatorix” disse il ragazzo in un
sussurro appena udibile. “Prendi la spada Ellen, non posso
farne a meno”.
Saphira ringhiò forte e cercò di contattare
Eragon. Eragon! Vieni
subito! Ellen è in pericolo!
Che cosa?
Dove? Chiese il ragazzo che, anche se era lontano dalla
dragonessa, poteva sentirla bene nella sua mente. Saphira gli
inviò un’immagine mentale del luogo dove si
trovavano. Eragon, che in quel momento era in riunione con Nasuada e
gli altri regnanti, di avvicinò al capo dei Varden. Le
sussurrò qualcosa all’orecchio e Nasuada
ascoltò attentamente, poi annuì e disse:
“Il Cavaliere Eragon dovrebbe assentarsi un momento.
Vai” disse agitando una mano elegantemente. Il ragazzo
annuì e uscì dalla tenda. Appena fu fuori prese
il primo cavallo che gli capitò affianco, gridando al
proprietario, un giovane dall’aria burbera: “Te lo
riporto subito!”. Non sentì nemmeno che cosa gli
rispondeva, era già al galoppo verso il posto indicatogli di
Saphira.
Ci mise circa dieci minuti ad arrivare e, quando scorse Saphira che gli
veniva incontro, chiese: Che
cos’è successo?
C’è Murtagh! Galbatorix gli ha ordinato di
uccidere Ellen!
Che cosa?,
esclamò incredulo il ragazzo. Smontò da cavallo e
corse verso i due duellanti. “Murtagh!”
esclamò quando lo vide.
Il ragazzo si fermò qualche secondo, ma Ellen non
osò attaccarlo. Per tutta la durata della battaglia si era
tenuta sulla difensiva, senza attaccare mai né prendere
l’iniziativa. Questo l’aveva portata a subire una
profonda ferita al fianco, che sanguinava copiosamente e
l’aveva fatta diventare pallida come un cencio. Il viso di
Murtagh non esprimeva nulla, se non rabbia. Era come se non si fossero
mai incontrati. In realtà il ragazzo aveva voglia di
piangere, ma non riusciva a fare nemmeno quello. Ogni colpo inferto ad
Ellen era per lui una pena inimmaginabile, come se lo avessero
pugnalato al cuore conto volte per ogni colpo.
“Eragon” disse Murtagh con l’ombra di un
sorriso folle in volto. Il Cavaliere avanzò verso Ellen e si
mise fra i due duellanti, scostando la ragazza che, nel frattempo, si
era portata una mano alla ferita e, quando l’aveva ritratta,
l’aveva trovata piena di sangue scuro e denso. “Non
ti spostare” disse Murtagh con lo sguardo triste, rivolto ad
Eragon. Poi, con una velocità che sorprese tutti,
scansò Eragon e prese Ellen per la gola. I due si
ritrovarono a terra, Murtagh troneggiava su Ellen, lei si divincolava
sotto di lui osservandolo senza quasi capire che cosa succedeva. Era
assurdo! La ragazza emise un rantolo sordo e cercò
disperatamente di scostare la mano del ragazzo, riempiendola di sangue
appiccicaticcio.
“Mur-tagh” riuscì a dire rantolando.
Al culmine della frustrazione, al ragazzo sfuggì una
lacrima: “Uccidimi” disse ad Ellen, mentre
stringeva la presa sul suo collo. La ragazza prese una manciata di
terra e la gettò sugli occhi del ragazzo, che si
portò le mani al volto con un grido e
indietreggiò, sollevando una manciata di terriccio rosso.
“Saphira porta via Ellen!” gridò Eragon.
La dragonessa annuì e si caricò la ragazza sul
dorso. Ellen, che ancora tossiva, si aggrappò forte al collo
squamoso della dragonessa, che partì alla volta
dell’accampamento.
Come stai?,
chiese dopo qualche minuto Saphira.
In che senso?
Hai ragione,
domanda stupida.
In cuor suo Saphira era molto dispiaciuta per quello che stava
accadendo alla ragazza. L’aveva conosciuta molto bene durante
il viaggio che avevano intrapreso per arrivare fino a lì, ma
gli piaceva pensare che fosse abbastanza forte da poter superare ogni
cosa. In un certo senso, era l’unica umana che ammirava
davvero per il suo forte carattere. Pensando a tutto quello che avevano
passato da quando si era unita a loro a Saphira venne da pensare che,
l’unica cosa che quel viaggio aveva portato ad Ellen, era
solo un mucchio di guai.
Ma forse,
pensò fra sé e sé, lei avrebbe preferito venire con
noi e passare tutti questi guai, al posto di non incontrare Murtagh.
Anche io vorrei avere la sua fortuna, pensò
Saphira facendo un grosso sospiro.
Oddeo! Scrivere questo capitolo
è stato facile, anche se è un capitolo un po'
triste e pieno di cose nuove. L'idea di Murtagh che è
costretto ad uccidere Ellen mi balenava in testa già dalla
prima parte della storia, e anche se realizzarla è stato un
po' triste l'ho fatto lo stesso, più avanti si
capirà il perchè (nel prossimo capitolo mi pare,
quindi non dovrete aspettare molto XD). Mi scuso con tutti coloro che
seguono per il ritardo con cui ho postato, il fatto è che
è appena ri-iniziata la scuola e ho avuto molto da fare.
Grazie a KissyKikka per la sua recensione! Quanti complimenti che mi
fai (me arroscisce!). Spero che questo seguito sia abbastanza
interessante! Dimmi che ne pensi ^^
E voi altri, seguite il suo esempio u_u XD
A presto,
Patty.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** La botola ***
Capitolo quattro: La botola
Due
settimane dopo si tenne il matrimonio di Katrina e Roran, vi
parteciparono Eragon ed Ellen, così come Arya e Nasuada,
assieme ovviamente a tutti gli abitanti di Cahrvahall. La cerimonia non
durò più di un’ora, ma i festeggiamenti
che iniziarono subito dopo andarono avanti fino al mattino!
“Eragon! Bevi questo!” esclamò Ellen.
Arya si chiese come facevano quei due ad essere così calmi
dopo tutto ciò che era accaduto. Sorrise nel guardarli, e si
chiese se non fosse il caso di tranquillizzarsi anche lei. Non le era
ben chiaro come, ma Ellen aveva preso l’ordine di Galbatorix
meglio del previsto, o forse cercava solo di non pensarci. Ed Eragon?
Aveva appena avuto la notizia di chi fosse il suo vero padre, e anche
se a volte lo vedeva corrucciato o di malumore, cercava di essere
sempre positivo. Però si poteva dire che, almeno sul fronte
delle battaglie, le cose andavano bene. Infatti avevano appena
sconfitto una truppa di soldati inviati da Galbatorix, e
all’accampamento tutti festeggiavano la vittoria, avvenuta
proprio pochi giorni prima.
“Arya, ti va di ballare?”. Eragon comparve nella
sua visuale all’improvviso e le porse galantemente la mano,
sorridendo.
“Oh. No, è meglio di no” disse lei
scuotendo la testa e agitando la mano. “Potrei benissimo
ferire qualcuno”.
Eragon rise di gusto. “Andiamo! Non puoi restare tutto il
tempo qua seduta, siamo ad una festa” le ricordò
Eragon.
Arya sospirò e si guardò attorno. “E va
bene” disse infine prendendo la mano del suo cavaliere. Per
l’occasione Arya aveva indossato un vestito che una gentile
signora di Cahrvahall aveva cucito apposta per lei, ed era molto
graziosa. Assieme ad Eragon non si limitò ad un ballo solo,
ma erano già al terzo quando Ellen li indicò a
Saphira, nel bel mezzo della pista da ballo.
Si divertono
eh?, chiese la ragazza.
Ho visto,
disse la dragonessa sbuffando una risata. Questa sera il mio piccolo fa
conquiste.
Chiamarlo il
tuo piccolo ormai sta diventando riduttivo,
osservò Ellen. Dovresti
chiamarlo il tuo piccolo grande uomo, o il tuo piccolo …
gigante. Da quando siamo tornati da Ellesmera non fa che crescere come
un drago neonato.
E’
vero. Però in confronto a me è sempre minuscolo.
Ellen rise e mangiucchiò un altro po’ di dolce.
Pensò che probabilmente sarebbe molto piaciuto a Murtagh, ma
scacciò subito quel pensiero e si concentrò sulla
festa.
“Ciao Ellen” disse Nasuada sedendosi affianco a lei
e osservando gli altri ballare.
“Ciao. Come va?”.
“Tutto bene. Questo matrimonio è capitato proprio
al momento perfetto, l’umore delle truppe non potrebbe essere
più alto”.
“Sempre a pensare alle tue truppe!” la
sgridò Ellen, “Piuttosto pensa a divertirti. Ecco,
che mi dici di quello lì? Sta guardando te!” disse
la ragazza indicando un uomo dall’altra parte
dell’improvvisata pista da ballo.
“Non lo indicare” le disse Nasuada tirandole
giù il braccio. “Quello invece sta guardando
te” disse rivolgendo lo sguardo ad un vecchietto dalla barba
bianca.
“Nasuada! Ma è vecchio!”.
La ragazza scoppiò a ridere, rivelando la dentatura
cristallina che spiccava in mezzo alla sua carnagione scura.
“Scherzavo!” disse poi quando si fu ripresa ed ebbe
bevuto del vino.
“Comunque non potrei ballare nemmeno volendolo. Questa qui
non è ancora guarita” disse indicandosi la ferita
al ventre causata da Murtagh, che ancora non era guarita del tutto
nonostante le cure di Angela e dei migliori medici di Nasuada messi a
sua disposizione.
In quel momento Re Orrin, che era stato gentilmente invitato alla
celebrazione, si avvicinò alle due ragazze. “Mi
scusi, potrei rubarle la sua amica per un ballo?” chiese
tendendo una mano a Nasuada.
“Oh, la mia amica sarà felicissima di ballare con
voi!” esclamò Ellen guardando la sovrana dei
Varden. Lei sorrise e si allontanò assieme a Re Orrin.
Quell’uomo, per quanto i suoi modi fossero rigidi e per
quanto a volte fosse impacciato, le era molto simpatico. Tanto per
cominciare era un sovrano giusto e gentile, e pensava prima di tutto ai
suoi sudditi. Era, di certo, molto strano sotto alcuni aspetti, ma
proprio per questo non mancava mai di stupire Nasuada.
Mentre ballavano Nasuada inciampò su qualcosa e, quando
guardò meglio, si rese conto che era un bambino di circa
undici anni. “Ah, Solembum! Scusami tanto”
esclamò stupita.
“Mi perdoni lei Principessa Nasuada se vi ho disturbati. Re
Orrin” disse a mo’ di saluto facendo un piccolo
inchino. Corse via e intravide Ellen seduta ad un tavolo con affianco
Saphira. Le raggiunse velocemente e si sedette sul tavolo, proprio di
fronte ad Ellen.
“Ciao” disse alla ragazza.
“Ciao. Sei Solembum vero?” chiese Ellen.
“Esatto. E tu sei Ellen”.
“Infatti” rispose la ragazza.
“Vedo che il consiglio che ho dato ad Eragon riguardo a te
non è servito per nulla”.
“Quale consiglio?” chiese Ellen rivolta al
ragazzino, che sorrise mostrando i canini leggermente appuntiti. Poi,
siccome non otteneva risposta si voltò verso Saphira.
“Di che consiglio sta parlando?”.
“Quando incontrai Eragon per la prima volta gli dissi queste
parole, riguardo a te: quando le sue scelte saranno guidate dal cuore
dovrai fermarla, perché rischierà di mettersi in
pericolo da sola. Ma non è servito a nulla dato che tu hai
seguito Murtagh lo stesso, e ora Galbatorix gli ha ordinato di
eliminarti. Nessuno si accorge mai di quando i fatti delle previsioni
si avverano” concluse Solembum scrollando la spalle e
guardandosi attorno, il viso furbo da bambino particolarmente arzillo.
“Ma forse se qualcuno me lo avesse detto a
quest’ora sarebbe tutto risolto” disse Ellen
rivolgendo a Saphira uno sguardo accusatorio.
“Di sicuro avrà avuto i suoi buoni
motivi” affermò convinto Solembum.
Visto?,
chiese Saphira con voce melliflua, sbuffando una nuvoletta di fumo.
Restarono a parlare loro tre fino a che tutti se ne andarono. Formavano
uno strano gruppo e la gente si fermava spesso e volentieri a
guardarli: il bambino con i denti a punta, la mezz’elfa e la
dragonessa blu.
Alla fine la stanchezza e la troppa birra ebbero la meglio, ed Ellen si
avviò alla tenda che condivideva con Arya esibendosi in un
grosso sbadiglio, mentre Solembum, ritrasformatosi in gatto, e Saphira,
si allontanavano chiacchierando. Arrivata alla tenda Ellen si
addormentò non appena ebbe posato la testa sul cuscino; un
leggero sorriso dipinto sul volto, una piccola lacrima in fondo
all’anima.
Un grido svegliò Ellen di soprassalto e la fece alzare.
Velocemente si fiondò fuori dalla sua tenda.
C’erano persone che gridavano e soldati che correvano da
tutte le parti. Fermò il primo uomo che vide e chiese:
“Che cosa succede?”.
“Ci hanno attaccati all’improvviso. Le donne e i
bambini stanno partendo alla volta del Surda” rispose subito
il soldato.
Ellen imprecò e rientrò nella tenda, si stava
mettendo l’armatura quando qualcuno entrò nella
tenda. “Che cosa fai?” chiese Arya con sguardo di
disapprovazione.
“Arrivo! Arrivo subito!” esclamò Ellen
leggermente nel panico, stringendo i lacci degli stivali e balzellando
per mantenere l’equilibrio su una gamba sola.
“No, no. Tu te ne vai con gli altri” disse Arya
prendendo le sue cose e mettendole in una borsa velocemente.
“Cosa?” chiese Ellen interdetta, raddrizzandosi.
“Sei ferita. Non puoi combattere. Finché non
guarirai del tutto ho detto a Katrina di prendersi cura di te, anche
lei partirà per il Surda” disse Arya chiudendo
seccamente la borsa e porgendogliela.
“Ma …”. Ellen avrebbe tanto voluto dire
di poter combattere, ma lo sapeva benissimo anche lei che non era vero.
La ferita era ancora aperta e se avesse combattuto non avrebbe fatto
altro che farla sanguinare di nuovo.
“D’accordo” disse infine. Non le pareva
il caso di restare lì a discutere, quindi filò
via, prese il suo cavallo Dimitri e si mise a cercare Katrina fra la
folla.
Quando la individuò, assieme raggiunsero il soldato che
avrebbe condotto gli anziani, i feriti più gravi, le donne e
i bambini fino ad un luogo sicuro da dove avrebbero poi potuto
procedere da soli fino al Surda. In capo a un quarto d’ora
erano fuori pericolo, e cominciarono la lenta marcia fino alle regioni
del sud.
La lunga carovana camminò per giorni interi senza mai
fermarsi se non per dormire e mangiare, ed arrivarono al Surda in una
settimana circa.
Furono accolti dalla popolazione al meglio, e si insediarono vicino al
confine della capitale. Gli abitanti del Surda erano molto curiosi di
ricevere notizie riguardo la guerra e come andava il fronte. Molti
chiesero dove fossero i loro parenti, ma quasi nessuno ricordava volti
e nomi di tutti i guerrieri che ogni giorno si vedevano
all’accampamento.
Nel giro di tre settimane tutti si erano insediati bene nel Surda, i
più fortunati avevano trovato un lavoro e alcuni trattavano
addirittura per l’acquisto di una casa. Ellen si era
completamente ripresa e l’unica cosa che restava della sua
ferita era una cicatrice che partiva dall’ombelico e,
parallelamente al terreno, andava verso sinistra. Non le faceva
più male e non le impediva alcun movimento, era solo strana
da guardare. Nodosa e più bianca del resto del ventre, ogni
volta che capitava Ellen aveva preso l’abitudine di passarci
sopra un dito, era diventato un vizio.
“Katrina, sto per ripartire” disse Ellen una sera a
cena.
“Vuoi che ti prepari qualcosa da portarti per il
viaggio?” chiese lei con tono distaccato.
“Solo se ti va di metterti a cucinare” disse Ellen
con un sorriso.
“Non c’è problema”.
Per un po’ Katrina aveva sperato, ma senza farsi troppe
illusioni, che Ellen sarebbe rimasta lì con lei. Nella sua
mente ogni volta si diceva che Ellen di sicuro sarebbe ripartita da un
momento all’altro, ma il suo cuore voleva troppo fortemente
che lei restasse, così quando la ragazza le
annunciò la sua imminente partenza non se ne
stupì, ma vi rimase molto male.
Il giorno dopo Ellen salutò Katrina e gli altri abitanti di
Cahrvahall che aveva conosciuto e, balzando in groppa a Dimitri,
cominciò a galoppare verso le Pianure Ardenti. In pochi
giorni fu in vista dell’accampamento.
Fece fermare Dimitri e osservò le tende messe in file
ordinate. Rimase lì almeno un quarto d’ora a
rimuginare su quello che stava per fare, ma alla fine decise.
“Vai Dimitri. Vai bello!” disse muovendo le redini
e dando dei calcetti ai fianchi del cavallo, che subito
ripartì. Aggirò l’accampamento e
proseguì lungo la strada, diretta ad Uru’baen.
“Mi scusi, vorrei affittare una stanza”
esordì Ellen una volta entrata nella locanda, coperta da un
mantello con cappuccio che lasciava intravedere solo il suo viso.
“Per quanto tempo?” chiese l’uomo dietro
al bancone pulendo un grosso boccale e masticando qualcosa che sembrava
tabacco.
“Una settimana”.
L’oste le mostrò la stanza ed Ellen
pagò anticipatamente tre giorni, poi mise le sue cose al
sicuro, premurandosi di tenere con sé la spada e il denaro.
Prese un elastico e si legò i capelli, poi si mise una
parrucca di stopposi capelli lunghi e biondi, indossò uno
dei suoi migliori vestiti e delle scarpe non proprio adatte a
camminare. Ecco,
pensò guardandosi allo specchio, non potrei essere più
diversa dal solito di così. Speriamo che nessuno mi riconosca.
Ormai era pomeriggio inoltrato, ma decise di uscire lo stesso. Si
recò subito al castello di Galbatorix, ma non vi
gettò più uno sguardo, girando attorno alle alte
mura. Dopo quel superficiale esame tornò alla locanda.
I giorni presero ad assumere un andamento regolare: Ellen si alzava, si
travestiva per quanto le fosse possibile, andava a trovare Dimitri alla
scuderia e poi raggiungeva il castello. Girellava un po’
lì attorno senza farsi notare dalle guardie.
Aveva trovato tre possibili entrate: una consisteva semplicemente nello
scalare il cancello in ferro battuto e poi cercare una porta dalla
quale entrare, ma era fin troppo rischioso; un’altra entrata
era una porticina che usavano i soldati per entrare e uscire dal
castello, ma probabilmente al di là della porta brulicava di
guardie, così quella era esclusa. L’ultima
entrata, che poteva benissimo soddisfare i criteri ricercati da Ellen,
era in realtà una botola che si apriva a diversi isolati dal
castello, e che Murtagh le aveva mostrato quando era stata con lui
nella capitale. La botola era un passaggio che permetteva al Re di
uscire da palazzo senza essere notato in caso di rivolta cittadina.
L’unico problema era che Ellen non sapeva dove sbucasse, ma
era il metodo più sicuro per entrare nel castello.
La sera del quarto giorno Ellen si vestì con i suoi soliti
abiti, comodi e pronti per l’azione, e si addentrò
fra le vie della capitale. Quel pomeriggio aveva comprato da un fabbro
diversi attrezzi, siccome l’apertura della botola doveva
essere forzata, ed era chiusa da una spessa catena in ferro che si
poteva aprire solo dall’interno.
Ellen, raggiunta la via, si chinò sulla botola, quasi
invisibile agli occhi di chi passava, e prese ad armeggiare con quelle
specie di grosse cesoie che il fabbro gli aveva venduto. Per venti
minuti buoni, aiutata dalla magia, sudò su quelle catene, e
alla fine riuscì a spezzarle. Aprì la botola e
accese la torcia che aveva portato con sé. Dentro si
vedevano degli scalini che sparivano nel buio. Ellen si
guardò attorno un’ultima volta e si
addentrò nel buio della galleria, chiudendo la botola sopra
di sé.
Dentro lo stretto tunnel c’era odore di muffa e umido, e le
pareti erano ricoperte da uno spesso strato di fanghiglia che
gocciolava a terra, e della muffa verdastra si arrampicava lungo le
pareti. Ellen avanzò e man mano che andava avanti il clima
nello stretto anfratto si faceva più secco, la muffa spariva
e il fango si seccava e rimaneva attaccato alle pareti e al soffitto.
Ancora qualche minuto di cammino ed Ellen trovò delle scale
a chioccola. Le salì, guardando verso l’alto, e
sembravano non finire mai quando, ad un tratto, picchiò la
testa contro qualcosa di duro. Ellen alzò la torcia e vide
una seconda porticina sul soffitto.
Ellen la spinse delicatamente verso l’alto e quella si
aprì senza fare resistenza. Era nello studio di Galbatorix,
lo riconobbe dalla scrivania e dall’immensa libreria.
Ellen spense la lampada e la lasciò dentro il tunnel. Certo,
poteva benissimo farsi luce con la magia, ma questo voleva dire
sprecare energie, quindi aveva deciso di portare con sé la
torcia il più a lungo possibile. Un sottile raggio di luna
entrava da una finestrella in alto e illuminava vagamente la stanza.
Ellen avanzò fino alla porta e posò un orecchia
sul legno, ma al di là non sentì nulla.
Speriamo bene.
Forzò la serratura con la magia e aprì piano la
porta. Aveva indovinato: nel corridoio non c’era nessuno.
Fece mente locale per ricordarsi dove si trovasse la stanza che stava
cercando, e si diresse verso il lato sud dell’edificio. I
corridoi e le sale erano oppresse da un silenzio irreale, tanto che
quando sentì lo squittio di un topo Ellen
sobbalzò e maledisse l’animale, imprecando
sottovoce. Il cuore le batteva fortissimo, e ad ogni angolo pensava di
trovare un soldato pronto a denunciare la sua intromissione dentro al
castello.
Finalmente raggiunse la torre che stava cercando ma,
all’inizio delle scale a chiocciola, vi era un guardia che le
dava le spalle. C’era troppo silenzio nel castello, non
poteva battersi con lui senza svegliare tutti quanti, così
fece rifluire la magia nelle mani e le puntò verso
l’uomo, sussurrando un’antica parola.
Il soldato si accasciò all’istante, ed Ellen
accorse subito a sorreggerlo, impedendo che quello facesse troppo
rumore nella caduta con l’armatura. Cercando di essere il
più silenziosa possibile trascinò il soldato in
un angolo buio e lo lasciò lì, morto.
Ellen salì le scale che portavano alla torre in tutta fretta
e raggiunse la porta che stava cercando. Cercò di aprirla
con la magia, ma non ci riuscì, provò con i
metodi tradizionali, ma fallì di nuovo. Imprecando fra
sé e sé tornò di corsa
all’ufficio di Galbatorix e si mise a cercare dappertutto:
nella scrivania, fra i libri e le mensole, cercò addirittura
uno scomparto segreto che sapeva esserci da qualche parte. Niente!
Aveva cercato per quasi mezz’ora e alla fine, scoraggiata, si
buttò sulla poltrona e si mise le mani fra i capelli.
Ma dove
può averla messa? Ne abbiamo parlato per così
tanto quando ero alla corte! Mi ha anche portata alla stanza, ma da
dove diamine ha preso la chiave?, Ellen cercò,
ancora una volta, di ricordare la scena.
Galbatorix aveva voluto mostrarle l’ultimo uovo di drago
rimasto in Alagesia, che si trovava in cima alla torre sud del
castello. Quando vi aveva portato Ellen e Murtagh non era andato nello
studio a prenderla, ma aveva staccato un grosso mazzo di chiavi dalla
cintura. Significava per caso che lo teneva sempre con sé?
Doveva entrare di straforo negli alloggi del re per poter ottenere
quella chiave?!
Ellen si alzò e lasciò l’ufficio,
diretta alla stanza di Galbatorix, che più che una stanza
sola, pareva un’intera casa! Quando si trovò di
fronte la porta di legno lavorato e arricchita con placche di metallo
ricoperto d’oro ebbe un groppo alla gola. Si chinò
per sbirciare attraverso il buco della serratura e intravide,
nell’oscurità, il lavabo e i piedi del grosso
letto a baldacchino a forma di zampe di leone. Ancora una volta Ellen
forzò la serratura ed entrò. Vide Galbatorix
disteso a letto girato verso il lato opposto della stanza. Ellen aveva
paura addirittura che il suo cuore battesse troppo forte, e potesse in
qualche modo tradirla.
Avanzò lentamente lungo la stanza buia e si
avvicinò al comò. Aprì qualche
cassetto silenziosamente e frugò fra le cose del re, con un
occhio sempre a scrutare la figura dello stesso addormentato al suo
fianco. Se si fosse svegliato …
Alla fine, dopo innumerevoli balzi al cuore per dei semplici movimenti
che Galbatorix compiva nel sonno, Ellen trovò quello che
cercava. Vide il mazzo di chiavi e, senza nemmeno stare a cercare
quella giusta, lo prese tutto e scappò dalla stanza. Si
chiuse lentamente la porta alle spalle e prese a correre, il
più silenziosamente possibile, lontano da Galbatorix. In
quel momento ogni luogo andava bene, purché fosse lontano da
lui.
Raggiunse in breve tempo la porta in cima alla torre e la
aprì. Esultò piano quando sentì la
serratura scattare, e spinse la pesante porta di legno entico.
All’interno vi era solo un piccolo altare in marmo e, sopra
di esso, scintillava l’uovo di drago. Era di un colore verde
acido, in contrasto con tutto il resto della stanza grigia e pallida.
In confronto alla pietra, l’uovo sembrava sprizzare vita da
ogni liscio centimetro della sua superficie. Ellen, velocemente, lo
prese, con una certa reverenza, e lo infilò nella grossa
borsa di cuoio che si era portata dietro apposta per quello scopo.
Con l’impressione di essersi tolta un peso scese in fretta le
scale. Ad un tratto si ritrovò di fronte un giovane soldato
dagli occhi azzurro ghiaccio. Quello la guardò con
l’aria talmente spaurita che Ellen, senza riflettere, lo
spinse da parte e riprese a scendere, saltando tre gradini alla volta.
“Hey!” esclamò quello voltandosi e
inseguendola. Ellen imprecò e, una volta scese tutte le
scale, estrasse la spada e si girò verso di lui. Nel
frattempo il soldato sembrava aver ritrovato un poco di coraggio e
l’affrontò. In poche mosse lo uccise, ma il
clangore delle spade stava attirando altre guardie. Ellen sentiva i
loro passi provenire dal fondo del corridoio, così
iniziò a correre verso lo studio del re. I passi dei soldati
si avvicinavano sempre di più. Ad un tratto si
voltò e vide una decina di uomini correre dietro di lei
lungo il corridoio. Ellen si fermò e, voltandosi, fece
rifluire l’energia nelle mani.
I soldati sentirono solo che la ragazza gridava qualcosa e una
terribile onda, come energia pura, trasparente e veloce come
l’aria, venne scagliata contro di loro, e quelli vennero
gettati con forza contro il muro, investiti da
quell’entità sconosciuta. Alcuni svennero, altri
rimasero solamente storditi. Ellen sentì che molte delle sue
forze venivano meno, e si affrettò a raggiungere lo studio,
chiudendosi la porta alle spalle. Velocemente,
s’intrufolò nella botola e fece tutta la strada
all’indietro.
Una volta fuori nella notte, tornò alla locanda dove
alloggiava e prese le sue cose, mettendole nella stessa borsa dove si
trovava l’uovo di drago. Stava per andare a prendere Dimitri
quando venne fermata da un’ombra scura. La ragazza
guardò meglio, poi esclamò, al culmine della
disperazione: “Murtagh!”.
“Ciao Ellen” rispose lui laconico, come se quella
situazione non avesse nulla strano. La ragazza non aveva alcuna voglia
di combattere, era stata sciocca, e aveva usato gran parte delle sue
energie per respingere i soldati, e ora sentiva di non aveva
forze a sufficienza per battersi. Contro Murtagh, poi! Un avversario
molto valido.
Ellen si strinse la borsa al corpo e incominciò a correre.
Sentì Murtagh imprecare dietro di lei e seguirla. Ellen
entrò in vie sconosciute, e pregò che non gli
capitasse un vicolo cieco. Correva da forse dieci minuti, le gambe
avevano cominciato a farsi pesanti e il respiro le mancava, ma dietro
di lei Murtagh non accennava a rallentare, anzi Ellen sospettava che
non stesse nemmeno correndo troppo veloce per le sue
capacità. Entrò in una piccola via totalmente
buia e, quando passò affianco ad una traversa, fece solo in
tempo a vedere una mano bianca spuntare dal buio e afferrarla per la
spalla. Si era agitata talmente tanto che non era riuscita a vedere chi
l’avesse fermata, ma delle mani nervose la fecero sedere
dietro ad alcuni grossi sacchi di farina che si trovavano nel cortile
retrostante ad un mulino.
Rimase in silenzio mentre il suo salvatore tornava alla sua postazione
iniziale. Sentì qualcuno arrivare, poi la voce concitata di
Murtagh che chiedeva: “Hai visto qualcuno passare di
qui?”.
“Si, una ragazza. E’ andata di
là” rispose la voce di un giovane uomo. Passarono
alcuni secondi, poi una figura scura venne a prendere Ellen, porgendole
una mano. La ragazza la prese e seguì lo straniero lungo una
via lì vicino. Lui era del tutto coperto da un mantello con
cappuccio, quindi Ellen non riuscì a scorgere nulla del suo
viso. Il giovane le indicò il retro di un carro e lei vi
salì.
“Ma il mio cavallo. Il cavallo …”
tentò di dire la ragazza.
“Dove si trova?” chiese lo straniero.
“Alla locanda Del Re,
è l’unico cavallo” rispose prontamente
Ellen. Lo straniero si voltò e sparì di nuovo.
Ellen si guardò attorno, si trovava in mezzo a diversi
sacchi, alcuni dei quali mandavano uno strano odore. Si
sistemò sul fondo del carro e cercò di coprirsi
ad occhi estranei con i sacchi.
Lì, al buio, con la borsa contenente l’uovo di
drago stretta al petto, si ripromise di aspettare il ritorno del
gentile straniero che l’aveva salvata, di riprendersi
Dimitri, e di filare via dalla capitale. Purtroppo, neanche dieci
minuti dopo essersi fatta quella promessa, si addormentò.
Tegrish sbirciò dentro il carro e vide la ragazza
addormentata. Sospirò e andò verso il cavallo. Lo
legò al carro assieme alla sua purosangue Stella, che era
sprecata per tirare il carro anche se, occasionalmente, faceva anche da
cavalcatura. Legò i due animali vicini e, siccome Dimitri
era agitato, cercò di calmarlo. “Buono, buono. Fra
un po’ la tua padrona si sveglia”. Provò
a dare da bere al cavallo e dopo un po’ quello si
calmò, limitandosi a guardarsi attorno con aria intelligente
e un po’ ansiosa.
Tegrish salì sul carro e prese le redini, guidando i due
animali fino alle porte di Uru’baen. Una volta lì
e dopo aver pagato un alto pedaggio, uscì
nell’aperta campagna e si diresse lentamente verso sud.
Wow che fatica. Questo capitolo
è stato complicato da scrivere. Per dovere devo proprio
dirvi che l'idea del tunnel sotterraneo non è un'idea mia,
ma è un tunnel che c'era fra due edifici a Firenze.
Comunque, so che non v'interessa (l'unica lesa a cui interessano queste
cose sono io -.-'' XD). Piuttsto festeggiamo il recupero dell'uovo!
Yee! *prende una bottigia di champagne e brinda sul naso di Saphira*
KissyKikka: grazie mille per la recensione! ^^ Per vedere Murtagh
libero dovremmo aspettare un po' in realtà, mi dispiace. Ma
con questo capitolo spero di aver aperto altre prospettive ai lettori e
averli incuriositi sul futuro di questa storia. Tu che ne dici? Ci sono
riuscita? Ancora molte grazie ^^ un bacio <3
Al prossimo capitolo, prodi lettori!
Patty.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Lo straniero gentile ***
Capitolo cinque: Lo straniero
gentile
La
mattina dopo Ellen venne svegliata dal lento e ritmico dondolare del
carro. Sollevandosi si rese conto di aver male in tutto il corpo: la
posizione che aveva usato per dormire era tutt’altro che
comoda. Si mise seduta e si sporse in avanti, verso la figura che
guidava il carro.
Ellen si schiarì la voce e il ragazzo sussultò,
voltandosi verso di lei. “Oh scusa, non volevo
spaventarti” disse Ellen.
“Non importa” disse il ragazzo sistemandosi sulla
testa un cappello nero malconcio e accennando un sorriso.
“Puoi venire davanti se vuoi” disse lui spostandosi
verso sinistra per farle spazio.
“Grazie” disse Ellen arrampicandosi e sedendosi
affianco a lui. Una volta sistemata osservò meglio il
ragazzo.
Non poteva avere più di quindici anni, era piuttosto
mingherlino, aveva un colorito pallido e i capelli biondi un
po’ mossi, lasciati abbastanza lunghi perché i
riccioli si scuotessero al minimo movimento della sua testa. I suoi
occhi erano verde chiaro e sulle labbra aveva ancora quel leggero
sorriso, mentre guardava la strada sterrata di fronte a sé.
“Io sono Ellen” esordì la ragazza
porgendogli la mano.
“Tegrish” disse lui stringendola.
“Bene” sussurrò Ellen. Non sapeva bene
come dirlo, ma alla fine prese parola: “Grazie per ieri. Mi
sei stato di grande aiuto”.
“Solo di aiuto?” chiese lui.
“Hm … ok, se non ci fossi stato tu probabilmente a
quest’ora sarei di fronte a Galbatorix in persona”.
“Allora devi aver fatto qualcosa di molto grave”
asserì Tegrish scoccandole un’occhiata, sempre con
quel sorriso enigmatico che sembrava giudicare con ironia eppure allo
stesso tempo era estremamente sincero.
“Infatti …” disse Ellen guardando
altrove. I due continuarono a viaggiare rimanendo in silenzio per un
po’. “Dove stai andando?” chiese poi la
ragazza.
“In giro. Sono un mago” rispose Tegrish in risposta
all’occhiata interrogativa di Ellen. “Per ora ci
stiamo dirigendo verso sud e, alla prossima città, ci
fermeremo. Da lì se vorrai potrai proseguire da sola, ma io
non ho nulla in contrario a viaggiare in compagnia”.
“D’accordo. Io sono diretta alle Pianure
Ardenti,” Ellen esitò, non sapeva se poteva dire a
quello sconosciuto, per quanto sembrasse inoffensivo e
l’avesse salvata, che lei era una ribelle, ma per fortuna lui
sembrava già al corrente di molte cose.
“Ah le Pianure! Fai per caso parte dell’esercito
del Varden?”.
“Si”.
“Magari potrei fare un salto anch’io a vedere come
vanno le cose laggiù. Ci saranno parecchi feriti da
curare” osservò Tegrish.
“Sei un medico?” chiese curiosa Ellen.
“Si, viaggio un po’ dappertutto e uso la magia e le
erbe per curare chi non si può permettere un dottore. Di
solito sono sempre gentili con me, perché in cambio non
chiedo molto denaro. Oppure chiedo cibo per me o per Stella”
disse indicando il cavallo.
In poche ore raggiunsero un piccolo villaggio di cui Ellen non sapeva
nemmeno l’esistenza. Tegrish cominciò a passare
per le vie e si fermò ad un piazza, poi prese ad esporre
diverse merci, fra cui boccette di liquido denso e maleodorante, pomate
e altre cose del genere. Alcune persone arrivarono a chiedere cosa
vendeva e lui s’intrattenne gentilmente con tutti. Ellen, nel
frattempo, si guardava attorno incuriosita, pensando di dare
un’occhiata al villaggio.
Stava proprio andando a dire a Tegrish che andava a fare un giro,
quando videro un uomo correre verso di loro. Si fermò
davanti a Tegrish e riprese fiato rumorosamente poi, con ancora il
fiatone, chiese: “Lei è un dottore?”.
“Certo” rispose subito Tegrish allarmato.
“Mia figlia …” l’uomo non
riusciva a parlare, “mia figlia è malata. La
stanno portando qui. La prego, deve fare qualcosa” lo
supplicò.
“Che cos’ha?” chiese Tegrish osservando
l’uomo.
“E’ da una settimana che ha la febbre altissima, e
la tosse, e delle ferite lungo tutto il corpo!”
esclamò l’uomo.
Ellen vide, in fondo alla strada, arrivare degli uomini. Uno di loro
portava in braccio una bambina di circa nove anni, e dietro di lui una
donna con occhi rossi e gonfi di pianto li seguiva. Tegrish corse sul
retro del carro, ormai sgombro dalla merce, e vi stese una coperta.
“Portatela qui!” esclamò rivolto agli
uomini. Quelli eseguirono ed Ellen, quando Tegrish fu chino ad
esaminare il corpo febbricitante delle bambina, si avvicinò
a lui. Scoprendogli le gambe Tegrish vide che aveva diverse piaghe
violacee, alcune delle quali sanguinavano.
“Che cos’ha?” chiese con voce angosciata
la madre della bambina.
“Non lo so. Non ho mai visto nulla del genere”
mormorò Tegrish osservando la bambina con occhio esperto.
“Le ferite si possono curare con la magia” disse
improvvisamente Ellen. Tegrish la guardò stupefatto.
“Posso farlo io” propose la ragazza.
“Ma anche se le ferite venissero curate, la malattia
rimarrebbe. Dobbiamo capire da dove viene” disse Tegrish
riprendendosi dallo stupore. Controllò più volte
la bambina, chiese i sintomi della malattia e che cosa, secondo i
genitori, l’avrebbe causata. Alla fine giunse alla
conclusione: “Dev’essere a causa di
un’infezione a qualche organo interno, ma non saprei dire
quale, probabilmnte ha mangiato qualcosa di strano”.
Alla fine decise di provare a guarirla con la magia e posò
le mani sul ventre della bambina. Tegrish si concentrò e
cominciò a guarirla, ma sentiva che la malattia era troppo
per lui, e se non si fosse fermato avrebbe prosciugato tutte le sue
energie. Ellen si accorse dello sguardo sempre più
sofferente del ragazzo, e delle goccioline di sudore sulla fronte che
erano cominciate a spuntare sulla sua fronte.
“Ti aiuto” disse la ragazza posando i palmi delle
mani affianco a quelle di Tegrish. Assieme presero a curare la bambina
e, dopo almeno mezz’ora, durante la quale tutti e due si
stancarono, tolsero le mani e Tegrish assicurò ai genitori
che in pochi giorni la febbre sarebbe passata. Poi diede loro delle
pomate per curare le ferite della figlia e li congedò.
“Grazie mille” disse subito l’uomo.
“Non saprei come sdebitarmi; non siamo una famiglia molto
ricca, ma le offrirò anche tutto il denaro che ho per
ripagarvi”.
“Non potremmo mai togliervi tutto il vostro denaro”
disse Tegrish riprendendo il consueto, leggero sorriso e asciugandosi
la fronte con un fazzoletto. “Ma forse potremmo avere un
po’ d’acqua e di cibo per noi e i
cavalli”.
“Ma certo! Tutto quello che volete!”
esclamò l’uomo raggiante.
“Mi farebbe piacere se veniste a pranzo da noi”
disse la moglie, una signora bassa e pienotta dal viso gentile. Tegrish
ed Ellen si guardarono e lui accettò l’invito.
Quel pomeriggio restarono a pranzo dalla famiglia della bambina che
avevano guarito, poi il padre insistette per rifornirli di provviste.
Il risultato fu che lasciarono il villaggio pieni di riso, carne sotto
sale e una grossa borraccia piena di vino.
Quella sera si fermarono lungo la strada e, dopo aver cenato, Tegrish
disse: “Non sapevo che potessi usare la magia. Sei un mago
anche tu?”.
“Più o meno. Mia madre è di razza
elfica, quindi ho ereditato i suoi poteri, ma non sono ancora
così esperta come la maggior parte degli altri
elfi”.
“Wow. Questo spiega molte cose”.
“Stavo pensando …” disse Ellen
esprimendo in quel momento un pensiero che da tanto la tormentava,
“tu devi sapere molte cose sulla magia”.
“Detto da un’elfa questo sì che
è un complimento” disse Tegrish ridendo.
“Una mezza elfa” precisò Ellen.
“Mezza” acconsentì il ragazzo.
“Comunque … se in un duello io volessi usare la
magia, ucciderei subito il mio avversario, non è
così?”.
“E’ vero. Nei duelli magici non si tratta di forza,
ma di quanta energia sei disposto a perdere e con quanta
velocità sferri il tuo attacco. Però molto spesso
gli stregoni, o coloro che possono usare la magia, si proteggono con
diversi incantesimi. Il pericolo che puoi correre è che gli
incantesimi di protezione ti risucchino troppa energia, e tu non riesca
più a combattere”.
“Quindi non molte persone li usano” disse Ellen.
“Si possono usare se hai dell’energia di riserva.
Ad esempio, l’energia si può conservare in una
pietra preziosa, o cose del genere. I Cavalieri dei draghi mettevano la
loro energia nella pietra che di solito si trovava incastonata
nell’elsa della spada”.
“Davvero?” chiese stupita Ellen.
Tegrish annuì. “T’interessi di
duelli?”.
“In verità pensavo che, se fossi stata coinvolta
in un duello contro un mago, non avrei saputo cosa fare se lui avesse
usato la magia”.
“Credi che ti voglia attaccare?” chiese Tegrish con
una risata cristallina.
“No,” rispose Ellen ridendo a sua volta,
“ero solo curiosa”.
“Dipende che incantesimi il tuo avversario ha usato per
proteggersi. Di solito sono sempre gli stessi, in realtà,
quindi ti converrebbe usare, per attaccarlo, incantesimi non troppo
comune nelle battaglie. Incantesimi che non si aspetta di ricevere,
talmente piccoli che alla lunga danno fastidio e feriscono
l’avversario, ma che nessuno prende seriamente in
considerazione”.
“Sai un sacco di cose anche tu sui duelli”
osservò Ellen.
“Anche mio padre era un mago. Prima viaggiavo assieme a lui,
era lui quello più interessato alle battaglie fra tutti e
due. Mi ha insegnato a combattere con la magia e con le armi, diceva
che prima o poi sarebbe stato utile, ma fin’ora per fortuna
non mi è servito”.
“E ora dov’è tuo padre?”
chiese Ellen, ma si pentì subito di quella domanda. In tempo
di guerra, poteva benissimo ipotizzare che al padre di Tegrish fosse
successo qualcosa di spiacevole. Stupida!,
si disse.
E infatti il ragazzo abbassò la testa, e quel sorriso che
sembrava portare dappertutto si spense. “E’ stato
catturato dall’Impero. Non so dove sia ora. A Galbatorix non
piace che ci sia qualcuno che aiuta la gente povera e, soprattutto, i
ribelli. Mio padre adorava i Varden, appena poteva andava da loro per
dare una mano, ma l’anno scorso è stato catturato
da un reggimento di soldati, perché considerato alla pari
dei nemici dell’Impero”.
“Mi dispiace …” disse Ellen a voce
bassa. Rimasero in silenzio per un po’, poi Tegrish si
alzò e si diresse al carro, tirando fuori due coperte.
“E’ ora di dormire, domani dobbiamo svegliarci
presto. Se non incontriamo un altro villaggio forse in poco tempo
arriveremo alle Pianure Ardenti. Se sei di fretta vai pure, ma io
preferisco fermarmi, è il mio lavoro dopotutto”.
“No, ti accompagno” disse Ellen prendendo la
coperta che il ragazzo le porgeva. Si diedero la buonanotte ed entrambi
si addormentarono all’istante, dando l’uno le
spalle all’altro.
Si fermarono in un altro villaggio una settimana dopo e, la settimana
dopo ancora, giunsero in vista dell’accampamento.
“Mi è appena venuta in mente una cosa”
disse Ellen vedendo le tende allineate in file ordinate.
“Che cosa?” chiese Tegrish guidando il carro.
“Qui all’accampamento c’è una
persona che forse ti farebbe piacere conoscere”.
“Davvero? Chi?” chiese il ragazzo estremamente
curioso.
“E’ un’erborista. Aiuta i Varden sia con
la spada che con i suoi rimedi strampalati” disse Ellen
sorridendo. “Si chiama Angela, e con lei
c’è anche un gatto mannaro di nome
Solembum”.
“Aveva per caso un negozio una volta?” chiese
Tegrish.
“Si”.
“Allora so di chi stai parlando!”
esclamò il ragazzo. “Tutti conoscono Angela. Se
non di persona, almeno per fama. Tra i maghi, le fattucchiere, i
negormanti e gli erboristi è quella che, di sicuro, gode di
più prestigio. Io non l’ho mai conosciuta, ma ne
ho sentito spesso parlare. Dicono che sia abbastanza avanti con
l’età, ma che non lo dimostri per nulla.
E’ così?”.
“E’ proprio così”
assicurò Ellen.
Quando arrivarono all’accampamento incontrarono diverse
persone che Ellen conosceva di vista, poi la ragazza cercò
di contattare Saphira. Saphira
sono Ellen, sono guarita e sono tornata.
Ellen! Che
bello! Ti senti bene?
Molto, e ho
bisogno del tuo aiuto e di quello di Eragon. Dovete avvisare Nasuada e
tutti i capi dell’accampamento, ho una cosa importante da
dirvi. Saphira sentì l’eccitazione
trasparire da Ellen. Anche se non la poteva vedere,
l’avvertiva nei suoi pensieri.
Che
cos’è successo? Dai raccontami.
Sarà una sorpresa per tutti, soprattutto per te!
Così non fai altro che incuriosirmi ancora di
più! Dai dimmi che cosa c’è! Non vorrai
incontrare l’ira del drago, per caso?
No, certo che
no! Potresti incenerirmi in un solo istante!,
esclamò Ellen con finta preoccupazione.
Dopo mezz’ora Ellen aveva portato Tegrish alla sua tenda e
tutti e due avevano liberato il rispettivo cavallo per portarlo alla
scuderia. Così, Tegrish annunciò:
“Credo che andrò in giro a vedere se
c’è bisogno di me da qualche parte. E non si sa
mai, potrei anche incontrare la famigerata Angela”.
“Può darsi. Ci vediamo in giro Tegrish, sono lieta
di averti conosciuto” disse Ellen.
“Anche per me è stato un onore” rispose
il ragazzino stringendole la mano che la ragazza porgeva. Ellen lo
guardò allontanarsi, i ricci biondi che si muovevano al
ritmo del suo passo. Si riscosse e andò verso la tenda di
Nasuada. Dentro c’erano già Orik, il capo degli
Urgali Nar Garzvogh, Arya, Eragon e Saphira, il cui muso spuntava
dentro la tenda. Ellen salutò tutti e rivolse anche un
saluto gentile ma tirato al Kull.
“Ci stai tenendo tutti sulle spine Ellen.”
osservò Orik, “Cos’è che vuoi
dirci?”.
“Ve lo dirò quando arriverà anche
Nasuada. Non vorrei dover ripetere la storia” disse lei
raggiante. “Ma per stimolare la vostra curiosità
vi dirò che questo segnerà una svolta per i
Varden e tutti i ribelli di Alagaesia!”.
In pochi minuti, scortati da alcune guardie, Nasuada e Orrin arrivarono
alla tenda. “Scusateci il ritardo” disse subito re
Orrin. “Io e Nasuada discutevamo su alcune questioni
politiche”. I due si sedettero, e allora lo sguardo di tutti
si rivolse verso Ellen, che teneva stretta a sé la sua borsa
di cuoio dove si trovava l’uovo.
Prese un grosso respiro ed incominciò: “Dopo
essere guarita nel Surda, grazie anche agli abitanti, che sono stati
molto gentili con noi” disse rivolgendo uno sguardo ad Orrin,
che ricambiò con un cenno del capo, “stavo per
tornare all’accampamento ma poi mi sono recata a
Uru’baen. Lì, grazie a diverse informazioni che
avevo ricevuto quando alloggiavo … alla corte, sono riuscita
ad entrare di nascosto nel castello, e ho preso …”
Ellen mise le mani nella borsa ed estrasse il luccicante uovo verde,
“questo” concluse posandolo sul tavolo.
Saphira, i grossi occhi spalancati e il collo rigido,
sbuffò, e una fiammata di considerevoli dimensioni
andò quasi a colpire Orrin, che si ritrasse spaventato. Nel
frattempo gli altri osservavano l’uovo con il fiato sospeso,
e solo dopo un po’ Orik si arrischiò a dire:
“B’è … non è stata
una storia lunga”. Eragon si voltò verso di lui
stupito e, lentamente, si mise a ridere. In poco tempo tutti, nella
piccola tenda, incominciarono prima a sorridere debolmente, poi a
lasciarsi andare a grossi sorrisi e a complimentarsi con Ellen,
picchiandole grosse manate sulla schiena.
“Però è stato davvero
rischioso” disse Arya ad un tratto. “Dovevi
avvisarci”.
“Ma se lo avessi fatto mi avreste di sicuro
fermata!” esclamò Ellen.
“Dobbiamo subito mandare un messaggio a Ellesmera!”.
“Dobbiamo trovare un altro cavaliere”
osservò Eragon.
“Anche tra i Varden forse c’è qualcuno
che vorrebbe tentare la fortuna con l’uovo” disse
Orik.
“Ma come facciamo a capire chi sarà?”
chiese Ellen.
“Di solito, quando si cercava un pretendente”
cominciò Arya, “si faceva toccare l’uovo
per un po’ ad ogni persona che volesse provarci, e
l’uovo sceglieva quando aprirsi al prescelto”.
“Allora faremo così.” disse Nasuada.
“Vorrei scrivere una lettera a Islanzadi, naturalmente
dovrà essere controfirmata da te Arya, resta qui. Gli altri
verranno chiamati quando dovremo annunciare ai Verden, agli abitanti
del Surda che si sono uniti a noi, alle truppe di Nar Garzvogh e ai
nani che ci hanno gentilmente raggiunto, che abbiamo un altro uovo di
drago dalla nostra parte. Da domani metteremo l’uovo nella
mia tenda e, chi vorrà, potrà venire a toccarlo,
per scoprire chi sarà il prescelto. Se nessuno
nell’accampamento risulterà idoneo, invieremo
qualcuno che lo trasporti fino ad Ellesmera”.
Dopo che Nasuada ebbe scritto una lettera dai toni ufficiosi a
Islanzadi, assieme ad Eragon e a Orrin annunciò
l’arrivo dell’uovo fra le truppe, e tutti
esultarono.
Il giorno dopo l’uovo venne messo in un palchetto nella tenda
di Nasuada, e una lunga fila di pretendenti, che si snodava
nell’accampamento per metri e metri, si formò in
poco tempo accompagnata da un capanello di curiosi.
Pochi giorni dopo Ellen stava girando nell’accampamento
assieme ad Eragon, quando vide Tegrish. “Hei!
Tegrish!” lo chiamò. Il ragazzo si
voltò e non appena la vide le corse incontro sorridendo come
suo solito. Sembra costantemente di buon umore, e questo sembrava dare
alla gente che aveva attorno lo stesso stato d’animo.
“Ciao Ellen. Allora era l’uovo che hai trasportato
per tutto il tempo mentre eri con me?” chiese non appena li
raggiunse.
“Esatto”.
“Mi sono sempre chiesto cosa c’era nella tua borsa.
Non la lasciavi neanche un minuto. Ah, salve, io sono
Tegrish” disse poi rivolgendosi ad Eragon e porgendogli la
mano tesa.
“Eragon” rispose il ragazzo stringendola.
“Tegrish mi ha aiutata quando ero nella capitale, ed
è stato talmente gentile da portarmi fino a qui”.
I tre presero a camminare in giro per l’accampamento ma ad un
tratto passarono di fronte ad una tenda dove videro un giovane che
stava cercando di aggiustare la ruota di un carro, ma non riusciva a
sollevarlo a sufficienza per togliere la ruota rovinata.
“Aspetta! Ti aiuto” disse Tegrish correndo verso di
lui. Assieme i due sollevarono il carro e Tegrish riuscì a
levare la ruota danneggiata, così venne poi rimontata quella
nuova.
“Grazie” disse il giovane soldato rivolto a
Tegrish. Quest’ultimo si congedò e
tornò da Ellen ed Eragon.
“Scusate” disse non appena fu di ritorno. I tre
rimasero un po’ di tempo a parlare finché non
vennero raggiunti da Nar Garzvogh. Lui salutò cortesemente
Eragon e gli altri due, poi si rivolse ad Ellen.
“Lady Furianera vuole vederti, e anche voi Cavaliere.
Riguarda l’uovo di drago”.
“Si è schiuso?” chiese Ellen.
“No, è proprio di questo che Nasuada vorrebbe
parlare. Vi accompagno”.
Ellen guardò Tegrish, poi disse alzando le spalle:
“Non credo che ci sia nulla di male se vieni anche
tu” e così dicendo lo trascinò fino
alla tenda. Una volta arrivati trovarono Nasuada che contemplava
intensamente l’uovo verde. Quando li vide arrivare
alzò lo sguardo.
“Questo uovo è più selettivo di quanto
pensassi. Ellen, voglio che tu parta con l’uovo per Ellesmera
immediatamente, tu sei la figlia di Islanzadi, per questo vorrei che
andassi. Però questa volta Eragon non potrà
seguirti subito, anche se è l’ideale che venga
anche lui”.
“Perché io non posso?” chiese Eragon.
“Non vorrei che le truppe si allarmassero vedendoti partire
con l’uovo, così prepareremo bene la tua partenza,
ma ci vorranno un paio di giorni. Io però voglio che
l’uovo parta subito. Ellen … avrei mandato anche
Arya, ma credo che alla regina farà piacere rivederti, e non
possiamo privarci di troppi uomini validi” concluse Nasuada
incrociando le braccia.
“Certo” disse Ellen. “Quando
partirò?”.
“Non appena troverai qualcuno che ti accompagni. Se ti
lasciassi andare da sola forse Islanzadi se ne avrebbe a male. Gli elfi
a volte sono così scuttebili” disse rivolgendo lo
sguardo preoccupato altrove, pensando ad altro.
Passarono pochi secondi di silenzio, poi: “Posso
accompagnarti io” disse timidamente una voce.
Tutti si voltarono verso Tegrish e, dopo averlo esaminato per bene,
Nasuada disse: “Allora partirai ora. Qualcuno prepari delle
provviste per il viaggio! Vi consiglierei di costeggiare la Grande
Dorsale, ma sarebbe troppo lungo come viaggio, quindi vi
rifornirò d’acqua a sufficienza perché
possiate passare il Deserto e andare direttamente ad Ellesmera. Ormai i
messaggeri sono tornati, e gli elfi aspettano che l’uovo, o
il nuovo Cavaliere, li raggiunga”.
“Non abbiamo bisogno d’acqua.” disse
subito Ellen, “Possiamo procurarcela con la magia. Anche
Tegrish è un mago” aggiunse poi in risposta allo
sguardo di Nasuada, che esprimeva insicurezza.
“Benissimo, sarà un peso in meno per i vostri
cavalli. Arriverete più velocemente” disse dopo
una piccola pausa. “Partirete non appena sarà
tutto pronto. Fate il più presto possibile, mi raccomando.
Mai come adesso abbiamo bisogno che quell’uovo si
schiuda”.
E così partirono, appena mezz’ora dopo. Ellen
trasportava l’uovo nella solita borsa di cuoio, ne sentiva il
peso come non mai prima di allora.
Ed eccomi qua con un altro
capitolo! Un po' lunghetto, ma spero di non avervi annoiato. ^^
B'è, che dire? Mi piace un sacco Tegrish, inventarlo
è stata una delle cose più facili che mi siano
mai venute. Se esitesse sarebbe la persona più buona del
mondo! Che caruccio! <3
Comunque, KissyKikka, grazie per la recensione! ^^ Spero che anche
questo capitolo ti sia piaciuto, sono contenta di esser stata capace di
rendere la suspance del momento! Al prossimo capitolo, baci <3
E voi altri lettori silenziosi, ditemi un po' cosa ne pensate di
Tegrish! Ma si capisce che mi piace un sacco come personaggio? (Nooo!
Figurati, NdTutti) Mhuahahah! Scusate -.-
B'è, al prossimo capitolo, recensite mi raccomando! u_u Fate
i bravi, e andate a dormire presto, e ricordatevi di mangiare sano.
Okay, adesso vado che sto proprio fuori. XD
Patty.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Il nuovo cavaliere ***
Capitolo sei: Il nuovo Cavaliere
Da
quando era arrivata una lettera che annunciava il ritrovamento
dell’uovo tutti gli elfi erano in tripudio. Avevano iniziato
i festeggiamenti, che andarono avanti per diverso tempo. Dopo circa una
settimana la regina mandò qualcuno a cercare gli ospiti che
sarebbero arrivati con l’uovo. Non credeva che tra i Varden
ci fosse una persona adatta a diventare Cavaliere, non le era nemmeno
passato per la testa, così si limitava a pensare che presto
un giovane di razza elfica avrebbe riportato onore al suo popolo.
Ancora una volta andarono Narì e Lifaen. Dopo una ricerca
durata circa tre giorni individuarono due persone nella foresta. Videro
che avanzavano a piedi, nonostante avessero dei cavalli, ma erano
capitati in un punto talmente fitto di alberi e di radici e cespugli
che dovevano guidare le bestie a piedi.
Sul volto di Lifaen si dipinse un leggero sorriso e si avviò
elegantemente verso Ellen e il suo compagno di viaggio. Quando furono
vicini vide che la ragazza aguzzava lo sguardo, ma non riusciva ad
individuarlo, così la chiamò con voce flautata:
“Ellen, sei arrivata finalmente”.
La ragazza si voltò verso di lui e, scorgendolo, gli
sorrise. Lifaen fece il gesto di saluto elfico e anche Tegrish, cui
Ellen aveva insegnato come ci si doveva comportare, salutò
con molta educazione Narì e Lifaen.
“Tutti i nuovi arrivati nella Du Waldenvarden sono molto
educati” disse Narì rivolto a Tegrish.
Assieme andarono verso Ellesmera e, in capo a due giorni, arrivarono.
Gli elfi li accolsero con una gioia che solo loro erano capaci di dare.
Cantavano e ridevano di continuo e Islanzadi volle vedere subito
l’uovo. Ellen lo consegnò alla madre di persona e
si liberò così di quello che le sembrava un peso.
Le era infatti parso, per tutto il tempo che lo aveva tenuto, in
costante pericolo, e cederlo a qualcun altro con il quale sapeva
sarebbe stato più al sicuro, la fece sentire sollevata.
Il giorno stesso del loro arrivo Oromis decise di portare
l’uovo nella sua casa, dove gli elfi che lo desideravano
avrebbero potuto proporsi al piccolo drago, che aspettava pazientemente.
Passarono un paio di giorni, e gli elfi che andavano a trovare Oromis
erano sempre più numerosi, ma Ellen si rese conto che non
erano impazienti come i Varden: ogni elfo si prendeva tutto il tempo
che riteneva necessario per proporsi all’uovo,
così trascorsero alcuni giorni senza che nemmeno un quarto
degli elfi di Ellesmera si fosse proposta.
Ellen passava la maggior parte del suo tempo assieme a Tegrish, e lo
sfruttava anche per evitare Lifaen, che cercava sempre di avvicinarsi a
lei. Un giorno, purtroppo, Tegrish era sparito dalla vista di Ellen,
così, mentre la ragazza lo cercava,
s’imbatté proprio nell’elfo che voleva
più di tutti evitare.
“Ellen” lo salutò quello non appena la
vide andandole incontro a grandi falcate.
“Ciao” disse lei un tantino nervosa.
“Come stai?”.
“Potrei stare meglio, se solo una certa persona la smettesse
di scappare da me” disse guardandola serio.
“Scusa” disse lei abbassando lo sguardo.
“Ti va di andare a fare un giro?” chiese poi.
“Si” rispose Lifaen incrociando le mani dietro la
schiena e cominciando a camminare. I due presero a passeggiare in mezzo
ad Ellesmera, lasciandosi presto alle spalle le case degli elfi ed
entrando nella foresta. Lifaen aspettò pazientemente che
Ellen parlasse, e alla fine lei cedette.
“Ascolta … dopo essere tornati dai Varden, durante
la battaglia delle Pianure Ardenti … ho incontrato
Murtagh” disse la ragazza torcendosi le mani. Lifaen chiuse
gli occhi e sospirò.
“Sapevo che non lo avevi dimenticato, ma speravo che con il
tempo le cose cambiassero. Immagino che la sua ricomparsa cambi molte
cose” mormorò l’elfo. Ellen
bisbigliò qualcosa che lui non riuscì a sentire,
guardandosi i piedi. “Non è mica colpa
tua” disse Lifaen riacquistando il sorriso.
“Mi dispiace” disse Ellen piano.
“Su …”. Lifaen le alzò il
mento con la punta delle dita. “E’ meglio che torni
dalla regina, credo che voglia tenerti con sé giorno e notte
durante la tua permanenza qui” le disse.
Ellen sorrise, felice che l’elfo fosse così di
buon’umore nonostante quello che fosse successo.
“Si, vado” disse. Lo abbracciò e corse
via, facendo un ultimo saluto con la mano.
Quando se ne fu andata Lifaen riprese a camminare lentamente. Non si
sentiva in quello stato da anni, era una sorta di tristezza che gli
comprimeva un punto imprecisato all’altezza del petto,
così forte che sembrava volesse fargli scoppiare il cuore.
Era un’angoscia che sapeva non lo avrebbe abbandonato per
molto tempo.
Inizialmente aveva cercato di accettare le parole di Ellen senza
reagire, ma in cuor suo riteneva quasi impossibile che Murtagh fosse
ritornato. Continuava a chiedersi come potesse essere accaduto. E,
soprattutto, perché? Perché aveva deciso di
ricomparire proprio in quel momento?
Sciocco di un Murtagh!,
pensò in preda alla furia.
Lifaen continuava a camminare, ma improvvisamente sentì che
non gli bastava più. Prese a correre con uno scatto che
felino che solo lui, fra i più veloci elfi, poteva avere.
Corse e s’immerse fra gli alberi, sentendo di far parte di
quella natura selvatica, che sentiva così vicina eppure
così distante da lui. In un crescendo di sensazioni
sgradevoli Lifaen prese ad arrampicarsi furiosamente su un albero,
saltando, aggrappandosi alla corteccia, tenendosi ad un ramo,
arrivò fino a dove poteva spingersi.
Alzò lo sguardo al cielo e vide un drago, del blu
più puro che avesse mai visto, volare in direzione della
città.
Dall’alto anche Saphira lo vide, e anche se non aveva
intenzione di interferire con i sentimenti dell’elfo, sentii
un tornado di sensazioni contrastanti provenire da lui, che come un
punto lontano nella foresta la osservava impotente e distrutto. Saphira
lo osservò per qualche secondo, poi, leggermente
dispiaciuta, tornò a guardare avanti.
Che cosa
c’è?, chiese Eragon.
Nulla,
rispose Saphira. Contrasse i muscoli e diede un’altra forte
spinta con le ali, che li portò più vicini ad
Ellesmera.
“Quanti fino ad ora?” chiese Eragon rivolto ad
Oromis.
“Un centinaio” rispose tranquillo il maestro seduto
sul bordo di una piccola laguna.
“Che cosa? Così pochi?”
esclamò Eragon. “Sono passati dei
giorni!”.
“Eragon non ti scaldare, non c’è bisogno
che gridi” disse Ellen stizzita, sdraiata sulla pancia.
Lei, Eragon e Tegrish erano andati da Oromis a chiedergli come andava
con l’uovo, ma non erano rimasti particolarmente colpiti
dalla velocità con cui gli elfi prendevano la cosa. Una
giovane elfa se n’era appena andata, ringraziando Oromis per
l’onore ricevuto e salutando cortesemente gli altri tre.
“Ok, hai ragione. Però potremmo sveltire le cose,
abbiamo assolutamente bisogno che quell’uovo scelga qualcuno.
E poi anche se si schiuderà ci vorranno comunque dei mesi
perché il Cavaliere e il drago siano sufficientemente
pronti” disse Eragon.
“Quindi pochi giorni in più o in meno non
cambieranno la situazione” disse Oromis. Eragon
sospirò e si arrese: non avrebbe mai vinto contro le ragioni
di Oromis. Sapeva essere così paziente!
E’
inutile parlare con lui, disse a Saphira, che stava
svolazzando sopra di loro e seguiva la discussione con una parte della
mente.
Devo dire che
ha ragione. Rilassati Eragon, l’uovo sa chi deve scegliere.
Se fai così comunque non risolvi nulla, disse
la dragonessa sentendo il vento passarle fra le ali.
“Io vado a prendere altro dolce, qualcuno ne
vuole?” disse Tegrish alzandosi.
“Io!” esclamò Ellen subito alzando un
braccio, e fece per alzarsi.
“Non ti preoccupare, faccio io” disse il ragazzo
entrando nella capanna di Oromis, dove si trovava l’uovo.
“Ah, Ellen, come va adesso che sei qui? Le tue forze sono
ancora in aumento?” chiese Oromis alla ragazza. Lei infatti
gli aveva raccontato quello strano fatto, e sorprese Oromis ad
osservarla mentre combatteva più d’una volta.
“Si, direi di si. Più della volta
scorsa!” disse lei compiaciuta.
“Ah si?” chiese Oromis interessato. “E
come te ne sei accorta?”.
“Riesco a vincere molti più duelli”
disse Ellen ridendo. “E’
un’unità di misura forse un po’
variabile, ma la volta scorsa che sono venuta non riuscivo a vincere
quasi mai contro voi veri elfi”.
“Ellen” disse l’elfo dopo qualche minuto
di silenzio picchiettandosi l’indice sulle labbra,
“che cosa ne diresti se facessimo diventare le tue
capacità permanenti?”.
“Sul serio?” chiese la ragazza. Oromis
annuì. “Ma si! Certo! E poi diventerei come
Eragon?” chiese incerta guardando l’amico.
“Che c’è? Non ti piaccio?”
chiese lui con un sorriso sornione.
Ellen lo guardò male ma continuò a parlare:
“Insomma, diventerei più simile ad un
elfo?”.
“Probabilmente si” disse Oromis.
“Possiamo fare una specie di rituale come abbiamo fatto per
lui.” disse indicando Eragon, “Ma le gemelle
tatuate non danzano se non durante l’Agaetì
Bloodhren, quindi me ne occuperò io”.
In quel momento una voce insicura proveniente dalla capanna disse:
“Eragon? Potresti venire un attimo?”.
“Aspetta un minuto Tegrish!” urlò di
rimando Eragon facendo un gesto vago verso l’abitazione,
“Ma Ellen è la figlia di Islanzadi.”
protestò poi, “Non potrebbero fare uno strappo
alla regola?”.
“Sono certa che Oromis saprà bene cosa
fare” disse Ellen pensierosa.
“Ovviamente Ellen è solo se lo vuoi. Se non ti va
non se ne farà nulla” disse Oromis.
“Eragon!” chiamò ancora la voce di
Tegrish, un po’ più insistente.
“Arrivo, aspetta un attimo!” lo rimbeccò
ancora Eragon. “Ma Ellen, dovresti farlo. Che
t’importa di somigliare più o meno ad un
elfo?”.
“No, è che …”.
All’improvviso sentirono una cosa simile ad una piccola
esplosione provenire dalla capanna di Oromis. Si guardarono tutti e tre
e poi corsero verso la casa. Eragon aprì la porta come una
furia. Dentro c’era Tegrish, il volto una maschera di
stupore, accasciato a terra con la mano destra alzata, stranamente
luccicante, che guardava fisso sul tavolo. E lì, in mezzo ai
rimasugli di quello che era stato l’uovo, c’era un
piccolo drago verde chiaro che gracchiava e osservava il suo cavaliere
con occhi attenti.
Tutti rimasero sulla porta, troppo sorpresi per riuscire a dire
alcunché, finché Oromis non prese parola:
“Volevi il tuo Drago, no? Spero che ora tu sia
soddisfatto” disse l’elfo rivolgendosi ad Eragon
con un sorriso compiaciuto sul volto.
“Ma è così strano” disse
Tegrish osservando ancora una volta Gylda, la sua dragonessa,
svolazzare di qua e di là attorno a Saphira. Entrambe si
guardavano con curiosità, Saphira perché aveva
visto pochissimi esponenti della sua razza, Gylda invece
perché era ancora un cucciolo. Non erano passate che poche
settimane infatti, dalla schiusa dell’uovo.
Gli elfi erano rimasti molto sorpresi, per non dire delusi, che il
nuovo Cavaliere fosse un altro giovane uomo. Anche lo stesso Tegrish
era rimasto stupito, e non sapeva davvero che cosa pensare. Continuava
a dire che era una fatto strano, incredibile, e andava a fare lunghe
passeggiate in mezzo alla foresta assieme a Gylda, quando non era
impegnato con gli allenamenti.
Si allenava assieme a Eragon, a Oromis e a Ellen, che aveva deciso, nel
frattempo, che avrebbe fatto la cerimonia per tornare alle sue vecchie
origini. Quello l’avrebbe resa più forte, vigorosa
e, di certo, molto più simile ad un elfo di quanto avrebbe
mai voluto essere.
“Ma non sei contento?” chiese Ellen.
“Devo ammettere di essere un po’ gelosa. Non sai
cosa darei per essere scelta da un drago anche io! Il legame Eragon
divide con Saphira e tu con Gylda è meraviglioso”.
“Si il legame con Gylda è …
insuperabile direi. Ma dall’essere Cavaliere derivano troppe
responsabilità. Se fossi vissuto in un epoca senza guerre ne
sarei stato felicissimo. Ma io non sono fatto per le battaglie, e cose
simili. Odio le guerre e la violenza, e l’unica cosa che
voglio fare è … aiutare la gente,
credo”.
“Basta fare il benefattore.” disse Ellen alzandosi
e mettendo mano alla spada, “Se davvero vuoi la pace allora
contribuisci a crearla” disse con sguardo serio.
“Comincia ad allenarti, e vedrai …”.
“… e vedrai che fra qualche anno comparirai nelle
leggende” completò il ragazzo roteando gli occhi
al cielo con un sospiro, alzandosi a sua volta. Era una specie di
filastrocca che Ellen recitava ogni tanto, e che era diventata per
Tegrish l’inizio di lunghe ore di studio o di duelli
sfiancanti.
“Vedo che impari in fretta” commentò
Ellen compiaciuta.
I due si misero in posizione al centro della radura abitata da Oromis,
mentre l’elfo ed Eragon parlavano a bassa voce seduti a terra
poco lontano da loro. Tegrish usava un’arma alquanto
singolare, che non aveva voluto abbandonare per una spada. Era una
specie di corto bastone nodoso e ricurvo, ma estremamente potente, che
non si spezzava nemmeno con un colpo di spada. Ad una
estremità del bastone vi era una lama ritorta, che Tegrish
riusciva ad utilizzare con maestria. Sfruttava le dimensione ridotte
del bastone, e il peso ovviamente minore di quello di una spada di puro
metallo. Molto spesso usava l’altra estremità del
bastone per colpire non il nemico che aveva di fronte, ma quello che
gli stava dietro, o affianco. Usava anche ruotare in fretta il bastone
con un movimento complicato della mano destra, così
velocemente che quasi spariva.
Ellen e Tegrish si girarono attorno per qualche minuto, osservandosi
con sguardo attento. All’improvviso Tegrish si
scagliò sulla ragazza, muovendo il bastone
dall’alto verso il basso creando un sibilo
nell’aria. Ellen parò prontamente e fece abbassare
il bastone a Tegrish con un movimento della spada. I due tornarono a
fronteggiarsi, più attenti di prima. Questa volta fu Ellen
ad iniziare la lotta, cercando di colpire Tegrish all’altezza
delle caviglie, ma fallì e il ragazzo si scostò
con un salto. Continuarono così diverse volte, il loro
respiro era diventato pesante e i loro movimenti bruciavano i muscoli,
finché Tegrish, vinto dalla stanchezza, non
cominciò ad arretrare di fronte ai colpi di Ellen fino a che
la ragazza non riuscì, dopo averlo disarmato, a sfiorargli
con la punta della spada lo stomaco all’altezza
dell’ombelico.
“E’ sempre questione di resistenza
Tegrish!” esclamò Oromis, che li aveva osservati
per lungo tempo. “Continua ad allenarti così,
lentamente acquisterai più forza e resistenza”.
“In quanto alla tecnica, non credo che sia male”
aggiunse Ellen cercando l’occhiata di approvazione di Oromis,
alla quale l’elfo rispose con un vago sorriso.
Eragon stava accanto ad Oromis con sguardo pensoso. Scambiò
qualche parola con Saphira che Ellen non riuscì a decifrare,
poi si alzò e se ne andò, dicendo che doveva fare
una cosa. Saphira lo seguì silenziosa, sparendo dalla vista.
Oromis si alzò e andò verso Ellen.
“Mancano ormai poche ore alla cerimonia Ellen. Tu sei ancora
sicura di quello che vuoi fare, vero?” chiese il vecchio elfo
posandole una mano sulla spalla. Ellen annuì, più
per dimostrare ad Oromis che era sincera, che per pura convinzione.
“Bene. Torna qui questa notte prima di mezzanotte. Sii
puntuale, mi raccomando”.
“D’accordo”. Così Ellen se ne
andò, lasciando soli Oromis e Tegrish.
L’allenamento del nuovo Cavaliere si stava dimostrando ancora
più veloce di quello di Eragon, ma per fortuna Tegrish
conosceva già abbastanza bene la magia, ed era uno studioso
di natura: gli piaceva leggere, e studiare sembrava per lui qualcosa di
molto piacevole.
Ellen vagò dentro il castello di Islanzadi guardando i
grossi arazzi colorati appesi alle pareti, e vagò incurante
per i corridoi illuminati dalla luce verdastra che filtrava fra gli
alberi. Improvvisamente, girando un angolo, Ellen
s’imbatté in Islanzadi.
“Ellen, figlia mia.” salutò la regina
sorridendo. “Che cosa fai qui? Dovresti riposarti per la
cerimonia”.
La ragazza fece una smorfia. “Già”
borbottò.
“Che c’è? Sei preoccupata? Oromis
è una grande maestro, saprà bene cosa fare. La
sua esperienza è …” cominciò
la regina, ma venne interrotta da Ellen.
“Non è questo” disse velocemente.
“Io mi fido di Oromis, ma ho paura … che il mio
aspetto cambierà troppo. Sarà strano e
…” lasciò la frase in sospeso.
Islanzadi rimase un attimo pensierosa, poi riprese a camminare, facendo
segno ad Ellen di fare altrettanto. “Sai Ellen, io credo che
l’importante sia il motivo per cui lo fai. Se sei certa di
quello che vuoi ottenere da questo rito, allora vai, sicura, e non
rimpiangere quello che ti sei lasciata alle spalle. Oltretutto, non hai
considerato un curioso aspetto del tuo popolo”
osservò la regina sorridendo ad Ellen. La ragazza la
guardò senza capire, così Islanzadi
continuò: “Noi elfi, se lo desideriamo, possiamo
cantare al nostro corpo, per farlo diventare come vogliamo. Alcuni di
noi si trasformano in alberi, o in fiori, anche in animali. Una volta
fatta quella trasformazione potrai farlo anche tu Ellen, ne avrai le
forze. Per questo credo che tu non ti debba assolutamente
preoccupare” concluse con un caldo sorriso sulle labbra, che
Ellen le aveva visto di rado.
“Grazie” disse sorridendo. Disse alcune parole in
elfico e abbracciò Islanzadi, che ricambiò con
trasporto.
Quella sera, mentre Ellen si dirigeva a passo svelto verso la casa di
Oromis, pensò che in fondo Islanzadi non era troppo male.
Forse un po’ fredda in qualche caso, ma le voleva molto bene.
E, anche se aveva capito di essere meno importante del suo popolo agli
occhi della regina, non poteva di certo biasimarla! Non aveva
l’arroganza di credere di essere più importante di
un popolo intero.
Ellen raggiunse il centro della radura, al limitare della quale vide la
casetta di Oromis. Si avviò, sicura, verso la casa e prima
che potesse entrarvi, Oromis uscì dalla porta. La
salutò con un sorriso e le fece per primo il saluto elfico,
che Ellen ricambiò, grata della gentilezza.
“Fra poco sarà mezzanotte” disse
l’elfo cominciando a camminare verso il centro della radura,
“il buio sarà totale e la luna allora
brillerà il più forte possibile. Quando
avverrà, tu devi posizionarti in questo cerchio”.
Oromis si fermò davanti ad un cerchio tracciato a terra con
dei sassi grossi e piatti.
“D’accordo” disse Ellen.
“Ti spiego che cosa succederà. Evocherò
lo spirito della foresta, forse mi ci vorrà un
po’, ma confido di farcela. Tu non devi assolutamente
muoverti, non devi aver paura, non ti succederà
nulla” disse Oromis guardando il cielo.
Ellen nel frattempo aveva la bocca asciutta: non le era mai passato per
la mente che poteva essere una cosa pericolosa, ma quel commento di
Oromis l’aveva messa in agitazione. Poteva succederle
qualcosa dunque?
“Ecco … va’” disse
l’elfo affianco a lei sorridendo calorosamente e dandole una
piccola spintarella come incoraggiamento.
Ellen passò sopra le pietre deglutendo, e cercò
di essere sicura di mettersi esattamente al centro, equidistante da
ogni ciottolo. Oromis si mise di fronte a lei e, lentamente,
iniziò a cantare. Era una melodia dolce, ritmica, che pian
piano diveniva più fluida e alta. Dalla gola
dell’elfo un suono limpido si spanse nell’aria come
il profumo dei fiori d’estate, ed Ellen sentì
distintamente la natura attorno a loro farsi più tesa, come
se stesse aspettando qualcosa. Ellen cercò di concentrarsi e
chiuse gli occhi, espandendo il suo spirito per sentire meglio le forme
di vita che le stavano attorno. Percepì i vari esseri che
popolavano quel tratto di Du Waldenvarden, e sentì molto
bene gli spiriti degli alberi, calmi e lenti, come vecchi saggi.
Sentì che Oromis aveva velocizzato il suo canto, e ora era
diventato un mormorio di parole, talmente veloci che pronunciate tutte
assieme non si potevano distinguere l’una
dall’altra. L’elfo aumentò anche il
volume dell’esecuzione, fino a far diventare quel canto
così melodioso una tremenda sinfonia, che si mescolava alle
urla degli alberi e all’ululare del vento, e al ruggire delle
creature. Ellen sentì una forte energia irradiarsi dalla
foresta per concentrarsi tutta lì, dov’erano loro,
più precisamente dove c’era lei, dentro il cerchio
di pietre.
Sentiva l’energia avanzare sempre di più, e poteva
anche vederla con l’occhio della mente, come una gigantesca
onda luminosa che si avvicinava e sembrava dover spazzare via tutto con
la sua potenza. Poteva essere terribile e distruttiva, ma in
realtà avanzava morbida, lentamente e inesorabilmente verso
Ellen. Forse per questo faceva più paura: non si poteva
fermare ormai. Ogni centimetro guadagnato dall’onda era
inevitabile.
All’improvviso Ellen, avvertendo un cambiamento,
aprì gli occhi di scatto. Di fronte a sé poteva
ancora vedere Oromis, ma tutto attorno a lei c’era come una
cappa trasparente, azzurra e luminosa. Un semicerchio che aleggiava
sulle pietre posate in terra si univa sopra la testa della ragazza.
Oromis alzò ancora la voce ed Ellen percepì
chiaramente la richiesta che aveva fatto all’onda.
Sentì l’energia premerle la mente, ma non voleva
lasciarla entrare. Nel frattempo la cappa azzurra attorno a lei si
andava rimpicciolendo, minacciando di sopraffarla. Ellen si
guardò attorno disperata. Era in trappola!
Cominciò a respirare affannosamente e a guardarsi attorno,
come alla ricerca di una fuga. Ma non c’è
n’era una. La densa onda azzurrognola di energia avanzava
ancora e voleva entrare nella sua mente, premeva gentilmente per dirle
di lasciarla passare. Ellen tentò di calmarsi, si
concentrò.
Aprì la mente e permise all’onda che la circondava
di avere la meglio su di lei.
Nel momento esatto in cui tolse le barriere questa la
soffocò. Ellen sentì mancare il respiro.
Lanciò un’occhiata alla figura di Oromis, che
tuttavia era ancora concentrato nel canto e aveva gli occhi chiusi e le
mani con i palmi rivolti verso la luna. Ellen si sentì come
premuta in mezzo a qualcosa di caldo, di arroventato, ma non le faceva
male. Sentì il suo intero corpo scaldarsi rapidamente sia
all’interno che all’esterno. Sentì le
vene riempirsi di un meraviglioso calore che andava espandendosi lungo
tutto il suo corpo.
All’improvviso la luce azzurra mutò e divenne di
un giallo intenso. Ellen non riusciva più a capire che cosa
stava succedendo, attorno a sé vedeva solo luce accecante.
Si sollevò a qualche piede da terra e l’energia
brillò ancora, più forte che mai. Calda, potente.
Distruttiva. Terribile.
Poi senza preavviso, ogni cosa si spense.
La radura, illuminata a giorno, tornò buia e sembrava ancora
più scura di prima. Ellen venne depositata a terra dalla
luce, tornata di un azzurro pallido. Velocemente Oromis andò
verso di lei, stesa a terra, addormentata.
Si chinò sulla ragazza e sorrise, osservandola attentamente.
Uellà! Eccome qua!
Scusate per il ritardo -.-' ma sapete com'è: la scuola. A
parte tutto, devo dire due cose importanti per quanto riguarda la fic.
Ossia che, primo: Tegrish, come ormai avrete capito, è stato
introdotto solo per fare il terzo Cavaliere. Secondo: mhauhahaha!
Lifaen è rimasto a secco! Sfigato, sfigato! ...okay, ho
finito. E' che Lifaen mi sta antipatico. E ora direte, ma che scema
questa, è lei che lo ha fatto innamorare di Ellen. Eh, lo
so, ma che ci posos fare: sono nata così.
XD
Ora basta, sto uscendo fuori di testa.
B'è, grazie a KissyKikka per la recensione! ^^ Dimmi, quali
erano i tuoi sospetti per il prossimo Cavaliere di drago? Spero di non
averti delusa troppo se le tue aspettative erano altre. A parte questo,
grazie per i complimenti su come descrivo bene Saphira. Sono contenta
di non essere andata OOC, soprattutto con lei, perchè uno
dei miei personaggi preferiti. ^^ B'è, al prossimo capitolo,
un bacio :)
Un grazie a tutti, ho notato che un sacco di gente ha iniziato a
leggere adesso L'Ombra
del Passato. B'è, quando arriverete a questo
punto della storia, voi che avete inziato a leggere ora che sto
postando Battaglia per
il Futuro, sappiate che vi ringrazio già da
oggi: Lunedì
5 Ottobre 2009. Siete già nei miei pensieri! :D
Un saluto a tutti,
Patty.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** L'inizio di un nuovo viaggio ***
Capitolo sette:
L’inizio di un nuovo viaggio
Quando
Eragon seppe della trasformazione di Ellen era già passato
un intero giorno. Infatti lui, grazie all’aiuto
dell’elfa più capace di Ellesmera nel forgiare
spade, aveva appena costruito Brisingr. Quando fu uscito dalla fornace
decise che sarebbe andato subito a far vedere la spada ad Oromis, Ellen
e Tegrish. Nel momento esatto in cui pensò alla ragazza si
ricordò di quello che doveva essere accaduto la notte prima.
Saphira, dove
sei?
A caccia
assieme a Gylda, le sto insegnando, Eragon
sentì un po’ di orgoglio nella parole della
dragonessa. Perché?
B’è, prima di tutto devi venire a vedere Brisingr.
E poi, sai qualcosa di Ellen?, chiese il ragazzo incerto.
Sentì la dragonessa piena di pensieri positivi, e si
tranquillizzò. Allora?
Sta bene.
Sarà al castello, o assieme ad Oromis e Tegrish. Dovresti
andare a trovarla.
E’
molto cambiata?
Un
po’, ma non è così irreparabile. Anzi,
credo che non vorrà neanche ricorrere a qualche altra
mutazione. Non somiglia ad un elfo nemmeno la metà di te. Ci
sono solo alcuni piccoli cambiamenti.
Ma sono lo
stesso curioso … vado.
Eragon si diresse velocemente a casa di Oromis. Quando
arrivò alla radura vide Tegrish intento a fare degli
esercizi e, in un angolo, Ellen che faceva diverse giravolte di cui non
riusciva a capire il senso, mentre Oromis la guardava. Quando lo vide
arrivare, spada in mano Oromis gli sorrise: “Eragon! Come
stai? Vieni a vedere come Ellen mette alla prova le sue nuove
abilità”.
Il ragazzo si avvicinò all’albero sul quale lei si
era arrampicata e guardò verso l’alto. Ellen
saltava agilmente da un ramo all’altro, ma quando lo vide
scese subito giù, saltando ai piedi di Eragon con eleganza.
“Ciao Eragon! Dove sei stato tutto questo tempo?”.
Eragon, mentre la osservava attentamente, tirò fuori
Brisingr dal fodero e gliela porse. “Wow” disse
Ellen prendendola in mano e soppesandola. “Posso?”
chiese poi mentre la prendeva dalla parte dell’elsa. Eragon
annuì mentre la osservava.
Di primo acchito non si vedevano grossi cambiamenti in lei, ma se si
guardava meglio si poteva notare il viso leggermente più
allungato, gli occhi inclinati non erano più grossi come
prima, ma si erano fatti più sottili, anche se di poco. La
corporatura era praticamente la stessa, anche se le dita erano
più affusolate e sembravano anche più delicate di
prima. Ad Eragon scappò un sorriso quando alla ragazza,
mentre faceva lenti movimenti con la spada, si scostò una
ciocca di capelli e lui poté vedere un’improbabile
orecchia a punta spuntare dai capelli corvini.
“Non sei quasi cambiata” le disse.
“Già, hai visto?” disse lei lanciandole
un’occhiata e fermandosi. “Le uniche cose che si
notano di più sono queste” disse toccandosi la
punta delle orecchie e picchiettandovi sopra l’indice.
“E’ bellissima” disse poi restituendogli
Brisingr. “Le hai già dato un nome?”.
“Si. Fuoco, in elfico. Guarda che succede se lo chiamo
così.”, Eragon impugnò l’arma
con due mani e disse, con tono imperioso:
“Brisingr”. La spada sembrò prendere
letteralmente fuoco, arse di fronte a loro finché
Eragon tenne viva la magia. “Secondo te
perché?” chiese poi rivolto ad Oromis.
“Non saprei” disse l’elfo pensieroso.
“E’ possibile che tu abbia scoperto il suo vero
nome”.
“Non sapevo che anche gli oggetti avessero un vero
nome” disse Ellen.
“Tutto ha un vero nome” asserì Eragon.
“Me lo ha detto Brom”.
Oromis s’irrigidì e scambiò una breve
discussione con Glaedr. Lanciò una nervosa occhiata a
Tegrish, ancora concentrato nel suo esercizio, poi si rivolse ai due
ragazzi, che non si erano nemmeno resi conto del suo bizzarro
comportamento. “Ellen, Eragon, vorrei parlarvi in privato di
una cosa importante”.
“Che cosa?” chiese Eragon. Ellen diede una leggera
botta al ragazzo. Lei non conosceva ancora bene Oromis e non aveva con
lui tutta la confidenza che invece aveva il ragazzo, così
cominciò subito a seguire l’elfo dentro casa senza
fiatare, rimproverando con un’occhiata Eragon per incitarlo a
fare altrettanto.
Quanto i tre si furono seduti tutti attorno al tavolo Oromis
cominciò: “Devo parlarvi di Brom.
C’è una cosa che io so, che lui mi ha chiesto di
non rivelare, ma ora mi sento in dovere di farlo, siccome Eragon
è praticamente certo di essere il secondo erede di Morzan,
l’ultimo dei rinnegati”.
Con un angolo della mente Eragon sentì Saphira prestare
maggior attenzione ai suoi pensieri e se ne chiese il motivo.
“Anche Saphira ne è a conoscenza”
proseguì Oromis. Le sue parole giunsero come una risposta
alla muta domanda di Eragon, la cui curiosità venne ancora
più stuzzicata. “Questa faccenda vi coinvolge
tutti e due …” disse Oromis sistemandosi meglio
sulla sedia per iniziare il suo lungo racconto.
Ellen guardò Eragon con un’espressione di pura
incredulità sul volto. “Quindi …
è vero” borbottò distogliendo lo
sguardo e assumendo un’aria confusa. Eragon da parte sue
guardava fisso a terra, più o meno dove c’erano le
zampe di Saphira, ma non le vedeva veramente.
La dragonessa aveva appena fatto a vedere ad Eragon ed Ellen il ricordo
che Brom le aveva lasciato molto tempo fa, quando viaggiavano ancora
assieme.
Senza farsi vedere, Eragon si riscosse dai suoi pensieri e
cominciò a guardare intensamente Ellen. Non gli sembrava ci
fosse tutta questa grande somiglianza. Ma dopotutto, si
disse, siamo fratelli
solo per parte di padre. Poi si disse che non era quella
la vera ragione di tanto stupore, in realtà era felice di
essere figlio di Brom per due motivi: ovviamente perché non
era figlio di un traditore, e poi perché aveva conosciuto
suo padre. Era un uomo buono, niente a che fare con Morzan,
pensò fra sé e sé.
Anche Ellen rifletteva. E si chiedeva soprattutto …
perché Brom non lo aveva detto a nessuno dei due quando era
ancora in vita? Li voleva forse proteggere, o qualche sciocchezza
simile? Mai come allora aveva pensato a Brom come il suo vero padre,
colui che le aveva dato vita, il sangue del suo sangue.
C’erano diversi modi per dirlo, ma perché allora
Brom non l’aveva mai detto? Né a lei né
ad Eragon.
Eragon,
piccolo mio, Ellen, iniziò Saphira, se fossi in voi sarei fiera di
avere una famiglia tanto interessante. E il fatto che siate
fratellastri non vedo perché vi dovrebbe sconvolgere. Siete
praticamente uguali, due piattole comunque la mettiamo.
Eragon, una volta uscito dalla capanna, alzò lo sguardo,
divertito. Io sarei una
piattola? Ellen lo è più di me, lei è
una ragazza, disse come se fosse ovvio.
Cos’è questo orgoglio maschilista?,
chiese lei, tirata in causa. Intanto
le ragazze sono più intelligenti dei maschi, si sa.
Ma cosa dici?
Esatto, sono
più intelligenti, furbe, agili … devo continuare?
Ma
risparmiati … i ragazzi sono più forti,
coraggiosi … devo continuare?,
protestò Eragon imitando il tono di compiacimento della
ragazza.
E hanno
più buon senso!, esclamarono i due
all’unisono. Si guardarono per un istante, poi entrambi
scoppiarono a ridere. Accanto a loro Oromis osservava la loro muta
conversazione e sorrise leggermente.
“Oromis! Ma perché non ce lo hai detto la volta
scorsa che siamo venuti?” esclamò Eragon.
“Non mi sembrava ancora il caso. Ma poi Tegrish mi ha
raccontato quello che ti ha detto Murtagh, e così
…”.
“Ma quindi io ho ben due fratellastri? Possibile che non
possa avere un parente completo?” disse Eragon più
a sé stesso che ad altri. Ellen scoppiò a ridere.
“Ma questo non rende un pochino Murtagh anche mio
parente?” chiese poi preoccupata.
Oromis ci pensò su un po’, dopodiché
sentenziò: “Sicuramente non fisicamente. Lui
è figlio di Selena e Morzan, tu di Brom e la regina
Islanzadi. Ma forse per qualche intricata legge siete lontani parenti,
dato che il tuo fratellastro è anche il suo fratellastro
… e voi siete fratellastri”.
“Che confusione” ammise Eragon.
Non
è poi tanto difficile, disse Saphira.
“Non difficile da capire, ma tu pensaci bene” le
disse Eragon. La dragonessa rimase un attimo pensierosa, poi
sbuffò proprio sul viso di Ellen, che si sentì
investire da piccola corrente d’aria calda.
Sono comunque
dei legami di sangue separati e molto chiari.
Eragon sbuffò. Lascia
stare.
Non puoi
parlare così al tuo drago!, protestò
Ellen.
Ascolta tua
sorella Eragon, è saggia, disse Saphira
compiaciuta facendo un grugnito simile ad un risolino.
Se fosse stato per Tegrish gli altri sarebbero potuti partire subito,
anche senza di lui e Gylda. Per un po’ aveva sperato che
Gylda fosse in realtà un drago maschio, perché
una sera Saphira gli aveva confessato quanto si sentisse sola. Diceva
che era da un po’ che ci pensava in continuazione. E adesso,
diceva sconfortata, c’era solo Glaedr, e aveva
l’impressione di non piacergli per niente. Ma adesso che
aveva conosciuto Gylda meglio di chiunque altro, poteva dire che non
l’avrebbe cambiata per niente altro al mondo.
Tegrish ripensava a queste cose mentre passeggiava in mezzo alla Du
Waldenvarden, senza una meta precisa, assieme a Gylda che svolazzava
attorno a lui. Il suo nome era lo stesso di sua madre e, quando lui
glielo aveva proposto, a lei era piaciuto subito. Sentiva che lui e
Gylda erano spiriti affini. Ellen le diceva spesso che erano entrambi
troppo gentili con tutti, e che la gente prima o poi se ne sarebbe
approfittata. Ma Tegrish le aveva risposto, spalleggiato da Gylda:
“Le persone non sono tutte cattive. Se sei gentile con loro,
l’aiuto che hai dato ti tornerà indietro in
qualche modo”. Ellen aveva alzato gli occhi al cielo e
borbottato qualcosa.
Tegrish era molto cambiato da quando aveva iniziato
l’allenamento assieme ad Oromis. Il suo corpo minuto si era
rafforzato, era diventato più muscoloso e forte,
più robusto di prima e, forse era solo una sua impressione,
ma pensava anche di essere diventato più alto. Eragon gli
aveva chiesto come mai non tagliava i capelli, che potevano dare
fastidio durante un duello, ma lui non aveva intenzione di toccarli.
Era già abbastanza esperto nella magia, ma dopo
l’addestramento lo era diventato ancora di più. E
adesso poteva compiere magie di grande portata.
Gylda da parte sua era cresciuta moltissimo in poco tempo. Erano
passati pochi mesi da quando era uscita dall’uovo, ma era
già grande più della metà di Saphira.
Sarebbe presto diventata poco più piccola di lei, le aveva
detto Oromis. Tegrish non si preoccupava, sapeva che i draghi
crescevano velocemente nei primi mesi di vita e dopo la loro crescita
rallentava. Non aveva ancora sputato fuoco ma credeva e sperava che, in
caso di battaglia, i suoi artigli, le zanne lunghe color avorio e le
punte che aveva sulla coda sarebbero bastati ad uccidere parecchi
nemici.
In realtà non è che Tegrish andasse pazzo
all’idea di andare in battaglia. Non aveva mai nemmeno ferito
nessuno in modo troppo serio, nemmeno quando aveva combattuto fianco a
fianco con suo padre quando loro due erano stati attaccati dai soldati
di Galbatorix, quando suo padre era stato catturato. Anche
lì aveva solo ferito i soldati quel tanto che bastava per
rallentarli e permettere a lui e suo padre di scappare.
Però, se ci pensava bene, forse se li avesse uccisi non
avrebbero catturato suo padre.
Tegrish non
tormentarti, non è stata colpa di nessuno,
intervenne Gylda, alla quale non poteva certo nascondere i suoi
pensieri e sensazioni.
Tegrish sospirò. Lo
so, lo so. Però pensa come sarebbe stato se lui fosse ancora
qui.
Sono sicura
che sarebbe stato fiero di te. Ti avrebbe di incoraggiato.
Si, sarebbe
stato tipico di lui. Mi appoggiava in ogni cosa che decidevo di fare,
ricordò Tegrish con leggera nostalgia. Sembra essere passato tantissimo
tempo. Chissà dove l’hanno portato, e come sta. E
… se è ancora vivo.
Potrebbe
esserlo, disse Gylda con una convinzione che in quel
momento sembrò un po’ troppo ottimistica, ma lei
riprese a parlare senza curarsi di Tegrish. Si, io credo che si vivo. Era un
grande mago e guaritore, dopotutto. Galbatorix non gli avrebbe mai
fatto nulla. Anzi, forse avrebbe voluto che lavorasse per lui, a quanto
mi hai detto era uno dei migliori.
Si, uno dei
migliori!, disse Tegrish con un pizzico di orgoglio nella
voce.
Gylda fece una giravolta a mezz’aria e tornò verso
Tegrish. Atterrò con eleganza proprio di fronte a lui, e lo
guardò con i suoi occhi intelligenti. Tegrish, che cosa ne dici se
facessimo una ricerca? Andremmo a cercare tuo padre! Scopriremmo dove
lo tengono, e andremmo a prenderlo!
Ma
… Gylda, sai benissimo che non si può fare.
Abbiamo delle responsabilità adesso: io sono un cavaliere e
tu sei il mio drago. A meno che non decidiamo di unirci a Galbatorix,
allora dobbiamo andare ad aiutare i Varden. Loro hanno bisogno di
aiuto, non potranno mai vincere Galbatorix senza di noi.
D’accordo, era solo un’idea. Pensavo che ti avrebbe
fatto piacere. La dragonessa fece una pausa, poi
borbottò: Comunque
non c’è scritto da nessuna parte che i Cavalieri e
i loro draghi debbano stare per forza da una parte o
dall’altra. Possiamo anche andarcene per i fatti nostri.
Si,
probabilmente nessuno cercherebbe di fermarci, ma loro hanno bisogno di
noi. Non possiamo abbandonarli.
Non sarebbe
un completo abbandono, sarebbe una separazione temporanea.
Alle sue parole Tegrish sbuffò. Molto temporanea,
proseguì Gylda.
Facciamo
così … cercheremo solo se e quando ne avremmo la
possibilità.
D’accordo. Però, in fondo, Eragon era andato a
vendicare suo zio e a cercare i Ra’zac. Perché noi
non possiamo fare lo stesso?
Perché quando l’ha fatto Eragon non era ancora
legato ai Varden.
Ma nemmeno
noi lo siamo.
Gylda
… sai anche tu quanto la faccenda mi tenti, ma lo faremo di
sicuro quando la guerra sarà finita e l’Impero
sarà sconfitto una volta per tutte.
D’accordo, brontolò la dragonessa
scuotendo il corpo, ma
cercheremo quando avremo tempo!
Certo,
la rassicurò Tegrish posandole una mano sul ventre squamoso
e carezzandola.
“Non preoccuparti, lo faremo”. Lei, per tutta
risposta, si agitò ancora e spiccò il volo,
facendo un paio di giri sopra la testa di Tegrish, che la
guardò sollevarsi sempre di più sopra la foresta
e tuffarsi in mezzo agli alberi.
“Se tu volessi andare a cercare tuo padre, io ti appoggerei
di certo!”.
“Sul serio?”.
“Ma si! Non mi sembra una richiesta tanto irragionevole
dopotutto. Solo, sarebbe un problema per i Varden”. Eragon e
Tegrish stavano seduti accanto al piccolo fiume che passava vicino al
campo di addestramento. Tegrish aveva raccontato ad Eragon del discorso
fra lui e Gylda avvenuto pochi giorni prima. Ad Eragon non sembrava
così strano come desiderio; dopo aver saputo che suo padre
non era Morzan ma bensì Brom si sentiva stranamente
alleggerito. Ogni cosa gli sembrava migliore e spesso si sorprendeva a
non pensare a nulla tanto era calmo e rilassato, nonostante invece vi
fossero mille cose a cui pensare! Mille incombenze! Ma lui era
così leggero, come non lo era stato da tempo immemore.
“Quindi …”, riprese Tegrish,
“tu saresti d’accordo a lasciarmi
andare?”.
“Lasciarti andare?” chiese Eragon scettico,
“Se ce ne fosse bisogno verrei addirittura con te. Anzi
…”, il viso di Eragon
s’illuminò. “Ho trovato la
soluzione!”.
“E cioè?” chiese Tegrish curioso.
“Vieni con me!” esclamò. Si
alzò, allontanandosi a passo veloce.
“Asp …!”. Tegrish si affrettò
a seguirlo per una destinazione a lui ignota. Dopo un po’
anche a lui sembrò chiara la destinazione, tutti e due
avevano percorso quelle strade fino a stancarsene. La casa di Oromis fu
presto in vista, nella radura soleggiata, e i due ragazzi puntarono
dritti verso la porta. Quando bussarono la familiare voce vellutata
disse: “Avanti”. Entrarono e video Ellen ed Oromis
seduti al tavolo, uno di fronte all’altro, con in mano grossi
bicchieri pieni di un liquido ambrato. Oromis indicò due
sedie ancora libere e fece segno ai ragazzi di accomodarsi, poi si
alzò.
“Avete voglia di bere assieme a noi del sidro di
mele?” chiese gentilmente.
“Ah si, grazie” rispose Tegrish, il sorriso velato
sul volto. Alzò lo sguardo verso Oromis e i suoi riccioli
biondi si mossero leggermente assieme a lui. Oromis li servì
presto di due grossi boccali e si risedette.
“Allora? A che cosa debbo la visita?” chiese.
“Io” incominciò Eragon,
“vorrei addestrare Tegrish durante il viaggio che
compirà alla ricerca di suo padre”. Quelle
improbabili parole restarono sospese nell’aria per qualche
minuto. Oromis guardava entrambi con calma, valutando la situazione.
Ellen invece all’inizio sembrava stupita, poi una piccola
ruga si formò in mezzo alle sopracciglia.
“Ma Eragon! E i Varden?” chiese con tono di
disapprovazione.
“Ma tanto Tegrish ha ancora bisogno di addestramento, questa
può essere una specie di missione in più. Lo
accompagnerò io, così saprà come
comportarsi e imparerà da me”. Oromis fece un
piccolo risolino. “Che c’è? Credi che
non sia capace di insegnare?” chiese Eragon piccato.
“No, non è quello” disse Oromis,
“Anzi, credo che potresti riuscirci”. Ci
pensò su un secondo. Tutti lo osservavano, come se la sua
parola fosse tutto quello che aspettavano per procedere.
“B’è” disse infine,
“non credo ci sia nulla di male. Una piccola esperienza sul
campo prima di cominciare non può che far bene. Ma
perché dovresti andare tu Eragon? Credi che non mi possa
muovere? Che sia incatenato ad Ellesmera?”.
Eragon sembrò folgorato. Sul suo viso si leggeva chiaramente
la risposta che avrebbe dato. Arrossì e disse:
“No, è solo che …”
finì la frase con un basso borbottio che nessuno
sentì.
Oromis rise portandosi una mano alla pancia e disse: “Non
preoccuparti. Dopotutto il mio nome è Lo storpio che
è sano!”. Eragon era ancora imbarazzato.
“Verrò anche io con voi!”
esclamò. “ E’ da anni ormai che non mi
muovo di qui, è vero. Penso che sia giunto il momento che io
e Glaedr torniamo attivi”.
“Ma, Oromis …” Ellen esitò,
non voleva dire quella cosa di fronte a tutti, “la
… la tua …?”.
“La mia malattia? Non preoccuparti Ellen. Non sarà
un viaggio a distruggermi completamente”. In
realtà l’elfo poteva dire quello che voleva, ma le
sue crisi e i suoi dolori erano aumentati nell’ultimo mese,
anche se lui non lo voleva ammettere. Ma di questo solo Eragon, che lo
conosceva da diverso tempo ed aveva avuto l’occasione di
frequentarlo molto, se ne era accorto.
“Oromis, non credo che tu debba venire” disse
Eragon all’improvviso.
“Questa è la mia ultima parola Eragon.”
disse Oromis con voce decisa, “Tegrish, tu sei
d’accordo?” chiese poi rivolgendosi al ragazzo
senza badare più ad Eragon, che ne rimase alquanto
infastidito.
“Si, così sarebbe perfetto! Andremmo tutti e
tre” disse il ragazzo sorridendo.
“Ma aspettate! Non è giusto, voglio venire anche
io!” esclamò Ellen. Le pareva di essere stata
tagliata fuori. I tre Cavalieri di drago che se ne andavano assieme in
missione speciale. Chi per abituarsi allo scontro, chi per riabituarsi
allo scontro, chi per tenersi in allenamento. Non era giusto! Se era
così avrebbe tanto voluto essere anche lei Cavaliere di
Drago solo per poter avere il pieno diritto di andare con loro.
“Ellen, pensavo che fosse logico” disse Eragon
leggermente sorpreso.
“Davvero?” chiese la ragazza illuminandosi.
“Ma certo. Che facciamo? Ti lasciamo qua da sola? Che cosa
faresti tutto il tempo? Lo sappiamo che ti annoieresti a morte senza di
noi!” disse il ragazzo con una smorfia.
“D’accordo! Perfetto!” esclamò
Ellen. Poi cercò di riprendere un certo distacco
professionale e disse: “A proposito … non daremmo
troppo nell’occhio così? Voglio dire. Tre draghi e
quattro persone non sono una cosa da nulla”.
“Questo è vero” disse Oromis pensandoci.
“Vedremo di trovare un soluzione. Ma dobbiamo prima decidere
che cosa faremo esattamente. Qual è il piano? Come
procederemo?”. Istintivamente, tutti si voltarono verso
Tegrish.
Il ragazzo, con tutti quegli occhi puntati addosso, si
guardò un attimo intorno. “Hem …
qu-quando mio padre era stato catturato eravamo vicini a
Kuasta” balbettò.
“Kuasta? Si trova vicino al mare”
osservò Oromis. “E’ una città
abbastanza importante, E di questi tempi tutte le città
importanti hanno almeno una prigione. Potrebbe essere ancora
lì, oppure potrebbero averlo trasferito. Dovrebbero comunque
esserci dei registri”.
“D’accordo, allora andremo a Kuasta”
disse Ellen alzando i palmi verso l’alto e sporgendosi in
avanti.
“Preparatevi. Vi voglio tutti pronti per domani, qui alle sei
di mattina senza ritardi” disse Oromis con tono imperioso.
“Alle sei di mattina?!” esclamò Eragon
incredulo.
“Eragon, non ti lamenterai già adesso? Non abbiamo
nemmeno iniziato il viaggio. Cosa credi, che sarà
rilassante?”. Eragon e gli altri si guardarono terrorizzati,
mentre Oromis sorrideva fra sé e cercava di sopprimere un
risolino.
Allora, come forse ricordate dal
principio di questa fic, era già tutta programmata. E quando
l'ho inventata non sapevo ancora che Brom fosse il padre di Eragon. Si,
certo, questa è una fic e avrei potuto omettere quel
dettaglio per non creare confusione, ma non mi pareva giusto. Quando ho
letto Brisingr
ero troppo contenta che Brom fosse il padre di Eragon, così
non ho voluto cambiare la storia originale.
Maledetto Brom! Che si svela solo nel terzo libro! XD
Poi, un'altra cosa: il vero motivo per cui i nostri amici partiranno
per trovare il padre di Tegrish lo scoprirete continuando a leggere,
poichè alla prigione di Kuasta ci sarà ben
più che un guaritore. Mhuahaha! Vi ho incuriosito?! Scusate,
non lo faccio più... -.-''
Ma ora basta spoiler! Vi saluto, adieù (non so se si scrive
così, ma non importa)!
Questa volta niente recensioni, fa niente. Ho visto che la storia
sta andando bene anche se non ci sono recensioni, e a me sta bene
così. ^^ E poi, personalmente, adesso che
è inizata la scuola sono molto impegnata (immagino anche
voi, con lavoro, scuola e università eccetera), e trovo poco
tempo per leggere le fic e commentarle purtroppo, perchè mi
piace molto lasciare recensioni alle storie ben fatte. B'è,
non importa...
Comunque, bye!
Patty.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** La prigione di Kuasta ***
Capitolo otto: La prigione di
Kuasta
Puntuali
come orologi, per paura di essere sgridati da Oromis ancora prima di
iniziare il viaggio, Eragon, Ellen e Tegrish si presentarono assieme a
Saphira e Gylda, con le borse pronte e un briciolo di impazienza per
iniziare.
“Buongiorno.” disse Oromis uscendo dalla piccola
casa nella radura e guardandoli, “Volevo informarvi del
percorso che seguiremo”.
“Ma non proseguiremo con Gylda, Saphira e Glaedr? Pensavo che
saremmo andati dritti verso Kuasta e che ci avrebbero portato loro. Ci
metteremmo un giorno e mezzo circa in questo modo” disse
Ellen.
“No. Andare dritti verso Kuasta potrebbe causarci dei
problemi. Dovremmo passare sopra Gil’ead di sicuro e, come
dicevi ieri, tre draghi non passerebbero inosservati. Passeremo prima
lungo la Du Weldenvarden verso est, arriveremo fino alla Grande Dorsale
e poi proseguiremo fino a Kuasta tenendoci sulle montagne. In questo
modo eviteremo i soldati del re e anche l’accampamento dei
Varden, che potrebbero farci domande scomode se ci vedessero passare e
andare in un’altra direzione”.
“Ah, capisco” disse Ellen.
In quel momento Glaedr apparve alla loro vista, imponente ma elegante,
planò sopra di loro e atterrò alle spalle di
Oromis. Scusatemi per
il ritardo, disse a tutti con la sua voce grossa.
“Siamo pronti per partire” disse Oromis.
Tegrish andò verso Gylda, che anche se era molto
più piccola degli altri due draghi riusciva benissimo a
portare Tegrish sul dorso per molte ore di volo. Eragon si
avvicinò a Saphira, che si accucciò leggermente
per farlo salire più comodamente. Ellen, in modo automatico,
seguì il ragazzo ma venne fermata da Oromis che le mise una
mano sulla spalla. Ellen si voltò interrogativa verso di lui.
“E’ meglio che voli con me. Già credo
che dovremmo fermarci spesso per far riposare Gylda, che è
ancora quasi un cucciolo. Glaedr è il più
resistente di tutti, e sarebbe meglio non affaticare Saphira
più del necessario”.
“D’accordo. Si, giusto” disse Ellen. Fece
un cenno ad Eragon e seguì Oromis. Attaccarono le borse ad
una specie di gancio fissato alla sella e lo chiusero, di modo che non
cadessero durante le giravolta di Glaedr, poi Oromis salì
sul dorso del drago e porse una mano ad Ellen, che la prese e vi si
appoggiò per salire sulla sella.
“Grazie” disse una volta sistemata.
“Di nulla” rispose Oromis. Parlò con
Glaedr e il grande animale annuì, poi, con cautela, quasi
per non spaventare Ellen, si alzò in volo. Dietro di lui,
velocemente, Saphira e Gylda lo imitarono e si disposero dietro di lui,
leggermente più indietro, rispettivamente una a destra e
l’altra a sinistra.
Ellen, appena Glaedr fu partito, sentì distintamente la
differenza che c’era fra il suo volo e quello di Saphira.
Mentre la dragonessa si muoveva con più grazia, Glaedr lo
faceva con forza, velocità e gesti secchi che mozzavano il
fiato. Ellen dovette subito aggrapparsi a Oromis e arrossì
leggermente quando si avventò sulla sua schiena e gli
strinse le mani al petto. L’elfo per parte sua non vi fece
quasi caso ma, con gesto automatico, mentre con una mano si teneva, con
l’altra spostò le mani di Ellen dal suo petto alla
pancia, così da essere più comodo, ma
fallì, dato che la ragazza lo stringeva come avrebbe stretto
la sua stessa anima se ce l’acesse avuta in mano. Ellen,
dietro di lui, arrossì ancora di più, pensando
che non aveva mai fatto una figura peggiore.
Volarono non troppo velocemente sopra la Du Weldenvarden fino a che il
sole non fu alto nel cielo e passò il mezzogiorno. Ad un
tratto tutti quanti sentirono la voce di Oromis nelle loro menti. Fermiamoci a mangiare. Seguite
Glaedr.
Il drago perlustrò la Du Weldenvarden e trovò una
radura grande abbastanza perché ci stessero tutti quanti
comodamente. Si tuffò nella foresta ed Ellen, terrorizzata,
si strinse ancora più forte. Pensò che forse
Oromis sarebbe soffocato sotto la sua stretta. L’elfo invece,
sentendo la presa ferrea di Ellen aumentare, portò una mano
sulle sue e le strinse, non le lasciò fino a che non furono
atterrati. Non appena Glaedr ebbe toccato terra Ellen si
lanciò dal suo dorso, sollevata di poter scendere.
Dopo che ebbero mangiato e i draghi si furono riposati, nonostante
proprio Gylda avesse proposto di proseguire subito, ripresero il
viaggio, decidendo che si sarebbero fermati non appena sarebbe stato
troppo buio per proseguire, anche se il buio, per gli occhi di un
drago, era relativo.
Ci misero più di quello che Ellen aveva calcolato per
arrivare a Kuasta. Cinque giorni, e tutti trascorsero come il primo. Si
svegliavano la mattina presto e partivano senza nemmeno fare colazione
poi volavano fino all’ora di pranzo, si fermavano per
mangiare e, quando riprendevano, volavano fino alla sera tardi, per poi
scendere, cenare frugalmente e poi cadere sfatti nel sonno.
Al primo mattino del quinto giorno intravidero, incuneata fra le
montagne da un lato e bloccata dal mare dall’altro, la
città di Kuasta. Saphira individuò una grotta
nelle montagne abbastanza spaziosa per tutti, e decisero di accamparsi
lì. Pensavano che nella città non sarebbe stato
sicuro, e che fosse stato meglio restare al riparo da occhi indiscreti.
Non appena furono pronti Tegrish disse “Andiamo?”.
Aveva cercato di non farlo notare, ma era più impaziente del
solito. Senza aspettare gli altri si assicurò il suo bastone
da combattimento alla cintura e cominciò a scendere la
montagna dicendo: “Vi aspetto giù!”.
Eragon lo raggiunse velocemente dopo aver salutato Saphira, scomparendo
alla vista di Oromis.
L’elfo, approfittando dell’occasione, disse subito
ad Ellen: “Ellen, ho bisogno di parlarti” disse
velocemente.
“Si?” chiese Ellen voltandosi.
“Ieri ho chiesto alla regina Islanzadi il permesso di venire
assieme a noi. In realtà …”, per la
prima volta Ellen vide che l’elfo era chiaramente in
difficoltà, “tua madre aveva detto di no. Ma
pensavo che saresti venuta comunque, quindi non ti ho detto nulla. Lei
credeva che saresti rimasta ad Ellesmera”. Ellen
trasalì. Era convinta che Oromis avesse parlato con
Islanzadi a proposito di questo viaggio, per questo non lo aveva fatto
lei. L’aveva solo salutata la sera prima di partire, convinta
che sapesse già tutto. “Ormai si sarà
accorta che tu non ci sei. Ma non preoccuparti, quando torneremo
parlerò io con lei”.
Ad Ellen scappò un sorriso. “Non ti avevo mai
visto così. Non preoccuparti, dirò a Islanzadi
che tu non ne sapevi niente. Non se la prenderà
più di tanto con me, invece con te potrebbe
arrabbiarsi”.
“Se dovesse accaderti qualcosa …”
cominciò Oromis.
“Ma non mi accadrà nulla”.
“… la responsabilità sarà
solo mia” continuò imperterrito. “Sei la
figlia di Islanzadi” concluse.
“E perché nessuno dice tutto questo ad Arya? Anche
lei è la figlia di Islanzadi!” esclamò
Ellen.
“Non lo so.” disse l’elfo pensieroso,
“Credo che con lei la regina abbia perso le speranze da tempo
ormai” concluse l’elfo sorridendo.
“Andiamo. Credo che avremo molto lavoro da fare”.
“D’accordo” disse Ellen.
Salutò i tre draghi, che avevano seguito il loro scambio con
interesse, e uscì dalla grotta.
Non erano lontani dalla città, ad arrivare ci misero poco
più di un quarto d’ora a passo lento. I soldati
che si trovavano di guardia alle porte della città
titubarono un po’ per lasciarli entrare, ma alla fine
cedettero, quando Oromis diede loro del denaro.
“Grazie mille signori, potremmo tornare in futuro”
buttò lì ai due soldati. “Ma
è meglio che non si sappia del nostro arrivo”. I
due soldati annuirono, un po’ confusi, ma soddisfatti di
avere del denaro fra le mani.
“Ma non sarà un troppo dispendioso?”
chiese Eragon. “Non è giusto! Potremmo dover
restare per giorni! Dovremmo pagarli ogni volta che entreremo nella
città?”.
“Eragon, credi che io mi privi così alla leggera
del denaro?” chiese Oromis con l’ombra di un
sorriso sul volto. “Non erano monete, erano illusioni e
basta”.
“E quando si accorgeranno che il denaro non
c’è più?” chiese Ellen.
“La magia dovrebbe durare ancora per qualche giorno.
Perciò mettiamoci subito al lavoro e cerchiamo la
prigione”.
“E che cosa diremo alle guardie? Non ci lasceranno guardare i
registri così facilmente” osservò
Tegrish.
“Lo so. Ma non credo che chiederemo il permesso alle guardie.
Ci vorrebbe un foglio firmato dal duca di Kuasta, ma non ce lo
cederà facilmente. E’ più facile e
veloce intrufolarsi negli uffici della prigione. A quanto ho sentito
Ellen ha un certo talento per questi lavori”.
Ellen ed Eragon risero di gusto. “Eh
già!” esclamò la ragazza.
Arrivarono fino alla prigione, un edificio alto e stretto, con delle
minuscole finestre ad intervalli regolari, tutte chiuse da spesse
sbarre di ferro. All’entrata principale c’erano due
soldati armati, ma non sembravano avere intenzione di farsi corrompere
facilmente come gli altri. Proseguirono spediti e aggirarono tutto
l’edificio. Non c’era una sola, minuscola porta per
la quale passare, a parte quella principale. Non una porta di servizio,
non una porticina per le guardie. Nulla. Decisero di tentare di nuovo
con la porta principale. Si appostarono tutto il giorno e controllarono
le ore in cui avveniva il cambio della guardia.
In realtà le guardie non si curavano molto
dell’arrivo di chi le doveva sostituire: non appena arrivava
l’ora di andarsene entravano nella prigione, lasciavano
lì le armi e l’armatura e se ne andavano, anche se
la porta era rimasta incustodita per un po’.
Quella sera tornarono alla grotta e, durante la cena, si misero a
discutere di come sarebbero entrati. Avevano già deciso che
avrebbero sfruttato i turni di guardia dei soldati per entrare, ma
dovevano ancora elaborare un piano.
“Controlleremo ancora domani, per vedere se le guardie alla
porta sono sempre le stesse negli stessi orari, deve esserci una
qualche logica nei loro turni” propose Eragon.
“Io credo che sia meglio entrare di notte,” propose
Tegrish, “così avremo più tempo. Di
notte c’è più calma, non ci
sarà quasi nessuno in giro”.
“Giusto” osservò Ellen.
“Quindi … perché non sbarazzarci della
guardia che fa il turno di notte? Abbiamo visto che è sola,
e non ci metteremmo nulla a batterla, noi siamo anche in
quattro”.
“No,” disse subito Oromis, “deve esserci
qualche sistema di sicurezza, sono certo che la guardia riuscirebbe
senza difficoltà a chiamare rinforzi”.
“B’è, allora perché non
attirarlo lontano da lì?” chiese Ellen.
“Ecco, prima che incominci il suo turno di guardia uno di noi
attirerà la guardia lontano dalla prigione.
L’altra guardia tornerà a casa ma il suo sostituto
sarà in mano nostra”.
“Hm … potrebbe funzionare”
osservò Oromis. “Rimane solo da decidere chi
dovrà attirare la guardia lontano”.
All’inizio tutti si misero a pensare senza guardarsi in viso
poi, automaticamente, tutti gli sguardi ricaddero su Ellen.
Quando se ne accorse la ragazza sbottò: “Uffa! Ma
perché io? E’ perché sono una ragazza
vero?” chiese infastidita.
“B’è avresti di sicuro più
probabilità di noi a …. hm, sedurlo”
disse Eragon in fretta, come se fosse ovvio e giusto. Poi si
voltò verso Tegrish, al suo fianco. “Anche se
Tegrish, con questi capelli biondi …”
iniziò, tirando un ricciolo al ragazzo.
“Ma piantala!” lo rimproverò
quest’ultimo dandogli una spinta che lo fece inclinare,
mentre Ellen rideva con le mani sulla pancia.
“Hey, concentratevi” li richiamò Oromis.
I tre si ricomposero in fretta e lo guardarono.
“Comunque, mi pare l’idea migliore”
ribadì Eragon.
“Ma … !” Ellen tentò di
protestare, ma venne fermata.
“E’ una buona idea” disse Oromis.
“Ellen poterà il soldato verso di noi,
così ti aiuteremo”.
“Ti aiuteremo!” esclamò la ragazza.
“Non ho bisogno di aiuto, io! E il vostro piano è
sessista!” si alzò e si sdraiò
coprendosi con alcune coperte accanto a Saphira, ancora brontolando fra
sé e sé.
Eragon sorrise leggermente, mentre Oromis e Tegrish si guardavano
perplessi.
Ellen aveva indossato l’unico vestito che si era portata
dietro per il viaggio. Nemmeno lei sapeva perché ce lo aveva
nella borsa, probabilmente era rimasto lì e non lo aveva
voluto buttare.
Era sera e la luna splendeva nel cielo, illuminando di un bianco
perlaceo i contorni del suo volto. Ellen si avviò lungo la
strada che portava alla prigione, alla ricerca del soldato che avrebbe
fatto la guardia di notte. Avevano cercato la sua abitazione. Sarebbe
arrivato da una vietta laterale nascosta alla vista della prigione.
Perfetto. Era quasi ora che arrivasse, ma dopo dieci minuti di ritardo
Ellen si disse che quei soldati erano veramente pigri.
Ad un tratto vide una sagoma scura proseguire lentamente lungo la
stradicciola e cominciò a passeggiare calma verso di lui, le
mani dietro la schiena e lo sguardo rivolto verso l’alto,
come se non facesse caso a dove andava. Cercò di assumere
l’atteggiamento più sciocco e civettuolo che
riusciva a fingere. Saltellò verso il soldato e gli sorrise.
“Buonasera!” esclamò, mostrando i denti
candidi e avvicinandosi a lui.
“Buonasera” disse il soldato con un mezzo sorriso,
salutandola con un gesto del capo. Ellen cominciò a
camminare affianco a lui, al che il soldato la guardò
sorpreso. “Ha bisogno di qualcosa?” chiese. Era un
ragazzo molto giovane, non poteva avere più di
vent’anni. Era alto e secco, aveva i capelli castano chiaro e
un pizzetto dello stesso colore sul mento.
Ellen scosse la testa e gli tese la mano. “Piacere, io sono
Jida” disse. Il soldato le strinse la mano con gesto molle.
“Watril” disse con un mezzo sorriso.
“E … cosa fai qui a
quest’ora?” chiese Ellen con aria civettuola.
“Potrei farle la stessa domanda signorina. Non è
sicuro per una ragazza giovane e bella come voi andare in giro a
quest’ora”.
“Oh! Lei signore è troppo buono. Non sono nulla di
così speciale” disse con un sorriso.
“Però … forse avrei bisogno di
… protezione. Ho visto della gente sospetta in giro. Lei che
dice, potrei essere in pericolo?”. Si guardò
attorno per controllare che non ci fosse nessuno, poi si
avvicinò al soldato e gli carezzò una guancia,
sempre sorridendo.
“Hem …”. L’uomo
arrossì e continuò a camminare, leggermente
più veloce. “Non … io …
signorina, lei certo è molto attraente, ma io sono
già impegnato” disse con un sorriso gentile, e
abbandonò Ellen nel vicolo buio.
Dietro di lui la ragazza alzò gli occhi al cielo e fece un
sospiro di frustrazione. Estrasse velocemente dalla borsa un pugnale e,
con l’elsa, colpì Watril alla nuca. Quello svenne
di colpo, cadendo al suolo senza fare rumore.
“Ellen! Ma che fai?!”. Eragon spuntò da
un vicolo, da dove aveva visto tutta la scena, sibilando rabbioso.
“Aiutami!” disse Ellen a bassa voce in risposta.
Eragon la raggiunse veloce e prese il soldato per i piedi. Lo
trasportarono fino al vicolo cieco dove stavano anche Oromis e Tegrish.
Non appena furono arrivati depositarono l’uomo a terra,
Tegrish prese alcune corde e, aiutato da Oromis, cominciò a
legare il povero malcapitato.
“Dovevi farlo venire qui!” disse Eragon arrabbiato.
“E se qualcuno ti avesse visto?”.
“Non mi ha visto nessuno! E poi, insomma, siamo stati un
po’ sfortunati. Questo dev’essere uno dei pochi
soldati di Alagaesia fedeli alla propria donna. Ma hai sentito che ha
detto? Mi ha detto di no” replicò Ellen esasperata.
“E quindi? Significa solo che non sei capace di attirare un
uomo come si deve”.
“Ma che dici?” disse Ellen stizzita. “Io
sono perfetta, è sola colpa sua … e della sua
sposa probabilmente!”.
“Volete fare un po’ di silenzio?” chiese
Oromis. Eragon ed Ellen continuavano a guardarsi in cagnesco, ma non si
parlarono più. Legarono il soldato e lo lasciarono
lì, svenuto. Se anche si fosse svegliato non avrebbe potuto
fare nulla, lo avevano legato talmente stretto che anche con una
persona che lo aiutava ci avrebbe messo un po’ a sciogliere i
nodi o a tagliare la spessa corda che avevano usato.
Oromis aprì con la magia il lucchetto che teneva chiusa
l’entrata, poi spinse la pesante porta di legno della
prigione, che non emise nemmeno un cigolo. Si trovarono dentro un
corridoio stretto e alto, di pietra. Avanzarono
nell’oscurità per qualche minuto, senza sapere
dove andare. Ad un tratto, in un soffio, Tegrish chiese:
“Dove saranno i registri?”.
“Non lo so” rispose Oromis. “Purtroppo
non c’è stato alcun modo di trovare una piantina
della prigione, o una qualche notizia sulla sua struttura”.
Continuarono a camminare, poi si trovarono davanti a tre porte, una al
centro del corridoio, le altre due sulla pareti laterali. “E
ora?” chiese Tegrish.
“Ci dividiamo” disse Oromis. “Io e
Tegrish andiamo di qua” indicò la porta alla loro
sinistra, “Ellen di là, Eragon di
là” disse indicando rispettivamente la porta sulla
destra e quella al centro.
“D’accordo. Teniamoci in contatto
mentale” disse Ellen andando verso la porta di destra.
Posò una mano sulla serratura e l’aprì
piano con la magia. Si voltò a rivolgere un sorriso di
saluto agli altri, poi varcò la porta e se la chiuse alle
spalle.
L’oscurità attorno a lei era densa di umido,
così accese sul palmo della mano un piccolo fuoco,
bisbigliando: “Brisingr”. Quando la fiammella
illuminò meglio il luogo in cui si trovava, Ellen trattenne
il respiro, facendo scorrere lo sguardo lungo le spesse sbarre di ferro
delle celle.
Eragon fece un sospiro rilassato. Non c’era nulla di
ché in quella stanza, così proseguì
più calmo di prima. Delle torce erano appese lungo tutte le
pareti, e illuminavano fiocamente il corridoio in cui si era inoltrato.
C’erano diverse porte attorno a lui e, siccome non sapeva
bene dove cercare, ne aprì una a caso. Era un ufficio. Non
sembrava esserci nulla di troppo importante, così richiuse
la porta in silenzio. Quando si voltò e
ricominciò a camminare vide, sul fondo del corridoio di
pietra, un soldato che camminava tranquillo.
Eragon alzò subito la mano per ucciderlo silenziosamente con
una magia, ma si fermò appena in tempo. Al posto di
pronunciare una delle parole di morte, bisbigliò
nell’antica lingua: “Immobilizza gli
arti”.
Come se gli fosse stato gettato addosso un secchio d’acqua
gelata, il soldato s’irrigidì sul posto e
cominciò ad ansimare spaventato. Eragon andò in
fretta accanto a lui e gli si parò davanti. Il soldato lo
osservava con sguardo terrorizzato.
“Non farmi del male” disse ad Eragon non appena lo
vide.
“Non ti farò nulla se mi indichi la strada per i
registri della prigione” rispose lui con voce dura e uno
sguardo più spaventoso di quello che volesse assumere.
“I registri sono contenuti tutti oltre le ultime cinque porte
del corridoio, tutte quelle sulla sinistra” disse in fretta
il soldato.
“C’è qualcuno che varrà a
sostituirti? O a controllare qualcosa in questo corridoio?”.
“No, nessuno. Fino a domani mattina
all’alba” disse l’uomo terrorizzato.
“Grazie mille” rispose Eragon sospirando. Poi,
conscio di aver mentito, uccise il soldato. Quello si
accasciò all’improvviso ai suoi piedi, gli occhi
rivoltati all’indietro, di cui era visibile solo il bianco.
Eragon si chinò su di lui e gli chiuse gli occhi con le
mani, sospirando.
Il soldato aveva detto la verità, in fondo al corridoio, a
una regolare distanza, c’erano cinque porte. Eragon
aprì la prima e vi entrò. Era una stanza ampia,
con un grosso tavolo al centro e una lampada a olio posata sul tavolo,
spenta. Su tre dei quattro lati della stanza scorreva una grande
libreria. Ogni scaffale era pieno di libri rilegati in pelle marrone, e
sembravano abbastanza vecchi. Eragon ne prese uno a caso e
cominciò a sfogliare le pagine ingiallite. Notò
che sullo scaffale c’era un’etichetta che recava
una scritta. Era una data che risaliva a quasi cento anni fa. Rimise il
libro a posto e guardò negli altri scaffali. Tutti
riportavano date diverse, e il ragazzo comprese che in ogni scaffale
erano tenuti i libri riguardanti un solo anno. Tegrish gli aveva detto
che suo padre era stato catturato l’anno prima, quindi
lì non doveva esserci nulla di quello che cercava.
Andò all’ultima delle cinque porte e vi
entrò. Come l’altra stanza era coperta di
scaffali, ma lì solo due delle pareti erano piene di libri.
Eragon andò verso gli ultimi scaffali, ai quali seguivano
solo quelli vuoti, e cercò la data dell’anno
precedente.
Era incredibile quante persone fossero state arrestate in quegli ultimi
anni. Trovò la data che cercava e rimase stupito di trovare
così tanti volumi. C’è
n’erano almeno una ventina e, prendendo il primo, Eragon
notò che erano scritti con una grafia ordinata, curata e
soprattutto molto fitta.
Non poteva fare tutto quel lavoro da solo. Chiuse gli occhi, si
concentrò, e allargò la mente, cercando Oromis ed
Ellen. Lontano da lui, da qualche parte nella prigione,
percepì il maestro.
Oromis, ho
trovato i registri. Inviò ad Oromis una
immagine mentale di dove si trovava.
Arriviamo
subito, tu avvisa Ellen.
D’accordo, disse Eragon, e si
concentrò nuovamente per cercare la ragazza. Non la trovava
da nessuna parte, così allargò il campo di
ricerca. Alla fine trovò quello che cercava.
Ellen!
La ragazza sobbalzò nel sentire la voce di Eragon nella sua
mente e si guardò attorno, come se anche qualcun altro
avesse potuto sentire.
Eragon!
Nemmeno puoi immaginare che ho trovato qui!
Non
è il momento, ho trovato registri. Oromis e Tegrish stanno
venendo qui, mandò l’immagine di dove
si trovava anche a lei. Ti
aspettiamo d’accordo?
No, aspetta
Eragon. Forse ci vorrà più tempo del dovuto
perché io arrivi.
Perché? Ellen, per favore, non metterti nei guai. Stiamo
rischiando grosso, non devi fare di testa tua!, la
rimproverò il ragazzo, ansioso.
Dovrete solo
aspettarmi un po’ più a lungo, tutto qui. Fidati
Eragon, so cosa faccio. Non mi succederà nulla, non ti devi
preoccupare. Presto arriverò a darvi una mano, in quattro
troveremo le informazioni che cerchiamo in un baleno. Aspettatemi
lì, non ci metterò molto.
Ma cosa
…? Ellen! La ragazza lo chiuse al di fuori
della sua mente, ed Eragon non poté più parlarle.
Il ragazzo imprecò, poi prese tre grossi libri e li mise sul
tavolo. Accese la lampada ad olio e si sedette in attesa di
Oromis e Tegrish. Non sapeva nemmeno come si chiamasse il padre di
quest’ultimo, così decise di aspettare il suo
arrivo per chiedergli più informazioni. Nel momento in cui
Oromis e Tegrish arrivarono Eragon alzò gli occhi da uno dei
libri.
“Eccoci” disse Tegrish impaziente, sedendosi al
tavolo.
“Sono catalogati per anno, quelli dell’anno scorso
sono tutti in quella mensola” cominciò Eragon
indicando i libri alle sue spalle. “I libri sono numerati, e
dentro c’è la divisione di ogni singolo giorno
dell’anno”.
“Quando è stato catturato tuo padre?”
chiese subito Oromis.
“Non mi ricordo il giorno esatto, ma è successo
nella stagione di raccolta, uno dei primi mesi” rispose
subito Tegrish.
“Bene”. Eragon si alzò dalla sedia e
cominciò a cercare i libri che corrispondevano a quella
stagione. Sfogliandone alcuni tirò fuori quattro grossi
volumi. Se li divisero e iniziarono a leggerli dal principio.
“Chi dobbiamo cercare esattamente?”.
“Dovete cercare Kalim Yamm, chiamato anche Il guaritore ladro”.
La silenziosa ricerca cominciò. Dopo appena qualche minuto
Oromis alzò la testa dal suo libro.
“Ellen?”.
Eragon sbuffò. “Non lo so. Mi ha cacciato dalla
sua testa e ha detto che sarebbe arrivata subito, che aveva trovato
qualcosa”.
“Che cosa?” chiese Oromis alzandosi di scatto.
“E l’hai lasciata lì?”.
“E che dovevo fare? Non so dove si trova e lei non me lo ha
detto!” esclamò Eragon infastidito.
“Aspettatemi qui, devo andare a cercarla” disse
grevemente Oromis scostando la sedia e uscendo dalla stanza.
Eragon emise un verso di sdegno e s’imbronciò.
“Continuiamo noi, Tegrish. Saremmo capaci di trovare tutto
quel che ci serve anche da soli” disse ricominciando a
leggere febbrilmente.
“Ecco … ho quasi fatto”. Ellen si
asciugò alcune goccioline di sudore sulla fronte, si
guardò alle spalle per controllare che non ci fosse nessuno,
poi posò di nuovo gli occhi sul suo lavoro. Il ferro mezzo
arrugginito si stava pian piano spezzando. Alla fine, con un colpo
secco, si ruppe. “Fatto” disse Ellen liberando la
creatura dalle catene che le tenevano i piedi legati.
“Grazie” grugnì quella, e si
accasciò sul pavimento, sfinito.
Ellen si spostò un po’ più in
là e si allungò verso un altro prigioniero. Fece
la stessa procedura e liberò anche lui. Uscì
dalla piccola cella dove aveva liberato due prigionieri e
passò a alla prossima, la penultima. Attorno a lei
cominciava a sentire il mormorio dei prigionieri che aveva
già liberato. Alcuni si muovevano leggermente, cercando di
rianimare i muscoli e le giunture rimaste per troppo tempo
addormentate, altri seguivano i suoi spostamenti, altri ancora
sussurravano fra di loro. Alcuni, quando Ellen li aveva liberati,
avevano cercato di aiutarla, ma lei aveva gentilmente detto loro di
restare dov’erano e di riposarsi. “Risparmiate le
energie per andare via da qui”, aveva detto.
Stava cercando di aprire una delle celle dove si trovava un personaggio
incappucciato che non si faceva vedere in volto, quando
all’improvviso la porta si aprì. Ellen
sussultò e si voltò di scatto, i prigionieri
ebbero la stessa sua reazione, ma più lenti e con il terrore
dipinto sul volto.
Era Oromis. Ellen trasse un respiro di sollievo quando lo vide.
“Oromis vieni a darmi una mano” disse mentre ancora
trafficava con il lucchetto della cella. La figura incappucciata
fremette impercettibilmente. Oromis, lo stupore dipinto sul volto nel
vedere tutte quelle creature, si avvicinò ad Ellen
guardandosi attorno circospetto, poi si chinò affianco a
lei, sul lucchetto. “Non riesco ad aprirlo” disse
la ragazza in un sibilo.
“Fammi vedere”. Prese in mano il lucchetto e lo
tenne stretto in mano. “E’ una magia forte. Hai
liberato tutti loro da sola?” chiese indicando le altre celle.
“Si”.
“E’ probabile che tu non abbia più forze
allora per contrastare questa. Faccio io qui, tu va’ da
loro”. Indicò gli ultimi prigionieri, ancora
incatenati al muro con lunghe e spesse catene d’acciaio.
“D’accordo”. Ellen li liberò
e, poco dopo, Oromis riuscì ad aprire la cella. La figura
incappucciata si alzò con eleganza e uscì dalla
sua prigione.
“Come possiamo farli uscire senza che nessuno se ne
accorga?” chiese Ellen con un bisbiglio ad Oromis.
“Non lo so. Avvisa Eragon che noi due torniamo indietro, li
porteremo alla grotta. Lui e Tegrish se la possono benissimo cavare da
soli” rispose l’elfo guardandosi attorno. Ellen
annuì.
Eragon
…, la ragazza cercò un po’
dappertutto, e alla fine lo trovò. Eragon io ed Oromis dobbiamo
tornare alla grotta.
Cosa? E
perché? Volete spiegarmi cosa diavolo succede?
Con
più calma, ora non mi pare proprio il caso. A che punto
siete tu e Tegrish? L’avete trovato?
Si, sappiamo
che è qui. Ma ci metteremo un eternità a
controllare ogni cella, anche se Tegrish conosce la strada per
arrivarci. Ci è stato prima con Oromis.
Non metteteci
così tanto. Ricorda, il cambio della guardia
avverrà all’alba. Credo che a quell’ora
anche in città comparirà della gente. I soldati
torneranno tutti qui. Mi raccomando, fate attenzione.
Si, certo.
Ci vediamo
alla grotta.
Ellen si riscosse dalla conversazione e guardò Oromis, stava
facendo alzare tutti i prigionieri, lentamente, come se avesse paura
che potessero svenire da un momento all’altro, il che, si
disse Ellen, poteva anche essere vero.
“Ellen va’ davanti e guidaci fuori” disse
Oromis. Ellen eseguì senza fiatare, andò alla
porta e guardò in su e in giù lungo il corridoio.
Dopo aver visto che non c’era nessuno fece un segno agli
altri e uscì nel corridoio. Per fortuna non incontrarono
nessuno, Ellen era preoccupata per la mancanza di energia, che aveva
sprecato per liberare la maggior parte dei prigionieri. Quando furono
nel corridoio principale Ellen si diresse alla porta e
l’aprì. Come quando erano entrati, quella non fece
un rumore. La guardia di notte probabilmente era ancora nel vicolo,
legata, imbavagliata e svenuta. Il manipolo di prigionieri, fra sospiri
di sfinimento e grugniti animaleschi, arrivò fino alla porta.
“Come facciamo a passare?” chiese qualcuno.
“Scavalchiamo” rispose Oromis.
“Vado prima io e vi apro” disse Ellen in un
sussurro. Uno dei prigionieri si era ripreso abbastanza da sollevarla e
aiutarla a passare oltre le basse mura di Kuasta. Quando Ellen fu
dall’altra parte, non appena si voltò, vide due
soldati guardarla in cagnesco. Imprecò mentalmente ed
estrasse la spada.
Se non fosse stata così stanca probabilmente non ci avrebbe
messo poi molto, ma sentiva le forze cedere ad ogni movimento. I
soldati per di più erano in due e ben addestrati, mentre lei
era solo una, e molto infiacchita. Con un grugnito di dolore, Ellen
respinse uno dei soldati che le aveva ferito la spalla, poi si
gettò su di lui e lo trafisse. Intanto, dietro di lei,
sentiva l’agitarsi dei prigionieri e di Oromis.
Improvvisamente, dall’alto, vide spuntare l’elfo.
Il soldato sopravvissuto non se ne accorse nemmeno e Oromis, saltando
giù dal muro, lo trafisse senza alcuno sforzo.
“Andiamo” disse l’elfo avviandosi alle
porte della città. Aprirono in fretta il portone e i
prigionieri uscirono.
In quel momento Ellen sentì mancare le forze. Gli occhi le
si rivoltarono all’indietro e lei svenne. Non
sentì neanche le grosse braccia muscolose del prigioniero,
che l’avevano afferrata appena prima che toccasse terra.
Se siete arrivati alla fine di
questo capitolo, vi meritate davvero un premio. E' lunghissimo!
Comunque sia, spero di non avervi annoiato con questo capitolone,
è che non mi andava di spezzettarlo in due parti, sarebbe
stato troppo discontinuo.
B'è, rispondo velocemente alle recensioni, che devo scappare!
KissyKikka: wow grazie mille per i complimenti! Non ti preoccupare per
non aver recensito, so che adesso siamo tutti impegnati! Sono contenta
di esser riuscita a descrivere bene Gylda, ho cercato di darle una
personalità che potesse essere compatibile con quella di
Tegrish. Del tuo prezioso giudizio mi fido molto, e sono felice che ti
piaccia ancora la storia, anche se sta subendo molte modifiche e si
discosta parecchio dall'originale. B'è, grazie mille per
aver recensito, un bacio! ^^
Thyarah: grazie per i complimenti! Sono felice che ti piaccia la
storia, e anche i personaggi e il modo di scrivere. Come vedi anche
questo capitolo finisce in un modo strano, e non si sa ancora chi hanno
liberato fra i prigionieri di Kuasta, ma lo saprete presto, e
sarà la premessa per un nuovo importante personaggio che
vedremo comparire fra un po'. B'è, grazie per la recensione,
al prossimo capitolo.
A tutti gli altri grazie mille, vi saluto in fretta perchè
devo andare,
Patty.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** Nuove alleanze ***
Capitolo nove: Nuove alleanze
Tre
Urgali. Un Kull. Due nani. Due elfi. Uno sconosciuto.
Tegrish tirava le somme di chi Ellen e Oromis erano riusciti a
liberare, e trovava fosse una notizia magnifica. Per di più,
lì con loro c’era anche suo padre. Era ancora
addormentato, Tegrish aveva paura che avesse qualcosa, ma secondo
Oromis si sarebbe presto ripreso. Era cambiato molto da quando
l’aveva visto l’ultima volta: il suo volto era
scarno e magro, così come il resto del corpo, sotto gli
occhi aveva delle occhiaie scure e gli zigomi sporgevano
all’infuori in modo innaturale. Aveva la barba lunga, Tegrish
ricordò che non l’aveva mai tenuta lunga,
perché diceva che non era elegante e non piaceva alle
signore. Ogni volta che lo diceva, Tegrish rideva e gli diceva che lui
non avrebbe comunque avuto speranze con nessuna.
Quando Eragon e lui erano tornati alla grotta, con suo padre mezzo
svenuto che non capiva che cosa stesse succedendo, l’avevano
trovata occupata da creature che non avevano mai visto prima. La
maggior parte furono catturate perché erano state dichiarate
nemiche dell’Impero, o perché erano ritenute
pericolose.
Il Kull assieme agli altri tre Urgali erano un gruppo nomade che si era
distaccato dal loro clan quando questo si era arruolato a Galbatorix.
Gli elfi erano stati catturati dopo essere stati inviati come
messaggeri moltissimi anni fa al re, e così era accaduto per
i nani. Rimaneva solo il misterioso personaggio incappucciato, ma non
parlava mai e non si era nemmeno mostrato in volto.
Sembrava che volesse recuperare il più in fretta possibile
le forze per poi andarsene. Mangiava sempre tutto quello che riuscivano
a cacciare, scompariva per delle ore intere e nessuno lo rivedeva
più, poi prima di cena tornava e mangiava. Dormiva a lungo,
e la mattina dopo ricominciava la giornata con lo stesso ritmo lento,
ma in costante accelerazione.
Un giorno il capo Kull degli Urgali, che si stavano riprendendo dalle
fatiche della prigione molto facilmente, catturò un orso
adulto e lo portò di fronte ad Ellen.
“Questo è per te,” disse con la sua voce
gutturale, “per aver salvato me e i miei compagni dalla
prigionia”.
Ellen guardò stupefatta la carcassa dell’orso.
“Grazie Trushkren” disse allibita.
“Di nulla Hamorai”
rispose lui. Ellen fece uno sguardo perplesso, pensava di non aver
colto bene le parole del grosso Kull.
Eragon si chinò affianco a lei e mormorò al suo
orecchio: “Hamorai
è una parola che gli Urgali usano per persone verso cui
portano grande rispetto. E’ un modo per renderti
grazie”.
“Oh!” esclamò Ellen. “Grazie
ancora, sei molto gentile” disse rivolta a Trushkren. Il Kull
annuì, soddisfatto, e fece per appartarsi con i suoi
compagni. Ad un tratto ad Ellen venne un’idea.
“Trushkren!” disse sorpassando la carcassa
dell’orso e andando verso di lui. Il Kull si fermò
a metà strada e si girò verso di lei con sguardo
interrogativo. “Qual è il clan dal quale vi siete
distaccati? Se non oso troppo nel chiedere”.
“Il clan era capitanato da un Kull di molto superiore a me.
Si chiamava Nar Garzhvog” rispose lui.
Il viso di Ellen s’illuminò di sorpresa e
speranza: “Nar Garzhvog? B’è, non so se
ti farà piacere saperlo, ma il tuo vecchio clan ha sciolto
l’alleanza con Galbatorix e si è schierato dalla
nostra parte. Ora lui e il suo clan sono sotto il comando di Nasuada,
capo dei Varden, chiamata anche Lady Furianera”.
“Furianera?” chiese Trushkren stupito.
“E’ il soprannome che avevamo dato al capo dei
Varden, ci inseguiva con il fuoco negli occhi nelle gallerie del
Farthen Dur”.
“Lady Furianera è sua figlia. Ora governa i Varden
con saggezza e parsimonia, ed è riuscita a far accettare il
vostro clan malgrado i diversi pregiudizi che c’erano nel
campo”. Ellen fece una pausa, poi chiese a Trushkren:
“Io mi chiedevo … se voleste allearvi con noi come
ha fatto Nar Garzvogh”. La domanda rimase in sospeso, gli
elfi e i nani alzarono lo sguardo verso di loro. I tre draghi, sul
fondo della grotta, osservavano la scena con i loro occhi intelligenti.
“Non nutro più molta simpatia per il mio vecchio
capo” disse lentamente Trushkren, “ma …
credo che potrei mettere da parte i dissapori e unirmi ai Varden per
una giusta causa”.
Ellen tirò un sospiro di sollievo. Per un secondo aveva
pensato che il Kull si sarebbe arrabbiato, ma invece aveva reagito come
sperava. Improvvisamente uno dei nani, di nome Freder, si
alzò e si batté un pugno sul petto, poi disse ad
alta voce, la barba vibrante al muoversi delle sue labbra:
“Anche noi combatteremo! L’Impero non
dimenticherà gli anni di prigionia inflitti a me e al mio
fratello, dico bene Grimet?! Siamo al vostro servizio, nonostante siamo
solo in due”.
“Due soldati in più possono fare la
differenza” disse gentilmente Oromis.
A questo punto, forse presi dal fervore del momento, gli elfi si
alzarono leggiadri e andarono verso Oromis. S’inchinarono a
lui e dissero, nella loro lingua madre: “Saremmo lieti di
esservi d’aiuto Oromis-elda. Ti siamo grati per quello che
hai fatto, e non possiamo dimenticare le tue imprese di Cavaliere: se
abbiamo te dalla nostra parte, siamo sicuri di vincere. Andremo a
cercare il nostro popolo, è una città non molto
lontana da Ellesmera, sono certo che troveremo molti alleati. Il nostro
popolo ti sarà grato per averci aiutati”.
Pochi giorni dopo quelle promesse di fedeltà, il padre di
Tegrish si era svegliato definitivamente e Oromis ed Eragon
concordarono che fosse una buona idea andarsene, ed incamminarsi verso
i Varden. Questa volta erano più lenti. I draghi volavano
dritti verso l’accampamento, e cercavano uno spazio riparato
dove gli altri potessero sostare per la notte. Quando raggiungevano il
luogo prescelto allora mandavano l’immagine a Oromis e
aspettavano.
Tutti camminavano più lentamente e, solitamente, erano
divisi in tre gruppi. In testa c’erano sempre Eragon, Oromis,
Ellen, Tegrish e suo padre e i due elfi, di nome Ismar e Ajen. Molto
spesso camminavano affianco a loro anche i due nani Freder e Grimet, a
volte invece se ne stavano in disparte a fare lunghe conversazioni
nella loro lingua natia e a ridere in modo contagioso. Dietro a questo
gruppo c’erano i tre Urgali e Trushkren, che preferivano
stare per conto loro. A seguirli, per ultimo, c’era lo
straniero misterioso, di cui nessuno sapeva nulla e di cui non
conoscevano nemmeno il volto né il nome.
Una sera, dopo che si furono accampati, Tegrish e suo padre Kalim si
misero a parlare fra di loro e tutti vollero lasciarli soli, a godersi
un po’ della pace e della felicità che meritavano
dopo essersi ritrovati. Gli altri si misero a dormire, mentre Glaedr
vegliava su tutti loro, come si era proposto di fare.
Tutti dormivano, la notte era silenziosa dopo che anche Tegrish e Kalim
si erano addormentati uno accanto all’altro. Se non fosse
stato per la sua vista acuta, Glaedr non si sarebbe nemmeno reso conto
della figura scura che si staccava dal gruppo. Era il misterioso
sconosciuto senza nome, che si alzava e se ne andava. Glaedr lo avrebbe
anche lasciato andare senza troppi problemi, pensando che forse per lui
era giunto il momento di andarsene, se non fosse stato che, dopo
qualche minuto che si fu allontanato, il drago vide una scintilla rosso
acceso crepitare nel bosco.
Con la mente chiamò Oromis, che si svegliò. Che cosa
c’è?, chiese l’elfo con
tono confuso, anche la mente intrisa di sonno.
Lo
sconosciuto s’e n’è andato, ma
lì c’è qualcosa che brilla, credo sia
lui.
Dove?,
Oromis cercò con gli occhi nella direzione indicata da
Glaedr con la coda, e vide un baluginio rossastro nel buio selvatico
della foresta. Resta
con gli altri, vado a vedere che cos’è.
Oromis andò velocemente verso la fonte di luce, che si
faceva sempre più intensa man mano che si avvicinava.
Sorpassò alcuni alberi, ma rimase nascosto. In mezzo ai
tronchi e ai rovi lo sconosciuto aveva abbassato il cappuccio, e teneva
fra le mani quello che sembrava un globo di acqua rossastra e luminosa.
Vi guardava dentro come se stesse cercando qualcosa, qualcosa che
evidentemente non trovava, stando alle sue sopracciglia corrucciate. Ma
la cosa che stupì di più Oromis era che si erano
sbagliati tutti su di lui.
Non era lui, era lei. Era alta e sottile, tutto in lei sembrava
stranamente allungato, dalle gambe lunghe che Oromis riusciva ad
intravedere dalla veste con cappuccio aperta e svolazzante ad un vento
inesistente, alle braccia sottili piene di anelli e bracciali, per
finire sul viso magro e allungato, con un naso dritto e perfetto. Aveva
la pelle scura, come quella di Nasuada, mentre i palmi delle mani erano
più pallidi.
Rimase a guardare affascinato la straniera che continuava la ricerca
nella sua palla d’acqua, poi, quando la palla fu scomparsa in
un guizzo di colore, Oromis si schiarì la gola e
avanzò. La donna fece un sussulto nel vederlo comparire al
suo fianco, e cercò di proteggersi velocemente con la veste
e il cappuccio.
“Non c’è bisogno che ti copri. Nessuno
ti farà nulla” disse Oromis facendo vedere che era
disarmato. Continuò a camminare lentamente verso di lei, che
lo guardava con espressione truce, arrabbiata con sé stessa
per essere stata scoperta. “Perché ti nascondevi?
Come ti chiami?” chiese Oromis.
Attese pazientemente che la straniera si degnasse di una risposta. E
infatti quella, con voce fluida e leggera, cha pareva una musica dolce,
disse: “Mi chiamo Janeshla”.
“Piacere di conoscerti, Janeshla” disse Oromis con
un leggero inchino, senza tuttavia distogliere lo sguardo da lei.
“Posso chiederti perché te ne stai qui da
sola?”.
Janeshla sembrò esitare, poi sospirò.
“Non voglio finire coinvolta contro l’Impero. Io e
le mie sorelle non siamo né con, né contro
Galbatorix. Sto cercando di contattarle, ma non le trovo da nessuna
parte. Quando le troverò me ne andrò, nel
frattempo, per non rischiare, non volevo proseguire la strada da
sola”.
“Forse se ce lo avessi raccontato prima a quest’ora
ti avremmo aiutato”.
“Ne dubito” sbuffò Janeshla incrociando
le braccia al petto.
“E perché mai?” chiese Oromis con un
piccolo sorriso.
Janeshla si torse le mani e cominciò a spostare il peso da
un piede all’altro. Guardava ovunque tranne che verso Oromis.
A lui non sembrava così offensiva, dopotutto, e cosa avrebbe
potuto nascondere di così terribile? Janeshla continuava a
sembrare nervosa e anche impaurita. Alla fine, come se avesse preso una
decisione per conto suo, guardò Oromis con sguardo intenso e
risoluto. “Io e le sorelle che sto cercando siamo
Ibridi”.
Oromis restò paralizzato, lo sguardo fisso sulla donna di
fronte a sé. La guardò meglio, ma non scorse
nessuna delle tracce caratteristiche degli ibridi, che conosceva solo
in teoria. Erano creature selvagge, che vivevano per conto loro
formando piccoli clan di poche persone ognuno. L’elfo, un
po’ più apprensivo, cercò di dire
qualcosa, ma non le venne in mente nulla che potesse essergli
d’aiuto.
Janeshla sbuffò. “Me ne sto andando. Non dire a
nessuno che cosa sono” disse, e si voltò. Stava
per scomparire nel folto degli alberi, con passo incerto, quando Oromis
si riebbe.
“Aspetta! Janeshla!”. Corse verso di lei e la
raggiunse in un attimo. Istintivamente, stava per posarle una mano
sulla spalla, ma poi cambiò idea.
“Perché non resti con noi?” chiese.
“E’ chiaro che non vuoi viaggiare da sola, allora
sta’ con noi. Finora nessuno ha avuto motivo per non fidarsi
di te, a parte il fatto che ti tenevi sempre nascosta. Ma ora tutti
sapranno che era solo a causa di … pregiudizi”.
“Oromis-elda, il fatto che tu possa superare i pregiudizi,
non significa che lo possano fare anche gli altri”
replicò Janeshla con un sorriso triste.
“E’ meglio che vada”.
“No, aspetta. Solo un minuto. Continua a viaggiare con noi,
ti presenterò io agli altri e vedrai che non ci saranno
problemi”. Janeshla esitò. Oromis capì
che per convincerla ci mancava poco. “Forse potrei aiutarti a
trovare le tue sorelle” buttò lì.
Non ci vollero più di pochi secondi perché la
donna rispondesse, con voce convinta:
“D’accordo”.
“Non credo proprio che sia stata una buona idea. Sarebbe
stato meglio se Oromis l’avesse lasciata andare”
borbottò nella barba Grimet al compagno. I due nani se ne
stavano in disparte e osservavano la donna alta che si muoveva sinuosa
davanti a loro. In fondo alla congrega stavano gli Urgali, che non
avevano ancora detto nulla. Un po’ distanti e silenziosi
stavano gli elfi. Davanti a tutti, come al solito, c’erano i
tre Cavalieri, Ellen e Kalim.
“Ma, scusate, qualcuno vuole spiegarmi perché sono
tutti così agitati?” chiese Ellen per la centesima
volta.
“Si, spiegatelo anche a noi” intervenne Eragon.
“Non ora, potrebbe sentirci” bisbigliò
Oromis.
“Se può sentire noi allora può
benissimo sentire quello che dice Grimet, ma non mi pare ne stia
facendo una tragedia, no? Perché non posso avere una
spiegazione? In fondo non c’è nulla di
sbagliato”.
A quel punto Kalim sbuffò. “Oromis, se serve a
farli zittire, glielo racconterò io” disse con
finto tono di rimprovero. Era quasi identico al figlio, almeno
caratterialmente, e non riusciva mai ad arrabbiarsi davvero con
qualcuno. “Allora, ascoltate con attenzione.” disse
rivolto ai due ragazzi, “Gli ibridi sono una razza molto
antica, nessuno sa da dove provenga. A quanto si dice in giro sono
quasi estinti e non si parla di loro da anni ormai. Le leggende, che io
credo fermamente essere vere, raccontano che gli ibridi sono il
risultato di un antico patto fra uomini e animali”.
“Che animali?” chiese Eragon.
“Tutti gli animali” proseguì Kalim come
se fosse ovvio. “Ogni ibrido ha la capacità di
trasformarsi in un animale a sua scelta. Non so bene come funzioni, ma
pare che da piccoli possano scegliere l’animale che
più gli piace e trasformarsi in quello. Ma devono scegliere
bene, perché poi non posso più
cambiare”.
“In realtà” una voce flautata giunse da
dietro di loro, tutti si voltarono e videro che Janeshla li aveva
raggiunti e aveva ascoltato la conversazione, “non
è proprio così. Ognuno di noi ha un animale
speciale, con il quale è più legato.
L’animale che si adatta meglio alla personalità di
un ibrido è quello giusto per lui. Non è una cosa
che si può scegliere, ma tutti sono soddisfatti
dell’animale che possiedono”.
“E tu che animale sei?” chiese Ellen.
“Volete vedere?” chiese Janeshla con un mezzo
sorriso.
“Forse non è una buona idea
…” tentò di dire Oromis, ma lei aveva
già iniziato a correre.
A metà della corsa Janeshla si trasformò in un
bellissimo cavallo marrone scuro. Continuò a galoppare, fece
qualche salto, nitrì e poi tornò indietro,
ritrasformandosi e riprendendo a camminare affianco a loro. Tutti erano
rimasti a bocca aperta, gli elfi la osservavano incantati, invece le
espressioni dei nani erano ancora più cupe di prima. Gli
Urgali, dopo aver mostrato un leggero nervosismo durante la
trasformazione, cercarono di calmarsi.
“Ma è bellissimo!” esclamò
Ellen con un sorriso. “Chissà che animale sarei
io” si chiese concentrando lo sguardo davanti a sé.
“Saresti un topo” disse subito Eragon.
“Zitto!” esclamò la ragazza mollandogli
un pugno sulla spalla. “Tu saresti un uccellaccio del
malaugurio!”.
“Comunque …” si intromise Tegrish
guardando verso Janeshla, “non capisco che cosa ci sia di
tanto terribile. Perché la gente vi … insomma,
perché hanno paura?” chiese, con il lieve timore
di offenderla.
“Purtroppo non tutti siamo in grado di controllarci quando
siamo sotto forma di animali. Questo spesso può essere un
problema, senza rendercene conto possiamo distruggere un intero
villaggio. I nostri sensi sono più forti di quelli di un
normale animale, siamo forti il triplo di loro. Ora … pensa
ad un drago tre volte più forte di uno dei vostri, e pensa
cosa potrebbe fare se fosse fuori controllo”.
“Vi potete trasformare anche in draghi?” chiese
Eragon stupito.
“Una volta, ho conosciuto un ibrido che possedeva lo spirito
del drago. Io sono un ibrido relativamente innocuo ad esempio, ma una
delle mie sorelle si trasforma in un falco talmente grande da poterti
uccidere con tre beccate, mentre l’altra possiede lo spirito
di uno dei più temibili mostri marini” disse
Janeshla accennando un sorriso.
“E cosa succede se si trasforma in terraferma?”.
“Non è un pesce, è un mostro marino, ma
questo non significa che non possa resistere fuori
dall’acqua. Ma hai ragione, se sta troppo tempo fuori si
stanca più in fretta. E’ per questo che siamo
così temuti, quando prendiamo la nostra forma animale e non
riusciamo a trattenere le nostre emozioni siamo un grosso
pericolo”.
“Ovviamente attorno a questo fatto si sono create milioni di
leggende, tutte false.” disse Oromis,
“C’è chi dice che gli ibridi mangino i
bambini che dormono per riprendere le forze, che le donne ibride
uccidano i loro amanti e altre sciocchezze simili”.
“Capito” disse Ellen abbassando lo sguardo e
osservandosi i piedi.
In quel momento una voce possente prese posto nelle loro menti: Glaedr.
Siamo in vista
dell’accampamento, se continuate di questo passo vi
arriverete prima di sera.
Grazie Glaedr,
disse Oromis. Sentirono un ruggito in lontananza, la risposta del drago.
“Andiamo,” disse Oromis voltandosi verso gli altri,
“Nasuada sarà più che felice di aver
trovato altri alleati”.
“Lady Nasuada, grazie mille per averci offerto
ospitalità. Adesso che io e Grimet siamo più
sicuri, andremo di sicuro a chiamare il nostro clan. Vi dobbiamo un
favore, e il nostro capo non rimarrà certo immobile di
fronte a tanta gentilezza” disse Freder inchinandosi a
Nasuada.
“Vi sono molto grata per quello che state facendo, sono
sicura che con degli alleati come il vostro clan avremmo molte
più possibilità di vincere”.
“Ci impegneremo per raccontare la situazione anche agli altri
nani che si sono rifiutati di unirsi a Re Rothgar nella precedente
battaglia. Suo nipote Orik non esiterà a sostenerci, e
adesso che è diventato Re gli altri saranno ancora
più convinti. Inoltre il nostro è uno dei clan
più antichi e influenti”.
Era passata una settimana da quando erano arrivati
all’accampamento, e dopo essersi completamente ripresi i nani
avevano deciso che sarebbero partiti per convincere il loro clan ad
unirsi ai Varden. Credevano che la loro missione si sarebbe conclusa
con successo, anche perche non si era mai visto un nano che non
ricambiava un favore.
Quando erano arrivati all’accampamento dei Varden gli Urgali
avevano subito raggiunto i loro simili e pareva che Nar Garzvogh e
Trushkren avessero sotterrato l’astio che correva fra loro. I
due elfi Ismar e Ajen, dopo aver mandato un messaggiero alla loro
città, si erano uniti alla guardia di Nasuada e ora la
seguivano dappertutto. Avevano fatto montare una tenda accanto a quella
di Oromis, per Janeshla, e ogni giorno i due cercavano di trovare le
compagne di lei nei modi più disparati.
I Varden erano rimasti molto sorpresi dell’arrivo di altri
due Cavalieri assieme ai rispettivi draghi. Soprattutto di Glaedr, che
era più grande di Saphira e Gylda messe assieme. Ma
ovviamente, nonostante lo stupore, tutti accolsero molto bene i nuovi
arrivati, e la speranza si rinnovò di nuovo nei cuori di
tutti. Adesso sul volto delle persone si leggeva una luce diversa,
tutti erano più propensi a sorridere e più decisi
che mai a combattere.
Una sera Arya entrò nella tenda che divideva con Ellen e
sorprese la ragazza a guardarsi intensamente allo specchio, a voltarsi
e guardarsi da tutte le angolazioni, soprattutto il viso.
“Ellen che cosa stai facendo?” chiese divertita. Forse,
pensò, non
si è ancora abituata al suo nuovo aspetto.
Ellen cercò di nascondere senza successo lo specchio.
“Nulla!” esclamò arrossendo e abbassando
lo sguardo, per evitare quello dell’elfa. Arya
avanzò verso di lei e le prese lo specchio da dietro la
schiena. “No, aspetta! Non stavo facendo niente! Controllavo
soltanto” disse. Arya sorrise. “Sono tanto diversa
da prima, secondo te?” chiese alla fine Ellen.
“Non troppo. Sembri solo un umana dai tratti un po’
più delicati, e con le orecchie a punta”.
“Ma si vede che sono ancora io, vero?”.
“Ma certo che si vede”.
“E credi che a Murtagh … credi che gli
piacerà?” chiese riprendendo lo specchio in mano e
osservandosi attentamente. “Sarebbe tutto migliore senza
queste orecchie, e questi occhi allungati”.
“Oh … allora è
così” sussurrò Arya guardando altrove.
“Certo che è così”
borbottò Ellen. “E se a Murtagh non
piacesse?” si lamentò.
“Credi che Murtagh stia con te solo per come sei fatta? In
quel caso meglio ancora, no?” disse Arya con aria di
rimprovero.
“Che cosa vuoi dire?”.
“Voglio dire che se Murtagh ti apprezza per il tuo aspetto
esteriore allora resterà con te di sicuro, dato che ora
assomigli di più ad un attraente elfo. Ma non credo che
Murtagh sia quel tipo di ragazzo e credo che tu gli piaccia in entrambi
i casi, quindi puoi stare tranquilla”. Arya sorrise e si
avvicinò ad Ellen, la fece sedere su uno sgabello, prese una
spazzola che si trovava lì vicino e cominciò a
pettinarla. La spazzola aveva uno strano effetto rilassante su Ellen,
che presto, persa nei suoi pensieri, si convinse che quel che aveva
detto Arya era la pura verità.
L’elfa si mise a mormorare un motivetto allegro mentre le
pettinava i capelli, e quello servì a tranquillizzare Ellen
ancora di più. Forse per il fatto di avere più
alleati, forse per quella canzone così rilassante, forse per
l’aria più allegra e fiduciosa che serpeggiava fra
tutti i Varden, ma Ellen si sentì molto meglio.
Sarebbe andato tutto alla perfezione.
Zalve a tutti! Eccomi qua ^^ Ho
da dire una cosa importante,
ossia che: se non avete capito qualcosa sugli ibridi ovviamente potete
chiedere. Io ho cercato di spiegare il meglio possibile la mia
creazione, ma non si sa mai che non si capisca qualcosa (non sono mica
Paolini, dopotutto XD). Siccome uno degli ibridi che
comparirà nel prossimo capitolo sarà importante,
vorrei che queste creature si comprendessero bene.
E, a proposito di ibridi, ditemi un po' che ne pensate di questa nuova
razza di Alagaesia che ho inventato! Sarei curiosa di sapere
l'opinione dei lettori, anche perchè è la prima
volta che faccio una cosa del genere, inventare una creatura. Spero di
esserci riuscita.
E ora passiamo alle recensioni:
KissyKikka: ahah! Hai capito perfettamente l'umore di Eragon nello
scorso capitolo! :D Scocciato che Ellen ed Oromis lo avessero messo da
parte! XD Grazie ancora per i complimenti, sei davvero troppo gentile
<3 Spero che questo capitolo ti sia piaciuto, anche
perchè si rivela chi sia il personaggio misterioso della
prigione, l'ho svelato subito nel capitolo dopo la liberazione
perchè non mi andava di far aspettar troppo chi legge!
Avrò fatto bene? B'è, comunque grazie mille per
la recensione. Un bacio, e al prossimo capitolo.
Thyarah: grazie per i complimenti, davvero. ^^ Sono felice che lo
scorso capitolo ti sia piaciuto. Mi piace trovare momenti nella storia
in cui posso mettere un po' di comicità, dato che,
principalmente, si tratta di una storia fantasy avventurosa, e spesso
la comicità non si addice a certe scene della fic. Spero che
ti piaccia l'idea degli ibridi, e spero anche di esser riuscita a dare
un'idea di quanto possano essere pericolosi. B'è, comunque
grazie per la recensione, ciao! ^^ <3
A tutti gli altri un sentito ringraziamento. So che sembra strano,
perchè non so nulla di voi, ma sul serio, vi sono molto
grata per leggere la mia fic. Un
bacione a tutti!
Patty.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Gli Ibridi ***
Capitolo dieci: Gli Ibridi
“Le
abbiamo trovate!” esclamò Oromis mettendo la testa
nella tenda di Eragon.
“Cosa?” chiese il ragazzo alzando gli occhi dalla
sua armatura, che stava sistemando in vista di altri scontri, dato che
l’ultima volta era rimasta ammaccata.
“La sorelle di Janeshla. Arriveranno nel giro di pochi giorni
all’accampamento” Oromis fece per andarsene, ma
Eragon lo fermò trattenendolo per una spalla.
“Oromis …” disse, “tu non
credi che ci sia qualcosa che potremmo dire alle Ibridi per convincerle
a combattere assieme a noi?”.
L’elfo lo guardò con aria severa. “Anche
se le convincessimo, non credo che sarebbe un vantaggio. Se, in un
attimo di rabbia, si trasformassero, allora potrebbero perfino
distruggere l’accampamento. Non sono controllabili, e quando
sono trasformate pur di placare la rabbia o l’agitazione
massacrerebbero chiunque. Non c’è differenza fra
amici o nemici”.
“Ma loro sanno usare la magia, mi hai detto.”
tentò Eragon, “E se potessimo in qualche modo
impedire loro di trasformarsi? In questo modo sarebbero più
facilmente controllabili”.
“Ma accetterebbero la limitazione?” chiese Oromis
con aria scettica. “Eragon, abbiamo aiutato Janeshla a
trovare le sue sorelle, e ora se vogliono andarsene se ne andranno. Se
vogliono restare invece, cosa che non credo, terranno di sicuro conto
del pericolo che ci fanno correre se restano assieme a noi”.
“Possiamo sempre tentare di convincerle, e se riusciamo ad
ottenere la loro alleanza, chissà che non troviamo il modo
perché possano combattere in forma umana”.
Oromis ci pensò su. “Non credo che sia una buona
idea, ma tanto vale provare” disse scrollando le spalle.
Eragon riferì ogni parola della sua conversazione con Oromis
a Ellen e Tegrish. Tutti erano d’accordo che doveva
sicuramente esserci un modo per far restare in forma umana le Ibridi,
ma non avevano idea di quale fosse, né di quale tentare.
“Forse con un incantesimo di bloccaggio”
tentò Tegrish.
“Possibile, ma le parole dovranno essere formulate con
attenzione. Potremmo bloccare anche la magia che scorre in loro e
renderle inoffensive” disse Ellen.
Eragon sbuffò. “E’ inutile che stiamo
qui a parlare. Se non possiamo fare delle prove con le Ibridi in
persona tutte le nostre supposizioni potrebbero rivelarsi
sbagliate”.
“Bene, allora quando arriveranno le Ibridi glielo chiederemo.
Prima le convinceremo a restare con noi, poi le sottoporremo a degli
… esperimenti” disse Ellen.
“Secondo Janeshla arriveranno domani mattina” disse
Eragon.
“Impossibile” disse Tegrish. “Credevo che
sarebbero arrivate fra qualche settimana”.
“Perché?” chiese Eragon.
“Ho sentito dire che avrebbero dovuto attraversare il mare.
Non possono essere così veloci”
obbiettò.
“Hm … Janeshla ha detto che una delle sorelle
è un mostro marino, forse ha trasportato l’altra
fino alla riva” disse Ellen. “E comunque
l’altra è un volatile, anche lei
dev’essere molto grande e veloce”.
“Può darsi” osservò Tegrish.
“B’è, comunque sia, arriveranno domani.
Dobbiamo parlare con loro con calma, altrimenti rischiamo di farle
arrabbiare. Se dicono di no e ne sembrano sicure dobbiamo lasciarle
andare, capito?” chiese dando una pacca sulla spalla ad
Eragon. “Capito?” chiese di nuovo quando quello non
rispose.
“Si, si ho capito” fece il ragazzo con uno sbuffo.
Il giorno seguente tutti attendevano nella tenda di Nasuada. Lei stava
seduta sul suo trono e non profferiva parola, ma si guardava intorno
curiosamente, come se dovesse tutt’un tratto accadere
qualcosa di spettacolare. In tarda mattinata un elfo e un Urgali
arrivarono, annunciando a Nasuada l’arrivo degli ospiti.
Nasuada aveva deciso che fosse meglio uscire ad incontrarli,
così lei, Oromis, Re Orrin, Eragon, Tegrish ed Ellen,
assieme a Glaedr, Saphira e Gylda, uscirono dalla tenda e si
prepararono ad incontrare le due sorelle Ibridi. Assieme a loro
c’era Janeshla, che non stava più nella pelle.
L’aria si era fatta elettrica mentre tutti osservavano quegli
esseri con curiosità e un pizzico di timore. Erano
più del previsto, due donne e un uomo, e camminavano verso
di loro osservandoli. Gli Ibridi sapevano, dai racconti che Janeshla
aveva fatto loro nei pochi minuti in cui si erano potute parlare, che
due degli stranieri l’avevano salvata dalla prigione di
Kuasta. Non si vedevano da anni ormai, e vedendo Janeshla ebbero un
brivido di gioia, ma riuscirono a reprimerlo a fatica.
Janeshla, invece, ebbe più difficoltà.
All’improvviso, mentre il sorriso le si allungava sul volto
sempre di più, si trasformò sotto gli occhi di
tutti e iniziò a correre verso le sorelle e l’uomo
che le accompagnava. Il magnifico cavallo galoppava e tendeva i
possenti muscoli, che vibravano alla luce calda del sole. I tre Ibridi
si bloccarono un istante poi, quando il cavallo arrivò da
loro, mettendosi a tirare calci con le zampe posteriori, cercarono di
calmarlo e tendevano le mani per accarezzarle il collo. Janeshla subito
si ritrasformò e abbracciò gli amici. Dopo i
saluti si bisbigliarono qualcosa e poi andarono verso il gruppo che li
aspettava accanto alla tenda di Nasuada.
“Mi scuso” disse subito Janeshla a Nasuada,
“ma non sono riuscita frenarmi”.
“Non importa, capisco” disse Nasuada sforzandosi di
sorridere. Ellen era sicura che, se avesse potuto, le avrebbe detto che
doveva essere più attenta, ma nulla di simile ad
un’accusa si poteva leggere sul suo viso. “Io sono
Nasuada” disse la ragazza facendo un piccolo inchino ai nuovi
arrivati. Anche gli altri si presentarono.
Una donna alta, dal viso estremamente pallido, quasi azzurrino, si
chinò leggermente e disse con voce profonda: “Io
sono Quanesh, prima sorella”.
L’altra donna si presentò a sua volta:
“Cutrin”. Aveva un lungo naso con una visibile
gobba alla base, le sue unghie erano spesse e di un innaturale colorito
giallastro.
Ma il più strano di tutti era l’uomo. In confronto
le altre due, compresa Janeshla, alla quale ormai si erano abituati,
erano nulla, forse solo un po’ strane. L’uomo,
invece, sembrava davvero selvaggio: i suoi capelli erano neri e
ingarbugliati, come se non si pettinasse da anni,
s’intravedevano sotto la camicia che portava dei muscoli
forti e guizzanti. I suoi occhi erano di un acceso color verde, e le
mani, Eragon lo notò in un attimo, erano stranamente grandi,
forse troppo, ma era difficile notare la differenza se non si stava
molto attenti. “Io sono Rukan”. In contrasto a
tutto quello la sua voce era dolce come lo scorrere di un fiume, e
s’inchinò un poco a Nasuada.
“Siamo molto felici di avervi qui” rispose lei,
“vorremmo che restiate con noi per tutto il tempo che
volete”.
“Io credo che ce ne andremo subito” disse Janeshla
lanciando uno sguardo obliquo a Quanesh.
L’imperiosa donna invece sorrise. “Ci farebbe molto
piacere restare” disse con la sua voce bassa e profonda.
“Farò preparare subito un banchetto”
disse Nasuada. Uno dei soldati, a quelle parole, si
allontanò velocemente.
“Vorremmo parlare con le persone che hanno liberato la nostra
sorella” disse Quanesh. Era chiaro che lei era il capo, per
quanto Rukan, l’uomo, sembrasse indubbiamente più
forte.
Oromis lanciò uno sguardo obliquo a Ellen e
avanzò verso gli Ibridi, imitato dalla ragazza un secondo
dopo. “Io sono Oromis, Cavaliere dei Draghi”.
“Io sono Ellen, figlia della Regina Islanzadi”. In
realtà avrebbe fatto a meno di dare
quell’informazione, ma non le andava di dire soltanto il suo
nome. Suonava male. Oromis era parso molto più elegante con
un titolo.
“Vi siamo molto grati per quello che avete fatto, e vorremmo
sentire la storia delle nostra sorella da quando ci siamo separate fino
a che non l’avete salvata” disse Quadesh.
“Ma certo” acconsentì subito Oromis.
Poi, voltandosi verso Nasuada, fece una muta domanda.
“Potete usare la mia tenda” disse subito lei
indicando l’entrata. Mentre i quattro Ibridi entravano Eragon
scambiò uno sguardo s’intesa con Ellen, che gli
rispose con altrettanta convinzione. Quando furono dentro tutti si
sistemarono attorno al tavolo che si trovava ridosso ad un lato della
tenda.
Janeshla cominciò a raccontare di come fosse stata catturata
anni addietro mentre lei e le sue due sorelle stavano passando accanto
a Kuasta, di come avevano imprigionato il suo spirito di animale con la
magia. Poi nella cella, dove le veniva dato del cibo avvelenato, che
tuttavia non poteva rifiutare se non voleva morire di fame. Aveva
passato quasi cinque anni nella prigione, quando finalmente Ellen era
arrivata, e da lì Quanesh volle sentire la storia
direttamente da lei e Oromis.
Quando ebbero finito Quanesh li osservava con attenzione e si passava
un dito sotto alle labbra. Infine sospirò e
abbassò la mano, dicendo: “Immagino di potervi
solo ringraziare”. La sua voce roca riempiva lo spazio.
“E’ stato più come un dovere
…” disse Ellen a voce bassa, “non potevo
lasciarli lì”.
“Sei stata molto gentile” disse Rukan con la sua
voce melodiosa.
“Posso farvi una domanda?” chiese Ellen, dopo aver
valutato bene come porre la frase. Quanesh annuì.
“Non siete arrabbiati con chi ha fatto questo a uno di
voi?”. Affianco a lei, Oromis s’irrigidì.
“Lo sono più di quanto non sembri”
mormorò Quanesh.
“E allora perché non vi unite a noi?”.
Ellen si alzò improvvisamente dal tavolo, battendo le mani
sul legno. “Tutti noi sappiamo chi è a ordinare
queste cose incivili! Galbatorix. Noi stiamo combattendo
quell’uomo. Ha fatto un torto anche a voi come a tutti gli
altri popoli di Alagaesia … loro si sono ribellati,
perché voi non lo fate?” chiese con sguardo quasi
addolorato.
Quadesh sorrise leggermente. “Sei così giovane,
principessa degli elfi” disse.
“Lo so, ma non abbastanza da ignorare le ingiustizie che
quell’uomo compie. Potreste aiutarci a costruire un mondo
migliore, senza ingiustizia, dove solo i malvagi finiranno in prigione,
per i crimini che hanno commesso e non per i loro ideali”.
“Io e i miei siamo liberi di andare dove vogliamo, le guerre
di voi uomini non ci toccano”.
“Ma Janeshla è stata catturata! Lei è
stata in prigione e ha passato cinque anni di reclusione a causa di
quell’uomo!” esclamò Ellen. Non credeva
ci potessero essere delle persone tanto ottuse. Non volevano proprio
capire!
Per quanto riguardava Quadesh, lei era del tutto in buona fede. Le era
certo molto dispiaciuto quando Janeshla era stata catturata anni prima,
ma siccome non poteva farci niente se n’era fatta una
ragione. Adesso che l’aveva ritrovata cercava solo di trovare
un posto in pace in cui poter passare il resto della sua vita.
“Comunque sia, non credo che la nostra collaborazione vi
sarebbe d’aiuto. Potremmo causare più guai che
altro” tagliò corto la donna.
“Ma potremmo cercare un modo per far funzionare le cose.
Abbiamo già così tante alleanze, forse abbiamo
una possibilità. Con voi quella possibilità
potrebbe avverarsi. Per favore, prendete almeno in considerazione
l’offerta …”. Ellen si
congedò e uscì all’aria aperta. Dopo il
caldo soffocante che si respirava nella tenda, dovuto in gran parte
alla tensione che provava, la leggera aria che correva fuori era un
toccasana.
Eragon non appena scorse la ragazza la raggiunse e chiese, impaziente:
“Allora?”.
“Allora niente. Mi sembrano così
cocciuti!” disse Ellen arrabbiata cominciando a camminare,
“A loro non interessa nulla degli altri, vogliono solo
tornare a vivere in pace il più presto possibile.
E’ come se non facessero nemmeno parte della nostra terra,
come se Alagaesia non gli interessasse per niente!”. Ellen
era furiosa, continuava a camminare a passo di marcia, come se volesse
spaccare la terra sotto i suoi piedi.
“Aspetta!”. Eragon le prese per un braccio per
fermarla. “E se gli parlassi io? Credi che cambierebbero
idea?”.
“Perché dovrebbero?” chiese Ellen
volgendo uno sguardo cinico al ragazzo. “Oromis non ha detto
una parola, non vuole farli arrabbiare”. La ragazza
sospirò. “Forse dovremmo davvero lasciarli stare.
Così rischiamo che si arrabbino sul serio. Nasuada ci
ucciderebbe se sapesse cosa stiamo facendo, rischiamo di far dimezzare
l’esercito dei Varden”.
“Andrò a parlarci io … assieme a
Tegrish, a Saphira e Gylda” disse Eragon con tono riluttante,
quasi non credesse nemmeno lui alle sue stesse parole. “Non
li faremo arrabbiare …” disse, più a
sé stesso che ad Ellen.
La ragazza sospirò. “Vado a cercare
Tegrish” disse avviandosi verso il centro
dell’accampamento.
Dopo quasi un’intera giornata, e dopo aver tallonato gli
Ibridi per un pomeriggio intero, Eragon aveva ottenuto almeno una cosa
da tutto quel parlare: i quattro avrebbero fatto una riunione per conto
loro per decidere il da farsi.
Eragon e Tegrish, aiutati dai rispettivi draghi, avevano usato parole
talmente convincenti che il dubbio si era installato nelle menti degli
Ibridi, che ora non riuscivano a togliersi di dosso la sensazione che
c’era qualcosa di profondamente sbagliato nel sistema
politico della loro terra.
Era stata data loro una tenda, dove sarebbero rimasti a parlare per
tutto il tempo necessario. Quedish, Rukan, Cutrin e Janeshla erano
seduti a terra, formando un cerchio.
“Quedish, credo che dovremmo restare” disse Rukan,
la chioma nera e indomita che gli incorniciava il viso. “Non
possiamo negare le loro parole, hanno detto la
verità”.
“Rukan, per anni siamo vissuti al di fuori di questi piccoli
litigi fra gli altri popoli” replicò la donna con
voce gentile.
“Ma questa guerra non può essere catalogata come
un piccolo litigio. Si tratta di una guerra vera! Intervenire
è nostro dovere. Da quando Galbatorix è al potere
le cose per noi sono peggiorate, questo non lo puoi negare.
E’ anche stata catturata una sorella, credi che quando
conquisterà tutta Alagaesia Galbatorix si
fermerà? No di certo! Se possiamo fare la differenza
perché no?”.
Intervenne Cutrin: “Comunque sia non potremmo mai aiutare
nessuno. Faremmo solo guai. Potremmo uccidere sia da una parte che
dall’altra, non abbiamo la piena facoltà di noi
quando lo spirito ci possiede. Queste persone staranno meglio senza di
noi”.
“Sappiamo che c’è un modo per poterci
controllare” disse Rukan a bassa voce, lo sguardo rivolto a
terra.
Quedish trasalì. “Io non sono disposta fare questo
genere di sacrificio per una battaglia che potrebbe essere vinta in un
giorno!” esclamò con la sua voce roca, bassa e
furiosa. Era vibrante di rabbia, i suoi occhi erano puntati su Rukan e
mandavano scintille di elettricità da quanto il suo spirito
di ribolliva.
“Calmati Quedish, Rukan ha parlato senza pensare
sicuramente” disse Cutrin posando una mano sulla spalla della
sua Prima Sorella, e lanciando un’occhiataccia
Rukan.
Alla fine l’uomo si alzò e, guardando tutti
dall’alto verso il basso, sul viso un espressione a
metà fra il dolore e la rabbia, disse: “Bene
… se non volete restare, andate pure. Ma io
aiuterò queste persone, costi quel che costi. Se non ci
uniamo contro il tiranno allora vincerà ancora, e allora
saremmo costretti a restare nascosti per sempre. Ti ho seguita fino a
qui Quadesh, ma non posso andare oltre. Il tuo pensiero mi disturba e
il tuo modo di agire è egoista e superficiale.
Addio”. Girò sui tacchi e uscì dalla
tenda con passo sicuro.
Fuori, nella notte, le stelle brillavano. Rukan le osservò,
dopo aver fatto diversi respiri profondi per tranquillizzarsi.
Sentì le sorelle che uscivano dalla tenda, ma non si
voltò a guardarle. Era un addio silenzioso il loro, niente a
che vedere con i saluti degli uomini, degli elfi o dei nani. Passarono
alcuni minuti durante i quali Rukan rimase ad ascoltare il rumore degli
insetti, degli uccelli e degli altri animali attorno a lui.
Improvvisamente sentì il bisogno di unirsi a loro. Il cuore
colmo di tristezza, simile ad un liquido caldo che poteva traboccare
dal suo intero corpo in qualsiasi momento, Rukan si
trasformò e cominciò a correre.
L’aria che gli si infrangeva sul muso gli dava una sensazione
di libertà e di freschezza, come se avesse il potere di
dimenticare tutto quello che era appena accaduto. Appena fuori
dall’accampamento scosse la testa, e l’imponente
criniera si mosse assieme a lui. Con le unghie graffiò la
terra e vi si aggrappò, alzando la testa verso la luna e
ringhiando con tutta la sua forza.
Si leggeva dolore negli occhi chiusi del grosso leone, nelle zanne
candide che splendevano sotto la luce lunare, nei movimenti del suo
corpo elegante e possente.
Dall’alto, in cielo, Gylda si unì al suo ruggito.
Come a ringraziarlo e consolarlo al tempo stesso.
Eccome qua con un altro capitolo!
Ecco, siccome me l'hanno chiesto vorrei dire a tutti che gli ibridi si
possono trasformare a piacimento, ma si trasformano anche qundo provano
forti emozioni, ed è in quei momenti che sono più
pericolosi. Spero di essermi spiegata -.-''
Comqunque, è stata una scelta difficile quella di Rukan: non
ero sicura di quale ibrido fosse meglio mettere al fianco dei Varden.
Alla fine ho scartato Janeshla e Quedish perchè non mi
piacevano i loro animali (cavallo e mostro marino), e poi non volevo
scegliere il falco perchè il leone sembra molto
più forte! XD Quindi la scelta è caduta su Rukan.
^^ Spero che non vi dispiaccia.
Thyarah: grazie mille per la recensione e i complimenti ^^ Ho risposto
alla tua domanda sugli ibridi sopra, nel caso qualcun'altro volesse
saperlo. Per quanto riguarda Murtagh lo vedremo nella prossima
battaglia, ma mancano ancora due capitoli. Però quando lo
rincontreremo accadrà qualcosa di significativo! Oddeo
basta! Non posso dirti di più! :) Al prossimo capitolo, un
bacio! ^^
KissyKikka: heheh! Si, volevo fare una scena dolce fra Arya ed Ellen,
tanto per far vedere che adesso si vogliono bene. Anche il riferimento
a Murtagh non è messo lì a caso, sono felice che
tu lo abbia notato. E' proprio vero, alla fine Ellen pensa sempre a
lui! Che caruccia <3 B'è, comunque grazie per la
recensione, fra un po' Murtagh ed Ellen si rincontreranno!
Yeah! XD Un bacio! ^^
Un sentito grazie a tutti coloro che leggono,
Patty.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** Un casto bacio ***
Capitolo undici: Un casto bacio
Rukan
stava seduto davanti a Ellen ed Eragon , leggermente nervoso. Erano nel
centro di una radura, e al limitare di essa c’era Saphira,
attenta a tutti movimenti che l’Ibrido avrebbe compiuto.
Rukan si portò una delle sue grosse mani alla bocca e si
schiarì la voce. “Io … conosco un solo
modo per impedire a me stesso di perdere concentrazione quando sono
trasformato” disse con la sua voce sempre musicale e
armoniosa.
Ellen pensava che il leone, lo spirito dell’animale che
possedeva Rukan e lo faceva trasformare, era del tutto inadatto a lui.
Rukan sembra un tipo calmo, addirittura pigro, era molto gentile e
sembrava voler passar inosservato. Per un leone lei si sarebbe
aspettata una persona intimidatoria, potente, quasi maligna, ma non era
così. Però Ellen non conosceva a fondo Rukan, e
non sapeva che il suo spirito e quello del leone coincidevano
perfettamente, come quando uniamo le nostre mani: sono perfette, fatte
apposta per stare assieme. Lo spirito di Rukan era solitamente calmo e
pacato come quello di un saggio leone che deve comandare un branco, ma
era anche volubile, deciso, reattivo ai pericoli come lo stesso leone,
capo del branco, doveva essere.
“E quale sarebbe questo metodo? Chissà
perché Janeshla non ce ne ha mai parlato” disse
Eragon, rivolgendo l’ultima domanda ad Ellen. La ragazza, per
tutta risposta, alzò le spalle. Non le interessava
granché come, voleva solo vincere quella guerra. Voleva solo
rivedere Murtagh.
“Se restiamo per molto tempo trasformati allora possiamo
ragionare molto di più. Capiamo cosa ci viene detto, e
possiamo decidere
che cosa fare. Ma parlo di settimane intere in forma animale e,
oltretutto …”, Rukan s’interruppe per un
secondo, “non possiamo più tornare umani dopo.
Pian piano diventerei un leone come gli altri”.
Eragon s’irrigidì. Era chiaro che quella era una
condizione da considerare molto bene. Non voleva che Rukan rinunciasse
a una parte di sé stesso per aiutarli. Trasformarsi
perennemente in un leone e diventare un normale animale a tutti gli
effetti, annullando le proprie capacità, abbandonando gli
affetti, non era necessario; non erano messi così male. Ed
Eragon non se la sentiva di privare un uomo della sua vita.
“Non faremo così.” disse subito,
“Possiamo cercare un’altra soluzione con la
magia”.
“Ma perché non puoi semplicemente combattere in
forma umana?” chiese Ellen.
“Le emozioni provate in battaglia sono forti, sarebbe
istintivo trasformarmi” rispose Rukan con un’alzata
di spalle.
“D’accordo,” disse Eragon alzandosi,
“dobbiamo trovare un modo perché tu possa usare la
magia ma non possa trasformarti” disse ad alta voce, ma
più a sé stesso che agli altri.
“Proviamo a fare come ha detto Tegrish:” intervenne
Ellen, “un incantesimo di bloccaggio”.
“Va bene, allora …”, Eragon fece segno a
Rukan di alzarsi e quello eseguì, “proviamo
così. Che parole dovrei pronunciare, secondo te, per
bloccare lo spirito del leone?” chiese Eragon perplesso
voltandosi verso Ellen.
“Hm … fammi pensare …”.
Rimase in silenzio qualche secondo, poi: “Che ne dici di blocca lo spirito?”.
“Provo”. Eragon si mise di fronte a Rukan e chiuse
gli occhi. Sentì la magia scorrere nelle sue vene come se
fosse sangue e pronunciò le parole nell’antica
lingua. Le palpebre di Rukan si fecero pesanti e il suo sguardo vacuo.
Ellen si avvicinò a lui, mentre Eragon non finì
di far rifluire la magia: Rukan era un essere magico molto potente e
quella magia gli costava uno sforzo quasi sovrumano, così
non poteva deconcentrarsi.
Ellen si avvicinò a Rukan e lo chiamò:
“Rukan?” disse esitante, vedendo lo sguardo
d’un tratto spento dell’uomo.
“Rukan?” ripeté di nuovo, leggermente
allarmata. Gli passò una mano davanti alla faccia, ma quello
non reagì. “Eragon sciogli
l’incantesimo” disse subito.
Eragon eseguì e Rukan tornò normale. Si
portò una mano alla testa e barcollò, come se
avesse bevuto troppo vino. Si guardò attentamente intorno e
poi fece un segno di diniego verso Eragon, Saphira ed Ellen.
“Mi sono preoccupata sul serio. Non ti muovevi, eri
lì rigido …” disse Ellen posandogli una
mano sulla spalla, un po’ ansiosa.
“Io … non sentivo niente. Vedevo e capivo tutto
quello che c’era attorno a me, ma, ad esempio, sapevo di
dover essere terrorizzato perché non riuscivo a muovermi
né a parlare, ma non sentivo nulla invece. Era come se non
avessi voglia di fare nulla” disse Rukan gesticolando e
guardando Eragon ed Ellen con gli occhi sgranati. “Ero
annullato” concluse.
“E’ evidente che non abbiamo usato le parole
giuste” disse Ellen lanciando un’occhiata ed
Eragon. “Proviamo con delle parole nuove. Sai, credo che
abbiamo bloccato l’anima sbagliata”.
“Probabile” disse Eragon alzando le sopracciglia.
“Senti, mi daresti il cambio? E’ un po’
complicato, dovrei riprendere un po’ il fiato”.
“Ma certo, faremo a turno. Non sospettavo che fosse
così forte” disse Ellen. Si mise di fronte a
Rukan, che la guardò un po’ apprensivo.
“Perché non provate con blocca lo spirito del leone?”
suggerì Rukan.
“D’accordo” disse Ellen.
Riprovarono, e questa volta Rukan rimase ben sveglio.
“Sembrerebbe tutto a posto” disse Eragon.
“Perché non proviamo a batterci? Poi proveremo
qualche magia”.
“Magari in fretta,” suggerì Rukan,
“altrimenti Ellen si stancherà”.
“Certo” disse Eragon scoccando
un’occhiata alla ragazza e tirando fuori la spada
dall’elsa. Saphira si mosse un po’ dalla sua
posizione accucciata: aveva voluto seguirli appunto per evitare che
accadessero incidenti, e durante una battaglia, con Rukan poteva
accadere di tutto.
Rukan estrasse una corta spada ritorta che teneva appesa alla cintura.
“Cominciamo” disse, e si scagliò su
Eragon. Il duello durò poco, era molto strano, ma Rukan
sembrava quasi distratto, come se avesse altro per la testa. Sbagliava
molte mosse, era lento, non sempre riusciva a parare gli affandi che
Eragon eseguiva con maestria. Dopo un paio di minuti si
fermò, già stanco.
“Non capisco,” disse ansimando, “non mi
è mai capitato prima”. Sembrava molto scosso.
“Ellen, basta” disse poi rivolgendosi alla ragazza,
che stava in silenzio e li guardava seduta affianco a Saphira. Ellen
allentò il potere che usciva dal suo corpo e lo spense
definitivamente.
“Che cosa c’è che non va?”
chiese Eragon.
“Non saprei. Voi avete bloccato l’anima del leone,
a quanto so, giusto?”. Eragon annuì. “E
allora non dovrebbero esserci problemi”. Rukan
rifletté un attimo in silenzio poi sospirò e
disse: “Potrebbe essere a causa del mio stretto legame con
l’animale. In lui risiede molta della mia forza. Forse non
sarei riuscito a fare nemmeno le magie”.
“Ho capito, dobbiamo essere più precisi
Eragon.” disse Ellen avanzando nella radura,
“Dì ferma
la trasformazione, anzi no: non permettere la trasformazione.
Non vorremmo che ti trasformassi per metà”
borbottò alla fine in risposta allo sguardo perplesso di
Rukan.
L’uomo sorrise e scosse la testa. “Non serve a
nulla un bizzarro leone a due zampe” disse sorridendo.
“O un umano a quattro” osservò Eragon.
“D’accordo ci sono” disse.
Pronunciò le parole esatte e Rukan sentì che una
piccola parte di sé si muoveva, come inquieta. Era come se
un pezzetto di lui si staccasse dall’insieme, per andare per
i fatti suoi. Prese un grosso respiro ed estrasse a sua spada ritorta.
Si lanciò, quasi furioso, addosso ad Ellen, che
parò il colpo con velocità, ma rimase paralizzata
per quanto quello era forte. Decise che non poteva restare in difesa, e
lo attaccò a sua volta. I due proseguirono così,
fra attacchi mancati e parate all’ultimo secondo. Dopo una
manovra particolarmente complicata con la spada Ellen decise di passare
alla magia. Parò un fendente di Rukan poi, fulminea, tese
una mano, gridando una parola nell’antica lingua. Rukan
accusò il colpo, e indietreggiò di parecchi
passi. Si riprese in fretta e rispose. Ellen sentì solo un
gran mal di testa, ma cercò con tutte le sua forze di
resistere. Decisa, impugnò la spada con due mani e, con un
grido, si lanciò sopra Rukan.
In quel preciso istante Eragon perse improvvisamente forze e,
spaventato, lasciò cadere l’incantesimo.
“Ellen! No!” gridò avanzando a grandi
falcate verso di loro, la mano tesa in avanti, ma era troppo tardi.
La spada di Ellen colpì con forza quella di Rukan. Un
momento di tensione e di elettricità si fermò
nell’aria, tutto sembrò silenzioso per pochissimi,
interminabili istanti. Rukan guardò Ellen negli occhi e una
fiamma gli scaldò il cuore, veloce e potente come il vento,
incontrollabile. Rukan aprì la bocca, come per gridare, ma
prima di poter emettere alcun suono si trasformò, e dalla
sua gola potente uscì un forte ruggito, che scosse Ellen
come un debole fuscello. In questa non erano passati che pochi secondi.
Ellen cominciò ad indietreggiare lentamente, senza
distogliere lo sguardo dal leone. Lentamente, abbassò il
braccio con cui teneva la spada, senza nemmeno accorgersene. Il leone
avanzava lento, era grande quanto un cavallo adulto: non era un leone
normale. Dalla gola dell’animale si levava un roco,
spaventoso, piccolo ruggito. Suonava come un avvertimento.
L’animale si acquattò a quattro zampe, ma per
fortuna Saphira fu più veloce. Con un ruggito si
alzò in volo, calò subito su Rukan e lo prese fra
le zampe. Il leone ruggì di dolore quando le zampe di
Saphira, per quanto avesse cercato di trattarlo con delicatezza, gli
lacerarono la carne. Si alzò in volo e sparì
subito dalla vista di Eragon ed Ellen.
Eragon sbuffò e si avvicinò alla ragazza:
“Stai bene?” chiese, posandole una mano sulla
spalla.
“Si” disse Ellen in fretta, guardando il punto dove
Saphira era sparita. “Pensi che si farà
male?”.
“Spero di no” disse Eragon seguendo il suo sguardo.
Poi sorrise eccitato: “Hai visto come combatteva? Nessuno lo
potrà fermare. E’ stato bravissimo”
disse esaltato, quasi fosse stato lui a combattere. Poi, vedendo la
strana espressione sul volto di Ellen: “Naturalmente anche tu
sei stata brava”.
Ellen non vi fece nemmeno caso, ma disse lentamente:
“Immagina se Rukan potesse controllare i suoi istinti quando
è in forma di animale … se riuscisse a capire ed
eseguire gli ordini, se fosse consapevole di quello che fa. Sarebbe
un’arma perfetta” disse incantata.
“Possiamo provare anche questo. In fondo abbiamo trovato il
modo per farlo restare umano, che cosa potremmo dire per farlo restare
innocuo da animale?” si chiese Eragon ad alta voce.
“Dovremmo sapere più cose possibili su di lui per
sapere bene come … come funziona questa cosa della
trasformazione. Dovremmo sapere esattamente come funziona il suo
cervello” disse Ellen. “Altrimenti, non ho idea di
cosa dire”.
“Giusto …” disse Eragon pensando
intensamente. “B’è quando
tornerà normale lo chiedermo a lui, nel frattempo a chi
potremmo chiederlo?”.
“A Oromis … o ad Arya. Oppure … a
Kalim, il padre di Tegrish, sembrava saperne parecchio sugli
Ibridi”.
“Ok, io vado da Arya” disse Eragon avviandosi.
“Io vado da Oromis, e vado a dire a Tegrish di chiedere a suo
padre” disse Ellen, seguendolo.
L’unica risposta che Ellen ricevette da Oromis era che non
sapeva granché sugli Ibridi, e gli suggeriva di andare a
cercare nei libri. Ellen si chiese dove diavolo avrebbe potuto cercare
un libro nell’accampamento e, se mai l’avesse
trovato, quando avrebbe avuto il tempo di leggerlo.
Eragon ebbe un briciolo più di fortuna. Andò da
Arya, che stava finendo di allenarsi con un Kull, e aspettò
che finisse. Quando l’elfa scese dalla piattaforma di
allenamento, dopo una vittoria schiacciante, Eragon si diresse verso di
lei.
“Ciao Arya!” disse, “Vorrei farti delle
domande”.
“Adesso? Io veramente pensavo di fere un bagno”
disse lei, evidentemente accaldata.
“Un minuto solo. Quanto ne sai sugli Ibridi?”
chiese Eragon seguendola mentre s’incamminava alla sua tenda.
“Non abbastanza da aiutarti probabilmente, ma
dimmi”.
“Ecco, io ed Ellen vorremmo rendere Rukan un po’
più … controllabile mentre è nella sua
forma di leone. Se ci riuscissimo, avremmo un combattente senza eguali.
Ma ci serve di sapere il più possibile sulla trasformazione
degli Ibridi”.
“B’è … non so molto sulla
loro trasformazione. Però posso dirti questo: quando gli
Ibridi si trasformano, inizialmente sono come degli animali veri, poi
con il tempo si calmano”.
“Si, ce lo ha già detto Rukan, ma se resta troppo
tempo un leone poi diventa un’animale a tutti gli
effetti” la informò Eragon. “Io non
vorrei …”.
“Capisco” lo interruppe Arya.
“B’è, loro possono controllare la loro
trasformazione fino ad un certo punto. Se si trasformano quando sono in
balia delle loro emozioni non sono in grado di controllarsi, ma possono
anche trasformarsi di loro iniziativa ed essere del tutto innocui. Il
pericolo arriva quando sono più agitati, per qualsiasi
motivo: rabbia, felicità, qualunque cosa. Non si rendono
contro di ciò che fanno”. Erano arrivati alla
tenda di Arya, l’elfa ne scostò un lembo e fece
cenno ad Eragon di entrare.
“Grazie” rispose lui entrando. “Comunque
è vero!” esclamò una volta dentro,
“Una volta Janeshla si è trasformata davanti ai
nostri occhi, e non sembrava per niente pericolosa”.
Eragon, ancora perso nei suoi pensieri, si sedette su una delle brande.
Arya prese del vino elfico da una bottiglia e riempì due
bicchieri, porgendone uno ad Eragon.
“Grazie” disse il ragazzo.
“Quindi a che cosa pensavi?” chiese Arya sedendosi
affianco a lui e sorseggiando il vino.
“B’è … pensavo che, se
riuscissimo a … congelare
lo stato d’animo di Rukan quando è tranquillo e
mandarlo in guerra a quel modo, forse riusciremmo a farcela. Lui non
sarebbe aggressivo, e saprebbe cosa fare” disse Eragon,
prendendo a sua volta del vino. Aveva un sapore aspro e secco, non le
dispiaceva per nulla.
Arya era sovrappensiero. “Ma quali parole potreste
usare?” chiese.
“Non lo so, veramente” disse Eragon scrollando le
spalle.
“Lo stato d’animo, dici? Provate qualche frase che
centri con ragione, consapevolezza … hm,
tranquillità. Cose così” disse
l’elfa. Finì il vino e posò il
bicchiere a terra. Poco dopo Eragon la imitò.
“Credi che funzionerà?” chiese poi il
ragazzo. “Credi davvero che abbiamo una speranza?”.
“Una?” chiese l’elfa sorridendo.
“Più di una! Adesso ci sono Oromis e Glaedr,
Tegrish e Gylda, probabilmente arriveranno altri nani e forse anche
qualcuno del mio popolo. E poi c’è Rukan! Credo
che non abbiamo mai avuto tante speranze come adesso”.
Eragon sorrise debolmente. Ripensare a tutto quello che era successo da
quando aveva trovato l’uovo di Saphira, quasi gli fece girare
la testa. Erano cambiate così tante cose! Così
tante! La sua vita stava cambiando, e il suo futuro, le sue
responsabilità, incombevano come una nuvola nera e densa di
pioggia all’orizzonte: non sarebbe mai scappato in tempo per
evitare il temporale.
Alzò lo sguardo e vide Arya che lo guardava con occhi
scintillanti, e in quel momento capì che quello che
l’elfa che le aveva detto era vero, lei ci credeva, credeva
che ce l’avrebbero fatta. Senza riflettere Eragon prese la
mano di Arya e la strinse nella sua. Arya rimase un po’
stupita di quel gesto ma non si ritirò.
“Grazie” disse Eragon stringendo la sua mano sempre
di più, ancora guardandola negli occhi con
profondità.
In quel momento Arya vide negli occhi dell’altro tutto quello
che fino ad allora non era riuscito a cogliere. La purezza e la
lealtà, il coraggio e la decisione di Eragon la
sopraffecero, e lei reagì senza pensare. Tolse velocemente
la mano dalla sua e lo abbracciò forte, con gli occhi
chiusi, come se avesse paura di scoppiare a piangere.
Eragom si stupì un po’ di quel gesto
così istintivo. Il cuore prese a battere più
forte, ma restituì l’abbraccio con calore.
Aspirò il profumo di Arya, sapeva di rose selvatiche e di
alberi rigogliosi. Il cuore batteva così forte in petto al
ragazzo che pensava gli sarebbe balzato fuori dal petto. Eragon fu
improvvisamente invaso da una consapevolezza strana, una forza che lo
guidò. Si allontanò da Arya e, con una mano,
prese il mento dell’elfa fra due dita e avvicinò i
loro visi. Le loro bocche si toccarono con forza, quasi con
disperazione.
Arya, malgrado una piccola parte della sua mente si ribellasse, rimase
impietrita, gli occhi ancora chiusi. Era un bacio casto e puro, e
nessuno dei due lo volle approfondire. Rimasero così per
qualche secondo, poi Eragon si allontanò.
Era tutto rosso in viso, e teneva lo sguardo basso. Mugugnò
qualcosa, e Arya, come per dissipare l’imbarazzo, chiese con
voce nervosa: “Come hai detto?”.
“Devo andare” rispose Eragon alzandosi. Evitando il
suo sguardo si alzò, quasi calciò via il
bicchiere di vino a terra, e uscì velocemente dalla tenda.
Dentro, Arya era ancora un po’ stupita per quello che era
successo. Una parte di lei, quella troppo razionale, cominciava anche
ad infastidirsi, ma Arya la zittì: non poteva negare di
essere rimasta piacevolmente sorpresa, e che il cuore le aveva fatto un
buffo balzo nel petto quando Eragon l’aveva baciata. Forse
quell’organo cominciava a giocarle brutti scherzi, forse era
ora di controllarlo. Ma nel profondo di sé Arya sapeva che
non era un difetto fisico quello che aveva. Da qualche tempo ormai
trovava la compagnia del giovane Cavaliere molto gradita. Non poteva
ignorare quel fatto e liquidarlo come se fosse un pensiero poco
importante.
La verità era … che Eragon le piaceva.
Arya sbuffò e si gettò sulla sua brandina, ormai
totalmente dimentica del bagno rilassante che voleva fare, anche se in
quel momento forse sarebbe servito molto a schiarirgli le idee, sulle
quali serpeggiava un velo scuro di insicurezza. Si era sentita
così una sola volta in tutta la sua lunga vita. Non pensava
di poter mai riprovare quei sentimenti. Aveva deciso, nel momento
esatto in cui il suo cuore si era spezzato, che avrebbe fatto di tutto
per non far riaffiorare alcuna emozione che potesse in qualche modo
tradirla: renderla più vulnerabile di fronte agli altri. Si
portò una mano alla bocca e ricordò quel bacio.
Così improvviso, così puro, così
… bello. Morbido come la seta, profumato come i fiori di
campo.
Scuotendo la testa Arya si alzò dal letto, decisa come non
mai a fare un bagno caldo.
Wii! Devo ammettere
che aspettavo da tanto questo momento. Insomma, sono una grande
sostenitrice della coppia Arya/Eragon! Yee! Li adoro! Paolini ancora
non si è dato da fare con loro, ma io non potevo lasciartli
così al loro destino XD Bene, scusate, non ho molto tempo,
rispondo alle recensioni e vado.
Thyarah: sono contenta che Rukan
ti piaccia! ^^ Anche a me ricorda un po' Aslan, quando l'ho scritto non
ci ho pensato, ma ad una seconda rilettura mi è venuto
subito in mente! XD Spero che il bacio fra Eragon e Arya sia stato
almeno un po' una sorpresa, nemmeno io l'avevo pianificato,
è venuto di getto! E anche per questo non so se il capitolo
è venuto bene o risulta un po' discontinuo, o che altro O.o
B'è, grazie per la recensione, spero che questo capitolo ti
sia piaciuto ^^
KissyKikka: ciao! Allora, che te ne pare di questo capitolo? Come ti
sembrano quel bacio un po' goffo (da parte di Eragon XD) e i tentativi
per far combattere Rukan? Mi sono scervellata per scegliere le parole
che Eragon ed Ellen avrebbero dovuto usare per fare quella magia! XD Spero
di aver reso bene lo stato d'animo di Arya, che in nessuno dei libri
mostra sentimenti per Eragon, quindi non so proprio come trattarlo come
personaggio! ^^'' Comunque, grazie mille per la recensione! Un bacio!
<3
A tutti gli altri, grazie per leggere!
Patty.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Prima della guerra ***
Capitolo dodici: Prima della
guerra
Nei
giorni seguenti tutti provarono a trovare le parole adatte per
permettere a Rukan di combattere in modo consapevole in forma di leone.
I due che eseguivano le magie su di lui, inizialmente, erano solo
Eragon ed Ellen, che si davano il cambio a causa della forza che Rukan
risucchiava dal loro corpo con una facilità sorprendente.
Poi si unì a loro anche Arya, dopo qualche esitazione. Con
lei era più semplice: ognuno di loro aveva abbastanza tempo
a disposizione per riprendersi.
Rukan aveva spiegato loro che cosa succedeva esattamente al suo corpo
quando si trasformava. Aveva detto: “E’ una
trasformazione non solo del corpo, ma anche dell’anima. Sulla
mia prende sopravvento quella del leone, e la mia è come se
restasse da parte. Probabilmente è quella la parte di me
razionale, quella che mi controlla se mi trasformo consapevolmente.
Dovete fare in modo che, qualunque cosa accada, lo spirito del leone
non prenda il sopravvento”.
Così Rukan si trasformava in leone e i ragazzi, aiutati da
Arya, sceglievano diverse parole e frasi per far sì che
l’anima del leone si bloccasse. Il problema era che, anche se
riuscivano a bloccare l’animale, non serviva a
granchè, dato che la maggior parte della forza di Rukan
proveniva dal suo spirito.
Dopo quasi due settimane Ellen disse, spazientita: “Okay, che
ne dite di blocca l’irruenza
del leone?”.
“L’irruenza?” chiese scettica Arya.
“No?”.
“Io direi … hm,
l’incoscienza!” disse infine, trionfante.
“Incoscienza!” esclamò Eragon alzandosi
di scatto dal masso sul quale era seduto, “Si, è
perfetto! Proviamo. Rukan?” disse, voltandosi verso
l’Ibrido. Quello fece un cenno con la testa e si
trasformò subito.
Arya si mise di fronte a lui e pronunciò la frase appena
elaborata da lei ed Ellen. Inizialmente non sapevano se aveva
funzionato, così iniziarono a parlare a Rukan, poi, senza
preavviso, Ellen sguainò la spada e la puntò
sull’animale. Rukan, con un balzo particolarmente agile, si
scostò, ma al posto di rispondere istintivamente al colpo
restò fermo. Eragon ed Ellen si guardarono con entusiasmo.
“Così è perfetto! Rukan, quindi tu
riesci a controllare cosa ti succede attorno?” chiese Ellen.
Il leone fece un basso ruggito soddisfatto e agitò il capo,
facendo ballare la criniera aggrovigliata. “Perfetto. Arya,
basta così”.
L’elfa, con uno sbuffo, sciolse la magia e abbassò
le braccia, che teneva leggermente piegate, i palmi rivolti verso
Rukan. “Ma resta ancora un problema” disse con voce
bassa e stanca.
“E cioè?” chiese Eragon preoccupato.
“Nessuno di noi riuscirà a mantenere questa magia
per tanto tempo. E’ una magia potente, riesce a togliere
tanta energia. D’altronde bloccare una caratteristica dello
spirito di un leone non è cosa da poco”.
“B’è …”
cominciò Ellen esitante, “Rukan, puoi portare una
catena al collo? O al limite legata alla zampa. La legheremo noi quando
ti trasformerai, prima della battaglia”.
“Certo che posso. Perché?” chiese Rukan
perplesso.
“Da quando Tegrish mi ha detto che l’energia si
può raccogliere nelle pietre preziose o nei ciondoli, ho
provato a raccoglierla qui”, e così dicendo si
sfilò la catenina dorata che portava al collo, quella che
aveva ricevuto in dono dai suoi veri genitori. “Se tu stesso
evocassi la magia e prendessi energia da qui potresti resistere
abbastanza, no?” chiese, passando la catenina a Rukan. Lui la
prese fra le mani e, con l’occhio della mente,
controllò quanta energia vi era dentro.
“Ellen!” esclamò stupito, alzando gli
occhi sulla ragazza. “Ma come hai fatto?
C’è n’è
tantissima!”. Era sbalordito. In effetti, ogni volta che
poteva, prima di andare a dormire, Ellen trasferiva tutta la sua
energia nella collanina, da mesi ormai.
“Fa sentire” disse Eragon, prendendo dalle mani
dell’Ibrido la collana. Anche lui sentì e, come
Rukan prima di lui, restò basito. “Come hai fatto
a mettere via così tanta energia in così poco
tempo?”.
“Non lo so” disse Ellen alzando le spalle.
“Mettere tutte le sere tutte le energie che ti rimangono li
dentro è stato utile. Per lo meno ho dormito come un ghiro
negli ultimi mesi”.
Eragon la guardò, e non poté reprimere un sorriso.
“Questa volta l’esercito di Galbatorix è
vasto!” disse Nasuada ai Varden, tutti riuniti per il
discorso che il capo teneva ogni volta che i soldati intravedevano le
file nemiche in lontananza. “Ma anche noi siamo preparati!
Abbiamo con noi Eragon e Saphira, che hanno già dimostrato
diverse volte in battaglia la loro fedeltà e il loro
coraggio, e una buona dose di destrezza nel corpo a corpo. Abbiamo
Oromis e Glaedr! Esperti nelle battaglie quanto nella vita! Poi ci sono
Tegrish e Gylda, che sento non ci deluderanno. Per la loro giovane
età sono molto precoci, e il loro cuore dalla
bontà infinita non ci tradirà, lo so! Un nuovo
componente ingorssa le nostre file, e le rende ancora più
imbattibili: Rukan! Grazie per esserti unito a noi, ti dobbiamo tanto,
sei gentile” Nasuada si rivolse allo stesso Rukan nel dire
quelle parole. L’uomo sorrise gentilmente e
accennò un piccolo inchino, le mani giunte in grembo.
“Per non contare i numerosi alleati che abbiamo trovato, e
che sono fedeli alla nostra causa: le molte tribù nomadi che
ci onorano della loro presenza e con i loro valorosi guerrieri ci
garantiscono protezione; i nani che ci hanno raggiunto assieme al loro
nuovo Re, Orik! Apprezziamo che il popolo della roccia si sia
finalmente unito a noi, e speriamo che potremo rincontrarci in
circostanze più felici”. Orik
s’inchinò a Nasuada a quelle parole e, dalla folta
barba, affiorò un sorriso. “Ci hanno raggiunto
anche gli elfi, mandati dalla regina Islanzadi per la nostra causa! Per
non parlare di Re Orrin e del suo popolo, che ci ha raggiunti, aiutati
e consigliati con saggezza non appena abbiamo chiesto il suo aiuto.
Grazie a tutti! Questa è la battaglia decisiva! Noi siamo i
più forti! Noi siamo quelli che Galbatorix teme! Per questo
ha deciso di unirsi al suo esercito: non per essere sicuro di
schiacciarci, ma per controllare con i suoi occhi la nostra forza, che
cresce di giorno in giorno!” disse Nasuada alzando la voce.
“E allora combatteremo! Mostreremo a quell’uomo
quanto sono valorose le nostre truppe, e che uno dei nostri uomini
… vale dieci dei suoi! Noi siamo motivati! Lo facciamo per
noi, per le nostre famiglia, per i nostri figli! Per la pace che
aspettiamo da tanti anni! Per spezzare il regime ingiusto e crudele di
Galbatorix!”. Nasuada fece una pausa e riprese fiato. Le
truppe pendevano dalle sue labbra. “E allora andiamo! Andiamo
Varden, Nani, Elfi, Ibridi, Draghi! Tutti riuniti per la
libertà!”.
Gli uomini esplosero in urla di giubileo e speranza. Agitavano le mani
verso Nasuada, erano convinti di riuscire. Nasuada sorrise ai soldati
ancora una volta e si avviò alla sua tenda. Re Orrin la
seguì e, appena prima di lasciarla entrare nella tenda, le
prese una mano e la strinse forte fra le sue, mentre i due si
scambiavano sorrisi radiosi a labbra strette.
Eragon li colse solo con la coda dell’occhio, ma al posto di
essere felice per Nasuada, fu preso da una terribile fitta di
dispiacere. Dopo il casto bacio che aveva scambiato con Arya, lei non
aveva detto più una parola sull’accaduto. Non gli
aveva detto che provava fastidio per quello, né che lo aveva
gradito. Nulla. Eragon non sapeva che cosa fare, era da giorni ormai
che non riusciva a dormire e che non aveva fame. Osservava Arya per
capire come si sentisse, ma dal comportamento dell’elfa non
traspariva nulla.
Eragon, se ti
senti così va’ a dirglielo!,
esclamò Saphira, che non ne poteva più di
condividere quel senso di nausea e frustrazione che ormai coglieva il
ragazzo ad ogni ora.
Uff! Ma come
faccio? E se mi dice di no?, chiese lui, terrorizzato solo
all’idea.
Non lo
farà, disse Saphira sicura, come se sapesse
qualcosa che Eragon ignorava. Dai,
fidati di me. Vai a parlarle!
Eragon prese dei grossi respiri, come se di lì a poco avesse
dovuto tuffarsi in un lago. D’accordo,
vado, disse, con l’aria di uno che stava per
partire per una missione suicida.
Bravo!,
esclamò Saphira. E
non tornare prima di aver concluso qualcosa!
Fa silenzio!,
la sgridò il Cavaliere.
Saphira rise leggermente e chiamò Ellen. Per la prossima ora non
avvicinarti alla tenda.
Perché?, chiese la ragazza con tono
inquisitorio.
Eragon sta
per fare la sua grande dichiarazione.
Davvero? Oh
cavolo! Vuol dire che mi ha cacciata dalla tenda? E ora?
Andiamo a
fare un giro, propose la dragonessa. Nemmeno io ho nulla da fare.
Eragon respirava come una balena che avrebbe dovuto immergersi per le
prossime settantadue ore nel mare aperto, intanto studiava ogni singolo
dettaglio della tenda di Arya. Alla fine, prendendo l’ultima,
grossa boccata di ossigeno, entrò.
“Arya?” chiamò esitante.
“Si?” gli giunse la voce dell’elfa da
dietro un paravento.
“E’ un brutto momento? Torno più
tardi?” chiese Eragon, speranzoso, sperando di poter sfuggire
al suo crudele destino.
“No, ho fatto”. Arya emerse dal paravento e gli
sorrise. “Eccomi” disse avanzando verso di lui.
“Cosa c’è?”.
“Be’ … ecco”
cominciò Eragon, avvampando e guardando ovunque tranne che
nella sua direzione, “io volevo dirti solo … che
… i-io e te … hm, tu mi piaci!”
esclamò. “Tu mi piaci molto Arya. Non ho mai
… mai provato nulla del genere. Quando sto con te sono
… leggero. Sei la donna migliore che io abbia mai
conosciuto, sei perfetta sotto tutti gli aspetti. Anche quando ti
arrabbi per cose sciocche, o quando sei così …
così ostinata nel dire la tua”. Ad Eragon
scappò un mezzo sorriso. “Vorrei stare assieme a
te per sempre, e nel caso a te non importi nulla di me, mi piacerebbe
anche che restassimo solo amici. Perché
…”, Eragon avrebbe continuato il monologo anche
all’infinito se Arya non lo avesse fermato.
“Eragon” disse guardando il pavimento,
“sono molto lusingata che tu abbia questi sentimenti nei miei
riguardi, e … non posso fare a meno di ricambiare.
E’ … oh cielo, non riesco a credere di averlo
detto” finì la frase in elfico.
Eragon scoppiò in una piccola risata. “Quindi
… è così?” chiese. Arya
annuì.
Lentamente Eragon si avvicinò a lei ancora un po’
e le posò una mano sul viso, accarezzando la sua pelle
profumata e liscia. Arya chiuse gli occhi, gli prese la mano nella sua
e se la premette più forte sulla guancia. Era grande e
rassicurante, come si era sempre immaginata che dovesse essere. Eragon
avvicinò il suo viso a quello dell’elfa,
sentì il suo fiato sulle labbra e, tremante, gli occhi
chiusi, la baciò. Ma questo bacio era diverso dal
precedente, c’era passione, c’era aspettativa e
c’era dolcezza. Una dolcezza infinita dalla quale Arya venne
sopraffatta. Potrei mai
fare a meno di quella dolcezza, adesso che l’ho sperimentata?,
si chiese. Forse no: ne avrebbe avuto bisogno per sempre.
Eragon si allacciò a lei più stretto,
sentì il suo corpo sinuoso scivolare sotto il suo, e gli
sembrò che assieme fossero perfetti. Quando il bacio
finì non si volle separare da lei, riprese a darle piccoli
baci sul collo, sulla guancia e sulle palpebre chiuse. Quando si
allontanò da lei la guardò, e fu come se il cuore
si riempisse di una sensazione fortissima, inimmaginabile. Non era
felicità, di più! Il suo cuore traboccava di
quella sensazione così meravigliosa che era impossibile da
descrivere. Eragon si perdette negli occhi dell’elfa,
tracciando le linee del suo volto con la punta delle dita.
“Sei bellissima” disse infine. “E sei la
cosa più preziosa che ho mai avuto”.
“Sei veloce a reclamare una cosa come di tua
proprietà” disse Arya con un sorriso, stringendosi
di più a lui.
Anche Eragon sorrise. “Devo fare in fretta, prima che a
qualcun altro venga la stessa idea. A qualcuno più
affascinante e più virtuoso di me”.
“Non credo che esita una persona che possa reggere il
confronto” disse Arya.
“Ah, grazie mille” disse Eragon. Riprese a baciarla
e, senza quasi rendersene conto, finirono sdraiati sulla brandina.
Eragon poteva sentire le dita scorrere sul corpo sinuoso e perfetto di
Arya, così morbido e tiepido, che fremeva ad ogni suo tocco.
Si chinò su di lei per baciarla ancora una volta, e
osservare quegli occhi così belli e caldi che
l’avevano stregato.
Non credo che
ti convenga tornare alla tenda, disse Saphira, a
metà fra uno sbuffo e un risolino divertito.
Ellen sgranò gli occhi. Ma
come?! Non mi possono cacciare! E adesso che faccio? Mamma mia, sono
passate quasi due ore! E’ il tramonto Saphira!
Vai nella
tenda di Eragon. Lui non c’è …
Buona idea!
Così impara! Io e Arya conviviamo, non può
privarmi così della mia abitazione!, disse con
uno sguardo incerto dipinto sul volto, combattuta fra
l’arrabbiarsi con Eragon per averle sottratto la tenda e
l’essere felice per lui. Tu
che fai?, chiese a Saphira.
Vado da Gylda
e Glaedr, ci vediamo domani Ellen. Dormi bene e sta’ pronta!
Ecco, anche
Eragon dovrebbe dormire! Non poteva scegliere un altro giorno? Domani
dobbiamo essere scattanti! Non vorrà fare tardi sul campo di
battaglia?
No, non
è così irresponsabile. E poi è assieme
ad Arya, nemmeno lei è irresponsabile.
Voglio
fidarmi di te, disse Ellen cupamente. Be’ buonanotte.
Buonanotte
Ellen.
Eccomi! Scusate se posto ad
un'ora così tarda, è che dovevo fare un disegno
per scuola (a dir la verità mi manca ancora inglese -.-'')!
Comunque, so che non v'interessa, quindi passiamo al capitolo!
Una curiosità: originariamente questo capitolo doveva essere
uno degli ultimi, ma poi mi è venuta in mente una cosa che
non potevo lasciare in sospeso, così ho allungato la
storia. La parte del discorso di Nasuada è stata un po'
strana da fare: ho cercato di creare un discorso logico dal punto di
vista sintattico, ma che potesse anche incoraggiare molte persone, che
desse speranza, e non è stato facile! XD Spero solo che sia
venuto decente.
Una buona notizia per tutti i fan della coppia Ellen/Murtagh! Nel
prossimo capitolo ricomparirà l'uomo! XD Meglio
conosciuto come Murtagh! E, anche se inizialmente non sarà
facile per lui, vedremo grandi cambiamenti! Mhauahhahah!
And now... le recensioni!
KissyKikka: grazie per i complimenti e la recensione! ^^ Menomale non
aver reso Arya troppo OOC, ho cercato di essere il più
realistica possibile nel descrivere ciò che provava. E poi a
me non sembra assolutamente snob, anche se a volte sembra un po'
antipatica, ma secondo me dipende dal fatto che il personaggio, in
realtà, è uno di quelli che si mostra forte, un
po' rigido, per non risultare debole agli occhi degli altri,
è come una specie di protezione. Io la penso
così, poi ovviamente non saprei in realtà ^^''
B'è, grazie mille per essere arrivata fino a qui, un bacione!
Thyarah: lieta di averti incuriosita con il bacio! :) Spero che questo
capitolo, anche se un po' cortino, sia di tuo gradimento. Succedono
molte cose qui, e devo ammettere di averlo scritto velocemente,
perchè non vedevo l'ora di arrivare alla battaglia!
Comunque, adesso pare che tutti siano felicemente insieme
tranne Murtagh ed Ellen (poverini!), ma nel prossimo capitolo
vedrò di rimediare a tutte queste assenze (darò
una nota a Murtagh sul registro! XD). Grazie per aver seguito la storia
fino a qui, un grazie infinito!
<3
A tutti coloro che leggono e basta, grazie mille! Al prossimo capitolo,
nel quale accadranno diverse cose interessanti (vi avviso giusto per
farvi venire la curiosità, cha cattiva! XD)!
Patty.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Poco lontano dalla battaglia ***
Capitolo tredici: Poco lontano
dalla battaglia
“Non
lo farei se non fosse necessario per il benessere del mio
popolo!” aveva esclamato Galbatorix non appena prima di
iniziare la battaglia. “Non vorrei mai che mi credeste
malvagio. Voi mi costringete” aveva sussurrato poi,
più rivolto a sé stesso, che al suo popolo.
Shruikan aveva ruggito forte e si era lanciato nel cielo, fendendo
l’aria con le grosse ali. Saphira l’aveva seguito
di lì a pochi secondi, così come Gylda, Glaedr e
Castigo. Per quanto riguardava la battaglia del cielo erano in
maggioranza, ma i soldati non se la cavano altrettanto meglio.
Ellen pensava che, in fondo, sarebbe bastato che Galbatorix morisse,
venisse ferito o rapito, che le truppe imperiali si sarebbero subito
spaventate. Non aveva dubbi sul fatto che Oromis, Eragon e Tegrish
sarebbero riusciti a battere Galbatorix. L’unica cosa di cui
aveva paura era che Murtagh si facesse del male. In fondo, lo sapeva
ormai, non era per sua volontà che combatteva al fianco del
re.
Ellen alzò gli occhi verso il cielo e inorridì.
Oromis stava combattendo contro Galbatorix, mentre Murtagh fronteggiava
da solo gli altri due Cavalieri. Non sarebbe mai riuscito a
sopravvivere contro di loro. Anche se Eragon avesse voluto risparmiarlo
non poteva fare più di tanto: erano in guerra!
Ellen imprecò sottovoce. Non sapeva come, ma voleva tenere
Murtagh lontano da ogni pericolo. Parò il colpo di un
soldato e poi gli tagliò la testa di netto con la spada.
Dietro di lui ce n’era un altro, e lo ferì ad un
fianco, lasciandolo più affaticato e debole di prima. Si
guardò velocemente intorno e si rese conto che vicino a lei
c’era soltanto Arya su cui contare. Ma non poteva lasciarla
sola, nonostante le fosse venuto in mente un modo per tenere Murtagh al
sicuro.
Ad un tratto un ruggito che lacerò lo spazio la fece
voltare, e con lei tutti i soldati. Rukan stava di fronte a loro, alla
zampa aveva ben legato il ciondolo di Ellen con una corda spessa. Con
una zampa e gli artigli bene in vista diede un colpo ai soldati e
almeno sei di loro vennero scaraventati via, o fatti cadere a terra fra
urla di dolore. Così Rukan continuava a farsi strada dove
vedeva c’era più bisogno di lui, ed Ellen colse al
volo l’occasione di correre via.
Senza nemmeno far caso alla battaglia che aveva appena abbandonato,
corse verso l’accampamento. Nessuno la seguì,
né tantomeno tentò di fermarla. Non appena fu
dentro all’accampamento deserto prese una spessa corda, un
arco e delle frecce. Tornò indietro di corsa, ma si tenne ai
margini della battaglia.
Lasciò a terra la pesante corda e incoccò una
freccia, puntandola al cielo. Mormorò alcune parola in
elfico e prese la mira con cura …
La freccia si trafisse sulla spalla di Murtagh con una forza
eccezionale. Troppo forte per una normale freccia. In preda
all’ira il ragazzo si voltò a guardare chi mai
l’avesse scagliata. Con un sobbalzo al cuore vide Ellen,
sopra una bassa collina, che lo guardava, e saltava e si agitava per
farsi vedere. Vide la sua bocca muoversi ma non riuscì a
capire che cosa diceva.
Una forza malinconica ma decisa s’impossessò della
sua mente. Si riscosse solo quando sentì che Castigo veniva
urtato da qualcosa. Guardò di fronte a sé, quasi
senza capire. Gylda si era lanciata addosso a Castigo dal lato destro,
Saphira da quello sinistro, e tenevano il drago quasi prigioniero.
Una seconda freccia sfiorò l’orecchio di Murtagh
con un sibilo acuto che lo fece tremare. Fermandosi ancora una volta a
guardare Ellen pronunciò alcune parole in elfico e, aiutato
dalla forza di Castigo, fece allontanare di draghi che lo opprimevano
di parecchi metri. Castigo si diresse in una picchiata vertiginosa
verso terra, diretto su Ellen.
Quando furono a pochi metri la ragazza abbandonò arco e
frecce, si mise la corda sulla spalla e scappò via.
Andò a ripararsi poco più in là una
macchia di fitti alberi.
Castigo non sarebbe mai riuscito ad entrarvi, così Murtagh
lo fece fermare e s’inoltrò da solo nella
boscaglia. Era furioso. Furioso con sé stesso
perché aveva visto e seguito Ellen, e perché
adesso sapeva bene che cosa doveva fare. Come aveva detto Galbatorix
tempo prima: affrontarla con il solo scopo di ucciderla. Era furioso
con Ellen, perché diamine aveva fatto tutta quella messa in
scena? Lei sapeva che l’avesse vista doveva seguire gli
ordini di Galbatorix!
“Ellen!” la chiamò con voce dura.
“Che cosa vuoi fare?”. Non sentì nulla,
solo i rumori della battaglia che si svolgeva poco lontano da lui.
“Ellen va’ via! Ti prego …”
mormorò poi con una vena di disperazione, guardandosi
attentamente intorno.
Ancora nessun rumore. Murtagh avanzava circospetto e affilava lo
sguardo per vedere meglio fra i rami fitti e gli arbusti. Ad un tratto
si sentì le gambe e le braccia bloccate, e pareva che anche
la sua capacità di parola fosse svanita. Un basso mormorio
si levava dalle sue spalle. Quando si voltò, senza
però potersi muovere dalle ginocchia in giù,
scorse Ellen. Aveva il volto imperlato di sudore e avanzava verso di
lui.
Murtagh pensò subito che poteva provare a formulare una
magia con la mente, anche se di rado gli era riuscito. Ma ci
provò. Ellen, nel momento stesso in cui iniziò a
pensare l’incantesimo per liberarsi, fece un grugnito e la
sua espressione sul viso si fece sofferente.
Raggiunse in fretta Murtagh e, srotolando metri di corda,
cominciò a legarlo. Non appena fu certa che gambe e braccia
fossero ben strette al corpo e non potesse muoversi sciolse
l’incantesimo.
Subito Murtagh prese ad agitarsi. “Ellen che cosa
fai?!” cominciò ad urlare.
“Dovresti ringraziarmi: sto cercando di tenerti fuori dai
guai” ribatté lei asciugandosi la fronte. Murtagh
era forte, l’incantesimo che aveva usato per bloccarlo era
stato sfiancante. “Confido che non riuscirai a liberarti per
un bel po’, no?”.
“Ma … Castigo” disse debolmente Murtagh
cercando di guardare il cielo, ma fu impossibile nella fitta macchia di
alberi.
“Devo ammettere che a lui non ci ho pensato, mi
dispiace” disse Ellen stringendo la labbra. “Ma con
un po’ di fortuna verrà a cercarti nel
bosco”. Ellen si alzò e fece per andarsene.
“Aspetta! Che fai? Non puoi lasciarmi qui!”
cominciò Murtagh.
La ragazza si voltò e lo guardò quasi accigliata.
“Non potrai mai farcela contro due Cavalieri da solo, e poi
così siamo in vantaggio.”, Ellen lo
guardò con aria severa e gli puntò contro il dito
indice dicendo: “Non provare a spezzare le corde, sono
incantate!”.
“Ma Ellen! Aspetta! Ho degli ordini da rispettare!”
sbraitò Murtagh.
“Ma allora sei proprio di pietra, sei peggio di un nano!
E’ questo il punto!” disse lei avvicinandosi di
nuovo. “Quali sono gli ordini? Forse … potresti
cercare di intenderli in un’altra maniera”.
“E’ impossibile, Galbatorix si è
assicurato di parlare molto chiaramente quando mi ha ordinato cosa
fare” borbottò Murtagh con lo sguardo basso.
“E’ stato breve ma conciso in realtà, ha
detto: Uccidi i
Cavalieri di drago tuoi nemici”.
“Oh” disse solo Ellen. Restò un secondo
in silenzio, mentre Murtagh ancora cercava di dibattersi debolmente,
senza troppa convinzione. Quando la ragazza lo guardò stava
cercando di prendere un piccolo coltello che teneva infilato nella
manica. Ellen sbuffò e glielo prese.
“Ellen!”.
“Che c’è? Tanto più che se ti
libero mi farai pure fuori!” esclamò lei, ma non
poté fare a meno di ridere. Quella situazione era un
po’ strana, per non dire ridicola, e doveva ammettere che
rivedere Murtagh le faceva piacere, anche se in quella maniera strana.
“Io non riderei se fossi in te, scapperai a gambe
levate” disse Murtagh, tuttavia gli si poteva leggere in viso
un’espressione divertita.
Il ragazzo cercò di avvicinarsi ad Ellen, ma non riusciva a
staccare la schiena dall’albero a cui era legato, nemmeno di
pochi centimetri! Ellen, quasi automaticamente, colmò la
distanza fra loro e lo baciò.
Era da così tanto che nessuno di loro due sentiva il profumo
dell’altro, il suo sapore, la morbidezza della sua pelle.
Murtagh avrebbe tanto voluto poter abbracciare Ellen, ma sapeva che se
l’avesse fatto probabilmente avrebbe cercato di soffocarla.
Una piccola fitta gli attraversò il cuore.
Ellen si staccò da lui, e Murtagh la guardò come
se la vedesse per la prima volta. “Ho fatto bene ad
imprigionarti qua” disse lei, e cominciò a
camminare verso la battaglia. “A pensarci bene
però, il tuo vero nemico è Galbatorix.
E’ lui a voler farti del male, non Eragon, ne tantomeno
Oromis o Tegrish”.
Senza nemmeno farci caso Ellen aveva detto una cosa giusta. Murtagh,
intrappolato nella foresta, non poté fare altro che pensare
alle parole della ragazza. Aveva ragione! Forse Eragon e gli altri tre
erano i suoi nemici ufficiali, ma il nemico vero, quello che gli
impediva di vivere, era solo Galbatorix. Questo lo metteva di fronte a
un problema: stando al suo ragionamento, tutti i Cavalieri erano suoi
nemici!
Murtagh imprecò sottovoce. Ma perché diamine
doveva pensare così tanto?! Sarebbe stato meglio se Ellen
non avesse mai fatto quell’osservazione.
Murtagh, dove
sei?, la voce bassa e roca di Castigo raggiunse Murtagh,
che la prese come un’ancora di salvezza. Gli mandò
un’immagine mentale del luogo in cui si trovava. Sto arrivando,
disse il drago. Fu lì in pochi secondi, distruggendo diversi
alberi riuscì a trovare Murtagh.
Il ragazzo lo guardò terrorizzato e disse: Ma sei matto? E se spaccavi
questo di tronco?
Ma che dici?,
disse piccato il drago rosso sbuffando forte.
Aiutami a
sciogliere questa corda. E’ incantata, le mie forze non
bastano.
Castigo unì i suoi poteri a quelli di Murtagh e assieme
riuscirono a sciogliere la corda che tratteneva il ragazzo, che man
mano si fece più lenta attorno al suo corpo. Quando fu
sufficientemente larga Murtagh la prese con le mani e si
liberò, lasciandola cadere a terra e avvicinandosi subito al
suo drago.
“Parti!” li disse quando fu salito in groppa.
Aspetta
Murtagh, io e te siamo troppo legati per non capire che cosa hai
intenzione di fare. Il ragazzo sbuffò un poco. Ma come ti viene in mente? Sai
bene che Eragon e gli altri non vorrebbero mai farti del male, loro non
sono tuoi nemici! Non ti lascerò combattere contro quattro
Cavalieri e i suoi draghi.
D’accordo, non Eragon! Ma che mi dici degli altri due? Oromis
conosce la verità? Sa che siamo stati costretti? E se anche
lo sapesse, chi ti dice che non cercherebbe comunque di ucciderci? Io
lo considero nostro nemico.
Castigo esitò. Nonostante cercasse di convincersi del
contrario, la verità era che anche lui vedeva Oromis come un
nemico. Era uno dei vecchi Cavalieri, e se era sopravvissuto
significava che era scaltro, probabilmente molto forte (anche se, a
dire il vero, non gli era sembrato nel massimo della sua forma durante
la battaglia). Anche il suo drago probabilmente era come lui, e
considerando quanto fosse grande ed esperto, poteva benissimo batterli
in un colpo solo, nonostante avesse la zampa sinistra ferita gravemente.
E
quell’altro?, proseguì Murtagh, E’ troppo giovane per
capirci qualcosa! Non so nemmeno perché lo facciamo
combattere, disse con un disprezzo che non era solito
usare.
Se
è il suicidio che vuoi allora andiamo! Ma ricordati: il
nostro principale nemico, e Cavaliere dei Draghi, è solo
Galbatorix.
Murtagh ghignò, mentre Castigo si alzava in volo e il vento
gli scompigliava i capelli corvini. “Lo so”
bisbigliò.
“Tegrish, va’ sul lato destro!”
ruggì Eragon quando, per l’ennesima volta, furono
scagliati lontano da Galbatorix.
Da quando il suo Cavaliere era misteriosamente fuggito, Galbatorix
aveva duellato contro tutti e tre i Cavalieri da solo, ma non sembrava
risentirne. Ad un tratto aveva creato una strana separazione fra lui e
gli altri tre che, anche se cercavano di attaccarlo, venivano
brutalmente respinti come da un’energia invisibile.
Tegrish annuì e Gylda si spostò sbattendo le
possenti, e ancora abbastanza piccole, ali verdi. Avevano circondato
Galbatorix e si preparavano a quello che doveva essere almeno il quarto
attacco. Ad un ordine di Oromis i tre si lanciarono di nuovo addosso a
lui, fisicamente e con scaglie di magia che tentavano di distruggere la
protezione creata da Galbatorix. Quello fece una specie di grugnito, ma
mantenne intatta la difesa.
I tre draghi cominciarono a girargli attorno, ma non potevano nulla,
nemmeno unendo i loro poteri. Ad un tratto Tegrish spostò lo
sguardo. Il grosso drago rosso, che gli avevano detto chiamarsi
Castigo, volava verso di loro; i suoi muscoli si tendevano per la
velocità con cui avanzava, e la sua espressione era decisa.
Murtagh, sopra di lui, aveva la spada levata.
Tutti si preparano a combatterlo, Oromis si voltò e disse
agli altri due di restare a controllare le mosse di Galbatorix. Ma
appena Oromis si fu voltato Castigo lo sorpassò ed
entrò senza sforzo nella piccola parte di cielo protetta,
che Galbatorix si era ritagliato.
“Lascia stare quella ragazza!” gli disse subito
Galbatorix furioso. Ma quasi non fece in tempo a finire la frase che
Murtagh lo attaccò. Sorpreso, il Re fece cadere le difese e
schivò l’attacco di Murtagh. “Che cosa
fai?”.
Gli altri percepirono distintamente il momento esatto in cui le difese
crollarono. Senza pensarci due volte si lanciarono in aiuto a Murtagh,
seppur confusi.
Eragon, pensando che Galbatorix avrebbe potuto impartire altri ordini
chiese aiuto a Saphira e, assieme, lanciarono un potentissimo
incantesimo contro il Re. “Riducilo al silenzio”
mormorò il Cavaliere.
Galbatorix aprì la bocca, ma non emise alcune suono. Si
guardò attorno disperato, cercò di urlare, ma
dalla sua bocca neanche un lamento giunse. Quasi come se stesse
soffocando diventò scarlatto e lanciò uno sguardo
furioso in direzione a Murtagh, come se fosse stato lui.
“Murtagh! Non può più
parlare!” gridò Eragon. Murtagh gli rivolse un
fugace sorriso grato, ed Eragon annuì un incoraggiamento.
Iniziarono una furiosa battaglia contro Galbatorix ma, per qualche
ignota ragione, anche in quattro non riuscivano a batterlo. Ogni volta
che il Re veniva ferito riusciva a rimarginare le proprie ferite e
quelle del proprio drago in modo rapido e perfetto. Da dove prendeva
tuta quella energia nessuno riusciva a capirlo, tranne ovviamente
Murtagh.
Lui sapeva del potere datogli dagli eldunari dei draghi. Conosceva
l’immenso potere contenuto in ognuno di loro; lo aveva
sperimentato con mano e sapeva che Galbatorix disponeva di diversi
eldunari. Ognuno di loro aveva energia a sufficienza perché
Galbatorix combattesse anche per cento anni di fila, e non soffrisse
mai la stanchezza.
L’unico modo, pensò Murtagh, sarebbe stato
prendere gli Eldunari e, in qualche modo, distruggerli. Ma come? Intanto cominciamo a prenderli,
poi si vedrà.
Doveva mettere gli altri al corrente del suo piano, ma di certo non
poteva urlarlo ai quattro venti, altrimenti Galbatorix lo avrebbe
sentito. Castigo,
dì agli altri draghi che dobbiamo riuscire a prendere la
cintura di Galbatorix.
Fratelli
ascoltate, dobbiamo riuscire a prendere la cintura di Galbatorix,
lì è racchiuso tutto il suo potere. Dobbiamo
prendere la cintura e distruggerla.
La cintura?,
chiese Gylda osservando Galbatorix con attenzione.
Vedete le
pietre incastonate nell’acciaio? Quelle sono il nostro
obbiettivo, ditelo ai vostri Cavalieri!
Saphira grugnì un ruggito di approvazione, mentre ad Oromis,
informato del piano, si formava una ruga in mezzo alla fronte mentre
osservava le pietre incastonate nella cintura del Re.
Galbatorix, nel frattempo, per quanto ci provasse, stranamente non
riusciva a sciogliere l’incantesimo. In realtà,
dopo che Eragon e Saphira l’avevano scagliato per primi,
tutti i Cavalieri avevano concentrato il loro potere su di lui, ma
così facendo perdevano energie facilmente.
Dopo diversi minuti di scontro senza successo, Glaedr si
spazientì. Ruggì forte e, con una decisione mai
vista prima, si lanciò addosso a Shruikan e lo morse alla
gola. Il drago nero si ribellò, ruggì, chiuse gli
occhi forte dal dolore. Alla fine, con una precisa e meditata zampata,
colpì Glaedr sul lato sinistro del muso. Gli
squarciò le vecchie squame d’oro lucente che
ricoprivano il suo corpo intero, gli trafisse un occhio e gli fece una
profonda ferita ad un orecchio. Glaedr ruggì forte e si
staccò da Shruikan, il drago nero ne approfittò e
gli diede una seconda zampata. Si aggrappò con gli artigli
affilati alla carne del collo di Glaedr e cercò di tenere
lontano da sé il drago.
Alla fine
è così, no? L’allievo supera sempre il
suo maestro, disse Shruikan con voce dura e divertita.
Tutti gli
allievi superano i più vecchi maestri in forza, ma mai in
furbizia, fece Glaedr di rimando. Poi, con uno scatto
fulmineo, colpì forte con la coda Galbatorix. Il Re
cominciò a cadere. Shruikan fece per seguirlo e riprenderlo
al volo, ma venne fermato da Castigo e Gylda. Ruggì loro
contro e cercò di superarli, ma non vi fu verso.
Nel frattempo Glaedr aveva abbandonato il campo, e si dirigeva
stancamente verso terra, le ferite sanguinavano copiosamente e il suo
respiro si faceva sempre più pesante. Aveva la vista
sfocata, dal sangue e dal fatto che uno dei suoi occhi era rimasto
cieco. La ferita alla gola bruciava particolarmente forte, gli pareva
che gli avessero dato fuoco. Il drago si allontanò dalla
battaglia goffamente e andò a posarsi su un piccolo colle.
Non appena ebbe toccato terra Oromis scese dalla sua schiena e
andò a controllare la ferita.
“Non ti muovere, ti guarisco subito” disse,
guardando con orrore le ferite. Si rendeva conto che erano terribili e
che sarebbe servita moltissima energia per guarirle tutte e bene. Anche
Glaedr lo sapeva.
Non
preoccuparti per me, devi andare a combattere.
No, io ti
posso guarire. Ci metterò un secondo!,
protestò Oromis, ben conscio di mentire anche e soprattutto
a sé stesso.
Sappiamo bene
tutti e due che non sarà possibile. Ci vorrebbero troppe
energie, e tu dovresti usare le poche che hai ancora per la battaglia.
Vai!
Ma che cosa
dici? Vuoi che ti lasci qui? Glaedr!
Oromis,
il grande drago lo guardò. Eccolo, era lui il suo Cavaliere.
Con lui aveva vissuto così tanti anni da poter essere
soddisfatto di ogni singola cosa. Non aveva rimpianti, e in un certo
senso era felice di andarsene. Aveva nel cuore la sicurezza che
avrebbero vinto, sapeva che Eragon non avrebbe potuto fallire. Era un
ragazzo così puro e coraggioso! Oromis, non possiamo stare
insieme per sempre. E’ ora …
N-non
è vero, balbettò Oromis. Non poteva
essere, non doveva assolutamente essere! Oromis, per la prima volta da
diversi anni, sentì gli occhi pizzicare e le lacrime
affacciarsi sugli occhi. Posò una mano sul muso del drago,
colui che lo aveva accompagnato per così tanto tempo nella
vita. Da quando era un ragazzo. Giovane, inesperto, erano cresciuti
assieme, invecchiati assieme, e si era perfino illuso che sarebbero
morti assieme. Ma il destino evidentemente aveva deciso per un altro
corso degli eventi, diverso da quello che lui si era creato nella mente.
Prima di
andarmene vorrei darti un ultimo regalo. Ti prego di non protestare,
non servirebbe a nulla.
Sei
così cocciuto che non ci proverei nemmeno.
Meglio
così.
Glaedr chiuse gli occhi. Per un po’ non accadde nulla, ed
Oromis attese pazientemente, poi iniziò ad avvertire un
formicolio alla punta dei piedi e sulle dita delle mani. Era un
po’ fastidioso, ma nulla che non potesse sopportare. Poi il
formicolio si dilatò e divenne più intenso:
passò ai polpacci e alle braccia, arrivò fino
alle cosce e gli prese anche il petto. In quel momento divenne
fastidioso, più intenso che mai e quasi doloroso. Oromis si
piegò in due di fronte a Glaedr e chiuse gli occhi dal
fastidio.
Poi, improvvisamente, tutto svanì. Oromis si sentiva
più in forze, più energico, come se avesse
riposato a lungo. Capì che cosa era successo e
guardò Glaedr, a metà fra la gratitudine e la
rabbia.
Mi hai
guarito!
E tu volevi
guarire me?, disse Glaedr con una punta
d’ironia. Oromis chinò la testa e sorrise suo
malgrado. Improvvisamente sentì l’energia di
Glaedr aumentare, era così forte che si chiese se non fosse
successo un miracolo. Poi, di colpo, come qualcosa che cade, si spense.
“Glaedr? Glaedr!”. Oromis lo guardò.
Il drago aveva gli occhi chiusi, non si muoveva più, e lo
scintillio delle sue squame sembrava svanito. Oromis rimase in
ginocchio di fronte a lui, le mani ancora poggiate sul suo muso
squamoso e ancora caldo. Un sola, solitaria lacrima scivolò
sulle sue guancie lisce e perfette, come quelle di ogni elfo, e quando
toccò terra venne subito assorbita dal terreno rossastro
delle Pianure Ardenti.
Ma non poteva restare lì per sempre, anche se lo avrebbe
preferito. Glaedr lo aveva guarito per uno scopo, era stato il suo
ultimo atto, ed era giusto rispettarlo.
Oromis si alzò, raccolse la spada che aveva lasciato a terra
e guardò la battaglia che infuriava poco distante da lui.
“Per te, amico mio” disse rivolto al cielo, e
s’incamminò verso la battaglia.
Waa! Eccolo! Il primo capitolo
della battaglia! Non ho mai scritto una battaglia così
lunga, dura due capitoli! O.O Questo in particolare prende il suo
titolo perchè gli avvenimenti principali che vediamo
avvengono tutti, appunto, non esattamente nel campo di battaglia, ma poco lontano. :) Lo
so, può sembrare stupido, però mi piaceva
scrivere della battaglia da un diverso punto di vista.
A proposito, avrete notato che il rimedio di Ellen per tenere Murtagh
lontano dal pericolo non è servito a molto. XD Be', sappiate
che è una cosa voluta: è che mi era sembrato
giusto che Ellen si preoccupasse per lui e cercasse di attirarlo
lontano dal combattimento, ma ho pensato che, in quel momento, non
dev'essere stata molto lucida, così il suo metodo per
salvaguardare Murtagh non è andato proprio a buon fine,
perchè quando ci ha pensato era un po' fusa! XD
Comunque, mi dispiace molto per la morte di Glaedr, nonostante non sia
il mio preferito. Più che altro mi dispiace per Oromis,
ecco, che adesso resta solo soletto. Ma ora, come avrete ben potuto
notare, no ha tempo per crogiolarsi nel dolore, e ha deciso di
combattere per il suo drago. La sua vera reazione la vedremo
più avanti, e spero che non versiate troppe lacrime! XD
Recensioni:
Thyarah: ciao! Sono contenta che lo scorso capitolo ti sia piaciuto.
Eragon e Arya sono così carucci! ^^ E che mi dici di Ellen e
Murtagh? Il loro incontro è stato strano da descrivere,
perchè non si vedono da tanto tempo, eppure nessuno dei due,
in quegli istanti, ha la testa per pensare a dirsi paroline dolci,
così sono andata un po' sul comico. Non so se il risultato
sia dei migliori -.-'' Be' grazie molte della recensione, spero che
questo capitolo, anche se un po' triste verso la fine, ti piaccia. Un
bacione! ^^
KissyKikka: ciao! :) Sono d'accordo con te ne dire di prendere a calci
Galbatorix, ma scoprirai nel prossimo capitolo come andrà a
finire questa battaglia (spero non sia nulla di scontato). Vorrei
sapere cosa ne pensi dell'incontro fra Murtagh ed Ellen,
perchè scriverlo è stato complicato. O.o Insomma,
sembrano un po' stupidi, perchè dicono cose stupide per
essere due innamorati che s'incontrano dopo tanto tempo, ma non sapevo
bene come fare, dato che la situazione in cui sono non è
proprio ideale (Ellen che lega Murtagh ad un albero XD).
B'è, ci vediamo nel prossimo capitolo, un bacio a te, fedele
recensitrice! XD Smack! :)
Un grazie mille a tutti coloro che leggono e seguono, ciao a tutti e
alla prossima...
Patty.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** Il terremoto ***
Capitolo quattordici: Il terremoto
Galbatorix
era steso sulla brulla terra delle Pianure Ardenti. Vide con la coda
dell’occhio Eragon avanzare verso di lui con espressione
risoluta. Velocemente, si curò le ferite che si era
procurato durante la caduta e si alzò, prima che il giovane
potesse raggiungerlo.
Nel momento in cui poté osservarlo meglio, si mise quasi a
ridere: lo aveva sopravvalutato, mentre quello, in fondo, era solo un
ragazzino. Non poteva essere più forte o più
abile di lui. Non poteva e basta. Oltretutto lui aveva dalla sua parte
la forza degli eldunari, che quel ragazzetto non avrebbe mai potuto
contrastare.
“Eragon” disse Galbatorix con voce vellutata,
mettendo comunque mano alla spada, “non credi che sia inutile
continuare questa farsa? Tutti e due sappiamo bene che non è
il caso di causare la morte di tante persone”.
“Se anche non combattessimo, sotto il tuo regno morirebbero
la stessa quantità di uomini” lo accusò
Eragon.
Galbatorix parve addolorato. “Non capisco davvero
perché tu dica questo Cavaliere. Capisco che per uno spirito
ribelle e giovane come il tuo opporsi all’Impero debba
sembrarti un atto eroico e giusto, ma ti posso assicurare che non
è affatto così. L’Impero vive solo
grazie ai suoi sudditi e io, sapendo questo, non farei mai del male
alla mia popolazione. Ma tu, e i tuoi amici ribelli, mi costringete a
reagire. Centinaia di soldati stanno morendo per colpa vostra, stanno
abbandonando moglie e figli, la loro casa e la loro vita per mantenere
vivo l’Impero. Quegli uomini sono la prova vivente che
l’Impero è un regno giusto, rischiano persino al
loro vita pur di proteggerlo. Non mi aspetto che un ragazzino come te
comprenda, ma sappi che se ti unirai a me, tu potrai fermare questo
caos”, e così dicendo Galbatorix indicò
con un gesto vago della mano la battaglia.
Eragon cercava con tutte le sue forze di non ascoltare sul serio
ciò che diceva quell’uomo sconsiderato. Ma la sua
mente non poteva fare a meno di recepire un messaggio: era colpa sua se
tutte queste persone stavano morendo. Galbatorix lo aveva punto sul
vivo. Aveva trovato il suo punto debole e vi aveva rigirato il
coltello, creando una piaga ancor più dolorosa.
Poteva davvero essere così? In fondo, se lui non fosse mai
divenuto Cavaliere, nulla di tutto questo sarebbe successo. Quante
persone avevano sacrificato la loro felicità solo a causa
sua?
Brom, Ellen, Murtagh. E non solo loro: Re Rotghar era morto, Nasuada
aveva perso suo padre ed ora era precocemente a capo dei Varden. Tutto
il paese del Surda aveva messo in gioco la pace che regnava in quel
piccolo popolo. Il suo vecchio villaggio, Carvahall, era stato
letteralmente spazzato via. Per lui? A causa sua?
Eragon! Non
ascoltare quell’uomo! Le sue parole sono infide e
s’intrufolano nella tua mente!, la voce di
Saphira lo raggiunse e fu come un balsamo per la sua mente in fiamme. Pensa a cosa soffriva tutto il
popolo di Alagaesia. La fame, la miseria. Gli uomini venivano venduti
come schiavi! I villaggi venivano invasi dagli Urgali! La gente non
poteva vivere in quel modo, tu sei la loro unica speranza! Tu li
aiuterai, vivranno meglio se Galbatorix sarà scomparso una
volta per tutte!
Eragon deglutì. Le parole di Saphira dicevano il vero, e lui
ne era cosciente. Non doveva mai più ascoltare
quell’uomo, le sue parole erano come una malattia che
s’infilava nel cervello, e pian piano lo logorava.
“Galbatorix non m’incanterai con i tuoi
trucchi!” urlò. “Il popolo ha bisogno di
libertà, non certo di un monarca! E io non sono
così sciocco da credere che se mi arrendo la miseria
finirà!”.
“Scegli quindi di combattere? Tanto meglio, non
c’è modo più facile per sbarazzarsi dei
nemici che la spada!” disse Galbatorix, ogni traccia di garbo
e gentilezza svanita dalla sua voce e dal suo viso, che ora era solo
una maschera di rabbia ardente, e lo faceva diventare più
brutto di prima.
Il re sollevò la spada, e si preparò per il
duello.
La battaglia in cielo, nel frattempo, continuava. Gylda, Saphira e
Castigo cercavano di bloccare Shruikan, il grosso drago nero, che a
tutti i costi voleva raggiungere il suo Cavaliere a terra.
Shruikan ruggì contro Saphira, che non si ritrasse, e invece
lo attaccò, seguito poco dopo da Castigo. I due draghi,
anche se molto più piccoli di Shruikan, che era grande quasi
quanto Glaedr, lo attaccarono sulla schiena. Shruikan cercava di
liberarsi, si dimenava e ruggiva e sputava fuoco, ma nulla di
ciò che faceva servì a togliersi dalla schiena
Castigo e Saphira. Con la coda colpì Gylda, che
mugolò di dolore e si allontanò di diversi metri.
Sul dorso del drago nero, nel frattempo, Castigo graffiava e grugniva,
e Saphira mordeva con forza la carne dell’animale. Shruikan
guaì di dolore, in un rantolo che diede grande pena a
Tegrish. Ma gli altri non sembravano curarsene, e continuarono la lenta
e straziante tortura del drago.
Shruikan prese grosse boccate d’aria e cercò di
ignorare il dolore che gli bruciava la schiena. Ad un tratto vide
davanti a sé Castigo, che lo osservava con sguardo furioso.
Non so
proprio perché fai questo Shruikan, quando potresti passare
dalla nostra parte.
No!
Galbatorix è il mio Cavaliere, e io non lo posso
abbandonare. Noi formiamo un solo essere.
Castigo sbuffò con rabbia. Non dire sciocchezze! Il tuo
uovo si è schiuso solo perché il suo drago era
morto, sei un rimpiazzo! Lui ti ha obbligato. Galbatorix è
pazzo! Vuole solo avere un drago al suo fianco! Vuole solo …
Zitto! Tu non
sai niente! Shruikan diede una zampata a Castigo, che si
ritrasse con un ringhio. Murtagh cercò di curargli in fretta
la ferita, e si sporse lungo il suo fianco, preoccupato.
Se
è così … disse Castigo
deciso, lasciando la frase in sospeso. Si avventò contro
Shruikan ruggendo, una fiammata di fuoco caldo si sprigionò
dalle sue fauci e andò a colpire il drago nero, che
ruggì di dolore e chiuse gli occhi. Nel frattempo Saphira lo
aveva attaccato al collo. Poco dopo questo attacco combinato Shruikan
iniziò a guaire e si allontanò fiaccamente dalla
battaglia.
Saphira fece per inseguirlo, ma Gylda la fermò. Non preoccuparti Saphira,
nessuno può più fare nulla per lui.
Shruikan volava piano, il collo e la schiena che sanguinavano
copiosamente. Sapeva che, se avesse voluto, il suo Cavaliere avrebbe
potuto curarlo senza sforzo. Ma fece in modo di allontanarsi da lui il
più possibile. Gli rivolse solo una breve occhiata, prima di
proseguire il volo.
Una ferita più grande si era aperta nel suo cuore, e nessuna
magia di Galbatorix poteva curarla. O meglio, lui poteva curarla, ma
non con la magia. Forse, se si fosse messo d’impegno per
molti anni, avrebbe potuto guarirla con l’affetto, con
l’amore o la gratitudine. Ma Shruikan sapeva che Galbatorix
non si era mai sprecato in nessuna di queste cose. Non
l’aveva mai fatto con nessuno, nemmeno con l’unica
persona che l’avesse mai amato. E non l’aveva fatto
con lui, il suo drago.
Con un forte male al petto Shruikan si allontanò. Giurando
di non tornare mai più dal suo Cavaliere. Una parte di lui
sapeva che, in quelle condizioni, la sua fine era vicina, ma in quel
momento non gli importava. L’ultima cosa che
sperò, prima di intraprendere quel suo nuovo, misterioso
viaggio, fu che Galbatorix non potesse più nuocere ad alcuno.
Fu solo quando lo vide allontanarsi lentamente e con andatura instabile
che il Re si ricordò di Shruikan. Lo aveva temporaneamente
dimenticato, ma il suo ricordo tornò prepotente quando il
cielo si oscurò al suo passaggio.
Galbatorix alzò lo sguardo, distraendosi momentaneamente
dalla battaglia. “Shruikan” mormorò.
La voce di Castigo gli riempì la testa. Galbatorix sei stato troppo
pretenzioso: non hai dato affetto al tuo drago, e ti aspetti che lui
sia sempre fedele? Sciocco! Shruikan non era il tuo drago, tu non hai
più un drago.
Galbatorix si guardò velocemente attorno. Osservò
Murtagh, in sella a Castigo, fiero e combattivo. Sarebbe riuscito a
controllarlo ancora? Ma certo! Con tutti gli eldunari che possedeva
poteva fare qualsiasi cosa. Ma in quel momento l’unica
realtà era che il suo drago era sparito. Lo aveva
abbandonato.
La battaglia volgeva a suo favore, ma non poteva continuare senza
Shruikan. Doveva ammettere che il potere del drago era vitale per il
combattimento, e lo rafforzava. Non poteva rischiare di perdere una
battaglia alla quale partecipava in prima persona, la sua figura
saprebbe venuta meno agli occhi di tutti.
“Murtagh!” chiamò.
Il ragazzo si irrigidì, pronto a sentire la sua forza di
volontà distrutta e il suo corpo rispondere a movimenti che
non avrebbe mai voluto fare. Sentì il Re pronunciare il suo
nome, ma si stupì quando non sentì nessun peso
cadere sul suo corpo, nessun brivido scuoterlo.
“Torna subito al castello con Castigo. Ora!”
gridò Galbatorix.
Murtagh lo fissò per un momento, senza capire che cosa
succedeva. Poi, lentamente, sulle sue labbra si aprì un
sorriso. Il suo nome era cambiato: Galbatorix non aveva più
alcun potere su di lui. “E’ inutile
vecchio” disse a bassa voce, uno sguardo esaltato in volto.
“Non mi comanderai più”
sussurrò, gli occhi spalancati, lo sguardo fisso e la bocca
storta in un ghigno.
Galbatorix lo guardò con un misto di stupore e rabbia. In
preda alla disperazione mise mano alla cintura, dove diversi eldunari
erano incastonati nel metallo.
Eragon lo guardò circospetto e fece segno agli altri di
allontanarsi. “Attenti!”. Che cosa vuole fare?,
chiese poi a Saphira.
Non lo so. Ma
gli eldunari sono potenti. Sta’ attento! Tutti indietro!
Saphira ruggì.
Una forza sconosciuta, dalla grandezza devastante e terribile,
cominciò a sprigionarsi da Galbatorix stesso. Un vento forte
cominciò a far mulinare la sabbia rossiccia delle Pianure
Ardenti. Tutti i soldati si voltarono verso i draghi e i loro
Cavalieri, mettendo una mano davanti agli occhi per impedire alla
sabbia di entrare.
All’improvviso, così com’era comparsa,
la forza si ritirò, venne come succhiata
all’interno del suolo stesso. Per un secondo Eragon trasse un
sospiro di sollievo, ma poi la terra incominciò a tremare
violentemente. Guardò Saphira spaventato. Lei cercava di
tenere le zampe aggrappate al suolo caldo, ma non riusciva a stare
ferma.
Poco lontano Murtagh scorse Ellen guardarsi attorno spaventata.
“Ellen!” gridò Murtagh.
“Va’ Castigo!” disse al drago con un urlo
disperato. Castigo dispiegò le grosse ali e raggiunse
velocemente Ellen. Murtagh le tese una mano e la ragazza vi si
aggrappò e si arrampicò sul dorso scivoloso del
drago.
Castigo prese quota, ed Ellen poté vedere
dall’alto tutto l’accampamento. I soldati gridavano
e si guardavano attorno spaventati, il terremoto aveva preso anche
l’accampamento dei Varden, che si stava velocemente
distruggendo. Un rombo, più forte di quanto Ellen avesse mai
sentito, scosse la terra e grosse crepe si aprirono sotto i piedi di
molti soldati, che con un urlo scomparivano nelle viscere della terra.
La ragazza chiuse gli occhi e si tappò le orecchie. Il
rumore la stava per invadere, stava lacerando ogni cosa. Solo quando
finì osò aprire gli occhi. Sentì la
rassicurante presenza di Murtagh e si strinse a lui, sempre in sella a
Castigo.
“Ellen” mormorò il ragazzo, gli occhi
puntati verso terra. Ellen seguì il suo sguardo.
Volle urlare, ma il grido di orrore le morì in gola. Lo
spettacolo più devastante che avesse mai visto si dipanava
sotto i suoi occhi.
E ora sì... che sembra
davvero tutto perduto! T^T
Inizialmente dovevo finire qua la storia, e fare vincere l'esercito di
Eragon, ma poi ho optato per un'altra soluzione. Vi ricordate, nella
prima parte della fic, L'Ombra
del Passato (e anche nella versione originale di Eragon scritta da
Paolini), l'avviso di Solembum? Dice ad Eragon che quando tutto
sembrerà perduto dovrà pronunciare il suo vero
nome davanti ad un qualcosa di cui ora non ricordo il nome. Bene, non
so che cosa abbia intenzione di fare Paolini, così mi sono
inventata un po' l'esito di questa profezia. Che sarà
decisiva per la prossima battaglia!
Comunque, almeno di un po' di cose possiamo felicitarci, ossia: Murtagh
è tornato! Yee! Definitivamente, e inconfutabilmente assieme
ai Varden! Evviva! :)
Un'altra cosa. Qui viene accennato ad un'amore di Galbatorix, e per
questo scriverò una piccola One Shot credo,
perchè ci sarà un accenno a questo ancora nel
futuro, in uno degli ultimi capitoli. Spero di avervi incuriosito! :)
KissyKikka: hai proprio ragione sul fatto di entrare subito nella
battaglia, ma non è stato per originalità (della
serie: come rovinarsi una reputazione XD), in realtà
è solo che l'inizio della battaglia era troppo noioso da
scrivere, e ho preferito saltarlo. Solo poi mi è venuto in
mente che poteva essere davvero una buona idea! XD Qui viene visto
meglio il personaggio di Shruikan, come già avevi accennato
tu, e ho voluto rendere l'idea di un personaggio forse troppo
fiducioso, come Tegrish, ma al contrario di lui Shruikan è
stato ingannato e Galbatorix si è approfittato della sua
bontà. B'è... a parte questo grazie
mille per aver recensito, un bacione! ^^
Patty.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** Alla ricerca della profezia ***
Capitolo quindici: Alla ricerca
della profezia
“Come
sta?” chiese Arya in un sussurro.
“Non benissimo, ma si riprenderà. Non dobbiamo
preoccuparci, le magie di Angela l’hanno salvata”
rispose Eragon.
“Siamo stati fortunati”.
Eragon e Arya uscirono dalla tenda dove era ricoverata Nasuada in gravi
condizioni. Si guardarono attorno, e poterono riconoscere solo
un’ombra di quello che era stato una volta
l’accampamento dei Varden. Tutto era distrutto, tutto era
stato raso al suolo dal terremoto che Galbatorix aveva causato con i
suoi eldunari. In pochi si erano salvati. Quasi tutti i nani e gli
elfi, perché erano potetti da magie molto più
antiche di loro, e così anche i Cavalieri con i rispettivi
draghi. Alcuni umani molto fortunati erano riusciti a sopravvivere,
anche se in pessime condizioni. Anche Angela e Solembum erano
sopravvissuti e, grazie alle magie che l’erborista aveva
imposto su alcune persone, anche Nasuada, Re Orrin e il capitano
dell’esercito dei Varden si erano salvati. Eragon aveva
protetto con la magia Roran. E ovviamente anche Rukan si era salvato,
grazie all’agilità che deteneva quando era in
forma di leone. Tutti gli altri erano stati uccisi dalla furia di
Galbatorix. Anche Roran e Re Orrin non si erano ancora ripresi del
tutto, ed erano costretti nei loro letti, accuditi dagli elfi.
Ormai tutto l’accampamento era riunito in poche tende, tutte
una vicina all’altra. L’esercito dei Varden era
stato completamente distrutto. Ormai pareva che nulla fosse
più possibile. Dopo aver sperimentato il potere di
Galbatorix molti erano certi del fallimento della guerra.
Eragon, sconfortato, andò a sedersi lontano dagli altri,
dietro le tende. Poco dopo venne raggiunto da Saphira. Lei era forse
l’unica con cui sentiva di poter parlare. Condividevano le
stesse emozioni e le stesse paure, ma sapevano darsi coraggio a
vicenda. Restarono in silenzio, le parole non bastavano per raccontare
la loro angoscia.
Eragon sentiva di non poter fare più nulla. Quindi
finalmente Galbatorix aveva raggiunto il suo scopo: non aveva idea di
che cosa fare. Si sentiva impotente. Si sentiva inutile. Era sicuro che
questa volta nessuno avrebbe tirato fuori una soluzione così
all’improvviso. Non lo avrebbe fatto Oromis, né
Murtagh, né Arya. Ma quanto aveva provato!, si disse.
Quanto! Eppure tutto il suo sforzo e il suo impegno non era bastato,
nonostante lui avesse dato tutto a quella causa. Cos’altro
doveva fare? L’unica cosa che ancora non aveva sacrificato
era la sua vita.
Il quel momento un bambino dai capelli sporchi lo affiancò.
Eragon stava per mandarlo via in maniera molto maleducata, ma poi lo
riconobbe.
“Solembum. Ciao” disse Eragon con voce piatta.
Il ragazzino sorrise e lo guardò con occhi furbi.
“Ricorda quello che ti ho detto Eragon Ammazzaspettri. Pensa
a come ti senti, e solo allora troverai la soluzione”.
Eragon si arrovellò il cervello. “Ma non mi viene
in mente adesso che cosa mi hai detto. Sono passati quasi due
anni” protestò quando, esasperato, non
riuscì a ricordare. “Non puoi dirmelo
tu?”.
“Non mi piace ripetere le cose” disse il ragazzino
mettendo il broncio.
“Ma …” Eragon non fece in tempo a dire
nulla che Solembum si era voltato ed era scomparso. La coda rossastra
di un grosso gatto guizzò dietro ad una tenda.
Eragon sospirò. “Come faccio a
ricordarmi?” chiese rabbiosamente a Saphira.
Voi umani
avete una memoria pari a zero. Un po’ come i
colibrì, ma loro almeno sono giustificati, perché
non sono Cavalieri di drago. Tu, invece, dovresti vergognarti,
disse la dragonessa in tono canzonatorio.
Tu te lo
ricordi!
Ma certo. Le
esatte parole di Solembum sono state: quando sentirai che ogni speranza
è svanita e che il tuo potere non basta, pronuncia il tuo
nome davanti alla Rocca di Kuthian, per schiudere la Volta delle Anime,
recitò lei con tono diligente.
“Vuoi per caso un applauso?” chiese Eragon. Saphira
sbuffò contrariata. Eragon si alzò e
andò alla ricerca di Oromis. Lo trovò
affaccendato attorno a Roran, per cercare di far abbassare la febbre
alta.
Quando Eragon lo trascinò fuori disse: “Credo che
sia meglio provare con i metodi naturali. Potremmo passargli uno
straccio bagnato sul corpo, per rinfrescarlo un
po’”.
“Hm, si certo. Ma volevo chiederti una cosa”.
“Dimmi pure” disse l’elfo con un vago
sorriso sulle labbra.
“Che cosa sai della Rocca di Kuthian?”.
Oromis lo guardò con espressione indecifrabile, poi gli fece
segno di seguirlo. Andarono a sedersi in un angolo appartato.
“Chi ti ha parlato della Rocca?”.
“Solembum, quando mi ha predetto il futuro. Ha detto che devo
andare alla Rocca di Kuthian e pronunciare il mio nome per schiudere la
Volta delle Anime”.
Oromis rimase pensoso. “Non so nulla su questa Volta delle
Anime, ma posso dirti dove si trova la Rocca, anche se trovo sciocco da
parte tua andarci. In questo momento l’unica cosa che
dovremmo fare è cercare di formare subito un nuovo esercito,
assieme ai nani e agli elfi, e magari trovare qualche volontario fra la
tua razza, qualcuno dell’Impero”.
“Si, ma se Solembum ha detto …”
cominciò Eragon.
Oromis chiuse gli occhi. “Si, lo so. Solembum è un
gatto mannaro, e molto saggio per giunta”. Rimase in silenzio
per un po’. “Bene. Credo che se lo ha detto lui
potremmo partire subito”.
“Per dove?” chiese Eragon con il fiato sospeso.
“Per Dorù Araeba” disse Oromis
sorridendo. “Adesso che Nasuada sta male non rispondi a
nessuno, ma non credo che ci siano problemi se parti. In fondo
è per la buona riuscita della guerra. Va’ ad
avvisare Arya, sono sicuro che sarà felice di sapere che
abbiamo ancora qualcosa da fare”.
Eragon arrossì e abbassò lo sguardo.
“Si, certo vado” borbottò.
Oromis lo lasciò li e si avviò subito verso la
tenda di Ellen e Murtagh. Incrociò un elfo lungo la strada e
gli diede un messaggio da recapitare urgentemente ad Ellesmera.
Raggiunse la tenda dove era sicuro di trovare Ellen e, per essere
sicuro di non fare brutte figure, chiamò Ellen a voce.
“Ellen! Sono Oromis, potresti uscire?”.
“Entra!” gli disse una voce dall’interno.
Oromis entrò nella grossa tenda. C’erano per terra
diverse coperte a formare un largo materasso per due persone, in un
angolo alcuni vestiti, due sacche da viaggio, due borracce, dei pezzi
di armatura e diverse armi. L’elfo entrò, i suoi
capelli perlacei non persero brillantezza neanche nel buio della tenda.
“Sono tutte tue?” chiese indicando le armi.
“Oh no. Murtagh le ha trovate in giro, e dice di volerle
provare tutte, nel caso si stufasse della spada” disse Ellen
avanzando verso di lui. “Che cosa
c’è?”.
“Dobbiamo fare un viaggio. In realtà Eragon lo
deve far-”.
“Un viaggio? Dove? Con chi?” chiese subito Ellen,
agitata.
“Tranquilla. Sta’ calma. Eragon deve andare a
Dorù Araeba, vorrei che andassimo insieme. In
realtà, ho bisogno che tu scopra il vero nome di Eragon. Tu
sei quella che lo conosce di più, a parte Roran, che adesso
non è in grado di fare un viaggio”.
“Il suo vero nome?” chiese Ellen, alzando le
sopracciglia stupita.
Oromis annuì. “Tuttavia, ti devo chiedere un
favore. So che hai appena ritrovato Murtagh, ma qualcuno deve rimanere
qui. Ho pensato che potremmo partire solo io, te ed Eragon. Sarebbe
meglio se gli altri restassero”.
Ellen restò un po’ delusa. In realtà
aveva sperato di poter restare assieme a Murtagh. E quando Oromis le
aveva detto del viaggio le era stupidamente balenato in testa un
viaggio nel quale sarebbero potuti stare da soli e in pace, lontani da
ogni pericolo. Ma ovviamente erano ben lungi dall’essere
lontani dai pericoli. “Si, si certo” disse a voce
bassa. “Quando partiamo?”.
“Il prima possibile direi, anche domani
all’alba”.
Ellen raggelò. “Così presto?”
chiese dubbiosa.
“Mi dispiace. Ma è essenziale che tu venga. Non mi
fido a lasciarlo andare da solo, per questo motivo ci sarò
anche io”.
“Ma … dove dobbiamo andare?”.
“Dorù Araeba è una città che
si trova sull’isola di Vroengard. E’
l’ultima isola più a nord di Alagaesia. Prima
andremo verso il Surda, poi prenderemo una nave e navigheremo verso
nord”.
“D’accordo. Quindi partiremo domani?”
chiese Ellen.
“Si, sarebbe meglio partire il prima possibile. Come vedi la
situazione è disperata, non possiamo esitare un minuto di
più” disse Oromis guardandola negli occhi.
“Capisco” disse Ellen, evitando lo sguardo
dell’elfo. “D’accordo. Allora a
domani”.
“A domani Ellen. Se Murtagh fa troppe storie, digli che ti ho
praticamente obbligato” disse con uno sguardo furbo.
“Che cosa?” chiese Murtagh furioso.
“M-mi dispiace, ma è l’unico modo. Hai
visto com’è ridotto l’accampamento dei
Varden, hai visto in quanti siamo rimasti! Presto l’esercito
imperiale verrà a cercarci. Sono io che dovrei essere
preoccupata. Io me andrò in una terra probabilmente
disabitata, invece tu resterai qui, vicino a Galbatorix!”.
“Non è questo il punto! Probabilmente andremo
dagli elfi e dai nani, per convincerne la maggior parte a seguirci. Ci
sono ancora molti clan che non ci vogliono dare aiuto, e gli elfi non
si sono ancora apertamente schierati, hanno mandato solo una piccola
parte dei loro uomini.”, cominciò Murtagh
passeggiando avanti e indietro nella tenda, una mano fra i capelli
corvini, “Non è questo il punto! Partire ora
è una cosa stupida! In mare ti potrebbero accadere un
milione di cose! E per viaggiare fino al Surda? Ci saranno soldati a
palate in tutto il territorio! E poi, scusa, che cosa ci
sarà in quella città? Non lo sappiamo
nemmeno!”.
Ellen era furiosa. Murtagh non aveva motivo di arrabbiarsi, in quanto
lei sarebbe stata più al sicuro di lui. Assieme ad Oromis ed
Eragon!
“Senti, non capisco perché ti arrabbi
tanto” sbuffò sprofondando sulla branda.
Murtagh la guardò e sospirò. Si sedette accanto a
lei e le cinse le spalle con un braccio. “Non sono
arrabbiato, sono preoccupato e basta”. Il ragazzo fece una
pausa, incerto su come proseguire. “Il fatto è che
ci siamo appena ritrovati, e già ci dobbiamo
separare”.
Ellen si voltò verso di lui. “Lo so,
però è necessario. Se riusciremo a trovare
ciò che Eragon cerca non avremo più problemi,
potremmo restare insieme per sempre dopo che la guerra sarà
terminata”.
Murtagh guardò altrove, per non incontrare quegli occhi neri
e imploranti, che gli chiedevano di essere paziente. Sapeva che non
avrebbe potuto resistere ai suoi occhi; cercava solo di essere risoluto
nelle sue decisioni. Ellen si avvicinò a lui e
cominciò a lasciare piccoli baci sul collo, la mascella, la
guancia, fino ad avvicinarsi sempre di più alle sue labbra.
Quando finalmente le raggiunse le baciò con tenerezza, con
dolcezza. Murtagh le mise una mano sul viso e
l’attirò a sé.
Era così bella, e dolce come il miele, che non sapeva
nemmeno come aveva fatto a resistere senza di lei tutto il tempo che
era stato prigioniero. Il suo cuore si gonfiò di caldo, e
quasi scoppiava di gioia. Ellen si allontanò da lui e gli
sorrise, mentre con una mano gli accarezzava la guancia. Murtagh la
guardò per un lungo istante, poi la fece sdraiare sotto di
sé e riprese a baciarla.
Ecco! Tutti i suoi tentativi di essere contrario a quella follia, erano
crollati!
Erano tutti un po’ nervosi quando Eragon, Oromis ed Ellen
partirono. Eragon avrebbe dovuto abbandonare Saphira e Arya, Ellen
avrebbe dovuto abbandonare Murtagh e Oromis non era del tutto certo
della riuscita di quel viaggio. Nonostante questo lasciarono
l’accampamento con una sorta di falsa fiducia, che
procurò agli altri un pizzico di speranza. Se avessero
saputo che quella era solo una maschera!
Murtagh aveva detto il vero: incontrarono diversi soldati lungo la via.
Cercarono di evitarli e di non farsi vedere, pur di non ucciderli:
lasciare dietro di sé una scia di soldati morti non era il
modo migliore per una partenza in segreto. Nel giro di due giorni
arrivarono al Surda, dove dovettero purtroppo dare la cattiva notizia
di quello che era appena accaduto ai Varden.
Incontrarono Katrina, che aveva già una pancia di alcuni
mesi, e le dissero subito che Roran stava bene, anche se un poco
infiacchito. Raccomandarono ai Surdani di restare pronti ad
un’invasione da parte dell’Impero, e che non appena
avrebbero formato un nuovo esercito avrebbero mandato alcuni uomini a
fare da guardie alle città principali, dotando anche il
Surda di una piccola potenza militare.
In un altro giorno arrivarono alle coste, dove chiesero subito una nave
di discrete dimensioni che potesse viaggiare a lungo. Vennero riforniti
di cibo e acqua a volontà e, il giorno della loro partenza,
tantissimi abitanti, soprattutto donne e bambini, andarono al porto a
salutarli.
Nonostante Eragon fosse d’accordo a partire, rimase un
po’ sorpreso quando Oromis gli disse che con loro avrebbero
portato qualcun altro. Proprio la mattina della partenza Oromis aveva
presentato a lui ed Ellen una donna che avrebbe navigato con loro.
Dayo era il suo nome, ed era la donna più strana che Eragon
avesse mai visto. Doveva avere circa trent’anni, il suo corpo
era forte e muscoloso e le sue mani callose. Aveva la mascella
pronunciata e spalle larghe scottate dal sole. I suoi occhi erano color
verde chiaro, molto penetranti. Parlava in modo alquanto diretto, ed
Eragon la paragonò ad un nano per i suoi modi di fare spicci.
Il giorno della partenza Dayo osservò diverse cartine
dell’Alagaesia per molto tempo, si era alzata alle quattro
del mattino per fare quel lavoro. Alle cinque cominciò a
preparare la partenza e alle sei svegliò tutti gli altri. Fu
allora che Eragon la conobbe.
“Hey sveglia! Cavaliere dei draghi! Sveglia!” lo
chiamò Dayo bussando alla sua porta.
Eragon non pensò nemmeno per un secondo che quella voce
potesse essere reale. Di sicuro era un sogno. Sentì ancora
quel battito assordante sulla porta della cabina, e quando
all’improvviso qualcuno entrò nella sua stanza non
fece in tempo a fare un movimento che sentì delle grosse
mani rivoltare le sue coperte e buttarlo giù dal letto.
“Qui ci si alza presto, devi imparare a governare una
nave!” disse di nuovo quella voce sconosciuta. Eragon
aprì gli occhi ancora brucianti di sonno e scorse Dayo.
“Cos- … chi diavolo sei?” chiese
stropicciandosi gli occhi.
In quel momento Oromis entrò nella cabina e sorrise.
“Eragon, ben svegliato. Vedo che hai già
conosciuto Dayo, ci accompagnerà nel viaggio”.
All’espressione stordita del ragazzo, che lui
scambiò per confusione e non per stanchezza, rispose a
mo’ di spiegazione: “Nessuno di noi
s’intende di navigazione e il viaggio che dobbiamo compiere
è lungo”. E così dicendo se ne
andò.
Eragon rimase a guardare scocciato Dayo. Dopo qualche secondo lei
disse: “Fra cinque minuti fuori, partiamo, e solo dopo potrai
fare colazione”. E se ne andò sbattendo la porta.
Quando, ben sveglio, uscì dalla cabina, Eragon
andò sopracoperta. Lì c’erano Oromis e
Dayo, ben svegli e che si davano da fare per preparare la partenza. Poi
c’era Ellen, che seguiva le istruzioni che ogni tanto Dayo
gridava. Quando Eragon le si avvicinò la ragazza
sbadigliò senza ritegno e lo salutò con un verso
che poteva essere un buongiorno.
“Che fai?” chiese Eragon.
“Dayo mi ha detto di stringere questa corda quando la nave
parte, e di fissarla meglio al gancio” disse indicando un
grosso appiglio in ferro.
“Ti aiuto” propose il ragazzo in mancanza di altro
da fare.
Oromis stava tirando su l’ancora mentre Dayo, in piedi di
fronte al timone, lo dirigeva sicura verso la sua destra. Il vento
gonfiava la vela, ma la nave non poteva muoversi. Non appena questa fu
libera dal porto e un po’ lontana dalla terra ferma allora
Dayo gridò: “Ora Ellen!”.
Ellen, che per tutto il tempo era stata affianco alla corda legata,
guardandola senza troppa convinzione, la osservò tendersi
forte. La corda, che reggeva la vela spinta dal vento, doveva essere
meglio fissata, altrimenti la vela non avrebbe potuto raccogliere tutto
il vento necessario per muoversi, le aveva spiegato Dayo, e a lungo
andare l’albero si sarebbe anche potuto spezzare. Ellen
cominciò a srotolare la corda dal suo appiglio. Man mano che
la srotolava, la corda si tendeva di più, e quando mancano
quattro giri, iniziò a srotolarsi da sola. Ellen la prese
con due mani e cominciò a tirare forte. Eragon la
affiancò e, insieme, presero la corda e la legarono ben
stretta al suo gancio.
“Adesso dovrebbe andare” disse Dayo andando verso
di loro. “Bene, ora andate giù a preparare la
colazione” disse dando ad entrambi una forte pacca sulla
schiena.
Eragon ed Ellen andarono giù senza protestare, anche se
sembrò loro molto ingiusto preparare la colazione mentre lei
e Oromis non facevano nulla. Arrivarono fino alla cucina.
“Dove sono le cose da mangiare?” chiese Ellen.
“Boh” disse Eragon gironzolando per la stanza.
Aprì una porticina che portava ad un ambiente sotterraneo,
secco e fresco. “Trovato! Qua c’è una
dispensa guarda”.
Ellen si sporse nella stanza buia. Tornò indietro, prese una
lampada ad olio e si addentrò, seguita a ruota da Eragon.
Nella piccola stanza c’erano ammassati l’intero
contenuto di una macelleria, una pasticceria e tutte le riserve di vino
di una taverna. C’erano anche vasetti di miele impilati
l’uno sull’altro, sacchi di farina, uova, poca
frutta e pochi formaggi, qualche pagnotta e una damigiana piena di
latte fresco.
“Wow” sussurrò Eragon quando vide tutto
quel cibo. “Di sicuro non moriremo di fame”.
“Infatti. Affonderemo per il peso di tutto questo
cibo” disse Ellen, a sua volta stupita.
Buongiorno! O buonasera, a
seconda di che ore sono! ^^ Oggi sono proprio di buon umore, e da un
certo punto di vista il capitolo è anche lui un faro di
speranza! XD Dopo il terremoto di Galbatorix ci voleva una faro di
speranza u_u Altrimenti i personaggi s'infiacchiscono, e magari
decidono anche di fare sciopero! XD
Okay, basta scemenze! Di questo capitolo non c'è molto da
dire, insomma, l'ho fatto perchè non potevo ignorare la
profezia di Solembum, così tutto ciò che
è stato detto dalla profezia sarà compiuto! Mi
pare anche giusto... u_u
Thyarah: grazie mille per la recensione, anche se con questo capitolo
ho infranto un bel po' delle tue speranze! XD Ad esempio
perchè non si sa esattamente che cosa fa Galbatorix dopo il
terremoto, il fatto è che ho dato per scontato che subito
dopo se ne andasse, perchè ormai ha fatto tutti i danni
possibili, e poi ha un grosso problema di risolvere, ossia il suo
drago! Ora che non ha più Shruikan deve riordinare le idee.
Un'altro sogno infranto è quello di Murtagh ed Ellen, dato
che lei deve partire subito appena dopo essersi ritrovati! Ma non
preoccuparti, alla fine potranno vivere felici e contenti! ^^ Che
carucci! Comunque, grazie mille per aver recensito, un bacio! <3
Un grazie
immenso anche a tutti gli altri, al prossimo capitolo,
Patty.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** Il té di mezzanotte ***
Capitolo sedici: Il tè
di mezzanotte
La
nave era molto più lenta di quanto Ellen si era aspettata,
ma era il metodo più sicuro per raggiungere le isole, anche
perché se avessero proceduto via terra sarebbero dovuti
passare affianco alla capitale e sarebbe stato troppo rischioso. Per
sicurezza Oromis aveva deciso di evitare il Gorgo, che si trovava fra
le isole a sud di Alagaesia. Era realmente terrorizzato che la missione
non andasse a buon fine e rischiare di cadere in mare non era certo
quel che preferiva.
La vita sulla nave era alquanto noiosa per Eragon ed Ellen. Ogni
mattina Dayo li svegliava presto, loro cucinavano la colazione e poi si
dedicavano a pulire la nave per il resto della giornata, e ad imparare
come navigare. Loro si occupavano dei pasti e dei lavori più
duri, o almeno così gli sembrava. Ogni notte andavano a
letto sfiniti e non potevano riposare prima delle undici a causa di
tutto il lavoro che c’era da fare.
I due avevano imparato a non lamentarsi, da quando Eragon aveva provato
a far notare a Dayo quanto lui ed Ellen lavorassero duramente mentre
Oromis se ne stava tutto il giorno per i fatti suoi.
Quando successe Eragon stava mettendo a posto la stiva, e Dayo era
passata a controllare come andava il suo lavoro. “Non credi
che potrei riposarmi?” aveva chiesto.
“Ma come? Non hai ancora finito” aveva detto lei.
“Ma sono stanco. Non potrebbe farlo Oromis? O anche tu
già che sei qui”.
“Io dirigo la nave Eragon, e Oromis ha da fare lavori ben
più importanti di questo”. Detto quello si era
voltata e aveva fatto per andarsene.
Eragon, furioso, l’aveva fermata. “Hei aspetta un
attimo! Non è giusto! Perché io e Ellen dobbiamo
sgobbare tutto il giorno e voi no?” aveva chiesto
rabbiosamente. Poi, per rincarare la dose, aveva aggiunto:
“Sono un Cavaliere dei draghi!”.
Dayo lo aveva guardato per qualche secondo, sbigottita, e in un primo
momento Eragon aveva pensato che il suo discorso aveva fatto effetto.
Ma all’improvviso la donna scoppiò in una
fragorosa risata. “Cavaliere, eh?” aveva chiesto
una volta finito di ridere. “B’è lascia
che ti dica una cosa Cavaliere dei draghi. Il servizio che ti rendo
portandoti su questa nave è essenziale per Alagaesia, credi
che non lo sappia? Quindi dovresti ringraziarmi al posto di lamentarti
come un moccioso! Io devo organizzare il viaggio, io devo alzarmi ogni
mattina alle quattro per controllare la rotta, io devo manovrare il
timone e affrontare le tempeste, devo stare attenta alle secche, alle
navi dell’Impero, a razionare il cibo. E io non
verrò pagata per il mio servizio! Quindi almeno la mia nave
dovrà trarne beneficio, non credi Cavaliere?”.
Aveva guardato Eragon con così tanta severità che
il ragazzo non aveva avuto il coraggio di protestare. “Adesso
finisci” disse seccamente, indicando con gesto secco la
stanza.
Eragon, mogio mogio, era tornato al suo lavoro senza dire una parola.
Aveva raccontato ad Ellen ogni cosa, ed era stato solo con un grande
sforzo di volontà che lei non si era messa a ridere. Aveva
fatto quello che ogni sorellastra avrebbe fatto, e aveva detto ad
Eragon che Dayo si era comportata in modo vergognoso.
Circa due settimane dopo la partenza Ellen stava asciugando i piatti
che avevano usato per la cena, mentre Eragon era stato inviato a fare
chissà quale altro lavoro. Una volta raccolti gli avanzi di
cibo Ellen li mise tutti dentro un contenitore e salì
sopracoperta per gettarli a mare. Si stava recando sulla prua della
nave, quando sentì un fioco lamento. Si voltò a
cercare il padrone di quel suono e scorse una figura rannicchiata
contro l’albero maestro, che singhiozzava silenziosamente.
Ellen si avvicinò e si chinò al suo fianco,
posandogli una mano sulla spalla. “Oromis”
sussurrò preoccupata.
Il vecchio elfo alzò lo sguardo verso di lei. I suoi occhi
erano rossi e disperati, il suo viso leggermente stupito. Lacrime calde
gli scivolavano dagli occhi e rotolavano sulle sue guancie lisce e
perfette. Non aveva l’aria di uno che aveva pianto, ma era
forse peggio vederlo in quello stato, perché il suo viso
esprimeva solo disperazione.
Ellen non sapeva cosa fare, così posò la ciotola
con gli avanzi e si sedette al suo fianco, abbracciandolo. Oromis fu
felice del suo gesto, era da tanto che nessuno gli dimostrava affetto
in maniera così palese. Non poteva dire di conoscere Ellen
benissimo, ma era assolutamente certo che fosse una splendida persona e
una donna coraggiosa.
Ellen sciolse l’abbraccio e guardò Oromis
tristemente. L’elfo, che si era asciugato il viso,
cominciò a giocherellare con un filo della sua camicia. Poco
dopo parlò, e la sua voce uscì roca e forzata:
“Da quando …” deglutì,
“Da quando Gleadr è morto non so più
cosa fare. Sono rimasto … solo io, e …”
trasse un grosso respiro e alzò lo sguardo verso
l’alto, prendendo un lungo respiro, come a purificare
l’anima. Come se volesse lavare via la sua tristezza.
“Non devi parlarne per forza Oromis” lo
rassicurò Ellen poggiandogli una mano sulla spalla.
“No, è da settimane che ne voglio
parlare!” disse l’elfo guardandola con gli occhi
spalancati. “Ma … non so con chi. Glaedr era
l’unico vero amico che avevo. Con lui ho passato anni interi,
dalla giovinezza fino ad ora. Non … non so se riesci a
capire il legame che ci univa, ma non potrò mai provare lo
stesso sentimento che provavo per lui, mai più nella vita,
per nessuno. Era … eravamo uno solo. Mi sento …
spezzato, mi sento diviso in due, lacerato”
balbettò guardando il vuoto.
Ellen non sapeva cosa dire. Era assolutamente vero: lei non capiva che
cosa provava Oromis, non aveva mai avuto con nessuno un legame
così forte come era fra drago e Cavaliere. Però
lei era innamorata di Murtagh, e poteva capire come si sentisse solo
Oromis, era la stessa sensazione che aveva provato quando pensava che
Murtagh fosse morto.
“Tu non sei rimasto solo Oromis” disse Ellen
cercando di guardarlo in viso. “Lo so che nessuno
potrà mai prendere il posto di Glaedr, ma non devi pensare
nemmeno per un minuto di essere rimasto solo. Ci sono tantissime
persone che ti amano, ci sono Eragon e Saphira, Arya, Islanzadi,
Tegrish e Gylda. Ci sono io. Io ti voglio bene” disse con una
crescente tristezza nella voce. Non riusciva a vedere Oromis in quello
stato.
L’elfo si voltò verso di lei. Tremante,
allungò una mano e la posò sulla guancia di
Ellen. “Grazie” sussurrò, guardandola
negli occhi.
“Ti prometto che, ogni volta che vorrai, sarò qui
con te” disse Ellen con un filo di voce, stringendogli la
mano sulla sua guancia.
Gli occhi di Oromis erano ancora rossi, i capelli spettinati, le mani e
le guancie fredde per via dell’aria salmastra che si
abbatteva continuamente su di loro. Da un lato Ellen pensò
che fosse una delle persone più belle che avesse mai
conosciuto, forte e indipendente. Ma vederlo così le fece
male al cuore. Era debole e indifeso, lo sguardo sperduto e
l’anima vuota.
Si, si sentiva proprio così. Si sentiva vuoto. Oromis non
era mai stato abituato ad essere solo. Aveva conosciuto Glaedr quando
aveva appena vent’anni. Pochi, per un’elfo. Per
tutta la vita non aveva fatto altro che condividere. Condividere con
Glaedr le sue emozioni, sensazioni. Paura, ansia, felicità,
odio, amore. Tutto. Aveva condiviso la vita stessa con Glaedr, e adesso
che non era più al suo fianco sentiva un dolore costante al
petto. Come qualcosa che stringeva il suo cuore, e rischiava di farlo
implodere. Ogni volta che non era impegnato a fare qualcosa il suo
pensiero tornava a Glaedr, e a quella voragine che fino a poco fa era
colma, colma di un amico. Colma di Gleadr. E ogni volta che ci pensava
la gola gli si seccava, la bocca diveniva pastosa, e gli occhi
scottavano.
Ma quella volta fu diverso. Quella volta c’era Ellen
lì con lui.
“Ti va di venire con me?” chiese Ellen.
Oromis, comandato dalla solitudine e dalla disperazione,
annuì. Tenendosi per mano andarono fino alle cucine, dove
Ellen preparò un tè caldo e lo porse
all’elfo. Oromis lo bevve in pochi minuti, tenendo le mani
strette attorno alla tazza di ceramica. Quando ebbe finito Ellen lo
portò nella sua stanza. Fece sdraiare Oromis sul suo piccolo
letto.
“Non voglio dormire qui. Meglio che me ne vada”
disse l’elfo tentando di alzarsi.
“No, resta. Non preoccuparti. Io non ho sonno”
disse Ellen con un leggero sorriso. Coprì Oromis con delle
coperte di lana grossa, gli diede un bacio sulla guancia e si sedette
affianco al letto.
Oromis era stanco, ed era talmente triste da non riuscire a ragionare.
Ma quando si addormentò l’ultimo pensiero che gli
balenò nella testa fu per Ellen.
Per lei e per Eragon. E per Tegrish. Per Gylda e Saphira. Per Arya.
Nasuada.
E si chiese come aveva fatto ad essere così cieco.
Lui non era solo.
“Oromis!”.
L’elfo si voltò, di nuovo con quella sua
espressione gentile e disponibile dipinta in volto.
“Si?” chiese con voce vellutata.
“Ho bisogno di un favore. Mi aiuteresti a tendere le corde?
Ma non dirlo a Dayo che te l’ho chiesto io” disse
Eragon guardandosi nervosamente attorno.
La risata di Oromis arrivò cristallina e lui sorrise.
“Ma certo, non dirò una parola”.
L’elfo seguì Eragon fino a un mucchio di corde che
erano state gettate a terra. Il lavoro che quel giorno era stato
affidato a Ellen ed Eragon era di disfarle e poi rifarle più
strette, togliendo le parti sfilacciate che potevano rompersi. Di
spalle, china su una corda, c’era già Ellen;
seduta a terra a gambe incrociate e ingobbita.
Tutti e tre si sedettero attorno alle corde e iniziarono il lungo,
noioso lavoro. Poco dopo arrivò Dayo, che si
avvicinò ad Eragon ed esaminò la corda che stava
lavorando. “Va molto bene” commentò.
“Alzati Eragon, devi venire ad aiutarmi al timone”.
Ellen non voleva restare sola con Oromis. Quella mattina, quando si era
svegliato, gli aveva preparato una tazza di tè e
l’aveva lasciata in bella vista sul comodino, poi era uscita,
pensando che l’elfo volesse un po’ di
intimità. Ma non riusciva più a guardarlo negli
occhi. Gli sembrava così strano che Oromis, appena poche ore
prima, fosse in lacrime. Oromis! Sapeva che era sciocco da parte sua
pensare queste cose. Oromis aveva sentimenti come tutti quanti, e
poteva essere triste o felice. Però non riusciva a concepire
il fatto che fosse così debole in quel momento. Si era
abituata a pensare a lui come una roccia, come una fortezza
inespugnabile. Ma ora sapeva che quella fortezza poteva essere
abbattuta. E proprio dagli amici più cari.
Per alcuni minuti Oromis ed Ellen restarono in silenzio, poi
l’elfo, sospirando, posò la corda a terra e
guardò la ragazza. “Ellen” la
chiamò.
“Si?” chiese lei con il tono più leggero
che riuscì a trovare. Nonostante tutto il suo tono
suonò stridulo e innaturale.
“Mi dispiace per ieri, non volevo spaventarti”.
“Oromis!” disse Ellen dispiaciuta. “Non
mi hai spaventata, non ti devi preoccupare. Te l’ho detto,
puoi venire a parlare con me di tutto quello che vuoi quando vuoi. Sono
certa che anche gli altri vorranno ascoltarti, se solo glielo
chiederai” disse calcando con tono severo l’ultima
frase.
Oromis sorrise e riprese la sua corda. “Grazie”.
“E per cosa?” chiese Ellen con finto tono
noncurante. “Ho fatto ciò che chiunque avrebbe
fatto … per te”.
“Dicevo per il tè di stamattina” disse
Oromis con un sorriso dipinto in volto e l’animo un
po’ più leggero.
Dopo altre due settimane di viaggio erano arrivati in vista delle isole
del nord. Vroengard era la più lontana di tutte e
così ci volle un’altra settimana per arrivarci.
Dayo si fermò poco lontano dalla costa e preparò
la scialuppa per far scendere Oromis, Eragon ed Ellen sulla terraferma,
mentre lei sarebbe rimasta lì a badare alla nave.
Prima di scendere Oromis prese Ellen da parte le chiese: “Hai
pensato al vero nome di Eragon?”.
Ellen sorrise e disse: “Certo. E’ da quando siamo
partiti che ci penso. Non ne sono ancora sicura ma credo di averlo
trovato”.
“D’accordo. In ogni caso non me lo dire, provalo
con Eragon”.
I tre salirono sulla scialuppa e si allontanarono lentamente dalla
nave. Nel frattempo Eragon ebbe modo di pensare. Quale mai poteva
essere il suo vero nome? In un primo momento aveva pensato di trovarlo
da solo, senza l’aiuto di Ellen, ma si era reso presto conto
che era impossibile: lui aveva una visione di sé stesso
diversa dagli altri, per il semplice fatto che lui era lui, e non
poteva analizzare con parzialità sé stesso.
Dal canto suo Ellen aveva passato molto tempo a pensare a quale potesse
essere il vero nome di Eragon. Durante le settimane di viaggio si era
spesso scoperta a fissare il ragazzo ad occhi socchiusi, come se il
guardarlo intensamente le avesse potuto garantire la riuscita della sua
missione. Alla fine cercò di ricordare Eragon dal loro primo
incontro.
Era passato più di un anno e lui era cambiato molto. Da
ragazzino inesperto e avventato, era diventato un uomo. Era generoso,
coraggioso ma non imprudente, cercava di superare i pregiudizi, voleva
essere ad esempio per molti e non sempre pensava di riuscire. Ellen
aveva provato di nascosto diversi nomi, ma sembrava che ognuno di
quelli avesse qualcosa che non andava, e in fondo non convincevano
neppure lei.
Ma infine aveva creduto di averlo trovato. Si, era di sicuro quello il
vero nome di Eragon. Il nome che descriveva tutte le sue imperfezioni e
la sua volontà d’animo al meglio. Per molti versi
Eragon era come un bambino, era cocciuto e a volte si arrabbiava per un
non nulla, ma la sua anima era pura e irradiava una luce che Ellen non
aveva mai visto in nessun’altro.
Un luce accecante.
“Non credo che dovremmo stare qui” disse Ellen
nervosamente torcendosi le mani. “E se ci fosse qualcuno
dentro? Non credete che Galbatorix possa aver messo delle guardie a
questo posto se è davvero quel che pensi che sia?”
chiese poi rivolta ad Oromis.
“Hai paura?” chiese Eragon con un mezzo sorriso.
“Certo che no!” esclamò lei stizzita
fermando il passo. Poi, velocemente, raggiunse gli altri, che per i
suoi gusti si erano allontanati un po’ troppo.
Si erano inoltrati nell’isola di Vroengard a piedi, e
procedevano speditamente verso Dorù Araeba, la
città ormai distrutta che aveva ospitato per molte
generazioni i Cavalieri di Drago. Il territorio era brullo e arido,
montagnoso, ma Eragon non riusciva a ritrovarvi la sicurezza che
sentiva sempre quando stava sulla Grande Dorsale.
Verso sera si fermarono a mangiare qualcosa e a riposare. Oromis li
svegliò molto presto la mattina dopo, e li condusse ancora
per i terreni solitari dell’isola. Il giorno dopo, verso
sera, giunsero alla città.
Oromis la riconobbe da lontano, vide una massa informe di rovine e
un’alta torre che svettava verso il cielo. Indicò
l’edificio in lontananza, forse l’unico che era
rimasto ancora intatto, e disse: “Quella è la
Rocca di Kuthian, Eragon. Per quanto riguarda la Volta delle Anime non
so davvero a che cosa si riferisse Solembum quando l’ha
nominata”.
“Per cominciare potremmo andare fino alla Rocca”
propose sarcasticamente Ellen. Quel luogo non le piaceva. Non le
piacevano le montagne in generale, si sentiva come rinchiusa da esse.
Per di più era così strano quel luogo deserto.
Si, certo, probabilmente era il luogo perfetto per Galbatorix, per
nascondere i suoi eldunari, o almeno così la pensava Oromis.
Secondo lui in quell’isola dimenticata da tutti il Re aveva
nascosto le pietre, e probabilmente la Volta delle Anime era proprio il
luogo dove si trovavano tutti gli eldunari.
Ci misero un giorno intero per arrivare fino alla Rocca. Era un
edificio alto e slanciato, che finiva con una piattaforma circolare.
Aveva un portone in legno massiccio alto almeno cinquanta piedi e
rafforzato con fasce di ferro che lo attraversavano orizzontalmente.
Era aperto e impolverato, e si notava molto bene che non era curato da
tempo. I tre passarono attraverso la stretta apertura della porta, per
finire in un grande salone, quasi del tutto spoglio. A lato del grande
ingresso c’erano due scalinate che portavano al piano
superiore e, sotto di esse, un’altra porta che dava ad un
largo corridoio.
“Ma questa è una casa. Come faccio a trovare in
una casa un luogo sacro?” chiese Eragon ad alta voce.
“Chi ti assicura che è un luogo sacro?”
chiese Ellen.
“Sesto senso” disse Eragon compiaciuto.
“Possiamo dividerci” propose Oromis.
“Teniamoci in contatto con la mente e dividiamoci. Io
controllerò i primi piani, Eragon quelli in alto e Ellen
… cerca dei piani inferiori, delle segrete, sono sicuro che
ci saranno”.
Ellen mugugnò qualcosa d’incomprensibile, ma si
avviò senza esitazioni. Gli altri due si guardarono e
presero ognuno una strada diversa. Eragon cominciò a salire
di fretta la scale che portavano ai piani superiori. Entrò
in molte stanza lussuose, alcune enormi ma spoglie di ogni cosa,
però non sembrava che nessuno di quei luoghi potesse essere
un nascondiglio per gli eldunari. Man mano che andava più in
alto Eragon sentiva sempre di più che avevano fatto la cosa
sbagliata. Forse dovevano restare assieme agli altri per formare un
nuovo esercito, forse cercare di forzare una profezia era troppo, anche
se per una buona causa. Forse avrebbe dovuto attendere che la profezia
si avverasse da sola, che gli capitasse per caso di scoprire che
cos’era la volta delle anime.
Alla fine Eragon arrivò in cima alla torre. Non sapeva
più che cosa fare, né dove andare. Oromis non ho trovato nulla, che
faccio?, chiese leggermente deluso.
Sei andato
sulla piattaforma?
No. Non so
nemmeno come arrivarci.
Trova il modo,
disse severamente il maestro.
Va bene,
acconsentì Eragon un po’ spazientito.
Girellò ancora lungo le stanze e, alla fine,
trovò un’angusta scala a chiocciola.
Cominciò ad arrampicarvisi, e in poco tempo
arrivò in cima. Il suo viso spuntò
sull’enorme piattaforma circolare. Era coperta da una specie
di cupola fatta di sottili fili di ferro che intrecciati formavano
fiori e foglie, talmente delicata che da terra non si vedeva. Eragon
cominciò ad osservarla, il naso levato in alto.
Ebbe un lampo di genio, e per un momento si chiese se non fosse quella
la famosa Volta delle Anime. In fondo, la forma della volta
c’era, l’unica cosa che mancava erano le anime. Tanto vale provare,
si disse. Ellen, mi
potresti dire il mio vero nome? Percepì Oromis
allontanarsi dai loro pensieri, come se non volesse ascoltare, e
sentì l’entusiasmo di Ellen.
Quindi
l’hai trovata?
Non lo so
… forse. Allora?
Ellen gli comunicò il nome. Inizialmente Eragon
pensò ad uno scherzo, ma poi comprese che la ragazza diceva
sul serio. Rimase sbigottito quando lei esercitò il suo
potere su di lui, usando quello che era il suo verso nome. La sua
essenza, il suo essere. In quel momento si chiese se Saphira sentiva
che avevano scoperto il suo verso nome. Pensava di si, anzi gli piaceva
pensare che fosse così. Ma Eragon ebbe solo un momento per
stupirsi del suo vero nome, per quanto improbabile fosse, e lo
pronunciò piano, rivolto quasi più a
sé stesso che alla Rocca di Kuthian.
Fu allora che quel luogo percepì la magia, e vide il colore
della sua anima; lo riconobbe come Cavaliere dei Draghi, primo della
nuova dinastia di quegli eroi leggendari. E allora, come
un’ostrica che si apre per mostrare la sua perla, la Rocca si
aprì per lui, mostrandogli l’entrata della Volta
delle Anime.
Capitolo triste per il povero
Oromis T.T Alla fine della battaglia non avevo avuto
l'opportunità di spiegare meglio il suo stato d'animo, e
quando ho cominciato a scrivere del viaggio in mare mi è
venuto subito in mente che sarebbe stato allora che avrei dedicato una
parte tutta a lui! Oromis è uno dei miei personaggi
preferiti, mi è dispiaciuto persino a me che fosse triste!
T.T Ma avevo anche già deciso che qualcuno sarebbe morto
durante la battaglia, perchè non volevo essere troppo... non
saprei; ottimista, forse?
B'è, pazientate ancora un po' per il prossimo capitolo, nel
quale scoprirete che cos'ha elaborato la mia mente malata per quanto
riguarda La Volta delle
Anime! XD
KissyKikka: ciao! Anche io fra poco ho la simulazione di terza prova,
infatti la prossima settimana sarà infernale! O.O Sono
felice che gli scorsi capitoli ti siano piaciuti. E' stata dura far
finire la battaglia in quel modo, perchè una parte di me
voleva subito far vincere l'esercito dei Varden! XD I prossimi capitoli
sono decisivi per la storia e, o sono buoni, o sono uno schifo: niente
vie di mezzo! XD B'è, ci vediamo al prossimo capitolo, ciao!
<3
Un saluto a tutti gli altri, grazie per continuare a leggere! ^^
Patty.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** La Volta delle Anime ***
Capitolo diciassette: La Volta
delle Anime
Per
Oromis ed Ellen fu come se Eragon fosse sparito
all’improvviso dalle loro coscienze: non lo avvertivano
più da nessuna parte. Per Eragon invece fu diverso. Fu come
venire risucchiato da un vortice, e quando riuscì a capire
che cos’era successo e dove si trovava, rimase guardare quel
luogo con tanto d’occhi.
Era nel centro esatto di una specie di lungo corridoio. Alle pareti
c’erano diverse nicchie, alcune vuote, altre invece riempite
da strani scrosci d’acqua colorati. C’e
n’era uno color verde, uno cremisi, uno blu, uno nero e
perfino uno scroscio d’acqua dorato, che scintillava forte,
anche se gli ultimi due, più che potenti getti
d’acqua, sembravano piccole cascate in miniatura. Eragon si
guardò attorno, ma non poté scorgere la fine del
vasto corridoio, né da una parte né
dall’altra. Alzò la testa e diede
un’occhiata al soffitto.
Il fiato gli si mozzò per la sorpresa e lo spavento. Ora
capiva perché mai si chiamasse Volta delle Anime. Vicino
all’alto soffitto c’erano diverse figure perlacee
che si muovevano con eleganza, fluttuando. Volavano, e quando si
incontravano a metà strada si passavano attraverso. Erano
draghi. O meglio, erano spiriti di draghi, che si libravano sulla sua
testa.
Erano anime, intrappolate in quel luogo inesistente e sconosciuto.
Incerto su cosa fare, Eragon deglutì, si mise al centro del
largo corridoio e si schiarì la voce. In elfico
pronunciò le seguenti parole: “Sono un Cavaliere
dei draghi! Sono venuto a chiedere il vostro aiuto nella battaglia che
combatteremo contro Galbatorix!”.
Nessuno dei draghi parve far caso a quel che aveva detto. Leggermente
contrariato Eragon continuò: “Ascoltate: Alagaesia
è stata usurpata da Galbatorix! Il popolo soffre e i tre
nuovi Cavalieri e i loro draghi stanno cercando di combattere questa
ingiustizia, ma abbiamo bisogno del vostro aiuto! Un gatto mannaro mi
ha inviato qui!” esclamò.
Ma ancora non servì a nulla. Alla fine Eragon decise di
giocare il tutto per tutto. Quelli evidentemente non erano eldunari,
così Eragon denunciò lo scandaloso abuso che
Galbatorix aveva inferto ai loro fratelli. “Galbatorix
è un uomo malvagio! Ha costretto moltissimi draghi alla
solitudine, e alla disperazione … costringendoli a donare a
lui i loro eldunari!”.
Ce l’aveva fatta. I draghi si fermarono, indecisi, poi
planarono piano verso di lui. Man mano che si avvicinavano Eragon
poté notare quanto erano trasparenti in realtà,
più di quel che si era immaginato. Attraverso loro potevano
ancora vedere le pareti del lungo corridoio.
Quando diversi draghi atterrarono al suo fianco Eragon riprese a
parlare. “Abbiamo bisogno del vostro aiuto per sconfiggere
Galbatorix, per i draghi imprigionati e per tutte le popolazioni di
Alagaesia” disse grevemente, osservando con rispetto e un
pizzico di timore i colossi che gli stavano attorno.
Uno dei draghi si fece avanti e parlò con Eragon. Era poco
più grande di come era stato Glaedr, e di colore bianco
candido. Qual
è il tuo nome Cavaliere?
Mi chiamo
Eragon, e il mio drago è Saphira.
Dov’è il tuo drago?
Per
intraprendere questo viaggio ho dovuto lasciarla.
Il drago lo guardò severamente. Come hai capito che il sovrano
Galbatorix utilizza eldunari per incrementare il suo potere?
Una persona
di cui mi fido molto me lo ha detto. Siamo sicuri che sia
così, ha molti eldunari appesi alla cintura, e sicuramente
molti altri nel suo castello, nascosti. Inoltre lo si capisce dalla sua
forza, non è naturale, proviene da altri. Nemmeno un
Cavaliere con il suo drago possono essere così potenti.
I draghi cominciarono a parlare fra di loro, estromettendo Eragon dalla
conversazione. Parlarono per diverso tempo, ed Eragon stette a
guardarli con nervosismo. Ad un tratto il grosso drago bianco si volse
e parlò ancora.
Qual’è il tuo scopo? Perché sei venuto
fin qui, abbandonando finanche il tuo drago?
Per chiedere
il vostro aiuto!, si affrettò a rispondere
Eragon. Come
vi ho già detto, un gatto mannaro mi ha mandato qui. Potete
aiutarci? Noi non riusciremo mai a sconfiggere Galbatorix con le nostre
sole forze, non quando lui possiede i poteri di centinaia di draghi!
Vorresti dire
che non hai secondi scopi? Bada bene di non mentire, Cavaliere.
Prometti!
Eragon quasi tremò di fronte a quella massa di muscoli che,
seppur traslucidi, emanavano forza e saggezza. Lo prometto, disse
in lingua elfica.
Sei vincolato
alla tua parola, cavaliere Eragon. Ora dicci il motivo di questa tua
richiesta.
Eragon non capiva: aveva già esposto le sue ragione
più che chiaramente. Si guardò un attimo i piedi,
poi sussurrò: Vorrei
solo che nessuno più soffrisse.
Il drago bianco esitò. Il suo labbro coriaceo
tremò, i suoi occhi fissarono Eragon per un tempo infinito.
Poi: Così
sia. Verremo ad aiutarvi, ma ad una sola condizione.
Ma certo!,
disse Eragon raggiante, alzando lo sguardo da terra.
Non appena il
tiranno sarà sconfitto ci permetterai di liberare i nostri
fratelli, poi ce ne andremo subito.
Eragon annuì velocemente. Ma certo,
ripeté.
Ora,
disse il drago bianco, devi
portarci fino a Galbatorix. Noi siamo però spiriti: dobbiamo
viaggiare in un corpo solido. Fuori da qui non possiamo resistere per
molto in questa forma, nel mondo reale. Il massimo che possiamo tentare
fuori di qui sono poche ore. Quindi ci dovrai trasportare in un rifugio
sicuro.
Eragon ci pensò su un attimo, poi estrasse dal fodero
Brisingr. Pensi che
questa potrebbe andar bene? E la mia spada, il suo nome è
Brisingr. La spada percepì il potere e si
infiammò un poco.
Il saggio drago bianco la osservò per lungo tempo
…
“Eragon!” esclamò Ellen correndogli
incontro. “Dove eri finito? Eravamo
preoccupatissimi!” disse con tono arrabbiato.
Eragon avanzò verso di loro con un sorriso soddisfatto
stampato in faccia. “Ce l’ho fatta! Non potete
neanche immaginare che cosa c’era lì
dentro”.
“Che cosa?” chiese Ellen curiosa.
“Ve lo spiego mentre andiamo” disse il ragazzo
camminando baldanzosamente. Oromis ed Ellen si scambiarono uno sguardo,
poi lo seguirono. Ad un tratto lo sguardo di Oromis cadde su Brisingr.
“Eragon, la tua spada …” disse indicando
la lama.
“Oh … va bene, ve lo spiego adesso”
disse allora Eragon estraendo dal fodero Brisingr. La lama brillava
forte alla luce del sole, e aveva assunto uno strano colore.
Anzi, tanti strani colori. Tutti i colori dell’arcobaleno.
Non credi che
sia esagerato?
No, affatto.
La mandria di mucche pascolanti si muoveva pigramente lungo la valle.
Dall’alto, i due draghi osservavano gli animali. Uno di loro
era azzurro e limpido come il cielo d’estate,
l’altro era rosso fuoco, e gli occhi facevano male solo a
guardarlo.
All’improvviso, dopo essersi scambiati un segno
d’intesa, i due draghi cominciarono una ripida discesa verso
terra. Volarono sopra la mandria di mucche e ne afferrarono una
ciascuno, allontanandosi poi dagli animali e dal povero fattore che li
osservava spaventato. Il resto della mandria incominciò a
correre e a muggire, terrorizzata. Si scontravano fra di loro e alcuni
animali erano perfino caduti in terra, ed erano talmente agitati che
per loro era impossibile rialzarsi.
Non capisco
proprio perché gli altri animali siano così
limitati. Mi piacerebbe ogni tanto parlare con uno di loro,
disse Castigo quando lui e Saphira si furono allontanati.
A me no.
Trovo più interessanti quelli della nostra specie.
E gli umani?
Non tutti.
Alcuni sono prevedibili, altri interessanti. Ad esempio, l’ho
sentito subito quando ho trovato Eragon. Sapevo che era quello giusto
non appena ha posato le mani sull’uovo.
Come per
Murtagh.
Saphira staccò un grosso pezzo di carne dal fianco della
mucca e Castigo la imitò. Restarono a mangiare in silenzio,
assaporando la carne cruda e ancora calda dell’animale.
Tu credi che
potremmo vincere questa guerra?, chiese
all’improvviso Saphira.
Castigo rimase in silenzio per un po’, masticando lentamente.
Voltò il grosso muso scarlatto verso la dragonessa. Io dico di sì. Non
c’è più Shruikan, e Galbatorix non ha
nessun’uovo. Se Eragon riuscirà a far schiudere la
Volta delle Anime chissà cosa succederà. Solembum
non può sbagliare.
E’
un gatto mannaro, osservò Saphira, come se
quella fosse una garanzia.
Castigo finì di mangiare tutto in pochi attimi. Nonostante
fosse nato dopo Saphira ormai era grande come lei, anche per il fatto
che lui era un drago maschio. Stava crescendo ad un ritmo costante,
così come anche Saphira, che però era leggermente
più lenta. Per un occhio non allenato probabilmente
l’unica, fondamentale differenza fra i due draghi era il
colore, ma chi se ne intendeva poteva notare le palesi differenze che
c’erano fra i due.
Castigo aveva muscoli forti e duri, che si tendevano ad ogni minimo
movimento del suo corpo. Il collo era grosso e la coda leggermente
più tozza di quella di Saphira. Le zampe erano molto grandi,
e i suoi artigli spessi come il tronco di un albero in fase di crescita.
Saphira invece aveva il muso più allungato, gli occhi
leggermente inclinati, il suo corpo era sinuoso e i muscoli, anche se
forti quanto quelli di Castigo, venivano nascosti dalla sua forma
affusolata. Le zampe di lei erano più piccole e, in
generale, aveva movimenti più eleganti.
Quando Saphira si accorse che Castigo aveva già finito la
sua mucca pensò di lasciargliene un po’ della sua,
così, con il muso, gli avvicinò ciò
che restava della carcassa.
Oh no! Grazie
mille Saphira, ma non posso accettare. Dovremmo tenerci tutti quanti in
forze.
Non
preoccuparti. Sono piena, non sarebbe giusto sprecarlo.
Castigo la osservò per un secondo dubbioso, poi
prese l’avanzo della carcassa con l’angolo della
bocca e lo ingoiò in un batter d’occhio. Grazie, disse poi
con un leggero grugnito.
Di nulla,
rispose Saphira.
Leggermente titubante, per ingraziarla, Castigo avvicinò il
muso a quello della dragonessa e lo strofinò contro il suo.
Saphira rimase ferma, un po’ imbarazzata da quel gesto, ma
poi si riebbe e fece come delle calde fusa di apprezzamento. Castigo si
allontanò da lei, dandole un ultimo buffetto sul naso, poi
si preparò per alzarsi in volo. Saphira lo imitò,
e in pochi minuti furono in vista dell’accampamento.
Quando mancava poco più di un minuto per arrivare, allora
Saphira lo sentì. Il suo cuore fece un sobbalzo e lei
ruggì di gioia.
Che cosa
è successo?, chiese Castigo curioso.
Eragon
è qui! Saphira aumentò
l’andatura, superò Castigo e si tuffò
verso le tende dei Varden.
In quasi due mesi di assenza Eragon dovette ammettere che
l’accampamento dei Varden era cambiato parecchio. Dopo il
disastro dell’ultima battaglia si era ridotto a poche sparute
tende, ma dopo il suo ritorno Eragon lo trovò rifiorito.
Gli elfi e i nani si erano definitivamente uniti a loro.
C’erano tutti lì, dal primo all’ultimo
clan dei nani, i restanti abitanti del Surda e centinaia di elfi. Oltre
ad alcune tribù nomadi e gli Urgali sopravvissuti.
C’erano anche altre due o trecento persone, che erano ribelli
non Surdani che si erano alleati ai Varden, contravvenendo agli ordini
di Galbatorix, provenienti da tutte le città e i villaggi di
Alagaesia che, come Carvahall, erano stati abbattutti.
In mezzo al campo c’erano tre tende dall’aria
importante. Una per Nasuada, del solito colore blu spento che
caratterizzava le uniformi di tutti i Varden; una seconda di colore
grigio scuro per Orik e sua moglie; l’ultima, un grossa tenda
bianco latte e dorata, alta ed elegante, dove alloggiavano Arya e la
regina Islanzadi.
Quando Eragon vide arrivare Saphira stava conversando con Ellen e
Islanzadi, che appena aveva visto la figlia l’aveva
abbrancata con poca eleganza (ma con una certa classe) e non
l’aveva più lasciata andare. Sentì il
ruggito della dragonessa in lontananza e, alzando lo sguardo,
l’aveva vista in cielo lanciarsi a terra in un impeto di
felicità, e fare diverse capriole prima di far tremare la
terra con le sue zampe. Eragon le era corso incontro e, non appena lei
si era posata a terra, si era lanciata sulla sua schiena.
“Saphira! Saphira!” aveva esclamato, felice.
Piccolo mio!
Quanto mi sei mancato! Non devi partire mai più!
No, mai
più!, le fece eco Eragon, stringendola forte.
Promettilo
Eragon! Non ci separeremo mai più!
Promesso,
disse il ragazzo guardando la dragonessa negli occhi, grandi e
luminosi, e sorridendo.
Era così felice! Come non lo era stato da tanto tempo.
Solo Saphira poteva capire quanto lui fosse felice. E solo lui poteva
sentire il forte battito del cuore della dragonessa.
Eccome qua! Allora... voglio
sapere che cosa ne pensate sulla Volta delle Anime. No, davvero, di
solito non mi piace farlo, ma questa volta vi sto pregando: ditemi
qualcosa su questa mia idea. Vi prego! *Patty in ginocchio con le mani
congiunte*
Hem! *riprende un contegno e si alza* A parte questo: non so nemmeno io
come mi è venuto in mente! Davvero! Sono l'essere
più assurdo per quanto riguarda le idee, arrivano e basta,
senza un che di preciso. Quindi... spero che sia di vostro gradimento.
La scena di Saphira e Castigo è stata davvero soddisfacente
da scrivere, perchè non vedevo l'ora di mettere del tenero
fra quei due! XD Che carini! Anche se sono draghi e mi fa strano
immaginarli... che bellini! XD
A parte le altre cose. Recensioni:
KissyKikka: ciao! Sono contenta che ti piaccia il personaggio di Dayo,
è stato divertente descriverla! :) Spero che questo capitolo
ti sia piaciuto, e che l'idea degli spiriti dei draghi non sia stata
eccessiva. Il ragionamento che ho fatto è stato
più o meno questo: solo
i draghi possono battere i draghi. Insomma, l'idea
è venuta improvvisa e la giustificazione è
arrivata dopo, ed è quella. ^^ B'è, fra un po' la
storia finisce, al diciannovesimo capitolo! O.O E' lunga, per i miei
canoni. Comunque, grazie mille per questa ennesima recensione (di
sicuro non ne potrai più! XD)! Un bacio, ciao! E grazie
anche per gli auguri per la terza prova! ^^
Thyara: mamma mia! Che bella recensione lunga! Leggerla è
stato soddisfacente. Questo capitolo, che spero ti sia piaciuto,
è diventato una sorta di ringraziamento per questa lunga
recensione, da quando l'ho letta (da ora quindi). Per quanto riguarda
Oromis, nemmeno io riuscivo a figurarmelo piangere, anche se stavo
scrivendo! XD Quindi è stato un po' complicato, ma alla fine
mi sembrava giusto che lui reagisse così, anche se non
rispecchia le azioni del personaggio. La parte della nave, devi sapere,
è stata lunga da scrivere, e sono anche andata a cercare su
internet le parti di una nave! XD Per rendere la cosa
più credibile :) Come hai visto, Eragon qui non ha trovato
una montagna di Eldunari, spero di non averti delusa! XD
B'è, ci vediamo al prossimo capitolo, ciao! XO
Al prossimo capitolo, a tutti! Un bacio e un grazie per seguirmi fino
ad ora e... saluti!
Patty.
P.S. Avrei dovuto dirlo nello scorso capitolo, anche se è
una cosa di scarsa importanza (molto scarsa, secondo me adesso che ve
lo dico venite fino a qui per sputarmi in un occhio -.-''). Il nome
Dayo è un nome tipico dell'Africa centrale! ...mamma mia mi
preparo ad essere presa a calci! Non siate troppo cattivi! XD
|
Ritorna all'indice
Capitolo 18 *** Draghi in rivolta ***
Mi scuso infinitamente per questo
inaccettabile ritardo! Ho avuto problemi con internt e non sono
riuscita a risolverli fino a ieri sera. Mi scuso tantissimo con tutti i
lettori! Anche io non vedevo l'ora di pubblicare questo capitolo, spero
che piaccia anche a voi, dato che scriverlo è stato
inaspettatamente facile. Be', vi lascio alla lettura. Buon Natale
(anche se un po' in ritardo). <3
Capitolo
diciotto: Draghi in rivolta
“Le cose stanno
così.” disse grevemente Eragon, “Se non
accetteremo questo possiamo anche dimenticare l’aiuto dei
draghi”.
Nasuada, ormai ripresasi, soppesò l’idea.
“Non dovrebbero esserci problemi suppongo. Dovremmo solo
informare bene i soldati a cosa vanno incontro, perché
evitino di spaventarsi. Ma se non abbiamo altra scelta …
oltretutto non mi sembra che sia un’idea così
terribile”.
“Informerò Jeran della tua decisione”
disse Eragon.
“Prepariamoci ad un’altra battaglia”
mormorò Nasuada passandosi un dito sulle labbra con aria
pensierosa.
I soldati rimasero alquanto stupiti della richiesta di Nasuada. Gli
elfi furono entusiasti e i nani, dopo qualche titubanza, accettarono.
Certo tutti si rendevano contro che era necessario, e che era come
avere un’arma in più. In fondo si sentivano
più sicuri, sarebbero stati più forti e protetti
da una grande magia.
Galbatorix, che non aveva perso tempo a riformare il suo esercito una
volta tornato a Uru’baen, rimase non poco stupito quando un
soldato andò a comunicargli la notizia che una vedetta aveva
avvistato un grande esercito al completo che marciava verso
la capitale. Non credeva che dopo il disastro avvenuto poche settimane
prima sarebbero stati così in tanti. Ma probabilmente, si
disse, il terremoto aveva fatto schierare definitivamente gli elfi e
smosso i nani.
Ancora, però, non vedeva come potevano vincere. Gli eldunari
che aveva alla cintura sarebbero stati sufficienti a sterminare un
intero esercito, e ne aveva a disposizione altri. Moltissimi altri. I
ribelli combattevano una causa persa, solo che non lo potevano sapere.
Probabilmente Murtagh li aveva messi al corrente della fonte del suo
potere, ma non potevano fare nulla al riguardo.
“Preparate le truppe” disse Galbatorix,
“e la mia armatura”.
Quando Galbatorix fu pronto gli eserciti erano schierati. Si potevano
ben distinguere le diverse file nemiche: davanti gli elfi, poi i nani,
e infine gli uomini. La verità era che Galbatorix era
alquanto infastidito da questo esercito comparso
all’improvviso. Anche messe insieme le forze ribelli non
avrebbero potuto sconfiggerlo, grazie ai suoi eldunari. Sembravano
tante formiche che si affannavano attorno ad un insetto troppo grande
per loro.
Quando Galbatorix scese in campo, nelle prime file, poté ben
vedere che davanti a tutti c’erano Eragon e Saphira, ma
questa volta i draghi avrebbero combattuto senza i loro Cavalieri.
Imputando questo al solo fatto che lui non aveva più un
drago Galbatorix si sentì indispettito, come se fosse un
affronto, come se combattendo senza drago gli facessero un enorme
favore. Incrociò gli occhi a quelli di Eragon e lo
osservò con la cattiveria nello sguardo.
Il ragazzo lo guardava con furia, ma anche con una specie di
rassegnazione. Eragon levò la spada di mille colori, che
Galbatorix non poté fare altro che notare, e
mormorò alcune parole alla spada. Quella parve brillare, e i
colori sciamarono via poco a poco. Gli spiriti dei draghi uscirono
dalla spada e, come accordato qualche settimana prima,
s’insinuarono nei corpi dei soldati. Di ogni soldato. Tutti
gli uomini si sentirono fortificati.
Gli elfi avvertirono una tale forza spirituale da esserne sopraffati, i
nani si scoprirono come scaldati, e più potenti della terra
stessa. Gli uomini erano più forti, e più
resistenti, ed erano anche convinti che quel giorno avrebbero
finalmente vinto la guerra contro Galbatorix.
Il Re, per parte sua, quasi non si rese conto del cambiamento che
avvenne nell’esercito nemico, ma sentì solo una
scia di energia silenziosa scivolare via. Una parte della sua mente si
chiese che cosa fosse, ma archiviò la questione ad un
momento più adatto. Scorse, nelle prima file, la Regina
Islanzadi, con un’armatura brillante al sole e molto
elegante. Al suo fianco Ellen, poi Murtagh, e la sua rabbia crebbe
ancora di un poco.
Incitando le truppe con un urlo, Galbatorix si scagliò
contro l’esercito, seguito dal suo generale e dal resto degli
uomini. La differenza era palpabile nell’aria, i soldati
imperiali vennero come spazzati via. I ribelli avanzavano nella folla
di armi a secchi colpi di spada e di scudo, cadaveri e feriti cadevano
attorno a loro.
Rukan balzava da una parte all’altra e ad ogni zampata
uccideva almeno cinque soldati in una volta. Lo spirito del leone
ruggiva nel suo corpo e lo scuoteva forte. L’imponente
animale evitò una lancia che lo puntava e ruggì
addosso al soldato che la brandiva. Quello non fece nemmeno in tempo a
spaventarsi, una grossa lama lo trafisse all’altezza dello
stomaco, in una fenditura dell’armatura. Ellen tolse la spada
dal corpo dell’uomo con un grugnito e si voltò per
affrontarne un altro.
Quella battaglia non era come le altre, tutti lo sentivano.
L’energia che fluiva nei loro corpi non finiva mai, non erano
stanchi, i nemici sfilavano davanti a loro e venivano puntualmente
uccisi o feriti. I draghi, nel cielo, sputavano fuoco contro
l’esercito nemico e lanciavano dall’alto grosse
pietre che rotolavano in terra portando con loro diversi soldati
imperiali.
Eragon e Murtagh avanzavano a colpi di spada verso Galbatorix, che si
batteva con le armi e con la magia. Attorno a lui i soldati si
affannavano, ma era l’unico che non riuscivano nemmeno a
raggiungere. Galbatorix respingeva tutti con la magia e feriva gli
uomini con incantesimi accuratamente scelti. Aveva aggiunto alcune
pietre alla sua cintura da quando Shruikan l’aveva
abbandonato, e il suo potere era aumentato nettamente.
Tegrish affiancò Eragon e Murtagh e, assieme, cercarono di
attaccare Galbatorix. Murtagh si avventò su di lui
frontalmente ma il Re parò senza difficoltà
l’affondo. Eragon imitò l’amico, ma
anche allora Galbatorix lo respinse con una magia e lo fece cadere in
terra. Murtagh, ringhiando un insulto, si gettò di nuovo su
di lui. I capelli corvini, sotto l’elmo, attaccati al collo a
causa del sudore. Cercò di colpire il sovrano da destra, ma
quello parò. Galbatorix diede un secco colpo con lo scudo e
lo colpì al ventre. A Murtagh si mozzò il fiato,
Galbatorix avanzò verso di lui e fece per colpirlo. Murtagh
fece solo in tempo a vedere il volto trionfante di malignità
di Galbatorix, e la sua spada che scintillava di sangue …
“Murtagh!”. Un forte clangore di spade scosse il
corpo del ragazzo. Alla sua destra stava Tegrish, che contrastava
egregiamente Galbatorix. Fece forza sulla spada e riuscì a
far scivolare via quella del Re. Lui si riebbe subito e
attaccò Tegrish. Il ragazzino cominciò ad
indietreggiare velocemente, parando fendenti veloci come schegge. Ad un
tratto Galbatorix gli diede un forte calcio ad una gamba e Tegrish,
gridando di dolore, si accasciò a terra. Galbatorix si
avvicinò a lui e lo ferì allo stomaco ma, prima
che il colpo divenisse fatale, qualcosa di forte lo colpì
alla testa e poco dopo venne sbalzato via.
Si voltò a fronteggiare un grosso Kull, che lo sovrastava di
parecchi piedi. “Nar Garzhvog!” esclamò
Galbatorix guardandolo negli occhi.
Il capo degli Urgali ringhiò sonoramente. “Sono io
Galbatorix. Il mio popolo si sta vendicando per quello che ci hai
fatto. Tu ci hai traditi! E il male che alberga nel tuo cuore ti si
stringe addosso, ora”.
Senza pensarci due volte Galbatorix alzò violentemente un
braccio, le dita ritorte puntate contro il Kull, e pronunciò
poche parole incomprensibili. Nar Garzhvog rimase paralizzato, la
grossa ascia gli scivolò via dalle dita, il suo sguardo era
sperduto e puntato su qualcosa che solo lui poteva vedere. Galbatorix
rigirò la mano, come se stesse torcendo qualcosa, allora il
Kull urlò. Fu un grido di dolore e di disperazione, le sue
ossa si spezzavano e la sua carne scottava. Sentiva le membra farsi
pesanti come il metallo e il sangue gelare nelle vene. Infine
Galbatorix ritirò la mano, come se stesse portando via
qualcosa.
E fu così che levò la vita a Nar Garzhvog.
Il Kull si accasciò al suolo senza emettere un lamento, con
un rumore soffice, facendo sollevare un filo di polvere.
Guidata da una forza non sua Ellen uccise un altro soldato, poi si
volse a guardare ciò che accadeva alle sue spalle. Vide
Galbatorix combattere contro Murtagh ed Eragon. Li raggiunse correndo,
fra spintoni e parate.
“Murtagh! Eragon!” chiamò quando fu
abbastanza vicina.
“Galbatorix è fuggito” disse Eragon
iniziando a correre.
“Dov’è? Dov’è
andato? Dove stai andando tu?!”.
“Al castello!” gridò il ragazzo prima di
sparire dalla vista.
Eragon seguì una piccola sagoma indistinta che riconobbe
come quella di Galbatorix. In pochi minuti Saphira gli fu accanto e lo
fece salire in groppa.
Andiamo
Eragon! Andiamo piccolo mio!
Volarono sopra Galbatorix, che era rientrato nella città.
Superarono facilmente le poche guardie che erano rimaste a vigilare:
con una ruggito da parte di Saphira e una scarica di fuoco caldo delle
sue fauci, i soldati corsero via terrorizzati. “Come facciamo
a sapere dov’è andato?”.
Possiamo
avvertire la sua forza. E’ l’unico con tali poteri
all’interno del castello. Usa l’occhio della mente
Eragon.
Eragon chiuse gli occhi un secondo ed espanse la mente. Trovato! Lasciami sulla torre
più alta.
Saphira volò in alto e fece per raggiungere la torre
indicatale da Eragon ma prima che potesse raggiungerla una forte
esplosione fece vibrare le mura. Diversi pezzi di pietra grigia che
formavano la torre si spezzarono e volarono sopra la città.
Attorno al castello donne e bambini iniziarono ad uscire dalle case,
spaventati, e a guardarsi attorno senza capire che cosa succedeva.
Saphira si alzò di nuovo in volo e raggiunse la torre
circolare. Su un lato si era aperto un grosso varco.
Nell’enorme stanza rotonda stava Galbatorix, in mezzo a
quella che sembrava una montagna rocciosa. Ma quando guardò
meglio Eragon poté vedere che quello si cui il Re posava i
piedi erano pietre. Pietre di ogni colore, di ogni forma e dimensione.
Centinaia o forse migliaia di eldunari!
Quando Galbatorix vide Eragon alzò lo sguardo e rise
sguaiatamente. Salì su un cumulo di quelle pietre,
sdrucciolando un poco. Ne raccolse una manciata e rise di nuovo. I suoi
occhi erano spalancati e folli, iniettati di sangue.
“Che cosa vuoi fare adesso Cavaliere?!”
gridò rivolto ad Eragon. “Che cosa dimmi?
Chiamerai i tuoi amici elfi? O i nani?! Chiamerai … Oromis?
I vecchi Cavalieri! Contro il potere dei draghi nessuno può
fare nulla! E io
possiedo questo potere! Potrei spazzare via tutta Alagaesia se solo
volessi! Potrei ucciderti con una sola parola. Che cosa sono gli elfi
… in confronto … ai draghi? Sciocchi e deboli,
ecco tutto! Se credi di riuscire Cavaliere renditi conto della
verità. La verità e che nessuno può
sconfiggermi. Io sono immortale e governerò Alagaesia
… ora, e per sempre”. La sua voce si
affievolì sempre di più e il suo sguardo
vagò per un secondo su Eragon e Saphira, che ancora volavano
di fronte a lui.
Eragon, sconcertato, estrasse la spada. “Combatteremo
Galbatorix, ma sappi che coloro che ho chiamato in mio aiuto sono molto
più potenti di quanto tu possa anche solo
immaginare!”.
Galbatorix ghignò e i suoi occhi si riempirono ancora una
volta di follia.
In quel momento ad Eragon si mozzò il fiato. Fu come se una
parte della sua anima fosse stata lacerata. Sentì che
qualcosa veniva strappato dal suo essere e, meccanicamente, prese a
respirare più forte e spalancò gli occhi, alzando
il petto verso l’alto. Una figura perlacea
incominciò ad uscire dal suo petto, oltrepassando
l’armatura.
Il grande drago bianco Jeran ruggì forte, uscendo dal corpo
del Cavaliere che lo aveva ospitato. Galbatorix era rimasto
paralizzato, a bocca aperta, e aveva guardato la sagoma trasparente, di
un vago colore bianco, alzarsi imponente di fronte a lui.
Jeran ruggì rabbiosamente. E tu saresti un re?
Così piccolo, così … meschino.
Crudele. Tu non sei un Re, sei solo un uomo troppo ambizioso e cieco.
Il tuo popolo non ti rispetta, il tuo potere proviene da altri. Che
cos’hai di veramente tuo? Il regno? Alagaesia non appartiene
ai tiranni, appartiene al popolo che la ama e che la difende, che la
abita. Tu non possiedi niente. Fra poco non possiederai nemmeno gli
eldunari.
Galbatorix era rimasto impietrito. Nel frattempo, nel campo di
battaglia, tutti gli uomini si erano fermati. I draghi che li
possedevano si erano liberati. Tutti, anche i soldati imperiali stavano
fermi a fissare il cielo, le sagome perlacee che si alzavano
nell’aria azzurra e frizzante, ed erano così tante
che pareva che una fitta nebbia si fosse alzata
all’improvviso. I draghi volavano leggeri verso il castello
di Galbatorix e si riunirono tutti attorno a Jeran.
Assieme, con un ruggito unanime che scosse l’intera
città, i draghi si lanciarono sopra gli eldunari, come se
dovessero affondare fra le pietre. Gli eldunari si scossero, e gli
abitanti delle pietre sentirono la libertà nel cuore. Fu
come il ritorno della primavera. Alzarono il muso all’aria e
annusarono il profumo della libertà. Era un odore diverso
per ognuno di loro. Era muschio, giunchiglie, vento. Era odore di
spade, di elettricità, di schizzi d’acqua sul
corpo.
Gli eldunari si svuotarono. I draghi si dissolsero nell’aria,
formando una luce brillante prima di sparire.
Nel frattempo, senza essere notato, Galbatorix era uscito dal castello.
Si stava aggirando attorno alle mura, con la speranza di uscire dalla
città senza essere visto. Si era tolto l’armatura
per evitare fracasso, e camminava con passo felpato rasente ai muri.
Fu Jeran ad individuarlo. La grossa sagoma perlacea del drago si
voltò. Senza far rumore, fluttuando lungo i tetti delle
case, si avvicinò a Galbatorix e, prima che questi se ne
rendesse conto, gli passò attraverso.
Per il Re fu come guardarsi dall’alto. Vide il suo corpo
fermarsi e guardare indietro, al potente spirito del drago bianco. Vide
il drago ruggire contro di lui e poi, alla velocità di un
fulmine, passargli attraverso. Sentì in maniera palpabile la
sua anima staccarsi dal corpo. Fu veloce e indolore. Come uno strappo
su un foglio di carta.
Con gli occhi spenti, spalancati, e il viso incatenato in
un’espressione eterna di sorpresa, Galbatorix cadde sulle
ginocchia. Nessuno poté udire le sue ultime parole. E se
anche qualcuno avesse potuto, non avrebbe saputo a cosa si riferivano.
“Ti amo” mormorò prima di chiudere gli
occhi.
Ed ecco qui. Il prossimo
è l'ultimo capitolo. Spero che questo vi sia piaciuto.
Posterò anche una piccola storia su Galbatorix (solo due
brevi capitolo), così capiremo a chi sono indirizzate le sue
ultime parole. Insomma, quasi non so cosa dire, mi sembra strano che
questa storia sia quasi terminata, è una di quelle a cui
tengo di più. Be'... passiamo alle recensioni:
Marty_odg: grazie per i complimenti! Anche io trovo che Saphira e
Castigo siano carini assieme (anche se forse un po' inquietanti da
vedere! XD). Sono felice che ti piaccia come tratto Murtagh, anche
perchè secondo me è uno dei personaggi
più complessi caratterialmente, e speravo proprio di non
finire OOC. Grazie per la recensione e di aver seguito la storia! ^^
Ciao!
Thyarah: caspita che bella recensione lunga! Grazie per i complimenti!
E' da un po' che cercavo di scrivere qualcosa su Castigo, ma volevo che
fosse un momento adatto, per non spezzare la trama. Ho anche pensato
che sarebbe stato molto meglio vedere le anime di Drago propro come
delle specie di fantasmi, e non come eldunari, che in fondo sono come
pietre alla vista. L'idea di Brisingr come contenitore mi è
sembrata quasi naturale, non so perchè. XD L'accampamento
dei Varden l'ho descritto solo perchè prima era stato raso
al suolo, quindi volevo sottolineare il fatto che i Varden si fossero
messi al lavoro per ricostruirlo. Be', spero che questo quasi-ultimo
capitolo ti sia piaciuto. Un bacio, e grazie mille per tutte le
recensioni che fai ogni volta! ^^ Un bacio
_Bonnie_: grazie per i complimenti! ^^ Le cascate colorate in effetti
sono state una cosa che mi è venuta in mente all'improvviso,
non mi convincevano del tutto e ho anche pensato di toglierle, ma alla
fine le ho laciate stare ^^ Grazie mille per la recensione, ciao!
KissyKikka: wow sono felice che ti piaccia la mia versione della Volta
delle Anime! XD Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto, anche
se fose avrei dovuto allungarlo un po' di più, e includere
delle parti che non riguardavano la battaglia. B'è. spero
che ti piaccia comunque, scriverlo è stato soddisfacente. XD
La terza prova è andata abbastanza bene, grazie per avermelo
chiesto! Spero che anche tu stia passando una buona quinta superiore
(senza stress pre-esame)! ^^ B'è, al prossimo capitolo,
ciao! Un bacio <3
Un grazie a tutti i lettori, e mi scuso ancora per il ritardo! ^^ Al
prossimo capitolo a tutti! Ricordate: è l'ultimo! Waa! XD
Patty.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 19 *** Stelle cadenti ***
Capitolo diciannove: Stelle
cadenti
I
funerali del soldati caduti, di Nar Garzvogh e di Galbatorix vennero
celebrati pochi giorni dopo. Una fiumana di persone si riversava nella
capitale, per onorare i guerrieri e dire loro grazie. Villaggi interi
si erano mossi, portando con loro cibo e bevande da regalare ai soldati.
Alagaesia si stava lentamente riorganizzando. Il Surda venne
reintegrato come parte di Alagaesia, e non era più un
piccolo stato indipendente. Re Orrin era abituato a governare il Surda,
ma non credeva di essere all’altezza di governare tutti gli
uomini sparsi per il mondo. E nonostante questo molti desideravano che
diventasse lui il successore di Galbatorix. La verità era
che Re Orrin aveva paura di sbagliare qualcosa, nella politica di
Alagaesia, di non riuscire a soddisfare il suo popolo. Per questo, un
giorno, prese coraggio e andò da Nasuada.
Dopo aver sentito la sua proposta, la ragazza era rimasta sorpresa, ma
felice. Disse: “Questa scelta dimostra che sei un grande
sovrano, Re Orrin. Sarò lieta di dividere con te il
potere”.
E così Alagaesia venne governata da Nasuada e Orrin,
assieme. Venne formato il Consiglio dei Saggi, che comprendeva Eragon,
Saphira, Rukan il coraggioso Ibrido, Trushkren capo degli Urgali, Orrin
e Nasuada, dodici studiosi, esperti delle più svariate
materie (fra i quali vi erano Angela e Solembum), e un rappresentante
per ogni città e villaggio. Quella fu l’era in cui
l’eguaglianza e la giustizia si avvicinavano, per mano di
Orrin e Nasuada.
Tutti lo avvertivano: c’era un nuovo odore
nell’aria, odore fresco di cambiamenti, profumo leggero di
gioia e l’odore penetrante della vittoria, che per un attimo
aveva inebriato tutti i popoli di Alagaesia, che mai come prima si
erano sentiti uniti e forti come allora. La gente non camminava
più curva, ma a testa alta, i bambini non si nascondevano
più dietro le loro madri, piuttosto uscivano a giocare e a
correre per le strade. Tutti avevano qualcosa da fare, era come se
l’intera Alagaesia stesse ricostruendo qualcosa. E in
effetti, era proprio così: ricostruivano le loro vite,
segregate per troppo tempo nel terrore.
Fu così che incominciò un’era di pace
per Alageasia.
Dopo circa una decina di giorni dalla fine della battaglia, Katrina
arrivò a Gil’ead sopra un carro trainato da un
mulo. Non appena la vide Roran corse al suo fianco e la
baciò con passione, scatenando
l’ilarità generale. Ormai la nascita del bambino
era prevista fra qualche giorno, e nonostante Roran si fosse offerto di
fare lui il viaggio a sud, Katrina aveva detto di voler rivedere Eragon
ed Ellen, così aveva compiuto il viaggio che
l’aveva riportata da suo marito.
Ellen e Murtagh avevano occupato una casa che avevano trovato vuota.
Stavano passeggiando per le vie della capitale quando la scorsero,
mezza distrutta e disabitata. “Non ci vorrebbe molto a
metterla a posto e abitarci” aveva detto Murtagh osservandola
con occhio critico.
“Potremmo farlo davvero” disse Ellen avvicinandosi
all’entrata.
Murtagh sorrise e la guardò. “Potrebbe essere casa
nostra” aveva azzardato.
Non era sicuro che la ragazza volesse vivere con lui, in
realtà aveva timore che rifiutasse. Era da mesi ormai che
non si vedevano, e molte cose che erano successe li avevano cambiati. E
poi, ci aveva pensato lungamente, la loro storia era iniziata in
periodo di guerra, ed aveva paura che fosse solo quella a tenerli
uniti. La paura di morire, il timore che ci fosse poco
tempo… forse era solo per quello che la loro storia era
inziata. Chissà che nella vita reale non fossero totalmente
diversi l’uno per l’altra?
Ellen, dal canto suo, quando Murtagh pronunciò quelle parole
s’illuminò. “Dici davvero?”
chiese, senza riuscire a reprimere un sorriso a trentadue denti.
“Ma certo” rispose Murtagh abbracciandola.
Nelle seguenti settimane sistemarono la casetta. La ricostruirono e
l’arredarono. Ellen la riempì di fiori, la
dispensa era piena di marmellate, carne sotto sale e formaggi. In un
piccolo giardino posteriore Murtagh, sotto l’insegnamento di
Eragon, coltivava tutto ciò che poteva.
Una sera, mentre Ellen finiva di mettere a posto le ultime cose,
Murtagh le disse di uscire in giardino. Ad Ellen piaceva molto
occuparsi della casa, non lo faceva da anni, e le faccende erano per
lei qualcosa di nuovo. Le piaceva occuparsi della casa, mentre Murtagh
lavorava nel piccolo orticello, le piaceva preparare una cena calda a
Murtagh, dopo tutte le fatiche aveva fatto. Le piaceva quando
sistemavano la casa, la dipingevano e facevano assieme lavori manuali.
Le piaceva la sera, quando si stringevano nel letto, e si abbracciavano.
“Ellen!”. Murtagh corse in cucina e la
tirò per un braccio. “Vieni fuori
Ellen!”.
“D’accordo” disse lei sorridendo.
Murtagh la trascinò fuori e le indicò il cielo.
“Guarda quante stelle nel cielo” disse stringendola
a sé.
“Sono bellissime” sussurrò Ellen.
“Anche se ovviamente non possono reggere il confronto con
te” disse Murtagh dandole un bacio sulle labbra.
“Ellen … è da un po’ che
volevo chiederti una cosa” disse poi a voce bassa.
“Ma la verità è che in queste cose non
me ne intendo molto. Ho cercato di organizzare una cosa carina, che ti
potesse piacere. Però non ci sono riuscito”.
Abbozzò un sorriso, si frugò nella tasca interna
della giacca di pelle ed estrasse un bellissimo anello dorato.
“Ellen, lo so che non sono poi molto in confronto a te. Si,
un Cavaliere dei Draghi, ma tu sei una principessa. Però ti
chiedo almeno di considerare l’offerta”.
Ellen tratteneva il respiro, guardando con stupore l’anello
fra le dita di Murtagh.
“Ellen, vuoi diventare mia moglie?” chiese il
ragazzo in un sussurro, guardandola negli occhi.
Il cuore della ragazza batteva così forte che sentiva male
al petto. “Si!” esclamò, aggrappandosi
al collo di Murtagh con tale slancio che il ragazzo dovette
indietreggiare di parecchi centimetri.
“Hey, hey … calma. Sto andando a finire fra le
aiuole” disse sorridendo.
“Davvero t’importa delle aiuole in questo
istante?” chiese Ellen baciandolo e insinuando le mani sotto
la sua maglietta. I muscoli di Murtagh erano caldi e lisci, e
così belli, sotto le sue dita.
“Nah. In fondo non tanto” rispose lui stringendola
più forte, respirando il suo profumo.
Non ci volle molto a ricevere la benedizione di Islanzadi per quella
che lei considerava un’unione voluta dal destino. Gli elfi
erano in tripudio ad Ellesmera e desideravano che il matrimonio si
tenesse là. Ellen pensò che se avesse rifiutato
sarebbe sembrato scortese, così invitò Eragon e
Arya, Tegrish, Roran e Katrina, con il figlio da poco nato di nome
Travis, Angela con il suo inseparabile gatto Solembum, Nasuada e Re
Orrin, oltre che Orik, la moglie e qualche altro nano, a fare un
piccolo viaggio fino alla capitale degli elfi.
Ma non era qualcosa di così urgente! La regina Islanzadi
voleva delle nozze in grande stile per la figlia, così
dovettero attendere quasi tre mesi per sposarsi. Ellen non capiva il
perché di tanti preparativi, e ogni giorno che passava
Murtagh era sempre più nervoso.
Un giorno Castigo, volando sopra la città assieme a Saphira,
ebbe una notizia alquanto sconcertante. Chiama Eragon, io
avviserò Murtagh. Dovrebbero saperlo anche loro, no?
Disse quando si fu ripreso abbastanza da accettare la notizia e dire
qualcosa di sensato.
Hai
assolutamente ragione, concordò Saphira.
Eragon e Murtagh furono così invitati dai due draghi a
salire sulla piccola collina poco fuori Gil’ead. Era il
tramonto, e il sole tingeva di arancio intenso tutte le prateria
lì attorno. Saphira e Castigo si sedettero solennemente di
fronte ai loro Cavalieri.
Dobbiamo
darvi una notizia, esordì Saphira. Molto importante. Niente di cui
preoccuparsi, disse poi scorgendo l’espressione
ansiosa dei ragazzi.
Castigo fece un piccolo grugnito e sbuffò del fumo caldo,
poi disse con voce burbera: Saphira
avrà presto un uovo.
Murtagh rimase alquanto stupito, mentre Eragon trattenne il fiato. Saphira! Non mi hai mai detto
nulla!, disse poi indignato.
Saphira, confusa, sbottò: Avresti dovuto comunque capirlo
da solo, sei il mio Cavaliere.
Si,
l’avevo capito di Castigo. Ma non l’uovo! E
… Castigo, non mi hai nemmeno chiesto il permesso!
Non
… non sapevo di doverlo fare,
ribatté il drago un po’ ansioso, come uno sposo
davanti al genitore della sua amata.
Murtagh scoppiò a ridere e si portò una mano alla
pancia. “Ma che dici?” chiese all’amico.
“Non sarai mica geloso?”.
“Io? No, ma figurati” borbottò Eragon
guardando per terra.
Saphira fece un risolino e avvicinò il muso al suo
Cavaliere. Parlò solo a lui, in modo che solo Eragon potesse
sentire. Eragon, sarai
sempre il mio piccolo.
Eragon abbozzò un sorriso e le accarezzò il muso
squamoso.
Circa due mesi dopo una lunga carovana viaggiava verso Ellesmera. Una
volta entrati nella foresta trovarono moltissimi elfi ad accoglierli.
Non appena videro Ellen e Murtagh scoppiarono in grida di giubileo e
andarono ad abbracciarli. Lungo tutto il viaggio cantarono e ballarono
in mezzo alla foresta. Quando giunsero in vista di Ellesmera la regina
in persona li fece entrare in città. Abbracciò a
lungo la figlia e, con grande stupore di Murtagh, lo baciò
sulle guancie e sulle labbra.
Eragon, soffocando un risolino, si accostò a lui e gli disse
da dietro la spalla: “E’ un’usanza
elfica. I genitori baciano lo sposo della figlia”. Murtagh
considerò una fortuna che non ci fosse il marito di
Islanzadi.
Dopo preparativi vari che fecero andare i nervi a mille ad Ellen, e
dopo diverse usanze che fecero imbarazzare Murtagh fino a fargli
diventare le orecchie rosse, finalmente arrivò il giorno
della cerimonia.
Si tenne in una spaziosa radura, al centro della città, e
quella sera le stelle brillavano forte, come se volessero assistere
anche loro. Gli elfi si assediavano ai lati della radura, alcuni
stavano sugli alberi e guardavano dall’alto. In un angolo
Saphira, Castigo e Gylda stavano stretti fra di loro per non occupare
troppo spazio.
Ellen portava una veste con lunghe maniche a sbuffo verde chiaro,
stretta sotto il seno da una sottile cintura, per poi ricadere morbida
ai suoi piedi. Ad ogni suo movimento la veste frusciava, e il suono che
emetteva pareva lo stesso frusciare delle foglie al vento. Fra i
capelli aveva fiori e foglie, intrecciate in una coroncina. Tutto in
lei era perfetto e magnifico, era bellissima e, quando la vide, a
Murtagh balzò il cuore in petto. Si sentì quasi
svuotato di ogni sensazione. C’era solo lei in quel momento,
lei con i suoi occhi neri e le ciocche di capelli fluidi che cadevano
sulle sue spalle. Lei, con il suo sorriso dolce e la sua anima pura e
perfetta.
Al contrario, Ellen venne assalita da tantissime sensazioni quando vide
Murtagh. Si sentì riempire il cuore, la gola, le gambe e le
braccia fino alla punta delle dita, da un calore confortante e quasi
doloroso, tanto era l’amore che sentiva. In quel momento
sapeva, era certa, che Murtagh era la persona che amava. Per lui
avrebbe fatto qualsiasi cosa. Si sarebbe gettata nelle fiamme ardenti e
rosse come l’inferno, o sarebbe invecchiata lentamente
assieme a lui.
A celebrare la cerimonia fu Islanzadi stessa. Con voce vellutata e
dolce unì Murtagh, Cavaliere dei draghi, ed Ellen,
principessa degli elfi, in matrimonio.
I festeggiamenti durarono a lungo. La musica che suonava stordiva chi
non era abituato alla magia degli elfi. Roran sorrideva di continuo e
faceva girare fra le braccia il piccolo Trevis, seguito dalle
raccomandazioni di Katrina, che lo pregava di stare attento. Saphira
svolazzava sopra di loro assieme a Castigo. Gylda soffiava piccola
fiammelle per il divertimento di alcuni bambini elfici. Tegrish
conversava amabilmente con suo padre e Oromis, mentre Eragon e Arya
ballavano tenendosi per mano.
Ad un tratto Saphira richiamò l’attenzione di
Eragon. Eragon guarda!
Ci sono le stelle cadenti.
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo. “Ellen!
Murtagh! Venite!”. Prese per mano Arya e la
trascinò in un punto più buio della foresta. Da
lì, in piccole porzioni di cielo, si potevano vedere le
stelle brillare forte, con la loro coda bruciante, passare nel cielo.
“Dobbiamo esprimere un desiderio” disse Arya
sorridendo.
“Davvero?” chiese Ellen.
“Si certo. Dicono che se esprimi un desiderio quando vedi una
stella cadente quello si avvera”. Eragon guardò
Arya e le strinse la mano più forte. Si guardarono negli
occhi a lungo.
“Non credo di aver motivo di chiedere un desiderio”
bisbigliò Ellen a Murtagh. “Ho già
tutto quello che mi serve”.
Murtagh le sorrise le diede un dolce bacio sulle labbra.
Per l’ultima volta, tutti assieme, alzarono lo sguardo. La
notte era chiara, le stelle piangevano di gioia. Ad un tratto due
sagome nere fendettero l’aria leggera.
Saphira emise un ruggito di felicità e si volse verso
Castigo. Il drago rosso la seguì nel cielo e
avvicinò il muso al suo. Si guardarono negli occhi senza
dire nulla, condividendo il turbine di sentimenti che ognuno provava
scatenanti nel loro cuore. Poi, Saphira si tuffò di nuovo
nella notte, e Castigo, ruggendo, la seguì.
Le due sagome si persero in lontananza. A terra, i quattro ragazzi si
presero per mano e s’incamminarono sereni verso il futuro,
sicuri di avere affianco qualcuno cui dare e ricevere amore.
Nessuno le guardava, ma le stelle ancora cadevano su Alagaesia,
illuminando il mondo con la loro speciale luce.
Fine
I personaggi di questa
storia appartengono per la maggior parte a Cristopher Paolini, ideatore
del Ciclo dell’Eredità e detentore di tutti i
diritti. La storia non è stata scritta a fini di lucro.
Parto subito col rispondere alle
recensioni.
KissyKikka: caspita! Spero che questo capitolo finale ti sia piaciuto.
Strano a dirsi, ma è stato più complicato degli
altri da scrivere. Comunque ti ringrazio per tutto! Sei stata davvero
gentile, hai seguito la storia dall'inizio alla fine (tutte e due le
parti!). Le tue recensioni sono state utili anche per farmi notare
certe cose che, dal punto di vista dell'autore, non si vedevano. Ti
ringrazio davvero di cuore, sono felicissima che tu abbia letto la mia
storia, e mi ritengo fortunata per questo, hai davvero esperienza nei
racconti e nei libri, si vede che scrivi anche tu. Spero che avremo
modo di risentirci, un bacio! <3
Allora...
non so proprio cosa dire. Ho iniziato a postare la prima parte di
questa storia ad Aprile dello scorso anno, e ascriverl anacora prima
(penso a Gennaio). E' strano, adesso, mettere l'ultimo capitolo. Era
quasi diventata parte integrante delle mie giornate! XD
Questa storia mi ha dato molte soddisfazioni, e di questo devo dire
grazie solo a voi lettori. Chi ha recensito, o anche solo letto, sappia
che mi ha davvero fatto un grande favore. Sapere che eravate
lì, che seguivate la storia, è stato bello.
Sappiate che, senza di voi, nulla di tutto questo sarebbe esistito.
Lo so che sembrano le solite parole buttate al vento, le frasi fatte,
ma non ci posso fare nulla se è così! XD E'
quello che penso e, anche se è banale, ve lo dico con il
cuore.
Grazie a tutti.
Un bacio.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=400780
|