Un amore per Kaori

di EleWar
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Lo spasimante ***
Capitolo 2: *** L’appuntamento ***



Capitolo 1
*** Lo spasimante ***


Sapendo che sentivate la mia mancanza, (ahahahahaha XD XD XD, sì come no???) eccomi qua, con l’ennesima storiellina (questa è composta di due soli capitoli), molto dolce e romantica... almeno spero! Quando l’ho scritta avevo bisogno di tenerezza *.*
Ve la dedico.
con affetto e simpatia
Eleonora





Cap. 1 - Lo spasimante
 
 
Ogni qualvolta Kaori passava davanti al negozio dei suoi genitori, Aki sospirava.
Se poi la ragazza entrava a comperare il pesce, il ragazzo andava in palla totale: bloccato dalla timidezza, perdeva la sua spontaneità e faceva in modo di defilarsi, cosicché venisse servita da suo padre o da sua madre.
 
Un giorno che era stato costretto a servirla, perché i suoi erano temporaneamente impegnati con altri clienti, per poco non era svenuto: aveva balbettato tutto il tempo e sudato freddo, e il fatto che lei continuasse a sorridergli incoraggiante, non lo aveva di certo aiutato.
 
Era così dolce, così carina!
Non appena Aki la vedeva il suo cuore pareva impazzire, e non faceva che pensare a lei.
E se non troppo spesso Kaori poteva permettersi di andare a comprare pesce fresco – perché, gli aveva spiegato sua madre, evidentemente non sempre poteva, e la signorina Makimura non voleva lasciare debiti – almeno tutti i giorni passava lì davanti.
 
Ed Aki era diviso fra la voglia matta di vederla da vicino – o al di là del bancone, con il rischio però di dover interagire con lei e di fare la figura del fesso, incapace di dirle anche solo buongiorno senza arrossire come un pomodoro – e sperare che non entrasse affatto nel negozio e ridurre, quindi, il disagio al minimo.
 
Si accontentava di guardarla transitare fuori sul marciapiede, attraverso la vetrina, e sognare di poter essere più spigliato quel tanto che bastava per intavolare un qualsiasi discorso, che fosse sul tempo, sul prezzo e sulla qualità del pescato, su qualche ricetta sfiziosa, cose normali insomma, argomenti consueti con cui s’intratteneva con gli altri clienti, sia maschi che femmine.
Con tutti tranne lei, ovvio.
 
Perché con lei non ci riusciva?
 
Eppure la signorina Makimura era così gentile, così fresca e pura!
Sebbene fosse comunque bellissima, era totalmente inconsapevole del suo fascino, e più di una volta Aki aveva notato le occhiate in tralice di quei buzzurri che venivano da lui, e che se la mangiavano con gli occhi, o che si facevano avanti e attaccavano bottone.
Lei sembrava non accorgersi delle battute o delle allusioni velate che le rivolgevano quei bellimbusti.
Rispondeva sempre carinamente ed educatamente a tutti, e una volta che, appena uscita, due mammalucchi si erano lasciati andare a degli apprezzamenti pesanti su di lei, Aki, furibondo, aveva sbattuto sul bancone una grossa cernia, facendo schizzare il ghiaccio da tutte le parti; quando i due si erano voltati a guardarlo stupiti, avevano subito capito che non era aria.
 
I suoi genitori si erano accorti fin dall’inizio che il loro figlio maggiore era innamorato cotto della bella Kaori, e sorridevano benevoli di fronte ai suoi eccessi; erano molto fieri di lui che, studioso e bravo a scuola, li aiutava anche nel lavoro e non aveva paura di sporcarsi, letteralmente, le mani, nella bottega di famiglia. Nutrivano fondate speranze che avrebbe continuato con successo gli studi: era stato il primo fra loro ad andare all’università, e di lì a poco sarebbe partito per un prestigioso ateneo all’estero, grazie ad una cospicua borsa di studio.
 
Quando lo vedevano sospirare, con lo sguardo svagato, suo padre e sua madre sorridevano inteneriti e commossi; era alle prese con il suo primo amore, non corrisposto, certo, ma non per questo meno potente o devastante.
La signorina Makimura era una giovane donna, in confronto al figlio, e non si aspettavano che fra i due nascesse qualcosa, non tanto per la timidezza paralizzante dell’erede di casa Sakana, che gli impediva un qualsiasi approccio con la graziosa cliente, ma più che altro perché, vista la differenza d’età di almeno otto anni, lei non l’avrebbe considerato, forse.
Inoltre viveva e lavorava con quel libertino di Ryo Saeba, e si vociferava che fra i due ci fosse una relazione amorosa.
Non che qualcuno li avesse mai visti in atteggiamenti inequivocabili, piuttosto il contrario, ma erano tanti anni che stavano insieme e, insomma, tutti la davano per certa.
E magari tutte quelle epiche litigate non erano altro uno specchietto per le allodole, o baruffe fra innamorati: contenti loro!
 
Di tutt’altro avviso era invece Aki, che provava un odio viscerale per il signor Saeba.
Più di una volta si era trovato imbambolato a sospirare, con il mento appoggiato al palmo della mano, il gomito sull’enorme bancone di vetro, non visto, a spiare la dolce signorina Kaori, quando la scena gli era stata rovinata dall’arrivo intempestivo di quell’essere mostruoso che era il suo socio e coinquilino. Normalmente, se si presentava al suo cospetto o la raggiungeva, aveva sempre un ghigno diabolico e irriverente, e finiva per rivolgerle parole offensive tanto che lei s’infuriava e lo spiaccicava sotto un enorme martello – e Aki rimaneva sempre affascinato dalla sua grazia e forza insieme, dalla padronanza di una tale arma pesantissima – e provava una segreta contentezza nel vederlo sofferente, vittima di una giustissima punizione.
Un giorno, tuttavia, Aki aveva sorpreso il signor Saeba a fissare compiaciuto il sedere oscillante della ragazza che lo precedeva, con gli occhi brillanti di malizia… e allora era stato sopraffatto da una rabbia cieca e distruttiva, da una gelosia irosa tale che, se non fosse stato perché il padre gli aveva chiesto di aiutarlo sul retro, a spostare grosse merci nella cella frigorifero, sarebbe uscito dal negozio e lo avrebbe affrontato a viso aperto.
 
Aki non sapeva spiegarsi, inoltre, perché la signorina si ostinasse a portarsi dietro quel ratto, trascinandolo per il collo della giacca, evidentemente infuriata; ed era successo più di una volta!
Quel soggetto era pessimo e lei non era contenta di lui.
Però il giorno che li aveva visti passare di lì insieme, a braccetto, sorridenti e felici, il ragazzo aveva provato una fitta tremenda al cuore, come se il pesce spada adagiato sul letto di ghiaccio si fosse d’improvviso rianimato e lo avesse trafitto.
Quella volta la delusione era stata così tanta, che i giorni seguenti si era chiuso in sé stesso, ed aveva perso il solito brio e il suo buon umore.
Inappetente, i genitori lo vedevano sofferente, e si preoccupavano per lui: le pene d’amore sono le più crudeli da sopportare, fanno parte della vita e della crescita, ma i suoi, che l’amavano, non potevano di certo vederlo in quello stato ed essere comunque sereni.
 
Un giorno suo padre, sorprendendolo nuovamente a sospirare al passaggio della bella cliente, lo prese da parte e gli fece un discorsetto; la prese alla larga:
 
“Senti Aki, che progetti hai per il fine settimana?”
 
“Mmmm… non saprei. Perché me lo chiedi, papà?”
 
“No, niente, così. Un ragazzo della tua età di solito non pensa che ad uscire, divertirsi con gli amici… Io alla tua età…”
 
“Sì, ho capito” l’interruppe Aki “Vorresti dire che non dovrei pensare solo allo studio e magari uscire di più”
 
“Esatto!” concordò il genitore “Lo sai che siamo molto fieri di te, ma io e la mamma vorremmo vederti felice”
 
“Ma io lo sono!” disse con convinzione il ragazzo.
 
“Sicuro?” rincarò il padre scrutandolo bene in viso.
 
“Certo! Ho i miei libri, la scuola, mi piace aiutarvi… che altro dovrei fare?”
 
“Magari svagarti un po’di più. Non hai qualcuno, una ragazza che ti piace da invitare ad uscire, che ne so…? Al cinema, a mangiare un gelato?”
 
“Di amici ne ho… i miei compagni di studi, ma effettivamente non ci vediamo molto dopo le lezioni. E per quanto riguarda una ragazza…” e di colpo s’incupì.
 
“…c’è qualcuna che ti piace?” provò ad indagare con tatto il padre.
 
“S-sì c’è una ragazza speciale”
 
“Benissimo!” esclamò l’uomo “E allora perché non la inviti ad uscire?”
 
“Ma sei matto??? Non accetterebbe mai!” disse di getto il ragazzo, arrossendo.
 
“E perché no? Sei giovane, intelligente, e anche carino: hai preso da me!” e ridacchiò “Ai miei tempi avevo un discreto successo con le ragazze, anche se l’unica che m’interessava veramente era tua madre che non mi filava minimamente!”
 
“Non ricominciare con la storia di te e la mamma, per favore!” sbuffò lievemente esasperato il figlio.
 
Conosceva a menadito la storia d’amore dei suoi genitori, e faceva fatica ad immaginarli alle prese con le dinamiche di due giovani innamorati; gli sembrava tutto abbastanza assurdo e inverosimile, non ce li vedeva a fare quello che… avevano fatto!
Eppure il frutto di quell’amore, di quell’unione felice, erano lui e sua sorella, e non poteva negarlo.
 
“Va bene, va bene” si affrettò a cambiare discorso il padre, agitando le mani davanti a sé “però volevo solo ricordarti che se non mi fossi fatto avanti, e non avessi insistito un po’, a quest’ora io e te non saremmo qui a parlare, ed io sarei rimasto chiuso in me stesso a soffrire le pene dell’inferno. Voglio dire che se non mi fossi buttato, mi sarei perso la cosa più bella della mia vita”
 
“Hai ragione papà, scusa” disse con aria grave Aki “È che a me sembra una cosa impossibile di provare anche solo di pensare di chiederle di uscire…”
 
“Ah, ma allora c’è davvero una ragazza speciale!” l’interruppe il padre al colmo della gioia.
 
“Sì che c’è, te l’ho detto, ma non vuole me!”
 
“Ma che ne sai, se non gliel’hai mai chiesto? Ci hai mai provato?”
 
“No-no… e come potrei?”
 
“Senti Aki, il prossimo mese partirai per l’estero: ti aspettano tre lunghi mesi lontano da casa, e se qui a Tokyo lasci una ragazza che potrebbe essere importante per te, senza aver mai tentato di frequentarla, be’… non mi sembra una cosa giusta. Come si dice, ogni lasciata è persa, e magari quando ritornerai sarà troppo tardi, non credi?”
 
Aki tacque, ma poi, dopo una breve pausa riflessiva, ne convenne e disse:
 
“Hai ragione papà, dovrei quantomeno tentare…”
 
“Bravo! Così mi piaci! Ci vuole un pizzico di coraggio all’inizio, però poi a volte le cose si sbloccano e finiscono bene” gli disse il genitore stringendogli una spalla; quindi continuò: “Piuttosto, avrei bisogno che oggi pomeriggio facessi una consegna a domicilio”
 
“Certo papà, nessun problema” rispose entusiasta il figlio, sempre pronto a dare una mano: gli piaceva, inoltre, girare per la città in sella alla sua bici, e le consegne erano uno spasso per lui.
 
“Perfetto. Finisco di preparare qui e non appena sono pronto ti chiamo. Ti scrivo l’indirizzo, e quando sarai lì dirai che questo è un omaggio ai nostri migliori clienti, intesi?”
 
No problem, boss!” rispose ridendo Aki, accennando un saluto militare, portandosi due dita alla fronte; finirono per ridere entrambi e ognuno tornò ai propri impegni.
 
 
 
Più tardi, quello stesso giorno, inforcata la bicicletta, Aki si diresse all’indirizzo datogli dal padre.
Era una bella giornata di primavera e i ciliegi erano già in fiore: sfilava allegro per i viali e rimaneva incantato, passando davanti ai giardini delle ville monofamiliari invase dai fiori.
La consegna, però, doveva farla in un settore del quartiere in cui non era mai stato e dove svettavano palazzi abbastanza anonimi, fatti di piani sopra piani, in cui ci si perdeva con lo sguardo.
 
Frenò la bici ai piedi di uno di questi e suonò il campanello:
 
“Buona sera signora, sono Aki del Sakana Market, ho una consegna per lei”
 
Aki? Una consegna per me?” rispose una voce femminile, squillante, dal citofono.
 
Il ragazzo parve sorpreso: gli sembrava di conoscerla, quella voce, eppure era la prima volta che faceva una consegna in quel palazzo.
 
Si riscosse:
 
“Sì, signora. Un omaggio ai nostri migliori clienti” recitò compito.
 
Veramente? Oh, Aki, ma è meraviglioso! Aspetta che ti apro” rispose la voce, e il ragazzo si chiese chi fosse mai quella donna che lo conosceva molto bene.
Del resto, se era una dei clienti più assidui del negozio di famiglia, sapeva benissimo chi lui fosse, perché fin da quando era in grado di camminare con le sue gambe, bazzicava nel locale di famiglia, quindi perché no?
 
Non appena la grande porta a vetri si aprì con uno scatto metallico, Aki entrò baldanzoso e si apprestò a salire le scale senza sforzo.
Era un tipo atletico e scattante, e il pacco da consegnare era leggero; in fondo, se era un omaggio, si trattava sicuramente di un pezzo scelto del miglior pesce, ma un assaggio.
 
Quando fu davanti alla porta socchiusa dell’appartamento, bussò lo stesso, ma la voce femminile di prima gli gridò:
 
“Entra pure Aki, è aperto!”
 
Il ragazzo sentì un brivido lungo la schiena: ma non è che la padrona di casa era…
 
“Kaori? Chi è alla porta?” si udì una forte voce maschile interloquire dall’interno.
 
E quando Kaori andò ad accogliere il giovane Aki, questo per poco non svenne sul colpo: quella che si trovò davanti era nientemeno che Kaori Makimura, e quello era l’appartamento che condivideva con il diabolico Ryo Saeba!
 
Il povero ragazzo iniziò a balbettare e a sudare copiosamente, spostava in continuazione il peso da una gamba all’altra dando l’impressione di essere lì lì per farsela addosso, e, in un certo senso, stramaledisse suo padre che, sospettò, l’aveva fatto apposta.
 
Kaori invece, con un sorriso radioso, dopo un profondo inchino fece per prendergli dalle mani il pacchetto che le stava porgendo; ma da dietro le sue spalle comparve il socio, spettinato, barba di un giorno, sembrava ancora assonnato, e si grattava la pancia come un orango.
Non appena vide l’involucro, però, si animò di colpo, e quasi lo strappò dalle mani del ragazzotto esclamando:
 
“Uuuuhhh, che meraviglia! Stasera si mangia pesce!”
 
Aki passò repentinamente dalla timidezza paralizzante alla rabbia più atroce: come si permetteva quello zotico di prendere il regalo che era destinato alla dolce signorina Makimura?
E malgrado l’imbarazzo protestò:
 
“Ehi, tu!”
 
Non era molto, lo riconobbe subito anche Aki, ma nonostante avesse sentito dire che questo Ryo Saeba fosse un vero dritto, un uomo tutto d’un pezzo che si faceva rispettare e che incuteva terrore in parecchi, lui non ce lo vedeva proprio in quelle vesti, perché lo conosceva come il solito screanzato che tormentava quella santa della sua socia, e quindi non gli faceva affatto paura.
Però era comunque troppo per lui, anche solo pensare di esprimersi in presenza della signorina Kaori, come avrebbe fatto in altre circostanze, o anche con solo Saeba di fronte; e quindi la cosa morì lì.
 
“Ryo, non essere scortese con Aki! È venuto apposta per portarci un omaggio da parte dei suoi genitori!” lo rimproverò Kaori, fin troppo all’acqua di rose, per come la vedeva il ragazzo; il quale avrebbe anche voluto dirgli, a quel Ryo, che l’omaggio era solo per lei e non per lui, ma non ci riuscì.
 
“Ma io non sono stato scortese!” protestò bambinescamente il tipo “È solo che non mi sembra vero di poter fare una cena decente ogni tanto!” aggiunse poi con uno strano brillio negli occhi.
 
Forse la stava prendendo nuovamente in giro?
Cosa voleva dire esattamente quella ciabatta parlante?
Però Aki era troppo sconvolto dalla situazione per poter ragionare lucidamente, e quando Kaori lo invitò ad entrare, credette di morire.
 
Si profuse in mille scuse, inchini e vigorose grattate di testa, per poi fuggire a gambe levate giù per le scale. Una volta fuori si appoggiò pesantemente alla porta a vetri del palazzo, e solo allora riprese fiato, normalizzando i respiri con ampie inspirazioni e altrettante espirazioni: sembrava più che le scale le avesse salite di corsa, piuttosto che discese.
 
Ma a mano a mano che riprendeva i contatti con la realtà, dopo lo scampato pericolo – qualunque esso fosse – rievocando la dolce signorina Kaori, gli si allargò un sorriso ebete sul viso e pensò che fosse la cosa più bella e più incantevole che avesse mai visto… e che ora sapeva anche dove abitava.
 
 
O.o.O
 
 
Da quel giorno in poi di due City Hunter trovarono, ogni tanto, dei piccoli doni sulla soglia dell’appartamento: un fiore rubato in qualche giardino, un cioccolatino, una breve poesia scritta su di un cartoncino.
Se Ryo escluse subito a priori che il destinatario potesse essere lui, Kaori faticò un po’ a convincersi che quei pensierini fossero per lei.
E quando successe, da lì a immaginare che potesse esistere qualcuno che le stesse facendo una corte discreta, il passo fu breve, ma intenso.
Kaori, dopo aver realizzato che c’era, nascosto da qualche parte, un giovane spasimante che si era preso una cotta per lei, iniziò a fantasticare su chi fosse, a girare per casa in preda all’euforia amorosa, a sospirare, suscitando malcontento nel socio che sbuffava, e liquidava il tutto come pure scemenze adolescenziali senza senso.
 
Ma quando i famosi pensierini cominciarono a diventare sempre più consistenti e fitti, Ryo, di pari passo, iniziò ad essere più sospettoso e sarcastico, con battutine sempre più pungenti e dissacranti, volte a sminuire l’entità dei doni e l’emozione che, di volta in volta, provava la sua socia.
Se lo sweeper avesse capito fin dall’inizio che il misterioso corteggiatore era Aki, non è dato saperlo, ma di sicuro quel suo atteggiamento strafottente al limite del ridicolo, lo faceva apparire, al contrario, come uno roso dalla gelosia; e anche se, nonostante tutto, Kaori non glielo rinfacciava minimamente, ciò non sminuiva il fatto che Ryo avesse, comunque, un travaso di bile tutte le volte, e che nemmeno il più potente degli antiacidi avrebbe potuto spegnere.
 
Kaori, ogni volta che raccoglieva da terra, sulla soglia di casa, una rosa, una peonia o un semplice bigliettino vergato a mano, si trasformava e diventava la ragazza romantica e sognatrice che era: i suoi occhi iniziavano a brillare, e si portava invariabilmente il dono al cuore, con sospiri e sussurri, e per Ryo quel tale spettacolo sdolcinato era davvero insopportabile.
 
“Puah! Ancora quel tizio con i suoi stupidi regalini da innamorato! O non sarà piuttosto una donna, che si è presa una bella sbandata per te? Lo dico sempre che sembri un uomo!” berciava lo sweeper.
 
Ma Kaori non lo sentiva nemmeno e spariva dentro casa, a cercare un vasetto dove riporre l’ennesimo fiore.
 
La storia dei pensierini andava avanti già da un po’, senza che i due City Hunter si preoccupassero di come facesse il tizio a raggiungere incolume casa loro, quando, un giorno, Aki vide che sullo zerbino di casa c’era già un bigliettino.
Si allarmò, e la prima cosa che pensò fu che un altro ammiratore aveva avuto la sua stessa idea, perché quello non era uno dei suoi: l’ultima volta vi aveva lasciato un garofano bianco, e non il solito cartoncino, quindi non poteva essere che la bella signorina Makimura non lo aveva visto, e quindi non raccolto.
 
Tremante si chinò a raccoglierlo e, quando lo aprì e ne lesse il contenuto, fu preso da una vertigine.
 
Chi sei?” c’era scritto semplicemente.
 
E tale fu la paura che se ne andò correndo, senza lasciare la rosa che si era portato dietro.
Quando si fermò ansante, all’angolo della strada, se la rigirò fra le dita dandosi dello stupido, sia per non averla depositata al solito posto, sia per essere fuggito come se avesse avuto il diavolo alle calcagna.
 
Inoltre, si disse, come poteva pensare di portare avanti la cosa?
Poteva continuare così per sempre, con lui che lasciava anonimi doni alla donna di cui era segretamente innamorato, senza nemmeno rivelarsi?
Non aveva nemmeno la soddisfazione di vedere il suo viso illuminarsi, eventualmente, di gratitudine o gioia, nel ricevere il suo regalino.
E poi, cosa molto più importante, era giunto il momento di partire, e presto avrebbe dovuto comunque smettere di intrufolarsi nel palazzo, con la collaborazione compiacente della vecchia signora Sora, perché materialmente non sarebbe più stato a Tokyo.
 
Inforcata la bicicletta, vagò per ore per le strade di Shinjuku, senza meta, fino a quando si accorse di non riuscire più a vedere la strada, poiché si era fatto buio e aveva bisogno di accendere il fanale; sbuffando, attaccò la dinamo alla ruota davanti e fece ritorno a casa.
 
Basta pensare!
Era ora di agire!
 

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Capitolo 2
*** L’appuntamento ***


Ed eccoci al secondo ed ultimo capitolo di questa storiella. Grazie per la vostra simpatia, e per l’interesse che sempre mettete nelle recensioni, nella lettura silenziosa di cui però rimane cmq traccia. Insomma GRAZIE di tutto *.*
Spero che vi piaccia anche il finale.
A presto
Eleonora

 
 
 
Cap. 2 - L’appuntamento
 
 
Due giorni prima della data della partenza di Aki, Kaori, tornando stanca morta da una giornata passata con Ryo inseguendo un criminale, con tanto di sparatoria e scazzottata, trovò l’ennesimo bigliettino sul tappetino d’entrata.
In quel preciso momento c’era anche Ryo, al quale non sfuggì l’espressione della socia che, nonostante fosse sfinita, si illuminò all’istante riconoscendo la carta familiare e la grafia precisa e spigolosa del misterioso ammiratore.
Kaori si chinò sullo zerbino e, dopo aver afferrato il cartoncino fra le mani, rialzandosi si lasciò sfuggire un lamento; istintivamente si portò una mano alla parte dolorante.
Anche Ryo fece una smorfia, ma non disse nulla.
Kaori non seppe dire se perché fosse geloso del corteggiatore o perché lei si era fatta male.
Quel giorno, infatti, aveva battuto violentemente la schiena su una ringhiera di ferro per schivare un montante che il malvivente di turno voleva sferrarle e, rinculando all’indietro, si era trovata a scontrarsi contro quell’ostacolo imprevisto, e il socio lo sapeva.
 
Quando la partner esclamò “Addirittura?” Ryo s’incuriosì: evidentemente non era la solita poesiola, o la solita frasetta ricca di complimenti ammirati, ma qualcosa di più; e lui moriva dalla voglia di sapere di cosa si trattasse.
Si morse la lingua, però, pur di non fare domande, visto che per orgoglio non le avrebbe chiesto niente nemmeno sotto tortura; e fu dannatamente fortunato, perché Kaori, interpellandolo, gli disse:
 
“Hai capito? Il mio ammiratore segreto, alla richiesta di sapere chi fosse, ha risposto che se voglio conoscerlo devo andare domani alle quattro al parco Shinjuku Gyoen. Guarda!” e la socia gli porse il bigliettino, con tanto di mappa schizzata a matita su cui era indicato il punto d’incontro.
Quello era notoriamente il parco più grande e più ricco di ciliegi della città ed era facile perdersi senza un punto di riferimento.
Era, inoltre, il luogo perfetto per un incontro romantico, poiché era il periodo di massima fioritura degli alberi, quindi il tipo faceva decisamente sul serio.
 
Ryo si rabbuiò, ma non disse nulla.
Non poteva impedirle di andare, nemmeno adducendo la scusa che fosse un luogo pericoloso.
Erano appena tornati da una missione, per fortuna conclusasi bene a parte qualche ammaccatura, e Kaori era notoriamente più in pericolo accanto a lui che a passeggio come una normale giovane donna quale era, in uno spettacolare parco fiorito, inseguendo un sogno d’amore.
Non la stava già forse troppo sacrificando, tenendola legata a sé, per dissuaderla, o peggio proibirle di andare?
 
Kaori, accorgendosi dell’insolito mutismo del collega, gli andò incontro e, strizzandogli le guance con le mani, gli disse:
 
“Caro il mio gelosone! Dai non preoccuparti, che prima di uscire ti lascio la cena pronta e starò via poche ore. Aki è innocuo, lo sai, e poi non c’è niente di male, no?”
 
Ecco, almeno lei lo aveva detto, e cioè che l’identità del corteggiatore segreto non era poi così tanto segreta come entrambi fingevano che fosse.
D'altronde erano due professionisti e fin da subito avevano capito che era Aki, solo che non se lo dicevano mai, in quella sorta di gioco alla dissimulazione in cui erano, peraltro, molto bravi.
 
“Fai come vuoi” gli rispose cupo e imbronciato il compagno, non appena la ragazza gli lasciò libera la bocca, altrimenti costretta in una smorfia buffa, aggiungendo: “Sei libera, lo sai…”
 
Ma Kaori, ridacchiando, era già scomparsa in cucina, e per quella sera non ne parlarono più.
 
Dopo essersi fatti una doccia ristoratrice, e dopo che Ryo ebbe spalmato una pomata lenitiva sulla parte dolorante della partner, si dedicarono alla cena, seppure quasi troppo stanchi anche per poter mangiare, e si ritirarono per la notte relativamente presto.
 
Il giorno seguente venne presto l’ora dell’appuntamento.
Kaori si stava giusto facendo bella, ma non troppo, non voleva esagerare nel vestire e nel trucco: del resto il luogo dell’appuntamento era il maestoso parco di ciliegi di Shinjuku e, oltre a passeggiare, al massimo si sarebbero seduti sotto un ciliegio in fiore a fare una sorta di pic-nic o parlare.
Inoltre, conoscendo la timidezza del ragazzo, voleva a tutti i costi metterlo più a suo agio possibile, e la sweeper pensava che presentarsi in pompa magna l’avrebbe in qualche modo inibito.
 
Nonostante la scelta dell’abbigliamento alquanto semplice e affatto pretenzioso, era innegabilmente bellissima.
Indossava dei jeans attillati neri e una vaporosa camicia bianca con stampato un motivo floreale in tema, con tanti microscopici petali di ciliegio, e un corto giacchino rosso amaranto, in tinta con le scarpe basse alla ballerina.
Ryo, vedendola, trattenne il respiro.
Ma non avrebbe comunque fatto nessun commento, combattuto fra l’ammirazione e la gelosia di vederla così abbigliata per un appuntamento con un altro.
 
“Speriamo di trovare parcheggio” disse quasi fra sé la ragazza, afferrando al volo le chiavi della sua Honda, temendo di essere in ritardo; poi, voltandosi verso il socio, aggiunse: “Allora? Non vuoi proprio dirmi nulla?” e gli sorrise divertita.
 
Amava vederlo così geloso, e il fatto che non si esprimesse affatto, anziché prenderla in giro e sfogarsi in quella maniera, la diceva lunga su quanto stesse rosicando.
 
“Mah, che vuoi che ti dica?” strascicò l’uomo “Che visto che non ci sei, me ne andrò per locali” e assunse una fintissima espressione da maniaco porcello.
 
“… alle quattro del pomeriggio?” gli chiese ironicamente lei.
 
“Certo! Guarda che certi locali non chiudono mai, come i love hotel!” spiegò con aria spocchiosa e da uomo di mondo qual era; infatti aggiunse: “...ma tu che ne sai”
 
“Già, che ne so? Non ne so nulla, e mi va bene così!” ribatté la socia.
 
“Bene allora, è deciso. Andrò a divertirmi, e anzi, chiamerò Mick, con cui non esco da una vita” e già faceva per andare verso il telefono, ma ciò che Kaori gli disse lo bloccò a mezzo, con la mano sopra la cornetta.
 
“Non credo che lo troverai in casa. Lui e Kazue sono da stamattina al Fiume Meguro, per l’Hanami[1]
 
Ryo schioccò la lingua per la disdetta.
 
“Allora andrò da solo!” disse deciso “Tanto per quel tipo di compagnia, trovo sempre qualcuno” e la guardò ammiccando, ma lei non lo vide neanche, tutta intenta ad infilarsi il giacchino.
 
Quando volse gli occhi su di lui era così raggiante e così sorridente, che Ryo ebbe una fitta alla stomaco.
 
Non solo in quel momento era l’uomo più geloso della terra, ma il non poterlo e volerlo dimostrare, unitamente al vago senso di abbandono che stava provando, lo faceva sentire uno straccio.
 
“Io vado!” trillò emozionata la ragazza, e fece per correre alla porta.
Poi però sulla soglia si fermò di colpo, come a ripensarci, e girandosi verso il socio, che era rimasto come un ebete al centro della stanza, con le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni, s’intenerì e sorridendogli gli disse:
 
“Non farò tardi… non preoccuparti”.
 
Ma lui, per mascherare la sua aria da cane abbandonato, si limitò ad emettere un “Puah!” di disapprovazione e menefreghismo, e solo quando la ragazza fu fuori dalla sua portata, lasciò andare il respiro rumorosamente, sospirando.
 
Avrebbe dovuto trattenerla?
Avrebbe dovuto fare… cosa?
 
Di sicuro gli sarebbe piaciuto di più andare con lei al parco, piuttosto che saperla con quel bell’esemplare di giovane uomo, per giunta innamoratissimo.
Perché non ci aveva pensato prima lui, d’invitare Kaori alla fioritura, magari con una scusa?
Il caso che avevano risolto giusto il giorno prima, e più ancora la sua pigrizia e indolenza, gli avevano fatto dimenticare totalmente che erano in primavera, nel pieno della fioritura dei ciliegi.
 
Si mise a passeggiare nervosamente su e giù per la stanza: Aki era sì, più piccolo di Kaori, ma non di tantissimo; quanti anni aveva… venti?
Be’ di sicuro ce n’erano meno di differenza fra lei e Aki, che fra Kaori e lui, ammesso che sapesse veramente quanti anni aveva; ma era chiaro che Ryo era un uomo e lei una giovane donna, alla faccia che si spacciasse ancora per un ventenne!
Aki, invece, lo era.
Innegabilmente.
Davvero.
E poi Aki e Kaori erano molto simili: entrambi timidi, gentili, due anime pure, e lui era laborioso e studioso, proveniva da una famiglia rispettabile, con alle spalle una tradizione radicata nel commercio del pesce.
 
Si fermò di colpo e si scompigliò i capelli vigorosamente.
Cercò di allontanare questi pensieri angoscianti.
Eppure il terrore sempre in agguato che Kaori si stancasse di lui, e che non lo amasse più come un tempo, era un tarlo che ogni tanto tornava a farsi sentire.
Lei aveva scelto di rimanere accanto a lui, nonostante conoscesse il suo cupo passato e condividessero quello stile di vita sempre al limite del pericolo e della violenza, ma se avesse trovato di meglio?
Aki non poteva essere quel meglio che, in fondo, Ryo voleva per lei?
 
Basta!
Non doveva indulgere in certi ragionamenti e non doveva più pensare all’appuntamento di Kaori con Aki, altrimenti era finita, occorreva distrarsi alla sua maniera!
 
 
Nel frattempo, alle quattro in punto, il giovane Aki Sakana sostava davanti al chiosco delle bibite, nel punto scelto per l’incontro.
Era sull’orlo di una crisi apoplettica, con il cuore che batteva all’impazzata.
Prima di uscire di casa si era ingollato una bella sorsata di sakè, più che altro per darsi coraggio, e comunque sapeva già che all’interno del parco gli alcolici erano banditi, e se voleva avere una sferzata di energia suppletiva, poteva farlo solo in quel modo.
 
Lui si era finalmente scoperto, dopo quel lungo e discreto corteggiamento, e già questo lo aveva gettato nel limbo dei tentennamenti.
Aveva dato un appuntamento alla signorina Kaori, ma non sapeva ancora se lei sarebbe venuta o meno, e il fatto che fossero le quattro e un minuto e lei ancora non si vedesse, poteva voler dire che non aveva accettato, che non era poi così curiosa di sapere chi lui fosse, o che l’avesse capito in qualche modo e non ne volesse sapere nulla di lui.
 
In preda a questi angosciosi tormenti, quasi gli prese un infarto quando se la vide venir incontro correndo.
 
“Scu-scusa il ritardo” riuscì a dire ansimando la ragazza, piegata in due dopo la lunga corsa.
 
Anche se era allenata, aveva dovuto fare una volata alla massima velocità per arrivare in tempo, perché, a causa della folla oceanica che invadeva il parco, i parcheggi circostanti erano tutti occupati e aveva trovato un posticino di fortuna nello spiazzo più distante di tutti.
Per non parlare della lunga fila di persone incolonnate pazientemente al botteghino, per pagare l’ingresso. E quando ebbe fiato a sufficienza, diede la stura ad un fiume di buffe spiegazioni, su come avesse guidato fra il traffico cittadino, i vecchietti incontrati per strada che andavano a cinque chilometri all’ora, i parcheggi invasi da gitanti e famigliole rumorose, e la gente, la gente, la gente… insomma ascoltarla era davvero uno spasso.
 
Questo arrivo travolgente ebbe almeno il pregio di spezzare subito la tensione che stava consumando dal di dentro il povero Aki, il quale, d’improvviso, vide Kaori più per la ragazza che era, piuttosto che la dea irraggiungibile che lui aveva messo su un piedistallo.
 Al termine di quella lunga spiegazione, scoppiarono a ridere entrambi: una risata liberatoria che li mise subito a loro agio, specialmente Aki che, per la prima volta, non si sentì più così timido e impacciato in sua presenza come un tempo.
 
Kaori, sorridendogli, fece il passo successivo, e per toglierlo dall’imbarazzo propose:
 
“Vogliamo fare una passeggiata?”
 
E stranamente Aki, anziché annuire, muto come i pesci del bancone del Sakana Market,riuscì a rispondere:
 
“Mo-molto volentieri”.
 
Ma prima che un silenzio opprimente calasse su di loro, sempre Kaori si fece avanti, dando il via alle mosse:
 
“Allora Aki… mi diceva tua madre che presto andrai a studiare all’estero…”
 
Il rampollo di casa Sakana, felice di trovarsi su un terreno a lui favorevole, iniziò a parlarle con entusiasmo dei suoi studi, della borsa di studio che aveva vinto, delle sue speranze, e solo al termine di quell’appassionata spiegazione, si accorse di una cosa importante che gli era sfuggita e le chiese:
 
“Signorina Makimura ma…”
 
“Chiamami Kaori…”
 
“Va-va bene… dicevo, signorina Kaori…”
 
“Ma no!” e le venne da ridacchiare “Solo Kaori. Diamoci del tu!”
 
“Come preferisc…i” quasi s’impuntò, ma poi tanta era la curiosità per la domanda che voleva farle che riprese subito il filo del discorso: “Dicevo, come mai non ti sei stupita di trovarmi qui? Come facevi a sapere che ero io? Non mi hai detto niente quando sei arrivata”.
 
Lei si voltò a guardarlo, sorridendo.
Non avevano mai smesso di camminare, e il viale che avevano scelto era abbastanza defilato rispetto agli altri, pertanto, malgrado il continuo via vai della gente, c’era sempre stato abbastanza spazio per passeggiare appaiati: mai una volta si erano dovuti scansare per far passare comitive o famigliole.
 
Aki in quel momento aveva il viso vistosamente imporporato, ma era adorabile; Kaori si rivedeva tantissimo in lui, e il fatto che avesse avuto il coraggio di esporsi, di farsi avanti, e addirittura essere lì con lei, glielo facevano apparire come un giovane deciso e affatto insignificante.
Era alto, ben formato, atletico, il suo aspetto era piacevole; nonostante la giovane età, si vedeva già la bellezza che avrebbe raggiunto in età matura, e pensò che senz’altro tante sue compagne sospiravano e spasimavano per lui nascostamente.
Ma lui evidentemente si era preso una bella cotta per la donna che gli camminava accanto, e di sicuro non si era mai accorto di nulla.
 
In ogni caso la domanda che le aveva rivolto era logica e inevitabile, e Kaori se l’era aspettata.
Però, al contrario, non voleva essere altrettanto diretta nella risposta e si chiese quanto lui sapesse di lei.
La prese alla lontana, rispondendo, quindi, con un’altra domanda:
 
“Aki, tu sai che lavoro faccio io?”
 
“Emm, sì… cioè, no” ammise sinceramente.
 
Con i genitori qualche volta ne avevano discusso, ma loro erano sempre rimasti sul vago, ed ora si chiese se ciò fosse dovuto al fatto che sapessero esattamente che tipo di lavoro svolgeva la signorina Kaori – e quel mostro del Saeba – e fosse così disdicevole tanto da non volerne parlare con lui, oppure, al contrario, non lo conoscessero affatto.
Ripensandoci, era un bel mistero.
 
“Io e Ryo facciamo un mestiere un po’ particolare…” cercò di spiegare la sweeper “Diciamo che aiutiamo la gente a risolvere tutti quei problemi che… come dire, la polizia non potrebbe risolvere”.
 
“In che senso?” domandò il giovane, ormai dimentico della sua proverbiale timidezza paralizzante.
 
“Nel senso che vengono da noi persone che hanno bisogno di ritrovare cari spariti o rapiti, per esempio; o che devono difendersi da strozzini e criminali in genere, che si sentono minacciati da qualcuno, che sanno di essere in pericolo. Io e Ryo, inoltre, ci occupiamo di smascherare dei truffatori, dei trafficanti di merce rubata o illecita. Diciamo che facciamo le cose che farebbe anche la polizia, ma… a modo nostro” concluse la ragazza con un’alzata di spalle.
 
“Vuoi dire che siete degli investigatori privati?” chiese ammirato il giovane.
 
“Sì, diciamo che siamo anche quello” ammise sorridendo affabilmente Kaori.
 
Non voleva addentrarsi ancora di più nelle peculiarità del loro mestiere di spazzini del crimine, altrimenti avrebbe anche dovuto spiegargli che, almeno in passato, Ryo aveva, per come dire, eliminato anche fisicamente i malviventi, che la violenza la faceva da padrone, e spesso e volentieri erano dovuti ricorrere alle armi più disparate per risolvere i casi e assicurare alla giustizia i delinquenti.
Non voleva raccontargli della morte di suo fratello per mano della Union Teope, di Kaibara e di tutto quello che lei e Ryo avevano sofferto.
Sperò in cuor suo che Aki non dovesse conoscere mai il lato oscuro del loro mestiere, e che lui e la sua famiglia non avessero mai bisogno del loro aiuto.
 
A quel punto Aki ebbe un sussulto, ed esclamò schioccando le dita:
 
“Ma certo! È per questo che hai capito subito che ero io!”
 
“Esatto!” confermò bonariamente la ragazza.
 
Subito però, Aki si rabbuiò e chiese:
 
“Quindi, anche il signor Saeba lo sapeva?”
 
Essere scoperto da quel buzzurro non gli andava affatto giù, soprattutto perché sicuramente anche lui aveva visto i fiori e i bigliettini, magari li aveva anche letti e ci aveva riso su come lo stupido che era. D’improvviso un’ondata di rabbia e vergogna s’impossessò di lui.
 
Kaori, che se ne accorse, gli rispose così:
 
“Sì, anche Ryo l’aveva capito, come l’avevo capito subito io, ma ti assicuro che non ha mai detto niente di te”.
 
Ovviamente omise di dire che, al contrario, il socio aveva sminuito i doni del suo corteggiatore misterioso e le sue esplosioni di gioia romantica, perché le beffe erano più che altro indirizzate a lei, piuttosto che all’ammiratore.
Dal canto suo, che Ryo esprimesse in quel modo la sua gelosia corrosiva, la ripagava di tutte le stupidaggini che le diceva.
E comunque, tecnicamente, il nome di Aki non lo aveva mai fatto, quindi era una mezza verità e non una bugia.
A quell’escamotage mentale, Kaori sorrise fra sé.
 
A forza di camminare erano arrivati ad una bancarella di dolciumi, e il profumo dello zucchero e del miele invadeva l’aria.
Aki comprò degli Hanami-Dango e dei Sakura-Mochi[2] e poiché tutti gli alberi all’intorno erano occupati, si accontentarono di sedersi ad un tavolo di legno lì vicino.
 
La ricorrenza dell’Hanami, che portava migliaia di migliaia di giapponesi ad ammirare la fioritura dei ciliegi, era un rito irrinunciabile per ogni abitante del Paese del Sol Levante, un vero e proprio evento celebrato fino a notte inoltrata, e Kaori avrebbe tanto voluto trovarsi lì con il suo Ryo, ma lui non glielo aveva proposto.
Figurarsi se il socio s’interessava di un aspetto così romantico e sentimentale della vita, aveva pensato con una punta di sarcasmo.
Elei…lei non gli aveva detto niente.
Però essere lì con Aki aveva il suo fascino, e almeno per lui sarebbe stata un’esperienza indimenticabile.
Del resto, il cuore della ragazza apparteneva a Ryo Saeba, e anche se aveva accettato di uscire con un altro, non gli avrebbe dato false speranze.
Però, in qualche modo, doveva entrare in argomento; che Aki non pensasse che ci potesse essere un seguito per loro due.
 
Stava cercando il modo per affrontare l’argomento spinoso, quando inaspettatamente fu proprio il ragazzo che iniziò dicendo:
 
“Kaori, ti ringrazio di aver accettato di uscire con me”.
 
“Aki, senti, io…” a quel punto provò a dire lei.
 
“No, aspetta, lasciami finire, ti prego” e la guardò con occhi imploranti.
Non gli sembrava vero di poter essere arrivato fino a tanto: la sua timidezza minacciava sempre di prendere il sopravvento, e se lei lo avesse messo in difficoltà, non sarebbe più riuscito a dirle nient’altro.
 
E prima che il suo coraggio venisse meno, riprese:
 
“Come sai, fra pochi giorni io dovrò partire per l’estero, i miei studi sono molto importanti per me, ma non potevo partire senza… senza prima, averci provato… capisci?” ed arrossì violentemente.
 
In realtà quel volerci provare poteva significare tutto e niente, ma Kaori trattenne il respiro e non lo interruppe.
In fondo finora si era comportato benissimo e non aveva tentato approcci di sorta, quindi lo lasciò parlare.
 
“Intendo… di invitarti ad uscire, di passare un po’ di tempo con te” si spiegò il ragazzo “Mio padre mi ha convinto perché, dice, non dovremmo mai vivere, un giorno, di rimpianti, e se fossi partito senza neanche averti detto qualcosa su… sui miei sentimenti, avrei sofferto per tutta la mia vita” riuscì a dire quasi tutto d’un fiato.
 
“Aki…” mormorò la ragazza, seduta di fronte a lui.
 
Lo guardava, e le sembrava cresciuto tutto ad un tratto: non era più il ragazzotto di bottega, tutto studio e lavoro, o colui che l’ammirava da lontano e le inviava poesie e fiori anonimi.
Era un uomo, un giovane uomo, certo, ma deciso e anche coraggioso, che voleva fare chiarezza nei suoi sentimenti e con lei.
Era mai stato così, Ryo? si chiese all’improvviso Kaori, e questo pensiero la scosse profondamente.
 
Il Aki continuò:
 
“Tu non mi conosci, non sai nulla di me, però io… io sono innamorato di te, praticamente da sempre”.
 
Kaori quasi singhiozzò: non si aspettava una tale confessione, perché non le era mai capitato di essere oggetto di innamoramenti altrui; e Mick non faceva testo.
Cercò di rimanere il più possibile con un’espressione neutra, di non dimostrare le sue emozioni, anche e soprattutto inavvertitamente, perché, si era detta, voleva continuare a farlo sentire a suo agio, e temeva di poterlo deludere o far soffrire.
 
Dopo una brevissima pausa, Aki riprese:
 
“… e so anche che tu, che noi… voglio dire, se anche non c’entrasse l’età, cosa te ne faresti di un giovane che non è nemmeno laureato, che non ha un lavoro suo? Vorrei poterti corteggiare come meriti, ma non posso farlo adesso perché non ho niente da offrirti, però volevo che tu sapessi che, insomma, provo dei sentimenti per te, e che resterai per sempre nel mio cuore”.
 
Sembrava un corteggiatore d’altri tempi, e molto più grande della sua età, e alla giovane faceva tanta tenerezza; tentò di spiegargli:
 
“Aki, non è tanto questione di ciò che hai da offrirmi o meno, piuttosto che io… non posso accettare la tua corte perché… sentimentalmente sono legata ad un altro, il mio cuore è legato ad un altro, e anche io sono innamorata di lui, praticamente da sempre!” E facendo spallucce le sfuggì una risatina sconsolata, come di chi è nella condizione di dover ammettere una cosa ovvia e inevitabile “Non posso farci niente…” aggiunse, forse più per sé stessa che a beneficio del ragazzo.
 
Il giovane Sakana fece tanto di occhi, ma incassò il colpo.
Del resto c’era da aspettarselo, una ragazza carina come Kaori aveva sicuramente frotte di ammiratori al seguito, e anche lei, che era nel fiore degli anni, chiaramente era innamorata di uno di loro…
Doveva essere così, per forza.
 
“Non-non devi giustificarti” tentò di dire Aki “Anzi, scusami se io…”
 
“Niente scuse, ti prego” l’interruppe dolcemente lei, allungando una mano a prendere le sue che già da un po’ stavano tormentando lo scontrino dei dolcetti acquistati “Non possiamo scegliere chi amare, ma io sono felice che tu provi questi sentimenti per me, anzi te ne sono immensamente grata” e gli sorrise come solo lei sapeva fare; ad Aki parve di morire, ma era una morte dolce che faceva meno male “Ho accettato di vederti perché volevo ringraziarti per i fiori e le belle parole che mi hai scritto, perché i tuoi regalini mi hanno riempito il cuore di gioia. Fa sempre piacere ad una donna, ricevere tali attenzioni; e a me molto di più”.
 
Al giovane sembrò esserci una nota di tristezza di troppo in questa ultima frase, ma era così tanto sconvolto di suo, che non volle approfondire.
Inghiottendo a fatica il nodo in gola che rischiava di farlo soffocare, Aki le chiese:
 
“Ma… ma almeno potremo essere amici?”
 
Con questa domanda, a Kaori parve che Aki fosse ritornato il ragazzotto che era, un adolescente in lotta con sé stesso e con il mondo, ansioso di trovare un posto ed un’identità, e con tutta la vita davanti.
Lo era stata anche lei un tempo, si disse, ma poi alla sua stessa età aveva dovuto crescere in fretta: la tragedia della perdita del suo amato fratello e l’inizio della sua vita accanto a Ryo, le avevano tolto anche gli ultimi veli d’innocenza dagli occhi, forse.
Aki le faceva un’immensa tenerezza, quindi gli rispose di getto:
 
“Certamente! Noi saremo amici per sempre!” e gli strinse più forte le mani.
 
Rincuorato, e con un sapore dolce amaro in bocca, si alzò in piedi e le disse:
 
“Allora potremo ancora passeggiare come due amici, all’ombra di questa fantastica fioritura?”
 
“Non chiedo di meglio!” e alzandosi a sua volta lo raggiunse.
 
Ormai più leggeri nell’animo – anche se Aki doveva ancora completamente digerire quella sorta di educato rifiuto, a cui tutto sommato dentro di sé era preparato – tornarono indietro lungo il medesimo viale dell’andata, e stavolta discussero più speditamente di loro stessi, delle speranze per il futuro, della scuola, di ciò che più gli piaceva o di ciò che proprio non sopportavano.
Non parlarono più di sentimenti e dintorni, come fosse ormai un argomento concluso, bandito, e finirono anche per ridere di tante, tantissime cose, e il pomeriggio passò velocemente.
 
Si ritrovarono, senza accorgersene, allo stesso punto in cui si erano dati appuntamento, davanti allo stesso chiosco delle bibite.
Non si erano dati un orario, Kaori aveva detto a Ryo che sarebbe tornata presto ma non ci fu bisogno di dire ad Aki che per lei si era fatto tardi perché lui, a quel punto, sentiva che non poteva più restare con lei; indugiare sarebbe stato solo più doloroso, forse.
 
Capirono entrambi che era arrivato il momento dei saluti, e tornare a casa insieme non era contemplato.
Lì si erano incontrati e lì si sarebbero lasciati.
 
“Kaori io… si è fatto tardi, devo andare…” iniziò Aki.
 
“Sì, è ora anche per me”.
 
“Grazie per la passeggiata, la chiacchierata… era un appuntamento questo, vero?” chiese quasi infantilmente il ragazzo.
 
“Grazie a te e, sì, era un appuntamento” confermò Kaori con un sorriso che gli scaldò il cuore.
 
“Allora potrò dire ai miei amici che ho strappato un appuntamento alla bellissima Kaori Makimura?” domandò baldanzoso Aki.
 
Kaori scoppiò a ridere di cuore, con la sua risata cristallina e contagiosa, e annuendo gli diede il permesso, lusingata e divertita insieme; anche il giovane finì per ridere insieme a lei.
 
Quando le risate e le risatine scemarono, si fecero leggermente più seri e, schiarendosi la voce, Aki le disse:
 
“Kaori, resterai per sempre nel mio cuore” e avvicinandosi, inaspettatamente le depositò un dolcissimo bacio sulla guancia.
 
La ragazza sussultò leggermente, ma non fece in tempo a dire o fare altro che lui si era già allontanato, e mentre Kaori si portava la mano alla guancia, dove ancora sentiva il tepore delle sue labbra, lui era ormai distante parecchi metri.
Prima di svoltare dietro una siepe di bosso, salutandola con un braccio alzato le gridò:
 
“Tornerò, Kaori! Sì, tornerò laureato e con un buon lavoro! E allora t’inviterò ad uscire ancora e ti farò innamorare di me!”
 
Kaori, meravigliata, restò lì in piedi in mezzo al vialetto, incapace di aggiungere altro; alzò a sua volta il braccio e anche lei lo salutò così.
Poi, riabbassandolo lentamente, sospirò.
 
Ripresasi dal leggero turbamento e dall’emozione, alla fine scosse la testa divertita.
In ogni caso, nemmeno lei avrebbe mai dimenticato Aki Sakana, il dolce Aki che le aveva scritto poesie e lasciato fiorellini sulla porta di casa, che aveva osato invitarla ad uscire, e con cui aveva passeggiato sotto i maestosi ciliegi nel tempo nell’hanami.
 
Poi disse ad alta voce:
 
“Puoi farti vedere, ormai”.
 
“Mi hai scoperto! Socia, sei diventata bravissima!” Le rispose Ryo uscendo da dietro un albero, palesandosi e gratificandola così di un bel complimento, riferito alla sua bravura di sweeper nel saper riconoscere le aure altrui, compresa quella del suo partner.
Anche se, va detto, Ryo non aveva fatto niente per nascondere la sua; in un certo senso sperava che lei si accorgesse di essere spiata.
 
“Sì, sì, diciamo di sì” ribatté sarcasticamente la socia in questione.
 
Poi gli andò incontro e, prendendolo a braccetto, lo strinse a sé.
Senza dirsi altro, si misero a passeggiare serenamente come una delle tante coppie lì intorno, in un silenzio carico di parole, fino a quando Ryo le domandò:
 
“Perché non gli hai detto che stiamo insieme?” riferendosi tacitamente ad Aki.
 
“Perché lui non me l’ha chiesto” rispose seraficamente Kaori.
 
“Mmm…” mugugnò l’uomo.
 
“E comunque non credo che tu gli stia così tanto simpatico, quindi non volevo amareggiarlo ulteriormente” ridacchiò la ragazza e finendo per fargli la linguaccia.
 
“Ma-ma… e allora lui?” protestò Ryo muovendosi a disagio.
 
“Sei proprio adorabile quando fai il bambinone geloso” gli disse ridendo Kaori “però direi che potresti prendere qualche spunto da lui”.
 
“Intendi i fiori, le poesiole e i regalini?”
 
“Anche” gli rispose l’altra.
 
E nonostante la ragazza credesse di star passeggiando più o meno senza meta all’interno del parco, Ryo in realtà l’aveva condotta ai piedi di un magnifico ciliegio, leggermente defilato, ma già illuminato da mille lucine; ai suoi piedi era steso un ampio telo azzurro con sopra un bel cesto da picnic e alcune coperte ripiegate.
 
“Ryo! Ma che significa?” gli chiese la compagna, animata da una folle speranza, ma incapace di farsene travolgere paventando una delusione.
 
“Ho pensato che, visto che non sono riuscito ad invitarti per l’Hanami, potevo almeno farlo per la Yozakura[3]” e la guardò con amore.
 
“Oh, Ryo!” e Kaori gli volò fra le braccia, e subito cercò le sue labbra: quanto le erano mancate!
 
Si baciarono teneramente sotto una pioggia di petali rosa, come tanti piccoli cuori danzanti: la leggera brezza li faceva volare a mezz’aria e scompigliava dolcemente i loro capelli, mentre le lucine e i lampioncini di carta oscillavano pigramente nella fresca aria della sera.
I passanti si fermarono incantati a guardare Ryo e Kaori: erano l’essenza stessa della cerimonia, l’incarnazione della bellezza effimera e senza tempo.
 
Quando i due lentamente si separarono, non appena si accorsero di essere osservati, si misero a ridacchiare in imbarazzo, Kaori avvampando come un peperone e Ryo grattandosi la testa.
Ma i passanti, discreti, si dispersero silenziosamente, lasciandoli alla loro intimità.
 
“Ryo, vorrei gridare al mondo la mia felicità!” esclamò Kaori, allacciandogli le braccia al collo “Perdonami se non ho detto ad Aki di noi due”.
 
In realtà non c’era nulla da tener nascosto nella loro relazione, ma Ryo era sempre stato restio a manifestare apertamente i suoi sentimenti, e con la stessa compagna ci aveva messo una vita ad ammettere che era innamorato di lei; ed ora, nonostante stessero insieme già da un po’, Kaori non sapeva ancora se poteva parlarne apertamente, meno che meno farsi vedere in pubblico in atteggiamenti affettuosi.
Ma lì sotto quel ciliegio era avvenuto tutto così spontaneo, così naturale, che non ci aveva nemmeno fatto caso.
Il compagno non si era tirato minimamente indietro e quindi, alla fine, aveva fatto piacere anche a lui.
Non le sembrava di aver esagerato.
 
“Sugar, non fa niente, davvero. È solo che non ci sono abituato… Tu mi hai reso l’uomo più felice dell’universo, ma sono geloso di noi due”.
 
Kaori allora, prendendolo per mano, lo indusse a sedersi e gli disse:
 
“Nessuno potrà portarci via il nostro amore, nessuno potrà dividerci… nemmeno cento Aki messi insieme” finì per dire scherzosamente la ragazza.
 
“Sarà meglio, socia!” gli rispose il partner, proseguendo sullo stesso tono dell’altra “Altrimenti dovranno vedersela con il mitico Ryo Saeba!” e fece l’atto di mostrare i muscoli, alla maniera di un body builder; ma Kaori gli lanciò una coperta in faccia e, dopo un attimo brevissimo di smarrimento, lui, afferrata l’altra coperta le restituì il favore, per poi scoppiare a ridere entrambi come due bambini.
 
Certi amori vanno confessati; altri tenuti nascosti, ma solo per un po’; tutti andrebbero vissuti fino in fondo.
Altri andrebbero lasciati andare, perché altrimenti si aggrapperebbero alle pareti del cuore, straziandolo. Certi amori mai nati si idealizzano per l’eternità; altri, dimenticati, si ritrovano quando meno te lo aspetti.
Ma gli amori sofferti, come quello di Ryo e Kaori, e sbocciati come un sakura in fiore, non moriranno mai.
 
 
 
[1]Hanami (花見? "guardare i fiori") è un termine giapponese che si riferisce alla tradizionale usanza giapponese di godere della bellezza della fioritura primaverile degli alberi. Ormai si intende principalmente la fioritura dei ciliegi giapponesi, che in lingua giapponese vengono chiamati sakura, e quindi l'hanami è diventato sinonimo dell'ammirare il fiore di ciliegio. Questa tradizione, antica di più di un millennio, è ancora molto sentita in Giappone, tanto da provocare anche vere e proprie migrazioni di milioni di giapponesi dalle loro città verso le sessanta località più famose del Paese; ci sono inoltre le previsioni per la fioritura, come quelle meteorologiche, per sapere esattamente quando comincia la fioritura e fino a quanto dura. Lo spettacolo dei sakura in fiore occupa gran parte della primavera e in Giappone si può ammirare da inizio aprile (nel sud dell'isola di Honshū) fino a metà maggio (nella settentrionale Hokkaidō).
 
[2]In occasione dell'hanami, in Giappone vengono preparati degli alimenti dedicati alla fioritura dei sakura, come ad esempio gli Hanami-Dango o i Sakura-Mochi, che è possibile trovare già fatti o confezionati nei negozi o nei supermercati, insieme a bevande, dolci, gelati e altri alimenti al gusto dei fiori di sakura e a volte decorati con i fiori di sakura sotto sale, che è possibile trovare in commercio per aromatizzare bevande, tè, dolci e alimenti di vario genere. Il fiore del ciliegio, la sua delicatezza, la brevità della sua esistenza, sono per i giapponesi il simbolo della fragilità, ma anche della rinascita, della bellezza dell'esistenza.
 
[3]Tradizionalmente la festa consiste nell'ammirare la fioritura mentre si consuma un sostanzioso picnic all'ombra dei sakura in fiore. Di solito per il picnic viene usato un ampio telo plastificato, o teli occhiellati, di colore azzurro. Lo hanami si svolge anche di notte, dove prende il nome di Yozakura (夜桜? "ciliegio notturno"), per ammirare i sakura illuminati appositamente con delle luci per esaltarne la bellezza.
 
 
Fonti: Wikipedia

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