Istantanee di viaggio

di Ikki_the_crow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Istantanea 0 ***
Capitolo 2: *** Istantanea 1 ***
Capitolo 3: *** Istantanea 2 ***
Capitolo 4: *** Istantanea 3 ***
Capitolo 5: *** Istantanea 4 ***
Capitolo 6: *** Istantanea 5 ***
Capitolo 7: *** Istantanea 6 ***
Capitolo 8: *** Istantanea 7 ***



Capitolo 1
*** Istantanea 0 ***


ISTANTANEE DI VIAGGIO 0
In cui conosciamo alcuni dei personaggi principali, un patto viene siglato e la vita di parecchie persone cambia per sempre.


10-10-1370. Invocatorium di Arkhen. Silverymoon.

La prima volta che sentì bussare alla porta, Johan Joyce non si prese neanche la briga di rispondere. Trincerata dietro la propria scrivania, invasa senza possibilità di scampo da ogni genere di documento, la professoressa di Cronache e Leggende era troppo impegnata a cercare di non farsi sopraffare dalla burocrazia per perdere tempo con degli scocciatori.
Johan era una donna umana di trent’anni appena compiuti, dalla carnagione brunita di chi passa un sacco di tempo all’aperto, i capelli neri e lisci tagliati appena sopra le spalle e un fisico asciutto e definito che mal si adattava al suo ruolo da accademica.
Soprattutto, era la più giovane docente dell’Invocatorium. Aveva appena ottenuto la sua cattedra quando, l’anno precedente, le varie istituzioni accademiche di Silverymoon si erano unite in un’unica Università, il Conclave. Questo aveva causato una serie di smottamenti politici e Johan, da sempre più avvezza al lavoro sul campo che ai delicati meccanismi interni dell’Invocatorium, era rimasta incastrata tra gli ingranaggi.
Il fatto che il suo concetto di diplomazia fosse un insulto seguito, nei casi più estremi, da un pugno sul naso non aveva aiutato.
Il bussare si ripeté, questa volta un po’ più forte. Johan sospirò.
“Spero per voi che sia importante!” gridò. Erano le dieci del mattino, e già aveva voglia di darsela a gambe. Quando sentì la porta aprirsi, si alzò in piedi per sbirciare oltre la muraglia di carte chi fosse lo scocciatore.
Si ritrovò di fronte una ragazzina di appena vent’anni. Era alta e longilinea, aveva la carnagione scura, i capelli neri, ricci e lunghi fino a metà schiena e un’espressione allegra. Uno di quei sorrisi contagiosi che non si può fare a meno di ricambiare. Johan non sorrise, ma sentì la propria irritazione scendere di una tacca. Il che era già notevole.
“Buongiorno, professoressa!” La ragazza aveva una voce trillante, che faceva il paio con lo sguardo luminoso, due occhi color del miele dietro a un paio di occhiali tondi dalla montatura sottile. Fece un paio di passi avanti e si inchinò brevemente. Aveva addosso una gonna lunga, un maglione scuro a collo alto e delle scarpe basse e pratiche. Johan notò che stringeva tra le mani un raccoglitore che sembrava pieno di fogli.
Fantastico. Altra cartaccia, si ritrovò a pensare.
“Non so se si ricorda di me. Mi chiamo Daisy Woolen, ero al campo –”
“Al campo pratico nell’Anauroch, sì.”
Di colpo, Johan ricordò perché quella ragazzina le sembrava familiare. Qualche mese prima, era stata costretta a supervisionare alcuni studenti dell’ultimo anno in una serie di esercitazioni pratiche che si erano svolte nel deserto dell’Anauroch, a qualche miglio ad est di Silverymoon. La zona era ricca di rovine Netheresi, che la facoltà di Archeologia stava battendo palmo a palmo in cerca di qualsiasi cosa potesse far luce anche solo un minimo sugli usi e costumi di quell’antica e grandiosa civiltà. Per velocizzare i lavori, il Consiglio di facoltà aveva pensato bene di far lavorare gratuitamente gli studenti, mascherando la cosa come “esercitazioni sul campo”: ciascun gruppo di stagisti, di solito un’accozzaglia di ragazzini con minime conoscenze di magia e un’assoluta incapacità a sopravvivere al di fuori di una città di media grandezza, doveva essere supervisionato da un docente, il cui compito era accertarsi che non danneggiassero preziosi reperti archeologici o sé stessi, in questo preciso ordine.
Con sommo fastidio della professoressa Joyce, a lei era stato assegnato un gruppetto di sei persone, quattro ragazzi e due ragazze, che le avevano dato immediatamente l’impressione di essere figli di papà cresciuti nella bambagia che non sarebbero stati in grado di trovarsi il culo usando entrambe le mani. Non che le importasse: il suo compito era farli lavorare, e lo avrebbe fatto. Non era lì per farsi apprezzare: era lì per tenerli d’occhio.
Le erano bastate poche ore per capire di aver avuto ragione: quei tizi erano degli inetti. Non avevano voglia di sporcarsi le mani, non sarebbero stati in grado di distinguere una manticora da un gatto domestico, si erano vestiti come se dovessero andare ad una cena di gala invece che nel deserto e, soprattutto, erano irritanti e supponenti come solo dei giovani incantatori sapevano essere. Con una singola eccezione.
Una delle due ragazze, quella con la pelle scura, era stata l’unica ad essersi presentata in calzoni pesanti, scarponcini robusti, camicia di lino e un ampio cappello per proteggersi dal sole. Si era portata un attrezzo multiuso, che aveva rapidamente convertito prima in una vanga e poi in un setaccio, e quando le era stato indicato dove scavare si era immediatamente gettata in ginocchio tra la polvere e aveva iniziato ad esaminare ogni singolo sasso con precisione meccanica. E soprattutto, non si era lamentata neppure una volta. A un certo punto si era perfino messa a canticchiare.
Quella stessa sera, Johan aveva scoperto che i talenti della ragazza non erano finiti: era stata l’unica capace di accendere un fuoco da campo in maniera sensata (saper dar fuoco alle esche con la magia serve a poco, se non si sa come scegliere ed accatastare i legnetti), di montare una tenda senza richiamare un Servitore Inosservato, e di cucinare qualcosa di edibile a partire dalle razioni da campo fornite dall’Università.
Quando si era offerta di aiutare gli altri, i suoi compagni se n’erano immediatamente approfittati, affibbiandole tutti i compiti più ingrati – tranne uno dei ragazzi, che aveva fatto uno sforzo per cercare di aiutarla. Johan sospettava si fosse preso una cotta per lei.
La ragazza non pareva essersela presa, ma Johan era intervenuta e aveva costretto ciascuno ad occuparsi solo ed unicamente delle proprie cose.
“Non voglio pesi morti nella mia squadra,” aveva detto. “Se non siete capaci di badare a voi stessi, la vita sul campo non fa per voi. Meglio che lo scopriate adesso che non in qualche giungla sperduta, circondati da compagni morti e con il fiato di un troll sul collo.”
Quella settimana era stata un inferno. Per Johan, che aveva dovuto sopportare un branco di ragazzini petulanti e frignoni senza neppure poter scatenare su di loro Iron Maiden, il proprio Eidolon. Per gli studenti, che avevano collezionato lividi, spaventi, sgridate, insolazioni e vesciche sulle mani. Per lo scavo, che non era proceduto quasi per nulla e anzi era stato trattato con meno rispetto di una discarica a cielo aperto.
L’unico raggio di sole in tutta quella merda era stata la ragazzina dalla pelle scura. Educata, attenta, affidabile e in generale adorabile, si era fatta in quattro per aiutare tanto la professoressa quanto i suoi compagni. Era ancora un po’ impacciata, e la sua tecnica di scavo era troppo metodica per essere applicabile, ma aveva fatto del proprio meglio in ogni singolo momento. Era stata l’unica a cui la professoressa Joyce avesse dato una valutazione positiva, invece di una variazione sul tema “per il bene di tutti, farebbe meglio a scegliere un’altra professione”.
Ed ora, rieccola qui. Daisy Woolen.
“Cosa la porta qui, signorina Woolen?” Johan fece per indicare la sedia di fronte alla propria scrivania, si accorse che era occupata da un mucchio di faldoni che avrebbe dovuto riconsegnare in archivio due settimane prima, e rinunciò.
“Ecco...” Daisy sembrava imbarazzata. “Ho quasi terminato il mio percorso di studi, la mia laurea è tra due settimane, e volevo chiederle...” Inspirò profondamente. “Professoressa, posso farle da assistente dopo la laurea?”
Johan le rivolse uno sguardo dubbioso, sollevando un sopracciglio. Qualsiasi altro studente sarebbe stato defenestrato dall’ufficio all’istante – era già successo più volte. Quattro, secondo le note disciplinari che Johan si era vista recapitare dall’università, ma era quasi sicura che fossero di più – ma quella ragazzina si era guadagnata un margine di tolleranza.
“Non mi serve un’assistente,” fu la risposta secca di Johan.
Daisy deglutì. “Con tutto il rispetto, professoressa...” Indicò un plico di fogli che era scivolato giù dalla scrivania. “Quello è il modulo per la presentazione dei corsi di studio del prossimo semestre. Va consegnato entro la fine della settimana. Mi pare non abbia neppure iniziato a compilarlo.”
Johan lanciò un’occhiata accusatoria al documento, come se quello le avesse fatto un torto personale per il solo fatto di esistere.
“Ecco dov’era finito,” borbottò.
“Poi, ecco...” Daisy continuò, spietata. “Conosco la bibliotecaria del Vault of the Sages. Mi ha detto che è in ritardo con la riconsegna di parecchi libri. Potrei occuparmene io, se vuole.”
Joyce si appoggiò allo schienale della sua sedia.
“Non ho ancora finito di usarli,” dichiarò. Il che era vero: era quasi certa che il rialzo su cui aveva appena poggiato i piedi contenesse almeno un paio dei titoli incriminati.
“Inoltre, sono brava. I miei voti sono tutti abbastanza buoni, e penso di aver fatto un buon lavoro con la mia tesina finale.” Estrasse un foglio dal proprio raccoglitore e lo passò alla professoressa. Era un elenco dei corsi che la ragazza aveva seguito nei tre anni precedenti, ciascuno corredato dal voto dell’esame finale e dalla firma del docente.
Johan strabuzzò gli occhi. Abbastanza buoni? Ci sono più lodi qui che in un canto religioso!
“Come ti sei posizionata nelle graduatorie del tuo anno?” domandò.
Daisy parve imbarazzata. “Oh, non saprei. Non sono interessata a queste –”
“Come ti sei posizionata?”
La ragazza si fissò la punta delle scarpe. Borbottò qualcosa.
“Non ho capito. Più forte, per favore.”
“Terza.” Daisy tentò un sorriso. “Come voti ero prima, al pari con Methrammar Aerasumé, ma il Consiglio ha dato un punteggio più alto a lui e Maerilzoun Duskwatcher, e così...”
Johan sbuffò. “Il figlio di Dama Alustriel e il rampollo di una delle famiglie più ricche della città. Non mi stupisce per nulla.”
“Oh, no. Sono davvero bravi, tutti e due. Ottimi incantatori, ed estremamente preparati. Si sono meritati quella posizione, ne sono certa!”
La professoressa ridacchiò. “Sì, come no?”
Subito però ritornò seria. Rimase qualche secondo a pensare, lo sguardo fisso sul soffitto e la fronte corrucciata. Daisy restò immobile, il raccoglitore in mano e un’espressione speranzosa in viso. Alla fine Johan sospirò e allungò una mano.
“Fammi vedere la tua tesina.”


Un’ora più tardi, Daisy scese di corsa dalle scale di fronte all’Invocatorium, un sorriso che le andava da un orecchio all’altro. Si guardò un attimo intorno, fino ad individuare quello che stava cercando, quindi si avviò verso due figure sedute su una panchina all’ombra. Nonostante il periodo dell’anno, era una bella giornata: il sole non scaldava molto, ma la luce era intensa.
Una delle due ragazze si alzò in piedi e agitò la mano verso Daisy.
“Daisy! Allora? Com’è andata?” trillò.
Era alta quasi quanto la ragazza dalla pelle scura, con chiare ascendenze elfiche. Aveva i capelli corvini, lisci e lucenti, che le arrivavano oltre la vita, la pelle pallida e trucco nero pesante sulle labbra e intorno agli occhi scuri. Nonostante il periodo dell’anno, aveva addosso una gonna di pizzo piuttosto corta, calze a righe che le arrivavano sopra il ginocchio, stivali di cuoio e una maglia leggera a maniche lunghe color prugna. Quando sollevò le braccia sopra la testa e si stiracchiò, parecchi ragazzi si voltarono a guardarla e perfino Daisy sentì un leggero calore sulle guance. Era decisamente uno spettacolo notevole.
“Se ha detto di no, abbiamo le uova pronte.” La seconda ragazza non si alzò, ma sollevò un sacchetto di tela con un ghigno sulle labbra. Non avrebbe potuto essere più diversa dalla prima: aveva il viso pieno e la carnagione arrossata dal freddo, che metteva ancora più in risalto le sue lentiggini. Sulla testa aveva un nido di capelli ricci e rossastri, che le cadevano disordinatamente sulle spalle e di fronte agli occhi verdi. Il fisico tarchiato era nascosto dal maglione pesante e i pantaloni imbottiti che aveva indossato per proteggersi dal freddo.
“Ha detto di sì!” Il sorriso di Daisy si allargò ancora di più.
La ragazza mora, Esther VanGroot, lanciò uno squittio eccitato e le afferrò le mani, saltellando come un grillo e ridendo come una matta. Il suo guardaroba si addiceva ad una Necromante – per sua stessa ammissione, Eshter aveva scelto di specializzarsi in Necromanzia anche e soprattutto per avere una scusa per indossare vestiti pieni di teschi e riempire la propria casa di animali impagliati – ma la sua personalità era quanto di più lontano potesse esserci dagli stereotipi di categoria.
Sulla panchina, il ghigno di Susan Tolomaeus si ammorbidì, ma senza diventare un vero e proprio sorriso. Era più o meno il massimo a cui si potesse puntare, con lei.
“Contenta tu.” Si strinse nelle spalle. “Non capisco perché tu abbia scelto di lavorare con quella tipa, ma se va bene a te...”
“Oh, andiamo. Ti piacerebbe, se solo le dessi una possibilità.” Daisy le rivolse uno sguardo da cucciolo. “Siete molto simili, andreste d’accordo.”
“Oppure si ammazzerebbero a vicenda.” Esther stava ancora sorridendo. “Se è davvero così simile alla nostra Susan, non penso che sia possibile che condividano lo stesso spazio vitale.” Fece una voce roca e minacciosa. “Ne rimarrà solo una...”
“Il mondo non è pronto nemmeno per una, come me. Due nello stesso luogo potrebbero causare danni irreparabili alla realtà.” La ragazza dai capelli rossi si alzò in piedi. “Quindi, se hai una scusa per farmela ribaltare, ti prego di darmela. Per il bene dell’intero universo.”
Daisy scoppiò a ridere. Aveva conosciuto Susan ed Eshter il giorno che era arrivata a Silverymoon, tre anni prima. Nessuno ci avrebbe scommesso una moneta di rame, ma quelle tre ragazze così diverse erano diventate amiche per la pelle, e neppure essere state coinquiline per anni sembrava aver intaccato il loro rapporto.
“In ogni caso, visto che non dobbiamo lanciare queste contro nessuna finestra, immagino che ci toccherà farti una torta.” Con tono deluso, Susan mostrò di nuovo il sacchetto pieno di uova e paglia. “Per festeggiare, eccetera eccetera.”
“Io mi ero già occupata delle bevande!” Con aria trionfale, Eshter sollevò un paio di bottiglie di vetro che aveva appoggiato a terra. “In ogni caso, avremmo avuto bisogno di alcol!”
“Eshter, sono solo le undici del mattino...” tentò Daisy.
“Sono già le undici del mattino, vorrai dire!” La ragazza mora passò un braccio intorno alle spalle delle altre due. Aveva gli occhi che luccicavano. “Pensate. Abbiamo la scusa per bere ed ubriacarci di giorno. A metà settimana. Quale folle direbbe di no?”
“Posso almeno scrivere alla nonna, prima? Vorrei darle la buona notizia, e organizzarle il viaggio dai Greenfields per la mia laurea...” Il tono di Daisy era quasi supplice.
“Hai tempo finché la torta non è pronta,” dichiarò Susan. “Poi, non voglio sentire scuse. Il dottore ordina una sana dose di alcol per tutti quanti.”
“Non sei ancora laureata, Susan.”
“Meglio. Non possono ritirarmi la licenza se vi mando in coma etilico.”
Ridendo, le tre ragazze si avviarono verso l’appartamento nella parte nord della città che condividevano ormai da alcuni anni. Era una bella giornata, avevano ricevuto delle buone notizie e non avevano altro da fare se non godersi il pomeriggio insieme, mangiare, bere e divertirsi. Era l’inizio di un nuovo capitolo, per Daisy, ed era necessario festeggiare.
Nessuna di loro aveva idea di quanto sarebbe stato importante.

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Capitolo 2
*** Istantanea 1 ***


ISTANTANEE DI VIAGGIO 1
In cui l’aglio salva la situazione, un’ombra acquista più indipendenza e due ragazze fanno i compiti prima di andare a letto.

16-08-1373. Forse. Sotto il Grande Ghiacciaio.

La stanza odorava di polvere, segatura di legno e antichità. L’odore che l’aria prende quando rimane bloccata tra infiniti corridoi di pietra nelle viscere di una montagna per migliaia di anni, intrappolata senza possibilità di fuga tra i corridoi rozzamente scavati e disabitati da millenni. Un’aria immobile. Morta.
O almeno, lo era stata fino a circa mezz’ora prima, quando il gruppetto di avventurieri che stava esplorando quelle rovine non era entrato nella stanza, disturbandone la quiete perfetta, e non aveva deciso che quello sarebbe stato il luogo perfetto per fare campo.
Ora la stanza ferveva di attività. Un elfo alto e muscoloso stava scaricando una figura in armatura completa dalla schiena di un lupo grosso come un cavallo. La persona in armatura sembrava completamente esausta, tanto che non emise un gemito neppure quando piombò pesantemente a terra in un fragore metallico. Gli altri membri della squadra si sparpagliarono per la stanza, ognuno con i propri compiti da svolgere. Un mezzelfo stracarico di armi ed equipaggiamento iniziò a disporre ordinatamente il contenuto del proprio zaino in un angolo, mentre uno gnoll dall’aria irritabile gettò per terra il proprio sacco con modi molto più sbrigativi.
Una ragazza dalla pelle scura estrasse quello che pareva un cubo di legno istoriato di circa venti centimetri di lato da una tasca della propria camicia da viaggio apparentemente troppo piccola per contenerlo, ed iniziò ad aprirlo meticolosamente fino a trasformarlo in uno scrittoio con tanto di fogli di carta ordinatamente disposti in un angolo. Intorno al tavolino si formò immediatamente una semisfera opaca di circa sei metri di raggio, che avvolse l’intera stanza trasformandola in un rifugio sicuro, climatizzato e a prova di intemperie. Non che lì sotto ce ne fossero.
Un chiarore leggero si diffuse subito per la stanza, superando il brillio stanco dei cristalli appesi alle pareti. Daisy si guardò intorno, annuì soddisfatta, poi iniziò a preparare un paio di incantesimi di Allarme. La fiducia è d’oro, ma l’accortezza è di platino, come diceva sempre la nonna.
Ormai la routine del campo era stata abbastanza consolidata: mentre i maschi e Johan si occupavano delle faccende più pesanti – spostare eventuali pietre o tronchi che potessero dare fastidio durante la notte o in caso di combattimento improvviso, liberare uno spiazzo per le tende, scavare una latrina e cose simili – le ragazze si occupavano delle questioni più leggere. In particolare, del cibo.
Ma quella routine era stata scardinata quando avevano messo piede in quel labirinto. Per dirne una, lo spazio extradimensionale in cui era custodito quasi tutto il loro cibo era improvvisamente diventato inaccessibile. Un qualche incantesimo impediva il Teletrasporto, l’apertura di varchi o lo spostamento tra Piani; per fortuna non aveva messo fuori gioco le borse conservanti, ma era comunque una faccenda a dir poco fastidiosa. La conseguenza principale, in quel momento, era però la loro totale dipendenza dalle loro razioni da viaggio e dagli incantesimi di Creare Cibo e Acqua del loro Chierico. Sensodin era stato ben lieto di provvedere, ma in quanto nano aveva delle idee abbastanza limitate sul tipo di cibo che si prestava ad essere consumato in missione.
Come tutte le sere, il suo incantesimo aveva prodotto un’enorme quantità di carne secca di origine indefinibile e senza praticamente alcun sapore: energetica e nutriente, ma poco rinfrancante per lo spirito. Così, Daisy si era presa la briga di provare a rendere il tutto lievemente più saporito.
Aveva piazzato una padella sul piccolo falò da campo che aveva allestito – aveva perfino preparato un cerchio di sassi tutto intorno, come se il pavimento di pietra potesse prendere fuoco – ed in quel momento stava provando a far rinvenire una porzione di carne utilizzando alcune delle erbe che aveva nel proprio baule da viaggio. Purtroppo aveva finito il formaggio, ma le erano avanzati alcuni funghi secchi: l’ultima volta che li aveva proposti al gruppo non erano stati ben accetti, ma forse con un po’ di carne abbrustolita…
Su una pietra più larga aveva piazzato delle fette di sfoglia di grano prese da una delle sue razioni da viaggio: una volta rese più croccanti, sarebbero state un accompagnamento perfetto per la carne saltata.
Una donna muscolosa dai capelli castani le si avvicinò. Era vestita con un giubbotto da viaggio pieno di tasche, pantaloni di cuoio spessi e pesanti stivali dall’aria vissuta. Dietro di lei, fluttuava un’ombra nera simile ad un’armatura color dell’ebano.
“Il profumo è ottimo.” La professoressa Joyce si sporse ad osservare quello che sfrigolava nella padella. “Quello è aglio?”
Daisy annuì. “Solo un pizzico. Nel grasso si scioglie molto bene, non ne serve molto.”
“Fammi capire. Stavamo preparando i bagagli per andare in missione sul Grande Ghiacciaio, e tu hai pensato che sarebbe stato indispensabile portarsi dietro dell’aglio tritato?”
La ragazza parve esitare un momento. Lanciò un’occhiata colpevole al baule da viaggio dagli angoli rinforzati che le stava accanto. In mezzo ad una serie di vestiti perfettamente piegati, spiccava una cassettina aperta nella quale erano disposti ordinatamente dei flaconcini di vetro chiusi da piccoli tappi di sughero avvolti nella stoffa per assorbire l’umidità. Sembravano pieni di erbe essiccate e spezzettate.
“Le materie prime si possono trovare ovunque, ma le spezie sono rare… E i condimenti sono importanti per mantenere il morale. Un esercito marcia sul proprio stomaco, come si suol dire…”
Sembrava imbarazzata, e la professoressa le poggiò una mano tra i capelli neri e mossi con aria divertita.
“Non era una critica, Daisy. Solo una constatazione.” Johan rise. “E hai perfettamente ragione. Se dovessimo mangiare solo carne secca e sfoglia di pane scondita, impazziremmo nel giro di due giorni. Ho solo una domanda.”
La professoressa indicò dall’altro lato del campo. Lo gnoll, che in quel momento stava litigando con una striscia di carne, improvvisamente alzò lo sguardo e fiutò l’aria. Un rivolo di saliva iniziò a scorrere tra le sue zanne scoperte. Poco più in là, anche Felix, il guerriero mezz’elfo, sollevò lo sguardo dal suo magro pasto ed iniziò a guardarsi intorno.
“Ne hai abbastanza per tutti?”

Qualche ora più tardi.

Terminato di mangiare, quasi tutti i membri del gruppo si erano ritirati per la notte, ciascuno a modo proprio. Il druido era andato ad accucciarsi in un angolo assieme al suo lupo: in quanto elfo, gli sarebbero bastate poche ore di meditazione per essere di nuovo in piena forma. Altri si erano imbozzolati nei propri sacchi a pelo, altri ancora avevano intenzione di non chiudere occhio per tutta la notte.
Johan Joyce, non sapendo se gli incantesimi di quel luogo le avrebbero permesso di richiamare il proprio Eidolon nel caso lo avesse congedato per la notte, aveva optato per non dormire affatto e si era fatta prestare dal Paladino l’amuleto che consentiva di stare svegli per quasi una settimana di fila. In quel momento era vicino ad uno degli ingressi della sala, che osservava nella penombra al di fuori della Capanna. L’ombra nera che la accompagnava sempre era appoggiata al muro dietro di lei, silenziosa guardia del corpo.
Daisy, dal canto suo, aveva intenzione di lavorare ancora un poco prima di addormentarsi. Seduta allo scrittoio, stava traducendo minuziosamente il contenuto di un libro che avevano rinvenuto nelle rovine quel giorno, trascrizioni militari in linguaggio dei giganti delle guerre che quel popolo aveva condotto contro i draghi millenni prima. Prima si era premurata di far creare al proprio cartografo portatile una riproduzione su pergamena di ciascuna pagina, in modo da poter lavorare senza rovinare l’originale, e poi si era messa a trascrivere riga per riga il contenuto di ogni pagina in linguaggio Comune.
Era un lavoro lungo e non particolarmente entusiasmante – le comunicazioni riguardavano principalmente dispacci militari di routine – ma di tanto in tanto si imbatteva in qualche nome di luogo o di persona che sarebbe stato opportuno controllare con più attenzione una volta tornati a Silverymoon. Quei nomi venivano annotati su un foglio a parte, insieme al riferimento della pagina e qualche dettaglio sul contesto in cui comparivano.
“Queste sono fatte.”
La voce apparteneva ad una ragazza di età apparentemente inferiore ai vent’anni, vestita in maniera elegante nonostante la situazione. Lilhara era la cantrice del gruppo, nonché addetta alle pubbliche relazioni: aveva fatto dell’essere sempre ben più che presentabile un punto d’onore. Dopo cena, quando Daisy aveva espresso il desiderio di lavorare un poco sulle traduzioni, la ragazza si era offerta di aiutarla: durante il giorno, Daisy aveva utilizzato un incantesimo per permetterle di comprendere il linguaggio dei giganti, e l’effetto non era ancora scomparso.
“Gentilissima.” Daisy sorrise, afferrò il mucchietto di fogli e lo scorse rapidamente. Notò alcune note a margine scritte nella grafia ampia e ricercata di Lilhara, così diversa dal suo modo di scrivere piccolo e preciso. Erano commenti personali su alcuni passaggi, sullo stile in cui erano scritti o sul fatto che un evento apparentemente molto eccitante era stato riportato in maniera troppo scarna e asciutta. Daisy si ripromise di cancellarle prima di portare il tutto agli archivi, e di dare una ricontrollata al testo per eventuali licenze poetiche.
“Non dovrebbe esserci lei ad aiutarti?” Lilhara fece un cenno con la testa in direzione della professoressa Joyce, ancora di guardia sotto l’architrave della porta.
Daisy scosse la testa. “Me l’ha chiesto, le ho detto che non era necessario.” Sorrise. “La professoressa non è per nulla portata per questo aspetto del lavoro.”
“E per quale aspetto del lavoro è portata? Non mi pare che l’accademia in generale la faccia impazzire. Detesta le regole, non sopporta gli studenti…”
Il sorriso della ragazza dalla pelle scura si allargò. “La professoressa una volta mi ha detto che ci sono due tipi di archeologi. Quelli che leggono le mappe, e quelli che le disegnano. Lei è del secondo tipo: le piace andare sul campo, toccare con mano quello che sta scoprendo, essere la prima ad entrare in un luogo sigillato da millenni…”
“E tu che archeologa sei?”
“Bella domanda.” Daisy si appoggiò meglio allo schienale della sedia e parve riflettere a fondo. “Adoro il lavoro sul campo, anche se non ci sono molto portata, ma mi piace anche redigere rapporti e tradurre cronache. Una specie di via di mezzo, direi. Storia della mia vita.”
“A proposito,” Lilhara fece il giro dello scrittoio e si piazzò di fronte all’altra ragazza. “C’era una cosa che volevo chiederti da un po’. Mi dai l’impressione di essere una che avrebbe potuto fare qualsiasi cosa. Perché hai scelto proprio archeologia?”
Una volta, guardando Daisy sfilettare con precisione un cosciotto di rospo gigante dei ghiacci, trasformando la carne in carpaccio sottile con rapidi e decisi movimenti di coltello, Felix aveva detto sottovoce a Lilhara di essere profondamente grato a qualsiasi divinità responsabile del fatto che Daisy fosse assolutamente contraria alla violenza. Il giorno in cui quella ragazza vorrà davvero qualcuno morto, aveva detto, quella persona sarà morta.
Daisy non rispose subito alla domanda. Si prese un paio di secondi per riflettere, gli occhi color del miele chiusi dietro le lenti sottili degli occhiali.
“Quando ero piccola,” iniziò poi, “alla sera la nonna mi raccontava sempre delle storie di quando lei era piccola. Il mondo era diverso allora, diceva. Alcune cose erano migliori, altre erano peggiori, ma tutto era diverso. Una volta, le chiesi se non le dispiacesse che le cose fossero cambiate così tanto nel tempo. «Bambina mia,» mi disse, «tutto cambia. È normale, e non c’è motivo di essere tristi. Tu stessa non sei più la stessa bimba che eri stamattina: hai qualche graffio sulle ginocchia e qualche ricordo nella testa in più. Sei più grande, più forte e, spero, più saggia. Quando smetterò di parlare, tutte e due saremo diverse da come eravamo quando ho iniziato. Non aver paura del cambiamento: non si può evitare di cambiare. Quello che si può fare è cercare di cambiare sempre in meglio. A volte ci si riesce, a volte no: l’importante è non smettere mai di provarci. Come per tutte le cose.»”
Daisy riaprì gli occhi. “Quando ho dovuto scegliere che indirizzo dare ai miei studi a Silverymoon, mi è tornata in mente la voce della nonna. Ho pensato che, se il cambiamento è inevitabile, sarebbe stato bello poter vedere come erano le cose una volta. Capire se anche il mondo cerca di cambiare per il meglio oppure no. E, se così non fosse, forse far vedere gli errori commessi in passato avrebbe aiutato a non ripeterli.”
Lilhara annuì. Non riusciva proprio a vedere il mondo con quella tinta di ottimismo che invece sembrava avvolgere ogni cosa negli occhi di Daisy, ma capiva il suo modo di pensare.
“Capisco. Chissà come mai la professoressa Joyce ha scelto l’archeologia invece…” rifletté.
“Una volta avevamo vinto un bando molto importante ed eravamo uscite a festeggiare. La professoressa aveva bevuto troppo come al solito, e mi ha detto qualcosa riguardo al voler sentire le storie delle cose. Non sono sicura che fosse una risposta seria, magari era l’alcol che parlava, ma…”
Daisy rivolse un’occhiata verso Johan. Lei era ancora ferma al suo posto, ma l’ombra nera si era allontanata di qualche metro. Sembrava più pallida, stiracchiata, e Daisy pensò che non aveva mai visto Iron Maiden allontanarsi così tanto dalla professoressa.
“Non dirle che te l’ho detto, però. Potrebbe pensare che la faccia sembrare debole.”
Lilhara ammiccò. “Tranquilla. Non vado in giro a raccontare segreti altrui.”
Daisy le sorrise. “Grazie mille. Una tazza di tè, prima di andare a letto? Dovrei avere ancora un infuso alle erbe che favorisce il sonno. E magari potrei preparare una teiera più forte per chi dovrà fare la guardia più tardi…”
Parlottando con sé stessa, la ragazza dalla pelle scura si alzò in piedi e si diresse con passo saltellante verso il falò quasi spento e il proprio baule da viaggio. Lilhara la seguì, sulle labbra un sorriso che non si era accorta di avere.
Sei una ragazza strana, Daisy Woolen. Forse tua nonna ha ragione. Forse è vero che tutto cambia. Ma tu cerca di non cambiare troppo.
In quel momento, per un attimo, si sentì davvero vecchia.

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Capitolo 3
*** Istantanea 2 ***


ISTANTANEE DI VIAGGIO 2
In cui si hanno conversazioni intorno al fuoco, una certezza viene scardinata e per qualcuno inizia una nuova avventura.

21-08-1373. Sera. Westgate.
 
Edmund Gemmel, Divinatore per la compagnia commerciale Jorgen & Borgen, amava la propria vita tranquilla. Intanto, in quanto mago, poteva lavorare da casa: il che significava vestiti comodi e ciabatte tutto il giorno, e poche occasioni sociali per cui fosse necessario l’utilizzo di un pettine. Poi, la routine: un corriere gli portava una lista delle spedizioni previste per la settimana seguente, lui faceva le sue predizioni e le rimandava indietro non appena pronte assieme a suggerimenti su quali merci acquistare nel prossimo futuro. In quanto Divinatore, Ed detestava le sorprese: una vita regolare e prevedibile era esattamente quello che faceva per lui.
Per questo, quando al tramonto qualcuno bussò alla porta della sua villetta, andò ad aprire con un misto di fastidio e preoccupazione. Nessuno passava mai a quell’ora.
Al di là della massiccia porta di legno, un paio di grosse borse in ciascuna mano, c’era Johan.
“Ehi, Ed. Come te la passi?”
“Johan?” Il mago sembrò colto in contropiede. “Cosa ci fai qui?”
“E questo che significa? Non posso più passare a trovare un vecchio amico?”
“No, intendo: cosa ci fai alla porta? Di solito ti teletrasporti direttamente dentro casa e ti servi dall’armadietto dei liquori.”
La donna parve vacillare. “Non è… È successo solo… Tu hai detto che potevo!” balbettò.
Ed scoppiò a ridere. “È vero, l’ho detto. Accomodati.” Si fece da parte per farla entrare. “Che porti?”
“Sono passata da Garnet’s prima di venire qui. So che a quest’ora devi ancora mangiare, così ti ho preso…”
“I fagottini ripieni di carne di Mama Ruby?” A Ed venne istantaneamente l’acquolina in bocca. Erano il suo cibo preferito quando ancora studiava alla Scuola di Taumaturgia di Miresk. C’erano state settimane, soprattutto in periodo esami, in cui praticamente non aveva mangiato altro.
Johan annuì. “Speziati per te e molto speziati per me. Credo di averli mischiati durante il viaggio, quindi occhio al primo morso,” aggiunse con un sogghigno.
Ed si fece avanti con gli occhi che brillavano, ma qualcosa lo fece esitare.
“Johan, va tutto bene? Non è da te essere così… così.”
La donna sollevò un sopracciglio. “Certo che va tutto bene. Voglio solo fare quattro chiacchiere, ecco tutto.”

Qualche giorno prima. Sera. Accampamento nel mezzo del nulla.
 
“Senti, avrei una domanda da farti.”
Senza aspettare una risposta, Johan si sedette accanto al fuoco. Dall’altra parte delle fiamme, lo sguardo assonnato, Felix le rivolse un cenno. Era stata una giornata pesante. Il pasto abbondante che si erano concessi, in via del tutto eccezionale, aveva sicuramente aiutato, ma non poteva certo cancellare la stanchezza mentale che tutti si sentivano addosso. Ma i turni di guardia erano turni di guardia, non si scappava.
La donna parve esitare per qualche istante, poi raccolse il coraggio a due mani e si gettò.
“Senti. Tu e tua moglie, Rebecca... Qual è il tuo problema?” Una pausa. “Merda. Scusa. Volevo dire: l'hai vista, vi siete conosciuti, ma com'è che hai deciso che basta, lei sarebbe stata la persona con cui avresti passato tutta la vita? L'unica che avresti baciato da quel momento in poi, con cui saresti andato a letto, con cui avresti messo su casa eccetera? Per gli dei, avete pure un figlio in cantiere!”
Felix parve rifletterci un momento, grattandosi i capelli sulla tempia con aria pensierosa.
“Effettivamente, il figlio non me lo aspettavo così presto. Specie dopo quello che ha passato Rebby.” In un attimo, il suo sguardo si indurì. “Il suo primo marito, lo schifoso di Cyric, quello che ora sta in un barattolo, l'aveva messa incinta. Ma lei non ha mai accettato quella gravidanza. Si è fatta rimuovere il bambino... Oh non pensare male. Sta bene. Uno strano... Trapianto, diciamo. Pare ci sia una magia apposita. Ora vive con una druida del mare e il suo marito capitano e la loro figlioletta con aspirazioni da esploratrice marina su una bella nave... Ma Reb non vuole sapere nulla di lui. Non sa nulla di lui. Se n'è fatta cancellare il ricordo. Per questo non pensavo...”
Johan non aprì bocca. Sapeva che Felix tendeva ad essere un po’ logorroico nelle sue risposte. In una sera normale lo avrebbe interrotto per chiedergli di venire al punto, ma quella non era una sera normale.
“Sinceramente? A volte ho paura che vivendo assieme, tutti i giorni, come una coppia normale, senza mostri, avventure, nemici, nani alcolizzati, druidi pignoli, changeling dalla morale elastica e archeologhe molto molto cazzute... Beh, temo non dureremmo.”
Il pensiero parve rattristarlo, ma poi qualcosa cambiò nel suo atteggiamento. Divenne serio, solenne e autoritario. Per un attimo, parve un elfo fatto e finito, non un mezzosangue.
“Eppure... Quel giorno, quando la vidi in quella stanza della torre... Non posso spiegarlo razionalmente. Era bellissima. Era radiosa. Era lei. Era... È quella giusta. E se sopporta questo essere così sciocco” indicò sé stesso, “penso sia anche la donna più forte del mondo.”
Come era arrivata, l’aria solenne e composta svanì per lasciare il posto ad un finto stupore.
“Ed anche la più pericolosa... Cioè... La testa dell'ex in un barattolo... Corellon... Secondo me è un po' pazza... Ma mi piace anche per questo.”

Westgate. Presente.
 
“Dannazione, Johan. Dev’essere stato terribile.”
“Abbastanza.” La donna si passò il braccio sul mento sporco di sugo e allungò la mano per afferrare un altro fagottino. Aveva appena finito di raccontare dello scontro che avevano avuto con il drago scheletrico prima e l’Inevitabile dopo. “Ma alla fine ce la siamo cavata. Nessuno è morto. Non a lungo, quanto meno.”
“Ho capito, ma in ogni caso… Non mi stupisce che avessi voglia di rilassarti un attimo.” Ed si alzò e si diresse ad un mobiletto con le antine di vetro: nel giro di qualche secondo aveva piazzato un bicchiere pieno per metà di un liquido ambrato di fronte a Johan. Tra le mani teneva un bicchiere identico: lo accostò alle labbra e lasciò che un sorso di alcol gli scorresse sulla lingua e nella gola.
“Stai cercando di farmi ubriacare, Ed Gemmel?” Johan gli rivolse uno sguardo divertito. “Sai che reggo molto meglio di te.”
“Questo è poco ma sicuro. Serve mezza distilleria per farti perdere conoscenza. Ma stasera hai credito illimitato dal mio mobile bar. Te lo sei meritato.”
La donna scoppiò a ridere. “Attento a quello che offri, vecchio mio. Rischi di pentirtene amaramente!”
 
Accampamento. Passato.

 
“E come fai ad essere sicuro che un giorno non ti stancherai, o che lei non si stancherà di te, o che non farai qualche cazzata e andrà tutto a rotoli?”
Di nuovo, Felix si prese qualche secondo prima di rispondere.
“Già... È come affrontare l'ennesima missione. Come facciamo a sapere che questa non sarà l'ultima? Ce la siamo vista male... Siamo quasi morti, per gli dei! Eppure siamo qui, andiamo avanti. Perché sinceramente, l'altra opzione, darcela a gambe e dimenticarsi del tutto del problema, non penso faccia per me...”
Mentre parlava, il suo tono divenne sempre più sicuro. “Posso ritirarmi da uno scontro. Posso scappare per sopravvivere e riaffrontare la cosa un altro giorno. Ma ecco... Questa relazione... È come una missione troppo importante: qualcosa di cui non posso stufarmi. Di cui non voglio stufarmi.”
Un pensiero parve coglierlo alla sprovvista.
“Potrebbe sempre stufarsi lei... Certo... E allora accetterò la cosa. Ma non senza capire perché...”
Continuò a parlare ancora un po’, riferendosi al padre assente e a come secondo lui essere un grande mago non abbia senso se poi non si è in grado di affrontare le proprie responsabilità. Ma la mente di Johan si era fissata su un punto in particolare.
Come una missione troppo importante…
“Avere una relazione sembra un lavoro a tempo pieno. Non dovrebbe essere una cosa piacevole?” domandò, approfittando di una pausa nello sproloquio dell’altro.
“Se cerchi di razionalizzarlo, certo. Ma la parte più piacevole è quella irrazionale. Oltre che quella… Orizzontale, se capisci cosa intendo.” Il guerriero tentò un occhiolino, con risultati dubbi. Johan represse una risposta caustica, e Felix tornò serio.
“Comunque non pensare che la paura che un giorno mi dica «Sai ho incontrato un mago guerriero molto più fico e intelligente e meno - molto meno - rozzo di te; mi prendo il bambino e ciao» non mi svegli ogni tanto la notte.”
La professoressa sospirò. “In pratica, uno fa del proprio meglio e spera che non vada tutto a puttane. E si fa le paturnie nel frattempo.”
Felix annuì. “Pressappoco.”
“Speravo davvero in un'altra risposta. Questa è terribile.”

Westgate. Presente.
 
Ed gettò la testa all’indietro, ridendo come un matto e battendosi una mano sulla coscia.
“Oh, questa è bella!” sghignazzò con le lacrime agli occhi. “Gli hai risposto davvero così?”
All’altra estremità del divano su cui erano seduti, anche Johan stava ridendo.
“Ehi, puoi essere anche il nobile rampollo della casata di Stocazzo, non me ne frega niente. Pigliami per il culo e ti sei prenotato una strigliata!”
“Sei stata fortunata che l’università non ti abbia sbattuto fuori a calci in quel preciso momento.” Cercando di ricomporsi, Ed allungò una mano verso il tavolino basso di fronte a loro. Era ingombro di bottiglie vuote e carte unte. I resti di una cena tutt’altro che salubre, e di un dopocena ancora meno salubre. Per fortuna che il cottage del mago era circondato da un piccolo giardino; con il casino che stavano facendo, qualunque vicino avrebbe già perso la pazienza da un pezzo.
Il mago tastò un po’ in giro, poi aggrottò le sopracciglia.
“Mi pareva ci fosse ancora una bottiglia mezza piena da queste parti...” borbottò, strascicando appena le parole. Nonostante le battute di Johan, Ed Gemmel reggeva bene l’alcol. Durante i suoi giorni da studente, aveva dovuto imparare in fretta.
Una risata che conosceva fin troppo bene lo fece voltare. Johan aveva la bottiglia in mano, e la faceva oscillare lentamente, l’imboccatura vicino alle labbra. Il liquido ambrato all’interno si agitava prima da un lato e poi dall’altro come un’onda.
“Cerchi questa?” lo schernì lei.
Ed fece una faccia offesa. “Andiamo Johan! È di importazione! Lasciamene un sorso!”
La donna fece un verso di diniego. “Mi hai detto tu che avevo credito illimitato stasera,” aggiunse con tono petulante.
“Non te la sto portando via, voglio... solo... un sorso...” Gettandosi sul divano, Ed stava allungando le braccia cercando di raggiungere la bottiglia, che Johan teneva appena fuori portata con un sorriso divertito. La donna era di dieci centimetri buoni più alta di lui, e anche stando mezza sdraiata riusciva ad evadere gli sforzi del mago di afferrare la bottiglia.
Ad un certo punto, nei suoi maldestri tentativi, Ed si ritrovò praticamente sdraiato su Johan, il viso ad un soffio da quello dell’altra. Entrambi si bloccarono. Non era la prima volta che si trovavano in una situazione simile. Sapevano tutti e due cosa stava per succedere.
Johan si trovò a fissare le labbra dell’altro. Sapranno di sugo e alcol. E quel sapore indefinibile che è solo Ed. Sentì il sangue rombarle nelle orecchie.
Il mago sembrò pensare qualcosa di simile. Entrambi avvicinarono lentamente i visi, ma all’ultimo Johan ebbe uno scatto indietro.
“No!”
Per la sorpresa, Ed rinculò. “Scusa, io non... Non pensavo...” balbettò mortificato.
Johan scattò in piedi. Sembrava turbata, il che non era da lei. Lentamente, anche il mago la imitò. Fece per tendere una mano nella sua direzione, poi ci ripensò e la lasciò cadere.
“Perdonami, Johan. Non intendevo...”
La donna scosse la testa. La bottiglia era finita a terra, ma nessuno dei due se n’era accorto.
“Non è colpa tua. Ma avevi ragione, sai? Non va tutto bene. Ho bisogno di dirti una cosa.”

Passato.
 
“Magari tu sei per una coppia mooolto aperta,” stava dicendo Felix. “Fissate un giorno, un luogo, un'ora e poi chi si è visto si è visto. Sarebbe paradossale chiamarlo rapporto di coppia, ma forse esistono anche di questo genere.”
“È quello che ho fatto finora. Ed è sempre andato bene.” Johan sospirò. “Però ultimamente... non lo so, starò diventando vecchia.”
 
Presente.
 
“Ascolta, Ed. Mi conosci, sai come sono fatta. Non mi sono mai ritirata da un combattimento, non importa contro chi o cosa. Pirati, demoni, scheletri, abomini... Ma questa... cosa, che sento dentro... non se ne andrà con un pugno ben assestato.”
Il mago, in piedi a un passo di distanza, deglutì. Conosceva Johan da quasi quindici anni, erano stati insieme quando erano all’università e anche dopo erano rimasti amici con qualche benefit. L’aveva vista così solo una volta, ben prima che si mettessero insieme. Non era stata una serata piacevole.
“Io... mi ero anche preparata un discorso, sai?” La donna ridacchiò. “Ma ogni volta che lo ripetevo mi sembrava sempre più una cazzata, così ho detto fanculo, andrò a braccio. E ora sono qui che balbetto e non riesco a dire quello che voglio.”
Ed scosse la testa. “Non ho fretta. Vuoi un bicchiere d’acqua?”
“Sì. No. Voglio solo togliermi questa cosa dal petto. Le emozioni non fanno per me, quindi lo dirò e basta.” Johan prese un paio di respiri profondi. “Ti amo, Ed.”
Il mago sbatté le palpebre.
“Lo so, sono stata io a dire di non usare quella parola. Di non complicare le cose, di tenerla semplice, che avremmo proseguito finché fossimo stati bene e quando ci fossimo stancati saremmo andati ognuno per la propria strada, niente drammi e niente scartoffie.” Johan sollevò lo sguardo. Aveva gli occhi lucidi. “Non so cosa mi prenda, Ed. Non lo so davvero. Forse sto diventando vecchia. Ma avevo bisogno di dirtelo, di farti capire qunto sia importante per me sapere che tu ci sei sempre, che nonostante il mio carattere di merda e tutta l’oscurità che mi porto dentro tu sei sempre nel mio angolo. Sei importante per me, Ed Gemmel. Sei la persona più importante del pianeta, e non volevo rischiare che tu non lo sapessi. Non volevo andarmene senza dirtelo.”
Lentamente, Ed si avvicinò. Normalmente arrivava a malapena al naso della donna, ma Johan sembrava essersi in qualche modo rimpicciolita negli ultimi minuti. Delicatamente, le avvolse le braccia intorno alla vita. Quasi in automatico, lei gli appoggiò il viso sulla spalla.
“Ti amo, Johan” mormorò lui. “Sono quindici anni che ti amo, e avrei continuato ad amarti per almeno altri centocinquanta. Anche se non avrei mai potuto dirtelo, non importava. Perché tu eri con me, in quel tuo modo assurdo e ruvido, e a me andava bene. Non ti avrei mai forzato in qualcosa che tu non volevi. Ma ho sempre sperato che un giorno qualcosa cambiasse.”
Johan tirò su col naso e tentò un mezzo sorriso. “Dì la verità, avevi fatto una Divinazione. Sapevi che sarebbe successo, mi hai sopportato e sei rimasto con me per tutto questo tempo solo perché sapevi che a un certo punto avrei ceduto.”
Ed le colpì la fronte con la punta dell’indice. “Non è così che funziona, te l’ho già spiegato.” Sorrise. “E anche se lo fosse, non lo farei mai. Tu prendi le tue decisioni, Johan, e fanculo il destino. Non è quello che dici sempre?”
La donna annuì. “E se stessi sbagliando? Se facessi un errore e mandassi tutto a puttane? Tutto quello che abbiamo? Quello che siamo?”
“In quel caso, faremo come – orrore orrore – tutte le persone normali di questo mondo. Affronteremo il casino e ne verremo fuori. Insieme.”
Ed le prese il viso tra le mani con delicatezza ma decisione. “Dopo così tanto tempo, non lascerò che sia una qualche cazzata a separarci. A meno che non sia una cazzata bella grossa. Tipo, non so... Un’orda di draghi infuriati. La peste. L’apocalisse.”
Suo malgrado, Johan rise. “In quel caso temo avremmo altri problemi.” Lentamente, si abbassò e sfiorò le labbra del mago con un bacio. “Grazie di essere tu.”
“Non saprei come essere nessun altro.” Ed Gemmel sorrise. “E aspetta a ringraziarmi. Potresti pentirtene.”
“Probabile.” Johan si risollevò e tirò un pugno scherzoso sul braccio dell’altro. Ed emise un gemito. “Adesso però non farti venire strane idee. Non diventerò una massaia tutta casa e merletti solo per questo. E soprattutto, niente –”
“Niente bambini, lo so.” Ed si mise a ridere. “Hai chiarito la tua posizione abbondantemente negli ultimi quindici anni.”
“Dannazione. Mi conosci troppo bene, Ed Gemmel.”
“Vero. Forse dovremmo prenderci una pausa, vedere altre persone.”
Johan afferrò l’altro per il colletto e lo tirò a sé. “Non dirlo neanche per scherzo. O non ti basterà un incantesimo per sapere cosa ti farò. Sarà comunque peggio.”
“Mmmh. Qualche idea su cosa ti farei io adesso, invece?”
“Qualcuna. Ma potrei sbagliarmi.”
“Che ne dici di controllare di essere guariti completamente?” Era la frase con cui, anni prima quando ancora erano studenti, lei lo aveva invitato nella sua stanza al termine del loro periodo passato in riabilitazione insieme.
Johan sorrise. “Beh, non vorremmo rischiare una ricaduta, vero?” ribatté, ripetendo la risposta di Ed parola per parola. Dopo un attimo, entrambi scoppiarono a ridere.
“Ti amo, Johan.”
“Ti amo, Ed.” Un sospiro. “Non è strano come pensavo. Sembra quasi...”
“Naturale?”
“Giusto."


[Felix Finnegann è un personaggio di The_Red_Goliath]

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Capitolo 4
*** Istantanea 3 ***


ISTANTANEE DI VIAGGIO 3
In cui una lettera viene recapitata, il segreto professionale è messo a dura prova e una persiana viene finalmente aperta.

17-08-1373. Mattina. Silverymoon.
 
Nonostante ormai fossero più i giorni in cui si alzava all’alba che quelli in cui poteva dormire fino a tardi, Susan non ci si era ancora abituata. Al contrario di McGraw, che praticamente andava a dare la sveglia al gallo, lei era una persona a cui piaceva stare a letto. O meglio, le sarebbe piaciuto se il suo fidanzato e i suoi impegni glielo avessero permesso.
Soffocando uno sbadiglio, la ragazza tarchiata si preparò al suo solito giro ai letti dei pazienti prima di aprire bottega per la giornata. Quanto meno non ci avrebbe messo molto: in quel periodo aveva un solo letto occupato.
Quando entrò nella stanza di Fianna, le persiane erano sbarrate come al solito. Eppure la ragazza era sveglia: Susan l’aveva sentita irrigidirsi leggermente quando era entrata. Facendo finta di nulla, si diresse alla finestra e socchiuse lentamente una delle due imposte, lasciando entrare la luce del mattino.
“Forza e coraggio, ragazza. Secondo i pennuti lì fuori, è ora di svegliarsi.”
Sotto le coperte leggere, Fianna si mosse a malapena. Non serviva essere un guaritore per accorgersi che la ragazza non doveva aver chiuso occhio: i segni scuri sotto gli occhi erano ben più che evidenti.
Fino a poco tempo prima doveva essere stata una ragazza piuttosto carina: originaria di Damara, aveva la pelle pallida e gli occhi chiari tipici degli abitanti di quelle zone, i capelli color nocciola tenuti lunghi e una nuvola di lentiggini appena accennate intorno al naso sottile. Le sue disavventure sul Grande Ghiacciaio, però, avevano lasciato i segni. La guaritrice non osava neanche immaginare in che stato fosse quando l’avevano trovata.
“Nottataccia?” domandò Susan, mentre recuperava il cestello che aveva lasciato fuori dalla porta. L’altra si limitò a bofonchiare qualcosa.
Susan la capiva. La procedura a cui aveva dovuto sottoporre la giovane maga non era per nulla piacevole: nonostante la gravidanza fosse ancora alle prime settimane, l’interruzione aveva provocato abbondanti perdite di sangue e dolori addominali lancinanti, che di sicuro non erano ancora passati del tutto. Inoltre, Susan le aveva dovuto dare antibiotici di ogni tipo per combattere le possibili infezioni, il che non aveva sicuramente giovato al suo stomaco: dal giorno in cui avevano iniziato, Fianna non aveva praticamente toccato cibo. E poi c’erano quelle ferite per cui lei non poteva fare nulla, perché non erano del corpo: chissà se e quando avrebbero iniziato a rimarginarsi.
Con attenzione, Susan tolse dal tavolino vicino al letto i piatti della cena del giorno prima, intonsi, e li sostituì con una ciotola di crema di grano e latte. Leggera e facile da digerire, ma anche energetica. Se solo la ragazza si fosse degnata di assaggiarla.
“Cerca di mangiare almeno qualcosa, d’accordo?” disse in tono sorprendentemente gentile. “E tirati seduta un momento, per piacere. Visita di controllo.”
Fianna ubbidì, rigida come una marionetta, ma non fece alcun tentativo di conversazione mentre Susan le palpava gentilmente lo stomaco e l’addome. Si irrigidì un paio di volte, segno che le pareti interne erano ancora sensibili, ma quanto meno il sangue si era fermato.
“Molto bene. Direi che stai guarendo in fretta.” Susan allungò alla ragazza un bicchiere di coccio con dentro alcune compresse e una caraffa d’acqua. “E se mettessi qualcosa nella pancia, guariresti anche più in fretta,” tentò ancora, anche se con ben poche speranze.
E infatti Fianna ingollò le medicine e fece per rimettersi sdraiata, senza nemmeno degnare la colazione di uno sguardo. Susan sospirò.
“Ah, prima che mi dimentichi. Stamattina il corriere ha portato questa.” Allungò qualcosa verso la maga, che sollevò lentamente lo sguardo. Si ritrovò di fronte una busta spessa di carta scura, con alcune rune tracciate sopra a carboncino. Fianna la afferrò con cautela e la esaminò da vicino.
“La Città di Ottone? Non conosco nessuno lì,” mormorò.
Susan sorrise. “Nemmeno io, ma ne ho ricevuta una identica. E se devo essere sincera, credo di sapere di chi si tratta.” Quando Fianna fece per chiederle di spiegarsi meglio, l’altra stava già richiudendo la porta. Un ultimo lampo rosso dei suoi capelli, e Susan se n’era andata.
Per qualche minuto, Fianna rimase seduta sul letto, indecisa sul da farsi. Poi si fece coraggio e, usando il manico del cucchiaio che Susan le aveva lasciato accanto alla ciotola di crema, aprì la busta. Ne scivolarono fuori alcuni fogli di carta e delle riproduzioni a china di alcuni palazzi della Città di Ottone. Erano in bianco e nero, ma si poteva intuire come il metallo la facesse da padrone in quel luogo, luccicando alla luce delle fiamme che circondavano la città. In una delle immagini, Daisy era seduta di fronte ad una tazza di qualcosa al tavolino di un locale all’aperto, e sorrideva timidamente; sembrava guardare direttamente verso di lei attraverso la carta, e Fianna non poté a sua volta trattenere un debole sorriso. Era il primo da parecchio tempo a quella parte.
Afferrò il primo dei fogli di carta, vergato in una calligrafia piccola e precisa, nonché perfettamente allineata nonostante il foglio fosse privo di righe, ed iniziò a leggere.

Data: 13-08-1373. Città di Ottone.
Cara Fianna,
Spero che questa lettera ti trovi bene, o quanto meno al meglio possibile. Non so esattamente quando la riceverai, ma è probabile che per allora il peggio sia già passato. Susan mi ha garantito che le prime trentasei ore sono le peggiori, e che nel giro di pochi giorni, una settimana al massimo dovresti essere di nuovo in piena forma.
Ci siamo dovuti fermare per una notte sul Piano del Fuoco, e così ne ho approfittato per scrivere qualche lettera. Prima che tu ti arrabbi: non abbiamo smesso di cercare i tuoi compagni! Passata la notte torneremo immediatamente sul Grande Ghiacciaio e continueremo la marcia verso nord! È solo che la giornata di oggi non è stata esattamente tranquilla, e avevamo bisogno di tirare il fiato, anche solo per qualche ora. Alcuni di noi più che altri.
Questa mattina, dopo che ci siamo salutate…

 
Quando Susan rientrò nella stanza di Fianna, intorno all’ora di pranzo, notò due cose. Intanto, dalla ciotola di crema mancavano almeno un paio di cucchiaiate abbondanti, il che non era molto ma era già un inizio. In secondo luogo, la sua paziente era seduta sul letto, la schiena appoggiata alla parete e sostenuta dal cuscino, e stava leggendo la lettera che aveva ricevuto. Dato che non poteva averci messo tutta la mattina a leggere quei tre fogli, per quanto Daisy scrivesse piccolo, era chiaro che doveva averla scorsa parecchie volte.
“A te cosa ha scritto?” Susan si sedette ai piedi del letto. “Anche a te ha parlato di «un alterco con un gruppo di scheletri»?”
A quelle parole, Fianna sorrise. “Ha usato le stesse parole. Chi mai descriverebbe un combattimento con dei non-morti «un alterco»? Tra l’altro, mi pare di aver capito che sia stato uno scontro difficile, anche se non ci sono molti dettagli…”
“Ecco a te Daisy Woolen. Ti giuro, quella ragazza è clinicamente incapace di dire qualcosa di male riguardo a chicchessia. Se Bane in persona le sgozzasse un cagnolino davanti, lei si rifiuterebbe comunque di insultarlo.”
“È così gentile… È sempre stata così?”
“Fin dal primo giorno che l’ho conosciuta. Ti ha mai raccontato come ci siamo incontrate?” Fianna scosse la testa. “Eravamo assegnate allo stesso piano del dormitorio comune per le matricole. Eshter stava cercando di portare un baule pieno di vestiti su per le scale e aveva bloccato il passaggio. Daisy si è offerta di aiutarla, e insieme hanno iniziato a issare quella mostruosità di cassa su per le scale. Io ero già in stanza, e mi sono affacciata per urlargli contro di fare in fretta, ma piano. Mi ero svegliata presto, quella mattina, ed ero di pessimo umore. Eshter mi ha mandato al diavolo, mentre Daisy si è limitata a sorridere e a dire «Con il tuo aiuto finiremmo in un attimo». Ed è così che è iniziata.”
La maga sorrise all’idea.
“Non so neanche io come sia successo, ma tempo mezza giornata eravamo amiche. Nel giro di tre settimane, quelle due erano diventate le migliori amiche che io abbia mai avuto. Se non fosse stato per Daisy, non ci saremmo mai conosciute. E non credo che quelle due sarebbero sopravvissute senza di me.” Susan ridacchiò dal naso. “Eshter è una brava ragazza, ma parecchio svampita alle volte. E Daisy… Sua nonna è una gran cara persona, ha fatto un lavoro splendido con la sua educazione, ma temo che farla crescere da sola in una fattoria l’abbia privata di parecchie abilità sociali.”
“Cosa intendi dire?” Ora Fianna era genuinamente curiosa.
“Un sacco di cose, anche le più basilari! Non si era nemmeno resa conto di essere lesbica, è stata una delle conversazioni più difficili della mia vita!” Susan rabbrividì al ricordo.
«Non saprei, davvero… Le ragazze… hanno un odore migliore…»
«Daisy, non siamo in pasticceria! Non puoi basarti sull’odore per… Eshter, aiutami per favore. Tu come ti sei accorta che ti piacevano i ragazzi?»
«Oh, è stato facile. A quattordici anni, il mio cervello ha inaugurato una nuova ala dedicata a quanto mi attizzassero.»
«Grazie, Eshter. Molto utile come sempre.»

Persa nei ricordi, Susan non si accorse dell’espressione sorpresa che per un attimo era passata sul viso di Fianna. Non aveva idea che a Daisy piacessero le ragazze. Era anche vero che non glielo aveva mai chiesto. E aveva come l’impressione che lei non si sarebbe fatta troppi problemi a confessarglielo, se solo ne avessero parlato.
“Oh. Io non… E che tu sappia ha mai avuto… insomma…” annaspò.
“Una ragazza? Una sola storia seria, ma in questa casa non parliamo di Ingrid. Non perché sia la ex di Daisy, ma perché è in generale una persona molto sgradevole.” Il sorriso di Susan era praticamente un ghigno. “Se vuoi, potrai chiedere direttamente a lei. Non è stata una rottura facile, Daisy ci è stata male per parecchio anche se è stata lei a troncare, ma ho come l’impressione che le sia passata.” Questa volta fu il turno di Fianna di non notare un’espressione bizzarra sul viso dell’altra.
“Comunque,” proseguì Susan come se niente fosse, “il problema principale di Daisy, secondo me, è che le manca completamente il riflesso automotorio delle gonadi. O, per dirla più semplicemente, è cronicamente incapace di sbattersene le palle di qualcosa. Ogni problema che vede deve risolverlo, anche se non spetterebbe a lei. Nonostante il mio ottimo esempio, non ha mai imparato.”
Fianna ridacchiò, per poi stupirsi di quel suono. Aveva quasi dimenticato come fosse. “Quanto egoismo! Da una guaritrice, è insolito.”
“Stai scherzando? Intanto, io vengo pagata. Poi, posso decidere esattamente quanto dolore patiranno i miei pazienti, il che dipende molto da come si comportano. Posso riarrangiare gli organi interni di una persona a mani nude, e anzi, spesso mi viene chiesto di farlo. L’altro ieri ho visto le lacrime negli occhi di un omaccione alto due metri mentre gli rimettevo a posto la mascella, e non appena quello ha potuto parlare di nuovo mi ha ringraziato invece di insultarmi! E poi, sono legalmente autorizzata a preparare e trasportare più droghe di quante non ne sappia contare! Questo lavoro è uno sballo!”
Fianna rise di nuovo. Iniziava a capire come mai a Daisy Susan piacesse tanto. Ma era anche vero che a Daisy piaceva chiunque.
“Beh, è stato bello spettegolare un po’, ma ora è meglio che vada prima che mi faccia scappare qualche informazione confidenziale, tipo che il vecchio ciabattino in fondo alla strada ha la piorrea.” Susan sogghignò di nuovo. “Ops. Facciamo finta che questo non l’abbia detto, d’accordo?” Rivolse a Fianna un occhiolino, poi si eclissò.
Rimasta sola, Fianna si sorprese a pensare. A molte cose, ma principalmente a Daisy: una ragazza talmente buona e dolce da dedicare tempo durante una missione in cui aveva appena rischiato la vita per scrivere a qualcuno che conosceva a malapena. Una persona così attenta al suo prossimo da essersi accorta subito che qualcosa non andava in lei, una perfetta estranea, quando perfino un suo compagno di squadra non aveva notato nulla. E così gentile da offrirsi di battere palmo a palmo una zona pericolosa ed inesplorata in cerca di un gruppo di avventurieri scomparsi solo perché glielo aveva chiesto una persona conosciuta meno di una settimana prima.
Lanciò un’occhiata al tavolino vicino al letto. Accanto al pranzo, che Susan aveva appoggiato lì in un momento non meglio identificato, c’era la scatoletta di legno che Daisy le aveva lasciato prima di salutarla. L’incisione sul coperchio era appena visibile nella penombra.
Che tu possa sempre trovare la via di casa…
Alla sera, quando Susan passò a controllare la sua paziente all’ora di cena, trovò Fianna appisolata con la testa sulle braccia, appoggiata al tavolino. La finestra era stata completamente aperta per fare entrare la luce del pomeriggio, che ricadeva esattamente sul pianale del tavolo. Sotto le braccia incrociate della ragazza, Susan riusciva ad intravedere l’inizio di una lettera.

Cara Daisy,
Forse non spedirò mai questa lettera, la cosa più probabile è che te la dia direttamente la prima volta che ci vedremo. Volevo solo ringraziarti per tutto –

Lo sguardo della guaritrice passò dalla lettera alla bussola che la maga aveva aperto e posizionato di fronte a sé, alla ciotola vuota appoggiata per terra accanto alla sedia.
Susan scosse la testa e sorrise.
Oh Daisy, sei incredibile. Anche quando non ci sei, riesci comunque a renderti utile.
Con delicatezza, si chinò in avanti per svegliare la maga. La strada per la guarigione era ancora lunga, ma il primo passo – il più difficile, nella sua esperienza – era stato fatto.
Con te accanto, sono sicura che Fianna se la caverà alla grande.

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Capitolo 5
*** Istantanea 4 ***


ISTANTANEE DI VIAGGIO 4
In cui un negoziante da buoni consigli, una panchina diventa per un istante il centro dell’universo e una ragazza scopre cos’è il gelato.

22-08-1373. Primo pomeriggio. Silverymoon.
 
La giornata era soleggiata, calda e rumorosa. Come spesso succedeva alla fine dell’estate, la città di Silverymoon era vivace, ma non caotica: gli studenti stavano iniziando a tornare ai loro alloggi dopo la pausa estiva dalle lezioni, ma non tutte le stanze erano ancora occupate. Gruppetti di matricole si aggiravano con aria sperduta per le vie della città, spesso a bocca spalancata o seguendo qualcuno con una mappa in mano, mentre i rampolli delle famiglie più benestanti scaricavano i bagagli dalle loro carrozze private, o più spesso lo facevano fare a qualche servitore, sotto lo sguardo vigile di almeno un genitore.
Fino all’anno precedente, in quel periodo Daisy sarebbe stata sommersa di lavoro fino sopra le orecchie: tra scadenze da rispettare per l’inizio del nuovo anno accademico – che la professoressa Joyce ignorava deliberatamente fino all’ultimo secondo – e il suo lavoro volontario come guida per le matricole, la fine dell’estate era sempre stata il momento più frenetico dell’anno per lei. Di solito non le dispiaceva: adorava sentirsi utile.
Ma non avrebbe scambiato quella giornata per niente al mondo.
“Ecco qui! Scusa il ritardo!”
Navigando con attenzione tra i gruppetti di studenti distratti, la ragazza dalla pelle scura attraversò la strada e si avvicinò ad una panchina strategicamente nascosta sotto alcuni alberi a pochi passi dal fiume. Seduta sulla panchina, una borsa carica di materiale per lo studio appoggiata accanto a sé, Fianna le fece un cenno. Si era sfilata la giacca bordata di pelo che aveva addosso ed era rimasta con solo una maglietta a maniche corte e i pantaloni da viaggio: non era abituata alle estati delle Marche d’Argento, decisamente più calde di quelle di Damara. Daisy, dal canto suo, aveva addosso una maglia senza maniche di uno strano colore acceso a metà tra il rosso e il rosa, e una gonna chiara che le arrivava fino quasi alle caviglie.
Si trovavano sul lato meridionale del corso d’acqua, a poca distanza dal Vault of the Sages, in corrispondenza di una piccola ansa: dall’altra parte del fiume si potevano vedere alcuni moli commerciali con il loro viavai di barche e chiatte. Sulla loro sinistra, il Ponte della Luna si stagliava nella luce brillante della giornata, la faccia inferiore illuminata dai riflessi dell’acqua.
Daisy si sedette sulla panchina, sospirò, poi allungò all’altra ragazza una coppetta di vetro massiccio. Al suo interno, un paio di sferette di un materiale ruvido, una rosata ed una marroncina. Il fondo della ciotola sembrava pieno di uno sciroppo scuro, e una singola ciliegia era appollaiata tra le due sferette. A lato, riposava un cucchiaino di metallo.
Fianna la afferrò con attenzione. Si sentiva ancora un po’ debole, dopo la “procedura” come la chiamava lei. E avevano avuto una mattinata piena.
“Pensavo avessi detto che non si potevano portare fuori dal locale,” commentò.
Daisy parve imbarazzata. “Di solito è così, ma ho chiesto un piacere al proprietario. Ha detto che finché gli riportiamo tutto prima della chiusura non c’è problema.”
Glissò sull’occhiata complice che lo gnomo le aveva lanciato quando gli aveva spiegato che era in giro con una sua amica: la bottega di pasticceria di Mastro Bellycraft era stato uno dei luoghi che aveva frequentato più spesso con Ingrid, e il proprietario aveva avuto un posto in prima fila per assistere alla parabola della loro relazione. Dopo la rottura con la mezza halfling, Daisy si era caparbiamente rifiutata di smettere di frequentare quel negozio nonostante la tempesta di ricordi che la assaliva ogni volta che ci metteva piede. I dolci avevano reso il tutto più sopportabile.
Daisy sollevò la propria coppetta, identica a quella di Fianna ma con dentro una pallina quasi bianca con dei pezzetti scuri all’interno ed una giallastra. Lo sciroppo era di colore dorato.
“Questa è una crema a base di latte e uova,” indicò la pallina gialla col cucchiaino, “mentre questa è crema di latte e pezzetti di cacao. E ho fatto mettere del miele alla base. Le tue sono alla fragola e al cioccolato, con poco latte e zucchero, e sciroppo d’acero in fondo. Spero non sia troppo forte, nel caso possiamo fare cambio.”
Fianna punzecchiò la pallina rosa con la punta del cucchiaino con aria sospettosa. Ne raccolse un pochino, sorprendendosi di quanto fosse morbida, e dopo un attimo di esitazione se la infilò in bocca. I suoi occhi si illuminarono.
“È squisita!” trillò. “Come hai detto che si chiama?”
“Gelato.” Daisy sorrise, prendendo una piccola cucchiaiata dalla propria coppetta. “L’ha inventato un mago di Liam’s Hold, ma non so perché la ricetta originale prevedeva dell’aglio. Mastro Bellycraft ha aperto il suo negozio circa tre anni fa, e ha cambiato un po’ la ricetta. Ha aggiunto la frutta, e creato creme di vari gusti. Vengo qui almeno due volte la settimana dal giorno dell’apertura: gelati d’estate, cioccolate calde d’inverno, torte tutto l’anno.” Sospirò. “Mi mancherà quando lascerò Silverymoon.”
“Hai già deciso cosa farai adesso?” domandò Fianna.
“Non ancora. Per ora, viaggerò ancora un po’ con la professoressa. Anche se prima di ripartire mi piacerebbe andare a trovare la nonna. E poi... si vedrà.” Daisy sorrise. “Non mi dispiacerebbe visitare Damara, un giorno.”
“Non aspettarti di trovare molti gelati da quelle parti.” Anche Fianna sorrise. Le veniva ogni volta più semplice. “Gli inverni sono lunghi e freddi, le estati corte e la gente scontrosa.”
“Non tutta.” Daisy si sorprese a fissare l’altra, e distolse velocemente lo sguardo, imbarazzata. Non sapeva se Fianna se ne fosse accorta.
Per dissimulare l’imbarazzo, afferrò la borsa che aveva poggiato accanto alla panchina quando si era seduta.
“Allora, ti sei divertita stamattina?” chiese.

Le due ragazze erano partite da casa di Susan subito dopo colazione. La guaritrice aveva raccomandato a Fianna di non stancarsi troppo: un po’ di moto era ottimo per le gambe dopo quasi dieci giorni di convalescenza, ma doveva evitare gli sforzi. Daisy aveva spergiurato che ci sarebbe stata attenta, e le due si erano messe in cammino.
Nel giro di mezz’ora avevano attraversato il cancello a nord-ovest di Silverymoon e si erano immerse nella confusione del mattino. Daisy aveva portato l’altra ragazza a visitare il mercato, dove avevano acquistato un po’ di frutta e chiacchierato con parecchi venditori. Sembrava che la ragazza dalla pelle scura conoscesse tutti, e tutti conoscessero lei.
Poi erano andate verso il quartiere dove Daisy aveva abitato negli ultimi cinque anni, dopo aver lasciato il dormitorio delle matricole assieme ad Eshter e Susan. Aveva mostrato a Fianna la sua vecchia casa, e poi l’aveva portata in un negozietto dall’aria dismessa incastrato in un vicolo laterale. L’insegna diceva semplicemente: “Allison & Sarin: cancelleria.”
Il negozio era un ammasso caotico di penne e pennini, calamai, rotoli di pergamena, cartelle di cuoio e innumerevoli altri articoli utili per uno studente, accatastati apparentemente a casaccio su scaffali e mobiletti. Dietro al bancone, intento a sistemare una scatola di carboncini, c’era un uomo alto e dall’aria giovanile. Aveva i capelli neri e un paio di occhiali spessi, e si illuminò quando notò Daisy.
“Daisy!” la accolse. “Sei tornata!”
“Salve, signor Allison,” lo salutò la ragazza con un sorriso.
“John. Ti prego.”
“Non ce la faccio, lo sa.” Daisy indicò Fianna. “Posso presentarle la mia amica, Fianna?”
“Molto piacere!” L’uomo fece il giro intorno al bancone per stringere la mano alla maga. Indossava una camicia a quadri di tessuto ruvido, e pantaloni sdruciti.
“Il piacere è mio,” mormorò Fianna, stringendo con cautela la mano all’altro. Non si sentiva ancora completamente a suo agio con gli uomini, dopo quel che le era successo. Lanciò uno sguardo prima a Daisy, che le stava sorridendo con aria incoraggiante, e poi al negoziante. Anche lui aveva un viso amichevole, ma la maga si rilassò solo quando le ebbe lasciato la mano e si fu allontanato di un passo.
“Il signor Sarin non è qui oggi?” stava chiedendo intanto Daisy.
“No, Max è andato a ritirare un ordine a Candlekeep. Starà via qualche giorno.” Il negoziante si appoggiò al bancone con aria rilassata. “Allora, cosa posso fare per voi signorine?”
Daisy arrossì. “Beh, lei è la persona che vi avevo detto aveva perso il libro degli incantesimi...”
“Oh, ma certo! Quella per cui hai comprato la fascia. Spero le sia piaciuta.” Il signor Allison si rivolse direttamente a Fianna, che annuì, e lui continuò.
“Ottimo! Cuoio di qualità, quello. Non si spezzerà tanto facilmente. Come dice Daisy, la magia è utile, ma a volte i vecchi metodi sono i migliori.” Le fece l’occhiolino.
“Veramente lo dice la mia nonna.” La ragazza dalla pelle scura si voltò verso Fianna. “Comunque, ho pensato che magari avresti potuto dare un’occhiata in giro. Vedere se c’è qualcosa che ti può servire per riprendere i tuoi studi. Offro io. Budget illimitato fino a...” aprì il borsello, “cento monete d’oro circa. Il resto è rimasto alla signorina Lilhara, e vorrei tenere qualche spicciolo per dopo.”
“Non preoccupatevi del prezzo. Nel caso, pagherete con calma,” intervenne il negoziante.
Fianna iniziò a protestare. “Daisy, sei davvero gentile ma non posso –”
“Puoi e lo farai,” la interruppe l’altra con insospettabile decisione. “Ora forza, dai un’occhiata in giro! E non azzardarti a tornare a mani vuote!”
La maga borbottò qualcosa ed iniziò a curiosare, più per educazione che per altro. Non si sentiva davvero dell’umore adatto.
“Per gli Dei, è splendido!”
“Vero? È così tenero!”
Fianna stava stringendo tra le mani un blocco per gli appunti. Aveva le copertine ricoperte di una stoffa morbida, su cui era stato ricamato un coniglietto stilizzato dagli occhi enormi che impugnava una carota come fosse stata una penna. Al suo fianco, Daisy aveva l’espressione di chi ha appena trovato la cosa più preziosa del mondo.
Le ragazze si lanciarono in un’altra serie di versetti adoranti, dopodiché il blocco finì in una borsa sopra un set di cancelleria da viaggio, alcune pergamene trattate per essere a prova d’acqua con relativo inchiostro, un pacchetto di gessetti colorati ed altra roba assortita. Fianna ricominciò a girare per il negozio, la mente sgombra per la prima volta dopo giorni di preoccupazioni ed incubi. Si inginocchiò per frugare tra alcune scatole di legno leggero piene di timbri per la cera, e quando si rialzò vide che il signor Allison era impegnato a mettere a posto alcune penne d’oca su uno scaffale a poca distanza da lei. Lui si voltò e le sorrise.
La sensazione d’ansia ritornò all’istante, ma l’altro non fece cenno di volersi avvicinare.
“È incredibile, vero?” disse invece.
“Cosa?” rispose Fianna in un soffio.
“Daisy.” Il negoziante indicò con la testa la ragazza dalla pelle scura, che in quel momento stava scartabellando tra alcune risme di fogli dall’altra parte del negozietto. “Riesce sempre a mettere le persone di buonumore. Non se ne accorge neanche; è come se le venisse naturale.”
“È quello che dicono tutti di lei.” Fianna ripensò alle conversazioni avute con Susan. “È fin troppo gentile, anche per il suo stesso bene.”
“Daisy non è una sprovveduta. Non confondere la sua bontà d’animo con ingenuità. Una volta, mentre era qui, è entrato un tipo che ha cercato di truffarci vendendoci dei libri rubati. Non erano pezzi rari o pregiati, nulla di che. Il mio collega, Max, non se n’era neanche accorto. Daisy invece sì, non chiedermi come. Avresti dovuto vederla. Lo ha fatto a pezzi. Non penso che quel tizio abbia più messo piede a Silverymoon.”
Fianna sollevò un sopracciglio. Non riusciva proprio a immaginarsi Daisy arrabbiata.
“Comunque. Se quella ragazza si mette in testa qualcosa, farle cambiare idea è impossibile. Ha passato mesi a sospirare su uno scrittoio da viaggio che avevamo in vetrina, ma nonostante tutto non ha mai voluto comprarlo a credito.” Il signor Allison rise al ricordo. “Testarda come un mulo. Quindi, sappi che se ha deciso di aiutarti, non te la schioderai di torno tanto facilmente.”
Fianna osservò Daisy, che stava venendo verso di lei con una risma di carta da lettere in mano e un sorriso smagliante stampato sul viso.
“Sì, sto iniziando a pensarlo anche io.”

“Grazie di tutto, Daisy. Davvero, ne avevo bisogno.”
Le ragazze erano ancora sedute sulla panchina, intente a ripulire le coppette di gelato dagli ultimi residui di sciroppo. La notizia che il gelato si scioglieva aveva messo fretta a Fianna, che ne aveva ingurgitato un cucchiaio troppo grosso troppo in fretta, e aveva passato i successivi cinque minuti piegata in avanti con un dolore lancinante alle tempie mentre Daisy alternava risate e scuse.
La ragazza dalla pelle scura rivolse alla maga un’occhiata allegra, il cucchiaino ancora tra le labbra. Dietro agli occhiali tondi, i suoi occhi chiari scintillavano.
“Sono felice tu ti sia divertita.” Sorrise. “Non ti ho fatto stancare troppo, vero?”
Fianna scosse la testa. Notò che l’altra aveva una piccola macchia di miele sul mento, appena sotto il labbro inferiore dove il manico del cucchiaino l’aveva sporcata.
“Per nulla. Tranquilla.”
Fianna parve riflettere un attimo. Poi allungò la mano, la appoggiò sulla guancia di Daisy e le sfiorò le labbra con il pollice. Per un attimo, per Daisy il mondo intero si fermò.
“Avevi del miele sul mento.” Fianna ritirò la mano e si leccò il pollice.
Daisy si limitò a fissarla, stordita.
Cos’era quello? L’ha fatto davvero? Cosa faccio? Baciala! No! Non farlo! È fragile, ferita! Non è giusto! Ma quel gesto! Cosa devo fare? Oh no, la sto fissando! Dì qualcosa, presto!
Sentendo il sangue accorrere sulle sue guance e nelle orecchie, Daisy deglutì e si sforzò di cambiare discorso.
“Ah, ho comprato della carta da lettere anche per me,” balbettò, tirando fuori dalla sua sacchetta una risma di fogli identica a quella che la maga aveva nella borsa. “Così potremo scriverci. Se... se ti va, ovviamente.”
Fianna le rivolse un sorriso.
“Sì, credo che mi vada.

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Capitolo 6
*** Istantanea 5 ***


ISTANTANEE DI VIAGGIO 5
In cui un’offerta viene rifiutata, il passato rialza la testa e la luna osserva il futuro che nasce.

22-08-1373. Sera. Silverymoon.
 
L’anno precedente, il Conservatorio di Musica di Utrumm era stato spostato dalla Riva Nord del fiume alla Riva Sud, in modo da accorparlo al campus del giovane Conclave di Silverymoon. Anche se le sue aule e gli archivi erano stati svuotati di tutto il materiale, l’edificio del Conservatorio era ancora in piedi, momentaneamente chiuso e in attesa di conoscere il proprio futuro. Visto dall’esterno, il palazzo era enorme ma anonimo; all’interno, tuttavia, si poteva ancora respirare la grandezza dei giorni passati.
Quando Daisy le aveva proposto di entrarci, in un primo momento Fianna era rimasta perplessa: per quale motivo la ragazza dalla pelle scura, solitamente così attenta e ligia alle regole, la stava invitando in un edificio abbandonato? Una serie di ipotesi le fiorirono nella mente, alcune delle quali le causarono un leggero rossore sulle guance.
Una volta dentro, però, capì di essersi sbagliata. Quell’edifico era tutto fuorché abbandonato: torme di studenti, e qualche personaggio un po’ più avanti negli anni, passeggiavano tra le sale vuote, chiacchieravano negli angoli o leggevano stravaccati contro alcune delle colonne che sostenevano la sala grande.
“Da quando il Conclave ha spostato tutta la mobilia, l’edificio viene usato come punto di ritrovo dagli studenti, soprattutto da quelli di musica bardica,” stava spiegando Daisy con un sorrisone. “Sai che in questo palazzo c’erano più di quaranta stanze insonorizzate? Molte sono state smantellate, ma almeno la metà è ancora attiva. Gli studenti ci organizzano corsi, eventi, spettacoli e concerti di continuo, ma soprattutto alla fine dell’estate. C’è perfino un programma!” Allungò all’altra un volantino scritto in una calligrafia ricercata che elencava un numero sorprendente di eventi. Ed è solo per questa settimana, notò Fianna.
“Ed è legale?” domandò.
A quella domanda, Daisy arrossì. “Beh, tecnicamente no,” concesse, con una punta di imbarazzo. “Ma le guardie e l’Università sanno perfettamente cosa succede qui, e chiudono un occhio. Ci sono anche dei responsabili, in giro. Sia studenti che non.”
Indicò un giovane umano dall’aria simpatica che distribuiva volantini come quello che Fianna aveva in mano. Sul petto aveva una spilla con incisa sopra un’arpa.
“Se hai bisogno, cerca qualcuno con quel simbolo. E non preoccuparti: le porte qui dentro sono tutte prive di serratura.” Daisy le sorrise di nuovo, e Fianna non poté fare a meno di ricambiare.
Chi lo avrebbe mai detto? Questa è una vera sorpresa, pensò.
 
“Allora, com’è che sei esperta della scena musicale sotterranea?”
Fianna era seduta a terra e appoggiata contro una delle pareti in uno dei due auditorium al pianterreno. Le panche in platea erano state tolte, ma i gradoni in muratura erano ancora lì, e anche il palcoscenico. In quel momento, un gruppetto di studenti si stava lanciando in un’opera satirica improvvisata dal titolo “Le Merde d’Argento” in cui prendevano in giro figure di spicco della zona. Alcune parti erano ben fatte, ottima satira politica sulla situazione attuale; altri interpreti erano meno ispirati.
Accanto a lei, Daisy tirò fuori dalla sacchetta una piccola borraccia di metallo e la poggiò per terra assieme a due tazze di coccio. Quando svitò il tappo, si sentì un leggero odore di limone.
“È una storia un po’ lunga. Sicura che ti va di sentirla?” Leggermente imbarazzata, la ragazza dalla pelle scura allungò una delle due tazze all’altra. Era piena di un infuso agli agrumi molto zuccherato, che Daisy aveva preparato per combattere la stanchezza. Susan si era tanto raccomandata che Fianna non si stancasse troppo, e Daisy non aveva intenzione di deluderla. Quando aveva pensato alla giornata, aveva calcolato i minuti di cammino e previsto pause ogni venti minuti massimo, sempre in posti dove ci sarebbe stato modo di sedersi.
Fianna annuì, portandosi la tazza alle labbra.
“D’accordo.” Di nuovo, Daisy sembrò in imbarazzo. Per prendere tempo, bevve un sorso dalla propria tazza. Poi si buttò.
“La verità è che mi ha introdotto Ingrid. La mia… La mia ex ragazza.” Fece un sospiro. “Siamo state insieme poco più di un anno, tra la fine dei miei studi e l’inizio del periodo come assistente della professoressa. Lei… è molto diversa da me. Adora le feste, il rumore, la gente. L’alcol. Conosceva ogni singolo punto di ritrovo di Silverymoon, ogni distilleria clandestina, ogni gruppo musicale. Me li ha fatti provare tutti…” Lasciò sfumare la voce, persa nei ricordi. Anche lei seduta per terra, si era portata le ginocchia al mento, e in quel momento si stava abbracciando le gambe con entrambe le braccia.
Fianna provò maldestramente a intervenire: “Scusa Daisy, non sapevo che…”
L’altra scosse la testa. “Non ti preoccupare. È tutto a posto.” Le rivolse un sorriso malinconico. “È finita da anni ormai. Non fa più male. Beh, quasi più.”
Fianna non le credette neppure per un attimo. “Se posso chiederlo… Ti manca?”
“No.” La risposta di Daisy fu immediata e lapidaria. “Eravamo troppo diverse. Mi stava distruggendo. Mi manca come mi faceva sentire all’inizio, però. Sai, quando tutto è nuovo e incredibile, tutto da scoprire e tu ti senti… viva?”
Di colpo si rese conto di cosa stesse dicendo, e a chi. “Scusa! Non volevo –”
Fu il turno di Fianna di scuotere la testa. “Non preoccuparti. Va tutto bene.” La maga stese le gambe di fronte a sé. “No, non è vero. È stata un’esperienza terribile, disgustosa, e più cerco di non pensarci e più mi torna tutto in mente.”
Nella penombra della sala, mosse la mano a terra finché non trovò quello che stava cercando.
“Da tutta questa storia di merda – il rapimento di Danny, la morte di Bor e Ezekiel, tutto quanto – è uscita una sola cosa buona.” Con delicatezza, intrecciò le dita intorno a quelle di Daisy. “Ho incontrato te.”
Per un po’ restarono così, con le risate del pubblico dello spettacolo a fare da sottofondo.
 
“Non sapevo che genere di musica ti piacesse, spero che tu ti stia divertendo.” Daisy gridò per farsi sentire sopra la confusione del pubblico che applaudiva. Un gruppetto di musicisti aveva appena terminato la prima parte del proprio spettacolo, un’alternanza di pezzi recitati e cantati in cui raccontavano le vicissitudini di una studentessa tormentata dalle proprie compagne di corso.
Fianna annuì. “Sono molto bravi!” concordò.
Ormai il sole era calato del tutto: quando la luce del tramonto aveva iniziato a filtrare dalle vetrate dell’auditorium, Daisy si era alzata a malincuore e aveva accompagnato Fianna ad una delle salette insonorizzate che erano ancora in attività. Le aveva spiegato che l’aveva portata lì con il preciso scopo di farle vedere quello spettacolo, che lei lo aveva visto qualche mese prima e le era piaciuto molto. La compagnia era un gruppo di studenti dell’ultimo anno, e questo era il loro spettacolo di addio a Silverymoon: probabilmente anche per questo, quando le ragazze erano arrivate, la sala era già stipata, con i pochi posti a sedere occupati.
Mentre si guardavano intorno, un giovane halfling dalla zazzera castano chiaro si era avvicinato tutto sorridente. Aveva una spilla con la lira ben in mostra sul petto.
“Che mi venisse un colpo! Daisy Woolen!” aveva esclamato. “Sono secoli che non ti si vede in giro, ragazza! Come stai?”
La ragazza si era illuminata in un sorriso. “Alan! Che bello vederti!” I due si erano abbracciati rapidamente, prima che Daisy facesse le presentazioni.
“Fianna, lui è Alan. Uno degli organizzatori degli spettacoli.”
“Ti prego, dimmi che ci hai ripensato e vuoi unirti alla commissione.” Gli occhi dell’halfling si fecero grandi come piattini. “Saresti favolosa! E sai che ti accoglierebbero tutti a braccia aperte, sì?”
“Sei gentile, ma non posso. Ultimamente sono sempre in viaggio.” Il sorriso di Daisy si era allargato. “Scusa, Alan. Posso chiederti un favore? La mia amica non può stare in piedi a lungo, ma le sedie sono tutte occupate e seduti per terra non si vede nulla…”
“Non dire altro!” L’halfling era scomparso tra la folla, per poi rimaterializzarsi pochi secondi dopo con una sedia dall’aria economica sotto ciascun braccio. Daisy e Fianna si erano guardate per un attimo, con lo stesso pensiero in testa.
A McGraw verrebbe un infarto se le vedesse!
Da quando Daisy aveva parlato di Ingrid, e Fianna di quanto le era successo sul Grande Ghiacciaio, un qualche equilibrio si era spostato. Era come se un muro invisibile tra di loro fosse crollato. Prima erano state attente, guardinghe l’una con l’altra, senza neppure rendersene conto. Entrambe avevano paura che sfuggisse loro una parola di troppo.
Adesso non più.
Avevano ringraziato Alan, si erano accomodate su un lato della sala e si erano godute lo spettacolo. Sapevano che l’altra era lì, ma questo non era più motivo di apprensione. Era un’altra cosa che rendeva speciale quella serata.
Ora, mentre gli attori si sistemavano il trucco e i musicisti aggiustavano gli strumenti in vista del secondo atto, Daisy si alzò in piedi.
“Vado a prendere qualcosa da bere. Ho visto uno dell’organizzazione con un barile d’acqua e qualche altra bevanda. Tu vuoi qualcosa?”
Fianna si morse il labbro. Sembrava combattuta. Alla fine, prese coraggio.
“Veramente, non pensavo di fermarmi per il secondo atto.”
Daisy parve sgonfiarsi. “Non ti è piaciuto? Scusa, avrei dovuto parlartene prima, magari non era il tuo genere. Se preferisci, ci sono tanti altri spettacoli che…”
La maga la interruppe prima che l’altra tirasse fuori il volantino e iniziasse ad elencare.
“Tranquilla, Daisy. Loro sono bravissimi, eccezionali! È solo che…” esitò. “C’è un altro posto dove vorrei andare.”
“Sei stanca. Ti riaccompagno a casa.” Daisy si raddrizzò. Ma certo, che sciocca. E dire che Susan glielo aveva anche detto. È ancora debole, non farla stancare troppo…
“Non esattamente.” Allo sguardo perplesso dell’altra, Fianna rise e fece un cenno con la testa. “Vieni.”
 
Appena fuori da Silverymoon, lungo la strada che conduceva a casa di Susan, il fiume faceva un’ampia curva e rallentava fin quasi a fermarsi. Sul lato interno dell’ansa, a poca distanza dalla strada, c’era una spiaggetta di ghiaia nascosta da una piccola macchia di cespugli.
“Perché siamo qui?” Daisy, che aveva seguito Fianna fino a quel momento, si guardò intorno con curiosità. Il suo retaggio da vampiro le permetteva di vedere anche nell’oscurità più completa, ma quella sera non era necessario. Alla luce della luna, il fiume luccicava come fosse stato davvero d’argento. “Non c’è niente qui,” ridacchiò.
“C’è silenzio.” Fianna inspirò profondamente. In effetti, gli unici suoni erano gli insetti tra l’erba e l’acqua che sfiorava i ciottoli a pochi metri da loro. “E ci sei tu.”
La maga si voltò verso Daisy. “Devo darti alcune cose, e non posso farlo in mezzo alla gente.” Le scappò una risatina, poi si chinò a frugare nella propria borsa. Ne estrasse una scatoletta di legno dall’aria vissuta e la porse all’altra.
Sul coperchio erano incise le parole: Che tu possa sempre trovare la via di casa.
Anche senza la luce della luna o i suoi occhi da vampiro, regalo di suo padre, Daisy l’avrebbe riconosciuta tra mille. Tese la mano e la prese con un sorriso.
Anche la maga sorrise. “Come promesso. Grazie per avermela prestata.”
“Lo dirò alla nonna. Sarà contenta di sapere che è stata utile.”
“Poi, c’è questa.” Fianna si chinò ancora a frugare nella sua borsa, e riemerse con una busta in mano. “Tu mi hai mandato una lettera, così te ne ho scritta una anche io. Non sapevo dove spedirla, però, così ho pensato di dartela di persona…”
Daisy rise. “Ti ringrazio per il pensiero. Spero sia solo la prima di tante.”
“Di sicuro. C’è un’ultima cosa.”
Daisy, che aveva abbassato lo sguardo per mettere via la bussola e la lettera, risollevò gli occhi. Fianna era in piedi, con le spalle al fiume. La serata era calda, quindi aveva lasciato la giacca bordata di pelo legata intorno alla vita ed era rimasta solo con la maglietta a maniche corte e i calzoni da viaggio. Non aveva in mano nulla.
Alla luce della luna, Daisy poteva vedere bene il suo viso. Sembrava nervosa, agitata. La ragazza dalla pelle scura la osservò perplessa e con una punta di ansia.
“Va tutto bene? Cosa –”
Senza preavviso, la maga fece un passo in avanti e premette le labbra su quelle di Daisy.
Si erano già date dei baci amichevoli in passato, sulle guance o sulla fronte. Questo non era uno di quelli. In pochi attimi, divenne chiaro a tutte e due che era qualcosa di ben di più.
Quasi in automatico, le braccia di Daisy si avvolsero intorno alla vita dell’altra e la strinsero a lei. Fianna fece lo stesso, prima di baciarla ancora più profondamente.
Rimasero così a lungo, con il canto dei grilli a fare da sottofondo.

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Capitolo 7
*** Istantanea 6 ***


ISTANTANEE DI VIAGGIO 6
In cui alcuni accordi vengono stretti, due ragazze si separano ma non veramente, e inizia un lungo cammino.

23-08-1373. Mattina. Conclave di Silverymoon.
 
Le espressioni sui visi del consiglio di facoltà erano divise più o meno equamente tra ammirazione e fastidio. I risultati presentati erano sicuramente interessanti; il modo in cui erano stati posti, però, lasciava molto a desiderare.
I sei membri del consiglio sedevano su uno scranno comune a forma di semicerchio. Di fronte a loro, era stato posizionato un tavolo su cui facevano bella mostra di sé alcuni reperti: i più interessanti erano un grosso libro dall’aria antica scritto in alfabeto Gigante, alcune immagini dello scheletro di un drago corredate di appunti, anch’essi scritti in Gigante, una mezza dozzina di monete d’oro, alcune delle quali grosse come un piatto da portata, e quella che pareva la mappa incompleta e ricoperta di annotazioni di un immenso complesso sotterraneo. La pianta non aveva il minimo senso, forse perché era stata tracciata da un golem impostato in automatico, come era stato loro riferito.
Dall’altra parte del tavolo, la professoressa Johan Joyce aveva l’aria stizzita. Era in piedi, entrambe le mani poggiate sul pianale, e aveva appena finito il proprio rapporto sulla spedizione. Come suo solito, era stata diretta, schietta e non si era persa in dettagli.
Seduta su una sedia a poca distanza, Daisy stava diligentemente trascrivendo tutto quello che veniva detto. In realtà non avrebbe dovuto trovarsi lì – non era più l’assistente di Johan da settimane, ormai – ma quando quella mattina si era presentata all’appuntamento nessuno aveva detto nulla. Johan temeva che non se ne sarebbe liberata tanto facilmente; non lo avrebbe mai ammesso neppure sotto tortura, ma la cosa non le dispiaceva affatto.
Però quella mattina Daisy aveva qualcosa di diverso. Sembrava assente, distratta. Non triste, però, no. Pensierosa, ecco. Forse…
“Professoressa Joyce?”
“Hmm?” La donna si voltò a guardare verso il presidente della commissione. In via del tutto eccezionale, Eltro Miresk in persona si era offerto di partecipare, e quando il rettore si dava volontario non c’erano alternative se non accettare.
“Ha sentito cosa ho detto?”
“Mi scusi, ho una malattia congenita: sono intollerante a stronzate e rotture di coglioni. E quel discorso sembrava davvero una rottura di coglioni di prima categoria. Qualcosa a che fare con regolamenti, accordi tra università e palle varie, giusto?”
Daisy si morse le labbra per non intervenire. A un paio di posti di distanza dal rettore, il professor Wingard soffocò una risatina. Dall’altro lato del tavolo, il professor O’Malley di Divinazione, invece, dovette trattenersi per non iniziare a urlare.
Eltro Miresk la guardò con aria irritata.
“Gliela farò semplice, allora. Il territorio del Grande Ghiacciaio è tradizionalmente studiato dalla Moonstone Manse dell’Impiltur. Non possiamo piazzare un campo di ricerca da quelle parti senza prima consultarli.”
“Allora andremo a portare le nostre scoperte alla Moonstone Manse. Sono sicura che lì saranno più interessati.” Johan allungò una mano verso il librone, ma la voce di Miresk la bloccò.
“Non ho detto questo, professoressa. E lo saprebbe se mi avesse ascoltato.” L’anziano mago sospirò. “Ma ci vorrà del tempo per prendere accordi con i nostri colleghi dell’Impiltur per organizzare un campo condiviso. Loro forniranno la manovalanza, noi l’esperienza, e divideremo oneri e onori. Ci sarà parecchio da contrattare, ma con questo materiale penso ne valga la pena.” Indicò con un gesto tutto quello che si trovava sul tavolo. Dal luccichio che aveva negli occhi, era chiaro che nonostante la facciata severa era parecchio interessato.
“Mi scusi, direttore. Credo di essermi espressa male.” Joyce si sporse sopra il tavolo. “Devo aver dato l’impressione che me ne fregasse qualcosa. Non è così. Potete fare quello che volete con quel sito, anche darlo in mano a quell’imbecille di Mulligan se avete proprio voglia di mandarlo a puttane. Solo, se qualcuno scava lì dentro, anzi no, se qualcuno pensa solo di scavare lì dentro, voglio che arrivi una comunicazione ufficiale sulla mia scrivania. E voglio che il mio nome e quello di Daisy compaiano su ogni fottuta pubblicazione sull’argomento, incluse le comunicazioni interne. Così è più chiaro?”
La professoressa Roy di Rune Antiche intervenne: “La signorina Woolen non fa più parte dell’organico dell’Università. Per tanto, non può avanzare pretese su –”
Joyce la interruppe. “Mi scusi, professoressa. Vedo la sua bocca muoversi, ma sento solo «blah blah blah». Le ho già parlato della mia malattia congenita, vero?”
L’anziana docente le rivolse uno sguardo infuocato prima di voltarsi verso Miresk. “Direttore, non può permettere davvero a questa donna di comportarsi così.”
“Oh, può e lo farà.” Il sorriso di Joyce era abbastanza affilato da tagliarci una pagnotta. “Perché se non lo farà, noi prenderemo baracca e burattini e porteremo tutta questa roba alla Moonstone Manse. O a Candlekeep. Non è importante. Qualcuno di interessato lo troveremo, potete starne certi.”
Fece scorrere lo sguardo sulla commissione. “Mi avete tolto la possibilità di andare in campo con le risorse dell’Università, altrimenti avrei preso in mano io stessa questo progetto e lo avrei portato avanti per conto mio. Ora fatemi un favore: sbattetemi fuori del tutto, almeno sarò libera di andare a presentare le mie scoperte da qualche altra parte. Magari dove sono anche solo un filo meno rincoglioniti.”
Eltro Miresk sospirò. “Non è necessario diventare scurrili, professoressa Joyce. Sono sicuro che possiamo arrivare ad un accordo soddisfacente per tutti…”
 
“Direi che è andata bene.” La voce di Daisy era stranamente pacata, mentre attraversava il portone dell’Università insieme alla professoressa. Avevano appena finito di rimettere tutto il materiale al suo posto in archivio, e tra una cosa e l’altra si era fatta quasi ora di pranzo.
“Bene? È andata alla grande!” Johan mimò un pugno verso il cielo terso. “Sfruttamento esclusivo per vent’anni, e diritto di opposizione su qualsiasi decisione che l’Università possa prendere sul sito. Se ci avessero pure pagato sarebbe stato perfetto!”
“A proposito. Grazie per essersi impuntata per me.”
Joyce le rivolse uno sguardo stupito. “E perché non avrei dovuto, scusa? Ti sei fatta il culo quadro per questa missione. Ci mancava solo che ti lasciassero fuori.”
“E per questo la ringrazio molto. Anche se sono comunque sicura che avrebbe potuto essere un pochino più diplomatica,” suggerì la ragazza. A quelle parole, Johan scoppiò a ridere.
“Dov’è il bello dell’avere il coltello dalla parte del manico se non ci giochi un pochino?” La professoressa rivolse uno sguardo alla sua ormai ex assistente. “Tu, piuttosto. Va tutto bene?”
Daisy sollevò lo sguardo, stupita. “Certo, professoressa. Perché me lo chiede?”
“Una sensazione. Com’è andato il tuo appuntamento di ieri?”
Daisy arrossì violentemente. Sulla pelle scura era difficile accorgersene, ma oramai Johan ci aveva fatto l’occhio.
“Come sa che avevo un appuntamento?” balbettò, gli occhi fissi sulla punta delle scarpe.
“Me lo ha detto Lilhara ieri mattina, quando sono tornata da Westgate. Non so come lei lo abbia saputo, ma la ragazza ha le sue fonti, immagino. Allora?”
Daisy sembrava ancora affascinata dalle proprie scarpe. “Ecco… direi che è andato bene…”
“Però? Sento che c’è un però.”
“Ho l’impressione che abbia complicato solo la situazione.” Daisy sospirò.
A sorpresa, la professoressa sorrise. “Allora è stato un ottimo appuntamento. Da quel poco che so, se c’è casino stai andando nella direzione giusta.”
“Forse per lei, professoressa.” Un lampo di divertimento passò negli occhi chiari della ragazza. “E com’è andato il suo appuntamento a Westgate? Il signor Gemmel sta bene?”
Stranamente, Johan parve imbarazzata dalla domanda. Non era da lei.
“Oh, bene. Benone. Abbiamo chiacchierato, mangiato, bevuto un po’… Una serata piacevole. Sì, decisamente niente di bizzarro da segnalare.” Si guardò intorno finché non scorse qualcuno in fondo alla strada. “Oh, ecco Felix e gli altri. Riconoscerei quel lupo gigante tra mille. Non che ce ne siano altri mille in giro, ma ci siamo capite. Forza, andiamo.”
Agitò un braccio in segno di saluto e accelerò il passo, lasciando indietro Daisy che la osservava con un misto di perplessità e divertimento.
A quanto pare non sono l’unica con una vita sentimentale incasinata.
 
L’appuntamento con Fianna e Bastion era alla casa di Susan. Quando il gruppetto arrivò, la guaritrice era nel proprio studio a parlare con la maga, la porta serrata dietro di loro. Ne emersero dopo qualche minuto; il viso di Susan era corrucciato, come al solito, mentre Fianna aveva un accenno di sorriso sulle labbra. Quando vide Daisy, arrossì leggermente e parve di colpo molto interessata al battiscopa. Johan soffocò una risatina.
“Qual è il verdetto, dottoressa?” chiese Bastion con tono neutro. Susan lo fissò dal basso verso l’alto, un sopracciglio inarcato. Sembrava stesse decidendo se rispondergli o prenderlo a calci. Alla fine, per una volta, puntò sull’alternativa pacifica.
“Fisicamente, sta bene. Niente febbre, l’infiammazione è guarita, non ci sono segni di ferite aperte. Ma sono comunque contraria,” decretò.
Il paladino non esitò. “Molto bene. Allora si parte tra due giorni. Giusto il tempo di mettere insieme l’equipaggiamento necessario.”
Il giorno prima, Bastion aveva annunciato a sorpresa di essere in procinto di tornare sul Grande Ghiacciaio, in cerca dei loro compagni ancora dispersi, una gnoma che rispondeva al nome di Rosili Minwyse e un Paladino di Illmater di nome Fodel Nemmesk. Era sua intenzione trovarli, o quanto meno tornare con le prove inconfutabili che fossero deceduti. Ancora più a sorpresa, quando la sera prima Daisy e Fianna erano tornate a casa di Susan e avevano trovato il messaggio del Paladino, la maga si era detta pronta ad andare con lui.
Ovviamente, Susan si era opposta: le due avevano discusso per un po’, ma alla fine la guaritrice aveva dovuto ammettere che non c’erano ragioni mediche per cui la maga non potesse partire. Si era però riservata di cambiare opinione il giorno seguente, dopo un esame completo e approfondito.
Quando erano salite in camera di Fianna, la maga si era aspettata che Daisy cercasse di fermarla. Era già pronta al loro primo battibecco – si erano baciate per la prima volta meno di due ore prima e già stavano per litigare – ma dopo aver chiuso la porta, la ragazza dalla pelle scura aveva pronunciato l’ultima parola che la maga si sarebbe mai aspettata.
“Scusa.”
Una serie di ipotesi sfrecciò nella mente di Fianna, una peggiore dell’altra.
Mi sta lasciando. Si è pentita di quel bacio. L’ho delusa quando ho detto che sarei partita. Ho litigato con Susan e ora ce l’ha con me.
Prima che potesse dire nulla, Daisy continuò.
“Avevo promesso che avrei trovato i tuoi compagni per te, ma non ce l’ho fatta. E adesso il signor Bastion vuole ripartire, e tu giustamente vuoi andare con lui a cercare i tuoi amici, ma se io avessi fatto quello che avrei dovuto tu non dovresti tornare in quel posto terribile e…”
Gli occhi le si erano riempiti di lacrime. Prima che l’altra potesse mettersi a piangere, Fianna le aveva preso una mano tra le sue.
“Ehi, ehi, ehi. Non fare così. Non è colpa tua. Tu hai fatto tutto quello che potevi. E anche di più. Molto di più,” le aveva detto. Una lacrima era sfuggita dall’occhio destro di Daisy, e la maga l’aveva intercettata con un bacio.
“Starai attenta, vero? Promettimi che starai attenta!” Gli occhi di Daisy erano ancora umidi. “Prometti che avrai sempre un Teletrasporto pronto, e un Inviare, e se ci sarà puzza di guai tornerete indietro subito? E se non potrete mi chiamerai, e io arriverò immediatamente? E…”
Fianna aveva avvolto le braccia intorno alla vita di Daisy e l’aveva tirata a sé.
“Tranquilla. Andrà tutto bene. Te lo prometto.”
E per un momento ci aveva creduto davvero.
 
25-08-1373.
 
“Ho comprato un paio di pergamene di Teletrasporto senza errore. Nel caso servissero.”
“Oh, Daisy! Ti saranno costate un occhio!”
Mentre i due gruppi si preparavano alla partenza, le due ragazze si erano allontanate un poco per parlare al riparo da orecchie indiscrete. In quel momento erano vicino al pollaio di Susan e McGraw, con le galline che le osservavano con aria sospettosa da dietro la rete di canne.
“Non importa. Mi faranno stare più tranquilla.” Daisy sorrise. “Se non le useremo, meglio. Le terrò per venirti a trovare a Damara.”
Una volta fuori dalla vista degli altri, l’espressione sicura di Fianna si era fatta nervosa e preoccupata. Era una cosa che le succedeva spesso, ogni volta che pensava che nessuno la stesse guardando. Nei due giorni precedenti, le due ragazze avevano passato quasi ogni momento di veglia insieme. Daisy aveva portato l’altra a fare passeggiate nella campagna al di fuori delle mura di Silverymoon, l’aveva accompagnata in biblioteca a recuperare incantesimi da aggiungere al proprio grimorio, o ad acquistare oggetti utili per la spedizione. Più di ogni altra cosa, aveva cercato di starle vicino. E non solo perché ogni volta che Fianna le sfiorava la pelle con le dita o le labbra, il suo intero corpo sembrava formicolare: la maga era nervosa – di più, era spaventata – anche se cercava in tutti i modi di non darlo a vedere. Ma Daisy aveva buon occhio per queste cose. E il fatto che non riuscisse a staccare gli occhi di dosso dall’altra aveva sicuramente aiutato.
In particolare, quella mattina Daisy aveva notato come l’altra continuasse a stringersi in vita la cinghia di cuoio con cui aveva assicurato il proprio libro degli incantesimi, come a volersi sincerare che fosse sempre lì. Si era morsa la lingua un paio di volte, che si erano aggiunte alle innumerevoli dei due giorni precedenti, ma alla fine aveva ceduto.
“Non devi andarci per forza, lo sai?”
Fianna le rivolse un’occhiata interrogativa, e Daisy continuò.
“Non voglio dirti cosa fare o non fare. Non… non è quello che sono. Tu puoi fare quello che vuoi, e io ti sosterrò sempre, qualunque sia la tua decisione. Ma penso che non sia una buona idea che tu torni sul Grande Ghiacciaio. È troppo presto, non… Sono successe troppe cose, troppo di recente lassù.”
La prima sera, quando si erano baciate sotto la luna sulla riva del fiume, Daisy aveva sentito la fame nella bocca dell’altra, la disperazione con cui a volte l’aveva stretta, il desiderio spasmodico e terribile di lasciarsi tutto alle spalle e ricominciare da capo. La stessa fame che aveva avvertito più volte nei due giorni precedenti, di solito appena prima di salutarsi.
Fianna non stava bene. Non sarebbe stata bene per molto tempo. Come poteva voler tornare lassù, dove era accaduto tutto?
Con delicatezza, Fianna le avvolse il viso con le mani. La maga era di qualche centimetro più bassa di Daisy, per cui dovette mettersi in punta di piedi per appoggiare la fronte contro quella dell’altra.
“Devo farlo. Per Bor, per Ezekiel, per Rosili, per Fodel. Per Bastion. Ma soprattutto per me.” Diede un rapido bacio sulla punta del naso all’altra. “Non posso lasciare che quel maledetto ghiacciaio mi perseguiti per sempre. Devo tornare lassù. Finire quello che ho iniziato.”
Daisy annuì piano. Non era convinta che fosse una buona idea. Per nulla. Ma se era ciò che Fianna voleva, lei l’avrebbe appoggiata in tutto e per tutto. Non era forse quello il suo ruolo?
“Promettimi che starai attenta però,” mormorò di nuovo. “E che se ci sarà anche solo un accenno di pericolo –”
“Prenderò Bastion e me ne andrò di corsa.” Fianna sorrise. “Lo prometto. Ma tu fai lo stesso.”
Suo malgrado, anche Daisy sorrise. “Sarò con la professoressa e gli altri. Non sarò in pericolo.”
Avvolse l’altra tra le braccia e la strinse piano a sé. I capelli di Fianna sapevano di latte, più qualcosa di dolce che non riuscì a identificare. Non importava.
“E scrivimi, mi raccomando. Non vedo l’ora di arrivare a casa e trovare tutte le tue lettere.” Fianna sorrise. Aveva dato all’altra un indirizzo di Helgabal dove mandare le lettere. Casa sua. Così lontana. Eppure, dopo tutto quello che era successo nelle ultime settimane, non si era mai sentita più al sicuro di dov’era in quel preciso momento. Tra le braccia di una persona che le voleva bene, la rispettava, la sosteneva senza costringerla. Sapeva che, non importava quanto sarebbero state lontane, avrebbe sempre trovato un posto tra quelle braccia.
“Dammi un bacio,” mormorò. Daisy eseguì all’istante.
Quando si separarono, il fiato corto e il cuore che le batteva forte nel petto, la maga sollevò lo sguardo. “Un altro.”
“Un altro.”
“Un altro.”
“Un altro.”
“Un altro.”
“Ingorda. Quanti vuoi che te ne dia?” La ragazza dalla pelle scura ridacchiò.
“Molti di più.” Il tono di Fianna era mortalmente serio. “Almeno abbastanza da non sentire così tanto la tua mancanza quando sarai andata via.”
Daisy esitò per un attimo. Sembrò sul punto di dire qualcosa, poi scosse la testa.
“D’accordo. Spero solo che gli altri non abbiamo fretta.”
“Falli aspettare. Ora ho bisogno io di te.”
E credo che ne avrò bisogno per un bel po’.

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Capitolo 8
*** Istantanea 7 ***


ISTANTANEE DI VIAGGIO 7
In cui una serata romantica viene interrotta, un guardiano viene aggirato e qualcuno muove i primi passi.

12-11-1373. Sera. Helgabal, Damara.
 
La porta della stanza si aprì di colpo, e un’ombra scivolò all’interno, si appoggiò all’uscio e lo serrò di nuovo con un paio di giri di chiave. Quindi, Fianna schioccò le dita: una serie di sfere luminose presero vita all’interno di contenitori di vetro inchiodati ai muri, illuminando la sala in cui si trovavano. Era una camera semplice ma comoda, con una grossa libreria ad arco stracolma di tomi ad occupare un’intera parete e un ampio letto infilato nell’apertura al di sotto. Un folto tappeto ricopriva quasi interamente il pavimento, con l’eccezione dell’area di fronte al caminetto, in quel momento spento. C’erano alcuni cassetti sotto il letto, che probabilmente contenevano vestiti e biancheria, e una cassapanca di legno massiccio in un angolo accanto ad uno scrittoio ingombro di carte. Un tavolo di legno rozzamente sagomato con due sgabelli completavano il quadro.
Accanto a Fianna, Daisy comparve apparentemente dal nulla, sollevò la testa e si guardò intorno, il fiato corto ed un sorriso sulle labbra. Le regole del complesso erano chiare: non si potevano avere ospiti in camera, pena una multa. La maga aveva lanciato un incantesimo di Invisibilità sulla compagna in modo che potesse scivolare all’interno con discrezione, ma il guardiano di notte che avevano superato all’ingresso doveva aver subodorato qualcosa, perché aveva lanciato uno sguardo strano a Fianna, l’aveva fermata per domandarle qualcosa e poi aveva iniziato a precederla su per le scale con la scusa di fare un giro di pattuglia. La maga si era mostrata tranquilla e cordiale, ma il suo nervosismo e le occhiate furtive che ogni tanto lanciava in giro dovevano aver insospettito l’uomo, perché non l’aveva persa di vista fino a quando la porta non si era richiusa dietro di lei.
“C’è mancato poco,” sospirò Daisy. “L’incantesimo stava per terminare.” Si sfilò rapidamente gli stivali da viaggio, restando con le calze pesanti che indossava al di sotto: non voleva rischiare di macchiare il tappeto di fango o terra.
“Già. Che sfortuna, proprio il vecchio Jeoffrey doveva essere di turno stasera. Ti giuro, a volte mi sembra che quell’uomo abbia il fiuto di un segugio.” Fianna si avvicinò alla finestra che occupava la parete accanto al camino e tirò le pesanti tende. Non era ancora arrivato l’inverno, ma l’aria notturna in quella zona era già frizzante.
A poca distanza, Daisy appoggiò il proprio zaino sopra la cassapanca muovendosi come se avesse paura di rompere qualcosa. Per puro caso, lo sguardo le cadde sullo scrittoio: in una scatola di legno senza coperchio, erano riposte in ordine una pila di buste aperte dall’aria familiare, ciascuna con dentro un piccolo plico di fogli di carta.
“Ehi, ma queste sono le mie lettere!” rise. “Hai conservato anche le buste?”
Fianna le rivolse uno sguardo divertito.
“Certamente! Me le hai mandate tu, sono ricordi preziosi.”
Con un paio di falcate, Daisy attraversò la stanza per abbracciare l’altra.
“L’ho fatto anche io. Sono in un raccoglitore nel cassetto del mio tavolo da lavoro,” confessò. L’altra rise contro il suo petto, per poi sollevarsi in punta di piedi e appoggiarle un bacio sulla guancia. Sospirò, lasciando sfuggire un lungo soffio d’aria dai polmoni.
“Sono felice che tu sia qui, Daisy.”
“Sono felice anche io.”
 
Daisy era arrivata quella mattina a Helgabal. Aveva usato una pergamena di Teletrasporto senza errore per comparire di fronte al tempio di Illmater, un luogo di culto abbastanza famoso da poterne recuperare delle immagini in qualche libro alla biblioteca di Silverymoon. La ragazza era tornata da un paio di giorni dalla spedizione alla Grande Foresta, e dopo aver passato al setaccio tutte le lettere che Fianna le aveva spedito nelle settimane precedenti, aveva deciso di buttarsi. Così si era fatta prestare da Lilhara la tiara con Inviare e aveva mandato un semplice messaggio alla maga.
Ciao Fianna, sono Daisy. Ho un paio di giorni liberi, e pensavo di venirti a trovare. Ti andrebbe di passare un po’ di tempo insieme?
La risposta non si era fatta aspettare: la maga aveva accettato entusiasticamente e le aveva dato appuntamento alla fontana di fronte al tempio. Esattamente quindici secondi dopo che Daisy era apparsa nella piazza, Fianna le era saltata addosso, l’aveva abbracciata e le aveva stampato un bacio direttamente sulle labbra. Il resto, come si suol dire, era Storia.
La giornata era stata un turbinio: Fianna aveva voluto far vedere a Daisy quanto più possibile della città, e la ragazza dalla pelle scura si era lanciata anima e corpo nell’esplorazione. Dal palazzo della gilda dei mercanti, al vecchio Palazzo Reale ora in disuso (la capitale era stata spostata a Bloodstone Village una quindicina d’anni prima, le aveva spiegato Fianna), alla residenza del governatore, allo stesso Tempio di Illmater: la maga aveva preparato un giro esaustivo dei punti salienti della città, e le due non si erano fermate un attimo. Daisy aveva fatto un sacco di domande sull’architettura della zona, preso una montagna di appunti e utilizzato il proprio cartografo portatile per creare una lunga serie di riproduzioni a china di tutti i monumenti che avevano visitato. Dopo aver pranzato con un sacchetto di caldarroste a testa comprate in una delle tante bancarelle che affollavano le vie del centro, le due si erano concesse una cena abbondante in una locanda; al momento di cercare una sistemazione per la notte, però, Fianna aveva proposto che Daisy si fermasse a dormire da lei. Una sfumatura rossastra era sbocciata sulle guance di entrambe le ragazze: nessuna delle due aveva una grande esperienza in materia, ma le implicazioni di quella domanda erano abbastanza chiare. Nonostante il momento di imbarazzo, però, Daisy aveva accettato volentieri.
Perché negarlo? si era chiesta. Non è che non ci abbia pensato, in queste ultime settimane. O non abbia fatto un paio di sogni piuttosto… diretti sull’argomento.
Eppure, c’era qualcosa che la preoccupava.
 
“Posso girarmi?”
Al suono affermativo di Fianna, Daisy si voltò lentamente. L’abitazione della maga era composta da un unico stanzone, quindi le due avevano dovuto cambiarsi nella stessa stanza. La maga aveva assicurato che non era un problema, ma Daisy si era comunque voltata verso il muro mentre l’altra si sfilava i vestiti della giornata e si preparava per la notte. Immaginava che l’altra avesse fatto lo stesso quando si era cambiata lei, ma non aveva insistito più di tanto sull’argomento: per tutto il tempo, però, il pensiero che Fianna fosse nella stessa stanza le aveva causato un forte batticuore e le aveva fatto avvampare le guance. Nessuna delle due sensazioni era particolarmente spiacevole.
Fianna aveva già spento tutti i globi luminosi con l’eccezione di uno soltanto, esattamente sopra lo scrittoio, e si era infilata sotto le coperte; Daisy si sfilò la giacca da camera che la maga le aveva prestato per non prendere freddo, appoggiò i propri occhiali sul tavolo insieme al resto dei vestiti e la raggiunse.
Dopo parecchi giorni passati a dormire in un sacco a pelo in compagnia di una mezza dozzina di avventurieri russanti e un lupo grosso come un cavallo di piccola taglia, sarebbe stato un sollievo riposare in un letto vero e senza essere quasi completamente vestiti. Aveva deciso di portarsi una maglia leggera e un paio di vecchi pantaloni, in modo da poter essere comoda; non credeva fosse necessario indossare nulla di più pesante per la notte, e non si era sbagliata. Oltretutto, la coperta che Fianna aveva sul letto era piuttosto pesante. Quando la scostò per infilarcisi sotto, notò che l’altra aveva addosso una semplice camicia da notte. Il nervosismo che era quasi riuscita a scacciare ritornò all’istante.
Non appena Daisy si fu accomodata, Fianna spense l’ultimo globo luminoso. Dalla finestra entrava solo una luminosità leggera, appena sufficiente a delineare i contorni della mobilia. Daisy non aveva problemi a vedere al buio, gli occhi sensibili erano stati un dono di suo padre, ma non aveva ancora confessato a Fianna di essere una dhampir, una mezza vampira. Così, si limitò a chiudere gli occhi e a farsi più vicina all’altra, cercandola a tentoni fino a che non le avvolse le braccia intorno alla vita. Le poggiò un bacio leggero sulla guancia.
“Buona notte, Fianna,” mormorò. “E grazie ancora per oggi.”
Fianna non rispose subito; muovendosi in maniera un po’ goffa sotto la coperta, si girò fino a trovarsi di fronte a Daisy e le appoggiò le labbra sulla bocca con delicatezza.
“Grazie a te per essere qui,” bisbigliò dopo qualche secondo, prima di baciarla di nuovo.
Nonostante la giornata intensa, nessuna delle due ragazze sembrava ancora pronta ad addormentarsi. Nel giro di qualche minuto, i baci divennero sempre più appassionati. Ad un certo punto, senza sapere bene come ci fosse finita, Daisy si accorse di essere sdraiata per metà sopra l’altra, il fiato rotto e le mani appoggiate ai lati del petto di Fianna. Aprì gli occhi: nel buio, poté vedere che l’altra la stava fissando pur senza vederla. Aveva un’espressione strana in viso, il respiro corto e ansimante. La stava stringendo a sé con entrambe le braccia.
“Se vuoi possiamo fermarci,” mormorò. Sotto di lei, Fianna scosse la testa.
Con attenzione, la maga la tirò di nuovo a sé. Muovendosi secondo istinti di cui non voleva conoscere l’origine, Daisy iniziò a baciarle delicatamente il collo, per poi mordicchiarla con delicatezza appena sopra la clavicola. Sentì Fianna irrigidirsi per un attimo, e un gemito leggero sfuggirle dalle labbra quando le passò la lingua sulla pelle.
Le mani della maga le si infilarono sotto la maglietta. Daisy non aveva esattamente un seno florido, nessuno nella sua famiglia era mai stato particolarmente formoso, ma a Fianna non pareva importare: senza esitare, le passò i palmi sui seni e poi iniziò a massaggiarli delicatamente con i pollici, spedendole brividi lungo tutta la schiena.
Con l’idea di fare lo stesso, Daisy lasciò scivolare le dita sotto il tessuto della camicia da notte dell’altra. Quando le sfiorò i seni, però, si accorse che Fianna si era irrigidita. Il suo respiro era rapido, superficiale, e i brividi che sentiva sotto le dita non erano di piacere.
La ragazza dalla pelle scura si bloccò.
“Fianna. Va tutto –”
Non riuscì a finire la frase. La maga si sollevò sui gomiti e la zittì con un bacio, per poi gettarsi di nuovo su di lei. Le sfilò la maglietta, in modo da poter muovere meglio le braccia, e riprese a baciarle ed accarezzarle il petto. Daisy, in ginocchio sul letto, si lasciò sfuggire un gemito; prima che il suo corpo prendesse del tutto il sopravvento, però, si costrinse a reagire.
“Fianna.” Con decisione, Daisy appoggiò le mani sulle spalle della maga e la costrinse a tirarsi indietro. Una persona normale non avrebbe visto nulla nel buio, ma agli occhi di Daisy non sfuggì il fatto che l’altra si stava mordendo le labbra fin quasi a farle sanguinare.
“Tu non vuoi questo.”
Quella di Daisy non era una domanda, ma Fianna rispose lo stesso: “Certo che voglio. Perché non dovrei?” La sua voce tremava leggermente. Forse per l’eccitazione. O forse no.
“Non vuoi farlo,” ripeté Daisy, questa volta con tono più deciso man mano che riprendeva il controllo. “Queste cose dovrebbero farti sentire bene, e tu non stai bene. Per nulla.”
“Certo che sto bene,” protestò l’altra. “Sono con te, stiamo per fare… per fare…”
La voce le si spezzò. Fu come se una diga fosse crollata di colpo, e Fianna iniziò a piangere. Senza dire una parola, Daisy la abbracciò con delicatezza e lasciò che si sfogasse. Sentiva le lacrime che le bagnavano il petto nudo, ma in quel momento aveva altro a cui pensare.
“Voglio solo dimenticare,” mormorò Fianna, dopo quella che parve un’eternità e un istante al tempo stesso. “Voglio solo togliermi dalla testa quello che è successo. Prima mi piaceva… fare certe cose…” Ora pareva imbarazzata. “Ho avuto un fidanzato, quando ancora studiavo. Un altro mago, un Evocatore. Era… bravo, mi faceva sentire…”
Lasciò sfumare la frase e ricominciò a tremare. “Ma ora ogni volta che penso a quelle cose mi viene in mente solo quello che è successo sul ghiacciaio. Non posso togliermelo dalla testa. Mi sentivo così… impotente, come se fossi un oggetto…”
Daisy la strinse ancora più forte. “Non ti preoccupare,” mormorò.
“Volevo solo avere dei bei ricordi. Qualcosa che mi ricordasse che… fare certe cose… può essere bello, e dolce, e piacevole… Ma continuo a pensare a quei momenti, e non riesco a…”
“Non devi.” Daisy fece di tutto per far suonare la propria voce calma e rilassante. Forse ci riuscì, perché i tremori di Fianna parvero quietarsi un poco. “Passerà. Con il tempo. E con l’aiuto di qualcuno. Ma non devi sforzarti: fare tutto di corsa, cercare di gettarsi tutto alle spalle… Datti tempo.”
Fianna sollevò la testa. Anche se non vedeva nulla nel buio, guardò dritto negli occhi di Daisy. “E tu? Tu non vuoi… farlo con me?”
“Certo che voglio. Ma voglio che tu stia bene, che ti goda tutto quanto. E fino a quando non sarai pronta, non andrò più in là di questo.” Le sfiorò le labbra con un bacio. “Non c’è bisogno che tu ti sforzi per me. Fare… certe cose non è il motivo per cui voglio stare con te.”
Con delicatezza, fece sdraiare di nuovo Fianna e tirò la coperta fino ad avvolgerle entrambe. Non sapeva dove fosse finita la propria maglia, e non aveva intenzione di mettersi a cercarla in quel momento. Fianna parve rifugiarsi tra le sue braccia, farsi piccola piccola. Non aveva ancora smesso di tremare, ma a Daisy sembrava che la situazione fosse un po’ migliorata.
“Allora,” iniziò per distrarla. “Raccontami un po’. Dove hai studiato magia?”
Fianna tirò su col naso un paio di volte. Poi, con un filo di voce, iniziò a parlare di quando era più giovane e la sua famiglia aveva deciso che la loro secondogenita avrebbe fatto meglio a trovarsi un buon partito per non essere costretti a frazionare quei pochi possedimenti lungo l’Icelace River che ancora erano rimasti loro, e l’aveva spedita a farsi valutare presso il mago di corte del barone BelMaris.
“Per fortuna che quel vecchio ha trovato una scintilla di magia in me, o sarei stata costretta a sposare un qualche nobile di mezza tacca mentre mio fratello mandava a rotoli le nostre segherie.” Fianna sorrise. “Così almeno posso ancora dire la mia sugli affari di famiglia.”
Nessuna delle due seppe dire esattamente quando il sonno arrivò. Sicuramente, però, fu un sonno pacifico. Per una volta.
 
Il mattino seguente di buon’ora, Daisy era seduta sul letto che stava rivoltando la propria maglia prima di rinfilarsela quando una mano le sfiorò la schiena.
“Mmmmh.”
“Buongiorno anche a te.” La ragazza dalla pelle scura si voltò e sorrise. “Non volevo disturbarti, scusa.”
“Che ore sono?” Fianna bofonchiò. Aveva gli occhi ancora chiusi, ed era sdraiata sul letto con le braccia aperte. Anche quando riposava serenamente, tendeva a muoversi parecchio.
“Presto. Scusa, la nonna mi ha abituata ad alzarmi all’alba.” Daisy si piegò all’indietro e diede un bacio sulla fronte dell’altra. “Continua pure a dormire, io sistemo un paio di cose e preparo la colazione.”
Sempre tenendo gli occhi chiusi, Fianna scosse la testa. Bofonchiò ancora qualcosa, si sollevò seduta sul letto e si appoggiò alla schiena di Daisy, avvolgendole le braccia intorno alla vita.
“Resta un po’ a letto. Non abbiamo fretta,” borbottò. “Niente impegni. Ho lasciato la giornata libera. Possiamo stare abbracciate ancora per un po’.”
Le labbra e i capelli della maga solleticavano la schiena nuda di Daisy, lanciandole brividi per tutto il corpo. Il fatto che un braccio dell’altra le si fosse piazzato sui seni non aiutava.
“Potrebbe essere rischioso restare a letto.” Daisy tentò di scherzare. “Potremmo riaddormentarci e perderci la mattinata.”
Contro la sua schiena, Fianna scosse la testa.
“Tranquilla, adesso mi sveglio. Voglio solo stare ancora un po’ con te.”
“Abbiamo tutto il giorno, non ti preoccupare. Ho detto alla professoressa che sarei stata di ritorno non prima del tramonto.”
La ragazza dalla pelle scura sentì la pressione sulla schiena allentarsi e le braccia dell’altra scivolare via. Per un attimo ci rimase male: non le dispiaceva la sensazione.
Ci furono un fruscio e qualche vibrazione mentre Fianna si muoveva sul letto, poi la pressione tornò. Però la sensazione era diversa. Daisy poteva sentire della pelle nuda contro la schiena; si irrigidì, mentre le braccia di Fianna le si riavvolgevano intorno alla vita.
“Fianna, cosa stai –”
“Sshh.” La maga le sfiorò la base del collo con le labbra. “Non voglio fare nulla. Lasciami solo restare un attimo così. Non girarti.”
Daisy sospirò, poi appoggiò le mani su quelle della maga.
“Piccoli passi, Fi. Certe cose non possono essere affrettate. Le piante hanno bisogno di tempo e cure per crescere, le ferite per guarire. La nonna me lo diceva sempre quando ero piccola.”
“Lo so.” Daisy poté sentire l’altra che annuiva, prima di appoggiarle la testa sulla spalla. “Però è piacevole, stare così. Non sei d’accordo?”
“Molto.” Daisy girò il viso fino a che non riuscì a raggiungere la guancia dell’altra con un bacio. Per qualche minuto, nessuno parlò.
“Mi aspetterai, vero?” domandò la maga. Sembrava aver paura della risposta.
Contravvenendo a quanto l’altra aveva detto, Daisy si girò all’indietro per poter guardare Fianna negli occhi. Era la prima volta che vedeva l’altra nuda, ma in quel momento non ci fece neppure caso. D’accordo, forse giusto un pochino.
“Tutto il tempo che servirà,” dichiarò con sicurezza. “E se potrò aiutarti in qualche modo – qualsiasi modo – lo farò senza pensarci due volte.”
Le prese il viso tra le mani e la baciò con dolcezza. Fianna ebbe un attimo di esitazione, poi le avvolse le braccia intorno al collo e si strinse di più a lei, premendosi contro il suo petto.
Piccoli passi.

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