On My Skin

di nikita82roma
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Philadelphia ***
Capitolo 2: *** Washington ***



Capitolo 1
*** Philadelphia ***


Philadelphia era calda.

Philadelphia era nuvolosa e umida. Come sempre.

Alle 17:30 il sole era ancora alto in quegli ultimi giorni di agosto e la fila davanti a lui era ancora discretamente lunga.

Aveva un sorriso per tutti, Richard Castle ed ogni persona che gli porgeva una copia dell’ultimo capitolo di Nikki Heat veniva da lui ringraziato per essere venuto lì, prima di autografare il libro.

Era bravo nel suo lavoro, lo era sempre stato, soprattutto in quella parte di rapporto con il pubblico ce ne erano pochi come lui. Stephen King aveva il maggior numero di trasposizioni cinematografiche, James Patterson era lo scrittore più ricco del mondo, Michael Connelly aveva venduto 40milioni di copie ma nessuno aveva un rapporto con i suoi fan come Richard Castle. Si divertiva in quelle occasioni, dava il meglio di sé stesso, intratteneva il pubblico e lo rendeva partecipe, non dava mai la sensazione che stare lì era solo un obbligo imposto dalla sua casa editrice, lui era coinvolgente, brillante e divertente, ma quel giorno era sicuramente anche un bravo attore, perché sarebbe voluto essere da tutt’altra parte ma quel tour infinito per Deadly Heat sembrava non doversi concludere mai. Ed era solo a metà.

Un mese. Anzi 32 giorni, per l’esattezza. 32 giorni che non la vedeva. Lei a Washington, lui in giro per la East Cost. Dovevano incontrarsi la settimana precedente, quando lui era stato per due giorni nella capitale, ma lei era dovuta andare per qualcosa top secret a Boston. Proprio in quei due giorni. Ed era saltato tutto: la cena che aveva prenotato in quel famoso ristorante francese che lei aveva detto da tempo di voler provare e soprattutto la notte nella suite del Mandarin Oriental dove già si immaginava di fare con lei lunghi bagni e piccantissime docce nell’immensa camera da letto. Niente di tutto questo.

“Ciao, è un piacere vederti qui”

“Ciao, sono contento che ti piacciono i miei libri”

“Ciao, ti ringrazio per il tuo affetto”

“Ciao, a chi devo fare la dedica?”

“Ciao…”

“Ciao…”

“Ciao…”

“Ciao…”

“Ciao Castle.”

Alzò lo sguardo stupito, non si aspettava di vederla. Non gli aveva detto niente. Aveva fatto benissimo la sua parte, con la copia del suo libro in mano, in fila, come tanti altri, una delle ultime, in realtà. Era bellissima. Poteva essere più bella dell’ultima volta che l’aveva vista? Lo era, con la camicia blu e i capelli raccolti in una coda alta, un filo di trucco e uno zaino lasciato penzolare dalla spalla destra.

“Puoi dedicarlo a Kate” Lui rimase immobile mentre lei gli porgeva il libro, lo schiarirsi la voce di qualcuno dietro di lei lo convinse a prendere il libro e scrivere qualcosa sorridendo. 

“Aspettami, ho quasi fatto” Le sussurrò mentre le dava indietro la copia e Beckett si voltò vedendo che c’erano ancora solamente una decina di persone. Avrebbe finito presto. Castle fece un cenno ad uno dei responsabili della libreria che la lasciò passare, così Kate si mise alle sue spalle, qualche passo più indietro rispetto ai cartonati che lo raffiguravano con le copie di Deadly Heat in mano. Ricordava quando le aveva fatto una videochiamata dal loft circondato dalle sue copie di cartone e di tutte le sue battute sulla possibilità di avere più di un Richard Castle contemporaneamente. Erano finiti a fare discorsi decisamente vietati ai minori, ridendo tantissimo ed accentuando la mancanza che provavano uno per l’altra. 

Persa nei suoi pensieri, bastò una mossa di Rick per attirare di nuovo la sua attenzione al presente, sentì il rumore della sedia che si spostava e lui che si stava alzando, ma non era per andarsene: una ragazza decisamente procace e altrettanto decisamente scollata si era generosamente piegata verso di lui per una sua firma speciale.

“Allora dove lo vuoi?” Chiese Rick sorridendo malizioso, ma non c’era bisogno di chiedere, perché era evidente e sotto lo sguardo gelido della sua fidanzata, che non poteva però vedere, le autografò la parte alta, molto alta ci tenne poi a specificare, del seno alla giovane che se ne andò via, proprio sotto lo sguardo contrariato di Kate, molto soddisfatta.

Washington - Philadelphia era poco più di un’ora e mezzo di treno. Le avevano detto che aveva 24 ore di permesso poco dopo mezzogiorno e le era bastato il tempo di andare a casa, mettere un cambio nello zaino, andare alla stazione e prendere il primo treno. Era arrivata a Philadelphia poco prima delle 17:00, poi aveva preso un taxi e lo aveva raggiunto in libreria. Solo quando aveva visto che ancora c’era una fila di fan piuttosto consistente ed altri in arrivo, aveva deciso di comprare una copia e mettersi in fila anche lei. Lo osservava da lontano, sperando che non la vedesse e preso com’era dal suo lavoro non aveva fatto caso alla sua presenza tra gli altri lettori in attesa.

Aspettò con pazienza che finisse di salutare anche l’ultimo dei suoi fan, un ragazzo molto timido che lo aveva ringraziato più volte imbarazzato e gli aveva stretto vigorosamente la mano, prima di scappare via, quando si era reso conto che dopo di lui non c’era più nessuno. Kate lo vide infine respirare profondamente, appoggiando entrambi i palmi delle mani sulla scrivania e poi alzarsi rumorosamente. Due solerti addetti della libreria aveva già cominciato a spostare le sagome ed il resto del materiale pubblicitario, lasciandola in bella vista a lui, appena si girò. Non riuscì a trattenere un sorriso sincero, non più velato dallo stupore del vederla lì all’improvviso, inaspettatamente. Con due passi fu da lei e l’abbracciò stretta, inspirò il profumo dei suoi capelli, accarezzò con il naso la sua guancia, scivolando fino al collo, le diede un bacio, indugiando per un po’ sulla sua pelle e poi corse a cercare le sue labbra. Dovettero entrambi trattenersi, ricordandosi di essere in un luogo pubblico.

Dio, quanto si erano mancati!

“È bello vederti.” Le disse la cosa più ovvia che poteva dire. “Quanto…”

“Domani alle 17.00 ho il treno per Washington. Domani sera devo essere a lavoro. Mi hai detto di non avere impegni domani…” Glielo aveva detto qualche giorno prima, sperava che nel frattempo non avesse preso qualche altro impegno. Lui solitamente la teneva aggiornata su tutti i suoi appuntamenti, un modo per condividere la sua vita con lei, ma non sapeva se magari avesse avuto qualcosa da fare che lei non sapeva.

“Non ho impegni. Ma anche se li avessi avuti li avrei cancellati. Mi sei mancata.”

“Anche tu.”

Erano ancora abbracciati nella libreria, con le mani che accarezzano le rispettive schiene, scendendo lungo la spina dorsale e si resero entrambi conto che forse era meglio se fossero andati a finire quei discorsi in qualche luogo più adatto.

 

 

 

“Stai vendendo meno copie o sei solo diventato meno megalomane in queste settimane?” Gli chiese Kate mentre entravano in una stanza decisamente più piccola degli standard a cui Castle era abituato, non una camera standard, ma nemmeno la suite più grande a disposizione dell’hotel.

“Sto vendendo molte copie, sono sempre megalomane, ma non c’erano altre camere disponibili. E poi non pensavo di doverla dividere con nessuno.”

Chiuse la porta dietro di loro e la spinse delicatamente contro il muro, baciandola sul collo e accompagnando il suo zaino a terra, facendolo scivolare via dalla sua spalla, così da poterla stringere meglio.

“Quanto mi sei mancata Kate…” Le disse ancora assaggiando la sua pelle mentre le mani cercavano i bottoni della sua camicia per arrivare alla sua pelle.

Beckett respirò profondamente godendosi le sue attenzioni. Sapeva che sarebbe stato difficile convivere con la sua mancanza ma non immaginava così tanto. La presenza di Castle era diventata per lei molto più importante di quanto volesse ammettere a se stessa e di quanto avrebbe mai ammesso a lui. Però era così, le era mancato tanto, così tanto che teneva il conto di ogni giorno che passavano distanti e controllava sul calendario quando si sarebbero potuti rivedere, aggiornando il conto dopo ogni volta che per un imprevisto non riuscivano ad incontrarsi. In quei mesi non era la prima volta che scappava all’improvviso per raggiungerla o che lui si presentava a Washington anche solo per passare qualche ora insieme, come aveva appena fatto.

“Babe…” Sospirò mentre lui aveva finito di aprire la camicia. Le accarezzava i fianchi, stringendole poi la vita e risalendo la schiena verso il laccetto del suo reggiseno mentre scendeva dal collo baciandole l’osso sporgente della clavicola e poi ancora più giù verso i suoi seni.

Il suono del cellulare di Castle ruppe improvvisamente il loro idillio. Kate respirò profondamente tirando indietro la testa fino a toccare il muro mentre riconosceva dalla suoneria che era Alexis che stava cercando suo padre, rimasto con le labbra sulla sua pelle, titubante su cosa fare. 

“Rispondi a tua figlia, non scappo, promesso.” Gli disse accarezzandogli i capelli. Rick alzò gli occhi e sembrò chiederle scusa, poi si allontanò per qualche istante, il tempo di salutare frettolosamente sua figlia e poi tornare da lei.

“Scusami…” Le disse facendole vedere che aveva messo il cellulare in modalità aereo, poi allungò la mano per sfiorarle con la punta delle dita il seno sopra il pizzo dell’intimo blu. 

“Oggi quante ne hai autografate?” Chiese sorprendendolo

“Trecento, quattrocento… non lo so…” Rispose senza prestare troppa attenzione a quella domanda così fuori contesto.

“Tette?” Rise Kate e lo fece sobbalzare.

“Eh? Cosa? No, copie dei libri!”

“Ti ho visto con quella, prima di me.” Lo guardò intensamente. Sorrideva e lui non capiva se era seria o stesse scherzando.

“Cosa? Dai Beckett… Lo sai… Io… Loro…Ti amo!” Balbettò come a volersi giustificare mentre continuava ad accarezzarla.

“Vado a farmi una doccia…” Prese la mano di Rick e baciò le sue dita.

“Ehy ma…” Provò a protestare.

“Una doccia veloce Castle. Aspettami, non scapperò in accappatoio.” Sorrise e gli diede un rapido bacio sulle labbra prima di andare verso il bagno, lanciandogli la sua camicia una volta oltre la porta, prima di chiudersela alle spalle.

Fu veramente una doccia breve, tornò dopo poco con i capelli raccolti come li aveva messi sotto la cuffia per proteggerli, e l’accappatoio bianco dell’hotel che le arrivava poco sopra le ginocchia, lasciando scoperta gran parte delle sue lunghe gambe. Si avvicinò a lui, seduto sul bordo del letto ed entrambi si sorrisero, come se ognuno nascondesse un segreto all’altro. 

“Dove lo vuoi?” Le chiese quindi tenendo in mano un pennarello di quelli che usava per fare i suoi autografi, pensando di sorprenderla, ma fu lei a farlo, scostando l’accappatoio e scoprendo parte dell’inguine.

“Qui.” Indicò un punto preciso, guardandolo maliziosa, sorridendo mordendosi il labbro inferiore.

Fu solo un attimo di esitazione e poi Rick lasciò la sua firma sulla pelle di Kate che subito dopo fece scivolare l’accappatoio ai suoi piedi, rimanendo completamente nuda davanti a lui, che per i suoi gusti aveva ancora troppi vestiti addosso.

 

“Mi manchi già” le disse mentre la teneva stretta contro il suo fianco, guardando dritto davanti a se. Un treno stava arrivando in stazione proprio in quel momento e il rumore pensò avesse coperto le sue parole. Kate si strinse di più a lui, appoggiando la testa sulla sua spalla e baciandogli il collo. Anche a lei sarebbe mancato terribilmente. Il vento causato dai treni le scompigliava i capelli facendoli volare davanti al viso di Castle: il suo sarebbe arrivato tra poco, lo avevano già annunciato.

“Ehy Babe...” gli sussurrò stampandogli un bacio sulle labbra facendo fatica a resistere a quello sguardo triste da bambino che aveva. E lui sospirò, forte.

“Verrò la prossima settimana.” Le promise.

“Non so se potrò prendermi un giorno libero...” si morse il labbro per celare il disappunto. Non una bella mossa. Rick sospirò più forte perché quel gesto gli riportava alla mente cose della notte precedente, e del pomeriggio precedente e di quella mattina, che avrebbe volentieri ripetuto anche in quel momento.

“Non importa. Ti aspetto a casa. Sarò bravo. Prometto.”

Kate rise forte e lo baciò ancora, proprio mentre il treno stava arrivando.

“Ti amo, Babe.”

“Ti amo, Kate.” Lasciò la sua mano mentre lei stava salendo ed aspettò che il treno ripartisse, per poi avviarsi decisamente triste al suo hotel.

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Capitolo 2
*** Washington ***


La sua firma, quella firma, era ora indelebilmente sulla sua pelle. Non per un gioco, non per uno scherzo. Era lì per sempre, dove lui l’aveva fatta quel pomeriggio a Philadelphia. 

Kate non sapeva dire se era stato un colpo di testa o qualcosa che aveva pensato in modo ponderato durante il viaggio in treno.

Mentre era seduta nel suo sedile, nello scompartimento quasi vuoto, si era portata la mano sul fianco, dove lui le aveva lasciato la sua firma ed aveva provato un brivido e quell’idea era piombata nella sua testa, così arrivata a Washington era andata diretta al negozio di tatuaggi che si trovava ad un paio di isolati dal suo appartamento, vicino alla sua caffetteria preferita, ed aveva quasi supplicato il ragazzo alla reception di poterle fare quel tatuaggio subito, prima che l’inchiostro sparisse.

Non sapeva se era stata la sua strana storia o che la aveva mossa a compassione con la sua richiesta accorata, ma le disse che se aspettava una mezz’ora poteva avere un posto per lei, tanto sarebbe stato un lavoro veloce.

Non aveva sentito dolore, contrariamente a quanto pensava, sorrideva, anzi, pensando a come avrebbe reagito Castle quando lo avrebbe visto. E si mordeva il labbro pensando alla sua reazione, perché era assolutamente certa che lui una cosa del genere non se la sarebbe mai aspettata, soprattutto da lei.

 

Il fine settimana successivo al loro incontro non erano riusciti a vedersi, perché lei aveva avuto un nuovo incarico che non le avrebbe permesso di poter passare con lui nemmeno il tempo di una cena. Era passata quindi un’altra settimana di attesa, di telefonate e videochiamate in ogni momento possibile, di sospiri e promesse, di “mi manchi” e “ti amo” ripetuti allo sfinimento, però alla fine glielo aveva promesso, avrebbe avuto un permesso e recuperato il riposo della settimana precedente.

Aveva quindi sistemato alla meglio il bilocale asettico che aveva preso in affitto, già sapendo che avrebbero passato la maggior parte del tempo in camera da letto. Ma quell’appartamento era quanto di più lontano c’era dall’idea di una casa confortevole, lo aveva scelto solo badando al fatto che fosse sufficientemente vicino al lavoro. Era il posto più impersonale e da single che avesse mai visto e si era ripromessa che sarebbe rimasta lì poche settimane e poi avrebbe cercato qualcosa di più decente, ma non aveva mai avuto tempo, preferendo passare il suo tempo libero con Castle più che con un agente immobiliare. 

Ovviamente proprio prima di andare a casa una riunione l’aveva trattenuta più del previsto e non aveva nascosto il suo disappunto controllando ogni pochi minuti l’orologio: nella sua tabella di marcia era in ritardo di oltre un’ora e se Rick non era certamente uno che si formalizzava, lei ci teneva ad accoglierlo in un posto che non fosse un totale disastro. Aveva già accantonato l’idea di preparare lei la cena, avrebbero ordinato qualcosa a casa, conosceva benissimo tutti i migliori take away della zona, però ci teneva a fargli trovare un ambiente confortevole e soprattutto voleva farsi trovare pronta per la sorpresa che aveva in mente. Lui, invece, stava per arrivare e lei era sempre lì in ufficio, faticando a concentrarsi su quella riunione.

Appena uscita, quando si stava per precipitare a casa, le arrivò da lui un messaggio criptico. C’era solo un indirizzo che, una volta inserito nel navigatore, vide che si trovava a Foggy Bottom. Aveva chiesto spiegazioni, che non le aveva dato, dicendole solo di andare lì. Controllò l’orario, era abbastanza tardi perché potesse aver prenotato una cena per loro quella sera. Decise di non chiedere altro, tanto conosceva Castle abbastanza bene da sapere che non le avrebbe detto di più. Parcheggiò poco lontano da lì e fece gli ultimi isolati a piedi. Si specchiò in una vetrina poco prima di arrivare, sistemandosi i capelli, cercando di dargli volume: era in uno stato pessimo e non era certo così che voleva farsi trovare quella sera.

Arrivata all’indirizzo si guardò intorno non trovando nessun locale, ma solo l’entrata di un palazzo. Provò a chiamarlo ma non rispose, le mandò subito dopo un altro messaggio con un codice di 4 cifre. Era il codice per aprire il portone e subito dopo un altro messaggio con piano e interno, come se vedesse i suoi passi.

Kate seguì le sue indicazioni, prese l’ascensore in fondo alla hall, giocherellando nervosamente con l’anello di fidanzamento che Castle le aveva dato qualche mese prima, facendolo roteare sull’anulare, fino a quando non arrivò davanti ad una porta che trovò socchiusa; la scostò ed entrò, tenendo sopita la sua voglia di tirare fuori la pistola. L’interno era in penombra, illuminato solo dalla luce esterna che filtrava dalle tende del sole che stava per tramontare e lasciava entrare una luce rossastra. 

“Castle?” Lo chiamò senza ottenere risposta, fece qualche passo avanti chiudendosi la porta alle spalle.

“Rick?” Lo chiamò ancora, avanzando con circospezione, portando una mano sul retro dei pantaloni a prendere l’impugnatura della pistola. Si guardò intorno nell’ampio ambiente. C’era un arredamento essenziale, senza alcun orpello: una cucina a vista, un grande divano, un tavolo con quattro sedie, un mobile basso. Non c’era molto altro. Sul bancone della cucina, però vide qualcosa di familiare: due tazze con le iniziali dei loro nomi, uguali a quelle che avevano comprato un pomeriggio insieme e che aveva lasciato al loft di Castle. 

Si accorse anche che sul mobile vicino al divano c’erano due cornici e avvicinandosi si accorse che erano due foto di lei e Castle, scattate in quell’estate proprio lì a Washington.

Rick arrivò alle sue spalle, proprio mentre stava guardando le foto. Non lo sentì e sobbalzò tirando fuori la pistola quando lui le accarezzò la schiena.

“Non mi uccidere” la supplicò sorridendo.

“Dovrei farlo!” Sbottò lei, mettendo in automatico la sicura alla pistola gettandola poi sul divano per precipitarsi ad abbracciarlo.

“Mi devi delle spiegazioni!” Gli intimò mentre lo teneva stretto ed il cuore ancora le batteva troppo velocemente.

Rick si sciolse dal suo abbraccio e fece un passo indietro. Le prese le mani guardandola negli occhi.

“Non posso stare lontano da te. Non voglio stare lontano da te. Se lo vorrai questa sarà la nostra casa.”

Lo guardò senza parole. Aprì la bocca per parlare ma non uscì alcun suono.

“Posso lavorare dove voglio. Non ho motivo di stare a New York.”

“Ma… Alexis… e tua madre…”

“Alexis va all’università e mia madre ha la sua vita.”

“Io sarò sempre fuori e non potrai seguirmi qui come a New York…” gli accarezzò il viso. Avrebbe mentito se avesse detto che non gli mancava averlo al suo fianco quando indagava, congetturare con lui, sentire le sue idee strambe e fantasiose che però alleggerivano il suo lavoro e spesso si rivelavano anche utili alle indagini. Ma ora, all’FBI, era tutto diverso.

“Lo so, Kate. Ma non voglio passare le serate al telefono, a ritagliare momenti per sentirti, vederti di sfuggita un giorno ogni due o tre settimane. Perdere tempo tra aerei e treni. Voglio stare con te. Lo vuoi?”

“Certo che lo voglio.”

Vide il sul viso illuminarsi e non era solo per quel raggio di sole che si rifletteva ora nei suoi occhi azzurri.

“Non è molto grande, se non ti piace ne cercheremo un’altra. C’è questa zona, poi di là c’è una camera da letto, e uno studio dove io potrò scrivere, lì c’è un bagno e poi di qua c’è la nostra camera, la vuoi vedere?” Disse velocemente elencando le zone della casa, arrivando a quella che era la cosa che gli interessava di più. Domanda implicita la sua, l’aveva già presa per mano e l’aveva condotta nell’altra stanza.

“Ti piace? Non c’è molto ancora però…”

“Le conchiglie….” Osservò l’unico quadro alla parete che risaltava in quell’ambiente ancora spoglio.

“Le nostre conchiglie quelle che…” 

“Abbiamo raccolto negli Hamptons” dissero all’unisono come spesso gli capitava.

“Come le tazze, quelle che abbiamo comprato insieme.” Notò Kate.

“E le nostre foto. Sono le prime cose che ho trovato che sono riuscito a portare. Il quadro no, l’ho fatto fare qualche settimana fa, volevo metterlo al loft ma poi è ho deciso di prendere questa casa e… eccolo lì… Vorrei che questa fosse casa nostra. Con le nostre cose. Certo porterò qualcosa dal loft e tu se vorrai dal tuo appartamento a New York, ma vorrei che ci siano cose che raccontano la nostra storia.”

“Ti amo, Castle.” Gli disse appoggiando le braccia sulle sue spalle e accarezzandogli la nuca.

“Io di più, Beckett” le sorrise e sorrise anche lei, mordendosi il labbro inferiore, sapendo bene di provocarlo.

“Ho anche io una sorpresa per te.” Gli sussurrò maliziosa all’orecchio, baciandolo lascivamente lungo il collo. “Non come la tua ma…”

Fece un passo indietro e poi si avvicinò al letto. Rick seguì i suoi passi come incantato dai suoi movimenti.

Kate buttò la giacca sul letto e poi sfilò la camicia dai pantaloni.

“Mi piacciono le tue sorprese Beckett.” Le disse mentre arditamente la prese per i fianchi, accarezzando la sua pelle calda sotto la stoffa sgualcita.

“Aspetta… te l’ho detto ho una sorpresa…” allontanò un posto controvoglia le sue mani, non riuscendo a trattenere un brivido quando le dita di Rick scivolarono sulla sua pelle. 

Aveva pensato che sarebbe stata lei a sorprenderlo e invece Castle l’aveva completamente spiazzata con la nuova casa ed ora voleva provare a stupirlo, a fargli capire quanto fosse importante per lui, ma aveva il timore di non riuscirci, di essere sempre un passo indietro.

“Quando ti ho detto di sì, lo pensavo veramente.” Gli disse facendo seria.

“Sì a cosa?” Le chiese preso in contropiede, perché improvvisamente gli sembrava terribilmente seria.

“A te. A noi. Al fatto che saresti stato il mio solo e unico.”

Rick deglutì rumorosamente.

“Sarai il mio sempre, Kate. Non posso dirti che sarai la mia unica, perché non posso cambiare il passato, ma sarai il mio sempre.”

“Anche tu Castle sarai il mio sempre. Per sempre.” Gli disse sbottonandosi i pantaloni. Rick annuì, osservando confuso ogni sua mossa e parola, quello che sembrava un gioco di seduzione che si alternava a promesse importanti. Kate intrufolò le mani sotto la stoffa dei pantaloni lasciandole appoggiate sul pube e aspettò che la stoffa piano piano scendesse.

“Oddio Kate… sei così bella…” le accarezzò il volto, guardandola dall’alto in basso e a lei sembrò che anche il suo sguardo l’accarezzasse tanto era pieno d’amore.

Spostò la mano, rivelando la sua sorpresa, sorridendo imbarazzata come una bambina mentre si sbottonava la camicia, lasciando che lui guardasse e capisse. Era tutto così strano e mille emozioni erano dentro di lei.

“Hai ancora la mia firma! Era un pennarello molto persistente” Castle rise divertito.

“Per sempre, Rick.”

Prese la sua mano e lasciò che toccasse la sua pelle, ancora a rilievo non del tutto guarita. Il sorriso di Castle svanì nel momento in cui si rese conto di quello che aveva fatto. Era stupito e frastornato. Lo aveva fatto sul serio?

“È un….?” balbettò Rick

“…Tatuaggio. Sì, Castle.”

Passava con le dita sulla sua pelle, percorrendo i bordi scuri del tratto, esattamente nello stesso modo in cui firmava. Un movimento consueto che in quel momento, però, aveva tutt’altro significato.

“Quando sono tornata da Philadelphia. Ho deciso sul treno. Ti volevo con me, sempre.”

“Sarò sempre con te, Kate.”

Si perse nel suo sguardo e poi la baciò intensamente. Poteva immaginare qualsiasi cosa, ma quello, da Kate, era qualcosa che andava oltre ogni sua fantasia.

“Il lavoro è importante, ma tu lo sei di più. Se non fossi venuto qui, non so se sarei rimasta a Washington.” Gli confessò appena le loro labbra si separarono, prima di baciarlo ancora.

Ritrovarsi su quel letto ancora immacolato fu un attimo, i vestiti finirono ben presto ai suoi piedi e le lenzuola si riempirono di loro.

Il sole tramontò e non si accorsero nemmeno di essere rimasti completamente al buio, non avevano bisogno di luce per trovarsi. Sparì il tempo e lo spazio. Potevano essere a Washington, a New York o in qualsiasi altra parte del mondo. Non aveva importanza. Non aveva senso.

 

Kate era finalmente a casa anche lì. Era nella sua casa, tra le braccia di Castle, l’unica cosa che la facesse sentire nel giusto posto al mondo. Strusciò il viso sul suo collo, baciando la pelle ancora umida del loro amore. Teneva le gambe intrecciate alle sue, mentre gli accarezzava il torace e sentiva la mano di Castle che passava tra i suoi capelli per poi scendere sulla schiena.

“Hai fame?” Le chiese distrattamente mentre godevano reciprocamente delle rispettive carezze.

“Un po’” ammise lei e solo allora Rick accese la luce cercando a fatica l’abat-jour in quella stanza che ancora doveva imparare a conoscere.

“Cosa vuoi mangiare?”

“Pizza?” Propose lei.

“Pizza!” Esclamò lui e cercò sul suo cellulare la pizzeria più vicina per ordinare.

“Forse sarebbe meglio rimettersi qualcosa addosso prima che portino la pizza” disse lei controvoglia tirandosi su.

“Posso andare a prenderla io e tu rimani qui.” La fece scivolare di nuovo sul materasso mettendosi sopra di lei. Risero entrambi come due bambini quando lui ricominciò a baciarla passando dal collo alle scapole e scendendo sul petto. La baciò tra i seni, soffermandosi come sempre sulla sua cicatrice, quel segno che ogni volta gli provocava brividi di paura e sollievo allo stesso tempo, quel segno che ringraziava di esserci, perché era lei era lì. 

Scese ancora più giù, sulla sua pancia, la sentì ridere e muoversi, perché sapeva che le stava facendo il solletico e si divertiva a farlo. Amava vederla sorridere e ancora di più amava sentirla ridere, soprattutto quando a farla ridere era lui. La sua risata gli riempiva il cuore, erano cristalli che brillavano, erano sonagli che tintinnavano nella stanza. Arrivò con le labbra lì dove c’era il nuovo segno sulla sua pelle: non una cicatrice questa volta, ma quel tatuaggio con la sua firma. Lo baciò e lo guardò da vicino. Era così strano vederlo su di lei, sapere che sarebbe stato lì per sempre. Poi si alzò come folgorato da un’idea che aveva riempito la sua mente. Con una mano coprì il tatuaggio e si rabbuiò.

“Cosa c’è?” Gli chiese Kate. “Non ti piace?”

“È bello ma...” Rispose serio.

“Ma?”

“Per farlo. Ti hanno visto… sì insomma… ti sei spogliata davanti ad un altro uomo…”

Kate provò a trattenere la risata mentre lo guardava rabbuiato, ma non ci riuscì e rise ancora, rise di cuore.

“Stupido!” Rise ancora prendendo il suo volto e avvicinandolo a se per baciarlo e lo baciò con passione tirandolo su di sé.

“Sei geloso?” Gli chiese tra un bacio e l’altro e lui annuì come un bambino.

“Non hai motivo.”

“Lo so ma… tu… sei così…”

“Tua, Rick. Sono solo tua.” Era un’affermazione forte che mai avrebbe pensato di poter fare ad un uomo. Aveva sempre pensato che quelle parole sarebbero state una sottomissione a qualcuno e invece non si sentiva affatto così. Lei gli apparteneva tanto quanto lui apparteneva a lei. Non era sminuirsi, era completarsi. Aveva capito in quei mesi di lontananza di stare bene solo quando c’era lui. Di sentirsi veramente completa solo con lui. Con Castle era a casa, con Castle si placava quella parte inquieta di lei che solo lui sapeva metterla in secondo piano, facendo uscire il lato migliore di lei: Kate che sapeva ridere, Kate che sapeva giocare, Kate che decideva di farsi un tatuaggio per amore, come un’adolescente.

Si baciarono ancora.

“Era una donna. Il tatuaggio me l’ha fatto una donna.” Gli sussurrò tra un bacio e l’altro evidentemente divertita dalla gelosia del suo uomo, ma desiderosa di rassicurarlo, per quanto stupido fosse che si preoccupasse per una cosa così insensata. Quando lui provò ad alzarsi lei non glielo lasciò fare.

“Tra poco arriverà la pizza.” Si giustificò.

“Non sono così veloci, Castle… ancora c’è tempo…” mordicchiò il suo labbro quel che bastava per farlo sussultare e fargli capire le sue cattive intenzioni, prima di riprendere a baciarlo con passione. Il fattorino avrebbe potuto aspettare, Castle lo avrebbe ricompensato dopo. Ora toccava a lei.

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