Scenes From a Memory

di mask89
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Scenes from a memory

 

Capitolo 1
 

“Questa storia partecipa alla Challenge del Superfluo indetta dal gruppo facebook Il Giardino di Efp

Prompt 13: Pendolo;
Prompt 59: Giradischi;

 

Mi chiamo Carlotta, ho 22 anni e sono sul baratro della follia.

Ormai ho smesso di contare le notti insonni. Vi dirò la verità, ho paura di dormire, di poggiare semplicemente la testa sul cuscino e tentare di chiudere gli occhi, per dare il giusto riposo alle mie membra e al mio cervello. Ho paura di rivedere certe immagini, che ormai mi perseguitano, di rivivere vite che non mi appartengono e che, purtroppo, sembrano cucite sulla mia pelle. Non so per quanto tempo riuscirò ancora ad andare avanti, a reggere questa pressione, questo vissuto che si vuole insinuare dentro di me e che vuole prendere possesso del mio corpo. Vedo la mia vita scivolare via dalle mie dita, come granelli di sabbia e non riesco a fare nulla. Vedo le persone a me più care guardarmi con espressioni sempre più preoccupate, con il trascorrere dei giorni. Ultimamente il mio aspetto non è dei migliori, lo ammetto; le profonde occhiaie ormai sono un ornamento fisso sul mio volto scavato e i capelli sempre in ordine, brillanti e setosi sono ormai un lontano ricordo, o almeno così mi sembra. La verità è che ho anche perso la cognizione del tempo; ormai faccio fatica a distinguere cosa sia reale e cosa appartenga al mondo dell’onirico, a volte mi capita di confondere le due entità. Ma non sono pazza, almeno, non ancora. So perfettamente quando tutto questo è cominciato, il 04 dicembre del 2014; una data normalissima, quasi insignificante, o perlomeno credevo fosse così inizialmente; peccato non sapessi che si sarebbe rivelata l’inizio di tutti i miei guai, il mio personale inizio della fine. Eppure, quel giorno era iniziato alla grande; come altro lo descrivereste un evento più unico che raro, ovvero che il professore universitario, a cui avete chiesto un appuntamento, arrivi puntuale? È un qualcosa che ti svolta la giornata, ti permette di rispettare quella scaletta mentale di programmazione dello studio, con cui, prima o poi, ogni studente prossimo alla tesi comincia a fare i conti. Ebbene sì, la professoressa Marcella Immacolata Teodosi, era stata di una puntualità svizzera; probabilmente quel giorno le sveglie, a casa sua, avevano deciso stranamente di funzionare, oppure era successa qualche strana congiuntura astrale, che non le aveva fatto trovare qualche incidente sulla statale. A prescindere dagli eventi lei era lì e, stranamente, era interessata ad ascoltare quello che le volevo dire, ovvero una proposta di tesi alquanto particolare, per una studentessa triennale di Beni Culturali. Insomma, proporre come caso di studio un omicidio, avvenuto quasi 400 anni prima nella città di Bari, non è proprio un argomento che rientri nella canonicità per quel corso di laurea. Tuttavia, l’idea sembrava entusiasmarla; quasi sicuramente, ricostruire le circostanze di quel terribile omicidio, con l’esclusivo ausilio delle carte e delle testimonianze dell’epoca, stuzzicava la sua anima di storica dell’età moderna e di esperta archivista. Una giornata insignificante per la popolazione mondiale, ma per me fondamentale, visto che segnava l’inizio di un lavoro importante, che si sarebbe coronato con il raggiungimento della tanta agognata laurea. Un traguardo molto ambito per me e per la mia famiglia, considerato che sarei stata la prima in assoluto a laurearmi. Ciò che ancora non sapevo era che, tutto questo, avrebbe rappresentato l’inizio della perdita della mia ragione. Probabilmente, quello che mi accingo a intraprendere è il mio ultimo viaggio, ma non nel senso fisico del termine. Ho trovato una persona, uno psicoterapeuta, che è pronto a darmi sostegno nella missione che voglio intraprendere. I rischi sono altissimi, le possibilità che non torni più indietro superano quelle di una buona riuscita, ma voglio provarci ugualmente; cosa ho da perdere? I miei familiari mi guardano con pena, i miei amici pensano che sia folle e con il mio ragazzo sono sull’orlo della rottura, perché non riesce più a gestire i miei sbalzi d’umore, sempre più frequenti. Per non parlare della mia relatrice, la quale ormai pensa che mi sia data alla latitanza, dato che sono settimane che non mi faccio viva. Nulla da perdere e tutto da guadagnare, eccetto quel barlume di sanità mentale che mi è rimasto ancora, ma sono sicura che molto presto anche quello sarà un lontano ricordo.  Mi siedo sulla poltrona dello studio del dottor Sforza; il pellame della seduta è caldo e morbido al tatto, come la sua mano sulla mia spalla, la quale mi trasmette un senso di serenità che non provo da tempo. La musica che esce dal giradischi, un madrigale, anche se non è proprio il mio genere, mi dona un senso di benessere e tranquillità. Fabrizio mi sussurra all’orecchio che andrà tutto bene, che sarà sempre accanto a me, che non devo preoccuparmi di nulla. Le sue parole sono sincere, ma è nella mia natura preoccuparmi sempre di tutto e per tutto. La sua bocca allargata in un sorriso rassicurante e i suoi denti candidi sono l’ultima cosa che vedo.

Un pendolo, dalla inusuale forma di nota musicale, inizia a oscillare dinanzi ai miei occhi, le mie iridi lo seguono incessantemente nel suo moto. Sento le palpebre farsi più pesanti, mentre avverto la testa farsi sempre più leggera.

Cinque.

Quattro.

Tre.

Due.

Uno.

Benvenuti nel mio mondo.



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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

 

Sono appena le 6.00 del mattino, ma sono già sveglia nel mio letto; porto una mano alla sveglia per disattivarla, non voglio rischiare che tutti si sveglino in casa, a causa di quel mini-allarme presente sul mio comodino. Ogni giorno la stessa routine: svegliarsi, alzarsi, fare colazione, lavarsi e poi uscire di casa, per andare dritti in stazione per prendere il treno che mi porterà a Bari, sede dell’Università. Sia chiaro, non mi sveglio a quell’ora per farmi bella allo specchio o perché me la voglio prendere comoda; semplicemente, la compagnia di trasporti che sono costretta a prendere è un tantino particolare. Il treno, per percorrere una fascia di appena 20 km, ci impiega, se tutto va bene, all’incirca quaranta minuti. Veloce vero? Ma questo è il male minore! Sarei felicissima se fosse sempre così! Capita spesso di arrivare in stazione e trovare il treno soppresso per ragioni sconosciute, oppure tre miseri vagoni talmente strapieni di persone che è impossibile entrare, o le magiche ed interminabili soste nel bel mezzo della campagna barese, in attesa della fantasmagorica coincidenza. Però, guardo l’aspetto positivo; almeno su questa linea ferroviaria non ci si annoia mai, ammesso che con sé si abbia un buon libro o da studiare. Tuttavia, questa mattina per me ha un sapore leggermente diverso; finalmente comincio a mettere mano sul mio progetto di tesi, quindi nessun treno costantemente in ritardo minerà il mio buon umore. 

La corsa è andata meglio del previsto, ho impiegato solo 45 minuti per arrivare a Bari, niente male. Vedo Anna che mi aspetta davanti al portone dell’Università, alza un braccio per salutarmi, ricambio il gesto. Ci siamo conosciute il primo anno di Beni Culturali, tra noi è nata una bella amicizia ed il merito è di una penna. Da buona sbadata cronica che sono, il primo giorno di università ho dimenticato il mio adorato astuccio, che custodisco gelosamente dalle medie, a casa. Quando si dice cominciare con il piede giusto! Probabilmente, sarà stata la mia faccia disperata o per semplice pietà, quando all’improvviso ho visto sbucare una penna davanti ai miei occhi e il suo volto sorridente; è stato l’inizio della nostra splendida amicizia, a cui con il tempo, si sono aggiunte tante altre persone. 

Mentre mi avvicino noto qualcosa che non va. La sua espressione è molto cupa, il che è strano, considerato che è una delle persone più solari e positive che conosca. C’è solo una persona capace di ridurla in quello stato: il suo ragazzo. Ho avuto la sfortuna di conoscerlo e, purtroppo, c’è stata antipatia reciproca fin dal primo secondo. Premetto, non ho mai giudicato nessuno prima di conoscerlo, però nel suo caso è stato diverso. Il mio sesto senso, ereditato da mio padre, mi diceva di non fidarmi di quella persona e con il tempo ha avuto ragione. Come si può stimare una persona che tradisce ripetutamente la propria ragazza? E non lo dico solo perché io e Anna apparteniamo allo stesso sesso, nessuna solidarietà femminile, per me è qualcosa di universalmente inconcepibile. Non stai bene con una persona? Lasciala! Perché farla soffrire? È una cosa che non capirò mai.

«Ciao Anna, tutto ok?» Noto gli occhi lucidi, istintivamente l’abbraccio.

«Lo ha fatto, di nuovo...»

«Filippo?»

«Si.»

«Altre chat spinte con ragazze?» La vedo annuire con la testa. Soffoco un’imprecazione, anche se mi costa una fatica tremenda. «Cazzo Anna, quando ti deciderai a mollarlo?»

«Io lo amo.»

«E questo non lo metto in dubbio, il problema è se lui ama te!» La sento tremare contro il mio corpo e non è colpa del freddo umido di dicembre. Sento la rabbia ribollire dentro di me, ma mi trattengo; non voglio ferire ulteriormente la mia amica. «Anna, io non posso dirti cosa fare della tua vita, ma devi prendere una decisione. Sai come la penso su di lui, non mi piace, non credo che sia l’uomo adatto per te. Meriti molto di meglio…e credo che tu lo sappia, inconsciamente già ti sia guardata intorno, altrimenti una certa persona non farebbe visita nei tuoi sogni. A proposito, guarda chi c’è! Ciao Francesco!» Vedo la mia amica sussultare e voltarsi di scatto, per poi rigirarsi verso di me infuriata.

«Sei una stronza!»

«Ma ho anche dei difetti. E poi vedo che stai sorridendo, è bastato solo pronunciare il suo nome.»

«Io sono fedele.»

«Fin troppo mia cara. Che ne dici se andiamo a fare colazione al bar?»

«Non eri a dieta?»

«Lo sono, ma il cornetto alla crema che prenderò sarà anche il mio pranzo. Su andiamo, che dopo bisogna andare in biblioteca per le ricerche.»

«La Teodosi ha accettato il tuo progetto di tesi?!»

«Era entusiasta.»

«Quindi era questa la bella notizia che mi dovevi dare! Non ci posso credere, studieremo insieme anche per la tesi!»

«Te lo avevo promesso, non ti avrei lasciata da sola; nella merda insieme, fino alla fine!»

 

Adoro la biblioteca della sede distaccata dell’università, situata nel centro storico di Bari; mi dà un senso di serenità che in ben pochi luoghi sono riuscita a trovare. Saluto con la mano il bibliotecario ed entro nella sala; il profumo di libri antichi, misto a quello del legno di abete, delle antiche scaffalature, mi riempie le narici. Inspiro a pieni polmoni, non c’è odore migliore di questo. Mi avvio verso la sezione degli autori greci e latini, sicuramente Anna sarà lì, dato che è il suo angolo della biblioteca preferito; in realtà è anche il mio, dato che è spazioso, ben illuminato e frequentato da poche persone. Ed infatti la trovo lì, già china su alcuni libri. Il suo umore è leggermente migliorato rispetto questa stamattina, spero che lo studio riesca a distrarla dai suoi problemi. 

Dopo diversi minuti passati davanti al pc della biblioteca, posso affermare, con tutta certezza, che ricercare la bibliografia è una delle cose più noiose che ci sia. L’unico aspetto positivo è che tutti i libri che mi serviranno, per capire da dove iniziare con il mio caso di studio, sono tutti presenti in questa sede distaccata; almeno non dovrò impazzire fra le diverse biblioteche presenti a Bari, un colpo di fortuna, ogni tanto. Ritengo, che cominciare con la vita della protagonista femminile dei miei studi, sia un buon inizio. Fortunatamente il libro che riguarda la sua casata, la De Bellis, è su uno scaffale alla mia portata. Ebbene sì, madre natura non mi ha donato chissà quale grande altezza, come direbbe mio fratello, sono alta un metro ed un CD messo in orizzontale. Scherzi a parte ho una statura normale, il problema è lui, ha appena compiuto 18 anni ed è alto 1.90 m. Scuoto la testa, non è il momento di pensare certe cose, Maria D’Avenia mi attende. Sono quasi riuscita a prendere il libro dallo scaffale, quando una voce mi fa letteralmente sobbalzare.

«Ma guarda chi abbiamo qui, l’ottima Fiore!»

«Professor Ferri!»

«L’ho spaventata?»

«No no, non mi aspettavo la sua presenza qui.»

«Cosa ci fa in biblioteca, si prepara per un esame?»

«Non proprio, cerco di reperire del materiale per la tesi.»

«Capisco. Chi è la sua relatrice?»

«La professoressa Teodosi.»

«E su cosa verterà il suo lavoro?»

«Un caso di omicidio che vede coinvolta la duchessa Maria D’Avenia e il conte Federico Brocca.»

«Interessante. Se devo essere sincero, mi dispiace un po’ che non sia venuta da me per la tesi, visto il suo brillante esame e la sua ottima collaborazione durante la campagna di ricognizione subacquea al molo Sant’Antonio, qui a Bari. Però, devo ammettere che è un lavoro interessante quello che sta portando avanti; spero di essere in commissione il giorno della sua laurea, per ascoltare la sua relazione.»

«Prof., se per lei andrebbe bene, mi proporrei per la tesi di specializzazione, in realtà avrei già un’idea in tal caso.»

«Ovvero?»

«Uno studio del commercio dell’ossidiana e del rame in età protostorica, per una ridefinizione dei commerci marittimi.»

«Interessante! Allora l’aspetto per l’inizio del prossimo anno accademico in ufficio, così cominciamo a lavorare fin da subito. Due anni passano in fretta e iniziare subito aiuta molto.»

«La ringrazio.»

«Bene, io vado, le ho già rubato parecchio tempo prezioso. Aspetto una sua mail dopo essersi laureata. Arrivederci.»

«Arrivederci professore.»

Lo vedo allontanarsi e non posso fare a meno di sorridere. Il professor Ferri è uno dei più giovani ed in gamba del corpo docente del dipartimento. Lavorare con lui è stato molto interessante e mi ha permesso di imparare parecchie cose. Studiare con lui, ne sono sicura, sarà molto stimolante. 

Interessante la vita di Maria, figlia di Carlo D’Avenia, viene istruita fin da piccola alle arti e alla musica. Viene data in sposa, a soli quindici anni, al duca di Benevento Federico Arnone; un’unione felice, da cui nascono due figli, ma la fortuna decide di voltargli le spalle, facendo all’improvviso morire il marito, dopo solo pochi anni di matrimonio. Il padre, senza perdere molto tempo, le combina un altro matrimonio, con un nobile siciliano; ma, anche questo legame non ha grande fortuna, in quanto l’uomo muore solo dopo pochi mesi di matrimonio, durante una battuta di caccia, ferito mortalmente da un cinghiale. Profondamente ferita anche da questo matrimonio andato in rovina, ritorna a Bari, da suo padre. Qui conobbe il signore di Troia, Fabrizio del Ginepro, tra i due scoppia subito la passione e decidono di sposarsi. Il loro matrimonio all’inizio è felice, hanno anche un figlio; ma, con il passare del tempo, l’unione diventa sempre più instabile. Lui era troppo preso dalle sue composizioni musicali, i madrigali, per questo trascurava la moglie, che diveniva sempre più irrequieta. L’unico modo per sfuggire a quella vita sempre più monotona, erano le varie feste che si tenevano mensilmente alla villa del duca Carafa e proprio in una di quelle occasioni conobbe Fabrizio, detto l’arcangelo, per la sua straordinaria bellezza. Le voci che si susseguirono sul loro conto furono parecchie, ma mai nessuno poté dimostrare che la donna tradiva suo marito. L’unica prova fu data proprio in occasione della loro misteriosa morte: la notte tra il 16 e il 17 settembre del 1595, i due furono trovati uccisi nella residenza di campagna della duchessa D’Avenia, i due corpi giacevano orrendamente sfigurati sull’ampia scala la quale portava verso le stanze da letto, che si trovavano al piano superiore della magione. 

Continuo a sfogliare il libro, ma non c’è più nulla di interessante sulla vita di Maria, non è molto quello che ho trovato, però almeno è un buon punto di partenza. Guardo l’orologio sono quasi le 12.00, lo si nota anche dagli odori che entrano prepotenti dalle finestre della biblioteca. Uno degli aspetti “positivi” di avere la sezione distaccata della facoltà nelle città vecchia, è che ti offre degli spaccati di vita che difficilmente si possono trovare in altre zone. In quale università al mondo sentireste, nel bel mezzo della lezione di letteratura latina, urlare in vernacolo barese i migliori improperi? In nessuna! Ma, la cosa più divertente è che il prof cercava di spiegare l’etimologia latina di alcune espressioni colorite. Insomma, una lezione fatta in questo modo non la si farebbe in nessun'altra parte del mondo, no? Per non parlare di quando si è in biblioteca ed è ora di pranzo; tutti gli odori forti e decisi della cucina barese, che entrano soavi in quelle aule, mandando in frantumi tutta la concentrazione per lo studio, non facendo desiderare altro di essere in quella casa per mangiare un buon piatto di riso, patate e cozze o di spaghetti ai frutti di mare. Lo so, è una gran brutta cosa, per la linea ovviamente. 

Faccio cenno ad Anna che è ora di fare una pausa, ho il cervello in fumo e lo stomaco che gorgoglia. Lascio i libri e la mia roba sul tavolo, so che non li toccherebbe nessuno e poi, a breve sarò di ritorno, o almeno lo spero.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Capitolo 3

 

Alla fine, la pausa è durata più del previsto; non perché io e Anna avessimo fatto un pranzo luculliano, bensì la mia amica aveva bisogno di sfogarsi un bel po’. Lo studio era riuscito a distrarla, ma Filippo, che conosce molto bene i suoi orari, ha iniziato a tempestarla di messaggi su Whatsapp. Ogni forchettata dieci messaggi. Prima o poi gli chiederò qual è il suo segreto per mandare messaggi così velocemente e sempre nei momenti meno opportuni. Mi sono dovuta trattenere, considerato che il mio istinto primordiale mi suggeriva di prendere quel maledetto smartphone e gettarlo nella prima grata presente nel basolato della città vecchia; peccato che ripagarlo avrebbe inciso non indifferentemente sulle mie esigue finanze. L’unico aspetto positivo di questo faticoso pranzo è stato che Anna abbia dimostrato, finalmente, di avere un po’ di spina dorsale. Ora mi chiedo fin quanto resisterà, ma non nutro grandi speranze. 

La biblioteca è più affollata rispetto a questa mattina ma, come ben supponevo, i miei libri sono ancora al loro posto. Getto un’ultima occhiata ad Anna, è in compagnia di Francesco. Il suo volto ha assunto una nuova luce in sua presenza; mi domando fino a quando resterà sorda ai suoi veri sentimenti e quando lui si deciderà a fare la prima mossa. Apro il quaderno, per ricominciare il lavoro che avevo interrotto prima di pranzo e non posso impedire alla mia bocca di emettere un urlo. Vedo gli sguardi delle persone presenti puntati tutti su di me, ma sono troppo inebetita per cercare di trovare una scusa per il mio comportamento. È solo un’allucinazione, deve essere così! Ora chiudo il quaderno, lo riapro e quello che ho visto sarà sicuramente sparito. È certamente colpa della stanchezza e dei diversi caffè che ho bevuto durante la giornata. Non è possibile, è ancora lì. Provo a stropicciare gli occhi, ma quella scritta non accenna a sparire sul mio quaderno. 

“Omicidio.”

Scritta in rosso, con una calligrafia di cui mi è ignota la provenienza. Non può appartenere alle persone presenti in biblioteca, le conosco tutte ed ho avuto modo di vedere e scambiare con loro diversi appunti, presi durante le innumerevoli ore di lezione. Probabilmente, sarà stato lo scherzo di qualcuno che non conosco, considerato che l’omicidio di Maria D’Avenia è una storia che si tramanda da generazioni in tutta Bari; forse è meglio che mi rimetta a studiare, ho perso già abbastanza tempo.

 

Guardo accigliata il caffè che mia madre ha preparato. Ho avuto un sonno agitatissimo, gli incubi mi hanno perseguitato per tutta la notte, non dandomi un attimo di tregua. Forse leggere “I Tre Moschettieri”, subito dopo aver finito di mettere in ordine il materiale della tesi, non mi ha fatto alquanto bene, considerato che ho sognato di morire accoltellata presso la corte di Francia, una decina di volte. È da diverse notti che ho incubi ricorrenti di questo genere, precisamente da quando ho trovato quella strana scritta rubricata sul mio quaderno. Probabilmente sarò stata talmente suggestionata, che il mio subconscio ha cominciato ad elaborare cose strane. Forse dovrei prendermi una piccola pausa, ma il tempo incalza; sono quasi a Natale e non ho fatto grandi passi in avanti nella tesi, pensavo di trovare qualche elemento interessante in quella montagna di libri che ho letto. Invece niente, diverse centinaia di pagine lette, oltra una decina di libri consultati, ma non ho ricevuto informazioni utili, oltre a quelle che già sapevo, sulla vita della duchessa. Come se non bastasse la biblioteca nazionale, dove sono custoditi alcuni carteggi interessanti, ancora non ha risposto alla mail che la professoressa ha inviato, dopotutto sono passati solo dieci giorni, cosa sarà mai?! Mi guardo allo specchio, ho delle occhiaie orribili, probabilmente neanche il correttore riuscirà a coprire lo scempio che ho dipinto in volto. Ma, non posso perdere tempo nel truccarmi, devo andare a Bari poichè ho un appuntamento con una discendente della duchessa Maria, precisamente nel palazzo Fizzarotti, dove attualmente risiede. La mia professoressa è riuscita a strapparle un appuntamento. 

Questo palazzo riesce sempre a stupirmi, considerato che è così diverso dagli edifici che vi sono accanto. La facciata è di chiara matrice neogotica veneziana. È suddivisa in cinque arcate ogivali di diversa dimensione; la più ampia è situata al centro, mentre le altre si restringono verso i lati. Alle sua estremità sono affiancate due torri, sormontate da cupole squisitamente decorate con mosaici a foglia oro. Al di sotto del loggione, che chiude la facciata superiore, intervallati tra gli archi si trovano quattro medaglioni decorati a mosaico. Inoltre, sul prospetto, sono presenti balconi e finestre bifore e trifore in pietra merlettata, le quali creano un forte contrasto con la pietra semplice degli archi. Anche il portone d’ingresso emana (trasuda) una certa importanza, poiché di massello di quercia finemente intarsiato. Lo attraverso e, anche l’androne, è in sintonia con l’artistica facciata, situata sul Corso Vittorio Emanuele. Attraverso l’inferriata in ferro battuto, in stile liberty, si intravede la fontana del Nettuno, posta nel cortile retrostante. Deglutisco nel guardare la scalinata tutta in marmo, mentre le colonnine della balaustra sono in rosso porfirio. Sento un brivido attraversarmi la schiena, quando incrocio lo sguardo del leone marmoreo, collocato a guardia della scala. La contessa Francesca Altavilla-D’Avenia mi attende al primo piano, nel salone rosa; guardo l’orologio, sono quasi le 11.00, devo sbrigarmi se non voglio rimediare una pessima figura. Rimango incantata nel vedere i quadri che sono appesi sopra le porte; solo il rumore dei passi, proveniente dalle mie spalle, riesce a distrarmi da tutta quella bellezza presente in quel luogo. 

«Carlotta Fiore?» Mi giro e rimango piacevolmente sorpresa. È una donna che avrà poco più di quarant’anni; ha un fisico tonico e asciutto, risaltato dal semplice ma magnifico abito blu che indossa, che tra l’altro mette ben in evidenza i suoi occhi cervone; i capelli corvini, morbidamente, le ricadono sulle spalle.

«Sì, sono io. Lei è la Contessa Francesca Altavilla-D’Avenia?»

«Sono io. Però, per favore, mi chiami solo Francesca e, soprattutto, diamoci del tu, altrimenti mi fai sentire anziana.»

«Ma cosa dice?! Non avrà neanche quarant’anni!»

«Cinquantuno, cara. Prego, accomodati qui.» E mi indica la poltrona accanto a quella dove si è seduta. «Allora, di cosa vuoi parlarmi?»

«Ecco, volevo chiederle…»

«Ti vorrei chiedere.» Mi rimbecca.

«Giusto! Ti vorrei chiedere qualche informazione sulla tua antenata Maria D’Avenia.»

«Interessante, la sua storia è famosa. Mai nessuno, fino ad ora, mi ha chiesto qualcosa su di lei e sulla sua sfortunata vita. Le persone conoscono solo la sua vicenda e credono di sapere tutto su di lei, ma è tutto ciò che sanno.»

«Infatti…»

«Se posso chiedertelo, come mai?»

«Ecco, il suo omicidio è oggetto della mia tesi.»

«Si lo ricordo…però, mi chiedevo il perché. Non è usuale come lavoro di tesi.»

«Ne sono cosciente, però, se ti dico il motivo, prometti di non ridere?»

«Perché dovrei? Su dimmelo.»

«È solo una sensazione, ma l’omicidio della marchesa non mi ha mai convinto del tutto.»

«In che senso?»

«Che motivo avrebbero dei banditi di uccidere la contessa ed il suo presunto amante, lasciandoli poi in quel modo lì sulle scale?» Noto che abbozza un sorriso, fortuna che aveva promesso!

«Finalmente qualcuno con un po’ di buon senso!»

«Prego?»

«Diciamo che, le circostanze sulla morte della mia antenata non mi hanno mai del tutto convinto e, finalmente, qualcuno la pensa come me!»

«Credi anche tu che sia strano?»

«Quando avevo la tua età ho cominciato ad indagare anch’io sulla sua morte. Più leggevo e più mi convincevo che quell’omicidio fosse una farsa.»

«In che senso?»

«Come dici tu, sensazioni; però, non ho mai trovato una prova o un’evidenza, o forse non ne sono stata capace.»

«Ricorda ancora cosa ha consultato?»

«Sì, alcuni libri presenti nella biblioteca di famiglia. Se vuoi te li posso prestare.»

«Ne è sicura? Saranno libri di valore!»

«Non ti preoccupare, probabilmente saranno più utili nelle tue mani, piuttosto che nella libreria a prendere polvere. Però, ci sono delle condizioni.»

«Sarebbero?»

«Devi impegnarti a fondo e, quando avrai finito le tue ricerche, devi darmi un resoconto. Inoltre, voglio una copia della tua tesi. Affare fatto?»

«Affare fatto!»

«Perfetto! Aspettami qui, vado a prendere i libri.»

Fortunatamente non devo aspettare molto, la vedo tornare con tre libri non molto voluminosi. Hanno l’aria di essere molto antichi; spero di farne un degno utilizzo, viste le aspettative della contessa Francesca.

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Capitolo 4

 

Sono passati quasi due mesi dall’incontro con la contessa Francesca e ancora non ho toccato i suoi libri. Sono lì, sulla scrivania, che mi guardano con occhi dolci, ma mi rifiuto categoricamente di aprirli. Non che non abbia voglia o mi sia passata la volontà di proseguire la tesi; gli ultimi esami che mi mancano stanno completamente assorbendo le mie energie. Dopotutto, Metodologia della Ricerca archeologica, Storia Medievale e Agiografia non si studiano mica da sole, no? Il problema non sono gli esami in sé, ma il professore, specialmente quello della prima materia, Carmelo Silvio Fiorillo, e come si dice nel mio dipartimento: un tria nomina, una garanzia. Avete presente il tipico professore che vi incute il terrore, senza saperne il perché? Ecco, lui è il prototipo! Non parlo dell’aspetto fisico; è un uomo che ha passato i quarant’anni, né bello, né brutto. Il problema è quando apre bocca: sarebbe capace di far sentire ignorante anche Dio in persona e, credetemi, non scherzo assolutamente. Ho visto ragazzi uscire piangendo dal suo studio, solo perché avevano sbagliato di un quarto di secolo la datazione di un manufatto ceramico; o studenti sferzati dalle sue pungenti battute ironiche, solo per aver sbagliato un “misero” congiuntivo, dopo un’ora di colloquio. Ora, capite la mia ansia? Quello non è un esame in cui ti prepari ad affrontare un essere umano abbastanza normale, per quanto possa essere normale un professore universitario; trattasi, invece, di una vera e propria sfida di coraggio contro un mostro terribile. Getto lo sguardo un’ultima volta su quei tre libri; se domani andrà tutto bene, potrò finalmente cominciare a leggere, se va male…spero che la mia relatrice si riveli clemente, considerato che sarà un ulteriore ritardo sulla tabella di marcia verso la laurea.

Tutto sommato è andata molto meglio di quanto sperassi, un bel 25; esame archiviato e compleanno salvo. Eh sì, dare l’ultimo esame della triennale il giorno in cui si festeggia la propria nascita è il massimo; 13 febbraio 2014, l’inizio della fine di questa lunghissima laurea di primo livello. Vorrei riposarmi prima di uscire stasera con Giuseppe, il mio ragazzo, ma sento il senso di colpa allargarsi a dismisura, quando lo sguardo cade su quei libri. Devo darmi da fare e non solo per me; ho fatto una promessa e devo mantenerla a tutti i costi!

Non ho chiuso occhio per tutta la notte e non a causa delle ore piccole. Gli incubi sono ritornati, più forti che mai. Sogno di essere in un letto, di fare l’amore con un uomo di cui non riesco a riconoscere il volto, quando all’improvviso vengo assalita da uno sconosciuto ed accoltellata a morte. Vedo il mio corpo dilaniato e poi gettato sulle scale, esposto al ludibrio di molti e al biasimo di pochi. Ho perso il conto di quante volte ho rivissuto questa scena; ogni volta che cercavo di riaddormentarmi e ci riuscivo, ecco che si presentava puntualmente, facendomi sobbalzare diverse volte nel cuore della notte. Mi guardo allo specchio, ho un aspetto orribile: le occhiaie, amiche fedeli da quando ho memoria, sono più vistose che mai, i capelli completamente in disordine, nonostante i diversi tentativi di rimetterli in riga; ma, la parte più impressionante è il viso: è tangibile ogni minima traccia di stanchezza. L’unica nota positiva è che non devo uscire di casa, ho con me tutto il materiale che mi serve per studiare; per leggerlo tutto ci vorrà minimo una settimana. Meglio che mi dia da fare, prima che qualche altra distrazione mi faccia perdere ulteriore tempo.

Uno spreco di ore, ecco cosa è stato. Tutta la mattina è stata un buco nell’acqua. Il primo libro che mi ha dato la contessa non si è rivelato di grande aiuto, non ha aggiunto nessuna informazione utile a quelle che già avevo. Mi mancano ancora un centinaio di pagine da leggere; ma, posso dire, con quasi assoluta certezza, che non vi troverò nulla di buono. Lo lancio infastidita sul letto. Di solito non tratto così i libri, specialmente quando mi sono stati dati in prestito, però ho i nervi a fior di pelle a causa del tempo perso. Vedo lo schermo del mio telefono illuminarsi e noto una serie di notifiche. Diamine! Cinque chiamate perse da parte di Anna, nel giro di tre ore! Come minimo, appena la richiamo, vorrà farmi la pelle. Non chiama mai se non c’è un motivo valido e, quella sequenza di chiamate, sono un evento più unico che raro. Mi faccio il segno della croce e inizio a prepararmi mentalmente alla sfuriata che seguirà. Ma non è colpa mia se non ho sentito il telefono. Era impostato sul silenzioso ed appoggiato sul soffice piumone del letto; soltanto una persona con l’udito di un pipistrello lo avrebbe sentito, no?! Meglio che mi sbrighi a chiamarla, prima che il senso di colpa si allarghi a dismisura; cosa di cui non ho assolutamente bisogno, considerato che già ne sono la campionessa mondiale.

«È uno sporco maiale traditore!»

«Buongiorno anche a te, Anna!» Provo a sdrammatizzare. Non ho bisogno del soggetto, so perfettamente di chi stiamo parlando.

«L’ho colto sul fatto, mentre mi tradiva con un’altra ragazza! Capisci?!»

«Perfettamente...»

«Alla luce del sole, in pieno giorno, in uno dei bar più rinomati di Giovinazzo! Ma non è stata questa la cosa peggiore!»

E cosa può esserci di peggio?!” Penso, ma mi astengo dal dirlo ad alta voce. Il tono della mia amica non mi piace per nulla, è sull’orlo di una crisi isterica, riesco a percepirlo anche se non sono con lei. Intuito femminile, mi apostroferebbe Giuseppe scherzando.

«Ci sei?»

«Certo che ci sono! Non volevo interromperti!»

«Sai cosa ha detto quando gli ho fatto la scenata?»

“Grave errore, amica mia...” Penso. Però, oramai le uova sono rotte, meglio farsi una frittata, no?

«Che mi ha tradita perché sono frigida! Frigida! Capisci?! Dopo che l’ho assecondato in ogni porcata che mi proponeva, senza alcuna esitazione!»

«Bhe, però hai tenuto duro sul ménage...» Mi mordo la lingua. Perché diavolo la mia bocca non tace mai quando dovrebbe? I misteri della fede, quelli insondabili.

«Ti ci metti anche tu, ora? Non bastava quello stronzo?»

«Scusami, non volevo» provo a rimediare «è stata una battuta infelice.»

«Fa niente, non sono arrabbiata con te.»

«Mi ha mollato per una che ha aperto le gambe a mezza Giovinazzo!»

«E non poteva essere altrimenti!» Lo so, non sono il massimo della consolazione. Ma preferisco dire le cose come stanno, piuttosto che falsità. «Filippo può stare solo con ragazze del genere! Non ti ha mai meritata, eri troppo per lui! Lo so, ora vedi tutto nero, però credimi, è stata un’autentica fortuna.» 

«Dici?» Mi chiede con un tono supplice.

«Ne sono convintissima...Ho un’idea! Domani mattina ci vediamo all’università, così studiamo insieme e chiacchieriamo un po’? Che ne pensi?»

«Penso che tu sia un’amica...»

«Quasi quasi lo chiedo anche a Francesco…»

«E ora penso che tu sia una grandissima stronza!»

La sento ridere dall’altro capo del telefono. Tiro un sospiro di sollievo. Non è più una valle di lacrime, per quel grandissimo idiota e questo, per ora, mi basta.

«Lo so, ma sai benissimo che ho anche dei difetti.»

«Sei la solita cretina! Comunque, Carlotta, grazie mille! Ci vediamo domani. Ciao.» Chiude la chiamata senza darmi il tempo di replicare. Sa benissimo quanto i ringraziamenti mi mettono in imbarazzo. Infatti, sento il mio volto andare a fuoco.

Mi butto di peso sul letto. La mattinata intensa e infruttuosa di studio, associata alla telefonata di Anna, mi ha mentalmente stremato. Il mio movimento ha fatto aprire il libro, che avevo “delicatamente” depositato prima sul letto. Le pagine si muovono da sole pigramente, come se ci fosse una mano invisibile a sfogliarle. Non ci faccio molto caso all’inizio; poi quel movimento comincia a incuriosirmi e ad inquietarmi allo stesso tempo. Non sono mai stata una “cima” in fisica, ma quello sfogliare prima o poi dovrebbe fermarsi, poiché non c’è nessuna forza che compia quel lavoro, ed invece no! Non può essere possibile, in camera mia non ci sono spifferi ed i fantasmi non esistono, vero? Lentamente, lungo i bordi delle pagine, comincia ad apparire una scritta rossa. Mi avvicino per capire che parola sia. Le pagine cominciano a girare velocemente, quasi violentemente; vorrei dire qualcosa, ma sono completamente paralizzata e rapita da quello strano spettacolo. Arrivata all’ultima pagina, quello strano fenomeno si blocca. Una parola spicca su quell’ultima pagina bianca.

“Tradimento.”

Non riesco a reprimere l’urlo che mi si è formato in gola. Passa qualche secondo e vedo mia madre aprire la porta.

«Cosa diavolo succede qui?»

«Ho sbattuto l’alluce sul piede del letto.» Mento. Spero di essere stata abbastanza credibile.

La osservo mentre richiude la porta, non del tutto convinta della cavolata che ho detto. Quando sono sicura che sia andata via, guardo nuovamente il libro. Quella parola è ancora lì, quasi a farsi beffe di me. Cosa diamine mi sta succedendo?

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Capitolo 5

 

Le candele di sego poste sugli enormi candelabri a soffitto, assieme alle lampade ad olio, illuminano sufficientemente l’ampio salone. Sono circondata da molte persone, ai cui volti non riesco ad associare ancora un nome; è la prima festa a cui partecipo, da quando mi sono trasferita a Bari, dopo il mio terzo matrimonio lampo. Sono stata fortunata a “trovare” un uomo come Fabrizio, mi tratta molto bene, mi rispetta, non mi fa mancare nulla; però temo che ami più il suo lavoro, la sua musica, i suoi madrigali, che me. Siamo sposati da più di tre anni e posso definirmi soddisfatta della nostra relazione combinata, ad alcune mie amiche è andata molto peggio, ma non riesco ad essere felice. Mi direbbero che sono pazza a lamentarmi di un uomo del genere. Quasi subito dopo la fine del mio secondo matrimonio sfortunato, fallito a causa di un cinghiale o per meglio dire, per colpa dell’idiozia del mio defunto marito, il quale non sapeva neanche tenere una spada in mano. Voleva praticare l’arte venatoria, lui. Risultato? Ferito a morte da quella bestia! Così impara ad andare a caccia, per puro divertimento e non per qualcosa di effettivamente utile.

Gli unici momenti che condividiamo, ormai, sono quelli che ci vedono in viaggio per raggiungere la corte del Re a Napoli; quando siamo a Bari riusciamo a malapena a incontrarci, a stento condividiamo il letto coniugale una volta a settimana, con difficoltà saluta nostro figlio. Ma non era tutto così all’inizio: eravamo così passionali, così pieni di vita ed interessi comuni, passavamo ore intere a discutere di musica, che invece, ora, è diventata la causa della nostra separazione. E dire che lo aiutavo nella stesura delle partiture! Ho scritto interi spartiti per lui che, tra l’altro, apprezzava ed erano elogiati da molti. Non ho mai preteso la maternità o la paternità di quei brani, mi andava benissimo che si prendesse lodi dovute al mio genio ed al mio lavoro. Cosa è successo tra di noi? Non me lo so spiegare ancora. Ho rinunciato a tutti gli eventi mondani di Bari per aiutarlo nel suo lavoro, per cosa? Per vederlo allontanarsi da me.

Cerco con lo sguardo la mia accompagnatrice, la contessa Giovanna Di Malaspina; la vedo intenta ad intrattenere diversi uomini, vorrei essere come lei! Vorrei sentirmi anch’io a mio agio tra queste persone che non conosco, invece i miei problemi personali mi impediscono di godere appieno di questa bella serata. La sua risata argentina giunge chiara e melodiosa alle mie orecchie, a provocargliela è l’uomo che mi dà le spalle. Riesco a vedere solo i suoi riccioli biondi, ma i lineamenti del suo volto mi sono negati. Deve essere un tipo molto divertente, considerato il modo in cui sta facendo sorridere la mia amica. Evento alquanto inusuale, considerato che di solito si esprime per mugugni. Giungo nelle loro vicinanze, vedo quel misterioso viso e non posso che rimanere ammaliata da quello sguardo. Quei boccoli incorniciano perfettamente il suo volto volitivo. Mi sento nuda di fronte a quegli occhi azzurri, che sembrano scrutare la mia anima. Non riesco a non arrossire e mille pensieri poco casti affollano la mia mente. Bello da togliere il fiato. Un angelo. Prima d’ora mai nessun uomo mi aveva provocato tale sensazione, ed è molto strano. Penso che se restassi ancora un po’ vicino a lui rischierei di prendere fuoco.

«Maria!» Dice contenta la mia amica «Ti stavo per chiamare, mi hai anticipata!»

Come sempre l’etichetta non è mai stato il suo forte, ma ciò che mi piace di lei è proprio questo: l’essere costantemente fuori dagli schemi, che questa società ha imposto a noi donne. Non ha paura di parlare alla pari con gli uomini; non si è mai fatta piegare dalla volontà dei suoi genitori, nel dover sposare un determinato uomo per esigenze familiari. Uno spirito libero, una persona determinata, che non ha mai avuto paura nel mostrare chi è veramente. Un po’ la invidio, vorrei essere tanto come lei, ma non ne ho la forza. Se l’avessi avuta non mi ritroverei incatenata nuovamente in un matrimonio senza amore.

«Non vi volevo disturbare, stavate così amabilmente discutendo...»

«Duchessa Maria, lei non disturberebbe neanche se ci mettesse tutto l’impegno di questo mondo.»

Sono sicura di essere andata a fuoco; non tanto per il complimento che mi ha rivolto, quanto per il suono melodioso della sua voce. Bellezza, galanteria e musicalità, tutte caratteristiche riunite in una sola persona. È un angelo, ora ne sono del tutto sicura. Non posso non rimanere ammaliata da quest’uomo affascinante e, per ora, misterioso.

«Conosce il mio nome, ma io non il suo...»

«Che imperdonabile mancanza di rispetto ho commesso nei suoi confronti, duchessa. Sono il marchese Carlo d’Avalos. Spero possiate perdonare la mia maleducazione.»

«Non si preoccupi marchese, stavo scherzando! Come potrei prendermela con un uomo che è stato così galante nei miei confronti! E poi, per una cosa di così poco conto!»

«Lei è troppo buona, contessa. Mi farebbe l’onore di essere la mia compagna, alla rappresentazione dello spettacolo, che avrà luogo a breve?»

«Ci sarei anche io qui!»

«Mi scusi contessa Di Malaspina, non volevo mancarle di rispetto.»

«Non si preoccupi Carlo. In realtà, non ho la minima voglia di assistere alla rappresentazione teatrale, che vede protagonista il principe De Bellis; è un pessimo attore, anzi, un cane.»

Non posso fare a meno di ridere. Quella donna è fin troppo spontanea quando parla; dovrebbe imparare a contare fino a dieci, altrimenti, prima o poi, si ritroverà in qualche guaio.

«Sei una pessima amica, sai? Mi vuoi lasciare da sola tra questi sconosciuti!»

«Ma se hai appena trovato un cavaliere! Sono sicura che il Marchese D’Avalos sarà all’altezza del ruolo. Vero?»

«Assolutamente, ne va del mio onore!»

«Visto? Sei una donna fortunata! Ora vado a farmi notare dalla principessa, così non potrà dire nulla sul mio conto. A presto, cari.»

 

Giovanna ha fatto una scelta senza dubbio lungimirante. Aveva ragione su tutta la linea, il principe De Bellis è un autentico cane! Ma, ahimè, non è questa la cosa peggiore. A qualsiasi latitudine, le rappresentazioni teatrali messe in scena in casa, finiscono sempre allo stesso modo: con qualcuno che vomita il vino bevuto in eccesso, dietro ad un paravento! Devo ammettere che, chiunque sia a rimettere, abbia la capacità di attirare l’attenzione molto più di chi sta su quel palco improvvisato. Mi guardo intorno, potrei andarmene senza che nessuno se ne accorga, ma ho un po’ di timore. È abbastanza buio e molti degli invitati stanno dormendo beatamente sulle sedie, disposte nell’ampio salone. Solo due paia di occhi azzurri mi scrutano.

«Vuole fuggire anche lei da questo strazio, contessa Maria?»

«Si, ma non saprei dove andare.»

«Mi segua.»

«E se il principe dovesse accorgersene?» Chiedo titubante. Lo vedo scrutare il palcoscenico con aria assorta.

«No, è troppo preso dalla sua arte per accorgersi di noi.»

«Ne è sicuro?»

«Abbastanza, però…»

«Però?»

«La scena è quasi al termine e, a breve, inizierà l’inframezzo musicale. Potremmo approfittare di quel momento. Cosa ne pensa?»

«Credo sia un’ottima idea.»

Carlo ha avuto ragione. Oddio, ora lo chiamo anche per nome! L’inframezzo musicale ha coperto la nostra fuga. Inoltre, mi ha condotto  attraverso stanze e corridoi dell’enorme villa, di cui neanche conoscevo l’esistenza. La sua mano calda mi fa sentire sicura, ma allo stesso tempo scombussolata. Può, un semplice contatto fisico, causare tante emozioni contrastanti tra loro? Evidentemente sì! Gli strattono un po’ il braccio. Questo vestito ingombrante, associato al busto che sono costretta ad indossare, mi fanno respirare a fatica. Sembra intuire la natura della mia richiesta; rallenta il passo fino a fermarsi.

«Mi perdoni contessa. Il mio incedere era troppo veloce, vero?»

«Non è colpa tua Carlo.» Ecco, ora gli ho dato anche del tu, oltre che chiamarlo per nome. La mancanza d’aria sta giocando brutti scherzi!

«Posso darle anch’io del tu?»

Mi guarda intensamente e non posso che rimanere estasiata e allo stesso tempo imprigionata in quegli occhi azzurri.

«Certo.» Balbetto. È decisamente per la mancanza d’aria che gli ho permesso di comportarsi in modo simile, non perché ho il cervello completamente fuso!

«Mi onori, Maria.»

Quel tono basso e profondo, con cui pronuncia il mio nome, mi fa rabbrividire di piacere. Siamo nel bel mezzo del giardino della villa del principe; nascosti alla vista di eventuali visitatori inopportuni, grazie all’alta siepe che recinta quel paradiso floreale. Inoltre, a causa della luna nuova, la visibilità è molto ridotta. Sento le sue mani risalire lungo la mia schiena. Lentamente, si infilano tra i miei lunghi capelli castani. Sento il suo corpo sempre più vicino al mio. So che tutto questo è sbagliato, ma non riesco a staccarmi da lui. Sono come una falena attorno alla fiamma d'una candela: posso bruciarmi, prendere fuoco, ma ne sono inesorabilmente attratta. Vedo la sua bocca carnosa ed invitante sempre più vicina alla mia, avverto il suo respiro sulla mia pelle e non posso fare a meno di gemere. La mia testa diventa sempre più leggera; il suo sguardo occupa tutta la mia visuale, i suoi occhi incantevoli sono leggermente socchiusi. Sento le sue labbra sulle mie e…

 

Il rumore della sveglia mi fa sobbalzare all’improvviso dal letto. Maledizione! Una volta tanto che stavo facendo un sogno così piacevole, anche se molto strano. Sembrava molto reale, per essere un prodotto del cervello durante il riposo. Guardo la sveglia, segna le 7.00 del mattino; ne approfitto per andare in bagno, prima che si sveglino tutti.

Una bella doccia, a prima mattina, è proprio ciò che serve per riprendersi completamente, oltre a far apparire il mondo un posto, decisamente, migliore. Con il palmo della mano destra tolgo il leggero strato di vapore, che si è posato sul vetro sopra il lavabo. Sobbalzo. Una donna vestita con abiti eleganti seicenteschi, dai lunghi capelli castani e dai begli occhi verdi mi sorride allo specchio. I suoi candidi denti bianchi sono messi in mostra da quel sorriso sereno. Il suo volto è di una bellezza disarmante, tutto è perfetto: dal naso piccolo leggermente all’insù, ai suoi zigomi alti. È identica alla protagonista del mio sogno. Mi giro inquieta, ma non vedo nessuno alle mie spalle. Mi volto nuovamente verso lo specchio; lei è ancora lì, ma qualcosa è cambiato nel suo sguardo. Il sorriso è sparito, lasciando il posto ad un’espressione dolorosa. Vedo un rivolo di sangue uscire da quella bocca piccola e carnosa, successivamente lacrime di sangue sgorgano dai suoi occhi. La pelle lentamente inizia a staccarsi, mettendo a nudo il teschio. Sul vetro comincia ad apparire una scritta: “Cercami.”

Urlo.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Capitolo 6

 

Una volta tanto, ringrazio i costanti ritardi della compagnia ferroviaria che sono costretta a prendere. Sono ferma allo scambio ferroviario di Triggiano da più di dieci minuti, in attesa della fantomatica coincidenza, che chissà quando arriverà. Poggio la testa contro il freddo vetro del finestrino, in cerca di ristoro. Più penso a quello che ho visto questa mattina in bagno e più il mio cervello si lancia verso ragionamenti astrusi e folli. Il problema è che non può esserci una spiegazione logica a quello che mi è accaduto, perché sono sicura che quella visione era reale. Ok, normalmente sarei la prima a dire che i fantasmi non esistono, sono soltanto una proiezione della nostra psiche, di ciò che vogliamo vedere e via discorrendo; ma, chi vorrebbe vedere una nobildonna del Seicento, alla quale il viso si decompone? Nessuno! Ma la cosa peggiore è stata trovare una scusa plausibile da dare alla mia famiglia, per quell’urlo disumano che ho emesso a prima mattina. Sono scivolata uscendo dalla doccia, che cavolata! Infatti, non se la sono bevuta, mi hanno lasciata in pace solo perché sapevano che avevo un impegno a Bari, oltre al fatto che sono molto irritabile prima della solita tazza di caffè mattutina. Il treno ha finalmente ripreso la sua corsa verso la mia meta. Mi specchio al vetro, ho un aspetto alquanto trasandato, onestamente non m’importa più di tanto. Vorrei soltanto capire cosa ultimamente mi stia accadendo, perché mi sembra che abbia perso il controllo degli eventi della mia vita. Probabilmente ho solo bisogno di riposare, ma non me lo posso permettere. Siamo quasi a fine febbraio ed ho scritto pochissimo, ma non è quella la cosa che mi preoccupa di più. Ciò che mi fa andare in ansia è il materiale che ho trovato, veramente poca roba; nulla di interessante o di nuovo, rispetto a quanto è stato già edito in passato.
 
Anna mi sta già aspettando vicino al bar, che è situato nei pressi della sede distaccata di Bari vecchia; anche il suo aspetto non è dei migliori. Ha delle occhiaie vistose ed i capelli non sono in perfetto ordine, come al solito; inoltre, sembra che abbia preso degli indumenti a casaccio dall’armadio e li abbia indossati; diciamo che il suo aspetto ricorda vagamente i quadri di Pollock e, se per caso ve lo state chiedendo, no, non è affatto un complimento, almeno da parte mia. Personalmente non mi sarei mai ridotta in quello stato, per quella sottospecie di essere vivente. Spero che passi il più presto possibile questa fase; non se lo merita per nulla, non per Filippo, che l’ha solo usata per i suoi porci comodi.
«Ciao, Anna. Ti sei svegliata di soprassalto oggi?»

«Divertente, Miss Chipmounk. Ti sei vista allo specchio per caso?»
Roteo gli occhi al cielo, odio quel nomignolo con tutta me stessa, ma ho la mia dose di colpe. Dopotutto ho iniziato io a “sfottere”. Se per caso vi state chiedendo da dove derivi quel soprannome, bhe, è tutta colpa del mio primissimo scavo, effettuato presso il parco archeologico di Egnazia. Quel simpaticone, ma competente, del supervisore ebbe la felice idea di soprannominarmi così dal primo giorno di tirocinio e da allora non me lo sono più levato di dosso.
«Touché, Anna. Hai ragione, ho un aspetto orribile anche io. Guardiamo il lato positivo! Conciate in questo modo nessun ragazzo si vorrà avvicinare!»
«Data la mia ultima esperienza, non voglio sentire parlare di ragazzi almeno per un paio d’anni!»
«Sei la solita esagerata! Semplicemente, come ti ho sempre detto, Filippo non era innamorato di te. Anzi, era interessato solo alla tua abbondante quarta coppa D.»
«Grazie per rigirare sempre il coltello nella piaga, Chipmounk.»
«Lo sai che a consolare sono la migliore. Andiamo a bar?»


La colazione è andata molto meglio di quanto credessi; non pensate a male, ho mangiato solo un cornetto, integrale ovviamente, e un cappuccino. Dopo la sfuriata di ieri al telefono mi aspettavo la mia amica a pezzi, invece l’ho trovata lucida e risoluta nell’analizzare la sua situazione sentimentale. Non sono una persona che nutre molta fiducia nel genere umano, considerato che reitera i soliti errori da quando esiste ma, nel caso di Anna, sento di poter fare un’eccezione! Credo, che abbia veramente imparato la lezione. Mai sminuirsi o farsi sottomettere per nessuna ragione al mondo, ma trovare una persona che ci ami così come siamo, con cui condividere un percorso di crescita. Ora spero solo che Francesco si dia una mossa, o giuro che lo spingo tra le braccia della mia amica a suon di calci nel sedere!
 
Anche la mattinata di studio si è rivelata utile. Se il primo libro dato dalla Contessa Francesca si è rivelato del tutto inutile, il secondo, invece, è stato alquanto ricco di sorprese. Interessante è stata la teoria avanzata da alcuni studiosi, secondo i quali sarebbe Maria la vera artefice della fortuna del terzo marito: Fabrizio. Alcuni esperti di musica rinascimentale hanno analizzato la produzione musicale, del signore di Troia, prima e dopo il suo matrimonio con Maria ed hanno notato un enorme balzo in avanti nella qualità della sua composizione dopo questo evento. Questo dato non sarebbe risultato strano se non fosse che, dopo la morte della moglie, la musica del marchese si è attestata nuovamente su livelli mediocri. Questo sfasamento ha portato i vari studiosi ad avanzare l’ipotesi secondo la quale, in realtà, fosse Maria la vera autrice delle varie partiture e non Fabrizio; non essendo mai riusciti a trovare un singolo documento firmato da lei, per quanto affascinante e dotata di una certa logica, questa teoria, è rimasta sempre e solo tale. Questo sì che è un risvolto abbastanza interessante per i miei studi. La Teodosi aveva proprio ragione: “Non sai mai dove una ricerca ti potrà condurre!” è proprio vero. Ma, se questa notizia è stata molto interessante, quella che ho letto successivamente mi ha fatto rimanere ancora più di stucco. Subito dopo la morte della Duchessa, per ordine regio, sono state sequestrate tutte le sue corrispondenze epistolari e, nel corso del tempo, la casata Del Ginepro ha acquisito tutti i documenti scritti o che nominavano Maria D’Avenia. Una volta acquisiti tutti, nessuno è stato più in grado di visionarli. Anche i discendenti, nonostante fossero passati anni dall’omicidio irrisolto, non hanno permesso che fossero esaminati. L’ultima discendente dei Del Ginepro è morta nel 1829, dopo un parto alquanto difficile; si era sposata qualche anno prima con Domenico De Gemmis, giovane rampollo di una famiglia nobile terlizzese, in ascesa proprio in quegli anni.  Grazie a questo matrimonio, tutte le proprietà dei Del Ginepro passarono ai De Gemmis. Nel 1960, per opera della generosa iniziativa di Gennaro De Gemmis, venne fondata la “Biblioteca Provinciale di Bari”, che oggi porta il nome del benefattore. Alla fondazione contribuì con denaro e donando il suo intero patrimonio librario. Non ho potuto far a meno di sobbalzare dalla sedia. Incredibile! Tutto quello di cui ho bisogno è letteralmente a pochi passi da me. La biblioteca de Gemmis è praticamente alle spalle della sede distaccata dell’università! Non so se esultare per il mio colpo di fortuna o per il fatto che, dopo molti decenni, potrei essere la prima persona a leggere gli incartamenti della Duchessa.
Continuerei molto volentieri nella mia lettura, ma il tamburellare nervoso di alcune dita, sul piano di legno della scrivania, mi deconcentra. Alzo lo sguardo e trovo l’espressione cupa di Anna.
«Allora stakanovista, ti decidi a fare una pausa pranzo di tua spontanea volontà o ti devo trascinare di peso?»
«Ho scelta?»
«L’hai mai quando si tratta di pause o cibo?»
«No.»
«Esattamente! Chiudi tutti i tuoi amati libri e andiamo a mangiare, ho una fame pazzesca.»
Quella ragazza è una cosa assurda, anzi, improbabile come direbbe Sheldon Cooper; mangia come se non ci fosse un domani e non ingrassa. Vorrei sapere dove finiscono tutte le calorie che ingurgita; mi basta guardarla di profilo per intuire quale sia la loro destinazione: le sue tette. Mi alzo di malavoglia prima che l’invidia mi spinga a fare qualcosa di avventato, come scagliarle questo vecchio libro su quella graziosa chioma biondo cenere; e anche oggi inizio la dieta domani.
 
Io ho qualche rotella fuori posto, non può esserci altra spiegazione logica o razionale! E dire che il pranzo stava scivolando via molto allegramente, grazie alla ritrovata verve di Anna. Tutto questo finché non ho cominciato a notare qualcosa di strano. Insomma, non è proprio normale vedere una dama del Seicento, vestita di tutto punto, nel locale dove si sta pranzando. All’inizio avevo pensato ad uno scherzo, poi mi sono accorta che non era affatto così. La donna in questione era identica a quella del mio sogno, anzi incubo, ed era lì che mi fissava, mentre mangiavo, con aria assente. Ho dovuto faticare, e non poco, per mantenere l’autocontrollo, altrimenti avrei cominciato ad urlare come un’ossessa; cosa che ultimamente sta diventando un’abitudine, purtroppo. Ha continuato a guardarmi fin quando non sono uscita dal locale con Anna, poi è sparita all’improvviso. Non so più cosa pensare; più ci rimugino su e più non riesco a trovare una soluzione logica. Forse è meglio che mi rimetta a studiare, magari occupare la mente mi distrarrà da questi oscuri pensieri. Riprendo dal punto in cui mi ero interrotta e noto subito qualcosa di strano. Su ambo le pagine a cui avevo apposto il segnalibro ci sono delle parole cerchiate in rosso; inizio a leggerle e mi si gela il sangue nelle vene.

“Ti ho scelta come mia erede. Scoprirai la vera storia di Maria D’Avenia.”


Mi precipito fuori dalla biblioteca, noncurante degli sguardi straniti delle persone lí presenti. All’improvviso quel posto a me tanto caro, è diventato ostile. Ho bisogno di una boccata di ossigeno. Subito!

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo 7

 

Ormai sono settimane che guardo sempre accigliata la tazza del caffè di prima mattina. No, non ho mai sofferto di quel comune disturbo per il quale non si può parlare ad una persona, prima che abbia bevuto la bevanda magica, che fa sembrare il posto un mondo migliore. Fortunatamente, le mie capacità cognitive sono subito attive, non appena mi sveglio. Però, ultimamente, non sembra essere affatto così. Sono rare le notti in cui riesco a dormire serenamente, ormai gli incubi sono diventati un costante tormento, ogni qualvolta mi addormento. I sogni piacevoli sono diventati una rarità, come quello che ho fatto qualche giorno fa, di cui ricordo veramente pochissimo; l’unica cosa sicura è che mi ha lasciato addosso una sensazione piacevole.

È una settimana che non vado all’università. Dopo quella specie di attacco di panico che ho avuto, non me la sono sentita più di ritornarci. Credo che con quella fuga precipitosa mi sia giocata la mia scarsissima credibilità. A mia discolpa, posso dire che in quel momento il mio cervello è andato nel panico totale; dopotutto, chi non andrebbe in crisi in quel modo, dopo aver letto una scritta del genere?  Ma non è questo l’aspetto peggiore. La mancanza di sonno sta giocando dei brutti scherzi al mio umore, che sta diventando molto ballerino. Non di rado mi capita di avere degli scatti d’ira per degli episodi veramente insulsi; situazioni su cui, fino a qualche settimana fa, neanche ci avrei fatto caso. Ieri sera ho fatto una scenata a dir poco assurda a Giuseppe, perché era venuto all’appuntamento con soli due minuti di ritardo. Devo chiedergli scusa immediatamente, non meritava di essere trattato in quel modo. Anche in famiglia le cose non vanno meglio, ugualmente subiscono i miei costanti sbalzi d’umore. Infatti, sono diversi giorni che mi riservano sguardi a dir poco inquietanti. Devo fare ammenda con parecchie persone. Non sono così, non lo sono mai stata! Ultimamente queste visioni sia oniriche, che ad occhi aperti, mi stanno mandando fuori di testa. Forse, dovrei chiedere l’aiuto di un professionista. Magari mi aiuterebbe a capire cosa mi sta succedendo, ma ci voglio pensare bene, magari è solo un momento dovuto al forte stress a cui mi sto sottoponendo. 

«Se continui a girare il cucchiaino nella tazzina, rischi di bucarla…»

La voce di mio fratello mi ridesta dai miei pensieri. Mi guarda con aria leggermente preoccupata, il che è una novità assoluta.

«Come?!»

«È da cinque minuti buoni che stai rigirando il caffè con aria assente. Mi vuoi dire cosa ti sta succedendo?»

Mi mordo il labbro inferiore con i denti, fino a farlo quasi sanguinare. Cosa posso rispondergli? Non so neanche io cosa mi sta accadendo di preciso. Devo dirgli che sogno di venire uccisa brutalmente, quasi ogni notte? Che all’improvviso appaiono delle scritte, alquanto strane, sui libri che consulto per la tesi?  Che ho visto una donna in abiti seicenteschi nel riflesso del vetro del bagno e poi per strada? Non riesco a capacitarmene io, figuriamoci se riesco a dirlo?! Sicuramente mi prenderebbe per pazza! Ed avrebbe anche ragione!

«Niente Nico, sono solo stressata e sai benissimo come reagisco quando sono sotto pressione…»

«Sai che non me la bevo questa cazzata, vero?»

«Cosa vuoi dire?»

«Che sei una pessima bugiarda, lo sei sempre stata. Quando menti arrossisci sempre.»

«Non sto arrossendo! Ho solo caldo.»

«Immagino che i sei gradi fuori per te siano una temperatura tropicale, considerato che hai caldo.»

«Sei il solito idiota! Sono solo in quei giorni lì…»

«Certo…Ascoltami, non voglio forzarti, ma vederti così tesa e stressata mi preoccupa un po’. Devo preoccuparmi?»

«No, è solo un periodo un po’ storto e pieno di cose da fare. Dammi un po’ di tempo e vedrai che tornerò la solita rompiballe.»

«Lo spero.»

«Ci puoi contare!»

Bene ho fatto preoccupare anche Nico, che di solito è quello più imperturbabile della famiglia. È quasi fuori dalla cucina, quando si volta nuovamente verso di me.

«Ah, dovresti chiedere scusa a Giuseppe. Ieri sera le tue urla si sentivano fin qui…e siamo al terzo piano. Sai benissimo che se provi a lasciarlo ti disconosco come sorella.»

Ed eccolo che è ritornato il solito stronzo, ma non posso far a meno di sorridere. Sentivo la necessità di questo sprazzo di normalità. Seguo immediatamente il suo consiglio, corro subito a chiamare Giuseppe.

Parlare con Nico, anche se non gli ho rivelato la verità, mi ha fatto veramente bene, oltre che piacere. Se quel testone di un fratello mostrasse più spesso il suo lato umano ne sarei molto felice, ma mi accontento delle piccole vittorie.

 

Per essere metà marzo è davvero caldo. Ebbene sì, dopo diversi giorni di clausura ho deciso di uscire nuovamente di casa, dopotutto una tesi ha bisogno di molte ricerche, no? Il terzo libro che mi ha prestato la contessa Francesca si è rivelato pieno di spunti interessanti su cui far luce, ma sono problematiche che voglio affrontare in un secondo momento; ora voglio concentrarmi sul fondo De Gemmis. Dalla biblioteca nazionale non ho ancora ricevuto risposta: dopotutto cosa saranno mai quasi tre mesi di attesa, per avere un responso? Dalla biblioteca De Gemmis hanno riposto in giornata, appena qualche ora dopo aver inviato la mail e questo depone molto a loro favore. L’ingresso è sotto un arco di pietra calcarea con volta a crociera. Appena entrata, l’odore della carta stampata mi investe inebriandomi. Inspiro a pieni polmoni quel dolce profumo; è una delle fragranze che amo di più. Non giudicatemi male, ognuno ha i suoi gusti, i miei sono solo un po’ strani, tutto qui. Alla reception c’è ad attendermi una signora un po’ paffutella, dai lunghi capelli neri, intenta a parlare con un ragazzo che sembra avere la mia età. L’espressione che mi rivolge è a dir poco supplice; ho come la vaga impressione che voglia essere salvato dalla sua collega, che lo sta subissando di chiacchiere.

«Buongiorno, sono Carlotta Fiore. Ho un appuntamento con la Dottoressa Costa alle 10.00. Sono un po’ in anticipo, spero non sia un problema.»

«Buongiorno», risponde prontamente il ragazzo «non credo. Francesca, puoi chiamare la Dottoressa?»

Della conversazione telefonica capisco ben poco. Parla talmente veloce, che ci vorrebbe un interprete per capire cosa dice. Forse riesco a intuire perché il ragazzo mi abbia rivolto quella muta richiesta di soccorso. La voce del portiere mi riporta alla realtà.

«Prego, mi segua. La Dottoressa è al primo piano, nel suo ufficio; le faccio strada.»

«Per favore dammi del tu, abbiamo la stessa età!» Gli dico mentre saliamo le scale.

«Hai quasi trent’anni anche tu?»

Lo guardo scioccata, non può avere l’età che mi ha detto! Non la dimostra per nulla.

«Mi prendi in giro.»

«Sono serissimo, ma stai tranquilla, non sei la prima che reagisce in questo modo.» Mi sorride leggermente compiaciuto. «Cosa studi?»

«Fra qualche mese mi laureo in Beni Culturali, poi proseguirò con Archeologia.»

«Allora sarai una futura collega!»

«Come?!»

«Anche io sono laureato in Archeologia. Archeologo non praticante per la precisione.»

«In che senso?»

«Che considero quello dell’archeologia un capitolo chiuso della mia vita. A quasi trent’anni non avevo ancora voglia di avere la testa china sui libri, per chissà quanti altri anni. Siamo arrivati. La seconda porta a sinistra. A dopo!»

La dottoressa Costa è una signora di mezz’età molto graziosa. Non è molto alta, all’incirca quanto me, ed ha un fisico molto asciutto. I capelli neri, che ricadono morbidamente sulle spalle, incorniciano l’incarnato ambrato del suo viso. Fin dal primo momento si è dimostrata cortese, disponibile e molto interessata alla mia ricerca. Mi ha rivelato di essere la prima persona, di cui avesse memoria, che chiedeva di quella particolare sezione del fondo librario.

«Sei la prima dopo quattrocento anni che potrà leggere la corrispondenza di Maria D’Avenia.»

«Davvero?»

«Certo! Anche la famiglia De Gemmis ha continuato a negare l’accesso a quegli incartamenti. Ma, avendoci donato tutta la loro collezione libraria negli anni Sessanta, possiamo disporne come meglio crediamo.»

«È una notizia fantastica! Quando posso cominciare le ricerche?»

«Da subito. Vieni, ti accompagno nella sala in cui è custodito il fondo. Non ti verrà a disturbare nessuno, è una stanza riservata alla ricerca.»

I tre faldoni presenti sul tavolo superano di gran lunga le mie aspettative: traboccano di documenti! Ogni folio è conservato in una speciale cartellina trasparente, in modo tale da poter visionare, senza nessuna difficoltà, il contenuto.

«Tutti questi documenti sono stati digitalizzati, in modo tale che nessuno tocchi direttamente con mano gli originali. Ogni cartellina ha un proprio codice: è sufficiente inserirlo nel database sul pc, collocato su questa scrivania, per poter accedere alla copia digitale. Ti lascio i faldoni, in modo tale da poter avere un riferimento cronologico: tutta la documentazione è in ordine temporale. Ovviamente, non devi mai sfilare i documenti dalle loro cartelline, intesi?»

«Certo! Non si preoccupi! Se avessi la necessità di stampare qualche documento?»

«Puoi farlo tranquillamente. Potrai prendere i documenti stampati dalla fotocopiatrice alle nostre spalle. Direi che è tutto. Se hai bisogno del mio aiuto digita venticinque sul telefono qui presente. È il mio interno. A dopo!»

«Grazie mille dottoressa, a dopo!»

Sono ore che leggo senza sosta tutta la documentazione che mi capita sotto mano. Gli occhi iniziano a bruciare, ma non riesco a staccarmi dallo schermo; le notizie che sto leggendo sono davvero incredibili. Nessun libro che ho consultato fino ad ora si era avvicinato a quanto scritto qui dentro, solo quelli che mi ha affidato la contessa sono leggermente paragonabili a quanto trovato. Devo trattenermi dallo stampare tutto il materiale o rischio seriamente di finire tutta la risma di carta presente nel vassoio della fotocopiatrice. Guardo l’orologio e impallidisco: le 14.30 ed ho il treno alle 15.08. Praticamente ho a malapena il tempo di chiudere tutto e precipitarmi in stazione, considerato che sono venti minuti di camminata.

Prendo i fogli dal cassetto e comincio a sfogliarli velocemente, per controllare che tutte le stampe siano venute correttamente. Sono quasi a metà quando noto qualcosa di strano. Un’immagine. Sono sicura di non aver stampato nulla del genere. Guardo meglio il foglio ed impallidisco. Sulla pagina è raffigurato il volto della donna che ho visto nello specchio del bagno di casa, che mi fa l’occhiolino.

Sento le forze venire meno.

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


 Capitolo 8


Sono riuscita a prendere il treno per il rotto della cuffia. Ho ancora il cuore che batte a mille, nonostante sia seduta da oltre dieci minuti sul sedile del mezzo. I fantasmi non esistono, i fantasmi non esistono! Eppure io ne vedo uno e fa tiri mancini non indifferenti! Ok, Carlotta, ripeti: i fantasmi non esistono, finché non ti convinci di questo assioma. 

Poggio la testa contro il vetro del finestrino, i tiepidi raggi solari di marzo lo rendono piacevolmente caldo al tatto. Chiudo gli occhi e continuo a ripetere mentalmente quel mantra, fino allo sfinimento. Cosa mi sta succedendo? Quello che vedo, quello che mi accade, non può essere descritto come un fenomeno naturale. Non credo di avere qualche malattia che mi provochi allucinazioni. Mi sento fisicamente bene; certo, mentalmente un po’ meno, ma non credo che lo stress da studio alteri la percezione della realtà! Eppure quelle scritte, quelle immagini, quelle visioni, non posso essermele inventate di sana pianta, che motivo avrei? Forse dovrei parlarne con qualcuno, ma ho paura. Nel migliore dei casi sarei fraintesa, nel peggiore riterrebbero un TSO indispensabile e non credo di essere così fuori di testa da meritare di finire rinchiusa in qualche istituto psichiatrico. Però, se chiedessi aiuto ad uno specialista, magari potrebbe trovare una spiegazione logica a quello che mi sta accadendo. Forse sono più stressata di quello che penso, o magari ci sono delle situazioni che ritengo marginali, che in realtà stanno incidendo sulla mia psiche, facendomi vedere e pensare cose assurde. Probabilmente sarà così, non può esserci altra spiegazione razionale a questi fenomeni. Domani mattina mi metterò alla ricerca e poi mi toccherà affrontare mia madre. Dovrò usare tutta la diplomazia di questo mondo, per farle capire che non c’è nulla di male nel chiedere un aiuto psicologico; ma si sa, a volte è più facile spezzare un atomo che un pregiudizio.

Un lieve tocco sulla spalla destra mi fa leggermente sobbalzare, distraendomi dai miei pensieri. Noto con sorpresa che è il mio amico Daniele.

«Dani, ma cosa ci fai su questo treno? Hai cambiato paese e non me lo hai detto?»

«Buongiorno anche a te Carlotta, noto che la tua memoria continua ad essere il tuo punto forte!»

Lo guardo un attimo spaesata. Il suo ghigno divertito si allarga sempre più sul suo volto, mettendo in mostra i suoi candidi denti bianchi. Poi un’illuminazione!

«Azetium!»

«Ci sei finalmente arrivata, Miss Chipmounk!»

Roteo gli occhi, oggi decisamente è la mia giornata no. Prima Anna con questo nomignolo, poi il fantasma simpaticone che decide di farmi visita attraverso una stampante e poi Dani, nuovamente, con questo soprannome. Ho per caso pestato i piedi a qualche divinità, senza che me ne sia accorta? È l’unica spiegazione logica a questo periodo alquanto contorto!

«Ho un appuntamento con la direttrice del Museo archeologico di Rutigliano alle 16.00. Te lo avevo detto qualche giorno fa, quando ti ho chiesto dove si trovasse e come arrivarci dalla stazione. Ricordi?»

Noto che assume un’espressione mista tra il disperato e il divertito. Probabilmente, mi si legge in faccia che non abbia la più pallida idea di cosa mi stia dicendo.

«Buon dio, sei veramente un caso disperato di memoria a brevissimo termine inesistente. Un giorno di questi riuscirai anche a dimenticarti la testa.»

«Sei il solito stronzo!» E inizio a ridere. «Scusami se non riesco a tenere a mente tutti i tuoi impegni. Però, ti ricordo, che la segretaria va pagata per essere efficiente.»

«Ma io ti pagherò, appena avrò un lavoro, ovvero tra venti o trent’anni, considerata la bassa percentuale di occupati per il nostro ramo di studi e il precariato dilagante.»

«L’ottimismo è il profumo della vita…»

«Sono realista, lo sai benissimo.»

«Se per realista intendi il superlativo assoluto di disilluso.»

«Oh, a quanto vedo, qualcuno apprezza i miei aforismi.»

«I tuoi aforismi, certo come no!? Che hai biecamente copiato dal forum di Spinoza.»

«Sottigliezze, ciò che conta è che lo abbia eletto a mio personalissimo motto di vita.»

«Te lo ha mai detto nessuno che non stai bene di testa?»

«In molti, tu in primis. Ma ormai ho accettato questo mio modo di essere, tant’è vero che  quando mi presento alle persone dico: “Piacere, sono Daniele e sono mentalmente deviato!”»

Non posso che scoppiare a ridere. Dani è un pazzo, ma di quelli buoni. Nonostante finga di essere una persona cinica e sprezzante, ha un cuore d’oro; oltre ad avere una mente brillante, considerato che ha una media del trenta e all’attivo già diversi scavi. Se dovessi puntare su qualcuno come futuro professore universitario, bhe, punterei tutto su di lui!

«Dici che questo macinino ce la farà ad arrivare a Rutigliano?»

«Abbi fede, arriverai alla tua meta. Ci impiegherai il doppio del tempo normale, ma arriverai a destinazione.»

«Come va con la tesi? Hai fatto progressi rispetto all’ultima volta?»

«Non ci crederai, ma ho fatto una scoperta interessantissima. Era Maria D’Avenia la compositrice di casa!»

«Davvero?! Fedifraga e di talento, interessante.»

«Ehi, non ti permetto di parlare male della persona oggetto dei miei studi. Se il marito fosse stato più presente, probabilmente non avrebbe ricercato attenzioni altrove.»

«Giusto! Hai ragione. Quindi Maria componeva musica per il marito…la Teodosi sarà entusiasta di questa scoperta.»

«Già…»

«Dai su, dimmi cosa ti preoccupa. Le persone normali esulterebbero per il risultato che hai ottenuto, ma tu no. Perché?»

«Non ho fatto passi avanti riguardo il suo misterioso omicidio.»

«Dici? A me non sembra.»

«In che senso?»

«Hai un possibile movente tra le mani: il marito geloso del suo talento…»

«Lo aiutava volentieri, lo dice anche nelle sue lettere!»

«In quelle che hai letto fino ad ora, le hai lette tutte?»

«No, ci vorranno giorni.»

«Allora segui un mio consiglio, una volta tanto: domani contatta la tua relatrice per fissare un incontro, nel frattempo leggi più missive che puoi. Secondo me qualcosa d’interessante, più di quello che hai trovato, salterà fuori.»

«Dici?»

«Dico! A proposito di fedifraghi, come sta Anna? Mi ha accennato di aver finalmente mollato quel buono a nulla di Filippo, ma non ho avuto modo di approfondire l’argomento, ho avuto giorni pieni…»

«Se devo essere sincera mi ha sorpresa. Sta reagendo molto bene alla rottura, mi ha detto che ha chiuso tutti i ponti con l’Innominabile. Questa volta fa sul serio!»

«Sicura?»

«Sicurissima. A proposito…» 

«Guai in vista! Quel ghigno malefico sul tuo volto non mi piace affatto!»

«Tu che sei molto vicino a Francesco…puoi far arrivare “casualmente” alle sue orecchie la notizia che una nostra amica in comune si sia lasciata; che finalmente è diventata libera, come l’aria.»

«Fammi capire, a Francesco interessa Anna?!»

«E viceversa.»

«Stai scherzando, vero?»

«Non mi dire che non ti sei mai accorto degli sguardi che si lanciano o delle battutine a doppio senso!?»

«No. Decisamente no…»

«Ma quando Dio distribuiva l’empatia, per caso, eri in fila al bagno?»

«Sono empaticamente incapace, dovresti saperlo!»

«Non so come Veronica faccia a sopportarti, da quasi un lustro…»

«Non a caso l’ho soprannominata “la martire”, no?»

«Devi farti vedere da uno bravo! Comunque, puoi o no?»

«Certo che posso! Domani lo vedo, farò ricorso a tutta la mia nonchalance quando gli comunicherò la notizia.»

«Immagino lo sforzo…»

«Comunque, salutami i tuoi.»

«Come?»

«Siamo a Noicattaro, il tuo paese, sei arrivata a destinazione, no?»

«Oddio, non me ne ero accorta. Grazie di tutto, Dani.»

«Non c’è di che, poi fammi sapere se ho ragione sulla tesi.»

«Ci puoi giurare!»

Parlare con Daniele mi ha fatto bene. È come se mi avesse tranquillizzata in qualche modo. Dovrei distrarmi più spesso; ultimamente non faccio che pensare alle tesi e a Maria D’Avenia, senza tenere conto degli strani fenomeni che mi accadono. Forse, anziché ricercare il numero di qualche psicologo, dovrei prendermi qualche giorno di vacanza dallo studio, con buona pace dei giorni che passano. 

Finalmente sono a casa, dopo quasi dieci ore che sono fuori. Appena entrata guardo intorno e mi accorgo che qualcosa non va. Dal soffitto pendono degli elaborati candelabri in ottone, ricolmi di candele accese; proseguendo lungo il corridoio, noto che l’arredo non è il solito, mi sembra di essere stata catapultata in una casa del seicento. Dal riflesso dello specchio vedo che anche i miei abiti sono in linea con il periodo del mobilio. C’è qualcosa di profondamente sbagliato in tutto questo, ma prima che possa reagire, sento chiamarmi da una melodiosa voce maschile.

«Maria, sei finalmente arrivata, ti stavo aspettando con trepidazione!»    

Provo a replicare, ma sento il respiro farsi più corto. All’improvviso inizio a vedere tutto bianco, le energie mi vengono meno. 

Poi, il nulla.

 

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