Black Skull: il marchio della Bestia

di Panda13
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** Conoscenze ***
Capitolo 3: *** Natale ***
Capitolo 4: *** Qualche tempo dopo... ***
Capitolo 5: *** Sala delle Torture ***
Capitolo 6: *** Sesso ***



Capitolo 1
*** Prefazione ***



C'era una volta un regno magico chiamato Erenthasia.
Questo era popolato da tre grandi casate: Guerrieri, Animisti e i Mentalisti.
I primi si distinguevano per la forza, i secondi poichè potevano modificare le emozioni altrui attraverso il contatto ed infine i Mentalisti usavano i poteri mentali.
La nostra storia incomincia proprio da quì. Da quest'ultimo gruppo di Elderman (uomini-magici).



Leggi inviolabili.
1. I Mentalisti sono la vera razza superiore, l’unica e sola che può governare il regno.

2. Solo un Mentalista può firmare il quaderno.

3. La firma, leggibile e fatta col sangue, sarà irreversibile.

4. Una volta firmato, il candidato sarà sottoposto a una prova d’ammissione con la quale dimostrerà la sua fedeltà al gruppo. Da questa potrà uscire solo vinto o vincitore.

5. Chi entra nella setta ha diritto al marchio nero è diventa un membro ufficiale dei Black Skull.

6. Un Black Skull rispetta sempre la gerarchia del potere. Ubbidisce ai superiori e guida gli inferiori.

7. Un Black Skull s’accoppierà solamente con i suoi simili per perpetuare la purezza della razza.

8. Un Black Skull aiuterà sempre i suoi compagni e godrà del loro aiuto in qualsiasi occasione.

9. Un Black Skull s’impegnerà a sottomettere o eliminare oppositori e inferiori a costo della propria vita.

10. Un Black Skull che viola o non persegue una delle dieci leggi inviolabili è considerato un traditore e andrà incontro a morte certa.









Questo capitolo è tratto dal libro Black Skull: il marchio della Bestia.
Potete trovare il testo integrale su Amazon, Ibs, Mondadori o NeP edizioni. Autrice: Laura Occhialini

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Capitolo 2
*** Conoscenze ***


NB. Un Mentalista può avere uno, due o tutti e tre tra questi poteri: leggere la mente, vedere attraverso gli oggetti, spostare gli oggetti.





Era una mite serata autunnale. Scorrevano tranquilli i primi anni di emancipazione della setta, ancora piuttosto sconosciuta a Erenthasia. I membri non erano stati ancora proclamati criminali dalle autorità e circolavano liberamente all’interno del paese, continuando le loro illecite attività. Ascanio, capo ufficiale dei Black Skull, aveva organizzato una festa nella sua accogliente villetta di montagna, una dimora dall’aspetto vintage, lussuoso ed elegante. Lo scopo era quello di diffondere la dottrina il più possibile e radunare un vasto numero di seguaci. Aveva aperto le danze facendo servire dal suo maggiordomo, un quarantenne tarchiato di nome Alfredo, un costoso champagne a tutti i suoi invitati. I Mentalisti avevano alzato i calici verso il soffitto prima di scolare il brindisi di benvenuto. Il proprietario era il tipico riccone viziato, abituato all’opulenza e con la vita così facile da apparire noiosa. Portava i capelli castani lunghi fino alle spalle, la carnagione era chiara, gli occhi scuri e incavati, la bocca sottile e il naso adunco che non passava inosservato. Indossava sempre capi firmati che mettevano in mostra a quale ceto sociale appartenesse. Dopo aver ucciso il padre Animista si sentiva, in qualche modo, redento, purificato dal peccato in cui era vissuto per anni. L’omicidio era stato freddo, premeditato e calcolato. Gli aveva avvelenato il tabacco della pipa così, dopo i primi avidi tiri, era partito senza troppe cerimonie. I problemi erano arrivati dopo, quando sua madre aveva scoperto tutto. La donna s’era lasciata andare a un pianto disperato e all’isterismo. Allora era stato costretto a uccidere anche lei. Aveva ripudiato il suo cognome preferendo quello di Augusto, titolo utilizzato in Oriente per indicare le divinità o i sovrani più importanti. Si sentiva il prescelto. Il Diavolo l’aveva mandato lì per una ragione: doveva risollevare Erenthasia e farne la città ideale. Aveva sempre saputo di essere diverso e speciale, contrario alle norme sociali e ai formalismi. Aveva capito che, se voleva stare ai vertici, l’avere contava più dell’essere. Così se n’era servito. Aveva affinato le buone maniere e ampliato i suoi rapporti sociali. I soldi erano stati dalla sua parte e, contrariamente a quello che dice qualche povero ingenuo, avevano potuto davvero comprargli delle persone. Afferrò il microfono e salì sul palco che aveva fatto montare per l’occasione. Usò un semplice incantesimo per abbassare le luci e creare atmosfera. Poi incominciò il suo discorso. La raffinatezza dei modi e le maniere garbate gli facevano dimostrare molti più anni di quanti non ne avesse in realtà. Proseguì raccontando della nascita della setta, dei suoi molteplici obiettivi, dei piani d’azione, usando la retorica degna di un sofista. Alla fine molti sarebbero stati favorevoli alla setta.

Tra questi non rientrava certo Ambra che, appena compiuta la maggiore età, non era affatto interessata alla politica e aveva già smesso di ascoltare da un pezzo. S’era guardata intorno curiosa ammirando le linee tondeggianti e gli arredi floreali della stanza. Centinaia di foto in bianco e nero erano appese alla carta da parati e ritraevano teschi e parti del cervello umano. Luci soffuse e musica d’opera condivano il tutto. Gli ospiti erano vestiti di tutto punto e lei non era da meno. Aveva lasciato sciolti i lunghi boccoli ramati e indossato un classico vestito nero. Gli occhi ambrati erano stati delineati da un leggero tratto di matita sottile e le ciglia folte allungate dal mascara. Quel ricevimento di classe, per una cerchia ristretta di principessine e damerini, non faceva proprio per lei. Aveva accettato l’invito solo per fare un piacere alla sorella che aveva insistito tanto affinché la accompagnasse, assicurandole che si sarebbe divertita a dismisura. Ambra, a differenza della maggiore, che era una vera e propria femme fatale, era piuttosto introversa. Aveva poca esperienza e si trovava in difficoltà nell’approccio con gli altri, soprattutto davanti a un ragazzo. Non era una cacciatrice, ma una preda che amava lasciarsi sedurre, magari con un corteggiamento vecchio stile. Era sempre stata insicura, emotiva e complicata, anche se probabilmente rientrava perfettamente nella media del restante universo femminile. Fisicamente era più in carne e leggermente più bassa rispetto alla sorella. Tuttavia ciò che le invidiava di più erano il fascino e il portamento che riuscivano subito a metterla al centro dell’attenzione, mentre lei era solita starsene in disparte, lontano dalla luce dei riflettori. Data la boriosità dell’ambiente s’era buttata sui Martini. “Dopo tutto” s’era detta, “se non lo faccio ora, quando? La serata è già uno schifo, non può certo peggiorare!” In più erano così invitanti, serviti su quegli splendidi vassoi d’epoca rotondi, lucidi e argentati. Al quarto drink però la testa non voleva smetterla di girare e l’equilibrio sui tacchi a spillo non era il suo forte. Mezz’ora più tardi vagava alla ricerca di un bagno. Setacciò tutto il piano terra e non trovandolo decise di passare a quello superiore. S’appoggiò alla parete, poi alla ringhiera in ferro battuto e risalì le scale lungo il tappeto rosso mogano. Sulla cima un grosso quadro dalla cornice sfarzosa, ricoperta d’oro, destò la sua attenzione. Ritraeva un romantico e fiero cavaliere in sella al suo destriero bianco. Di lì un corridoio si estendeva mostrando una sfilza di porte bianche in laminato. Decise di iniziare dalla prima, a fianco al dipinto, sperando che potesse celare la sua agognata meta. Si trascinò in quella direzione e con un colpo secco l’aprì. Subito venne investita dalle urla acute di una ragazza. Quando la mise a fuoco si pietrificò. Su un letto matrimoniale una morettina in topless e minigonna era avvinghiata alle spalle di un ragazzo a torso nudo. La ragazza aveva, in fondo alla schiena, il marchio nero (un teschio). Appena la vide sgattaiolò come una saetta per recuperare gli indumenti sparsi sul pavimento. Poi le sfrecciò accanto, evitando il suo sguardo, e uscì. Ambra si sentì avvampare. L’Elderman (uomo-magico) era decisamente attraente. Di qualche anno più grande di lei, aveva il fisico statuario, forte e possente degno di una divinità.  I capelli, così come la barba, erano corti e scuri. Indossava solamente un paio di pantaloni blu e sul pettorale sinistro risaltava in grande il tatuaggio della setta. L’espressione del volto era scocciata. Lanciò uno sbuffo poi s’alzò per raggiungerla. In piedi era alto una spanna di più, nonostante fosse scalzo. 


«Ci hai interrotti!» disse alludendo alla sua conquista dissolta nel nulla. 

«Potevate chiudere a chiave». 

Sembrò infastidito da quella risposta, solo per un attimo, prima di ritrovare la parlantina. «Puoi prendere il suo posto se vuoi» la invitò con voce profonda. «In mancanza di meglio mi accontento anche delle nanerottole come te».

«No, grazie!» rifiutò stizzita.

Lui sorrise divertito e lei pensò a quanto fosse bello quel sorriso che si delineava sul suo volto, insultandosi automaticamente per quel pensiero così assurdo e fuori luogo. 

Il Mentalista la scrutò. «Non ti ho mai vista ai ricevimenti, sei nuova?»

 «Mi chiamo Ambra. Non sono una Skull, sono qui solo per mia sorella».

 «Nome?» 

«Quale nome?» 

Il moro sbuffò ancora una volta. «Come si chiama tua sorella?» 

«Ah… Calliope Caruso». 

Sgranò gli occhi neri. «Wow! Caruso non mi aveva mai detto di avere una sorella così bruttina» la provocò. 

«Sei davvero gentile e, anche se mi piacerebbe molto restare qui per essere insultata da te, adesso devo proprio andare!» fece sarcastica. 

«Aspetta!» la bloccò. «Forse non lo sai, ma il letto di questa suite è davvero comodo». 

Lo fissò sbalordita. Cos’era quello? Un invito a passare la notte insieme? «Sei disgustoso!» grugnì con le guance scarlatte. 

Il Mentalista ridacchiò divertito dalle sue reazioni. «Sempre a pensar male, voi donne» si difese. «È chiaro che hai bevuto un po’ troppo, pensavo ti servisse un letto per riposare un po’» disse innocentemente. 

Lo squadrò decisa a non fidarsi. 

«Dico davvero» insistette. «Non ho cattive intenzioni! Voglio solo farti un favore. E poi si dorme veramente bene su queste costosissime lenzuola di seta». 

Improvvisamente l’urgenza del bagno sembrava un bisogno lontano anni luce. Era davanti a un bivio. Poteva scegliere di girarsi e andare via come aveva detto, e sarebbe stata la cosa più sensata da fare. Oppure poteva restare, afferrare l’invito dello sconosciuto e passare la notte in camera sua. Erano già le due passate. Sua sorella chissà dov’era finita e non aveva proprio voglia di tornarsene a casa barcollando per strada. Senza rifletterci troppo lo sorpassò, s’avvicinò al materasso e si sedette. 

«Puoi stenderti, non mordo» disse lui sistemandosi al lato opposto. 

“Tipica frase dal lupo famelico che aspetta solo di aprire le fauci per azzannarti” pensò. In ogni caso si sdraiò accomodandosi a pancia in sotto e girando la testa dall’altro lato per non doverlo vedere. Chiuse gli occhi. Le coperte profumavano di rose. Erano soffici, morbide e ancora calde. Avrebbe voluto che quel Mentalista sparisse lasciandola sola a smaltire il resto dell’alcool. Avrebbe dormito un’oretta, giusto il tempo di riprendersi, fino alla fine della festa. Così da non doversi sorbire alcuna interazione sociale con quella massa di snob. Si portò i gomiti vicino al busto. Era davvero comodo e rilassante. Lo Skull però non era affatto stanco e con uno scatto le balzò sopra, posizionandosi a metà fra le sue cosce e il bacino. Ambra reagì immediatamente sollevandosi con le braccia e inarcando la schiena, ma lui la riportò subito giù con la forza delle mani. Gli arti inferiori erano bloccati sotto il suo peso. Cercò di sollevarsi ancora col busto ma non ci fu niente da fare. Era troppo forte e, a ogni tentativo, la riportava in posizione orizzontale. 

«LEVATI DI DOSSO!» urlò irritata e spaventata. “Cosa voleva fare?” Nella sua mente si insinuarono le peggiori ipotesi. 

«Tranquilla. Non sono quel tipo di Elderman. Le donne le gradisco consenzienti». 

Si rilassò un po’. 

«Tuttavia» continuò «è dal discorso d’apertura che sto dietro a quella mora. Hai mandato all’aria tutti i miei piani. Il minimo che tu possa fare è chiedere scusa per quello che hai combinato». La rossa parve rifletterci troppo. Il ragazzo le afferrò i capelli, dietro la nuca, alla base del collo, facendole scappare un urletto più per la sorpresa che per il dolore.

«CHIEDI SCUSA!» ripeté a voce alta.
 

Lei tentennò e il cuore galoppò nel petto. Lui aumentò la pressione e iniziò a tirare. 

«S-scusa» mugugnò. 

Lo Skull indugiò sul suo viso arrossato, sulle labbra piene e sulle palpebre socchiuse che celavano parte dei suoi splendidi occhi color dell’ambra. «Come?» chiese ancora. 

«Scusa». 

«Non ho sentito bene». 

«SCUSA!» urlò. 

Sorrise soddisfatto. Quel suono era dolce musica per le sue orecchie. Adorava sentire le donne supplicare. Gli regalava un ignobile senso di potere. Allentò la presa e avvicinò una ciocca ramata alle narici per inspirare. L’odore era indefinito. Non avrebbe saputo dire a quale fiore, frutto o spezia appartenesse. In ogni caso sapeva di buono. Si allungò sopra di lei stendendosi in modo da ricoprirla interamente col proprio corpo. Si tenne sollevato sui gomiti. Il viso si fece spazio sopra la spalla accanto al suo orecchio. Da quella posizione poteva sentirne i respiri. Iniziò a strusciarsi lentamente facendo pressione col suo sesso contro i glutei della ragazza come a simulare un rapporto. Ambra riuscì a sentirlo direttamente sulla pelle premere contro la stoffa leggera del vestito. «Ti piace?» sussurrò lascivo.

«No!» rispose categorica.

Lui continuò e lei si lasciò sfuggire un tremito che tradì le sue sensazioni. 


«Non mi sembra che ti faccia così schifo» sorrise compiaciuto. Sotto i suoi movimenti, la Mentalista si rilassò e girò la testa per cercare la sua bocca. Il moro si avvicinò ma portò le labbra al suo orecchio facendola tremare di nuovo. 

«Mi dispiace, ma posso andare solo con le Skull» disse seducente. 

«Sopravvivrò lo stesso» rispose altezzosa. A lui vennero in mente un milione di modi diversi per tapparle la bocca, tutti decisamente poco delicati, ma si trattenne. 

«A proposito… Sono Vittorio Del Vallo» si presentò. 

Nonostante i giramenti di testa, l’aumento della temperatura e la difficoltà di concentrazione che quel ragazzo le provocava, la sua affermazione giunse come un’epifania. Un’informazione preziosa da registrare prontamente per non dimenticarsene: aveva conosciuto il braccio destro di Ascanio. Poi finalmente esaudì i suoi desideri, s’alzò e se ne andò lasciandola sprofondare tra le coperte.





Questo capitolo è tratto dal libro Blacl Skull: il Marchio della Bestia.
Potete trovate il testo integrale su Amazon, Ibs, Mondadori o NeP Edizioni. Autrice Laura Occhialini.

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Capitolo 3
*** Natale ***


Era giunto il periodo dell’anno che preferiva: quello natalizio. Il clima di festa si respirava ovunque per le piazze. Le luci scintillanti, i lieti canti e l’odore di zenzero e cannella le avevano sempre messo allegria. Amava sistemare gli addobbi per casa e decorare l’albero con lucette, ghirlande di tinsel e palline colorate. Era elettrizzante riporre tutti i pacchetti nonostante riuscisse a vedere cosa contenessero ancor prima di scartarli. Anche sistemarsi davanti al camino a leggere un buon libro o ascoltare musica rientrava nella lista delle cose da fare. Un’altra cosa che adorava era concedersi un delizioso strudel di mele ancora caldo e bere del buon vin brûlé passeg- giando per le strade innevate della città. Questo la riscaldava immediatamente. Non aveva bisogno di grandi cose. Bastava la compagnia di un amico e tutto appariva incantevole.
Quella sera aveva indossato uno dei suoi abiti preferiti: un vestito in stile scozzese dal tessuto morbido che scendeva fino alle ginocchia e un paio di collant velati.
«Pronta per la serata?» chiese Calliope tutta eccitata mentre infilava gli stivali in pelle. La bionda aveva optato per uno sgargiante abitino blu elettrico.
Ambra rispose affermativamente. Lo era. Non riusciva a fare a meno di sentirsi su di giri. Non per il ricevimento, ma perché di lì a poco avrebbe rivisto Vittorio. Lo Skull era imprevedibile e indecifrabile. Non riusciva mai a capi
re cosa gli passasse per la testa. Aveva sempre la risposta pronta e Dio solo sa quanto ci sapesse fare. Era il classico uomo che non voleva una storia seria. Anzi, non voleva proprio una storia. L’unica relazione che instaurava col mondo femminile era fatta unicamente di sesso. La loro unione non era approvata dai membri della setta, poiché lei non ne faceva parte, perciò l’unico modo che avesse per vederlo era quello di incontrarlo alle feste. Nonostante questo le loro fugaci chiacchierate l’avevano portata ad avvicinarsi sempre più e, volente o nolente, occupava gran parte dei suoi pensieri.

Le due donne uscirono a notte inoltrata e raggiunsero la villa. Una volta dentro, la maggiore andò a fare il giro degli invitati per controllare se si fosse aggiunto qualche nuovo gentleman a corte. Quanto alla minore, non fece altro che starsene in un angolo, col ritmo del jazz dentro i timpani, a colloquiare con qualche Elderman di passaggio e attendere. Soprattutto attendere. Le sue aspettative vennero presto deluse quando trovò Vittorio alla zona bar conversare con una donna più grande. Il tubino cipria che evidenziava le sue curve abbondanti e un teschio nero sulla caviglia non lasciavano dubbi: avrebbe passato la notte con lei. Distolse rapidamente lo sguardo buttandosi sul primo drink che trovò. Ananas, lime e vodka.

Dopo i primi convenevoli il padrone di casa salì sul palco. Durante i suoi discorsi il silenzio era d’obbligo, quasi si respirasse una sorta di contemplazione mistica, di rispetto profondo e religioso. Iniziò col dare un caloroso benvenuto ai presenti. Sapeva essere così persuasivo che in pochi anni era riuscito a metter su una cospicua banda di criminali. Discusse delle nuove campagne elettorali e del contributo che la banda poteva fornire in quell’occasione. Nulla di più tedioso per Ambra. In quel momento però qualcuno la cinse da dietro facendola sobbalzare.
«In camera mia tra cinque minuti» sussurrò Vittorio a voce bassa. Quelle parole le produssero immediatamente una contrazione involontaria del basso ventre. Non ebbe bisogno di rispondere. Mente e corpo risposero per lei.
 
***
 
La rossa, nonostante fosse un’anima romantica, aveva un lato masochista. In amore le piaceva soffrire. Non che ne fosse totalmente consapevole, ma nel suo inconscio funzionava così. Le pappette pronte, scontate o semplici la stancavano troppo presto. Vittorio non faceva altro che alimentare quella parte, tanto perversa quanto dominante, che teneva gelosamente nascosta dentro di sé. Era il suo lato più oscuro e selvaggio. Quel lato che, pur sapendo quanto sia nocivo, non puoi fare a meno di appagare perché ti fa sentire viva e ardente come non mai. Era proprio quella parte che lo bramava con tutta la sua forza contro ogni possibile buon senso.

«Allora? Vuoi o no diventare una Skull?» chiese spazientito per l’ennesima volta.

«Non lo so! Te l’ho già detto!» ribadì.

«Non puoi fuggire per sempre! Prima o poi dovrai prendere una decisione!» affermò irremovibile.

 
«Non puoi uscirne tu?» domandò esasperata.

«Non voglio, e se tentassi di farlo mi ucciderebbero» rispose risoluto. «Se ti unissi alla setta potrei venire a letto con te» fece languido.

«Tutto questo interesse solo per questo? Cos’è, ti annoi con le altre venti donne ai tuoi piedi?» domandò con sarcasmo.

«Affatto, anzi farmi tua sorella è stato bellissimo». Quella risposta arrivò come una pugnalata.

«Non dire cavolate! Non lo farebbe mai!» si stizzì.

«Non ci giurerei!».

«Stai mentendo!»

«Ne sei sicura?»

 
“No…” Non lo era affatto. Prese a camminare nervosamente per la suite. Non era possibile! Calliope non poteva averlo fatto! Le aveva detto quanto le piacesse Vittorio. S’era confidata con lei. Tra tutti gli Elderman disponibili, proprio con lui? Il pensiero la faceva andare fuori di testa.

«Sai che posso leggerti i pensieri, vero?» chiese divertito.

Ambra si fermò sul posto solo per restituirgli un’occhiata torva.

«Me ne vado!» sentenziò infine. Si voltò ma lui, con la velocità di un Guerriero, le afferrò una mano e la fece voltare.
«Sei appena arrivata, Ascanio non ha ancora terminato il suo discorso».

«Lo so, ma non mi va più di stare qui!» disse seccamente.

Lo Skull lasciò la presa, fece spallucce e si buttò sul letto sdraiandosi supino con le mani incrociate dietro la nuca. La rossa era decisa più che mai a lasciare la stanza.

«Non sono andato con Calliope. Sarebbe fin troppo facile. Ci metterei davvero poco» disse mentre un sorrisetto spuntava agli angoli della bocca.

Lei scattò nella sua direzione. “Che grandissimo stronzo! Tirare fuori addirittura mia sorella!” Vittorio le lanciò un’occhiataccia come a dire: guarda che ti sento.

«Sapevo che era una bugia!»

«Sì, infatti eri proprio tranquilla» scherzò.

 
Era ancora vagamente infastidita ma tutto sommato largamente sollevata che stesse bluffando. Non riusciva a rimanere arrabbiata, voleva fare pace e sentire ancora una volta il suo calore prima di andarsene. Si avvicinò e si posizionò su di lui stendendosi sopra con tutto il corpo. Duro e resistente come l’acciaio, la teneva su di sé senza il minimo sforzo.

«Sul serio. Cosa aspetti a unirti a noi? Ormai manchi solo tu» testardo come non mai, era tornato alla carica.

Sospirò, stanca di quella discussione. «Non condivido tutta questa violenza». Scosse il capo in segno di dissenso.

«Non si tratta di violenza, ma d’ideali. Non sei costretta a uccidere se non vuoi. Ci sono mille altri modi per portare avanti i principi della setta».

«E la prova di ammissione?»

«Non è detto che ti si chieda di uccidere. Non tutte le prove sono uguali».

«Tu hai mai ucciso qualcuno?»

«Sì».

Era lì, tra le braccia di un assassino; eppure, non aveva minimamente paura. Anzi, si sentiva al sicuro, certa che non le avrebbe mai fatto del male.

«Non credi che se il regno fosse governato dai Mentalisti sarebbe un posto migliore?» domandò il moro.

«Forse».

 
«Mmh… Forse non mi piace come risposta, ma possiamo lavorarci. Ti serve solo un incentivo!». Le prese delicatamente le mani intrecciandole con le sue. Poi le portò dietro la schiena della ragazza per riunirle e impugnarle entrambe con la sinistra. Aumentò la pressione per tenerle incatenate all’interno della sua più forte e grande. La rossa si trovò con le braccia bloccate. Provò a svincolarsi, ma per quanto si opponesse la presa era ben salda e dopo un paio di tentativi si arrese. Lo Skull, con la destra libera, si fece largo sul suo corpo. Partì dal fianco per scendere fino ai glutei. Ambra istintivamente cercò di serrare le gambe, ma lui glielo impedì puntandole un ginocchio in mezzo. Accarezzò la coscia fino a raggiungere l’orlo del vestito rosso. Arrivò fino al ginocchio, poi tornò indietro, passando al di sotto della gonna, strisciando sui collant velati. Scivolò in mezzo alle gambe per giungere nel punto più intimo. Il tocco lento e sensuale era oltremodo piacevole, ma non abbastanza da raggiungere l’intensità che desiderava. Non voleva farla godere. Almeno non in quel momento. Voleva torturarla. Lei si specchiò nei suoi lucidi occhi neri e ne fu certa: amava prendere il controllo.

«Vuoi che pensi a te tutta la notte?» sussurrò la Mentalista.

«Sì, fallo e io farò lo stesso» rispose seducente, senza interrompere nemmeno per un secondo quello che stava facendo.

«Sei proprio un bugiardo!» sorrise.

«Tu una finta pudica!» disse a tono.

Cercò di controbattere ma, in quella situazione, anche parlare sembrava complicato. In un mix di eccitazione e imbarazzo sistemò il viso nell’incavo del suo collo per non dover 
incontrare il suo sguardo. Lo Skull però poteva sentirla e sapeva quello che le scatenava dentro. Si nutriva dei respiri caldi sulla sua pelle. Del profumo dei suoi capelli lunghi. Dei suoi gemiti soffocati. Della stoffa umida tra le sue cosce. Non poté più resistere. Aumentò la pressione dandole quello che voleva. La rossa non controllò più il respiro, che divenne affannoso. Il battito non era mai stato tanto accelerato. Le guance erano fiamme.
"Ti voglio…”

«Anch’io ti voglio» le sussurrò.

«Non leggermi la mente!» sbottò la Mentalista col cuore in gola.

«Non posso non sentirti. Non stai pensando. Stai urlando» si difese inebriandosi di quei sospiri dentro al suo orecchio.

«Lasciati andare». Aumentò ancora di più la velocità, sfregando e spingendo nonostante la barriera dei vestiti. Lei senza più ritegno iniziò a gemere muovendo il bacino per assecondare meglio i suoi movimenti. Lui continuò finché non raggiunse l’apice e il corpo fu scosso da violenti e ripetuti spasmi. Quando si rilassò, allentò la presa sulle mani lasciandola libera.

«Ora è meglio se ti sposti, prima che inizi a spogliarti» disse lo Skull.

Controvoglia scivolò via sistemandosi a fianco.

«Chi le ha stabilite tutte queste regole?» fece ancora frastornata.

«Sai bene chi».

 
«Sono stupide e dubito che lo verrà mai a sapere».

«Ti stai sopravvalutando se credi di poter venire a letto con me e riuscire a non pensarci».

“Anche se fosse?”

«La tua piccola testolina si riempirebbe di pensieri così intensi che Ascanio potrebbe sentirli anche a un chilometro di distanza e allora saremmo morti, entrambi».

“Forse hai ragione…”

«Ho sempre ragione» puntualizzò.

«Sì, e sei sempre modesto e per nulla invadente con i tuoi poteri» scherzò.

Non le diede corda e continuò. «Senza contare il fatto che ti innamoreresti inevitabilmente di me».

«Qualsiasi cosa capiti mi rifiuto di innamorarmi di te» fece sicura.

«Fai bene» disse passandole una mano sulla chioma ramata. «Fai bene» ripeté, ma stava già pensando ad altro.



 


Questo capitolo è tratto dal libro Blacl Skull: il Marchio della Bestia.
Potete trovate il testo integrale su Amazon, Ibs, Mondadori o NeP Edizioni. Autrice Laura Occhialini.rale su Amazon, Ibs, Mondadori o NeP Edizioni.
Autrice Laura Occhialini.
 
 

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Capitolo 4
*** Qualche tempo dopo... ***


Qualche tempo dopo....
 
 
Il braccio destro del capo se n’era andato da Erenthasia per trascorrere un periodo sabbatico a Londra. Voleva spassarsela circondato dalle droghe, dall’arte e dalle belle donne. La sua assenza aveva lasciato un grande vuoto nel cuore di Ambra, che fino all’ultimo aveva sperato che i loro continui incontri segreti avessero davvero significato qualcosa. L’ultima volta che s’erano visti avevano litigato. La ragazza s’era finalmente decisa a entrare nei Black Skull ma lui, nonostante avesse insistito così tanto, aveva cambiato idea spiazzandola completamente.

Le aveva detto che i progetti della setta avevano preso una piega inaspettata che non aveva né voluto né previsto e gli ideali di partenza s’erano trasformati in un pretesto per diffondere violenza. Le aveva ordinato di restarne fuori perché non era adatta e non avrebbe superato nemmeno la prova di ammissione. Lei s’era opposta. Gli aveva risposto che voleva stare con lui a tutti i costi e che non le interessavano le conseguenze. A quel punto Vittorio aveva reagito male aggredendola e rinfacciandole di essere solo una ragazzina capricciosa e incosciente, che non doveva mettere la sua vita in pericolo per qualcuno che la considerava solamente un divertimento passeggero di cui si sarebbe stancato molto presto. Dichiarò senza mezzi termini che non era importante per lui e che, se fosse stata minimamente intelligente, avrebbe dovuto continuare per la sua strada senza cercarlo più e senza tornare alla villa.
Due giorni dopo era partito. La rossa aveva fatto tutto il contrario di quanto le aveva detto e aveva continuato a par- tecipare regolarmente a tutti i ricevimenti organizzati da Ascanio nella vana speranza che si presentasse. Non diversa era stata quella sera.
Durante le molteplici feste il capo metteva sempre in bella vista un diario molto particolare, rivestito da una copertina in pelle opaca color dell’ebano. In effetti non aveva nulla di speciale in sé e per sé, ma a renderlo tale era l’uso che se ne faceva. Alla fine di ogni orazione Ascanio invitava i suoi ospiti a registrare il proprio nome su di esso. In questo modo chiunque volesse entrare a far parte della setta con la propria firma ne dichiarava l’intento. Seguiva poi la prova di ammissione in cui il candidato avrebbe dovuto dimostrare di essere meritevole del marchio nero.
Ambra aveva sempre guardato con sospettosa prudenza quel piccolo libricino scuro. Non s’era mai avvicinata troppo e l’aveva sempre ammirato da lontano. Tuttavia, appoggiato sopra un leggio dalle linee in ferro, illuminato da una lam- pada di pietre del sole, scatenava oltremodo la sua curiosità. S’avvicinò e finalmente lo aprì. Insieme alle Leggi inviolabili sulle pagine c’erano centinaia di firme. Alcune sbarrate da una linea orizzontale.
«Finalmente, Caruso!» La voce melliflua di Ascanio la fece sobbalzare. Come sempre, era vestito in maniera inecce- pibile ma il suo aspetto esteriore gli regalava sempre qualche anno in più. Infatti, nonostante non raggiungesse i quaranta, aveva i capelli brizzolati e segni d’espressione piuttosto marcati sul volto. «Temevo di doverti cacciare dai miei ricevimenti. Dopo tutti questi anni iniziavo a pensare che non avresti mai seguito le orme di tua sorella. Invece eccoti qua» disse 
soddisfatto. Le porse una matita dalla mina in granato e tor- nò dagli altri invitati. Ambra sollevò un palmo verso l’alto. Appoggiò la punta su di esso e il sangue sgorgò con facilità. Firmò.
 
***
 
 
Qualche giorno dopo Ascanio l’attendeva nel suo salottino privato. Chi non s’aspettava minimamente di incontrare era Vittorio. Erano entrambi spaparanzati su un divano in stile impero di pelle bordeaux. L’odore d’erba saturava l’aria, ma per il resto la stanza retrò era pulita e ordinata. Ai loro piedi si stendeva un tappeto orientale dalla trama classica rossa e beige. Lunghe tende ocra ricamate a mano coprivano le fi- nestre e donavano luce alle pareti pastello. Il moro la ignorò completamente continuando a fumare e trattandola come se fosse un’estranea. Indossava una camicia nera e un semplice paio di jeans. Non era cambiato molto dall’ultima volta che s’erano visti, solamente un velo di barba scura gli circondava il mento. Il capo invece la fissava come un avvoltoio dentro un completo color écru che si adattava perfettamente al fisico magro.
«Ben arrivata» l’accolse. «Ti divertirai tra poco» le assicurò incurvando le labbra.
Lei rispose con un cenno, cercando di concentrarsi sulle sue difese mentali per mantenerle il più alte possibile poiché in quella stanza tutti potevano sentire i suoi pensieri. Dopo al- cuni minuti arrivò Ennio, un trentenne dai ricci ribelli e dai 
piccoli occhi marroni. Trascinava un giovane moro all’incirca della sua stessa età, piuttosto malconcio e che emanava cat- tivo odore. Era stato torturato. Il viso e le braccia erano pieni di ematomi. Le labbra pallide, secche e spaccate. Le narici ostruite da croste di sangue. Anche il resto del corpo, seppur coperto dai vestiti sporchi e strappati, dava l’idea di non es- sere in buone condizioni. Camminò a fatica trascinato dallo Skull che lo fece inginocchiare sul tappeto.
«Finalmente! Iniziavo a preoccuparmi» affermò impaziente Ascanio. «Identificati!» si rivolse al prigioniero. «Dimmi nome e razza». L’Elderman non rispose. Il riccio gli sferrò un calcio dritto sulle reni che lo fece cadere in ginocchio e contorcere con affanno.
«Nome e razza» ripeté, scandendo le parole.
«Giulio… Animista…» biascicò a fatica.
«Desideri diventare un servitore dei Black Skull in cambio della vita?» domandò Ascanio in tono formale.
«Fate schifo!» sputò con disprezzo.
«Mi sembra un no» concluse il capo. «Caruso, uccidilo!» ordinò.
La rossa agghiacciò. Se ne stava lì impalata mentre la sua più grande paura prendeva vita: doveva uccidere qualcuno.
«Puoi usare l’arma che vuoi, ma un semplice coltello dovrebbe bastare» la incoraggiò Ennio porgendole il suo coltellaccio dal manico in legno con un gesto di galanteria. Ambra avvicinò la destra cercando di non tremare e l’afferrò. Consapevole di non aver altra scelta si posizionò alle spalle 
dell’Animista. Doveva fare attenzione e mantenere alte le difese mentali. Se avesse esitato, titubato o avuto timore l’a- vrebbero saputo.
Ascanio la fissava con trasporto, le braccia distese lungo lo schienale del divano e le gambe incrociate. Anche Vittorio la guardava, ma la sua espressione era indecifrabile. Maledisse il giorno in cui lo aveva incontrato, maledisse quegli stupidi party a cui andava solo per stare con lui e maledisse se stessa per essere stata così sprovveduta. Non avrebbe mai trovato il coraggio per superare la prova. Ciò che voleva era voltarsi, andarsene e non tornare più. Aveva le mani sudate e il respiro così accelerato da temere che potessero sentirlo. Il cuore pompava forte riempiendo la cassa toracica. Il ru- more era talmente intenso da arrivarle fino alle orecchie. Il cervello era un mulinello vorticoso.
Vittorio s’alzò. Raggiunse il prigioniero con passo spedito, gli afferrò il capo con entrambe le mani e con un gesto ra- pido lo ruotò facendogli fare uno scrocchio inconfondibile.
«Noioso» disse.
Tutti lo fissarono attoniti.
«È una prova fin troppo banale. La sorellina di Calliope merita di meglio. Dopotutto la maggiore era stata davvero creativa nella prova d’ammissione» spiegò.
Il superiore gli rivolse un sorrisetto complice. «Cos’hai in mente?» chiese interessato. Incrociò le dita affusolate facendole scorrere le une a fianco alle altre, un semplice vez- zo che talvolta replicava quando la sua materia grigia veniva piacevolmente sollecitata.
 
«Lascia che me ne occupi io. Sai quanto mi piacciano le aspiranti Skull».
«Tu e il tuo debole per le donne» sospirò arrendendosi davanti al suo tallone d’Achille. «Divertiti anche per noi» disse buttandosi all’indietro sul comodo schienale.
«La riporterò su quando avrà finito» gli assicurò.
Ennio gli passò un mazzo di chiavi dallo stile antico, co- struite in minerali d’aragonite arancione. Poi si stravaccò sul divano prendendo il suo posto.
«Seguimi!» le ordinò Vittorio.
 
Questo capitolo è tratto dal libro Blacl Skull: il Marchio della Bestia. Potete trovate il testo integrale su Amazon, Ibs, Mondadori o NeP Edizioni. Autrice Laura Occhialini.

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Capitolo 5
*** Sala delle Torture ***


Si fermarono davanti a un portone in legno massiccio nel sottoscala. Era sempre stato lì eppure lei non l’aveva mai notato. Era chiuso con un lucchetto d’aragonite. Vittorio infilò una chiave, fece scorrere il chiavistello e l’aprì. Dentro era buio pesto.

«Prima le aspiranti» disse glaciale facendole spazio.

Ambra superò la soglia e una pietra circolare s’accese sul soffitto. Erano dentro un ascensore. Sull’acciaio della cabina c’erano due pulsanti, una freccia verso l’alto e una verso il basso. Il Mentalista spinse quest’ultima e la piattaforma si abbassò scendendo per diversi metri. Si fermarono in uno stretto cunicolo. A destra e a sinistra c’erano decine di sbarre metalliche. L’aria era satura del puzzo di escrementi umani, urina e vomito, a cui si aggiungeva il retrogusto ferroso del sangue. Dentro le celle c’erano uomini e donne di ogni età, rinchiusi in uno spazio poco più grande di un metro quadrato.
Trattati peggio delle bestie” inorridì.

 
«Scegline uno» ordinò Vittorio.

Lei si guardò intorno senza capire.

«Ci sono due modi per superare il test d’ammissione. Uccidere o torturare. Hai fallito col primo, non ti resta che tentare col secondo. Dietro quella porta c’è la camera delle torture». Indicò una pesante porta di ferro alla fine del tunnel.
«Verranno poi a verificare che tu abbia superato la prova».

Lei iniziò a sudare. Nonostante il freddo aveva la sensazione di essere all’inferno. Il destino di qualcuno dipendeva unicamente dalla sua decisione. Erano tutte persone innocenti. Come avrebbe potuto sceglierne una?

«Non abbiamo tutto il giorno» si spazientì lo Skull.

«Non voglio» sentenziò con voce atona.

«Va bene, scelgo io» fece perentorio. Si avvicinò al cubicolo più vicino senza nemmeno far caso a chi ci fosse dentro. Tirò fuori il mazzo di chiavi e ne inserì una lunga nella toppa. Girò e aprì.
C’era una donna sulla quarantina dai capelli così biondi da sembrare bianchi. Lo sguardo, segnato da pesanti occhiaie viola, era perso nel vuoto, l’incarnato era cadaverico. Il fisico scheletrico sembrava reggerla in piedi per miracolo. Fissava il nulla completamente imbambolata, come in trance. Probabilmente avevano drogato i prigionieri per renderli mansueti. Lui la tirò fuori per un braccio ma lei non protestò minimamente e si lasciò trascinare seguendo i movimenti che le faceva fare.

Ambra era sconvolta.

«Sei debole e puzzi di paura» le disse con astio. «Te l’avevo detto di non farti più vedere!» alzò la voce. «Sai cosa succede a chi firma il quaderno e poi non va fino in fondo?» chiese con aggressività. La maschera dell’indifferenza stava crollando per lasciare spazio al suo reale stato d’animo: la rabbia.

Lei non rispose.

 
«Be’, sforzati! Prova a immaginare!» continuò con acidità. Non riusciva a calmarsi. Fremeva per la collera. Diede un pugno su una parete metallica creando un rimbombo che si propagò per il sottosuolo. Forse s’era spaccato una mano, ma non gli importava. Non poteva sopportare la vista di quell’inutile ragazzina che non sapeva nemmeno prendersi la responsabilità delle proprie azioni. Si sarebbe fatta uccidere o, peggio, avrebbe fatto uccidere entrambi. “Non sarei mai dovuto tornare. Dovevo restare a Londra e lasciarla ai suoi impicci. Cosa mi è passato per la testa?”

«Hai capito che non l’avrei fatto e hai ucciso quell’Animista per proteggermi?» domandò la rossa.

«Allora c’è un cervello in quella testa!» la schernì. Le sue iridi nere erano cariche di risentimento. «Pensi ancora che sia stata una buona idea non starmi a sentire?»

Non si sarebbe mai sognata di contraddirlo in quel momento. Scosse il capo. Eppure doveva pur esserci un altro modo per uscire da quella situazione, un’alternativa che non implicasse seviziare un’innocente.

«Non c’è!» la bloccò categorico.

«Non credo di riuscire a farle del male» mormorò.

 
«Credi che non lo sappia?» grugnì come se non ci fosse nemmeno bisogno di dirlo. «Lo farò io. Ho proprio bisogno di sfogarmi».

La rossa sentì un brivido percorrerle la schiena. Quello che le avrebbe fatto non voleva neanche saperlo. Per la prima volta stava vedendo lo spietato assassino in azione e per la prima volta ne aveva paura.

«Tu non sei così! Non sei come Ascanio o Ennio!»

«Ho appena ucciso un uomo e sto per torturare una donna. Tutto dice il contrario».

Lo scrutò dentro le iridi scure tentando di cogliere un briciolo di umanità, ma le trovò distanti come non mai.

«Perché lo fai? Perché mi aiuti?» chiese sperando in una sola e unica risposta.

«Non voglio che qualcuno mi porti via il mio giocattolino. Non prima di averci giocato almeno una volta come si deve».

«Solo per questo?» domandò cercando di nascondere la delusione.

«Perché sennò?» Poi lo Skull si voltò, si trascinò dietro l’Elderman e sparì dentro la sala delle torture.




 
  Questo capitolo è tratto dal libro Black Skull: il Marchio della Bestia.
Potete trovate il testo integrale su Amazon, Ibs, Mondadori o NeP Edizioni.
Autrice Laura Occhialini

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Capitolo 6
*** Sesso ***


Ambra era seduta al tavolino shabby chic del suo giardi- netto. La temperatura era ancora mite nonostante il grigiore del cielo autunnale. Si gustava una fetta di crostata ai fichi, mentre i suoi pensieri andavano a Calliope. Da mesi non si faceva viva. Era abituata alle sue sparizioni, ma ora stava proprio esagerando. Non era mai stata via così a lungo. Solitamente se ne andava per poi tornare e vantarsi dei suoi successi. Gli abiti di marca, le scarpe firmate, i gioielli costosi, le borse e gli uomini. Le piaceva chiacchierare per ore e quasi perdeva la cognizione del tempo. A lei stava bene e quando non ne poteva più faceva finta di ascoltare.
Il dolce era così delizioso che se ne tagliò un’altra fetta, ma non fece in tempo ad addentarla perché il telefono squillò. Era il tatuatore personale del capo che la intimava di raggiungerlo alla villa.
 
***
 
 
Superò la camera di Vittorio, che fortunatamente trovò chiusa, avanzò lungo il corridoio dalla tappezzeria rosso mogano e raggiunse l’ultima porta a destra. Avvicinò la mano alla maniglia, ma prima di raggiungerla l’uscio si aprì.
«Ti ho vista arrivare» disse Tancredi con pacatezza, e la invitò a farsi avanti.
Lo Skull era un quarantenne tatuato dalla testa ai piedi, con un paio di premolari d’oro e la cresta 
ribelle. Il suo look punk era in netta antitesi col suo animo zen. Il suo studio, dalle tenere nuance giallo canarino, era maniacalmente ordinato.
«Dove lo vuoi?»
In realtà non ci aveva ancora pensato, ma la sua mente vagò a quello di Vittorio e la risposta le uscì di getto.
«Sul petto».
«Bene. Spogliati e stenditi sul lettino. Puoi lasciare i tuoi vestiti su una sedia» disse indicando le poltroncine di pelle sistemate lungo il perimetro.
Così fece. Nel mondo degli Elderman veniva usata la bio- tite, una particolare pietra nera che consentiva una ripresa immediata dell’epidermide, senza necessità di creme e bendaggi successivi all’operazione. L’ago arrivò come una spina pungente e rumorosa. Il tatuatore, preciso e professionale, non era di molte parole. Finito il lavoro le porse uno specchio quadrato e lei si ammirò. La pelle era leggermente arrossata ma il teschio era stato eseguito alla perfezione. I contorni era- no sottili e definiti, l’interno riempito con sapienti sfumatu- re. Osservò gli incavi grandi degli occhi, la forma particolare dell’osso nasale e i denti rotondi. Impacciatamente ringraziò.
 
***

Si sentiva più leggera. Finalmente era tutto finito. Le preoccupazioni che l’avevano ossessionata negli ultimi giorni erano ormai un ricordo lontano. Raggiunse felice la rampa di scale. La prima cosa che avrebbe fatto sarebbe stata una bella dormita. Doveva recuperare migliaia di ore di sonno che l’ansia le aveva portato via.
«Non così in fretta».
Il tono basso ma autoritario di quella voce la costrinse a voltarsi. Vittorio se ne stava in piedi appoggiato allo stipite della porta con le braccia incrociate sul petto.
«Ti sei divertita con Tancredi?»
Una punta di acredine le fece immediatamente cogliere quanto fosse ancora arrabbiato.

«Tantissimo!» rispose ironica abbassando leggermente il cardigan verso il basso per scoprire la scollatura a V sul tatuaggio.

«Entra» ordinò algido spostando le mani sui fianchi e addentrandosi nella suite.

«Cosa vuoi?» chiese aspra. Superò la soglia e sbatté la porta alle sue spalle. Doveva smetterla. Non era nessuno per darle ordini.

Lo Skull la fulminò. Da dove derivava tutta quella sfronta-tezza? Doveva rimettere quell’insolente al suo posto!
«È un problema quello che hai fatto».

Non c’era bisogno di chiedere. Sapeva a cosa si stesse riferendo.

«Non fare niente era troppo difficile per te?» incalzò lui.
 
 
«Non hai il diritto di decidere al posto mio. Non puoi comandarmi».

«È qui che ti sbagli». Le scostò l’orlo della maglietta per scoprire il décolleté e appoggiarci sopra l’indice e il medio. Lì, sul marchio appena ricevuto, strisciò i polpastrelli ammirando il piccolo teschio che in contrasto con la pelle chiara sembrava ancora più nero. «Con questo addosso posso farlo eccome!»

Ambra sentì il suo profumo corposo ed energico. Era la prima volta che la sfiorava dopo tanto tempo e dovette frenarsi davanti all’impulso di baciarlo. Lui si placò leggermente mentre con una punta di piacere catturava i pensieri della donna.

«Non credevo fossi il nuovo capo della setta» ironizzò.

«Se non fosse per me saresti sottoterra. Cerca di essere più gentile» tornò pungente.

«Se l’hai fatto è perché forse provi qualcosa per me».

La guardò come se stesse dicendo un mucchio di assurdità.

«Sono uno Skull. Non sento niente per te. Considero i sentimenti una debolezza e vivo solo per soddisfare i miei più egoistici desideri».
Era sempre più deciso a fargliela pagare. S’abbassò e la sollevò sopra la spalla. Lei iniziò a dimenarsi ma lui era più che impassibile davanti ai suoi maldestri tentativi di fuga. La lanciò sul letto, determinato a prendersi ciò che gli spettava e nel peggiore dei modi. Quel gioco era durato anche troppo. Doveva essere sua una volta per tutte e poi se ne sarebbe liberato. Avrebbe saziato i suoi istinti per poi chiudere per sempre con quella faccenda.
«Stanotte voglio sentirti gridare il mio nome» disse mentre contemplava il suo corpo indifeso. Poi spostò lentamente lo sguardo per intrecciarlo col suo. Era già eccitata alla sola idea di cosa avrebbero fatto di lì a poco. Poteva sentire tutte le fantasie più profonde e aveva intenzione di soddisfarle tutte.
«Eccome se griderai» sorrise malizioso.
Sfilò la camicia bianca scoprendo i muscoli scolpiti dell’addome. Salì sul materasso, con gesto violento le strappò la maglietta, facendo volare tutti i bottoni, poi passò al reggiseno.
Per Ambra lui era tutto ciò che aveva sempre voluto negli ultimi anni. Da quando l’aveva conosciuto. Da quando ne aveva memoria c’era sempre stato lui. Ora poteva essere suo. Eppure non lo voleva in quel modo. Non con sadismo com’era abituato a fare con tutte le prostitute. Almeno per quella volta voleva illudersi di essere speciale.
«Dovrei essere delicato con te?» chiese sensuale. Con le mani si fece largo nei punti più sensibili del suo seno che reagì immediatamente, infuocandosi al contatto. Il cuore le sfondò il petto. Le guance erano più rosse dei capelli. Non era possibile desiderare qualcuno così tanto.
«È questo che vuoi?» chiese ancora una volta.

«S-sì» sospirò a fatica.

«Perché dovrei?» domandò soppesando il potere che ave- va su di lei. In realtà non avrebbe saputo come fare. Non l’aveva mai fatto. Voleva sfogarsi, sentirla implorare pietà e che, esausta, gli intimasse di smetterla. Così era abituato a prendere le donne, con la lussuria selvaggia di un animale, senza rispetto. Cosa si aspettava? Che facesse un’eccezione solo per lei?

«Dopotutto non hai fatto quello che ti ho detto. 
Meriti di essere punita». Abbassò la nuca sul suo seno per mordicchiarle un capezzolo. Faceva male ma non troppo. Si stava contenendo.
 
«Posso convincerti del contrario» lo provocò la Skull portando le mani fra i suoi capelli neri. Lo stava sfidando e di certo non si sarebbe tirato indietro.

«Vediamo» accettò incuriosito.

Ambra si fece strada sui suoi pettorali caldi, li accarezzò sentendone tutta la durezza sotto le dita. Scese lentamente fino a raggiungere l’orlo dei boxer e prese a stuzzicare l’elastico infilandoci due dita dentro. Si sistemò sul suo collo. Iniziò a lasciargli una lunga scia di baci umidi. Il moro girò la testa sul lato per facilitarle l’accesso e lei risalì fino all’orecchio. Sentì il suo respiro farsi più profondo e la sua fermezza vacillare. Stava aprendo un varco.

Poi lui tornò in sé e la magia svanì.

«Sei stata abbastanza convincente» disse. «Perciò sarò abbastanza delicato».


 

Questo capitolo è tratto dal libro Black Skull: il Marchio della Bestia.
Potete trovate il testo integrale su Amazon, Ibs, Mondadori o NeP Edizioni.
Autrice Laura Occhialini.
 
 

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