Battaglia per il Futuro

di PattyOnTheRollercoaster
(/viewuser.php?uid=63689)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il doppiogioco ***
Capitolo 2: *** Il sospetto di Arya ***
Capitolo 3: *** Due dolorose punizioni ***
Capitolo 4: *** La botola ***
Capitolo 5: *** Lo straniero gentile ***
Capitolo 6: *** Il nuovo cavaliere ***
Capitolo 7: *** L'inizio di un nuovo viaggio ***
Capitolo 8: *** La prigione di Kuasta ***
Capitolo 9: *** Nuove alleanze ***
Capitolo 10: *** Gli Ibridi ***
Capitolo 11: *** Un casto bacio ***
Capitolo 12: *** Prima della guerra ***
Capitolo 13: *** Poco lontano dalla battaglia ***
Capitolo 14: *** Il terremoto ***
Capitolo 15: *** Alla ricerca della profezia ***
Capitolo 16: *** Il té di mezzanotte ***
Capitolo 17: *** La Volta delle Anime ***
Capitolo 18: *** Draghi in rivolta ***
Capitolo 19: *** Stelle cadenti ***



Capitolo 1
*** Il doppiogioco ***


Avviso: questa fic è la continuazione di L'Ombra del Passato.

Battaglia per il futuro

Capitolo uno: Il doppiogioco

I soldati osservavano il drago rosso bisbigliando fra di loro e ogni tanto lanciavano occhiate sfuggenti alla ragazza seduta dietro al Cavaliere. Ellen non vi faceva caso, preferiva non sentire quello che dicevano. Si chiedeva se aveva fatto la scelta giusta ad andare con Murtagh. Castigo si scrollò leggermente le spalle e lei dovette reggersi al ragazzo più forte. Sentì il caldo del suo corpo. Si forse, dopotutto, era stata una buona decisione, si disse.
Giunsero di fronte alle mura della capitale, da dove potevano scorgere il castello di pietra di Galbatorix. Murtagh si agitò quasi impercettibilmente sulla sella.
“Sei preoccupato?” chiese Ellen.
“No!” rispose il ragazzo contrariato. “No è solo … hem, forse non è stata una buona idea”.
“E’ stata una buonissima idea, invece. Così abbiamo risolto il problema, no?”. Murtagh mugugnò qualche parola incomprensibile che la ragazza non capì. Si diressero, assieme a Castigo, a palazzo. Una volta lì al drago furono offerti cibo e acqua in abbondanza e, quando la guardia stava per occuparsi di Murtagh, questi disse: “Dobbiamo vedere Re Galbatorix”.
“Dovete?” chiese la guardia sospettosa alzando un sopracciglio e lanciando un’occhiata a Ellen.
“Non preoccuparti. Garantisco io per lei”. Dopo un attimo di esitazione la guardia cedette e si recò alla Sala del Trono per annunciare Murtagh ed Ellen. Pochi secondi dopo vennero chiamati davanti a Galbatorix.
Il pesante portone di legno di quercia intarsiato si aprì davanti ai due giovani. Ellen sentiva le gambe tremare leggermente ma decise di non farsi intimidire. Anche Murtagh, anche se non voleva ammetterlo, era nervoso. Galbatorix era un uomo crudele: e se avesse fatto del male ad Ellen? Se avesse cercato di scoprire il suo nome e l’avesse obbligata a giurare nell’antica lingua? Si sarebbe ridotta come lui. A vivere nella vergogna e nella rassegnazione di una vita da traditore! Forse la sua era stata una proposta avventata. Dopotutto Ellen stava bene dove stava. Murtagh non ebbe tempo di pentirsi ulteriormente, erano appena giunti di fronte al trono.
Galbatorix sedeva con le braccia comodamente poggiate sui braccioli della sedia. Il suo sguardo penetrante puntato ora su Murtagh, ora sulla ragazza che lo accompagnava.
“Murtagh” disse con voce flautata, “mi hai portato la tua sposa”. Non era una domanda. Probabilmente aveva visto Ellen nei ricordi di Murtagh quando l’aveva esaminato. “Sei Ellen, non è così?”.
“Si maestà” disse la ragazza senza osare alzare il volto.
“Avanti, non essere timida. Fammi vedere il viso di cui il mio Cavaliere si è tanto invaghito”.
Ellen alzò lentamente il volto e guardò l’uomo negli occhi. Solo allora lo vide bene. Non era come lo immaginava. Il suo viso era solare e, nonostante sapeva avesse almeno cent’anni, non sembrava aver superato i quaranta. Aveva qualcosa di affascinante, ed Ellen si chiese come mai quell’uomo suscitava tanta paura in tutti. A vederlo, non sembrava altro che un uomo. Anzi, un buon uomo, ad essere sinceri.
Galbatorix stirò le labbra in un sorriso. “Capisco perché Murtagh sia tanto innamorato” disse alla fine. Si alzò dal torno e andò lentamente verso Ellen. “Ma ditemi, perché siete qui?” chiese scoccando uno sguardo a Murtagh.
Ellen deglutì. “In realtà … io voglio solo restare con Murtagh. E farò tutto il necessario perché questa guerra finisca, così, quando ci sarà la pace ...” lasciò la frase in sospeso.
“Capisco” disse Galbatorix dopo un attimo di pausa. “Di sicuro sarete stanchi, e affamati. Farò preparare un banchetto. Andate, vi farò chiamare non appena sarà tutto pronto” disse con un sorriso rassicurante.
Alquanto confusi di essere stati congedati così in fretta, Ellen e Murtagh lasciarono la sala senza dire una parola. Murtagh condusse Ellen nella sua stanza, una reggia in miniatura. Nonostante Ellen non avesse mai visto una stanza tanto lussuosa e bella non fece commenti e, a testa bassa, si sedette su un angolo del grosso letto a baldacchino.
Murtagh rimase affianco alla porta, le braccia incrociate sul petto. “Non è stata per nulla una buona idea portarti qui” disse alla fine.
Ellen alzò di scatto la testa. “Perché?”.
“Non so cosa voglia fare di te Galbatorix. E’ un uomo astuto, e potrebbe riuscire a scoprire il tuo nome, come ha fatto con me. Allora saresti costretta a stare ai suoi ordini”.
“A questo non avevamo pensato” disse Ellen mordendosi un labbro. “Come si scopre il vero nome di una persona?”.
“Il nostro vero nome è una parola che ci descrive perfettamente. Non ha alcun effetto se pronunciata nella lingua normale, ma in lingua elfica ha il potere di comandarti”.
Ellen rifletté un attimo, poi disse: “E se io mi comportassi in modo totalmente diverso da quello che sono? Forse così Galbatoix, per quanto si sforzerà, non riuscirà a capire il mio nome vero”.
“Potrebbe funzionare” disse Murtagh lentamente. “Dobbiamo sentire prima che cos’ha in serbo per te Galbatorix, e poi prenderemo una decisione”.
“D’accordo”. Ellen rimase un po’ in silenzio. “Mi dispiace solo di essere scappata così, gli altri saranno preoccupati. Probabilmente penseranno che sia stata uccisa, o rapita”.
“Tranquilla, riusciremo a contattarli e spiegheremo loro ogni cosa” la rassicurò Murtagh sedendosi al suo fianco. Ellen strinse le braccia attorno al suo collo e fece sfiorare le loro labbra.
Qualcuno bussò alla porta. Murtagh sospirò e si allontanò da Ellen, dicendo: “Avanti!”.
“Cavaliere, sono venuta a riferirle che Re Galbatorix vorrebbe che vi sistemaste per il pranzo. Mi ha mandato a portare la signorina ai bagni”.
Ellan, scoccando un’occhiata preoccupata a Murtagh, si alzò. Lui la incoraggiò con lo sguardo e la spinse delicatamente verso la cameriera. La donna, che non poteva avere più di trent’anni, condusse Ellen fino ad una grande bagno con una vasca interamente fatta d’oro. La ragazza fece un lungo bagno che ebbe il potere di farla rilassare almeno un po’, dato che era tesa come una corda di violino. Quando ebbe indossato la biancheria e una vestaglia la cameriera, di nome Annette, le chiese di scegliere un vestito.
La quantità e qualità delle vesti che Ellen si trovò di fronte era incredibile. Ogni abito era sontuoso e orlato di pizzi e i colori erano puri e candidi. Nulla a che vedere con le vesti che aveva indossato fino a quel momento, i vestiti comodi che usava di solito o le gonne che le aveva dato Islanzadi. Quei vestiti sembravano complicati e  molto scomodi. Ellen non sapeva che la prima caratteristica della moda era la scomodità.
Scelse, senza pensarci troppo, un abito color crema, ma poi ebbe tutto il tempo di pentirsi della sua prematura scelta dettata dall’inesperienza: il vestito era senza spalline e le copriva il seno con una fascia, ma appena sotto di essa vi era il bustino, talmente stretto da premerle forte contro le costole e quasi impedirle di respirare. L’abito finiva con una vaporosa gonna dello stesso color crema molto chiaro, e si fermava appena in tempo per non strusciare sul pavimento.
Annette la rifornì di scarpe e bracciali, ed Ellen scelse di tenere la sua collana, dono dei suoi genitori. La pettinarono e profumarono, e, quando si guardò allo specchio, quasi non si riconosceva più: aveva i capelli raccolti in un’alta crocchia, le guancie eccessivamente rosate e una linea nera sopra gli occhi.
Quando la condussero verso la sala da pranzo ad aspettarla c’era Murtagh. Quando il ragazzo la vide sorrise sommessamente, e le porse il braccio. “Come sei elegante”.
“Oh smettila. Mi sembra di essere una bambola di porcellana” sbottò lei.
“Un pochino, in effetti” osservò il ragazzo. Anche lui indossava abiti neri molto eleganti, ma probabilmente quelli erano comodi, pensò Ellen con rabbia.
La porta si aprì verso l’interno e si trovarono di fronte ad una sala enorme dal soffitto altissimo. Al centro troneggiava un’enorme tavolo di legno e, a capotavola, vi era già seduto il Re. I due ragazzi lo raggiunsero e presero posto affianco a lui, uno di fronte all’altro, Murtagh alla destra del sovrano. Tre camerieri portarono subito la prima portata, che sarebbe potuta bastare per almeno una decina di persone. Galbatorix, sorridendo, stappò una bottiglia di vino e li servì entrambi.
Ellen sorrise in modo civettuolo, prese il bicchiere e si bagnò appena le labbra con il liquido scuro. Galbatorix prese la parola: “Siete molto bella Ellen”.
“Vi ringrazio” disse subito lei sorridendo in modo compiaciuto.
“Prima avete detto che avreste fatto qualsiasi cosa per portare la pace, non è vero?” chiese il Re portando alla bocca un pezzo di pane.
“E’ così”.
“Ma fino ad ora siete stata con i Varden, perché ora questo improvviso cambiamento?”.
“Io ho conosciuto il Cavaliere Eragon, ho viaggiato con lui, e ho avuto modo di osservarlo bene. Sono anche stata dai Verden, ma devo ammettere di essere rimasta molto delusa. Eragon di per sé è ancora immaturo, è più giovane di me di un anno, e combatte l’Impero solo per degli schiocchi ideali da contadino. I Varden invece sono disorganizzati, dei ribelli con l’unico scopo di creare confusione nel regno. Quando Murtagh è stato … portato via, ovviamente pensavo fosse morto, ma quando l’ho incontrato di nuovo mi ha raccontato di lei, del vostro castello e della capitale, e …” si fermò, in mancanza di parole da dire.
“Si?” la esortò Galbatorix.
“E ho pensato che, forse, ad essere nel torto fossero i ribelli. Ho parlato con il loro capo ma, dove credevo ci fosse ragionevolezza e solide credenze, ho trovato solo arroganza, eccessiva fierezza e molta, molta disorganizzazione. I Varden sono un gruppo di guerrieri molto forte, questo è certo. Ma ho paura che se prenderanno il potere il paese andrà presto in rovina. Non voglio ciò che ho visto a governare Alagesia”.
Galbatorix meditò sulle sue parole, il mento poggiato sulle mani e lo sguardo perso nel vuoto. “Solo per questo motivo?” chiese.
“No … anche per … seguire Murtagh”. Aveva pensato che era inutile nasconderlo, dunque lo disse, consapevole del fatto che Galbatorix avrebbe sfruttato la loro unione. Tuttavia voleva essere credibile, e sapeva che doveva svelare una parte di verità.
“Quindi il tuo interesse è lui. Sei molto fortunato Murtagh” disse il Re accennando un sorriso. Ellen sorrise a sua volta, sperando di sembrare raggiante. Murtagh lo osservò di sottecchi poi, cercando di stare al gioco, sorrise leggermente, imbarazzato.
“Ellen, che cosa diresti se ti facessi una proposta?”.
“Prima vorrei sentire di che cosa tratta”.
“Ma certo. Tornerai da Eragon e dai Varden, e ti terrai in contatto con me tramite Murtagh, che vi seguirà di nascosto, per darmi tutte le informazioni su spostamenti, eserciti e truppe nemiche, e qualsiasi altra cosa sia di rilevante importanza. Così io potrò avere informazioni utili sul nemico, mentre tu e Murtagh potrete stare assieme”. Nonostante dovesse essere un proposta Galbatorix parlò con tono di comando, duro e preciso.
Ellen fece finta di pensarci. “E cosa dirò ai Verden sulla mia assenza?”.
“Dirai che eri stata catturata da un soldato durante la battaglia, che sei stata imprigionata nella prigione di Uru’baen e che sei riuscita a fuggire. Ti crederanno”.
“E Murtagh? Cosa vuol dire che ci seguirà?”.
“Lascerai Castigo qui, e seguirai loro a piedi. Mi riferirai tutto quello che ti dirà Ellen ogni volta che ti contatterò” disse il Re rivolto a Murtagh.
“D’accordo”.
In realtà Galbatorix aveva esitato a mandare Ellen in missione, ancora non poteva sapere il suo nome, ma ad una prima occhiata le sembrava una ragazza un po’ superficiale, ma decisa, il che la rendeva perfetta per i suoi piani. Però era presto per conoscere il suo nome. L’unica cosa di cui era certo era l’infatuazione di lei per Murtagh, che probabilmente era ricambiata. Poteva benissimo sfruttare questo fatto, e aveva deciso di mandare Ellen in missione concedendogli comunque di vedere Murtagh, così la ragazza avrebbe avuto un motivo più che valido per provare simpatia per lui.
“Vedrai Ellen, non ti pentirai della tua scelta” disse Galbatorix prendendo un sorso di vino. “Io e Murtagh, assieme, riusciremo a risanare questa terra. Alagaesia rinascerà e diventerà più forte, un paese giusto dove tutti potranno vivere in pace”. Per un secondo, Ellen restò affascinata da lui. Il  suo sguardo, il tono della sua voce, i gesti che faceva mentre parlava, sembrava credere a quello che diceva, ed Ellen, per un momento, vide quella Alagaesia di cui parlava affiorare nella sua mente, come una speranza lontana.
Quando il Re li congedò Murtagh ed Ellen si ritirarono nella stanza di lui e, dopo aver chiuso la porta, il ragazzo tirò un grosso sospiro di sollievo. “Credi che ci abbia creduto?” chiese allora Ellen.
“Non lo so, spero di si” rispose Murtagh chiudendo la porta a chiave. “Devo avvisarti di una cosa. Scegli molto bene le informazioni che darai a Galbatorix, non devi dirle tutte nemmeno a me, altrimenti io gliele svelerò tutte, se me lo ordinerà”.
“D’accordo”. Ellen sospirò e si gettò sul letto a pancia in su, fissando il soffitto.
“Ti aveva quasi convinto, eh?” chiese Murtagh cupo.
“Cosa? No” disse Ellen sbuffando e facendo una smorfia. “Era tutto un trucco per convincerlo”.
“Certo, come no”. Murtagh ghignò e si sdraiò di lato accanto alla ragazza. “Guarda che è normale. E’ un uomo molto diplomatico, potrebbe anche convincerti che la guerra è una cosa buona” disse con la testa appoggiata ad una mano, mentre con l’altra accarezzava i morbidi capelli di Ellen.
“Hm … forse, ma non mi va di essere stata … presa in giro in quel modo”. Ellen rimase un attimo pensierosa.  “Oh, cavolo” esclamò poi ad un tratto.
“Che c’è?” chiese Murtagh.
“Questo vestito è strettissimo” disse la ragazza trafficando con i laccetti che legavano stretto il bustino. “Sto soffocando”.
Murtagh si allungò sul letto e cominciò ad aiutarla. “I nodi sono stretti” osservò. Rimase lì a litigare con ogni nodo per almeno dieci minuti abbondanti, ma alla fine il bustino si era leggermente sciolto. “Sai, potresti toglierti il pensiero, e levarlo del tutto” osservò Murtagh.
“E’ proprio una buona idea” disse Ellen sorridendo e prendendo a slacciare la camicia di Murtagh.

Perché Ellen e Murtagh partissero Galbatorix volle aspettare alcune settimane, altrimenti i Varden si sarebbero insospettiti, secondo lui. Per circa un mese Ellen fu costretta ad usare modi sgradevoli con tutti, per non far intuire al Re la sua vera indole. Conobbe Castigo, il quale la prese quasi subito in simpatia, e approvò il piano dei due ragazzi. Dopo che fu passato abbastanza tempo Galbatorix diede loro il permesso di andare.
Ellen si rimise con gioia i vestiti comodi che usava di solito, anche se aveva finto di apprezzare molto quelli che la servitù le portava, e che erano tutti regali da parte di Galbatorix stesso. Presero del cibo a sufficienza per il viaggio e abbandonarono la capitale, dirigendosi verso le pianure dove si era tenuta l’ultima battaglia.
“E se Eragon mi chiedesse se ti ho visto? Dopotutto io ti ho inseguito giù per la collina” osservò Ellen la sera del primo giorno di viaggio, mentre erano fermi per cenare.
“Non lo so, digli che un soldato ti ha catturato prima” disse Murtagh dando un grosso morso ad un tozzo di pane.
Il viaggio durò altri cinque giorni e, quando furono a diverse miglia di distanza, Ellen e Murtagh si separarono, per non far scoprire Murtagh nel caso qualcuno fosse stato messo come guardia attorno all’accampamento.
“E stai attenta a non farti sfuggire nemmeno una parola, capito?” chiese Murtagh quando si stavano per separare.
Ellen sbuffò. “Ancora non capisco il perché di tutta questa segretezza. Se loro sapessero potrebbero darci una mano”.
“Meno persone sono coinvolte in questo doppiogioco, meglio è. Anzi, probabilmente non avrei dovuto chiederti nulla di così rischioso, dovevo sapere che avresti accettato subito”.
“E sai anche perché” disse Ellen con un pizzico di astio nella voce. Però decise di non continuare quell’inutile discussione, non voleva mettersi a discutere con Murtagh proprio adesso che si erano appena rincontrati. Durante quelle poche settimane aveva notato quanto Murtagh fosse cambiato, ma non gli aveva fatto notare nulla per paura di dargli fastidio. Infatti il ragazzo era diventato più aspro, anche con lei, e s’innervosiva facilmente. Quando era di malumore c’era bisogno di un sacco di tempo per farlo ragionare e per togliergli di dosso quell’umore nero. Non era più solare come una volta e non sorrideva più molto spesso.
“Sai perché ho accettato di seguirti” continuò Ellen a testa bassa.
“Si, lo so” disse Murtagh abbracciandola e dandole un bacio sulla fronte. “Va’, ci vediamo appena hai un  po’ di tempo libero. Attenta a non destare sospetti. Io mi accamperò qui, è un po’ lontano, ma …”.
“Non importa” lo interruppe Ellen. Con un sorriso si voltò e cominciò a correre verso l’accampamento.
Corse a passo moderato per diverso tempo, con l’unico scopo di stancarsi per non sembrare troppo riposata quando fosse arrivata a destinazione. In fondo tutti avrebbero creduto che lei fosse appena fuggita dalle prigioni di Uru’baen.
Quando arrivò era davvero spossata e, per fare più scena, cadde ai piedi del soldato che stava di guardia. “Va’ a chiamare Eragon” disse ansimando.
“Chi sei?” chiese il soldato accucciandosi e cercando di aiutarla. “Comunque il Cavaliere non c’è, e non posso lasciarti passare senza una raccomandazione” disse l’uomo.
“Allora va’ a chiamare Arya” tentò di nuovo Ellen. In quel momento l’unica cosa a cui pensava era una borraccia colma d’acqua fresca, e non aveva alcuna voglia di convincere quel soldato semplice a lasciarla passare. Il soldato fece un fischio in direzione del suo compagno, che aveva sentito tutto. Quello annuì e corse via, all’interno dell’accampamento.
In meno di cinque minuti Ellen vide in lontananza Arya correre a velocità inumana verso di loro. “Ellen!” esclamò quando fu più vicina. Si lanciò addosso alla ragazza, scostando la guardia in malo modo, e la sostenne, dato che era molto stanca. “Ellen come sei arrivata qui? Vieni nella mia tenda” disse cominciando a camminare. “Tu!” gridò l’elfa in direzione di un soldato, “fai portare tanta acqua e cibo alla mia tenda!”.




Allora, prima di tutto mi scuso per il ritardo con il quale ho postato. A dir la verità pensavo di iniziare a postarla poco dopo aver finito la prima parte, ma proprio in quel momento mi è venuta in mente una nuova idea, e la sua realizzazione è stata più lunga e complicata di quanto mi aspettassi.
B'è, spero che questo primo capitolo di Battaglia per il Futuro vi sia piaciuto. Non so se si nota, ma ho voluto ricreare una certa analogia con il titolo della prima parte e il titolo della seconda. Infatti in tutti e due si parla di spazio temporale (se così si dice), ossia di passato e di futuro. Così, se nella prima parte abbiamo esitato sul passato dei nostri personaggi, qui li vedremo affrontare battaglie e cambiamenti per il loro futuro.
Che altro dire?
Il solito, lasciare una recensione! ^^
Patty.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Il sospetto di Arya ***


Capitolo due: Il sospetto di Arya

Quando Ellen ebbe mangiato e soprattutto bevuto a volontà, Arya incominciò a fargli il terzo grado, accompagnata dal sovrano del Surda Re Orrin, Nasuada e il capo degli Urgali, Nar Garzvogh. La ragazza raccontò per filo e per segno tutto quello che avevano accordato di dire con Galbatorix e Murtagh, e sembrava che tutti avessero creduto alla sua storia.
“Come sei fuggita?” chiese incredulo Re Orrin.
“Credo che stessero per portarmi da Galbatorix ma mentre vi stavamo andando sono riuscita a liberarmi. Ho preso la mia spada e sono riuscita a scappare” disse Ellen. “Poi … sono venuta qui”.
“Le prigioni di Galbatoix sono divenute poco sicure” osservò Nasuada. Ellen si guardò le mani con po’ di rimorso.  
“O forse sei tu che hai una grande esperienza nelle evasioni” sussurrò Arya all’orecchio di Ellen. La ragazza le sorrise debolmente. Erano ore ormai che stavano lì, e ad un tratto l’elfa disse, alzandosi: “Io credo che sia meglio che Ellen si riposi. Se volete farle altre domande potrà rispondere domani”.
“Si, certo” disse Nasuada agitando una mano. Ellen e Arya si congedarono dai vari sovrani e l’elfa accompagnò Ellen alla sua tenda.
Quando entrarono l’elfa indicò la piccola branda nella quale Ellen dormiva prima di fuggire con Murtagh, e disse: “Puoi dormire lì. Non ho neanche avuto il tempo di disfare il tuo letto che sei già ritornata” disse sorridendo.
“Grazie Arya” disse Ellen e, in un impeto di gratitudine, dovuta non solo alla branda, si lanciò addosso all’elfa stringendola in un abbraccio. Arya la strinse a sua volta e dopo la fece sdraiare, rimboccandole le coperte come ad una bambina.
“Dormi Ellen, che ci aspettano giornate faticose” sussurrò, ma Ellen non la sentì, era già addormentata.

“Eragon!”.
“Ellen!” esclamò stupefatto il Cavaliere saltando giù dal dorso di Saphira e correndole incontro. La abbracciò forte, per lungo tempo, poi si scostò da lei, ancora incredulo. “Ma come … cosa ci fai qui? Credevamo che ti avessero rapita, o peggio!” disse frettolosamente.
Dietro di lui Saphira si agitò leggermente e ruggì forte di gioia. Ellen! E’ bellissimo rivederti.
  Anche per me Saphira. Dovete raccontarmi tutto quello che è successo mentre non c’ero. Poi, notando che altre due persone stavano scendendo incerte dalla groppa di Saphira, che si era gentilmente accucciata a terra per non farli saltare, chiese: Chi sono quelle persone?
  Sono i parenti di Eragon, rispose prontamente la dragonessa.
“Davvero?” chiese stupita Ellen sorridendo. “E che cosa ci fanno qui?” chiese cercando di osservarli meglio.
“E’ una storia lunga” rispose il ragazzo. “Meglio che ci sediamo a mangiare qualcosa, qui siamo tutti affamati!”.
Così, mentre un buon pasto veniva consumato, Eragon raccontò di come suo cugino Roran avesse mosso l’intero villaggio di Carvahall per andare a cercare la sua fidanzata Katrina, e di come fossero arrivati proprio durante la Battaglia nelle Pianure Ardenti. Dopodiché, di come fossero andati fino alla tana dei Ra’zac, e ne avessero ucciso uno nell’intento di salvare Katrina.
“Uno purtroppo ci è sfuggito, ma sta’ sicura che appena lo ritroveremo lo ucciderò con le mie stesse mani” disse Eragon, addentando con ferocia del pollo, come se l’unico colpevole di tutta quella faccenda fosse l’ormai defunto animale.
Ellen invece raccontò tutto quello che aveva già detto quando era tornata all’accampamento, ed Eragon restò molto impressionato dal suo racconto.
Quando ebbero finito di mangiare rimasero a lungo attorno al tavolo a chiacchierare assieme a Katrina e Roran. Ellen trovava entrambi molto simpatici, ma soprattutto Roran, però sospettava che Katrina stesse ancora cercando di riprendersi dalla prigionia.
Infatti così era: la ragazza era rimasta molto turbata dalle ultime settimane vissute, ma considerato tutto quello che aveva passato se la cava egregiamente. In più adesso con lei c’era Roran, e sentiva che non lo avrebbe lasciato mai più, a qualsiasi costo. Si sentiva protetta, al sicuro, era certa che nessuno avrebbe mai più potuto ferirla in qualche modo se era con lui.
Rimasero a parlare fino al tardo pomeriggio, ma ad un tratto Katrina disse: “Scusate, non è che potrei andare a rinfrescarmi un po’?”. Si alzò lentamente dalla sedia e guardò tutti in cerca di indicazioni su dove andare.
“Ma certo” disse subito Eragon.
“Ti accompagno io” disse Ellen alzandosi. Condusse Katrina alla sua tenda e poco dopo portò una tinozza che riempì d’acqua. Diede a Katrina del sapone, un asciugamano e andò a prenderle uno dei suoi vestiti. La corporatura di Katrina era diversa dalla sua, perché Ellen subiva molto sul fisico la sua discendenza elfica, e così era sottile e longilinea, mentre Katrina era più morbida di forme. “Provati questo quando avrai finito.” le disse esitante, “Credo che ti starà, anche se io sono praticamente uguale ad un ramoscello secco”.
“Grazie mille” disse Katrina prendendo l’abito e posandolo sulla branda. Ellen stava per uscire, quando notò che Katrina aveva un taglio su una spalla.
“Katrina, hai per caso qualche ferita?” le chiese esitante.
“Oh … nulla che non possa guarire in fretta” disse lei abbassando lo sguardo.
“Non ti preoccupare, ci penso io. Non vedo perché farti penare tanto” disse Ellen avanzando verso di lei. “Non preoccuparti, non farà male. Forse sentirai un po’ di pizzicore” disse posandole le mani sulla spalla ferita. Pronunciò la formula nell’antica lingue e in meno di un minuto il taglio era completamente sparito.
“Grazie” disse Katrina toccandosi la spalla appena guarita.
“Di nulla. Possiamo controllare che non ci sia altro”. Ellen si avviò verso la porta della tenda e la chiuse alla bell’e meglio. “Non preoccuparti, non entrerà nessuno” disse in risposta allo sguardo incerto di Katrina. La ragazza si tolse il vestito e rimase con la sottoveste di seta, piuttosto rovinata e sporca. Ellen prese a curare lentamente, con pazienza, tutte le piccole ferite che aveva sparse per il corpo, e alcuni ematomi più o meno gravi.
“Ti prego Ellen, non dire a Roran di tutte queste ferite. Non farebbe altro che preoccuparsi inutilmente, ed è già così stressato!” disse ad un certo punto Katrina.
“Non preoccuparti, non dirò nulla” disse Ellen concentrata. “Comunque hai fatto bene a curarti. Adesso che sei assieme al tuo fidanzato non vorrai farti vedere tutta rovinata” disse rivolgendo un sorriso alla ragazza, seduta sul letto con una gamba stesa a farsi curare. Katrina arrossì violentemente.
“Non siamo ancora fidanzati, ma vorremmo sposarci presto. Roran voleva che ci sposassimo non appena avrebbe avuto abbastanza denaro per costruire una casa e comprare tutto l’occorrente per vivere assieme, ma ora …” Katrina lasciò la frase in sospeso.
“Potete ancora sposarvi” osservò Ellen corrucciando le sopracciglia, lo sguardo ancora posato sulla ferita di turno.
“Lo vorrei tanto! Ma di sicuro Roran prima vorrà essere … vorrà essere stabile”.
“E’ impossibile ora come ora essere stabili” osservò Ellen con voce dura. “Siamo in guerra, e nessuno sa quanto ci resteremo”, e lì troncò il discorso. Alzò lo sguardo verso Katrina, che pareva impegnata in un conflitto interiore, così continuò: “E’ solo un’opinione, ma … forse, potreste anche sposarvi ora”.
“E’ quello che speravo anch’io!” disse subito Katrina.
“Dovete approfittare dei momenti che avete” disse Ellen. “Ogni giorno rischiamo di perdere tutto. E’ ora che Roran lo capisca, e si decida a chiedere la tua mano. Sono sicura che ti ascolterà. Per quanto possano sembrare dei duri, la maggior parte degli uomini si nascono dietro all’apparenza” disse Ellen con un ghigno ricordando i due diversi aspetti di Murtagh, quando erano soli e quando invece voleva fare impressione su qualcuno.
“Pare che tu te ne intenda” disse Katrina sorridendo. “Scusami se te lo chiedo, ma … tu ed Eragon … insomma …”.
“Cosa? No, no, niente del genere. Eragon è mio grande amico, abbiamo passato assieme molti momenti da quando è partito con Brom”.
“Oh, scusa, è solo che vi ho visti così affiatati” bisbigliò Katrina.
Dopo che ebbe finito di guarirle le ferite la lasciò sola, e tornò da Eragon. Lo trovò assieme a Saphira, seduti su una piccola collina al limitare dell’accampamento.
  Ciao, disse non appena arrivata.
  Ciao. Allora come va?, chiese Eragon guardandola sedersi affianco a loro.
  Mah, bene. E voi? Cioè, tralasciando le battaglie e tutte quelle cose lì.
  Non è che si possano proprio tralasciare, osservò Saphira.
  E’ vero … 
Eragon tossicchiò e guardò Ellen di traverso. Era da quando l’aveva rivista che si faceva una domanda: doveva dirle di Murtagh? Lui non sapeva che Ellen lo aveva visto. Per quanto ne sapeva lui Ellen lo aveva inseguito e poi era stata catturata, ma non era sicuro che l’avesse visto combattere nelle file nemiche. Ellen lo guardò con la coda dell’occhio.
“Che c’è?” chiese lei sospettosa. Non era difficile intuire che il ragazzo nascondeva qualcosa.
“Perché?” disse allora Eragon facendo una faccia da finto tonto, che fra l’altro non gli uscì per niente bene.
“Credi che non abbia capito che c’è qualcosa di strano? Che devi dirmi?”.
“Strano?”. Ellen lo guardò con un mezzo sorriso sulla faccia. “Ok, è vero. Ma non è una cosa … piacevole, in realtà” biascicò Eragon.
“Oh” disse solo Ellen. “Va bene … vai. Sono pronta”.
“Lo so che probabilmente non ti va di parlarne ma … si tratta di Murtagh”. Ellen s’irrigidì. “Ecco, la buona notizia è che lui è vivo”.
Ellen sospirò. “Lo so. L’ho visto” disse, cercando di portare quella conversazione ad un livello che poteva controllare. Decise d’inventarsi subito una storia, altrimenti aveva paura che avrebbe detto qualcosa che l’avrebbe tradita in seguito. “L’ho visto mentre se ne andava. E poi un soldato mi ha preso. E’ colpa mia, sono stata una stupida. Pensavo di avere le allucinazioni, o qualcosa del genere, e non mi sono nemmeno accorta di quello là che mi si stava avvicinando”. Ellen abbassò lo sguardo ed Eragon le circondò le spalle con un braccio.
“Non credo che l’abbia fatto di proposito. E’ possibile che Galbatorix abbia scoperto il suo vero nome” la rassicurò.
“Lo so”. Ellen teneva lo sguardo basso. La tentazione di raccontare ogni cosa era fortissima, ma poi si disse che forse Murtagh aveva ragione, forse avrebbe solo finito per ingarbugliare di più quella situazione, che era già complicata di per sé.
All’improvviso Ellen si alzò e salutò Eragon, lasciandolo assieme alla dragonessa. Si allontanò con sguardo risoluto e senza voltarsi s’incamminò verso l’accampamento.
  Secondo te dov’è andata?, chiese Eragon a Saphira.
  Non ne ho la minima idea. Non preoccuparti troppo però, non sembra così triste.
  Già. Strano, no?

Murtagh ed Ellen stavano distesi sull’erba affianco al fuoco che scaldava, lo sguardo rivolto alle stelle. “Oggi Eragon mi ha detto che eri uno di soldati di Galbatorix” disse la ragazza.
“E tu cos’hai risposto?” chiese lui scoccandole un’occhiata di traverso.
“Che lo sapevo già. Perché ti avevo visto prima di essere catturata”.
“Bene”.
Restarono in silenzio per un po’. Parlare era diventato difficile, e Murtagh pensava che fosse solo colpa sua. Lo sapeva anche lui di essere cambiato, era più intransigente, era sempre di malumore, ma per fortuna Ellen riusciva a rallegrarlo un po’. Era stato felice durante le settimane passate alla corte di Galbatorix, ma non erano durate quanto sperava.
Murtagh sospirò, ed Ellen si girò verso di lui. “Che c’è? Sta andando tutto perfettamente, nessuno ha sospettato nulla, te lo posso assicurare”.
“Mi dispiace che sei rimasta coinvolta in questa faccenda. Ora Galbatorix ti conosce e …”.
“A quanto ho capito mi conosceva anche prima” disse Ellen con un sorrisetto.
“E’ vero. Mi ha letto nella mente non appena mi hanno portato da lui, e io non ho saputo resistere. Sembrava così forte da non potergli resistere. Se mi fossi impegnato di più …” disse Murtagh con amarezza.
“Non è colpa tua.” lo interruppe subito Ellen, “Stiamo parlando di Galbatorix, non dovresti dimenticarlo”. Presa da uno sprazzo di buon umore Ellen si allungò su Murtagh e lo baciò sulle labbra. “Però che bello esserci ritrovati, non è vero?”.
“Ah questo si!” esclamò Murtagh voltandosi verso di lei. “Sai, non mi stupisce quello che mi hai raccontato, su Brom e sulla regina Islanzadi che sarebbe tua madre”.
“Perché?”.
“Perché doveva pur esserci una spiegazione per la tua forza, la resistenza. Tu riuscivi a parlare con Saphira, e hai usato una potentissima magia per spezzare la rosa dei nani, ma poi non ti è successo niente, sei soltanto svenuta. Chiunque altro che non fosse un elfo sarebbe morto. Tutte queste cose ora si spiegano” disse Murtagh.   
“E’ vero, l’ho pensato anch’io quando Islanzadi me l’ha detto. Però è già da un po’ che non sono più così forte come quando sono stata ad Ellesmera. Lì era diverso, mi sentivo … hm, rinvigorita” osservò Ellen. Era vero, da quando aveva lasciato la città degli elfi tutta la forza che le sembrava di aver acquistato era svanita nel nulla.
“Non che me ne intenda, ma forse la vicinanza della tua terra ha agito come … marcia in più, diciamo” tentò Murtagh.
“Può darsi” mormorò Ellen pensierosa, guardando altrove.
Murtagh la guardò negli occhi, mentre il suo sguardo era rivolto da tutt’altra parte. Un calore piacevole lo invase alla vista dei suoi occhi color della notte, profondi come il cielo. Senza preavviso prese a baciarla e si distese su di lei, prendendole una gamba e portandosela al fianco. Ellen, inizialmente presa alla sprovvista, si riebbe e cominciò a tracciare con le dita dei disegni immaginari sul petto di Murtagh poi, trovando i lacci della camicia, li slacciò. Murtagh si tolse velocemente l’indumento, poi riprese a baciarla con ardore. Con le mani sfiorò i suoi seni e poi cominciò a slacciarle la camicetta con movimenti febbrili.
Si chinò su Ellen e la guardò fisso negli occhi. “Ellen …” mormorò sorridendo mentre le scostava dal viso una ciocca di capelli corvini.

“Ellen!” esclamò Arya vedendola rientrare alla tenda ad un’ora così tarda.
“Oh, ciao. Sei ancora sveglia?” chiese la ragazza con voce innocente sedendosi sulla sua amaca.
“Anche tu sei sveglia. Dove sei stata?” chiese con fare sospetto.
“Mah … a fare un giro” disse mentre toglieva gli stivali.
“Nell’accampamento?”.
“Hm …” rispose lei vaga.
“Ma non è un po’ … insomma, deprimente?” chiese l’elfa.
“Affatto. Vai a farci un giro anche tu. Gli abitanti di Carvahall sono molto simpatici” disse Ellen con un sorriso. Si sdraiò, coprendosi e dando le spalle ad Arya. “Buonanotte” disse.
Leggermente interdetta, Arya se ne andò a dormire. In cuor suo non credeva che gli abitanti di Carvahall fossero così simpatici, ma il giorno seguente, mentre si recava da Eragon per dargli alcune notizie circa l’avanzata dell’ esercito nemico, si guardò attentamente intorno. Deprimente era l’aggettivo esatto, si disse guardando le tende. C’erano uomini feriti che si lamentavano, pochi animali che infestavano l’aria con il loro odore e il loro richiamo, qua e là vide qualche guerriero che si esercitava, ma nulla di questo servì a metterla tanto in allegria quanto lo era Ellen la scorsa notte. Non la vedo così da quando Murtagh è stato catturato.
Arya si diresse a passo svelto verso la tenda di Eragon ed entrando scorse il ragazzo ancora mezzo addormentato che si rigirava nel letto. Arya sospirò e avanzò nel disordine della tenda, sorrise leggermente alla vista di un Eragon semi-svenuto e poi cominciò a scuoterlo. “Eragon” chiamò dolcemente. Non dava alcun segno di vita, sul serio, poteva benissimo essere morto. “Eragon” esclamò con un po’ più di convinzione.
  E’ inutile, non lo sveglierebbe nemmeno Galbatorix in persona. Una voce giunse alla mentre di Arya.
  Saphira. Buongiorno.
  Buongiorno a te. Non preoccuparti, lo sveglio io.
  Grazie. Arya uscì dalla tenda e rimase fuori ad aspettare, in pochi minuti Eragon uscì, trafelato e con gli occhi ancora gonfi di sonno. “Ben svegliato” disse Arya.
“Ah, grazie” rispose il ragazzo leggermente imbarazzato. “Che cosa c’è?” chiese subito per dissipare l’imbarazzo. Arya che veniva a parlargli e lui dormiva! E non solo, non si era nemmeno svegliato quando lei lo aveva chiamato!
“Un infiltrato ci ha informati che Galbatorix invierà presto altre truppe, dovrebbe essere una notizia abbastanza sicura”.
“Presto quando?” chiese Eragon.
“Fra una o due settimane. Nasuada lo annuncerà presto ai soldati … saranno felici di sapere che Galbatorix contava sull’effetto sorpresa, si sentiranno in vantaggio” osservò l’elfa sorridendo.
“Ma da quando abbiamo un infiltrato?” chiese il ragazzo pensandoci su, le mani sui fianchi e le sopracciglia aggrottate.
“Da abbastanza tempo. Non devi dirlo a nessuno capito?”.
“Certo” la rassicurò Eragon annuendo.
“Ok … ah, sai per caso dov’è finita Ellen ieri notte?” chiese improvvisamente l’elfa.
“No, perché?” chiese Eragon facendo segno di no con il capo.
“No niente, è che è tornata tardissimo, e ha detto di essere stata assieme alla gente di Carvahall”.
“Impossibile … io ero assieme a Roran e Katrina. Siamo stati tutta la sera a parlare fuori dalla loro tenda. Non ho visto Ellen nemmeno una volta”.
“Ah, b’è non importa” disse Arya pensierosa. “Devo andare Eragon, Nasuada ha bisogno di me” disse l’elfa salutando e incamminandosi verso la tenda del Capo dei Varden.
“Si …” disse Eragon distrattamente facendole un cenno di saluto. Che strano, osservò rivolto a Saphira.
  Forse è solo andata a fare una passeggiata.
  Si, ma allora perché ha detto ad Arya di essere stata con noi quando non è vero?

Anche quella sera Ellen uscì furtivamente dall’accampamento per andare a trovare Murtagh. Era assolutamente certa che nessuno avesse sospetti su di lei. Dopotutto, a chi poteva interessare se spariva un paio d’ore? C’era sempre talmente tanta confusione che nemmeno si sarebbero accorti che era sparita, pensava fiduciosa.
“Murtagh!” chiamò quando fu arrivata dalle parti dove sapeva il ragazzo si accampava. “Murtagh?”.
“Eccomi!” esclamò una voce cupa. Il ragazzo spuntò da dietro un albero, litigando con un arbusto che gli aveva imprigionato il piede, poi si parò di fronte ad Ellen. “Ciao” disse ad alta voce, poi si avvicinò in fretta e l’abbracciò. Senza farsi vedere, sussurrò all’orecchio della ragazza: “Galbatorix ha mandato uno dei Ra’zac a controllarmi. Non siamo soli”.
Ellen trasalì e si guardò attorno. “Dov’è?” chiese.
“Non lo so, è andato a mangiare circa venti minuti fa”.
“Allontaniamoci da qui”.
“D’accordo”. I due cercarono un luogo dove sedersi e si sistemarono ai piedi di un albero in una piccola radura. “Devi dirmi qualcosa da riferire a Galbatorix” disse subito Murtagh. “Adesso più che mai dobbiamo essere convincenti, ma ricorda di dirmi solo quello che ritieni necessario. Io sarò costretto a dire tutto a Galbatoirx, ma se mi racconti ogni cosa, allora sarà davvero come fare la spia”.
“Quindi ti devo raccontare fatti inutili che sembrano importanti?” chiese incerta Ellen.
“Esatto … vai”.
“Allora … ad esempio … hm, digli che le truppe sono poco preparate e abbastanza ostili ad un'altra battaglia, che Nasuada non è capace di gestire i suoi uomini, e le sue alleanze con gli altri popoli stanno cedendo”. Aveva detto un sacco di bugie ovviamente, ma le venne in mente che, se Galbatorix avesse creduto che il nemico era debole e poco motivato, forse li avrebbe sottovalutati abbastanza da permettergli di vincere un’altra battaglia. Però doveva anche essere veritiera, così continuò: “Digli anche che però Eragon allena le truppe ogni giorno su ordine di Nasuada, e che man mano che il tempo passa stanno diventando più forti e organizzati”.
“Hem … ok, se lo dici tu” disse incerto Murtagh. Improvvisamente sentirono un fruscìo nella radura. “Forse è meglio che tu vada, con quel Ra’zac in giro dobbiamo essere attenti” disse Murtagh alzandosi e porgendole una mano. Ellen la prese e si tirò su, e Murtagh la strinse in un abbraccio.
“Ci vediamo” gli disse la ragazza.
“Ok”. Murtagh la liberò ed Ellen si diresse fuori dal bosco.
Al suo passaggio si sentivano le foglie secche scricchiolare e i cespugli muoversi. Ad un tratto un suono reso ovattato dalla lontananza attirò Murtagh. Sentì qualcuno esclamare: “Ellen! Aspetta!”. Un grido, e poi più nulla.
Il ragazzo restò per un secondo incerto sul da farsi, preoccupato. Non sapeva se doveva andare a cercare Ellen a causa di quel grido, ma forse non le era successo niente, forse era caduta e basta, e non era il caso di farsi vedere o di rischiare di essere riconosciuto. Al diavolo!, pensò. “Ellen!” urlò con tutto il fiato che aveva in gola.
Qualcosa lo colpì sulla nuca e lui svenne.




Oh Dio che cattiva! Vi lascio con questo finale così... ambiguo! O.O Ellen che grida, Murtagh che sviene! E poi, povera Ellen, tutta sicura di non destare sospetti e invece tutti sospettano di lei! XD B'è, comunque sia, spero che questo capitolo vi sia piaciuto! ^^

KissyKikka: waaa! Speravo di ritrovarti fedele donnah! XD L'analogia fra i titoli è addirittura geniale! Me arrossisce per i complimenti. Comunque, ben presto verrai a conoscenza delle oscure trame della mia mente, spero che questo capitolo ti sia piaciuto! ^^

Un grazie a chi legge, a chi mette la fic fra Preferite o Seguite, e poi direi basta. Un saluto a tutti, by
Patty.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Due dolorose punizioni ***


Capitolo tre: Due dolorose punizioni

Galbatorix era furioso.
Camminava nella sala e continuava a pensare di essere stato uno stupido, rimuginava su tutto quello che era accaduto, e si chiese come diavolo quella ragazzina era riuscita ad ingannare lui. Lui, il Re Galbatorix! Per fortuna il Ra’zac che aveva mandato a controllare Murtagh aveva sentito ogni cosa.
Alzò distrattamente lo sguardo sul soldato cui aveva dato ordine di frustare il ragazzo. Quasi si era dimenticato della loro presenza, tanto era perso nei suoi pensieri. Il volto di quella ragazza continuava ad apparigli nella mente, sorridente ed ingannevole.  Si schiarì la voce, alzò il palmo della mano e disse un basso: “Basta così”.
Il soldato annuì e si ritirò. Murtagh, con le braccia alzate verso l’alto e i polsi cinti da corde spesse che andavano a legarsi ad un grosso anello di ferro appeso al muro, venne liberato e cadde bocconi sul pavimento. Respirava forte, ogni ferita che pulsava, e gli sembrava di avere una piastra di metallo ardente premuta contro la schiena. Restò a terra in ginocchio, i pensieri rivolti alle ferite brucianti. Galbatorix avanzò verso di lui con passo lento senza dire nulla, e quando gli fu di fronte prese a girargli attorno.
“Non ho idea del perché mi sia fidato tanto” ammise il re, parlando lentamente e strascicando le parole. “Credevo di averti in pugno, ma evidentemente non era così. Quella insulsa ragazza mi ha giocato, mi ha fatto credere di essere testarda e senza cervello”. Galbatorix fece una pausa continuando a girare attorno a Murtagh. “Probabilmente gode di rilievo anche fra i ribelli” disse più a sé stesso che al ragazzo. Sospirò, poi rivolse lo sguardo al suo prigioniero, che tremava di rabbia e dolore ai suoi piedi. “Murtagh” disse Galbatorix nell’antica lingua, pronunciando il suo vero nome. Il ragazzo fu scosso da un brivido e alzò lo sguardo verso di lui. “Siccome questa punizione non è sufficientemente educativa, è mio dovere infliggerne un’altra. Ogni volta che ne avrai l’occasione” disse con voce dura, “combatterai contro Ellen, con l’unico fine di ucciderla”. Il prigioniero alzò di scatto la testa, gli occhi sbarrati.
Galbatorix sorrise maligno all’indirizzo di Murtagh, poi si voltò e uscì dalla stanza buia. Il ragazzo lo osservava andare via, stupito e arrabbiato. Quando il re fu uscito rimase un attimo con lo sguardo fisso sulla porta.
  Murtagh, disse una voce da giovane uomo nella sua testa. Il ragazzo chiuse la mente a Castigo, ma lasciò che l’amico gli alleviasse il dolore bruciante che provava alla schiena.
Abbassò lo sguardo e una piccola lacrima calda affiorò ai suoi occhi, scivolò lungo la sua guancia e cadde a terra, perdendosi fra la pietra fredda.

“Non ci posso credere! Ellen!” esclamò Arya alzando gli occhi al cielo. “Si può sapere che cosa ti passava per la testa?!” esclamò. Nessuno aveva mai visto Arya così arrabbiata. Sembrava che i ruoli si fossero invertiti, pensò Ellen: Eragon stava zitto e calmo e si guardava le mani, mentre Arya era furiosa e continuava a passeggiare per la stanza nervosamente.
Per la centesima volta, Ellen sussurrò: “Mi dispiace”.
Quando aveva lasciato Murtagh nella radura Eragon l’aveva raggiunta, e l’aveva accusata di essere una spia, dopodiché l’aveva presa e portata all’accampamento, dove Ellen aveva confessato tutto quello che era successo dal primo incontro con Murtagh alle Pianure Ardenti. Avevano appena finito di parlare con Nasuada di tutto quello che era successo, ma lei era stata molto comprensiva. Aveva lasciato andare Ellen senza infliggerle alcuna punizione, ma con la sola raccomandazione di non raccontare a nessuno quel che era accaduto.
Ora, nella tenda di Eragon, tutti erano stranamente calmi (tranne Arya), come se quello che stava accadendo fosse irreale.
“Mi dispiace per quello che è successo, credevo davvero che fosse la cosa migliore  da fare” ripeté Ellen.
“Ma come fai a crederlo?!” sbraitò Arya furente ponendosi di fronte a lei.
“Senti, lo so che ho sbagliato!” esclamò Ellen, che ormai aveva perso la pazienza. “Non c’è bisogno di continuare a ripeterlo ogni cinque minuti! Vi ho già detto che mi dispiace, e per quanto tu possa urlare la situazione non cambierà!”.
Arya rimase senza fiato, poi si voltò e rivolse lo sguardo astioso altrove. “D’accordo …” disse. E uscì dalla tenda a passi pesanti. Ellen sospirò, e guardò di sottecchi Eragon.
“Hai qualcosa da dire? Sei stato zitto tutto il tempo. Ti prego, dimmi qualcosa” lo implorò. Il silenzio del ragazzo non faceva altro che provocarle un altro dolore ancora più acuto, quasi avrebbe preferito che urlasse. Eragon, da parte sua, non aveva idea di che cosa dire, non sapeva nemmeno se doveva essere arrabbiato, come Arya, o comprensivo, come Nasuada. Trovava giusti entrambi i comportamenti.
Ancora una volta, Eragon non rispose, invece fu la voce di Saphira a raggiungere la ragazza: Certo il tuo gesto è stato molto affrettato e anche un po’ da stupidi, ma capisco perché l’hai fatto, anche se non ho mai provato per nessuno ciò che tu provi per Murtagh. Però se io ed Eragon fossimo separati mi sentirei morire, e se lo rincontrassi farei qualsiasi cosa per stargli vicino.
Ellen sorrise leggermente. Grazie Saphira. La dragonessa per tutta risposta sbuffò leggermente.
“Comunque” disse Eragon all’improvviso, “l’importante è che non sia successo nulla”. Dopo tanto pensare realizzò che non riusciva ad essere arrabbiato con Ellen. Come Saphira, anche lui capiva benissimo le ragione del suo gesto, e non la biasimava per quanto aveva fatto. Anche lui avrebbe fatto lo stesso se si fosse trattato di Arya o anche di Saphira. Sorrise alla ragazza e la raggiunse, stringendola in un abbraccio. Ellen ricambiò, felice che Eragon non fosse arrabbiato con lei.
“Hem … Eragon,” disse poi con voce insicura.
“Che c’è?” chiese lui sciogliendo l’abbraccio e guardandola interrogativo.
“Posso restare qui per questa notte? Non mi va di tornare da Arya, resterà arrabbiata per molto tempo ancora, se la conosco bene come credo”.
“Ah questo è certo!” esclamò Eragon sorridendo, “Gli elfi ricordano sempre tutto, come gli elefanti”.
“Non sarà felice di sapere che l’hai paragonata ad un elefante” osservò Ellen.
  Eragon, lo rimproverò Saphira, è così che conquisti una donna? Non credo che il tuo metodo funzionerà, non conquisteresti nemmeno una femmina di Urgali.
Eragon ed Ellen scoppiarono a ridere, e Saphira si esibì in uno strano sbuffo.
“Stai ridendo!” esclamò Ellen additando la dragonessa con un dito, al che Eragon rise più forte. Quella sera restarono a parlare per diverso tempo, fino a notte fonda, come non facevano da molto. La mattina dopo Saphira li svegliò e loro si alzarono leggermente storditi. Si lavarono, vestirono e prepararono per uscire, diretti allo spiazzo dove i soldati si allenavano.
“E’ da tanto che non ci battiamo” osservò Ellen.
“Vuoi vedere quanto sono migliorato?” chiese Eragon con un ghigno.
“Si, voglio proprio vedere!” esclamò Ellen ridacchiando. Saphira, che li aveva seguiti in volo, si accucciò li vicino e appoggiò con eleganza il muso a terra, alzando una nuvoletta di polvere ogni volta che respirava.
I due si misero in posizione e rimasero a girarsi attorno. Pian piano una piccola folla di spettatori prese a formarsi accanto a Saphira, che si guardò attorno accigliata. Un ragazzo che doveva avere si e no tredici anni sussurrò al suo vicino: “Scommetto una moneta d’argento che vincerà il Cavaliere”.
L’amico ci pensò su un po’, osservando Ellen con sguardo critico, poi disse: “Ho sentito dire che quella è la figlia di un elfo. Ci sto”. E si strinsero la mano solennemente.
  Hm … non so se vi disturba, ma qui stanno scommettendo sull’esito della battaglia.
  Che cosa?, chiese Ellen senza distogliere lo sguardo da Eragon. Chi è che scommette?, chiese indignata.
  Lasciali fare, disse Eragon sorridendo.
Ellen gettò uno sguardo veloce tra la piccola folla e, tornando a guardare verso Eragon, si avventò su di lui fulminea come un gatto. Eragon, aspettandosi da Ellen la consueta attesa della prima mossa da parte sua, si scansò appena in tempo, ma rimase disorientato e impugnò meglio Zar’roc. Senza preavviso si gettò su Ellen e cercò di colpirla al fianco, ma la ragazza parò il colpo con forza, tanto che la spada vibrò nelle sue mani e le fece quasi male.  “Sei diventato davvero più forte” osservò.
“Hai visto?” disse Eragon compiaciuto.
“Non cantare vittoria troppo presto, ci rimarrai male quando vincerò” disse facendo la finta premurosa.
Ancora, Eragon cercò di colpire Ellen, questa volta alle gambe e la ragazza per schivare il colpo quasi cadde a terra, ed Eragon approfittò di quel momento per infliggerle un altro colpo. Questa volta la ragazza parò e cominciò ad attaccare Eragon in modo da farlo indietreggiare di parecchio. Continuarono così per diverso tempo, la folla s’ingrandiva sempre di più e tifava ora per una parte, ora per l’altra. Eragon intravide Roran fra le persone che c’erano lì attorno. Guardò il cugino un secondo di troppo perché improvvisamente vide la spada di Ellen arrivargli dritto al viso. Velocemente il ragazzo schivò la lama e rotolò a terra, cercando di colpire Ellen alle gambe, ma lei saltò e cercò di colpire Eragon dall’alto. Il ragazzo parò il colpo e si alzò, nello stesso momento Ellen fece una complicata manovra con la spada e, quando le due lame si scontrarono, il risultato fu di farle volare entrambe dalle mani dell’avversario.
I due giovani rimasero ansanti, a guardarsi a vicenda, poi Eragon scoppiò in una grossa risata. La folla prese a gridare e ad applaudire. Accanto a Saphira i due ragazzini che avevano scommesso si guardarono incerti, e il primo disse: “Ma ora come facciamo? Chi ha vinto?” chiese all’amico.
“Non lo so …”.
Saphira voltò il muso verso di loro e i due ragazzini la osservarono senza fiatare, un pizzico di paura in volto. La dragonessa sbuffò forte, e i due si spaventarono talmente tanto che corsero via urlando, mentre un vecchio soldato che aveva visto tutta la scena rideva di gusto osservandoli scappar via.
Quando Eragon ed Ellen scesero dalla piattaforma trovarono Roran a salutarli. “Ma come Eragon? Ti fai battere da una ragazza?” chiese con tono giovale.
“Non mi ha completamente battuto!” protestò il cugino incrociando le braccia al petto.
“Si, ma mi mancava tanto così per farlo” disse Ellen avvicinando pollice e indice. “Comunque sei davvero migliorato, sono io che sto peggiorando di giorno in giorno”.
“Perché?” chiese stupito Eragon. Nel frattempo si stavano avviando verso la tenda di Roran.
“E’ da quanto siamo partiti da Ellesmera che mi sento un po’ giù. Secondo Mu … secondo me è perché Ellesmera riesce a rinvigorirmi. Ti ricordo com’ero forte quando eravamo lì?”.
“E’vero” concordò Eragon.
Arrivarono fino alla provvisoria casa di Roran e assieme a Katrina restarono a parlare fino all’ora di pranzo, finché la ragazza non si alzò e annunciò: “E’ meglio che vada a preparare il pranzo”.
“Ti aiuto” disse Ellen.
“Attenta Katrina” la avvisò scherzosamente Eragon, “ti brucerà tutto!”.
“Scemo!” esclamò Ellen dando uno spintone al ragazzo.
“Ellen adesso facciamo vedere a questi due come si cucina” disse Katrina entrando in casa. Ellen fece un verso di sdegno rivolto ai due giovani e la seguì nella tenda.
Iniziarono a cucinare un piatto tipico di Carvahall e, mentre stavano pelando le patate sedute attorno al tavolo, Ellen chiese a Katrina: “Allora? Come vanno le cose fra te e Roran?”.
“Oh, bene” disse lei arrossendo. “Mi ha chiesto di sposarlo”.
“Davvero?” chiese Ellen sorpresa. Lasciò il coltello sul tavolo e si allungò per abbracciare Katrina: “Congratulazioni!” quasi urlò. “Quindi il discorso dell’abbiamo poco tempo ha funzionato, eh?” chiese ammiccante.
“B’è … in realtà all’inizio avevo lasciato perdere, e pensavo che ci saremmo sposati quando avremmo avuto una casa e una fonte di reddito sicura ma, abbiamo deciso di anticipare il matrimonio. Altrimenti … correrebbero troppe voci”.
“Come?” chiese Ellen, che non aveva capito cosa intendeva dire Katrina. “Troppe voci su cosa?”.
“Sono incinta” disse la ragazza con voce candida, portandosi automaticamente una mano al ventre.
Ellen rimase con un palmo di naso. “Katrina!” esclamò. “Ma è fantastico!”.
“Si” disse lei sorridendo.
“Hai già pensato al nome da dargli? O da darle! Chissà se sarà maschio o femmina?”. Ellen incominciò a parlare raffica e lei e Katrina finirono di preparare il pranzo in meno di un’ora. Quando era quasi pronto Ellen uscì a chiamare i due ragazzi e, quando li raggiunse, vide che stavano parlando fitto fitto di qualcosa.
“Hey voi! State parlando di noi, non è vero?” chiese scherzosamente Ellen.
“Più o meno” mormorò Eragon rivolgendo un grosso sorriso a Roran. Ellen si avvicinò a loro e abbracciò forte Roran.
“Congratulazioni!” disse.
“Grazie” disse il ragazzo, che inizialmente non aveva capito a che cosa si riferisse.
“Katrina mi ha raccontato” disse poi Ellen. “E’ meraviglioso!”.
“Oh, grazie” ripeté Roran leggermente imbarazzato. Tutte quelle notizie sul suo contro che circolavano libere! Certo, quella era Ellen, la migliore amica di suo cugino, ma se lo avesse saputo qualcun altro? Che cos’avrebbero pensato dell’onore della sua futura sposa?
Quel pomeriggio Eragon ed Ellen si fermarono a parlare con Roran e Katrina, e solo dopo molto tempo se ne andarono. Sulla strada del ritorno Ellen disse, titubante: “Eragon, non ti andrebbe di rivedere Murtagh?”.
Eragon ci pensò un poco. “Ma non sarà rischioso? Non hai detto che c’è un Ra’zac assieme a lui?”.
“Si, ma io potrei andare a chiamare Murtagh e poi potremmo incontrarci tutti assieme da un’altra parte. Lontani dal Ra’zac” propose Ellen.
“Hm … d’accordo. Però il nostro ultimo incontro non è stato molto felice” osservò Eragon.
“Ma adesso non ha ricevuto nessun’ordine da parte di Galbatorix, quindi non dovrebbe succedere nulla. Comunque lo sai che non lo fa apposta” disse Ellen. “Ha scoperto il suo nome”.
“Me lo ha detto”. Eragon fece una pausa, poi: “Mi stava raccontando una storia strana, su sua madre e Morzan, ma non so perché. Diceva di essere l’erede legittimo di qualcosa, ma non so dove voleva arrivare. Poi sei arrivata tu ed è scappato”.
“Potresti chiederglielo ora. Ho deciso, andiamo a trovarlo!” esclamò Ellen raggiante.
“Adesso?” esclamò Eragon.
“Si, perché no?”. E, prima che il ragazzo potesse obbiettare, Ellen lo prese per un braccio e cominciò a trascinarlo lungo tutto l’accampamento, fino all’uscita. Camminarono fino al luogo dove Murtagh e il Ra’zac erano accampati, ma non li trovarono.
“Forse si sono spostati, per non lasciare il segno del loro passaggio” disse Eragon. Cercarono un altro po’ in giro, ma poi si diedero per vinti e tornarono alla tenda.
Ellen non riusciva a capacitarsi di come Murtagh fosse ad un tratto sparito, e volle riprendere le ricerche. I giorni passavano, ma di Murtagh non c’era traccia. L’ansia cominciò a insidiarsi nel cuore e nella mente di Ellen: non avrebbe potuto sopportare di perdere Murtagh ancora una volta. Inoltre poteva essergli successo qualcosa.
Ad una settimana dalla sua scomparsa Saphira si offrì di accompagnare Ellen a cercarlo, anche se in realtà non nutriva grandi speranze di trovarlo. Così faremo più in fretta, disse però alla ragazza.
Stavano volando da circa un’ora, quando all’improvviso Saphira avvistò un puntolino che si muoveva veloce a terra. Lo osservò meglio e calò su di lui. Ellen! Lo abbiamo trovato!
  Dove?!
  Eccolo lì!
Saphira scese a terra, sollevando una grossa nuvola di polvere. Ellen, senza vedere niente, scese dal suo dorso squamoso e corse verso la figura che aveva riconosciuto come Murtagh.
“Murtagh!” esclamò sorridendo. Il ragazzo trasalì, e la guardò sospettoso. “Murtagh sono io” disse Ellen continuando ad andare a passo sicuro verso di lui e con ancora il sorriso stampato sul volto. Per tutta risposta lui si portò lentamente la mano al fianco ed estrasse la spada dal fodero. “Murtagh cosa fai?” chiese Ellen, il sorriso ormai svanito dal viso.
“Sono ordini di Galbatorix” disse il ragazzo in un sussurro appena udibile. “Prendi la spada Ellen, non posso farne a meno”.
Saphira ringhiò forte e cercò di contattare Eragon. Eragon! Vieni subito! Ellen è in pericolo!
  Che cosa? Dove? Chiese il ragazzo che, anche se era lontano dalla dragonessa, poteva sentirla bene nella sua mente. Saphira gli inviò un’immagine mentale del luogo dove si trovavano. Eragon, che in quel momento era in riunione con Nasuada e gli altri regnanti, di avvicinò al capo dei Varden. Le sussurrò qualcosa all’orecchio e Nasuada ascoltò attentamente, poi annuì e disse: “Il Cavaliere Eragon dovrebbe assentarsi un momento. Vai” disse agitando una mano elegantemente. Il ragazzo annuì e uscì dalla tenda. Appena fu fuori prese il primo cavallo che gli capitò affianco, gridando al proprietario, un giovane dall’aria burbera: “Te lo riporto subito!”. Non sentì nemmeno che cosa gli rispondeva, era già al galoppo verso il posto indicatogli di Saphira.
Ci mise circa dieci minuti ad arrivare e, quando scorse Saphira che gli veniva incontro, chiese: Che cos’è successo?
  C’è Murtagh! Galbatorix gli ha ordinato di uccidere Ellen!
  Che cosa?, esclamò incredulo il ragazzo. Smontò da cavallo e corse verso i due duellanti. “Murtagh!” esclamò quando lo vide.
Il ragazzo si fermò qualche secondo, ma Ellen non osò attaccarlo. Per tutta la durata della battaglia si era tenuta sulla difensiva, senza attaccare mai né prendere l’iniziativa. Questo l’aveva portata a subire una profonda  ferita al fianco, che sanguinava copiosamente e l’aveva fatta diventare pallida come un cencio. Il viso di Murtagh non esprimeva nulla, se non rabbia. Era come se non si fossero mai incontrati. In realtà il ragazzo aveva voglia di piangere, ma non riusciva a fare nemmeno quello. Ogni colpo inferto ad Ellen era per lui una pena inimmaginabile, come se lo avessero pugnalato al cuore conto volte per ogni colpo.
“Eragon” disse Murtagh con l’ombra di un sorriso folle in volto. Il Cavaliere avanzò verso Ellen e si mise fra i due duellanti, scostando la ragazza che, nel frattempo, si era portata una mano alla ferita e, quando l’aveva ritratta, l’aveva trovata piena di sangue scuro e denso. “Non ti spostare” disse Murtagh con lo sguardo triste, rivolto ad Eragon. Poi, con una velocità che sorprese tutti, scansò Eragon e prese Ellen per la gola. I due si ritrovarono a terra, Murtagh troneggiava su Ellen, lei si divincolava sotto di lui osservandolo senza quasi capire che cosa succedeva. Era assurdo! La ragazza emise un rantolo sordo e cercò disperatamente di scostare la mano del ragazzo, riempiendola di sangue appiccicaticcio.
“Mur-tagh” riuscì a dire rantolando.
Al culmine della frustrazione, al ragazzo sfuggì una lacrima: “Uccidimi” disse ad Ellen, mentre stringeva la presa sul suo collo. La ragazza prese una manciata di terra e la gettò sugli occhi del ragazzo, che si portò le mani al volto con un grido e indietreggiò, sollevando una manciata di terriccio rosso.
“Saphira porta via Ellen!” gridò Eragon. La dragonessa annuì e si caricò la ragazza sul dorso. Ellen, che ancora tossiva, si aggrappò forte al collo squamoso della dragonessa, che partì alla volta dell’accampamento.
  Come stai?, chiese dopo qualche minuto Saphira.
  In che senso?
  Hai ragione, domanda stupida.
In cuor suo Saphira era molto dispiaciuta per quello che stava accadendo alla ragazza. L’aveva conosciuta molto bene durante il viaggio che avevano intrapreso per arrivare fino a lì, ma gli piaceva pensare che fosse abbastanza forte da poter superare ogni cosa. In un certo senso, era l’unica umana che ammirava davvero per il suo forte carattere. Pensando a tutto quello che avevano passato da quando si era unita a loro a Saphira venne da pensare che, l’unica cosa che quel viaggio aveva portato ad Ellen, era solo un mucchio di guai.
  Ma forse, pensò fra sé e sé, lei avrebbe preferito venire con noi e passare tutti questi guai, al posto di non incontrare Murtagh. Anche io vorrei avere la sua fortuna, pensò Saphira facendo un grosso sospiro.






Oddeo! Scrivere questo capitolo è stato facile, anche se è un capitolo un po' triste e pieno di cose nuove. L'idea di Murtagh che è costretto ad uccidere Ellen mi balenava in testa già dalla prima parte della storia, e anche se realizzarla è stato un po' triste l'ho fatto lo stesso, più avanti si capirà il perchè (nel prossimo capitolo mi pare, quindi non dovrete aspettare molto XD). Mi scuso con tutti coloro che seguono per il ritardo con cui ho postato, il fatto è che è appena ri-iniziata la scuola e ho avuto molto da fare.
Grazie a KissyKikka per la sua recensione! Quanti complimenti che mi fai (me arroscisce!). Spero che questo seguito sia abbastanza interessante! Dimmi che ne pensi ^^
E voi altri, seguite il suo esempio u_u  XD
A presto,
Patty.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** La botola ***


Capitolo quattro: La botola

Due settimane dopo si tenne il matrimonio di Katrina e Roran, vi parteciparono Eragon ed Ellen, così come Arya e Nasuada, assieme ovviamente a tutti gli abitanti di Cahrvahall. La cerimonia non durò più di un’ora, ma i festeggiamenti che iniziarono subito dopo andarono avanti fino al mattino!
“Eragon! Bevi questo!” esclamò Ellen.
Arya si chiese come facevano quei due ad essere così calmi dopo tutto ciò che era accaduto. Sorrise nel guardarli, e si chiese se non fosse il caso di tranquillizzarsi anche lei. Non le era ben chiaro come, ma Ellen aveva preso l’ordine di Galbatorix meglio del previsto, o forse cercava solo di non pensarci. Ed Eragon? Aveva appena avuto la notizia di chi fosse il suo vero padre, e anche se a volte lo vedeva corrucciato o di malumore, cercava di essere sempre positivo. Però si poteva dire che, almeno sul fronte delle battaglie, le cose andavano bene. Infatti avevano appena sconfitto una truppa di soldati inviati da Galbatorix, e all’accampamento tutti festeggiavano la vittoria, avvenuta proprio pochi giorni prima.
“Arya, ti va di ballare?”. Eragon comparve nella sua visuale all’improvviso e le porse galantemente la mano, sorridendo.
“Oh. No, è meglio di no” disse lei scuotendo la testa e agitando la mano. “Potrei benissimo ferire qualcuno”.
Eragon rise di gusto. “Andiamo! Non puoi restare tutto il tempo qua seduta, siamo ad una festa” le ricordò Eragon.
Arya sospirò e si guardò attorno. “E va bene” disse infine prendendo la mano del suo cavaliere. Per l’occasione Arya aveva indossato un vestito che una gentile signora di Cahrvahall aveva cucito apposta per lei, ed era molto graziosa. Assieme ad Eragon non si limitò ad un ballo solo, ma erano già al terzo quando Ellen li indicò a Saphira, nel bel mezzo della pista da ballo.
  Si divertono eh?, chiese la ragazza.
  Ho visto, disse la dragonessa sbuffando una risata. Questa sera il mio piccolo fa conquiste.
  Chiamarlo il tuo piccolo ormai sta diventando riduttivo, osservò Ellen. Dovresti chiamarlo il tuo piccolo grande uomo, o il tuo piccolo … gigante. Da quando siamo tornati da Ellesmera non fa che crescere come un drago neonato.
  E’ vero. Però in confronto a me è sempre minuscolo.
Ellen rise e mangiucchiò un altro po’ di dolce. Pensò che probabilmente sarebbe molto piaciuto a Murtagh, ma scacciò subito quel pensiero e si concentrò sulla festa.
“Ciao Ellen” disse Nasuada sedendosi affianco a lei e osservando gli altri ballare.
“Ciao. Come va?”.
“Tutto bene. Questo matrimonio è capitato proprio al momento perfetto, l’umore delle truppe non potrebbe essere più alto”.
“Sempre a pensare alle tue truppe!” la sgridò Ellen, “Piuttosto pensa a divertirti. Ecco, che mi dici di quello lì? Sta guardando te!” disse la ragazza indicando un uomo dall’altra parte dell’improvvisata pista da ballo.
“Non lo indicare” le disse Nasuada tirandole giù il braccio. “Quello invece sta guardando te” disse rivolgendo lo sguardo ad un vecchietto dalla barba bianca.
“Nasuada! Ma è vecchio!”.
La ragazza scoppiò a ridere, rivelando la dentatura cristallina che spiccava in mezzo alla sua carnagione scura. “Scherzavo!” disse poi quando si fu ripresa ed ebbe bevuto del vino.
“Comunque non potrei ballare nemmeno volendolo. Questa qui non è ancora guarita” disse indicandosi la ferita al ventre causata da Murtagh, che ancora non era guarita del tutto nonostante le cure di Angela e dei migliori medici di Nasuada messi a sua disposizione.
In quel momento Re Orrin, che era stato gentilmente invitato alla celebrazione, si avvicinò alle due ragazze. “Mi scusi, potrei rubarle la sua amica per un ballo?” chiese tendendo una mano a Nasuada.
“Oh, la mia amica sarà felicissima di ballare con voi!” esclamò Ellen guardando la sovrana dei Varden. Lei sorrise e si allontanò assieme a Re Orrin. Quell’uomo, per quanto i suoi modi fossero rigidi e per quanto a volte fosse impacciato, le era molto simpatico. Tanto per cominciare era un sovrano giusto e gentile, e pensava prima di tutto ai suoi sudditi. Era, di certo, molto strano sotto alcuni aspetti, ma proprio per questo non mancava mai di stupire Nasuada.
Mentre ballavano Nasuada inciampò su qualcosa e, quando guardò meglio, si rese conto che era un bambino di circa undici anni. “Ah, Solembum! Scusami tanto” esclamò stupita.
“Mi perdoni lei Principessa Nasuada se vi ho disturbati. Re Orrin” disse a mo’ di saluto facendo un piccolo inchino. Corse via e intravide Ellen seduta ad un tavolo con affianco Saphira. Le raggiunse velocemente e si sedette sul tavolo, proprio di fronte ad Ellen.
“Ciao” disse alla ragazza.
“Ciao. Sei Solembum vero?” chiese Ellen.
“Esatto. E tu sei Ellen”.
“Infatti” rispose la ragazza.
“Vedo che il consiglio che ho dato ad Eragon riguardo a te non è servito per nulla”.
“Quale consiglio?” chiese Ellen rivolta al ragazzino, che sorrise mostrando i canini leggermente appuntiti. Poi, siccome non otteneva risposta si voltò verso Saphira. “Di che consiglio sta parlando?”.
“Quando incontrai Eragon per la prima volta gli dissi queste parole, riguardo a te: quando le sue scelte saranno guidate dal cuore dovrai fermarla, perché rischierà di mettersi in pericolo da sola. Ma non è servito a nulla dato che tu hai seguito Murtagh lo stesso, e ora Galbatorix gli ha ordinato di eliminarti. Nessuno si accorge mai di quando i fatti delle previsioni si avverano” concluse Solembum scrollando la spalle e guardandosi attorno, il viso furbo da bambino particolarmente arzillo.
“Ma forse se qualcuno me lo avesse detto a quest’ora sarebbe tutto risolto” disse Ellen rivolgendo a Saphira uno sguardo accusatorio.
“Di sicuro avrà avuto i suoi buoni motivi” affermò convinto Solembum.
  Visto?, chiese Saphira con voce melliflua, sbuffando una nuvoletta di fumo.
Restarono a parlare loro tre fino a che tutti se ne andarono. Formavano uno strano gruppo e la gente si fermava spesso e volentieri a guardarli: il bambino con i denti a punta, la mezz’elfa e la dragonessa blu.
Alla fine la stanchezza e la troppa birra ebbero la meglio, ed Ellen si avviò alla tenda che condivideva con Arya esibendosi in un grosso sbadiglio, mentre Solembum, ritrasformatosi in gatto, e Saphira, si allontanavano chiacchierando. Arrivata alla tenda Ellen si addormentò non appena ebbe posato la testa sul cuscino; un leggero sorriso dipinto sul volto, una piccola lacrima in fondo all’anima.

Un grido svegliò Ellen di soprassalto e la fece alzare. Velocemente si fiondò fuori dalla sua tenda. C’erano persone che gridavano e soldati che correvano da tutte le parti. Fermò il primo uomo che vide e chiese: “Che cosa succede?”.
“Ci hanno attaccati all’improvviso. Le donne e i bambini stanno partendo alla volta del Surda” rispose subito il soldato.
Ellen imprecò e rientrò nella tenda, si stava mettendo l’armatura quando qualcuno entrò nella tenda. “Che cosa fai?” chiese Arya con sguardo di disapprovazione.
“Arrivo! Arrivo subito!” esclamò Ellen leggermente nel panico, stringendo i lacci degli stivali e balzellando per mantenere l’equilibrio su una gamba sola.
“No, no. Tu te ne vai con gli altri” disse Arya prendendo le sue cose e mettendole in una borsa velocemente.
“Cosa?” chiese Ellen interdetta, raddrizzandosi.
“Sei ferita. Non puoi combattere. Finché non guarirai del tutto ho detto a Katrina di prendersi cura di te, anche lei partirà per il Surda” disse Arya chiudendo seccamente la borsa e porgendogliela.
“Ma …”. Ellen avrebbe tanto voluto dire di poter combattere, ma lo sapeva benissimo anche lei che non era vero. La ferita era ancora aperta e se avesse combattuto non avrebbe fatto altro che farla sanguinare di nuovo. “D’accordo” disse infine. Non le pareva il caso di restare lì a discutere, quindi filò via, prese il suo cavallo Dimitri e si mise a cercare Katrina fra la folla.
Quando la individuò, assieme raggiunsero il soldato che avrebbe condotto gli anziani, i feriti più gravi, le donne e i bambini fino ad un luogo sicuro da dove avrebbero poi potuto procedere da soli fino al Surda. In capo a un quarto d’ora erano fuori pericolo, e cominciarono la lenta marcia fino alle regioni del sud.
La lunga carovana camminò per giorni interi senza mai fermarsi se non per dormire e mangiare, ed arrivarono al Surda in una settimana circa.
Furono accolti dalla popolazione al meglio, e si insediarono vicino al confine della capitale. Gli abitanti del Surda erano molto curiosi di ricevere notizie riguardo la guerra e come andava il fronte. Molti chiesero dove fossero i loro parenti, ma quasi nessuno ricordava volti e nomi di tutti i guerrieri che ogni giorno si vedevano all’accampamento.
Nel giro di tre settimane tutti si erano insediati bene nel Surda, i più fortunati avevano trovato un lavoro e alcuni trattavano addirittura per l’acquisto di una casa. Ellen si era completamente ripresa e l’unica cosa che restava della sua ferita era una cicatrice che partiva dall’ombelico e, parallelamente al terreno, andava verso sinistra. Non le faceva più male e non le impediva alcun movimento, era solo strana da guardare. Nodosa e più bianca del resto del ventre, ogni volta che capitava Ellen aveva preso l’abitudine di passarci sopra un dito, era diventato un vizio.
“Katrina, sto per ripartire” disse Ellen una sera a cena.
“Vuoi che ti prepari qualcosa da portarti per il viaggio?” chiese lei con tono distaccato.
“Solo se ti va di metterti a cucinare” disse Ellen con un sorriso.
“Non c’è problema”.
Per un po’ Katrina aveva sperato, ma senza farsi troppe illusioni, che Ellen sarebbe rimasta lì con lei. Nella sua mente ogni volta si diceva che Ellen di sicuro sarebbe ripartita da un momento all’altro, ma il suo cuore voleva troppo fortemente che lei restasse, così quando la ragazza le annunciò la sua imminente partenza non se ne stupì, ma vi rimase molto male.
Il giorno dopo Ellen salutò Katrina e gli altri abitanti di Cahrvahall che aveva conosciuto e, balzando in groppa a Dimitri, cominciò a galoppare verso le Pianure Ardenti. In pochi giorni fu in vista dell’accampamento.
Fece fermare Dimitri e osservò le tende messe in file ordinate. Rimase lì almeno un quarto d’ora a rimuginare su quello che stava per fare, ma alla fine decise.
“Vai Dimitri. Vai bello!” disse muovendo le redini e dando dei calcetti ai fianchi del cavallo, che subito ripartì. Aggirò l’accampamento e proseguì lungo la strada, diretta ad Uru’baen.

“Mi scusi, vorrei affittare una stanza” esordì Ellen una volta entrata nella locanda, coperta da un mantello con cappuccio che lasciava intravedere solo il suo viso.
“Per quanto tempo?” chiese l’uomo dietro al bancone pulendo un grosso boccale e masticando qualcosa che sembrava tabacco.
“Una settimana”.
L’oste le mostrò la stanza ed Ellen pagò anticipatamente tre giorni, poi mise le sue cose al sicuro, premurandosi di tenere con sé la spada e il denaro. Prese un elastico e si legò i capelli, poi si mise una parrucca di stopposi capelli lunghi e biondi, indossò uno dei suoi migliori vestiti e delle scarpe non proprio adatte a camminare. Ecco, pensò guardandosi allo specchio, non potrei essere più diversa dal solito di così. Speriamo che nessuno mi riconosca.
Ormai era pomeriggio inoltrato, ma decise di uscire lo stesso. Si recò subito al castello di Galbatorix, ma non vi gettò più uno sguardo, girando attorno alle alte mura. Dopo quel superficiale esame tornò alla locanda.
I giorni presero ad assumere un andamento regolare: Ellen si alzava, si travestiva per quanto le fosse possibile, andava a trovare Dimitri alla scuderia e poi raggiungeva il castello. Girellava un po’ lì attorno senza farsi notare dalle guardie.
Aveva trovato tre possibili entrate: una consisteva semplicemente nello scalare il cancello in ferro battuto e poi cercare una porta dalla quale entrare, ma era fin troppo rischioso; un’altra entrata era una porticina che usavano i soldati per entrare e uscire dal castello, ma probabilmente al di là della porta brulicava di guardie, così quella era esclusa. L’ultima entrata, che poteva benissimo soddisfare i criteri ricercati da Ellen, era in realtà una botola che si apriva a diversi isolati dal castello, e che Murtagh le aveva mostrato quando era stata con lui nella capitale. La botola era un passaggio che permetteva al Re di uscire da palazzo senza essere notato in caso di rivolta cittadina. L’unico problema era che Ellen non sapeva dove sbucasse, ma era il metodo più sicuro per entrare nel castello.
La sera del quarto giorno Ellen si vestì con i suoi soliti abiti, comodi e pronti per l’azione, e si addentrò fra le vie della capitale. Quel pomeriggio aveva comprato da un fabbro diversi attrezzi, siccome l’apertura della botola doveva essere forzata, ed era chiusa da una spessa catena in ferro che si poteva aprire solo dall’interno.
Ellen, raggiunta la via, si chinò sulla botola, quasi invisibile agli occhi di chi passava, e prese ad armeggiare con quelle specie di grosse cesoie che il fabbro gli aveva venduto. Per venti minuti buoni, aiutata dalla magia, sudò su quelle catene, e alla fine riuscì a spezzarle. Aprì la botola e accese la torcia che aveva portato con sé. Dentro si vedevano degli scalini che sparivano nel buio. Ellen si guardò attorno un’ultima volta e si addentrò nel buio della galleria, chiudendo la botola sopra di sé.
Dentro lo stretto tunnel c’era odore di muffa e umido, e le pareti erano ricoperte da uno spesso strato di fanghiglia che gocciolava a terra, e della muffa verdastra si arrampicava lungo le pareti. Ellen avanzò e man mano che andava avanti il clima nello stretto anfratto si faceva più secco, la muffa spariva e il fango si seccava e rimaneva attaccato alle pareti e al soffitto. Ancora qualche minuto di cammino ed Ellen trovò delle scale a chioccola. Le salì, guardando verso l’alto, e sembravano non finire mai quando, ad un tratto, picchiò la testa contro qualcosa di duro. Ellen alzò la torcia e vide una seconda porticina sul soffitto.
Ellen la spinse delicatamente verso l’alto e quella si aprì senza fare resistenza. Era nello studio di Galbatorix, lo riconobbe dalla scrivania e dall’immensa libreria.
Ellen spense la lampada e la lasciò dentro il tunnel. Certo, poteva benissimo farsi luce con la magia, ma questo voleva dire sprecare energie, quindi aveva deciso di portare con sé la torcia il più a lungo possibile. Un sottile raggio di luna entrava da una finestrella in alto e illuminava vagamente la stanza. Ellen avanzò fino alla porta e posò un orecchia sul legno, ma al di là non sentì nulla.
  Speriamo bene.
Forzò la serratura con la magia e aprì piano la porta. Aveva indovinato: nel corridoio non c’era nessuno. Fece mente locale per ricordarsi dove si trovasse la stanza che stava cercando, e si diresse verso il lato sud dell’edificio. I corridoi e le sale erano oppresse da un silenzio irreale, tanto che quando sentì lo squittio di un topo Ellen sobbalzò e maledisse l’animale, imprecando sottovoce. Il cuore le batteva fortissimo, e ad ogni angolo pensava di trovare un soldato pronto a denunciare la sua intromissione dentro al castello.
Finalmente raggiunse la torre che stava cercando ma, all’inizio delle scale a chiocciola, vi era un guardia che le dava le spalle. C’era troppo silenzio nel castello, non poteva battersi con lui senza svegliare tutti quanti, così fece rifluire la magia nelle mani e le puntò verso l’uomo, sussurrando un’antica parola.
Il soldato si accasciò all’istante, ed Ellen accorse subito a sorreggerlo, impedendo che quello facesse troppo rumore nella caduta con l’armatura. Cercando di essere il più silenziosa possibile trascinò il soldato in un angolo buio e lo lasciò lì, morto.
Ellen salì le scale che portavano alla torre in tutta fretta e raggiunse la porta che stava cercando. Cercò di aprirla con la magia, ma non ci riuscì, provò con i metodi tradizionali, ma fallì di nuovo. Imprecando fra sé e sé tornò di corsa all’ufficio di Galbatorix e si mise a cercare dappertutto: nella scrivania, fra i libri e le mensole, cercò addirittura uno scomparto segreto che sapeva esserci da qualche parte. Niente! Aveva cercato per quasi mezz’ora e alla fine, scoraggiata, si buttò sulla poltrona e si mise le mani fra i capelli.
  Ma dove può averla messa? Ne abbiamo parlato per così tanto quando ero alla corte! Mi ha anche portata alla stanza, ma da dove diamine ha preso la chiave?, Ellen cercò, ancora una volta, di ricordare la scena.
Galbatorix aveva voluto mostrarle l’ultimo uovo di drago rimasto in Alagesia, che si trovava in cima alla torre sud del castello. Quando vi aveva portato Ellen e Murtagh non era andato nello studio a prenderla, ma aveva staccato un grosso mazzo di chiavi dalla cintura. Significava per caso che lo teneva sempre con sé? Doveva entrare di straforo negli alloggi del re per poter ottenere quella chiave?!
Ellen si alzò e lasciò l’ufficio, diretta alla stanza di Galbatorix, che più che una stanza sola, pareva un’intera casa! Quando si trovò di fronte la porta di legno lavorato e arricchita con placche di metallo ricoperto d’oro ebbe un groppo alla gola. Si chinò per sbirciare attraverso il buco della serratura e intravide, nell’oscurità, il lavabo e i piedi del grosso letto a baldacchino a forma di zampe di leone. Ancora una volta Ellen forzò la serratura ed entrò. Vide Galbatorix disteso a letto girato verso il lato opposto della stanza. Ellen aveva paura addirittura che il suo cuore battesse troppo forte, e potesse in qualche modo tradirla.
Avanzò lentamente lungo la stanza buia e si avvicinò al comò. Aprì qualche cassetto silenziosamente e frugò fra le cose del re, con un occhio sempre a scrutare la figura dello stesso addormentato al suo fianco. Se si fosse svegliato …
Alla fine, dopo innumerevoli balzi al cuore per dei semplici movimenti che Galbatorix compiva nel sonno, Ellen trovò quello che cercava. Vide il mazzo di chiavi e, senza nemmeno stare a cercare quella giusta, lo prese tutto e scappò dalla stanza. Si chiuse lentamente la porta alle spalle e prese a correre, il più silenziosamente possibile, lontano da Galbatorix. In quel momento ogni luogo andava bene, purché fosse lontano da lui.
Raggiunse in breve tempo la porta in cima alla torre e la aprì. Esultò piano quando sentì la serratura scattare, e spinse la pesante porta di legno entico. All’interno vi era solo un piccolo altare in marmo e, sopra di esso, scintillava l’uovo di drago. Era di un colore verde acido, in contrasto con tutto il resto della stanza grigia e pallida. In confronto alla pietra, l’uovo sembrava sprizzare vita da ogni liscio centimetro della sua superficie. Ellen, velocemente, lo prese, con una certa reverenza, e lo infilò nella grossa borsa di cuoio che si era portata dietro apposta per quello scopo.
Con l’impressione di essersi tolta un peso scese in fretta le scale. Ad un tratto si ritrovò di fronte un giovane soldato dagli occhi azzurro ghiaccio. Quello la guardò con l’aria talmente spaurita che Ellen, senza riflettere, lo spinse da parte e riprese a scendere, saltando tre gradini alla volta.
“Hey!” esclamò quello voltandosi e inseguendola. Ellen imprecò e, una volta scese tutte le scale, estrasse la spada e si girò verso di lui. Nel frattempo il soldato sembrava aver ritrovato un poco di coraggio e l’affrontò. In poche mosse lo uccise, ma il clangore delle spade stava attirando altre guardie. Ellen sentiva i loro passi provenire dal fondo del corridoio, così iniziò a correre verso lo studio del re. I passi dei soldati si avvicinavano sempre di più. Ad un tratto si voltò e vide una decina di uomini correre dietro di lei lungo il corridoio. Ellen si fermò e, voltandosi, fece rifluire l’energia nelle mani.
I soldati sentirono solo che la ragazza gridava qualcosa e una terribile onda, come energia pura, trasparente e veloce come l’aria, venne scagliata contro di loro, e quelli vennero gettati con forza contro il muro, investiti da quell’entità sconosciuta. Alcuni svennero, altri rimasero solamente storditi. Ellen sentì che molte delle sue forze venivano meno, e si affrettò a raggiungere lo studio, chiudendosi la porta alle spalle. Velocemente, s’intrufolò nella botola e fece tutta la strada all’indietro.
Una volta fuori nella notte, tornò alla locanda dove alloggiava e prese le sue cose, mettendole nella stessa borsa dove si trovava l’uovo di drago. Stava per andare a prendere Dimitri quando venne fermata da un’ombra scura. La ragazza guardò meglio, poi esclamò, al culmine della disperazione: “Murtagh!”.
“Ciao Ellen” rispose lui laconico, come se quella situazione non avesse nulla strano. La ragazza non aveva alcuna voglia di combattere, era stata sciocca, e aveva usato gran parte delle sue energie per respingere i soldati,  e ora sentiva di non aveva forze a sufficienza per battersi. Contro Murtagh, poi! Un avversario molto valido.
Ellen si strinse la borsa al corpo e incominciò a correre. Sentì Murtagh imprecare dietro di lei e seguirla. Ellen entrò in vie sconosciute, e pregò che non gli capitasse un vicolo cieco. Correva da forse dieci minuti, le gambe avevano cominciato a farsi pesanti e il respiro le mancava, ma dietro di lei Murtagh non accennava a rallentare, anzi Ellen sospettava che non stesse nemmeno correndo troppo veloce per le sue capacità. Entrò in una piccola via totalmente buia e, quando passò affianco ad una traversa, fece solo in tempo a vedere una mano bianca spuntare dal buio e afferrarla per la spalla. Si era agitata talmente tanto che non era riuscita a vedere chi l’avesse fermata, ma delle mani nervose la fecero sedere dietro ad alcuni grossi sacchi di farina che si trovavano nel cortile retrostante ad un mulino.
Rimase in silenzio mentre il suo salvatore tornava alla sua postazione iniziale. Sentì qualcuno arrivare, poi la voce concitata di Murtagh che chiedeva: “Hai visto qualcuno passare di qui?”.
“Si, una ragazza. E’ andata di là” rispose la voce di un giovane uomo. Passarono alcuni secondi, poi una figura scura venne a prendere Ellen, porgendole una mano. La ragazza la prese e seguì lo straniero lungo una via lì vicino. Lui era del tutto coperto da un mantello con cappuccio, quindi Ellen non riuscì a scorgere nulla del suo viso. Il giovane le indicò il retro di un carro e lei vi salì.
“Ma il mio cavallo. Il cavallo …” tentò di dire la ragazza.
“Dove si trova?” chiese lo straniero.
“Alla locanda De
l Re, è l’unico cavallo” rispose prontamente Ellen. Lo straniero si voltò e sparì di nuovo. Ellen si guardò attorno, si trovava in mezzo a diversi sacchi, alcuni dei quali mandavano uno strano odore. Si sistemò sul fondo del carro e cercò di coprirsi ad occhi estranei con i sacchi.
Lì, al buio, con la borsa contenente l’uovo di drago stretta al petto, si ripromise di aspettare il ritorno del gentile straniero che l’aveva salvata, di riprendersi Dimitri, e di filare via dalla capitale. Purtroppo, neanche dieci minuti dopo essersi fatta quella promessa, si addormentò.

Tegrish sbirciò dentro il carro e vide la ragazza addormentata. Sospirò e andò verso il cavallo. Lo legò al carro assieme alla sua purosangue Stella, che era sprecata per tirare il carro anche se, occasionalmente, faceva anche da cavalcatura. Legò i due animali vicini e, siccome Dimitri era agitato, cercò di calmarlo. “Buono, buono. Fra un po’ la tua padrona si sveglia”. Provò a dare da bere al cavallo e dopo un po’ quello si calmò, limitandosi a guardarsi attorno con aria intelligente e un po’ ansiosa.
Tegrish salì sul carro e prese le redini, guidando i due animali fino alle porte di Uru’baen. Una volta lì e dopo aver pagato un alto pedaggio, uscì nell’aperta campagna e si diresse lentamente verso sud.




Wow che fatica. Questo capitolo è stato complicato da scrivere. Per dovere devo proprio dirvi che l'idea del tunnel sotterraneo non è un'idea mia, ma è un tunnel che c'era fra due edifici a Firenze. Comunque, so che non v'interessa (l'unica lesa a cui interessano queste cose sono io -.-'' XD). Piuttsto festeggiamo il recupero dell'uovo! Yee! *prende una bottigia di champagne e brinda sul naso di Saphira*
KissyKikka: grazie mille per la recensione! ^^ Per vedere Murtagh libero dovremmo aspettare un po' in realtà, mi dispiace. Ma con questo capitolo spero di aver aperto altre prospettive ai lettori e averli incuriositi sul futuro di questa storia. Tu che ne dici? Ci sono riuscita? Ancora molte grazie ^^ un bacio <3
Al prossimo capitolo, prodi lettori!
Patty.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Lo straniero gentile ***


Capitolo cinque: Lo straniero gentile

La mattina dopo Ellen venne svegliata dal lento e ritmico dondolare del carro. Sollevandosi si rese conto di aver male in tutto il corpo: la posizione che aveva usato per dormire era tutt’altro che comoda. Si mise seduta e si sporse in avanti, verso la figura che guidava il carro.
Ellen si schiarì la voce e il ragazzo sussultò, voltandosi verso di lei. “Oh scusa, non volevo spaventarti” disse Ellen.
“Non importa” disse il ragazzo sistemandosi sulla testa un cappello nero malconcio e accennando un sorriso. “Puoi venire davanti se vuoi” disse lui spostandosi verso sinistra per farle spazio.
“Grazie” disse Ellen arrampicandosi e sedendosi affianco a lui. Una volta sistemata osservò meglio il ragazzo.
Non poteva avere più di quindici anni, era piuttosto mingherlino, aveva un colorito pallido e i capelli biondi un po’ mossi, lasciati abbastanza lunghi perché i riccioli si scuotessero al minimo movimento della sua testa. I suoi occhi erano verde chiaro e sulle labbra aveva ancora quel leggero sorriso, mentre guardava la strada sterrata di fronte a sé.
“Io sono Ellen” esordì la ragazza porgendogli la mano.
“Tegrish” disse lui stringendola.
“Bene” sussurrò Ellen. Non sapeva bene come dirlo, ma alla fine prese parola: “Grazie per ieri. Mi sei stato di grande aiuto”.
“Solo di aiuto?” chiese lui.
“Hm … ok, se non ci fossi stato tu probabilmente a quest’ora sarei di fronte a Galbatorix in persona”.
“Allora devi aver fatto qualcosa di molto grave” asserì Tegrish scoccandole un’occhiata, sempre con quel sorriso enigmatico che sembrava giudicare con ironia eppure allo stesso tempo era estremamente sincero.
“Infatti …” disse Ellen guardando altrove. I due continuarono a viaggiare rimanendo in silenzio per un po’. “Dove stai andando?” chiese poi la ragazza.
“In giro. Sono un mago” rispose Tegrish in risposta all’occhiata interrogativa di Ellen. “Per ora ci stiamo dirigendo verso sud e, alla prossima città, ci fermeremo. Da lì se vorrai potrai proseguire da sola, ma io non ho nulla in contrario a viaggiare in compagnia”.
“D’accordo. Io sono diretta alle Pianure Ardenti,” Ellen esitò, non sapeva se poteva dire a quello sconosciuto, per quanto sembrasse inoffensivo e l’avesse salvata, che lei era una ribelle, ma per fortuna lui sembrava già al corrente di molte cose.
“Ah le Pianure! Fai per caso parte dell’esercito del Varden?”.
“Si”.
“Magari potrei fare un salto anch’io a vedere come vanno le cose laggiù. Ci saranno parecchi feriti da curare” osservò Tegrish.
“Sei un medico?” chiese curiosa Ellen.
“Si, viaggio un po’ dappertutto e uso la magia e le erbe per curare chi non si può permettere un dottore. Di solito sono sempre gentili con me, perché in cambio non chiedo molto denaro. Oppure chiedo cibo per me o per Stella” disse indicando il cavallo.
In poche ore raggiunsero un piccolo villaggio di cui Ellen non sapeva nemmeno l’esistenza. Tegrish cominciò a passare per le vie e si fermò ad un piazza, poi prese ad esporre diverse merci, fra cui boccette di liquido denso e maleodorante, pomate e altre cose del genere. Alcune persone arrivarono a chiedere cosa vendeva e lui s’intrattenne gentilmente con tutti. Ellen, nel frattempo, si guardava attorno incuriosita, pensando di dare un’occhiata al villaggio.
Stava proprio andando a dire a Tegrish che andava a fare un giro, quando videro un uomo correre verso di loro. Si fermò davanti a Tegrish e riprese fiato rumorosamente poi, con ancora il fiatone, chiese: “Lei è un dottore?”.
“Certo” rispose subito Tegrish allarmato.
“Mia figlia …” l’uomo non riusciva a parlare, “mia figlia è malata. La stanno portando qui. La prego, deve fare qualcosa” lo supplicò.
“Che cos’ha?” chiese Tegrish osservando l’uomo.
“E’ da una settimana che ha la febbre altissima, e la tosse, e delle ferite lungo tutto il corpo!” esclamò l’uomo.
Ellen vide, in fondo alla strada, arrivare degli uomini. Uno di loro portava in braccio una bambina di circa nove anni, e dietro di lui una donna con occhi rossi e gonfi di pianto li seguiva. Tegrish corse sul retro del carro, ormai sgombro dalla merce, e vi stese una coperta. “Portatela qui!” esclamò rivolto agli uomini. Quelli eseguirono ed Ellen, quando Tegrish fu chino ad esaminare il corpo febbricitante delle bambina, si avvicinò a lui. Scoprendogli le gambe Tegrish vide che aveva diverse piaghe violacee, alcune delle quali sanguinavano.
“Che cos’ha?” chiese con voce angosciata la madre della bambina.
“Non lo so. Non ho mai visto nulla del genere” mormorò Tegrish osservando la bambina con occhio esperto.
“Le ferite si possono curare con la magia” disse improvvisamente Ellen. Tegrish la guardò stupefatto. “Posso farlo io” propose la ragazza.
“Ma anche se le ferite venissero curate, la malattia rimarrebbe. Dobbiamo capire da dove viene” disse Tegrish riprendendosi dallo stupore. Controllò più volte la bambina, chiese i sintomi della malattia e che cosa, secondo i genitori, l’avrebbe causata. Alla fine giunse alla conclusione: “Dev’essere a causa di un’infezione a qualche organo interno, ma non saprei dire quale, probabilmnte ha mangiato qualcosa di strano”.
Alla fine decise di provare a guarirla con la magia e posò le mani sul ventre della bambina. Tegrish si concentrò e cominciò a guarirla, ma sentiva che la malattia era troppo per lui, e se non si fosse fermato avrebbe prosciugato tutte le sue energie. Ellen si accorse dello sguardo sempre più sofferente del ragazzo, e delle goccioline di sudore sulla fronte che erano cominciate a spuntare sulla sua fronte.
“Ti aiuto” disse la ragazza posando i palmi delle mani affianco a quelle di Tegrish. Assieme presero a curare la bambina e, dopo almeno mezz’ora, durante la quale tutti e due si stancarono, tolsero le mani e Tegrish assicurò ai genitori che in pochi giorni la febbre sarebbe passata. Poi diede loro delle pomate per curare le ferite della figlia e li congedò.
“Grazie mille” disse subito l’uomo. “Non saprei come sdebitarmi; non siamo una famiglia molto ricca, ma le offrirò anche tutto il denaro che ho per ripagarvi”.
“Non potremmo mai togliervi tutto il vostro denaro” disse Tegrish riprendendo il consueto, leggero sorriso e asciugandosi la fronte con un fazzoletto. “Ma forse potremmo avere un po’ d’acqua e di cibo per noi e i cavalli”.
“Ma certo! Tutto quello che volete!” esclamò l’uomo raggiante.
“Mi farebbe piacere se veniste a pranzo da noi” disse la moglie, una signora bassa e pienotta dal viso gentile. Tegrish ed Ellen si guardarono e lui accettò l’invito.
Quel pomeriggio restarono a pranzo dalla famiglia della bambina che avevano guarito, poi il padre insistette per rifornirli di provviste. Il risultato fu che lasciarono il villaggio pieni di riso, carne sotto sale e una grossa borraccia piena di vino.
Quella sera si fermarono lungo la strada e, dopo aver cenato, Tegrish disse: “Non sapevo che potessi usare la magia. Sei un mago anche tu?”.
“Più o meno. Mia madre è di razza elfica, quindi ho ereditato i suoi poteri, ma non sono ancora così esperta come la maggior parte degli altri elfi”.
“Wow. Questo spiega molte cose”.
“Stavo pensando …” disse Ellen esprimendo in quel momento un pensiero che da tanto la tormentava, “tu devi sapere molte cose sulla magia”.
“Detto da un’elfa questo sì che è un complimento” disse Tegrish ridendo.
“Una mezza elfa” precisò Ellen.
“Mezza” acconsentì il ragazzo.
“Comunque … se in un duello io volessi usare la magia, ucciderei subito il mio avversario, non è così?”.
“E’ vero. Nei duelli magici non si tratta di forza, ma di quanta energia sei disposto a perdere e con quanta velocità sferri il tuo attacco. Però molto spesso gli stregoni, o coloro che possono usare la magia, si proteggono con diversi incantesimi. Il pericolo che puoi correre è che gli incantesimi di protezione ti risucchino troppa energia, e tu non riesca più a combattere”.
“Quindi non molte persone li usano” disse Ellen.
“Si possono usare se hai dell’energia di riserva. Ad esempio, l’energia si può conservare in una pietra preziosa, o cose del genere. I Cavalieri dei draghi mettevano la loro energia nella pietra che di solito si trovava incastonata nell’elsa della spada”.
“Davvero?” chiese stupita Ellen.
Tegrish annuì. “T’interessi di duelli?”.
“In verità pensavo che, se fossi stata coinvolta in un duello contro un mago, non avrei saputo cosa fare se lui avesse usato la magia”.
“Credi che ti voglia attaccare?” chiese Tegrish con una risata cristallina.
“No,” rispose Ellen ridendo a sua volta, “ero solo curiosa”.
“Dipende che incantesimi il tuo avversario ha usato per proteggersi. Di solito sono sempre gli stessi, in realtà, quindi ti converrebbe usare, per attaccarlo, incantesimi non troppo comune nelle battaglie. Incantesimi che non si aspetta di ricevere, talmente piccoli che alla lunga danno fastidio e feriscono l’avversario, ma che nessuno prende seriamente in considerazione”.
“Sai un sacco di cose anche tu sui duelli” osservò Ellen.
“Anche mio padre era un mago. Prima viaggiavo assieme a lui, era lui quello più interessato alle battaglie fra tutti e due. Mi ha insegnato a combattere con la magia e con le armi, diceva che prima o poi sarebbe stato utile, ma fin’ora per fortuna non mi è servito”.
“E ora dov’è tuo padre?” chiese Ellen, ma si pentì subito di quella domanda. In tempo di guerra, poteva benissimo ipotizzare che al padre di Tegrish fosse successo qualcosa di spiacevole. Stupida!, si disse.
E infatti il ragazzo abbassò la testa, e quel sorriso che sembrava portare dappertutto si spense. “E’ stato catturato dall’Impero. Non so dove sia ora. A Galbatorix non piace che ci sia qualcuno che aiuta la gente povera e, soprattutto, i ribelli. Mio padre adorava i Varden, appena poteva andava da loro per dare una mano, ma l’anno scorso è stato catturato da un reggimento di soldati, perché considerato alla pari dei nemici dell’Impero”.
“Mi dispiace …” disse Ellen a voce bassa. Rimasero in silenzio per un po’, poi Tegrish si alzò e si diresse al carro, tirando fuori due coperte.
“E’ ora di dormire, domani dobbiamo svegliarci presto. Se non incontriamo un altro villaggio forse in poco tempo arriveremo alle Pianure Ardenti. Se sei di fretta vai pure, ma io preferisco fermarmi, è il mio lavoro dopotutto”.
“No, ti accompagno” disse Ellen prendendo la coperta che il ragazzo le porgeva. Si diedero la buonanotte ed entrambi si addormentarono all’istante, dando l’uno le spalle all’altro.

Si fermarono in un altro villaggio una settimana dopo e, la settimana dopo ancora, giunsero in vista dell’accampamento.
“Mi è appena venuta in mente una cosa” disse Ellen vedendo le tende allineate in file ordinate.
“Che cosa?” chiese Tegrish guidando il carro.
“Qui all’accampamento c’è una persona che forse ti farebbe piacere conoscere”.
“Davvero? Chi?” chiese il ragazzo estremamente curioso.
“E’ un’erborista. Aiuta i Varden sia con la spada che con i suoi rimedi strampalati” disse Ellen sorridendo. “Si chiama Angela, e con lei c’è anche un gatto mannaro di nome Solembum”.
“Aveva per caso un negozio una volta?” chiese Tegrish.
“Si”.
“Allora so di chi stai parlando!” esclamò il ragazzo. “Tutti conoscono Angela. Se non di persona, almeno per fama. Tra i maghi, le fattucchiere, i negormanti e gli erboristi è quella che, di sicuro, gode di più prestigio. Io non l’ho mai conosciuta, ma ne ho sentito spesso parlare. Dicono che sia abbastanza avanti con l’età, ma che non lo dimostri per nulla. E’ così?”.    
“E’ proprio così” assicurò Ellen.
Quando arrivarono all’accampamento incontrarono diverse persone che Ellen conosceva di vista, poi la ragazza cercò di contattare Saphira. Saphira sono Ellen, sono guarita e sono tornata.
  Ellen! Che bello! Ti senti bene?
  Molto, e ho bisogno del tuo aiuto e di quello di Eragon. Dovete avvisare Nasuada e tutti i capi dell’accampamento, ho una cosa importante da dirvi. Saphira sentì l’eccitazione trasparire da Ellen. Anche se non la poteva vedere, l’avvertiva nei suoi pensieri.
  Che cos’è successo? Dai raccontami.
  Sarà una sorpresa per tutti, soprattutto per te!
  Così non fai altro che incuriosirmi ancora di più! Dai dimmi che cosa c’è! Non vorrai incontrare l’ira del drago, per caso?
  No, certo che no! Potresti incenerirmi in un solo istante!, esclamò Ellen con finta preoccupazione.
Dopo mezz’ora Ellen aveva portato Tegrish alla sua tenda e tutti e due avevano liberato il rispettivo cavallo per portarlo alla scuderia. Così, Tegrish annunciò: “Credo che andrò in giro a vedere se c’è bisogno di me da qualche parte. E non si sa mai, potrei anche incontrare la famigerata Angela”.
“Può darsi. Ci vediamo in giro Tegrish, sono lieta di averti conosciuto” disse Ellen.
“Anche per me è stato un onore” rispose il ragazzino stringendole la mano che la ragazza porgeva. Ellen lo guardò allontanarsi, i ricci biondi che si muovevano al ritmo del suo passo. Si riscosse e andò verso la tenda di Nasuada. Dentro c’erano già Orik, il capo degli Urgali Nar Garzvogh, Arya, Eragon e Saphira, il cui muso spuntava dentro la tenda. Ellen salutò tutti e rivolse anche un saluto gentile ma tirato al Kull.
“Ci stai tenendo tutti sulle spine Ellen.” osservò Orik, “Cos’è che vuoi dirci?”.
“Ve lo dirò quando arriverà anche Nasuada. Non vorrei dover ripetere la storia” disse lei raggiante. “Ma per stimolare la vostra curiosità vi dirò che questo segnerà una svolta per i Varden e tutti i ribelli di Alagaesia!”.
In pochi minuti, scortati da alcune guardie, Nasuada e Orrin arrivarono alla tenda. “Scusateci il ritardo” disse subito re Orrin. “Io e Nasuada discutevamo su alcune questioni politiche”. I due si sedettero, e allora lo sguardo di tutti si rivolse verso Ellen, che teneva stretta a sé la sua borsa di cuoio dove si trovava l’uovo.
Prese un grosso respiro ed incominciò: “Dopo essere guarita nel Surda, grazie anche agli abitanti, che sono stati molto gentili con noi” disse rivolgendo uno sguardo ad Orrin, che ricambiò con un cenno del capo, “stavo per tornare all’accampamento ma poi mi sono recata a Uru’baen. Lì, grazie a diverse informazioni che avevo ricevuto quando alloggiavo … alla corte, sono riuscita ad entrare di nascosto nel castello, e ho preso …” Ellen mise le mani nella borsa ed estrasse il luccicante uovo verde, “questo” concluse posandolo sul tavolo.
Saphira, i grossi occhi spalancati e il collo rigido, sbuffò, e una fiammata di considerevoli dimensioni andò quasi a colpire Orrin, che si ritrasse spaventato. Nel frattempo gli altri osservavano l’uovo con il fiato sospeso, e solo dopo un po’ Orik si arrischiò a dire: “B’è … non è stata una storia lunga”. Eragon si voltò verso di lui stupito e, lentamente, si mise a ridere. In poco tempo tutti, nella piccola tenda, incominciarono prima a sorridere debolmente, poi a lasciarsi andare a grossi sorrisi e a complimentarsi con Ellen, picchiandole grosse manate sulla schiena.
“Però è stato davvero rischioso” disse Arya ad un tratto. “Dovevi avvisarci”.
“Ma se lo avessi fatto mi avreste di sicuro fermata!” esclamò Ellen.
“Dobbiamo subito mandare un messaggio a Ellesmera!”.
“Dobbiamo trovare un altro cavaliere” osservò Eragon.
“Anche tra i Varden forse c’è qualcuno che vorrebbe tentare la fortuna con l’uovo” disse Orik.
“Ma come facciamo a capire chi sarà?” chiese Ellen.
“Di solito, quando si cercava un pretendente” cominciò Arya, “si faceva toccare l’uovo per un po’ ad ogni persona che volesse provarci, e l’uovo sceglieva quando aprirsi al prescelto”.
“Allora faremo così.” disse Nasuada. “Vorrei scrivere una lettera a Islanzadi, naturalmente dovrà essere controfirmata da te Arya, resta qui. Gli altri verranno chiamati quando dovremo annunciare ai Verden, agli abitanti del Surda che si sono uniti a noi, alle truppe di Nar Garzvogh e ai nani che ci hanno gentilmente raggiunto, che abbiamo un altro uovo di drago dalla nostra parte. Da domani metteremo l’uovo nella mia tenda e, chi vorrà, potrà venire a toccarlo, per scoprire chi sarà il prescelto. Se nessuno nell’accampamento risulterà idoneo, invieremo qualcuno che lo trasporti fino ad Ellesmera”.
Dopo che Nasuada ebbe scritto una lettera dai toni ufficiosi a Islanzadi, assieme ad Eragon e a Orrin annunciò l’arrivo dell’uovo fra le truppe, e tutti esultarono.
Il giorno dopo l’uovo venne messo in un palchetto nella tenda di Nasuada, e una lunga fila di pretendenti, che si snodava nell’accampamento per metri e metri, si formò in poco tempo accompagnata da un capanello di curiosi.

Pochi giorni dopo Ellen stava girando nell’accampamento assieme ad Eragon, quando vide Tegrish. “Hei! Tegrish!” lo chiamò. Il ragazzo si voltò e non appena la vide le corse incontro sorridendo come suo solito. Sembra costantemente di buon umore, e questo sembrava dare alla gente che aveva attorno lo stesso stato d’animo.
“Ciao Ellen. Allora era l’uovo che hai trasportato per tutto il tempo mentre eri con me?” chiese non appena li raggiunse.
“Esatto”.
“Mi sono sempre chiesto cosa c’era nella tua borsa. Non la lasciavi neanche un minuto. Ah, salve, io sono Tegrish” disse poi rivolgendosi ad Eragon e porgendogli la mano tesa.
“Eragon” rispose il ragazzo stringendola.
“Tegrish mi ha aiutata quando ero nella capitale, ed è stato talmente gentile da portarmi fino a qui”.
I tre presero a camminare in giro per l’accampamento ma ad un tratto passarono di fronte ad una tenda dove videro un giovane che stava cercando di aggiustare la ruota di un carro, ma non riusciva a sollevarlo a sufficienza per togliere la ruota rovinata. “Aspetta! Ti aiuto” disse Tegrish correndo verso di lui. Assieme i due sollevarono il carro e Tegrish riuscì a levare la ruota danneggiata, così venne poi rimontata quella nuova.
“Grazie” disse il giovane soldato rivolto a Tegrish. Quest’ultimo si congedò e tornò da Ellen ed Eragon.
“Scusate” disse non appena fu di ritorno. I tre rimasero un po’ di tempo a parlare finché non vennero raggiunti da Nar Garzvogh. Lui salutò cortesemente Eragon e gli altri due, poi si rivolse ad Ellen.
“Lady Furianera vuole vederti, e anche voi Cavaliere. Riguarda l’uovo di drago”.
“Si è schiuso?” chiese Ellen.
“No, è proprio di questo che Nasuada vorrebbe parlare. Vi accompagno”.
Ellen guardò Tegrish, poi disse alzando le spalle: “Non credo che ci sia nulla di male se vieni anche tu” e così dicendo lo trascinò fino alla tenda. Una volta arrivati trovarono Nasuada che contemplava intensamente l’uovo verde. Quando li vide arrivare alzò lo sguardo.
“Questo uovo è più selettivo di quanto pensassi. Ellen, voglio che tu parta con l’uovo per Ellesmera immediatamente, tu sei la figlia di Islanzadi, per questo vorrei che andassi. Però questa volta Eragon non potrà seguirti subito, anche se è l’ideale che venga anche lui”.
“Perché io non posso?” chiese Eragon.
“Non vorrei che le truppe si allarmassero vedendoti partire con l’uovo, così prepareremo bene la tua partenza, ma ci vorranno un paio di giorni. Io però voglio che l’uovo parta subito. Ellen … avrei mandato anche Arya, ma credo che alla regina farà piacere rivederti, e non possiamo privarci di troppi uomini validi” concluse Nasuada incrociando le braccia.
“Certo” disse Ellen. “Quando partirò?”.
“Non appena troverai qualcuno che ti accompagni. Se ti lasciassi andare da sola forse Islanzadi se ne avrebbe a male. Gli elfi a volte sono così scuttebili” disse rivolgendo lo sguardo preoccupato altrove, pensando ad altro.
Passarono pochi secondi di silenzio, poi: “Posso accompagnarti io” disse timidamente una voce.
Tutti si voltarono verso Tegrish e, dopo averlo esaminato per bene, Nasuada disse: “Allora partirai ora. Qualcuno prepari delle provviste per il viaggio! Vi consiglierei di costeggiare la Grande Dorsale, ma sarebbe troppo lungo come viaggio, quindi vi rifornirò d’acqua a sufficienza perché possiate passare il Deserto e andare direttamente ad Ellesmera. Ormai i messaggeri sono tornati, e gli elfi aspettano che l’uovo, o il nuovo Cavaliere, li raggiunga”.
“Non abbiamo bisogno d’acqua.” disse subito Ellen, “Possiamo procurarcela con la magia. Anche Tegrish è un mago” aggiunse poi in risposta allo sguardo di Nasuada, che esprimeva insicurezza.
“Benissimo, sarà un peso in meno per i vostri cavalli. Arriverete più velocemente” disse dopo una piccola pausa. “Partirete non appena sarà tutto pronto. Fate il più presto possibile, mi raccomando. Mai come adesso abbiamo bisogno che quell’uovo si schiuda”.
E così partirono, appena mezz’ora dopo. Ellen trasportava l’uovo nella solita borsa di cuoio, ne sentiva il peso come non mai prima di allora.




Ed eccomi qua con un altro capitolo! Un po' lunghetto, ma spero di non avervi annoiato. ^^ B'è, che dire? Mi piace un sacco Tegrish, inventarlo è stata una delle cose più facili che mi siano mai venute. Se esitesse sarebbe la persona più buona del mondo! Che caruccio! <3
Comunque, KissyKikka, grazie per la recensione! ^^ Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto, sono contenta di esser stata capace di rendere la suspance del momento! Al prossimo capitolo, baci <3
E voi altri lettori silenziosi, ditemi un po' cosa ne pensate di Tegrish! Ma si capisce che mi piace un sacco come personaggio? (Nooo! Figurati, NdTutti) Mhuahahah! Scusate -.-
B'è, al prossimo capitolo, recensite mi raccomando! u_u Fate i bravi, e andate a dormire presto, e ricordatevi di mangiare sano. Okay, adesso vado che sto proprio fuori. XD
Patty.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Il nuovo cavaliere ***


Capitolo sei: Il nuovo Cavaliere

Da quando era arrivata una lettera che annunciava il ritrovamento dell’uovo tutti gli elfi erano in tripudio. Avevano iniziato i festeggiamenti, che andarono avanti per diverso tempo. Dopo circa una settimana la regina mandò qualcuno a cercare gli ospiti che sarebbero arrivati con l’uovo. Non credeva che tra i Varden ci fosse una persona adatta a diventare Cavaliere, non le era nemmeno passato per la testa, così si limitava a pensare che presto un giovane di razza elfica avrebbe riportato onore al suo popolo.
Ancora una volta andarono Narì e Lifaen. Dopo una ricerca durata circa tre giorni individuarono due persone nella foresta. Videro che avanzavano a piedi, nonostante avessero dei cavalli, ma erano capitati in un punto talmente fitto di alberi e di radici e cespugli che dovevano guidare le bestie a piedi.
Sul volto di Lifaen si dipinse un leggero sorriso e si avviò elegantemente verso Ellen e il suo compagno di viaggio. Quando furono vicini vide che la ragazza aguzzava lo sguardo, ma non riusciva ad individuarlo, così la chiamò con voce flautata: “Ellen, sei arrivata finalmente”.
La ragazza si voltò verso di lui e, scorgendolo, gli sorrise. Lifaen fece il gesto di saluto elfico e anche Tegrish, cui Ellen aveva insegnato come ci si doveva comportare, salutò con molta educazione Narì e Lifaen.
“Tutti i nuovi arrivati nella Du Waldenvarden sono molto educati” disse Narì rivolto a Tegrish.
Assieme andarono verso Ellesmera e, in capo a due giorni, arrivarono. Gli elfi li accolsero con una gioia che solo loro erano capaci di dare. Cantavano e ridevano di continuo e Islanzadi volle vedere subito l’uovo. Ellen lo consegnò alla madre di persona e si liberò così di quello che le sembrava un peso. Le era infatti parso, per tutto il tempo che lo aveva tenuto, in costante pericolo, e cederlo a qualcun altro con il quale sapeva sarebbe stato più al sicuro, la fece sentire sollevata.
Il giorno stesso del loro arrivo Oromis decise di portare l’uovo nella sua casa, dove gli elfi che lo desideravano avrebbero potuto proporsi al piccolo drago, che aspettava pazientemente.
Passarono un paio di giorni, e gli elfi che andavano a trovare Oromis erano sempre più numerosi, ma Ellen si rese conto che non erano impazienti come i Varden: ogni elfo si prendeva tutto il tempo che riteneva necessario per proporsi all’uovo, così trascorsero alcuni giorni senza che nemmeno un quarto degli elfi di Ellesmera si fosse proposta.
Ellen passava la maggior parte del suo tempo assieme a Tegrish, e lo sfruttava anche per evitare Lifaen, che cercava sempre di avvicinarsi a lei. Un giorno, purtroppo, Tegrish era sparito dalla vista di Ellen, così, mentre la ragazza lo cercava, s’imbatté proprio nell’elfo che voleva più di tutti evitare.
“Ellen” lo salutò quello non appena la vide andandole incontro a grandi falcate.
“Ciao” disse lei un tantino nervosa. “Come stai?”.
“Potrei stare meglio, se solo una certa persona la smettesse di scappare da me” disse guardandola serio.
“Scusa” disse lei abbassando lo sguardo. “Ti va di andare a fare un giro?” chiese poi.
“Si” rispose Lifaen incrociando le mani dietro la schiena e cominciando a camminare. I due presero a passeggiare in mezzo ad Ellesmera, lasciandosi presto alle spalle le case degli elfi ed entrando nella foresta. Lifaen aspettò pazientemente che Ellen parlasse, e alla fine lei cedette.
“Ascolta … dopo essere tornati dai Varden, durante la battaglia delle Pianure Ardenti … ho incontrato Murtagh” disse la ragazza torcendosi le mani. Lifaen chiuse gli occhi e sospirò.
“Sapevo che non lo avevi dimenticato, ma speravo che con il tempo le cose cambiassero. Immagino che la sua ricomparsa cambi molte cose” mormorò l’elfo. Ellen  bisbigliò qualcosa che lui non riuscì a sentire, guardandosi i piedi. “Non è mica colpa tua” disse Lifaen riacquistando il sorriso.
“Mi dispiace” disse Ellen piano.
“Su …”. Lifaen le alzò il mento con la punta delle dita. “E’ meglio che torni dalla regina, credo che voglia tenerti con sé giorno e notte durante la tua permanenza qui” le disse.
Ellen sorrise, felice che l’elfo fosse così di buon’umore nonostante quello che fosse successo. “Si, vado” disse. Lo abbracciò e corse via, facendo un ultimo saluto con la mano.
Quando se ne fu andata Lifaen riprese a camminare lentamente. Non si sentiva in quello stato da anni, era una sorta di tristezza che gli comprimeva un punto imprecisato all’altezza del petto, così forte che sembrava volesse fargli scoppiare il cuore. Era un’angoscia che sapeva non lo avrebbe abbandonato per molto tempo.
Inizialmente aveva cercato di accettare le parole di Ellen senza reagire, ma in cuor suo riteneva quasi impossibile che Murtagh fosse ritornato. Continuava a chiedersi come potesse essere accaduto. E, soprattutto, perché? Perché aveva deciso di ricomparire proprio in quel momento?
Sciocco di un Murtagh!, pensò in preda alla furia.
Lifaen continuava a camminare, ma improvvisamente sentì che non gli bastava più. Prese a correre con uno scatto che felino che solo lui, fra i più veloci elfi, poteva avere. Corse e s’immerse fra gli alberi, sentendo di far parte di quella natura selvatica, che sentiva così vicina eppure così distante da lui. In un crescendo di sensazioni sgradevoli Lifaen prese ad arrampicarsi furiosamente su un albero, saltando, aggrappandosi alla corteccia, tenendosi ad un ramo, arrivò fino a dove poteva spingersi.
Alzò lo sguardo al cielo e vide un drago, del blu più puro che avesse mai visto, volare in direzione della città.
Dall’alto anche Saphira lo vide, e anche se non aveva intenzione di interferire con i sentimenti dell’elfo, sentii un tornado di sensazioni contrastanti provenire da lui, che come un punto lontano nella foresta la osservava impotente e distrutto. Saphira lo osservò per qualche secondo, poi, leggermente dispiaciuta, tornò a guardare avanti.
  Che cosa c’è?, chiese Eragon.
  Nulla, rispose Saphira. Contrasse i muscoli e diede un’altra forte spinta con le ali, che li portò più vicini ad Ellesmera.

“Quanti fino ad ora?” chiese Eragon rivolto ad Oromis.
“Un centinaio” rispose tranquillo il maestro seduto sul bordo di una piccola laguna.
“Che cosa? Così pochi?” esclamò Eragon. “Sono passati dei giorni!”.
“Eragon non ti scaldare, non c’è bisogno che gridi” disse Ellen stizzita, sdraiata sulla pancia.
Lei, Eragon e Tegrish erano andati da Oromis a chiedergli come andava con l’uovo, ma non erano rimasti particolarmente colpiti dalla velocità con cui gli elfi prendevano la cosa. Una giovane elfa se n’era appena andata, ringraziando Oromis per l’onore ricevuto e salutando cortesemente gli altri tre.
“Ok, hai ragione. Però potremmo sveltire le cose, abbiamo assolutamente bisogno che quell’uovo scelga qualcuno. E poi anche se si schiuderà ci vorranno comunque dei mesi perché il Cavaliere e il drago siano sufficientemente pronti” disse Eragon.
“Quindi pochi giorni in più o in meno non cambieranno la situazione” disse Oromis. Eragon sospirò e si arrese: non avrebbe mai vinto contro le ragioni di Oromis. Sapeva essere così paziente!
  E’ inutile parlare con lui, disse a Saphira, che stava svolazzando sopra di loro e seguiva la discussione con una parte della mente.
  Devo dire che ha ragione. Rilassati Eragon, l’uovo sa chi deve scegliere. Se fai così comunque non risolvi nulla, disse la dragonessa sentendo il vento passarle fra le ali.
“Io vado a prendere altro dolce, qualcuno ne vuole?” disse Tegrish alzandosi.
“Io!” esclamò Ellen subito alzando un braccio, e fece per alzarsi.
“Non ti preoccupare, faccio io” disse il ragazzo entrando nella capanna di Oromis, dove si trovava l’uovo.
“Ah, Ellen, come va adesso che sei qui? Le tue forze sono ancora in aumento?” chiese Oromis alla ragazza. Lei infatti gli aveva raccontato quello strano fatto, e sorprese Oromis ad osservarla mentre combatteva più d’una volta.
“Si, direi di si. Più della volta scorsa!” disse lei compiaciuta.
“Ah si?” chiese Oromis interessato. “E come te ne sei accorta?”.
“Riesco a vincere molti più duelli” disse Ellen ridendo. “E’ un’unità di misura forse un po’ variabile, ma la volta scorsa che sono venuta non riuscivo a vincere quasi mai contro voi veri elfi”.
“Ellen” disse l’elfo dopo qualche minuto di silenzio picchiettandosi l’indice sulle labbra, “che cosa ne diresti se facessimo diventare le tue capacità permanenti?”.
“Sul serio?” chiese la ragazza. Oromis annuì. “Ma si! Certo! E poi diventerei come Eragon?” chiese incerta guardando l’amico.
“Che c’è? Non ti piaccio?” chiese lui con un sorriso sornione.
Ellen lo guardò male ma continuò a parlare: “Insomma, diventerei più simile ad un elfo?”.
“Probabilmente si” disse Oromis. “Possiamo fare una specie di rituale come abbiamo fatto per lui.” disse indicando Eragon, “Ma le gemelle tatuate non danzano se non durante l’Agaetì Bloodhren, quindi me ne occuperò io”.
In quel momento una voce insicura proveniente dalla capanna disse: “Eragon? Potresti venire un attimo?”.
“Aspetta un minuto Tegrish!” urlò di rimando Eragon facendo un gesto vago verso l’abitazione, “Ma Ellen è la figlia di Islanzadi.” protestò poi, “Non potrebbero fare uno strappo alla regola?”.
“Sono certa che Oromis saprà bene cosa fare” disse Ellen pensierosa.
“Ovviamente Ellen è solo se lo vuoi. Se non ti va non se ne farà nulla” disse Oromis.
“Eragon!” chiamò ancora la voce di Tegrish, un po’ più insistente.
“Arrivo, aspetta un attimo!” lo rimbeccò ancora Eragon. “Ma Ellen, dovresti farlo. Che t’importa di somigliare più o meno ad un elfo?”.
“No, è che …”.
All’improvviso sentirono una cosa simile ad una piccola esplosione provenire dalla capanna di Oromis. Si guardarono tutti e tre e poi corsero verso la casa. Eragon aprì la porta come una furia. Dentro c’era Tegrish, il volto una maschera di stupore, accasciato a terra con la mano destra alzata, stranamente luccicante, che guardava fisso sul tavolo. E lì, in mezzo ai rimasugli di quello che era stato l’uovo, c’era un piccolo drago verde chiaro che gracchiava e osservava il suo cavaliere con occhi attenti.
Tutti rimasero sulla porta, troppo sorpresi per riuscire a dire alcunché, finché Oromis non prese parola: “Volevi il tuo Drago, no? Spero che ora tu sia soddisfatto” disse l’elfo rivolgendosi ad Eragon con un sorriso compiaciuto sul volto.

“Ma è così strano” disse Tegrish osservando ancora una volta Gylda, la sua dragonessa, svolazzare di qua e di là attorno a Saphira. Entrambe si guardavano con curiosità, Saphira perché aveva visto pochissimi esponenti della sua razza, Gylda invece perché era ancora un cucciolo. Non erano passate che poche settimane infatti, dalla schiusa dell’uovo.
Gli elfi erano rimasti molto sorpresi, per non dire delusi, che il nuovo Cavaliere fosse un altro giovane uomo. Anche lo stesso Tegrish era rimasto stupito, e non sapeva davvero che cosa pensare. Continuava a dire che era una fatto strano, incredibile, e andava a fare lunghe passeggiate in mezzo alla foresta assieme a Gylda, quando non era impegnato con gli allenamenti.
Si allenava assieme a Eragon, a Oromis e a Ellen, che aveva deciso, nel frattempo, che avrebbe fatto la cerimonia per tornare alle sue vecchie origini. Quello l’avrebbe resa più forte, vigorosa e, di certo, molto più simile ad un elfo di quanto avrebbe mai voluto essere.
“Ma non sei contento?” chiese Ellen. “Devo ammettere di essere un po’ gelosa. Non sai cosa darei per essere scelta da un drago anche io! Il legame Eragon divide con Saphira e tu con Gylda è meraviglioso”.
“Si il legame con Gylda è … insuperabile direi. Ma dall’essere Cavaliere derivano troppe responsabilità. Se fossi vissuto in un epoca senza guerre ne sarei stato felicissimo. Ma io non sono fatto per le battaglie, e cose simili. Odio le guerre e la violenza, e l’unica cosa che voglio fare è … aiutare la gente, credo”.
“Basta fare il benefattore.” disse Ellen alzandosi e mettendo mano alla spada, “Se davvero vuoi la pace allora contribuisci a crearla” disse con sguardo serio. “Comincia ad allenarti, e vedrai …”.
“… e vedrai che fra qualche anno comparirai nelle leggende” completò il ragazzo roteando gli occhi al cielo con un sospiro, alzandosi a sua volta. Era una specie di filastrocca che Ellen recitava ogni tanto, e che era diventata per Tegrish l’inizio di lunghe ore di studio o di duelli sfiancanti.
“Vedo che impari in fretta” commentò Ellen compiaciuta.
I due si misero in posizione al centro della radura abitata da Oromis, mentre l’elfo ed Eragon parlavano a bassa voce seduti a terra poco lontano da loro. Tegrish usava un’arma alquanto singolare, che non aveva voluto abbandonare per una spada. Era una specie di corto bastone nodoso e ricurvo, ma estremamente potente, che non si spezzava nemmeno con un colpo di spada. Ad una estremità del bastone vi era una lama ritorta, che Tegrish riusciva ad utilizzare con maestria. Sfruttava le dimensione ridotte del bastone, e il peso ovviamente minore di quello di una spada di puro metallo. Molto spesso usava l’altra estremità del bastone per colpire non il nemico che aveva di fronte, ma quello che gli stava dietro, o affianco. Usava anche ruotare in fretta il bastone con un movimento complicato della mano destra, così velocemente che quasi spariva.
Ellen e Tegrish si girarono attorno per qualche minuto, osservandosi con sguardo attento. All’improvviso Tegrish si scagliò sulla ragazza, muovendo il bastone dall’alto verso il basso creando un sibilo nell’aria. Ellen parò prontamente e fece abbassare il bastone a Tegrish con un movimento della spada. I due tornarono a fronteggiarsi, più attenti di prima. Questa volta fu Ellen ad iniziare la lotta, cercando di colpire Tegrish all’altezza delle caviglie, ma fallì e il ragazzo si scostò con un salto. Continuarono così diverse volte, il loro respiro era diventato pesante e i loro movimenti bruciavano i muscoli, finché Tegrish, vinto dalla stanchezza, non cominciò ad arretrare di fronte ai colpi di Ellen fino a che la ragazza non riuscì, dopo averlo disarmato, a sfiorargli con la punta della spada lo stomaco all’altezza dell’ombelico.
“E’ sempre questione di resistenza Tegrish!” esclamò Oromis, che li aveva osservati per lungo tempo. “Continua ad allenarti così, lentamente acquisterai più forza e resistenza”.
“In quanto alla tecnica, non credo che sia male” aggiunse Ellen cercando l’occhiata di approvazione di Oromis, alla quale l’elfo rispose con un vago sorriso.
Eragon stava accanto ad Oromis con sguardo pensoso. Scambiò qualche parola con Saphira che Ellen non riuscì a decifrare, poi si alzò e se ne andò, dicendo che doveva fare una cosa. Saphira lo seguì silenziosa, sparendo dalla vista.
Oromis si alzò e andò verso Ellen. “Mancano ormai poche ore alla cerimonia Ellen. Tu sei ancora sicura di quello che vuoi fare, vero?” chiese il vecchio elfo posandole una mano sulla spalla. Ellen annuì, più per dimostrare ad Oromis che era sincera, che per pura convinzione. “Bene. Torna qui questa notte prima di mezzanotte. Sii puntuale, mi raccomando”.
“D’accordo”. Così Ellen se ne andò, lasciando soli Oromis e Tegrish.
L’allenamento del nuovo Cavaliere si stava dimostrando ancora più veloce di quello di Eragon, ma per fortuna Tegrish conosceva già abbastanza bene la magia, ed era uno studioso di natura: gli piaceva leggere, e studiare sembrava per lui qualcosa di molto piacevole.
Ellen vagò dentro il castello di Islanzadi guardando i grossi arazzi colorati appesi alle pareti, e vagò incurante per i corridoi illuminati dalla luce verdastra che filtrava fra gli alberi. Improvvisamente, girando un angolo, Ellen s’imbatté in Islanzadi.
“Ellen, figlia mia.” salutò la regina sorridendo. “Che cosa fai qui? Dovresti riposarti per la cerimonia”.
La ragazza fece una smorfia. “Già” borbottò.
“Che c’è? Sei preoccupata? Oromis è una grande maestro, saprà bene cosa fare. La sua esperienza è …” cominciò la regina, ma venne interrotta da Ellen.
“Non è questo” disse velocemente. “Io mi fido di Oromis, ma ho paura … che il mio aspetto cambierà troppo. Sarà strano e …” lasciò la frase in sospeso.
Islanzadi rimase un attimo pensierosa, poi riprese a camminare, facendo segno ad Ellen di fare altrettanto. “Sai Ellen, io credo che l’importante sia il motivo per cui lo fai. Se sei certa di quello che vuoi ottenere da questo rito, allora vai, sicura, e non rimpiangere quello che ti sei lasciata alle spalle. Oltretutto, non hai considerato un curioso aspetto del tuo popolo” osservò la regina sorridendo ad Ellen. La ragazza la guardò senza capire, così Islanzadi continuò: “Noi elfi, se lo desideriamo, possiamo cantare al nostro corpo, per farlo diventare come vogliamo. Alcuni di noi si trasformano in alberi, o in fiori, anche in animali. Una volta fatta quella trasformazione potrai farlo anche tu Ellen, ne avrai le forze. Per questo credo che tu non ti debba assolutamente preoccupare” concluse con un caldo sorriso sulle labbra, che Ellen le aveva visto di rado.
“Grazie” disse sorridendo. Disse alcune parole in elfico e abbracciò Islanzadi, che ricambiò con trasporto.
Quella sera, mentre Ellen si dirigeva a passo svelto verso la casa di Oromis, pensò che in fondo Islanzadi non era troppo male. Forse un po’ fredda in qualche caso, ma le voleva molto bene. E, anche se aveva capito di essere meno importante del suo popolo agli occhi della regina, non poteva di certo biasimarla! Non aveva l’arroganza di credere di essere più importante di un popolo intero.
Ellen raggiunse il centro della radura, al limitare della quale vide la casetta di Oromis. Si avviò, sicura, verso la casa e prima che potesse entrarvi, Oromis uscì dalla porta. La salutò con un sorriso e le fece per primo il saluto elfico, che Ellen ricambiò, grata della gentilezza.
“Fra poco sarà mezzanotte” disse l’elfo cominciando a camminare verso il centro della radura, “il buio sarà totale e la luna allora brillerà il più forte possibile. Quando avverrà, tu devi posizionarti in questo cerchio”. Oromis si fermò davanti ad un cerchio tracciato a terra con dei sassi grossi e piatti.
“D’accordo” disse Ellen.
“Ti spiego che cosa succederà. Evocherò lo spirito della foresta, forse mi ci vorrà un po’, ma confido di farcela. Tu non devi assolutamente muoverti, non devi aver paura, non ti succederà nulla” disse Oromis guardando il cielo.
Ellen nel frattempo aveva la bocca asciutta: non le era mai passato per la mente che poteva essere una cosa pericolosa, ma quel commento di Oromis l’aveva messa in agitazione. Poteva succederle qualcosa dunque?
“Ecco … va’” disse l’elfo affianco a lei sorridendo calorosamente e dandole una piccola spintarella come incoraggiamento.
Ellen passò sopra le pietre deglutendo, e cercò di essere sicura di mettersi esattamente al centro, equidistante da ogni ciottolo. Oromis si mise di fronte a lei e, lentamente, iniziò a cantare. Era una melodia dolce, ritmica, che pian piano diveniva più fluida e alta. Dalla gola dell’elfo un suono limpido si spanse nell’aria come il profumo dei fiori d’estate, ed Ellen sentì distintamente la natura attorno a loro farsi più tesa, come se stesse aspettando qualcosa. Ellen cercò di concentrarsi e chiuse gli occhi, espandendo il suo spirito per sentire meglio le forme di vita che le stavano attorno. Percepì i vari esseri che popolavano quel tratto di Du Waldenvarden, e sentì molto bene gli spiriti degli alberi, calmi e lenti, come vecchi saggi.
Sentì che Oromis aveva velocizzato il suo canto, e ora era diventato un mormorio di parole, talmente veloci che pronunciate tutte assieme non si potevano distinguere l’una dall’altra. L’elfo aumentò anche il volume dell’esecuzione, fino a far diventare quel canto così melodioso una tremenda sinfonia, che si mescolava alle urla degli alberi e all’ululare del vento, e al ruggire delle creature. Ellen sentì una forte energia irradiarsi dalla foresta per concentrarsi tutta lì, dov’erano loro, più precisamente dove c’era lei, dentro il cerchio di pietre.
Sentiva l’energia avanzare sempre di più, e poteva anche vederla con l’occhio della mente, come una gigantesca onda luminosa che si avvicinava e sembrava dover spazzare via tutto con la sua potenza. Poteva essere terribile e distruttiva, ma in realtà avanzava morbida, lentamente e inesorabilmente verso Ellen. Forse per questo faceva più paura: non si poteva fermare ormai. Ogni centimetro guadagnato dall’onda era inevitabile.
All’improvviso Ellen, avvertendo un cambiamento, aprì gli occhi di scatto. Di fronte a sé poteva ancora vedere Oromis, ma tutto attorno a lei c’era come una cappa trasparente, azzurra e luminosa. Un semicerchio che aleggiava sulle pietre posate in terra si univa sopra la testa della ragazza.
Oromis alzò ancora la voce ed Ellen percepì chiaramente la richiesta che aveva fatto all’onda. Sentì l’energia premerle la mente, ma non voleva lasciarla entrare. Nel frattempo la cappa azzurra attorno a lei si andava rimpicciolendo, minacciando di sopraffarla. Ellen si guardò attorno disperata. Era in trappola! Cominciò a respirare affannosamente e a guardarsi attorno, come alla ricerca di una fuga. Ma non c’è n’era una. La densa onda azzurrognola di energia avanzava ancora e voleva entrare nella sua mente, premeva gentilmente per dirle di lasciarla passare. Ellen tentò di calmarsi, si concentrò.
Aprì la mente e permise all’onda che la circondava di avere la meglio su di lei.
Nel momento esatto in cui tolse le barriere questa la soffocò. Ellen sentì mancare il respiro. Lanciò un’occhiata alla figura di Oromis, che tuttavia era ancora concentrato nel canto e aveva gli occhi chiusi e le mani con i palmi rivolti verso la luna. Ellen si sentì come premuta in mezzo a qualcosa di caldo, di arroventato, ma non le faceva male. Sentì il suo intero corpo scaldarsi rapidamente sia all’interno che all’esterno. Sentì le vene riempirsi di un meraviglioso calore che andava espandendosi lungo tutto il suo corpo.
All’improvviso la luce azzurra mutò e divenne di un giallo intenso. Ellen non riusciva più a capire che cosa stava succedendo, attorno a sé vedeva solo luce accecante. Si sollevò a qualche piede da terra e l’energia brillò ancora, più forte che mai. Calda, potente. Distruttiva. Terribile.
Poi senza preavviso, ogni cosa si spense.
La radura, illuminata a giorno, tornò buia e sembrava ancora più scura di prima. Ellen venne depositata a terra dalla luce, tornata di un azzurro pallido. Velocemente Oromis andò verso di lei, stesa a terra, addormentata.
Si chinò sulla ragazza e sorrise, osservandola attentamente.




Uellà! Eccome qua! Scusate per il ritardo -.-' ma sapete com'è: la scuola. A parte tutto, devo dire due cose importanti per quanto riguarda la fic. Ossia che, primo: Tegrish, come ormai avrete capito, è stato introdotto solo per fare il terzo Cavaliere. Secondo: mhauhahaha! Lifaen è rimasto a secco! Sfigato, sfigato! ...okay, ho finito. E' che Lifaen mi sta antipatico. E ora direte, ma che scema questa, è lei che lo ha fatto innamorare di Ellen. Eh, lo so, ma che ci posos fare: sono nata così.
XD
Ora basta, sto uscendo fuori di testa.

B'è, grazie a KissyKikka per la recensione! ^^ Dimmi, quali erano i tuoi sospetti per il prossimo Cavaliere di drago? Spero di non averti delusa troppo se le tue aspettative erano altre. A parte questo, grazie per i complimenti su come descrivo bene Saphira. Sono contenta di non essere andata OOC, soprattutto con lei, perchè uno dei miei personaggi preferiti. ^^ B'è, al prossimo capitolo, un bacio :)

Un grazie a tutti, ho notato che un sacco di gente ha iniziato a leggere adesso L'Ombra del Passato. B'è, quando arriverete a questo punto della storia, voi che avete inziato a leggere ora che sto postando Battaglia per il Futuro, sappiate che vi ringrazio già da oggi: Lunedì 5 Ottobre 2009. Siete già nei miei pensieri! :D
Un saluto a tutti,
Patty.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** L'inizio di un nuovo viaggio ***


Capitolo sette: L’inizio di un nuovo viaggio

Quando Eragon seppe della trasformazione di Ellen era già passato un intero giorno. Infatti lui, grazie all’aiuto dell’elfa più capace di Ellesmera nel forgiare spade, aveva appena costruito Brisingr. Quando fu uscito dalla fornace decise che sarebbe andato subito a far vedere la spada ad Oromis, Ellen e Tegrish. Nel momento esatto in cui pensò alla ragazza si ricordò di quello che doveva essere accaduto la notte prima.
  Saphira, dove sei?
  A caccia assieme a Gylda, le sto insegnando, Eragon sentì un po’ di orgoglio nella parole della dragonessa. Perché?
  B’è, prima di tutto devi venire a vedere Brisingr. E poi, sai qualcosa di Ellen?, chiese il ragazzo incerto. Sentì la dragonessa piena di pensieri positivi, e si tranquillizzò. Allora?
  Sta bene. Sarà al castello, o assieme ad Oromis e Tegrish. Dovresti andare a trovarla.
  E’ molto cambiata?
  Un po’, ma non è così irreparabile. Anzi, credo che non vorrà neanche ricorrere a qualche altra mutazione. Non somiglia ad un elfo nemmeno la metà di te. Ci sono solo alcuni piccoli cambiamenti.
  Ma sono lo stesso curioso … vado.
Eragon si diresse velocemente a casa di Oromis. Quando arrivò alla radura vide Tegrish intento a fare degli esercizi e, in un angolo, Ellen che faceva diverse giravolte di cui non riusciva a capire il senso, mentre Oromis la guardava. Quando lo vide arrivare, spada in mano Oromis gli sorrise: “Eragon! Come stai? Vieni a vedere come Ellen mette alla prova le sue nuove abilità”.
Il ragazzo si avvicinò all’albero sul quale lei si era arrampicata e guardò verso l’alto. Ellen saltava agilmente da un ramo all’altro, ma quando lo vide scese subito giù, saltando ai piedi di Eragon con eleganza. “Ciao Eragon! Dove sei stato tutto questo tempo?”. Eragon, mentre la osservava attentamente, tirò fuori Brisingr dal fodero e gliela porse. “Wow” disse Ellen prendendola in mano e soppesandola. “Posso?” chiese poi mentre la prendeva dalla parte dell’elsa. Eragon annuì mentre la osservava.
Di primo acchito non si vedevano grossi cambiamenti in lei, ma se si guardava meglio si poteva notare il viso leggermente più allungato, gli occhi inclinati non erano più grossi come prima, ma si erano fatti più sottili, anche se di poco. La corporatura era praticamente la stessa, anche se le dita erano più affusolate e sembravano anche più delicate di prima. Ad Eragon scappò un sorriso quando alla ragazza, mentre faceva lenti movimenti con la spada, si scostò una ciocca di capelli e lui poté vedere un’improbabile orecchia a punta spuntare dai capelli corvini.
“Non sei quasi cambiata” le disse.
“Già, hai visto?” disse lei lanciandole un’occhiata e fermandosi. “Le uniche cose che si notano di più sono queste” disse toccandosi la punta delle orecchie e picchiettandovi sopra l’indice. “E’ bellissima” disse poi restituendogli Brisingr. “Le hai già dato un nome?”.
“Si. Fuoco, in elfico. Guarda che succede se lo chiamo così.”, Eragon impugnò l’arma con due mani e disse, con tono imperioso: “Brisingr”. La spada sembrò prendere letteralmente fuoco,  arse di fronte a loro finché Eragon tenne viva la magia. “Secondo te perché?” chiese poi rivolto ad Oromis.
“Non saprei” disse l’elfo pensieroso. “E’ possibile che tu abbia scoperto il suo vero nome”.
“Non sapevo che anche gli oggetti avessero un vero nome” disse Ellen.
“Tutto ha un vero nome” asserì Eragon. “Me lo ha detto Brom”.
Oromis s’irrigidì e scambiò una breve discussione con Glaedr. Lanciò una nervosa occhiata a Tegrish, ancora concentrato nel suo esercizio, poi si rivolse ai due ragazzi, che non si erano nemmeno resi conto del suo bizzarro comportamento. “Ellen, Eragon, vorrei parlarvi in privato di una cosa importante”.
“Che cosa?” chiese Eragon. Ellen diede una leggera botta al ragazzo. Lei non conosceva ancora bene Oromis e non aveva con lui tutta la confidenza che invece aveva il ragazzo, così cominciò subito a seguire l’elfo dentro casa senza fiatare, rimproverando con un’occhiata Eragon per incitarlo a fare altrettanto.
Quanto i tre si furono seduti tutti attorno al tavolo Oromis cominciò: “Devo parlarvi di Brom. C’è una cosa che io so, che lui mi ha chiesto di non rivelare, ma ora mi sento in dovere di farlo, siccome Eragon è praticamente certo di essere il secondo erede di Morzan, l’ultimo dei rinnegati”.
Con un angolo della mente Eragon sentì Saphira prestare maggior attenzione ai suoi pensieri e se ne chiese il motivo.
“Anche Saphira ne è a conoscenza” proseguì Oromis. Le sue parole giunsero come una risposta alla muta domanda di Eragon, la cui curiosità venne ancora più stuzzicata. “Questa faccenda vi coinvolge tutti e due …” disse Oromis sistemandosi meglio sulla sedia per iniziare il suo lungo racconto.

Ellen guardò Eragon con un’espressione di pura incredulità sul volto. “Quindi … è vero” borbottò distogliendo lo sguardo e assumendo un’aria confusa. Eragon da parte sue guardava fisso a terra, più o meno dove c’erano le zampe di Saphira, ma non le vedeva veramente.
La dragonessa aveva appena fatto a vedere ad Eragon ed Ellen il ricordo che Brom le aveva lasciato molto tempo fa, quando viaggiavano ancora assieme.
Senza farsi vedere, Eragon si riscosse dai suoi pensieri e cominciò a guardare intensamente Ellen. Non gli sembrava ci fosse tutta questa grande somiglianza. Ma dopotutto, si disse, siamo fratelli solo per parte di padre. Poi si disse che non era quella la vera ragione di tanto stupore, in realtà era felice di essere figlio di Brom per due motivi: ovviamente perché non era figlio di un traditore, e poi perché aveva conosciuto suo padre. Era un uomo buono, niente a che fare con Morzan, pensò fra sé e sé.
Anche Ellen rifletteva. E si chiedeva soprattutto … perché Brom non lo aveva detto a nessuno dei due quando era ancora in vita? Li voleva forse proteggere, o qualche sciocchezza simile? Mai come allora aveva pensato a Brom come il suo vero padre, colui che le aveva dato vita, il sangue del suo sangue. C’erano diversi modi per dirlo, ma perché allora Brom non l’aveva mai detto? Né a lei né ad Eragon.
  Eragon, piccolo mio, Ellen, iniziò Saphira, se fossi in voi sarei fiera di avere una famiglia tanto interessante. E il fatto che siate fratellastri non vedo perché vi dovrebbe sconvolgere. Siete praticamente uguali, due piattole comunque la mettiamo.
Eragon, una volta uscito dalla capanna, alzò lo sguardo, divertito. Io sarei una piattola? Ellen lo è più di me, lei è una ragazza, disse come se fosse ovvio.
  Cos’è questo orgoglio maschilista?, chiese lei, tirata in causa. Intanto le ragazze sono più intelligenti dei maschi, si sa.
  Ma cosa dici?
  Esatto, sono più intelligenti, furbe, agili … devo continuare?
  Ma risparmiati … i ragazzi sono più forti, coraggiosi … devo continuare?, protestò Eragon imitando il tono di compiacimento della ragazza.
  E hanno più buon senso!, esclamarono i due all’unisono. Si guardarono per un istante, poi entrambi scoppiarono a ridere. Accanto a loro Oromis osservava la loro muta conversazione e sorrise leggermente.
“Oromis! Ma perché non ce lo hai detto la volta scorsa che siamo venuti?” esclamò Eragon.
“Non mi sembrava ancora il caso. Ma poi Tegrish mi ha raccontato quello che ti ha detto Murtagh, e così …”.
“Ma quindi io ho ben due fratellastri? Possibile che non possa avere un parente completo?” disse Eragon più a sé stesso che ad altri. Ellen scoppiò a ridere.
“Ma questo non rende un pochino Murtagh anche mio parente?” chiese poi preoccupata.
Oromis ci pensò su un po’, dopodiché sentenziò: “Sicuramente non fisicamente. Lui è figlio di Selena e Morzan, tu di Brom e la regina Islanzadi. Ma forse per qualche intricata legge siete lontani parenti, dato che il tuo fratellastro è anche il suo fratellastro … e voi siete fratellastri”.
“Che confusione” ammise Eragon.
  Non è poi tanto difficile, disse Saphira.
“Non difficile da capire, ma tu pensaci bene” le disse Eragon. La dragonessa rimase un attimo pensierosa, poi sbuffò proprio sul viso di Ellen, che si sentì investire da piccola corrente d’aria calda.
  Sono comunque dei legami di sangue separati e molto chiari.
Eragon sbuffò. Lascia stare.
  Non puoi parlare così al tuo drago!, protestò Ellen.
  Ascolta tua sorella Eragon, è saggia, disse Saphira compiaciuta facendo un grugnito simile ad un risolino.

Se fosse stato per Tegrish gli altri sarebbero potuti partire subito, anche senza di lui e Gylda. Per un po’ aveva sperato che Gylda fosse in realtà un drago maschio, perché una sera Saphira gli aveva confessato quanto si sentisse sola. Diceva che era da un po’ che ci pensava in continuazione. E adesso, diceva sconfortata, c’era solo Glaedr, e aveva l’impressione di non piacergli per niente. Ma adesso che aveva conosciuto Gylda meglio di chiunque altro, poteva dire che non l’avrebbe cambiata per niente altro al mondo.
Tegrish ripensava a queste cose mentre passeggiava in mezzo alla Du Waldenvarden, senza una meta precisa, assieme a Gylda che svolazzava attorno a lui. Il suo nome era lo stesso di sua madre e, quando lui glielo aveva proposto, a lei era piaciuto subito. Sentiva che lui e Gylda erano spiriti affini. Ellen le diceva spesso che erano entrambi troppo gentili con tutti, e che la gente prima o poi se ne sarebbe approfittata. Ma Tegrish le aveva risposto, spalleggiato da Gylda: “Le persone non sono tutte cattive. Se sei gentile con loro, l’aiuto che hai dato ti tornerà indietro in qualche modo”. Ellen aveva alzato gli occhi al cielo e borbottato qualcosa.
Tegrish era molto cambiato da quando aveva iniziato l’allenamento assieme ad Oromis. Il suo corpo minuto si era rafforzato, era diventato più muscoloso e forte, più robusto di prima e, forse era solo una sua impressione, ma pensava anche di essere diventato più alto. Eragon gli aveva chiesto come mai non tagliava i capelli, che potevano dare fastidio durante un duello, ma lui non aveva intenzione di toccarli.
Era già abbastanza esperto nella magia, ma dopo l’addestramento lo era diventato ancora di più. E adesso poteva compiere magie di grande portata.
Gylda da parte sua era cresciuta moltissimo in poco tempo. Erano passati pochi mesi da quando era uscita dall’uovo, ma era già grande più della metà di Saphira. Sarebbe presto diventata poco più piccola di lei, le aveva detto Oromis. Tegrish non si preoccupava, sapeva che i draghi crescevano velocemente nei primi mesi di vita e dopo la loro crescita rallentava. Non aveva ancora sputato fuoco ma credeva e sperava che, in caso di battaglia, i suoi artigli, le zanne lunghe color avorio e le punte che aveva sulla coda sarebbero bastati ad uccidere parecchi nemici.
In realtà non è che Tegrish andasse pazzo all’idea di andare in battaglia. Non aveva mai nemmeno ferito nessuno in modo troppo serio, nemmeno quando aveva combattuto fianco a fianco con suo padre quando loro due erano stati attaccati dai soldati di Galbatorix, quando suo padre era stato catturato.  Anche lì aveva solo ferito i soldati quel tanto che bastava per rallentarli e permettere a lui e suo padre di scappare. Però, se ci pensava bene, forse se li avesse uccisi non avrebbero catturato suo padre.
  Tegrish non tormentarti, non è stata colpa di nessuno, intervenne Gylda, alla quale non poteva certo nascondere i suoi pensieri e sensazioni.
Tegrish sospirò. Lo so, lo so. Però pensa come sarebbe stato se lui fosse ancora qui.
  Sono sicura che sarebbe stato fiero di te. Ti avrebbe di incoraggiato.
  Si, sarebbe stato tipico di lui. Mi appoggiava in ogni cosa che decidevo di fare, ricordò Tegrish con leggera nostalgia. Sembra essere passato tantissimo tempo. Chissà dove l’hanno portato, e come sta. E … se è ancora vivo.
  Potrebbe esserlo, disse Gylda con una convinzione che in quel momento sembrò un po’ troppo ottimistica, ma lei riprese a parlare senza curarsi di Tegrish. Si, io credo che si vivo. Era un grande mago e guaritore, dopotutto. Galbatorix non gli avrebbe mai fatto nulla. Anzi, forse avrebbe voluto che lavorasse per lui, a quanto mi hai detto era uno dei migliori.
  Si, uno dei migliori!, disse Tegrish con un pizzico di orgoglio nella voce.
Gylda fece una giravolta a mezz’aria e tornò verso Tegrish. Atterrò con eleganza proprio di fronte a lui, e lo guardò con i suoi occhi intelligenti. Tegrish, che cosa ne dici se facessimo una ricerca? Andremmo a cercare tuo padre! Scopriremmo dove lo tengono, e andremmo a prenderlo!
  Ma … Gylda, sai benissimo che non si può fare. Abbiamo delle responsabilità adesso: io sono un cavaliere e tu sei il mio drago. A meno che non decidiamo di unirci a Galbatorix, allora dobbiamo andare ad aiutare i Varden. Loro hanno bisogno di aiuto, non potranno mai vincere Galbatorix senza di noi.
  D’accordo, era solo un’idea. Pensavo che ti avrebbe fatto piacere. La dragonessa fece una pausa, poi borbottò: Comunque non c’è scritto da nessuna parte che i Cavalieri e i loro draghi debbano stare per forza da una parte o dall’altra. Possiamo anche andarcene per i fatti nostri.
  Si, probabilmente nessuno cercherebbe di fermarci, ma loro hanno bisogno di noi. Non possiamo abbandonarli.
  Non sarebbe un completo abbandono, sarebbe una separazione temporanea. Alle sue parole Tegrish sbuffò. Molto temporanea, proseguì Gylda.
  Facciamo così … cercheremo solo se e quando ne avremmo la possibilità.
  D’accordo. Però, in fondo, Eragon era andato a vendicare suo zio e a cercare i Ra’zac. Perché noi non possiamo fare lo stesso?
  Perché quando l’ha fatto Eragon non era ancora legato ai Varden.
  Ma nemmeno noi lo siamo.
  Gylda … sai anche tu quanto la faccenda mi tenti, ma lo faremo di sicuro quando la guerra sarà finita e l’Impero sarà sconfitto una volta per tutte.
  D’accordo, brontolò la dragonessa scuotendo il corpo, ma cercheremo quando avremo tempo!
  Certo, la rassicurò Tegrish posandole una mano sul ventre squamoso e carezzandola.
“Non preoccuparti, lo faremo”. Lei, per tutta risposta, si agitò ancora e spiccò il volo, facendo un paio di giri sopra la testa di Tegrish, che la guardò sollevarsi sempre di più sopra la foresta e tuffarsi in mezzo agli alberi.

“Se tu volessi andare a cercare tuo padre, io ti appoggerei di certo!”.
“Sul serio?”.
“Ma si! Non mi sembra una richiesta tanto irragionevole dopotutto. Solo, sarebbe un problema per i Varden”. Eragon e Tegrish stavano seduti accanto al piccolo fiume che passava vicino al campo di addestramento. Tegrish aveva raccontato ad Eragon del discorso fra lui e Gylda avvenuto pochi giorni prima. Ad Eragon non sembrava così strano come desiderio; dopo aver saputo che suo padre non era Morzan ma bensì Brom si sentiva stranamente alleggerito. Ogni cosa gli sembrava migliore e spesso si sorprendeva a non pensare a nulla tanto era calmo e rilassato, nonostante invece vi fossero mille cose a cui pensare! Mille incombenze! Ma lui era così leggero, come non lo era stato da tempo immemore.
“Quindi …”, riprese Tegrish, “tu saresti d’accordo a lasciarmi andare?”.
“Lasciarti andare?” chiese Eragon scettico, “Se ce ne fosse bisogno verrei addirittura con te. Anzi …”, il viso di Eragon s’illuminò. “Ho trovato la soluzione!”.
“E cioè?” chiese Tegrish curioso.
“Vieni con me!” esclamò. Si alzò, allontanandosi a passo veloce.
“Asp …!”. Tegrish si affrettò a seguirlo per una destinazione a lui ignota. Dopo un po’ anche a lui sembrò chiara la destinazione, tutti e due avevano percorso quelle strade fino a stancarsene. La casa di Oromis fu presto in vista, nella radura soleggiata, e i due ragazzi puntarono dritti verso la porta. Quando bussarono la familiare voce vellutata disse: “Avanti”. Entrarono e video Ellen ed Oromis seduti al tavolo, uno di fronte all’altro, con in mano grossi bicchieri pieni di un liquido ambrato. Oromis indicò due sedie ancora libere e fece segno ai ragazzi di accomodarsi, poi si alzò.
“Avete voglia di bere assieme a noi del sidro di mele?” chiese gentilmente.
“Ah si, grazie” rispose Tegrish, il sorriso velato sul volto. Alzò lo sguardo verso Oromis e i suoi riccioli biondi si mossero leggermente assieme a lui. Oromis li servì presto di due grossi boccali e si risedette.
“Allora? A che cosa debbo la visita?” chiese.
“Io” incominciò Eragon, “vorrei addestrare Tegrish durante il viaggio che compirà alla ricerca di suo padre”. Quelle improbabili parole restarono sospese nell’aria per qualche minuto. Oromis guardava entrambi con calma, valutando la situazione. Ellen invece all’inizio sembrava stupita, poi una piccola ruga si formò in mezzo alle sopracciglia.
“Ma Eragon! E i Varden?” chiese con tono di disapprovazione.
“Ma tanto Tegrish ha ancora bisogno di addestramento, questa può essere una specie di missione in più. Lo accompagnerò io, così saprà come comportarsi e imparerà da me”. Oromis fece un piccolo risolino. “Che c’è? Credi che non sia capace di insegnare?” chiese Eragon piccato.
“No, non è quello” disse Oromis, “Anzi, credo che potresti riuscirci”. Ci pensò su un secondo. Tutti lo osservavano, come se la sua parola fosse tutto quello che aspettavano per procedere. “B’è” disse infine, “non credo ci sia nulla di male. Una piccola esperienza sul campo prima di cominciare non può che far bene. Ma perché dovresti andare tu Eragon? Credi che non mi possa muovere? Che sia incatenato ad Ellesmera?”.
Eragon sembrò folgorato. Sul suo viso si leggeva chiaramente la risposta che avrebbe dato. Arrossì e disse: “No, è solo che …” finì la frase con un basso borbottio che nessuno sentì.
Oromis rise portandosi una mano alla pancia e disse: “Non preoccuparti. Dopotutto il mio nome è Lo storpio che è sano!”. Eragon era ancora imbarazzato. “Verrò anche io con voi!” esclamò. “ E’ da anni ormai che non mi muovo di qui, è vero. Penso che sia giunto il momento che io e Glaedr torniamo attivi”.
“Ma, Oromis …” Ellen esitò, non voleva dire quella cosa di fronte a tutti, “la … la tua …?”.
“La mia malattia? Non preoccuparti Ellen. Non sarà un viaggio a distruggermi completamente”. In realtà l’elfo poteva dire quello che voleva, ma le sue crisi e i suoi dolori erano aumentati nell’ultimo mese, anche se lui non lo voleva ammettere. Ma di questo solo Eragon, che lo conosceva da diverso tempo ed aveva avuto l’occasione di frequentarlo molto, se ne era accorto.
“Oromis, non credo che tu debba venire” disse Eragon all’improvviso.
“Questa è la mia ultima parola Eragon.” disse Oromis con voce decisa, “Tegrish, tu sei d’accordo?” chiese poi rivolgendosi al ragazzo senza badare più ad Eragon, che ne rimase alquanto infastidito.
“Si, così sarebbe perfetto! Andremmo tutti e tre” disse il ragazzo sorridendo.
“Ma aspettate! Non è giusto, voglio venire anche io!” esclamò Ellen. Le pareva di essere stata tagliata fuori. I tre Cavalieri di drago che se ne andavano assieme in missione speciale. Chi per abituarsi allo scontro, chi per riabituarsi allo scontro, chi per tenersi in allenamento. Non era giusto! Se era così avrebbe tanto voluto essere anche lei Cavaliere di Drago solo per poter avere il pieno diritto di andare con loro.
“Ellen, pensavo che fosse logico” disse Eragon leggermente sorpreso.
“Davvero?” chiese la ragazza illuminandosi.
“Ma certo. Che facciamo? Ti lasciamo qua da sola? Che cosa faresti tutto il tempo? Lo sappiamo che ti annoieresti a morte senza di noi!” disse il ragazzo con una smorfia.
“D’accordo! Perfetto!” esclamò Ellen. Poi cercò di riprendere un certo distacco professionale e disse: “A proposito … non daremmo troppo nell’occhio così? Voglio dire. Tre draghi e quattro persone non sono una cosa da nulla”.
“Questo è vero” disse Oromis pensandoci. “Vedremo di trovare un soluzione. Ma dobbiamo prima decidere che cosa faremo esattamente. Qual è il piano? Come procederemo?”. Istintivamente, tutti si voltarono verso Tegrish.
Il ragazzo, con tutti quegli occhi puntati addosso, si guardò un attimo intorno. “Hem … qu-quando mio padre era stato catturato eravamo vicini a Kuasta” balbettò.
“Kuasta? Si trova vicino al mare” osservò Oromis. “E’ una città abbastanza importante, E di questi tempi tutte le città importanti hanno almeno una prigione. Potrebbe essere ancora lì, oppure potrebbero averlo trasferito. Dovrebbero comunque esserci dei registri”.
“D’accordo, allora andremo a Kuasta” disse Ellen alzando i palmi verso l’alto e sporgendosi in avanti.
“Preparatevi. Vi voglio tutti pronti per domani, qui alle sei di mattina senza ritardi” disse Oromis con tono imperioso.
“Alle sei di mattina?!” esclamò Eragon incredulo.
“Eragon, non ti lamenterai già adesso? Non abbiamo nemmeno iniziato il viaggio. Cosa credi, che sarà rilassante?”. Eragon e gli altri si guardarono terrorizzati, mentre Oromis sorrideva fra sé e cercava di sopprimere un risolino.




Allora, come forse ricordate dal principio di questa fic, era già tutta programmata. E quando l'ho inventata non sapevo ancora che Brom fosse il padre di Eragon. Si, certo, questa è una fic e avrei potuto omettere quel dettaglio per non creare confusione, ma non mi pareva giusto. Quando ho letto Brisingr ero troppo contenta che Brom fosse il padre di Eragon, così non ho voluto cambiare la storia originale.
Maledetto Brom! Che si svela solo nel terzo libro! XD
Poi, un'altra cosa: il vero motivo per cui i nostri amici partiranno per trovare il padre di Tegrish lo scoprirete continuando a leggere, poichè alla prigione di Kuasta ci sarà ben più che un guaritore. Mhuahaha! Vi ho incuriosito?! Scusate, non lo faccio più... -.-''
Ma ora basta spoiler! Vi saluto, adieù (non so se si scrive così, ma non importa)!
Questa volta niente recensioni, fa niente. Ho visto che la storia sta andando bene anche se non ci sono recensioni, e a me sta bene così. ^^ E poi, personalmente, adesso che è inizata la scuola sono molto impegnata (immagino anche voi, con lavoro, scuola e università eccetera), e trovo poco tempo per leggere le fic e commentarle purtroppo, perchè mi piace molto lasciare recensioni alle storie ben fatte. B'è, non importa...
Comunque, bye!
Patty.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** La prigione di Kuasta ***


Capitolo otto: La prigione di Kuasta

Puntuali come orologi, per paura di essere sgridati da Oromis ancora prima di iniziare il viaggio, Eragon, Ellen e Tegrish si presentarono assieme a Saphira e Gylda, con le borse pronte e un briciolo di impazienza per iniziare.
“Buongiorno.” disse Oromis uscendo dalla piccola casa nella radura e guardandoli, “Volevo informarvi del percorso che seguiremo”.
“Ma non proseguiremo con Gylda, Saphira e Glaedr? Pensavo che saremmo andati dritti verso Kuasta e che ci avrebbero portato loro. Ci metteremmo un giorno e mezzo circa in questo modo” disse Ellen.
“No. Andare dritti verso Kuasta potrebbe causarci dei problemi. Dovremmo passare sopra Gil’ead di sicuro e, come dicevi ieri, tre draghi non passerebbero inosservati. Passeremo prima lungo la Du Weldenvarden verso est, arriveremo fino alla Grande Dorsale e poi proseguiremo fino a Kuasta tenendoci sulle montagne. In questo modo eviteremo i soldati del re e anche l’accampamento dei Varden, che potrebbero farci domande scomode se ci vedessero passare e andare in un’altra direzione”.
“Ah, capisco” disse Ellen.
In quel momento Glaedr apparve alla loro vista, imponente ma elegante, planò sopra di loro e atterrò alle spalle di Oromis. Scusatemi per il ritardo, disse a tutti con la sua voce grossa.
“Siamo pronti per partire” disse Oromis.
Tegrish andò verso Gylda, che anche se era molto più piccola degli altri due draghi riusciva benissimo a portare Tegrish sul dorso per molte ore di volo. Eragon si avvicinò a Saphira, che si accucciò leggermente per farlo salire più comodamente. Ellen, in modo automatico, seguì il ragazzo ma venne fermata da Oromis che le mise una mano sulla spalla. Ellen si voltò interrogativa verso di lui.
“E’ meglio che voli con me. Già credo che dovremmo fermarci spesso per far riposare Gylda, che è ancora quasi un cucciolo. Glaedr è il più resistente di tutti, e sarebbe meglio non affaticare Saphira più del necessario”.
“D’accordo. Si, giusto” disse Ellen. Fece un cenno ad Eragon e seguì Oromis. Attaccarono le borse ad una specie di gancio fissato alla sella e lo chiusero, di modo che non cadessero durante le giravolta di Glaedr, poi Oromis salì sul dorso del drago e porse una mano ad Ellen, che la prese e vi si appoggiò per salire sulla sella.
“Grazie” disse una volta sistemata.
“Di nulla” rispose Oromis. Parlò con Glaedr e il grande animale annuì, poi, con cautela, quasi per non spaventare Ellen, si alzò in volo. Dietro di lui, velocemente, Saphira e Gylda lo imitarono e si disposero dietro di lui, leggermente più indietro, rispettivamente una a destra e l’altra a sinistra.
Ellen, appena Glaedr fu partito, sentì distintamente la differenza che c’era fra il suo volo e quello di Saphira. Mentre la dragonessa si muoveva con più grazia, Glaedr lo faceva con forza, velocità e gesti secchi che mozzavano il fiato. Ellen dovette subito aggrapparsi a Oromis e arrossì leggermente quando si avventò sulla sua schiena e gli strinse le mani al petto. L’elfo per parte sua non vi fece quasi caso ma, con gesto automatico, mentre con una mano si teneva, con l’altra spostò le mani di Ellen dal suo petto alla pancia, così da essere più comodo, ma fallì, dato che la ragazza lo stringeva come avrebbe stretto la sua stessa anima se ce l’acesse avuta in mano. Ellen, dietro di lui, arrossì ancora di più, pensando che non aveva mai fatto una figura peggiore.
Volarono non troppo velocemente sopra la Du Weldenvarden fino a che il sole non fu alto nel cielo e passò il mezzogiorno. Ad un tratto tutti quanti sentirono la voce di Oromis nelle loro menti. Fermiamoci a mangiare. Seguite Glaedr.
Il drago perlustrò la Du Weldenvarden e trovò una radura grande abbastanza perché ci stessero tutti quanti comodamente. Si tuffò nella foresta ed Ellen, terrorizzata, si strinse ancora più forte. Pensò che forse Oromis sarebbe soffocato sotto la sua stretta. L’elfo invece, sentendo la presa ferrea di Ellen aumentare, portò una mano sulle sue e le strinse, non le lasciò fino a che non furono atterrati. Non appena Glaedr ebbe toccato terra Ellen si lanciò dal suo dorso, sollevata di poter scendere.
Dopo che ebbero mangiato e i draghi si furono riposati, nonostante proprio Gylda avesse proposto di proseguire subito, ripresero il viaggio, decidendo che si sarebbero fermati non appena sarebbe stato troppo buio per proseguire, anche se il buio, per gli occhi di un drago, era relativo.
Ci misero più di quello che Ellen aveva calcolato per arrivare a Kuasta. Cinque giorni, e tutti trascorsero come il primo. Si svegliavano la mattina presto e partivano senza nemmeno fare colazione poi volavano fino all’ora di pranzo, si fermavano per mangiare e, quando riprendevano, volavano fino alla sera tardi, per poi scendere, cenare frugalmente e poi cadere sfatti nel sonno.
Al primo mattino del quinto giorno intravidero, incuneata fra le montagne da un lato e bloccata dal mare dall’altro, la città di Kuasta. Saphira individuò una grotta nelle montagne abbastanza spaziosa per tutti, e decisero di accamparsi lì. Pensavano che nella città non sarebbe stato sicuro, e che fosse stato meglio restare al riparo da occhi indiscreti.
Non appena furono pronti Tegrish disse “Andiamo?”. Aveva cercato di non farlo notare, ma era più impaziente del solito. Senza aspettare gli altri si assicurò il suo bastone da combattimento alla cintura e cominciò a scendere la montagna dicendo: “Vi aspetto giù!”. Eragon lo raggiunse velocemente dopo aver salutato Saphira, scomparendo alla vista di Oromis.
L’elfo, approfittando dell’occasione, disse subito ad Ellen: “Ellen, ho bisogno di parlarti” disse velocemente.
“Si?” chiese Ellen voltandosi.
“Ieri ho chiesto alla regina Islanzadi il permesso di venire assieme a noi. In realtà …”, per la prima volta Ellen vide che l’elfo era chiaramente in difficoltà, “tua madre aveva detto di no. Ma pensavo che saresti venuta comunque, quindi non ti ho detto nulla. Lei credeva che saresti rimasta ad Ellesmera”. Ellen trasalì. Era convinta che Oromis avesse parlato con Islanzadi a proposito di questo viaggio, per questo non lo aveva fatto lei. L’aveva solo salutata la sera prima di partire, convinta che sapesse già tutto. “Ormai si sarà accorta che tu non ci sei. Ma non preoccuparti, quando torneremo parlerò io con lei”.
Ad Ellen scappò un sorriso. “Non ti avevo mai visto così. Non preoccuparti, dirò a Islanzadi che tu non ne sapevi niente. Non se la prenderà più di tanto con me, invece con te potrebbe arrabbiarsi”.
“Se dovesse accaderti qualcosa …” cominciò Oromis.
“Ma non mi accadrà nulla”.
“… la responsabilità sarà solo mia” continuò imperterrito. “Sei la figlia di Islanzadi” concluse.
“E perché nessuno dice tutto questo ad Arya? Anche lei è la figlia di Islanzadi!” esclamò Ellen.
“Non lo so.” disse l’elfo pensieroso, “Credo che con lei la regina abbia perso le speranze da tempo ormai” concluse l’elfo sorridendo. “Andiamo. Credo che avremo molto lavoro da fare”.
“D’accordo” disse Ellen. Salutò i tre draghi, che avevano seguito il loro scambio con interesse, e uscì dalla grotta.
Non erano lontani dalla città, ad arrivare ci misero poco più di un quarto d’ora a passo lento. I soldati che si trovavano di guardia alle porte della città titubarono un po’ per lasciarli entrare, ma alla fine cedettero, quando Oromis diede loro del denaro.
“Grazie mille signori, potremmo tornare in futuro” buttò lì ai due soldati. “Ma è meglio che non si sappia del nostro arrivo”. I due soldati annuirono, un po’ confusi, ma soddisfatti di avere del denaro fra le mani.
“Ma non sarà un troppo dispendioso?” chiese Eragon. “Non è giusto! Potremmo dover restare per giorni! Dovremmo pagarli ogni volta che entreremo nella città?”.
“Eragon, credi che io mi privi così alla leggera del denaro?” chiese Oromis con l’ombra di un sorriso sul volto. “Non erano monete, erano illusioni e basta”.
“E quando si accorgeranno che il denaro non c’è più?” chiese Ellen.
“La magia dovrebbe durare ancora per qualche giorno. Perciò mettiamoci subito al lavoro e cerchiamo la prigione”.
“E che cosa diremo alle guardie? Non ci lasceranno guardare i registri così facilmente” osservò Tegrish.
“Lo so. Ma non credo che chiederemo il permesso alle guardie. Ci vorrebbe un foglio firmato dal duca di Kuasta, ma non ce lo cederà facilmente. E’ più facile e veloce intrufolarsi negli uffici della prigione. A quanto ho sentito Ellen ha un certo talento per questi lavori”.
Ellen ed Eragon risero di gusto. “Eh già!” esclamò la ragazza.
Arrivarono fino alla prigione, un edificio alto e stretto, con delle minuscole finestre ad intervalli regolari, tutte chiuse da spesse sbarre di ferro. All’entrata principale c’erano due soldati armati, ma non sembravano avere intenzione di farsi corrompere facilmente come gli altri. Proseguirono spediti e aggirarono tutto l’edificio. Non c’era una sola, minuscola porta per la quale passare, a parte quella principale. Non una porta di servizio, non una porticina per le guardie. Nulla. Decisero di tentare di nuovo con la porta principale. Si appostarono tutto il giorno e controllarono le ore in cui avveniva il cambio della guardia.
In realtà le guardie non si curavano molto dell’arrivo di chi le doveva sostituire: non appena arrivava l’ora di andarsene entravano nella prigione, lasciavano lì le armi e l’armatura e se ne andavano, anche se la porta era rimasta incustodita per un po’.
Quella sera tornarono alla grotta e, durante la cena, si misero a discutere di come sarebbero entrati. Avevano già deciso che avrebbero sfruttato i turni di guardia dei soldati per entrare, ma dovevano ancora elaborare un piano.
“Controlleremo ancora domani, per vedere se le guardie alla porta sono sempre le stesse negli stessi orari, deve esserci una qualche logica nei loro turni” propose Eragon.
“Io credo che sia meglio entrare di notte,” propose Tegrish, “così avremo più tempo. Di notte c’è più calma, non ci sarà quasi nessuno in giro”.
“Giusto” osservò Ellen. “Quindi … perché non sbarazzarci della guardia che fa il turno di notte? Abbiamo visto che è sola, e non ci metteremmo nulla a batterla, noi siamo anche in quattro”.
“No,” disse subito Oromis, “deve esserci qualche sistema di sicurezza, sono certo che la guardia riuscirebbe senza difficoltà a chiamare rinforzi”.
“B’è, allora perché non attirarlo lontano da lì?” chiese Ellen. “Ecco, prima che incominci il suo turno di guardia uno di noi attirerà la guardia lontano dalla prigione. L’altra guardia tornerà a casa ma il suo sostituto sarà in mano nostra”.
“Hm … potrebbe funzionare” osservò Oromis. “Rimane solo da decidere chi dovrà attirare la guardia lontano”. All’inizio tutti si misero a pensare senza guardarsi in viso poi, automaticamente, tutti gli sguardi ricaddero su Ellen.
Quando se ne accorse la ragazza sbottò: “Uffa! Ma perché io? E’ perché sono una ragazza vero?” chiese infastidita.
“B’è avresti di sicuro più probabilità di noi a …. hm, sedurlo” disse Eragon in fretta, come se fosse ovvio e giusto. Poi si voltò verso Tegrish, al suo fianco. “Anche se Tegrish, con questi capelli biondi …” iniziò, tirando un ricciolo al ragazzo.
“Ma piantala!” lo rimproverò quest’ultimo dandogli una spinta che lo fece inclinare, mentre Ellen rideva con le mani sulla pancia.
“Hey, concentratevi” li richiamò Oromis. I tre si ricomposero in fretta e lo guardarono.
“Comunque, mi pare l’idea migliore” ribadì Eragon.
“Ma … !” Ellen tentò di protestare, ma venne fermata.
“E’ una buona idea” disse Oromis. “Ellen poterà il soldato verso di noi, così ti aiuteremo”.
“Ti aiuteremo!” esclamò la ragazza. “Non ho bisogno di aiuto, io! E il vostro piano è sessista!” si alzò e si sdraiò coprendosi con alcune coperte accanto a Saphira, ancora brontolando fra sé e sé.
Eragon sorrise leggermente, mentre Oromis e Tegrish si guardavano perplessi.

Ellen aveva indossato l’unico vestito che si era portata dietro per il viaggio. Nemmeno lei sapeva perché ce lo aveva nella borsa, probabilmente era rimasto lì e non lo aveva voluto buttare.
Era sera e la luna splendeva nel cielo, illuminando di un bianco perlaceo i contorni del suo volto. Ellen si avviò lungo la strada che portava alla prigione, alla ricerca del soldato che avrebbe fatto la guardia di notte. Avevano cercato la sua abitazione. Sarebbe arrivato da una vietta laterale nascosta alla vista della prigione. Perfetto. Era quasi ora che arrivasse, ma dopo dieci minuti di ritardo Ellen si disse che quei soldati erano veramente pigri.
Ad un tratto vide una sagoma scura proseguire lentamente lungo la stradicciola e cominciò a passeggiare calma verso di lui, le mani dietro la schiena e lo sguardo rivolto verso l’alto, come se non facesse caso a dove andava. Cercò di assumere l’atteggiamento più sciocco e civettuolo che riusciva a fingere. Saltellò verso il soldato e gli sorrise.
“Buonasera!” esclamò, mostrando i denti candidi e avvicinandosi a lui.
“Buonasera” disse il soldato con un mezzo sorriso, salutandola con un gesto del capo. Ellen cominciò a camminare affianco a lui, al che il soldato la guardò sorpreso. “Ha bisogno di qualcosa?” chiese. Era un ragazzo molto giovane, non poteva avere più di vent’anni. Era alto e secco, aveva i capelli castano chiaro e un pizzetto dello stesso colore sul mento.
Ellen scosse la testa e gli tese la mano. “Piacere, io sono Jida” disse. Il soldato le strinse la mano con gesto molle.
“Watril” disse con un mezzo sorriso.
“E … cosa fai qui a quest’ora?” chiese Ellen con aria civettuola.
“Potrei farle la stessa domanda signorina. Non è sicuro per una ragazza giovane e bella come voi andare in giro a quest’ora”.
“Oh! Lei signore è troppo buono. Non sono nulla di così speciale” disse con un sorriso. “Però … forse avrei bisogno di … protezione. Ho visto della gente sospetta in giro. Lei che dice, potrei essere in pericolo?”. Si guardò attorno per controllare che non ci fosse nessuno, poi si avvicinò al soldato e gli carezzò una guancia, sempre sorridendo.
“Hem …”. L’uomo arrossì e continuò a camminare, leggermente più veloce. “Non … io … signorina, lei certo è molto attraente, ma io sono già impegnato” disse con un sorriso gentile, e abbandonò Ellen nel vicolo buio.
Dietro di lui la ragazza alzò gli occhi al cielo e fece un sospiro di frustrazione. Estrasse velocemente dalla borsa un pugnale e, con l’elsa, colpì Watril alla nuca. Quello svenne di colpo, cadendo al suolo senza fare rumore.
“Ellen! Ma che fai?!”. Eragon spuntò da un vicolo, da dove aveva visto tutta la scena, sibilando rabbioso.
“Aiutami!” disse Ellen a bassa voce in risposta.
Eragon la raggiunse veloce e prese il soldato per i piedi. Lo trasportarono fino al vicolo cieco dove stavano anche Oromis e Tegrish. Non appena furono arrivati depositarono l’uomo a terra, Tegrish prese alcune corde e, aiutato da Oromis, cominciò a legare il povero malcapitato.
“Dovevi farlo venire qui!” disse Eragon arrabbiato. “E se qualcuno ti avesse visto?”.
“Non mi ha visto nessuno! E poi, insomma, siamo stati un po’ sfortunati. Questo dev’essere uno dei pochi soldati di Alagaesia fedeli alla propria donna. Ma hai sentito che ha detto? Mi ha detto di no” replicò Ellen esasperata.
“E quindi? Significa solo che non sei capace di attirare un uomo come si deve”.
“Ma che dici?” disse Ellen stizzita. “Io sono perfetta, è sola colpa sua … e della sua sposa probabilmente!”.
“Volete fare un po’ di silenzio?” chiese Oromis. Eragon ed Ellen continuavano a guardarsi in cagnesco, ma non si parlarono più. Legarono il soldato e lo lasciarono lì, svenuto. Se anche si fosse svegliato non avrebbe potuto fare nulla, lo avevano legato talmente stretto che anche con una persona che lo aiutava ci avrebbe messo un po’ a sciogliere i nodi o a tagliare la spessa corda che avevano usato.
Oromis aprì con la magia il lucchetto che teneva chiusa l’entrata, poi spinse la pesante porta di legno della prigione, che non emise nemmeno un cigolo. Si trovarono dentro un corridoio stretto e alto, di pietra. Avanzarono nell’oscurità per qualche minuto, senza sapere dove andare. Ad un tratto, in un soffio, Tegrish chiese: “Dove saranno i registri?”.
“Non lo so” rispose Oromis. “Purtroppo non c’è stato alcun modo di trovare una piantina della prigione, o una qualche notizia sulla sua struttura”.
Continuarono a camminare, poi si trovarono davanti a tre porte, una al centro del corridoio, le altre due sulla pareti laterali. “E ora?” chiese Tegrish.
“Ci dividiamo” disse Oromis. “Io e Tegrish andiamo di qua” indicò la porta alla loro sinistra, “Ellen di là, Eragon di là” disse indicando rispettivamente la porta sulla destra e quella al centro.
“D’accordo. Teniamoci in contatto mentale” disse Ellen andando verso la porta di destra. Posò una mano sulla serratura e l’aprì piano con la magia. Si voltò a rivolgere un sorriso di saluto agli altri, poi varcò la porta e se la chiuse alle spalle.
L’oscurità attorno a lei era densa di umido, così accese sul palmo della mano un piccolo fuoco, bisbigliando: “Brisingr”. Quando la fiammella illuminò meglio il luogo in cui si trovava, Ellen trattenne il respiro, facendo scorrere lo sguardo lungo le spesse sbarre di ferro delle celle.

Eragon fece un sospiro rilassato. Non c’era nulla di ché in quella stanza, così proseguì più calmo di prima. Delle torce erano appese lungo tutte le pareti, e illuminavano fiocamente il corridoio in cui si era inoltrato. C’erano diverse porte attorno a lui e, siccome non sapeva bene dove cercare, ne aprì una a caso. Era un ufficio. Non sembrava esserci nulla di troppo importante, così richiuse la porta in silenzio. Quando si voltò e ricominciò a camminare vide, sul fondo del corridoio di pietra, un soldato che camminava tranquillo.
Eragon alzò subito la mano per ucciderlo silenziosamente con una magia, ma si fermò appena in tempo. Al posto di pronunciare una delle parole di morte, bisbigliò nell’antica lingua: “Immobilizza gli arti”.
Come se gli fosse stato gettato addosso un secchio d’acqua gelata, il soldato s’irrigidì sul posto e cominciò ad ansimare spaventato. Eragon andò in fretta accanto a lui e gli si parò davanti. Il soldato lo osservava con sguardo terrorizzato.
“Non farmi del male” disse ad Eragon non appena lo vide.
“Non ti farò nulla se mi indichi la strada per i registri della prigione” rispose lui con voce dura e uno sguardo più spaventoso di quello che volesse assumere.
“I registri sono contenuti tutti oltre le ultime cinque porte del corridoio, tutte quelle sulla sinistra” disse in fretta il soldato.
“C’è qualcuno che varrà a sostituirti? O a controllare qualcosa in questo corridoio?”.
“No, nessuno. Fino a domani mattina all’alba” disse l’uomo terrorizzato.
“Grazie mille” rispose Eragon sospirando. Poi, conscio di aver mentito, uccise il soldato. Quello si accasciò all’improvviso ai suoi piedi, gli occhi rivoltati all’indietro, di cui era visibile solo il bianco. Eragon si chinò su di lui e gli chiuse gli occhi con le mani, sospirando.
Il soldato aveva detto la verità, in fondo al corridoio, a una regolare distanza, c’erano cinque porte. Eragon aprì la prima e vi entrò. Era una stanza ampia, con un grosso tavolo al centro e una lampada a olio posata sul tavolo, spenta. Su tre dei quattro lati della stanza scorreva una grande libreria. Ogni scaffale era pieno di libri rilegati in pelle marrone, e sembravano abbastanza vecchi. Eragon ne prese uno a caso e cominciò a sfogliare le pagine ingiallite. Notò che sullo scaffale c’era un’etichetta che recava una scritta. Era una data che risaliva a quasi cento anni fa. Rimise il libro a posto e guardò negli altri scaffali. Tutti riportavano date diverse, e il ragazzo comprese che in ogni scaffale erano tenuti i libri riguardanti un solo anno. Tegrish gli aveva detto che suo padre era stato catturato l’anno prima, quindi lì non doveva esserci nulla di quello che cercava. Andò all’ultima delle cinque porte e vi entrò. Come l’altra stanza era coperta di scaffali, ma lì solo due delle pareti erano piene di libri. Eragon andò verso gli ultimi scaffali, ai quali seguivano solo quelli vuoti, e cercò la data dell’anno precedente.
Era incredibile quante persone fossero state arrestate in quegli ultimi anni. Trovò la data che cercava e rimase stupito di trovare così tanti volumi. C’è n’erano almeno una ventina e, prendendo il primo, Eragon notò che erano scritti con una grafia ordinata, curata e soprattutto molto fitta.
Non poteva fare tutto quel lavoro da solo. Chiuse gli occhi, si concentrò, e allargò la mente, cercando Oromis ed Ellen. Lontano da lui, da qualche parte nella prigione, percepì il maestro.
  Oromis, ho trovato i registri. Inviò ad Oromis una immagine mentale di dove si trovava.
  Arriviamo subito, tu avvisa Ellen.
  D’accordo, disse Eragon, e si concentrò nuovamente per cercare la ragazza. Non la trovava da nessuna parte, così allargò il campo di ricerca. Alla fine trovò quello che cercava.
  Ellen! La ragazza sobbalzò nel sentire la voce di Eragon nella sua mente e si guardò attorno, come se anche qualcun altro avesse potuto sentire.
  Eragon! Nemmeno puoi immaginare che ho trovato qui!
  Non è il momento, ho trovato registri. Oromis e Tegrish stanno venendo qui, mandò l’immagine di dove si trovava anche a lei. Ti aspettiamo d’accordo?
  No, aspetta Eragon. Forse ci vorrà più tempo del dovuto perché io arrivi.
  Perché? Ellen, per favore, non metterti nei guai. Stiamo rischiando grosso, non devi fare di testa tua!, la rimproverò il ragazzo, ansioso.
  Dovrete solo aspettarmi un po’ più a lungo, tutto qui. Fidati Eragon, so cosa faccio. Non mi succederà nulla, non ti devi preoccupare. Presto arriverò a darvi una mano, in quattro troveremo le informazioni che cerchiamo in un baleno. Aspettatemi lì, non ci metterò molto.
  Ma cosa …? Ellen! La ragazza lo chiuse al di fuori della sua mente, ed Eragon non poté più parlarle.
Il ragazzo imprecò, poi prese tre grossi libri e li mise sul tavolo.  Accese la lampada ad olio e si sedette in attesa di Oromis e Tegrish. Non sapeva nemmeno come si chiamasse il padre di quest’ultimo, così decise di aspettare il suo arrivo per chiedergli più informazioni. Nel momento in cui Oromis e Tegrish arrivarono Eragon alzò gli occhi da uno dei libri.
“Eccoci” disse Tegrish impaziente, sedendosi al tavolo.
“Sono catalogati per anno, quelli dell’anno scorso sono tutti in quella mensola” cominciò Eragon indicando i libri alle sue spalle. “I libri sono numerati, e dentro c’è la divisione di ogni singolo giorno dell’anno”.
“Quando è stato catturato tuo padre?” chiese subito Oromis.
“Non mi ricordo il giorno esatto, ma è successo nella stagione di raccolta, uno dei primi mesi” rispose subito Tegrish.
“Bene”. Eragon si alzò dalla sedia e cominciò a cercare i libri che corrispondevano a quella stagione. Sfogliandone alcuni tirò fuori quattro grossi volumi. Se li divisero e iniziarono a leggerli dal principio. “Chi dobbiamo cercare esattamente?”.
“Dovete cercare Kalim Yamm, chiamato anche Il guaritore ladro”.
La silenziosa ricerca cominciò. Dopo appena qualche minuto Oromis alzò la testa dal suo libro. “Ellen?”.
Eragon sbuffò. “Non lo so. Mi ha cacciato dalla sua testa e ha detto che sarebbe arrivata subito, che aveva trovato qualcosa”.
“Che cosa?” chiese Oromis alzandosi di scatto. “E l’hai lasciata lì?”.
“E che dovevo fare? Non so dove si trova e lei non me lo ha detto!” esclamò Eragon infastidito.
“Aspettatemi qui, devo andare a cercarla” disse grevemente Oromis scostando la sedia e uscendo dalla stanza.
Eragon emise un verso di sdegno e s’imbronciò. “Continuiamo noi, Tegrish. Saremmo capaci di trovare tutto quel che ci serve anche da soli” disse ricominciando a leggere febbrilmente.

“Ecco … ho quasi fatto”. Ellen si asciugò alcune goccioline di sudore sulla fronte, si guardò alle spalle per controllare che non ci fosse nessuno, poi posò di nuovo gli occhi sul suo lavoro. Il ferro mezzo arrugginito si stava pian piano spezzando. Alla fine, con un colpo secco, si ruppe. “Fatto” disse Ellen liberando la creatura dalle catene che le tenevano i piedi legati.
“Grazie” grugnì quella, e si accasciò sul pavimento, sfinito.
Ellen si spostò un po’ più in là e si allungò verso un altro prigioniero. Fece la stessa procedura e liberò anche lui. Uscì dalla piccola cella dove aveva liberato due prigionieri e passò a alla prossima, la penultima. Attorno a lei cominciava a sentire il mormorio dei prigionieri che aveva già liberato. Alcuni si muovevano leggermente, cercando di rianimare i muscoli e le giunture rimaste per troppo tempo addormentate, altri seguivano i suoi spostamenti, altri ancora sussurravano fra di loro. Alcuni, quando Ellen li aveva liberati, avevano cercato di aiutarla, ma lei aveva gentilmente detto loro di restare dov’erano e di riposarsi. “Risparmiate le energie per andare via da qui”, aveva detto.
Stava cercando di aprire una delle celle dove si trovava un personaggio incappucciato che non si faceva vedere in volto, quando all’improvviso la porta si aprì. Ellen sussultò e si voltò di scatto, i prigionieri ebbero la stessa sua reazione, ma più lenti e con il terrore dipinto sul volto.
Era Oromis. Ellen trasse un respiro di sollievo quando lo vide. “Oromis vieni a darmi una mano” disse mentre ancora trafficava con il lucchetto della cella. La figura incappucciata fremette impercettibilmente. Oromis, lo stupore dipinto sul volto nel vedere tutte quelle creature, si avvicinò ad Ellen guardandosi attorno circospetto, poi si chinò affianco a lei, sul lucchetto. “Non riesco ad aprirlo” disse la ragazza in un sibilo.
“Fammi vedere”. Prese in mano il lucchetto e lo tenne stretto in mano. “E’ una magia forte. Hai liberato tutti loro da sola?” chiese indicando le altre celle.
“Si”.
“E’ probabile che tu non abbia più forze allora per contrastare questa. Faccio io qui, tu va’ da loro”. Indicò gli ultimi prigionieri, ancora incatenati al muro con lunghe e spesse catene d’acciaio.
“D’accordo”. Ellen li liberò e, poco dopo, Oromis riuscì ad aprire la cella. La figura incappucciata si alzò con eleganza e uscì dalla sua prigione.
“Come possiamo farli uscire senza che nessuno se ne accorga?” chiese Ellen con un bisbiglio ad Oromis.
“Non lo so. Avvisa Eragon che noi due torniamo indietro, li porteremo alla grotta. Lui e Tegrish se la possono benissimo cavare da soli” rispose l’elfo guardandosi attorno. Ellen annuì.
  Eragon …, la ragazza cercò un po’ dappertutto, e alla fine lo trovò. Eragon io ed Oromis dobbiamo tornare alla grotta.
  Cosa? E perché? Volete spiegarmi cosa diavolo succede?
  Con più calma, ora non mi pare proprio il caso. A che punto siete tu e Tegrish? L’avete trovato?
  Si, sappiamo che è qui. Ma ci metteremo un eternità a controllare ogni cella, anche se Tegrish conosce la strada per arrivarci. Ci è stato prima con Oromis.
  Non metteteci così tanto. Ricorda, il cambio della guardia avverrà all’alba. Credo che a quell’ora anche in città comparirà della gente. I soldati torneranno tutti qui. Mi raccomando, fate attenzione.
  Si, certo.
  Ci vediamo alla grotta.
Ellen si riscosse dalla conversazione e guardò Oromis, stava facendo alzare tutti i prigionieri, lentamente, come se avesse paura che potessero svenire da un momento all’altro, il che, si disse Ellen, poteva anche essere vero.
“Ellen va’ davanti e guidaci fuori” disse Oromis. Ellen eseguì senza fiatare, andò alla porta e guardò in su e in giù lungo il corridoio. Dopo aver visto che non c’era nessuno fece un segno agli altri e uscì nel corridoio. Per fortuna non incontrarono nessuno, Ellen era preoccupata per la mancanza di energia, che aveva sprecato per liberare la maggior parte dei prigionieri. Quando furono nel corridoio principale Ellen si diresse alla porta e l’aprì. Come quando erano entrati, quella non fece un rumore. La guardia di notte probabilmente era ancora nel vicolo, legata, imbavagliata e svenuta. Il manipolo di prigionieri, fra sospiri di sfinimento e grugniti animaleschi, arrivò fino alla porta.
“Come facciamo a passare?” chiese qualcuno.
“Scavalchiamo” rispose Oromis.
“Vado prima io e vi apro” disse Ellen in un sussurro. Uno dei prigionieri si era ripreso abbastanza da sollevarla e aiutarla a passare oltre le basse mura di Kuasta. Quando Ellen fu dall’altra parte, non appena si voltò, vide due soldati guardarla in cagnesco. Imprecò mentalmente ed estrasse la spada.
Se non fosse stata così stanca probabilmente non ci avrebbe messo poi molto, ma sentiva le forze cedere ad ogni movimento. I soldati per di più erano in due e ben addestrati, mentre lei era solo una, e molto infiacchita. Con un grugnito di dolore, Ellen respinse uno dei soldati che le aveva ferito la spalla, poi si gettò su di lui e lo trafisse. Intanto, dietro di lei, sentiva l’agitarsi dei prigionieri e di Oromis.
Improvvisamente, dall’alto, vide spuntare l’elfo. Il soldato sopravvissuto non se ne accorse nemmeno e Oromis, saltando giù dal muro, lo trafisse senza alcuno sforzo. “Andiamo” disse l’elfo avviandosi alle porte della città. Aprirono in fretta il portone e i prigionieri uscirono.
In quel momento Ellen sentì mancare le forze. Gli occhi le si rivoltarono all’indietro e lei svenne. Non sentì neanche le grosse braccia muscolose del prigioniero, che l’avevano afferrata appena prima che toccasse terra.




Se siete arrivati alla fine di questo capitolo, vi meritate davvero un premio. E' lunghissimo! Comunque sia, spero di non avervi annoiato con questo capitolone, è che non mi andava di spezzettarlo in due parti, sarebbe stato troppo discontinuo.
B'è, rispondo velocemente alle recensioni, che devo scappare!

KissyKikka: wow grazie mille per i complimenti! Non ti preoccupare per non aver recensito, so che adesso siamo tutti impegnati! Sono contenta di esser riuscita a descrivere bene Gylda, ho cercato di darle una personalità che potesse essere compatibile con quella di Tegrish. Del tuo prezioso giudizio mi fido molto, e sono felice che ti piaccia ancora la storia, anche se sta subendo molte modifiche e si discosta parecchio dall'originale. B'è, grazie mille per aver recensito, un bacio! ^^

Thyarah: grazie per i complimenti! Sono felice che ti piaccia la storia, e anche i personaggi e il modo di scrivere. Come vedi anche questo capitolo finisce in un modo strano, e non si sa ancora chi hanno liberato fra i prigionieri di Kuasta, ma lo saprete presto, e sarà la premessa per un nuovo importante personaggio che vedremo comparire fra un po'. B'è, grazie per la recensione, al prossimo capitolo.

A tutti gli altri grazie mille, vi saluto in fretta perchè devo andare,
Patty.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Nuove alleanze ***


Capitolo nove: Nuove alleanze

Tre Urgali. Un Kull. Due nani. Due elfi. Uno sconosciuto.
Tegrish tirava le somme di chi Ellen e Oromis erano riusciti a liberare, e trovava fosse una notizia magnifica. Per di più, lì con loro c’era anche suo padre. Era ancora addormentato, Tegrish aveva paura che avesse qualcosa, ma secondo Oromis si sarebbe presto ripreso. Era cambiato molto da quando l’aveva visto l’ultima volta: il suo volto era scarno e magro, così come il resto del corpo, sotto gli occhi aveva delle occhiaie scure e gli zigomi sporgevano all’infuori in modo innaturale. Aveva la barba lunga, Tegrish ricordò che non l’aveva mai tenuta lunga, perché diceva che non era elegante e non piaceva alle signore. Ogni volta che lo diceva, Tegrish rideva e gli diceva che lui non avrebbe comunque avuto speranze con nessuna.
Quando Eragon e lui erano tornati alla grotta, con suo padre mezzo svenuto che non capiva che cosa stesse succedendo, l’avevano trovata occupata da creature che non avevano mai visto prima. La maggior parte furono catturate perché erano state dichiarate nemiche dell’Impero, o perché erano ritenute pericolose.
Il Kull assieme agli altri tre Urgali erano un gruppo nomade che si era distaccato dal loro clan quando questo si era arruolato a Galbatorix. Gli elfi erano stati catturati dopo essere stati inviati come messaggeri moltissimi anni fa al re, e così era accaduto per i nani. Rimaneva solo il misterioso personaggio incappucciato, ma non parlava mai e non si era nemmeno mostrato in volto.
Sembrava che volesse recuperare il più in fretta possibile le forze per poi andarsene. Mangiava sempre tutto quello che riuscivano a cacciare, scompariva per delle ore intere e nessuno lo rivedeva più, poi prima di cena tornava e mangiava. Dormiva a lungo, e la mattina dopo ricominciava la giornata con lo stesso ritmo lento, ma in costante accelerazione.
Un giorno il capo Kull degli Urgali, che si stavano riprendendo dalle fatiche della prigione molto facilmente, catturò un orso adulto e lo portò di fronte ad Ellen.
“Questo è per te,” disse con la sua voce gutturale, “per aver salvato me e i miei compagni dalla prigionia”.
Ellen guardò stupefatta la carcassa dell’orso. “Grazie Trushkren” disse allibita.
“Di nulla Hamorai” rispose lui. Ellen fece uno sguardo perplesso, pensava di non aver colto bene le parole del grosso Kull.
Eragon si chinò affianco a lei e mormorò al suo orecchio: “Hamorai è una parola che gli Urgali usano per persone verso cui portano grande rispetto. E’ un modo per renderti grazie”.
“Oh!” esclamò Ellen. “Grazie ancora, sei molto gentile” disse rivolta a Trushkren. Il Kull annuì, soddisfatto, e fece per appartarsi con i suoi compagni. Ad un tratto ad Ellen venne un’idea. “Trushkren!” disse sorpassando la carcassa dell’orso e andando verso di lui. Il Kull si fermò a metà strada e si girò verso di lei con sguardo interrogativo. “Qual è il clan dal quale vi siete distaccati? Se non oso troppo nel chiedere”.
“Il clan era capitanato da un Kull di molto superiore a me. Si chiamava Nar Garzhvog” rispose lui.
Il viso di Ellen s’illuminò di sorpresa e speranza: “Nar Garzhvog? B’è, non so se ti farà piacere saperlo, ma il tuo vecchio clan ha sciolto l’alleanza con Galbatorix e si è schierato dalla nostra parte. Ora lui e il suo clan sono sotto il comando di Nasuada, capo dei Varden, chiamata anche Lady Furianera”.
“Furianera?” chiese Trushkren stupito. “E’ il soprannome che avevamo dato al capo dei Varden, ci inseguiva con il fuoco negli occhi nelle gallerie del Farthen Dur”.
“Lady Furianera è sua figlia. Ora governa i Varden con saggezza e parsimonia, ed è riuscita a far accettare il vostro clan malgrado i diversi pregiudizi che c’erano nel campo”. Ellen fece una pausa, poi chiese a Trushkren: “Io mi chiedevo … se voleste allearvi con noi come ha fatto Nar Garzvogh”. La domanda rimase in sospeso, gli elfi e i nani alzarono lo sguardo verso di loro. I tre draghi, sul fondo della grotta, osservavano la scena con i loro occhi intelligenti.
“Non nutro più molta simpatia per il mio vecchio capo” disse lentamente Trushkren, “ma … credo che potrei mettere da parte i dissapori e unirmi ai Varden per una giusta causa”.
Ellen tirò un sospiro di sollievo. Per un secondo aveva pensato che il Kull si sarebbe arrabbiato, ma invece aveva reagito come sperava. Improvvisamente uno dei nani, di nome Freder, si alzò e si batté un pugno sul petto, poi disse ad alta voce, la barba vibrante al muoversi delle sue labbra: “Anche noi combatteremo! L’Impero non dimenticherà gli anni di prigionia inflitti a me e al mio fratello, dico bene Grimet?! Siamo al vostro servizio, nonostante siamo solo in due”.
“Due soldati in più possono fare la differenza” disse gentilmente Oromis.
A questo punto, forse presi dal fervore del momento, gli elfi si alzarono leggiadri e andarono verso Oromis. S’inchinarono a lui e dissero, nella loro lingua madre: “Saremmo lieti di esservi d’aiuto Oromis-elda. Ti siamo grati per quello che hai fatto, e non possiamo dimenticare le tue imprese di Cavaliere: se abbiamo te dalla nostra parte, siamo sicuri di vincere. Andremo a cercare il nostro popolo, è una città non molto lontana da Ellesmera, sono certo che troveremo molti alleati. Il nostro popolo ti sarà grato per averci aiutati”.

Pochi giorni dopo quelle promesse di fedeltà, il padre di Tegrish si era svegliato definitivamente e Oromis ed Eragon concordarono che fosse una buona idea andarsene, ed incamminarsi verso i Varden. Questa volta erano più lenti. I draghi volavano dritti verso l’accampamento, e cercavano uno spazio riparato dove gli altri potessero sostare per la notte. Quando raggiungevano il luogo prescelto allora mandavano l’immagine a Oromis e aspettavano.
Tutti camminavano più lentamente e, solitamente, erano divisi in tre gruppi. In testa c’erano sempre Eragon, Oromis, Ellen, Tegrish e suo padre e i due elfi, di nome Ismar e Ajen. Molto spesso camminavano affianco a loro anche i due nani Freder e Grimet, a volte invece se ne stavano in disparte a fare lunghe conversazioni nella loro lingua natia e a ridere in modo contagioso. Dietro a questo gruppo c’erano i tre Urgali e Trushkren, che preferivano stare per conto loro. A seguirli, per ultimo, c’era lo straniero misterioso, di cui nessuno sapeva nulla e di cui non conoscevano nemmeno il volto né il nome.
Una sera, dopo che si furono accampati, Tegrish e suo padre Kalim si misero a parlare fra di loro e tutti vollero lasciarli soli, a godersi un po’ della pace e della felicità che meritavano dopo essersi ritrovati. Gli altri si misero a dormire, mentre Glaedr vegliava su tutti loro, come si era proposto di fare.
Tutti dormivano, la notte era silenziosa dopo che anche Tegrish e Kalim si erano addormentati uno accanto all’altro. Se non fosse stato per la sua vista acuta, Glaedr non si sarebbe nemmeno reso conto della figura scura che si staccava dal gruppo. Era il misterioso sconosciuto senza nome, che si alzava e se ne andava. Glaedr lo avrebbe anche lasciato andare senza troppi problemi, pensando che forse per lui era giunto il momento di andarsene, se non fosse stato che, dopo qualche minuto che si fu allontanato, il drago vide una scintilla rosso acceso crepitare nel bosco.
Con la mente chiamò Oromis, che si svegliò. Che cosa c’è?, chiese l’elfo con tono confuso, anche la mente intrisa di sonno.
  Lo sconosciuto s’e n’è andato, ma lì c’è qualcosa che brilla, credo sia lui.
  Dove?, Oromis cercò con gli occhi nella direzione indicata da Glaedr con la coda, e vide un baluginio rossastro nel buio selvatico della foresta. Resta con gli altri, vado a vedere che cos’è.
Oromis andò velocemente verso la fonte di luce, che si faceva sempre più intensa man mano che si avvicinava. Sorpassò alcuni alberi, ma rimase nascosto. In mezzo ai tronchi e ai rovi lo sconosciuto aveva abbassato il cappuccio, e teneva fra le mani quello che sembrava un globo di acqua rossastra e luminosa. Vi guardava dentro come se stesse cercando qualcosa, qualcosa che evidentemente non trovava, stando alle sue sopracciglia corrucciate. Ma la cosa che stupì di più Oromis era che si erano sbagliati tutti su di lui.
Non era lui, era lei. Era alta e sottile, tutto in lei sembrava stranamente allungato, dalle gambe lunghe che Oromis riusciva ad intravedere dalla veste con cappuccio aperta e svolazzante ad un vento inesistente, alle braccia sottili piene di anelli e bracciali, per finire sul viso magro e allungato, con un naso dritto e perfetto. Aveva la pelle scura, come quella di Nasuada, mentre i palmi delle mani erano più pallidi.
Rimase a guardare affascinato la straniera che continuava la ricerca nella sua palla d’acqua, poi, quando la palla fu scomparsa in un guizzo di colore, Oromis si schiarì la gola e avanzò. La donna fece un sussulto nel vederlo comparire al suo fianco, e cercò di proteggersi velocemente con la veste e il cappuccio.
“Non c’è bisogno che ti copri. Nessuno ti farà nulla” disse Oromis facendo vedere che era disarmato. Continuò a camminare lentamente verso di lei, che lo guardava con espressione truce, arrabbiata con sé stessa per essere stata scoperta. “Perché ti nascondevi? Come ti chiami?” chiese Oromis.
Attese pazientemente che la straniera si degnasse di una risposta. E infatti quella, con voce fluida e leggera, cha pareva una musica dolce, disse: “Mi chiamo Janeshla”.
“Piacere di conoscerti, Janeshla” disse Oromis con un leggero inchino, senza tuttavia distogliere lo sguardo da lei. “Posso chiederti perché te ne stai qui da sola?”.
Janeshla sembrò esitare, poi sospirò. “Non voglio finire coinvolta contro l’Impero. Io e le mie sorelle non siamo né con, né contro Galbatorix. Sto cercando di contattarle, ma non le trovo da nessuna parte. Quando le troverò me ne andrò, nel frattempo, per non rischiare, non volevo proseguire la strada da sola”.
“Forse se ce lo avessi raccontato prima a quest’ora ti avremmo aiutato”.
“Ne dubito” sbuffò Janeshla incrociando le braccia al petto.
“E perché mai?” chiese Oromis con un piccolo sorriso.
Janeshla si torse le mani e cominciò a spostare il peso da un piede all’altro. Guardava ovunque tranne che verso Oromis. A lui non sembrava così offensiva, dopotutto, e cosa avrebbe potuto nascondere di così terribile? Janeshla continuava a sembrare nervosa e anche impaurita. Alla fine, come se avesse preso una decisione per conto suo, guardò Oromis con sguardo intenso e risoluto. “Io e le sorelle che sto cercando siamo Ibridi”.
Oromis restò paralizzato, lo sguardo fisso sulla donna di fronte a sé. La guardò meglio, ma non scorse nessuna delle tracce caratteristiche degli ibridi, che conosceva solo in teoria. Erano creature selvagge, che vivevano per conto loro formando piccoli clan di poche persone ognuno. L’elfo, un po’ più apprensivo, cercò di dire qualcosa, ma non le venne in mente nulla che potesse essergli d’aiuto.
Janeshla sbuffò. “Me ne sto andando. Non dire a nessuno che cosa sono” disse, e si voltò. Stava per scomparire nel folto degli alberi, con passo incerto, quando Oromis si riebbe.
“Aspetta! Janeshla!”. Corse verso di lei e la raggiunse in un attimo. Istintivamente, stava per posarle una mano sulla spalla, ma poi cambiò idea. “Perché non resti con noi?” chiese. “E’ chiaro che non vuoi viaggiare da sola, allora sta’ con noi. Finora nessuno ha avuto motivo per non fidarsi di te, a parte il fatto che ti tenevi sempre nascosta. Ma ora tutti sapranno che era solo a causa di … pregiudizi”.
“Oromis-elda, il fatto che tu possa superare i pregiudizi, non significa che lo possano fare anche gli altri” replicò Janeshla con un sorriso triste. “E’ meglio che vada”.
“No, aspetta. Solo un minuto. Continua a viaggiare con noi, ti presenterò io agli altri e vedrai che non ci saranno problemi”. Janeshla esitò. Oromis capì che per convincerla ci mancava poco. “Forse potrei aiutarti a trovare le tue sorelle” buttò lì.
Non ci vollero più di pochi secondi perché la donna rispondesse, con voce convinta: “D’accordo”.

“Non credo proprio che sia stata una buona idea. Sarebbe stato meglio se Oromis l’avesse lasciata andare” borbottò nella barba Grimet al compagno. I due nani se ne stavano in disparte e osservavano la donna alta che si muoveva sinuosa davanti a loro. In fondo alla congrega stavano gli Urgali, che non avevano ancora detto nulla. Un po’ distanti e silenziosi stavano gli elfi. Davanti a tutti, come al solito, c’erano i tre Cavalieri, Ellen e Kalim.
“Ma, scusate, qualcuno vuole spiegarmi perché sono tutti così agitati?” chiese Ellen per la centesima volta.
“Si, spiegatelo anche a noi” intervenne Eragon.
“Non ora, potrebbe sentirci” bisbigliò Oromis.
“Se può sentire noi allora può benissimo sentire quello che dice Grimet, ma non mi pare ne stia facendo una tragedia, no? Perché non posso avere una spiegazione? In fondo non c’è nulla di sbagliato”.
A quel punto Kalim sbuffò. “Oromis, se serve a farli zittire, glielo racconterò io” disse con finto tono di rimprovero. Era quasi identico al figlio, almeno caratterialmente, e non riusciva mai ad arrabbiarsi davvero con qualcuno. “Allora, ascoltate con attenzione.” disse rivolto ai due ragazzi, “Gli ibridi sono una razza molto antica, nessuno sa da dove provenga. A quanto si dice in giro sono quasi estinti e non si parla di loro da anni ormai. Le leggende, che io credo fermamente essere vere, raccontano che gli ibridi sono il risultato di un antico patto fra uomini e animali”.
“Che animali?” chiese Eragon.
“Tutti gli animali” proseguì Kalim come se fosse ovvio. “Ogni ibrido ha la capacità di trasformarsi in un animale a sua scelta. Non so bene come funzioni, ma pare che da piccoli possano scegliere l’animale che più gli piace e trasformarsi in quello. Ma devono scegliere bene, perché poi non posso più cambiare”.
“In realtà” una voce flautata giunse da dietro di loro, tutti si voltarono e videro che Janeshla li aveva raggiunti e aveva ascoltato la conversazione, “non è proprio così. Ognuno di noi ha un animale speciale, con il quale è più legato. L’animale che si adatta meglio alla personalità di un ibrido è quello giusto per lui. Non è una cosa che si può scegliere, ma tutti sono soddisfatti dell’animale che possiedono”.
“E tu che animale sei?” chiese Ellen.
“Volete vedere?” chiese Janeshla con un mezzo sorriso.
“Forse non è una buona idea …” tentò di dire Oromis, ma lei aveva già iniziato a correre.
A metà della corsa Janeshla si trasformò in un bellissimo cavallo marrone scuro. Continuò a galoppare, fece qualche salto, nitrì e poi tornò indietro, ritrasformandosi e riprendendo a camminare affianco a loro. Tutti erano rimasti a bocca aperta, gli elfi la osservavano incantati, invece le espressioni dei nani erano ancora più cupe di prima. Gli Urgali, dopo aver mostrato un leggero nervosismo durante la trasformazione, cercarono di calmarsi.
“Ma è bellissimo!” esclamò Ellen con un sorriso. “Chissà che animale sarei io” si chiese concentrando lo sguardo davanti a sé.
“Saresti un topo” disse subito Eragon.
“Zitto!” esclamò la ragazza mollandogli un pugno sulla spalla. “Tu saresti un uccellaccio del malaugurio!”.
“Comunque …” si intromise Tegrish guardando verso Janeshla, “non capisco che cosa ci sia di tanto terribile. Perché la gente vi … insomma, perché hanno paura?” chiese, con il lieve timore di offenderla.
“Purtroppo non tutti siamo in grado di controllarci quando siamo sotto forma di animali. Questo spesso può essere un problema, senza rendercene conto possiamo distruggere un intero villaggio. I nostri sensi sono più forti di quelli di un normale animale, siamo forti il triplo di loro. Ora … pensa ad un drago tre volte più forte di uno dei vostri, e pensa cosa potrebbe fare se fosse fuori controllo”.
“Vi potete trasformare anche in draghi?” chiese Eragon stupito.
“Una volta, ho conosciuto un ibrido che possedeva lo spirito del drago. Io sono un ibrido relativamente innocuo ad esempio, ma una delle mie sorelle si trasforma in un falco talmente grande da poterti uccidere con tre beccate, mentre l’altra possiede lo spirito di uno dei più temibili mostri marini” disse Janeshla accennando un sorriso.
“E cosa succede se si trasforma in terraferma?”.
“Non è un pesce, è un mostro marino, ma questo non significa che non possa resistere fuori dall’acqua. Ma hai ragione, se sta troppo tempo fuori si stanca più in fretta. E’ per questo che siamo così temuti, quando prendiamo la nostra forma animale e non riusciamo a trattenere le nostre emozioni siamo un grosso pericolo”.
“Ovviamente attorno a questo fatto si sono create milioni di leggende, tutte false.” disse Oromis, “C’è chi dice che gli ibridi mangino i bambini che dormono per riprendere le forze, che le donne ibride uccidano i loro amanti e altre sciocchezze simili”.
“Capito” disse Ellen abbassando lo sguardo e osservandosi i piedi.
In quel momento una voce possente prese posto nelle loro menti: Glaedr. Siamo in vista dell’accampamento, se continuate di questo passo vi arriverete prima di sera.
  Grazie Glaedr, disse Oromis. Sentirono un ruggito in lontananza, la risposta del drago.
“Andiamo,” disse Oromis voltandosi verso gli altri, “Nasuada sarà più che felice di aver trovato altri alleati”.

“Lady Nasuada, grazie mille per averci offerto ospitalità. Adesso che io e Grimet siamo più sicuri, andremo di sicuro a chiamare il nostro clan. Vi dobbiamo un favore, e il nostro capo non rimarrà certo immobile di fronte a tanta gentilezza” disse Freder inchinandosi a Nasuada.
“Vi sono molto grata per quello che state facendo, sono sicura che con degli alleati come il vostro clan avremmo molte più possibilità di vincere”.
“Ci impegneremo per raccontare la situazione anche agli altri nani che si sono rifiutati di unirsi a Re Rothgar nella precedente battaglia. Suo nipote Orik non esiterà a sostenerci, e adesso che è diventato Re gli altri saranno ancora più convinti. Inoltre il nostro è uno dei clan più antichi e influenti”.
Era passata una settimana da quando erano arrivati all’accampamento, e dopo essersi completamente ripresi i nani avevano deciso che sarebbero partiti per convincere il loro clan ad unirsi ai Varden. Credevano che la loro missione si sarebbe conclusa con successo, anche perche non si era mai visto un nano che non ricambiava un favore.
Quando erano arrivati all’accampamento dei Varden gli Urgali avevano subito raggiunto i loro simili e pareva che Nar Garzvogh e Trushkren avessero sotterrato l’astio che correva fra loro. I due elfi Ismar e Ajen, dopo aver mandato un messaggiero alla loro città, si erano uniti alla guardia di Nasuada e ora la seguivano dappertutto. Avevano fatto montare una tenda accanto a quella di Oromis, per Janeshla, e ogni giorno i due cercavano di trovare le compagne di lei nei modi più disparati.
I Varden erano rimasti molto sorpresi dell’arrivo di altri due Cavalieri assieme ai rispettivi draghi. Soprattutto di Glaedr, che era più grande di Saphira e Gylda messe assieme. Ma ovviamente, nonostante lo stupore, tutti accolsero molto bene i nuovi arrivati, e la speranza si rinnovò di nuovo nei cuori di tutti. Adesso sul volto delle persone si leggeva una luce diversa, tutti erano più propensi a sorridere e più decisi che mai a combattere.
Una sera Arya entrò nella tenda che divideva con Ellen e sorprese la ragazza a guardarsi intensamente allo specchio, a voltarsi e guardarsi da tutte le angolazioni, soprattutto il viso.
“Ellen che cosa stai facendo?” chiese divertita. Forse, pensò, non si è ancora abituata al suo nuovo aspetto.
Ellen cercò di nascondere senza successo lo specchio. “Nulla!” esclamò arrossendo e abbassando lo sguardo, per evitare quello dell’elfa. Arya avanzò verso di lei e le prese lo specchio da dietro la schiena. “No, aspetta! Non stavo facendo niente! Controllavo soltanto” disse. Arya sorrise. “Sono tanto diversa da prima, secondo te?” chiese alla fine Ellen.
“Non troppo. Sembri solo un umana dai tratti un po’ più delicati, e con le orecchie a punta”.
“Ma si vede che sono ancora io, vero?”.
“Ma certo che si vede”.
“E credi che a Murtagh … credi che gli piacerà?” chiese riprendendo lo specchio in mano e osservandosi attentamente. “Sarebbe tutto migliore senza queste orecchie, e questi occhi allungati”.
“Oh … allora è così” sussurrò Arya guardando altrove.
“Certo che è così” borbottò Ellen. “E se a Murtagh non piacesse?” si lamentò.
“Credi che Murtagh stia con te solo per come sei fatta? In quel caso meglio ancora, no?” disse Arya con aria di rimprovero.
“Che cosa vuoi dire?”.
“Voglio dire che se Murtagh ti apprezza per il tuo aspetto esteriore allora resterà con te di sicuro, dato che ora assomigli di più ad un attraente elfo. Ma non credo che Murtagh sia quel tipo di ragazzo e credo che tu gli piaccia in entrambi i casi, quindi puoi stare tranquilla”. Arya sorrise e si avvicinò ad Ellen, la fece sedere su uno sgabello, prese una spazzola che si trovava lì vicino e cominciò a pettinarla. La spazzola aveva uno strano effetto rilassante su Ellen, che presto, persa nei suoi pensieri, si convinse che quel che aveva detto Arya era la pura verità.
L’elfa si mise a mormorare un motivetto allegro mentre le pettinava i capelli, e quello servì a tranquillizzare Ellen ancora di più. Forse per il fatto di avere più alleati, forse per quella canzone così rilassante, forse per l’aria più allegra e fiduciosa che serpeggiava fra tutti i Varden, ma Ellen si sentì molto meglio.
Sarebbe andato tutto alla perfezione.




Zalve a tutti! Eccomi qua ^^ Ho da dire una cosa importante, ossia che: se non avete capito qualcosa sugli ibridi ovviamente potete chiedere. Io ho cercato di spiegare il meglio possibile la mia creazione, ma non si sa mai che non si capisca qualcosa (non sono mica Paolini, dopotutto XD). Siccome uno degli ibridi che comparirà nel prossimo capitolo sarà importante, vorrei che queste creature si comprendessero bene.
E, a proposito di ibridi, ditemi un po' che ne pensate di questa nuova razza di Alagaesia che ho inventato! Sarei curiosa di sapere l'opinione dei lettori, anche perchè è la prima volta che faccio una cosa del genere, inventare una creatura. Spero di esserci riuscita.
E ora passiamo alle recensioni:

KissyKikka: ahah! Hai capito perfettamente l'umore di Eragon nello scorso capitolo! :D Scocciato che Ellen ed Oromis lo avessero messo da parte! XD Grazie ancora per i complimenti, sei davvero troppo gentile <3 Spero che questo capitolo ti sia piaciuto, anche perchè si rivela chi sia il personaggio misterioso della prigione, l'ho svelato subito nel capitolo dopo la liberazione perchè non mi andava di far aspettar troppo chi legge! Avrò fatto bene? B'è, comunque grazie mille per la recensione. Un bacio, e al prossimo capitolo.

Thyarah: grazie per i complimenti, davvero. ^^ Sono felice che lo scorso capitolo ti sia piaciuto. Mi piace trovare momenti nella storia in cui posso mettere un po' di comicità, dato che, principalmente, si tratta di una storia fantasy avventurosa, e spesso la comicità non si addice a certe scene della fic. Spero che ti piaccia l'idea degli ibridi, e spero anche di esser riuscita a dare un'idea di quanto possano essere pericolosi. B'è, comunque grazie per la recensione, ciao! ^^ <3

A tutti gli altri un sentito ringraziamento. So che sembra strano, perchè non so nulla di voi, ma sul serio, vi sono molto grata per leggere la mia fic. Un bacione a tutti!
Patty.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Gli Ibridi ***


Capitolo dieci: Gli Ibridi

“Le abbiamo trovate!” esclamò Oromis mettendo la testa nella tenda di Eragon.
“Cosa?” chiese il ragazzo alzando gli occhi dalla sua armatura, che stava sistemando in vista di altri scontri, dato che l’ultima volta era rimasta ammaccata.
“La sorelle di Janeshla. Arriveranno nel giro di pochi giorni all’accampamento” Oromis fece per andarsene, ma Eragon lo fermò trattenendolo per una spalla.
“Oromis …” disse, “tu non credi che ci sia qualcosa che potremmo dire alle Ibridi per convincerle a combattere assieme a noi?”.
L’elfo lo guardò con aria severa. “Anche se le convincessimo, non credo che sarebbe un vantaggio. Se, in un attimo di rabbia, si trasformassero, allora potrebbero perfino distruggere l’accampamento. Non sono controllabili, e quando sono trasformate pur di placare la rabbia o l’agitazione massacrerebbero chiunque. Non c’è differenza fra amici o nemici”.
“Ma loro sanno usare la magia, mi hai detto.” tentò Eragon, “E se potessimo in qualche modo impedire loro di trasformarsi? In questo modo sarebbero più facilmente controllabili”.
“Ma accetterebbero la limitazione?” chiese Oromis con aria scettica. “Eragon, abbiamo aiutato Janeshla a trovare le sue sorelle, e ora se vogliono andarsene se ne andranno. Se vogliono restare invece, cosa che non credo, terranno di sicuro conto del pericolo che ci fanno correre se restano assieme a noi”.
“Possiamo sempre tentare di convincerle, e se riusciamo ad ottenere la loro alleanza, chissà che non troviamo il modo perché possano combattere in forma umana”.
Oromis ci pensò su. “Non credo che sia una buona idea, ma tanto vale provare” disse scrollando le spalle.
Eragon riferì ogni parola della sua conversazione con Oromis a Ellen e Tegrish. Tutti erano d’accordo che doveva sicuramente esserci un modo per far restare in forma umana le Ibridi, ma non avevano idea di quale fosse, né di quale tentare.
“Forse con un incantesimo di bloccaggio” tentò Tegrish.
“Possibile, ma le parole dovranno essere formulate con attenzione. Potremmo bloccare anche la magia che scorre in loro e renderle inoffensive” disse Ellen.
Eragon sbuffò. “E’ inutile che stiamo qui a parlare. Se non possiamo fare delle prove con le Ibridi in persona tutte le nostre supposizioni potrebbero rivelarsi sbagliate”.
“Bene, allora quando arriveranno le Ibridi glielo chiederemo. Prima le convinceremo a restare con noi, poi le sottoporremo a degli … esperimenti” disse Ellen.
“Secondo Janeshla arriveranno domani mattina” disse Eragon.
“Impossibile” disse Tegrish. “Credevo che sarebbero arrivate fra qualche settimana”.
“Perché?” chiese Eragon.
“Ho sentito dire che avrebbero dovuto attraversare il mare. Non possono essere così veloci” obbiettò.
“Hm … Janeshla ha detto che una delle sorelle è un mostro marino, forse ha trasportato l’altra fino alla riva” disse Ellen. “E comunque l’altra è un volatile, anche lei dev’essere molto grande e veloce”.
“Può darsi” osservò Tegrish. “B’è, comunque sia, arriveranno domani. Dobbiamo parlare con loro con calma, altrimenti rischiamo di farle arrabbiare. Se dicono di no e ne sembrano sicure dobbiamo lasciarle andare, capito?” chiese dando una pacca sulla spalla ad Eragon. “Capito?” chiese di nuovo quando quello non rispose.
“Si, si ho capito” fece il ragazzo con uno sbuffo.

Il giorno seguente tutti attendevano nella tenda di Nasuada. Lei stava seduta sul suo trono e non profferiva parola, ma si guardava intorno curiosamente, come se dovesse tutt’un tratto accadere qualcosa di spettacolare. In tarda mattinata un elfo e un Urgali arrivarono, annunciando a Nasuada l’arrivo degli ospiti. Nasuada aveva deciso che fosse meglio uscire ad incontrarli, così lei, Oromis, Re Orrin, Eragon, Tegrish ed Ellen, assieme a Glaedr, Saphira e Gylda, uscirono dalla tenda e si prepararono ad incontrare le due sorelle Ibridi. Assieme a loro c’era Janeshla, che non stava più nella pelle.
L’aria si era fatta elettrica mentre tutti osservavano quegli esseri con curiosità e un pizzico di timore. Erano più del previsto, due donne e un uomo, e camminavano verso di loro osservandoli. Gli Ibridi sapevano, dai racconti che Janeshla aveva fatto loro nei pochi minuti in cui si erano potute parlare, che due degli stranieri l’avevano salvata dalla prigione di Kuasta. Non si vedevano da anni ormai, e vedendo Janeshla ebbero un brivido di gioia, ma riuscirono a reprimerlo a fatica.
Janeshla, invece, ebbe più difficoltà. All’improvviso, mentre il sorriso le si allungava sul volto sempre di più, si trasformò sotto gli occhi di tutti e iniziò a correre verso le sorelle e l’uomo che le accompagnava. Il magnifico cavallo galoppava e tendeva i possenti muscoli, che vibravano alla luce calda del sole. I tre Ibridi si bloccarono un istante poi, quando il cavallo arrivò da loro, mettendosi a tirare calci con le zampe posteriori, cercarono di calmarlo e tendevano le mani per accarezzarle il collo. Janeshla subito si ritrasformò e abbracciò gli amici. Dopo i saluti si bisbigliarono qualcosa e poi andarono verso il gruppo che li aspettava accanto alla tenda di Nasuada.
“Mi scuso” disse subito Janeshla a Nasuada, “ma non sono riuscita frenarmi”.
“Non importa, capisco” disse Nasuada sforzandosi di sorridere. Ellen era sicura che, se avesse potuto, le avrebbe detto che doveva essere più attenta, ma nulla di simile ad un’accusa si poteva leggere sul suo viso. “Io sono Nasuada” disse la ragazza facendo un piccolo inchino ai nuovi arrivati. Anche gli altri si presentarono.
Una donna alta, dal viso estremamente pallido, quasi azzurrino, si chinò leggermente e disse con voce profonda: “Io sono Quanesh, prima sorella”.
L’altra donna si presentò a sua volta: “Cutrin”. Aveva un lungo naso con una visibile gobba alla base, le sue unghie erano spesse e di un innaturale colorito giallastro.
Ma il più strano di tutti era l’uomo. In confronto le altre due, compresa Janeshla, alla quale ormai si erano abituati, erano nulla, forse solo un po’ strane. L’uomo, invece, sembrava davvero selvaggio: i suoi capelli erano neri e ingarbugliati, come se non si pettinasse da anni, s’intravedevano sotto la camicia che portava dei muscoli forti e guizzanti. I suoi occhi erano di un acceso color verde, e le mani, Eragon lo notò in un attimo, erano stranamente grandi, forse troppo, ma era difficile notare la differenza se non si stava molto attenti. “Io sono Rukan”. In contrasto a tutto quello la sua voce era dolce come lo scorrere di un fiume, e s’inchinò un poco a Nasuada.
“Siamo molto felici di avervi qui” rispose lei, “vorremmo che restiate con noi per tutto il tempo che volete”.
“Io credo che ce ne andremo subito” disse Janeshla lanciando uno sguardo obliquo a Quanesh.
L’imperiosa donna invece sorrise. “Ci farebbe molto piacere restare” disse con la sua voce bassa e profonda.
“Farò preparare subito un banchetto” disse Nasuada. Uno dei soldati, a quelle parole, si allontanò velocemente.
“Vorremmo parlare con le persone che hanno liberato la nostra sorella” disse Quanesh. Era chiaro che lei era il capo, per quanto Rukan, l’uomo, sembrasse indubbiamente più forte.
Oromis lanciò uno sguardo obliquo a Ellen e avanzò verso gli Ibridi, imitato dalla ragazza un secondo dopo. “Io sono Oromis, Cavaliere dei Draghi”.
“Io sono Ellen, figlia della Regina Islanzadi”. In realtà avrebbe fatto a meno di dare quell’informazione, ma non le andava di dire soltanto il suo nome. Suonava male. Oromis era parso molto più elegante con un titolo.
“Vi siamo molto grati per quello che avete fatto, e vorremmo sentire la storia delle nostra sorella da quando ci siamo separate fino a che non l’avete salvata” disse Quadesh.
“Ma certo” acconsentì subito Oromis. Poi, voltandosi verso Nasuada, fece una muta domanda.
“Potete usare la mia tenda” disse subito lei indicando l’entrata. Mentre i quattro Ibridi entravano Eragon scambiò uno sguardo s’intesa con Ellen, che gli rispose con altrettanta convinzione. Quando furono dentro tutti si sistemarono attorno al tavolo che si trovava ridosso ad un lato della tenda.
Janeshla cominciò a raccontare di come fosse stata catturata anni addietro mentre lei e le sue due sorelle stavano passando accanto a Kuasta, di come avevano imprigionato il suo spirito di animale con la magia. Poi nella cella, dove le veniva dato del cibo avvelenato, che tuttavia non poteva rifiutare se non voleva morire di fame. Aveva passato quasi cinque anni nella prigione, quando finalmente Ellen era arrivata, e da lì Quanesh volle sentire la storia direttamente da lei e Oromis.
Quando ebbero finito Quanesh li osservava con attenzione e si passava un dito sotto alle labbra. Infine sospirò e abbassò la mano, dicendo: “Immagino di potervi solo ringraziare”. La sua voce roca riempiva lo spazio.
“E’ stato più come un dovere …” disse Ellen a voce bassa, “non potevo lasciarli lì”.
“Sei stata molto gentile” disse Rukan con la sua voce melodiosa.
“Posso farvi una domanda?” chiese Ellen, dopo aver valutato bene come porre la frase. Quanesh annuì. “Non siete arrabbiati con chi ha fatto questo a uno di voi?”. Affianco a lei, Oromis s’irrigidì.
“Lo sono più di quanto non sembri” mormorò Quanesh.
“E allora perché non vi unite a noi?”. Ellen si alzò improvvisamente dal tavolo, battendo le mani sul legno. “Tutti noi sappiamo chi è a ordinare queste cose incivili! Galbatorix. Noi stiamo combattendo quell’uomo. Ha fatto un torto anche a voi come a tutti gli altri popoli di Alagaesia … loro si sono ribellati, perché voi non lo fate?” chiese con sguardo quasi addolorato.
Quadesh sorrise leggermente. “Sei così giovane, principessa degli elfi” disse.
“Lo so, ma non abbastanza da ignorare le ingiustizie che quell’uomo compie. Potreste aiutarci a costruire un mondo migliore, senza ingiustizia, dove solo i malvagi finiranno in prigione, per i crimini che hanno commesso e non per i loro ideali”.
“Io e i miei siamo liberi di andare dove vogliamo, le guerre di voi uomini non ci toccano”.
“Ma Janeshla è stata catturata! Lei è stata in prigione e ha passato cinque anni di reclusione a causa di quell’uomo!” esclamò Ellen. Non credeva ci potessero essere delle persone tanto ottuse. Non volevano proprio capire!
Per quanto riguardava Quadesh, lei era del tutto in buona fede. Le era certo molto dispiaciuto quando Janeshla era stata catturata anni prima, ma siccome non poteva farci niente se n’era fatta una ragione. Adesso che l’aveva ritrovata cercava solo di trovare un posto in pace in cui poter passare il resto della sua vita. “Comunque sia, non credo che la nostra collaborazione vi sarebbe d’aiuto. Potremmo causare più guai che altro” tagliò corto la donna.
“Ma potremmo cercare un modo per far funzionare le cose. Abbiamo già così tante alleanze, forse abbiamo una possibilità. Con voi quella possibilità potrebbe avverarsi. Per favore, prendete almeno in considerazione l’offerta …”. Ellen si congedò e uscì all’aria aperta. Dopo il caldo soffocante che si respirava nella tenda, dovuto in gran parte alla tensione che provava, la leggera aria che correva fuori era un toccasana.
Eragon non appena scorse la ragazza la raggiunse e chiese, impaziente: “Allora?”.
“Allora niente. Mi sembrano così cocciuti!” disse Ellen arrabbiata cominciando a camminare, “A loro non interessa nulla degli altri, vogliono solo tornare a vivere in pace il più presto possibile. E’ come se non facessero nemmeno parte della nostra terra, come se Alagaesia non gli interessasse per niente!”. Ellen era furiosa, continuava a camminare a passo di marcia, come se volesse spaccare la terra sotto i suoi piedi.
“Aspetta!”. Eragon le prese per un braccio per fermarla. “E se gli parlassi io? Credi che cambierebbero idea?”.
“Perché dovrebbero?” chiese Ellen volgendo uno sguardo cinico al ragazzo. “Oromis non ha detto una parola, non vuole farli arrabbiare”. La ragazza sospirò. “Forse dovremmo davvero lasciarli stare. Così rischiamo che si arrabbino sul serio. Nasuada ci ucciderebbe se sapesse cosa stiamo facendo, rischiamo di far dimezzare l’esercito dei Varden”.
“Andrò a parlarci io … assieme a Tegrish, a Saphira e Gylda” disse Eragon con tono riluttante, quasi non credesse nemmeno lui alle sue stesse parole. “Non li faremo arrabbiare …” disse, più a sé stesso che ad Ellen.
La ragazza sospirò. “Vado a cercare Tegrish” disse avviandosi verso il centro dell’accampamento.

Dopo quasi un’intera giornata, e dopo aver tallonato gli Ibridi per un pomeriggio intero, Eragon aveva ottenuto almeno una cosa da tutto quel parlare: i quattro avrebbero fatto una riunione per conto loro per decidere il da farsi.
Eragon e Tegrish, aiutati dai rispettivi draghi, avevano usato parole talmente convincenti che il dubbio si era installato nelle menti degli Ibridi, che ora non riuscivano a togliersi di dosso la sensazione che c’era qualcosa di profondamente sbagliato nel sistema politico della loro terra.
Era stata data loro una tenda, dove sarebbero rimasti a parlare per tutto il tempo necessario. Quedish, Rukan, Cutrin e Janeshla erano seduti a terra, formando un cerchio.
“Quedish, credo che dovremmo restare” disse Rukan, la chioma nera e indomita che gli incorniciava il viso. “Non possiamo negare le loro parole, hanno detto la verità”.
“Rukan, per anni siamo vissuti al di fuori di questi piccoli litigi fra gli altri popoli” replicò la donna con voce gentile.
“Ma questa guerra non può essere catalogata come un piccolo litigio. Si tratta di una guerra vera! Intervenire è nostro dovere. Da quando Galbatorix è al potere le cose per noi sono peggiorate, questo non lo puoi negare. E’ anche stata catturata una sorella, credi che quando conquisterà tutta Alagaesia Galbatorix si fermerà? No di certo! Se possiamo fare la differenza perché no?”.
Intervenne Cutrin: “Comunque sia non potremmo mai aiutare nessuno. Faremmo solo guai. Potremmo uccidere sia da una parte che dall’altra, non abbiamo la piena facoltà di noi quando lo spirito ci possiede. Queste persone staranno meglio senza di noi”.
“Sappiamo che c’è un modo per poterci controllare” disse Rukan a bassa voce, lo sguardo rivolto a terra.
Quedish trasalì. “Io non sono disposta fare questo genere di sacrificio per una battaglia che potrebbe essere vinta in un giorno!” esclamò con la sua voce roca, bassa e furiosa. Era vibrante di rabbia, i suoi occhi erano puntati su Rukan e mandavano scintille di elettricità da quanto il suo spirito di ribolliva.
“Calmati Quedish, Rukan ha parlato senza pensare sicuramente” disse Cutrin posando una mano sulla spalla della sua Prima Sorella, e lanciando un’occhiataccia  Rukan.
Alla fine l’uomo si alzò e, guardando tutti dall’alto verso il basso, sul viso un espressione a metà fra il dolore e la rabbia, disse: “Bene … se non volete restare, andate pure. Ma io aiuterò queste persone, costi quel che costi. Se non ci uniamo contro il tiranno allora vincerà ancora, e allora saremmo costretti a restare nascosti per sempre. Ti ho seguita fino a qui Quadesh, ma non posso andare oltre. Il tuo pensiero mi disturba e il tuo modo di agire è egoista e superficiale. Addio”. Girò sui tacchi e uscì dalla tenda con passo sicuro.
Fuori, nella notte, le stelle brillavano. Rukan le osservò, dopo aver fatto diversi respiri profondi per tranquillizzarsi. Sentì le sorelle che uscivano dalla tenda, ma non si voltò a guardarle. Era un addio silenzioso il loro, niente a che vedere con i saluti degli uomini, degli elfi o dei nani. Passarono alcuni minuti durante i quali Rukan rimase ad ascoltare il rumore degli insetti, degli uccelli e degli altri animali attorno a lui.
Improvvisamente sentì il bisogno di unirsi a loro. Il cuore colmo di tristezza, simile ad un liquido caldo che poteva traboccare dal suo intero corpo in qualsiasi momento, Rukan si trasformò e cominciò a correre.
L’aria che gli si infrangeva sul muso gli dava una sensazione di libertà e di freschezza, come se avesse il potere di dimenticare tutto quello che era appena accaduto. Appena fuori dall’accampamento scosse la testa, e l’imponente criniera si mosse assieme a lui. Con le unghie graffiò la terra e vi si aggrappò, alzando la testa verso la luna e ringhiando con tutta la sua forza.
Si leggeva dolore negli occhi chiusi del grosso leone, nelle zanne candide che splendevano sotto la luce lunare, nei movimenti del suo corpo elegante e possente.
Dall’alto, in cielo, Gylda si unì al suo ruggito. Come a ringraziarlo e consolarlo al tempo stesso.




Eccome qua con un altro capitolo! Ecco, siccome me l'hanno chiesto vorrei dire a tutti che gli ibridi si possono trasformare a piacimento, ma si trasformano anche qundo provano forti emozioni, ed è in quei momenti che sono più pericolosi. Spero di essermi spiegata -.-''
Comqunque, è stata una scelta difficile quella di Rukan: non ero sicura di quale ibrido fosse meglio mettere al fianco dei Varden. Alla fine ho scartato Janeshla e Quedish perchè non mi piacevano i loro animali (cavallo e mostro marino), e poi non volevo scegliere il falco perchè il leone sembra molto più forte! XD Quindi la scelta è caduta su Rukan. ^^ Spero che non vi dispiaccia.

Thyarah: grazie mille per la recensione e i complimenti ^^ Ho risposto alla tua domanda sugli ibridi sopra, nel caso qualcun'altro volesse saperlo. Per quanto riguarda Murtagh lo vedremo nella prossima battaglia, ma mancano ancora due capitoli. Però quando lo rincontreremo accadrà qualcosa di significativo! Oddeo basta! Non posso dirti di più! :) Al prossimo capitolo, un bacio! ^^

KissyKikka: heheh! Si, volevo fare una scena dolce fra Arya ed Ellen, tanto per far vedere che adesso si vogliono bene. Anche il riferimento a Murtagh non è messo lì a caso, sono felice che tu lo abbia notato. E' proprio vero, alla fine Ellen pensa sempre a lui! Che caruccia <3 B'è, comunque grazie per la recensione,  fra un po' Murtagh ed Ellen si rincontreranno! Yeah! XD Un bacio! ^^

Un sentito grazie a tutti coloro che leggono,
Patty.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Un casto bacio ***


Capitolo undici: Un casto bacio

Rukan stava seduto davanti a Ellen ed Eragon , leggermente nervoso. Erano nel centro di una radura, e al limitare di essa c’era Saphira, attenta a tutti movimenti che l’Ibrido avrebbe compiuto. Rukan si portò una delle sue grosse mani alla bocca e si schiarì la voce. “Io … conosco un solo modo per impedire a me stesso di perdere concentrazione quando sono trasformato” disse con la sua voce sempre musicale e armoniosa.
Ellen pensava che il leone, lo spirito dell’animale che possedeva Rukan e lo faceva trasformare, era del tutto inadatto a lui. Rukan sembra un tipo calmo, addirittura pigro, era molto gentile e sembrava voler passar inosservato. Per un leone lei si sarebbe aspettata una persona intimidatoria, potente, quasi maligna, ma non era così. Però Ellen non conosceva a fondo Rukan, e non sapeva che il suo spirito e quello del leone coincidevano perfettamente, come quando uniamo le nostre mani: sono perfette, fatte apposta per stare assieme. Lo spirito di Rukan era solitamente calmo e pacato come quello di un saggio leone che deve comandare un branco, ma era anche volubile, deciso, reattivo ai pericoli come lo stesso leone, capo del branco, doveva essere.
“E quale sarebbe questo metodo? Chissà perché Janeshla non ce ne ha mai parlato” disse Eragon, rivolgendo l’ultima domanda ad Ellen. La ragazza, per tutta risposta, alzò le spalle. Non le interessava granché come, voleva solo vincere quella guerra. Voleva solo rivedere Murtagh.
“Se restiamo per molto tempo trasformati allora possiamo ragionare molto di più. Capiamo cosa ci viene detto, e possiamo decidere che cosa fare. Ma parlo di settimane intere in forma animale e, oltretutto …”, Rukan s’interruppe per un secondo, “non possiamo più tornare umani dopo. Pian piano diventerei un leone come gli altri”.
Eragon s’irrigidì. Era chiaro che quella era una condizione da considerare molto bene. Non voleva che Rukan rinunciasse a una parte di sé stesso per aiutarli. Trasformarsi perennemente in un leone e diventare un normale animale a tutti gli effetti, annullando le proprie capacità, abbandonando gli affetti, non era necessario; non erano messi così male. Ed Eragon non se la sentiva di privare un uomo della sua vita.
“Non faremo così.” disse subito, “Possiamo cercare un’altra soluzione con la magia”.
“Ma perché non puoi semplicemente combattere in forma umana?” chiese Ellen.
“Le emozioni provate in battaglia sono forti, sarebbe istintivo trasformarmi” rispose Rukan con un’alzata di spalle.
“D’accordo,” disse Eragon alzandosi, “dobbiamo trovare un modo perché tu possa usare la magia ma non possa trasformarti” disse ad alta voce, ma più a sé stesso che agli altri.
“Proviamo a fare come ha detto Tegrish:” intervenne Ellen, “un incantesimo di bloccaggio”.
“Va bene, allora …”, Eragon fece segno a Rukan di alzarsi e quello eseguì, “proviamo così. Che parole dovrei pronunciare, secondo te, per bloccare lo spirito del leone?” chiese Eragon perplesso voltandosi verso Ellen.
“Hm … fammi pensare …”. Rimase in silenzio qualche secondo, poi: “Che ne dici di blocca lo spirito?”.
“Provo”. Eragon si mise di fronte a Rukan e chiuse gli occhi. Sentì la magia scorrere nelle sue vene come se fosse sangue e pronunciò le parole nell’antica lingua. Le palpebre di Rukan si fecero pesanti e il suo sguardo vacuo. Ellen si avvicinò a lui, mentre Eragon non finì di far rifluire la magia: Rukan era un essere magico molto potente e quella magia gli costava uno sforzo quasi sovrumano, così non poteva deconcentrarsi.
Ellen si avvicinò a Rukan e lo chiamò: “Rukan?” disse esitante, vedendo lo sguardo d’un tratto spento dell’uomo. “Rukan?” ripeté di nuovo, leggermente allarmata. Gli passò una mano davanti alla faccia, ma quello non reagì. “Eragon sciogli l’incantesimo” disse subito.
Eragon eseguì e Rukan tornò normale. Si portò una mano alla testa e barcollò, come se avesse bevuto troppo vino. Si guardò attentamente intorno e poi fece un segno di diniego verso Eragon, Saphira ed Ellen.
“Mi sono preoccupata sul serio. Non ti muovevi, eri lì rigido …” disse Ellen posandogli una mano sulla spalla, un po’ ansiosa.
“Io … non sentivo niente. Vedevo e capivo tutto quello che c’era attorno a me, ma, ad esempio, sapevo di dover essere terrorizzato perché non riuscivo a muovermi né a parlare, ma non sentivo nulla invece. Era come se non avessi voglia di fare nulla” disse Rukan gesticolando e guardando Eragon ed Ellen con gli occhi sgranati. “Ero annullato” concluse.
“E’ evidente che non abbiamo usato le parole giuste” disse Ellen lanciando un’occhiata ed Eragon. “Proviamo con delle parole nuove. Sai, credo che abbiamo bloccato l’anima sbagliata”.
“Probabile” disse Eragon alzando le sopracciglia. “Senti, mi daresti il cambio? E’ un po’ complicato, dovrei riprendere un po’ il fiato”.
“Ma certo, faremo a turno. Non sospettavo che fosse così forte” disse Ellen. Si mise di fronte a Rukan, che la guardò un po’ apprensivo.
“Perché non provate con blocca lo spirito del leone?” suggerì Rukan.
“D’accordo” disse Ellen.
Riprovarono, e questa volta Rukan rimase ben sveglio. “Sembrerebbe tutto a posto” disse Eragon. “Perché non proviamo a batterci? Poi proveremo qualche magia”.
“Magari in fretta,” suggerì Rukan, “altrimenti Ellen si stancherà”.
“Certo” disse Eragon scoccando un’occhiata alla ragazza e tirando fuori la spada dall’elsa. Saphira si mosse un po’ dalla sua posizione accucciata: aveva voluto seguirli appunto per evitare che accadessero incidenti, e durante una battaglia, con Rukan poteva accadere di tutto.
Rukan estrasse una corta spada ritorta che teneva appesa alla cintura. “Cominciamo” disse, e si scagliò su Eragon. Il duello durò poco, era molto strano, ma Rukan sembrava quasi distratto, come se avesse altro per la testa. Sbagliava molte mosse, era lento, non sempre riusciva a parare gli affandi che Eragon eseguiva con maestria. Dopo un paio di minuti si fermò, già stanco.
“Non capisco,” disse ansimando, “non mi è mai capitato prima”. Sembrava molto scosso. “Ellen, basta” disse poi rivolgendosi alla ragazza, che stava in silenzio e li guardava seduta affianco a Saphira. Ellen allentò il potere che usciva dal suo corpo e lo spense definitivamente.
“Che cosa c’è che non va?” chiese Eragon.
“Non saprei. Voi avete bloccato l’anima del leone, a quanto so, giusto?”. Eragon annuì. “E allora non dovrebbero esserci problemi”. Rukan rifletté un attimo in silenzio poi sospirò e disse: “Potrebbe essere a causa del mio stretto legame con l’animale. In lui risiede molta della mia forza. Forse non sarei riuscito a fare nemmeno le magie”.
“Ho capito, dobbiamo essere più precisi Eragon.” disse Ellen avanzando nella radura, “Dì ferma la trasformazione, anzi no: non permettere la trasformazione. Non vorremmo che ti trasformassi per metà” borbottò alla fine in risposta allo sguardo perplesso di Rukan.
L’uomo sorrise e scosse la testa. “Non serve a nulla un bizzarro leone a due zampe” disse sorridendo.
“O un umano a quattro” osservò Eragon. “D’accordo ci sono” disse. Pronunciò le parole esatte e Rukan sentì che una piccola parte di sé si muoveva, come inquieta. Era come se un pezzetto di lui si staccasse dall’insieme, per andare per i fatti suoi. Prese un grosso respiro ed estrasse a sua spada ritorta.
Si lanciò, quasi furioso, addosso ad Ellen, che parò il colpo con velocità, ma rimase paralizzata per quanto quello era forte. Decise che non poteva restare in difesa, e lo attaccò a sua volta. I due proseguirono così, fra attacchi mancati e parate all’ultimo secondo. Dopo una manovra particolarmente complicata con la spada Ellen decise di passare alla magia. Parò un fendente di Rukan poi, fulminea, tese una mano, gridando una parola nell’antica lingua. Rukan accusò il colpo, e indietreggiò di parecchi passi. Si riprese in fretta e rispose. Ellen sentì solo un gran mal di testa, ma cercò con tutte le sua forze di resistere. Decisa, impugnò la spada con due mani e, con un grido, si lanciò sopra Rukan.
In quel preciso istante Eragon perse improvvisamente forze e, spaventato, lasciò cadere l’incantesimo. “Ellen! No!” gridò avanzando a grandi falcate verso di loro, la mano tesa in avanti, ma era troppo tardi.
La spada di Ellen colpì con forza quella di Rukan. Un momento di tensione e di elettricità si fermò nell’aria, tutto sembrò silenzioso per pochissimi, interminabili istanti. Rukan guardò Ellen negli occhi e una fiamma gli scaldò il cuore, veloce e potente come il vento, incontrollabile. Rukan aprì la bocca, come per gridare, ma prima di poter emettere alcun suono si trasformò, e dalla sua gola potente uscì un forte ruggito, che scosse Ellen come un debole fuscello. In questa non erano passati che pochi secondi.
Ellen cominciò ad indietreggiare lentamente, senza distogliere lo sguardo dal leone. Lentamente, abbassò il braccio con cui teneva la spada, senza nemmeno accorgersene. Il leone avanzava lento, era grande quanto un cavallo adulto: non era un leone normale. Dalla gola dell’animale si levava un roco, spaventoso, piccolo ruggito. Suonava come un avvertimento.
L’animale si acquattò a quattro zampe, ma per fortuna Saphira fu più veloce. Con un ruggito si alzò in volo, calò subito su Rukan e lo prese fra le zampe. Il leone ruggì di dolore quando le zampe di Saphira, per quanto avesse cercato di trattarlo con delicatezza, gli lacerarono la carne. Si alzò in volo e sparì subito dalla vista di Eragon ed Ellen.
Eragon sbuffò e si avvicinò alla ragazza: “Stai bene?” chiese, posandole una mano sulla spalla.
“Si” disse Ellen in fretta, guardando il punto dove Saphira era sparita. “Pensi che si farà male?”.
“Spero di no” disse Eragon seguendo il suo sguardo. Poi sorrise eccitato: “Hai visto come combatteva? Nessuno lo potrà fermare. E’ stato bravissimo” disse esaltato, quasi fosse stato lui a combattere. Poi, vedendo la strana espressione sul volto di Ellen: “Naturalmente anche tu sei stata brava”.
Ellen non vi fece nemmeno caso, ma disse lentamente: “Immagina se Rukan potesse controllare i suoi istinti quando è in forma di animale … se riuscisse a capire ed eseguire gli ordini, se fosse consapevole di quello che fa. Sarebbe un’arma perfetta” disse incantata.
“Possiamo provare anche questo. In fondo abbiamo trovato il modo per farlo restare umano, che cosa potremmo dire per farlo restare innocuo da animale?” si chiese Eragon ad alta voce.
“Dovremmo sapere più cose possibili su di lui per sapere bene come … come funziona questa cosa della trasformazione. Dovremmo sapere esattamente come funziona il suo cervello” disse Ellen. “Altrimenti, non ho idea di cosa dire”.
“Giusto …” disse Eragon pensando intensamente. “B’è quando tornerà normale lo chiedermo a lui, nel frattempo a chi potremmo chiederlo?”.
“A Oromis … o ad Arya. Oppure … a Kalim, il padre di Tegrish, sembrava saperne parecchio sugli Ibridi”.
“Ok, io vado da Arya” disse Eragon avviandosi.
“Io vado da Oromis, e vado a dire a Tegrish di chiedere a suo padre” disse Ellen, seguendolo.
L’unica risposta che Ellen ricevette da Oromis era che non sapeva granché sugli Ibridi, e gli suggeriva di andare a cercare nei libri. Ellen si chiese dove diavolo avrebbe potuto cercare un libro nell’accampamento e, se mai l’avesse trovato, quando avrebbe avuto il tempo di leggerlo.
Eragon ebbe un briciolo più di fortuna. Andò da Arya, che stava finendo di allenarsi con un Kull, e aspettò che finisse. Quando l’elfa scese dalla piattaforma di allenamento, dopo una vittoria schiacciante, Eragon si diresse verso di lei.
“Ciao Arya!” disse, “Vorrei farti delle domande”.
“Adesso? Io veramente pensavo di fere un bagno” disse lei, evidentemente accaldata.
“Un minuto solo. Quanto ne sai sugli Ibridi?” chiese Eragon seguendola mentre s’incamminava alla sua tenda.
“Non abbastanza da aiutarti probabilmente, ma dimmi”.
“Ecco, io ed Ellen vorremmo rendere Rukan un po’ più … controllabile mentre è nella sua forma di leone. Se ci riuscissimo, avremmo un combattente senza eguali. Ma ci serve di sapere il più possibile sulla trasformazione degli Ibridi”.
“B’è … non so molto sulla loro trasformazione. Però posso dirti questo: quando gli Ibridi si trasformano, inizialmente sono come degli animali veri, poi con il tempo si calmano”.
“Si, ce lo ha già detto Rukan, ma se resta troppo tempo un leone poi diventa un’animale a tutti gli effetti” la informò Eragon. “Io non vorrei …”.
“Capisco” lo interruppe Arya. “B’è, loro possono controllare la loro trasformazione fino ad un certo punto. Se si trasformano quando sono in balia delle loro emozioni non sono in grado di controllarsi, ma possono anche trasformarsi di loro iniziativa ed essere del tutto innocui. Il pericolo arriva quando sono più agitati, per qualsiasi motivo: rabbia, felicità, qualunque cosa. Non si rendono contro di ciò che fanno”. Erano arrivati alla tenda di Arya, l’elfa ne scostò un lembo e fece cenno ad Eragon di entrare.
“Grazie” rispose lui entrando. “Comunque è vero!” esclamò una volta dentro, “Una volta Janeshla si è trasformata davanti ai nostri occhi, e non sembrava per niente pericolosa”.
Eragon, ancora perso nei suoi pensieri, si sedette su una delle brande. Arya prese del vino elfico da una bottiglia e riempì due bicchieri, porgendone uno ad Eragon.
“Grazie” disse il ragazzo.
“Quindi a che cosa pensavi?” chiese Arya sedendosi affianco a lui e sorseggiando il vino.
“B’è … pensavo che, se riuscissimo a … congelare lo stato d’animo di Rukan quando è tranquillo e mandarlo in guerra a quel modo, forse riusciremmo a farcela. Lui non sarebbe aggressivo, e saprebbe cosa fare” disse Eragon, prendendo a sua volta del vino. Aveva un sapore aspro e secco, non le dispiaceva per nulla.
Arya era sovrappensiero. “Ma quali parole potreste usare?” chiese.
“Non lo so, veramente” disse Eragon scrollando le spalle.
“Lo stato d’animo, dici? Provate qualche frase che centri con ragione, consapevolezza … hm, tranquillità. Cose così” disse l’elfa. Finì il vino e posò il bicchiere a terra. Poco dopo Eragon la imitò.
“Credi che funzionerà?” chiese poi il ragazzo. “Credi davvero che abbiamo una speranza?”.
“Una?” chiese l’elfa sorridendo. “Più di una! Adesso ci sono Oromis e Glaedr, Tegrish e Gylda, probabilmente arriveranno altri nani e forse anche qualcuno del mio popolo. E poi c’è Rukan! Credo che non abbiamo mai avuto tante speranze come adesso”.
Eragon sorrise debolmente. Ripensare a tutto quello che era successo da quando aveva trovato l’uovo di Saphira, quasi gli fece girare la testa. Erano cambiate così tante cose! Così tante! La sua vita stava cambiando, e il suo futuro, le sue responsabilità, incombevano come una nuvola nera e densa di pioggia all’orizzonte: non sarebbe mai scappato in tempo per evitare il temporale.
Alzò lo sguardo e vide Arya che lo guardava con occhi scintillanti, e in quel momento capì che quello che l’elfa che le aveva detto era vero, lei ci credeva, credeva che ce l’avrebbero fatta. Senza riflettere Eragon prese la mano di Arya e la strinse nella sua. Arya rimase un po’ stupita di quel gesto ma non si ritirò.
“Grazie” disse Eragon stringendo la sua mano sempre di più, ancora guardandola negli occhi con profondità.
In quel momento Arya vide negli occhi dell’altro tutto quello che fino ad allora non era riuscito a cogliere. La purezza e la lealtà, il coraggio e la decisione di Eragon la sopraffecero, e lei reagì senza pensare. Tolse velocemente la mano dalla sua e lo abbracciò forte, con gli occhi chiusi, come se avesse paura di scoppiare a piangere.
Eragom si stupì un po’ di quel gesto così istintivo. Il cuore prese a battere più forte, ma restituì l’abbraccio con calore. Aspirò il profumo di Arya, sapeva di rose selvatiche e di alberi rigogliosi. Il cuore batteva così forte in petto al ragazzo che pensava gli sarebbe balzato fuori dal petto. Eragon fu improvvisamente invaso da una consapevolezza strana, una forza che lo guidò. Si allontanò da Arya e, con una mano, prese il mento dell’elfa fra due dita e avvicinò i loro visi. Le loro bocche si toccarono con forza, quasi con disperazione.
Arya, malgrado una piccola parte della sua mente si ribellasse, rimase impietrita, gli occhi ancora chiusi. Era un bacio casto e puro, e nessuno dei due lo volle approfondire. Rimasero così per qualche secondo, poi Eragon si allontanò.
Era tutto rosso in viso, e teneva lo sguardo basso. Mugugnò qualcosa, e Arya, come per dissipare l’imbarazzo, chiese con voce nervosa: “Come hai detto?”.
“Devo andare” rispose Eragon alzandosi. Evitando il suo sguardo si alzò, quasi calciò via il bicchiere di vino a terra, e uscì velocemente dalla tenda.
Dentro, Arya era ancora un po’ stupita per quello che era successo. Una parte di lei, quella troppo razionale, cominciava anche ad infastidirsi, ma Arya la zittì: non poteva negare di essere rimasta piacevolmente sorpresa, e che il cuore le aveva fatto un buffo balzo nel petto quando Eragon l’aveva baciata. Forse quell’organo cominciava a giocarle brutti scherzi, forse era ora di controllarlo. Ma nel profondo di sé Arya sapeva che non era un difetto fisico quello che aveva. Da qualche tempo ormai trovava la compagnia del giovane Cavaliere molto gradita. Non poteva ignorare quel fatto e liquidarlo come se fosse un pensiero poco importante.
La verità era … che Eragon le piaceva.
Arya sbuffò e si gettò sulla sua brandina, ormai totalmente dimentica del bagno rilassante che voleva fare, anche se in quel momento forse sarebbe servito molto a schiarirgli le idee, sulle quali serpeggiava un velo scuro di insicurezza. Si era sentita così una sola volta in tutta la sua lunga vita. Non pensava di poter mai riprovare quei sentimenti. Aveva deciso, nel momento esatto in cui il suo cuore si era spezzato, che avrebbe fatto di tutto per non far riaffiorare alcuna emozione che potesse in qualche modo tradirla: renderla più vulnerabile di fronte agli altri. Si portò una mano alla bocca e ricordò quel bacio. Così improvviso, così puro, così … bello. Morbido come la seta, profumato come i fiori di campo.
Scuotendo la testa Arya si alzò dal letto, decisa come non mai a fare un bagno caldo.




Wii! Devo ammettere che aspettavo da tanto questo momento. Insomma, sono una grande sostenitrice della coppia Arya/Eragon! Yee! Li adoro! Paolini ancora non si è dato da fare con loro, ma io non potevo lasciartli così al loro destino XD Bene, scusate, non ho molto tempo, rispondo alle recensioni e vado.

Thyarah: sono contenta che Rukan ti piaccia! ^^ Anche a me ricorda un po' Aslan, quando l'ho scritto non ci ho pensato, ma ad una seconda rilettura mi è venuto subito in mente! XD Spero che il bacio fra Eragon e Arya sia stato almeno un po' una sorpresa, nemmeno io l'avevo pianificato, è venuto di getto! E anche per questo non so se il capitolo è venuto bene o risulta un po' discontinuo, o che altro O.o B'è, grazie per la recensione, spero che questo capitolo ti sia piaciuto ^^

KissyKikka: ciao! Allora, che te ne pare di questo capitolo? Come ti sembrano quel bacio un po' goffo (da parte di Eragon XD) e i tentativi per far combattere Rukan? Mi sono scervellata per scegliere le parole che Eragon ed Ellen avrebbero dovuto usare per fare quella magia! XD Spero di aver reso bene lo stato d'animo di Arya, che in nessuno dei libri mostra sentimenti per Eragon, quindi non so proprio come trattarlo come personaggio! ^^'' Comunque, grazie mille per la recensione! Un bacio! <3

A tutti gli altri, grazie per leggere!
Patty.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Prima della guerra ***


Capitolo dodici: Prima della guerra

Nei giorni seguenti tutti provarono a trovare le parole adatte per permettere a Rukan di combattere in modo consapevole in forma di leone. I due che eseguivano le magie su di lui, inizialmente, erano solo Eragon ed Ellen, che si davano il cambio a causa della forza che Rukan risucchiava dal loro corpo con una facilità sorprendente. Poi si unì a loro anche Arya, dopo qualche esitazione. Con lei era più semplice: ognuno di loro aveva abbastanza tempo a disposizione per riprendersi.
Rukan aveva spiegato loro che cosa succedeva esattamente al suo corpo quando si trasformava. Aveva detto: “E’ una trasformazione non solo del corpo, ma anche dell’anima. Sulla mia prende sopravvento quella del leone, e la mia è come se restasse da parte. Probabilmente è quella la parte di me razionale, quella che mi controlla se mi trasformo consapevolmente. Dovete fare in modo che, qualunque cosa accada, lo spirito del leone non prenda il sopravvento”.
Così Rukan si trasformava in leone e i ragazzi, aiutati da Arya, sceglievano diverse parole e frasi per far sì che l’anima del leone si bloccasse. Il problema era che, anche se riuscivano a bloccare l’animale, non serviva a granchè, dato che la maggior parte della forza di Rukan proveniva dal suo spirito.
Dopo quasi due settimane Ellen disse, spazientita: “Okay, che ne dite di blocca l’irruenza del leone?”.
“L’irruenza?” chiese scettica Arya.
“No?”.
“Io direi … hm, l’incoscienza!” disse infine, trionfante.
“Incoscienza!” esclamò Eragon alzandosi di scatto dal masso sul quale era seduto, “Si, è perfetto! Proviamo. Rukan?” disse, voltandosi verso l’Ibrido. Quello fece un cenno con la testa e si trasformò subito.
Arya si mise di fronte a lui e pronunciò la frase appena elaborata da lei ed Ellen. Inizialmente non sapevano se aveva funzionato, così iniziarono a parlare a Rukan, poi, senza preavviso, Ellen sguainò la spada e la puntò sull’animale. Rukan, con un balzo particolarmente agile, si scostò, ma al posto di rispondere istintivamente al colpo restò fermo. Eragon ed Ellen si guardarono con entusiasmo.
“Così è perfetto! Rukan, quindi tu riesci a controllare cosa ti succede attorno?” chiese Ellen. Il leone fece un basso ruggito soddisfatto e agitò il capo, facendo ballare la criniera aggrovigliata. “Perfetto. Arya, basta così”.
L’elfa, con uno sbuffo, sciolse la magia e abbassò le braccia, che teneva leggermente piegate, i palmi rivolti verso Rukan. “Ma resta ancora un problema” disse con voce bassa e stanca.
“E cioè?” chiese Eragon preoccupato.
“Nessuno di noi riuscirà a mantenere questa magia per tanto tempo. E’ una magia potente, riesce a togliere tanta energia. D’altronde bloccare una caratteristica dello spirito di un leone non è cosa da poco”.
“B’è …” cominciò Ellen esitante, “Rukan, puoi portare una catena al collo? O al limite legata alla zampa. La legheremo noi quando ti trasformerai, prima della battaglia”.
“Certo che posso. Perché?” chiese Rukan perplesso.
“Da quando Tegrish mi ha detto che l’energia si può raccogliere nelle pietre preziose o nei ciondoli, ho provato a raccoglierla qui”, e così dicendo si sfilò la catenina dorata che portava al collo, quella che aveva ricevuto in dono dai suoi veri genitori. “Se tu stesso evocassi la magia e prendessi energia da qui potresti resistere abbastanza, no?” chiese, passando la catenina a Rukan. Lui la prese fra le mani e, con l’occhio della mente, controllò quanta energia vi era dentro.
“Ellen!” esclamò stupito, alzando gli occhi sulla ragazza. “Ma come hai fatto? C’è n’è tantissima!”. Era sbalordito. In effetti, ogni volta che poteva, prima di andare a dormire, Ellen trasferiva tutta la sua energia nella collanina, da mesi ormai.
“Fa sentire” disse Eragon, prendendo dalle mani dell’Ibrido la collana. Anche lui sentì e, come Rukan prima di lui, restò basito. “Come hai fatto a mettere via così tanta energia in così poco tempo?”.
“Non lo so” disse Ellen alzando le spalle. “Mettere tutte le sere tutte le energie che ti rimangono li dentro è stato utile. Per lo meno ho dormito come un ghiro negli ultimi mesi”.
Eragon la guardò, e non poté reprimere un sorriso.

“Questa volta l’esercito di Galbatorix è vasto!” disse Nasuada ai Varden, tutti riuniti per il discorso che il capo teneva ogni volta che i soldati intravedevano le file nemiche in lontananza. “Ma anche noi siamo preparati! Abbiamo con noi Eragon e Saphira, che hanno già dimostrato diverse volte in battaglia la loro fedeltà e il loro coraggio, e una buona dose di destrezza nel corpo a corpo. Abbiamo Oromis e Glaedr! Esperti nelle battaglie quanto nella vita! Poi ci sono Tegrish e Gylda, che sento non ci deluderanno. Per la loro giovane età sono molto precoci, e il loro cuore dalla bontà infinita non ci tradirà, lo so! Un nuovo componente ingorssa le nostre file, e le rende ancora più imbattibili: Rukan! Grazie per esserti unito a noi, ti dobbiamo tanto, sei gentile” Nasuada si rivolse allo stesso Rukan nel dire quelle parole. L’uomo sorrise gentilmente e accennò un piccolo inchino, le mani giunte in grembo. “Per non contare i numerosi alleati che abbiamo trovato, e che sono fedeli alla nostra causa: le molte tribù nomadi che ci onorano della loro presenza e con i loro valorosi guerrieri ci garantiscono protezione; i nani che ci hanno raggiunto assieme al loro nuovo Re, Orik! Apprezziamo che il popolo della roccia si sia finalmente unito a noi, e speriamo che potremo rincontrarci in circostanze più felici”. Orik s’inchinò a Nasuada a quelle parole e, dalla folta barba, affiorò un sorriso. “Ci hanno raggiunto anche gli elfi, mandati dalla regina Islanzadi per la nostra causa! Per non parlare di Re Orrin e del suo popolo, che ci ha raggiunti, aiutati e consigliati con saggezza non appena abbiamo chiesto il suo aiuto. Grazie a tutti! Questa è la battaglia decisiva! Noi siamo i più forti! Noi siamo quelli che Galbatorix teme! Per questo ha deciso di unirsi al suo esercito: non per essere sicuro di schiacciarci, ma per controllare con i suoi occhi la nostra forza, che cresce di giorno in giorno!” disse Nasuada alzando la voce. “E allora combatteremo! Mostreremo a quell’uomo quanto sono valorose le nostre truppe, e che uno dei nostri uomini … vale dieci dei suoi! Noi siamo motivati! Lo facciamo per noi, per le nostre famiglia, per i nostri figli! Per la pace che aspettiamo da tanti anni! Per spezzare il regime ingiusto e crudele di Galbatorix!”. Nasuada fece una pausa e riprese fiato. Le truppe pendevano dalle sue labbra. “E allora andiamo! Andiamo Varden, Nani, Elfi, Ibridi, Draghi! Tutti riuniti per la libertà!”.
Gli uomini esplosero in urla di giubileo e speranza. Agitavano le mani verso Nasuada, erano convinti di riuscire. Nasuada sorrise ai soldati ancora una volta e si avviò alla sua tenda. Re Orrin la seguì e, appena prima di lasciarla entrare nella tenda, le prese una mano e la strinse forte fra le sue, mentre i due si scambiavano sorrisi radiosi a labbra strette.
Eragon li colse solo con la coda dell’occhio, ma al posto di essere felice per Nasuada, fu preso da una terribile fitta di dispiacere. Dopo il casto bacio che aveva scambiato con Arya, lei non aveva detto più una parola sull’accaduto. Non gli aveva detto che provava fastidio per quello, né che lo aveva gradito. Nulla. Eragon non sapeva che cosa fare, era da giorni ormai che non riusciva a dormire e che non aveva fame. Osservava Arya per capire come si sentisse, ma dal comportamento dell’elfa non traspariva nulla.
  Eragon, se ti senti così va’ a dirglielo!, esclamò Saphira, che non ne poteva più di condividere quel senso di nausea e frustrazione che ormai coglieva il ragazzo ad ogni ora.
  Uff! Ma come faccio? E se mi dice di no?, chiese lui, terrorizzato solo all’idea.
  Non lo farà, disse Saphira sicura, come se sapesse qualcosa che Eragon ignorava. Dai, fidati di me. Vai a parlarle!
Eragon prese dei grossi respiri, come se di lì a poco avesse dovuto tuffarsi in un lago. D’accordo, vado, disse, con l’aria di uno che stava per partire per una missione suicida.
  Bravo!, esclamò Saphira. E non tornare prima di aver concluso qualcosa!
  Fa silenzio!, la sgridò il Cavaliere.
Saphira rise leggermente e chiamò Ellen. Per la prossima ora non avvicinarti alla tenda.
  Perché?, chiese la ragazza con tono inquisitorio.
  Eragon sta per fare la sua grande dichiarazione.
  Davvero? Oh cavolo! Vuol dire che mi ha cacciata dalla tenda? E ora?
  Andiamo a fare un giro, propose la dragonessa. Nemmeno io ho nulla da fare.

Eragon respirava come una balena che avrebbe dovuto immergersi per le prossime settantadue ore nel mare aperto, intanto studiava ogni singolo dettaglio della tenda di Arya. Alla fine, prendendo l’ultima, grossa boccata di ossigeno, entrò.
“Arya?” chiamò esitante.
“Si?” gli giunse la voce dell’elfa da dietro un paravento.
“E’ un brutto momento? Torno più tardi?” chiese Eragon, speranzoso, sperando di poter sfuggire al suo crudele destino.
“No, ho fatto”. Arya emerse dal paravento e gli sorrise. “Eccomi” disse avanzando verso di lui. “Cosa c’è?”.
“Be’ … ecco” cominciò Eragon, avvampando e guardando ovunque tranne che nella sua direzione, “io volevo dirti solo … che … i-io e te … hm, tu mi piaci!” esclamò. “Tu mi piaci molto Arya. Non ho mai … mai provato nulla del genere. Quando sto con te sono … leggero. Sei la donna migliore che io abbia mai conosciuto, sei perfetta sotto tutti gli aspetti. Anche quando ti arrabbi per cose sciocche, o quando sei così … così ostinata nel dire la tua”. Ad Eragon scappò un mezzo sorriso. “Vorrei stare assieme a te per sempre, e nel caso a te non importi nulla di me, mi piacerebbe anche che restassimo solo amici. Perché …”, Eragon avrebbe continuato il monologo anche all’infinito se Arya non lo avesse fermato.
“Eragon” disse guardando il pavimento, “sono molto lusingata che tu abbia questi sentimenti nei miei riguardi, e … non posso fare a meno di ricambiare. E’ … oh cielo, non riesco a credere di averlo detto” finì la frase in elfico.
Eragon scoppiò in una piccola risata. “Quindi … è così?” chiese. Arya annuì.
Lentamente Eragon si avvicinò a lei ancora un po’ e le posò una mano sul viso, accarezzando la sua pelle profumata e liscia. Arya chiuse gli occhi, gli prese la mano nella sua e se la premette più forte sulla guancia. Era grande e rassicurante, come si era sempre immaginata che dovesse essere. Eragon avvicinò il suo viso a quello dell’elfa, sentì il suo fiato sulle labbra e, tremante, gli occhi chiusi, la baciò. Ma questo bacio era diverso dal precedente, c’era passione, c’era aspettativa e c’era dolcezza. Una dolcezza infinita dalla quale Arya venne sopraffatta. Potrei mai fare a meno di quella dolcezza, adesso che l’ho sperimentata?, si chiese. Forse no: ne avrebbe avuto bisogno per sempre.
Eragon si allacciò a lei più stretto, sentì il suo corpo sinuoso scivolare sotto il suo, e gli sembrò che assieme fossero perfetti. Quando il bacio finì non si volle separare da lei, riprese a darle piccoli baci sul collo, sulla guancia e sulle palpebre chiuse. Quando si allontanò da lei la guardò, e fu come se il cuore si riempisse di una sensazione fortissima, inimmaginabile. Non era felicità, di più! Il suo cuore traboccava di quella sensazione così meravigliosa che era impossibile da descrivere. Eragon si perdette negli occhi dell’elfa, tracciando le linee del suo volto con la punta delle dita.
“Sei bellissima” disse infine. “E sei la cosa più preziosa che ho mai avuto”.
“Sei veloce a reclamare una cosa come di tua proprietà” disse Arya con un sorriso, stringendosi di più a lui.
Anche Eragon sorrise. “Devo fare in fretta, prima che a qualcun altro venga la stessa idea. A qualcuno più affascinante e più virtuoso di me”.
“Non credo che esita una persona che possa reggere il confronto” disse Arya.
“Ah, grazie mille” disse Eragon. Riprese a baciarla e, senza quasi rendersene conto, finirono sdraiati sulla brandina. Eragon poteva sentire le dita scorrere sul corpo sinuoso e perfetto di Arya, così morbido e tiepido, che fremeva ad ogni suo tocco. Si chinò su di lei per baciarla ancora una volta, e osservare quegli occhi così belli e caldi che l’avevano stregato.

  Non credo che ti convenga tornare alla tenda, disse Saphira, a metà fra uno sbuffo e un risolino divertito.
Ellen sgranò gli occhi. Ma come?! Non mi possono cacciare! E adesso che faccio? Mamma mia, sono passate quasi due ore! E’ il tramonto Saphira!
  Vai nella tenda di Eragon. Lui non c’è …
  Buona idea! Così impara! Io e Arya conviviamo, non può privarmi così della mia abitazione!, disse con uno sguardo incerto dipinto sul volto, combattuta fra l’arrabbiarsi con Eragon per averle sottratto la tenda e l’essere felice per lui. Tu che fai?, chiese a Saphira.
  Vado da Gylda e Glaedr, ci vediamo domani Ellen. Dormi bene e sta’ pronta!
  Ecco, anche Eragon dovrebbe dormire! Non poteva scegliere un altro giorno? Domani dobbiamo essere scattanti! Non vorrà fare tardi sul campo di battaglia?
  No, non è così irresponsabile. E poi è assieme ad Arya, nemmeno lei è irresponsabile.
  Voglio fidarmi di te, disse Ellen cupamente. Be’ buonanotte.
  Buonanotte Ellen.





Eccomi! Scusate se posto ad un'ora così tarda, è che dovevo fare un disegno per scuola (a dir la verità mi manca ancora inglese -.-'')! Comunque, so che non v'interessa, quindi passiamo al capitolo!
Una curiosità: originariamente questo capitolo doveva essere uno degli ultimi, ma poi mi è venuta in mente una cosa che non potevo lasciare in sospeso, così ho allungato la storia. La parte del discorso di Nasuada è stata un po' strana da fare: ho cercato di creare un discorso logico dal punto di vista sintattico, ma che potesse anche incoraggiare molte persone, che desse speranza, e non è stato facile! XD Spero solo che sia venuto decente.
Una buona notizia per tutti i fan della coppia Ellen/Murtagh! Nel prossimo capitolo ricomparirà l'uomo! XD Meglio conosciuto come Murtagh! E, anche se inizialmente non sarà facile per lui, vedremo grandi cambiamenti! Mhauahhahah!
And now... le recensioni!

KissyKikka: grazie per i complimenti e la recensione! ^^ Menomale non aver reso Arya troppo OOC, ho cercato di essere il più realistica possibile nel descrivere ciò che provava. E poi a me non sembra assolutamente snob, anche se a volte sembra un po' antipatica, ma secondo me dipende dal fatto che il personaggio, in realtà, è uno di quelli che si mostra forte, un po' rigido, per non risultare debole agli occhi degli altri, è come una specie di protezione. Io la penso così, poi ovviamente non saprei in realtà ^^'' B'è, grazie mille per essere arrivata fino a qui, un bacione!

Thyarah: lieta di averti incuriosita con il bacio! :) Spero che questo capitolo, anche se un po' cortino, sia di tuo gradimento. Succedono molte cose qui, e devo ammettere di averlo scritto velocemente, perchè non vedevo l'ora di arrivare alla battaglia!  Comunque, adesso pare che tutti siano felicemente insieme tranne Murtagh ed Ellen (poverini!), ma nel prossimo capitolo vedrò di rimediare a tutte queste assenze (darò una nota a Murtagh sul registro! XD). Grazie per aver seguito la storia fino a qui, un grazie infinito! <3

A tutti coloro che leggono e basta, grazie mille! Al prossimo capitolo, nel quale accadranno diverse cose interessanti (vi avviso giusto per farvi venire la curiosità, cha cattiva! XD)!
Patty.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Poco lontano dalla battaglia ***


Capitolo tredici: Poco lontano dalla battaglia

“Non lo farei se non fosse necessario per il benessere del mio popolo!” aveva esclamato Galbatorix non appena prima di iniziare la battaglia. “Non vorrei mai che mi credeste malvagio. Voi mi costringete” aveva sussurrato poi, più rivolto a sé stesso, che al suo popolo.
Shruikan aveva ruggito forte e si era lanciato nel cielo, fendendo l’aria con le grosse ali. Saphira l’aveva seguito di lì a pochi secondi, così come Gylda, Glaedr e Castigo. Per quanto riguardava la battaglia del cielo erano in maggioranza, ma i soldati non se la cavano altrettanto meglio.
Ellen pensava che, in fondo, sarebbe bastato che Galbatorix morisse, venisse ferito o rapito, che le truppe imperiali si sarebbero subito spaventate. Non aveva dubbi sul fatto che Oromis, Eragon e Tegrish sarebbero riusciti a battere Galbatorix. L’unica cosa di cui aveva paura era che Murtagh si facesse del male. In fondo, lo sapeva ormai, non era per sua volontà che combatteva al fianco del re.
Ellen alzò gli occhi verso il cielo e inorridì. Oromis stava combattendo contro Galbatorix, mentre Murtagh fronteggiava da solo gli altri due Cavalieri. Non sarebbe mai riuscito a sopravvivere contro di loro. Anche se Eragon avesse voluto risparmiarlo non poteva fare più di tanto: erano in guerra!
Ellen imprecò sottovoce. Non sapeva come, ma voleva tenere Murtagh lontano da ogni pericolo. Parò il colpo di un soldato e poi gli tagliò la testa di netto con la spada. Dietro di lui ce n’era un altro, e lo ferì ad un fianco, lasciandolo più affaticato e debole di prima. Si guardò velocemente intorno e si rese conto che vicino a lei c’era soltanto Arya su cui contare. Ma non poteva lasciarla sola, nonostante le fosse venuto in mente un modo per tenere Murtagh al sicuro.
Ad un tratto un ruggito che lacerò lo spazio la fece voltare, e con lei tutti i soldati. Rukan stava di fronte a loro, alla zampa aveva ben legato il ciondolo di Ellen con una corda spessa. Con una zampa e gli artigli bene in vista diede un colpo ai soldati e almeno sei di loro vennero scaraventati via, o fatti cadere a terra fra urla di dolore. Così Rukan continuava a farsi strada dove vedeva c’era più bisogno di lui, ed Ellen colse al volo l’occasione di correre via.
Senza nemmeno far caso alla battaglia che aveva appena abbandonato, corse verso l’accampamento. Nessuno la seguì, né tantomeno tentò di fermarla. Non appena fu dentro all’accampamento deserto prese una spessa corda, un arco e delle frecce. Tornò indietro di corsa, ma si tenne ai margini della battaglia.
Lasciò a terra la pesante corda e incoccò una freccia, puntandola al cielo. Mormorò alcune parola in elfico e prese la mira con cura …
La freccia si trafisse sulla spalla di Murtagh con una forza eccezionale. Troppo forte per una normale freccia. In preda all’ira il ragazzo si voltò a guardare chi mai l’avesse scagliata. Con un sobbalzo al cuore vide Ellen, sopra una bassa collina, che lo guardava, e saltava e si agitava per farsi vedere. Vide la sua bocca muoversi ma non riuscì a capire che cosa diceva.
Una forza malinconica ma decisa s’impossessò della sua mente. Si riscosse solo quando sentì che Castigo veniva urtato da qualcosa. Guardò di fronte a sé, quasi senza capire. Gylda si era lanciata addosso a Castigo dal lato destro, Saphira da quello sinistro, e tenevano il drago quasi prigioniero.
Una seconda freccia sfiorò l’orecchio di Murtagh con un sibilo acuto che lo fece tremare. Fermandosi ancora una volta a guardare Ellen pronunciò alcune parole in elfico e, aiutato dalla forza di Castigo, fece allontanare di draghi che lo opprimevano di parecchi metri. Castigo si diresse in una picchiata vertiginosa verso terra, diretto su Ellen.
Quando furono a pochi metri la ragazza abbandonò arco e frecce, si mise la corda sulla spalla e scappò via. Andò a ripararsi poco più in là una macchia di fitti alberi.
Castigo non sarebbe mai riuscito ad entrarvi, così Murtagh lo fece fermare e s’inoltrò da solo nella boscaglia. Era furioso. Furioso con sé stesso perché aveva visto e seguito Ellen, e perché adesso sapeva bene che cosa doveva fare. Come aveva detto Galbatorix tempo prima: affrontarla con il solo scopo di ucciderla. Era furioso con Ellen, perché diamine aveva fatto tutta quella messa in scena? Lei sapeva che l’avesse vista doveva seguire gli ordini di Galbatorix!
“Ellen!” la chiamò con voce dura. “Che cosa vuoi fare?”. Non sentì nulla, solo i rumori della battaglia che si svolgeva poco lontano da lui. “Ellen va’ via! Ti prego …” mormorò poi con una vena di disperazione, guardandosi attentamente intorno.
Ancora nessun rumore. Murtagh avanzava circospetto e affilava lo sguardo per vedere meglio fra i rami fitti e gli arbusti. Ad un tratto si sentì le gambe e le braccia bloccate, e pareva che anche la sua capacità di parola fosse svanita. Un basso mormorio si levava dalle sue spalle. Quando si voltò, senza però potersi muovere dalle ginocchia in giù, scorse Ellen. Aveva il volto imperlato di sudore e avanzava verso di lui.
Murtagh pensò subito che poteva provare a formulare una magia con la mente, anche se di rado gli era riuscito. Ma ci provò. Ellen, nel momento stesso in cui iniziò a pensare l’incantesimo per liberarsi, fece un grugnito e la sua espressione sul viso si fece sofferente.
Raggiunse in fretta Murtagh e, srotolando metri di corda, cominciò a legarlo. Non appena fu certa che gambe e braccia fossero ben strette al corpo e non potesse muoversi sciolse l’incantesimo.
Subito Murtagh prese ad agitarsi. “Ellen che cosa fai?!” cominciò ad urlare.
“Dovresti ringraziarmi: sto cercando di tenerti fuori dai guai” ribatté lei asciugandosi la fronte. Murtagh era forte, l’incantesimo che aveva usato per bloccarlo era stato sfiancante. “Confido che non riuscirai a liberarti per un bel po’, no?”.
“Ma … Castigo” disse debolmente Murtagh cercando di guardare il cielo, ma fu impossibile nella fitta macchia di alberi.
“Devo ammettere che a lui non ci ho pensato, mi dispiace” disse Ellen stringendo la labbra. “Ma con un po’ di fortuna verrà a cercarti nel bosco”. Ellen si alzò e fece per andarsene.
“Aspetta! Che fai? Non puoi lasciarmi qui!” cominciò Murtagh.
La ragazza si voltò e lo guardò quasi accigliata. “Non potrai mai farcela contro due Cavalieri da solo, e poi così siamo in vantaggio.”, Ellen lo guardò con aria severa e gli puntò contro il dito indice dicendo: “Non provare a spezzare le corde, sono incantate!”.
“Ma Ellen! Aspetta! Ho degli ordini da rispettare!” sbraitò Murtagh.
“Ma allora sei proprio di pietra, sei peggio di un nano! E’ questo il punto!” disse lei avvicinandosi di nuovo. “Quali sono gli ordini? Forse … potresti cercare di intenderli in un’altra maniera”.
“E’ impossibile, Galbatorix si è assicurato di parlare molto chiaramente quando mi ha ordinato cosa fare” borbottò Murtagh con lo sguardo basso. “E’ stato breve ma conciso in realtà, ha detto: Uccidi i Cavalieri di drago tuoi nemici”.
“Oh” disse solo Ellen. Restò un secondo in silenzio, mentre Murtagh ancora cercava di dibattersi debolmente, senza troppa convinzione. Quando la ragazza lo guardò stava cercando di prendere un piccolo coltello che teneva infilato nella manica. Ellen sbuffò e glielo prese.
“Ellen!”.
“Che c’è? Tanto più che se ti libero mi farai pure fuori!” esclamò lei, ma non poté fare a meno di ridere. Quella situazione era un po’ strana, per non dire ridicola, e doveva ammettere che rivedere Murtagh le faceva piacere, anche se in quella maniera strana.
“Io non riderei se fossi in te, scapperai a gambe levate” disse Murtagh, tuttavia gli si poteva leggere in viso un’espressione divertita.
Il ragazzo cercò di avvicinarsi ad Ellen, ma non riusciva a staccare la schiena dall’albero a cui era legato, nemmeno di pochi centimetri! Ellen, quasi automaticamente, colmò la distanza fra loro e lo baciò.
Era da così tanto che nessuno di loro due sentiva il profumo dell’altro, il suo sapore, la morbidezza della sua pelle. Murtagh avrebbe tanto voluto poter abbracciare Ellen, ma sapeva che se l’avesse fatto probabilmente avrebbe cercato di soffocarla. Una piccola fitta gli attraversò il cuore.
Ellen si staccò da lui, e Murtagh la guardò come se la vedesse per la prima volta. “Ho fatto bene ad imprigionarti qua” disse lei, e cominciò a camminare verso la battaglia. “A pensarci bene però, il tuo vero nemico è Galbatorix. E’ lui a voler farti del male, non Eragon, ne tantomeno Oromis o Tegrish”.
Senza nemmeno farci caso Ellen aveva detto una cosa giusta. Murtagh, intrappolato nella foresta, non poté fare altro che pensare alle parole della ragazza. Aveva ragione! Forse Eragon e gli altri tre erano i suoi nemici ufficiali, ma il nemico vero, quello che gli impediva di vivere, era solo Galbatorix. Questo lo metteva di fronte a un problema: stando al suo ragionamento, tutti i Cavalieri erano suoi nemici!
Murtagh imprecò sottovoce. Ma perché diamine doveva pensare così tanto?! Sarebbe stato meglio se Ellen non avesse mai fatto quell’osservazione.
  Murtagh, dove sei?, la voce bassa e roca di Castigo raggiunse Murtagh, che la prese come un’ancora di salvezza. Gli mandò un’immagine mentale del luogo in cui si trovava. Sto arrivando, disse il drago. Fu lì in pochi secondi, distruggendo diversi alberi riuscì a trovare Murtagh.
Il ragazzo lo guardò terrorizzato e disse: Ma sei matto? E se spaccavi questo di tronco?
  Ma che dici?, disse piccato il drago rosso sbuffando forte.
  Aiutami a sciogliere questa corda. E’ incantata, le mie forze non bastano.
Castigo unì i suoi poteri a quelli di Murtagh e assieme riuscirono a sciogliere la corda che tratteneva il ragazzo, che man mano si fece più lenta attorno al suo corpo. Quando fu sufficientemente larga Murtagh la prese con le mani e si liberò, lasciandola cadere a terra e avvicinandosi subito al suo drago.
“Parti!” li disse quando fu salito in groppa.
  Aspetta Murtagh, io e te siamo troppo legati per non capire che cosa hai intenzione di fare. Il ragazzo sbuffò un poco. Ma come ti viene in mente? Sai bene che Eragon e gli altri non vorrebbero mai farti del male, loro non sono tuoi nemici! Non ti lascerò combattere contro quattro Cavalieri  e i suoi draghi.
  D’accordo, non Eragon! Ma che mi dici degli altri due? Oromis conosce la verità? Sa che siamo stati costretti? E se anche lo sapesse, chi ti dice che non cercherebbe comunque di ucciderci? Io lo considero nostro nemico.
Castigo esitò. Nonostante cercasse di convincersi del contrario, la verità era che anche lui vedeva Oromis come un nemico. Era uno dei vecchi Cavalieri, e se era sopravvissuto significava che era scaltro, probabilmente molto forte (anche se, a dire il vero, non gli era sembrato nel massimo della sua forma durante la battaglia). Anche il suo drago probabilmente era come lui, e considerando quanto fosse grande ed esperto, poteva benissimo batterli in un colpo solo, nonostante avesse la zampa sinistra ferita gravemente.
  E quell’altro?, proseguì Murtagh, E’ troppo giovane per capirci qualcosa! Non so nemmeno perché lo facciamo combattere, disse con un disprezzo che non era solito usare.
  Se è il suicidio che vuoi allora andiamo! Ma ricordati: il nostro principale nemico, e Cavaliere dei Draghi, è solo Galbatorix.
Murtagh ghignò, mentre Castigo si alzava in volo e il vento gli scompigliava i capelli corvini. “Lo so” bisbigliò.

“Tegrish, va’ sul lato destro!” ruggì Eragon quando, per l’ennesima volta, furono scagliati lontano da Galbatorix.
Da quando il suo Cavaliere era misteriosamente fuggito, Galbatorix aveva duellato contro tutti e tre i Cavalieri da solo, ma non sembrava risentirne. Ad un tratto aveva creato una strana separazione fra lui e gli altri tre che, anche se cercavano di attaccarlo, venivano brutalmente respinti come da un’energia invisibile.
Tegrish annuì e Gylda si spostò sbattendo le possenti, e ancora abbastanza piccole, ali verdi. Avevano circondato Galbatorix e si preparavano a quello che doveva essere almeno il quarto attacco. Ad un ordine di Oromis i tre si lanciarono di nuovo addosso a lui, fisicamente e con scaglie di magia che tentavano di distruggere la protezione creata da Galbatorix. Quello fece una specie di grugnito, ma mantenne intatta la difesa.
I tre draghi cominciarono a girargli attorno, ma non potevano nulla, nemmeno unendo i loro poteri. Ad un tratto Tegrish spostò lo sguardo. Il grosso drago rosso, che gli avevano detto chiamarsi Castigo, volava verso di loro; i suoi muscoli si tendevano per la velocità con cui avanzava, e la sua espressione era decisa. Murtagh, sopra di lui, aveva la spada levata.
Tutti si preparano a combatterlo, Oromis si voltò e disse agli altri due di restare a controllare le mosse di Galbatorix. Ma appena Oromis si fu voltato Castigo lo sorpassò ed entrò senza sforzo nella piccola parte di cielo protetta, che Galbatorix si era ritagliato.
“Lascia stare quella ragazza!” gli disse subito Galbatorix furioso. Ma quasi non fece in tempo a finire la frase che Murtagh lo attaccò. Sorpreso, il Re fece cadere le difese e schivò l’attacco di Murtagh. “Che cosa fai?”.
Gli altri percepirono distintamente il momento esatto in cui le difese crollarono. Senza pensarci due volte si lanciarono in aiuto a Murtagh, seppur confusi.
Eragon, pensando che Galbatorix avrebbe potuto impartire altri ordini chiese aiuto a Saphira e, assieme, lanciarono un potentissimo incantesimo contro il Re. “Riducilo al silenzio” mormorò il Cavaliere.
Galbatorix aprì la bocca, ma non emise alcune suono. Si guardò attorno disperato, cercò di urlare, ma dalla sua bocca neanche un lamento giunse. Quasi come se stesse soffocando diventò scarlatto e lanciò uno sguardo furioso in direzione a Murtagh, come se fosse stato lui.
“Murtagh! Non può più parlare!” gridò Eragon. Murtagh gli rivolse un fugace sorriso grato, ed Eragon annuì un incoraggiamento.
Iniziarono una furiosa battaglia contro Galbatorix ma, per qualche ignota ragione, anche in quattro non riuscivano a batterlo. Ogni volta che il Re veniva ferito riusciva a rimarginare le proprie ferite e quelle del proprio drago in modo rapido e perfetto. Da dove prendeva tuta quella energia nessuno riusciva a capirlo, tranne ovviamente Murtagh.
Lui sapeva del potere datogli dagli eldunari dei draghi. Conosceva l’immenso potere contenuto in ognuno di loro; lo aveva sperimentato con mano e sapeva che Galbatorix disponeva di diversi eldunari. Ognuno di loro aveva energia a sufficienza perché Galbatorix combattesse anche per cento anni di fila, e non soffrisse mai la stanchezza.
L’unico modo, pensò Murtagh, sarebbe stato prendere gli Eldunari e, in qualche modo, distruggerli. Ma come? Intanto cominciamo a prenderli, poi si vedrà.
Doveva mettere gli altri al corrente del suo piano, ma di certo non poteva urlarlo ai quattro venti, altrimenti Galbatorix lo avrebbe sentito. Castigo, dì agli altri draghi che dobbiamo riuscire a prendere la cintura di Galbatorix.
  Fratelli ascoltate, dobbiamo riuscire a prendere la cintura di Galbatorix, lì è racchiuso tutto il suo potere. Dobbiamo prendere la cintura e distruggerla.
  La cintura?, chiese Gylda osservando Galbatorix con attenzione.
  Vedete le pietre incastonate nell’acciaio? Quelle sono il nostro obbiettivo, ditelo ai vostri Cavalieri!
Saphira grugnì un ruggito di approvazione, mentre ad Oromis, informato del piano, si formava una ruga in mezzo alla fronte mentre osservava le pietre incastonate nella cintura del Re.
Galbatorix, nel frattempo, per quanto ci provasse, stranamente non riusciva a sciogliere l’incantesimo. In realtà, dopo che Eragon e Saphira l’avevano scagliato per primi, tutti i Cavalieri avevano concentrato il loro potere su di lui, ma così facendo perdevano energie facilmente.
Dopo diversi minuti di scontro senza successo, Glaedr si spazientì. Ruggì forte e, con una decisione mai vista prima, si lanciò addosso a Shruikan e lo morse alla gola. Il drago nero si ribellò, ruggì, chiuse gli occhi forte dal dolore. Alla fine, con una precisa e meditata zampata, colpì Glaedr sul lato sinistro del muso. Gli squarciò le vecchie squame d’oro lucente che ricoprivano il suo corpo intero, gli trafisse un occhio e gli fece una profonda ferita ad un orecchio. Glaedr ruggì forte e si staccò da Shruikan, il drago nero ne approfittò e gli diede una seconda zampata. Si aggrappò con gli artigli affilati alla carne del collo di Glaedr e cercò di tenere lontano da sé il drago.
  Alla fine è così, no? L’allievo supera sempre il suo maestro, disse Shruikan con voce dura e divertita.
  Tutti gli allievi superano i più vecchi maestri in forza, ma mai in furbizia, fece Glaedr di rimando. Poi, con uno scatto fulmineo, colpì forte con la coda Galbatorix. Il Re cominciò a cadere. Shruikan fece per seguirlo e riprenderlo al volo, ma venne fermato da Castigo e Gylda. Ruggì loro contro e cercò di superarli, ma non vi fu verso.
Nel frattempo Glaedr aveva abbandonato il campo, e si dirigeva stancamente verso terra, le ferite sanguinavano copiosamente e il suo respiro si faceva sempre più pesante. Aveva la vista sfocata, dal sangue e dal fatto che uno dei suoi occhi era rimasto cieco. La ferita alla gola bruciava particolarmente forte, gli pareva che gli avessero dato fuoco. Il drago si allontanò dalla battaglia goffamente e andò a posarsi su un piccolo colle. Non appena ebbe toccato terra Oromis scese dalla sua schiena e andò a controllare la ferita.
“Non ti muovere, ti guarisco subito” disse, guardando con orrore le ferite. Si rendeva conto che erano terribili e che sarebbe servita moltissima energia per guarirle tutte e bene. Anche Glaedr lo sapeva.
  Non preoccuparti per me, devi andare a combattere.
  No, io ti posso guarire. Ci metterò un secondo!, protestò Oromis, ben conscio di mentire anche e soprattutto a sé stesso.
  Sappiamo bene tutti e due che non sarà possibile. Ci vorrebbero troppe energie, e tu dovresti usare le poche che hai ancora per la battaglia. Vai!
  Ma che cosa dici? Vuoi che ti lasci qui? Glaedr!
  Oromis, il grande drago lo guardò. Eccolo, era lui il suo Cavaliere. Con lui aveva vissuto così tanti anni da poter essere soddisfatto di ogni singola cosa. Non aveva rimpianti, e in un certo senso era felice di andarsene. Aveva nel cuore la sicurezza che avrebbero vinto, sapeva che Eragon non avrebbe potuto fallire. Era un ragazzo così puro e coraggioso! Oromis, non possiamo stare insieme per sempre. E’ ora …
  N-non è vero, balbettò Oromis. Non poteva essere, non doveva assolutamente essere! Oromis, per la prima volta da diversi anni, sentì gli occhi pizzicare e le lacrime affacciarsi sugli occhi. Posò una mano sul muso del drago, colui che lo aveva accompagnato per così tanto tempo nella vita. Da quando era un ragazzo. Giovane, inesperto, erano cresciuti assieme, invecchiati assieme, e si era perfino illuso che sarebbero morti assieme. Ma il destino evidentemente aveva deciso per un altro corso degli eventi, diverso da quello che lui si era creato nella mente.
  Prima di andarmene vorrei darti un ultimo regalo. Ti prego di non protestare, non servirebbe a nulla.
  Sei così cocciuto che non ci proverei nemmeno.
  Meglio così.
Glaedr chiuse gli occhi. Per un po’ non accadde nulla, ed Oromis attese pazientemente, poi iniziò ad avvertire un formicolio alla punta dei piedi e sulle dita delle mani. Era un po’ fastidioso, ma nulla che non potesse sopportare. Poi il formicolio si dilatò e divenne più intenso: passò ai polpacci e alle braccia, arrivò fino alle cosce e gli prese anche il petto. In quel momento divenne fastidioso, più intenso che mai e quasi doloroso. Oromis si piegò in due di fronte a Glaedr e chiuse gli occhi dal fastidio.
Poi, improvvisamente, tutto svanì. Oromis si sentiva più in forze, più energico, come se avesse riposato a lungo. Capì che cosa era successo e guardò Glaedr, a metà fra la gratitudine e la rabbia.
  Mi hai guarito!
  E tu volevi guarire me?, disse Glaedr con una punta d’ironia. Oromis chinò la testa e sorrise suo malgrado. Improvvisamente sentì l’energia di Glaedr aumentare, era così forte che si chiese se non fosse successo un miracolo. Poi, di colpo, come qualcosa che cade, si spense.
“Glaedr? Glaedr!”. Oromis lo guardò.
Il drago aveva gli occhi chiusi, non si muoveva più, e lo scintillio delle sue squame sembrava svanito. Oromis rimase in ginocchio di fronte a lui, le mani ancora poggiate sul suo muso squamoso e ancora caldo. Un sola, solitaria lacrima scivolò sulle sue guancie lisce e perfette, come quelle di ogni elfo, e quando toccò terra venne subito assorbita dal terreno rossastro delle Pianure Ardenti.
Ma non poteva restare lì per sempre, anche se lo avrebbe preferito. Glaedr lo aveva guarito per uno scopo, era stato il suo ultimo atto, ed era giusto rispettarlo.
Oromis si alzò, raccolse la spada che aveva lasciato a terra e guardò la battaglia che infuriava poco distante da lui. “Per te, amico mio” disse rivolto al cielo, e s’incamminò verso la battaglia.





Waa! Eccolo! Il primo capitolo della battaglia! Non ho mai scritto una battaglia così lunga, dura due capitoli! O.O Questo in particolare prende il suo titolo perchè gli avvenimenti principali che vediamo avvengono tutti, appunto, non esattamente nel campo di battaglia, ma poco lontano. :) Lo so, può sembrare stupido, però mi piaceva scrivere della battaglia da un diverso punto di vista.
A proposito, avrete notato che il rimedio di Ellen per tenere Murtagh lontano dal pericolo non è servito a molto. XD Be', sappiate che è una cosa voluta: è che mi era sembrato giusto che Ellen si preoccupasse per lui e cercasse di attirarlo lontano dal combattimento, ma ho pensato che, in quel momento, non dev'essere stata molto lucida, così il suo metodo per salvaguardare Murtagh non è andato proprio a buon fine, perchè quando ci ha pensato era un po' fusa! XD
Comunque, mi dispiace molto per la morte di Glaedr, nonostante non sia il mio preferito. Più che altro mi dispiace per Oromis, ecco, che adesso resta solo soletto. Ma ora, come avrete ben potuto notare, no ha tempo per crogiolarsi nel dolore, e ha deciso di combattere per il suo drago. La sua vera reazione la vedremo più avanti, e spero che non versiate troppe lacrime! XD
Recensioni:

Thyarah: ciao! Sono contenta che lo scorso capitolo ti sia piaciuto. Eragon e Arya sono così carucci! ^^ E che mi dici di Ellen e Murtagh? Il loro incontro è stato strano da descrivere, perchè non si vedono da tanto tempo, eppure nessuno dei due, in quegli istanti, ha la testa per pensare a dirsi paroline dolci, così sono andata un po' sul comico. Non so se il risultato sia dei migliori -.-'' Be' grazie molte della recensione, spero che questo capitolo, anche se un po' triste verso la fine, ti piaccia. Un bacione! ^^

KissyKikka: ciao! :) Sono d'accordo con te ne dire di prendere a calci Galbatorix, ma scoprirai nel prossimo capitolo come andrà a finire questa battaglia (spero non sia nulla di scontato). Vorrei sapere cosa ne pensi dell'incontro fra Murtagh ed Ellen, perchè scriverlo è stato complicato. O.o Insomma, sembrano un po' stupidi, perchè dicono cose stupide per essere due innamorati che s'incontrano dopo tanto tempo, ma non sapevo bene come fare, dato che la situazione in cui sono non è proprio ideale (Ellen che lega Murtagh ad un albero XD). B'è, ci vediamo nel prossimo capitolo, un bacio a te, fedele recensitrice! XD Smack! :)

Un grazie mille a tutti coloro che leggono e seguono, ciao a tutti e alla prossima...
Patty.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Il terremoto ***


Capitolo quattordici: Il terremoto

Galbatorix era steso sulla brulla terra delle Pianure Ardenti. Vide con la coda dell’occhio Eragon avanzare verso di lui con espressione risoluta. Velocemente, si curò le ferite che si era procurato durante la caduta e si alzò, prima che il giovane potesse raggiungerlo.
Nel momento in cui poté osservarlo meglio, si mise quasi a ridere: lo aveva sopravvalutato, mentre quello, in fondo, era solo un ragazzino. Non poteva essere più forte o più abile di lui. Non poteva e basta. Oltretutto lui aveva dalla sua parte la forza degli eldunari, che quel ragazzetto non avrebbe mai potuto contrastare.
“Eragon” disse Galbatorix con voce vellutata, mettendo comunque mano alla spada, “non credi che sia inutile continuare questa farsa? Tutti e due sappiamo bene che non è il caso di causare la morte di tante persone”.
“Se anche non combattessimo, sotto il tuo regno morirebbero la stessa quantità di uomini” lo accusò Eragon.
Galbatorix parve addolorato. “Non capisco davvero perché tu dica questo Cavaliere. Capisco che per uno spirito ribelle e giovane come il tuo opporsi all’Impero debba sembrarti un atto eroico e giusto, ma ti posso assicurare che non è affatto così. L’Impero vive solo grazie ai suoi sudditi e io, sapendo questo, non farei mai del male alla mia popolazione. Ma tu, e i tuoi amici ribelli, mi costringete a reagire. Centinaia di soldati stanno morendo per colpa vostra, stanno abbandonando moglie e figli, la loro casa e la loro vita per mantenere vivo l’Impero. Quegli uomini sono la prova vivente che l’Impero è un regno giusto, rischiano persino al loro vita pur di proteggerlo. Non mi aspetto che un ragazzino come te comprenda, ma sappi che se ti unirai a me, tu potrai fermare questo caos”, e così dicendo Galbatorix indicò con un gesto vago della mano la battaglia.
Eragon cercava con tutte le sue forze di non ascoltare sul serio ciò che diceva quell’uomo sconsiderato. Ma la sua mente non poteva fare a meno di recepire un messaggio: era colpa sua se tutte queste persone stavano morendo. Galbatorix lo aveva punto sul vivo. Aveva trovato il suo punto debole e vi aveva rigirato il coltello, creando una piaga ancor più dolorosa.
Poteva davvero essere così? In fondo, se lui non fosse mai divenuto Cavaliere, nulla di tutto questo sarebbe successo. Quante persone avevano sacrificato la loro felicità solo a causa sua?
Brom, Ellen, Murtagh. E non solo loro: Re Rotghar era morto, Nasuada aveva perso suo padre ed ora era precocemente a capo dei Varden. Tutto il paese del Surda aveva messo in gioco la pace che regnava in quel piccolo popolo. Il suo vecchio villaggio, Carvahall, era stato letteralmente spazzato via. Per lui? A causa sua?
  Eragon! Non ascoltare quell’uomo! Le sue parole sono infide e s’intrufolano nella tua mente!, la voce di Saphira lo raggiunse e fu come un balsamo per la sua mente in fiamme. Pensa a cosa soffriva tutto il popolo di Alagaesia. La fame, la miseria. Gli uomini venivano venduti come schiavi! I villaggi venivano invasi dagli Urgali! La gente non poteva vivere in quel modo, tu sei la loro unica speranza! Tu li aiuterai, vivranno meglio se Galbatorix sarà scomparso una volta per tutte!
Eragon deglutì. Le parole di Saphira dicevano il vero, e lui ne era cosciente. Non doveva mai più ascoltare quell’uomo, le sue parole erano come una malattia che s’infilava nel cervello, e pian piano lo logorava.
“Galbatorix non m’incanterai con i tuoi trucchi!” urlò. “Il popolo ha bisogno di libertà, non certo di un monarca! E io non sono così sciocco da credere che se mi arrendo la miseria finirà!”.
“Scegli quindi di combattere? Tanto meglio, non c’è modo più facile per sbarazzarsi dei nemici che la spada!” disse Galbatorix, ogni traccia di garbo e gentilezza svanita dalla sua voce e dal suo viso, che ora era solo una maschera di rabbia ardente, e lo faceva diventare più brutto di prima.
Il re sollevò la spada, e si preparò per il duello.

La battaglia in cielo, nel frattempo, continuava. Gylda, Saphira e Castigo cercavano di bloccare Shruikan, il grosso drago nero, che a tutti i costi voleva raggiungere il suo Cavaliere a terra.
Shruikan ruggì contro Saphira, che non si ritrasse, e invece lo attaccò, seguito poco dopo da Castigo. I due draghi, anche se molto più piccoli di Shruikan, che era grande quasi quanto Glaedr, lo attaccarono sulla schiena. Shruikan cercava di liberarsi, si dimenava e ruggiva e sputava fuoco, ma nulla di ciò che faceva servì a togliersi dalla schiena Castigo e Saphira. Con la coda colpì Gylda, che mugolò di dolore e si allontanò di diversi metri.
Sul dorso del drago nero, nel frattempo, Castigo graffiava e grugniva, e Saphira mordeva con forza la carne dell’animale. Shruikan guaì di dolore, in un rantolo che diede grande pena a Tegrish. Ma gli altri non sembravano curarsene, e continuarono la lenta e straziante tortura del drago.
Shruikan prese grosse boccate d’aria e cercò di ignorare il dolore che gli bruciava la schiena. Ad un tratto vide davanti a sé Castigo, che lo osservava con sguardo furioso.
  Non so proprio perché fai questo Shruikan, quando potresti passare dalla nostra parte.
  No! Galbatorix è il mio Cavaliere, e io non lo posso abbandonare. Noi formiamo un solo essere.
Castigo sbuffò con rabbia. Non dire sciocchezze! Il tuo uovo si è schiuso solo perché il suo drago era morto, sei un rimpiazzo! Lui ti ha obbligato. Galbatorix è pazzo! Vuole solo avere un drago al suo fianco! Vuole solo …
  Zitto! Tu non sai niente! Shruikan diede una zampata a Castigo, che si ritrasse con un ringhio. Murtagh cercò di curargli in fretta la ferita, e si sporse lungo il suo fianco, preoccupato.
  Se è così … disse Castigo deciso, lasciando la frase in sospeso. Si avventò contro Shruikan ruggendo, una fiammata di fuoco caldo si sprigionò dalle sue fauci e andò a colpire il drago nero, che ruggì di dolore e chiuse gli occhi. Nel frattempo Saphira lo aveva attaccato al collo. Poco dopo questo attacco combinato Shruikan iniziò a guaire e si allontanò fiaccamente dalla battaglia.
Saphira fece per inseguirlo, ma Gylda la fermò. Non preoccuparti Saphira, nessuno può più fare nulla per lui.
Shruikan volava piano, il collo e la schiena che sanguinavano copiosamente. Sapeva che, se avesse voluto, il suo Cavaliere avrebbe potuto curarlo senza sforzo. Ma fece in modo di allontanarsi da lui il più possibile. Gli rivolse solo una breve occhiata, prima di proseguire il volo.
Una ferita più grande si era aperta nel suo cuore, e nessuna magia di Galbatorix poteva curarla. O meglio, lui poteva curarla, ma non con la magia. Forse, se si fosse messo d’impegno per molti anni, avrebbe potuto guarirla con l’affetto, con l’amore o la gratitudine. Ma Shruikan sapeva che Galbatorix non si era mai sprecato in nessuna di queste cose. Non l’aveva mai fatto con nessuno, nemmeno con l’unica persona che l’avesse mai amato. E non l’aveva fatto con lui, il suo drago.
Con un forte male al petto Shruikan si allontanò. Giurando di non tornare mai più dal suo Cavaliere. Una parte di lui sapeva che, in quelle condizioni, la sua fine era vicina, ma in quel momento non gli importava. L’ultima cosa che sperò, prima di intraprendere quel suo nuovo, misterioso viaggio, fu che Galbatorix non potesse più nuocere ad alcuno.

Fu solo quando lo vide allontanarsi lentamente e con andatura instabile che il Re si ricordò di Shruikan. Lo aveva temporaneamente dimenticato, ma il suo ricordo tornò prepotente quando il cielo si oscurò al suo passaggio.
Galbatorix alzò lo sguardo, distraendosi momentaneamente dalla battaglia. “Shruikan” mormorò.
La voce di Castigo gli riempì la testa. Galbatorix sei stato troppo pretenzioso: non hai dato affetto al tuo drago, e ti aspetti che lui sia sempre fedele? Sciocco! Shruikan non era il tuo drago, tu non hai più un drago.
Galbatorix si guardò velocemente attorno. Osservò Murtagh, in sella a Castigo, fiero e combattivo. Sarebbe riuscito a controllarlo ancora? Ma certo! Con tutti gli eldunari che possedeva poteva fare qualsiasi cosa. Ma in quel momento l’unica realtà era che il suo drago era sparito. Lo aveva abbandonato.
La battaglia volgeva a suo favore, ma non poteva continuare senza Shruikan. Doveva ammettere che il potere del drago era vitale per il combattimento, e lo rafforzava. Non poteva rischiare di perdere una battaglia alla quale partecipava in prima persona, la sua figura saprebbe venuta meno agli occhi di tutti.
“Murtagh!” chiamò.
Il ragazzo si irrigidì, pronto a sentire la sua forza di volontà distrutta e il suo corpo rispondere a movimenti che non avrebbe mai voluto fare. Sentì il Re pronunciare il suo nome, ma si stupì quando non sentì nessun peso cadere sul suo corpo, nessun brivido scuoterlo.
“Torna subito al castello con Castigo. Ora!” gridò Galbatorix.
Murtagh lo fissò per un momento, senza capire che cosa succedeva. Poi, lentamente, sulle sue labbra si aprì un sorriso. Il suo nome era cambiato: Galbatorix non aveva più alcun potere su di lui. “E’ inutile vecchio” disse a bassa voce, uno sguardo esaltato in volto. “Non mi comanderai più” sussurrò, gli occhi spalancati, lo sguardo fisso e la bocca storta in un ghigno.
Galbatorix lo guardò con un misto di stupore e rabbia. In preda alla disperazione mise mano alla cintura, dove diversi eldunari erano incastonati nel metallo.
Eragon lo guardò circospetto e fece segno agli altri di allontanarsi. “Attenti!”. Che cosa vuole fare?, chiese poi a Saphira.
  Non lo so. Ma gli eldunari sono potenti. Sta’ attento! Tutti indietro! Saphira ruggì.
Una forza sconosciuta, dalla grandezza devastante e terribile, cominciò a sprigionarsi da Galbatorix stesso. Un vento forte cominciò a far mulinare la sabbia rossiccia delle Pianure Ardenti. Tutti i soldati si voltarono verso i draghi e i loro Cavalieri, mettendo una mano davanti agli occhi per impedire alla sabbia di entrare.
All’improvviso, così com’era comparsa, la forza si ritirò, venne come succhiata all’interno del suolo stesso. Per un secondo Eragon trasse un sospiro di sollievo, ma poi la terra incominciò a tremare violentemente. Guardò Saphira spaventato. Lei cercava di tenere le zampe aggrappate al suolo caldo, ma non riusciva a stare ferma.
Poco lontano Murtagh scorse Ellen guardarsi attorno spaventata. “Ellen!” gridò Murtagh. “Va’ Castigo!” disse al drago con un urlo disperato. Castigo dispiegò le grosse ali e raggiunse velocemente Ellen. Murtagh le tese una mano e la ragazza vi si aggrappò e si arrampicò sul dorso scivoloso del drago.
Castigo prese quota, ed Ellen poté vedere dall’alto tutto l’accampamento. I soldati gridavano e si guardavano attorno spaventati, il terremoto aveva preso anche l’accampamento dei Varden, che si stava velocemente distruggendo. Un rombo, più forte di quanto Ellen avesse mai sentito, scosse la terra e grosse crepe si aprirono sotto i piedi di molti soldati, che con un urlo scomparivano nelle viscere della terra.
La ragazza chiuse gli occhi e si tappò le orecchie. Il rumore la stava per invadere, stava lacerando ogni cosa. Solo quando finì osò aprire gli occhi. Sentì la rassicurante presenza di Murtagh e si strinse a lui, sempre in sella a Castigo.
“Ellen” mormorò il ragazzo, gli occhi puntati verso terra. Ellen seguì il suo sguardo.
Volle urlare, ma il grido di orrore le morì in gola. Lo spettacolo più devastante che avesse mai visto si dipanava sotto i suoi occhi.





E ora sì... che sembra davvero tutto perduto! T^T
Inizialmente dovevo finire qua la storia, e fare vincere l'esercito di Eragon, ma poi ho optato per un'altra soluzione. Vi ricordate, nella prima parte della fic, L'Ombra del Passato (e anche nella versione originale di Eragon scritta da Paolini), l'avviso di Solembum? Dice ad Eragon che quando tutto sembrerà perduto dovrà pronunciare il suo vero nome davanti ad un qualcosa di cui ora non ricordo il nome. Bene, non so che cosa abbia intenzione di fare Paolini, così mi sono inventata un po' l'esito di questa profezia. Che sarà decisiva per la prossima battaglia!
Comunque, almeno di un po' di cose possiamo felicitarci, ossia: Murtagh è tornato! Yee! Definitivamente, e inconfutabilmente assieme ai Varden! Evviva! :)
Un'altra cosa. Qui viene accennato ad un'amore di Galbatorix, e per questo scriverò una piccola One Shot credo, perchè ci sarà un accenno a questo ancora nel futuro, in uno degli ultimi capitoli. Spero di avervi incuriosito! :)

KissyKikka: hai proprio ragione sul fatto di entrare subito nella battaglia, ma non è stato per originalità (della serie: come rovinarsi una reputazione XD), in realtà è solo che l'inizio della battaglia era troppo noioso da scrivere, e ho preferito saltarlo. Solo poi mi è venuto in mente che poteva essere davvero una buona idea! XD Qui viene visto meglio il personaggio di Shruikan, come già avevi accennato tu, e ho voluto rendere l'idea di un personaggio forse troppo fiducioso, come Tegrish, ma al contrario di lui Shruikan è stato ingannato e Galbatorix si è approfittato della sua bontà. B'è... a parte questo grazie mille per aver recensito, un bacione! ^^

Patty.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Alla ricerca della profezia ***


Capitolo quindici: Alla ricerca della profezia

“Come sta?” chiese Arya in un sussurro.
“Non benissimo, ma si riprenderà. Non dobbiamo preoccuparci, le magie di Angela l’hanno salvata” rispose Eragon.
“Siamo stati fortunati”.
Eragon e Arya uscirono dalla tenda dove era ricoverata Nasuada in gravi condizioni. Si guardarono attorno, e poterono riconoscere solo un’ombra di quello che era stato una volta l’accampamento dei Varden. Tutto era distrutto, tutto era stato raso al suolo dal terremoto che Galbatorix aveva causato con i suoi eldunari. In pochi si erano salvati. Quasi tutti i nani e gli elfi, perché erano potetti da magie molto più antiche di loro, e così anche i Cavalieri con i rispettivi draghi. Alcuni umani molto fortunati erano riusciti a sopravvivere, anche se in pessime condizioni. Anche Angela e Solembum erano sopravvissuti e, grazie alle magie che l’erborista aveva imposto su alcune persone, anche Nasuada, Re Orrin e il capitano dell’esercito dei Varden si erano salvati. Eragon aveva protetto con la magia Roran. E ovviamente anche Rukan si era salvato, grazie all’agilità che deteneva quando era in forma di leone. Tutti gli altri erano stati uccisi dalla furia di Galbatorix. Anche Roran e Re Orrin non si erano ancora ripresi del tutto, ed erano costretti nei loro letti, accuditi dagli elfi.
Ormai tutto l’accampamento era riunito in poche tende, tutte una vicina all’altra. L’esercito dei Varden era stato completamente distrutto. Ormai pareva che nulla fosse più possibile. Dopo aver sperimentato il potere di Galbatorix molti erano certi del fallimento della guerra.
Eragon, sconfortato, andò a sedersi lontano dagli altri, dietro le tende. Poco dopo venne raggiunto da Saphira. Lei era forse l’unica con cui sentiva di poter parlare. Condividevano le stesse emozioni e le stesse paure, ma sapevano darsi coraggio a vicenda. Restarono in silenzio, le parole non bastavano per raccontare la loro angoscia.
Eragon sentiva di non poter fare più nulla. Quindi finalmente Galbatorix aveva raggiunto il suo scopo: non aveva idea di che cosa fare. Si sentiva impotente. Si sentiva inutile. Era sicuro che questa volta nessuno avrebbe tirato fuori una soluzione così all’improvviso. Non lo avrebbe fatto Oromis, né Murtagh, né Arya. Ma quanto aveva provato!, si disse. Quanto! Eppure tutto il suo sforzo e il suo impegno non era bastato, nonostante lui avesse dato tutto a quella causa. Cos’altro doveva fare? L’unica cosa che ancora non aveva sacrificato era la sua vita.
Il quel momento un bambino dai capelli sporchi lo affiancò. Eragon stava per mandarlo via in maniera molto maleducata, ma poi lo riconobbe.
“Solembum. Ciao” disse Eragon con voce piatta.
Il ragazzino sorrise e lo guardò con occhi furbi. “Ricorda quello che ti ho detto Eragon Ammazzaspettri. Pensa a come ti senti, e solo allora troverai la soluzione”.
Eragon si arrovellò il cervello. “Ma non mi viene in mente adesso che cosa mi hai detto. Sono passati quasi due anni” protestò quando, esasperato, non riuscì a ricordare. “Non puoi dirmelo tu?”.
“Non mi piace ripetere le cose” disse il ragazzino mettendo il broncio.
“Ma …” Eragon non fece in tempo a dire nulla che Solembum si era voltato ed era scomparso. La coda rossastra di un grosso gatto guizzò dietro ad una tenda.
Eragon sospirò. “Come faccio a ricordarmi?” chiese rabbiosamente a Saphira.
  Voi umani avete una memoria pari a zero. Un po’ come i colibrì, ma loro almeno sono giustificati, perché non sono Cavalieri di drago. Tu, invece, dovresti vergognarti, disse la dragonessa in tono canzonatorio.
  Tu te lo ricordi!
  Ma certo. Le esatte parole di Solembum sono state: quando sentirai che ogni speranza è svanita e che il tuo potere non basta, pronuncia il tuo nome davanti alla Rocca di Kuthian, per schiudere la Volta delle Anime, recitò lei con tono diligente.
“Vuoi per caso un applauso?” chiese Eragon. Saphira sbuffò contrariata. Eragon si alzò e andò alla ricerca di Oromis. Lo trovò affaccendato attorno a Roran, per cercare di far abbassare la febbre alta.
Quando Eragon lo trascinò fuori disse: “Credo che sia meglio provare con i metodi naturali. Potremmo passargli uno straccio bagnato sul corpo, per rinfrescarlo un po’”.
“Hm, si certo. Ma volevo chiederti una cosa”.
“Dimmi pure” disse l’elfo con un vago sorriso sulle labbra.
“Che cosa sai della Rocca di Kuthian?”.
Oromis lo guardò con espressione indecifrabile, poi gli fece segno di seguirlo. Andarono a sedersi in un angolo appartato. “Chi ti ha parlato della Rocca?”.
“Solembum, quando mi ha predetto il futuro. Ha detto che devo andare alla Rocca di Kuthian e pronunciare il mio nome per schiudere la Volta delle Anime”.
Oromis rimase pensoso. “Non so nulla su questa Volta delle Anime, ma posso dirti dove si trova la Rocca, anche se trovo sciocco da parte tua andarci. In questo momento l’unica cosa che dovremmo fare è cercare di formare subito un nuovo esercito, assieme ai nani e agli elfi, e magari trovare qualche volontario fra la tua razza, qualcuno dell’Impero”.
“Si, ma se Solembum ha detto …” cominciò Eragon.
Oromis chiuse gli occhi. “Si, lo so. Solembum è un gatto mannaro, e molto saggio per giunta”. Rimase in silenzio per un po’. “Bene. Credo che se lo ha detto lui potremmo partire subito”.
“Per dove?” chiese Eragon con il fiato sospeso.
“Per Dorù Araeba” disse Oromis sorridendo. “Adesso che Nasuada sta male non rispondi a nessuno, ma non credo che ci siano problemi se parti. In fondo è per la buona riuscita della guerra. Va’ ad avvisare Arya, sono sicuro che sarà felice di sapere che abbiamo ancora qualcosa da fare”.
Eragon arrossì e abbassò lo sguardo. “Si, certo vado” borbottò.
Oromis lo lasciò li e si avviò subito verso la tenda di Ellen e Murtagh. Incrociò un elfo lungo la strada e gli diede un messaggio da recapitare urgentemente ad Ellesmera. Raggiunse la tenda dove era sicuro di trovare Ellen e, per essere sicuro di non fare brutte figure, chiamò Ellen a voce.
“Ellen! Sono Oromis, potresti uscire?”.
“Entra!” gli disse una voce dall’interno.
Oromis entrò nella grossa tenda. C’erano per terra diverse coperte a formare un largo materasso per due persone, in un angolo alcuni vestiti, due sacche da viaggio, due borracce, dei pezzi di armatura e diverse armi. L’elfo entrò, i suoi capelli perlacei non persero brillantezza neanche nel buio della tenda.
“Sono tutte tue?” chiese indicando le armi.
“Oh no. Murtagh le ha trovate in giro, e dice di volerle provare tutte, nel caso si stufasse della spada” disse Ellen avanzando verso di lui. “Che cosa c’è?”.
“Dobbiamo fare un viaggio. In realtà Eragon lo deve far-”.
“Un viaggio? Dove? Con chi?” chiese subito Ellen, agitata.
“Tranquilla. Sta’ calma. Eragon deve andare a Dorù Araeba, vorrei che andassimo insieme. In realtà, ho bisogno che tu scopra il vero nome di Eragon. Tu sei quella che lo conosce di più, a parte Roran, che adesso non è in grado di fare un viaggio”.
“Il suo vero nome?” chiese Ellen, alzando le sopracciglia stupita.
Oromis annuì. “Tuttavia, ti devo chiedere un favore. So che hai appena ritrovato Murtagh, ma qualcuno deve rimanere qui. Ho pensato che potremmo partire solo io, te ed Eragon. Sarebbe meglio se gli altri restassero”.
Ellen restò un po’ delusa. In realtà aveva sperato di poter restare assieme a Murtagh. E quando Oromis le aveva detto del viaggio le era stupidamente balenato in testa un viaggio nel quale sarebbero potuti stare da soli e in pace, lontani da ogni pericolo. Ma ovviamente erano ben lungi dall’essere lontani dai pericoli. “Si, si certo” disse a voce bassa. “Quando partiamo?”.
“Il prima possibile direi, anche domani all’alba”.
Ellen raggelò. “Così presto?” chiese dubbiosa.
“Mi dispiace. Ma è essenziale che tu venga. Non mi fido a lasciarlo andare da solo, per questo motivo ci sarò anche io”.
“Ma … dove dobbiamo andare?”.
“Dorù Araeba è una città che si trova sull’isola di Vroengard. E’ l’ultima isola più a nord di Alagaesia. Prima andremo verso il Surda, poi prenderemo una nave e navigheremo verso nord”.
“D’accordo. Quindi partiremo domani?” chiese Ellen.
“Si, sarebbe meglio partire il prima possibile. Come vedi la situazione è disperata, non possiamo esitare un minuto di più” disse Oromis guardandola negli occhi.
“Capisco” disse Ellen, evitando lo sguardo dell’elfo. “D’accordo. Allora a domani”.
“A domani Ellen. Se Murtagh fa troppe storie, digli che ti ho praticamente obbligato” disse con uno sguardo furbo.

“Che cosa?” chiese Murtagh furioso.
“M-mi dispiace, ma è l’unico modo. Hai visto com’è ridotto l’accampamento dei Varden, hai visto in quanti siamo rimasti! Presto l’esercito imperiale verrà a cercarci. Sono io che dovrei essere preoccupata. Io me andrò in una terra probabilmente disabitata, invece tu resterai qui, vicino a Galbatorix!”.
“Non è questo il punto! Probabilmente andremo dagli elfi e dai nani, per convincerne la maggior parte a seguirci. Ci sono ancora molti clan che non ci vogliono dare aiuto, e gli elfi non si sono ancora apertamente schierati, hanno mandato solo una piccola parte dei loro uomini.”, cominciò Murtagh passeggiando avanti e indietro nella tenda, una mano fra i capelli corvini, “Non è questo il punto! Partire ora è una cosa stupida! In mare ti potrebbero accadere un milione di cose! E per viaggiare fino al Surda? Ci saranno soldati a palate in tutto il territorio! E poi, scusa, che cosa ci sarà in quella città? Non lo sappiamo nemmeno!”.
Ellen era furiosa. Murtagh non aveva motivo di arrabbiarsi, in quanto lei sarebbe stata più al sicuro di lui. Assieme ad Oromis ed Eragon!
“Senti, non capisco perché ti arrabbi tanto” sbuffò sprofondando sulla branda.
Murtagh la guardò e sospirò. Si sedette accanto a lei e le cinse le spalle con un braccio. “Non sono arrabbiato, sono preoccupato e basta”. Il ragazzo fece una pausa, incerto su come proseguire. “Il fatto è che ci siamo appena ritrovati, e già ci dobbiamo separare”.
Ellen si voltò verso di lui. “Lo so, però è necessario. Se riusciremo a trovare ciò che Eragon cerca non avremo più problemi, potremmo restare insieme per sempre dopo che la guerra sarà terminata”.
Murtagh guardò altrove, per non incontrare quegli occhi neri e imploranti, che gli chiedevano di essere paziente. Sapeva che non avrebbe potuto resistere ai suoi occhi; cercava solo di essere risoluto nelle sue decisioni. Ellen si avvicinò a lui e cominciò a lasciare piccoli baci sul collo, la mascella, la guancia, fino ad avvicinarsi sempre di più alle sue labbra. Quando finalmente le raggiunse le baciò con tenerezza, con dolcezza. Murtagh le mise una mano sul viso e l’attirò a sé.
Era così bella, e dolce come il miele, che non sapeva nemmeno come aveva fatto a resistere senza di lei tutto il tempo che era stato prigioniero. Il suo cuore si gonfiò di caldo, e quasi scoppiava di gioia. Ellen si allontanò da lui e gli sorrise, mentre con una mano gli accarezzava la guancia. Murtagh la guardò per un lungo istante, poi la fece sdraiare sotto di sé e riprese a baciarla.
Ecco! Tutti i suoi tentativi di essere contrario a quella follia, erano crollati!

Erano tutti un po’ nervosi quando Eragon, Oromis ed Ellen partirono. Eragon avrebbe dovuto abbandonare Saphira e Arya, Ellen avrebbe dovuto abbandonare Murtagh e Oromis non era del tutto certo della riuscita di quel viaggio. Nonostante questo lasciarono l’accampamento con una sorta di falsa fiducia, che procurò agli altri un pizzico di speranza. Se avessero saputo che quella era solo una maschera!
Murtagh aveva detto il vero: incontrarono diversi soldati lungo la via. Cercarono di evitarli e di non farsi vedere, pur di non ucciderli: lasciare dietro di sé una scia di soldati morti non era il modo migliore per una partenza in segreto. Nel giro di due giorni arrivarono al Surda, dove dovettero purtroppo dare la cattiva notizia di quello che era appena accaduto ai Varden.
Incontrarono Katrina, che aveva già una pancia di alcuni mesi, e le dissero subito che Roran stava bene, anche se un poco infiacchito. Raccomandarono ai Surdani di restare pronti ad un’invasione da parte dell’Impero, e che non appena avrebbero formato un nuovo esercito avrebbero mandato alcuni uomini a fare da guardie alle città principali, dotando anche il Surda di una piccola potenza militare.
In un altro giorno arrivarono alle coste, dove chiesero subito una nave di discrete dimensioni che potesse viaggiare a lungo. Vennero riforniti di cibo e acqua a volontà e, il giorno della loro partenza, tantissimi abitanti, soprattutto donne e bambini, andarono al porto a salutarli.
Nonostante Eragon fosse d’accordo a partire, rimase un po’ sorpreso quando Oromis gli disse che con loro avrebbero portato qualcun altro. Proprio la mattina della partenza Oromis aveva presentato a lui ed Ellen una donna che avrebbe navigato con loro.
Dayo era il suo nome, ed era la donna più strana che Eragon avesse mai visto. Doveva avere circa trent’anni, il suo corpo era forte e muscoloso e le sue mani callose. Aveva la mascella pronunciata e spalle larghe scottate dal sole. I suoi occhi erano color verde chiaro, molto penetranti. Parlava in modo alquanto diretto, ed Eragon la paragonò ad un nano per i suoi modi di fare spicci.
Il giorno della partenza Dayo osservò diverse cartine dell’Alagaesia per molto tempo, si era alzata alle quattro del mattino per fare quel lavoro. Alle cinque cominciò a preparare la partenza e alle sei svegliò tutti gli altri. Fu allora che Eragon la conobbe.
“Hey sveglia! Cavaliere dei draghi! Sveglia!” lo chiamò Dayo bussando alla sua porta.
Eragon non pensò nemmeno per un secondo che quella voce potesse essere reale. Di sicuro era un sogno. Sentì ancora quel battito assordante sulla porta della cabina, e quando all’improvviso qualcuno entrò nella sua stanza non fece in tempo a fare un movimento che sentì delle grosse mani rivoltare le sue coperte e buttarlo giù dal letto.
“Qui ci si alza presto, devi imparare a governare una nave!” disse di nuovo quella voce sconosciuta. Eragon aprì gli occhi ancora brucianti di sonno e scorse Dayo.
“Cos- … chi diavolo sei?” chiese stropicciandosi gli occhi.
In quel momento Oromis entrò nella cabina e sorrise. “Eragon, ben svegliato. Vedo che hai già conosciuto Dayo, ci accompagnerà nel viaggio”. All’espressione stordita del ragazzo, che lui scambiò per confusione e non per stanchezza, rispose a mo’ di spiegazione: “Nessuno di noi s’intende di navigazione e il viaggio che dobbiamo compiere è lungo”. E così dicendo se ne andò.
Eragon rimase a guardare scocciato Dayo. Dopo qualche secondo lei disse: “Fra cinque minuti fuori, partiamo, e solo dopo potrai fare colazione”. E se ne andò sbattendo la porta.
Quando, ben sveglio, uscì dalla cabina, Eragon andò sopracoperta. Lì c’erano Oromis e Dayo, ben svegli e che si davano da fare per preparare la partenza. Poi c’era Ellen, che seguiva le istruzioni che ogni tanto Dayo gridava. Quando Eragon le si avvicinò la ragazza sbadigliò senza ritegno e lo salutò con un verso che poteva essere un buongiorno.
“Che fai?” chiese Eragon.
“Dayo mi ha detto di stringere questa corda quando la nave parte, e di fissarla meglio al gancio” disse indicando un grosso appiglio in ferro.
“Ti aiuto” propose il ragazzo in mancanza di altro da fare.
Oromis stava tirando su l’ancora mentre Dayo, in piedi di fronte al timone, lo dirigeva sicura verso la sua destra. Il vento gonfiava la vela, ma la nave non poteva muoversi. Non appena questa fu libera dal porto e un po’ lontana dalla terra ferma allora Dayo gridò: “Ora Ellen!”.
Ellen, che per tutto il tempo era stata affianco alla corda legata, guardandola senza troppa convinzione, la osservò tendersi forte. La corda, che reggeva la vela spinta dal vento, doveva essere meglio fissata, altrimenti la vela non avrebbe potuto raccogliere tutto il vento necessario per muoversi, le aveva spiegato Dayo, e a lungo andare l’albero si sarebbe anche potuto spezzare. Ellen cominciò a srotolare la corda dal suo appiglio. Man mano che la srotolava, la corda si tendeva di più, e quando mancano quattro giri, iniziò a srotolarsi da sola. Ellen la prese con due mani e cominciò a tirare forte. Eragon la affiancò e, insieme, presero la corda e la legarono ben stretta al suo gancio.
“Adesso dovrebbe andare” disse Dayo andando verso di loro. “Bene, ora andate giù a preparare la colazione” disse dando ad entrambi una forte pacca sulla schiena.
Eragon ed Ellen andarono giù senza protestare, anche se sembrò loro molto ingiusto preparare la colazione mentre lei e Oromis non facevano nulla. Arrivarono fino alla cucina.
“Dove sono le cose da mangiare?” chiese Ellen.
“Boh” disse Eragon gironzolando per la stanza. Aprì una porticina che portava ad un ambiente sotterraneo, secco e fresco. “Trovato! Qua c’è una dispensa guarda”.
Ellen si sporse nella stanza buia. Tornò indietro, prese una lampada ad olio e si addentrò, seguita a ruota da Eragon. Nella piccola stanza c’erano ammassati l’intero contenuto di una macelleria, una pasticceria e tutte le riserve di vino di una taverna. C’erano anche vasetti di miele impilati l’uno sull’altro, sacchi di farina, uova, poca frutta e pochi formaggi, qualche pagnotta e una damigiana piena di latte fresco.
“Wow” sussurrò Eragon quando vide tutto quel cibo. “Di sicuro non moriremo di fame”.
“Infatti. Affonderemo per il peso di tutto questo cibo” disse Ellen, a sua volta stupita.





Buongiorno! O buonasera, a seconda di che ore sono! ^^ Oggi sono proprio di buon umore, e da un certo punto di vista il capitolo è anche lui un faro di speranza! XD Dopo il terremoto di Galbatorix ci voleva una faro di speranza u_u Altrimenti i personaggi s'infiacchiscono, e magari decidono anche di fare sciopero! XD
Okay, basta scemenze! Di questo capitolo non c'è molto da dire, insomma, l'ho fatto perchè non potevo ignorare la profezia di Solembum, così tutto ciò che è stato detto dalla profezia sarà compiuto! Mi pare anche giusto... u_u

Thyarah: grazie mille per la recensione, anche se con questo capitolo ho infranto un bel po' delle tue speranze! XD Ad esempio perchè non si sa esattamente che cosa fa Galbatorix dopo il terremoto, il fatto è che ho dato per scontato che subito dopo se ne andasse, perchè ormai ha fatto tutti i danni possibili, e poi ha un grosso problema di risolvere, ossia il suo drago! Ora che non ha più Shruikan deve riordinare le idee. Un'altro sogno infranto è quello di Murtagh ed Ellen, dato che lei deve partire subito appena dopo essersi ritrovati! Ma non preoccuparti, alla fine potranno vivere felici e contenti! ^^ Che carucci! Comunque, grazie mille per aver recensito, un bacio! <3

Un grazie immenso anche a tutti gli altri, al prossimo capitolo,
Patty.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Il té di mezzanotte ***


Capitolo sedici: Il tè di mezzanotte

La nave era molto più lenta di quanto Ellen si era aspettata, ma era il metodo più sicuro per raggiungere le isole, anche perché se avessero proceduto via terra sarebbero dovuti passare affianco alla capitale e sarebbe stato troppo rischioso. Per sicurezza Oromis aveva deciso di evitare il Gorgo, che si trovava fra le isole a sud di Alagaesia. Era realmente terrorizzato che la missione non andasse a buon fine e rischiare di cadere in mare non era certo quel che preferiva.
La vita sulla nave era alquanto noiosa per Eragon ed Ellen. Ogni mattina Dayo li svegliava presto, loro cucinavano la colazione e poi si dedicavano a pulire la nave per il resto della giornata, e ad imparare come navigare. Loro si occupavano dei pasti e dei lavori più duri, o almeno così gli sembrava. Ogni notte andavano a letto sfiniti e non potevano riposare prima delle undici a causa di tutto il lavoro che c’era da fare.
I due avevano imparato a non lamentarsi, da quando Eragon aveva provato a far notare a Dayo quanto lui ed Ellen lavorassero duramente mentre Oromis se ne stava tutto il giorno per i fatti suoi.
Quando successe Eragon stava mettendo a posto la stiva, e Dayo era passata a controllare come andava il suo lavoro. “Non credi che potrei riposarmi?” aveva chiesto.
“Ma come? Non hai ancora finito” aveva detto lei.
“Ma sono stanco. Non potrebbe farlo Oromis? O anche tu già che sei qui”.
“Io dirigo la nave Eragon, e Oromis ha da fare lavori ben più importanti di questo”. Detto quello si era voltata e aveva fatto per andarsene.
Eragon, furioso, l’aveva fermata. “Hei aspetta un attimo! Non è giusto! Perché io e Ellen dobbiamo sgobbare tutto il giorno e voi no?” aveva chiesto rabbiosamente. Poi, per rincarare la dose, aveva aggiunto: “Sono un Cavaliere dei draghi!”.
Dayo lo aveva guardato per qualche secondo, sbigottita, e in un primo momento Eragon aveva pensato che il suo discorso aveva fatto effetto. Ma all’improvviso la donna scoppiò in una fragorosa risata. “Cavaliere, eh?” aveva chiesto una volta finito di ridere. “B’è lascia che ti dica una cosa Cavaliere dei draghi. Il servizio che ti rendo portandoti su questa nave è essenziale per Alagaesia, credi che non lo sappia? Quindi dovresti ringraziarmi al posto di lamentarti come un moccioso! Io devo organizzare il viaggio, io devo alzarmi ogni mattina alle quattro per controllare la rotta, io devo manovrare il timone e affrontare le tempeste, devo stare attenta alle secche, alle navi dell’Impero, a razionare il cibo. E io non verrò pagata per il mio servizio! Quindi almeno la mia nave dovrà trarne beneficio, non credi Cavaliere?”. Aveva guardato Eragon con così tanta severità che il ragazzo non aveva avuto il coraggio di protestare. “Adesso finisci” disse seccamente, indicando con gesto secco la stanza.
Eragon, mogio mogio, era tornato al suo lavoro senza dire una parola. Aveva raccontato ad Ellen ogni cosa, ed era stato solo con un grande sforzo di volontà che lei non si era messa a ridere. Aveva fatto quello che ogni sorellastra avrebbe fatto, e aveva detto ad Eragon che Dayo si era comportata in modo vergognoso.
Circa due settimane dopo la partenza Ellen stava asciugando i piatti che avevano usato per la cena, mentre Eragon era stato inviato a fare chissà quale altro lavoro. Una volta raccolti gli avanzi di cibo Ellen li mise tutti dentro un contenitore e salì sopracoperta per gettarli a mare. Si stava recando sulla prua della nave, quando sentì un fioco lamento. Si voltò a cercare il padrone di quel suono e scorse una figura rannicchiata contro l’albero maestro, che singhiozzava silenziosamente.
Ellen si avvicinò e si chinò al suo fianco, posandogli una mano sulla spalla. “Oromis” sussurrò preoccupata.
Il vecchio elfo alzò lo sguardo verso di lei. I suoi occhi erano rossi e disperati, il suo viso leggermente stupito. Lacrime calde gli scivolavano dagli occhi e rotolavano sulle sue guancie lisce e perfette. Non aveva l’aria di uno che aveva pianto, ma era forse peggio vederlo in quello stato, perché il suo viso esprimeva solo disperazione.
Ellen non sapeva cosa fare, così posò la ciotola con gli avanzi e si sedette al suo fianco, abbracciandolo. Oromis fu felice del suo gesto, era da tanto che nessuno gli dimostrava affetto in maniera così palese. Non poteva dire di conoscere Ellen benissimo, ma era assolutamente certo che fosse una splendida persona e una donna coraggiosa.
Ellen sciolse l’abbraccio e guardò Oromis tristemente. L’elfo, che si era asciugato il viso, cominciò a giocherellare con un filo della sua camicia. Poco dopo parlò, e la sua voce uscì roca e forzata: “Da quando …” deglutì, “Da quando Gleadr è morto non so più cosa fare. Sono rimasto … solo io, e …” trasse un grosso respiro e alzò lo sguardo verso l’alto, prendendo un lungo respiro, come a purificare l’anima. Come se volesse lavare via la sua tristezza.
“Non devi parlarne per forza Oromis” lo rassicurò Ellen poggiandogli una mano sulla spalla.
“No, è da settimane che ne voglio parlare!” disse l’elfo guardandola con gli occhi spalancati. “Ma … non so con chi. Glaedr era l’unico vero amico che avevo. Con lui ho passato anni interi, dalla giovinezza fino ad ora. Non … non so se riesci a capire il legame che ci univa, ma non potrò mai provare lo stesso sentimento che provavo per lui, mai più nella vita, per nessuno. Era … eravamo uno solo. Mi sento … spezzato, mi sento diviso in due, lacerato” balbettò guardando il vuoto.
Ellen non sapeva cosa dire. Era assolutamente vero: lei non capiva che cosa provava Oromis, non aveva mai avuto con nessuno un legame così forte come era fra drago e Cavaliere. Però lei era innamorata di Murtagh, e poteva capire come si sentisse solo Oromis, era la stessa sensazione che aveva provato quando pensava che Murtagh fosse morto.
“Tu non sei rimasto solo Oromis” disse Ellen cercando di guardarlo in viso. “Lo so che nessuno potrà mai prendere il posto di Glaedr, ma non devi pensare nemmeno per un minuto di essere rimasto solo. Ci sono tantissime persone che ti amano, ci sono Eragon e Saphira, Arya, Islanzadi, Tegrish e Gylda. Ci sono io. Io ti voglio bene” disse con una crescente tristezza nella voce. Non riusciva a vedere Oromis in quello stato.
L’elfo si voltò verso di lei. Tremante, allungò una mano e la posò sulla guancia di Ellen. “Grazie” sussurrò, guardandola negli occhi.
“Ti prometto che, ogni volta che vorrai, sarò qui con te” disse Ellen con un filo di voce, stringendogli la mano sulla sua guancia.
Gli occhi di Oromis erano ancora rossi, i capelli spettinati, le mani e le guancie fredde per via dell’aria salmastra che si abbatteva continuamente su di loro. Da un lato Ellen pensò che fosse una delle persone più belle che avesse mai conosciuto, forte e indipendente. Ma vederlo così le fece male al cuore. Era debole e indifeso, lo sguardo sperduto e l’anima vuota.
Si, si sentiva proprio così. Si sentiva vuoto. Oromis non era mai stato abituato ad essere solo. Aveva conosciuto Glaedr quando aveva appena vent’anni. Pochi, per un’elfo. Per tutta la vita non aveva fatto altro che condividere. Condividere con Glaedr le sue emozioni, sensazioni. Paura, ansia, felicità, odio, amore. Tutto. Aveva condiviso la vita stessa con Glaedr, e adesso che non era più al suo fianco sentiva un dolore costante al petto. Come qualcosa che stringeva il suo cuore, e rischiava di farlo implodere. Ogni volta che non era impegnato a fare qualcosa il suo pensiero tornava a Glaedr, e a quella voragine che fino a poco fa era colma, colma di un amico. Colma di Gleadr. E ogni volta che ci pensava la gola gli si seccava, la bocca diveniva pastosa, e gli occhi scottavano.
Ma quella volta fu diverso. Quella volta c’era Ellen lì con lui.
“Ti va di venire con me?” chiese Ellen.
Oromis, comandato dalla solitudine e dalla disperazione, annuì. Tenendosi per mano andarono fino alle cucine, dove Ellen preparò un tè caldo e lo porse all’elfo. Oromis lo bevve in pochi minuti, tenendo le mani strette attorno alla tazza di ceramica. Quando ebbe finito Ellen lo portò nella sua stanza. Fece sdraiare Oromis sul suo piccolo letto.
“Non voglio dormire qui. Meglio che me ne vada” disse l’elfo tentando di alzarsi.
“No, resta. Non preoccuparti. Io non ho sonno” disse Ellen con un leggero sorriso. Coprì Oromis con delle coperte di lana grossa, gli diede un bacio sulla guancia e si sedette affianco al letto.
Oromis era stanco, ed era talmente triste da non riuscire a ragionare. Ma quando si addormentò l’ultimo pensiero che gli balenò nella testa fu per Ellen.
Per lei e per Eragon. E per Tegrish. Per Gylda e Saphira. Per Arya. Nasuada.
E si chiese come aveva fatto ad essere così cieco.
Lui non era solo.

“Oromis!”.
L’elfo si voltò, di nuovo con quella sua espressione gentile e disponibile dipinta in volto. “Si?” chiese con voce vellutata.
“Ho bisogno di un favore. Mi aiuteresti a tendere le corde? Ma non dirlo a Dayo che te l’ho chiesto io” disse Eragon guardandosi nervosamente attorno.
La risata di Oromis arrivò cristallina e lui sorrise. “Ma certo, non dirò una parola”. L’elfo seguì Eragon fino a un mucchio di corde che erano state gettate a terra. Il lavoro che quel giorno era stato affidato a Ellen ed Eragon era di disfarle e poi rifarle più strette, togliendo le parti sfilacciate che potevano rompersi. Di spalle, china su una corda, c’era già Ellen; seduta a terra a gambe incrociate e ingobbita.
Tutti e tre si sedettero attorno alle corde e iniziarono il lungo, noioso lavoro. Poco dopo arrivò Dayo, che si avvicinò ad Eragon ed esaminò la corda che stava lavorando. “Va molto bene” commentò. “Alzati Eragon, devi venire ad aiutarmi al timone”.
Ellen non voleva restare sola con Oromis. Quella mattina, quando si era svegliato, gli aveva preparato una tazza di tè e l’aveva lasciata in bella vista sul comodino, poi era uscita, pensando che l’elfo volesse un po’ di intimità. Ma non riusciva più a guardarlo negli occhi. Gli sembrava così strano che Oromis, appena poche ore prima, fosse in lacrime. Oromis! Sapeva che era sciocco da parte sua pensare queste cose. Oromis aveva sentimenti come tutti quanti, e poteva essere triste o felice. Però non riusciva a concepire il fatto che fosse così debole in quel momento. Si era abituata a pensare a lui come una roccia, come una fortezza inespugnabile. Ma ora sapeva che quella fortezza poteva essere abbattuta. E proprio dagli amici più cari.
Per alcuni minuti Oromis ed Ellen restarono in silenzio, poi l’elfo, sospirando, posò la corda a terra e guardò la ragazza. “Ellen” la chiamò.
“Si?” chiese lei con il tono più leggero che riuscì a trovare. Nonostante tutto il suo tono suonò stridulo e innaturale.
“Mi dispiace per ieri, non volevo spaventarti”.
“Oromis!” disse Ellen dispiaciuta. “Non mi hai spaventata, non ti devi preoccupare. Te l’ho detto, puoi venire a parlare con me di tutto quello che vuoi quando vuoi. Sono certa che anche gli altri vorranno ascoltarti, se solo glielo chiederai” disse calcando con tono severo l’ultima frase.
Oromis sorrise e riprese la sua corda. “Grazie”.
“E per cosa?” chiese Ellen con finto tono noncurante. “Ho fatto ciò che chiunque avrebbe fatto … per te”.
“Dicevo per il tè di stamattina” disse Oromis con un sorriso dipinto in volto e l’animo un po’ più leggero.

Dopo altre due settimane di viaggio erano arrivati in vista delle isole del nord. Vroengard era la più lontana di tutte e così ci volle un’altra settimana per arrivarci. Dayo si fermò poco lontano dalla costa e preparò la scialuppa per far scendere Oromis, Eragon ed Ellen sulla terraferma, mentre lei sarebbe rimasta lì a badare alla nave.
Prima di scendere Oromis prese Ellen da parte le chiese: “Hai pensato al vero nome di Eragon?”.
Ellen sorrise e disse: “Certo. E’ da quando siamo partiti che ci penso. Non ne sono ancora sicura ma credo di averlo trovato”.
“D’accordo. In ogni caso non me lo dire, provalo con Eragon”.
I tre salirono sulla scialuppa e si allontanarono lentamente dalla nave. Nel frattempo Eragon ebbe modo di pensare. Quale mai poteva essere il suo vero nome? In un primo momento aveva pensato di trovarlo da solo, senza l’aiuto di Ellen, ma si era reso presto conto che era impossibile: lui aveva una visione di sé stesso diversa dagli altri, per il semplice fatto che lui era lui, e non poteva analizzare con parzialità sé stesso.
Dal canto suo Ellen aveva passato molto tempo a pensare a quale potesse essere il vero nome di Eragon. Durante le settimane di viaggio si era spesso scoperta a fissare il ragazzo ad occhi socchiusi, come se il guardarlo intensamente le avesse potuto garantire la riuscita della sua missione. Alla fine cercò di ricordare Eragon dal loro primo incontro.
Era passato più di un anno e lui era cambiato molto. Da ragazzino inesperto e avventato, era diventato un uomo. Era generoso, coraggioso ma non imprudente, cercava di superare i pregiudizi, voleva essere ad esempio per molti e non sempre pensava di riuscire. Ellen aveva provato di nascosto diversi nomi, ma sembrava che ognuno di quelli avesse qualcosa che non andava, e in fondo non convincevano neppure lei.
Ma infine aveva creduto di averlo trovato. Si, era di sicuro quello il vero nome di Eragon. Il nome che descriveva tutte le sue imperfezioni e la sua volontà d’animo al meglio. Per molti versi Eragon era come un bambino, era cocciuto e a volte si arrabbiava per un non nulla, ma la sua anima era pura e irradiava una luce che Ellen non aveva mai visto in nessun’altro.
Un luce accecante.

“Non credo che dovremmo stare qui” disse Ellen nervosamente torcendosi le mani. “E se ci fosse qualcuno dentro? Non credete che Galbatorix possa aver messo delle guardie a questo posto se è davvero quel che pensi che sia?” chiese poi rivolta ad Oromis.
“Hai paura?” chiese Eragon con un mezzo sorriso.
“Certo che no!” esclamò lei stizzita fermando il passo. Poi, velocemente, raggiunse gli altri, che per i suoi gusti si erano allontanati un po’ troppo.
Si erano inoltrati nell’isola di Vroengard a piedi, e procedevano speditamente verso Dorù Araeba, la città ormai distrutta che aveva ospitato per molte generazioni i Cavalieri di Drago. Il territorio era brullo e arido, montagnoso, ma Eragon non riusciva a ritrovarvi la sicurezza che sentiva sempre quando stava sulla Grande Dorsale.
Verso sera si fermarono a mangiare qualcosa e a riposare. Oromis li svegliò molto presto la mattina dopo, e li condusse ancora per i terreni solitari dell’isola. Il giorno dopo, verso sera, giunsero alla città.
Oromis la riconobbe da lontano, vide una massa informe di rovine e un’alta torre che svettava verso il cielo. Indicò l’edificio in lontananza, forse l’unico che era rimasto ancora intatto, e disse: “Quella è la Rocca di Kuthian, Eragon. Per quanto riguarda la Volta delle Anime non so davvero a che cosa si riferisse Solembum quando l’ha nominata”.
“Per cominciare potremmo andare fino alla Rocca” propose sarcasticamente Ellen. Quel luogo non le piaceva. Non le piacevano le montagne in generale, si sentiva come rinchiusa da esse. Per di più era così strano quel luogo deserto. Si, certo, probabilmente era il luogo perfetto per Galbatorix, per nascondere i suoi eldunari, o almeno così la pensava Oromis. Secondo lui in quell’isola dimenticata da tutti il Re aveva nascosto le pietre, e probabilmente la Volta delle Anime era proprio il luogo dove si trovavano tutti gli eldunari.
Ci misero un giorno intero per arrivare fino alla Rocca. Era un edificio alto e slanciato, che finiva con una piattaforma circolare. Aveva un portone in legno massiccio alto almeno cinquanta piedi e rafforzato con fasce di ferro che lo attraversavano orizzontalmente. Era aperto e impolverato, e si notava molto bene che non era curato da tempo. I tre passarono attraverso la stretta apertura della porta, per finire in un grande salone, quasi del tutto spoglio. A lato del grande ingresso c’erano due scalinate che portavano al piano superiore e, sotto di esse, un’altra porta che dava ad un largo corridoio.
“Ma questa è una casa. Come faccio a trovare in una casa un luogo sacro?” chiese Eragon ad alta voce.
“Chi ti assicura che è un luogo sacro?” chiese Ellen.
“Sesto senso” disse Eragon compiaciuto.
“Possiamo dividerci” propose Oromis. “Teniamoci in contatto con la mente e dividiamoci. Io controllerò i primi piani, Eragon quelli in alto e Ellen … cerca dei piani inferiori, delle segrete, sono sicuro che ci saranno”.
Ellen mugugnò qualcosa d’incomprensibile, ma si avviò senza esitazioni. Gli altri due si guardarono e presero ognuno una strada diversa. Eragon cominciò a salire di fretta la scale che portavano ai piani superiori. Entrò in molte stanza lussuose, alcune enormi ma spoglie di ogni cosa, però non sembrava che nessuno di quei luoghi potesse essere un nascondiglio per gli eldunari. Man mano che andava più in alto Eragon sentiva sempre di più che avevano fatto la cosa sbagliata. Forse dovevano restare assieme agli altri per formare un nuovo esercito, forse cercare di forzare una profezia era troppo, anche se per una buona causa. Forse avrebbe dovuto attendere che la profezia si avverasse da sola, che gli capitasse per caso di scoprire che cos’era la volta delle anime.
Alla fine Eragon arrivò in cima alla torre. Non sapeva più che cosa fare, né dove andare. Oromis non ho trovato nulla, che faccio?, chiese leggermente deluso.
  Sei andato sulla piattaforma?
  No. Non so nemmeno come arrivarci.
  Trova il modo, disse severamente il maestro.
  Va bene, acconsentì Eragon un po’ spazientito.
Girellò ancora lungo le stanze e, alla fine, trovò un’angusta scala a chiocciola. Cominciò ad arrampicarvisi, e in poco tempo arrivò in cima. Il suo viso spuntò sull’enorme piattaforma circolare. Era coperta da una specie di cupola fatta di sottili fili di ferro che intrecciati formavano fiori e foglie, talmente delicata che da terra non si vedeva. Eragon cominciò ad osservarla, il naso levato in alto.
Ebbe un lampo di genio, e per un momento si chiese se non fosse quella la famosa Volta delle Anime. In fondo, la forma della volta c’era, l’unica cosa che mancava erano le anime. Tanto vale provare, si disse. Ellen, mi potresti dire il mio vero nome? Percepì Oromis allontanarsi dai loro pensieri, come se non volesse ascoltare, e sentì l’entusiasmo di Ellen.
  Quindi l’hai trovata?
  Non lo so … forse. Allora?
Ellen gli comunicò il nome. Inizialmente Eragon pensò ad uno scherzo, ma poi comprese che la ragazza diceva sul serio. Rimase sbigottito quando lei esercitò il suo potere su di lui, usando quello che era il suo verso nome. La sua essenza, il suo essere. In quel momento si chiese se Saphira sentiva che avevano scoperto il suo verso nome. Pensava di si, anzi gli piaceva pensare che fosse così. Ma Eragon ebbe solo un momento per stupirsi del suo vero nome, per quanto improbabile fosse, e lo pronunciò piano, rivolto quasi più a sé stesso che alla Rocca di Kuthian.
Fu allora che quel luogo percepì la magia, e vide il colore della sua anima; lo riconobbe come Cavaliere dei Draghi, primo della nuova dinastia di quegli eroi leggendari. E allora, come un’ostrica che si apre per mostrare la sua perla, la Rocca si aprì per lui, mostrandogli l’entrata della Volta delle Anime.





Capitolo triste per il povero Oromis T.T Alla fine della battaglia non avevo avuto l'opportunità di spiegare meglio il suo stato d'animo, e quando ho cominciato a scrivere del viaggio in mare mi è venuto subito in mente che sarebbe stato allora che avrei dedicato una parte tutta a lui! Oromis è uno dei miei personaggi preferiti, mi è dispiaciuto persino a me che fosse triste! T.T Ma avevo anche già deciso che qualcuno sarebbe morto durante la battaglia, perchè non volevo essere troppo... non saprei; ottimista, forse?
B'è, pazientate ancora un po' per il prossimo capitolo, nel quale scoprirete che cos'ha elaborato la mia mente malata per quanto riguarda La Volta delle Anime! XD

KissyKikka: ciao! Anche io fra poco ho la simulazione di terza prova, infatti la prossima settimana sarà infernale! O.O Sono felice che gli scorsi capitoli ti siano piaciuti. E' stata dura far finire la battaglia in quel modo, perchè una parte di me voleva subito far vincere l'esercito dei Varden! XD I prossimi capitoli sono decisivi per la storia e, o sono buoni, o sono uno schifo: niente vie di mezzo! XD B'è, ci vediamo al prossimo capitolo, ciao! <3

Un saluto a tutti gli altri, grazie per continuare a leggere! ^^
Patty.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** La Volta delle Anime ***


Capitolo diciassette: La Volta delle Anime

Per Oromis ed Ellen fu come se Eragon fosse sparito all’improvviso dalle loro coscienze: non lo avvertivano più da nessuna parte. Per Eragon invece fu diverso. Fu come venire risucchiato da un vortice, e quando riuscì a capire che cos’era successo e dove si trovava, rimase guardare quel luogo con tanto d’occhi.
Era nel centro esatto di una specie di lungo corridoio. Alle pareti c’erano diverse nicchie, alcune vuote, altre invece riempite da strani scrosci d’acqua colorati. C’e n’era uno color verde, uno cremisi, uno blu, uno nero e perfino uno scroscio d’acqua dorato, che scintillava forte, anche se gli ultimi due, più che potenti getti d’acqua, sembravano piccole cascate in miniatura. Eragon si guardò attorno, ma non poté scorgere la fine del vasto corridoio, né da una parte né dall’altra. Alzò la testa e diede un’occhiata al soffitto.
Il fiato gli si mozzò per la sorpresa e lo spavento. Ora capiva perché mai si chiamasse Volta delle Anime. Vicino all’alto soffitto c’erano diverse figure perlacee che si muovevano con eleganza, fluttuando. Volavano, e quando si incontravano a metà strada si passavano attraverso. Erano draghi. O meglio, erano spiriti di draghi, che si libravano sulla sua testa.
Erano anime, intrappolate in quel luogo inesistente e sconosciuto.
Incerto su cosa fare, Eragon deglutì, si mise al centro del largo corridoio e si schiarì la voce. In elfico pronunciò le seguenti parole: “Sono un Cavaliere dei draghi! Sono venuto a chiedere il vostro aiuto nella battaglia che combatteremo contro Galbatorix!”.
Nessuno dei draghi parve far caso a quel che aveva detto. Leggermente contrariato Eragon continuò: “Ascoltate: Alagaesia è stata usurpata da Galbatorix! Il popolo soffre e i tre nuovi Cavalieri e i loro draghi stanno cercando di combattere questa ingiustizia, ma abbiamo bisogno del vostro aiuto! Un gatto mannaro mi ha inviato qui!” esclamò.
Ma ancora non servì a nulla. Alla fine Eragon decise di giocare il tutto per tutto. Quelli evidentemente non erano eldunari, così Eragon denunciò lo scandaloso abuso che Galbatorix aveva inferto ai loro fratelli. “Galbatorix è un uomo malvagio! Ha costretto moltissimi draghi alla solitudine, e alla disperazione … costringendoli a donare a lui i loro eldunari!”.
Ce l’aveva fatta. I draghi si fermarono, indecisi, poi planarono piano verso di lui. Man mano che si avvicinavano Eragon poté notare quanto erano trasparenti in realtà, più di quel che si era immaginato. Attraverso loro potevano ancora vedere le pareti del lungo corridoio.
Quando diversi draghi atterrarono al suo fianco Eragon riprese a parlare. “Abbiamo bisogno del vostro aiuto per sconfiggere Galbatorix, per i draghi imprigionati e per tutte le popolazioni di Alagaesia” disse grevemente, osservando con rispetto e un pizzico di timore i colossi che gli stavano attorno.
Uno dei draghi si fece avanti e parlò con Eragon. Era poco più grande di come era stato Glaedr, e di colore bianco candido. Qual è il tuo nome Cavaliere?
  Mi chiamo Eragon, e il mio drago è Saphira.
  Dov’è il tuo drago?
  Per intraprendere questo viaggio ho dovuto lasciarla.
Il drago lo guardò severamente. Come hai capito che il sovrano Galbatorix utilizza eldunari per incrementare il suo potere?
  Una persona di cui mi fido molto me lo ha detto. Siamo sicuri che sia così, ha molti eldunari appesi alla cintura, e sicuramente molti altri nel suo castello, nascosti. Inoltre lo si capisce dalla sua forza, non è naturale, proviene da altri. Nemmeno un Cavaliere con il suo drago possono essere così potenti.
I draghi cominciarono a parlare fra di loro, estromettendo Eragon dalla conversazione. Parlarono per diverso tempo, ed Eragon stette a guardarli con nervosismo. Ad un tratto il grosso drago bianco si volse e parlò ancora.
  Qual’è il tuo scopo? Perché sei venuto fin qui, abbandonando finanche il tuo drago?
  Per chiedere il vostro aiuto!, si affrettò a rispondere Eragon.  Come vi ho già detto, un gatto mannaro mi ha mandato qui. Potete aiutarci? Noi non riusciremo mai a sconfiggere Galbatorix con le nostre sole forze, non quando lui possiede i poteri di centinaia di draghi!
  Vorresti dire che non hai secondi scopi? Bada bene di non mentire, Cavaliere. Prometti!
Eragon quasi tremò di fronte a quella massa di muscoli che, seppur traslucidi, emanavano forza e saggezza. Lo prometto, disse in lingua elfica.
  Sei vincolato alla tua parola, cavaliere Eragon. Ora dicci il motivo di questa tua richiesta.
Eragon non capiva: aveva già esposto le sue ragione più che chiaramente. Si guardò un attimo i piedi, poi sussurrò: Vorrei solo che nessuno più soffrisse.
Il drago bianco esitò. Il suo labbro coriaceo tremò, i suoi occhi fissarono Eragon per un tempo infinito. Poi: Così sia. Verremo ad aiutarvi, ma ad una sola condizione.
  Ma certo!, disse Eragon raggiante, alzando lo sguardo da terra.
  Non appena il tiranno sarà sconfitto ci permetterai di liberare i nostri fratelli, poi ce ne andremo subito.
Eragon annuì velocemente. Ma certo, ripeté.
  Ora, disse il drago bianco, devi portarci fino a Galbatorix. Noi siamo però spiriti: dobbiamo viaggiare in un corpo solido. Fuori da qui non possiamo resistere per molto in questa forma, nel mondo reale. Il massimo che possiamo tentare fuori di qui sono poche ore. Quindi ci dovrai trasportare in un rifugio sicuro.
Eragon ci pensò su un attimo, poi estrasse dal fodero Brisingr. Pensi che questa potrebbe andar bene? E la mia spada, il suo nome è Brisingr. La spada percepì il potere e si infiammò un poco.
Il saggio drago bianco la osservò per lungo tempo …

“Eragon!” esclamò Ellen correndogli incontro. “Dove eri finito? Eravamo preoccupatissimi!” disse con tono arrabbiato.
Eragon avanzò verso di loro con un sorriso soddisfatto stampato in faccia. “Ce l’ho fatta! Non potete neanche immaginare che cosa c’era lì dentro”.
“Che cosa?” chiese Ellen curiosa.
“Ve lo spiego mentre andiamo” disse il ragazzo camminando baldanzosamente. Oromis ed Ellen si scambiarono uno sguardo, poi lo seguirono. Ad un tratto lo sguardo di Oromis cadde su Brisingr.
“Eragon, la tua spada …” disse indicando la lama.
“Oh … va bene, ve lo spiego adesso” disse allora Eragon estraendo dal fodero Brisingr. La lama brillava forte alla luce del sole, e aveva assunto uno strano colore.
Anzi, tanti strani colori. Tutti i colori dell’arcobaleno.

  Non credi che sia esagerato?
  No, affatto.
La mandria di mucche pascolanti si muoveva pigramente lungo la valle. Dall’alto, i due draghi osservavano gli animali. Uno di loro era azzurro e limpido come il cielo d’estate, l’altro era rosso fuoco, e gli occhi facevano male solo a guardarlo.
All’improvviso, dopo essersi scambiati un segno d’intesa, i due draghi cominciarono una ripida discesa verso terra. Volarono sopra la mandria di mucche e ne afferrarono una ciascuno, allontanandosi poi dagli animali e dal povero fattore che li osservava spaventato. Il resto della mandria incominciò a correre e a muggire, terrorizzata. Si scontravano fra di loro e alcuni animali erano perfino caduti in terra, ed erano talmente agitati che per loro era impossibile rialzarsi.
  Non capisco proprio perché gli altri animali siano così limitati. Mi piacerebbe ogni tanto parlare con uno di loro, disse Castigo quando lui e Saphira si furono allontanati.
  A me no. Trovo più interessanti quelli della nostra specie.
  E gli umani?
  Non tutti. Alcuni sono prevedibili, altri interessanti. Ad esempio, l’ho sentito subito quando ho trovato Eragon. Sapevo che era quello giusto non appena ha posato le mani sull’uovo.
  Come per Murtagh.
Saphira staccò un grosso pezzo di carne dal fianco della mucca e Castigo la imitò. Restarono a mangiare in silenzio, assaporando la carne cruda e ancora calda dell’animale.
  Tu credi che potremmo vincere questa guerra?, chiese all’improvviso Saphira.
Castigo rimase in silenzio per un po’, masticando lentamente. Voltò il grosso muso scarlatto verso la dragonessa. Io dico di sì. Non c’è più Shruikan, e Galbatorix non ha nessun’uovo. Se Eragon riuscirà a far schiudere la Volta delle Anime chissà cosa succederà. Solembum non può sbagliare.
  E’ un gatto mannaro, osservò Saphira, come se quella fosse una garanzia.
Castigo finì di mangiare tutto in pochi attimi. Nonostante fosse nato dopo Saphira ormai era grande come lei, anche per il fatto che lui era un drago maschio. Stava crescendo ad un ritmo costante, così come anche Saphira, che però era leggermente più lenta. Per un occhio non allenato probabilmente l’unica, fondamentale differenza fra i due draghi era il colore, ma chi se ne intendeva poteva notare le palesi differenze che c’erano fra i due.
Castigo aveva muscoli forti e duri, che si tendevano ad ogni minimo movimento del suo corpo. Il collo era grosso e la coda leggermente più tozza di quella di Saphira. Le zampe erano molto grandi, e i suoi artigli spessi come il tronco di un albero in fase di crescita.
Saphira invece aveva il muso più allungato, gli occhi leggermente inclinati, il suo corpo era sinuoso e i muscoli, anche se forti quanto quelli di Castigo, venivano nascosti dalla sua forma affusolata. Le zampe di lei erano più piccole e, in generale, aveva movimenti più eleganti.
Quando Saphira si accorse che Castigo aveva già finito la sua mucca pensò di lasciargliene un po’ della sua, così, con il muso, gli avvicinò ciò che restava della carcassa.
  Oh no! Grazie mille Saphira, ma non posso accettare. Dovremmo tenerci tutti quanti in forze.
  Non preoccuparti. Sono piena, non sarebbe giusto sprecarlo.
Castigo la osservò  per un secondo dubbioso, poi prese l’avanzo della carcassa con l’angolo della bocca e lo ingoiò in un batter d’occhio. Grazie, disse poi con un leggero grugnito.
  Di nulla, rispose Saphira.
Leggermente titubante, per ingraziarla, Castigo avvicinò il muso a quello della dragonessa e lo strofinò contro il suo. Saphira rimase ferma, un po’ imbarazzata da quel gesto, ma poi si riebbe e fece come delle calde fusa di apprezzamento. Castigo si allontanò da lei, dandole un ultimo buffetto sul naso, poi si preparò per alzarsi in volo. Saphira lo imitò, e in pochi minuti furono in vista dell’accampamento.
Quando mancava poco più di un minuto per arrivare, allora Saphira lo sentì. Il suo cuore fece un sobbalzo e lei ruggì di gioia.
  Che cosa è successo?, chiese Castigo curioso.
  Eragon è qui! Saphira aumentò l’andatura, superò Castigo e si tuffò verso le tende dei Varden.
In quasi due mesi di assenza Eragon dovette ammettere che l’accampamento dei Varden era cambiato parecchio. Dopo il disastro dell’ultima battaglia si era ridotto a poche sparute tende, ma dopo il suo ritorno Eragon lo trovò rifiorito.
Gli elfi e i nani si erano definitivamente uniti a loro. C’erano tutti lì, dal primo all’ultimo clan dei nani, i restanti abitanti del Surda e centinaia di elfi. Oltre ad alcune tribù nomadi e gli Urgali sopravvissuti. C’erano anche altre due o trecento persone, che erano ribelli non Surdani che si erano alleati ai Varden, contravvenendo agli ordini di Galbatorix, provenienti da tutte le città e i villaggi di Alagaesia che, come Carvahall, erano stati abbattutti.
In mezzo al campo c’erano tre tende dall’aria importante. Una per Nasuada, del solito colore blu spento che caratterizzava le uniformi di tutti i Varden; una seconda di colore grigio scuro per Orik e sua moglie; l’ultima, un grossa tenda bianco latte e dorata, alta ed elegante, dove alloggiavano Arya e la regina Islanzadi.
Quando Eragon vide arrivare Saphira stava conversando con Ellen e Islanzadi, che appena aveva visto la figlia l’aveva abbrancata con poca eleganza (ma con una certa classe) e non l’aveva più lasciata andare. Sentì il ruggito della dragonessa in lontananza e, alzando lo sguardo, l’aveva vista in cielo lanciarsi a terra in un impeto di felicità, e fare diverse capriole prima di far tremare la terra con le sue zampe. Eragon le era corso incontro e, non appena lei si era posata a terra, si era lanciata sulla sua schiena.
“Saphira! Saphira!” aveva esclamato, felice.
  Piccolo mio! Quanto mi sei mancato! Non devi partire mai più!
  No, mai più!, le fece eco Eragon, stringendola forte.
  Promettilo Eragon! Non ci separeremo mai più!
  Promesso, disse il ragazzo guardando la dragonessa negli occhi, grandi e luminosi, e sorridendo.
Era così felice! Come non lo era stato da tanto tempo.
Solo Saphira poteva capire quanto lui fosse felice. E solo lui poteva sentire il forte battito del cuore della dragonessa.





Eccome qua! Allora... voglio sapere che cosa ne pensate sulla Volta delle Anime. No, davvero, di solito non mi piace farlo, ma questa volta vi sto pregando: ditemi qualcosa su questa mia idea. Vi prego! *Patty in ginocchio con le mani congiunte*
Hem! *riprende un contegno e si alza* A parte questo: non so nemmeno io come mi è venuto in mente! Davvero! Sono l'essere più assurdo per quanto riguarda le idee, arrivano e basta, senza un che di preciso. Quindi... spero che sia di vostro gradimento.
La scena di Saphira e Castigo è stata davvero soddisfacente da scrivere, perchè non vedevo l'ora di mettere del tenero fra quei due! XD Che carini! Anche se sono draghi e mi fa strano immaginarli... che bellini! XD
A parte le altre cose. Recensioni:

KissyKikka: ciao! Sono contenta che ti piaccia il personaggio di Dayo, è stato divertente descriverla! :) Spero che questo capitolo ti sia piaciuto, e che l'idea degli spiriti dei draghi non sia stata eccessiva. Il ragionamento che ho fatto è stato più o meno questo: solo i draghi possono battere i draghi. Insomma, l'idea è venuta improvvisa e la giustificazione è arrivata dopo, ed è quella. ^^ B'è, fra un po' la storia finisce, al diciannovesimo capitolo! O.O E' lunga, per i miei canoni. Comunque, grazie mille per questa ennesima recensione (di sicuro non ne potrai più! XD)! Un bacio, ciao! E grazie anche per gli auguri per la terza prova! ^^

Thyara: mamma mia! Che bella recensione lunga! Leggerla è stato soddisfacente. Questo capitolo, che spero ti sia piaciuto, è diventato una sorta di ringraziamento per questa lunga recensione, da quando l'ho letta (da ora quindi). Per quanto riguarda Oromis, nemmeno io riuscivo a figurarmelo piangere, anche se stavo scrivendo! XD Quindi è stato un po' complicato, ma alla fine mi sembrava giusto che lui reagisse così, anche se non rispecchia le azioni del personaggio. La parte della nave, devi sapere, è stata lunga da scrivere, e sono anche andata a cercare su internet le parti di una nave! XD Per rendere la cosa più credibile :) Come hai visto, Eragon qui non ha trovato una montagna di Eldunari, spero di non averti delusa! XD B'è, ci vediamo al prossimo capitolo, ciao! XO

Al prossimo capitolo, a tutti! Un bacio e un grazie per seguirmi fino ad ora e... saluti!
Patty.

P.S. Avrei dovuto dirlo nello scorso capitolo, anche se è una cosa di scarsa importanza (molto scarsa, secondo me adesso che ve lo dico venite fino a qui per sputarmi in un occhio -.-''). Il nome Dayo è un nome tipico dell'Africa centrale! ...mamma mia mi preparo ad essere presa a calci! Non siate troppo cattivi! XD

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Draghi in rivolta ***


Mi scuso infinitamente per questo inaccettabile ritardo! Ho avuto problemi con internt e non sono riuscita a risolverli fino a ieri sera. Mi scuso tantissimo con tutti i lettori! Anche io non vedevo l'ora di pubblicare questo capitolo, spero che piaccia anche a voi, dato che scriverlo è stato inaspettatamente facile. Be', vi lascio alla lettura. Buon Natale (anche se un po' in ritardo). <3





Capitolo diciotto: Draghi in rivolta

“Le cose stanno così.” disse grevemente Eragon, “Se non accetteremo questo possiamo anche dimenticare l’aiuto dei draghi”.
Nasuada, ormai ripresasi, soppesò l’idea. “Non dovrebbero esserci problemi suppongo. Dovremmo solo informare bene i soldati a cosa vanno incontro, perché evitino di spaventarsi. Ma se non abbiamo altra scelta … oltretutto non mi sembra che sia un’idea così terribile”.
“Informerò Jeran della tua decisione” disse Eragon.
“Prepariamoci ad un’altra battaglia” mormorò Nasuada passandosi un dito sulle labbra con aria pensierosa.

I soldati rimasero alquanto stupiti della richiesta di Nasuada. Gli elfi furono entusiasti e i nani, dopo qualche titubanza, accettarono. Certo tutti si rendevano contro che era necessario, e che era come avere un’arma in più. In fondo si sentivano più sicuri, sarebbero stati più forti e protetti da una grande magia.
Galbatorix, che non aveva perso tempo a riformare il suo esercito una volta tornato a Uru’baen, rimase non poco stupito quando un soldato andò a comunicargli la notizia che una vedetta aveva avvistato un grande esercito al completo  che marciava verso la capitale. Non credeva che dopo il disastro avvenuto poche settimane prima sarebbero stati così in tanti. Ma probabilmente, si disse, il terremoto aveva fatto schierare definitivamente gli elfi e smosso i nani.
Ancora, però, non vedeva come potevano vincere. Gli eldunari che aveva alla cintura sarebbero stati sufficienti a sterminare un intero esercito, e ne aveva a disposizione altri. Moltissimi altri. I ribelli combattevano una causa persa, solo che non lo potevano sapere. Probabilmente Murtagh li aveva messi al corrente della fonte del suo potere, ma non potevano fare nulla al riguardo.
“Preparate le truppe” disse Galbatorix, “e la mia armatura”.
Quando Galbatorix fu pronto gli eserciti erano schierati. Si potevano ben distinguere le diverse file nemiche: davanti gli elfi, poi i nani, e infine gli uomini. La verità era che Galbatorix era alquanto infastidito da questo esercito comparso all’improvviso. Anche messe insieme le forze ribelli non avrebbero potuto sconfiggerlo, grazie ai suoi eldunari. Sembravano tante formiche che si affannavano attorno ad un insetto troppo grande per loro.
Quando Galbatorix scese in campo, nelle prime file, poté ben vedere che davanti a tutti c’erano Eragon e Saphira, ma questa volta i draghi avrebbero combattuto senza i loro Cavalieri. Imputando questo al solo fatto che lui non aveva più un drago Galbatorix si sentì indispettito, come se fosse un affronto, come se combattendo senza drago gli facessero un enorme favore. Incrociò gli occhi a quelli di Eragon e lo osservò con la cattiveria nello sguardo.
Il ragazzo lo guardava con furia, ma anche con una specie di rassegnazione. Eragon levò la spada di mille colori, che Galbatorix non poté fare altro che notare, e mormorò alcune parole alla spada. Quella parve brillare, e i colori sciamarono via poco a poco. Gli spiriti dei draghi uscirono dalla spada e, come accordato qualche settimana prima, s’insinuarono nei corpi dei soldati. Di ogni soldato. Tutti gli uomini si sentirono fortificati.
Gli elfi avvertirono una tale forza spirituale da esserne sopraffati, i nani si scoprirono come scaldati, e più potenti della terra stessa. Gli uomini erano più forti, e più resistenti, ed erano anche convinti che quel giorno avrebbero finalmente vinto la guerra contro Galbatorix.
Il Re, per parte sua, quasi non si rese conto del cambiamento che avvenne nell’esercito nemico, ma sentì solo una scia di energia silenziosa scivolare via. Una parte della sua mente si chiese che cosa fosse, ma archiviò la questione ad un momento più adatto. Scorse, nelle prima file, la Regina Islanzadi, con un’armatura brillante al sole e molto elegante. Al suo fianco Ellen, poi Murtagh, e la sua rabbia crebbe ancora di un poco.
Incitando le truppe con un urlo, Galbatorix si scagliò contro l’esercito, seguito dal suo generale e dal resto degli uomini. La differenza era palpabile nell’aria, i soldati imperiali vennero come spazzati via. I ribelli avanzavano nella folla di armi a secchi colpi di spada e di scudo, cadaveri e feriti cadevano attorno a loro.
Rukan balzava da una parte all’altra e ad ogni zampata uccideva almeno cinque soldati in una volta. Lo spirito del leone ruggiva nel suo corpo e lo scuoteva forte. L’imponente animale evitò una lancia che lo puntava e ruggì addosso al soldato che la brandiva. Quello non fece nemmeno in tempo a spaventarsi, una grossa lama lo trafisse all’altezza dello stomaco, in una fenditura dell’armatura. Ellen tolse la spada dal corpo dell’uomo con un grugnito e si voltò per affrontarne un altro.
Quella battaglia non era come le altre, tutti lo sentivano. L’energia che fluiva nei loro corpi non finiva mai, non erano stanchi, i nemici sfilavano davanti a loro e venivano puntualmente uccisi o feriti. I draghi, nel cielo, sputavano fuoco contro l’esercito nemico e lanciavano dall’alto grosse pietre che rotolavano in terra portando con loro diversi soldati imperiali.
Eragon e Murtagh avanzavano a colpi di spada verso Galbatorix, che si batteva con le armi e con la magia. Attorno a lui i soldati si affannavano, ma era l’unico che non riuscivano nemmeno a raggiungere. Galbatorix respingeva tutti con la magia e feriva gli uomini con incantesimi accuratamente scelti. Aveva aggiunto alcune pietre alla sua cintura da quando Shruikan l’aveva abbandonato, e il suo potere era aumentato nettamente.
Tegrish affiancò Eragon e Murtagh e, assieme, cercarono di attaccare Galbatorix. Murtagh si avventò su di lui frontalmente ma il Re parò senza difficoltà l’affondo. Eragon imitò l’amico, ma anche allora Galbatorix lo respinse con una magia e lo fece cadere in terra. Murtagh, ringhiando un insulto, si gettò di nuovo su di lui. I capelli corvini, sotto l’elmo, attaccati al collo a causa del sudore. Cercò di colpire il sovrano da destra, ma quello parò. Galbatorix diede un secco colpo con lo scudo e lo colpì al ventre. A Murtagh si mozzò il fiato, Galbatorix avanzò verso di lui e fece per colpirlo. Murtagh fece solo in tempo a vedere il volto trionfante di malignità di Galbatorix, e la sua spada che scintillava di sangue …
“Murtagh!”. Un forte clangore di spade scosse il corpo del ragazzo. Alla sua destra stava Tegrish, che contrastava egregiamente Galbatorix. Fece forza sulla spada e riuscì a far scivolare via quella del Re. Lui si riebbe subito e attaccò Tegrish. Il ragazzino cominciò ad indietreggiare velocemente, parando fendenti veloci come schegge. Ad un tratto Galbatorix gli diede un forte calcio ad una gamba e Tegrish, gridando di dolore, si accasciò a terra. Galbatorix si avvicinò a lui e lo ferì allo stomaco ma, prima che il colpo divenisse fatale, qualcosa di forte lo colpì alla testa e poco dopo venne sbalzato via.
Si voltò a fronteggiare un grosso Kull, che lo sovrastava di parecchi piedi. “Nar Garzhvog!” esclamò Galbatorix guardandolo negli occhi.
Il capo degli Urgali ringhiò sonoramente. “Sono io Galbatorix. Il mio popolo si sta vendicando per quello che ci hai fatto. Tu ci hai traditi! E il male che alberga nel tuo cuore ti si stringe addosso, ora”.
Senza pensarci due volte Galbatorix alzò violentemente un braccio, le dita ritorte puntate contro il Kull, e pronunciò poche parole incomprensibili. Nar Garzhvog rimase paralizzato, la grossa ascia gli scivolò via dalle dita, il suo sguardo era sperduto e puntato su qualcosa che solo lui poteva vedere. Galbatorix rigirò la mano, come se stesse torcendo qualcosa, allora il Kull urlò. Fu un grido di dolore e di disperazione, le sue ossa si spezzavano e la sua carne scottava. Sentiva le membra farsi pesanti come il metallo e il sangue gelare nelle vene. Infine Galbatorix ritirò la mano, come se stesse portando via qualcosa.
E fu così che levò la vita a Nar Garzhvog.
Il Kull si accasciò al suolo senza emettere un lamento, con un rumore soffice, facendo sollevare un filo di polvere.

Guidata da una forza non sua Ellen uccise un altro soldato, poi si volse a guardare ciò che accadeva alle sue spalle. Vide Galbatorix combattere contro Murtagh ed Eragon. Li raggiunse correndo, fra spintoni e parate.
“Murtagh! Eragon!” chiamò quando fu abbastanza vicina.
“Galbatorix è fuggito” disse Eragon iniziando a correre.
“Dov’è? Dov’è andato? Dove stai andando tu?!”.
“Al castello!” gridò il ragazzo prima di sparire dalla vista.
Eragon seguì una piccola sagoma indistinta che riconobbe come quella di Galbatorix. In pochi minuti Saphira gli fu accanto e lo fece salire in groppa.
  Andiamo Eragon! Andiamo piccolo mio!
Volarono sopra Galbatorix, che era rientrato nella città. Superarono facilmente le poche guardie che erano rimaste a vigilare: con una ruggito da parte di Saphira e una scarica di fuoco caldo delle sue fauci, i soldati corsero via terrorizzati. “Come facciamo a sapere dov’è andato?”.
  Possiamo avvertire la sua forza. E’ l’unico con tali poteri all’interno del castello. Usa l’occhio della mente Eragon.
Eragon chiuse gli occhi un secondo ed espanse la mente. Trovato! Lasciami sulla torre più alta.
Saphira volò in alto e fece per raggiungere la torre indicatale da Eragon ma prima che potesse raggiungerla una forte esplosione fece vibrare le mura. Diversi pezzi di pietra grigia che formavano la torre si spezzarono e volarono sopra la città. Attorno al castello donne e bambini iniziarono ad uscire dalle case, spaventati, e a guardarsi attorno senza capire che cosa succedeva.
Saphira si alzò di nuovo in volo e raggiunse la torre circolare. Su un lato si era aperto un grosso varco. Nell’enorme stanza rotonda stava Galbatorix, in mezzo a quella che sembrava una montagna rocciosa. Ma quando guardò meglio Eragon poté vedere che quello si cui il Re posava i piedi erano pietre. Pietre di ogni colore, di ogni forma e dimensione. Centinaia o forse migliaia di eldunari!
Quando Galbatorix vide Eragon alzò lo sguardo e rise sguaiatamente. Salì su un cumulo di quelle pietre, sdrucciolando un poco. Ne raccolse una manciata e rise di nuovo. I suoi occhi erano spalancati e folli, iniettati di sangue.
“Che cosa vuoi fare adesso Cavaliere?!” gridò rivolto ad Eragon. “Che cosa dimmi? Chiamerai i tuoi amici elfi? O i nani?! Chiamerai … Oromis? I vecchi Cavalieri! Contro il potere dei draghi nessuno può fare nulla! E io possiedo questo potere! Potrei spazzare via tutta Alagaesia se solo volessi! Potrei ucciderti con una sola parola. Che cosa sono gli elfi … in confronto … ai draghi? Sciocchi e deboli, ecco tutto! Se credi di riuscire Cavaliere renditi conto della verità. La verità e che nessuno può sconfiggermi. Io sono immortale e governerò Alagaesia … ora, e per sempre”. La sua voce si affievolì sempre di più e il suo sguardo vagò per un secondo su Eragon e Saphira, che ancora volavano di fronte a lui.
Eragon, sconcertato, estrasse la spada. “Combatteremo Galbatorix, ma sappi che coloro che ho chiamato in mio aiuto sono molto più potenti di quanto tu possa anche solo immaginare!”.
Galbatorix ghignò e i suoi occhi si riempirono ancora una volta di follia.
In quel momento ad Eragon si mozzò il fiato. Fu come se una parte della sua anima fosse stata lacerata. Sentì che qualcosa veniva strappato dal suo essere e, meccanicamente, prese a respirare più forte e spalancò gli occhi, alzando il petto verso l’alto. Una figura perlacea incominciò ad uscire dal suo petto, oltrepassando l’armatura.
Il grande drago bianco Jeran ruggì forte, uscendo dal corpo del Cavaliere che lo aveva ospitato. Galbatorix era rimasto paralizzato, a bocca aperta, e aveva guardato la sagoma trasparente, di un vago colore bianco, alzarsi imponente di fronte a lui.
Jeran ruggì rabbiosamente. E tu saresti un re? Così piccolo, così … meschino. Crudele. Tu non sei un Re, sei solo un uomo troppo ambizioso e cieco. Il tuo popolo non ti rispetta, il tuo potere proviene da altri. Che cos’hai di veramente tuo? Il regno? Alagaesia non appartiene ai tiranni, appartiene al popolo che la ama e che la difende, che la abita. Tu non possiedi niente. Fra poco non possiederai nemmeno gli eldunari.
Galbatorix era rimasto impietrito. Nel frattempo, nel campo di battaglia, tutti gli uomini si erano fermati. I draghi che li possedevano si erano liberati. Tutti, anche i soldati imperiali stavano fermi a fissare il cielo, le sagome perlacee che si alzavano nell’aria azzurra e frizzante, ed erano così tante che pareva che una fitta nebbia si fosse alzata all’improvviso. I draghi volavano leggeri verso il castello di Galbatorix e si riunirono tutti attorno a Jeran.
Assieme, con un ruggito unanime che scosse l’intera città, i draghi si lanciarono sopra gli eldunari, come se dovessero affondare fra le pietre. Gli eldunari si scossero, e gli abitanti delle pietre sentirono la libertà nel cuore. Fu come il ritorno della primavera. Alzarono il muso all’aria e annusarono il profumo della libertà. Era un odore diverso per ognuno di loro. Era muschio, giunchiglie, vento. Era odore di spade, di elettricità, di schizzi d’acqua sul corpo.
Gli eldunari si svuotarono. I draghi si dissolsero nell’aria, formando una luce brillante prima di sparire.
Nel frattempo, senza essere notato, Galbatorix era uscito dal castello. Si stava aggirando attorno alle mura, con la speranza di uscire dalla città senza essere visto. Si era tolto l’armatura per evitare fracasso, e camminava con passo felpato rasente ai muri.
Fu Jeran ad individuarlo. La grossa sagoma perlacea del drago si voltò. Senza far rumore, fluttuando lungo i tetti delle case, si avvicinò a Galbatorix e, prima che questi se ne rendesse conto, gli passò attraverso.
Per il Re fu come guardarsi dall’alto. Vide il suo corpo fermarsi e guardare indietro, al potente spirito del drago bianco. Vide il drago ruggire contro di lui e poi, alla velocità di un fulmine, passargli attraverso. Sentì in maniera palpabile la sua anima staccarsi dal corpo. Fu veloce e indolore. Come uno strappo su un foglio di carta.
Con gli occhi spenti, spalancati, e il viso incatenato in un’espressione eterna di sorpresa, Galbatorix cadde sulle ginocchia. Nessuno poté udire le sue ultime parole. E se anche qualcuno avesse potuto, non avrebbe saputo a cosa si riferivano.
“Ti amo” mormorò prima di chiudere gli occhi.





Ed ecco qui. Il prossimo è l'ultimo capitolo. Spero che questo vi sia piaciuto. Posterò anche una piccola storia su Galbatorix (solo due brevi capitolo), così capiremo a chi sono indirizzate le sue ultime parole. Insomma, quasi non so cosa dire, mi sembra strano che questa storia sia quasi terminata, è una di quelle a cui tengo di più. Be'... passiamo alle recensioni:

Marty_odg: grazie per i complimenti! Anche io trovo che Saphira e Castigo siano carini assieme (anche se forse un po' inquietanti da vedere! XD). Sono felice che ti piaccia come tratto Murtagh, anche perchè secondo me è uno dei personaggi più complessi caratterialmente, e speravo proprio di non finire OOC. Grazie per la recensione e di aver seguito la storia! ^^ Ciao!

Thyarah: caspita che bella recensione lunga! Grazie per i complimenti! E' da un po' che cercavo di scrivere qualcosa su Castigo, ma volevo che fosse un momento adatto, per non spezzare la trama. Ho anche pensato che sarebbe stato molto meglio vedere le anime di Drago propro come delle specie di fantasmi, e non come eldunari, che in fondo sono come pietre alla vista. L'idea di Brisingr come contenitore mi è sembrata quasi naturale, non so perchè. XD L'accampamento dei Varden l'ho descritto solo perchè prima era stato raso al suolo, quindi volevo sottolineare il fatto che i Varden si fossero messi al lavoro per ricostruirlo. Be', spero che questo quasi-ultimo capitolo ti sia piaciuto. Un bacio, e grazie mille per tutte le recensioni che fai ogni volta! ^^ Un bacio

_Bonnie_: grazie per i complimenti! ^^ Le cascate colorate in effetti sono state una cosa che mi è venuta in mente all'improvviso, non mi convincevano del tutto e ho anche pensato di toglierle, ma alla fine le ho laciate stare ^^ Grazie mille per la recensione, ciao!

KissyKikka: wow sono felice che ti piaccia la mia versione della Volta delle Anime! XD Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto, anche se fose avrei dovuto allungarlo un po' di più, e includere delle parti che non riguardavano la battaglia. B'è. spero che ti piaccia comunque, scriverlo è stato soddisfacente. XD La terza prova è andata abbastanza bene, grazie per avermelo chiesto! Spero che anche tu stia passando una buona quinta superiore (senza stress pre-esame)! ^^ B'è, al prossimo capitolo, ciao! Un bacio <3

Un grazie a tutti i lettori, e mi scuso ancora per il ritardo! ^^ Al prossimo capitolo a tutti! Ricordate: è l'ultimo! Waa! XD
Patty.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Stelle cadenti ***


Capitolo diciannove: Stelle cadenti

I funerali del soldati caduti, di Nar Garzvogh e di Galbatorix vennero celebrati pochi giorni dopo. Una fiumana di persone si riversava nella capitale, per onorare i guerrieri e dire loro grazie. Villaggi interi si erano mossi, portando con loro cibo e bevande da regalare ai soldati.
Alagaesia si stava lentamente riorganizzando. Il Surda venne reintegrato come parte di Alagaesia, e non era più un piccolo stato indipendente. Re Orrin era abituato a governare il Surda, ma non credeva di essere all’altezza di governare tutti gli uomini sparsi per il mondo. E nonostante questo molti desideravano che diventasse lui il successore di Galbatorix. La verità era che Re Orrin aveva paura di sbagliare qualcosa, nella politica di Alagaesia, di non riuscire a soddisfare il suo popolo. Per questo, un giorno, prese coraggio e andò da Nasuada.
Dopo aver sentito la sua proposta, la ragazza era rimasta sorpresa, ma felice. Disse: “Questa scelta dimostra che sei un grande sovrano, Re Orrin. Sarò lieta di dividere con te il potere”.
E così Alagaesia venne governata da Nasuada e Orrin, assieme. Venne formato il Consiglio dei Saggi, che comprendeva Eragon, Saphira, Rukan il coraggioso Ibrido, Trushkren capo degli Urgali, Orrin e Nasuada, dodici studiosi, esperti delle più svariate materie (fra i quali vi erano Angela e Solembum), e un rappresentante per ogni città e villaggio. Quella fu l’era in cui l’eguaglianza e la giustizia si avvicinavano, per mano di Orrin e Nasuada.
Tutti lo avvertivano: c’era un nuovo odore nell’aria, odore fresco di cambiamenti, profumo leggero di gioia e l’odore penetrante della vittoria, che per un attimo aveva inebriato tutti i popoli di Alagaesia, che mai come prima si erano sentiti uniti e forti come allora. La gente non camminava più curva, ma a testa alta, i bambini non si nascondevano più dietro le loro madri, piuttosto uscivano a giocare e a correre per le strade. Tutti avevano qualcosa da fare, era come se l’intera Alagaesia stesse ricostruendo qualcosa. E in effetti, era proprio così: ricostruivano le loro vite, segregate per troppo tempo nel terrore.
Fu così che incominciò un’era di pace per Alageasia.

Dopo circa una decina di giorni dalla fine della battaglia, Katrina arrivò a Gil’ead sopra un carro trainato da un mulo. Non appena la vide Roran corse al suo fianco e la baciò con passione, scatenando l’ilarità generale. Ormai la nascita del bambino era prevista fra qualche giorno, e nonostante Roran si fosse offerto di fare lui il viaggio a sud, Katrina aveva detto di voler rivedere Eragon ed Ellen, così aveva compiuto il viaggio che l’aveva riportata da suo marito.
Ellen e Murtagh avevano occupato una casa che avevano trovato vuota. Stavano passeggiando per le vie della capitale quando la scorsero, mezza distrutta e disabitata. “Non ci vorrebbe molto a metterla a posto e abitarci” aveva detto Murtagh osservandola con occhio critico.
“Potremmo farlo davvero” disse Ellen avvicinandosi all’entrata.
Murtagh sorrise e la guardò. “Potrebbe essere casa nostra” aveva azzardato.
Non era sicuro che la ragazza volesse vivere con lui, in realtà aveva timore che rifiutasse. Era da mesi ormai che non si vedevano, e molte cose che erano successe li avevano cambiati. E poi, ci aveva pensato lungamente, la loro storia era iniziata in periodo di guerra, ed aveva paura che fosse solo quella a tenerli uniti. La paura di morire, il timore che ci fosse poco tempo… forse era solo per quello che la loro storia era inziata. Chissà che nella vita reale non fossero totalmente diversi l’uno per l’altra?
Ellen, dal canto suo, quando Murtagh pronunciò quelle parole s’illuminò. “Dici davvero?” chiese, senza riuscire a reprimere un sorriso a trentadue denti.
“Ma certo” rispose Murtagh abbracciandola.
Nelle seguenti settimane sistemarono la casetta. La ricostruirono e l’arredarono. Ellen la riempì di fiori, la dispensa era piena di marmellate, carne sotto sale e formaggi. In un piccolo giardino posteriore Murtagh, sotto l’insegnamento di Eragon, coltivava tutto ciò che poteva.
Una sera, mentre Ellen finiva di mettere a posto le ultime cose, Murtagh le disse di uscire in giardino. Ad Ellen piaceva molto occuparsi della casa, non lo faceva da anni, e le faccende erano per lei qualcosa di nuovo. Le piaceva occuparsi della casa, mentre Murtagh lavorava nel piccolo orticello, le piaceva preparare una cena calda a Murtagh, dopo tutte le fatiche aveva fatto. Le piaceva quando sistemavano la casa, la dipingevano e facevano assieme lavori manuali. Le piaceva la sera, quando si stringevano nel letto, e si abbracciavano.
“Ellen!”. Murtagh corse in cucina e la tirò per un braccio. “Vieni fuori Ellen!”.
“D’accordo” disse lei sorridendo.
Murtagh la trascinò fuori e le indicò il cielo. “Guarda quante stelle nel cielo” disse stringendola a sé.
“Sono bellissime” sussurrò Ellen.
“Anche se ovviamente non possono reggere il confronto con te” disse Murtagh dandole un bacio sulle labbra.
“Ellen … è da un po’ che volevo chiederti una cosa” disse poi a voce bassa. “Ma la verità è che in queste cose non me ne intendo molto. Ho cercato di organizzare una cosa carina, che ti potesse piacere. Però non ci sono riuscito”. Abbozzò un sorriso, si frugò nella tasca interna della giacca di pelle ed estrasse un bellissimo anello dorato. “Ellen, lo so che non sono poi molto in confronto a te. Si, un Cavaliere dei Draghi, ma tu sei una principessa. Però ti chiedo almeno di considerare l’offerta”.
Ellen tratteneva il respiro, guardando con stupore l’anello fra le dita di Murtagh.
“Ellen, vuoi diventare mia moglie?” chiese il ragazzo in un sussurro, guardandola negli occhi.
Il cuore della ragazza batteva così forte che sentiva male al petto. “Si!” esclamò, aggrappandosi al collo di Murtagh con tale slancio che il ragazzo dovette indietreggiare di parecchi centimetri.
“Hey, hey … calma. Sto andando a finire fra le aiuole” disse sorridendo.
“Davvero t’importa delle aiuole in questo istante?” chiese Ellen baciandolo e insinuando le mani sotto la sua maglietta. I muscoli di Murtagh erano caldi e lisci, e così belli, sotto le sue dita.
“Nah. In fondo non tanto” rispose lui stringendola più forte, respirando il suo profumo.

Non ci volle molto a ricevere la benedizione di Islanzadi per quella che lei considerava un’unione voluta dal destino. Gli elfi erano in tripudio ad Ellesmera e desideravano che il matrimonio si tenesse là. Ellen pensò che se avesse rifiutato sarebbe sembrato scortese, così invitò Eragon e Arya, Tegrish, Roran e Katrina, con il figlio da poco nato di nome Travis, Angela con il suo inseparabile gatto Solembum, Nasuada e Re Orrin, oltre che Orik, la moglie e qualche altro nano, a fare un piccolo viaggio fino alla capitale degli elfi.
Ma non era qualcosa di così urgente! La regina Islanzadi voleva delle nozze in grande stile per la figlia, così dovettero attendere quasi tre mesi per sposarsi. Ellen non capiva il perché di tanti preparativi, e ogni giorno che passava Murtagh era sempre più nervoso.
Un giorno Castigo, volando sopra la città assieme a Saphira, ebbe una notizia alquanto sconcertante. Chiama Eragon, io avviserò Murtagh. Dovrebbero saperlo anche loro, no? Disse quando si fu ripreso abbastanza da accettare la notizia e dire qualcosa di sensato.
  Hai assolutamente ragione, concordò Saphira.
Eragon e Murtagh furono così invitati dai due draghi a salire sulla piccola collina poco fuori Gil’ead. Era il tramonto, e il sole tingeva di arancio intenso tutte le prateria lì attorno. Saphira e Castigo si sedettero solennemente di fronte ai loro Cavalieri.
  Dobbiamo darvi una notizia, esordì Saphira. Molto importante. Niente di cui preoccuparsi, disse poi scorgendo l’espressione ansiosa dei ragazzi.
Castigo fece un piccolo grugnito e sbuffò del fumo caldo, poi disse con voce burbera: Saphira avrà presto un uovo.
Murtagh rimase alquanto stupito, mentre Eragon trattenne il fiato. Saphira! Non mi hai mai detto nulla!, disse poi indignato.
Saphira, confusa, sbottò: Avresti dovuto comunque capirlo da solo, sei il mio Cavaliere.
  Si, l’avevo capito di Castigo. Ma non l’uovo! E … Castigo, non mi hai nemmeno chiesto il permesso!
  Non … non  sapevo di doverlo fare, ribatté il drago un po’ ansioso, come uno sposo davanti al genitore della sua amata.
Murtagh scoppiò a ridere e si portò una mano alla pancia. “Ma che dici?” chiese all’amico. “Non sarai mica geloso?”.
“Io? No, ma figurati” borbottò Eragon guardando per terra.
Saphira fece un risolino e avvicinò il muso al suo Cavaliere. Parlò solo a lui, in modo che solo Eragon potesse sentire. Eragon, sarai sempre il mio piccolo.
Eragon abbozzò un sorriso e le accarezzò il muso squamoso.
Circa due mesi dopo una lunga carovana viaggiava verso Ellesmera. Una volta entrati nella foresta trovarono moltissimi elfi ad accoglierli. Non appena videro Ellen e Murtagh scoppiarono in grida di giubileo e andarono ad abbracciarli. Lungo tutto il viaggio cantarono e ballarono in mezzo alla foresta. Quando giunsero in vista di Ellesmera la regina in persona li fece entrare in città. Abbracciò a lungo la figlia e, con grande stupore di Murtagh, lo baciò sulle guancie e sulle labbra.
Eragon, soffocando un risolino, si accostò a lui e gli disse da dietro la spalla: “E’ un’usanza elfica. I genitori baciano lo sposo della figlia”. Murtagh considerò una fortuna che non ci fosse il marito di Islanzadi.
Dopo preparativi vari che fecero andare i nervi a mille ad Ellen, e dopo diverse usanze che fecero imbarazzare Murtagh fino a fargli diventare le orecchie rosse, finalmente arrivò il giorno della cerimonia.
Si tenne in una spaziosa radura, al centro della città, e quella sera le stelle brillavano forte, come se volessero assistere anche loro. Gli elfi si assediavano ai lati della radura, alcuni stavano sugli alberi e guardavano dall’alto. In un angolo Saphira, Castigo e Gylda stavano stretti fra di loro per non occupare troppo spazio.
Ellen portava una veste con lunghe maniche a sbuffo verde chiaro, stretta sotto il seno da una sottile cintura, per poi ricadere morbida ai suoi piedi. Ad ogni suo movimento la veste frusciava, e il suono che emetteva pareva lo stesso frusciare delle foglie al vento. Fra i capelli aveva fiori e foglie, intrecciate in una coroncina. Tutto in lei era perfetto e magnifico, era bellissima e, quando la vide, a Murtagh balzò il cuore in petto. Si sentì quasi svuotato di ogni sensazione. C’era solo lei in quel momento, lei con i suoi occhi neri e le ciocche di capelli fluidi che cadevano sulle sue spalle. Lei, con il suo sorriso dolce e la sua anima pura e perfetta.
Al contrario, Ellen venne assalita da tantissime sensazioni quando vide Murtagh. Si sentì riempire il cuore, la gola, le gambe e le braccia fino alla punta delle dita, da un calore confortante e quasi doloroso, tanto era l’amore che sentiva. In quel momento sapeva, era certa, che Murtagh era la persona che amava. Per lui avrebbe fatto qualsiasi cosa. Si sarebbe gettata nelle fiamme ardenti e rosse come l’inferno, o sarebbe invecchiata lentamente assieme a lui.
A celebrare la cerimonia fu Islanzadi stessa. Con voce vellutata e dolce unì Murtagh, Cavaliere dei draghi, ed Ellen, principessa degli elfi, in matrimonio.
I festeggiamenti durarono a lungo. La musica che suonava stordiva chi non era abituato alla magia degli elfi. Roran sorrideva di continuo e faceva girare fra le braccia il piccolo Trevis, seguito dalle raccomandazioni di Katrina, che lo pregava di stare attento. Saphira svolazzava sopra di loro assieme a Castigo. Gylda soffiava piccola fiammelle per il divertimento di alcuni bambini elfici. Tegrish conversava amabilmente con suo padre e Oromis, mentre Eragon e Arya ballavano tenendosi per mano.
Ad un tratto Saphira richiamò l’attenzione di Eragon. Eragon guarda! Ci sono le stelle cadenti.
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo. “Ellen! Murtagh! Venite!”. Prese per mano Arya e la trascinò in un punto più buio della foresta. Da lì, in piccole porzioni di cielo, si potevano vedere le stelle brillare forte, con la loro coda bruciante, passare nel cielo.
“Dobbiamo esprimere un desiderio” disse Arya sorridendo.
“Davvero?” chiese Ellen.
“Si certo. Dicono che se esprimi un desiderio quando vedi una stella cadente quello si avvera”. Eragon guardò Arya e le strinse la mano più forte. Si guardarono negli occhi a lungo.
“Non credo di aver motivo di chiedere un desiderio” bisbigliò Ellen a Murtagh. “Ho già tutto quello che mi serve”.
Murtagh le sorrise le diede un dolce bacio sulle labbra.
Per l’ultima volta, tutti assieme, alzarono lo sguardo. La notte era chiara, le stelle piangevano di gioia. Ad un tratto due sagome nere fendettero l’aria leggera.
Saphira emise un ruggito di felicità e si volse verso Castigo. Il drago rosso la seguì nel cielo e avvicinò il muso al suo. Si guardarono negli occhi senza dire nulla, condividendo il turbine di sentimenti che ognuno provava scatenanti nel loro cuore. Poi, Saphira si tuffò di nuovo nella notte, e Castigo, ruggendo, la seguì.
Le due sagome si persero in lontananza. A terra, i quattro ragazzi si presero per mano e s’incamminarono sereni verso il futuro, sicuri di avere affianco qualcuno cui dare e ricevere amore.
Nessuno le guardava, ma le stelle ancora cadevano su Alagaesia, illuminando il mondo con la loro speciale luce.






Fine

I personaggi di questa storia appartengono per la maggior parte a Cristopher Paolini, ideatore del Ciclo dell’Eredità e detentore di tutti i diritti. La storia non è stata scritta a fini di lucro.










Parto subito col rispondere alle recensioni.

KissyKikka: caspita! Spero che questo capitolo finale ti sia piaciuto. Strano a dirsi, ma è stato più complicato degli altri da scrivere. Comunque ti ringrazio per tutto! Sei stata davvero gentile, hai seguito la storia dall'inizio alla fine (tutte e due le parti!). Le tue recensioni sono state utili anche per farmi notare certe cose che, dal punto di vista dell'autore, non si vedevano. Ti ringrazio davvero di cuore, sono felicissima che tu abbia letto la mia storia, e mi ritengo fortunata per questo, hai davvero esperienza nei racconti e nei libri, si vede che scrivi anche tu. Spero che avremo modo di risentirci, un bacio! <3


Allora...
non so proprio cosa dire. Ho iniziato a postare la prima parte di questa storia ad Aprile dello scorso anno, e ascriverl anacora prima (penso a Gennaio). E' strano, adesso, mettere l'ultimo capitolo. Era quasi diventata parte integrante delle mie giornate! XD
Questa storia mi ha dato molte soddisfazioni, e di questo devo dire grazie solo a voi lettori. Chi ha recensito, o anche solo letto, sappia che mi ha davvero fatto un grande favore. Sapere che eravate lì, che seguivate la storia, è stato bello. Sappiate che, senza di voi, nulla di tutto questo sarebbe esistito.
Lo so che sembrano le solite parole buttate al vento, le frasi fatte, ma non ci posso fare nulla se è così! XD E' quello che penso e, anche se è banale, ve lo dico con il cuore.

Grazie a tutti.

Un bacio.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=400780